Tra fuoco e acqua

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuti all'inferno ***
Capitolo 2: *** Corpo schiavo e anima libera ***
Capitolo 3: *** Via da qui! ***
Capitolo 4: *** Viaggio sotto il sole ***
Capitolo 5: *** La capitale ***
Capitolo 6: *** L'amuleto di Fuoco ***
Capitolo 7: *** L'oceano ***
Capitolo 8: *** Il colpo di fulmine ***
Capitolo 9: *** La principessa ***
Capitolo 10: *** Tutta la verità ***
Capitolo 11: *** Il paggio reale ***
Capitolo 12: *** Un bacio innocuo ***
Capitolo 13: *** Solo bugie e odio ***
Capitolo 14: *** Di nuovo in fuga ***
Capitolo 15: *** Black Island ***
Capitolo 16: *** In mezzo alla natura ***
Capitolo 17: *** Festa della regina ***
Capitolo 18: *** La capitale nel bosco ***
Capitolo 19: *** Ribellarsi ***
Capitolo 20: *** Nella notte ***
Capitolo 21: *** Ali di drago ***
Capitolo 22: *** Porpora e cremisi ***
Capitolo 23: *** Duello mortale ***
Capitolo 24: *** Ombra bianca ***
Capitolo 25: *** Una terra di pioggia ***
Capitolo 26: *** Ricerche faticose ***
Capitolo 27: *** Finalmente in quattro ***
Capitolo 28: *** Segreti nel deserto ***
Capitolo 29: *** Separazione ***
Capitolo 30: *** Alleanze di vittoria ***
Capitolo 31: *** Il mare che perdona il vulcano ***
Capitolo 32: *** I guardiani di Snaga ***
Capitolo 33: *** Il re dell'ombra ***
Capitolo 34: *** Nelle loro mani ***
Capitolo 35: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 36: *** Pronti per la battaglia ***
Capitolo 37: *** Nati per lottare ***
Capitolo 38: *** Il sacrificio ***
Capitolo 39: *** Lontani ricordi ***



Capitolo 1
*** Benvenuti all'inferno ***


 

CAPITOLO 1

Benvenuti all'Inferno

 

Il ragazzo aprì gli occhi. Erano due sfavillanti occhi azzurri, che sembrava potessero rappresentare l’intero oceano. Quell’oceano che il ragazzo non era mai riuscito a vedere.
Si alzò di malavoglia dal letto. Anche quella mattina sarebbe dovuto andare a lavorare. Come d’altronde ogni mattina.
Odiava il suo lavoro. Odiava il piccolo paese in cui viveva. Odiava la gente che vi abitava. Non poteva più sopportare quella vita. Sarebbe volentieri scappato via da lì.  Ma con quali soldi? Non avrebbe potuto permettersi un viaggio del genere neanche se avesse lavorato per un altro anno intero.
Chissà cosa c’era oltre quel maledetto muro di cinta che circondava il paese. Probabilmente non l’avrebbe scoperto mai. 
Ogni tanto al tramonto, quando finiva il suo turno e non doveva rimanere fino a tardi a lavoro, si arrampicava sul piccolo tetto della sua casa diroccata e guardava verso l’orizzonte. La casa era così bassa che riusciva a vedere solo le vette delle montagne che sovrastavano il muro di cinta.
Il ragazzo indossò le brache lerce e la casacca, arrotolando le maniche. Dopodiché uscì di casa e si diresse al pozzo per darsi una lavata. Si sciacquò il viso con l’acqua fresca e subito si sentì meglio.
Arrivò a lavoro in perfetto orario, come al solito. La guardiola era già lì a dividere i gruppi di quel giorno e quando lo chiamò, lui si avvicinò con passo lento.
«Oggi con Shinichi ci saranno Trevor e il nuovo arrivato.» disse con tono autoritario la guardiola, spingendo quest’ultimo verso il ragazzo.
Il giovane lo guardò con arroganza. Probabilmente aveva la sua età. I suoi vestiti erano ancora lindi e, sul suo viso pulito dalla pelle scura, si notava perfettamente una nota amareggiata.
Dopo poco li raggiunse anche un uomo nerboruto sulla cinquantina. La barba grigia corta e incolta e i capelli crespi. Gli occhi dell’uomo erano spenti, come quelli della maggior parte delle persone lì dentro.
La guardiola diede loro sacche e picconi e li spedì nella loro postazione. Prima di partire il ragazzo si rivolse al nuovo arrivato.
«Da dove vieni?» chiese con tono freddo.
«Dalla capitale...» rispose lui nervoso.
«E come ti chiami?» chiese ancora il ragazzo iniziando a camminare.
«Heiji» rispose lui.
«Benvenuto all’inferno Heiji!»

 

Erano ormai quattro ore che i tre picconavano la dura pietra. 
Il ragazzo stufo si sedette a terra appoggiandosi sul suo piccone e chiudendo i suoi occhi, che in quella galleria scura, illuminata solo dalle lampade a olio ogni due piedi, sembravano risplendere di una luce misteriosa.
A quel punto il nuovo arrivato, con sussurro, si rivolse all’uomo.
«Ma ci si può riposare?» chiese speranzoso asciugandosi il sudore dalla fronte con la mano.
«No ragazzo mio. Quello è un pazzo. Cerca sempre casini. Un consiglio che ti posso dare è di stargli alla larga il più possibile.»
Il ragazzo rivolse di nuovo i suoi occhi occhi verdi all’altro seduto tranquillo. Ad un tratto sentì dei passi.
Una guardia si stava avvicinando, così si rimise a picconare con foga. Pensò che il ragazzo di fianco a lui avrebbe fatto lo stesso appena sentiti rimbombare i passi nella galleria. Ma quello non si mosse, neanche si degnò di aprire gli occhi.
«Che succede qui? Perché siete solo in due? - chiese la guardia, poi si accorse del terzo, seduto tranquillamente per terra - Ehi tu, non sei pagato per poltrire!» dopodiché alzò la mano con la frusta e la fece schioccare verso il ragazzo seduto.
Il nuovo arrivato chiuse gli occhi, ma oltre a non sentire il tipico schiocco di quando la frusta lacerava la carne, non sentì neanche nessun urlo di dolore. Riaprì gli occhi e la scena lo stupì.
Il ragazzo aveva il braccio alzato sul volto, la mano teneva stretta l'estremità della frusta che si era attorcigliata un po' sul polso. Il ragazzo aveva ancora gli occhi chiusi e li aprì poco dopo di scatto. 
Non sapeva se era per via delle lanterne che gettavano strani riflessi, o perché era stato suggestionato dalla scena che si era creata, ma per un’attimo sullo sguardo pieno di odio del ragazzo notò una fiamma di sfida.
La guardia tirò forte la frusta, che sfregando sul polso del ragazzo glielo fece sanguinare, finché tutta la corda non fu ritirata. Dopodiché prese il ragazzo per la casacca e strattonandolo lo sollevò, rimettendolo in piedi.
«Per questa volta te la faccio passare…» la guardia non riuscì a finire la frase, perché il ragazzo con lo stesso sguardo di sfida gli sputò in faccia.
A quel punto la guardia lo prese per il colletto della casacca e lo attaccò al muro ruvido della galleria.
«Non osare mai più! O non ti ritroverai più le gambe.» lo minacciò la guardia.
Il nuovo continuava a picconare nervosamente, guardando con la coda dell’occhio la scena.
«E cosa cambia? Mi fareste lavorare come un mulo anche senza le gambe!» rispose a tono il ragazzo.
Lo schiaffo della guardia arrivò forte e il suono rimbombò per tutta la galleria. La guancia del ragazzo diventò subito rossa, ma lui non sembrava voler abbassare quello sguardo d’odio.
«Mi sa che sta sera ti farai un giro ai piani alti ragazzo.» concluse poi la guardia lasciandolo di nuovo andare, dopodiché si allontanò, per controllare un’altra zona.
«Cosa sono i piani alti?« chiese ancora una volta il nuovo con un sussurro, mentre tutti e tre ricominciavano a picconare.
«È dove risiede il proprietario della miniera. Ci mandano solo chi non fa il proprio dovere. Il proprietario infligge pesantissime punizioni a chi viene spedito lassù dalle guardie. Non ti consiglio di rimanere qui, dopo l’ora di chiusura, una volta mi è capitato di stare un po’ più del previsto. Ho ancora nella testa le urla di quei poveracci che venivano torturati.»
Il ragazzo dalla pelle scura, guardò preoccupato il coetaneo di fianco a lui che sembrava alquanto tranquillo.
«Non ti preoccupare per lui. - s’intromise l’uomo - Te l’ho detto, se le cerca sempre. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che finisce là. Inoltre lui non ha mai lanciato un urlo. Mai. Non lo so se lo fa per orgoglio o per stoltezza, ma fidati non l’ha mai fatto.»

 

Di nuovo davanti a quella porta in legno. Ormai la conosceva a memoria. Ogni singola venatura, ogni singola scheggia, ogni singola parte arrugginita del pomello in ottone.
Stava aspettando. Come al solito. Le mani erano legate dietro la schiena da una corda che gli stringeva i polsi, ferendoli.
La porta si aprì e il ragazzo venne spinto dentro dalla guardia. Lui si mise al centro della stanza, anche quella ormai molto conosciuta. Alquanto squallida e vecchia, con le pareti in legno, come il pavimento scricchiolante, tutte tappezzate di arazzi sbiaditi raffiguranti maestosi cavalieri che combattevano e stupende fanciulle che pregavano al chiaro di luna. 
Dietro a una scrivania in mogano il proprietario lo guardava di sottecchi, studiando ogni suo minimo movimento.
«Allora Shinichi. A quanto pare a te le frustate non bastano mai...» disse con tono tranquillo, come se stesse parlando a un cane che non capiva bene quello che diceva.
Il ragazzo non rispose. Rimase zitto. Immobile. I suoi occhi azzurri e freddi che guardavano il proprietario, senza trasmettere timore, odio o qualsiasi altra emozione.
«Legatelo alla colonna, - sospirò l’uomo - penso che venti possano bastare.» aggiunse, dopodiché si chinò di nuovo sui suoi fogli sparpagliati sulla scrivania.
Le due guardie lo legarono alla colonna. Anche quella la conosceva più che bene. La sua fidata amica. Quando sentiva troppo dolore stringeva forte la pietra per non urlare e non dare la soddisfazione di aver vinto a quei bastardi.
Una guardia si allontanò un po’ e tirò fuori la maledetta arma. 
Il ragazzo si preparò. La prima era sempre la peggiore. Partì lo schiocco e poco dopo il lancinante dolore alla schiena. La corda si ritirò e poco dopo tornò all’attacco, lacerando nuovamente casacca e carne.

 

Era appena tornato a casa. Barcollava. Appena entrato si sedette sul letto senza più forze. Non aveva neanche voglia di mangiare quel pezzo di pane che si poteva permettere al giorno. 
Si tolse la casacca. La stoffa si era attaccata alle ferite. Il dolore era insopportabile e dovette mordersi la lingua fino a farla sanguinare. Dopodiché si sdraiò esausto, mettendosi prono sul letto. 
Si addormentò quasi subito per la stanchezza, col maledetto pensiero che l’indomani sarebbe ricominciato di nuovo tutto da capo. 

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Capitolo 2
*** Corpo schiavo e anima libera ***


CAPITOLO 2

Corpo schiavo e anima libera

 

Era al pozzo a lavarsi la faccia come ogni mattina. Le ferite della sera prima si facevano sentire sotto la casacca di riserva. Ormai era quasi abituato a quel dolore mattutino, ma questa volta sembravano bruciargli più del solito. Non ne aveva mai ricevute venti di seguito.
Prese il secchio ancora pieno di acqua fresca e vi tuffò la testa. La sollevò dopo poco e incrociò il suo sguardo.
«Tu sei Shinichi vero? Quello che ha lavorato con me ieri.»
Era il ragazzo della capitale. Quello con la pelle scura. Aveva un’altro paio di brache e una casacca nuova rispetto al giorno prima. Perfettamente puliti.
Non rispose. Rimase a fissarlo, mentre piccole gocce d’acqua scendevano dai capelli castani, bagnati, per poi rotolare giù, solcando il viso e finendo sul terreno, lasciando così piccole chiazze perfettamente rotonde.
Anche il ragazzo dalla pelle scura si lavò la faccia. E mentre tirava su il secondo secchio.
«A proposito come stai? - chiese - Sì insomma ti hanno punito?» continuò spiegandosi meglio e cercando di essere il più delicato possibile.
«Ho ben venti ferite da frusta, se era questo che volevi sapere.»
«Ve-venti?» balbettò, domandò il ragazzo, sgranando gli occhi verdi, ma l’altro sembrava non curarsene.
Il ragazzo finì di lavarsi ed entrambi si diressero verso la miniera, pronti per un’altra estenuante giornata di lavoro.
«Perciò vieni dalla capitale.» disse Shinichi, appena lasciato il pozzo.
«Sì. Ero in una famiglia benestante. Certo non navigavamo nell’oro, ma riuscivamo a cavarcela senza troppi problemi. Poi però mio padre è partito per lavoro, proprio due mesi fa. È stato convocato per la guerra. E mia madre non è riuscita a gestire tutto, così siamo andati sul lastrico. Per questo sono venuto a lavorare qui.»
«Frena, frena. - rise il ragazzo fermandosi un attimo - Hai detto guerra?» chiese sbalordito.
«Sì, la guerra che c’è contro le altre terre. Scusa ma, non sai niente?» domandò il ragazzo dalla pelle scura quando ricominciarono a camminare.
«Niente. Io non so niente di ciò che c’è o succede là fuori. Sono nato qui, e ho il terrore che creperò qui.»
«Odi proprio questo posto, vero?» chiese il ragazzo dalla pelle scura, notando quegli occhi azzurri stracolmi di rancore.
«Non ne hai idea...» rispose lui, quando arrivarono alla miniera.
La guardiola li smistò di nuovo. Questa volta furono divisi. Il ragazzo stava già per avvicinarsi alla guardia che l’aveva chiamato, ma l’altro lo fermò tenendolo per la casacca.
«Vedi di non sgarrare anche oggi. Ti aspetto a fine giornata.» gli disse con un sorriso, dopodiché lo lasciò andare.

 

La schiena sembrava gli stesse per andare a fuoco. Sentiva la pelle attorno alle ferite tirarsi ad ogni picconata. Non si era fermato neanche un momento questa volta. Come se il fatto di lavorare ininterrottamente, potesse farlo sfogare.
A metà giornata passò una guardia che gli intimò di andare più veloce. A quelle parole il ragazzo strinse convulsamente il suo piccone, sentendo le piccole schegge del manico di legno conficcarsi nella sua pelle. Per un attimo pensò di cavare un’occhio alla guardia con la punta dell’attrezzo, ma si trattenne dal farlo e continuò a picconare la galleria.

 

La giornata passò molto più lentamente. Il ragazzo arrivò all’entrata con la schiena dolorante. Buttò il piccone nel mucchio lì vicino e porse il sacco con la sua raccolta del giorno alla guardiola.
Quando uscì dalla miniera un fresco venticello gli accarezzò la pelle. Chiuse gli occhi. Voleva assaporarsi quella brezza che riusciva a scompigliarli i capelli e a rilassarlo come non mai. Quanto avrebbe voluto poter essere come il vento. Poter volare via, andare dove voleva, senza che nessuno lo potesse fermare.
Una voce lo distrasse da quei suoi dolci pensieri.
«Ehi Shinichi!»
Aprì i suo sfavillanti occhi azzurri, poi voltò lo sguardo verso il luogo da cui proveniva la voce. Il ragazzo dalla pelle scura lo stava salutando. Lo raggiunse.
«Vedo che oggi non ti sei messo nei casini.» sorrise il ragazzo.
«Per fortuna no, ma anche oggi c’è mancato poco.» rispose lui.
Aveva sempre la voce fredda e distaccata. Come se per lui parlare fosse uno sforzo immenso.
«Sai, so come ti senti.» disse all’improvviso il ragazzo mentre camminavano per le vie del paese.
Lui scoppiò a ridere. Una risata roca che durò una ventina di secondi, quando la risata iniziò a sciamare, gli rispose:
«No, non lo sai mio caro Heiji, non puoi saperlo.» disse, ancora divertito.
«E invece sì. Ci ho pensato oggi mentre lavoravo. Non vuoi essere sotto nessuno ed è normale per ognuno di noi. Ma delle volte bisogna accettare dei compromessi nella vita.» rispose il ragazzo tutto d’un fiato.
«Lavorare lì non è un compromesso per me. Quello è uno sfruttamento. Tu hai mai visto di prima mattina chi c’è là dentro? Prendi Trevor per esempio. È da cinquant’anni che lavora là dentro. Ti sembra forse giusto? - la voce del ragazzo si stava alzando - Una volta sono stato a lavorare assieme a un bambino. Aveva sì e no dieci anni. Mi ha confessato che doveva lavorare per aiutare la sua famiglia nelle spese. Ora dimmi questi ti sembrano compromessi onesti?» concluse. 
Gli occhi azzurri del coetaneo stavano trafiggendo i suoi. Aprì la bocca un paio di volte, per poi richiuderla. Alla terza volta ecco che le parole giuste riuscirono ad uscire.
«Forse hai ragione tu. Il problema di fondo è questa guerra. Ci sta lesionando dall’interno e i piccoli paesi sono i primi a subirne le conseguenze.»
«Guerra… - pensò ad alta voce - Ma contro chi scusa?»
«Contro le altre terre.» rispose il ragazzo dalla pelle scura.
«Altre terre?»
Questa volta fu l’altro a ridere.
«Mio caro Shinichi ho come l’impressione che ti dovrò raccontare molte cose.»

 

I giorni sembravano passare più in fretta, con Heiji.
La mattina s’incontravano al pozzo e facevano la strada assieme. Arrivati alle miniere aspettavano che venissero chiamati. Se erano assieme chiacchieravano durate il lavoro, tra una picconata e l’altra, altrimenti s’incontravano all’uscita per poi fare la strada di ritorno insieme.
Shinichi si volle far raccontare tutta la storia delle quattro terre. Della guerra che incombeva su di esse da decenni. Della capitale, da cui veniva l’amico. Riempiva Heiji di domande.
Lui dal canto suo non sembrava per niente scocciato. Anzi dava l’impressione che per lui fosse una gran soddisfazione parlare di certe cose con qualcuno.
Passarono settimane. Le profonde ferite infertegli l’ultima volta che era finito dal proprietario si erano ormai cicatrizzate, sebbene ogni tanto la sera quando si toglieva la casacca ancora dolevano e formicolavano fastidiosamente.
Una sera, stavano facendo la solita strada quando.
«Hai voglia di venire a casa mia? Voglio mostrarti una cosa.» propose il ragazzo rivolgendosi al nuovo amico e lui acconsentì.
Poco dopo erano sul tetto della sua casetta a vedere il tramonto.  Il sole del crepuscolo tingeva di fuoco i loro volti e giocava di riflessi coi loro occhi. Mentre la brezza li accarezzava e scompigliava i capelli a entrambi.
«Da che parte è la Capitale?» chiese curioso.
Il ragazzo puntò il dito verso i monti. 
«Si trova ai piedi del vulcano Miris. Oltre la catena montuosa c’è la Terra dei Mari.»
Ci furono vari minuti di silenzio. In cui entrambi i ragazzi si godettero il vento leggero sul calar del sole.
«Non sono nato per stare a marcire in quelle grotte. Voglio vedere il mondo.» disse il ragazzo, mentre i suoi occhi azzurri guardavano l’orizzonte.
«E ci riuscirai amico mio.» rispose l’altro dandogli una pacca sulla spalla.

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Capitolo 3
*** Via da qui! ***


CAPITOLO 3

Via da qui!

 

Un’altra maledetta giornata di lavoro. I due ragazzi stavano aspettando di essere chiamati, per il solito smistamento dei gruppi.
«Shinichi, Heiji e Mistuhiko!» urlò la guardiola.
I due ragazzi si avvicinarono e presero picconi e sacchi. Poco dopo li raggiunse un bambino.  Aveva non più di dieci anni. Il viso allungato era cosparso di lentiggini, mentre un ciuffo dei suoi capelli color sabbia gli cadeva sugli occhi scuri. Due piccoli occhi stanchi.
I tre si diressero nella loro postazione e iniziarono a lavorare.

 

Dovevano essere a più di metà giornata. Quelle gallerie non permettevano di vedere la luce del sole, per poter capire con precisione quanto tempo fosse passato. Eppure a loro sembrava di lavorare da troppo.
Il bambino era stanco, sudato e man mano che passava il tempo diveniva sempre più pallido. Le sue picconate diventavano sempre più lievi e deboli. 
Poi a un tratto crollò. Si accasciò al suolo come un pesante sacco di pietre. Non aveva perso i sensi, ma le gambe sembravano non poterlo più reggere.
I due andarono subito in suo soccorso. Si erano appena accovacciati vicino a lui, quando i passi di una guardia rimbombarono nel corridoio della galleria.
Heiji imprecò, nervoso, ma nessuno dei due si alzò dal corpicino stanco e ansimante del bambino.
«Ehi voi tre! - urlò la guardia appena li vide - Non è il momento di riposare!» concluse, ma nessuno sembrò degnarlo di uno sguardo.
Shinichi si tolse la casacca di dosso e cercò con quella di asciugare un minimo il sudore del bambino.
La guardia aveva già alzato la mano con cui la sua micidiale arma era pronta a saettare. Il colpo partì dopo poco.
Il ragazzo alzò la mano come l’ultima volta, mentre era ancora di spalle, e afferrò la corda nera e lucida. Solo a quel punto si girò, il suo solito sguardo di odio. Con uno strattone, tirò la corda a sé e con essa la guardia.
I loro volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro.
«Ora ascoltami bene brutto figlio di…»
«Shinichi!» lo bloccò Heiji.
Solo in quel momento il ragazzo si ricordò di avere un bambino alle spalle. Sospirò, ma il suo sguardo non cambiò.
La guardia a pochi centimetri da lui era trafitta da quegli occhi azzurri, infuocati d’odio.
«Il bambino sta male. Perciò se non vuoi ritrovarti ritrovarti questa maledetta frusta intorno al collo nel tuo ultimo respiro, ti consiglio di lasciarci in pace, è chiaro?»
La guardia strattonò di nuovo la corda, ferendo il polso del ragazzo.
«Questa è una minaccia?» chiese alzandosi.
«No signore - cercò d’intervenire il ragazzo dalla pelle scura - era solo…»
«Taci tu!» 
La guardia, ormai furibonda calò il colpo verso il ragazzo della capitale che terrorizzato serrò gli occhi. Sentì lo schiocco un gemito e l’alito caldo di qualcuno sul viso.
Aprì lentamente gli occhi. Shinichi era davanti a lui. Le mani poggiate al muro strette a pugno.
«Sei uno sciocco ragazzo. - sentenziò la guardia, caricando un altro colpo - Pensi forse di poter difendere il tuo amico in questo modo?»
Il colpo di frusta partì di nuovo e Shinichi si abbassò tirando con se anche l’amico. Dopodiché afferrò il piccone lì affianco e con un colpo secco del gomito colpì il ventre della guardia col manico, facendolo cadere a terra.
«Prendi il bambino!» urlò a Heiji.
Poco dopo si ritrovarono a correre per le gallerie della miniera.
Le gambe dei due ragazzi erano doloranti. Sembrava che ad ogni passo delle lingue di fuoco iniziassero a lambirgli i polpacci. I muscoli tesi al massimo, sembrava volessero in qualche modo far sentire la loro protesta. Ma entrambi non smettevano di correre.
Il ragazzo dagli occhi azzurri si voltò a guardare indietro. Una decina di guardie li stavano seguendo. Questa volta avevano le spade sguainate.
Si chiese cosa poteva fare. Come poteva seminarli. Poi tutt’a un tratto, una delle lampade ad olio esplose, da sola.
La fiammata bloccò le guardie, che si dovettero per forza fermare davanti a quel muro di fuoco rosso che divampava.

 

Si ritrovarono finalmente fuori ed Heiji li condusse a casa sua.
Era una casetta, poco più grande di quella dell’amico, ma molto meno sconquassata.
I tre si rifugiarono là dentro. Col fiato corto, si accasciarono entrambi al suolo, mentre il bambino ormai aveva perso completamente i sensi.
Il ragazzo appena ripreso fiato si alzò e iniziò a guardarsi attorno.
La casa era composta da due ampie stanze. In quella in cui si trovavano c’era un grosso tavolo in legno, che mostrava qualche bruciatura, attorniato da quattro sedie spoglie che avevano l’aria di essere alquanto scomode. La stanza era poi illuminata da due finestre, abbastanza ampie che facevano entrare la luce del sole.
Il ragazzo si affacciò un attimo. Poteva essere metà pomeriggio. Perché il sole era a tre quarti del suo viaggio.
«Dobbiamo andarcene di qui!» disse rimanendo alla finestra.
«Cosa? - chiese un po’ stupito l’amico - E il bambino?»
«Lo portiamo con noi!» rispose lui col suo solito tono glaciale.
«E te? Andiamo Shinichi sei ferito. Come pensi d’intraprendere un viaggio in queste condizioni?» 
«Ho lavorato in condizioni peggiori. E poi, me ne andrei da qui anche se fossi moribondo.» rispose il ragazzo voltandosi finalmente verso l’amico e trafiggendolo con i suoi occhi.
«Shinichi è una cosa impossibile. Anche se volessimo andare al paese più vicino, ci vorrebbero provviste per tre persone e per almeno tre giorni. Come ce le procuriamo?» chiese il ragazzo sempre più stupito di ciò che diceva il suo compagno.
«Con questi!»
Il ragazzo aveva estratto dalla cintura un sacchettino in cuoio e lo stava facendo ballonzolare con la mano, facendo sì che il suo contenuto tintinnasse.
«Dove li hai presi?» chiese stupito Heiji, sgranando gli occhi.
Il ragazzo sollevò l’angolo destro della bocca in un sorriso compiaciuto.
«Li ho presi alla guardia quando l’ho tirata verso di me. Li aveva attaccati alla cintura. Così quel citrullo impara a portare i suoi soldi in giro!» concluse mentre il suo sorriso diventava più ampio.

 

Era il tramonto. I due ragazzi stavano aspettando nervosi. Ognuno di loro seduto su una di quelle scomode sedie. Le schiene erano rigide per la tensione e anche il minimo rumore attorno alla casa li metteva all’erta.
A un tratto ecco qualcuno bussare alla porta. Tre tocchi, pausa e altri tre tocchi. Heiji si alzò e andò ad aprire.
Alla porta c’era una figurina bassa, coperta da un mantello da viaggio marrone. A tracolla aveva una bisaccia stracolma, che sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro.
Il ragazzo dalla pelle scura lo fece entrare alla svelta in casa. Solo quando fu dentro la figurina si tolse il cappuccio. Rivelando il viso asciutto e la marea di lentiggini.
Anche Shinichi si alzò dal tavolo, mentre gli altri due si avvicinavano ad esso.
«Hai preso tutto?» chiesero i due ragazzi quasi all’unisono.
«Ci potete scommettere.» rispose il bambino compiaciuto. 
Poi rovesciò il contenuto della bisaccia sul tavolo. Erano due forme di formaggio, quattro pagnotte e tre filetti di carne. Poi c’erano altri due mantelli da viaggio, solo un po’ più grandi, e quattro coltelli, di cui uno da lancio.
«Perfetto, vedo che sei passato da casa mia come ti avevo chiesto.» disse Shinichi, mettendosi uno dei coltelli alla cintura.

 

Poco dopo erano pronti. I mantelli da viaggio addosso, le bisacce riempite e le armi alla cintura. Non sarebbero rimasti in quel posto un minuto di più.

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Capitolo 4
*** Viaggio sotto il sole ***


CAPITOLO 4

Viaggio sotto al sole

 

I tre si avvicinarono di soppiatto alle porte del paese, i cappucci dei mantelli calati sui visi. All’ingresso c’erano due guardie. Entrambe erano sedute su due sedie di legno. Erano vecchie, logore e sembrava dovessero cadere a pezzi da un momento all’altro. Le due guardie, però, dormivano beate. Le schiene appoggiate al muro e la bocca semiaperta. Sicuramente stavano dormendo già da un po’.
I tre continuarono a camminare lentamente in punta dei piedi. Attraversarono le porte del paese. Solo quando furono a più di un metro di distanza tornarono a camminare normalmente. Anzi, anche più velocemente del normale per allontanarsi da quel maledetto villaggio.
Camminarono tutta la notte, per allontanarsi il più possibile. 
Il bambino e il ragazzo dagli occhi azzurri erano stupiti di ciò che avevano intorno. Il paesaggio predominante in quel luogo era la prateria. Lande infinite di erba. Ogni tanto si vedeva in lontananza qualche albero. Tutto quanto illuminato dalla luce lattiginosa della luna piena che risplendeva nel cielo limpido.
Il sole stava sorgendo di fronte a loro sulla destra. Solo in quel momento decisero di fermarsi. Trovarono un'albero abbastanza grosso per coprirli tutti e si misero sotto le sue fronde.
«Credo dovremmo fare dei turni di guardia. Non vorrei che qualcuno ci faccia qualche brutta sorpresa.» disse il ragazzo dagli occhi azzurri proponendosi per primo, così che i due compagni di viaggio potessero riposare.

 

L’alba era fantastica. Al ragazzo sembrava di non vedere così bene il sole da sempre. Quella calda sfera di luce si stava alzando pallida, facendo capolino dalle montagne all’orizzonte e illuminando tutto.
Guardare finalmente qualcosa che non fossero le vecchie case del paese era una gioia immensa. I colori del paesaggio intorno a lui erano smorti. L’erba verde acida, l’albero sotto cui si trovavano aveva la corteccia molto chiara, che dava l’impressione di essere vecchia. Eppure, sebbene il paesaggio non fosse dei migliori, a lui sembrava finalmente di essere nel luogo perfetto per lui. Si sentiva libero. Sotto quel cielo che da violetto, stava diventando celeste illuminato dal sole che saliva pian piano.
Quando il sole ormai era spuntato del tutto già da un po', qualcuno gli picchiettò sulla spalla e si voltò. Il ragazzo dalla pelle scura lo guardava con un grosso sorriso.
«Puoi riposare anche tu. Ti do il cambio.»
Shinichi ringraziò per poi mettersi all’ombra dell’albero, con la bisaccia piena di viveri sotto la testa come fosse un cuscino.
Si riposarono per tre buone ore, che avevano calcolato a seconda della posizione del sole. Dopodiché ricominciarono a camminare.
Se quella stessa mattina il ragazzo aveva guardato ammirato quella maestosa sfera di luce che saliva piano dalla terra. Ora avrebbe voluto solo che esplodesse in mille pezzi, lasciandoli al freddo e al buio. Sentiva quel maledetto calore addosso, mentre goccioline di sudore gli rigavano la pelle dappertutto. L’impossibile da sopportare era quando, qualche goccia di sudore, rotolava sulla schiena e scendeva sulla ferita ancora non rimarginata, facendola bruciare.
Il caldo faceva aumentare la stanchezza, ma tutti e tre sembravano non volersi fermare. Si tolsero solamente i mantelli, mettendoli nelle loro bisacce. Non si fermarono finché il lieve venticello della sera rinfrescò i loro volti sudati. Il cielo stava iniziando a cambiare colore, tingendosi di un giallino pallido. Solo a quel punto i tre si sedettero esausti.
Ci fu qualche minuto di silenzio.
«Direi che possiamo anche mangiare qualcosa.» disse il ragazzo guardando i compagni, che non se lo fecero ripetere due volte e presero le loro bisacce.
«Maledizione! - esclamò Heiji - Ci siamo dimenticati la legna per cuocere la carne. Mi ero dimenticato che è impossibile trovarla qui.»
«Pazienza - disse con aria tranquilla l’amico - Vorrà dire che razioneremo un po’ di più il cibo e al prossimo paese compreremo la legna.»
Il bambino sembrò d'accordo. Dopodiché iniziarono a mangiare, spartendosi il pane e il formaggio.
«Quanta acqua vi è rimasta?» chiese Heiji.
Prima di partire dal villaggio avevano riempito tre borracce a testa dal pozzo. Ogni borraccia conteneva più o meno mezzo secchio. Il ragazzo non era sicuro che fosse bastata per tutto il viaggio, soprattutto sotto il sole cocente.
Fu una felice notizia scoprire che i suoi compagni erano stati parsimoniosi e avevano cercato di bere il meno possibile, anche con quel caldo soffocante. Shinichi aveva consumato solo metà della sua prima borraccia, mentre il piccolo Mistuhiko era rimasto con poco meno di metà della prima.
Heiji e Mistuhiko furono i primi a riposarsi. Così lui si poté godere appieno il suo amato tramonto. Anche quello, visto dalla prateria era tutta un’altra cosa. Il cielo ormai si era tinto del tutto di rosso. Sembrava quasi che fosse in fiamme. Mentre la sfera arancio iniziava a calare verso l’orizzonte. Per un’attimo, mentre calava, il ragazzo riuscì a scorgere la sagoma nera del suo villaggio, stagliata sulla sfera infuocata. Nessun senso di malinconia, sfiorò il suo cuore. Solo una grande gioia per aver lasciato quell’orribile posto che ora sembrava così distante.
Si tinse tutto di rosso per pochi secondi e poi calò il buio silenzioso. Solo la solita pallida luna, illuminava leggermente quella terra arida, colorando tutto il mondo di quel colore blu lattiginoso.

 

Il giorno dopo fu, se possibile, ancora più faticoso. Il sole sembrava avesse deciso di annientarli. 
Per un’attimo il ragazzo pensò al fresco delle gallerie della miniera nelle prime ore di mattina. Scosse la testa. Di certo là fuori era molto meglio di quei maledetti tunnel sotto terra. Rimosse quegli orribili pensieri dalla sua mente, continuando a camminare sotto quel sole caldo che rendeva l’aria secca e soffocante.
Per fortuna quel giorno però, l’aria sembrava così secca, che nessuna goccia di sudore, neanche la più piccola, si azzardò a scendergli lungo il corpo.
Verso il tramonto finalmente i ragazzi scorsero il paese verso cui erano diretti e contenti si fermarono per la notte.

 

Alla sera del terzo giorno i ragazzi varcarono la porta del villaggio. Bastò loro presentarsi come viandanti e le guardie li fecero passare tranquillamente.
I tre girarono un po’ per il villaggio, dopodiché si diressero in un’osteria. L’edificio sembrava vecchio, ma comunque confortevole. Era costruito su due piani e all’ingresso c’era un’insegna in legno. Il ragazzo guardò quei grafemi sbiaditi che per lui erano incomprensibili.
«Cosa c'è scritto?» chiese curioso, rivolgendosi all’amico.
Il ragazzo sgranò gli occhi verdi verso di lui, la bocca aperta.
«Non sai leggere? - chiese e, quando questi scosse la testa, lui cercò subito di rimediare a quella sua mancanza di tatto - Beh penso sia normale, dato che hai sempre vissuto in quel paesino. C’è scritto “Salamandra rossa” è il nome dell’osteria.» concluse.
Shinichi rivolse di nuovo lo sguardo verso quei caratteri rossi e sbiaditi, senza riuscire però a decifrare anche solo una singola lettera.
Entrarono, e una donna nerboruta e cordiale li accolse. Poteva avere quarant’anni. I suoi capelli neri come la pece erano raccolti in una crocchia, da cui però sfuggiva qualche ciuffo ribelle. Il viso era rotondo e roseo. Indossava un vestito marrone molto semplice e sopra un grembiule bianco, sporco di chiazze di ogni genere.
«Desiderate?» chiese guardando i tre coi suoi piccoli occhi porcini.
«Vorremo una stanza in cui poter riposarci per due notti.» intervenne Heiji per tutti.

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Capitolo 5
*** La capitale ***


 

CAPITOLO 5

La capitale

 

Dopo aver pagato in anticipo i soldi alla locandiera i ragazzi si diressero subito alla loro camera, stravolti. Era una camera piccola in cui ci stavano a malapena tre letti. Erano così stanchi che appena furono sdraiati sui materassi nodosi e i cuscini ruvidi, si addormentarono ugualmente.

 

La mattina dopo il primo a svegliarsi fu Shinichi. Il sole caldo di quella terra gli accarezzò la pelle, dandogli quella tonalità bronzea, dalle sfumature di fuoco. Il ragazzo aprì gli occhi azzurri, che sfiorati da quella luce mattutina sembravano più chiari.
Svegliò i compagni, che dopo qualche smorfia e qualche protesta si misero seduti ognuno sul proprio letto.
Poco dopo scesero tutti al piano di sotto. Avevano deciso di dividersi gli impegni e ritrovarsi all’osteria per il pranzo. Mistuhiko si sarebbe occupato del cibo, che avrebbe comprato con gli ultimi soldi rimasti, che avevano rubato alla guardia. Heiji avrebbe cercato di procurarsi la legna. Mentre Shinichi avrebbe provveduto a trovare altri soldi per il futuro viaggio che li aspettava. 
La mattinata passò abbastanza in fretta e quando il sole era nel punto più alto del cielo, i tre si ritrovarono nuovamente sotto la grossa insegna dell’osteria ed entrarono, riparandosi dal sole cocente di quella giornata.
«Accidenti, ora capisco perché si chiama Terra dei Fuochi!» protestò il ragazzo dagli occhi azzurri asciugandosi il sudore con la mano.
I tre si sedettero a uno dei tavoli. La sera prima avevano pagato alla locandiera anche i pasti. 
«Chissà cosa c’è di buono.» disse il bambino, che non vedeva l’ora di mangiare finalmente un pasto degno di quel nome.
«Cosa vi porto?» 
Tutti e tre si girarono e all’unisono trattennero il respiro, rimanendo a bocca aperta per qualche secondo. Davanti a loro c’era una ragazza alta e snella. Le gambe perfette erano fasciate da una gonna aderente di camoscio nero che le copriva a malapena la parte superiore delle cosce. Sopra invece indossava un corpetto dello stesso colore, le cui stringhe s’incrociavano perfettamente sul suo seno. 
La ragazza li guardava con due incantevoli occhi color verde acqua. La matita per prendere le ordinazioni era poggiata sull’orecchio destro dando una piega strana a i suo corti capelli biondi, portati indietro dalla fascia da cameriera.
«Cosa c’è?» chiese il bambino dopo essersi ripreso, mentre i due ragazzi la guardavano ancora imbambolati.
«Io vi consiglierei la zuppa. È ottima!» rispose la ragazza con un sorriso conquistatore.
«Vada per la zuppa.» dissero in coro tutti e tre all’unisono ammaliati dalla ragazza che si allontanò scribacchiando qualche cosa sul taccuino.
Poco dopo arrivarono le zuppe portate dalla ragazza. Lei sorrise nuovamente ai tre ragazzi facendo l’occhiolino a Shinichi. A quel gesto però la proprietaria della locanda la richiamò.
«Sonoko, lascia stare i nostri clienti e vieni a pulire questi bicchieri!»
I tre si godettero la zuppa. Finalmente un piatto caldo, dopo due giorni di formaggio e pane. 

 

La mattina dopo erano pronti a ripartire. Avevano altri due giorni di cammino per arrivare alla capitale.
Fortunatamente la seconda parte del viaggio, sembrò molto meno faticosa. Il sole sembrava aver dato un po’ di tregua ai tre viaggiatori, facendosi coprire ogni tanto da qualche nuvola passeggera.
Il venticello serale, però, rimaneva una soddisfazione per tutti. Mentre il sole calava colorando tutto d'arancio, quella confortante brezza accarezzava fresca i loro visi.

