Respiro nel buio

di j4efp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio ***
Capitolo 2: *** Sospetti fondati ***
Capitolo 3: *** Il boccone di traverso ***
Capitolo 4: *** Il tubo che perde ***
Capitolo 5: *** Passo tremante ***
Capitolo 6: *** Istruzioni ***
Capitolo 7: *** Problemi di lavoro ***
Capitolo 8: *** Il complice prigioniero ***
Capitolo 9: *** Risentimento ***
Capitolo 10: *** Sonno mancato ***
Capitolo 11: *** Speranza e confessione ***



Capitolo 1
*** Buio ***


Il gorgogliare dell’acqua nei tubi era il solo rumore che spezzava il silenzio.
Solo il dolore gli confermava che era vivo.
Il buio lo circondava, lo soffocava, gli stringeva il petto in una morsa lancinante.
Ormai era talmente abituato al buio che neanche ricordava come fosse fatta la luce.
Il suo mondo era nero adesso.
Dan era disteso, immobile sul pavimento.
Aveva freddo, le braccia intorpidite e la schiena dolorante. I sedativi che gli avevano fatto ingurgitare a forza facevano in modo che i suoi pensieri si ingarbugliassero e si trasformassero in matasse di parole messe a caso.
Per lui il tempo non esisteva più, non poteva scorgere la luce del giorno, viveva costantemente nella notte, e neanche la sua pancia era più un orologio affidabile, aveva così fame che pareva che il suo stomaco si stesse mangiando da solo.
L’odore di umido gli invadeva le narici, se solo avesse avuto qualcosa da vomitare lo avrebbe fatto, ma non aveva niente, a parte il dolore e la stanchezza che lo incatenavano spietati al pavimento.
Non sapeva bene come ci fosse finito li, a pancia all’aria, il buio che aveva fuori pareva entrargli anche dentro e gli oscurava i ricordi e ogni pensiero razionale.
“Gli alieni” si disse, “Sono stato rapito dagli alieni”.
L’immagine di un volto verde e spettrale gli balenò in mente per un secondo, e si chiese mai che cosa volessero gli alieni da lui.
“il mio sangue?  Il mio cervello?”
Considerando la seconda opzione, ridacchiò tra sé e sé in modo macabro, non avrebbero trovato pane per i loro denti: gli sembrava di avere la testa vuota, pesante solo del buio che la riempiva.
All’improvviso vide uno spiraglio di luce, un bagliore sottile che pian piano si allargava fino a diventare un rettangolo giallo e solitario qualche metro davanti a lui.
La figura che distinse, per quel che riusciva a vedere, non aveva nulla che potesse sembrargli particolarmente alieno.
Certo, era rimasto frastornato dalla potenza luminosa che gli aveva improvvisamente bruciato gli occhi, ma era quasi certo di poter affermare che quella cosa alta e sottile che si muoveva a passi rapidi verso di lui era un uomo.
Anche la sua voce pareva decisamente non aliena << Sai perché sei qui? >>
Che domanda idiota, a stento ricordava il suo nome, non era in vena di pensare.
<< Sai perché sei qui? >> ripeté ancora una volta l’essere che lo sovrastava.
Dalla bocca gli uscì un rantolo soffocato, decisamente diverso dagli insulti che avrebbe voluto lanciare.
<< Lo prendo come un no. >>
Dan non riusciva a distinguere il volto dell’assalitore, ma i suoi occhi erano ancora decisi a scorgere una possibile tinta verdognola nella pelle.
<< Alieno >> sussurrò.
L’altro arricciò le labbra e si abbandonò ad una risata intessuta di scherno.
<< Se fossero stati davvero gli alieni a rapirti saresti stato molto più contento ragazzino, purtroppo qui siamo ancora su questa feccia chiamata Terra >>
Restò in silenzio, Dan riusciva appena a scorgere il suo profilo nero.
<< Cosa vuoi? >> la voce del ragazzo era appena udibile sopra il frusciare dell’acqua dei tubi sul soffitto.
<< Siamo sulla Terra , Phormistune, a cosa credi che aspirino gli uomini? >>
Ancora domande, questo tipo era proprio idiota.
<< Potere >>
Idiota.
<< E come posso esserti utile io in questo? Lasciami andare >> quest’ultima frase richiese tutte le energie di cui Dan disponeva.
Restò in attesa, gli occhi che cominciavano ad abituarsi allo splendore accecante della luce e il respiro affannoso come se avesse appena corso per metri e metri.
<< Fidati ragazzo, in tutta questa commedia tu avrai un ruolo piuttosto importante >>.

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Capitolo 2
*** Sospetti fondati ***


