Psycho Impact

di Ray
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettura facoltativa: introduzione all'ambientazione ***
Capitolo 2: *** Episodio 27: L'alba del mondo/Crawling Chaos ***
Capitolo 3: *** Episodio 28: Polli e mostri bianchi/Fallen from the sky ***
Capitolo 4: *** Episodio 29: Il mondo è mio!/Clonelord ***
Capitolo 5: *** Episodio 30: Giudice di un mondo morente/Children of the Emperor ***
Capitolo 6: *** Episodio 31: Il demone sotto le acque/Maths ***
Capitolo 7: *** Episodio 32: La forma dell’essere umano/Illuminati ***
Capitolo 8: *** Episodio 33: Mai nato/Unborn ***
Capitolo 9: *** Episodio 34: Il passato di un mondo al crepuscolo/Chaos Attack ***
Capitolo 10: *** Episodio 35: Incontro sotto la luna/And they shall know no fear ***
Capitolo 11: *** Episodio 36: Motore /Stress ***
Capitolo 12: *** Episodio 37: Cambiamenti/Awakening Titan ***
Capitolo 13: *** Episodio 38: Rabbia e sangue/Warmaster of Chaos ***
Capitolo 14: *** Episodio 39: “che ne diresti di acquisire un potere che ti permetta di strappare Yui allo 01 con le tue sole forze?”/ “I’ll take you with me. What’s your name?” ***
Capitolo 15: *** Episodio 40: Evoluzione/Black Moon ***
Capitolo 16: *** Episodio 41: Raduno/Daemon Prince ***



Capitolo 1
*** Lettura facoltativa: introduzione all'ambientazione ***


Introduzione all’ambientazione

"Per più di cento secoli l’Imperatore ha seduto immobile sul Trono d’Oro di Terra. È il Signore dell’Umanità per volere degli dei e il padrone di un milione di mondi per la possanza delle sue infaticabili armate. È una carcassa putrefatta permeata in maniera invisibile dal potere dell’Era Oscura della Tecnologia. È il Signore dei Cadaveri dell’Imperium, al quale mille anime sono sacrificate ogni giorno e per il quale si beve sangue e si mangia carne. Sangue umano e carne umana; la materia di cui è costituito l’Imperium.

Essere un uomo in questi tempi significa essere uno tra indicibili miliardi. Significa vivere nel regime più crudele e sanguinario immaginabile. Questa è la storia di quei tempi. È un universo in cui puoi vivere oggi, se osi; perché questa è un’era oscura e terribile, dove troverai poco conforto o speranza. Se vuoi prendere parte all’avventura, preparati adesso. Dimentica il potere della tecnologia, della scienza e della comune umanità. Dimentica le promesse di progresso e comprensione, perché non c’è pace tra le stelle, solo un’eternità di carneficina e massacro e la risata di divinità bramose.

Ma l’universo è grande e, qualsiasi cosa succeda, nessuno sentirà la tua mancanza."

 

Con queste parole si aprono tutte e tre le edizioni di Warhammer 40.000: alquanto tamarro, vero?

Dato che questa fanfiction viene pubblicata su di un sito che, presumibilmente, è frequentato in prevalenza da persone che seguono manga & anime, mi sembra di dover fornire qualche notizia su Warhammer 40.000 (abbreviato in WH40K). Si tratta di un wargame da tavolo (cioè un gioco in cui si usano delle regole per simulare battaglie tra miniature da 30 mm.) ideato dalla Games Workshop, un ditta inglese. Ne sono uscite tre edizioni, l’ultima delle quali è del 1998. L’ambientazione è un lontano futuro, una sorta di medioevo tecnologico in cui l’oscurantismo e l’ignoranza la fanno da padroni. Si può dire che gli autori abbiano preso ciò che più era loro piaciuto da altre ambientazioni e l’abbiano mescolato insieme in una sorta di calderone ludico, in cui si possono vedere echi di Dune, Guerre Stellari, Il Signore degli Anelli e parecchie altre saghe di fantasy e fantascienza. E, stranamente, ho trovato anche delle inquietanti similitudini con Evangelion, che provvederò a spiegare nelle note conclusive. Inquietanti principalmente perché WH40K (le prime due edizioni, ovviamente) è uscito prima di Eva…

Quelle che riporterò qui di seguito sono note di chiarificazione a quanto sarà scritto nel racconto vero e proprio. Tuttavia, dato che mi stavo rivolgendo a un pubblico che, con tutta probabilità, non conosce Warhammer 40.000, ho provveduto a inserire nel racconto stesso tutte le spiegazioni necessarie alla comprensione degli eventi. In altre parole, leggere questo documento non è essenziale, anzi: personalmente, lo sconsiglio, perché è nozionistica piuttosto noiosa.

Ci sono solo tre precisazioni che mi preme fare: la prima è che la storia è basata su di una serie di limitazioni che mi sono posto ispirandomi a quelle che dichiarò la coppia Serra – Castelli quando, diversi anni fa, realizzò il primo crossover tra Nathan Never e Martin Mystere. Le limitazioni citavano questo: "L’incontro avviene ai tempi di Nathan Never. Non si verificano paradossi temporali. La vicenda non si svolge in dimensioni parallele, non è ‘sognata’, ‘immaginaria’ o altro: i personaggi si incontrano fisicamente. Martin Mystere non è stato ibernato; il ‘Mystere’ del futuro non è un discendente di quello dei giorni nostri. L’incontro si basa su presupposti già noti ai lettori di Martin Mystere e Nathan Never, e non fa uso di espedienti inventati per l’occasione".

Nel mio caso, le ho adattate così: "L’incontro avviene ai tempi di Warhammer 40.000. Non si verificano paradossi temporali. La vicenda non si svolge in dimensioni parallele, non è ‘sognata’, ‘immaginaria’ o altro: i personaggi si incontrano fisicamente. I personaggi di Eva non sono stati ibernati, non sono cloni di se stessi e non sono anime rinchiuse da qualche parte. L’incontro si basa su presupposti già noti agli spettatori di Evangelion e ai giocatori di Warhammer 40.000, e non fa uso di espedienti inventati per l’occasione".

In un primo momento, la soluzione a questi problemi mi è sembrata talmente semplice da farmi quasi vergognare. Avrei potuto decidere di ambientare la storia ai tempi di Eva, ma non l’ho fatto per due motivi: innanzitutto, avrei avuto la possibilità di risolvere il problema in maniera ancora più semplice e questo non mi andava (spiego come nelle note finali, ma ci arriverete da voi leggendo la storia); in secondo luogo, mi sembrava che l’ambientazione futuristica fornisse più prospettive per il tipo di racconto che volevo scrivere.

La seconda precisazione è che la mia storia assume che si siano verificati gli eventi dell’ultimo film: quindi c’è stato il Third Impact, ci sono stati gli Eva bianchi, Shinji ha dovuto compiere la scelta finale che ha deciso il destino dell’umanità e balle varie. Ci sono degli spoiler, quindi siete avvisati.

La terza è che, dato che il racconto si svolge in un remoto futuro (ho assunto quasi 38.000 anni dopo il Third Impact), Shinji e Asuka sono morti. Di vecchiaia, se vi piace pensarla così. Non è che voglia massacrare gratuitamente i personaggi di Eva, ma capitemi: non possono vivere così a lungo! La storia presenta dei personaggi completamente nuovi, legati all’ambientazione in cui si svolge; ovviamente, c’è un "personaggio" di Eva che si palesa effettivamente, ma… Be’, non dico di più. Comunque, per gli estimatori dei personaggi classici, ho inserito anche diverse sequenze "flashback" che si svolgono tra la fine del Third Impact e l’inizio della storia vera e propria, nelle quali compaiono Shinji, Asuka e un po’ di personaggi inediti.

Infine, giusto per mettere le mani avanti, vorrei avvertire i puristi di Evangelion (so che circolano da queste parti e che sono piuttosto, come dire, "intransigenti") che la mia storia NON è un polpettone psicologico nello stile dell’opera di Anno. Un po’ perché non vedevo che bisogno ci fosse di un racconto del genere, un po’ perché io scrivo per divertirmi e ho un approccio completamente diverso alla caratterizzazione dei personaggi. Siete liberi di pensare che il mio modo di affrontare la caratterizzazione in questione faccia schifo, ma, se le cose stanno così, smettete di leggere e non vi fate problemi inutili, OK? Potreste inoltre trovare delle apparenti contraddizioni rispetto alla versione ufficiale di Evangelion; prima di giudicarle, leggetevi le note conclusive che saranno pubblicate in appendice alla ‘fic, dove spiego i motivi di tutte le mie scelte. Anche in questo caso, se le mie decisioni vi facessero schifo oltre i limiti del sopportabile, siete invitati a lasciare perdere. Con questo non intendo dire che non voglio ricevere critiche (se sono argomentate, non possono fare che bene, soprattutto quelle negative); semplicemente che non mi va di sentirmi dire cose del tipo "Tu non hai capito un cazzo di Evangelion" solo perché il mio modo di interpretarlo/valutarlo/risistemarlo per i miei fini è diverso da quello di chi critica. L’interpretazione di Eva che fornisco in questa storia è stata ponderata ai fini di questa storia, punto e basta. Niente di più, niente di meno. Non è mia intenzione sostituire le "teorie" (uhuhuh, che parola grossa!) che qui sostengo a quelle "ufficiali" (uhuhuh, che parola enorme!): nascono e muoiono per questa ‘fic.

E, per ora, questo è quanto. Il mio consiglio è di passare direttamente al primo capitolo della ‘fic; se proprio volete essere sicuri, leggete pure le note che seguono. A vostro rischio & pericolo.

 

Quello che segue è un mini glossario di alcuni termini significativi di Warhammer 40.000 che hanno attinenza con la storia.

Adeptus Astartes: nome collettivo con cui sono noti i Capitoli degli Space Marine, detti anche Legiones Astartes.

Adeptus Mechanicus: organizzazione con sede su Marte, si preoccupa di fornire all’Imperium gli avanzamenti tecnologici di cui ha bisogno. Gestito dai Tecnopreti, l’Adeptus Mechanicus è formato da fanatici seguaci del Dio Macchina; vedono la tecnologia come un’emanazione divina e la riveriscono di conseguenza. L’Adeptus Mechanicus non riconosce la natura divina dell’Imperatore, ma i suoi rituali sono ampiamente praticati in tutte le istituzioni imperiali (è credenza comune che un fucile plasma spari anche – anzi, soprattutto – perché viene pregato di farlo). L’Adeptus Mechanicus è anche incaricato di ritrovare manufatti tecnologici risalenti all’Era Oscura della Tecnologia o creati da razze aliene, per studiarli e applicarne i principi a vantaggio dell’Imperium. Inoltre, i Tecnopreti di Marte custodiscono i modelli genetici di tutti i Capitoli di Space Marine creati dalla fine dell’Eresia di Horus a oggi. Infine, su Marte sono nati i Titani, una delle armi più potenti dell’Imperium. Si tratta di enormi fortezze su due gambe, dotate di armi spaventosamente potenti, pensate per combattere sul suolo del Pianeta Rosso; la branca dell’Adeptus Mechanicus che li controlla si chiama Adeptus Titanicus.

Adeptus Ministorum: detto anche Ecclesiarchia, l’Adeptus Ministorum è il Culto Imperiale, l’istituzione nata dopo che l’Imperatore è stato chiuso nel Trono d’Oro. Per l’Ecclesiarchia, l’Imperatore è il dio dell’umanità; questa organizzazione ha un potere enorme nelle istituzioni imperiali. I suoi precetti sono puritani e xenofobi: l’uomo vive in uno stato di continua colpa e la sua fragilità lo induce a peccare; i mutanti, gli alieni e qualsiasi cosa differisca dal modello genetico standard umano sono un’aberrazione che deve essere purificata (i seguaci dell’Ecclesiarchia preferiscono usare dei lanciafiamme per raggiungere questo scopo). L’Ecclesiarchia ha un braccio armato nell’Adepta Sororitas, un’organizzazione di donne combattenti divisa in diversi Ordini.

Caos: si tratta di un termine di difficile definizione. Si può dire che il Caos sia il riflesso di ciò che le creature mortali pensano e desiderano, un riflesso che si manifesta materialmente (si fa per dire) nel Warp. Il Caos è anche l’origine della vita, dato che un’anima umana è fondamentalmente Caos allo stato grezzo che muove un corpo. Eppure, ha generalmente una connotazione negativa, perché le emozioni dei mortali sono, per l’appunto, perlopiù negative. Ripercuotendosi sul Caos, queste emozioni hanno generato le cosiddette Oscure Potenze, delle divinità che anelano la distruzione del genere umano. Gli Dei del Caos hanno per servitori i demoni, creature costituite di pura energia, che assumono forma fisica per manifestarsi nell’universo reale; inoltre, le loro seduzioni e le loro promesse di potere soggiogano molti mortali, rendendoli schiavi. Si potrebbe dire che il Caos sia la materia grezza che costituisce il Warp e la sua vicinanza altera i corpi dei viventi, causando mutazioni fisiche e psichiche. È molto popolare la teoria secondo cui le continue mutazioni subite dalla razza umana e la sempre crescente comparsa di psyker siano una diretta conseguenza dell’esposizione al Warp delle persone durante i viaggi spaziali della prima colonizzazione della Galassia. Il Caos ha cercato molte volte di annientare l’Imperatore, che gli Dei Oscuri vedono come una minaccia. Il tentativo delle Oscure Potenze che più si è avvicinato al successo è stato l’Eresia di Horus, durante la quale furono corrotte almeno nove Legioni di Space Marine. Sconfitte, le Legioni Traditrici si sono ritirate nell’Occhio del Terrore e hanno passato gli ultimi diecimila anni a razziare mondi e insediamenti umani apparentemente a caso. Ma ogni vittoria contro il Caos non fa che ritardare l’inevitabile: essendo una creazione dei mortali, non può sparire né essere veramente sconfitto. Arriverà il giorno in cui l’Imperium mostrerà una crepa fatale nella sua armatura e le orde delle Perdute Genti saranno lì, pronte ad approfittarne. Alla fine, anche la Galassia conosciuta diventerà una delle tante provincie del Reame del Caos.

Eldar: antica razza ormai decaduta. Gli Eldar somigliano agli umani, ma sono un po’ più alti, di costituzione più gracile e dotati di orecchie a punta e occhi stretti e dal taglio obliquo. Sono praticamente degli elfi fantascientifici. Un tempo, gli Eldar dominavano l’intera Galassia, ma i loro istinti edonisti più bassi e meschini risvegliarono il Dio del Caos Slaanesh, che annientò quasi tutte le divinità da loro adorate e tutti i pianeti da loro colonizzati. Da allora, la maggior parte degli Eldar vive su dei mondi artificiali. Gli Eldar sono una razza altamente psichica e le percezioni dei loro Veggenti sono tenute in grande considerazione nella società.

Guardia Imperiale: si tratta dell’esercito regolare dell’Imperium. Ogni pianeta (salvo quelli impossibilitati a farlo) deve fornire alla Guardia un certo numero di reggimenti combattenti, che, a discrezione del comando supremo, possono essere schierati in qualsiasi zona di guerra della Galassia (in genere, quando un pianeta si trova in pericolo, tutti i reggimenti entro diecimila anni luce convergono su di esso). La Guardia basa la propria forza su masse di uomini e su potenti carri armati, che usa in abbondanza. I più popolari sono senz’altro il carro da trasporto Chimera e quelli basati sulla sua scocca (come per esempio il Griffon, dotato di un enorme mortaio, l’Hellhound, mezzo d’assalto lanciafiamme, e l’Hydra, praticamente una batteria antiaerea), oltre che il letale carro da battaglia Leman Russ, dotato di armi micidiali e anch’esso costruito in parecchie varianti (tra cui il Demolisher, pensato per i combattimenti urbani e per abbattere fortificazioni, e il Conqueror, che sacrifica parte della potenza di fuoco in favore di una maggior mobilità).

Imperatore: alcune vecchie pubblicazioni della Games Workshop dicono che l’imperatore sia nato in Turchia diversi millenni prima di Cristo e che abbia influenzato la storia dell’umanità, restando nell’ombra, per più tempo di quanto si possa immaginare. L’Imperatore è indubbiamente lo psyker più potente dell’intera Galassia, ma, per qualche strano motivo, non si palesò mai all’umanità prima di un periodo risalente a circa diecimila anni fa. A quel tempo, era appena finita la cosiddetta Era Oscura della Tecnologia, che, nonostante il nome, era stato un periodo di splendore tecnologico incredibile, del quale restano ormai solo poche vestigia, e durante il quale l’umanità aveva conquistato le stelle, colonizzando molti pianeti. Però, una serie di guerre civili e parecchie interferenze nel Warp, probabilmente provocate dagli Dei del Caos, avevano isolato molti pianeti, riportandoli a uno stadio tecnologico primitivo. Raccogliendo sotto di sé l’umanità infranta di Terra, l’Imperatore intraprese la Grande Crociata, per riconquistare i mondi umani che erano caduti nelle mani degli alieni e degli schiavi del Caos, facendosi aiutare dalle sue creazioni, gli Space Marine. L’apparente fine dell’Imperatore giunse con l’Eresia di Horus; durante il combattimento contro il Primarca ribelle, il monarca fu ferito mortalmente e rinchiuso in un sistema di supporto vitale chiamato Trono d’Oro. Dopo alcuni anni durante i quali trasmise telepaticamente pochi pensieri incoerenti, rimase completamente silenzioso. Oggi, dopo diecimila anni, si pensa che l’Imperatore abbia raggiunto uno stadio di esistenza successivo, nel quale combatte mentalmente contro le entità del Warp per impedire loro di inghiottire l’umanità. Per sostenere la sua esistenza, non servono più cibo e acqua: ogni giorno gli vengono immolati mille psyker, dei quali il monarca divora le anime.

Imperium: si tratta dell’istituzione più grande della Galassia, che comprende più di un milione di mondi ed è governata dall’Adeptus Terra (detto anche Antico Clero di Terra), un’organizzazione composta di miliardi di fedeli servitori che cercano di interpretare la volontà dell’Imperatore, rinchiuso nel Trono d’Oro. A capo dell’Adeptus Terra stanno i Sommi Signori di Terra, gli individui che comandano le più influenti organizzazioni imperiali, che si riuniscono a concilio per decidere le sorti di miliardi di persone. La lingua usata nell’Imperium è il Basso Gotico; quell’idioma simile al latino che si sente talvolta è il Gotico Imperiale, una lingua antica usata solo per i documenti ufficiali. Non stupitevi se alcuni dei suoi termini non hanno significato o sono sgrammaticati in latino. La datazione è ancora quella con cui siamo familiari, ovvero l’anno domini (è quindi precedente all’Era Oscura della Tecnologia); all’epoca della nostra storia, è l’anno 40.992, ma si usa identificarlo con la dicitura 992M41 (cioè, anno 992 del 41° millennio).

Inquisizione: è l’organizzazione imperiale che si occupa di combattere i nemici dell’umanità senza che questa vi venga in contatto. Gli Inquisitori vanno a caccia di eretici, mutanti, alieni, demoni e quant’altro, seguendo il motto "È meglio uccidere un milione di innocenti che lasciar vivere un solo colpevole". Gli Inquisitori non sono soggetti alle leggi imperiali e spesso tengono segreta la propria identità; agiscono in formazioni chiamate "cellule", generalmente costituite da un piccolo gruppo formato da un Inquisitore e dai suoi diretti seguaci. L’Inquisizione è divisa in diverse sezioni: per esempio, ci sono l’Ordo Malleus, che si occupa di combattere i demoni e le entità del Warp, e l’Ordo Xenos, che dà la caccia agli alieni.

Orketti: razza di alieni dalla pelle verde e amanti della guerra. Un Orketto è completamente glabro, solitamente sfiora i due metri (ma la testa è tenuta su di un livello più basso delle spalle), ha i canini inferiori sporgenti e un fisico possente. Gli Orketti amano il rumore chiassoso e i colori vivaci (sono convinti che le cose rosse vadano più veloci) e sono raccolti in enormi armate di razziatori, che attaccano i pianeti e li devastano per puro divertimento. Sembra che questa aggressività derivi dal fatto che gli Orketti non sono creature naturali, ma il risultato della manipolazione genetica effettuata da un’antica razza ormai estinta: gli Orketti venivano da questa utilizzati in qualità di guerrieri ed era quindi stata loro infusa un’indole violenta. Accanto agli Orketti ci sono sempre delle forme di vita inferiori, anch’esse dalla pelle verde, note come Gretchin (o Grot) e Snotling, usati come schiavi e carne da cannone.

Psyker: individuo dotato di poteri psichici. I poteri psichici possono assumere diverse forme: alcuni psyker sono semplicemente più fortunati di un uomo comune, mentre altri sono in grado di sparare fulmini di energia dalle mani. Gli psyker abbastanza potenti possono usare i poteri psichici per migliorare le proprie capacità fisiche, diventando così più forti e resistenti di un uomo comune. L’anima di uno psyker è fondamentalmente un cancello aperto tra l’universo reale e il Warp, dal quale trae potere. L’atteggiamento dell’Imperium verso gli psyker è contraddittorio: essere uno psyker viene considerato un peccato dall’Ecclesiarchia, eppure l’Imperatore stesso lo è. In genere, le istituzioni imperiali danno la caccia agli psyker: quelli che sono in grado di controllare i propri poteri vengono costretti a unirsi a qualche organizzazione governativa, mentre gli altri vengono deportati su Terra e dati in pasto all’Imperatore. In linea di massima, nell’Imperium, "poteri psichici" e "magia" sono termini equivalenti.

Space Marine: nome popolare con cui sono noti i membri dell’Adeptus Astartes. Agli albori dell’Imperium, l’Imperatore creò, usando sofisticate tecniche di manipolazione genetica, venti superuomini chiamati Primarchi; impiantando a dei bambini il modello genetico di ciascuno di essi, fece crescere tali bambini nelle venti Legiones Astartes, le Legioni degli Space Marine, con le quali intraprese una crociata per riconquistare la Galassia. Ma Horus, il più forte dei Primarchi, sedotto dal Caos, tradì l’Imperatore e, portandosi dietro almeno altri otto Primarchi con le relative Legioni, cercò di spodestarlo, dando vita alla guerra civile chiamata Eresia di Horus, durante la quale anche la Guardia Imperiale, l’Adeptus Mechanicus, l’Adeptus Titanicus e tutte le altre organizzazioni imperiali si divisero tra leali e traditori. Al culmine della guerra, la battaglia su Terra vide il confronto tra Horus e l’Imperatore; il Primarca ne uscì ucciso e le Legioni Traditrici si ritirarono nell’Occhio del Terrore; ma il monarca, mortalmente ferito, fu posto in un campo di stasi e poi sepolto nel Trono d’Oro. In seguito a quegli eventi, il Primarca leale Roboute Guilliman scrisse il Codex Astartes, un tomo nel quale decretava lo scioglimento delle nove Legioni di Space Marine rimaste in diversi Capitoli, unità combattenti indipendenti composte di un migliaio di uomini. Dei Capitoli derivati da ciascuna Legione, uno mantenne il nome e l’araldica della Legione originaria, mentre gli altri se ne trovarono di nuovi. Uno Space Marine nasce come un uomo comune, ma, nell’età della crescita (al massimo a dieci anni) comincia una serie di impianti di organi addizionali (un secondo cuore, un terzo polmone, un terzo rene, ecc…) e un condizionamento mentale che lo trasformeranno in un gigante alto in media 210-240 cm., dotato di resistenza ai veleni e alle condizioni estreme, massa muscolare ipersviluppata, riflessi sovrumani e un fanatismo incrollabile verso il Capitolo. Gli Space Marine sono la truppa d’assalto d’elite dell’Imperium, che compensa lo scarso numero (esistono circa mille Capitoli) con una forza incredibile. Equipaggiati ai massimi livelli, gli Space Marine indossano solitamente la cosiddetta Power armour, una corazza virtualmente impenetrabile alla maggior parte delle armi leggere; i veterani, però, hanno il permesso di indossare le Tactical Dreadnought armour (ma "Terminator" è la parola comune con cui ci si riferisce sia all’armatura che a chi la porta), che trasformano un uomo in una fortezza vivente. Una Terminator armour ha armamento incorporato e permette di trasportare armi micidiali sia nel combattimento a distanza che nel corpo a corpo. Gli Space Marine non riconoscono la natura divina dell’Imperatore, ma lo venerano come loro capostipite ed esemplificazione delle qualità del perfetto essere umano.

Warp: detto anche Immaterium o Empireo, il Warp è una sorta di altra dimensione, un iperspazio che consente di coprire in pochi mesi centinaia di migliaia di anni luce. Usando particolari dispositivi, le astronavi possono compiere il cosiddetto "Warp jump" ed entrare nell’Immaterium, che è praticamente un turbine di energia psichica scosso da maree e correnti che possono distruggere intere flotte. Per minimizzare questo rischio, vengono usate le percezioni dei Navigatori, degli psyker in grado di "leggere" i movimenti del Warp e dirigere l’astronave. Il Warp è, in un certo senso, uno specchio distorto dell’universo reale, che reagisce alle emozioni dei mortali. In alcune zone dello spazio ci sono delle vere e proprie "fuoriuscite" di Warp, dove la materia grezza del Caos e l’universo reale si mescolano. In questi luoghi, il più famoso dei quali è detto Occhio del Terrore, si trovano mondi che non seguono le regole evolutive e fisiche convenzionali, abitati dai fanatici adoratori delle Oscure Potenze e dalle loro legioni di demoni. Qui, il tempo non ha alcun senso e quindi gli stessi Marine traditori che avevano attentato alla stabilità dell’Imperium, dopo diecimila anni, sono ancora vivi e continuano a tramare contro l’ordine costituito.

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Capitolo 2
*** Episodio 27: L'alba del mondo/Crawling Chaos ***


Neon Genesis Evangelion è di proprietà dello Studio Gainax.

Warhammer 40,000 è di proprietà della Games Workshop Ltd.

Le due ambientazioni vengono usate per puro sollazzo personale, senza fini di lucro.

Questa fanfiction è di mia proprietà; chiunque voglia pubblicarla mi contatti prima (ilray@hotmail.com).

Avvertenza: questa fanfiction contiene spoiler; se non avete visto The End of Evangelion, leggerla potrebbe togliervi parte della sorpresa.

 

Ray's

Psyker

Chapter ??: Psycho Impact

 

??.01

 

‘Essere immondo

Tale è il marchio del mutante

Essere impuro

Tale è il marchio del mutante

Essere aborrito

Tale è il marchio del mutante

Essere ingiuriato

Tale è il marchio del mutante

Essere cacciato

Tale è il marchio del mutante

Essere epurato

Tale è il marchio del mutante

Essere sterminato

Perché tale è il fato di tutti i mutanti’

Estratto del Cantico d’Addestramento, dal Primo Libro degli Addottrinamenti

 

Episodio 27: L’alba del mondo

 

ANNO 2016

Shinji non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era risvegliato. Ricordava molto poco, come se tutto quello che aveva vissuto da allora fosse stato un sogno. Ricordava di essersi ritrovato improvvisamente su di una spiaggia, probabilmente nei pressi di Neo Tokyo 3. Ricordava di avere visto Ayanami, ma non ne era sicuro: cominciava a convincersi di avere avuto un’allucinazione. Ricordava di essersi accorto che Asuka, con indosso il plug suit ma con le braccia e la testa pesantemente bendate, era distesa vicino a lui. Ricordava un vago senso di frustrazione per quello che era successo: aveva avuto la soluzione a tutti i suoi problemi a portata di mano e aveva deciso di buttarla via. Al momento, gli era sembrata una buona idea, ma adesso cominciava a dubitarne. Ricordava che la presenza di Asuka, l’ultimo incontro con la quale era stato decisamente burrascoso, non lo aveva affatto tranquillizzato, anzi. Lei si era rifiutata di aiutarlo, lo aveva umiliato, nonostante lui avesse cercato di esserle amico. Era quasi infuriato con se stesso per essere stato tanto preoccupato della sua salute da andarla a trovare in ospedale. E provava una profonda vergogna per quello che aveva fatto in quella stanza asettica e silenziosa. E provava quella totale sensazione di impotenza che lo aveva assalito quando, uscito con lo 01, aveva visto lo 02 smembrato dagli Eva bianchi, una sensazione aggravata dalla consapevolezza che il combattimento si sarebbe potuto svolgere diversamente, se lui avesse avuto la decisione di intervenire prima, anziché tentennare come aveva fatto. Asuka! Di tutte le persone del mondo, lei era proprio l’ultima con la quale si sarebbe voluto trovare in quel momento, l’unica che potesse indurlo a odiarsi più di quanto già non facesse lui. Ricordava di essere stato soverchiato da questo senso di totale disagio al punto che aveva cercato di strangolarla. Aveva avuto a portata di mano la felicità. La fusione nel mare di LCL che gli aveva proposto Ayanami, o quel mostro bianco, o chi diavolo era, avrebbe potuto eliminare alla radice qualsiasi problema di relazionarsi con gli altri. Non sarebbe più stato solo, ma, al tempo stesso, non sarebbe stato necessario che lui facesse qualcosa per essere accettato. E invece, proprio lui, aveva deciso che tutto dovesse tornare come prima. Perché? In quel momento, quella domanda lo aveva colpito con forza tale da togliergli qualsiasi capacità di connettere.

 

Shinji: "No. È questo il mondo che ho sognato? No"

Rei: "Se vuoi che le persone ritornino, sarete separati da un muro nei vostri animi. Ti spaventeranno nuovamente"

Shinji: "Va bene. Grazie"

 

Kaworu: "Ti sta bene che l’AT-field torni a ferire gli altri?"

Shinji: "Mi sta bene. Ma come è possibile che voi due esistiate nella mia mente?"

Rei: "Noi siamo la speranza. La speranza che le persone possano capirsi l’una con l’altra…"

Kaworu: "…con le parole ‘ci vogliamo bene’"

Shinji: "È un’idea egoistica, come una preghiera. Non durerà in eterno… prima o poi, le persone mi inganneranno… si dimenticheranno di me… ma volevo rivederle. Ciò che provavo allora era reale"

 

Yui: "Se si ha la volontà di vivere, il paradiso può essere ovunque, perché siamo vivi. La possibilità di essere felici è ovunque. Finché esistono il sole, la luna e la Terra, andrà tutto bene. Adesso va tutto bene"

Shinji: "Non so ancora dove sia la felicità. Resterò qui e continuerò a pensare al mio passato, sin dalla nascita. Ma so che quello che sto facendo non è privo di significato. Nell’interesse di quello che sono, io sono io. Però, madre… madre, cose devo fare?"

 

Fuyutsuki: "Le persone hanno creato l’Eva per rimpiazzare Dio. È la vera ragione per cui l’Eva è stato creato, no?"

Yui: "Sì, gli esseri umani sono solo mortali… ma l’Eva può vivere per sempre con l’anima che ha dentro. Per ipotesi, anche tra cinque miliardi di anni, quando la Terra, la luna e il sole saranno scomparsi, l’Eva potrà sopravvivere. Vivere senza nessuno può essere causa di grande solitudine, ma se riuscirà a sopravvivere…"

Fuyutsuki: "Il ricordo dell’esistenza dell’umanità sarà registrato per sempre"

Shinji: "Addio, madre".

 

Quelle immagini, confusi ricordi di esperienze che non era nemmeno riuscito a capire interamente, gli si erano affollate in testa, mentre aveva avvolto le proprie dita attorno al collo di Asuka e aveva cominciato a stringere. Ripensando a quel momento, Shinji riusciva a rammentare solo la rabbia che lo aveva dominato completamente, la furia che lo aveva indotto a desiderare di uccidere qualcuno per la prima volta in vita sua. Poi, ricordava il ritorno alla realtà. La mano di Asuka che lo accarezzava dolcemente. E lui che smetteva di stringere. Perché si rendeva conto che quello che gli avevano detto Ayanami e Kaworu era vero. La sua scelta non era stata inutile. C’era sempre la possibilità che le persone si capissero, pur continuando a ferirsi e ingannarsi a vicenda. Ricordava di essersi chinato a piangere addosso ad Asuka per un po’; poi, lei aveva detto qualcosa del tipo "Mi sento male….", al che, lui era tornato a stendersi sulla sabbia, con le braccia aperte e il respiro ancora rotto dal pianto. Sopra di lui, il cielo stellato; nel cielo, la luna, ancora circondata dal macabro anello che era il sangue di… Ayanami? Il mostro gigante? Ma non erano la stessa cosa? Adesso, però, aveva smesso di piangere. Non riusciva a fare a meno di pensare a tutto quello che era successo, ma capiva che c’erano problemi più urgenti. Si concesse un debole sorriso: questo non era da lui. Deprimersi e lasciarsi abbattere dalle difficoltà era da lui, o almeno questo era quanto pensava di se stesso. Sospirò, mettendosi a sedere. ‘Sono cambiato?’ pensò. ‘Sono la stessa persona che ero prima? In ogni caso, sono sempre io’. Si girò verso Asuka. Vide il che il suo occhio sano era aperto, fisso sul cielo. E lei era totalmente silenziosa. "Come stai?" le chiese. "Una meraviglia", replicò lei sarcastica, senza nemmeno spostare lo sguardo su di lui. "Un Angelo si è infiltrato nella mia mente, il mio tasso di sincronia con lo 02 si è azzerato, mi sono ridotta sull’orlo del coma, mi sono svegliata e ho riacquistato la sincronia con l’Eva solo per trovarmi nel bel mezzo dell’attacco di un esercito e sono stata massacrata da un branco di Evangelion che mi passavano l’AT-field come se fosse stato una porta girevole. Non vedo come ci si possa sentire meglio". Shinji pensò che, tutto sommato, Asuka non dovesse stare poi così male. "Riesci a rialzarti?" le domandò mettendosi in piedi e porgendole una mano. La ragazza sbuffò spazientita: "Hai notato in che stato sono le mie braccia? Come credi che possa prenderti la mano?". "Scusa", disse lui chinandosi verso di lei e cercando di aiutarla cingendole le spalle con un braccio. In un modo o nell’altro, riuscirono a mettersi in piedi. Shinji si era sistemato attorno al collo il braccio destro di Asuka, quello ridotto meno peggio; aveva cinto la vita di lei con il suo sinistro e la stava aiutando a reggersi in piedi. Tentarono di muovere qualche passo, ma lei fu sul punto di cadere subito. "Asuka!" esclamò Shinji "Cosa ti succede?". "Le gambe" rispose la ragazza "Me le sento come intorpidite… Come se fossero state messe sotto un peso per ore e non ci scorresse più il sangue". Shinji non faceva fatica a crederci: le gambe di Asuka stavano tremando violentemente. "Devono essere i postumi del combattimento" disse lei "Lo 02 era stato completamente smembrato e io ero ancora connessa…". Shinji deglutì. Che avrebbe fatto ora?

In un modo o nell’altro, riuscirono a lasciare la spiaggia. Dovevano trovarsi nelle immediate vicinanze di Neo Tokyo 3: si vedevano ancora i palazzi in lontananza, cupe sagome contro il cielo stellato. Non c’erano luci a illuminarli e Shinji non ne fu sorpreso più di tanto: dopo che tutti gli esseri umani del mondo si erano sciolti nel mare di LCL, non doveva esserci molta gente in giro. O meglio, qualcuno doveva esserci per forza di cose, visto che lui aveva desiderato di invertire il processo. Mentre stava parlando con Ayanami, ricordava di avere visto numerose sagome umane riprendere forma attorno a lui. Ma chissà dove erano finite quelle persone… Chissà se era stata la realtà, o solo la sua immaginazione…

Era quasi l’alba quando raggiunsero la città. O almeno a quello che ne rimaneva. Ben pochi palazzi erano rimasti in piedi: prima l’esplosione dello 00, poi la bomba N^2 sganciata sul Geo Front; quella che era stata Neo Tokyo 3 era ormai un cumulo di rovine. E anche ciò che restava sembrava essere stato spazzato da un uragano. Qualcosa aveva abbattuto i lampioni e rovesciato le automobili, aveva infranto i vetri e scardinato le porte. Doveva essere stato il mare di LCL. Già, non c’era altra spiegazione: l’azione del mostro bianco con cui era fusa Ayanami aveva coinvolto tutto il mondo. Tutti gli esseri viventi erano tornati allo stato originario quasi contemporaneamente, investendo gli edifici con milioni di litri di LCL, travolgendo ogni cosa e invadendo tutto il pianeta.

Shinji lanciò un’occhiata ad Asuka: non aveva quasi parlato per tutto il viaggio, ma si vedeva che era sfinita. Avevano fatto qualche sosta per permetterle di riposarsi e avevano anche dormito un po’, ma camminare in quelle condizioni doveva essere uno sforzo enorme per lei. "Senti, Asuka…" cominciò lui, aspettando che la ragazza dicesse qualcosa che lo esortasse a continuare. Qual qualcosa fu semplicemente un’occhiata interrogativa. Shinji giudicò che fosse sufficiente e riprese: "Stavo pensando… è un problema se ti lascio qui per un po’?". "Per fare cosa?" domandò lei indicandogli il terreno con il braccio sinistro. Shinji si abbassò lentamente e la poggiò delicatamente a terra: "Volevo dare un’occhiata in giro. Se riuscissi a trovare un appartamento aperto, potrei adagiarti su di un letto e magari ci sarebbe anche qualcosa da mangiare, visto che mi sta venendo fame". Asuka sospirò: "Non penso ci sia molta possibilità di scelta. Non ho intenzione di morire di fame"

"Va bene… Allora provo a dare un’occhiata in giro. Torno subito"

"Al diavolo!". Le parole di Asuka erano quasi un sibilo.

"Cosa?"

"Non dicevo a te. Sono solo irritata perché…."

"Perché?"
"Perché sono solo di peso, maledizione! Guarda come sono ridotta! Adesso devo anche lasciare che tu ti prenda cura di me!"

Se fosse stato lo Shinji di qualche tempo prima, avrebbe mentito. Le avrebbe detto che non era di peso e che non si doveva preoccupare, che lui non l’avrebbe mai lasciata sola in quelle condizioni. Invece, capì che questo non avrebbe fatto altro che irritarla ulteriormente e si limitò a un: "Come va con le gambe? Ti senti meglio?"

"Un po’. Ma faccio ancora fatica a muoverle. Adesso smettila di perdere tempo e vai a cercare qualcosa da mangiare, che sto morendo di fame"

"Va bene. Torno subito". Si girò e fece per incamminarsi verso l’edificio più vicino, un grattacielo che un tempo doveva essere stato uno splendente monumento al progresso, una torre i cemento, vetro e acciaio. Ora era solo uno scheletro sul punto di crollare, un pilastro infranto dalla follia umana.

"Ehi, Shinji!"

"Sì?"

"Prima di andare… aprimi il plug suit. Senza togliermelo, aprilo e basta. Io da sola non ci riesco"

Lui la guardò perplesso: "Perché?"

Asuka sospirò: "Motivi personali"

"Come sarebbe a dire?"

"Sono ore che la tengo e vorrei farla mentre non ci sono pervertiti nei dintorni! Mentre tu non ci sei, in altre parole! Afferrato?"

 

Episode 27: Crawling Chaos

 

ANNO 992M41

La stanza era buia. Dire quanto fosse grande esattamente era praticamente impossibile: sembrava un’infinita prigione di oscurità, un ricettacolo per i pensieri che non vengono espressi, un punto di ritrovo per ciò che esiste ma non può essere visto. Eppure, anche parlare di quel posto in termini simili non sarebbe stato appropriato. Perché quella sala non si limitava a racchiudere ciò che non si poteva vedere, ma piuttosto ciò che non doveva esistere. I frequentatori di quella stanza, per l’universo, non esistevano. E l’universo era immenso: più di trentacinque millenni dopo l’inizio della corsa allo spazio, gli esseri umani avevano instaurato un vasto dominio galattico, l’Imperium dell’Umanità. Un milione di mondi, miliardi di vite, tutte sull’orlo dell’estinzione.

Una voce ruppe il silenzio, dando vita all’oscurità: "Possibile che sia proprio quello che pensiamo?". Era una voce alterata e distorta elettronicamente; non sarebbe stato possibile riconoscere la persona dietro di essa. E un’altra voce, alterata a propria volta al punto di non essere praticamente distinguibile dalla prima, rispose: "Abbiamo motivi per supporre di sì. Ovviamente, non sarà possibile dare una risposta definitiva prima del recupero". Un’altra voce cominciò a parlare. Ma, in realtà, forse era semplicemente la prima che riprendeva nuovamente la parola: "Le operazioni dovranno essere condotte nella massima discrezione. Se abbiamo davvero ritrovato ciò che pensiamo, non possiamo permetterci di perderlo, né tantomeno possiamo lasciare che qualcuno venga a conoscenza della sua vera natura". Una quarta voce si aggiunse alla conversazione. O forse era una di quelle che avevano già parlato: "Se davvero tornerà in nostro possesso, potremmo avere risolto buona parte dei nostri problemi. Nonostante le informazioni sul suo conto siano frammentarie e imprecise, se dovessero rivelarsi almeno parzialmente esatte, il nostro obiettivo potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo". "Nostri agenti sono già sul posto" replicò una nuova (o vecchia) voce. Poi, nella sala calò un silenzio sepolcrale; le voci che avevano parlato, ammesso che fossero appartenute a persone differenti, tacquero completamente. Era stata una conversazione o un monologo? Nessuno avrebbe saputo dirlo. L’unica cosa certa era il bizzarro simbolo olografico che, quasi a salutare il termine di quella riunione (o riflessione personale), comparve nel centro della sala (ammesso che fosse possibile distinguervi un centro): un triangolo isoscele, con il vertice formato dai due lati più lunghi rivolto verso l’alto; al suo centro, un occhio.

 

La maggior parte delle persone lo chiamava Warp, o Spazio Distorto. Qualcuno preferiva usare nomi come "Empireo" o "Immaterium", ma il concetto non cambiava: il Warp restava il Warp. Non si sapeva esattamente quando fosse stata scoperta la sua esistenza: con tutta probabilità, fu proprio questo a dare il via alla corsa alle stelle. Il Warp era una sorta di versione alternativa dello spazio reale, un universo parallelo, governato da maree di pura energia e da inspiegabili fenomeni che accorciavano il tempo. Le astronavi dotate di appositi dispositivi potevano entrare nel Warp e raggiungere nel giro di pochi mesi pianeti lontani centinaia di migliaia di anni luce. Compiere il cosiddetto Warp jump, però, non era un’operazione priva di rischi: le non spiegate e non spiegabili correnti che vessavano l’Immaterium erano insidiose e traditrici: nel corso dei diecimila anni di esistenza dell’Imperium, intere flotte erano andate disperse in un universo di follia e illogicità. Senza contare che alcuni sussurravano dell’esistenza di creature completamente non umane che abitavano lo Spazio Distorto, esseri composti di pura energia che anelavano risucchiare l’anima dei mortali. Eppure, con tutti i suoi rischi, il Warp restava comunque un sistema per viaggiare ampiamente utilizzato per coprire le enormi distanze per le quali l’Imperium si estendeva.

