Il mistero del Fuoco Oscuro

di Hazel 88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap 1: L'incontro con il padre ***
Capitolo 3: *** Cap 2: Un profondo risentimento ***
Capitolo 4: *** Cap 3: Disprezzo ***
Capitolo 5: *** Cap 4: Una fuga pericolosa ***
Capitolo 6: *** Cap 5: Il segreto del Fuoco Oscuro [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 7: *** Cap 6: Tenkyo, Mekare, Benimaru [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 8: *** Cap 7: Ribellione [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 9: *** Cap 8: Una scelta difficile [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 10: *** Cap 9: Il tradimento di Mekare [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 11: *** Cap 10: Ricordi laceranti ***
Capitolo 12: *** Cap 11: Dannazione e salvezza [La storia di Kotaro] ***
Capitolo 13: *** Cap 12: Troppo tardi! [La storia di Kotaro] ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Le quattro figure incappucciate si radunarono intorno all’altare.
-È tutto pronto!- dichiarò una di loro, un maschio -Dobbiamo solo versare il nostro sangue in quel calice ed evocare le sacre bestie.-
Scoprirono il loro volto: erano due maschi e due femmine, tutti demoni del fuoco.
Contemporaneamente, ognuno di loro estrasse un pugnale da sotto il proprio mantello e si incise con decisione il polso. Il sangue colò dalle quattro mani protese e si depositò in una grande coppa, posta al centro di un altare di pietra.
I demoni iniziarono a cantilenare delle arcane parole, che ebbero l’effetto di richiamare quattro entità oscure.
-Perché ci avete evocato?- tuonò una di queste, un umanoide dall’aspetto felino.
-Potente Byakko e potenti Seiryu, Suzaku e Genbu…- esordì uno dei due demoni maschi -Inutile mentire o usare giri di parole… vi abbiamo evocato perché desideriamo il potere, il vostro potere talmente immenso da non conoscere eguali.-
-Avete compiuto il rituale alla perfezione e noi non possiamo rifiutarci di donarvi ciò che chiedete.- confessò un’entità alata, Suzaku.
-Immagino già sappiate cosa succederà…- intervenne Genbu -Noi rappresentiamo la parte più oscura e maligna delle quattro divinità sacre. Ognuno di noi si fonderà con uno di voi e da allora potrete espellere l’energia che vi doneremo dal vostro corpo per poi nutrirvene e, addirittura, potrete assumere le nostre sembianze.-
-Siete demoni del fuoco e tali resterete, ma le vostre fiamme saranno di un livello superiore e assumeranno una colorazione nera.- spiegò nuovamente Suzaku -E ovviamente i vostri discendenti erediteranno questi poteri.-
-Ovviamente ci saranno delle conseguenze…- fu il monito di Seiryu -Se non sarete in grado di controllare il nostro potere, la vostra personalità verrà totalmente annullata e diventerete belve sanguinarie prive di lucidità.-
-Non solo… Da questo rituale si sprigionerà un’entità maligna che accrescerà il suo potere nei secoli e solo le nostre massime forze congiunte potranno scongiurare il pericolo.- aggiunse Byakko -Siete dunque pronti a riceverci?-
-Sì!- confermarono i demoni del fuoco.
Le quattro bestie oscure formarono un semicerchio e iniziarono a pronunciare formule oscure.
Iniziò la fusione: Seiryu penetrò nel più anziano; Suzaku nel secondo in ordine d’età; Byakko nel terzo e, infine, Genbu nel quarto.
Mano a mano che sarebbero nati i discendenti, avrebbero ereditato i poteri delle divinità in quest’ordine.
I quattro demoni del fuoco erano diventati adesso recipienti di una forza immensa e forse incontrollabile… Eccitati, si allontanarono per sperimentare le loro nuove capacità e per imparare a gestirle, ignari, o forse incuranti, dell’avvertimento delle quattro bestie: una entità pericolosamente malvagia si era formata e la sua potenza sarebbe cresciuta nel corso del tempo, minacciando tutti i mondi conosciuti.

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Capitolo 2
*** Cap 1: L'incontro con il padre ***


Cap 1: Incontro con il padre

Il demone correva a perdifiato attraverso gli alberi di una folta foresta. I suoi sensi erano attivati al massimo per riuscire a percepire qualunque presenza ostile: nel Makai, il mondo dei demoni, non si poteva mai abbassare la guardia. Proprio a causa di una distrazione, due spettri gli avevano inferto una profonda ferita alla spalla e il sangue sgorgava così copiosamente da lasciare pericolose tracce ai suoi due inseguitori. Ma lui sembrava non curarsene; pensava solo a fuggire il più rapidamente possibile.
Ben presto, però, dovette fermarsi. Le energie iniziarono ad abbandonarlo e la debolezza lo costrinse ad inginocchiarsi sul suolo. Non tentò neppure di individuare i due demoni con il terzo occhio: era consapevole di non avere più forza.
Si guardò intorno e si accorse subito di trovarsi in un luogo sconosciuto: era scappato senza badare troppo alla direzione.
La sua mente era talmente annebbiata, che non si avvide della presenza che comparve improvvisamente alle sue spalle e gli puntò una lama alla gola.
-Che stai facendo nel mio territorio?- domandò imperiosamente una voce maschile -È noto a tutti che non gradisco le intrusioni.-
Il demone sobbalzò sorpreso. Un brivido freddo percorse tutta la lunghezza della sua schiena: la figura alle sue spalle possedeva un’energia demoniaca immensa.
-Non sapevo che questo fosse il tuo territorio.- mormorò con cautela -Due demoni mi hanno ferito e io sono scappato, senza far caso alla direzione.-
L’altro buttò una rapida occhiata sulla spalla del giovane. -Sì, vedo. Ma non mi fido. Ora girati lentamente verso di me e non tentare scherzi.-
Non avendo molta scelta, il demone obbedì e si trovò a puntare i suoi occhi rossi in altri due identici ai suoi. Entrambi si fissarono sbalorditi. La somiglianza fra i due era impressionante, come poteva esserlo solo tra due fratelli, oppure tra padre e figlio.
Il demone in piedi abbassò la sua spada. -Qual è il tuo nome, ragazzo?-
-Hiei.- pronunciò il secondo, scrutando il suo interlocutore. Questi annuì come se la risposta avesse fornito una certezza ad una supposizione.
-Guarda guarda chi abbiamo ritrovato!- esclamò improvvisamente una voce sgradevole.
-Il piccolo ladruncolo! Non credi di doverci restituire qualcosa?- intervenne un’altra.
Hiei imprecò sottovoce: i suoi due inseguitori l’avevano raggiunto.
Questi ultimi iniziarono a ridacchiare sguaiatamente, ma si frenarono quando avvertirono uno sguardo gelido squadrarli da cima a fondo.
-Anche voi siete giunti qui per caso?- li interrogò il demone spadaccino con aria di sufficienza -Avete idea di dove vi trovate?-
-E tu chi diavolo sei?- biascicò uno dei due.
-Guarda come si somigliano. Il moccioso deve essere andato a chiedere aiuto a un suo parente…- gracchiò l’altro divertito.
Il demone li ignorò. -Vi ho fatto una domanda.-
-Certo che lo sappiamo! Abbiamo invaso il territorio di Kotaro della Fiamma Oscura.- rispose un demone sghignazzando -Ma cosa importa? Siamo lontani dal suo covo e lui non verrà mai a saperlo.-
“Kotaro della Fiamma Oscura” ripeté mentalmente Hiei, osservando il giovane uomo in piedi accanto a lui.
Un ghigno beffardo si dipinse sulle labbra di questi. -Esatto! Avete violato la mia proprietà.- dichiarò e, scomparendo improvvisamente, si materializzò davanti all’ultimo demone che aveva parlato e lo ridusse in pezzi.
-Ko-Ko-Kotaro della Fiamma Oscura!- balbettò terrorizzato il suo compagno, poi si mise a correre disperatamente.
-Non dirmi che sono stati questi due idioti a ferirti.- sospirò Kotaro che, senza attendere un’eventuale risposta dal ragazzo, raggiunse in un attimo il fuggitivo e lo spedì velocemente all’altro mondo.
Come se si fosse teletrasportato, si parò di fronte a Hiei. Con una mossa fulminea del braccio, afferrò un sacchetto che il ragazzo teneva sotto il suo mantello.
-Ecco cosa hai rubato a quei due.- disse Kotaro, rigirandosi il sacchetto in una mano e vuotandone il contenuto sull’altra -Ma non sembrano valere granché questi gioielli.-
Il giovane demone ignorò il commento e fissò il suo interlocutore con diffidenza. -Si può sapere chi diavolo sei?-
Kotaro smise di giocare con i preziosi nella sua mano e rivolse un vago sorriso al ragazzo. -Esattamente chi credi che io sia!-
Hiei lo fulminò con un’occhiata sprezzante, poi, rialzatosi con fatica, tentò di andarsene, ma un forte capogiro lo costrinse nuovamente a terra. Imprecò mentalmente e maledisse lo spettro che gli aveva provocato quella ferita.
-Non puoi andartene in quelle condizioni.- ingiunse il demone, che si era portato davanti a lui -Non arriveresti lontano.-
-Questi non sono affari tuoi!- rispose seccamente Hiei, riprovando a mettersi in piedi.
Kotaro poggiò la mano sulla spalla sana del giovane , obbligandolo a rimanere seduto. -Lo sono eccome.- replicò pacatamente.
Lo sguardo di Hiei era un misto di incredulità e disprezzo. -E va bene. Abbiamo assodato che sei mio padre. Ma la cosa non ha la minima importanza per me.- un sorriso sfacciato dipingeva il volto del giovane mentre pronunciava queste parole -Non fai parte della mia vita ed è un’ipocrisia che adesso ti stia preoccupando per me. Sarai anche mio padre, ma io non ti considero tale.-
Kotaro ascoltava in silenzio, con le braccia conserte e l volto impassibile. -Come vuoi.- sibilò gelidamente -Ma ti ripeto che non te ne andrai da qui in questo stato.-
-Vorresti impedirmelo?-
-Se devo. In ogni caso, non avrò bisogno di sprecare molte energie contro un cucciolo ferito.-
-Cosa?!- la provocazione del demone aveva irritato non poco Hiei.
-Ho paura che non sia il momento giusto per invitare qualcuno, fratello!- intervenne all’improvviso una voce alle spalle di Kotaro. Il sorriso beffardo si spense dalle labbra di quest’ultimo, per lasciare posto ad un’espressione seccata. -Che ci fai qui, Easlay? Torna immediatamente al castello!- gli intimò.
-Phew! Vacci piano, Onii-san, o potrei morire di paura.- ironizzò Easlay.
Hiei si sporse per poter guardare oltre Kotaro e constatare così l’aspetto del nuovo arrivato.
Era un ragazzo che fisicamente sembrava essere poco più vecchio di lui e aveva capelli nero-blu e occhi rossi proprio come lui e Kotaro, anche se, a differenza di loro due, non era un demone completo. Mano a mano che si avvicinava, Hiei focalizzò che nel suo aspetto c’era qualcosa che non andava: l’iride e la pupilla dei suoi occhi avevano la stessa forma di quella dei rettili e il suo corpo era quasi impercettibilmente ricoperto da scaglie. Inoltre, sembrava trovarsi in uno stato di pericolosa sovreccitazione.
-Ma guarda! Così quello sarebbe il tuo famoso figlio.- continuò Easlay -Ma ti avverto che la sua presenza è tutt’altro che gradita. Quindi, o sparisce lui, o lo faccio sparire io!-
Hiei non era affatto tranquillo. L’atteggiamento di quel mezzo demone non era per niente normale e dava l’impressione di non essere del tutto lucido.
-Attento Easlay! La mia pazienza ha un limite. Non sfidarla!- replicò minacciosamente Kotaro.
-Non ti sopporto davvero, quando ti dai tutte queste arie!- urlò Easlay, lanciandosi freneticamente su suo fratello per attaccarlo.
Hiei fremette leggermente intimorito. Kotaro, invece, era sorprendentemente calmo e, schivato agilmente l’assalto del mezzo demone, lo colpì a sua volta con un poderoso pugno nello stomaco. Easlay strabuzzò gli occhi, che intanto avevano riacquistato la loro forma naturale, e cadde a terra privo di sensi.
-Ho un motivo per darmi “tutte queste arie”! Razza di idiota!- mormoro con disgusto Kotaro.
Hiei notò che poco a poco anche la sua pelle, leggermente scagliosa, tornava ad avere un aspetto umano. “Ma che…?”
-Onii-chan!- urlò una voce femminile, interrompendo i pensieri del giovane demone.
Una ragazza, anch’essa demone solo per metà, stava correndo verso di loro. I suoi lunghi capelli ondulati erano neri e gli occhi rossi come i suoi fratelli. Dall’aspetto sembrava avere all’incirca la stessa età di Easlay.
-Twiggy!- esclamò il demone.
La ragazza si fermò a pochi passi dal fratello e riprese fiato per qualche istante. -Perdonami, Onii-chan! Sembrava una belva impazzita. Non sono riuscita a trattenerlo.-
Kotaro non rispose e, annullata la distanza fra loro, le sollevò il mento con una mano. -Ti ha picchiata.- disse esaminando un piccolo taglio sulla gota della giovane.
-È solo una sberla, niente di preoccupante.- lo rassicurò Twiggy.
Il demone annuì e si scostò da lei. Fu allora che si accorse di Hiei. -E lui…?- domandò stupita.
-Lui e Hiei.- rispose semplicemente Kotaro.
Twiggy sembrava ancora più sbalordita, anche perché, evidentemente, era consapevole dell’identità del ragazzo.
-Fammi un favore. Prendi Easlay e rinchiudilo nella sua stanza.- le disse improvvisamente il demone.
Senza dire nulla, la ragazza prese il fratello sulla sua schiena e si allontanò verso la direzione da cui era provenuta.
Kotaro si avvicinò nuovamente a Hiei.
-Che vuoi fare?- sibilò il ragazzo.
-Portarti nel mio castello e medicare quella ferita, prima che si infetti ulteriormente.-
-Non hai capito! Non ho bisogno del tuo aiuto! Non voglio il tuo aiuto! Senza contare che non ho alcuna intenzione di stare sotto lo stesso tetto di quel pazzo furioso!- urlò Hiei che, con uno sforzo immane, si tirò in piedi e si diresse velocemente verso i limiti del territorio di Kotaro. Stava per varcarli, ma qualcosa lo respinse, facendolo volare fino ai piedi di suo padre.
-Una barriera?!- esclamò Hiei stupefatto.
-Esatto. Una barriera che mi permette di individuare eventuali intrusioni e che impedisce a coloro che sono estranei al territorio di uscire, a meno che non lo voglia io.- Kotaro spiegò tutto con un sorrisetto irridente stampato in faccia.
-Bastardo!- mormorò Hiei a denti stretti. Poi, improvvisamente, il mondo iniziò a vorticare paurosamente intorno a lui e svenne: aveva perso troppo sangue e l’ultimo sforzo compiuto era stato troppo azzardato per il suo fisico debole.
Kotaro emise un sospiro di sconforto e, caricatosi il figlio sulle spalle, fece ritorno al suo castello.

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Capitolo 3
*** Cap 2: Un profondo risentimento ***


Cap 2: Un profondo risentimento

Quando Hiei si riprese, si trovò disteso su un enorme letto.
Si guardò intorno; era in un’ampia stanza riccamente arredata: accanto al letto a baldacchino, c’era un grande armadio d’ebano; al centro vi erano quattro poltrone e un tavolino, posti davanti ad un enorme camino, in cui era stato acceso un bel fuoco crepitante; ai lati di quest’ultimo, infine, vi erano due ampie vetrate, ricoperte da delle tende di seta nera.
Il ragazzo notò che la ferita (uno squarcio che partiva dalla spalla e finiva poco prima del gomito) era stata curata. Provò a sollevarsi, ma, al primo accenno di movimento, avvertì una fitta terribile alla testa e il mondo circostante sembrò capovolgersi.
-La ferita aveva una brutta infezione che ti ha causato la febbre alta.- dichiarò la voce di una figura nascosta nella penombra della stanza -Hai dormito per più di un giorno.-
Non c’era bisogno che la figura avanzasse perché Hiei capisse di chi si trattava: suo padre, ovviamente.
Il ragazzo cercò di trovare una battuta velenosa da rivolgergli, ma si sentiva così debole e stanco che rinunciò.
Kotaro si fermò a pochi passi dal letto e Hiei ebbe per la prima volta l’occasione di esaminare minuziosamente il suo aspetto.
Il giovane demone intuì, dalla forza diabolica che percepiva, che doveva essere vecchio di almeno cinque secoli, anche se esteticamente dava l’impressione di essere solo di poco più grande di lui.
Era decisamente più alto del ragazzo. Sicuramente Hiei non aveva ereditato da lui la sua bassa statura. I suoi capelli erano sparati come quelli del figlio, ma, a differenza di quest’ultimo, non aveva la frangia, anche se qualche ciuffo ribelle gli ricadeva scompostamente sugli occhi.
I loro volti erano straordinariamente somiglianti, ma si potevano comunque notare due sottili differenze. La prima riguardava i lineamenti: quelli di Kotaro erano leggermente più maturi e marcati. La seconda, invece, poteva riscontrarsi nel taglio degli occhi: quelli del demone più anziano erano lievemente più sottili e allungati, rispetto a quelli di Hiei che erano un po’ più grandi.
Era vestito con degli abiti che appartenevano alla moda del Ningenkai, il mondo degli uomini, anche se non era infrequente riscontrare tale uso in parecchie zone del Makai. In fondo, fino a pochi secoli prima, Makai e Ningenkai erano fusi in un’unica dimensione. Poi, notando che la convivenza fra umani e demoni si stava facendo via via sempre più impossibile (date le preferenze alimentari della maggioranza degli ultimi), le autorità del Mondo Spirituale avevano deciso di separarli in due mondi, attraverso una barriera dimensionale.
Tuttavia, molti demoni trovavano il modo di varcare la barriera e quelli che decidevano di tornare indietro, in genere quelli più pacifici, curiosi e riflessivi (pochi ma esistenti!), spesso recavano con loro le conoscenze, gli usi e le mode, che avevano appreso nel mondo umano, per diffonderli nel loro.
Kotaro doveva far parte di questa categoria. Indossava una felpa nera e dei pantaloni di jeans; ma la cosa che attirò maggiormente l’attenzione di Hiei era un pezzo di stoffa nera, che sbucava dalla manica della felpa e fasciava metà della sua mano destra.
Lo sguardo del ragazzo si fissò su quel particolare; Kotaro se ne accorse e infilò la mano nella tasca dei jeans. Il giovane demone del fuoco, allora, voltò di poco la testa e notò che sul comodino accanto al letto erano stati sparsi i gioielli che aveva rubato. Ripensò al giorno prima, quando aveva ascoltato la conversazione di due spettri che si stavano vantando con altri di aver rubato parecchi preziosi, inclusa una pietra hirui, che valeva davvero moltissimo.
Hiei aveva perso da qualche tempo proprio la sua pietra hirui che era un ricordo di sua madre, una koorime (dama dei ghiacci) di nome Hina. Tale gemma si forma dalle lacrime di una koorime e quella che possedeva Hiei era la lacrima che sua madre aveva versato dopo averlo messo al mondo. Il demone credeva di poterne finalmente tornare in possesso, quindi derubò nel sonno i due spettri.
Quando si fermò per verificare il contenuto del bottino, ricevette un’amara sorpresa: i demoni avevano mentito; non avevano rubato alcuna pietra hirui.
Inoltre, mentre era intento a cercare ciò che gli interessava, non si era accorto di avere i due furiosi derubati alle spalle; fu così colto di sorpresa dall’attacco di uno di loro, che gli provocò, appunto, il brutto squarcio sul braccio.
-Sono tutti lì, non ho toccato nulla.- la voce di Kotaro interruppe il filo dei suoi ricordi -Anche perché non valgono granché.-
Hiei rivolse uno sguardo annoiato a suo padre, che scoppiò a ridere divertito; la cosa irritò ulteriormente il ragazzo.
-In ogni caso, finalmente ho capito come quei due abbiano potuto ferirti.- affermò Kotaro, sedutosi sul letto accanto a lui, mentre gli scostava i capelli dalla fronte -L’impianto del terzo occhio comporta la perdita di una notevole quantità di forza demoniaca.-
Hiei colpì con forza la mano del demone. -Non prenderti troppa confidenza con me!- sibilò acidamente.
Il tono del ragazzo suscitò nuovamente un’esplosione di ilarità in suo padre. -Proprio un bel caratterino. Mi piace!-
-Non ti sopporto proprio!- sbottò Hiei -Quand’è che mi lascerai andare?-
-Finché non sarai completamente guarito, resterai qui.- rispose Kotaro con un’espressione che non ammetteva repliche.
-Hai intenzione, almeno, di lasciarmi tranquillo in questa stanza?- il ragazzo girò gli occhi verso l’alto in un gesto di esasperazione.
-Impossibile… visto che questa è la mia stanza.-
-Non dirmi che in un castello non ci sono altre stanze?!-
Lo sguardo del demone più anziano si fece più seria. -Forse non ti rendi conto della tua situazione. Hai una brutta infezione, che potrebbe peggiorare, se non viene medicata costantemente e se non ti somministro regolarmente le cure necessarie, rischi di finire all’altro mondo.-
-Perché vuoi far finta che te ne freghi qualcosa?- fu l’aspra replica di Hiei.
-E tu perché vuoi credere a tutti i costi che io sia un falso ipocrita?- ribatté duramente Kotaro.
-Perché mi attengo ai fatti! E i fatti dicono che tu hai messo incinta mia madre e l’hai abbandonata al suo destino di morte insieme al figlio maschio, che scampato alla sua sorte è stato cresciuto da demoni della peggior specie, e che hai ignorato una figlia femmina totalmente inutile, adesso sparita chissà dove!-
Le accuse colpirono profondamente Kotaro che non riuscì a controbattere.
-Hai pensato che sarebbe stato divertente sbattersi una sgualdrina koorime, che tanto sarebbe crepata!- continuò Hiei infervoratosi -E che sarebbe stato facile sbarazzarsi di due mocciosi indesiderati: uno sarebbe stato ucciso dalle koorime, l’altra cresciuta dalle stesse nell’ignoranza. Il grande demone del fuoco se l’è spassata e poi se ne è tornato tranquillo nel suo bel castello, fregandosene di tutto!-
Kotaro sferrò un violento colpo sul viso del ragazzo, poi gli afferrò il mento con una mano e lo costrinse a guardarlo negli occhi. -Sciocco ragazzino presuntuoso.- sibilò a denti stretti per trattenere la sua ira, con il volto a pochi centimetri da quello del figlio -Pretendi di sapere, ma in realtà non sai proprio nulla né di me, né di Hina, né della nostra storia.-
-Illuminami, allora!- lo provocò ancora il ragazzo, per non mostrare d’essere intimorito.
Il demone lo lasciò e si alzò dal letto. -Non ora. Forse dopo, se ne avrò voglia.- dopo aver detto ciò, uscì sbattendo rabbiosamente la porta.
Hiei emise un lungo sospiro. La testa gli doleva e il pugno che Kotaro gli aveva poc’anzi rifilato aveva contribuito a peggiorare la situazione.
Ma di una cosa era soddisfatto: aveva detto a quel bastardo tutto ciò che pensava di lui, anche se la sua reazione lo aveva decisamente spiazzato. Si era aspettato che lo avrebbe colpito, ma le parole “non sai proprio nulla di me, né di Hina, né della NOSTRA storia” continuavano a ronzargli in testa.
Possibile che la versione che aveva sempre sostenuto non rispondesse alla realtà?
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, attendeva con una certa curiosità di ascoltare il racconto di Kotaro. Con questi pensieri in mente, il giovane demone si addormentò, vinto dallo sfinimento.

