Up In The Sky

di _Safyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Attrazione fisica ***
Capitolo 3: *** Paura ***
Capitolo 4: *** Tensioni ***
Capitolo 5: *** Scoperte ***
Capitolo 6: *** Programmi ***
Capitolo 7: *** Dimostrazioni ***
Capitolo 8: *** Inizio ***
Capitolo 9: *** Imprevisti ***
Capitolo 10: *** Amiche ***
Capitolo 11: *** Scontri pericolosi ***
Capitolo 12: *** Domande ***
Capitolo 13: *** Litigi ***
Capitolo 14: *** Storie ***
Capitolo 15: *** Dolori ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** Forte abbastanza ***
Capitolo 18: *** Nell'incoscienza ***
Capitolo 19: *** Schieramenti ***
Capitolo 20: *** E' reale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Era notte fonda.

Dietro le mie spalle il deserto era buio e silenzioso, al contrario della città che, illuminata dalle luci degli edifici, non si era ancora addormentata. Uscire dalle caverne mi metteva sempre di buon umore, eppure quella sera non ero molto entusiasta di respirare un po' d'aria fresca.

Forse stare lontano da Ian mi stava influenzando un po' troppo. Sorrisi fra me e me.

«Tutto bene?» mi chiese Melanie dopo aver preso posto accanto a me.

Il furgone non era mai stato più vuoto di quella notte: Kyle era fuori a fare la guardia; Ian, Jared, Aaron e Brandt erano andati a fare rifornimento nella città vicina, Tucson.

«Sì, grazie.»

Mel si portò le gambe al petto, rannicchiandosi vicino a me. Era ancora strano non vederla riflessa in uno specchio come l'avevo sempre guardata.

«Tieni.» disse, porgendomi una barretta di cioccolato.

Alzai un sopracciglio, guardandola confusa. Il cioccolato non era per i bambini?

«Prendilo, Wanda. Jamie ne ha abbastanza nella sua stanza.», ordinò prima di sogghignare al ricordo di suo fratello.

Non me lo feci ripetere due volte, così presi la barretta e l'aprii per dividerla con lei.

«Dovremmo darla anche a Kyle.», osservai mentre mi alzavo e raggiungevo il fondo del furgone. Mel ritornò a ridacchiare ed io scostai la tendina del retro per offrire un pezzo di cioccolato anche a lui.

«Da qualche parte ho letto che aiuta il cuore, il corpo e...»

«Aiuta anche a non addormentarsi in piedi alle tre di notte?» Kyle m'interruppe dopo aver preso il resto della barretta.

«Può darsi.»

Melanie ed io scoppiammo a ridere, spezzando quell'orribile silenzio che trasmetteva troppa pace e ansia. Poi, come un lampo a ciel sereno, accadde qualcosa.

Avevamo fatto una pausa più lunga del solito? Ci eravamo distratti troppo? No, certo che no. Ma ormai non potevamo farci più niente.

«Kyle, cosa...?» balbettò Melanie mentre entrambe ci sistemavamo nei sedili anteriori e cercavamo di scorgere o sentire qualcosa.

Due tonfi. Sordi. Precisi. Netti.

Pum. Pum.

«Degli spari! Qualcuno ha sparato!» sbottò Kyle. Salì a bordo, raggiungendo immediatamente la nostra postazione.

«Metti in moto, metti in moto!»

Altri spari e altri strani rumori che provenivano dal confine ovest di Tucson.

Melanie premette il piede sull'acceleratore, partendo immediatamente.

Il mio cuore iniziò a battere sempre più forte per la paura, impedendomi di pensare lucidamente. Cosa stava succedendo là sotto? Perché avevano sparato?

«Più veloce, Mel.» sussurrai, senza staccare gli occhi dalla strada.

Percorremmo tutto il profilo a sud-ovest fino a raggiungere il luogo da cui sembravano provenire quei tonfi. Sistemammo il camion dietro ad una piccola altura.

«Prendilo.» Kyle porse un fucile a Melanie, poi a me.

Fissai l'arma che teneva con fare esperto in mano, indecisa.

«Serve per proteggerti, Wanda.» disse a bassa voce.

Trassi un respiro profondo, allungando la mano verso il fucile.

«Kyle...» Melanie cercò di soccorrermi: sapeva quanto odiassi le armi.

«Va tutto bene, Mel.» l'avvisai prima di prendere il fucile a Kyle e avvicinarmi al fondo del camion.

Fu lui a scendere per primo, poi toccò a me.

L'aria era più fredda di quanto pensassi. La maglietta che indossavo non mi teneva molto caldo, ma potevo sopportare.

La situazione sembrava essersi momentaneamente calmata, eppure qualcosa mi diceva che dovevamo stare attenti. Non eravamo ancora fuori pericolo.

Scendemmo in silenzio dal furgone e ci dirigemmo all'interno della città. Ci trovavamo vicino ad un centro di smistamento scorte. L'area era stranamente recintata da fili spinati e cemento armato e un portellone divideva il capannone dal resto degli edifici pubblici.

«Okay. Io vado da questa parte.» annunciò Kyle che, dopo aver aperto con una tenaglia un piccolo varco per poter entrare, rompendo i fili d'acciaio che costituivano una porta d'emergenza, ci salutò con un cenno del capo.

Melanie ed io proseguimmo nella direzione opposta, senza abbassare la guardia. Lanciai un breve sguardo alla mia amica. Camminava lentamente, davanti a me. Gli occhi vigili, le mani ben strette al fucile.

«State attenti. Si sono nascosti fra i container.» avvisò una voce maschile, non molto lontana da noi. Mel si fermò di colpo, poi si voltò verso di me.

«Cercatori» borbottò sottovoce.

Pian piano nella mia testa iniziò a comporsi un puzzle sempre più sensato. Mi guardai attorno per una frazione di secondo, non vedendo altro se non il muro di cemento che divideva quel magazzino dal resto della civiltà. Mi inclinai verso destra per guardare ciò che stava osservando Melanie.

Il complesso sembrava essere pieno di container abbandonati. Al centro troneggiava un grosso capannone ingiallito dal tempo. Se l'apparenza non mi ingannava, dovevamo sicuramente essere cadute in una delle tante trappole che i Cercatori avevano preparato per catturare gli umani che vivano in zona.

«Oh, no...» mormorai quando presi piena coscienza del guaio in cui ci eravamo cacciate.

«Cosa c'è?» chiese Mel, ansiosa.

«Dobbiamo andarcene. Subito. O finiremo per essere tutti presi» sussurrai, facendo un cenno verso i Cercatori che, ignari, ci erano appena passati accanto senza neanche accorgersene.

Melanie assunse un'aria confusa.

«Cosa ti sembra questo?» chiesi, indicando con una mano tutto il complesso.

«Un... magazzino? Un centro smaltimento scorte? Non so...»

«Sembra, ma non lo è.»

M'interruppi, spostando l'attenzione alle mie spalle. Qualcuno si stava avvicinando a noi. Melanie mi afferrò per un braccio e mi trascinò con sé dentro un altro container.

Al suo interno c'erano pile e pile di sacchi, scatoloni e altri oggetti.

Curiosa di sapere se avevo ragione, frugai dentro ciascun pacco, senza però trovarvi altro se non cumuli di paglia.

«Sono vuoti. Tutti.» esclamai prima che potesse farlo Melanie.

Come temevo, i Cercatori ci avevano colti di sorpresa.

«Che pezzi di...»

Mel interruppe la sua imprecazione, immobilizzandosi dal terrore non appena sentì dei passi avvicinarsi fin troppo velocemente a noi.

Ci scambiammo una breve occhiata e puntammo le armi nell'apertura del container.

Sospirammo di sollievo quando vedemmo Ian comparire dall'angolo, pistola in mano.

«Wanda» sorrise, venendomi incontro per abbracciarmi. Dalla sua espressione capii che era sorpreso di vedermi. Lo strinsi forte.

«Melanie... Che ci fate qui? È pericoloso» aggiunse mentre si levava di dosso lo zaino per distendere le spalle.

«Dove sono gli altri?» chiesi, carezzandogli involontariamente una guancia.

«Ci hanno beccati mentre rubavamo del cibo. Non siamo riusciti a prendere le medicine.»

«Jared?» domandò Melanie, preoccupata.

«Sta bene. Come avete fatto ad entrare?»

«Kyle» rispondemmo sia io che lei contemporaneamente.

«Dov'è?»

«Abbiamo dovuto separarci.»

«Ascoltami, Ian» iniziai, chinandomi su di lui per guardarlo negli occhi. «In questo complesso non troveremo niente. È tutta una messinscena.»

«Lo so, Wanda... Ce ne siamo accorti troppo tardi, però»

Ian appoggiò la fronte sulla mia, incantandomi col suo sguardo penetrante. I suoi gesti, le sue parole... conferivano tristezza e rassegnazione, come se tutto ciò che avevamo costruito sarebbe stato rovinosamente distrutto quella notte.

Trasalii.

No, non saremmo morti. Non quella notte, non così. Per umani come lui, Melanie e Jared non poteva esserci una fine tanto ignobile.

Il silenzio che si era venuto a creare fu spezzato dal rumore delle pallottole che si infrangevano nell'acciaio di cui erano fatti i container.

Sussultai, cercando la mano di Ian.

«Via, via, via!» gridò una voce inconfondibile, quella di Jared.

Melanie trattenne a stento un'esclamazione.

«Non muovetevi.» ci ordinò Ian. Afferrò la pistola e si posizionò vicino all'entrata. «Da dove siete entrate?» ci chiese, gli occhi puntati su di noi.

«Da un buco poco più in là del capannone. A ovest.» spiegò Melanie, pronta e decisa.

Ian annuì. Colmò la breve distanza che ci divideva e depositò un appassionato bacio sulle mie labbra, morbide e calde al contatto con le sue.

«Ti amo.» mormorò, senza staccarsi di un solo centimetro da me.

Quel contatto, così dolce e intimo, mi ricordò tanto la nostra prima notte.

«Ti amo.» risposi, passando una mano sulla sua pelle sporca di sabbia. Ian sorrise, poi sparì dietro l'angolo, così come era venuto.

Continuai a fissare il punto in cui prima c'era stato lui, senza badare agli spari che continuavano a susseguirsi uno dopo l'altro o alle lacrime che minacciavano di rigarmi il viso. Melanie mi strinse forte una mano, regalandomi un sorriso forzato per cercare di rassicurarmi.

Quanto volevo essere forte come lei...

«Dobbiamo andare» disse poco dopo.

Annuii e mi lasciai nuovamente trascinare fuori da quel nascondiglio, in silenzio.

Vidi Ian correre verso ovest. Brandt e Aaron seguire un Jared piuttosto nervoso e concentrato. Camminavano sui container come se fossero sopra dei tetti, schivando abilmente i proiettili che i Cercatori facevano esplodere sotto di loro. Era strano che non cercassero di convincerli con le buone maniere. Da quel che ricordavo del passato di Melanie, non erano così violenti e sadici.

«Jared!» Mel sventolò una mano per farsi scorgere dal compagno, poi mise a segno un colpo, prendendo in pieno uno dei tanti Cercatori che cercavano di acciuffarci malgrado avessero notato i miei occhi argentei. Correvamo spericolate lungo il perimetro del complesso, cercando di tornare dove eravamo entrate.

Grazie al cielo rincontrammo anche Kyle.

Tutto sembrava andare per il verso giusto.

Quasi tutto. Jared, Aaron e Ian erano dalla parte opposta rispetto a noi, braccati incessantemente dai Cercatori che per alcuni attimi credettero di avere avuto la meglio su di loro. Brandt era rimasto indietro.

Melanie ritrovò il buco e nel breve istante che ebbe prima di scappare riuscì ad allargarlo per assicurarsi che tutti potessimo passarci indenni.

«Brava» le dissi mentre, china sui sacchi, tenevo il fucile puntato su un punto indistinto. Seguivo Ian con lo sguardo, quasi fossi attratta dalla forza di attrazione gravitazionale che emanava il suo corpo, e non smettevo di sperare che riuscisse a raggiungerci.

Brandt fu il primo ad arrivare, poi toccò a Kyle.

I Cercatori erano visibilmente ridotti, ma non smettevano di sparare e di inseguire Aaron, Jared e Ian, stremati dalla corsa.

Assai nervosa, mi concentrai su una Cercatrice e sparai senza realmente vederla. Riuscii comunque a colpirla. Brandt fece lo stesso e finalmente i tre ebbero il via libera per raggiungerci.

«Forza, forza!» urlava Kyle, pronto per attraversare il buco.

Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena. Avevo cantato vittoria troppo presto.

Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.

Chiusi gli occhi, cercando di proteggermi con un braccio dal misto di fumo e cenere che mi investì come una macchina in piena corsa. Quando li riaprii, era tutto grigio, le voci dei miei compagni lontane e ovattate, la mia gola in fiamme per la cenere che avevo ingoiato.

Tossii, avvicinando la manica della mia maglietta alla bocca.

«W-wanda...» mugugnò qualcuno che mi stava accanto, probabilmente Melanie.

Solo in quel momento mi accorsi di aver riacquistato l'udito.

«Mel?» tossii di nuovo «Brandt?»

Brandt si schiarì la gola, muovendosi accanto a me. Kyle si limitò ad aprire gli occhi, intontito.

Cambiai posizione e da sdraiata passai a seduta.

Una volta accertatami che stavano tutti bene, mi corressi mentalmente. Non tutti.

Mi voltai di scatto verso il capannone, ormai distrutto.

Li cercai. Li cercai dappertutto, ma non li trovai. C'era troppo fumo.

«No... no... Ian?» gridai, rendendomi conto di quello che era accaduto solo in quel momento. Mi alzai e oltrepassai i sacchi che mi avevano fatto da scudo, cercando di vedere qualcosa muoversi nel fumo.

«Wanda, non andare!» mi ordinò Brandt, afferrandomi per il polso.

No. Non era possibile.

Non poteva essere successo davvero.

«Lasciami andare» grugnii, acida. Brandt strinse la presa sulle mie braccia, bloccandomi ogni via d'uscita.

«Jared... Jared...» gemeva Melanie, dietro di me.

Mi dimenai, cercando di liberarmi, ma non ci riuscii. Ogni passo che facevo per ritornare indietro, era un passo più lontano da Ian.

Non potevo abbandonarlo. Non ora. Non lui. Non Jared. Non Aaron.

Cosa avrei detto al ritorno a casa? "Non sappiamo se ce l'hanno fatta. Siamo dovuti scappare"?

«Ti prego, Brandt. Può essere vivo. Ian... Ian può essere vivo! Non è morto... non è morto, Brandt!» singhiozzai mentre le ginocchia mi cedevano e scoppiavo a piangere.

Sentii che anche Melanie lacrimava dolorosamente per il suo Jared. Kyle la teneva ferma fra le sue braccia, cercando di farle attraversare il buco. Anche Brandt provò a fare lo stesso con me, ma con poco successo.

Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.

«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.

«No» dissi «No. Ian non è morto» sibilai, voltandomi a guardare il fumo e le ceneri di fronte a me.

 

Spazio pseudo autore:

 

Ciao a tutti! È la prima volta che pubblico in questo fandom, quindi non so bene cosa mi attende! Ho letto il libro da poco e ho visto anche il film, ma non ho resisto a scrivere qualcosa di mio. Penso che The Host sia una storia meravigliosa e questo è il contributo che ho voluto pubblicare per condividere con voi la neonata passione che ho generato per questo libro/film... beh, come prima volta preferisco astenermi dal commentare questo prologo :)

Aspetto con ansia le vostre recensioni,

Sha <3

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Capitolo 2
*** Attrazione fisica ***


1


Attrazione fisica




La grotta era calda e silenziosa, illuminata da un fascio di luce che penetrava dalla fessura sopra la mia testa.

Mi stiracchiai, accorgendomi solo in quel momento di avere Ian accanto. Dormiva come un bambino: le labbra erano increspate da un sorriso invisibile, gli occhi azzurri erano nascosti dalle lunghe ciglia. Se non fosse stato per il fatto che il suo corpo emanasse calore, avrei scommesso che fosse solo un'allucinazione.

Sorrisi, senza smettere di fissarlo.

«Buongiorno» mormorò poco dopo. Chissà da quanto era sveglio?

«Buongiorno» lo salutai, avvicinandomi al suo corpo caldo.

«Dormito bene?» Aprì finalmente gli occhi e mi cinse i fianchi con un braccio, facendomi scontrare col suo petto; il suo profumo familiare mi riempì i polmoni.

Annuii, sfiorando la punta del suo naso.

Ian non perse tempo a colmare la poca distanza che divideva la sua bocca dalla mia e con un rapido movimento riuscì a baciarmi prima che io potessi dire qualcosa.

Affondai una mano nei suoi soffici capelli neri e lasciai che mi sovrastasse. Quel bacio non fu da schiaffo, ma ci si avvicinò. Ian era sempre stato delicato e per niente presuntuoso. Aveva aspettato così tanto per quello che stava accadendo in quell'istante che per un momento mi sentii in colpa. Senza ombra di dubbio, l'avevo fatto penare.

Finalmente ci staccammo, ma Ian non ne volle sapere di scostare lo sguardo altrove.

«Buon compleanno» sussurrò, sorridendomi dolcemente.

Non riuscii a non arrossire quando mi ricordai che quel giorno avrei compiuto il mio primo anno sulla Terra, il diciassettesimo per gli umani e il millesimo incalcolabile per le anime.

«Grazie» risposi.

Ian mi accarezzò una guancia e mi sorrise, poi si alzò dal nostro letto.

«Fame?»

Il mio stomaco rispose immediatamente, ma non fu abbastanza rumoroso perché lui potesse sentirlo.

«Un po'»

Mi misi a sedere, osservando Ian mentre si cambiava velocemente i vestiti. Non avevo mai fatto caso al piccolo tatuaggio che aveva sul braccio, né al suo fisico scolpito. Un'improvvisa e strana sensazione fece brontolare di nuovo il mio stomaco; cercai di darle un nome, rovistando nei ricordi che avevo condiviso con Melanie.

Non era la prima volta che potevo descrivere certe emozioni grazie a lei.

Quell'espressione aveva a che fare con delle farfalle... ah, sì... Le farfalle nello stomaco.

«Tutto bene?» mi domandò, facendomi ritornare alla realtà.

Non sai quanto, cinguettò felice una vocina nella mia testa. Non quella di Luna, non quella nostalgica di Melanie. La mia. L'unica e sola che era sopravvissuta per tenermi compagnia.

«Sì» dissi, disinvolta.

«Non senti niente, vero? Voglio dire... Luna non...»

«No. Non c'è nessuno.»

Chissà perché Ian era sempre così imbarazzato quando parlava delle mie ospiti? Prima con Melanie e adesso con lei.

Mi tolsi le coperte di dosso e mi alzai, ricordandomi solo in quel momento di indossare ancora i vestiti del giorno prima.

«Andiamo?» Ian mi indicò la porta rossa con un cenno.

«Ehm, vorrei lavarmi prima di fare colazione.»

«Te la metto da parte allora?»

Annuii.

«Ci vediamo dopo...» soffiò Ian quando mi fu abbastanza vicino da parlarmi all'orecchio.

La farfalle si agitarono di nuovo, disorientandomi. Depositò un bacio sulla mia guancia accaldata poi voltò le spalle per andarsene.

Rimasta sola, mi accinsi a raggiungere le grotte vicine ai fiumi per non tardare a colazione.

Durante il tragitto, come capitava tutte le mattine, non incontrai molte persone: alcune infatti erano impegnate a mangiare in cucina, altre invece andavano a lavorare già alle prime luci dell'alba. Ma quel giorno sembrarono essercene ancora di meno. Strano.

Convinta che fosse solo una mia impressione, proseguii il mio viaggio verso i fiumi. Silenzioso com'era, col passare del tempo quello era diventato il luogo in cui più mi piaceva trascorrere il tempo. Mi immersi nelle acque calde delle vasche e, dopo poco più di due minuti, fui pulita e pronta per raggiungere i miei amici.

Feci per uscire dalla buia grotta quando mi scontrai con qualcuno.

«Oh, scusami» balbettai.

«Non preoccuparti.» disse una voce familiare, appartenente all'ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare.

Non so perché i piedi mi si fossilizzarono al pavimento quando riconobbi Sharon.

Le rivolsi una breve occhiata, poi distolsi lo sguardo altrove, cercando di non fare caso al rossore che mi colorò il viso.

«Scusa» ripetei, oltrepassandola per andarmene subito – come facevo tutte le volte che era nei paraggi.

«Wanda?» Sharon mi bloccò appena in tempo.

Mi voltai, sorpresa.

«Sì?»

La ragazza mi guardò per un lungo istante, cercando forse di formulare una frase di senso compiuto.

«Buon compleanno.» rispose, il tono forzato di chi si sentiva terribilmente in imbarazzo.

Sbattei le palpebre.

«Jamie non ha fatto che ripeterlo.» spiegò, come se mi avesse letto nel pensiero.

«Ah»

Ah, ripeté la mia voce interiore, che risposta esuberante. «Grazie.»

La ragazza sorrise debolmente, poi se ne andò. Io invece m'incamminai verso il grande corridoio che portava alla piazza centrale, soprappensiero. Perché mi sentivo così terribilmente a disagio? Insomma, era solo Sharon. Perché dovevo sentirmi così... così... così? Scossi la testa, cercando di levarmi dalla testa quel pensiero, e accelerai il passo.

«Wanda!» mi chiamò qualcuno dall'altra parte del piazzale. «Wanda!»

Jamie mi corse incontro a perdifiato, saltandomi letteralmente a dosso.

«Ehi!» sorrisi e lo strinsi forte a me, scompigliandogli i capelli.

«Auguri!» replicò lui, sorridendomi di rimando.

«Grazie»

Avrei dovuto cominciare a contarle le volte in cui mi facevano le congratulazioni. Ero già a quota tre.

«Dai, vieni»

«Non vai a scuola oggi?» gli chiesi mentre mi facevo trascinare verso la cucina.

Jamie scrollò le spalle e sfoderò un sorrisone. «No. Sharon mi ha graziato»

«Scommetto che non vedeva l'ora.» ridacchiai, divertita da quanto quella donna potesse essere sempre così severa e irrazionale. Jamie era solo un bambino.

Forse non avrei mai capito perché gli umani si comportasse in quel modo.

«Non immagini quanto!» esclamò, alzando le sopracciglia con fare sicuro.

Il mio ridacchiare divenne un vero e proprio ghigno.

Ghigno che mi si bloccò in gola quando, entrata in cucina, vidi l'intera popolazione delle grotte attorno ad un tavolo su cui troneggiava una piccola torta al cioccolato.

«Buon compleanno, Wanda!» dissero tutti insieme, applaudendo.

Jamie si unì velocemente alle trenta persone che avevo davanti. Mai come prima mi ero sentita tanto a disagio.

Rimasi impietrita, la bocca socchiusa per lo stupore e gli occhi fissi sui miei amici.

Per poco non mi commossi quando realizzai che erano tutti lì per me.

«Ragazzi, ma...» cercai di dire. Le parole mi morirono in gola.

C'erano davvero tutti. Da Sole, Kyle, Jeb, Doc, a Melanie, Jared e Ian. Mi guardavano emozionati, in attesa di una mia qualche reazione.

La prima cosa che feci quando mi ripresi fu inchiodare con lo sguardo Jamie e Ian, che mi sorridevano come per dirmi "ci siamo riusciti!".

Alzai gli occhi al cielo, scacciando il groppone che stava per farmi piangere, e sorrisi per nascondere il velo di commozione che aveva coperto il mio viso.

«Oh, ragazzi... non dovevate!» li rimproverai con un filo di voce.

Jamie intonò una canzoncina alquanto familiare, che iniziava dicendo "tanti auguri a te...", e gli altri lo seguirono a ruota, senza sapere che in questo modo non mi avrebbe aiutata a trattenere le lacrime.

Mi unii a tutti loro, facendomi avvolgere dal clima di festa che tutto un tratto aveva riempito la stanza.

Persi il conto di tutti gli auguri che mi fecero. Era la prima volta che mi sentivo così... amata. Sebbene all'inizio non fossi stata la benvenuta, tutti, in quella piccola comunità, erano riusciti ad accettarmi come loro alleata o comunque amica. Forse anche Maggie e Sharon, a modo loro, si erano messe l'anima in pace decidendo una volta per tutte di non protestare per essere stata considerata una di loro.

Ce l'aveva fatta perfino Kyle.

«Ciao, bellissima» mi salutò Ian, cingendomi i fianchi con fare protettivo.

«Ciao, imbroglione» sospirai di sollievo quando incontrai i suoi occhi azzurri «Quando avevi intenzione di dirmelo?»

«Adesso» I nostri sguardi s'incatenarono l'uno all'altro, facendo sparire tutto ciò che ci attorniava. Eravamo solo io e lui.

Un fischio piuttosto polemico si levò dalla gente che ci attorniava, senza però farci desistere da quello che stavamo per fare.

Ian sorrise, un po' imbarazzato, e continuò a fissarmi.

«Forza, piccioncini! Non aspettiamo altro se non questo!» ci incitò con voce autoritaria Jeb che, accanto a noi, si godeva la scena a braccia conserte.

Arrossii automaticamente quando vidi trentanove persone squadrarmi dall'alto in basso. Ma a Ian non importava se ci fossero tutti i nostri amici. Probabilmente non gli sarebbe importato nemmeno se avesse voluto baciarmi davanti a migliaia di persone.

Annullò la distanza che divideva le nostre labbra e accontentò Jeb, lasciando un languido bacio sulla mia bocca ancora socchiusa per la sorpresa.

Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da lui per alcuni istanti, senza fare caso ai gridolini e alle esclamazioni di cui ci resero protagonisti Doc, Jeb e Kyle.

«Qui la situazione si sta decisamente scaldando» asserì una voce alle mie spalle.

Melanie si fece largo tra i ragazzi, seguita da Jamie e Jared. Mi lanciò un'occhiata d'intesa e mi prese le mani, cercando di allontanarmi di almeno pochi centimetri da Ian.

«E la torta andrà a male se non ti decidi a tagliarla, Wanda.» aggiunse poco dopo avermi trascinata vicino al tavolo e avermi dato un coltello. Mi sorrise.

Ammirai lo splendido dolce che avevo davanti con un certo languorino, poi ne tagliai un pezzo.

«La prima porzione va sempre alla festeggiata!» Jeb si fece nuovamente sentire, sempre con quel suo tono sarcastico e coinvolgente.

Gli sorrisi. «Ma io, in qualità di festeggiata, posso decidere di darla a chi voglio, giusto Jeb?»

«Senza ombra di dubbio.»

In risposta la porsi a Jamie, che mi si avvicinò emozionato.

Quando finalmente tutti ne ebbero un pezzo, finii di mangiare il mio e andai a sedermi accanto a Ian e Melanie.

Restammo l'intera mattina in cucina, a chiacchierare e a scherzare del più e del meno.

Anche Jared ebbe il tempo di parlarmi e farmi gli auguri. Con lui le cose erano decisamente molto più complicate di quando "abitassi" nel corpo di Melanie. I miei sentimenti non erano ancora cambiati, proprio come le reazioni che mi suscitava la sua vicinanza.

Forse fu proprio per questo motivo che, in sua presenza, Ian non mi lasciò sola per un solo attimo. A lui non avevo detto niente, ma sapevo che prima o poi, sveglio com'era, se ne sarebbe accorto.

A meno che io non mi fossi disinnamorata di Jared prima che lo venisse a sapere.

Sbuffai. Quella probabilità era così remota che non persi tempo a pensarci su: come faceva una persona a non provare più niente per un'altra persona in un batter di ciglia?

Tuttavia, la cosa non mi turbava molto. Se amavo Ian, significava che qualcosa tra di noi era più forte dell'amore che provavo per Jared.

Anche Doc rimase a chiacchierare con noi e, stranamente, non si allontanò per ritornare nella grotta-ambulatorio, da sempre stata la sua casa.

Jeb tuttavia dovette allontanarsi per il giro di ispezione che doveva fare quotidianamente. Una volta finito, ci avrebbe raggiunti per stare ancora insieme.

Quello fu il giorno più intenso ed emozionante che vissi in qualità di anima.

Neanche dopo pranzo i miei compagni smisero di canticchiarmi quella canzoncina che ormai avevo imparato.

Tutto sembrava essere normale come lo era al di fuori di quelle grotte, dove le anime convivevano in rapporti pacifici da ormai tanto tempo.

«Ian, porta Wanda a letto. Sta per addormentarsi sulla sedia!» Jeb mi fece quasi sobbalzare, ridestandomi dallo stato di dormiveglia in cui ero caduta.

Alzai gli occhi verso di lui, sorridendogli debolmente.

Erano solo le otto di sera ed ero già stanca morta. Eravamo andati nella stanza dei giochi insieme ad altre sette persone con l'intento di fare una o due partite come se fossimo una vera e propria squadra, ma dopo appena un'ora le mie gambe avevano chiuso i battenti con tutto e tutti, costringendomi a starmene seduta in un angolo della grotta.

Melanie aveva deciso di farmi compagnia e guardare come la squadra di Ian e Jared stracciava quella di Jeb e Kyle. Anche Jamie si era messo a giocare.

«Non sarebbe una cattiva idea.» assentì Melanie, che aveva acconsentito per farmi appoggiare la testa sulle sue gambe. In parte era colpa sua se mi ero insonnolita, perché per tutto il tempo non aveva fatto altro che lisciarmi i capelli.

Mi misi a sedere, voltandomi in cerca di Ian.

Stava passando la palla a Jamie, un sorriso sornione sulle labbra. Quando incrociò il mio sguardo, lo allargò ancora di più, incantandomi.

«Non preoccupatevi per me. Stavo solo riposando gli occhi.»

«Immagino quanto sia bello dormire sulle gambe di Melanie, Wanda, ma esistono anche i letti, sai?» continuò Jeb, divertito.

«Dai, zio Jeb. Non farla arrossire!» gridò Jamie dall'altra parte della stanza. A quanto sembrava non c'era persona che non stava ascoltando la nostra conversazione.

«È adorabile quando fa così.» dissi a Melanie.

«Lo so» rispose, sospirando. «Non fissarlo troppo, Wanda. Lo consumi.» aggiunse.

Abbassai il capo, a disagio.

Si riferiva ad Ian.

«A te non capita?»

Mel fece spallucce, senza nascondermi l'imbarazzo che provava.

«Non immagini quante volte...» disse, guardando proprio Jared «Sono talmente pazza di lui che ormai non riesco a riconoscere la semplice attrazione fisica dall'amore che provo.» Melanie ridacchiò, voltandosi di nuovo verso di me.

«Cosa intendi per "attrazione fisica"?» le chiesi, conscia di averle appena posto una domanda scontata.

Luna non conosceva quella cosa. O meglio, ne aveva sentito parlare senza mai capirne appieno il significato.

Melanie non reagì come mi aspettavo, anzi. Parlò come se fosse una cosa seria.

«È qualcosa che... forse l'hai già provata. Con Ian intendo...» mormorò.

Le lanciai un'occhiata palesemente confusa. Non potevo saperlo. Non se non avevo la più pallida idea di cosa significasse.

«Be', ti sarà mai capitato di incantarti davanti al suo bel fisico quando si leva una maglietta... di desiderare ardentemente di potergli toccare quelle labbra... ravvivare i suoi capelli in disordine... non riuscire a staccargli gli occhi di dosso nemmeno quando dorme...?»

Rimasi in silenzio, riflettendo sul fatto che sì, ultimamente mi era capitato di desiderare alcune di quelle cose per puro piacere personale, ma non avevo mai pensato fossero dovute all'attrazione fisica.

«Pensi che Ian sia attratto da me?» chiesi, una punta di emozione sulla lingua. Chissà perché l'idea di fargli lo stesso effetto mi allettava così tanto?

«Credo sia abbastanza evidente!» Melanie scoppiò a ridere. «A parte gli scherzi... a lui piaci davvero tanto, Wanda.»

«Be'... mi ama. Io lo amo, ma ho paura di non essere abbastanza.» Sospirai.

«Ma certo che lo sei, Wanda. Sei molto, molto di più di quello che lui si potrebbe aspettare.»

Le sue parole furono come un balsamo. Melanie sapeva come prendermi ed esprimersi. Era sicura, coraggiosa, matura. Tutte qualità che io, in quel corpo, non avrei mai potuto far emergere come erano spiccate dentro il suo.

Mi sarebbe piaciuto avere la sua stessa indole e non poter essere condizionata dall'ospite in cui risiedevo.

Jeb emise un assordante fischio, segno che la partita era finita e che i giocatori potevano abbandonare il campo.

«Complimenti, ragazzi. Non male come principianti»

«Principianti?» sbottò Ian, sarcastico.

Jeb gli strizzò un occhio, dandogli alcune pacche sulla spalla mentre Jared e Kyle si diedero dei pugni scherzosi e si salutarono fra una risata e l'altra.

Melanie si scostò da me per raggiungerli. Cinque minuti dopo, il suo posto venne occupato da Ian.

«Tieni» gli porsi una bottiglia d'acqua, incrociando i suoi occhi azzurri.

«Grazie.»

Lo osservai mentre beveva. Era irresistibile, come tutto ciò che gli apparteneva.

«Stanca?», mi chiese quando finì l'acqua, attirandomi ancora di più a sé.

Sprofondai il viso nel suo petto, respirando il suo profumo.

«Un po'»

«Ce la fai a resistere ancora?»

Alzai gli occhi su di lui, assumendo un'aria interrogativa. «Perché?»

«C'è un ultimo regalo...» intervenne, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «...ma dobbiamo uscire.»

La mia curiosità ebbe la meglio sulla stanchezza, così lo accontentai e mi feci condurre fuori dalle grotte.

La stanza dei giochi non era molto lontana dall'ingresso delle caverne. Quando passavamo dal corridoio vicino all'uscita si poteva facilmente annusare il profumo di sabbia e aria del deserto. Ian però mi condusse da un'altra parte, in una direzione che non avevo mai preso. Sorpassammo l'entrata principale, insinuandoci in un piccolissimo androne più simile ad un cunicolo che ad un corridoio. Dopo circa trenta secondi anche il più debole fascio di luce cedette il posto alle tenebre, facendo diventare tutto nero.

Se non fosse stato per la mano di Ian che mi teneva stretta, mi sarei sentita persa.

Ci fermammo nel bel mezzo del sentiero. Le dita del mio compagno sfiorarono delicate le mie, poi afferrarono i miei polsi e li avvicinarono al suo petto.

«Chiudi gli occhi.» mormorò poco dopo, accarezzandomi una guancia.

Obbedii immediatamente, lasciando che il buio prendesse il posto del buio.

«Vieni.» Ian mi cinse i fianchi, guidandomi in quella piccola scorciatoia. Per un breve tratto credetti che ci fossimo persi sul serio: non avevamo mai percorso quella strada. Almeno, io no.

Ben presto il profumo del deserto giunse anche lì. Una brezza quasi invisibile mosse i miei capelli sparsi sulla schiena, riassestandomi.

«Ma dove siamo?» cedetti alla curiosità. Non potevo più aspettare. Dovevo sapere dove mi stava portando.

«Ti fidi di me?»

«Sì» dissi senza pensarci due volte «Mi fido.»

In risposta Ian aumentò la presa sul mio fianco.

«Attenta. C'è un gradino.»

Un gradino. Quello che superai sembrava più un masso che un semplice "gradino". Di nuovo mi chiesi dove Ian mi stesse portando.

D'un tratto l'aria che ci circondava si trasformò in un vero e proprio venticciolo. I suoni cambiarono: l'eco dei nostri passi, delle nostre voci, l'umidità delle caverne. Sparirono, sostituiti da altri rumori familiari. Forse mi trovavo in un posto molto più grande rispetto a quello angusto del corridoio.

Il deserto. Pensai non appena me ne resi conto.

«Ora puoi aprirli.» sussurrò Ian, la voce incrinata dall'emozione.

Aprii gli occhi, concretizzando quello che un attimo prima mi ero solo immaginata.

Eravamo davvero in mezzo al deserto. All'orizzonte il sole tramontava oltre i grandi canyon che minavano ogni singolo angolo della zona; gli uccelli volavano alti davanti a noi.

Era da tanto tempo che non vedevo quel panorama mozzafiato. Troppo, dovevo ammettere.

«Ti piace?» mi chiese Ian, forse con una punta eccessiva di ingenuità.

«È meraviglioso» replicai «Il più bel regalo di compleanno che potessi mai ricevere.»

Gli strinsi la mano, accarezzandogli dolcemente il dorso. I suoi occhi guizzarono prima sulle mie labbra, poi sulle mie iridi argentee.

«Anche tu sei meravigliosa, Wanda»

Ian passò una mano sulla mia guancia, poi sul mio collo. Si avvicinò quasi cautamente, come se avesse paura della mia reazione, e lasciò una bollente scia di baci dalla bocca alla clavicola, scostando la maglietta verde-acqua per scoprire la mia pelle in fiamme.

«Bene o male?» chiese.

«Mmh, non saprei...» bofonchiai, concentrata più su di lui che sulle sue parole. Lo attirai automaticamente a me, respirando il profumo dei suoi capelli. Sapevano di quel sapone che usavamo nelle caverne.

All'inizio non riconobbi l'entità di quel mio strano comportamento. Fu come se fossi riuscita ad applicare e a riconoscere le regole.

Attrazione fisica, pensai fra me e me, mentre Ian continuava a baciarmi. Chissà come facevo anche solo a pensare, in quel momento? Ora sì che le parole di Melanie hanno un senso logico.

«Mmh» Ian ridacchiò «Penso che non sia incoraggiante, sai?»

«Basta pensare.» replicai, scostandomi per pochi attimi da quelle morbide labbra.



Spazio pseudo autore:


Prima di cominciare voglio ringraziare le ragazze che hanno recensito il prologo. Siete state davvero gentili!! Grazie mille :):)

Sebbene il cappy sia mooolto diabetico e (forse) noiosino, trovo che sia stato importante sia per me che per voi. Per il momento la storia è molto vaga, ma vi posso dire che inizia subito dopo la fine del libro. Infatti non sono passati molti giorni da quando Wanda è stata inserita nel corpo di Luna, né da quando ha iniziato ad amare veramente Ian.

Il prologo è stato abbastanza drammatico, quindi ho pensato: perché non scrivere qualcosa che possa farle sollevare almeno un po'? così ho tirato in ballo il compleanno di Wanda :D

Bene, il mio angolino sta diventando più lungo del capitolo... xD Comunque vi dico due ultime cose e poi vi lascio ;)

  1. Non è una cosa di chissà quale grande importanza, ma ci tenevo a dirvela: non dovete necessariamente immaginarvi i personaggi del film. Io stessa scrivo pensando a degli attori che non hanno fatto parte del cast di The Host ed è proprio per questo motivo che non ho voluto mettere nessuna immagine "di copertina" :) Penso sia ancora più bello potersi immaginare i propri idoli immedesimati in uno di questi personaggi.

  2. La storia probabilmente prenderà una piega diversa da quella che vi potreste immaginare. Ho in mente già tutta la trama, ma non so dirvi di quanti capitoli sarà la FF. Tuttavia, posso pronunciarmi sul fatto che subentreranno nuovi personaggi e nuove situazioni che, forse, non vi immaginereste tanto facilmente. È tutto da scoprire insomma! :D

Be', ora posso finalmente annunciarvi il mio congedo!

Un abbraccio a tutti,

Sha

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Capitolo 3
*** Paura ***


2



Paura




«No... Ian, non pensarlo neanche.»

«Perché no, Wanda?»

«Perché hai già fatto abbastanza.»

Avvolta nel mio sacco a pelo, fissavo con sicurezza lo sguardo da cucciolo impaurito con cui Ian mi ricambiava. Voleva farmi impietosire, e ci sarebbe riuscito se non fosse stato per il fatto che io non avessi intenzione di ascoltarlo.

«Non sarebbe da gentiluomini.» insistette, ostentando finta innocenza.

«Ho ricevuto tanti regali» replicai.

Ian sospirò, sistemandosi un braccio sotto la testa a mo' di cuscino. Chissà come aveva fatto a dormire per tutta la notte in quella posizione?

«La festa, la torta... questo» aggiunsi, indicando con un cenno del capo la grotta in cui ci trovavamo. Avevamo deciso di passare la notte lì, in una rientranza scolpita dai venti e le intemperie che dirado colpivano quel deserto perennemente assolato.

Ian sembrava avere organizzato tutto, dai sacchi a pelo alla colazione per il giorno dopo.

«Sono contento che ti sia piaciuto» si avvicinò, sfiorandomi la punta del naso. «Ma non posso proprio obbedire.»

Sospirai. Era impuntato come non mai.

«Tra l'altro fra un po' partiremo in missione.» Ian continuò a spiegare ad alta voce i suoi piani, senza sapere che in quel modo non mi avrebbe di certo ammaliata.

Già. La missione. Solitamente era molto allettante l'idea di uscire dalle grotte per avere qualche rapporto con la società, ma quella volta proprio non volevo.

«Vorrei rimanere qui» ammisi, voltandomi a guardare il soffitto.

«E chi dice che non possiamo farlo?»

Ian annullò la distanza che divideva i nostri corpi, reggendosi il capo con una mano per potermi guardare in viso. Mi accarezzò la guancia, avvicinandosi ancora.

Potevo sentire il suo respiro sulla pelle.

Incrociai il suo sguardo, allungando involontariamente una mano verso i suoi capelli neri. Adoravo affondare le dita in quella chioma ribelle.

Socchiusi la bocca e lasciai che le sue labbra potessero modellarsi alle mie. Con un lento movimento Ian si spostò sopra di me, bilanciando il suo peso sui gomiti per non farmi male.

Sentii ogni singolo centimetri del mio corpo aderire perfettamente al suo, sebbene a dividerci ci fossero due spessi strati di sacco a pelo. Poi, senza volerlo davvero, invertii le posizioni, ritrovandomi sopra di lui.

Ian si scostò e rise, divertito da non so cosa.

«Non smetti mai di stupirmi, Wanda.»

Anch'io ero stupita da me stessa. Stavo provando così tante nuove emozioni, con Ian; così tante cose che mi era difficile autocontrollarmi.

«Continuo a pensare che sia per colpa di questo strano mondo.»

«Il più strano» mi corresse.

Rimanemmo in silenzio, a guardare l'uno il viso dell'altra. Tuttavia non passarono molti minuti prima che tornassimo a parlare.

«Si staranno chiedendo dove siamo finiti.» Ian sorrise, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Già» risposi «Ed è per questo che dovremmo muoverci.»

Abbassai la cerniera del mio sacco a pelo ed uscii, lanciando un'occhiata ammonitrice ad Ian, che invece di imitarmi rimase ancora sdraiato per contemplarmi.

«Allora?»

«Allora cosa?»

«Vuoi una mano ad alzarti?», lo schernii, mettendomi a braccia conserte.

«In effetti sì.»

Alzai gli occhi al cielo e, avvicinandomi a lui, gli tesi una mano. Ian però mi prese alla sprovvista e invece di tirarsi su aiutandosi col mio braccio, aumentò la stretta fino a farmi perdere l'equilibrio.

«Ah!» urlai mentre gli cadevo a dosso come un sacco di patate. Grazie al cielo lui riuscì ad attutire il colpo facendomi comunque prendere una botta sul fondo schiena.

«Ops. Ti ho fatto male?» sussurrò dopo avermi bloccata fra le sue braccia.

Mi limitai a fulminarlo con lo sguardo.

Per un attimo riuscii ad intravedere il luccichio argenteo dei miei occhi riflesso nei suoi.

«Scusa...» disse. Sembrava dispiaciuto. Ma non volli cascare in un altro dei suoi tranelli; Ian era bravo a recitare.

«Dico davvero.» aggiunse, quasi mi avesse letto nel pensiero.

«Mmh» feci finta di riflettere, assaporandomi quei pochi istanti in cui lui dovette aspettare una mia risposta «Ti credo.»

Ian sorrise, distogliendo lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra; si avvicinò lentamente al mio viso e mi posò una mano sulla guancia, baciandomi con dolcezza.

«Adesso possiamo andare.» decretò dopo che ci staccammo.

Risi e questa volta fu lui ad aiutare me ad alzarmi.

§


«Ian, Wanda... finalmente. Ci avete fatto spaventare.» ci venne incontro Melanie, i capelli avvolti in una perfetta crocchia che non faceva altro se non risaltare la preoccupazione che velava il suo viso.

«Mel... cosa sta succedendo? Dove sono tutti?» le domandai, afferrandole una mano. Quando rientrammo, le caverne erano più vuote e silenziose di quanto avessimo pensato; trovare Melanie fu quasi un sollievo.

Ian lasciò andare la presa sul mio fianco e attese.

«Ci siamo riuniti nella sala dei giochi.»

«Perché?»

Mel indugiò, quasi volesse trattenersi dal rispondere a quella domanda, poi abbassò lo sguardo. Osservò le nostre dita intrecciate.

«C'è una cosa che dovete sapere.»

Ian corrugò la fronte e lanciò un'occhiata prima a me e poi a Melanie.

«Di che si tratta?» le chiese, ansioso.

«Poco più di mezz'ora fa Jared ed Aaron sono ritornati dal giro di ispezione della zona... Hanno avvistato dei Cercatori.» replicò con aria ancora indecisa.

A quell'ultima parola, ebbi un tuffo al cuore.

«Cosa? N-non può essere... insomma...» balbettai, senza riuscire a capacitarmi del fatto che fossero ritornati alla carica.

Ian si riavvicinò a me. Sicuramente aveva avvertito la mia paura.

«Come fate a sapere che sono loro?» ribatté, lanciandomi un'altra occhiata.

Melanie sospirò.

«Jared non è stupido, Ian. Li sa riconoscere.»

M'immaginai delle anime vestite completamente di bianco che si avvicinavano a me. Per poco non impallidii.

Mi aggrappai ad Ian, stringendo forte la sua maglietta.

«Avete idea del perché siano di nuovo qui?» chiesi. La voce leggermente incrinata.

Mi schiarii la gola, sfoderando un finto sorriso per non turbare nessuno dei due.

Melanie ci fece un cenno. «Sì... Ma è meglio che ritorniamo dagli altri.»

La seguimmo fino alla stanza dei giochi, in cui tutti si erano radunati per parlare. Da un lato della grotta i bambini giocavano spensieratamente, da un altro invece gli adulti erano seduti attorno a Jared, Aaron e Jeb. Dagli sguardi cagneschi che si riservavano, sembrava avessero appena litigato.

«Wanda!» gridò Jamie dalle spalle di Jared. Quella volta si limitò a sorridermi e ad aspettare che fossi io ad andarlo ad abbracciare.

Ricambiai e mi avvicinai alla folla di gente che riempiva la stanza insieme ad Ian, che stringeva saldamente la mia mano.

«Dove eravate finiti?» intervenne Jared quando fummo abbastanza vicini.

«Eravamo al sicuro.» chiarì subito Ian, come per giustificarsi.

«Li ho informati sui Cercatori.» Melanie si mise fra di noi, accarezzando il petto di Jared, che rispose sfiorandole leggermente il braccio.

«Noi non sapevamo niente. Non abbiamo né sentito, né visto nulla.»

Ian continuò a guardare Jared anche quando si voltò verso la rimanente parte del gruppo per ritornare a discutere. Erano tutti molto tesi.

«Tutto bene?» Jeb ci venne incontro a braccia conserte, l'espressione insolitamente ansiosa.

Annuimmo entrambi.

«Cosa pensate li abbiano portati qui?»

«Io non ho voluto azzardare ipotesi. Ma Jared... ne ha una, credo.» rispose Jeb, voltandosi nella sua direzione.

Mi limitai ad assentire e a sorridergli debolmente per rassicurarlo, poi mi unii in silenzio ai pochi ragazzi che sedevano addossati al muro di pietra. Jamie mi raggiunse subito, prendendo posto fra le mie gambe per ascoltare l'animata conversazione che Jared, Aaron, Jeb e Kyle stavano facendo. Discutevano a proposito della motivazione che aveva indotto i Cercatori a venire nel deserto, la stessa che stavo cercando di capire da quando mi avevano avvertita.

Ian si unì a loro, senza prendere le parti di nessuno, poi Jared proruppe ad alta voce, affinché tutti potessero sentire ciò che aveva da dire.

«Signori miei, pensateci. Wanda è da più di un anno che è scomparsa nel deserto e da quel che ci aveva fatto capire la sua Cercatrice, gli altri l'avevano davvero data per morta. L'unica cosa che adesso potrebbero volere è Lacey.» concluse, indicando con un cenno del capo la ragazza. Lacey abbassò lo sguardo mentre mille paia di occhi la guardavano pensierosi.

No. La causa non poteva di certo essere solo lei. Non se la Cercatrice era stata sempre malvista dal resto dei suoi colleghi. Chi l'avrebbe mai voluta indietro, antipatica com'era?

«Le tue motivazione sono molto scaltre, Jared.» intervenne Jeb.

«Ma sono sensate.» replicò l'altro, cercando un qualche sostegno nell'espressione combattuta di Melanie «Lei è l'ultima arrivata. L'ultima che hanno perso e che potrebbero volere.»

«O siamo noi.» lo incalzò Ian, facendo spallucce.

L'attenzione del pubblico si spostò da Jared a lui. Jamie sospirò fra le mie braccia, stringendomi una mano.

«Potremmo essere noi il loro prossimo obbiettivo. Con tutte le sparizioni che ci sono state e che sono giunte alle nostre stesse orecchie quando siamo andati in missione, le probabilità che siano qui per noi sono molto alte, non credi?»

Jared rimase in ascolto per tutto il tempo, senza però dargli una risposta immediata. Fu Jeb a parlare per primo.

«Forse. Avete entrambi ragione. Ma... anche se fosse... cosa volete fare adesso? Scappare? Andare ad ucciderli uno ad uno? Aspettare?»

«Prima o poi le scorte si esauriranno e noi dovremo andare in missione.» disse Jared, passando in rassegna i volti di tutte le persone che aveva davanti. «Quindi no, non aspetteremo. Non appena le scorte si saranno quasi finite, usciremo. Siamo obbligati.»

Ian fece un cenno in segno di assenso. Melanie, vicino a Jared, guardò negli occhi il suo compagno ed imitò Ian.

«Fino ad allora, ci organizzeremo in modo tale da tenere sotto controllo ogni loro spostamento» intervenne Jeb «Ma adesso pensiamo a lavorare! Su, pelandroni!»

Riuscito nell'impresa di dissolvere tutta la preoccupazione che aveva occupato i volti dei presenti, Jeb sorrise e alzò teatralmente una mano per far sì che i ragazzi si alzassero e si rimettessero a lavorare. La folla obbedì con non poco entusiasmo.

Anch'io accennai ad un sorriso.

«È sempre il solito» sghignazzò Jamie mentre si alzava e mi allungava una mano per aiutarmi.

«Già»

Nel momento stesso in cui io mi tirai su, Melanie e Ian si avvicinarono a noi, l'una con un'espressione contratta in viso, l'altro con un sorriso altrettanto forzato. Si vedeva chiaramente che stavano cercando di mascherare la loro apprensione per Jamie.

«Ehi» mi salutò Mel.

«Ehi» replicai mentre Ian mi avvolgeva i fianchi «Dov'è Jared?»

«Non lo so...» rispose, guardandosi intorno.

«Io vado a parlare con Jeb» annunciò Ian prima di darmi un bacio fra i capelli «Ci vediamo dopo, okay?»

«Okay.» Gli sorrisi e lo lasciai andare, seguendolo con lo sguardo fra la gente che stava abbandonando la stanza dei giochi.

«Tu non devi andare a scuola?» Fui distratta da Melanie, che si rivolse al fratello.

«Ti prego, Mel...» la implorò Jamie, giungendo le mani per simulare una vera e propria preghiera.

«Se non ti muovi ti farò venire a prendere da Sharon.»

«Jamie?» lo chiamò Lucina, dall'altra parte della stanza. Teneva Freedom in braccio.

«Su, fai il bravo.» dissi, spingendo Jamie verso di lei. Il bambino mise il broncio ma non disobbedì agli ordini miei e di sua sorella, che lo osservò compiaciuta mentre si univa a Lucina e Freedom.

Melanie sospirò, facendo scomparire quel finto sorriso dalle labbra, proprio come me. Sembrava essersi levata un peso.

«Sono al sicuro» la rassicurai «I bambini intendo. Non usciranno mai da questo posto finché i Cercatori non se ne saranno andati.»

«Vorrei che per Jamie la vita fosse diversa. Potrebbe viaggiare per il mondo... farsi tanti altri amici... Vorrei che fosse lui a scegliere per se stesso, un domani che io non potrò più trattarlo come se fosse un ragazzino di quattordici anni.»

Mel prese a camminare per la stanza, verso il corridoio. La seguii.

«Ti capisco. Ma non possiamo avere tutto dalla vita. È già un miracolo se abbiamo scoperto questo posto... se abbiamo incontrato delle persone come Doc... Ian...»

Melanie ridacchiò, divertita dal mio ovvio pretesto di citare il mio compagno. Be', anche lui faceva parte del gruppo.

«Insomma... sarebbe ancora più brutto non poter vivere in questo modo. Al sicuro.»

«Lo so» proruppe la mia amica, alzando gli occhi al cielo.

«Ti manca vivere come una volta, vero?»

«Già...»

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, continuando a passeggiare per i corridoi senza una vera e propria meta. Mi veniva da ridere al pensiero che fino a poche ore prima avessi trascorso una mattina completamente tranquilla con Ian. Sembrava talmente lontana che credevo fosse più un sogno che una realtà.

«Penso che andrò ad aiutare gli altri ad arare i campi. Ah, com'è andata ieri sera?» fece Melanie, cambiando argomento.

Arrossii automaticamente, quasi me l'avesse ordinato. Odiavo quell'assurda timidezza.

«Ian è stato fantastico.» mi limitai a dire.

«Come sempre, d'altronde.»

«Mi sa proprio di sì.» risposi, abbassando lo sguardo sulle punte dei miei piedi.

Melanie ridacchiò, ma non si fece beffe del mio palese imbarazzo, anzi.

«Okay, io vado. A dopo.»

«A dopo.» la salutai, proseguendo verso la mia grotta.

Solitamente a quell'ora del giorno non c'era molta gente che passava di lì. E forse fu proprio per quel motivo che non mi scapparono i singhiozzi di qualcuno nascosto nei dintorni.

Accigliata, avanzai lentamente verso quel suono smorzato, svoltando l'angolo. Trovai Lacey che, accucciata ad un angolo della grotta, se ne stava rannicchiata con le ginocchia al petto e il viso nascosto dai capelli color paglia. Le spalle si muovevano a scatti regolari, scosse da quei silenziosi singhiozzi.

Mi avvicinai, inginocchiandomi per poi sfiorarle una spalla.

Lacey alzò subito gli occhi su di me. Erano gonfi di lacrime.

«Ehi, va tutto bene»

«Lasciami, ti prego» m'implorò con voce rotta, prima di nascondere il viso nella sua folta chioma.

Sospirai e mi sedetti accanto a lei.

Già, quello mattina non poteva che essere frutto della mia immaginazione.



Spazio pseudo autore:



Hola! Sono stata data per dispersa, eh? Ma non è così! :P In quest'ultimo periodo sono piuttosto presa dallo studio e il tempo per scrivere si è drasticamente dimezzato D:

Ma non temete, fra meno di una settimana avrò mooolte più ore a disposizione per dedicarmi alla scrittura ;)

Prima di tutto, ringrazio le ragazze che hanno recensito questi primi due capitoli, in particolare quelle che mi hanno lasciato un commentino anche nel mio ultimo aggiornamento :)

Be', che dire... Questo capitolo è abbastanza corto, ma è meglio così. Ben presto arriverà l'incipit che farà partire automaticamente la storia e non vi annoierò più con questi capitolacci xD

Lascio a voi il piacere di commentare l'aggiornamento e di dirmi cosa ne pensate ;)

Inoltre ringrazio i lettori che hanno messo la ff nelle seguite/preferite/ricordate ^.^

Un abbraccio!

Sha

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Capitolo 4
*** Tensioni ***


3



Tensioni



Non avevo mai immaginato di provare compassione per gli occhi che mi avevano odiato, né di poter anche solo consolare con delle carezze quel corpo così rigido e spigoloso. Eppure lo stavo facendo. Forse perché in quegli occhi non scorgevo più l'anima della Cercatrice. Forse perché mi faceva solo pena.

Ma Lacey non era la Cercatrice. Era Lacey, un'umana che aveva ritrovato se stessa dopo che l'aliena che aveva ospitato l'aveva costretta a tacere per molto tempo.

Poteva essere viziata e irritante come lei, ma in fondo era una persona fragile, confusa, che non meritava lo stesso trattamento che avrei potuto riservare al suo corpo se in lei ci fosse stata la Cercatrice.

Era per questo che avevo ritenuto giusto sedermi accanto a lei e cercare di capire perché stesse piangendo.

«Sono io. È questo corpo. Jared ha ragione, Wanda. Ha ragione. È me che vogliono.» disse in un sussurro, quasi fosse un segreto.

«Può darsi, ma... come puoi saperlo davvero?»

«Non lo so» rispose Lacey, nascondendo parte del viso nelle ginocchia che teneva ben strette al petto «Non lo so. Ma lo sento»

Lo sentiva, sì, ma personalmente ritenevo che affidarsi alla chiaroveggenza o ad altre cose da sensitivi non era la soluzione principale che potesse rendere le sue parole attendibili.

«Be'... Sistemeremo questo problema. Vedrai.» mi limitai a risponderle mentre le massaggiavo la schiena «Adesso però tirati su.»

«Wanda?»

«Sì?»

«Non dire a nessuno di questo... Okay?»

