Hai paura?

di alix katlice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Dove tutto ebbe inizio. ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo - Dove Alexa fa conoscenza con Nathan ed Avrile trova la porticina del salotto. ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo - Dove Julia fa conoscenza con Roberta e Avrile riceve la chiave. ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo - Dove l’Altra Madre inizia ad agire e arriva la nuova vicina. ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo - Dove Alexa e Nathan ripassano Educazione Sessuale e Avrile varca la porticina. ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo - Dove i genitori non litigano e Alexa non esiste. ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo - Dove Nathan è nei guai. ***
Capitolo 8: *** Settimo Capitolo - Dove si cena e si mente. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Capitolo - Dove Avrile non si trova e niente va per il verso giusto. ***
Capitolo 10: *** Nono Capitolo - Dove Alexa e Nathan non si trovano e Coraline da inizio ai giochi. ***
Capitolo 11: *** Decimo Capitolo - Dove si chiarisce cosa sta succedendo dietro la porta. ***
Capitolo 12: *** Undicesimo Capitolo - Dove Wybie torna alla casa e Nathan fa la sua scelta. ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo Capitolo - Dove non tutti tornano nel mondo Reale. ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo Capitolo - Dove ci si prepara. ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo Capitolo - Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Uno. ***
Capitolo 16: *** Quindicesimo capitolo - Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Due. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Dove tutto ebbe inizio. ***


 

Prologo
Dove tutto ebbe inizio.

 
 
 
 
 

- I gatti non hanno nome - disse il gatto.
- Voi persone avete un nome. E questo perché non sapete chi siete.
Noi sappiamo chi siamo, perciò il nome non ci serve.
- Il Gatto
“Coraline”

 
 
 
 
 
 
Avrile decise che quello sarebbe diventato un giorno orribile, forse il più orribile di tutti.
Avrile aveva dieci anni, una fervida immaginazione e una paura non molto normale per gli oggetti gialli. Possedeva dalla nascita una madre, un padre e una sorella quindicenne rompipalle -proprio la parola che aveva usato lei per definirla quel giorno che era venuto il suo fidanzato, e lei non li aveva voluti lasciare da soli-.
Avrile guardava annoiata fuori dal finestrino della piccola macchina rossa dei suoi genitori; correvano veloci molte goccioline di pioggia, e lei faceva il tifo perché quella più piccola arrivasse alla fine del vetro prima delle altre.
- Ale, ti dispiacerebbe abbassare un po’ il volume della musica? Io e tuo padre stiamo cercando di parlare – disse sua madre rivolta ad Alexa, che era sdraiata con la testa sulle gambe di Avrile e le cuffie viola sulle orecchie. Effettivamente teneva il volume della musica ad un livello assurdamente alto, tanto che si sentiva come se le cuffie non ce le avesse.
- Ehi, Ale, potresti abbassare la musica? – le chiese Avrile, accarezzandole i capelli.
In risposta ricevette un mugolio contrariato, molto simile ad un - lasciatemi in pace -.
Avrile non era molto felice di trasferirsi in quella vecchia casa decrepita, ma almeno aveva la decenza di non dimostrarlo così apertamente; Alexa, invece, aveva iniziato lo sciopero della fame. Era complicata lei, con i suoi strambi amici che fumavano e che avevano tutti quei tatuaggi e piercing; in più, Avrile -una volta- l’aveva trovata in bagno, con la lametta in mano e le braccia scoperte piene di graffi sanguinanti. Naturalmente aveva promesso di non dire niente ai loro genitori, ma lei era rimasta molto scossa dalla cosa; da lì aveva capito che sua sorella aveva dei problemi, molti problemi.
La macchina intanto si era fermata davanti ad una grossa villa, a prima vista abbandonata.
- Questa è la nostra nuova casa? – chiese Avrile con disgusto.
- Sì, non è magnifica? – disse la mamma con tono adorante.
- Beh, possiamo sistemarla. Ora scendiamo, il camion dei traslochi sta già scaricando la roba in casa.
 
***
 
Alexa era stanca della sua vita.
Alexa era sdraiata sul suo letto.
Nella testa le rimbombavano le parole del suo ragaz… ex-ragazzo, oramai. Al pensiero una piccola lacrima dispettosa le scivolò sulla guancia. Cosa le aveva detto? Ah, sì. - Sei solo una mocciosa. Io voglio una vera donna, non una mocciosetta autolesionista sempre incazzata con il mondo. E poi non riuscirei a gestire una relazione a distanza, perciò, addio. -
Pensò che fosse davvero uno stronzo. Insomma, erano stati insieme per due mesi e tutta questa roba che lui aveva contro di lei non gliel’aveva mai detta.
Si ritrovò in piedi senza accorgersene e le sue gambe la condussero verso il bagno, il suo piccolo bagno personale che era riuscita a estorcere con la forza ai suoi genitori. E pensare che loro non volessero nemmeno che lei avesse una camera tutta per sé.
Arrivò nel bagno e si guardò allo specchio: gli occhi verdi erano spenti, i capelli neri, ricci, le cadevano quasi a mazzetti sulle spalle. Sbuffò e tirò fuori dal cassetto bianco sotto lo specchio la sua piccola trousse. Osservò per alcuni minuti la lametta, rigirandosela fra le mani, fino a che non si decise: tirò su la manica e sobbalzò alla vista degli altri lunghi tagli orizzontali che spiccavano sulla sua pelle quasi bianca. Non si era ancora abituata ai segni esterni della sua inquietudine.
Poi, poggiò la lama sul braccio e la fece scorrere.
Pianse.
 
***
 
Avrile era stanca delle urla dei suoi genitori.
Nuova casa, certo, ma non nuova vita. Forse era proprio questo che loro non capivano: non bastava cambiare luogo dove vivere, bisognava anche cambiare comportamento e modo di fare.
Era uscita proprio per non dover più sopportarli, e si era ritrovata in un immenso giardino, anche se la maggior parte dei fiori erano appassiti. Lì iniziò a girovagare un po’ in giro, finché non notò un gatto nero su una roccia. Si avvicinò saltellando e si sedette davanti a lui, per fare conversazione. Iniziò a immaginarselo come un bambino della sua età, un piccolo bambino paffuto con le guance rosse e i capelli arancioni come le carote…
- Ciao… Gatto. Come stai? – gli chiese.
Il gatto inclinò la testa da un lato, e subito Avrile lo imitò.
- Significa che stai bene?
Il gatto strizzò gli occhi, poi voltò il suo musetto rosa verso la casa e miagolò. Subito anche Avrile si voltò.
- Stai cercando di dirmi qualcosa sulla casa? – gli domandò assottigliando gli occhi e passandosi la lingua sulle labbra. Sarebbe diventato il suo nuovo gioco, ne era certa. Questa volta si sarebbe chiamata “La Detective in nero”, perché il gatto era nero. Poi lei il giallo lo odiava, anche se era quello il colore dei Detective.
Il gatto intanto miagolò nuovamente, indicando con il musetto la casa.
- È bella la mia nuova casa, vero? – chiese Avrile al gatto, ma lui miagolò di nuovo. Questa volta il suono era diverso, contrariato quasi, forse persino arrabbiato.
- Io penso sia bella.
 
***
 
Julia Ryans era stanca di suo marito.
Jack era una persona senza spina dorsale, scialba, senza carattere: tutto il contrario di lei, sempre attiva e solare. Avevano capito che c’era qualcosa che non andava almeno due anni fa, e per questo avevano iniziato a traslocare di casa in casa, di città in città, ma non avevano mai avuto la pace che speravano di trovare.
Non volevano separarsi, però; pensavano che si amassero ancora, che un qualcosa ci fosse dopo tutto quello che avevano passato.
Inutile dire che oramai non c’era più niente, ma loro erano troppo ciechi, troppo ipocriti per capirlo.
Il giorno del loro arrivo nella nuova casa erano piuttosto tranquilli. Non avevano litigato dalla sera prima, e stavano mettendo a posto tranquillamente i mobili. Ad un certo punto arrivò un messaggio al cellulare di suo marito. Cercò di chiamarlo, ma lui non la sentì. Perciò aprì il messaggio.

Ci vediamo alle 19:30 al bar all’angolo, dolcezza.
Roby <3

Il cellulare cadde a terra e lo schermo si scheggiò, ma Julia non ci fece caso.
- Bastardo traditore.
 
***
 
Nathan era quello che comunemente tutti chiamavano sfigato.
Era bello, ma questa era l’unica cosa certa. Aveva sottili capelli blu e occhi neri, un viso dai lineamenti dolci e una personalità introversa. Se ne stava sempre in biblioteca a leggere, e in classe non faceva altro che rispondere male ai professori: per questo molta gente aveva cercato di avvicinarlo, ma lui aveva sempre respinto tutti, anche fuori da scuola.
Nathan abitava nel pianterreno di Pink Palace.

 
 

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Alice’s Space:
Ehm, ok.
Salve a tutti :)
Mi sono gettata in questa nuova idea con anima e corpo, spero vi piaccia.
Dunque, il tutto è ambientato dopo le vicende di Coraline.
Capisco che i personaggi da gestire siano molti, spero di farcela!
Baci a tutti e al prossimo aggiornamento :)
Alice ^^

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Capitolo 2
*** Primo Capitolo - Dove Alexa fa conoscenza con Nathan ed Avrile trova la porticina del salotto. ***


 

Primo Capitolo.
Dove Alexa fa conoscenza con Nathan ed Avrile trova la porticina del salotto.

 
 
 
 
 
I primi giorni dopo il trasloco erano deprimenti, e questo Avrile lo sapeva.
I suoi genitori erano intenti a disfare scatoloni, e la tensione in casa era palpabile: sua madre aveva iniziato a insultare non poco velatamente suo padre, e lei non lo sopportava.
I genitori si devono volere bene.
Avrile, infatti, non riusciva a capire cosa non andasse fra di loro: avevano due splendide figlie, una bella casa, molti soldi e un circolo di amicizie invidiabile. Perché non erano contenti?
Forse non si amavano più… ma era impossibile. Loro erano la sua mamma e il suo papà, non avrebbero mai potuto smettere di amarsi.
Di questo ne era certa.
Non era certa invece del ruolo che il Gatto ricopriva a Pink Palace.
Se lo ritrovava sempre tra i piedi, quando andava fuori a giocare ai Detective, e non ne era molto felice. Il Gatto -ormai era quello il suo nome- la… com’è che dicevano i grandi? La inquietava. La angosciava, sì, la angosciava.
Qualunque cosa lei facesse, a qualunque gioco lei giocasse, il Gatto era sempre lì a fissarla con i suoi occhi gialli e con la sua testa inclinata da un lato.
I giorni passarono, e trascorse una prima settimana. Avrile continuava a giocare, i suoi genitori continuavano a urlare e Alexa continuava a restare chiusa nella sua camera a sentire musica deprimente.
 
***
 
Nathan osservò attentamente l’arrivo della nuova famigliola perfetta a Pink Palace. Si fece un’idea chiara sui primi tre componenti della famiglia: la madre, il padre e la sorella minore. La madre era una donna vincente, femminista, e tutta quella roba là. Il padre era un alcolista o cose del genere, uno smidollato. La sorella minore viveva nel suo magico mondo fatato pieno di arcobaleni e unicorni.
La sua attenzione si soffermò sulla sorella maggiore, l’unica che sembrava normale in quella famiglia di squilibrati.
Era carina, secondo il suo modesto parere. Aveva gli occhi verdi e i capelli neri, ricci: una miriade di lentiggini spuntavano sul suo volto. Era piccola, magra e bassa, molto simile alla sorella. Anzi, era la copia esatta della sorella.
 
***
 
Quel lunedì mattina -una settimana precisa dal loro arrivo a Pink Palace- Alexa era seduta fuori, su una roccia. Guardava per terra, la testa bassa, e non si accorse dell’arrivo di un ragazzo.
- Ciao.
Sobbalzò al sentire una voce sconosciuta. Tirò su la testa velocemente, e rimase infastidita nel vedere di chi si trattasse.
Un ragazzino. Solo uno stupido ragazzino.
- Che vuoi? – gli chiese, scorbutica.
Il ragazzo sollevò le spalle.
- Sei la mia nuova vicina, ho tutto il diritto di conoscerti, no?
Alexa riabbassò lo sguardo. Quel ragazzo la inquietava. Sembrava volerla spogliare con lo sguardo, con quei suoi occhi scuri. Continuava a scrutarla con un sorrisetto sghembo.
- Che cavolo hai da guardare? – sospirò, più rassegnata che arrabbiata.
- Okay, cominciamo da capo. Io sono Nathan Jones. Tu sei…
- Alexa Ryans.
- Piacere.
- Il piacere è tutto tuo.
Il silenzio ricalò attorno a loro. Alexa pensava che dopo quel breve scambio di battute lui se ne sarebbe andato, ma Nathan era ancora lì.
- Quand’è che te ne vai? – gli domandò.
- Mai, se continui così. Voglio solo fare conoscenza – rispose Nathan, incrociando le braccia al petto e avvicinandosi di un passo ad Alexa.
- Beh, io non voglio. Perciò o te ne vai o…
- O mi tagliuzzi con una lametta?
Alexa accusò il colpo. Che fosse solo una battuta buttata a caso? Che sapesse che lei si tagliava? Alzò lo sguardo, questa volta determinata a rimanere finalmente sola.
- Potrei sgozzarti con la lametta. Vattene.
Nathan sorrise, stavolta un sorriso sincero.
- Imparerò a farmi piacere da te, Alexa Ryans.
E così come era arrivato se ne andò, lasciando Alexa a rimuginare sulla battuta idiota della lametta.
E sui suoi occhi neri.
E sulla sua camminata disinvolta.
E sul sorriso fantastico che stonava sulla sua faccia da schiaffi.
 
***
 
Avrile si stava annoiando, ed erano ormai due settimane che si annoiava a morte. Quella casa era di una noia… non c’era niente da fare persino per una come Avrile, che trovava sempre un gioco da fare.
Così aveva deciso di esplorare. Aveva iniziato a girovagare per la casa, disegnando una specie di mappa strana sulla posizione di corridoi, porte e finestre.
L’aveva incuriosita specialmente una porticina minuscola, che si trovava nella stanza dei mobili antichi.
La prima volta che la vide pensò fosse bellissima. Era ricoperta dalla carta da parati, che però era stata strappata proprio per poter aprire la porticina. Osservò tutte le chiavi che aveva, ma non trovò quella giusta per la porta. Cercò di aprirla a forza, ma non servì a niente. Perciò si mise a fissarla, aspettando che si spalancasse da sola.
Dopo pochi minuti rinunciò, e si mise alla ricerca della chiave.
 
***
 
Era il giorno prima dell’inizio della scuola, una domenica piovosa. Avrile aveva disegnato tutta la mappa della casa e Alexa non aveva più visto Nathan dal giorno in cui lo aveva incontrato la prima volta. Julia e Jack continuavano a battibeccare, ma lei non gli aveva ancora detto di aver trovato il messaggio di Roby. Quello era il suo asso nella manica, e non l’avrebbe sprecato così a buffo.
Erano tutti seduti a tavola, a mangiare come una normale famiglia.
- Domani inizia la scuola, bambine. Siete emozionate? – chiese loro il padre.
Alexa sbuffò, mentre Avrile si fece subito attenta al discorso.
- Io sì, sono emozionatissima! Non vedo l’ora di conoscere nuovi amici! – esclamò la più piccola.
- Anch’io sono emozionata -disse Alexa imitando la voce di Avrile- sono molto emozionata. Domani entrerò nell’ennesimo liceo di merda e sarò presa per il culo dagli ennesimi stronzi. Che bella prospettiva, davvero.
- Alexa Ryans, modera i tuoi termini – la rimproverò subito la madre.
Alexa si alzò, buttando per terra la sedia, e se ne andò.
Dal corridoio la sentirono urlare.
- Andatevene tutti a quel paese!
 