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Capitolo 4
*** Cap 3: Disprezzo ***


Ciao Dreven! Anche per me è un piacere conoscerti. Sono davvero contenta che apprezzi la storia e ti ringrazio per i tuoi complimenti. Purtroppo per la storia di Kotaro dovrai aspettare un po’… due settimane, se tutto va bene. Quanto al nome, non c’è alcun motivo sotto. È un nome che mi piace e mi sembrava stesse bene al personaggio. Un po’ come i nomi dei personaggi nuovi. Continua a seguirmi e commentare, mi raccomando. Baci anche a te!

Cap 3: Disprezzo

Kotaro entrò furiosamente nella biblioteca del suo castello.
Twiggy, seduta su un divano, scattò in piedi intimorita dall’espressione truce del fratello.
-Esci!- sibilò freddamente lui, senza fornire spiegazioni.
Twiggy guardò perplessa il demone. Era raro vederlo incollerito: in genere, manteneva sempre un atteggiamento distaccato.
-Muoviti!- urlò Kotaro, spazientito dall’indugiare della ragazza.
Quest’ultima indietreggiò come se avesse ricevuto uno schiaffo e subito si affrettò ad uscire: non era il caso di irritare ulteriormente il fratello.
Kotaro sbatté la porta con forza, poi sedette nervosamente alla sua scrivania. Appoggiò i gomiti sul piano e la testa sulle mani, scuotendola leggermente.
Improvvisamente, con un sospiro si abbandonò contro lo schienale della sedia e fissò assorto il secondo cassetto della scrivania. Lo aprì e tirò fuori un cofanetto nero. Il coperchio fu sollevato lentamente fino a rivelare il contenuto: una pietra hirui.
“Prendila, come pegno del mio amore per te.” sussurrò una malinconica voce femminile nella sua testa.
Lo sguardo teso di Kotaro si addolcì. -Hina.- mormorò, sfiorando la gemma con un dito.

Twiggy lasciò passare quasi un’ora, poi prese coraggio e bussò alla porta della biblioteca.
Nessuna risposta.
-Onii-chan?- tentò timidamente un’altra volta -Posso entrare?-
Di nuovo silenzio assoluto.
La ragazza tirò un lungo respiro e decise di entrare comunque. Varcò la soglia e chiuse lentamente la porta dietro di sé.
Kotaro non la degnò di uno sguardo.
Twiggy notò il cofanetto semi-aperto sulla scrivania e subito intuì il motivo del cambiamento d’umore di suo fratello.
Non conosceva i particolari, ma di sicuro si trattava di qualcosa che aveva a che fare con la donna che aveva donato a Kotaro quella strana e preziosa gemma, un argomento tabù per il demone.
-Come sta Easlay?-
Fu la sua voce atona e apatica a ridestarla.
-Quando sono andata a controllarlo l’ultima volta non era molto tranquillo.- rispose lei in un sussurro -Mi ha insultata come al solito.-
Kotaro la guardò e annuì. -Vado a dargli un’occhiata.-
-Onii-chan!- Twiggy lo bloccò a pochi passi da lei.
Il demone la guardò con aria interrogativa.
-Posso fare qualcosa?- chiese preoccupata.
Kotaro le rivolse un fievole sorriso e negò con la testa, poi si diresse verso la stanza di Easlay.

Lo trovò come lo aveva lasciato la sera precedente: disteso sul letto con tutti e quattro gli arti legati alle estremità del giaciglio.
Il mezzo demone si voltò a guardare Kotaro. -Per quanto tempo hai intenzione di tenermi così?-
Il tono era sprezzante e l’atteggiamento bellicoso, ma il suo aspetto fisico era tornato alla normalità.
-Finché sarà necessario.- fu la laconica risposta dell’altro.
Easlay ebbe un moto di stizza. -Ti senti tanto forte?-
-Io lo sono!- replicò beffardamente Kotaro, sottolineando volutamente il pronome.
-Devi sempre ricordarmi la mia condizione di mezzo demone.-
-È un dato di fatto.-
-Ma quando mi scateno, anche tu che sei un demone completo, tremi dalla paura.- un sorrisetto compiaciuto si dipinse sulle labbra di Easlay.
Kotaro lo guardò con sufficienza. -Paura di un moccioso che lotta come una belva disperata e ha la mente annebbiata da un potere troppo grande perché lo possa gestire… certo, come no?-
-E allora perché mi hai immobilizzato?-
-Per evitare che causi danni ad altri e soprattutto a te stesso.-
-Me stesso!- urlò il mezzo demone -Tu non sopporti me come io non sopporto te! Perché ti ostini a tenermi qui?-
Kotaro si sedette su una poltrona accanto al letto. -È vero. Non ti sopporto e ti disprezzo! Sei un ridicolo mezzo demone, la prova vivente del tradimento di mio padre verso mia madre.- dichiarò il demone con un tono tranquillo e distaccato -Sei un essere debole e inadeguato a controllare l’immenso potere che è stato tramandato ai membri della nostra famiglia.-
Kotaro si protese verso di lui e liberò il suo braccio destro da degli strani bendaggi che lo ricoprivano dal gomito fino alla mano.
-Cosa stai…- tentò di replicare Easlay.
Il demone gli strinse con forza il polso e fissò il dorso della mano: una sorta di tatuaggio, rappresentante una testuggine nera con il guscio ricoperto di serpenti, era disegnato sul suo avambraccio, raggiungendo metà mano.
-Sei indegno!- sibilò gelidamente, bendandogli nuovamente il braccio -Indegno e dannoso. Solo un problema per me e Twiggy.-
-Già, Twiggy!- sbuffò il mezzo demone distogliendo lo sguardo dal fratello -Anche lei è una debole mezzo demone che dimostra l’infedeltà di nostro padre. Naturale… siamo gemelli. Ma con lei assumi un atteggiamento totalmente diverso.-
-Lei non mi causa tutto il fastidio che provochi tu.- rispose il demone con voce piatta.
-Ha avuto la fortuna di non ereditare il fuoco oscuro.- ribatté con sdegno il giovane -Visto che sono così sgradevole per te, lasciami andare via. Saremmo tutti più contenti.-
-Non se ne parla.- fu il lapidario rifiuto del fratello -Non posso permetterti di andare in giro a causare disastri. E poi ho promesso a nostro padre che mi sarei occupato di te.-
Easlay emise un debole risolino ironico.
Il demone si alzò e aprì la porta. -Dovresti essermi grato. Se fossi finito in mani sbagliate, la morte sarebbe stata la miglior cosa che ti sarebbe potuta capitare. Comportati bene e dopo verrò a liberarti.-
Kotaro lasciò la stanza e il mezzo demone fissò la porta di legno che si era appena chiusa.
Sospirò. -Chissà qual è la cosa peggiore…-

Twiggy era seduta a terra nel corridoio e aspettava che Kotaro uscisse dalla stanza. Quando lo vide, si alzò. -Easlay non ha tutti i torti. Se fossero davvero quelli i motivi, tratteresti anche me allo stesso modo. Anche se, sono sicura che fingi… non è vero che lo disprezzi.- aggiunse maliziosa.
-Non ti ho mai insegnato che è da maleducati origliare?- borbottò seccato il demone, superandola e camminando oltre.
Twiggy sfoggiò un sorriso da furbetta. -A dire il vero, mi hai insegnato che ascoltare alcune conversazioni potrebbe essere interessante.-
Kotaro sbuffò e scosse la testa.
La ragazza accelerò il passo e lo raggiunse. -Sai cosa penso? Easlay è la causa principale che ti ha costretto ad abbandonare tua madre e la vita che avevate insieme, per questo…-
-Chiudi qui il discorso.- le intimò dolcemente lui.
Proseguirono nel percorso per qualche altro minuto in un silenzio imbarazzante. Fu Twiggy a spezzarlo. -Onii-chan? Ti va di combattere un po’ con me?-
-Perché no?!- acconsentì il demone -Ho giusto bisogno di scaricarmi.-
-Accidenti! Devo temere per i miei lineamenti?-
-Tranquilla. Nel combattimento fisico contro di te, sono sempre io a dover temere.- dichiarò Kotaro, circondando le spalle della sorella con un braccio.
-Merito del maestro!- sorrise lei con una punta d’orgoglio, cingendolo a sua volta.

Quando Hiei aprì gli occhi era di nuovo notte. Continuava a sentirsi debole e intontito, ma riuscì a mettersi a seduto.
Mille pensieri gli turbinavano in testa, ma furono tutti interrotti dall’aprirsi della porta.
Nella stanza entrò il giovane mezzo demone che aveva tentato di attaccarlo due giorni prima.
“Ci mancava solo il pazzo mutaforma!” Hiei rabbrividì nel vederlo: quello era terribilmente forte e lui, in quel momento, totalmente indifeso.
-Non agitarti.- disse Easlay avvicinandosi a lui -Se Kotaro mi lascia andare liberamente in giro è perché non c’è alcun pericolo. A meno che qualcuno non sia tanto stupido da irritarmi.-
Hiei si tranquillizzò: in effetti il suo aspetto era normale e sembrava aver riacquistato una certa lucidità mentale. -Cosa vuoi, allora?-
Easlay lo fissò sdegnato. -Sappi innanzitutto che non mi interessa affatto che tu sia il figlio di mio fratello.-
-Sapessi a me!- reagì sarcastico il giovane demone.
Il mezzo demone ignorò il commento. -Ma ho bisogno di te per andarmene da qui e mi sembra di aver capito che anche tu non tenga a rimanere al castello.-
-Hai colpito nel segno.- dichiarò Hiei -Ma non capisco in che modo io possa aiutarti.-
-Credo che tu sappia della barriera eretta da Kotaro. Ebbene, oltre che sugli estranei, è calibrata anche sulla mia persona.- spiegò Easlay -In altre parole, io non posso uscire dai confini, se non accompagnato da una persona che la barriera riconosce.-
-Hai sbagliato persona!- rispose semplicemente il ragazzo -Io sono un estraneo, neanche a me è permesso uscire se non per volontà di quell’odioso demone.-
Le labbra di Easlay si contrassero in un sorriso subdolo. -Sei tu ad errare. Sono trascorsi due giorni e la barriera ha registrato la tua presenza al castello. Non sei più un estraneo. Senza contare che possiedi il sangue di Kotaro.-
-Basta davvero così poco tempo?- chiese sorpreso Hiei.
-Gli estranei non graditi vengono fatti fuori subito da Kotaro e Twiggy. In pratica il mio caro fratello ti ha preso in giro. Allora ci stai?-
Hiei fissò con diffidenza il mezzo demone. Se fosse impazzito, lo avrebbe fatto a pezzi in quelle condizioni. Era un rischio enorme.
-So a cosa stai pensando.- Easlay interruppe il filo dei suoi pensieri -Sarò lucido ancora per un po’, non temere. E poi mi servi solo per superare la barriera, poi le nostre strade si divideranno.-
Il giovane demone rifletté ancora qualche minuto. Stava male, ma aveva comunque la forza di combattere gli spettri più scarsi che avrebbe potuto incontrare. Inoltre, non vedeva l’ora di tagliare la corda e mettere molte miglia di distanza fra sé e quel posto che suscitava in lui sentimenti contrastanti. -D’accordo, ci sto!-
Easlay sorrise compiaciuto, poi lo aiutò a mettersi in piedi e insieme iniziarono ad attuare il piano di fuga.

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Capitolo 5
*** Cap 4: Una fuga pericolosa ***


x Dreven: Grazie, grazie, grazie! Ehe, adesso vedi che combinano... Comunque pazienta ancora un poco e potrai leggere i capitoli con la storia di Kotaro. Un paio sono già pronti, ma li devo rivedere. Se domani ho un po' di tempo, ne posto almeno uno. Smack!

x Yukochan: Grazie mille! Mi fa davvero un piacere immenso ricevere commenti e sono contenta che la storia ti piaccia. Easlay è fantastico per quanto è pazzo e ti anticipo che in questo cap andrà totalmente fuori di testa. Continua a commentare, mi raccomando!


Cap 4: Una fuga pericolosa

Hiei riuscì a mettersi in piedi, anche se con molta fatica. Aveva forti giramenti di testa ed era molto debole; più di qualche volta rischiò di perdere l’equilibrio.
Easlay lo sorreggeva per un braccio. -Dobbiamo muoverci. Kotaro è in biblioteca, ma non ci resterà in eterno.-
Attraversarono velocemente e il più silenziosamente possibile i bui corridoi che li separavano dal portone del castello. Uscirono dall’edificio e si inoltrarono tra gli alberi in direzione della barriera.
L’aria era umida e fredda. Hiei ebbe alcuni spasmi, segno che la febbre, non del tutto debellata, stava risentendo del clima.
-Avanti, ci siamo quasi.- lo incoraggiò il mezzo demone, ma con un tono del tutto indifferente.
-Dove andate di bello?-
Una voce ironica alle loro spalle li fece sobbalzare.
Kotaro era appoggiato ad un tronco con le braccia conserte e un sorrisetto di scherno dipinto sulle labbra.
Easlay imprecò irritato e, in un moto di stizza, lasciò cadere Hiei a terra.
L’espressione del demone si fece seria. -Se non vuoi guai, torna immediatamente dentro, o giuro che non la passerai liscia.- sibilò minaccioso.
Il mezzo demone strinse i pugni fino a rendere le nocche bianche. -Bastardo!-
Hiei non riusciva a tirarsi su e dopo qualche tentativo si arrese. Fissò Easlay, in piedi accanto a lui, e notò con timore che stava subendo una metamorfosi: gli occhi si iniettarono di sangue e la pupilla si restrinse; il suo corpo iniziò a ricoprirsi di lievissime scaglie; in breve, il suo aspetto appariva alquanto minaccioso.
Celermente la mano del mezzo demone corse ad un pugnale dall’elsa nera che teneva in vita. -Hai finito di darmi ordini, fratello!- gridò lanciandosi su di lui.
Kotaro rimase impassibile ed evitò l’affondo, spostandosi semplicemente di lato; afferrò il braccio di Easlay e sferrò un poderoso calcio che, colpitolo allo stomaco, lo mandò a sbattere violentemente contro il tronco di un albero.
-Non capisco perché ti ostini ad attaccarmi in questo modo.- il demone si avvicinò al fratello e si fermò davanti a lui con aria di superiorità.
Easlay alzò la testa e lo guardò con odio; la sua mano strinse con più forza il manico del pugnale, ma non rispose al commento.
-La tua mente non è lucida e i tuoi assalti sono prevedibili.- lo canzonò ancora Kotaro ghignando.
-Davvero? Vediamo se avevi previsto anche questo!-
Tutto avvenne troppo velocemente: Easlay, pronto a tutto pur di togliere quel sorriso arrogante dalla faccia del fratello, con una mossa fulminea lanciò il pugnale contro Hiei.
Il giovane demone ebbe solo il tempo di capire che la lama lo avrebbe trapassato senza scampo e chiuse gli occhi. Sentì il rumore dello squarcio, ma stranamente non avvertì alcun dolore. Aprì gli occhi: Kotaro era inginocchiato ad un soffio da lui, la mano sinistra che tentava di contenere la fuoriuscita di sangue dal fianco destro e il viso leggermente contratto in una smorfia di dolore.
Hiei era impietrito: se il demone non gli avesse fatto da scudo, sarebbe sicuramente morto.
-Ma quanto sei commovente!- fu il sarcastico commento di Easlay -Però adesso non sbaglierò di nuovo.-
Il mezzo demone estrasse un secondo pugnale e se lo rigirò in mano. La sua espressione folle era mostruosa.
Kotaro imprecò. Questa volta non sarebbe riuscito a far nulla.
Hiei fu scosso da un brivido di terrore e istintivamente alzò una mano per difendersi.
Easlay fece per la lanciare la lama, quando un fascio di fiamme oscure si sprigionò dal palmo del ragazzo, investendo in pieno il mezzo demone.
Hiei lo osservò indietreggiare con malagrazia, poi fissò incredulo la propria mano. Da quando le sue fiamme erano diventate nere?
Non riuscì a darsi una risposta, perché perse i sensi pochi istanti dopo ed ebbe solo il tempo di notare Easlay che cadeva a terra svenuto.

Easlay aprì gli occhi. Era sdraiato sul suo letto, braccia e gambe legati saldamente alle estremità.
Le ultime cose che ricordava erano una spirale di fiamme oscure che lo investiva e un violento colpo alla testa sferratogli subito dopo. Imprecò mentalmente. Era andato tutto storto.
-Finalmente ti sei ripreso! Non credevo di averti colpito così forte.- dichiarò una voce femminile al suo fianco.
-Sei stata tu.- disse seccato il mezzo demone, voltandosi a guardare con rabbia la sorella.
-Questa volta hai davvero esagerato, te ne rendi conto?- lo rimproverò Twiggy.
-Lasciami in pace.- le intimò Easlay, distogliendo lo sguardo.
La ragazza lo ignorò. -Se non sapessi che la bestia ti annebbia la mente e ti porta a fare le cose più estreme, ti avrei fatto pentire amaramente delle tue azioni folli.-
-Cosa ti fa credere che non l’abbia fatto volutamente?- la provocò il giovane con un ghigno -E in ogni caso, non avresti né il coraggio né il potere di “farmi pentire amaramente delle mie azioni folli”.-
Un colpo violento si abbatté sul suo volto.
-Non sottovalutare la collera di una donna col sangue demoniaco nelle vene.- sibilò minacciosamente Twiggy, col viso a pochi centimetri da quello del fratello -Hai fatto del male a Kotaro e ciò mi dà il coraggio e il potere necessari. Sappi che non sono tollerante come nostro fratello.-
-Non temo la sua ira, sorellina, perché dovrei temere la tua?- commentò divertito il mezzo demone.
La ragazza non rispose e si avviò verso la porta. -Lascerò che sia Kotaro a decidere cosa fare.- disse prima di lasciare la stanza.
Easlay rilassò i muscoli con un lungo sospiro. Twiggy aveva ragione: questa volta aveva davvero superato i limiti.
Davanti a lei si era mostrato sprezzante e sicuro di sé, ma non aveva mai avuto intenzione di ferire gravemente Kotaro. Nonostante suo fratello fosse così indifferente e distaccato nei suoi confronti, non riusciva a detestarlo, come invece gli faceva credere.
In realtà, il suo atteggiamento gelido lo faceva soffrire profondamente: da quando era venuto al mondo, aveva recepito solo disprezzo e indifferenza.
Le uniche persone che gli avevano mostrato un po’ di affetto erano sua madre e Twiggy; ma la prima era morta da molti anni e la seconda, con il peggiorare della sua “malattia”, si era allontanata parecchio. Forse per paura e diffidenza, o forse per avvicinarsi di più a Kotaro che adorava decisamente più di lui.
Era soltanto colpa del potere oscuro che non riusciva a controllare e che lo portava a commettere atti orribili…
Questa volta suo fratello non l’avrebbe perdonato e gli avrebbe fatto pagare caro il folle gesto.
-Altro che potere…- sussurrò sconfortato il giovane, osservando la mano destra -Questa è una maledizione.-

Era a terra di fronte a lui ed era troppo debole per tentare qualunque mossa. Due mostruosi occhi rettiliformi lo scrutavano con disprezzo.
-Questa volta ti faccio fuori sul serio!- sentenziò il mezzo demone, sghignazzando odiosamente e, afferrato il pugnale, si lanciò con furia bestiale su di lui.
Hiei si svegliò di soprassalto, sgranando gli occhi e ansimando rumorosamente.
-Un incubo?-
Il giovane si voltò di scatto.
Accanto a lui era steso Kotaro. Era a torso nudo e alcune bende fasciavano strettamente il suo addome. Sul fianco destro una piccola macchia di sangue.
Hiei la fissò con insistenza.
-Non è grave. Devo solo stare qualche giorno a riposo, poi guarirà.- dichiarò il demone, notando lo sguardo.
Il ragazzo si girò dall’altra parte.
-Prego. È stato un vero piacere salvarti la pelle.-
Il tono di Kotaro era a metà tra il sarcastico e l’irritato.
-Non ti ho chiesto io di beccarti il pugnale al mio posto.- replicò l’altro con voce piatta.
Il demone sorrise. -Eppure non mi è sembrato che avessi molta voglia di morire, visto come ti sei difeso.-
Hiei alzò le mani e le osservò. Era ancora sbigottito. Non gli era mai capitato nulla del genere: aveva emesso delle fiamme nere.
-È stata la prima volta?-
La domanda interruppe la sua riflessione.
Il ragazzo si voltò a guardare suo padre e annuì. -Tu sai cosa stai succedendo?-
-Ci sarà un motivo se mi chiamano Kotaro della Fiamma Oscura.-
-Sì, infatti. Allora?-
Kotaro sospirò. -Concedimi qualche ora di sonno. Sono sfinito. Poi ti prometto che ti racconterò ogni cosa. Tanto ne avremo di tempo, visto che Twiggy non mi permette di muovere un muscolo.-
-Come vuoi.- rispose semplicemente Hiei.
Il demone portò un braccio dietro la testa e chiuse gli occhi.
Il ragazzo lo guardò. Era la seconda volta che gli salvava la vita: si era gettato senza alcuna esitazione su di lui, pur rischiando parecchio.
Hiei avvertiva delle strane sensazioni. Iniziava a fidarsi di quel demone che fino al giorno prima aveva trattato con spregio.
Forse aveva davvero sbagliato a credere per tutto quel tempo che fosse un bastardo.
Ma presto lui gli avrebbe raccontato ogni cosa e chiarito ogni punto oscuro.
Forse, allora, avrebbe potuto credere di avere davvero un padre.


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Capitolo 6
*** Cap 5: Il segreto del Fuoco Oscuro [La storia di Kotaro] ***


Ecco qui la prima parte della storia di Kotaro. Ammetto che probabilmente risulterà un po' ingarbugliata e forse non è scritta in maniera molto chiara. In ogni caso chiedetemi qualunque spiegazione, perché sarò ben felice di fornirvela.

Cap 5: Il segreto del Fuoco Oscuro [La storia di Kotaro]

Hiei guardava Kotaro con un misto di ansia e curiosità.
Poco prima, Twiggy aveva cambiato loro i bendaggi e aveva portato da mangiare. Tutti e tre avevano consumato il loro pasto nella stanza in assoluto silenzio. Poi la ragazza aveva sparecchiato e aveva lasciato i due demoni da soli.
Kotaro, semi disteso sul letto come suo figlio, fissava un punto imprecisato all’esterno, come a voler raccogliere i pensieri.
Hiei lo aveva subissato di domande. Perché possedevano il fuoco oscuro? Perché in lui si era manifestato solo quel giorno? E questo potere aveva qualcosa a che fare con la “malattia” di Easlay?
Dopo alcuni istanti di snervante mutismo, il demone aveva iniziato a raccontare.