 

Arrivarono alla capitale come previsto dopo due giorni di viaggio. La città era circondata da un muro di cinta di mattoni rossi. Shinichi non aveva visto niente di più alto. Probabilmente raggiungeva gli undici piedi.
Per passare questa volta Heiji dovette presentarsi alle due guardie all’ingresso.
«Sono Heiji, figlio di Shizuka e Heizo, sono qui con degli amici, miei ospiti.»
Una delle due guardie guardò una pergamena e dopo poco diede loro il permesso di passare.
Appena entrati Shinichi rimase ancora più stupito
«Mitsuhiko, Shinichi, benvenuti a Kasai, la capitale della Terra dei Fuochi.
I due guardarono con le bocche spalancate quello spettacolo sorprendente.
Ogni casa sembrava grande il doppio di quelle dei normali paesi. Le vie, ricoperte di ciottoli arancioni, erano affollate di gente che andava e veniva. Ad ogni angolo c’erano banchi di venditori di ogni genere, dagli amuleti alle stoffe, dalla verdura ai quadri, dai profumi ai libri. Ma la cosa più sconvolgente era l’enorme struttura che ergeva proprio ai piedi del vulcano. Un enorme castello color cremisi, che rifletteva tutta la luce del sole dandogli l’impressione che andasse a fuoco. Poteva contare almeno otto torri visibili che salivano fiancheggiando il bastione principale.
«Quello è il castello del re Ignis.» disse Heiji notò lo sguardo sgomento dell’amico nel vedere l’enorme edificio.
Il ragazzo dalla pelle scura li condusse tra le enormi vie di quella città immensa e si fermò solo arrivato davanti a una bottega di artigianato, invitandoli ad entrare.
Subito li accolse sorridente una bellissima donna. Shinichi capì subito che era la madre di Heiji. Aveva gli stessi occhi verdi. I capelli erano biondo scuro, quasi castano, raccolti sulla nuca con una bellissima spilla decorata da fiori gialli. Indossava un vestito color arancio pallido.
Nel vedere il figlio la donna lo salutò con un sorriso.
«Come mai sei tornato?» chiese la donna poco più tardi.
Erano tutti e quattro sul retro del negozio e stavano bevendo un’infuso caldo preparato dalla padrona di casa.
«Non si poteva lavorare là. Sono tutti pazzi. Mistuhiko stava per essere frustato.» rispose Heiji indicando il piccolo amico.
«Oh santo Feuer! - disse la donna smettendo di colpo di bere - Stai bene piccolo?» chiese rivolgendosi al bambino, che stava tranquillamente bevendo dalla sua tazza.
«Sì signora, benissimo. Grazie a suo figlio e a Shinichi, non mi è successo niente!» disse con un sorriso, tornando poi a bere la sua tisana.
«Madre, rimarremo qui per pochi giorni. Voglio far vedere a Shinichi tutte le terre di Snaga.»
La donna sgranò gli occhi, poi con un sospiro attaccò la bocca alla sua tazza bevendo un lungo sorso della tisana. Quando finì alzò lo sguardo sul figlio.
«E sia... Ma state attenti ragazzi. Con la guerra tra le terre, se scoprissero che siete della Terra dei Fuochi, vi arresterebbero o peggio.»
«Tranquilla madre. Staremo attenti.»

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Capitolo 6
*** L'amuleto di Fuoco ***


CAPITOLO 6

L'amuleto di Fuoco

 

«Allora?»
«È spettacolare! - esclamò estasiato il ragazzo con il naso all’insù - Sembra riesca a riflettere tutta la luce del mondo.»
«È normale. - rispose ridendo l’amico - Ogni castello delle quattro terre è stato costruito con le pietre cristallo. Ogni terra ha un tipo di pietra cristallo ed è da quella che deriva la magia.»
«Vuoi dirmi che quel castello è fatto di pietre magiche?» chiese il ragazzo interrogativo.
«Diciamo di sì.» rispose il ragazzo dalla pelle scura.
«Cioè?»
Ricominciarono a camminare per le vie affollate di quell’enorme città.
«La magia è racchiusa in ogni pietra cristallo, ma solo l’uomo può sprigionare questa forza. Inoltre non tutti diventano maghi. Prendi me per esempio. Mai stato mago, la forza di controllare la magia passa da generazione a generazione.»
«Re Ignis è un mago?» chiese curioso il ragazzo.
Quella discussione lo stava interessando. Il pensiero che ci fossero dei maghi nel mondo, delle persone che fanno cose strane, diverse dal solito, che possono cambiare ciò che è reale, lo eccitava.
«Ovvio! Tutte le famiglie reali devono avere il dono della magia.» rispose l’amico.
«Tu sai qualcosa di cosa si può fare con la magia? Si spostano gli oggetti? Si fanno sparire le cose? Si lanciano fulmini...?»
Il ragazzo dalla pelle scura scoppiò a ridere, bloccando quella valanga di domande.
«Mi spiace deluderti amico mio, ma non è questa la magia.» rispose asciugandosi le piccole lacrime che gli erano uscite dagli angoli esterni degli occhi, per il troppo ridere.
«Ah no?» fece lui, sembrava un po’ deluso.
«No. La magia controlla solo gli elementi, e neanche tutti. Se tu hai un’amuleto fatto con una pietra cristallo del fuoco, come quelle che compongono il castello di Kasai, allora potrai controllare il fuoco. Se invece hai una pietra cristallo dell’acqua, che può essere trovata solo nella Terra dei Mari, controllerai l’acqua. E la stessa cosa vale per la pietra cristallo dell’aria nella Terra dei Venti e la pietra cristallo della terra nella Terra dei Boschi.»
A quelle parole qualcosa scattò nel cervello del ragazzo. Ricordava perfettamente la loro fuga dalle miniere. Si ricordò di quella cosa strana che era capitata.
Bloccò l’amico, tenendolo per la casacca.
«Che succede?» chiese preoccupato vedendo l’amico che era impallidito.
«Quando ce ne siamo andati dalla miniera, a un certo punto è esplosa da sola una lampada a olio. Qualcuno deve averla fatta esplodere con la magia!»
«E quale guardia sarebbe mai così stupida da ostacolarsi da sola?» chiese il ragazzo dalla pelle scura, interrogativo.
«E se invece fosse stato Mitsuhiko? Magari è un mago e non ce l’ha detto!» concluse Shinichi, pensando al bambino che era rimasto a casa con la madre di Heiji.
«No, è impossibile, la forza per controllare la magia si manifesta solo a diciassette anni. Lui è ancora troppo piccolo per…» il ragazzo si bloccò.
Shinichi lo vide sgranare gli occhi mentre guardava il suo petto.
«Che c'è?» chiese cercando di capire cosa l’aveva tanto sconvolto. 
L’unica cosa che vide, però, era il ciondolo che gli aveva lasciato suo padre prima di partire con sua madre in giro per altri mondi. Quell’amuleto era l’unico ricordo che gli era rimasto dei suoi e non se ne separava mai, nemmeno di notte.
«Dove l’hai presa quella?» chiese Heiji. , la sua mano scura indicava proprio il ciondolo dell’amuleto.
«È di mio padre.»
«Shinichi, sei stato tu!» esclamò Heiji.
«A fare cosa?» aveva perso il filo del discorso, di cosa si stava parlando ora non lo sapeva più.
«A far esplodere la lampada alle miniere. Tu sei un mago Shinichi e probabilmente lo è anche tuo padre!»
«Che cosa?» urlò il ragazzo.
Un po’ di gente si voltò verso di loro per qualche secondo, ma dopo poco tornarono tutti ai loro affari, mentre i due ripresero a camminare.
«Sì Shinichi! Quella che hai al collo è una pietra cristallo del fuoco.»
Il ragazzo non poté crederci. Lui un mago. Un mago che poteva controllare il fuoco. 
Da quando era uscito da quel maledetto inferno, la sua vita era andata molto meglio. Quei dieci giorni erano stati i migliori della sua vita. Eppure la scoperta di essere un mago era l’apice della gioia. Si sentiva come se niente l’avesse potuto fare più contento. Subito, volle testare i suoi poteri. Voleva sapere se era vero. O se Heiji se lo fosse solo inventato per prenderlo in giro.
Vide in una bancarella una candela profumata. Non voleva creare danni, quindi cercò semplicemente di accenderla. Si concentrò sullo stoppino. Quel piccolo filo bianco che spuntava dal grosso cilindro color ambra. Poco dopo una piccola scintilla e poi la fiammella iniziò a danzare. Il mercante si spaventò e la spense subito dopo con un soffio. Mentre Heiji soffocava una risata.
«Ora smettila di giocare. Dobbiamo tornare a casa per la cena o mia madre s’infuria. Fidati non ti conviene vederla arrabbiata.»

 

«Sorprendente! - esclamò la donna guardando la fiammella della lanterna danzare dentro la campana di vetro - Non avevo mai visto un mago del fuoco in azione.»
«Mago del fuoco? Un mago non può controllare tutti gli elementi a seconda della pietra cristallo che possiede?» chiese il ragazzo dalla pelle scura alla madre, mettendo i piatti sulla tavola circolare.
«In realtà dovrebbe essere così. Ma pochissimi sono riusciti a controllarli tutti e quattro e solo in passato, ora nessuno lo riesce a fare.» rispose la donna portando la pentola a tavola.
«Questo non lo sapevo, pensavo che si potesse controllare tutto.» disse Heiji confuso, sedendosi poi a tavola con gli altri due, mentre sua madre serviva le porzioni per la cena.
«Invece no. Un mago del fuoco rimane un mago del fuoco.»

 

«Sei sicura che non ti darà fastidio?» chiese il ragazzo dopo aver salutato la madre.
«Assolutamente no! È un ragazzino in gamba. Sa come attirare i clienti ed è anche molto portato per il forno delle ceramiche.» sorrise la donna guardando con la coda dell’occhio il bambino lentigginoso che era di fianco a lei con il grembiule sporco.
«Bene. Allora Mitsuhiko, ci vediamo al nostro ritorno. Mi raccomando bada a mia madre.» lo salutò il ragazzo scompigliandogli i capelli color sabbia.
«Certo! - sorrise lui - E quando tornate voglio raccontato tutto quello che avete visto.»
«Puoi starne certo piccolo. - lo rassicurò l’altro ragazzo, che poi si rivolse alla madre dell’amico - Grazie dell’ospitalità signora.» concluse con un lieve inchino.
«Di niente ragazzo mio. Mi ha fatto piacere avervi qui.»
Si salutarono. Dopodiché i due amici si allontanarono pronti per un’altro lungo viaggio, verso la Terra dei Mari.

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Capitolo 7
*** L'oceano ***


CAPITOLO 7

L'oceano

 

I due erano in viaggio da più di un paio d’ore. Le gambe del povero ragazzo stavano già chiedendo pietà. Percorrere la strada ripida che risaliva il vulcano, non era semplice come attraversare il resto della Terra dei Fuochi. I muscoli delle gambe sembravano doversi spezzare ogni volta che il ragazzo muoveva un passo. Bruciavano, come se lui stesso avesse provato a farli andare a fuoco, con quei poteri che da poco aveva scoperto di avere.
Alzò il viso sudato. I suoi occhi azzurri scrutarono la cima di quell’imponente mostro della natura. Il cratere ormai era a pochi chilometri, ma le sue gambe dovevano fermarsi e così fecero. Si bloccò. Non poteva continuare neanche per un’altro centimetro. 
Heiji che era proprio davanti a lui, si voltò indietro e vide l’amico sedersi su una sporgenza rocciosa. Decise di fare altrettanto,anche lui sembrava esausto e il volto dalla carnagione più scura dell’amico aveva l’aria di essere un po’ più pallido.
Rimasero lì per una buona mezz’ora, poi, quando i muscoli delle gambe sembravano essere tornati più rilassati, ripresero a salire.
L’odore di zolfo iniziò a penetrare le loro narici, era un odore forte e nauseabondo. Entrambi i ragazzi si dovettero coprire naso e bocca con le estremità delle casacche.
Arrivati in cima videro finalmente l’enorme cratere. Era chiuso e al suo interno si era formato un’enorme lago di acqua vischiosa che ribolliva ed emanava quell’odore insopportabile.
«Miris è inattivo da secoli!» disse il ragazzo dalla pelle scura, la voce ovattata dalla stoffa che premeva sulla bocca.
I ragazzi si allontanarono dal cratere, percorrendo una stradina che valicava la catena montuosa.
Quando furono abbastanza lontani, da non sentire più quel forte odore, si liberarono dai due pezzi di stoffa, aggiustandosi nuovamente le casacche.
«Questa strada, veniva usata dai mercanti, quando ancora c’era il libero commercio tra le terre. L’ho presa un paio di volte con mio padre, quando non c’era la guerra.»
Camminarono tutto il giorno e la notte si riposarono in uno spiazzo muschioso che si trovava nella parte ombrosa della catena.

 

La mattina successiva, dopo un paio d’ore di cammino, finalmente videro l’altra terra. 
Il clima, rispetto alla Terra dei Fuochi era completamente cambiato. Un fresco vento accarezzava i loro volti e il sole era tiepido e rasserenante. Ma la cosa che colpì di più il ragazzo, fu l’odore che iniziò a percepire e che aumentava man mano che i due procedevano. Era un odore particolare, mai sentito. Un odore che pizzicava il naso, ma non in modo fastidioso come il fumo, no, sembrava voler entrare a forza nelle narici. 
Nella pausa che i due fecero, per mangiare qualcosa prima di arrivare al primo villaggio della Terra dei Mari, il ragazzo chiuse quei perfetti occhi azzurri e assaporò tutta l’intensità di quell’odore, respirando a fondo e dilatando il polmoni. L’amico vide i suoi gesti e sorrise.
«È così rilassante l’odore della salsedine.» disse, come se avesse capito tutto.
«Vuoi dire che questo è l’odore del mare?» chiese subito aprendo di scatto gli occhi.
«Puoi ben dirlo! Non troverai alcun luogo in tutta la Terra dei Mari in cui non si sente l’odore dell'Oceano.»
Ripresero a camminare e non ci volle molto perché finalmente anche il paesaggio all’orizzonte cambiò.
Per vari minuti Shinichi rimase immobile. Il vento fresco gli sferzava i capelli castani, mentre lui ,con gli occhi azzurri sgranati, guardava quell’immensa distesa d’acqua che si muoveva leggera sotto al vento.
Dopo altre ore di cammino, finalmente erano scesi dalla catena montuosa, arrivando al villaggio più vicino. 
Il ragazzo non smetteva di fissare quell’enorme distesa d’acqua, che da lì sembrava addirittura più immensa.
Il villaggio in cui erano arrivati era a ridosso del mare e il ragazzo vide quelle maestose acque da vicino. Le onde s’infrangevano sulla spiaggia ghiaiosa provocando la schiuma bianca, che poi veniva risucchiata dalla risacca e ritornava con l’onda successiva.
I due però non potevano ammirare il paesaggio, era il tramonto e dovevano assolutamente trovare un luogo in cui dormire quindi decisero di entrare nel villaggio. Si stavano dirigendo verso le guardie d'ingresso, quando Heiji fermò l’amico.
«Ti conviene nascondere quello.» disse indicando il ciondolo rosso fuoco, che ancora rifletteva i raggi del sole calante.
Lui se lo staccò da collo e lo mise in tasca. Poi entrambi si alzarono i cappucci dei mantelli sul viso.
Appena furono alle porte del paese le due guardie li fermarono e Shinichi prese la parola.
«Siamo viaggiatori, veniamo da sud.» poi si abbassò il cappuccio, mostrando la sua carnagione chiara, proprio come avevano organizzato.
Le due guardie convinte li fecero passare e i due entrarono nel paese.
Shinichi, notò subito la differenza con la sua terra. Le case, piccole o meno piccole non erano in legno o in argilla, ma in pietra bianca. Tutto il paese sembrava immerso in un mondo candido, sebbene il sole del crepuscolo colorava tutto di arancio. 
Gli abitanti avevano la pelle chiara e i tratti delicati e davano l’impressione di essere molto cordiali.
I due entrarono in una locanda e subito una donna li accolse con sorriso. Era alta e snella, i capelli castani erano corti e le cadevano sul viso. Indossava un vestito azzurro e un grembiule bianco perfettamente pulito. Mentre i suoi occhi verdi guardavano i suoi due nuovi clienti.
«Avremmo bisogno di una camera per una notte.» disse Heiji abbassando il cappuccio.
La ragazza sembrò un po’ stupita dalla sua carnagione così scura, ma non vi badò e li accompagnò alla scala a chiocciola che portava al piano delle stanze.

 

Il mattino dopo i due si svegliarono più rilassati che mai. Pronti per un altro viaggio. L’odore frizzante di quella terra invase le loro narici, dando loro la carica.
Dopo essersi vestiti, scesero ai piani inferiori e ringraziarono la locandiera, pagando la notte.
«Grazie a voi per essere venuti.» disse con un sorriso la ragazza.
Mentre con un inchino stava ringraziando i due clienti, una bambina dai capelli biondi raccolti in due codini si avvicinò a lei tirandola per il vestito.
«Masumi, mi si è sporcato il vestito.» disse con la sua vocina, mostrando il vestitino rosa che aveva una vistosa macchia di sugo.
La ragazza sospirò e accompagnò la bambina sul retro, ringraziando di nuovo i due ragazzi.

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Capitolo 8
*** Il colpo di fulmine ***


CAPITOLO 8

Il colpo di fulmine

 

La Terra dei Mari era decisamente molto più rilassante di quella dei Fuochi. Il viaggio dei due ragazzi fu tranquillo. Nessun sole cocente a tormentarli. 
Shinichi si guardava stupito. Quel paesaggio era completamente diverso da quello della sua terra. Il verde dell’erba, come degli alberi, era acceso e sgargiante. 
Ogni mattina al suo risveglio il ragazzo si meravigliava nel vedere come l’aurora trasformasse il paesaggio. L’erba era punteggiata da gocce di rugiada, che sembravano coprire di riflessi colorati ogni piccolo filo verde. Mentre la luce pallida del sole mattutino iniziava a riflettersi anche sull’enorme distesa azzurra che i ragazzi stavano fiancheggiando per il viaggio.
Shinichi più guardava quelle maestose acque più rimaneva stupito di quanto poco sapesse delle terre di Snaga.
Dopo sei giorni di viaggio, finalmente i ragazzi videro all’orizzonte la capitale. A Shinichi sembrò di essere tornato davanti alle porte di Kasai, non fosse per il fatto che l’immenso muro era fatto della stessa pietra bianca con cui erano fatte tutte le case di quella terra.
I due amici si avvicinarono all’ingresso della città, coi cappucci che coprivano i visi. Come si aspettavano le due guardie li fermarono.
«Da dove venite?» chiese una delle due.
Come al solito dovette parlare Shinichi, l’altro aveva la pelle troppo scura per dare l’impressione di essere di quella terra.
«Siamo mercanti. Veniamo dal villaggio vicino alla catena montuosa. E abbiamo degli affari da sbrigare.» disse cercando di usare un tono il più tranquillo possibile, calandosi anche il cappuccio.
«E con chi avete questi affari?» chiese la stessa guardia.
Shinichi deglutì, quella domanda non se l’aspettava. Pensò alla svelta. Vide che su un tavolino di legno chiaro, proprio vicino alla guardia, c’era la stessa cartella che avevano le guardie a Kasai. 
Si concentrò sull’altra estremità del tavolino che in un attimo prese fuoco. Le due guardie si voltarono subito sentendo il fuoco iniziare a crepitare, bruciando il legno e il ragazzo dagli occhi azzurri poté finalmente buttare l’occhio sull’elenco.
Appena le due guardie si voltarono di nuovo verso i due ragazzi.
«Ebbene? Ci siamo stancati, andate via di qui!» disse l’altra guardia, che sembrava essere più burbera.
«Gli affari li abbiamo con Clever, siamo mercanti di spezie.» disse il ragazzo.
A quelle parole l’altra guardia guardò l’elenco, dopodiché sospirò e li fece passare.
Questa volta a rimanere stupiti furono in due. La capitale della Terra dei Mari era di poco più piccola di Kasai, ma sembrava avere molta più vita. 
Nel lato ovest il porto era pieno di navi e barche attraccate ai moli, che galleggiavano sull’acqua calma dell’oceano. Le case bianche erano più grandi. E le bancarelle del mercato erano enormi gazebo con tende dai colori sgargianti. La cosa che ovviamente colpì entrambi fu il castello. Era al centro della città. Una maestosa struttura, dall’aria molto più elegante di quella di Ignis. Sembrava fatta d’acqua e Shinichi ne dedusse che doveva essere colpa dei riflessi che emanavano le pietre cristallo di quella terra. Una struttura azzurrina, dalle torri fini di un’eleganza inaudita.
I due trovarono una locanda ad un prezzo ragionevole, dopodiché si divisero i compiti. Avevano deciso che sarebbero stati lì più di un paio di giorni, in modo da potersi ristabilire appieno dal lungo viaggio. Volevano provare a cercare un lavoro, un lavoro che non fosse come quello in cui si erano conosciuti. 
«Ci vediamo al tramonto.» disse il ragazzo salutando l’amico, per poi inoltrarsi nel cuore della capitale.

 

I suoi occhi azzurri scrutavano ogni meandro di quella città immacolata, come a voler trovare qualcosa che stonava, qualsiasi cosa. Un bambino che piangeva, un ladro che cercava di rubare qualcosa dalle ben fornite bancarelle. Niente. Quella città sembrava perfetta. 
Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse di dove camminava. Si scontrò con qualcuno, barcollò un po’ ma tornò in piedi. Appena fu di nuovo con la schiena eretta alzò lo sguardo. Era un ragazzo. Aveva un cappellino in testa e dei vestiti scuri. I suoi occhi violetti lo scrutavano rabbiosi.
«Stai attento a dove metti i piedi.» disse dopodiché si scrollò un po’ di polvere dai pantaloni scuri e si allontanò.
Shinichi non badò molto a ciò che era successo, ma da quel momento lo pervase una strana sensazione. Ogni volta che girava l’angolo, o cambiava via si sentiva osservato. Dopo l’ennesima svolta decise di mettere fine a quell’inseguimento. 
Avvicinò la mano alla cintura e girò nuovamente in un vicolo ceco. Era un piccolo vicolo vuoto e buio, perfetto per spaventare il suo inseguitore.
Si fermò e sentì l’inseguitore avvicinarsi nascondendosi nell’ombra. Lui con un movimento repentino estrasse il coltello dalla cintura e scattò verso la sua vittima. Quest’ultima però, con un gesto ancora più veloce, caricò tutto il peso su una gamba e tirò un calcio, colpendo solo il coltello che volò lontano dal ragazzo.
Guardò il suo aggressore, era lo stesso ragazzo di prima, quello con cui si era scontrato.
«Cosa vuoi da me?» chiese, ormai disarmato.
«Non sei di qua, vero?» chiese l’altro.
Shinichi si bloccò e iniziò a sudare. Un sudore freddo che scendeva a lievi goccioline, percorrendogli la pelle bianca. Doveva rispondere, altrimenti il ragazzo si sarebbe insospettito.
«No, sono del paese vicino alla catena montuosa che confina con la Terra dei Fuochi.»
Il viso del ragazzo si rilasso.
«Ci voleva tanto a dirlo, avevi paura ti mangiassi?» rise, raccogliendo il coltello e porgendoglielo.
Lui lo prese, ma rimase zitto, mentre se lo rimetteva alla cintura.
«Come ti chiami?» chiese con un sorriso.
«Shinichi...» rispose il ragazzo.
«Benvenuto a Mizu, Shinichi. - disse porgendogli la mano - Io sono Ran.»
Il ragazzo rimase sconvolto. Stava ancora stringendo la sua mano quando sentì il nome. Non era un ragazzo. Quello era il nome di una ragazza. Deglutì.
«Tu…quindi tu sei una…»
Rise, e anche di gusto. Il ragazzo a quella risata ebbe la sua conferma. Sentendola ridere si capiva benissimo. Aveva una voce molto più chiara e limpida. Come aveva potuto non notarlo?
«Sì, sono una ragazza.» rispose, dopo aver smesso di ridere, togliendosi il cappello e facendo cadere una cascata di capelli castani che le scendevano sulle spalle.

 

Era il tramonto. Stava tornando alla locanda, ma la sua testa era altrove. Non sapeva il motivo, ma continuava a pensare agli occhi violetti e il viso dolce di quella ragazza. Al suo calcio perfetto, alla sua velocità, ai suoi capelli castani, al suo corpo. Scosse la testa, doveva smetterla di fantasticare. Probabilmente non l’avrebbe più rivista.
Arrivato alla locanda vide che Heiji era già lì ad aspettarlo. Era seduto a un tavolo e lo salutò.
Raggiunse l’amico e si sedette al tavolino.
«Allora? Com’è andata?» chiese il ragazzo dalla pelle scura.
«Niente, non ho trovato nessun annuncio.» rispose l’amico.
«Io sì, ma purtroppo no possiamo accettare un lavoro del genere.» disse sconsolato lui chiudendo gli occhi verdi.
«Perché?»
«Perché è al castello. Hanno bisogno di due domestici a palazzo.»
«E scusa perché non potremmo andare?» chiese Shinichi con sguardo interrogativo.
«Andiamo Shin, guardami. Come puoi sperare che con questa pelle mi prendano per uno della Terra dei Mari? È già tanto se sono riuscito a girare tranquillo per la capitale.» sbuffò il ragazzo.
«Heiji ascolta, basterà dire che avevi una casetta  sui monti a ridosso del confine, vicino al paese della catena. Nessuno sospetterà mai di te. Sebbene il sole qui sia più pallido, sulle montagne ce n’é abbastanza per crescere con una carnagione del genere.»
L’amico sospirò, mentre il proprietario della locanda portò loro i pasti.
Mangiarono in silenzio e, solo quando la sua ciotola fu completamente vuota, Heiji alzò gli occhi verdi sull’amico.
«Eh va bene, andremo a lavorare a palazzo. Penso che qualche mese possa bastare. Poi però dovremmo ripartire.»

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Capitolo 9
*** La principessa ***


CAPITOLO 9

La principessa

 

Il ragazzo credeva di non essere mai stato più nervoso di quel momento in vita sua. Il cuore sembrava battergli a mille mentre, al fianco del suo amico, aspettava che la guardia, che poco prima era all’ingresso di quell’enorme struttura azzurra, tornasse dando loro il permesso di entrare.
Erano proprio davanti ai cancelli bianchi del palazzo. Oltre essi si vedeva un fossato ricolmo d’acqua limpida. Ma invece del ponte levatoio, la strada che portava al portone di quercia, era una stradina di ciottoli bianchi, che secondo Shinichi aveva le sue fondamenta nel fondo del fossato.
Sembrò passare un’eternità. Eppure sapeva che erano passati sì e no pochi minuti, quando la guardia tornò, al seguito aveva un ragazzo un po’ più grande di loro. Alla vista di quella figura, Shinichi tirò un sospiro di sollievo. Era alto, i suoi occhi di ghiaccio li squadravano, mentre i capelli corti e biondi gli cadevano sul viso abbronzato. Aveva la pelle poco più chiara di Heiji e questo rassicurò di molto il ragazzo. Li guardò con quegli occhi freddi e poi li invitò ad entrare.
Appena varcato l’enorme portone in legno i ragazzi rimasero allibiti. Dovevano aspettarsi una maestosità del genere da un palazzo reale, eppure rimasero lo stesso a bocca aperta.
L’atrio che si presentava davanti a loro era immenso. Il pavimento componeva un maestoso mosaico rappresentante una bellissima sirena dai capelli rossi e la coda composta da squame d’oro. Le pareti erano di un’azzurro chiaro che dava un senso di tranquillità ed erano squarciate da immense vetrate che facevano entrare la luce del pallido sole di quella terra, mentre l’immenso soffitto bianco era decorato di bassorilievi astratti che sembravano ricreare le onde dell'oceano. In quel mare di bianco spezzava l’enorme lampadario a candele. Era in oro e da ogni braccio pendevano tre pietre azzurrine. Al centro della sala, nell’estremità opposta a dove si trovavano, una scala bianca con i corrimano dello stesso colore delle pareti, saliva e poi si biforcava davanti a un’altra immensa vetrata, da cui si vedeva il porto di Mizu.
Il ragazzo li condusse in una porta laterale, appena varcata si trovarono in uno stretto corridoio. Per un’attimo Shinichi ebbe un brivido. Il corridoio buio, la ruvida pietra delle pareti. Ebbe paura fosse stato tutto un sogno. Un maledetto e bellissimo sogno e che ora si trovasse di nuovo alla miniera.
Il biondo accese una lanterna e appena Shinichi vide quel viso dagli occhi di ghiaccio tirò un’altro sospiro di sollievo. Per fortuna la miniera era ormai lontana, pensò, mentre il ragazzo faceva loro strada, iniziando a parlare.
«Questo è l’unico ingresso che porta all’ala riservata ai domestici. Le cucine reali, la lavanderia, i nostri alloggi e la nostra mensa è tutto oltre questo corridoio. Io sono a capo dei domestici, quindi se avete bisogno di informazioni o ragguagli dovete chiedere a me. Il vostro compito sarà quello di pulire la sala da pranzo dopo i pasti del re e di sua figlia. Una regola fondamentale è non farvi vedere. Per il re e i suoi ospiti, noi non esistiamo, quindi meno ci vedono meglio è.»
Shinichi rimase un po’ scettico a quell’affermazione. Forse avrebbe fatto meno fatica, ma in quanto a sfruttamento quel lavoro non era da meno alla miniera. Ma in fondo che ci si poteva aspettare da dei nobili. Sospirò e continuò a seguire il capo domestico e l’amico.
Arrivati alla fine dello stretto corridoio il ragazzo aprì la porta che gli si era parata davanti. I cardini cigolarono e la luce li investì lasciandoli cechi per qualche secondo. Si ritrovarono in una piccola sala con due finestre. La stanza era spoglia, le pareti erano gialle e sporche, bucate solo dalle finestrelle e da due porte che riportavano due targhette in ferro, con dei disegni. Una aveva un vestito e l’altra una pagnotta.
«Qua c'è la lavanderia e la cucina - disse il ragazzo indicando le due porte - mentre là sopra - e indicò una scala a chiocciola all’angolo della stanza - ci sono gli alloggi e la mensa. Venite vi mostro le vostre stanze.»

 

Era ormai il quarto giorno di lavoro. Il ragazzo era sdraiato sul suo letto. Quella stanza non gli dispiaceva affatto. Era piccola, ma accogliente. Le pareti dello stesso giallo di tutta l’ala. I mobili erano semplicemente un armadio, il letto e una piccola cassapanca ai piedi di esso. Ogni due giorni ogni domestico si cambiava le lenzuola da solo, prendendo quelle nuove dalla lavanderia. Nemmeno il suo lavoro era male. Pensava che in fondo, quella vita sarebbe stata di certo migliore di quella che viveva prima nella Terra dei Fuochi.
Qualcuno bussò alla porta. Il ragazzo si diede la spinta e poggiò i piedi sul pavimento per poi alzarsi facendo peso sulle gambe. Prese il pomello in ottone della porta della sua stanza lo girò di poco e appena sentì lo scatto tirò verso di se aprendo la porta.  Alla soglia c’era Heiji, in tenuta da lavoro, proprio come lui. Le braghe beige gli arrivavano poco più sotto delle ginocchia, mentre la casacca dello stesso colore era senza maniche, in modo che le braccia potessero essere libere.
«Tra poco dobbiamo andare. Sei pronto?» chiese il ragazzo dalla pelle scura.
«Certo, mi metto solo le scarpe. Ci vediamo davanti alla stanza delle scope.»
Poco dopo entrarono nell’immensa sala da pranzo. La parete era affrescata in una rappresentazione della capitale. Un affresco perfetto in ogni minimo dettaglio. Il soffitto era come quello all’ingresso del palazzo e anche il lampadario di candele era identico. Al centro della sala un enorme tavolo in legno scuro, con ancora tutti i resti del pranzo. Quel giorno a palazzo il Re aveva avuto degli ospiti e quindi vi erano state molte più portate e, di conseguenza, molto di più da pulire.
I due ragazzi si misero a lavoro e, quando ormai stavano per finire.
«Tu vai amico, ci vediamo alla mensa.» disse Shinichi, mentre continuava a pulire.
«Ok, mi raccomando ti aspetto al solito posto.» sorrise lui, per poi uscire dalla sala.
Mentre scendeva l’enorme scalinata all’ingresso del palazzo, si scontrò contro qualcuno, che cadde rovinosamente tra le sue braccia. 
Lo sguardo dei due s’incrociò. Heiji guardò la ragazza che aveva tra le braccia. Il viso delicato, i capelli tirati su in una crocchia e due bellissimi occhi verdi lo guardavano un po’ spaventati.
La ragazza si ritirò su, sciogliendosi dall’abbraccio. Poi si aggiustò alla meglio il vestito verde pallido e alzò di nuovo lo sguardo su di lui.
«Ti chiedo scusa. Non ho guardato dove andavo e…»
«Ci siamo già visti alla mensa, vero?» chiese il ragazzo fermando a metà la sua frase.
La ragazza prima lo guardò un po’ interrogativa, poi rispose.
«Sì, credo di sì. Solo che io non sempre mangio con gli altri domestici, in quanto dama di corte della principessa.»
«Come ti chiami?» chiese il ragazzo con un sorriso spavaldo.
«Kazuha.» rispose lei arrossendo un po’ per quel bellissimo sorriso.
«Beh Kazuha, è stato un piacere conoscerti.» disse, poi le prese la mano e la baciò con delicatezza.
La ragazza sentì le sue labbra calde e umide sul dorso della mano. Ebbe appena il tempo di vedere di nuovo i suoi occhi verde scuro contornati da quel viso dalla pelle bruna che lui, lasciata la mano, se ne andò, finendo di scendere le scale. Seguì la sua discesa, finché non lo vide entrare dentro il corridoio che portava all’ala dei domestici. Appena scomparì dalla sua vista, con un sospiro, ricominciò a salire le scale.

 

Shinichi stava finendo di pulire, ormai doveva solo passare lo straccio sul tavolo, quando a un tratto sentì un gran trambusto da fuori. Ebbe appena il tempo di girarsi per vedere la porta aprirsi. 
Una bella figura, apparì ai suoi occhi e subito, portò di nuovo lo sguardo al tavolo. Una delle regole che gli avevano insegnato a palazzo era che se un qualsiasi reale l’avesse incrociato, lui non doveva guardarlo né rivolgergli la parola, a meno che non fosse stato interpellato.
«Scusami, ho dimenticato qua il mio quaderno.»
Il ragazzo s’irrigidì. Quella voce era terribilmente familiare. No, era più che familiare. Erano passati solo cinque giorni e non c’era stato momento in cui non avesse pensato a lei.
Alzò lo sguardo lentamente. Un paio di scarpe rosa pallido col tacco, un vestito rosa confetto con la gonna di tulle e il corpetto che stringeva alla vita. Un seno perfetto, che finalmente riusciva a vedere, sorretto dal corpetto del vestito. I capelli castani lunghi le cadevano sulle spalle che erano coperte da delle spalline a palloncino. Il suo viso delicato era finalmente truccato. In quel momento non avrebbe potuto minimamente confonderla per un ragazzo. Il rossetto rosa le colorava ancora di più quelle piccole labbra perfette, mentre quegli stupendi occhi violetti erano truccati in modo impeccabile.
«Oh, guarda chi si vede! - sorrise la ragazza - Ti chiami Shinichi vero?» chiese.
«Sì, altezza...» disse chinandosi davanti alla meravigliosa figura, mentre sentì la sua risata argentina.
«Ma che fai? Insomma, la prima volta che mi vedi mi vuoi attaccare con un coltello e ora t’inchini?»
Lui arrossì vistosamente, mentre tornava su con la schiena. La ragazza prese il quaderno che era ancora sul tavolo, poi si rivolse di nuovo a lui.
«Beh, Shinichi, spero di rivederti.» disse con un sorriso, poi si allontanò e sparì dietro la porta della sala da pranzo.
Appena uscita
 sospirò, stringendo al petto il suo quaderno. Shinichi. Quel giorno, di quasi una settimana prima, l’aveva seguito senza un vero motivo. Era stato l’istinto. Forse erano stati quei due occhi azzurri come zaffiri che l’avevano attirata, quei due occhi che sembravano racchiudere tutto l’oceano oppure quell’aria da ribelle, quell’aria che pochi secondi fa era completamente sparita. Sorrise. Ovvio che fosse sparita, in fondo era la principessa.

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Capitolo 10
*** Tutta la verità ***


CAPITOLO 10

Tutta la verità

 

Finalmente era passata un’altra giornata di lavoro. I due ragazzi si erano appena seduti al solito posto, con la loro ciotola di minestra. Non ebbero neanche il tempo di prendere i due cucchiai vecchi e sollevare un po’ di verdura dal piatto, che arrivò Tooru, il capo domestico, al loro tavolo.
«Shinichi, appena hai finito di mangiare, vieni con me. La principessa vuole vederti!» detto questo se ne andò com’era arrivato.
Il ragazzo impallidì e rimase col cucchiaio a metà strada tra la ciotola e la sua bocca, mentre guardava il biondo allontanarsi con passo svelto.
«Cosa diavolo hai combinato?» chiese l’amico iniziando a preoccuparsi.
Shinichi girò lentamente la testa verso di lui e si portò l’utensile di metallo alla bocca. Rispondendo solo quando ebbe ingoiato il contenuto.
«Ricordi quella ragazza che ho incontrato il primo giorno che siamo arrivati qui?» chiese riempiendo di nuovo la conca di metallo del cucchiaio di quella poltiglia verde.
«Sì, me ne hai raccontato due giorni fa. Perché?» chiese il ragazzo dalla pelle scura, non riuscendo a capire cosa c’entrasse col discorso.
«Sta mattina, quando sono rimasto da solo a pulire l’ho rincontrata.»
«L’hai incontrata?» il ragazzo sembrava capire sempre meno.
«Sì, aveva dimenticato il quaderno nella sala da pranzo.» rispose, teneva gli occhi bassi e continuava a mangiare.
«Ma quel quaderno non era al posto della…»
Si fermò. Finalmente aveva capito. Questa volta fu il suo cucchiaio a fermarsi a mezz’aria.
«Stai scherzando spero.» il volto completamente sconvolto in una smorfia di supplica.
«Affatto. Cinque giorni fa ho minacciato con un coltello la principessa. Non hai idea di come mi sono sentito scemo questa mattina.»
Il ragazzo dalla pelle scura sospirò, dopodiché portò un nuovo cucchiaio di minestra alla bocca.
«Beh Shinichi vai tranquillo, vedrai che andrà tutto bene.»

