Enea

di Vabrazenje
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il diario ritrovato ***
Capitolo 2: *** il silenzio ***
Capitolo 3: *** la scelta ***



Capitolo 1
*** il diario ritrovato ***


1.

il diario ritrovato



Dal rapporto della dottoressa Jill Sanders , centro studi  sul paranormale

Durante il sopralluogo alla villa segnalata da alcuni collaboratori il 3/05/2013 , abbiamo rinvenuto un  reperto insolito, ma non per questo poco interessante. Non ha data, ma il contenuto e lo stato di deterioramento del documento ci fa presentire che sia almeno di cinque secoli fa , ma le analiosi di laboratorio sapranno dare ulteriori precisazioni. Ora come ora assieme al dottor Roger ci apprestiamo a dare una lettura al documento, con tutti gli accorgimenti del caso ( il campione per il il laboratorio è già stato prelevato, a giorni il risultato) . Presto potremmo dire di più,
in fede
Jill Sanders.

“Non avrei mai pensato di dover scrivere delle mie memorie, ma  date le circostanze , la noia , il tedio mortale che m’assale, credo sia venuto il momento di trovare un compagno che mi segua fino a quella che sarà la fine dei miei giorni, ammesso che quel benedetto giorno arrivi mai.
Dunque lettore, mia salvezza e ipotetico compagno, forse ti chiederai  chi con tanta solerzia ti scrive. Ebbene   nacqui come Enea d’Avinhon, figlio di un povero stalliere senza nome ai servigi del conte, e di una povera donna senza nome, sfiorita dalla tanta fatica . 
Ero l’ultimo di una lunga serie di lutti: molti sostenevano che l’utero di mia madre fosse maledetto, ogni parto era un fallimento. Fui preso come un miracolo dunque, al punto che i miei cari genitori riposero notvoli speranze su di me, il loro unico figlio maschio.

Per quanto questo potesse lusingarmi la mia vita era più che commiserevole: la mia schiena si piegava sotto ai sacchi  pesanti da trasportare da un luogo all’altro. L’odore della stalla si legava alla mia pelle in modo del tutto insopportabile, e quelli, quei dannati damerini  cui sellavo le bestie ridevano di me.
Ridevano dei miei stracci! Li ricordo ancora, ricordo quanto fossero legati nella loro etichetta di corte, ma quanto fossero animali lontano degli occhi severi dei rispettivi precettori.  Uno di loro credo si chiamasse Gerard. Forse il suo nome mi  confonde ,ma ricordo perfettamente il suo viso deformato dal disprezzo , il cipiglio fiero, i capelli scuri sotto al cappello in velluto ben lucidi e pettinati, il naso fine e le labbra sottile, gli occhi chiari e vaghi. 
Era uno di quelli che più si divertiva a battermi sulla schiena con quei pesanti bastoni.

Un giorno mi stavo occupando dei cavalli , e vennero.  Già temevo il loro cipiglio nerovoso. Sì , allora ancora provavo paura. Dicevo, il loro atteggiamento sfrontato mi dava da pensare a qualcosa del tutto negativo, e gettando a terra gli attrezzi cercai di rifugiarmi dove meglio potessi, ma invano.
Eccoli, Gerard in testa. Mi sono sempre chiesto perché l’avessero fatto. In due mi arpionarono ai lati , intimandomi  di abbassare la testa , provai a lottare anche a costo di essere severamente punito, ma non  riuscii ad evitarlo. Sentii delle mani avide abbassarmi i calzoni e poi un fortissimo dolore . Presi a sudare , a divincolarmi ,  quelle mani sul fondo della schiena mi stringevano tanto da non permettermi alcun movimento. 
Questo mi fecero quei tre cani , per farmi imparare chi comandasse veramente, chi aveva il potere, chi aveva il diritto di disprezzarmi.

Devo dire che quest’evento mi segnò fisicamente e nell’animo. Il dolore fu notevole anche nei giorni seguenti, così i lividi lasciati, ma più fu il silenzio generale sotto il quale tutto venne a nascondersi.
Un silenzio che si sarebbe potuto tagliare come burro tanto era denso , stopposo e così disgustoso da farmi dar di stomaco. Così fu anche l’umiliazione. Non che allora godessi di un  grande amor proprio, ma mi era stata tolta quella piccola dignità di cui potevo godere.  Questo era quello che sentivo.
Fu così che iniziai ad odiare: nell’odio passai le mie giornate, nell’odio crebbi. Erano solo le silenziose lacrime della cara madre a darmi quel piccolo conforto che altrove non trovavo,benchè silenziose rimasero, se non nella prospettiva di una futura vendetta, che tuttavia non avevo modo , ancora, di mettere in atto."