<< Accadde tutto più di mille anni fa.
Quattro ambiziosi demoni del fuoco, due fratelli e due sorelle, recuperarono degli artefatti e delle indicazioni per compiere un antico rituale. Esso consentì loro di invocare quattro entità, gemelle malvagie delle quattro venerabili bestie: Seiryu, il drago nero; Suzaku, la fenice tenebrosa; Byakko, la tigre oscura; Genbu la testuggine bruna.
Erano molti i demoni che avevano tentato di ricostruire i passaggi del rito, per accaparrarsi il potere che le quattro bestie oscure avrebbero loro fornito; ma questo privilegio spettò ai miei avi.
Seiryu si fuse col più anziano e potente, poi toccò a Suzaku, Byakko e Genbu in ordine d’età. Avrebbero rispettato quest’ordine anche successivamente, quando il loro potere sarebbe stato trasmesso ai discendenti. Ma non è questo il punto più interessante.
Grazie alla fusione, i quattro demoni ricevettero dei talenti particolari. L’immane energia in loro possesso avrebbe potuto essere condensata all’esterno, tramite un’onda di fuoco che assumeva le sembianze della bestia posseduta; la stessa energia espulsa avrebbe potuto essere poi di nuovo incanalata, per accrescere il potere demoniaco; ma il culmine sarebbe stato raggiunto quando il demone avesse deciso di assumere egli stesso le sembianze della propria divinità.
Quest’ultima tecnica è la più potente e pericolosa. La forza fisica e il potere maligno vengono incrementati vertiginosamente, ma è necessaria una grande capacità di autocontrollo. In pratica, sono indispensabili parecchi anni di allenamento ed esperienze, prima di poter padroneggiare con sicurezza questa tecnica.
Come è scritto nei documenti che ho ereditato, i quattro capostipiti appresero gradualmente come utilizzare i loro nuovi poteri e solo dopo un lungo periodo di addestramento riuscirono a completare la trasformazione.
Ovviamente, queste sono le tre tecniche più importanti e letali, ma i quattro demoni ne hanno create altre che sfruttano il fuoco oscuro e sono ugualmente insidiose.
Il fuoco oscuro di per sé poteva già essere fatale ai nemici. Esso è ad un livello di potenza superiore a quello delle fiamme normali, che possono essere, tuttavia, ancora evocate. Sono utili soprattutto quando non si vogliono sprecare energie contro avversari inetti, oppure, ancora più importante, quando non si è nella forma fisica ottimale.
L’uso spropositato delle fiamme oscure può provocare delle conseguenze fisiche non indifferenti, come una temporanea paralisi di una parte del corpo, o un breve periodo di recupero delle forze, durante il quale si è totalmente indifesi.
Ma torniamo ai quattro capostipiti. Essi si unirono fra loro, generando altri quattro discendenti: la prima coppia due maschi, possessori di Seiryu e Byakko, e la seconda un maschio e una femmina, che ereditarono rispettivamente Suzaku e Genbu.
In essi il potere del fuoco oscuro non si manifestò da subito e ciò causò inizialmente alcune preoccupazioni nei miei avi.
Soltanto quando i due più grandi raggiunsero la soglia dell’età adulta, si mostrò in loro l’entità delle venerabili bestie.
Ecco perché anche in te è apparso soltanto ieri per la prima volta. E non è scontato che potrai usarlo con facilità da subito. Potrebbe essere necessario qualche tempo, prima che tu possa attingervi costantemente.
Così ho chiarito due questioni. Adesso lasciami passare alla terza.
L’erede di Suzaku fu il primo a trovare una compagna, un demone del vento.
Qualche tempo dopo, l’erede di Seiryu si invaghì, invece, di un’umana.
Il primo a raggiungere l’età giusta fu il figlio dell’erede di Suzaku, ma con grande sorpresa non manifestò il potere del fuoco oscuro: era un semplice demone del vento. L’erede di Suzaku e la sua famiglia perirono pochi anni dopo, durante un violento scontro con spettri nemici.
Arrivò poi il momento del figlio dell’erede di Seiryu. In lui si manifestò il potere del Drago Nero.
C’è da precisare, però, che sin dall’inizio si sarebbe potuto intuire se la trasmissione del fuoco oscuro sarebbe avvenuta: il figlio dell’erede di Suzaku, sin da piccolo, mostrava di avere poteri legati all’aria; al contrario, il figlio dell’erede di Seiryu utilizzava già delle tecniche del fuoco.
Fu quando si mostrò Seiryu nel mezzo demone che venne svelata totalmente la natura della fusione con la bestia oscura.
I primi tempi tutto procedeva regolarmente. Il ragazzo era in grado di evocare le fiamme oscure e riusciva a padroneggiarle egregiamente. Ma in seguito comparirono dei sintomi, preludio dell’inevitabile sorte cui il mezzo demone sarebbe andato incontro.
Si trattava di momenti di folle violenza, in cui egli non riusciva a distinguere gli amici dai nemici ed era smosso da una frenetica smania di distruggere tutto ciò che aveva sottomano. La situazione divenne più chiara quando il ragazzo subì le prime metamorfosi: il suo corpo si ricopriva di scaglie draconiche e un bel paio di ali si apriva sul dorso della sua schiena.
Era una sorta di trasformazione incompleta, che forniva al mezzo demone una forza smisurata, ma lo privava della lucidità necessaria a controllarla.
In pratica, era un pericoloso innesco esplosivo che sarebbe potuto scoppiare in qualunque momento, provocando conseguenze più o meno gravi.
I quattro capostipiti compresero il motivo di tale anomalia: un mezzo demone non aveva né la forza fisica né il potere demoniaco necessari a gestire il Fuoco Oscuro; un mezzo demone non riusciva a dominare il potere della bestia oscura, ma ne veniva invece dominato.
Il padre del ragazzo cercava di contenere come meglio poteva le sue violente manifestazioni di follia, ma la situazione era instabile.
I quattro capostipiti decisero, perciò, che il mezzo demone dovesse morire prima di causare danni irreparabili. Ma non se ne occuparono in prima persona. Costrinsero il loro erede di Seiryu a portare a termine quest’ignobile compito.
Il demone non poté sottrarsi: gli ordini dei quattro anziani erano indiscutibili.
Molti anni prima aveva già perso la moglie umana; l’uccisione del figlio gli diede il colpo di grazia: impazzì per il dolore e si rifugiò in un luogo ignoto del Makai.
I quattro capostipiti erano tutti d’accordo sul fatto che una simile eventualità non avrebbe più dovuto ripetersi: dovevano avere dei degni discendenti, in grado di controllare e padroneggiare alla perfezione il potere del Fuoco Oscuro.
Vi era un’importante motivazione di fondo. Il giorno del rituale di fusione, le quattro bestie oscure li avevano messi in guardia su una grave minaccia. Il rito aveva creato un’entità maligna molto potente, che avrebbe aumentato la sua forza nel corso dei secoli. Solo la riunione di quattro possessori delle quattro divinità tenebrose avrebbe scongiurato una possibile catastrofe.
Non potendo prevedere la loro sopravvivenza fino al giorno in cui la creatura si sarebbe manifestata per insidiare il Makai e, probabilmente, anche il Ningenkai, era necessario lasciare una discendenza capace di affrontare il compito di debellare questo male.
Stabilirono, dunque, che l’erede di Byakko, figlio dei possessori di Seiryu e Suzaku, avrebbe sposato sua cugina, l’erede di Genbu, figlia dei possessori di Byakko e Genbu.>>

Kotaro fece una lunga pausa di silenzio.
Hiei attendeva con ansia che continuasse.
-Ho bisogno di riposare un po’.- dichiarò il demone.
Il ragazzo annuì.
-Prima però vorrei mostrarti una cosa.-
Kotaro sollevò il braccio destro; una sorta di guanto di stoffa nera partiva dal gomito e lo ricopriva fino a metà mano. Lo rimosse e Hiei notò ciò che vi era tatuato: una tigre nera in posizione di attacco.
-Questo non è un semplice tatuaggio.- gli spiegò il demone -È la testimonianza che io sono il possessore di Byakko.-
Hiei si guardò istintivamente il braccio destro.
-Tra poco tempo apparirà.- affermò Kotaro -E allora dovrai bendarlo come faccio io. A volte è difficile controllare quel potere con la sola forza di volontà.-
Il giovane annuì di nuovo. -Dopo continuerai il tuo racconto?-
Kotaro sorrise. -Certo. Continuerò con la storia dell’erede di Byakko e dell’erede di Genbu. Tenkyo e Mekare. Mio padre e mia madre.-
Il demone si addormentò e anche Hiei decise di concedersi un po’ di riposo; troppe informazioni, tutte insieme, lo avevano stordito.

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Capitolo 7
*** Cap 6: Tenkyo, Mekare, Benimaru [La storia di Kotaro] ***


X Yukochan: Grazie! Sono contenta che la storia ti piaccia. E ti accontento quasi subito: ecco il nuovo capitolo! Quanto alla colonna sonora, sinceramente non ci avevo pensato e purtroppo non conosco bene i Pink Floyd, quindi non saprei... in ogni caso, mi fido della tua sensazione e appena posso trovo il modo di ascoltare "Time". Aspetto un tuo commento. Ciao ciao.

Cap 6: Tenkyo, Mekare, Benimaru [La storia di Kotaro]

-Dunque Easlay è dominato dalla sua bestia, perché è un mezzo demone.- esordì Hiei, non appena Kotaro si fu svegliato -E non esiste un modo per fermarlo?-
-Se esistesse, l’avrei già praticato.- commentò amaramente il demone.
-Quando si trasforma si ricopre di scaglie. È Seiryu la sua divinità?-
-No. È Genbu.- rispose Kotaro -Ci sono buone possibilità che sia tu a possedere Seiryu.-
Hiei non disse nulla.
-Allora, vuoi che continui a raccontare?-
Il ragazzo annuì.

<< Come ti ho già detto, i quattro capostipiti combinarono il matrimonio tra Tenkyo, erede di Byakko, e Mekare, erede di Genbu. Entrambi non condividevano questa decisione. Non si amavano. Ma non poterono far altro che accettarla.
L’unione venne celebrata poco tempo dopo aver manifestato il potere oscuro, dato che tutti e due dimostrarono di possedere delle capacità straordinarie, davvero prodigiose.
I quattro anziani avevano impiegato anni e anni prima di poter controllare ottimamente le tre tecniche letali del Fuoco Oscuro.
Tenkyo e Mekare raggiunsero la perfezione in pochissimo tempo.
Per alcuni anni la coppia visse nella stessa imponente dimora dei capostipiti. Quando nacque il loro primo figlio, Benimaru, decisero di trasferirsi altrove. In questo castello, per la precisione.
Essendo figlio di due purosangue, Benimaru avrebbe ovviamente ereditato il potere del Fuoco Oscuro, ma i quattro capostipiti fecero pressione affinché concepissero un altro discendente. Così nacqui io.
Per alcuni anni Benimaru fu addestrato dagli stessi anziani; poi fece ritorno in questo castello quando ebbe appreso le tre tecniche più importanti del Fuoco Oscuro.
In lui si era manifestato Suzaku.
Io, invece, fui allenato da mio padre e in me, come già sai, si mostrò il potere di Byakko.
Benimaru ed io, come i nostri genitori, dimostrammo molto presto di avere delle capacità eccezionali. Solo pochi anni dopo il risveglio della bestia oscura, eravamo in grado di completare perfettamente la trasformazione e di controllare il potere con assoluta padronanza.
Benimaru era un po’ più forte di me, essendo più grande e questo accese in me un forte senso di rivalità. Anzi, se devo dire la verità, io e Benimaru ci detestavamo e credo che il motivo principale sia stato il fatto di crescere in due ambienti diversi.
I quattro capostipiti avevano formato il loro discendente perfetto: un demone freddo e ambizioso che disprezza gli essere umani e i deboli in generale.
Per farti comprendere meglio, credo di dover aggiungere qualche particolare al mio precedente racconto.
I capostipiti invocarono il potere delle quattro creature oscure perché miravano ad essere i dominatori assoluti del Makai e del Ningenkai. Ma sulla loro strada incontrarono molti altri spettri, talmente potenti da costringerli a ritirarsi.
Avere molti discendenti degli significava per loro non solo avere la garanzia di abbattere con successo l’entità maligna creatasi con il rituale di fusione con le bestie oscure, ma soprattutto possedere la forza necessaria per realizzare il loro sogno di conquista.
Inutile dirti che mio padre e mia madre non la pensavano come loro.
Mio padre era un demone molto curioso; amava apprendere usi, tradizioni e tecniche di combattimento di tutte le tribù demoniache. Non solo, più di qualche volta intraprese lunghi viaggi nel Ningenkai per studiare gli essere umani. Credo che lo affascinassero molto.
Ciò non vuol dire che non amasse combattere. Anzi, era un guerriero formidabile.
-Conosci bene ogni tuo eventuale nemico.- mi ripeteva spesso -Contrasta le loro tecniche, che hai imparato tu stesso, e stupiscili con la tua potenza.-
La differenza con i suoi parenti era che lui non era accecato dalla sete di potere e di conquista come loro.
La stessa cosa si poteva dire di mia madre. Solo che lei non si curava degli altri demoni, tanto meno era affascinata dagli essere umani. La sua unica vera passione era immergersi totalmente nella natura ed esplorare i luoghi più esotici ed oscuri del Makai.
Era molto abile e fortissima, ma non le interessava affatto sfruttare le sue doti in combattimento contro altri demoni.
Puoi capire cosa avesse comportato per loro quell’unione forzata.
Mio padre aveva come compagna una donna che non amava.
A mia madre era stata tolta la libertà di rifugiarsi nei suoi meravigliosi mondi esotici.
Forse, l’unica cosa che li legava era il disprezzo per i quattro capostipiti che li avevano costretti ad assumere ruoli che non li appartenevano. Ma in ogni caso, la situazione al castello era molto tesa.
Io avevo ereditato da mio padre la curiosità di apprendere le più strane tecniche di combattimento e da mia madre il desiderio di evadere da quella situazione gretta e inquadrata.
Tuttavia, era impossibile sfuggire.
Anche se contrario al modo di pensare dei miei avi, mio padre doveva dimostrarsi un degno erede e obbediva a tutti i loro ordini. Neanche mia madre li contrastava apertamente.
L’unico a mostrare fervore e convinzione in ciò che faceva era Benimaru. Secondo lui tutti gli inetti meritavano di essere trucidati e tutti noi possessori del Fuoco Oscuro dovevamo assoggettare coloro che ci erano inferiori.
Discorsi che mi disgustavano. E glielo facevo chiaramente presente. Purtroppo, però, combattevo da solo queste battaglie già perse in partenza. Anche se forse condividevano, mio padre e mia madre non mi appoggiavano mai.
Un giorno decisi di andarmene. Ero stanco di combattere in lotte di conquista che non mi interessavano.
Trovai rifugio presso un popolo davvero strano. Erano tutti metà demoni e metà umani che, rifiutati dalle due categorie, avevano scelto di costituire una tribù a se stante.
Come sicuramente sai, i demoni considerano i mezzo demoni esseri impuri, contaminati dalla debolezza degli esseri umani e sono quindi un disonore per la loro razza; gli umani, invece, li temono perché portano in loro il seme della violenza e della brutalità demoniaca.
Io ero estraneo a tali preconcetti e trovai interessante fermarmi presso di loro per studiarli.
All’inizio si mostrarono diffidenti nei miei confronti. È comprensibile. Io ero un demone completo. Appartenevo ad una razza che li aveva ripudiati. Ma quando capirono che non ero ostile, mi accettarono volentieri.
Appresi molto non solo delle loro tradizioni, ma anche degli usi umani. Molti di loro, infatti, erano nati e vissuti nel Ningenkai e poi costretti a fuggirne.
Più in là negli anni, sarei andato molte volte nel Ningenkai, come del resto fanno molti spettri tutt’oggi, per apprezzare l’intelligenza e le strabilianti invenzioni di quegli esseri considerati inferiori dalla maggior parte degli appartenenti alla razza demoniaca.
Durante il mio soggiorno presso i mezzo demoni, inoltre, mi invaghii, ricambiato, di una ragazza. Giacqui molte volte nel suo letto e fu durante una di quelle splendide occasioni che dovetti rinunciare a quel breve periodo di tranquillità.
Benimaru mi aveva trovato e mi riportò indietro con la forza, dopo aver sterminato tutti i mezzo demoni, senza che potessi far nulla per fermarlo: era più forte di me.
-Sei un disonore per la nostra famiglia!- mi accusava ripetutamente durante il viaggio -Ti sei unito a degli esseri così infimi. Ti sei addirittura fuso con una loro femmina. E hai tentato di difenderli invece di aiutarmi ad eliminarli.-
Una volta arrivati al castello, si era messo in testa che doveva punirmi per l’onta con cui avevo macchiato tutti i dominatori del Fuoco Oscuro.
Mi picchiò violentemente. I miei genitori non intervennero né per sostenerlo né per frenarlo, ma negli occhi di mio padre lessi che era orgoglioso di ciò che avevo fatto.
Mi rinchiusi nella mia stanza e non uscii per parecchi giorni. Poi mia madre venne da me, portandomi qualcosa da mangiare.
Era stupenda, come sempre. I suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia, fatta eccezione per alcuni riccioli che le incorniciavano il volto. I suoi splendidi occhi viola esprimevano sempre fierezza, così come la sua figura ben proporzionata, esaltata da degli abiti aderenti.
-Detesti tutti noi, non è vero?- sussurrò sedendosi sul letto accanto a me -Benimaru per le sue folli idee e me e tuo padre perché, nonostante non le condividiamo, non troviamo la forza di opporci.-
-Tu hai tentato molto tempo fa, madre.- le risposi senza guardarla -Ma anche tu sei stata sottomessa.-
Mia madre non era esattamente il prototipo della genitrice per eccellenza. Non si era mai preoccupata dell’educazione dei suoi figli; non dispensava consigli, non pronunciava parole di conforto... Tuttavia, il solo averla vicino era per me una grande consolazione e, grazie a quelle poche parole, intuii il motivo per cui non era venuta prima nella mia stanza. Si sentiva in colpa.
-Tu sei stato soggiogato parecchie volte, ma non ti sei mai arreso. Hai sempre combattuto per le tue convinzioni.- continuò lei.
-E inutilmente, visto il solito risultato.- commentai amaramente io.
-Non dirlo.- mi intimò dolcemente lei, afferrandomi le mani.
Sarebbe stato insolito per tutti gli altri vedere in simili atteggiamenti una donna così fredda e distaccata con tutti. Tutti tranne me.
Inutile ribadire perché odiasse i quattro anziani. Benimaru, poi, era diventato il loro burattino, fatto a loro immagine e somiglianza. E mio padre… non lo amava e lo disprezzava per la debolezza che gli impediva di ribellarsi ai capostipiti. Fu lui stesso a rimetterla al suo posto quando aveva cercato di far valere le proprie ragioni, invece di appoggiarla come avrebbe dovuto e voluto.
Mia madre era la persona più importante per me. Ed io ero l’unica persona che lei avesse mai amato.
In un certo senso eravamo molto simili. In più, lei vedeva in me una forza ed un coraggio tali da potermi consentire di spuntarla presto o tardi nelle continue dispute contro la famiglia.
-Li sterminerei tutti, se potessi.- sibilò improvvisamente lei con freddezza -Ma mi accontenterei anche solo di fuggire lontano da questa prigione. Lontano da loro.-
Non dissi nulla. Lei stessa non attese una risposta, ma si alzò e si diresse verso la porta.
-Continua a sostenere le tue convinzioni, figlio mio! Fallo almeno tu. Io non ne ho più la forza.- dichiarò implorante, prima di uscire.
Quante volte mi aveva ripetuto che prima o poi la mia tenacia le avrebbe dato il coraggio di insorgere nuovamente insieme a me. Eppure, quel momento non era mai arrivato. Anzi, sembrava essersi ormai definitivamente arresa.
Mai avrei sospettato che quel giorno era invece vicino e, soprattutto, che il primo a ribellarsi sarebbe stato mio padre.>>

Twiggy interruppe il discorso di Kotaro entrando nella stanza, per servire ai due demoni il pranzo. Si accertò delle loro condizioni di salute e andò via.
-Non avrei mai pensato che tu non amassi sterminare demoni, visto cosa hai fatto a quei due che mi avevano aggredito.- commentò sarcasticamente Hiei.
-Ho detto che non sono interessato a trucidare i demoni per conquistare le loro terre.- precisò Kotaro -Ma ciò non toglie che se vengo provocato, non mi faccia molti problemi ad eliminarli.- Dopo il breve scambio di battute, i due demoni terminarono di consumare il loro pasto in silenzio.

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Capitolo 8
*** Cap 7: Ribellione [La storia di Kotaro] ***


X Dreven: Nuuuuuuuuu! Non mandarmeli in manicomio. Non ancora, almeno. Mi servono per la storia. Comunque penso di far comparire Hina fra un paio di capitoli. Ma non si può mai sapere cosa architetta la mia mente malata.
Intanto continua a leggere la storia della famiglia di Kotaro e fammi sapere che ne pensi. Baci!

X Yukochan: Mi fa piacere che il personaggio di Kotaro ti piaccia. Ti confesso che è il mio preferito. Per la storia di Hina, vedi il commento a Dreven. Commenta ancora anche tu, mi raccomando. Mi fa sempre molto piacere. Baci!