 

Stava camminando. Davanti a lui la schiena di Tooru coperta dalla giacca nera. Percorsero un labirinto infinito di corridoi, stanzoni e sale. E il ragazzo si preoccupò per come sarebbe tornato all’ingresso del palazzo. Forse se fosse stato più attento sarebbe riuscito a ricordare il percorso esatto. Purtroppo però, la sua mente era da tutt’altra parte. Pensava a Ran. Ran, una principessa. Anzi, la principessa. Non sapeva se essere spaventato per ciò che lo aspettava o felice perché l’avrebbe potuta rivedere.
Il ragazzo biondo si fermò davanti a una porta.
«Questo è l’ingresso agli appartamenti della principessa. Bussa e mi raccomando, fai i dovuti riguardi e non combinare pasticci.» poi si allontanò di nuovo.
Il ragazzo rimase un po’ lì, davanti a quella porta stupendamente decorata. Era in legno, ma era dipinta. Rappresentava una magnifica cascata dalle acque cristalline. Alzò la mano per bussare alla porta, ma prima che le nocche potessero toccare il legno sentì quell’incantevole voce invitarlo a entrare. Rimase un po’ stupito, poi però prese il pomello e lo ruotò spingendo la porta verso l’interno.
La sentì ridere. Quella risata incantevole che non si sarebbe mai dimenticato. Ma in quella dolce risata non era sola: un’altra ragazza rideva con lei. Entrambe erano sedute su due sedie dall’aria molto comoda. Erano completamente coperte di velluto rosa pallido ed erano comprese di braccioli su cui potersi appoggiare.
«Kazuha, ti dispiace?» chiese la principessa.
L’altra ragazza, senza altre parole si alzò dalla poltrona, prese entrambi i lembi del suo vestito verde pallido, fece una riverenza e poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Lui era rimasto fermo, immobile, senza fiatare o fare un inchino. Niente di niente. 
«Prego accomodati.» disse lei mostrandogli la sedia che si era liberata.
Il ragazzo si avvicinò con un andamento rigido e si sedette su quella comodissima poltrona senza riuscire a rilassarsi.
«Beh, Shinichi... Cosa ne pensi dei miei appartamenti?» chiese la ragazza con un sorriso, per poi chinarsi in modo che le sue braccia arrivassero al tavolino di fianco a loro e prendessero la teiera di porcellana bianca, con cui riempì di thè caldo due tazze dello stesso servizio, porgendo infine una delle tazze del ragazzo, che si stava guardando ancora intorno.
Era una stanza molto grande. Il soffitto era come tutte le altre sale che aveva visto a palazzo, compreso di lampadario. Mentre le pareti erano affrescate e ritraevano un paesaggio maestoso, di cascate e alberi di ciliegio in fiore, che davano quel tocco femminile a tutta la sala. In due pareti s’intravedevano i pomelli in oro delle porte, che erano dipinte per confondersi con il resto dell’affresco. Una era quella da cui era entrato, mentre l’altra doveva portare alla zona notte degli appartamenti.
«È stupenda.» disse lui prendendo la tazza e dando un piccolo sorso, mentre lei sorrideva compiaciuta.
Ci fu qualche minuto di silenzio, in cui Shinichi sorseggiò nervosissimo il suo thè. Quando la principessa finì la sua tazza, la posò nuovamente sul tavolino e si rivolse finalmente al ragazzo, mettendo le mani in grembo.
«Mi hai detto che non sei di Mizu e so che è la verità. - iniziò, la sua voce era grave, ma sempre incantevole - Però non sei della Terra dei Mari. Mi hai mentito.»
Il ragazzo impallidì. Per un’attimo perse la sensibilità alle mani, così posò in fretta la tazza sul tavolo per paura di farla cadere a terra. Era la fine. Questa volta non se la sarebbe cavata con poco. Una piccola goccia di sudore scivolò sulla tempia. In fondo, alla miniera, era abituato alle punizioni, cosa mai poteva succedere a chi mentiva a un reale? E poi lui non sapeva neanche che lei fosse un reale.
La principessa riprese a parlare.
«Stai tranquillo. Non rivelerò a nessuno la verità, ma io la voglio sapere. Voglio conoscere l’uomo di cui mi sono invaghita.»
Il cuore gli saltò in gola. Quella giornata era stata fin troppo piena di sorprese e quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Era una cosa dell’altro mondo. La principessa. Lei, così bella, così splendida, ricca e soprattutto una reale. Lei, si era innamorata di lui. Un semplice domestico, un ragazzo sconosciuto. Ingoiò la saliva cercando di togliere quel groppo che gli si era creato in gola, ma non ci riuscì, così iniziò a parlare.
«Vengo da un paese della Terra dei Fuochi. Fino a un mese fa non sapevo neanche che ci fosse aldilà del mio paese, poi ho conosciuto Heiji, anche lui come me è domestico qui. Siamo fuggiti insieme dal paese e abbiamo deciso di visitare le terre di Snaga insieme.»
A quel suo racconto, la ragazza sorrise.
«Sai, anche io non ho visto altro che Mizu in tutti i miei diciassette anni. Il travestimento con cui mi hai conosciuta è l’unico modo che ho per poter stare un po’ all'aria aperta e mescolarmi tra la gente.»
I due rimasero a parlare tutta la sera. Poi quando la luna era ormai da parecchio tempo alta nel cielo.
«Credo che dovrei andare a dormire.» disse con un sorriso la principessa, alzandosi dalla sua sedia.
Il ragazzo scattò in piedi come una molla, per poi fare un profondo inchino.
«La ringrazio per tutto, altezza.»
«Grazie a te per avermi fatto compagnia, Shinichi.» rispose lei, ed entrambi presero le due porte, uscendo da quello splendido salotto rosa.

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Capitolo 11
*** Il paggio reale ***


CAPITOLO 11

Il paggio reale

 

«Ho sentito che hai trovato un paggio reale.»
«Sì padre. È uno dei nuovi assunti ed è un bravo ragazzo. Mi fa compagna quando Kazuha ha altre faccende da sbrigare.» rispose la ragazza.
«Bene, sono felice per te mia cara, ma non dimenticare i tuoi impegni.» si raccomandò l’uomo.
«No padre.» rispose lei, poi, con un inchino, si congedò da lui.
Il re guardò sua figlia allontanarsi e uscire, toccandosi i suoi piccoli baffi neri con l’indice e il pollice. I suoi piccoli occhi grigi persi nel vuoto. La sua bambina stava crescendo e doveva trovarle un buon partito per mandare avanti il regno.
Quando uno dei suoi servi arrivò dicendogli che era l’ora delle richieste, l’uomo si riscosse dai suoi pensieri, si aggiustò la corona sui capelli neri perfettamente in ordine e si mise comodo sul trono.

 

I giorni passavano veloci. Così veloci che al ragazzo sembravano sempre troppo pochi. 
La giornata della principessa era sempre piena d’impegni, ma appena aveva un momento libero lo passava con lui. L’aveva nominato suo paggio reale, dicendogli che in quel modo potevano stare assieme. Quei brevi lassi di tempo in cui stavano insieme erano indimenticabili. Solitamente erano le prime ore del pomeriggio, dopo il pranzo del ragazzo. 
Shinichi aveva ricevuto da Tooru, dei vestiti adatti per il suo secondo impiego e ogni volta che veniva convocato dalla principessa li indossava. Erano delle brache scure e larghe rispetto a quelle che usava solitamente lui, e poi una casacca bianca tenuta aderente al corpo da un gilet a stringhe beige. 
Solitamente quel tempo lo passavano i biblioteca. La principessa si era decisa a insegnargli a leggere e scrivere. Lui all’inizio trovò l’idea alquanto strana, poi pian piano iniziò a piacergli. Finalmente avrebbe potuto capire quegli strani grafemi che per lui erano sempre stati qualcosa d’irraggiungibile. 
Provò una gioia immensa quando per la prima volta la sua mano prese una piuma d’oca e, dopo averla intinta nel calamaio, la poggiò sul foglio e con mano tremante iniziò a scrivere. Il suono gracchiante della punta che grattava sul foglio di pergamena era tranquillizzante, alimentando l’idea che come per magia quelle lettere tremolanti comparissero dipingendo di ghirigori neri il foglio giallino.
Più capiva il meccanismo di tutto più voleva sapere. I libri diventarono la sua passione. E quando ebbe imparato a leggere in modo abbastanza veloce, chiese alla principessa un libro sulla storia delle terre di Snaga. Un capitolo al giorno, una pagina a testa. Quando il ragazzo non conosceva il significato di qualche parola si fermavano e lei glielo spiegava. 
Shinichi scoprì che c'erano tante cose che il suo amico non gli aveva raccontato. Forse perché neanche le sapeva. La scoperta più affascinante fu la descrizione della creazione delle terre, da parte dei quattro dei. Feuer il dio della Terra dei Fuochi, Wasser la dea della Terra dei Mari, Luft il dio della Terra dei Venti e Boden il dio della Terra dei Boschi. 
Si erano ritrovati in una notte buia nei cieli di Snaga e decisero di creare una terra dove i quattro elementi potessero vivere uno di fianco all’altro. Feuer con la sua furia creò una terra arida, sotto un sole cocente in cui i paesaggi dominanti erano praterie e vulcani fumanti. Wasser con la sua mitezza creò una terra verdeggiante e bagnata dal mare, in cui il pallido sole rischiarava le giornate. Luft con la sua irrequietezza creò una terra percorsa dalle vette più alte in cui venti forti e leggeri muovevano le fronde, dove una leggera coltre di nuvole copriva i suoi cieli regalando pioggia e neve. Infine, Boden con la sua pazienza creò una terra costellata di boschi e foreste, in cui il sole era filtrato da enormi alberi secolari.
I quattro dei decisero che la loro opera era compiuta quando regalarono ad ognuna delle terre una risorsa immensa, le pietre cristallo. Queste pietre avrebbero potuto trarre l’essenza stessa di quelle terre per portarla in mano all’uomo fortunato che sarebbe riuscito a controllarne i poteri. Poteri che nessun umano mortale avrebbe potuto immaginare.
Così, mentre Shinichi e la principessa passavano quelle ore insieme, Kazuha aveva del tempo libero da passare col suo nuovo corteggiatore. Anche loro stavano ore a parlare. Si ritrovavano alla mensa, che solitamente era ormai vuota e parlavano di tutto. 
Scoprirono di avere molte cose in comune. Entrambi i loro padri erano partiti per la guerra. Sebbene però la madre di lei se n’era andata poco dopo che nascesse, lei non l’aveva mai vista di persona. Eppure alla ragazza sembrava non pesare quel fatto irrilevante, il padre era stato così protettivo nei suoi confronti che aveva tranquillamente interpretato entrambi i ruoli senza far mancare niente alla sua adorata figlia. Poi, quando la ragazza aveva trovato lavoro al palazzo aveva subito fatto amicizia con la principessa che l’aveva nominata sua dama di compagnia.
I giorni continuavano a passare, imperterriti. Non davano segno di voler rallentare, passò più di un mese e i due amici della Terra dei Fuochi si trovavano sempre meglio in quel maestoso palazzo. Anche se ovviamente le uniche a sapere la verità sulla loro provenienza erano le due ragazze, che non si sarebbero mai azzardate a condannare i due.
L’odore di salsedine li svegliava ogni mattina e dopo qualche stiracchiamento si cambiavano e andavano a pulire la sala da pranzo in cui i reali avevano appena finito la colazione. Poi toccava a loro andare alla mensa e gustarsi una buona ciotola di latte caldo e due pezzi di pane. La mattinata purtroppo scorreva lenta e i due ragazzi si ritrovavano sempre a poltrire sui letti delle loro stanze. Poi quando il sole era all’ora più calda uscivano per il secondo turno di pulizie. Dopo quel turno Shinichi schizzava via a cambiarsi, mentre l’amico con molta calma si dirigeva a mangiare.
Il pomeriggio lo passavano uno in biblioteca e l’altro alla mensa, poi quando arrivava l’ora della cena per i reali i ragazzi si congedavano dalle loro dame e si ritrovavano per raccontarsi com’era andata la giornata. 
Dopo l’ultimo turno di pulizie e la cena i due ragazzi esausti, ma soddisfatti tornavano nelle loro camere e si sdraiavano sui loro letti, per addormentarsi quasi subito.

 

«Sai credo proprio che non ci sia niente da fare.» sospirò la ragazza guardando la pallida luna piena.
«So come ti senti amica mia. Ogni volta che lo vedo il cuore sembra esplodermi nel petto. Eppure se il mio povero padre, che ora sta soffrendo in guerra, sapesse che mi sono innamorata di uno di un’altra terra…»
«No Kazuha, al cuore non si comanda. Non puoi decidere di chi innamorarti. Se il nostro cuore è stato rubato da due ragazzi della Terra dei Fuochi e sia. Nessuno al mondo potrà farmi cambiare idea.»
«Forse hai ragione. Anche se…»
«Anche se cosa?» chiese rivolgendo finalmente il suo dolce sguardo all’amica.
«Insomma, sua maestà rimarrebbe sconvolto a saperti con un domestico, per di più di un’altra terra.»
«È per questo che non dovrà saperlo. Non posso dargli questo dolore, soprattutto da quando mia madre l’ha lasciato. Ma io non posso evitare di stare con quel ragazzo, è più forte di me.» concluse.
Quella sera la luna splendeva e illuminava di bianco gli occhi violetti della bella principessa innamorata del suo paggio.

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Capitolo 12
*** Un bacio innocuo ***


CAPITOLO 12

Un bacio innocuo

 

Il ragazzo bussò, com’era ormai sua abitudine, alla bella porta che ritraeva la cascata. Dall’altra parte sentì quell’incantevole voce invitarlo a entrare. Appena fu dentro quella splendida stanza si chiuse la porta alle spalle. Era vuota, ma dall’altra porta socchiusa arrivò di nuovo quella bella voce.
«Arrivo Shinichi. Scusami, ma oggi sono un po’ in ritardo.»
Lui si sedette su una delle due sedie imbottite e aspettò con calma.
Quando finalmente la bella ragazza uscì dalla sua camera, lui assaporò quel momento, come faceva ogni giorno. Com’era ovvio, quando la ragazza non era a cena o si doveva presentare in pubblico i suoi abiti erano molto meno raffinati. Shinichi li trovava molto più adatti al suo corpo. Quegli enormi vestiti pieni di tulle, merletti e orli erano ingombrati e tutto gli sembrava più che superfluo. Quando invece la ragazza si trovava con lui indossava sempre vestiti semplici. In genere erano vestiti dai colori pallidi e freschi. Il ragazzo pensava che ne avesse molti dello stesso modello dai colori diversi. Solitamente avevano la scollatura a barca che le copriva parzialmente le belle spalle chiare, il vestito poi le cadeva dolcemente sul corpo allargandosi ai polsi, per quanto riguardava le braccia, mentre scendeva sinuoso fino alle caviglie prendendo la forma di quel corpo perfetto.
Quel giorno il vestito era di un leggero azzurro cielo. I suoi capelli castani le cadevano dolci sulle spalle, incorniciando quel viso delicato e sorridente.
«Oggi non andremo in biblioteca. Voglio stare un po’ da sola con te e questo è l’unico luogo in cui non possiamo essere disturbati.» disse sedendosi anche lei nell’altra sedia.
Il ragazzo si stupì a quell’affermazione. In quel mese aveva imparato a conoscerla e sapeva che se aveva in mente qualcosa riusciva sempre ad ottenerla. E quello sguardo bellissimo, ma deciso, lo preoccupava molto. Ormai però non era più nervoso, come le prime volte che la vedeva. Qualsiasi reazione di quella meravigliosa creatura dagli occhi color del cielo mattutino, non lo preoccupava più. Al massimo fremeva per un attimo, ma poi ritornava subito in sé.
«Come mai questa decisione?»
«Ho bisogno di parlarti. Solo tu puoi aiutarmi.»
Il ragazzo notò subito che lo sguardo di lei aveva avuto un leggero cambiamento, prima che, con un sorriso, lo distolse, abbassando le palpebre. Era preoccupata per qualcosa. Non l’aveva mai vista in quello stato d’animo era sempre stata una ragazza decisa, indipendente e regale. Un principessa che si rispetti, degna di quel titolo. Allungò la mano e la posò su quella bianca e delicata della ragazza.
«Ran, cosa succede?» chiese.
Era da molto che gli dava del tu. La ragazza gli aveva dato il permesso molto prima, ma lui non si era mai azzardato a farlo, finché un giorno lei glielo dovette ordinare. Per lui chiamare quella ragazza stupenda per nome era qualcosa di così speciale che cercava sempre di pronunciarlo in modo delicato, come se quella sola parola di tre lettere potesse smuovere l’intero mondo.
La ragazza sospirò, poi riaprì gli occhi e, di nuovo, quell’espressione sconvolta lo investì, facendogli male. Non riusciva a vederla in quello stato, era come tornare sotto la frusta delle guardie alla miniera o peggio.
«Mio padre mi ha trovato un partito... e vuole che lo sposi.»
In un attimo gli sembrò che il cielo gli fosse crollato addosso. Ora più che mai il dolore era decisamente più forte delle frustate. Il suo cuore sembrava essere stato trafitto da un pugnale di quelli che lacerano, senza lasciare scampo alla povera vittima. Per un attimo pensò di scappare. Voleva andarsene da lì, rifugiarsi nel suo piccolo alloggio nell’ala dei domestici e non uscirne più. Poi, però, vide quei due stupendi occhi lilla fremere spaventati, allora cercò di riprendere il controllo di sé, mentre il suo cuore continuava nervosamente a martellargli nel petto annunciando il suo dolore.
«E perché sei triste? Finalmente avrai qualcuno che si prenderà cura di te.» disse cercando di sorridere.
«Ma non capisci, brutto testone? - iniziò la ragazza, mentre una piccola lacrima le rotolò sulla guancia per poi cadere sul bel vestito celeste creando un piccolo cerchio più scuro - Io non voglio sposarmi, non con chi non amo...»
Quella piccola lacrima fu seguita da altre e il cuore del povero ragazzo fu trafitto un’altra volta.
«Ma Ran, non puoi sapere se lo amerai o no. Prima lo dovresti conoscere per sapere se…»
Lo schiocco fu fortissimo e la guancia destra del ragazzo iniziò a pulsare come il suo cuore, martellando un ritmo fastidioso.
«Sei uno stupido. Io non posso innamorarmi di qualcun altro.» disse continuando a piangere, la mano ancora alzata nella fine di quel gesto.
Il ragazzo si massaggio la guancia. Sentiva che forse se l’era meritato. Sapeva bene i sentimenti che provava la principessa per lui e sapeva che lei in quel momento si sentiva proprio come lui. Come se tutto intorno a loro fosse crollato in un sol colpo, cancellato in pochi minuti. Un intero mese assieme li aveva uniti, forse anche troppo, e ora il pensiero di quello che stava succedendo corrodeva le loro anime e faceva male al cuore. Un male che non poteva essere curato da nessuno. Solo loro due potevano capirsi. Per questo la principessa aveva chiesto di lui. Eppure, anche se quello schiaffo se lo meritava sapeva che non poteva appieno apprezzare quel gesto. 
La principessa aveva bisogno di uomo al suo fianco. Un uomo vero, un uomo che avrebbe potuto darle un futuro sereno e tranquillo, un uomo che si sarebbe preso cura di lei ogni singolo giorno. Non un povero ragazzo di una terra con cui erano in guerra, che al minimo insulto sarebbe stato capace di farsi uccidere solo per non abbassare lo sguardo. Perché lui era questo. E lui, non avrebbe potuto regalarle un futuro.
«Ran, ascolta tu…»
Non riuscì di nuovo a finire la frase. La bellissima ragazza, ancora in lacrime, si era alzata dalla sua sedia e dopo essersi avvicinata si era seduta sulle sue ginocchia e si era rannicchiata sul suo petto.
Per un attimo il ragazzo, stupito, rimase con le braccia aperte a mezz’aria, poi guardando quel fragile corpo avvolto nel suo vestito celeste tremare per i singhiozzi, le abbassò avvolgendole le spalle.
Rimasero in quella posizione per vari minuti. Lui le teneva la sinistra sulla schiena, mentre la destra le accarezzava dolcemente i capelli castani e profumati. Aveva il mento appoggiato sul suo capo e gli occhi chiusi. Lei invece rimase per molto tempo a singhiozzare, con il capo appoggiato nell’incavo del suo collo, mentre con le sue lacrime gli bagnava la casacca bianca.
Quando la ragazza sembrò calmarsi un po’ alzò finalmente lo sguardo, fissandolo su quello di Shinichi. Lui ebbe un brivido quando quegli occhi violetti e ancora arrossati per il pianto incrociarono i suoi. Lei aprì la bocca per parlare, la sua voce era tremula.
«Shinichi, giurami che non mi abbandonerai mai.»
Quello sguardo gli dava delle fitte al cuore allucinanti. Non la poteva vedere in quello stato. Avrebbe preferito cento frustate a quello strazio. Poi qualcos’altro balenò da dentro e questa volta non era solo una sensazione del cuore, del cervello o dei muscoli. Era qualcosa che coinvolgeva tutto il corpo. Qualcosa in lui si era mosso nel vedere quel visino fragile ancora bagnato dalle lacrime, straziato da quella smorfia di tristezza.
Si avvicinò, lentamente, come lentamente chiudeva gli occhi. Poi finalmente le sentì. Sentì le labbra di lei attaccate alle sue e subito si sentì in pace. Il suo respiro un po’ affannato gli entrava in bocca per poi scendere alla gola. Stava per chiudere le labbra per dare un lieto fine a quel bellissimo momento quando in pochi secondi sentirono lo scatto della porta e un urlo.
«Tu!»
I due si staccarono di scatto e si volsero verso la porta.
«Gliel’avevo detto, vostra maestà!»
Alla porta c’erano due persone: il re, che aveva un aria quasi furibonda e Tooru che invece sorrideva compiaciuto.
«Ran, esci subito da qui!» urlò il sovrano indicando con il dito l’esterno degli appartamenti della principessa.
«Ma padre io…»
«Taci! - urlò lui, poi si rivolse al ragazzo - E tu, non ti azzardare mai più a rivolgere anche solo uno sguardo a mia figlia, capito?!»
«Padre io…» cercò d’intervenire la ragazza, che era nuovamente tornata a piangere.
«Ran ho detto che devi uscire. Tooru, sai cosa fare.»
Il ragazzo biondo rispose con un inchino, mentre il re si allontanava trascinando dietro a sé la figlia.

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Capitolo 13
*** Solo bugie e odio ***


CAPITOLO 13

Solo bugie e odio

 

Di nuovo quella sensazione. Era da quasi due mesi che non provava più quella sensazione. Qualcosa dentro di lui chiedeva vendetta. Qualcosa dal profondo del suo cuore voleva mostrare tutto l’odio e il disgusto che aveva verso la persona che aveva di fronte. I suoi bellissimi occhi azzurri si accesero di odio, come non succedeva da tanto tempo. Il biondo sorrise nel vedere quello sguardo. 
«Quanta rabbia Shinichi. Sembra quasi che tu abbia la furia di Feuer.»
Il ragazzo impallidì. Pensava che nessuno oltre alla principessa avesse capito che era un’abitante della Terra dei Fuochi. Ingoiò un po’ di saliva e, anche se era un po’ più preoccupato di prima, il suo sguardo di odio non accennava ad abbassarsi.
Il biondo questa volta non si limitò a sorridere, ma aprendo la bocca inizio a ridere di gusto.
«Ho io il coltello dalla parte del manico mio caro e puoi stare tranquillo che non riuscirai nel tuo intento.» lo minacciò, dopodiché lo prese per il braccio e lo trascinò fuori dagli appartamenti della principessa, mentre lui non accennava a opporre resistenza.

 

«Lo vuoi capire o no che stavi per fare un grosso errore?»
L’uomo sembrava furioso. Il viso era paonazzo, mentre una piccola vena gli stava pulsando sul collo magro.
«Non è vero padre. Fatemi spiegare…»
«Non c’è niente da spiegare. Quel ragazzo non ti amava. Probabilmente stava con te solo perché un futuro avrebbe potuto prendere il mio posto. È i soldi che vuole e non te.»
«Non è vero. Tu non lo conosci affatto.» urlò disperata la ragazza, mentre quelle piccole goccioline salate non smettevano di scendere.
«Io lo conosco perfettamente. Questi domestici sono tutti uguali. Basta che gli dai una mano e si prendono tutto il braccio.»
«Padre vi prego. Fatemi almeno parlare con lui per l’ultima volta.» supplicò la ragazza senza più speranze.
«Così che possa di nuovo profanare la tua bocca con le sue luride labbra? Mai! Ora tu andrai nei tuoi appartamenti e non ne uscirai per una settimana. Se ti vedo fuori saranno guai seri.»
«Ma padre io…»
«Muoviti!»
La ragazza si diresse verso l’uscita di quella piccola sala e scese al piano di sotto per andare ai suoi appartamenti.

 

La sua schiena chiedeva pietà. Non poteva resistere un’altro minuto di più. Ormai aveva quel maledetto schiocco nelle orecchie. Non sapeva neanche da quando tempo era rinchiuso là dentro a subire quello strazio. 
Come l’ultima volta che gli era successo stava zitto, al massimo qualche gemito, ma non avrebbe urlato. Non davanti a Tooru che guardava compiaciuto a braccia incrociate contando i colpi. Questa volta però non c’era nessuna colonna a sorreggerlo e aiutarlo a resistere, doveva contare solo su se stesso.
Arrivati alla fine il ragazzo si accasciò a terra come un sacco di pietre. La schiena, senza maglia, era grondante di sangue e il suo respiro era affannato come se avesse appena fatto più di un chilometro di corsa. Sentì dei passi che si avvicinavano, ma non aveva neanche la forza di alzare lo sguardo. Capì subito chi era, quando la voce fredda del capo domestico fece vibrare l’aria per entrare poi nel suo orecchio.
«La prossima volta imparerai a non dire bugie.»
Poi lo sentì di nuovo allontanarsi, mentre continuava a ridere divertito, subito dopo le due guardie che l’avevano torturato fino a quel momento lo rimisero in piedi a forza e gli gettarono casacca e corpetto addosso dicendogli di tornarsene nei suoi alloggi.
Lui, con passo malfermo, eseguì l’ordine. Era quasi arrivato alla sua stanza, quando qualcuno lo fermò.
«Shinichi, che diavolo hai fatto alla schiena?»
Si girò, a pochi metri da lui, con la sua pelle scura e i suoi occhi verdi, lo stava fissando Heiji.
«Lascia stare amico...» sospirò stanco e deluso.
«No, no - lo fermò lui tenendolo per il braccio - Ora andiamo nel tuo alloggio e mi racconti tutto.»

 

L’oscurità della sera era bellissima. Adorava l'oscurità. Tutto intorno a lui prendeva forme sinistre e sotto la luce della luna le ombre si allungavano.
Il ragazzo biondo sorrise maligno. Prese una pergamena pulita, la stirò per bene e poi intinse la piuma d’oca nel piccolo calamaio. Appena la punta iniziò a scrivere e a grattare sul foglio, comparvero le parole.
Ho trovato l’erede del Fuoco.
Si chiama Shinichi.
Tooru
Poi quando abbe finito di scrivere quelle poche parole arrotolò la pergamena e la tenne tra le mani. I due palmi erano premuti sulle due estremità del cilindro di carta.
«Black Island» sussurrò, poi chiuse di botto i due palmi, come se volesse schiacciare la pergamena, che invece scomparve in uno sbuffo di fumo.

 

«Che cosa?! Tooru? Ma sei sicuro?» chiese il ragazzo stupito.
«Non potrei essere più sicuro.» rispose lui, per poi gemere sotto il tocco della stoffa bagnata d’acqua che passava sulle ferite.
Ci fu qualche minuto di silenzio, mentre Heiji continuava a pulire le ferite dell’amico, in modo che non s’infettassero.
«Dobbiamo ripartire questa notte e con noi verranno anche la principessa e la dama di compagnia.» disse il ragazzo all’improvviso.
«Stai scherzando?» chiese l’altro, gli occhi sbarrati per lo stupore.
«Nient’affatto.» rispose Shinichi serio, girandosi e guardando l’amico negli occhi.
«Ma Shinichi, sarebbe come rapirle.»
«Non credo che potrebbero rimanere felici qui, se noi ce ne andiamo. Quindi tanto vale farle venire con noi.»
«Ma… stanotte?»
«Sì! Stanotte!»

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Capitolo 14
*** Di nuovo in fuga ***


CAPITOLO 14

Di nuovo in fuga

 

«Hai preso tutto?» chiese la ragazza, sistemandosi un ciuffo di capelli sotto il berretto.
«Sì.» rispose l’altra che, al posto della sua solita acconciatura elegante, aveva una coda di cavallo che faceva risaltare molto di più i suoi bei capelli castano scuro.
Entrambe si misero le bisacce a tracolla e aspettarono nervose, sedute nelle due sedie rosa. Poco dopo dalla finestra videro un bagliore, un bagliore che non proveniva dalle stelle in cielo, ma da più in basso. 
«Sono loro!» esclamò Ran scattando in piedi e calando dalla finestra la treccia di corda che si era fatta portare dalla sua dama.
«Ran, non sono sicura sia una buona idea.» sussurrò la ragazza, i suoi occhi verdi sembravano impauriti.
«Insomma Kazuha, scegli. L’amore della tua vita o questo?» e indicò la camera.
L’altra fece un respiro profondo, poi un cenno di assenso con la testa ed entrambe si calarono dalla finestra degli appartamenti della principessa.
Quando finalmente toccarono il terreno morbido del giardino che circondava il castello, si diressero verso il luogo da cui proveniva il bagliore. Arrivate trovarono i due ragazzi, anche loro con le bisacce e i mantelli da viaggio.
Tutti e quattro si diressero di soppiatto verso una delle quattro strade che permettevano di attraversare il fossato. Appena si ritrovarono fuori dal cancello, in mezzo alle vie di quella città bianca, si sentirono un po’ più sollevati. La mezza luna di quel giorno illuminava con la sua bianca luce quelle belle case, rendendole se possibile ancora più bianche e candide.
I ragazzi si avvicinarono alle porte della città, ma si fermarono pochi metri più avanti.
«Come imbrogliamo le guardie? Di sicuro saranno sveglie.» sussurrò Heiji.
«Ci penso io!» la ragazza si avvicinò ai due uomini e, non appena fu abbastanza vicino da poter vedere i loro visi si fermò. 
Rimase molto tempo a guardarli poi dopo vari minuti fece cenno agli altri tre di avvicinarsi. Le guardie erano immobili come statue, come se non avessero il controllo di loro stessi. Gli occhi erano chiusi e l’espressione dei loro volti era rigida.
Appena i quattro si allontanarono abbastanza dalle altissime mura bianche che circondavano Mizu, Shinichi si rivolse alla compagna.
«Come hai fatto?» chiese stupito.
«A fare cosa?» chiese lei, voltando lo sguardo verso quei perfetti occhi azzurri.
«A bloccare le guardie.» rispose semplicemente il ragazzo.
«Oh beh è stato facile. Il corpo umano è fatto del 75 per cento d’acqua. Mi è bastato concentrarmi sui loro corpi per poterli controllare.» rispose lei arrossendo leggermente.
Il ragazzo notò quel piccolo rossore sul volto della principessa e sorrise.
«Beh è più facile con due maghi nel gruppo.» sentenziò il ragazzo dalla pelle scura guardando i due che si sorridevano a vicenda.
«Due?» chiesero all’unisono le ragazze.
A quella domanda, Shinichi mise la mano in tasca e tirò fuori il filo di cuoio con ancora attaccata la pietra cristallo rossa.
«Sei un mago del fuoco?» chiese stupita la ragazza, guardando coi suoi occhi verdi, illuminati dalla luce della luna, quella piccola pietra rossa che brillava di una luce propria, mentre lui rispondeva con un cenno di testa.
«Perché non me l’hai detto?» chiese Ran.
«Non pensavo fosse rilevante.» rispose lui abbassando gli occhi e rimettendosi la collana in tasca.
«Scherzi? È una cosa fantastica. Insomma ho sempre sognato di vedere un mago del fuoco.» esclamò e lui sorrise leggermente, rimanendo comunque silenzioso.
Quando aveva scoperto di essere un mago, a Kasai, si sentiva al settimo cielo. Ora però sembrava pesargli. Era più che sicuro che fosse stato per quel motivo che Tooru aveva capito che era di un’altra terra. Sicuramente, in qualche modo a lui sconosciuto, aveva sentito il potere della sua pietra cristallo o il suo e l’aveva riconosciuto. Tooru. Al solo pensiero le ferite alla schiena bruciavano ancora di più.
Quando il sole iniziò a emanare i suoi primi bagliori alla loro sinistra, si fermarono trovando riparo sotto un grosso albero dalle chiare foglie, che pian piano che il sole saliva si tingevano d’oro.
Il ragazzo si tolse la maglietta, doveva assolutamente sciacquare quelle ferite o sarebbero peggiorate. A quel gesto le due ragazze si portarono le mani alla bocca.
«Shinichi che ti hanno fatto?» chiese con voce tremante la principessa, mentre una piccola lacrima le rigò il viso, per poi scivolare sulle sue labbra per farle sentire quel leggero sapore di sale.
Il torace di Shinichi era stato fasciato, ma le bende erano già tinte di rosso. Era la prima volta che aveva avuto il necessario per curare quelle ferite come si deve. 
«Tranquilla Ran, ci sono abituato.» sorrise lui, iniziando a togliersi l fasciatura, mentre Heiji faceva lo stesso srotolando delle bende nuove, che aveva portato dal castello.
«Che vuoi dire abituato?» chiese ancora più sconvolta la principessa, che non riusciva a distogliere lo sguardo dalla schiena del ragazzo.
Appena tutte le bende furono tolte la ragazza capì cosa voleva dire il compagno. Oltre a quelle ancora fresche, la sua schiena era piena di ferite e cicatrici. Un’altra lacrima scese giù lasciando una piccola righina bagnata sulla guancia della ragazza.
«No ti prego, non devi piangere. Io non posso assolutamente vederti piangere, Ran.» disse lui e a quelle parole si asciugò le lacrime e tornò la ragazza decisa di sempre.
«Heiji, ti dispiace se curo io le sue ferite?»
Il ragazzo dalla pelle scura rimase un po’ stupito, poi acconsentì e porse a Ran le bende. Lei le prese e se le mise in grembo, dopodiché mise le mani a coppa come se volesse raccogliere qualcosa che stava per cadere dal cielo. Dopo qualche secondo i suoi palmi iniziarono a trasudare acqua. Era limpida e pulita.
«Kazuha, aiutami!» disse decisa.
A quelle parole la ragazza estrasse una piccola ciotola dalla sua bisaccia e la porse alla principessa che vi versò l’acqua. Ripeté l’incantesimo per un paio di volte, poi prese un pezzetto piccolo dalle bende bianche e lo lo bagnò con quell'acqua cristallina.
Il ragazzo chiuse gli occhi, rilassandosi, mentre la mano delicata della sua principessa gli bagnava quelle maledette ferite.

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Capitolo 15
*** Black Island ***


CAPITOLO 15

Black Island

 

L’uomo robusto arrivò trafelato nella stanza del suo compagno.
«È arrivata un’altra lettera!» disse con il fiato grosso, le sue mani erano poggiate sulle ginocchia e stava ancora cercando di prendere fiato.
«Cosa dice?» chiese l’altro.
Era seduto su una bella sedia in velluto nero e aveva appena sbuffato una nuvoletta di fumo che aveva aspirato poco prima dalla piccola pipa.
«Ha detto che sono fuggiti entrambi e chiede cosa deve fare!» rispose l’uomo nerboruto, guardando il compagno.
«Lui deve rimanere assolutamente lì. Mandagli subito la risposta, io invece andrò a riferire tutto al Lord.» disse scocciato l’uomo e dopo aver spento la pipa si alzò, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli argentei.
Poco dopo era davanti a una grossa porta in ebano. Ogni centimetro di quella porta era decorato di bassorilievi. Uno in particolare al centro della porta era decisamente grande. Un uomo incappucciato teneva le mani sollevate e sopra di lui vi erano quattro piccole pietre incastonate. Una rossa, una azzurra, una verde e una bianca. Sopra di esse, più grande, vi era una pietra nera, che però emanava bagliori e riflessi rosso sangue. Le cinque pietre brillavano di luce propria. L’uomo bussò forte alla porta e subito una voce fredda lo invitò ad entrare.
A quel punto spinse una delle due ante della porta, dividendo l’uomo incappucciato a metà. Appena entrato si chiuse la porta alle spalle. La stanza in cui si trovava era enorme e spoglia. Vi erano quattro finestroni per ogni lato e tra uno e l’altro delle torce spente, che venivano accese di notte. Sebbene le finestre fossero grandi, non riuscivano a illuminare quell’enorme sala dalle pareti scure come le tenebre. Chi fosse entrato lì senza sapere avrebbe pensato che fosse la dimora di un fantasma. Al fondo della sala, dal lato opposto all’enorme portone in ebano, c’era una tenda, che copriva qualsiasi cosa si trovasse oltre a quell’incavo del muro.
«Parla!» disse la voce fredda attraverso la tenda.
L’uomo si avvicinò e quando fu arrivato abbastanza vicino alla tenda s’inginocchiò, chinando anche il capo.
«Abbiamo ricevuto un’altra lettera dal ragazzo a Mizu. Dice che i due eredi sono scappati.» a quelle parole qualcosa dietro la tenda si mosse.
Ci furono vari minuti di pausa poi.
«Il ragazzo deve rimanere là. È l’unico modo che abbiamo per continuare questa guerra.»
«Lo so mio Lord, infatti ho già provveduto alla risposta. Ma che ne facciamo di quei due?»
«Per ora li lasceremo andare. L’importante è che non perdiamo il controllo su quel re fannullone. Anzi dì anche al ragazzo che deve aumentare la forza dell’incantesimo. Sono stanco di aspettare.»
«Come vuole lei, mio Signore.»
L’uomo si alzò per voltare le spalle alla tenda e uscire in silenzio dall'enorme porta, richiudendola alle sue spalle.
Appena sentì il tonfo dell’anta che si chiudeva, l’uomo aprì la tenda di scatto, mostrando a quella stanza buia i suoi giovani tratti. Era un ragazzo alto e dal fisico atletico. Il suo corpo slanciato lo rendeva tanto attraente quanto letale.
Iniziò a camminare avanti e indietro in quell'enorme sala. Incedeva lentamente, in modo talmente elegante da lasciare qualsiasi spettatore senza parole. Era un ragazzo, ma era talmente elegante da poter sembrare una bellissima donna. Se si guardava il suo volto, oscurato un po’ dalla poca luce della sala, per cercare anche una minima imperfezione, si rimaneva delusi. Si poteva cercare nella linea della bocca quando cambia espressione per passare dalla serietà al perfido riso, in ogni singola deformazione dei muscoli labiali, niente. Anche spostando gli occhi sul suo corpo, facendoli scivolare sulla pelle d’avorio ricoperta da quel bellissimo tessuto nero o percorrendo il profilo esatto del suo naso in attesa solo di un leggero sbuffo, magari per liberarsi di un pensiero e dar sfogo a un’emozione. Persino le sue sottili ed eleganti sopracciglia nere, quando si aggrottavano, rimanevano perfette. Impossibile poi discutere su quei freddi occhi azzurri e i lisci capelli corvini. Persino le orecchie, dove la natura seppur prodiga di bellezza si rilassa, sembrava non dare la possibilità del minimo errore. Infine si poteva tracciare una linea a metà del suo viso, per trovare quel minimo di asimmetria, rimanendo del tutto delusi dal risultato. 
Chiunque l’avesse visto avrebbe pensato a un angelo. L’angelo più bello. Ma sappiamo tutti che l’angelo più bello in realtà è il peggiore dei demoni.

 

Era seduta nella sedia di velluto nero dei suoi appartamenti. Era una bellissima donna, dalle curve perfette. Qualsiasi uomo, in un sol colpo sarebbe cascato ai suoi piedi. I lunghi capelli biondo platino un po0 mossi le scendevano sulle belle spalle scoperte. Il corpo era avviluppato in un bel vestito di seta nero, che sembrava confondersi con la sedia. Le sue labbra color porpora si aprivano leggermente, mentre sorseggiava il suo thé e i suoi occhi di ghiaccio scrutavano quel cielo azzurro.
La sua mente era lontana, volando oltre l’Oceano e ancora più in là, superando la Terra dei Mari e l’enorme fiume che la separava dalla Terra dei Boschi, per arrivare a quella meravigliosa terra verdeggiante. Era lì la sua preda. Lo sapeva bene e presto si sarebbe presa la sua vita.