«Okay.»


§


Passarono sette, lunghi giorni.

Di tanto in tanto Jared, Kyle e altri ragazzi uscivano a qualsiasi ora del giorno per controllare gli spostamenti dei Cercatori, che avevano continuato a ronzarci intorno come avvoltoi.

Non eravamo riusciti a capire perché fossero lì. Aaron aveva detto che sembravano zombie in mezzo ad una distesa desolata che vagavano senza un vero e proprio obbiettivo.

Intanto l'atmosfera nelle grotte si era fatta più cupa e guardinga. Le persone erano più nervose e irascibili. Alcune erano addirittura ossessionate dal fatto che le scorte si potessero esaurire da un momento all'altro, rimproverando tutti quelli che, al contrario, non se ne preoccupavano. Ed era stato per questo motivo che Jeb, onde evitare dibattiti insensati, aveva deciso di rendere inaccessibile il magazzino, permettendone l'accesso solo alla squadra dei razziatori.

Inoltre il tempo in cui potevo stare assieme ad Ian si era drasticamente dimezzato a causa dei suoi continui turni di ispezione nelle zone adiacenti alle grotte. Avremmo potuto lavorare insieme, ma lui, ovviamente, non me lo permise, perché riteneva fosse troppo pericoloso starmene là fuori con dei Cercatori alle calcagna.

Per protestare mi ero rivolta a Jeb, ma anche lui mi vietò di uscire.

In conclusione, quindi, ero segregata nelle caverne.

Ma non ero sola: anche Melanie dovette starsene come me là dentro.

Solo Lily continuò a svolgere il proprio compito senza che nessuno potesse impedirglielo. Perciò Mel si era arrabbiata ed era venuta a sfogarsi da me.

«Non è giusto!»

«Lo so, lo so. Ma non ci puoi fare niente, Melanie.» le avevo detto. Io ero rassegnata, lei no. Ed era stato per questo motivo che dovetti stare a fissarla mentre faceva avanti e indietro per la stanza. La mia stanza.

Finché non avesse smaltito la rabbia, le mie parole sarebbero state solo bazzecole.

«Ho provato a parlarne con Jeb, ma...» iniziai, ma lei m'interruppe.

«Ma che gliene importa, Wanda? Avrà lasciato andare Lily solo perché le fa pena. Si deve ancora riprendere dalla morte di Wes...»

Tacqui. E sorrisi. Era da tanto tempo che non discutevamo in quel modo. Da quando ci avevano separate, precisamente. L'ultimo discorso infatti lo avevamo fatto mentalmente.

Eppure, anche se ci avevano divise, le nostre conversazioni, i nostri litigi, le nostre chiacchiere erano rimaste invariate. Lei era quella dura e impulsiva che si lasciava prendere la mano; io quella apprensiva e ragionevole che prima di fare o dire qualcosa ci pensava mille volte.

«Non ci pensare, Mel. Loro si sanno difendere... Noi saremmo solo un peso in più.» ridacchiai mentre pensavo ad Ian e a Jared.

Melanie smise di trafficare per la stanza, fermandosi per lanciarmi un'occhiata assassina.

«Okay.» feci spallucce ed abbassai lo sguardo in segno di resa. «Mettiti l'anima in pace e guarda il lato positivo: domattina ritorneranno dopo il turno di notte e saranno a nostra completa disposizione.» aggiunsi, ostentando tranquillità.

Mi fidavo di quei due, del loro lavoro. Tuttavia l'idea di poter stare accanto a Ian e Jared sarebbe stata sempre la migliore; perché infondo ci mancavamo a vicenda.

Melanie si venne a sedere accanto a me, assumendo un'aria più che esasperata.

«Emozionante.» commentò.

«Non sai quanto» risposi io prima di scoppiare a ridere per mascherare il cattivo umore di cui disponevo da più di ventiquattro ore.

Quella sera, anche se le lenzuola erano rimaste più fredde e vuote del solito, andai a letto felice. Melanie invece si addormentò col broncio.

E fu così che finalmente arrivò la mattina dopo.

Mi svegliai di buon ora, più per i continui rumori che provenivano dai corridoi che per un vero e proprio bisogno fisiologico, e raggiunsi la piazza centrale in un men che non si dica. Non ero stata l'unica ad alzarmi presto per accogliere i nottambuli. Incontrai Sole, Jamie, Maggie e Sharon. Queste furono le ultime persone che m'immaginai di vedere: non uscivano mai dalle loro grotte se non per mangiare e lavorare.

Doveva essere un giorno importante perché loro due stessero lì. Ma la cosa che più mi sorprese era che avevano entrambe i volti di chi era davvero preoccupato.

Mi accigliai quando vidi che tutti, nella grotta, erano inquieti. Raggiunsi Jamie, vicino a Lucina e gli altri bambini.

«Ehi, che succede?» gli chiesi dopo avergli messo un braccio sulle spalle. Stava crescendo a vista d'occhio.

Jamie non rispose. Si limitò a fare spallucce e a sospirare, il visino contratto e irrequieto.

«Ehi» lo scossi debolmente. Mi guardai intorno. «Dov'è Melanie?»

Il ragazzo alzò lo sguardo su un corridoio a est della piazza. Quello che portava alla grotta-ambulatorio.

Cessai di respirare.

«Non mi hanno permesso di andare assieme a loro.» disse alla fine.

Lo guardai per un breve istante.

Oh, no.

Mi decisi a correre verso quel corridoio e scoprire di chi si trattasse. Non smisi di pregare finché non entrai nell'ambulatorio e non li vidi.

Erano tutti lì, i razziatori.

Tutti lì ad attorniare una barella con sopra qualcuno che non riuscii a scorgere.



Spazio pseudo autore:


Capitolo breve... Mooolto breve, ma l'ho fatto per voi! Perché se avessi aspettato ancora avrei prolungato la vostra astinenza e voi mi avreste uccisa xD

Ma lasciamo stare i miei deliri e passiamo a parlare di cose serie...

In primis, ci tengo a ringraziare le ragazze che hanno recensito il capitolo precedente, in particolare Scarlett_Meredith, e anche quelle che hanno messo la ff nelle seguite/preferite/ricordate ^.^ Grazie mille a tutte!!!

Come ho detto prima, il capitolo è veramente breve, ma conto di farlo più lungo per il prossimo ;)

Allooora... che dite, ragazze?? Ben presto scoprirete perché i Cercatori sono di nuovo lì, non temete ;) Ma adesso vorrei proprio sapere cosa pensate di questo aggiornamento!! Lo farete, vero???

Be', credo sia ora di andare! (Sto cercando di non scrivere "spazi autore" più lunghi dei capitoli! :P)

Alla prossima!

Sha

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Capitolo 5
*** Scoperte ***


4



Scoperte



«Perché l'hanno fatto? Insomma è... è impossibile!» esclamò Jeb. Non potevo descrivere la sua espressione, nascosta com'ero dietro l'angolo del corridoio, ma non fu difficile immaginarmela. Dal tono che aveva usato doveva essere molto arrabbiato.

«Non lo sappiamo, Jeb. C'è mancato poco che colpissero anche me.» disse Jared.

L'altro sospirò rumorosamente. Sentii dei passi avvicinarsi ed allontanarsi regolarmente dal punto in cui mi trovavo: Jeb stava passeggiando per la stanza.

Per un attimo calò un silenzio così profondo da poter sentire solo il battito del mio cuore. Ero arrabbiata e impaurita; arrabbiata perché era successo qualcosa e nessuno mi aveva avvertita; impaurita perché quando non mi dicevano niente, si trattava di una cosa grave.

«Passami la forbice, Kyle.» ordinò d'un tratto Doc, nervoso.

La curiosità stava avendo la meglio sulla paura e sulla grande idea di starmene in un angolo.

«Merda. Jared, passami quello. Dai, dai!» sbottò all'improvviso il dottore, facendomi sussultare.

«Che succede, Doc?» domandò... Melanie? Era lì anche lei?

Non posso crederci.

Cosa mi stavano nascondendo di così tanto importante? Perché c'era anche lei?

«La ferita sta perdendo troppo sangue... e la pallottola è andata molto in profondità.»

Oh no, pensai col cuore in gola. Trassi un respiro profondo e decisi di abbandonare la mia sorta di nascondiglio.

Un passo avanti. Un altro. Ed eccomi spuntare dal nulla.

La scena che avevo davanti mi ricordò tanto quella di quando avevo scoperto che Doc aveva ucciso delle anime.

La grotta-ambulatorio era pervasa dall'odore di ruggine mischiata a sale: sangue che troneggiava ovunque. Per terra, sulla barella, sul camice bianco di Doc.

Trasalii rumorosamente. Così rumorosamente che le decine di occhi che prima erano posate su di lui si spostarono tutte su di me. Il mio stomaco si contorse, provocandomi una nausea improvvisa.

«Wanda...» sussurrò Melanie, accanto alla barella, un attimo prima che mi cedessero le gambe e svenissi per terra.

Qualcuno ripeté di nuovo il mio nome con la stessa velocità con cui fui presa al volo prima che potessi battere la testa contro il pavimento.

L'ultima cosa che sentii fu il familiare profumo di quel sapone che usavamo nelle grotte.

L'ultima che vidi, l'azzurro cristallino di due occhi inconfondibili.

Grazie al cielo.



Fui accecata da una potente luce bianca.

Allungai in malo modo una mano sul viso per proteggermi dalla sua intensità, accorgendomi di essere sdraiata su una delle tante barelle che erano disposte nella stanza.

Le figure che avevo davanti erano ridotte a delle ombre su uno sfondo completamente bianco. Tuttavia non fu un'impresa focalizzare la vista sulle dita che qualcuno teneva intrecciate alle mie.

Subito mi vennero in mente le immagini di quella stanza imbrattata di sangue e del viso di Melanie. Di quegli occhi azzurri.

Tra le tante persone che mi avrebbero potuto tenere la mano, me ne immaginai solo ed esclusivamente una.

«I-Ian?» bofonchiai, cercando di scorgere qualcosa oltre la potente luce della lampada.

Chiunque avessi accanto, di grazia, la spense e si avvicinò a me, stringendomi più forte la mano.

Oh.

Sorrisi. Il mio cuore volò improvvisamente, non tanto per la paura che ormai era del tutto svanita, quanto per la gioia di non dover più sopportare quell'orrenda sensazione che mi aveva contorto lo stomaco fino a pochi istanti prima.

«Ciao» mormorò lui. Il suo tono aveva un che di arrabbiato. La sua espressione era stanca e un po' contratta.

Ce l'aveva con me, ne ero sicura. Ma poco importava.

Gli accarezzai una guancia, rispondendo al suo saluto con quell'innocente gesto d'affetto.

«Mi sei mancato»

E tanto. Talmente tanto che solo quando Jamie mi aveva fatto capire che qualcosa era andato storto, avevo compreso quanto lui fosse importante per la mia sopravvivenza.

«Anche tu.»

Ian mi regalò un sorriso apparentemente rilassato. Scostò qualche capello ribelle dalla mia fronte, baciandomela. Il suo tocco alleviò ogni mio intorpidimento o senso di nausea.

E fu in quel momento che ricordai il motivo per cui mi trovavo sdraiata su quella scomoda barella.

«Come ti senti?» mi chiese Ian, distraendomi da quel pensiero.

Avevo ancora la testa che girava, ma il dolore era sopportabile.

«Sto bene. Non preoccuparti.»

Ian sospirò, sollevato. «Mi hai fatto prendere un infarto.»

Feci per mettermi seduta e attirarlo a me per abbracciarlo. Fu quando lo strinsi e guardai oltre le sue spalle che inevitabilmente notai un separé in vimini ad isolarmi dal resto della grotta-ambulatorio.

E poi c'era silenzio. Tanto silenzio.

«Possiamo?»

Chiese qualcuno oltre quella specie di barriera, dopo che mi staccai da Ian.

Improvvisamente ebbi come l'impressione che chiedere qualcosa riguardo a tutto il trambusto che avevo visto prima sarebbe stata un'ardua impresa.

Melanie e Jared comparirono da dietro il separé, con aria indecifrabile.

Erano tutti così strani. Anche Ian lo era.

«Mi hai spaventato a morte.» mi rimproverò dolcemente Mel dopo essere comparsa da dietro il separé insieme al suo compagno.

Mi limitai a sorridere, sia a lei che a Jared, e aspettai con ansia il momento opportuno per domandare cosa fosse successo prima che cadessi per terra, esanime.

«Scommetto che vuoi delle spiegazioni...» iniziò la mia amica, sedendosi sulla barella.

Ringraziai il cielo per avere Melanie, l'unica persona sulla faccia della terra in grado di codificare le mie espressioni.

Prima di cominciare con il suo discorso però, la mia amica si scambiò un'occhiata d'intesa con gli altri due. Poi, dopo un segnale che non riuscii a captare, si decise a parlare.

«Durante il turno c'è stato un incidente... I Cercatori hanno avvistato la jeep in cui c'erano Lily e Jared e... hanno sparato.»

Socchiusi la bocca dallo stupore, allarmandomi immediatamente. Jared mi sorrise per rassicurarmi. Aveva solo qualche graffio qua e là.

«Io sto bene.» disse, avvicinandosi senza incrociare il mio sguardo. Nemmeno Ian aveva il coraggio di guardarmi in faccia, concentrato com'era a fissare il pavimento.

Abboccò, ma non ebbe il tempo di parlare, perché lo interruppi. L'idea di pronunciare quelle parole mi provocò una fitta al cuore.

«Hanno colpito Lily.» conclusi mentre mi si formava un groppo in gola.

I ragazzi rimasero in silenzio, in attesa che metabolizzassi la notizia e che avessi una qualche reazione come svenire di nuovo o piangere. Ma dato lo shock improvviso, non videro accadere nessuna delle due cose.

«Dov'è adesso?» chiesi dopo alcuni minuti di silenzio, drizzandomi sul lettino per poter vedere oltre il separé in vimini.

Melanie cercò la mia mano libera, guardandomi con gli occhi lucidi. Non servì aprir bocca per intendere la sua risposta.

Mi portai una mano alla bocca, cercando di limitare ad un flebile singulto il singhiozzo che non riuscii a trattenere.

Mel continuò a stringermi la mano e a fissarmi; Ian invece mi attirò a sé, facendomi immergere il viso rigato da inevitabili lacrime nel suo petto. Il suo calore alleviò un po' dell'inaspettato dolore che mi aveva appena riempito il cuore, senza però farlo scomparire del tutto.

Povera Lily.

Non eravamo mai state grandi amiche, né delle vere e proprie sconosciute.

Col passare del tempo avevo capito che in quelle caverne tutti erano legati a tutti e che, in un modo o nell'altro, ci si affezionava facilmente anche alla persona che meno si sopportava. Lily certamente non era tra quelle. Lei era una ragazza giovane, solare, amorevole e innamorata fino alla follia di un uomo che aveva impiegato chissà quanto tempo per capire di contraccambiare i suoi sentimenti. Quello stesso uomo che, andandosene troppo presto, probabilmente si era portato via anche la sua felicità, le sue speranze e i suoi sogni.

Con la morte di Wes infatti Lily era diventata un'altra persona. Apatica, solitaria, depressa. Si era trasformata in un perfetto automa dal cuore di ferro, ma non lo aveva mai voluto ammettere. Il suo interesse principale inoltre si era addensato nelle missioni che mensilmente compiva insieme alla squadra dei razziatori.

Quella stessa squadra che la notte prima aveva dormito là fuori per controllare quei maledetti Cercatori.

Ma adesso almeno potevo essere sicura di una cosa: Lily aveva finalmente ritrovato il suo Wes ed era ritornata ad essere la ragazza spensierata e felice che avevo conosciuto. Ne ero sicura.

«Jeb si sente maledettamente in colpa per averla lasciata andare con loro.» sussurrò Melanie, la voce incrinata. Jared la strinse dolcemente fra le sue braccia, lasciando che potesse comunque continuare ad intrecciare le dita alle mie.

«Non deve.» riuscii a dire quando ritrovai la facoltà di parlare «Sa quanto volesse far parte della squadra per poter proseguire il lavoro di Wes. Ha fatto la cosa giusta.»

Ian mi accarezzò piano i capelli, baciandomi affettuosamente sulla nuca.

«C'è dell'altro» intervenne poco dopo il mio compagno «riguardo ai Cercatori.»

Melanie ed io alzammo lo sguardo su di lui, in attesa.

Ian si soffermò sui miei occhi, quasi come se volesse immergersi nell'argento che il colorava. Per la seconda volta da quando ci eravamo messi assieme riuscii ad intravedere la mia anima riflessa nelle sue iridi.

«Siamo stati attaccati da uno strano Cercatore» proferì Jared, facendomi voltare verso di lui.

«In che senso?» domandai, corrugando la fronte.

«Sembra che sia lui ad avere il comando su tutto»

§


Lily fu sepolta accanto a Wes e Walter il giorno dopo.

Sarebbe ingiusto omettere che, dopo che tutti appresero della sua morte, l'atmosfera nelle caverne si fece ancora più irrespirabile. Basta dire che Maggie e Jeb litigarono solo perché gli specchi non fossero più adoperati nella cura dei campi, per far comprendere quanto fosse grande l'esasperazione che vi regnava.

«Cosa si sa su questo Cercatore?» chiesi ad Ian la sera del funerale.

«Niente di preciso. Sappiamo solo che non viene a trovarci molto spesso» borbottò con una punta di ironia.

«Mmh» mi limitai a rispondergli, continuando a piegare i vestiti nella specie di armadio che Ian aveva ingrandito per fare spazio anche alle mie cose.

Questa nuova informazione non era condivisa da tutta la comunità, in quanto Jeb aveva chiaramente ordinato che i razziatori, unici a conoscerla, avrebbero dovuto tacere.

Ultimamente, nelle grotte, molte cose – che fossero di poca o grande importanza – erano tenute allo scuro sempre per evitare inutili e sconvenienti litigi. Io non condividevo molto questa decisione, ma se serviva a garantire la pace, dovevo rispettarla.

Feci per sospirare, ma fui bloccata da delle braccia che mi avvolsero all'improvviso da dietro. Ian appoggiò il mento alla spalla, inspirando il mio profumo. Chissà perché lo faceva sempre?

«Stai bene, Wanda?» mi chiese.

Mi accigliai, senza riuscire a capire il motivo per cui mi avesse posto quella domanda.

«Sì... Perché?» replicai mentre mi voltavo, lasciando che le sue braccia continuassero a circondarmi.

Ian squadrò ogni centimetro del mio viso, passandomi una mano fra i capelli. La sua espressione era indecifrabile.

«Ricordo ancora come sei stata per Walter e Wes.» disse con fare misterioso, alludendo al fatto che fossi stata male e che mi fossi sentita in colpa.

«Ian... Sto bene» lo rassicurai, allacciandogli le braccia al collo «Non sono al settimo cielo, ma ce la posso fare.»

«Sicura?» ribatté, poco convinto.

Annuii, avvicinandomi ulteriormente al suo viso per baciarlo. Lui ricambiò dolcemente, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare.

Non avevo mentito. Non ne ero capace e Ian lo sapeva. Avevo solo capito che essere troppo emotiva non mi avrebbe portata da nessuna parte.

Insomma, ero fragile, ma alla giusta maniera. Piangere le persone che si perdono per il resto dei tuoi giorni non è un bel modo per superare la loro dipartita e godersi la vita.

«Ti amo» disse Ian quando ci staccammo.

«Ti amo anch'io» Sorrisi e lo presi per mano, trascinandolo con me verso la porta rossa.


Al rientro dal funerale, durato quasi un'ora, ebbi il compito di cucinare per i bambini, gli unici ad avere fame dopo la brutta giornata. Solitamente non mi veniva concesso di badare a loro. Neanche ora, che convivevamo da più un anno. Non avevo mai saputo quale fosse il motivo. L'avevo capito solo quando avevo visto Lacey indaffarata a coccolarli solo dopo pochi giorni dal suo arrivo.

«Ho fame, ho fame!» protestava uno dei bambini, tirando la lunga gonna che indossava Lucina.

«Adesso» gli rispose dolcemente lei, sedendosi accanto al tavolo per poi prendere in braccio il piccolo «Wanda ti farà mangiare»

«Cosa ci prepari, Wanda?» mi domandò un'altra, avvicinandosi a me con la sua bambola. Allacciai il grembiule e sorrisi alla bimba. «Sarà una sorpresa» le mormorai, sfiorandole la punta del naso con un dito.

Lei mi sorrise di riflesso e arrossì, stringendo la sua bambola al petto per nascondersi.

Preparai velocemente le uniche cose che erano rimaste per i bambini: latte per i più piccoli e minestra per i più grandi.

Lucina mi aiutò a mettere nelle ciotole il cibo, parlandomi con più confidenza del solito.

«Ci sai fare con loro» commentò mentre portava i piatti in tavola, provocando la gioia di tutti i bambini.

Feci spallucce, avvampando per il complimento. «Non sono così insopportabili come dicono» Mi sedetti nella parte opposta alla mia "collega-baby-sitter", osservandola imboccare ciascun bambino con assoluta tranquillità. Chissà come faceva a tenerne buoni così tanti?

«Concordo» disse, alzando lo sguardo verso di me. «Potresti sempre averne uno, se ti piacciono così tanto»

Sbattei le palpebre, palesemente sbigottita. Non avevo mai pensato a niente di simile in tutta la mia vita.

«Quando è tuo, non potrebbe che renderti felice dover farci i conti tutti i giorni»

«Be'... grazie per il consiglio... anche se non ci avevo mai pensato» sussurrai, guardando in tutte le direzioni tranne che nella sua.

«Finito!» urlò d'un tratto Freedom, alzandosi in piedi sulla panca.

«Bravo. Adesso puoi andare a giocare» gli rispose soddisfatta Lucina, pulendogli le labbra sporche di pappa con un tovagliolo.

Il bambino si allontanò dal tavolo e andò a giocare con i suoi amichetti.

«Be'... di niente, Wanda» ridacchiò, ritornando alla nostra conversazione «Tu e Ian sareste due genitori perfetti»

A quell'altro complimento, sentii come se le vene della faccia mi fossero scoppiate.

Santo cielo!

Che cosa imbarazzante!

Proprio in quel momento entrò nella stanza Jamie.

«Ciao, ragazzi» disse disinvoltamente, venendosi a sedere accanto a me.

«Ciao, Jamie»

«Dov'eri finito?» borbottò Lucina, stranita.

«Ero con mia sorella... Avete lasciato qualcosa anche per me?»

«Credo sia rimasta della minestra» intervenni, alzandomi automaticamente per versargliene un po' in un piatto.

Jamie sbuffò, disgustato dalla cena, ma non fece alcuna protesta quando gliela porsi.

«Le scorte stanno finendo» mi limitai a spiegargli mentre pulivo una pentola.

Il loro silenzio – si fa per dire, dati gli urli dei bambini – mi bastò per capire quanto la mia affermazione li avesse entrambi turbati.

«Quando avete intenzione di andare in missione?» mi domandò Lucina, dopo aver dato il latte ad uno dei bimbi.

«Non lo so... Sono successe tante cose e non abbiamo avuto il tempo di parlarne. Ma lo faremo» mi voltai per una frazione di secondo, lanciandole un'occhiata rassicurante.

Tra le persone che più mantenevano la calma in quel periodo c'ero sicuramente io. Ne ero certa.

Dopo quel breve scambio di parole, ci rifugiammo ognuno nei propri pensieri. La serata passò lenta tra cucchiai da lavare e pentole da sistemare. Lucina se ne andò verso le nove, con la scusa di dover portare a letto la sua ciurma di birbanti; Jamie invece rimase ad aspettarmi finché quasi non si addormentò. Lo feci andare via, pregandolo di avvisare Ian che lo avrei raggiunto appena finito.

E finii. Ma starmene sola con me stessa mi mancava, quindi decisi di passare ancora qualche minuto in cucina.

«Posso?»

Nel più bello dei silenzi fui riportata al presente da una visita inaspettata.

Mi voltai, sobbalzando, poi sospirai. «Lacey»

«Scusami, non volevo spaventarti» mi sorrise dolcemente e si avvicinò a me. Indossava una tuta e un largo cardigan.

«Tutto bene?» le chiesi mentre la osservavo. I capelli le ricadevano sulle spalle, liberi e un po' in disordine, e contornavano un viso scarno e segnato dalla stanchezza.

«Non riesco a dormire»

«Ah...»

«E tu che ci fai qui?» domandò, prendendo posto nel punto più lontano da dove mi trovavo io. Sventolai uno straccio, alzando le spalle.

«Ho lavorato... E avevo bisogno di stare un po' da sola»

Lacey si strinse nel suo cardigan, appoggiando i gomiti al tavolo. «Ti capisco»

«Vedi, Wanda... Io... volevo scusarmi per quello che è successo qualche giorno fa. Ero terrorizzata e...» iniziò.

«Non c'è niente di cui ti devi scusare, Lacey. È normale che tu l'abbia presa così» dissi, alludendo al nostro spiacevole incontro nelle grotte.

Lei sorrise, abbassando lo sguardo.

E proprio in quel momento mi si accese una lampadina in testa.

«Lacey... vorresti aiutarmi a capire una cosa?»

La ragazza si accigliò, ma annuì.

«Jeb ci ha ordinato di non dirlo a nessuno, ma io penso che se lo dicessi a te potremmo risolvere qualcosa»

«Dimmi»

Trassi un respiro profondo e sperai che quello che stavo per fare non fosse un errore.

«Mi è stato detto che Lily e Jared sono stati attaccati dai Cercatori... uno in particolare...» parlai lentamente, in attesa di una sua qualche reazione.

«Un uomo?» chiese lei, la voce improvvisamente impaurita.

Scossi la testa in segno di assenso e nei suoi occhi vidi il terrore.

«Lacey, se sai qualcosa... qualsiasi cosa...»

«Credo di sapere chi è»

Continuai a fissarla ansiosamente.

«È un uomo malvagio, Wanda. Se è chi penso che sia, siamo davvero nei guai»

«Perché?»

«Perché era il suo compagno, Wanda. Della Cercatrice»

Ogni mio dubbio venne illuminato da quell'agognata verità.

«E sicuramente la rivuole» concluse, lo sguardo vitreo proiettato nel passato, forse per ricordare il suo volto.

«Vieni» le ordinai, prendendola per mano. «Dobbiamo avvisare gli altri»



Spazio pseudo autore:


Ta da! Finalmente abbiamo scoperto perché i Cercatori sono qui!!! ^_^ Contente??? Io sììì!!

Allooora... Direi che il titolo del capitolo è molto azzeccato...

La morte di Lily è stata necessaria per dare una svolta alla storia. Inoltre lei era molto triste (nel libro non si parla quasi mai di lei, ma io ho voluto aprire una piccola parentesi prima di abbandonarla del tutto) e l'unica cosa che veramente voleva era riconciliarsi al suo Wes.

Ma ammettiamolo, avete creduto che fosse un'altra persona quella sulla barella, eeeh??? Di qualcuno lo so già ;) di altre però no. Non me l'avete detto: eravate troppo ansiose di sapere perché i Cercatori fossero tornati alla carica :P

Il capitolo in sé è molto discorsivo, e si alterna a momenti di vero e proprio dolore, a momenti di spensieratezza e tranquillità (come avviene con i bambini che Wanda deve curare). Questo ovviamente l'ho fatto per non renderlo troppo intenso e farvelo pesare troppo :)

Be', penso di aver detto il minimo indispensabile!

Ringrazio di cuore le persone, sempre più numerose, che di tanto in tanto mettono nelle seguite/preferite/ricordate questa fanfiction, ma ringrazio di più quelle che perdono un po' del loro tempo a recensire. Siete carinissime ragazze, però vorrei che foste più numerose!! Mi servite come nemmeno immaginate!! <3


P.S. Il prossimo aggiornamento non conto di farlo in pochi giorni, in quanto avrò alcuni impegni che seguiranno una vacanza di una settimana e mezza. Ma a questo siete abituate, lenta come sono nel pubblicare!! xD

Un abbraccio,

Sha

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Capitolo 6
*** Programmi ***


6



Programmi



«Hai tutta l'aria di chi non vedeva l'ora di vedermi» dissi sarcastica, mentre mi lasciavo catturare dalle sue braccia e annullavo la distanza che divideva le nostre labbra.

Il silenzio che susseguì la mia osservazione fu spezzato dalla sua risata cristallina.

«Mmh, cosa te lo fa pensare?» replicò sulla mia bocca.

Tracciò il profilo del mio corpo con una mano, fino ad arrivare ai miei capelli, raccolti nel solito chinions. Sfilò abilmente il mio fermaglio, liberando la mia chioma paglierina.

Le sue dita tracciarono figure astratte sulla mia nuca, lisciando ciocca per ciocca.

«Mi piacciono di più così.» Si allontanò da me, senza però smettere di stringermi una mano, e mi trascinò in cucina.

«Che buon profumo»

«Grazie» ribatté con il suo fare superiore, facendomi sorridere.

«Come procede il lavoro?» chiese dopo qualche minuto, mentre io mi toglievo la giacca categoricamente bianca e la lasciavo sul divano del salotto.

Trasalii, ma non tanto forte perché lui potesse sentirmi, e ritornai in cucina con un finto sorriso sulle labbra.

«Non c'è che dire» cercai di nascondergli il fastidio e la preoccupazione con una semplice scrollata di spalle. Non amavo parlare con lui del lavoro: tra colleghi insopportabili e anime corrotte dai propri ospiti non era proprio il massimo chiacchierare di tal propositi.

«Fammi indovinare. Soliti problemi, soliti litigi»

«Esatto»

«E di quella famosa anima... come si chiama...»

«Viandante?» pronunciai quel nome con una punta di disprezzo, sperando più che altro di non dover parlare di lei.

«Sì, Viandante»

«Oh» sbuffai, appoggiando con fare stufo un gomito al tavolo «Ho intenzione di togliermela dai piedi il prima possibile»

«Come sarebbe?» domandò lui con un'espressione confusa e perplessa.

Annuii di tutto punto, sicura al cento percento di quello che avevo appena detto.

«Faresti un grande errore a sbarazzartene. Non...»

«Non sono come te, Drago. Non m'interessa quello che pensano gli altri. Io sono la Cercatrice che ha trovato la sua ospite. Nessuno può andarmi contro. Nemmeno tu.» sbottai, alterata.

«Si trova nella stessa situazione tua e di Lacey» disse in tutta risposta, inchiodandomi con il suo sguardo di ghiaccio «Non dovresti comportarti in questo modo. Pensa se fossi al suo posto»

«Io so mantenere il controllo.»

«Questo lo dici tu.»

«Non mi credi?» lo sfidai, mettendomi a braccia conserte.

«E tu credi a lei?»


«Mmh, erano proprio una bella coppia» borbottò Ian, appoggiando il mento sulla mia testa con fare assonnato.

Jeb ridacchiò stancamente e lanciò un'occhiata a Lacey, che dopo aver terminato il suo racconto aveva sospirato e si era seduta a gambe incrociate su una sedia.

«In effetti è vero. Non riesco ancora a capire come facessero a stare insieme»

Più che altro io mi domandavo come lei avesse potuto gestire tutto quello che la Cercatrice aveva combinato.

«Neanch'io» replicò Ian, iniziando a percorrere con l'indice il profilo del mio braccio destro. Mi appoggiai al suo petto, chiudendo gli occhi per un attimo.

Io e Lacey avevamo svegliato tutti i componenti della squadra dei razziatori in piena notte e, anche se nessuno di loro aveva ben accolto il nostro invito a seguirci in cucina, erano venuti senza fare tante storie.

«Ma si amavano molto. Credo. Per un attimo anch'io ho pensato di essermi innamorata...» mormorò Lacey.

Quelle parole mi ricordarono tanto ciò che Melanie era stata costretta a sopportare quando io ero stata dentro il suo corpo e avevo baciato più volte Ian.

Come se avessimo pensato alla stessa cosa, entrambe ci voltammo per scambiarci uno sguardo d'intesa.

«Ed è stato così?» domandò d'un tratto Jared, le braccia conserte e i capelli in disordine per la sveglia alle due di notte. «Te ne sei innamorata?» aggiunse, rivolgendosi a Lacey.

Guardai la ragazza. Sembrava insicura di dire o meno la verità.

«Questo non è importante.»

«Io penso di sì.»

«Sono umana. Non metterei mai a repentaglio la vita delle persone che mi hanno aiutata a ritornare per un'anima.» La ragazza si voltò per un secondo verso Doc, poi verso me, come per scusarsi.

In quanto alla sua affermazione, be', potevo ammettere di fidarmi di lei. D'altronde, anche Candy, la Guaritrice, una volta ritornata non aveva fatto altro che contribuire alla sopravvivenza di tutta la comunità. Sarebbe stato un controsenso se avessero fatto il contrario.

«Cosa facciamo adesso?» chiese Kyle, spezzando la tensione che si era venuta a creare nella stanza.

«Be', ragazzi, credo che sia ora di uscire in missione: le scorte stanno per terminare.» gli rispose Jeb, alzando le spalle.

Qualcuno accanto a me sospirò, forse contrariato, forse spaventato.

Mi strinsi di più ad Ian, che contraccambiò la stretta e prese a sfiorarmi i capelli. Non volevo andare in missione proprio in quel momento; l'idea che uno di noi, che fosse Jeb, Melanie, Kyle o Ian, potesse morire mi faceva rabbrividire. Ma non potevamo aspettare, o saremmo comunque morti di fame.

«Quando?» domandai.

«Come siamo messi con le scorte, Jared?» fece Jeb.

«Ci bastano al massimo per quattro, cinque giorni. Io e Aaron abbiamo controllato oggi pomeriggio.»

«Mmh» lo zio di Melanie iniziò a passeggiare per la stanza, carezzandosi la barba grigia e lunga con fare pensieroso.

Dopo due minuti arrivò la risposta alla mia domanda.

«Dopodomani. Partiremo di notte, quando i Cercatori si saranno ritirati e noi potremo usare i furgoni.»

«Okay» Jared annuì e si alzò per dare una pacca sulla spalla a Jeb, che ricambiò con un sorriso appena accennato. Anche per loro, l'idea di dover uscire non era molto allettante.

«Verrò con voi, stavolta. Voglio assicurarmi che non facciate pasticci.» a quella sua battuta, i ragazzi ridacchiarono allegramente, privandosi di quella preoccupazione che aleggiava su tutti i loro volti, incluso il mio.

«Andate a dormire adesso. Domani ci metteremo d'accordo su chi andrà o meno in missione. Buona notte.»

«Notte, Jeb»

«Ragazzi»

Dopo essersi salutati, Kyle, Doc, Aaron, Brandt, Melanie e Jared se ne andarono. Quest'ultimo in particolare prima di andarsene fissò con fare diffidente Lacey, che era stata trattenuta da Jeb.

«Grazie, Lacey. Ci sei stata molto d'aiuto» gli sentii dire quando mi avvicinai insieme ad Ian.

«Jeb ha ragione» mi intromisi, facendo voltare entrambi verso di me.

«Be', se non fosse stato per Wanda probabilmente non avrei potuto aiutare.»

«Anche Wanda è stata brava. Se ti ha svelato questo piccolo segreto, vuol dire che si fida di te. Come me.» Jeb le sorrise.

«E come me» intervenne Ian nello stesso istante in cui mi circondò i fianchi con un braccio.

Lacey sorrise. «Sono felice che lo pensiate. Sono disposta a venire con voi, se servirà.»

«Non devi scomodarti per questo. Ci occuperemo noi della missione.» le disse gentilmente Ian.

«Okay... be', adesso vado... Buona notte.»

«Buona notte»

Lacey si congedò senza smettere di sorridere, lasciandoci soli.

«Hai avuto fegato, Wanda. Come hai fatto a non dubitare di lei?» mi domandò Jeb, curioso.

«Sesto senso.»

Lui rise. «Sei incredibile.»

«Lo è sempre stata.» lo corresse Ian, attirandomi di più a sé.

Arrossii, improvvisamente a disagio.

«Ci vediamo domani, ragazzi. Buona notte.» Jeb si affrettò a congedarsi, lanciandoci un'occhiata piuttosto eloquente. Il mio imbarazzo non poté che aumentare. Ian ridacchiò per la mia reazione.

Sbadigliai. D'un tratto mi accorsi di quanto avessi bisogno di dormire.

«Andiamo anche noi?» mi domandò dolcemente lui.

Annuii, appoggiandomi al suo petto.



«Ti fidi davvero di lei?»

Osservai il mio compagno chiudere per bene la porta prima di raggiungermi sul letto.

«Certo» fece spallucce, sdraiandosi su un fianco. «Tu ti fidi. Io mi fido.»

Ovviamente. Come potevo non saperlo?

Ian mi sorrise e prese a giocherellare con una ciocca dei miei capelli. Io rimasi a guardarlo, senza aspettare che aggiungesse altro.

Era così bello quella notte. La luce della luna, che penetrava dalla fessura sopra le nostre teste, rendeva la sua pelle pallida ancora più diafana, i capelli ancora più scuri, gli occhi color del ghiaccio ancora più profondi.

Quanto mi sarebbe mancato averlo tutto per me, se non fossimo ritornati dalla missione...

E se avessimo deciso di non andare? No. No. Sarebbe stato ingiusto, da codardi, lasciare che i miei amici incontrassero il pericolo mentre io me ne restavo al sicuro con Ian.

E allora cosa avrei potuto fare?

Niente, sussurrò la mia voce interiore, assopita. Era troppo impegnata a godersi le carezze che Ian mi stava facendo per potermi urlare in faccia.

«A cosa pensi?» chiese lui, ridestandomi dal mio monologo interiore.

Alzai gli occhi sul suo viso, così sereno e perfetto, chiedendomi come riuscisse a nascondere la preoccupazione che vi aleggiava.

«Ho paura, Ian.» ammisi, lasciando che una lacrima scivolasse sulla mia guancia.

«Di cosa?» chiese, turbato.

Mi sdraiai accanto a lui, intrecciando le nostre dita.

«Ho paura di quello che potrebbe succedere durante la missione.»

«Andrà tutto bene, piccola» mormorò, avvolgendomi fra le sue braccia. E per un attimo, nei suoi occhi riuscii ad intravedere quella stessa paura che io non avevo saputo nascondere.

«Abbiamo ancora due giorni: sta tranquilla.»

«Due giorni per me non sono abbastanza. Non se so che saranno gli ultimi che potremo passare in questo modo.»

Ian si sforzò di ridere, poi divenne nuovamente serio. «Te lo prometto, Wanda. Qualsiasi cosa accadrà, noi saremo sempre insieme. Sempre.»

«Okay.» dissi, stringendomi ancora di più a lui.

«Nemmeno per me due giorni sono abbastanza.» soffiò poco dopo, facendomi finalmente sorridere.

Ce lo eravamo promesso. Noi saremmo stati sempre insieme, qualsiasi cosa sarebbe accaduto.

E avrei rispettato questa promessa anche a costo della vita.

Sull'onda di questi pensieri scivolai fra le braccia di Morfeo, alleggerendo la mente di qualsiasi problema o preoccupazione.


§


«Seriamente, ragazzi. Avete una faccia che fa invidia al più brutto dei drogati! Cosa avete fatto stanotte?» sbottò Jamie, sconsolato.

Sbuffai, assumendo un'espressione alquanto contrariata che però lui non poté vedere, dato che gli davo le spalle.

Ian affondò la zappa nella terra, alzandosi per poter prendere un altro attrezzo dal tavolo accanto a noi.

«Ma tu non dovresti essere a scuola?» lo rimbeccò, esasperato.

Jamie ovviamente non sapeva niente e per quanto cercasse di indovinare quale grandi e travolgenti cose fossero accadute la notte prima, ero sicura che non sarebbe mai arrivato a scoprire la verità.

«Sharon non lavora ventiquattro ore su ventiquattro.»

«Ma guarda caso!» esclamò Ian. Non era la prima volta che assistevo ad un loro battibecco. Era divertente ascoltarli, anche se la maggior parte delle volte litigavano perché Jamie era troppo curioso di sapere tutto su tutti.

Ma era ancora piccolo per cercare di trattenersi, quindi non lo accusavo. Tuttavia, certe volte mi chiedevo chi tra i due fosse il più bambino.

Alcune volte sembravano in combattuta per chi ottenesse il giocattolo più bello, altre in collera perché l'uno aveva rovinato la giornata all'altro.

«Dai, Wanda. Almeno tu puoi dirmelo, vero?» mi implorò Jamie, facendomi gli occhi da cucciolo bastonato.

Mi tirai su, voltandomi verso di lui per regalargli un sorriso che additava scuse.

«Io...»

«Wanda non è stata bene. Contento?» m'interruppe Ian, prima che potessi finire la frase.

Jamie mi lanciò un'occhiata indagatrice. Chissà perché qualcosa mi suggerì che non se l'era bevuta? Fatto sta che, probabilmente per la poca delicatezza con cui Ian lo aveva liquidato, si accontentò di quella risposta.

Nella grotta d'un tratto apparì Melanie, che ci raggiunse in poche falcate attraversando i campi di grano.

«Oh, Melanie! Non vedevo l'ora di vederti! Il tuo fratellino è in vena di chiacchiere.» esclamò Ian, esponendo in modo assai diplomatico il fastidio che gli stava provocando Jamie. Gli diedi una gomitata.

«Non è vero, Mel.» replicò il ragazzino, lanciando un'occhiata di sfida al mio compagno, che lo trafisse con la forza del pensiero.

Ridacchiai e, inginocchiandomi nuovamente sul terreno fresco di aratura, incontrai il viso contratto dalla rabbia di Melanie.

«Jamie, non dovresti essere a scuola?» chiese.

«Perché me lo chiedete tutti? Sono così insopportabile?»

«Non so cosa te lo faccia pensare.» borbottò Ian.

«Stai saltando troppe lezioni. E sai che Sharon perde la pazienza piuttosto velocemente.» intervenne Melanie.

«Ma...»

«Niente ma, Jamie. Vai subito da Sharon!»

Jamie, come sempre, si sottomise agli ordini della sorella, e si allontanò dai campi a testa bassa.

Passarono alcuni minuti di silenzio, in cui io ed Ian ci scambiammo degli sguardi alquanto perplessi. Melanie invece indossò dei guanti e iniziò a zappare il terreno.

«Siamo irascibili stamattina.» mormorò Ian, talmente piano che riuscii a sentirlo solo io.

Gli lanciai l'ennesima occhiataccia, poi mi avvicinai a Melanie.

«Va tutto bene?» le domandai, aiutandola con la zappa.

«No.» grugnì «Ho litigato con Jared.»

«Per cosa?»

«Va bene se ne parliamo dopo?» sospirò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«D'accordo.»

Mi allontanai nuovamente, notando Maggie distribuire dell'acqua fra i campi. Quando arrivò da noi porse una bottiglia sia ad Ian che a Melanie, poi, con riluttanza, me ne diede una anche a me.

«Grazie» mormorai timidamente, prima che notassi lo sguardo cupo che Ian le aveva appena riservato.

Trangugiai metà bottiglia, poi ritornai al mio lavoro.

«Jared pensa che sia una cazzata fidarsi di Lacey.» cominciò d'un tratto Melanie.

Corrugai la fronte. «Non ne sono sorpresa, dato che il modo in cui si è comportato ieri notte.»

Mel sbuffò. «Pensa che non dovremmo nemmeno andare in missione. "Se è come penso io e lei verrà con voi in missione, allora avrete qualcosa su cui riflettere", ha detto.»

«Con voi?» chiesi, confusa.

«Sì, non ha intenzione di venire se ci sarà lei. Non vuole fare andare nemmeno me. Per questo abbiamo litigato. Pensa sia troppo pericoloso.»

Ripensai al fatto che la sera prima Lacey avesse dato disponibilità per venire in missione.

Ripensai anche a quello che aveva appena detto Melanie. Non potevo sapere quanto fossero fondati i sospetti di Jared; probabilmente era così preoccupato solo perché si era fatto uno dei suoi tanti film in testa.

«Mel, sta tranquilla. Si risolverà tutto.» strinsi amichevolmente una mano alla sua spalla, sorridendole.

«E come?» chiese lei.

«Gli parlerò io.»

«Non ti darà ascolto.»

«Staremo a vedere.»

Melanie fece per ribattere quando improvvisamente sentimmo un rumore provenire dall'apertura della grotta in cui erano affissi gli specchi. Le persone si zittirono per ascoltare con più attenzione il suono lontano ma familiare delle pale di un elicottero, guardandosi fra di loro con aria preoccupata.

«Abbassate gli specchi!» urlò la voce di Jeb, che apparì poco dopo nella grotta. Subito venne aiutato da altre quattro persone, che scattarono verso di lui nel tentativo di oscurare la caverna e non farci scoprire dall'elicottero.

Ian mi attirò a sé con fare protettivo, trattenendo il respiro.

Il rumore delle pale si fece ancora più assordante quando i Cercatori si avvicinarono all'apertura. Per un momento mi sembrò di rivivere un deja-vu. Tutti si immobilizzarono, in attesa.

Chissà se fossimo mai riusciti a passare un giorno senza essere tormentati da quei dannati Cercatori?


Spazio pseudo autore


E dopo un mese e un giorno, sono ritornata fra voi! Oh, ragazzi, mi spiace di avervi fatto aspettare così a lungo, ma proprio non ho avuto tempo per scrivere e pubblicare. Ma voi siete bravi, quindi mi perdonerete, vero??? *fa gli occhi da cucciolo*

Ok, passiamo al capitolo xD

Il flashback che lo apre descrive un momento abbastanza quotidiano e intimo della Cercatrice e del suo compagno. Stiamo iniziando a sapere qualcosa su di lui, ad esempio il suo nome (non so se avete fatto attenzione ;)).

Jared. In questo capitolo ci ha fatto un po' penare. Sapete com'è, quindi, vi prego, compatitelo! Alla fine arriverà a prendere una decisione (andrà o non andrà in missione con Melanie?) quindi stay strong and take it easy xD

O'Wanda. Lascio commentare a voi la parte in cui i nostri fidanzatini si sono scambiati una sacra promessa (che ho accennato anche nel prologo ù.ù)

La missione. Finalmente ci sarà un po' di azione in più! Prometto che vi rifarete di tutti questi capitoli calmi e noiosi ;)

Prima di andarmene, vi devo spoilerare una cosetta o due: i nostri protagonisti cercheranno di godersi appieno questi due, ultimi giorni di pace prima di uscire ;D

Vi saluto!! (Non è necessario dire che vi aspetto nelle recensioni xD)

Sha

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Capitolo 7
*** Dimostrazioni ***


7



Dimostrazioni



«Allora, cos'aveva oggi Melanie?» Ian mi prese per i fianchi, sussurrandomi all'orecchio.

Mi voltai verso di lui, buttando in un sacco nero l'ennesimo scatolo vuoto. Quella mattina purtroppo non avevamo più potuto lavorare i campi. Ordini di Jeb, che era più nervoso e irritante del solito.

Tutti, a dire il vero, erano più nervosi e irritanti del solito. Jeb a pranzo aveva annunciato che il giorno dopo saremmo partiti, perciò la preoccupazione si era estesa all'intera comunità. E poi aveva anche chiesto di sistemare gli scatoli che occupavano il magazzino, per far sì che, quando saremmo tornati, avremmo avuto spazio per le nuove scorte.

«Ha discusso con Jared...»

«Ah» Ian si accigliò, aiutandomi a schiacciare uno scatolo.

«Insomma, sai com'è lui.» dissi.

«Egoista...?» domandò, retorico.

Lo fissai, contrariata, e appoggiai le mani ai fianchi.

«Stavo per dire protettivo.»

«Oh, sì. Lo penso anch'io.» replicò, con il medesimo tono irrisorio.

Gli lanciai un pacco addosso, ma lui lo parò prontamente. Era incorreggibile.

«Comunque, non si fida di Lacey. Pensa che se verrà in missione sarà perché vorrà metterci in trappola, e per questo motivo ha litigato con Melanie: lei vorrebbe venire senza che lui la obblighi a fare il contrario.» continuai a spiegare, mentre frugavo in una scatola per vedere se ci fosse qualcosa.

«Jared dovrebbe farsi meno problemi. Melanie se la sa cavare da sola.»

«Vorrei vedere te al suo posto...» commentai ad alta voce, sebbene quello fosse solo un pensiero passeggero.

«Ma tu non puoi vivere senza di me.» mormorò maliziosamente Ian, spingendomi contro il muro. Il colore delle sue iridi spiccò nella penombra della stanza. Mi guardava in un modo che nemmeno riuscivo a descrivere.

Mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo per potermi baciare, mentre io sorridevo compiaciuta.

«Forse hai ragione.» dissi poco dopo, rimanendo ancora intrappolata tra lui e il muro.

«Qui sembra che abbiamo finito.» notò Ian quando smise di guardarsi attorno.

«Già.»

«Andiamo in camera? Sembri stanca.» disse, sfiorandomi una guancia.

«Prima devo fare una cosa.»

Lo oltrepassai, ma prima che potessi uscire dal magazzino Ian mi prese per un polso. Mi tirò verso di sé con così tanta energia da farmi sbattere contro il suo petto.

Alzai gli occhi sui suoi, immergendomi nell'azzurro cristallino che li colorava. Erano così belli.

«Posso sapere cosa devi fare di tanto importante da mettere me al secondo posto?» domandò, con finto fare offeso e sconsolato.

«Devo andare a parlare con Jared. Per Melanie.» risposi mentre abbassavo lo sguardo sulle sue labbra, distese in un debole sorriso che sparì subito dopo.

Il suo viso si indurì in un'espressione contrariata.

«Perché devi? Non sono cose che ti riguardano.»

Chissà perché sospettai che Ian non fosse d'accordo? Forse perché c'entrava Jared?

D'un tratto qualcosa dentro di me sussultò. O meglio, si risvegliò, come se fino a quel momento fosse stata quiescente. Era ciò che provavo per Jared?

«Ian, per me Mel è come una sorella. Non abbiamo mai avuto segreti... e ci siamo sempre aiutate.»

«Qui si tratta anche di Jared, Wanda.»

«E quindi?»

Ian boccheggiò. Il suo viso era un mosaico di emozioni: in esso vi leggevo rabbia, disagio, paura e nervosismo.

Non potevo essere sorpresa dalla sua reazione, perché lui sapeva almeno quanto me che una piccola parte di me amava ancora Jared.

Allungai una mano sul suo viso. «Ian, se c'è qualcosa che ti turba devi dirmelo.»

Lui sospirò, appoggiandosi alla mia mano.

L'ultima volta che avevamo parlato di quell'argomento era stato quasi un mese prima, quando ero stata spostata nel corpo di Luna. Ian era stato comprensivo. Io ero stata sincera. Avevamo chiarito, e da quel momento eravamo diventati ancora più inseparabili.

«Io ti amo, Wanda, ma l'idea di doverti dividere con qualcun altro mi logora. Io voglio che tu sia mia. Solo mia.» rispose Ian, prendendo la mia mano per stringerla al suo petto. Lì, all'altezza del cuore.

«Ma io sono tua.»

Dimezzai la distanza che divideva i nostri volti, senza smettere di fissarlo negli occhi.

Per l'ennesima volta mi domandai come avessi potuto meritare un compagno così.

«Ho bisogno che tu me lo dimostri, Wanda. Io mi fido di te, ma non mi fido di me. Di quello che penserei se tu adesso andassi da Jared e...»

«Io sto semplicemente aiutando Melanie, Ian. Jared è solo un amico a cui voglio bene. Niente di più.»

Se la stanza non fosse stata in penombra, Ian avrebbe colto il guizzo di apprensione che era passato dai miei occhi. Non sapevo quanto fossero vere quelle parole. Quanto fosse importante quel "bene" che volevo a Jared.

«Okay, okay» Ian annuì, abbassando lo sguardo sulle sue mani che avvolgevano ancora la mia.

«Questa sarà una prima dimostrazione, se vuoi.» Gli sorrisi, cercando di tirarlo un po' su. Lui ricambiò, senza però liberarsi di quell'aria angosciata che induriva i suoi lineamenti, poi mi lasciò andare, baciandomi dolcemente.

Mi voltai verso il corridoio e mi diressi verso la piazza principale.

D'un tratto sentii freddo. Un freddo non tanto fisico, quanto più mentale. Perché improvvisamente avevo capito quanto mi facesse male stare lontano da lui.


Sospirai, chiedendomi se quello che stavo facendo avesse potuto risolvere qualcosa. Sull'onda di questo pensiero mi avvicinai alla porta e bussai timidamente, poi cacciai entrambe le mani nelle tasche posteriori dei jeans.

Perché mi sentivo così maledettamente in imbarazzo?

«Chi è?» domandò con non troppa gentilezza Jared, oltre la porta.

«Sono io.» sussurrai mentre il disagio cresceva a vista d'occhio. Chissà perché la conversazione che avevo avuto con Ian mi aveva resa così insicura? Mi sentivo come in dovere di non sbagliare. Come se non volessi deluderlo.

Ma poi per cosa? Perché gli avevo detto che volevo bene a Jared quando in realtà mi faceva ancora un certo effetto?

Grazie al cielo fui riportata al presente dal rumore della porta che si spostava. Tre secondi dopo incontrai gli occhi di Jared.

«Ciao» fece, sorpreso di vedermi. Corrugò la fronte, in attesa che io parlassi.

«Ciao... scusami se sono venuta qui senza avvisarti...» mi spiegavo gesticolando copiosamente, quasi come se avessi paura che con le sole parole lui non potesse capire.

«Entra» intervenne, continuando ad osservarmi concentrato.

«...era piuttosto importante...» aggiunsi, guardandomi intorno.

La stanza era come la ricordavo, solo un po' più ordinata e con i due materassi uniti. Probabilmente la presenza di Melanie aveva comportato dei miglioramenti.

«Di che si tratta?» chiese Jared, incrociando le braccia al petto.

Aprii la bocca, con l'intento di dire una frase sensata, ma l'unica cosa che dissi fu: «Melanie.»

Jared si irrigidì, schiarendosi rumorosamente la gola, e distolse lo sguardo altrove.

«Immagino ti abbia detto tutto...»

«Sì, proprio così.»

Non smettevo di torturarmi le mani. Perché non smettevo di torturarmi le mani?

Sospirai, aspettando che una vampata di sangue mi tingesse di rosa le guance.

«Senti, Jared, lo so che potrò sembrare invadente, ma io sono qui per aiutarla. Per aiutarla a farti capire che lei non è una ragazzina indifesa come potrei essere... io, ecco. Se non fosse stato per lei, probabilmente non saremmo mai arrivate qui.» feci una breve pausa «Quello che voglio dirti è che devi lasciare che sia lei a decidere cosa sia meglio fare. Mel non è una che si mette nei guai senza una vera e propria ragione. Sa badare a se stessa.»

Jared annuì, accarezzandosi quel filo di barba incolta che aveva appena sotto il mento. Non sapevo dire se stava riflettendo sulle mie parole o faceva finta.

Il silenzio comunque non durò a lungo.

«Non avevo dubbi sugli istinti di conservazione di Melanie.» sorrise a quel pensiero «Però, Wanda... è una cosa complicata.»

Si sedette sul materasso, appoggiando i gomiti alle ginocchia.

«Voi due non sapete quanto io abbia sofferto durante la sua assenza. L'avevo data per morta perché non volevo pensare che un paras... un'anima avesse occupato il suo corpo. E quando vi hanno trovate... e ho visto i suoi occhi... be', mi si è spezzato il cuore.»

Andai a sedermi accanto a lui, mentre un fiotto di compassione e tenerezza mi riempiva il petto.

«Il fatto è che non voglio perderla di nuovo. Non ora che ci siamo ritrovati.»

La sua voce era intrisa di tristezza. Non avevo mai pensato che Jared avesse potuto aprirsi in questo modo. Non a me.

«Mel ti ama troppo per lasciarti solo.»

«Sì, ma io non mi fido di Lacey.»

«Jeb credo che non la farà venire» dissi, abbassando lo sguardo sulle mie mani «Non vuole essere rallentato da persone che non potrebbero essere in grado di andare in missione.»

In realtà non avevo idea di quale decisione avesse preso Jeb, ma non mi era neanche tanto difficile immaginarla.

«E poi lei dice la verità, Jared. Come potrebbe non dirla?» aggiunsi.

Jared rimase a fissare un punto indefinito difronte a sé, incerto sul da farsi.

«Anche se mi fidassi di Lacey, Wanda, nessuno mi garantirebbe che la missione andasse in porto.»

«Nessuno lo ha mai garantito.»

«Sì, ma questa volta è diverso. C'è in gioco molto di più.» replicò, voltandosi a guardarmi.

Sentii il viso surriscaldarsi.

«C'è in gioco la tua vita, Wanda. La mia, quella di Melanie.»

«C'è sempre stata in gioca la nostra vita, Jared.»

Mi alzai dal letto, irritata. «Senti, lo so che tu ti preoccupi per lei e per tutte le persone a cui tieni. Ma aspettare che i Cercatori se ne vadano – cosa che potrebbe non avvenire – metterà in pericolo anche la vita di quelli che rimarranno qui.»

Jared tacque, senza più sapere come replicare. Sarei rimasta sorpresa se avesse trovato il modo di farlo, visto che adesso era passato dalla parte della ragione a quella del torto.

«Io ti chiedo solo di pensarci. Faresti un favore sia a me che a Melanie.» aggiunsi, prima di raggiungere la soglia della stanza e andarmene.

«Wanda, aspetta.» Jared mi prese inavvertitamente per un polso, bloccandomi «Scusami...» disse, mollando la presa sul mio braccio. Il sangue tornò a circolare regolarmente nelle vene.

«Per cosa?»

«So di essere troppo apprensivo, Wanda. So di non comportarmi in modo corretto nei confronti di Melanie... Vedi, lei è andata a stare nella vecchia stanza di Lily e...»