Cap 7: Ribellione [La storia di Kotaro]

<< Quando mi decisi ad uscire finalmente dalla mia stanza, mi allenai duramente con mio padre. Ero determinato più che mai a superare Benimaru, per fargli pagare ogni singola umiliazione che mi avesse inflitto. Avevo un’importante arma a mio vantaggio: la conoscenza di diverse tecniche di combattimento che Benimaru, dall’alto della sua superiorità, non si sarebbe mai abbassato ad apprendere, perché questo avrebbe significato stare a contatto con gli “inferiori”.
Durante il mio breve soggiorno fra i mezzo demoni, avevo imparato molto sui combattimenti corpo a corpo. Vedi, essendo demoni solo per metà, molti di loro non possedevano un grande potere maligno, per questo compensavano la lacuna attraverso lo sviluppo della forza e dell’agilità.
Questo stesso modo di combattere l’ho poi trasmesso a Twiggy e devo dire che non ho conosciuto nessun altro che sappia praticarlo in modo così eccellente. Ma torniamo a me.
Mi concentrai soprattutto sull’uso della spada e non avrei potuto avere maestro migliore: mio padre era uno spadaccino formidabile e le sue capacità erano esaltate dalla sua spada, Enserric, un’arma magica che sfruttava il potere del Fuoco Oscuro per dare vita ad attacchi spettacolari, ma soprattutto letali.
Secondo mio padre, ero talmente abile che presto sarei riuscito a maneggiare una lama simile con la sua stessa padronanza. Be’, non si sbagliava, ma su questo si può sorvolare…
Dopo alcuni mesi, una sera, mentre stavamo cenando, mio padre ci comunicò che a giorni avrebbe intrapreso un viaggio nel Ningenkai. Non c’era nulla d’insolito. Lo aveva già fatto altre volte.
Soltanto Benimaru, con aria disgustata, gli chiese come sarebbe riuscito a resistere in mezzo a degli esseri così infimi, ma mio padre non lo degnò neanche di uno sguardo.
Due giorni dopo partì.
Benimaru stabilì che dovesse essere lui a fare le veci del capofamiglia, ma sia io, sia mia madre lo ignoravamo.
Trascorrevo tutto il tempo a cercare di migliorare le mie capacità e stranamente mia madre era lì ad aiutarmi.
Dico stranamente perché a lei non è mai interessato addestrarci; anzi, passava la maggior parte del tempo in disparte, senza curarsi di ciò che facevamo noialtri, tranne qualche raro momento in cui veniva da me e si lasciava andare a fugaci confidenze. In fondo era quello il suo modo di fare. Era abituata a non mostrare quasi mai le sue emozioni. Io ero l’unico che la conosceva e comprendeva un po’ meglio.
Durante quei giorni lottammo spesso. Era straordinaria nei movimenti, così fluidi ed eleganti: agile, veloce, precisa… insomma, perfetta.
Un giorno mi portò nel suo luogo segreto. Impiegammo mezza giornata per raggiungerlo.
Si trattava di una lunga distesa di piante esotiche dai mille colori; a fare da sfondo c’era un’alta cascata che precipitava in un lago limpidissimo.
-Amo stare qui.- sussurrò mia madre con un brillio negli occhi -Anche se vorrei poter fuggire e girovagare per sempre fra i mille luoghi magnifici come e forse anche più di questo.-
Mia madre si avviò verso il lago, sfiorando delicatamente al suo passaggio i fiori variopinti delle piante. Si fermò sulla riva, poi senza mostrare alcun pudore nei miei confronti, si spogliò totalmente e si immerse nelle acque cristalline.
Forse per la prima volta compresi veramente cosa significasse per lei dover aver rinunciato ai suoi desideri, per combattere battaglie che non le interessavano e stare accanto a delle persone che non suscitavano in lei le emozioni che invece avrebbe provato in quei fantastici mondi esotici che le erano stati privati.
In quel momento mi resi conto che, nonostante io fossi la persona che amava di più, avrebbe rinunciato a me senza esitazioni per tuffarsi in eterno in quegli angoli di paradiso.
Dopo qualche minuto la vidi riemergere dalle acque. La sua treccia si era disfatta e poter osservare quella magnifica pioggia di riccioli neri ondeggiare attorno al suo corpo fu per me lo spettacolo più bello.
Improvvisamente mi accorsi che il suo aspetto stava mutando: stava trasformandosi nella bestia sacra che possedeva, Genbu.
-Madre…- mormorai io allarmato.
-Seguimi.- disse semplicemente lei, prima di assumere le sembianze di un’enorme testuggine nera dal guscio ricoperto di serpenti.
Interdetto, la guardai innalzarsi al cielo. Velocemente la imitai. Gettai a terra i miei abiti, mi trasformai nella possente Tigre Oscura e la rincorsi.
Era la prima volta che praticavo quella metamorfosi al di fuori di una battaglia. Faticavo a rimanere tranquillo, perché il grado di sovreccitazione in quello stato è molto elevato. Ero sorpreso nel notare che mia madre, invece, sembrava molto calma e controllata, come se fosse perfettamente a suo agio.
Iniziai a lasciarmi andare. Non pensavo a nulla, se non a farmi trasportare dal vento, mentre sotto ai miei occhi si distendeva uno spettacolo naturale sublime.
Quando mi sentii più rilassato, intrapresi con mia madre una sorta di danza aerea, fatta di incroci e inseguimenti che culminarono in una giocosa lotta. Alla fine precipitammo nel lago e quando risalimmo in superficie avevamo riacquistato il nostro aspetto.
Mia madre mi sorrise maliziosamente e riprese il discorso che avevamo interrotto in aria. Dopo una breve zuffa, mi trovai disteso a terra; mia madre, inginocchiata sopra di me, stava ridendo.
Mai, davvero mai l’avevo vista ridere. Non esisteva nulla nel nostro freddo e chiuso mondo che potesse renderla felice.
Lo stupore fu presto sostituito dall’imbarazzo. Prova ad immaginare: mia madre era completamente nuda ed era sopra di me.
Si accorse del mio disagio e sembrava alquanto divertita.
-Mi piace essere totalmente a contatto con la natura.- spiegò velocemente. Poi si alzò e si rivestì. Io feci lo stesso.
Quel pomeriggio mi resi conto della potenza di mia madre.
Come ho già detto, durante la trasformazione è difficile mantenere il controllo completo sulla propria mente e sul proprio corpo. La bestia dentro di noi esige violenza e sangue e, anche se siamo abbastanza lucidi da convogliare questa aggressività contro i nostri nemici, è sempre parso impossibile reprimerla.
Eppure lei era placida e rilassata, come se fosse stata nel suo aspetto normale. Possedeva un autocontrollo eccezionale.
Avevo appreso quel giorno che era possibile dominare con maestria quella furia che la metamorfosi comporta e mi ripromisi di esercitarmi per essere naturale durante la trasformazione così come mia madre lo era in maniera straordinaria.
-Dominarsi alla perfezione in situazione di normalità è il segreto per sfruttare appieno la propria potenza in battaglia.- disse inaspettatamente come se mi avesse letto nel pensiero -A me è una cosa che è venuta spontaneamente sin dall’inizio, ma sono certa che anche tu, con il dovuto allenamento, potresti raggiungere buoni risultati.-
Nel tragitto di ritorno al castello, non ci scambiammo più una parola.
Ero immensamente felice: mia madre aveva condiviso con me il suo mondo. Ma la gioia più grande scaturiva dall’intimità che si era creata tra noi durante quei momenti.
Quando rincasammo, Benimaru era furioso. -Si può sapere dove siete stati tutto questo tempo?- ci domandò con fredda ira -Ho dovuto combattere da solo contro il clan di demoni acquatici.-
-Se sei qui significa che te la sei cavata egregiamente.- lo liquidò subito mia madre.
-È vero, ma gli anziani avrebbero voluto che ci foste anche voi.- protestò lui.
-Gli anziani! Quand’è che ti stancherai di essere il loro burattino?!- ribatté mia madre sogghignando.
-Se vogliamo conquistare il Makai…-
Benimaru venne interrotto da una gelida risata. -Per loro conquistare il Makai significa sterminare i branchi di demoni più insignificanti? Come mai non si decidono a sfidare Raizen o Mukuro?-
Benimaru strinse i pugni. -Bisogna iniziare dal basso per…-
-Menzogne! Il problema è che i vecchi sono troppo vigliacchi per provare a infastidire i demoni maggiori.- mia madre aveva iniziato ad alterarsi -Te lo dico io cosa significa per loro conquistare: accontentarsi delle briciole avanzate agli altri. Apri gli occhi, figlio!-
Benimaru rimase interdetto: non sapeva cosa controbattere.
Mia madre si diresse nella sua stanza e anch’io, soddisfatto per la manifestazione di quel piccolo moto di rivolta, mi ritirai nella mia.

Trascorsero alcuni anni. Mio padre non si era mai trattenuto per più di qualche mese nel Ningenkai e questo suo lunghissimo ritardo iniziava a destare non poca agitazione.
Poi un giorno finalmente tornò, ma non da solo.
È impossibile descriverti la miriade di sensazioni che provammo tutti, quando varcò la soglia in compagnia di una donna umana e due bambini, un maschio e una femmina, mezzo demoni.
-Vi presento Reika, Easlay e Twiggy!- disse semplicemente mio padre indicando la bella umana con i capelli castani e gli occhi azzurri al suo fianco, il bambino con i capelli neri e gli occhi rossi che si reggeva con una mano ai suoi pantaloni e la bambina, molto simile al fratello, che si nascondeva dietro la madre.
Benimaru esplose in mille sentenze e insulti riferiti soprattutto ai tre “esseri inferiori”.
Mio padre gli impose imperiosamente di tacere. -Questo è il mio castello. E visto che sono io a prendere le decisioni, ho stabilito che Reika e i miei figli vivranno qui con noi.-
Benimaru era verde dalla rabbia. -Questo va oltre ogni regola. Non avresti dovuto unirti a quella sgualdrina umana e i due piccoli bastardi mezzosangue devono morire.-
Mio padre si avvicinò fulmineamente a lui e lo afferrò al collo, fissandolo ferocemente. -Tu non li toccherai. Non ti sfiorerà nemmeno l’idea, oppure rimpiangerai amaramente il momento in cui io e tua madre ti abbiamo messo al mondo.-
Benimaru non batté ciglio. -Tu rimpiangerai il momento in cui quei tre hanno messo piede qua dentro. Gli anziani non tollereranno tale affronto. Quanto a me, non ho intenzione di dividere la mia dimora con degli esseri inetti.-
-Sei liberissimo di andartene, figlio.- sibilò gelidamente l’altro, mollando la presa.
-È ciò che farò, padre.-
Benimaru non impiegò molto tempo a raccogliere le cose a cui teneva; poi lasciò definitivamente il castello.
Ero sicuro che si sarebbe diretto subito dai capostipiti per riferire l’accaduto e per invitarli ad intervenire, ma mi sbagliavo. Come appresi qualche tempo dopo, Benimaru era sparito chissà dove, rinunciando a combattere per gli anziani.
Avrei potuto intuirlo. In fondo, già da un po’ di tempo sembrava non essere più attratto dai sogni di conquista degli anziani. Forse le dure parole che gli aveva rivolto mia madre alcuni anni prima erano servite davvero ad aprirgli gli occhi. Ma torniamo al castello.
Avevamo continuato a scrutarci per parecchio tempo in silenzio. Fu mia madre a spezzarlo. -Tenkyo, dobbiamo parlare.-
-Certo.- rispose lui -Kotaro, ti spiace intrattenere gli ospiti?-
La richiesta mi gelò. Non ero certo contento della situazione. Quei tre ci avrebbero causato molti guai, me lo sentivo.
Mentre mio padre e mia madre discutevano, condussi la donna e i due bambini in biblioteca. Sedevamo senza proferire parola. Poi la bambina si alzò e si avvicinò timidamente a me. -Io mi chiamo Twiggy. Tu sei Kotaro, vero? Papà mi ha tanto parlato di te.-
-Davvero? E cosa ti ha raccontato?-. Non so perché, ma quella bambina mi ispirò da subito simpatia.
-Ha detto che sei l’unico della sua famiglia ad avvicinarsi alle sue idee e che ci avresti accolto senza problemi.- rispose candidamente.
Il mio fu un gesto inaspettato anche per me stesso: la sollevai e la misi a sedere sulle mie ginocchia. -Quanti anni hai, Twiggy?-
-Ne hanno entrambi dieci.- rispose sua madre.
-La domanda non era rivolta a te.- la fulminai con lo sguardo, poi attesi che fosse la piccola a rispondermi.
-D-dieci.-
-E sai combattere?-
Twiggy annuì energicamente.- Sì! Papà ha insegnato qualcosa a me e ad Easlay.-
Osservai il bambino seduto di fronte a me. Era chiaramente intimorito, ma sostenne il mio sguardo.
Sorrisi. -Avete entrambi poteri demoniaci?-
-Sì, sappiamo sprigionare delle fiamme.- affermò la piccola entusiasticamente.
“Quindi poterebbero ereditare tutti e due il Fuoco Oscuro.” Pensai “E allora saranno veramente guai.”
-Papà ha detto che sei molto forte.- la vocetta squillante di Twiggy mi distolse dalle mie riflessioni -Mi insegnerai anche tu a combattere?-
La misi a terra e le poggiai una mano sulla testa. -Solo se sarai in grado di sopportare i miei duri allenamenti. Pensi di farcela?-
Il volto della bambina si illuminò. -Certo che ce la farò!.-

Non ho mai saputo cosa si fossero detti quel giorno mio padre e mia madre, ma di sicuro nulla di piacevole, visto che da allora non si rivolsero quasi più la parola.
Dopo aver accompagnato la donna e i due figli nelle loro stanze, mio padre tornò da me in biblioteca. -Cosa pensi di tutto questo? Sinceramente.- domandò all’improvviso.
-Sinceramente? La bambina mi ha già conquistato. Il maschio mi è indifferente. La donna… a pelle non posso dire di provare simpatia per lei.- risposi con la massima onestà.
Mio padre sorrise fievolmente. -Lo immaginavo. Lo vedi come un tradimento verso tua madre?-
-So che non vi siete mai amati, ma lo considero comunque una mancanza di rispetto nei suoi confronti.-
-Quando ho conosciuto Reika, ho sentito di non poter più rinunciare ai miei desideri.-
-Mia madre ha rinunciato ai suoi.- replicai gelidamente.
Mio padre sorrise di nuovo, ma con amarezza. -Comprendi me, ma ami di più lei.-
Quella frase mi colpì. Era così. Non potevo far altro che ammetterlo.
-Non pretendo che ti comporti con loro come se fossero la tua famiglia.- mormorò mio padre. Io mi limitai ad annuire. -Cosa farai con i capostipiti?-
-Per il momento fingerò di non essere ancora tornato dal mio viaggio.-
-Prima o poi se ne accorgeranno. E inoltre sei stato lontano già parecchi anni. Lo considereranno un tradimento.- protestai.
-Devo nascondere Reika e i miei figli. Almeno finché non sarò sicuro di poter contrastare il loro potere.- ribatté lui con tranquillità.
-Non reggerà a lungo.- insistetti nuovamente.
Mio padre non mi rispose ed io mi ritirai nella mia stanza. Quella notte non chiusi occhio, meditando sull’intera faccenda.>>

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Capitolo 9
*** Cap 8: Una scelta difficile [La storia di Kotaro] ***


Perdonooooooooooooo!!!! Lo so che è una vita che non aggiorno, ma abbiate pietà: sto studiando per gli esami universitari e arrivo la sera così stanca che fatico immensamente a mettere insieme due parole. Ho paura che per questo motivo sarò molto lenta nell'aggiornamento dei capitoli. Spero ovviamente di non lasciar passare tre mesi, come questa volta. XD X Yukochan: mi fa piacere che il personaggio di Mekare ti piaccia. Purtroppo almeno per il momento i piccoletti non hanno molto spazio, altrimenti mi dilungherei troppo e sono già abbastanza prolissa di mio. Continua a seguirmi.
Un bacio.

X Dreven: grazie grazie grazie!!! E l'avevo capito sì che era Easlay il tuo personaggio preferito...XD purtroppo in questi capitoli non ha molta visibilità. Per quanto riguarda Kotaro e Hina: sìììììììììììì! Hai ragione! Sono una sadica che ama tenere sulle spine i lettori. A parte gli scherzi, la mia mente malata produce sempre capitoli in più che ci separano dall'incontro con Hina... non so che farci! In ogni caso siamo sempre più vicini alla meta. Coraggio! Prima o poi arriverà. Mi raccomando continua a seguirmi anche tu. Baci.


<< Trascorsero molti mesi da allora. Avevo dedicato la maggior parte di quel tempo ad allenare i due bambini.
Twiggy era una bambina energica e curiosa; apprendeva molto velocemente e metteva in pratica tutto ciò che le dicevo. Mi adorava e faceva di tutto per compiacermi.
Anche Easlay era dotato e si addestrava con impegno, ma manteneva sempre un atteggiamento difensivo nei miei confronti. Io, d’altro canto, non facevo nulla per avvicinarlo a me.
Stravedevo per Twiggy, ma insegnavo le tecniche da combattimento anche lui, solo perché me lo aveva chiesto mio padre.
Già, mio padre… Quando mi recavo a far visita agli anziani, mi domandavano continuamente di lui: perché ritardava tanto a tornare? Dov’era? Dovevano iniziare a pensare ad un tradimento?
Una sera mi ricevettero solo i genitori di mio padre ed erano particolarmente inquieti ed adirati.
-Sono certo che non ha tradito e tornerà presto.- dissi io per tranquillizzarli.
-Non ci credo più. Sono passati troppi anni.- si alterò il possessore di Seiryu, Hiroki.
-È un guaio. Anche Benimaru ci ha voltato le spalle.- sospirò la sua consorte, Serana.
-Benimaru?- ripetei io, sgranando gli occhi per la sorpresa.
-Già. Alcuni mesi fa venne da noi e disse di non voler essere più il burattino di quattro vigliacchi.- spiegò Hiroki.
-Quel moccioso impertinente!- sibilò Serana infastidita -Se non fosse stato così lesto nel fuggire e tanto abile nel nascondersi, avrebbe pagato caro tale affronto.-
Sorrisi tra me. E così i vecchi avevano perso l’unico discendente che aveva mostrato loro totale fedeltà.
-Se in qualche modo tu o Mekare siete in contatto con tuo padre, ditegli che gli concediamo un anno di tempo per rientrare, dopodiché lo considererò un traditore e lo scoverò ovunque per ucciderlo.- tuonò imperiosamente Hiroki.
-Non ho contatti con lui, mio signore.- dissi semplicemente, poi uscii e rientrai al castello.
Mio padre era sicuramente in compagnia della sua donna umana, così decisi di andare nella mia stanza: gli avrei riferito più tardi il monito degli anziani.
Quando entrai ebbi una sorpresa: mia madre mi stava attendendo sdraiata sul mio letto. Ti dico che fu una sorpresa perché, da quando la donna umana e i due bambini si erano trasferiti al castello, mia madre si faceva viva molto raramente, in particolare solo quando dovevamo compiere qualche missione per conto degli anziani.
L’ultima volta che l’avevo vista risaliva a due mesi prima e adesso era lì, distesa con grazia sul letto, con la sua massa di riccioli neri lasciata libera di ricadere sulla sua schiena.
Come mi vide, mi venne incontro. -Sei stato dai vecchi?-
Feci un semplice cenno con il capo, poi mi allontanai e mi posizionai di fronte la finestra, dandole le spalle.
Da quando aveva iniziato ad assentarsi, ero diventato più freddo nei suoi confronti. Capivo che per lei era difficile convivere con l’umana e i suoi figli, ma avrei voluto da lei un po’ di sostegno: neanche per me era semplice sopportare quella situazione.
-Cosa ti hanno detto?- continuò.
Sebbene non potessi guardarla in volto, avevo intuito che il mio atteggiamento l’aveva turbata.
-Mio padre ha tempo un anno per farsi vivo, poi sarà considerato un traditore.- fu la mia laconica risposta.
-Non lo farà.- commentò mia madre -Equivarrebbe a condannare a morte la sua umana e i due bambini.-
-Verrebbe scoperto in ogni caso. Presto qui si scatenerà l’inferno.-
-Non sarò presente quando accadrà. Ho intenzione di andarmene. Per sempre.-
Avvertii una terribile fitta allo stomaco. Sentii l’impulso irresistibile di gettarmi ai suoi piedi e implorarla di restare al mio fianco, ma non lo feci. Rimasi impassibile di fronte alla vetrata.
Il silenzio calò nella stanza per alcuni minuti. Poi, con mio grande stupore, percepii le sue braccia cingermi la vita e la sua fronte poggiarsi sulla mia schiena.
-Vieni via con me.- sussurrò supplicante -So che anche per te questa condizione è intollerabile. Non sopporti di essere lo strumento dei capostipiti e hai il mio stesso desiderio di evasione.-
Quella proposta improvvisa mi prese alla sprovvista. In pochi secondi mille pensieri attraversarono la mia mente. Fuggire con mia madre significava liberarmi da quella ipocrita prigione, fatta di inutili lotte di conquista e sottomissioni a persone che non rispettavo. Significava appagare il mio desiderio di esplorazione e conoscenza del Makai. Ma, allo stesso tempo, ciò assumeva i connotati del tradimento. Verso mio padre ovviamente. Potevo abbandonarlo, sapendo che nel giro di un anno si sarebbe scatenata una guerra contro di lui?
Mia madre colse la mia esitazione. -Stai pensando che hai degli obblighi verso tuo padre e ti senti in colpa al solo pensiero di abbandonarlo.-
Come al solito, era riuscita a penetrare nella mia testa.
-Elimina queste congetture dalla tua mente. Hai degli obblighi verso qualcuno, è innegabile, ma quel qualcuno sei tu.-
Non riuscii a controbattere quest’affermazione, quindi restai in silenzio.
-Ti prego, guardami.-
La voce di mia madre era incrinata e, quando mi voltai per soddisfare la sua richiesta, fui sorpreso di notare che aveva gli occhi lucidi.
-Dimmi, figlio mio, qual è la tua volontà? Non pensare. Prima, istintivamente, cosa avresti risposto?-
-Che ti avrei seguito. Senza alcun indugio.- dichiarai con la massima sincerità -Ma non posso ignorare quella voce che mi impone di restare accanto a mio padre. Non posso andarmene sapendo che…-
Mia madre mi poggiò gentilmente una mano sulla bocca.
-Tuo padre ha soddisfatto il suo desiderio. Ha deciso finalmente di ribellarsi agli anziani e vive accanto ad una donna che ama. È giunto il momento che tu segua la tua strada.-
Non proferii parola. Ero combattuto, ma sapevo che aveva ragione.
-So che tieni a lui, come so quanto sei affezionato alla bambina. Pensi che sia un tuo dovere rimanere qui, con loro, ma questa vita non ti appartiene. Non è questo che realmente vuoi.-
Mia madre sospirò e si diresse verso la porta. Si fermò e voltò solo la testa verso di me. -Capisco che sia difficile prendere una decisione, per questo ti lascerò un po’ di tempo per pensarci.-
Fece per andarsene, ma la bloccai. -Non ho bisogno di tempo. Verrò con te.-
Quelle parole mi uscirono di getto e, nonostante un rimorso latente mi stesse lacerando, sapevo di aver fatto la scelta giusta… almeno per la mia vita.
Mia madre sorrise e se ne andò. A quel punto non dovevo far altro che comunicare a mio padre la mia decisione.
Lo raggiunsi in biblioteca quando la sua umana non c’era e gli riferii tutto ciò che mi avevano detto i due anziani.
-Era logico che prima o poi reagissero così.- commentò lui -Ma tenterò di nascondere Reika e i due bambini fino all’ultimo e se dovrò combattere, lo farò senza risparmiarmi. Ho tempo un anno per prepararmi. E poi sono tranquillo perché tu lotterai al mio fianco.-
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco e resero la mia situazione ancora più complicata.
-Mekare ha deciso di andare via, ma non la biasimo. Tempo fa fui io stesso a frenarla, ma ora è giusto che anche lei insegua le sue passioni, visto che anche io ho trovato il coraggio per farlo.-
-Andrò con lei.- dissi improvvisamente, per togliermi quel peso dallo stomaco.
Mio padre mi fissò allibito.
-Lo hai detto tu, padre. Tu hai realizzato i tuoi desideri e mia madre sta inseguendo i suoi. Anche io sogno una vita diversa e tu lo comprendi.-
Mio padre scosse la testa: appariva terribilmente affranto.
-Questo non significa che io sia un menefreghista ingrato…- Mi fece cenno di tacere. Sollevò gli occhi e li puntò nei miei. -Tu mi somigli molto, così come somigli a tua madre. Sapevo che prima o poi sarebbe successo.- la sua voce era molto pacata -In fondo hai già provato a scappare molte volte, anche se inutilmente.-
Sorrisi ripensando ai miei tentativi di fuga irrimediabilmente falliti.
-Questa volta, però, non ci sarà nessuno a fermarti.-
Adesso ero io a fissarlo incredulo.
-Vai, se è questo ciò che desideri. Non sarò io a impedirtelo.-
-Padre, tra un anno tornerò e se si sarà una battaglia, combatterò al tuo fianco.- dichiarai tempestivamente, forse per placare quel rimorso che aveva iniziato a divorarmi ancora di più.
-Non è necessario.- replicò lui.
Si accostò alla scrivania e, aperto un cassetto, prese una sorta di papiro giallastro e una pietruzza dello stesso colore.
-Questa non è carta qualsiasi. Mi è stata donata da un mago umano e consente di comunicare a distanza con la persona che possiede questa piccola gemma.- affermò porgendomi il sassolino -Basta che io scriva un messaggio qui sopra, perché si materializzi dalla pietra una copia fittizia della lettera, che scomparirà una volta che su di essa avrai scritto la risposta.-
Annuii. Era un modo ingegnoso per tenerci in contatto.
Mio padre si avvicinò e mi poggiò una mano sulla spalla. -Ti scriverò regolarmente; tu mi farai sapere dove sei e mi racconterai se hai fatto scoperte interessanti. E se avrò bisogno di te, non mancherò di fartelo sapere.-
Sorrisi. Lui mi abbracciò. -Avresti potuto lasciare questo posto già molti mesi fa, eppure hai accettato la mia nuova compagna e i figli avuti da lei e sei rimasto per coprirmi le spalle. Tu fondamentalmente hai un temperamento ribelle e difficile da domare, ma non puoi fare a meno di preoccuparti per ciò a cui tieni.- disse con una punta di orgoglio -Hai sempre combattuto con determinazione per le tue idee. Se io avessi mostrato sin dall’inizio solo metà della tua forza e del tuo coraggio, forse avrei raggiunto prima la felicità e avrei dato modo anche a Mekare di conquistarla.-
-In un certo senso è stato meglio così: se lo avessi fatto, io non sarei mai nato.- ribattei scherzosamente.
-Questo è assolutamente vero.- asserì mio padre dandomi una pacca sulla schiena -Sii felice.-
Dopo averlo salutato, mi recai nel salone, dove Twiggy e Easlay stavano lottando giocosamente.
Come annunciai la mia partenza, Twiggy scoppiò in lacrime e, aggrappatasi alle mie ginocchia, mi implorò disperatamente di non andarmene.
Per confortarla, le promisi che sarei tornato spesso a trovarla e questo sembrò calmarla un po’.
Easlay mi osservava in silenzio, ma appariva anche lui dispiaciuto.
Raccomandai loro di continuare ad allenarsi con impegno anche con nostro padre; poi, congedatomi anche da loro due, raccolsi poche cose e raggiunsi mia madre nella sua stanza, dove mi stava aspettando.
Con gli occhi che le brillavano mi prese per mano e schizzammo alla massima velocità verso i confini del territorio di mio padre.
Finalmente ero libero! Libero dal dominio dei quattro capostipiti. Libero di inseguire il mio desiderio di esplorazione. Libero di vivere la mia vita.>>

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Capitolo 10
*** Cap 9: Il tradimento di Mekare [La storia di Kotaro] ***




Lo so, sono sempre di una lentezza esasperante. Perdonatemi! Comunque per farmi perdonare questa volta il capitolo è un po’ più lungo. Spero sia di vostro gradimento!