***
 
Camminare per una strada sprovvista di marciapiede era deprimente.
In più ci si aggiungeva il fatto che piovesse e che lei non avesse l’ombrello, che rendeva il tutto ancora più deprimente.
Alexa Ryans quella mattina era vicina all’esasperazione.
I suoi genitori l’avevano costretta a presentarsi a scuola, perciò lei ci stava andando. Certo, camminava quasi in mezzo alla strada, per cercare di farsi investire, ma nessuno passò ad esaudire il suo desiderio.
Ad un certo punto sentì dei passi sguazzare nelle pozzanghere, segno che qualcuno si stava avvicinando: non si voltò.
- Ehi Ryans, vuoi un passaggio sotto il mio bellissimo ombrello asciutto? Ti stai bagnando.
- Che acuto spirito di osservazione, Jones, veramente.
- Dai Ryans, non fare la zitella acida, vieni qui sotto.
Detto questo la afferrò per un braccio e la strattono finché non riuscì a farla mettere sotto il suo ombrello.
Cercò di divincolarsi, ma Nathan non lasciava la stretta.
- Sei un prepotente – mormorò a denti stretti.
- Lo so – disse lui, con tono quasi fiero.
Arrivarono a destinazione in venti minuti.
La scuola era un edificio minuscolo, grigio, con un prato verde spento a circondarlo. Le finestre erano dappertutto, ma erano piccole.
Alexa guardò Nathan sbuffando.
- Dimmi che non è questa la mia scuola. E dimmi che non è la tua.
- Questa è la tua scuola ed è anche la mia. Io faccio il liceo, per quanto sei bassa penso tu faccia le elementari, tesoro.
- Faccio il secondo liceo, tesoro.
- Oh, guarda che coincidenza! Anch’io faccio il secondo, e visto che c’è una sola sezione per classe…
Un tonfo lo costrinse a bloccarsi. La borsa di Alexa era riversa a terra, con i libri sparsi sul vialetto che iniziavano ad inzupparsi.
- Saremo in classe insieme – conclusero all’unisono, ma con toni di voci differenti.
 
***
 
Il primo giorno di Alexa non fu tanto male. Nessuno la considerò, nemmeno i professori si resero conto del suo arrivo.
La cosa più interessante fu vedere come Nathan era impopolare in quella classe, anzi, nell’intera scuola.
Nessuno si fermava a parlare con lui, nessuno lo salutava, ma tutti ridevano alle sue battute.
Alexa giunse alla conclusione che tutti lo temevano: il problema stava nel capire il perché.

 
 

 

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Alice’s Space.
Salve…
In questo capitolo ho parlato solamente di Alexa e Nathan, praticamente. Vi avverto, Nathan sarà un personaggio mooolto importante :3 ed è anche il mio preferito.
Ma dettagli xD
Dunque, cosa ne dite come primo vero capitolo?
Spero vi sia piaciuto e a presto con il prossimo aggiornamento! Baci :*
Alice.

 
 
 

 

 
 

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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo - Dove Julia fa conoscenza con Roberta e Avrile riceve la chiave. ***


 

Secondo Capitolo.
Dove Julia fa conoscenza con Roberta e Avrile
riceve la chiave.

 
 
 
 
 
 
Alexa si era ritagliata: la scuola la stava uccidendo.
Forse era invisibile, perché nessuno mai la considerava o le parlava: solo quell’idiota di Jones le rivolgeva la parola, e solamente per fare battutacce. Insomma, avrebbe preferito essere il bersaglio di ogni sorta di scherzo o presa in giro, invece di essere invisibile.
A lei l’invisibilità non donava.
Perciò, ogni pomeriggio, tornata a casa, si chiudeva in bagno e tirava fuori la lametta.
Il suo braccio era diventato carta.
 
***
 
Julia si era presentata al bar dopo il diciassettesimo messaggio ricevuto dalla famigerata Roby.
Aveva spalancato la porta con forza ed era entrata come una furia, pronta a spaccare tutto quello che le capitasse sottomano.
Invece si era calmata immediatamente alla vista del bar semi-deserto.
Non c’era nessuno, a parte una donna che molto probabilmente aveva la sua stessa età.
Era molto più bella di lei, questo doveva riconoscerlo: lei era piccola e magra, con i capelli ormai quasi grigi raccolti sempre in uno chignon, invece l’altra donna era alta e slanciata, con una chioma rosso fuoco.
Si avvicinò al tavolo dov’era seduta e si accomodò anche lei.
- Scusi, ci conosciamo? – chiese la donna, gentilmente.
- Lei si chiama Roberta?
- Sì, e lei è… no, non ci conosciamo. Se ne vada, prima che chiami qualcuno.
Il suo tono di voce era cambiato, non più gentile e disponibile: ora sembrava un sibilo di minaccia.
- Le dice niente il nome Jack Ryans? – le domandò Julia.
Ebbe immediatamente tutta l’attenzione di Roberta.
- Lei chi è? – le chiese, assottigliando gli occhi, anche se sembrava più un imperativo che una domanda.
- Sono la moglie.
- Ah sì, Julia vero? Si faccia alcune domande sul perché suo marito la tradisca, allora.
Roberta fece per alzarsi, ma si fermò. Si rimise seduta e poggiò il mento su una mano con fare annoiato.
- Come ha fatto a scoprirlo?
- Ho letto i suoi messaggi.
- Lei è subdola, mia cara.
- Lei è subdola, rubare l’uomo di altre donne. Mi fa schifo solo il pensarlo. Gli dica che ho scoperto che mi tradisce, mia cara. Gli dica che mi fa schifo, che è solo un verme. Gli dica tutto questo, Roberta. E lei può anche tenersi mio marito.
Fu la volta di Julia di alzarsi.
Lei però, a differenza dell’altra, se ne andò sul serio.
 
***
 
- Stupido Gattaccio.
Nathan era seduto per terra, e osservava il Gatto. Il suo passatempo quel pomeriggio era tirare sassolini dentro l’enorme pozzanghera davanti a lui, e continuò a farlo finché i sassolini non finirono.
Allora iniziò a parlare con il Gatto, che lo osservava quasi con pena.
- Che hai da guardare, Gatto? Io non sono mia madre, non sono la tua amichetta del cuore che salva le vite di tutti quanti con il suo intuito e il suo coraggio. Vattene, che è meglio.
Il Gatto però non accennava ad andarsene.
- Sei più stupido di quanto io pensi, allora. Ti ho detto di andartene.
- Puoi parlare con il Gatto?
La domanda gli era stata rivolta da una bambina minuta. A prima vista capì immediatamente chi fosse.
- Ciao, Avrile – la salutò.
- Come fai a conoscere il mio nome? – chiese la piccola.
- Tua sorella mi ha parlato tanto di te.
- Conosci Alexa?
- Oh sì. Stiamo insieme, noi. Come fidanzati, capisci?
- Sì. Meno male, in questo periodo non è molto felice, perché il suo precedente ragazzo l’ha piantata. Tu falla stare bene, sennò ti uccido, okay?
Nathan annuì.
- Ti piace la tua nuova casa? – le domandò.
- Molto.
- E per caso hai scoperto una porticina nel salotto?
- Sì, il problema è che non trovo la chiave. Sono giorni che la cerco, ma niente.
- Non ti preoccupare, ce l’ho io.
A quelle parole il viso di Avrile si illuminò.
Nathan mise una mano in tasca e, teatralmente, tirò fuori una vecchia chiave nera attaccata ad una cordicella. L’inizio della chiave era a forma di bottone.
Il Gatto gli saltò addosso senza preavviso, soffiando, ma lui riuscì ad acchiapparlo prima che potesse toccare la chiave.
- Ecco la chiave. Riguardo al tuo gatto, dovresti addomestica…
Ma Avrile era già corsa via.
 
***
 
- Mamma, Alexa ha il fidanzato! – urlò Avrile entrando in casa.
Erano già tutti a tavola, e stavano aspettando solo lei.
- Cosa cazzo dici? – le domandò Alexa arrabbiata.
- Alexa, modera i termini! Tesoro, perché non ce lo hai detto?
- Perché non è vero!
- Ma me l’ha detto quel ragazzo gentile con i capelli blu e gli occhi neri, che siete fidanzati. Me l’ha detto proprio lui.
Improvvisamente lo sguardo di Alexa cambiò: si fece consapevole.
- Quello è solo il nostro vicino che mi odia, si diverte a rendermi la vita un inferno. Si chiama Nathan.
- Tesoro, perché non ci dici la verità?
Alexa se ne andò.
 
***
 
Il giorno dopo Avrile non andò a scuola. Era venerdì, e non le avrebbero chiesto la giustificazione per almeno due giorni, perciò finse di uscire e si nascose nell’armadio della sua camera.
Dopo circa un’oretta i suoi genitori uscirono per andare a lavorare, e lei fu libera di aprire la porticina.
Si diresse in punta di piedi verso il salotto e, arrivata, tirò fuori la chiave dalla tasca della sua tuta. La infilò nella toppa e girò. Poi, aprì la porta.
Sul suo viso si dipinse una smorfia di delusione.
Lì non c’era niente, solo una parete di mattoni rossi.
Quando però tornò in camera sua, qualcosa era cambiato.
Sul suo letto c’era una bambola identica a lei, persino nei vestiti. L’unica differenza erano gli occhi: la bambola non li aveva.
Al loro posto brillavano due incantevoli bottoni neri.
 
***
 
Il giorno dopo, quando Nathan entrò in classe, Alexa si alzò e gli andò incontro.
Arrivata vicino caricò il pugno e glielo diede in pieno viso, provocando lo stupore generale della classe. Tutti si zittirono immediatamente.
- E questo per cos’è? – domandò il ragazzo massaggiandosi il naso.
- Hai detto ad Avrile che stiamo insieme! – gli urlò contro Alexa.
- Una sana scopata ti servirebbe, la smetteresti di tagliarti e di fare la depressa – disse Nathan, e anche se il suo tono di voce era basso Alexa fu sicura che lo avessero sentito tutti.
Ricevette un altro schiaffo in pieno viso, mentre Alexa iniziò a piangere.
- Sei un coglione, Jones – dichiarò, pulendosi con la manica del maglione le lacrime.
- Tutto a posto ragazzi? – chiese il professore di Filosofia entrando.
Alexa uscì dalla classe spintonandolo con la spalla, seguita a ruota da Nathan.

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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo - Dove l’Altra Madre inizia ad agire e arriva la nuova vicina. ***


 

Terzo Capitolo.

Dove l’Altra Madre inizia ad agire e arriva la nuova vicina.
 

 
 
 
 
 
 
Alexa chiuse a chiave la porta del bagno, così che Nathan non riuscisse ad entrare. Scivolò a terra, seduta con la schiena al muro, tirò fuori la sua adorata lametta e la poggiò sul braccio, incurante della maglietta. Con forza ne strappò il tessuto.
Primo taglio: il mondo fa schifo.
Secondo taglio: le persone sanno solo prenderti per il culo.
- Apri questa cazzo di porta, Ryans!
- Col cavolo!
Altro taglio: sono invisibile. Completamente invisibile.
- Ryans, la sfondo! Apri questa fottuta porta!
- Vaffanculo, Jones!
Quarto taglio: ipocrisia ovunque. Ora si preoccupa per me, vero? Stronzo.
Puntò alle vene e passò la lametta sulla pelle un’ultima volta, con il sangue che iniziava a sgocciolare sui vestiti.
Ma non era normale, no. Ne stava uscendo troppo, decisamente troppo rispetto alle altre volte. Piano piano il pavimento iniziò a macchiarsi, e lì Alexa ebbe paura. Continuò a guardarsi il braccio, confusa. No, arrabbiata. No, forse angosciata.
Un tumulto di emozioni, troppe per essere contenute tutte.
Si accorse che nel bagno non c’era più nessuno; non si sentiva nessun rumore.
- Jones? – mormorò.
Non rispose nessuno, e iniziò a piangere.
- Jones?
Oramai singhiozzava senza trattenersi, e il sangue continuava a scorrere. Era preoccupata, la testa stava iniziando a girarle.
Non ce la faccio più a reggere tutto questo.
Improvvisamente la porta si spalancò, dopo un forte botto.
- Merda!
Nathan si gettò subito accanto ad Alexa, e la sollevò a forza: la condusse verso il lavandino e le mise il braccio sotto l’acqua fredda, sciacquando con delicatezza il sangue dai tagli, sfiorandoli come fossero vetro. Alexa lo guardò, e si riscoprì contenta che qualcuno conoscesse il suo piccolo segreto, che qualcuno la stesse aiutando.
Poi tirò fuori un panno bianco -uscito da chissà dove- e lo avvolse attorno al braccio di Alexa. Le sorrise, mentre lei si risedeva a terra.
- Scusami, Ryans. Non penso quello che ho detto, scusami.
- Dirai a mia sorella che non stiamo insieme?
- No. Ci divertiremo a far impazzire i tuoi genitori. Saluta il nuovo diavolo della famiglia Ryans!
Sorrisero entrambi.
- Scuse accettate, Jones.
- Non mi sono mai scusato.
- L’hai fatto poco fa!
- Meglio tornare in classe.
- Vaffanculo.
- Ti voglio bene anch’io.
 
***
 
Per la frustrazione -subito dopo aver appurato che dietro la porta non ci fosse niente- Avrile buttò la chiave a bottone sul fondo della sua valigia, quella che ancora non aveva finito di disfare.
Avrile richiuse la porta, e la chiave rimase lì.
In compenso, Avrile giocò con la sua nuova bambola tutto il pomeriggio.
Se la portò persino a scuola il lunedì dopo.
Non se ne separava mai, oramai, e aveva rinunciato a cercare di capire chi gliel’avesse regalata.
Era felice così, con la sua nuova bambola e il suo Gatto che continuava a seguirla dappertutto.
 
***
 
- Ti accompagno a casa?
Accanto ad Alexa apparve Nathan. Lei si voltò, e sbuffò.
- Non devi comportarti come un cagnolino da guardia. Ti ho perdonato, non serve che fai finta di essere gentile – gli disse.
- Non sto facendo finta di essere gentile, Ryans. Tu non sei poi così male, e avrai notato che a scuola non sono molto popolare.
Alexa si fermò di botto, e, inaspettatamente, iniziò a ridere.
- Ma se tutti pendono dalle tue labbra, come fai a dire che non sei popolare? Hanno paura di te, ecco perché non ti si avvicinano! – esclamò, ancora ridendo.
 
Fanno bene ad avere paura.
 
***
 
Quella notte Avrile scese dal letto in punta di piedi: la sua bambola era sparita. La cercò in camera sua e nel salotto, ma niente.
Poi, come se la spingesse una forza superiore, si diresse nel salotto della porticina: fu sorpresa di trovare lì la sua bambola, proprio vicino alla porta. La afferrò e corse via, in camera sua.
- Lo sai che ho paura del buio.
 
***
 
Jack sedeva al tavolo della cucina con una tazza di caffè in mano.
Non vedeva Roberta da giorni ormai, e non poteva fare a meno di pensare al loro ultimo incontro. Le sue labbra morbide premute su quelle di lui, il profumo dei suoi capelli, i suoi occhi azzurri, il suo cor…
- Jack, stanno suonando al campanello! Vai tu?
Sua moglie.
Sbuffò teatralmente, si alzò, e poi arrivò alla porta della casa quasi incespicando nei suoi stessi piedi. Spalancò la porta senza chiedere chi era, e rimase quasi folgorato dalla visione che gli si presentò davanti.
- Roberta, cosa ci fai qui?
Roberta scosse la testa, e si ravvivò i capelli con un gesto della mano.
- Accogliete sempre così i nuovi vicini?
 
***
 
Avrile continuava a non capire.
I suoi genitori continuavano ad urlare, ed era una litigata mai vista. La nuova vicina qui, la nuova vicina là, tu mi hai tradito, tu non mi hai dato amore, sei senza spina dorsale, sei troppo severa… era brutto sentire quelle parole.
Avrile strinse le gambe al petto, stesa sul letto, e con una mano afferrò la bambola che giaceva a terra.
- Odio sentirli litigare.
 