 

Il ragazzo biondo era appena tornato nel suo alloggio, quando con uno sbuffo di fumo, una pergamena apparì sulla scrivania di quella piccola stanza. Si avvicinò e poi srotolò la lettera.
I suoi occhi di ghiaccio scorrevano quelle parole velocemente, appena finita di leggerla la sua bocca sottile si curvò da un lato creando una piccola smorfia perfida. Gettò la pergamena nel fuoco e uscì nuovamente dalla stanza, dirigendosi verso la sala del trono.
«Ne sei sicuro?» chiese il sovrano grattandosi i piccoli baffi neri, quando lui gli propose la sua idea.
«Più che sicuro sua Maestà, deve farla pagare a quel vile. E l’unico modo è aumentare l’attacco verso la Terra dei Fuochi, dobbiamo farli cadere.» 
Gli occhi del ragazzo incrociarono quelli piccoli e grigi del Re e per un attimo una strana ombra scura apparì dentro essi. A quell’incrocio di sguardi il sovrano sembrò essere entrato in uno stato di trance. Gli occhi erano aperti, ma sembravano persi nel vuoto.
Dopo qualche secondo, si riscosse scuotendo la testa.
«E sia, aumenta la fanteria, domani attaccheremo di nuovo!»
Il ragazzo sorrise compiaciuto, dopodiché si girò e uscì, lasciando il Re coi suoi pensieri.

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Capitolo 16
*** In mezzo alla natura ***


CAPITOLO 16

In mezzo alla natura

 

La seconda mattina di viaggio i quattro si trovarono davanti a uno specchio d’acqua che scorreva placido verso la sua foce nel mare. Shinichi riconobbe quel fiume. L’aveva visto nelle mappe disegnate sui libri che leggeva con la principessa. Era il fiume che divideva la Terra dei Mari dalla Terra dei Boschi.
«E ora come lo attraversiamo?» chiese il ragazzo dalla pelle scura guardando quell’enorme distesa d’acqua che riportava solo una sottile strisciolina di terra all’orizzonte.
«Mi sottovaluti, caro Heiji...» mormorò la principessa, sorridendo compiaciuta.
Dopodiché squadrò, coi suoi occhi violetti, quelle acque cristalline per vari minuti, per poi tendere le mani verso il fiume e in un solo movimento spostare le braccia verso l’esterno, chiudendo le mani a pugno. A quel gesto in quello specchio d’acqua iniziò a crearsi un solco che percorreva tutta la superficie, fino all’altra sponda. Dopo poco il solco divenne una vera e propria voragine. L’acqua, che prima era tutta allo stesso livello, cadeva da entrambi i lati di quel solco che si allargava. Due cascate una di fronte all’altra, senza sostegno con l’acqua che scivolava giù rombando fino a toccare la base fangosa del suo stesso letto e venire assorbita da essa.
I due ragazzi erano rimasti a bocca aperta, gli occhi sbarrati di entrambi erano fissi su quello spettacolo assurdo. Nel vedere quegli sguardi stupiti, la ragazza sorrise.
«Prego. - disse indicando con la mano la strada fangosa che si era creata - Io devo essere l’ultima della fila. Alle mie spalle l’acqua tornerà normale.»
Uno alla volta si sedettero sul bordo del letto e scivolarono giù nel fango, macchiandosi i pantaloni.
Non ci misero molto a superare il fiume, poco più di un’ora di cammino. Il problema arrivò quando dal fondo del letto dovettero tornare sul terreno stabile. Il primo del gruppo fu Heiji, si ritrovò davanti quel muro scuro e scivoloso e ci mise dieci buoni minuti prima di riuscire a toccare l’erba verde che li sovrastava e mettendo tutta la forza che aveva in corpo si issò. Quando finalmente fu seduto sull’erba fresca, con un po’ di fiatone guardò in basso verso il letto fangoso. Tese la mano a Kazuha che si stava a sua volta cercando di arrampicare sulla parete scivolosa. Poco dopo anche lei era al sicuro.
«Shinichi, sbrigati, non lo terrò ancora a lungo.» disse la principessa stringendo forte i pugni.
Il ragazzo, con l’aiuto degli altri due si issò sopra in pochi minuti. Quando si girò Ran si stava già arrampicando, mentre l’acqua le arrivava già alla cintola. Il ragazzo si sporse il più possibile, e afferrò la sua mano. Non bastava, gli stivali di lei scivolavano sul fango ormai troppo bagnato, dall’acqua che continuava a salire imperterrita. Shinichi porse anche l’altra, appena la ragazza strinse anche quella con un tutta la forza che aveva in corpo la issò, mentre l’acqua combatteva per tenersela. 
Un minuto, o poco più, il viso del ragazzo era rosso per lo sforzo, mentre i muscoli della sue braccia chiedevano pietà. Dopo quel minuto i due si ritrovarono sull’erba. Shinichi era finito sdraiato sul prato, mentre la principessa era caduta sopra di lui. I loro corpi non erano stati così vicini dal giorno del bacio. I respiri affannati sfioravano vicendevolmente i loro visi, mentre i loro occhi sembravano volersi penetrare a vicenda.
Fu la ragazza a fare la prima mossa, alzandosi e cercando di ripulirsi dal fango. Shinichi invece rimase lì, fermo. Il cuore che ancora gli batteva forte, come se volesse uscire dal petto, mentre il pensiero di quel dolce respiro sul suo viso gli invadeva la mente, annebbiandola.
La Terra dei Boschi era se possibile ancora più spettacolare di quella dei Mari. Davanti ai quattro ragazzi si estendeva una distesa di alberi scuri, dalle grosse foglie. A ridosso di quella foresta c’era un piccolo villaggio composto da pochi casolari. I quattro decisero che si sarebbero fermati lì.
«Abbiamo un problema! - disse Heiji fermandosi poco prima - Non assomigliamo per niente agli abitanti della Terra dei Boschi.»
«Non c’è nessun problema invece. - sorrise Kazuha al ragazzo che le stava tenendo la mano - Questa terra non è in guerra.»
«Come mai?» chiese Shinichi curioso.
«Non si sa. La regina ha ritirato le sue truppe di punto in bianco.»
I ragazzi si avvicinarono al piccolo villaggio. Shinichi rimase stupito dagli abitanti di quella terra. L’amico aveva ragione, erano molto diversi da loro. Occhi e capelli sembravano normali, ma i lineamenti e i tratti erano molto diversi. Erano, se possibile, ancora più pallidi del popolo della Terra dei Mari. Inoltre erano molto più slanciati ed eleganti. 
Si diressero verso l’unica locanda del paese. Il ragazzo alzò i suoi occhi azzurri sull’insegna. Finalmente riusciva a leggere cosa c’era scritto “Piccola pianura”. Sorrise al pensiero di come era cambiato in quei mesi, da quando era scappato dalle miniera erano cambiate tante cose e uno dei cambiamenti più importanti era quella bellissima ragazza, con i vestiti maschili sporchi di fango, di fianco a lui. Entrarono e subito li accolse una bambina.
«Mia madre arriva subito, avete bisogno di qualcosa?» chiese guardando dal basso quei quattro ragazzi coi suoi occhioni azzurri.
«Avremmo bisogno di un posto dove dormire piccola.» rispose la principessa chinandosi e sorridendo alla bambina.
Lei sorrise di ricambio e corse dietro il bancone, per poi arrampicarsi su un panchetto facendo così sbucare la dolce testolina. I suoi capelli corti e castani erano tenuti da un bel cerchietto bianco. Prese un grosso registro marrone lo aprì per poi attendere.
«Non so scrivere, quindi devo aspettare mia madre.» puntualizzò, senza aver bisogno di domande.
Poco dopo una bella donna sbucò da una porta che c’era nel retro del bancone.
«Come posso esservi utile?» chiese, ma prima che uno dei quattro potesse aprir bocca, la bambina parlò per conto loro.
«Vogliono alloggiare qui.»
«Grazie Ayumi, ora puoi tornare di là, tuo padre ha bisogno di aiuto. - disse accarezzandole i capelli, poi si rivolse ai quattro ragazzi - Posso darvi due camere.»
«È perfetto!» rispose Kazuha per tutti.
La donna scrisse qualcosa sul registro, dopodiché alzò lo sguardo con un sorriso.
«Benvenuti nella Terra dei Boschi!»

 

Due giorni dopo i ragazzi ripartirono, avevano deciso che sarebbero andati nella capitale e lì sarebbero rimasti per un po’.
Shinichi scoprì che quella terra poteva essere meravigliosa, quanto odiosa. Per raggiungere la capitale, che si trovava nel cuore della foresta, dovettero inoltrarsi in quella selva intricata di alberi dalle foglie larghe e carnose. 
Tutto quel verde, che filtrava la luce del sole, li opprimeva, sebbene ogni tanto in tutti loro spuntasse un sorriso quando scorgevano qualche animale zampettare davanti a loro per poi nascondersi subito appena li vedeva.
«Lo sapete che gli abitanti della Terra dei Boschi non mangiano carne?» disse Ran per ravvivare quella fresca serata intorno al fuoco.
«Davvero?» chiese Heiji.
«Sì, è per rispetto verso le altre creature viventi.» rispose la principessa con un sorriso.

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Capitolo 17
*** Festa della regina ***


CAPITOLO 17

Festa della regina

 

Il bosco sembrava farsi sempre più folto e gli alberi diventavano sempre più alti, dando all’atmosfera intorno a loro quel colore verde cupo, anche in pieno giorno. 
Stavano finendo le scorte di cibo, ma fortunatamente molti alberi che crescevano in quella fitta vegetazione, regalavano succosi frutti dall’odore intenso e dal sapore dolce. Inoltre la principessa, sembrava sicura che non mancasse molto alla capitale.
La ragazza aveva ragione, perché la mattina del quarto giorno, la foresta sembrò diventare lentamente meno fitta, gli alberi si diradarono, continuando però a rimanere imponenti. In tarda mattinata, quando la pallida luce del sole, filtrata dagli enormi alberi, era quasi a metà del suo viaggio, i quattro ragazzi finalmente arrivarono. Davanti a loro si ergeva una recinzione, molto più bassa rispetto a quelle delle altre due capitali, composta da spessi tronchi di legno chiaro che sembravano conficcati nel terreno, mentre l’altra estremità, quella che tentava di sfiorare le grosse foglie degli alberi che crescevano nei rami più alti, erano aguzze.
Le due guardie che c’erano all’ingresso della capitale sorrisero ai quattro arrivati, che si presentarono, trascurando solamente il fatto che Ran fosse la principessa della Terra dei Mari.
«Siete arrivati al momento giusto, a breve inizierà la festa che diamo ogni dieci lune, vi consiglio di entrare e trovare dei buoni posti per vedere la parata.» disse una delle due guardie facendoli passare.
Quando tutti e quattro furono abbastanza lontani, il ragazzo dalla pelle scura si avvicinò alla principessa.
«Di che festa parlano?» chiese con un sussurro in modo che sentissero solo i tre amici.
«Non ne ho idea.» rispose secca la principessa.
Appena entrati nel cuore della città, tutti e quattro rimasero stupiti da quello spettacolo.
«Ho letto un sacco di Tochi nei miei libri, ma non pensavo fosse così magnifica!» esclamò Ran guardandosi attorno come tutti gli altri.
Nemmeno una capanna inquinava quel magnifico spettacolo e il ragazzo capì subito perché. I suoi occhi azzurri si erano fermati su uno dei tanti alberi che costellavano quella bellissima città. Era cavo e oltre ad avere una porta alla base e delle aperture che fungevano da finestre, aveva anche una scala che saliva a chiocciola, girando intorno al tronco. 
Non c’erano strade e tutto era ricoperto da un tappeto verde brillante, che regalava qualche piccolo fiore vicino ai tronchi delle case-albero, creando così dei meravigliosi giardini. Il castello ergeva al fondo della capitale, dall’altra parte di dove si trovavano loro. Era forse l’unica struttura costruita interamente da mani umane, eppure non stonava affatto con quel meraviglioso spettacolo della natura. Le pietre cristallo verdi di cui era composta, brillavano, catturando i pochi raggi di sole che passavano oltre le grosse foglie degli alberi, e sembravano illuminare di riflessi verdolini tutta la città. Era una fortezza maestosa che ricordava vagamente la forma di una qualche quercia secolare, dal tronco massiccio.
Dopo che si furono ripresi dallo stupore iniziarono a notare finalmente anche gli abitanti. Proprio come nel piccolo paesino prima di entrare nella foresta, gli abitanti di Tochi erano pallidi e si muovevano in modo così sinuoso ed elegante che poteva sembrare non avessero ossa in corpo. 

I ragazzi notarono che tutti si stavano dirigendo verso un luogo specifico, così decisero di seguire la fiumana di gente che si stava riversando tutta in un’enorme piazza centrale. Il gran vociare della gente creava confusione. Una confusione allegra, mentre alcuni abitanti accendevano lanterne di carta di vari colori illuminando tutto.
I quattro cercarono di farsi largo in mezzo alla folla, finché non videro finalmente il centro vuoto della piazza. Notarono che l’unico spazio lasciato libero era quello al centro di essa e la strada che portava al castello.
«Scusa, cosa succede qui?» chiese Ran a un abitante.
Lui sorrise con fare gentile, poi parlò.
«Non siete di qua vero? - chiese soffermando lo sguardo divertito sul ragazzo dalla pelle scura - Tra poco arriverà la regina. Oggi è il giorno della festa!»
«Di che festa si tratta?» domandò allora Kazuha che ormai era diventata troppo curiosa.
«È una festa che ha indetto la regina, quando è tornata dal suo lungo viaggio. La facciamo ogni dieci lune e serve a ringraziare Boden.»
Shinichi ricordava perfettamente quel nome, ormai era inciso nella sua mente, come gli altri tre nomi degli dei. Boden, il dio della terra. Ebbe il tempo solo di ripensare a quanto conosceva di quel dio paziente e benevolo, quando tutta la piazza si zittì.
Cinque abitanti, che si trovavano su un bel palchetto in legno decorato da fiori, presero i loro strumenti in legno e iniziarono a suonare una dolce melodia. Tutti quanti si girarono verso il castello e i quattro ragazzi fecero altrettanto.
Dalla strada che portava verso l’enorme palazzo, stava avanzando un corteo, che poco dopo arrivò in piazza. In testa vi erano quattro bambine. Indossavano un un bel vestito semplice ma elegante ognuna di un colore diverso e lanciavano petali di rosa sul tappeto d’erba. Subito dietro quattro uomini trasportavano un piccolo monumento che sembrava rappresentare la città, era tutto fatto in legno e dipinto a mano, la riproduzione era minuziosa e precisa. Ancora dietro quattro donne danzavano muovendo il loro leggeri vestiti bianchi, i capelli delle donne erano acconciati in mondo sontuoso e  decorati da tanti fiori diversi. A seguito delle donne vi erano due guardie che indossavano la stessa divisa verde smeraldo di quelle che erano davanti alle porte della città. Alla fine della coda c’era una bellissima ragazza.
I capelli corti che le arrivavano alle spalle erano ramati e le incorniciavano il viso grazioso, ma allo stesso tempo da giovane donna. Indossava un bellissimo vestito lilla con ricami e merletti d’oro. Il vestito partiva da sotto le ascelle, lasciando le spalle chiare scoperte, il corpetto la stringeva in vita sostenendo perfettamente il suo seno, appena superata la vita il vestito si allargava in una bella gonna di tulle che le arrivava fino alle caviglie. I suoi piedi erano scalzi, come tutti gli abitanti di quella particolare città.
«Lei è la regina!» sussurrò l’uomo ai quattro ragazzi.
Appena la bella ragazza arrivò al centro della piazza, la musica cessò e partì un fragoroso applauso che colmò tutto il piazzale arrivando fino alle cime degli immensi alberi. Quando però lei alzò le mani, tutta la piazza tornò in un assoluto silenzio. A quel punto la ragazza prese i lembi del suo vestito e salì sul piccolo palco, mentre i musicisti scendevano da esso.
«Miei carissimi abitanti di Tochi. Anche oggi festeggiamo il meraviglioso dono che ci ha fatto il nostro amato dio Boden. Anche oggi i nostri canti e le nostre danze si leveranno verso il cielo, così che lui capisca che nei nostri cuori non c'è il minimo desiderio di quest’orribile guerra che incombe sulle terre di Snaga.»
Ci fu un breve attimo di pausa, il tempo che tutta quella folla ammassata nella piazza capisse che il discorso era finito, poi un altro scroscio di applausi inondò la radura. Quando finì, la regina allargò le braccia sorridendo al suo popolo.
«Che inizino le danze!»
A quelle parole i ragazzi dovettero spostarsi di corsa, perché i cinque avevano ricominciato a suonare e molta gente si riversava al centro della piazza danzando allegra. I quattro si rifugiarono ai piedi di un'albero che era proprio vicino al palchetto. Stavano ancora guardando stupiti la folla che danzava, ancora più elegantemente di come camminava, quando una voce li riscosse da quella visione.
«Non siete di questa terra, vero?»
Si voltarono, davanti a loro c’era la regina in persona. Il suo viso maturo contornato dai capelli color rame, le labbra rosse incurvate in un sorriso e gli occhi verde acqua che passavano da uno all’altro.
«No altezza. Kazuha e io veniamo dalla Terra dei Mari, - rispose Ran per tutti - mentre Heiji e Shinichi vengono da quella dei Fuochi.» rispose indicando i compagni quando li nominava.
«Allora vi do il benvenuto a Tochi, stranieri, appena la festa finirà provvederò a farvi avere una casa vostra, consideratelo un mio dono per la vostra visita.» sorrise benevola.
«Grazie mille, maestà.» rispose la ragazza chinandosi elegantemente, poco dopo fu imitata dagli altri quattro.
«Non c’è motivo, ora divertitevi. Quando finiranno le danze vi sarà il banchetto.»
Diede un’ultima occhiata ai quattro, soffermandosi soprattutto sul quel bel ragazzo dagli occhi color del cielo, poi si allontanò nuovamente.

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Capitolo 18
*** La capitale nel bosco ***


CAPITOLO 18

La capitale nel bosco

 

Il banchetto fu impeccabile. Verso la fine dei balli, alcuni abitanti avevano allestito grossi tavoli per tutta la piazza verde, imbandendoli delle migliori squisitezze. Pasticci di frutta, deliziose tartine, succhi dai gusti e colori più strani e particolari. I quattro ragazzi, senza nessun complimento assaggiarono un po’ di tutto. Il non mangiare carne era sopportabile, tutto quel cibo era una delizia per il palato. Perché rovinarsi la bocca con il forte sapore del sangue, quando si potevano gustare quei dolci dai delicati sapori.
Alla fine della serata, quando erano tutti pieni, la regina salì di nuovo sul palchetto e la piazza cadde nel silenzio come all’inizio della festa.
«Miei cari, la festa è finita, ma noi continueremo a credere nella pace. Ogni giorno si avvicina sempre di più, lo sento. - il suo sguardo si rivolse sorridente ai quattro ospiti - Noi, con la nostra determinazione, potremmo cambiare il destino di Snaga.»
Appena finì un enorme applauso avvolse la piazza ormai illuminata solo dalle lanterne colorate, dato che la luce bianca della luna era troppo debole per penetrare il fogliame selvaggio di quei boschi. Anche i quattro ragazzi applaudirono contenti, presi dall’euforia della festa. Quando l’applauso iniziò a placarsi la folla che invadeva la piazza si diradò. Ognuno iniziò a dirigersi verso la propria dimora, per passare la notte. Mentre gli abitanti si allontanavano dallo spiazzo, con un parlottio in sottofondo, ai quattro ragazzi si avvicinò qualcuno.
«Mi è stato detto dalla regina di mostrarvi una casa libera. Potete seguirmi se non volete attendere oltre.»
Era un ragazzo, probabilmente della loro età, anche se i tratti delicati e femminili lo facevano sembrare più piccolo. Sul naso portava una strana montatura in legno che gli reggeva davanti agli occhi due spesse lenti di vetro. I suoi capelli erano corti e neri e gli cadevano lisci sulla fronte.
I quattro lo seguirono, inoltrandosi nella città. Dopo vari minuti di cammino, il ragazzo sembrò rallentare, poi però accadde qualcosa. Un leggero urlo e un tonfo e i quattro ragazzi, che erano un po’ più distanti dalla loro guida, lo ritrovarono a terra.
«Ehi tutto bene?» chiese Ran aiutandolo ad alzarsi.
«Sì, sì. Tranquilla, mi succede spesso. Diciamo che non sono il massimo dell’eleganza, al contrario degli altri abitanti. Insomma mia madre era della Terra dei Fuochi e credo che prendendo un po’ da entrambi sono uscito male.» disse aggiustandosi gli occhiali e avvicinandosi a un grosso albero.
«Non dire così! - lo sgridò la ragazza - Ognuno è speciale così com’è. Scommetto che hai molte altre qualità.» gli sorrise.
Lui sentì subito il sangue salire e colorargli le guance, ma fortunatamente il buio non permetteva agli altri di vedere quel piccolo cambiamento. Scosse la testa, in modo che i suoi pensieri tornassero alla realtà.
«Bene questa sarà la vostra dimora per quanto vorrete. Domani mattina tornerò a prendervi per scortarvi al castello. La regina vuole parlare a tutti e quattro.» disse per poi indicare loro l’ingresso della casa-albero, dopodiché si allontanò.
Fu Shinichi il primo ad aprire la porta in legno. Il buio era totale, sebbene due aperture che fungevano da finestre facevano passare quella lieve luce che veniva da fuori. Il ragazzo notò su un tavolo, vicino alla finestra, una lampada ad olio. Si concentrò sulla boccia di vetro che racchiudeva quel piccolo cilindro cavo di metallo e poco dopo una fiammella crebbe dentro di essa.
La casa era qualcosa di assolutamente perfetto. Al centro di quella stanza, con pareti e soffitto in legno, vi erano quattro belle sedie intagliate perfettamente in modo che si adattassero alla forma del corpo. Alle due aperture che fungevano da finestre erano accostate delle belle tende bianche, di fianco a una delle due finestrelle, come aveva notato Shinichi, c’era un tavolino su cui era appoggiata la lampada. Inoltre era stato creato un incavo più profondo nel tronco, era tutto rivestito in pietra e aveva un muretto alto all’estremità che toccava il pavimento, il ragazzo ne dedusse che fungeva da camino per le notti fredde e il muretto serviva per non far cadere nessun lapillo o scintilla sul bel pavimento in legno. A lato della stanza una scala saliva aprendosi un varco tondo nel soffitto in legno.
I quattro ragazzi salirono e trovarono una bella camera. Appeso alla parete c’era uno specchio, proprio vicino alla finestra e poi c’erano due letti dall’aria molto comoda, con le lenzuola candide e i materassi spessi. Infine un’altra scaletta, più corta della prima, portava all’altra camera.

 

La mattina dopo si svegliarono con i primi raggi del sole, filtrati dalle foglie. Quella luce verdolina, svegliò prima le ragazze al piano di sopra e poco dopo i ragazzi. Si ritrovarono tutti al piano più basso della casa e si misero sulle sedie a mangiare qualche succoso frutto che avevano raccolto allungando le mani fuori dalle finestre.
Quando ebbero finito quella gustosa colazione uscirono all’aria aperta, appena spalancata la porta la principessa si trovò faccia a faccia col ragazzo impacciato della sera prima. Finalmente il colore dei suoi occhi dietro alle lenti era chiaro, erano azzurri tendenti leggermente al verde.
Nel veder apparire quella bella ragazza dai vestiti maschili arrossi un po’, questa volta senza poter nasconderlo in nessun modo.
«La regina vi attende al castello!» disse balbettando leggermente.
«Potresti, prima, indicarci dove possiamo lavarci? Non vorremo presentaci così alla regina.» disse la ragazza indicando i vestiti sporchi.
«Certo! - rispose il ragazzo sollevandosi un po’ la montatura con il dito indice - Se proseguite per questo lato - disse indicando il retro della casa-albero - vi imbatterete nel fiume, seguite il suo corso per pochi metri e troverete il lago. È diviso in due in modo che maschi e femmine si possano fare il bagno nello stesso momento.»
I quattro ragazzi ringraziarono e si diressero dove era stato loro indicato, promettendo che sarebbero tornati presto.
Non molto tempo dopo infatti sbucarono nuovamente dalla folta vegetazione. Avevano nuovi vestiti addosso, candidi e puliti e la loro pelle era finalmente linda.
Il ragazzo li aveva aspettati lì tutto il tempo, era rimasto seduto ai piedi della casa-albero e quando li vide arrivare si tirò su in piedi.
«Vedo che avete fatto vostra la tradizione di Tochi.» constatò guardando i piedi nudi dei ragazzi.
«Perché rovinare un così bel prato?» disse Kazuha sorridendo, per poi entrare in casa e posare i vestiti sporchi di tutti sul tavolo.
Appena uscì di nuovo il ragazzo fece loro strada, come la sera prima, accompagnandoli verso il castello.
«Non ti abbiamo ancora chiesto come ti chiami.» fece Shinichi, mentre camminavano.
«Eisuke!» rispose lui stando attento a dove metteva i piedi, per non fare una figuraccia come quella del giorno precedente. 
Non ci misero molto ad arrivare al castello e quando furono ai piedi di quella maestosa struttura ne rimasero incantati. Sembrava davvero un’enorme quercia, ricoperta di muschio. I rami degli alberi che lo circondavano sembravano essere i suoi e si allungavano verso il cielo cercando di toccarlo.
L’interno era se possibile ancora più meraviglioso. Era molto simile a quello in cui Ran era sempre vissuta, non fosse per il fatto che il colore predominante in quel meraviglioso palazzo fosse il beige e non l’azzurro.
Eisuke li accompagnò su per la scala centrale. Appena arrivarono in cima però si fermò davanti a un portone. Era in legno scuro e con dei basso rilievi perfetti ricreava un grosso albero secolare.
«La regina è oltre questa porta, potete entrare.»
Shinichi spinse forte un’anta dell’enorme porta e tutti e quattro furono abbagliati per un attimo dalla luce, poi quando i loro occhi si abituarono videro finalmente quello spettacolo.
«Benvenuti, miei cari ospiti.»
Era una sala immensa. Grandi finestroni la illuminavano tutta, sebbene la luce in quella città fosse così lieve, le pareti erano bianchissime e candide, mentre il soffitto a cassettoni in legno era perfettamente intarsiato, da esso pendeva un bel lampadario ad olio molto più grande di quello che c’era al castello di Mizu. Al centro della sala vi era un grosso tavolo di legno chiaro, dalla forma ovale, che era circondato da tante sedie in legno, molto simili a quelle che i ragazzi avevano trovato nella casa-albero, non fosse per il fatto che braccioli, schienale e sedile erano ricoperti di un velluto verde pallido. Al fondo della sala invece, un po’ rialzato rispetto al tavolo, c’era il trono, intarsiato in legno, su cui era seduta la regina, più splendida che mai. Accanto a lei, accucciato, un grosso lupo dal pelo bianco e grigio guardava i nuovi arrivati coi suoi occhi scuri, godendosi i piccoli grattini che la padrona gli stava facendo dietro l’orecchio.

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Capitolo 19
*** Ribellarsi ***


CAPITOLO 19

Ribellarsi

 

La bella regina si alzò dal trono e il lupo alzò il muso per vedere la padrona allontanarsi da lui e sedersi su una delle sedie attorno al grosso tavolo, poi rimise il muso sulla zampa con uno sbuffo. Appena fu seduta in una delle belle sedie fece cenno ai quattro ragazzi di accomodarsi.  Quando finalmente furono tutti comodamente seduti alla parte estrema del tavolo la regina con un bel sorriso prese la parola.
«Vi ho chiamati qui, perché ci sono un po’ di cose che dovreste sapere. Ma prima di tutto voglio sapere io qualcosa da voi - disse rivolgendo il suo sguardo freddo e penetrante a Ran e Shinichi - Siete due maghi vero?»
I due ragazzi impallidirono. L’avevano vista solo la sera prima e non avevano usato i loro poteri davanti a nessuno, com’era possibile che lo sapesse? Nonostante quei dubbi, risposero con cenno di testa, quasi insieme.
«Bene - rispose lei, mentre le sue labbra rosse si piegavano in un sorriso compiaciuto - Ho un’altra domanda per voi, quanto sapete di Black Island?»
Questa volta la risposta non venne da nessuno. La guardarono interrogativi, senza sapere assolutamente di cosa stesse parlando. Ci fu qualche minuto di silenzio rotto solo da un’altro sbuffo del lupo, ancora vicino al trono, che cambiò posizione per stare più comodo.
«Come temevo! - sospirò la regina - Credo allora che dovrò partire dall'inizio. - chiuse gli occhi, come per riordinare le idee, appena li riaprì quella labbra rosse si schiusero facendo uscire la voce - Nell’oceano della Terra dei Mari, abbastanza lontano da non essere vista all’orizzonte, c’è un’isola chiamata Black Island. È conosciuta da pochi, anzi direi pochissimi. Io fino a un anno fa, stavo lì. Ero andata in quel luogo per cercare mia sorella, che se n’era andata di casa da parecchi mesi, dicendo che avrebbe cercato i nostri genitori che erano partiti quando ero piccola. Il primo periodo ricevevo sue lettere, ma poi smisero di arrivare. L’ultima che ricevetti fu proprio da quell’isola, per questo decisi di andare lì per capire cos’era successo.  Scoprii che in quell’isola vi abitava un gruppo di maghi, parecchio più potenti di qualsiasi mago avessi mai conosciuto. Riuscivano a controllare ogni tipo di pietra cristallo, grazie a un altro tipo di potere creato da loro. Lo chiamavano potere nero, è un potere che deriva dalle ombre e dall’oscurità, un potere maligno che controlla non solo tutti gli elementi e permette di teletrasportare qualsiasi cosa da un luogo all’altro, ma con esso si può anche controllare le menti delle persone. Dato che il popolo della Terra dei Boschi è il migliore nel creare pozioni, mi assunsero come alchimista di quella strana congrega. Decisi di accettare in modo che potessi raccogliere informazioni su mia sorella. Furono quattro mesi orribili, molti componenti di quel gruppo mi odiavano, altri mi sfruttavano, creai per loro tanti di quei veleni da poter distruggere un esercito. Quando scoprii che proprio loro avevano ucciso mia sorella, decisi che me ne sarei dovuta andare via il prima possibile. Il motivo del perché io so che voi due siete maghi è che anche io come tutti i componenti di quella congrega ho imparato a usare il potere delle ombre e grazie ad esso si può percepire il potere di altri maghi.»
Shinichi finalmente ebbe tutto chiaro. Tooru era un mago di Black Island, ecco perché aveva capito subito che era della Terra dei Fuochi, aveva sentito il suo potere da mago.
«Al castello a Mizu - disse tramutando in parole i suoi pensieri - Il capo domestico ha capito che ero un mago del fuoco senza che io facessi niente.»
«Sì! - confermò la regina - Ci stavo per arrivare. Sono stati i maghi di Black Island a dar vita a queste guerre. Controllano le menti dei sovrani attraverso degli incantesimi. Stanno cercando il modo di farci distruggere tra di noi, in modo che loro possano poi conquistare tutto in poco tempo.»
«È terribile!» esclamò Ran, pensando a suo padre, ora capiva il perché del suo cambiamento nell’ultimo periodo, suo padre non era mai stato un uomo severo e bellicoso, anzi spesso quando era piccola indiceva feste e organizzava balli.
«C’è un’altra cosa importantissima che dovete sapere. - disse la regina dopo qualche altro minuto di silenzio - Poco prima che me ne andassi dal castello di Black Island, una bella donna bussò alle porte del covo chiedendo aiuto. Era naufraga e aveva bisogno di una nuova barca per tornare alle terre di Snaga. Loro gliela negarono e lei accecata dalla rabbia confessò di essere una chiromante e fece loro una premonizione. Non si sa se quella profezia fosse vera o no, ma appena il capo della congrega sentì cos’era accaduto si arrabbiò. Sentimmo le sue urla per tutto il castello e per due settimane non volle parlare con nessuno.»
«Cosa diceva la profezia?» chiese Heiji sporgendosi sempre più curioso verso la bella ragazza.
«Il sole calerà su quest'isola oscura,
quando quattro prescelti dagli animi fulgenti
arriveranno qui in armatura
usando il potere dei quattro elementi!»
«Che significa?» chiese Kazuha un po’ confusa.
«Ci misero quasi due settimane a interpretare la profezia. In realtà fu il padrone del castello a riferirlo a tutti noi, dopo il suo tempo di mutismo. Disse che vi erano quattro ragazzi, uno di ogni terra di Snaga, che sarebbero diventati i discendenti degli dei stessi. Quattro ragazzi che avrebbero ereditato poteri ancora più forti dei normali maghi. I giorni successivi, allenammo il potere oscuro a localizzare anche gli eredi, ma successe qualcosa. Era notte e una donna della congrega entrò nella mia stanza accusandomi di essere una traditrice. All’inizio non capii cosa intendeva, ma poi percepii il potere di un prescelto, solo dopo poco mi accorsi che ero io. Io ero l’erede della terra, colei che avrebbe ereditato i maggiori poteri da Boden. Scappai da quella donna e da tutta Black Island tornando qui e ritirando il mio popolo dalla guerra. Ora però, che siete arrivati voi, le cose cambiano. Ed è finito il tempo di nascondersi.» disse la ragazza battendo un pugno sul tavolo.
«In che senso? - chiese Heiji - Cosa c’entriamo noi con tutto questo?»
«Non capisci? - chiese la regina facendo un sospiro sconsolato - L’incantesimo per il controllo delle menti, può essere mantenuto anche da lontano. Non aveva senso mandare un elemento furbo come Tooru a Mizu e farlo rimanere lì. A meno che al castello non ci fosse stata l’erede dell’acqua!» disse volgendo il suo sguardo alla principessa, che strabuzzò gli occhi stupita.
«Io?» disse, mentre il dito della sua mano destra premeva al centro del suo stesso petto.
La regina rispose con un cenno di testa e poi continuò.
«Eppure Tooru, fu più fortunato del previsto a quanto pare. Perché il terzo erede, quello del fuoco gli era praticamente piombato addosso.» questa volta il suo sguardo verde acqua penetrò gli occhi di Shinichi che divenne leggermente rosso.
«Questo vuol dire che siete già in tre?» chiese Kazuha.
La regina a quella domanda si riscosse dai suoi pensieri, era rimasta nuovamente incantata da quei bei occhi azzurri.
«Infatti, ciò vuol dire che la profezia si può avverare. Vuol dire che non possiamo più stare fermi, non ho più il diritto di ritirarmi davanti a questa battaglia, ormai ci sono dentro fino al collo. Ci resta solo da trovare l’erede dell’aria, che sicuramente sarà nella Terra dei Venti.»
«Tutto questo è allucinante!» esclamò il ragazzo dalla pelle scura sconvolto.
«Decisamente! - rispose la regina - Ma ora per qualche giorno potete riposare, non bisogna mai avere fretta, perciò rimanete qui fin quando non vi sentirete pronti a ripartire dopodiché decideremo cosa fare. - la regina si alzò nuovamente dal tavolo e volse la testa alle sue spalle - Forza Ren andiamo!» a quelle parole il lupo si alzò di scatto e con un balzò si ritrovò di fianco alla regina.

 

«Mi voleva mio signore?» chiese la bella donna chinandosi davanti alla tenda nera.
«È giunto il momento di riscattare il tuo errore, mia cara Sharon! - disse la voce fredda e sensuale dietro la tenda - Voglio che mi porti la traditrice qui, ma la voglio viva!»
«Sarà fatto mio signore!» rispose la donna mentre le sue labbra color porpora s’incurvavano compiaciute.

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Capitolo 20
*** Nella notte ***


CAPITOLO 20

Nella notte

 

Erano passati parecchi giorni da quando i quattro viaggiatori erano arrivati nella capitale della Terra dei Boschi. Ormai il gruppo si era abituato a quell’aria pulita, a quelle strane tradizioni, al cibo solo a base di frutta e pane e alla comodissima casa-albero che condividevano. Ogni tanto Eisuke o la regina stessa facevano loro visita in modo che non si sentissero mai esclusi, anche se era impossibile in quella città viva, allegra e pacifica.
Era una mattina tranquilla come le altre e il sole sopra il tetto di foglie, che copriva la città, era già alto nel cielo. Qualcuno bussò alla porta in legno che si mimetizzava perfettamente col tronco dell’albero. Fu Ran ad aprire e quando il ragazzo si trovò quel bel viso di fronte arrossì un po’, come suo solito.
«La regina ha invitato Shinichi a cena questa sera, dice che deve parlare con lui di faccende delicate.» disse tutto d’un fiato prima che la vista di quel viso meraviglioso gli bloccasse le parole in gola
Il ragazzo che era seduto in una delle comode sedie in legno si alzò dirigendosi verso la porta.
«Vuole vedere solo me?» chiese stupito, aveva notato molto spesso che la regina gli lanciava parecchie occhiate soprattutto negli ultimi giorni, ma nella sua testa non affiorava nessuna idea su quale poteva essere il motivo di quell’invito, nonostante tutto decise comunque di accettare.
«Peccato però - sospirò Kazuha, mentre il suo viso si rattristava - Io ed Heiji volevamo uscire un po’ da soli sta sera, ma non possiamo lasciare la principessa da sola.»
«Non c’è problema! - Eisuke era diventato ancora più rosso di prima, ma continuò a parlare - Se la principessa Ran lo desidera, la inviterò volentieri a casa mia per questa sera, così che non rimanga da sola.
Entrambe le ragazze si guardarono e poi con un grosso sorriso Ran accettò l’invito.

 

I due ragazzi avevano appena ordinato due pasticci. Avevano deciso di passare la serata in un’osteria della capitale.  Era da quando erano al castello che non rimanevano da soli per un po’. Quella serata sembrava perfetta per loro. In un’angolo del piccolo locale tre musici suonavano allegre canzoni, mentre qualche commensale coraggioso si tuffava in una divertente danza sul pavimento in legno.
Kazuha rimase per molto a guardare il ragazzo di fronte a lei, che sembrava assorto nei suoi pensieri mentre fissava i piedi di uno dei ballerini. Teneva la mano sotto al mento, quel mento scuro come il resto della sua pelle, che sembrava dargli un’aria da duro. Con l’altra mano faceva picchiettare le dita sul tavolo, facendole così andare a ritmo di musica.
«Che ne dici se balliamo?» chiese con voce tranquilla.
La ragazza per un attimo rimase paralizzata, credeva di non aver sentito bene, così continuava a guardare il ragazzo che non aveva ancora distolto quello sguardo assorto dai piedi dell’uomo in pista.
«Dici sul serio?» chiese poi con un sussurrò, come se si vergognasse.
A quella domanda lui si girò nuovamente verso di lei, trafiggendo i suoi occhi verdi. Senza dire un’altra parola le prese la mano bianca e candida e la trascinò in mezzo al locale insieme agli altri coraggiosi ballerini.

 

La ragazza guardò con gli occhi sgranati quel piccolo tavolo imbandito di qualsiasi leccornia. Ogni pietanza perfettamente impiattata con cura in modo che fosse bella da vedere. L’odore di ogni singola portata stuzzicava l’olfatto, facendo assaporare già con esso tutto il gusto.
«Hai fatto tutto tu?» chiese stupita, senza riuscire a staccare gli occhi dal tavolo.
Il ragazzo arrossì e rispose con un tono sommesso, aggiustandosi la montatura degli occhiali sul naso.
«Sì, le ho fatte con le mie mani. Me la cavo abbastanza bene in cucina.»
Si sedettero entrambi a tavola e, dopo essersi augurati buon appetito a vicenda, Ran si mise un pezzettino di ogni pietanza nel suo piatto così da poter assaggiare tutto.

 

La pancia del ragazzo era piena, mentre beveva un sorso d’acqua fresca per mandare giù l’ultimo boccone. 
«Era tutto squisito altezza!» disse educatamente il ragazzo pulendosi il viso col tovagliolo color avorio.
«Shinichi, odio queste cerimonie, mi chiamo Shiho e preferirei mi chiamassi col mio nome e mi dessi del tu, proprio come fai con la principessa di Mizu.»
I suoi occhi verde acqua sembravano cercare di penetrargli fin dentro l’anima, mentre le sue belle labbra rosse si piegarono in un sorriso molto sensuale, più che dolce. Il ragazzo deglutì, come se gli fosse rimasto un boccone della cena, appena consumata, in gola. Poi cercò di riprendere un minimo di contegno e si rivolse nuovamente alla regina.
«Perché mi hai invitato qui stasera?»
Il suo sorriso diventò se possibile ancora più provocante, trasformando quel dolce volto da ragazza, in un volto di una donna adulta e matura. 
Prese la campanella d’argento che c’era sul tavolo e la suonò, per poi alzarsi. Dopo neanche pochi secondi arrivò un domestico, vestito di tutto punto.
«Desidera?» chiese con un leggero inchino.
«Io e il mio ospite abbiamo finito e ci dirigiamo nei miei appartamenti. Fate in modo che nessuno ci disturbi!» sentenziò con voce ferma e decisa.
«Sarà fatto mia signora!»

