Niente è impossibile

di Ely82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dietro l'angolo. ***
Capitolo 2: *** Strano ma vero ***
Capitolo 3: *** Qualcuno alla porta ***
Capitolo 4: *** Una serata diversa ***
Capitolo 5: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Dietro l'angolo. ***


Questo racconto di quattro capitoli è nato una sera mentre ero sdraiata sul mio letto e pensavo a Robert. Più precisamente alla possibilità che lui venisse a Roma per la presentazione di qualche suo film.
Ho chiuso gli occhi e ho provato ad immaginare cosa sarebbe successo se…

 
 
 
 
Roma, settembre 2011
 
 
L’aria era calda e afosa e  il turbinio di gente che avevo intorno rendeva la temperatura ancora più asfissiante.
L’estate stava giungendo al termine, ma a Roma il caldo continuava a farsi sentire nonostante fossimo già a metà settembre.
Luca aveva finalmente trovato il lavoro dei suoi sogni o almeno uno che gli si avvicinava molto. Era stato assunto dalla Valtur e trascorreva le sue giornate tra un continente e l’altro. Gli uffici si trovavano a Roma, Firenze e Milano e lui, per comodità, scelse Roma. Dovette prendere un piccolo bilocale in affitto e riusciva a tornare a casa un paio di volte al mese.
Avevamo deciso di sposarci l’anno seguente, ma andare avanti così non aveva più senso e chiedergli di lasciare il suo lavoro era fuori discussione: toccava a me fare qualche sacrificio per lui.
Iniziai a mandare diversi curriculum, concentrandomi soprattutto sugli istituti di credito, nella speranza di trovare un impiego a Roma. Avevo superato il concorso alla Banca Etruria con buoni risultati e mi ero recata nella capitale per sostenere il colloquio individuale. Ero abbastanza soddisfatta di come fosse andato. Non ero molto brava di solito a parlare davanti alla gente, invece, quella mattina riuscii ad esprimermi con calma e determinazione, meravigliandomi di me stessa.
Prima di ritornare nell’appartamento di Luca, avevo avuto la malaugurata idea di fami un giro per il centro, vista la bella giornata, ma non avevo messo in conto il caos che avrei trovato. Era un venerdì e Roma era piena di turisti. Avevo fatto un giro a piazza di Spagna, tappa immancabile in tutte le mie visite a Roma, avevo dato un’occhiata alle vetrine di via Condotti e mi stavo incamminando verso piazza Navona.
Mi sarei trattenuta a Roma per qualche giorno, finché Luca non fosse tornato dal suo viaggio a Parigi, perciò avevo tutto il tempo per visitarla e per andare a trovare mia sorella e magari anche la mia amica Paola: era un sacco di tempo che non ci vedevamo.
Mentre pianificavo la mia vacanza,  girando l’angolo mi scontrai violentemente con un ragazzo, tanto che dovetti tenermi ad un cartello stradale per non cadere all’indietro. Lui esclamò qualcosa e mi accorsi di avergli fatto cadere a terra un sacco di fogli e mi chinai immediatamente per raccoglierli.
«Mi dispiace, scusami tanto», mormorai alzando appena gli occhi, rossa di vergogna.
«Si allontani, ci penso io», mi disse una voce americana, con tono scocciato
Alzai di scatto la testa e mi ritrovai davanti un omone alto e massiccio che si era abbassato per raccogliere quello che era caduto, togliendomi anche dalle mani quello che avevo iniziato a raccogliere. Rimasi imbambolata per un secondo, prima di scattare in piedi come un’idiota. Ero convinta che mi fossi scontrata con un ragazzo non con un armadio del genere! E poi, che diavolo di modi erano quelli? Non lo avevo mica fatto apposta!
Solo in quel momento, proprio mentre l’omone, si stava rialzando, vidi che effettivamente c’era un ragazzo alle sue spalle, che per tutto il tempo era rimasto fermo e immobile con la testa bassa. Indossava un paio di jeans trasandati, una t-shirt bianca, un paio di occhiali da sole scurissimi e un berretto….
«Oh, mio Dio!», esclami all’improvviso.
No, non poteva essere lui! Stavo sognando!
Il ragazzo alzò istintivamente la testa, attirato dalla mia esclamazione e l’omone gli si mise davanti, ridandogli il materiale che era caduto.
Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… e quell’uomo-armadio sembrava proprio Dean…
Di qualcosa! Di qualcosa scema!” continuavo a ripetermi, mentre li vedevo passare proprio a fianco a me. I miei occhi lo seguivano incapaci di credere a quello che vedevano. Lui con la visiera abbassata sugli occhi, voltò appena la testa nella mia direzione senza dire una parola e abbozzò un sorriso. In quell’istante non ebbi più dubbi: per quanto la mia mente continuava a dirmi che non poteva essere vero, quello era  Robert, Robert Pattinson.
«Aspetta ti prego!», gli dissi con un filo di voce, nel mio inglese scolastico, mentre si allontanavano da me.
Entrambi si bloccarono. Si lanciarono un’occhiata poi quello grosso venne da me.
«Le sembra il caso di fare una scenata qui signorina? Ha idea di che finimondo verrebbe fuori se qualcuno si accorgesse di lui?», mi disse arrabbiato.
Il mio battito cardiaco dovette fermarsi per qualche secondo, perché iniziai a non capire più niente, nemmeno dove fossi: era lui, era davvero lui?!
Deglutii e cercai di prendere una boccata d’ossigeno, lanciando un’occhiata oltre le spalle di Dean: Rob era lì a dieci metri da me!
«Io non volevo…», iniziai a balbettare intimidita dallo sguardo severo della sua guardia del corpo.
«Allora, prosegua la sua passeggiata e lo lasci stare per piacere», mi suggerì, addolcendo appena il tono della voce.
«Volevo solo salutarlo, avere un autografo…», provai a ribattere, senza smettere di fissare il miraggio alle sue spalle.
«Non è possibile», sentenziò voltandosi e ritornando verso di lui.
Li fissai impotente e tremante. Sentivo le mie gambe ancorate a terra come fossero due pezzi di marmo. Mi veniva da piangere mentre lo vedevo allontanarsi da me e raggiungere un’auto nera parcheggiata pochi metri più in là.
Dean gli aprì la portiera, ma Rob, prima di salire si voltò dalla mia parte e poi disse qualcosa a Dean, il quale non sembrò gradire le sue parole. Rob salì sul sedile posteriore, mentre Dean… Dean tornava verso di me! Oddio, lo avevo fatto incazzare!
Dean mi guardò a malo modo, poi, aspettando l’attimo in cui non passava molta gente vicino a noi, mi disse a voce bassa:
«Lo vede quel bar dall’altra parte della strada? Entri lì, chieda un tavolo appartato e potrà avere il suo autografo.»
Lo fissavo sbigottita. Non ero sicura di aver capito.
«Allora?», mi chiese spazientito dal mio silenzio.
«Ok», balbettai.
Se ne andò e salì nell’auto, la quale dopo pochi secondi partì.
Ero lì immobile, mentre ripetevo nella mente le parole di Dean, cercando di capire se avessi interpretato male la sua frase. Con l’inglese me la cavavo, ma il suo accento americano forse mi aveva confuso le idee. Che diavolo voleva dire “Avrà il suo autografo” visto che se ne erano appena andati? Non avevo risposte, ma nel dubbio attraversai di corsa la strada e mi precipitai dentro al locale che Dean mi aveva indicato.
«Buongiorno, vorrei avere un tavolo», chiesi al cameriere, ancora su di giri. «Un tavolo un po’ in disparte, se possibile.»
Il cameriere mi guardò sorpreso, così aggiunsi:
«Ho un incontro di lavoro, avremmo bisogno di un po’ di tranquillità.»
«Capisco, venga con me», mi disse infine.
Mi fece accomodare al piano superiore, in una specie di soppalco, da cui si potevano vedere i tavoli sottostanti e l’entrata del bar. C’erano quattro tavoli e solo uno era occupato.
«Qui va bene… almeno credo», aggiunsi.
«Ritorno tra un po’», mi disse gentile, lasciandomi due menù.
Ma che diavolo stavo facendo? Mi sentivo così stupida! Ma davvero pensavo che sarebbe venuto qualcuno a portarmi il suo autografo? Li avevo visti andare via con i miei occhi. Chissà che avevo capito? Ma che altro avrei potuto fare? E se avessi capito bene? Nel dubbio sarei rimasta lì, buona buona ad aspettare, almeno per un’ora.
Robert Pattinson, avevo incontrato il mio Robert in giro per Roma! Avevo finalmente ottenuto quella prova che tanto volevo della sua esistenza! Non mi aveva degnato di una parola, a malapena di uno sguardo, forse, dato che i suoi occhiali Rayban non lasciavano intravedere i suoi occhi, ma io lo avevo avuto a pochi metri da me… anzi, meglio, mi ero letteralmente scontrata con lui! A quel pensiero un brivido mi percorse la schiena arrivando fin alla testa.
Mi voltai a guardare verso l’entrata del locale sperando di vedere… qualcosa o qualcuno entrare per me.
Dopo quasi venti minuti Dean entrò. Saltai letteralmente sulla sedia e iniziai ad agitarmi. Che dovevo fare? Scendere e andare da lui a prendere il mio autografo? O rimanere immobile ad aspettare? Dean si avvicinò al cameriere che poco prima mi aveva accompagnata al tavolo e gli chiese qualcosa; il ragazzo sembrò spaesato all’inizio, poi, ad un tratto, sorrise e mi indicò. Mi paralizzai all’istante e il mio sguardo e quello di Dean si incontrarono. Dean parlò ancora una volta con il cameriere e poi uscì dal bar. Maledizione, che stava succedendo? Perché se n’era andato? Il tavolo che avevo scelto non andava bene? Dove sarei dovuta andare in cantina? In fondo solo qualche pazza come me sarebbe stata in grado di riconoscere la guardia del corpo di Robert Pattinson.
Stavo per mettermi a piangere dalla rabbia e soprattutto per la grande occasione persa, quando sentii qualcuno avvicinarsi.
Alzai la testa controvoglia credendo si trattasse del cameriere che era venuto a prendere l’ordinazione ed invece… era LUI.
«Ciao!», esclamò in italiano sedendosi davanti a me.
“Respira Elisa, respira”, continuavo a ripetermi mentre prendevo coscienza del fatto che Rob si era appena seduto al mio tavolo: il mio Rob.
«Ciao», farfugliai.
Indossava ancora berretto e occhiali e si teneva il capo con una mano per cercare di nascondersi dalla gente che era al piano di sotto.
“Avanti cretina, parla!”, mi urlavo dentro.
«Mi dispiace per prima, ma proprio non potevo parlarti per strada», mi disse nel suo inglese non tanto comprensibile.
«Ma… ma scherzi!», riuscii a balbettare, «scusa tu se ti sono venuta addosso…»
«Speravo non mi riconoscessi», ammise lui con un mezzo sorriso.
«Impossibile», gli risposi secca.
Avevo più di mille foto nel mio pc: conoscevo meglio lui di me stessa!
Mi fece un sorriso, uno di quelli che quando vedevo nei video su internet, mi facevano sciogliere.
«Non sembri una mia fan. Non di quelle più accanite almeno! Sei troppo tranquilla!», mi disse in tono scherzoso.
Non di quelle accanite? Tranquilla? Poverino, proprio non aveva idea di chi avesse davanti, di come stessi bruciando viva in quel momento, di come il mio cuore tamburellava tanto da darmi la sensazione che la sedia tremasse.
«Credimi lo sono eccome!», trovai il coraggio di ammettere.
«Beh, non si direbbe. Non hai gridato, non hai cercato di stendermi sull’asfalto, non mi sei corsa dietro quando sono andato via in auto, non mi stai accecando con i flash. Sei solo un tantino pallida: più o meno come…me!», disse con un altro meraviglioso sorriso.
«Sto cercando di controllarmi, altrimenti Dean mi stritola e, cosa peggiore, tu te ne andresti all’istante», gli risposi imbarazzata.
«Lo apprezzo credimi, infatti è per questo che gli ho chiesto di incontrarti, perché mi sei piaciuta», mi disse con tenerezza.
Sentivo che stavo per svenire. Non mi era mai successo in passato, ma quello che si provava  doveva essere molto simile a quello che stavo sentendo io. Sudavo come una pazza e non era più il caldo afoso della capitale era Lui, il mio sole personale.
Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato, perfino così imbacuccato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo.
«Che c’è? Adesso non mi dici niente? Non so quanto tempo Dean mi permetterà di rimanere qui!»
«Scusa è che… questa cosa è assurda!», gli risposi scoppiando a ridere per il nervosismo.
«Sì, un po’ lo è, hai ragione. E’ un sacco di tempo che non faccio una cosa del genere», mi disse con un velo di tristezza.
Avrei voluto dirgli qualcosa, ma proprio in quel momento vedemmo il cameriere dirigersi verso di noi con in mano penna e block notes.
«Ordina anche per me, per favore», mi disse di fretta abbassandosi ancor più la visiera.
Non ebbi il tempo di ribattere, per chiedergli cosa volesse, perché il ragazzo arrivò in un lampo.
«Cosa posso portarvi?»
Non avevo nemmeno aperto il menù e mi sentivo impacciata come non mai. Cercai il suo sguardo per avere un suggerimento, ma lui teneva il viso basso facendo finta di controllare il cellulare.
«Due bicchieri di coca cola», dissi infine, anche se la mia sembrava più una domanda che un’affermazione.
«Qualcosa da mangiare?»
«No, grazie.»
Mangiare? Non sarei stata in grado di ingerire una mollica nello stomaco nemmeno sotto tortura. Mi sentivo così strana: come se stessi fluttuando in un luogo non definito, come se avessi la certezza che stessi sognando, come se niente fosse reale. Senza farmi vedere, mi diedi un pizzico su un braccio, ma Lui era ancora lì con me.
Appena il cameriere andò via, rialzò il capo e mi guardò divertito.
«Possa sapere che ti sei inventata per avere questo tavolo?»
«Che avevo un importante incontro di lavoro», ammisi con poca convinzione.
«Non mi sembro molto credibile come manager?», esclamò con la sua solita risata, guardando il suo abbigliamento.
Io rimasi del tutto imbambolata, incapace di rispondere alla sua battuta. Gli sarò sembrata una vera sfigata.
«Tu sei di Roma?», mi chiese, cambiando di colpo discorso, probabilmente vedendomi del tutto assente.
«No, sono una specie di turista… una turista molto fortunata», gli dissi, ridendo sotto i baffi.
«Sono stato fortunato anch’io, in fondo. Sarai anche una fan, ma sei molto “normale”, ecco», mi disse carinamente. «Uno fa tanto per non farsi notare e alla fine non serve a niente, mi è andata più che bene direi. Voi italiane siete un po’ troppo… calorose, a volte!»
«Beh, se non vuoi farti notare dovresti impegnarti di più!»
«Che vuoi dire?», mi chiese incuriosito. «La visiera del cappello mi copre mezza faccia, l’altra metà è coperta dagli occhiali. Non posso mica mettermi un passa montagna a settembre?»
«Non vorrei contraddirti, ma è proprio grazie a quegli occhiali e, soprattutto a quel cappello, che ti ho riconosciuto!», ammisi abbassando lo sguardo.
Era terribile non potergli vedere gli occhi, dover solo immaginare le sue espressioni.
«Scherzi?»
«Ecco, come vedi non sono poi tanto “normale” come fan!», gli risposi imbarazzata.
“Brava Ely, ora si renderà conto che sei una pazza scatenata!”
«Come dovrei fare scusa?»
«Non lo so, cambia cappello più spesso o mettiti una felpa con il cappuccio… non ne ho idea. E dovresti cambiare anche gli occhiali, li porti troppo spesso.»
Sì bloccò a guardarmi, probabilmente pensando “Aiuto questa è una maniaca” o forse “Meglio andarsene di qui”, muovendo la bocca di continuo.
“Ti prego sta fermo con quelle labbra!”, avrei voluto dirgli, ma mi limitai ad emettere un profondo e rumoroso sospiro.
«Che c’è?», mi chiese.
«Niente.»
«Avanti, dimmelo, sono curioso di sapere a che pensi. Sei divertente!», mi disse sporgendosi con il busto verso di me.
“Stai cercando di farmi impazzire?”, pensai emettendo un altro sospiro.
«Se ti dico che sei bello da morire, scappi via?», sussurrai, cercando di non guardarlo in viso.
«No», disse in modo dolce, tornando a rilassarsi sulla sedia. «Quando viene il cameriere gli dici se ti porta un pennarello?»
«Ok», gli risposi confusa. Io gli facevo una dichiarazione d’amore e lui pensava ai pennarelli? Probabilmente non voleva rimanere molto sull’argomento bellezza. Chissà quante volte si sarà sentito dire certe frasi, pensai.
«A chi racconterai di avermi incontrato?», mi chiese, passando ancora una volta di pali in frasca.
«Se non vuoi, non lo dirò a nessuno», gli risposi agitata.
«Tranquilla, non intendevo questo. Mi chiedevo solo chi sarebbe stata la prima persona a cui avresti raccontato di aver preso una Coca con me, appena fossi uscito dal bar.»
«Tanto non mi crederebbe nessuno…», gli risposi sconsolata.
Rimase a guardarmi un momento e poi aggiunse:
«Non è che non voglio farmi fotografare, è solo che non vorrei attirare troppo l’attenzione sul nostro tavolo. Sto così bene che mi scoccerebbe rovinare questi dieci minuti di pace», mi disse con amarezza nella voce.
«Niente foto, tranquillo», gli dissi sorridendo, mentre dentro di me soffrivo come una pazza.
Niente foto? Che mi sarebbe rimasto di quell’incontro se non un bellissimo ricordo?
«Sei fidanzata?»
«Sì, perché?», chiesi tremante.
«A lui pensi di dirglielo?», mi domandò incuriosito.
«Credo di sì… già sa che sono una pazza, non si stupirà più di tanto se gli dico quello che mi è successo!»
In quel momento il cameriere ci portò da bere e gli chiesi se era possibile avere un pennarello. Guardò strano prima me e poi lui, ma poco dopo tornò con un pennarello giallo e uno rosso.
«E adesso?», chiesi a Robert porgendogli i due pennarelli.
Senza dire una parola si tolse il cappello e con il colore giallo lo autografò nella parte interna.
«Puoi usarla come prova, quando le tue amiche o il tuo ragazzo non ti crederanno», esclamò appoggiando il cappello tra le mie mani. «Tanto io me lo devo ricomprare nuovo, l’hai detto tu!»
Ero rimasta a bocca aperta per tutto il tempo. Avevo iniziato a non sentire più il mio respiro quando, toltosi il berretto, si passò una mano tra i capelli per pettinarli e rialzarli un po’: la mano “a rastrello” vista del vivo era favolosa. L’ossigeno poi svanì del tutto quando iniziai a capire cosa aveva in mente di fare.
«Stai scherzando? Il tuo cappello?», gli chiesi allibita prendendolo in mano per ammirarlo meglio.
«Posso averne quanti ne voglio, non è un problema. Anzi, mi pagano per indossarli», mi rispose alzando le spalle. «Se mi chiedevi il numero di telefono sarebbe stato un po’ più complicato… ma questo posso farlo.»
«Non so che dire… grazie davvero», gli sussurrai commossa. «Se il numero di telefono però te lo do io, nessuno ti vieta di prenderlo?», aggiunsi ridendo.
«Ovvio», rispose divertito, passandomi il tovagliolo e il pennarello rosso.
Sapevo che non l’avrebbe mai preso, ma decisi di stare al gioco e scrissi il mio numero sul tovagliolo di carta che mi aveva dato.
«Dirai anche questo al tuo ragazzo?», mi provocò.
«No, non credo!», gli risposi scoppiando a ridere.
Lui rise con me, poi guardando in basso verso l’entrata, si fece serio di colpo. Mi voltai, seguendo la direzione del suo sguardo e vidi Dean vicino alla porta: mi ero del tutto dimenticata di lui.
«Devo andare», mi disse, ferendomi come una coltellata. «Dean inizia a perdere la pazienza, è già stata dura convincerlo a portarmi qui.»
«Non è giusto…», farfugliai tra me.
«Cosa?»
«Che ti dicano cosa devi fare! Lo capisco da un punto di vista lavorativo… ma ti stai bevendo semplicemente una coca cola in un bar, che c’è di male?», gli spiegai con eccessivo ardore.
«Adoro la coca cola. Lo sapevi o hai tirato ad indovinare?», mi chiese deviando nuovamente il discorso.
Che avrei dovuto rispondergli? Ero così agitata e arrabbiata per il fatto che stava per andarsene, che non riuscii a capire quale era la risposta giusta da dargli.
«Ti ho visto berla in qualche foto sul set», ammisi alla fine.
Rimase in silenzio pensieroso. Guardava me, guardava Dean e l’orologio.
«Mi sa che hai ragione», concluse infine.
Non disse altro, prese solo il telefono e compose un numero.
«Rimango un altro po’», disse all’interlocutore.
Mi voltai verso l’entrata e vidi Dean al telefono che ci guardava.
«L’intervista è tra due ore, non credo che mi serva tutto questo tempo per rispondere a dieci domande», aggiunse Robert leggermente adirato. «Nessuno mi ha riconosciuto, è tutto tranquillo come vedi.»
Lui parlava e io lo ammiravo. Sapevo già che mossa avrebbe fatto dieci secondi prima che la facesse, come se lo conoscessi da una vita. Ogni cosa di lui mi era familiare da un lato e aliena dall’altro. La tv, i giornali non gli rendevano merito, perché, oltre ad essere sexy, era adorabile nei modi: un ragazzo di una semplicità assoluta. Perfino in quel momento in cui discuteva con Dean era incredibilmente sensuale, forse più di prima. Gli si era gonfiata la vena sulla fronte e teneva la mano libera chiusa saldamente a pugno sopra al tavolo.
Mi sentii quasi in colpa per avergli detto quelle cose pochi istanti prima, ma era quello che pensavo. Quel tipo, Dean, in fondo lavorava per lui: non era nella posizione di dargli ordini!
«Un quarto d’ora e scendo, ok? Mi fai agitare anche quando non ce n’è motivo! E’ tutto sotto controllo puoi vederlo con i tuoi occhi!», continuava a dirgli, cercando di non urlare troppo. «Lo so che lo dici per me, ma io sto da Dio, credimi!», aggiunse riagganciando.
Sto da Dio”? Aveva davvero detto così? Il sangue mi salì al cervello e la vista mi si annebbiò per un secondo.
«Sono stato bravo?», mi disse aprendo le braccia.
«Fantastico», che altro aggettivo avrei potuto utilizzare.
«Non sai quanto è snervante avere sempre gente intorno che ti dice che devi fare, con chi devi parlare, che devi mangiare, che devi indossare… Non ne posso più!», sbuffò, passandosi ancora le dita delle mani tra i capelli. «Hai idea di quanto tempo sia passato dall’ultima volta che mi sono potuto sedere in un bar con un amico in santa pace? Se tutto va bene, riesco ad avere qualche ora da ragazzo normale quando torno a Londra dai miei: a Los Angeles è impossibile, ti seguono ovunque.»
«Mi dispiace, non deve essere facile…»
«Non mi fraintendere, è chiaro che mi fa piacere essere famoso e tutto il resto, ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarei trovato a dover vivere in questo modo. A volte ti senti così solo… Lo so, sembra assurdo, ma nonostante sia costantemente circondato da gente, spesso mi sento solo», disse con malinconia.
«Non è la quantità, ma il tipo di gente che conta. Sei lontano dalla tua famiglia, dai tuoi veri amici… è normale che tu ti senta solo.»
«Esatto, è proprio questo il problema, ma non si può dire. Non sia mai che Robert Pattinson provi a lamentarsi della sua vita dopo tutta la fortuna e i soldi che ha avuto!», esclamò ironico.
«Non capiscono niente, lasciali perdere…», gli sussurrai arrabbiata.
«Grazie, sei davvero carina. Chi l’avrebbe mai detto che questa giornata avrebbe avuto un risvolto tanto piacevole!», mi disse con un sorriso a trentadue denti da togliermi il fiato. «Ora però devo proprio andare via», aggiunse alzandosi in piedi.
Mi alzai con lui e tirai fuori il portafoglio.
«Che pensi di fare, scusa?», mi domandò ironico. «Non crederai davvero che ti lasci pagare il conto? Per chi mi hai preso?»
«Certo che pago il conto, mi pare il minimo! Hai idea di quello che hai fatto oggi? Io non credo!», gli dissi scuotendo la testa.
«Mi stai dicendo che guadagno milioni di dollari a film e che non posso offrirti una coca cola?», domandò incredulo mentre estraeva cinquanta euro dalla tasca.
«Non si discute ok? Metti dentro quei soldi o mi metto ad urlare chi sei!», lo ricattai.
«Non lo faresti…»
«Vuoi sfidare la sorte?», chiesi imperterrita.
Ma aveva ragione: non lo avrei mai fatto per nulla al mondo.
Mi sorrise in modo arrendevole e rimise in tasca i soldi.
«Lo sai che sono più di venti minuti che siamo insieme e non mi hai detto il tuo nome?»
«Elisa», risposi di getto, sorprendendomi di come quel particolare mi fosse sfuggito.
«Elisa», ripeté un paio di volte, cercando di azzeccare la giusta pronuncia. Sentire il mio nome uscire da quella bocca fu incredibile. Quanto avrei voluto saltargli al collo e non lasciarlo andare via!
«Sei stata un angelo. Da oggi in poi avrò un’idea diversa delle fans italiane», mi disse carinamente. «A novembre tornerò per presentare Breaking Dawn, ci sarai?»
«Puoi contarci», gli risposi d’istinto, emozionata per aver avuto la notizia in anteprima.
Mi allungò la mano per salutarmi e, dopo un momento di esitazione, allungai il braccio e gliela strinsi: forte, liscia, grande, esattamente come me la immaginavo.
«Sei una ragazzo davvero speciale», trovai il coraggio di dirgli, mentre lasciavo controvoglia la sua mano. «Sapevo già quanto fossi bello, ma ora scopro che la parte più bella di te è quella che non si vede.»
Mi sorrise e abbassò il capo, forse imbarazzato.
«E’ il più bel complimento che potessi farmi», mi rispose prima di allontanarsi da me.
Lo fissai scendere le scale e uscire dalla porta insieme a Dean, al quale prese un accidente quando lo vide senza il berretto. Rob gli fece un gesto con la mano, come per dire “che vuoi che sia” e poi scomparve nel caos della città.
Crollai di nuovo sulla sedia, incapace di accettare tutto quello che mi era capitato, mentre stringevo il suo berretto. Il mio sguardo andò poi al suo bicchiere di coca cola e non seppi resistere al gesto estremamente stupido e infantile di bere dal suo bicchiere. Mi vennero i brividi quando toccai il bordo con le labbra: era una sensazione incredibile.
Me ne stavo lì, girando e rigirando quel cappello e toccando il suo bicchiere e il pennarello che aveva utilizzato quando, alzando lo sguardo, mi trovai Dean di fronte. Mi fece prendere talmente paura che per poco il bicchiere non mi cadde per terra.
«Mi scusi», mi disse irritato, «Mr Pattinson dice di aver dimenticato sul tavolo una cosa importante.»
Rivoleva il suo cappello, perciò. Mi era sembrato strano che ci avesse rinunciato con tanta facilità. Stavo per darglielo, ma lui non sembrò nemmeno notare che lo tenessi in mano. Cercava qualcos’altro sul tavolo e infine lo trovò.
«Non si faccia strane idee, se posso darle un consiglio», mi disse brusco, mentre si infilava il tovagliolo con il mio numero di telefono in tasca. «E’ un capriccio che durerà il tempo di arrivare in albergo.»
Detto ciò, si girò e se ne andò lasciandomi basita. Le sue parole non mi avevano minimamente sfiorato. Quello a cui non potevo credere era che Rob avesse mandato indietro Dean per prendere il mio numero di telefono. Scoppiai a ridere come una bambina. Sapevo che non avrebbe mai usato quel numero, ma solo l’idea che lo avesse mi mandava in fibrillazione. Probabilmente voleva anche lui tenersi un ricorso di quella mezzora di libertà che aveva trascorso con me.
Era tutto troppo assurdo. Avevo appena conosciuto Rober Pattinson ed era stato fantastico, lui era fantastico. Avevo il cuore a mille e se non avessi raccontato a qualcuno quello che mi era appena capitato, avrei cominciato a dubitare che me lo fossi solo immaginato: in fondo quante volte lo avevo già fatto? Ma il suo berretto era lì, tra le mie mani e, come aveva detto lui, quella era la prova che tutto era accaduto davvero.