Ed era proprio per questo che la flotta dei Novamarine stava attraversando l’Empireo: era l’unico modo per raggiungere la zona di guerra nella quale si stava dirigendo. I Novamarine erano Space Marine, un tipo di essere umano che qualcuno stentava a definire tale. Alti mediamente tra i 210 e i 240 centimetri, gli Space Marine erano la forza d’assalto d’elite dell’Imperium. Divisi in diverse formazioni indipendenti, chiamate Capitoli, ciascuna delle quali contava circa un migliaio di effettivi (ma esistevano diverse eccezioni), gli Space Marine venivano arruolati da bambini (le nuove reclute non potevano avere più di dieci anni) e, nel corso dello sviluppo, erano sottoposti a una serie di operazioni chirurgiche volte a impiantare loro organi supplementari e a un condizionamento mentale che li portava a porre la propria missione e la fedeltà al Capitolo al di sopra di qualsiasi altra cosa. A tutto questo si aggiungevano trattamenti per lo sviluppo innaturale delle ossa e dei muscoli e connessioni cerebrali o vertebrali che permettevano al soldato di collegarsi con la maggior parte del proprio equipaggiamento e controllarlo come se fosse stato parte del proprio corpo. Armati ed equipaggiati agli standard più elevati, i Capitoli degli Space Marine, o Adeptus Astartes, come erano collettivamente noti, erano ordini monastico-militari composti di guerrieri fanatici e sovrumani.

I Novamarine erano uno dei Capitoli più antichi: la loro storia risaliva quasi alla fondazione dell’Imperium e il loro gene seed, il modello genetico che definiva i tratti di ciascuna singola formazione di Marine, era tra i più stabili. Il Capitolo era stato schierato quasi al completo su di un pianeta lontano da quello su cui aveva la propria base, per aiutare le forze locali a respingere un’invasione dei bestiali alieni divoratori noti come Tiranidi; di ritorno da una campagna durata decenni, aveva ricevuto una richiesta d’aiuto da parte di un mondo chiamato Novet, dove il reggimento locale della Guardia Imperiale, l’armata regolare dell’Imperium, che costituiva il grosso delle sue truppe, era in seria difficoltà contro dei nemici che solo dei Marine avrebbero potuto affrontare.

Bansegoth, il Maestro del Capitolo, sedeva silenzioso nella sala comandi dell’astronave ammiraglia della flotta. Indossava la Power armour, l’armatura d’ordinanza degli Space Marine, una corazza completamente sigillata, dalle grosse spalliere bombate e con il simbolo imperiale, un’aquila a due teste stilizzata, in rilievo sul petto. Il trono del Maestro era stato pensato in modo che vi si potesse sedere con l’armatura addosso, senza essere intralciato dal grosso zaino della corazza, praticamente un sistema di supporto per la Power armour stessa, una struttura compatta ma con un’appendice sferica che spuntava su ciascun lato. Il casco di Bansegoth era stato modellato affinché avesse la forma di u teschio ringhiante, il che non era strano: il motivo del teschio era ricorrente nell’araldica dei Novamarine. Lo stesso simbolo del Capitolo era un teschio, un teschio bianco circondato da una corona dentata. E il peculiare schema di colore applicato alle armature e ai mezzi rendeva i Novamarine immediatamente identificabili sul campo di battaglia. La parte sinistra delle loro armature era viola cupo, mentre la destra era di un bianco osseo; più in basso della cintura e sullo zaino, i colori erano invertiti. Bansegoth si alzò dal trono, picchiando a terra la lama azzurrina della sua enorme spada. Davanti a lui, le decine di persone che sciamavano per la sala comandi, nessuna delle quali era un Marine, si bloccarono e si girarono verso il loro signore. "Quanto manca all’arrivo?" domandò il Maestro del capitolo, la sua voce che sembrava venire dalle profondità di un sepolcro. Uno degli uomini, un individuo calvo, sui cui abiti neri spiccava il simbolo del Capitolo, si fece avanti. Chinò rispettosamente il capo, sul quale si intrecciavano fili e cavi connessi con la carne e con le ossa, e rispose: "Ormai è questione di giorni, signore. Stiamo per terminare il Warp jump e saremo sul posto al massimo entro la prossima settimana". Bansegoth annuì e si rimise a sedere. Come se nulla fosse successo, il viavai per il ponte di comando riprese, febbrile quanto prima. Un settimana… A Bansegoth questo tempo sembrava un’eternità. Aveva raggiunto il comando sul Capitolo solo da poco tempo, una cinquantina d’anni. Un’inezia, confrontati con la speranza di vita media di un Marine, che era di trecento anni circa. Forse proprio per questo, era fin troppo desideroso di combattere. Soprattutto quando l’avversario era così interessante. Perché i Novamarine stavano viaggiando per scontrarsi contro altri Marine.

 

"Non guardare il mutante, non ascoltare il mutante, non parlare al mutante!" gridò l’uomo dall’alto del pulpito, mentre, sotto di lui, le persone che affollavano la cattedrale ascoltavano in ginocchio, stringendo tra le mani rosari e libri di salmi. Il sacerdote, che si stava producendo in uno dei più tipici sermoni del Culto Imperiale, non faceva che ripetere passi di qualcuno dei Libri dell’Addottrinamento: certe cose avevano sempre presa sulle masse adoranti, soprattutto quando il momento era difficile. Dopo una breve pausa, il religioso ricominciò: "L’orrore che si è abbattuto su questo pianeta non è che una diretta conseguenza dei peccati di cui ci siamo macchiati! Per questo, io vi dico: guardatevi dal vostro fratello! Non potete fidarvi di chi vi sta vicino, perché potrebbe nascondere in sé il cancro della mutazione e dell’eresia! Non fidatevi nemmeno di voi stessi, perché siete solo miseri esseri umani destinati a peccare, la cui esistenza sarebbe completamente inutile senza quella del Benevolo Imperatore. L’eresia striscia tra di noi e dobbiamo sradicarla con forza, o altre disgrazie ci colpiranno!". Una serie di considerazioni che ben riassumevano il credo imperiale. Da ormai diecimila anni, in seguito a un non meglio identificato incidente, l’Imperatore, l’uomo che aveva fondato l’Imperium, giaceva sepolto nel Trono d’Oro, un sofisticato macchinario di supporto vitale che manteneva ancora nel mondo dei vivi la sua carcassa, un’ostinata carogna che rifiutava di morire con tutta la possanza psichica che la sua mente consentiva. Da vivo, l’Imperatore era stato il salvatore dell’umanità: l’aveva trascinata fuori dalle guerre e dai disordini su scala galattica che erano seguiti alla fine dell’Era Oscura della Tecnologia e aveva intrapreso la Grande Crociata, che aveva riportato sotto il dominio dell’Uomo molti pianeti colonizzati in epoche precedenti. Questo anche grazie al fatto che l’Imperatore era stato un psyker, un essere umano dotato di poteri psichici. Il più potente psyker mai esistito e c’era chi era pronto a giurare che fosse solo per questo che era ancora vivo. Già da quando camminava tra gli uomini, c’era stato chi l’aveva definito un dio sotto spoglie mortali; in seguito alla sua reclusione nel Trono d’Oro, era nato il Culto Imperiale, che poneva questa teoria a dogma. Nel corso dei millenni, l’Adeptus Ministorum, l’organizzazione che gestiva il Culto, nota anche come Ecclesiarchia, era diventata sempre più potente e influente tra le istituzioni imperiali, anche grazie all’adesione delle masse adoranti che, spaesate per la perdita del loro eroe, volevano trovare un altro dio, un altro capro espiatorio su cui sfogare la rabbia per la propria malasorte. Poco importava che il nuovo dio fosse un uomo. Poco importava che l’Ecclesiarchia contraddicesse i suoi stessi dettami, promuovendo feroci cacce alle streghe volte allo sterminio degli psyker, quando l’Imperatore stesso lo era. Agli esseri umani importava solo avere un modo per potersi ritenere non colpevoli dei propri errori pur potendosi considerare meritevoli delle proprie vittorie.

A volte, il sacerdote non sapeva se mettersi a ridere o a piangere durante le sue prediche. Perché lo sorprendeva vedere come quella massa di caproni che si metteva lì ad ascoltarlo pendesse dalle sue labbra. Certe volte, si chiedeva come mai gli esseri umani avessero bisogno di una religione astratta. In fondo, c’erano divinità ben più attive dell’Imperatore e ben più generose verso i loro seguaci. Pensava che avere fede fosse un modo molto semplice per spiegarsi le cose. Secondo alcuni, avere fede era difficile; secondo il sacerdote, era una delle cose più facili che esistessero. Avere fede significava smettere di porsi domande: tutto accade perché il dio che veneri lo vuole, punto. Non ci sono altri quesiti da porsi. Mentre, terminata la funzione, si ritirava nei suoi appartamenti, le lunghe vesti grigie che gli ondeggiavano attorno alle caviglie, un accolito, avvolto nelle medesime vesti, gli si avvicinò. Si inchinò rispettosamente e tacque, come ad attendere il permesso di parlare. "Dimmi" si limitò a chiedere il sacerdote, puntando i suoi occhi di quarantenne sul giovane che gli stava davanti. "Una persona ha chiesto di vederla" rispose il ragazzo senza alzare la sua testa rasata "Dice di avere scoperto il capo di una setta di eretici che praticano un culto proibito. Vorrebbe parlare con lei per rivelarle l’identità di questo individuo. Ho fatto accomodare il nostro ospite". Il sacerdote sospirò. Il fatto che su Novet ci fosse un culto eretico non lo sorprendeva minimamente.

Entrò lentamente nello stanzino in cui il novizio aveva fatto accomodare l’ospite. Era un ambiente stretto e quasi asfissiante, una sorta di corto corridoio con una panca su ciascuno dei lati più lunghi e una finestra al termine, esattamente di fronte alla porta. Fino a qualche anno prima, era stato usato come vestibolo, prima che la sede centrale dell’Ecclesiarchia facesse saltare fuori i soldi necessari ad ampliare la cattedrale. E, su una delle panche, sedeva una ragazza. Il sacerdote giudicò che dovesse avere circa diciassette anni, anno più, anno meno. I lunghi capelli castani della giovane le ricadevano sulle spalle, incorniciando un volto grazioso, che portò l’ecclesiastico a pensare che gli sarebbe potuta servire in futuro. La ragazza alzò il capo verso l’uomo, fissandolo con i suoi occhi marroni, mentre si alzava in piedi e, nonostante l’ambiente non fosse affatto freddo, si stringeva nella sua giacca marrone, lasciando solo intravedere la sobria maglietta verde che portava sotto. Mosse timidamente qualche passo, il volto contratto in una smorfia preoccupata e quasi piangente, infilandosi le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri. "Figliola," esordì il sacerdote "un mio discepolo mi ha già detto che hai un’importante notizia da darmi". La ragazza si tolse le mani dalle tasche e si strinse nuovamente nella giacca, lanciando all’uomo un’occhiata terrorizzata: "Sì, è vero", confermò "Ho scoperto un abominevole culto eretico e so chi ne è a capo…". L’uomo fece a propria volta un passo avanti: "Di cosa si tratta esattamente?"

"Adorano una divinità maligna… Una divinità mostruosa che abita nel Warp e che predica l’edonismo e l’appagamento dei piaceri carnali… Un dio che chiamano Slaanesh, un dio che dona ai suoi seguaci mutazioni abominevoli…"

L’uomo si accigliò. La situazione era grave. Molto grave. "E sei sicura di sapere chi sia il capo di questa setta?"

La ragazza cominciò a singhiozzare: "Sì, lo so. Sono sicura che non lo immaginerebbe nemmeno lei"

"Capisco. E allora, chi è questa persona?"

Tutto accadde più velocemente di quanto l’occhio umano potesse registrare: la giovane si infilò un mano sotto la giacca e scattò in avanti con una rapidità che aveva qualcosa di sovrannaturale. Una frazione di secondo dopo, il corpo del sacerdote cadde pesantemente a terra, un pugnale infilato nel petto, all’altezza del cuore. "Sei tu, stronzo" sibilò la giovane sputando sul cadavere "Solo che hai finito di fare i tuoi comodi. Prima che tu te ne vada a bruciare nell’inferno che meriti, sappi che sei stato abbattuto da Megan Derleth, dell’Ordo Malleus dell’Inquisizione Imperiale". Con un gesto sprezzante, Megan tirò un calcio alle vesti del cadavere, scoprendo una coda squamosa che spuntava tra le gambe. "Un regalino del tuo dio, eh?" domandò sarcastica, più a se stessa che al corpo morto. Ma il corpo morto non voleva restare morto. "E non è l’unico!" esplose il sacerdote balzando di nuovo in piedi e afferrando la ragazza per il colletto della maglietta. Praticamente sollevandola dal suolo, la sbatté contro la parete e premette il proprio corpo contro quello di lei. "Sì," cominciò il sacerdote "la coda è un regalino di Slaanesh. Come anche il mio cuore supplementare e le ghiandole che mi permettono di fare questo…". Dalla bocca dell’uomo cominciò a sgocciolare una poltiglia biancastra e scoppiettante. L’ecclesiastico sputò per terra; il pavimento marmoreo cominciò a sfrigolare e a fondere. "Ma non preoccuparti," continuò lui "non ho intenzione di ucciderti. Una come te può essere di grande utilità alla nostra causa… Ti farò provare i piaceri più impensati, prima con questa," Megan sentì la coda del suo interlocutore che si insinuava su per le sue gambe, arrivandole alla cintura e cercando di strappargliela di dosso "poi con questa" l’uomo si passò la lingua sulle labbra, come a voler indicare la propria saliva acida. La giovane sogghignò e lanciò un’occhiata minacciosa all’adoratore di Slaanesh che la teneva imprigionata: "Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare". Prima che potesse arrivare una qualsiasi risposta, il sacerdote si sentì sbalzato da dove si trovava, come spinto da una forza improvvisa e irresistibile. Il suo corpo si sollevò in aria e andò a sbattere contro la parete alle sue spalle, cadendo sulla panca e spezzandola sotto il proprio peso. Mentre cercava di rimettersi in piedi, l’uomo capì quello che era successo: la ragazza era uno psyker. Doveva avere usato i propri poteri psichici per liberarsi di lui. E ora, stava coprendo i pochi passi che li separavano con una baldanza che non sarebbe potuta essere più fuori luogo. "Le menti dei cittadini imperiali sono deboli" sentenziò Megan puntando una mano verso il suo nemico "Non possono sapere che esistono cose come le Divinità Oscure, o potrebbero decidere di adorarle come hai fatto tu. Quindi, è meglio eliminare ogni traccia". Una sfera di turbinante energia verdastra cominciò a formarsi sulla mano della giovane, vorticando inarrestabile. Il sacerdote fece per saltare addosso alla ragazza, in un disperato tentativo di fermarla; così facendo, però, non fece che esporsi ancora di più all’attacco. Il colpo lo centrò in pieno petto e un incendio di gelide fiamme verdi cominciò a diffondersi sul suo corpo, consumandolo, divorandolo, dilaniandolo. Il cadavere del seguace di Slaanesh non cadde mai a terra: di lui restarono solo ceneri. Megan sbuffò: aveva già fatto abbastanza casino ed era strano che non fosse arrivato nessuno; ora doveva occuparsi di un’ultima formalità. Aprì lentamente la porta dello stanzino e, come si era aspettata, vide il novizio che l’aveva accolta correre verso di lei, probabilmente attirato dal baccano. "Cosa è successo? "domandò il ragazzo parandosi davanti a lei. Senza rispondere, Megan si guardò attorno. Nel corridoio non c’era nessun altro. La giovane si infilò una mano sotto la giacca; con un unico movimento, la estrasse dall’abito e vibrò un fendente con il coltello che ne aveva preso. Il novizio, con un’espressione di inebetito stupore sul volto, si afferrò la gola, nella quale si era aperta una seconda bocca che sputava sangue rosso sulle sue vesti e sul pavimento. Un attimo dopo, cadde a terra, un lago scarlatto che si espandeva dal suo corpo. Megan tornò nello stanzino, aprì la finestra e ne uscì, saltando nel vicolo sottostante: ora non c’era più nessuno che l’avesse vista. Questa parte della missione era riuscita.

L’Inquisizione era una delle organizzazioni imperiali più temute. Il suo compito consisteva nell’indagare e annientare le potenziali minacce alla stabilità dell’umanità. Alieni, mutanti, adoratori del Caos e altri elementi di disordine andavano schiacciati a qualsiasi prezzo. Dato il loro lavoro, gli Inquisitori erano obbligati a tenere segrete le proprie identità, per evitare che i loro nemici potessero contrattaccare. Solitamente, si muovevano in piccoli gruppi, chiamati "cellule", che agivano con discrezione ed eliminavano i problemi alla radice, agevolati in questo dal fatto di non essere soggetti alle leggi imperiali: un Inquisitore non doveva rispondere delle sue azioni, perché agiva per il bene dell’umanità. Identificare esattamente in cosa consistesse questo bene, era tutto un altro paio di maniche, ma la situazione non cambiava. L’Inquisizione era suddivisa in varie sezioni: per esempio, l’Ordo Xenos si occupava di sventare le minacce aliene, mentre l’Ordo Malleus pensava a combattere i demoni e gli adoratori dello Divinità Oscure del Warp; questo non cambiava il fatto che gli Inquisitori agissero seguendo una massima secondo cui "È meglio uccidere un milione di innocenti che lasciar sopravvivere un solo colpevole". Tutti sapevano dell’esistenza dell’Inquisizione, ma nessuno conosceva le identità dei suoi componenti, che spesso conducevano vite qualsiasi, per entrare in azione solo quando le circostanze lo richiedevano. In un certo senso, questo contribuiva parecchio a creare il timore ossessivo e delirante delle proprie azione che affliggeva molti abitanti dell’Imperium: avevano paura di compiere qualsiasi atto che si fosse potuto giudicare eretico, perché il loro vicino di casa sarebbe potuto essere un Inquisitore in incognito; per evitare di impazzire dalla paranoia, si rifugiavano in una religione che la accentuava ancora di più, facendo loro pensare che qualsiasi cosa facessero fosse un peccato. Ma ben pochi comprendevano le responsabilità di un Inquisitore: gli Inquisitori sapevano. Sapevano che le dicerie erano vere, che il Warp era abitato. Che ci vivevano degli dei, delle Oscure Potenze che tramavano per annientare l’umanità. Che queste Potenze erano affascinanti e seducenti, che promettevano il potere che poteva avvicinare loro le persone che decidevano di adorarle. Che queste potenze erano l’umanità stessa.

Era stato teorizzato già da prima dell’arrivo dell’Imperatore che il Warp fosse un riflesso dello spazio reale: successivi studi dimostrarono che l’Immaterium reagiva alle emozioni dei viventi. Gli dei che lo abitavano e le creature demoniache che li servivano, e che si manifestavano di tanto in tanto nella realtà, non erano altro che la conseguenza delle aspirazioni, delle paure e dei sentimenti dei mortali. Laddove le emozioni dei viventi influenzavano il Warp, le creature che vi abitavano si erano adattate, secondo leggi evolutive che sembravano più consone all’universo reale, a nutrirsi di quelle più abbondanti. E, tra tutte le entità dell’Empireo, Slaanesh era una delle quattro che avevano ottenuto il maggiore successo ed erano diventate divinità a pieno titolo. Slaanesh era il Principe del Piacere, il dio della lussuria, dell’edonismo, della depravazione morale più sfrenata. Era stato il desiderio delle creature mortali a crearlo e a dare forza a lui e ai suoi tre fratelli, le altre Divinità Oscure. E, benché venissero considerati come l’apice della malvagità perché insidiavano la razza umana, gli Dei del Caos non potevano essere veramente ritenuti malvagi: seguivano la propria natura così come i mortali l’avevano determinata. Eppure, nonostante il sapere degli Inquisitori, c’erano delle persone che erano particolarmente vicine al Warp, anche se spesso inconsapevolmente. Erano gli psyker.

 

Prossimamente: su Novet le cose cominciano a definirsi. C’è qualcosa che molti vogliono, ma a cui non tutti sono interessati, qualcosa che potrebbe essere una speranza per l’umanità o un giocattolo per un folle. L’Inquisizione comincia a muoversi….

Episodio 28: Polli e mostri bianchi/Fallen from the Sky

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Capitolo 3
*** Episodio 28: Polli e mostri bianchi/Fallen from the sky ***


??.02

‘Siamo in guerra contro forze troppo terribili per essere comprese. Non possiamo permetterci pietà per alcuna delle loro vittime che sia troppo debole per fare ciò che è moralmente giusto. La pietà ci distrugge, ci indebolisce e inibisce la nostra determinazione. Mettete da parte questi pensieri, non sono degni degli Inquisitori al servizio del Nostro Imperatore. Lodate il suo nome, perché, nella nostra determinazione, non facciamo che riflettere la sua volontà.’

Libro degli Esorcismi, Versi dell’Inquisitore Enoch.

 

Episodio 28: Polli e mostri bianchi

 

ANNO 2017

Era passato più di un anno da quando Shinji e Asuka si erano insediati in quello che restava di un vecchio centro commerciale. La decisione di stabilirsi lì era stata ovvia: c’erano delle riserve di cibo, acqua, vestiti e attrezzi. Ovviamente, né il cibo né l’acqua erano durati più di qualche mese, ma sembrava che la fortuna avesse voluto venire incontro a quelli che sembrava fossero rimasti gli unici esseri umani sul pianeta. Una mattina, Shinji si era svegliato letteralmente al canto del gallo. Aveva sentito un gallo cantare. Quando aveva aperto gli occhi, si era trovato di fronte un gruppo di galline che beccavano avidamente da un sacchetto di patatine aperto che era caduto da uno degli scaffali del reparto alimentari, dove aveva sistemato il sacco a pelo in cui dormiva (Asuka aveva preso possesso di un letto e di tutto il reparto mobili e, dopo essersi ripresa dalle ferite, aveva insistito affinché lui si sistemasse altrove). Era corso immediatamente ad avvertire la rossa; si era bloccato davanti al suo letto e aveva gridato qualcosa del tipo: "Asuka! Presto, vieni a vedere!". Per tutta risposta, gli erano arrivati nell’ordine: un altro grido ("AAAAAH! Maniaco! Pervertito! Smettila di guardarmi mentre sono seminuda!"), una raffica di incomprensibili insulti in tedesco e una pentola in piena faccia (Asuka teneva sotto il letto un assortimento di utensili da cucina proprio in previsione di un’eventualità del genere). Poi, quando Asuka si fu vestita (mentre lui era rimasto mestamente dietro l’armadio nel quale lei aveva sistemato gli abiti saccheggiati dal reparto abbigliamento), riuscì a ritrovare un po’ di calma: "Allora? Cosa sarei dovuta venire a vedere?". Shinji non si era ancora totalmente ripreso dalla sorpresa: "Le galline!". Asuka lo aveva squadrato pensosamente: "Le galline? Sei sicuro di non avere fatto qualche sogno strano?". Comunque, lo aveva seguito senza troppe storie fino al reparto alimentari. "Perché non mi hai detto che c’erano delle galline?" gli aveva chiesto non appena aveva visto gli animali. "Ma te l’ho detto!" si era lamentato Shinji. "Non cambiare discorso!" lo aveva zittito lei con un tono che non ammetteva repliche.

Le galline e le loro uova erano state una delle risorse che aveva permesso ai due ragazzi di sopravvivere. Poi, c’erano stati anche gli articoli per il giardinaggio del centro commerciale: i semi e le istruzioni per coltivarli avevano permesso loro di adattarsi a una dieta composta in buona parte di verdure. Una volta esaurite le scorte di acqua minerale, avevano cominciato a rifornirsi al lago artificiale formato dall’esplosione dello 00; dato però che era piuttosto lontano dal centro commerciale, stavano pensando di trasferirsi in qualche edificio più vicino, o comunque di organizzarsi in modo tale da rendere più agevole il trasporto. A volte, prendevano un paio di sacchi a pelo, due biciclette e un po’ di provviste e passavano qualche giorno a esplorare i dintorni, nella speranza di trovare qualche altro essere umano. Durante questi viaggi, si erano resi conto che la vegetazione era cresciuta in maniera straordinaria. Nel giro di una dozzina di mesi, le strade di Neo Tokyo 3 si erano spaccate sotto la pressione delle radici di enormi alberi. Il che era parecchio bizzarro. Shinji sospettava che questo avesse a che fare con l’LCL; forse aveva in qualche modo fertilizzato il terreno.

L’arrivo del gruppo di galline aveva anche portato i ragazzi a farsi una domanda che, in precedenza, non avevano considerato: che fine avevano fatto gli animali durante il Third Impact? Si erano fusi anche loro nell’oceano di LCL? E comunque, da dove erano arrivati i pennuti? Non avevano mai trovato risposta a questi quesiti.

Durante quel loro primo anno di vita insieme, comunque, Shinji e Asuka avevano dovuto fronteggiare essenzialmente due problemi gravi, a parte la sopravvivenza. Il primo problema erano state le ferite della rossa. Né lei né Shinji avevano cognizioni mediche. Tra il centro commerciale e i locali adibiti a infermeria di alcuni edifici vicini, trovare bende nuove non era stato difficile; più che altro, nessuno di loro aveva avuto la minima idea di come usarle. Dopo poco più di un mese dal Third Impact, Shinji aveva rotto il gesso sul braccio sinistro di Asuka con un paio di pinze; quale che dovesse essere stata la frattura da lei subita, doveva essere guarita, perché era riuscita a usare nuovamente l’arto nel giro di un paio di settimane. La vera preoccupazione era stata l’occhio sinistro. Una volta tolta la medicazione, Shinji si era accorto che il blu profondo era diventato un vitreo spento. E pareva anche che Asuka non ci vedesse più molto bene: aveva cominciato a usare un paio di occhiali da sole ogni volta che usciva ed esaminava con interesse quasi morboso qualsiasi paio di occhiali da vista non danneggiato le capitasse per le mani. Non che le succedesse di frequente, ma alla fine era sembrato che avesse trovato ciò che faceva per lei. Quello che più preoccupava Shinji, però, era che la sua convivente improvvisata non fosse esplosa in un attacco d’ira per quello che era successo al suo occhio: viveva nel terrore che, un giorno o l’altro, sarebbe scoppiata.

Il secondo problema erano stati gli Eva della Seele. Per andare al lago, Shinji e Asuka dovevano prendere una strada che li faceva passare direttamente davanti al mare, dove gli Evangelion definitivi, tramutati in colossali statue di pietra, si erano piantati in seguito alla distruzione di Lilith. Un giorno, seguendo quel tragitto dopo circa una settimana dall’ultima volta, si erano accorti che alcuni degli Eva erano scomparsi. Spariti nel nulla. Cominciarono a tenere d’occhio quel tratto di mare e scoprirono con una certa preoccupazione che gli Eva sembravano sparire da un giorno all’altro. Alla fine, non ne era rimasto nessuno. Avevano esplorato i dintorni per parecchio tempo, chiedendosi chi potesse portarsi via delle creature tanto grosse; dopo quasi tre mesi di ricerche, avevano trovato la risposta. Una scia di gigantesche impronte, che uscivano dal mare a una ventina di chilometri dal centro commerciale e proseguivano nell’entroterra, lasciavano ben pochi dubbi riguardo a quello che era successo. Gli Eva dovevano avere ripreso a muoversi. Si erano spostati in mare per un po’ e poi erano usciti dall’acqua per dirigersi chissà dove.

Lo avrebbero scoperto poco tempo dopo.

 

Episode 28: Fallen from the sky

 

ANNO 992M41

Su Novet c’era la guerra. Il reggimento locale della Guardia Imperiale era stato mobilitato in massa e praticamente tutti i riservisti erano stati richiamati. Gli Astropati, gli psyker che usavano i propri poteri per spedire i messaggi psichici da un pianeta all’altro, avevano lanciato richieste d’aiuto in un raggio di diecimila anni luce, come era la prassi. I reggimenti della Guardia Imperiale dei pianeti inclusi in questa zona, se non impossibilitati a farlo, erano tenuti a intervenire in favore del pianeta attaccato. Per una questione puramente formale, anche i Capitoli dell’Adeptus Astertes, in caso ricevessero un messaggio simile, intervenivano, sebbene non ci fossero leggi che li obbligassero a farlo. Tuttavia, nonostante la situazione fosse tragica, i civili di Novet cercavano di continuare le proprie vite senza pensare a quello che stava succedendo a poca distanza da loro, nonostante girassero voci che il governo planetario stesse meditando di rendere attiva una coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini in grado di combattere. Quello che i nevetiani non sapevano era che la particolare natura del nemico rendeva le autorità restie a parlarne alla popolazione civile. Ma tutto questo era di scarsa importanza per i ricchi che abitavano nella capitale planetaria: loro pensavano a godersi il frutto della propria ricchezza. Gonfi di denaro e di boria, si rinchiudevano nei lussuosi e decadenti ristoranti della capitale, enormi palazzi nei quali servitori trattati alla stregua di schiavi portavano i piatti più prelibati su enormi tavoli, attorno ai quali i potenti, circondati da amici più o meno sinceri e famiglie più o meno amorevoli (ma comunque tutti uniti dalla forza del denaro) trascorrevano intere giornate, dimentichi dei mondani problemi che affliggevano chi non aveva abbastanza soldi, i ceti bassi della popolazione, miserabili mendicanti ridotti a chiedere l’elemosina a chi era più fortunato di loro.

Il ristorante, illuminato da grandi lampadari, ospitava una festa di famiglia. Quasi tutti i tavoli dell’enorme sala principale, di forma circolare e circondata di ampie finestre che davano sulla desolazione urbana della baraccopoli sottostante, erano stati occupati dai componenti della nobile e potente stirpe che gestiva le risorse di combustibile fossile di Nevet. Nessuno aveva idea di quale fosse la ragione della festa, ma nessuno aveva realmente bisogno di saperlo. Mentre uomini che sembravano a malapena umani strisciavano lascivi sui tavoli, ingozzandosi di gelatina purpurea e sbavando tra i liquori, accadde qualcosa che attirò l’attenzione di tutti i presenti. La grande doppia porta che dava sul salone si aprì di schianto; uno dei servitori entrò nella stanza come mai aveva fatto prima. Rotolando. Andò a sbattere contro la gamba di un tavolo, solo per sentirsi subito sollevato per il colletto da un uomo grande e grasso dall’aria sudicia. Il capofamiglia sembrava visibilmente disturbato dall’interruzione. Alzò il servitore fino a poterlo guardare negli occhi e, mentre frammenti di cibo gli schizzavano dalla bocca, domandò: "Che diavolo succede? Chi è il responsabile di tutto questo?". Senza una parola, lo schiavo indicò la porta, ora aperta. Tre figure erano in piedi, immobili; senza dubbio, coloro che avevano scagliato il servitore nella sala senza troppe cerimonie. I ricchi di Nevet erano abituati a vederne di tutti i colori: la loro vita vuota e noiosa li portava a sperimentare droghe che causavano loro visioni oltre le fantasie dei folli. Però, quello che si trovarono davanti era davvero privo di senso. Perché le tre figure che stavano facendo il proprio ingresso nel loro santuario di lordume sembravano uscite da una qualche serie di racconti fantascientifici di basso livello. Il primo, quello che camminava di fronte agli altri due, era un ragazzo, apparentemente sui diciott’anni. Non era molto alto, ma stava guardando i presenti dall’alto in basso; nei suoi occhi castano scuro c’era un’espressione di disprezzo che, per un attimo, fece credere agli occupanti della sala di essere inferiori. Sbuffò, mentre i suoi lunghi capelli castano chiaro, raccolti in un codino e spettinati in maniera quasi disumana, sembravano sobbalzare a ogni suo ringhio sprezzante. Era vestito completamente di nero: la camicia, i pantaloni e il soprabito che celava parzialmente gli altri suoi vestiti; solo un paio di bizzarri stivali marroni e un’oscena cravatta rosa shocking rompevano quella monotonia. Chi era abbastanza vicino al giovane poté vedere che l’indice, il medio e la prima falange del pollice della sua mano sinistra erano stati sostituiti da delle protesi meccaniche, il cui lucido metallo scintillava creando un contrasto con il nero dell’abbigliamento. Sulla parte sinistra del viso del giovane correva una lunga cicatrice, che partiva dalla fronte, solcava l’occhio (che pure sembrava illeso) e terminava quasi all’altezza del mento.

Il secondo figuro era anche più strano. Era un Eldar, un rappresentante di una razza altamente psichica, longeva e da sempre in conflitto con gli esseri umani per la conquista dello spazio vitale. Eldar e umani, probabilmente, combattevano spesso perché erano molto simili. Quello presente, come tutti gli Eldar, era di costituzione magra, alto e dotato di un paio di lunghe orecchie a punta e due occhi dal taglio obliquo. I capelli neri, corti e pettinati ordinatamente con una riga in mezzo, incorniciavano il tipico volto affilato di un esponente di questa razza, i cui occhi, anch’essi neri, rivelavano la saggezza di una creatura vissuta per più di un secolo. La casacca e i pantaloni leggeri, di un verde brillante, si potevano intravedere tra le pieghe del ungo mantello scarlatto che l’alieno indossava, fermato sulle spalle da due spalliere, anch’esse verdi.

Il terzo arrivato, infine, era di gran lunga il più strano di tutti. Nemmeno lui era umano. Era un Orketto. Alti quasi due metri, completamente glabri e dalla pelle verde, gli Orketti erano ritenuti la razza più bellicosa della Galassia. Il loro fisico possente, dalla caratteristica testa posta più in basso delle spalle e dalle tipiche gambe arcuate era una vista temuta sui campi di battaglia. Rozzi ma letali, gli Orketti avevano devastato interi sistemi solari, strappando pianeti su pianeti all’Imperium; pianeti che non erano riusciti a mantenere solo perché si mostravano bellicosi anche con i loro stessi simili. L’Orketto che era entrato nella sala indossava una bizzarra tuta mimetica. Bizzarra perché era rossa e viola. I suoi stivali militari, i suoi occhiali da sole dalle lenti tonde e dalla montatura dorata e il suo basco nero ne completavano l’abbigliamento.

Fu il ragazzo il primo a prendere la parola: "Ci era stato detto che qui basta avere soldi per mangiare. Noi abbiamo i soldi, ma quel tale – indicò il servitore, che era stato lasciato cadere per terra dal nobile che l’aveva sollevato – non voleva farci entrare. Siamo entrati lo stesso". Un sogghigno gli si dipinse in volto mentre pronunciava l’ultima frase.

Il capofamiglia, un individuo obeso al punto di sembrare un rospo umanoide deforme, lanciò un’occhiata minacciosa al bizzarro trio: "Chi diavolo siete? Come vi permettete di disturbare la nostra festa?". Il ragazzo sbuffò: "Mi sembra di avertelo già detto. Siamo qui per mangiare. Anzi, sarà meglio che voi leviate le tende, perché non mi va di spartirmi il tavolo con un tizio brutto e sudicio come te. Fuori dalle palle, tu e tutti i tuoi amichetti". Senza scomporsi, il grassone fece un cenno con il capo. Un attimo dopo, un uomo vestito di nero stava puntando una pistola alla testa del giovane. "Credo che sia meglio ve ne andiate voi. Approfittate del fatto che mi sto divertendo e che non ho voglia di farvi ammazzare tutti". Il ragazzo alzò la mano destra verso il tizio che lo teneva sotto tiro, appoggiandogli l’indice sulla fronte e mimando una pistola. L’uomo in nero ridacchiò: "Hai voglia di giocare? Vuoi uccidermi con la potenza del tuo dito?".

"Sì"

Un attimo dopo, un foro scarlatto si aprì sulla fronte dell’uomo armato, mentre un raccapricciante rumore di ossa rotte spezzava l’innaturale silenzio della sala. Il tizio cadde a terra con un tonfo, mentre il sangue cominciava a sgorgare copioso dalla ferita che gli aveva aperto in due il cervello. Passarono alcuni secondi di gelida immobilità. Era successo qualcosa che nessuno si spigava, qualcosa che rischiava di interferire con le vite lussuose e prive di preoccupazioni dei ricchi di Novet. Uno di loro era morto sotto i loro occhi, in maniera inspiegabile e cruenta. Fu solo quando il ragazzo puntò il dito verso il lurido capofamiglia che qualcuno capì e gridò quello che ormai era diventato il sospetto di tutti: "È uno psyker! È un fottutissimo psyker! L’eresia è tra di noi!". Il grasso capofamiglia cadde a terra, anch’egli con un buco aperto in fronte. Poi, fu la volta della donna dall’aspetto lascivo che gli era stata seduta accanto. Prima che la lista dei morti potesse aumentare, l’Eldar bloccò il ragazzo afferrandolo per una spalla: "Aspetta un attimo, Logan! Non avrai intenzione di ucciderli tutti!". "Sì" replicò il giovane "Mi hanno davvero seccato. Non ho voglia di convincerli ad andarsene; adesso li massacro, così facciamo prima. Sta’ tranquillo, le raffiche psichiche che sto sparando sono appena sufficienti a penetrare nel cervello: non ho intenzione di far schizzare sangue sul cibo". L’urlo dell’Orketto arrivò penetrante, ma non inatteso: "Siiiii! Dai! Ke figata!". L’alieno dalla pelle verde balzò verso i tavoli, afferrando l’ascia bipenne che portava a tracolla e facendola mulinare selvaggiamente in aria. Il suo primo colpo spezzò in due un tavolo, mentre vassoi e cibarie ricadevano al suolo, tra il sangue e il lordume. "Frena, Gutzmaak!" esclamò Logan "Se li macelli, il sangue schizzerà tutt’intorno! Non mi va di magiare cibo sporco!". Un Orketto qualsiasi non si sarebbe fermato, ma avrebbe prediletto il divertimento immediato alle considerazioni per il futuro. Ma Gutzmaak era diverso: era vissuto in mezzo agli umani per parecchio tempo e, in un modo o nell’altro, questo lo aveva cambiato. Non si poteva dire che il suo comportamento fosse quello dell’Orketto tipico. Però, non voleva nemmeno rinunciare al kasino che tanto gli piaceva. Trovò subito la soluzione: si rimise l’ascia a tracolla e si avvicinò ai sopravvissuti facendo scricchiolare le dita.

 

Megan si muoveva velocemente per la distesa sabbiosa appena fuori della città; il punto di incontro con la sua collega e il loro superiore era stato definito chiaramente nei piani della sera prima. Lei era stata sorteggiata per andare a uccidere il capo della setta eretica che gli Inquisitori avevano saputo nascondersi su Nevet, ma ormai quello non era più l’obiettivo principale della missione. Incontrò le persone che stava cercando nel punto concordato. Il deserto, sferzato da un violento vento, era un luogo inospitale, seppur non lontano dalla capitale. Però, nonostante le nubi di sabbia le impedissero di vedere con chiarezza, Megan non faticò a trovare chi stava cercando. Erano psyker anche loro e lei poteva avvertirne chiaramente le aure. Poi, quando fu abbastanza vicina, li vide. Il diretto superiore di Megan si chiamava Otto Zdansky. Era un Inquisitore dell’Ordo Malleus da quasi cinquant’anni, ma non dimostrava più di trentacinque anni: il suo volto glabro non lasciava intravedere che poche rughe intorno agli occhi neri; più impressionanti erano i due spessi cavi fuoriuscivano dalle prese d’interfaccia sulla parte destra della sua fronte, per connettersi nel bavero. Cavi che servivano all’uomo per collegarsi con i sistemi ausiliari della corazza che indossava. Una Power armour. Benché non fosse uno Space Marine, Zdansky non era tipo da lasciarsi mancare qualcosa in termini di equipaggiamento: aveva dato la caccia a demoni ed eretici per decenni ed era il genere di uomo che preferiva l’approccio diretto. La sua tattica preferita consisteva più o meno in un "Entra nel covo degli eretici e ammazzali tutti". Di fatto, era uno dei pochi Inquisitori a essere discretamente famosi: chi lo conosceva sosteneva che, dove passava Zdansky, i colpevoli fuggivano a gambe levate. E agli innocenti conveniva fare altrettanto. La Power armour dell’Inquisitore era però diversa da quelle degli Space Marine: era più aderente al corpo, a cominciare dalle protezioni sulle gambe per arrivare alla cintura metallica, dalla quale scendevano delle piastre vagamente romboidali che formavano una sorta di "gonnellino" piuttosto pacchiano, sul quale pendeva, nel suo fodero nero, una spada dalla lama ricurva. Sul braccio destro della corazza era montato uno storm bolter, un devastante fucile a doppia canna, il cui caricatore a falce sporgeva inquietante verso l’esterno. Il braccio sinistro, invece, era totalmente sproporzionato. Era enorme, apparentemente troppo pesante per essere sollevato, e non terminava in una mano. Alla sua estremità c’era una sorta di cupola allungata, distribuiti sulla quale, in un rozzo cerchio, si vedevano tre lunghi artigli ricurvi, le cui punte sembravano convergere l’una verso le altre.

Poi, c’era la collega di Megan. Si chiamava Alexandra Connolly, e, come Megan, anche lei era stata allevata fin da piccola da Zdansky, che le aveva insegnato a sviluppare il proprio potenziale psichico e aveva svolto un’opera di addottrinamento volta a renderla una fedele ed efficiente Inquisitrice. Come spesso accadeva durante le missioni, Alexandra aveva raccolto i suoi lunghi capelli biondi in una treccia, che le ricadeva pigramente sul davanti. Ovviamente, questo non era valido per quei capelli che il vento le stava facendo sferzare sul viso, entrare negli occhi azzurri, frustare sui tratti affilati. Anche Alexandra indossava una sorta di Power armour, ma la sua era del tipo che usava l’Adepta Sororitas, il corpo combattente dell’Adeptus Ministorum, composto interamente di donne. Non che Alexandra ne facesse parte, ma quel tipo di corazza era più adatto al corpo femminile della Power armour classica. Era più leggero e aderente, con dei grossi stivali e dei grossi guanti metallici e una leggera tunica bianca portata direttamente sotto l’armatura, le cui larghe maniche sporgevano da sotto le spalliere, anch’esse larghe e circondate di borchie. Anche lo zaino con i sistemi di supporto era più piccolo e leggero. Sia l’armatura di Zdansky che quella di Alexandra erano di un grigio cupo, lontano dal rosso salmone che spesso era proprio delle corazze indossate dagli Inquisitori.

Megan si avvicinò a Zdansky e lo salutò con un lieve inchino: "Missione compiuta, signore. Ho eliminato il bersaglio e tutti i testimoni". Zdansky annuì: "Molto bene. Ora andiamo, vi mostrerò il vero motivo della nostra presenza qui". Mentre l’Inquisitore, seguito dalle sue due allieve, camminava apparentemente senza meta nel mezzo delle volute di sabbia che lo investivano a ogni secondo, il vento sembrava calmarsi. Ben presto le raffiche che avevano scatenato contro i tre la furia degli elementi si fecero sempre più deboli, fino a cessare del tutto nel giro di pochi minuti. Agli occhi degli Inquisitori si presentava un’ampia vallata, racchiusa tra formazioni rocciose e dune di sabbia. Dire se la tempesta avesse scoperto o coperto quel luogo sarebbe stato impossibile; quello che era certo era che, proprio nel centro, accovacciata in un enorme cratere, c’era una figura umanoide. Reso grigiastro dalla sabbia che aveva sferzato contro la sua corazza, l’umanoide, un gigantesco essere che doveva superare in altezza un palazzo di medie dimensioni, era rannicchiato in posizione fetale. Accasciato a terra, raccolto su se stesso, aveva un aspetto infantile che contrastava violentemente con la maschera demoniaca che gli copriva il volto. E tutto il suo corpo era coperto: il torace e le gambe erano protetti dalle piastre di una armatura il cui colore, in epoche ormai dimenticate, doveva essere stato viola cupo. Dalla fronte della creatura sporgeva quello che doveva essere stato uno spuntone, ma era ormai corroso dal tempo e dagli agenti atmosferici, ridotto a una semplice appendice rivolta verso l’alto. Le braccia, sproporzionatamente lunghe, chiudevano le gambe contro il petto; un petto sul quale, attraverso la corazza infranta, era chiaramente visibile una grossa sfera scarlatta e pulsante.

