Somewhere I Belong

di Bruli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 (parte prima) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 (parte seconda) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


SOMEWHERE I BELONG

 
I wanna heal, I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I've felt so long
(Erase all the pain till it's gone)
I wanna heal, I wanna feel like I'm close to something real
I wanna find something I've wanted all along
Somewhere I belong

[Somewhere I Belong – Linkin Park ]

 
 

PROLOGO


La pioggia sbatteva insistentemente contro i vetri dell’Aula Magna, e gli infissi delle finestre minacciavano di cedere da un momento all’altro sotto l’impetuosità del vento. La corrente mancava già da parecchio, anche se nessuno era capace di dire esattamente da quanto tempo. Il sole era oscurato da grosse nubi grigie, rendendo ancora più minacciose le ombre degli alberi in cortile.
Quanto tempo era che stavano tremanti in quella stanza?
Quanto tempo era passato da quando la paura aveva congelato le loro parole?
Gli unici suoni che si udivano erano lo sbattere dei denti e gli ansimi per i brividi comuni. Tremore per il freddo o paura? Ormai nemmeno quello importava.
Si riusciva quasi a distinguere il battito impazzito dei loro cuori nel silenzio che li immergeva.
La terra tremava sotto i corpi infreddoliti, mentre il gelo si era impossessato delle loro ossa. Qualcuno piangeva silenziosamente nel buio innaturale da cui erano avvolti, ma nessuno osava proferir parola.
Non sapevano cosa stesse succedendo, non sapevano cosa sarebbe accaduto.
Che dire quando un istinto primordiale ti avverte che è giunta la fine? Quale parola per descrivere il terrore del proprio destino, quale la pace dell’accettazione?
Attendevano. Non sapevano cosa, ma non potevano far altro.
Eppure la speranza era ancora viva, luce nel loro cuore, esperienza tutta umana.
Lo paura iniziale aveva lasciato posto ad uno sconcerto generale, incapaci di comprendere le tenebre improvvise.
Un rumore assordante li colse di sorpresa, propagandosi per tutto l’edificio, rendendoli sordi a qualsiasi altro suono. E il gelo si impossessò definitivamente dei loro corpi, e tutto divenne bianco.

 

********************
 

ANGOLINO DELL'AUTRICE

Questo è il prologo della mia nuova originale, in settimana posto il primo capitolo. Spero che possa in qualche modo incuriosirvi, e indurvi a lascirami una piccola opinione, anche negativa, sono sempre gradite per migliorare! =) 
Grazie a tutti coloro che leggeranno! 
Bruli ^^

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


SOMEWHERE I BELONG

 
CAP. 1

La prima cosa che Sara avvertì quando riprese conoscenza fu un piacevole calore sulla pelle. Mosse insicura le dite delle mani e dei piedi, intorpidite come se fossero state congelate.
Man mano che riprendeva il possesso degli arti, le orecchie si liberarono, permettendole di udire nuovamente. Inizialmente i suoni si presentarono come assordanti, obbligandola a coprirle con le mani. Abituatasi, poi, lasciò lentamente la presa.
Quei suoni che in un primo momento le erano sembrati così confusi da procurarle fastidio, cominciarono a divenire sempre più nitidi.
Conosceva questo rumore, era così familiare …  Sembrava quasi il … mare?
Aprì di scatto gli occhi e si mise a sedere velocemente, troppo probabilmente, perché la colse un giramento di testa, obbligandola a poggiarsi sulle mani.
… Che cosa stava toccando? Sabbia?
Aprì nuovamente gli occhi cauta, realizzando che ciò che le scivolava tra le dita erano proprio soffici granelli grigi. Si guardò attorno sorpresa, la bocca spalancata dalla meraviglia.
Deserta. Si trovava su una spiaggia deserta.
Non riusciva a scorgere alcun edificio nelle vicinanze, e dietro di lei si estendeva una fitta vegetazione che le ostacolava la vista.
Dov’era? Com’era finita lì?
Le sembrava lo scenario perfetto per “I pirati dei Caraibi”, pareva un paradiso terrestre. Ma non era il luogo in cui viveva, la sua cittadina non si trovava nemmeno nelle vicinanze del mare! La sua scuola, dov’era la sua scuola? Era lì pochi minuti prima! Ricordava che era accovacciata per terra e stringeva forte la mano di Caterina, quella ragazza della III B. Poteva sentire ancora le sue piccole dita tra le sue, come se stesse vivendo di nuovo quel momento. Lei le aveva chiesto di non lasciarla da sola, aveva molta paura.
Anche Sara aveva paura. Aveva perso di vista il cugino e non sapeva cosa fare, se non seguire le direttive dei professori. Si ricordava del terrore che poteva leggere nei loro occhi, nonostante cercassero di mantenere un’apparenza di calma.
Stava forse sognando? No, non poteva essere, quel caldo micidiale era reale. Si accorse solo allora di indossare ancora il maglione rosso che aveva messo quella mattina di fretta e furia, in ritardo a scuola come sempre. Allora era tutto vero, il temporale, il terremoto. Nemmeno quello era un sogno.
Un’insolita ansia le strinse lo stomaco. Era sola su una spiaggia deserta, in un luogo che non conosceva e sicuramente distante da casa. Non sapeva come fosse finita lì, né cosa fare o dove andare. Pensava ai suoi genitori che si sarebbero preoccupati sicuramente, al cugino, che non sapeva dove fosse finito, a quell’assurda situazione in cui si trovava. Cominciò a sudare e il respiro si fece pesante.
Calma. Doveva rimanere calma. Non poteva rischiare un attacco di panico in quel luogo desolato dove nessuno avrebbe potuto soccorrerla, o almeno non in tempo.
Si alzò a fatica, sbattendo le mani sui jeans per far cadere la sabbia. Si tolse il maglione, soffocata dal calore, e se lo legò in vita, rimanendo così in canotta.
Non potevano essere tutti scomparsi, ragionò. Se lei era finita lì -  per qualche assurdo motivo a lei sconosciuto -, non poteva essere da sola. Insomma, c’erano più di trecento persone solo nell’Aula Magna quella mattina! Doveva esserci qualcun altro lì con lei. Si rifiutò anche solo di considerare l’eventualità di essere sola.
La prima cosa da fare era pensare ad un “piano d’azione”,  si disse. Solo pianificando riusciva a mantenere la calma, o almeno ci riusciva quando si trattava di studio. Decise quindi di applicare lo stesso sistema anche in quell’occasione, unica speranza per non impazzire.
Per prima cosa doveva trovare un corso d’acqua dolce. Era circondata dal mare e faceva un caldo tremendo, non avrebbe resistito molto altrimenti. Ripensò a tutte le volte che la madre voleva mandarla in campeggio e lei si era rifiutata, e se ne pentì. Aveva sempre pensato che la vita alla ventura non facesse per lei, ma in questo momento doveva arrangiarsi e contare su se stessa e quel po’ che ricordava del corso di sopravvivenza fatto nel villaggio vacanze in Puglia.
Seconda cosa, si sarebbe messa alla ricerca di qualche altra anima che si trovasse lì. Insomma, ci doveva pur essere sicuramente qualcun altro in quel luogo!
O forse le conveniva cercare prima qualcosa di commestibile, non sapeva decidersi. E inoltre avrebbe dovuto trovare un riparo per la notte. Non osava immaginare quali belve feroci dovessero girare lì intorno! In fondo non sapeva dove si trovava, tutto era possibile!
Scrollò le spalle nel tentativo di scacciare i cattivi pensieri.
“Pensa positivo, Sara” si disse. “È inutile disperarsi per qualcosa che non si può controllare, tanto vale far ciò che si può”. Era questa la sua filosofia di vita: inutile piangere sul latto versato. Ovviamente questo non le impediva di far mille viaggi mentali solamente dannosi, ma cercava di limitarli il più possibile “per quieto vivere”.
Si addentrò nella folta vegetazione nella speranza di trovare un corso d’acqua che, dato il verde intenso degli alberi, doveva esserci necessariamente. Il problema era “solo” trovarlo.
Facile, insomma.
 “Ovviamente era sarcastico”.
Cominciò a camminare cercando di tener presente sempre la direzione da cui era venuta. In un certo modo la spiaggia le infondeva sicurezza, era certa che avrebbe passato la notte lì.
Come si cerca un corso d’acqua? Ecco, questo Sara non lo sapeva. Nei film solitamente i protagonisti avevano sempre gran fortuna, oppure vagavano alla cieca fino a quando non udivano lo scrosciare dell’acqua.
Giusto! Si sarebbe affidata all’udito!
Si fermò e si focalizzò su quanto sentiva. La dolce melodia degli uccelli, il frusciare delle foglie, i richiami di animali sconosciuti. Ma no, niente rumore di acqua corrente.
Pestò i piedi a terra, frustrata. Davvero si aspettava di trovare qualcosa così?
“Hai evitato il campeggio come la peste? Ora ti arrangi!”
Si chiese perché doveva essere sempre così ipercritica con se stessa. Non bastava la situazione assurda in cui si era ritrovata, ora doveva pure fare la puntigliosa!
Riprese a camminare imprecando tra i denti. Vagò per quella che le parve un’ora – ovviamente l’orologio che aveva al polso sembrava aver deciso di prendersi una bella vacanza – , ma senza trovare nulla, eccetto uno strano animale che era spuntato da un cespuglio facendola spaventare e prendere la rincorsa. Non sapeva nemmeno che cosa fosse, non si era concessa più di un’occhiata veloce per accertarsi che effettivamente c’era qualcosa di vivo vicino a lei.
“Quante volte avevi sognato l’avventura, eh Sara?” si chiese. “Ora ti stai proprio divertendo, vero?”
Dopo diversi minuti di ricerca infruttuosa, si lasciò cadere per terra esausta e delusa.
<< Santa Pazienza! >> urlò facendo spaventare gli uccellini sugli alberi circostanti.  << Tutto a me deve capitare! Perché?! >>
Lo stomaco brontolò sonoramente.
<< Ecco, ci mancava pure la fame! >> borbottò.
Lanciò un’occhiata attorno e si mise a ridere. Una risata un po’ da esaurita, a dire il vero. Non riusciva a credere che stesse capitando davvero a lei! Sperava fosse un sogno troppo realistico e che da un momento all’altro si sarebbe svegliata nel suo bel letto. Anche sul banco con la prof di arte che le urlava contro sarebbe andato bene, pensò.
All’improvviso sentì un CRACK, come quello provato da un ramo spezzato. Si rizzò e tese le orecchie. Seguì un rumore simile. Pensò velocemente, o almeno ci provò, per quanto il suo cervello, attanagliato dalla paura, le consentisse. Era sicuramente provocato da qualcuno che stava camminando, perché era lo stesso scricchiolio che produceva lei quando si muoveva. Ora questo qualcuno poteva essere o la sua salvezza o la sua condanna. Si guardò intorno, ma non trovò nessun luogo in cui potesse nascondersi efficacemente per poter scoprire, senza farsi vedere, chi fosse. Intanto i passi si avvicinavano sempre più.