Finalmente abbiamo terminato la traduzione delle prime pagine , per ora non abbiamo rilevato elementi inerenti alla ricerca, necessitiamo di maggiori elementi ,
ci aggiorniamo
Jill Sanders

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Capitolo 2
*** il silenzio ***


2.

il silenzio
 



Dal rapporto della dottoressa Jill Sanders , centro studi  sul paranormale

Il lavoro si fa più complesso del previsto alcune parti del reperto sono andate deteriorandosi , stiamo cercando di lavorare con delicatezza, ma questo rallenterà la ricerca. Siamo riusciti a tradurre il testo, è in pura langue d’oc, ma non sarà un’ostacolo.  Allego il seguito del testo ,
in fede
Jill Sanders


“Quanto dolore e miseria lettore.
Quanto rimasi a rimuginare sul come e sul perché , quando poi capii che non c’era un perché. Esisteva solo il potere e chi poteva esercitarlo più o meno agevolmente, e io non ero tra questi. Nell’odio e nel silenzio trascorrevo le mie giornate, animate solo dal lavoro, dall’umiliazione. Ancora ricordo quel tentativo disperato di cercare nelle braccia calde di una madre la consolazione. 

Dolente dopo il lavoro raggiunsi la mia umile casa , i lividi ancora freschi sul corpo .  –Madre…-  salutai mantendendomi a distanza. Lettore forse non sai con quale distanza,in quel tempo, separava i figli dalle madri, per non dire dai padri. 
Mantenevo il volto basso mentre lei strofinava i panni al bordo di un catino , la fronte segnata da una ruga severa  - Madre volevo parlarvi, io sono così infelice! - . La vidi voltarsi verso di me , avevo attirato la sua attenzione .
– E che mai ti mancherà? Ringrazia che tuo padre ti dà del pane da mangiare! -  A quanto pare la discussione era terminata , ma invece ..
– No madre, non posso rimanere ancora in silenzio! Voltatevi, guardatemi!-  Probabilmente non avrei dovuto -  E che mai dovrei vedere? Vediamo, visto che alzi tanto la voce, mascalzone- . Subito s’alzo , le mani poggiate sui fianchi larghi , un ricciolo le scappava dal  fazzoletto bianco sul capo. Lo sguardo severo percorse la mia figura ,  e per un attimo indugiare sull’ematoma sul viso che purtroppo era l’unico testimone di quello che ero costretto a subire. 
Spinto da quel lampo di comprensione che le vidi negli occhi le poggiai le mani sulle spalle , quasi stringendola , seppur con leggerezza -  Madre, non posso continuare a subire tutto questo ! Quel branco di cani, quei giovinetti che bazzicano a corte mi hanno fatto le cose più indegne ! Fate qualcosa per me, mi sento perso!- 
Non mi vergogno a dire che la disperazione era tale da strapparmi delle lacrime , ma nemmeno quelle potevano qualcosa contro l’egida del potere , che può sotterrare nel cuore di una madre l’amore perun figlio. La vidi scossa da un tremito: orrore , indecisione? 
Non so perché ma la vedevo sempre più piccola , fragile, finchè guardando in basso – Enea, fallo per  me e tuo padre- . La vidi voltarsi e lasciare la stanza , non riusciva a guardarmi .

Dilaniato dal dubbio passai una notte insonne, tra orrendi ricordi e il dolore nel cuore.  Sognai d’essere su una zattera in mezzo al mare burrascoso , che con la sua violenza cercava di farmi sprofondare nei flutti. Le mie energie non erano sufficienti, cercavo di trovare l’equilibrio, un appiglio , e il mio respiro si faceva affannoso, disperato, i miei piedi scivolavano e delle mani viscide mi trascinavano nell’abisso.
Ormai caduto tra le onde non  riuscivo a respirare , mi stavano uccidendo, vidi una mano tesa verso di me e non esitai ad afferrarla. Era  tutto così reale che mi svegliai improvvisamente . 
C’ era qualcuno o qualcosa seduto al bordo del mio letto.