Zdansky e le ragazze scesero nel cratere, lasciandosi scivolare sulla sabbia, fino ad arrivare ai piedi dell’enorme creatura. Fu Alexandra la prima a muovere qualche passo verso l’essere. "Cos’è?" domandò mentre lasciava correre lo sguardo lungo la sagoma del titano "Percepisco la sua aura. È vivo, ne sono sicura. Ma che razza di creatura è? Un demone?". "Ritengo di sì" annuì Zdansky "È stata una fortuna che noi ci trovassimo su questo pianeta per debellare quella setta di eretici. Anzi, è possibile che questo demone sia stato evocato da loro. A questo punto, il nostro imperativo diventa catturare la creatura e spedirla su Terra per ulteriori studi; la setta può aspettare". "Signore," chiese Megan "da quanto tempo si trova qui?". "Ho parlato con il colonnello della Guardia Imperiale che sta dirigendo le operazioni militari in questa zona: pare che il demone sia caduto dal cielo un mese fa, più o meno come un meteorite. Stranamente, non ha sollevato grandi quantità di polvere, né si è mosso di un metro. Ovviamente, non è stato detto niente ai civili". L’Inquisitore fece qualche passo in avanti ed estrasse la spada, sulla cui lama si intrecciavano elaborate rune che cominciarono a brillare di una luce rossastra al tocco dell’uomo. "Come vedete," cominciò sollevando l’arma "anche se il demone sembrerebbe inerme, la sua aura demoniaca è comunque attiva". La lama calò verso l’armatura del gigante, in un arco di metallo e rune scintillanti. All’improvviso, un lampo di luce arancione illuminò l’aria. Dove la spada aveva colpito, a pochi centimetri dalla testa della creatura, era visibile una sorta di pulsazione nell’aria, come se degli esagoni concentrici e brillanti fossero comparsi all’improvviso. "Questo tipo di aura demoniaca è insolitamente denso," spiegò Zdansky "ma non è dissimile da quello osservato nei demoni combattendo i quali si è avuta occasione di registrare lo scontro. Come al solito, l’aura demoniaca ha una certa percentuale di fallimento nella protezione del soggetto, ma è potenzialmente in grado di fermare qualsiasi colpo. Sparare contro questo mostro con una pistola automatica o un cannone laser è più o meno la stessa cosa. Però…". All’improvviso, la lama della spada cominciò a brillare ulteriormente, sibilando come se un’anima racchiusa in essa stesse ringhiando il proprio dolore; il campo di forza creato dall’aura demoniaca sembrò sfaldarsi e l’arma penetrò fino a toccare la corazza dell’essere. "Come tutti i tipi di aura demoniaca finora conosciuti, anche questo è vulnerabile alle Force weapon". Né Megan né Alexandra avevano bisogno di spiegazioni: i poteri psichici potevano rendere una persona potentissima, anche accrescendone le capacità fisiche. Utilizzarli, però, richiedeva energia e lasciava lo psyker spossato. Per evitare questo inconveniente, quegli psyker imperiali che potevano permetterselo usavano le Force weapon, armi forgiate con metalli psichicamente reattivi e imbevute di energia psichica, alla quale si poteva attingere senza prosciugare le proprie riserve personali. Le Force weapon potevano aumentare molto la potenza di uno psyker ed erano risultate estremamente efficaci contro le creature originarie del Warp, di cui i demoni erano un tipico esempio. L’aura demoniaca, il campo di forza naturale che i demoni emanavano, era completamente impotente contro i colpi di una Force weapon. "Comunque, continuò Zdansky rinfoderando la spada "c’è un’altra questione da prendere in considerazione. Il nostro amico qui presente potrebbe essere il proprietario della lancia bifida". "Non ne ho mai sentito parlare" intervenne Alexandra. "Io sì" disse Megan "Se non sbaglio, è un’arma che fu trovata più di diecimila anni fa in circostanze misteriose e che servì da base per gli studi che condussero allo sviluppo delle Force weapon". "Precisamente" annuì l’Inquisitore "In realtà, le circostanze del suo ritrovamento non sono misteriose, ma semplicemente segrete". Zdansky fece una pausa, quasi volesse creare tensione "La lancia è un’arma gigantesca, in proporzione alle dimensioni di questo demone. Fu ritrovata nello spazio insieme al suo proprietario, un mostro gigante dall’armatura viola, che non fu possibile recuperare a causa di alcune interferenze nell’Immaterium. La lancia aveva due punte e, studiandola, si arrivò alla conclusione che era adatta ad assorbire energia psichica, il che la rendeva ideale per annientare l’aura dei demoni. Fu proprio questo il motivo principale per cui si cominciò la produzione delle Force weapon. Volevano imitare il funzionamento della lancia. Anzi, mi chiedo cosa succederebbe se fosse stato possibile rimettere insieme il demone e la sua arma…". "Perché non dovrebbe essere possibile?" domandò Alexandra. "Perché la lancia è stata distrutta" rispose l’uomo "Le rune apposte sulle prime Force weapon sono state modellate partendo da frammenti dell’arma. Ma comunque, sono sicuro che studiare questa creatura ci sarà parecchio utile…."

 

Prossimamente: un gruppo di vagabondi dello spazio stringe un patto con un diabolico individuo, un accordo che rischia di rivolgersi contro la loro stessa cupidigia….

Episodio 29: Il mondo è mio!/Clonelord

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Capitolo 4
*** Episodio 29: Il mondo è mio!/Clonelord ***


??.03

‘Seguitemi, figli miei, e la gloria della vittoria sarà vostra. Ci bagneremo nelle cremisi acque dei nostri nemici. Porteremo l’estasi di una veloce morte a coloro che ci si oppongono. Innalzeremo sanguinose lodi al Signore del Piacere e canteremo il suo nome mentre danzeremo sui caduti. Seguitemi, figli miei, e gusterete le gioie mai sognate che sono oltre i limiti dei sensi mortali’

Fabius Bile, Tenente Comandante degli Emperor’s Children

 

Episodio 29: Il mondo è mio!

 

ANNO 2017

"Lampi di luce, esplosioni di missili scagliati da creature abominevoli, illuminavano la notte di Neo Tokyo 3. Mentre la sguaiata risata di un folle risuonava per le vie della città, un gruppo di creature come non se ne erano mai viste camminava abbattendo palazzi a ogni passo. Enormi, deformi, usciti da un incubo. Erano colossali mostri meccanici che sembravano anelare la distruzione del genere umano, che camminavano invitti verso un obiettivo che forse non conoscevano nemmeno loro. Uno di essi, una creatura robotica di forma umanoide, dalla cui testa scheletrica pendevano due lunghe falci, calpestava i carri armati che l’esercito giapponese aveva vanamente schierato contro questa minaccia. Un altro, una sorta di enorme sfera metallica, rimbalzava per le strade demolendo edifici. Un altro ancora, con delle enormi apprendici metalliche che gli fuoriuscivano dalle spalle, caricava i palazzi e li riduceva in macerie. E, dall’alto di un grattacielo, una figura umana osservava soddisfatta la devastazione delle bestie meccaniche. ‘Il piano per la conquista del mondo procede senza problemi!’ esclamò la figura, un bizzarro individuo avvolto in un mantello viola, il cui volto, che spuntava dal cappuccio, sembrava essere per metà maschile e per metà femminile. ‘Andate, Angeli! Miei mostri meccanici, devastate Neo Tokyo 3 e rendetemi sovrano del Giappone!’. Incendi ed esplosioni baluginavano nella notte, il segno indelebile dell’azione degli Angeli. E l’essere metà uomo e metà donna continuava a ridere sgangheratamente, compiacendosi della distruzione che aveva causato. I mostri meccanici continuavano a frantumare la città, come se questo insensato gesto avesse potuto aiutarne la conquista. Ma poi, qualcosa accadde. Un grido squarciò l’aria: ‘Rocket Punch!’. Un enorme braccio violaceo, volando inesorabile, la mano stretta a pugno, spuntò dall’oscurità della notte. Uno degli Angeli si trovava sulla sua traiettoria: fu trapassato da parte a parte e il suo corpo cadde inerte. Poi, il pugno girò in volo, tornando da dove era venuto, annientando un altro mostro meccanico lungo la strada. Il tizio ammantato seguì con gli occhi la traiettoria del volo e vide il braccio ricongiungersi al corpo del gigante viola che lo aveva sparato. L’Evangelion 01. E Shinji Ikari era lì, in piedi sulla testa del suo robot. Era veramente un marcantonio: alto, biondo e dal fisico possente, incuteva timore al solo vederlo. Ikari puntò un dito verso il tale che controllava gli angeli: ‘Non ti permetterò di conquistare il mondo per i tuoi scopi malvagi! Ora ti annienterò con l’Evangelion 01! Vai, mio invincibile robot!’. Shinji entrò rapidamente nell’Eva e il gigante d’acciaio cominciò a muoversi verso gli Angeli. Un gruppo di mostri si lanciò feroce verso di lui, ma la risposta a questo attacco arrivò in un grido: ‘Koshiryoku Beam!’. Dei raggi di energia termica fuoriuscirono dagli occhi dell’Eva, facendo praticamente sciogliere gli Angeli ancor prima che potessero raggiungere il loro obiettivo. Ma non era finita: un gruppo di mostri meccanici balzò da dietro i palazzi e circondò l’Eva: Ikari combatté ferocemente, ma le creature immonde riuscirono a immobilizzarlo a terra. Proprio mentre una di loro stava per infliggere all’Evangelion il colpo fatale, un’altra voce risuonò nell’aria: ‘Thunder Break!’. Un enorme fulmine si abbatté sugli Angeli, cadendo dal cielo come un’ira divina. Un attimo dopo, fluttuando dall’alto con le sue enormi ali scarlatte, l’Evangelion 02 atterrò di fianco allo 01. A pilotare lo 02 c’era ovviamente Asuka Langley Soryu. A questo punto, i due Eva unirono le proprie forze e….."

"Ehm… Scusa, ma…". Che diavolo stava succedendo? L’uomo che era stato intento a raccontare quella storia al gruppo di persone sedute attorno al fuoco era piuttosto seccato da quell’interruzione. Il rituale del racconto notturno era una costante per quel gruppo di sopravvissuti al Third Impact e interromperlo era visto come un atto di cattivo gusto. Lo sguardo del narratore si posò infine sul colpevole. Era un ragazzo dai capelli neri, uno degli ultimi arrivati. L’uomo si girò verso di lui: "Ebbene?" chiese "Cosa c’è?". Il ragazzo si alzò in piedi. Non era molto alto, ma in quel momento erano tutti seduti, quindi la sua figura non aveva problemi ad attirare l’attenzione. Un po’ titubante, il giovane rispose: "Ma sei proprio sicuro che lo 01 potesse sparare le mani come dei missili? E che lo 02 potesse volare e lanciare fulmini? E chi Shinji Ikari fosse così come lo descrivi? E che gli Angeli…." "Basta così!" esclamò l’uomo alzando una mano per interrompere il proprio interlocutore "Ti ricordo che io vivevo a Neo Tokyo 3 durante le battaglie contro gli Angeli! Quello che ti sto raccontando è un’esperienza personale, qualcosa che ho visto io stesso! Tu stai solo cercando di screditarmi!". L’unico suono che seguì quelle parole fu una risata. La ragazza dai capelli rossi, che era arrivata in quella comunità insieme al ragazzo dai capelli neri, stava ridendo fin quasi al punto di non riuscire più a fermarsi.

 

Episode 29: Clonelord

 

ANNO 992M41

In tempi antichissimi, prima che la razza umana cominciasse la propria corsa allo spazio, la Galassia era stata dominata da una razza di intelligentissime creature dalla pelle verde. Queste creature, esperte nella manipolazione genetica, avevano creato una varietà di esseri inferiori, schiavi guerrieri da usare nelle loro armate di conquista. Nel loro DNA avevano inserito la ferocia e la sete di sangue, avevano donato loro un fisico possente e che guariva velocemente dalle ferite. Poi, venne il tempo in cui la razza superiore capì di essere sull’orlo dell’estinzione: una virulenta pestilenza aveva devastato lo spazio e solo gli schiavi guerrieri sembravano esserne immuni. I dominatori decisero quindi che le loro conoscenze sarebbero loro sopravvissute: inserirono nel codice genetico dei loro sottoposti tutte le proprie cognizioni scientifiche. Quando la razza superiore si estinse, quello che restò furono le vestigia della sua civiltà nella forma dei loro schiavi: gli Orketti. Ma gli Orketti erano stati creati innanzitutto per essere dei guerrieri: le conoscenze scientifiche che emergevano dal loro codice genetico erano incomplete e frammentarie, spesso drammaticamente inesatte, spesso distorte dalla mentalità caotica e feroce dei pelleverde. Gli Orketti erano visti come barbari sanguinari dalle altre razze della Galassia e la loro inventiva era rivolta per lo più alla creazione di macchine da guerra tremendamente instabili ma brutalmente efficaci. La razza dominante doveva avere infuso agli Orketti anche qualche potenzialità di sviluppo psichico: tra i pelleverde, infatti, nascevano talvolta i cosiddetti "Ztrani", ovvero degli psyker in grado di radunare enormi quantità di energia spirituale senza nemmeno accorgersene, al punto che i loro simili nelle immediate vicinanze si trovavano spesso con la testa che esplodeva improvvisamente per l’improvviso accumulo di potere circostante. Per questo motivo, gli Orketti confinavano gli Ztrani in cima ad altissimi pilastri di rame, un metallo che disperdeva l’energia psichica.

Da un certo punto di vista, l’attitudine degli Eldar verso gli psyker era diversa. Anche gli Eldar avevano avuto un impero grande quanto l’intera Galassia, instauratosi subito dopo (o forse prima, questo non era chiaro) quello delle creature dalla pelle verde. Avevano colonizzato molti pianeti con la loro tecnologia avanzata e la loro cultura sofisticata. Ma erano anche caduti in una irreversibile spirale di autocompiacimento ed edonismo sfrenati, che aveva causato il risveglio del Dio del Caos Slaanesh. In brevissimo tempo, Slaanesh aveva ucciso quasi tutte le divinità adorate dagli Eldar; i suoi eserciti demoniaci avevano marciato sui mondi colonizzati dall’antica razza dalle orecchie a punta, devastandoli uno dopo l’altro. Quella che gli Eldar conoscevano come "la Caduta" era stata la più grande catastrofe della loro storia, ma una catastrofe che loro stessi avevano chiamato su di sé. Con tutti i loro pianeti distrutti, gli Eldar erano stati costretti a trovare rifugio su dei mondi artificiali, rimpinguando il loro esiguo numero e costituendo le proprie armate in attesa del Rhana Dandra, il giorno della battaglia finale, in cui sarebbero stati costretti ad affrontare il Nemico, così come chiamavano Slaanesh, in uno scontro che avrebbe annientato definitivamente una delle due parti. Gli Eldar erano sempre stati una razza altamente psichica: usavano i poteri psichici per modellare l’Osso Spettrale, il materiale di cui erano costituiti i loro mondi artificiali; i loro capi erano veggenti che cercavano di prevedere il futuro della razza; in battaglia erano guidati da potenti psyker, che usavano i propri poteri per colpire i nemici con vortici di devastante energia.

E poi c’erano gli umani. Tutti sapevano che l’Imperatore era nato in epoche immemori, ma si era mostrato all’umanità per quello che effettivamente solo dopo che erano passati molti millenni dall’inizio della corsa verso lo spazio. Fino ad allora, aveva sempre manipolato la Storia da dietro le quinte, aveva sempre manovrato le persone più influenti del mondo perché agissero per i suoi fini; quando venne il tempo, però, fu per lui il momento di intervenire personalmente. L’epoca di splendori tecnologici e avanzamenti scientifici che si era appena conclusa aveva lasciato l’umanità in una situazione tragica: una non meglio specificata serie di guerre, civili e contro razze aliene, cataclismi naturali e interferenze nel Warp avevano gettato l’Uomo in una periodo oscuro e violento. Molti dei pianeti colonizzati erano regrediti a livelli tecnologici medievali, talvolta anche inferiori. E l’Imperatore prese le redini dell’umanità, conducendola nella Grande Crociata, permettendole di conquistarsi quella posizione di predominio che, così proclamava il monarca, era sempre stata sua di diritto. E, per guidare il proprio esercito, l’Imperatore aveva fatto ricorso a sofisticate tecniche di ingegneria genetica ormai dimenticate per creare i Primarchi, venti uomini che incarnavano l’ideale della perfezione, dotati di prodezza fisica e psichica oltre ogni limite immaginabile. Gli Dei del Caos, timorosi che i Primarchi potessero costituire una minaccia, fecero disperdere nel Warp le capsule di supporto vitale nelle quali i neonati eletti stavano crescendo, scagliandole ai quattro angoli della Galassia. L’Imperatore, ormai rassegnato alla perdita dei suoi figli prediletti, aveva preso a modello il codice genetico di ciascuno di loro per creare le Legiones Astartes, le Legioni degli Space Marine. In seguito, durante la Grande Crociata, il monarca aveva avuto modo di ritrovare tutti i Primarchi dispersi, mettendo ciascuno di essi a capo della Legione alla quale aveva fatto da modello. Poi, accadde qualcosa. Nessuno sapeva esattamente cosa: le autorità imperiali tenevano ben nascosti questi avvenimenti, perché avrebbero potuto contaminare le fragili menti umane e indurle al peccato. Ma quei pochi che conoscevano la storia imperiale sapevano che il più forte tra i Primarchi, Horus, aveva tradito. Si era lasciato sedurre dalle promesse degli Dei Oscuri e, trascinando con sé nell’eresia almeno altri otto dei suoi compagni, con le relative Legioni, aveva dato luogo alla più sanguinosa guerra civile che l’Imperium avesse mai vissuto. Non solo gli Space Marine, ma anche la Guardia Imperiale e tutte le altre istituzioni furono divise tra chi voleva restare fedele all’Imperatore e chi invece aveva abbracciato il credo dell’infame Horus. Poi, durante la battaglia risolutiva, combattuta su Terra, padre e figlio avevano avuto modo di confrontarsi. E lo scontro era stato fatale a entrambi: benché i poteri dell’Imperatore fossero stati immensi, quelli già considerevoli di Horus, ulteriormente potenziati dagli Dei Oscuri, non gli erano inferiori. Il Primarca traditore morì nello scontro; le Legioni Traditrici, senza più un capo, furono costrette a ritirarsi nell’Occhio del Terrore, una zona dello spazio in cui l’universo reale e il Warp si compenetravano e sovrapponevano, generando mondi di oscurità e follia in cui i seguaci delle Potenze del Caos potevano trovare rifugio. L’Imperatore, da parte sua, ferito mortalmente, era stato tratto in salvo dal Primarca lealista Rogal Dorn e sepolto nel Trono d’Oro. Il Primarca lealista Roboute Guilliman, resosi conto del pericolo che rappresentava il lasciare un’intera Legione di Space Marine sotto il comando di un singolo uomo, aveva steso il Codex Astartes, un poderoso tomo che conteneva i nuovi dettami dell’organizzazione dell’Adeptus Astertes. Ciascuna Legione sarebbe stata divisa in diversi Capitoli, unità combattenti composte di un massimo di mille uomini, uno dei quali avrebbe conservato il nome e l’araldica della Legione originaria. Diecimila anni dopo l’Eresia di Horus, così era chiamata quella immane guerra civile, molti Capitoli erano stati fondati a partire dalle nove Legioni superstiti. La maggior parte di essi, però, non esisteva più: il numero complessivo attuale ammontava a circa mille, ma nessuno lo conosceva con certezza, tranne, forse, l’Adeptus Mechanicus, l’elitaria organizzazione con sede su Marte, che si occupava del recupero dell’antica tecnologia e che conservava campioni genetici di tutti i Capitoli fondati a partire dall’Eresia.

Orketti, Eldar e umani erano quindi tre razze che, in periodi diversi, avevano dominato il cosmo e che spesso avevano combattuto fra di loro. Vedere un Orketto, un Eldar e un umano che si abbuffavano allo stesso tavolo, in uno dei più lussuosi ristoranti della capitale di Novet, era un po’ un evento. Avevano fatto irruzione nella sala, avevano sbattuto fuori tutti i suoi occupanti e ne avevano preso il posto, incuranti delle conseguenze. Quando qualcuno incontrava quel gruppo male assortito di viaggiatori dello spazio, non riusciva a capacitarsi di come fosse finito insieme e, spesso, non se ne capacitavano nemmeno i diretti interessati.

Gutzmaak, l’Orketto, era uno Ztrano. Era stato isolato dai suoi simili per la sua pericolosità, ma non aveva perso il gusto per la baldoria tipico dei membri della sua razza. Un bel giorno, senza capire neanche lui come, si era unito a una Waaagh!, una delle spedizioni di conquista che, talvolta, alcuni Signori della Guerra Orketti particolarmente carismatici lanciavano per lo spazio. Una Waaagh! poteva finire in due modi: o l’orda di Orketti, spesso composta di parecchi milioni di pelleverde che si spostavano su asteroidi modificati chiamati "Rok", veniva fermata da qualche esercito nemico, oppure sconfiggeva tutti gli avversari e stabiliva un piccolo impero. A questo punto, fatalmente, gli Orketti cominciavano a combattere fra di loro e qualsiasi istituzione avessero messo in piedi crollava nel giro di una notte. A Gutzmak non era successo niente di tutto questo: dopo una battaglia, era semplicemente stato abbandonato dai suoi simili. Aveva girato lo spazio per un po’, poi era arrivato su di un mondo abitato di umani, chiamato Necromunda. Qui, per puro caso, si era trovato a dormire in un magazzino.

L’Eldar, che si chiamava Skaim – Zaim, in passato era stato un idealista. Aveva voluto diventare un difensore di Ulthwe, il pianeta artificiale su cui era nato, ma, in seguito a un disaccordo con alcuni suoi superiori, la sua immagine era stata screditata. Diventato un commerciante di armi, era finito su Necromunda per lavoro ed era stato adescato in una trappola da una banda di contrabbandieri che aveva voluto derubarlo della sua fornitura.

Logan Delaque, l’umano, era probabilmente il più bizzarro dei tre. In seguito a un incontro con il padre, che non aveva visto per anni, era recentemente venuto a sapere di essere nato su Terra; per una serie di cause a lui ignote, però, era stato portato, ancora neonato, su Necromunda, dove era cresciuto. Sua madre adottiva, che era diventata la compagna di suo padre, si era liberata di lui non appena, a soli otto anni, Logan aveva cominciato a manifestare i propri poteri psichici. Necromunda era un Mondo Alveare, un pianeta la cui funzione era ospitare le masse innumerevoli della popolazione umana; come tutte le città dei Mondi Alveare anche quella in cui era cresciuto Logan aveva un Underhive, i quartieri più bassi, costruiti tra tubature antiche e strutture ciclopiche, una sorta di mondo sotterraneo dal quale non era possibile vedere il cielo. Ed era proprio qui che Logan era cresciuto dall’età di otto anni, affinando quei poteri psichici che lo avevano reso un reietto ed elevandoli a motivazione assoluta del proprio orgoglio. A diciassette anni, con l’intimidazione e la forza che le sue capacità gli conferivano, aveva già formato una banda di contrabbandieri. Un giorno, Logan aveva pensato bene di catturare un Eldar commerciante di armi per sapere come procurarsi la merce che questi vendeva; quello stesso giorno, aveva trovato un Orketto che dormiva nel proprio magazzino. Quello stesso giorno, alcuni Space Marine erano arrivati al magazzino alla ricerca di una reliquia del loro Capitolo, che era stata rubata e che pareva fosse finita, chissà come, proprio su Necromunda. E, quel che era stato peggio, i Marine avevano avuto tutta l’intenzione di uccidere chiunque fosse stato coinvolto nella loro operazione. Era stato in questo modo che quel trio improvvisato si era unito, per fare fronte comune contro un nemico più forte. In seguito a quegli eventi, la banda di Logan era stata decimata dai soldati imperiali e il ragazzo, nel tentativo di recuperare una parte della merce del proprio magazzino che aveva perso, era salito fino ai livelli superiori di Necromunda, vedendo il cielo per la prima volta in vita sua. Quello era stato un giorno di grandi cambiamenti per Logan: combattendo con i Marine, aveva perso due dita ed era rimasto sfigurato; vedendo il cielo, si era reso conto di quanto pilotata dagli eventi fosse stata la sua vita. Era diventato un contrabbandiere semplicemente perché, nell’ambiente in cui era cresciuto, non aveva avuto altra scelta. Aveva deciso che sarebbe partito da Necromunda e avrebbe visto la Galassia, per trovare una ragione di vita, un’ambizione che valesse veramente la pena di seguire. Nonostante gli fosse stato detto che quello era un comportamento tipicamente da adolescente e insensato, Logan aveva voluto provarci. Skaim – Zaim aveva deciso di andare con lui nella speranza di trovare il modo di raggiungere Ulthwe; Gutzmaak si era unito al gruppo per puro spirito d’avventura e incoscienza da Orketto.

Da allora era trascorso quasi un anno e i tre erano passati attraverso moltissime avventure. Erano arrivati per caso nei pressi di una fortezza segreta di Space Marine e avevano appreso, grazie alle macchinazioni di un oscuro individuo, la storia dell’Eresia di Horus e di cosa fosse veramente accaduto in quei cupi giorni. Si erano impadroniti di un’astronave appartenuta a un’antica civiltà aliena, sfruttando la tecnologia della quale, avevano potuto viaggiare per lo spazio a una velocità impensabile per le navi ordinarie. Si erano trovati su di un pianeta caduto in mano ai demoni di Slaanesh ed erano stati costretti ad affiancare due avvenenti Inquisitrici nel combattere un Demone Maggiore. Avevano incontrato un bizzarro individuo che aveva creato un clone femminile di Horus per delle motivazioni confuse e contraddittorie e lo avevano aiutato nelle sue oscure imprese in cambio di riparazioni all’astronave. Ed era proprio a causa di quel tizio che adesso i tre si trovavano lì. Fabius Bile, così si chiamava il tizio in questione (benché fosse noto anche come ‘Signore dei Cloni’, ‘Squartauomini’ o ‘Primogenito’), era stato uno Space Marine molto tempo fa. Più di diecimila anni fa, per la precisione. Bile era un Marine del Caos: come i suoi compagni, in seguito alla sconfitta di Horus, si era rifugiato nell’Occhio del Terrore; lì la caotica natura del Warp distorceva lo spazio e il tempo, rendendoli concetti privi di significato; questo era il motivo per cui, dopo cento secoli, molti di quegli stessi Marine che avevano combattuto sotto lo stendardo dei Primarchi traditori erano ancora vivi e complottavano a danno dell’Imperium. Ma Bile aveva anche passato molto tempo nell’universo reale, ossessionato come era dalla conoscenza genetica e dalla creazione della vita artificiale. Il clone femminile di Horus era solo uno dei suoi mille progetti. Mentre, sulla loro astronave, Logan, Gutzmaak e Skaim – Zaim si stavano apprestando ad atterrare su Novet per fare rifornimenti, avevano ricevuto una chiamata via radio, proprio da Bile. Il Marine aveva risposto con un evasivo "Ho le mie fonti" quando Logan gli aveva chiesto come facesse a sapere della loro presenza lì; aveva semplicemente detto di avere bisogno della loro collaborazione per un lavoretto che avrebbe fruttato guadagni a tutti. E Logan non era tipo da farsi certi scrupoli: se vedeva delle prospettive di tornaconto, era pronto a lanciarsi in qualsiasi impresa, senza necessariamente chiedere il parere dei propri compagni. Gli piaceva pensare di essere un uomo d’affari, una persona pratica che faceva ciò che era ragionevole fare. Bile aveva fissato l’appuntamento in un locale della capitale ben preciso, un ristorante in cui si incontravano diversi nobili e ricchi del posto; per premunirsi, Logan si era girato i quartieri bassi della città e aveva derubato alcuni mendicanti del frutto delle loro elemosine, racimolando una discreta cifra. Se doveva aspettare in un ristorante, voleva essere sicuro di poter mangiare a volontà. Naturalmente, tutto questo era stato fatto con sommo piacere di Gutzmaak, la cui indole bellicosa lo rendeva fisicamente incapace di rifiutare una rissa, e con enorme vergogna di Skaim – Zaim, che aveva ritenuto meschina e poco onorevole un’azione del genere, seppur perpetrata su di una razza inferiore quale gli Eldar ritenevano essere gli umani. E a Skaim – Zaim, per la verità, non piaceva niente di quella storia: fin dal loro primo incontro con Bile, avvenuto su di un pianeta chiamato Camarina, aveva sempre detestato quel Marine traditore. Forse perché Ulthwe, il suo pianeta natale, era vicino all’Occhio del Terrore e, fin da piccolo, era stato abituato a temere e odiare i Marine del Caos e le loro orde di razziatori, accompagnate da demoni urlanti e fanatici adoratori delle Oscure Potenze. "Tutto questo non mi piace" ripeté l’Eldar, che pure aveva già avuto modo di chiarire la sua posizione in precedenza. Logan afferrò una bottiglia d’acqua, bevve a canna per qualche secondo per mandare giù il cibo di cui si era appena ingozzato e rispose: "Non mi pare di averti chiesto di venire con me. Perché non te ne vai fuori dalle palle?". Skaim – Zaim sbuffò: "Perché, se ti perdessi di vista, tu saresti capacissimo di andartene da questo pianeta senza di me!". "E allora?" domandò il ragazzo "Mi dici sempre che, ovunque io vada, succedono cose terribili, che ti infilo in situazioni che non ti piacciono e che l’Orketto puzza. Cosa ci fai ancora con noi?". L’Eldar si alzò in piedi, il mantello rosso che gli svolazzava attorno. Stavolta era davvero fuori di sé: "Come sarebbe a dire? Ti ricordo che ti ho aiutato più di una volta, quando ti sei trovato nei guai! Ti sei dimenticato quando abbiamo combattuto contro quel Maestro di Space Marine su Caliban? E contro il Demone Maggiore su MW11? E contro lo psyker Space Marine su Camarina? Senza contare che l’astronave mi serve per arrivare su Ulthwe; dove altro credi che potrei trovare un passaggio su di un pianeta di umani?"

"Questi sono problemi tuoi. Non mi pare di avere mai chiesto il tuo aiuto"

"Ma sentilo! Senza il mio aiuto, saresti morto almeno quattro volte! Almeno, eh!"

"Questo è da dimostrare. E comunque, non nega il fatto che io non ti abbia mai chiesto di aiutarmi"

"Sai, mi sono accorto che sei uno stronzo appena ti ho conosciuto, ma continuo a trovarti più insopportabile ogni giorno che passa"

"La soluzione è sempre quella: fuori dalle palle"

La replica di Skaim – Zaim fu stroncata sul nascere quando la doppia porta della sala si aprì all’improvviso. In piedi all’entrata c’era la figura imponente di uno Space Marine ben noto ai tre occupanti della stanza. Fabius Bile entrò a grandi passi, mentre un sorriso che sembrava più di scherno che di felicità gli si dipingeva sul viso da cinquantenne. Per essere uno che aveva più di diecimila anni, si sarebbe detto che se li portava bene. La testa era praticamente calva, ma, dai lati del capo, lunghi capelli bianchi scendevano fino a coprire le spalle, sulle quali le spalliere bombate della Power armour verde cupo si sovrapponevano alla lunga tunica di pesante panno biancastro che copriva il resto della corazza. Lo zaino del Marine traditore era qualcosa di bizzarro e mai visto, un inverosimile groviglio di cavi e tubi, dal quale partivano quattro lunghe braccia meccaniche, che si protendevano in avanti minacciose, come gli arti di una mantide sul punto di ghermire la preda. Su ciascuna delle braccia artificiali, un minaccioso strumento sembrava voler sfidare la sanità mentale: una motosega, un trapano, una grossa siringa e un coltellaccio. Già la prima volta che lo aveva incontrato, Logan si era chiesto cosa ci facesse Bile con quella roba. Sembrava messa lì solo per intimorire un potenziale nemico, apparentemente senza alcuna applicazione pratica. Solo i saltuari e innaturali movimenti degli arti artificiali ne denotavano l’attività, oltre che rendere evidente che dovevano essere collegati in qualche modo alla rete neurale del proprietario. "Logan!" esclamò il Marine avvicinandosi al giovane psyker e afferrando un divano per sedercisi sopra con la sua già considerevole stazza, accresciuta dall’armatura e dallo zaino ingombrante. Solo allora i tre si accorsero della presenza di un’altra persona. Insieme a Bile era entrata una ragazza. Logan la riconobbe subito: Erin vo Krueger. Era lei il clone femminile di Horus. L’aveva conosciuta su Camarina e, dietro richiesta di Bile, l’aveva accompagnata all’interno di un’astronave di Space Marine. Erin era più vecchia di un anno rispetto a Logan, ma la sua vita era stata completamente diversa. Era stata cresciuta fin da bambina da un seguace di Bile, che l’aveva trattata secondo un programma specifico, che avrebbe dovuto portare la personalità di Horus, tramandata attraverso il codice genetico, a manifestarsi in n momento ben preciso. Al padre adottivo di Erin si erano poi unite altre persone, tutte al servizio del Signore dei Cloni: il fidanzato della ragazza, il sacerdote della chiesa ecclesiarcale locale e diversi altri. Individui che avevano contribuito a creare una menzogna lunga una vita, un ambiente abominevolmente perfetto, all’annientamento del quale, la personalità di Horus sarebbe dovuta uscire allo scoperto. Cosa che era effettivamente successa, ma solo per una manciata di minuti. Ma Logan non aveva avuto modo di assistervi: in quel momento, Erin gli sembrava molto simile a come era stata quando l’aveva incontrata per la prima volta. I suoi capelli castani, un tempo lunghi fino alle spalle, erano ora stati tagliati e superavano appena la nuca. I suoi occhi erano scuri non solo per il colore delle iridi, ma anche per un alone di tristezza che li rendeva cupi e quasi opachi. La camicia e i pantaloni bianchi che indossava erano un esempio di sobrietà che contrastava violentemente con l’elaborata armatura di Bile. Logan si rivolse al Marine: "Ma quella sta ancora con te?" domandò "Non ha scoperto cosa è in realtà?". Il ragazzo non si preoccupava che Erin potesse sentirlo: la giovane era cresciuta su di un pianeta sperduto e parlava solo la lingua locale; non capiva il Basso Gotico, l’idioma ufficiale dell’Imperium. "L’ha scoperto, sì" replicò Bile "Ma non ha molta scelta. Ormai, tra le persone che lei conosce, io sono l’unico che abbia incontrato personalmente Horus. Quindi sono l’unico in grado di dirle chi sia lei effettivamente. Comunque, lei non c’entra con il motivo per cui ho chiamato qui te e i tuoi amici. Be’, non direttamente". "Possiamo fare kasino?" chiese Gutzmaak afferrando l’ascia e brandendola un paio di volte. Lo Squartauomini sogghignò: "Probabilmente sì, potrete fare casino. Credo che potrai anche combattere contro degli Space Marine, contento?". "Sìììììì!" esclamò l’Orketto, balzando in piedi e calano la propria arma su di una sedia. "Vieni al sodo" disse Logan infilandosi in bocca un pezzo di formaggio. "Ho bisogno che recuperiate una certa cosa per conto mio" rispose il Marine incupendosi "Dovreste andare nel deserto poco lontano di qui, in un posto che vi indicherò. Una volta lì, troverete una creatura umanoide di grosse dimensioni, inerte. Prendete un pezzo della sua materia organica e portatemelo. Fine della missione". Il ragazzo finì di masticare, deglutì con un gesto volutamente esagerato e teatrale e posò gli occhi sul suo interlocutore: "Perché non ci vai tu a prendere questo pezzo di umanoide inerte?"

"Ero venuto qui proprio per questo motivo. Il problema è che le cose si sono complicate. Sembra siano arrivate delle persone dalle quali non voglio farmi vedere, quindi preferisco servirmi di agenti per ottenere quello che voglio"

"Ma guarda! Non vuoi farti vedere e ci dai appuntamento in un ristorante? Non è che un Space Marine, soprattutto uno che si porta addosso tutta la roba che ti porti addosso tu, possa passare inosservato"

"Lo so, ma, finché ci troviamo qui, non c’è alcun pericolo. Le persone che gestiscono e frequentano questo posto sono tutte miei… come dire… clienti"

"E allora, com’è che non chiedi a loro di farti questo favore?"

"Perché loro non avrebbero le capacità di farmelo. Voi tre, invece, siete psyker, quindi potete farcela"

"A questo punto, mi viene da chiedermi perché ti servano degli psyker per un lavoro del genere…"

"Mi sembra ovvio: la missione ha i suoi rischi. Come ti ho detto, ci sono delle persone che sarebbe meglio non mi vedessero… Hanno discreti mezzi. Non se se fra di loro ci siano degli psyker, ma comunque potrebbero essere ben armate e quindi dare qualche problema. E poi, il posto in cui si trova l’umanoide è vicino a una zona di guerra. Avrete sentito dire che la Guardia Imperiale del pianeta sta combattendo contro un nemico esterno, no? Lo scontro non è ancora molto esteso, ma è solo questione di tempo. Il posto in cui vi sto mandando è piuttosto pericoloso, quindi ho bisogno di gente che mi garantisca una certa probabilità di riuscita nella missione"

"D’accordo, ho capito. Adesso parliamo del compenso. Cosa me ne viene in tasca?"

"Soldi. Ho per le mani una carta di credito da diecimila. Ti basta?"

"Dipende. Dovrei rendermi conto di quanto pericolosa sia la missione, Chi sono esattamente questi individui dai quali non vuoi farti vedere? Che motivo avrebbero di ostacolarci?"

"Capisco le tue perplessità. Ti spiegherò quello che ti serve sapere"

 

Prossimamente: l’Inquisizione non conosce mezze misure, si prende quello che vuole e basta. Anche a costo di sacrificare un intero pianeta in guerra. Nel frattempo, Logan, Gutzmaak e Skaim – Zaim cominciano una missione che potrebbe rivelarsi più pericolosa del previsto…

30: Giudice di un mondo morente/Children of the Emperor

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Capitolo 5
*** Episodio 30: Giudice di un mondo morente/Children of the Emperor ***


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‘Il Demone ha molte forme. Devi conoscerle tutte. Devi riconoscere il Demone nel suo travestimento e sradicarlo dai luoghi nascosti. Non fidarti di nessuno. Non fidarti nemmeno di te stesso. È meglio morire invano che vivere nell’abominio. Lo zelante martire viene lodato per il suo valore: il codardo e l’indeciso sono giustamente aborriti’

Dal Primo Libro degli Addottrinamenti

 

Episodio 30: Giudice di un mondo morente

 

ANNO 2036

Non faceva molto caldo quella notte. La spiaggia era percorsa da una gradevole brezza marina, che sembrava voler confortare gli abitanti di una Terra tormentata da troppi anni. La luna piena, passiva spettatrice degli eventi, puntava il suo occhio argenteo sulle placide acque del mare. Certe volte, Shinji Ikari rimpiangeva di non aver mai imparato a nuotare. Gli sarebbe piaciuto tuffarsi in quell’acqua baciata dai raggi lunari. O almeno, sapere come ci si sarebbe sentiti a fare una cosa del genere. All’età di trentacinque anni, gli capitava sempre più spesso di ammettere con se stesso di avere commesso parecchi errori nella vita. C’era stato un periodo della sua esistenza in cui aveva pensato che la propria vita fosse inutile e che avrebbe avuto un senso solo in ragione di quanto gli altri la avrebbero considerata. Adesso aveva l’impressione che definire l’utilità o l’inutilità di qualcosa non fosse tanto facile. Quello che stava per fare, anzi, che aveva progettato da sedici anni, pur fra mille ripensamenti, avrebbe potuto avere un impatto senza precedenti sul genere umano. Contemplò la montagna di stracci e teli malamente cuciti insieme che gli stava davanti. Non era proprio una montagna, quanto piuttosto un qualche tipo di rozzo camuffamento: tutta quella roba era stata messa insieme solo per coprire quello che si trovava sotto di essa. Era fondamentale che non venisse scoperto prima de tempo: ne aveva parlato con Asuka ed era stato uno dei pochi punti sui quali si erano trovati d’accordo. Aprì le braccia, stiracchiandosi e lasciando che il vento della sera lo accarezzasse, mentre il suo sguardo indugiava ancora sulla cosa coperta dal telone rattoppato. Ogni volta che vedeva quell’affare, non poteva fare a meno di provare disgusto per se stesso, per quanto simile a suo padre fosse diventato. Aveva condizionato la vita di altre persone perché le loro azioni rientrassero nel suo progetto e questo, lo sapeva benissimo, non se lo sarebbe mai perdonato. Quando questi pensieri gli si affollavano nella mente, Shinji cercava di ripetersi in continuazione che l’aveva fatto per il bene comune, affinché la razza umana potesse ancora avere un futuro. E si costringeva a ricordare che le persone con cui aveva avuto a che fare avevano avuto una scelta e avevano saputo tutto fin da subito. Almeno, quasi tutte. Eppure, questo lo faceva sentire anche peggio. Perché, da quando tutta quella storia era cominciata, lui aveva iniziato a chiedersi quali fossero state le motivazioni che avevano spinto suo padre ad abbandonarlo e poi a sfruttarlo come aveva fatto. Quello che aveva ancora sotto gli occhi era il Third Impact, la catastrofe che aveva rischiato di annientare l’umanità, ma non aveva mai capito esattamente cosa fosse successo allora. Non era sicuro che fosse dipesa in qualche modo da suo padre, sebbene il coinvolgimento di Ayanami lo lasciasse supporre.

Sapeva solo che, dopo quelle poche ore, la faccia della terra era cambiata irreversibilmente. Quando il mare di LCL si era ritirato, era sembrato che il mondo fosse stato devastato da una guerra globale: tutte le costruzioni dell’uomo erano finite in rovina e la vegetazione sembrava avere invaso le strade e i palazzi nel giro di un attimo. Di fatto, per più di due anni, Shinji aveva creduto che lui e Asuka fossero gli unici sopravvissuti, ammesso che questa parola avesse un senso in un contesto simile. Ricordava quello che gli aveva detto Ayanami: se gli esseri umani fossero voluti tornare dal mare di LCL, avrebbero potuto farlo. Ma, sul momento, era sembrato che nessuno avesse voluto afferrare quell’occasione. Poi, una notte, avevano incontrato delle altre persone, riunite attorno a un fuoco acceso nei pressi di un palazzo diroccato. Raccontavano strane storie riguardo gli Eva e le loro battaglie, bizzarre favolette secondo cui gli Angeli sarebbero stati mostri meccanici costruiti da un pazzo che voleva conquistare il mondo. Né lui né Asuka avevano mai trovato particolarmente divertenti quelle storie. Anche perché, poco dopo, era successo ciò che aveva spalancato le porte dell’inferno.