Presa dal terrore, si alzò velocemente e si mise a correre in una direzione qualsiasi. Non ricordava nemmeno più da dove fosse venuta, ma in quel momento non le importava.
I passi diventarono sempre più frequenti: qualcuno la stava rincorrendo! Sentì un’imprecazione alle sue spalle quando spostò un ramo per passare: evidentemente il rinculo doveva aver colpito il suo inseguitore. Questo le regalò un piccolo vantaggio, ma le fece capire anche che era troppo vicino a lei. Chiunque fosse, correva veloce.
Muoveva celermente le gambe col terrore di inciampare , e spostava in continuazione lo sguardo da terra a davanti a sé, e viceversa. All’improvviso scorse una luce più forte tra le foglie degli alberi davanti a lei: doveva aver raggiunto di  nuovo la spiaggia! Ciò da un lato le portò sollievo, ma dall’altro la preoccupò, perché allora sarebbe stata più esposta al suo inseguitore.
Non ebbe il tempo di pensare altro, perché subito fu fuori dal bosco, solo che non si trovò dove si aspettava. Non c’era il mare davanti a lei, ma un grosso burrone. Realizzò troppo tardi la situazione, e ormai le sue gambe erano fuori controllo. Chiuse gli occhi e strinse i denti, sicura che da lì a poco sarebbe caduta nel vuoto per poi sfracellarsi contro le rocce.
Inaspettatamente, però, ciò non avvenne.
Sentì una presa salda avvolgersi attorno al polso e tirarla indietro. Prima che riuscisse a rendersene conto, si ritrovò per terra con le gambe all’aria, ma almeno non era finita nel burrone.
Confusa, aprì gli occhi solo dopo qualche secondo e realizzò finalmente di non essere caduta, ma di trovarsi al sicuro, poco distante dal dirupo.
<< Ma sei impazzita?! Volevi ammazzarti?! >> urlò una voce maschile a fianco a lei, una voce fin troppo conosciuta.
Sara si voltò sconvolta verso la sua fonte. Mise a fuoco una figura maschile seduta a terra che si massaggiava il polso, il volto una maschera di rabbia mista a sollievo.
<< Marco?! >> urlò la ragazza.
<< No, guarda, l’uomo nero!  >>  rispose sarcastico l’altro.
Sara non rispose, continuando a guardarlo con gli occhi sgranati come se avesse visto un fantasma, o la più meravigliosa delle apparizioni.
<< M – Mar … >>
<< Si, Marco! Ti si è incantato il disco? >>
La ragazza si riscosse dal suo stato di torpore e lo guardò con astio.
<< Scusa se sono sconvolta, eh! >> esclamò infuriata <<  Mi hai praticamente aggredita, senza contare il fatto che stavo per cadere in un burrone! >>
<< Io ti avrei aggredito?! >> ribatté il ragazzo indignato << Se non ti avessi afferrato in quel modo, saresti caduta sicuramente! >>
<< Beh, tante grazie, ma potevi evitare di spaventarmi in quella maniera!>>
<< Cosa? Ma mi spieghi perché tu ti sei messa a scappare come una pazza!? Io stavo solo cercando di raggiungerti! >>
Sara scrollò le spalle e si spostò una ciocca dietro l’orecchio.
<< E non potevi avvertirmi? Pensavo di essere inseguita da un malintenzionato! >> fece.
Il ragazzo, di tutta risposta, si mise a ridere.
<< Che cavolo ridi? >> protestò lei. << Ero terrorizzata! >>
Marco continuò a ridere, incurante del colorito rossastro che stava assumendo la ragazza, schiumante di rabbia. Sara, allora, si alzò e prese a camminare nella direzione da cui era venuta, i pugni stretti lungo il corpo.
<< Sara! Fermati, non fare la bambina! >> la chiamò Marco quando si accorse che stava andando via.
<< Non faccio la bambina , io! >> rispose l’altra. << Ma non ti sopporto quando fai così, anzi non ti sopporto e basta! Dico, con tutti i miliardi di persone nel mondo, proprio te dovevo trovare in questo posto sperduto?>>
<< A proposito di posto sperduto, >> la interruppe Marco, ignorando volutamente la sua sfuriata  << secondo te dove siamo finiti? >>
Sara si fermò e lo guardò con un’espressione afflitta.
<< Non lo so proprio >> sospirò. << Per quanto ti reputi tra le persone più odiose al mondo, devo ammettere che sono felice di averti incontrato. Avevo paura di essere sola >> confessò.
<< Eppure c’era un tempo in cui non mi odiavi poi così tanto >> constatò Marco con voce monocorde.
Sara fece un altro sospiro, questa volta velato da una sottile malinconia. Tornò indietro e si sedette a gambe incrociate accanto al ragazzo.
<< Era tanto tempo fa >>  disse guardandolo negli occhi. << Le cose sono parecchio cambiate da allora. >>
Marco distolse lo sguardo, puntandolo su un punto imprecisato dinanzi a sé.
<< Già. >>
Anche Sara smise di guardarlo, dedicandosi al panorama che si presentava dinanzi. Grazie a Marco era scampata a morte certa. Il diruto era molto profondo e cosparso da rocce dalle punte acuminate. Al di sotto si estendeva una grande valle, dopo la quale si intravedeva una piccola spiaggia dalla sabbia grigia, simile a quella in cui si era svegliata.
Restarono per qualche minuto in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e in ricordi troppo lontani.
<< Comunque, come mi hai trovato? >> chiese Sara all’improvviso, spezzando l’atmosfera soprannaturale che si era venuta a creare. Nella sua cittadina, per quanto piccola, non vi era possibilità di godersi una tale tranquillità, ed erano pochi i posti dove stare a contatto così stretto con la natura.
Marco la guardò di nuovo, questa volta ghignando.
<< Ovviamente grazie al tuo starnazzare! >> esclamò  << Impossibile non sentire una pazza che urla da sola nel bel mezzo di una foresta! >>
Sara lo guardò in tralice. Provava un urgente bisogno di colpirlo, ma purtroppo al momento non disponeva di oggetti contundenti. Se c’era una cosa che non era cambiata affatto negli anni, quella era la sua capacità di farle perdere le staffe. Anzi, probabilmente questa era aumentata a dismisura. Era vero, però, anche che lei era dotata di un carattere piuttosto irascibile, ma bisognava ammettere che dava vita alle scenate peggiori principalmente quando lui si trovava nei paraggi, e sempre perché c’era lui di mezzo.
<< Se non fosse stato per il mio “starnazzare”, >> ribatté Sara con tono acido  << probabilmente non ci saremmo mai incontrati. >>
Lui alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, come si fa davanti ad un bambino capriccioso. Peccato che questo non fece altro che far innervosire ancora di più la nostra iraconda amica.
Niente oggetti contundenti? Ottimo, le sarebbe bastato il suo corpo. Approfittando della distrazione del giovane, che continuava a volgere gli occhi scuri verso le nuvole, gli si avventò contro nel tentativo di farlo ruzzolare per terra, conscia che, data la stazza imponente del ragazzo, si sarebbe dovuta servire di tutta la forza che disponeva. Ciò che non si aspettava, però, fu che lui, dotato di riflessi sicuramente migliori dei suoi, l’avrebbe afferrata per i polsi, trascinandola con sé nello scivolare lungo quel breve tratto di pendio che li distanziava dall’inizio del dirupo.
Sara urlò in preda al terrore. Marco digrignò i denti. Gli uccelli si alzarono in volo dagli alberi spaventati.
Fortunatamente il ragazzo riuscì ad arpionarsi alla terra con i piedi, frenando la discesa e facendoli fermare appena in tempo.
Seguì un silenzio innaturale. Il cuore di Sara batteva freneticamente, incredula di aver scampato per la seconda volta, e nel giro di pochi minuti, alla morte, e per di più nello stesso posto. Un rivolo di sudore le scese lungo la tempia. Sentiva Marco fremere, schiacciata contro il suo corpo, ed era sicura fosse per la rabbia.
Il ragazzo lasciò nervosamente i suoi polsi, mettendosi in ginocchio e guardandola furiosamente.
<< Sei imbecille o cosa?! >> le urlò << Per poco non ci ammazzavi! Cosa cavolo ti è venuto in mente?! >>
Sara guardò per terra, incapace di replicare. D’altronde sapeva che aveva ragione lui : si era comportata da bambina, facendoli rischiare una brutta fine.
<< Io non so cosa tu abbia nella testa, giuro che non lo so! >> continuò lui alzandosi e prendendo a camminare iracondo. << Non ti bastava una volta, no! Tu dovevi provare anche la seconda volta a cadere là dentro!>>
<< Mi dispiace >> disse Sara mortificata.
<<… una bambina! Sei solo una bambina! Non sei cambiata affatto in questi anni! >>
<< Ho detto mi dispiace … >>
<<…e poi uno si chiede come abbia fatto la nostra amicizia a rompersi! È normale quando uno è così imbecille! Una piccola mocciosa, non sei nient’altro che una mocciosa che non ha capito nulla della vita! >>
<< HO DETTO CHE MI DISPIACE! >> urlò Sara. Si alzò anche lei e gli andò incontro. << È vero, mi sono comportata da stupida prima, non dovevo saltarti addosso in quella maniera dal momento che stavamo vicino ad un burrone, ma tu mi hai fatto innervosire! Se non fossi così maledettamente insopportabile e arrogante, questo non sarebbe successo! E inoltre non dare a me la colpa della fine della nostra amicizia! >>
Marco si ammutolì. La guardava ancora furioso, ma sembrava aver appena realizzato le parole che le aveva urlato contro.
<< Non volevi avere una mocciosa per amica? >> fece Sara dopo aver preso un bel respiro. << Va bene! Mi dispiace non essere stata all’altezza di Sua Signoria L’Uomo Maturo! >> esclamò sarcastica. << Ma era un problema TUO! Per cui Non. Dare. A. Me. La. Colpa. >>
Si portò i capelli color cioccolato indietro in un gesto nervoso, cercando di riacquistare un respiro regolare. Marco la guardava con occhi sgranati, le labbra socchiuse come se volesse dire qualcosa e l’espressione di chi ha appena compreso di aver commesso un madornale errore.
<< Sai, >> continuò lei con voce tremula, ma più calma << mi ero sempre chiesta perché la nostra amicizia fosse terminata così all’improvviso, dopo aver condiviso le più piccole cose della vita. Ora lo so, grazie. Mi dispiace solo esser stata male per tutti questi anni … come una mocciosa, si. Grazie per l’illuminazione, ora finalmente posso mettere il cuore in pace. Facciamo finta che non ci siamo incontrati, ognuno per la sua strada.>>
Si voltò e prese a camminare verso il bosco. Marco, ripresosi dallo shock, la chiamò più volte, ma lei non si girò. La guardò scomparire nella selva verdeggiante, esterrefatto e dispiaciuto, ma non la raggiunse. Sapeva di aver detto qualcosa che non doveva dire, e se ne vergognava. Aveva paura di quella espressione ferita che era comparsa sul volto della ragazza, e sapere di esserne la causa non faceva che aumentare i sensi di colpa. Si sedette nuovamente sul manto erboso prendendosi il capo tra le mani, e si chiese ancora una volta perché sbagliasse sempre con lei.
 