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Capitolo 2
*** Strano ma vero ***


Ecco il secondo capitolo del mio racconto. L'incontro con Rob avrà un seguito?
A volte le cose succedono davvero..... Sognate con me...






Il sole stava già tramontando sopra Roma, quando uscii dalla vasca, dopo un lunghissimo bagno rilassante. Erano passate le sette e non ingerivo cibo nel mio organismo da quasi dodici ore. Sembravo uno zombie, mentre girovagavo nell’appartamento senza metà. Pensavo solo a Lui.
Dopo il nostro incontro al bar, chiamai Luca per raccontargli quello che mi era capitato. In principio non mi credette, anzi si mise a ridere e a prendermi in giro, poi, vista la mia insistenza e sentendo ancora che avevo l’adrenalina a mille, capì che non stavo scherzando.
«Parkinson ti ha invitato al bar?», continuava a ripetermi al telefono, sconcertato.
Luca non lo aveva mai potuto sopportare, ma nonostante questo fu felice per me visto che sapeva quanto ci tenessi ad incontrarlo almeno una volta nella vita.
Gli raccontai in pochi minuti praticamente ogni istante del nostro incontro presa da un’eccitazione ed una felicità inaudita: beh, quasi tutto.
Tralasciai di dirgli che Robert aveva il mio numero, perché avevo paura che si arrabbiasse, anche se non ce n’era motivo. Non volevo nasconderglielo, solo non mi andava di dirglielo per telefono. Quando sarebbe tornato gli avrei detto anche quel particolare: non riuscivo a tenergli nascoste le cose, era più forte di me.
Ancora con l’accappatoio mi distesi sul divano davanti alla Tv, con una vaschetta di gelato e un cucchiaio. Cercai di resistere alla tentazione di accendere il pc, ma lo sforzo durò poco. Collegai il computer al televisore e feci partire Water for Elephants in lingua originale.
Non seguivo il film, guardavo solo lui e fermavo l’immagine sui suoi incantevoli primi piani. Era stato a un metro da me! Gli avevo stretto la mano! Avevo visto la sua bocca muoversi in quel modo sensuale che mi faceva impazzire, le sue mani sui capelli… uno shock troppo grande per poterlo metabolizzare in poche ore. Mi mancavano i suoi occhi, l’unica cosa che non fossi riuscita a scorgere dietro a quei dannati occhiali. Avrei potuto finalmente svelare il mistero sul loro colore ed invece non avevo nemmeno avuto il coraggio di chiedergli di farmeli vedere!
Coccolata dai dolci ricordi del suo viso e della sua risata mi addormentai stremata sul divano con la sua voce in sottofondo.
 
Mi svegliai di colpo, spaventata dal suono stridulo del mio cellulare che avevo lasciato sul divano vicino ai miei piedi. Mi allungai a prenderlo senza nemmeno aprire gli occhi e risposi distendendomi di nuovo.
«Pronto?», risposi scocciata e insonnolita.
«Hallo?»
«Pronto?», ripetei.
«Ciao sono Robert», disse una voce maschile in inglese.
«Sì, e io sono Kristen! Amo’ va a quel paese!», risposi in italiano un tantino seccata.
«Scusa non ho capito?», insisteva lui, in inglese, dall’altro capo del telefono.
«E dai, falla finita! Mi ero appena addormentata, ti chiamo tra un po’. Ciao mio amato “Robert”!», gli dissi scherzando, prima di riagganciare.
Quanto si divertiva a fare lo scemo!
Posai il telefono sul tavolino davanti a me e riprovai ad addormentarmi. Pochi secondi dopo il cellulare vibrò di nuovo e un breve suono mi avvertì dell’arrivo di un messaggio.
Sbuffai e, terribilmente scocciata, afferrai nuovamente il telefono per leggere quel messaggio: tanto ormai il progetto di farsi un pisolino era saltato.
“Non ho capito una parola di quello che hai detto, forse non mi hai riconosciuto. Volevo solo ringraziarti per stamattina, sei stata molto carina con me. Domani mattina ho qualche ora libera, se ti fai trovare davanti al nostro bar alle dieci andiamo a fare un giro. Ciao Rob.”
Mi mancò il fiato. Andai indietro per vedere il mittente, ma appariva la scritta “nessun numero”. Andai a ricercare la telefonata di poco prima e neanche lì il numero era visibile. Iniziai ad ansimare e tremare come una foglia…
«Oh mio Dio! Oh mio Dio!», iniziai a gridare scattando in piedi.
Gli avevo riattaccato! No! Rob mi aveva chiamato e io l’avevo preso in giro! Gli avevo detto perfino “e io sono Kristen”! Che avrà pensato di me? Beh, che ero una cretina, in fondo era la verità.
La cosa peggiore era che non potevo richiamarlo o rispondergli.
«Richiama, ti prego!», iniziai a urlare al cellulare.
Solo dopo diversi minuti riuscii a calmarmi e a sedermi di nuovo sul divano. Il film ancora non era finito e vederlo lì, sullo schermo, mentre ballava con Marlena mi fece mettere a piangere.
Che avrei dovuto fare? Era stato serio sul messaggio? Davvero voleva rivedermi? “No, Ely, questo non sta succedendo a te, non è reale”, continuavo a ripetermi nella testa.
Afferrai d’impeto il telefono presa da un bisogno irrefrenabile di parlare con Paola. Lei mi avrebbe capito, con lei sarei potuta essere me stessa, avrei potuto dare sfogo al turbinio di emozioni che sentivo dentro. Ma mi avrebbe creduta? E se mi avesse creduto, che sarebbe successo?
Posai il telefono, rinunciando all’idea di metterla al corrente dell’accaduto. Avevo paura che se le avessi detto che Rob era a Roma, che domani lo avrei forse rivisto, lei sarebbe piombata da me nel giro di un secondo e che lo avrebbe detto anche alle altre. No, non volevo. Non ero disposta a dividerlo con nessuna. Sapevo di essere un’egoista, ma non volevo rinunciare ad avere un’ora del suo tempo tutta per me. E se si fosse arrabbiato? Non volevo deluderlo, ero felice che si fidasse di me. No, decisi, non lo avrei detto a nessuno fino alla sua partenza.
 