X Yukochan: grazie per i tuoi commenti che sono sempre ben graditi. Sì i sentimenti di Kotaro sono quelli. Mekare, invece, è un po’ più complicata. La paragonerei ad un gatto: ama la libertà e l’indipendenza, ma nonostante tutto ha una persona alla quale è molto molto affezionata. In questo capitolo scoprirai qualcosa di più. Fammi sapere che ne pensi. Il capitolo con Hina e mooooooooooooolto vicino. Ispirazione mia permettendo! XD Un bacio

X Dreven: tranquilla puoi stare quasi certa che non sarai proprio vecchia e decrepita, nonostante la mia lentezza. Leggi e spera… ci siamo quasi! Aspetto i tuoi commenti. Un bacio


Mia madre ed io viaggiammo per parecchi giorni prima di osare fermarci a riposare: c’era il rischio che i capostipiti scoprissero la nostra fuga, quindi era più sicuro mettere quanta più distanza possibile fra noi e loro.
Ci sedemmo sulle radici di un enorme albero, sulla riva di un lago. Fu allora che mi accorsi di un lieve bagliore proveniente dalla tasca interna del mio soprabito. Tirai fuori la gemma e la osservai: emetteva una luce dorata ad intermittenza e dopo pochi istanti si materializzò un foglio di carta.
-Di cosa si tratta?- chiese mia madre evidentemente incuriosita.
-Me l’ha dato mio padre. Ci consente di comunicare a distanza.- spiegai velocemente.
Lei mi guardò attonita, ma non parlò.
-Cosa c’è che non va?- le domandai.
-Non riesci davvero a distaccarti da loro?- pose il quesito con freddezza.
La guardai senza capire.
-Potremmo essere liberi. Totalmente. Eppure tu non puoi fare a meno di pensare a loro, perché?- La sua voce tradiva una sorta di inquietudine.
-Ciò ti turba, madre?-
Distolse lo sguardo e non rispose. Non riuscivo davvero a comprendere cosa pensasse.
-Ascolta, madre, ho accettato di seguirti. Era mio desiderio seguirti. Ma sento anche il bisogno di restare in contatto con mio padre, di sapere che va tutto bene.-
-È mia intenzione tagliare completamente i ponti con tutto ciò che ha riguardato la mia vita fino ad ora. Sei consapevole del fatto che io non metterò più piede nel territorio degli anziani e tanto meno in quello di tuo padre?-
-Sì, lo immaginavo. Ma non capisco cosa vuoi intendere.-
-Hai detto che hai bisogno di sapere se per tuo padre va tutto bene. Adesso dimmi, cosa farai il giorno in cui ti comunicherà che è nei guai? Correrai da lui?- mia madre tornò a guardarmi in attesa di una risposta che non arrivò -Ovvio che andrai ad aiutarlo, ma io ho giurato a me stessa che per nulla al mondo sarei tornata in quel posto maledetto. Trai da solo le tue conclusioni.-
Mi alzai di scatto e mi allontanai da lei. Le sue dure parole mi avevano colpito profondamente e il messaggio che aveva voluto inviarmi era stato abbastanza chiaro: nel caso in cui avessi deciso di fare ritorno nel territorio di mio padre, l’avrei persa per sempre.
Lasciai trascorrere qualche ora prima di tornare da lei. Nel frattempo avevo letto la missiva di mio padre. Aveva scritto che era tutto in regola e che in quei giorni si stava occupando dell’allenamento dei due bambini. Mi disse che Twiggy sentiva molto la mia mancanza e che tutto il giorno seguente la mia partenza non aveva fatto altro che piangere. Ovviamente chiese anche notizie su di me. Dopo che ebbi scritto la risposta, il foglio si dissolse all’interno della pietruzza, come mio padre aveva preannunciato.

Quando tornai, lei era ancora seduta, con le gambe raccolte al petto e lo sguardo perso tra le acque del lago. Come avvertì la mia presenza si voltò verso di me, si sollevò in piedi e corse fra le mie braccia.
Io rimasi impietrito.
-Perdonami. Non volevo essere così dura.- sussurrò contro il mio petto -Ma non riesco a sopportare il fatto che tu sia ancora dominato dall’ombra di tuo padre.-
Ricambiai la sua stretta.
-Madre, io desideravo la libertà e l’ho ottenuta grazie a te…-
-Finché non ti distaccherai del tutto da tuo padre, non sarai mai davvero libero.- mi interruppe lei.
-Lascia che sia io a decidere se questo è vero.- affermai con una certa asprezza -Starò con te, viaggeremo per il Makai, ma non taglierò i legami con mio padre.-
Mia madre sciolse l’abbraccio -Come desideri. Spero solo che tutto questo non ci crei problemi.-
La guardai interrogativamente, per invitarla a spiegarsi meglio.
-Spero che gli anziani non scoprano che tu e tuo padre siete in contatto. Potrebbero trovare il modo di rintracciarci.-
-Mio padre è molto cauto. Non temere, non accadrà.- la rassicurai io.

Nei mesi frequenti non affrontammo più quel discorso.
Avevamo continuato il nostro viaggio, fermandoci di tanto in tanto in quei villaggi che ai miei occhi apparivano più interessanti. In quasi tutti fummo accolti benevolmente ed io passavo molto tempo con gli abitanti per imparare tutto delle loro tecniche di combattimento.
Mia madre, invece, ogni volta che ci stabilivamo in un luogo spariva per parecchi giorni, a volte anche settimane, senza farsi viva.
Questo suo comportamento mi irritava non poco e tentavo di farglielo comprendere trattandola con freddezza ogni volta che tornava da me; questo mio atteggiamento, tuttavia, non sortì alcun effetto.
Io e mio padre ci tenevamo regolarmente in contatto. Lui mi raccontava dei progressi compiuti da Twiggy ed Easlay; io gli descrivevo accuratamente tutto ciò che osservavo.
Fortunatamente, i capostipiti ancora non avevano scoperto nulla, ma sapevo che quella situazione non sarebbe durata a lungo; ciò che ignoravo era che di lì a poco la mia vita sarebbe cambiata radicalmente.

Erano trascorsi sette mesi dalla nostra fuga. Io e mia madre stavamo attraversando una foresta davvero inquietante. O almeno così appariva a me, con quegli alberi distorti e ricurvi e quei terribili fiori dai petali neri. Mia madre, al contrario, sembrava parecchio eccitata e propose di inoltrarci nel profondo del bosco.
L’accontentai controvoglia. Quel posto non era affatto rassicurante e le mie intuizioni si rivelarono presto esatte.
Fummo circondati da un gruppo di dieci demoni e in tutti percepivo una grande quantità di forza maligna.
-Siete coraggiosi ad avventurarvi qui.- uno di loro si fece avanti per parlare.
-Noi demoni dell’oscurità non amiamo le intrusioni.- intervenne una giovane donna.
Non dissi nulla e mi limitai a scrutarli. Il colore della loro pelle era nero come la pece e, in contrasto con essa, le loro chiome erano di un bianco splendente. Un aspetto decisamente insolito. Non avevo mai avuto a che fare con qualcuno della loro specie prima.
Mia madre si avvicinò a me. -Lo avvertì anche tu? Emanano un’aura potentissima.- sussurrò in modo da non farsi sentire.
Annuii. -Il problema è il numero. Siamo in netto svantaggio. Forse è meglio provare a ragionare, prima di fare mosse avventate.-
-Mekare. Kotaro.- disse un demone, lasciandoci completamente di stucco.
-Il nostro capo è in grado di leggere nella mente.- spiegò la femmina che aveva parlato anche prima, notando le nostre espressioni allibite.
Spostai il mio sguardo da lei al capo. Ci osservava con una calma gelida e il pensiero che stesse sondando le nostre menti, mi mandava in bestia.
-Siete due demoni del fuoco, traditori della vostra stirpe, e state vagando nel Makai.- uno strano sorriso si dipinse sul suo volto.
Feci di tutto per tenere a freno la rabbia: avevamo di fronte un gruppo di dieci avversari, nove maschi e una femmina; la maggior parte di loro non avrebbe causato problemi a me e mia madre, ma il loro capo e la femmina emettevano una potenza terrificante e ci avrebbero sicuramente dato del filo da torcere.
*Sei un buon osservatore* parlò improvvisamente una voce nella mia testa e capii subito che si trattava sempre del capo *Io e Nathyrra siamo i più potenti; gli altri vi sono decisamente inferiori. Ma dato che noi siamo in maggioranza, l’esito sarebbe scontato.*
Non aggiunse altro; poi notai che spostava il suo sguardo su mia madre; dopo qualche istante, la vidi indietreggiare turbata.
-Smettila! Cosa le stai facendo?- scattai immediatamente.
Lui sorrise nuovamente, ma non mi rispose.
-Ho capito che non siete degli invasori.- affermò con noncuranza -Ma il fatto che siete demoni del fuoco particolari mi attira. Ti faccio una proposta, Kotaro: battiti con me e, se vincerai, sarò felice di ospitarti.-
*Non hai mai avuto a che fare con gente della nostra specie e sei curioso di saperne di più su di noi.*
Il suo modo di fare mi irritava, ma aveva ragione.
-E nel caso perdessi?- domandai, pur immaginando già la risposta.
-Vi elimineremo.-
Accettai. In fondo non avevo molta scelta.
Mia madre mi prese in disparte. -Sei sicuro di quello che fai, figlio mio? Questa situazione non mi convince.-
-Non piace neanche a me, ma non abbiamo alternative.- le risposi sbrigativamente
-Quel tipo, il capo, ha degli strani poteri.- mormorò preoccupata -Se sa leggere nel pensiero, allora potrebbe anche prevedere le mosse degli avversari in combattimento.-
-Sì, lo stavo pensando anche io.-
-Fai molta attenzione, ti prego.-
-Non temere.- la rassicurai con un sorriso -Vedrai che saprò cavarmela.-
Mi tolsi il soprabito e lo affidai a mia madre, che si allontanò di qualche passo. Io, invece, mi avvicinai al capo dei demoni dell’oscurità, che mi attendeva sghignazzante.
-Non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Thraxyl.- si esibì in un breve inchino -Ora direi che possiamo dare il via alle danze.-
Ingaggiammo un combattimento corpo a corpo: Thraxyl non era fortissimo e anche in velocità gli ero nettamente superiore; tuttavia, come io e mia madre avevamo previsto, era in grado di leggere tutte le mie mosse in anticipo.
-Perché non fai uso del fuoco nero?- mi provocò in un momento di pausa -Sono ansioso di conoscere la tua Onda della Tigre Oscura.-
Era riuscito a sottrarre anche quest’informazione dalla mia mente! A quel punto speravo di essere riuscito a sigillare bene dentro di me almeno il segreto della trasformazione, la mia arma migliore.
Accolsi la sua richiesta; tolsi le bende dal braccio e mostrai il simbolo della Tigre Oscura. Evocai l’onda di fuoco e, come mi aspettavo, Thraxyl riuscì a respingerla contro di me.
Dopo aver assorbito l’energia, riprendemmo un combattimento corpo a corpo; stavo bene attento a ciò che pensavo, anzi tentavo di tenere la mente sgombra e, infatti, mi trovai in vantaggio.
Con mia grande sorpresa, il mio avversario appariva più che rilassato.
-Bravo, fai in modo di occludere la tua mente, ma non credere che basti questo per vincere.-
Detto questo, congiunse le mani e iniziò a pronunciare parole incomprensibili.
Non essendo affatto tranquillo, concentrai una sfera di fuoco oscuro nelle mie mani e gliela lanciai.
Improvvisamente, apparve un’enorme cerchio nero sopra di lui che assorbì la mia palla di fuoco.
-È una voragine oscura che assorbe tutto ciò che si trova nel suo raggio di azione - dichiarò Thraxyl -Preparati, Kotaro, perché stai per scomparire al suo interno!-
Una tremenda forza, iniziò a risucchiarmi verso quella sorta di buco nero. Cercare di opporsi era impossibile. Allora tentai una mossa davvero azzardata: senza fare resistenza, mi lasciai trasportare verso la voragine, ma, appena raggiunsi Thraxyl, assunsi la forma della Tigre Oscura e sferrai una zampata dritta sul suo petto.
Come lo colpii, il buco nero si dissolse e io riacquistai le mie sembianze. I compagni di Thraxyl mi fissavano con un misto di stupore e paura: il loro capo giaceva a terra gemente e sanguinante.
Mi portai sopra di lui, mentre cercava di prendere fiato.
-Questa volta sei riuscito a sorprendermi. Non ero riuscito a vedere che avevi ancora in serbo qualcosa.- biascicò ansimante -Ti sei guadagnato il mio rispetto e, come d’accordo, sarò felice di ospitarti nel mio territorio.-
Per tutta risposta, puntai una sfera di fuoco contro la sua faccia. -Tu avevi intenzione di eliminarmi. Cosa ti fa credere che ti lascerò vivere?- sibilai minaccioso.
Il suo volto diventò una maschera di puro terrore. Forse nella sua lettura del pensiero non aveva colto quanto io possa diventare pericoloso per chi osa sfidarmi.
Tremante, balbettò qualcosa di incomprensibile. Mi ero stancato e stavo per mandarlo all’altro mondo, quando la femmina, Nathyrra, mi fermò.
-Non farlo, ti prego.- mi supplicò frapponendosi fra me e il suo capo -Abbiamo sbagliato a sfidarti, sei più potente di quanto pensavamo. Ma se ce lo consenti, ci faremo perdonare.-
Come abbassai la mano, Nathyrra sorrise sollevata. -Grazie, sei molto generoso. Ora permettimi di fare strada a te e alla tua compagna verso il nostro villaggio.-
Mia madre mi affiancò. -Non abbiamo motivo di restare. Andremo via subito.-
Non passò che qualche secondo che mia madre sgranò gli occhi spaventata, apparentemente senza motivo. Intuii che Thraxyl le aveva di nuovo parlato mentalmente.
Furente, lo afferrai per il collo. -Cosa le stai dicendo, bastardo?-
Nonostante fosse intimorito, sostenne il mio sguardo. -Nulla che tu non sappia già, amico mio.- rispose enigmatico -In ogni caso, la stavo solo convincendo ad accettare il nostro invito.-
Per nulla persuaso dalle sue parole, mi voltai verso mia madre per cercare conferma e, con mio grande stupore, lei annuì. -Dice la verità. Lascialo andare.-
Due demoni si fecero avanti per aiutare il loro capo a mettersi in piedi, poi, preceduti da Nathyrra, ci mettemmo in marcia verso il villaggio.
Non era molto grande, forse in tutto contava un centinaio di abitanti, ma in compenso era abbastanza pittoresco, con i suoi edifici alti e slanciati costruiti tutti con un particolare cristallo nero.
Non facemmo neanche in tempo a posare le nostre cose, che subito mia madre si dileguò. Io invece fui accolto nella dimora di Thraxyl e Nathyrra, che scoprii essere sua figlia.
Nonostante poco tempo prima avessero tentato di ammazzarmi, si rivelarono dei buoni ospiti. Nathyrra poi mi riempiva di attenzioni. Mi raccontarono ogni cosa del loro villaggio, la loro storia e il motivo per cui erano molto diffidenti verso gli stranieri. Thraxyl accettò addirittura di mostrarmi le sue tecniche più particolari e di insegnarmene qualcuna.
I giorni passavano velocemente e ogni giorno tra i demoni dell’oscurità era per me fonte di nuove scoperte: erano davvero un popolo interessante.
Sfortunatamente non riuscivo a godermi appieno il mio soggiorno tra di loro perché la mia mente era occupata da un pensiero fisso: era da più di tre mesi che non avevo notizie da mio padre.
Non avevo nessuno con cui sfogare le mie preoccupazioni, ma una sera, mia madre fece ritorno. Ormai non fingevo neanche più sdegno per il suo comportamento; mi ero completamente rassegnato a quelle sue sparizioni più o meno prolungate: tanto alla fine, tornava sempre da me.
Lei notò immediatamente il mio turbamento ed io le spiegai la ragione.
Come sempre espresse il suo disappunto in merito. -Perché continui a preoccuparti di lui? Ormai siete distanti. Può darsi che anche lui l’abbia capito. Forse è per questo motivo che non ti scrive più.-
-Non avrebbe alcuna motivazione ad interrompere così di punto in bianco la nostra corrispondenza.- replicai io -Deve essere successo qualcosa.-
-Smetti di pensare a lui. Gioverà ad entrambi.- dichiarò in modo fermo, ma accorato; poi sparì, senza darmi tempo di controbattere.
In quel momento compresi di averla persa. O meglio, l’avevo persa molto tempo prima, quando mio padre aveva dato inizio a quella serie di reazioni a catena che avevano portato alla nostra fuga.
Io non sarei mai riuscito a lasciarmi alle spalle il mio passato e lei non sarebbe più tornata indietro, neanche per me.

La sera seguente mi recai da Thraxyl e Nathyrra e comunicai loro che di lì a poco sarei andato via, senza curarmi di riferire i dettagli.
-Ma perché vuoi andartene? Eppure ti trovi bene qui con noi.- protestò Nathyrra, alquanto contrariata.
-È vero.- intervenne anche Thraxyl -E poi mi sono affezionato a te. E anche Nathyrra…-
Affianco a lui, Nathyrra arrossì visibilmente.
-Kotaro, avrei piacere che tu sposassi mia figlia ed entrassi a far parte di questa famiglia. Sei un ragazzo davvero in gamba ed io vorrei averti al mio fianco, come mio braccio destro.-
Quella proposta sconcertante mi lasciò interdetto.
Nathyrra era imbarazzatissima, ma dal suo atteggiamento si intuiva che sperava in una risposta affermativa, cosa che non sarebbe mai potuta avvenire.
-Nathyrra, sei una ragazza meravigliosa- esordii -E la tua proposta, Thraxyl, mi onora molto. Ma non posso accettare.-
I loro volti si incupirono.
-Il legame che mi proponi di stringere è simile ad un altro da cui sto tentando ancora di liberarmi.-
-Sei già sposato?- trasalì Nathyrra.
Scoppiai a ridere. -No, nulla del genere. Ma ho parecchie cose da risolvere.
-Immagino che non riuscirò a farti cambiare idea.- disse Thraxyl rassegnato.
-No, infatti.-
-Quando pensi di partire?- domandò Nathyrra .
-Aspetterò che mia madre torni. Sempre che torni in tempo ragionevole.- commentai.
-Faresti bene a distaccarti da quella donna, Kotaro.- mormorò improvvisamente Thraxyl, lasciandomi di sasso.
-Come?-
-Non ti dirò altro. Ho letto nelle vostre menti. Lei ti darà una grande delusione.-
-Immagino di sapere cosa intendi.- risposi freddamente.
-Saprai.- fu la sua risposta sibillina.
Avrei voluto lanciarmi su di lui e obbligarlo a rivelarmi tutto ciò che sapeva, ma decisi di non farlo. Mi congedai dai miei ospiti, per far ritorno all’alloggio che avevano assegnato a me e mia madre.
Inaspettatamente, lei era lì che mi stava aspettando.
-Sei tornata presto! Hai dimenticato qualcosa?- commentai acidamente.
-Non sono legata alle cose materiali come te.- rispose lei altrettanto aspra.
Non avevo alcuna voglia di continuare quel gentile scambio di battute, così feci per andarmene, ma lei, con una mossa veloce comparve davanti a me, sbarrandomi la strada.
-Sto parlando seriamente, Kotaro. Non riesci a fare a meno di pensare a tuo padre, senti il bisogno di stare in mezzo ad altra gente…-
-È la mia natura, madre.- la interruppi con fare stizzito -Dove vuoi arrivare?-
Tirò un lungo respiro e mi prese le mani. -Vieni con me questa notte. Lascia ogni cosa qui e prova a vivere come vivo io.-
Accettai la sua proposta, nonostante la preoccupazione per il silenzio di mio padre mi stesse divorando. Avevo anche cancellato le parole di monito su mia madre che Thraxyl mi aveva rivolto. Era così straordinario per me che lei mi chiedesse di far parte del suo mondo; era il momento in cui avevo la prova tangibile del suo affetto verso di me.
Per giorni interi ci inoltrammo in foreste inesplorate, lottammo con mostri reconditi nel cuore di boschi oscuri, sostammo in luoghi segreti che possedevano una sorta di aura fatata per liberare la nostra parte bestiale e lanciarci in zuffe giocose.
Gli occhi di mia madre brillavano di una gioia immensa, era evidente: solo in quel mondo lei si sentiva completa e appagata.
Eravamo stesi sulle rive di un lago cristallino, quando lei mi rivolse le fatidiche parole. -Avventurati con me nel cuore del Makai. Esplora con me i suoi luoghi selvaggi e intoccati.-
Non risposi. Un angosciante presentimento mi stava opprimendo. Perché mi stava chiedendo una cosa simile? Sapeva cosa le avrei risposto, sapeva che ero preoccupato per mio padre e doveva aver intuito le mie intenzioni di tornare ad accertarmi che andasse tutto bene.
-Cogli questa occasione. Abbandona una volta per tutte la tua vita passata. Vivi con me, sul serio questa volta.-
Per la prima volta lessi la commozione nei suoi occhi sempre fieri e freddi.
Una morsa di ferro attanagliò il mio stomaco. Dunque il momento dell’ultimatum era giunto: andare con lei o perderla per sempre.
-Non posso.- furono le parole più difficili da pronunciare per me -Io non posso cambiare per te, madre, così come tu non cambierai per me.-
Mia madre scoppiò in un pianto sommesso. -Nonostante tutto, hai compiuto comunque questa scelta.-
Un lampo attraversò la mia mente. “Nonostante tutto”? Che significava “nonostante tutto”?
Il fatto di non avere notizie da mio padre, le parole di Thraxyl, la mia immagine mentre porgevo a mia madre il mio soprabito prima di combattere contro il demone dell’oscurità… tutto questo esplose improvvisamente nel mio cervello.
Con veemenza, estrassi la pietruzza dalla tasca interna del mio soprabito e me la rigirai fra le mani. La analizzai minuziosamente. Non era la mia gemma! Non era la gemma che mia aveva dato mio padre. L’avevo già guardata altre volte, ma di sfuggita, per controllare se per caso c’era una missiva in arrivo. Non mi ero accorto della differenza, finché non mi era sopraggiunto il sospetto.
-Che cosa hai fatto?- mormorai sconvolto.
Mia madre continuava a piangere mesta.
-Che cosa hai fatto?!- gridai.
Mia madre tirò fuori dai suoi abiti un foglio di carta e, con la mano tremante, me lo porse.
Lo afferrai con furia. Era ovviamente una lettera di mio padre. Diceva di essere stato scoperto dagli anziani. Gli avevano intimato di eliminare la sua donna umana e i due bambini mezzosangue entro un mese. Se avesse disobbedito, lo avrebbero trucidato insieme alla sua famiglia.
Lessi l’intestazione della lettera. Era arrivata due settimane prima.
Mia madre singhiozzava disperatamente. La guardai con odio. Poi mi lanciai con tutta la velocità possibile verso la mia dimora nel villaggio dei demoni dell’oscurità.