Spalancai gli occhi. Non mi aveva detto nulla di questo.

«È... è molto arrabbiata, quindi.»

«Già...»

«Ritornerà solo se tu acconsentirai a farla andare in missione... lo sai, vero?»

Lui annuì, abbassando lo sguardo e stringendosi nelle spalle, sconfitto. Da un lato mi faceva pena, ma da un altro no. Perché era colpa sua se si era venuta a creare quella situazione.

«Riflettici su stanotte.» cercai di sorridergli, e di incoraggiarlo.

«Okay.»

Lo salutai con un flebile cenno del capo, ritornando a camminare nel corridoio.

Un senso di pace e leggerezza invase il mio cuore. Grazie alla mia arrabbiatura avevo saputo mettere da parte i miei sentimenti e affrontare la testardaggine di Jared.

Ian sarebbe stato fiero di me in quel momento. E magari anche Melanie, se Jared avesse mai deciso di fare la scelta giusta.

Forse ci ero riuscita perché mi stavo disinnamorando di lui. Perché stavo rimpicciolendo l'affetto che provavo nei suoi confronti fino a farlo tornare un semplice legame tra amici.

Una stretta al cuore ammutinò la felicità che mi stava invadendo, facendo penetrare anche un po' di tristezza non appena concretizzai quel concetto.

«Ehi, splendore»

Una voce familiare mi chiamò dalle spalle, interrompendo il filo dei miei pensieri.

«Ian.» dissi quando mi voltai per sorridergli.

«Allora, com'è andata?» domandò, riferendosi senz'altro alla conversazione che avevo avuto con Jared.

«Non lo so. Sono riuscita a farlo riflettere però.»

«Be', nessuno può dire che non ci hai provato.»

«Già.»

Ian mi prese per mano, trascinandomi verso il corridoio che portava alla nostra stanza.

«Vieni.»

«Cosa c'è?»

«Voglio provare a fare una cosa, se tu sei d'accordo.» mormorò, distendendo le labbra per dare vita ad un bellissimo sorriso. Era la prima volta che rimanevo abbagliata dai suoi denti bianchi e perfetti.

«Okay.» sussurrai, confusa.

Ian mi portò proprio nella nostra grotta, illuminata da una debole luce a intermittenza. Lasciò andare la mia mano, voltandosi a guardarmi. I suoi occhi brillavano di una strana luce, a metà tra l'imbarazzo e il desiderio.

«C'è qualcosa che devi dirmi, Ian?» chiesi con tono scherzoso – anche se in realtà ero un po' preoccupata – avvicinandomi lentamente a lui. Appoggiai entrambe le mani sul suo petto, riuscendo addirittura a percepire il battito inferocito del suo cuore.

Lui mi accarezzò piano le dita, puntando gli occhi sul mio viso.

«Questa è la nostra ultima notte, Wanda. La nostra ultima notte prima di partire» iniziò, la voce d'un tratto triste ma carica di speranze «E io vorrei renderla speciale.»

«Come?»

«Ti fidi di me?»

«Sì... certo che mi fido.» risposi, sbattendo ripetutamente le palpebre per la confusione.

«E allora permettimi di mostrartelo.»

Annuii, lasciandolo guidarmi verso i nostri due materassi uniti al centro della stanza. Il suo sguardo adesso era attento e sicuro.

Non sapevo se preoccuparmi seriamente o lasciar correre. Lui era così strano.

Sembrava... emozionato. O qualcosa di simile.

Ci sedemmo sul letto, le sue mani a stringere ancora le mie.

«Voglio mostrarti quanto ti amo, Wanda. Quanto tu significhi per me.» mormorò, spezzando il surreale silenzio che ci aveva avvolti.

«Non ero io che dovevo dimostratelo?» chiesi, ironica – e nervosa – senza riuscire a capire dove volesse arrivare.

«No, tu ormai l'hai fatto. Ora tocca a me.»

«Okay.»

Ian avvicinò le sue labbra alle mie. Quel bacio fu più profondo, più intimo. Diverso da tutti gli altri.

Cercò di farmi socchiudere la bocca, ed io, in un gesto ingenuo, lo accontentai.

Il mio ventre si contrasse in una piacevole stretta quando sentii la sua lingua farsi spazio tra i miei denti serrati.

Un nuovo gusto inondò le mie papille, confondendomi.

Ian nel frattempo mi spinse sui cuscini, facendomi sdraiare. Si mise a carponi su di me e posizionò una gamba fra le mie, toccando con il ginocchio i miei pantaloni.

Un brivido fece contrarre nuovamente il mio basso ventre.

Cosa stava succedendo?

La sua lingua spinse prepotentemente contro il mio palato, facendomi ritornare a lui. Assaporare il suo sapore divenne delizioso, tanto che cercai di approfondire ancora di più quel bacio.

Ian ridacchiò sulle mie labbra, ritraendosi per respirare.

«Che c'è?» chiesi. La voce inaspettatamente roca.

«Niente.» farfugliò prima di avvicinarsi al mio collo e respirarne il profumo.

Quando scese sulla mia clavicola, abbassò il tessuto grigio della mia maglietta per arrivare a sfiorarmi anche la spalla.

Un gemito inatteso combatté per uscire subito dalle mie labbra.

Stavo iniziando a capire.

Luna mi aiutava, per quel che ne poteva sapere. E anch'io mi aiutavo con le mie informazioni.

Le idee furono chiare quando Ian cominciò a spogliarmi. Prima tolse le scarpe, poi le calze e la maglietta.

Le mie guance si tinsero di rosso quando rimasi in reggiseno. Ian però non sembrò farci caso, impegnato com'era a levarsi i suoi, di vestiti.

Lo osservai togliersi la camicia e lasciarla da qualche parte nella camera. Poi ritornò a baciarmi, mentre con le mani tentava di abbassare la cerniera dei miei jeans per togliermeli.

E anche i miei pantaloni si unirono ai vestiti che erano disseminati per la stanza.

«Ian, io...»

«Sshh» mi bloccò mentre si liberava anche dei suoi jeans.

Fu semplicemente stupendo ammirarlo in tutto il suo splendore.

In quasi tutto, mi corressi.

Ian si allungò su di me, tirando anche le coperte per coprirci almeno fino alla vita, e mi accarezzò piano una guancia. Quel contatto fu così bollente che mi sentii le vene del viso scoppiare.

«Bene o male?» mi chiese lui, fissandomi intensamente negli occhi.

«Bene» dissi, senza sapere cos'altro aggiungere.

Era come se mi fossi persa in quel suo oceano di diamanti.

Come se i miei pensieri si fossero azzerati.

Come se non ci fosse più niente e nessuno.

Solo io e lui.

«Vai avanti.» gli mormorai mentre abbassavo le palpebre, reclinavo la testa indietro e mi lasciavo trasportare dal profumo della sua pelle.

E Ian obbedì. Fino infondo.


Quando mi risvegliai era ancora buio. La luce della luna illuminava la stanza col suo debole bagliore.

Sbattei piano le ciglia, sospirando.

Mi sentivo le membra intorpidite e pesanti, come se avessi corso chilometri. Mi costava fatica anche solo alzare la testa dal cuscino.

Ero sdraiata su un fianco, rivolta verso l'armadio che c'era accanto al letto, quando trovai un braccio di Ian a cingermi dolcemente la vita.

Potevo sentire il suo respiro sulla mia spalla scoperta, i suoi capelli farmi il solletico all'altezza del collo, la sua gamba tra le mie.

Quell'abbraccio era così caldo e genuino che per un attimo desiderai rimanere in quella posizione per sempre.

Ian si mosse appena. Temetti di averlo svegliato, ma quando riuscii a voltarmi verso di lui scoprii che era ancora addormentato.

Appoggiai una mano sul cuscino, sistemandomi meglio accanto al suo corpo.

Potevo intravedere senza molta difficoltà il suo petto marmoreo emergere dalle coperte. Volevo allungare una mano per toccarlo, ma avevo paura di svegliarlo.

Sembrava quasi un dio, talmente era bello.

Quando dormiva i lineamenti del suo viso si distendevano a tal punto da farlo diventare più giovane, quasi un bambino.

«Ehi» sussurrò dopo aver aperto piano gli occhi.

«Ehi» risposi, sorridendogli affettuosamente.

Posò una mano sulla mia spalla, poi si avvicinò per baciarmela, facendomi scontrare con la sua chioma corvina.

«Dormito bene?»

«Benissimo»

Com'è che non riuscivo a smettere di sorridere?

«Cos'è quella faccia?» mi chiese Ian, dopo avermi osservato attentamente. Non sapevo quanto orripilante potesse essere il mio aspetto. Dai suoi capelli, in disordine come mai prima, non potevo sperare in qualcosa di positivo.

«Quale faccia?» mormorai, arrossendo.

«Quella faccia»

«Sono felice» ammisi timidamente, sprofondando il viso nel cuscino.

Ian avvicinò una mano a me, iniziando a lisciarmi i capelli annodati.

«Anch'io» disse mentre si allungava sul fianco per darmi un bacio.

Un brivido di piacere mi percorse la schiena quando sentii il grande palmo di Ian premere sulla schiena per farmi aderire completamente al suo corpo.

«Avresti potuto avvertirmi... di questo.» sussurrai dopo alcuni minuti, ancora incollata a lui.

«Temevo che non avresti accettato.»

«E perché mai?»

«Non ti ho messo fretta, vero?» domandò, elidendo la mia domanda retorica. I suoi occhi azzurri mi scrutavano ansiosi.

«No...» ridacchiai «...capisco i vostri istinti di sopravvivenza.»

Ian corrugò la fronte, riservandomi un'occhiata interrogativa. «Istinti di sopravvivenza?»

«Sì, insomma...» non sapevo quanto il mio viso potesse essere rosso in quel momento. Grazie al cielo la luce pallida della luna non metteva in risalto quel particolare «...so che gli uomini si accoppiano per... riprodursi...»

Ian socchiuse la bocca, attonito. Forse stava facendo anche fatica a trattenere una risata.

«Voglio dire, ora che andiamo in missione non so quanto potrebbe essere... sicuro, ma... be'...»

Santo cielo... dove stavo sbagliando?! Mi sentivo così a disagio! E poi Ian mi guardava in un modo!

«Wanda» iniziò, usando un tono piuttosto divertito ma anche imbarazzato «Ci sono molte cose che devi ancora scoprire sugli umani. Noi non ci accoppiamo solo per... procreare, ecco. A volte lo facciamo ma non ne siamo coscienti, altre invece sappiamo perfettamente quello che stiamo facendo.» spiegò tutto d'un fiato, senza abbandonare quella nota di disagio che rendeva il suo discorso alquanto divertente «Quello che abbiamo fatto stanotte non è quello che tu credi... è... un piacere che abbiamo deciso di condividere insieme.»

Man mano che Ian parlava, ma che soprattutto iniziava ad illuminarmi sul corso degli eventi, l'imbarazzo che mi aveva praticamente fossilizzato al materasso scivolò via come se non ci fosse mai stato.

Ora avevo capito.

«Noi lo chiamiamo "fare l'amore"» aggiunse in un sussurro.

«Ah... scusami, Ian... è che...»

«Non preoccuparti. Ho inteso.» m'interruppe lui, annuendo.

«Sono stata una stupida.» mormorai.

«Non è vero.»

«Avrei potuto urtare la tua sensibilità, Ian. Sono una sciocca.»

Un suo dito mi obbligò ad alzare gli occhi sui suoi. La sua espressione rasentava la compassione.

«Ma non l'hai fatto, Wanda.»

Sospirai, convincendomi a dargli ascolto. Lui sorrise, stringendomi a sé.

«Amo troppo la mia sciocca ragazza.» soffiò al mio orecchio, sicuramente per tirarmi su il morale. Mi stupii di me stessa quando percepii la mia risata espandersi nella stanza.

Abbassai lo sguardo sul braccio che teneva piegato su un fianco, notando quel tatuaggio che avevo visto già molte volte ma che mai mi ero soffermata a studiare.

Era una scritta che diceva "Hic et Nunc".

«Cosa significa?» chiesi ad Ian, indicandogliela.

Ci scostammo l'uno dell'altra per guardare entrambi il tatuaggio.

«Qui e ora. È latino.»

Annuii, continuando ad osservare e a sfiorare la sua pelle. Era liscia e vellutata.

«Me lo sono fatto qualche anno fa. È il mio... motto di vita, se così si può definire. Mi piace assaporarmi il presente per quello che è. Molte persone guardano il futuro, io no. Perché il futuro potrebbe non esserci più da un momento all'altro. Il presente invece sì.»

«È un pensiero profondo.» commentai mentre incrociavo il suo sguardo assorto, sorridendo. «E molto saggio.» aggiunsi.

Ian si limitò a ricambiare il mio sorriso.

Fuori nel frattempo stava per albeggiare. Lui si alzò improvvisamente dal letto, provocandomi quasi un aneurisma celebrale quando lo vidi camminare per la stanza nudo a raccattare i nostri indumenti.

«Cosa fai?» gli chiesi.

«Vèstiti. Andiamo a vedere l'alba.»

Anche se un po' controvoglia, abbandonai la mia parte di letto per indossare la maglietta di Ian a mo' di abitino. Su suo consiglio presi una coperta e, attorcigliandola sotto un braccio, mi feci guidare da lui per i corridoi deserti delle grotte.

Le probabilità – tra l'altro molto alte, dato che tutte le notti c'erano i ragazzi che facevano i turni – di essere visti da qualcuno mi fecero quasi pentire di non aver messo qualcosa sotto.

Guardando però il modo in cui Ian procedeva sereno tra le caverne, con solo una felpa sgualcita e dei vecchi pantaloni addosso, mi tranquillizzai.

Raggiunta la nostra scorciatoia segreta, arrivammo nello stesso posto in cui eravamo stati per il mio compleanno.

Ian mi avvolse nella coperta che avevo portato e mi fece sedere accanto a lui, abbracciandomi in attesa che il sole sorgesse.

L'aria fredda mi punzecchiava le guance e la punta del naso; gli uccelli cantavano ancora insonnoliti la loro sinfonia.

E laggiù, oltre i canyon, stava lentamente rischiarando. Il cielo ormai aveva candide sfumature di azzurrino e aranciato. Pochi secondi dopo il sole salutò il continente Americano con la sua splendida luce.

«È bellissimo, Ian.» sussurrai, emozionata, stringendomi di più al suo petto.

Mi baciò i capelli, respirando quell'aria incredibilmente fresca.

«Tu sei bellissima.»

Mi allontanai per osservare il suo viso. Quante volte ci sarebbe ancora capitata una cosa del genere? Una? Due? Zero?

In quel momento però non era importante. Ian lo era. I suoi occhi che mi guardavano con venerazione. Le sue labbra che si dischiudevano in un sorriso dolcissimo. Quelle cose sì che erano importanti.

«Grazie per avermi regalato la notte più bella della mia vita, Viandante.»


Spazio autore:


Buongiorno :)

Voglio dedicare questo capitolo alla mia cara amica Love Bites, che mi ha aiutata a svilupparlo e a renderlo quello che è con le sue grandiose idee. Ti voglio bene <3

Coomunque... che ne pensate? Avrei potuto farvi sospettare di qualcosa nei capitoli precedenti, ma ho deciso di tenervi allo scuro di tutto, anche perché io stessa ho avuto qualche problema su come e soprattutto quando scrivere questa scena.

Ho avuto paura di avere troppa fretta o di non essere all'altezza di descriverla: da un lato perché Ian e Wanda non stanno insieme da molto tempo – però non potevano nemmeno aspettare oltre – da un altro perché non riuscivo a descrivere il tutto come se lei avesse già avuto esperienze e fosse informatissima su questo genere di cose.

Wanda sa come si "accoppiano" gli esseri umani, ma non pensava che ci si potesse unire anche per passarsi anche un semplice piacere personale. Appunto per questo lei ha detto – tra le righe – che aveva paura del fatto che avere un bambino adesso fosse pericoloso per via della missione... non so se lo avevate capito xD

Comunque spero di essere stata chiara. Se avete qualche dubbio però potete chiedere :)

Passiamo alla prima parte del capitolo (che sembra essere stata dimenticata xD)

Il titolo "Dimostrazioni" è molto importante e dà un significato a tutto ciò che accade al suo intero. Infatti abbiamo Wanda che si deve misurare prima con Jared, poi con Ian.

Riesce nella sua impresa con entrambi, ma solo perché non è più del tutto innamorata di Jared.

Spero che vi siate divertite e che abbiate apprezzato questo capitolo quanto me. Lo definirei un po' più come la "quiete prima della tempesta". Oh-oh, questo è uno spoiler bello e buono!

Meglio che vada, prima di raccontarvi come va a finire!

Vi ho già rotto abbastanza xD

xoxo

Sha

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Capitolo 8
*** Inizio ***


8



Inizio

 

Il resto della giornata lo passai a sistemare varie cianfrusaglie. Avrei preferito passare il pomeriggio con i miei amici, ma dato che l'aria che si respirava nelle grotte era pregna di preoccupazioni e ansie che non volevo sopportare, rimasi in camera mia a riempire il mio borsone di provviste e vestiti.

Avrei preparato anche quello di Ian, se non fosse stato per il fatto che mi avesse letteralmente vietato di farlo mentre sarebbe stato via.

Un'espressione alquanto contrariata si stipò sul mio viso non appena pensai al fatto di non poter passare quelle ultime ore con lui.

Prima di lasciarmi da sola mi aveva detto che sarebbe andato a fare una commissione, senza però darmi un'idea di quando sarebbe tornato.

Da un lato la cosa mi rattristava, da un altro però mi sollevava, perché così almeno avrei potuto trascorrere un po' di tempo in solitudine. Magari a scervellarmi sulla maglietta che avrei indossato quella sera per la partenza; oppure a ripensare ai trascorsi della notte precedente, che mi impedivano di preoccuparmi per cose ben più importanti.

Ed era proprio per quest'ultima motivazione che mi ritrovai a sorridere come una stupida, seduta su quel letto.

Accarezzai distrattamente le lenzuola immacolate che lo rivestivano, come a carpirne i segni indelebili di ciò che era accaduto qualche ora prima. Ricordare mi alienò per qualche istante dal mondo reale, catapultandomi dentro una stanza buia con un grande schermo illuminato, in cui si susseguivano le immagini di me ed Ian. Ian, che aveva riempito ogni singolo centimetro del mio corpo dei suoi baci, delle sue carezze che mi avevano agitato le farfalle nello stomaco, del mio nome che aveva sussurrato contro le mie labbra per non so quante volte.

Toc. Toc.

Chiunque avesse appena bussato alla porta, doveva avere avuto un buon motivo per venire a disturbarmi e ad interrompere il mio sogno ad occhi aperti. Decisamente.

Tuttavia quando raggiunsi la sogna della stanza e spostai il pezzo di legno che fungeva da porta, ogni mia vaga idea di fare una sfuriata alla persona che mi sarei ritrovata davanti andò in fumo nello stesso momento in cui questa mi sorrise benignamente.

«Ciao, tesoro. Come mai da queste parti?» Chiesi mentre mi spostavo per farla entrare nella stanza.

«Dovresti immaginarlo...» disse dopo che chiusi la porta e mi voltai per darle tutta la mia attenzione.

«Non ho ancora imparato a leggere nel pensiero, Mel.» risposi, vestendo le mie parole di un alone ironico. Mi appoggiai al muro adiacente alla porta, a braccia conserte, osservandola sedersi su quel letto dove un attimo prima c'ero stata io.

Il pensiero mi fece quasi arrossire. Quasi.

Il viso di Melanie nel frattempo si era illuminato di un sorriso pieno di significati.

Capii qualcosa, ma non volli provare a indovinare.

«Ma dovresti leggere nel mio.» replicò, riservandomi un'occhiata piuttosto eloquente.

«Mmh, vediamo...» cominciai, falsamente soprappensiero, mentre andavo a sedermi accanto a lei «Qualcuno è riuscito a chiarire col fidanzato?»

Ovviamente Melanie intese la mia domanda retorica e non perse nemmeno tanto tempo ad attaccare col suo discorso di ringraziamenti.

«Ti prego, non farlo.» la interruppi, ancor prima che potesse parlare, appoggiando una mano sulla sua.

Lei ridacchiò, e prontamente rispose in modo da non farmi controbattere.

«Ma Wanda, come potrei non ringraziarti? Se non fosse stato per te saremmo ancora arrabbiati l'uno con l'altro e non avremmo nemmeno preso una decisione.»

Sorrisi, inorgoglita dalla sicurezza della mia amica.

«Quale decisione?» chiesi poi, confusa.

Mel alzò gli occhi al cielo, come a palesarmi il fatto che dovessi sapere anche di quel dettaglio. «Veniamo in missione, Wanda. Insieme.»

Socchiusi le labbra, non tanto stupita per essere riuscita a farla ricongiungere a Jared, quanto più sorpresa dalla coraggiosa scelta che lui aveva preso.

«Wow. Be', sono felice per te!»

«Grazie, Wanda. Davvero.» mormorò. Gli occhi le brillavano di gioia.

Era bello sapere che, sebbene oltre quelle mura la gente fosse triste per la partenza imminente di gran parte di noi, qualcuno come me e Melanie riuscisse ancora a mettere da parte quel particolare per continuare a vivere serenamente i propri attimi di felicità.

«Vieni qui.» le ordinai mentre la attiravo a me e la stringevo in un caloroso abbraccio.

Un abbraccio che sapeva di affetto fraterno e di un'intesa che possedevamo solo noi due.

Mel mi strinse a sua volta. «Ti voglio bene, Wanda.» mormorò, e dal suo tono mi parve quasi che stesse sorridendo.

«Ti voglio bene anch'io.»

«Certe volte mi domando come avrei fatto senza di te.» pensò fra sé e sé, dopo che ci staccammo.

Scossi la testa e sorrisi, dandole un giocoso pugno sulla spalla.

«In realtà questa domanda me la sono sempre posta io.»

Mel rise e nel frattempo si guardò intorno, curiosa. «Vedo che hai già iniziato a prepararti.»

«Sì.» dissi, alzandomi per ritornare a prendere qualche vestito dall'armadio e metterlo dentro il borsone «Ian è dovuto andare via, perciò sono rimasta qui a sbrigarmela da sola.»

«Anche Jared e Jamie se ne sono andati.»

«Jamie?» chiesi, perplessa e divertita allo stesso tempo. Quel ragazzino era impressionante.

Melanie si passò una mano tra i capelli e chiuse gli occhi, esasperata. «Sì... Sharon l'ha rimesso in punizione ed è toccato a me e Jared tenerlo buono per tutto il giorno. Mi ha anche chiesto se poteva venire con noi in missione.» sospirò «Ovviamente gli ho detto di no.»

Corrugai la fronte, osservando il viso contratto di Melanie. «Dovresti iniziare a lasciarlo un po' andare, Mel... Non è più un bambino.»

«Sì, ma... non voglio che corra alcun rischio. Non stavolta almeno. Jared gli ha fatto fare le ossa già quando non c'eravamo. E per me questo basta e avanza.»

Le sorrisi, compassionevole, pensando di rassicurarla con una delle mie perle di saggezza, ma non ne trovai, dato che non ebbi neanche il tempo di assemblarle mentalmente che il rumore familiare della porta che si spostava giunse alle mie orecchie.

Certamente le persone che potevano entrare in quella stanza senza bussare non erano molte: una era la sottoscritta, mentre l'altra stava senza dubbio entrando in quel momento.

«Oh» esordì Ian dopo aver chiuso la porta ed essersi girato verso di noi «Melanie.» aggiunse, rivolgendosi a lei con un cenno del capo.

Mel mi lanciò un'occhiata, poi si alzò e sorrise. «Ian. Come va?»

«Bene, grazie.» rispose l'altro, rivolgendole un mezzo sorriso. Li osservai scambiarsi qualche battuta informale per un minuto, constatando la presenza di una parsimoniosa dose di imbarazzo nella voce di ciascuno. Be', non potevo biasimarli: Ian e Melanie erano diventati amici perché l'avevo voluto io, altrimenti non si sarebbero mai scambiati una parola.

E la cosa mi lasciava allibita, dato che entrambi erano belli abbastanza da poter fare coppia.

Quel pensiero passeggero ostruì per un istante le immagini della notte prima, che, quasi irritate, tornarono a prorompere nella mia mente.

«Comunque Jared ti sta aspettando.» disse infine Ian ad una Melanie sul punto di andarsene.

«Lo sospettavo. Be', allora ci vediamo dopo.»

«A dopo.» la salutai mentre la guardavo darmi le spalle e scomparire dietro la porta.

Ian, rimasto fino ad allora sulla soglia della stanza, si avvicinò piano a me, sorridendo sempre di più man mano che le nostre distanze si accorciavano.

«Ciao anche a te.» mormorò ad un soffio dalle mie labbra quando mi prese per i fianchi e mi fece scontrare col suo petto.

«Ciao.» gracchiai un attimo prima che la sua bocca catturasse la mia.

E un attimo dopo mi ritrovai ad essere trascinata lentamente verso il nostro letto. Ian mi accompagnò piano sul materasso, posizionandosi sopra di me.

Una leggera risata, che in seguito realizzai essere la mia, si propagò nella stanza dopo che le sue labbra, dalla bocca passarono a lambirmi il collo, facendomi il solletico.

«Mi sei mancata.» sussurrò contro la mia clavicola, prima di scostarsi da me per incatenare i nostri sguardi.

«Anche tu.»

«Sbaglio o sei riuscita a far ricongiungere quei due?» disse poco dopo, mentre giocherellava distrattamente con una ciocca dei miei capelli.

«A quanto pare...»

Per un attimo mi sembrò quasi di sentire il battito impazzito del mio cuore infrangersi contro lo sterno di Ian, che nel frattempo aveva scostato con un dito l'orlo dei miei jeans per accedere al loro interno.

Una serie di incontrollabili brividi di piacere violarono la mia schiena, che si inarcò impercettibilmente, aderendo al suo petto. Lo lasciai fare finché il piacere di avere la sua mano quasi nelle mutande non divenne troppo, quindi, onde evitare l'inevitabile, ribaltai le posizioni, ritrovandomi cavalcioni su di lui – ma soprattutto con una mano in meno a riempirmi i jeans.

«Che c'è?» mi chiese con un'espressione divertita e sconsolata allo stesso tempo. Mi misi a sedere su di lui, tracciando con un dito il profilo del suo petto, perfettamente visibile anche se a coprirlo c'era una maglietta grigia.

«Non sai proprio trattenerti.» sussurrai, mordendomi un labbro. L'ombra di un sorriso a sondare il mio viso e a far intendere ad Ian che stavo solo giocando.

In risposta lui mi prese per i fianchi e velocemente mi fece ritornare sotto il suo corpo. Difficile resistere alla forza con cui mi spinse sul letto.

«Mi sono trattenuto per troppo tempo.» soffiò mentre mi asserviva alla sua bellezza con quel gioco di sguardi che solo lui sapeva fare.

Rividi il riflesso dei miei occhi nei suoi, poi più niente. Solo la sua bocca a catturare di nuovo la mia e ad impedirmi di controbattere alla sua affermazione.

Non so per quanti minuti o ore andammo avanti così, ma posso dire che dopo quelli che mi parvero secoli, riuscimmo a staccarci, sdraiandoci l'uno di fronte all'altro.

«Jeb mi ha parlato» iniziò Ian, sereno «Ha formato tre gruppi, così da poterci dividere in base alla zona in cui andremo a rifornirci.»

Durante la pausa che fece mi sembrò quasi di percepire la paura che lo aveva reso improvvisamente serio investire il mio corpo, impermeabile a quell'emozione. Perché a me in realtà non scalfiva il fatto di dover andare in missione coi Cercatori alle calcagna.

A me importava solo sapere che potevo rimanere con Ian sempre e comunque, e che i ragazzi quaggiù sarebbero rimasti al sicuro.

«Saremo insieme a Melanie, Jared, Aaron e Brandt. Trudy, Jeb e gli altri faranno parte del secondo gruppo.» aggiunse.

«Lacey non verrà.» constatai, senza far trapelare un minimo di apprensione dalla mia voce.

«No. Ci sarebbe solo d'intralcio.» disse mentre si metteva a pancia in su a fissare il soffitto della nostra stanza.

«Dove andremo noi?» domandai, senza smettere di guardarlo.

«Toccheremo le solite città: Phoenix, Casa Adobes, Tucson. E poi torneremo a casa.» rispose, sorridendo debolmente.

«Phoenix?» chiesi, corrugando la fronte. Non ci andavo da quando Melanie mi aveva spinta a scappare di casa per trovare Jared e Jamie.

Dai ricordi sbiaditi, tristi e oscuri che ne conservavo, sembrava essere passata una vita dall'ultima volta in cui ci avevo messo piede. Non la consideravo nemmeno più "vecchia casa". Me ne ero semplicemente dimenticata.

«Sì.» replicò Ian, per niente a conoscenza dei pensieri che stavano occupando la mia mente. Tuttavia, grazie a non so quale potere, si incuriosì abbastanza da lanciarmi un'occhiata indagatrice e invogliarmi a parlare.

«Sai, è da lì che sono venuta... dove hanno portato me e Melanie per unirci.»

Ian rimase in silenzio, tornando a fissare il soffitto.

Non sapevo quale effetto gli potessero fare le mie parole. Probabilmente si immaginava Phoenix piena di Cercatori, Guaritori, stanze luminose e crioserbatoi: tutti uniti per dare la possibilità alle anime di rubare la vita degli umani e farla propria espropriando loro qualsiasi tipo di ricordo.

«Non me lo avevi mai detto.»

«Se non sbaglio mi ero confidata solo con Jamie. Forse. Sai, tu eri nella lista delle persone che volevano liberarsi di me...» borbottai, dipingendo le mie parole con un po' di ironia per rendere la finta offesa una giocosa battuta.

«Se quel piano fosse andato in porto, non me lo sarei mai perdonato.» rispose sommessamente Ian, prendendomi per mano.

«Non avresti detto la stessa cosa allora.»

«Allora non sapevo che mi sarei innamorato di te.» disse, voltandosi a guardarmi.

Eccola, la sua controbattuta. Pronunciata con così tanta sicurezza, innocenza e dolcezza da bloccarmi le parole in gola.

Mi limitai a socchiudere la bocca, come se stessi per rispondergli, ma ciò che feci fu molto diverso: allungando una mano ad arpionare il colletto della sua maglietta, lo strattonai letteralmente per avvicinarlo a me e sigillare le sue parole con un bacio.

«Ti amo.» gli sussurrai mentre facevo scontrare le nostre fronti.

«Ti amo.» mormorò lui, accarezzandomi una guancia.

 

 

§

 

 

Non era la prima volta che andavo in missione. E per i miei standard, se avessi superato questa, non sarebbe stata nemmeno l'ultima.

Eppure ogni volta mi sembrava di vivere una nuova esperienza; forse questo succedeva perché mi dimenticavo cosa volesse dire lasciare i miei amici e la "mia" casa per un periodo che di solito andava dalle due alle tre settimane.

Il momento del saluto era quasi sempre legato a quello del raccoglimento delle varie richieste, che venivano espresse per lo più dai bambini.

Andandocene infatti avevamo ottenuto ben tre ordini: Isaia, uno dei figli di Lucina, ci aveva chiesto di portargli dei colori nuovi perché i suoi si stavano consumando; Freedom invece si era limitato a "ordinare" un'altra maglietta di Superman; infine c'era stato Jamie.

E lui, si sa, non era un ragazzino come tanti.

 

«Fammi indovinare.» gli dissi ancor prima che potesse parlare, pensando a quello che voleva.

«No, Wanda. Non voglio niente stavolta.» rispose, abbassando il capo per nascondermi la tristezza che gli velava gli occhi.

Inclinai la testa per riuscire a guardarlo bene, appoggiando una mano sulla sua spalla. «Ehi, Jamie.»

Lui continuò a tenere lo sguardo basso, senza però sapere che io ero comunque riuscita a vedere una lacrima solcargli il viso.

«Sarei voluto venire.» mormorò, la voce incrinata dal pianto che cercava di trattenere. «Ma Melanie non ha voluto.»

Sebbene non fosse la cosa più appropriata da fare, sorrisi.

Capivo Jamie, ma capivo anche che prendere parte alla missione era troppo al di sopra della sua portata.

«Lei pensa che io sia ancora un bambino, ma in realtà non è così.» sbottò, mantenendo comunque un tono di voce basso per evitare di attirare l'attenzione dei presenti.

E anch'io, per sfuggire a orecchie indiscrete, limitai le mie parole ad un sussurro.

«Jamie... credimi, Melanie lo sta facendo solo per proteggerti.»

«Lei lo fa sempre per proteggermi.»

«Stavolta è diverso. E poi tu devi rimanere qui ad aiutare Doc. Sarà lui a sostituire Jeb per un bel po', sai?»

Jamie annuì, continuando però a tenere il broncio.

«Ehi. Guardami.» lo incitai, obbligandolo ad incrociare il mio sguardo. «Non c'è davvero niente che vorresti?»

Dal momento che non si aspettava una domanda del genere, fu più che giustificabile quando si mise a ridere per l'esasperazione.

«Lo so che c'è qualcosa...» aggiunsi, cercando di fargli pensare a tutto tranne che alla sua ossessione. E un sorriso sornione iniziò ad aleggiare sulle labbra di entrambi.

«Dimmelo, su.»

«Portami un pallone.» disse quando si decise ad alzare il capo e a togliersi quella patina di tristezza dal viso.

«Bravo, ragazzo.» gli risposi, scompigliandogli i capelli castani.

«Ma state attenti.» aggiunse mentre lo abbracciavo e depositavo un bacio tra la sua folta chioma.

«Lo saremo.»

Jamie mi lanciò un ultimo sguardo prima che mi voltassi e raggiungessi i ragazzi all'uscita delle grotte.

Ero certa di poter contare sulla sua fiducia, perché, andasse come andasse, noi avremmo sempre trovato il modo per ritornare.

Soprattutto per portargli quel pallone.

 

E dire che erano passate quasi due settimane da quando avevamo avuto quella piccola conversazione.

Quei primi quattordici giorni erano passati tranquillamente, senza il minimo sospetto che i Cercatori ci avessero seguiti o anche solo visti.

Ed essendo usciti dalle grotte di notte, le probabilità che ciò fosse accaduto erano state molto basse. I nostri presupposti però furono confermati solo qualche giorno dopo, quando i nostri due gruppi si separarono e nessuno dei due vide anche solo l'ombra dei Cercatori.

Erano spariti.

«Allora, ragazzi... sono quasi le otto di sera. Io ho bisogno di una bella dormita e di qualcosa da mangiare.» disse Aaron, seduto sul retro del camion su cui viaggiavamo da quando eravamo partiti.

«Conosco un albergo qui vicino. È poco distante dalla mia vecchia casa.» esordii, voltandomi a guardare Aaron, Melanie e Jared, seduti sul retro del camion tra i pochi scatoli di cibo e vestiti che avevamo accumulato.

«Quello vicino all'ospedale?» mi domandò Mel, alzandosi per venirsi ad appoggiare allo schienale del sedile di Ian, che stava guidando.

«Sì...» risposi, perplessa. «Te lo ricordi?» le chiesi.

«Vagamente.» disse, facendo spallucce, per poi alzare lo sguardo sulla strada che stavamo percorrendo.

Strada che sembravo conoscere, anche se a Phoenix non ero potuta vivere così a lungo da poter imparare le varie vie che conducevano al centro città, in cui si trovava l'ospedale e quindi il nostro hotel.

«E dov'è questo albergo?» domandò poco dopo Ian, mentre appoggiava un braccio al finestrino e rallentava davanti ad un incrocio.

«Segui i cartelli che portano all'ospedale.» dissi, indicandogli la serie di insegne affisse sotto un semaforo che da rosso diventò verde.

«Okay.» rispose, prima di essere contagiato dal mio stesso sbadiglio.

Sorrisi, adagiandomi mollemente sul sedile del furgone.

Quel giorno avevo girato come minimo quattro o cinque supermercati, recitando alla perfezione la parte della felice anima che andava a fare la sua felice spesa in un felice supermercato. Era strano che col tempo mi ero quasi dimenticata dell'innata gentilezza e pacatezza con cui ti trattavano le anime. Sembrava che vivessero in un mondo parallelo in cui tutto era l'opposto della realtà. Ogni cosa era in pace, giusta, anche se oltre i confini delle città esistevano dei ribelli che non avevano mai voluto far parte di quel mondo troppo astratto per poter essere integrato al loro.

Il suono familiare del motore che si spegneva e delle chiavi che venivano estratte dal quadro mi riportarono al presente, ridestandomi dalla sorta di dormiveglia in cui ero caduta. Ma ciò che veramente mi riscosse dal mio leggero sonno fu la voce dolce di Ian che, accarezzandomi le orecchie, mi fece riaprire gli occhi.

«Ehi.» mi mormorò ad una spanna dal viso «Siamo arrivati.» aggiunse mentre io mi stiracchiavo e mettevo a fuoco i lineamenti del suo viso: due ombre leggermente più scure del solito circondavano i suoi occhi: anche lui era stanco.

Mi tirai su e, sorridendogli appena, balbettai un flebile "okay". Ian mi ricambiò, poi annullò la distanza che divideva i nostri visi per lasciare un languido bacio sulle mie labbra.

«Ragazzi, forza!» esclamò Melanie, già scesa dal furgone insieme agli altri.

Ian sospirò e, alzando gli occhi al cielo, mi aprì la portiera per aiutarmi a scendere.

«È questo?» domandò Brandt, indicando con un cenno del capo l'edificio grigio fumo che si erigeva davanti a noi, quando lo raggiunsi.

Vicino all'entrata, l'insegna dell'albergo era illuminata a scatti da un neon arancione.

«Okay, tu prendi questa.» disse Melanie a Brandt mentre gli porgeva una bottiglia di vetro vuota.

«Perché?» chiese l'altro, dopo essersi messo gli occhiali da sole.

«Dobbiamo sembrare ubriachi.» borbottò Melanie mentre indossava i suoi. Jared ridacchiò, prendendo dal suo zaino un'altra bottiglia di vetro.

«Perché?» replicò di nuovo Brandt, senza riuscire a capire.

«Bra.» lo richiamò Ian, esasperato «Dovrai pur indossare questi occhiali per qualche motivo, non credi?» gli disse indicando quelli che aveva appena inforcato. «O pensi che vada di moda usarli alle otto di sera per proteggersi dalle luci dei lampioni?»

Brandt d'un tratto scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Evidentemente aveva capito dove volesse andare a parare Melanie.

«Sei molto creativa, sai?» la incalzò prima di incamminarsi verso la porta.

«Lo prendo come un complimento.» borbottò lei, mentre raggiungevamo l'ingresso dell'hotel a due stelle.

Appena aprii la porta, i miei amici iniziarono a spingersi e scherzare allegramente tra di loro, inscenando la parte di cinque stupidi giovani che avevano bevuto qualche birra di troppo.

La parola ovviamente fu lasciate a me e ai miei occhi azzurrissimi, che fecero credere la donna della reception alla nostra montatura. Riuscii a farle scappare anche un mezzo sorriso quando Ian appoggiò un braccio sulle mie spalle mormorando qualcosa come "sei bellissima" .

«Vorrei prenotare una stanza per... sei.» dissi all'impiegata, sorridendole.

Subito lei spostò l'attenzione sul computer che aveva difronte, ticchettando le dita sulla tastiera.

«Non ne abbiamo una per sei, ma sono sempre disponibili due da tre.» rispose, dopo aver controllato chissà cosa.

Lanciai uno sguardo ai miei compagni, alle mie spalle, e ritenendo impossibile ottenere un segno d'assenso da cinque presunti "ubriachi", tornai a guardare la donna oltre il bancone.

«Vanno bene due da tre.»

«Okay...» rispose quindi lei, ritornando a guardare lo schermo del pc. «A nome di chi devo prenotare le stanze?» domandò poco dopo, usando un tono gentile.

«Guglie di Vetro.» Pensai ad un nome a caso tra quelli più comuni fra le anime, sfoderando un finto sorriso per nascondere l'agitazione che d'un tratto aveva fatto accelerare i battiti del mio cuore.

Ian si appoggiò al bancone, cercando di leggere qualcosa nello schermo del computer, mentre io mi guardai attorno. Qualche impiegato passeggiava lentamente per la hall dell'albergo, altri due se ne stavano vicino alle scale che portavano sicuramente alle camere.

Eravamo circondati da anime che sotto le loro divise eleganti, costituite da giacca e cravatta, avrebbero potuto nascondere una pistola in caso di emergenze.

Il pensiero che uno di quei due uomini vicino ai gradini avesse potuto puntarcela addosso mi fece silenziosamente trasalire.

«Ecco le chiavi. I numeri delle camere sono 314 e 316.» l'impiegata mi porse due chiavi magnetiche, poi estrasse due fogli dalla stampante accanto al pc.

«Puoi mettere una firma qui, per favore?» mi chiese, indicando due spazi vuoti dei documenti appena stampati.

«Certo.» risposi, con voce non proprio ferma, mentre afferravo la penna accanto ai fogli. Feci due scarabocchi in corrispondenza degli spazi indicati, poi alzai lo sguardo sulla donna.

«È tutto?»

«Sì.»

«Allora grazie.» sorrisi.

«Grazie a voi. Buona permanenza.»

Ci dirigemmo verso le scale con fare molto più composto rispetto a quando eravamo entrati, squadrando dall'alto in basso i due simpaticoni vicino alle scale che ci augurarono una buona serata con un sorriso forzato stampato in faccia.

«Che strano albergo.» borbottò con un cipiglio a solcarle la fronte Melanie, mentre salivamo le due rampe di scale che ci avrebbero portati alle camere «Non ha un ascensore!» mormorò sottovoce, rispondendo all'espressione interrogativa che si era dipinta sul viso di Brandt.

«Sempre meglio di uno scomodo furgone.» squittì Jared quando arrivammo al secondo piano.

«Già.»

Il corridoio era illuminato da alcune lampade a muro che tappezzavano a intervalli regolari le pareti scolorite e rendevano l'atmosfera consona ad un luogo in cui poter riposare. Chissà se c'erano altre anime nelle stanze adiacenti alle nostre?

«308... 310... 312...» mormorava tra sé e sé Aaron, leggendo le targhette di ciascuna porta.

«314 e 316!» esclamò Melanie quando trovammo le nostre.

«Okay... come ci dividiamo?»

«Beh, Brandt, non credo che questi due possano staccarsi dalle loro fidanzate, quindi...» Aaron schernì Ian e Jared senza cercare di offenderli, poi ci fece l'occhiolino e sfilò dalla mia mano una delle due chiavi magnetiche.

«Io sono qui... Se avete bisogno sapete dove trovarmi.» farfugliò mentre apriva la porta ed entrava nella stanza 314.

Melanie mi diede una spallata, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione. Il che non mi fece far altro se non che sorridere divertita.

«Andiamo, Jared. Tappiamo la bocca a questo single emancipato. Buona notte ragazzi.»

«'Notte.» dissi, guardandola chiudersi la porta alle spalle e farmi rimanere sola con Ian e Brandt.

«Bene.» affermò quest'ultimo, prendendomi l'altra chiave di mano per poter aprire la nostra stanza.

Non sapevo quanto si potesse sentire in imbarazzato Brandt. Lui non arrossiva come me quando si sentiva a disagio, anzi si zittiva e lasciava intendere che era meglio far finta di niente.

Fu per questo motivo che dal momento in cui entrammo nella stanza fino a quando non ci mettemmo sotto le coperte – coperte che tra l'altro appartenevano a tre letti singoli in cui sia Ian che io non eravamo del tutto sicuri di dormire senza averne prima avvicinati due – non spifferò nemmeno una parola.

 

Spazio autore DA UCCIDERE:

 

 

Già, non è un miraggio quello che avete appena letto. È DAVVERO l'ottavo capitolo per cui vi ho fatto aspettare due mesi e mezzo.

Vi sarete chieste dove sono finita, che cosa ho fatto, perché ho pubblicato dopo tremila anni.

E avete ragione. Dannatamente ragione. Ma dovete perdonarmi e credermi sulla parola che tra la scuola che è ricominciata, vari problemi e soprattutto troppo poco tempo da dedicare alla scrittura, non sono riuscita a mettere su schermo – e non su carta (sembrerebbe troppo fuori moda) – nemmeno UNA riga.

E io non voglio perdere le ragazze che premurosamente hanno sempre recensito spendendo un po' del loro tempo per dirmi cosa ne pensavano di ciascun capitolo solo per questo imperdonabile ritardo D:

Perciò vi chiedo scusa e spero che abbiate gradito questo aggiornamento :)

Dal prossimo inizierà ad esserci un po' più di movimento, dato che ormai Wanda e i suoi prodi hanno visitato il paese vicino di Casa Adobes (cosa non scritta nel capitolo ma che verrà fuori nei prossimi) e che quindi resta da passare a Tucson e finire Phoenix.

Per quanto riguarda l'altro gruppo di cui ho fatto riferimento a inizio capitolo, vedremo come se la saranno cavata solo nel prossimo episodio ^.^

Beh, che dire... vi è piaciuto? :) Spero di sì!

Un abbraccio di scuse a tutti,

Sha

 

P.S. Non potevo lasciarvi senza qualcosa per cui farmi perdonare, così ho deciso di farvi un regalino... rivelandovi il volto dell'Ian che mi immagino dall'inizio della storia!!
La prossima volta toccherà a Wanda! ;) 

 

 

Cosa ne pensate??? :)

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Capitolo 9
*** Imprevisti ***


9



Imprevisti



Aprii gli occhi, svegliata da uno strano cigolio. La camera era illuminata dal chiaro di luna ed era silenziosa, tranquilla.

Ci impiegai un minuto per capire che ero sdraiata su un letto e forse due per realizzare di essere anche nuda. Tuttavia non badai tanto a quel particolare, quanto più al fatto che la mia mano, quando tastò l'altra parte del letto, trovò solo lenzuola.

Mi voltai verso quel lato, scoprendolo vuoto come me l'ero immaginato. Tuttavia scorsi Ian andare ad appoggiarsi sulla ringhiera del balcone dopo aver lasciato aperta la finestra.

Strinsi il lenzuolo che mi copriva e me lo avvolsi attorno, alzandomi dal letto senza fare un fiato, ma soprattutto senza badare allo scricchiolio che produsse il parquet nero sotto la pressione dei miei piedi.

La tenda bianca della finestra si muoveva appena per l'aria fresca che soffiava dall'esterno, producendo un suono tenue. Tutto sembrava perfetto, in pace, anche se non riuscivo a capire dove fossimo.

Le idee divennero chiare solo quando varcai la soglia del balcone e scoprii di trovarmi su un altissimo edificio, in una città che non conoscevo.

L'istinto mi diceva di chiedere spiegazioni ad Ian, ma qualcosa dentro di me m'impediva di farlo. Quasi come se sapesse di non poter avere nessuna risposta.

Perciò mi limitai ad osservare il suo corpo snello, coperto per metà da dei pantaloni della tuta neri, e la sua schiena nuda, ripiegata di qualche grado verso la ringhiera, prima di allungare una mano a sfiorare la sua spalla per farlo voltare verso di me.

Le mie labbra si incurvarono in un sorriso, un sorriso che però morì non appena Ian si girò.

Non era possibile.

Persi ogni facoltà di intendere e di volere quando i suoi occhi azzurri si posarono sui miei.

Troppo azzurri per poter essere davvero i suoi.

Troppo poco umani, perché potessero farmi riconoscere nell'uomo che avevo difronte il mio Ian.

«No...» sussurrai, portandomi una mano alla bocca per reprimere un gemito.


Mi misi a sedere di scatto, traendo un profondo respiro per cercare di calmare i battiti inferociti del mio cuore, che rallentò la sua corsa non appena capii di avere avuto un brutto sogno.

Le mie paure tuttavia si acquietarono definitivamente solo quando scorsi la figura di Ian dormire come un bambino al mio fianco. E con quegli occhi di cui mi ero spaventata quasi a morte celati dalle sue lunghe ciglia nere.

«Buongiorno.» mi salutò d'un tratto Brandt, mentre usciva dal bagno con i pantaloni ancora slacciati.

«Tutto apposto?» mi chiese, evidentemente insospettito dall'espressione sconvolta che avevo in viso, sistemandosi la cintura.

Annuii, lanciando un'altra occhiata ad Ian.

Per un attimo pensai di svegliarlo per accertarmi che quello che avevo appena visto non fosse reale, ma fu lui stesso ad evitare che ciò accadesse, ridestandosi dal suo sonno proprio nel momento in cui concepii quel pensiero.

«Ciao» mi disse, guardandomi con i suoi occhi color del cielo.

Il mio cuore all'improvviso si alleggerì, permettendomi di tornare a respirare regolarmente.

«Ciao»

Si mise a sedere, osservando per un lungo istante prima me e poi Brandt.

«C'è qualcosa che non va?» domandò alla fine, corrugando la fronte per la preoccupazione.

Non volevo dirgli dell'incubo, perciò, concedendogli comunque il beneficio del dubbio, sfoderai un sorriso tirato e lo liquidai con un semplice «No, va tutto bene.»

Ma Ian mi conosceva abbastanza per leggere nei miei occhi e capire se dicessi o meno la verità.

«Sicura?»

Annuii, espandendo il mio sorriso, e per far scomparire qualsiasi forma di sospetto gli regalai anche un leggero bacio.

Tuttavia il nostro momento fu sgradevolmente interrotto da alcuni colpi di tosse da parte di Brandt, che alzandosi dal letto andò a scostare le tende che avevano adombrato la stanza. E il sole mi investì in pieno, portandomi istintivamente a proteggere gli occhi con una mano.

«Scusate, piccioncini. Volevo solo ricordarvi che ci sono anch'io qui dentro.» borbottò mentre ci sorrideva con fare imbarazzato e irrisorio.

«Sì, certo Brandt.» replicò Ian, leggermente irritato – e accecato – rivolgendogli un'occhiata alquanto velenosa. Sbuffai, divertita ed esasperata al tempo stesso.

«Vado in bagno.» dissi un attimo prima di levarmi di dosso le coperte e raggiungere la toilette.

Aprii la porta, la richiusi e girai la chiave nella toppa. Quindi andai ad aprire il rubinetto per sciacquarmi la faccia, e quasi come se avessi dato loro il permesso, le immagini del sogno tornarono a torturarmi.

Chiusi con un gesto secco l'acqua, raccattando un telo bianco per asciugarmi il viso.

Le possibilità che quel sogno potesse tramutarsi in realtà non erano mai state tanto importanti da poter essere considerate. Ma c'era sempre una prima volta, no?

Scossi la testa, come a scacciare via quei pensieri nefasti, appoggiandomi coi palmi al bordo del lavandino. Davanti a me, il corpo di un'umana che ormai mi apparteneva mi fissava dallo specchio, in silenzio, con quegli occhi simili a tanti altri, marchiati dal segno indelebile della mia presenza, che mi mettevano i brividi ogni volta che li immaginavo su Ian.

Non sarebbe mai potuta succedere una cosa simile. Non eravamo così sbadati.

Ma perché scervellarmi su cose del genere quando là fuori dovevamo proseguire un viaggio che non si stava rivelando tanto tragico come avevamo creduto?

Nervosa ma decisa a mettere da parte certi pensieri, riaprii la porta. Quando uscii, trovai Ian già rivestito e seduto sul bordo del letto a fissare con aria preoccupata Brandt, che invece stava cercando di telefonare qualcuno mentre faceva su e giù per la stanza.

«Che succede?» chiesi, insospettita dall'espressione accigliata di Ian.

Quest'ultimo si voltò a guardarmi, poi sospirò. «Aaron e Jared ci hanno mandato un messaggio. Ci aspettano nella hall dell'albergo tra quindici minuti.» quindi si alzò dal letto «Non riusciamo a contattare Jeb e gli altri.»

La sensazione di avere un nodo allo stomaco si impossesso improvvisamente di me.

«Come sarebbe che non riusciamo a contattarli?» domandai, ansiosa.

«Mel ci ha provato stamattina quando si è svegliata, ma c'era la segreteria telefonica.»

«Ha telefonato a Jeb?» gli chiesi, senza smettere di fissarlo.

Ian annuì e fece per dire qualcosa, ma Brandt lo interruppe.

«Niente.» sibilò, rimettendosi il cellulare in tasca.

«Magari non possono rispondere...» indugiai, mentre sia lui che Ian raccoglievano le nostre cose e si affrettavano a raggiungere la porta d'ingresso.

«Lo spero.» mi disse Ian, porgendomi uno zaino.



«Ragazzi...» salutai Jared e Aaron, attraversando spedita la hall dell'albergo. Scorsi Melanie oltre le loro spalle, troppo impegnata col suo telefono per potermi notare.

L'atmosfera dell'hotel era tranquilla, proprio come la sera prima; la donna che ci aveva serviti era stata sostituita da un uomo basso e magro, dall'aria apparentemente scorbutica.

«Ciao Wanda. Come va? Brandt vi ha lasciato dormire in santa pace?» domandò Aaron, «Oppure vi ha disturbato sussurrando il mio nome nel cuore della notte?»

«Ma per favore...» lo pregò Jared, dandogli una spallata prima di voltarsi a raggiungere Melanie.

Scossi la testa, ridacchiando. «È andato tutto a meraviglia, Aaron.»

«'Giorno.» intervennero Ian e Brandt, dietro le mie spalle, ignari di quello che il loro amico mi aveva appena chiesto.

«'Giorno.» li salutò a sua volta Aaron, accennando un sorrisino nello stesso momento in cui Jared e Melanie si unirono a noi.

Vedendo il viso contratto dalla preoccupazione di Mel, le riservai un'occhiata comprensiva.

«Ci sono novità?» domandò Ian.

«No.» sospirò.

«Proveremo più tardi... potrebbero anche non sentirlo.» le disse Jared, mentre le spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la rassicurava con un abbraccio.

«Conviene uscire da questo posto... Troppi occhi indiscreti.» mormorò Brandt, guardandosi intorno per cercare gli uomini in giacca e cravatta della sera prima che, al contrario della donna della reception, erano rimasti nell'hotel e continuava a fare la guardia.

Indossai i miei occhiali da sole – anche se non ce n'era bisogno – come avevano fatto tutti gli altri, e facendomi trascinare da Ian, che mi avvolse i fianchi con un braccio, ci dirigemmo all'esterno dell'hotel.

Il cielo era limpido, l'aria un po' più fredda del giorno prima e la strada che ci separava dal parcheggio in cui avevamo lasciato il camion deserta.

«Allora, qual è il piano?» domandò sfregandosi le mani Brandt, dopo che salimmo a bordo del furgone.

«Avevamo detto che a mezzogiorno ci saremmo trovati nella prima area di servizio che avremmo incontrato sull'autostrada, giusto?» intervenne Jared, seduto proprio difronte a me.

Annuii insieme ad Ian: i patti erano questi.

«Allora andiamoci e aspettiamoli.»

«E se non arrivano?» gli domandai, senza fare caso alla morsa che mi chiuse lo stomaco per aver anche solo pensato una cosa del genere.

«Ci dovremo preoccupare sul serio.» rispose lui, sospirando.



§


Scaffali. Carrelli. Cibo.

Chi avrebbe mai detto che il supermercato – l'ennesimo – in cui mi trovavo fosse fatto appositamente per degli alieni?

Forse poteva essere più luminoso, più arioso e pulito di un semplice discount di periferia, eppure sembrava un posto come tanti, in cui tuttavia andavano a rifornire le proprie dispense anime, e non umani.

Quel piccolo particolare per me non era tanto rilevante quanto per Ian, che, camminando con una tranquillità troppo marcata al mio fianco, non smetteva di guardarsi intorno e soprattutto di frugare nella tasca del suo giubbotto, dove teneva nascosta una 45 magnum. Da usare in caso di pericolo, s'intende.

«Smettila di fare così.» borbottai sottovoce, mentre mi allungavo su uno scaffale per prendere un pacco di biscotti.

«Così come?» sussurrò Ian, rivolgendo lo sguardo verso tutte le parti tranne che nella mia.

«Così... così

«Sono nervoso. Non tutti i giorni mi capita di infilarmi nella tana del lupo.» disse mentre tornavo a trascinare il carrello.

«Nessuno ti ha chiesto di accompagnarmi.» replicai, ottenendo un'occhiata ad effetto, anche se a celare parte della sua saettatina c'erano sempre i suoi Ray-Ban.

Un'espressione alquanto scocciata ed esasperata si stipò sul mio viso quando ripensai alla discussione che avevamo avuto prima di entrare in quel supermercato. Di solito lui e gli altri mi aspettavano fuori, contando i minuti in più e i minuti in meno che ci impiegavo per entrare e uscire.

Ian sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non potevo farti compagnia?»

«Non potresti uscirtene con un "avevo paura di lasciarti sola" o qualcosa di simile? Ti farebbe sembrare molto più sincero.» dissi dopo essermi voltata a guardarlo.

Ian scosse la testa, sorridendo. E per un attimo credetti di avergli fatto dimenticare le anime e il nervosismo che lo agitava.

«No, sarebbe troppo imbarazzante.»

«Beh, potevi comunque restare con gli altri.»

Presi un pacchetto di marshmallows e lo aggiunsi alla spesa sotto lo sguardo appena irritato di Ian, che senza alcun preavviso, mi spinse silenziosamente contro uno scaffale. Il mio corpo aderì al suo in un modo così veloce che cessai di respirare per la sorpresa.

«È troppo difficile capire che sono qui per proteggerti?» sussurrò Ian contro il mio collo, prima di depositare un bacio proprio lì. Un dolce sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra.

«Luna?»

D'un tratto, una voce. Sconosciuta.