L’indomani mattina, mi svegliai presto. A dir la verità ero riuscita a dormire ben poco data l’agitazione per la giornata che mi attendeva. Avevo riletto quel messaggio decine di volte, per convincermi che fosse autentico. Faticavo ancora a credere che sarebbe davvero passato a prendermi in quel bar, ma che altro avrei potuto fare se non andare all’appuntamento?
Impiegai quasi un’ora solo per decidere cosa indossare. Non volevo sembrare un pacchetto regalo, tutta fiocchi e merletti, ma non volevo nemmeno sembrargli un maschiaccio. Non avevo molte cose con me, perciò dovetti accontentarmi di quello che avevo a disposizione. Alla fine del defilé davanti allo specchio, optai per un jeans stretto alla caviglia e una camicetta avorio che lasciai slacciata per avere una scollatura più sensuale.
Prima di uscire di casa, presi la macchina fotografica e me la misi in borsa: se ci fosse stata l’occasione di fargli una foto,  l’avrei colta al volo.
Arrivai al Bar con qualche minuto di anticipo. La giornata era stupenda e la temperatura più piacevole del giorno prima. Mi appoggiai al muro in trepida attesa.
Nella mia testa sentivo due vocine contrastanti. Una diceva “povera illusa, non arriverà mai!” e l’altra “che gli dico quando lo vedo?”. Ero nervosa, agitata e sentivo il cuore pulsarmi in gola. Mi guardavo intorno come un’ossessa, sobbalzando ad ogni auto nera che i miei occhi avvistavano.
Dovevo calmarmi o, anche se fosse arrivato, non sarei sopravvissuta alla sua vista.
D’un tratto, alla mia destra, spuntò un auto scura che procedeva a passo d’uomo. Il mio cuore si fermò nello stesso istante in cui l’auto mise la freccia accostandosi al marciapiede.
Il finestrino posteriore si abbassò di qualche centimetro e lo vidi. Dean scese dall’auto e mi aprì lo sportello per farmi salire: ero impietrita.
«Ciao!», esclamò dall’interno della macchina. «Sali a bordo bellezza!»
Rischiai un infarto di fronte a quel sorriso e a quella battuta. Era bellissimo, in modo imbarazzante, aggiungerei.
«Signorina, non possiamo stare qui. Sale o no?», mi chiese Dean non troppo cordialmente.
Mi feci forza e, cercando di incamerare più ossigeno possibile, entrai nell’auto sedendomi proprio a fianco a Lui.
«Ciao», riuscii finalmente a mormorare.
«Che c’è?», mi chiese divertito, mentre l’auto cominciava a muoversi. «Senza cappello non mi riconoscevi?»
«Scusami, è solo che… non sono sicura di essere ancora sveglia!», gli risposi rossa di vergogna.
«Se è per questo nemmeno io! Sono andato a dormire alle quattro del mattino!»
«Sei uscito a fare baldoria?», gli chiesi guardandolo di sfuggita.
«Veramente no! Sono venuti un paio di amici e siamo stati nella mia suite per tutto il tempo! Mi sono divertito come un pazzo!», esclamò soddisfatto, accendendosi una sigaretta.
“Perfetto ci mancava solo che iniziasse a fumare”,pensai tra me. Vedere quella sigaretta passare dalle sue dita alla sua bocca era un’esperienza traumatica per la mia psiche. Rimasi imbambolata a fissare le sue labbra premere su quella sigaretta: era come se la stesse baciando.
«Ti da fastidio?», mi chiese accorgendosi della mia espressione.
«No, no», risposi veloce, scuotendo ripetutamente la testa.
«Oggi sei strana», mi disse infine, sorridendo sotto i baffi, «ma sempre adorabile.»
Non potevo farcela. Mi mancava l’aria lì dentro.
«Posso aprire il finestrino?»
«Certo», mi chiese confuso. «Ti senti male? E’ per colpa del fumo?»
«No, è… per colpa tua», ammisi imbarazzata, mettendo il naso fuori dal finestrino. «Oggi sta venendo fuori il peggio di me, mi dispiace»
«Se questo è il peggio…», disse con tono tenero.
Mi voltai e ci guardammo per un momento che sembrò infinito, prima di scoppiare a ridere contemporaneamente.
«Dove stiamo andando?», gli chiesi, un po’ più rilassata.
«Non ne ho idea», mi rispose divertito. «Dove stiamo andando, Dean?»
«All’Eur, mi pare si chiami così. Dovrebbe esserci un parco o qualcosa di simile», gli rispose senza voltarsi.
«C’è anche un laghetto», aggiunsi, «è un posto carino per fare una passeggiata.»
«Perfetto, era proprio quello che volevo: stare un po’ all’aria aperta!», disse Rob rilassandosi sullo schienale.
Non potei fare a meno di fissarlo ancora una volta. Se ne stata seduto con le mani dietro la testa, come per stiracchiarsi e le gambe leggermente divaricate. Notai i muscoli in tensione delle braccia e il ventre piatto e asciutto, fino a scendere pericolosamente al di sotto del punto vita. A quel punto si voltò ed io d’istinto mi girai dall’altra parte verso il finestrino. Stavo facendo una figura pietosa.
«Posso chiederti una cosa?», gli chiesi poi per smorzare la tensione.
«Sarebbe ora!», mi rispose ridendo.
«Perché sei qui a Roma?»
«Vorrei dirtelo…ma poi dovrei ucciderti», mi disse serio prima di scoppiare a ridere nel suo modo contagioso. «Sono qui per il festival del cinema.»
«Ma nessuno sa niente della tua partecipazione!», gli dissi allibita, «com’è possibile? C’è gente che sa tutto di te e questo particolare gli è sfuggito?»
«E’ stata una cosa decisa all’ultimo momento. Sono solo presente in qualità di ospite, non presento alcun film. Ieri avevo un’intervista con i giornalisti: a quest’ora tutte le mie fans sapranno dove sono», disse con calma apparente.
«E la cosa non ti preoccupa?», gli chiesi allarmata.
«Che dovrei fare? Passare i prossimi due giorni chiuso in albergo? Non ci penso nemmeno! Il mio Dean è pagato per questo, giusto?», disse ridendo dandogli una pacca sulle spalle. «Lo hai già detto alle tue amiche?»
«Veramente, no.»
«Davvero?», esclamò sorpreso, «perché?»
«Vuoi la verità o un po’ di falso buonismo?», gli chiesi imbarazzata.
«Diciamo che se sarai onesta con me… a fine giornata io lo sarò con te…», mi disse malizioso.
Non capii cosa intendesse dire, ma quel modo che aveva di parlare e scherzare era adorabile.
«I motivi sono due. Il primo è che avevo paura di farti arrabbiare, il secondo è… che volevo averti tutto per me!», ammisi resistendo alla tentazione di distogliere lo sguardo da lui.
«Ammiro il primo e apprezzo il secondo», mi rispose, passandosi la mano tra i capelli, visibilmente imbarazzato. «E al tuo ragazzo? Che gli hai detto?»
«Più o meno tutto di ieri… ma di oggi non sa ancora niente. Non ho idea di come reagirà quando glielo dirò!», risposi pensierosa.
«Perciò vuoi dirglielo?», mi domandò stupito.
«Non dovrei?»
«Non lo so, dipende…», mormorò alzando le spalle.
«Da cosa?»
«Da come andrà la mattinata, credo», mi disse voltandosi verso di me.
Rimasi a guardarlo un tantino spaesata dai suoi discorsi contorti e quegli occhiali da sole non mi permettevano di leggere il messaggio nei suoi occhi.
«Siamo arrivati. Possiamo scendere qui, l’autista parcheggerà poco più avanti», ci interruppe Dean, aprendo la portiera.
Prima di scendere, Rob si infilò il cappuccio della felpa e mi sorrise teneramente.
Stranamente, per essere sabato, non c’era molta gente. Meglio così, pensai, staremo tutti più tranquilli.
Quando fummo vicino al laghetto Rob si fermò e si voltò indietro verso Dean.
«Possiamo anche andare da soli, che dici?»
«Ma che dice? Scherza? Ha visto quanta gente c’è?», gli rispose serio.
Rob mi guardò come per scusarsi, credo, poi aggiunse:
«Non succederà niente. Di lei mi fido. Hai visto ieri in quel bar? Sarà lo stesso anche qui», insistette.
Oddio, era così dolce in quel momento! Si fidava di me, così aveva detto. Ero io a non fidarmi di me stessa, quello era il problema.
«Mr. Pattinson…», iniziò a ribattere Dean.
«Ancora con questo Mr Pattinson! Dai, basta, per favore! Robert è un nome tanto orrendo?», disse spazientito. «Se ci sono problemi ti chiamo e arriverai in un istante. Non ci allontaneremo troppo, vero Elisa?», aggiunse pronunciando il mio nome in un modo tutto suo.
«No, certo», balbettai, mezza stordita.
«Tra dieci minuti la chiamo così mi dice se va tutto bene», disse Dean, arrendendosi.
«Facciamo venti», puntualizzò Robert, iniziando a incamminarsi.
Ci lasciammo Dean alle spalle e cominciammo a passeggiare intorno al laghetto.
«Se ti capita qualcosa…», iniziai a dire agitata.
«Mi proteggi tu?», disse prendendomi in giro.
«Anche se non sembra, potrei diventare pericolosa se qualcuna prova ad avvicinarsi a te!»
Iniziavo finalmente a sentirmi più a mio agio con lui, per quanto possibile ovviamente. Lui era davvero alto rispetto a me e camminava con lunghe falcate, tanto che stargli dietro mi costava un certo sforzo.
«E’ una meraviglia qui», disse guardandosi intorno, «beh, certo non è Hide Park!»
«Hide Park è bellissimo», concordai.
«Ci sei stata?», mi chiese con sorpresa, interrompendo la passeggiata.
«Sì, una volta, qualche anno fa, nel mese di luglio.»
«Dovresti tornarci in primavera, allora sì che rimarrai a bocca aperta!», esclamò entusiasta.
«Ti manca Londra?», gli chiesi, ricominciando a camminare.
«Parecchio…», ammise, con tristezza, «ma è il prezzo da pagare per il successo, no?»
Non seppi che rispondere a quella domanda. A volte mi faceva così pena! Ok, aveva una barca di soldi, e allora? A venticinque anni un ragazzo ha bisogno di tante altre cose che a lui sembravano mancare.
«E’ assurdo non credi?», prosegui a parlare, immerso nei suoi pensieri. «Posso avere qualsiasi cosa voglia. Ho gente intorno a me che esaudisce ogni mio desiderio, perfino il capriccio più assurdo, ma non ho il potere di decidere quando andare a trovare mia madre e mio padre! E’ assurdo!», ripeté furioso.
«Hai ragione…», mormorai, incapace di aggiungere altro.
«Questa è un’altra di quelle cose che non sopporto. Mi danno tutti ragione! O io sono onnisciente o sono circondato da persone senza palle!», esclamò con rabbia.
«Mi dispiace…», balbettai.
«Non ti scusare», disse brusco.
Rimasi di sasso di fronte alla potenza delle sue parole e al suono aspro della sua voce. Si era arrabbiato, fantastico! Che avevo detto di tanto grave? Credevo davvero che avesse ragione!
All’improvviso si fermò e si voltò verso di me, con aria seria. Tolse una mano dalla tasca e prese la mia, provocandomi un terremoto interno.
«Scusa, sono stato un cafone. Tu non c’entri niente. E’ solo che vorrei che la gente mi dicesse in faccia quello che pensa invece di coccolarmi e viziarmi per poi calunniarmi alle spalle! Chiedo molto?», mi disse con estrema amarezza nella voce.
«No», balbettai, riuscendo a pensare solo alla sua mano che stingeva la mia. «Ti prometto che finché starò con te ti dirò sempre ciò che penso.»
«Credi di poterci riuscire?», mi chiese abbozzando un sorriso.
«Se prometti di non scappare via…»
«Promesso!», disse di getto, lasciandomi la mano. «Allora, iniziamo: che pensi in realtà di me? Tutta la verità!», aggiunse divertito.
«Non chiedermi questo ti prego!», esclamai strabuzzando gli occhi.
Cercando di trattenere una risata abbassò la testa e quando la rialzò era di nuovo serio e pronto all’ascolto.
«E’ una domanda troppo generica, parlerei per un’ora!»
«Allora sediamoci, così staremo più comodi!», esclamò in modo beffardo indicando una panchina tra gli alberi.
Ci sedemmo e lui rimase in silenzio a fissarmi. Faceva sul serio!
«Ok, hai vinto!», esclami alla fine arrendendomi alla sua volontà. «Ma ricorda che hai promesso di non arrabbiarti!»
«E’ tanto brutto?»
Non capivo se era serio o se mi prendeva in giro! Maledetti occhiali!
«Ma davvero non ti rendi conto dell’effetto che hai su… su di me, per esempio? Come faccio a pensare cose brutte, me lo spieghi? Non solo sei l’essere umano più bello e sexy che io abbia mai visto, ora scopro anche che sei un ragazzo gentile, tenero, simpatico… mi dispiace proprio non ce la faccio a trovarti un difetto!», gli dissi di getto, ignorando il rossore che sentivo aumentare sul mio viso.
Lui mi fissava e rideva. Si leccava le labbra e si toccata i capelli ed era ignaro di quello che quei gesti provocavano in me.
«A che pensi ora?», mi sussurrò, accorgendosi forse del mio sguardo languido.
«Che sei un pericolo pubblico per il genere femminile!», esclamai.
«Addirittura? Forse è il genere femminile che è un pericolo per me!», disse ridendo di gusto.
«Anche!»
Era così semplice in certi momenti scherzare con lui, come se fosse davvero un ragazzo qualsiasi e non l’oggetto del desiderio di milioni di donne in tutto il mondo.
«E ora a che pensi?», mi chiese ancora.
«Che sono dannatamente fortunata…», ammisi, orami senza più timore di sembrare una bambina.
«E molto carina…», aggiunse lui con voce profonda.
Stavo prendendo fuoco, ne ero sicura!
«Sto aspettando il difetto!», disse, poi, cambiando discorso.
«Non lo so…Oh sì, eccone uno: a volte non si sa come ti vesti!»
«Che razza di difetto è?», disse divertito.
«E’ l’unico che mi viene in mente per ora, perciò accontentati!», esclamai. «No, anzi eccone un altro: devi far conoscere di più la tua musica….e devi ridere di più… e…»
«Caspita! Lo vedi che alla fine qualcosa lo abbiamo trovato!»
Scoppiammo a ridere come due scemi e la sensazione fu fantastica. In quell’istante squillò il suo telefono.
«Tutto bene, Dean. Sono seduto a chiacchierare con lei. Non mi ha né rapito, né assalito, né violentato… non mi sembra tanto pericolosa!»
Che avevo fatto per meritarmi tutto questo? Che dovevo fare per ripagare Dio di questo dono immenso?
«Ci sentiamo tra altri venti minuti, ciao!»
«Lo stai facendo morire di crepacuore!», esclamai, riferendomi a Dean.
«E’ grande e grosso… sopravviverà!», disse rimettendo il telefono in tasca. «A che punto eravamo?»
In quel momento una ragazzina passò avanti a noi con la madre e ci fissò. Avrà avuto otto anni, possibile che lo avesse riconosciuto, perfino conciato in quel modo?
«Mamma, sono fidanzati?», chiese poi la bambina indicandoci con il dito. «Glielo posso chiedere?»
«Andiamo, non essere maleducata!», disse la madre, trascinandola via.
Io e Rob rimanemmo immobili a fissarle e poi ci voltammo uno verso l’altro. Non sapevo che dire, che fare…. anzi avrei saputo fin troppo bene che fare con lui su quella panchina! Per fortuna che leggeva nel pensiero solo nei film!
«Ora a che pensi?», chiese per l’ennesima volta.
«Ma la smetti!», gli risposi con falsa rabbia.
«Sono curioso», mi disse con la voce di un cucciolo bastonato.
«Non credo che ogni mio pensiero ti sia gradito.»
«Stupiscimi!»
Se gli avessi detto veramente quello che il mio cervellino stava pensando in quel momento mi avrebbe fatta rinchiudere per violenza sessuale “virtuale”!
«Diciamo che i miei pensieri viaggiano tutti in un’unica direzione con te vicino», ammisi. «Ti devo chiedere un favore, posso?»
«Dimmi…»