E, fondamentalmente, era tutto collegato a quella cosa che c’era sotto il telone. Negli ultimi sedici anni, Shinji e Asuka si erano sempre preoccupati di nasconderla a dovere, spostandola spesso, facendola mettere sott’acqua od occultandola tra ripide scogliere rocciose, come quelle tra le quali si trovava ora, che sembravano volersi chiudere su di essa come le fauci della Terra, adirata per ciò che gli esseri umani le avevano fatto. Quando vide Asuka che veniva verso di lui camminando sulla spiaggia, Shinji capì che era arrivato il momento. "È tutto pronto" disse la donna dai capelli rossi "Pare che lui non sia da queste parti. Se è pronto – indicò il telone con un cenno del capo – possiamo partire". Shinji sospirò: "Sei sicura che non ci sia? L’ultima volta mi avevi detto la stessa cosa e poi ci ha quasi scoperti". Asuka aggrottò la fronte contrariata. I riflessi della luce lunare danzavano sul suo viso come spettri impazziti, come se tutti i fantasmi celati dentro il cuore di lei le fossero usciti sul volto all’improvviso, illuminando l’occhio destro, blu e profondo, e l’occhio sinistro, vitreo e spento, un macabro ricordo del combattimento contro gli Eva bianchi. "Ma sei stupido? È ovvio che ne sono sicura! Dove credi che possa nascondersi? L’unico modo che avrebbe per avvicinarsi passando inosservato sarebbe quello di muoversi sott’acqua!". Quasi in risposta alle sue parole, il mare sembrò impazzire all’improvviso. Un’enorme ondata si sollevò furiosa, riversando alghe, pesci e acqua salmastra sulla spiaggia, ricoprendo Shinji e Asuka e inzuppandoli come pulcini. Prima di cadere a terra, abbattuti dalla grande massa d’acqua che si era schiantata loro addosso, Ebbero solo il tempo di vedere un’enorme sagoma schizzare fuori dal mare e volare sopra le loro teste. Asuka fu la prima a rialzarsi, mentre Shinji, ancora seduto a terra, tossiva violentemente e cercava di estrarsi una lunga alga filamentosa dalla bocca. La donna guardò istintivamente in alto, seguendo quasi senza volerlo la traiettoria del salto di quell’enorme oggetto che era uscito dal mare. In cima alla scogliera c’era la materializzazione delle sue paure. O almeno di una parte di esse.

L’enorme creatura umanoide dal muso allungato si stagliava contro la luna piena. La corazza immacolata, i denti che sporgevano dalle fauci sproporzionate, la copia della Lancia di Longinus che stringeva in pugno. Alla fine era successo, considerò Asuka, mentre Shinji si rialzava a fatica. Erano stati scoperti. Con un movimento quasi animalesco, il titano balzò giù dalla scogliera, atterrando direttamente di fronte ai due e facendoli nuovamente cadere a terra, quando il terreno tremò per l’impatto con il suo peso. Imponente e minaccioso, il muso di quella che un tempo era stata chiamata "unità Evangelion 07" si chinò verso Shinji e Asuka.

Shinji deglutì, quando il labbro superiore della creatura si piegò verso di lui. E, sapendo cosa si trovava di fronte, non fu sorpreso più di tanto quando, poco sopra il labbro stesso, la carne mortalmente bianca dell’Eva si deformò, all’apparenza quasi sciogliendosi, per poi ricomporsi nella forma di un volto umano, che sembrava crescere direttamente sul muso dell’umanoide. E fu ancora meno sorpreso quando il volto parlò: aveva una vaga idea di quello che stava per dire. "Mi ha detto un uccellino che qui sta succedendo qualcosa che dovrebbe interessarmi" disse la faccia di uomo che spuntava dall’Eva "Posso sapere perché non sono stato informato?". Shinji sospirò. Ormai era finita. Non avrebbe più potuto nascondere ciò che aveva nascosto per tanto tempo. Non poteva fare altro che accelerare i tempi, anche se temeva che questo avrebbe dato il colpo di grazia al progetto. Prima che potesse rispondere, però, Asuka si intromise: "Diciamo che volevamo farti una sorpresa" disse sogghignando. Il volto umano sorrise a propria volta: "E ci siete riusciti, senza alcun dubbio. Non pensavo ne esistessero degli altri, a parte il mio e quelli degenerati". Poi, indicando il telone con le punte della lancia: "È là sotto, vero?". "Perché non vai a controllare?" replicò provocatoria la donna. "È esattamente quello che farò" rispose la faccia umana, mentre l’Eva bianco si rialzava in piedi.

"Ma che diavolo ti è saltato in mente?" domandò Shinji visibilmente seccato. "Che altro avrei potuto fare?" ribatté Asuka incupendosi "A questo punto, possiamo solo sperare che lui sia in grado di sconfiggere lo 07. Anche se, onestamente, ne dubito".

L’Eva 07 si avvicinò circospetto all’enorme telone, che gli arrivava più o meno all’altezza della vita. A giudicare dalle dimensioni, lì sotto poteva esserci proprio quello che lui si aspettava ci fosse. Accovacciato, ovviamente. Allungò la lancia verso il tessuto rattoppato, punzecchiandolo ripetutamente. Nessuna reazione. Già, d’altra parte, che reazione avrebbe dovuto avere? Come si sarebbe potuto muovere? Era impossibile che potesse reagire. Poi accadde. La gola dello 07 fu stretta in un attimo in una morsa d’acciaio; una mano nera era uscita dal telone, ancora calato sulla sagoma della cosa che stava nascondendo, e lo aveva afferrato al collo con una velocità sovrumana. Un attimo dopo, la sagoma avviluppata si avvicinò ulteriormente e, di nuovo, dal telone emerse una mano. Stavolta chiusa a pugno. Un uppercut di potenza devastante centrò lo 07 in pieno mento, sollevandolo dal suolo e mandandolo ad abbattersi pesantemente contro la scogliera. Istintivamente, l’Eva bianco si rialzò di scatto, i detriti che gli piovevano ancora attorno al corpo, e scagliò la lancia con tutte le proprie forze. L’arma si conficcò saldamente nella sabbia, proprio laddove un attimo prima si era trovata la creatura avvolta dal telone. Lo 07 alzò il capo, quasi che il suo muso senza occhi potesse seguire il salto compiuto dal suo avversario, quel balzo che lo aveva portato in alto, in aria, a stagliarsi contro la luna piena, mentre quello che ormai sembrava più un mantello che una copertura gli sventolava attorno. La creatura atterrò proprio in cima alla scogliera contro la quale l’Evangelion si era schiantato. Rapidissimo, lo 07 corse verso la sua falsa Lancia di Longinus e la raccolse; quando spostò lo sguardo sul suo nemico, la luce lunare illuminò una sagoma grossa quanto la sua. Ora erano visibili anche le gambe; laddove si sarebbe dovuta trovare la testa, due luci scarlatte ardevano feroci. L’essere ammantato afferrò il telone con una mano, togliendoselo di dosso con un gesto sprezzante. La sua sagoma nera era ormai chiaramente visibile: le due lunghe strutture schiacciate che si alzavano dalle spalle, le braccia magre, il capo basso e dal mento sproporzionatamente lungo. La corazza rossa sulla sua faccia, immediatamente sotto due occhi anch’essi rossi, si era spaccata all’altezza della bocca, rivelando una fila di denti perlacei, tra i quali, come un’orrida lumaca, scivolava una lingua rosata; chi aveva costruito quella maschera doveva essersi accertato che sembrasse inquietante: la curvatura dell’apertura in corrispondenza delle fauci dava l’impressione di un sogghigno sadico. E, se il suo punto di vista fosse stato diverso, l’Eva bianco avrebbe anche potuto vedere l’inequivocabile scritta che campeggiava sulla spalla sinistra del suo nuovo nemico: EVA – 04.

Di nuovo, un volto umano comparve sul muso dello 07. "Lo sapevo!" esclamò "Un altro Eva! Ma da dove diavolo salta fuori? Pensavo esistessero solo il mio e quelli degenerati! Ma non posso certo permettere che mi ostacoli!". Di nuovo, lo 07 fu sul punto di scagliare la propria lancia, ma stavolta non fece in tempo: il piede dello 04 gli atterrò proprio in mezzo alla testa, aprendola letteralmente in due. L’Eva nero toccò il suolo un attimo dopo, mentre quello bianco, una fontana di sangue che gli zampillava dal cranio, cadeva a terra con un tonfo.

 

"Chi sono io?"

"Sei il giudice di questo mondo"

"Cos’è un giudice?"

"È colui che decide chi è colpevole e chi è innocente"

"Come lo decido?"

"Lascia fare a me"

"Ma io sono te"

"Sì. Quindi sarai tu a decidere"

"Cosa devo fare con gli innocenti?"

"Niente di particolare"

"E con i colpevoli?"
"Uccidili"

 

Shinji lanciò ad Asuka un’occhiata sospettosa: "Spero che tu gli abbia detto che gli Eva bianchi possono rigenerare in un attimo una ferita del genere". La donna sbuffò contrariata: "Come me ne sarei potuta dimenticare? Hai scordato che l’ho provato sulla mia pelle?"

"E lui cosa ti ha risposto?"

"Che lo 07 non si sarebbe potuto rigenerare se l’avesse fatto a pezzi abbastanza piccoli"

"Tipico da parte sua! – Shinji guardò di nuovo Asuka di traverso – Chissà perché, non mi sorprende"

"Cosa vorresti dire?"

"Niente, figurati…"

 

Lentamente, aiutandosi con la lancia, lo 07 si rialzò, mentre i due pezzi in cui la sua testa era stata divisa si riunivano, le carni e le ossa che si fondevano fra di loro con un gorgoglìo raccapricciante. Quando fu in piedi, lui e l’altro Evangelion si fronteggiarono. Per un lunghissimo istante, nessuno dei due si mosse. Il gigante bianco e il gigante nero, due esseri creati per degli scopi precisi, che ora si trovavano a combattere uno contro l’altro. La lingua dello 04 continuava a guizzare minacciosa tra i denti, mentre dalla gola del titano veniva un sibilo inquietante, come una pentola a pressione, come un gatto pronto ad attaccare. Decisamente un verso molto differente dai ruggiti rantolanti che, quando ancora era stato sulla Terra, aveva lanciato lo 01. Fu lo 07 a prendere l’iniziativa: alzando la lancia, si gettò contro il nemico con un grido lacerante, l’arma che tracciava una parabola mortale nell’aria. L’Eva nero schivò spostandosi di un passo sulla destra e di nuovo le due punte dell’imitazione della Lancia di Longinus si conficcarono a terra; un attimo dopo, lo 04 colpiva lo 07 con un calcio al petto, mandandolo nuovamente a cadere nella sabbia.

Di nuovo, lo 07 si rimise in piedi, di nuovo brandendo la lancia. Con un grido ancor più spaventoso del precedente, riprovò lo stesso, sterile, inutile attacco che già prima aveva fallito. Ma stavolta l’Evangelion ghignante non si spostò. Laddove la lancia era calata, a pochi metri dal petto dell’Eva, una barriera luminosa esagonale aveva bloccato il colpo.

 

"Maledizione!" sibilò Asuka "L’AT field non può reggere a lungo contro quell’arma! E glielo avevo anche detto! Che diavolo sta cercando di fare?"

 

Improvvisamente, la lancia cambiò forma. Le due punte sembrarono fondersi in una, deformando in una sorta di spirale l’intera struttura dell’arma. L’AT field cedette all’istante e la copia della Lancia di Longinus riprese la sua folle corsa verso la piastra pettorale del suo bersaglio. Quando l’arma colpì l’umanoide, schegge di metallo brunito volarono nell’aria. Quello che rimaneva della lancia si sbriciolò tra le mani dello 07. L’armatura dello 04 aveva riportato solo qualche graffio. Per la prima volta in diciassette anni, il pilota dell’Eva bianco stava provando paura. Con un Evangelion in suo potere appariva imponente, terribile e minaccioso. Ora la creatura oscura che gli stava davanti gli appariva imponente, terribile e minacciosa. Con flemma calcolata, l’Eva nero mosse qualche passo verso il suo avversario. Nonostante fossero più o meno delle stesse dimensioni, lo 04, in quel preciso momento, sembrava molto più grosso. Senza sforzo apparente, l’Eva ghignante sollevò l’avversario, fino ad alzarlo sopra la testa; un attimo dopo, lo scaraventò contro la stessa scogliera addosso alla quale lo aveva buttato prima, scatenando un altro polverone di pietre e detriti.

 

"Come è potuto succedere?" mormorò Shinji attonito. "La lancia ha trapassato l’AT field, ma si è frantumata contro l’armatura? Eppure, lo 04 non dovrebbe essere più forte degli Eva che pilotavamo noi!". Asuka scosse il capo: "Non hai notato niente di strano? La lancia non si è rotta per l’impatto con la corazza dello 04. Anzi, era già in pezzi quando l’ha colpita". L’uomo voltò il capo verso di lei. "Ha usato l’AT field" continuò la rossa senza staccare gli occhi dal combattimento "Evidentemente, ricordava quello che gli aveva detto. Ha aperto l’AT field appena la lancia ha cambiato forma e poi glielo ha richiuso addosso mano a mano che passava. Ha capito che l’AT field sarebbe stato inutile come protezione e l’ha usato in un altro modo. Ci ha praticamente strangolato la lancia. Mi chiedo che altro possa fare…"

 

Lo 07 si rialzò di nuovo. Era la prima volta che il suo pilota si sentiva così infuriato. Un’ira talmente pura e completa che quasi lo accecava. Quando riportò lo sguardo sul nemico, vide lo 04 che gli puntava contro la mano sinistra. Le dita erano piegate sul palmo, a eccezione de pollice, nascosto dietro l’indice. Poi, il pollice scattò in avanti velocissimo. Ci fu un sibilo e poi… Sull’immacolata corazza dell’Eva bianco si aprì un foro. Il titano nero ripeté l’operazione. E si ripeté anche il risultato: un altro buco sull’armatura bianca. E un altro. E un altro. E un altro ancora. Adesso lo 04 stava ripetendo in continuazione lo stesso gesto con entrambe le mani e lo 07 tremolava convulsamente, come se una mitragliatrice lo stesse crivellando di colpi. Alla fine, la sua sagoma barcollante e sanguinante non sembrava più così minacciosa.

 

"Non ci credo…" Shinji era a bocca aperta. Si era aspettato il peggio, di era aspettato di vedere lo 04 schiacciato… Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere. "Be’, non ci sta mostrando niente di nuovo" rispose Asuka, ostentando calma, sperando che il sudore freddo che le imperlava la fronte potesse passare inosservato. "Ha semplicemente tirato il suo AT-field contro il nemico… Certo che non avevo mai visto nessuno farlo in quel modo". "Lo so," annuì lui "ma come ha fatto? Chi gli insegnato questa tecnica?". "Suppongo nessuno" replicò la donna. "Deve averlo imparato da solo, più o meno come ho fatto io". Shinji sospirò: "Sai, da quando tutta questa storia è cominciata, mi sono chiesto molte volte se avessimo fatto bene a fare quello che abbiamo fatto… Mi sono sempre consolato pensando che fosse per il bene dell’umanità, ma adesso… Insomma, questa faccenda è stata strana fin dall’inizio: intanto, è inaudito che riesca a pilotare senza LCL nell’entry plug; poi, l’alimentazione dello 04 che ha quell’effetto collaterale; adesso questa capacità di manovrare l’AT field e di muoversi in quel modo senza aver ricevuto il minimo addestramento… Comincio a temere che quello che abbiamo fatto ci si possa rivolgere contro…"

"Ricordati che è stata un’idea tua" ringhiò Asuka. Adesso sembrava sul punto di esplodere. "Se mi hai convinta a fare quella cosa, è stato proprio perché speravi in questo, no?"

"Sì, ma… Era un’idea campata per aria… Non credevo che sarebbe arrivato a questo punto. Diavolo, non sapevo nemmeno cosa fosse esattamente un Eva! Non conoscevo esattamente i requisiti necessari per pilotarlo, la mia è stata una decisione disperata!"

"Lo so. E io non sono sicura di aver fatto bene a darti corda".

A queste parole, Shinji capì la gravità della situazione. Ammettere la propria insicurezza riguardo a qualcosa non era un comportamento che Asuka tenesse normalmente.

 

Lo 04 portò indietro il braccio destro, chiudendo la mano in un pugno. Poi, con un rapido movimento, lo slanciò in avanti verso il corpo immobile dello 07. Quando l’AT-field del mostro nero colpì il gigante bianco, sembrò che questi fosse stato investito da un’ondata di una violenza devastante. La corazza si frantumò in più punti, le ossa si spezzarono, la carne si ridusse in una poltiglia sanguinolenta. L’Eva immacolato, che ormai immacolato non era più, tanto lordo di sangue era il suo corpo, si accasciò di nuovo al suolo. Volgendogli le spalle, lo 04 si incamminò verso il punto della spiaggia dove, poco prima, era stato accovacciato, coperto dal telone. Si chinò e sollevò un oggetto che era stato posato lì, di fianco a lui. Una lunga asta metallica con una lama in cima.

 

"Cos’è questo?"

"Si chiama sonic glaive"

"È una parte del mio corpo?"

"No, ma comportati come se lo fosse"

"Cosa ci devo fare?"

"Lascia che lo faccia io"

"Ma io sono te"

"Appunto. Quindi sai già cosa farci"

 

Lo 07 si rialzò lentamente. Il processo di rigenerazione era rallentato paurosamente; forse quei colpi avevano danneggiato in qualche modo la fonte di energia dell’Eva. Ma il pilota non ebbe tempo di fare altre congetture: qualcosa centrò lo 07 in pieno addome, spingendolo indietro di qualche metro. La sonic glaive gli si era infilata in corpo, trapassandolo da parte a parte e inchiodandolo alla scogliera. Vide lo 04 chinarsi di nuovo. Quando si rialzò, aveva in mano una sorta di accetta e si avvicinava minacciosamente.

 

Asuka guardò inorridita, mentre l’Eva nero afferrava un braccio dello 07, lo fermava contro la scogliera e lo troncava di netto con un colpo d’ascia. Litri di sangue scuro sprizzarono dal troncone, inondando la sabbia della spiaggia e riversandosi in mare come un macabro fiume. Le tornarono alla mente quelle parole e il loro significato la colpì in tutta la sua violenza: "Non si potrà rigenerare se lo farò a pezzi a abbastanza piccoli!". Quel pazzo voleva farlo davvero. Le grida dello 07, o dell’uomo che lo pilotava, riempirono il cielo notturno. La macellazione sarebbe durata fino all’alba.

 

Episode 30: Children of the Emperor

 

ANNO 992M41

Secondo i frammentari documenti che si erano salvati dal tempo in cui l’Imperatore camminava tra gli uomini, gli Emperor’s Children erano stati la terza Legione di Space Marine a essere fondata, immediatamente dopo i Dark Angel e una misteriosa Legione di cui non si ricordava il nome. Il loro Primarca, Fulgrim, era cresciuto sul desolato e feroce pianeta chiamato Chemos, dove, a causa delle scarse risorse naturali, l’efficienza veniva ritenuta la qualità più importante. Una volta messo a capo della Legione nata dal suo modello genetico, Fulgrim la plasmò a immagine e somiglianza delle genti di Chemos: gli Emperor’s Children cercavano la perfezione, qualsiasi cosa facessero, e vedevano l’Imperatore come modello di essa. Poi, accadde qualcosa. In maniera non meglio specificata, il Primarca si lasciò corrompere da Horus e la Legione cambiò per sempre. Gli Emperor’s Children divennero deviati e selvaggi seguaci di Slaanesh, dediti a soddisfare edonismo e piaceri corporali, ansiosi di provare nuove esperienze, pronti a trarre godimento anche dalle mutilazioni, persino dalla morte. Qualcuno sosteneva che gli Emperor’s Children fossero i Marine del Caos più insidiosi. Più dei selvaggi Worldeater, che annientavano il nemico con il ferro e con il fuoco, innalzando inni di lode al Dio del Sangue Khorne; più dei feroci Night Lord, che attaccavano colpendo come un martello sull’incudine, lasciandosi dietro i macabri trofei del loro operato in forma di cadaveri squartati e deturpati nei modi più atroci; più degli incrollabili Iron Warrior, invincibili nella guerra di trincea e implacabili negli assedi; più dei mistici Thousand Son, maestri nelle discipline psichiche, versati nella sapienza arcana del Dio degli Stregoni Tzeentch; più dall’efficiente Alpha Legion, che colpiva velocemente, senza lasciare all’avversario nemmeno il tempo di rendersi conto di chi fosse il nemico; più della virulenta Death Guard, che diffondeva le malattie del Dio delle Pestilenze Nurgle e spezzava l’opponente prima ancora di affrontarlo apertamente; più dei fanatici Word Bearer, sostenuti dalle loro inattaccabile devozione nelle Potenze del Caos; più della leggendaria Nera Legione, con le sue schiere di eroi posseduti dai demoni. Gli Emperor’s Children erano diversi. In quanto seguaci di Slaanesh, le seduzioni del loro Dio avevano sulle masse innumerevoli dell’umanità una presa ancor più forte di quelle delle altre Oscure Potenze. Molto spesso, prima che la forza d’assalto degli Emperor’s Children arrivasse su di un pianeta, vi sorgevano culti dedicati al Principe del Piacere, che si insinuavano inevitabilmente tra le pieghe della società. E così, quando i moduli sa sbarco dei Marine del Caos attaccavano, invariabilmente qualcuno dimenticava di controllare i sistemi di rilevamento orbitale. Qualcuno non riusciva ad avvertire in tempo le forze della Guardia Imperiale. Qualcuno inviava in ritardo le richieste d’aiuto extraplanetarie. Spesso, quando gli aiuti arrivavano, gli Emperor’s Children avevano già finito: quello che si lasciavano dietro era inevitabilmente un mondo di folli dementi, le menti deviate dal piacere, che cercavano bramosi esperienze che potessero procurare loro sempre più soddisfazione. Nel migliore dei casi. Nel peggiore, il pianeta invaso veniva abitato da demoni e abomini, mentre la progenie del Caos vagava per le terre senza meta e senza mente.

La Guardia Imperiale di Novet si trovava a combattere contro un nemico palesemente superiore. Avvolti nelle loro Power armour nere, ornate con decorazioni rosa shocking, verde chiaro, azzurro ghiaccio e di altri colori contrastanti, gli Emperor’s Children avanzavano inesorabilmente verso le linee nemiche, mentre i soldati dell’esercito scaricavano loro addosso senza successo intere raffiche dei loro lasgun, i fucili laser d’ordinanza. La risposta arrivava sotto forma di ruggenti proiettili sparati dai bolter, i letali fucili tipici degli Space Marine, che vomitavano quelli che erano praticamente dei missili in miniatura.

Era ormai da parecchi giorni che la situazione si trascinava in uno stallo snervante, uno stallo che il colonnello Brian May, al comando della Guardia Imperiale di Novet, aveva voluto. Dopo aver subito l’iniziale assalto degli Emperor’s Children, che erano riusciti ad annientare buona parte dei mezzi di supporto corazzati nel giro di due giorni e due notti di battaglia, i soldati imperiali avevano finalmente stabilito una linea difensiva nel deserto, a pochi chilometri dalla capitale. In questa situazione, una guerra di trincea era improponibile: le tempeste di sabbia riempivano qualsiasi buca scavata nel terreno e davano ai Marine del Caos un netto vantaggio: con le loro capacità sovrumane e le loro armature a tenuta stagna, sembravano poco impediti dall’ambiente circostante, che pure gli uomini della Guardia erano stati addestrati a sfruttare a proprio profitto. I sistemi di filtro e depurazione dell’aria nelle antiche Power armour dei caotici sembravano funzionare fin troppo bene in queste circostanze, mentre parevano essere più un fastidio che altro per qualsiasi decisione i difensori di Novet prendessero. Le piattaforme d’artiglieria si inceppavano frequentemente a causa della sabbia e anche i carri armati faticavano a procedere in un ambiente tanto inospitale. Poi, era arrivata la buona notizia: il colonnello May aveva ricevuto una risposta al segnale d’aiuto che aveva spedito per richiedere assistenza alle altre forze imperiali. Una flotta di Space Marine stava per arrivare e il morale degli uomini si era alzato improvvisamente: in tutto l’Imperium abbondavano storie di come manipoli di Space Marine fossero riusciti da soli a ribaltare le sorti di battaglie già perse. I soldati, rincuorati, avevano tenuto duro, avevano ripulito i cannoni dalla sabbia e avevano ripreso a sparare con rinnovato vigore. Brian May aveva assistito a questo cambiamento con malcelato pessimismo. La voglia di buone notizie dei soldati stava impedendo loro di vedere due falle fondamentali nella convinzione che i Marine che stavano aspettando avrebbero potuto vincere la battaglia per loro. La prima era che gli Space Marine non erano invincibili e circolavano parecchie storie riguardo le loro sconfitte, anche se le autorità militari tendevano a minimizzare (questo May lo sapeva: non era nativo di Novet e aveva combattuto al fianco dell’Adeptus Astartes in altre occasioni, su altri pianeti); la seconda era che anche i nemici erano Marine.

Mentre entrava nella sua tenda privata dopo quasi tre giorni ininterrotti di permanenza in prima linea, May, un uomo sulla quarantina dal capo rasato e dalla barba incolta, si batté le mani sulla mantellina grigio terra che portava sopra la sua armatura, un pettorale metallico mezzo arrugginito, facendo cadere a terra una discreta quantità di sabbia. Tirò un sospiro di sollievo e si sdraiò comodamente sulla poltrona sistemata dietro la sua scrivania personale. Ancora con gli occhi chiusi, allungò la mano destra, nella speranza di estrarre una bottiglia di birra dalle casse dei rifornimenti ammassate vicino al suo posto di comando. Ma non fece in tempo ad afferrare l’oggetto del suo desiderio: una voce interruppe i suoi propositi di riposo. "Mi scusi signore". May aprì gli occhi e balzò in piedi. Davanti a lui, anch’egli avvolto nella mantellina tipica della Guardia Imperiale di Novet, c’era un giovane soldato. Il colonnello faticava a ricordare i nomi di tutti i suoi sottoposti: era entrato nella guardia da quasi vent’anni, aveva conosciuto moltissimi commilitoni (la maggior parte dei quali era morta in nome dell’Imperatore) e aveva deciso che tenere a mente il nome di un individuo che non era sicuro di rivedere il giorno dopo fosse uno spreco inutile di memoria. "Cosa succede?" domandò al soldato. Questi, un ragazzo sui vent’anni, si portò la mano alla fronte in un cerimonioso saluto militare (May sospirò rassegnato a quella vista) e cominciò a parlare: "È appena arrivata la replica del governo planetario alla nostra richiesta di ulteriori rifornimenti. Dicono che stiamo già consumando buona parte delle risorse alimentari e idriche del nostro pianeta, che non è molto prodigo in tal senso. E il governo dice di dover garantire ai civili di poter mangiare"

May sbuffò: "Tutto questo non ha senso. L’ho sempre detto che i religiosi non si curano minimamente della realtà, sono troppo impegnati a pensare alle esigenze spirituali dei loro fedeli per prendersi cura anche di quelle materiali"

"Mi scusi?"

"Intendo dire che, se noi non riusciamo a respingere i nemici, non importerà molto che i civili mangino o meno, tanto moriranno tutti. Sono stato in situazioni simili in altre circostanze, ma i governi dei pianeti su cui ho combattuto non si sono mai sognati di uscirsene con una risposta tanto assurda". May si lasciò ricadere sulla poltrona.

"Sì, però…"

"Però un cazzo. La verità è che all’Ecclesiarchia importa solo di salvare la facciata: se non ci fossero più civili a seguire il Culto Imperiale, che potere credi avrebbe?". Al colonnello non era mai piaciuto il fatto che Novet fosse comandato dall’Adeptus Ministorum: aveva visto la morte in faccia troppe volte per credere a tutte quelle stronzate sulla benevolenza dell’Imperatore e sul riconoscimento dell’eroismo di chi moriva per lui. Aveva visto troppi eroi di questo tipo: li si seppelliva con tante belle parole, magari con un funerale solenne e cinque minuti dopo ci si era già dimenticati di loro. Anzi, anche durante la cerimonia, non era difficile vedere gente che guardava in continuazione l’orologio, in una muta supplica per una fine immediata di quella colossale rottura di coglioni. May riportò lo sguardo sul suo subalterno: "Se è tutto, adesso puoi andartene fuori dalle palle. Ho bisogno di dormire per qualche ora, quindi vedi di non disturbarmi per un po’, va bene?"

Il soldato sembrò a disagio: "Veramente, signore, non è tutto"

L’ufficiale alzò gli occhi al cielo: "Che altro c’è?".

Il giovane non fece in tempo a rispondere: scostando il lembo della tenda che copriva l’entrata con l’artiglio che spuntava dal braccio sinistro della sua Power armour, un uomo calvo e dall’aria minacciosa, accompagnato da due ragazze anch’esse in armatura si fece strada fino alla scrivania di May. Il nuovo arrivato si presentò con un sogghigno: "Otto Zdansky, Ordo Malleus". Il colonnello fu sul punto di sobbalzare di nuovo. Otto Zdansky! Benché gli Inquisitori tenessero solitamente segrete le proprie identità, alcuni di loro avevano combattuto più volte al fianco delle altre forze imperiali e si erano conquistati una fama che si era diffusa per tutta la Galassia. Otto Zdansky doveva la propria notorietà essenzialmente ai fatti bizzarri che si diceva si svolgessero attorno a lui. Girava voce che, in due differenti occasioni, interi reggimenti della Guardia Imperiale con cui lui aveva collaborato fossero spariti dalla circolazione senza lasciar traccia. Come svaniti nell’aria. Un giorno c’erano, il giorno dopo non c’erano più. E le autorità militari non ne sapevano niente. In un altro caso di cui si parlava, Zdansky aveva combattuto al fianco di un contingente di Space Marine proveniente dal Capitolo Doom Eagle; nessuno dei Marine coinvolti nella missione ricordava di avervi partecipato. Il nome di Zdansky si portava dietro un che di misterioso e inquietante. Se combattevi con lui, eri sicuro di agire per il bene dell’umanità. Se combattevi con lui, non eri sicuro di poter vivere per raccontarlo. May cercò di nascondere la propria agitazione. Non dovette riuscirci, perché l’Inquisitore gli rivolse un sorrisetto d’intesa che non lasciava molti dubbi in merito. L’ufficiale maledisse se stesso: quello era un Inquisitore dell’Ordo Malleus. Doveva essere uno psyker. Forse gli stava leggendo il pensiero in quello stesso momento! "Non mi sembra il caso di essere tanto preoccupati" borbottò Zdansky, quasi a confermare i sospetti del soldato. May cercò di sembrare il più composto possibile: "Cosa posso fare per lei, Inquisitore?". L’uomo in Power armour sorrise amabilmente: "Niente di particolarmente impegnativo. Avrei semplicemente necessità di usare alcuni dei suoi mezzi per recuperare un oggetto da trasportare alla mia astronave. Si tratta di una missione per il bene dell’umanità"

"Mezzi? Come saprà, qui stiamo conducendo una campagna militare e, tra l’altro, non abbiamo molte risorse. Non saprei se sono in grado di venire incontro alle sue esigenze"

"Sono sicuro di sì". Zdansky alzò l’artiglio, che iniziò a crepitare minacciosamente, mentre le scariche bluastre del campo di forza che lo circondava disegnavano capricciose linee spezzate nell’aria.

"Be’, cosa le serve, esattamente?"

"Cosa ha a disposizione?"

May impiegò quasi due minuti a rispondere. Doveva valutare bene le parole. Se davvero l’Inquisitore gli stava leggendo nel pensiero, mentire sarebbe stato inutile. Però, le risorse erano scarse davvero e togliere dei carri armati dal fronte avrebbe significato pregiudicare seriamente la situazione, già precaria di per sé. Alla fine, decise.

 

Logan aveva passato buona parte del pomeriggio a imprecare contro il vento del deserto. Non solo per le difficoltà che la sabbia, che infuriava attorno alla piccola jeep che Bile gli aveva fornito, procurava dal punto di vista del movimento del mezzo, ma anche per ragioni ben più frivole. La sabbia gli sporcava il soprabito, fatto questo che lo irritava più di qualsiasi altra cosa. Seduto al suo fianco, Skaim – Zaim aveva sopportato in silenzio la sfilza di volgarità che era uscita dalla bocca del ragazzo, cercando di riposarsi, ma fallendo nel suo intento proprio a causa del vento e della sabbia. L’unico che sembrava completamente privo di preoccupazioni in merito a quanto stava accadendo sembrava essere Gutzmaak. Comodamente sdraiato sul retro della jeep, l’Orketto sembrava intento a sonnecchiare, aggrappato alla sua ascia come un bambino avrebbe stretto a sé un pupazzo di pezza. Lanciandogli un’occhiata invidiosa, Skaim – Zaim riportò l’attenzione sul percorso. "Sei sicuro che questa sia la direzione giusta?" domandò. "Fai un po’ tu…" replicò Logan acidamente, mentre, al posto di guida, cercava di girare un volante che sembrava ormai quasi completamente bloccato. "Siamo nel mezzo di una tempesta di sabbia in un deserto, da qualsiasi parte ci giriamo il paesaggio è identico, non ci sono indicazioni o punti di riferimento di alcun tipo…. Secondo te, siamo sulla strada giusta?". L’Eldar sospirò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia: "E allora, mi spieghi perché stiamo andando in questa direzione?".

"Mi sto basando sulla bussola della jeep, ammesso che funzioni. E comunque, la ricompensa vale bene qualche rischio"

"La ricompensa!" Skaim – Zaim alzò gli occhi al cielo seccato "Bile ti ha promesso solo soldi! Neanche fosse chissà che gran premio!"

"Solo soldi?" Logan sogghignò diabolicamente, lanciando al compagno un’occhiata d’intesa "Pensi che non riuscirò a ottenere nient’altro?"

"Ah, ho capito. Ti riferisci a quando hai detto a Bile ‘Io ti faccio questo lavoretto se mi lasci dare una botta alla tipa’, no? Eppure, mi sembra che lui non fosse d’accordo"

"Dettagli. Quella ragazza… ehm, come si chiama? Erin? Be’, dicevo, quella ragazza è già follemente innamorata di me. Quale donna non lo sarebbe?"

"Non è la prima volta che ti sento uscirtene con queste tue menate da maschilista, ma sembrano diventare sempre più irritanti a ogni…". Skaim – Zaim si bloccò di colpo. Gutzmaak sembrò svegliarsi di soprassalto. Logan frenò all’improvviso. Nessuno aveva bisogno di spiegazioni. Tutti e tre sapevano perché Skaim – Zaim si fosse bloccato, perché Gutzmaak si fosse svegliato e perché Logan avesse frenato. Improvvisamente, un’aura estranea era diventata chiaramente percepibile. "Un demone…." Mormorò Logan. Non era chiaro se quella fosse una domanda o un’affermazione. "Parrebbe di sì" rispose Skaim –Zaim. "Ke figata!" aggiunse Gutzmaak. Tutti e tre avevano già avuto modo di affrontare dei demoni: su di un pianeta chiamato MW11, si erano trovati costretti a combattere delle creature del Warp al servizio di Slaanesh, tra cui persino un Demone Maggiore, una delle bestie diaboliche più potenti tra quelle nate dalla mente caotica del Principe del Piacere. "Non è come un demone di Slaanesh" precisò l’Eldar "sembrerebbe essere di un altro tipo, ma non saprei dire quale". "Già" disse Logan senza convinzione "Vuoi vedere che è proprio questo demone la creatura dalla quale dobbiamo prelevare un pezzo? Bile ha detto che era inerte, ma indubbiamente è vivo. Dobbiamo avvicinarci con cautela…". Prima ancora che il ragazzo potesse terminare la frase, Gutzmaak era già balzato giù dalla jeep e, roteando l’ascia, si stava dirigendo di corsa verso il punto in cui pareva esserci la fonte di quell’aura bizzarra.

 

Prossimamente: Zdansky comincia le operazioni di recupero, ma, a sua insaputa, ha molti concorrenti. La missione di Logan, Gutzmaak e Skaim – Zaim incontra i primi imprevisti e c’è anche qualcuno che ha qualcosa da nascondere…

31: Il demone sotto le acque/Maths

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Capitolo 6
*** Episodio 31: Il demone sotto le acque/Maths ***


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‘Il demoniaco ti porta a due crimini. Ti fa deviare dalla strada della rettitudine e ti fa abbandonare l’Imperatore come oggetto della tua devozione. Per il primo, la morte è l’unica giusta pena. Il secondo è un’Eresia così orribile che nessuna punizione può essere sufficiente. Ma la ricerca di un castigo adeguato continua, ed esso sarà trovato.’

Malleus Daemonicus, Le Dichiarazioni dell’Ecclesiarca Issus XLVII

 

Episodio 31: Il demone sotto le acque

 

ANNO 2036

C’era stato un tempo in cui la Terra aveva conosciuto quattro stagioni: il clima del pianeta si alternava tra fasi fredde e calde e gli esseri umani avevano imparato a resistere a entrambi gli estremi. Nel 2036, però, era già passato molto tempo da quando gli inverni erano finiti, se non per sempre, almeno fino alla prossima glaciazione. Nessuno sapeva esattamente perché questo fosse successo: il cataclisma noto come Second Impact era stato provocato da un meteorite enorme, questo era ben noto, ma, dopo quegli strani eventi di sedici anni più tardi, dei quali l’umanità non sembrava aver conservato lucidi ricordi, i dubbi erano sorti. Nessuno ci pensava troppo, però; in fondo, ormai c’era un’intera generazione di ragazzi nati dopo quei fatti e a loro questi problemi non interessavano per niente. Non li avevano vissuti e non se ne preoccupavano. I più informati sostenevano che la Terra fosse in un periodo interglaciale e che, anche senza il Second Impact, la temperatura globale si sarebbe comunque alzata. Ci sarebbe voluto molto più tempo, ma il clima si sarebbe riscaldato in ogni caso. La comunità di persone che viveva sulle coste di quella che un tempo era stata Neo Tokyo 3 non pensava troppo a queste cose: il loro problema primario era la sopravvivenza.

Una barca a remi stava muovendosi placidamente nel mare, dolcemente sospinta dalle onde. I due uomini, uno sulla cinquantina, l’altro sui quindici anni, stavano tirando a bordo una grossa rete, constatando con una certa amarezza che di pesce dentro ne era rimasto ben poco. Il più giovane dei due si passò l’avambraccio sulla fronte, nel vano tentativo di asciugarsi il sudore che la imperlava: "Che ne dici? Com’è che in questi giorni si tira su così poco?". "Non ne ho idea" rispose l’altro. "Questa zona non è mai stata molto pescosa, ma ultimamente è davvero povera. Domani proveremo a spostarci più a nord, però non mi dispiacerebbe prendere fin da adesso qualcosa di veramente grosso….". All’improvviso, il mare cominciò a scuotersi. La barca traballò violentemente e un’ondata la sollevò dalla superficie dell’acqua, mandandola a ribaltarsi a pochi metri di distanza. I due uomini furono per un attimo soverchiati dalle onde del mare, poi riuscirono a tirare la testa fuori dall’acqua e videro. L’esclamazione uscì quasi all’unisono dalle loro bocche: "Leviathan!". Sopra di loro, lanciato in un balzo fuori dall’acqua, stagliato sui due come un’ombra enorme, c’era una figura gigantesca ma vagamente umanoide. Le braccia erano lunghe, con delle dita sproporzionate, tra le quali erano tese delle membrane azzurrine quasi trasparenti. La testa, piatta e allungata in avanti, era costituita semplicemente da un paio di fauci senza occhi, nelle quali biancheggiavano multiple file di denti triangolari. Le gambe sembravano fuse insieme all’altezza delle ginocchia e delle caviglie; i piedi erano scomparsi e si erano uniti a formare una sorta di norme pinna orizzontale; allo stesso modo, non c’era niente laddove si sarebbero dovute trovare le rotule, in modo che la creatura potesse muovere i suoi arti inferiori come la coda di un cetaceo. La pelle azzurra dell’essere era deturpata sul petto da un’enorme piastra bianca a forma di V allargata, che sembrava inchiodata al suo posto. Prima ancora che i due uomini potessero contemplare per intero l’enorme sagoma della creatura, essa aveva già estratto delle gigantesche ali. Ali bizzarre, simili a quelle di un pesce volante. Costituite da una serie di sottili stecche nerastre unita da una membrana fragile e trasparente, sembravano volere rendere quel mostro ancora più maestoso.

Leviathan, questo era il nome che gli uomini avevano dato alla creatura, completò il proprio salto fuori dall’acqua ripiegando le ali (e nessuno avrebbe saputo dire dove finissero) e ricadendo sotto i flutti del mare. Il gigante acquatico, in realtà, aveva anche altri nomi: qualche chilometro più a sud lo chiamavano Ayin; qualche anno prima lo avevano chiamato Evangelion 09.

Mantenendosi disperatamente attaccato alla sponda della barca, il ragazzo strinse i denti e aspettò che i flutti generati dal movimento dell’essere cessassero. Dopo pochi ma interminabili minuti, il mare sembrò calmarsi e l’imbarcazione tornò a una relativa stabilità. Il giovane alzò la testa, cercando con lo sguardo l’uomo che era con lui; non trattenne un sospiro di sollievo nel vedere che anch’egli era riuscito a tenersi aggrappato e a non essere sbalzato fuoribordo. "Che fortuna!" esclamò il ragazzo "Abbiamo incontrato Leviathan e siamo ancora vivi!". "Già," convenne l’atro "è proprio un miracolo che la barca non si sia rovesciata!". Prima ancora che i due potessero formulare un ulteriore pensiero, il sole scomparve. Istintivamente, alzarono il capo al cielo, solo per vedere un’ombra immensa stagliarsi contro l’azzurro limpido. Quello che videro aveva dell’incredibile: sopra di loro c’era l’Eva 07, che avevano imparato a conoscere nel corso degli anni, con le enormi ali spiegate, che volava a poche decine di metri dalla superficie del mare. E che reggeva un carico pesante e spettacolare. Un altro Eva, nero e dalla testa che sfoggiava un ghigno diabolico, si teneva saldamente alle mani del gigante bianco.

Con un ringhio sommesso, l’Eva nero lasciò la presa; la sua enorme forma oscura si tuffò tra i flutti con uno schianto, sollevando ondate gigantesche. I due pescatori non fecero nemmeno in tempo a spaventarsi: la loro barca si ribaltò all’istante.

 

Spingendosi con potenti bracciate, l’Evangelion 04 si immerse velocemente, nuotando sempre più in basso, fino al suo obiettivo. Quando Leviathan si accorse di essere inseguito, si girò velocemente: sebbene il livello di intelligenza degli Eva degenerati non fosse noto, questo doveva essere sufficientemente furbo da capire di essere in vantaggio in acqua. Facendo schioccare minacciosamente le sue potenti mascelle da squalo, l’Eva 09 si lanciò contro il suo inseguitore, mentre protendeva in avanti le lunghe braccia dalle dita sproporzionate. Quasi volesse tentare una manovra suicida, lo 04 si lanciò dritto verso l’abbraccio mortale del suo avversario, come a volerlo accogliere, come a volerlo assecondare. La bocca di Leviathan si spalancò completamente solo quando la preda che bramava fu completamente avviluppata tra le membrane che univano le sue dita. Allora, le sue file di denti triangolari e seghettati fecero per chiudersi sulla testa del malcapitato Evangelion nero. Ma non ebbero mai l’occasione di farlo: con un sibilo, il vano per le armi sulla spalla sinistra dello 04 si aprì, mostrando il manico di un enorme taglierino. Il titano oscuro lo afferrò rapidamente con la mano destra, snudando la lama per tutta la sua lunghezza e cacciandola con decisione nella bocca del degenerato. Fu solo qualche secondo di rapida colluttazione a decidere l’esito dello scontro: la lama del coltello si spezzò quasi subito e l’Eva dovette optare per un’altra soluzione: afferrò le mascelle di Ayin con le mani e tentò disperatamente di domarle. Un’impresa che non poteva riuscire: la forza del mostro dalla pelle azzurrina era troppo superiore.