***
 
Avrile dormiva.
Era rannicchiata su se stessa, scoperta: doveva essersi mossa nel sonno, ecco perché non c’era nessuna coperta a coprire il suo corpicino tremante.
La porta della sua camera si aprì, senza fare il minimo rumore.
Entrò una figura nera: l’unica luce che la illuminava era quella della luna, splendente fuori dalla finestra.
Si avvicinò ad Avrile e si guardò intorno, come per cercare qualcosa: il suo sguardo si puntò verso la bambola con i bottoni che la bambina teneva accanto a se.
La prese con delicatezza per un braccio e se la portò ad altezza viso, facendola penzolare.
Scosse la testa con lentezza.
Poi rimise a posto la bambola e se ne andò silenziosa come era venuta.

 
 

 
 

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Capitolo 5
*** Quarto Capitolo - Dove Alexa e Nathan ripassano Educazione Sessuale e Avrile varca la porticina. ***


 

Quarto Capitolo.
Dove Alexa e Nathan ripassano Educazione Sessuale e Avrile varca la porticina.

 
 
 
 
 
 
- Tu e quella puttana della tua amante potete anche andarvene a quel paese!
- Cara, non sai cosa stai dicendo, sei arrabbiata e lo capisco, ma ora calmati.
- Non mi calmo affatto! Sai, pochi giorni fa ci ho fatto una bella chiacchierata con Roby, e le ho chiesto ti dicesse che tu sei un verme, che mi fai schifo. E invece? Si trasferisce nell’appartamento sopra di noi.
- Non so perché l’ha fatto, ma io amo solo te, cara!
- Certo, certo. Vaffanculo, Jack.
 
***
 
Julia, la mattina dopo, salì per fare visita alla nuova vicina.
Si costrinse a non guardare in basso, mentre saliva, e quando arrivò alla porta suonò il campanello a fatica.
La porta si aprì.
Davanti a lei, Roberta era raggiante e splendente come sempre, con quella sua aria di superiorità. La squadrò da capo a piedi, poi si decise a parlare.
- Vuole accomodarsi?
Julia la oltrepassò con lentezza, senza rispondere. La casa era davvero bella, in realtà, ma lei non lo avrebbe mai ammesso. Roberta aveva buon gusto in fatto di design, questo glielo si poteva concedere.
- Vuole una tazza di the? – chiese, senza però sorridere.
- Non faccia finta di essere amichevole, cara, perché non le riesce bene.
Roberta finalmente sorrise. In realtà fu più un ghigno che un sorriso, ma non aveva importanza.
- Allora, cos’ha provato quando suo marito l’ha lasciata per venire a vivere qui con me? Rabbia? Disperazione? Angoscia?
- Lui non mi ha lasciato.
E questa volta fu il turno di Julia per sorridere.
Roberta sgranò gli occhi, perdendo tutta la fiducia che aveva in se stessa in meno di due secondi.
- Cosa significa che non l’ha lasciata?
- Significa che abbiamo litigato, ma lui è convinto a restare con me.
Roberta si sedette, come se tutte le sue forze fossero venute improvvisamente a mancare: poi, alzò la testa di scatto, con una  nuova luce negli occhi.
Determinazione.
- La lascerà presto, cara. Questa è diventata una guerra, la mia guerra. Quell’uomo è mio, non importa quanto la ama, verrà da me, alla fine.
- Gliel’avrei ceduto volentieri, prima di questa dichiarazione di guerra. Ora però, accetto. Vuole la guerra? Avrà la guerra.
 
***
 
Nathan era seduto sul letto di Alexa, che si era sdraiata a terra.
Aveva insistito tanto ad entrare, e lei non era riuscita a dirgli di no: perciò ora erano in silenzio da una ventina di minuti, a non fare niente.
In realtà aspettavano l’arrivo della madre.
Erano entrati di corsa, ed Alexa aveva presentato Nathan come il suo ragazzo, proprio come avevano deciso. Jack naturalmente non aveva fatto un piega, perciò aspettavano solo l’arrivo di Julia.
- Cos’hai intenzione di fare per farla incazzare? – chiese Nathan.
Alexa tirò su la testa, puntellandosi sui gomiti.
- Non eri tu l’organizzatore dell’operazione “Saluta il nuovo diavolo della famiglia Ryans”?
- In teoria. In pratica no, tu conosci tua madre, tu sai cosa la fa incazzare.
Alexa ci pensò su un attimo, e il campanello della porta squillò. Improvvisamente si fece attenta.
- Ogni volta che arriva a casa ha l’abitudine di venire a prendersela con me. Se è lei siamo fottuti – disse lei, preoccupata.
- MAMMA!
- Questa era Avrile. Ho un idea, togliti la maglietta – disse Alexa, improvvisamente sicura di ciò che stava per fare.
- Questa è una delle idee più buone tu abbia avuto fino ad ora, Ryans – dichiarò Nathan, che si tolse felpa e maglietta in un unico gesto.
Poi guardò interrogativamente Alexa, che si stava sbottonando la camicia a quadri che indossava: sgranò gli occhi.
- E le cicatrici?
Abbassò lo sguardo per guardarsi il braccio.
- Non le noterà.
Sentirono i passi di Julia salire le scale.
Alexa intanto si era ingarbugliata con la lampo dei suoi jeans, e Nathan corse in suo soccorso. Con un gesto deciso abbassò la zip e le tolse i pantaloni, facendo scorrere le dita sulla sua pelle, in un gesto quasi involontario.
Alexa si voltò verso la porta. Poi, visto che Julia non era ancora arrivata. Fece indietreggiare il ragazzo fino al letto, lo fece sdraiare sul materasso e si mise sopra di lui, a cavalcioni.
Poi avvicinò il viso al suo e lo baciò.
Naturalmente la situazione richiedeva un bacio leggermente più aggressivo di quello che Alexa gli diede, perciò Nathan ribaltò le posizioni, facendola scivolare sotto di lui: iniziò a condurre lui il gioco, approfondendo il bacio, facendo scorrere la mani fino ai suoi polsi e portandoli sopra alla sua testa. Proprio in quel momento Julia entrò.
Ora, tutti potete immaginare la sua reazione a vedere sua figlia che pomicia con uno sconosciuto, in biancheria intima. Aggiungendo che l’altro sconosciuto è senza maglietta.
Aggiungendo che si trovano sul letto di sua figlia, senza che lei ne sapesse niente.
Bene.
L’unica cosa che non si potrebbe immaginare è l’urlo che fuoriuscì dalla sua bocca.
- Che cavolo stai facendo, Alexa?
Nathan staccò la sua bocca da quella della ragazza e si mise seduto, senza mostrare il minimo imbarazzo. Alexa rimase sdraiata, fissando sua madre, anche lei senza sentirsi in imbarazzo.
Almeno apparentemente.
- Salve, signora Ryans. Sono il fidanzato di sua figlia, Nathan Jones. Non si preoccupi, stavamo solo ripassando l’ultima lezione di Educazione Sessuale – disse il ragazzo, sorridendo.
Julia rimase senza parole.
- Le sarei grato se ci lasciasse ripassare in tranquillità – concluse.
Poi, senza lasciarle il tempo di uscire dalla stanza, si richinò su Alexa, alzandole il mento con una mano e iniziando a dedicarsi al suo collo.
- Alexa!
- Mamma dai, lasciaci ripassare – disse lei in risposta, senza curarsi di aprire gli occhi. Cercò di trattenere un gemito quando Nathan le morse il collo, mentre sua madre lasciava la stanza.
Appena la porta si chiuse, i due si allontanarono l’uno dall’altro, e rimasero a fissarsi per un minuto intero, senza parlare: poi scoppiarono a ridere.
 
***
 
Avrile era seduta in giardino, con il Gatto accanto.
Guardava la casa.
Persino da fuori si sentivano le urla della sua mamma, del suo papà e di Alexa.
Doveva aver fatto qualcosa di sbagliato. Ah, era andata a letto con un ragazzo, nella sua camera, e la mamma li aveva colti poco prima che il fatto si verificasse. Sperò che il ragazzo in questione fosse il ragazzo che aveva incontrato lei, Nathan le sembrava si chiamasse.
Guardò la bambola che aveva in grembo, poi guardò il Gatto.
- Gatto, non so cosa fare. Sono stanca di vivere in una casa dove tutti si urlano addosso.
Il Gatto miagolò, e allungò la zampa verso la bambola.
- Cosa vuoi dirmi? Che non ti piace? A me piace.
Il Gatto rimiagolò, e allungò nuovamente la zampa.
- Non ti capisco, Gatto. Cosa vuoi dirmi? Non parlo il Gattese.
Il Gatto rivolse il muso verso Pink Palace. Poi saltò giù dalla roccia dov’erano seduti e corse via.
- Anche il Gatto se ne va, eh bambola? Tu rimani, invece.
 
***
 
Quella sera Avrile non riusciva a dormire.
Si rigirava nel suo letto, pensando alle urla dei suoi familiari, alla scuola, dove non aveva nessun’amica. La sua vita non le piaceva, quasi aveva iniziato a considerarsi inutile.
Sentì, improvvisamente che la bambola non c’era più.
Si alzò dal letto e, in punta di piedi, si diresse verso la porta. Poi però si ricordò della volta precedente, quando la sua bambola era sparita e l’aveva ritrovata vicino alla porta del salotto.
Si avvicinò alla valigia dove aveva buttato la chiave e la prese con se.
Scese le scale, il più silenziosamente possibile, e arrivò nel salotto.
Aveva ragione: la sua bambola era lì.
La afferrò, e rimase a guardare la porticina. Era indecisa: aprirla o non aprirla?
Alla fine optò per la prima opzione.
La mano le tramava mentre infilò la chiave a bottone nella toppa e fece scattare la serratura.
Aprì la porta.
Lanciò un piccolo gridolino di sorpresa: i mattoni rossi erano scomparsi, e al loro posto c’era un lungo corridoio, la cui luce era soffusa e viola.
Avrile diede un occhiata dietro di se, per vedere se c’era qualcuno che la stava osservando.
Poi oltrepassò la porta.
Un nuovo gioco.

 

 

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Capitolo 6
*** Quinto Capitolo - Dove i genitori non litigano e Alexa non esiste. ***


 

Quinto Capitolo.
Dove i genitori non litigano e Alexa non esiste.

 
 
 
 
 
 
 
Avrile percorse il corridoio velocemente.
Aveva voglia di scoprire cosa ci fosse dall’altro lato della porta, e poi finalmente aveva trovato qualcosa di interessante da fare!
Arrivò alla fine del suo percorso e aprì l’altra porta, uguale alla precedente.
La spalancò.
Un sospiro di delusione fuoriuscì dalla sua piccola bocca.
Lì non c’era niente, era solamente tornata a casa sua: la disposizione dei mobili, l’odore… identico.
Qualcosa però attirò la sua attenzione, poco prima che decidesse definitivamente di andarsene: i colori di quella casa erano più accesi. Proprio questo piccolo particolare la fece rimanere, aggiuntosi al fatto che tutte le luci erano accese: quella non era sicuramente la sua casa.
Si fece avanti, fino ad arrivare alla cucina, e lì rimase senza parole. Al tavolo c’erano i suoi genitori, proprio la sua mamma e il suo papà, ma in un certo modo… non erano proprio i suoi genitori.
I suoi genitori non avevano quei bottoni neri al posto degli occhi. E i suoi genitori non sarebbero mai riusciti a stare nella stessa camera a giocare a dama senza litigare.
Eppure stavano proprio lì, a giocare a dama, a scambiarsi persino qualche parolina dolce ogni tanto.
Oltrepassò la porta della cucina.
- Ehi, finalmente sei arrivata! – esclamo la sua Altra Madre, quella con i bottoni.
- Ti stavamo aspettando – continuo il suo Altro Padre, circondando con il braccio le spalle della mamma.
Avrile sgranò gli occhi, sorpresa, non sapendo se stesse sognando.
- Sto sognando? – chiese la piccola, per accertarsi che così non era.
- Assolutamente no, Avrile. Noi siamo la tua Altra Madre e il tuo Altro Padre! – esclamarono, contemporaneamente.
Avrile incrociò le braccia al petto, assumendo un cipiglio sospettoso.
- Non sapevo di averne…
- Nessuno lo sa, è proprio questo il bello. Noi siamo i tuoi genitori migliori – disse l’Altra Madre, sorridendo.
Avrile non fece caso al fatto che i suoi denti erano leggermente più lunghi e affilati del normale.
Si rilassò alla confessione della donna, e sorrise. Doveva essere proprio il suo giorno fortunato!
- Quindi voi non vi urlate contro? – chiese ingenuamente.
- Assolutamente no – rispose l’altro padre, sorridendo soddisfatto.
Avrile constatò che quelli erano dei genitori migliori dei suoi. Molto migliori.
- E possiamo giocare insieme?
- Certo che sì! – esclamò l’Altra Madre.
Aveva la mascella serrata, come se fosse infastidita da qualcosa… la piccola non gli diede troppa importanza.
- E Alexa dov’è?
Anche questa volta Avrile non notò lo scambio di sguardi che avvenne tra i suoi Altri Genitori. Uno sguardo colpevole da parte del padre, ed uno inceneritore da parte della madre.
- Alexa arriverà presto. Potresti portarla tu, se vuoi – propose l’Altra Madre.
La bambina fece per pensarci, grattandosi la testa. Un luccichio nei bottoni neri della donna la fece esitare: ma, a pensarci bene, quelli erano i suoi genitori perfetti. Non c’era niente di strano e inquietante, in loro. Non doveva avere paura. Assolutamente.
- Certo! Posso tornare domani, la porto con me.
L’Altra Madre sorrise.
- Allora è meglio che tu torni nell’altro mondo. A domani, Avrile.
 
La fortuna sorride a chi sa attendere.
 
***
 
Avrile varcò nuovamente la porticina, e corse nella camera da letto di sua sorella.
Senza curarsi dell’ora -erano le quattro del mattino- iniziò a scuoterla con tutta la forza che aveva, per svegliarla e darle la splendida notizia.
- Ale, Ale, sveglia! Ho varcato la porta del salotto, e dall’altra parte ho trovato mamma e papà, solo che migliori! Ale, ho detto all’Altra Madre che ti avrei portata lì, su, svegliati!
Alexa si rigirò nel letto, sperando che stesse sognando.
- Avrile, smettila di rompere…
- Dai, Ale, sbrigati!
- Domani, ok? Ora fammi dormire…
Avrile smise di scuotere il corpo della sorella: dopotutto l’Altra Madre poteva aspettare fino all’indomani, no?
 
***
 
- Stupido Gattaccio.
Nathan era sdraiato a terra, con l’erba umida che gli bagnava la maglietta.
Aveva piovuto? Forse. Dopotutto quello era il mondo dell’Altra Madre, e niente era certo in quel luogo.
- Ci hai ripensato? – chiese il Gatto con disinteresse.
- Assolutamente no, non sono tipo da tirarmi indietro quando le cose si fanno difficili.
- E allora? Cos’è che ti preoccupa, ragazzino?
Nathan si voltò verso il Gatto.
- Niente mi preoccupa, Gattaccio.
Si passò una mano fra i capelli e sbuffò.
- Non si direbbe. C’è qualcosa che non ti convince questa volta – disse il Gatto, e Nathan poté giurare di aver sentito la sfumatura di un sorriso, nella sua voce. Ma naturalmente non poteva essere, perché il Gatto non poteva sorridere.
- Perché non dovrebbe convincermi questa volta? Non c’è nulla di diverso – disse il ragazzo, tirandosi a sedere.
- “Sono il fidanzato di sua figlia, Nathan Jones. Non si preoccupi, stavamo solo ripassando l’ultima lezione di Educazione Sessuale”. Voi umani vi lasciate trasportare dalle emozioni, siete così stupidi a volte – ribatté il Gatto.
Nathan si passò nuovamente una mano fra i capelli.
- Stupido Gattaccio.
 