Avevo appena recuperato le mie cose, quando la vidi sulla soglia della porta, con il viso ancora rigato dalle lacrime.
-Perché mi hai fatto una cosa simile?- bisbigliai con un’immensa amarezza.
-Avrei fatto di tutto pur di non perderti.- sussurrò con voce tremula. -Ma è stato inutile, visto che avresti deciso così lo stesso.-
-Dunque questo è un addio.-
Furono quelle stesse mie parole a scatenare in me un’angoscia lacerante.
-Non puoi farlo.- mi supplicò lei -Non puoi pensare di affrontare i capostipiti.-
-Combatterò al fianco di mio padre. E vincerò.- replicai con determinazione.
Mia madre parve rassegnata. Si avvicinò a me e mi diede un fugace bacio sulle labbra. -Promettimi che vivrai.-
-Te lo prometto.- dichiarai con solennità.
Poi se ne andò.
Per sempre.>>


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Capitolo 11
*** Cap 10: Ricordi laceranti ***



Chiunque voglia farsi avanti per lapidarmi, lo faccia! Ne ha tutto il diritto. Purtroppo per motivi vari non ho potuto continuare a scrivere e non escludo che simili ritardi possano accadere anche in futuro. Vi chiedo perdono fin da adesso e, se avete molta pazienza, continuate a seguirmi.
In questo capitolo mi sono riaffacciata un attimo al presente (tranne una breve parentesi di ricordi) e ho approfondito un po’ il personaggio di Easlay. Buona lettura!

X Yukochan: Sempre grazie mille. Mi fa piacere essere riuscita a commuoverti. In questo capitolo ho cercato di accontentarti. Non ho approfondito praticamente per nulla i pensieri di Hiei, ma in compenso c’è qualche scorcio della battaglia con l’anziani.

X Dreven: Idem anche per te: sono felice che ti sia commossa! E certo che puoi chiamarmi Haz! ^^ Non ricordo se già te l’ho detto, ma non mi chiamo Hazel come il tipo di Saiyuki,; l’ho ripreso dalla strega Hazel della Walt Disney. In questo capitolo, ancora niente Hina, però c’è il tuo adorato Easlay, contenta?

A proposito di nulla… volevo ringraziare entrambe per aver inserito la storia tra i preferiti, così come ringrazio Hinayuki, Nixy e Okami the best; se anche voi voleste lasciarmi un commentino qualche volta, mi farebbe davvero molto piacere.

Quella sera, Kotaro si era rinchiuso in un silenzio mesto e innaturale.
Hiei intuì che la causa non poteva che essere il racconto del suo distacco da Mekare. Quel legame doveva rappresentare molto per lui.
Avrebbe voluto chiedergli perché l’aveva lasciata così, perché non l’aveva cercata in seguito. Ma rispettò il suo silenzio e decise di attendere che iniziasse a parlare spontaneamente.
Fu dopo qualche minuto che Kotaro si alzò con uno scatto dal letto. -Ho voglia di fare due passi.-
-Ma tua sorella ha detto…-
Kotaro interruppe l’accenno di protesta di Hiei, alzando una mano. -Ma sai chi hai di fronte?- lo schernì -Sto già molto meglio. Twiggy è solo molto apprensiva.-
Senza dare tempo al ragazzo di controbattere, uscì dalla stanza, diretto in giardino.
Rimasto solo, Hiei portò sotto i suoi occhi il braccio destro e lo fissò: ancora nessun segno. Sarebbe apparso presto, tuttavia, e con esso le fiamme oscure.
Il demone sorrise tra sé. La storia narratagli fino a quel momento era davvero complessa e non del tutto positiva per i suoi protagonisti. Era innegabile, però, che i possessori Fuoco Oscuro possedessero poteri formidabili. Una prospettiva davvero allettante per lui.
Si riscosse dai suoi pensieri, quando sentì la porta aprirsi. Twiggy non sembrava affatto sorpresa dell’assenza di Kotaro. Si limitò a sospirare. -Quella testa dura!-

Seduto sui rami del più grande albero del suo giardino, Kotaro teneva gli occhi puntati verso un punto imprecisato del cielo. In lontananza si scorgevano delle nubi di fumo volteggiare nell’aria. La sua immaginazione gli fece credere di riconoscere in esse il volto di sua madre. A poco a poco i lineamenti mutarono e assunsero l’aspetto di Hina.
Il demone abbozzò un riso amaro. -Ma come mi è saltato in mente di riaprire le vecchie ferite?!-
-Onii-chan!- lo chiamò una voce risentita.
Kotaro guardò in basso. Sua sorella, in piedi sotto l’albero con le mani strette sui fianchi, lo scrutava indispettita, battendo nervosamente un piede sul suolo.
Kotaro represse a stento una risata: quant’era buffa! Con un balzo felino, atterrò accanto a lei, che lo guardava scioccata.
-Ma sei matto?! Basta un niente perché la ferita si riapra. Ti rendi conto da quale altezza sei saltato?- esplose infuriata.
Lui incrociò le braccia divertito. -Quando capirai che tutta questa tua preoccupazione è fuori luogo?-
-E invece non lo è. Sei un incosciente.- mentre lo rimproverava, lo costrinse a sedersi e gli tolse le bende per controllare la ferita. -Adesso vedrai che sarà sicuramente…- Twiggy si bloccò.
-Quasi totalmente rimarginata.- completò Kotaro per lei, con una punta di soddisfazione nella voce.
In effetti il taglio sull’addome era ormai diventato sottilissimo e non usciva neanche una goccia di sangue.
La ragazza sbuffò. -Potresti comunque concederti più riposo.- mormorò sconfitta -Che facevi lassu?-
Sapeva benissimo che la sua domanda era inutile; quando suo fratello si rifugiava fra i rami di quell’albero, pensava alle due donne che aveva amato di più nella sua vita.
Kotaro appoggiò la testa al tronco con aria stanca e guardò in alto. -Da lì si vede bene il firmamento. E il panorama… mi sembra di poter tenere d’occhio l’intero Makai.-
“Solo lassù ho l’illusione di averle vicino.” aggiunse a mente.
Twiggy avvertì una morsa attanagliarle lo stomaco. Era turbato, lo avvertiva chiaramente; e ogni volta che questo accadeva, la giovane si sentiva pervadere da un insopportabile senso di colpa. Kotaro doveva averlo intuito, perché le accarezzò fugacemente la guancia.
-Non devi sentirti colpevole.- le disse con voce ferma -Sono stato io a fare la mia scelta. Mi sta bene così.-
Twiggy non riuscì a frenare le lacrime. -Ma forse saresti stato felice.-
Il demone sgranò per un attimo gli occhi, poi il suo sguardo si addolcì e ammise. -Forse sì.-
-O forse no.- aggiunse dopo qualche secondo, facendo sussultare sua sorella. -Hina è morta. Sarebbe morta in ogni caso. E mia madre mia amava, ma chissà a lungo andare probabilmente si sarebbe stufata di me.-
Twiggy studiava la sua espressione. Stava consolando lei o se stesso?
-Twiggy, mi avresti odiato se fossi rimasto con lei?- domandò improvvisamente, sorprendendola.
-Onii-chan, io ed Easlay saremmo morti, se tu non fossi tornato. Non avrei avuto la possibilità di odiarti.- disse imbarazzata.
-Non è una risposta.- la rimbeccò il demone.
-Sinceramente, non lo so. Sono immensamente felice che tu sia tornato, dando a me ed Easlay la possibilità di sopravvivere.- fece una pausa ed iniziò a tormentarsi nervosamente le mani -D’altro canto, però, se fosse finito tutto quel giorno non…-
La ragazza fu incapace di proseguire.
-Questa è una risposta. È sufficiente così.- Kotaro le arruffò affettuosamente i capelli -A proposito di Easlay…-
Twiggy si asciugò bruscamente le lacrime con il dorso della mano.
-L’ho tenuto sempre immobilizzato questi giorni. Temevo di non poterlo tenere sotto controllo, se si fosse scatenato. Ultimamente va sempre peggio.-
Kotaro annuì e si alzò. -Adesso ci penso io.-
-Senti , Onii-chan.- lo fermò sua sorella -Perché non hai mai provato a cercarla?-
-E lasciare voi due da soli?-
-È già successo in passato.-
Il demone sorrise. -Non hai detto un minuto fa che temevi che Easlay si scatenasse?-
Twiggy arrossì, colta in fallo.
-Allora manteneva ancora un minimo di controllo e tu avresti potuto badare a lui senza problemi.-
-Però…- protestò lei.
-Twiggy non sto cercando giustificazioni.- spiegò lui con calma -A parte tutto, lei non vuole essere trovata e di questo sono assolutamente sicuro.-
Senza fornire altre spiegazioni, rientrò al castello.

Easlay, steso sul letto, cercava di stiracchiarsi come poteva. Da quanto tempo era fermo in quella posizione? Non lo sapeva con esattezza. Certo era, però, che le articolazioni dolevano in maniera bestiale.
“Twiggy poteva almeno lasciare che mi sgranchissi un attimo” rimuginava fra sé seccato.
Ridacchiò. “No, impossibile. L’ho spaventata a morte.”.
-Brutte giornate, immagino.-
Easlay si voltò bruscamente verso la porta della sua stanza. Fu avvolto da una sensazione niente affatto piacevole, ma si controllò e tentò di assumere un’aria più strafottente possibile.
-Onii-san… Sarei venuto a farti a visita, ma come vedi sono stato costretto a letto anche io.-
Si era aspettato che lo colpisse, invece Kotaro si avvicinò con calma a lui e lo liberò dai legami.
Il mezzo demone era perplesso e si mosse con cautela, ma l’altro si limitava solo a guardarlo.
-Noto che non sono riuscito a metterti fuori combattimento.- insistette il ragazzo con la stessa ostentata arroganza, tentando di calmare quella tensione che avvertiva.
Kotaro sbuffò. -Credo di doverlo interpretare come un ‘Mi dispiace di averti quasi ucciso’.-
Easlay era sempre più confuso. Perché non gli faceva una sfuriata come al solito?
-In effetti in un certo senso mi dispiace. Non eri tu il mio bersaglio.-
Il demone si accostò tranquillamente a suo fratello, poi con uno scatto fulmineo lo afferrò alla gola e lo sbatté violentemente contro il muro.
Easlay provò, senza riuscire, a divincolarsi dalla morsa d’acciaio di suo fratello. Quest’ultimo lo fissava con una gelida pacatezza e con lo stesso atteggiamento iniziò a parlargli. -Apri le orecchie, ragazzino: non sono più disposto a tollerare oltre.- la sua voce era poco più che un sibilo; i suoi occhi, a pochi centimetri da quelli del mezzo demone, erano tutt’altro che rassicuranti.
Easlay tentò ancora una volta di dimenarsi; il suo corpo ebbe un principio di trasformazione, ma Kotaro aumentò la pressione delle dita sul collo ed essa si bloccò.
Stava soffocando. Per la prima volta provò terrore allo stato puro. “Mi ammazza!”
-Onii-chan, no!-
Twiggy corse a perdifiato verso di lui e gli cinse il braccio; i suoi occhi spaventati lo supplicavano di fermarsi.
Kotaro la guardò impassibile, poi si rivolse nuovamente ad Easlay. -Compi un’altra prodezza del genere, una sola, e io renderò la tua già miserabile vita un inferno.-
Quando ritirò la mano, il mezzo demone si accasciò a terra tossendo furiosamente. Kotaro si sciolse dalla stretta di Twiggy e si inginocchiò al suo livello. -Sai cos’è a incollerirmi tanto?-
Easlay, ancora scosso da violenti sussulti nel tentativo di tornare a respirare, alzò gli occhi verso di lui.
-Il fatto che non tenti nemmeno di controllare la bestia oscura.-
-È… impossibile… lo… sai… anche… tu…- ansimò di rimando l’altro.
-È più corretto dire che lo credevo.-
Easlay e Twiggy lo fissavano perplessi.
-In questi giorni ci ho riflettuto molto.- continuò Kotaro -Ho rivissuto nella mia mente decine di volte il momento in cui stavi lanciando il pugnale verso Hiei. Più ci penso più ne sono sicuro. Tu hai notato il mio movimento e hai deviato la traiettoria del tiro di quel tanto che bastava per non ferirmi mortalmente.-
Twiggy aveva la bocca spalancata; Easlay gli occhi sgranati.
-Vuoi farmi credere che non te ne sei reso conto?- gli domandò scettico Kotaro.
L’altro scosse lentamente la testa e abbassò lo sguardo.
-Non prendermi in giro!- il demone lo costrinse a guardarlo -Sai, ho una teoria. Quando avverti che la testuggine bruna sta prendendo possesso di te, non fai nulla per resisterle, anzi ti abbandoni al suo potere.-
Easlay rimase in silenzio, mentre cercava invano di rifuggire il suo sguardo.
-Qual è il tuo scopo?- proseguì Kotaro -Portarmi ad un’esasperazione tale da farti cacciare o farti uccidere? Purtroppo sono cose che non accadranno mai, perché sai che non verrò meno alla parola data a nostro padre.-
Un lampo di disprezzo attraversò gli occhi di Easlay. Con uno scatto irruente si mise in piedi, dando le spalle ai fratelli.
Kotaro si rialzò sospirando. -Se continui così, perderai coscienza di te.- il suo tono di voce si era un po’ addolcito -È questo che vuoi? Che la bestia ti divori completamente e ti renda un mostro senza senno e sentimenti? È questo ciò che accadrà e lo sai.-
Easlay continuò a non dire nulla, si limitò a stringere con forza i pugni delle mani.
-Sai di essere forte. Usa questa forza per opporti quanto più possibile. Renderesti la vita più semplice a tutti.-
Kotaro lasciò silenziosamente la stanza.
Twiggy si protese verso Easlay. -Onii-chan…-
-Lasciami, onee-chan.- le ordinò lui con voce contrita.
Non senza una certa riluttanza, la ragazza obbedì. Non appena avvertì che si era allontanata, il mezzo demone esplose. Si lanciò urlando verso il suo tavolo, rovesciando tutto il contenuto. Si gettò a terra anche lui, iniziando a picchiare con veemenza i pugni sul pavimento. Le lacrime sgorgavano con prepotenza dai suoi occhi.
-Maledetto il giorno in cui sei tornato qui!- urlò inveendo contro il fratello -Dovrei essere morto! Anzi, non dovrei essere mai nato.-
Delle fredde voci metalliche risuonarono nella sua testa e i ricordi da cui tentava disperatamente di fuggire presero forma.

<< -Quei mezzosangue sono un abominio, Tenkyo!-
Era stato un uomo con dei severi occhi rossi a parlare. Il padre di suo padre. Accanto a lui un altro uomo e due donne. Tutti demoni come suo padre. C’era dispregio nei loro occhi, fissi su lui e la sua sorellina, due bambini che si stringevano tremanti.
-Le vostre pretese sono un abominio.- ribatté suo padre con voce sicura.
-Non osare!- urlò imperiosamente una delle due donne. -Hai causato disonore a questa famiglia. Sei stato nel Ningenkai per dieci anni, allevando con una sgualdrina umana due errori imperdonabili. È una blasfemia lasciare che il Fuoco Oscuro sia maneggiato da esseri indegni. Ricordi quale maledizione si è abbattuta su tuo fratello?-
-La ricordo perfettamente, madre. Foste voi la sua maledizione.- continuò suo padre senza alcuna remora.
-Basta così.- intervenne l’altro demone -A causa della tua bravata, ci hai recato non solo infamia, ma anche la perdita di Benimaru, Mekare e Kotaro.-
-Benimaru si era stufato di voi.- rispose sprezzante -Mekare e Kotaro hanno trovato il coraggio di fare ciò che volevano. Come l’ho trovato io.-
-Sai che questa è l’ultima opportunità che ti è concessa.- riprese con voce ferma l’uomo che aveva parlato per primo. -Uccidi ora i mezzosangue e l’umana, o li vedrai morire lentamente per mano nostra, prima di raggiungerli.-
-Sai che non lo farò mai. Piuttosto vi combatterò!-
-Tenkyo…- rise la madre -Noi siamo in quattro, tu da solo. Cosa credi di fare?-
-Cosa ti fa pensare che sono solo, madre?-
Due figure incappucciate, sbucarono dalle ombre della notte e affiancarono suo padre.
La battaglia ebbe inizio. Easlay vide solo una tempesta di fiamme nere, poi sua madre afferrò lui e sua sorella e iniziò a correre.
Improvvisamente sua madre urlò. Lui e Twiggy stavano per cadere a terra, quando una delle due figure incappucciate li agguantò e scomparve con loro nel folto degli alberi.
Non vedeva dove stavano andando, sentiva solo delle strazianti grida di dolore… le grida di sua madre.
-Mamma! Mamma!- gridava, piangeva, si dibatteva. Voleva andare da lei.
L’uomo non si fermò, continuò a correre e strinse la sua presa su di lui.
-La mamma sta male, torna da lei.- sentì sua sorella singhiozzare.
-Devo portare in salvo voi.- disse l’uomo con un tono che non ammetteva repliche.
Gli occhi di Easlay caddero sul suo braccio destro, scorgendo il tatuaggio di un drago.
Si fermarono bruscamente. L’uomo aprì un passaggio nel castello e li buttò dentro.
-Qui sarete al sicuro. Non fate rumore. Uscite solo quando sarete sicuri che sia tutto finito.- intimò loro, prima di rinchiuderli e sparire.
Si abbracciarono e piansero. Fuori echeggiavano i rumori della battaglia che si stava consumando fra i sette demoni del fuoco.
“È colpa mia” pensava Easlay “La mamma è morta e il papà sta combattendo, perché io sono un abominio.”
-Stai tranquillo onii-chan.- sussurrò con voce sottile Twiggy, come se gli avesse letto nel pensiero -Vedrai che la mamma starà bene e che il papà vincerà. Non ci accadrà nulla di male.-
-Perché fanno questo?- mormorò lui stringendo più forte la sorellina -Perché ci hanno chiamato abomini, errori?-
-Non lo so.- la bambina cominciò a singhiozzare forte.
Si erano addormentati. Easlay non sapeva di preciso quanto tempo fosse trascorso. Si accorse improvvisamente che all’esterno non si sentiva più nulla. Svegliò anche Twiggy.
I due bambini si guardavano intorno impauriti. Cosa dovevano fare? L’uomo col tatuaggio del drago aveva detto loro di uscire solo quando la battaglia fosse finita. Lo era? E se sì, perché nessuno era andato ancora a prenderli?
Ci fu un rumore assordante, poi la parete crollò. Davanti a loro c’era una figura indistinta. Rise. Era una donna. Easlay notò il luccichio di una lama e si sentì sollevare con brutalità. Con la consapevolezza di morire, chiuse gli occhi.>>

“Sarei dovuto morire allora…”
Easlay era steso sul pavimento, con lo sguardo rivolto in aria.
“Così mi sarei risparmiato di vedere i corpi straziati di mio padre e mia madre.”
Più cercava di scacciarla, più quella scena gli tornava alla mente. Lui, un bambino di dieci anni, che piangeva disperato sul corpo senza vita della madre. Fu in quel momento che ebbe il suo primo contatto con la bestia oscura. Si trattò solo di un attimo, ma prese consapevolezza di cosa albergava in lui, del potere immane di cui sarebbe stato preda.
Lo odiò fin da subito. Era quella la causa di tutto.
-Un potere che odio, ma a cui mi abbandono…- mormorò tra sé con un triste sorriso -Hai ragione, onii-san, non gli oppongo resistenza. E il mio scopo è proprio perdere il senno… cancellare il mio essere… solo così avrò un po’ di sollievo.-

Twiggy raggiunse Kotaro. Gli rivolse uno sguardo di rimprovero misto a timore.
-Non volevo ucciderlo.- disse lui seccamente anticipandola -Volevo solo spaventarlo un po’.-
-E la tua teoria?-
-Mi pare di averla già espressa chiaramente.-
-Perché dovrebbe sommettersi volontariamente alla bestia oscura? È convinto di essere odiato proprio a causa sua?- la ragazza bloccò il fratello e gli si mise davanti.
Kotaro sbuffò. -Chiedi a me cosa gli frulla nella testa? So solo che se volesse, avrebbe la capacità di tenerla almeno un po’ a bada. E non lo penso solo per ciò che è successo l’altra sera. Mi è già capitato di rifletterci su altre volte.-
Twiggy lo guardò incuriosita.
-Non lo so… - sospirò Kotaro sedendosi a terra, con la schiena contro una parte -È che nostro padre ha assistito parecchie volte alle trasformazioni del figlio di suo fratello e me le ha descritte. Pare che non fosse una mutazione improvvisa, istantanea, ma che il mezzo demone impiegasse un po’ a cambiare aspetto, come se non volesse.-
Twiggy si abbandonò accanto a lui. -In effetti, ora che mi ci fai pensare, i primi tempi in Easlay la metamorfosi avveniva in un certo lasso di tempo. E lui si scuoteva, come per non cedere.-
-Ma da un po’ di tempo, muta repentinamente.- continuò il demone -Come se si lasciasse andare al richiamo della bestia, senza neanche provare a frenarla.-
Twiggy espirò profondamente e con sconforto appoggiò la testa sulle ginocchia. -Sono così stanca, onii-chan.-
Lui le accarezzò con dolcezza la testa. -Perché non hai voluto seguire il mio consiglio? Nostro padre ha lasciato a me questo fardello. Tu te ne saresti potuta andare e vivere la tua vita secondo tuoi desideri.-
Twiggy alzò la testa e gli sorrise. -Onii-chan, tu ed Easlay siete la mia vita e desidero solo potervi stare accanto.-

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Capitolo 12
*** Cap 11: Dannazione e salvezza [La storia di Kotaro] ***


Per chi non ha ancora perso le speranze di continuare a leggere questa storia, ecco finalmente un altro capitolo che, per l'argomento, immagino fosse il più atteso. Premetto che non è venuto proprio come desideravo, ma rischiavo di farvelo leggere fra un anno, quindi siate clementi.

X Yukochan e Dreven: Grazie, mi fa sempre piacere sapere che avete apprezzato il capitolo. Ecco, considerate questo nuovo capitolo il mio regalo di Natale. E come vostro regalo, attendo sempre i vostri commenti.

Easlay era seduto a terra con le ginocchia raccolte al petto; le mani, strette intorno alle gambe, erano insanguinate.
-Onii-chan!- esclamò preoccupata Twiggy, andandogli vicino. Fissò i cocci a terra e con un sospiro gli prese le mani. -Ma cosa è successo qui…-
Il ragazzo non ebbe alcuna reazione; continuava semplicemente a guardare avanti a sé immerso in chissà quali pensieri.
Twiggy decise di non insistere e prese l’occorrente per medicarlo.