Nelson Phormistune aveva fame e l’assistente che aveva mandato a comprargli il pranzo non si faceva ancora vedere.
Sbuffò impaziente, cercò di leggere qualche documento che giaceva malinconico sulla sua scrivania, ma le parole gli scivolavano via dalla mente come se fosse acqua fresca.
Pensò che forse, come capo dell’azienda, la sua efficienza lavorativa non avrebbe dovuto fermarsi di fronte a uno stomaco vuoto, ma mandò subito al diavolo quelle riflessioni, non ne era proprio capace.
Il suo sguardo si soffermò sul cellulare buttato lì a fianco.
Nelson amava la tecnologia, in fondo era di questo che si occupava la sua impresa.
La Phormistune Security and Technology si occupava di programmi antivirus per computer di ultima generazione, e Nelson che negli ultimi anni ne aveva lanciati ben cinque, uno più potente dell’altro, non solo aveva incassato parecchio denaro, ma aveva fatto anche importanti conoscenze e aveva avuto molte raccomandazioni da parte di aziende tecnologiche avanzate.
Grazie alla fortuna che aveva raccolto agli esordi della sua carriera, lui e la sua famiglia avevano lasciato la Scozia e si erano trasferiti a Londra, la grande città dell’eterna pioggia.
Mentre Olivia era stata contentissima di lasciare finalmente la cittadina in cui era rimasta confinata per anni, Daniel non ne era rimasto affatto contento.
Nelson pensò che non potevano esistere al mondo due persone più diverse dei suoi figli: Olivia amava leggere, studiare, fare calcoli e risolvere problemi matematici. Amava la tecnologia e soprattutto aspirava al successo e al denaro per eguagliare suo padre e addirittura superarlo.
Per lei gli affari erano il fulcro della vita e quando seppe che si sarebbe trasferita a Londra era letteralmente impazzita di gioia.
Dan era di tutt’altro stampo.
Non era mai stato interessato allo studio, si manteneva appena a scuola e i soldi erano la sua ultima preoccupazione e ambizione.
Aveva sempre preferito lo sport e l’aria aperta agli ambienti chiusi e limitati dietro una scrivania e un computer, che invece erano l’habitat naturale di Olivia.
La notizia del radicale cambiamento lo aveva spiazzato, i suoi occhi verdi avevano sprizzato scintille di rabbia.
<< Come potete togliermi tutto quello che ho? La mia vita è qui! >>
<< Via via Danny >> aveva detto Olivia con aria di rimprovero << Dovresti essere contento, è una grande opportunità per papà e per noi  >>
<< Stai zitta saccentona  >>
<< Come osi… >>
<< Ragazzi basta >> era intervenuta Rose, cercando di dare un taglio all’ennesima lite dei figli.
I ricordi di Nelson poi si sfumavano nell’espressione arrabbiata di Dan e quella seccata di Olivia.
Gli era dispiaciuto costringere il figlio a lasciare i suoi amici più cari, ma quel trasferimento non era un’opportunità da perdere, la P.S.T. sarebbe cresciuta e sarebbe diventata famosa in tutto il Regno Unito, e forse nel resto del mondo.
Così era stato; la piccola azienda, che aveva attirato su di sé gli occhi di personalità importanti in campo di tecnologia e sicurezza informatica, si era evoluta  e adesso Phormistune poteva vantarsi dicendo che il suo ultimo programma Lokservice5 era uno dei più utilizzati nell’isola britannica e negli Stati Uniti.
Sentì lo stomaco brontolare e pregò che quella maledetta assistente arrivasse di lì a dieci minuti, altrimenti sarebbe stato peggio per lei.
 
                                                                                                    *
 
La giornata scivolava via lenta, tra scartoffie da leggere e documenti da firmare, quando arrivò all’improvviso una telefonata inaspettata.
<< Nelson Phormistunhe, direttore della P.S.T., dica pure. >>
Fu lieto di sentire che dall’altro capo del telefono era Rose a parlare, ma il suo buonumore si tramutò presto in qualcos’altro ascoltando le sue parole.
<< Nelson, hai la minima idea di dove possa essere finito tuo figlio? >>
La voce della moglie suonava arrabbiata, ma una nota di preoccupazione era evidente.
<< No, sai che di solito si comporta come se non ci conoscessimo. Cosa è successo? Sembri preoccupata >>
<< Preoccupata?!? >> sbraitò lei dall’altro capo del telefono tanto forte che l’uomo lo allontanò dall’orecchio.
<< Non ho idea di dove sia. Non è tornato da scuola e pensavo che si fosse fermato da un amico senza avvisare, ma visto che si era fatto piuttosto tardi ho chiamato sia Alex sia Paul.  Entrambi mi hanno detto che Dan si era avviato verso casa appena finite le lezioni. Non mi risponde neanche al cellulare, non so cosa devo fare, mi sta facendo preoccupare troppo. >>
<< Avanti Rose, starà facendo una passeggiata. Forse non è in vena di sopportarci e sta tentando di nuovo di intraprendere la strada del senzatetto, tornerà per ora di cena. >>
<< Non so… >>
<< Beh allora vuoi chiamare la polizia? Fai come credi, ma non penso che ci sia da allarmarsi tanto. A dopo. >>
<< A dopo. >> sospirò lei rassegnata e riattaccò il telefono.
“ Si preoccupa sempre troppo”  si disse Nelson, fissando il viso pallido della moglie che gli sorrideva allegra dalla cornice accanto al portapenne.

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Capitolo 3
*** Il boccone di traverso ***