 

«Ran, posso farti una domanda? - chiese Eisuke diventando paonazzo. La ragazza notò il colore del volto del suo nuovo amico, ma con un dolce sorriso aspettò la domanda - Beh ecco tu… Tu… Insomma provi qualcosa di speciale per qualcuno?»
Le orecchie del ragazzo diventarono dello stesso colore del volto che era rivolto verso i basso, mentre si guardava i piedi nudi che si muovevano nervosi.
La ragazza scoppiò a ridere. Non una risata di scherno, una semplice risata di tenerezza. Quando quella leggera e dolce risata si quietò la ragazza guardò con sguardo dolce l’amico.
«Mi spiace Eisuke. Avevo capito già da un po’ il motivo del tuo comportamento nei miei confronti, ma per me potrai essere solo un amico. Mi spiace ma il mio cuore appartiene a un altro ragazzo e non penso le cose possano cambiare.»
«È Shinichi, vero?» chiese Eisuke.
Tutt’un tratto era tornato serio e del suo normale colorito, per un attimo la principessa ebbe paura di tutta quella serietà, poi però si riprese e rispose.
«Sì! È il ragazzo più coraggioso che abbia mai conosciuto. È semplice, temerario e soprattutto ingenuo e da quando lo conosco non posso fare a meno della sua vicinanza.»

 

Il ragazzo stava aspettando seduto su una sedia di quell’enorme stanza. Si sentiva nervoso e non ne conosceva il motivo. Forse per la furia del colore che imperversava intorno a lui. Quella stanza era basata solo su due colori, il bianco e il rosso. Le pareti e il soffitto erano bianche, mentre il pavimento era in marmo rosso che s'intonava perfettamente con le tende della finestra e quelle del letto a baldacchino al centro della stanza. Anche i cuscini del letto e le tre sedie erano di un rosso fiammante, mentre il bel mobile elegante a lato della stanza, vicino alla finestra era bianco.
La regina finalmente uscì dai bagni degli appartamenti. Appena apparve però il cuore del ragazzo perse un colpo. Indossava solo una leggera sottoveste bianca, nient’altro. La luce del lampadario a olio di quella stanza illuminava a giorno, permettendo a Shinichi di vedere il corpo completamente nudo della regina sotto quel leggero indumento.
Le mani del ragazzo si contrassero furiosamente sui braccioli rossi, come se volessero penetrare il tessuto rosso, mentre lei si stava avvicinando, con quei movimenti sensuali e sinuosi tipici del suo popolo. Deglutì nervoso, premendo la schiena contro lo schienale come a volersi allontanare da quella bellissima figura.
Lei però lo raggiunse e senza esitazione gli prese il viso mettendo pollice e indice ai due angoli della sua bocca.
«Non devi mai andare contro i tuoi istinti Shinichi, o rischi d’impazzire.» disse con la sua voce sensuale e allo stesso tempo fredda.
Era così vicino a lui che riusciva a sentire il suo respiro sul viso. Una frazione di secondo, poi le loro labbra s’incontrarono.
Shinichi rimase paralizzato, i suoi occhi sbarrati guardavano il vuoto, mentre Shiho faceva tutto da sola. Erano sicuramente passati pochi secondi, ma a lui era sembrata un’eternità e dentro il suo stomaco qualcosa sembrava muoversi convulsamente. Un enorme senso di colpa pesava sulla sua coscienza. Stava tradendo la sua principessa. Probabilmente ora Ran stava pensando a lui e lui invece la stava tradendo.
Frappose le braccia fra i loro corpi, mettendo le mani sulle spalle delicate della regina, per poi allontanarla.
«Mi spiace Shiho, ma non posso farlo!» disse guardando la ragazza negli occhi, bastò un’altro sguardo freddo di quei due smeraldi per far crollare di nuovo tutte le certezze del ragazzo. Lei sorrise nuovamente e in modo ancora più deciso riattaccò le sue labbra a quelle del giovane.

 

Erano entrambi sdraiati, sotto le belle tende rosse di quel letto a baldacchino. Entrambi avevano il fiato grosso, ma sebbene la ragazza ramata fosse tranquilla e serena. Il ragazzo sembrava essere completamente sconvolto. Un peso grande come un macigno lo stava dilaniando dall’interno. 
Si mise seduto, cercando di trovare una soluzione al suo madornale errore, ma una voce lo distrasse dai suoi disperati pensieri.
«Torna dalla tua Ran, Shinichi! Se il tuo amore è vero, non accadrà niente. In fondo sono stata io a provocarti. Basterà non raccontarle di questa notte. Hai la mia parola d’onore che non mi avvicinerò mai più a te come amante, ma solo come amica!» questa volta la voce della regina non era più sensuale, ma dolce e comprensiva.

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Capitolo 21
*** Ali di drago ***


CAPITOLO 21

Ali di drago

 

Il ragazzo se ne stava seduto su una delle sedie in legno. I gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani tra i capelli castani. Non aveva dormito per tutta la notte. Era tornato alla casa-albero, quasi all’alba ed era rimasto lì tutto il tempo. Le leggere occhiaie scure sotto i suoi occhi dimostravano la mancanza di sonno.
Si sentirono dei passi leggeri provenire dalle scale, ma lui sembrò non preoccuparsene e non si mosse dalla sua posizione. Solo quando i passi cessarono e la persona che li aveva provocati e che era arrivata ai piedi della scala parlò, qualcosa si mosse dentro di lui.
«Shinichi, che cosa ci fai qui?»
La sua dolce voce gli penetrò i timpani, facendoli vibrare. Mentre qualcosa iniziava a contorcersi dentro di lui. Un senso di colpa immenso iniziò a chiudergli lo stomaco in una morsa e per reazione strinse ancora più forte le dita tra i suoi capelli.
«Shinichi, stai bene?» chiese preoccupata la voce, poi sentì i suoi passi avvicinarsi.
Lui rimase nella stessa identica posizione, senza riuscire a muoversi. Aprì la bocca un paio di volte, come un pesce che vuole prendere una bollicina di ossigeno, poi finalmente la voce uscì.
«Ran io…» serrò i pugni.
Non ebbe il tempo di dire un’altra parola perché una mano delicata gli afferrò il polso sinistro tirandolo a sé.  Alzò lo sguardo. Quei due stupendi occhi violetti lo stavano guardando, dolci, comprensivi. 
Come poteva dirglielo, senza vedere quegli occhi bellissimi sgorgare lacrime? Come avrebbe potuto deluderla fino a quel punto? Non avrebbe sopportato vederla soffrire per quel suo maledetto errore.
«Ho una cosa da dirti.»
Il suo sguardo divenne interrogativo, mentre la bocca della ragazza, che aveva fatto uscire quelle parole, si piegava in un sorriso.

 

Qualcuno bussò forte alla porta. 
La ragazza, ancora un po’ stranita dalle poche ore di sono si alzò dal letto e si sciacquò il viso con l’acqua della bacinella che aveva sul bel mobile bianco. Dopodiché si coprì il corpo nudo con un lenzuolo e andò ad aprire la porta. Sulla soglia c’era uno dei suoi servi.
«Mi spiace disturbarla a quest’ora del mattino maestà, ma Ren è tornato in anticipo dalla sua passeggiata settimanale e sembra parecchio agitato.» disse tutto d’un fiato il servo con lo sguardo alquanto nervoso.
La ragazza sospirò rassegnata poi con un sorriso tranquillo rispose al suo domestico.
«Datemi venti minuti e sono subito da voi, intanto dategli da mangiare.» ordinò la regina per poi chiudere nuovamente la porta.

 

«Draghi?» il ragazzo era ancora più stupito della piega che aveva preso quella mattinata.
«Sì, pensavo ne avessi letto in uno dei libri che ti avevo prestato.» rispose la ragazza.
«Beh sì… me l’hai dato, ma non esistono a Snaga, o sbaglio?» chiese sempre più nervoso.
«No, non sbagli. Questa terra non è mai stata percorsa da questo tipo di creature magiche. Ma i maghi sono stati considerati da molti libri delle creature.» disse la principessa, questa volta facendo molte pause, come se cercasse di usare le parole giuste.
«In che senso? Insomma noi siamo esseri umani come tutti gli altri no?»
«È proprio qui che volevo arrivare. Quando eravamo a Mizu, non abbiamo avuto il tempo di arrivare a quella lettura. Insomma non c'è stato tempo di poterti spiegare quest’altro dono che gli dei hanno fatto ai maghi, ma ora che siamo in questa situazione e presto dovremmo combattere dovresti saperlo.» 
«Vuoi dire che si può far altro oltre a governare il proprio elemento in qualsiasi modo?»
«Esatto. Devi sapere che ogni tipo di mago ha una specie di trasformazione, che permette al mago stesso di poter controllare al meglio i propri poteri.»
«Che tipo di trasformazione?»
«Beh ecco, ogni mago a seconda del potere che controlla ha una trasformazione diversa. Un mago dell’acqua per esempio quando decide di trasformarsi perde le gambe che si trasformano in un’unica coda squamata, facendolo diventare una sirena o un tritone a seconda del sesso. A un mago della terra invece si allungano le orecchie, che diventano appuntite e cambiano leggermente colore della pelle diventando così dei semi-elfi. Dalle braccia di un mago dell’aria crescono delle membrane che poi si riempiono di piume trasformandole in ali. Mentre un mago del fuoco…» la ragazza si bloccò diventando un po’ rossa.
«Cosa succede a me? Avanti dimmelo!» la esortò il ragazzo a cui ormai la curiosità era arrivata alle stelle.
«A un mago del fuoco, spuntano dalla schiena due maestose ali da drago.»
«Stai dicendo sul serio?» domandò il ragazzo, sgranando gli occhi per lo stupore e ricevendo in risposta un cenno di testa.
Dopodiché lei lo prese per mano e lo portò al piano di sopra dove lui dormiva assieme ad Heiji.
«Ascolta, chiudi gli occhi. Concentrati sui battiti d’ali degli uccelli, sul tuo potere, sulla lava incandescente che scorre, su tutto quello che puoi controllare, ma soprattutto concentrati qui.»
Ebbe un leggero fremito quando percepì la mano della ragazza sfiorargli le cicatrici sulla schiena, da sopra la casacca. Si concentrò, proprio come gli aveva suggerito lei. Quando iniziò a sentire un fastidioso prurito alle scapole, proprio sotto le spalle. Il prurito divenne sempre più insopportabile, finché non sentì uno strano fruscio e il fastidio cessò di botto.
«Apri gli occhi Shinichi!» sentì sussurrare al suo orecchio.
Li aprì lentamente, come se avesse paura di vedere cos’era successo.
Rimase impalato davanti allo specchio con la cornice di legno, che era appeso alla parete della stanza. Fissava la sua immagine riflessa senza riuscire a credere ciò che stava vedendo. Dalla sua schiena spuntavano due maestose ali da drago azzurre. La parte dura delle ossa che reggevano la struttura era ricoperta di squame di un azzurro intenso quanto i suoi occhi, mentre la membrana che passava da un osso all'altro era più chiara, attraverso di essa passava la luce che veniva dall'apertura della casa-albero che fungeva da finestra rendendo l’ombra delle ali azzurrina.
«Perché non provi a farti un giro? Basta che controlli i muscoli delle ali come se fossero le tue braccia o le tue gambe, provaci. - disse lei sorridendo, dietro di lui. Il ragazzo provò a sbattere le grosse ali riuscendo nell’intento - Forza, fai un giro. Io ti aspetto qua.»
Shinichi non se lo fece ripetere due volte e si affacciò dalla finestra. Il leggero vento di quella mattina gli accarezzava il viso e gli scompigliava i capelli. Scavalcò il buco nella parete, rimanendo coi piedi nudi a penzoloni. Fece un lungo respiro e si lasciò cadere nel vuoto, appena sentì la gravità attirarlo verso il prato verde, sbatté forte le ali. 
Sentì l’aria gonfiargli la membrana azzurra. Ogni battito di quelle possenti ali lo faceva salire sempre di più. Decise di superare lo strato di foglie spesse e carnose che ricoprivano la capitale.
Per un attimo la luce del sole, non più filtrata dalle foglie, gli ferì gli occhi. Li chiuse, continuando a sbattere le ali.
Era una sensazione unica. Finalmente il suo sogno di librarsi nell’aria e volare si stava realizzando. Se avesse saputo da subito dei suoi poteri, sarebbe scappato dalla miniera molto prima. Tutti i suoi problemi sembravano volare via assieme al vento. Non importava la verità, c’era sempre quel peso enorme sulla sua coscienza, ma ora sembrava essersi alleviato.
Tornò sotto la coltre di foglie e la vide. Quella stupenda figura dai lunghi capelli castani, avvolta nel suo bel vestito rosa. Iniziò ad atterrare. Scese piano, sbattendo più lentamente le ali azzurre. Toccò delicatamente il prato verde coi piedi nudi, mentre l’erba gli solleticava prima le punte e poi i talloni. 
Si avvicinò alla ragazza che gli sorrideva contenta. Senza neanche una parola si avvicinò a lei e gli prese il viso tra le mani, baciandola. 
La principessa arrossì, nel suo secondo, bellissimo bacio.

 

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Capitolo 22
*** Porpora e cremisi ***


CAPITOLO 22

Porpora e cremisi

 

Il ragazzo correva veloce. Il cuore gli martellava forte per pompare più sangue ai muscoli delle gambe, mentre gli occhiali scivolavano sul viso sudato. Per almeno tre volte i suoi piedi scoordinati si scontrarono con le radici degli alberi di quella meravigliosa città, facendolo cadere per terra. Lui però si rialzava subito e ricominciava a correre.
Da lontano vide la sua meta. Davanti alla porta principale della casa-albero c’era una sagoma,qualcuno era uscito. Solo quando si avvicinò riuscì a capire che non era una sola persona, ma due, avvinghiate l’una all’altra in un bacio. 
Arrivò davanti a quella casa col fiatone e subito le due figure si staccarono una dall’altra e rivolsero lo sguardo al povero ragazzo, che teneva le mani sulle ginocchia cercando di riprendere un po’ di fiato.
«Eisuke, che è successo?» chiese preoccupata Ran, vedendo il ragazzo, aveva i vestiti sporchi di terra e il volto sudato.
Lui alzò lo sguardo e attraverso gli occhiali vide il volto della ragazza che gli piaceva. Ora però non arrossiva più, aveva capito che lei non avrebbe mai ricambiato ed era ingiusto togliere a Shinichi la gioia dell’amore.
«La regina vuole che veniate al castello. Immediatamente!» disse quando gli tornò il fiato.
«Come mai?» chiese un po’ stupito Shinichi.
«Non mi ha spiegato il motivo. Ha detto che dovete andare tutti e quattro e con le vostre bisacce.»
I due ragazzi, che erano ancora abbracciati si guardarono tra il sospettoso e lo stupito.

 

La regina era seduta sul suo bel trono intarsiato. Le dita della sua mano picchiettavano nervose sopra il bracciolo, producendo un leggero ticchettio. Di fianco a lei il suo lupo grigio era seduto. Sembrava anche lui sull’attenti. La coda era immobile appoggiata sul pavimento freddo, le zampe anteriori ritte in modo da sorreggere il peso del busto che veniva un po’ in avanti. Le belle orecchie a punta erano tirate su, pronte a captare qualsiasi piccolo suono. Mentre i suoi occhi scuri scrutavano la sala vuota.
Ad un tratto qualcosa fece rizzare ancora di più il lupo e fece alzare lo sguardo alla regina. Qualcuno aveva bussato al portone della sala del trono, chiedendo il permesso di entrare. Appena Shiho consentì al suo interlocutore l’ingresso, la porta si accostò. Era uno dei suoi paggi, rimase alla soglia della porta socchiusa e facendo un elegante inchino annunciò gli ospiti alla sua regina.
«Maestà, i ragazzi che ha fatto chiamare.»
«Falli entrare!» disse la ragazza rilassandosi un po’.
Il paggio rispose con un cenno di testa, poi spalancò la porta in modo che i quattro ospiti potessero entrare. Avevano le bisacce a tracolla e Ran e Kazuha indossavano di nuovo i vestiti da uomo.
«Non deve entrare nessun altro! State attenti, voglio il doppio delle guardie stanotte!» disse infine congedando il suo servo che fece un altro inchino e si chiuse la porta alle spalle.
«Che cosa succede?» chiese Heiji.
Shinichi avrebbe volentieri fatto la stessa domanda, ma appena vide il volto della regina il ricordo della notte appena trascorsa con lei lo invase del solito senso di colpa che lo attanagliava, non che di un senso di vergogna.
«Venite vi spiego tutto!» rispose la regina alzandosi e mettendosi a sedere al solito posto nel tavolo.
Al contrario dell’ultima volta, il lupo seguì la sua padrona e si mise di fianco a lei, come se fosse la sua guardia del corpo.
Quando furono tutti seduti, la regina parlò.
«Stamattina Ren è tornato in anticipo dalla sua passeggiata settimanale. È un lupo e solitamente lo faccio andare tranquillo in giro per vari giorni in modo che possa andare a caccia per mangiare. Quando è tornato era agitato e nessuno riusciva a farlo stare calmo, inoltre aveva questo legato al collo.»
La ragazza mise sul tavolo un nastro blu che era stato annodato a una pergamena. Shinichi prese il rotolo di carta e lo aprì, per poi leggere ad alta voce.
«Ho trovato il tuo lupo, domani vengo a prenderti. I traditori non si dimenticano mai!
Sharon»
Il ragazzo alzò lo sguardo dal piccolo foglio di carta rovinato, fissando interrogativo gli occhi chiari della ragazza.
«Sharon faceva parte dei maghi di Black Island. Nel periodo in cui feci parte della congrega, mi odiava. E il giorno che scappai, fu lei a capire che ero una prescelta. Era lei che mi aveva accusata di tradimento.»
«E sta arrivando qui?» chiese la principessa preoccupata.
«Ho paura di sì. Per questo voglio che per questa notte rimaniate qui, pronti a scappare se le cose si dovessero mettere male. Non possiamo permettere di perdere l’unica speranza per fermare questo delirio.»
La regina sembrava fredda e razionale dalla voce, ma i suoi occhi trasmettevano a Shinichi tutta la sua paura e il suo dolore.
«E tu? Anche tu sei una prescelta. Devi venire con noi!» disse il ragazzo preso per un attimo dal panico.
«No! Io ho un popolo a cui badare e non lo abbandonerò per la seconda volta. Me la so cavare meglio di voi, dato che conosco il potere delle ombre, posso riuscire a tener testa a Sharon con l’aiuto di qualche guardia. Ma voi siete troppo preziosi, inoltre dovete andare nella Terra dei Venti e scovare l’ultimo prescelto. Solo allora saremo pronti.» dopo quelle parole il silenzio calò sulla sala, rotto solo dal respiro un po’ più forte del lupo.

 

La sera era calata ormai da parecchie ore, quando qualcosa svegliò il ragazzo. 
Ci aveva messo molto ad addormentarsi. Non sapeva bene il motivo, forse perché era la prima volta da quando la conosceva che dormiva nella stessa stanza con la principessa, forse per la tensione del momento. Eppure sebbene si fosse finalmente addormentato, era caduto in un sonno leggero e poco riposante. Per questo motivo, quel suono parecchio strano lo svegliò.
Si era messo seduto sul suo letto quando lo sentì di nuovo. Era una specie di schiocco seguito da un piccolo tonfo. Stava per alzarsi e uscire dalla camera per andare a vedere cosa fosse quando, qualcuno irruppe nella stanza con una candela in mano.
Il forte rumore della porta che sbatteva contro la bella parete beige, svegliò gli altri tre, che mugugnarono qualcosa prima di aprire gli occhi. Sulla soglia c’era la regina, nuovamente in camicia da notte, ma questa volta sotto indossava altri indumenti che le coprivano il bellissimo corpo. La luce tremula della candela le illuminava il viso stanco e preoccupato.
«Dovete muovervi. È arrivata in anticipo!»
I quattro ragazzi sembrarono svegliarsi di colpo e si misero subito le borse a tracolla in modo che potessero seguire la regina. Lei li scortò veloci in una zona del castello, mentre gli schiocchi e i tonfi si facevano più vicini e più frequenti.
Arrivarono davanti a un bellissimo arazzo che a Shinichi ricordò molto quello sbiadito che c’era nell’ufficio del proprietario della miniera. Ritraeva delle donne che pregavano alla luce della luna in una bella landa contornata da alberi verdi. Shiho scostò il tessuto dell’arazzo, scoprendo una parte di parete più chiara. Spinse il rettangolo di parete e qualcosa si mosse. Il muro si scostò lentamente con un leggero tremolio aprendo un passaggio.
«Seguite il tunnel, al primo incrocio che trovate dovete andare a ovest, da quel momento in poi andate sempre dritto. Quando iniziate a sentire lo scorrere dell’acqua vuol dire che siete vicini al confine con la terra del vento e potrete risalire in superficie. Fino ad allora non tornate su.»
Uno per uno i quattro ragazzi entrarono nello stretto cunicolo.
«Shiho io…» le parole gli si bloccarono in gola.
«Non è il momento Shinichi. Vai e porta a termine la tua missione.» disse la regina sorridendogli.
Il ragazzo sentì un’altro schiocco, ma il tonfo sta volta fu molto più tonante, mentre entrava ebbe appena il tempo di vedere una chioma biondo platino, poi il muro dietro di lui si chiuse e tutto divenne buio.

 

La donna atterrò un’altra guardia. La sua formidabile mira non la tradiva mai e il suo arco ancor meno.
Arrivata al corridoio incrociò il suo sguardo. La torcia vicino a lei era accesa e illuminava leggermente il corpo della bella ragazza avvolto dalla camicia da notte bianca, probabilmente di qualche stoffa pregiata. Le sue labbra color cremisi tremavano, ma non di paura, di rabbia. La donna lo notava dal suo sguardo, quegli occhi verde acqua che illuminati dalla torcia sembrano quasi ambrati, la guardavano con odio. Tutto l’odio che una creatura così dolce e perfetta potesse racchiudere in sé.
La donna sorrise nel vedere quel bel visetto distorto dall’ira e, mentre le sue belle labbra color porpora si piegavano, il suo sguardo di ghiaccio si spostò sulla mano della ragazza che teneva saldamente l’elsa di un fioretto.
«Bene, allora vuoi giocare sul serio!» disse la donna ghignando.
Poi si tolse la faretra da tracolla e la mise a terra assieme all’arco, tirando fuori dal fodero la sua spada, molto simile a quella della rivale.

 

I ragazzi avevano appena iniziato a percorrere la ripida discesa del cunicolo, dopo aver acceso una lampada ad olio che avevano preso dal castello, quando dal corridoio da cui erano entrati si iniziarono a sentire dei rumori metallici. 
Per un attimo Shinichi non capì cosa fossero quei rumori, poi quando sentì Heiji capì.
«Spade!» aveva detto l’amico con un sussurro e l’istinto del ragazzo fu di risalire ed andare ad aiutare la regina, ma resistette alla tentazione, continuando a scendere.

 

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Capitolo 23
*** Duello mortale ***


CAPITOLO 23

Duello mortale

 

Le due donne rimasero ben poco a guardarsi, il tempo di vedere l’odio una negli occhi dell’altra. Poi senza un fiato o una parola di troppo scattarono in avanti, scontrandosi.
Le lame s’incrociarono per pochi secondi. Subito dopo Shiho fece un leggero passo indietro in modo che la sua lama fosse di nuovo libera di muoversi, mentre faceva quel leggero movimento, già cercava un punto scoperto da colpire. Poco prima che alzasse la spada per colpire l’avversaria con un fendente, Sharon intercettò la sua mossa e, mentre aveva il braccio alzato, la colpì con una stoccata.
Fu leggera, perché la sua avversaria non era abbastanza vicina, ma sentì la lama penetrare leggermente nel suo costato per poi uscire nuovamente.
Era una ferita superficiale, e non sarebbe stata quella piccola ferita che ora colorava leggermente di rosso la sua bella camicia da notte bianca a fermare la sua rabbia. Quella donna non meritava di sopravvivere, come non lo meritava nessuno di quei pazzi senza cuore che avevano ucciso sua sorella e fatto impazzire lei. Nessuno.
Scattò di nuovo in avanti, questa volta provando con un affondo improvviso. Riuscì nel suo intento e prima ancora che potesse capire cosa stesse succedendo, la sua avversaria fu colpita a sua volta. Ora erano i suoi abiti scuri a tingersi di quel colore cupo, che sul camoscio nero del corpetto sembrava ancora più inquietante.
Shiho estrasse subito la lama dall’addome dell’avversaria e senza esitazione questa scattò in avanti presa da un moto istintivo. La sua mossa fu così prevedibile che la ragazza la intercettò con una cavazione, ribaltando la situazione. Il movimento fu però troppo lento e anche stavolta Sharon riuscì a precederla mettendo la spada di fronte al suo viso intralciando il percorso della lama avversaria e spostandola dall’altro lato.
Nessuna delle due voleva usare la magia. Come se quella strana arte inquinasse il loro desiderio di distruggersi a vicenda con le loro mani.
Il duello andava avanti senza sosta in quel corridoio buio illuminato solo da quell’unica torcia tremolante. In lontananza si poteva sentire il rumore delle due lame che cozzavano l’una contro l’altra in un duello all’ultimo sangue. Le loro ferite sembravano moltiplicarsi, ma nessuna delle due sembrava voler cedere.
Mentre continuava a provare affondi e fendenti e ne parava altrettanti, Shiho cercò di capire quanto tempo era passato guardando dalle due finestre che squarciavano il muro di quel corridoio. Fuori era ancora buio, ma non poteva sapere con certezza se erano passate solo due ore o di più. L’unico a dirgli che di tempo ne era passato anche troppo era il suo corpo, che iniziava a irrigidirsi per la stanchezza e per la perdita di sangue. Il suo cuore continuava a pompare per dargli la forza di andare avanti e l’unica parte del suo corpo che non voleva cedere erano i suoi bellissimi occhi verde acqua che continuavano a guardare con odio la sua avversaria.
Anche Sharon sembrava parecchio provata. Il suo petto prosperoso si alzava e si abbassava molto più velocemente, come se in certi momenti le mancasse il respiro. Inoltre i muscoli delle sue braccia che continuavano a stendersi per attaccare e a flettersi per proteggersi dai colpi, protestavano. Sembrava stessero bruciando, come a voler chiedere un po’ di riposo. Per zittire quel maledetto dolore che andava sempre più aumentando col passare del tempo, la donna avrebbe volentieri lasciato le braccia inermi lungo il corpo, ma non poteva. Doveva uccidere o catturare la traditrice, ne andava del suo onore verso quell’uomo. Quell’uomo tanto bello e affascinante quanto spietatamente potente e perfido. Quell’uomo che la considerava ancora una dei suoi migliori servi e giustizieri. Non l’aveva mai deluso e di certo non l’avrebbe fatto ora. Avrebbe preferito morire, piuttosto che lasciarla vinta a quella maledetta ragazza che gli aveva rovinato la reputazione fin da quando era entrata nella congrega.

 

Col passare del tempo e dei passi, il suono metallico delle lame che s’incrociavano andò ad affievolirsi. Eppure il cuore di Shinichi non smetteva di martellare. Il pensiero di lasciare quella ragazza da sola col nemico, lo rendeva nervoso, nonostante sapesse che, come aveva detto lei, aveva un compito importante da svolgere.  Così strinse forte il manico della lanterna e continuò a camminare, sperando con tutto il cuore che quella bellissima ragazza sarebbe uscita vincitrice dal suo duello.
Il suono delle lame non si riusciva più a sentire, quando arrivarono al primo incrocio. Il buio della galleria ormai incombeva su di loro da parecchie ore e l’unica luce era quella che reggeva il ragazzo in testa al gruppo.
«Dove sarà l’ovest?» chiese il ragazzo dalla pelle scura guardando con un certo sconforto i cinque tunnel che avevano di fronte.
«Senza sole o stelle è impossibile orientarsi.» sospirò Kazuha anche lei un po’ dubbiosa davanti a tutte quelle possibilità di scelta.
«Mi è venuta un’idea!» disse la principessa.
Dopodiché si accovacciò a terra, posando le mani sul terreno umido. Rimase in quella posizione per parecchio tempo, mentre il suo viso si strizzava in una smorfia di sforzo, come se stesse sollevando un grosso masso.
Quando ebbe finito, il suo volto tornò quello bello e dolce di sempre e con una leggera spinta sulle punte si tirò nuovamente su.
«Non posso esserne sicura al cento per cento, ma credo che la direzione giusta sia questa.» disse indicando il secondo corridoio a partire da destra.
«Come fai a saperlo?» chiese Shinichi mentre i suoi occhi erano rimasti sbarrati dallo stupore.
«Ho cercato di percepire l’affluente che dobbiamo raggiungere. Non è stato per niente facile, insomma è parecchio lontano e poi da qui in poi ci sono parecchi incroci e sebbene camminando sia facile andare sempre dritto con la mente non lo è per niente. Spero solo che sia la strada giusta.»
«Io mi fido di te!» disse con un sorriso Shinichi che le diede un bacio sulla guancia e senza esitare prese il tunnel che gli era stato indicato dalla ragazza.

 

Ora era più che sicura che fosse l’alba. Lievi raggi solari iniziarono a penetrare le foglie carnose della foresta e a entrare timidi dalle due finestre.  Eppure il duello sembrava non avere tregua. I vestiti di entrambe erano ormai più che sporchi di quel liquido rosso e viscoso, ma nonostante tutto ancora le due donne non riuscivano a fermarsi. Qualcosa dentro di loro bruciava a tal punto da spingerle a continuare a lottare finché una delle due non fosse crollata a terra priva di vita.
I raggi solari diventavano sempre più insistenti, trapassando il vetro e illuminando il corridoio, tanto che l’unica fiaccola accesa serviva ormai a poco. Sotto quella luce le due donne sembravano ancora più attraenti. I corpi perfetti si muovevano ancora sinuosi in quegli spostamenti stanchi. La loro pelle bianca e perfetta era straziata solo dalla miriade di graffi, tagli e ferite che si erano inferte a vicenda. Mentre i loro vestiti erano ormai più macchiati che puliti.
Fu un attimo. Una delle sue guardie arrivò di corsa da uno dei corridoi che incrociavano quello. Sentendo la sua voce affannata la donna si girò per pochi secondi, il tempo però di permettere all’avversaria di fare il suo affondo. La lama trapassò il petto della donna da parte a parte mentre una nuova chiazza di sangue si allargava attorno al pezzo di ferro.

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Capitolo 24
*** Ombra bianca ***


CAPITOLO 24

Ombra Bianca

 

Il silenzio era rotto solo dalla pioggia che scendeva veloce creando tante macchioline circolari sul terreno già umido. Era una vallata tranquilla e isolata, il cielo dal colore del petrolio ricopriva cupo tutta la landa.
La figura incappucciata era immobile sotto la pioggia. Quella pioggia che picchiettava leggera sul mantello nero creando quel piccolo ticchettio fastidioso che ad ogni goccia lo appesantiva sempre di più.
Ad un certo punto tre uomini sbucarono da dietro l’enorme sporgenza rocciosa grigia, che si trovava a est della vallata. Si avvicinarono con passo svelto, così che la figura potesse vederli. Il cielo notturno era così terso, che non riusciva a illuminare più di tanto. La figura incappucciata però, grazie alla sua vista sviluppata vide i tre uomini, distinguendo i tratti dei loro volti. Doveva memorizzare quei visi, così che se non avessero rispettato i patti li avrebbe ritrovati.
«Sei tu Ombra Bianca?» chiese l’uomo in centro che sembrava il più anziano dei tre.
«Sono io!» rispose la figura con voce fredda e distaccata.
«Bene. Per lettera ti abbiamo già presentato il genere di lavoro, abbiamo bisogno che tu lo svolga il prima possibile.» sentenziò l’uomo, sembrava nervoso, si continuava a guardare intorno e il suo respiro era leggermente affannato.
«So della missione, ma ho bisogno di più dettagli. Inoltre non lavoro senza un anticipo.» sentenzio con la stessa voce calcolatrice la figura.
«Cosa vuoi sapere?» chiese uno dei tre, quello di destra, che sembrava il più sicuro di tutti e tre.
«Avete detto che quello che cercate si trova negli appartamenti di Aer, ma esattamente cosa devo cercare?» chiese ignorando la faccia stupita dell’uomo centrale nel sentirgli nominare tranquillamente quel nome.
«Non ti serve saperlo!» rispose tranquillamente e con voce fredda l’uomo di destra.
Il viso sotto il cappuccio s’irrigidì. Questa cosa gli dava alquanto fastidio. Il fatto di non sapere bene quale lavoro gli era stato commissionato lo innervosiva. Era il migliore nel suo campo e, proprio per questo, aveva tanti clienti quanti nemici. 
«Bene. - disse cercando di riprendere un certo contegno - Come ci organizziamo per il pagamento?»
L’uomo di sinistra, che era il più robusto staccò un sacchettino dalla cintura e lo porse alla figura.
«Sono quaranta denari! - disse l’uomo centrale, mentre lui prendeva il sacchetto in mano - Gli altri centodieci te li daremo a missione conclusa.» dopodiché si allontanarono, scomparendo nuovamente dietro la sporgenza rocciosa.

 

La pioggia continuava a scendere persistente. Picchiettando sulle case in legno e sui ponti sospesi di quella città maestosa quanto cupa. 
Era enorme, e per chi veniva da fuori era solo un intricato labirinto di ponti uno sopra l’altro che s’incrociavano e s’intersecavano nella valle. Era la valle più grossa di quella terra. Per questo motivo gli abitanti avevano deciso di costruire lì la capitale.
La figura si trovava di fronte a un enorme palazzo. Era una costruzione massiccia, in modo che potesse resistere alle intemperie e che potesse avere delle fondamenta forti nell’antica roccia del monte su cui era stata costruita. Ogni centimetro di parete esterna era lavorata in modo perfetto e ricoperta da pietre cristallo che emanavano una luce lattiginosa, rischiarando la città al posto della luna che era coperta dalle nubi grigie.
Anche lui sembrava risplendere di quella luce pura e limpida. I suoi vestiti bianchi riflettevano ogni singolo raggio che emanavano le pietre. Indossava un paio di brache comode che scomparivano sotto gli stivali e una casacca stretta bene da una pettorina a lacci. Il tutto era rigorosamente bianco. Una maschera gli copriva la parte superiore del viso, era molto particolare. Sembrava dipinta a mano e sullo sfondo bianco aveva dei tratti leggeri argentati intorno ai fori per gli occhi. 
La figura guardava quella maestosa struttura attraverso la maschera. Rimase poco a studiarne le magnifiche fattezze, poi mentre la sua bocca, che non era coperta dal pezzo di plastica, si piegava in un sorriso si voltò e fece per circondare la struttura.
Non ci mise molto a trovare ciò che gli interessava. Controllando palmo a palmo il perimetro di quella struttura bianca, finalmente trovò una finestra socchiusa. Sorrise di nuovo, pensando al fatale errore che avevano fatto a lasciarla in quel modo.
Entrò con cautela cercando di fare il meno rumore possibile. Appena fu dentro si guardò intorno, per cercare di orientarsi, dopo pochi secondi capì dove doveva andare.
Giunse i due indici davanti a se e poi creando un piccolo cerchio li giunse nuovamente più in basso. Subito dopo con un movimento veloce aprì i palmi delle mani spostandole verso l’esterno. Dopo aver fatto quei gesti si riguardò un’attimo intorno e poi si diresse verso destra.
Arrivò in fretta a destinazione. Il silenzio assoluto incombeva in quella bella stanza dalle pareti color argento. Persino quando la porta venne scostata facendo entrare quella bianca figura. Nemmeno i passi leggeri dei suoi stivali che toccavano il marmo bianco del pavimento, sembravano voler rovinare quel silenzio riposante. L’unico suono soffuso che si sentiva era il respiro pesante della persona che dormiva nella stanza accanto.
La figura bianca si avvicinò tranquillamente al grosso camino in marmo giallo dai bellissimi bassorilievi che iniziò a tastare minuziosamente. Dopo vari minuti di meticolosa ricerca, il suo dito medio trovò una piccola sporgenza che non ci doveva essere. Premette forte e subito dopo si sentì un leggero scatto e qualcosa che si spostava.

Si guardò intorno poi vide che nella parte interna del camino si era creata una sporgenza rettangolare, grande quanto un portagioie. Sembrava un piccolo cassettino. Si chinò e lo aprì lentamente, dopodiché prese ciò che conteneva, era sicuro che fosse quello l’oggetto della sua missione.
Poco dopo, era di nuovo fuori e stava camminando tranquillamente sotto la pioggia, che gli bagnava i capelli castani dalla capigliatura indomabile, facendoglieli appiccicare sul viso.
Attraversò uno dei tanti ponti sospesi della città, dopodiché entrò in una piccola casetta addossata alle mura grigie. L’interno era ancora più squallido dell’esterno, di certo non era come il palazzo reale che aveva appena visitato, ma a lui bastava l’essenziale.
Si tolse finalmente la maschera, poggiandola sul piccolo tavolo che si trovava vicino all’unica finestra della casetta e scoprendo due magnifici occhi azzurri.