«Ti prego, togliti gli occhiali, anche solo per un secondo. Non posso trascorrere tutto questo tempo con te senza poter vedere almeno una volta i tuoi occhi!», trovai finalmente il coraggio di dirgli.
Scoppio a ridere come al solito, poi, senza dire niente, dopo aver dato uno sguardo in giro di sfilò quei maledetti occhiali da sole e mi guardò dritto negli occhi.
In quel momento tutto intorno a me sembrò svanire. Dio, quanto era bello! I suoi occhi erano azzurri, proprio come avevo sempre sostenuto, ma di un azzurro chiaro, quasi color ghiaccio, ma caldi come il sole. Iniziai a sorridere e ad andare in iperventilazione. Anche lui mi sorrise, forse compiaciuto e divertito dalla mia espressione.
«Niente controfigura, visto?»
«Ora, certo, non ho più dubbi al riguardo. Hai degli occhi inconfondibili», sospirai languidamente.
«Me lo diceva sempre anche mia madre… ma non con questo tono!», mi rispose in modo scherzoso. «C’è qualcos’altro che posso fare per lei, madame?»
«Una cosa veramente ci sarebbe…», gli dissi, ricordandomi all’improvviso di tirare fuori dalla borsa la macchina digitale. «Pensi si possa fare?»
«Penso che te la sei meritata alla grande.»
Mi alzai eccitata dalla panchina e mi misi davanti a lui per fargli la foto: dovevo approfittare del fatto che in quel momento non stesse passando nessuno.
«Che fai?», mi chiese coprendosi il viso con la mano.
«Credevo di aver capito che…», balbettai imbarazzata.
«Avanti vieni a sederti qui», mi disse sorridente.
Risedetti vicino a lui, con il cuore in gola. Mi prese dalle mani la macchinetta fotografica, si avvicinò a me e mi mise un braccio intorno alle spalle, piegando il viso verso il mio.
«Sorridi!», mi disse prima di scattare un paio di foto.
Si voltò soddisfatto, sciogliendomi dal suo abbraccio e ridandomi la macchinetta. Io era ancora sotto shock per poter anche solo respirare.
«Che c’è?», mi disse con aria innocente.
«Avvertimi prima, la prossima volta, se non vuoi farmi prendere un infarto!»
Si mise a ridere, indossando gli occhiali, compiaciuto dell’effetto che aveva su di me. A volte faceva delle cose senza pensare ai risvolti che potevano avere sulle persone, ma altre, ne ero sicura, era pienamente consapevole di quello che provocava in chi, come me, lo adorava.
«Adesso posso chiederti un cosa io?»
«Certo», risposi curiosa.
«Che ne pensi di me? Questa volta come attore, intendo dire», mi chiese tornando serio.
Era ovvio che mi chiedesse una cosa simile. Non avevo fatto altro che parlare della sua bellezza per tutto il tempo: chissà quanta gente gli aveva già detto le solite frasi scontate. Il problema di quella domanda era riuscire a dargli una risposta oggettiva.
«Mi piaci molto», dissi seria a mia volta. «Credo che tu sia molto espressivo. Riesci davvero a trasmettere molto a chi ti guarda.»
«Lo pensi sul serio? In quale ruolo mi hai preferito?», mi chiese curioso.
«Non vorrei essere scontata, ma credo sinceramente che tu abbia dato tutto te stesso nella Saga. Ho letto i libri, tante volte, e tu sei sempre stato perfetto. Ogni stato d’animo di Edward traspariva dai tuoi occhi in un modo quasi naturale. Ci hai fatto rivivere esattamente le stesse sensazioni che proviamo leggendo i romanzi, e non è una cosa facile», gli spiegai quasi ammaliata. «Sei entrato talmente tanto nel personaggio che è diventato difficile scindere te da lui: lo interpreti con una naturalezza che fa impressione!»
«Wow!», esclamò colpito. «E degli altri film? Che ne pensi?»
«Credo che Remember me sia stato cucito su misura per te. Tu hai dato un’ulteriore prova di maturità, ma secondo me, sei stato anche un po’ facilitato dal tipo di personaggio», ebbi il coraggio di dirgli. «Poi c’è stato Water for Elephants…»
«Dal modo in cui lo dici, non si direbbe che ti sia piaciuto», affermò, concentrato sulla mia analisi.
«E’ strano. Il film aveva tutti i presupposti per essere coinvolgente e commovente e tu eri meraviglioso, come non mai, eppure è mancato qualcosa.»
«Spiegati», mi disse con aria interessata più che arrabbiata.
«Niente da dire sulla tua recitazione, anzi, credo che tu sia migliorato ancora. Sei piaciuto perfino al mio ragazzo!», esclamai.
«Più o meno un miracolo, suppongo!»
«Già!», gli confermai. «Non sono in grado di dirti cosa non abbia funzionato…però mi ha lasciato con un senso di vuoto quando sono uscita dal cinema.»
«Fai uno sforzo, sono curioso», insistette.
«Beh… soprattutto non ho visto alchimia tra te e lei.»
«Si notava eh?», chiese con ironia. «Non si è vista, perché non c’era!»
«A me lei non è piaciuta un granché, se devo essere onesta.»
«Lei è un’ottima attrice, il problema era che lei non pensava la stessa cosa di me», sospirò contrariato. «Non gli andavo proprio a genio!»
«Beh, è una…pazza! Lasciamelo dire!», gli dissi con tono acido.
«Non posso piacere a tutti…»
«E che significa? Le sue antipatie personali doveva metterle da parte e pensare alla buona riuscita del film, altrimenti dov’è la “grande attrice”?!»
«Non so che dirti», disse sconfortato. «In ogni scena trovava qualcosa che non andava in me. Ma le hai sentite le cose che ha detto durante la promozione del film? Ci sono rimasto come un cretino!»
«La  cretina è lei! Non capisco che le sia saltato in testa! Anzi, sai cosa penso? Che era talmente divorata dall’invidia che l’unico modo che aveva per portare l’attenzione su di lei fosse denigrati», gli dissi facendomi prendere dalla rabbia. «Peccato solo che così facendo l’unica ad averci rimesso sia stata lei e, purtroppo, il film.»
«Cavolo, proprio non la sopporti!?», disse divertito.
«Ma dai! Come si fa a sopportarla! Vogliamo parlare del suo atteggiamento agli MTV Movie Award di quest’anno? Meglio che lasciamo perdere o rischio di esplodere veramente!», esclamai.
Rob si mise a ridere vedendo il mio cambio d’umore repentino.
«Ti posso assumere come avvocato? Magari un giorno mi potresti far comodo!»
«Sono a tua completa disposizione!»
Passammo il resto del tempo a chiacchierare del più e del meno, come due amici. Era sempre strano averlo vicino ma iniziavo ad abituarmi alla sua presenza: una cosa che mi avrebbe fatto star male quando se ne sarebbe andato.
Volle sapere perché ero a Roma, cosa facessi nella vita: praticamente fece parlare sempre me. Era quasi un’ora che passeggiavamo. Dean aveva già chiamato altre due volte e insisteva affinché tornassimo all’auto. Rob riuscì a dissuaderlo la prima volta, ma alla seconda telefonata si arrese.
Mentre percorrevamo il sentiero che ci avrebbe riportato al punto di partenza sentii il bisogno di chiedergli una cosa.
«Perché hai fatto tutto questo? Voglio dire: non credo che sia tua abitudine invitare le fans al bar e a fare un giro con te!»
«Ti dispiace che l’abbia fatto?», mi disse alzando il sopracciglio.
«Dai, non scherzare! E’ proprio perché mi sembra incredibile, che non riesco a capire cosa abbia fatto per meritarmi questo trattamento!», gli risposi seria e incuriosita.
«Beh, credo sia stato per un insieme di fattori. Ho gradito il modo in cui ti sei trattenuta quando mi hai riconosciuto, sei molto carina e mi hai beccato in un momento in cui avevo una gran sete», disse di getto, abbassando appena gli occhiali per guardarmi. «Può andare bene come spiegazione?»
«Benissimo», balbettai, distogliendo lo sguardo.
«E’ piacevole stare con te. Ti comporti come se fossi un ragazzo qualsiasi…un ragazzo qualsiasi da cui sei attratta, ma va bene così, la cosa mi piace!», disse, accompagnando le parole con una sonora risata.
Lo fissai rossa di vergogna, poi, d’un tratto sentii il mondo cadere a pezzi.
«Oh mio Dio! Non ci credo! Sei… sei… Robert Pattinson!», esclamò una ragazza passandoci davanti mentre faceva jogging.
Rob si irrigidì di colpo al mio fianco e io feci la stessa cosa. Lui non disse niente, limitandosi ad abbassarsi il cappuccio sul viso e a guardarmi con la coda dell’occhio.
“Merda!”,pensai, “Che diavolo faccio ora?”
«Non è possibile! Oh mio Dio!», continuava a ripetere a voce decisamente troppo alta.
«Ti prego abbassa la voce o qui succede un casino!», la implorai mettendomi tra lei e Rob. «Non lo mettere in difficoltà per favore.»
«No, certo», balbettò, abbassando il tono della voce. «Sapevo che fosse a Roma, ma… incontrarlo qui è…»
«Assurdo, lo so», finii di dire. Conoscevo bene quella sensazione.
«Io sono Anna!», si presentò sporgendosi oltre la mia spalla. «Sono completamente pazza di te! Ti amo alla follia!»
Rob abbozzò un sorriso imbarazzato e alzò la mano in cenno di saluto. Era terrorizzato, si percepiva benissimo.
«Ti chiedo solo una foto, poi ti lascio in pace, promesso!», continuò a dire eccitatissima, tirando fuori il cellulare.
Mi voltai verso di lui per capire cosa intendesse fare e lui guardò me, ancora immobile e silenzioso.
«Ok», mormorò.
La ragazza mi getto praticamente il telefono in mano e si lanciò verso Rob. Lo guardava ammaliata e sconcertata, mentre lui si guardava nervosamente intorno, spaventato dall’idea che qualcun altro potesse riconoscerlo. Lei le mise una mano sulla spalla e avvicinò il viso a quello di lui, con un sorriso a trentadue denti. Lui era fermo e agitato, ma nonostante questo, si sforzò di fare un sorriso all’obiettivo.
«Grazie mille!», gli disse afferrandogli la mano. «Ti adoro! Quando lo sapranno le mie amiche…!!!»
Lui le sorrise ancora, probabilmente non capendo una parola di quello che diceva, visto che continuava a parlargli in italiano, e subito dopo si allontanò da lei, liberandosi dalla sua presa.
«Lo so che sei felicissima e che hai il cuore a mille, ma ti prego non andare a dire in giro che lo hai visto da queste parti. Almeno dagli il tempo di allontanarsi», mi raccomandai nuovamente.
«Certo, certo», continuava a ripetere fissando Rob. «E’ stato davvero bellissimo incontrarti! Sei meraviglioso!»
Rob mi guardò di nuovo e capii che voleva andarsene da lì. Salutammo la ragazza ancora su di giri e ci dirigemmo velocemente verso l’auto.
«Mi dispiace tanto», sussurrai mortificata.
«Va tutto bene, non è colpa tua. Ho solo bisogno di andarmene più velocemente possibile da questo posto», mi rispose angosciato.
«Dean mi ucciderà!», continuai a dire.
«Dean non lo saprà!», esclamò di colpo inchiodandosi davanti a me. «Devi promettermi che non glielo dirai!»
«Ma…»
«Lo hai visto anche tu quanto stavo bene con te oggi… vuoi che non mi permetta più di vivere altri momenti così? Non mi lascerebbe più solo nemmeno un attimo, per tutta la mia permanenza qui», mi disse affranto.
«Farò ciò che vuoi.»
«Grazie. Sapevo di averci visto giusto su di te», mi sussurrò, accarezzandomi il braccio.
Riprese a camminare più in fretta di prima ed io, ancora invasa dai brividi per il contatto di poco prima, lo seguii fino al luogo in cui Dean ci stava aspettando.
Appena ci vide, tirò un sospiro di sollievo e si rilassò.
«Tutto bene?», chiese a Robert.
«Alla grande», gli rispose, entrando in auto.
Dean mi guardò, come per avere da me una conferma. Riuscii a sorridergli appena e subito dopo guardai altrove, in direzione di Robert.
Non ero pronta a quell’addio. Credevo che avrei avuto più tempo per salutarlo, invece le cose erano precipitate così velocemente che ora lui non desiderava altro che fuggire via e ritornare nel suo mondo blindato.
«Che fai lì?», mi chiese dall’interno della macchina. «Sali, devo andarmene.»
«Non c’è bisogno che mi riaccompagni, prenderò la metro», gli risposi, felice del suo invito.
«Non essere sciocca, non ti lascio qui. Avanti sali!», mi ordinò bruscamente.
Non provai nemmeno a ribattere, in fondo ero troppo contenta di avere ancora qualche minuto con lui, ma il tono della sua voce mi faceva rabbrividire.
Mi sedetti in silenzio vicino a lui e l’auto partì.
Che razza di vita era costretto a fare, per spaventarsi in quel modo davanti ad una singola ragazza che lo aveva riconosciuto? Capivo perché la mia reazione del giorno prima lo avesse colpito. Era abituato a scene di pianto e di isterismo, ad essere pedinato e tartassato dai paparazzi. Non potevo capirlo fino in fondo, ma il suo sguardo perso nel vuoto era eloquente.
«La lasciamo al bar, signorina?», mi chiese l’autista.
«No, riaccompagnala a casa», gli rispose Robert, anticipandomi.
«Scherzi? Non ce n’è bisogno!», gli dissi sorpresa.
«Mi pare il minimo», disse serio, senza guardarmi.
Rimasi a fissarlo senza avere il coraggio di contraddirlo: vedevo che aveva i nervi a fior di pelle. Possibile che Dean non se ne accorgesse? Diedi le indicazioni all’autista e tornai a rilassarmi a fianco di Rob.
«Mi dispiace doverti salutare in questo modo…», gli sussurrai piano.
«Anche a me», rispose a voce bassa.
Ormai parlava a monosillabi e riuscire ad avere una conversazione con lui era praticamente impossibile. Avrei parlato io per entrambi.
«Voglio solo dirti che non dimenticherò mai tutto questo. Sono state le due giornate più incredibili della mia vita», gli dissi con enfasi, poi, addolcendo il tono della voce aggiunsi: «Sei una persona speciale Robert, e non parlo dell’attore famoso. Ti auguro il meglio, per ogni aspetto della tua vita.»
A quel punto si voltò e si tolse gli occhiali, facendomi quasi tremare.
«Grazie, sei speciale anche tu, credimi. Ne ho conosciute di persone in questi anni, ma nessuna come te», disse con voce intensa.
Per un momento mi sembrò di avere di fronte Edward invece che Robert e la cosa mi fece venire i brividi. Quando arrivammo davanti al mio palazzo iniziai a sentire una sorta di crampi allo stomaco e un forte bruciore agli occhi. Non volevo scendere da quell’auto, non volevo staccarmi da lui.
«Un ultima cosa», gli dissi con le lacrime agli occhi. «Cerca di non cambiare mai. Rimani il ragazzo semplice e simpatico che ho avuto la fortuna di conoscere, ti prego!»
«Ci proverò, promesso», mi disse teneramente avvicinandosi al mio viso. «Grazie Elisa, di tutto», aggiunse sfiorandomi la guancia con le labbra.
Era come se il volto mi stesse andando a fuoco dall’interno. Ero paralizzata. Ero sconvolta. Ero invasa dal suo profumo. Ero ammaliata e innamorata di lui.
Non dissi una parola. Aprii la portiera e, non senza fatica, riuscii a coordinare i muscoli del mio corpo convincendoli a farmi scendere da lì. Se fossi rimasta anche solo un minuto in più su quell’auto tutto il mio autocontrollo sarebbe andato in fumo.
Avrei voluto abbracciarlo, toccarlo, baciarlo costringendo Dean a staccarmi da lui con la forza.
Lo guardai sorridendogli per un’ultima volta, prima di richiudere la portiera e di vederlo scomparire dietro ai vetri scuri.
L’auto schizzò via lasciando il vuoto dietro di sé e dentro di me.