-Sei tornato.- disse con voce piatta Hiei al padre appena entrato nella stanza.
Kotaro si sedette sul letto -Continuiamo la storia.- dichiarò senza aggiungere altro.

< Tuttavia, quando ero ormai a metà cammino e mi ero convinto di riuscire ad arrivare anche con largo anticipo, incontrai un ostacolo. Un accampamento di una numerosa banda di demoni banditi… dannatamente forti.
A nulla valsero i miei tentativi di defilarmi da loro senza combattere. Quei maledetti avevano davvero voglia di farmi a pezzi. Fui così coinvolto in una battaglia lunga e sanguinosa, in cui, da un lato, partivo evidentemente svantaggiato, ma che dall’altro,sembrava il modo migliore per sfogare la rabbia e l’angoscia che mi attanagliavano.
Era impensabile uscirne illeso, ma ricorsi a tutte le mie energie e i miei poteri. Avevo mutato il mio aspetto nella Tigre Oscura per fronteggiarli e continuai a mantenere la trasformazione nonostante fossi gravemente ferito. In quelle condizioni, oltre a danneggiare il mio corpo, persi anche coscienza delle mie azioni. La bestia, inebriata dall’odore del sangue mio e dei miei avversari, mi impedì di accontentarmi delle vite dei miei aggressori e mi portò a sterminare il resto degli abitanti dell’accampamento, ovvero donne e ragazzini indifesi.
Quando me ne resi conto, era già tutto compiuto. Non avevo potuto o forse non avevo voluto fermarmi: la mia furia, unita a quella della belva oscura, era talmente intensa da non potersi placare se non con un eccidio totale.
Provai ripugnanza di me stesso… pensai a quanto fossi maledetto e presto mi accorsi che, malgrado avessi vinto quella lotta, le mie condizioni erano critiche.
Stavo morendo lì, in quella radura disseminata dei cadaveri dei miei stolti assalitori e delle mie vittime innocenti. Sentivo che era ciò che meritavo per aver compiuto un’azione tanto ignobile, ma io volevo vivere… non volevo che mio padre aspettasse invano il mio aiuto e non volevo che la promessa fatta a mia madre fosse infranta.
Mi accasciai a terra angosciosamente consapevole della mia fine e della condanna che sarebbe seguita, ma prima di perdere i sensi, l’ultima cosa che vidi fu una cascata di capelli verde acqua ricadere su di me e un paio di occhi dello stesso colore scrutarmi con dolcezza. Il re dell’Inferno si stava prendendo gioco di me? Mandare un angelo così bello a guidare la mia anima dannata… che ironia!

Il mio periodo di incoscienza fu dominato letteralmente dal nulla. Nessun suono, nessun colore, nessuna emozione… nulla di nulla. Immaginavo fosse quello lo stadio che precedeva immediatamente la morte. Poi ci fu un lampo di luce e riuscii con fatica ad aprire gli occhi.
Una volta in pietra grigia e dei bagliori color arancione… di certo non me lo prefiguravo così l’Inferno.
-Finalmente ti sei ripreso.-
Quella voce, la più melodiosa che avessi mai sentito, risuonò nelle mie orecchie come il canto di un usignolo. Mi girai verso la sua fonte e riconobbi la splendida creatura che avevo scorto prima di essere investito dal buio più totale.
In quel momento capii che non ero morto; quel luogo non era l’Inferno, ma una semplice grotta e quella fanciulla non era un angelo.
Il mio cuore prese a battere furiosamente.
Chi era? Perché si trovava nel luogo in cui avevo lottato con i demoni banditi? Era una nemica?
Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi; la mia mente era annebbiata e vittima di una grande confusione. La paura prese irragionevolmente possesso di me: ero incapace di difendermi e probabilmente in pericolo.
-Stai molto male?- sussurrò lei allungando una mano verso di me.
Afferrai con tutta la forza che possedevo il suo polso e questo mi costò non poca sofferenza.
Lei sgranò gli occhi sorpresa, ma ritrovò subito la calma e sorrise. -Stai tranquillo. Qui sei al sicuro.-
“È un demone ammaliatore” pensai in preda alla follia “Uno di quei mostri che ingannano e subito dopo divorano. Deve essere una dell’accampamento che è sfuggita alla mia pazzia e ora vuole vendicarsi”.
Tentai di alzarmi, ma ogni mio singolo muscolo protestò violentemente. Non riuscii neanche a mantenere la presa sul suo braccio.
-Le tue ferite sono molto gravi e sospetto che ti abbiano iniettato del veleno.- spiegò con tono pacato -Ti sto curando con il mio potere, ma non è una questione risolvibile in poco tempo. Considero già un miracolo essere riuscita a tenerti in vita.-
Stava mentendo? O forse il mio timore era dovuto al fatto che non riuscivo a pensare chiaramente? Aveva detto che mi avevano iniettato del veleno… la causa doveva essere quella…
I miei pensieri furono interrotti da una sensazione di calore avvolgente. Posai lo sguardo sulla ragazza al mio fianco. Aveva gli occhi chiusi e aveva imposto le sue mani sul mio corpo. Era circondata da un’aura candida che, attraverso le sue mani, stava profondendosi in me.
Mi accorsi di non avvertire più alcun dolore, alcuna paura o alcun rimorso… solo un senso di pace estrema che avrei voluto durasse per sempre. Purtroppo, però, l’incanto non durò che pochi istanti e subito la sofferenza fisica tornò accompagnata ai pensieri angoscianti sulla mia sorte e quella di mio padre.
Quanto tempo era trascorso? Quanto ancora sarebbe stato necessario per poter essere in grado di riprendere il mio cammino? Solo una cosa era certa: non ne avevo molto a disposizione.
Quell’opprimente consapevolezza, mi costrinse a ritentare di sollevarmi. Feci appello a tutta la mia forza di volontà per oppormi alle resistenze che il mio corpo poneva, ma era impossibile non cedere.
La sua mano mi costrinse gentilmente a rimanere disteso. -Non fare sforzi inutili. Risparmia le energie per recuperare più in fretta.- mormorò teneramente -Devo praticare la mia arte curativa su di te poco alla volta. Se sei stato avvelenato, come credo, non posso permettere al tuo corpo di abituarsi al mio potere, o la mia cura non avrà effetto.-
Mi soffermai a guardarla. Dire che era bella sarebbe semplicemente riduttivo; ma non esistono parole con cui possa definire il suo intero essere.
Solamente una volta in precedenza avevo osservato qualcosa di così meraviglioso: mia madre Mekare.
Ovviamente non era la stessa cosa: la bellezza altera e selvaggia di mia madre era esattamente il contrario di quella della fanciulla che avevo davanti agli occhi, così pura e soave.
Mi resi conto che, osservandola, ero stato invaso da una sensazione di serenità innaturale. Ma come potevo permettermi di abbandonarmi a quell’aura di pace e santità che la sua figura emanava, dimenticandomi di tutto il resto? Come potevo godere di una tale beatitudine dimenticando il sangue di cui mi ero macchiato?
La purezza che avvertivo in lei era un balsamo per il mio cuore oppresso, ma allo stesso tempo un tormento per la mia anima maledetta.
Decisi che dovevo liberarmi di quella specie di malia e riprendere il controllo di me stesso. Questa volta, con fatica e sofferenza inimmaginabili, fui capace di mettermi seduto.
-Non devi.- intervenne lei poggiando le mani sulle mie spalle e obbligandomi a tornare giù. -Dove pensi di andare così ridotto?!-
Afferrai le sue mani e le allontanai da me. -Non intrometterti in questioni che non ti riguardano.- sibilai gelidamente -Non posso starmene qui buono e tranquillo, devo andare via.-
Le mie dure parole la colpirono… evidentemente si aspettava che le prime parole pronunciate dalla persona che aveva salvato sarebbero state di ringraziamento. Ciononostante, non perse la sua compostezza. -Se non consenti al tuo organismo di recuperare le forze, non andrai proprio da nessuna parte.-
Ignorai il suo monito e mi alzai in piedi… o forse sarebbe più corretto dire che ci provai, visto che le mie gambe cedettero subito, costringendomi in ginocchio.
-Immagino che tu debba fare qualcosa di davvero importante, per spingerti così oltre i limiti del tuo fisico.- il suo tono non era né di rimprovero, né di scherno, era solo pieno di comprensione -Ma prenditi il tempo che serve alla guarigione…-
-Io non ho tempo!- ringhiai furioso.
-E comportandoti così cosa speri di ottenere?- insistette in modo gentile, ma fermo -Te lo dico io, peggioreresti solo le tue condizioni.-
Finalmente capii che non aveva torto: in quella situazione, probabilmente non sarei neanche arrivato vivo al castello di mio padre, quindi lasciai che mi aiutasse a stendermi.
-Io farò quanto è in mio potere per farti tornare in forma il più presto possibile.- dichiarò con serietà -Ma tu devi fidarti di me.-
Le rivolsi un sorriso perplesso. -Fidarmi di te? Non so neanche chi tu sia.-
Anche lei sorrise, ma il suo era un sorriso genuino. -Non ti basta sapere che ti ho salvato?-
Non trovai una risposta. Ai suoi occhi dovevo risultare decisamente ingrato, ma ancora non riuscivo a liberami del tutto dal pensiero di essere sotto l’influenza di un incantesimo ammaliatore.
-Evidentemente no.- sospirò delicatamente -Il mio nome è Hina e sono una koorime, meglio conosciuta come dama dei ghiacci.-
La guardai con interesse. Non sapevo nulla riguardo alle koorime, se non che erano demoni donne che dominavano il potere del ghiaccio, come aveva appena detto lei. Mi sentii subito sollevato; non apparteneva alla tribù che avevo massacrato. -E perché ti trovavi lì? Quelli della tua razza non amano gli ambienti rigidi?-
La sua risata cristallina risuonò per qualche istante all’interno della piccola caverna. -Non ci sciogliamo come neve in altri ambienti, se è questo ciò che pensi.-
Mi imbarazzai per aver posto in modo così stupido la domanda. -Non era questo che intendevo…-
-Si lo so.- mi interruppe lei -Volevi sapere perché mi trovavo proprio nel luogo in cui hai combattuto con quei demoni. È per questo che non ti fidi di me, vero?-
Annuii.
-Vedi, mi capita spesso di allontanarmi dalle mie compagne e girovagare in libertà, nonostante ciò non sia gradito alle decane.- rispose, mentre volgeva lo sguardo all’esterno dell’antro.
Costrizione da parte dei capi anziani, voglia di libertà… quel discorso mi suonava decisamente familiare. -Perché mi hai salvato?- le chiesi improvvisamente -Hai assistito a tutto, vero?-
Tornò a guardarmi. -Sì.- disse semplicemente. I suoi occhi erano limpidi, non vi scorgevo alcuna forma di giudizio.
-Allora perché? Sono un essere dannato e non mi riferisco solo a ciò che ho compiuto in quella radura.-
-Intendi il potere di cui sei preda? È stato quello a farti perdere il controllo…-
Il mio silenzio fu più eloquente di ogni risposta.
-Qual è il tuo nome?- mi domandò all'improvviso.
-Kotaro.-
-Kotaro…- ripeté con un sussurro lei -Quando mi sono avvicinata a te e ti ho guardato negli occhi, ho letto una disperata voglia di vivere e un’immensa tristezza.-
La fissavo allibito.
-Non si è trattato solo di questo…- riprese con lo stesso tono dolce -Ti ho visto lottare, ma non contro quei demoni… eri come una tigre in gabbia che lottava per liberarsi da dei fardelli. In quel momento sei sembrato così simile a me.-
La sua affermazione mi sconvolse. Lei, una creatura così pura, si era appena paragonata a me.
-Io tento invano di sfuggire al mio destino di koorime.- continuò ancora -Una sorte di prigionia totale all’interno del mio clan. Per il mio desiderio di libertà, le mie compagne non mi vedono di buon occhio. Mi considerano una ribelle che poterebbe minacciare il loro equilibrio e la loro sopravvivenza e fanno di tutto per tarparmi le ali.- tacque per qualche istante -E tu? Qual è la tua prigione?-
Non mi frenai. Le raccontai ogni singola cosa. Di mio padre, di mia madre, degli anziani, della bestia oscura che viveva dentro di me. Diedi libero sfogo alla mia anima. Le confessai di sentirmi in obbligo verso mio padre, di dover tornare da lui ad aiutarlo; ma allo stesso tempo, bramavo di dimenticare ogni cosa e lasciarmi andare ai miei desideri. Le rivelai tutto: le mie paure, le mie angosce, i miei sogni…
Mai con nessuno, nemmeno con mia madre, la persona che avevo più amato nella mia vita, avevo parlato con tanta franchezza; invece con quella fanciulla, che mi ascoltava pazientemente, sentii di poter mettere a nudo la mia anima.
Quando ebbi finito di raccontare, lei mi rivolse un sorriso genuino. -Siamo così diversi, ma così affini. Sono davvero felice di averti incontrato, Kotaro. E se vuoi la mia opinione, tu non sei affatto un essere dannato. La tua maledizione… sei in grado di controllarla.-
-Ho sterminato persone incolpevoli, a causa sua, e non è stata questa la prima volta.- protestai io.
-Sono state le tue emozioni negative ad alimentarla e sono certa che tu sia abbastanza forte da dominarti. Il fatto che tu abbia rimorso per quello che hai fatto, dimostra che puoi trovare in te la capacità di opporti. Non è un potere puro e positivo, ma la belva oscura, come la chiami tu, può essere sottomessa, se tu non ti fai assoggettare dal tuo stato d’animo- insistette lei.
Ero stato io a svelarmi a lei, ma era così straordinario che un’ innocente fanciulla, conosciuta da sole poche ore, potesse leggere la mia anima così profondamente. Pensavo, tuttavia, che quel suo modo incondizionato di credere in me fosse tremendamente ingenuo. -Non è così semplice come pensi.- mormorai amaramente.
-Io sono convinta del contrario. La tua maledizione è vincibile. - ribadì con un sorriso schietto, che mutò subito in tristezza -Esistono altre maledizioni, finanche innocue, che sono insuperabili.-
Avrei voluto chiederle cosa volesse significare, ma non me lo permise, defilandosi a cercare delle erbe curative. Comprendendo che doveva essere un tasto dolente per lei, non investigai oltre e aspettai che me ne parlasse spontaneamente. Purtroppo non lo fece e io capii tutto solo alcuni anni più tardi… troppo tardi.

Nei giorni seguenti aveva continuato a curarmi, sia con il suo potere, sia con delle erbe mediche. E aveva parlato di sé, si era rivelata, come avevo fatto io in precedenza, anche se non totalmente. Continuava a tacermi quale fosse la maledizione che la opprimeva, ma non me ne curai più di tanto: il fatto che io le avessi svelato ogni cosa di me, non doveva costringerla a fare altrettanto.
Ogni giorno che passava, desideravo sempre più parlarle, ascoltarla, averla solamente vicino. Non mi saziavo mai abbastanza di quegli occhi grandi e sereni, di quella voce dolce e armoniosa, della sua figura così ricca di grazia e delicatezza.
Mi ero innamorato di lei.
Era un sentimento nuovo per me. Non lo avevo provato per nessuna donna con cui avevo giaciuto. Ed era profondamente diverso da quello che provavo per mia madre.
Desideravo che le nostre anime, opposte ma simili, si fondessero eternamente in una sola.
Desideravo che la sua anima confortasse la mia, dandole finalmente pace.
Desideravo che la mia anima aiutasse la sua a liberarsi, come desiderava.
Ma non osai dire o fare nulla. Mi sembrava un sacrilegio contaminare la sua figura così candida, con la mia così diabolica.
Appena ebbi recuperato un po’ le forze, mi aiutò ad uscire da quella caverna scura e passavamo molte ore all’aperto, sulle rive fiorite di un ruscello.
Più parlavo con lei, più mi convincevo di poter dominare tutte le emozioni negative che mi opprimevano ed era la sua vicinanza a rendermene consapevole; era quella sua straordinaria capacità di placare il mio spirito inquieto. Ma sapevo che non potevo permettermi di abbandonarmi a quel pensiero ancora a lungo. Appena tornato in forze, sarei dovuto andare a combattere la battaglia per la mia libertà e per quella della mia famiglia.
Appena glielo dissi, mi parve di leggere una vena di malinconia nel suo sguardo.
-Sei la prima persona con cui ho parlato al di fuori del mio clan…- iniziò a dire improvvisamente -Un demone maschio.-
La ascoltavo attentamente, cercando di capire dove volesse arrivare.
-La mia tribù è composta solo da donne e i maschi sono considerati simbolo di sventura, tanto da impedirci di avere con loro qualsiasi contatto. Nonostante fossi incurante delle loro regole di restare confinate nel nostro territorio…- si interruppe mostrandomi con un braccio un enorme massa rocciosa, completamente bianca, che si intravedeva in lontananza a sovrastare dei monti -… ho sempre rispettato, per timore, quella di non avvicinarsi a degli uomini. Poi sei arrivato tu…-
Rimase in silenzio per un po’ ed io tentavo di afferrare quale fosse il senso di quel discorso.
-Ti ho visto massacrare con brutalità quei demoni e ho avuto paura, è vero, ma poi ho visto molto di più… e mi è bastato guardarti solo un istante negli occhi per capire che mi ero innamorata di te.-
Rimasi a fissarla a bocca aperta.
-Strano, vero? Una koorime abituata a temere gli uomini, si innamora in un istante di uno sconosciuto… che subito dopo appare così affine a lei.- continuava a sorridere, ma il suo era un sorriso davvero mesto e non riuscivo a spiegarmi il motivo -Kotaro, tu mi hai dato la forza di conquistare in tutta la sua totalità la mia libertà… la libertà di essere ciò che sono, la libertà di andare ovunque voglia e, soprattutto, la libertà di amare…- posò i suoi occhi su di me -Qualunque conseguenza comporti.-
Perplesso per ciò che aveva detto, aprii la bocca per parlare, ma lei me la chiuse con la sua in un tenero bacio.
Quando ci staccammo lei mi guardava amabilmente.
-Ti amo, Hina.- le dissi con il mio sguardo perso nel suo.
-Ti prego, Kotaro, prima che tu te ne vada, lascia che io sia tua, anche solo per un istante.-
Affondai le mie mani in quei morbidi capelli verde acqua e liberai il suo corpo dal suo candido kimono, mentre lei faceva lo stesso con i miei abiti. Esplorammo l’uno il fisico dell’altra, ma lei era decisamente più curiosa ed avida.
Nell’esatto istante in cui ci unimmo una lacrima cadde dai suoi occhi, cristallizzandosi, a contatto con il suolo, in una preziosa gemma. Poi ci fu l’incanto.
Quel giorno il mio desiderio si era esaudito. La mia anima e la sua si erano fuse in un’unica strabiliante entità. La sensazione fu indescrivibile: la purezza si era unita alla spregiudicatezza, il ghiaccio si era unito al fuoco… tutto in una dimensione di perfezione e somma pace.
Credo di non aver mai provato un simile senso di completezza.
Lei si accucciò a me, tenendo stretta la pietra originatasi dai suoi occhi.
-Le lacrime di una koorime si tramutano in perle di grande valore, le pietre hirui.- spiegò lei -Molti demoni bramano di averle.-
-L’unico valore che ha per me e il fatto che sia nata dai tuoi occhi.- risposi io.
Lei mi sorrise con dolcezza.
-Congiungendomi a te, per un istante ho dimenticato ogni cosa… Vorrei poter restare.- dichiarai accoratamente.
-Ma se lo facessi, non ti perdoneresti mai.- replicò lei.
-Hina, ti giuro che vincerò la mia battaglia e tornerò qui a prenderti. Poi potremo stare per sempre insieme.-
Altre lacrime caddero dai suoi occhi, rimbalzando a terra.
-Ho detto qualcosa che non va?- mi allarmai io.
Lei scosse la testa. -Oh no. Mi hai resa felice.-
Ma nonostante lei sorridesse, dentro di me sentii un’inquietudine inspiegabile.

Il giorno seguente, consapevole di non poter più indugiare, decisi di partire.
La strinsi con forza tra le mie braccia. -Non so quanto tempo mi occorrerà, ma stai certa che saremo di nuovo insieme.-
-Sì, ti credo.- dichiarò lei.
Pose tra le mie mani una pietra hirui, appesa ad un laccio. -È la lacrima che ho versato al momento della nostra unione. È il simbolo del nostro legame.-
Me la misi al collo. -Non me ne separerò mai.- giurai solennemente.
Poi ci baciammo. Un bacio lungo, appassionato e… disperato… come se fosse stato l’ultimo.
Ormai lontano, mi girai indietro per osservarla ancora e mi sembrò di scorrere due luccichii scorrerle sulle guance.
Un terribile presentimento mi fece stringere il cuore. Un presentimento che, purtroppo, sarebbe presto diventato reale.>>

Hiei era sconvolto. -Tu non lo sapevi?! Non sapevi cosa sarebbe successo.-
Kotaro sorrise amaramente. -Non mi perdonerò mai di essere stato la causa della sua morte.-

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Capitolo 13
*** Cap 12: Troppo tardi! [La storia di Kotaro] ***


Immagino che ormai vi siate abituati ai miei ritardi, ma come sempre vi dico: mi dispiace!!! Purtroppo più veloce di così, a causa di vari impegni, non posso pubblicare!
In questo capitolo, la battaglia contro i vecchiacci malefici. Buona lettura!

X Dreven: Grazie, cara! Sei stata tu a commuovermi con il tuo commento. Mi hai detto delle cose davvero bellissime (e che non mi merito visto quanto sono ritardataria!). Grazie di cuore! Un bacio.

X Yuko-chan: Grazie mille! è bello per un'autrice sentirsi dire che la sua storia viene letta con piacere. Quanto all'azione, ho cercato di accontentarti con questo capitolo! Baci


Hiei era allibito. Tutto ciò che aveva sempre creduto si era rivelato falso. Certamente non poteva sapere come fossero andate davvero le cose e aveva formulato da sé quelle congetture errate; forse, solo per avere un motivo in più per odiare il padre che l’aveva abbandonato.
-Ripresi la mia folle corsa …-
La voce di Kotaro lo riscosse e tornò a concentrare la sua attenzione su di lui.

<< Davvero una corsa folle e senza alcuna consapevolezza… ormai avevo perso completamente la cognizione del tempo: sarei arrivato in tempo per la battaglia o ormai si era tutto concluso? Pensieri infausti mi attanagliarono.
No! Non dovevo pensarlo. Non potevo pensarlo!
Ma nonostante la mia angoscia, la figura di Hina faceva spesso capolino nella mia mente.
Riascoltavo la sua voce, le sue parole. La sensazione del suo corpo sotto le mie mani era ancora intensa. Poi ricordai le sue lacrime, prima della mia partenza.
Un nuovo tormento torturò la mia anima.
“Ora devo concentrarmi solo sulla battaglia… Sopravvivrò e tornerò da lei!” dichiarai a me stesso.
Per liberarmi da ogni peso, lasciai che il mio corpo mutasse nella Tigre Oscura.
Non ero al massimo della forma, ma i discorsi di Hina mi avevano dato la forza: la mia volontà poteva sottomettere quella della bestia, qualunque fosse la situazione.
Aumentai considerevolmente la mia velocità… era la mia sola speranza di poter aiutare mio padre.
Sebbene avvertissi ogni secondo, ogni minuto e ogni ora volare via inesorabilmente, non impiegai molto tempo a pervenire nel territorio di mio padre.
In lontananza distinguevo già gli ineluttabili segni della battaglia: nubi grigie si alzavano imponenti verso il cielo, alcune lingue di fiamme nere divoravano implacabili la vegetazione e il mio olfatto, amplificato notevolmente dalla mia forma ferina, percepiva l’inconfondibile odore ferroso del sangue.
Riassunsi le mie sembianze e, con il cuore in tumulto, mi avvicinai cautamente al castello di mio padre.
Restai agghiacciato dalla scena che si presentò ai miei occhi: la battaglia era terminata e sul prato, segnato dalla furia del combattimento, giacevano sei corpi.
Ero arrivato troppo tardi.