 

********************

ANGOLINO DELL’AUTRICE

Saalve! Caldo, vero? xD Poveretti quei due che non hanno trovato manco un corso d’acqua…
 
Innanzi tutto grazie a chi ha avuto il coraggio di giungere fin qui! =) Spero che questo primo capitolo sia piaciuto. Mi rendo conto che è piuttosto lungo, quindi forse i successivi dovrò dividerli. Volevo fare lo stesso anche con questo, ma non sapevo dove fermarmi.
Ovviamente sono sempre contenta di ricevere la vostra opinione riguardo trama, personaggi, stile… tutto insomma! xD Le lamentele sono accettatissime, anzi accolte molto volentieri!
Grazie a tutti,
Bruli 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


SOMEWHERE I BELONG


CAP.2

Giacomo vagava ormai da diverse ore nella folta selva senza apparente meta. La sete gli raschiava la gola ed era completamente sudato, mentre gli scarponi pesanti minacciavano di causargli le vesciche ai piedi. Camminare senza, però, sarebbe stato peggio: non poteva rischiare di farsi male quando non sapeva quanto fosse distante da un qualsiasi centro abitato per poter chiedere soccorso.
Cercava di ignorare la fame che gli attanagliava lo stomaco. L’ora di pranzo doveva essere già passata, e lui si era nutrito di qualche fungo e bacca che ricordava non essere pericolosi, ma aveva preferito non rischiare di mangiare ciò che non conosceva. Quel misero pasto – sempre che di pasto si possa parlare – non gli era assolutamente bastato per spegnere i morsi della fame, ma sapeva di dover resistere.
Inoltre c’era la questione della bizzarra situazione in cui si trovava. Si era svegliato su una spiaggia grigia senza sapere come, e non aveva alcun ricordo dopo il frastuono che si era propagato nell’Aula Magna. Che l’avesse portato qualcuno lì dopo che era svenuto? Nonostante si fosse arrovellato a lungo nel tentativo di darsi una spiegazione, non era giunto a nessuna conclusione plausibile.
Era ancora perso tra i pensieri quando giunse, inaspettatamente, alla riva di un piccolo ruscello. Si tolse gli scarponi e si alzò i pantaloni fino al ginocchio per non bagnarli. Entrò nell’acqua: era fresca e limpida, una vera goduria dato il caldo insostenibile. Mise le mani a coppa e prese dell’acqua portandosela alla bocca. Ripeté il gesto più volte, e poi si sciacquò il viso imperlato di sudore. La differenza di temperatura tra scuola e quel luogo era notevole, ed era stato scioccante ritrovarsi con quei vestiti pesantissimi sotto il sole cuocente. Era stato davvero fortunato ad aver trovato una fonte dopo ore che girovagava incessantemente: probabilmente un altro po’, e sarebbe svenuto per mancanza di liquidi.
Ora doveva trovare un modo per portare con sé l’acqua, non sapeva se c’erano altri ruscelli in quella zona. Prima, però, decise di concedersi un po’ di meritato riposo.
Uscì dal fiume e raccolse gli scarponi che aveva abbandonato vicino la riva. Si sedette, poi, all’ombra di un albero, le cui foglie erano mosse da una leggera brezza rinfrescante. Sospirò rumorosamente e chiuse gli occhi, ma sempre attento a qualsiasi rumore sospetto. Sapeva, infatti, di non poter abbassare la guardia, dal momento che ci si poteva aspettare di tutto da quel luogo.
La tranquillità durò una mezz’ora, in cui permise alle membra stanche di rilassarsi dopo tanta fatica. All’improvviso, però, un rumore lo fece destare. Aprì gli occhi circospetto e si guardò intorno, ma sempre immobile nella sua posizione per non rischiare di essere notato per colpa di qualche movimento di troppo. In un primo momento non vide niente, ma poi si accorse di una chioma bionda che risaltava tra il verde dei cespugli della sponda opposta.
Silenziosamente si avvicinò alla sorgente, nascosto tra le foglie folte. Una figura esile si avvicinava all’altra riva zoppicando e affaticata. Solo quando la luce solare la colpì, e questa si accasciò al suolo,  riconobbe a chi apparteneva. Rimase per qualche secondo interdetto, sbigottito davanti a quella visione. Subito, però si riscosse, consapevole di dover fare qualcosa.
Si mise di scatto all’in piedi e attraversò correndo il corso d’acqua, incurante dei vestiti che si inumidivano.
<< Angela! >> esclamò.
La ragazza alzò il capo al richiamo, mostrando il viso dai lineamenti delicati distorto in una smorfia di dolore. Gli occhi cerulei si poggiarono increduli sul profilo familiare del giovane che le correva incontro.
<< Angela! Sei tu! >>
La raggiunge in poche falcate e la soccorse.
<< Giacomo? >> fece lei sorpresa.
<< Si. Sei ferita? >> chiese guardandola con attenzione.
<< Non è nulla, mi sono tagliata il polpaccio con una roccia appuntita su cui sono caduta e volevo lavare la ferita, ma la gamba non ha retto >> rispose con aria trasognata.
Giacomo ispezionò con attenzione il taglio, valutandone l’entità. Angela, d’altra parte, guardava il ragazzo ancora meravigliata per il loro incontro. Non sapeva se doveva ringraziare tutte le divinità che conosceva per averle fatto trovare aiuto, o maledirle per aver mandato proprio lui.
<< Non è molto profonda >> disse Giacomo. << Vieni, ti aiuto ad alzarti. Dobbiamo sciacquarla con l’acqua, è piuttosto sporca di terreno, altrimenti rischia di infettarsi. >>
Le passò un braccio attorno alla vita sostenendola, mentre le porse l’altra mano per appoggiarsi.
<< Grazie, ce la faccio da sola >>  fece Angela infastidita dal contatto.
Provò ad alzarsi, ma appena venne il turno di poggiare la gamba ferita, subito avvertì un dolore tremendo. Sarebbe nuovamente rovinata a terra, se Giacomo non l’avesse sostenuta col braccio che continuava ad avvolgere la sua vita sottile.
<< Non mi sembra che tu ce la possa fare da sola >> constatò il ragazzo alzando un sopracciglio.
<< Come sono arrivata fin qui senza l’aiuto di nessuno, >> ribatté fredda lei << posso riuscire a raggiungere l’acqua da sola. >>
Giacomo scosse la testa incredulo davanti alla sua caparbia. Passò l’altro braccio sotto le gambe della ragazza, sollevandola agilmente.
<< Ehi! >> protestò lei << Mettimi giù! >>
Quasi inconsciamente, però, si aggrappò al suo collo, temendo di cadere.
<< Smettila di lamentarti e fammi contento. Davvero pensi che dopo aver trovato una ragazza ferita, la lascerei al suo destino? >>
<< Certo che no, questo risveglia la tua indole da prode cavaliere, eh? >> replicò Angela sarcastica.
Lui la poggiò per terra, a pochi passi dalla riva.
<< Ma che diavolo di problema hai? >> esclamò furioso.
<< Che problema hai tu! >> controbatté lei << Perché mi devi aiutare per forza? >>
<< Davvero, Angela, non ti capisco! Lo so che non ti sono mai stato simpatico, pur non capendone il motivo, a scuola me l’hai dimostrato abbastanza! Ma permettimi di aiutarti! Non ci deve necessariamente essere un tornaconto dietro ogni azione, lo sai? >>
<< Tutti agiscono per un tornaconto >> lo contraddisse.
Giacomo la guardò sbalordito.
<< Sei davvero così cinica? >>
<< Non si tratta di essere cinici, ma realisti. Anche il semplice sentirsi apprezzati dopo un’ “azione buona” è un tornaconto, non credi? >>
Il ragazzo scosse la testa.
<< No, non sono d’accordo. Ma pensala come vuoi, non mi va di discutere. Ci sono cose più importanti a cui pensare, come per esempio dove siamo, e come siamo finiti qui. >>
<< Hai ragione >> assentì lei  << Anche se sono curiosa di capire se sei solo un illuso oppure il solito ipocrita. >>
Giacomo le rivolse un’occhiata torva, ma non rispose alla provocazione. La avvicinò all’acqua del fiume e le tolse la scarpa. Stranamente Angela non protestò e lui ne rimase parecchio sorpreso, ma preferì non indagare. Le immerse delicatamente la gamba nell’acqua, pulendo con attenzione la ferita. Sentiva Angela tendere i muscoli nel tentativo di trattenere il fastidio per il bruciore, ma dalle sue labbra non uscì alcun lamento.
“Una stoica” pensò ironicamente.
Finita l’operazione, le asciugò lievemente il taglio col maglione che si era legato in vita, facendo attenzione a non fare troppa pressione. Poi si tolse la camicia. Angela lo guardò senza capire, per poi distogliere subito lo sguardo, arrossendo imbarazzata da quell’improvvisa intimità che si era creata.
“Dai Angela, non sei certo una bambina!” si disse.
Lui strappò una manica, per poi avvolgerla attorno alla ferita di lei.
<< Così non si dovrebbe sporcare di nuovo >> disse con voce piatta.
Strappò anche l’altra manica, dal momento che faceva un caldo tremendo, che piegò e ripose nella tasca dei pantaloni qualora dovesse servire in futuro. Indossò, poi, quel che restava della camicia.
<< Grazie >> mormorò Angela tenendo gli occhi bassi. Era davvero sorpresa dal gesto del ragazzo, ma non aveva alcuna intenzione di farsi abbindolare da tutta quella gentilezza. << Però questo non ti rende migliore ai miei occhi >> ribadì infatti subito dopo.
Giacomo sorrise di sbieco.
<< Non ti preoccupare, non mi aspettavo niente del genere  >> rispose << Ma prima o poi vorrei capire perché hai questa pessima opinione di me >>
Angela rimase zitta, non sapendo se rivelargli o meno i suoi pensieri.
<< Bene! >> esclamò però il ragazzo, togliendole l’impiccio della decisione. << Se ce la fai a camminare, ci conviene metterci in marcia. Ho intenzione di capire che diavolo sta succedendo prima che faccia buio!>>
Angela annuì e si alzò, ignorando la mano tesa di lui.
 
***
 
Poco distante dai due, un ragazzo dall’aria spaesata camminava ormai allo stremo delle forze, gli occhi bassi che guardavano per terra.
Ad un tratto si fermò, accorgendosi di una presenza davanti a lui. Alzò lo sguardo e mise a fuoco la figura imponente che gli si presentava. Un uomo dall’età indefinita lo guardava con occhi vispi, scuri e profondi, dall’alto della sua statura. Indossava una larga camicia di flanella rossa a scacchi aperta sul davanti, che lasciava intravedere i massicci addominali. Un cappello di paglia gli copriva metà volto donandogli un’aria minacciosa, accresciuta dal sorriso sghembo sulle labbra. Ai piedi indossava degli infradito, mentre grossi polpacci spuntavano dal pantalone che gli arrivava alle ginocchia.
<< Ragazzo >> disse. La voce era rauca e profonda, e vi si poteva leggere una punta di minaccia. << Chi sei? >>
<< Mi chiamo Giovanni. >>
<< Sei solo? >>
Giovanni fece il gesto di guardarsi attorno.
<< Direi di si. Anzi, è piacevole sapere di non essere l’unico essere umano in questo posto sperduto. >>
L’uomo dall’età indefinita allargò il sorriso. Si, quel ragazzo gli piaceva.
<< Vieni con me >> disse con tono perentorio.
Si voltò e cominciò a camminare, incurante di verificare se l’altro lo stesse seguendo. Giovanni rimase qualche istante immobile a soppesare le varie possibilità.
“Suppongo non fosse un invito” pensò. Sorrise e seguì l’uomo.
 

 

********

 
ANGOLINO DELL’AUTRICE

Ecco il secondo capitolo! Oggi pubblico in anticipo, ma non vi abituate che sto entrando nella fase “studio matto e disperatissimo” :P
Essenzialmente è di passaggio e quindi non succede niente di che, ma almeno facciamo conoscenza con altri quattro personaggi! L’ultimo entrato in scena ha qualche caratteristica che ricorda Rufy di One Piece (il cappello di paglia ), ma è stato fatto a posta: mi piaceva l’idea di un personaggio vestito in questa maniera, ma non ha niente a che fare con il futuro re dei pirati, se non una caratteristica che scoprirete in seguito …
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di ricevere anche dei commenti per poter migliore, o almeno sapere che ne pensate. In ogni caso ringrazio chiunque legga, per me è già tanto =)
Al prossimo capitolo,
Bruli 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 (parte prima) ***


SOMEWHERE I BELONG



CAP. 3 - Parte Prima



A Sara sembrava di essere tornata al punto di partenza: in giro per una foresta, ignara del dove e del come ci fosse finita, stanca e affamata, e per di più di nuovo sola . Anche se in questo caso preferì ricordare il detto  “meglio soli che mal accompagnati”, le parole di Marco l’avevano ferita. Le sembrava incredibile che quel ragazzo dall’aria arrogante e lo sguardo sfacciato fosse il dolce bambino con cui aveva condiviso i giochi di infanzia, l’amico della porta a fianco, il fratello, il fedele confidente. Non riusciva a riconoscerlo in quegli sguardi sconosciuti che non le aveva mai riservato, in quel modo di fare sicuro e fiero, in quel ghigno beffardo che colorava perennemente le sue labbra sottili. Ma la verità era che lei ormai non sapeva più chi fosse quella persona : erano due estranei, due persone che una volta si erano volute un gran bene e che avevano condiviso tanto, ma che ora abitavano su due pianeti diversi. Né lui conosceva la persona che era diventata, e se una volta non c’era stato nemmeno il più piccolo e insignificante particolare della ragazza di cui non fosse informato, ora non riuscivano più a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra.
Era delusa. Non avrebbe mai immaginato che anni di amicizia – di quel genere di amicizia – sarebbero stati spazzati dal vento come semplici granelli di sabbia. Non aveva mai voluto crederci, aveva sempre avuto la convinzione che fosse un allontanamento momentaneo, dettato dall’esigenza, di entrambi, di mettere il naso fuori dal loro mondo. A quanto pareva, però, era stata l’unica a pensarla così. E se c’era una cosa che anni di delusioni e amicizie tradite le avevano insegnato, era che in un certo momento della vita bisogna farsi forza e prendere la propria strada, anche se questa viaggia lontano da coloro che si ha sempre considerato come la propria famiglia. Perché se si comincia a pensare ai “ma” e ai “forse” non si riuscirà mai a vivere.
Eppure il dolore della consapevolezza di dover porre la parola “fine” alla loro storia era davvero forte, ma sapeva di doverlo sopportare. Anche se faceva male, non si sarebbe fatta sopraffare dalle emozioni, lei era forte abbastanza.
Si impose di non piangere e riprese la ricerca di qualunque cosa potesse aiutarla in quella situazione.
 

***

 
Marco contemplava il panorama che si estendeva sotto i suoi occhi scuri come la pece. Un leggera brezza portava sollievo dal calore del sole.
Rabbrividì. Aveva una strana sensazione addosso che non riusciva a riconoscere.
Si sentiva sporco. Sapeva di aver sbagliato, di averle detto delle cose terribili e che non meritava. Nei confronti di Sara, anzi, qualunque parola cattiva sarebbe risultata ingiusta. Era una bella anima, non riusciva a descriverla altrimenti. E sapeva di non esserne degno.
Da quando era sparita tra gli alberi della foresta, si era sentito inquieto. Non avrebbe dovuto lasciarla andare, era pericoloso, e una ragazza sola non avrebbe saputo difendersi adeguatamente da eventuali insidie.
Preso da una nuova determinazione, e spinto da un’ allarmante sensazione di pericolo, si alzò. Si inoltrò nuovamente tra gli alberi, ripercorrendo gli stessi passi di Sara nella speranza che non si fosse allontanata troppo in quel lasso di tempo.
Il caldo stava diventando meno opprimente, segno che la giornata volgeva al termine.
Camminò per una mezz’ora affidandosi unicamente alla fortuna. Non aveva idea di dove andare, e sperava di ritrovarsi in qualche modo sulla stessa strada della ragazza.
All’improvviso udì un vociare indistinto provenire dalla sua sinistra. Si fermò, cercando di capire di cosa si trattasse. Non riusciva a distinguere le parole, ma era sicuro fosse un gruppo di uomini che ridessero beffardi, a giudicare dal tono.
Seguì le voci, muovendosi nella maniera più silenziosa possibile.
Quella strana sensazione continuava a crescere.
 