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Capitolo 3
*** la scelta ***


 

3.

la scelta




 

 

In un momento di paura cercai di trovare una via di fuga, ma un sussurro che non aveva alcunchè di familiare mi immobilizzò . 
La luce candida della luna che penetrava appena dai panni che serravano la finestra , riusciva a illuminare un volto di donna :una donna splendida , così  bella che credevo che finalmente mi fosse stata concessa la grazia dal buon Dio.
La luce disegnava la figura di un angelo,  se non addirittura della Vergine Madre : sedeva composta tenendo le mani in grembo, le labbra sottili contratte in un sorriso , riccioli neri che le accarezzavano le carni marmoree in perfetto contrasto con le labbra vermiglie. Completamente stupido non potevo che ammirarla senza dire alcunchè.  Lei stessa prese la parola.
-  Enea, perdonate l’intrusione nella vostra dimora, ma non ho potuto resistere alla vostra chiamata- 
Forse avevo parlato nel sonno?
-  La chiamata del vostro rancore- 
Non riuscivo a capire
– Non tutto al mondo ci è comprensibile , ma ci sono cose che per quanto incorporee lasciando il segno..  -
Che leggesse nella mia mente?  La vidi farsi vicina e  fui scosso da un tremito. Un qualcosa di irrazionale mi spingeva a una strana attrazione-repulsione  per quella  figura così irreale nel suo abito bianco, così morbido lungo il corpo flessuoso e femminile.
– Peccato che non ci sia un posto per te nel mondo, non è vero Enea? - 
- Come conosci il mio nome? –  la mia voce apparve quasi come un singulto, tanta era la tensione , ma per cosa ?
Lettore se sapessi quanto le mie emozioni  fossero contrastanti in quel momento. Per quanto fossi portato a fuggire via , c’era qualcosa di magnetico in quella donna, qualcosa di dolce, forse la comprensione che cercavo?
– Enea , io ti voglio offrire un’alternativa a tutto questo. Ti voglio offrire la possibilità di un riscatto, di vendetta- .
Vendetta, ne sentivo la fame .
– E come potresti tu offrirmi tutto questo? -  chiesi quasi con un sorriso di scherno, quasi ormai convinto che l’insonnia generasse strane visioni.
– Dubiti delle mie capacità? – disse ergendosi  in tutta la sua figura e  sedendosi accanto a me in uno svolazzare di vesti. Felina muoveva passi su e giù per il fienile, non curante che di lì a poco qualcuno si sarebbe potuto svegliare.
– Io posso fare di te un Dio se lo vuoi, basta che tu mi dica di sì. -  Sorrise , e il suo volto da angelico prese una piega del tutto diversa, ma non meno affascinante.
– Perché me? Cosa vuoi in cambio?-.
- La tua anima e la tua devozione.. Per una vita immortale, di grazia e bellezza, ma anche di forza e potere, lo conosci il potere? Non è vero? - .
Sentivo i suoi occhi penetrare i più reconditi spazi della mia anima , quasi mi conoscesse. Le feci un cenno, del tutto impotente. Non fui mai sicuro di essere davvero stato io a decidere .  La vidi  avvicinarsi morbida e lasciva, qualcosa di  celestiale ma perverso, qualcosa a cui non potevo rinunciare ormai.
Ogni minuto pesava come una vita intera, ogni suo passo sembrava non sfiorare quell’immondo suolo mortale. Come in un sogno la vidi prendermi per mano e farmi cenno di seguirla, cosa che non esitai a fare , oltrepassando finalmente e per l’ultima volta la soglia di casa mia .
Alla luce della luna seguivo i suoi passi leggeri, furtivi, ero spinto come da una forza invisibile, una brama di rispondere a ogni suo desiderio. Evitando le vie principali della cittadella uscimmo dalle mura, spingendoci nel folto del bosco .  Come potevo assecondare una scelta tanto folle? Non m’importava d’altri che di quella figura eterea che mi guidava verso un’abisso senza nome. Come in un incubo mi sentivo perduto, senza volontà, la temevo e non potevo non desiderare quella stretta che m’avvolse lì, al canto del gufo. 
Ormai tra le sue braccia persi il senso del tempo e dello spazio, sentii solo prima un forte dolore e poi il piacere più forte che mai avevo potuto provare, che mi portò a stringerla ad assecondare quella  fame che mi privava della mia stessa anima.  Solo il fruscio delle foglie e la stessa luna furono testimoni della fine della mia vita mortale : privo di forza mi accasciai sull’erba fresca , mentre il mio cuore batteva gli ultimi rintocchi.

Mi sembrò di sognare a lungo. Mi trovavo in un luogo bianco senza dimensioni e senza suoni, non avevo la minima idea di come ci fossi arrivato.  In un momento mi accorsi che c’era una strada davanti a me, adorna di fiori e illuminata dal sole . Avrei preso quella via se solo non avessi sentito un forte dolore al petto , che sembrava scoppiare. Ormai carponi capii che dovevo prendere una decisione , ma quale?  Fattosi forte il dolore a mala pena riuscivo a guardarmi attorno, quando qualcosa prese a piovere da un ipotetico cielo. Mi cadeva sul viso, era qualcosa di caldo e denso. L’istinto mi portò così a schiudere le labbra e quella pioggia divenne un fiume, pieno di lacrime e di tristezza. Avevo fatto la mia scelta.

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