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Capitolo 3
*** Qualcuno alla porta ***


Ecco qui il terzo capitolo.
All'inizio della storia avevo detto che sarebbero stati solo quattro ed invece sono cinque, perché uno l'ho diviso in due parti, per alleggerire la lettura.
Dopo l'incotro al bar e la passeggiata al parco, la sorte riserverà ancora qualcosa a questa fortunatissima ragazza?
Aspetto i vostri commenti (anche negativi...ma spero di no!)

Buona lettura





Me ne stavo lì, nell’appartamento di Luca, seduta sul divano a guardare fuori dalla finestra. Non avevo voglia di uscire, ne di fare qualsiasi altra cosa. Avevo la testa in panne, completamente fuori uso.
Luca aveva chiamato verso l’ora di pranzo, dicendomi che sarebbe tornato tra un paio di giorni. Mi chiese se mi ero ripresa dall’incontro del giorno prima. Come una codarda non riuscii a dirgli niente della mattinata all’Eur che avevo trascorso con Rob. Probabilmente avrebbe capito la situazione e non si sarebbe arrabbiato più di tanto, ma il problema, a quel punto, era un altro: ero io a sentirmi in colpa. Mi sentivo in colpa perché Rob mi mancava come l’aria, perché avevo desiderato ardentemente buttargli le braccia al collo per non lasciarlo andare via; perché ero pazza di lui e non si trattava più solo del suo aspetto fisico: amavo tutto di lui.
Potevo essere innamorata realmente di un attore? Mi sembrava stupido e infantile, eppure era così. In fondo ero cotta di lui ancor prima di conoscerlo e la strada per perdere completamente la testa era stata davvero breve!
Ma cosa avrei dovuto fare? Lui avrebbe lasciato l’Italia il giorno seguente e di quegli incontri cosa sarebbe rimasto a lui? Forse un piacevole ricordo che lo avrebbe accompagnato per qualche mese. E a me? A me la consapevolezza che dall’altra parte del mondo esisteva una persona come lui che non avrei mai potuto avere. Lui non mi avrebbe più rivisto, ma io avrei continuato ad avere la sua immagine davanti agli occhi pronta a far riaffiorare tutto il dolore e la nostalgia per quei giorni magici trascorsi insieme. 
Erano quasi le quattro quando mi ricordai che quel pomeriggio ci sarebbe stata la diretta, su MTV, del festival del cinema: Lui sarebbe stato lì.
Accesi la TV e quando vidi che il programma era già iniziato mi venne da piangere. Molti attori avevano già attraversato il Red Carpet e non avevo idea se lui era uno di quelli. Passarono Rober De Niro e Kate Winslet che erano in gara con un film sull’Africa di cui non ricordavo il titolo, vidi arrivare Sergio Castellitto, Vittoria Puccini e altri attori che non conoscevo.
Poi, il giornalista che si trovava lì in diretta, annunciò l’arrivo di un attore inglese molto amato dalle ragazze di tutto il mondo. Scivolai in ginocchio davanti al televisore con il viso a pochi centimetri dallo schermo. Il cuore mi batteva come un martello pneumatico e trovai la cosa davvero stupida. Ero stata con lui fino a poche ore prima, quello sì, che era incredibile, non vederlo in TV come avevo sempre fatto!
Dopo pochi secondi l’auto nera arrivò e la portiera si apri. Prima scese Dean, l’onnipresente, e poi apparve Lui, come una visione.
Indossava un completo blu elegantissimo e il suo viso brillava di luce propria. Sorrideva ai flash dei fotografi e salutava la gente che gli urlava intorno. C’erano tantissime ragazzine e anche molte donne adulte che aspettavano solo lui. Quello stesso giorno lo avevo visto terrorizzato davanti ad una fan, mentre in quella circostanza sembrava essere un leone nel suo regno. Alcuni gesti, come toccarsi di continuo i capelli o le labbra, erano un chiaro segno del suo disagio e imbarazzo, ma per il resto se la stava cavando alla grande. Era bellissimo, ogni altro aggettivo sarebbe stato insufficiente per descriverlo in quel momento.
Lo guardavo estasiata, orgogliosa di aver passato con lui qualche ora. Tutte quelle ragazze avrebbero pagato con il loro sangue per essere state al mio posto.
Si fece fotografare in tutta la sua bellezza e subito dopo si avvicinò alle transenne iniziando a firmare autografi. Nessuno degli altri attori americani che avevo visto arrivare lo aveva fatto. Dean era al suo fianco e non lo mollava un momento, come fosse la sua ombra. Una ragazzina piangeva di fronte a lui mentre lo riprendeva con il cellulare a dieci centimetri dalla faccia, un’altra urlava come un’indemoniata il suo nome, un’altra si sporse talmente tanto per toccarlo che Dean dovette intervenire per allontanarlo, mentre Rob dolcissimo regalava sorrisi e smorfie a destra e a manca, senza scomporsi. Quando Dean gli disse che era il momento di entrare, Rob fece una specie di inchino alle sue fans e le saluto con un “CIAO!” adorabile.
Poco prima di entrare, un giornalista della Rai gli si avvicinò chiedendogli se poteva fargli qualche domanda e lui acconsentì, ovviamente.
«Benvenuto in Italia, Robert! Era da un po’ che non tornavi nel nostro paese!», esclamò il giornalista.
«Grazie! Avete un paese meraviglioso, se potessi ci verrei più spesso, credimi!», gli disse sorridente.
«L’ultima volta sei stato in Toscana per girare New Moon, ti piacerebbe lavorare in un film ambientato completamente in Italia? Magari a Roma?»
«Sarebbe un’occasione da non perdere! Vorrebbe dire passare qui almeno un paio di mesi… non è male come idea!», disse ridendo abbassando lo sguardo.
«Tornerai a novembre per presentare la prima parte di Breaking Dawn? Le tue fans non aspettano altro che una tua conferma!»
«Emh… credo di sì… ma non posso ancora darlo per certo. Dipende molto dagli impegni che avrò in quel periodo, ma lo avevo promesso… perciò farò di tutto per esserci», disse carinamente, passandosi ripetutamente la mano tra i capelli scompigliati.
«Grazie Robert, a presto allora!», gli disse il giornalista stringendogli la mano.
Robert gli rivolse l’ennesimo sorriso cortese e sparì all’interno dell’auditorium pochi secondi dopo, lasciando Roma al buio. Sì, perché Lui era come il sole, come le stelle del firmamento: lui ti illuminava la giornata con un sorriso o uno sguardo ammiccante.
Me ne stavo lì, imbambolata, con il telecomando in mano e il volume al massimo. A me aveva detto che sarebbe tornato a novembre, lo aveva dato per certo, ma forse pubblicamente non poteva ancora far trapelare la notizia.
Spensi il televisore e mi alzai da quella posizione scomoda con tutte le ginocchia indolenzite.
Obbligai il mio corpo e la mia mente ad uscire da quello stato catatonico e a reagire.
Passai il pomeriggio a pulire l’appartamento e a stirare qualche camicia di Luca e verso le otto mi preparai la cena: nelle ultime quarantotto ore avevo praticamente saltato tre pasti principali, era ora di riprendere un po’ di regolarità e di tornare alla quotidianità.
Dopo una bella mangiata di spaghetti al pomodoro e un’abbondante porzione di gelato mi infilai il pigiama e chiamai mia sorella.
«Ciao Ti!», esclamai al telefono.
«Ciao! Dove sei, a Roma?», mi chiese.
«Sì, sono arrivata da un paio di giorni. Ieri ho fatto il colloquio, ma ovviamente non mi hanno detto niente!»
«Ma Luca è lì?»
«No, sono sola. Dovrebbe tornare dopo domani. Adesso è a Parigi con un collega», le spiegai.
«Ma non ti annoi da sola? Potevi venire qui, a me faceva piacere!»
Che avrei dovuto risponderle? Quanto volevo raccontarle la verità! Magari non tutta, perché forse non l’avrebbe presa bene, ma almeno qualcosina.
«Annoiarmi? Dopo quello che mi è successo ieri? No, direi che non mi annoio!», esclamai euforica.
«Perché? Che è successo?», mi chiese curiosa.
«Ti dico subito che non è una balla, ok? E’ successo davvero!»
«Ma cosa?», disse impaziente.
«Ho visto Robert in giro per Roma!», dissi di getto.
«Ma va!», esclamò, com’era prevedibile. «Robert Pattinson? Ma che dici?!»
«Lo so è assurdo, ma l’ho incontrato davvero… anzi l’ho “scontrato”!», le dissi ridendo. «Gli sono letteralmente caduta addosso!»
«Ma ci hai parlato?», mi chiese incredula.
Fosse solo quello, pensai.
«Sì, ho preso una coca cola con lui», iniziai a dire, non sapendo fin dove poter arrivare.
«Tu e lui?», ripeté sconcertata.
«Beh, lui aveva la sua guardia del corpo… però, in pratica, sì», ammisi.
«Quindi gli hai chiesto un autografo? E gli hai anche fatto una foto? Mi ti immagino: sarai andata nel pallone!»
«Mi ha regalato il suo cappello autografato! Dire che ero nel pallone è poco: ero nel panico più totale. Ma lui.. lui è stupendo, credimi!», sospirai.
«Che scema che sei! Ma a Luca glielo hai detto?»
«Sì», risposi veloce, ma con un tono colpevole, che fortunatamente non carpì.
«Oggi lo hai visto al festival del cinema?», mi chiese.
«Ovvio! Hai visto che spettacolo? E poi è così carino, anche nei modi… non puoi capire!», dissi con tono lascivo.
«Addio, l’abbiamo persa! Ci mancava solo questa!», esclamò Tiziana, esasperata.
Ero lì, desiderosa di raccontarle ogni cosa, ma avevo paura di farlo. Non mi avrebbe mai capita, anzi, mi avrebbe rimproverata. Avrebbe detto che ero scorretta verso Luca, che, in un certo senso, lo stavo tradendo con il mio atteggiamento inappropriato.
«Che effetto ti ha fatto?», mi chiese con tono più pacato.
«Allucinante. Tu lo sai quanto sono in fissa con lui! E’ stato come vivere un sogno… è stato incredibile e assurdo! Ancora non riesco a crederci…»
«Ma lei c’era?»
«Lei?», chiesi confusa.
«Kristen, non si chiama così? Stanno o non stanno insieme?»
Mi bloccai di colpo, colpita in pieno petto da quell’ultima frase. Non avevo mai pensato a lei fino a quel momento, forse perché lui non l’aveva mai nominata. Fui invasa da una gelosia ingiustificata e ridicola e non sapevo cosa rispondere.
«No, è qui da solo… Non si sa se stanno davvero insieme!», risposi scocciata.
«Certo che hai avuto una gran botta di…», esclamò ridendo di gusto.
«… e sì, proprio grossa!», dovetti ammettere. «Senti ora ti lascio, mi metto a letto a vedere un film.»
«Con lui?»
«Mi pare il minimo!»
«Allora buon divertimento. Buona notte.»
«Notte», le risposi riagganciando.
Quella conversazione mi aveva fatto venire la sudarella! Era davvero stressante non avere nessuno a cui raccontare senza remore tutta la verità su di lui.
Dopo una doccia rinfrescante e rigenerante mi gettai sul letto con l’intenzione di rivedermi Twilight.
Erano da poco passate le dieci, quando il citofono squillò. Scattai seduta con le orecchi tese. Era il mio citofono ad aver suonato? Ne ebbi la conferma al secondo squillo.
Mi diressi in cucina, non del tutto convinta di voler rispondere. Non c’era nessuno che potesse venirmi a trovare e per di più a quell’ora! Con riluttanza alzai comunque la cornetta.
«Chi è?»
«Buonasera. La signorina Elisa?», mi chiese una voce maschile.
«Sì… lei chi è?», chiesi stupita dal fatto che sapesse il mio nome: non vivevo nemmeno lì.
«Ci siamo visti oggi, sono Giorgio, l’autista del signor  Pattinson.»
Gli occhi mi uscirono fuori dalle orbite appena lo sentii pronunciare quel nome. Rimasi a bocca aperta, mentre mille domande vorticavano nella mia testa.
«E’ ancora lì?», mi chiese un po’ divertito.
«Sì…», balbettai. «Ma che…» Proprio non riuscivo ad esprimere un concetto.
«Mi è stato detto di passarla a prendere e di accompagnarla all’albergo in cui alloggia in signor Pattinson. Non so altro.»
«Cos’è uno scherzo?», gli dissi agitata.
«Senta, se vuole venire io l’aspetto qui, se mi dice che non le interessa, io me ne vado», tagliò corto.
«No, aspetti!», gli urlai. «Mi dia qualche minuto, ok?»
«L’aspetto in macchina», disse con calma.
Riappesi la cornetta e rimasi a fissare l’apparecchio per un po’. Potevo fidarmi di quel tipo? E se era un maniaco? Perché Robert non mi aveva mandato un messaggio come la sera prima? Me ne stavo lì, nel panico più totale senza sapere cosa fare.
Possibile che volesse vedermi di nuovo? Nel suo albergo per giunta?
Non avevo molto tempo per decidere, così presi probabilmente la decisione più sciocca della mia vita.
Corsi in camera cercando nella valigia qualcosa di adatto da indossare. Non potevo certo provarmi tutte le varie combinazioni come avevo fatto la mattina! Mi venne tra le mani un abito nuovo che non avevo ancora mai messo. Era beige e blu, lungo fino al ginocchio e con le bretelline. Non era né elegante, né troppo sportivo: l’ideale, visto che non sapevo cosa mi attendesse.
Lo indossai di corsa passando di sfuggita davanti allo specchio solo per assicurarmi che non fossi ridicola; indossai i sandali con un po’ di tacco, mi spolverai le guance con un po’ di fard e abbellii gli occhi con un po’ di mascara e un filo di matita. Mi guardai di nuovo allo specchio per vedere l’effetto finale e ne rimasi abbastanza soddisfatta. Avrei avuto bisogno di molto più tempo, ma, dato che non ne avevo, dovevo accontentarmi di quello che ero riuscita ad inventarmi.
Mi precipitai giù per le scale, sperando di trovare ancora la macchina ad aspettarmi, ma non senza paura. Non ero ancora convinta che fosse la scelta giusta, ma non trovai la forza per rifiutare l’invito.
L’auto nera era lì e l’autista se ne stava appoggiato su di essa ad aspettarmi. Appena mi vide, salì in macchina e mise in moto. Un inquilino del palazzo mi vide salire sull’auto e rimase a fissare la scena stupito. Chissà che avrà pensato?
Mi sedetti vicino all’autista, il quale si voltò a guardarmi sorpreso.
«Dovevo sedermi dietro, vero? Scusa non sono abituata, scendo subito!», gli dissi aprendo la portiera.
«No, tranquilla, non c’è bisogno. Puoi stare qui, se ti va. Allaccia la cintura però», mi ordinò mettendo in moto.
Mi stavo leggermente calmando e stavo riacquistando il controllo di me. Non sembrava un tipo pericoloso, sembrava solo scocciato per essere costretto a lavorare a quell’ora.
«Scusami per prima, sono stato un po’ sgarbato», mi disse poco dopo.
«Figurati», gli risposi. «Il fatto è che mi hai colto di sorpresa e non sapevo che fare! Proprio non me l’aspettavo!»
«Devi aver fatto colpo, se ti fa venire a prendere a casa dal suo autista!», dichiarò con ammirazione.
Lo guardai felice di quelle parole, anche se non sapevo se corrispondessero alla verità. Non avevo la più pallida idea del perché volesse vedermi.
«Sei nervosa?», mi chiese, non sentendomi più parlare.
«Un po’», ammisi imbarazzata.
«Però sei felice?»
«Anche troppo», dissi con un velo di tristezza. «Presto sarà tutto finito ed io rimarrò con un pugno di mosche.»
«Beh, non sta a me dirlo, ma, visto che durerà poco, ti conviene goderti la cosa finché sei in tempo. Certi treni passano una volta sola!», disse in modo solenne.
Non potei ribattere, né dirgli che non era il caso, non riuscii a dire una sola parola dato che condividevo tutto ciò che aveva appena detto.
 