***

 
Erano diversi minuti che Giacomo e Angela camminavano silenziosi seguendo il corso del fiume. Ogni tanto il ragazzo gettava un’occhiata alle sue spalle, sbirciando il giovane angelo dai capelli d’oro che zoppicava dietro di lui, troppo orgoglioso per chiedere aiuto.
Angela era bella, una di quelle bellezze rare e delicate. Contrariamente all’aspetto, però, aveva un carattere piuttosto puntiglioso e difficile, e questo Giacomo l’aveva notato già tra i corridoi di scuola.
Lui era un ragazzo di bell’aspetto che, con quegli occhioni verdi che si ritrovava, riusciva facilmente ad ammaliare chiunque venisse in contatto con lui, uomini e donne, aiutato anche dal carattere aperto e cordiale. Pacato, era ben voluto dai compagni di scuola e dal corpo insegnanti. Nessuno aveva una parola cattiva contro di lui, nessuno eccetto Angela. Non che gli si fosse rivolta mai scortesemente, assolutamente, ma non gli aveva mai dato confidenza, rivolgendogli solo sguardi astiosi, e Giacomo non ne capiva il motivo.
Erano cinque anni che la scrutava di nascosto, dalla prima volta che l’aveva notata seduta sulle scale antincendio, sulle ginocchia poggiato un libro troppo grande per essere del liceo, e in mano una matita pronta per appuntare note al margine di pagina. L’aveva guardata, il viso immerso in una grossa sciarpa pelosa del colore del prato, mentre lei, ignara di tutte quelle attenzioni, era completamente immersa nella lettura.
Da allora, ogni giorno, dedicava un po’ del suo tempo a conoscerla, osservandola con l’attenzione meticolosa di uno studioso, cercando di accedere alla sua anima, a quella parte di lei che non mostrava agli altri, tramite quei piccoli e insignificanti particolari del suo essere così difficili da notare per un occhio poco attento.
Lui era lì ad osservarla quando i primi sintomi del cambiamento si stavano presentando, era lì quando piangeva silenziosa un pianto senza lacrime, fissando dritta davanti a sé senza, però, vedere realmente, sicura di non aver alcun indesiderato spettatore.
E non capiva, Giacomo non capiva cosa nascondesse dietro quegli occhi ceruli velati di malinconia. E si chiedeva perché trascorresse il tempo con persone con cui non aveva niente in comune, e si divertiva a pensare i modi con i quali sarebbe riuscito a farla ridere, per vedersi rivolgere, finalmente, uno di quei suoi magnifici, quanto rari, sorrisi. Per lui, solo per lui.
<< Guarda! >>
La voce di Angela lo distolse dai pensieri. Si voltò a guardarla e la vide puntare con l’indice un punto davanti a loro. Giacomo seguì la direzione indicatagli e notò del fumo grigio elevarsi dietro ad una piccola collina verdeggiante.
<< Che pensi che sia? >> gli chiese la ragazza.
<< Forse siamo vicini ad un centro abitato >> rispose lui. << In ogni caso indica che c’è - o almeno c’è stato – qualcuno da quelle parti >>
<< Sarà sicuro andare? >>
<< Probabilmente no >> disse portandosi una mano al capo e scompigliandosi i capelli in un gesto inconsapevole. << Ma non possiamo far altro che rischiare >>
Angela annuì e ripresero a camminare.
<< Ti vuoi fermare un po’? >> le chiese guardandole la gamba ferita che trascinava faticosamente.
Lei scosse la testa.
<< No, ce la faccio. Ho paura cali la notte prima che arriviamo. Prima capiamo cos’è, meglio è >>
Giacomo assentì, ma le lanciò comunque uno sguardo preoccupato che lei volutamente ignorò.
 

***

 
Sara continuava a imprecare silenziosamente nella sua testa per la situazione in cui era capitata, passando a rassegna tutte le parolacce che conosceva, anche quelle in lingua straniera. Doveva ammettere di possedere un bel repertorio, ma dovette riconoscerle anche che la madre non ne sarebbe stata affatto contenta. Aveva cercato, infatti, di educarla “come ad una signorina di buona famiglia conviene”, ma purtroppo la ragazza non era esattamente una buona allieva sotto quell’aspetto.
A prima vista era una persona fine e delicata, dai lineamenti dolci e un sorriso disarmante, un carattere solare a distinguerla dalla massa. La pazienza, però, non si poteva dire essere la sua virtù principale, come non era certo possibile ignorare la particolare permalosità che la caratterizzava. Ogni volta che perdeva le staffe – cosa che accadeva piuttosto spesso – si trasformava tanto da essere irriconoscibile e poter fare invidia alle Furie, terrorizzando chiunque fosse nei paraggi. Chi avrebbe  mai potuto sospettare che in un corpicino tanto minuto si potesse nascondere un’indole tanto ribelle?
Presa dai pensieri, che vagavano dalla discussione con Marco ai tentativi di ricordare le lezioni di francese  - nella speranza di aggiungere qualche altra parola al suo repertorio - , inizialmente non si accorse delle voci che sembravano camminare parallelamente alla sua direzione, ma un urlo disumano richiamò presto la sua attenzione, costringendola a tornare al presente. Un brivido di paura percorse la schiena della ragazza in tutta la sua lunghezza.
Cos’era quel grido?
Valutò l’ipotesi di scappare a gambe levate il più lontano possibile, ma sapeva che così facendo avrebbe solo attirato l’attenzione di chiunque si trovasse lì vicino. Probabilmente, considerando la sua poca agilità a muoversi in quel posto, la cosa più conveniente da fare era trovare un nascondiglio sicuro dove rifugiarsi finché i proprietari delle voci non si fossero allontanati.
Si guardò intorno. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto, quasi minacciando di uscire fuori da un momento all’altro. Le grida continuavano strazianti, echeggiando tra le foglie della foresta. Sembrava qualcuno sottoposto ad atroci torture, Sara non osava nemmeno pensarci.  Non aveva mai avuto tanta paura in vita sua, ogni fibra del suo corpo urlava pervasa da un terrore che non conosceva. Non poteva, però, permettere che il panico la paralizzasse: se voleva salva la vita, doveva agire il più in fretta possibile. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma era sicura che non fosse nulla di buono.
Mosse silenziosamente alcuni passi fino a quando non notò un albero dalle radici rialzate che formavano una specie di cupola in cui avrebbe potuto nascondersi. Ringraziò mentalmente la fortuna che per una volta aveva deciso di assisterla. O almeno sperava fosse così, e non uno dei soliti tranelli che le riservava.
Senza pensarci troppo, si accucciò nell’incavo del tronco, portandosi le ginocchia al petto e stringendo forte le gambe con le braccia.
I minuti scorrevano lenti, i battiti del cuore erano sempre più forti, tanto che quasi temeva potessero udirli. Stringeva forte gli occhi, come se avesse paura di vedere, mentre rivoli di sudore scendevano lungo le tempie e per tutta la schiena.
Le voci si facevano sempre più vicine e Sara aveva paura che non fosse stata una buona idea, quella di nascondersi lì. E se l’avessero vista? L’avrebbero uccisa, torturata? Non voleva nemmeno pensarci!
Le grida sembravano essere cessate, ma al loro posto rimbombavano ora risate sguaiate che le fecero rizzare i peli sulle braccia.
Tremava. Voleva sapere cosa stava succedendo, ma non aveva il coraggio di muoversi.
Si morse il labbro inferiore e, forte di un coraggio che non credeva di possedere, si sporse dal tronco in cui si era rintanata. Lasciò vagare gli occhi nel tentativo di individuare i proprietari delle voci, e finalmente distinse un gruppo di persone fermo nella piccola valle sottostante all’altura dove si trovava. Si mise in ginocchio per stare più comoda, sicura che la posizione non l’avrebbe tradita.
Erano cinque uomini, tutti dalla stazza imponente e lo sguardo poco rassicurante. Ridevano malefici e solo in un secondo momento capì il perché. Al centro del gruppo, un sesto uomo se ne stava a terra, ripiegato a se stesso, le mani legate dietro la schiena. Il volto era sporco di sangue rappreso, la maglia, che una volta doveva essere stata bianca, era lercia e strappata in diversi punti. Non l’aveva notato subito perché nascosto dalle figure di coloro che lo circondavano, ma ora, purtroppo, lo vedeva fin troppo chiaramente.
Si prendevano beffe di lui, urlando cose sconce e ghignando davanti al suo sguardo terrorizzato. Sembrava che questi stesse sul punto di dire qualcosa, ma subito un calcio lo prese in pieno volto, facendolo rotolare sul mano erboso .
Sara sussultò. Presto seguì un altro calcio, che lo colpì questa volta allo stomaco. Un lamento uscì dalle labbra socchiuse dell’uomo, accompagnato da un rivolo di sangue rossastro. Notò che il suo viso era sfregiato all'altezza dello zigomo destro, come se qualcuno si fosse divertito a a passarvi sopra ripetutamente una lama. Uno degli energumeni gli si avvicinò, il volto stravolto in una smorfia beffarda. Schiacciò il capo dell’uomo contro  il terreno con il piede. La pressione si faceva sempre più forte e lamenti strozzati provenivano dal corpo martoriato steso a terra.
Sara dovette portarsi una mano alla bocca per soffocare l’urlo di terrore che le premeva la gola, ma non riusciva a staccare gli occhi da quell’immagine cruenta che le si prestava dinanzi.
Improvvisamente una grande mano le afferrò con forza una spalla, mentre un’altra coprì la sua posta sulla bocca. Fu strattonata all’indietro con violenza. Si dimenò cercando di liberarsi dalla presa potente, e con la mano libera cercò di colpire il suo aggressore. Si sentì pervadere da un’ansia opprimente: odiava sentirsi debole come un topo in trappola, ma le sue braccia esili non potevano niente contro quella morsa ferrea.
<< Maledizione, stai un po’ ferma! >> le sussurrò una voce inconfondibile.
Sara spalancò gli occhi sorpresa non appena la riconobbe, e subito rilassò impercettibilmente il corpo, quanto bastava per permettere al ragazzo di voltarla nella sua direzione.
<< Oddio … >> riuscì a sussurrare.
Le gambe le tremavano, l’intero corpo era pervaso da brividi freddi.
<< Sara … >> fece Marco.
Aveva uno sguardo dispiaciuto, come se si sentisse in colpa per non essere riuscito ad evitare alla ragazza quello spettacolo tremendo. In fondo, per quanto lei cercasse di apparire forte e poco impressionabile, era una persona molto sensibile.
Le portò una mano al viso, asciugandole delicatamente una lacrima che stava scivolando silenziosa lungo lo zigomo. Stava piangendo, ed era talmente sconvolta che non se ne era nemmeno accorta.
<< Q-quei tizi … >> cominciò lei balbettando.
<< Ho visto >>
Uno sguardo smarrito. Una silenziosa domanda. E ora?
Le fece appoggiare il capo contro il suo petto, massaggiandole piano i capelli, proprio come quando da bambini lei si rifugiava nella sua cameretta in cerca di conforto perché qualche compagna l'aveva trattata male. Certe cose non sarebbero cambiate mai.
Uno scricchiolio sospetto catturò la loro attenzione. Si volsero simultaneamente verso la fonte del rumore, mentre un campanello di allarme nella loro testa li avvertiva del pericolo imminente.
Un uomo robusto li sovrastava con la sua altezza imponente. I capelli neri gli ricadevano arruffati sul volto, negli occhi verdi il luccichio dell’eccitazione, mentre le labbra carnose erano stese in un sorriso sadico. Era uno dei cinque uomini.
<< Bene bene >> disse lentamente. La voce era roca e profonda, e Sara non poté fare a meno che rabbrividire. << Che abbiamo qui? >>
Marco ebbe appena il tempo di sussurrare un’imprecazione, che qualcosa lo colpì alla testa e la vista gli si offuscò, accasciandosi tramortito sul corpo della ragazza .
 