 

"È una situazione disperata. Sto morendo?"

"Per favore, non è il momento! Merda, non pensavo che il prog knife si sarebbe spezzato così presto! Speravo almeno di guadagnare tempo!"

"Cos’è il prog knife?"

"Una cosa che non abbiamo più. E non posso nemmeno cambiare la lama in queste condizioni… Mi sa che dobbiamo arrangiarci in un altro modo"

"Sono in pericolo? Sto morendo?"

"Mi sa di sì… Se non ne usciamo alla svelta, l’ossigeno nell’entry plug si esaurirà!"

"Non voglio che tu muoia, perché io sono te"
"E allora inventati qualcosa, cazzo!"

"Io sono te. Inventati qualcosa"

 

Le mascelle di Leviathan si stavano chiudendo inesorabili sulla testa dello 04; data la differenza delle dimensioni, era ovvio che sarebbe bastato un colpo per concludere lo scontro. Poi, dopo una interminabile frazione di secondo, ci fu il morso.

 

L’Evangelion 07 stava volando pigramente in circolo sulla zona di mare nella quale aveva lasciato cadere lo 04. Mentre le sue enormi ali si lasciavano trasportare dal vento, descrivendo un tragitto circolare di quasi un chilometro di diametro, la sua testa senza occhi pareva scrutare stupidamente l’acqua sotto di sé. Il suo volto inespressivo non ebbe un sussulto quando un sangue denso e scuro macchiò di rosso il verde bluastro del mare. La reazione arrivò quando Ayin balzò fuori dall’acqua in un salto spettacolare, inarcandosi e dispiegando le sue ciclopiche ali trasparenti, mentre dalla sua bocca fuoriusciva un grido gorgogliante. Aggrappato al corpo dell’Eva degenerato, lo 04 lo teneva saldamente con i denti. Aveva aperto la corazza facciale e gli aveva azzannato il labbro inferiore, che ora sanguinava copiosamente, mentre il colosso nero avvolgeva le proprie lunghe braccia attorno al nemico. Lo 07 fu fulmineo: lanciandosi direttamente sui due, afferrò al volo il polso dello 09, sbattendo poi freneticamente le ali, nel tentativo di sollevarsi ulteriormente, per di portare con sé l’altro Evangelion. Lo 04 lasciò la presa, facendosi cadere in mare: l’impatto del suo corpo sollevò una colonna d’acqua altissima, che investì in pieno gli altri due Eva. Dibattendosi ferocemente, Leviathan liberò il braccio avvinto nella presa del mostro bianco e ricadde sotto la superficie a propria volta. L’Eva 04 e l’Eva 07 sembrarono agire contemporaneamente: il gigante nero balzò fuori dall’acqua con le braccia sollevate, tentando di ghermire la sua preda, mentre un ringhio sibilante gli fuoriusciva dalle fauci; il gigante bianco fluttuò verso il basso a mani protese, tentando di riprendere il carico che gli era sfuggito. Girandosi rapidamente su se stesso, Leviathan centrò lo 04 in pieno petto con un potentissimo colpo della sua coda flessibile; la forza dell’attacco fu tale da sollevare il bersaglio e scagliarlo a sbattere contro l’altro Evangelion. Entrambi caddero in mare con uno schianto.

 

Due Evangelion, uno nero e uno bianco, erano inginocchiati sulla spiaggia. La regione cervicale di quello nero era aperta e ne spuntava un lucido cilindro metallico, da un boccaporto sul quale scendeva una lunga scala di corda. Quello bianco aveva praticamente appoggiato il muso al terreno. La luce del sole proiettava le enormi ombre dei titani dormienti su due forme umane ai loro piedi. Una delle due, quello davanti all’Eva 04, era un ragazzo sui quindici anni. I suoi capelli neri e arruffati, coprivano parzialmente i suoi occhi blu, ma non facevano niente per celare il disprezzo che ne traspariva. La sua plug suit, un tipico modello maschile dagli insoliti colori nero e viola cupo, era logora per l’usura: era evidente che non era mai stata sostituita. L’altra forma era quella di un uomo di mezza età, abbondantemente oltre la quarantina, con pochi capelli grigi sulle tempie. Era completamente nudo e il suo fisico possente lasciava pensare che fosse sottoposto a sforzi continui. Fu l’uomo il primo a parlare, puntando un indice accusatore contro il suo interlocutore: "Tu mi devi spiegare che cazzo hai in testa! Eravamo sul punto di catturare Leviathan e hai rovinato tutto!". "Io avrei rovinato tutto?" ritorse il ragazzo "Ti faccio notare che sono stato io a tirare fuori dall’acqua Leviathan! L’ho addirittura fatto saltare! Non ti sei nemmeno dovuto abbassare troppo per afferrarlo!"

"Grazie al cazzo! Finché ci stavi attaccato, come avrei potuto sollevarvi entrambi? In due siete troppo pesanti e te l’avevo anche detto prima di partire!"

"Ma vaffanculo! Io mi sono staccato subito! Se non riesci nemmeno a resistere per un paio di secondi, allora sei tu che sei una mezza sega! Non cercare di scaricarmi addosso i tuoi problemi!"

"Ah, sì, bella idea quella di lasciarsi cadere così vicino! Con tutta l’acqua che hai sollevato, l’Eva degenerato è riuscito a divincolarsi!"
"Questo è dovuto solo alla tua incapacità! Ti ricordo che io in questa uscita ho anche perso il pro… oh, cazzo!"

Il ragazzo si era fermato improvvisamente. Sembrava avere visto qualcosa di poco piacevole alle spalle del proprio interlocutore. L’uomo si voltò con circospezione: "Oh, cazzo!" ripeté a propria volta. Un uomo e una donna stavano camminando sulla spiaggia in direzione dei due litiganti. Se c’era un punto sul quale il pilota dello 04 e quello dello 07 concordavano, era che quei due fossero dei grandissimi rompicoglioni.

La donna lanciò un’occhiata ai due Evangelion, poi si mise davanti al ragazzo: "Devo dedurne che la missione è fallita?" disse, mentre un’ombra di disappunto le attraversava il viso. Il giovane puntò il dito contro il pilota dell’Eva bianco: "Tutta colpa sua!" esclamò sicuro. "Per niente!" replicò l’anziano, proprio mentre l’uomo arrivato insieme alla donna si intrometteva: "Per favore, non facciamo degenerare tutto in una lite, non ce n’è proprio bisogno…". "Falla finita, Shinji!" ritorse lei acidamente "Mi spieghi chi gli ha insegnato – indicò il ragazzo – a scaricare le proprie responsabilità sugli altri?". "Probabilmente tu, Asuka" rispose lui, quasi bisbigliando. Lei sembrò ignorarlo e si rivolse di nuovo al ragazzo: "Ryoma Ikari!" esclamò assumendo l’espressione più minacciosa che riusciva a fare "Come spieghi il fallimento della missione?". Il giovane scosse il capo e alzò gli occhi al cielo: "Dai, mamma, non mi sembra il caso". "Lo decido io quando è il caso!" tuonò Asuka sempre più irritata "Non voglio fallimenti da te, lo sai! Ai miei tempi, io ero la migliore e non ho MAI fallito". "Be’, veramente questo non è proprio esatto al cento per cento" si intromise Shinji. "Segati quella lingua!" sbraitò la rossa in faccia all’uomo; poi, rivolgendosi di nuovo al figlio: "E allora?"

Ryoma sospirò: "Allora, il piano era più o meno questo: io avrei dovuto tirare lo 09 fuori dall’acqua, e lui – indicò l’uomo nudo – avrebbe dovuto trasportarlo a terra, dove avremmo potuto finirlo più facilmente… Però poi quell’idiota ha fatto casino e…"

"Basta così! So cosa si prova a essere circondati da incompetenti durante le missioni" Asuka lanciò un’occhiata significativa a Shinji. "Scheiste!" sibilò Ryo sottovoce. Ma non dovette riuscirgli molto bene, perché il ceffone di sua madre gli arrivò dritto sulla nuca: "Ryo! Chi ti ha insegnato a imprecare in quel modo?"

"Tu, mamma". La risposta non dovette essere quella giusta, perché il primo ceffone fu seguito da un secondo.

"Ryo! Chi ti ha insegnato a dire le bugie?"

"Ehm… Veramente… sei stata tu, mamma". Terzo ceffone.

"Ryo! Chi ti ha insegnato a essere così irrispettoso verso tua madre?"
"Devo proprio dirlo? Sei stata tu, mamma". Quarto ceffone.

Andarono avanti così per venti minuti abbondanti.

 

Episode 31: Maths

 

ANNO 992M41

I tre carri si muovevano pigramente nel deserto, i cingoli che arrancavano sulle dune sabbiose, mentre il vento sferzava i loro scafi corazzati. Tra tutti i modelli di carro armato in dotazione alla Guardia Imperiale, il più popolare era il Chimera. Il Chimera veniva talvolta chiamato ‘scatolone’, per il suo aspetto di un rozzo parallelepipedo cingolato; eppure, le sue doti di versatilità lo rendevano un elemento fondamentale nelle strategie di battaglia, un carro utile per trasportare truppe e colpire il nemico. Sul Chimera, l’arma principale era il multilaser sulla torretta, una sorta di mitragliatore laser a canna multipla, ma un grosso supporto era fornito anche dall’heavy bolter (una versione più grande e devastante del bolter classico) montato nello scafo. Il design del Chimera, poi, era stato alterato in una quantità di modi, per rispondere alle diverse esigenze del campo di battaglia: era così nata un’ampia gamma di carri basati sulla sua stessa scocca, che, del modello originario, conservavano solo l’aspetto generale e l’heavy bolter. C’era per esempio il Basilisk, che montava il devastante cannone noto come ‘earthshaker artillery gun’, in grado di trasformare il mezzo in una vera e propria postazione d’artiglieria mobile; oppure il Griffon, con il suo enorme mortaio dai proiettili esplosivi; o l’Hydra, dotato di quattro cannoni automatici a lunga gittata, ideali come contraerea. Tra tutte le varianti del Chimera, la meno adatta al combattimento era il Trojan. Privo di qualsiasi arma, all’infuori del classico heavy bolter, il Trojan era dotato di un piccolo argano nella parte posteriore, che serviva generalmente per caricare merce sul mezzo stesso o per trasportare delle piattaforme d’artiglieria. Ma, in generale, il Trojan serviva da mezzo di supporto un po’ per tutte le circostanze: alcuni di questi veicoli venivano attrezzati per fare da cucina o infermeria mobile, altri erano invece deputati al trasporto di rifornimenti, altri ancora contenevano tende, materiale per riparazioni, munizioni per le armi e qualsiasi altro equipaggiamento fosse necessario portare in battaglia.

Non conoscendo le dimensioni dell’oggetto che Zdansky doveva recuperare, Brian May aveva deciso che l’Inquisitore si sarebbe dovuto far bastare tre Trojan. Per dire la verità, né Zdansky né le sue assistenti erano sembrati molto contenti di quella decisione; d’altra parte, sottrarre altri mezzi al fronte avrebbe significato dare un sostanziale vantaggio al nemico, un nemico che, se non fosse stato tenuto a bada, avrebbe potuto pregiudicare la riuscita dell’operazione. Alla guida del Trojan che conduceva la fila, nel quale viaggiavano anche Zdansky, Megan e Alexandra, c’era lo stesso giovane soldato che aveva introdotto l’Inquisitore alla presenza del colonnello. "Mi scusi, signore" si azzardò a domandare il ragazzo dalla sua postazione, lanciando appena un’occhiata alla parte posteriore del mezzo, avvolta nell’oscurità, in cui sedevano i suoi tre ospiti "Non mi ha ancora detto che tipo di carico dobbiamo recuperare". Zdansky sembrò seccato da quella domanda: "La Guardia Imperiale di Novet è così inefficiente? Deve discutere gli ordini dei superiori in questo modo?". Il giovane sospirò: "Mi scusi, signore. Lo chiedevo solo per conoscere la posizione del bersaglio, in modo da poter organizzare il viaggio". Pur non girandosi, il militare sentì l’Inquisitore che si stava alzando da uno dei seggi laterali che costeggiavano i lati interni della parte posteriore del Trojan. Percepì la presenza dell’uomo alle proprie spalle ancora prima che questi gli facesse passare una delle lame del suo artiglio sotto il naso: "Come ti chiami, soldato?". "Sono la guardia Nathaniel Wingate Peaslee, signore". Il soldato deglutì, cercando di fare passare quel gesto il più inosservato possibile. Le parole di Zdansky furono inequivocabili: "Bene, Nathaniel Wingate Peaslee. Sappi che stiamo andando in un posto vicino. Siamo quasi arrivati. Non c’è bisogno che tu organizzi il viaggio, perché so già dove ci stiamo dirigendo. Non è strettamente necessario che tu viva, perché è meglio morire che sapere certe cose. Quando avremo trovato l’oggetto che stiamo cercando, tu e i tuoi colleghi alla guida degli altri mezzi vi limiterete ad assicurarlo ai carri e a guidare verso la mia astronave. Poi, potrete tornarvene al fronte e decidere di morire eroicamente al servizio del Benevolo Imperatore. Ma non mi chiedere di dirti cose che non sei in grado di comprendere, o potresti non essere più di alcuna utilità per il Signore della Razza Umana".

 

Fabius Bile batté violentemente le mani sul tavolo della sala da pranzo del ristorante con una violenza tale che quasi lo spezzò: "Cosa avete fatto?". "Non ti incazzare" replicò Logan ostentando una calma che non aveva, seduto dall’altra parte del tavolo, con i piedi appoggiati sullo stesso "Cosa credi che avremmo potuto fare? Siamo arrivati nel punto che ci hai segnalato, ma c’è stato un imprevisto". "Questo l’avevo capito!" esclamò il Signore dei Cloni "Ma voi avete abbandonato la missione!". Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e sbadigliò, quasi volesse creare tensione e aspettativa in un interlocutore palesemente irritato. Poi, con l’aria di chi decide di degnare il prossimo della propria attenzione solo per pura pietà, parlò: "Non abbiamo abbandonato la missione. Io sono tornato indietro da solo, non l’hai notato?"

"E allora? Come sono andate esattamente le cose?"

"Come ti dicevo, siamo arrivati sul posto, abbiamo visto quell’umanoide di cui ci ha parlato, ma ci sono stati degli imprevisti. Innanzitutto, quell’affare ha un’aura molto simile a quella di un demone e questo non era negli accordi. Poi, a un certo punto ci siamo accorti dell’avvicinarsi di alcuni mezzi blindati; siamo riusciti a nasconderci dietro a delle formazioni rocciose e abbiamo visto scenderne dei soldati. Con loro c’erano anche un tizio in Power armour e due ragazze. Le loro aure non lasciavano dubbi, sono psyker tutti e tre. Hanno cominciato a trafficare con l’umanoide, legandogli addosso dei cavi e cercando di assicurarlo ai blindati. Poi, a un certo punto, uno dei carri se ne è andato e gli altri sono rimasti lì. Ho visto che i soldati stavano montando delle tende. A questo punto, ho chiesto all’Eldar di restare a tenere d’occhio la situazione, mentre io venivo qui a trattare"

"Trattare?" Bile sembrava furente "Trattare cosa?"

"Mi sembra ovvio: tu non ci hai detto tutto quello che dovevamo sapere, quindi devi fare un’offerta più alta. Ci avevi avvertito che avremmo incontrato degli ostacoli, ma tu avevi parlato di un gruppetto di due, quattro uomini al massimo, per bene armati che fossero. Non avevi mai specificato che la Guardia Imperiale e qualcun altro si sarebbero potuti mettere in mezzo"

"Io ti avevo detto che la posizione del bersaglio era in una zona di guerra! Avresti dovuto immaginare che ti saresti trovato di fronte la Guardia!"

"Sì, ma non mi avevi avvisato che mi avrebbero conteso l’umanoide. E poi, mi ci gioco le palle dell’Eldar, tanto non gli servono, credo che quegli psyker siano Inquisitori. E questo è un altro problema!"

"Inquisitori! Sì, ci avevo pensato anch’io. Ma non credevo che sapessero già. Né credevo che avrebbero tentato di recuperare lo 01 tanto presto!"

"Lo 01? Ti riferisci a quell’umanoide?"

"Sì, infatti. Ma lasciamo perdere. Pensavo che vi sareste trovati di fronte un altro tipo di ostacolo, non certo questo"

"Quindi, oltre a te e all’Inquisizione, c’è qualcun altro che vuole questo 01, no? E tu ci avevi messi in guardia contro questi tizi, giusto?"

"Sì, sì, sì. Ma adesso bisogna pensare a come risolvere questo problema. Hai detto che stavano montando delle tende, quindi probabilmente si sono resi conto che i mezzi a loro disposizione non permettono il trasporto dello 01 e stanno allestendo un campo base. Se gli Inquisitori chiederanno altri blindati alla Guardia, il fronte rischia di restare pericolosamente sguarnito, quindi possiamo confidare che la situazione non si sblocchi tanto presto. Forse posso risolvere due problemi con un’unica mossa". Il Marine si afferrò il mento con la mano destra, appoggiando il gomito sul pugno sinistro, e cominciò a camminare in circolo per il salone. Seduta su di una poltrona, Erin osservava impassibile.

"Be’, senti, alla luce dei recenti sviluppi, i diecimila crediti che hai offerto non mi bastano più. Devi darmene almeno ventimila"

Per un attimo, Bile sembrò non accorgersi che gli era stata rivolta la parola. Poi, come riprendendosi da un sogno, si girò verso Logan: "Hai detto che c’erano degli psyker nel gruppo, no? Sei sicuro che non abbiano percepito le vostre aure?"

"Certo, per chi mi hai preso? Tempo fa io e quegli altri due imbecilli abbiamo imparato a trattenere l’aura"

"Bene. Potreste ancora essermi utili. Sono disposto a darvi quindicimila crediti per questo lavoro. Se poi riuscite farmi recuperare lo 01 intero, posso darvene altri diecimila. Venticinque mila in totale. Una buona cifra, no?"

"Ci devo pensare" Logan non si scompose "Ma prima devo sapere esattamente cosa hai in mente. Se adesso mi chiedi di recuperare tutto l’umanoide, mi pare di capire che il tuo piano sia cambiato"

"Infatti, adesso ti spiego. Ma toglimi una curiosità: hai detto di avere lasciato l’Eldar a osservare il campo degli avversari, ma l’Orketto dov’è finito?".

Logan sospirò. Non poteva certo dire che l’aveva perso di vista. Si inventò una scusa: "Lui sta valutando il terreno circostante per rendersi conto di come il conflitto in corso possa influenzare la missione. Non preoccuparti, è tutto sotto controllo".

 

Nathaniel Wingate Peasley alzò l’ultimo supporto che avrebbe sorretto la sua tenda e sospirò, lanciando ancora una volta un’occhiata alla gigantesca sagoma mezza sepolta nella sabbia che giaceva davanti a poche decine di metri. Tutti e tre gli Inquisitori si erano diretti verso quella figura imponente, quel titano di epoche dimenticate, quell’ultimo lascito di una civiltà morta. Nathaniel sogghignò: con tutta probabilità, nemmeno Zdansky e le sue assistenti sapevano cosa fosse veramente quell’affare. Li aveva sentiti parlarne fra di loro come se si fosse trattato di un demone e, almeno in parte, avevano ragione. Ma c’era una bella differenza tra quell’enorme creatura e un demone vero e proprio, una differenza che poteva essere fondamentale per la salvezza dell’umanità. Mentre il giovane soldato entrava nella tenda e sistemava lo stretto indispensabile per passarci la notte, pensò che si sarebbe dovuto muovere con prudenza, se avesse voluto portare a termine il compito affidatogli dai suoi superiori. Superiori che non erano certo comandanti della Guardia Imperiale. Superiori che sapevano cosa fosse quell’essere misterioso e vessato dalle intemperie dello spazio, annientato da coloro che lo avevano creato, e che ora non si disturbavano nemmeno a ricordarsi di quello che aveva fatto. Superiori che avevano ottenuto che lui, Nathaniel Wingate Peasley, giurasse fedeltà al simbolo di un triangolo con un occhio al centro.

 

Logan sbadigliò sonoramente, mentre cercava di mantenere la lucidità sufficiente a guidare la jeep. Ma non era il fatto di essere mezzo addormentato per la noia a seccarlo maggiormente. Quello che veramente lo infastidiva, contrariamente a ogni sua aspettativa, era la persona seduta di fianco a lui. Bile aveva insistito affinché Erin seguisse Logan. Lei avrebbe saputo cosa fare, aveva detto il Signore dei Cloni. Quando Logan Delaque voleva usare le sue infallibili tecniche di conquista, aveva un solo tipo di approccio: in genere, si metteva a palpeggiare la malcapitata e a invitarla a concederglisi senza troppe cerimonie. Era l’unico a sorprendersi per il fatto che questo sistema non funzionasse mai. Con Erin, però, c’era un ostacolo fondamentale: lei non capiva il Basso Gotico. In pratica, era impossibile effettuare metà dell’approccio tipico. E questo metteva Logan di pessimo umore. Quando era insieme a una bella donna, si sentiva quasi in dovere di provarci, ma adesso era spiazzato. Sorprendentemente, fu Erin a rompere il silenzio tombale che era calato fra di loro: "Manca ancora molto?" domandò inespressiva. "No," replicò Logan "ci siamo quasi". Subito dopo, capì quello che era appena successo: Erin aveva parlato in Basso Gotico! Con un sogghigno diabolico, il giovane psyker capì che quella era un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Cominciò buttando lì una domanda a caso: "E quando hai imparato il Basso Gotico?". "Poco dopo aver lasciato Camarina" replicò la ragazza senza nemmeno girarsi verso il proprio interlocutore. Logan capì al volo di dover tenere viva la conversazione e la cosa lo seccò alquanto: non era un gran parlatore. Quando non si trattava di dire parolacce, insultare qualcuno o tirarsela platealmente, non se la cavava bene con le parole e la situazione lo stava mettendo ulteriormente a disagio. Decise di provare un approccio un po’ diverso: "Non è che ci siamo visti molto su Camarina, ma non ti facevo così taciturna"

"Non lo ero, ma sono successe tante cose da allora"

"Del tipo?"

"Dovresti saperlo, più o meno: non hai aiutato Bile nel suo piano?. Ho scoperto che la mia vita era stata manovrata fin dall’inizio. Ho scoperto che non sono nata da un uomo e una donna. Ho scoperto che il mio codice genetico è quello di un uomo vissuto in passato. Ho scoperto che il mio destino sta nel riscoprire dentro di me l’essenza di quest’uomo. Sono nata per questo unico scopo"

Logan fece spallucce: "E chi te lo dice? Bile?"

"Sì. Mi ha detto di avermi creata per questo motivo. Esisto unicamente come clone di Horus"

"Che stronzate!" Logan stava cominciando a irritarsi; il modo di parlare di Erin non gli piaceva per niente "Hai deciso che questo era lo scopo della tua vita perché te l’ha detto Bile? E non pensi a quello che tu vuoi veramente?"

"Sarebbe inutile. Gli esseri umani passano tutta la vita a chiedersi cosa vogliono, ma non arrivano mai a una vera risposta. A volte si pongono degli obiettivi, ma, in fin dei conti, quello che una persona pensa e crede dipende dalle esperienze che ha vissuto. Che lo vogliamo o meno, siamo sempre e comunque influenzati da quello che ci accade intorno; non possiamo decidere liberamente, perché, fin da piccoli, ci vengono inculcate delle idee che plasmano le nostre convinzioni. Se le cambiamo, è solo perché ci è successo qualcosa che ci ha spinto a farlo: non siamo mai veramente padroni del nostro destino. Quando ho scoperto cosa fossi, me ne sono resa conto e ho deciso di lasciare che mi venisse detto cosa fare: è la stessa cosa che fanno tutti, con la differenza che io lo faccio consapevolmente"

"Mai sentito tante cazzate tutte in una volta! Sarà anche vero che, in fin dei conti, non decidiamo niente, però io non permetto che qualcuno mi dica a cosa devo finalizzare la mia esistenza. Se anche quello che penso è frutto delle mie esperienze, almeno è quello che penso io. Tu stai semplicemente permettendo che le idee di qualcun altro diventino le tue senza nemmeno cercare di capirle"

"Ma cosa ne sai tu?" Erin sembrò visibilmente seccata "Cosa puoi capirne? Ho sempre creduto di essere una ragazza normale, di vivere una vita normale; poi, a un certo punto, ho scoperto che tutto era stato predeterminato. Ogni singolo momento della mia esistenza era stato previsto. L’uomo che credevo essere mio padre e tutte le altre persone che mi vivevano accanto stavano agendo in funzione di un progetto che avrebbe dovuto portarmi a un fine preciso. Non capivo niente neanche prima di decidere di fare quello che mi dice Bile. Non ho mai capito niente. Anche il fatto che io scoprissi tutto era stato deciso! E cosa ti fa pensare di capire quello che ti succede attorno? La mente di un essere umano è troppo piccola per comprendere l’immensità della verità"

Logan sogghignò: "Ho conosciuto qualcuno che la pensava l’esatto opposto: la verità è troppo piccola e meschina perché la mente umana possa percepirla. È per questo motivo che gli uomini sognano e hanno ambizioni: devono abbellire la realtà con le loro illusioni per potersi rapportare a essa. Personalmente, queste storie non mi interessano: io preferisco stare con i piedi per terra e, dal mio punto di vista, la tua scelta di vita ha fin troppi buchi per essere interessante"

Erin sbuffò: "Credi che io non me ne renda conto? Ma nella vita c’è sempre qualcosa che non torna. È come uno di quegli enigmi matematici che non hanno soluzione. Bile me ne ha spiegato uno che rende bene l’idea"

"Sarebbe?"

"Immaginati la situazione: tre amici vanno a mangiare al ristorante e spendono un totale di trenta crediti; ne pagano dieci ciascuno. Il padrone del ristorante decide di fare loro uno sconto e rimanda dai tre amici il cameriere con cinque crediti da restituire loro. Di questi cinque crediti, i tre amici ne prendono uno ciascuno e danno i due restanti al cameriere come mancia. Ora, se hanno ripreso un credito ciascuno, significa che ognuno di loro ne ha spesi nove, per un totale di ventisette; se contiamo i due crediti di mancia al cameriere, sono ventinove. Manca un credito. I conti non tornano, né è possibile farli tornare: come ti dicevo, è semplicemente un enigma matematico senza risposta"

Logan sbuffò: "I conti tornano, hai semplicemente spiegato la situazione in maniera sbagliata. Se i tre amici hanno avuto uno sconto di cinque crediti, significa che ne hanno spesi un totale di venticinque, no? Se aggiungiamo i due che danno al cameriere come mancia, fanno ventisette; i tre crediti restanti, essendo stati recuperati, non vanno conteggiati, perché è come se non fossero stati mai spesi. Ne consegue che i tre amici hanno effettivamente speso nove crediti a testa. I tuoi conti non tornano solo perché tu non vuoi farli tornare"

 

Prossimamente: salvare l’umanità vale bene il sacrificio di qualche vita, almeno così ritiene qualcuno. Entrano in scena coloro che hanno sempre guidato le sorti dell’umanità. Logan e Skaim – Zaim vengono a sapere qualcosa di più sulla natura del misterioso umanoide che devono recuperare…

32: La forma dell’essere umano/Illuminati

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Capitolo 7
*** Episodio 32: La forma dell’essere umano/Illuminati ***


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‘Il debole sarà sempre guidato dal forte. Dove il forte vede uno scopo e agisce, il debole segue. Dove il forte grida contro il fato, il debole china la testa e soccombe. Molti sono deboli e molte sono le loro tentazioni. Disprezza i deboli, perché si radunano al richiamo del Demone e del Rinnegato. Non compatirli e respingi i loro proclami di innocenza: è meglio che cento innocenti cadano di fronte all’ira dell’Imperatore, piuttosto che uno solo si inginocchi di fronte al Demone.’

Dal Primo Libro degli Addottrinamenti

 

Episodio 32: La forma dell’essere umano

 

ANNO 2027

"Papà?"

Shinji Ikari emise un gemito rassegnato, mentre si girava tra le coperte. Voleva credere che quella voce che stava sentendo fosse solo un sogno. Voleva credere di poter dormire ancora un po’. Voleva credere di poter aspettare ancora un po’ prima di tornare a coltivare il suo campo. Voleva credere di potersi svegliare una mattina e scoprire che tutto quello che era successo negli ultimi otto anni era stato solo un incubo.

"Papà?"

Shinji emise un altro suono, stavolta un sospiro. Non era un sogno. Decisamente.

"Papà?"

Stavolta si sentì tirare il braccio. "Ma sì, arrivo", disse lui stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere. Si voltò verso la persona che aveva parlato, in piedi di fianco al letto. Kasumi Ikari, sei anni. Sua figlia. Uno dei pochi eventi felici degli ultimi otto anni. Felici, sì, ma per certi versi inquietanti: se non fosse stato per i capelli castani e gli occhi blu, Kasumi sarebbe stata la copia perfetta di Rei Ayanami. Con il senno di poi, Shinji pensava che non fosse così strano, ma vedere come sua figlia somigliasse ogni giorno di più al pilota dell’unità 00 lo metteva un po’ a disagio. Forse perché, dopo avere saputo cosa Ayanami fosse veramente, non era mai più riuscito a vederla come una persona normale.

Sbadigliando, Shinji guardò Kasumi: "Cosa c’è?". La bambina mise su il broncio. Quando faceva così non somigliava per niente ad Ayanami: contrariamente a lei, Kasumi era fin troppo espressiva. "Ryo non mi fa entrare nell’uomo nero!" protestò lei alzando i piccoli pugni per enfatizzare quanto la cosa la seccasse. Shinji alzò gli occhi al cielo: era successo di nuovo. Si girò alla propria sinistra, dove le lenzuola coprivano il corpo della persona che dormiva accanto a lui: "Asuka?" la chiamò scuotendole un fianco con la mano. "Mmmmh?" rispose lei senza nemmeno aprire gli occhi. "Ryo l’ha fatto di nuovo"

"E allora vai a prenderlo, no?". Le parole furono l’unica reazione. Non ci fu il minimo movimento.

"Vieni anche tu, dai. Lo sai che capisce fin troppo bene quando non siamo d’accordo. Non possiamo indebolire la nostra posizione, se ci andiamo entrambi, il concetto sarà più forte"

"Ti ricordo che le cose stanno così per colpa di un’idea tua. Dipendesse da me, a questo punto potremmo anche andare fino in fondo". Di nuovo, Asuka non si mosse.

"Non puoi fregartene in questo modo! Ryo è tuo figlio!"

"Guarda che è anche tuo figlio. E non me ne sto fregando, sto solo dicendo che ormai la situazione è questa. Se ti infastidisce tanto, vallo a prendere tu, ma mi sembra un atteggiamento ipocrita, considerato che tutta questa storia è partita da te"

"Ma sei stata tu a farmi cambiare idea! Tu e le tue menate sul fatto che non volevi condividere tuo figlio!"

Stavolta, la donna si alzò di scatto. Mettendosi a sedere sul letto, squadrò Shinji Con uno sguardo furente: "Ma sei stupido? Certo che non voglio condividerlo, ma ormai il danno è fatto! Tu mi hai convinto a fare quella cosa, e poi torni sui tuoi passi con una tale sfacciataggine? Sei sempre il solito pusillanime!"

Shinji scosse la testa. Aveva imparato a non chiedere più scusa ad Asuka: sapeva che la cosa la irritava da morire. Però non aveva tutti i torti a parlargli in quel modo. Anche se le parole della donna con la quale aveva ormai messo su famiglia erano contraddittorie quasi quanto le sue. "Va bene," disse infine "ci vado io".

 

Chi sono io?

Non lo so con precisione. Però, credo che tu sia una persona.

Cos’è una persona?

Non so con precisione nemmeno questo, anche se mi dicono che io sia una persona.

E cosa sei tu?

Sono un essere umano.

Allora, una persona è un essere umano?

Sì, penso che si possa dire così.

Se io sono una persona e tu sei una persona, significa che io sono te?

Non l’ho ancora capito con esattezza. Io posso vivere anche senza di te.

Anch’io sono vivo quando tu non ci sei.

Però, entrambi siamo vivi quando siamo insieme, mentre gli altri tendono ad annullare loro stessi quando si trovano con i propri simili. Noi no. Sì, forse noi siamo la stessa cosa.

 

"Ryo!". Seccante. Questo era davvero seccante.

"Esci di lì, dai!". La voce non sembrava voler smettere di disturbarlo.

"Vieni fuori, sbrigati!"

Ryoma Ikari, otto anni, sbuffò spazientito. Si lasciò sfuggire un’imprecazione in tedesco che aveva sentito dire da sua madre e aprì gli occhi. Suo padre non voleva proprio lasciarlo in pace. Cominciava a odiarlo.

"Dai, sbrigati!" esclamò Shinji fissando il boccaporto dell’entry plug che spuntava dalla schiena dell’Eva. Molti anni prima, in seguito agli eventi succedutisi durante il Third Impact, Shinji aveva pensato che non avrebbe mai più rivisto un Evangelion in vita sua. Ma, qualche tempo dopo, quando si era accorto che gli Eva bianchi avevano cominciato a muoversi, aveva capito quanto la sua speranza fosse stata vana.

Dopo avere incontrato una piccola comunità di ritornanti (così si facevano chiamare coloro che erano tornati dal mare di LCL) qualche anno prima, Shinji e Asuka si erano trasferiti. Aiutati dai loro nuovi compagni, avevano trasportato tutti i generi di prima necessità dal centro commerciale a un piccolo magazzino, che il gruppo stava costruendo nei pressi del lago formato dall’esplosione dello 00. La comunità aveva avuto l’intenzione di edificare un villaggio usando gli alberi che erano spuntati misteriosamente durante il Third Impact e, nel giro di qualche mese, le prime abitazioni avevano cominciato a comparire. Per un po’ di tempo, in realtà, avevano usato gli appartamenti degli edifici rimasti nella città; la necessità di avere delle case più vicine alla sorgente di acqua dolce più a portata di mano, però, aveva dato un impulso notevole ai lavori. Buona parte del mobilio che si era salvato dalla catastrofe era stato spostato nelle nuove case, anche grazie all’aiuto di alcuni animali da soma che qualcuno si era portato dietro. Apparentemente, infatti, Shinji e Asuka non erano stati gli unici a trovarsi da un giorno all’altro con degli animali domestici in casa. Un altro fatto che li aveva incuriositi era stato la scarsità di giapponesi nel gruppo. C’erano persone provenienti da ogni parte del mondo: un paio di inglesi, una decina di americani, tre francesi, due italiani, quattro eschimesi, cinque arabi e, in genere, gente delle nazionalità più disparate. Qualcuno aveva ipotizzato che le anime delle persone, riunite nel mare di LCL, avessero riformato il proprio corpo lì dove si erano trovate al momento. E il ‘lì dove si erano trovate al momento’ poteva anche essere stato un punto molto distante da quello in cui i corpi in questione si erano sciolti inizialmente, dato che il liquido primordiale aveva inondato praticamente tutto il pianeta.

Ma la notizia più inquietante che i nuovi arrivati avevano portato era stato qualcosa che Shinji e Asuka avevano già sospettato da tempo: gli Eva bianchi erano un problema. I ritornanti parlavano di giganti dall’armatura immacolata, dalla testa mostruosa, che si aggiravano per le terre che erano state dell’Uomo. Nessuno sapeva cosa fossero esattamente, eppure in molti li chiamavano "Eva": avevano visto la scritta che compariva loro sulle spalle ed era l’unica parola che potesse identificare quelle creature. Che fossero coinvolte nel Third Impact, era un’ipotesi piuttosto in voga, ma era, per l’appunto, solo un’ipotesi. Shinji e Asuka, gli unici a sapere come fossero andate veramente le cose, si erano ben guardati dal rivelare a tutti la verità. Chi era vissuto in Giappone durante i mesi degli attacchi degli Angeli poteva ricordare di aver sentito da qualche parte i loro nomi (ai quali la Nerv non aveva mai fatto pubblicità), ma probabilmente ora li riteneva semplicemente degli omonimi, o non si azzardava a chiedere spiegazioni. Da parte loro, i due ex piloti avevano deciso di mantenere il segreto. Poi, la situazione era precipitata. Dopo solo un paio di anni dalla nascita del villaggio, erano cominciate ad arrivare notizie buone e notizie cattive. Le notizie buone davano per certa la presenza di altre comunità di ritornanti sulla costa del Giappone e probabilmente anche sul continente, tra Cina, Corea e Mongolia. Le notizie cattive parlavano di mostri inumani che riportavano la scritta ‘Eva’ sulle spalle e che sembravano animati da un odio inspiegabile verso le persone. In realtà, il cosiddetto ‘odio’ non era poi tanto evidente. Sembrava più che altro che gli Eva, come le persone avevano cominciato a chiamarli senza sapere che quello era il loro vero nome, ignorassero completamente l’umanità. E questo era un male. L’Eva dal corpo serpentino noto come ‘Demeter’ o ‘Zebos’, per esempio, si era limitato a concimare diverse centinaia di chilometri del Giappone centrale con uno strano polline che usciva dalle sue enormi ali di farfalla. Come risultato, nella zona erano cresciuti in poco tempo degli alberi di dimensioni inaudite, che si innalzavano in cielo per parecchie decine di metri e sui quali la bestia faceva il nido. Che difendeva con una ferocia sproporzionata, attaccando chiunque gli si avvicinasse. Non sembrava curarsi dell’umanità, finché questa gli stava alla larga.

Poi c’era Behemot, l’Eva che imperversava per il deserto del Gobi, almeno così si diceva. Con il suo enorme corpo quadrupede, completamente coperto di pelo, era una minaccia costante. Naturalmente, ben pochi avevano avuto modo di vedere questa minaccia in prima persona.

Le voci che circolavano permettevano di identificare almeno altri due Eva, chiamati Dyaus e Leviathan, ma il problema era un altro: uno degli Evangelion aveva un pilota. Nessuno sapeva come questo fosse accaduto esattamente, ma c’era un tizio che era in grado di controllare uno degli umanoidi, quello con la sigla EVA – 07 sulla spalla. L’uomo in questione evidentemente non era un giapponese: si chiamava Joshua Miller e pattugliava la costa orientale dell’arcipelago nipponico promettendo di tenere lontani dalle comunità umane gli Eva degenerati.

 

Ed era proprio qui che Ryo trovava la situazione particolarmente interessante. Fin da piccolo, Ryoma era sempre stato attratto dall’Evangelion 04, l’enorme umanoide nero che i suoi genitori tenevano nascosto tra le scogliere. Per qualche strano motivo, per qualche arcana affinità della quale nemmeno lui si rendeva conto, desiderava entrare nell’entry plug. Ci passava ore intere, immobile e silenzioso. Ascoltava quello che una voce proveniente da chissà dove gli chiedeva e rispondeva nella propria mente. A volte, aveva anche l’impressione di poter vedere attraverso gli occhi del titano, come se quell’enorme essere avesse avuto un’anima propria collegata con la sua. In qualche modo, Ryo era sicuro di poter muovere l’Eva, ma non voleva farlo. O meglio, c’era qualcosa di indefinibile che gli inculcava la convinzione che farlo sarebbe stato dannoso. Questo nonostante la voce che sentiva dentro il gigante dall’armatura nera lo implorasse spesso di desiderare di muoverlo, di toglierlo da quell’inattività, vivente eppure simile alla morte, in cui si trovava da anni.

Il rapporto del bambino con l’Evangelion era sempre stato conflittuale: a volte, Ryo aveva l’impressione di dover scegliere tra l’Eva e i suoi genitori. E non si sorprendeva più di tanto a pensare che, se davvero si fosse trovato di fronte una scelta simile, avrebbe preferito l’Eva. Era diventato parte di lui al punto che non riusciva a concepire una vita senza di esso. Fin da quando aveva solo tre o quattro anni, sua madre gli aveva raccontato di come avesse trovato per caso lo 04 passeggiando sulla spiaggia. Lo aveva visto per la prima volta lì, tra quelle scogliere in mezzo alle quali ancora oggi era nascosto. Trovare un Evangelion lì era stata una sorpresa oltre ogni immaginazione: chi poteva avercelo messo? E perché? Ma quello che i genitori di Ryoma avevano capito subito era che quella scoperta avrebbe potuto aprire loro più possibilità di quante se sarebbero potuti immaginare. Se avessero avuto un Evangelion al proprio servizio, avrebbero potuto fare concorrenza a Miller. Avrebbero potuto ottenere tutti quei generi di prima necessità che erano così difficili da trovare. Ma poi c’era stato il problema del pilota.

 

Episode 32: Illuminati

 

ANNO 992M41

La creatura arrancò faticosamente attraverso gli stretti cunicoli che costituivano la sua tana. L’animale, un lucertolone scaglioso e dai denti aguzzi, di un provvidenziale colore grigio terra, sapeva per istinto quando il sole tramontava. Non usciva di giorno: faceva troppo caldo per il suo organismo a sangue freddo. Aveva bisogno delle temperature tiepide del crepuscolo per andare a caccia di insetti e di quelle creature piccole e pelose che circolavano per il deserto. Il muso del lucertolone, allungato e ricoperto di scaglie cornee rivolte in avanti, non era solo un display comportamentale indispensabile nell’attirare la femmina nella stagione degli amori, ma anche un deterrente che spaventava i predatori più grossi, spesso accompagnato da un sibilo minaccioso. L’animale uscì velocemente dalla tana, facendo sporgere la propria testa bitorzoluta e poi scivolandone fuori con tutto il corpo. Sì, la temperatura era proprio quella giusta. Sapeva di non avere molto tempo: con il calare delle tenebre, il clima si sarebbe fatto troppo freddo e avrebbe dovuto aspettare l’alba per uscire di nuovo. Ma, poco dopo essere uscito dalla tana, il lucertolone capì di essere stato sfortunato. Le sue costole, che strisciavano sulla sabbia e sui sassi, avvertirono delle vibrazioni provenienti dal passo di creature molto più grosse di lui. Istintivamente, alzò lo sguardo. Ritornò rapidamente nella tana quando vide che una delle creature in questione era un essere umano. Sì, perché il lucertolone era lungo a malapena trenta centimetri. Sapeva di non essere velenoso, né tantomeno abbastanza forte da poter competere con un nemico del genere. Nel suo cervello di rettile balenò per un attimo qualcosa di simile alla frustrazione: la presenza dell’uomo gli avrebbe fatto perdere tempo, forse l’intero crepuscolo. Ma non era un grosso problema: dopotutto, il suo organismo bradimetabolico era in grado di sopportare giorni di digiuno…

Nathaniel si guardò intorno sospettoso, mentre il vento gli soffiava contro la mantellina. L’intensità a cui aveva sbuffato per tutta la giornata sembrava essere diminuita parecchio e ora era quasi piacevole sentirselo addosso, mentre gli ultimi raggi del sole dipingevano l’orizzonte di rosa e violetto. Ma non era per ammirare il tramonto che il soldato si trovava qui. La ragione della sua presenza gli comparve davanti accompagnata da una raffica di vento, un effetto teatrale quasi voluto dal fato. I tre uomini gli si erano avvicinati a piedi: dovevano avere nascosto da qualche parte il mezzo con cui si erano avventurati nel deserto, evidentemente per evitare che il contingente della Guardia Imperiale lo trovasse. Tutti e tre erano avvolti in ampi mantelli neri; Nathaniel non capì se servissero a ripararli dalla sabbia o a dare loro un aspetto minaccioso. Del quale, per altro, non avevano alcun bisogno. Il primo dei tre, un tizio piuttosto basso, era completamente calvo e il suo naso aquilino, unito ai suoi tratti affilati, gli conferiva un aspetto quasi rapace. Immediatamente dietro di lui, alla sua destra, c’era un uomo enorme, con dei corti capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte. La combinazione tra le sue dimensioni imponenti e la sua aria gioviale creava un contrasto bizzarro e inquietante. Il terzo infine, un tale dai capelli neri e corti pettinati all’insù, sogghignava dal suo viso mal rasato. Sotto una delle sue sopracciglia cespugliose, la sinistra, campeggiava la lente scarlatta di un occhio bionico, montato su di una piastra metallica che, piegandosi attorno al capo, arrivava a coprire anche l’orecchio, formando una sorta di altoparlante.