Rose tamburellava ansiosamente le dita sul tavolo.
La cucina era deserta e silenziosa.
Poteva sentire il ronzio della musica che proveniva dalla camera di Olivia al piano di sopra.
“dove sei?” si ripeteva in mente “sciagurato, dove sei?”.
Visto che non era telepatica e non si aspettava che Dan potesse rispondergli tramite pensiero cercò di domare la sua agitazione preparandosi una tazza di tè.
Guardando l’acqua che bolliva lentamente nel pentolino non poté che ritornare con il pensiero a Dan.
Nelson le diceva sempre che era troppo ansiosa, Rose era dell’idea che prevenire fosse meglio che curare, anche se non poteva dargli torto.
Mentre si accingeva a portare la tazza alle labbra pensò che forse le nove di sera non era proprio un orario adatto per prendere il tè, ma di solito funzionava bene come calmante, quindi lo bevve lentamente prima di aprire il frigo e rovistarci dentro in cerca di qualcosa per preparare la cena.
Mentre affettava le carote il campanello suonò e lei sobbalzò per poi lanciarsi di corsa verso la porta d’ingresso.
Ma non era Dan, era solo Nelson che ritornava dall’ufficio nel suo cappotto nero.
<< Che buon profumo? Arrosto? >>
<< Danny non è ancora tornato. >> fu la risposta che ottenne, e sentendo quelle parole cominciò davvero a sentirsi preoccupato.
Era già capitato altre volte che suo figlio non si facesse vedere fino a ora di cena senza lasciare notizie o avvertimenti, ma ormai la lancetta dell’orologio della cucina sfiorava le dieci.
Così, mentre posava il giaccone sullo schienale di una sedia esplicitò le sue preoccupazioni alla moglie.
<< Cosa ti avevo detto! È tutto molto strano, e tu non hai voluto ascoltarmi. >>
<< Ha diciassette anni Rose, stare fuori fino a tardi di lunedì sera fino alle otto, nove o giù di lì è perfettamente normale, ma adesso mi sembra strano che non sia ancora rientrato o perlomeno che non ci abbia fatto sapere niente. >>
Rose lo fissava mordendosi il labbro preoccupata.
<< Chiamiamo la Polizia >> sussurrò.
<< La polizia? La situazione ti sembra così catastrofica? >>
<< Sei suo padre dannazione! Come fai a prendere questa situazione alla leggera! Chiamiamo questa stramaledetta polizia e facciamoci portare a casa Dan >>
Era sull’orlo delle lacrime, e Nelson non aveva voglia di contraddirla.
Infondo chiamare la polizia era la scelta migliore da fare in quel momento.
Non aveva neanche finito di pensarci che Rose stava digitando il numero sulla cornetta del telefono.
Pochi secondi dopo la sentì confabulare in modo agitato.
Quando ripose la cornetta al suo posto sembrava leggermente più tranquilla.
 
 
<< Dov’è Daniel? >> chiese Olivia distrattamente guardando il posto vuoto di fronte a lei.
Il padre era troppo impegnato ad inghiottire il suo arrosto per risponderle, così intervenne la madre.
<< Non lo sappiamo >> la sua voce era rotta.
Rose non aveva toccato cibo, la sua fettina attendeva fumante nel piatto, ma lei non la degnava di uno sguardo: i suoi occhi erano fissi sullo spazio vuoto che avrebbe dovuto occupare il figlio se fosse stato lì con loro.
<< Come no? >> la ragazza era rimasta sorpresa, il suo sguardo si spostava incredulo dal padre alla madre.
<> gli occhi le divennero lucidi.
<> aggiunse velocemente Nelson cercando di tranquillizzare sia la moglie sia la figlia.
Rimasero in un silenzio carico di tensione.
Olivia continuava a fissare spaventata la madre le cui mani tremavano appoggiate sulla superficie del tavolo.
Nelson guardava il suo piatto come se potesse scorgere tra i disegni sulla ceramica qualche indizio che gli permettesse di scoprire dove si era andato a cacciare suo figlio.
Il trillare del telefono lacerò l’atmosfera densa e, prima che Nelson potesse alzare gli occhi, Rose era già scattata in piedi.
La guardò mentre sollevava la cornetta speranzosa.
<< Pronto? >>
<< Buonasera signora Phormistune, scommetto che stava aspettando impazientemente la mia telefonata. >>
<< Chi è lei?>>
Nelson intuì dall’espressione di Rose che l’interlocutore dall’altro capo del telefono non era certo la polizia.
<< Mi presento subito, il mio nome è Corvo, e presumo di avere l’onore di parlare con Rose Phormistune. >>
<<  Corvo non è un nome. Mi dica chi è. >>
<< Non credo che le dovrebbe interessare il mio nome, ma piuttosto quello che voglio da lei, a dir il vero da suo marito, me lo passi >>
Rose era terrorizzata, sai Nelson sia Olivia si alzarono e la affiancarono.
Non riuscendo a capire cosa turbasse tanto la moglie, Nelson premette il vivavoce dato che lei non sembrava in grado di fare alcunché.
<>
<< Chi diavolo è lei? >> questa volta era stato Nelson a parlare.
<< Oh Phormistune sei tu finalmente. Ti consiglio vivamente di seguire le mie istruzioni d’ora in avanti se ci tieni a rivedere tuo figlio >>

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Capitolo 4
*** Il tubo che perde ***