***
 
- Sai, mia sorella ora ha una nuova fissa: stanotte è venuta in camera mia, farneticando su storie di un Altro Mondo, un’Altra Madre e un Altro Padre. Diceva di avergli detto che mi avrebbe portata lì, dopo devo seguirla per veder…
- NO!
Nathan si era tirato a sedere velocemente, spaventando Alexa. Era agitato, nervoso, e non riusciva a capire perché.
- Non devi varcare quella porticina, capito Ryans? Non varcarla per nessun motivo, anche se Avrile ti ci trascina – disse il ragazzo, parlando velocemente e fissandola negli occhi.
Alexa non capiva: non c’era nessuna porta da varcare, era solamente una fantasia della sorellina.
- Guarda che la porta se l’è inventata, e se c’è sarà murata.
- Tu non andarci. Non devi. Varcare. Quella porta. Promettimelo.
Alexa sbuffò: si comportava come un bambino capriccioso. Poggiò una mano sul cuore.
- Prometto.
Il ragazzo sorrise. Poi il suo sguardo cambiò, si fece attento.
Nathan attirò la ragazza a se, e la baciò. Poi, in seguito allo sguardo stranito di Alexa, le diede chiarimenti.
- C’era tua madre – spiegò, alzando le spalle.
Ma Alexa era sicura di non aver sentito nessun rumore di passi.

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Capitolo 7
*** Sesto Capitolo - Dove Nathan è nei guai. ***


 

Sesto Capitolo.
Dove Nathan è nei guai.

 

 
 
 
 
 
 
Quella notte Roberta si era svegliata con il bisogno di avere Jack accanto.
Non si era mai sentita così.
Solitamente, per lei quel mezzo omuncolo era solo un passatempo, un gioco… ma più passava il tempo e più ne sentiva la mancanza.
Jack la faceva sentire… completa. Amata. Desiderata.
Forse Jack, dopotutto, era meglio degli uomini che la prendevano a parolacce e la trattavano male, anche se all’apparenza non sembrava.
 
***
 
Julia era nel suo letto.
Sola.
Jack non era lì con lei.
Forse era già andato a lavoro, o forse era corso dalla sua amante (cosa che lei la sera prima gli aveva consigliato di fare).
Non ne sentiva la mancanza.
Jack era solamente un punto fisso dove guardare quando aveva le vertigini, un porto sicuro, nient’altro: per loro era già passato il tempo delle passioni giovanili.
Forse non era così importante, per lei.
La cosa che più le dava fastidio era che lui avesse scelto di tradirla: non era abbastanza? Non era una vera donna?
Solo per quello aveva deciso di dichiarare guerra aperta a Roberta, solo per farle vedere che lei poteva avere ancora Jack.
Solo per quell’inutile e sciocco capriccio.
 
***
 
Avrile era sgattaiolata fuori dal suo letto, quella notte. Mentre Julia e Roberta pensavano a come riuscire a trattenere Jack con loro, lei aveva sceso le scale silenziosamente, e si era infilata nel corridoio che portava al salottino.
Voleva giocare con i suoi genitori migliori.
Aprì la porta con la chiave che aveva in tasca e attraversò il corridoio velocemente, impaziente di arrivare dall’Altra Madre e dall’Altro Padre.
Quando varcò l’altra porticina, l’aria odorava di cioccolato. Sua mamma non faceva quasi mai la cioccolata calda.
Si diresse in cucina, dove trovò l’Altra Madre intenta a versare dentro enorme tazze la cioccolata. Avrile si sedette e sorrise.
- Ciao, Avrile. Ti ho preparato la cioccolata calda. Ti piace molto – disse. Era sicura che le piacesse, ed aveva ragione.
- È molto buona.
- Lo so. L’Altro Padre ti aspetta in camera tua, dopo. Vorrebbe giocare con te a nascondino.
Avrile a quelle parole finì in fretta di bere, e si diresse verso la porta della cucina.
- Ah, una cosa, amore. Alexa dov’è?
Ecco. Non era riuscita a portarla con se, non aveva voluto varcare la porticina. Le aveva detto anche di non farlo, perché il suo ragazzo aveva detto che era pericoloso.
Guardò l’Altra Madre mentre ticchettava le unghie sul tavolo.
- Non è voluta venire. Nathan dice che è pericoloso, lei gli ha promesso di non varcare la portici…
- Nathan?
- Il suo ragazzo.
Avrile non vide il lampo di rabbia che passò per i suoi occhi, o forse lo vide ma preferì non registrare nella sua mente quel dato. Lei era la sua mamma perfetta. Lei non si arrabbiava.
- Tranquilla, Avrile. Non importa.
Avrile corse in camera sua, e giocò a nascondino con l’Altro Padre finché non si addormentò.
Poi, lui la mise a letto e le tirò su le coperte.
- Dormi bene, Avrile.
 
***
 
Il campanello di casa Ryans squillò.
Julia si precipitò ad aprire, quasi incespicando sui suoi stessi piedi, e spalancò la porta.
- Roby, che piacere vederti! Entra pure, entra. Cosa ti porta qui?
La donna si scansò per lasciar passare la nemica. Roberta entrò, sondando con lo sguardo tutto ciò che c’era nella casa.
- Sono venuta per chiedere di invitarmi a cena. Sai, Julia, oggi sono rientrata tardi e non ho avuto il tempo di cucinare. So che mancano ancora quattro ore alla cena, ma devo anche fare la spesa e…
- Ok, Roberta. Va bene. Resta a cena.
Roberta sorrise.
- A dopo, allora.
 
***
 
- Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando, mamma.
- Non sto scherzando. La nuova vicina verrà a cena da noi.
- Da come l’hai descritta sembra una stronza put…
- Alexa, modera i termini!
- Io non ceno.
- Tu ceni eccome.
- Almeno posso invitare Nathan?
- Nathan?
- Il mio ragazzo.
- Assolutamente no!
- Dai, ti prego.
- Solo se stai buona e non ti fai prendere dagli ormoni in subbuglio.
- Garantito.
- Invita Nathan, allora.
 
***
 
Nathan si toccò la guancia. Quando guardò la mano sgranò gli occhi: era ricoperta di sangue.
- Cosa ti passa per la testa, imbecille?
L’Altra Madre era in piedi davanti a lui. Lo fissava, arrabbiata, e non era mai una cosa buona quando era arrabbiata.
- Io volevo solo…
- Non fare il furbo con me, Nathan Jones. Ti ho accudito come la madre che -ti ricordo- se n’è andata quando avevi nove anni. È così che mi ripaghi? Allontanando le mie bambine da me?
- Alexa non è tua!
L’Altra madre lo afferrò per i capelli e lo buttò a terra. La testa del ragazzo colpì con forza il pavimento, costringendolo a restare a terra.
Non riuscì ad alzarsi.
- Alexa è mia. Tutto è mio. Anche tu. Non dimenticartelo, Nathan.
Lo lasciò sanguinante a terra.
 
***
 
- Cosa cazzo hai fatto alla guancia?
Alexa passò il dito sul graffio che spiccava sulla pelle di Nathan.
- Jones? Tutto a posto? Perché stai piangendo?
Nathan piangeva. Lo stesso Nathan prepotente, indisponente, insensibile, maleducato ed egoista. Piangeva.
Gli asciugò una lacrime con l’indice.
Nathan le bloccò il polso e con un gesto veloce la attirò a se.
Un secondo prima erano a più di cinquanta centimetri di distanza, un secondo dopo Alexa aveva la guancia spiaccicata contro la clavicola di Nathan.
La stava abbracciando.
Alexa capì che c’era qualcosa che non andava, e lo strinse a se: capì che aveva bisogno di qualcuno e, sinceramente, non aveva mai visto ne sua madre, ne suo padre, ne eventuali altri fratelli o sorelle.
Lo strinse a se dolcemente, mentre le lacrime del ragazzo bagnavano la sua maglietta.
- Mi dispiace tanto, Alexa. Mi dispiace tanto, ma devo farlo.
Non riuscì a comprendere quel “mi dispiace”, e non ci si soffermò nemmeno più di tanto.
Alexa.
Era la prima volta che pronunciava il suo nome, ed era bello sulle sue labbra.
Alexa.
Era davvero molto bello.
- Andiamo a cena.  

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Capitolo 8
*** Settimo Capitolo - Dove si cena e si mente. ***


 

Settimo Capitolo.
Dove si cena e si mente.

 

 
 
 
 
 
 
Julia era particolarmente agitata quel pomeriggio.
Non solo avrebbe dovuto preparare la cena non per quattro, ma per ben sei persone: in più i due posti aggiunti erano due ospiti d’onore.
L’amante del marito –che non si sapeva se fosse una donna o una troia- e il ragazzo della figlia –con cui faceva cose che Julia avrebbe preferito non sapere-.
Niente di meglio.
Julia passò il pomeriggio in cucina, a tagliuzzare verdure non ben identificate e a cucinare cibi dall’odore “acquolinante”, o almeno così lo definì Avrile.
Apparecchiò con cura la tavola e, con un anticipo di circa un ora e mezza, si sedette per rilassarsi dopo aver finito.
Non era mai stata così agitata, e per cosa poi? Una cena.
Aveva affrontato prove peggiori.
 
***
 
Avrile si stava guardando allo specchio.
Avrebbe voluto essere carina come sua sorella: aveva come lei ricci capelli neri, ma i suoi occhi non erano altrettanto belli. Erano più piccoli, ed erano grigi come quelli della sua mamma. Alexa aveva preso dal papà gli occhi, lei la corporatura: Avrile era bassa, certo, ma un po’ cicciottella; non come Alexa, che era bassa e magra, proporzionata.
Avrile decise che il suo aspetto fisico non era importante: non aveva forse comunque due genitori che le volevano bene?
Alexa non li aveva.
Avrebbe voluto riuscire a convincerla ad attraversare la porta, così da mostrarle quel mondo fantastico in cui lei si rifugiava: non era questo che facevano le sorelle?
Si aiutavano l’un l’altra, certo, ma se Alexa non le dava la possibilità di farlo, come poteva aiutarla?
Avrile non lo sapeva, e più ci pensava, più si sentiva male.
Non avrebbe varcato quella porticina un’altra volta senza sua sorella.
 
***
 
La cosa era molto imbarazzante.
La cosa era molto più che imbarazzante.
Erano seduti tutti attorno alla tavola rotonda: Alexa, Nathan, Avrile, Roberta, Jack e Julia, rispettivamente in ordine.
Si scambiarono per un momento occhiate sospette, poi Julia iniziò a servire la prima porzione.
- Jack caro, dicci, come va il lavoro?
Alexa notò immediatamente il guizzo della mano di sua madre quando Roberta pose la domanda: guardò Nathan con fare complice, e poi fece un cenno verso suo padre che –imbarazzato- tentava di rispondere.
A quel punto intervenne Julia.
- Il lavoro di Jack tiene in piedi questa famiglia: posso dire che abbiamo fortuna ad avere un uomo come lui come capo-famiglia.
Roberta le lanciò un occhiata divertita mentre Jack tentava di non strozzarsi con il suo stesso cibo.
- E tu, Julia, di cosa ti occupi?
Alexa sbuffò, tirando la testa all’indietro e procurandosi un’occhiataccia dalla madre.
- In questo periodo non lavoro, mi prendo cura delle mie figlie.
A quel punto Alexa si dovette trattenere dal ridere, ed Avrile dal piangere; non si era mai presa cura di loro, lei.
Nathan intanto, che sorprendentemente era stato zitto da quando si erano tutti seduti attorno al tavolo, osservava con la coda dell’occhio sua ragazza. Fu risvegliato dal suo sogno ad occhi aperti dalla voce trillante di Roberta.
- E tu, ragazzo, sei un terzo fratello adottivo?
- No, sono il ragazzo di Alexa.
Roberta annuì, facendo capire che aveva compreso, ma molto probabilmente non aveva compreso affatto.
Gli adulti molto spesso pensano che gli adolescenti e i bambini non riescano a capire il vero valore di una relazione: quasi sempre però, sono loro che non capiscono.
Calò il silenzio.
Avrile si guardò intorno, timorosa: non c’era niente di vero e divertente in quella cena. Tutti si stavano mostrando per ciò che non erano.
Le venne voglia di scappare lontano e non tornare più.
- E tu, Roberta, di cosa ti occupi?
- Oh, io faccio lavoretti manuali qua e là. Sono particolarmente brava con le mani.
Nathan fu il primo a capire che quella conversazione non sarebbe finita bene, soprattutto grazie al colorito pallido di Jack e a quello rosso peperone di Julia.
- E dimmi, cos’altro sai fare con le mani? – chiese Julia.
Fantastico.
Da lì a breve avrebbero sicuramente iniziato a litigare.
- Beh, parecchie cose, ma non penso che questo argomento non sia adatto alla cena. Abbiamo minori in casa – disse Roberta con tono malizioso e attorcigliandosi un boccolo rosso attorno al dito.
Nathan diede un calcio ad Alexa da sotto al tavolo per farle capire che era giunto il momento di agire.
- Beh, Roby cara, quella che non potrebbe assistere a questo discorso è solo Avrile. Io e Nathan oramai scopiamo come due con…
- Ora basta!
Julia era scattata in piedi, il volto sfigurato da una smorfia di rabbia.
- Ne ho avuto abbastanza di fare la vicina accondisciente. Io e te non siamo amiche, anzi, per cui ti pregherei di andartene da questa casa.
Roberta anche si alzò in piedi, e incrociò le braccia al petto.
- Assolutamente no, io non me ne vado finché il padrone di casa non me lo dice.
Gli occhi di tutti i presenti si puntarono su Jack, che intanto continuava a mangiare imbarazzato.
Poggiò sul piatto la forchetta e si grattò la guancia, per distogliere l’attenzione da lui.
- Cara… penso che sia maleducazione cacciarla così senza un motivo.
Gli occhi di Julia diventarono incandescenti.
- Mi hai fregato il marito, ma non ti permetterò di rubarmi anche la casa – disse, e le si gettò addosso facendo velocemente il giro del tavolo.
- Fatti delle domande, magari non sei capace di gestire una famiglia!
Iniziarono a rotolarsi a terra, fra ciocche di capelli staccate e oggetti che si infrangevano cadendo.
Alexa si alzò immediatamente per dividere le due donne, e si gettò in mezzo a quel groviglio di calci, pugni e graffi.
- Papà, aiutami! – disse, mentre teneva per un braccio la madre e con un piede cercava di tenere lontana l’aversaria.
Jack intanto –che si trovava in uno stato di shock- scosse la testa e si risvegliò, precipitandosi ad aiutare la figlia.
Avrile si era rintanata in un angoletto, le mani sulle orecchie, e si stupì non poco quando Nathan si inginocchiò accanto a lei e avvicinò al suo orecchio la bocca.
- Sai cosa devi fare, vero? Questo posto non ti merita. Quelle persone non ti meritano.
Avrile lo guardò per un momento con gli occhi sgranati.
Poi annuì.
Sapeva cosa doveva fare.
Quando Julia e Roberta si separarono, e la sua mamma cacciò di casa entrambi gli adulti, Avrile aveva già deciso.
Quando Alexa salutò con un veloce bacio sulle labbra Nathan, e lui le fece l’occhiolino, era ancora più convinta di quello che stava per fare.
Quando infine sua madre iniziò a bere, molto probabilmente per dimenticare, Avrile salì in camera.
Sapeva cosa doveva fare.
 
***
 
L’unica cosa che Avrile prese prima di dirigersi alla porticina fu un piccolo orsacchiotto che le aveva regalato Alexa quando per lei era ancora importante.
Scese le scale incespicando per la fretta e per gli occhi appannati: stava piangendo.
Si diresse nel salottino dell’antiquariato e, con sua grande sorpresa, la porta era già aperta.
Cadde grazie ad un qualcosa che le si stava strusciando sulle gambe: il Gatto continuava a miagolare.
- Ciao, Gatto. Spero di rivederti nell’Altro Mondo.
Il Gatto miagolò un’ultima volta prima di piantare un artiglio nel polpaccio della bambina.
- Ahi!
Con un calcio lo spedì addosso alla parete.
Spalancò la porticina.
Scusatemi tanto.
 
 

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Capitolo 9
*** Ottavo Capitolo - Dove Avrile non si trova e niente va per il verso giusto. ***


 

Ottavo Capitolo.
Dove Avrile non si trova e niente va per il verso giusto.
 