ANGOLINO DELL'AUTRICE


Salve gente! Allora, come avrete notato, questo capitolo è diviso in due parti. Mi sono accorta che erano quasi venti pagine e mi sembrava eccessivo pubblicare tutto insieme! In ogni caso questo è il mio preferito fino ad ora, le cose cominciano a muoversi e c'è finalmente un po' di azione, anche se minima.

Ringrazione le sei persone che hanno inserito la storia tra le seguite e specialmente coloro che hanno recensito e recensiranno, perché è molto importante per me conoscere la vostra opinione e potermi così migliorare!
Grazie anche a tutti coloro che leggeranno!

Al prossimo capitolo, 
Bruli  =)

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 (parte seconda) ***


SOMEWHERE I BELONG



CAP. 3 - Parte Seconda


Un dolore lancinante alla testa lo fece destare, come tanti spilli appuntiti che pungessero la pelle al di sotto delle tempie. Quando aprì gli occhi, impiegò qualche secondo per riuscire a mettere a fuoco ciò che aveva davanti. Nella penombra che lo immergeva, distinse pareti giallognole percorse da sottili crepe. Un debole fascio di luce, proveniente da una piccola finestrella rettangolare sbarrata, illuminava lievemente l’ambiente, permettendogli di distinguere i contorni di quella stanza umida e spoglia.
Qualcosa gli sfiorava piano il capo, insinuandosi lento tra i capelli sottili. Era un tocco delicato e piacevole, come le carezze che la mamma gli faceva quando era bambino prima di metterlo a letto. Chiuse gli occhi, beandosi per qualche istante di quella sensazione pacifica che gli donava. Ben presto, però, la realtà ritornò cruenta a farsi sentire, insieme ai ricordi di prima che perdesse i sensi.
Aprì nuovamente gli occhi e si mise a sedere di scatto, movimento che fece peggiorare il mal di testa.
<< Attento! Hai preso una brutta botta! >>
Si accorse solo allora della ragazza bruna inginocchiata accanto a lui, che lo scrutava preoccupata con i suo occhioni color cioccolato.
<< C- che è successo? >> chiese con voce strascicata. Si sentiva ancora un po’ frastornato e aveva la bocca tanto impastata da far fatica a parlare.
<< Dopo che ti hanno colpito alla testa, ci hanno trascinato qui >> rispose lei. Alzò le spalle e sospirò, << Non mi hanno voluto dire niente, né io ho insistito molto. Mi fanno davvero paura quegli uomini >> ammise.
Marco spalancò gli occhi sorpreso: era davvero difficile che qualcosa riuscisse a zittire la ragazza, solita a dar fiato a tutto ciò che le passava per la testa, mettendosi, spesso e volentieri, anche nei pasticci per questo aspetto del suo carattere. Per aver tenuto chiusa la bocca, pensò, doveva essere davvero molto spaventata.
<< Hanno fatto del male anche a te? >> chiese, improvvisamente allarmato.
<< No >> . Fece una risata amara << A quanto pare basta davvero poco per rendermi inoffensiva, senza aver il bisogno di tramortirmi o altro >>
Marco la guardò comprensivo, ma non disse nulla. Qualsiasi parola sarebbe risultata solo superflua.
<< Mi dispiace non essere riuscita a far nulla >> continuò lei, sussurrando con rammarico. << Eri lì, riverso a terra privo di sensi, e non sono stata capace di far nient'altro che tremare terrorizzata. Se fossi svenuta io, sono sicura che ora non saremmo in questa situazione, perché avresti già trovato il modo per tirarcene fuori >>
Il ragazzo scosse la testa.
<< Non dire così. Non sarebbe cambiato niente, e lo sai>>
Sara fece un’espressione scettica, ma non ribatté.
Marco sospirò stancamente. Sapeva perfettamente quali pensieri stessero passando in quel momento per la sua testolina castana, nonostante fossero trascorsi anni da quando condividevano i sussurri nelle notti passate sulla spiaggia.
Osservò attentamente la ragazza. I capelli castani le ricadevano scompigliati sulle spalle, e i segni della stanchezza e della paura erano ben visibili sul viso leggermente abbronzato dal caldo sole di quel luogo : con lui, in quella situazione, non c’era alcun motivo di nascondere i brutti pensieri sotto ad una maschera di spensierato ottimismo. Anche se non lei non l’avrebbe mai ammesso apertamente, lui sapeva leggerle l’anima.
Avvertì allo stomaco una sensazione che non conosceva, o che forse, semplicemente, aveva dimenticato volutamente in quegli anni.
Alzò una mano e la fece scivolare lievemente sul braccio scoperto di lei sentendolo tremare al tocco, indeciso se arrendersi all'istinto che lo spingeva a stringerla forte tra le sue braccia, lo stesso che gli comandava di non allontanarla più, di tenerla legata stretta a sé.
No. Non ne aveva più il diritto. Proprio quello che un tempo aveva desiderato, ora gli si stava ritorcendo contro.
Tolse bruscamente la mano e se la passò stancamente sul viso. Si alzò e prese a gironzolare per la stanza, valutando le possibili vie di fuga. Dopo un’attenta analisi, constatò che l’unico modo per uscire era passare per la porta, la quale era ovviamente chiusa a chiave.
Sara, nel frattempo, lo guardava muoversi come un animale in gabbia, notando quanto fosse cambiato rispetto al moccioso che ricordava: non era più un bambino mingherlino pauroso di tutto, ma un uomo dalle spalle larghe e il fisico massiccio, frutto degli allenamenti costanti a cui si sottoponeva ogni giorno con passione. Nonostante lo vedesse tutte le mattine a scuola, non si era mai soffermata a lungo sul suo aspetto, decisa a non farsi male più del necessario: non riusciva a guardarlo in faccia quando lo incontrava per i corridoi, tanto era forte il dolore che provava per la loro amicizia perduta. Ci aveva creduto. Ci aveva creduto a lungo, e vi aveva investito tutte le sue forze. Ma ora si chiedeva quanto fosse valso tutto il tempo che gli aveva dedicato.
<< Secondo te potremmo riuscire a sfondare la porta? >> chiese la ragazza, interrompendo il flusso di pensieri.
<< Stavo cercando di capire proprio questo >> rispose Marco. << La porta sembra piuttosto vecchia, ma ancora abbastanza salda. In ogni caso, tentar non nuoce, giusto? >>
Detto questo, indietreggiò di qualche passo, preparandosi allo scontro con la porta. Proprio in quel momento, però, un rumore di chiavi provenne da fuori, e la serratura scattò. La porta fu spalancata e sulla soglia comparve un grosso omone. Indossava una canottiera che doveva aver avuto tempi migliori, come lui, del resto. Il viso, infatti, era solcato da profonde rughe e piccole cicatrici, mostrando un’età differente rispetto alla limpidezza dei suo occhi. Li scrutò con uno sguardo impenetrabile, poi li incitò a seguirli. I due ragazzi non poterono fare a meno che obbedire e, appena messo piede fuori dalla stanza, furono subito affiancati da un altro uomo gigantesco.
<< Ma sono tutti così enormi, qui? >> sussurrò Sara a Marco, beccandosi un’occhiataccia da entrambi i carcerieri.
Li scortarono lungo un corridoio stretto e semibuio, poi per una rampa di scale. Sara avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma l’occhiata eloquente che il ragazzo le rivolse quando si accorse delle sue intenzioni, la fece desistere.
Terminati i gradini, si ritrovarono in un altro corridoio, più ampio e luminoso. Una sensazione di familiarità colpì Sara guardando quelle pareti di cemento armato piene di crepe e le mattonelle violate da coraggiose piante selvatiche, ma questa preferì non darvi peso : quella situazione era già fin troppo strana e spinosa, meglio occuparsi di una cosa per volta. In primis, dove li stavano portando?
La sua legittima curiosità venne soddisfatta quando si fermarono davanti ad una porta verde piuttosto malandata. Si udivano delle voci provenire dall’interno, ma era difficile capire cosa dicessero.
Il tizio robusto bussò ed entrò senza aspettare risposta. La porta rimase socchiusa alle sue spalle, permettendo, così, di distinguere meglio le parole.
<< … ragazzino mi sto innervosendo, ti avverto >> stava dicendo una voce con tono irritato. << Sono una persona molto comprensiva, ma tu stai consumando tutta la mia pazienza! >>
<< Calmo, calmo >> intervenne un’altra, molto più tranquilla rispetto alla prima, ma decisamente più inquietante. << Il ragazzo sa che non molleremo molto facilmente, vero? >>
<< Ho già risposto alla vostra domanda, non è colpa mia se siete così duri di comprendonio >> disse una terza voce.
Sarà spalancò la bocca sorpresa: quel tono saccente e sfacciato l’avrebbe riconosciuto ovunque! Ma che ci faceva lui lì? Domanda stupida, si disse, dal momento che doveva essere stato catturato anche lui.
“Quella faccia di schiaffi…” fu quello che comunque non riuscì ad
impedirsi di pensare.
Marco la guardò interrogativo, accorgendosi dello shock sul volto della ragazza, ma non capendone il motivo. Sguardo che Sara comunque non notò, troppo presa dal tentativo di organizzare i pensieri confusi.
“Non siamo soli! Non siamo soli!” urlava intanto una vocina nella sua testa.
La porta fu aperta di nuovo, e il carceriere ordinò loro di entrare. Dalla stanza sembrava non provenire più alcun suono. Obbedirono e seguirono i due uomini all’interno. Questa era quasi totalmente occupata da un tavolo rettangolare in plastica dura, attorniato da diverse sedie in ferro battuto. Un uomo molto alto e magro stava all’in piedi, appoggiato contro il muro giallo ocra, lasciando trapelare dagli occhi nocciola tutta la sua irritazione. Capelli lisci e neri gli ricadevano ai lati del viso, e si toccava nervosamente il pizzetto sul mento.
Un secondo uomo stava, invece, seduto. Era molto grosso e sembrava essere anche parecchio alto. Indossava una camicia rossa a quadroni, e tra le mani si rigirava un cappello di paglia. Non si voltò a guardare i nuovi arrivati, come aveva fatto il compagno, ma era troppo impegnato a scrutare con sguardo divertito la persona che gli sedeva di fronte. Dall’altro lato del tavolo, infatti, un ragazzo dai capelli biondo cenere sosteneva impassibile i suoi occhi, trasudando una sicurezza che appariva inadeguata alla situazione, sembrando completamente a suo agio seduto a quel tavolo.
Marco osservò il coetaneo, capendo finalmente il motivo dello shock della ragazza. Incredulo, cercò la conferma in lei, la quale annuì lievemente senza farsi notare.
<< Signore >> fece quello più grosso dei due carcerieri.
L’uomo seduto si voltò, dando finalmente attenzione ai nuovi arrivati.
<< Quante volte ti ho detto che mi devi chiamare per nome, Joe? >> disse.
L’altro arrossì – un tizio della sua stazza che arrossisce! – e scrollò le spalle.
<< Earl, questi sono i due che abbiamo trovato nel bosco >>
Earl si mise a guardarli con interesse quasi scientifico, osservandoli dalle dita dei piedi alle punte dei capelli. Il ragazzo biondo, invece, strabuzzò gli occhi sorpreso alla vista dei due. Sara avrebbe pagato per potergli fare una foto in quel momento: non capitava spesso riuscire a sbalordirlo.
<< Sara! >> esclamò lui prima di potersi impedire di aprire bocca.
La ragazza si aprì in un sorriso sincero: nonostante la brutta situazione, era davvero felice di averlo ritrovato.
<< Giovanni! >> disse lei di rimando.
Earl sembrava guardarli ancora più interessato se possibile, muovendo gli occhi vispi dall’uno all’altra.
<< Hai ritrovato la tua fidanzatina, ragazzino? >> fece maligno lo spilungone che, da quando erano entrati loro, ancora non aveva aperto bocca.
I due ragazzi si guardarono e poi scoppiarono inaspettatamente in una risata fragorosa. Marco scosse la testa, sul viso dipinta la stessa espressione di una mamma che ha appena beccato i figli a combinare le solite marachelle, mentre i restanti dei presenti avevano la bocca spalancata dall’incredulità: come potevano mettersi a ridere in una situazione del genere? Solo Earl non mostrava un minimo pensiero sul volto, continuando a fissarli imperscrutabile, come se niente lo toccasse.
<< Che diamine c’è da ridere?! >> esclamò l’uomo col pizzetto, sempre più infastidito.
Giovanni scosse la testa, come per dire che era un qualcosa di poco conto. Questo lo fece irritare ancor di più. Ora era livido di rabbia e i pugni chiusi lungo i fianchi tremavano vistosamente.
<< Tu, brutto … >>
<< Tieni a freno gli istinti, Gustavo! >> tuonò Earl.
L’altro si zittì immediatamente, ma la sua ira era ancora palpabile. Earl si rivolse ai ragazzi.
<< Dunque vi conoscete >> constatò. << Posso sapere il motivo di tanto divertimento? >>
Sara guardò Giovanni in cerca di aiuto, il quale non si fece problemi a rispondere. 
<< È  che siamo cugini, ma capita piuttosto spesso che ci scambino per una coppia di fidanzati >> disse tranquillamente, come se stesse dialogando tra amici.
L’uomo rise seriamente divertito da quella situazione. In tanti anni non gli era mai capitato davanti qualcuno con una faccia tosta come quel ragazzo dall’aria sbarazzina. Era terribilmente sfacciato, e probabilmente questo prima o poi gli sarebbe costato caro, ma per sua fortuna ad Earl piaceva avere a che fare con gente del genere: aveva trovato pane per i suoi denti!
D’altro canto la ragazzina, seppur impaurita, sembrava esser sempre sul punto di contestare qualcosa, ma finiva ogni volta col mordersi la lingua per non parlare, mostrando chiaramente la sua frustrazione. Il ragazzo bruno accanto a lei, invece, aveva gli occhi scuri alzati verso il soffitto, come se fosse abituato a scene del genere.
Si, decisamente quei tre avevano catturato la sua attenzione.
<< Interessante >> disse. << E dal momento che ho reso possibile, grazie ai miei uomini, questa piccola riunione di famiglia, posso sapere chi siete? >>
<< Te l’ho detto, Earl >> fece il biondo con tono di sfida, schioccando rumorosamente la lingua e calcando il nome dell’uomo. << Mi chiamo Giovanni >>
L’uomo alzò un sopracciglio. << E i miei nuovi giovani ospiti? >>
I due dissero rispettivamente i nomi.
<< Allora? Come siete finiti qui? >> continuò allora Earl, capendo che avrebbe dovuto tirar loro le parole di bocca.
I tre si guardarono, indecisi se dire la verità. In quel momento entrò un altro uomo e si avvicinò ad Earl, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
<< Che cavolo gli diciamo? Io non mi fido! >> sussurrò Sara ai due ragazzi, approfittando di quel momento di distrazione.
<< Io credo sia meglio rischiare, in un modo o nell’altro dobbiamo capire che diamine è successo dopo il temporale! >> disse Marco. Giovanni convenne con lui, beccandosi un’occhiata di traverso da Sara.
<< E se ci uccidono, dopo? >> ribatté lei.
<< Se hanno intenzione di ucciderci, a maggior ragione lo faranno se non parliamo, genio! >> la zittì Marco.
<< Se posso dire la mia, sono d’accordo col ragazzo >>
Si girarono contemporaneamente nella direzione della voce, guardando impietriti Earl che li fissava tranquillamente.
<< In ogni caso, >> continuò lui << questi due appartengono alla vostra combriccola? >>
In quel momento i due carcerieri – di cui non avevano notato l’assenza prima di quel momento – rientrarono seguiti da due figure.
<< Non ci credo! >> esclamò Sara incredula. Qualcuno lassù si doveva stare divertendo davvero tanto.