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Capitolo 25
*** Una terra di pioggia ***


CAPITOLO 25

Una terra di pioggia

 

Erano sicuramente passati più di un paio di giorni quando i quattro ragazzi finalmente iniziarono a sentire il rumore dell’acqua che scorreva. Un rumore completamente diverso dal fastidioso ticchettio delle gocce che cadevano sul terreno bagnato della galleria che stavano percorrendo. Quelle goccioline che si creavano per via dell’umidità che c’era sotto terra, quella maledetta umidità che entrava nelle loro ossa, stancandoli prima. 
Avevano perso la cognizione del tempo, mangiavano le provviste che gli aveva procurato la regina prima di farli scappare quando sentivano salire la fame e si riposavano sdraiandosi sul terreno umido della galleria quando si sentivano troppo stanchi per andare avanti.
Lo scrosciare dell’acqua aumentò fino a diventare quasi assordante, come se fosse proprio alla loro destra.
«Penso che possiamo salire ormai!» urlò il ragazzo dalla pelle scura per sovrastare il fragore dell’acqua e farsi sentire dai compagni.
«Qui c'è un tunnel in salita, e credo porti in superficie!» disse la principessa anche lei alzando di molto il tono della sua voce.
I ragazzi iniziarono a risalire in superficie. Dopo una ventina di minuti il tunnel iniziò a schiarirsi illuminato da una luce lontana che ancora non si riusciva a vedere.
«Fermatevi!» urlò Shinichi.
Ora che il fragore dell’acqua era diminuito, perché si erano allontanati dal letto del fiume, la voce del ragazzo era rimbombata nel tunnel umido. I tre compagni di viaggio lo guardarono impauriti, come se stesse succedendo qualcosa. Lui intanto stava strappando quattro lunghe strisce da uno degli indumenti scuri che aveva nella sua bisaccia. A quel punto porse una striscia a ciascuno.
«So che sarà più difficile risalire il tunnel in questo modo, ma vi consiglio vivamente di mettervi queste sugli occhi. Siamo troppo abituati all’oscurità di questi tunnel e la luce del sole, lieve o forte che sia, potrebbe accecarci.»
Gli altri tre seguirono il consiglio e con molta più cautela ricominciarono a salire verso la superficie.
Ci misero un’altra ventina di minuti. Quando finalmente Ran vide quel grande varco luminoso, che trapelava dal pezzo di stoffa scura che aveva sugli occhi, allargarsi sempre più.  Appena tutto intorno a lei divenne luminoso capì che finalmente aveva messo la testa fuori dal tunnel, mise le mani sul terreno umido e fangoso e si issò facendo forza sulle braccia, dopodiché si girò e aiutò gli altri.
Erano tutti e quattro in superficie e una strana sensazione mai provata prima li colpì. Sui loro corpi, piccole goccioline picchiettavano bagnandoli. Erano gocce più piccole e più frequenti di quelle che li avevano accompagnati per tutto il viaggio dal castello di Tochi, e questo li stupì a tal punto da aumentare la curiosità in loro.
Ormai abituati alla luce che filtrava attraverso i pezzi di stoffa che pian piano si stavano bagnando, decisero di liberare gli occhi da quella specie di maschera che li proteggeva dalla luce.
Lo spettacolo che li accolse era impressionante. Il tunnel da cui erano usciti, era alla base di un albero, le radici sembravano aprirsi per nascondere il passaggio, chiunque fosse passato di lì avrebbe pensato fosse la tana di qualche coniglio, sebbene fosse più grossa del normale.
I ragazzi si accorsero che il tunnel li aveva fatti anche salire di parecchio rispetto al livello del mare. Si trovavano infatti proprio di fronte alla catena montuosa che divideva il confine tra la Terra dei Boschi e quella dei Venti, quella stessa catena montuosa che quasi sei mesi prima avevano attraversato Heiji e Shinichi per raggiungere la Terra dei Mari, quella catena che divideva in due le terre i Snaga.
La fastidiosa sensazione che avevano avuto veniva dal cielo. Il sole non si vedeva e, se c’era, era coperto da una coltre di nubi grigie che sputavano pioggia sul terreno sottostante, bagnando tutto ciò che toccavano.
A pochi chilometri da loro, salendo per un sentiero che percorreva sinuoso la parete meno ripida del monte, vi era un agglomerato di piccole case.
«Dobbiamo raggiungere quel paese e trovare un posto dove rifugiarci.» disse Shinichi.
Ricominciarono a camminare. Erano stanchi e affaticati, e l’umidità era molto più insopportabile di quando erano sotto terra. Le ossa dolevano fastidiosamente e i muscoli facevano fatica a piegarsi e tendersi su quel sentiero ripido. Inoltre la pioggia non aiutava. Picchiettava insistentemente sui loro corpi, bagnando i loro visi e appesantendo i loro mantelli. Oltretutto rendeva il sentiero un insieme di fango e acqua poco stabile.
Erano ormai a metà strada, mancava davvero poco, quando qualcosa andò storto. Ran stava camminando, stando attenta a dove metteva i piedi, era l’ultima del gruppo, davanti a lei c’era Shinichi, anche lui sembrava essere concertato sul terreno fangoso. Si distrasse un attimo e accadde.
Il piede della ragazza si poggiò su un sasso ricoperto di quella melma scura, e scivolò subito. Non avendo più il piede poggiato sul terreno perse l’equilibrio, lanciando un leggero grido e cadendo a terra. Il sentiero era così ripido e scivoloso che iniziò a trascinarla di nuovo verso il basso. 
Shinichi appena sentito quell’urlo si girò velocemente, come fecero gli altri due più avanti, e vide la ragazza scivolare giù. Senza pensare alle conseguenze, fece un balzo verso di lei lanciandosi verso il basso. Le afferrò la mano con la sinistra, mentre con la destra si reggeva al sottile tronco di un albero. Le mani dei due erano anch’esse ricoperte di fango e scivolose e molte volte il ragazzo stava per cedere la presa.
A un tratto con tutta la forza che aveva in corpo issò la ragazza, per far raggiungere anche a lei quel piccolo albero, in modo che potesse rimettersi in piedi. I suoi muscoli fremevano sotto quello sforzo immane e per un attimo il ragazzo pensò che sarebbero esplosi, quando finalmente la ragazza con l’altro braccio afferrò il tronco dell’albero avvinghiandosi ad esso.

 

Aprì gli occhi lentamente, sbattendoli un paio di volte, per mettere a fuoco ciò che la circondava. Riconobbe subito il luogo: era la sua camera. Si trovava nei suoi appartamenti, sdraiata sul suo bel letto a baldacchino con le tende rosse.
Si tirò su, cercando di mettersi seduta sul letto, ma piccole fitte che tiravano la pelle in tutto il corpo la fecero ricadere sul materasso.
L’ultimo ricordo che aveva era la sua spada che penetrava il petto di quella donna maledetta, che aveva odiato fin dal giorno in cui si erano incontrate. Subito dopo si era sentita mancare e più niente.

 

Arrivati finalmente al villaggio, che non aveva mura di difesa si inoltrarono nelle stradine tortuose che lo percorrevano.
Ben presto trovarono una locanda e vi entrarono. Si avvicinarono al bancone del locale completamente vuoto, mentre i loro mantelli gocciolavano sul pavimento in legno creando una scia di piccoli cerchi scuri sulle tavole.
«Abbiamo bisogno di due camere, di un bagno caldo e un’abbondante cena.» disse subito Kazuha al locandiere, mettendo un sacchetto pieno di monete sul tavolo.
Era un uomo dalla corporatura imponente, con un pizzetto nero che gli scendeva coprendo metà del collo robusto. Le possenti braccia erano libere, perché sotto il grembiule bianco indossava una casacca scura smanicata. I capelli erano neri, ma radi e non gli coprivano tutta la testa.
«Bene - disse dopo aver controllato la sacca con i soldi - andate pure al piano di sopra. Le prime due camere che vedete nel corridoio saranno le vostre, mentre dirò a una delle mie inservienti di preparare i bagni. Purtroppo però dovrete fare a turni, perché abbiamo solo una sala del bagno ed è in fondo al corridoio.»
«Perfetto!» disse il ragazzo dalla pelle scura allontanandosi e andando verso la scala.
«Grazie mille.» aggiunse Shinichi, per poi seguire l’amico verso la scala, con le ragazze al seguito.

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Capitolo 26
*** Ricerche faticose ***


CAPITOLO 26

Ricerche faticose

 

I quattro ragazzi erano seduti in uno dei tanti tavoli della locanda, che nel pomeriggio si riempiva sempre. Il vociare e il tintinnio di piatti e bicchieri riempiva la sala, mentre i passi delle cameriere indaffarate battevano sulle tavole di legno unendosi a quel chiasso.
«È assurdo! - disse il ragazzo dalla pelle scura battendo la mano sul tavolo - È da due giorni che cerchiamo. Senza uno straccio d’informazione come facciamo a capire chi è?»
«Heiji, calmati!» disse la ragazza mettendo la sua mano sopra quella di lui.
«Calmarmi? Come posso calmarmi? Qui stiamo girando a vuoto. Quella regina da quattro soldi ci ha detto di trovare una persona e non sappiamo neanche com’è fatta.»
«Heiji, basta! - questa volta fu Shinichi a parlare - Shiho ci ha coperto quando stavamo fuggendo, rischiando la sua vita per noi e per questa missione, penso che basti.»
«Una cosa la sappiamo. - intervenne Ran, mentre giocherellava con una ciocca di capelli che era sfuggita alla presa del suo solito cappellino - Il prescelto è sicuramente un mago dell’aria.»
«Certo! - rispose Heiji facendo un sorriso tirato e ironico, come se volesse prendere in giro la principessa - Perché tu pensi che nella Terra dei Venti ci sia solo un mago? Andiamo ragazzi è una causa persa!»
«Scusate?»
I ragazzi si voltarono tutti nella stessa direzione, ma dovettero abbassare lo sguardo per capire chi parlava. Vicino al loro tavolo c’era un ragazzino. Era robusto, come la metà degli abitanti della Terra dei Venti. Indossava una casacca verde acido, che gli copriva l’enorme pancione. Il viso era paffuto e i suoi piccoli occhi scuri scrutavano con aria seria tutti e quattro. Poteva avere la metà dei loro anni eppure aveva quell’aria strafottente di adulto che se la cava in qualsiasi situazione.
«Per caso ho sentito la vostra conversazione. Se cercate un’oggetto o una persona, dovete chiedere a Ombra Bianca!»
«Ombra Bianca?» fu Shinichi a parlare, guardando quel bambino con aria interrogativa.
«Sì! È il miglior ladro della Terra dei Venti, forse anche di tutte le terre di Snaga. Lui sa sempre tutto di tutti, sicuramente lui può aiutarvi!»
«E tu sai dove si trova?» chiese Heiji sporgendosi verso di lui.
«No, nessuno lo sa. Ma se volete posso portarvi dal suo contatto. Chiunque voglia parlare con Ombra Bianca va da lei.»
«Perfetto! Allora ci dovrai portare da questa persona.» disse Shinichi alzandosi dal tavolo.
«Ah ah! Ma ogni cosa ha il suo prezzo!» disse il ragazzino facendo strofinare l’indice e il medio sul pollice della stessa mano.
«A lavoro finito ti pagheremo tre monete d’oro, non una di più!» rispose rimanendo in piedi vicino al tavolo e guardando il piccolo dall’alto.
«Affare fatto!» disse il bambino porgendo la mano al ragazzo, che subito gliela strinse.

 

«Sapete? Inizio a non sopportare più questa maledetta pioggia!» sentenziò Heiji con il fiato corto.
«E non hai visto d’inverno! Fidati se ti dico che è meglio la pioggia della neve.» sentenziò il ragazzino che stava in cima al gruppo.
Erano in viaggio da ormai quasi tre giorni. Si fermavano solo quando lo decideva il bambino, che conosceva a memoria la strada e sapeva dove trovare ripari per la notte senza essere inzuppati dalla pioggia.
«Perfetto ragazzi! Ci fermiamo qui. Domani pomeriggio saremo a Kuki. Lo vedete quel palazzo che splende alla luce del sole del crepuscolo? Beh quello è il castello di Aer e la città che vi è costruita attorno è la capitale della Terra dei Venti.»
I ragazzi sospirarono sollevati, dopodiché si rifugiarono nella grotta di pietra che si apriva in una delle tante montagne rocciose che percorrevano quella terra.
Appesero i mantelli bagnati su cinque diverse rocce sporgenti in modo che sgocciolassero e si asciugassero un po'. Poi accesero il fuoco, che come al solito per via dell’umidità di quelle terre ci mise un po’ ad attecchire e ad emanare calore. Ci voleva l’aiuto di entrambi i maghi, Shinichi si concentrava sulla legna scura, mentre Ran cercava di allontanare o assorbire l’acqua che si trovava nelle vicinanze.
Dopo un’abbondante cena si misero tutti a dormire, lasciando il fuoco acceso in modo che emanasse quel minimo di calore da non farli risvegliare freddi e umidi.
Il fuoco continuava a scoppiettare irrequieto e gli occhi azzurri e profondi del ragazzo lo fissavano intensamente. Ogni piccola fiammella sembrava come un danzatore arancione che non si accorgeva di essere controllato da quei bellissimi occhi azzurri, che lo facevano danzare più velocemente.
Non riusciva a dormire e, a dirla tutta, non sapeva neanche bene il motivo. Stava succedendo tutto troppo in fretta, o forse troppo lentamente. Qualcosa dentro di lui gli urlava che questa non era la sua vita, che il suo unico sogno era visitare le terre di Snaga, per poi tornare alla solita vita di sempre. Ma voleva davvero mollare tutto? Voleva davvero tornare a quelle maledette miniere, dove non poteva dire la sua e veniva maltrattato ogni giorno? Voleva davvero lasciare da sola la ragazza che gli aveva cambiato la vita? Quella ragazza che ora dormiva tranquilla e che avrebbe fatto di tutto per salvare il suo povero padre soggiogato dal potere delle ombre. Forse sarebbe stato giusto lasciare tutto, lui non era il prescelto, non poteva esserlo. Lui che non sapeva neanche dell’esistenza della magia, lui che aveva imparato a leggere all’età di diciassette anni, lui che era stato capace di tradire la donna che amava solo per un maledetto istinto. 
Scosse la testa. La doveva smettere di pensare a certe stupidaggini. Lui era il prescelto e doveva trovare l’ultimo dei quattro. Solo a quel punto avrebbero sconfitto quei pazzi che avevano scaraventato guerra e terrore sulle terre di Snaga. Non poteva arrendersi.

 

Il giorno dopo, el pomeriggio, come promesso dal bambino arrivarono alla capitale. Il cielo aveva dato un po’ di tregua ai cinque viaggiatori aprendosi un leggermente e facendo passare un bel raggio di sole caldo e rasserenante.
Arrivati alle mura alte e fatte di robusta pietra grigia, il ragazzino salutò cordialmente la guardia e presentò gli altri come suoi amici. 
Quando furono all’interno i ragazzi rimasero incantati da quella città sospesa nel vuoto. Le case erano sì costruite sui monti, ma tutta la città era sospesa sopra un'enorme vallata e al posto delle vie c'erano ponti sospesi e scale che conducevano da un lato all'altro della città. L'unico spiazzo più grande degli altri era quello del castello bianco costruito sicuramente con pietre cristallo dell’aria che risplendevano alla lieve luce di quel raggio di sole illuminando tutta la città.
«Seguitemi!» disse il bambino prendendo subito un ponte.
Percorsero altri due ponti e tre scale, prima di arrivare a una casa a due piani. Era tenuta molto bene, le piccole finestre erano coperte da graziose tende azzurrine che non permettevano di vedere l’interno della dimora. Il bambino bussò tre volte sulla bella porta bianca che sembrava riverniciata da poco, per quanto riluceva.
Poco dopo la porta si aprì e ne apparì una ragazza. Somigliava molto a Ran, non fosse stato per i capelli più chiari e più corti e gli occhi decisamente blu scuro. Inoltre la ragazza alla porta, sebbene indossasse un bel vestito da donna, sembrava avere l’aria da dura e i suoi movimenti erano molto più rozzi rispetto a quelli di una principessa.
«Genta che ci fai ancora qui? Non ti darò neanche mezzo dei miei biscotti, l’ultima volta ti sei strafogato tutto il vassoio!» disse, incrociando le braccia con aria scocciata vedendo il bambino.
«Non sono qui per i tuoi biscotti anche se mi piacerebbe tanto averne un po’… - il bambino s’incantò per un attimo, il suo sguardo perso nel vuoto, poi scosse la testa - Ti ho portato dei clienti. Questi qui hanno bisogno di Ombra Bianca!» disse indicando i ragazzi dietro di lui col pollice.
Solo in quel momento la ragazza sembrò rendersi conto che c’erano anche loro quattro e li squadrò uno per uno continuando a tenere le braccia incrociate.
«Bene entrate!» disse la ragazza dopo qualche minuto di silenzio.
A quelle parole Shinichi mise una mano in tasca e tirò fuori da essa tre monete, porgendole al bambino robusto.
«Eccole, te le sei meritate!»
Il ragazzino con un sorriso sornione prese le monete, salutò tutti e scappò via, probabilmente verso la locanda più vicina.

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Capitolo 27
*** Finalmente in quattro ***


CAPITOLO 27

Finalmente in quattro

 

L’interno della casa era ancora più grazioso dell’esterno. Era molto più spaziosa di quanto sembrava da fuori. Si divideva in due grosse stanze entrambe tenute perfettamente pulite e ben arredate. La ragazza li fece accomodare nella stanza d’ingresso, in cui c’era un bel tavolo in legno chiaro e parecchie sedie.
Dopo aver fatto le cortesie di casa si avvicinò alla scala che c’era all’angolo destro della camera poi si rivolse nuovamente agli ospiti.
«Vado sopra a preparare qualcosa di caldo! Considerando i vostri mantelli bagnati dovete aver preso molta pioggia.» dopodiché salì, lasciando quei quattro da soli nella stanza.
«Non sono più così sicura che sia stata una buona idea venire qui. Insomma siamo proprio certi che un ladro possa conoscere la profezia e sapere chi è e dove si trova l’ultimo prescelto?» domandò Kazuha un po’ dubbiosa guardandosi intorno.
«Non abbiamo altra scelta!» rispose risoluta la sua padrona cercando di essere più sicura possibile.
La ragazza scese dopo poco con un bel vassoio in ottone con sopra cinque tazzine di una buona tisana fumante. Mise il vassoio al centro della tavola e si sedette, prendendo una delle tazze.
Dopo aver sorseggiato un po’ si rivolse tranquillamente a Heiji che si trovava di fronte a lei.
«Allora quale lavoro dovrebbe eseguire Ombra Bianca?»
«Dobbiamo cercare una persona!» a parlare non fu Heiji, quindi si volse subito verso l’altro ragazzo.
Per un’attimo le vennero i brividi. Già prima, quando l’aveva visto all’ingresso della porta, aveva provato la stessa sensazione. Quegli occhi di un azzurro intenso erano magnetici per lei e sapeva benissimo il motivo.
«Capisco. Che aspetto ha? Da quant’è che non la vedete?» chiese la ragazza con voce professionale.
«È questo il problema! Non abbiamo idea di che aspetto abbia ne sappiamo il suo nome. In realtà non l’abbiamo mai neanche vista. Sappiamo solo che è un mago o una maga dell’aria.» rispose nuovamente il ragazzo.
«Che cosa?» chiese stupita lei.
«So che sembra assurdo ma è così. Noi…»
Il ragazzo si bloccò. Il ciondolo rosso che aveva al collo si stava illuminando, come se un piccolo fuoco si fosse acceso dentro di esso. Dopo neanche qualche secondo anche Kazuha esclamò qualcosa.
«Ran le tue pietre cristallo!»
Tutti si voltarono verso di lei. Anche le quattro piccole pietre azzurre della sua collana che le avvolgevano il delicato collo brillavano di luce propria, più intensamente del solito.
Rimasero appena qualche secondo a guardare stupiti quello strano comportamento delle pietre quando qualcuno fece irruzione nella stanza, dalla porta d’ingresso.
«Aoko, sai dirmi perché il mio anello sta…» si fermò vedendo che c’era altra gente seduta al tavolo.
Lo stavano guardando tutti con sguardi stupiti. Era un bellissimo ragazzo dai capelli castano chiaro spettinati, che gli davano l’aria ribelle e due bellissimi occhi azzurri. Rimasero tutti alquanto sconvolti davanti a quella figura, non fosse stato per la diversa pettinatura di capelli e l’espressione molto più sicura, quel ragazzo era identico in tutto e per tutto a Shinichi.
«Aoko, perché non mi hai detto che avevi ospiti?» disse avvicinandosi dopo aver chiuso la porta.
«Sono arrivati ora! - rispose la ragazza - Me li ha portati Genta, sono…»
La ragazza si fermò, mentre il suo sguardo diventava tagliente. Il ragazzo era arrivato al tavolo e stava facendo un elegantissimo baciamano a Ran.
A quel gesto Shinichi si alzò di botto facendo sobbalzare la sedia, così il ragazzo si ritirò subito da quel gesto, mentre il giovane mago del fuoco gli lanciava un’occhiata iraconda. Il ragazzo, però, con tutta la calma del mondo, si voltò verso di lui e lo guardò per qualche secondo poi:
«Aoko, puoi lasciarci soli per qualche minuto per favore?»
La ragazza lo guardò prima un po’ interrogativa, poi con uno sbuffo rimise tutte le tazzine vuote sul vassoio e tornò al piano di sopra. Quando fu sparita dalla rampa di scale il ragazzo si sedette e parlò.
«So chi siete e credo anche di sapere chi cercate.»
I ragazzi si guardarono tra di loro un po’ stupiti, mentre Shinichi si sedeva di nuovo sulla sedia. Appena sentì il legno duro del sedile parlò.
«Innanzi tutto chi sei tu?» chiese con fare acido, ancora un po’ innervosito dal comportamento che aveva avuto prima con la principessa.
«Solitamente non rivelo la mia identità a nessuno, ma credo di non avere altra scelta, quindi… - chiuse gli occhi e poi fece qualche secondo di pausa - …sono Ombra Bianca!» disse, alzando le palpebre di scatto e folgorando con quello sguardo di un azzurro intenso i quattro ragazzi.
Shinichi trovò la cosa alquanto irritante. Più guardava quel ragazzo più pensava che fosse un po’ troppo esibizionista per i suoi gusti. Voltò lo sguardo verso l’amico dalla pelle scura e notò che molto probabilmente la pensava proprio come lui, perché lo guardava con aria accusatoria.
«Dicci quello che sai!» continuò dopo un po’ Shinichi.
«Vi spiegherò tutto dall’inizio, così forse sarà più semplice per voi capire come so certe cose e per me capire ciò che non so. - il ragazzo si aggiustò sulla sedia mettendosi comodo, poi guardò uno per uno i suoi interlocutori, solo dopo ricominciò a parlare - Qualche giorno fa tre uomini, mi hanno affidato un lavoro. Avrei dovuto recarmi nel castello della regina Aer e rubare un oggetto che si trovava nei suoi appartamenti. Non mi hanno voluto dire cos’era e per tutta la missione ho avuto paura che fosse una trappola, eppure filò tutto liscio. Il giorno dopo mi recai al luogo dell’incontro, ma nessuno dei tre uomini si fece vedere per prendere la refurtiva e pagarmi il resto del denaro. Solo al tramonto arrivò un giovanotto che mi consegnò il resto dei soldi, dicendomi che la refurtiva era mia di diritto.»
«Cos’era l’oggetto in questione?» chiese Kazuha curiosa, al contrario dei due maschi, entrambe le ragazze pendevano dalle sue labbra.
«Un cofanetto. Fino a quel giorno non l’avevo aperto, non m’interessava sapere cosa c’era, l’importante era avere i soldi del lavoro, ma quella sera lo aprii. Dentro vi trovai una lettera. Era sigillata col un sigillo di ceralacca d’oro e sembrava particolarmente usurata. Non ricordo le parole esatte, ma parlava di una profezia, di quattro maghi discendenti degli dei e di una battaglia per la salvezza di Snaga. All’inizio pensavo che qualcuno volesse prendermi in giro, poi ieri ho notato che nel cofanetto, c’era un doppio fondo, sotto vi era un’altro bigliettino, ma questo sembrava nuovo e ed era scritto in modo accurato. Questo lo ricordo benissimo, c’era scritto: “Trova altri tre ragazzi come te, li riconoscerai non solo per la loro forza di volontà nell’affrontare le avversità, ma anche perché la tua magia ne verrà condizionata.” Ora capisco perché il mio anello si è illuminato quando sono arrivato qui.» disse mostrando la mano destra che sull’indice aveva un’anello con sopra incastonata una pietra cristallo bianca.
«Quindi tu sei il quarto prescelto?» chiese Shinichi un po’ scettico.
«A quanto pare sì e voi due dovreste essere quello del fuoco e quella dell’acqua giusto? - disse guardando prima lui e poi Ran - Ma non ne manca una?»
«Shiho è regina delle Terre dei Boschi e non poteva abbandonare il suo popolo, inoltre quando ce ne siamo andati il castello di Tochi era sotto attacco. Il nostro compito era trovarti e tornare velocemente insieme a te lì.» rispose Shinichi risoluto.
«Non ho nessun problema a venire con voi, ma permettetemi di risolvere alcune questioni importanti. Vi prometto che entro sta sera potremo ripartire.»
«Bene. Allora noi andiamo a trovare una locanda e ci ritroviamo qui sta sera.» disse il ragazzo alzandosi, seguito poi a ruota dagli altri tre.
«Assolutamente no. Voi siete miei ospiti e non accetto obiezioni.» disse finalmente con un sorriso sincero.

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Capitolo 28
*** Segreti nel deserto ***


CAPITOLO 28

Segreti nel deserto

 

La sabbia vorticava sospinta dal vento, creando piccole nuvole marroncine che rimanevano sospese a raso terra per pochi secondi per poi ricadere sul terreno e ricrearsi poco più in là. Le nuvole completamente diradate facevano spazio alla sfera gialla che emanava calore. Quello stesso calore che divorava la Terra dei Fuochi.
Chi si fosse trovato al confine del deserto non avrebbe visto altro che un mare di sabbia, gialla che s'inoltrava all’orizzonte. Persino la parte più stretta quella che si trovava nella zona più interna delle terre di Snaga sembrava troppo estesa da poter essere attraversata. Aveva più o meno la stessa ampiezza del fiume che c’era dal lato opposto, quel fiume che divideva la Terra dei Mari da quella dei Boschi. Solo che il fiume andando verso il confine con le altre terre non s’ingrossava, mentre il deserto verso ovest andava sempre più estendendosi.
In quella lingua di terra, nella zona più sottile del mare di sabbia c’era solo un piccolo tempio. Proprio a metà tra il confine delle due terre. Era una piccola struttura che grazie al suo chiaro colore si confondeva con il paesaggio che la circondava. Erano quattro mura beige semplici intervallate da otto piccole colonne dello stesso colore, una per ogni angolo e poi a metà tra un angolo e l’altro, che con i loro capitelli semplici reggevano una bella cupola leggermente decorata. Sembrava un tempio piuttosto sobrio e anche abbandonato.
Il ragazzo arrivò al tempio. Il sudore gli imperlava il viso, facendo appiccicare i suoi bei capelli biondi al volto chiaro. Entrò subito nel tempio, trovando finalmente quel bel fresco rilassante. Sentì le goccioline di sudore iniziare a ghiacciare sulla sua pelle.
L’interno del tempio era molto diverso dall’esterno. Tutto quanto, ogni singolo millimetro dava un senso di maestosità assoluta. Sebbene fosse piccolo non aveva nemmeno un angolo non decorato in modo perfetto. 
Tutta la struttura era nella semi oscurità e le uniche luci che illuminavano erano quelle delle candele usurate che si trovavano a quattro a quattro in grossi candelabri di bronzo ogni dieci piedi, in tutto erano sei, tre da ogni lato. 
Nei quattro angoli c’erano quattro statue rappresentanti quattro figure diverse, due femmine e due maschi, erano tutte in marmo, con venature di colori diversi. All’angolo destro vicino all’ingresso, in marmo dalle venature rosse, un uomo seduto su un trono, indossava una veste elegante e lunga che arrivava fino alle caviglie i capelli folti, dietro la schiena gli spuntavano due imponenti ali da drago che erano ripiegate su loro stesse. All’angolo opposto verso il fondo del tempio c’era una donna, le venature del marmo che la componeva erano azzurre, anche lei era seduta su un trono molto simile e indossava la stessa veste, i capelli corti le incorniciavano il viso, al posto dei piedi però, alla fine della veste spuntava una bella pinna caudale. A sinistra invece c’era un’altra donna dalle venature di marmo giallo, lo stesso trono e la stessa veste, i capelli lunghi sciolti, ma raccolti tutti sulla spalla sinistra mostrando la strana forma a punta dell’orecchio destro. Al lato opposto poi un uomo dalle venature grigie, era pelato e la sua veste era come quella di tutti gli altri, non fosse per il fatto che era smanicato dato che al posto delle braccia aveva due bellissime ali piumate, che poggiavano eleganti sui braccioli del suo trono.
Tutte le pareti erano ricoperte di bassorilievi, probabilmente se qualcuno si fosse soffermato a guardarli uno per uno avrebbe trovato uno di quegli stupendi racconti che narravano la vera storia delle terre di Snaga. 
Lo spettacolo più impressionante però era l’altare del tempio. Al fondo dell’unica piccola navata che lo percorreva c’era un’abside rialzata in cui si trovava l’altare a fare da sfondo ad essa quattro statue enormi che arrivavano a sfiorare la parte più alta dell’abside. La prima, a partire da destra, era completamente rossa, ritraeva una figura imponente di un uomo dalle possenti braccia squamate, indossava una veste che sembrava di broccato, molto simile a quella delle quattro statue più piccole sedute sui troni, solo un po’ più pregiato, al posto dei capelli un fuoco sembrava divampare sulla sua testa, in mano teneva una sfera di fuoco che sembrava ardere, lo sguardo severo quasi iracondo. Di fianco la seconda statua rappresentava un’altra figura maschile nerboruta di colore verde, non aveva piedi, perché sembrava uscire dalla roccia stessa, come se la scultura fosse rimasta incompleta, in mano teneva un bastone e tra i capelli aveva una corona di foglie, mentre i suoi occhi chiusi sembravano rasserenati dando un senso di calma quasi irreale. La statua successiva invece rappresentava una figura femminile, si vedeva dalle curve sinuose del corpo, un corpo azzurro coperto dalla solita veste di broccato, i lunghi capelli sembravano fatti d’acqua, in mano teneva una sfera perfettamente liscia, il suo viso era il più dolce e rassicurante mentre sorrideva a chiunque la stesse guardando. Infine l’ultima statua era bianca come il latte ritraeva una figura mingherlina che sembrava pronta a qualche strano scatto, i capelli sembravano muoversi con un vento invisibile e lo sguardo vispo guardava intensamente la sua mano che teneva una piuma tra il pollice e l’indice. 
In mezzo a tutta questa meraviglia era impossibile riuscire a vedere che proprio di fianco all’abside c'’era un punto vuoto, senza bassorilievi, solo chi conosceva davvero quel luogo poteva scovare quella parete spoglia. Il ragazzo percorse la navata e dopo aver fatto un leggero inchino davanti all’altare si diresse proprio lì. Poggiò la mano sul muro bianco e sussurrò qualcosa, dopodiché mettendo un po’ di forza spinse la parete che si scostò subito rivelando una scala che scendeva verso il basso.
Il ragazzo iniziò a scendere le scale, appena la porta si chiuse alle sue spalle con un veloce gesto della mano fece apparire una sfera di fuoco dal nulla che lo precedette illuminandogli la strada.
Arrivato ai piedi delle scale si trovò davanti a una porta in legno scuro, la varcò. Ciò che c’era oltre era ancora più impressionante del tempio. Le enormi statue dei quattro dei erano riprodotte, una per ogni lato dell’enorme sala, situate su grossi piedistalli bianchi. Il soffitto era affrescato, un’affresco unico, ma allo stesso tempo semplice, la mappa delle terre di Snaga a colori, mentre il pavimento era a specchio in modo che riflettesse tutto ciò che si trovava nella sala. 
Il ragazzo la attraverso velocemente, arrivato all’esatto centro della sala, proprio dove le quattro terre della mappa s’incrociavano. Chiuse gli occhi e aspettò lì, senza un fiato.
Poco dopo da ogni piedistallo uscì una figura. I quattro si avvicinarono al ragazzo e lo circondarono.
«Allora?» chiese uno dei quattro, scrutando coi suoi piccoli occhi grigi la figura del biondo.
«Si sono riuniti, o almeno sono tutti e quattro a conoscenza di ciò che ha predetto Hidemi, quindi tra poco dovremmo essere pronti.» rispose tranquillamente il ragazzo tenendo sempre gli occhi chiusi.
«Cosa intendi dire? Spiegati meglio ragazzo!» disse un altro, sembrava il più sicuro.
«Intendo dire che due di loro hanno rintracciato Kaito e sapevano già della profezia, e questa sera sarebbero partiti per tornare alla Terra dei Boschi e raggiungere la quarta.» disse il ragazzo aprendo finalmente i suoi occhi color nocciola.
«Presto le terre di Snaga saranno davvero libere!» sorrise l’unica donna del gruppo.
«Preghiamo gli dei che ci assistano in questa battaglia!» disse un omone nerboruto.

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Capitolo 29
*** Separazione ***


CAPITOLO 29

Separazione

 

Il ragazzo era di nuovo seduto su quella maledetta sedia. Proprio come tre settimane prima. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo. Come se non avessero mai trovato il quarto prescelto, come se non fossero mai partiti dalla capitale della Terra dei Boschi, come se avesse appena tradito l’unica ragazza che amava. 
Doveva dirglielo, non c’era altra scelta. Non poteva rimanere con quel peso nel cuore, ma allo stesso tempo non voleva far soffrire lei. Sapeva che la sincerità andava prima di tutto, ma lui non era mai stato davvero sincero con lei. Aveva sempre aspettato che gli eventi scorressero assieme al tempo, ma questa volta non poteva. Non poteva aspettare che lo scoprisse da sola, sarebbe stato come tradirla un’altra volta. Doveva dirglielo, non c’erano alternative. Era l’unica occasione prima di ripartire.
Lei scese le scale, proprio come quella mattina.
«Ehi Shinichi! - disse avvicinandosi a lui, il suo solito tono dolce - Vedrai che passerà in fretta, il tempo di radunare tutti, poi ci rivedremo.» continuò, sembrava che con la sua voce volesse consolare il mondo intero.
«Ran, non è quello… Io… È da poco meno di un mese che te ne volevo parlare…»
La ragazza si sedette vicino a lui e iniziò ad accarezzargli la spalla come per consolarlo. A quel tocco lui sentì un’enorme macigno posarsi sul cuore e sui polmoni, come se non avesse più fiato. Strinse forte il pugno, tanto che le nocche divennero bianche e pallide come la pelle di un qualsiasi abitante di quelle terre.
«Ran, il giorno che la regina mi ha invitato a cena… io ho fatto una cosa orribile…»
La ragazza lo guardò interrogativo, sebbene lui teneva il volto basso e fissava il pavimento in legno.
«Shinichi, qualsiasi cosa sia non importa io…»
«Ti ho tradita! Quella notte io l’ho passata con la regina!» lo disse tutto d’un fiato stringendo ancora di più il pugno, tanto da riuscire a sentire le unghie penetrargli di poco la carne.
A quelle parole, la mano della ragazza che lo stava accarezzando si fermò. Nello stesso istante grosse e calde lacrime le solcarono il viso delicato. Lui alzò leggermente lo sguardo, quando lei ritrasse la mano dalla sua spalla.
«Ran io davvero, non volevo. Ho sbagliato, e mi sento un verme. Io giuro che…»
Lei si tappo le orecchie con le mani e lo guardò con odio. Quello sguardo gli trafisse il cuore come una lancia. Una maledetta lancia dalla punta affilatissima, che penetrava dentro fino a farlo sanguinare. 
«Appena questa guerra finirà, devi sparire dalla mia vita!» disse poi abbassando di colpo le mani, si alzò e risalì le scale tornando al piano di sopra.

 

Il vento freddo gli sferzava il viso. La prima volta quella sensazione di librarsi in aria l’aveva fatto sentire meglio. Ora invece gli sembrava pesante anche volare. Le ali azzurre che gli spuntavano dalla schiena si muovevano a ritmo, sempre con la stessa cadenza.
Era partito da più di un’ora, dopo aver salutato tutti gli altri. Si era accorto che volando ci si metteva molto meno. E sebbene fosse ancora sopra la foresta, vedeva in lontananza la prateria in cui, più in là, scorreva il fiume. Lì poi sarebbe andato verso sud-est, in modo da attraversare la catena montuosa ed arrivare più in fretta alla Terra dei Fuochi. La regina aveva dato loro il tempo di un mese, per poter avvisare più gente possibile delle loro terre. All'inizio volle venire anche Heiji, ma l’amico lo convinse che da solo avrebbe fatto più in fretta e che sarebbe tornato presto.
Dopo più di mezza giornata di viaggio, sentì i muscoli delle ali far male, non era abituato a volare e un viaggio lungo lo privava di ogni energia. Avvistò uno spiazzo un po’ più largo in mezzo alla distesa fitta di alberi scuri e atterrò.
Mangiò qualche boccone, poi cercò un posto comodo e si sdraiò sull’erba verde e scintillante, cercando di addormentarsi. Sembrava un’impresa impossibile, forse ancora più impossibile di quella che avrebbero dovuto affrontare poco più di un mese dopo, lui e i suoi amici. Ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva il volto adirato della sua dolce principessa e quel solito maledetto macigno premeva imperterrito sul suo cuore, facendo penetrare ancora di più la punta di quella lancia.
Decise che non aveva senso rimanere ancora lì e rimuginare, così ripartì decidendo che si sarebbe fermato solo la sera. Si alzò in piedi e mentre si piegava sulle gambe, fece comparire le ali, poi fece peso sui talloni e saltò, appena sentì i piedi staccarsi dal terreno erboso sbatté forte le ali e iniziò a librarsi in aria.
A fine giornata era già al limitare della foresta. Decise di fermarsi alla locanda, dove si erano fermati tutti e quattro all’andata. La bambina mora lo accolse col suo solito sorrisone. 
Dopo aver pagato la stanza per la notte, il ragazzo ci si chiuse dentro. Si sdraiò sul letto e sebbene fosse alquanto comodo, non riusciva nuovamente a prendere sonno. Il suo pensiero tornava sempre sulla principessa, quello sguardo di odio, e poi alla regina col suo corpo perfetto. 
Doveva assolutamente fare qualcosa. Non poteva perderla così. Non avrebbe sopportato per altro tempo il pensiero che lei lo avrebbe odiato per sempre. Si addormentò dopo varie ore, col pensiero che quel mese sarebbe stato lunghissimo e straziante per il suo cuore.

 

«Andiamo Ran. “Io perdonerei qualsiasi cosa a quel ragazzo, lo amo troppo per provare rancore nei suoi confronti” non l’hai detto tu?» disse la ragazza cercando di consolare l’amica.
«Tutto, ma non questo!» disse lei furiosa, anche loro erano partite quella stessa mattina.
«Ran quel ragazzo ti ama. Tradimento o no, ti ama. Lo si vede dal modo in cui ti guarda.»
Qualcosa, forse un capriccio del destino, che non voleva la fine di quell’amore, fece cadere una piccola goccia di rugiada, da una delle foglie dell’albero che aveva accanto, sulla sua guancia.
La principessa alzò lo sguardo e, nello sprazzo di cielo che s’intravedeva tra le fronde verde scuro, intravide lui. Il tempo sembrò rallentare, quasi a fermarsi, mentre lo vedeva battere le sue magnifiche ali azzurre.
Forse aveva ragione Kazuha, forse aveva sbagliato, ma non valeva la pena perdere quel ragazzo solo per un tradimento se poi lui si era pentito. Sicuramente quel mese che non si sarebbero visti, sarebbe stata una punizione adatta per ciò che aveva fatto.

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Capitolo 30
*** Alleanze di vittoria ***


CAPITOLO 30

Alleanze di vittoria

 

«Non abbiamo bisogno di un vero esercito, ma non possiamo neanche andare solo noi quattro, dovete trovare degli alleati nelle vostre terre. Persone che al primo sguardo vi hanno ispirato fiducia, maghi o no. Saranno loro i nostri compagni.» queste parole aveva detto la regina della Terra dei Boschi, prima di congedare i ragazzi, dandosi appuntamento un mese più tardi.

 

Gli bruciavano gli occhi per il fumo agre che saliva su dal vulcano. L’odore era quasi insopportabile, ancora di più di quanto ricordava. Probabilmente da terra si sentiva di meno, mentre volando proprio sopra il cratere tutto quel gas sulfureo saliva investendolo in pieno. Provò una strana emozione nel rivedere il castello rosso e maestoso a ridosso del vulcano. Finalmente era tornato nella sua terra. Non che gli fosse dispiaciuto, quel fantastico viaggio, ma ogni tanto un po’ di nostalgia l’aveva provata. Quel sole caldo che sfiorava la pelle facendola diventare più scura, quella leggera confusione che aleggiava nelle vie percorse dalle belle case dai colori caldi. 
Atterrò di fianco alle maestose torri del castello, ritraendo le ali, per poi farle sparire. Erano passati cinque giorni da quando era partito, ciò voleva dire che gli mancavano quasi tre settimane, per trovare alleati e tornare con loro alla capitale della Terra dei Boschi. Si diresse sicuro verso la casa del suo amico, così da salutare le uniche persone che conosceva davvero in quella maestosa città.