 
 
 
 
 
Nathan non era sicuro di aver fatto la cosa giusta.
Avrile era solo una bambina, e averla mandata dritta fra le braccia della distruzione lo faceva sentire… sporco. Sporco dentro.
Aveva bisogno di Alexa, anche se di lì a poco avrebbe dovuto fare lo stesso con lei. Dopotutto le aveva già detto che le dispiaceva: cos’altro poteva fare?
Salvare Alexa. Non dirle dove era andata sua sorella. Andare dall’Altra Madre, affrontarla, e riportare nel proprio mondo la piccola Avrile.
Nathan si disse che non sarebbe stato capace di disubbidirle.
Avrebbe fatto come lei voleva.
Era solo un codardo: come poteva ribellarsi?
 
***
 
Il giorno dopo alla disastrosa cena, Julia si alzò con un forte mal di testa e con un brutto presentimento.
Solitamente la mattina -quando non si andava a scuola- la casa era sempre molto rumorosa.
Quella mattina il silenzio era totale, un angosciante e opprimente silenzio.
Scese dal letto in punta di piedi, facendo attenzione a non far rumore, come se rompendo il silenzio potesse succedere qualcosa di orribile.
Percorse il corridoio che separava la sua camera da quella di Alexa: aprì la porta lentamente, e guardò la figlia maggiore dormire con un sorriso in volto.
Bene.
Lei stava bene.
Proseguì il suo percorso, dirigendosi verso la camera di Avrile e…
Avrile non c’era.
Il cuore le iniziò a battere molto più velocemente del solito.
Doveva essersi alzata prima, ed era andata a fare colazione. Sicuramente era andata così.
Sono le sette del mattino, Julia, Avrile si alza solitamente alle nove e mezza.
Ha avuto un brutto incubo e…
Sarebbe venuta da te immediatamente, lo sai.
Julia fece un respiro profondo.
- Avrile?
Non ricevette risposta a quel mormorio soffocato. Si schiarì la voce.
- Avrile? – disse, con tono più forte, ma ancora una volta nessuno rispose.
- Avrile! – urlò, presa alla sprovvista dalla disperazione.
Sua figlia non era in casa.
Sua figlia minore non era in casa.
Dov’era? Suo padre se l’era portata via?
No, la sera prima Jack se n’era andato con Roberta ed Avrile era andata in camera sua.
- Avrile, dove sei! Avrile!
Iniziò a correre per la casa, guardando in ogni camera, ma niente. Svegliò Alexa e si fece aiutare anche da lei, ma Avrile non si trovò.
Era come se fosse scomparsa nel nulla.
 
***
 
- Pronto, parlo con la centrale di polizia?
- Sì signora, come posso esserle utile?
- Mia figlia è sparita.
- Quanti anni ha la bambina?
- Dieci. È bassa e un po’ cicciottella, ha gli occhi grigi e i capelli neri. Le posso portare una foto.
- Sì signora, venga immediatamente alla centrale: la aiuteremo, lei stia calma.
- Sì, vengo subito.
Julia chiuse la telefonata: poi si rivolse ad Alexa.
- Tu rimani qui. Sarei più tranquilla se chiamassi Nathan.
Non la vide annuire.
Si precipitò fuori, incurante della pioggia che precipitava con forza dal cielo.
Poco dopo l’uscita di Julia, il campanello squillò rumorosamente: Alexa si diresse verso la porta, già sapendo chi ci fosse dietro.
Sospirò di sollievo quando spalancò la porta, e si gettò fra le braccia del ragazzo.
- Nathan, Avrile non si trova da nessuna parte, papà non risponde al telefono, mamma è andata alla centrale di polizia ed io… io non so cosa fare, sono inu…
Nathan bloccò quelle parole con le proprie labbra: baciò Alexa, ma non come finto fidanzato, come Nathan, e fu una delle poche cose belle che avesse mai fatto nella vita.
Una delle poche cose vere che avesse mai fatto nella sua vita.
Le accarezzò i capelli per calmarla, e la strinse più forte a sé quando smise di baciarla.
- Va tutto bene.
Ma non andava tutto bene.
Alexa si sentiva stupida: non aveva mai dato molta importanza alla sorella, ed ora che non c’era più… le mancava.
Era preoccupata per lei, per la prima volta da anni.
- No, non va tutto bene.
Incominciò a piangere.
Non andava affatto tutto bene.
Rimasero abbracciati sul divano per il resto della mattinata, e, per la prima volta da molto tempo, Alexa si sentì protetta.
Infelice, ma pur sempre protetta.
 
***
 
- Sei solo un ragazzino, Nathan. Sei solo un ragazzino confuso. Perché devi fare del male alle persone che ami?
Nathan diede un calcio ad un sasso, e iniziò a camminare più velocemente.
Il Gatto lo seguì.
- Io non amo Avrile.
- Ma le vuoi bene. E ami Alexa.
- Non è vero.
- Tu la ami ma sei troppo confuso e codardo per ammetterlo.
- Sta zitto!
Nathan si voltò di colpo, gli occhi arrossati, la voce roca.
- Non devi intrometterti nella mia vita! Non sai niente di me!
- So più di ciò che immagini, al contrario. Nathan, ora calmati, e troviamo insieme una soluzione, perché se non mi aiuterai dovrò combattere da solo.
Nathan per un momento lo guardò: poi abbassò lo sguardo e si sedette a terra, a gambe incrociate.
- Non posso. La Megera mi ucciderebbe, non posso, Gatto. Mi dispiace. Mi dispiace.
Quel pomeriggio rimase lì a terra, con le mani sugli occhi per non vedere tutto quello che continuava a succedergli attorno.
La sera, quando si alzò finalmente in piedi e si diresse verso la casa, aveva deciso cosa fare.
Dovrai cavartela da solo, Gatto.
Ho già un padrona a cui dover rispondere.
 
***
 
- Alexa?
Alexa era sdraiata sul suo letto a pancia all’aria, e continuava a fissare il soffitto con sguardo perso.
- Alexa? Sono Nathan, posso entrare?
Non si chiese come il ragazzo fosse riuscito ad entrare, visto che in casa c’era solo lei: Julia non era ancora tornata, e Jack non si vedeva dalla sera prima, quando sua madre lo aveva cacciato di casa con Roberta.
Le si sedette accanto, e iniziò ad accarezzarle i capelli. La guardò per un momento, poi le sue dita iniziarono a scorrere sulla guancia.
- Nate…
Le mise un dito sulla labbra.
- Shh, non parlare.
Le fu sopra velocemente, non sedendosi sopra per non pesarle addosso, e, scansando una ciocca di capelli ricci, iniziò a lasciare piccoli baci accennati sulla pelle sottile del collo.
Ad ogni bacio un brivido di piacere saliva su per la schiena di Alexa, che chiuse gli occhi per assaporare meglio il momento: voleva dimenticarsi di tutto e di tutti, di Avrile, di sua madre, di suo padre… c’era solo Nathan, Nathan e le sue labbra, Nathan.
- Stavo pensando… - disse Nathan – stavo pensando a dove potrebbe essere Avrile.
Alexa non aprì gli occhi, non ebbe nessuna reazione fisica: un campanello d’allarme suonò nella sua testa.
Nathan sapeva dove Avrile si era andata a cacciare.
- Ti ricordi della porta? – continuò, parlando tra un bacio e l’altro – quella in cui ti ho detto di non entrare?
Alexa annuì.
- Dietro la porta… è andata dietro la porta…
Mentre continuava a baciarla e le sue labbra si avvicinavano pian piano all’orecchio, le sue dita corsero su un fianco.
- Aveva la chiave, e visto che ieri sera si è arrabbiata… è andata lì…
Sollevò di poco il lembo della maglietta, iniziando a disegnare disegni immaginari sulla pelle nuda della pancia.
- E ora è sola ed impaurita… dietro la porta c’è solamente una stanza buia…
La sua mano iniziò a salire fino ad arrivare sotto al seno, e staccò le proprie labbra dal collo di Alexa per poi ritrovarsi a faccia a faccia con lei: la fissò negli occhi per qualche secondo, poi la baciò.
- Domani andiamo a cercarla? – sussurrò poi, a pochi millimetri di distanza dal suo viso.
Alexa annuì.
 
***
 
Una donna era seduta su una sedia a dondolo, di quelle antiche dove solitamente le nonnette sono sedute davanti al fuoco per raccontare dei bei vecchi tempi.
Aveva una sigaretta in mano, e formava piccole nuvolette grigie con il fumo che fuoriusciva dalla sua bocca.
Il telefono squillò, e la donna chiuse il libro che stava leggendo per rispondere.
- Pronto?
- Parlo con Coraline Jones?
- Wybie?
- Coraline, abbiamo un problema.

 
 
 

 _____________________________________________
Alice's Space:
Scusate l’immenso ritardo! Proprio per questo ho scritto un capitolo un po’ più lungo delle altre volte :3
Dunque, grazie alle nove persone che seguono, alla persona che ricorda e alle quattro che preferiscono! Per essere uno sfigafandom questa ff sta riscuotendo un discreto successo, dai xD
Ok, la smetto.
Baci e al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 10
*** Nono Capitolo - Dove Alexa e Nathan non si trovano e Coraline da inizio ai giochi. ***


 

Nono Capitolo.
Dove Alexa e Nathan non si trovano e Coraline da inizio ai giochi.

 
 

 
 
 
 
Alexa aveva sulle spalle solo un piccolo zainetto pieno di cibo, quando Nathan le prese la mano e la condusse al piano inferiore a quello della sua camera.
In realtà non era nemmeno molto sicura di ciò che stava per fare.
Seguire Nathan attraverso una porticina che avrebbe dovuto condurli dall’altra parte della casa: avrebbe dovuto almeno dirlo alla madre, ma quella non accennava a voler tornare.
Anzi, molto probabilmente era ancora alla Centrale di Polizia.
Se fosse riuscita a trovare Avrile, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata chiamare Julia.
Si ritrovò troppo presto davanti alla minuscola porticina, e si chiese come Avrile avesse fatto a vederla in mezzo a tutti gli altri mobili.
- Tutto ok? Andiamo? – chiese Nathan.
Alexa lo guardò e annuì.
Afferrò di nuovo la sua mano e aprì la porticina.
 
***
 
Julia non dormiva da ore, e quasi si stava per addormentare addosso alla vecchietta che sedeva accanto: c’erano solo loro due in quella saletta, e già stava pensando di chiamare a casa per far venire Jack.
Scosse la testa.
Per far venire Alexa.
Jack era andato da Roberta, doveva rassegnarsi: aveva scelto lei. In più ora non aveva tempo per stare appresso a quel rammollito, doveva trovare Avrile.
Sua figlia era molto più importante.
Quando la porta della saletta si aprì, l’attenzione di Julia si spostò sulla donna che stava entrando.
Doveva avere al massimo quarant’anni, ed era bella: non solo esteriormente, -aveva lunghi capelli blu e occhi grandi, con ciglia lunghe- ma anche interiormente.
Mentre camminava sprigionava energia pura, muovendosi con grazia e leggerezza: la sigaretta che teneva in mano era spenta.
Rimase incantata a fissarla, e quasi non sentì ciò che disse in seguito.
- So che la signora Ryans è qui. Potrei parlarle?
Scattò in piedi e si avvicinò alla sconosciuta.
- Sono io la signora Ryans. Mi chiami pure Julia.
La donna si aprì in un sorriso triste.
- Io sono Coraline Jones. Conosce senz’altro mio figlio, Nathan Jones… vorrei parlare con lui.
Julia annuì.
- Mi segua. Possiamo prendere la mia macchina.
 
***
 
Roberta era sdraiata sul divano, e in mano teneva un bicchiere pieno di un qualcosa che a prima vista sembrava aranciata.
Sorrise ad un altrettanto sorridente Jack che proprio in quel momento entrò nel salone.
- Allora, Julia si è fatta viva? – domandò, con vivo interesse.
In realtà l’unica cosa che la preoccupava era il fatto che lei potesse portarglielo via.
Il resto non aveva importanza.
- No, ancora no. Infatti sono un po’ preoccupato, e dall’altro ieri che non la sento e sai, ci sono anche le bambine…
- Non dovrebbe interessarti molto di loro. Ormai ci sono io.
- Lo so, cara, ma ve…
Proprio in quel momento il campanello suonò.
Roberta scattò in piedi per andare ad aprire la porta, e non fu affatto sorpresa di vedersi comparire davanti un’angosciata Julia.
Fu invece sorpresa dalla sua accompagnatrice, una bella donna con i capelli blu e gli occhi scuri, che si presentava con eleganza e portamento degni di una regina. Proprio per questo, prima di farle entrare, si assicurò che la donna non volesse il suo Jack.
- Non vuole portarmi via il mio uomo, vero? – chiese con sospetto.
Coraline scosse la testa e sorrise.
- Stia tranquilla, voglio solo parlare con mio figlio… Nathan Jones, vive nel pianterreno di Pink Palace. Volevamo chiedere se l’avete visto.
Roberta scosse la testa, e fece per chiedere a Jack, ma vide che ci aveva già pensato Julia.
- Sei un lurido verme, tua figlia è sparita e nemmeno ti preoccupi di aiutarmi a cercarla! – gli urlò contro, dandogli uno spintone.
- Non sapevo fosse sparita, tesoro, calmati – mormorò Jack, provando a toccare le braccia della moglie. In compenso ricevette un altro spintone. Il terzo spintone fu evitato grazie a Coraline che poggiò delicatamente una mano sulla spalla di Julia.
- Signori, non comportiamoci da ragazzini. Qui una bambina è scomparsa. Prima parlerò con mio figlio, prima potrò aiutarvi a trovare la piccola Avrile.
I tre adulti si guardarono.
Annuirono.
- Andiamo, non c’è tempo da perdere.
 
***
 
Mentre Coraline, Julia, Jack e Roberta vagano per Pink Palace alla ricerca di Nathan
–non consapevoli della sua scomparsa insieme ad Alexa- Wybie Lovat era in macchina con la musica a palla, il volume al massimo che gli rimbombava nelle orecchie gli impediva di pensare.
In realtà alcuni ricordi riuscivano comunque a infiltrarsi nella sua mente, e doveva stare ben attento a non lasciarsi distrarre.
Più volte scosse la testa facendo ondeggiare i suoi ricci bruni per svegliarsi.
Non doveva succedere.
Si ripeteva.
È stato tutto un errore.
Continuava.
Era stato così stupido da fidarsi di Coraline, quella donna che lo teneva fra le sue mani come un burattino… ed ora ne pagava le conseguenze.
Doveva arrivare a Pink Palace al più presto.
 
***
 
Nathan e Alexa non si trovavano.
Julia aveva la consapevolezza che le sue due figlie erano scomparse nel nulla senza lasciare traccia, al contrario di Jack che continuava a ripetere alla moglie che avrebbero trovato presto i tre ragazzi.
- Li troveremo, Julia, tranquilla. Saranno andati da qualche parte, torneranno presto.
Jack continuava a ripetere questa frase, Roberta si mangiava le unghie –anche se non avrebbe dovuto importargli molto- e Coraline…
Coraline era perfettamente calma.
Sapeva benissimo che Wybie sarebbe arrivato a breve e che l’avrebbe aiutata, come aveva sempre fatto.
In più le aveva detto che il Gatto era ancora in circolazione, che era stato proprio lui ad avvertirlo.
Wybie, lei ed il Gatto avrebbero risolto quella situazione spinosa, avrebbero salvato quelle due ragazzine, e lei si sarebbe ripresa il figlio che quella Megera le aveva portato via.
Sarebbe andato tutto alla perfezione.
 

 
 

 ___________________________________________

Alice's Space:
Salve bella gente!
So che questo capitolo è un po’ corto, ma ho dovuto spezzare a metà il capitolo che avevo scritto.
Era troppo lungo xD
Vi ringrazio tutti, e mi faccio un po’ di Spam:
Se volete passare, è una raccolta di tre one-shot riguardante i tre bambinifantasma che Coraline incontra.
Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2040561&i=1
Baci a tutti, spero di sentirvi presto :*

 

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Capitolo 11
*** Decimo Capitolo - Dove si chiarisce cosa sta succedendo dietro la porta. ***


 

Decimo Capitolo.
Dove si chiarisce cosa sta succedendo dietro la porta.