****************
 

ANGOLINO DELL'AUTRICE

Saaalve gente! =)
Ecco a voi la seconda parte del terzo capitolo. Spero che non vi siano errori, purtroppo ho potuto dedicare poco tempo alla correzione. Avverto già che le prossime settimane non sarò puntale poichè sono in periodo d'esami. Il quarto capitolo è già pronto, ma è tutto da rivedere e correggere. Prometto che cercherò di aggiornare il prima possibile!

Passando alla storia ... Diciamo che la trama si sta cominciando a muovere! Ovviamente sarò sempre felice di ricevere le vostre opinioni, sia negative che positive! 

Grazie a tutti coloro che leggono, e in particolare a chi recensisce! 
A presto, 
Bruli =)



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 ***


Mi scuso profondamente per il ritardo nel pubblicare, ma gli esami hanno preso più energie di quanto mi aspettassi. Ringrazio per esser state pazienti e spero la storia continuerà ad interessarvi, ho bisogno del vostro sostegno!
Vi lascio alla lettura del capitolo!


SOMEWHERE I BELONG
 

CAP. 4

Sara guardava i volti dei nuovi arrivati con gli occhi spalancati per l’incredulità, soffermandosi in particolare su uno dei due. Perché proprio lei doveva trovarsi lì con loro? Non bastava la presenza di Marco? Aveva come l’impressione che l’intero Universo le stesse giocando un brutto tiro, eppure non credeva di aver fatto niente di male! Certo, non era una santa, aveva i suoi difetti e le sue colpe, ma non pensava di aver fatto niente di così brutto da meritarsi una simile punizione.
Osservò con attenzione la figura longilinea ferma sulla soglia della stanza, i lunghi capelli biondi arruffati legati in una coda scomposta, la maglia macchiata e strappata in alcuni punti, i pantaloni completamente rovinati. Eppure anche così – doveva ammetterlo – era sempre bellissima, e non poté fare a meno di provare un pizzico di invidia. E gli occhi, quegli occhi cerulei tanto familiari che l’ avevano osservata crescere, che la conoscevano così bene, che avevano riso e pianto insieme ai suoi per i tre quarti della loro breve vita, quegli occhi ora la squadravano freddi, privi del calore che un tempo aveva accompagnato il suo sguardo.
Rabbrividì, non riuscendo tuttavia a smettere di guardarla.
Angela, d’altra parte, sostenne lo sguardo della ragazza, non sottraendosi a questo scambio carico di sottintesi. Cobalto contro cioccolato, consapevolezza contro delusione, malinconia contro confusione, in una battaglia dal sapore di domande non risposte e di certezze disciolte come neve al sole.
Faceva male, faceva maledettamente male. Guardarsi e non avere niente da dire nonostante il passato che le aveva legate. Incontrarsi e fingere di non rilevare l’una la presenza dell’altra. Vivere questi scontri silenziosi quando avrebbe voluto solo urlare e dar sfogo alle parole incise nel suo cuore che da troppo tempo premevano di uscire, ma destinate a rimanere taciute per mancanza di forza. Ogni volta Sara si diceva che quella successiva sarebbe stata più forte, che non si sarebbe lasciata trascinare dai sentimenti, ma sarebbe andata avanti per la sua strada. E puntualmente non poteva fare a meno di chiedersi il perché, perché tutte le sue più grandi amicizie erano destinate a rompersi, perché non potevano fare ognuna un passo indietro e incontrarsi a metà strada, perché doveva essere tutto così dannatamente difficile.
Avrebbe voluto distogliere lo sguardo e non darle l’importanza che non meritava, ma il suo viso era come una calamita che l’attirava dolorosamente su quei lineamenti che conosceva fin troppo bene.
Faceva male, e lo stava scoprendo giorno dopo giorno sulla sua pelle, e poteva far niente per cambiare le cose.
« Dai vostri sguardi deduco che si, fanno parte della vostra combriccola » la voce roca e profonda di Earl la riportò alla realtà, lontana dai pensieri, e si ricordò la domanda che pochi secondi prima aveva loro rivolto.
« Che sta succedendo? » chiese Angela spostando lo sguardo sull’uomo. Persino ascoltare la sua voce era doloroso, ma si costrinse a non pensarci.
« Questo me lo dovete dire voi. I miei uomini vi hanno trovato vagare sulla mia isola senza permesso, e io ora voglio sapere chi siete e perché vi trovate qui. »
« La tua isola? » chiese la mora. « Vuoi dire che questo posto è tuo? »
Earl rise. « Non ho un titolo che attesta il mio diritto di proprietà, questo no, ma qui è stabilita la mia base. Tutti lo sanno, ragazza, e questo è il motivo per cui nessuno mette piede su quest’isola senza un mio permesso. Quindi la mia domanda ora è: perché voi non lo sapevate? »
I cinque ragazzi si scambiarono un’occhiata veloce.
« Questo è esattamente ciò che vorremmo sapere anche noi » rispose Giacomo.
Earl alzò un sopracciglio mantenendo il suo sorriso sghembo e imperscrutabile.
« Interessante »
Un rombo assordante interruppe lo scambio di battute facendo sobbalzare i presenti. Nove teste si voltarono di scatto verso la finestra, dalla quale si potevano intravedere delle fiamme innalzarsi dal bosco poco distante.
« Un’esplosione! » esclamò uno dei due carcerieri.
Un altro tuono violento li portò ad indietreggiare di qualche passo spaventati.
« Earl, ci stanno attaccando! » urlò Gustavo.
« Attaccando? » ripeté Sara con voce stridula. In che casino erano finiti?
« Earl! » fece Giacomo con voce ferma. « Che diavolo di base hai stabilito su quest’isola? »
L’uomo sorrise. « Della mia ciurma »
« Ciurma? »
« Di pirati » ghignò.
Giacomo spalancò gli occhi. « Pirati? Che diamine stai dicendo? »
Non ci fu tempo per altre spiegazioni perché una terza esplosione – questa volta molto più vicina all’edificio in cui si trovavano – fece tacere qualsiasi altro quesito.
« Dobbiamo uscire di qui il più in fretta possibile! » esclamò Gustavo.
« Seguitemi! » ordinò Earl.
Si catapultò fuori dalla stanza seguito a ruota dagli altri e ai cinque ragazzi non restò che affidarsi a loro.
« C’è qualcun altro nell’edificio oltre a noi? » chiese Earl a Gustavo mentre li conduceva lungo una serie di corridoi semibui.
« A quest’ora dovrebbero essere tutti già alla nave » rispose l’altro.
La sera stava ormai calando e già si faticava a distinguere le sagome di ciò che si aveva davanti, specialmente dal momento che apparentemente quel luogo non possedeva energia elettrica. Mentre correva, Sara continuò a sentire sulla pelle quella sensazione di familiarità che aveva avvertito poco prima, ma ancora una volta non riuscì a rilevarne la causa.
Senza quasi accorgersene, si ritrovarono al di fuori dell’edificio. Subito una fortissima puzza di bruciato pizzicò loro le narici, e il fumo scese nelle gole provocando degli attacchi di tosse.
« Il bosco sta andando a fuoco! » esclamò Giacomo, arrestandosi di colpo inorridito.
« Non ti fermare! » lo rimproverò Angela tirandolo per un braccio, ma il ragazzo non accennava a muoversi. Sembrava paralizzato dallo spettacolo che si estendeva davanti ai suoi occhi.
« Giacomo! » riprovò la ragazza, scuotendolo con forza.
« Per di qua non si può passare, Earl! » urlò Gustavo. « Le fiamme sono troppo alte, moriremmo soffocati in poco tempo! »
L’uomo imprecò sonoramente e prese a guardarsi intorno in cerca di una via di fuga alternativa.
Angela poteva sentire il calore del fuoco sulla pelle nonostante ci fossero parecchi metri a separarla dagli alberi incendiati. Non capiva cosa stesse accadendo, né il comportamento di Giacomo, ma sapeva solo che dovevano andare via di là.
« Angela! » la chiamò Sara. « Perché stai ferma? Earl sta andando di là! » le indicò l’uomo che nel frattempo stava correndo nella direzione opposta al bosco in fiamme, percorrendo il perimetro dell’edificio.
Angela rivolse alla mora con uno sguardo esasperato che racchiudeva un’implicita richiesta di aiuto. Sentiva la paura crescerle man mano nel petto e le mani tremare. Non poteva lasciare Giacomo in quelle condizioni, ma neppure poteva restare ferma lì: le fiamme presto, propagandosi, avrebbero attaccato anche l’edificio e per loro allora non ci sarebbe stata più alcuna via di scampo.
« Giacomo! » si volse verso il ragazzo prendendolo per le spalle. Lui aveva ancora gli occhi fissi sul bosco in fiamme e non accennava a distogliere lo sguardo. « Ti prego, Giacomo, dobbiamo andar via di qua! »
Lo scosse ancora una volta violentemente, il terrore ormai padrone del suo corpo. Sara si avvicinò ai due non capendo cosa stesse accadendo.
« Giacomo! » lo supplicò.
Si guardò attorno disperatamente e, non sapendo che altro fare, gli dette un forte schiaffo sulla guancia.
Il ragazzo parve finalmente accorgersi di lei e i suoi occhi si poggiarono smarriti e impauriti sul volto pallido della bionda.
« C-cosa? »
Angela approfittò che Giacomo pareva esser quasi tornato in sé e lo strattonò con forza.
« Corri! » gli urlò.
Il ragazzo obbedì, ancora piuttosto confuso, e strinse forte la mano di Angela lasciandosi trascinare. Anche Sara, che nel frattempo li aveva raggiunti, riprese a correre lungo il perimetro dell’edificio.
I tre in breve si riunirono alla comitiva, mentre un’altra esplosione colpì il punto dove si trovavano poco prima. Sara sospirò sollevata, ma presto dovette trattenere nuovamente il respiro: quelle erano … bombe di cannone? Strizzò forte gli occhi cercando di vedere meglio, dal momento che la vista era offuscata da tutto il fumo che proveniva dal bosco. L’aveva sognato?
« Dove diavolo eravate finiti? » urlò loro Marco, affiancandoli insieme a Giovanni. I capelli biondo cenere di quest’ultimo erano sparati in aria e ricoperti di fuliggine, d’altronde come quelli di tutti altri.
« Colpa mia » liquidò Giacomo la questione, il quale sembrava aver finalmente riacquistato la padronanza di sé.
Angela l’osservò velocemente di sottecchi, ancora non capendo cosa gli fosse preso poco prima. Solo allora si accorse di stare ancora stringendo la mano di Giacomo, ma per una volta la paura ebbe la meglio sull’orgoglio e rafforzò la stretta.
Seguirono Earl e Gustavo all’interno di una grotta buia ed umida. Il rumore dei passi rimbombava nella spelonca accompagnato dallo schiocco prodotto dai piedi a contatto con l’acqua per terra.
Sara rabbrividì nonostante fosse accaldata per la corsa.
« Giovanni! » chiamò, cercando nel frattempo di distinguere la sagoma del cugino nel buio della grotta. Aveva paura di perderlo nuovamente ora che si erano ritrovati. « Giovanni, dove sei? »
« Sono qui, non ti preoccupare » le rispose lui.
Sara mosse la mano verso sinistra, nella direzione da cui era provenuta la sua voce. Dopo diversi tentativi finalmente trovò il braccio del cugino, il quale, intuendo le sue intenzioni, le strinse forte la mano.
Non sapeva dire con certezza se fossero passate ore o solo pochi minuti da quando erano entrati nella grotta, ma il percorso le sembrò in ogni caso durare più di quanto credeva di riuscire a sopportare. Con una mano davanti per non sbattere contro le pareti umide e rocciose, e un’altra stretta a quella del cugino, correva col fiato corto e poteva sentire la superficie divenire sempre più stretta, tanto da cominciarle a mancarle l’aria. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma il non sapere quando sarebbe uscita nuovamente all’aria aperta le provocava un’ansia a lei completamente sconosciuta.
La stanchezza di quell’assurda giornata cominciava a farsi sentire, e nessuno dei cinque ragazzi era sicuro che avrebbe retto ancora a lungo. Angela, poi, correva a fatica, trascinando la gamba ferita che pulsava dolorosamente, aiutata anche da Giacomo che continuava a tirarla per non farla restare indietro.
Quando avevano ormai quasi perso le speranze, finalmente una fioca luce illuminò la grotta, rilevando l’uscita tanto agognata. Un ultimo sforzo e furono finalmente fuori, sotto la luna che aveva ormai preso il posto del sole.
Sara si gettò per terra e prese a respirare a pieni polmoni, cercando di recuperare un po’ di fiato.
« Credo… anf … di non aver mai corso … anf … così tanto in vita mia! » esclamò.
« Ho paura che non sia ancora finita » fece Marco.
La ragazza si voltò a guardarlo con aria interrogativa. Nemmeno lui, nonostante il fisico costantemente allenato, se la passava meglio. Chinato, con le mani poggiate sulle ginocchia, tentava di recuperare un po’ di energie.
Il moro intercettò il suo sguardo e le indicò un punto davanti a sé. Sara seguì con gli occhi la direzione indicatele e subito di una cosa fu certa: avrebbe voluto non aver visto.
 