Proveniva da una donna alle spalle di Ian. Giovane, alta, dai lunghi capelli castani e dal fisico perfetto. Mi osservava attentamente, come a cercare in me qualcosa di familiare.

Mi aveva chiamata con quel nome che solo in pochi, tra i miei amici, ricordavano ancora. Un nome che tese sia le mie orecchie che quelle di Ian, tanto da farci girare entrambi a guardarla, basiti.

«Non...» scossi piano la testa, pregando che la sconosciuta non mi conoscesse così bene come pensavo.

«Petali Aperti alla Luna, giusto?» pronunciò quel nome per intero, come se si potesse aspettare di essere salutata affettuosamente dopo un momentaneo vuoto di memoria che mi aveva impedito di riconoscere il suo viso. Viso che tra l'altro non riuscivo a collegare a nessun nome se non al nulla. Tanto imbarazzante quanto pericoloso per la mia, o meglio nostra, copertura.

«Non mi riconosci?» domandò, avvicinandosi di qualche passo.

Le mie labbra si tesero in un sorriso nervoso e di scuse. Inclinai appena la testa, come a dir di no, ma mi bloccai non appena la ragazza riprese a parlare.

«Sono Piuma, l'amica di tua sorella.»

Sbattei ripetutamente le palpebre, lanciando un'occhiata d'intesa a Ian, rimasto immobile al mio fianco.

Mia sorella? Luna aveva una sorella? Non ricordavo niente al di fuori di sua madre, Tessitrice di Nuvole.

«Scusami, sono stata troppo schietta. Rugiada probabilmente non ti ha parlato molto di me.» sorrise, facendo spallucce.

«Ehm... no. In effetti no.» mormorai, senza poter evitare di arrossire.

Piuma d'un tratto si voltò a guardare Ian, fossilizzato al pavimento. Gli occhi bassi nascosti dalle lenti scure, le mani calcate nelle tasche del giubbotto. In quella tasca. Me lo immaginavo mentre sfiorava piano la pistola, senza sapere cosa fare. E la cosa francamente non poteva che mettermi ansia.

«Lui è...»

«Un amico. Sono un suo amico.» mi interruppe lui, prima che potessi finire la frase in modo del tutto differente.

Mi morsi un labbro, sorridendo di nuovo a Piuma.

«Piacere, Piuma.» disse, stringendogli una mano per poi iniziare ad osservarlo con più attenzione. «Non ti ho mai visto qui a Phoenix.» aggiunse.

«Non sono di queste parti infatti.» replicò lui, con una sicurezza disarmante.

«Ah... Rugiada mi aveva accennato qualcosa riguardo ad un tuo... viaggio o qualcosa di simile. Non mi ha detto che sei ritornata però.» disse Piuma, rivolgendosi a me.

«Ehm, beh... purtroppo sono solo di passaggio, quindi...» feci spallucce, ostentando finta tranquillità.

«Quando sei ritornata?»

Dovevo ammettere che quella ragazza stava iniziando ad infastidirmi con tutte quelle domande.

«Wa... ehm, Luna, dobbiamo andare. Ci stanno chiamando.» intervenne all'improvviso Ian. Mi voltai verso di lui, notando che sulla mano sinistra sventolava il suo cellulare. Sul display era appena visibile il nome di Jared.

«Oh, non voglio rubarvi altro tempo, ragazzi. È stato bello rivederti, cara.» Piuma sorrise e in un atto puramente confidenziale si avvicinò per abbracciarmi.

Imbarazzata, ricambiai per pochi istanti la stretta, poi mi scostai e le sorrisi di rimando.

«Alla prossima.»

«Alla prossima.»

Piuma ci rivolse un ultimo sguardo prima di voltarci le spalle e sparire nell'angolo.

«Abbiamo cinque minuti prima che Jared e compagnia facciano irruzione armati nel supermercato.» sibilò Ian, mentre mi faceva cenno di lasciargli il carrello e avviarmi verso l'uscita. Nel suo tono di voce c'era parecchia ironia, tuttavia, a giudicare dalla sua espressione preoccupata, qualcosa mi diceva che quelle parole andavano oltre lo scherzo.

Perché conosceva bene i nostri compagni. Come li conoscevo io, purtroppo.

Uscimmo senza andare né troppo veloci né troppo lenti, e devo dire che malgrado il carrello strapieno, non attirammo l'attenzione di nessuno, in strada.

Il nostro furgone se ne stava parcheggiato dalla parte opposta rispetto al supermercato: attraversammo senza correre troppo, quindi raggiungemmo il veicolo.

«Finalmente.» sbottò Jared quando raggiungemmo il retro del camion. Appeso sul collo aveva un bel pezzo di fucile che attirava non poca attenzione.

«Abbiamo avuto un imprevisto.» sibilò Ian, con un tono misto tra preoccupazione e rimprovero. Sicuramente nei miei riguardi, a notare dall'occhiataccia che mi lanciò quando mi voltai nella sua direzione.

«Che imprevisto?» domandò Jared, osservando prima me poi Ian.

«Niente di irrisolvibile. Dai, mettiamo questa roba dentro.» risposi. E iniziammo a caricare le provviste sul furgone.

«Ragazzi ci avete impiegato quindici minuti più del solito!» si lamentò Melanie, dopo aver scostato la tendina del camion per farsi vedere.

«Lo sappiamo, Melanie. Anche se dovrei correggere Wanda dicendo che non è stato nulla di irrisolvibile.» replicò Ian, girandosi verso di me.

Smisi di caricare la roba sul furgone, interdetta. Perché doveva rendere tanto drammatica una cosa che non lo era?

«Volete spiegarci cos'è successo?» intervenne Melanie, irritata.

«Un'anima ha riconosciuto Wanda. O meglio, Luna.» rispose Ian.

Jared corrugò la fronte, senza smettere di passare la spesa a Mel. «Luna?»

«Sì...»

«Non è niente di così preoccupante, ragazzi. Qui non ci verremo più perciò perché allarmarsi?» mi intromisi, sperando di elidere una volta per tutte il discorso.

«Vorrei rispondere alla tua domanda, ma dato che non ho ancora capito cos'è successo precisamente non posso farlo. Quindi se...»

«Una ragazza mi ha scambiata per Luna. Ha detto di essere l'amica di sua sorella e di conoscermi.» spiegai, ritornando a svuotare il carrello.

«E questo non dovrebbe essere preoccupante?!» esclamò senza alzare troppo la voce Melanie.

«Ti ho già detto che sei una ragazza molto perspicace?» bofonchiò Ian, rivolgendosi a Melanie con un tono che stentava a mantenere la calma.

«Smettetela di parlare. Manca poco più di un quarto d'ora a mezzogiorno: dobbiamo muoverci» ci zittì la voce autoritaria di Aaron, da dentro il camion.



Spazio autore:


Buonaseeera, c'è qualcuno ancora vivo ad aspettare che io, povera disgraziata, aggiorni la storia di tanto in tanto?? Sì? No? Ni? D:

Ragazze mi dovete scusare davvero tanto, ma giuro che sono iper super stra extra sommersa dalla scuola e da tutti i problemi ad essa intuitivamente ricollegabili xD

Ma devo dire che per tutto questo tempo in cui non ho avuto il tempo di aggiornare sono riuscita a dare un'occhiata al fandom dell'Ospite e scoprire che Up è classificata prima nella lista delle storie più popolari di quest'anno e tra le prime venti di sempre. E per questo piccolo traguardo devo ringraziare tutte le buone anime che pazientemente recensiscono senza arrabbiarsi anche quando dovrebbero per i miei odiosi ritardi, ma anche quelle che hanno messo la storia nelle preferite, seguite e ricordate limitandosi a leggere in silenzio. Siete tutte prezioseoseose <3

Parlando del capitolo, devo dire che sono abbastanza soddisfatta. Ho dovuto dividerlo in due parti perché altrimenti sarebbe diventato troppo lungo ed è soprattutto per questo motivo che ancora non siete riuscite a capire che cosa sia capitato al gruppo di Jeb e Kyle :-P

Lascio a voi i commenti su quello che avete appena letto. Vi lascio con un augurio di buone feste e la foto esclusiva di Wanda – come promesso d'altronde ;)

 

 

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Capitolo 10
*** Amiche ***


10



Amiche

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Aprii la porta ed incontrai Melanie, intenta ad osservarsi nel grande specchio della toilette.

«Hai provato a telefonare di nuovo?» le domandai mentre mi lavavo le mani, guardandola dalla superficie riflettente.

«No.» sospirò, tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans il cellulare per verificare che non ci fossero chiamate perse da parte di Jeb.

«Pensi sia successo loro qualcosa?» mi chiese poco dopo, appoggiandosi con un fianco al lavandino, mentre io mi asciugavo le mani.

Sinceramente non sapevo come risponderle. Una parte di me stava vivendo quei momenti di attesa con tutta calma, un'altra invece sembrava troppo propensa all'ansia e alla paura per poter anche solo pensare di tranquillizzarsi. E la cosa non poteva che mettermi in difficoltà, specialmente se dovevo rispondere ad una domanda del genere.

Non volevo dire a Mel che ero un po' preoccupata, anche perché lei lo era già di suo e non mi sembrava il caso di demoralizzarla ulteriormente.

«Io mi fido di Jeb. Mi fido anche di Kyle e so che non si caccerebbero in situazioni irrisolvibili.» tagliai corto, abbracciandola per nascondere il velo di nervosismo che d'un tratto oscurò il mio viso.

Chiusi gli occhi, inspirando quel profumo che fino a poco tempo prima era stato pure mio.

«Anch'io mi fido.» mormorò, stringendomi ancora di più a sé prima di allontanarsi e incrociare di nuovo il mio sguardo.

«Sembri diversa ultimamente...» aggiunse, cambiando argomento e tono di voce.

Sbattei un paio di volte le palpebre, quindi alzai un sopracciglio, incuriosita dal perché mi trovasse... diversa, ecco.

«Ah, sì?»

«Sì.»

«E perché?»

Mel titubò, poi scosse la testa in segno di dissenso. «Non lo so.»

Sorrisi di nuovo, sinceramente sorpresa dalla sua osservazione, poi uscii dal bagno con lei al seguito.

«Ah, Wanda... per quello che è successo poco fa...»

Sbuffai non appena iniziò a parlare dell'incidente di poco prima, al supermercato. «So che per te potrebbe essere una stupidaggine, ma...»

«Mel...» la interruppi, senza smettere di camminare verso la porta che divideva i servizi dalla zona bar dell'autogrill.

«Io voglio solo evitare casini. Tutto qua.» fece spallucce, ostentando un'espressione innocente davanti alla mia irritazione.

«Prima ce ne andiamo, più sicurezza avremo di evitarli davvero.»

D'un tratto fui investita dall'inconfondibile odore di caffè e panini, cose che, stranamente, non mi mettevano molto appetito – sebbene fosse ora di pranzo.

«Mmh...» bofonchiai, prima di scorgere Aaron e Brandt vicini al bancone, per ricacciare nello stomaco la bile che aveva provato a superare la gola. Quanto odiavo la nausea.

«Ci sono novità?» domandai ai due quando io e Melanie ci avvicinammo, appoggiando un braccio al banco.

Aaron finì il suo caffè, quindi si girò a guardarmi.

«No, purtroppo.» disse, senza essere poi così preoccupato. Neanche Brandt, intento a pagare il conto, lo sembrava. Il che mi poteva far pensare solo al fatto che entrambi confidassero nell'esperienza di Jeb e del gruppo in generale.

«Volete qualcosa?» ci chiese gentilmente Aaron, guardando prima me poi Melanie.

«Un caffè.» replicò tranquilla quest'ultima.

«Io niente, grazie.»

Mi voltai a guardare oltre la vetrata del locale il camion su cui stavano Jared e Ian. Il parcheggio era quasi deserto e anche il bar non sembrava così affollato.

«Raggiungo gli altri, ragazzi.» li avvisai, appropinquandomi all'uscita.

«Va bene.» mi sorrise Mel.

«Lei e Ian non possono stare lontani per troppo tempo. Comprendili.» borbottò Brandt ad Aaron, facendosi sentire anche da me.

Ridacchiai ma non replicai ad alla sua battutina: non ero in vena di sarcasmo.

Uscii dall'autogrill, immettendomi nel torrido parcheggio che lo circondava. Il sole era alto nel cielo: non una nuvola interrompeva il suo lento viaggio verso ovest.

Mi portai una mano sugli occhi per schivare i raggi del sole e raggiunsi il furgone.

Quando giunsi nella parte posteriore per salire dal retro tuttavia, qualcuno m'impedì di proseguire, prendendomi per i fianchi e imprigionandomi nella sua stretta ferrea. Un mezzo urlo si liberò dalle mie labbra un momento prima di essere sigillate dalla mano del mio aggressore.

«È così che ci si difende da un attacco inaspettato?» mi soffiò all'orecchio una voce che conoscevo molto bene, mentre alleggeriva la sua stretta su di me per lasciarmi muovere.

«Ian! Mi hai fatto spaventare...» lo rimproverai, dandogli un leggero spintone.

Mi voltai a guardarlo, inviperita, cercando di non dargliela per vinta nemmeno quando sfoderò quel suo sorriso che tanto adoravo.

«Perdonami, amore.» mi disse, cingendomi i fianchi. Sebbene avessi provato a resistergli, con quelle due parole riuscì ad avere la meglio su di me.

«Sei imperdonabile.» lo rimbeccai, facendo la finta offesa.

«Volevo solo verificare che le mie supposizioni fossero reali.»

«Quali supposizioni?»

«Quelle a cui ho pensato circa venti minuti fa, quando per poco quella pettegola di un'anima non rovinava tutti i nostri piani.» brontolò mentre mi faceva allacciare le braccia al suo collo.

Colsi l'occasione per dargli una sberla. Innocente, ma un po' meno leggera dello spintone.

«Ahi» gracchiò, contraendo il viso in una esagerata smorfia di dolore.

«Smettila con questa storia.»

«Dimmi che ho ragione e la smetto.»

Alzai un sopracciglio, per niente decisa ad assecondarlo. E il desiderio di dargli un altro ceffone si impadronì per alcuni attimi di me, anche se dopo cambiai idea.

«No.»

«L'hai voluto tu.»

Un sonoro sbuffo uscì dalle mie labbra, finendo prima di quanto pensassi perché Ian mi tappò di nuovo la bocca. Stavolta usando un metodo diverso. Molto diverso.

Feci per ricambiare il bacio, ma non appena sentii qualcuno accanto a noi tossire imbarazzato fui dissuasa dal farlo.

«Sarebbe bello farmi gli affari miei, lo so. Ma dato che non ci sono porte che possono aiutarmi nell'intento, sono costretto ad intervenire per contribuire al mantenimento della condizione di privacy a cui vi avrei sottratto se non mi fossi fatto notare.» disse tutto d'un fiato Jared, appoggiato, probabilmente da prima che io venissi, dall'altra parte del furgone senza essersi fatto vedere.

Il solo pensiero di lui che aveva ascoltato tutto quello che avevamo detto e fatto, mi fece arrossire violentemente.

«Scusa, Jared...» balbettai, staccandomi da Ian non prima di avergli lanciato un'occhiataccia.

«Figurati, Wanda. Fai finta che io non ci sia mai stato.» rispose, e dal tono mi parve che se la fosse presa.

O forse me lo stavo solo immaginando?

Fui riscossa dai miei pensieri dal suono familiare del telefono satellitare posto all'interno del camion.

«Ragazzi, il cellulare!» esclamai, entrando per raccattarlo.

Solo Jeb aveva il numero del satellitare. Solo lui.

«Wanda?» mi sentii chiamare da Ian, rimasto fuori. Io tuttavia non badai a lui: premetti un tasto e mi portai il telefono all'orecchio.

«Pronto, Jeb?»

«Wanda?» mi sentii chiamare dall'altra parte della comunicazione.

«Jeb? Jeb, sono io. Dove siete? Ci avete fatto preoccupare, credevamo vi fosse successo qualcosa e...»

«Wanda, sono Kyle. Jeb è qui con me, accanto a Trudy... I Cercatori ci hanno sorpresi mentre rubavamo in un magazzino.»

«Santo cielo. Ma state tutti bene?»

«Sì... sì, stiamo bene. Noi tre ci siamo dovuti allontanare dagli altri però...»

«Come sarebbe?» domandai, sotto lo sguardo di Ian e di Jared, che intanto erano saliti e si erano seduti difronte a me per ascoltare almeno in parte quello che potevano sentire dal satellitare. «È Kyle.» mimai con le labbra.

«Per impedire ai Cercatori di trovare il furgone abbiamo deciso di dividerci e di attirare la loro attenzione. Così gli altri sono scappati sul furgone evitando di correre altri rischi.»

Osservai sconcertata i visi confusi di Ian e Jared, che molto probabilmente non avevano afferrato quello che Kyle aveva detto.

«E adesso sapete dove sono finiti i ragazzi?»

«Non ancora... abbiamo appena imboccato l'autostrada e non sappiamo se siamo riusciti a depistare i Cercatori.»

«Vi stanno ancora inseguendo?» domandai, indecisa se preoccuparmi ancora di più oppure no.

«Forse sì. Senti, Wanda, non aspettateci alla stazione di servizio. Non sappiamo quanto ancora riusciremo a resistere o se faremo perdere le nostre tracce.»

«Non se ne parla, Kyle. Piuttosto che lasciarvi soli...»

«Te lo sto chiedendo per favore, Wanda. Se non ritornate nemmeno voi alle grotte, avremo solo perso tempo. Le scorte non saranno bastate e i ragazzi dovranno uscire e rischiare la vita un'altra volta.»

Alzai gli occhi verso Ian, che mi stava osservando come per riuscire a comprendere la causa che aveva reso la mia espressione triste e cupa.

Sapevo che Kyle aveva ragione, ma sapevo anche che non era giusto abbandonare lui, Jeb e Trudy. Sarebbe stato un gesto da egoisti e se lo fossimo stati di certo non ci saremmo trovati lì.

Kyle mi ridestò dai miei pensieri, gracchiando oltre la comunicazione che d'un tratto iniziò a scemare.

«Kyle, mi senti?» lo chiamai, senza comprendere le parole sconnesse che pronunciava. Riuscii a captare solo "fate così" e "non ti sento bene", poi più niente. Solo il tu tu che mi avvertiva del fatto che dall'altra parte del satellitare non c'era più nessuno.

«No, no, no...» Premetti dei tasti a casaccio e mi riportai il satellitare all'orecchio per verificare che Kyle fosse ancora in linea. Niente da fare.

«Cos'è successo?» mi domandò Jared, gli occhi neri dalla paura.

«Non lo so... un momento prima stavamo parlando e un momento dopo non siamo più riusciti a sentirci.»

«Non può cadere la linea. È impossibile.» replicò, prendendomi l'apparecchio dalla mano per controllarlo.

Ian si venne a sedere accanto a me, stringendomi piano un braccio. «Cosa ti ha detto, Wanda?»

Trassi un respiro profondo, tornando a pensare a quello che suo fratello mi aveva appena chiesto. Non potevamo abbandonarli...

«I Cercatori gli stanno alle calcagna e... e mi ha chiesto di non aspettarli.»

La fronte di Ian, in un primo momento solcata da rughe d'espressione che enfatizzavano la sua preoccupazione, divenne liscia, spianata, gli occhi solo un po' più spalancati del normale.

Scostai lo sguardo dal suo viso, voltandomi dall'altra parte per cercare di non piangere.

«Non ci possono obbligare.» grugnì Jared, impuntato a seguire tutt'altro piano.

«Che hai in mente?» gli domandò piano Ian, la voce leggermente incrinata.

«Dobbiamo metterci in contatto con gli altri, dirgli di venire a prendersi il nostro camion e farli scappare quanto prima a casa. Poi ci impegneremo a trovare Jeb, Kyle e Trudy.»

«È una pazzia.» replicò l'altro.

«Hai niente di meglio da fare?» controbatté Jared, a tono. «Abbiamo già perso Lily... vuoi che faccia la stessa fine tuo fratello o Jeb?»

Ian rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo. Quando mi voltai a guardarlo, lo vidi fissare un punto indefinito per terra.

«No, ma se dobbiamo fare come dici tu» cominciò, alzando la testa per incrociare lo sguardo di Jared «Wanda e Melanie dovranno restarne fuori.»

«No, Ian.» intervenni, scattando in piedi.

«Non voglio metterti in pericolo.» disse dopo essersi alzato come me.

«Già lo sono.»

Ian mi strinse le mani al suo petto. «Stavolta sarà diverso.»

Lo fulminai con la forza del pensiero, pensando ad un rapido modo per fargli cambiare idea sbattendogli la testa contro un muro.

«Ragazzi!» ci chiamò Aaron da fuori il furgone, correndo. Melanie e Brandt lo seguivano a ruota.

«Che succede?» ci chiese quando fummo abbastanza vicini.

Non è necessario dire che, non appena raccontammo a Mel e compagnia della telefonata di Kyle, ogni tentativo di Ian di allontanare noi due dalla squadra per precauzione si dimostrò vano.


§



Passò un giorno dall'ultima volta che avevamo avuto notizie dei tre. In mattinata Aaron era riuscito a parlare con qualcuno del secondo gruppo per avvisarli del fatto che quella sera avremmo nascosto il camion nel vasto deserto che circondava Phoenix, dietro una protuberanza che faceva al caso nostro. Ovviamente avremmo dovuto agire per forza di notte, soprattutto perché avevamo meno probabilità di essere visti da qualche occhio indiscreto.

E nell'attesa – estenuante come non mai – ci dedicammo alle ultime spese, quelle che da sempre facevamo per soddisfare le richieste dei bambini. Comprammo il pallone per Jamie, la maglietta di Superman e i pennarelli per i bambini di Lucina.

Sebbene la giornata sembrava trascorrere normalmente, nessuno smetteva di chiedersi se mai Jeb, Trudy e Kyle fossero ancora vivi, magari prigionieri dei Cercatori o peggio ancora se fossero diventati nuovi ospiti.

«Quanto vorrei farmi una doccia in questo momento.» borbottò Melanie, appoggiando la schiena alla poltrona su cui sedeva. Le sorrisi, compatendola più di quanto credeva, poi mi guardai attorno.

Al bancone un ragazzo serviva l'aperitivo ad una giovane, fissandola ogni volta che poteva senza però essere ricambiato: lei sembrava essere molto concentrata nel chiacchierare al telefono. Accanto a noi una madre a dir poco disperata tentava di zittire il suo bambino, che non smetteva di fare capricci perché non voleva bere il suo succo di frutta alla pesca, o forse alla pera.

«Era da tanto che non venivo a prendermi qualcosa in un bar.» commentai, sebbene quello fosse più che altro un pensiero concepito ad alta voce.

Mel si irrigidì appena sulla poltrona, guardando fuori dalla vetrata che avevamo vicino.

«Peccato che dovremo ritornare alla vita da "cavernicoli".» disse prima di bere l'ultimo sorso del suo caffè.

«Ormai ci sono abituata.» replicai, facendo spallucce. Sfilai il cellulare dalla tasca dei jeans, accendendo il display per verificare l'ora: le sei e mezzo.

«Cosa hanno detto che sarebbero andati a fare Aaron e Brandt?» mi domandò Mel, appoggiando i gomiti al tavolo. In meno di due minuti aveva cambiato posizione già cinque volte. Mi chiedevo se quello fosse l'unico modo che aveva per far trapelare l'agitazione che la rendeva inquieta.

«Non l'hanno detto.» le risposi, corrugando la fronte non appena concretizzai quel pensiero.

«Bene.»

Sorrisi di nuovo. «Dovresti rilassarti, Mel.»

Ciò che ottenni fu un'occhiata di traverso da dietro le lenti scure che le nascondevano gli occhi. «Stai scherzando, spero.»

«No, affatto.» replicai, appoggiandomi come lei al tavolo. «Solo in attimi come questi puoi prenderti un attimo di pausa.»

«Scusate, posso portar via?» ci interruppe una cameriera con un vassoio in mano, indicando le tazze che avevamo davanti.

«Sì, certo.»

«Grazie.» ci sorrise, un po' impacciata, mentre le prendeva e se ne andava per lasciarci nuovamente sole.

In quel momento il mio telefono vibrò sul tavolo, avvertendomi dell'arrivo di un messaggio, ma la mia attenzione fu più catturata dalle due anime che erano appena entrate nel locale.

Difficile non scambiarle per due Cercatori, dato che il loro abbigliamento, di un bianco immacolato, li rendeva riconoscibili per chiunque.

Un'improvvisa ansia mi inondò il petto, rendendomi rigida come un'asta di legno.

«Che c'è?» chiese Melanie, perplessa, prima di spostare lo sguardo nella stessa direzione in cui stavo guardando io.

Non appena li vide abbassò subito gli occhi, voltandosi verso di me per evitare di incrociare i loro.

«Merda.» imprecò, osservando un punto indefinito oltre la vetrata che avevamo vicino al tavolo.

Nel frattempo i due, un uomo giovane e alto, dal fisico asciutto e dai capelli biondo cenere, e una donna sicuramente non molto più vecchia di lui, si avvicinarono al bancone per sedersi su due sgabelli liberi.

Dall'aria dimessa e gli atteggiamenti disinvolti, sembrava che non fossero "in servizio"... A quel punto mi chiesi se i Cercatori avessero dei turni di lavoro da rispettare, o se fossero attivi ventiquattro ore su ventiquattro e mi pentii di non essermi mai voluta informare prima di scappare da quella che un tempo chiamavo casa.

«Dobbiamo andarcene.»

«Non credo di poter passare inosservata se porto degli occhiali da sole alle sei e mezza di sera, sai?» replicò Melanie, continuando a toccarsi i capelli per il nervoso.

Mi voltai a cercare un'uscita secondaria che non fosse troppo vicina al bancone o comunque che non desse troppo nell'occhio, ma l'unica cosa che trovai fu la porta della toilette.

Forse...

«Magari in bagno c'è un'uscita di emergenza.» le suggerii, passando in rassegna tutto il locale. Cosa che non avrei dovuto fare, dato che incrociai casualmente lo sguardo del Cercatore, che si era girato di novanta grandi per guardare in viso la sua collega. E poi me.

Tornai a guardare Melanie, come se mi fossi sentita bruciare dall'occhiata che mi aveva sempre casualmente lanciato.

«No...»

«Tu prova.» la incoraggiai. Mel trasse un respiro profondo e ancor prima che le potessi regalare un sorriso rassicurante, indossò la sua giacca jeans e si alzò dalla poltrona per poi incamminarsi verso la toilette.

Sospirai e rimasi ad aspettarla, notando che nel bar c'era molta più confusione rispetto a quando eravamo arrivate, ma soprattutto che il bambino del tavolo accanto aveva smesso di fare i capricci.

Decisi di tirare fuori qualche dollaro e metterlo sul tavolo per evitare di soffermarmi alla cassa.

«Non c'è nessuna uscita di emergenza.»

«Santo cielo, Melanie...» mi portai una mano al petto, presa dallo spavento che mi aveva appena fatto prendere «Non mi sono accorta che stavi ritornando.»

«Scusa.»

«Dai, andiamocene.» dissi prendendo lo zaino che portavo sempre con me. Ci facemmo strada tra i vari tavoli del locale e passammo accanto al bancone nella maniera più anonima possibile.

Mi misi sottobraccio Melanie e sorridendole finsi di non essere per niente spaventata dalla presenza dei due Cercatori a cui stavo passando davanti.

Mel in risposta mi prese il braccio, come se volesse accarezzarmelo, anche se in realtà lo fece più per strangolarmelo.

E un minuto più tardi eravamo uscite dal bar: camminavamo con passo spedito sulle strade illuminate di Phoenix.

«Mi è appena scoppiato il cuore dalla paura.» borbottò Melanie, sul viso l'ombra di un sorriso di sollievo.

Non so per quale motivo, ma a quel suo commento scoppiai sconsideratamente a ridere. E poco dopo anche lei venne contagiata.

Non ricordo di essere mai stata tanto terrorizzata come quella sera.

«Cosa ridi?» mi domandò, fintamente offesa.

«Niente...» sghignazzai «È solo che... per un momento ho creduto che mi avresti staccato il braccio!»

«Sarebbe stato il minimo che potessi fare per scaricare un po' di tensione, no?» blaterò, spingendomi scherzosamente.

Mi voltai a strizzarle un occhio e casualmente sempre e comunque casualmente – venni attirata dalle luci di una macchina che stava percorrendo l'inizio della via.

Non era una delle comuni auto che si possono incontrare così per strada. Specialmente se la stessa Lamborghini l'avevo vista guidare da quei Cercatori che mesi prima mi avevano fermata in piena corsa sull'autostrada.

Il mio sorriso si spense all'improvviso e un brivido mi corse lungo la schiena quando vidi la vettura accelerare nella nostra direzione.

«Corri.» ordinai a Melanie, che non aveva l'aveva per niente vista.

«Cosa?»

«Corri, Mel. Corri!»

E iniziammo a correre, percependo il rombo del motore di quella macchina avvicinarsi a noi sempre più velocemente.



Spazio autore:



Mi faccio schifo da sola. Davvero. Mea culpa.

Scusatemiiiiiiiiiiiii, ragazze ma sul serio non ho avuto il tempo di scrivere. Era da un mese che cercavo di finire questo capitolo per pubblicarlo, ma non ho trovato un buco che fosse UNO per potermi dedicare ad Up. Spero solo che nel frattempo abbiate ammazzato il tempo in cui siete rimaste ad aspettarmi e che il capitolo sia valso a qualcosa :)

E poi per farmi perdonare (per la trecentesima volta) vi ho fatto anche una sorpresina sopra! Vi piace??

Comunque, passiamo alle cose importanti. Com'è stato questo capitolo? Noioso, interessante? Vi state chiedendo che cosa succederà nel prossimo??

Ditemi, ditemi!

Ringrazio tutti i lettori che hanno messo la storia nelle seguite/preferite/ricordate e uno speciale grazie va a coloro che ogni tanto mi scrivono anche una piccola recensione (e anche a quelli che la scrivono per ogni capitolo <3 <3)

Love you so much <3

Sha

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Capitolo 11
*** Scontri pericolosi ***


11


Scontri pericolosi




Circa due minuti prima che raggiungessimo i passaggi pedonali ero terrorizzata, l'adrenalina mi faceva correre come mai prima.

Melanie mi stava davanti di qualche metro, i capelli mossi dal vento, e ogni tanto si girava quel poco che bastava per verificare che non fossi rimasta indietro. Le sue gambe erano più agili in confronto alle mie, lo sapevo bene – ricordavo di averle usate in situazioni simili tanto tempo prima.

Tuttavia, quel terrore che mi imprimeva di energia trovò una fossa in cui sprofondare e scomparire quando la nostra corsa s'interruppe ad un passo dai passaggi pedonali.

La macchina che aveva accelerato era stata più veloce di noi, ovviamente, ed era arrivata giusto in tempo per intralciarci la strada. Poi si era fermata e, nonostante le infinite possibilità che io e Melanie avevamo per poter ricominciare a scappare, rimanemmo coi piedi ben fissi sul marciapiede.

E fu quando il finestrino oscurato si abbassò per rivelarci il viso del guidatore che la paura venne sostituita dallo sgomento.

Sgomento e rabbia.

«Brandt?» quella di Melanie era una domanda che sottintendeva qualcosa del tipo "tu non dovresti essere qui" e, sebbene la cosa non potesse darci altro se non che sollievo, da un lato lasciava anche interdetti.

Brandt appoggiò un bracciò sul finestrino, l'altro sul volante, limitandosi ad annuire, poi la nostra attenzione venne catturata dalla persona che all'improvviso aprì la portiera accanto al sedile del guidatore.

Ian.

«Buonasera, signore.» ammiccò quando ci fu vicino e io non potei trattenermi dal dargli un ceffone. Decisamente un po' più pesante di quello che gli avevo tirato il giorno prima all'autogrill.

«Ian O'Shea» sibilai subito dopo, fissandolo mentre, sconcertato, si portava una mano alla guancia. «Ti sembra il caso di piombare fuori dal nulla in questo modo, facendoci prendere anche un colpo?!»

«L'idea in realtà è stata mia.» intervenne Brandt, alzando senza molta convinzione la mano e scostando lo sguardo dal mio non appena posai gli occhi su di lui. «Lo schiaffo puoi darlo anche a me.»

La voce di Brandt era bassa come sarebbe stata bassa quella di un bambino colto in fragrante nel cercare il barattolo nascosto di Nutella.

Melanie, dietro di me, si mise a braccia conserte e sbuffò.

«Scus...»

«Lascia perdere, ti prego.» replicai prima che Ian potesse terminare la frase, oltrepassandolo per andare ad aprire lo sportello della Lamborghini e sedermi dietro Brandt.

Lui, che nel frattempo era rimasto sul marciapiede a guardarmi, si accinse a fare lo stesso, prendendo posto non davanti, dove alla fine si mise Melanie, ma dietro. Proprio accanto a me.

«Non te la sarei presa sul serio...?»

Erano passati solo cinque minuti di silenzio da quando Brandt aveva premuto il piede sull'acceleratore ed era tornato a guidare per le strade di Phoenix. Ian, per tutto quel breve lasso di tempo, aveva alternato sguardi disinteressati oltre il finestrino oscurato del suo lato e sguardi titubanti verso di me. La mano appoggiata sul sedile centrale che non sapeva se toccare la mia gamba o ritrarsi del tutto.

Io invece non avevo smesso un solo attimo di guardarlo con la punta dell'occhio.

«Non penso sia difficile capirlo.» borbottai, voltandomi del tutto verso il lato opposto a lui, e nel farlo vidi che Brandt mi stava osservando dallo specchietto retrovisore.

Chissà quale tra i due idioti presenti si sentiva più in colpa per averci fatto quasi morire di paura?

Sospirando, Ian si spostò più vicino, causando un mio impercettibile irrigidimento.

Ce l'avevo davvero con lui – e anche con Brandt ovviamente. La differenza era che col primo avevo un certo tipo di confidenza e potevo permettermi il lusso di atteggiarmi a quel modo – il ceffone ne era la prova inconfutabile – col secondo invece no.

«Non era mia intenzione spaventarti.»

Mentre lo diceva, Ian allungò una mano verso di me spostandomi i capelli sulla schiena, ma io, non volendo dargliela per vinta come facevo ogni volta, non lo calcolai. Senza pensarci, dissi le prime cose che mi passarono per la testa, rivolgendomi a Brandt.

«Avete nascosto il furgone?» chiesi, appoggiandomi al suo sedile per potermi avvicinare e quindi intravedere il suo viso sotto le luci dei lampioni.

Ian a quel punto non poté che allontanarsi con un sonoro sbuffo.

«Sì, è andato tutto bene.»

«Jared e Aaron?» domandò stavolta Melanie, voltandosi verso di lui.

«Penso che siano proprio dietro di noi.» Brandt replicò tornando ad osservare lo specchietto retrovisore. Feci lo stesso: due fari bianchi lampeggiavano forte alle nostre spalle.

«Ma dove le avete prese queste macchine?»

Melanie sembrava proprio sorpresa. Nondimeno lo ero io.

«Rubate.»

La voce di Ian, vicina a me anche se non come poco prima, suonava acida e stizzita. Con la punta dell'occhio lo vidi mentre osservava distrattamente lo scenario oltre il finestrino. Le braccia conserte, le gambe divaricate, l'aria di uno incazzato col mondo.

«Dove?» domandò Mel.

«In una concessionaria.»

«Avete fatto tanti danni?»

«Erano parcheggiate fuori.»

«Ah.»

Mentre i due parlavano, io non riuscivo a non essere meno arrabbiata con Ian. Insomma, mi faceva prendere un infarto e ora aveva anche il coraggio di mettermi su il broncio, tutto offeso?

Irritata più che mai, incrociai le braccia al petto e alzai gli occhi al cielo, certa che lui non potesse vedermi: avevamo imboccato l'autostrada e ormai tutto era nero, se non la luce azzurra che proveniva dalla radio spenta. L'orologio segnava le dieci.

«Dove stiamo andando?» chiese piano Melanie, dopo un po' di tempo.

«A Tucson. Gli altri ci hanno detto che hanno visto per l'ultima volta Jeb e compagnia lì vicino.»

Dal tono di voce che Brandt aveva usato sembrava stesse sorridendo.

«E quanto dista da Phoenix?»

«Un'ora di strada.»


Il suono del motore graffiò piano le mie orecchie. Aprii gli occhi, rendendomi conto solo in quel momento di essermi addormentata. Non sapevo quanto tempo avevo riposato, ma senza dubbio adesso potevo accusare un immancabile mal di schiena.

Mi voltai lentamente verso Ian, scoprendolo appisolato proprio come me accanto al finestrino. Era nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato, a differenza delle braccia che non erano più conserte. Una ruga provocata dall'espressione accigliata del viso si incuneava tra le due sopracciglia, suggerendo che sicuramente stava pensando a qualcosa.

Qualcosa che interruppe non appena mi vide di nuovo sveglia.

«Ehi.» sussurrò, sorridendo appena.

E con quel suo tono sconfitto, con quel suo modo di fare sdolcinato, con quel suo sguardo da cane bastonato, beh, sarebbe stato difficile continuare a non perdonarlo.

«Ehi...»

Dopo aver tratto un rumoroso sospiro, mi avvicinai a lui e lasciai che mi attirasse a sé.

«Questo è il tuo modo per dirmi che hai accettato le mie scuse?» bofonchiò, solleticandomi l'orecchio. Parlava come se Melanie e Brandt non esistessero, ma sempre sottovoce.

«Forse.» gli risposi, sorridendo, un minuto prima di percepire il nostro amico imprecare.

«Brandt?»

Melanie si drizzò sul sedile.

«I Cercatori.» disse, lanciando un'occhiata agli specchietti retrovisori. Mel, Ian ed io ci voltammo quasi in sincrono verso il portabagagli per verificare la loro presenza.

L'auto in cui c'erano Jared e Aaron era fiancheggiata a destra e a sinistra da altre due vetture che non riuscivo bene a vedere nel buio della notte.

«Merda.» grugnì Ian.

«Ditemi che questo è sul serio uno scherzo.» Melanie era paralizzata dalla paura, fissava terrificata la macchina dove c'erano gli altri due, quasi come se sapesse che c'era un ordigno impostato per farla esplodere da un momento all'altro.

«Come cazzo hanno fatto a trovarci?»

Ian si inclinò verso i sedili anteriori per poter scorgere il profilo di Brandt, senza sciogliere l'abbraccio in cui mi stava stringendo.

«Non lo so.» rispose l'altro, premendo il piede sull'acceleratore. Chissà a quanto stavamo andando?

«Potrebbero essere stati i Cercatori che...»

Iniziai, ma non riuscii a terminare la frase perché qualcosa colpì l'auto, facendomi istintivamente chinare in avanti insieme ad Ian.

«Ci stanno sparando!» urlò Melanie, lanciando uno sguardo preoccupato allo specchietto di destra.

«I Cercatori non sparano di solito.»

«Questi sanno. Sanno che siamo noi.» dissi in risposta all'affermazione di Ian, continuando a starmene china su me stessa con lui a pochi centimetri di distanza.

«Prendi il mio posto, Melanie.» le ordinò d'un tratto Brandt.

«Cosa? No, non posso. Io...»

«So che sei brava. E poi, penso che l'alternativa non ti piacerebbe.»

Perplessa ma sicura di quello stava per fare – era obbligata ad esserlo – Mel si alzò dal sedile e in una maniera che ancora adesso non so spiegarmi, fece cambio di posto con Brandt senza che la macchina decelerasse di un solo chilometro orario.

Questi poi estrasse dalla tasca posteriore dei jeans una pistola e lo stesso fece Ian. Nel contempo, un altro proiettile colpì il portabagagli della Lamborghini.

«Schiaccia quel tasto verde.» disse Brandt a Melanie. Lei obbedì e premette il dito sul bottone, azionando il congegno che apriva il tettuccio di cui fino a quel momento non avevo nemmeno saputo l'esistenza.

Il suono del vento che si infrangeva contro la vettura penetrò nell'abitacolo.

Solo adesso capii come Ian e Brandt volevano usare le armi che avevano in mano, e la cosa non poté che spaventarmi. Io odiavo quelle robe, odiavo tutto ciò che era in grado di provocare dolore.

Un altro sparo rimbalzò sulla vettura nello stesso istante in cui Ian allontanò il braccio che fino ad un attimo prima aveva mantenuto sulla mia schiena.

«No.» esclamai, afferrandogli il bavero della camicia blu che indossava sotto la giacca di pelle, quando si stava mettendo in piedi per emergere dal tettuccio.

«Wanda, è l'unico modo.»

Mi guardò dritta negli occhi, ritornando giù. Sembrava convinto di quello che stava per fare, al contrario di me.

«No. È troppo pericoloso.»

«Hai un'alternativa?»

A quella domanda, indubbiamente retorica, non seppi dare una risposta. E questo non poté che infastidirmi e spaventarmi di più.

Ma andando contro ogni logica, volli comunque ribattere. O almeno, così sperai di fare nel mio immaginario, dato che la realtà raccontò di una Viandante che veniva presa in contropiede dal suo ragazzo, facendosi rubare un bacio a stampo. Poi, come se fosse stata tutta un'allucinazione, il viso del suo ragazzo le scomparve dalla visuale: circa un quarto del suo corpo era là fuori, e così lo era anche quello di Brandt.

«È un po' difficile riuscire a sfuggire a due macchine di Cercatori in un'autostrada, non credete?» constatò Melanie.

La mia vista si concentrò sulle luci che vedevo in lontananza, proprio davanti a noi.

«Quella è una città!» dissi, indicandola a Mel con un dito.

«Tucson!» asserì Brandt da sopra, prima di sparare un colpo.

All'improvviso io e la mia amica gettammo un urlo di spavento: una delle due volanti dei Cercatori aveva sbattuto contro il lato sinistro della Lamborghini per farci sbandare.

«Da dove viene questa macchina?!»

Melanie, seppur agitata, riuscì a ristabilire l'auto.

«Non lo so!» risposi, mentre vedevo i Cercatori allontanarsi. Un minimo di sollievo affiorò nel mio petto, anche se il cuore continuava a battermi all'impazzata, quasi come se stesse per uscirmi dalla cassa toracica. Tucson nel frattempo si avvicinava sempre di più.

«Melanie, attenta!» gridai quando notai che i Cercatori erano di nuovo accanto a noi. Mel non riuscì a scansarli neanche questa volta: la macchina incassò la sportellata e sbandò di nuovo, più forte di prima.

Mi voltai a verificare che a Brandt e Ian non fosse successo nulla.

«Wanda, prendi lo zaino. Dentro ci sono le munizioni.» mi urlò Ian.

Subito scattai per prendere la borsa a terra e aprirla. Una sfilza di munizioni mi riempì gli occhi: ne presi quante ne bastavano per rifornire sia lui che Brandt.

«Tieni.»

Dopo che gliele porsi, tornai a fare attenzione alla strada e a Melanie. Un cartello gigante ci avvisò che a meno di cento metri avremmo incontrato lo svincolo per Tucson.

«Rilassati, Mel. Sei brava, ce la puoi fare.» le dissi mentre le stringevo una spalla. Il cuore non smetteva di battermi forte, talmente tanto che a momenti sarei potuta morire d'infarto.

«Okay, okay.»

Trasse un profondo respiro, ingranando la marcia e avvicinandosi sempre di più allo svincolo. I Cercatori che avevamo di fianco rallentarono, ritornandoci alle spalle.

Jared e Aaron ci stavano dietro e con una mossa azzardata fecero in modo che solo una delle due volanti riuscisse a girare nella nostra stessa direzione. Una donna si sporgeva dal finestrino dell'auto a cui Ian e Brandt stavano mirando, la pistola alla mano, i capelli al vento. Probabilmente oltre che a sparare, quella Cercatrice stava anche guidando e forse fu per questo che ad un certo punto scomparì dentro per non andare a sbattere contro il guardrail.

«Mi sto cagando addosso, Wanda.» confessò Melanie, un nanosecondo prima che l'ennesimo sparo, o meglio due spari, prendessero in pieno la macchina.

Ma c'era una buon motivo se mi sbagliai, dicendo che solo uno di quei due proiettile andò a colpire il portabagagli della Lamborghini.

Già, perché l'altro prese tutt'altra direzione.

La mia attenzione si volse subito ad Ian e Brandt. Fu un fiotto di rabbia misto a pura paura quello che percepii invadermi il cuore quando sentii uno dei due gemere di dolore per la pallottola che lo aveva appena ferito.

Inizialmente non riuscii a distinguere la voce del colpito, ma quando Brandt chiamò preoccupato Ian, beh, inutile dire che persi quasi i sensi per la paura.

«Cazzo...» imprecò quando si mise seduto accanto a me. Il viso stravasato in un'espressione di dolore, una mano premuta un po' più sopra del fianco, all'altezza dello stomaco.

«Oh mio... Ian...» sussurrai, non sapendo dove guardare e dove mettere le mani. Nel punto in cui la pallottola l'aveva preso la camicia era diventata ancora più scura a causa del sangue che stava sgorgando dalla ferita.

Ian respirò a fondo, appoggiando la testa al sedile mentre il colorito del suo viso passava da rosa a viola, blu, verde ed infine bianco.

Da una parte non volevo far altro se non che aiutarlo, da un'altra lottavo contro me stessa e la voglia inconfondibile di svenire.

«Le medicine.» dissi, raccattando nuovamente quello zaino. Rovistai per un minuto buono in tutte le tasche esterne e interne, senza trovare niente. «Dove diavolo sono le medicine?!» urlai, mentre posavano una mano sull'addome di Ian per cercare di mettere in pratica un po' delle cose che avevo imparato per situazioni come quelle.

«C-ce le ha Jared, Wanda.» la voce di Melanie tremava, non so se per paura che io potessi alterarmi di più o perché era sempre più spaventata da tutto il trambusto in cui ci trovavamo.

Espirai ed inspirai, trattenendomi dal prendere a parole proprio lei, che non aveva nessuna colpa e di certo non doveva diventare la mia valvola di sfogo.

«Okay. Va bene. Va bene

Mi concentrai su Ian, notandolo sempre più pallido e sempre più debole. La mia mano era imbrattata di sangue.

Ti prego, Wanda, non svenire. Non. Svenire.

«Andrà tutto bene, amore. Respira, respira.» gli sussurravo mentre prendevo ad accarezzargli una guancia, a ravvivargli i capelli, nella speranza di poter seminare quei Cercatori e dargli le medicine.

«Appoggia la testa sulle mie gambe.»

Ian si spostò lentamente, gemendo ancora e ancora, fino a che non riuscì a sdraiarsi. Aveva la fronte imperlata di sudore, ed era freddo.

Ti prego, fa che sopravviva., imploravo mentalmente, mentre i miei istinti di sopravvivenza mi portavano a sfilarmi la cintura dai jeans per poterla legare alla sua vita e cercare di bloccare il sangue che continuava a sgorgargli dalla ferita. Si era sporcato anche il tappetino della macchina.

«Non sapevo fossi una così brava infermiera.» gongolò, trovando anche il coraggio di sfoderare quel suo sorriso sghembo che tanto amavo.

«Hai il coraggio di fare del sarcasmo anche adesso?»

«Devo sdrammatizzare in qualche modo.»

«Piantala, ti prego.»

La mia voce, incrinata per controllare le lacrime che a stento riuscivo a trattenere, si ruppe in un singhiozzo.

«Ehi, ehi...» Ian allungò una mano sporca di sangue sul mio viso, scostando i capelli che gli intralciavano la strada. Senza pensarci due volte gliela presi e lasciai che potesse sfiorarmi una guancia.

D'un tratto sembrò essere stanchissimo. Ogni movimento pareva costargli una fatica immensa e le sue palpebre diventarono improvvisamente più pesanti.

La sua mano scivolò dal mio volto, facendomi allarmare ulteriormente.

«No, Ian.» sgranai gli occhi, sempre più traboccanti di lacrime «Ian, devi rimanere sveglio. Devi rimanere con me, hai capito?»

Si limitò ad annuire e a sorridermi appena, prima di chiudere gli occhi.

«Ian, guardami. Guardami.» gli ordinai, schiaffeggiandolo debolmente. Lui obbedì, per quanto poteva.

Solo quando alzai lo sguardo per vedere dove ci trovavamo mi resi conto che Brandt era rivolto verso di me, che Melanie stava guidando per le vie della città nell'esasperata attesa di allontanarsi il più possibile da quei Cercatori, e che dietro di noi non c'era più la macchina di Jared e Aaron.

No, no, no.

«Cosa facciamo, Brandt?»

«Ci vorrebbe un miracolo...» fu l'unica cosa che mi disse, prima che un grosso furgone spuntasse dal nulla proprio davanti a noi. Melanie tentò di evitarlo premendo il piede sul freno. Non dico che ci riuscì, ma almeno non provocò un incidente frontale che ci avrebbe di certo uccisi.

Ci andammo a sbattere contro, schiacciando il cofano della Lamborghini contro il lato destro del camion bianco.

Il risultato fu che Brandt e Melanie riuscirono ad attutire l'urto sia grazie agli airbag, sia grazie alle cinture di sicurezza, cose di cui né io né Ian potemmo avvalerci.

Io fui sbalzata in avanti, andando a sbattere la testa contro qualcosa che non riuscii ad identificare. E Ian... Ian sperai solo che non avesse fatto la mia stessa fine, o peggio.



§


Silenzio.

C'era silenzio intorno a me, o almeno, così mi sembrava di percepire l'assenza di suoni che mi circondava. Era da tanto tempo che non sentivo così tanto niente, e forse fu proprio per questo che quel silenzio parve strano, assordante, fastidioso.

L'ultima volta che avevo percepito tutta quella pace era stata la notte prima di partire, quella che avevo vissuto sull'onda della felicità più assoluta con Ian.

Ma era stato diverso allora: avevo amato il silenzio in cui mi ero svegliata, avevo amato aprire gli occhi accanto a lui. Avevo amato respirare il suo profumo tra le lenzuola.

Stavolta invece non mi piaceva, per niente. Era un silenzio ovattato, freddo, bianco.

Il bianco è il nulla, è l'assenza di tutte le emozioni, di tutte le sensazioni.

Che fossi morta? No, non era possibile. Se fossi morta non mi sarei ritrovata sdraiata su quel materasso così scomodo – ammesso che quello su cui mi trovavo era un materasso.

Senza dubbio non avrei neanche avvertito un peso enorme alla testa. Ma no, non era un peso; sentivo come un chiodo che mi martellava continuamente in fronte.

D'un tratto mi ricordai dell'incidente, del furgone bianco con cui c'era stato l'urto, del sangue, di Ian, di Jared e Aaron che erano scomparsi. Un boom di pensieri tormentosi iniziarono ad occuparmi la mente, incrementando la forza con cui quel chiodo continuava a colpirmi la testa.

Senza riflettere spalancai gli occhi, e un bianco fortissimo, tipico delle lampade a neon, investì le mie cornee, obbligandomi a riabbassare le palpebre.

«Ehi, mi senti?»

Qualcuno ruppe improvvisamente quel silenzio snervante. Avere la certezza di non trovarmi chissà dove mi fece sollevare, anche se non aver riconosciuto quella voce soffocò subito quella bella sensazione.

«Ragazza, riesci a sentirmi?»

Era un uomo, certamente non molto più vecchio di me, e quando aprii di nuovo gli occhi scoprii che i suoi erano grandi e... Non era umano.

Il cerchio azzurro al centro di ciascuna iride ne era la prova.

Una baraonda di paure cominciò a torturarmi dall'interno. Chi era quell'anima? Dove mi trovavo? Dove erano finiti tutti gli altri? I Cercatori ci avevano catturati?

«Ciao, io sono un Guaritore, ma ai miei amici umani piace chiamarmi Liam.»



Spazio autore:


Sì, lo so.

E adesso vi chiedere "che cosa sai, Sha?".

  1. So che sono la solita ritardataria.

  2. So che ultimamente vi lascio sempre col fiato sospeso a fine di ogni capitolo.

Stavolta penso siate rimaste anche con un'espressione in faccia che tradotta in tre lettere si può riassumere in "WTF?!". E io, come sempre, vi dico di fidarvi della sottoscritta :P

Vi starete mordendo le unghia perché non vedete l'ora di riempirmi di domande, e da brava ragazza quale sono, vi rispondo dicendo che adesso ci saranno un po' di cambiamenti.

Preparatevi a conoscere i nuovi personaggi che inizieranno a far parte della storia – insieme ai protagonisti ovviamente – e a scoprire quali astrusi pensieri mi vorticano nella testa da quando ho deciso di scrivere e pubblicare questa fanfiction. Ma non vi dico altro, o sarà meglio che mi tagli le dita così da non poter più spoilerarvi niente.

Per quanto riguarda ciò che avete letto in generale invece, vi dico che ho scritto buona parte del capitolo di getto e tutto d'un fiato (quando l'ispirazione ti investe come un tir in corsa ahahah). La parte in cui c'è più azione non so se sono riuscita a svilupparla bene... Incontro sempre non poche difficoltà quando mi cimento in scene così movimentate, ma almeno provo a dare un'idea di quello che immagino in testa :)

Spero di essere stata all'altezza del compito che mi sono autoassegnata ahaha

Prima di eclissarmi comunque ci tenevo a ringraziare le numerose persone che nell'ultimo periodo hanno aggiunto Up nelle seguite e nelle preferite. State diventando molto numerose, peccato che non vedo salire anche il numero di recensioni per capitolo :P

Come sempre dico grazie e mando un grosso bacio a tutte le buone anime che commentano e trovano il tempo per scrivermi anche poche righe. Vi amo <3 (Amo anche i lettori silenziosi, tranquilli ahah <3 <3)

Un abbraccio e... Buona Pasqua a tutti!


P.S. Me ne vado adesso, non vi preoccupate xD Solo... ci tenevo a farvi vedere quale tipo di macchinina è stata adibita per descrivere le scene di questo capitolo <3
Lamborghini 4x4
Ah, per quanto riguarda il banner... non vi preoccupate, non mi sono dimenticata di metterlo. Ho avuto problemi con la connessione e non ho potuto metterlo ;)

Sha <3

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Capitolo 12
*** Domande ***


12



Domande



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Io lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le sere io prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere infelice io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l'amo più di me stessa.
[Emily Brontë]


«Ciao, io sono un Guaritore, ma ai miei amici umani piace chiamarmi Liam.»

L'anima sorrise, continuando a guardarmi attentamente. Aveva l'aria di uno di cui ci si poteva fidare, ma il mio istinto non era tanto propenso a darle retta.

I suoi amici umani?, pensavo.

«Tu ce l'hai un nome?»

Se anche lui conosceva umani e per di più erano suoi amici, significava che apparteneva ai ribelli proprio come me. Oppure mi sbagliavo?

«Io...» balbettai, indecisa se svelargli la mia vera identità o trovarne in fretta e furia una falsa mentre mi coglieva un inaspettato capogiro.

«Sei ancora in stato confusionale, a quanto pare.»

Liam parlò puntandomi negli occhi una lucina piuttosto accecante e sebbene il riflesso delle mie iridi gli rimbalzò in faccia, non sembrò infastidirsi. Anche Doc, una volta, aveva tentato di usare su di me quelle odiose lampadine, ma con scarso successo.

«Mi spiace non averti potuto ancora dare le medicine. Le ultime che sono rimaste le ho dovute consumare per casi più urgenti del tuo...» l'anima concluse assumendo un'espressione concentrata sul mio viso, un dito puntato verso di me come per afferrare il nome che non gli avevo ancora esplicitato.

«Petali Aperti alla Luna.» mentii, avvertendo improvvisamente un'altra fitta alla testa. Portai una mano sulla fronte, toccando qualcosa di ruvido: una benda.

«Bene, Petali Aperti alla Luna. Hai avuto un incidente... te lo ricordi?»

«Sì...» dissi mentre mi massaggiavo una tempia.

«Benissimo.»

Liam si alzò dalla sedia accanto a me, spegnendo il neon che avevo sopra la testa e avvicinandosi ad un mobile grigio posto alla mia destra. Aprì uno dei cinque cassetti e iniziò a cercare qualcosa.

«Hai un lieve trauma cranico e due costole incrinate. Ti avviso, almeno se tenti di sederti come stai facendo adesso, capisci perché hai male praticamente ovunque.» sorrise, un po' impietosito dall'espressione inorridita che assunsi quando mi issai sui gomiti per cercare di cambiare posizione, ma senza riuscirci. E fu in quel momento che mi accorsi di avere anche il petto fasciato sotto la maglietta sgualcita.

«Dove mi trovo?» chiesi quando decisi di rimanere sdraiata e limitarmi a seguire Liam con lo sguardo.

«In un posto sicuro.» asserì l'anima, che nel frattempo aveva trovato quello che cercava ed era ritornata seduta a poche spanne da me. In mano aveva una siringa piena di un liquido trasparente.

«Non ti sto per uccidere, tranquilla. Serve per farti sentire meno dolore.»

Evidentemente la mia faccia terrificata aveva convinto Liam a spiegarmi cosa stava per fare un attimo prima di affondare l'ago nella mia pelle.

Subito mi voltai dall'altra parte per non guardare.

«Sei un ribelle?» domandai, non trovando altro modo per chiedergli da che parte stava.

«Non avrei amici umani, altrimenti. E tu?»

Tornai ad osservare Liam, notando che non era un così brutto ragazzo. Gli occhi erano verdi, i capelli erano castano chiaro e scompigliati ad arte, il fisico asciutto ma non troppo muscoloso.

Indossava un camice bianco che era più simile a quello di Doc che a quello dei Guaritori.

«Anch'io ho degli amici umani.»

«Siamo nella stessa squadra allora.» constatò.