 
 
 
 
 
- Hai paura?
Alexa tremò al sentire l’aria fredda che veniva dal corridoio buio.
Nathan le poggiò una mano su una spalla.
- Hai paura? – ripeté, spingendola verso l’oscurità e facendole fare un primo passo.
La ragazza si voltò verso di lui.
- Dovrei averne? – disse, anche se sapeva che la risposta a quella domanda era sì.
Infatti, fu proprio questo che Nathan le disse.
Un sì, secco e spietato, che per un momento le fece persino dubitare di lui.
Ma no, lui era Nathan, il ragazzo che la faceva ridere e piangere allo stesso tempo, il ragazzo che aveva scoperto pian piano in tutte le sue sfaccettature… e quella della cattiveria vera, quella che si vede nei cartoni animati, non era mai saltata fuori.
- Sì. Dovresti averne.
Poi il mondo di Alexa divenne buio.
 
***
 
Il buio era innaturale, di questo Alexa ne era certa.
Un’ altra cosa innaturale di quel luogo era l’ingresso: non che fosse minuscolo, o enorme, o giallo fluorescente… il problema era che non c’era proprio, un ingresso.
Cercò di alzarsi, ma le gambe le cedettero e non riuscì a tirarsi in piedi: rimase seduta per un tempo che sembrava non finire mai, e intanto cercava di capire come fosse riuscita a finire lì dentro.
Perché la cosa la stava spaventando, e non poco.
Cercò di ricordare l’ultima cosa che aveva vissuto prima di sprofondare nel buio… Forse Nathan?
Si ricordò le ultime parole udite “sì, dovresti averne” riferite alla paura.
Ebbe ancora più paura.
In che cavolo di guaio si era cacciata?
 
***
 
- Alexa dov’è?
- Nel ripostiglio, dietro lo specchio.
L’Altra Madre sorrise, mettendo in bella mostra i lunghi denti affilati.
I suoi bottoni neri per un momento brillarono.
- Bene.
- E Avrile? Dove l’hai nascosta?
- Oh. Non ti preoccupare di lei, non è un problema.
Nathan abbassò lo sguardo.
- Se proprio lo vuoi sapere… l’ho chiusa a chiave in una stanza. Si era stufata di stare qui con me e voleva tornare dalla sua vera –pronunciò quella parola con disgusto- madre. Ma non le ho ancora cucito i bottoni… deve volerlo lei. Comunque parlerò prima con Alexa.
L’Altra Madre ticchettava le unghie sul lavandino.
 
***
 
Avrile era chiusa in quella stanza da ore, ormai.
Non piangeva, non parlava: era stesa sul letto in silenzio, aspettando ciò che sarebbe successo in futuro con gli occhi bendati, non sapendo cosa aspettarsi.
L’Altra Madre era stata furba, questo glielo doveva riconoscere. All’inizio l’aveva accolta a braccia aperte, e Avrile si era sentita al sicuro, libera di sfogarsi.
Poi, appena quel momento di debolezza era finito e lei sarebbe voluta tornare a casa, l’Altra Madre l’aveva rinchiusa in quella stanza.
Fantastico.
In più quel giorno aveva sentito la voce di Nathan e di Alexa: avrebbe voluto correre dalla sorella e dirle di fuggire, che quello non era un mondo bello e allegro come aveva pensato all’inizio…
Ma ormai era troppo tardi.
Non sarebbe riuscita a uscire da quella stanza, figurarsi avvertire Alexa e Nathan.  
 
***
 
- Hai paura?
Alexa si era addormentata.
La voce di Nathan la riportò a galla dal mondo dei sogni.
- Hai paura, ora, Alexa? In un luogo oscuro, che non conosci, in un mondo nuovo… in un incubo reale.
Nathan era in piedi davanti a lei, e non riusciva a capire da dove fosse entrato.
Non si muoveva, le braccia dietro alla schiena e un volto… triste.
Visto che Alexa non accennava a voler parlare, Nathan continuò.
- Ti spiegherò in poche parole in che situazione ti sei andata a cacciare trasferendoti in questa casa: la porticina è un passaggio per un Altro Mondo, un mondo governato dall’Altra Madre. Lei è una megera, prende l’aspetto della madre del bambino che entra nel suo mondo, e con giochi e cibo lo convince a rimanere… a farsi cucire dei bottoni al posto degli occhi, proprio come lei. A quel punto il bambino non ha scampo, viene mangiato dall’Altra Madre. E guarda caso, tua sorella è scomparsa, e tu sei qui con lei. Vi cucirà a forza i bottoni e non avrete via di scampo.
Riprese fiato dopo quel lungo monologo.
Si accovacciò a terra, per avere il viso alla stessa altezza di quello di Alexa.
- Siete cadute nella tela del ragno.
Sfiorò con le dita le labbra di Alexa, per poi ritirarsi velocemente, quasi scottato da quel contatto.
- Tu sei completamente andato – mormorò la ragazza, continuando a fissarlo.
Poi, come per magia, Nathan si voltò e attraversò il muro.
Passandoci attraverso.
Forse non era completamente andato.
 





_______________________________________________________

Alice's Space:
Lo so, questo capitolo è davvero molto corto, ma mi serviva un capitolo di passaggio per chiarire meglio cosa sta succedendo ad Alexa ed Avrile.
Già dal prossimo capitolo le cose si inizieranno a smuovere: ci avviciniamo alla resa dei conti!
Scusate per il ritardo dell’aggiornamento, ma credetemi se vi dico che ho riscritto questo capitolo circa sette volte xD non sapevo come mandare avanti la storia, avevo tre idee diverse che però non mi convincevano… alla fine ho optato per questa, a voi il giudizio!
Baci, alla prossima :*

 

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Capitolo 12
*** Undicesimo Capitolo - Dove Wybie torna alla casa e Nathan fa la sua scelta. ***


 

Undicesimo Capitolo.
Dove Wybie torna alla casa e Nathan fa la sua scelta.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Wybie…
Quando Coraline Jones corse ad aprire la porta, non si aspettava di certo di trovarsi davanti Whyborn Lovat, amico di vecchia data e…
E suo amante.
Le ore precedenti erano state difficili, quella notte non avevano dormito –tutti tranne Coraline, lei si era appisolata tranquillamente sul divano- e il vedere una faccia conosciuta, più che conosciuta, le fece più che bene.
Per un momento rimase immobile, guardandolo con occhi sgranati. Poi, si gettò fra le sue braccia.
Julia, Jack e Roberta si limitarono a osservare la scena, quasi intimoriti da quell’abbraccio che sprizzava positività da tutti i pori.
- Sei tornato davvero – disse Coraline, sorridendo dolcemente.
- E questo che fanno gli amici.
Sorrise anche Wybie, scostandosi dalla donna con delicatezza e entrando in casa.
Si guardò in giro, sondando con lo sguardo Julia, Jack e Roberta, che continuavano a restare in silenzio.
- Nathan dov’è? – chiese infine, con una sfumatura di preoccupazione nella voce.
Coraline scosse la testa.
- Scomparso. Così come Alexa e Avrile, le due figlie dei signori qui presenti.
Roberta arricciò il naso.
- I figli sono loro, ma l’uomo è mi…
- Sta zitta – le disse Julia, quasi digrignando i denti.
- Non sei tu a dirmi cosa dev…
- Signore!
Le due donne si voltarono verso Coraline.
- Dobbiamo trovare i nostri figli, ora! Io e Wybie perlustriamo il giardino, voi fate un giro in città.
Tutti annuirono e iniziarono le ricerche.
 
***
 
- Gatto, ti prego, non puoi fare uno strappo alle regole e dirci cosa sta succedendo?
Il Gatto continuò a leccarsi la zampa, non prestando attenzione a Coraline e Wybie che erano seduti per terra, accanto a lui.
- Gatto, facci un segno, è importante.
- Scusatemi, erano impegnato nella mia pulizia giornaliera.
Coraline e il compagno sbuffarono di sollievo.
- Allora, puoi dirci con più chiarezza cosa sta succedendo?
Il Gatto li guardò, e capirono che quello che gli avrebbe riferito non sarebbero state notizie piacevoli.
- Nathan è nell’Altro Mondo, così come Avrile e Alexa. Il problema principale è che la chiave ce l’ha lui… ma per fortuna l’Altra Madre non lo sa. Comunque ha portato lui le due ragazze lì.
Coraline chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro.
Aveva creato un mostro.
- Cosa possiamo fare? – chiese Wybie, l’unico fra i due che riuscì a parlare.
- Possiamo solo aspettare la prossima mossa del ragazzo.
 
***
 
- Nathan, voglio parlare con Alexa.
L’Altra Madre era in piedi davanti a lui, le braccia incrociate al petto e un sorrisetto sadico.
Nathan si alzò immediatamente dal divano su cui si era stravaccato, ma senza avvicinarsi alla Megera.
- Penso sia meglio che ti presenti prima io.
- Perché?
- Potrebbe rimanere scioccata. Dopotutto non ha mai visto qualcosa di simile a te.
- Va bene, ti do cinque minuti.
Nathan si diresse correndo verso il ripostiglio.
Quando entrò, trovò Alexa rannicchiata ad un angolo.
- Hai fame? – chiese.
Lei scosse la testa, non guardandolo.
- Sete?
- La smetti di far finta che ti importi qualcosa di me?
Nathan abbassò lo sguardo.
- Fra poco morirò, da quello che mi hai detto. E, visto che sono rimasta ore qui dentro e ho avuto tanto tempo per pensare, sono giunta alla conclusione che la colpa è esclusivamente e solamente tua.
Se ne rendeva davvero conto, ora, di quello che aveva fatto.
L’aveva presa per mano, fatta felice, e poi l’aveva condotta dolcemente verso la morte. Così lei, così sua sorella.
Ma lei era più importante.
- Non ti cucirà i bottoni senza il tuo consenso. Non può.
Ma Nathan sapeva benissimo che non era così: l’avrebbe fatta uscire solo se avesse accettato di farsi cucire i bottoni, e così anche con Avrile.
Non avevano scelta.
- Perché mi hai fatto credere di provare qualcosa per me, di tenere a me… - sussurrò Alexa, in tono rassegnato.
Nathan sollevò la testa e si avvicinò, sedendosi accanto a lei.
- Io ti ho sempre voluto bene, Ale. Sin dal primo momento, sin da quando tu eri seduta su una roccia ed io sono venuto a romperti le palle. Non ti ho mai odiata, non ti ho mai ingannata: quando ho sfondato la porta del bagno per salvarti, ogni momento, ogni bacio… non erano falsi, Ale, credimi.
Alexa, per la prima volta da quando lui era entrato nel ripostiglio, lo guardò, e in quello sguardo ci fu tutto il dolore che provava.
L’aveva tradita.
Era solo quello che voleva fare? Ucciderla? Non credeva alle sue parole.
Non credeva più a niente che riguardasse Nathan.
- No.
- No cosa?
- Non ti credo.
Nathan boccheggiò, cercando aria.
Sapeva sin dall’inizio che quel momento sarebbe arrivato, ma non aveva compreso bene quanto sarebbe stato devastante.
- L’Altra Madre sta venendo per parlarti.
Alexa annuì.
Fine dei giochi.
 
***
 
L’Altra Madre era identica a Julia, a parte quei due inquietantissimi bottoni neri.
- Ciao, Alexa.
La ragazza non parve volersi muovere.
La Megera fece un cenno a Nathan, che la prese per un braccio e la fece alzare in piedi.
- Rimani in piedi, Ale – sussurrò al suo orecchio.
Lei con uno strattone si liberò dalla presa.
- Salve.
- Sai perché sono qui?
La ragazza scosse la testa.
- Per farti capire che il mio Mondo è il migliore. Che è meglio rimanere qui, che tornare lì.
- Mi ucciderai, se mi farò cucire i bottoni. Mi ucciderai.
L’Altra Madre lanciò uno sguardo omicida verso Nathan, che guardava per terra.
- Non è vero, tesoro. Mente.
- Effettivamente non sarebbe la prima volta.
- Allora, sperimenterai questo nuovo mondo?
Alexa fece finta di pensarci, anche se la sua decisione l’aveva già presa.
- No.
L’Altra Madre sorrise.
- Vedremo.
Oltrepassò la porta, lasciandoli soli.
Nathan si avvicinò ad Alexa, che era ancora in piedi in mezzo alla stanza.
La guardò per un momento, poi avvicinò le labbra al suo orecchio.
- Ti amo.
Varcò anche lui la porta.
 
***
 
Coraline e Wybie erano seduti in salone.
La prima sul divano, il secondo sulla sedia del tavolo per mangiare, davanti a lei.
- Perché hai chiamato me?
- Perché sei la persona più adatta per risolvere questa questione.
- Ma Nathan è anche tuo figlio, Wybie.
L’uomo strizzò gli occhi, come se fosse infastidito da quell’affermazione.
- La colpa è stata tua, però.
- La colpa? Chiami nostro figlio colpa?
- Uso le tue stesse parole, Coraline!
Si alzarono tutti e due in piedi, fronteggiandosi.
Tutta la positività precedente si era volatilizzata, rimpiazzata dalla rabbia e dal rancore: Julia, Jack e Roberta non erano ancora tornati, la casa era vuota e loro avrebbero potuto urlarsi contro in libertà.
Come dopotutto aspettavano di fare da sette anni.
- Non ho mai detto che Nathan è stato un errore!
- Giusto, lo hai urlato! E, molto probabilmente, lui ti ha anche sentito, ed è per questo che è finito in quel cazzo di Altro Mondo! Ed è tutta colpa tua, la chiave, la porta, l’Altra Madre!
- Colpa mia, Whyborn? Colpa mia? Sei tu che non ti sei mai preso la responsabilità di diventare padre, gli mancavano affetti a quel cazzo di ragazzino!
- Ma se quando è nato mi sono trasferito qui! Gli ho fatto da padre, anche se non gliel’ho mai detto!
- Ed è proprio questo il problema, non ha mai avuto un padre!
- Senti, se volevi trovarti un padre potevi cercartelo. Lo hai detto anche tu quella notte che era solo sesso, che non ci sarebbero state ripercussioni.
- Non pensavo di poter rimanere incinta.
 - Pensavi male, e guarda che ha combinato quel tuo figlio mezzo andato. Aiutare l’Altra Madre.
- Colpa tua.
- Vaffanculo, Coraline Jones.
 
***
 
Nathan entrò trafelato nel ripostiglio, e afferrò il polso di Alexa con forza.
- Che cazzo fai, Jones?
La guardò, dritta negli occhi, come fino a poco tempo prima non aveva il coraggio di fare.
- Ti tiro fuori di qui.
- Cosa?
- Ho detto: ti tiro fuori di qui.
- Non prendermi per il culo.
- Non lo sto facendo.
Alexa sgranò gli occhi.
- Mi ami davvero?
Sorrise ancor prima di sentire la risposta: non poteva essere così ingenua da dimenticarsi di tutto quello che le aveva fatto, ma se le voleva davvero bene, se l’amava, se non l’aveva mai presa in giro… o forse l’aveva davvero tradita, ma poi aveva cambiato idea.
- Sì, Alexa. Ti amo davvero. E ti sto tirando fuori da questo buco.