*****

ANGOLO DELL’AUTRICE
Salve gente! Mi scuso ancora per il ritardo, purtroppo questo periodo è stato assurdo e mi sono liberata appena venerdì! Questo capitolo l’ho scritto per ben tre volte e continua a non convincermi, ma ho deciso di pubblicarlo lo stesso. Ancora più di prima, ho bisogno di conoscere la vostra opinione, perché non sono certa di star rendendo giustizia alla storia che vive nella mia testa e nel mio cuore! E ho anche paura di non saper descrivere bene le scene un po’ più “movimentate”.  Spero di ricevere consigli per migliorare e andare avanti, con le vostre recensioni mi aiutate a crescere!
Mi metto subito all’opera per il prossimo capitolo, dovrei regalarvi un po’ più di azione finalmente!
 
Grazie a tutti i lettori e i recensori (in particolar modo ai miei fedeli recensori! :D) , a chi ha inserito la storia tra le seguite e a Myaevan l’ha inserita tra le preferite.
A presto col prossimo capitolo!
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 ***


SOMEWHERE I BELONG

CAP. 5
 
Sara era sempre stata fin da bambina un’appassionata di racconti d’avventura, specialmente di quelli sui pirati. Aveva sempre trovato, in quel pazzesco mondo fatto di una vita al di fuori di ogni regola imposta e al sapore di salsedine e di sole, un qualcosa di estremamente magnetico, come un mistero da cui si è attratti ma si ha paura di svelare perché, in fin dei conti, il bello sta proprio nell’incapacità di comprendere a pieno la sua essenza. Pensava a come potesse far sentire liberi vivere in mezzo al mare, ogni giorno una nuova esperienza, senza quell’opprimente monotonia sedentaria tipica della società moderna, col sole che ti bacia la pelle, la sfiora, la fa sua, e gli occhi pieni di blu, quel blu infinito del cielo che in certi momenti sembra risucchiarti dentro, come se volesse attrarre a sé qualcosa che già gli appartiene, e quel blu inquieto e allo stesso tempo confortante del mare, con verdi riflessi che danzano davanti ai tuoi occhi, quasi a volerti invitare a scoprire quel mistero ancora irrisolto, un invito da sirena, ipnotico ed estremamente nocivo. Perché in fondo Sara aveva sempre avuto la convinzione che il mare fosse un’entità a sé stante, una specie di creatura mitologica che si pone su quella linea di confine tra la realtà e una verità eterea così apparentemente irraggiungibile da chiedersi se esista veramente.
Spesso i suoi pensieri avevano sfiorato l’idea in un'altra vita aveva vissuto per mare, a contatto ogni giorno con quella libertà e quella pace interiore che solo il solcare le onde può donare, perché sentiva fin troppo bene dentro di sé quell’amore che la collegava inesorabilmente ad esso, nonostante abitasse in un paesino dell’entroterra ben lontano dall’oceano. Era come se fosse sempre appartenuta al Mare, come se questo fosse la sua casa, il luogo a cui far ritorno. Le era sempre andata stretta la mentalità fin troppo stilizzata e i confort destabilizzanti tra cui aveva passato i suoi diciassette anni di vita. Era la società a dirle che doveva crescere educata in un certo modo, istruita su determinati argomenti, per poter diventare un giorno qualcuno specializzato in una certa materia per produrre un determinato prodotto. Ed era sempre la società ad inculcarle la paura del cambiamento, il terrore di uscire fuori da quegli schemi già delineati per lei da qualcun altro, l’abominio di vivere una vita che fosse diversa da quella che veniva definita “normale” dalla società stessa. E Sara era così perfettamente consapevole di quel circolo vizioso – consapevolezza che la stessa società dava la possibilità di ottenere – , che si rendeva conto che non avrebbe mai potuto cambiare – per così dire – binario del treno, perché ormai quella convinzione era tanto radicata in lei, da farle credere che non potesse amare nessun altro obbiettivo, se non quello che avevano già prefissato altri per lei.
Probabilmente fu questo il motivo per cui Sara, quando alzò gli occhi per seguire il punto indicatele da Marco, si sentì mancare la terra sotto i piedi: non tanto la paura data dal rischio che stava correndo, quanto il presentarsi reale di quella vita a cui lei aveva detto addio a priori, senza averla mai conosciuta per davvero.
Sbatté un paio di volte gli occhi, giusto per esser certa di non star sognando.
Sotto al cielo stellato, le sagome di tre enormi navi, rese facilmente riconoscibili grazie alla fioca luce della luna, si ergevano in tutta la loro imponenza poco distanti dalla costa. A prima vista gli scafi sembravano esser fatti unicamente di materiale legnoso, rivestito in alcuni punti da duro metallo che saldava le assi l'una all'altra, ricordando quei vecchi galeoni che erano utilizzati tra XVI e XVII secolo per la navigazione oceanica. Ben visibili erano le alte sovrastrutture di prua e di poppa che racchiudevano tre ordini di ponti, mentre i casseri di poppa erano ornati da diverse statue in legno, ma data la lontananza non era possibile distinguere cosa raffigurassero.
Un occhio allenato alla ricerca di particolari, però, che si fosse poggiato con maggiore attenzione su quelle strane imbarcazioni, si sarebbe facilmente reso conto che le assi di legno fungevano solo da rivestimento esterno, nascondendo sotto di esse un materiale assai più corposo e resistente, simile a quello usato oggi per le navi da guerra. Dalle fiancate spuntavano le canne di grossi cannoni, tra le quali alcune, ancora fumanti, lasciavano visibile traccia nell'aria notturna di sostanze grigie odorose di piombo.
Una strana atmosfera, fatta di un silenzio soprannaturale e completamente inadatto al momento, aleggiava nell'aria. Sembrava quasi che tutti stessero aspettando qualcosa, forse un segno, e nessun rumore proveniva dai tre galeoni, nonostante dovessero ospitare ognuno un equipaggio di almeno trecento uomini.
Rabbrividì per l'ennesima volta in quella giornata e non seppe dire se fosse più per la fredda brezza proveniente dal mare – forse sintomo di un imminente temporale - o per la paura.
Sentì uno strano peso sulla spalla destra e sobbalzò.
« Tranquilla … » le sussurrò Marco con quella sua voce leggermente roca che ormai aveva perso del tutto il timbro infantile a lei tanto familiare.
Voltò la testa giusto per notare che il peso non era nient’altro che la sua mano e fece poi scontrare i suoi occhi cioccolato con quelli pece di lui - contatto visivo che le infondeva più forza di quanto volesse ammettere a se stessa.
Tranquilla? Come poteva esser tranquilla in una situazione del genere? Aprì la bocca per ribattere, ma le parole le morirono in gola. Marco, però, parve comprendere il turbamento nel suo sguardo, perché rafforzò la presa sulla spalla accennando un sorriso grave.
Gustavo imprecò sonoramente mentre si guardava attorno, evidentemente cercando di fare il punto della situazione.
Angela alzò lo sguardo in direzione di Earl con espressione dolente, sperando vivamente che l’uomo avesse un’idea sul come uscire da quella situazione: per ora una grande roccia li nascondeva da sguardi indiscreti, ma non potevano rimanere bloccati lì per tutta la notte, poiché presto o tardi qualcuno avrebbe sicuramente fatto una ricognizione dell’isola per trovare eventuali superstiti dell’incendio. Inoltre la gamba era gonfia e le bruciava terribilmente e il pezzo di stoffa con cui Giacomo aveva fasciato la ferita era completamente impregnato di acqua e di sangue. Durante il tragitto aveva dovuto appoggiarsi al ragazzo più di quanto avrebbe voluto e non sapeva quanto ancora avrebbe retto. La stanchezza della giornata, infatti, cominciava a farsi sentire e temeva le stesse salendo anche un po’ di febbre, perché si sentiva molto più accaldata di quanto avrebbe dovuto dopo una corsa del genere.
« Siediti, stai tremando »le disse Giacomo gentile.
Per una volta la bionda obbedì senza protestare e si sedette sulla fine sabbia grigia, attenta a non sporcare la ferita.
Earl frugò nelle tasche dei pantaloni con urgenza e tirò fuori un foglio sgualcito e leggermente ingiallito. Si inginocchiò per terra e lo aprì, rilevando una cartina poco dettagliata dell’isola. Prese a seguire i contorni del disegno con l’indice della mano destra, studiando la figura con attenzione.
« Non sapevo avessimo cartine dell’isola » fece Gustavo, tormentandosi il pizzetto con le dita. Si inginocchiò accanto al suo capitano e osservò il pezzo di carta.
« L’ho trovata in un mercato di cose vecchie a Mani, credo fosse di qualche pirata inesperto. I disegni sono molto approssimativi, ma ho riconosciuto immediatamente la morfologia, e inoltre presenta molti passaggi che non conoscevo » rispose l’uomo.
« Quindi ci tirerà fuori da questa situazione? » chiese Giovanni.
« Dalla situazione ci dobbiamo tirar fuori da soli » ribatté Earl.
Il ragazzo alzò un sopracciglio, ma non disse nulla.
« Andiamo! » fece Earl alzandosi. « Non fatemi pentire di avervi portati con me, invece di lasciarvi bruciare nell’incendio » intimò ai cinque.
Gustavo si avvicinò all’uomo con un’espressione indecifrabile sul volto.
« Capitano, muoverci in un gruppo tanto numeroso ci renderà facilmente visibili » disse.
Earl lo guardò di sbieco.
« Cosa vuoi dirmi? Sii chiaro, sai che odio i giri di parole »
« Non dovremmo portarli con noi. » si spiegò il pirata e Sara sobbalzò a quelle parole. « Ci rallentano, e inoltre non conosciamo nemmeno la loro vera identità. Non ho alcuna intenzione di mettere a repentaglio l’incolumità dei nostri compagni e i segreti della base soltanto perché cinque ragazzini hanno deciso di giocare agli esploratori su un’isola di pirati! »
« Non siamo dei ragazzini, e certo non siamo su quest’isola per divertimento! » protestò Marco indignato.
Gustavo lo ignorò bellamente e proseguì la propria arringa: « In trent’anni di attività nessuno ha mai osato attaccare la nostra base, un po’ per rispetto e un po’ per timore. Poi spuntano questi qui, » sputò quasi queste parole, facendo trasparire tutto il suo disprezzo, « e improvvisamente tre navi della flotta del Gallese, che mai ci hanno dato fastidio, nonostante la tacita ostilità che corre tra i nostri uomini, decidono di espugnare l’isola! Questa storia non mi convince, e non convince nemmeno te, Earl! »
« Non mi sembra il caso di far discorsi del genere, sono solo dei ragazzini impauriti, e questo lo vedi benissimo anche tu » rispose l’altro.