«Eccoci arrivati», disse all’improvviso fermando l’auto davanti ad un maestoso albergo nel cuore di Roma, di cui non conoscevo il nome. «Vai alla reception e dagli questa», mi disse consegnandomi una busta.
«Tu non mi accompagni?»
«Io non conto niente lì dentro, non potrei esserti di nessun aiuto», disse sarcastico. «Credo che ci rivedremo tra qualche ora per riaccompagnarti a casa.»
Scesi dall’auto ed entrai quasi in punta di piedi nell’hotel. Era immenso ed esageratamente lussuoso. Nella hall c’erano poche persone, ma tutte vestite con abiti eleganti: mi sentivo un pesce fuor d’acqua.
Mi avvicinai a testa bassa alla reception dove vi era una donna che mi guardava incuriosita e forse anche un tantino sospettosa.
«Buonasera, sono stata invitata da un ospite del vostro albergo», balbettai imbarazzata dicendogli il mio cognome. «Mi hanno detto di consegnarvi questa», aggiunsi, porgendole la busta.
La donna non si degnò nemmeno di rispondere al saluto o a rivolgermi un sorriso di circostanza, afferrò la busta e si mise a leggere il contenuto. All’improvviso la sua espressione mutò e fu lei ad essere imbarazzata, comprendendo chi fosse la persona che dovevo incontrare. Alzò gli occhi dal foglio e mi guardò seria e incuriosita.
«Fabio? Puoi accompagnare la signorina alla 120, per cortesia?», chiese al ragazzo che si trovava poco più in là.
«La 120?», ripeté sorpreso.
«Sì, credo che di sopra siano stati già avvertiti dell’arrivo della signorina», disse acida.
“Lo scelgono proprio bene il personale! Gente simpatica e cordiale, adatta ad un albergo a cinque stelle”pensai.
Salii con il ragazzo in ascensore al sesto piano e una volta scesi lo seguii attraverso un lungo corridoio, fino ad arrivare ad un pianerottolo su cui vi erano due porte. Vicino ad una di esse c’era un uomo alto, vestito di nero che leggeva un giornale.
«La signorina Elisa», disse in inglese il ragazzo della reception all’uomo vicino alla porta, prima di congedarsi.
«Salve, mi segua», mi disse l’uomo aprendomi la porta con il numero 120.
Entrammo in una stanza immensa in cui vi erano due divani, un megaschermo, un tavolo da biliardo e un angolo bar fornitissimo.
«Il signor Pattinson mi ha detto di riferirle che arriverà appena possibile. Nel frattempo può aspettarlo qui. Si metta comoda», mi riferii con tono gentile.
Quasi il cuore mi si fermò nell’udire quelle parole.
«Lui non è qui?», chiesi delusa.
«E’ ad un party, ma non credo che si tratterrà ancora per molto. In ogni caso, lei faccia pure come fosse a casa sua. Può prendere da bere, guardare un film. Io sono qua fuori se ha bisogno di qualcosa», aggiunse, uscendo dalla stanza.
Rimasi sola, impietrita, disorientata. Mi trovavo in una suite spettacolare, la sua suite! Mi guardai in giro per trovare qualcosa che gli appartenesse, ma la stanza era praticamente vuota. Forse non era lì che stava. Iniziai a girare, folgorata da tutto quel lusso: certe cose le avevo solo viste in televisione. Nella stanza c’era poi una grande porta scorrevole, che provai ad aprire, ma che trovai chiusa. Mi accorsi che vicino alla maniglia c’era una piccola tastiera, che serviva probabilmente per accedere all’altro locale.
Voltandomi mi accorsi che vi era una porta finestra che con buone probabilità dava sul terrazzo e così l’aprii. Vi era un balcone enorme, grande quasi come la stanza in cui ero. C’erano delle piante curate e dei tavolini con le sedie. Era illuminato con dei faretti lungo il bordo del cornicione. Mi avvicinai alla ringhiera e rimasi a bocca aperta davanti al panorama che mi si presentò. Roma era magica. Lo era sempre, ma di notte e da quell’altezza era bella da mozzare il fiato.
In quel momento sentii delle voci provenire dal corridoio e rientrai in fretta nella stanza richiudendo la finestra. La porta si aprì e lui entrò per primo.
Lo spettacolo che avevo visto poco prima sul terrazzo era niente in confronto a lui: era divino.
«Ehi! Sei qui!», esclamò entusiasta vedendomi.
“Avanti respira!”,iniziai a ripetermi, “respira e dì qualcosa!”.
«Già…», farfugliai.
«Che c’è? Qualcosa non va?», mi chiese premuroso, avvicinandosi decisamente troppo a me.
«Non pensavo ti avrei rivisto…»
«Ti dispiace?», chiese titubante.
Davvero era titubante??? Davvero non aveva capito niente di me?
«No, ma che dici!», esclamai con enfasi. «Solo non me lo aspettavo. Sto ancora cercando di riprendermi.»
Lui sorrise, nel modo in cui solo lui sapeva fare. Era ancora vestito con il completo blu che avevo visto in televisione ed era una specie di visione.
«Mi andava di uscire. I miei amici da Londra sono ancora qui in città e sembra abbiano trovato un localino tranquillo per bere qualcosa insieme. Ho pensato che sarebbe stato bello se ci fossi stata anche tu!», mi spiegò con un’espressione dolce.
«Vuoi uscire? Adesso?», esclamai.
«Qual è il problema?», chiese alzando le spalle.
«Beh…», iniziai a dire, «… nessuno!»
«Ottimo allora! Dammi solo due minuti per togliermi questa roba», disse indicando il suo vestito, «e poi andiamo!»
Si voltò in direzione della porta scorrevole, ma poi si fermò di colpo e tornò indietro verso di me. Mi si fermò davanti a pochissimi centimetri. Il battito del mio cuore si fermò e poi ripartì all’impazzata a causa di quella vicinanza: aveva un odore così invitante e sensuale. La testa iniziò a girare e la gola mi si seccò.
«Sono davvero felice che tu sia qui», mi sussurrò. «Sei molto bella.»
Abbassai lo sguardo e cominciai davvero a sentirmi cedere le ginocchia. Lo guardai di nuovo e gli sorrisi.
«E’ assurdo che sia tu a fare dei complimenti a me», gli dissi con un filo di voce.
«Perché?», mi chiese con la sua voce calda.
«Perché tu togli letteralmente il fiato», gli sussurrai con voce tremante.
Mi fissò come non aveva mai fatto nessuno fino a quel momento. Il mio corpo si protraeva verso di lui, come il ferro ad una calamita, pur sforzandomi di rimanere ferma al mio posto.
Il momento più magico che avessi mai vissuto venne interrotto da un idiota che bussò alla porta.
«Sì?», disse Rob, senza muoversi di un millimetro e senza distogliere lo sguardo da me.
«Sono arrivati i suoi amici, signore. Vi aspettano nella hall», ci avvertì la voce di Dean.
Solo a quel punto, Rob indietreggiò abbassando lo sguardo e regalandomi un sorriso molto eloquente.
«Non scappare via ok?», mi disse aprendo la porta scorrevole inserendo un codice sulla tastiera.
Quando la porta si spalancò riuscii a vedere quello che nascondeva di tanto prezioso: la sua camera. Riuscii a vedere il letto a baldacchino, le sue valige mezze disfatte, la custodia della chitarra appoggiata su una poltrona. Rob entrò e si richiuse la porta alle spalle, lasciando uno spiraglio aperto. “Bastardo!”, pensai, “Lo fai apposta per torturarmi!”.
Non seppi mai se il gesto di non richiudere bene la porta fosse voluto o accidentale, quello che so è che non seppi resistere alla tentazione di sbirciare.
Era di spalle e si stava togliendo la camicia. Riuscii ad intravedere la sua schiena nuda mentre si dirigeva nel bagno.
Qualcuno bussò di nuovo ed io mi misi di corsa a sedere dando le spalle alla camera di Rob.
«Se è Dean, fallo entrare», mi disse Rob dall’altra stanza.
Mi avvicinai alla porta:
«Chi è?», chiesi, sentendomi un’idiota.
«Dean», disse bruscamente.
Gli aprii la porta e lui entrò senza troppa esitazione.
«Il signor Pattinson?»
«Si sta cambiando», dissi nervosamente.
Dean si voltò verso la camera di Rob e vedendo lo spiraglio che era rimasto aperto, chiuse deciso la porta e poi tornò a fissarmi in malo modo.
«Dovrebbe tornare a casa sua», mi disse sottovoce.
«Ma che ti ho fatto di male?», gli chiesi spazientita.
«Crede che ce l’abbia con lei? Io lo dico solo per il suo bene! Tutto questo non porterà a niente, anzi le porterà solo un po’ di sofferenza», mi disse cupo.
Rimasi gelata dalle sue parole, per la verità che nascondevano. Poi, però, ripensai a quelle che mi aveva detto l’autista e decisi che fossero quelle da seguire.
«Non mi importa», gli risposi a testa alta.
«Non mi dica che non l’ho avvertita», mi congedò prima di uscire dalla stanza.
Quale fosse la cosa migliore da fare nessuno lo sapeva, io per ultimo. Sapevo solo che per niente al mondo avrei rinunciato a lui: finché mi avrebbe voluto, io ci sarei stata.
Quando Rob uscii dalla camera era un ragazzo trasformato. Non solo per i jeans scoloriti e la t-shirt nera che indossava, ma anche per la sua espressione e il suo viso disteso: il divino si era fatto mortale!
«Ora va molto meglio!», esclamò soddisfatto. «Che voleva Dean?»
«Accertarsi che non ti fossi saltata addosso, suppongo», mentii con facilità.
«Dovrò fargli un piccolo ripassino su ciò che è male e su ciò che è bene… credo che abbia un po’ di confusione in testa se pensa di avere il diritto di controllare che combino in camera mia con una ragazza da me invitata!», disse ridendo.
«Si preoccupa per te.»
«Non ne ha motivo. Non in questa occasione.»
Tornò a fissarmi come poco prima e la reazione del mio corpo fu esattamente la stessa.
«Dovremmo andare…», mormorò con poca convinzione.
«Già…», gli risposi con lo stesso tono.
Mi sorrise compiaciuto e mi afferrò la mano conducendomi fuori dalla stanza.

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Capitolo 4
*** Una serata diversa ***


Ed eccoci al quarto capitolo di questo breve storia che racconta un mio sogno...un sogno di molte.
Come andrà la serata con Robert e i suoi amici?
Per saperlo non vi resta che leggere questo intenso capitolo... 

Buona lettura!