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Capitolo 13
*** Dodicesimo Capitolo - Dove non tutti tornano nel mondo Reale. ***


 

Dodicesimo Capitolo.
Dove non tutti tornano nel mondo Reale.
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
E ti sto tirando fuori da questo buco.
Quasi non riusciva a crederci Alexa, mentre correva per i corridoi scuri dell’Altra casa.
Nathan la stava davvero salvando?
Ai suoi occhi appariva tutto troppo confuso, le luci soffuse, le parole del ragazzo che si disperdevano nell’aria… Era come un brutto sogno da cui ci si sta per risvegliare, quella situazione di estasi quando si sa che gli incubi stanno per finire.
Non guardò dietro di sé mentre avanzavano, la mano di Nathan che teneva la sua, sudata, gli sguardi del ragazzo che correvano da una parte all’altra velocemente: aveva paura che, da un momento all’altro, potesse apparire l’Altra Madre.
Arrivarono velocemente alla porticina del salotto, e Nathan la fece accovacciare, pronto ad aprire la porta per fuggire.
Mise una mano nella tasca dei jeans, respirando affannosamente.
Alexa gli sorrise, mentre lui tirava fuori la chiave: la guardò, sorridendo anche lui, e aprì la porta.
- Vai.
Alexa lo guardò, confusa, non capendo.
Lui non la seguiva?
- Cosa?
- Vai, ho detto vai!
Il sorriso era scomparso dal suo volto, rimpiazzato da una smorfia di paura.
Si iniziò a sentire un ticchettio, come di zampette che correvano su un pavimento di marmo.
- Nate, cosa…
- Ale, devi sbrigarti. Tua sorella è qui, la farò uscire, ma intanto tu vattene. Se rimani non saprò come salvarti.
Alexa scosse la testa, mentre già vedeva Nathan alzarsi in piedi e guardare un qualcosa di indefinito oltre la porta.
Non chiese cosa fosse, o perché Nathan si passò una mano fra i capelli e la lingua sulle labbra, stringendo i pugni: era nervoso, e quell’ansia che cresceva pian piano in lui stava contagiando anche Alexa.
- Merda, Ryans, ti ho detto di andare! – gridò, in conseguenza all’esitazione della ragazza.
Lei scosse di nuovo la testa, principalmente perché il ticchettio era aumentato ed era diventato assordante.
No.
Non voleva assolutamente lasciarlo da solo, con qualunque cosa fosse quella che si stava avvicinando.
Lui si voltò, pallido in volto, e tolse la chiave dalle mani di Alexa, mettendosela in tasca: la spinse oltre la porta, mentre lei continuava a scuotere la testa.
- Vai – mormorò prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Alexa si ritrovò al buio, gli occhi sgranati e il respiro affannato: anche da lì continuava a sentire i rumori dall’altro lato della porta.
Poi, tutto ad un tratto, il rumore cessò.
Non sentiva più niente, né il suo respiro, né il ticchettio, né i passi di Nathan.
Poggiò le mani per terra, per cercare di vedere qualcosa attraverso la serratura della porta.
Era completamente nero, oltre di essa.
Qualcosa però iniziò a darle fastidio.
Il suo battito cardiaco iniziò a correre mentre lei staccò le mani dal terreno.
Aveva per un momento avuto la sensazione di aver toccato qualcosa di viscido, di umido e... si guardò le mani.
L’aria impregnata di un odore metallico.
Rosso.
Rosso sangue.
Urlò, e fu l’unico suono che si sentì.
 
***
 
Quando Alexa fece irruzione nella casa, Julia, Jack, Roberta, Wybie e Coraline erano seduti nel salotto al pianterreno.
Erano in silenzio, a fissarsi.
L’unico suono che si era sentito da lì a un’ora prima era stata la fastidiosa voce di Roberta che chiedeva perché il Gatto dovesse stare in casa, e per di più, perché dovesse sedersi fra Wybie e Coraline.
Era subito stata azzittita.
Quindi, erano silenziosi, e stavano facendo proprio quello che il Gatto aveva consigliato loro: aspettare la prossima mossa di Nathan.
Alexa spalancò la porticina della propria casa, e appena varcata la porta non poté fare a meno di accasciarsi a terra, singhiozzando e cercando di respirare.
Si alzò dopo qualche secondo, consapevole che se voleva fare qualcosa per aiutare il suo ragazzo, doveva agire, e non piangersi addosso.
Corse in salotto, le lacrime che scorrevano sulla sua pelle, le mani ancora sporche del sangue di… non voleva nemmeno pensarci.
- Mamma! Mamma!
A quel suono Julia si alzò immediatamente in piedi, pensando di aver avuto un allucinazione uditiva.
- L’avete sentito?
- Sentito cosa?
- Mamma!
Julia sorrise.
- Alexa – sussurrò, prima.
- Alexa! – urlò poi, precipitandosi fuori dal salone.
Corse, corse incontro alla figlia, guidata dalla sua voce che continuava a chiamarla.
Se la ritrovò davanti, gli occhi rossi, le lacrime che scorrevano, i capelli ammazzettati e sporchi: era sudata, ma non le importava, e l’abbracciò lo stesso.
La strinse a sé, piangendo anche lei, ma per la felicità.
- Ci sono io, ora, ci sono io… - mormorò, accarezzandole la testa.
Poi si rese conto, improvvisamente, delle sue mani sporche di sangue: si staccò immediatamente da lei, e le afferrò i polsi.
- O mio Dio, è sangue tuo? – chiese, spaventata.
La ragazza scosse la testa.
- È di Nathan – disse, singhiozzando.
 
***
 
Erano tutti in cucina, in piedi: solo Alexa era seduta, avvolta in un asciugamano troppo grande.
La faceva sembrare un cucciolo sperduto.
Si sentiva proprio così.
- Allora… vogliamo affrontare la cosa? – disse Coraline.
Alexa la guardò.
Era identica a Nathan, con quei capelli blu così strani e gli occhi scuri, grandi, le ciglia lunghe. Erano tutti e due davvero molto belli, ma Nathan possedeva un tipo diverso di bellezza, forse più selvaggia: Coraline le dava l’impressione di una donna abituata a controllarsi e a controllare chiunque.
Forse era per questo che Nathan era rimasto solo, ma non ebbe il coraggio di chiederlo.
- Cosa pensi di fare, Miss-sono-figa-anche-quando-mio-figlio-sta-per-morire?
Coraline fulminò con lo sguardo Alexa, ma lei non ci fece caso: quella donna non le stava affatto simpatica.
- Salvare mio figlio, forse?
- Brava, e come credi di riuscirci? Non stando qui a prendertela con una quindicenne – le sibilò in risposta.
- Pensavo di fare uno scambio con l’Altra Madre, diamo te e ci prendiamo Nate, magari funziona.
- Non pensavo tenessi così tanto a lui, l’hai abbandonato a nove anni…
- Non l’ho abbandonato!
- Smettiamola!
Coraline e Alexa si voltarono verso Wybie, l’ultimo a parlare.
Si resero conto che, in quella stanza, gli unici a sapere di cosa stessero parlando erano solo loro.
Ebbero, contemporaneamente, la stessa idea: spiegare cosa stesse succedendo.
Ma, prima che potessero mettere a punto il loro piano, un rumore sospetto li interruppe.
Si voltarono tutti contemporaneamente verso la fonte del rumore, e furono sorpresi di constatare che, quello strusciare di qualcosa sul pavimento, proveniva dal salotto della porticina.
Si mossero come una cosa sola verso la stanza, con passo e veloce, e le reazioni a ciò che videro furono fra le più disparate: sorpresa per Julia e Jack, indifferenza per Roberta, orrore per Coraline e Wybie.
L’unica cosa che Alexa fu in grado di fare, fu tapparsi la bocca con un pugno per non gridare.
- Nathan?

 
 

 
______________________________________________
Alice’s Space:
 
Saaalveeee ^^
Sono tornata! Yeee!
Innanzitutto una cosa: questo capitolo è concentrato in una breve quantità di tempo, perché poi diventata troppo lungo u.u
Ok, ora passiamo ai ringraziamenti:
Grazzzieeee a tutti, chi recensisce, chi preferisce ricorda o segue, e anche chi legge silenziosamente.
Vi saluto, e spero di aggiornare quanto presto!
Baci :*

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Capitolo 14
*** Tredicesimo Capitolo - Dove ci si prepara. ***


 

Tredicesimo Capitolo.
Dove ci si prepara.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

- Nathan?
Alexa non urlava.
Guardava il corpo del ragazzo steso a terra, il volto contro il pavimento: i capelli blu sembravano impiastricciati di sangue e sudore, i vestiti erano strappati, c’era ancora sangue per terra.
C’era tanto  sangue per terra.
Si inginocchiò accanto a lui, continuando a mormorare il suo nome, come se non fosse cosciente del fatto che non fosse sola.
Sentì dei ticchettii di piedi sul pavimento, e fu certa che provenissero dall’Altro Mondo.
- Chiudete la porta – sussurrò, e subito una figura dietro di lei eseguì l’ordine, anche se non capì chi fosse –era concentrata su altro-.
Sfiorò con la punta delle dita la schiena del ragazzo, i punti in cui i vestiti non c’erano.
Osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi…
Alzarsi e abbassarsi?
Era vivo.
 
***
 
La giornata era passata senza intoppi: Coraline e Wybie si erano occupati di curare Nathan, mentre Julia aveva passato il resto del tempo abbracciata a Alexa, cercando di tranquillizzarla accarezzandole dolcemente la testa.
- Mamma, stiamo perdendo tempo.
Julia la guardò in viso, cercando di capire se sua figlia stesse sragionando.
Giunse alla conclusione che non era così.
- Che vuoi dire, Alexa?
- Voglio dire che Avrile è dall’altra parte mentre noi siamo qui, a non fare niente.
- Tesoro, stiamo solamente aspettando che Nathan si riprendi, per poi decidere cosa fare.
Alexa sbuffò, allontanandosi dalla donna.
- Se Avrile è tenuta prigioniera dove lo ero io –un brivido le corse lungo la schiena- non è per niente una buona cosa.
Improvvisamente, la porta si aprì.
Entrarono Nathan, Coraline e Wybie, e prima che potessero dire qualsiasi cosa, Alexa gli era corsa incontro e aveva abbracciato il ragazzo.
- Ale, stai stringendo troppo.
- Scusa.
La ragazza si staccò da lui, per sondarlo visivamente, per vedere la sua condizione fisica.
Era pieno di cerotti e bende, persino in faccia, ma tutto sommato non era così grave come le era sembrato quando aveva visto il sangue per terra.
Gli sorrise, e si sedettero sul divano.
 
***
 
- Come facciamo a tirare fuori Avrile ad lì, e ad uccidere l’Altra Madre?
Alexa fu la prima a parlare, gli occhi di tutti puntati su di lei. Non aveva nessuna voglia di tornare nell’Altro Mondo, soprattutto perché non sapeva ancora come Nathan si fosse ridotto così, praticamente in punto di morte, ma dovevano salvare Avrile.
E, a saperla da sola, nelle grinfie dell’Altra Madre, stava lentamente impazzendo.
Si guardò intorno, gli adulti e Nathan che continuavano a guardarla senza parlare.
Da Nathan se lo aspettava, nelle ultime ore era stato praticamente sul filo tra vita e morte… ma dagli altri? Dagli adulti? Non avrebbero dovuto trovare loro una situazione?
Non è questo che fanno i genitori?
- Non lo sappiamo.
- Cercate una soluzione, allora. Mia sorella è lì dentro, da sola, con l’Altra Madre e…
- Aspetta, cosa cosa cosa? Cosa stai dicendo, Alexa? Avrile è stata rapita? – chiese Julia, in volto un’espressione confusa.
Alexa la guardò, e iniziò a ridere, pensando fosse uno scherzo: smise immediatamente, constatando che non lo era.
- Non le avete detto niente? – mormorò, rivolgendosi a Coraline e Wybie che erano rimasti in silenzio da quando erano entrati nel salotto.
Coraline scosse la testa.
- Non le avete detto niente? – ripeté Alexa, gli occhi sgranati e il tono di voce più alto.
- Non ci posso credere! – esclamò, alzandosi in piedi e dando per sbaglio una botta a Nathan.
- Ahi…
- Scusa, Nate. Non ci posso credere! Mia sorella ed io siamo state rapite da una megera che attira i bambini nel suo mondo per mangiarseli, e mia madre credeva che fossimo semplicemente scomparse? – gridò questa volta, gesticolando rivolta verso Coraline e Wybie.
- Scusa, come? Alexa, ti senti bene? Stai farneticando!
- NO! Non mi sento bene! Perché qui si parla di cose serie, non di semplici scappatelle da ragazzini cazzo!
- Modera il linguaggio, Alexa!
- NO! Non me ne frega un cazzo, in questa casa gli adulti si comportano da ragazzini, e siamo noi quelli che ne soffrono! Ma andatevene tutti a quel paese! – gridò, per l’ultima volta.
Poi si diresse correndo verso le scale, precipitandosi velocemente al piano superiore e buttandosi sul suo letto, mentre lacrime dispettose cominciavano a voler bagnare le sue guance.
Il salotto fu invaso dal silenzio, Coraline e Wybie che si guardavano colpevoli, e Julia, Jack e Roberta che si scambiavano sguardi silenziosi, chiedendosi cosa fosse appena accaduto.
Nathan si schiarì la voce.
- Vado da Alexa.
 
***
 
- E questo è tutto quello che dovete sapere.
Coraline spiegò tutto in meno di una decina di minuti.
Orrori, amore, scelte sbagliate, bambini abbandonati…
Tutto questo in dieci miseri minuti.
Julia continuava a fissare il pavimento, non del tutto certa di aver capito bene il discorso: stava iniziando ad accettare quelle che, in un primo momento, le erano sembrate delle favole per bambini, e questo era già tanto per lei.
Non si accorse del gesto d’intesa che si scambiarono Jack e Roberta.
- Noi andiamo.
Spostò lo sguardo su Jack, il quale aveva appena parlato, e non fu sorpresa di quella scelta.
L’aveva sempre saputo che era un vigliacco.
- Cosa? – chiese Coraline, che non conosceva l’uomo.
- Io e il mio uomo ce ne andiamo. Non vogliamo immetterci in questa faccenda – disse Roberta, prendendo a braccetto Jack e dirigendosi verso la porta.
Sentirono il rumore di ques’ultima sbattere, e furono sicuri del fatto che li avessero davvero abbandonati.
- Ed ora cosa facciamo?
 
***
 
- Beldam.
Alexa sussurrò quell’unica parola, gli occhi sgranati a fissare lo schermo del computer.
- L’Alta Madre è una Beldam – ripeté, così da essere sicura che Nathan fosse riuscito a sentire.
- Una cosa?
- Una Beldam. Una strega.
Lo guardò, certa che non avesse capito.
- E sai come si uccidono le streghe? – continuò, sentendo il silenzio dietro di sé.
- Bruciandole.

 
 
 

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Capitolo 15
*** Quattordicesimo Capitolo - Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Uno. ***


 

Quattordicesimo Capitolo
Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Uno.
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Alexa fece segno a Nathan di seguirla, silenziosamente.
Il ragazzo si guardò attorno, per essere sicuro di non essere visto da nessuno: poi si fece avanti, afferrando con delicatezza la mano della ragazza.
Lo zaino che portava in spalla lo rallentava, certo, ma quelle cose erano indispensabili alla riuscita del loro piano.
Nathan scosse la testa per cacciare via l’immagine della missione suicida che avrebbero portato a termine a breve, per concentrarsi su cose più importanti: dovevano cercare di non farsi vedere dai propri genitori.
Seguì Alexa per i corridoi che conducevano al salottino, sporgendo l’orecchio ad ogni camera da letto per cercare di sentire il respiro degli adulti, il respiro pesante di chi dorme e non si sveglierà a breve.
Sospirò di sollievo.
Dormivano tutti.
- Ale, cammina più piano o ci sentono – mormorò alla ragazza, che effettivamente era la causa di tutto il rumore che si sentiva nell’intera casa.
- Scusa.
Nathan annuì, facendo segno poi di continuare a camminare.
Erano vicini, erano tanto così dal salottino dove avrebbero varcato la porta.
Il piano era semplice: trovare Avrile e riportarla a casa. Poi, in seguito, sarebbero ritornati nell’Altro Mondo e avrebbero scatenato l’Inferno.
Certo, in teoria il piano era semplice; in pratica, la cosa era piuttosto complicata.
Nathan conosceva l’Altro Mondo e l’Altra Madre come il palmo delle sue mani, e più avanzava verso la porticina, più iniziava a vedere con chiarezza che, il loro piano, faceva acqua da tutte le parti.
L’Altra Madre non dormiva mai, e se li avesse trovati… non voleva pensare a cosa sarebbe successo.
Scosse di nuovo la testa: avrebbero salvato Avrile, sarebbero usciti indenni da quel fottuto parco gioco degli orrori e lui avrebbe protetto Alexa.
Sorrise mentre la ragazza apriva la porta, le loro mani ancora unite in una stretta rassicurante.
- Sei sicuro? – gli chiese, voltandosi.
Nathan rimase in silenzio per alcuni secondi.
Poi, si passò una mano fra i capelli, spettinandoli, e si avvicinò ad Alexa baciandola dolcemente.
Anche se quel movimento gli aveva causato un po’ di dolore a causa delle ferite del giorno prima, quando si allontanò da lei, il suo sorriso era pieno di fiducia.
Perché loro ce l’avrebbero fatta.
- Al rogo la megera!
 