Una goccia, due gocce.
Era appoggiato al muro della sua cella, uno scantinato ammuffito nelle viscere di chissà che luogo abbandonato da Dio.
Tre gocce, quattro gocce.
Respirava a fatica l’aria densa, gli pareva che mille pugnali gli trafiggessero il petto.
Cinque gocce, sei gocce.
“Dove diavolo sono?”
Sette gocce, otto gocce.
“Tiratemi fuori. Perché nessuno mi aiuta?”
Dan Phormistune lasciava vagare i suoi pensieri tristi come l’oscurità della stanza in cui si trovava.
Aveva recuperato le forze, anche se pochissime.
Si sentiva ancora spossato e passava la maggior parte del tempo a dormire.
Gattonando alla cieca aveva esplorato la stanza ed era riuscito a organizzarsi nella mente una mappa sommaria del piccolo locale.
A circa due metri alla sua sinistra da dove si trovava in quel momento c’era un piccolissimo box, giusto lo spazio per un gabinetto e un paio di gambe.
Poi da qualche parte imprecisata alla sua destra un lavandino dal tubo che perdeva, il rumore di quelle gocce era la sua unica compagnia. Aveva di nuovo perso il conto.
Una goccia, due gocce.
Si chiese da quanto tempo fosse lì, non aveva la benché minima nozione del tempo, e si domandò anche se i suoi genitori si erano presi la briga di andarlo a cercare, in ----fondo pensò che fosse trascorso un quantitativo di tempo preoccupante da quando lo avevano visto l’ultima volta.
Giocherellò con il lembo della maglietta sudicia che si era ritrovato addosso quando era rinvenuto sul pavimento.
Lo avevano spogliato sei suoi vestiti e per qualche strano motivo li avevano rimpiazzati con questa maglietta logora e puzzolente e un paio di pantaloni cascanti.
Gli pareva di essere vestito con un ruvido e pungente sacco di patate.
Pensò al suo rapitore.
Aveva detto di chiamarsi Corvo o qualcosa del genere, sicuramente un nome in codice, e non era riuscito mai a distinguere il suo volto. In realtà non aveva avuto la possibilità di scorgere un bel niente, visto che il buio lo accecava più della luce, e questa, le poche volte che appariva, non lo aiutava affatto a vedere meglio.
L’unica cosa che era certo di poter affermare era che il suo assalitore era alto e magro, un’ombra silenziosa dalla voce roca e lugubre che, quando ridacchiava, gli faceva venire i brividi.
“Cosa vuole da me?”
Ancora non era riuscito a capirlo, anche se l’ipotesi più probabile suggeriva che proprio da lui non volesse niente, anzi, forse il vero obbiettivo era suo padre.
“Deve essere per forza così”
Si, senza dubbio, infondo Nelson era diventato abbastanza famoso ultimamente, lui e quella sua P.S.T..
Non che Dan non fosse felice per il successo del padre, anzi era contentissimo che fosse riuscito a realizzare il suo sogno portando nell’agio la sua famiglia.
Purtroppo però per questo era stato costretto ad abbandonare i suoi amici: Peter, Albert, Claire…
Claire.
Il solo pensiero gli fece male, più male delle sue gambe abbandonate deboli sul pavimento.
Era stato innamorato di Claire, dei suoi fruscianti capelli biondi e della luce maliziosa dei suoi occhi, ma lei lo aveva tradito, ingannato, illuso.
Scacciò il pensiero molesto, quella situazione era già abbastanza angosciante, non riusciva a sopportare il dolore fisico e non aveva la minima voglia di aggiungerci anche quello del cuore.
I suoi occhi verdi si persero nel buio, ancora.
Si sentiva solo, terribilmente solo, persino Olivia sarebbe potuta essere una compagnia piacevole in quel momento.
A volte era proprio insopportabile quando faceva ondeggiare i suoi capelli scuri e si pavoneggiava con il naso all’insù: “io di qua, io di là…”
Ma Dan non sapeva cosa avrebbe dato per poter di nuovo accarezzare con lo sguardo il volto fiero di sua sorella, o ancora meglio, quello dolce della madre.
Se la immaginò rannicchiata sul divano, tremante, mentre si stringeva una coperta addosso, una tazza di tè in bilico su un bracciolo, la mano di Nelson appoggiata sulla sua spalla per confortarla.
“Conforta anche me papà” pensò, il volto di Nelson che brillava nitido nella sua mente. “Conforta anche me.”

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Capitolo 5
*** Passo tremante ***


Valery Hid stava tornando a casa.
La sua spalla fragile reggeva a stento la borsa piena di libri e la sua figura pallida si confondeva nella folla di studenti.
Non aveva la minima voglia di aprire la porta venendo accolta solo dal silenzio, così decise di perdere un po’ di tempo, deviando su una strada più lunga e stipata di negozi.
Si fermò più volte davanti alle vetrine per ammirare gli splendidi abiti esposti, ma anche per osservare il suo riflesso sbiadito nel vetro.
Valery non si era mai piaciuta, con quei lisci capelli neri che le cadevano sulla schiena, il viso così bianco e diafano che avrebbe potuto far invidia a un fantasma e grandi occhi scuri che spiccavano nella pelle chiara.
Era anche piuttosto mingherlina, esile e fragile, così diversa dalle sue compagne di scuola belle da mozzare il fiato.
Valery aveva sempre vissuto nell’invidia.
Avrebbe voluto essere bella, sportiva, amata da tutti, ma soprattutto avrebbe voluto avere una famiglia.
Una famiglia vera, fatta da una madre e un padre.
Voleva bene allo zio Adam, che la aveva accolta sotto il suo tetto quando i suoi genitori erano venuti a mancare molti anni prima, ma con lui non si sentiva completa e felice.
Vivevano in una villetta fuori dal centro, giusto a venti minuti di metropolitana dalla Waterloo Station, due piani, una cantina e persino un piccolo terrazzino  dove le piaceva prendere il te alla luce del pallido sole inglese.
Si aggiustò meglio la tracolla della borsa, adocchiò la stazione della metropolitana e scese gli scalini tenendosi saldamente al corrimano.
Era di nuovo sola, seduta su una panchina del binario a guardare gruppetti di adolescenti appena usciti di scuola che si accingevano a tornare a casa.
Quanto odiava essere sola, lo odiava con tutta se stessa, ma purtroppo aveva grandi difficoltà a farsi degli amici.
Forse perché con quel suo viso magro e malinconico non ispirava tanta simpatia, o forse perché sedeva sempre curva e muta al suo posto, rivolgendo di tanto in tanto dei sorrisetti timidi a qualche gentile compagno di classe che si soffermava a rivolgerle la parola, ma mai per di più di qualche minuto.
Si faceva pena da sola e aveva bisogno di conforto, ma l’unica persona che aveva al mondo, lo zio Adam, non le era affatto d’aiuto.
Era sempre impegnato nel suo lavoro, ambizioso e caparbio.
Aveva l’impressione che lo zio provasse uno scarso interesse nei confronti del suo benessere, egoista com’era non si era mai accorto che qualcosa non andava.
E adesso era arrivato un nuovo fardello, un altro ostacolo alla sua tranquillità che avrebbe tenuto così occupato lo zio da fargli completamente dimenticare della sua povera e infelice nipote, nel pieno di una cris.
Ormai la sua adolescenza era quasi finita, stava per varcare la soglia dei diciotto anni di lì a qualche mese, e non aveva ancora idea della strada da intraprendere per il futuro.
Un rombo scosse il pavimento e lei si alzò con un pensiero malinconico che le vorticava nel cervello.
“Per ora mi basta prendere il treno”