Nell’ascensore Robert continuò a tenermi la mano, incurante dello sguardo di disapprovazione di Dean. La mia mano nella sua: un sogno. Come un cardo tra un mazzo di viole. Le sue dita affusolate stringevano le mie, cosi piccole e insignificanti, come fosse la cosa più normale del mondo. Io ero su di giri e avevo un caldo incredibile: se non fossimo scesi subito da quell’ascensore sarei svenuta davanti a lui!
Quando arrivammo in una delle stanze di sotto, vicino alla hall, notai diverse persone ad attenderci. Solo in quel momento Rob sciolse la presa e si mise le mani in tasca. Si diresse, precedendomi, verso due ragazzi seduti sul divano salutando con un fugace cenno del capo tutti gli altri.
«Ciao ragazzi!», disse allegro. «Andiamo?»
«Pronti!», disse uno dei due scattando in piedi. «Ho una voglia bestiale di birra!»
«Lei dev’essere la tua ammiratrice! Piacere di conoscerti io sono Tom, e lui è Sam», disse porgendomi la mano.
«Piacere mio, io sono Elisa», risposi vergognosa.
«L’auto ci aspetta sul retro dell’albergo. La signora alla hall mi ha detto che c’è un po’ di movimento davanti l’entrata», ci disse Dean avvicinandosi.
Uscimmo perciò da una porta secondaria e ci infilammo di corsa nell’auto. Giorgio, l’autista, mi guardò e mi sorrise, come se fosse contento di vedere che avevo deciso di “godermela”, come aveva detto lui.
Noi quattro ci sistemammo dietro, mentre Dean si accomodò vicino a Giorgio. Non avevo capito che sarebbe venuto con noi, ma era normale. Ormai tutti sapevano della presenza di Robert a Roma e c’era la possibilità di trovarsi davanti ad un fiume di donne esagitate da un momento all’altro.
Loro tre parlavano e ridevano proprio come vecchi amici e vedere Robert così tranquillo e a suo agio era davvero bello.
«Come ci si sente ad essere invitate fuori dal vampiro più gettonato del mondo?», mi disse quello che si chiamava Tom, probabilmente cercando di coinvolgermi un po’.
«E’ una cosa assurda! Credo, nel giro di due giorni, di aver usato questo termine un centinaio di volte!», ammisi con un po’ di imbarazzo.
«Quando i vampiri adocchiano le loro prede non le mollano finché non si sono presi quello che vogliono!», esclamò in tono scherzoso.
«Smettila», gli disse Robert dandogli un pugno sul braccio, «la metti solo in imbarazzo.»
«Dai, stavo scherzando!», gli rispose con aria innocente. «Te la sei presa?», mi chiese rivolgendosi a me.
«Ma no, figurati! In fondo quello che hai detto non è poi una prospettiva così orrenda!», gli risposi ridendo.
Tom annuì e si mise a ridere proprio come Rob. L’altro ragazzo invece, ci osservava guardingo. Incrociai il suo sguardo e lui mi accennò un misero sorriso: non doveva andargli molto a genio la situazione!
Arrivammo al locale venti minuti dopo. Dean scese per primo, per controllare se fosse tutto nella norma, poi scesero Tom e Sam ed, infine Rober ed io, di nuovo mano nella mano.
Il locale era una specie di grotta a cui si accedeva scendendo una specie di scala a chiocciola in pietra. Il posto era fresco e poco affollato. Le luci erano basse e alcuni tavoli erano separati dagli altri con una sorta di separé di legno. Potevo capire perché avessero scelto quel posto: era piuttosto discreto.
Dean si sedette al bancone del bar mentre Sam parlò con uno dei camerieri per avere il tavolo che aveva riservato.
La prima parte della serata fu stupenda e surreale. Ero lì con Robert e i due suoi amici d’infanzia come se facessi parte anche io del loro mondo. Quello che mi stava regalando la vita era qualcosa di esagerato che avevo paura di non meritare.
Sam e Tom parlarono molto della loro vita a Londra e raccontarono a Rob alcune avventure avute durante la loro vacanza a Madrid. Vollero poi sapere i particolari del nostro incontro/scontro, anche se mi accorsi che praticamente Rob gli aveva già raccontato tutto. Facevano commenti sulla mia fortuna sfacciata e prendevano in giro le fans italiane definendole un po’ troppo calienti, per non dire matte! Lui li ascoltava divertito e rilassato, proprio come dovrebbe essere qualsiasi ragazzo della sua età. Se ne stavano lì a bere birra e a sgranocchiare patatine e noccioline divertendosi come pazzi. Ad un certo punto Rob chiese a Tom di andarsi a fumare una sigaretta e così salirono di sopra seguiti, ovviamente, da Dean.
Io e Sam per un po’ rimanemmo in silenzio sorseggiando le nostre bibite: quel ragazzo mi metteva in soggezione.
«Cosa speri di ottenere?», mi disse poi di colpo, con aria seria.
«Come scusa?», gli chiesi disorientata.
«Da questa storiella con Rob, cosa pensi di ricavarci?»
«Niente!», esclamai, offesa dalle sue parole.
«Una bella intervista ad un giornale? Un po’ di pubblicità? O vuoi semplicemente andarci a letto?», continuò con lo stesso tono insolente.
«Ma come ti permetti!», balbettai, presa alla sprovvista.
«Avanti, non dirmi che non ci hai pensato! Ho visto come lo guardi e purtroppo ho visto anche come lui guarda te, ma ti conviene stargli alla larga.»
«Cos’è una minaccia?»
«No, è un consiglio. Tra due giorni non si ricorderà nemmeno il tuo nome! Hai una vaga idea della vita che fa? Della gente che frequenta? Tu non fai parte del  suo mondo, è inutile che cerchi di entrarci!», mi disse in modo arrogante.
«Io non sto cercando di fare un bel niente! Se sono qui è solo perché lo ha voluto lui. Lui mi piace, è ovvio, ma non voglio niente da lui. Quello che mi ha concesso è molto più di quanto avessi mai osato nemmeno immaginare!»
Stava per ribattere qualcosa, ma si fermò, vedendo Rob e Tom scendere le scale.
«Comunque non otterresti niente, non sei il suo tipo, credimi», mi disse sottovoce riprendendo a sorseggiare la sua birra, prima di sferrarmi il colpo di grazia, «…una certa Kristen, ecco, lei è il suo tipo!»
Il colpo arrivò e fu un colpo davvero basso. Rimasi a fissarlo sbigottita, mentre lui beveva e si guardava intorno come niente fosse: come avrei voluto spaccargli quella faccia da cavolo!
«Non è che vi prendete una sbronza senza di noi!», esclamò Tom alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
Rob si rimise a sedere vicino a me e mi guardò sorridente, ma io non riuscivo a sorridere.
«Cosa c’è?», mi disse piano, facendosi serio.
Non gli risposi. Mi limitai a scuotere le testa e a guardare altrove. A quel punto lui, mettendomi un dito sul mento, mi costrinse a girare il capo verso di lui.
«Cos’è successo? Sei arrabbiata con me?», mi chiese preoccupato.
«Non sarei dovuta venire stasera…», mormorai, sentendo un irrefrenabile voglia di piangere.
Lui mi fissò confuso e forse dispiaciuto dalle mie parole. Allontanò la mano dal mio viso e scuro in volto si girò a parlare con i suoi amici.
“Perfetto!”, pensai, “ora si è offeso lui”.
Trascorsi in silenzio i seguenti venti minuti, ascoltando le loro conversazioni senza mai intervenire. Aver sentito pronunciare il nome di Kristen, da uno dei suoi amici, mi aveva sconvolto e irritato in una maniera fuori dal normale.
«Ce ne andiamo?», chiese Rob, attirando la mia attenzione sui loro discorsi.
«Perché?», disse Tom deluso, «Sto solo al terzo bicchiere!»
«Sono davvero stanco… la notte scorsa ho dormito sì e no quattro ore, e domani mi devo svegliare presto per andare all’aeroporto…», iniziò a spiegargli Robert.
«Ti stai proprio invecchiando, amico! Quante volte abbiamo fatto l’alba nei locali a Londra! Quando ti eri invaghito di quella cameriera che lavorava in quel locale vicino a Piccadilly Circus, abbiamo fatto le cinque del mattino per quattro giorni di fila!!», esclamò scoppiando a ridere.
«Le cose sono un tantino cambiate eh?», gli rispose Rob con un velo di malinconia nella voce. «Comunque, preferisco andare, davvero.»
Ci alzammo dal tavolo e insieme a Dean tornammo alla macchina. Dean aveva il viso rilassato e soddisfatto, dato che durante la serata non c’erano stati problemi di alcun tipo. Ci dirigemmo verso l’albergo dove Sam e Tom avevano lasciato la loro auto a noleggio, poi da lì Giorgio, mi avrebbe riaccompagnato a casa.
Robert non mi parlò per tutto il viaggio. Ogni volta che arrivava il momento dei saluti lui era di cattivo umore e l’addio idilliaco e strappalacrime che immaginavo di dover affrontare andava a farsi benedire. Mi faceva star male pensare che fosse arrabbiato con me e che lo avessi ferito con quella mia stupida risposta. Lo avevo detto solo perché in quel momento stavo soffrendo e la gelosia mi stava divorando: non mi ero affatto pentita di aver passato altro tempo con lui, come avrei potuto.
Quando l’auto si fermò, scendemmo tutti per i saluti. Strinsi la mano e diedi un bacio sulla guancia ad entrambi, ma con Sam a malapena ci sfiorammo il viso. Salutarono Rob con un forte abbraccio e qualche pacca sulla spalla. Tom gli disse qualcosa in un orecchio prima di salire in auto e si scambiarono un sorriso malizioso.
Rimanemmo da soli nel retro dell’hotel, insieme a Dean che già stava tenendo aperta la porta per far rientrare Rob, e Giorgio che aspettava in auto con il motore acceso.
Ci guardammo intensamente per qualche secondo. Lui non sembrava più arrabbiato, sembrava solo triste, e la sua espressione era specchio della mia.
«Non pensavo quello che ho detto prima…», sussurrai, dispiaciuta.
«Lo so…», mi rispose con voce tenera.
«Sono felice di averti conosciuto, tu non sai quanto. Lasciarti è più dura di quanto pensassi…», iniziai a dire, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
«Non andare», mi pregò. «Non ancora. Sali da me per qualche minuto… non mi va di salutarti così!», mi disse con dolcezza.
Lo guardai languida, incapace di dire qualsiasi cosa. Quanto desideravo dirgli di sì e buttargli le braccia al collo.
«Giorgio mi ucciderebbe!», fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«Chi?!», mi chiese confuso.
«Il tuo autista. Mi dispiace farlo stare qui un’altra ora per…», farfugliai.
«Ti assicuro che è pagato profumatamente per soddisfare i miei capricci. In fondo accompagnarti all’una o alle due per lui che differenza fa? Per noi, invece, un’ora è preziosa, non credi?», mi chiese con voce profonda.
«Ok», finii per rispondergli del tutto soggiogata dal suo sguardo e dal tono della sua voce: avrebbe potuto convincermi a fare qualsiasi cosa in quel momento.
Finalmente mi sorrise compiaciuto e si avvicinò al finestrino per dare al povero Giorgio le nuove direttive. Dean fece un lungo e rumoroso sospiro quando mi vide entrare nell’albergo con Robert ed io evitai volutamente di incrociare il suo sguardo.
Era passata l’una quando rientrammo nella suite 120.
«Buona notte, Dean», gli disse Rob, prima di entrare in stanza. «Ci vediamo domani mattina.»
«Ma signore…», provò a ribellarsi.
«E’ tutto sotto controllo. A lei ci penso io», aggiunse, chiudendogli la porta praticamente in faccia.
La stanza sembrava ancora più grande di poche ore prima. Robert accese solo un paio di lampade e aprì la finestra che dava sul balcone per far entrare un po’ di frescura.
«Andiamo di fuori?», mi chiese indicando il terrazzo.
Lo seguii senza dire nulla: ero completamente in balia di lui.
Rob si mise a sedere su una delle poltroncine e mi guardava sereno.
«Adesso tocca a me», mi disse abbozzando un sorriso. «Chiedi e sarai esaudita!»
Strabuzzai gli occhi di fronte a quell’ultima frase senza capire di cosa stesse parlando.
«Che vuoi dire?»
«Stamattina ti avevo detto che se fossi stata completamente sincera con me, io lo sarei stato con te: ecco, sono pronto a mantenere la mia promessa!», mi disse, mettendosi a braccia conserte.
«Mi stai dicendo che posso chiederti qualsiasi cosa mi passi per la testa?»
«Non solo, ma anche che non mi tirerò indietro di fronte a nessuna domanda e avrai da me la verità, nient’altro che la verità!», disse in tono giocoso, appoggiando una mano sul cuore e alzando l’altra.
«Non mi sono preparata niente! Non so che chiederti!», gli dissi agitata.
«Dici di essere una fan incallita e ora che ne hai l’opportunità non hai niente da chiedermi!? Non ci credo!», disse divertito. «Io dico che ti vergogni!»
Aveva ragione, dannazione! Avrei dovuto avere centinaia di domande da fargli, ma non me ne veniva in mente nemmeno una: anzi, una c’era.
«Ti dispiace dire addio al personaggio di Edward, o è una sorta di liberazione?», gli chiesi invece, tralasciando la domanda che più mi stava a cuore.
«Sono in conferenza stampa e non me ne sono accorto?», esclamò per prendermi in giro, guardandosi introno.
«Non fare lo scemo! Sono curiosa…», mentii.
«Ok… No, in realtà non mi dispiace. E’ un personaggio a cui sono molto legato e l’ultimo giorno delle riprese sembrava che mi trovassi al funerale di qualcuno, ma è anche un personaggio scomodo per certi versi», incominciò a spiegare. «Ho paura di non riuscire a liberarmi di lui, di essere sempre visto come il ragazzino inglese che è diventato famoso all’improvviso senza talento alcuno, e solo perché ha fatto innamorare un po’ di ragazzine con una favoletta adolescenziale!»
«Ma non è vero! Tu hai talento da vendere!», gli dissi con enfasi.
«E’ quello che spero di dimostrare ora che Edward Cullen scomparirà», mi rispose con un filo di amarezza.
«Pensi anche di incidere un tuo album? L’ho letto da qualche parte…»
«Non per adesso. Ora voglio pensare al cinema, poi quando le acque intorno a me si saranno calmate, proverò anche a fare il musicista. Se incidessi un cd ora, verrebbero solo le fans di Twilight a comprarlo. Io voglio essere apprezzato per quello che compongo e non per quello che rappresento!», disse con trasporto.
«Peccato, mi piace sentirti cantare…», sospirai.
«Arriviamo o no alle domande vere?», mi disse impaziente.
Mi feci seria, pensando se fosse o meno il caso di chiedergli l’unica cosa che in quel momento volessi sapere. La verità era che ero terrorizzata dalla possibilità di sentirmi rispondere ciò che non volevo, ma mai più avrei avuto una possibilità tale per fare chiarezza su quell’aspetto della sua vita.
«Beh, c’è una cosa in realtà che vorrei chiederti… ma non voglio che tu ti senta in dovere di rispondere… in fondo non è affar mio…», iniziai a tergiversare.
«Tutto ciò che vuoi…», mi disse serio, probabilmente immaginando l’argomento che stavo per toccare.
«…Tu…e…Kristen…beh, hai capito», balbettai imbarazzata e spaventata dalla sua reazione.
«Io e Kriten cosa? Non è una domanda!», mi disse buttandola sul ridere, cercando di smorzare la tensione che leggeva sul mio volto.
«Lo sai!», gli risposi infastidita. «Voi state… davvero insieme?»
«Insieme…», ripeté, come a riflettere sul significato di quella parola. «Bella domanda?»
«Se non ti va di…», tagliai corto.
«Stavo solo pensando a cosa significasse stare insieme…», mi disse con lo sguardo perso nel vuoto. «Perché, se significa uscire insieme, condividere degli hobby, vedersi spesso, ogni volta che se ne ha voglia… allora no, non stiamo insieme.»
«E se significa amare qualcuno?», gli chiesi con voce tremante.
«Dovrei chiederti che significa amare, e non ne usciremmo più!», mi disse rivolgendomi un sorriso triste. «Ne ero innamorato, e tanto. Mi invaghii di lei dal primo provino. Era bella e dolce, giovane e al tempo stesso forte e carismatica. L’alchimia tra me e lei si creò subito e iniziammo a frequentarci anche fuori dal set», iniziò a raccontare, alzandosi dalla poltrona e affacciandosi sul balcone, dandomi le spalle. «Andò tutto bene finché non esplose il successo di Twilight. Volevamo stare insieme, ma volevamo farlo secondo le nostre regole. Invece quando la casa di produzione, gli agenti e tutti quelli che ci stavano intorno, capirono che da quel nostro amore potevano trarne vantaggio anche loro, iniziarono a voler pilotare tutta la storia.»
Lo fissavo, immobile, appoggiato alla ringhiera mentre mi confidava una parte segreta di sé. Pur non vedendolo in viso, si poteva capire che parlare di quelle cose lo faceva star male. Sentirlo parlar d’amore per lei era un’agonia.
«In poco tempo, tutta la purezza, la genuinità di quel rapporto svanì. Dopo alcuni mesi, non sapevo più se stavamo insieme perché lo volevano loro o perché lo volevamo noi!», continuò a dire nervoso. «Durante le riprese di Eclipse decidemmo di prenderci una pausa, per capire se valesse la pena continuare, ma appena ci allontanammo la Summit e un sacco di altra gente che campava sulle nostre spalle, ci costrinse a farci comunque vedere insieme ogni tanto. Ero stufo di dover dosare i nostri incontri, di dover far finta che le cose andassero bene quando andavano male e viceversa. Io volevo solo essere me stesso ed essere lasciato in pace.»
«Perciò state ancora insieme?»
«Le ho detto un sacco di volte che ero stufo di essere trattato come un burattino, che volevo poter dire di noi alla gente che me lo chiedeva. Le dicevo che ammettere la nostra relazione non avrebbe fatto del male alla nostra carriera, ma che forse l’avrebbe rafforzata. Ci ho provato, ma lei non ha mai voluto… e non vuole nemmeno ora. Ha paura di… non lo so, non lo capisco. Tutto questo successo le ha dato alla testa e non è più quella di prima: è diventata una calcolatrice, proprio come tutta la gente che ci circonda!», disse quasi senza riprendere fiato.
«Però, non mi hai risposto...», gli feci notare.
«Tra poco inizierà la promozione del film, non ci permetterebbero mai di troncare. Cioè, potrei farlo, ma dovrei continuare a fingere per tutto il tempo. A queste condizioni non mi va più bene. Lo vedo che lei ci tiene a me, come io tengo a lei, ma così non posso più continuare: mi sento soffocare», ammise con angoscia.
«Mi dispiace tanto, Rob, non volevo farti rattristare…», mi scusai avvicinandomi a lui.
Rob si voltò e mi sorrise.
«Quello che ho passato con te in questi due giorni è stato speciale e mi ha fatto aprire gli occhi ancor di più su tutta questa faccenda», mi disse con sguardo triste.
«Ti meriti di più», gli sussurrai, ormai a pochi centimetri da lui. «Sei un ragazzo fantastico, meriti qualcuna che sappia apprezzare la fortuna di averti accanto», aggiunsi in modo lascivo.
Alzò una mano e delicatamente mi spostò dalla fronte una ciocca di capelli che mi copriva appena l’occhio. Le sue dita scivolarono dietro l’orecchio e arrivarono a sfiorarmi il collo. Il cuore mi si fermò a causa del suo tocco e soprattutto del modo in cui mi guardava.
«Vorrei chiederti io una cosa, se me lo permetti», mormorò senza smettere di accarezzarmi il collo.
«Puoi chiedermi qualunque cosa», balbettai quasi in modo impercettibile.
«Posso baciarti?», mi chiese con dolcezza infinita e voce tremante.
Ogni emozione che avessi mai provato fino a quel momento divenne nulla, rispetto a quello che sentii nell’istante in cui pronunciò quelle parole. Non era una sola sensazione: era trepidazione e commozione, stupore misto alla gioia più assoluta, terrore, agitazione, desiderio, soprattutto desiderio.
«Robert… io…», dissi confusamente in completo subbuglio emotivo.
«So che hai un fidanzato, perciò non vorrei fare qualcosa che possa ferirti…», aggiunse con la stessa intensità, portando anche l’altra mano sul mio viso.
«Oddio…», iniziai a sospirare. «Io non…»
«Dimmi che non vuoi e ti lascerò andare», mi disse ormai con le labbra a pochi centimetri dalle mie. «Ma se lo desideri, come lo desidero io… allora non muoverti e… permettimi di baciarti.»
Mi alzai appena sulle punte, quel tanto che fu sufficiente per sentire il suo alito caldo provenire dalla sua bocca dischiusa scaldarmi le labbra e il cuore. Poi, dopo un breve istante, mi baciò.
Le sue labbra trovarono le mie, morbide e tremanti. Trattenni il respiro mentre la sua bocca incontrava la mia per la prima volta. Fu un bacio dolce e delicato di quelli che ti fanno salire il sangue al cervello e girare la testa. Iniziai, incapace di avere il controllo sul mio corpo, a muovere le labbra insieme alle sue, sentendo e godendo del suo sapore e del suo profumo. Le sue mani, dapprima sulle guance, scesero sul collo ed una scivolò fino ai fianchi. Le mie dita si intrecciarono tra sui capelli all’altezza della nuca. Si fermò e mi guardò soddisfatto, passandosi la lingua sulle labbra, come se avesse l’acquolina in bocca. Io ne approfittai per prendere una boccata d’ossigeno e per rendermi conto che fosse tutto vero: Robert Pattinson mi aveva baciata.
Si gettò di nuovo su di me, con più impeto e decisione. Mi attirò a sé, con tutto il corpo e sentii il mio premere contro il suo, forte ed eccitato. Le sue labbra, sensuali e avvolgenti premettero violente sulle mie prima di aprirsi in un bacio più intenso e profondo.  Non potevo più resistere alla mia voglia di lui, quella voglia tenuta dolorosamente a freno per tutto quel tempo. Le parole di Dean, di Sam, non avevano più alcuna importanza. Non sapevo quello che mi sarebbe capitato, sapevo solo che qualsiasi cosa fosse successa sarebbe stata ampliamente ricompensata dalla magia di quel momento.
«Rimani con me», mi mormorò tra un bacio e l’altro, senza darmi tempo di riprendere fiato.
«Non posso…», riuscii a dire tra le sue labbra.
«Rimani, ti prego…», insistette con la stessa frenesia.
Senza darmi modo di rispondere mi riportò all’interno della stanza e senza mai allontanarsi da me, indietreggiò fino alla porta scorrevole. A quel punto la sua bocca calda e infuocata di desiderio lasciò libera la mia, non ancora sazia dei suoi baci. Non sarei mai arrivata ad immaginare che potesse essere in grado di baciare una ragazza in quel modo! Senza lasciare il mio corpo, si voltò per digitare la combinazione che ci avrebbe aperto l’accesso alla sua camera da letto.
Una parte debolissima della mia coscienza mi diceva di fermarlo, di non dover entrare in quella stanza, ma un’altra parte urlava e si dimenava accesa dal desiderio.
Senza nemmeno accorgermene, pochi istanti dopo mi trovavo già con la schiena premuta su una delle colonne del letto a baldacchino. Lui mi guardava in quel modo assurdo che tante volte avevo sognato di vedere rivolto a me e mi baciava incessantemente. Le sue labbra, la cosa che mi aveva sempre più attratto di lui, passarono dalla mia bocca al mio collo, dal mio collo fino alla scollatura del vestito. Con le mani fece scendere le spalline del mio abito fino ai gomiti e iniziò ad accarezzarmi e ad assaporare anche le mie spalle, mentre io, ad occhi chiusi mi godevo quei momenti di puro piacere e appagamento.
«Non posso…», provai di nuovo a dire, quasi piagnucolando.
«Allora dimmi di fermarmi…», mi rispose lui, senza alzare la testa dall’incavo del mio collo.
«Non ci riesco…non ci riesco!», finii per ammettere con disperazione, rilassando appena i muscoli delle braccia.
«Meno male…», ansimò lui, tornando a baciarmi la bocca.
Lasciai che mi sfilasse il vestito, fino a farlo cadere ai miei piedi e solo a quel punto, quando le sue mani scesero dalla mia schiena nuda fino a sfiorarmi il fondo schiena, iniziai anch’io a toccare lui.
Gli infilai le mani sotto la t-shirt sentendo il suo petto e il suo ventre piatto. Con un gesto veloce ed impaziente si tolse la maglietta e mi scaraventò sul letto.
Mentre le mie mani prendevano confidenza con il suo corpo e le mie labbra assaporavano la sua pelle, lui si tolse i jeans gettandoli a terra.
Non c’era più niente che potessi fare: ero completamente sua.
Gli ultimi indumenti che impedivano ai nostri corpi di unirsi in maniera completa e profonda, svanirono poco dopo, gettati a terra da Rob.
«Ti voglio...», mi sussurrò, nel momento in cui i nostri corpi si fusero in una sola anima.
 

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Capitolo 5
*** Risveglio ***


Ed eccoci arrivari all'ultimo capitolo di questa breve storia.
Spero vi sia piaciuta e che vi siate emozionate come è successo a me quando l'ho scritta.
Come finirà questa surreale storia tra i nostri protagonisti?

Buona lettura.