« Andiamo, Earl! Sei uno spietato pirata che non ha mai guardato in faccia a nessuno per raggiungere i propri obbiettivi, non mi sembra il caso di mettersi a fare i sentimentalisti proprio ora! »
L’ennesimo brivido freddo percorse la schiena di Sara. Avrebbe voluto intervenire nella discussione per potersi difendere dalle accuse infondate appena mosse, ma il suo cervello era come inceppato. Ogni parola era recepita come se fosse stata pronunciata dal fondo di un pozzo profondo, arrivando alle sue orecchie l’eco di un suono che doveva essere molto più forte e conciso. Si sentiva improvvisamente distante da quella spiaggia, da quelle persone, da quell’assurda argomentazione sostenuta da Gustavo. E un senso di nausea la colse, prendendo tutto a vorticarle attorno.
« Stai dicendo solo assurdità! » si infervorò Marco. « Come possiamo essere complici di altri pirati se fino a poco fa non sapevamo nemmeno esistessero i pirati?».
«Fare i finti tonti non vi aiuterà di certo!» ribatté Gustavo. «Vi abbiamo trovato a girovagare per la nostra base come se nulla fosse, sfuggendo chissà come alle nostre misure di sicurezza, e sostenete che siete capitati qui per caso! Andiamo, la vostra storia non è assolutamente credibile, fa acqua da tutte le parti!»
«Ma è vera!» esclamò Giacomo. «Non siamo complici di nessuno! Stamattina mi sono svegliato nel mio letto come ogni giorno, sono andato a scuola, c’è stato un temporale pazzesco e poi improvvisamente mi sono ritrovato qui! Non stiamo mentendo! »
« Non ci credo! Sono tutte menzogne! » disse ancora l’uomo.
« Silenzio! »
Gustavo si ammutolì e nessun altro osò intervenire ancora. Earl li guardò uno ad uno, soffermandosi pochi ma interminabili secondi sugli occhi di ognuno di loro, scrutandoli con quelle pupille nere come la pece che si fondevano con l’iride altrettanto scura, come se fosse capace di leggere i più oscuri segreti che si celano nell’ animo umano. I muscoli del viso, mantenendo la solita espressione imperscrutabile, non tradivano alcun pensiero, qualità tipica di chi è abituato a dover dissimulare ogni giorno le proprie emozioni.
« So cosa faccio, e non lascerò cinque ragazzini in balia della ciurma del Gallese » disse poi con tono neutro, aggiustandosi il cappello di paglia sul capo.
« Ma che stai dicendo? Stai diventando un vecchio sentimentalista infiacchito? » insinuò Gustavo .
« Taci! » esclamò Earl, ora furibondo. « Faresti bene a frenare quella lingua lunga che hai se non vuoi rischiare di ritrovarti senza! Fino a quando sono io il capitano i miei ordini non si discutono e, se non ti stanno bene, farai meglio a trovare un luogo sicuro in cui nasconderti per sfuggire alla mia ira! »
Gustavo deglutì rumorosamente e non osò ribattere.
« I ragazzi vengono con noi, e questo è quanto! » concluse Earl lanciando un ultimo sguardo severo al suo sottoposto.
Sara tirò un sospiro di sollievo per il fatto che il pirata avesse deciso di prendere – almeno per il momento – le loro parti. Era facilmente intuibile che quell’uomo faceva sul serio e aveva capito che bastava un solo passo falso per condurli a morte certa. Eppure, per un qualche motivo ancora sconosciuto, sapeva di potersi fidare di lui. L’aveva letto in quei pozzi scuri che aveva al posto degli occhi, l’aveva sentito sulla pelle, come un brivido di consapevolezza. Forse era solo la stanchezza di quella giornata senza fine che la portava ad essere tanto fiduciosa, ma improvvisamente aveva smesso di aver paura di Earl.
Earl tornò a scrutare la mappa sgualcita.
« Non so quanto sia attendibile questa cartina, » disse sovrappensiero « ma in qualche modo dobbiamo raggiungere la nostra nave, e in fretta. Gli ordini sono di salpare, con o senza di me, se la situazione lo richiede. »
Ripiegò la mappa e la infilò in tasca.
« Bene, seguitemi! Passeremo per l’interno, sulla spiaggia siamo troppo scoperti. »
« Ma il fuoco si sta espandendo per tutta la foresta! » esclamò Giacomo.
« Allora vorrà dire che saremo più veloci delle fiamme. È l’unica strada che possiamo prendere per avere una qualche possibilità di arrivare vivi alla nave. »
Giacomo deglutì sonoramente e Angela gli lanciò un’occhiata preoccupata, memore del terrore che aveva letto poco prima negli occhi del compagno, appena si era trovato davanti alle fiamme.
« Andrà tutto bene » sussurrò la ragazza. Per un qualche motivo si sentì in dovere di dirgli quelle parole.
« Lo so » rispose lui. Cercò quasi involontariamente la sua mano e la strinse. « Dovremo correre. L’orgoglio non ti salverà la vita, quindi se non ce la fai, aggrappati a me »
Angela annuì. Abituata a contare solo sulle sue forze e sempre sicura di sé, per la prima volta ebbe davvero paura di non farcela.
Earl fece loro cenno di alzarsi e seguirlo.
Si inoltrarono nella selva in fiamme. Il calore bruciava a contatto con la pelle e il fumo impediva di avere una completa visuale.
« Statemi vicini!» intimò loro Earl. «Se ci perdiamo, non potrò ritrovarvi in alcun modo! »
I cinque malcapitati seguirono i quattro pirati tra gli alberi in fiamme, cercando di scansare i rami che intralciavano il loro cammino.
Passare per il bosco si rilevò più difficile del previsto, ma in qualche modo giunsero ad una piccola spiaggia sul limitare della selva.
«Forza, ci siamo quasi! »li incitò il pirata, notando come i loro movimenti fossero sempre più lenti.
Ci siamo quasi?  In un primo momento Sara non capì come potevano esserci quasi dal momento che non vedeva niente attorno a lei, ma subito si accorse del rumore provocato dallo scontrarsi delle onde contro gli scogli. Una nuvola grigia scivolò nel cielo, liberando la fioca luce della luna. La mora si guardò attorno sforzando maggiormente gli occhi e per prima cosa notò che l’acqua del mare non era affatto agitata come immaginava, ma era priva delle increspature che avrebbe dovuto avere in base al rumore che sentiva. Notò, allora, che grossi scogli ricoperti di alberi frenavano la furia del mare aperto, contendo lo specchio d'acqua come un abbraccio materno e nascondendo l’insenatura a sguardi indiscreti. Uno stretto passaggio impediva alle due braccia rocciose di congiungersi, permettendo una via di fuga dalla morsa.
« Forza, non c'è tempo da perdere! Se si accorgono dell'esistenza di questa insenatura prima che riusciamo a lasciarla, siamo morti! » li incitò il pirata gettandosi in acqua.
Sara lo vide riemergere e cominciare a nuotare verso un punto indefinito, non capendo il suo intento. Poi sentì l’esclamazione estasiata del cugino. Seguì lo sguardo di Giovanni e scorse il profilo di un imponente veliero ormeggiato a diversi metri di distanza dalla riva.
Gustavo e i due carcerieri si gettarono in acqua senza remore, seguendo il loro capitano. Dopo essersi scambiati uno sguardo veloce, anche i cinque ragazzi li imitarono. Sara sentì i vestirsi farsi pesanti e le scarpe riempirsi di sabbia. Il contatto con l'acqua le mozzò il fiato non appena vi si immerse, non aspettandosi che fosse tanto fredda. Annaspò per qualche secondo, poi prese a nuotare nella direzione del veliero.
Bracciata dopo bracciata, Sara cominciava ad avvertire la stanchezza nei muscoli e pregò di raggiungere in fretta la nave. Gettò uno sguardo ad Angela, preoccupata a causa della sua gamba ferita, ma con sollievo vide che Giacomo la stava aiutando a tenersi a galla.
Finalmente, poi, arrivò al grosso galeone, e si rese conto che era, se possibile, ancora più imponente e maestoso dei tre che li aspettavano al di là della scogliera con i cannoni pronti a far fuoco.
Non ebbe il tempo di pensare altro perché fu subito invitata ad aggrapparsi alla scaletta di corda pendente dalla fiancata dell'imbarcazione, che afferrò più che volentieri. Una mano le tenne la schiena impedendole di cadere e la ragazza ringraziò mentalmente chiunque fosse, troppo stanca per proferir parola. Dopo diversi tentativi, finalmente riuscì ad issarsi sul galeone. Si accertò che tutti fossero saliti con lei, e solo allora si permise di tirare un sospiro di sollievo.
Sapeva, però, che le vere difficoltà avrebbero avuto inizio di lì a poco. La ciurma di Earl era davvero in grado di sfuggire alle grinfie del Gallese?
 
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ANGOLINO DELL’AUTRICE
Salve gente! Sono tornata! So benissimo che il mio ritardo assurdo non è assolutamente giustificabile, ma spero che chi di voi scrive saprà capirmi quando dico che sentivo questa storia lontana e i personaggi non più miei. Credo di aver riscritto questo capitolo un centinaio di volte prima di abbandonarlo per qualche mese e non so per quale miracolo – forse per il bellissimo raffreddore che ha deciso di farmi visita – stamattina ho ripreso in mano questa storia. Francamente non so quanto mi soddisfi questo capitolo, ma lascio a voi che ancora mi seguite il giudizio. Spero che, nonostante i mesi di assenza e i miei alti e bassi, siate ancora disposti a seguirmi in questa avventura!
 
Vi rubo ancora qualche minuto per fare una precisazione circa i miei personaggi. Una di voi ( Vale spero mi continuerai a seguire, ho bisogno del tuo entusiasmo!) mi ha detto che Sara sembra una con cui è difficile rapportarsi, e questo è vero, ma solo in parte. Sara avrà anche un carattere non molto facile da gestire, ma in realtà nessuna persona è semplice. I rapporti interpersonali sono di quanto più complesso esista al mondo! Non sono un calcolo matematico, non c’è una regola scientifica dietro. Sara, Angela e Marco, ma anche Giovanni e Giacomo, sono la prova di quanto sia difficile avere a che fare con le persone. Spesso e volentieri le amicizie migliori si rovinano a causa di parole non dette e gesti fraintesi, oppure semplicemente per la nostra pigrizia. Ho imparato – e sto ancora imparando – che ci sono persone per cui vale la pena lottare ed esser franchi, per altre meno. E questa lezione la impareranno anche i miei personaggi ogni giorno, perché almeno loro possano non aver rimpianti e affrontare con coraggio la vita.
 
Ringrazio chiunque sia giunto fin qua e continui a seguire questa storia. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e spero di ricevere altre parole da parte vostra, non importa se belle o brutte!
Non so dirvi quando aggiornerò ma, se non è chiedere troppo, abbiate pazienza con me e aiutatemi a portare avanti questa avventura!
A presto,
Bruli

 

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