 

La sua terra. Da quanto era assente? Troppo, e quando l’odore della salsedine investì il suo olfatto entrando prepotente su per il naso, si sentì come liberata da un peso. Era stato abbastanza facile attraversare il fiume, ora che non aveva bisogno di nascondere tutti i suoi poteri si era trasformata in sirena e aveva portato lei e l’amica all’altra sponda. 
Ci voleva ancora molta strada per arrivare alla capitale e cercare di convincere suo padre a combattere con lei. Forse era meglio, così avrebbe scelto con cura le parole che avrebbe dovuto dire. Eppure qualcosa la turbava, chi altro poteva avvertire, a chi altro poteva chiedere alleanza. Aveva passato tutti i suoi diciassette anni chiusa nel castello, e non conosceva nessuno al di fuori di esso. No, forse no. Una persona la conosceva. Aveva lavorato per un po’ di tempo al castello come sarta e una volta le aveva raccontato che aveva una piccola locanda vicino alla catena montuosa. Sì forse lei avrebbe accettato, da quanto ricordava era sempre stata una ragazza attiva e pronta all’avventura.

 

Di nuovo a casa. Era passato troppo poco per dire che aveva provato nostalgia. Quelle vie ormai le conosceva come le sue tasche, sempre se scale e ponti si possono chiamare vie. Probabilmente aveva derubato la metà di quelle case, mentre l’altra metà gli aveva commissionato i lavori. Ma che importanza aveva? I soldi sono soldi e solo tre persone in quella città conoscevano il suo segreto e lui stava andando proprio da quelle tre persone. Arrivato alla bella casa con le tende azzurrine entrò senza neanche bussare. Nella sala principale, seduta al tavolo c’era lei. Indossava un bel vestito beige di quelli semplici che le davano un’aria da donna di casa. Sorrise nel vederla intenta a cucire un paio di braghe bianche, probabilmente le sue che aveva rovinato qualche settimana prima. No, non c’era niente da fare, quella ragazza gli aveva rubato il cuore fin da subito. Il giorno stesso in cui si erano conosciuti. Ogni volta che la vedeva per un attimo gli si mozzava il fiato, il che è difficile per un mago dell’aria.

 

Non fu così difficile convincere i suoi obbiettivi a seguirlo. Chissà forse aveva una dote carismatica nascosta da qualche parte che non aveva mai notato, o forse semplicemente Feuer lo stava aiutando nella sua missione. Il ragazzo era già pronto a ripartire, questa volta a piedi, per tornare a Tochi con al seguito il piccolo Mitsuiko e la locandiera Sonoko. Non aveva trovato altre persone, ma seguì il consiglio della regina e non chiese a nessun altro. Sarebbero partiti la mattina dopo, col sorgere del sole.
In quel momento però era il crepuscolo e il ragazzo con sguardo malinconico guardava il castello cremisi che gettava bagliori infuocati su tutta la capitale.
«Bello il tramonto vero?»
Si girò. Dietro a lui c’era un ragazzo della sua età. Aveva capelli biondi arruffati e occhi color nocciola, sembrava avere un’aria molto trasandata e portava un pesante mantello da viaggio.
«Chi sei?»
«Mi chiamo Saguru e devo parlarti di molte cose Shinichi.»

 

«Lo faccio solo perché mi fido di te, figlia mia. Non di certo per quel ragazzo usurpatore che ti ha abbindolata. Spero che un giorno capirai che non è il ragazzo giusto per te.»
Un macigno le si posò sul cuore nel sentire le parole del padre. Forse se avesse subito dato retta a lui, a l’unico uomo che non l’avrebbe mai potuta tradire, a quest’ora non avrebbe sofferto così tanto. Eppure quell’amore non diminuiva, continuava a oscurarle ogni pensiero razionale e ogni volta che la sua mente vagava su quel viso, su quegli occhi più azzurri del cielo iniziava a batterle forte il cuore e le si stampava in viso un dolcissimo sorriso. Che strani miracoli può fare l’amore. Può farti perdonare qualsiasi cosa, che tu lo voglia o no.
Si riscosse, aveva cose ben più importanti a cui pensare, doveva ancora andare al confine con la Terra dei Fuochi e convincere un’altra persona a seguirla, la locandiera di nome Masumi.

 

«Allora io vado a cercare Genta, così viene anche lui. Mi raccomando di dirlo anche al professore! - disse stringendo il pomello della porta - A proposito, digli anche di portare qualche sua invenzione, chissà se magari per una volta potranno tornare utili…»
«Ti ho sentito sai? Piccolo furfante!»
In quel momento scese dalle scale un uomo paffuto con addosso una larga tunica marrone. I suoi piccoli occhi grigi guardavano, attraverso le lenti di una montatura per occhiali, con un po’ di rimprovero il ragazzo, mentre i suoi enormi baffoni grigi tremolavano mentre parlava. Era un po stempiato, probabilmente per via dell’età eppure dava l’aria di essere un uomo particolarmente attivo, nonostante il peso.
«Ah professore… è uscito dalla tana vedo! - il ragazzo sorrise con un ghigno dispettoso - Beh io vado, ciao!» disse poi uscendo e chiudendosi la porta alle spalle senza dar modo all’uomo di controbattere.

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Capitolo 31
*** Il mare che perdona il vulcano ***


CAPITOLO 31

Il mare che perdona il vulcano

 

Il sole era appena sparito dietro il fitto tetto di foglie verdi. 
Durante il viaggio il ragazzo aveva imparato a conoscere i suoi nuovi compagni, sebbene qualcuno rimaneva ancora alquanto misterioso. Quella sera in cui aveva incontrato il ragazzo di nome Saguru, aveva capito parecchie cose. Tutto ciò che né Shiho né Kaito, ossia Ombra Bianca, potevano sapere. Tutto ciò che riguardava la profezia, loro quattro e Black Island.
La persona con cui aveva fatto più amicizia però, era la bella cameriera alla locanda dai capelli biondi. Era una ragazza vivace, piena d’iniziative e soprattutto parecchio chiacchierona.
«Sonoko? - chiese il ragazzo. Lei si girò, erano in testa al gruppo che si era appena inoltrato nel bosco per raggiungere la capitale. - Se la persona che ami ti tradisse, tu lo perdoneresti?»
Tra i due calò il silenzio interrotto solo dai passi dell’intero gruppo e dai cinguettii degli uccelli. Quei pochi minuti di silenzio al ragazzo sembrarono interminabili. Quel silenzio lo opprimeva, come un fazzoletto sulla bocca, sembrava che quell’assenza di parole gli risucchiasse il respiro dall’interno. Come se per un attimo i suoi polmoni si fossero fermati. Poi finalmente la ragazza parlò, facendogli riprendere fiato.
«Ti perdonerà. Se ti ama davvero ti perdonerà. Anzi sono sicura che se avrai quel visino disperato non resisterà.»
Il ragazzo la guardò interrogativo, poi lei scoppiò a ridere.
«Dico sul serio. Si vede lontano un miglio quanto ci tieni a lei e quanto ti senti in colpa. E se è davvero la ragazza di cui mi hai parlato in questo viaggio, ti perdonerà.»
«Lo spero.» sospirò il ragazzo, tornando coi pensieri alla sua dolce principessa.
«Non tradirla mai più. Nè con le parole né con il corpo, potrebbe essere l’ultima volta che lo fai.»
I due ragazzi si girarono. Aveva parlato uno dei cinque che avevano deciso di unirsi a loro. Probabilmente lui era il più misterioso di tutti. Aveva penetranti occhi verdi, che ghiacciavano sempre Shinichi ogni volta che ne incrociava lo sguardo. I suoi corti capelli neri erano coperti da un berretto blu scuro, tranne per un piccolo ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte. Sua madre, Yukiko, l’avrebbe chiamato un tirabaci. Ricordava perfettamente la storiella di sua madre su quello strano ricciolo che viene ai ragazzi coi capelli lisci, diceva che capitava raramente e che faceva di quell’uomo una vera e propria calamita per molte donne.

 

Il cuore sembrava voler sfondarle il petto. Non ci poteva credere. Non poteva credere che in un solo mese tutto quel dolore e rancore erano passati lasciando nel cuore solo quel maledetto amore che l’aveva legata a lui. Com’era possibile una cosa del genere.
Eppure stava succedendo. Affacciata nella terrazza del maestoso castello verde di Tochi, lo vedeva avvicinarsi con il suo gruppo al seguito. In tutto erano otto, ma lei aveva occhi solo per lui. Quell’incedere lento, quello sguardo profondo quanto l’oceano che rappresentava e quel viso un po’ nervoso che l’aveva emozionata il primo giorno.
Dietro di lei sentì dei passi, ma non si voltò, voleva guardare il più possibile quel ragazzo, come se solo con lo sguardo avesse avuto la conferma che quello che stava per fare era giusto o no. Ad un tratto una voce la distrasse, una voce che ormai era amica.
«Ran, non vieni ad accogliere i nuovi arrivati?»
La ragazza si voltò decisa e fece un cenno di assenso alla bella regina di quelle terre, per poi seguirla. Era vero, era stata lei la causa del suo rancore, eppure non era riuscita a serbarne neanche una goccia per lei. In fondo come si poteva biasimare. Shinichi era un ragazzo affascinante e lei aveva avuto una grande fortuna ad essere riuscita a conquistarlo. Perciò come poteva solamente pensare di prendersela con lei, era lui che avrebbe dovuto resistere e che non c’era riuscito.

 

Si stavano avvicinando al castello e il ragazzo iniziava a distinguere nettamente ogni singola pietra cristallo che componeva la maestosa struttura, che aveva lasciato Sonoko e Mitsuiko a bocca aperta. Gli altri stranamente non avevano mosso un dito, come se tutto quello per loro fosse assolutamente normale, solo il ragazzo biondo della sua stessa età si era lasciato sfuggire un “Fantastico!”, ma nient’altro.
Ad un tratto due figure si stagliarono sull’enorme ingresso di quercia. Vederle così vicine, l’una all’altra, nello stesso momento, bloccò per un attimo il suo cuore. Di nuovo quella sensazione di rimanere senza respiro lo travolse, poi però appena fu abbastanza vicino da vedere distintamente ogni minimo dettaglio dei loro corpi, qualcosa dentro di lui o tutto dentro di lui, tirò un respiro di sollievo. Non aveva più nessun timore. Avrebbe affrontato qualsiasi punizione gli avesse riservato il destino, ma per lui esisteva solo una ragazza ed era quella che aveva di fronte.
Il gruppo raggiunse l’ingresso e la regina con il suo bellissimo sorriso scarlatto diede il benvenuto ai nuovi arrivati.
L’uomo dai corti capelli corvini, rimase agghiacciato da quello sguardo. Quei bellissimi occhi verde acqua l’avevano colpito. Per il semplice motivo che avevano qualcosa di terribilmente familiare. Qualcosa che al solo pensiero gli faceva male al cuore.
Entrarono tutti dentro il castello, al seguito di quella meravigliosa ragazza dai corti capelli ramati, avvolta in un bellissimo abito color ambra. Tutti tranne Ran e Shinichi, che erano rimasti all’ingresso a fissarsi a vicenda come impietriti da qualche strano incantesimo.
Fu la ragazza la prima ad aprire bocca, e il risentire quella voce dopo poco meno di un mese mosse a Shinichi qualcosa nel profondo.
«Ti devo parlare!» disse, dopodiché senza un’altra parola lo prese per il polso e lo trascinò lontano dal palazzo verde smeraldo.
Camminarono per vari minuti, sebbene a Shinichi sembrarono lunghe ore, mentre il suo cuore continuava a martellargli nel petto. Non sapeva se era per l’emozione o per la paura di perderla per sempre, ma non voleva lasciargli tregua e più batteva, più quel battito sembrava mozzargli il fiato.
Finalmente si fermarono. Era una piccola radura alla periferia della capitale e sulla destra Shinichi poteva intravedere il lago che fungeva da bagno pubblico per tutta la popolazione.
Il silenzio come al solito era interrotto solo dai cinguettii degli uccelli, ma non ci volle molto perché la principessa iniziasse a parlare.
«Ora ascoltami bene Shinichi, prescelto di Feuer. Ciò che hai fatto è deplorevole e disgustoso e non perdonerei nessuno per quest’oltraggio. Eppure con te non posso. Non posso far altro che accettare le tue scuse, perché altrimenti finirei vittima di questo mio grandissimo errore se non lo facessi. Ciò però non vuol dire che io dimenticherò quel che hai fatto. Mai. Neanche, quando saremo vecchi e ammalati. Il tuo errore ti dovrà pesare sulla coscienza finché vivi. - ci fu un grave minuto di silenzio, in cui Shinichi si sentiva vile e indifeso proprio come il giorno in cui l’aveva tradita. Poi la ragazza riprese - Tuttavia, non posso fare a meno di pensare che tu sei un mago del fuoco, il prescelto di Feuer. Ciò vuol dire che la furia e gli istinti del vulcano e del fuoco vorticano in te come in me vorticano la calma e l’impetuosità del mare e dell’acqua. Perciò, capisco perché l’hai fatto. E ti posso dire con franchezza e gioia che mai, come in questo momento, il mare perdona il vulcano, perché lo ama.» concluse, con finalmente quel bellissimo sorriso.

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Capitolo 32
*** I guardiani di Snaga ***


CAPITOLO 32

I guardiani di Snaga

 

«È una leggenda antica. Una leggenda che nasce assieme a queste terre. Penso conosciate tutti la storia della nascita di Snaga, ma per farvi capire tutto dovrò ripetervela.
All’inizio dei tempi i quattro dei di queste terre erano in conflitto l’uno contro l’altro. Ognuno di loro credeva di poter dare il meglio solo da solo e per questo motivo non volevano cedere il posto agli altri tre. Durante le loro feroci liti, che durarono secoli, si accorsero che unendo i loro smisurati poteri avrebbero potuto raggiungere facoltà ancora più immense. Notarono che se per esempio Wasser con la sua acqua raffreddava la lava di Feuer creava una terra feconda in cui Boden avrebbe potuto far crescere le sue piante, oppure unendo la sabbia di Boden, il calore di Feuer, e il soffio leggero di Luft, potevano creare sculture trasparenti bellissime.
Così decisero di smettere con quell’inutile lotta tra di loro e di creare una terra che unisse entrambi i quattro poteri. Nacquero così, la Terra dei Fuochi, la Terra dei Mari, la Terra dei Boschi e la Terra dei Venti. I quattro dei avevano creato le terre a seconda dei propri gusti personali e quando furono soddisfatti si ritirarono. 
Per molto tempo quelle terre rimasero deserte in attesa che qualcuno le occupasse. Molto presto grandi frotte di nomadi vennero da tutti i confini, stanziandosi nelle varie terre, considerandole all’inizio come un’enorme e sola Terra, Snaga.
Gli dei, dal loro piccolo cantuccio vedevano il loro lavoro fare frutti e maturare, finché si accorsero che c’era troppa poca distinzione tra una terra e l’altra. Decisero perciò di fare un dono a chiunque fosse stato devoto alla sua terra e di conseguenza al dio della terra. 
Però non potevano di certo scendere come se nulla fosse. Erano divinità e non avevano la capacità di tramutarsi in esseri umani per poter scegliere i loro fedeli credenti. Perciò ognuno di loro scelse tra i tanti un eletto, qualcuno che per un breve lasso di tempo avrebbe ereditato una parte dei loro poteri, in modo che loro potessero fare da tramite tra il popolo e gli dei. I quattro prescelti, allora, erano due femmine, Ferry della Terra dei Boschi e Leila della Terra dei Mari, e due maschi, Madel per la Terra dei Venti e Gant per la Terra dei Fuochi. 
Parlarono con loro attraverso vari sogni e stati di trance e solo dopo vari mesi riuscirono a convincere i quattro prescelti che tutto quello che avevano visto e sognato era vero. Tutti e quattro iniziarono il loro pellegrinaggio per convincere le terre di Snaga dell’esistenza di quattro dei potentissimi.
Pochi credettero a quelle parole e solo quei pochi furono premiati con un potere speciale, la possibilità di controllare l’elemento della terra che avevano scelto. Regalarono inoltre ad ogni popolo una pietra particolare, diversa per ogni terra, che permettesse agli uomini di controllare questi poteri unici. Tutti gli altri sarebbero rimasti nell’ignoranza.
Col passare degli anni e dei secoli, la fede delle terre di Snaga aumentò e sebbene ora tutti credano nei quattro dei, solo i discendenti dei credenti di quei tempi continuano a conservare il potere delle pietre cristallo.
Prima però di arrivare ai giorni nostri ci fu ancora qualcosa che turbò la quiete dei quattro. Fu un uomo. Un uomo da un carisma fuori dal comune che attorno a lui aveva radunato più di tremila uomini. Quest’uomo era nato nella Terra dei Fuochi, ma aveva visitato tutta Snaga e non voleva assolutamente arrendersi al pensiero che il suo potere dipendesse da uno solo dei quattro elementi. Lui amava tutti e quattro gli dei, un amore forte, quasi morboso. Decise di andare nel deserto che divide la Terra dei Fuochi e quella dei Venti e lì con i suoi discepoli, che aveva raccolto nei suoi lunghi viaggi, costruì un tempio in onore dei quattro.
Ben presto quell'amore divenne ossessione e quella voglia di conoscenza divenne voglia di potere. Doveva assolutamente avere tutti e quattro i poteri e avrebbe fatto di tutto per averli.
Gli anni passavano, lui però sembrava non invecchiare mai, rimaneva sempre bello, forte, intelligente e ossessionato, mentre intorno a lui e al suo amore cresceva solo il sangue e la morte. La sua follia era ormai incontrollabile, finché gli dei non decisero di esiliarlo dalle terre di Snaga. Creando apposta un’isola in cui potesse starci solo lui. Decisero di chiamarla Black Island, per rappresentare l’animo nero dell’uomo. Molti dei suoi seguaci, scapparono. Lui però se ne fece degli altri, pochi, giusto quelli di cui si fidava. Molte volte cercò di tornare sulle nostre terre, ma quando ci provava una forza avversa lo respingeva via, facendolo tornare sull’isola.
Gli dei erano sicuri che non sarebbe più scappato da lì, ma la sua ossessione, la sua intelligenza e il suo carisma spaventavano pure loro. Così decisero di lasciare in eredità al popolo di Snaga un manoscritto sulla vera storia di queste terre, in modo che potessimo essere pronti un giorno per affrontare questo folle. Decisero inoltre che quando il popolo sarebbe stato pronto, quindi quando qualcuno avesse trovato questo libro, loro avrebbero scelto altri quattro prescelti, proprio come la prima volta, questa volta però, con poteri ancora maggiori. Misero il manoscritto nel tempio che l’uomo folle aveva costruito coi suoi discepoli e aspettarono con pazienza.
Fu una donna a trovare il manoscritto e ben presto anche lei fu seguita dai suoi discepoli, ma dentro di lei era accesa la luce della speranza e della bontà e nessuna voglia di potere o vendetta. 
Creò quindi una piccola congrega, che si stabilì definitivamente nel tempio, chiamandola “I guardiani di Snaga” e decidendo che sarebbe stato loro compito avvertire l’uomo folle della sua prossima rovina e poi di trovare i quattro prescelti dagli dei.
Quella donna sono io.»
La persona che aveva parlato fino a quel momento si abbassò il cappuccio, rivelando una lunga coda di cavallo nera e due bei occhi azzurri.
«Hidemi?» chiese Eisuke stupito, davanti a tutti gli altri spettatori nell’enorme sala del trono del castello della regina Shiho.

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Capitolo 33
*** Il re dell'ombra ***


CAPITOLO 33

Il re dell'ombra

 

L’atmosfera intorno a lui gli sembrava quasi perfetta. Come al solito, da quando aveva scoperto quel fantastico potere, la sensazione di librarsi nell’aria lo faceva sentire libero. Sotto di lui la folta foresta che copriva gran parte della Terra dei Boschi e sopra di lui solo il limpido cielo azzurro. Tutto ciò che era accaduto negli ultimi due giorni vorticava nella sua testa tra i normali pensieri. La scoperta della sorella di Eisuke, la nuova confessione di Ran, la diffidenza che aveva avuto nei suoi confronti il re delle Terre dei Mari vedendolo accanto alla figlia, tutti i preparativi per quella battaglia imminente che spaventava un po’ tutti. Per un attimo perse un po’ di quota, sfiorando le grosse foglie degli alberi con il corpo, come se tutti quei pensieri avessero consistenza e fossero tanto pesanti da farlo precipitare. Scosse la testa per cacciare via tutto e poi con altri due battiti delle ali tornò più su, per finire il suo giro di ricognizione.
Aveva appena deciso che poteva scendere di nuovo sulla terra ferma. Le sue ali stavano già rallentando il ritmo, quando a un tratto all’orizzonte vide apparire due figure. Shinichi rimase immobile, mentre le vedeva avvicinarsi, le ali che battevano per tenerlo sospeso in aria. All’inizio da lontano sembravano piccolissime, poi coprirono la distanza velocemente e il cuore del ragazzo iniziò a martellare vedendo le loro fattezze. 
Erano quasi indescrivibili. Sembravano due corvi in forma umana. Erano grossi quanto lui le ali al posto delle braccia i grossi corpi e le gambe più corte, il tutto ricoperto di piume nere come la pece. All'estremità delle cosce avevano un paio di zampe con tre lunghi artigli che ricordavano molto quelli di un’aquila, e sul muso un brutto e grosso becco sporgeva sostituendo naso e bocca.
Il ragazzo ci mise un po' a realizzare che stavano andando dritto verso di lui e, quando se ne accorse, era ormai troppo tardi per scappare. Decise perciò di prendere un po’ di quota cercando di sfuggirgli, almeno per quel lasso di tempo che gli sarebbe voluto per trovare una soluzione al problema, ma le due creature gracchiando con un verso roco lo seguirono senza nessuna difficoltà. Molto più veloci di lui lo raggiunsero. 
Una delle due figure lo prese per la gamba con una delle due zampe nere. Il ragazzo sentì gli artigli affilati penetrargli la carne e dovette mordersi la lingua per non urlare dal dolore. Cercò di concentrarsi, per provare almeno a fare un’incantesimo. Concentrò la forza sul palmo della mano, cercando di creare una sfera di fuoco che potesse allontanarli, ma appena scoccò la prima scintilla e si vide una leggere fiammella crescere sospesa a pochi centimetri dalla sua mano, un dolore atroce lo confuse. 
La fiamma si spense, come se qualcuno ci avesse soffiato sopra. Lui con la vista annebbiata si girò verso la causa del dolore. Una delle due creature con il becco aveva attaccato la sua ala destra. Il sangue color rubino scendeva lento e viscoso sulle squame azzurre dell’ossatura.
Ad un tratto, la sola ala sinistra, non riuscì più a reggere il peso e il ragazzo iniziò a perdere quota. Ebbe solo la forza per far scomparire le ali, pensando che forse il dolore sarebbe sparito, ma esso si spostò semplicemente alla scapola. 
Appena però toccò nuovamente col corpo il fogliame della foresta, si sentì risollevare. Alzò lo sguardo. Le due creature lo avevano afferrato per le braccia con le zampe e lo stavano portando chissà dove. Il ragazzo ebbe solo il tempo di rivedere quei brutti musi e quegli occhi neri come il resto del corpo, dopodiché perse completamente i sensi.

 

La regina si era appena cambiata per il pranzo ed era uscita dai suoi appartamenti, quando uno dei suoi paggi si avvicinò a lei con una riverenza. Lei fece un cenno veloce, dandogli il permesso di parlare.
«È arrivata questa per lei.» disse l’uomo porgendole una busta.
«Grazie puoi andare.» rispose subito lei congedandolo, mentre leggeva sul dorso della busta, scritto a grossi caratteri rossi, “URGENTE”.
La donna aprì la busta e subito la percorse un brivido quando vide che dentro conteneva un foglio nero. Con mani tremanti lo tirò fuori. Sul foglio c’erano poche parole, scritte in bianco, con una grafia che non avrebbe mai potuto dimenticare. 
Che guerra sia.
Sharon.
Di fianco alla firma c’era qualcosa, attaccata in qualche modo al foglio, a quella vista gli occhi della giovane donna sgranarono per il terrore.

 

Aprì gli occhi stordito e subito un intenso dolore alla gamba lo riportò alla realtà. Era in una stanza buia, un’enorme stanza buia. Sebbene i grossi finestroni che la percorrevano facessero entrare parecchia luce, quella stanza rimaneva stranamente scura.
Si trovava su una sedia in pelle, poteva sembrare quasi comoda, non fosse stato per il fatto che polsi e caviglie erano bloccati ad essa con delle spesse cinghie di cuoio. Iniziò a dimenarsi, cercando un modo per potersi liberare.
«Vedo che sei sveglio finalmente!» il ragazzo si voltò, mettendo a fuoco ciò che aveva attorno. 
Niente, la stanza rimaneva vuota, pensò di esserselo immaginato, così scosse il capo e tornò a esaminare quelle cinghie che gli bloccavano i polsi. Subito affiorò nella sua mente un’idea, forse era rischiosa, perché avrebbe dovuto fermare in fretta la fiamma prima che potesse bruciargli la pelle, ma almeno sarebbe stato libero. Si concentrò su quella striscia marrone che gli avvolgeva il polso, come fosse un bracciale, ma nessuna fiamma venne in suo aiuto.
Qualcuno rise di gusto e il ragazzo scattò di nuovo con lo sguardo attorno a lui. Ad un tratto qualcosa si mosse, proprio davanti a lui. Una tenda, che fino a poco prima non aveva visto perché mimetizzata con le pareti nere della stanza, si scostò. Da essa ne uscì una figura alta, ma il ragazzo non riusciva e vederne i tratti finché lui non fu vicino a una delle tante finestre.
«È inutile provare a usare la magia, mio caro.» disse alzando la mano e mostrandogli la sua stessa collana.
Lo sguardo di Shinichi si abbassò velocemente sul suo petto, vuoto. Nessuna pietra cristallo rossa adornava il suo collo. Rialzò lo sguardo, quello sguardo furioso che non aveva assunto da tempo.
«Ridammela!»
Un’altra risata e in quella risata il ragazzo si rese veramente conto di chi aveva davanti. Era l’uomo più bello che avesse mai visto, i lineamenti del viso perfetti gli occhi azzurri e intensi, i capelli lisci che gli incorniciavano il viso, le labbra rosee che si muovevano leggermente a quel riso. Nessuna imperfezione sembrava toccarlo. 
Per un momento un pensiero balenò nella mente del ragazzo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per quell’uomo, qualsiasi. Scosse la testa. No. Doveva rimanere concentrato, lui sapeva bene chi aveva davanti e non avrebbe ceduto era nato per questo.
L’uomo senza una parola si avvicinò alla sedia su cui era seduto. Quando fu davanti a lui gli posò una mano sul petto premendo e mozzandogli il respiro. Il suo sguardo splendente dettava odio, ma il suo viso rimaneva bellissimo e immobile.
«Benvenuto nel regno delle ombre Shinichi, prescelto di Feuer!»

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Capitolo 34
*** Nelle loro mani ***


CAPITOLO 34

Nelle loro mani

 

Aprì gli occhi. In realtà non era riuscito a dormire neanche un secondo, ma teneva gli occhi chiusi come se sperasse che riaprendoli si sarebbe ritrovato di nuovo a casa sua, o per lo meno al castello a Tochi. Invece era ancora in quella maledetta isola.
Dopo aver conosciuto, quello che tutti gli altri chiamavano “Lord”, lo rinchiusero in una cella buia che puzzava di muffa e chiuso, senza però slegarlo da quella maledetta sedia dalle cinghie di cuoio.
Anche se sapeva che era inutile ricominciò a muovere freneticamente le mani, cercando di liberare il polsi, quando a un tratto sentì un clangore di metallo venire da fuori la cella. Subito dopo sentì parlottare, ma la spessa porta di ferro non gli permetteva di comprendere le parole o di riconoscere le voci. Poi uno schiocco dalla serratura e la porta arrugginita si aprì con un lento e fastidioso cigolio che fece rimpiangere al ragazzo di non avere le mani libere per tapparsi le orecchie.
Una sagoma scura si stava avvicinando a lui, ma lui già sapeva chi era. Sentiva il suo freddo sguardo azzurro addosso ed era una sensazione orribile, sembrava quasi che con quello sguardo potesse spogliarlo di ogni sua sicurezza e di ogni sua speranza. 
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto solo dal respiro dei due, poi:
«Ho deciso di renderti partecipe e consapevole del mio piano. Devi essere onorato per questo.» disse con la sua solita voce fredda quanto attraente.

 

«È da stamattina che non si fanno vivi ed ormai è sera.» sbuffò il ragazzo dalla pelle scura un po’ stufo.
«E io cosa ci posso fare?» domandò la ragazza. Erano in uno dei bei salotti del castello: lei, Kazuha, Eisuke, Heiji e Kaito.
«Forse qualcuno dovrebbe andare a vedere perché…» il ragazzo non finì la frase. La porta del salottino si era aperta e sulla soglia c’era Shiho, il volto scuro e le mani chiuse a pugno, una delle quali teneva dei pezzi di carta.
«Shiho che succede?» chiese Ran vedendo la faccia della regina.
«Dobbiamo partire! Stasera stessa!»

 

«Sono sicuro che la nostra cara Shiho andrà subito ad avvisare i tuoi amici. Come pensi reagirà la tua dolce principessa alla scoperta?»
Il ragazzo lo guardò con quello sguardo d’odio che ormai sapeva di aver ereditato dal dio del fuoco. Come osava anche solo parlare di lei? Però aveva ragione, ed ora che quel pensiero gli era entrato in testa non riusciva a toglierselo. Il suo sguardo triste e disperato sembrava inondargli il cervello, come se le lacrime di quella Ran nella sua mente gli riempissero la testa confondendolo.

 

Le mani di Ran tremavano, mentre teneva quel piccolo foglio. I suoi occhi continuavano a fissare il piccolo oggetto vicino alla firma “Sharon”. Era grande quanto un unghia ed era di due colori diversi, il primo era un azzurro intenso, quell’azzurro che ormai le invadeva il cuore, l’altro era un rosso cupo, il rosso del sangue. Sapeva benissimo cos’era quell’oggetto. Era una squama, una squama delle ali del suo Shinichi.

 

«Nella nuova lettera, che gli sarà arrivata sta sera gli ho scritto che avranno cinque giorni per venire qui altrimenti…»

 

«…altrimenti potrete dire addio al vostro alleato del fuoco. Firmato Il Re delle ombre.» finì di leggere la regina a tutti i presenti nel salottino.
La confusione regnò sovrana. Sebbene in quella stanza vi fossero solo sei persone, per un attimo sembrò ce ne fossero venti. Tutti si erano alzati in piedi e parlavano animatamente creando un baccano inimmaginabile.

 

«Sarà il caos, tutti i tuoi amici vorranno venirti a salvare e anche se qualcuno un po’ più razionale cercherà di farli tornare in loro…»

 

«Ragazzi smettetela per un attimo. - urlò Kaito sovrastando tutti - Ascoltatemi tre secondi. Non possiamo partire così di punto in bianco, se andiamo lì senza un piano ben elaborato quelli ci fanno secchi. Insomma stiamo per andare nel loro regno, verso morte certa.»
«E tu cosa vorresti fare, ladruncolo da quattro soldi? Lasciare Shinichi nelle mani di quei pazzi?» chiese Heiji infuriato.
«Non intendo questo. Intendo solo che forse ne dovremmo prima parlare con tutti e magari organizzar…»
«Non c’è tempo lo vuoi capire?» urlò di nuovo il ragazzo dalla pelle scura.

 

«Verranno qui senza indugi. Ormai sono tutti nelle mie mani. Sono diventate le mie piccole marionette. Vedrai di cosa sono capace, mio caro Shinichi.»

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Capitolo 35
*** Corsa contro il tempo ***


CAPITOLO 35

Corsa contro il tempo

 

Il silenzio ormai era diventato come un amico. Ogni volta che sentiva il clangore della serratura che si apriva il terrore s’impossessava di lui. Non sapeva quanto tempo era passato dal giorno in cui era stato catturato, o dal giorno in cui quell’uomo gli aveva riferito i suoi assurdi e scellerati piani.
Ormai da parecchio tempo era libero in quella cella, senza nessuna odiosa sedia che lo bloccasse da qualche parte, ma anche da libero non aveva la forza di scappare. Senza la sua magia e il suo pugnale era assolutamente incapace di fare qualsiasi cosa, tantomeno superare le tre guardie all’entrata della cella. Almeno credeva fossero tre.
La serratura schioccò per l’ennesima volta e un brivido di terrore percorse il ragazzo. La porta cigolò e fu abbagliato dalla luce arancione delle torce fuori dalla cella. A lui si avvicinarono quattro persone, le stesse che aveva visto un’infinità di volte in quell’ultimo periodo. La prima, un uomo robusto e nerboruto, teneva in mano una delle torce per illuminare la cella, era lo stesso che ogni volta gli portava pane e acqua. Il secondo uomo era quello che sembrava il braccio destro del Lord, aveva i lunghi capelli argentei e gli occhi color ghiaccio, mentre nella mano sinistra teneva una lunga asta di metallo. L’unica femmina del gruppo era una donna bellissima, le labbra color porpora e i freddi occhi celesti, i suoi capelli biondo platino le cadevano mossi sulle spalle, lei solitamente se ne stava ferma a guardare e ogni tanto al ragazzo era sembrato che lei stessa soffrisse per lui. L’ultimo era lui. Il folle. Era lui a dirigere tutte le sue torture.
Fece un cenno veloce all’uomo dai capelli lunghi che si avvicinò a lui. Le prime volte aveva provato a scappare e divincolarsi, mordendo addirittura il braccio dell’uomo, ma dopo neanche dieci secondi capì che era tutto inutile, perché in un attimo sentì il suo corpo irrigidirsi e poi sciogliersi di nuovo, come se qualcuno gli avesse prosciugato tutte le forze. Sapeva che sicuramente era uno degli incantesimi del Lord.
Poco dopo, finì tutto. Come al solito non riusciva più a sentire le braccia tanto era il dolore. La vista era annebbiata e riuscì solo a vedere le sagome uscire dalla cella. Una, due, tre. Mancava qualcuno, ma non riuscì a capire chi fin quando non gli sussurrò all’orecchio.
«Ti aspetto al piano di sopra tra un’ora, non mi deludere ragazzo.» sentì soffiare con quella sensuale voce femminile, dopodiché sentì qualcosa cadergli in grembo.
La porta si richiuse dietro alla donna e la serratura schioccò di nuovo. 
Shinichi rimase parecchio tempo fermo, in preda al dolore, senza riuscire a ragionare più del dovuto. La sua mente sembrava essere preoccupata più per le sue braccia, che per ciò che era successo qualche minuto prima.
Poi finalmente dopo vari minuti, riuscì a ritrovare un po’ di lucidità e subito le parole di quella donna riecheggiarono nella sua mente. Spostò lo sguardo verso il basso, vedendo finalmente cosa gli aveva lasciato. In grembo aveva una chiave arrugginita, che probabilmente era della cella e poi il suo ciondolo, anzi il ciondolo di suo padre, la sua pietra cristallo, la sua unica fonte d’energia.
Senza esitare se la mise al collo, sebbene muovere le braccia gli costasse parecchio dolore. Prese in mano la chiave e con uno sforzo immane si alzò da terra e si diresse verso la porta. Non sapeva con esattezza quanto era passato dalla loro visita, perciò doveva trovare in fretta un modo per uscire. 
Chiuse gli occhi e si concentrò sull’esterno della cella, più precisamente sulle fiamme crepitanti delle torce, proprio come Ran aveva fatto parecchio tempo prima, quando dovette trovare il fiume da sotto terra. Erano cinque torce, ne avvertiva la posizione, e se ricordava bene l’ultima a destra era proprio di fronte alle scale che portavano al piano superiore. Con un gesto convulso strinse la chiave finché non la sentì premere sulla carne, solo allora allentò la presa, riaprendo gli occhi. Facendo il più piano possibile infilò la chiave nella serratura, poi riprese la concertazione sulle torce e, sempre tenendo pollice e indice destro sulla chiave iniziò a soffiare, come volesse spegnere una candela. 
Ad un tratto l’energia delle torce scomparve e il ragazzo sentì tre voci distinte lamentarsi e vari scalpiccii di scarpe che correvano da una parte all’altra del corridoio. Il ragazzo ne approfittò subito, girando la chiave nella serratura.
Appena la porta fu aperta scattò fuori e svoltò subito a destra iniziando a correre. Non vedeva niente, come probabilmente le tre guardie e inciampò su una cassa di legno. Con un  paio di corti passetti ritrovò l’equilibrio e ricominciò a correre concentrandosi però sulla cassa. Ad un tratto dietro di lui divampò una fiammata arancione.
«Eccolo è lì, è fuggito!» urlò una delle guardie alle sue spalle.
Lui però era già ai piedi delle scale e guardo i tre uomini con un sorriso beffardo, poi quando cominciò a salire, la cassa che aveva preso fuoco esplose in una fiammata più grossa, bloccando il passaggio ai tre.
Arrivato al piano di sopra si guardò intorno, ma non vedendo nessuno iniziò a correre veloce a vuoto inoltrandosi nei tanti corridoio del palazzo. Il silenzio regnava intorno a lui, poi ad un tratto sentì dei passi avvicinarsi velocemente. Si nascose nell’ombra, quell’ombra che in quel castello non mancava di certo. Ma l’artefice di quei passi lo trovò lo stesso. 
«Ti avevo detto di aspettarmi, non di andartene per i fatti tuoi.» disse prendendolo per un braccio e trascinandolo via.
Il ragazzo con un gemito, dovuto alla pressione della mano sul suo braccio, la seguì senza altre storie.
Camminarono per parecchio tempo, molte volte si nascondevano dalle guardie o da qualche domestico del castello e poi tornavano a camminare svelti, fino quando finalmente il ragazzo vide un grosso portone in quercia che sicuramente era quello che dava all’esterno. Arrivati davanti la donna si fermò e lo squadrò coi suoi occhi di ghiaccio.
«Fuori da qui te la dovrai cavare da solo.» disse freddamente, per poi mettergli in mano il coltello di suo padre, che gli era stato sequestrato il primo giorno della sua prigionia in quel luogo.
«Perché l’hai fatto?» chiese lui, mettendosi il coltello alla cinta.
«Avevo un debito con te! Forse tu non ricordi, ma quando ancora non lavoravo per i maghi dell’ombra ero una maga del fuoco e lavoravo nella tua stessa miniera, uno di quei tanti giorni infernali mi hai salvato da una fine orribile. Ora però il mio debito è saldato. Perciò appena uscirai da qui, la tua vita non sarà più un mio problema. Anzi, se tu e i tuoi amici attaccherete questo posto, come credo farete, non avrò pietà.» dette quelle parole, girò i tacchi e si allontanò.
Lui rimase per un po’ a guardarla allontanarsi, poi si girò verso il grosso portone e poggiando entrambe le mani su una delle grosse ante iniziò a spingere.
Il dolore alle braccia fu insopportabile, ma la ricompensa a quel dolore fu ineguagliabile. La luce del sole, finalmente non più attenuata dalle pareti nere, lo avvolse con il suo calore e il ragazzo si sentì come già libero.
Fece qualche passo in avanti meravigliato da quella vista. davanti a lui vi era un enorme e vastissimo prato verde che all’orizzonte si trasformava in oceano. Rimase per un po’ ad osservare lo stupendo paesaggio, poi però si riscosse. Se era davvero passato così tanto tempo, come immaginava, dalla sua cattura voleva dire che i suoi amici e tutta l’armata che avevano raccolto stavano arrivando e lui doveva avvertirli che stava bene.
Iniziò a correre, ma gli sembrava che la striscia dell’oceano all’orizzonte fosse sempre lì e non si avvicinasse mai.
Dopo quella che gli sembrò più di un’ora si fermò stanco, senza più fiato e si accasciò a terra. Le gambe, abituate all’umido e al freddo della cella, non erano più abituate a correre e gli dolevano terribilmente, mentre le braccia ormai sature di cicatrici e ustioni continuavano a bruciare, soprattutto quando il vento gelido di quell’isola sferzava su di esse.
Ma non poteva arrendersi. Appena riprese un po’ di fiato si rialzò e ricominciò a correre, pregando quel dio che l’aveva prescelto, di farlo arrivare in fretta alla sua destinazione.