***
 
Quando Avrile si svegliò, la stanza era illuminata solamente da un piccolo spiraglio di luce che passava attraverso la serranda abbassata.
Si stropicciò gli occhi, mettendosi a sedere, per poi dirigersi verso la porta e afferrare controvoglia il piccolo vassoio con la colazione che l’Altra Madre le faceva sempre trovare alla mattina.
Si rimise a letto e iniziò a mangiare: il succo d’arancia era buonissimo, così come le uova e la pancetta.
In un primo momento si era rifiutata di mangiare il cibo datole dalla Megera, ma, dopo un attenta analisi della situazione, era giunta alla conclusione che era meglio mantenersi in forze per quando sarebbero venuta a salvarla.
Oddio, non che si era rassegnata al fatto di dover rimanere lì dentro per chissà quante altre ore, no no!
Aveva provato tante volte a sfondare la porta con la spalla, cosa che aveva visto in tanti film, ma la cosa era risultata controproducente: l’unica cosa che aveva ottenuto era una spalla dolorante.
Aveva anche provato ad uscire dalla finestra, ma le serrande erano sempre abbassate e c’erano persino le sbarre: non sarebbe mai riuscita a passarci attraverso, così si era rassegnata.
Aveva iniziato a mangiare, e aveva preparato il piccolo zainetto con le sue cose, pronta a fuggire al minimo segno della venuta dei suoi salvatori.
Quella mattina, ebbe il presentimento che il momento propizio sarebbe giunto presto.
 
***
 
Julia si svegliò, tastò il letto accanto a lei con la mano e scoprì, con sollievo, che Jack non c’era.
Si alzò velocemente e si vestì; sarebbe stata una lunga giornata, e aveva intenzione di progettare un piano per salvare sua figlia.
Si diresse verso la cucina e fece colazione, preparando anche per Alexa, Nathan, Coraline e Wybie, che andò a svegliare con trepidazione.
Poi, dopo aver chiamato la donna e il suo compagno, andò nella stanza di Alexa, certa di trovare sua figlia  che dormiva abbracciata al suo ragazzo.
Ma, quando spalancò la porta, non vide niente.
Non c’era né Alexa né Nathan.
 
***
 
- Per quale cazzo di motivo mia figlia si va a cacciare sempre nei guai?! – urlò, gesticolando, ascoltata da Wybie e da Coraline che erano ancora mezzi addormentati e si erano accasciati sul divano.
- Qualcuno me lo spieghi, perché non riesco proprio a capirlo!
Coraline fece per alzarsi, e poggiò delicatamente la mano sulla spalla di Julia, invitandola con un silenzioso gesto a calmarsi.
- Sappiamo dove sono andati, almeno – disse Wybie, passandosi una mano fra i suoi ricci, cercando di distogliere l’attenzione dal suo viso.
Non voleva demoralizzare le due donne.
- E dove sono andati? – domandò ingenuamente Julia, avvicinandosi a lui e mettendosi seduta al posto di Coraline.
- Nell’Altro Mondo – dichiarò Wybie, come se quella fosse l’opzione più logica del mondo.
 
***
 
Alexa si rese conto che non ce l’avrebbero mai fatta nell’esatto momento in cui misero piede nell’Altro Modo.
Fece scorrere velocemente lo sguardo attorno a lei, assicurandosi che gli Altri Genitori fossero fuori dai piedi, e mandò Nathan avanti per guidarla verso la camera di Avrile.
Iniziarono a camminare velocemente e il più silenziosamente possibile, valutando con attenzione dove svoltare e su quali scale salire: arrivarono entro poco tempo nel corridoio che, in teoria, doveva essere il corridoio delle camere-prigioni.
Nathan fece per aprire la prima porta, ma quella era chiusa, così anche le quattro seguenti.
Quando arrivarono alla quinta e ultima porta, provarono ad aprirla, ma niente: quella era ancora chiusa.
Alexa chiuse agli occhi e si impedì di piangere; Avrile era lì in qualche camera e dovevano trovarla.
A cercare di aprire porta dopo porta aveva quasi perduto le speranze, almeno finché non sentì un sordo raschiare dietro la quinta porta: fece segno a Nathan di avvicinarsi, e si accovacciò davanti alla porta.
- Avrile? – sussurrò, sperando con tutto il cuore che dietro la porta ci fosse la sorella.
- Alexa? – mormorò una voce di bambina, e i due ragazzi tirarono finalmente un sospiro di sollievo.
L’avevano trovata.
 
***
 
L’Altra Madre osservava il Gatto, tamburellando le unghie sul piano in legno.
Più continuava a guardarlo, più non riusciva a capire come un animale così insignificante e superfluo fosse capace di sfuggire con così tanta abilità  al suo potere.
Dopotutto, era lei il Dio di quel luogo: e, come ogni Dio che si rispetti, era dovere suo far sì che tutto filasse alla perfezione e che i suoi piccoli esseri non facessero danni e non sgusciassero via ai loro doveri.
Ma, quel Gatto… la faceva andare completamente fuori.
Così, quando sentì dei rumori provenire da dentro la casa, per un momento non se ne preoccupò: il Gatto era lì, a fissarla con i suoi occhi gialli, e l’unico che poteva fare danni seri era lui.
Poi però, risentendo i rumori iniziò ad allarmarsi.
Sentendoli ancora dopo una trentina di secondi, capì che il momento era giunto.
Siamo alla resa dei conti.
Entrò correndo e con i denti bianchi che brillavano in un sorriso tutto fuorché rassicurante.

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Capitolo 16
*** Quindicesimo capitolo - Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Due. ***


 

Quindicesimo capitolo
Dove ci si ritrova alla resa dei conti – Parte Due








Nathan e Alexa correvano.
Le mani intrecciate, i respiri corti, correvano sapendo che tanto l’Altra Madre lì aveva già individuati, e aspettava solamente che cadessero nella tela del ragno per farli fuori.
Correvano per i corridoi, entravano nelle camere, svuotavano i cassetti tirando tutto a terra, decisi a trovare il mazzo di chiavi che apriva le porte delle camere-prigioni, una in cui era rinchiusa Avrile.
Non si separavano mai l’un dall’altra, sempre a contatto in qualche modo, e continuavano a correre e a cercare cercare cercare, perché il bisogno di trovare la chiave riempiva le loro menti e i loro cuori.
Si erano quasi dimenticati del pericolo a cui si erano esposti, e più andavano avanti e più non ci facevano caso, quasi come se l’Altra Madre fosse un incubo lontano che non avrebbe mai potuto ferirli e fargli del male.
Poi però furono costretti a risvegliarsi da quello stato, essere gettati nel mondo reale dove l’Altra Madre era reale e consistente.
Accadde in cucina, una delle poche stanze in cui non avevano ancora cercato.
Avevano appena tirato a terra l’ultimo cassetto e avevano iniziato a spalancare le credenze, pronti a scattare appena avessero trovato qualcosa di simile a quello che cercavano.
- Cercate queste? – disse l’Altra Madre, in piedi alla porta della cucina, con in mano il mazzo di chiavi.

***

Julia e Coraline, in quel momento, erano tutto fuorché propense a collaborare.
Sedevano l'una di fronte all'altra, la prima con il viso fra le mani e la seconda con una posa composta, come di suo solito.
I loro figli erano scomparsi, soldati di una missione suicida a cui loro due avrebbero dovuto partecipare: ma, comunque, non avevano la minima intenzione di parlarsi, almeno finché qualcuno non avesse trovato la soluzione.
Si incolpavano.
Sì, si incolpavano l'un l'altra per ciò che era successo. Con le mani in mano, non sapevano cosa fare.
Andare nell'Altro Mondo? Troppo pericoloso.
Coraline da bambina ci era stata, e aveva sconfitto l'Altra Madre, ma per una specie di sesto senso la donna era più che sicura che non sarebbe riuscita di nuovo a farla franca.
Quindi, di andare nell'Altro Mondo non se ne parlava proprio.
Altre opzioni in realtà non ce n'erano: come avrebbero potuto aiutarli, da lì? L'unico ad essere libero in quel mondo era il Gatto, ma non si faceva vedere da un po', e Coraline poteva scommetterci la mano destra che il Gatto stava aiutando i loro figli.
Cosa che loro non stavano facendo.
- Allora? – domandò improvvisamente Wybie, spuntato fuori da chissà dove.
Coraline gli rivolse uno sguardo veloce, annoiato. Non era d'aiuto. Dovevano trovare un modo per salvare i loro figli.
- Allora cosa? – domandò Julia, sollevando il capo.
- Allora come ci organizziamo – rispose l'uomo, pazientemente.
Coraline ebbe un moto di stizza verso colui che conosceva come le sue tasche: proprio perchè lo conosceva, sapeva cosa avrebbe detto di lì a poco.
E, inevitabilmente, avrebbe dovuto dargli ragione.
Basta paura. Basta ripensamenti. Rimedia all'errore da te commesso nove anni fa. Per quell'errore ora si è giunti a questa situazione. Risolvi la situazione.
Basta paura.

Coraline si alzò in piedi, il solito atteggiamento calmo, deciso, il pieno controllo della situazione -e anche se non era vero, era meglio crederlo.
- Andiamo nell'Altro Mondo.
Anche Julia si alzò, circondando le braccia attorno al proprio busto in un gesto infantile.
- Per fare che cosa? – domandò la donna, una voce più sicura di quella di prima.
Anche lei aveva capito.
Anche lei ora doveva riparare ai suoi errori.
Basta paura.

I tre adulti si scambiarono uno sguardo di intesa: avevano capito tutti.
Coraline lo affermò ad alta voce, per dargli consistenza, per cominciare a muoversi, per andare contro il male senza nessun timore; perchè la loro causa era quella giusta.
- Per salvare i nostri figli.

***

L'Altra Madre faceva oscillare il mazzo di chiavi sul suo lungo dito dalle unghie affilate come artigli, laccate di rosso.
Alexa tentà uno scatto in avanti, ma Nathan la fermò, non senza un gemito di dolore per il movimento brusco: la ragazza subito si rimise al suo posto, assicurandosi che Nate stesse bene prima di rivolgere la sua attenzione alla creatura di fronte a lei.
- Che bella coppietta – mormorò quella, una sfumatura metallica nella sua voce che fece accapponare la pelle dei due ragazzi.
- Una bella squadra, non c'è che dire. Una ragazzina isterica in contrasto con il mondo – disse, soffermandosi su Alexa – e il mio fedele aiutante senza spina dorsale. Ex-aiutante, ora che l'hai portato sulla "retta via".
Alexa tentava di ragionare velocemente e trovare un modo per prendere il mazzo di chiavi: il suo sguardo puntato su di esso.
Nathan, nel mentre, ascoltava la Megera.
- Non capisco tutto questo accanimento contro di me – continuò lei – A pensarci bene, io sono una madre migliore delle vostre messe assieme. No, Nathan? Ti ho fatto da madre per nove anni, e ti ho amato. Ti ho dato tutto ciò che desideravi, tutto ciò che non avresti mai potuto avere con la tua vera madre.
L'attenzione di Alexa si era spostata su Nathan: le sue dita erano poggiate sul suo braccio, come a fargli sentire che lei c'era, che non l'avrebbe abbandonato.
Sapeva cosa stava cercando di fare la Megera.
Insinuare in loro il seme del dubbio, portarli dalla sua parte, ingannarli, illuderli.
Non poteva permetterglielo.
- E tu, Alexa? Tuo padre se n'è andato appena le cose si sono complicate, ma si può anche dire che non c'è mai stato. E tua madre? Concentrata su una battaglia persa in partenza per un singolo smidollato uomo. Meriti di meglio, e tu lo sai.
La ragazza prese un respiro profondo, prima di parlare, cercando di non tremare. Accanto a lei, Nathan c'era. Avrebbero affrontato questa cosa insieme.
- So cosa stai facendo. Ti piacciono i giochi, quelli mentali ancor di più: non ci arrenderemo finché non avremo quel mazzo di chiavi, finché mia sorella non sarà fuori da quella stanza, finché non torneremo nel nostro mondo sani e salvi.
La Megera sorrise.
Sorrise, i denti bianchi che risplendevano, i bottoni che luccicavano: un sorriso crudele.
- Mi piace quando l'avversario è determinato, e più soddisfacente guardarlo mentre perde – mormorò, ed Alexa tremò a quell'affermazione; l'Altra Madre l'aveva detta con così tanta sicurezza che più la frase rimbombava nella sua testa, più le sembrava vera.
- Non giocheremo con te – affermò Nathan.
L'Altra Madre inscenò un'espressione delusa.
- Oh. Oh sì che giocherete. Non c'è altro modo per liberare Avrile, oltre al mazzo di chiavi che tengo in mano, e voi non volete andarvene senza la piccola guasta-feste.
Aveva ragione, purtroppo.
Aveva ragione e dovevano sottostare alle sue regole.
Fu veloce, un lampo di luce quasi, un suono metallico: la Megera aveva lanciato le chiavi verso di loro, e c'era voluta una notevole prontezza nell'afferrarle prima che cadessero a terra; Nathan le osservava, poi osservava l'Altra Madre, senza ben afferrare cosa fosse appena successo.
- Liberate Avrile, correte al piano di sopra: è più divertente giocare in quattro, no? – domandò, e poi si volatilizzò, sotto i loro occhi.
Alexa e Nathan si scambiarono uno sguardo confuso.
Dovevano sottostare alle sue regole.
Si tirarono su, e cominciarono a correre verso il corridoio.

***

 Coraline, Julia e Wybie procedevano a passo spedito: qualcuno che non fosse a conoscenza della vicenda li avrebbe di certo presi per ridicoli, con tutti quegli attrezzi in mano: pale, padelle, coltelli da cucina.
Loro invece erano determinati.
Coraline procedeva per prima, l'unica che fosse mai andata nell'Altro Mondo, e che quindi sapeva cosa li stava aspettando: dietro, Julia e Wybie tenevano lo sguardo alto, le spalle ben dritte.
Arrivarono presto alla porticina del salotto: era aperta.
Coraline respirò profondamente prima di spalancarla.
E lì, Julia urlò.
Il corridoio era grigio, buio, sporco.
Le uniche luci che lo illuminavano erano quelle degli occhietti rossi, iniettati di sangue, dei topi.
Era quello probabilmente ciò che aveva aggredito Nathan.
Dozzine e dozzine di ratti, producevano un rumore simile ad uno stridio, un ticchettio, piccoli squittii che però non avevano nulla a che fare con quelli dei ratti del loro mondo.
Improvvisamente si mossero, insieme, come se fossero un tutt'uno; si riunirono tutti nello stesso punto, all'incirca al centro del tunnel, accumulandosi sempre di più finché non ne venne fuori un unica ombra, un unica gigantesca figura che impediva loro il passaggio.
Coraline afferrò bene la pala.
Gli altri due, fecero lo stesso.
- Per Alexa ed Avrile – mormorò Julia, prima di gettarsi all'attacco.




 

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Alice’s Space:
Non linciatemiiiiii.
Lo so, lo so. Questa storia è in pausa da mesi. Ma capitemi, la mia ispirazione era andata via!
Ora sono tornata, e spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Pfiu. Che faticaccia è stata riprendere in mano questa storia, questi personaggi xD
Insomma, lasciatemi un parere, quello che volete, ditemi cosa ne pensate (?)
Mi dispiace tantissimo per il ritardo!
Bacioni a tutti :*

p.s: c'è un altro capitolo dopo questo, e poi l'epilogo. restate con noi per gli aggiornamenti :3

 

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