Sentivo una strana morbidezza sulla pelle, un profumo nuovo mi avvolgeva e mi cullava rendendo l’aria intorno a me fresca e seducente. Allungai una mano per capire da dove provenisse quella piacevole sensazione. Le mie lenzuola sembravo di seta, lisce e fresche. Più le accarezzavo più quella sensazione crebbe e una inaspettata consapevolezza si fece strada nella mia mente ancora assopita: non sembrava seta, era seta! Aprii gli occhi di scatto, per verificare ciò che il mio istinto mi diceva. La stanza era buia, grande, ed il letto… il letto non era il mio.
Abbassai gli occhi su il mio corpo, coperto solo a tratti dal lenzuolo e mi accorsi di essere del tutto nuda. Non era stato solo un sogno bellissimo, uno di quelli fatti decine di volte, era accaduto davvero! Io e Robert….
Mi sollevai ancora intontita cercandolo nella stanza e non trovando traccia di lui il panico mi assalì. Che avevo fatto? Ero andata a letto con un altro uomo! Non un uomo qualsiasi, ma l’uomo dei miei sogni. “Stupida!”, mi gridai, “lo hai tradito comunque!”, pensai, riferendomi a Luca. Iniziai a respirare a fatica e ad avere il battito accelerato, ma non era solo per i sensi di colpa.
Lui non c’era.
Mi lasciai di nuovo cadere sul letto e fissai il soffitto sopra di me. Un enorme ventilatore girava sopra la mia testa, provocando quella piacevole frescura che mi aveva cullato al risveglio. La mia mente, stimolata dal movimento veloce e regolare delle pale del ventilatore, riprese lentamente vita, facendo riaffiorare i ricordi di quella notte indimenticabile.
Il suo corpo asciutto e sodo, le sue braccia e le sue mani che mi stringevano e mi accarezzavano, le sue labbra sulla mia pelle sudata e il suo sguardo devastante e provocante su di me. Mi ero concessa a lui senza remore e senza inibizioni, come mai avrei pensato di riuscire a fare, non con lui almeno. Momenti di intensa passione e desiderio, avevano lasciato spazio a istanti di profonda dolcezza e delicatezza.
Mi venne in mente una vecchia canzone dei Lunapop, di cui non ricordavo il titolo, il cui ritornello mi sembrava dicesse: “Sei come un’onda che ribatte e sbatte dentro di me, mi hai già portato a largo dove un appiglio non c’è. Non posso più tornare indietro non conosco la via, non voglio più tornare indietro e stare senza di te!”
In quel momento, mentre il mio corpo si rianimava eccitato da quei pensieri, la porta scorrevole si aprì, e la luce entrò nella stanza. Non erano i raggi del sole: era lui che illuminava tutto ciò che lo circondava.
«Ciao», mi disse dolce, richiudendo la porta dietro di se.
«Ciao», gli risposi con lo stesso tono, appoggiando la schiena alla spalliera del letto.
Era meraviglioso. Nessun film gli aveva mai veramente reso merito. Indossava i pantaloni grigi di una vecchia tuta e…nient’altro.
Venne verso di me senza distogliere quegli occhi meravigliosi dal mio viso e si sedette sul letto vicino a me.
«Va tutto bene?», mi chiese serio, vedendomi immobile e silenziosa.
«Non ne sono sicura…», ammisi.
«Sei pentita?», mi domandò dispiaciuto.
«So che dovrei esserlo, ma non ci riesco…»
Il suo volto si aprì ad un sorriso mozzafiato e compiaciuto.
«Allora che c’è? Ti vedo triste…», aggiunse, seguendo con un dito il profilo della mia gamba nuda.
«Ora sarà ancora più difficile toglierti dalla mia testa… probabilmente non ci riuscirò mai…», gli risposi malinconica.
«Vuoi dimenticarmi?», chiese sorpreso.
«Che alternativa ho? Tra poche ore scomparirai dalla mia vita e a me non resterà niente…»
«Avrai sempre un pezzetto di questo…», mi sussurrò, afferrandomi dolcemente la mano e appoggiandola sul suo cuore. «…e il ricordo di questa notte.»
Era così dolce e bello, bello in modo devastante, bello da non permetterti di respirare, bello da non riuscire a credere che fosse vero.
«Tu non hai idea di come mi senta in questo momento…», gli dissi, allontanando la mano dal suo corpo.
«Allora spiegamelo…», aggiunse, distendendosi a fianco a me.
Mi alzai sui gomiti per riuscire a guardarlo meglio. Lui era lì, disteso sulla schiena, a torso nudo, con un braccio sotto la testa, mentre con l’altro mi sfiorava il braccio.
«Vorrei che potessi essere davvero Edward per un momento, per potermi leggere nel pensiero: sarebbe molto più facile», gli dissi con il cuore in gola. «Questo è qualcosa che non avrei mai creduto possibile! E’ come se qualcuno mi avesse regalato la cosa che più desideravo al mondo e, sempre quel qualcuno, me la stesse per portar via. Se non l’avessi mai avuta, se non avessi provato certe emozioni nel sentirla mia, anche se per poco tempo, non avrei mai saputo cosa mi stessi perdendo. Ora invece è come se si fosse formata una voragine nel mio petto e non ho la più pallida idea di come farò a colmarla», gli spiegai di getto, senza riuscire più a guardarlo.
Lui rimase in silenzio. Probabilmente non si era reso conto, fino a quel momento, di cosa, tutto quello, significasse per me. Forse pensava che per me, come forse per lui, era stato solo sesso. Ma per me era molto di più. Mi fissava con le labbra serrate e il volto teso, come se volesse dire qualcosa che non poteva.
«Ti ho trascinato in questo casino, che è la mia vita, senza rendermi conto che potessi farti del male», disse alzando gli occhi al cielo. «Mi dispiace…»
«Ehi, non dirlo nemmeno per scherzo, ok?!», esclamai, girandogli il viso verso di me, perché mi guardasse. «Tu mi hai reso felice in un modo incredibile. Tu mi hai fatto vivere in una favola per tre giorni. Sei la sorpresa più bella che la vita potesse riservarmi.»
Mi avvicinai a lui con il volto e lo baciai teneramente. Rimase a guardarmi, mentre con la mano tracciavo il profilo perfetto del suo volto. Gli accarezzai la fronte e le sopracciglia, scesi lungo la linea dritta del suo naso e mi soffermai sulle sue labbra. Ne tracciai il contorno ammaliata da tanta sensualità. Lui era immobile e lasciava che io esplorassi e scoprissi ogni particolare del suo volto. Quante volte avevo desiderato fare una cosa del genere! Dalle labbra scesi sino al mento, e percorrendo la sua mascella perfetta, arrivai fino all’incavo del collo.
«Sei perfetto», mormorai tra me, baciandolo di nuovo con maggiore intensità.
Le sue braccia mi avvolsero in un istante e mi restituì il bacio con desiderio inaudito. Rotolò sopra di me e iniziò a toccarmi con le sue mani d’angelo dal collo fino alle cosce. Mi afferrò sotto il ginocchio e portò la mia gamba sopra il suo fondoschiena, facendomi sentire la sua voglia di me. Iniziammo a respirare profondamente abbandonandoci al desiderio a alla consapevolezza che sarebbe stata la nostra ultima volta. Mi afferrò un polso e mi bloccò il braccio sopra alla testa, mentre tornava a farmi sua in quel modo inaudito.
Non riuscimmo a controllare i nostri istinti e tutto finì prima di quanto sperassimo. Non avevo più fiato e non riuscivo a parlare. Sentivo il suo alito sul collo e i suo baci caldi e seducenti non mi permettevano di riprendermi da quella situazione. Solo dopo alcuni minuti, in cui rimanemmo stretti a baciarci, lui si sollevò da me per parlare.
«Prima ti ho mentito…», disse con voce rauca, «… in realtà, non mi dispiace affatto di averti portato qui.»
Non potei fare a meno di sorridergli, passandogli una mano tra i capelli scompigliati e sudati.
In quel momento qualcuno bussò alla porta scorrevole.
«Ignorali», mi disse affondando il suo viso sul mio seno.
«Signor Pattinson, avrei bisogno di parlarle. C’è un problema», disse Dean dall’altra stanza.
«Non ora!», gli urlò Rob, troppo preso a farmi impazzire.
«Davanti all’albergo ci saranno almeno trenta ragazzine indemoniate!», disse agitaato.
Rob si fermò di getto e ci guardammo preoccupati.
«Credo che la sua amica, ieri sera, abbia spifferato in giro il nome del suo albergo!», disse adirato, riferendosi ovviamente a me.
Guardai Rob con occhi imploranti come per dirgli “Non sono stata io”! Lui mi sorrise accarezzandomi i capelli.
«No, non credo sia stata lei…», gli rispose facendomi l’occhiolino.
«Non c’è altra spiegazione! Dobbiamo lasciare l’hotel prima che scoppi il pandemonio! Le avevo detto di non farla venire qui!»
Rob, sbuffò, estremamente scocciato da tanta insistenza e scivolò via da me, infilandosi i boxer. Afferrò il lenzuolo che era scivolato a terra e mi coprì amorevolmente, prima di dirigersi verso la porta.
«Posso assicurarti che non è stata lei», gli disse Rob, in modo malizioso, aprendo le due ante.
Dean stava per ribattere nuovamente, quando si accorse di me, nel letto di Rob. I nostri sguardi si incrociarono per un breve momento, poi Dean, cercando di riprendersi dalla sorpresa, aggiunse:
«Capisco… In ogni caso, credo dovremmo anticipare la nostra partenza…»
«No», lo interruppe Rob con autorità, «lasceremo l’albergo all’ora stabilita. E ora se non ti dispiace…»
Rob richiuse la porta e si diresse verso di me.
«Scusami, a volte è davvero pressante.»
«Fa il suo lavoro», gli risposi. «Io farei anche peggio, se ci fosse in ballo la tua sicurezza!»
Rob si illuminò e scoppiò a ridere!
«Avvocato e guardia del corpo in una volta sola!», esclamò. «Riuscirei a risparmiare un bel po’ di soldi!»
Nel momento in cui stava per sedersi sul letto il suo telefono squillò.
«Sono mortificato!», mi disse dispiaciuto.
«Tranquillo, non c’è problema», gli risposi con gentilezza.
Rob estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e guardò lo schermo prima di rispondere. La sua espressione mutò appena lesse il nome di chi lo stava chiamando. Alzò lo sguardo verso di me, come per scusarsi di qualcosa e poi rispose, iniziando a camminare per la stanza.
«Ehi, ciao!», esclamò con sorpresa. «No, sono ancora in camera, ieri sera ho fatto tardi.»
Mi sollevai dal letto e mi misi in ascolto giocherellando nervosamente con l’orlo del lenzuolo.
«Sam e Tom sono venuti a trovarmi. Erano in vacanza a Madrid, ti ricordi? Te ne avevo parlato», disse rispondendo al suo interlocutore. «Tu dove sei?», gli chiese.
Il tono che aveva era tenero e affettuoso: non poteva che essere lei.
«Sì… anche tu…», disse piano, guardandomi in modo colpevole e desolato. «Non mi va di parlarne al telefono… affronteremo la cosa quando riusciremo a vederci», aggiunse accigliandosi leggermente.
Ero impietrita sul letto mentre vedevo il mio castello di carte crollarmi davanti agli occhi. Ero pronta a dirgli addio ma non a quello: non a sentirlo amoreggiare con Kristen davanti a me! Scesi dal letto e iniziai a rivestirmi nervosamente. Rob mi vide e sul suo volto si dipinse una strana espressione: una specie di supplica traspariva dai suoi occhi, profondi come il mare.
«Posso richiamarti più tardi? Stanno bussando alla porta», le disse in maniera precipitosa, continuando a fissarmi scuotendo la testa. «Sì… anch’io…», aggiunse pianissimo prima di riattaccare.
«Elisa, ti prego aspetta! Non così!», mi disse lanciando il telefono sul letto.
«Sto bene…», balbettai, «…devo solo andarmene.»
«Per favore, non farlo!», mi supplicò. «Mi dispiace! Io non…»
«E di cosa? Tu non hai colpa di niente! Sono io la stupida!», gli dissi con una leggera isteria nella voce. «So di non avere nessun diritto di arrabbiarmi con te, di offendermi, né, tanto meno, di essere gelosa, ma non ci riesco e la cosa è assurda!»
Lui mi guardava impotente mentre io davo i numeri non trovando uno dei miei sandali.
«Fermati un minuto!», mi urlò all’improvviso, afferrandomi le spalle. «Sapevi già di lei…», aggiunse, poi, a voce bassa.
«Non mi sembrava la conversazione di due che stanno per lasciarsi, però!», gli dissi arrabbiata. «Tu la ami ancora, è chiaro come il sole», aggiunsi in tono arrendevole.
«E’ una situazione complicata… e poi anche tu non ami forse il tuo ragazzo? Eppure sei qui», mi rispose duro.
La verità di quelle parole mi paralizzò e non riuscii a ribattere.
«Perdonami, non volevo…», si scusò.
«No, hai ragione. Il tuo mondo è diverso dal mio. Sapevamo che tutto questo sarebbe finito», gli risposi con voce tremante. «Ma, se l’ami davvero, non permettere al resto del mondo di mettersi tra di voi! E se lei ti ama davvero, dovrebbe volerti sopra ogni cosa e fregarsene di tutto il resto. Ti meriti di essere felice.»
Quasi non credetti alle mie stesse parole, però era esattamente quello che pensavo. Visto che non potevo essere io la sua donna, desideravo almeno che colei che avesse scelto fosse degna di uno come lui e che lo rendesse felice.
«Non mi merito certe parole», mi disse afferrandomi la mano. «Sei davvero una ragazza speciale e il tuo ragazzo è fortunato ad averti.»
«Non credo che sarà ancora di questo avviso quando saprà che cosa ho fatto!», gli dissi angosciata.
«Non sei obbligata a… nessuno lo saprebbe mai», mi disse sorpreso.
«Ma non sarebbe giusto! Ha diritto di sapere. A quel punto sarà lui a decidere se perdonarmi o no. Non potrei mai sposarlo, tenendogli nascosta una cosa simile!», gli spiegai con le lacrime agli occhi.
«E se decidesse di lasciarti? Non potrei mai perdonarmi di averti rovinato la vita!», mi disse con impeto.
«Ma tu non c’entri. Ho scelto io di fare quello che ho fatto, sapendo a cosa rischiavo di andare incontro. Mi auguro che riuscirà a capirmi e perdonarmi, ma se non dovesse farlo… non potrei certo biasimarlo.»
«Quello che dici, il modo in cui ragioni… vorrei anch’io essere come te! Questi tre giorni è come se fossi rinato, come se avessi ritrovato una parte di me perduta da tempo.»
«Ora però è meglio che vada… ogni istante rischia di diventare più difficile.»
«Dico a Dean di chiamare l’autista. Torno subito», mi disse uscendo dalla stanza.
Mi lasciò da sola nell’oblio. Avrei dovuto essere felice perché in fondo avevo ottenuto quello che per molte ragazze sarebbe rimasto solo un sogno, una fantasia.
Ma non ero felice.
Mentre ero da sola, riuscii a trovare la scarpa che mi mancava e approfittai di quel momento per aprire le finestre permettendo all’aria mattutina di entrare nella stanza.
Raccolsi da terra i vestiti di Rob e, prima di poggiarli sul letto, me li avvicinai al viso per inalarne la sua essenza. Volevo che mi entrasse in circolo nel corpo, volevo che il mio cervello memorizzasse quella fragranza, per non dimenticarmi mai di lui.
Quando sentii la porta riaprirsi, li gettai d’istinto sul letto per evitare che mi vedesse fare una cosa del genere.
«Appena la macchina sarà arrivata, mi avvertirà», mi disse, tornando verso di me.
«Ti ringrazio…», mormorai.
«Non voglio vederti così triste. Avresti mai pensato di trascorrere tre giorni così? Sono stati bellissimi, ed ora, grazie a te, avrò un ricordo stupendo di questa città», mi disse con dolcezza.
«Finché non ti dimenticherai di me!», esclamai a testa bassa.
«Ma che dici?», mi chiese alzandomi il viso.
«Che tra poco tempo, quando riprenderai a pieno ritmo la tua vita, non ricorderai più nemmeno il mio nome!», gli risposi amareggiata.
Rob mi guardò negli occhi cercando di dare un senso alle mie parole. Sbatteva le palpebre velocemente e muoveva la bocca come se non trovasse le parole giuste da dire.
«Come puoi dire una cosa del genere? Non hai imparato a conoscermi neanche un po’?», mi chiese arrabbiato e deluso.
«Credo che Sam ti conosca meglio di me. Sono parole sue, non mie», ammisi controvoglia.
Rob indietreggio, contraendo tutti i muscoli del viso: era furioso.
«Sam ti ha detto che non mi ricorderò nemmeno il tuo nome?!»
Il suo sguardo mi fece pentire all’istante di avergli riferito quel particolare, ma le parole del suo amico mi avevano davvero ferito e, alla prima occasione, ritornavano prepotentemente ad invadere i miei pensieri.
«Già, ha detto che lo avresti dimenticato nel giro di due giorni e che non significavo niente per te», gli spiegai turbata.
Rob iniziò ad agitarsi e a ridere in maniera nervosa e nevrotica: sembrava stesse per esplodere.
«Ma come cazzo…», iniziò a gridare poco dopo, «… Cosa crede? Che mi scopo ogni ragazza che mi fa un complimento!?»
«Io…», provai ad intervenire per calmarlo.
«E tu gli hai creduto?», mi urlò davanti alla faccia.
«No, certo che no! Ma fa comunque male sentirsi dire certe cose…», gli risposi intimidita dalla sua reazione.
Sentendo le mie parole, il suo volto si distese leggermente e la vena sulla sua fronte iniziò a scomparire.
«Non sono il tipo che si porta a letto chiunque», mi disse afferrandomi il viso. «Quello che c’è stato con te è… non mi era mai capitato, devi credermi!»
«Ti credo», riuscii a dire con il respiro accelerato.
In quel momento il telefono della camera squillò e Rob, dopo un momento di esitazione, mi lasciò andare per rispondere alla chiamata.
«Pronto?..... Va bene, tra un minuto arriva», disse riagganciando. «L’auto ti sta aspettando all’uscita sul retro, quella che abbiamo usato ieri sera», mi disse ancora turbato.
Il momento tanto temuto era arrivato: la mia favola personale stava finendo… e senza lieto fine. Rob si avvicinò di nuovo e mi abbraccio, attirandomi a sé. Gli gettai le braccia al collo e affondai il viso bagnato dalle lacrime sulla sua spalla.
«Grazie, grazie di ogni momento passato insieme», mi sussurrò teneramente ad un orecchio.
Alzai il capo, emozionata da quelle parole e, accarezzandogli il viso lo avvicinai a me finché le punte dei nostri nasi non si sfiorarono.
«Robert Thomas Pattinson tu sei un ragazzo straordinario e, se vivessimo in un mondo diverso, io ti seguirei ovunque e lotterei per averti. Farei di tutto per portarti via da lei e per farti innamorare di me: non mi arrenderei mai…», gli dissi perdendomi nei suoi occhi.
«Sono sicura che ci riusciresti…amarti sarebbe la cosa più facile del mondo», mi rispose con intensità, prima di portare le sue labbra sulle mie.
Fu un bacio serio e di una dolcezza inaudita. Gli strinsi le mani dietro la nuca per far aderire ancor più in profondità le nostre labbra. Un bacio denso di emozioni e di significati che aveva il retrogusto amaro di un addio.
L’impeto del momento si affievolì e lentamente ci separammo. Ci fissammo di nuovo e gli feci un’ultima carezza prima di dirigermi verso la porta.
«So che non alcun diritto di chiedertelo», mi disse voltandosi verso di me, mentre stavo per uscire. «…ma, dopo tutto questo,  credi che a novembre…ci sarai? Sarebbe bello rivederti…»
Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano e gli rivolsi un tenero sorriso.
«Guarda tra la folla e mi troverai», riuscii a dirgli sopraffatta dall’emozione prima di correre via da quella stanza.
Dean mi  stava aspettando fuori dalla porta e notò subito il mio viso segnato dal pianto. Mi accompagnò all’ascensore e scese con me fino alla hall.
«Avevo cercato di avvisarla proprio per evitarle tutto questo», mi disse serio, un secondo prima di arrivare a destinazione.
Feci finta di non sentirlo e andai dritta verso l’uscita senza mai voltarmi indietro.
Dean mi aprì la portiera e prima che la richiudesse gli rivolsi un sorriso di cortesia, che lui contraccambio, senza però dirgli una parola.
Quando lo sportello si richiuse, mi accorsi della presenza, vicino a me, di un enorme mazzo di rose rosse. Alzai gli occhi cercando una spiegazione da Giorgio che mi fissava sorridente dallo specchietto retrovisore.
«Credo ci sia un biglietto…», mi disse mettendo in moto.
Lo cercai impaziente ed emozionata e poco dopo lo trovai.
Era un semplice cartoncino bianco in cui era riportata una frase, che non avrei mai più dimenticato:
Sei una ragazza speciale e per questo occuperai sempre un posto speciale nel mio cuore. Con te sono riuscito ad essere me stesso, quel Robert che non vedevo più da tempo. Ora so cosa desidero dalla vita e che tipo di ragazza voglio accanto a me.  Grazie per tua semplicità, la tua onestà e la tua dolcezza.
Con amore,  Rob.”
Tutta la tristezza e la malinconia, svanirono come per incanto, spazzate via da quelle parole scritte con il cuore. Avevo paura di ritornare alla mia solita vita, ma la mia vita non sarebbe mai più stata la stessa.
 
Quell’esperienza mi fece capire che a  volte i sogni non rimangono solo tali e che ciò che più desideri può succederti da un momento all’altro, ma, soprattutto, da quell’istante, mi resi conto che niente, nella vita, mi sarebbe più sembrato impossibile.
 
 
 
 
 
 
                                                                         Dedicato a tutti quelli che credono nei sogni…

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