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Capitolo 6
*** Istruzioni ***


<< Quello che voglio è molto semplice. Farò in modo che ti arrivi una chiavetta che contiene un programma chiamato HiddenForce. È un virus, inutile nasconderlo, il programma diagnostico dei tuoi macchinari lo rivelerebbe sicuramente. Proprio per questo ho scelto te. Essendo il capo sei in grado di evitare i controlli mettendo direttamente a disposizione il programma in rete facendolo passare per un tuo nuovo e infallibile prodotto. Fagli una bella pubblicità mi raccomando. >>
Ridacchiò piano.
<< Naturalmente ti terrò sotto controllo. Non devi commettere errori e soprattutto stai attento a non farti scoprire dai tuoi tecnici. Sarebbe una rovina più per te che per me. >>
<< Quali sono gli effetti del virus? >>
<< Non vedo come questa informazione possa esseri d’aiuto. >>
<< Dimmelo! >> Ruggì Nelson attaccato alla cornetta.
<< Vedi di moderare i toni, se non mi sbaglio sono io ad avere il coltello dalla parte del manico. Non farti beccare o tuo figlio muore. >>
<< Come farò a ricevere la chiavetta? >>
<< A questo ci penserò io. Tu fai il tuo dovere, Phormistune, e vedi di riuscirci bene. >> detto questo riattaccò.
Nelson rimase impalato, con la mano sudata stretta in pugno tanto forte che le unghie gli erano penetrate nella carne.
Rose pareva sul punto di svenire, Olivia, molto pallida anche lei, la afferrò per un braccio e la aiutò a distendersi sul divano.
<< Cosa faremo papa? >>
<< Per ora >> rispose lui lugubre << Quello che ci dice >>.
 
 
 
 
Corvo sorrise tra sè e sè soddisfatto.
Se il piano avesse funzionato avrebbe fatto soldi a palate.
L’informazione che aveva taciuto a Phormistune saltellava allegra nella sua mente: Il virus serviva a far surriscaldare il computer, danneggiarne i file e a rendere accessibili i dati personali di ogni utente.
Il virus era stato studiato appositamente per combattere ogni tipo di programma antivirus ideato dalla P.S.T. , soprattutto l’ultimo, il più potente, Lokservice5.
Il suo obbiettivo era screditare l’azienda che aveva messo in circolazione il programma-virus, facendo decollare la propria impresa che era agli esordi e aveva difficoltà ad attecchire negli alti livelli.
Corvo pensò che era ora di prendersi una pausa dopo tutto quello sfiancante lavoro.
Non avrebbe neanche più dovuto vedere quell’odioso ragazzo, aveva trovato un collaboratore fidato che se ne sarebbe occupato.
Si voltò e cominciò a correre verso casa abbandonando la cabina telefonica che aveva usato per la chiamata in incognito.
“Una bella cena, ecco cosa ci vuole”
Per la prima volta in vita sua sentì di avere il mondo in pugno.

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Capitolo 7
*** Problemi di lavoro ***


Adam Ness aveva sempre amato il suo lavoro, ma non si poteva dire che avesse mai apprezzato allo stesso modo il suo capo.
Adam faceva parte del gruppo di tecnici che creava e sviluppava nuovi programmi per computer di ultima generazione, e grazie al suo valente team era riuscito ad a occupare uno dei posti di rilievo nell’azienda.
Tuttavia era un tipo ambizioso, e soffriva di una spiccata mania di protagonismo che lo portava a prendere in antipatia chiunque fosse suo superiore.
Ma “antipatia” non era proprio la parola giusta per descrivere il sentimento che provava ogni volta che scorgeva Nelson Phormistune per i corridoi lustri della P.S.T..
Era invidioso della sua fama, e bastava soltanto un’occhiata a quella robusta figura per provocargli un fiotto di incontenibile, furibondo e velenoso odio.
Tuttavia, per quanto non lo sopportasse, Phormistune era pur sempre il suo capo e ogni volta che gli rivolgeva la parola la sua espressione rabbiosa era abilmente camuffata con una maschera di rispetto.
Quel giorno Adam Ness camminava lentamente verso la sala relax, pregustandosi il suo cappuccino caldo di macchinetta, quando il suo capo svoltò improvvisamente per imboccare proprio quel corridoio.
Pareva invecchiato di cento anni in un solo giorno: aveva le occhiaie, nella sua pelle si poteva notare una distinta sfumatura grigiastra e sembrava più spossato e stanco che mai.
Afferrò il pomello della porta e la aprì. Solo in quel momento notò Adam che era a poco più di un metro da lui e lo guardava con un sopracciglio alzato, ostentando un’espressione di curiosità.
Non appena Adam si accorse che Nelson lo stava guardando si apprestò a rimettere a posto il sopracciglio, ricomponendosi immediatamente.
<< ‘Giorno capo >>
<< Ehi Adam, devi entrare? >>
<< Si, ehm…posso offrirle un caffè signor Phormistune? >>
<< No grazie giovanotto, sono abbastanza teso, mi servirebbe un calmante piuttosto >> mentre lo diceva aveva premuto il bottoncino “the al limone” sulla macchinetta.
<< Ha dormito male questa notte? >> disse Adam, cercando di fingersi interessato ad una risposta che già conosceva.
<< Praticamente non ho chiuso occhio >>
<< Problemi familiari? >> ghignò l’altro.
<< In un certo senso… >> L’espressione di Phormistune si fece se possibile ancora più cupa.
Rimasero in silenzio a sorseggiare dai loro bicchieri di plastica.
<< Ora vado, ho molto da fare…e tu non perdere troppo tempo qui. >> si congedò il più anziano ad un certo punto uscendo rapidamente dalla stanza.
                                                                                              *
 