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Capitolo 36
*** Pronti per la battaglia ***


CAPITOLO 36

Pronti per la battaglia

 

«Che cosa?» chiese con quella voce fredda e distaccata.
La donna si paralizzò, odiava quando usava quel tono di voce. Avrebbe preferito mille volte che urlasse, che si arrabbiasse davvero, ma quel tono di voce le metteva i brividi.
«Lo so perdonami, ma avevo…» non riuscì a finire la frase: l’uomo si era avvicinato a lei e le aveva preso il mento con una mano, stringendo forte e inchiodandola con gli occhi.
«Mi fidavo di te Sharon. Sei sempre stata la mia adepta prediletta e ho sempre cercato di non farti mancare niente…»
«Ed è sempre stato così Hell, ma gli dovevo la vita che in passato mi ha salvato. Giuro che d’ora in poi non ti deluderò più.»
Lui con gesto scocciato le lasciò il mento e si voltò dandole le spalle.
«Ti credo. Ma se mi tradirai ancora, ti ucciderò con le mie stesse mani, hai capito?» disse voltandosi di nuovo e trafiggendola coi suoi magnifici occhi azzurri.
La donna deglutì spaventata, poi fece un breve cenno con la testa.
«Bene. Ora avverti tutti, non vorrei far aspettare troppo i nostri ospiti. Se vogliono la guerra, la guerra avranno!»
A quelle parole dalla schiena dell’uomo spuntarono un paio di maestose ali da drago nere. Erano il doppio di quelle del prescelto del fuoco e le scaglie dell’ossatura emanavano strani bagliori rosso cupo. 
L’uomo si scrollò un po’ le spalle, come per sgranchirsi, poi la sua bocca si piegò di lato, sorridendo in modo inquietante.

 

Finalmente il ragazzo riusciva a vedere più nitidamente l’oceano. Ormai era quasi arrivato. La vasta distesa di erba, stava pian piano sparendo, lasciando spazio a enormi sassi bianchi che arrivavano fino al mare. Le onde maestose, mosse dal vento, s’infrangevano su di essi creando magnifici schizzi di schiuma. 
All’inizio non si rese conto di dove stava camminando, perché la perfezione di quel paesaggio l’aveva quasi incantato. Poi però una fitta alla pianta del piede lo fece rinsavire. Abbassò lo sguardo sul piede nudo e su una delle pietre notò subito un po’ di sangue, che con quel suo rosso accesso dava subito all’occhio sulle pietre candide. Capì immediatamente che era suo, ma non poteva farci molto, così continuò a camminare, cercando però di stare attento a dove metteva i piedi.
Ad un tratto però iniziò a sentire qualche leggera gocciolina sul viso e in un attimo, il cielo s’incupì e venne giù un tremendo acquazzone.

 

«Padre sei sicuro di stare bene?» chiese la ragazza preoccupata.
«Starò meglio quando toccheremo terra. Ora vai dai tuoi amici e non preoccuparti per me.»
«Ma padre io…»
«No Ran, ti ho sempre tenuta rinchiusa nel castello, ora so che ho sbagliato. Devi vivere la tua vita e in questi giorni a Tochi ho capito che sei cresciuta e hai fatto le tue scelte, e credimi non potrei essere più fiero di te. Ora vai…»
La ragazza sorrise e poi si avvicinò al padre dandogli un leggero bacio sulla guancia.
«Grazie.» disse poi, uscendo dalla piccola stanza in legno.

 

Il ragazzo si era riparato in una grotta bianca, come le pietre che la circondavano. Aveva i vestiti fradici e i capelli bagnati gli si erano appiccicati sul viso. Con un po’ di fortuna trovò abbastanza ramoscelli, davanti alla grotta, per accendere un fuoco, ma erano umidi e non sapeva quanto ci avrebbe messo. Il freddo ormai gli era entrato nelle ossa, e violenti brividi gli percorrevano il corpo. Passarono vari minuti, quando finalmente vide una piccola scintilla e subito dopo crebbe una fiammella, che si tramutò in fretta in un piccolo falò, abbastanza grande da riscaldarlo.
Da quella grotta vedeva la distesa di mare perdersi all’orizzonte, rimase molto tempo lì a guardare non sapeva quanto, ma ad un certo punto, forse per la stanchezza o forse per la calda aria che si era creata dentro la grotta, si assopì.
Non aveva la minima idea di quanto avesse dormito, a lui era sembrato pochissimo. Ma qualcuno lo stava chiamando. All’inizio pensava fosse un sogno, un bellissimo sogno e si lasciò cullare da quella voce. Poi però la voce da dolce, si trasformò e divenne preoccupata, mentre qualcosa lo scuoteva. A quel punto non poté far altro che aprire gli occhi.
La prima cosa che vide fu il suo viso e per un attimo credette di stare ancora sognando, poi lei con le lacrime agli occhi buttò le braccia attorno al suo collo, stringendolo forte. No, non stava sognando, dietro di lei tutti gli altri guardavano la scena. Lui ricambiò l'abbraccio felice. Rimasero in quella posizione per vari minuti, poi quando si staccarono, Shinichi invitò tutti dentro la grotta, sebbene l’acquazzone fosse cessato e all’orizzonte il sole stava calando sul mare.

 

«Lord…ne è sicuro?» chiese preoccupato l’uomo dai capelli lunghi.
«Più che sicuro Gin, smettila di chiedermelo.» disse lui con la sua solita voce fredda.
«Ma loro sono parecchi… insomma Sharon ha detto che sono più di una decina e noi siamo solo in nov…»
«Taci! - disse senza neanche alzare la voce, e subito l’uomo si zittì - Ora vi spiego come dovrà svolgersi questa battaglia e il primo che farà un qualsiasi errore, dirà addio alla sua vita.»

 

«È terribile!» esclamò sconvolta la ragazza, portandosi le mani alla bocca.
«Stai tranquilla Ran. Non mi fanno neanche più male. La cosa buona delle ustioni è che cicatrizzano prima delle ferite. - disse Shinichi cercando di tranquillizzarla - La cosa che mi preoccupa di più è un’altra.» concluse.
«E sarebbe?» questa volta a parlare era stata la regina della Terra dei Boschi.
Il ragazzo con un piccolo movimento delle spalle fecce comparire le sue belle ali azzurre. Una delle due era ammaccata e piegata in maniere anormale, inoltre grumi di sangue rappreso erano appiccicati sull’ossatura superiore.
«Non riesco a volare ridotto così.»
«Non ti preoccupare prescelto di Feuer - gli rispose prontamente Shuichi - Hidemi è un’esperta in queste cose, grazie alle sue enormi conoscenze ha creato vari tipi di incantesimi di cura usando gli elementi.»
La donna rispose con un cenno d’assenso.
«Sì, potrai volare di nuovo e non sentirai più dolore, ma la tua ala non tornerà come prima. Insomma, se durante la battaglia riceverai anche solo una leggera botta su di essa, non so quali potranno essere le conseguenze.»

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Capitolo 37
*** Nati per lottare ***


CAPITOLO 37

Nati per lottare

 

Non la si poteva definire una guerra. No. Una guerra aveva molte più persone a combatterla. Eppure quella battaglia, avrebbe potuto cambiare il futuro delle terre di Snaga, mettere fine a una guerra inutile. Avrebbe potuto salvare per sempre quelle terre, da quell’uomo senza coscienza e senza pietà. No, assolutamente non si poteva considerare una guerra, ma sarebbe comunque stata importante come se lo fosse.
Eppure ora erano lì. Uno di fronte all’altro. Due piccoli eserciti, due piccoli gruppi che stavano per affrontarsi in uno scontro che doveva assolutamente avere la morte come ultimo traguardo.
Dal lato nord, dando le spalle all’oceano impetuoso c’era il gruppo dei prescelti, con a capo proprio loro quattro. Ognuno nella sua armatura, che il gruppo aveva portato dal lungo viaggio. Armature che si adattavano perfettamente ai loro corpi.
Shinichi indossava una cotta di maglia e una pettorina, tagliate sulle spalle, facendo uscire vistosamente le sue magnifiche e azzurre ali da drago. Il prescelto di Luft, invece, non indossava para-braccia e le cerniere che chiudevano la pettorina erano più basse rispetto al normale, in modo che quando avesse deciso anche lui di volare, le sue braccia sarebbero state libere di trasformarsi velocemente. La principessa Ran invece, indossava solo la parte superiore della sua armatura, di fianco a loro scorreva un piccolo fiume e la ragazza avrebbe potuto usare a suo favore il potere di trasformare le sue gambe. Solo la regina della Terra dei Boschi, indossava completamente la sua armatura, ma i suoi lineamenti erano diventati ancora più allungati, le punte delle sue orecchie, non più rotonde, spuntavano da sotto i corti capelli ramati e il colore della sua pelle aveva leggermente cambiato tonalità diventando verde pallido. Ognuno dei quattro al fianco, pronta ad essere estratta, aveva una spada, forgiata apposta per loro dai guardiani di Snaga. Tutti gli altri membri del loro piccolo esercito portavano armature e armi normali. Persino i tre bambini, che avevano subito fatto amicizia, erano muniti di fionda e pronti ad attaccare.
Dall’altro lato, dando le spalle all’imponente e nero castello, c’erano gli avversari. Erano dieci uomini in tutto, nessuno di loro indossava un’armatura, come se non avessero per niente paura di affrontarli e fossero ormai sicuri di avere la vittoria già nel palmo della mano. Davanti a tutti lui. Il “folle”. Nella sua più unica perfezione. La pelle, sempre perfettamente liscia e senza nessuna deformazione, aveva preso una tonalità grigiastra che lo faceva sembrare ancora più attraente, mentre un paio di enormi ali da drago nere gli spuntavano dalla schiena. I suoi penetranti occhi blu scrutavano uno per uno gli avversari, senza però far trasparire nessuna emozione, né sorpresa, né sconforto, nemmeno gioia, il suo sguardo era completamente impassibile.
Dietro di lui, i suoi adepti. Avevano solamente le armi in mano e aspettavano con impazienza l’ordine per attaccare.
L’unico rumore sembrava essere il vento che sferzava, poi qualcosa si mosse negli animi di tutti e, un attimo dopo, ogni piccola armata caricava contro gli avversari.
I quattro prescelti estrassero con un grido le loro spade, ognuna adatta per il proprio elemento e per il proprio corpo, facendole subito incrociare con quella di uno degli avversari.
Per vari minuti verso il cielo si alzarono solo i clangori delle spade che s’incrociarono. Le menti sveglie, i corpi freschi e riposati permettevano movimenti agili e veloci. Nessuno sembrava prevalere sull’altro. Nessuna ferita nasceva sui loro corpi, che ancora si battevano e schivavano in maniera perfetta. L’unico fermo, immobile che guardava quello spettacolo era lui. Aveva mandato i suoi uomini a combattere, ma lui non si era mosso e guardava la battaglia come assorto in un meraviglioso sogno.
Passò parecchio tempo. Non si poteva calcolare, ma il sole stava quasi per arrivare al punto più alto del cielo, mancavano poche ore. Era molto che combattevano e la fame e la stanchezza iniziavano a farsi sentire da entrambi i lati. Eppure la situazione non era cambiata e ognuno stava ancora combattendo con il nemico che aveva incrociato all’inizio della battaglia.
Ad un tratto però, qualcosa ribaltò radicalmente quella situazione di stallo. Ayumi, che era rimasta indietro coi suoi compagni e che guardava assieme a loro quella danza mortale, lanciò un grido e cadde a terra iniziando a contorcersi.
La battaglia si fermò, e se gli adepti guardavano la scena con piccoli sorrisi beffardi, i compagni della bambina sgranarono gli occhi terrorizzati, mentre lei continuava a urlare e a contorcersi come se qualcuno la stesse torturando. Gli altri due bambini spaventati continuavano a chiederle cosa avesse, ma lei non riusciva a rispondere.
Shinichi si guardò intorno, cercando la causa di quello strano comportamento, poi lo vide. I suoi occhi blu erano fissi sulla bambina e la sua bocca era piegata in quel sorriso terribilmente seducente e perfido allo stesso tempo.
«Hell, lasciala stare!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
A quelle parole successero tante cose assieme. Gli adepti trattennero il fiato inorriditi, la piccola bambina della Terra dei Boschi si afflosciò sul prato verde riprendendo fiato, mentre quello sguardo terrificante si voltò verso di lui. La battaglia sembrava essere passata in secondo piano, erano tutti fermi e zitti e guardavano con un nodo in gola la scena.
«Come sai il mio nome, sudicio rettile.» disse con la sua voce melodica.
Shinichi aveva subito colto, sia dal tono di voce che dallo sguardo, la furia e l’ira della sua razza e sapeva che poteva sfruttarla in suo favore. Sapeva benissimo che un abitante della Terra dei Fuochi, orgoglioso come loro due, poteva accecarsi dall’ira e commettere errori. Perciò sorrise beffardo e gli rispose.
«Ho sbagliato per caso? Lo so, perché Feuer non dimentica chi ha esiliato per sempre!»
A quelle parole, come se fossero state una piccola scintilla, l’uomo scattò come una molla verso di lui. Appena le loro due lame s’incrociarono, la battaglia ricominciò di nuovo.
Ormai la stanchezza, quasi come la tensione, era palpabile. La battaglia sembrava sempre più rallentare sotto di loro, che combattevano in aria grazie alle loro ali.
Era passata un’altra ora, se non di più. Poi, una distrazione, sotto di loro un rumore si aggiunse al clangore, un tonfo e subito dopo un urlo disperato, anzi un nome, pronunciato da una voce inconfondibile.
«Eisukeeeeeeeeee!»
Abbassando lo sguardo la vide correre verso un corpo riverso a terra. Lo riconobbe subito, la montatura degli occhiali storta sul naso e il volto straziato dal dolore. Sul petto spuntava l’impugnatura lucente di un pugnale e attorno ad essa l’armatura sembrava essersi sciolta inspiegabilmente.
La distrazione durò più del previsto e in un attimo sentì il dolore annebbiargli la vista. La spada del suo avversario l’aveva colpito al fianco, dilaniandogli cotta di maglia e carne. Hell ritirò la lama e al ragazzo mancò per un attimo il respiro, scosse la testa intontito e prima che l’avversario potesse calare un altro colpo si scansò e ripartì alla carica cercando di non pensare a cosa succedesse di sotto, anche se la cosa sembrava impossibile.
Dopo aver visto che per il suo amico non c’era più niente da fare, Ran si buttò con ancora le lacrime agli occhi verso l’uomo che aveva tirato il pugnale. Lui sogghignò e appena la ragazza arrivò incrociò la spada con la sua. 
«Mia principessa…» la schernì lui squadrandola attraverso le due lame incrociate coi suoi occhi di ghiaccio.
«Questa me la paghi Tooru!» rispose lei furiosa, mentre ancora qualche lacrima le rigava il viso.
Anche loro ricominciarono a muoversi e a duellare isolandosi dai compagni.
La regina della Terra dei Boschi, invece, era già nel pieno del suo duello mortale. Davanti a lei la sua unica nemesi, colei che pensava di aver ucciso mesi prima al castello e che invece si trovava ancora lì, con la sua chioma biondo platino e gli occhi di ghiaccio. Le due donne si muovevano sempre con un agilità straordinaria sebbene ci fosse la stanchezza e le varie piccole ferite che rallentavano i movimenti.
Il ladro della Terra dei Venti invece combatteva contro un uomo dai lunghi capelli argentei e i piccoli occhi freddi. Il ragazzo sembrava troppo agile e svelto per lui che sembrava più un uomo da armi a distanza, dato che maneggiava la sua spada in modo goffo. Kaito pensò che molto probabilmente era un lanciatore di coltelli, scorgendo per caso due piccole impugnature di ferro alla cinta dei pantaloni.

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Capitolo 38
*** Il sacrificio ***


CAPITOLO 38

Il sacrificio

 

Il ritmo della battaglia sembrava non diminuire, sebbene la stanchezza si stava impossessando di quasi tutti i componenti.
Shinichi stava continuando a combattere e il suo rivale sembrava instancabile, nessuno dei suoi affondi riusciva a colpirlo e pareva sempre molto più veloce di lui.
Il sangue continuava a colare viscido e denso da sotto la cotta di maglia, provocandogli lunghi brividi lungo il fianco. Eppure non si voleva arrendere. Non poteva, lo doveva fare per il futuro della sua terra. Perciò continuava a lanciare la sua spada in assurdi affondi, cercando di penetrare la sua maestosa lama rosso fiammante nella carne di quell’uomo senza scrupoli.
Anche sotto, sulla terra ferma la battaglia continuava a imperversare.
Heiji e Kazuha stavano affrontando insieme un omone spesso e nerboruto coi corti capelli neri e un volto grottesco e squadrato. Nonostante le sue dimensioni e la sua corporatura, l’uomo si muoveva agilmente e per i due ragazzi sembrava parecchio difficile tenergli testa. Ma giocavano di squadra, difendendosi a vicenda dagli affondi dell’avversario.
Hidemi, invece, dopo aver visto morire suo fratello, disperata, si era messa in un angolo vicino al trio di bambini. Stava in ginocchio con gli occhi chiusi e le mani giunte, pregando gli dei di aiutarli. I tre piccoli le guardavano le spalle, lanciando piccoli sassi con la fionda a chiunque si avvicinasse troppo a loro, dopodiché qualcuno interveniva e sottraeva il nemico da loro facendogli intraprendere un nuovo duello. L’ultima persona che si avvicinò a loro fu un uomo. Aveva il volto scavato contornato da corti capelli biondo cenere brizzolati. I piccoli occhi grigi li fissavano mentre camminava velocemente verso di loro. Scansò la prima pietra con un movimento veloce, ma la seconda, quella della piccola Ayumi, lo colpì al braccio. 
Subito dopo però gli si parò davanti uno dei guardiani. Era un uomo baffuto e, sebbene dimostrasse una certa età, si muoveva molto agilmente. Intraprese subito una lotta senza esclusione di colpi con il mago delle ombre, ma i suoi sforzi e la sua bravura non bastarono. L’uomo dopo una serie di colpi mirati lo atterrò. Il guardiano chiuse gli occhi, ma poco dopo gli riaprì sentendo un urlo e poi un tonfo, come di qualcosa che cadeva proprio vicino a lui. Appena i suoi occhi celeste sbiadito furono aperti vide il suo compagno estrarre un pugnale dal petto dell’uomo che fino a poco prima stava affrontando.
«Dovresti stare attento James, forse è meglio che te ne stai tranquillo vicino a Hidemi.» disse con un sorrisino sarcastico.
«Stai scherzando? E lasciare tutto il divertimento a te? Non se ne parla proprio, Shuichi.» rispose prontamente lui, poi entrambi attaccarono un omone enorme che li sovrastava di parecchie spanne.
Il re delle Terre dei Mari, sebbene non sapesse assolutamente combattere, sembrava avere molta fortuna dalla sua parte. I suoi movimenti goffi e imprecisi, prendevano alla sprovvista il suo avversario che doveva stare attento ad ogni suo spostamento.
Kaito continuava ad affrontare l’uomo coi lunghi capelli che nonostante tutto riusciva ancora a tenergli testa. Il fatto era che il ragazzo era Ombra Bianca, un ladro, era abituato alla furtività e non al corpo a corpo. La lama bianca della sua spada scintillava alla luce del sole, ma ancora non era riuscita a colorarsi di rubino, decretando la sua vittoria. A dargli man forte arrivò lei. I suoi occhi sembravano decisi e determinati e i suoi movimenti erano fluidi. Per un attimo il giovane prescelto dell’aria si perse in quel corpo sinuoso poi scuotendo la testa ricominciò ad attaccare l’avversario.
Anche Shiho non se la stava cavando male, come qualche mese prima, stava combattendo con tutta la determinazione che aveva in corpo. Finalmente dopo tanto tempo aveva l’occasione di vendicare sua sorella e non si sarebbe fermata davanti a niente. Nemmeno davanti a quella donna pantera, che sembrava essere scattante quanto lei, sebbene probabilmente aveva il doppio della sua età, se non di più. Già, adesso che ci pensava Sharon non poteva essere così giovane. Sua sorella in una delle sue ultime lettere le aveva detto che era stata una grande amica dei loro genitori, quindi com’era possibile che fosse ancora così bella e atletica? Una stoccata veloce, la ragazza parò senza nessun problema, creando un po’ di scintille per via dell’incrocio delle due lame. Fece un affondo con la sua sottile lama dal color dell’erba, ma l’avversaria lo schivò senza problemi, dopodiché la regina tornò ai suoi pensieri, continuando però a controbattere i colpi della bionda. Tra i vari ruoli e incarichi da alchimista ce n’era stato uno che riguardava il ringiovanimento e la vita eterna, e molto probabilmente era lo stesso che teneva ancora bello, giovane e attraente quell’uomo spietato a capo di tutti i maghi dell’ombra. Sicuramente era così, ormai non aveva più dubbi. Un’altra stoccata più violenta delle altre le fece perdere il filo dei pensieri per la seconda volta, così decise di concentrarsi nuovamente solo sul duello.
Solamente Ran pareva in difficoltà, il suo ex domestico sembrava essere sempre un passo avanti a lei e prevedeva ogni sua singola mossa. Eppure la ragazza non sembrava voler arrendersi, nonostante le varie piccole ferite provocate dal ragazzo, continuava ad accanirsi contro di lui con la sua lama azzurra come l’oceano. Avrebbe vendicato la morte del suo amico a qualunque costo.
Nessuno però si era accorto che un membro dei maghi dell’ombra si era allontanato dal nucleo della battaglia e si era appostata su un’altura in mezzo ai massi bianchi, lontano da tutti. La donna aveva due piccoli e glaciali occhi verdi che scrutavano la landa in cui infuriava la battaglia. La sua parte destra del viso sembrava dipinta, strane linee e ghirigori componevano una farfalla viola attorno al suo occhio, mentre i biondi capelli a caschetto le scendevano incorniciandole il viso.
La donna con un leggero sorriso sul volto tese la corda del suo arco prendendo bene la mira, poi con un sonoro schiocco la lasciò andare e la freccia venne scagliata lontano centrando il suo obbiettivo.
Shinichi stava continuando a combattere quando un nuovo urlo lo distrasse per la seconda volta. Questa volta era stata una voce maschile. Serrò per un attimo gli occhi e si convinse a non guardare cosa stava succedendo, per non perdere nuovamente la concentrazione, sebbene continuava a tendere le orecchie per capire chi fosse stato colpito questa volta.
«Masumi, ti prego resisti!» disse l’uomo tenendo la ragazza tra le braccia.
Lei tirò gli angoli della bocca in un leggero sorriso, poi poggiò una mano tremante sulla sua guancia. 
«Grazie Shu, per tutto…»
«Masumi tu…» l’uomo sgranò gli occhi sconvolto.
«Sì, lo so. L’ho scoperto due giorni fa sulla nave. L’ho sentito mentre lo dicevi a James, non credevo che ti avrei rivisto…» la ragazza non riuscì a concludere la frase e strinse forte i denti con un gemito.
«Masumi, non mi lasciare anche tu, ti prego!»
«Ti voglio bene…fratellone…» a quelle parole i suoi occhi si chiusero decretando la fine della sua vita.
L’uomo senza un fiato e senza una smorfia né di dolore né di rabbia si alzò di nuovo in piedi e prese l’arco che fino a quel momento aveva avuto a tracolla, dopodiché con una velocità sovrumana incoccò la freccia e la scagliò contro la donna sull’altura centrandole l’occhio. La donna si contorse un po’ e poi si afflosciò del tutto sull’altura.
I due continuavano a combattere l’uno contro l’altro, seguendo ciò che succedeva sotto. Appena notò che un’altra dei suoi adepti era caduta, sul viso dell’uomo si dipinse una smorfia di fastidio che però non riusciva a modificare la bellezza di quel volto. Il ragazzo notò subito quell’espressione nel volto del rivale e sorrise compiaciuto.
«Ci hai sottovalutati Hell…» ma non riuscì a finire la frase. 
L’uomo l’aveva preso per la cotta di maglia e lo teneva davanti a se, trafiggendolo coi suoi occhi spietati e penetranti allo stesso tempo.
«Sei tu che mi hai sottovalutato mio caro. Tu non hai idea di con chi hai a che fare. Io controllo tutti i poteri. Io posso bloccare il tuo intero corpo in modo che non ti possa muovere…»
In un attimo il ragazzo sentì tutti i muscoli irrigidirsi, persino le sue ali si erano completamente bloccate e rimaneva sospeso per aria solo grazie al suo rivale che lo teneva ancora dalla cotta.
«… Posso ordinare alle radici di ogni pianta di stritolarti finché non riuscirai più a fare altro che guardarmi…»
A quelle parole quattro sottili e lunghissime radici si sollevarono dal terreno e salirono velocemente verso di loro avvolgendosi attorno al suo corpo, ancora sotto l’incantesimo di prima non riuscì ad evitarle. Esse si strinsero attorno a lui e in un attimo sentì un sonoro crack e un dolore indescrivibile alle ali gli fece capire cosa era successo, la forza delle radici gliele aveva spezzate e l’aveva stretto tra le sue spire.
«… Posso accendere un fuoco dentro di te, come ho fatto alla tua piccola amica…»
Sentì un bruciore dentro, come se avesse la febbre, poi però il bruciore aumentò talmente tanto che diventò un dolore indescrivibile. Iniziò a dimenarsi quel poco che gli permettevano le radici, mentre il dolore lo percorreva in ogni fibra del suo corpo. Voleva urlare, ma non ebbe il coraggio di farlo, non voleva dargli anche quella soddisfazione così resistette, mentre due piccole lacrime, dovute al dolore scendevano dai suoi occhi azzurri pieni d’odio.
«… Posso perfino bloccare l’aria che respiri…»
Per un attimo gli mancò il fiato, sebbene provasse a respirare i suoi polmoni non si riempivano di nuova aria, era come se fosse in apnea. Durò pochi secondi e in quei pochissimi attimi il ragazzo pensò che fosse finita. Poi però l’uomo sorrise nel vedere il suo sguardo terrorizzato e annullò gli ultimi suoi due incantesimi.
«Allora mio piccolo mago, pensi ancora di poter vincere?»
L’odio per quell’uomo aumentò in modo incondizionato, voleva vederlo finito, doveva assolutamente vincere. Ma non poteva muoversi, aveva le ali spezzate e varie ferite che lo tormentavano, mentre il suo nemico era tranquillo e ghignante.
Ad un tratto però un nuovo urlo li distrasse entrambi. Il cuore del ragazzo balzò in petto nel sentire nuovamente la sua voce. Abbassò lo sguardo e per un attimo ebbe l’impressione che Hell gli avesse fatto di nuovo l’incantesimo dell’aria, perché gli si mozzo il fiato. Sotto di loro Ran era a terra, una ferita rossa le percorreva la gamba e non riusciva più a rialzarsi, mentre Tooru era sopra di lei ghignante. 
«Raaaaaaaan!» urlò disperato.
Ad un tratto si accorse che per la distrazione il suo nemico aveva allentato l’incantesimo delle radici perciò senza pensarci allungò il braccio verso la cintura e afferrò il coltello, mentre si concentrava sulle le radici che presero subito fuoco, dopodiché sfruttando la forza di gravità si lanciò sull’uomo colpendolo violentemente al petto col coltello. Avvinghiati l’uno all’altro, precipitarono verso il terreno piombando uno sull’altro. Appena atterrati il ragazzo si tirò su barcollando, prese la spada che era caduta durante gli incantesimi e si buttò contro il biondo, con una veloce stoccata lo colpì alla caviglia facendolo cadere. Si stava avvicinando alla ragazza quando qualcuno lo chiamò.
Si voltò e lo vide accasciato a terra come lo aveva lasciato, la mano sinistra che teneva l’impugnatura del coltello che gli spuntava dal petto. Fece un gesto con l’altra mano, come per invitarlo ad avvicinarsi, ma invece di muoversi lui si mosse la terra sotto i suoi piedi riportandolo al suo fianco. L’uomo si aggrappò alla sua cotta portando il viso più vicino al suo.
«Se io muoio, prima di lasciare questo mondo voglio vederti soffrire. E anche da morto vorrò essere sicuro che ti ricorderai di me.» disse con voce smorzata, poi volse lo sguardo alle sue spalle.
Appena capì cosa stava succedendo il ragazzo iniziò a correre tornando indietro. Era una corsa contro il tempo, poco dopo un lampo nero partì dalla mano tesa di Hell.
«Ran spostati da lì!» urlò poi si buttò su di lei.
Un lampo abbagliò tutto, lasciando per un attimo tutti quanti cechi, poi un urlo straziato.
Le lacrime gli iniziavano già a rigare il viso.
«Shinichi rispondimi. Ti prego Shinichi, non mi lasciare. Shinichiiiiiiiiiiiiiii!»

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Capitolo 39
*** Lontani ricordi ***


CAPITOLO 39

Lontani ricordi

 

C’era sangue. Sangue dappertutto. Sulle sue mani tremanti, su tutto il suo corpo, ma soprattutto su di lui. Il suo braccio destro era talmente coperto di sangue che non si vedeva più la carne, sempre se ne era rimasta. Si era tinto tutto di rosso e lei continuava a chiamarlo, ma non riceveva nessuna risposta.
Si svegliò di soprassalto. Aveva il viso bagnato, un po’ dal sudore e un po’ dalle lacrime. Quel ricordo la attanagliava ormai da anni e la tormentava quasi ogni notte. Si girò alla sua destra e il vedere quell’enorme spazio vuoto sul letto le fece venire un brivido. Poi, qualcosa la distolse dai suoi pensieri. Una vocina delicata e spaventata.
«Mamma…non riseco a dormire…»
Si girò per vedere chi parlava, anche se lo sapeva già. All’ingresso della porta c’era un bambino che si dondolava sulle gambe intimidito. Era nella semioscurità, ma lei sapeva che aveva i capelli neri spettinati e ribelli e due bellissimi occhi azzurri. Sorrise, poi alzò le coperte alla sua destra.
«Vieni tesoro, fai compagnia alla mamma.» disse lei e il bambino corse subito sotto le coperte.
«Mamma, ma stavi piangendo?» fece lui guardando qualche piccola lacrima scintillare sul volto della donna.
Lei si asciugò il viso con il dorso della mano e poi sorrise al figlio rassicurandolo e dicendogli che era tutto a posto.
Dopo poco si addormentarono l’uno abbracciato all’altra.

 

Il tavolo come al solito era imbandito di leccornie. Grossi bignè alla crema, soffici torte, deliziose crostate e varie caraffe contenenti succhi di ogni tipo e latte.
Il bambino mangiava voracemente una pasta, tanto grande che non riusciva a tenere bene con le sue piccole manine. Morsicandola, un rivolo di crema era fuoriuscito sporcandogli tutte le ditina.
«Fewa, un po’ di contegno, sembra che non mangi da giorni.» disse la donna, che stava elegantemente tagliando una fetta di torta col coltello e il bambino la guardò un po’ corrucciato, con la bocca piena.
«Tua madre ha ragione, piccola peste, sei un principe ora.»
«Uffa!» sbuffò il bambino mettendo su il broncio, si pulì le mani nel tovagliolo e prese una forchetta.
Non ebbe il tempo di dare un’altro boccone, perché qualcuno bussò educatamente all’enorme porta della sala da pranzo e, dopo l’invito a entrare, spinse uno dei due battenti. Alla soglia apparve una donna magra, ma molto bella, il viso delicato era un po’ tirato per via dello chignon che le teneva i capelli legati e due bellissimi occhi verdi si abbassarono un attimo in un mesto inchino.
«È tornato dalla battuta di caccia, maestà.» disse.
Subito dopo da dietro la porta apparve anche lui. Alto, snello il sorriso stampato in faccia. Il bambino mollò subito la forchetta sul piatto e si buttò giù dalla sedia.
«Papà!» urlò saltandogli poi al collo.
L’uomo lo prese al volo con un solo braccio e il bambino si strinse forte a lui.
«Allora ometto, com’è andata la settimana?» chiese rivolgendosi al figlio.
«Male. La mamma e il nonno non fanno altro che sgridarmi. Mi diverto solo con te!» rispose lui con un tono di voce sommesso, facendo il muso.
A quelle parole sorrise di gusto, poi si avvicinò al tavolo e rimise il bambino sulla sedia, mettendosi di fianco a lui.
«Bentornato tesoro.» gli sorrise quella che da ormai parecchi anni era sua moglie.
«Grazie» rispose lui, poi si allungò verso di lei prendendole il mento e la baciò affettuosamente.
«Bleah!» protesto con aria disgustata il bambino, facendo ridere di nuovo il padre, che gli scompigliò ancora di più i capelli neri.
«Vostro figlio a ragione, non mi sembra il caso di avere certe effusioni a colazione.» disse l’altro uomo continuando a mangiare.
«Ma padre, non lo vedo da una settimana e poi è solo un bacio.» disse la donna sorridendo.
«Sì, questa mi pare di averla già sentita. Se non sbaglio otto anni fa.» a quelle parole i tre adulti cominciarono a ridere, mentre il bambino li guardava un po’ confuso.

 

«Dovresti cambiarti, ragazzo. Ora sei un reale, non puoi andare in giro con quegli indumenti.»
L’uomo si guardò. Indossava un paio di brache larghe e un po’ sgualcite, una casacca bianca pulita e una pettorina in pelle marrone che si stringeva sugli ormai possenti pettorali.
«A me piacciono questi vestiti. Ma le prometto, padre, che mi abituerò anche a questo e comincerò a vestirmi come si conviene a un re.» disse lui sorridendo.
«Bene.» disse l’uomo, poi salutò la figlia e il nipote ed uscì dall’enorme sala del trono, sfiorandosi i baffetti grigio scuro.
«Kazuha, siediti, ora puoi smetterla con tutte queste formalità.» sorrise la regina e la donna dagli occhi verdi, si sedette su una sedia aggiustandosi il vestito.
Poco dopo un paggio entrò nella sala e con un inchino si rivolse al sovrano.
«Maestà un cavaliere della Terra dei Fuochi e il suo scudiero chiedono udienza. Dicono che è urgente.»
L’uomo guardò confuso la moglie, ma lei sembrava ancora più stupita, così con un leggero gesto invitò il paggio a farli entrare. Quest’ultimo scomparve dietro la porta che rimase socchiusa.
Dopo neanche una decina di secondi da essa spuntarono due persone. Il primo era un uomo alto, dai possenti muscoli e la carnagione scura. Indossava un’armatura lucente e sulla pettorina era dipinto un maestoso drago di fuoco. Il secondo invece era un ragazzotto mingherlino che indossava delle brache e una casacca rossi, il suo volto scavato era cosparso di lentiggini.
Appena i due apparirono alla soglia la donna dagli occhi verdi scattò di nuovo in piedi.
«Heiji!» urlò correndo verso l’uomo e abbracciandolo.
Lui ricambio l’abbraccio e la bacio dolcemente. Dopodiché tutti e tre si avvicinarono alla famiglia reale. L’uomo salutò sia il re che la regina con fare amichevole, poi rivolse lo sguardo al bambino.
«E tu devi essere il piccolo Fewa, giusto?» disse chinandosi di fronte a lui.
Il bambino lo guardò con aria un po’ interrogativa poi chiese:
«Sei davvero un cavaliere?»
«Puoi ben dirlo piccolo, sono stato investito solo una settimana fa.» sorrise.
«Davvero?» chiese nuovamente il bambino, mentre già gli si illuminavano gli occhi, ma non ebbe il tempo di ricevere la risposta, perché il paggio era rientrato e aveva annunciato un nuovo arrivo.
«Maestà, il re e la regina della Terra dei Boschi.» disse con voce educata.
«Falli entrare!» sentenziò subito il re.
Dopo poco entrarono nella sala due elegantissime persone. Un uomo e una donna. La donna indossava un bellissimo vestito di seta verde pallido con delle stupende balze alla gonna, i merletti d’oro e delle belle scarpe color crema. Aveva corti capelli ramati e un sorriso scarlatto. Per un attimo il Re rivide in lei la bella donna che lo aveva sedotto parecchi anni prima.
L’altro era un uomo alto e atletico, gli occhi verdi e magnetici e lo sguardo glaciale. Anche lui era vestito elegantemente, la sua divisa verde s’intonava perfettamente con quella della compagna. Dietro di loro una giovane e bella ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi color del cielo.
«Shiho, Shuichi sono felice di vedervi.» li salutò cordialmente la Regina.
«Anche noi.» rispose la bella donna salutando entrambi.
«A-Ayumi, sei bellissima...» balbettò lo scudiero lentigginoso, arrossendo un po’.
«Grazie.» rispose la ragazza.
Dopo pochi minuti, con un nuovo annuncio, arrivarono anche una bella donna dagli occhi blu scuro e dai capelli castani accompagnata da un ragazzo alto e robusto con la testa rasata e un sorriso compiaciuto sul viso.
I sovrani salutarono anche loro.
«Aoko, dove hai lasciato quel ladruncolo da strapazzo?» chiese il cavaliere della Terra dei Fuochi.
«Ha detto che aveva da fare e non è venuto.»
«Allora? Come mai tutti qua?» chiese nuovamente il re, un po’ stupito di rivedere tutti quei vecchi amici.
«Che domande? Ti ricordi che giorno è oggi? Sette anni fa hai salvato le terre di Snaga!» sentenziò il cavaliere dalla pelle scura.
«Abbiamo! - lo corresse il sovrano. - Già, ho sempre cercato di rimuovere dalla mia mente quel giorno, ma a quanto pare sarà impossibile.» disse rattristandosi un po’.
«Shinichi, scusa noi…»
«Tranquillo Heiji! - disse sorridendo, poi si alzò - Bene, allora siete tutti invitati a pranzo. Vado a cambiarmi e torno subito, intanto recatevi pure nella sala da pranzo.»

 

Era nei suoi appartamenti. Si stava cambiando, indossando la sua divisa migliore. Era di un blu scuro, con le rifiniture rosse. Aveva già indossato pantaloni e stivali e stava per mettersi la camicia bianca, quando qualcuno lo bloccò.
Una mano fredda come il ghiaccio gli teneva fermo il braccio sinistro, e l’altra teneva premuta la lama di un coltello sul suo collo. Un brivido gli percorse la schiena nuda, quando sentì quella voce sussurrargli nelle orecchie.
«Te l’avevo detto che ti avrei reso la vita un inferno.»
«C-co-come è-è po-poss-possibile t-tu…»
«Io ero morto vero? Beh ti sbagliavi mio caro. Io sono immortale. Ho aspettato ben sette anni per avere la mia vendetta. Ero ridotto malissimo, mentre tu… Tu hai soltanto perso un braccio e ti sei guadagnato qualche anno di balbuzie per lo shock. Ma oggi avrò la mia vendetta!»
Sentì il coltello premere più forte sul suo collo e serrò gli occhi, pensando che ormai fosse la fine. Poi però sentì una risata e la presa dell’uomo si allentò. Quando fu libero il sovrano si girò di colpo. Davanti a lui non c’era chi si aspettava. 
Era un uomo identico a lui, non fosse per il fatto che i suoi capelli erano più chiari e ribelli e aveva entrambe le braccia.
«Kaito, ma sei pazzo? Mi hai fatto prendere un colpo!» urlò esasperato il sovrano, mentre l’altro continuava a ridere.
«E dai Shinichi era uno scherzo innocuo. - finì di ridere e lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi - È bello rivederti amico mio.» disse allargando le braccia.
«Vale anche per me!» rispose Shinichi abbracciandolo.

 

FINE

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