«Già...»

Fissai con aria assorta i lineamenti fini di Liam, ottenendo una sua risata soffocata.

«Di solito guardi così le persone?» chiese divertito, mentre andava verso la porta socchiusa.

Non ebbi il tempo di controbattere che lui se ne andò, giustificandosi con un «Penso che l'analgesico che ti ho dato stia iniziando a fare effetto. Torno subito.»

E io rimasi impalata su quel letto, il corpo improvvisamente intorpidito ma meno dolorante di prima, la testa piena di domande a cui nessuno sembrava poter rispondere.

Dovevo scoprire dove mi trovavo, dov'erano finiti Melanie, Brandt, Jared, Aaron, Ian...

Ian. Mi venne il magone al solo pensiero di quello che gli era successo. Alzai verso di me la mano che si era sporcata del suo sangue, scoprendola pulita, intatta. Nella mia testa cominciò a farsi spazio la mezza idea di essermi immaginata tutto, ma quando presi in considerazione ciò che mi aveva detto Liam, misi da parte quella possibilità.

Mi spiace non averti potuto ancora dare le medicine. Le ultime che sono rimaste le ho dovute consumare per casi più urgenti del tuo, aveva detto. E se il trauma cranico non aveva provocato seri danni al mio cervello, era logico che si stesse riferendo a Ian, e magari anche a qualcun altro più grave di me.

«Rieccomi. Sono andato a controllare se sono arrivati i medicinali, ma a quanto pare dovrai pazientare ancora un po'...»

Liam mi fece quasi sobbalzare quando riapparì dalla porta.

«Come stanno i miei amici?» biascicai, la bocca impastata di saliva. Qualunque cosa mi avesse somministrato mi stava facendo sentire come ubriaca.

Il Guaritore si avvicinò al letto, sfoderando dalla tasca del suo camice un rotolo di bende.

«Se la sono cavata. Adesso, se permetti, devo rifarti la fasciatura: stai perdendo ancora un po' di sangue.»

Inorridita, evitai di pensare e continuai il mio discorso. «Tutti?»

«Diciamo di sì.» disse lui, titubando.

«Perché "diciamo di sì"?»

«Non preoccuparti, sono tutti vivi...»

Anche se non accolsi il suo consiglio, decisi di rimanere in silenzio ad osservare quell'anima alle prese con fasciature e cerotti vari. Il contatto che aveva con la mia pelle era quasi impercettibile, delicato com'era. E mi parve strano scoprire che un Guaritore come lui sapesse perfettamente come fare il suo lavoro anche senza l'aiuto dei farmaci di noi alieni.

«Come... come fai ad essere così... così capace?»

Con la curiosità che incalzava, non avevo trovato un termine adatto per spiegargli meglio cosa intendevo, ma Liam sembrò capire lo stesso.

«Beh, i Guaritori dovrebbero essere già informati su come prendersi cura dei loro pazienti anche quando non hanno farmaci a disposizione, o no?»

Liam mi sorrise di nuovo - ormai avevo perso il conto di quante volte l'avesse fatto – controllandomi scrupolosamente la ferita scoperta che avevo in fronte. D'un tratto provai un insopportabile bisogno di grattarmi proprio lì, dove mi sentivo pizzicare in continuazione.

«E poi ci fai l'abitudine quando vivi nascosto da tutto e tutti.» aggiunse, dopo avermi messo un cerotto all'altezza del graffio.

«Da quanto sei un ribelle?» gli chiesi.

Liam fece per rispondermi, ma i suoi propositi scomparirono non appena sentimmo bussare alla porta. Lui si alzò e andò ad aprirla.

«Ciao.» disse la donna che c'era sulla soglia della stanza, un po' timidamente, senza che io riuscissi a vederla.

Liam si mise da parte per fare entrare la sconosciuta che scoprii essere umana.

Un paio di estranei occhi grigi si posarono subito su di me.

«Tu devi essere Wanda.» provò ad indovinare, mentre si veniva a sedere sulla sedia dove prima c'era stato il Guaritore.

Sorpresa dal fatto che sapesse il mio vero nome – o meglio, soprannome – sbattei le palpebre senza darle alcuna risposta. E Liam socchiuse gli occhi, interdetto.

«No, lei è...»

«Sì, sono io.» intervenni, prima che lui potesse terminare la frase, arrossendo appena per l'imbarazzo di aver bluffato.

«Ma non avevi detto che...»

«Ho mentito.» conclusi.

«Io comunque sono Claire.» disse l'umana, increspando le labbra in un gentile sorriso. «La ragazza che guidava il furgone contro cui è finita la macchina dove ti trovavi. Penso di essere conosciuta più per questo in giro.»

Mentre parlava Claire mi strinse una mano e ammise il tutto con un disagio mischiato ad un leggero senso di colpa, poi si venne a sedere ai piedi del mio letto.

«Ah» replicai io, ricevendo delle scuse silenziose prima che la sua attenzione potesse catapultarsi su Liam.

«Thomas arriverà coi farmaci a breve.» affermò, osservandolo mettere apposto le forbici e le bende che aveva tirato fuori per me.

D'un tratto notai che il comportamento del Guaritore si era visibilmente modificato. Sembrava stizzoso e assai più distaccato; per un secondo pensai di essere io il motivo per cui il Liam gentile e dolce si fosse trasformato quasi in un'altra persona, ma la mia impressione non ebbe vita lunga.

«Bene.» un sorriso più forzato e duro increspò le sue labbra, fino ad allora chiuse in una linea sottile come ad evidenziare la sua espressione da statua di marmo. Mentre andava a buttare le bende sporche nel cestino, degnò Claire di un'occhiata veloce e fredda.

E a quel punto, oltre a capire che la ragione di quel comportamento non ero proprio io, lei fece finta di niente e tornò a guardare me.

«Bene. Sei al sicuro adesso, Wanda. Non appena ti rimetterai in forma ti farò conoscere mio padre. Sarà felice di incontrarti.»

Senza controbattere – anche perché se l'avessi fatto avrei iniziato a riempirla di domande – sfoderai il mio peggior finto sorriso di sollievo.

Sembravano tutti gentili lì, tutti così tranquilli. Come se essere scappati da dei Cercatori equivalesse alla loro vittoria più valorosa, la fine dei problemi e dei casini, e sebbene l'atteggiamento di benvenuto fosse assai apprezzato, io ancora non riuscivo a fidarmi tanto.

«Come... come fai a sapere del mio vero nome?» domandai a Claire, ostentandole la mia finta innocenza.

«Jared mi ha parlato di te.» rispose semplicemente lei. Spalancai gli occhi.

Jared? Jared era lì?

«Sì, ci siamo imbattuti anche in lui e l'altro tuo amico... Aaron, mi pare si chiami così.»

Un'espressione soddisfatta si stipò sul suo volto quando riuscì a ricordarsi del nome e a dare risposta ai miei pensieri che, molto probabilmente, erano traspariti attraverso i miei occhi sgranati per la sorpresa.

Poi la porta cigolò e, senza neanche bussare, vidi Melanie entrare - o meglio, fare irruzione – nella stanza, precipitandosi subito da me.

«Wanda! Grazie al cielo stai bene!» esclamò nello stesso momento in cui io dicevo «Mel!» prima di venirmi ad abbracciare con non troppa delicatezza.

Non riuscii a trattenere il gemito che mi scappò dalla bocca quando sentii le ossa scricchiolarmi.

«Oh, scusa!»

«Non fa niente...» annaspai. Ero troppo felice di vederla per pensare al dolore.

«Stai bene, vero?»

Melanie mi guardò attentamente, notando che non ero del tutto in forma. E anch'io feci lo stesso, accorgendomi di alcuni graffi sul suo viso e di una fasciatura su un polso.

«Sta bene?» stavolta si rivolse a Liam e, dal modo in cui gli parlò, intuii che i due avevano già fatto le presentazioni.

«Non ha niente di grave, tranquilla. Deve solo riposarsi e aspettare i medicinali.»

Rispose, tornando il Liam che avevo conosciuto quando mi ero svegliata. Solo in quel momento vidi che Claire non era più seduta sul letto, ma bensì posta vicino alla porta, una mano sulla maniglia.

Melanie ricatturò la mia attenzione, cominciando ad accarezzarmi un braccio.

«Sono una pessima guidatrice.» ammise facendo una smorfia, dopo avermi sorriso affettuosamente.

Ridacchiai «Non è vero.»

«Oh, sì invece. Guarda come ti sei conciata.»

«Io non avevo la cintura di sicurezza allacciata, Mel. E Ian...»

«Okay, ragazzi, adesso io vado. Per qualsiasi cosa non esitate a cercarmi.» ci interruppe Claire col cellulare in mano e un piede fuori dalla camera.

«Certo.» ribatté subito la mia amica.

«Ah...» Claire tornò dentro un attimo prima di andarsene definitivamente «È stato un piacere conoscerti, Wanda.»

«Anche per me.»

La ragazza si eclissò nel giro di un secondo, e Liam parve tornare a respirare normalmente.

Quindi Mel si focalizzò di nuovo su di me, facendomi ricordare di ciò che volevo dirle quando avevo pronunciato il nome di Ian poco prima.

«Dov'è lui? Voglio vederlo.»

A quel punto Melanie e Liam si lanciarono un'occhiata d'intesa.

«Ma non puoi alzarti. Devi riposare.»

«No, ce la faccio.» mi intestardii, tentando di mettermi seduta con scarso successo, dato che Mel mi riportò giù con una mano. «Smettila di fare così.»

«Ha ragione la tua amica» intervenne poi Liam, avvicinandosi «Nelle tue condizioni dovresti stare a letto.»

Sospirai, alzando gli occhi al cielo. «Ma se io non voglio, posso anche non starci.»

I due si scambiarono altri sguardi, e la poca convinzione che dimostrarono mi fece sbuffare sonoramente.

«Liam, ti prego.»

Il Guaritore rimase in silenzio per qualche secondo, soprappensiero, poi trasse un respiro profondo e pronunciò un «Va bene.» non troppo entusiasta.

E fu così che dieci minuti più tardi Melanie mi accompagnava come se fossi una vecchina ultraottantenne in un lungo, luminoso ma silenzioso corridoio di quello che mi parve essere più un reparto d'ospedale che un rifugio per ribelli.

«Cos'è questo posto?» le chiesi, senza smettere di guardarmi attorno, mentre aspettavamo l'ascensore.

«Jared mi ha detto che è una struttura abbandonata. Il loro non è un gruppo di umani molto numeroso, infatti sembra che vivano tutti qui.»

«Come fanno a non essere stati ancora scoperti dai Cercatori? Sono a due passi dalla città.» dissi, alludendo al fatto che oltre le finestre che costeggiavano il lato esterno del corridoio si vedessero chiaramente le abitazioni di Tucson.

«Non lo so.»

Le porte dell'ascensore si aprirono con un tin e noi entrammo. I bottoni gialli segnalavano l'esistenza di ben quattro piani. Mel premette quello su cui c'era lo zero e il meccanismo si azionò quasi subito.

«Non avrei mai pensato che ci potessero essere altre comunità oltre alla nostra*. Credevo fossimo i soli.»

«Già.»

Aspettammo in silenzio l'arrivo al piano terra e io ne approfittai per tornare a preoccuparmi di cose più importanti.

«Hai già incontrato qualcun altro oltre a Jared?»

Melanie sorrise e si voltò verso di me. «Se mi stai chiedendo se ho visto Ian la risposta è no. Jared e Aaron sono stati gli unici con cui ho parlato e a differenza nostra non si sono fatti nemmeno un graffio.»

«Almeno loro...»

Con un altro tin l'ascensore ci avvisò del suo arrivo al livello zero e si aprì, rivelando la presenza di alcune persone: proprio quando uscii vidi due uomini passarmi davanti con passo rapido. Non badarono neanche lontanamente a Melanie, dato che la loro attenzione si catalizzò tutta su di me, o meglio, sui miei occhi.

Per la prima volta dopo tanto tempo tornai a sentirmi davvero aliena.

«Come fai ad essere così tranquilla?» domandai sottovoce, mentre attraversavamo il corridoio, notando che alcune delle porte che davano sul corridoio erano aperte e rivelavano le sistemazioni di alcuni umani.

«Perché Liam mi ha detto che con le poche medicine che sono rimaste è riuscito a far stare un po' meglio Ian, Wanda.»

Anche se non era quella la risposta che mi aspettavo, perché io mi riferivo alla situazione generale e non a lui in particolare, da un lato rimasi soddisfatta, quasi sollevata.

Almeno è vivo., pensai.

Nel frattempo raggiungemmo la porta in fondo al corridoio, azzurra come le altre, come le pareti di quell'ospedale che faceva più da rifugio che da ricovero per malati.

Azzurra come i due occhi che incontrai non appena venne aperta.

Finalmente.

Lasciai automaticamente il braccio di Melanie, che mi aveva aiutato per tutto il tragitto a tenermi su, e senza badare alla fitta alle costole – né calcolare Brandt, seduto su una poltrona vicina – annullai la distanza che mi aveva diviso fino ad ora da quelle iridi che tanto amavo.

Ian era davanti a me, disteso su un lettino sicuramente scomodo quanto il mio, i capelli arruffati, il viso pallido contrassegnato da delle occhiaie violacee, la camicia blu sbottonata che metteva in mostra un grosso cerotto bianco sull'addome.

E quegli occhi, bellissimi anche se stanchi e provati, erano fissi sui miei.

Beh, mi dissi, se è questo che Melanie intendeva con "farlo stare un po' meglio", non oso immaginare che aspetto doveva avere se avesse detto "sta molto male".

«Ian.»

Sussurrare il suo nome mi fece bene, così come mi fece bene poterlo vedere e toccare. La notte prima mi ero quasi lasciata convincere dal fatto che l'avrei perso e adesso invece eravamo lì, insieme come sempre.

«Ciao, splendore» mi salutò sorridendo, prima di assumere un'espressione preoccupata alla vista della medicazione che avevo sulla fronte «Cosa hai fatto alla testa?»

Ian O'Shea, il ragazzo più altruista che avessi mai conosciuto, era ovvio che si sarebbe allarmato nel vedermi in quel pessimo – ma non pessimo quanto il suo – stato.

Mi sfiorò con le dita il cerotto e io sorrisi, appoggiando una mano sulla sua guancia.

«È caduta dal marciapiede senza paracadute.» blaterò Brandt, che nel frattempo si era alzato dalla poltrona lasciandola libera a Melanie. «È da quando si è svegliato che chiede di te. Per poco non mi faceva venire un esaurimento nervoso.» aggiunse, guardando di traverso Ian, che nonostante il motteggio del nostro amico, rimase a fissare il mio viso.

«Pensa, anche lei ha iniziato a fare lo stesso dopo cinque minuti che sono arrivata.» mi schernì Melanie.

«Non è niente di grave, tranquillo.»

Risposi a Ian come se i due spilungoni presenti non ci fossero. Non m'importava tanto di quello che potevano pensare: la mia priorità in quel momento era avere la certezza che il ragazzo che amavo si sarebbe ripreso al più presto. «Tu piuttosto come stai?» gli chiesi a mia volta.

«Brandt mi ha raccontato che è venuto qui un Guaritore per somministrarmi un Antidolore prima di estrarre la pallottola. Ha detto che non aveva più medicine da darmi per farmi tornare come nuovo. Io ero svenuto, perciò non so quanto ci sia di vero in tutto questo.»

Ian posò lo sguardo sul addome scoperto, indicando con un cenno della mano il punto coperto dall'enorme cerotto bianco. Brandt sogghignò nell'udire il tono non molto convinto con cui il suo amico aveva pronunciato quelle parole, incrociando le braccia al petto.

«Fidati, è andata così.» mi confermò, strizzandomi un occhio.

«Anch'io ho conosciuto il Guaritore. È stato molto gentile, si chiama Liam.» replicai, annuendo.

«È la prima volta che incontro un'anima che ha un nome normale.» disse fra sé e sé Melanie, storcendo le labbra all'ingiù per assumere un'espressione impressionata.

«E tu come stai?»

Ian si voltò di nuovo verso di me, parlandomi sottovoce mentre intrecciava le dita alle mie. Un sorriso stanco ma felice gli incorniciò il viso, un sorriso che mi fece ritornare all'ultima notte prima della partenza, la nostra notte.

«Adesso sto bene.»

Già, adesso. Qui e ora, hic et nunc, proprio come il suo tatuaggio nascosto dalla manica della camicia.

«Ti sono mancato, eh?» un ghigno capace di mandarmi in tilt gli increspò le labbra, frastornandomi.

«Se mi sei mancato? Ho pensato che fossi quasi morto!»

Esclamai, rendendomi conto solo dopo aver percepito qualcosa di umido rigarmi la guancia che stavo piangendo.

«Vieni qui.» Ian mi prese il mento con due dita, avvicinando la mia bocca alla sua con una lentezza che non mi dispiacque. Quando la distanza tra di noi fu minima potei annusare quel profumo che non lo abbandonava mai, anche se era impiastrato di sangue e sudore.

Quel profumo inimitabile, di Ian, di tramonti estivi, di albe silenziose.

Quel profumo che mi avvolse in un attimo, spingendo le mie labbra a modellarsi alle sue.

«Bene o male?»

Non appena ci staccammo la sua voce mi accarezzò delicatamente la pelle, facendomi sorridere. Di nuovo.

Un colpo di tosse fu quello che ruppe la magia del momento, riportandomi alla realtà. Mi allontanai da Ian con la stessa velocità con cui mi ci ero avvicinata, e volsi lo sguardo verso Melanie e Brandt. L'una divertita, l'altro imbarazzato – come sempre, d'altronde.

«Volete lasciarci in pace almeno per una volta?» sbuffò Ian, esasperato.

Quando incrociai lo sguardo di Melanie, percepii il sangue fluirmi più velocemente sulle gote.

«Se proprio insistete...»

Brandt si voltò verso la porta, facendo cenno all'altra di seguirlo, ma non fece in tempo a toccare la maniglia che qualcuno la abbassò per lui.

«Permesso...» era Liam «... Oh, siete tutti qui. Siete pronti a tornare come nuovi? Sono arrivate le medicine!»

Ian sospirò, rassegnato, gettando indietro la testa per alzare gli occhi al soffitto.






*Wanda dice chiaramente che non avrebbe mai pensato al fatto che ci potessero essere altri gruppi umani nascosti proprio come loro. Questo vuole dire che secondo il corso della mia storia, nel libro o comunque anche nel film, lei e gli altri non incontrano casualmente quegli umani tra cui è presente anche un'anima nella parte finale della narrazione. Appunto per questo Wanda è sorpresa dalla presenza di questi umani. Spero sia chiaro ;)



Spazio autore:


Sì, credeteci. Quello che avete visto è il dodicesimo capitolo, ma la cosa più importante è che è arrivato prima del "normale".

Per la prima volta dopo una vita e mezza posso dire di non essere in un ritardo madornale O.O non so se potete comprendere la mia soddisfazione... <3 <3

Coomunque... vi è piaciuto il capitolo? Siete ancora preoccupate? Non come prima, dai... Anche perché il bello deve ancora venire!

Come vi avevo anticipato, con questo aggiornamento avete potuto conoscere due nuovi personaggi, Liam e Claire... Come vi sembrano? Presto approfondirò la questione che si è aperta con il loro arrivo, così da farvi conoscere meglio loro e la situazione in cui si è ritrovata Wanda coi suoi amici.

Questo capitolo ho voluto renderlo un po' più "soft" e potrei dire anche che funge da premessa a ciò che desidero farvi scoprire tra non molto.

Prima di congedarmi come sempre ringrazio tutti i miei lettori, che stanno aumentando ogni giorno di più e che ogni tanto si fanno avanti per dirmi cosa pensano riguardo a ciò che scrivo.

Alla prossimaaaa!

Sha <3

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Capitolo 13
*** Litigi ***


13



Litigi




V’è una gelosia villana che è un diffidare della persona amata;
v’è una gelosia delicata che consiste nel diffidare di sé.


Filippo Pananti



«... e qui, be', lo sai che c'è la ''palestra-mensa''.» Liam virgolettò le ultime due parole, facendo un cenno verso la porta socchiusa dell'ampia stanza in precedenza usata come palestra, ma ora utilizzata come mensa dagli umani che abitavano quel grosso edificio ai margini di Tucson.

«Esatto.» sorrisi, divertita dal tono sfaticato con cui Liam mi aveva indicato la cosiddetta ''palestra-mensa''. Era da quasi un'ora che mi portava su e giù, facendomi passare da un piano all'altro per un giro turistico di quella che per lui era casa.

«Allora, ti è piaciuto?»

Liam inclinò la testa da un lato, guardandomi da sotto le ciglia scure. In tre giorni che gli parlavo, avevo avuto modo di capire che tipo di ragazzo era: molto gentile, serio, ma anche divertente e solare. Era un tipo di cui ci si poteva fidare.

«Il giro turistico che ha occupato un'ora del mio tempo? Oh, sì.»

«Lo dici come se fossi costretta a dire tutto il contrario di quel che pensi.»

Liam parlò in tono accusatorio, non molto convinto dalla mia risposta, il che mi fece ridacchiare non poco.

«Be', in effetti devo ammettere che se non ci fossi stato tu come guida, mi sarei annoiata a morte.»

Il Guaritore rise, sfoderando un suo sorriso sereno che gli illuminava sempre il viso. Quel pomeriggio, come il giorno prima, Liam e io avevamo parlato molto. C'era una sorta di sintonia tra noi, una sintonia che forse scaturiva dal fatto che entrambi avevamo scelto di vivere in maniera diversa dai nostri simili.


«Da quanto tempo sei un ribelle?»

Quella domanda gliela avevo già fatta una volta, quando avevo aperto gli occhi in un ambulatorio con lui a curarmi le costole rotte e la botta in test. Tuttavia, da allora non ero più riuscita ad ottenere una risposta.

Liam alzò la testa dal piatto di insalata che stava sgranocchiando e puntò gli occhi nei miei.

«Da due anni. Da quando ho incontrato Claire...»

Quando pronunciò il nome della ragazza, si voltò a guardarla mangiare in fondo al tavolo, lontano da lui ma vicina a Thomas, un amico di vecchia data di Claire.

«Com'è stato?» domandò Melanie, seduta tra me e Jared. Alla mia sinistra invece c'era un Ian più assorto nel suo pranzo che nella conversazione.

«È stato difficile, ma alla fine ce l'ho fatta.»

Si vedeva che Liam voleva nascondere il dolore che provava al pensiero di Claire. Non sapevo cosa c'era dietro agli sguardi freddi o alle frecciatine che si lanciavano quando si trovavano nella stessa stanza, ma dal mondo in cui il suo viso si accendeva quando parlava di loro due, avevo capito che sotto sotto Liam aveva provato e – o provava ancora – dei sentimenti per Claire.

«L'importante è sopravvivere.» aggiunse, strizzando un occhio per sdrammatizzare un po'. Anche se, a dirla tutta, non c'era niente da sdrammatizzare lì.

Solo un ragazzo forse ancora innamorato da incoraggiare.


«Ecco, adesso sembri molto più sincera.» continuò a ridacchiare Liam, contagiandomi.

Ricominciammo a camminare per il lungo corridoio del primo piano. Infondo c'era una finestra oltre alla quale si poteva scorgere il sole e qualche nuvola minacciosa che sembrava annunciare un temporale.

Strano, la stagione delle piogge era passata da oltre un mese.

«Liam, posso farti una domanda?» chiesi d'un tratto, ispirata da non so cosa.

«Certo.»

Incrociai il suo sguardo limpido, cristallino, e aggrottai la fronte.

«Perché quando mi sono svegliata su quel letto e ti ho chiesto se eri un ribelle, tu non hai esitato a rispondermi? Insomma, potevo anche non essere come te. Potevo essere una prigioniera.»

Un'espressione sorpresa e curiosa si stipò sul viso di Liam, che socchiuse la bocca in cerca delle parole giuste da dire. Sembrava che la mia domanda lo avesse messo in difficoltà.

«Mi sono fidato di te. Ispiri molto fiducia negli altri, Wanda.» ammise, sorridendo, dolce, e per un momento, la sua mano, che fino ad un attimo prima era stata nascosta nella tasca dei jeans, esitò sulla mia spalla. Qualcosa tuttavia mi disse che non era la spalla che Liam avrebbe voluto accarezzarmi, che forse, se non fosse stato per il tin dell'ascensore davanti a cui stavamo passeggiando, Liam sarebbe riuscito a sfiorarmi una guancia. Guancia che in quel preciso istante stava divampando, e che si infiammò del tutto quando dall'ascensore comparì Ian.

«Ragazzi! Ma quanto è bello avervi trovato...»

Tagliente, velenoso come un serpente a sonagli, con occhi guizzanti di furia ardente e un sorriso talmente finto che sembrava che qualcuno gli avesse tirato su le labbra con due tenaglie, Ian unì sonoramente le mani e lanciò un'occhiata di fuoco prima a Liam, poi a me.

«Ciao, Ian.» lo salutò cordialmente il Guaritore, incrociando le braccia al petto con un sospiro.

Ah, dimenticavo: da quei tre giorni in cui conoscevo Liam e due da quando avevo iniziato a passare parte del mio tempo con lui, Ian era, come dire, diventato più isterico di una donna incinta. Come lo sapevo? Melanie. Era lei che mi raccontava ciò che Jared le raccontava, ovvero che Ian, mentre io potevo essere ovunque in quel grosso edificio – con o senza Liam – se ne andava da lui, Aaron e Brandt a scaricare tutto quello che si teneva dentro in mia presenza. O almeno, così tentava di fare.

A me dispiaceva, perché da un lato si faceva male da solo, senza pensare al fatto che io potevo avere un certo interesse per Liam solo perché era un'anima come me. Un interesse come amico, come ''collega'' di avventure, ma niente di più.

«Amore.» lo salutai.

«Mi stavo chiedendo dov'eri, sai? Ti ho cercata ovunque.»

«Di cosa avevi bisogno?»

Di cosa avevi bisogno. Secondo te di cosa avevo bisogno? Urlavano i suoi occhi, che erano fissi nei miei mentre con una mano mi cingeva la vita per avvicinarmi a sé ed allontanarmi da Liam, sempre con quel sorriso finto ad increspargli le labbra.

«Di te, amore.»

Sospirai, abbassando lo sguardo per terra.



Non avevo mai notato quanto fossero carine le Converse – penso si chiamassero così - che indossavo. Strano che un paio di scarpe potesse avere un nome, non ci avevo mai fatto caso. Quelle che avevo ai piedi erano grigio fumo e avevano i lacci neri. Mi stavano un po' grandi, ma non erano così scomode; me le aveva prestate Claire – effettivamente Claire aveva dato a tutti un po' di vestiti nuovi per scambiarli con quelli sporchi e sgualciti che avevamo indossato quando ci aveva trovati.

Ciò che era davvero sorprendente però era il fatto che io mi stessi interessando alle mie scarpe solo perché non avevo il coraggio di alzare lo sguardo verso Ian, che camminava in silenzio davanti a me. Aveva le spalle contratte per la tensione, i pugni serrati. Ogni tanto si voltava in maniera impercettibile per verificare che fossi ancora dietro di lui, e nel farlo mi faceva intravedere la sua mascella serrata.

Quando si fermò davanti alla porta della stanza che occupavamo io e Melanie, si girò del tutto nella mia direzione, senza però degnarmi di uno sguardo.

Non avendo bisogno di spiegazioni, presi le chiavi della camera dalla tasca dei jeans e quando aprii la porta gli feci cenno di entrare. Ian non disse nulla quando varcò la soglia e aspettò che io mi richiudessi la porta alle spalle.

Una rabbia mista a paura e imbarazzo si impossessò di me nel momento in cui entrambi decidemmo di incrociare i nostri sguardi. Il mio indignato e il suo penetrante.

Incrociai le braccia al petto, sentendomi scoppiare di ira.

«Ian, non capisco qual è il tuo problema. Li...»

«Il problema non è mio. Il problema è Il Problema. C'è, esiste ed è molto palese.»

Avanzò di due passi verso di me mentre parlava, piano, senza alzare la voce, con quella vena ironica che adesso era intrisa anche di un po' di veleno, le mani ancora strette a pugno lungo i fianchi.

«È questo il punto. Tu non dovresti essere così arrabbiato se...»

«Provo una profonda avversione nei confronti di quel Bello Capello con cui passi la maggior parte del tempo, Wanda. Sono solo due giorni che ti conosce e ti sta già appiccicato come una sanguisuga, e a te non sembra dispiacere. Anzi.»

Ian m'interruppe di nuovo, facendomi prudere le mani che tenevo bloccate al petto per evitare di dargli un ceffone e dirgli di farmi parlare. Alzò le braccia per aria quando iniziò a parlare di Liam a tono più elevato, apostrofandolo con quello stupido soprannome riferito ai suoi capelli impeccabili.

Inutile dire che stavo per perdere la pazienza e che il ceffone glielo avrei dato davvero se questa volta non mi avesse permesso di concludere una frase.

«Ci stiamo solo conoscendo, Ian. Non sto trascorrendo parte del mio tempo con lui per fare un dispetto a te. Liam non è altro che un amico, un amico con cui ho scoperto di condividere molte cose e... Non interrompermi! Fammi finire.» lo bloccai quando vidi la sua bocca aprirsi per ricominciare a parlare. «E mi dispiace che tu abbia frainteso. Che tu fraintenda sempre

«Posso parlare adesso?» borbottò, con tono derisorio e l'ombra di un sorriso sulle labbra.

«Sì.»

«Bene.» trasse un respiro profondo, facendo un altro passo verso di me. Istintivamente io indietreggiai di uno. «A me dispiace che a te possa piacere una persona del genere, che si pavoneggia ogniqualvolta si ritrova delle donne davanti e che flirta con te quando io non ci sono. Sai quanto è odiosa la sensazione che ho provato prima?»

Per un momento la rabbia venne sostituita dal disagio, il mio sguardo si fece un po' meno torvo, poi però tornai sulla difensiva, pensando che dopotutto Ian non poteva sempre comportarsi così.

«Non ti fidi di me.» il mio fu solo un sussurro, sussurro proferito con una punta di delusione sulla lingua.

Ian aprì un po' di più gli occhi, stavolta fu lui a mutare la sua espressione arrabbiata in una che faceva trasparire il senso di colpa.

«Non è questo che sto dicendo.» disse quando i suoi lineamenti tornarono duri.

«Invece è proprio questo che stai dicendo. Tu non ti fidi di me. Prima l'hai fatto con Jared, adesso con Liam. E anche se con Jared avevi il diritto di essere geloso, con Liam non avresti dovuto reagire così. È quasi un estraneo per me!»

«Prima mi pare che tu l'abbia definito amico

Ian annullò in una frazione di secondo la distanza tra noi, arrivandomi quasi ad un soffio dalle labbra.

«Ti rendi conto che stiamo litigando perché tu ti comporti come un bambino?» sbottai, sciogliendo le braccia che erano rimaste conserte sul petto per puntare un dito contro il suo petto.

«Non stiamo litigando, stiamo discutendo

«No, questo è litigare. Altrimenti perché stiamo urlando correndo il rischio di farci sentire da tutti quanti?!»

Ian dilatò le narici, serrando la mascella, poi sospirò e come se non avessi detto niente, andò avanti, tornando al punto di prima.

«Tu sai quanto mi dà fastidio vedere qualcun altro metterti le mani addosso, Wanda.» soffiò a millimetri di distanza dal mio viso. Mi respirava quasi in bocca, Ian. E avrei tanto voluto mandarlo a quel paese per baciarlo, se solo non fosse stato tanto caparbio ed eccessivo.

«Le mani addosso? Liam non mi ha mai messo le mani addosso, Ian! Adesso stai veramente esagerando...»

Sentendomi oppressa tra la porta e il suo corpo, aprii le mani sul suo petto e lo spinsi piano per spostarmi dietro di lui, al centro della stanza, nel piccolo corridoio che creavano i due letti accanto.

«Sei troppo ossessionato, troppo possessivo... oltre che iperprotettivo.»

«E allora perché ci siamo messi insieme se pensi che io abbia tutti questi difetti, eh?» sibilò, tornandomi vicino come poco prima.

Non sapevo per quanto tempo ancora avrei potuto sostenere quella conversazione. Mi faceva male litigare con Ian – odiavo litigare con lui – ma non potevo evitare di sentirmi indignata e arrabbiata. E poi, adesso sembrava voler mettere in discussione la nostra stessa relazione. Incredibile.

«Perché io ti amo, dannazione! E non m'importa dei tuoi difetti, né dei tuoi pregi. Non m'importa di avere un ragazzo perfetto. Io ti amo e ti amo ancora di più da quando sei rimasto ferito quasi mortalmente tre giorni fa.»

Stavo urlando molto più di prima ora e neanche me ne rendevo conto. Avevo la vista annebbiata dalle lacrime che non riuscivo più a trattenere, il respiro accelerato, il cuore che mi batteva forte, la mente in subbuglio.

Non riuscivo più a trovare altri modi per far capire ad Ian che le sue fantasie non erano altro che vere fantasie, e non tristi realtà.

«Wanda, io...»

Quando mi asciugai le lacrime dagli occhi e riuscii a vedere più chiaramente Ian, scorsi nelle sue iridi cristalline un profondo senso di colpa.

«Lascia stare, Ian.»

Mi ritrassi dal suo tentativo di prendermi una mano, mi feci scuotere da un singhiozzo che non riuscii a trattenere e velocemente raggiunsi la porta. Quando Ian capì il mio intento di andare via mi corse dietro. Stette sul punto di afferrarmi per un polso, ma io fui più rapida di lui: scappai via, con lacrime sempre più amare e salate a rigarmi le guance.

Non mi fermai nemmeno quando sentii gridarmi dietro il mio nome: avevo bisogno di restare da sola.



§


«Penso proprio che mio padre sarà felice di conoscervi... Wanda?»

La mano delicata di Claire che si posò sulla mia spalla mi fece ridestare dai miei pensieri. Smisi di fissare un punto indefinito davanti a me, girandomi a guardare Claire e Melanie, sedutemi di fronte con una tazza di caffè fumante in mano.

Non avevo mai bevuto caffè prima di allora e dato che non mi piaceva il retrogusto amaro che lasciava in bocca, pensavo di non essermi persa niente di così esorbitante. Inoltre mi chiedevo come facessero i nostri ospiti ad avere una bevanda del genere tra le loro scorte.

Wow, sono riuscita a non pensare per trenta secondi a Ian., mi ritrovai a riflettere.

«Viandanteee? Stai bene?»

Stavolta era Melanie che cercava di attirare la mia attenzione, sventolandomi una mano davanti al viso.

«Sì, sì, tutto bene... Ero soprappensiero. Che dicevi, Claire?» tentai di essere convincente, cosa a cui sembrò credere più quest'ultima che Melanie, e sfoderai un sorriso forzato.

«No, dico... sicuramente mio padre sarà felice di conoscervi! Non ci è mai capitato di trovare altri umani, né tanto meno un'altra anima come Liam nostra alleata.»

Claire sorrise. Sul viso le comparvero due fossette, qualche boccolo le si mosse in avanti, facendola sembrare un vero e proprio angioletto con quei capelli biondi e quegli occhi verdi così dolci e solari.

Era bella Claire: potevo capire perché a Liam piacesse tanto. O la amasse tanto – ancora non avevo ben capito la storia che c'era sotto.

«Dov'è tuo padre?» domandò Melanie.

«Ah... Lui è sempre fuori. È convinto del fatto che la nostra comunità non sia la sola ad esistere, perciò viaggia in continuazione alla ricerca di altri umani... Non è quasi mai a casa, ma ora che ci siete voi si è deciso a tornare.»

Mentre la bionda parlava bevvi un altro sorso di caffè, senza evitare di uscirmene con un'altra smorfia che mi fece arricciare il naso. No, il caffè proprio non mi piaceva. Dava anche la nausea.

Mel scoppiò a ridere. «Non ti va giù, eh?»

«Per niente.» tossii, sentendo la risata di Claire propagarsi per tutta la palestra-mensa. «Tra l'altro non riesco a capire come voi possiate avere questo tipo di cibo. Il caffè, l'insalata, persino il cioccolato al latte...» aggiunsi, rivolgendomi alla bionda.

Questa fece spallucce e alzando gli occhi al cielo disse: «Siamo vicino alla città, Wanda. I viaggi sono più brevi e... portano più frutti, ecco.»

«In effetti è vero.» s'impressionò senza alcun motivo Mel, tirando le labbra in giù davanti all'efficienza di cui sembravano godere Claire e i suoi amici.

«Scusate, devo andare a fare una cosa. Torno subito.»

Di punto in bianco, Claire si alzò dalla sedia con un visibile cipiglio stampato in faccia e sparì dietro la porta della palestra-mensa, lasciandomi sola insieme a Melanie.

«Okay, ora mi dici perché sembri così... triste e depressa.»

Come temevo, Mel non aveva voluto sprecare l'occasione per iniziare col suo terzo grado: evidentemente non ero riuscita a convincerla del fatto che stessi bene, e questo non mi sorprese.

Melanie Stryder mi conosceva quasi meglio di me stessa.

«Non... sono triste e depressa. Solo... non è una bella giornata, ecco tutto.»

Non sapevo perché le tenevo nascosto il litigio con Ian. Forse non volevo dirle niente perché pensavo che quello che era successo non era così importante come poteva sembrare e che si sarebbe risolto presto. Eppure... cavolo, io e Ian non abbiamo mai litigato veramente dopo esserci messi insieme.

Forse la cosa non era tanto poco importante come credevo.

Forse dovevo confidarmi con Melanie. O forse no?

«... ehi, Mel, per caso...»

Una voce mi riscosse all'improvviso dal filo ingarbugliato dei miei pensieri. Ma non una voce qualsiasi, la voce. La voce di Ian, che era andata scemando quando, voltandomi di poco per vedere chi era entrato dietro di me, avevo incrociato casualmente il suo sguardo.

Mi sentii male quando mi voltai subito verso Melanie, dando a Ian le spalle per non farmi guardare in faccia. Il punzecchiare pericoloso agli occhi tornò a farsi sentire, il cuore tornò a battermi forte nel petto.

«Ian...» Melanie lo salutò in maniera un po' titubante, alternando sguardi perplessi verso di me e verso di lui. «Che ti serve?»

Immaginavo cosa si stesse chiedendo Mel. Adesso mi costringerà a spiegarle tutto, ne sono sicura.

«Scusa, Mel... Mi sono ricordata che devo fare una cosa.»

Feci strusciare per terra la sedia, mi alzai e a testa bassa andai incontro a Ian, rimasto immobile davanti all'ingresso della palestra-mensa, per raggiungere la porta e uscire sotto gli occhi strabuzzati della mia migliore amica e quelli suoi, risentiti.

Camminai velocemente verso l'ascensore, premetti più volte il bottone bianco, nella speranza che anche potesse capire quanto non volessi essere vista con le lacrime agli occhi da qualcuno.

Nella snervante attesa mi portai una mano sulle fronte e abbassai per un attimo le palpebre, cercando di regolarizzare il respiro e di attenuare i singhiozzi che mi scuotevano.

Si diede il caso però che l'ascensore non volle realizzare i miei desideri.

«Wanda?»

Liam, comparso dal nulla alla mia destra, mi guardò con un'espressione preoccupata e confusa al tempo stesso. Io alzai gli occhi su di lui, provando la bellissima sensazione di sentirmi piccola e fragile davanti a qualcuno che non fosse Melanie o Ian.

«Che succede? Stai bene?»

«Sì... Non ti preoccupare, Liam. Non è niente.»

«Non sembra che sia ''niente''... Ehi, aspetta.» mi afferrò per un polso quando mi vide mettere un piede nell'ascensore, apertosi un secondo dopo il suo arrivo. Sentii un suo dito premermi sotto il mento per costringermi a guardarlo negli occhi, tuttavia io mi allontanai di un passo, riabbassando lo sguardo per terra mentre mi abbracciavo i gomiti.

«Che cosa è andato storto?»

Liam stavolta usò un tono più dolce e meno apprensivo, inclinando la testa da un lato per guardarmi meglio in viso.

Ovviamente a lui non potevo raccontare ciò che era successo, ma l'urgenza con cui mi stava fissando in attesa di una mia risposta mi fece capire che ero stata davvero una stupida.

Insomma, avevo litigato per la prima volta col mio ragazzo per una causa che, guarda il caso, portava il nome del Guaritore che avevo difronte, mi ero sentita uno schifo per tutto il giorno e avevo pianto in maniera sproporzionata per ben due volte senza riuscire neanche a non farmi beccare da qualcuno.

Sì, ero stata proprio una stupida. Non per questo però, avevo il diritto di raccontare i miei fatti a Liam, che, come avevo detto quello stesso giorno a Ian, per me era un estraneo - o meglio ''estraneo-amico''.

«Se non me ne vuoi parlare, posso almeno portarti lontano da occhi indiscreti?»

Liam si guardò intorno per un momento, io feci lo stesso, intimorita dal fatto che qualcun altro avesse potuto vedermi, prima di annuire in fretta e riabbassare lo sguardo sulle punte delle mie scarpe. Liam sorrise, intenerito, stringendomi inaspettatamente a sé per condurmi lontano da lì.





Spazio autore:


Tadaaa, sono viva! Anche se più che viva sono sopravvissuta con qualche ferita di guerra ahah. Adesso che finalmente non ho la scuola in mezzo alle scatole sono un po' più libera... rilassata... un po' più per voi, ecco (anche se, una volta immersa nell'ozio più totale, mi passa anche solo la voglia di accendere il computer per scrivere xD)

Coomunque, a parte la mia libertà ritrovata e tutto il resto, vi ho fatto leggere un capitolo che non è proprio tutto rose e fiori, eh?

E stavolta non s'intende che ci siano stati spargimenti di sangue, attacchi inaspettati o altro, ma che ci siano state delle turbolenze a livello emotivo tra i nostri personaggi principali.

Vi consiglio di tenerlo bene a mente questo capitolo. Può esservi sembrato più discorsivo degli altri, più ''di passaggio'' (e in effetti lo è stato, perché altrimenti non sapevo come sviluppare il corso degli prossimi eventi), ma sotto tutto ciò che è avvenuto si nascondono cose di non poca importanza...Vi ho incuriosite?? :P

A parte i vari enigmi, come vi è parso questo capitolo? Come pensate che si risolverà la faccenda tra Ian e Wanda? E questo Liam e questa Claire, come vi sono sembrati?

Bom, vi ho rotto le scatole abbastanza da farvi desiderare di andarmene via al più presto ahah

Mi esclisso, non senza aver ringraziato tutti coloro che leggono Up, quelli che hanno recentemente messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e quelli che la commentano. Insomma, dico GRAZIE a tutti, come sempre. Up è quarta tra le venti storie più popolari e, sebbene quello di The Host non sia un fandom in cui ci sono così tante storie, sapere di essere così ''preferita'' in questo piccolo mondo è una soddisfazione da non trascurare (d'altronde, se non fosse per voi, questa storia non sarebbe mai arrivata fin qui).

Okay, adesso me ne vado!!

Adiosss


Sha <3

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Capitolo 14
*** Storie ***


14



Storie




L'amore aiuta a vivere, a durare

l'amore annulla e dà principio.


Mario Luzi



«È bello qui.»

Mi guardai intorno, osservando con fare curioso l'enorme terrazzo che costituiva il quarto piano. Non c'era niente oltre ai pannelli solari o al mucchietto di sedie poste una sopra l'altra da cui Liam aveva preso le due su cui adesso sedevamo.

Tutto era silenzioso mentre il sole tramontava oltre le montagne all'orizzonte, lasciando che una piacevole frescura prendesse il posto di un caldo asfissiante.

Tutto era calmo a confronto della tempesta di emozioni contrastanti che avevo dentro.

«Già...»

Liam volse lo sguardo verso l'orizzonte, osservando i colori caldi che dipingevano il cielo durante il crepuscolo. Qualche nuvola grigia occupava la volta celeste.

Mi portai una mano sul viso per asciugare gli ultimi residui delle lacrime che avevo versato prima di venire lì, evitando di farmi vedere da lui. Ero già imbarazzata per essermi fatta vedere in quello stato, non volevo che la mia figuraccia continuasse ancora.

«Quando voglio rimanere solo vengo sempre qui. È un posto che sa congiungerti con te stesso.»

«Posso capirlo.» dissi, continuando a guardarmi intorno.

«Ultimamente però non ci vengo spesso...» Liam si voltò nella mia direzione, un velo di malinconia gli oscurò il viso.

«Come mai?»

«Col passare del tempo ti abitui... alle cose. Ti abitui al fatto che ''stare da solo'' non significhi più salire quassù per trovare un po' di pace. Quando lo sei sempre non fa più la differenza il luogo in cui ti trovi...»

Provai un moto di compassione per Liam, e anche di gratitudine. Gratitudine perché sembrava che adesso volesse farmi capire che non c'era niente di male nel mostrarsi deboli davanti a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno poteva capirti davvero. Sembrava che Liam volesse pareggiare i conti, che per non farmi sentire ancora più in imbarazzo di quanto già non fossi, stesse mostrando la sua, di parte debole.

«... ma questo succede solo quando perdi la ragazza.» aggiunse, increspando le labbra in un sorriso triste e rassegnato. A quel punto capii che dietro a quella malinconia, a quella sua debolezza, si nascondeva il mistero del suo passato.

«Una ragazza speciale?»

«Speciale quanto lo sei tu per Ian, Wanda.» mormorò con quel suo tono dolce, tornando a guardare il panorama davanti a sé. All'improvviso arrossii, e ripensai al perché ora mi trovavo lì con lui, con gli occhi arrossati per le lacrime e un enorme peso sul petto.

Ripensai, ma bloccai subito tutto per evitare di rimettermi a piangere.

«E l'ho mai incontrata, nell'arco del poco tempo che ho avuto per conoscere te?» domandai poco dopo, ritrovandomi a sorridere anch'io.

Liam incrociò il mio sguardo, il suo sorriso si tramutò in una leggera risata che mi fece sentire un po' a disagio. Aveva capito che avevo capito.

«Penso proprio di sì.» rispose.

«Cos'è successo, Liam?»

Lui sospirò, incrociando le gambe sotto la sedia e appoggiando i gomiti ai braccioli per congiungere le mani all'altezza del petto.

«È successo che l'ho incontrata, me ne sono innamorato e poi sono rimasto fregato.»

«Breve ma intenso.» cercai di fare del sarcasmo, riuscendo a strappargli un sorriso divertito.

«Claire ed io ci siamo conosciuti in circostanze singolari: me la sono ritrovata in casa a rubarmi vestiti e cibo. Mi ha anche puntato una pistola addosso, ma non ha sparato. Già allora ero affascinato dal comportamento degli esseri umani e quando la incontrai decisi di approfondire le mie curiosità in veri e propri studi.

Perciò tutte le sere, quando finivo di lavorare, me la ritrovavo in casa. A me non dispiaceva se prendeva dell'acqua del frigo o una maglietta dall'armadio. In poco tempo diventammo amici e da amici... be', penso che riusciresti a capire se ti dico che passammo a parlare dal divano al letto.»

«Sì, certo.» risi. Rise anche lui.

«Poi un giorno mi chiese di andare via con lei. E io accettai... Mi ero innamorato.»

Liam fece una pausa, mi guardò per un attimo negli occhi. I suoi erano lucidi.

«Cos'è successo dopo?»

«Claire mi ha fatto conoscere Thomas. Me lo presentò come un suo vecchio amico. Dopo tre mesi però li ho trovati a letto insieme.»

Sgranai gli occhi, riuscendo finalmente a comprendere il motivo per cui Liam sembrasse tanto addolorato quando parlava di Claire.

«Oh... Mi dispiace.»

«È dispiaciuto anche a me, credimi. Comunque, dopo me ne sono andato. Non sopportavo l'idea di vedere quei due insieme.»

«E... insomma... cosa...?»

«Come sono qui adesso? Thomas stesso è venuto a cercarmi dopo altri cinque o sei mesi... non ricordo bene. Mi disse che lui e Claire si erano lasciati, che gli dispiaceva ma che adesso lei aveva bisogno di me. Il gruppo aveva bisogno di me. Così sono tornato.»

Qualcosa mi disse che Liam non mi aveva raccontato proprio tutta la storia, ma non diedi peso a quel particolare: era già tanto se mi aveva confessato il resto.

«Sei ancora innamorato di lei?» gli chiesi, accorgendomi solo dopo di avergli posto una domanda forse un po' troppo indiscreta.

Liam però non sembrò essere infastidito dalla mia curiosità e mi rispose senza pensarci troppo su. «Credo di sì.»

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, sorrisi. Liam era un ragazzo molto più profondo di quanto potessi immaginare - e con un bel po' di scheletri nell'armadio.

«Posso farti un'altra domanda?»

«Sì.»

«Qual è il tuo vero nome? Quello... quello che avevi prima di conoscere i tuoi amici umani?» pronunciai le ultime parole con un tono divertito, rievocando il momento in cui lui si era presentato a me dicendo la stessa cosa.

Il Guaritore rise piano. «Tempesta di Ghiaccio. Mi chiamavo Tempesta di Ghiaccio.»

Annuii lentamente, riflettendo per capire da che Mondo provenisse, ma i miei pensieri vennero bloccati ancor prima di poterlo scoprire.

«Avete litigato a causa mia, vero? Tu e Ian.» disse Liam, prendendomi decisamente contro piede.

Mi voltai a guardarlo con un'espressione un po' sorpresa in faccia, senza sapere come ribattere. Insomma... oh, che palle. Non potevo raccontargli di quello che era successo. Non tutto almeno.

«Puoi dirmelo, Wanda, se vuoi.» Liam mi posò una mano sul ginocchio e sorrise.

A disagio, mi alzai dalla sedia e andai ad appoggiare le braccia sul muretto in cemento poco più in là, facendomi scompigliare i capelli dal vento.

«È che... è strano. Non abbiamo mai discusso prima.»

«Stai cercando di farmi sentire in colpa?» scherzò. Lo sentii avvicinarsi a me, senza però appoggiarsi al muretto. Rimase lì vicino con le mani in tasca e la testa inclinata da un lato.

«No, figurati...»

«Stavo scherzando, tranquilla... E andrà tutto bene, Wanda. So che voi due chiarirete.»

«Forse dovrei andare. Melanie mi starà cercando ovunque.»

D'un tratto mi resi conto che si era fatto quasi buio, qualche stella aveva iniziato a brillare nel cielo e un aria un po' troppo fredda mi stava facendo venire i brividi sulle braccia.

«Forse dovresti andare.» ripetette Liam, con tono consenziente, sorridendo appena, poi mi fece cenno di raggiungere l'ascensore e tornare giù.

«Grazie per la compagnia. Sei la prima a cui ho raccontato la storia della mia breve vita da ribelle.» aggiunse quando mi vide allontanarmi verso la porta antincendio.

Sorrisi anch'io, annuendo, poi gli voltai le spalle e andai via.



Quando tornai dentro decisi di andare direttamente in camera: forse Mel mi stava aspettando proprio lì, anche perché in giro non l'avevo vista.

Osservai con aria distratta i tasti bianchi dell'ascensore, ritrovandomi a pensare che se fossi andata in camera, avrei potuto incontrare Ian. Ce lo vedevo ad aspettarmi appoggiato al muro, con le mani in tasca e gli occhi rivolti verso il soffitto.

Ma no, che dicevo. Ian era ancora troppo arrabbiato con me per volermi parlare. E anch'io lo ero.

Ciononostante, anche se avessi cambiato idea decidendo di non salire, non avrei potuto fare niente, perché l'ascensore mi avrebbe inevitabilmente condotto al secondo piano. Si sarebbe aperto, magari mi avrebbe anche spinto fuori con qualche strana magia e mi avrebbe fatto ritrovare davanti a lui.

Sto delirando, santo cielo.

Le porte scorrevoli si aprirono. Feci un passo in avanti e poi un altro, uscendo. Quando alzai lo sguardo verso il fondo del corridoio, dove c'era la mia stanza, feci un sospiro di sollievo: nessuna traccia di Ian.

Non appena raggiunsi la porta mi misi le mani in tasca per cercare le chiavi.

«Dannazione...» farfugliai mentre frugavo dappertutto senza trovarle.

Dove le avevo messe?

Feci rapidamente mente locale, sforzandomi di ricordare quand'era stata l'ultima volta che le avevo tenute in mano.

«No...»

Con Ian.

Era stato con Ian che le avevo tirate fuori. Però non ricordavo che fine avessero fatto dopo... Forse mi erano cadute in terrazzo con Liam. O peggio, le avevo lasciate appese alla serratura senza curarmi di prenderle quando ero scappata via da Ian.

Confidando nella prima ipotesi, tornai indietro e sperai di avere ragione. Salii per la centesima volta in ascensore fino al quarto piano, arrivando alla famosa porta antincendio oltre la quale si trovava il terrazzo.

«Tu non capisci, Liam. Non possiamo procedere senza prima verificare. Se è come penso io, dovremo cambiare tutto... E poi lo sai che non voglio che a Rachel succeda qualcosa di male.»

Appoggiai la testa allo stipite in modo tale da ascoltare meglio, provai a sbirciare fuori con un occhio. Claire, la proprietaria della voce che avevo appena sentito, era in piedi accanto a un Liam ancora seduto sulla sedia di plastica, proprio come l'avevo lasciato.

«Non lo so, Claire... è che...»

«Ti sei dimenticato di Rachel, per caso?»

«Non sto dicendo questo.»

«E allora?»

Claire si mise a braccia conserte, parlando al ragazzo con un tono duro e leggermente isterico, l'espressione affranta e confusa attraversata da un barlume di paura.

Non capivo di cosa stavano parlando.

«Ti sei affezionato, eh? È per questo che non mi dici di portarla subito da lui.»

«No, Claire, non dire cose che non sono...»

«Se si fosse trattato di qualcun altro ti saresti comportato diversamente.»

Liam non rispose, contrasse le spalle, appoggiando i gomiti alle cosce per poi mettersi le mani tra i capelli.

«Va bene, vai a dirglielo... Ma sia chiaro, non lo faccio per te. Lo faccio per Rachel, okay? Thomas cosa ha detto?»

«Thomas non ci ha pensato due volte, Liam.»

«Bene.» il Guaritore si sforzò per regalare a Claire un debole sorriso. Lei tuttavia non ricambiò: annuì e senza dire una parola si allontanò da lui, dirigendosi verso di me.

Subito andai a chiamare l'ascensore per non farmi vedere e, come sempre, sembrò che quel marchingegno provasse una profonda avversione nei miei confronti. Prima ancora di poter imprecargli contro però, si aprì col solito tin.

Non appena entrai, premetti in fretta e furia sul due e un momento prima che Claire aprisse la porta antincendio, quelle dell'ascensore si chiusero.

Sospirai di sollievo.

Perché sono scappata come una ladra?, pensai, mentre facevo respiri profondi per far andare via un po' dell'agitazione che mi aveva investita poco prima.

Forse perché stavo origliando? Forse perché avevo sentito cose che non avrei dovuto sentire? Ovvio che sì.

Nonostante tutto però non avevo capito il nocciolo della questione tra Claire e Liam, né chi fosse Rachel o chi dovevano portare ''da lui''. E comunque non avrei potuto comprendere a priori: c'erano troppe informazioni che a me sfuggivano per riuscire a mettere insieme i pezzi del puzzle.



§



Passarono altri due giorni. Due giorni intensi e sfiancanti, soprattutto a livello emotivo.

Con Ian non parlavo dal nostro ultimo litigio, il che rendeva le giornate un po' più cupe, ma soprattutto insolite: non ero abituata a non rivolgergli la parola per così tanto tempo e il solo fatto di non poterlo neanche sfiorare a volte mi faceva quasi impazzire.

Melanie sosteneva che fossimo entrambi troppo cocciuti per rimettere le cose apposto, troppo orgogliosi. Quando io me n'ero andata dalla palestra-mensa inoltre, lei era rimasta da sola con Ian e mi aveva raccontato di averci parlato per un po'; insomma, Melanie sapeva tutto. Sapeva anche di quello che avevo sentito – o meglio, origliato – di nascosto da Liam e Claire. Nonostante le avessi detto la mia al riguardo, lei era rimasta convinta del fatto che non c'era niente di cui preoccuparsi e che stavo diventando paranoica.

Forse era vero.

«Odio questo gioco.»

La voce di Aaron mi riportò alla realtà e un sorriso da ebete mi si stampò automaticamente sulle labbra.

«Non puoi odiarlo. Sei il giocatore di scacchi migliore di tutto il continente.» lo apostrofò Melanie, ingrossando la voce per cercare di imitare quella di Aaron. Ridacchiai insieme a lei, esultando per la pedina che gli avevo appena mangiato.

Lui, seduto di fronte a me con la fronte corrugata per la concentrazione e le dita che tamburellavano freneticamente sul tavolo, mi inchiodò con lo sguardo e bevve un altro sorso di birra.

Birra, gente. Un'altra bevanda che non avevo mai assaggiato prima, ma che almeno era più buona del caffè.

«E poi non è colpa tua se ti stai facendo vincere da Wanda. Può capitare.» Mel continuò a prenderlo in giro, alzando con noncuranza le spalle. Dal tono di voce sembrava fosse sul punto di scoppiare a ridere.

Aaron trucidò con lo sguardo anche lei, poi fece la sua mossa, spostando la sua pedina verso una delle mie. La mangiò.

«Non ti illudere, Wanda. È la fortuna del principiante.» mormorò, strizzandomi un occhio prima di assaporarsi il momento in cui ero io quella che doveva bersi la birra.

Data la sua sfortuna, la partita si era volta quasi fin dall'inizio dalla mia parte, motivo per cui la mia bottiglia era più piena della sua.