Nelson osservò preoccupato la chiavetta USB che giaceva innocua sul palmo della sua mano sudata.
La aveva trovata in una busta da lettera quella mattina, adagiata al centro della scrivania.
Prese un gran respiro e la inserì.
Il file Chiamato HiddenForce era l’unico presente nella cartella.
Pensò a quello che stava per fare, sicuramente quel virus avrebbe avuto effetti terribili sui computer delle persone che avevano adottato i programmi della sua azienda ed erano sempre pronti ad aggiornarsi all’uscita di un nuovo prodotto.
Avrebbe messo a disposizione il file in rete, scaricabile gratuitamente, in modo che tutti avrebbero voluto provarlo. Erano questi gli ordini.
Ma cosa ci avrebbe guadagnato quel tale che si faceva chiamare Corvo?
Il file sarebbe entrato in circolazione dopo una settimana, e forse allora avrebbe potuto rivedere Dan.
Controllo che nessuno potesse vederlo e poi guardò ancora il monitor.
Non poteva farlo, non poteva, ma doveva.
Eseguì tutte le operazioni, digitando più velocemente possibile, come se in tal modo potesse sentire di meno il peso di quello che stava facendo.
Con un ultimo terribile sforzo premette invio.
Non si era accorto degli occhi neri di Ness che lo spiavano furtivi dalla porta a vetri.

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Capitolo 8
*** Il complice prigioniero ***


La porta scricchiolò lievemente quando si aprì e il rumore rimbombò nello scantinato.
Seduto nel suo angolino Dan guardò affranto l’ombra che si faceva avanti.
Era strano però…c’era qualcosa di diverso in Corvo.
Era altrettanto sottile, ma non alto come gli era parso le altre volte, e il suo passo gli sembrava più aggraziato, e non la solita rude camminata.
Ma quando l’ombra parlò si accorse di aver commesso un errore.
Quello non era affatto corvo.
Quella non era affatto corvo.
L’unica parola che pronunciò suonò acuta e delicata, una voce di donna.
<< Mangia >>
La donna aveva posato a terra un vassoio e adesso se ne stava lì impalata a fissarlo, almeno così pensò Dan dal momento che non riusciva a scorgerne il viso.
Si avvicinò al vassoio titubante, a gattoni.
Stava morendo di fame, tastò quello che avrebbe potuto essere del pane e se lo portò alla bocca senza tante cerimonie, ignorando la sporcizia pietosa sulle sue mani.
Finito il pane si mise in cerca di qualcos’altro, ma non ne trovò.
Si aspettava che l’ombra se ne andasse, che prendesse il vassoio da terra e sparisse di nuovo oltre la porta cigolante, ma quella rimase imperterrita lì impiedi.
<< Chi sei? >> le domandò.
Lei esitò, il suo breve silenzio parve durare anni nel buio della stanza, poi la sua voce pacata riprese a parlare.
<< Mi chiamo Volpe >>
Un altro nome falso. La guardò irritato cercando di vederla in volto, ma i contorni della sua figura erano appena distinguibili in quell’oscurità.
<< Ho ancora fame >> gracchiò.
<< Non ho niente da darti. Hai avuto quello che ti spettava. >> il suo tono non era freddo ma semplicemente molto pratico.
<< Ma io ho ancora fame >> in effetti non sapeva cosa lo spingesse a comportarsi così, avrebbe dovuto temerla, era pur sempre una dei rapitori, ma qualcosa la faceva sembrare non poi così distante da lui.
<< I farmaci sono piuttosto potenti se non riesci nemmeno a capire quello che dico. Non posso darti niente, accontentati >> disse di nuovo con una strana dolcezza nella voce, come se stesse parlando ad un bambino parecchio distratto.
<< Davvero, come ti chiami? >> non si aspettava che gli rispondesse, ma aveva comunque voglia di tentare.
Stavolta lei sbuffò << Volpe >>
<< Non riesci nemmeno a capire quello che ti dico >> disse lui con aria canzonatoria << Intendevo il tuo nome vero >>
<< E ti aspetti anche che te lo dica? Non pensavo fossi così stupido >> era seccata.
<< Allora perché non mi lasciate andare? Stupido come sono non servo a niente >>
<< Corvo ti vuole e io non ho intenzione di oppormi. Però tu per me non conti niente. >> lo disse con semplicità, senza cattiveria. Era la verità nuda e cruda.
<< Perché ti stai trattenendo qui con questo stupido affamato allora? >>
<< Ero curiosa >>  ammise.
Restarono zitti, i loro respiri lievi si confondevano nel silenzio.
<< Tu sei buona. Lasciami andare Volpe. >>
La sua reazione fu strana perché queste ultime parole parvero irritarla parecchio di più di qualunque cosa avesse detto prima.
<< Io non sono buona e tu dovresti temermi, quindi impara a farlo >>
Si chinò in fretta a raccogliere il vassoio, poi sparì dietro la porta.
Dan sentì che girava due volte la chiave nella toppa.
Pensavano che sarebbe scappato forse?
In quel momento anche riuscire a respirare gli sembrava un miracolo.