Avanzai come un automa e il primo corpo che incrociai era quello della donna di mio padre. Mi chinai su di lei: morta. Assassinata in modo brutale, come potei intuire dalle sue orribili ferite e dai suoi occhi, ancora sgranati, colmi di terrore.
Sollevai lo sguardo. Poco distante da lei, c’era il cadavere di un demone che non avevo mai visto. Osservai il tatuaggio sul suo braccio destro: un drago nero. Doveva essere il fratello di mio padre.
Rivolsi la mia attenzione alle altre salme: erano tre capostipiti.
-Kotaro…-
La voce flebile, proveniente alle mie spalle, giunse chiaramente alle mie orecchie.
-Padre!-
Mi precipitai furiosamente sulla sua figura, seminascosta da alcuni cespugli.
-Come stai? Mi dispiace, non sono riuscito ad arrivare…-
Alzò debolmente una mano, per farmi segno di tacere.
-Easlay e Twiggy…- rantolò affannosamente -Al rifugio nella parete nord del castello… Sono in pericolo… Serana… Vai!-
Non indugiai neanche un istante e diedi fondo a tutte le mie energie per raggiungere il posto: questa volta dovevo fare in tempo.
La vidi. L’odiosa capostipite teneva sollevato uno dei due bambini. Scorsi nell’oscurità un luccichio sinistro: un pugnale.
“No! Almeno loro… almeno loro devo salvarli!”
Mi trasformai, e con un lungo balzo, colpii Serana alle spalle con una zampa, circondata da una sfera di fuoco nero.
Colta alla sprovvista, ella cadde violentemente a terra, sputando sangue.
Tuttavia, a causa della mia irruenza, la donna ebbe un moto di reazione e ferì comunque Easlay, anche se, fortunatamente, solo di striscio.
Il bambino precipitò rovinosamente al suolo.
Non fui in grado di mantenere la metamorfosi: avevo chiesto troppo al mio fisico.
Serana si rialzò faticosamente e mi lanciò uno sguardo carico di disprezzo. Poi le sue labbra si incurvarono in un malevolo sorriso.
-Ecco l’altro traditore.- sibilò -C’è anche Mekare con te?-
Non risposi. La mia attenzione era concentrata su Easlay, svenuto a terra, e Twiggy, tremante e rannicchiata all’interno del rifugio.
-Abbiamo sottovalutato la faccenda.- continuò lei -Non ci aspettavamo che Mikami, fratello di tuo padre, e persino quel piccolo verme di Benimaru, venissero in aiuto di Tenkyo.-
“Benimaru!” quella affermazione mi sconcertò. Benimaru aveva combattuto al fianco di mio padre… Per quale motivo?
-Hiroki, Raito e Maharet sono morti… ma non finisce qui.- il suo sguardo era fiero, nonostante fosse molto provata -Farò pagare a te e a tuo fratello questo affronto e stai pur certo che terminerò quanto è stato iniziato!- dichiarò, indicando con gli occhi i due bambini, prima di sparire nelle ombre della foresta.
Fissai per qualche istante il punto in cui era scomparsa, dopo mi accostai a Twiggy.
-Kotaro…- singhiozzò abbandonandosi sul mio petto.
La presi in braccio e mi avvicinai ad Easlay. Serana gli aveva provocato un taglio superficiale sulla spalla. Sollevai anche lui e li condussi all’interno del castello.
-Dove sono il papà e la mamma? Cosa è successo?- gemette Twiggy.
-Non muovetevi da qui. Tornerò fra poco.- le intimai, senza fornire una risposta alla sua domanda.
Tornai sul luogo della battaglia e mi guardai intorno per cercare un eventuale segno della presenza di Benimaru. Non scorsi nulla.
Serana aveva detto che l’avrebbe fatta pagare sia a me che a lui, era dunque sopravvissuto e, evidentemente, era scappato.
Andai da mio padre. Era ancora vivo, ma le sue condizioni erano decisamente critiche. Aveva ferite molto profonde su tutto il corpo.
Lessi la preoccupazione nei suoi occhi.
-Twiggy ed Easlay stanno bene- lo tranquillizzai -ma Serana è riuscita a sfuggirmi.-
Da sotto il mio mantello tirai fuori un’ampolla, contenente una sostanza curativa donatami da Hina. Gliela feci bere e il suo respiro si fece un po’ più regolare.
-Temo sia tutto inutile, figlio mio- sospirò lui -Non vivrò ancora a lungo.-
-Non dire sciocchezze!- protestai io -Ora ti porto dentro e curo quelle ferite.-
Bloccò gentilmente il mio braccio con la sua mano. -Sono certo di ciò che dico. Prima di morire, lascia che ti racconti ogni cosa.-
Non volevo rassegnarmi, ma nel profondo del cuore sapevo che aveva ragione. Non avrei potuto salvargli la vita in nessun modo.
-Sono felice che tu sia qui.- disse con un sorriso.
-Non sono arrivato in tempo.- mormorai io tra i denti.
-Ma sei venuto… è questo che conta per me.-
Seguirono alcuni attimi di silenzio, poi mio padre prese a raccontarmi i fatti.
-Quando i capostipiti mi avevano imposto quell’ultimatum, ti inviai subito un messaggio, ma dopo diversi giorni tu non mi avevi ancora risposto.-
-Mia madre me lo aveva tenuto nascosto.- lo interruppi io.
-Sentivo che era successo qualcosa del genere…- mi rassicurò lui -Mekare voleva sicuramente proteggerti, o forse solo allontanarti da me. Questo non saprei mai dirlo. Quella donna è così enigmatica.-
Annuii. -In un certo senso, aveva in mente entrambe le cose.-

< Ero disperato. Da solo contro quei quattro non avrei avuto alcuna speranza, ma non potevo certo cedere al loro ricatto e tantomeno prendere Reika e i bambini e scappare: sapevo benissimo che era inutile, mi avrebbero perseguitato fino alla fine.
Tuttavia, avevo ancora una possibilità: mio fratello, Mikami. Quando era fuggito, i capostipiti mi dissero che pensavano si fosse rifugiato in un luogo sconosciuto nel Makai e che era introvabile. Eppure io conoscevo mio fratello meglio di loro ed ero certo che non si trovasse più nel Makai, ma che si fosse nascosto nel Ningenkai, il luogo in cui aveva conosciuto la donna che aveva amato.
Mi recai nel mondo degli umani e, dopo aver lasciato Reika e i bambini in una locanda, iniziai le mie ricerche. Ricordando le descrizioni di Mikami della località in cui aveva conosciuto la sua donna e aiutandomi con l’olfatto della Tigre Oscura, non impiegai che alcuni giorni per rintracciarlo.
Era alquanto sorpreso di vedermi. -Non credevo che qualcuno potesse trovarmi.-
Lo scrutai con attenzione. Il dolore per le disgrazie che lo avevano colpito lo stava consumando inesorabilmente. Il suo fisico era deperito e i suoi occhi… aveva lo sguardo spento e sofferente di chi non desidera altro che la morte, per poter dare un po’ di sollievo alla sua anima.
-Sei così cambiato.- furono le mie meste parole.
Lui mi rivolse un sorriso amaro -Tu invece sembri lo stesso di un tempo.-
Mi fece cenno di seguirlo. Uscimmo dal suo rifugio, una caverna nascosta in mezzo ad una rigogliosa foresta, e giungemmo in una radura. Al centro due lapidi. Le tombe di sua moglie e suo figlio.
-Ho definitivamente smesso di lottare. La mia unica volontà è ricongiungermi presto a loro. Ma non posso uccidermi. La mia condizione di demone rende l’attesa della morte più lunga e insopportabile. È la giusta condanna per non aver avuto la forza di ribellarmi e per aver posto fine alla vita di mio figlio in maniera così vile.- Colsi la sua immensa sofferenza.
-Adesso riesco a comprenderti.- affermai con calore.
Lui si sedette, appoggiando la schiena contro la pietra tombale della sua donna e mi guardò, attendendo le mie spiegazioni.
-Poco tempo dopo la tua fuga, i capostipiti mi costrinsero a sposare nostra cugina e a concepire con lei due eredi. Nemmeno io ebbi la forza di oppormi, nonostante le mie aspirazioni fossero altre. Fui sottomesso a loro, finché, dieci anni fa, non intrapresi un viaggio in questo mondo e mi innamorai di una donna umana.-
Un velo di pietà coprì gli occhi di mio fratello.
-Ho avuto due figli da lei e pochi mesi fa feci ritorno nel Makai, portandoli con me. Ovviamente, non ho potuto nascondere a lungo la loro esistenza.-
-Posso immaginare il resto.- mi interruppe lui.
-Non ho intenzione di compiere il tuo stesso errore.- dichiarai.
Forse fui troppo diretto, perché le mie parole parvero colpirlo duramente.
-Non intendo porre fine alle loro vite, né tantomeno permettere a quei dannati di farlo.-
Con mia grande sorpresa lui sorrise. -Perché sei venuto a cercarmi, Tenkyo?-
-Contro di loro non avrei alcuna possibilità di vittoria. Sono venuto a chiedere il tuo aiuto, Mikami.-
Mi aspettavo che rifiutasse categoricamente, che mi insultasse e inveisse violentemente contro di me.
Invece si alzò e poggiò una mano sulla mia spalla. -Ti aiuterò. Non potrò redimermi per le mie azioni passate, ma impedirò a te di provare la mia stessa sofferenza. Il giorno della battaglia sarò al tuo fianco e, se dovessi morire, sarei grato al fato di avermi concesso la morte così velocemente.-
Colmo di gratitudine, mi congedai da lui e, recuperati Reika e i miei figli, tornai al castello.
Alcuni giorni dopo, bussò alla mia porta qualcuno che non avrei mai aspettato: Benimaru.
-Ho saputo tutto.- esordì immediatamente.
-Non dirmi che vuoi aiutarmi!- replicai gelidamente.
-Non fraintendermi, padre.- ribatté lui, rivolgendo uno sguardo carico di disgusto a mia moglie e ai due bambini -Non sono certo qui per aiutarti a salvare una femmina umana e due mezzosangue. Lo faccio solo per un mio tornaconto.-
Lo fissai con disprezzo, ma aspettai che spiegasse le sue intenzioni.
-Come saprai ho abbandonato il sentiero che gli anziani avevano tracciato per me. Non ho più voglia di essere lo strumento di quei quattro stolti, che fingono di aspirare al potere assoluto, ma che in realtà sono solo dei parassiti che si accontentano di rosicchiare gli avanzi dei demoni più potenti.- fece un gesto di insofferenza -Ma non ho neanche voglia di nascondermi in eterno per paura che si vendichino del mio tradimento.-
-Credo di capire dove vuoi arrivare.-sibilai con tutto lo sdegno possibile -Sai che da solo non potresti mai sconfiggerli e vuoi approfittare della mia battaglia per avere più possibilità di vittoria.-
Sulle sue labbra si dipinse un sorriso odioso. Avevo la forte tentazione di massacrarlo e buttarlo fuori di lì, ma mi trattenni.
-So cosa pensi… Preferiresti cacciarmi via di qui, piuttosto che accettare la mia offerta. Tuttavia, sai che potrei tornarti utile. Sei un guerriero formidabile e io non sono da meno. Nonostante tutto, sai che avermi al tuo fianco significa poter contare su maggiori chance di vittoria.-
Aveva maledettamente ragione. Probabilmente il solo appoggio di Mikami, per quanto prezioso, non sarebbe stato sufficiente e la sua proposta scendeva come una manna dal cielo.
-D’accordo, accetto il tuo aiuto.- affermai a malincuore -Ma tieni bene a mente che, se proverai a tradirmi, qualunque sia la mia situazione, non te la farò passare liscia.-
-Perseguiamo lo stesso obiettivo, padre. Non ho motivo di tradirti.- dichiarò tranquillamente Benimaru -E ti garantisco che non torcerò un capello alla tua umana e ai tuoi preziosi mezzosangue.-
Eppure, nonostante quella sua promessa, non mi sentivo totalmente tranquillo nei suoi riguardi.
-A proposito… dov’è finito il tuo figlio prediletto?- mi chiese con un leggero velo di ironia.
-Kotaro è partito con Mekare per seguire la sua strada.- gli risposi freddamente.
Benimaru emise un risolino sarcastico. -Capisco… La tua diffidenza deve essere cresciuta enormemente, dopo che proprio il tuo amatissimo figlio ti ha voltato per primo le spalle.-
-Kotaro non mi ha affatto voltato le spalle!- ringhiai con rabbia -Mi ha promesso che mi avrebbe aiutato e sono certo che tornerà. -
Mi indirizzò uno sguardo di sufficienza, poi si ritirò.
Ero più che sicuro di quanto avevo affermato, anche se devo confessarti che il tuo silenzio mi preoccupava parecchio.
Perché non rispondevi al mio messaggio? Ti era accaduto qualcosa? O avevi semplicemente deciso di tagliare qualsiasi ponte con me, magari sotto suggerimento di Mekare?
Giunse infine il giorno della battaglia. Fuori dal mio castello, fronteggiai verbalmente i capostipiti, mentre Mikami e Benimaru erano nascosti, in attesa di un mio segnale.
Ovviamente declinai ogni loro pretesa e diedi il via al combattimento.
Reika afferrò Twiggy ed Easlay e iniziò a scappare, ma Maharet si avventò su di loro.
Hiroki mi impedì di correre a salvarli, ma con la coda dell’occhio, scorsi Mikami andare in loro soccorso.
Potevo contare sulla forza della mia spada, Enserric, ma eravamo in due a contrastare tre avversari e, inoltre, le urla lancinanti di mia moglie, mi impedivano di concentrarmi adeguatamente sulla lotta.
Evidentemente, Mikami non aveva potuto fare nulla per lei; in fondo, le mie istruzioni erano state chiare, prima di tutto, avrebbe dovuto preoccuparsi di salvare i bambini.
Reika emise un ultimo straziante grido, poi ci fu il silenzio.
Accecato dalla collera, menai dei devastanti fendenti infuocati che mi permisero di liberarmi di Hiroki e Raito; mi avventai sull’assassina di mia moglie e la trafissi, senza darle nemmeno il tempo di accorgersi di cosa stava accadendo, poi trasferii il Fuoco Oscuro sulla lama, carbonizzando il suo corpo.
Rimasi attonito a fissare il cadavere martoriato della donna che avevo tanto amato.
Perché non aveva seguito il mio consiglio di fuggire via? E, soprattutto, come avevo potuto permetterle di restarmi accanto?
“Io e i bambini saremo più al sicuro con te.” mi aveva detto lei.
Ed ecco il risultato. Non ero riuscito a proteggerla. Ma almeno Mikami aveva portato Twiggy ed Easlay al sicuro.
Hiroki e Raito mi furono subito addosso. Mutai il mio aspetto nella Tigre Oscura e affrontai i due trasformati nel Drago Nero e in un’altra Tigre Oscura.
Benimaru intanto stava combattendo con Serana, entrambi nelle sembianze della Fenice Tenebrosa.
Mikami ritornò da noi e, assumendo la forma del Drago Nero, mi chiese di potersela vedere con Hiroki, per prendersi la sua vendetta.
Dopo un lungo confronto, mio fratello ebbe la peggio, ma, come forse avrai notato anche tu, è spirato con serenità, forse felice di aver raggiunto sua moglie e suo figlio.
Eravamo nuovamente due contro tre. Le nostre fiamme oscure volteggiavano furiosamente su tutto il territorio: eravamo immersi in una lotta sanguinosa, senza esclusione di colpi.
Riuscimmo ad avere ragione di Hiroki e Raito, ma io mi trovai a terra, privo di forze e ormai condannato da ferite letali.
Erano rimasti in piedi solo Benimaru e Serana, anche loro a corto di energie, tanto da non poter più mantenere la metamorfosi.
Mia madre iniziò a ridere sguaiatamente.
-Avete ucciso tre di noi.- affermò -Ma stai pur certo, Tenkyo, che non potrai dire di aver vinto tu questa battaglia!-
Iniziò a correre velocemente nella direzione del rifugio in cui erano nascosti Twiggy ed Easlay.
Una morsa d’acciaio attanagliò il mio stomaco.
Provai ad alzarmi, ma invano.
Benimaru guardava impassibile verso il punto in cui si era diretta.
-Presto, Benimaru, devi fermarla!- gli ordinai -Vuole uccidere Easlay e Twiggy.-
Non mi rispose e si indirizzò verso di me. Si chinò a raccogliere Enserric e se la rigirò tra le mani.
-Cosa stai facendo? Muoviti!-
-E perché dovrebbe riguardarmi ciò che intende fare di quei due patetici mezzosangue, padre?- replicò gelidamente lui. -Posso dire di aver raggiunto il mio scopo. Tre dei capostipiti sono morti e non sarà certo Serana ad impensierirmi.-
-Sei un traditore maledetto!- urlai con tutta la mia rabbia. -Non erano questi i patti!-
-Traditore?- reiterò con una risatina -Ti ho aiutato a combattere contro i vecchi, questi erano i patti. Non ricordo di aver mai detto che avrei protetto l’umana e i due mocciosi.-
La sua affermazione mi lasciò interdetto. -Anzi è andata meglio di quanto sperassi…- continuò -Credo che porterò con me questa spada fantastica, tanto a te non servirà più. Lo considererò un indennizzo.-
-Cosa credi di fare? Lascia immediatamente la mia spada! Di che indennizzo parli?- gli domandai, totalmente impotente.
Scorsi l’ombra di un sorriso mesto sulle sue labbra, che si tramutò subito in ironia. -Se non sbaglio il figlio diletto su cui tanto confidavi non si è presentato. Immagino che avresti voluto lasciare a lui la tua Enserric… ma non credi anche tu che non se la meriti affatto? È stato lui il vero traditore. Mi dispiace che tu debba andare all’altro mondo con questa delusione e che dovrai ricongiungerti, oltre che alla tua umana, anche ai due mezzosangue…-
-Sei un dannato!- sibilai stringendo i denti.
-Addio, padre!- sussurrò con freddezza lui, prima di dileguarsi.
Venni colto dalla disperazione. Stavo morendo e, alla fine, avevo comunque condannato a morte mia moglie e i miei figli. Gli unici sopravvissuti erano stati uno degli odiati capostipiti e un figlio ingrato e traditore.
Ma dopo avvertii la tua presenza e iniziai a sperare che almeno Easlay e Twiggy potessero essere salvati. E così è stato, fortunatamente.>

Il senso di colpa esplose violentemente. Se solo non avessi indugiato tanto…
-Perdonami, padre. Ho tradito la promessa che ti avevo fatto.-
Lui scosse la testa. -Non mi hai affatto tradito. E grazie a te, almeno Easlay e Twiggy vivranno. Ma adesso ho bisogno di chiederti qualcosa di molto grave.-
Mi fissò intensamente. -Reika è morta e io la raggiungerò presto. Tu sei l’unico familiare che resta loro.- esordì con tono contrito -So che ti costerà molto, ma ti chiedo di prenderti cura di loro.-
Ciò per me significava rinunciare definitivamente al mio desiderio di libertà; rinunciare al tentativo di rintracciare mia madre; ma, soprattutto, al mio sogno di ritrovare e vivere con Hina.
-Sono solo due bambini- continuò lui -e hanno bisogno di te. Ne avranno più che mai, qualora in loro si manifestasse il potere del Fuoco Oscuro. Promettimi che non avrò combattuto questa battaglia invano.-
Improvvisamente, tutto il resto perse la sua importanza. Avevo il dovere, nei confronti di mio padre, di occuparmi di quei due bambini. -Te lo giuro sulla mia vita!-
Sorrise. -Ho sempre saputo di poter confidare in te. Adesso ascoltami bene, Serana è sopravvissuta e probabilmente tenterà nuovamente di uccidere i due bambini. E poi c’è Benimaru… non possiamo prevedere cosa possa passargli per la testa, quindi tieni gli occhi bene aperti. Ma soprattutto, se verranno posseduti dalla bestia oscura, dovrai proteggere Easlay e Twiggy da loro stessi.-
Questa prospettiva mi causò non poca preoccupazione.
-Sono dei mezzo demoni, non hanno il potere necessario per controllare la belva. Devi fare il possibile per limitare i danni.- mi raccomandò.
-Certo, ce la metterò tutta.- asserii con fermezza.
-Nella biblioteca troverai alcuni manoscritti e alcuni diari al riguardo, leggili con attenzione; probabilmente ti saranno di aiuto. Un’ultima cosa… se ti sarà possibile, recupera Enserric dalle mani di Benimaru. Non mi va per niente a genio che ce l’abbia lui.-
Sospirò affaticato. -Sento che l’ora è giunta.-
-Padre, ti giuro che manterrò a qualsiasi costo questa promessa. Non lascerò che accada loro nulla di male.- dichiarai, stringendogli la mano. -E ti garantisco che Enserric non resterà a lungo nelle mani di quel bastardo.-
Mio padre mi sorrise un’ultima volta; poi chiuse gli occhi per non riaprirli mai più.
Rimasi stordito accanto al suo corpo senza vita, quando un urlo disperato mi riscosse.
Easlay era chino sul corpo di sua madre. A pochi passi da lui, Twiggy era inginocchiata a terra e piangeva sommessamente.
Mi accostai prima a lei. -Perché? Perché la mamma e il papà?- singhiozzava.
La presi tra le braccia.
-Onii-chan… tu non ci abbandonerai mai, vero?- i suoi occhi bagnati, riflettevano una grande tristezza.
Il mio cuore mancò un battito. La strinsi con più forza. -Stai tranquilla. Ora ci sono io con te.-
La condussi nel castello e tornai indietro per prendere Easlay.
Appoggiai una mano sulla sua piccola spalla tremante. -Vieni, torniamo dentro. Devo medicarti quella ferita.-
Ma lui non si mosse.
-Coraggio, ormai è inutile stare qui.- dissi con dolcezza e provai a sollevarlo, ma si ribellò.
Diresse lo sguardo da sua madre a nostro padre, poi verso i cadaveri dei capostipiti e infine lo puntò su di me; oltre alla tristezza, vi passò un lampo di rabbia: si trattò di un solo istante, eppure sono certo di aver visto la forma dei suoi occhi mutare.
Alla fine, si accasciò contro il mio petto e portai dentro anche lui.
Dopo che si erano addormentati, mi recai di nuovo sul campo di battaglia.
Mentre incenerivo i resti dei capostipiti e davo sepoltura ai corpi di mio padre, suo fratello e la sua donna, ebbi la consapevolezza che i pochi mesi di libertà che avevo vissuto sarebbero stati gli ultimi.
I miei due fratellini erano diventati la mia nuova prigione e, dopo quella notte, ero certo che in almeno uno dei due si sarebbe manifestata la bestia oscura.
Appena ebbi terminato quell’ingrato compito, mi abbandonai sul ramo di un albero e presi a fissare la pietra hirui che Hina mi aveva donato, il simbolo del nostro legame.
Un senso di pace si profuse in me, regalandomi l’oblio dal tormento che mi opprimeva.
Hina… quanto desideravo che fosse al mio fianco in quel momento! Eppure, non potevo tornare subito da lei, come le avevo promesso.
Un secondo ritardo di cui di cui mi sarei pentito amaramente.>>

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