Non ci avevo impiegato tanto a capire il gioco, Aaron era stato un buon insegnante, eppure non sapevo se credere al fatto di avere fortuna o di essere semplicemente migliore di lui, l'allieva che superava il maestro.

Fatto sta che Aaron era leggermente ubriaco.

«Grazie per l'incoraggiamento, caro.» dissi dopo aver bevuto, mentre posavo la bottiglia, prendevo il mio re sulla scacchiera e lo facevo avanzare per distruggere una volta per tutte il mio avversario.

«Scacco matto.» cinguettai e diedi un cinque a Melanie. Sorseggiai un altro po' di birra per festeggiare; Aaron invece sbatté le mani sul tavolo, esasperato, alzò gli occhi al cielo e si scolò quel che rimaneva della sua bottiglia con fare sconfitto, sotto lo sguardo divertito e anche un po' esuberante di Melanie e di me.

«Brava, Wanda.»

«Grazie.» risposi con fare civettuolo intanto che Melanie asseriva soddisfatta.

«Ora, Mel, penso che dovresti portarla a letto. Non vorrei che si facesse male.» borbottò lui, dicendo la seconda parte della frase con un tono più basso per non farsi sentire da me.

«Io non sono ubriaca!» dissi, sollevandomi contro quelle ultime parole che non mi erano sfuggite. «È Melanie quella davvero sbronza.»

«Ehi!» la citata in causa mi diede una gomitata.

«Che c'è? È la verità.»

«Guarda che ci vuole più di una bottiglia di birra per stendermi.»

Melanie arricciò il naso e abbassò le sopracciglia, palesando tutto il suo disappunto. «E comunque, che ore sono?»

Aaron guardò l'orologio sul polso, riscontrando non poche difficoltà nell'individuare il numero sul quale la lancetta era posizionata. Meno male che quella ubriaca ero io.

«Le undici e mezza, Mel. Cosa state combinando qui?»

Jared apparse da dietro di me. Poggiò due mani sulle spalle di Melanie e inclinò la testa per incrociare prima il suo sguardo, poi quello mio.

«Giocavamo.» spiegò lei, facendo spallucce.

«Ho vinto a scacchi Aaron.» dissi, regalandogli un sorriso a trentadue denti. «Ci credi?»

«Oh, sì. Ho sempre pensato che Aaron non fosse mai stato bravo come diceva. Da quando lo conosco non ha mai voluto fare una partita con me.» Jared sghignazzava mentre prendeva in giro il suo amico, facendogli spalancare occhi e bocca per lo sgomento.

«Non è assolutamente vero! Noi non l'abbiamo mai avuta una scacchiera, come facevamo a giocare?»

«Io credo di più a lui.» Melanie indicò il suo ragazzo.

«Anch'io.» dissi, e Aaron si imbufalì, provocando le nostre risa.

«Io me ne vado! Me. Ne. Vado!»

«Vai a letto, vecchietto. Ci vediamo domani.»

Lo salutammo affettuosamente e nonostante i suoi rifiuti per contraccambiare, uscì dalla palestra-mensa con un sorriso divertito a fargli compagnia.

«Andiamo anche noi, Wanda?» Mel sbadigliò, appoggiando la testa sulla pancia di Jared, ancora dietro di lei con le mani sulle sue spalle. Lui si chinò per baciarle la fronte.

Alla vista di quei gesti d'affetto, una morsa mi stritolò lo stomaco. Mi guardai attorno, colta da un improvviso disagio.

Ian non c'era quella sera, e nemmeno Claire. Liam aveva detto che era impegnata e che non sarebbe riuscita a venire per cena. Aveva parlato di qualcosa che riguardava suo padre, che tra parentesi il giorno prima non si era fatto vivo.

Forse era per quello che Claire non era venuta. Magari aveva avuto qualche problema.

«Wanda, allora?»

Melanie mi scosse piano, sbadigliando. Alzai gli occhi su di lei e cercai di non dare a vedere la tristezza che d'un tratto aveva abbattuto il mio buonumore.

«Andiamo...» le dissi, un po' controvoglia. Sapevo cosa mi attendeva quando ci saremmo rinchiuse nella nostra stanza: pensieri su pensieri avrebbero iniziato a vorticarmi in testa, rendendo la notte lunga e insonne. Ma dato che erano due giorni che non dormivo, almeno per quella sera contavo di potermi riposare un po'.

«Buonanotte.» Jared ci salutò.

«'Notte.»

Percorsi la strada che mi separava dalla camera con Melanie che ogni tanto canticchiava distrattamente e io che iniziavo a sbadigliare. Arrivata davanti alla porta della stanza, la vidi tastarsi le tasche alla ricerca delle chiavi.

«No.» trasalii, appoggiandomi al muro. «Non dirmi che...»

«Sì... uffa.»

«Credi di averle perse?»

Se le avesse perse anche lei, saremmo state davvero nella cacca.

«Mmh, no... Penso che le abbia Jared. Vado a chiedergliele, torno tra un attimo.» disse mentre tornava indietro.

Quando rimasi sola sbuffai, passandomi una mano fra i capelli. Il corridoio del secondo piano era tutto in penombra, l'unica luce che c'era proveniva da quella di emergenza infondo al reparto.

Appoggiai distrattamente il braccio alla maniglia della porta, chiedendomi quanto tempo Mel ci avrebbe impiegato ad andare e tornare, tuttavia quando sentii la serratura scattare sotto il mio peso, mi allontanai e la osservai, stranita.

Come faceva ad essere aperta?

Aggrottai le sopracciglia, spingendo piano la porta per farla aprire quel tanto che bastava per permettermi di sbirciare dentro. Era tutto al buio.

Entrai, sospettosa, e mi munii di coraggio per accendere la luce e scoprire se c'era qualcuno dentro. Lentamente allungai un dito sull'interruttore, ma prima che potessi toccarlo riconobbi una figura farsi avanti nell'oscurità e afferrarmi la mano per tirarmi dentro.

«Sono io, sono io...»

Ian. Mi fermò prima che potessi urlare, accendendo l'abatjour per terra in modo tale da farsi vedere – anche se dopo averlo sentito non ce n'era proprio bisogno. Mi teneva stretta a sé, premendomi una mano sulla schiena e l'altra sulla bocca per bloccare l'urlo che stavo per cacciare quando mi aveva afferrata.

«Cosa ci fai qui?» chiesi quando mi allontanai di qualche passo, infastidita.

Ian vacillò nel vedermi prendere le distanze, e si grattò la testa, assumendo un'espressione imbarazzata. «Volevo parlare.»

«E di cosa?»

D'un tratto mi sentii di nuovo arrabbiata.

Arrabbiata per come mi aveva trattata, per come avevo trascorso male quei due giorni lontana da lui; arrabbiata perché mi mancava baciarlo, accarezzarlo, prenderlo in giro.

Mi misi a braccia conserte, osservando Ian nella luce fioca della stanza guardarsi intorno per trovare le parole giuste da dire, inconscio del fatto che io fossi sul punto di scoppiare nuovamente a piangere perché, dannazione, avevo bisogno davvero di lui.

«Senti, Wanda... Mi dispiace, okay? Io... io sono stato un...»

Non passarono neanche trenta secondi quando decisi di mandare a quel paese le sue scuse, i suoi sensi di colpa, le sue ossessioni, i suoi difetti, i suoi ripensamenti.

Mandai a quel paese tutto e interruppi dall'inizio quello che per lui doveva essere un discorso preparato a puntino per rimettere apposto le cose. Ma a me non importò, e sull'onda di quei pensieri gli gettai le braccia al collo e lo baciai, spingendolo contro l'armadio alle sua spalle.

«Sta zitto.» sibilai contro le sue labbra.



Spazio autore:



Bonjour! Eccomi qui, in anticipo come non mai.

Allooora, oggi faccio le cose al contrario, perché voglio partire dal fondo invece che dall'inizio. Se vi state chiedendo se Ian e Wanda sono finiti col far degenerare la situazione in quella cosa, io vi dico che sì, arrivano a quel punto. E dato che stavolta volevo descrivere la scena, ho deciso di pubblicare una missing moment con rating rosso perché, be', la situazione lo esigeva, ecco. Però sia chiaro: non è che così fanno pace, eh. Sapete com'è, ogni tanto può capitare che gli estrogeni, i testosteroni e tutti gli ormoni che possiamo avere ci spingono a non seguire la ragione ma l'istinto. E a Wanda è capitato proprio questo, eheh.

Altre domande o dubbi riguardo alla sua avventata e insolita scelta penso che vi saranno chiariti col prossimo capitolo.

Ma non è stato solo questo l'evento clu del capitolo. Avete scoperto che cosa si nasconde nel passato di Claire e Liam, qual è la loro storia, perché adesso si comportano così. Risolto un mistero però, ne salta fuori un altro: Wanda sente cose a cui tuttavia non riesce a dare un senso e così anche Melanie non ce la fa, perciò liquidano la questione e chi si è visto si è visto.

Voi cosa dite? Che impressioni vi danno questa Claire e questo Liam che a quanto ho capito non vi vanno poi così tanto a genio? :P

Ditemi, ditemi!

Intanto vi lascio il link della shot: Fault of the Instinct

Aspetto le recensioni anche lì ;);)

Sha

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Capitolo 15
*** Dolori ***


15



Dolori



Sbattei piano le palpebre, confusa, e mi chiesi come fossi arrivata fin lì. La stanza in cui mi trovavo era bianca, bianchissima: l'unica cosa che si distingueva dalla spaventosa monotonia di quel colore era la coperta di plaid beige chiaro del letto, il resto era tutto uguale, tutto bianco, anche le sbarre che vidi quando girai la testa da un lato.

Tentai di alzarmi, sempre più confusa e spaventata, ma contro ogni aspettativa non ci riuscii. Sia perché fui immediatamente colta da un capogiro, sia perché scoprii di avere mani e piedi legati al letto. Ogni tentativo di liberarmi fu ovviamente vano, a partire dal fatto che non avevo la forza di poter rompere i lacci che mi impedivano qualsiasi movimento.

Mi sentivo debole, stordita. Ma la cosa più frustrante era che non riuscivo a capire come fossi arrivata lì dentro, semplicemente non ricordavo.

Forse non potevo perché di ricordi di come fossi giunta in quella cella non ne avevo mai avuti.

La paura, aiutata da un improvviso senso di panico, iniziò a scorrermi nelle vene. Dovevo chiamare qualcuno, urlare aiuto, liberarmi da quei lacci e scappare. Sapevo di doverlo fare, ma dalla mia bocca non poteva uscire nient'altro se non che un sospiro. Ero troppo frastornata, troppo confusa, troppo spaventata per trovare la forza per farlo e la lucentezza per calmarmi.



Alcune ore prima



Un raggio di sole strisciò in silenzio fino al mio viso, punzecchiandomi fastidiosamente gli occhi. Cercai di coprirmi col lenzuolo, ma la cosa si rivelò piuttosto difficile, dato che, quando tentai di tirarlo su fin sopra la testa, non ci riuscii.

A quel punto decisi di aprire gli occhi e mettermi a sedere, ma anche quel movimento risultò decisamente troppo faticoso da mettere in pratica.

La vista del mio corpo nudo arrotolato tre le coperte e di una schiena che non era mia a sinistra bastò tuttavia a farmi dimenticare del sole che continuava a colpirmi la faccia e del lenzuolo che non voleva collaborare. Le guance mi si tinsero automaticamente di rosso e un senso di disagio iniziò a farsi strada dentro di me mentre cercavo di scendere giù dal letto e rivestirmi in fretta.

Ma come mi era saltato in mente di fare una cosa del genere?

Raccattai il reggiseno ai piedi del comodino e lo indossai con le orecchie tese verso le mie spalle, dove c'era un Ian ancora assorto nei suoi sogni. Ancora inconsapevole dell'errore che avevamo fatto la notte prima, quando io avevo perso la testa davanti alla sua involontaria richiesta di baciarlo mentre tentava di scusarsi.

Ma perché non l'avevo lasciato parlare, dannazione?

Sull'onda delle mie elucubrazioni andai a recuperare le mie mutandine. Poi presi il resto dei vestiti e li gettai in bagno, evitando di guardarmi allo specchio per scoprire in quale pessimo stato mi trovassi. Quindi raggiunsi l'armadio e scelsi le prime cose che trovai – sempre senza fare alcun rumore.

«Non dovrei essere io quello che scappa dalla tua camera?»

Mi bloccai con le mani ancora infilate dentro l'armadio, come se da ladra mi fossi intrufolata nella casa di qualcuno e fossi stata scoperta, ascoltando il tono a metà tra il divertito e il pensieroso con cui Ian mi aveva avvisato di essere sveglio.

Lo sentii muoversi mentre io mi voltavo verso di lui e sospiravo. Si era tirato su a sedere nel letto, il torso in bella mostra, il lenzuolo che gli copriva a mala pena la pelle sotto l'ombelico, i capelli in totale disordine, l'espressione seria e la solita ruga pensierosa tra le sopracciglia.

«Non stavo scappando.» mormorai con un filo di voce, evitando di puntargli lo sguardo addosso mentre indossavo la maglia che mi era capitata tra le mani.

«Allora volevi farmi il favore di dovermi far rivestire per venirti a cercare?»

«Ma che dici...»

«Te ne sei pentita?»

Il mio spietato senso di colpa tornò tutto un tratto a logorarmi, facendomi arrabbiare prima con me stessa e poi con Ian, di nuovo. Ma non perché mi aveva trattata male o si era comportato indecentemente, ero arrabbiata anche con lui solo perché aveva permesso che accadesse ciò che era accaduto la notte precedente senza pensare alle conseguenze. Senza pensare al fatto che noi avremmo sbagliato.

«Perché non riesco più a capirti, Wanda?»

Continuò lui dopo che io non volli rispondere alla sua domanda.

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, ma cercai di non darglielo a vedere, così come cercai di nascondere il vile tremolio nella mia voce.

«Non devi vederla così, Ian. Tu... tu non sei Il Problema. Io invece sì, perché ho sbagliato a reagire tre giorni fa e ho sbagliato a reagire ieri sera. Ti ho fatto male, ho fatto male a noi e... e sono stata una stupida egoista. Okay?»

«No, Wanda. Non dire così...» Ian si attorcigliò il lenzuolo sui fianchi e si alzò per raggiungermi. Quando mi fu abbastanza vicino, prese entrambe le mie mani e mi fissò dritto negli occhi. «... Tu non sei una stupida egoista. Non potrai mai esserlo. E poi, insomma, non dovrei essere io quello dispiaciuto? Non mi sono fidato di te, mi sono lasciato sfuggire il controllo di mano, sono stato cattivo, iperprotettivo e...»

«Non pensavo veramente quelle cose, Ian.»

Dissi mentre lasciavo andare le sue mani per dargli le spalle ed evitare così di guardarlo in faccia.

«Io sì invece. E se non fosse stato per te probabilmente non me ne sarei mai accorto.»

Scossi la testa per continuare a dissentire quel che diceva, poi lui mi afferrò per un polso, costringendomi a voltarmi di nuovo nella sua direzione. Ed era dolce, Ian, mentre tentava di chiudere con questa storia e convincermi del fatto che non era successo niente di male; mentre mi accarezzava piano una guancia e piegava un minuscolo angolo della bocca in quello che doveva essere un sorriso per rassicurarmi.

Peccato che io non la vedevo al suo stesso modo.

«È tutto così sbagliato, Ian. Questo è sbagliato.» mormorai, indicando con una mano il letto sfatto su cui avevamo consumato il nostro amore. Lui si accigliò, lasciandomi andare il polso.

«Che cosa vorresti dire con questo?»

Vorrei dire che abbiamo avuto un momento di crisi che è servito a farmi capire quanto egoista io sia stata nei tuoi confronti, vorrei dire che non serve chiedermi scusa, perché dovrei chiedertelo io, vorrei dire che mi sono comportata da insolente e che ti amo più della mia stessa vita. Vorrei dire tutto questo, ma so che se lo facessi tu faresti di tutto per farmi dimenticare di questa distanza che si è creata tra noi tre giorni fa, e io non voglio. Non voglio perché sarebbe ingiusto, sarebbe un altro gesto da egoista nei tuoi confronti e io non voglio più esserlo con te, Ian.

«Vorrei dire che dovremmo fermarci un attimo.» dissi tutto d'un fiato, dando a vedere una sicurezza che in realtà non possedevo.

«... Fermarci.» ripeté incerto lui, socchiudendo gli occhi.

«Per riflettere.»

«Ed è una cosa... temporanea, Wanda?»

I suoi occhi e la sua espressione raccontavano un'immensa e sconfinata delusione mischiata ad un'altrettanta immensa e sconfinata incertezza.

«Dipenderà da noi.» risposi io.

«È un modo per dirmi che mi stai lasciando, Viandante?»

«No, Ian... Io... io non ti sto lasciando, non lo farei mai...» Eccolo di nuovo, quel senso di colpa pronto a far cadere rovinosamente la forza con cui avevo cercato di non farmi crollare tutto addosso. Trassi un respiro profondo.

«E allora cosa stai facendo? Stai rimandando la nostra relazione a data da destinarsi? O stai cercando di rovinare tutto perché la situazione ha iniziato a sfuggirti di mano? Spiegamelo, Wanda, perché io non riesco a capire. Insomma, ieri sera non sono venuto qui per mettere fine alla nostra storia. Sono venuto per dirti che mi dispiaceva, per rimettere le cose apposto, ma tu...»

«Non so cosa mi sta succedendo, Ian.» mugugnai dopo essermi voltata di nuovo verso di lui. «Forse tutto quello che ho dovuto sopportare nell'ultimo periodo mi si sta riversando contro. Forse sono troppo stressata... e... e non mi sento me stessa.»

Alzai la voce di un'ottava, facendo spallucce per non dare un peso eccessivo alle mie parole.

«Vedo che Liam ti ha fatto un brutto effe...»

«Oh, lo sai che Liam non c'entra niente.»

Ian mi guardò senza dire un fiato, con un'espressione affranta in viso e i pugni serrati lungo i fianchi, poi, sempre senza dire una parola, si voltò per recuperare i suoi vestiti da terra e indossarli.

«Fammi un fischio quando la Wanda di cui mi sono innamorato si decide a tornare indietro. Con questa che fa scelte per entrambi non voglio avere niente a che fare.» proruppe quando finì di rivestirsi, poi se ne andò.



§


«Wanda, non sai quanto mi dispiace... Non avrei dovuto permettergli di usare le tue chiavi per farsi trovare in camera nostra, scusami...»

«Non ti devi scusare, Mel. Non è colpa tua se è andata a finire così.»

Mi alzai dalla sedia, avvicinandomi alla finestra a braccia conserte. Una lacrima mi rotolò silenziosa sulla guancia, ma io la scacciai ancora prima che Melanie se ne accorgesse.

«Cosa posso fare per aiutarti?» mi domandò quando mi fu vicina, appoggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai nella sua direzione, sorridendo davanti alla sua premura.

«Niente, Mel, tranquilla.»

«Wanda... Lo so che stai cercando di non dare a vedere tutto il dolore che hai dentro. Scommetto che ti manca già.»

Risi piano, nascondendo il velo di amarezza e dispiacere che mi calò addosso non appena mi resi conto di quanto Melanie avesse ragione.

Stavo male. Stavo male da quando avevamo messo piede in quel posto, e mi ero fatta tanto prendere dal corso degli eventi da non pensare neanche più a Jeb, Kyle e Trudy, che erano ancora là fuori, bisognosi più che mai del nostro aiuto.

Altre due lacrime mi rigarono piano il viso, stavolta sotto lo sguardo triste e preoccupato della mia amica.

«Vieni qui...» sussurrò, abbracciandomi.

Non scoppiai a piangere come avrei dovuto fare, un po' perché di lacrime ne avevo già versate abbastanza da non averne più, un po' perché in mensa non eravamo proprio del tutto sole – e io non ci tenevo a montare su un teatrino davanti a tutti i presenti.

Perciò poco dopo io e Mel ci allontanammo, tenendoci per mano mentre ci scambiavamo sorrisi complici e sguardi affettuosi.

«Comunque basta pensare a me e ai miei problemi. Ci sono cose più importanti della mia relazione che va a rotoli o del mio status emotivo.» sentenziai.

«Giusto.»

«Da quando siamo arrivati qua ci siamo alienati dal resto del mondo, io mi sono addirittura scordata di Jeb e tutti gli altri... Dovremmo tornare a cercarli, non pensi?»

Melanie annuì. «Già, tanto ormai ci siamo ripresi, stiamo bene... perché non dovremmo proseguire nelle ricerche?»

«Senti, perché non facciamo così: tu vai a chiedere a Jared e gli altri cosa ne pensano, io invece vado ad accennare qualcosa a Claire.» dissi mentre ci avviavamo verso la porta.

«Va bene, ma... sai almeno dov'è lei?»

«In realtà no. Lì però c'è Thomas» indicai il ragazzo seduto poco più in là sulla panca «forse lui sa dirmi dove pos...»

«Ragazze! Vi stavo venendo a cercare.»

Claire spuntò da dietro la porta proprio quando noi stavamo per aprirla, salutandoci col suo solito sorriso abbagliante. Ricambiai di riflesso, opprimendo la sensazione di disagio che mi incutevano lei e Liam da quando avevo origliato la loro discussione.

«Che ironia della sorte, anche Wanda stava per venirti a cercare.» esclamò Melanie, alzando le spalle.

«Ma dai!»
«Già...» risposi mentre Melanie si allontanava di qualche passo prima di dire che ''allora vado a fare quella cosa, Wanda. Ci vediamo dopo, okay?'', lasciandomi sola con Claire.

«Cosa volevi dirmi, Wanda?» mi incitò lei dopo che Mel sparì nell'ascensore.

Il sorriso che avevo sulle labbra si allargò un po' di più, rendendo Claire curiosa.

«Volevo dirti che molto probabilmente partiamo. È una decisione che dobbiamo ancora prendere tutti insieme, ma io volevo comunque avvisarti, oltre che ringraziarti per ciò che avete fatto e per l'aiuto che ci avete dato. Vi verremo a trovare se...»

«Wow, wow, wow. Un attimo...» Claire mi poggiò le mani sulle spalle, socchiudendo gli occhi per riflettere su quello che voleva dire, poi proseguì «Volete partire? Così presto? Insomma, sono passati ancora pochi giorni da quando avete avuto quello scontro coi Cercatori e avranno sicuramente circondato l'area, messo delle pattuglie in punti strategici per trovarvi, stabilito un piano per catturarvi... Mi chiedo se non sia troppo pericoloso.»

Effettivamente non avevo pensato ai Cercatori e a tutto quello cui saremmo andati incontro una volta usciti di lì, il che mi fece mettere in dubbio i miei programmi. Tuttavia, il pensiero di dover aspettare ancora prima di poter tornare a cercare i nostri amici non mi piacque. E non sarebbe piaciuto nemmeno agli altri.

«Lo so, Claire. Ma... vedi, è che noi dovremmo proseguire nelle ricerche di altre persone e...»

«Altre persone?» domandò lei, sorpresa.

«Sì, degli amici. Si sono persi, così siamo venuti fin qui per trovarli.»

«Non me ne avevate mai parlato.»

«Perché non ne abbiamo mai avuto l'occasione.» sorrisi, poi lei scostò le mani dalle mie spalle, boccheggiando pensierosa.

«Sono due uomini e una donna quelli che state cercando?»

Sbattei le palpebre, socchiudendo la bocca per chiederle come poteva sapere dei miei amici, ma l'unica cosa che riuscii a dire fu un incerto ''sì''.

«Sai dove si trovano, Claire?»

Claire si abbraccio i gomiti e un'ombra si stipò sui lineamenti delicati del suo viso, inclusi i suoi occhi azzurri, che divennero un po' più scuri.

«Li hai visti? Claire, parlami ti prego.» la implorai, scuotendola piano per le braccia mentre mi facevo assalire dall'angoscia.

«Noi stavamo rientrando. Facevamo la solita strada per tornare a casa, quando una delle macchine dei Cercatori ci ha sorpassato.» Claire parlava con lo sguardo fisso in un punto indefinito dietro di me, come se fosse stata in una sorta di psicanalisi e stesse rivivendo quei momenti. «Pensavamo che ci avessero scoperti, e quando abbiamo visto che non eravamo noi il loro obbiettivo ci siamo fermati in un parcheggio non molto lontano. Per le strade non c'era nessuno, era tardi. Poi ad un certo punto abbiamo visto un'altra auto. I Cercatori erano tanti, forse la stavano pedinando da un bel po': l'hanno circondata e hanno intimato il conducente di scendere dalla macchina e mettere le mani sopra la testa. Era un uomo alto, anziano.»

«Jeb...» trasalii intanto che gli angoli degli occhi si riempivano di acqua e mi si formava un groppo in gola. «Cos'è successo dopo?»

«Li hanno presi, Wanda.»

«Oh santo cielo... No...» singhiozzai, coprendomi la bocca con una mano. Claire mi strinse una spalla.

«Mi dispiace, Wanda. Non sai quanto. Noi non abbiamo potuto fare nulla, altrimenti saremmo stati scoperti.»

Mormorò intanto che si avvicinava a me per abbracciarmi. Ma immersa com'era nel mio dolore non badai tanto a quel suo gesto inaspettato o alle parole con cui cercò di rassicurarmi subito dopo.

Jeb, Trudy e Kyle erano stati catturati, per loro non ci sarebbe stato più niente da fare. Melanie avrebbe sofferto, Ian avrebbe sofferto e... e...

«Ah... Claire, ma cosa...?»

Gemetti quando sentii qualcosa di piccolo e appuntito trapassarmi la pelle sulla schiena, proprio dove fino ad un attimo prima avevo percepito le sue mani accarezzarmi affettuosamente. Lanciai a Claire un'occhiata confusa, o meglio, sfocata, lei però non rispose, si limitò a sostituire l'espressione affranta e dispiaciuta con una cupa e malvagia. E prima ancora di riuscire a capire cosa stesse succedendo, i puntini che avevano cominciato a ostacolarmi la vista esplosero in un unico colore.

Il nero.


§



Provai a liberarmi di quei lacci ancora una volta, cercando di non dare troppo conto al senso di panico che si stava propagando in ogni centimetro del mio corpo. Poi, dopo aver fatto innumerevoli tentativi, sentii delle sbarre aprirsi e dei passi avvicinarsi alla cella in cui mi trovavo.

«Claire...» mormorai con la voce arrochita, ritrovando sul suo viso la stessa aria cupa che avevo visto prima di svenire e ritrovarmi qui dentro.

Claire rimase impassibile intanto che da dietro le sue spalle apparivano altre due persone. Alte, magre, familiari. Non sapevo perché, ma avevo l'impressione di averle già viste da qualche parte.

La cosa che più mi spaventò però, era che portavano entrambe una divisa bianca.




Spazio autore:


Hola! Mi credevate morta e sepolta, eh? Tranquilli, tranquilli, sono stata solo impegnata con un po' di mare e un po' di libri ahah.

Allora, come vi è sembrato il capitolo?

Ammetto che non è stato facile scrivere la parte di Ian e Wanda, infatti su World ho salvato almeno tremila bozze, senza mai esserne del tutto convinta. Spero che alla fine sia uscito fuori qualcosa di decente :P

Per quanto riguarda la primissima e l'ultimissima parte, be', posso solo dirvi che capirete meglio nel prossimo capitolo.

Spero che siate rimaste soddisfatte (anche se, lo so, gli unicorni e gli arcobaleni tra gli O'Wanda sono andati a farsi una vacanza – com'è giusto che anche loro facciano xD – e voi molto probabilmente ci siete rimaste un po' di emme. Ma che vi devo dire, l'amore non è bello se non è litigherello.)

Ringrazio di cuore le buone, ma soprattutto SEMPRE PIU' NUMEROSE, anime che si stanno moltiplicando come i pani e i pesci nelle liste seguita/preferita/ricordata.

Siete il mio orgoglio, ragazzi. <3

Alla prossima,

Sha

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Capitolo 16
*** Rivelazioni ***


16


Rivelazioni



Mi sentivo una perfetta estranea sotto lo sguardo vitreo di quella che una volta avevo pensato essere mia amica.

Avrei dovuto sapere che c'era qualcosa che non andava in lei, o almeno sospettarlo dal momento in cui avevo origliato la sua discussione con Liam. Sicuramente era coinvolto anche lui in quella assurda faccenda.

Smisi di respirare quando vidi i due Cercatori, un uomo e una donna, lanciarmi insistenti occhiate da dietro le spalle di una Claire sempre più irriconoscibile, e percepii il sangue defluirmi dalla testa, inoculandomi un terribile senso di nausea che prontamente ignorai.

Rimasi ad osservare attonita Claire mentre apriva la cella, poi la Cercatrice che poco dopo le intimò di togliersi dai piedi con uno sguardo e infine il maschio che avvicinò una sedia accanto al letto su cui ero bloccata non appena entrò nella cella. Ci si sedette, l'ombra di un sorriso a metà tra il gentile e lo spaventoso ad increspargli le labbra.

Poi m'immaginai quello stesso sorriso tra luci soffuse e caffè caldi, tra tavoli di un bar non troppo affollato, vicino ad un bancone accanto a cui io e Melanie eravamo passate con aria anonima. Era quella sera, in quel locale, prima dell'arrivo di Brandt e Ian sulla Mercedes rubata, che lo avevo visto.

«Salve, Viandante.» disse, quasi sottovoce, col tono dolce di chi si sta rivolgendo ad un bambino.

«A giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi conosca come io conosco te.»

Molto probabilmente intuì che dietro al mio sguardo immobile c'era un movimento sconfinato di emozioni, perché subito dopo tentò di schiarirmi un po' le idee.

«Senza dubbio avrai conosciuto la mia compagna. È una Cercatrice anche lei, sai? Ma non è più operativa da molto tempo. A dirla tutta è scomparsa, da due mesi e mezzo.»

Lasciai che lo shock e il panico mi scorressero veloci nelle vene fino a farmele congelare, ma senza darlo a vedere.

«... Ali di Drago.»

Mi resi conto di non aver ascoltato una parola di quello che aveva detto soltanto quando ebbe pronunciato il suo nome. Rimisi a fuoco l'immagine dell'uomo che avevo davanti, sulla trentina – se non di più – i capelli biondo cenere, la pelle diafana, gli occhi grigi.

«È da tanto tempo che aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato per Claire molto probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo ricordarmi di ringraziarla.»

«C-che cosa vuoi?» riuscii a dire quando ritrovai il controllo. I suoi cerchi azzurri iniziarono a scrutarmi in silenzio, come divertito, poi tornò serio. Era ovvio ciò che voleva, più che ovvio.

«Oh, non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la cortesia di dirmi dove si trova la mia compagna. So che siete state amiche tanto tempo fa, ma dopo tu hai infranto le regole e... penso che il resto lo sai già.»

«Io e la Cercatrice non siamo mai state amiche.»

Ali di Drago sorrise di nuovo, piano, sicuro come era sempre stato da quando aveva messo piede in quella cella.

«Be', io intendo un'amicizia del tutto professionale, Viandante.»

Ignorai ciò che disse, troppo impegnata a mantenere la calma e a non farmi assalire dalla paura. Continuavo a chiedermi se Claire mi avesse davvero presa in giro come pensavo, se fosse davvero alleata con lui, proprio lui, se stavo sognando o quello che mi stava succedendo era tutto reale.

Ma no, non poteva esserlo.

«Mi dispiace, non posso aiutarti.»

Drago in tutta risposta ghignò e per un attimo parve più giovane di quanto già non fosse, più inquietante. Puntellò i gomiti sulle cosce, accorciando la distanza tra i nostri volti, e si guardò le mani con l'ombra di quel sorriso familiare sulle labbra.

«Non mentirmi. Non voglio farti niente di male, Viandante. Desidero solo riavere lei, tutto qui. Non mi sembra tanto difficile da comprendere.»

«Cosa mi fa pensare che tu non stia mentendo?» replicai, acquistando una sicurezza che fino a quel momento non avevo creduto di possedere.

«Potrebbe testimoniarti la mia collega» sbottò, allungando un braccio per indicare la Cercatrice davanti alla cella, prima di inchiodarmi con uno sguardo al limite del gentile «quanta pazienza ho avuto nell'ispezionare ogni punto di quel dannato deserto per trovare almeno il suo corpo.

Ma non è successo, il che mi ha spinto alla conclusione che voi ribelli l'avete catturata. Non ci vuole un genio per capirlo, sai?»

Atono, freddo e brusco, Ali di Drago alzò di qualche ottava la voce. Il suo perdere facilmente le staffe bastò per farmi realizzare che ora avrei dovuto agire con molta cautela.

«Che cosa ci ricaverei io da tutto questo?»

«Credo che ti farebbe piacere rivedere i tuoi amici, o mi sbaglio?» Drago socchiuse le palpebre, riservandomi un'occhiata ammiccante che aveva tutta l'aria di dover riuscire a convincermi.

Non appena lo sentii pronunciare ''amici'' mi ricordai di Jeb, Kyle e Trudy, e un groppone giunse subito ad ostruirmi la gola, seguito seduta stante da un moto di rabbia che mi fece stringere le mani a pugno e serrare la mascella. Chissà quanto c'entravano Drago e Claire nel loro rapimento?

«Non posso fidarmi di te, mi spiace.» dichiarai, forse presa un po' troppo dal dolore e dall'ira per poter ribattere in un altro modo e riflettere cautamente come mi ero promessa di fare.

Il Cercatore, stizzito, si morse il labbro, fissandomi con fare piuttosto nervoso mentre si alzava dalla sedia e raggiungeva il centro della stanza. Si scambiò una rapida occhiata con la donna, poi tornò a guardare me.

«Di solito io non scendo a patti coi trasgressori, Viandante.»

«Con me lo stai facendo.»

«Forse proprio perché si tratta di te

«Io non sono diversa dagli altri.»

«Non voglio aprire un dibattito su questo futile argomento.» ringhiò, appoggiando le mani alla sedia che strinse in maniera quasi spasmodica, forse per scaricare un po' del nervoso che lo stava assalendo.

Lo trucidai con la forza del pensiero, voltandomi a guardare il soffitto che avevo difronte per non concentrare l'attenzione su di lui o sul dolore che iniziavo ad avvertire sui polsi. Pensai a Jeb, Melanie, Ian. Ma più di tutto pensai a Lacey, alla responsabilità che avevo di tenere al sicuro almeno lei e chi era rimasto nelle grotte.

E nonostante sapessi che sarebbe stato difficile proteggere tutti, mi imposi di riuscirci. Lo dovevo ad ognuno di loro, soprattutto a Ian, per il quale ora più che mai provavo uno sconfinato senso di colpa.

«Te lo chiedo un'altra volta: dov'è la Cercatrice?»

«Cercatore, c'è stato un imprevisto.»

Si diede il caso che, o per buona o per cattiva sorte – questo lo avrei constatato solo in seguito – nello stesso momento in cui Ali di Drago mi riproponeva la domanda, la sua collega ricevesse una chiamata urgente da parte di qualcuno e che dovesse inevitabilmente interrompere la nostra conversazione.

Drago si girò verso di lei, poi di nuovo verso di me, io tuttavia non gli prestai la benché minima attenzione: continuai a fissare il soffitto e a sopportare il dolore ai polsi anche quando lui fu costretto ad uscire e a farsi spiegare cosa stava succedendo all'orecchio.

«Ci vediamo dopo.» disse poi Drago prima di aprire la porta e uscire.

Provai disperatamente a liberarmi dei lacci che mi tenevano bloccata, una, due, tre volte. Ora che ebbi la sensazione di averli allentati tuttavia mi immobilizzai, perché sentii entrare qualcuno.

Sospirai, distendendo le mani per non tenermi troppo in tensione, e osservai con la punta dell'occhio Claire intanto che si appoggiava al muro difronte alle sbarre e si metteva a braccia conserte col capo chino.

Restammo zitte per non so quanto tempo, minuti, forse ore, fatto sta che nel lungo periodo di tempo in cui ci crogiolammo nei nostri pensieri, io non smisi di chiedermi perché. Poi, senza neanche accorgermene, mi feci scappare dalla bocca un gemito di dolore a causa della pressione che avevo esercitato coi lacci sulla pelle, e fu così che Claire ebbe il coraggio di alzare lo sguardo dalla punta delle sue scarpe.

«Ti fanno male?»

Mormorò vicino alle sbarre.

«No, sto bene.» fu la risposta perentoria che le diedi prima di girare la testa verso il muro ed allontanarmi almeno con lo sguardo da lei. Mi sentivo offesa, illusa, tradita. Ed era ovvio che il piano per farmi catturare era stato ben premeditato, motivo per cui ero decisa a non considerarla minimamente.

Claire senza dubbio avvertì il distacco della mia voce, perché sospirò con fare frustrato.

«Posso slegarli se vuoi.»

Per quanto la mia testardaggine volesse avere la meglio su tutto, non potei fare niente per fermarla quando la sentii aprire la cella e venire a liberarmi, se non cercare di trattenerla con le parole.

«Ho detto che sto bene.»

«Lascia che ti aiuti.» ormai li stava slegando.

Rimasi in silenzio ad aspettare che finisse, contraendo la mascella non appena percepii le sue dita sfiorarmi piano i polsi prima di allontanarsi. Subito mi portai le mani al petto, massaggiandomi la parte arrossata. Claire mi guardò e giurai di poter scorgere della compassione nei suoi occhi verdi.

«Non cercare neanche per sogno di compatirmi.» dissi una volta che lei tornò al suo posto, distante e con lo sguardo rivolto altrove.

«Senti, W...»

«Lo sai cos'è che più mi dà più sui nervi? Che tu mi abbia fatto credere di essermi amica. Hai mentito, hai mentito a tutti, vendendomi ai nostri più acerrimi nemici senza pensarci due volte. Evidentemente ce l'hai proprio per vizio pugnalare le persone alle spalle.» sbottai, interrompendola proprio ora che si era decisa a parlare. Ma chi se ne importava, ormai lì la buona educazione e il rispetto non si conoscevano più, tanto valeva comportarsi da stronze in maniera equa.

«Credimi, non ho mai avuto intenzione di ferirti, Wanda. Io... noi...»

«Smettila, Claire.»

«No» replicò lei «fammi spiegare. E non pensare che abbiamo fatto questo con cattive intenzioni... Io non ho mai voluto fare tanto male...»

«Eppure...»

«Eppure sì, l'ho fatto. Ma non perché lo volevo io, Wanda. Perché lo voleva lui

Alzai gli occhi su di lei e corrugai la fronte, perplessa. Che cosa stava cercando di dirmi Claire? Voleva giustificarsi? Chiedermi scusa? Passare per la vittima invece della colpevole?

«Mi stai prendendo in giro?»

«No, non ti sto prendendo in giro. Sto cercando di spiegarti perché non ho avuto scelta.»

I lineamenti duri, lo sguardo spiritato, le narici dilatate. Era la prima volta che la vedevo così, con l'aria di chi si sentiva in dovere di difendersi perché non aveva fatto niente – anche se la realtà dei fatti raccontava tutta un'altra storia.

«Sono tutta orecchi.» replicai, scettica.

Claire si appoggiò alle sbarre alle sue spalle, mettendosi a braccia conserte. «Non lo faccio perché mi piace, Wanda, ma perché come tu devi proteggere le persone che ami, anche io devo proteggere le mie.»

«Ah, sì? È diventata una guerra anche tra alleati adesso? Facciamo la selezione naturale tra chi può sopravvivere e chi no pensando prima a noi stessi e poi agli altri? Oh, scusa se non me ne ero accorta, Claire. Io credevo in un mondo migliore, ma a quanto pare è peggio di quanto potessi immaginare. E qu...»

«Ho una figlia, Wanda!»

Sbottò di punto in bianco, quasi urlando, senza preamboli né premesse, così da gettarmi addosso una cosa del tutto inaspettata che sapeva un po' come una secchiata d'acqua gelida. Socchiusi la bocca, smettendo subito di parlare per elaborare le cinque parole che aveva appena pronunciato e capire se stesse scherzando o facesse sul serio.

«T-tu... cosa?» balbettai, sbattendo piano le palpebre per la sorpresa.

«Ho una figlia, Wanda. Ed è per lei che faccio questo lavoraccio.»

Continuai a lanciare occhiate sconvolte a Claire senza dire una parola. Ero scioccata.

«Lo so che è difficile da credere. Ma la realtà dei fatti è così e non si può cambiare purtroppo.»

Corrugai la fronte, confusa ulteriormente da quel "purtroppo". «Perché dici così?»

«Perché è terribile vivere con la consapevolezza di aver dato alla luce un figlio da due anni ma di non poterlo vedere crescere, dato che dei dannati Cercatori te lo tengono lontano per poterti minacciare.»

Claire tirò su col naso e si asciugò velocemente la guancia su cui era scivolata in silenzio una lacrima, distogliendo l'attenzione da me ad un punto indefinito davanti a sé.

Paradossalmente fui colpita da un fiotto di compassione mentre rielaboravo la notizia appena appresa e cercavo di riprendermi dallo shock.

Ero davvero senza parole. Claire aveva una figlia per cui lottava ogni giorno e per di più non poteva starle accanto. Se mi fossi trovata in altre circostanze forse le avrei detto che mi dispiaceva, che non avrei voluto urtare la sua sensibilità, ma in quel momento ero travolta da un mare di emozioni contrastanti che non riuscivo a condensare in nient'altro se non che in rabbia.

Rabbia per Claire, per me stessa, per tutto.

Rabbia per aver detto a Ian di prenderci una pausa.

Rabbia per essere stata amica di sporchi doppiogiochisti.

Rabbia per essere qui.

«Come si chiama?» sussurrai, non vedendo in quale altro modo potessi renderla partecipe della mia non troppa solidarietà.

«Rachel. Si chiama Rachel.»

«Quando... quando ti sei alleata coi Cercatori?»

Claire si sistemò una ciocca dietro l'orecchio, sospirando.

«Non mi sono mai alleata con loro. Sono stata costretta a farlo quando ci hanno catturato e...»

Claire si interruppe nel momento in cui sentì la porta aprirsi all'improvviso, girandosi di scatto per vedere chi stesse entrando prima di uscire dalla cella e farsi scoprire dalla Cercatrice.

«Cosa stavi facendo lì dentro?» le domandò l'aliena, indurendo i lineamenti del viso in un'espressione severa.

«Controllavo.»

«Nessuno ti ha dato il permesso.» la incalzò l'altra, acida, lanciandole un'occhiata torva prima di voltarsi verso di me e fare altrettanto, quindi strappò di mano le chiavi della cella a Claire.

«Mi avevate detto che potevo vederla, dov'è?» chiese quest'ultima mentre la Cercatrice riapriva le sbarre e io stringevo spasmodicamente la coperta marrone del letto perché no, non avevo la più pallida idea di dove mi avrebbe portata e non lo volevo nemmeno sapere.

«Questo devi chiederlo al Cercatore quando sarà tornato.» le rispose la donna intanto che si avvicinava a me e mi prendeva per un braccio nel tentativo di trascinarmi fuori di lì.

«Dove mi state portando?»

Strattonai la Cercatrice, trucidandola con lo sguardo. Lei in tutta risposta mi regalò un sorriso di plastica, come per riuscire meglio nella sua impresa di assoggettarmi.

«In un posto più sicuro.»

«Evita di farmi il sorrisino che usate prima di uccidere le persone. Con me non attacca.»

A quelle parole si tolse dalla faccia quell'espressione da ebete che tanto mi disgustava, sostituendola con una leggermente sorpresa. Claire nel frattempo aveva assistito alla scena in silenzio e a braccia conserte, coi denti che mordicchiavano nervosamente il labbro inferiore.

Chissà cosa pensava in quel momento, mentre io stavo ancora elaborando quello che mi aveva detto poco prima e la dannata Cercatrice tentava di portarmi via?

«Se fai come ti dice non ti succederà niente.» mi assicurò Claire quando vide che proprio non ne volevo sapere di alzarmi dal letto e uscire.

Le lanciai uno sguardo inquieto, poi mi tirai su senza troppi complimenti. La donna a quel punto le fece un cenno.

«Vai a chiamare gli altri. Vogliamo la massima sicurezza durante il trasferimento.»

Claire asserì e andò via. Intanto, la Cercatrice tirò fuori dalla tasca della sua divisa un laccio nero, mi prese le mani e circondò i polsi, stringendo un po', quindi mi spinse fuori.

Quando sorpassai la porta mi ritrovai in un corridoio lungo, lunghissimo, e bianco, proprio come la cella da cui ero appena uscita. C'era silenzio dietro le porte che oltrepassavamo, non un'anima che ci incontrasse lungo il percorso.

L'odore però era rivoltante: sapeva di disinfettante e candeggina, ed era così forte che per poco non vomitai sulle belle scarpe della Cercatrice.

Finalmente arrivammo in fondo al corridoio, dove si trovava una porta di ferro, senza serratura. Accanto, nel muro, lo schermo di un marchingegno diceva ''inserire password''.

Prima di digitarla la donna guardò fuori, oltre uno dei due quadrati in vetro da cui mi tenne severamente lontana, poi cliccò sul schermo e la porta si aprì.

La luce del sole era quasi accecante – ero rimasta incosciente per così tanto tempo? - i raggi rimbalzavo sulla sabbia del deserto, infastidendo le retine. Improvvisamente percepii più di una mano stringermi le braccia, più voci e più rumori.

Macchine, persone, un elicottero.

Saranno stati quattro o cinque i Cercatori che mi scortarono attraverso quello che parve essere quasi un campo militare, uno mi aveva posato la mano sulla testa per tenermela bassa, di modo che non potessi vedere altro se non che i miei piedi calpestare la sabbia.

«È tutto pronto?»

«Sì, vi sta aspettando.»

«Ha risolto la questione di prima?»

«Stanno ancora cercando.»

All'orecchio mi giungevano anche queste frasi senza senso, pronunciate un po' così dalle anime che mi circondavano. Poi tutto un tratto, sentii un'altra voce.

Era un po' più lontana rispetto al gruppo in cui mi trovavo, ma comunque nei paraggi.

«Wanda!»

Scattai immediatamente verso la direzione da cui provenne quell'urlo, chiedendomi se fosse veramente di chi pensavo oppure no.

«Wanda!»

«Ian...? Ian!»

Era ad una ventina di metri da me, due uomini muscolosi tentavano di immobilizzarlo senza riuscirci. Non appena gli risposi iniziò a dimenarsi nella vana speranza di potermi raggiungere, e la stessa cosa feci io.

«Muoviti.» mi sibilò la Cercatrice, spingendomi con forza.

«No. Ian!»

«Wanda, sta tranquilla!»

Gridò, poi mi sorrise. Fu un sorriso amaro, disperato. Un sorriso che riuscì a regalarmi un po' di luce in quel tunnel buio dove mi trovavo adesso.

Gli occhi azzurri fissi sui miei, i capelli mossi dal vento, la maglietta sporca o di sangue o di sabbia, il viso contratto in una smorfia di sofferenza.

«Portatelo via.»

«No, NO!»

«Wanda, andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo prometto!» disse prima che i Cercatori mi trascinassero di peso sul furgone che ci aspettava poco più in là, ostruendomi la vista.

Ian, no, per favore per favore. Due lacrime iniziarono a rigarmi in silenzio le guance, riaprendo una ferita che avevo sperato di non dover rimarginare proprio ora.

Lasciatemi andare da lui, vi prego. Per favore.

«Fermatela.»

Wanda, andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo prometto.

Te lo prometto.



Spazio autore:



Nooo, ma ho pubblicato veramente???

Mi congratulo con me stessa.

Perdonatemi, ma tra una cosa e l'altra negli ultimi due mesi ho dovuto affrontare periodi un po' no che mi hanno fatto perdere l'ispirazione. Di per sé anche le scene stesse che dovevo mettere per iscritto non erano tanto facili da elaborare, perciò... sì, insomma, ho avuto qualche problema.

Ma spero che alla fine sia valsa comunque la pena aspettare per così tanto tempo, o no? Ceh, avete scoperto il grande enigma, gente, quello attorno a cui è ruotato ogni capitolo di questa storia *^*

Siete ''contente''? Vi aspettavate una cosa del genere oppure pensavate a tutt'altra cosa?

Ditemi, ditemi!

Prima di andare ci tengo a ringraziare come sempre tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano la storia. Siete sempre di più ragazzi, e avete pazienza anche se la vostra Sha ogni tanto fa ritardi madornali!!!

Ma dove li trovo lettori come voi? <3

Grazie ancora, per tutto.

Sha <3

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Capitolo 17
*** Forte abbastanza ***


17



Forte abbastanza



Previously on Up In The Sky...



[…] «Dovremmo fermarci un attimo.» dissi tutto d'un fiato, dando a vedere una sicurezza che in realtà non possedevo.

«... Fermarci.» ripeté incerto Ian, socchiudendo gli occhi.

«Per riflettere.»

«Ed è una cosa... temporanea, Wanda?»

«Dipenderà da noi.»

«...Fammi un fischio quando la Wanda di cui mi sono innamorato si decide a tornare indietro. Con questa che fa scelte per entrambi non voglio avere niente a che fare.»

[…] «A giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi conosca come io conosco te. Mi chiamo Ali di Drago. […] È da tanto tempo che aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato per Claire molto probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo ricordarmi di ringraziarla.»

«C-che cosa vuoi?»

«Oh, non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la cortesia di dirmi dove si trova la mia compagna.»

«Mi dispiace, non posso aiutarti.»

[…] «Te lo chiedo un'altra volta: dov'è la Cercatrice?»

«Cercatore, c'è stato un imprevisto.»

[…] «Non pensare neanche di compatirmi.» ringhiai contro Claire.

«...Sto cercando di spiegarti perché sono stata costretta a farlo, Wanda.»

«È diventata una guerra anche tra alleati adesso? Facciamo la selezione naturale tra chi può sopravvivere e chi no pensando prima a noi stessi e poi agli altri? Oh, scusa se non me ne ero accorta, Claire. Io credevo in un mondo migliore, ma a quanto pare è peggio di quanto potessi immaginare. E qu...»

«Ho una figlia, Wanda! Si chiama Rachel.»

[...]«Wanda!»

«Ian...? Ian!»

Era ad una ventina di metri da me, due uomini muscolosi tentavano di immobilizzarlo senza riuscirci. Non appena gli risposi iniziò a dimenarsi nella vana speranza di potermi raggiungere, e la stessa cosa feci io.

«Muoviti.» mi sibilò la Cercatrice, spingendomi con forza.

«No. Ian!»

«Wanda, andrà tutto bene. Tornerò a prenderti, te lo prometto!»



**



«Scusa.»

Il sole stava spuntando oltre i canyon. L'aria fresca del mattino ci graffiava piacevolmente le guance.

«Per cosa?»

«Per tante cose.»

Un sospiro mi solleticò il collo. «Dovresti smetterla.» mormorò, il mento appoggiato sulla mia spalla. Potevo sentire il suo respiro regolare sulla pelle, mentre col pollice disegnava ghirigori sul dorso della mano che mi stringeva.

«Di fare cosa?» domandai.

«Di chiedere scusa.»

Aggrottai la fronte e mi voltai a guardarlo. I suoi occhi erano limpidi, sereni. «È giusto che te lo dica.» dissi.

«No, non è vero. Non è colpa tua se adesso ci troviamo in questa situazione.»

Ian mi strinse forte a sé. Una luce tenue ed eterea illuminava i contorni del suo viso, rendendogli i capelli ancora più neri e le iridi ancora più azzurre.

«Se avessi capito prima che Claire e Liam ci stavano mentendo, forse adesso saremmo ancora insieme.»

«Tu pensa al fatto che lo saremo di nuovo, Wanda.» sussurrò, e accarezzandomi una guancia sorrise dolcemente. «Pensa a lottare per noi.»

«Come?»

Ian ritrasse la mano e si alzò. Allarmata, mi alzai anch'io. Il sole mi accecò per un attimo gli occhi, costringendomi a schermarne i raggi con un braccio. Ian, nel frattempo, era salito su un'altura e mi guardava dall'alto come se mi stesse aspettando. A causa della controluce i lineamenti del suo viso diventarono improvvisamente più difficile da scorgere.

«Lo capirai, Wanda. Tu sei intelligente. E forte.» disse.

«Ma io ho bisogno di te.» replicai a voce alta, mentre tentavo di raggiungerlo. Poi mi fermai, consapevole del fatto che non ne sarei stata in grado. Ian sembrava così lontano adesso, però riuscivo a vederlo sorridere nonostante il sole stesse diventando sempre più accecante.

«Non per questo.» rispose, poi indietreggiò e infine mi diede le spalle. Camminò verso la luce fino a che non scomparve, risucchiato dai raggi del sole.


«Non andare...»

Mi resi conto di biascicare ad alta voce solo quando aprii gli occhi, svegliandomi da un sonno in cui non credevo di essere caduta. Misi a fuoco il pezzo di corda che, sporco e inquietante, sapevo di poter trovare sempre lì, davanti a me, pronto per riportandomi alla memoria ricordi di cui avrei fatto volentieri a meno.

Mossi piano le braccia, riottenendo un minimo di sensibilità senza sentire troppo dolore, poi un rumore di sbarre che si aprivano mi fece riacquistare il contatto con la realtà.

«Per oggi basta.» sentii dire a qualcuno.

La solita frase, la solita storia. Non ricordavo quante volte me l'avessero ripetuta da quando ero stata rinchiusa lì dentro; sapevo solo che la prima volta che l'avevano pronunciata mi ero sentita quasi sollevata, poi però avevo capito che quella non sarebbe stata l'ultima. Non a caso infatti, era da due o tre giorni che avevo perso il conto.


«Allora non hai intenzione di dirmi dov'è, Viandante?»

La mia espressione impasse bastò ad evitare una risposta verbale. Ali di Drago mi afferrò per un braccio, trascinandomi con sé dal pulito ambiente delle classiche stanze da interrogatorio, quelle dalle pareti chiare, un tavolo con due sedie al centro e le vetrate enormi, ad uno decisamente meno ospitale.

La stanza era tetra, l'unica apertura che c'era era una finistrella sbarrata sul fondo, e dal soffitto in pietra pendevano due grosse catene di ferro. L'aria odorava di ruggine e rinchiuso.

«Benvenuta.» ghignò Drago quando mi legò alle catene, obbligandomi a stare con le braccia penzoloni e la schiena tesa «Ti presento la mia stanza preferita. Di solito ci vengo con la gente non troppo incline a collaborare... pare che l'ambiente sia molto stimolante...»

«Immagino.» commentai mentre mi guardava intorno, prima di tornare a osservare Drago avvicinarsi alla parete di destra e chinarsi a raccogliere una corda. Se la rigirò tra le mani.

«E sai come faccio? Basta solo agitare questa, e dopo un po' iniziano a chiacchierare.» disse intanto che me la posava sul collo.

«Vogliamo fare la prova oppure fai la brava e mi dici quello che voglio sapere?» Mi penetrò con lo sguardo, perfido e malizioso.

«Va. Al. Diavolo.» sibilai. Drago mi regalò un sorriso di plastica, forse sorpreso dalla mia risposta non troppo cortese, poi trasse un respiro profondo. «Va bene.» disse tranquillamente, prima di arretrare di qualche passo e darmi le spalle. Cinque secondi dopo si voltò di nuovo, di scatto. Un bruciore improvviso iniziò a propagarsi sul mio braccio destro, all'altezza del bicipite, e la pelle si surriscaldò lì dove Drago mi aveva appena colpito con la corda, facendomi digrignare i denti dal dolore.

«Sai... sarà la seconda o la terza volta che mi capita di torturare una donna, ma il fatto che stavolta ci sia tu qui, rende tutto più elettrizzante. Sembra quasi un sogno che diventa realtà.»

«Tu sei pazzo.»

«Mmh, devo prenderlo come un complimento?»

Avrei scommesso che stava sorridendo, ma non lo potevo sapere: adesso si trovava dietro di me, al di fuori del mio campo visivo.

«Tu te li scordi i miei compliment...» Lanciai un urlo, interrompendomi all'improvviso non appena percepii la corda colpirmi di nuovo, questa volta sulla schiena.

«Voglio sapere dove la tenete, Viandante.» mi sibilò all'orecchio il Cercatore, riscaldandomi col fiato la pelle sudata del collo. Quando si allontanò per tornare a posizionarsi davanti a me, chiusi gli occhi e reclinai il capo all'indietro, stringendo i denti per attutire il dolore che persisteva sulla schiena. Tuttavia, ancora prima di potermi riprendere dal colpo, Drago me ne assestò un altro.

Urlai di nuovo, stavolta senza trattenermi dall'insultarlo. «Ah! Ti odio lurido bastardo!»

«Sei diventata tale quale a quei poveri umani, Viandante. Ma d'altronde, lo sanno tutti che ormai sei una di loro, giusto?»

Drago aveva l'aria divertita di chi stava guardando un amico ubriaco inciampare e cadere di faccia sull'asfalto umido di un marciapiede. Sembrava godere delle mie smorfie di sofferenza, talmente era infido.

Sbattei ripetutamente le palpebre, la bocca socchiusa, gli occhi puntati sul pavimento di pietra, la schiena rovente come un accendino. Solo in quel momento mi resi conto di avere le gambe che tremavano e il cuore che mi rimbombava all'impazzata nelle orecchie. Era così forte che sembrava stordirmi.

«Continuiamo domani.» disse d'un tratto Drago. Quando alzai lo sguardo lo vidi serrare la mascella e posare la corda dove l'aveva trovata. «Per oggi basta.» aggiunse prima di voltarmi le spalle e andarsene dalla cella.