Fu il tizio calvo il primo a parlare: "Tu sei Nathaniel Wingate Peasley, suppongo" disse mentre un sogghigno inquietante gli si dipingeva sulle labbra. Nathaniel annuì: "E voi siete Charles, Dexter e Ward, giusto?". Quello che aveva già parlato, apparentemente Charles, si piegò in un beffardo inchino di presentazione: "Non sono i nostri veri nomi, ovviamente. D’altra parte, non credo che tu ti chiami davvero Nathaniel Wingate Peasley". "La segretezza è una necessità del nostro lavoro" replicò il giovane soldato. "Lavoro?" domandò Charles sarcastico "Non direi proprio. La definirei piuttosto una missione". Per qualche minuto ci fu silenzio, come se il ragazzo e l’uomo ammantato si stessero studiando l’un l’altro.

Nella sua tana, il lucertolone sibilò seccato per la perdita di tempo.

Fu Charles a interrompere quella mancanza di parole che stava diventano snervante: "E allora? Quella che è caduta su questo pianeta è davvero l’unità Evangelion 01?". "Parrebbe di sì" replicò Nathaniel "L’armatura esterna è quasi completamente erosa, ma sarebbe strano il contrario, visto che ha passato gli ultimi trentotto millenni nello spazio e che sono trascorsi diecimila anni da quando un essere umano l’ha vista per l’ultima volta".

"E le parti organiche?"

"Il nucleo sembra intatto. Naturalmente, non so se il suo elemento S^2 sia ancora funzionante e comunque, senza pilota, non avrebbe molta importanza"

"Non è l’elemento S^2 a interessarci, ma potrebbe comunque tornarci utile. Il Consiglio ci ha chiesto di recuperare l’Eva per intero"

"Scherzi? E come faremo a sottrarlo alla Guardia?"

"Non ci sarà alcun bisogno di sottrarlo alla Guardia: basterà sottrarlo agli Inquisitori"

 

Skaim – Zaim si avvolse nel mantello. Si stava facendo freddo. Ma perché Logan non tornava ancora? Che fine aveva fatto? Sospirò e si sedette stancamente su di una roccia. Era più di un’ora che stava fermo lì a controllare gli spostamenti del gruppo di soldati imperiali. Volevano accamparsi, questo era chiaro, probabilmente per stabilire un presidio vicino all’oggetto della loro missione. Eppure, Skaim – Zaim non poteva fare a meno di chiedersi perché si fosse lasciato coinvolgere di nuovo in una delle bizzarre imprese di Logan. Aveva deciso di viaggiare con lui nella speranza di tornare su Ulthwe, il suo pianeta natale, ma stava cominciando a pensare che, se le cose fossero andate avanti così, non ci sarebbe arrivato mai. Non solo perché Logan non sembrava minimamente intenzionato a intraprendere quella rotta (men che meno Gutzmaak: a lui bastava che si facesse casino e sarebbe andato ovunque), ma perché le pericolose situazioni in cui l’improvvisato trio finiva puntualmente, di questo Skaim – Zaim era sicuro, un giorno o l’altro gli sarebbero costate la pelle. Eppure, fin da quando era partito da Necromunda insieme con i suoi due bizzarri compagni di viaggio, non aveva avuto occasione di trovare un passaggio per il mondo su cui era nato. E forse c’era anche un altro motivo per cui continuava a viaggiare con Logan e Gutzmaak. Qualche tempo fa, insieme a loro, aveva affrontato una potente creatura capace di leggere nel pensiero e mettere a nudo le più recondite paure dei suoi avversari. Quella stessa creatura aveva detto che il motivo della loro unione dipendeva dal fatto che tutti e tre temevano la stessa cosa: la solitudine. In seguito a quello scontro, Skaim – Zaim ci aveva pensato su per un po’. Su Ulthwe il suo nome era stato infangato perché aveva osato innamorarsi di una ragazza Eldar appartenente a un altro mondo; da allora, non aveva più avuto nessuno su cui appoggiarsi. Nemmeno la sua famiglia lo aveva voluto rivedere. Ma questo non spiegava comunque perché si fosse scelto per compagni due individui ai quali, palesemente, di lui non importava. Forse solo perché avevano combattuto insieme contro molti nemici? Rischiare la vita fianco a fianco glieli faceva sentire più vicini? Nonostante avesse più di un secolo (che era comunque una giovane età per un Eldar), Skaim – Zaim faticava a capire certe cose. Faticava a capire il vero e proprio concetto di solitudine. A volte, dubitava che fosse possibile. Con un sospiro, si sedette su di una roccia e si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia. Si stava annoiando. Si sorprese a desiderare che Gutzmaak se ne saltasse fuori all’improvviso e facesse casino, giusto per rompere la monotonia di quell’attesa. All’improvviso, sentì qualcosa. Una voce…. Una sussurrò trasportato dalla brezza notturna, parole provenienti da chissà dove, forse da chilometri di distanza, forse solo da qualche millimetro. Un sussurro, un sibilo, un dolce bisbigliare che diceva: "Imbecilleeeeee". Skaim – Zaim ringhiò seccato, quando si accorse che Logan gli stava parlando nell’orecchio. "Sei tornato, eh?" domandò acidamente l’Eldar girandosi verso il compagno. "Ti dispiace?" rispose il ragazzo appoggiandosi le mani sui fianchi in un gesto assurdamente teatrale. "Ho lasciato la jeep a un centinaio di metri da qui e ho portato un po’ di compagnia". Skaim – Zaim si alzò e si guardò alle spalle. Erin era lì, che lo fissava a propria volta. "Che ci fa lei qui?" chiese. Logan si sedette con noncuranza sulla stessa roccia sulla quale si era accomodato l’Eldar: "Bile dice che ci tornerà utile, anche se non ha specificato come. Comunque, mi ha detto un paio di cosette riguardo la nostra missione"

"Per esempio?"

"Per esempio, che i tizi che vogliono quell’umanoide, Guardia Imperiale e Inquisizione a parte, si chiamano Illuminati. Fanno parte di una specie di società segreta e si muovono in piccoli gruppi. Però hanno agenti un po’ ovunque, quindi è possibile che abbiano dei contatti anche su questo pianeta"

"Gli Illuminati?" Skaim – Zaim sbiancò.

"Li conosci?"

"Be’, non ne ho mai visti, ma ne ho sentito parlare. Sono tutti umani, eppure… I Veggenti Eldar più sapienti dicono che gli Illuminati siano umani che comprendono il significato profondo del Warp. In pratica, sembra siano a conoscenza di segreti dei quali nessun altro sa niente a parte forse gli Arlecchini"

"I Lecchini? Cioè?"

"ARlecchini. Sono una casta di Eldar che vagano per il Warp e che custodiscono la Nera Biblioteca, un deposito di segreti arcani, al quale viene precluso l’accesso a chiunque. Tra i pochi che possono entrare nella Nera Biblioteca ci sono gli Illuminati. Che altro ti ha detto Bile?"

"Mi ha detto che l’umanoide si chiama Evangelion 01 e che è stato creato su Terra circa trentotto mila anni fa. Sembra ci sia stato una specie di cataclisma, in seguito al quale è stato disperso nello spazio"

"Sì, ma cos’è di preciso? Ha l’aura di un demone, eppure il suo è un corpo materiale vero e proprio, mentre i demoni, normalmente, si manifestano nell’universo reale materializzando all’istante un corpo fisico di energia spirituale allo stato solido"

"E qui la situazione si fa un po’ confusa. I casi sono due: o Bile non sa molto di tutto questo, come mi ha detto lui, o vuole tenermi nascosto qualcosa, come penso io. Secondo Bile, l’Evangelion 01 sarebbe il clone di un demone. In pratica, sembra che i terrestri di trentotto millenni fa avessero una tecnologia tale da consentire loro di catturare una creatura del Warp ed estrarne il codice genetico. E qui arriva la parte confusa…"

"Aspetta, ci arrivo da solo: se i demoni hanno un corpo di energia spirituale, come hanno fatto a estrarne il DNA? In teoria, non dovrebbe esserci"

"Appunto. Ma non è solo questo. Secondo Bile, ce ne erano altri, di questi Evangelion, anche se non mi ha saputo o voluto dire che fine abbiano fatto"

"Non capisco! Che diavolo se ne facevano?"

"Ci combattevano i demoni. Pare che in quel periodo Terra sia stata attaccata da una stirpe di creature del Warp, apparentemente correlate a quella che ha fatto da modello per gli Evangelion. Stando a quello che mi ha raccontato Bile, le persone di quel tempo hanno incontrato questo demone e poi, sapendo che ne sarebbero arrivati altri, ne hanno tratto un clone per farsene difendere"

"Aspetta, aspetta… Come facevano a sapere che sarebbero stati attaccati da altri demoni?"

"Bile dice di non averne idea. Magari è tutta un’idiozia e questi Evangelion servivano semplicemente per combattere delle guerre contro nazioni rivali. Fatto sta che, a un certo punto, i demoni sono finiti ed è saltato fuori che i tizi che avevano creato gli Evangelion pensavano di usarli per un altro scopo"

"Sarebbe?"

"Anche in questo caso, Bile non lo sa, almeno così sostiene lui. Comunque, è successo un gran casino, è morta un sacco di gente, la popolazione di Terra si è ridotta a meno della metà e gli Evangelion sono andati dispersi. Ma sai qual è la cosa più bizzarra di tutta questa faccenda? Ti sei chiesto come facessero le persone di quel tempo a controllare i loro cloni di demone?"

"A dire la verità, sì"

"Me lo sono chiesto anch’io e, quando l’ho domandato a Bile, lui mi ha risposto che gli Evangelion avevano un pilota"

Skaim – Zaim sussultò: "Come sarebbe a dire? Mettevano degli umani a diretto contatto con un demone? Ma avevano idea dei rischi che correvano? Sapevano che il contatto con il Warp e le sue creature può alterare chi vi si sottopone?"

"Probabilmente no. Secondo lo stesso Bile, questi tizi, i piloti, si facevano dei viaggi assurdi quando erano dentro i loro demoni artificiali. Il fatto di trovarsi all’interno di una creatura del Warp amplificava le loro emozioni, forse addirittura al punto di fare avere loro delle allucinazioni. Fatto sta che, tutto sommato, la clonazione del demone originario non doveva essere venuta tanto bene, perché gli Evangelion avevano bisogno di tutta una serie di strutture di supporto per poter esistere. Per esempio, non avevano uno stomaco per mangiare, quindi dovevano essere alimentati tramite una fonte energetica esterna, forse elettrica"

"No, questo non mi torna: i demoni non hanno bisogno di cibo. Si nutrono di anime e possono farlo solo se si trovano nel Warp, non sono in grado di alimentarsi con i loro corpi fisici. Alcuni demoni sbranano e divorano le vittime, ma lo fanno per puro istinto, non perché questo abbia effettivamente una qualche utilità"

"Già, e anche il demone da cui sono stati clonati gli Evangelion non faceva eccezione. Non aveva bisogno di mangiare, dice Bile. Sembra che nel suo corpo ci fosse una fonte energetica eterna, che però non è stata replicata clonandolo. La necessità di alimentazione esterna degli Evangelion derivava proprio da questo e pare che, in un secondo tempo, si sia riusciti a sviluppare una versione artificiale della fonte energetica in questione"

"Questa storia non è affatto chiara. Più che darmi delle risposte, mi sono venuti altri dubbi"

Logan scrollò le spalle: "Infatti. Però, non vedo come la cosa possa interessarci ora. Visto che non possiamo certo portarcelo dietro, dovremo solo sistemare le cose affinché Bile possa venirselo a prendere"

"Aspetta un attimo: secondo i patti, noi avremmo dovuto solo prenderne un pezzo!"

"Ho trattato con Bile e abbiamo cambiato gli accordi. Glielo consegniamo tutto"

 

Prossimamente: ognuno ha le proprie convinzioni, ma non tutti possono scegliere. O forse non sceglie nessuno. C’è chi nasce per uno scopo predeterminato e c’è chi vuole trovare un motivo per la propria esistenza nel passato; tutti sono alla ricerca di qualcosa. Mentre Erin fornisce a Logan un sistema per concludere la missione, Bile decide che il programma deve essere cambiato ulteriormente…

33: Mai nato/Unborn

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Capitolo 8
*** Episodio 33: Mai nato/Unborn ***


??.07

 

‘E cosa ha ottenuto il vostro fragile Imperium? È una salma che marcisce lentamente dall’esterno, mentre le larve si agitano nel suo ventre. È stato costruito con la fatica di eroi e grand’uomini, e ora è abitato da deboli timorosi per i quali le glorie di quei tempi sono leggende mezze dimenticate. Io non ho dimenticato niente e la mia saggezza si è espansa oltre le mere fragilità mortali.’

Ahriman dei Thousand Son

 

Episodio 33: Mai nato

 

DESERTO DEL NEVADA, ANNO 2015

"È tranquilla?" la voce giunse limpida e confortevole all’interno dell’entry plug dell’Evangelion. Un bizzarro contatto con l’esterno in un posto che qualcuno avrebbe definito un altro universo, un luogo completamente diverso da qualsiasi altro in cui un essere umano fosse stato. O quasi.

"Sì, sono tranquilla" rispose la donna. "Be’, più o meno. Insomma, questo affare è completamente diverso da qualsiasi cosa abbia guidato in vita mia… E poi, doverci entrare in queste condizioni…". La donna lanciò un’occhiata al proprio corpo nudo. "Lo so, è imbarazzante" disse la voce "D’altra parte, non esistono plug suit che si adattino alla sua condizione, quindi entrare nuda era il modo migliore per sincronizzarsi". Queste parole non la convincevano. Era al nono mese di gravidanza e non la sorprendeva che non ci fosse una plug suit che le andasse bene, ma il ragionamento del professore, che stava supervisionando dalla sala di controllo la sua sincronia con l’unità Evangelion 04 al primo test di attivazione, non la tranquillizzava: "Ho sentito dire che il pilota dell’Eva 01 è salito a bordo indossando dei normali vestiti".

"Vero, ma era una situazione di emergenza. Non poteva essere equipaggiato in maniera appropriata. Noi qui stiamo conducendo un test di attivazione, quindi dobbiamo accertarci che le condizioni siano le migliori possibili"

"E questo sarebbe il meglio che possiamo fare?"

"Direi di sì. Adesso le spiacerebbe concentrarsi sul test?"

"OK, OK. Cosa devo fare?"

"Si rilassi. Cerchi di non pensare a niente. O meglio, cerchi di percepire l’essenza dell’Eva"

"Che diavolo sta dicendo? Si riferisce a quella storia dell’anima?"

"Esatto. Non siamo in grado di replicare un’anima al cento per cento, ma possiamo ottenerne un surrogato. Possiamo codificare la personalità di un individuo e riversarla in un contenitore apposito"

"Ma sì, ma sì," la donna era evidentemente spazientita "me l’ha già spiegato milioni di volte. Le teorie della dottoressa Naoko Akagi, no? Avete impostato la mia personalità nello 04 e adesso mi ci devo sincronizzare, giusto?"

"La teoria riguardo la sincronia è di Yui Ikari, come del resto quella che c’è alla base della produzione degli Evangelion. Comunque sì, il sistema che permette di ottenere un surrogato di anima è di Naoko Akagi. Adesso vorrebbe essere così gentile da fare quello che le chiedo?"

"Ma sì, ma sì".

La sala di controllo della sezione del Nevada della Nerv era stata costruita sul modello di quella della sezione giapponese: da un’ampia vetrata era possibile vedere direttamente la gabbia di contenimento dell’Evangelion sottoposto al test di attivazione. Seduti alle proprie postazioni, gli operatori monitoravano l’evoluzione del tasso di sincronia e la stabilità delle connessioni tra il pilota e l’Eva. Il professor Rudolph VanRichten, a capo del reparto scientifico della sezione, era immobile dietro i suoi sottoposti. Molto tempo prima aveva fatto parte del Gehirn e aveva avuto modo di conoscere personalmente sia Naoko Akagi che Yui Ikari. Non era mai stato altrettanto brillante, ma almeno ci aveva provato. Da un certo punto di vista, il fatto di dover gestire le scoperte delle sue due colleghe era un po’ una rivalsa nei loro confronti. A volte, VanRichten si sorprendeva a pensare qualcosa del tipo: ‘Avete visto? Siete state tanto più abili di me, ma adesso siete solo due cadaveri; io, invece, sto guadagnando soldi lavorando a quello che voi avete fatto’. VanRichten si avvicinò alla vetrata, osservando pensoso il volto ghignante dell’Evangelion 04. Sospirò infastidito: chi diavolo poteva avere avuto il cattivo gusto di progettare una corazza facciale tanto grottesca? L’unità 04 aveva l’aspetto di un demone che sembrava voler rivolgere un sorriso beffardo a chi lo guardasse, un ghigno inquietante e diabolico. Il professore appoggiò una mano sullo schienale della postazione immediatamente davanti a lui, dove era seduto uno degli operatori: "Come va?" domandò. "Nessuna anomalia" replicò l’uomo "La tensione elettrica sta per raggiungere il punto critico. Ecco, siamo allo 0.2. Attiviamo i collegamenti sinaptici… Tra poco dovremmo essere in grado di avere una prima lettura del tasso di sincronia…. 38%". "Cosa?" esplose VanRichten. Subito dopo, la soddisfazione prese il posto dello sgomento: "Molto bene, signori. Si registrano delle anomalie?"

"Nessuna, professore"

"Perfetto. Credo di poter dire fin da ora che l’esperimento sia perfettamente riuscito. Un tale tasso di sincronia alla prima attivazione va oltre le nostre più rosee aspettative. Stasera champagne per tutti, ragazzi, offro io!". La sala fu sommersa da un coro di applausi ed esclamazioni di approvazione. "Ehi, voialtri!" la voce che arrivava dall’altoparlante era inequivocabile: la pilota dell’Eva. "Ehi, voialtri!" ripeté la voce "Che diavolo state facendo? Perché siete così contenti?". "Perché sta andando tutto bene" rispose VanRichten "L’esperimento è stato un successo".

"Significa che posso uscire di qui?"

"Direi di sì. Solo il pilota dello 01 ha ottenuto un tasso di sincronia superiore al suo alla prima attivazione. Ma l’Eva che guiderà lei sarà molto migliore dello 01: tra qualche settimana dovrebbe arrivare dalla Germania il prototipo di motore S^2 e allora potremo smantellare l’alimentazione dello 04 e sostituirla con il nuovo sistema. A quel punto, avrà per le mani l’Eva più potente che sia mai esistito"

"D’accordo, ma adesso diamoci un taglio, mi è venuta fame"

"Aspetti un attimo. Giusto per curiosità, provi a fare chiudere in un pugno la mano sinistra dell’Eva. Non dovrebbe avere problemi, con quel tasso di sincronia"

"Devo solo pensare di voler chiudere la mano, no?"

"Esatto. Provi"

"Fatto…"

VanRichten si rivolse all’operatore: "Allora?". "Niente da fare" replicò l’uomo "La mano è immobile". "Come sarebbe?" il professore sbuffò sbalordito "Con un tasso di sincronia del 38% non riesce a muovere una mano? Come me lo spiega?". L’operatore deglutì: "A dire la verità, non me lo spiego…. Forse c’è un errore nel computer e il vero tasso di sincronia è più basso". VanRichten incrociò le braccia sul petto e riportò lo sguardo sull’Eva, un’enorme sagoma oltre la vetrata: "Controlli il corretto funzionamento dei computer. Ripetete le letture dei dati. Se il risultato è lo stesso, provate a scollegare il pilota e a connetterlo di nuovo". Per qualche minuto, l’unico suono che fu possibile sentire nella sala di controllo fu il frenetico battere sulla tastiera di dita frettolose, impazienti di trovare una soluzione a quell’enigma. Alla fine, giunse il responso: "Il tasso di sincronia è dell’86%". "Come sarebbe?" sbottò VanRichten. Non gli piaceva quando la situazione gli sfuggiva di mano. "La sincronia sarebbe aumentata? È evidente che c’è un errore nel programma di rilevazione. Ragazzi, mi sa che dovremo rimandare i festeggiamenti: scollegate il pilota e provate a reinstallare il programma. Adesso vedremo se….". Il professore non terminò mai la frase: le urla lancinanti del pilota dello 04 proruppero improvvisamente dall’altoparlante. "Che diavolo succede?" chiese VanRichten chinandosi su uno dei monitor alla disperata ricerca di una risposta. "Impossibile dirlo!" replicò l’operatore "Il tasso di sincronia sta salendo, ma non riusciamo a capire perché, e sembra che l’Eva non abbia alcuna reazione! È al 103%"

"Impossibile! Non può arrivare a tanto!". Le grida continuavano a tormentare la sala di controllo come uno spettro invisibile che volesse infestare uno spazio troppo angusto per la propria esistenza.

"Non so cosa dire, professore! Sta aumentando ancora! 170%!"

"E l’Eva?"

"Nessuna reazione! Sembra completamente indifferente all’aumento della sincronia!".

C’era qualcosa che non andava. Il pilota dello 04 stava continuando a gridare come se qualcuno fosse stato intento a torturarla, eppure la sincronia saliva e l’Evangelion non aveva alcuna reazione. Era completamente immobile, ancora saldamente fissato agli ancoraggi. "220%!" esclamò l’operatore, passando completamente inascoltato. "Ma che cazzo sta succedendo?" sibilò VanRichten, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

"340%!"

"Merda! Merda! Non è mai successo niente di simile! Altrimenti perché la filiale giapponese non mi avrebbe informato di questo rischio?"

"409%! Sembra stabile…. Localizzata presenza di sangue e tessuti estranei all’interno dell’entry plug. Avvio le procedure per l’espulsione?"

Nessuna risposta.

"Professore?"

"Eh? Ah, sì, espellete l’entry plug all’istante".

 

Rudolph VanRichten si lasciò cadere sulla sedia davanti alla propria scrivania. Il locale era immerso nell’oscurità e il professore, in quel preciso momento, non sentiva il bisogno di rischiarare più di tanto quelle tenebre. Si limitò ad accendere la piccola lampada alla sua destra. La debole luce illuminò la grossa busta, dalla quale sporgevano ancora i documenti che il professore aveva estratto e riposto all’interno. Era il dossier riguardante gli Evangelion, le istruzioni su come assemblarli e pilotarli, materiale proveniente direttamente dalla filiale giapponese. Una discreta parte del quale era stata deliberatamente ignorata: il governo degli Stati Uniti non aveva intenzione di sottomettersi alle direttive dell’Istituto Marduk: il pilota dello 04 doveva essere un uomo di fiducia. Che poi era diventata una donna di fiducia: un ufficiale dell’esercito. Per il resto, però, l’Evangelion era stato assemblato a regola d’arte e le procedure erano state seguite senza la minima deviazione. VanRichten alzò lo sguardo: davanti a lui, sull’attenti, ancora immerso nell’oscurità della stanza, c’era l’operatore che aveva seguito l’esperimento di attivazione. "Allora?" domandò il professore. "Le condizioni del pilota sono ora stabili" replicò l’uomo, restando sull’attenti. VanRichten appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani: "Siete riusciti a ricostruire esattamente quello che è successo?"

"Apparentemente, la prima ipotesi era quella giusta. Sembra che, durante il test di attivazione, sia accaduto qualcosa che ha causato un aborto spontaneo"

"Ma non siete riusciti a trovare tracce del feto nell’entry plug, giusto?"

"Sissignore, come le avevo già detto. C’erano resti della placenta, ma nessuna traccia de bambino. E non è nemmeno più nell’utero della madre"

VanRichten annuì, quasi meccanicamente: "Tutto è cominciato quando ho chiesto al pilota di muovere la mano. Avete trovato elementi che facciano pensare che questo sia in qualche modo correlato all’aborto?"

"Nessuno in particolare, professore. Non riusciamo ancora a capire le cause esatte dell’accaduto"

"Capisco. Cioè, non ci capisco niente, ma era un modo di dire… E i computer? Avete provveduto a reinstallare i programmi?"

"Sì, professore. Abbiamo reinstallato sia i programmi che il sistema operativo per sicurezza, abbiamo cercato di rintracciare la presenza di eventuali virus che potrebbero essere stati inseriti da qualche guastatore, ma tutti gli esami hanno dato esito negativo. Apparentemente, il sistema funzionava correttamente anche prima"

"Ma allora come è possibile che il pilota non riuscisse nemmeno a muovere una mano?"

"Professore, potrebbe avere a che fare con quelle situazioni particolari descritte nei documenti inviatici dalla sezione giapponese?"

"Intende lo stato di berserk e la contaminazione mentale? No, in entrambi i casi l’Evangelion si sarebbe dovuto muovere, mentre invece è rimasto completamente immobile. Non era in berserk, questo è ovvio"

"Allora, non saprei cosa pensare… La sincronia era stata ottenuta, quindi, se il pilota avesse voluto muovere l’Eva, avrebbe potuto farlo. Non vedo proprio come…"

"Merda!". VanRichten balzò in piedi all’improvviso.

"Prego?"

"Ho detto ‘Merda!’. La sincronia era stata attivata, questo sì, ma non sappiamo con chi si fosse sincronizzato l’Eva!"

"Come sarebbe a dire? Nell’entry plug c’era una sola perso…". L’uomo si bloccò all’improvviso, come se si fosse accorto di qualcosa all’ultimo momento.
"Il feto". VanRichten diede voce ai suoi pensieri "Si era sincronizzato con il feto, il bastardo!"

 

Episode 33: Unborn

 

ANNO 992M41

Gutzmaak stava sogghignando tra sé e sé. Trovava tutto questo davvero divertente. Ed era un fatto molto strano per un Orketto. Di norma, gli Orketti amano il chiasso e i combattimenti: più di un avamposto imperiale era stato soverchiato da un’orda urlante di pelleverde che sciamava sulle postazioni nemiche incurante del fuoco di sbarramento, sparando pur sapendo che il bersaglio non era entro il raggio delle loro armi solo per sentire il rumore delle pistole. Molti comandati della Guardia Imperiale e molti Capitani Space Marine, pur parlando degli Orketti come una specie rozza e feroce, riconoscevano che quei mostri verdi sapevano imbastire strategie brutalmente efficaci, anche se spesso costavano la vita di molti loro simili. Morire era qualcosa di cui, apparentemente, gli Orketti non si curavano. Ma Gutzmaak era diverso. Isolato dai suoi simili per il fatto di essere uno psyker, aveva vissuto epr molto tempo tra gli umani e aveva imparato ad apprezzare alcuni lati della loro cultura, che, ai suoi occhi, appariva per lo più come rozza e primitiva (perché fare un piano d’attacco prima della battaglia? Dove sta il divertimento?). E poi, c’era il leggendario Gioco del Nascondino. Gutzmaak non aveva mai capito in cosa consistesse esattamente, ma gli piaceva moltissimo. Per quello che ne sapeva, comportava che qualcuno si nascondesse. Quando si era avvicinato all’accampamento della Guardia Imperiale nei pressi di quell’umanoide gigante, aveva deciso di giocare a nascondino con gli umani che vi si trovavano. Aveva cominciato a trattenere la propria aura come aveva visto fare a Logan e poi si era infilato proprio sotto l’umanoide. Non lo aveva visto nessuno. A un certo punto, si era stancato e se ne era andato. Mentre trotterellava nel deserto, con il muso ghignante sferzato dall’aria notturna, si sentiva veramente soddisfatto. Anche perché aveva preso un souvenir niente male. Si infilò una mano in tasca e ne estrasse un bizzarro pezzo di materia molliccia, di un rosato cupo piuttosto anonimo. Già, piuttosto anonimo. Gutzmaak la fiutò per un po’, poi se la rimise in tasca. Per qualche minuto si chiese cosa avrebbe potuto fare con un pezzo della carne di quell’umanoide, che aveva tagliato accuratamente con un colpo d’ascia. Poi, si dimenticò di averla con sé.

 

ANNO 974M41

Dietro le sbarre della prigione, c’era un uomo biondo. Seduto, con le gambe raccolte sul petto e la testa piegata sulle ginocchia, illuminato debolmente dalla luce dell’alba che filtrava dalla finestra, sembrava quasi una statua, immobile e impassibile. Se non fosse stato per il ritmo del suo respiro, si sarebbe detto che era morto. Nemmeno il clangore metallico della porta della cella che si apriva gli fece alzare la testa. Quello che lo convinse a guardare cosa fosse successo fu la voce dell’uomo che gli si rivolse: "Joseph Connolly. Mi hanno detto che sei un vero duro, eh?". L’uomo biondo, Joseph Connolly, sbirciò tra le ginocchia. Davanti a lui c’era un tizio pelato che indossava una Power armour completa. Il nuovo arrivato, fiancheggiato dalle guardie della prigione, parlò ancora: "Mi chiamo Otto Zdansky e sono un Inquisitore al servizio del Benevolo Imperatore" disse con tono falsamente conciliante, mentre si piegava sulle ginocchia per portarsi all’altezza del suo interlocutore "Sono stato io a progettare l’assalto al covo tuo e della tua maledetta setta di eretici. E vi ho anche partecipato personalmente, sai? Si può dire che sia stato merito mio se quasi tutti i tuoi compagni sono morti e gli altri sono stati catturati. Però, so bene che tu eri solo un pesce piccolo di un’organizzazione più grande e vorrei che mi dicessi chi sono i tuoi capi". Per la prima volta, Connolly parlò, la sua voce era poco più di un sibilo: "’fanculo, stronzo". "D’accordo" Zdansky si alzò e fece per avviarsi all’uscita. Ma l’inaspettata loquacità del prigioniero lo bloccò: "So cosa hai intenzione di fare" bisbigliò Connolly "Vuoi tornare portarmi in qualche posto dove hai intenzione di torturarmi finché non parlerò, vero?". L’Inquisitore fu scosso da una risata: "Non è nel mio stile. Dicono che io sia un tipo diretto, ma, se posso ottenere ciò che voglio con metodi non cruenti, so anche trattare. Nella fattispecie, adesso che mi ci fai pensare… Non ti ho dato una notizia che potrebbe interessarti. Ieri notte abbiamo catturato tua moglie". L’uomo dai capelli biondi balzò in piedi: "Cosa avete fatto?" boccheggiò. "Mi hai sentito" replicò Zdansky acido "Ma sta’ tranquillo, lei sta bene, non abbiamo avuto bisogno di farle del male per prenderla. E sai perché? Perché aveva appena partorito. Sapeva di non poter fuggire insieme con le bambine, senza contare che era stata duramente provata dal parto. Di conseguenza, ha pensato bene di non fare resistenza. Una scelta saggia. Quando, dopo la distruzione del tuo gruppo, lei è scappata nella brughiera, abbiamo pensato che non l’avremmo più trovata". "Le bambine?" deglutì Connolly. "Sì," confermò l’Inquisitore girandosi a fronteggiare l’uomo "le bambine. Sono due gemelle e stanno bene. Anzi, anche meglio di quanto tu possa immaginarti: le ho viste di persona e ho percepito le loro aure. Sono psyker, Connolly. La cosa ti sorprende?". L’uomo biondo tornò a sedersi: "No. Mia madre era una psyker. Posso vederle?". Sul viso di Zdansky si dipinse un sorriso soddisfatto, come se fosse arrivato al punto: "Dipende da te" rispose "Ho paura che non le potrai vedere per qualche tempo, però…". Connolly sembrò pendere dalle labbra del suo interlocutore e l’Inquisitore riprese "Però, tu sai come il Benevolo Imperatore tratta gli psyker… Se sanno controllare i propri poteri, possono servirlo, altrimenti devono morire. Io posso fare in modo che entrambe le tue figlie sopravvivano". Zdansky si inginocchiò di nuovo e appoggiò una mano sulla spalla dell’uomo: "Io ne prenderò una con me, e questo equivale a una condanna a morte. Entrerà a far parte dell’Inquisizione e diventerà mia allieva. Il suo sarà un lavoro pericoloso e, fin da giovanissima, dovrà impegnarsi in missioni che potrebbero costarle la vita. Però, posso fare in modo che l’altra bambina abbia una vita tranquilla e serena qui, su questo pianeta. Posso fare in modo che usi i propri poteri per servire l’Imperatore senza che questo le faccia correre rischi effettivi. Connolly, ti dico questo: se tu mi racconti tutto quello che sai riguardo i vertici dell’organizzazione di eretici che controlla il tuo gruppo, una delle tue figlie si salverà e l’altra verrà con me. Il che, dopotutto, non significa che morirà sicuramente. Se però non parli, non potrai più rivedere né loro né tua moglie".

Due ore dopo, Otto Zdansky uscì dalla cella con un’espressione soddisfatta. Una delle guardie, un omone coperto da un’armatura nera aderente gli si avvicinò: "Allora, signore? Com’è andata?". "Molto bene" replicò l’Inquisitore "Il nostro amico si è dimostrato disposto a trattare. Ah, mi ha anche chiesto di comunicare a sua moglie i nomi che vorrebbe fossero dati alle bambine: Meryl e Alexandra". Zdansky si incamminò verso l’uscita del carcere. Mentre si concedeva un sorrisetto, pensò che Alexandra era un nome che gli piaceva proprio.

 

ANNO 992M41

Alexandra Connolly si strinse nelle spalle. Era uscita dalla tenda per godersi per qualche minuto la frescura del deserto di Novet e per dare un’occhiata a quell’enorme demone che Zdansky voleva recuperare. Sospirò tra sé, scuotendo il capo rassegnata. C’erano dei momenti in cui non le piaceva l’idea di essere un’Inquisitrice, di dover affrontare tutti i pericoli che minacciavano l’umanità. Certe volte, desiderava una vita più "normale", con dei problemi più pratici. Durante le missioni in incognito, aveva occasione di mescolarsi con la popolazione dei pianeti imperiali e di vederne le condizioni di vita: la gente cercava di sopravvivere guadagnandosi da vivere e ottenendo quanto più benessere possibile, ma era raramente consapevole di quello che le incombeva addosso. Le persone normali pensavano che il problema più grave della vita fosse sopravvivere fino al termine della giornata; non si preoccupavano assolutamente dei problemi di un Inquisitore, che doveva affrontare demoni e alieni. Eppure, più andava avanti con il suo lavoro, più Alexandra pensava che, nonostante tutto, preferiva dover combattere in continuazione piuttosto che proteggersi dietro un sottile velo di ignoranza. Le restava l’amarezza di non aver potuto decidere cosa fare della propria vita: era stata cresciuta da Zdansky fin da piccola, per diventare parte dell’Inquisizione. Nessuno aveva chiesto la sua opinione in merito. Alzò il capo e lanciò un’occhiata all’enorme sagoma del demone in armatura. Chissà se un demone aveva la possibilità di decidere della propria vita? Chissà se questo demone aveva deciso di essere un demone? In quanto Inquisitrice dell’Ordo Malleus, aveva studiato la demonologia fin da piccola, ponendo gli occhi su testi proibiti, dei quali ai comuni cittadini dell’Imperium era proibito anche solo immaginare l’esistenza. Chiunque avesse accennato a quei libri poteva essere giustiziato come eretico, ma un Inquisitore era oltre la legge imperiale. E così, Alexandra aveva appreso che la possessione è una pratica comune e non sempre indesiderata. Alcuni esseri umani si ponevano sotto la protezione delle Divinità Oscure con il preciso scopo di essere trasformati un giorno in Principi Demoniaci, una delle più abominevoli manifestazioni del Caos. Chissà se questo demone era stato un essere umano?

 

"Aspetta un attimo!" protestò Logan mentre Erin, apparentemente senza alcuna precauzione, cominciava ad avviarsi verso le vallata in cui riposava lo 01 "Cosa hai intenzione di fare?". "Quello che mi ha chiesto il signor Bile" rispose la ragazza senza cambiare la propria espressione impassibile "Andrò a prendere lo 01". "Non così in fretta!" stavolta lo psyker le si parò davanti "Come pensi di prendere quell’affare? Ti rendi conto che è circondato da soldati?". "Appunto" intervenne Skaim – Zaim raggiungendo i due "Non potresti avvicinarti all’umanoide senza essere scoperta". Erin si fermò all’improvviso e si girò verso l’Eldar: "Entrerò nella cabina di pilotaggio" dichiarò risoluta "Io sono l’unica persona in grado di fare muovere l’Evangelion". "Aspetta un attimo" chiese Logan incuriosito "Vuoi dire che Bile ti ha insegnato a pilotare quell’affare? E lui come faceva a saperlo?". Poi, il giovane accarezzò l’idea di impadronirsi di quell’umanoide, un’arma potentissima, che aveva saputo tenere testa a dei demoni: "Perché non lo insegni a me, così vado a prenderlo io?". La ragazza gli lanciò un’occhiata sospettosa, quasi gli avesse letto nel pensiero: "Non è questione di saperlo pilotare. C’è un motivo per cui non tutti possono guidare un Evangelion"

"Ah, sì? E sarebbe?"

"Gli Evangelion non erano controllati meccanicamente. Non completamente, almeno. Dentro di loro venivano impostati artificialmente alcuni tratti della personalità di un essere umano, che poi diventava il pilota. Un Eva non ha un’anima vera e propria, quindi non si può muovere da solo: è necessario che la persona da cui ha tratto la personalità entri nella cabina di pilotaggio e ne completi lo spirito con il proprio".

"Ho già sentito qualcosa del genere" intervenne Skaim – Zaim "Ci sono alcuni modelli di esoscheletri e fortezze mobili da battaglia che vengono guidati in maniera molto simile. Viene loro infusa una personalità basilare, che si occupa delle mansioni più banali, come mantenere l’equilibrio e camminare, così che il pilota possa preoccuparsi di combattere". "Sono l’unico che non ne sa niente?" protestò Logan; poi, rivolgendosi di nuovo a Erin: "Continuo a non capire come potresti pilotare l’Evangelion: non avevi detto che li può guidare solo chi ha fornito loro la personalità?"

"Non proprio: può farcela anche chi ha un’anima simile a quella del pilota originario"

"E la tua anima è simile a quella del pilota originario?"

"Non saprei. Devo provarci. D’altra parte, è l’unico modo per portarci via l’Evangelion, visto che non abbiamo mezzi per trasportarlo: Ci basterà farlo arrivare all’astronave del signor Bile e la missione sarà compiuta"

Logan s’incupì. C’erano molti punti oscuri in quello che Erin aveva appena detto. Quello sulla similitudine delle anime, per esempio, era un discorso di cui non aveva colto il senso. Però, almeno aveva capito come Bile contava di impadronirsi dell’Eva. Sogghignò: "E va bene, facciamo come dici. Però, non puoi andare a prenderti l’Evangelion così, sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo creare un diversivo".

 

ANNO 978M41

La terra si scuoteva e tremava, gorgogliava come un gigante addormentato e ringhiava come una belva sul punto di balzare sulla preda. Ma tutto questo era di poca importanza per le schiere di uomini e donne in saio bianco che si prostravano di fronte all’altare, costruito davanti al grande vulcano. Un paio di colonne in marmo bianco, che contrastavano violentemente con la terra nera e grigia di cenere, spaccata dal rosso rovente dei fiumi di lava. Una sorta di tavolo, anch’esso in marmo bianco, su cui si svolgevano i sacrifici che l’immonda stirpe degli Tcho-Tcho tributava alle Divinità del Caos. L’uomo che si trovava direttamente davanti all’altare si alzò, allargò le braccia e si griò verso gli altri, abbassandosi il cappuccio del saio per rivelare un capo completamente rasato. "Fratelli!" esclamò "Ora offriremo il supremo sacrificio a Padre Khorne, il Dio del Sangue, il Guerriero dalla Scintillante Armatura! Gli immoleremo il nostro futuro, come segno che non temiamo la morte, se possiamo morire in suo nome!". Poi, l’uomo abbassò il capo verso una piccola figura, anch’essa prostrata davanti all’altare: "Vieni avanti, Megan" disse suadentemente. "Sì, padre" rispose la bambina alzandosi in piedi e lasciando che il cappuccio del piccolo saio che indossava le ricadesse sulle spalle. Anche lei era stata completamente rasata e i suoi occhi castani incontrarono quelli del padre, trasmettendo all’uomo una calma serena che quasi lo inquietò. La bambina sapeva a cosa andava incontro. D’altra parte, era stata preparata a questo fin dalla nascita, fin da quando i suoi poteri psichici erano stati scoperti. Gli Tcho-Tcho, la razza di umani che abitava quel pianeta, era devota al dio guerriero Khorne, che riteneva l’uso dei poteri psichici un mezzo da vigliacchi. I combattimenti andavano vinti con le armi, affrontando gli avversari direttamente, in corpo a corpo. Il fatto che fosse nato uno psyker in un gruppo di adoratori di Khorne era semplicemente impensabile. La bambina andava sacrificata, immolata in una pira funebre, ma solo quando fosse stata abbastanza grande da capire la propria condizione di creatura inferiore. Quattro anni erano un’età adatta. L’uomo si avvicinò alla piccola: "Sali sull’altare" le disse. Senza una parola, Megan si arrampicò agilmente sul tavolo e si mise in piedi. "Sdraiati" le ordinò suo padre. "No" replicò la bambina, sempre con la sua espressione serena sul viso. L’uomo restò sgomento a quella risposta. Come era possibile che si rifiutasse? Megan era stata preparata fin da piccola a quel momento: solo Khorne in persona avrebbe potuto sottrarla al proprio destino. Tanto più in un momento in cui tutti gli Tcho-Tcho erano presenti. Non erano in molti meno di cento: l’ambiente selvaggio del pianeta su cui vivevano e l’abitudine di combattersi fra di loro a maggior gloria di Khorne diminuivano drasticamente il loro numero. Senza permettere ad alcuno di parlare, Megan continuò: "Ho incontrato Khorne, il Guerriero dalla Scintillante Armatura. Mi ha detto che devo compiere il mio destino. Sono salita su questo altare perché così devo fare. Perché questo altare è abbastanza alto". La bambina frugò tra le proprie vesti e ne estrasse un oggetto. Sembrava un bizzarro cilindro con una levetta in cima. Goffamente, Megan girò la levetta e poi scagliò il cilindro in mezzo all’assembramento di persone, con tutte le proprie forze. Un attimo dopo, una nube verdastra si levò da dove l’oggetto era caduto, espandendosi velocemente al livello del terreno, alzandosi solo di poco. Gli Tcho-Tcho, ancora prostrati, invece, non si sarebbero alzati mai più. L’unico che non morì, scosso da spasmi e convulsioni, nel giro dei quattro minuti seguenti fu il padre di Megan, che era in piedi. Non impiegò molto a capire cosa era successo: quello che sua figlia aveva lanciato era un diffusore di gas venefico, un gas più pesante dell’aria. Ma come aveva fatto Megan a procurarselo? Glielo aveva dato qualcuno? Qualcuno che sapeva che gli Tcho-Tcho sarebbero stati prostrati a terra e avrebbero respirato il gas? Prima che l’uomo potesse formulare altri pensieri, un proiettile gli trapassò il cervello. Il suo corpo cadde riverso sui gradini dell’altare, una macchia rossa che si espandeva dalla sua testa. Poi, un bizzarro individuo dall’armatura grigia arrivò, levitando giù dal cielo, con ancora una pistola stretta in pugno. Anche il nuovo arrivato era calvo, e Megan parve riconoscerlo subito: "Padre Khorne!" esclamò. "Non proprio" rispose questi atterrando sull’alare e rinfoderando l’arma. "Quando ci siamo incontrato ieri, hai creduto che io fossi Khorne? Solo perché io non ti avevo detto di non esserlo? Sei piuttosto ingenua, sai? Hai sterminato la tua razza con il gas venefico che ti aveva dato, come ti avevo chiesto, perché pensavi che io fossi il vostro immondo dio? Tutto questo non è bello, anche se confesso che è successo perché io l’ho voluto… Ma non preoccuparti, piccola Megan Derleth, imparerai ben presto a riconoscere i veri amici e i veri nemici. Mi chiamo Otto Zdansky e sono un Inquisitore al servizio del Benevolo Imperatore. Ti prenderò con me"

 

ANNO 992M41

Megan Derleth non era una ragazza a cui piacesse particolarmente viaggiare. Non la infastidiva più di tanto, ma a volte pensava che avrebbe preferito lasciare a qualche suo collega l’onere di girarsi mezza Galassia per dare la caccia a demoni e schifezze varie provenienti dal Warp. Ovviamente, essendo stata cresciuta fin da piccola per fare parte dell’Ordo Malleus, non è che avesse avuto molta libertà di scelta. Nel complesso, si trovava abbastanza bene a lavorare con Zdansky e Alexandra era l’unica persona che potesse considerare come una sua amica. Certo, a volte non capiva i suoi comportamenti bizzarri, magari anche troppo poco pragmatici; eppure, il fatto di essere così diverse consentiva loro di amalgamarsi bene. Mentre passeggiava pigramente tra le tende, cercando di scrollarsi di dosso il sonno che la attanagliava, Megan vide la sua collega davanti alla gigantesca sagoma del demone in armatura. "Cosa ci fai ancora qui?" le domandò affiancandosi a lei. "Niente di particolare" rispose Alexandra con una scrollata di spalle "Mi chiedevo solamente come questo essere sia arrivato fin qui. Se l’abbia deciso lui o se ci sia giunto senza volerlo veramente, per puro caso". Megan sbadigliò sonoramente, quasi ingoiandosi le parole: "E che ti importa? Quello che conta è che dobbiamo portarcelo via. Che sia arrivato qui per volontà o per caso, non mi sembra avere molta importanza". "E invece potrebbe!" replicò la bionda risentendosi "Se fosse qui per uno scopo specifico, saperlo potrebbe tornarci utile"

"Quello che non ci torna utile è farci delle domande come quella che ti sei posta tu, per il semplice fatto che non avremo mai una risposta. Il demone non ci parlerà e comunque noi lo porteremo via di qui prima che possa fare qualsiasi cosa. Quindi, anche se avesse uno scopo, sarebbe inutile arrovellarcisi sopra"

"Non ne sono convinta. Voglio dire, non ci siamo mai poste il problema di capire cosa pensino i demoni, se decidano quello che sono o se…"

"No, per favore, lasciamo perdere… Lo sai cosa sono i demoni. Quando un dio rinuncia a una parte della propria essenza, crea un demone. I demoni sono il tramite delle entità dell’Immaterium nell’universo reale. Alcuni possono avere un’intelligenza artificiale derivata da un residuo dell’anima del dio che ha dato loro vita, però non possiedono una vera e propria volontà, quindi non prendono decisioni in quanto tali"

"E io mi sono sempre chiesta come si sia venuti a sapere queste cose. Se non si può comunicare con i demoni, chi le ha scoperte?"