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Capitolo 9
*** Risentimento ***


È un ragazzo strano, pensò Volpe salendo le scale.

Non sembrava spaventato, anzi, il tono con cui le si era rivolto era quasi confidenziale, come se si conoscessero da tempo.

Su che base poi pensare questo? Non poteva neanche vederla in faccia.

Lei si invece, lo aveva visto, illuminato dalla lampadina solitaria appena fuori dalla porta dello scantinato.

Aveva un bel viso, il naso dritto e arruffati capelli castani, ma i suoi occhi verdi erano spenti e la sua pelle sembrava malaticcia.

In effetti, pensò Volpe, povero ragazzo, è chiuso lì dentro da due giorni senza aria e senza luce.

Gli faceva pena, anzi tenerezza.

Le sue ultime parole l’avevano punta nel vivo : “Tu sei buona”.

Aveva ragione, era troppo buona e debole.

Non era neanche minimamente spietata o decisa come lo era Corvo, ma d’altronde lei doveva sottostare alle sue regole, e se si fosse ribellata…non aveva nemmeno la forza di pensare alle conseguenze.

Questi la aspettava seduto al pianterreno, pesantemente accasciato si una sedia di legno scuro.

<< Forse dovremmo nutrilo di più, morto di fame non ci servirebbe a nulla >> osservò Volpe guardando mestamente Corvo che la ignorò.

<< Dovresti riposarti, hai l’aria stanca >> Fu questa l’unica risposta che ottenne.

“Bastardo”

Era quella l’unica parola che le veniva in mente per descrivere il suo complice in quel momento.

Era stata costretta a partecipare, lei non avrebbe mai voluto, far del male a persone innocenti non era di certo il suo passatempo preferito.

Se fosse stata più forte, se solo fosse stata più decisa.

La sua vita sarebbe stata diversa, tutto sarebbe stato diverso e adesso non si sarebbe ritrovata in quel modo, incastrata in una stupida situazione per motivi che non le interessavano minimamente.

“ti odio”

Si sorprese a pensare parole così terribili e pesanti.

Non era da lei.

Scalciò freneticamente  nell’aria come se volesse far male ad un immaginario Corvo davanti a lei.

“ è colpa tua se ci troviamo in questa situazione”

È un ragazzo strano, pensò Volpe salendo le scale.

Non sembrava spaventato, anzi, il tono con cui le si era rivolto era quasi confidenziale, come se si conoscessero da tempo.

Su che base poi pensare questo? Non poteva neanche vederla in faccia.

Lei si invece, lo aveva visto, illuminato dalla lampadina solitaria appena fuori dalla porta dello scantinato.

Aveva un bel viso, il naso dritto e arruffati capelli castani, ma i suoi occhi verdi erano spenti e la sua pelle sembrava malaticcia.

In effetti, pensò Volpe, povero ragazzo, è chiuso lì dentro da due giorni senza aria e senza luce.

Gli faceva pena, anzi tenerezza.

Le sue ultime parole l’avevano punta nel vivo : “Tu sei buona”.

Aveva ragione, era troppo buona e debole.

Non era neanche minimamente spietata o decisa come lo era Corvo, ma d’altronde lei doveva sottostare alle sue regole, e se si fosse ribellata…non aveva nemmeno la forza di pensare alle conseguenze.

Questi la aspettava seduto al pianterreno, pesantemente accasciato si una sedia di legno scuro.

<< Forse dovremmo nutrilo di più, morto di fame non ci servirebbe a nulla >> osservò Volpe guardando mestamente Corvo che la ignorò.

<< Dovresti riposarti, hai l’aria stanca >> Fu questa l’unica risposta che ottenne.

“Bastardo”

Era quella l’unica parola che le veniva in mente per descrivere il suo complice in quel momento.

Era stata costretta a partecipare, lei non avrebbe mai voluto, far del male a persone innocenti non era di certo il suo passatempo preferito.

Se fosse stata più forte, se solo fosse stata più decisa.

La sua vita sarebbe stata diversa, tutto sarebbe stato diverso e adesso non si sarebbe ritrovata in quel modo, incastrata in una stupida situazione per motivi che non le interessavano minimamente.

“ti odio”

Si sorprese a pensare parole così terribili e pesanti.

Non era da lei.

Scalciò freneticamente  nell’aria come se volesse far male ad un immaginario Corvo davanti a lei.