«Ti servirebbe una doccia, Wanda.» Una voce familiare mi riscosse dal mio stato di torpore. Aprii meglio gli occhi e vidi davanti a me una sagoma vestita di bianco. Era vicina. Talmente vicina che mi accorsi di reggermi in piedi grazie a quel corpo, o meglio, grazie al corpo di Liam, che mi aveva liberato i polsi dalle catene e che adesso mi teneva su circondandomi con le sue braccia.

«L-Liam?» blaterai mentre con una mano sporca e insanguinata gli toccavo la divisa immacolata nel blando tentativo di ridurre il contatto. «Lasciami andare...»

«Se ti lascio andare cadi.»

«Non m'importa.» borbottai con un filo di voce. Lui alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Senti, lo so che non vuoi avere a che fare con me.»

«E allora se lo sai lasciami.» ribadii e asserii soddisfatta quando si allontanò. Per non perdere l'equilibrio andai subito ad appoggiarmi al muro vicino, dunque mi lasciai cadere per terra, portandomi le gambe al petto.

«Mi dispiace tanto per quello che ti sta facendo, Wanda. Credimi, mi sento terribilmente in colpa.» Liam, che nel frattempo era rimasto zitto a fissarmi con aria affranta, mi si chinò davanti. Sembrava realmente turbato in viso.

«Che cosa vuoi? Perché sei qui?» gli chiesi, fredda e distaccata, mentre osservavo i graffi che avevo su braccia e gambe. Non osavo immaginare in quale stato si trovasse la schiena: dalla sensazione che avevo del sangue incrostato tra la pelle e la maglietta, non doveva essere nelle migliori delle condizioni.

«Perché voglio aiutarti.»

«Ah, sì? Questa è bella...» risi senza ostentare un briciolo di divertimento né di energia. Ormai non sapevo cos'erano né l'uno né l'altro.

«Mi è stato chiesto di venire qui per darti un'occhiata.»

«E perché hanno scelto proprio te tra tutti i Guaritori?»

«Perché ho voluto essere io quello che doveva curarti.»

«Davvero commovente.» bofonchiai «Ma non vedo cosa tu possa guadagnarci da questo profondo gesto d'affetto. Sai, ho smesso di fidarmi di te da un po' ormai.»

La risata amara di Liam smorzò la tensione presente nell'aria. Lo vidi scuotere la testa come se fosse stato esasperato e divertito al tempo stesso. «Ma guardati, Wanda.» disse, indicandomi con un cenno del capo. «Sei deperita, sporca, isolata. Non sembri neanche più tu. Pensi sia questo il momento di far finta di non avere bisogno d'aiuto?»

Non risposi. Appoggiai la testa al muro e presi a fissare il soffitto di pietra, inerme. Perché mai avrei dovuto dare retta ad uno dei tanti che avevano contribuito a cacciarmi in quella situazione? Lui era l'ultimo a cui avrei dato attenzione, l'ultimo che avrei cercato per tirarmi fuori di lì. E lo stesso trattamento l'avrei riservato anche a Claire se, in tutto quel tempo in cui ormai mi trovavo in prigione, mi avesse mai fatto visita. Evidentemente aveva inteso che non si sarebbe più dovuta scomodare dall'ultima volta che mi aveva rivolto la parola, e di questo non potevo che esserle grata, dal momento che rivedere la sua faccia non era di certo uno dei miei più fervidi desideri.

«Io non ho bisogno del tuo aiuto...»

«E invece sì.»

«... E poi perché dovete curarmi? Perché vuole che mi curiate? Forse ho iniziato a farvi abbastanza pena da poter ottenere le vostre attenzioni? Be', Liam, notizia dell'ultima ora: io non voglio che nessuno provi pena per me, né compassione né altro. Non voglio essere curata, non voglio essere aiutata, specialmente da te. L'unica cosa che voglio è che tutti i miei compagni stiano bene e che tornino a casa sani e salvi senza che un qualche Cercatore psicopatico o le sue marionette intralcino loro la strada.» sbottai a voce alta, utilizzando quel poco di energie che avevo per spiattellargli in faccia il risentimento e il disprezzo che provavo nei suoi confronti. Liam mi guardò per tutto il tempo con un'espressione indecifrabile sul viso, poi abbassò lo sguardo e fissò per qualche istante il pavimento.

«Wanda... ti prego, lascia che ti visiti. Capisco la tua rabbia e tutto il resto, ma se continuerai a rimanere in queste condizioni ci saranno delle conseguenze non trascurabili... C'è il rischio di dissanguamento, infezioni... Ti prego.»

«Perché mi preghi

«Perché sono parzialmente responsabile di quello che ti sta succedendo e perché... perché ho capito di tenere a te. E lo so che adesso vorrai insultarmi per quella che può sembrare una fesseria, soprattutto se te la dice proprio chi ti ha fatto del male, ma io lo penso davvero. Non so qual è il motivo per cui con te è diverso, non te lo saprei spiegare, ma ti assicuro che è così.» concluse. Ora sembrava essersi ammansito. Mi guardava senza nessuna pretesa né sicurezza. Probabilmente si era anche accorto dei miei occhi divenuti lucidi dal momento in cui aveva pronunciato il primo ''ti prego''.

«Vattene via, Liam.» dissi con lo sguardo rivolto verso il pavimento.

Liam rimase immobile per qualche attimo, preso in contropiede dalle mie parole, poi aprì la bocca, ma lo interruppi da subito. «Vattene.»

Non avevo più niente da dirgli, niente da perdere. Per quanto mi riguardava, la sua presenza in quella cella poteva definirsi superflua. E dunque, probabilmente perché avevo ben esplicitato la mia irremovibilità, Liam non disse più niente, si limitò a lanciarmi uno sguardo apprensivo prima di chiudersi le sbarre alle spalle. Poi se ne andò, e io fui finalmente libera di soffocare le paure e le insicurezze che tentavo di nascondere ogni giorno nelle lacrime. Per mia grande fortuna tuttavia, il sonno ebbe la meglio ancora prima di potermene accorgere.


«Non sono forte abbastanza, Ian.»

«Sì che lo sei.»

«No, non lo sono, Ian. Quante altre volte dovrò ripetertelo prima che tu capisca?!» sbottai esasperata, alzandomi dal masso su cui eravamo entrambi seduti. Stavolta il sole stava tramontando e il vento caldo del deserto cominciava ad essere più freddo e secco, il cielo colorato di un rosso aranciato.

«Wanda, io so che lo sei.» mormorò dopo essersi alzato a sua volta ed avermi circondato il viso con le mani. «Non insisterei tanto se pensassi il contrario.»

«E allora perché mi sembra di cadere sempre più giù ogni giorno che passa?» sussurrai. Una lacrima mi inumidì in silenzio l'angolo esterno dell'occhio destro, ma Ian l'asciugò col pollice prima di poter scivolare via. «Devi avere più fiducia in te stessa, Wanda.»

«Mi sento così sola, Ian... Non so nemmeno da quanto tempo sono rinchiusa là dentro. E... e Liam ha ragione a dire che... che le mie condizioni non sono delle migliori. Sto tanto male, Ian, e non so per quanto ancora potrò resistere.» dissi, la voce incrinata e resa instabile da un vile tremolio.

Lui sorrise di un sorriso spento, triste, guardandomi come non mi guardava da tempo.

Per un attimo mi sentii di nuovo a casa, veramente a casa.

«Non avrei mai voluto questo per te.» sussurrò.

«Io non avrei mai voluto questo per voi. Se solo non ci fossi stata, io...»

«Se tu non ci fossi stata sarebbe stato un mondo più buio, Wanda. E io non avrei mai amato nessuno.»

Stavolta fui io a sorridere, poi mi alzai sulle punte e appoggiai le mani sul suo petto per poterlo baciare. Ian attorcigliò le dita ai miei capelli e posò le labbra sulle mie. Fu un bacio dolce, leggero, che sapeva di lui. Poi, nel momento stesso in cui ci scostammo per guardarci negli occhi, venni risucchiata dalla luce del sole.



Tu, tum, tu, tum, tu, tum.

Il rumore familiare di passi che si avvicinavano mi riscosse dal sonno. Mi voltai verso le sbarre e in automatico mi accovacciai nell'angolo, aspettando di incontrare Ali di Drago insieme alla sua scorta. Tuttavia, quando ai passi si aggiunsero delle voci indistinte mescolate a un pianto o qualcosa del genere, e il gruppo di Cercatori che scesero in corridoio passarono oltre le mie sbarre scortando un'altra persona, rimasi basita. Era la prima volta che non venivano per me, ma soprattutto era la prima volta che venivano con un altro prigioniero. Li vidi spingerlo dentro alla cella di fronte alla mia, borbottando e lamentandosi del lavoraccio che erano tenuti a fare, per poi andarsene senza degnarmi di un solo sguardo. Quando fui certa che fossero spariti, uscii dall'angolo in cui mi ero rintanata e mi trascinai verso le sbarre. La figura del nuovo arrivato era per metà nascosta dall'ombra e per metà toccata dal sole. Non riuscivo a capire se fosse giovane o meno, ma dai singhiozzi da cui era scossa intuii che si trattava di una donna.

«Chi sei?» domandai, acuendo la vista per poter scorgere il suo volto. Lei si zittì, come se fino a quel momento non si fosse accorta di me, e rimase per qualche attimo in silenzio finché non la vidi immobilizzarsi. Aveva cessato di singhiozzare e nel momento in cui si era decisa a muoversi verso la luce, mi parve di scorgere un balenio azzurro – tra l'altro molto simile al mio – nei suoi occhi...

«Viandante?» domandò sorpresa.



Spazio autore:


Oooookay, gente. Lo so che stavolta mi avete creduta davvero morta e sepolta, e fidatevi, anche io per qualche tempo l'ho pensato, poi però ho detto che da qualche parte su un tale sito di nome EFP c'erano delle anime che non potevo abbandonare e, annessi il senso di colpa, la vena ispiratrice e il capitolo scritto per un quarto su Word, ho deciso di mettermi sotto per pubblicare.

So che non è uno di quei capitoli bomba in cui si rivoltano le cose e succedono miracoli e/o disastri, e che non è neanche tanto lungo, però me lo dovevo e ve lo dovevo. Ricordo bene che l'ultimo aggiornamento – risalente a novembre, ma non diciamolo, sssshhh >.< – ha avuto un calo di commenti e che in generale io stessa sentivo di non voler dare il massimo e quindi molto probabilmente di non meritarmi chissà cosa. Forse però sarà stato anche il fatto di essermi sentita un po' ''abbandonata'' che ha contribuito a lasciar perdere per un po' di mesi Up, insieme con impegni, problemi, studi, stress, stanchezza e altre cose ovviamente. Ho pensato di non aver saputo portare avanti come si deve la storia, di avervi un po' annoiato, così sono rimasta in stand by per qualche tempo con la speranza di poter ritrovare la voglia di fare, l'ispirazione. Ogni tanto passavo a controllare e un bel giorno mi sono resa conto che tante persone avevano aggiunto la mia fanfiction nelle seguite o nelle preferite. Siete diventati un bel po' e penso sia stato questo ad aver fatto scoccare la scintilla. Eravate lì, un numerino microscopico nell'intero universo, ad aumentare in silenzio, e mi sono detta che non potevo starmene nell'angolo a guardare. C'eravate anche se non c'erano nuove recensioni, non mi avevate abbandonata, alcuni contavano su di me per continuare questa storia. Così eccomi qui a lagnarvi con i miei spazi autori ultralunghi in cui non dovrei di certo scrivere tre papiri di robe che c'entrano poco e niente col capitolo. Eccomi mi qui a chiedermi se ci siete ancora, se qualcuno di voi mi ha aspettata fino ad oggi... E come si suol dire, se ci siete battete un colpo, risponderò a tutte le vostre curiosità e supposizioni riguardanti il capitolo. Sarò pronta a prendermi uova e pomodori in faccia :D

E dopo questa divina commedia mi congedo, miei prodi. A voi la parola.

See you soon,

Sha [ho cambiato nickname se non avete notato. Prima mi chiamavo Shasomsal88 mentre adesso sono _Safyra. Ovviamente continuerò a firmarmi col diminutivo del mio nome nonostante la modifica, quindi non temete se vedete un nick sconosciuto nelle varie sezioni. Sono sempre io;)]

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Capitolo 18
*** Nell'incoscienza ***


Previously on Up In The Sky...

[…] «A giudicare dalla tua espressione, non penso che tu mi conosca come io conosco te. Mi chiamo Ali di Drago. […] È da tanto tempo che aspetto questo momento, sai? Se non fosse stato per Claire molto probabilmente non sarebbe mai arrivato. Devo ricordarmi di ringraziarla.»

«C-che cosa vuoi?»

«Oh, non è nulla di che. Vorrei solo che tu mi facessi la cortesia di dirmi dove si trova la mia compagna.»

«Mi dispiace, non posso aiutarti.»

[…] «Te lo chiedo un'altra volta: dov'è la Cercatrice?»

«Cercatore, c'è stato un imprevisto.»

[…] «Non pensare neanche di compatirmi.» ringhiai contro Claire.

«...Ho una figlia, Wanda! Si chiama Rachel.»

[…] «Se avessi capito prima che Claire e Liam ci stavano mentendo, forse adesso saremmo ancora insieme.»

«Tu pensa al fatto che lo saremo di nuovo, Wanda.» sussurrò, e accarezzandomi una guancia sorrise dolcemente. «Pensa a lottare per noi.»

«Come?»

Ian ritrasse la mano e si alzò. «Lo capirai, Wanda. Tu sei intelligente. E forte.» disse.

«Ma io ho bisogno di te.»

«Non per questo.»

[…] «Allora non hai intenzione di dirmi dov'è, Viandante?»

La mia espressione impasse bastò ad evitare una risposta verbale. […] La stanza era tetra, l'unica apertura che c'era era una finistrella sbarrata sul fondo, e dal soffitto in pietra pendevano due grosse catene di ferro. L'aria odorava di ruggine e rinchiuso.

«Benvenuta.» ghignò Drago.

Un bruciore improvviso iniziò a propagarsi sul mio braccio destro, all'altezza del bicipite, e la pelle si surriscaldò lì dove Drago mi aveva appena colpito con la corda, facendomi digrignare i denti dal dolore.

«Continuiamo domani. Per oggi basta.»

[…] «Mi dispiace tanto per quello che ti sta facendo, Wanda. Credimi, mi sento terribilmente in colpa.» Liam, che nel frattempo era rimasto zitto a fissarmi con aria affranta, mi si chinò davanti. Sembrava realmente turbato in viso.

«Che cosa vuoi? Perché sei qui?»

«Perché voglio aiutarti.»

«Io non ho bisogno del tuo aiuto.»

[…] «Non sono forte abbastanza, Ian.»

«Sì che lo sei.»

«No, non lo sono, Ian. Quante altre volte dovrò ripetertelo prima che tu capisca?!» sbottai esasperata.

«Devi avere più fiducia in te stessa, Wanda.»

[…] Il rumore familiare di passi che si avvicinavano mi riscosse dal sonno. «Chi sei?» domandai, acuendo la vista per poter scorgere il suo volto. Lei si zittì, come se fino a quel momento non si fosse accorta di me, e rimase per qualche attimo in silenzio finché non la vidi immobilizzarsi. Aveva cessato di singhiozzare e nel momento in cui si era decisa a muoversi verso la luce, mi parve di scorgere un balenio azzurro – tra l'altro molto simile al mio – nei suoi occhi...

«Viandante?» domandò sorpresa.

18


Nell'incoscienza



«Ilaria?»

Fissai la Consolatrice per qualche minuto, attonita. Era esattamente come la ricordavo, se non che i capelli erano più lunghi. Avrei giurato di scorgere anche qualche ruga in più, ma non ne ero sicura. Non sembrava avere né graffi né ferite, anzi, la canottiera sotto la camicia azzurra era perfettamente intatta. L'unica cosa che strideva erano gli occhi lucidi e il trucco sbavato sulle guance.

«Sei davvero tu?» domandò con lo stesso tono sorpreso con cui aveva pronunciato il mio nome. Per guardarmi meglio si era avvicinata fino ad appoggiare le mani alle sbarre.

«Sì, ma... che ci fai qui? E come fai a sapere qual è il mio aspetto?»

«Io sapevo che eri qui.» disse mentre asseriva fra sé. «È da così tanto tempo che non ci vediamo, Viandante.»

«Tu sapevi che ero qui?» le feci eco.

«Sì... è che le cose non sono andate come dovevano e...»

«Chi ti ha mandata?» la incalzai, poi socchiusi gli occhi. «È stato lui, vero? Drago.»

Ilaria sospirò e annuì con la testa. «Sono cambiate molte cose da quando sei scomparsa, Viandante. Per non parlare di quello che è successo dopo che lui ha preso il posto della tua Cercatrice.»

In quel momento mi sembrò di tornare indietro di mesi e mesi, all'ultimo giorno in cui avevo parlato a quattr'occhi con Ilaria nel suo studio. E fu strano rievocare un ricordo della mia vecchia vita, durata tanto brevemente quanto intensamente. Fu strano perché non avrei mai creduto di poterlo – e volerlo – mai più fare. Era come se l'avessi rimossa, quella primissima parte della mia permanenza sulla Terra.

«Quando anche lei è scomparsa, il Cercatore ha perso il lume della ragione. Ha mandato nel deserto tante squadre, ha fatto ricerche per settimane. E nello stesso periodo ha cominciato ad interrogare tutte le anime che ti conoscevano, per poterne sapere di più sul tuo conto.»

Ilaria proseguì, le mani ben strette intorno alle sbarre come se ci si volesse aggrappare.

«Perché?»

«Perché era sicuro che tu non eri morta e che c'entravi in questa storia, in qualche modo. Così, un giorno si è presentato a casa mia. Mi ha fatto molte domande, tentando di capire di più. Pensava che io sapessi qualcosa perché ero stata la tua Consolatrice, ma tu non mi avevi detto mai niente della tua ospite né di altro, quindi non potevo aiutarlo. Ciononostante lui non mi ha creduto... e mi ha portata via con sé.»

Ilaria abbassò lo sguardo, la voce tremante. «Mi ha privato di tutto, di tutto quello che potevo avere. E adesso vivo nell'attesa di poter porre fine ad ogni ingiustizia che sono stata costretta a subire.» tirò su col naso e si asciugò velocemente le lacrime.

«È per questo che sei qui ora?» le domandai mentre si ricomponeva e tornava a guardarmi.

«Oh, no. Non sono qui per questo.»

Aspettai che proseguisse con la fronte corrugata. Mille pensieri vorticavano senza ordine nei meandri della mia mente.

«Sono qui perché circa due settimane fa sono stati catturati degli umani. Mi era stato dato il compito di estorcere loro delle informazioni con l'aiuto di alcuni Cercatori. Si trattava di due uomini e una donna. Non ricordo bene i nomi, ma so che ti conoscevano.»

«Aspetta.» la interruppi «Mi stai dicendo che hai incontrato Jeb? E Kyle? Erano loro?»

«Sì, ho incontrato Kyle.»

Sgranai gli occhi, terrore mischiato a speranza invase il mio cuore. Ricordavo quello che mi aveva detto Claire, ricordavo quanto male mi avesse fatto sapere che i miei amici erano stati catturati. Ma avevo sempre cercato di non crederci davvero, di convincermi del fatto che Claire avesse semplicemente imbrogliato.

Adesso non sapevo più a cosa credere.

«E come stanno? Dove li tengono?»

Ilaria sorrise, ma il suo fu piuttosto un sorriso incolore, spento. La speranza scivolò improvvisamente via.

«Mi avevano detto che eri loro amica, Viandante. Si erano fidati di me, come avevo voluto che accadesse. Ma vedendo che non arrivavano nuove informazioni, il Cercatore ha deciso di...»

Dei passi concitati giunsero dalla porta infondo al corridoio.

«Sta arrivando qualcuno.» Ilaria sussurrò, spostandosi lontano dalle sbarre.

«Ilaria, dimmi il resto. Prima che arrivi.»

Mi avvicinai di più alle sbarre e aguzzai l'udito per poterla sentire bene.

«No, no, Viandante. Se poi ci sente...»

«Tu parla sottovoce. Avanti.»

La Consolatrice esitò per qualche istante, lo sguardo rivolto verso la porta. Era terrorizzata, glielo leggevo in faccia. Forse lo eravamo entrambe, ma questo poco importava.

L'ombra di qualcuno comparì dalla fessura sotto la porta.

«Gli altri non ce l'hanno fatta, ma Kyle è riuscito a scappare. L'ho liberato io, abbiamo architettato un piano insieme. Il Cercatore pensa che me lo sia fatto sfuggire, ed è per questo che mi ha interrogata prima di rinchiudermi qui. Io non gli ho detto niente però, nemmeno che tu e Kyle siete amici.» balbettò velocemente.

«Questo quanto tempo fa è successo?»

Ilaria sorrise. «Per ironia della sorte Kyle è evaso lo stesso giorno in cui ti hanno messa in cella sotto sedativi.»

Ecco perché, pensai, ecco perché mentre il Cercatore mi interrogava è dovuto andare via. Era questo il problema di cui parlava con l'altra Cercatrice.

«E agli altri cos'è successo?»

La chiave stava girando nella toppa.

«Cos'è successo, Ilaria?» insistetti.

Silenzio.

«Io.» intervenne Ali di Drago quando entrò nella stanza. «Sono successo.»

Trasalii, e ancora prima di rendermene conto mi acquattai lontano dalle sbarre. Drago camminò fino a trovarsi di fronte alle nostre due celle. Un ghigno spaventoso gli increspava le labbra. Si voltò a guardare prima Ilaria, ritornata nell'ombra, e poi me. La divisa era sempre impeccabile.

«Non ti pare ovvio?» mi chiese. La malevolenza gli si leggeva negli occhi. «Non vedi come le cose vanno per il verso giusto adesso? I giusti al potere, i traditori puniti.» aveva alzato una mano per indicare prima se stesso e poi me, dunque aveva fatto spallucce. «E i ribelli catturati.»

Cessai di respirare per qualche secondo, e pensai ai miei compagni. La paura che potesse succedere loro qualcosa di brutto mi investì come una macchina in corsa.

«Tutto andrebbe secondo i piani...» Drago nel frattempo portò avanti quello che si era delineato più come un monologo che altro. «...se solo non venissi a sapere che nonostante tutto ciò che ho fatto, qualcuno si ostina a disobbedire ai miei ordini, come se avesse davvero il diritto di farlo. Guardami quando ti parlo, Viandante.» sibilò dopo essersi voltato completamente verso di me.

Constatai che la presenza di Ilaria, ancora immobile con lo sguardo rivolto verso il basso in un'espressione di malcelata insofferenza, Ali di Drago faticava a considerarla. Era piuttosto intento a studiare la mia inflessibilità di fronte a quel suo chiaro avviso di rabbia.

Mi girai lentamente a guardarlo, l'espressione impassibile.

«Perché disubbidisci?» tuonò.

«Perché non voglio sottostare alle regole di nessuno.»

I lineamenti di Drago vennero contorti da un eccesso d'ira. «Ma ti ho anche fatto la cortesia di portarti il tuo vecchio amico, non un comune Guaritore, Viandante.»

«Non mi sento in dovere di ringraziarti per questo.»

«E invece dovresti!» gridò, battendo un piede per terra e stringendo i pugni. Sussultai e distolsi lo sguardo da lui. «Perché mi costringi a farti del male, dannazione?! Sarebbe tutto così facile...»

Drago lasciò morire la frase nel silenzio. Restò così per qualche istante, fissando la mia figura nell'ombra, poi si mosse.

Estrasse le chiavi dalla divisa, aprì la cella e venne ad afferrarmi un braccio. Mi fece alzare di peso e dovetti seguirlo nonostante i dolori al corpo, sotto lo sguardo pietrificato di Ilaria, che assistette alla scena senza fiatare. Uscimmo dal lugubre tugurio di pietra e terra da cui non mi ero mai allontanata prima d'allora, salimmo la scala di metallo e ci ritrovammo a percorrere un lungo corridoio bianco e illuminato. Drago nel frattempo tirò fuori dalla divisa delle manette, me le mise dietro la schiena e mi spinse davanti a lui, ignorando le occhiate dei passanti.

Mi buttò fuori con la dovuta delicatezza, facendomi cadere di faccia sul terreno arido e sabbioso di un campo militare. Appena atterrai mi sentii la sabbia in bocca e gli occhi di decine e decine di anime addosso: quelle più vicine si erano fermate ad osservare la scena.

Tossii, ritrovandomi stesa su un fianco con la guancia destra a contatto con la sabbia rovente, mentre Drago rimaneva a qualche metro di distanza con gli occhi fissi su di me.

«Se non hai nessun motivo per cui voler essere curata.» disse senza alcun ritegno «Allora te ne darò uno io.»

Col cuore in gola e il respiro corto, alzai lo sguardo e vidi Drago manipolare con fare esperto una cosa lunga, sottile, nera, che gli aveva dato un Cercatore che adesso si stava allontanando per poter assistere da lontano. Una frusta.

Cielo, no., pensai immediatamente, tornando d'un tratto a sentire sulla schiena le ferite causate dalla corda. Non avevo subìto abbastanza per quel giorno? Non valeva più l'espressione ''per oggi basta''?

Chiusi gli occhi e trattenni il fiato. Poi la sentii, la consistenza dura e ardente della frusta che mi si conficcava nella pelle, lacerandola, strappandola una, due, tre volte. Gridai tra la sofferenza e le lacrime, dimentica delle decine di Cercatori presenti intorno a noi.

«Eppure sai, ti credevo più sveglia, Viandante. Più in grado di rimanere fedele ai principi con cui sei nata e cresciuta. Ma evidentemente gli umani ti hanno fatto perdere del tutto la ragione.»

Un altro colpo, un altro urlo. Il sole rovente del deserto sembrava farmi bruciare ancora di più le ferite che erano tornate a sanguinare, la sabbia mi si era incastrata sotto le unghie e in gola.

«Basterebbe solo che mi dicessi la verità, Viandante.» continuò imperterrito Ali di Drago, senza curarsi degli sguardi impressionati dei presenti.

Percepivo il retrogusto metallico del sangue, l'adrenalina nelle vene che mi faceva tremare ogni terminazione nervosa, il sudore sulla pelle gelida nonostante il caldo. E vedevo tutto girare un po' troppo perché potessi riprendermi subito come altre volte.

Drago sferrò un'altra frustrata prima che le parole mi uscissero di bocca da sole.

«NON C'E' PIU' LA TUA CERCATRICE!»

Drago si fermò, guardandomi mentre mi trascinavo coi gomiti sulla sabbia. Poco dopo mi ritrovai i suoi stivali neri sotto gli occhi.

«Come?» domandò.

Respirai a fondo. «Non c'è più...»

Drago serrò i denti, le palpebre tremanti per la rabbia mista all'incredulità, poi mi prese improvvisamente per i capelli, costringendomi a mettermi in ginocchio davanti a lui.

«Basta... ti prego.» sussurrai singhiozzando. Un istante dopo, la porta da dove eravamo usciti si spalancò e Liam fece irruzione nel campo. Indossava anche lui la divisa. Appena mi vide rimase immobile a fissarmi. Ma Drago non si curò del suo arrivo, e continuò a tenermi per i capelli perché potesse guardarmi in faccia.

«Cosa. Hai. Detto?» sillabò. E stavolta la sua voce era stata scossa da un vile tremolio. Teneva la mandibola contratta, gli occhi vitrei nei miei, a cercarci qualcosa che non poteva – o non voleva – trovare.

«Non c'è più.» mormorai di nuovo. Chiusi gli occhi. Silenzio. Drago non smise di fissarmi. «Tu menti.» concluse poco dopo, in tono arrogante.

«No, no... Non mento.»

«Invece sì, dannazione! Stai mentendo, STAI MENTENDO!» gridò così forte che per poco non mi ruppe i timpani. Ma la cosa che mi fece più male fu il pugno con cui mi catapultò per terra. Sentii qualcosa risalirmi dallo stomaco. Iniziai a tossire, ma non accadde nulla. Tutto continuava a girare, stavolta anche troppo, e il labbro inferiore stava cominciando a pulsare.

«Io ti uccido. Ti uccido

In uno scatto, Drago estrasse una pistola e me la puntò in testa. Improvvisamente un formicolio sempre più intenso si propagò dalle braccia fino alle gambe, seguito dalla sensazione di cadere. Il cuore mi batteva tanto forte da farmi quasi male.

L'ultima cosa che sentii fu Liam che urlava «NO!» mentre correva verso di noi.



§



«Ci sei riuscito. Strano.»

Sotto le palpebre c'erano milioni di puntini su sfondo nero. Si muovevano senza spostarsi, creando piccole scie che scomparivano subito dopo.

«Sarebbe stato da stupidi lasciarlo fare, non credi?» si avvicinarono due voci familiari.

«Pensi che abbia detto la verità?»

Un attimo di silenzio. «Sì.»

«Cosa te lo fa credere?»

Percepii una leggera pressione alla mano destra, qualcosa di caldo, poi più niente. «Non lo so. So solo che è così.»

«Cosa ha detto di voler fare lui?» chiese la prima voce.

Un sospiro concitato. «Ha fatto inviare due crioserbatoi al centro. Ha intenzione di scoprire tutto indagando nelle menti di quei due prigionieri. Se tu gli hai detto che erano suoi amici, forse potrebbe trovare qualcosa.»

«Beh, ha senso.»

«E invece non ha per niente senso.» proruppe la seconda.

«Perché?»

«Perché la verità la sa già e non c'è bisogno di uccidere due persone innocenti. E poi tu avresti potuto tenere la bocca chiusa, invece di fare l'egoista come sempre.»

«Scusami se non voglio andare nei casini, Liam, ma ti ricordo che se mi comporto in una certa maniera, non è per me stessa, ma per...»

«Senti, Claire, piantala di mettere sempre in mezzo Rachel. Non è solo per lei che te ne infischi della gente, e lo sappiamo tutti qui dentro. Io per primo. Ti conosco.»

Qualcosa strusciò sul pavimento, probabilmente una sedia. «Pensi che io sia felice di vivere sotto le continue pressioni di questi parassiti, Liam? Pensi che io non stia male quando abbraccio mia figlia prima di andarmene, sapendo che non potrei rivederla più? Non è così facile, per niente. Anzi, è terribile, devastante.» sbottò lei.

«Se quella notte fossi rimasta con me invece di sgattaiolare da Thomas, tutto questo non sarebbe successo.» quelle parole furono pronunciate tanto sottovoce da non poter essere udite da Claire.

«Cosa hai detto?»

«Niente, non ho detto niente.»

«Ce l'hai ancora con me vero? Per quello che ti ho fatto. Lo vedo nei tuoi occhi, il rancore che provi nei miei confronti. È per questo che quando ti parlo sei sempre sulla difensiva, sempre sprezzante.»

Silenzio. Un altro sospiro, molto profondo.

«Io ti amavo. E ho sacrificato la mia vita per stare con te. Poi, per qualche crudele scherzo del destino, tu hai deciso di sacrificare la nostra

Mi aspettai una controbattuta da parte di Claire, ma non fu così. Me la immaginai mentre abbassava lo sguardo e incrociava le braccia, a disagio per la frecciata che aveva appena ricevuto da Liam. Poi sentii un'altra pressione, questa volta sul viso. Mi resi conto solo in quel momento di aleggiare in uno stato particolare in cui potevo sentire ciò che avevo intorno ma non potevo fare niente per aprire gli occhi e alzarmi.

«Liam, io...»

«Cosa?»

«Mi dispiace, per tutto. Non avrei dovuto ferirti in questo modo.»

«Ma l'hai fatto.»

«Sì, e me ne pento. Ogni giorno.»

«Perché? Perché non è andata bene nemmeno con Thomas nonostante sia il padre di tua figlia? Perché ti manca un uomo a cui accollare tutti i tuoi capricci?»

Uno sbuffo e dei passi concitati. «Senti... Tu... ecco, io... C'è una cosa che vorrei dirti. Da tanto tempo. E se te l'ho nascosta fin'ora non è stato per ferirti ma perché quando ci siamo lasciati tu eri arrabbiato, e io ho avuto paura. Paura di perderti di nuovo.»

I due non dissero nient'altro per qualche altro secondo. Fu Liam a rompere il silenzio per primo. «Parla.»

«Okay.» Claire si schiarì la voce. «Ti ricordi di quando è nata Rachel e pensavo di averla partorita prematuramente?»

«Sì...»

«Ma lei era sana e non aveva problemi.»

«Me lo ricordo.»

«Ecco...» Claire titubò «Devi sapere che non è vero che è nata prematura. E che io ho sbagliato... perché ho contato male...»

«Stai scherzando.» disse Liam dopo un minuto buono, la voce atona. Improvvisamente sembrava sul punto di affogare, come se qualcuno volesse mandarlo giù a forza di spintoni e lui facesse di tutto per fermarlo.

«Credimi, ho avuto la stessa reazione quando me ne sono resa conto.»

«Tu...»

«Ho pensato che se il bambino fosse stato di Thomas sarebbe stato troppo presto.» Claire trasse un lungo respiro. «Se invece fosse stato tuo, tutto sarebbe stato nella norma.»

Passarono attimi che sembrarono ore, giorni. Pensai di essermi riaddormentata e di non aver potuto sentire cosa era accaduto dopo che Claire aveva confessato il suo segreto a Liam, ma non fu così.

«Rachel è tua figlia.» disse lei, la voce scossa da un leggero tremolio.

Oh.

«Vattene.» rispose Liam.

«Liam...»

«Hai idea di quello che mi stai dicendo, Claire?» replicò lui, duro e aspro. «O di quello che sto provando?»

«Sì, certo. Non...»

«Mi hai appena detto che ho una figlia. Che Rachel è mia figlia. Che la bambina di quelli che sono stati il mio migliore amico e la mia donna è mia, Claire. E ancora una volta rimango sconvolto dal tuo falso buonismo e dal tuo egoismo. Ti rendi conto che hai usato come una marionetta Thomas, che gli hai fatto credere di essere suo padre e di aver nascosto a me la verità per due anni? Ne sei anche solo lontanamente consapevole?» disse Liam, piccato. Era la prima volta che lo sentivo così arrabbiato e triste, il che mi lasciava sconcertata.

«Liam, ti prego. Io...»

«Vattene.»

«Ma...»

«Vattene via, Claire. Wanda ha bisogno di riposare. In pace.»

Il rumore della sedia che strisciava di nuovo sul pavimento, passi lenti, una porta che sbatteva. Poi più niente.



§


«Come sta?»

«I parametri vitali sono buoni, è stazionaria, ma ha subito diversi traumi. Si riprenderà col tempo.»

«Perché non l'hai ancora guarita?»

«Perché il Cercatore non vuole.»

Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando ero tornata a sentire. L'unica certezza era che ancora una volta le sole persone che avevo intorno erano Claire e Liam. Strano che fossero di nuovo insieme, nella stessa stanza a parlare tranquillamente.

«È assurdo. Prima voleva e adesso no?»

«Ha detto che nessuno può usare le medicine su di lei. Deve soffrire fino a che lui non deciderà il contrario. Sino ad allora, chiunque non rispetterà gli ordini sarà punito. Le due guardie qua fuori non ci sono solo per girarsi i pollici.»

C'era odore di disinfettante nell'aria, qualcosa di tipico degli ospedali mischiato al profumo frizzante del limone. Qualcuno stava armeggiando con della plastica alla mia destra.

«Drago ha già ricevuto i crioserbatoi?» domandò Claire.

«Li ha usati stamattina.» Liam era del tutto inespressivo, sembrava quasi che non gli importasse più nulla di quella faccenda.

«E..?»

«E quando ha riferito ai Cercatori che facevano la guardia di potargli i prigionieri, la ragazza ha tentato di scappare ma non ci è riuscita, e poi è morta. Ha ingerito qualcosa che l'ha uccisa.» un risata bassa priva di qualsiasi divertimento. «Una vita buttata via per niente.»

«Perché continui a pensare che tutto quello che Drago sta facendo non serve a niente?» Claire era realmente interessata.

«Te l'ho detto. Lui sa già la verità.»

«Sei ostinato a crederle.»

«Già.»

«Perché?»

Percepii qualcuno stringermi una mano. Immaginai che fosse Liam. Quel breve momento di silenzio durò più di quanto mi aspettassi.

«Wanda non è una di quelle anime che si sono lasciate coinvolgere da ciò che è il male. Lei è ancora buona, giusta, sincera. È qualcosa che molte altre anime come noi hanno perso vivendo qui sulla Terra. Una creatura tanto pura non meriterebbe mai tutto quello che sta passando lei.»

Altro momento di silenzio. Poi Claire disse con fare poco convinto e quasi scocciato: «E l'altro prigioniero?»

«Lui...»

Qualcuno stava correndo oltre la porta. Non era una persona sola, ce n'erano molte. La porta si aprì e il rumore dei passi velocissimi divenne più forte.

«Cosa sta succedendo?» chiese ad alta voce Claire.

«Sono scappati degli umani.» fu ciò che disse uno di quelli che dovevano essere altri Cercatori, prima che calasse il silenzio più glaciale.

Il battito del cuore mi accelerò un po' di più mentre pensavo ad un unico nome. Kyle.

Il suo piano doveva essere andato in porto, quegli umani dovevano essere i miei amici. Melanie, Aaron, Jared, Brandt e Ian si erano liberati. Gioia e terrore invasero all'improvviso ogni singola parte del mio corpo. Adesso che potevo essere l'unico ostaggio rimasto, la paura di non farcela era diventata più concreta. Ma non dovevo perdere il coraggio. Avevo ancora qualche possibilità, come per esempio quella di uccidere Ali di Drago. Sì, l'avrei fatto, anche se il solo pensare ad una cosa del genere andasse contro ogni mia morale. L'avrei ucciso per vendicare tutti quelli che erano morti e che avevano sofferto per colpa sua. L'avrei ucciso per Lily, Trudy, Lacey, Jeb.

«Com'è potuto succedere?» Claire era incredula. «Ma certo...» disse fra sé e sé. «È stato quel ragazzo... quello che è scappato un po' di tempo fa.»

«Già.»

C'era un che di compiacenza nella voce di Liam. Come se si stesse godendo quella piccola vittoria che nonostante non lo riguardasse lo faceva sembrare comunque felice.

«Pensavo fosse morto.»

«Beh, pensavi male.»


Spazio autore:


Weee, gente! Perdonate il lungo periodo di inattività in cui vi ho abbandonati. Sappiate che non mi è mai passato per la testa di venire meno alla promessa che vi avevo fatto la scorsa volta, quando vi avevo detto che mi ero rimessa in pista e che mi sarei impegnata a proseguire. Ci ho impiegato un bel po' per scrivere questo capitolo, un po' perché con lo studio sono quasi affogata nei libri, un po' perché volevo fare un lavoro decente e soprattutto scrivere un po' di più del solito.

Insomma, non mi sono persa d'animo nemmeno se nello scorso capitolo molti lettori sono rimasti in silenzio e quasi nessuno mi ha dato segni di vita. Ma tranquilli, se volete fare a meno di me non temete, perché ho già pianificato il resto della storia, tutto, epilogo incluso, il che sta a significare solo una cosa: la fine non è tanto lontana. Fatto sta che per arrivarci, bisogna prima parlare di questo diciottesimo capitolo.

Beh, capite che adesso la situazione è diventata piuttosto critica. Innanzitutto, Wanda ha detto la verità, il che di certo non le ha portato vantaggi, e ha saputo di Kyle e degli altri dopo aver ricevuto informazioni da Ilaria (ve la ricordavate? Ahah) e sentito qualcosa da Claire; Liam ha sorprendentemente scoperto una cosa che ha sconvolto sia lui che un po' tutti devo dire.

Come andrà a finire? Che cosa sperate che accada adesso?

Fatemi sapere!

Sha

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Capitolo 19
*** Schieramenti ***


19



Schieramenti




Parcheggiai davanti al palazzo di mattoni rossi, vicino all'alberello sempreverde che ormai aveva raggiunto la finestra del primo piano. Ricordavo ancora com'era quando l'avevo visto per la prima volta: un po' spoglio, con un tronco piuttosto sottile, il ramo più alto superava di poco il portone d'ingresso. Adesso, pensai mentre ci passavo accanto, aveva come minimo il doppio delle foglie e il tronco era molto più spesso.

Suonai al citofono. Pochi secondi dopo lo sentii gracchiare. «Chi è?» disse una voce.

«Sono io.»

«Oh, entra. Ti stavamo aspettando.»

La serratura del portone scattò. Decisi di non prendere le scale, almeno per quella volta. Mi era un po' difficile stare ferma e calma in un luogo piccolo come l'ascensore in quel momento. Non lo davo a vedere, ma in realtà ad ogni scalino che facevo il cuore mi batteva sempre più forte e le mani non smettevano di sudare.

Quando raggiunsi il secondo piano, Camilla mi stava già aspettando con la testa che sbucava fuori dalla porta. Sorrideva.

«Ehi.»

«Ciao. Posso?» le chiesi.

«Certo.» indietreggiò per farmi entrare. «Vieni. È di là che gioca.»

Seguii Camilla attraverso la sala, impeccabile come sempre, poi camminai per il corridoio che portava alle altre stanze. «Dov'è il tuo compagno?» domandai.

«È dovuto andare a lavorare. In realtà anche il nostro vicino è dovuto scappare. Pare che siano stati chiamati tutti i Cercatori perché è successo qualcosa di grosso... Non so di cosa si tratta. Tu ne hai idea?»

«Ehm... no. Non proprio almeno. Ho sentito dire che c'è stato un inconveniente nelle carceri sotterranee, ma niente di più.» dissi, facendo spallucce come se quella faccenda non avesse nulla a che fare con me.

«Oh. Spero non sia niente di irrisolvibile.»

«Ma no... sarà il solito piccolo imprevisto.»

Camilla sorrise benevola, poi mi fece cenno di aprire la porta che avevamo raggiunto. Era socchiusa e dallo spiraglio potevo intravedere il tappeto arancione e la tenda con le margherite.

Aprii del tutto la porta. Sparsi per il pavimento c'erano giochi di qualsiasi genere, costruzioni, peluche, sonagli, e proprio al centro del tappeto c'era una bimba con un vestitino tutto rosso e un codino sulla testa che faceva sventolare i capelli biondi ogni volta che si muoveva.

Quando mi vide, abbandonò per terra il ciuccio che teneva in bocca e sorrise. «Mamma!» disse.

«Rachel, hai visto chi è venuta a trovarti?» fece Camilla.

Rachel allungò le braccia verso di me quando mi chinai per poterle dare un bacio sulla fronte. La guardai, felice di poterla rivedere dopo giorni, e per un attimo invidiai la sua spensieratezza. Piccola com'era, non aveva altro di cui preoccuparsi se non che mangiare e dormire. Non si sentiva mai il petto pesante, la testa piena di pensieri, le mani tremanti. Non aveva paura di dover ferire qualcuno per suo tornaconto. Era felice, felice nonostante avesse una madre che aveva ferito e...

«Non sai quanto mi dispiace, Camilla.» mormorai mentre mi rialzavo e mi giravo verso di lei. Mi guardò, confusa. «Per cosa, Claire?» domandò.

Mi avvicinai e prima ancora che se ne potesse accorgere, impugnai la pistola nascosta nella tasca del giubbotto.

Camilla spalancò gli occhi, alzando automaticamente le braccia. «Claire. Cosa vuoi fare con quella?»

Avevo la vista leggermente annebbiata. «Non avrei mai voluto questo.» mormorai intanto che una lacrima mi solcava silenziosamente il viso.

«Cosa vuoi dire?»

«Ti ringrazio per come ti sei presa cura di mia figlia, Camilla. Ma adesso è arrivato il momento di cambiare. Noi non possiamo più stare qui.»

La ragazza scosse la testa, continuando ad indietreggiare per tenersi lontano dalla pistola che le stavo puntando contro. Rachel, alle mie spalle, iniziò a lamentarsi.

«Lo sai che non lo puoi fare. Te la porterebbero via, ti ucciderebbero.»

Non pensare, non pensare, non pensare.

Un movimento appena udibile del mio dito sul grilletto. Camilla mi fissò, incredula, poi un rivolo di sangue le spuntò dalla bocca. Cadde sulle ginocchia. Il suo corpo si riversò per terra con un tonfo sordo, senza più muoversi. Una macchia rossa iniziò a spandersi sulla sua camicetta, all'altezza dell'addome.

Ero in lacrime quando mi accorsi di tremare come una foglia, in preda al dolore e al senso di colpa, con la mano ancora stretta intorno alla pistola. I lamenti di Rachel si erano tramutati in un pianto rumoroso.

Tirai su col naso, mi inginocchiai su Camilla blaterando un appena udibile ''scusami, scusami tanto'', poi mi alzai e senza smettere di fissarla arretrai per tornare nella stanza di Rachel. Appena dentro mi voltai e andai a prenderla, tirandola su e stringendomela al petto. «Ssh, tesoro. Va tutto bene, va tutto bene. Adesso ce ne andiamo, okay?»

«Lalla.» disse quando tornò calma, allungando un ditino verso Camilla. Lalla. Era così che la chiamava lei.

In fretta e furia riposi la pistola in tasca, misi Rachel nel suo lettino e andai ad aprire l'armadio. Presi uno zaino abbastanza grande, lo aprii e cominciai a raccogliere tutte le cose che sarebbero servite per il viaggio. Rachel mi guardava in silenzio e mi chiesi se avesse capito tutto, se capisse perché Camilla era in corridoio, circondata da una pozza di sangue sempre più ampia, o perché sua madre non smetteva di tremare e piangere per aver ucciso una persona.

Era una parassita., mi diceva una voce nella mia testa.

No, era pur sempre una persona. Era come Wanda, come Liam.,

Preparato lo zaino, misi a Rachel il suo giubbottino e quando la ripresi controllai oltre la finestra per verificare che tutto fosse rimasto tranquillo. D'altro canto avevo usato il silenziatore, non potevano aver sentito qualcosa.

No, no. Non hanno sentito.

«Ecco, amore.» dissi quando le diedi il suo peluche.

Uscite dall'appartamento, mi guardai intorno e camminai a passo veloce verso l'ascensore.

«Andiamo...» blaterai, premendo più volte il tasto di chiamata. La tacchetta segnava il numero zero. Decisi di prendere ancora le scale. Chiunque stesse salendo dai garage non doveva vedermi.

Giunsi in macchina e dopo aver sistemato Rachel sul seggiolino, partii. Diedi un'ultima occhiata all'edificio dallo specchietto retrovisore, poi svoltai l'angolo e i mattoni rossi scomparvero.

Respirai a fondo. Altre lacrime avevano preso a scendermi imperterrite sul viso. Non avevo mai ucciso nessuno, non avevo mai voluto far del male a qualcuno.

Eppure, questa vita infelice a cui ero stata costretta mi aveva obbligata a compiere azioni che non avrei mai voluto commettere, scelte che non avrei mai voluto fare. E adesso ero lì, con le mani che mi sembravano sporche di sangue anche se erano pulitissime, sola insieme a mia figlia, terrorizzata all'idea di poter essere divisa definitivamente da lei se qualcuno mi avesse scoperta. Cosa avrebbe pensato Rachel di me, un giorno? Cosa avrebbe detto quando avrebbe saputo che sua madre era un'assassina? E come si sarebbe comportato Liam? Liam, Liam che ora sembrava l'unico appiglio a cui aggrapparmi, l'unico in grado di tranquillizzarmi su tutto, l'unico che poteva aiutarmi.

Rallentai. Avevo raggiunto la strada sterrata che portava all'ospedale. Ai lati del sentiero rami e alberi secchi erano coperti per metà dalla sabbia del deserto. Mi fermai davanti all'ingresso, scesi dalla macchina ed entrai solo dopo aver preso Rachel, che si era appisolata sul seggiolino.

L'ospedale era illuminato come sempre e dalla palestra-mensa giungevano diverse voci che non riuscivo a distinguere. Mi diressi subito verso l'ascensore, camminando attraverso il corridoio azzurro, respirando l'aria familiare di quella che consideravo casa.

Avevo bisogno di vedere solo una persona in quel momento, il tempo era poco e indispensabile.

Al primo piano non c'era anima viva. Le porte erano tutte chiuse a chiave. Mi fiondai di nuovo in ascensore per raggiungere il secondo. Nell'attesa diedi un'occhiata a Rachel, accoccolata sulla mia spalla con gli occhi chiusi e il dito in bocca.

Tin.

L'ascensore mi avvisò di essere arrivato un secondo prima di aprirsi. E quando lo fece, la prima cosa che vidi fu l'ultima che mi sarei aspettata.

«Ian? Cosa ci fai qui?» dissi, sorpresa.

Lui mi guardò, sorpreso quanto me. Aveva i vestiti sporchi, i jeans strappati e un taglio insanguinato sul sopracciglio destro. Non era una ferita fresca, il sangue si era insecchito. Non era molto in forma, tuttavia il fucile che aveva in mano bastava a non fargli perdere l'aria minacciosa di chi che voleva strozzarti.

«Tu...» sibilò.

Le porte dell'ascensore stavano per richiudersi, ma Ian fu più veloce: le bloccò con un piede, poi usò le braccia per aprirle. Io indietreggiai, tenendo stretta Rachel.

«Senti... aspetta... mi dispiace, okay?» balbettai mentre andavo a sbattere contro la parete, mostrandogli il palmo della mano libera. Ian, veloce come un fulmine, si allungò verso di me e mi afferrò, spingendomi fuori dall'ascensore.

«Ti prego, non farci del male.»

«Ah, no? E cosa dovrei fare, allora? Ringraziarti per come ti sei comportata?» sbottò lui a voce alta, con gli occhi e le narici dilatati. Mi fissò, poi spostò lo sguardo su Rachel. La guardò come se si fosse accorto di lei solo in quel momento.

«Lei è mia figlia...» dissi con non troppa convinzione, evitandogli di chiedere spiegazioni.

Ian storse il viso in un'espressione confusa. «Tu hai una figlia?» domandò, come se non potesse essere possibile una cosa del genere.

«Sì.»

«E perché non l'hai mai detto?»

«Perché volevo proteggerla.» risposi. Lui mi guardò storto per qualche altro secondo, poi rise di una risata priva di qualsiasi divertimento.

«Dici sul serio?»

«Certo che dico sul serio.»

Rise di nuovo. «Questa è bella... Non smetti mai di sorprendermi, sai Claire?» Tornò a stringere il suo fucile. Poco dopo, la sua espressione era diventata seria e arrabbiata come prima. «Beh, comunque sia, sta' tranquilla per tua figlia. Non è lei che vorrei uccidere in questo momento. Cosa stavi facendo qui?»

«Potrei farti la stessa domanda.»

«Non giocare con me, per favore.»

Sostenni il suo sguardo per un lungo istante, osservandolo trattenere la rabbia, poi mi puntò il fucile contro e fece cenno di andare avanti. «Muoviti.» disse.

Decisi di dargli retta. Lentamente, camminai fino alla fine del corridoio con lui alle spalle, quindi entrai nell'unica stanza aperta. Non ricordavo a chi appartenesse. C'era solo un letto a castello, un comodino senza abatjour e un armadio completamente sgombro.

«Posso metterla lì?» chiesi a Ian indicando Rachel.

«Sì.»

La riposi delicatamente sul letto in basso, lei si mosse ma senza svegliarsi. Le accarezzai piano una guancia intanto che con l'altra mano frugavo nella tasca del giubbotto.

Fu un attimo. Impugnai l'arma e scattai nella direzione di Ian.

Anche stavolta mi colse di sorpresa: lui aveva già puntato il suo fucile contro di me.

«Ti hanno mai detto che sei prevedibile?» domandò.

«Che cos'è successo a tutte le persone che erano qui?»

«Mi crederesti se te lo dicessi?»

«Dimmelo.»

«Penso che in questo momento siano in viaggio.» disse continuando a mantenere la mira.

Corrugai la fronte. «In viaggio? Verso dove?»

«Un posto lontano da questa città. Al sicuro.»

«Perché?»

«Perché noi non siamo quel genere di umani che per sopravvivere vendono altri umani ai Cercatori.»

Ecco. Molto probabilmente non vedeva l'ora di usare quella frase per zittirmi.

«Noi non l'abbiamo fatto per male.» dissi.

«No? E per cosa allora?»

«L'hai detto tu. Per sopravvivere.»

«Non lo trovo un buon modo per sopravvivere.»

«Non tutti la pensano alla stessa maniera.»

Ian sbuffò, irritato, poi però lo vidi cercare di rilassarsi. «Senti.» cominciò, con un tono diverso da quello irriverente di poco prima, più pacato. «Non mi costringere a farti del male. Voglio solo sapere dov'è Wanda.»

«E se te lo dicessi cosa ci faresti dopo? Ci riporteresti dai Cercatori?»

«Ehi. Non l'hai detto tu stessa che non tutti la pensano alla stessa maniera?» domandò, abbassando il fucile per poter allargare le braccia. Il che mi prese in contropiede e nonostante io non volli fare lo stesso, lui rimase con la guardia abbassata.

«No.» aggiunse. «Non vi porterei dai Cercatori. Non sono come voi, Claire. Io penso che ogni umano sia indispensabile. Incluse voi due. Dunque, se mi dirai quello che voglio sapere, ti garantisco un futuro per te e tua figlia. Ma ti avverto: in questo momento alcuni dei miei compagni stanno programmando degli ordigni che abbiamo trovato in un magazzino. Non rimarrà più niente del campo, né delle carceri sotterranee. Quindi sta a te scegliere. O i buoni o i cattivi. Non ci sono molte opzioni.»

La pistola mi tremava appena per l'adrenalina. Non era un gesto tanto nobile quello di puntare un'arma contro qualcuno che non si voleva difendere con la propria, ma la testa mi diceva che non mi dovevo fidare del tutto di Ian. Avevo mentito alla sua compagnia, li avevo rapiti e dati in mano alle anime, gli avevo portato via la donna che amava.

Non aveva nessun buon motivo per non uccidermi.

«C'era Liam tra la gente che avete fatto partire?» chiesi d'un tratto.

«No, non c'era.» rispose Ian impassibile.

«È-è al campo allora.»

«Non lo so, Claire. Non abbiamo visto né lui né Wanda. Non sappiamo dove siano.»

Non poteva rimanere al campo, non adesso. Se l'avesse fatto sarebbe morto insieme a tutti gli altri.

«Claire, mi devi aiutare. Sai tu stessa di non poter fare diversamente.»

Ian parlava come se avesse a che fare con una bambina che voleva persuadere con una caramella.

«Se io ti aiuto a trovare Wanda, tu farai lo stesso per Liam?»

Lui annuì lentamente. «Sì.»

«E garantiresti anche per lui?»

«Non vogliamo togliere a nessuno di noi la possibilità di salvarsi e vivere una vita felice, Claire. A nessuno di noi.» Ian fece un passo verso di me, poi un altro. Quando mi fu abbastanza vicino allungò una mano e mi guardò, aspettando che gli potessi dare la pistola. Deglutii, fissando il suo palmo aperto.

Ian considerava Liam come uno di noi, ma forse ero stata io, che gli avevo fatto capire quanto fosse importante per me che anche lui si salvasse, a spingerlo a pensare in quel modo. O forse l'aveva fatto solo perché comprendeva quanto io tenessi a Liam, così quanto lui teneva a Wanda.

«Fai la cosa giusta, Claire.» mi esortò, a voce bassa.

Guardai i suoi occhi azzurri, così limpidi e chiari da essere dannatamente difficili da sostenere. Non li macchiava nemmeno una traccia d'inganno, niente.

Un minuto dopo la pistola scivolò in silenzio dalla mia mano per poter cadere nella sua.

«Ottima scelta.» disse sorridendomi.



«Loro non possono trovarci, non qui. Se lo faranno li uccideranno. I Cercatori sono troppi.»

Scossi la testa, senza sapere a cosa pensare, poi guardai Liam. Aveva arricciato le labbra e sospirato profondamente, consapevole di quanto fosse ovvio quello che avevo appena detto. «Lo so. E lo sanno anche loro, Wanda, sanno che tu sei molto importante per Drago e che nessuno arriverebbe a torcerti un capello con lui alle calcagna. Ma forse hanno ragione a dire di farcela. Stanno organizzando qualcosa di potente.»

«Non lo so, Liam...»

Liam posò una mano sulla mia, pigramente abbandonata sul lenzuolo, e la strinse appena, come preoccupato di rompermela se avesse usato un po' più di forza.

«Fidati di loro, Wanda.»

Mi regalò un sorriso di conforto. Aveva fatto così anche quando mi ero risvegliata, trovandomi in quella stanza sconosciuta dalle pareti verde-acqua, con fili e bende attaccati ovunque. ''Sta' tranquilla, sei al sicuro.'' aveva detto sempre con quel suo sorriso sulle labbra. Io l'avevo guardato, stordita e senza sapere bene come comportarmi, diffidente e insicura di me stessa, di come avrei potuto reagire a tutte quelle cose che avevo sentito e che una volta sveglia pensavo di essermi solo sognata. Poi però, non so per quale motivo, fu lui a togliermi il dubbio parlandomene ancora prima che glielo domandassi. Mi raccontò anche di come aveva scoperto di essere il padre di Rachel.

''Wow.'' dissi non appena Liam mi diede la grande notizia. Lui non ostentò nessun segno di grande entusiasmo.

''Sì, beh...''

''Liam, è fantastico. Hai scoperto di avere una figlia, di essere padre. È una bella cosa.''

Aspettai qualche istante per capire se il fatto di essere felice per lui potesse essere una cosa positiva o negativa, cercando una risposta nei suoi occhi. Brillavano del loro azzurro, ma non erano particolarmente luminosi.

''Non... non è una bella cosa? Voglio dire, una persona potrebbe sempr...''