"Mi stupisci! Sembra quasi che tu non sia uno psyker… Sembra quasi che tu non abbia mai sognato i demoni e quello che c’è nelle loro anime vuote"

"Erano sogni e non sono mai stata propensa a prenderli per oro colato"

"Ti poni troppi problemi. Non sei pratica, ecco. Io dico: se anche le nostre percezioni sbagliassero, che ci importa veramente di quello che i demoni pensano? Ci sono ostili: che ci piaccia o no, non possiamo fare altro che combatterli"

 

La notte non era silenziosa come sarebbe dovuta essere. Nelle tenebre del deserto di Novet, nell’oscurità di quella distesa sferzata dal vento, si innalzava un canto abominevole che poteva penetrare ciò che era più scuro di qualsiasi altra cosa: l’animo umano. Ciascuna delle quattro Potenze del Caos principali incarnava innanzitutto una pulsione essenziale della natura dei mortali: così, le musiche stridenti che gli Emperor’s Children dedicavano a Slaanesh altro non erano che un modo per riconoscere l’importanza di ciò che il Principe del Piacere rappresentava. Le armature nere dei Marine del Caos, coperte di rune, bordature e intarsi rosa, azzurri, verdi e bluastri, erano spesso dei veri e propri strumenti musicali, anche se nessuno avrebbe definito ‘musica’ i suoni gracchianti e deviati che ne scaturivano. Dagli zaini corazzati degli Emperor’s Children si innalzavano altoparlanti e strutture che emettevano note in grado di scuotere il cervello umano. Ma ai seguaci di Slaanesh tutto questo piaceva: la loro ricerca ossessiva del piacere in forme sempre nuove li portava a sperimentare i suoni più bizzarri. E colui che produceva le melodie diaboliche più oscure e corrotte era il comandante di quel contingente. Derketo, così lo chiamavano, era un veterano, un guerriero che aveva combattuto durante l’Eresia di Horus. Aveva conosciuto personalmente il Primarca Fulgrim, aveva servito ai suoi ordini e aveva preso parte all’attacco finale su Terra. Al tempo, non era stato molto convinto di voler seguire il culto di Slaanesh: era sempre stato un individuo molto pratico, poco propenso alla religione, che riteneva essere uno dei più irrazionali comportamenti dell’umanità. Però, quando tutta la Legione si era votata al culto del Caos, lui non aveva avuto scelta. E, tutto sommato, non gli era affatto dispiaciuto: quando era stato un guerriero dell’Imperatore aveva combattuto a lungo rischiando la vita affinché altri potessero trarre vantaggio dal suo operato; adesso, poteva combattere per trarne piacere personale. Il suo volto, mutato da millenni passati sotto l’influenza del Caos, era diventato di un pallore latteo e completamente glabro; dal suo cranio sporgevano piccoli aculei metallici, bizzarri ornamenti piantati direttamente nel teschio. La sua armatura nera, sulla quale si intrecciavano complicati intarsi che formavano l’aspetto di volti mostruosi, si innalzava in uno zaino che ricordava più che altro un groviglio di canne d’organo che si proiettavano verso l’alto. In cima a ciascuna di esse, il volto di un demone, scolpito in uno strano metallo color oro, sembrava voler gridare il proprio disprezzo alla Galassia; più praticamente, serviva ad amplificare i suoni che provenivano dallo zaino stesso e dall’armatura. Mentre ascoltava la dolce cacofonia che i suoi compagni stavano producendo, un inno al Signore del Piacere per la battaglia che si sarebbe svolta il giorno seguente, Derketo, seduto su di una roccia, tracciava pigramente dei cerchi nella sabbia con la punta dell’enorme spadone ricurvo che teneva nella mano destra. Il suo volto si contraeva in un sadico sorriso ogni volta che veniva emessa una nota particolarmente sgradevole.

Prima di diventare un Signore del Caos, uno dei guerrieri che guidavano in battaglia le armate delle Oscure Potenze, Derketo era appartenuto al Culto dei Marine del Clamore, una setta di Marine del Caos devoti a Slaanesh, esperti nell’uso di devastanti armi che usavano le onde sonore per annientare il nemico. Ancora oggi sapeva apprezzare quei suoni, cogliendo la caducità del piacere che portavano alle sue truppe.

Ma, all’improvviso, tutto fu silenzio. I sensi potenziati degli Emperor’s Children avevano sentito dei passi. Passi pesanti. Era un altro Marine. Ora potevano vederlo giungere verso di loro, mentre cercava i difendersi con una mano dalle nubi di sabbia sollevate dal vento. Il Marine, dalla cui Power armour spuntavano quattro braccia meccaniche, si avvicinò a Derketo, ignorando deliberatamente gli altri Emperor’s Children. Il Signore del Caos alzò il capo: "Sei venuto a vedere come procede il nostro lavoro, Bile?". Fabius Bile rispose con il suo sorrisetto tipico: "No, sono venuto a dirti che c’è un cambiamento di programma. Ricordi? Ti avevo promesso che ti saresti potuto divertire con questo pianeta, se tu avessi recuperato per me lo 01, no?". Derketo si alzò, fronteggiando il Signore dei Cloni alla sua stessa altezza: "Non ci manca molto. La Guardia Imperiale di questo mondo è equipaggiata piuttosto male, entro domani dovremmo riuscire a spazzare via quello che ne resta. Loro non sanno ancora che abbiamo tenuto i nostri pezzi migliori per l’assalto finale"

"Anche se riusciste nel vostro compito, recuperare lo 01 in tempo sarebbe comunque un problema: pare che l’Inquisizione ci abbia messo gli occhi sopra e che anche gli Illuminati siano qui"

"E quindi?"

"E quindi non mi stupirei se la linea di difesa della Guardia si radunasse proprio attorno all’Evangelion. E quella è una posizione che si può difendere abbastanza facilmente, anche contro dei Marine. Potreste impiegare più tempo del previsto a compiere la missione e, se arrivassero dei rinforzi, la scarsità numerica del tuo contingente rischierebbe di diventare evidente"

"Cosa suggerisci di fare, allora?"

"Molto semplice: tu e i tuoi Space Marine attaccherete domattina; combattete per un paio d’ore, poi fingete di essere sconfitti e ritiratevi. Aspettate che la Guardia vi insegua e attirateli in una trappola. Nel frattempo, altri miei agenti provvederanno a recuperare lo 01"

"L’idea in sé non mi dispiace, ma non credo che gli imperiali abboccheranno tanto facilmente. Considerato quanti pochi mezzi hanno, dubito che faranno qualcosa di pericoloso come inseguirci, anche perché probabilmente sospetteranno che sia una trappola"

"Lo so, ma questo non è un problema… Se vogliamo che abbocchino, basta sventolare loro di fronte un’esca sufficientemente appetibile, no?"

Derketo sospirò: "Però mi stupisci. Vista la natura del nostro obiettivo, non era imprevedibile che l’Inquisizione e gli Illuminati si sarebbero messi in mezzo. E poi, era ovvio che, dopo il nostro attacco, la Guardia avrebbe chiesto rinforzi. E allora, perché hai deciso un cambio di programma così repentino?"

"Perché, qualche giorno fa, alcuni miei agenti mi hanno avvertito che sta per arrivare anche qualcun altro. Come sai, la ragazza che mi accompagna in questo periodo è fondamentalmente un clone femminile di Horus e, come sai, c’è qualcuno che non gradisce si facciano cloni di Horus"

Il viso di Derketo si contrasse in un sogghigno: "Già, mi ricordo coma è finita l’ultima volta. E così, ti sei fatto localizzare proprio da lui, eh?"

"Non rimproverarmi per questo" Bile replicò con il suo sogghigno beffardo "Lo sai che quel tale ha risorse impensate. Ed è proprio per questo che preferirei non farmi trovare su questo pianeta quando arriverà"

 

Prossimamente: la capitale di Novet è sotto attacco e finalmente prende il via il piano di Bile per il recupero dello 01. Ma Logan e Skaim – Zaim si trovano di fronte degli ostacoli inaspettati e finalmente gli Illuminati fanno la loro mossa.

34: Il passato di un mondo al crepuscolo/Chaos Attack

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Capitolo 9
*** Episodio 34: Il passato di un mondo al crepuscolo/Chaos Attack ***


??.08

 

‘"Chi diede in pegno la propria lealtà?"

"Il Maestro di Guerra!"

"Chi servimmo, in fede?"

"Il Maestro di Guerra!"

"Da chi prendemmo il nostro nome?"

"Dal Maestro di Guerra!"

"Chi ci fu negato?"

"Il Maestro di Guerra!"

"Ma chi restaureremo?"

"Il Maestro di Guerra!"

"Chi ci condurrà alla vittoria?"

"Il Maestro di Guerra!"’

Catechismo della Nera Legione

 

Episodio 34: Il passato di un mondo al crepuscolo

 

ANNO 2271

Faceva caldo. Faceva un caldo insopportabile. Le zanzare ronzavano fastidiosamente, un monotono e indesiderato concerto di quei piccoli e insopportabili vampiri. Poi c’erano i richiami degli uccelli. Quelli erano più tollerabili, perché almeno non segnalavano che un molesto animale era sul punto di pungere. Ogni colpo di machete che tranciava la fitta vegetazione della giungla costava una fatica immane. La fila di uomini che si stavano facendo strada tra le piante traditrici era composta in buona parte di persone che si sarebbero volute trovare altrove. Erano stati pagati per fare da portatori e guide di quella spedizione archeologica, ma la calura estiva e le difficoltà di farsi strada nella giungla li stavano facendo pentire della loro decisione. Erano ore che stavano cercando di farsi strada in quell’intrico verde, quella massa di arbusti e piante che sembravano ostacolarli come mossi da volontà propria. Avevano ormai perso la speranza, quando il capofila lanciò un fischio: il segnale che erano arrivati.

L’uomo scostò un lembo della tenda da campo ed entrò. Afferrò distrattamente una delle sedie pieghevoli appoggiate a un paletto e ci si accomodò sopra, praticamente sdraiandocisi. Gettò la testa all’indietro, passandosi il dorso della mano sulla fronte per detergersi il sudore, e cercò distrattamente una delle lattine di birra nella cassa sul tavolo al suo fianco. Ormai l’uomo aveva superato i quarant’anni da un po’: se ne rese conto quando, passandosi la lattina sulla fronte, la trovò solcata di rughe. Takuma Nagao, così si chiamava, amava definirsi un archeologo, anche se a volte pensava di sopravvalutarsi: in fin dei conti, non aveva alcun titolo di studio. Aveva acquisito tutte le proprie competenze sul campo, seguendo il suo maestro. Adesso, però, stava per fare una scoperta incredibile. Seguendo le indicazioni frammentarie degli autoctoni e le leggende di un tempo in cui gli uomini non registravano la propria storia, era arrivato al posto che aveva cercato per tutta una vita. Un’enorme costruzione, colossali blocchi di pietra rettangolari sistemati uno sopra l’altro, si innalzava nel bel mezzo della giungla. Nagao aveva fatto sistemare lì vicino il campo base e si era subito lanciato all’interno dell’edificio: le pesanti porte di pietra non si erano aperte, ma la spedizione aveva trovato subito un passaggio alternativo. Laddove l’entrata principale sembrava concepita per farci passare un oggetto alto almeno cinquanta metri e largo altrettanto, questa seconda via pareva essere stata concepita appositamente per gli esseri umani. E all’interno dell’edificio le sorprese erano state molte.

"Posso?" chiese una voce proveniente dall’esterno della tenda. Senza aspettare una risposta, un uomo biondo sulla trentina entrò. "Allora?" domandò "Che ne dici?". "Speravo mi dicessi qualcosa tu" replicò l’archeologo porgendo al nuovo arrivato una lattina di birra. Emanuel Bunzel, l’uomo biondo, era austriaco. Aveva da poco superato i trent’anni, ed era anche lui un archeologo. Si era aggregato alla spedizione di Nagao perché ne condivideva il sogno: dimostrare la leggenda. Bunzel tirò una lunga sorsata dalla lattina e scosse il capo: "Ho una notizia interessante, in effetti. Quell’edificio sembrerebbe davvero essere un mausoleo, come avevi ipotizzato". "Sì?" chiese Nagao bevendo a propria volta "E da cosa l’hai capito?".

"Be’, poco dopo che te ne sei andato, siamo riusciti ad aprire quel grande contenitore di pietra e… era proprio un sarcofago"

Nagao quasi cadde dalla sedia: "Che significa? C’era un cadavere?"

"Già" annuì Bunzel "Il cadavere mummificato di una donna"

"Hai idea di chi possa essere?"

"Ovviamente no. Non ci sono indicazioni in merito, ma credo che tu abbia già una teoria in proposito"

"Chiaro. Considerato quello che credo sia questo edificio e che quello è un cadavere di donna, la candidata più probabile è Asuka Langley Soryu"

"Se fosse davvero lei, sarebbe proprio un bel colpo, vero? La scoperta archeologica più importante dopo il Third Impact!"

"Sì, ma non corriamo troppo. In fondo, non sappiamo nemmeno se sia veramente esistita e poi dobbiamo ancora fornire una datazione precisa all’edificio"

"Lo so, lo so. Nel periodo immediatamente successivo alla catastrofe, la Storia non è stata registrata, quindi non si può sapere niente di certo. Però sei qui proprio per avere delle risposte, no?".

Nagao annuì. Lui e Bunzel si erano conosciuti in Mongolia; ciascuno di loro era stato a capo di una spedizione diversa, che avevano però condiviso lo stesso scopo: trovare i resti dell’Evangelion degenerato noto come Behemoth. Non avevano avuto successo, ma i due archeologi si erano scoperti entrambi interessati alle misteriose leggende che circolavano circa la cosiddetta Guerra degli Eva. La tradizione orale aveva tramandato gli eventi di quei giorni, in cui l’umanità aveva lottato per risollevarsi dalla tragedia. Nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo durante la catastrofe chiamata Third Impact; doveva essere durata pochissimo, eppure aveva annientato la maggior parte degli esseri umani nel mondo. E in essa avevano avuto un ruolo determinante gli Evangelion, apparentemente delle forme di vita artificiale create da qualche ignoto scienziato, che, in seguito alla distruzione della civiltà, si erano disperse ed evolute in maniera indipendente. Gli Eva erano degenerati, assumendo forme simili a quelle delle creature viventi con cui erano entrati in contatto, o almeno questo era quanto veniva tramandato dalle leggende. Le stesse leggende che parlavano di Ryoma Ikari, un eroe che aveva combattuto i demoni giunti sulla Terra. Perché, per la maggior parte della gente, gli Evangelion erano veri e propri demoni. In quegli anni, le parole "Eva" e "diavolo" erano diventate dei sinonimi: ben pochi avevano cognizione di cosa fossero stati esattamente quei titani che erano sembrati voler dare il colpo di grazia a una razza umana già infranta e abbattuta. E Ryoma Ikari era stato tra questi. Perché lui era stato il figlio di Shinji Ikari e Asuka Langley Soryu. Secondo la leggenda, entrambi erano stati degli eroi, che avevano guidato degli Evangelion per salvare l’umanità da una razza di mostri extraterrestri. Ma le leggende non venivano considerate affidabili, perché i punti oscuri erano molti. Ryoma Ikari era stato a propria volta un pilota, il nome del suo Evangelion era stato "04", ma non era dato sapere come se lo fosse procurato. Secondo una storiella molto popolare, lo 04 era stato uno degli Evangelion che avevano impedito agli alieni di conquistare la Terra (ma non era chiaro se il pilota originario fosse stato uno dei genitori di Ikari o qualcun altro). I demoni, in previsione della propria venuta, lo avevano incatenato nelle profondità dell’inferno e Ryoma Ikari era andato a prenderselo personalmente, affrontando orde di creature diaboliche, mietendole una dopo l’altra con una enorme falce. Una volta arrivato alla prigione dell’Eva, lo aveva liberato spezzando le catene con le proprie mani.

Nessuno credeva veramente a questa storia, ma c’era chi pensava che tutte le leggende avessero un fondo di verità. Bunzel e Nagao erano tra questi. "Credo che questo mausoleo possa davvero essere la cripta di famiglia degli Ikari" disse Nagao appoggiando sul tavolino al proprio fianco la lattina di birra ormai vuota. "In fondo, anche al giorno d’oggi, con le nostre tecnologie, mettere insieme un edificio così imponente sarebbe un problema". "Stai dicendo che l’autore di quest’opera potrebbe essere stato lo stesso Ryoma Ikari?" domandò Bunzel tirando una sorsata.

"Credo di sì. L’Evangelion 04 era l’unico mezzo con il quale fosse possibile spostare agevolmente i blocchi di pietra che costituiscono la costruzione. Forse Ikari ha messo insieme questo posto per farci riposare la sua famiglia"

"Se così fosse, da qualche parte dovrebbe esserci anche il sarcofago di Shinji Ikari. Ma, ammesso che il cadavere che abbiamo trovato sia quello di Asuka Soryu, mi chiedo perché non siano stati sepolti insieme"

"E che ne so? Forse si erano lasciati prima di morire. O forse il corpo di Shinji Ikari è andato perduto per qualche motivo"

Bunzel annuì: "Sì, forse è così. O forse no"

Nagao sembrò ignorare le obiezioni del compagno e riprese: "Se questa teoria è esatta, stabilire la datazione del mausoleo è fondamentale. La leggenda dice che, all’età di trentun anni, Ryoma Ikari, a bordo dello 04, spalancò nuovamente le porte dell’inferno e vi si calò per lanciare la sua ultima sfida ai demoni. Da allora, nessuno lo vide più. Secondo i nostri dati, Ikari dovrebbe essere nato tra il 2018 e il 2021, quindi la sua morte, se morte è stata, dovrebbe essere avvenuta tra il 2049 e il 2052… Però, non abbiamo modo di sapere che sia davvero morto in quel periodo, quindi…"

"Sai, Nagao," lo interruppe l’austriaco "credo che dovresti fermarti qui"

"Cosa?" il giapponese si interruppe all’improvviso.

Bunzel si alzò, si portò una mano sotto la giacca e ne estrasse lentamente una pistola. Takuma Nagao si trovò a fissare la canna dell’arma dalla parte sbagliata. "Che diavolo stai facendo?" balbettò. "Faccio semplicemente in modo che certi segreti non cadano in mano a gente che non saprebbe cosa farsene" replicò l’uomo biondo.

"Ehi, aspetta un attimo! Non avrai mica intenzione di uccidermi!"

"No, per niente, Non ti ucciderò io. Sarà una malattia tropicale, che ti colpirà improvvisamente e ti stroncherà dopo poche notti di febbre. Poi, il tuo corpo comincerà a marcire, noialtri della spedizione non saremo più in grado di conservarlo e saremo costretti ad abbandonarlo nella giungla. Cercarlo sarà inutile, perché gli animali se lo mangeranno. Una perdita davvero triste per l’archeologia moderna"

"Ma perché? Cosa ho fatto per dover morire?"

"Niente di particolare. Diciamo che hai dato fiducia alle persone sbagliate. Sei un archeologo mediocre, Nagao. Però qualcosa di buono ce l’hai: sei bravo a recuperare fondi e a convincere la gente a seguirti in imprese basate su teorie campate per aria. Sai, credo che tu abbia trovato davvero qualcosa di grosso, ma credo anche che tu sia fuori strada: questo non è il mausoleo degli Ikari"

"Cosa intendi dire? E poi, tu chi sei veramente?"

"Chi sono io? Non mi chiamo Emanuel Bunzel, se è questo che vuoi sapere, ma il mio nome non ha importanza. Diciamo che le persone per cui lavoro non vogliono che certe conoscenze finiscano in mano a chi non saprebbe che farsene. In quanto a quello che intendo… be’, l’Evangelion 04 non è stato l’unico che ha combattuto contro i degenerati. Ma questo non ti riguarda"

"Sì che mi riguarda, maledizione!" Nagao si alzò di scatto dalla sedia, dimentico della pistola; quando ‘Bunzel’ gliela puntò al petto, ricordò la propria situazione e tornò a sedersi. "Merda! Io ho dedicato tutta la mia vita a questa ricerca! Se sai qualcosa che io non so, devi dirmelo!"

Bunzel lo guardò di traverso: "Lo consideri come il tuo ultimo desiderio?"

"Sì," balbettò il giapponese "se proprio devo morire, prima voglio sapere perché"

"Ci sono molte cose che io so e che tu non sai. Perché devi morire? Perché è bene che quelli come te continuino a non sapere. Perché questo potere non può essere beneficio di tutti, deve restare appannaggio di pochi"

"Non mi hai spiegato niente! Cos’è questa storia?"

"Gli Evangelion sono cloni di una creatura che era il capostipite di una stirpe di mostri, ciascuno dotato di un aspetto diverso. Dopo il Third Impact, gli Eva impazzirono, da un punto di vista biologico. Come l’essere che li aveva originati, avevano un codice genetico altamente instabile e subirono delle mutazioni. Furono influenzati dagli animali e dalle piante con cui erano venuti in contatto e si trasformarono per assumere la forma che era apparentemente più utile. Talvolta, mutarono persino l’ambiente attorno a sé per renderlo più conforme alle proprie esigenze. Questi erano gli Evangelion degenerati. A combatterli c’erano Ryoma Ikari sullo 04 e Joshua Miller sullo 07. Il mausoleo che abbiamo trovato è opera di Miller e quella che c’è dentro è sua figlia. Penso che lo stesso 07, ammesso che sia ancora integro, possa trovarsi da queste parti. E con questo è tutto"

"No, aspetta! Come puoi sapere tutto questo?"

Bunzel si concedette un sorriso soddisfatto: "Vedi, io faccio parte di un’organizzazione che ha ereditato il sapere degli uomini più illuminati di questo pianeta. Coloro che un tempo si facevano chiamare Seele. Ora noi, i loro successori, preferiamo essere noti semplicemente come Illuminati. Anzi, preferiamo non essere noti per niente. La Seele aveva capito come usare gli Evangelion, ma non a quale fine dirigere le loro caratteristiche. Erano troppo ciechi per vedere ciò che avevano di fronte, troppo presi dai loro discorsi metafisici per rendersi conto che la razza umana corre pericoli ben più gravi di quelli che loro volevano scongiurare. O forse erano solo troppo stupidi per capire di essere manovrati, di essere tanto burattini quanto burattinai"

"Non ci sto capendo niente… che diavolo significa tutto questo?"

"Oh, non ti preoccupare, non è necessario che tu capisca".

Uno sparo echeggiò per il campo base. Nessuno dei membri della spedizione batté ciglio. Tutti loro sapevano già che sarebbero tornati senza Nagao, fin dall’inizio del viaggio.

 

Episode 34: Chaos Attack

 

ANNO 992M41

Quella notte sarebbe stata una delle più lunghe di Novet, eppure sarebbe finita prestissimo. Novet impiegava solo ventun ore terrestri a girare su se stesso; la notte propriamente detta (cioè il tempo durante il quale calavano le tenebre), nella stagione corrente, cominciava alle 17.00 e terminava alle 4.00 del giorno seguente.

Logan, Gutzmaak e Skaim - Zaim erano arrivati su Novet alle 15.04; avevano incontrato Bile alle 15.58.

Alle 16.29 erano arrivati nei pressi dello 01; alle 17.07, Logan era tornato dal Signore dei Cloni e aveva preso con sé Erin.

Erano le 17.31 quando era ritornato e aveva incontrato Skaim – Zaim. Alle 17.39, Fabius Bile aveva incontrato Derketo e i suoi Emperor’s Children.

Alle 17.51, Logan aveva ricevuto, tramite un Marine del Caos, un messaggio di Bile che lo informava circa le nuove disposizioni.

Esattamente alle 18.11, sui radar della centrale di difesa di Novet, quella che controllava i laser orbitali, preposti a proteggere il pianeta contro gli attacchi esterni, comparve un enorme oggetto non identificato, segnalato appena al di fuori dell’atmosfera del pianeta. Nei ventidue minuti seguenti, gli operatori fecero tutto il possibile per cercare di capire cosa fosse: i Tecnopreti dell’Adeptus Mechanicus effettuarono una lettura delle rune, nella speranza di ottenere dei presagi sulla natura dell’oggetto; gli addetti alle rilevazioni recitarono le preghiere appropriate sui macchinari; gli Astropati, gli psyker che avevano il compito di mantenere le comunicazioni tra Novet e gli altri pianeti tramite i poteri ricettivi della loro mente, cercarono di sondare la massa misteriosa.

Alle 18.34, l’ultimo degli Astropati cadde a terra con la bava alla bocca; i tre che lo avevano preceduto nel tentativo di capire cosa fosse l’oggetto non identificato erano morti di infarto.

Alle 18.35 il comandante della centrale di difesa diede l’ordine di puntare i laser orbitali contro l’oggetto misterioso e di fare fuoco.

Alle 18.35 e 22 secondi, la centrale di difesa venne colpita da una colonna di energia che la ridusse a un cumulo di rovine fumanti nel giro di undici secondi e tre decimi.

Alle 18.59, delle scie luminose comparvero nel cielo sopra la capitale di Novet.

Alle 19.13, una sorta di enorme capsula, alta quasi quindici metri, si abbatté nel centro della città. Le lucide pareti di metallo si aprirono come un fiore mortale, rivelando il suo micidiale contenuto. Una squadra di dieci Marine del Caos in armatura nera si scagliò contro i civili, facendosi strada tra i corpi della popolazione a colpi di spada e di bolter. Alla prima capsula ne seguirono molte altre. Alcune contenevano ulteriori Marine del Caos, altre vomitavano carri armati e batterie di armi di supporto.

Alle 20.31, i Marine dalla Power armour nera si insediarono nella Sala del Consiglio da cui i nobili di Novet controllavano il pianeta. I corpi degli occupanti della sala, sorpresi intenti a celebrare un festino in onore di Slaanesh, vennero sbrigativamente giustiziati sul posto e i loro cadaveri incatenati e appesi fuori dalle finestre a testa in giù. Buona parte della città stava bruciando.

 

ORE 4.16

Logan si stiracchiò pigramente sul sedile della jeep, mentre i primi raggi di sole gli accarezzavano gli occhi. Non li aprì, voleva godersi la sonnolenza mattutina ancora per un po’. Ormai doveva essere quasi ora. La notte precedente, mentre stava pensando a un modo per infiltrarsi con Erin nell’accampamento della Guardia (nel frattempo, Skaim – Zaim stava provvedendo a tenere d’occhio i movimenti del gruppo stazionato presso l’Eva), aveva ricevuto la visita di un bizzarro Space Marine dall’armatura nera, decorata con bizzarri motivi rosa, azzurri e verde chiaro. Sghignazzando come un imbecille, il militare aveva detto di essere stato inviato da Bile ad avvisarlo di tenersi pronto per l’alba: allora, il suo contingente avrebbe attaccato le linee difensive della Guardia Imperiale e poi avrebbe fatto in modo che il grosso delle truppe si spostasse dalla posizione attuale. Quando questo fosse successo, Logan avrebbe dovuto accompagnare Erin a prendere possesso dello 01. Logan non si era fatto pregare: se Bile aveva già pensato al diversivo, tanto meglio. Anche se la cosa lo lasciava alquanto perplesso, visto che si chiedeva quale sarebbe potuto essere il diversivo in questione. Aprì gli occhi. Il primo fattore che gli disse che qualcosa non andava furono le scie rossastre che si stagliavano nel cielo, come se delle stelle cadenti stessero piombando poco lontano di lì. Istintivamente, allungò la mano verso il sedile accanto al proprio, dove Skaim – Zaim stava ancora sonnecchiando. L’Eldar sbatté le palpebre e scosse il capo. Poi, aprì gli occhi. Aveva dormito con il capo addossato al poggiatesta del sedile: vide subito quelle scie di fiamme che deturpavano il cielo, immonde cicatrici che avrebbero lasciato ferite ben più profonde sulla terra. "Maledizione!" esclamò, spalancando gli occhi e svegliandosi completamente. "Sai cosa sono?" domandò Logan. Skaim – Zaim strinse i denti, lanciando al compagno un’occhiata preoccupata: "Drop pod. Anzi, dreadclaw". "Ne so quanto prima!" sbottò il ragazzo spazientito.

"I drop pod sono i moduli da sbarco che vengono usati dagli Space Marine per sfondare le linee di difesa planetarie e sganciare uomini e mezzi direttamente sull’obiettivo. I dreadclaw sono i drop pod dei Marine del Caos"

"Quindi dei Marine del Caos stanno attaccando Novet in questo momento?"

Non ci fu bisogno di una risposta. La sensibilità di entrambi gli psyker fu subito assalita da un’ondata di agonia psichica, come di mille anime che lanciassero un urlo lacerante, come lo stridore delle unghie su di una lavagna. Centinaia di persone stavano morendo. I loro spiriti, repentinamente espulsi dai corpi e scaraventati nel Warp, stavano sfogando tutto il loro dolore, prima di scomparire per sempre nell’Immaterium, divorati da qualche demone. Logan e Skaim – Zaim percepirono quelle aure spegnersi con estrema chiarezza.

Un massacro.

Nella capitale stava avendo luogo un massacro. Più di qualsiasi altro indizio, fu quello a far loro capire che Novet era sotto attacco. "’Fanculo!" sibilò Logan "Questo non può essere l’attacco di cui ha parlato l’emissario di Bile!". "Quale attacco?" domandò Skaim – Zaim.

"Non te l’avevo detto? La scorsa notte, mentre stavi sorvegliando lo 01, è arrivato un Marine del Caos. Ha detto di essere mandato da Bile e che avrebbero assaltato la linea di difesa della Guardia all’alba"

"Per fornire un diversivo e permetterci di prendere l’Evangelion?"

"Infatti. Ma questi Marine stanno attaccando la città! Devono essere un altro gruppo!"

 

La flotta dei Novamarine era ormai in procinto di entrare nell’orbita di Novet. Il lungo viaggio che aveva portato i Marine in questa zona sperduta della Galassia era quasi giunto al termine. Oltre che come "Space Marine", i membri dell’Adeptus Astartes erano noti con molti altri nomi popolari: I Migliori dell’Imperatore, Angeli della Morte e centinaia di altri, spesso dall’uso limitato a un singolo pianeta o a una singola regione. Ma, nonostante gli abitanti dell’Imperium fossero propensi a dare i nomi più fantasiosi a questi giganteschi guerrieri, pochi sapevano esattamente cosa significasse essere uno Space Marine. Significava essere presi nel Capitolo da bambini e sottoporsi a operazioni chirurgiche rischiose e dall’alta probabilità di fallimento. Significava essere sottoposti a un condizionamento mentale che rendeva i futuri Marine incapaci di pensare ad altro, se non a servire l’Imperatore combattendo i suoi nemici. Significava essere piegati a un allenamento estenuante. Significava ereditare, almeno parzialmente, il modello genetico di un Primarca, un superuomo dotato di poteri inimmaginabili. E significava passare la vita combattendo in continuazione, spostati da una zona di guerra all’altra, vedendosi affidare le missioni impossibili da qualcuno che si aspettava che fossero portate a termine perché erano dei Marine a occuparsene. Fu per questo che Bansegoth, il maestro dei Novamarine, la più alta autorità nel Capitolo, non si perse d’animo quando il personale che era incaricato di guidare la sua astronave ammiraglia lo informò che nell’orbita di Novet c’era già un’immensa astronave. Quando comparve sullo schermo, Bansegoth la riconobbe, se non altro per sentito dire. I sette lunghissimi cannoni che spiccavano nella parte frontale, più estesi del resto dell’enorme macchina, erano un indizio evidente della sua natura. "La Planet Killer…." Mormorò il Maestro dei Novamarine quasi sottovoce "Allora esiste ancora….".

Tra il 142M41 e il 160M41, una feroce guerra aveva sconvolto il Settore Gotico, una zona dell’Imperium particolarmente turbolenta. Apparentemente, un potentissimo Signore del Caos era riuscito a radunare sotto di sé una flotta di astronavi sotto il controllo di molti comandanti delle Legioni Traditrici. Come questo fosse stato possibile, nessuno lo sapeva; il fatto oggettivo era che un tale incredibile leader carismatico aveva raccolto una forza di enormi dimensioni, che, data la grande spinta individualistica dei Marine del Caos, fino a quel momento chiunque avrebbe ritenuto impossibile da comandare. E la nave ammiraglia di questa flotta era la Planet Killer, un colosso lungo diversi chilometri e dotato di un’arma devastante chiamata Armageddon cannon, una fusione tra tecnologia umana e mostruosità demoniache che era in grado di ridurre in frantumi un interno pianeta con un solo colpo delle sue sette bocche di fuoco. Leggenda voleva che, alla fine della guerra, fosse caduta nelle mani di un Signore del Caos ribelle, che aveva provato a usarla per crearsi un impero personale, minacciando di annientamento i pianeti che rifiutavano di sottometterglisi. Ma poi, dopo qualche tempo, era stata distrutta dalla Marina Imperiale in un’epica battaglia. Eppure, il relitto della Planet Killer non era mai stato ritrovato.

Bansegoth era felice e inquietato per avere appena scoperto che la Planet Killer era ancora intera. Felice perché, in quanto Space Marine, bramava gesta gloriose in nome dell’Imperatore, e combattere contro un tale avversario sarebbe stato fonte di fama e onori. Inquietato perché non si illudeva che sarebbe stata una battaglia facile. Circondata da uno sciame di navi più piccole, la Planet Killer era molto più grossa dell’ammiraglia dei Novamarine e, se le dicerie riguardanti l’Armagedon cannon fossero state veritiere, lo scontro non avrebbe avuto storia. Bansegoth non era così stupido da non capire quando una battaglia era persa in partenza; ma non era nemmeno disposto a ritirarsi. Era arrivato fin lì per sbarcare su Novet e aiutare la Guardia Imperiale contro la minaccia che stava per soverchiarli; e un Marine non poteva permettersi di non intervenire in una situazione del genere. Davanti a Bansegoth, la sala di comando dell’ammiraglia era un viavai di uomini che si affaccendavano alle strumentazioni, trasmettendo immagini sullo schermo principale e impostando la rotta dell’astronave. Il Maestro dei Novamarine si alzò dal suo enorme seggio, batté a terra la punta della spada per attirare l’attenzione e tuonò: "È possibile che la flotta nemica si sia accorta di noi?". Qualcuno, che lui nemmeno si degnò di guardare, intento come era a fissare l’immagine della Planet Killer sullo schermo, rispose: "Impossibile dirlo. Non conosciamo il tipo di strumentazione di bordo di quelle astronavi". Bansegoth sbuffò. Non amava le risposte vaghe. Ma capiva di non poterne ricevere di diverse. Di nuovo, chiese: "Potete immaginare quale tipo di strumentazione abbiano basandovi sul modello delle navi?"

"Alcune di esse sembrerebbero essere vecchi modelli di navi imperiali, quindi potremmo eseguire una stima sufficientemente accurata. L’ammiraglia non somiglia a niente di ciò che è incluso nel nostro database. Senza dubbio un mezzo costruito senza l’approvazione del Dio Macchina"

"Che tipo di astronave è? È possibile stabilire quale armamento monti?"

"Negativo. I dati in nostro possesso indicano che quella nave non può esistere"

"Cosa significa?"

"Non è possibile costruire un’astronave del genere nell’universo reale. Anche in assenza di gravità, un oggetto simile non dovrebbe essere in grado di muoversi"

Bansegoth sospirò. Aveva sentito dire che i Marine del Caos vivevano nell’Occhio del Terrore, una zona dello spazio in cui la materia del Warp fuoriusciva nell’universo e si mescolava con la realtà. Secondo le dicerie, i mondi che si trovavano nell’Occhio del Terrore non erano soggetti alle leggi fisiche convenzionali: abitati dagli adoratori delle Oscure Potenze, vessati dai Marine delle Legioni Traditrici, erano la base da cui partivano i raid del Caos contro l’Imperium. Un ambiente del genere poteva favorire la costruzione di una nave come la Planet Killer? Questo non lo si poteva dire con certezza, ma l’idea non poteva nemmeno essere esclusa.

"La loro potenza di fuoco è superiore alla nostra, non è vero?". Bansegoth conosceva già la risposta.

"Abbiamo ragione di credere di sì"

"D’accordo. Sospendere la manovra di avvicinamento al pianeta. Preparate cinque Thunderhawk a entrare nell’orbita di Novet: voglio schierare una Compagnia e quattro dreadnought nella zona di guerra entro otto ore. Interverrò anch’io con la mia scorta personale. Preparate i rituali del teletrasporto per schierare tre squadre di Terminator direttamente sul pianeta. Voglio tredici drop pod pronti a entrare nell’atmosfera trasportando i mezzi di supporto e i rifornimenti. Spedite subito una richiesta di rinforzi al più vicino comando della Marina. Ordinate la benedizione delle armi e la consacrazione delle armature: che tutto il personale combattente cominci a recitare le Litanie dell’Odio"

 

"Come sarebbe a dire?" tuonò Zdansky visibilmente irritato, mentre il giovane ufficiale della Guardia Imperiale di Novet, nonostante fosse più alto di lui di una testa abbondante, lo guardava impaurito. "È così, signor Inquisitore" rispose il militare, preparandosi a ripetere quello che aveva già detto: "Il colonnello May ha ricevuto ordine dall’alto comando di fare convergere tutte le sue forze sulla capitale, che è attualmente sotto attacco. Tutti gli uomini devono abbandonare questa postazione e prepararsi a combattere per recuperare la città". Otto Zdansky non era un novellino e aveva capito subito cosa fossero le scie rossastre che avevano continuato a schizzare in cielo per tutta la mattinata. Dei Marine del Caos stavano attaccando la capitale; avevano infranto in qualche modo le difese planetarie e stavano schierando un’armata nel cuore del territorio nemico. Una tattica tipica delle truppe d’assalto che erano gli Space Marine. Una tattica che sarebbe stata suicida per degli uomini normali, ma che gli Angeli della Morte portavano a termine con successo con allarmante regolarità. L’Inquisitore ringhiò rabbiosamente: quando aveva capito quello che stava succedendo, aveva cominciato a pensare che i Marine che stavano attaccando la capitale fossero in combutta con quelli che il contingente di May stava combattendo. Che stessero creando un diversivo? Ma ora quello che preoccupava Zdansky era il gigantesco demone che era intenzionato a recuperare. Aveva pensato di lasciare andare i soldati e restare a difenderlo personalmente insieme a Megan e Alexandra, ma, se i Marine del Caos fossero arrivati in massa, nemmeno le loro forze unite avrebbero potuto fermarli. "Allora procediamo subito al trasporto! Non importa se i Trojan saranno danneggiati dall’operazione, dobbiamo assolutamente recuperare l’obiettivo!". Il soldato cominciò a sudare abbondantemente: "Signore, mi dispiace, ma non possiamo fare quello che lei ci chiede. Non subito, almeno"

"Come sarebbe a dire?" ripeté Zdansky, interrompendo il suo interlocutore prima che potesse finire "Non è necessario che restino qui tutti i soldati, mi bastano uomini a sufficienza per manovrare i mezzi!"

"Non è questo il punto, signor Inquisitore. Il fatto è che le truppe nemiche che stanno attaccando la città hanno stabilito un presidio presso lo spazioporto, quindi non è possibile raggiungere le astronavi. Anche volendo muovere l’umanoide, non potremmo caricarlo sulla sua nave"

"Non mi sorprende!" esclamò l’Inquisitore "È ovvio che i Marine del Caos si siano impadroniti di una posizione importante come lo spazioporto. Ma questo non è un grosso problema: l’equipaggio della mia nave è ben qualificato e non sarà già caduto di fronte al nemico. Certo, non possiamo trasportare fin là quella creatura con il rischio che vanga catturata dai Marine del Caos…."