“ è colpa tua se ci troviamo in questa situazione”

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Capitolo 10
*** Sonno mancato ***


<< Suvvia Rose, dovrai pur mangiare qualcosa, hai un aspetto terribile. >>
Rose era dimagrita in modo impressionante considerando che erano solo due giorni che non mangiava.
La sua eccessiva magrezza, accompagnata dalle pesanti occhiaie viola dell’insonnia e dall’espressione vacua le conferiva un aspetto assai poco piacevole.
<< E se gli hanno fatto del male Nelson? Forse è ferito? Forse non lo nutrono abbastanza, forse…. >>
<< Riposati cara adesso, prendi una pillola così riuscirai a dormire tranquilla…ecco tieni… >>
Estrasse una pillola da un barattolino blu poggiato sul comodino lì affianco e gliela mise in mano, con un docile sorriso incoraggiante.
Lei non disse niente ma si limitò a ingoiare la pillola, poi si sistemò con la testa sul cuscino, gli occhi ancora sbarrati e persi nelle più remote profondità del nulla.
Nelson se la lasciò dietro chiudendo la porta della camera da letto.
Bussò alla stanza in fondo al corridoio ed entrò.
Olivia guardava fuori dalla finestra ma si voltò quando il padre entrò nella stanza.
<< Hai la minima idea di chi possa essere questo “Corvo”? Ti sarai fatto parecchi nemici ultimamente, pensi che qualcuno potrebbe arrivare a tanto? >>
Al contrario della madre, Olivia aveva assunto un atteggiamento di fredda lucidità e si stava impegnando con tutto il cuore a risolvere il caso della sparizione di Dan.
Avevano chiamato la polizia, ma Corvo non si era fatto risentire e non c’erano state ancora possibilità di rintracciare la telefonata ricevuta quel lunedì.
Inoltre gli sbirri brancolavano nel buio. Dan pareva svanito nel nulla, dissolto nell’aria appena era uscito dalla visuale dei suoi amici quel giorno dopo la scuola.
<< Fino a questo punto… non ne ho davvero ide. Chi potrebbe fare una cosa del genere? Solo un pazzo. >>
<< Tu puoi ancora bloccare il virus vero? In caso riuscissimo a rintracciare Dan prima della “messa in rete” ? >>
<< Potrei, anche se non sono sicuro che riusciremo a trovarlo prima dello scadere del tempo. Abbiamo a disposizione solo un paio di giorni e la polizia non ha neanche un indizio. >>
Crollò sul letto sentendosi più vecchio e stanco di quanto si fosse mai sentito prima.
Olivia lo guardò con i suoi occhi verde scuro, gli si sedette accanto e lo abbracciò forte, cercando di trasmettergli tutto l’amore e la comprensione che provava verso di lui utilizzando la forza delle braccia.
<< Possiamo farcela papà. Non c’è nemmeno motivo per cui dovremmo smettere di sperare. >>

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Capitolo 11
*** Speranza e confessione ***


Dan gironzolava al buio giusto per non far si che le sue gambe restassero a marcire sul pavimento putrido.

Le gocce ticchettavano malinconiche e lui non ci faceva neanche caso.

Un passo, respiro profondo, un altro passo.

Era una sensazione terribile quella che stava provando.

Il buio non lo disturbava più.

Il silenzio non era un fastidio.

L’aria non gli mancava come prima.

Stava davvero accettando il fatto che lui era lì e non ci poteva fare niente.

La speranza scorreva via come l’acqua nei tubi sospesi sopra la sua testa.

Rimase sorpreso quando la silenziosa figura di Volpe entrò nella stanza.

Restò in silenzio ad ascoltare il suo respiro in attesa che parlasse, e finalmente lei ruppe il silenzio.

<< Stai bene? >>

“Stai bene? Ma che razza di domanda è! Sei la mia rapitrice e mi domandi se sto bene! Non riesci a intuirlo da sola?” pensò quello

<< Mai stato meglio di così, in effetti potrei inscenare un musical per quanto mi sento pieno di energie >> disse con un marcato tono sarcastico.

<< Che diavolo vuoi? >> aggiunse poi con veemenza.

Lei non rispose subito e, non vedendo il suo viso, Dan non capì se il suo era un silenzio sorpreso oppure se fosse semplicemente seccata.

<< Volevo constatare se eri ancora in condizioni decenti. Da morto non servi a niente. >>

<< Condizioni decenti? Hai uno spiccato senso del giudizio. >> Intervenne lui sempre con sarcasmo.

Lei si avvicinò tanto che lui riuscì a distinguere un naso dritto e due grandi occhi che lo scrutavano interessati.

<< Il tuo tono non mi disturba minimamente. Sai, sono una persona paziente, non come Corvo. Posso continuare ad annoiarti all’infinito. >>

<< Vedo che sono degno della tua attenzione. >>

<< La mia vita non è piena di cose molto più interessanti di un ragazzo sudicio intrappolato in un seminterrato. >>

Dan si stupì di quella strana confessione. Come mai era così confidente? Chi era quella donna? Era davvero malintenzionata come Corvo, l’altro rapitore?

Chi sei Volpe? Cosa vuoi da me?

Glielo disse.

Lei si prese il suo tempo per rispondere, come al solito.

<< Non voglio niente da te. >>

<< Da mio padre? >>

<< Nemmeno >>

<< Ti dispiacerebbe degnarmi di una risposta? >>

<< Non voglio niente da te, da tuo padre o da chiunque altro. Niente di questo mi interessa. Vorrei che tu non fossi qui a dire il vero >>

<< Siamo in due >>

<< Aiutami a scappare >> aggiunse poi, speranzoso.

Lei si ritrasse come se si fosse scottata.

<> sussurrò, e scappò dietro la porta.

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