''Ma io non sono una persona, Wanda. Non so nemmeno come fare il padre... Ed è per questo che mi sono arrabbiato molto con Claire, anche se poi abbiamo deciso di darci una tregua...'' Per la prima volta mi ritrovai a capire perfettamente Liam. Tante cose erano sconosciute anche a me nonostante vivessi e mi considerassi umana, quindi immaginavo cosa stesse provando in quel momento.

''Quindi avete fatto pace?'' domandai, alzando le sopracciglia e asserendo col capo per incitarlo a parlare. Liam contrasse il viso in una smorfia, poi si grattò la testa e rise tristemente. ''Non penso che ci sia mai stata una... pace da fare, ecco.'' Alla parola «pace» aveva mimato le virgolette con le mani, poi le aveva abbassate e facendo spallucce aveva detto che avrebbe risolto tutto pian piano.

Sembrò che non fossi mai stata catturata da Drago, che non mi avessero mai mentito né torturata, che tutto quello che era accaduto dopo che Claire mi aveva sedata non fosse mai avvenuto. Avevo avuto davanti il Liam con cui mi ero incontrata per la prima volta, quello gentile e sincero, non quello sfrontato ed egoista che mi aveva consegnata a Drago. Era stato strano all'inizio. ''Le cose sono cambiate, non doveva andare così, niente doveva andare così. Ho deciso da che parte stare e penso che abbia fatto lo stesso Claire.'' aveva ammesso quella mattina, prima di iniziare a parlarmi dell'incontro tra Ian e Claire, che gli aveva raccontato tutto. Era stato in quel momento che qualcosa dentro di me era scattato come una molla che tornava a funzionare. Posso fidarmi, avevo pensato, posso tornare a fidarmi di lui.

«Okay.» dissi appoggiando la testa sul cuscino e rilassandomi. Liam mi diede un buffetto sul dorso della mano.

«Non ti preoccupare. Vedrai che andrà tutto bene e che presto ci sbarazzeremo di loro.» sussurrò facendo cenno verso le due guardie che c'erano al di là della porta. Dal vetro infisso nella parete, che potevo solo intravedere per via delle tendine di plastica abbassate, scorsi le figure di due Cercatori armati fino ai denti.

Ridacchiai, osservando Liam spiarli con fare diffidente e alquanto teatrale. Assomigliava tanto a Ian quando faceva così. Anche lui adorava scherzare e farmi ridere per tirarmi su di morale.

Quanto mi mancava. Se ripensavo al modo in cui ci eravamo lasciati l'ultima volta poi...

«Bene, penso sia il caso di andare, o il Cercatore si insospettirà. Ti serve qualcosa?» mi chiese Liam mentre si alzava dalla sedia vicino al letto.

«No, grazie, sto bene.» Lo osservai armeggiare con la busta di plastica che era collegata con un tubicino all'altra mia mano. All'interno c'era una cosa gialla e densa che non aveva l'aria di essere appetitosa. «Per quanto dovrai darmi questa roba disgustosa?»

«Per tua informazione» iniziò, con tono stizzito «Questa roba disgustosa ti ha fatto sopravvivere quando te ne stavi qui a fare la Bella Addormentata.»

«Rimarrà sempre una roba disgustosa.» dissi rivolgendogli un sorriso di plastica.

Liam mi lanciò un finto sguardo truce, poi si appropinquò alla porta e salutandomi se la richiuse alle spalle.

Rimasta sola, mi girai su un fianco e presi a fissare le goccioline che una dopo l'altra cadevano dalla busta al tubicino. Nel muovermi percepii le ferite sulla schiena tirare. Al mio risveglio, Liam mi aveva anche fatto sapere che sembravo ''una a cui era passato sopra un tir'', elencandomi sempre coi suoi modi impeccabili e puntuali che cosa coprivano tutti i cerotti che mi aveva appiccicato addosso. La ferita più fastidiosa era quella che mi ero procurata sul labbro inferiore prendendo un pugno da parte di Drago, le altre erano più o meno sopportabili. Ma ci sarebbe voluto ben di più per farmi desistere dal mettere in atto il mio piano. In un modo o nell'altro avrei sempre cercato di uccidere il Cercatore, e di salvare i miei amici, anche se ancora non sapevo come.

Udii delle voci attraverso la porta.

Girai appena la testa per poter vedere di chi si trattava. Scorsi i capelli biondo cenere di un uomo che stava parlando con una delle guardie. Era Drago. Teneva gli occhi socchiusi e gesticolava copiosamente, come se le stesse spiegando una cosa complicata da capire. Il suo interlocutore annuiva soltanto. Appena fece un cenno con la testa questi si spostò per poterlo far passare.

Quando Drago entrò nella stanza io mi ero voltata e avevo chiuso gli occhi per fingere di dormire. Sentii i suoi stivali neri toccare leggiadramente il pavimento, era la prima volta che mi rendevo conto di quanto la sua cadenza fosse sempre stata elegante e delicata, in contrasto coi suoi atteggiamenti impetuosi e arroganti.

Le vene mi pulsavano come se al posto del sangue ci fosse adrenalina. Il pensiero di tornare ad averlo a così poca distanza mi terrorizzava.

Lo percepii fare il giro del letto e mettersi lì dove pochi minuti prima c'era stato Liam. Il suono appena udibile degli stivali a contatto col pavimento s'interruppe. Non sentii più niente per un lungo minuto.

«Goditi le attenzioni che ti prestano i tuoi amici, Viandante.» Mi venne quasi da sussultare quando la voce sottile di Drago mi carezzò le orecchie, più vicina di quanto immaginassi. «Presto non potrai più averle.»

Un brivido mi corse lungo la schiena, il battito del cuore si fece più agitato. Un attimo dopo era tornato di nuovo il silenzio, interrotto solo dai passi del Cercatore verso la porta. Quando la sentii sbattere riaprii gli occhi e respirai a fondo. Non mi ero accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.

«Cosa sei venuto a fare qui?»

D'un tratto mi accorsi delle voci che si erano alzate in corridoio, una era di Liam.

«Non voglio che mi si facciano domande insensate, Guaritore, e tantomeno che si usi un tono del genere con me.»

Drago gli stava difronte con quell'aria indisponente e superba che tanto lo caratterizzava, guardando Liam dall'alto in basso come se fosse una formica.

«È chiaro?» disse.

«Sì.»

«Aggiornami, Guaritore.»

Non riuscii a sentire quello di cui parlarono dopo, l'unica cosa che capii era che l'argomento della loro conversazione ero io. Quando Drago fu soddisfatto se ne andò.

«Perché hai permesso che venisse?» domandai a Liam appena fu dentro. Lui rimase con la mano sulla maniglia a guardarmi.

«Pensavo stessi dormendo.» aggiunse prima di avvicinarsi. Si era messo le mani in tasca, fermandosi davanti al letto. Vedendo la mia espressione sospirò.

«Non posso impedire che lui ti faccia visita, Wanda. Non sono io che decido.» spiegò, alzando le spalle.

Trattenni il respiro. Improvvisamente mi sentivo come se trovandomi a così poca distanza da Drago qualcosa mi avesse urticata. Il solo pensiero di poter essere semplicemente toccata da lui mi aveva messo una paura che non credevo di possedere.

«Lo so... Scusami, è che...»

«Ehi.» Liam fece il giro del letto e mi si avvicinò fino a ritrovarmi il suo viso a poche spanne dal mio. «Non gli permetterò di farti ancora del male, hai capito?»

Puntai lo sguardo nel suo. Era onesto, determinato, confortevole. Non nascondeva niente, né quanto in là si sarebbe spinto pur di proteggermi, né quanto tenesse a me. Sì, Liam teneva a me, aveva anche avuto il coraggio di dirmelo e i suoi occhi dicevano che se avessi voluto il contrario lui avrebbe fatto comunque di testa sua.

«Sì.» risposi, sospirando.

La linea diritta che era la bocca di Liam si rilassò in un sorriso dolce.

«Adesso dobbiamo prepararci. Tra qualche giorno festeggeremo la libertà.»






Spazio autore:


Okay, okay.

Comincio col dirvi che vi amo tutti ahah

Nello scorso capitolo mi sono ritrovata ad essere sostenuta in un modo che neanche immaginavo, mi avete caricato in una maniera pazzesca e questo mi ha fatto veramente bene. Quindi vi ringrazio di cuore <3

Ecco, dopo questa premessa (che non ho fatto per aver scritto un capitolo moolto più corto del precedente e che vi avrà lasciati insoddisfatti, ma perché sentivo di dovervi riconoscere il sostegno che mi avete dato ahah), ci tenevo a dirvi che se effettivamente qui non è successo granché è perché se avessi fatto succedere altro avrei dovuto pubblicare un capitolo di trecento pagine, e non mi sembrava il caso. Non voglio tenervi troppo sulle spine lasciandovi col fiato sospeso perché termino il capitolo in un momento critico, l'ho già fatto altre volte, per vostro grande dispiacere ahah, ma stavolta no. Deve essere una potente scarica di adrenalina che deve arrivarvi in una botta sola, altrimenti non c'è soddisfazione, o no? XD

Ma parliamo seriamente di questo capitolo.

La prima parte è un flashback che ci racconta Claire, molto importante, perché ci dice cose che dal punto di vista di Wanda non potremmo mai conoscere. Capite che lei non si lascia scivolare tutto via così facilmente come può sembrare, compie gesti estremi ma non senza sentirsi in colpa, ci pensa, si crogiola nella disperazione perché non era questo quello che voleva dalla vita. Abbiamo anche la possibilità di analizzare i suoi sentimenti, verso la figlia, verso Liam. Lei sa che non è stata del tutto corretta con lui, che era e che è piuttosto incline a istinti piuttosto egoistici perché la paura di perdere chi ama la tormenta, ma sa anche che non si può tornare indietro e cancellare il passato. Quel che è fatto è fatto. C'è di buono che Liam non l'ha respinta al punto tale da non volerne più sapere di lei.

Fatto sta che adesso Claire ha preso le parti dei buoni grazie all'intervento di Ian, e la stessa cosa l'ha fatta Liam, principalmente grazie a Wanda, anche se lei non ha fatto niente di concreto nei suoi confronti per fargli cambiare idea.

Quindi, ragazzi, abbiamo scoperto che Kyle ha effettivamente liberato gli altri dalla prigione e che ora stanno preparando un piano.

La seconda parte ci mostra il presente di Wanda ed ha un'aria decisamente tranquilla rispetto a quello che avete letto nello scorso capitolo e all'inizio di questo. Che cosa mi dite? Cosa pensate riguardo ai tre personaggi che avete visto agire?

Deliziatemi con i vostri commenti! :D

Io vi lascio con una promessa e un piccolo spoiler: nel prossimo aggiornamento ci sarà molto movimento. La citazione che ho scelto come introduzione è ''Ogni minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto completamente.'' dal film Vanilla Sky. ;)

A presto,

Sha

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Capitolo 20
*** E' reale ***


20



È reale



Ogni minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto completamente.

[Vanilla Sky]





C'era una sola finestra in quella stanza d'ospedale, corta e larga. Passai gran parte del giorno ad osservare il deserto che si estendeva fino ai canyon all'orizzonte, come un immenso lago dorato. Di tanto in tanto nuvole bianche e sottili oscuravano il sole, accompagnandolo nel corso del suo movimento verso ovest. Non riuscivo ad intravedere nient'altro, niente che lasciasse intendere dov'ero. Anche la stanza sembrava non voler suggerire nulla, se non il fatto di non essere una vera stanza d'ospedale. Il letto non era uno di quelli alti e sofisticati con le sbarre ai lati, al muro non c'erano prese dove attaccare i macchinari a cui collegare i pazienti. L'arredamento era costituito solo da un comune materasso a mezza piazza, un'asta di metallo da cui pendeva la sacca contenente la roba disgustosa, una sedia di legno e un tavolino.

Quando mi misi seduta e allontanai le lenzuola una delle guardie intenta a fare avanti e indietro per il corridoio puntò lo sguardo su di me, ma io la ignorai. Mi stiracchiai, e per la prima volta dopo tanto tempo pensai di sentirmi meglio. Non mi girava più la testa, né lo stomaco mi bruciava per la fame. Probabilmente era grazie alla quella poltiglia nella sacca di plastica che ero quasi del tutto in forma. L'unica cosa che continuava a dolermi erano le ferite sulla schiena.

Abbassai gli occhi sui miei vestiti e ricordai di non averli più sporchi e sgualciti: dopo la visita di Drago – speravo l'ultima della giornata – Liam me li aveva portati nascosti in un sacco nero. Era stato piacevole annusare un odore che non ricordasse il puzzo stantio del sangue incrostato e della terra secca.

Appoggiai i piedi sul pavimento fresco, barcollando col terrore di vedere le pareti della stanza girarmi vorticosamente intorno, ma la sensazione durò solo qualche istante prima che riuscissi a incespicare due passi verso la finestra. Sbirciai sotto e scoprii di trovarmi al primo piano di un edificio, pochi metri più in là si ergeva una barriera di cemento sulla cui cima si arrotolava del filo spinato. Lo stesso che avevo visto quando mi avevano trasferita dalla cella tutta bianca alla stanza da interrogatorio, trasportandomi su un furgone attraverso un campo.

Quando Ian aveva promesso che sarebbe venuto a prendermi.

L'acqua del bicchiere sul tavolino vibrò, così come il vetro della finestra. Allontanai la mano che vi avevo posto sopra, osservando l'alone delle dita ritrarsi velocemente prima di scomparire del tutto. Poi l'acqua e il vetro vibrarono un'altra volta, più forte, e il bicchiere cadde, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento. Quando mi voltai verso la porta vidi le guardie lanciarsi occhiate perplesse e diffidenti e impugnare con più decisione le loro armi. Poi una di loro sgranò gli occhi, spalancò la bocca per dire qualcosa che tuttavia io non riuscii a sentire.

Stavolta non fu solo il bicchiere a spargersi in milioni di piccole schegge, ma anche le due vetrate adiacenti alla porta e la finestra. Un ondata di fuoco e fiamme spazzò via la parete che dava sul corridoio e parte del soffitto, facendo piovere pezzi di legno e ferri tutt'intorno.

Ebbi giusto il tempo di gettare un urlo e infilarmi sotto il letto prima che l'esplosione arrivasse come un uragano. Mi rannicchiai in posizione fetale, strappandomi via il tubicino sul dorso della mano e coprendomi le orecchie ad occhi chiusi.

Sentii il cuore rimbalzarmi nel petto e salirmi in gola mentre il boato scemava e l'esplosione abbandonava il suo apice fino a dissolversi. Gli attimi che seguirono furono scanditi dal silenzio e dallo scroscio non troppo lontano del fuoco che scoppiettava e del cemento che si staccava e cadeva per terra.

Poi udii i passi di qualcuno che si avvicinava correndo, e qualche attimo dopo la luce scura dietro le palpebre divenne più chiara, come se avessero acceso una luce o spalancato una finestra in una stanza buia.

«Santo cielo. Wanda.» Era Liam. Aveva ribaltato il letto scoprendo il mio nascondiglio, e adesso mi guardava con un'espressione di malcelato orrore in faccia, con la divisa annerita e i capelli castano dorato pieni di fuliggine. Inaspettatamente si chinò verso di me e mi abbracciò forte, facendomi premere il viso sulla sua spalla. L'aria era appesantita dalla polvere e dal fumo.

«Stai bene? Sei ferita?» mi chiese quando ci staccammo.

«No, io sto bene ma...» per qualche motivo avevo il fiatone e continuavo a sentirmi il cuore in gola. «Tu?»

«Anche io sto bene.»

«Cos'è successo?» chiesi.

«Credo di saperlo. E credo che lo sappia anche tu.» disse mentre si rialzava e mi dava una mano a fare lo stesso. Poi si ripulì la divisa, per quanto poteva, e si guardò intorno.

Vicino a dove pochi minuti prima si ergeva la porta c'era una piccola montagna di macerie mischiate a pezzi di vetro, da cui spuntava la mano di una delle guardie. Il corpo dell'altra era accasciato poco più in là, ma non era sepolto. Alla vista delle sue ferite e della posizione innaturale delle gambe percepii il sapore amaro della bile salirmi in bocca.

«Non può essere che siano stati Kyle e gli altri.» commentai dopo aver ricacciato indietro il conato di vomito. «Saremmo potuti morire anche noi.»

«Forse qualcosa è andato storto, allora.» ipotizzò Liam «Ma non c'è tempo. Dobbiamo andarcene da qui. Ora.»

Senza aggiungere altro Liam mi prese per mano, trascinandomi fuori di lì. La parte destra del corridoio era inagibile: si percorrevano solo alcuni metri prima di incappare in un cumulo di macerie che arrivava fino al soffitto. Doveva essere giunto da quella parte il bum. La parte sinistra invece era libera e si estendeva in un corridoio che si affacciava su altre stanze.

«Cosa stai facendo?» chiesi quando Liam si chinò vicino alla guardia non sepolta.

«Sto cercando qualcosa che potrebbe tornarci utile.» disse prima di tirare fuori da sotto un grumo di cemento un fucile. «Tipo questo.»

Alla vista dell'arma trasalii senza che lui se ne accorgesse. Passò a frugare nella divisa del cadavere, trovando una pistola.

«Prendila. Ti servirà.» disse quando me la porse. Fissai l'oggetto per qualche istante, rendendomi conto di quanto poco Liam mi conoscesse per non sapere quanto odiassi impugnare una di quelle cose, ma decisi di non fare troppe storie. La presi trattenendo la repulsione, e ricordandomi di come si comportava Ian quando usava la sua, la nascosi dietro la schiena, sotto la maglietta.

«Ci sono state altre due esplosioni, nel campo.» Liam parlava a bassa voce mentre camminavamo. «Poi si sono fermate. Non ho idea se ce ne saranno altre.»

«Dici che Drago è...?»

«No. Non lo so a dirla tutta.»

Pendevano fili scoperti dal soffitto, alcuni erano spezzati e producevano piccole scintille gialle, e tra la polvere e le macerie scoppiettavano delle innocue fiammelle in via d'estinzione. Le pareti erano annerite e in alcuni tratti smembrate. Il corridoio che percorrevamo si unì ad un altro, formando un incrocio. Fummo sul punto di passarci attraverso, quando i proiettili di qualche pistola iniziarono a rimbalzarci accanto, accompagnati da esclamazioni: «Eccoli! Eccoli!»

Con una prontezza che non pensavo avesse, Liam mi spinse in avanti, facendomi attraversare l'incrocio e planare indenne dall'altra parte. Lui invece rimase lì dov'era, inginocchiato all'angolo col fucile pronto per l'uso.

«Liam!» esclamai, raggomitolandomi accanto alla parete.

«Va' via, Wanda!» disse prima di affacciarsi per rispondere al fuoco.

«Non se ne parla!»

Per qualche ragione Liam assomigliava ad uno di quegli uomini super addestrati in grado di uccidere la gente in qualsiasi modo mentre prendeva la mira e sparava, tenendo gli occhi concentrati sul bersaglio. Non indossava giacca e cravatta costose come il tizio della copertina di un DVD che una volta Melanie mi aveva fatto vedere passando davanti ad un negozio di elettronica, ma l'aria decisa e minacciosa era la stessa.

«Wanda, bisogna che io rimanga qui a trattenerli, altrimenti non riusciremo mai a scappare. Qualcuno deve tenerli occupati.»

«Non posso andarmene senza di te, Liam.» la mia voce suonò stridula. «Se non dovessi tornare, io... Claire non...»

La frase rimase così, a metà, interrotta. Dopo aver finito i colpi in canna Liam tornò a nascondersi dietro il muro, puntandomi gli occhi addosso. Poi, in un istante infinitesimale che parve procedere al rallentatore, intanto che io avevo parlato lui si era gettato nel corridoio senza avere paura di essere colpito, era arrivato dalla mia parte e aveva premuto la mano libera sulla mia nuca per tirarmi a sé.

Mi baciò.

Il contatto mi colse di sorpresa, per cui in un primo momento rimasi immobile con gli occhi sbarrati e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Liam fece scivolare la mano sul mio fianco e mi strinse più forte, facendo cozzare i nostri corpi. A quel punto la tensione nei muscoli scomparve, lasciando il posto ad un calore febbricitante che mi spinse ad allacciargli le braccia al collo e a ricambiare il bacio. Le sue labbra non erano morbide come quelle di Ian e anche il sapore non era lo stesso, era frizzante e sapeva di limone e sale.

Liam mi baciò come se non ci fosse stato tempo da perdere e ogni istante che passava dovesse essere assaporato a fondo. Mi baciò come se non avesse aspettato altro, come se non ci sarebbe più stata un'altra occasione.

Poi si staccò, lentamente, e il tempo intorno a noi ricominciò a scorrere normalmente. Trassi un respiro profondo, rendendomi conto di aver trattenuto il fiato, e guardai Liam costernata.

«Tornerò.» sussurrò allora lui, sorridendo.

Fissai il cerchio azzurro delle sue iridi, che brillava di una luce più forte di quella che ricordavo, poi mi accarezzò una guancia, sfiorandomi come se avesse avuto paura di farmi male.

«Adesso va'.» disse.

Annuii piano e senza farmelo ripetere un'altra volta mi tirai su e mi voltai verso il corridoio che avrei dovuto percorrere da sola. Anche se decisi di non girarmi a guardare Liam, seppi per certo che il suo sguardo continuò a seguirmi finché non svoltai l'angolo.



Ad un certo punto, dopo aver passato in rassegna tre porte di emergenza chiuse a chiave e aver preso direzioni un po' a caso, constatai di essermi persa. L'edificio non era così piccolo come sembrava, ma doveva pur esserci un'uscita, là dentro, lo sapevo, ne ero sicura, peccato che non mi stessi concentrando abbastanza per poter prendere sul serio la cosa. Ogni volta che chiudevo gli occhi, il nero dietro le palpebre diventava uno schermo in cui si proiettavano le immagini di Liam che mi baciava e mi sorrideva. La scena si ripeteva all'infinito, come un disco inceppato, poi vedevo me stessa ricambiare il bacio e mi sentivo sprofondare.

Una parte di me sapeva che Liam aveva sempre provato qualcosa, ma, a differenza dell'altra più superficiale e impulsiva, non aveva mai pensato che quel ''qualcosa'' potesse essere tanto importante. Molto probabilmente era perché in vita mia avevo sempre e solo visto Ian, che non mi ero accorta di Liam. Non c'era mai stato nessun altro in quel senso (a parte Jared, ma il mio amore per Jared era stato particolare).

E poi c'era Claire, c'erano i sentimenti di Liam per lei, c'erano le confidenze che lui stesso mi aveva raccontato riguardo la loro storia. Non poteva essere cambiato tutto, soprattutto ora che aveva scoperto di essere il padre di Rachel. Sarebbe dovuto essere felice di poter avere un legame così forte con la donna di cui era ancora innamorato, avrebbe dovuto considerare la loro bambina come pretesto per poter riaggiustare le cose.

Cosa avrei detto a Ian adesso?

Si avvicinarono delle voci. Riuscivo chiaramente a distinguerne due, entrambe provenienti dal fondo del corridoio, il quale si interrompeva lasciando il posto ad una scala.

C'era un che di familiare in quelle voci...

«Tutta questa storia mi ha stufato. Non vedo l'ora di trasferirmi da qualche altra parte. Lontano, molto lontano.»

«Ti stanchi facilmente, Nick. Pensavo che il divertimento dovesse ancora cominciare.»

«Tu non hai idea di quello che dici, novellino.» borbottò la prima voce, maschile come la seconda, con impazienza «Forza, sbrighiamoci. Prima troviamo la viaggiatrice meglio è.» aggiunse poco dopo.

Un suono molto simile a quello di una pistola che veniva caricata mi fece accapponare la pelle. Scorsi le ombre delle due anime sulle pareti e trasalendo impercettibilmente mi nascosti dietro lo stipite di una porta. La pistola dietro la schiena mi premette nella carne, come per ricordarmi della sua esistenza.

«Hai sentito?» sussurrò la seconda voce.

C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di sbagliato, ma non riuscivo a capire perché. La riflessione durò solo per un istante, poi la mia mano scivolò lungo il legno fino a trovare la maniglia, ma quando l'abbassai la porta rimase chiusa.

Maledizione.

«Io vado di qua, okay?» disse il primo uomo. Lo sentii allontanarsi verso un'altra direzione, poi il rumore dei suoi passi scomparve. Non ci fu risposta al suo avviso, il silenzio diventò improvvisamente sovrano, nel corridoio.

Cessai di respirare e decisi di far scorrere la mano dalla maniglia alla pistola. Impugnai lentamente l'arma, pronta a premere il grilletto nel caso fosse servito... Poi la sagoma bianca del Cercatore mi si parò davanti.

Lanciai un urlo, tentando di puntargli la pistola contro, ma lui mi colpì abilmente il braccio e mi spinse per terra. La pistola volò qualche metro più in là, sul pavimento lucido.

Il Cercatore si avvicinò rapidamente e mi prese per una gamba quando si accorse che tentavo di raggiungere l'arma gattonando nella sua direzione, e mi tirò dalla parte opposta. Sentii le ossa scricchiolare.

Cercai di divincolarmi a forza di calci, ma nonostante tutto lui riuscì a tenermi testa. A quel punto smisi di allungare il braccio verso l'arma e mi voltai.

Fissai il suo viso, incredula, il sangue che defluiva tutto un tratto dal cervello.

«Jeb?»

Un brivido mi percorse la schiena.

Jeb era lì, davanti a me. Con la divisa da Cercatore addosso e una pistola munita di silenziatore nella mano libera. La barba era molto più corta e i capelli lunghi erano ordinatamente raccolti in una coda bassa, lucidi per il gel. Tutto in lui sarebbe potuto risultare familiare, tranne i cerchi azzurri nei suoi occhi. I suoi occhi che un tempo erano stati scuri, neri come la pece, e che ora erano chiarissimi e inquietanti.

Ecco perché avevo avuto una strana sensazione, prima. Avevo riconosciuto la sua voce.

«Jeb. Sono io.» dissi tremando. Jeb mi guardò, perplesso. «Sono Wanda.»

Immaginai che al mio nome sarebbe successo qualcosa, che magari mi avrebbe riconosciuta, ridestandosi dal suo stato confusionale, ma non accadde nulla. Jeb rimase una statua di granito, senza lasciar trapelare nessuna emozione.

«Non può essere...» Sentii salirmi un groppo in gola.

Jeb. Jeb che mi aveva trovata nel deserto con Melanie, Jeb che era stato il primo a fidarsi di me nelle grotte, che mi aveva protetta dagli altri, che mi aveva accolta come membro della sua famiglia. Lo stesso Jeb che mi aveva sempre guardata con affetto e fiducia, adesso non riusciva a far altro che lanciarmi sguardi sprezzanti e diffidenti.

«Non puoi non riconoscermi... Jeb.»

Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, le mani erano fredde e sudavano. Lui mi squadrò per un altro istante, poi si chinò e mi afferrò la gola. Il respiro mi si mozzò, rimanendomi bloccato in gola. Le unghie che graffiavano il dorso delle sue mani nel tentativo di allontanarle.

Non sta succedendo davvero, continuavo a ripetermi, senza trovare la forza per respingerlo. Non avevo mai voluto pensare che lui non fosse riuscito ad ingerire la pillola. Crederlo morto in quel modo era meno doloroso, meno difficile da sopportare. Ma vederlo così, con quegli occhi troppo diversi dai suoi e la voglia di uccidere in faccia, era mille volte peggio.

«Io ti conosco.» disse d'un tratto, con tono duro. «Tu sei la viaggiatrice.»

«Sì... sono io. Sono... Viandante, Wanda. Sono tua amica, Jeb, sono... dalla tua parte.»

La stretta sulla gola si allentò leggermente, giusto in tempo per evitare di farmi soffocare.

Jeb mi guardò per un lungo istante, sempre con distacco. «No.» inveì poco dopo. «Tu sei una traditrice. E devi essere uccisa.» C'era cattiveria nella sua voce.

«Jeb, no...»

Le lacrime iniziarono ad accumularsi negli occhi. Smisi di affondare le unghie nella sua pelle, abbandonando le braccia per terra, lungo i fianchi. «Ti prego, cerca di ricordare.»

«Sei solo una traditrice...» sibilava. Poi mi puntò la pistola sulla fronte e la caricò.

Trasalii, grattando fino a scorticarmi le mani sul pavimento. La crudele determinazione del suo viso mi mise paura.

Pensai a Melanie, a come aveva combattuto quando i Cercatori l'avevano inseguita, a cosa aveva provato quando aveva capito che non ce l'avrebbe fatta, e poi al suo atto estremo, giù da quella finestra. Aveva combattuto per proteggere Jamie, Jared, sapendo di non poter fare altro per salvarli. Quando avevo soggiornato nel suo corpo mi ero lasciata un po' influenzare da quel suo senso del dovere, dal suo coraggio. Immaginai Mel lì con me adesso, e mi chiesi che cosa avrebbe fatto lei al mio posto. Come si sarebbe comportata con l'uomo che di suo zio non aveva altro se non che i lineamenti.

«No.»

La mia voce uscì come un basso grugnito. Jeb mi osservò, interdetto, poi gli afferrai i polsi e facendo leva con le gambe inarcai la schiena e gli sferrai un calcio nella pancia. Lui schizzò indietro sgranando gli occhi per la sorpresa, e perse l'equilibrio. Cadde e lasciò la pistola, che volò per terra e scivolò sulle piastrelle fino alla ringhiera accanto alla scala. Penzolò per qualche istante, in bilico tra il vuoto e il pavimento, prima di sparire di sotto.

Mi tirai su e mi massaggiai la gola che pulsava dolorosamente, fissando Jeb che nel frattempo si era rialzato e tossiva. Nei suoi occhi scorsi un guizzo di rabbia, reso più concreto dai lineamenti tesi del volto.

Arretrai di qualche passo appena lo vidi sfilarsi un coltello da uno degli stivali e cominciare ad avanzare con un sorrisetto inquietante.

«Maledetta...» disse mentre si fiondava contro di me e io mi abbassavo all'istante per evitare la lama, muovendomi così velocemente da stupire anche me stessa. Jeb tentò un altro affondo, sferragliando il coltello dal basso per potermelo conficcare nel fianco. Mi mossi ancora un volta, agile come un gatto, ma stavolta lui mi fece lo sgambetto e caddi a terra. Il dolore che si scatenò improvvisamente sulla schiena mi tolse il fiato. Sentivo i punti affondarmi nella carne.

Jeb alzò sopra di me l'arma scintillante, ma io rotolai a destra: il coltello andò a conficcarsi nel punto in cui poco prima c'ero io, con un fragore metallico. Un fiotto di sollievo mi diede animo quando, nello schivare Jeb, scorsi la mia pistola a meno di un metro di distanza, nera e scintillante sotto le luci a neon del corridoio. Mi alzai e corsi verso di lei, udendo Jeb imprecare mentre mi veniva dietro e cercava di agguantarmi. Fui lì lì per chinarmi a prenderla quando lo sentii afferrarmi la maglietta e tirarmi verso di sé. Lanciò un grido di rabbia e mi spinse contro il muro. Un altro spasmo di dolore mi fece battere i denti, ma non gridai, trattenni le fitte e le ricacciai indietro. Poi Jeb alzò il coltello, mirando al petto. Io gli afferrai il polso con entrambe le mani e opposi resistenza. Aveva una gran forza, più di quanto mi fossi immaginata, ma la punta della lama rimase comunque bloccata a qualche centimetro di distanza dal mio sterno. Sia la mia che la sua mano tremavano per lo sforzo, io per resistere e lui per affondare.

«Tu sei meglio di così, Jeb.» dissi col fiato mozzato. «Lo sai.»

Il Cercatore rise. «Ti sbagli. Io sono così.»

«Non sto parlando con te.» sibilai. Lui inclinò il capo, interdetto. «So che ci sei ancora, Jeb. dentro, da qualche parte.» Fissai i suoi occhi, il cerchio azzurro che brillava come una fiamma indomabile. Il Cercatore mi guardò, freddo e stizzito, e serrò la mascella per poi spingere con più forza il coltello nella mia direzione. Un verso di sofferenza mi uscì dalla bocca quando dovetti aumentare la resistenza. La lama si avvicinò pericolosamente a me.

«Non c'è nessuno qui dentro, oltre a me.» rispose mentre sentivo il ferro gelido e affilato del coltello pungermi la pelle. Alla vista del rivolo di sangue che iniziava a colare lento dalla ferita, il Cercatore tornò a sfoderare quel suo sorriso pauroso, che Jeb, il vero Jeb, non sarebbe mai stato in grado di fare.

«Non ti credo.» sibilai prima di pestargli un piede con tutta la forza che avevo. Un ringhio di dolore uscì dalla sua bocca, la pressione sul coltello diminuì per un istante che mi diede la possibilità di resistergli con solo una mano. Ricordandomi di una delle lezioni impartitemi da Ian quando eravamo ancora nelle grotte, chiusi l'altra a pugno e gliela tirai in faccia. Le nocche protestarono quando gli colpirono le ossa della guancia e del naso, scricchiolando. Il Cercatore arretrò barcollando, gemette, e poi si coprì il viso con una mano.

«Ah...» borbottai io, scuotendo piano la mano dolorante, poi corsi via e raggiunsi il punto in cui era finita la mia pistola. La presi e quando mi voltai indietro scoprii che lui mi aveva inseguita, il viso sporco di sangue, ma non tanto velocemente da potermi cogliere di sorpresa.

Puntai la pistola verso di lui e mirai. Non al cuore, non al cuore, pensai mentre premevo il grilletto e il proiettile fendeva l'aria. Non ero mai stata brava a sparare, non ero mai stata brava con nessun tipo di arma, ma sperai che almeno per quella volta la fortuna fosse dalla mia parte. Non potevo uccidere Jeb, non l'avrei mai potuto fare, men che meno se ci fosse ancora stata la possibilità di riaverlo indietro.

Quando venne colpito il Cercatore gridò, afferrandosi la spalla sinistra. Sulla divisa iniziò a spandersi una chiazza rosso scuro.

«Mi dispiace.» dissi.

D'un tratto in fondo al corridoio si udirono delle voci. Non erano solo due o tre persone stavolta, ma molte, molte di più. Mi avvicinai di un passo al Cercatore. Sul viso sfregiato da graffi e lividi comparve una gioia malvagia. «Non hai scampo, viaggiatrice.» ghignò. Si reggeva in piedi stando appoggiato al muro che aveva alle spalle. La lotta gli aveva fatto sfuggire qualche ciocca di capello grigio dalla coda.

«Dimmi come posso uscire da qui.» gli ordinai.

Lui fece una risata strozzata. «Credi davvero che te lo direi?» Il tono sembrava quasi divertito ed era lo stesso che Jeb era solito usare con chi voleva fare il furbo con lui ma non ci riusciva.

«Credo che tu preferisca rimanere tutto intero.» dissi, alzando la pistola.

«Non avresti il coraggio di uccidermi.» dichiarò «Ho visto i suoi ricordi. Per quanto tu possa essere una Viandante coi fiocchi, la fragilità è uno dei tuoi tratti caratteristici. Insieme alla tua immensa compassione.»

Non è Jeb che sta parlando, pensai mentre trattenevo a stento il desiderio di dargli un altro pugno. Non devo starlo a sentire.

«La Viandante che conosci tu è diversa da quella che hai davanti.»

«Ah, sì?»

«Già. Perché la vecchia» spiegai «non farebbe mai una cosa del genere.» puntai la pistola, chiusi gli occhi per un istante. Poi sparai nella sua gamba. Il Cercatore gridò di nuovo e si accasciò a terra, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. Le voci in lontananza si stavano avvicinando.

«L'uscita.» ripetei, controllando il tremolio della mia voce.

«Oltre quelle scale.» disse mentre stringeva i denti e si prendeva la gamba. Altro sangue stava macchiando il tessuto chiaro della sua divisa, saltando all'occhio insieme a quello colato per terra.

Trassi un respiro profondo e mi chinai su di lui. «Verrò a riprenderti, Jeb.» dissi prima di correre via, verso le scale.

L'ultima cosa che vidi mentre attraversavo i gradini furono le ombre degli altri Cercatori che raggiungevano il corridoio, e Jeb chino su di sé poco più in là.



Scese le due rampe di scale, mi ritrovai su un pianerottolo lungo e stretto il cui pavimento scuro si intonava perfettamente con le pareti grigio perla. A metà strada era stato posizionato un grosso vaso bianco – la pianta era una piccola palma molto verde – e poco più in là riversava per terra un quadro, molto probabilmente caduto a causa delle scosse provocate dalle bombe. Il soffitto presentava delle crepe piuttosto recenti e oltre il quadro c'era una porta sopra cui era affissa una scritta luminescente: USCITA DI EMERGENZA. Le scale che proseguivano verso il piano terra le erano accanto.

Da quello di sopra giunsero i chiari rumori dei Cercatori che scendevano. Camminai veloce verso la porta, sperando con tutto il cuore che non fosse l'ennesima chiusa a chiave. Abbassai la maniglia con forza e uscii, risucchiata dalla potente luce del giorno. Mi ritrovai su un balcone lungo quanto l'intera facciata, dalle piastrelle scolorite e la ringhiera in cemento. Il sole era alto nel cielo (forse era pomeriggio) e rendeva calda e afosa l'aria intorno. Il vento, che sapeva di sabbia e fumo, prese a sferzarmi i capelli appiccicati alla nuca, i raggi del sole a pizzicarmi gli occhi. Davanti a me, la distesa oro del deserto, all'orizzonte la grande muraglia dei canyon.

Poco più in là c'era il muro che barricava il campo e nient'altro. Sicuramente mi trovavo sul retro.

La porta si richiuse con un tonfo intanto che mi guardavo intorno e tentavo di trovare un'eventuale scala di emergenza o qualche altra uscita attraverso cui scappare. Ma là non c'era niente se non un tubo di rame più o meno spesso che si prolungava per tutta l'altezza dell'edificio, oltre il balcone, proseguendo verso il basso.

Attraverso la porta udii le voci dei Cercatori farsi sempre più vicine. Mi voltai e guardai la maniglia, aspettandomi di vederla abbassarsi da un momento all'altro, come in un film dell'orrore. L'attimo dopo scattò, ma chi stava dietro non ebbe il tempo di spalancarla, perché io mi ci buttai contro e feci pressione per poterla tenere chiusa.

«Ma che diavolo...» imprecò qualcuno al di là della porta.

«Che succede?» fece un altro che sembrava più lontano.

«Non... si... apre...»

I Cercatori spinsero un po' di più nel tentativo di conquistarsi qualche spanna.

«Oh, cavolo...» annaspai, premendo la schiena e la testa contro la porta a denti stretti.

«Fate fare a me.» grugnì la seconda voce. Per un attimo calò il silenzio, e la pressione che avevo sentito fino a quel momento si attenuò. Cogliendo l'occasione per potermi concentrare anche su altro, mi guardai di nuovo intorno, cercando qualcosa che potesse tenere bloccata la maniglia, un bastone, un tubo... Ma l'unico tubo che c'era era troppo spesso per potersi infilare tra la maniglia e la porta, e troppo lontano per riuscire a recuperarlo in tempo. Posai lo sguardo sui miei vestiti sporchi di sangue e polvere, sugli stivali consumati e la maglietta che si era strappata quando Jeb me l'aveva tirata. Dunque gli occhi scivolarono sulla pistola e...

Presi l'arma, la sfilai dai jeans e la misi subito nel buco tra la maniglia e la porta. Un secondo dopo qualcuno ci andò a sbattere con forza, io balzai indietro, osservandola tremare e sospirando quando rimase chiusa.

«Lurida puttanella!» esclamò la voce.

Bene, Wanda. Risolto un problema se ne crea un altro., borbottò in modo infelice una vocina nella mia testa.

«Wanda?» Qualcuno mi chiamò. La parola non giunse ovattata come potevano fare quelle dei Cercatori dietro la porta, ma nitida e... vicina. Confusa, mi affacciai al balcone e guardai di sotto. Per un attimo pensai di stare immaginando tutto, ma ero troppo sveglia e agitata per riuscire a sognare ad occhi aperti.

Lui era lì, incredulo, con una mano penzolante su un fianco e un'altra sopra la fronte a schernire i raggi del sole.

«Jared!» la gioia mi riempì il cuore, un sorriso di sollievo iniziò ad incresparmi le labbra «Oh, Jared, grazie al cielo!»

Sorrise anche lui. «Wanda! Che ci fai lassù?»

«Mi stanno inseguendo.»

Jared si guardò intorno. «Puoi scendere?» domandò, avvicinandosi di più.

«Dovrei, ma non so se ce la faccio. Di là c'è un tubo.»

Attraversai il balcone fino alla fine, Jared mi seguì da sotto. Da vicino il tubo era ancora più spesso e sembrava più resistente. Terminava non proprio in basso, in un modo che poco s'addiceva ad un tubo che si sarebbe dovuto effettivamente interrompere in quel punto. Sembrava rotto. E vecchio.

«Ce la puoi fare. Non è troppo alto.»

No, non ce la faccio. Non ce la faccio, non ce la faccio.

Respirai a fondo e scavalcai la balconata, scoprendo con mio grande sollievo di non soffrire le vertigini. Allungai un braccio verso il tubo, afferrandolo con non troppa sicurezza, poi fu la volta del piede. Quando mi lasciai andare per arrampicarmi col resto del corpo lanciai un urletto e chiusi gli occhi, sentendo le viti cigolare sotto la pressione del mio peso.

«Non agitarti, Wanda. Hai tutto il tempo per...» La porta improvvisamente si spalancò e ne uscì fuori un'orda di Cercatori. «Okay, scherzavo.» balbettò Jared.

Appena le anime mi notarono strabuzzarono gli occhi. «Eccola!» esclamarono «Prendiamola!»

Mi feci coraggio e scivolai giù per il tubo con Jared che mi aspettava di sotto. Quando fui abbastanza vicina mi aiutò a scendere e iniziammo a scappare, correndo sotto la pioggia di proiettili dei Cercatori.

Jared mi portò lontano dall'edificio, che da quella distanza sembrò essere un presidio di guardia, oltre la zona asfaltata. Lo osservai per bene, vedendo che parte del tetto era stato demolito e che la facciata frontale era per metà distrutta. Dietro l'edificio s'intravedevano alte lingue di fuoco intente a bruciare quel che ne restava di un caseggiato vicino.

Scavalcammo la recinzione di ferro che costeggiava la zona e atterrammo sullo sterrato, continuando la nostra corsa fino a che non trovammo una sporgenza dietro cui nasconderci.

«Cavolo...» Appoggiai una mano sul muro e trassi un respiro profondo. Jared si puntellò sulle ginocchia, ansante, poi alzò lo sguardo verso di me. Aveva anche lui il fiatone.

«C'è mancato poco...» bofonchiai.

«Già. Tu... tu stai bene?»

Annuii. «E tu?»

«Sì... sto bene.»

Jared si rimise dritto. Indossava una camicia a quadri sporca di sangue e dei pantaloni beige sgualciti. Aveva della terra nei capelli e in viso, dove un livido gli colorava di viola uno zigomo. Dal collo gli pendeva un fucile di medie dimensioni.

Jared mi guardò per un attimo, poi si aprì in un largo sorriso. «Vieni qui.» disse, e mi tirò verso di sé, abbracciandomi. Sapeva di terra e sudore.

«Abbiamo pensato che fossi morta.» annunciò, stringendomi un po' di più prima di lasciarmi andare. Gemetti appena per il bruciore che percepii sulla schiena nei punti in cui c'erano i graffi. Jared mi fissò allarmato. «Sei ferita?»

«No, va tutto bene.»

La sua premura mi fece tornare indietro di diversi mesi, a quando Melanie e io eravamo ancora nello stesso corpo e lui si preoccupava per noi come in quel momento stava facendo per me. Era la prima volta che si mostrava così apprensivo nonostante fossi solo io l'oggetto della sua attenzione.

«Come stanno gli altri? Melanie e...» domandai, ma Jared m'interruppe prima che concludessi la frase. «Stanno tutti bene.»

Sospirai di sollievo.

«Conviene spostarsi da qui. Non è un posto sicuro.» commentò dopo aver sbirciato oltre il muro. Impugnò il suo fucile.

«E dove andiamo?»

«Ian e gli altri stanno aspettando al furgone.»

Al nome di Ian, il cuore prese a battermi più veloce. Lui era là, da qualche parte, non molto lontano da noi, e ci stava aspettando. Lui e gli altri stavano tutti bene.

«Pronta?» domandò il ragazzo.

Mi diedi un'occhiata e per un secondo cercai d'istinto la pistola dietro la schiena. Ma ormai l'avevo persa e non rimanevo con nient'altro se non che coi miei vestiti sporchi e insanguinati. Insanguinati del mio sangue o di quello di qualcun altro. O di Jeb.

Al suo ricordo trasalii, ma non così rumorosamente da poter essere sentita da Jared. Ancora non me la sentivo di potergli raccontare di lui.

«Pronta.» risposi.



«Dove le avete trovate?»

Stavamo camminando lungo il confine, in modo da passare inosservati attraverso tutto il campo. Di tanto in tanto sentivamo i rombi dei motori che percorrevano la strada lentamente, come per scovare qualcosa in mezzo alle case dietro cui ci nascondevamo, allora ci fermavano e aspettavamo. Jared aveva l'aria di sapere dove andare e come orientarsi, e questo era un bene, dato il mio scarso senso dell'orientamento.

Nuvole di fumo volavano alte nel cielo, indicando la posizione esatta del presidio di guardia da cui ero fuggita.

«Che cosa?» chiese lui.

«Le bombe.» dissi, oltrepassando dei sacchi d'immondizia addossati al muro di un casolare, tanto numerosi da ostruire lo spazio tra la stessa e il confine. «Liam mi ha detto del piano.»

Jared parlò continuando a camminare e a guardare davanti a sé. «Dopo essere usciti dalle celle, Kyle ci ha portati in un magazzino. Era l'unico posto sicuro in cui potevamo nasconderci in quel momento. Lui non se n'era neanche accorto, delle bombe. Le ho scoperte io, per caso, e così ci è venuto in mente il piano. Aaron ne ha piazzate per tutta la zona, ma qualcosa è andato storto. Un ordigno è esploso per sbaglio innescando una reazione a catena che ne ha fatti saltare altri, ma è riuscito a interromperla.»

«Ah, ecco perché.» dissi mentre mi fermavo. «Aaron dovrebbe proprio sapere che c'è mancato davvero poco perc...»

Il silenzio del vicinato venne improvvisamente interrotto dalla suoneria di un cellulare. «Oh, porca...» Jared sobbalzò «È il mio, scusa.» disse, e lo tirò fuori dai pantaloni.

«L'ho trovata.» si affrettò a chiarire appena avviata la chiamata, voltandosi nella mia direzione. «Sì, è qui con me. Vi stiamo raggiungendo. Siete sempre lì, giusto?»

Un brusio oltre la comunicazione. Jared aprì la bocca per parlare e simultaneamente giunse il suono familiare dell'ennesima bomba che scoppiava, non molto lontano da noi. La terra tremò e in automatico sia io che lui ci abbassammo coprendoci la testa.

«Ragazzi, ma che diavolo succede?» sbraitò il mio amico con malcelata impazienza. Il mio orecchio riuscì a captare solo le parole ''Wanda'', ''tempo'' e ''maggiore''. Jared alzò gli occhi al cielo, poi lanciò un'occhiata oltre il muro dietro cui ci stavamo nascondendo. «Okay. Sentite, adesso devo andare. Ci vediamo tra poco.»

Il ragazzo interruppe la comunicazione e una volta riposto il telefono in tasca frugò nell'altra alla ricerca di qualcosa.

«Okay, ci sono dei Cercatori che stanno venendo nella nostra direzione. Le cose sono due: o ci facciamo scoprire subito e tentiamo una missione suicida, oppure continuiamo a camminare per altri venti metri e tentiamo una missione suicida tra cinque minuti.»

Sbattei le palpebre senza sapere bene cosa dire. Nel frattempo Jared aveva trovato ciò che cercava. «L'unico modo per raggiungere gli altri è uscire allo scoperto.» spiegò mentre mi porgeva un oggetto piccolo e lucido, un coltellino.

«Non è un gran che, ma potrebbe sempre servirti.» aggiunse davanti alla mia espressione non proprio convinta. «Stammi vicino, va bene?»

Jared caricò il fucile e mi riservò uno sguardo di incoraggiamento. Non aveva l'aria calma e sicura di chi sapeva bene come muoversi adesso, anzi in realtà era un po' teso, e il fatto che volesse infondermi coraggio sembrava un po' un controsenso.

Agguantai il coltellino e me lo rigirai tra le dita. «Ti copro le spalle.» risposi io, senza badare troppo al guizzo di sorpresa che gli attraversò gli occhi.

Jared mi diede le spalle e guardò oltre il muro. In un muto avviso, capii di doverlo seguire e iniziai a corrergli dietro a testa bassa. Per un momento intravidi il gruppo di Cercatori che, armati e non, si stavano riversando in strada dopo l'ennesima esplosione, bianchi nelle loro uniformi, in contrasto col nero delle pistole. In particolare, cinque si stavano dirigendo proprio verso di noi.

Corsi fino all'altro casolare, tornando nascosta insieme a Jared.

«Hai visto quanti sono?» dissi in un sussurro mentre mi guardavo alle spalle.

«Sì.»

«Come faremo ad affrontarli? Sono troppi per noi.»

Jared si voltò verso di me. La luce del sole metteva in mostra le ombre scure sotto gli occhi e la pelle sottile degli zigomi. Era come se avesse perso peso. «Più riusciamo ad avvicinarci senza essere visti, più sono alte le possibilità di tener loro testa. Non credo che i ragazzi esiteranno a coprirci mentre cerchiamo di raggiungerli.»

Corrugai la fronte. «Quale sarebbe il piano esattamente? Voglio dire... una volta riuniti con gli altri che facciamo?»

«Ridurre in cenere questo posto, tornare a casa, riprenderci la nostra vita. Non penso sia una cosa che stiamo cercando di ottenere per la prima volta.» C'era un che di ironico nel suo tono, come se l'idea di avere sempre a che fare con tutto questo lo mettesse di buon umore.

Stetti per ribattere, ma un rumore non identificato giunse dietro di me. Jared spalancò gli occhi e puntò il fucile oltre la mia spalla. Partirono due colpi e quando mi girai giunsi a vedere in tempo uno dei Cercatori che si faceva scivolare l'arma di mano prima di cadere per terra, morto.

«Sono qui!» gridò allora un altro, che stava poco più in là rispetto al collega. Da qualche parte risuonò una specie di allarme e senza accorgermene mi ritrovai ad essere trascinata via da Jared. Corsi e mi diressi verso la strada principale con a fianco lui che sparava, colpendo la sentinella sul tetto di una casa o ancora quella nascosta dietro una jeep. Trovammo un Cercatore riversato per strada. C'era una pistola vicino al suo corpo: decisi di prenderla, così mi abbassai e lasciai che Jared mi anticipasse nell'arrivare dietro un cumulo di sacchi di sabbia. Raccattai la pistola evitando di guardare il viso imbrattato di sangue dell'uomo.

«Wanda! Corri!» gridò nel frattempo Jared appena si accorse che ero rimasta indietro.

«Arrivo!»

Mi tirai su. Mentre raggiungevo il mio amico proiettili e schegge colluttavano col terreno e contro le case stesse, come ad una grande festa dove tutti giocavano con le pistole ad acqua senza curarsi di prendere bene la mira. Jared mi coprì e non appena fui abbastanza vicina allungò una mano verso di me. Io l'afferrai d'istinto e lui mi tirò nella sua direzione.

In quel momento qualcosa di piccolo e incandescente mi sfiorò il braccio, come un fiammifero acceso, e la sensazione si acuì quando mi ritrovai sbalzata per terra. Mi presi il braccio e un verso mi uscì dalle labbra quando riconobbi sulla pelle la consistenza viscida del sangue.

«Maledizione.» biascicai, stringendo i denti. Una pallottola mi aveva sfiorato ma senza penetrarmi, procurandomi un lungo taglio orizzontale.

«Wanda.» Jared si precipitò da me inginocchiandomisi accanto. «Ti hanno...»

Il ragazzo non ebbe il tempo di finire la frase. Un Cercatore apparse dietro il muro puntandoci contro un'arma, allora io, colta dall'istinto, scattai per prendere la pistola che era troppo lontana. Quindi chiamai Jared, che però non si voltò tempestivamente verso l'uomo. Per un attimo il tempo sembrò sospendersi, dilatarsi.

Un furgone apparve dal nulla fermandosi oltre le spalle del Cercatore. Poi un uomo armato, sbucato dal retro, lo colpì nella schiena.

«Presto, ragazzi, venite!»

Quando riconobbi il suo viso non riuscii davvero a crederci, nemmeno mentre Jared sorrideva e mi aiutava ad alzarmi.

«Kyle!» esclamò sollevato.

«Su, forza! Non c'è tempo da perdere.»

Kyle ci fece segno di raggiungerlo e noi ubbidimmo. Ero così felice di vederlo che per un attimo mi dimenticai del dolore al braccio. Quando ci avvicinammo al furgone e incrociò il mio sguardo sorrise affettuosamente, porgendomi una mano per aiutarmi a salire sul retro.

«Finalmente ci rivediamo.» disse mentre io gliela afferravo. «Già.» io sorrisi di rimando.

Appena entrai nell'abitacolo il caldo afoso scomparve, sostituito da una leggera frescura. Così mi accorsi di lui.

Una massa arruffata di capelli neri più lunghi del solito, un naso aquilino reso imperfetto da una gobba quasi invisibile, il tatuaggio che recitava Hic et nunc sull'avambraccio. Appena fui dentro si girò di scatto nella mia direzione e quando si accorse di me un guizzo di incredulità gli attraversò gli occhi azzurri.

«Ian.» mormorai.

Quante volte mi ero sognata quel momento, quanti giorni avevo sperato di poterlo vivere davvero. Quante notti avevo pensato a tutto quello che mi sarei potuta perdere se non fossi riuscita a scappare. Alla vita, alle albe e ai tramonti che non avrei più potuto trascorrere con lui. Alle carezze, ai baci e ai sussurri che ci sarebbero potuti essere.

Un secondo dopo Ian si era alzato dalla panchina e mi aveva circondato con le sue braccia, premendomi una mano sulla schiena e un'altra sulla nuca. Io avevo stretto il tessuto della sua maglietta, avevo tuffato il viso nella sua spalla e annusato e toccato il suo corpo come per potermi assicurare che fosse vero, senza accorgermi nemmeno delle lacrime che avevano iniziato a rigarmi le guance.

«Sei qui...» sussurrai ad occhi chiusi.

«Sono qui.»

Ian aveva la voce incrinata, il respiro corto. Percepivo il suo cuore battere forte contro il mio petto, il suono più bello che potessi sentire in quella giornata. È reale.

«Sei venuto a prendermi.»

Lui si scostò per guardarmi negli occhi. L'intensità del suo sguardo mi fece stringere lo stomaco. Era bello anche con un taglio sul sopracciglio e terra e sudore addosso.

«Ho fatto una promessa. Non potevo permettermi di non mantenerla.» disse mentre l'ombra di un sorriso iniziava a incurvargli le labbra screpolate.

Allora mi avvicinai di nuovo a lui e chiudendo ancora una volta gli occhi premetti la bocca contro la sua, in un bacio urgente e dolce al tempo stesso, un bacio che spiegava ogni parola non detta, che appagava ogni nostalgia inespressa.

È reale.



Spazio autore:


Eccomi ritornata! In grinta ed entusiasta, felice di essere riuscita a scrivere questo capitolo dopo tutti questi mesi di assenza. Ci ho lavorato su tanto, volevo che tutto fosse perfetto, come avevo pianificato, così ho voluto prendermi qualche tempo in più per riflettere ed elaborarlo bene. Non so se sono riuscita nel mio intento, se sono stata all'altezza delle vostre aspettative. Io lo spero con tutto il cuore, anche perché ci ho messo davvero tutta me stessa :)

Tra l'altro ho voluto scrivere più del solito perché sapevo che in qualche modo avrei dovuto ricambiare i mesi di silenzio con qualcosa di sostanzioso e cospicuo, che potesse saziare la fame che avete patito durante l'attesa insomma ahahah. Così ecco questo capitolo, lungo e pieno di eventi. A cominciare dal primo, quello che sicuramente molti di voi sospettavano che ci sarebbe potuto essere: il bacio tra Liam e Wanda. Ho pensato che tra questi due le cose non potessero proprio andare diversamente, era evidente che avevo fatto in modo che tra loro nascesse qualcosa, un sentimento di solidarietà, un'intesa, e che inevitabilmente uno dei due finisse per andare oltre tale sentimento. Quindi eccovi qui questo bacio, un po' sorprendete se vi ricordo che Wanda lo ha ricambiato.

Cosa pensate possa succedere adesso? Come si comporterà Wanda con Ian? Come andrà a finire?

E poi segue la sorpresa delle sorprese, l'incubo che Wanda non avrebbe mai voluto che si avverasse: Jeb è diventato un ospite. Uno shock, una cosa impensabile, però è successo e adesso bisogna farci i conti. Wanda lo dirà agli altri? Salverà Jeb?

Infine l'arrivo di Jared e l'incontro – desiderato disperatamente – con Ian. So di aver tranciato un po' l'ultima parte, ma purtroppo era necessario farlo perché altrimenti mi sarei dilungata troppo. Per confortarvi però, vi dico che non salterò questa scena e che nel prossimo capitolo ripartirò direttamente da qui.

Ma che mi dite dei personaggi che non sono comparsi? Liam, Drago, che fine pensate abbiamo fatto? Sono vivi o sono morti?

Aspetto le vostre risposte!

A presto,

Sha :*

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