"Per l’appunto, signore. Quindi la prego di ritirarsi insieme al contingente che le è stato concesso". Il soldato, apparentemente imbaldanzito dal fatto che Zdansky gli stesse dando ragione, pose particolare enfasi sulla parola ‘concesso’.

L’Inquisitore sembrò non notarlo o non curarsene: "Però, c’è un’altra cosa che possiamo fare: trasporteremo l’obiettivo altrove. Non lo lasceremo qui"

"Era proprio quello che stavo per proporle. In questo deserto ci sono diverse formazioni rocciose di grosse dimensioni, quindi dovremmo poter nascondere questo coso senza troppe difficoltà. Nel frattempo, lei e le sue assistenti potreste cercare di recuperare la vostra astronave"

"Voglio conoscere esattamente le coordinate della nuova posizione. Ricordati che pagherai con la vita qualsiasi errore. Procedete".

 

"Questo cambia tutto" disse Derketo con un sogghigno, mentre guardava le scie luminose lasciate dai dreadclaw. Lui e i suoi Emperor’s Children, approfittando di un insolito momento di calma delle tempeste nel deserto, stavano osservando il cielo, gustando lo spettacolo dello sbarco di quelli che sapevano essere dei nemici. Di fianco al Signore del Caos, Fabius Bile picchiò violentemente un piede a terra. "Maledizione!" sibilò "Dovevano arrivare proprio adesso? Proprio mentre ero così vicino a ottenere lo 01!". Derketo ridacchiò sommessamente, picchiettando leggermente la sua lunga power sword dalla lama ricurva contro una roccia: "Questi sono i Figli di Horus" considerò senza smettere di sorridere "Vuoi vedere che se la sono presa per quella ragazzina che ti porti dietro? Non sarebbe la prima volta che fai loro uno scherzo di questo tipo e non mi stupirei se avessero deciso di fare a pezzi tutto il pianeta per fartela pagare". "Ma sì, lo so!" tuonò Bile irritato. "Solo che l’ultima volta era stato diverso. Allora avevano distrutto direttamente il mondo su cui mi ero rifugiato e mi sono salvato solo perché ero partito prima de loro arrivo. Hanno centrato il pianeta con il sistema d’armamento principale della loro nave ammiraglia e lo hanno frantumato in pochi minuti. Ma adesso sono sbarcati. Significa che vogliono accertarsi di trovarmi e senza dubbio vogliono prendersi Erin! Cosa se ne faranno mai, mi chiedo! La vogliono solo perché è un clone di Horus!"

"Il motivo non conta" Derketo fece spallucce "Quello che conta è che adesso potremo avvicinarci alla città e divertirci di più"

"Ma non pensate ad altro voi Emperor’s Children?"

"Anche se hai abbandonato l’adorazione di Slaanesh, dovresti saperlo, Bile: per la dottrina de Principe del Piacere, provare nuove esperienze è fondamentale e l’esaltazione che ne deriva è una parte indispensabile dell’atto. Io ho deciso di aiutarti perché avrei potuto affrontare di nuovo la morte e riderle in faccia o esserne sopraffatto. Ma adesso posso farlo meglio combattendo contro i Figli di Horus"

"Non importa" Bile era palesemente contrariato "Ormai non ho più bisogno di voi. Se la Guardia si ritirerà dallo 01, i miei agenti potranno impadronirsene"

 

"Non abbassiamo la guardia" mormorò Logan "Qui è successo qualcosa di strano e non mi sorprenderei se avessero lasciato delle sentinelle". Quando, all’improvviso, tutti i soldati della Guardia erano sembrati ritirarsi dall’Evangelion, lui, Skaim – Zaim ed Erin avevano cominciato ad avvicinarsi. A quanto pareva, il fatto che la città fosse sotto attacco aveva indotto i soldati a fare convergere le truppe sul centro urbano, abbandonando una posizione secondaria. "Per una volta, Logan ha ragione" convenne l’Eldar avvicinandosi a Erin. Mentre camminavano sulla sabbia, un’insolita mattinata serena sembrava aver graziato il deserto, che non era più sferzato dalle bufere di sabbia. "Dobbiamo avvicinarci con prudenza," continuò "non vorrei che qualche soldato rimasto ci prendesse di mira. Anzi, mi sembra strano che non se ne veda nessuno in giro. Alla città la situazione deve essere veramente disperata!". La ragazza, che stava guidando la fila, si fermò all’improvviso e si girò verso Logan: "Voi siete psyker. Sapete volare?". "Perché?" domandò il giovane insospettito.

"Perché non so esattamente dove si trovi l’abitacolo dell’Evangelion. Potrebbe essere troppo alto perché io possa salirci".

"Sì, sappiamo volare. Però, forse adesso sarebbe ora che mi spiegassi cosa ti fa pensare di avere un’anima simile a quella del pilota di quel coso".

Erin si voltò e riprese a camminare verso l’Eva. Proprio mentre Logan stava per ripeterle seccato la domanda, lei rispose: "Millenni fa, su Terra, qualche tempo prima che lo 01 fosse assemblato, fu ritrovato un demone. Non un semplice demone, ma un Principe Demoniaco, una delle più potenti creature del Caos. Gli esseri umani lo chiamarono Lilith e l’Evangelion che vedete è un suo clone"

"Dunque, Lilith è il demone da cui gli Evangelion sono stati clonati!" esclamò Skaim – Zaim. "No," ribatté Erin "solo lo 01 è un clone di Lilith, gli altri avevano un ulteriore demone come base". "Non mi hai risposto" sibilò Logan.

"Ci sto arrivando. A dire la verità, nemmeno il signor Bile sa molto di questa storia. Sembra che, ai tempi, sia stato creato un essere umano artificiale, mescolando il codice genetico di una donna e quello di Lilith. Una ragazza, forse il pilota dello 01. Sembra però che dietro la creazione di quella ragazza ci fosse l’Imperatore"

"Cosa?" esclamò Logan "Ma è successo millenni fa!"

"L’Imperatore esiste da tempi immemorabili. Sembra sia in grado di fare vivere un corpo per secoli e che trasferisca la propria anima in un altro quando non può più mantenere il vecchio. Apparentemente, l’ibrido tra umano e demone fu un esperimento compiuto dall’Imperatore per ottenere il corpo definitivo. Voleva un corpo potente e dotato delle stesse facoltà soprannaturali dei demoni per poterli combattere. Ma l’Imperatore, a quel tempo, non amava agire pubblicamente: sembra si sia limitato a suggerire all’artefice materiale le tecniche da usare per ottenere il risultato finale e poi sia rimasto a osservare. Probabilmente, non è mai intervenuto direttamente nella vita di quella ragazza. Ma la sua vita e quello che lei fece gli tornarono utili millenni più tardi, quando creò i Primarchi. Usò le stesse tecniche alle quali era ricorso per ottenere il primo ibrido tra uomo e demone. Fuse materiale genetico umano con materiale genetico demoniaco, e prima ancora aveva fatto lo stesso per coltivare il suo corpo definitivo, quello con cui avrebbe partecipato alla Grande Crociata. In qualche modo, aveva conservato parte del DNA di Lilith e se ne era servito in quell’occasione"

"Comincio a capire: essendo clone di un Primarca, tu hai anche una parte del materiale genetico di Lilith, quindi dell’Evangelion e del suo pilota, no?"

"Per l’appunto"

"Ma aspetta un attimo: se gli Space Marine ereditano il modello genetico del loro Primarca, significa che sono parzialmente demoni anche loro, no?"

"No. Il modello genetico usato dai Capitoli dell’Adeptus Astartes comprende solo la parte umana dei geni del Primarca. L’Imperatore si era accertato che i suoi Primarchi non potessero passare i propri poteri demoniaci alle loro Legioni, altrimenti sarebbero diventate incontrollabili. È vero che il codice genetico di alcuni Primarchi è contaminato dal Caos, ma questo si riflette negli Space Marine con mutazioni fisiche e psicologiche. Alcuni Capitoli manifestano caratteristiche non umane, come le zanne degli Space Wolf e le escrescenze ossee sulle braccia dei Black Dragon. Altri, invece, hanno un qualche tipo di tara mentale ereditaria derivata direttamente dal Primarca, come i Blood Angel. Ma l’Adeptus Astartes non è composto di ibridi tra uomini e demoni".

Logan fu sul punto di mettersi a imprecare più volgarmente di quanto facesse di solito: con tutta probabilità, non sarebbe riuscito a impadronirsi dell’Evangelion, quindi doveva puntare sui soldi che Bile gli aveva promesso e portare a termine la missione. "Va bene," disse spazientito "allora procediamo". Subito dopo, si accorse che Erin era già andata avanti senza di lui. Il ragazzo fece per incamminarsi dietro la sua improvvisata compagna di missione, ma Skaim – Zaim lo trattenne: "Aspetta un attimo".

"Cosa c’è?"

"Non senti?"

Logan aggrottò la fronte e lasciò che la sua aura si espandesse per l’ambiente circostante. Fece in modo che le percezioni della sua anima di psyker coprissero tutto ciò che c’era attorno a lui. Poi comprese. Un attimo dopo, abbassò di scatto la testa, appena in tempo per evitare un proiettile che, passando proprio dove una frazione di secondo prima c’era stata la sua fronte, sibilò in aria e andò a piantarsi nella sabbia. "Un cecchino!" esclamò il giovane puntando lo sguardo su Erin, qualche metro davanti a lui. "Se la ammazza, la nostra missione è sputtanata!" sbottò preoccupato. "Ci penso io!" esclamò l’Eldar "Prendi Erin e andate allo 01!". Logan sogghignò: "Vedi di non fare qualcuna delle tue solite stronzate da Eldar". Si girò e corse verso la giovane.

 

Sdraiato a pancia in giù su di una formazione rocciosa che dava sul cratere formato dalla caduta dell’Evangelion, Ward mise accuratamente a fuoco il mirino del fucile da cecchino collegato al suo occhio bionico: proprio come lui e i suoi compagni avevano previsto, c’era qualcun altro, oltre agli Inquisitori, che voleva impadronirsi dello 01. L’attacco dei Marine del Caos alla capitale di Novet era stato un bel problema: il piano originario suo, di Charles e di Dexter consisteva nel lasciare che l’Eva fosse trasportato allo spazioporto, proprio come Zdansky aveva ordinato. Una volta lì, però, gli ufficiali della Guardia lo avrebbero caricato su di un’astronave sconosciuta, all’insaputa dell’Inquisitore. Da quel momento in poi, dello 01 non si sarebbe più dovuto sentire parlare. L’organizzazione di cui Ward faceva parte aveva agenti ovunque, Guardia Imperiale compresa. Non sarebbe stato difficile impartire degli ordini alla cui provenienza sarebbe stato impossibile risalire. E poi, anche se Zdansky fosse riuscito a capire tutto, non sarebbero certo stati i veri mandanti del furto a subirne le conseguenze. L’improvvisa nascita di un nuovo fronte di guerra, però, aveva costretto tutti i soldati a convergere sulla città: il che significava che era necessario rivedere i piani. Un agente dell’organizzazione aveva già provveduto a sistemare la situazione in modo che Zdansky e le sue assistenti se ne andassero quanto più lontano possibile; appena la situazione si fosse calmata, il piano sarebbe proseguito. Fino ad allora, però, qualcuno doveva pur tenere d’occhio l’Evangelion. E l’arrivo di quei tre strani individui era stato la dimostrazione di quanto questa precauzione fosse necessaria. Un tizio vestito come un becchino, un Eldar e una ragazza. Un gruppo eterogeneo, sicuramente non alle dipendenze degli Inquisitori. La cosa migliore era farli fuori; se anche qualcuno fosse sfuggito, sarebbe finito in trappola comunque. Loro non potevano saperlo, ma anche Charles e Dexter erano appostati lì vicino. Ma, appena aveva premuto il grilletto per colpire il ragazzo, Ward aveva capito che qualcosa non andava: il proiettile era stato schivato. Anzi, il tipo vestito di nero si era abbassato proprio mentre lui premeva il grilletto. Il cecchino si era concesso un sogghigno, dopo il sospiro sbalordito: quel giovane doveva essere uno psyker. Doveva avere avvertito non tanto il movimento del proiettile, quanto piuttosto l’intento omicida di chi l’aveva sparato. Non aveva effettivamente schivato il colpo, si era spostato in anticipo. A Ward piaceva avere a che fare con dei bersagli difficili. Aveva rivoltato il suo mantello nero, coprendosi con il lato interno, che aveva il colore della sabbia del deserto; se lo sistemò addosso, fino a celarsi la testa, e riportò la propria attenzione sul mirino.

Attraverso l’occhio artificiale montato nella sua testa, attraverso l’occhio artificiale montato sopra il fucile, il mondo diventò una miniera brulicante di informazioni, una tale concentrazione di input che avrebbe potuto disorientare fatalmente chiunque non avesse saputo decifrarli. Le tre sagome dei bersagli divennero improvvisamente dei nuclei di luce rossastra che sbiadiva verso l’esterno delle sagome stesse, diventando arancione, gialla e poi verde. Sulle tre figure dei condannati a morte turbinava una serie di piccoli cerchi lampeggianti, che indicavano i punti vitali delle vittime, o che comunque poteva essere strategicamente utile colpire. La testa, il cuore, gli arti…. C’era solo l’imbarazzo della scelta. Una piccola icona nella parte in basso a sinistra del mirino indicava la forza e la direzione del vento; poi c’erano anche l’ora, la data, la temperatura, la pressione, l’intensità della gravità del pianeta…. Ward provava un sottile piacere nell’immergersi in quel turbine di informazioni: lo faceva sentire completamente padrone della situazione, ancor più della consapevolezza di avere nelle proprie mani la vita di tre esseri viventi. Sapeva di non potersi distrarre, perché questi non erano bersagli comuni: aveva sentito che esistevano degli psyker in grado di aprire i carri armati a mani nude e di lanciare bombe di energia da un capo all’altro di un pianeta di medie dimensioni. Dexter era uno psyker, ma non era così forte. E probabilmente non lo era nemmeno il ragazzo: in caso contrario, avrebbe percepito la presenza di un cecchino molto prima e non avrebbe avuto difficoltà a schivare il proiettile e a contrattaccare subito dopo. Invece, il tizio in nero e la ragazza stavano correndo verso l’Evangelion, mentre l’Eldar… Dove diavolo era l’Eldar? Sul mirino comparve una piccola freccia lampeggiante rivolta verso sinistra. Guidato solo dall’istinto, Ward si girò di scatto, il dito che fremeva sul grilletto; il bersaglio era a meno di venti metri! Maledizione! Doveva aver coperto una quarantina di metri in una manciata di secondi! Ma come aveva fatto? Era uno psyker anche lui? Improvvisamente, il capo del mirino su offuscato da qualcosa: una sagoma rossa indefinita balenò davanti all’occhio artificiale. Sentendo la situazione sfuggirgli di mano, il cecchino premette due volte il grilletto in rapida successione. I proiettili trapassarono la cortina rossa e di nuovo la freccia riprese a lampeggiare sul mirino: indicava l’alto. Merda! L’Eldar doveva avere lanciato davanti a sé quel suo mantello rosso per coprire i propri movimenti! Più per istinto che per intuito, l’uomo capì che il nemico era già troppo vicino: sollevare il fucile e sparare sarebbe stato inutile. Con un rapido colpo di reni rotolò sul fianco, mentre il pugno del suo avversario si abbatteva dove lui era stato steso un attimo prima, spezzando le pietre sotto la sua pressione devastante. Ward balzò in piedi e puntò il fucile dritto davanti a sé, per trovarsi incastrato nella più squallidamente classica delle situazioni. All’altra estremità dell’arma, con la bocca di fuoco appoggiata sulla fronte, c’era l’Eldar, che doveva essere scattato verso di lui subito dopo essersi reso conto che il suo colpo era andato a vuoto. Puntata dritta verso la sua faccia, la mano dell’alieno brillava di una lue verdastra. L’uomo sogghignò: "Io ti tengo sotto tiro e tu mi tieni sotto tiro. Se non fosse così banale, sarebbe quasi divertente, non trovi?". Skaim – Zaim ricambiò il sogghigno: "Dipende dai punti di vista. Io non lo trovo divertente. A proposito, sai che mi sono fatto molto male quando ho colpito quelle pietre? Saresti potuto restare lì fermo…"

"Spiacente, ho altri programmi. Sai, mi sa che uno di noi non lascerà vivo questo deserto"

"Voi umani non vi fate scrupoli nell’ammazzare le persone, eh?"

"Non è questo il punto, è solo che c’è in gioco molto più di quanto tu pensi. Tu e i tuoi amici vi stavate dirigendo all’Evangelion, vero? Chi vi manda?"

"Non ti preoccupare. Preferirei che tu ci lasciassi stare, anziché combattere"

"Anche perché qui è questione di un attimo, no? Il più veloce tra noi due uccide l’altro. Se tu fossi più rapido dei miei proiettili, mi avresti fatto fuori subito, giusto?"

"Diciamo che non mi piace rischiare. Piuttosto, tu chi sei? Perché sei interessato all’Evangelion? Sei uno degli Illuminati, vero?"

"Siamo più famosi di quanto vorremmo. Soprattutto, pare che gli Eldar ci conoscano più dei nostri stessi simili"

"L’Evangelion ha a che fare con qualcuno dei vostri piani, vero? Volete usare un demone per i vostri scopi? Non sapete quanto potrebbe essere pericoloso?"

"Oh, certo che lo sappiamo. Probabilmente non capisci nemmeno di cosa parlo, ma la nostra organizzazione ha una documentazione completa riguardante il Third Impact. Sappiamo cosa si può fare con gli Evangelion in generale e con lo 01 in particolare ed è proprio per questo che ci interessa. Ah, comunque devo avvertirti di un particolare: se sei venuto fin qui sperando di tenermi occupato mentre i tuoi amici arrivano all’Eva, sappi che ci sono un paio di miei compagni qua in giro. In pratica, non hanno speranza di farcela"

 

Prossimamente: i Novamarine si preparano a sbarcare su Novet, mentre Fabius Bile cerca di risolvere una situazione più intricata de previsto. Nel frattempo, Logan apprende qualcosa di più sulla vera natura dello 01 e ha modo di incontrare un temibile avversario.

35: Incontro sotto la luna/…And they shall know no fear

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Capitolo 10
*** Episodio 35: Incontro sotto la luna/And they shall know no fear ***


??.09

 

‘E non conosceranno paura. Saranno puri nel cuore e forti nel corpo, non contaminati dal dubbio e non sporcati dall’autoglorificazione. Saranno stelle brillanti nel firmamento della battaglia, Angeli della Morte le cui ali scintillanti porteranno un veloce annientamento ai nemici dell’uomo. Così sarà per mille volte e mille anni, fino alla fine dell’eternità stessa e all’estinzione della carne mortale’

Roboute Guilliman, Codex Astartes

 

Episodio 35: Incontro sotto la luna

 

ANNO 2036

"Allora?" chiese Ryoma mentre aiutava la ragazza a salire in cima alla scogliera. "Allora cosa?" domandò lei mentre afferrava la mano del giovane e lasciava che lui le rendesse più facile l’inerpicarsi su per le rocce bianche illuminate dalla luce lunare. "Be’," rispose Ryo grattandosi la testa "mi chiedevo se ti fossi divertita. Voglio dire, è stato il nostro primo appuntamento e vorrei sapere se ti andrebbe di vederci ancora". Il ragazzo si sedette sulla nuda pietra, mentre lo scrosciare delle onde sembrava volere interrompere le sua parole. Lei gli si accomodò accanto: "Direi di sì".

"Non mi sembri molto convinta. Ho fatto qualcosa che non ti è piaciuto?"

"No, non intendevo questo… è che… sai, quelle storie che circolano sul tuo conto e su quello dell’Eva nero"

"Qual è il problema?"

"Dicono che tu passi quasi mezza giornata al suo interno e che puoi anche farlo muovere!. E lo sai che a me non piacciono gli Eva"

"Non piacciono a nessuno!" sbuffò Ryo "Però come pensi di liberarti degli Eva senza usare un altro Eva?"

"Non mi fraintendere, capisco la tua posizione, davvero. Però, il fatto di uscire con un ragazzo che ha uno di quei cosi ai suoi comandi mi mette un po’ a disagio"

"Questo è solo un pregiudizio tuo. Sai benissimo che non ho certo intenzione di fare in modo che lo 04 influenzi la nostra storia"

"Ne sono consapevole, ma è difficile scrollarsi di dosso certe sensazioni. Ma penso che la paura derivi essenzialmente dall’ignoranza. Forse ho paura dell’Eva perché non so cosa sia"

"Be’, nemmeno io so cosa sia esattamente, però posso parlarti della mia esperienza diretta"

"Forse servirebbe"

Ryo si sdraiò sul freddo scoglio e si mise le mani sotto la testa, puntando gli occhi dritti sulla luna piena, la cui luce sembrava volerlo abbagliare in un gioco beffardo. "Come forse saprai, i miei genitori erano piloti di Evangelion durante le battaglie contro gli Angeli di una ventina di anni fa. L’hanno tenuto segreto per molto tempo, ma poi sono stati costretti a rivelarlo. Hai presente, no?"

"Be’, fino a un certo punto: io vent’anni fa non ero ancora nata. Però, i miei genitori mi hanno raccontato più o meno cosa è successo. In pratica, gli Evangelion erano questi robot che combattevano contro degli extraterrestri che si chiamavano Angeli, no?"

"Non proprio. A dire la verità, nemmeno i miei genitori erano consapevoli della vera natura degli Eva, quando li pilotavano. Ne sono venuti a conoscenza solo un paio di anni fa, quando abbiamo incontrato Van Richten"

"Alludi a quel tale dall’aria stralunata?"

"Già. Pare che lavorasse negli Stati Uniti, nell’installazione militare dove è stato assemblato lo 04. Un giorno, lascia il posto di lavoro per una riunione con gli alti vertici dell’esercito americano e quando torna… puff! Sparito! Tutta la base era scomparsa nel giro di poche ore"

"Come sarebbe a dire che era scomparsa?"

"Sarebbe a dire che prima c’era e poi non c’era più. Svanita nel nulla. Era costruita in buona parte sottoterra, eppure è scomparsa senza lasciar traccia. Fatto sta che poi c’è stato quel casino che chiamano Third Impact, la gente si è trasformata in quella brodaglia arancione e tutto il resto. Sembra che gli Eva degenerati, che al tempo avevano tutti più o meno lo stesso aspetto, fossero coinvolti negli eventi, ma non mi è mai stato detto come. Mia madre mi ha raccontato di averci combattuto contro, ma, per il resto, è piuttosto riluttante a parlarne. Pare che sia stato durante quello che scontro che si è procurata la ferita all’occhio"

"E come hanno fatto a diventare quelle creature degenerate che sono ora?"

"E qui arriviamo a Van Richten: è stato lui a spiegare a mia madre che gli Eva sono fondamentalmente degli Angeli creati in laboratorio. Lui li chiama ‘cloni’, ma non so cosa significhi esattamente questa parola. Fatto sta che gli Angeli avevano una struttura di base molto variabile; in altre parole, potevano assumere forme parecchio diverse fra di loro. Allo stesso modo, degli Eva lasciati a se stessi, hanno ereditato la medesima instabilità strutturale e hanno cambiato aspetto a seconda dell’ambiente in cui si sono trovati a vivere"

"E come mi spieghi lo 07? Anche quello si è trasformato?"

"No, mia madre dice che è identico a come era vent’anni fa. E poi, c’è la questione dello 04…"

"Appunto! Non mi hai detto che l’installazione militare nella quale era stato assemblato era sparita? Come è possibile che adesso sia arrivato qui?"

"Questo non lo sa nessuno con precisione. Parecchi anni fa, quando cominciarono a diffondersi le voci circa gli Eva degenerati, i miei genitori lo trovarono tra le scogliere, a pochi chilometri da qui. Era scomparso in America ed era ricomparso in Giappone e nessuno sapeva spiegarselo. Fatto sta che i miei pensarono subito di usarlo come arma contro gli Eva degenerati, per non dover più dipendere da Miller. Anzi, avevano in mente di fargli concorrenza, di prendere il suo posto. Sapevano che gli Eva venivano controllati tramite qualcosa che chiamavano ‘tasso di sincronia’, ma non avevano idea di cosa questo significasse esattamente. In quel periodo, si resero conto per la prima volta che avevano pilotato quei cosi, ma le persone che ne avevano avuto in mano la gestione li avevano sempre tenuti all’oscuro di tutto"

La ragazza si avvicinò a Ryo, completamente rapita dalla narrazione: "E allora? Cosa fecero?"

"Be’, guidando i rispettivi Eva, entrambi i miei genitori avevano percepito in qualche modo la presenza delle proprie madri. Sembra che negli Eva ci sia una sorta di anima parziale, che ha bisogno di un’anima totale per funzionare. E l’anima totale può essere fornita da un pilota che deve sincronizzarsi con quella parziale. Né mio padre né mia madre furono capaci di guidare lo 04 e, proprio in quel periodo, mia madre si accorse di essere incinta. Il resto credo che tu lo sappia già. Le voci che circolano sono vere"

La giovane spalancò gli occhi: "Allora è vero! Tua madre ti ha partorito all’interno dell’abitacolo dell’Eva!"

Ryo sospirò: "Pensava che in questo modo avrei potuto sincronizzarmi più facilmente con lo 04. Quando incontrò Van Richten, però, ebbe modo di ricredersi"

"Perché? Cosa successe"

"Sai, Van Richten ha una teoria riguardo a perché lo 04 risponde ai miei comandi. Intanto, ha confermato in parte la questione delle anime, dicendo che negli Evangelion venivano impostati gli schemi mentali di una persona, con i quali il pilota si doveva sincronizzare. Poi, ci ha detto che nello 04, per errore, era stata infusa l’anima di un feto non nato"

"Come sarebbe a dire?"

"Non so con precisione cosa sia successo: fatto sta che nel mio Eva c’è l’anima di un bambino che si è fuso con il nucleo a causa di un incidente non meglio specificato. Secondo Van Richten, l’Eva ha percepito la mia nascita all’interno del proprio corpo e l’ha interpretata come la propria nascita. In pratica, riesco a muoverlo perché lui crede di essere me. Tra di noi non c’è un vero e proprio tasso di sincronia, il mio metodo di pilotaggio è completamente diverso da quello di qualsiasi altro pilota"

"E Miller? Lui come fa a pilotare?"

"Questo non l’ha ancora capito nessuno. Pare sia in grado di fondersi a livello cellulare con lo 07 a diventare tutt’uno con l’Eva. Ma nemmeno Van Richten è riuscito a trovare una spiegazione plausibile"

La ragazza sembrava ormai aver perso ogni parvenza di pudore nel porre domande a raffica: "Ma come fai a vedere quello che succede all’esterno dell’Evangelion quando tu sei lì dentro? E poi…"

"Non lo so. Non lo so davvero. Mia madre mi ha raccontato che, quando lei era un pilota, c’era un sistema di telecamere che permetteva di vedere l’esterno al pilota nell’entry plug, solo che, ovviamente, questo sistema adesso non funziona più. Con i nostri mezzi, siamo a malapena riusciti a mantenere l’armatura e gli armamenti dell’Eva, e comunque non siamo stati in grado di fornire una fonte di energia alternativa alle applicazioni secondarie"

"Aspetta un attimo, cosa diavolo è una telecamera? E poi, cos’è questa storia della fonte di energia?"

"Una telecamera era uno strumento piuttosto diffuso prima del Third Impact. Era una sorta di occhio artificiale che proiettava le immagini che vedeva su di una superficie apposita. Per quanto riguarda l’alimentazione, mi è stato raccontato che i primi Evangelion funzionavano con un tipo di energia prodotto esternamente. Ovviamente, noi non siamo più in grado di produrre quell’energia, quindi i sistemi ausiliari dello 04 e alcune sue armi non funzionano o hanno un’efficacia ridotta. Per esempio, il prog knife, che è una specie di coltello in dotazione all’Eva, tagliava principalmente perché la lama veniva sottoposta all’azione di un’energia. Se dovessi usarlo adesso, sarebbe molto meno tagliente"

"E l’energia che muove l’Eva?"

"Ci sto arrivando. Secondo Van Richten, in teoria lo 04 doveva essere il prototipo di un nuovo tipo di Evangelion. Avrebbe dovuto implementare un particolare tipo di motore che gli avrebbe dato un’autonomia infinita. Ma non ebbero mai modo di montare effettivamente quell’alimentazione: l’Eva 04 sparì prima"

"Aspetta un momento, forse ho capito: quel nuovo motore è stato montato sugli Evangelion dallo 05 in poi, no? È per questo che gli Eva degenerati non hanno bisogno di mangiare e di dormire!"

"Sì, fondamentalmente sì. Ma fami finire. Dicevo, lo 04 aveva ancora l’alimentazione tradizionale, che noi non siamo in grado di rifornire. Forse, se potesse mangiare, sarebbe in grado di sostentarsi; ma un Evangelion non possiede uno stomaco, quindi non può nemmeno ingerire cibo in quanto tale. Secondo Van Richten, un Eva potrebbe nutrirsi solo di un Angelo o di un altro Eva, assimilando la materia che divora direttamente nei propri tessuti, ma non divaghiamo. Be’, insomma, il fatto è che lo 04 si alimenta tramite me"

 

Episode 35: …And they shall know no fear

 

ANNO 992M41

I velivoli da trasporto noti come Thunderhawk erano uno dei principali sistemi che gli Space Marine avevano di schierare velocemente i propri eserciti nelle zone di guerra. Un Thunderhawk era una sorta di enorme aereo dal design tozzo, con degli heavy bolter sulle ali e un grosso cannone a ornargli la parte superiore. Capace di trasportare fino a trenta Marine completamente equipaggiati, il Thunderhawk era la risposta lenta e precisa all’assalto veloce e rozzo che veniva portato con i drop pod; poteva entrare nell’atmosfera di un pianeta dallo spazio, ma non eseguire il procedimento inverso, il che lo rendeva comunque un mezzo potenzialmente suicida: se la flotta in orbita veniva distrutta o costretta alla ritirata, per i Marine schierati non c’era speranza di ritorno.

A bordo di uno dei cinque Thunderhawk dei Novamarine che stavano entrando nell’atmosfera di Novet, Bansegoth era in piedi, avvolto nella sua armatura, circondato dai veterani del Capitolo che costituivano la sua scorta personale. La voce del pilota uscì gracchiante dall’altoparlante, rompendo il monotono silenzio che regnava nell’oscurità del velivolo: "Siamo entrati nell’atmosfera e stiamo impostando la rotta predefinita. Tutti e cinque i Thunderhawk sono arrivati senza complicazioni. Il tempo di arrivo stimato è di quattro ore". Quattro ore! Bansegoth quasi imprecò sottovoce. Era tanto, troppo tempo. Però, usare i drop pod sarebbe stato troppo pericoloso: ricorrere ai Thunderhawk era stata l’unica scelta. Ma il Maestro dei Novamarine non poteva fare a meno di pensare che ormai era solo questione di tempo….

 

Quanto era grosso? Una cinquantina di metri? Sì, più o meno. Fu questo che pensò Logan quando si trovò vicino all’unità Evangelion 01. Rannicchiato su se stesso in posizione fetale, quello che era il clone di un demone aveva ora un aspetto assurdamente infantile. Secondo quanto Fabius Bile gli aveva raccontato, era stato creato su Terra in epoche immemori e poi disperso nello spazio. Creato per combattere contro una stirpe di demoni. Il ragazzo sogghignò, mentre Erin cominciava a girare attorno alla gigantesca creatura alla ricerca di un’entrata. Potersi impadronire di quell’affare sarebbe stato il massimo, ma ormai era evidente che questo non fosse realizzabile: lui non avrebbe mai potuto pilotarlo. "Non hai idea di dove sia l’abitacolo dello 01, vero?" domandò a Erin mentre lei si avvicinava alla testa, una maschera ringhiante che rivelava la natura demoniaca della creatura. "No," replicò la ragazza "il signor Bile non ha mai visto di persona lo 01, quindi non ne sa praticamente niente". Logan seguiva la sua interlocutrice con le mani dietro la schiena e gli occhi rivolti al cielo, con un’aria falsamente innocente sul viso: "Senti, mi stavo chiedendo… Hai pensato a quella questione di cui abbiamo parlato sulle jeep? Voglio dire, perché continui a fare quello che ti dice Bile? Non sarebbe meglio decidere da te quello che vuoi?". "Quando tutta questa storia sarà finita, ci penserò" replicò lei senza nemmeno voltarsi.

"Potrebbe essere tardi. Forse dovresti decidere subito come vuoi passare la tua vita"

"Potrei sapere perché ti interessi tanto alla mia vita?"

"Perché io ti voglio bene, mi sembra ovvio". Logan non era mai stato un buon attore. Nonostante la sua cronica incapacità di ammettere i propri difetti, riusciva a riconoscerli. O almeno alcuni di essi. Quando diceva qualcosa di platealmente falso, lo faceva con un tono quasi sarcastico, in modo che chi lo ascoltava non potesse rendersi conto se stesse scherzando o parlando seriamente.

"Tu non mi vuoi bene. Ho sentito quello che hai detto al signor Bile quando ci siamo incontrati al ristorante: quello che ti interessa è ‘darmi una botta’ e basta"

"Non sai cosa ti perdi! Ma non è questo il punto, non solo". Logan aumentò il passo e si parò davanti a Erin: "Ti rendi conto della tua posizione? Hai il codice genetico di un Primarca e sei l’unica persona nell’universo che possa pilotare l’Eva! Hai un potere immenso e lo metti al servizio di Bile? Chi te lo fa fare? Lui si è sempre servito di te! Ti ha creata per i suoi fini e ti ha sfruttata per tutta la tua vita, ribellati, no?"

La ragazza si poggiò le mani sui fianchi e fissò il suo interlocutore dritto negli occhi: "Non faccio fatica a capire dove tu voglia andare a parare. Hai intenzione di tirarmi dalla tua parte per sfruttarmi a tua volta, giusto?"

"No, assolutamente" Logan riprese il suo tono sarcastico "Io vorrei solo indirizzarti lungo il cammino più vantaggioso. Quante cose potresti fare con un Eva? Non credi valga la pena di prova…". Si bloccò prima di terminare la frase. C’era qualcuno lì vicino. Merda, proprio adesso!

"Certo che vale la pena di provare!" la voce alta, quasi baritonale, sorprese entrambi. Si girarono. Avvolto in un mantello nero, un uomo alto e biondo, dalla mascella irrealmente quadrata, lo squadrava con aria divertita. "Senz’altro vale la pena di provare cosa si può fare con lo 01. Ma è meglio che lasciate fare a chi ne sa più di voi, no?". Il nuovo arrivato avanzò a grandi passi verso i due. "Uno degli Illuminati, suppongo" domandò Logan con un sogghigno rassegnato. "Due agenti di Bile, suppongo" ribatté l’altro sorridendo a propria volta. Il ragazzo sospirò, si infilò il mignolo sinistro nell’orecchio e vi frugò coscienziosamente per una ventina di secondi. Quella pausa sembrò quasi irreale. Le intenzioni dell’uomo biondo erano chiaramente ostili: questo Erin lo avrebbe percepito anche senza la sua sensibilità psichica da Primarca; eppure, sembrava che Logan fosse perfettamente tranquillo. No, non era tranquillo. Non si rendeva conto della forza dell’avversario, ecco quale era il problema. Il giovane si tolse il dito dall’orecchio, lo strofinò vigorosamente contro il pollice metallico e riportò l’attenzione sul nuovo venuto: "Sai che impressione mi sono fatto di tutta ‘sta storia? In giro per la Galassia ci sono un po’ di organizzazioni segrete e un po’ di persone che agiscono segretamente. Paradossalmente, però, tutti ‘sti tizi si conoscono fra di loro. Mi sembra quasi che ci sia una specie di ambiente elitario del quale può fare parte solo gente di cui nessuno sa niente; nonostante questo, in quell’ambiente tutti sanno tutto di tutti. E la segretezza dove va a finire?". Il biondo scoppiò in una risata sonora, quasi fastidiosa: "Sai, hai proprio ragione! " ammise "C’è parecchia gente che non vorrebbe essere conosciuta, ma, quando passi interi millenni a infilarti in situazioni poco chiare, fatalmente si sente parlare di te. E, fatalmente, entri in contatto con chi ha passatempi simili ai tuoi. Nel complesso, direi che la tua descrizione è abbastanza azzeccata"

"E tu saresti uno dei tizi che passano interi millenni a infilarsi in situazioni poco chiare?"

"No, proprio no" l’uomo fece un gesto di dissenso con la mano "Io sono in vita da poco più di trent’anni. Ma l’organizzazione di cui faccio parte, della quale sembri sapere qualcosa, è piuttosto vecchiotta. Si potrebbe dire che furono i nostri predecessori a commissionare la costruzione degli Evangelion, anche se in realtà non ne sappiamo molto"

"Ma guarda un po’… Quindi, questo affare – Logan indicò l’Eva con un cenno del capo – è fondamentalmente un giocattolo che vi siete persi, no?

"Fondamentalmente sì, ma siamo giustificati: i nostri predecessori volevano usarlo per uno scopo ben preciso e pensavano di essere riusciti nel loro intento. Poi, però, c’è stato un imprevisto che ha mandato a monte i loro piani"

"Dicono tutti così. Non sarà che hanno semplicemente fatto una cazzata?"

"In realtà, non lo sappiamo per certo. Le documentazioni di quel periodo sono frammentarie e non vedo come potrebbe essere altrimenti"

"Senti, già che siamo qui, perché non mi racconti tutto? Sai sono piuttosto curioso"

L’uomo biondo sogghignò: "Considerato che non te ne andrai vivo, potrei anche spiegarti tutta la storia, ma ho l’impressione che questa tua voglia di sapere derivi più dal voler usare lo 01 per i tuoi fini che dalla pura e semplice curiosità"

"Tanto non me ne andrò vivo, no? Visto che devo morire, voglio almeno sapere per quale motivo"

"E sia, allora. Ma è una storia un po’ lunghetta, quindi mettiti comodo. Devi sapere che, circa trentotto millenni fa, c’era un’organizzazione chiamata Seele. Sono i predecessori ai quali mi riferivo prima. È grazie ai loro resoconti se sappiamo tanto di quell’epoca così lontana. La Seele, proprio come noi, era un’organizzazione segreta, eppure si può dire che controllassero le principali forze politiche ed economiche della Terra di quei tempi. Non sappiamo esattamente quando o perché fosse nata la Seele, ma sappiamo che era praticamente a capo del mondo. Lo stato delle cose cambiò quando la Seele scoprì una creatura ignota in una regione sperduta di Terra. Loro non lo sapevano ancora, ma adesso noi possiamo dire che quello era un demone che, in qualche modo, aveva assunto un corpo materiale reale e permanente. Come forse saprai, normalmente i demoni…"

"Sì, sì, lo so già. Creano un corpo materiale con l’energia spirituale presente al momento e bla bla bla. Suppongo che quel demone fosse il modello originario degli Evangelion, no?"

"Già, proprio così. Però, per essere precisi, bisognerebbe dire che era un Principe Demoniaco"

"Cioè?"

"I Principi Demoniaci sono i più individuali e potenzialmente forti tra tutti i demoni. Spesso sono la diretta evoluzione di adoratori mortali, ai quali le Oscure Potenze hanno concesso di diventare degli esseri simili a loro, una sorta di divinità minori dipendenti da quella che le ha create. Contrariamente a quanto accade per gli altri demoni, non esiste una razza di Principi Demoniaci: ciascuno di loro è un individuo a sé. Anche la loro potenza è variabile: alcuni possono radere al suolo intere catene montuose con un soffio, altri possono essere schiacciati da un bambino. Il Principe Demoniaco trovato su Terra faceva parte della prima categoria e gli fu dato il nome di Adam"

"Aspetta un attimo: se era così forte, come hanno potuto farne dei cloni? Come si sono procurati il suo materiale genetico?"

"Grazie all’Imperatore. Devi sapere che l’Imperatore esiste da moltissimi…"

"Sì, sì, taglia corto, questa la so già. Che ha fatto l’Imperatore?"

"Sembra che fosse insieme agli uomini che stavano studiando il demone. Quando questo è sfuggito loro, l’Imperatore lo ha affrontato. Non sappiamo esattamente quanto l’Imperatore fosse forte al tempo, ma pare che non lo fosse a sufficienza per poter battere un tale nemico. Però, la sua conoscenza delle vie delle Oscure Potenze era già profonda. Probabilmente, pensò che, se non poteva sconfiggere quel demone, doveva fermarlo in un altro modo. Assunse che fosse stato un essere umano al quale era stato concesso uno status demoniaco da un Dio del Caos e usò su di lui una tecnica psichica chiamata Chronobending. Per quanto ne sappiamo, questa tecnica consisteva nel fare arretrare il tempo in una zona limitata dello spazio: riportando indietro il tempo del Principe Demoniaco, l’Imperatore avrebbe potuto ridurlo allo stato di un comune essere umano. Ma qualcosa andò storto: sembra infatti che quel demone non fosse mai stato umano e il Chronobending ebbe su di esso l’unico effetto di farlo ringiovanire, riducendolo a un embrione. A questo punto, accadde qualcosa. Ci fu il cataclisma che fu chiamato Second Impact. Le cause esatte ci sono ignote: forse fu l’energia residua del Chronobending a esplodere all’improvviso, o forse fu Adam stesso a scatenarlo. Fatto sta che la Terra cambiò radicalmente. Poi, poco dopo, fu scoperto un altro Principe Demoniaco"

"Fami indovinare" lo interruppe Logan "Lilith?"

"Già. Sei molto informato, vedo"

"Ho le mie fonti. Fammi indovinare ancora: gli Evangelion erano tutti cloni di Adam, tranne lo 01, che è un clone di Lilith, giusto?"

"Te l’hanno già spiegato, no?"

"Più o meno. Diciamo che mi sono state fornite informazioni sufficienti per fare uno più uno"

"D’accordo, ma ci sono delle informazioni che non credo ti siano state date. Devi sapere che Lilith aveva una proprietà peculiare: era in grado di riportare i corpi dei mortali allo stato originario, sciogliere la loro aura superficiale e causarne la fusione. Lo 01 è stato concepito proprio per questo scopo: la Seele voleva usarlo in sostituzione di Lilith per fondere tutta l’umanità in un’unica entità".

Logan scoppiò a ridere. Si sbellicava dalle risate in maniera tanto scomposta che Erin si chiese come potesse mantenere l’equilibrio sulle gambe.

"Vedo che la cosa ti diverte" considerò l’uomo biondo, stavolta senza l’ombra di un sorriso.

"Mi stai prendendo per il culo? Perché mai qualcuno dovrebbe fare una cosa tanto assurda? Potevi inventarti qualcosa di meglio se volevi sparare delle stronzate! Pensavi davvero che avrei creduto anche a questo?"

"Sì, è vero, è un’assurdità. Noi Illuminati ne siamo convinti, tanto è vero che non abbiamo la minima intenzione di usare lo 01 per un tale scopo. Ma non pretendiamo di comprendere le motivazioni dei nostri predecessori: erano uomini di altri tempi e avevano altre esigenze"

"E allora, per cosa vorreste usare questo affare?"

"Per te sarà difficile capirlo, ma lo useremo per fare in modo che l’Imperatore continui a proteggere la razza umana. Durante la sua vita terrena, l’Imperatore ha avuto dei figli, che sono creature eccezionali. Sono sterili, ma sono anche immortali: possono morire di morte violenta, ma altrimenti vivono in eterno. La loro anima ha delle qualità psichiche che quella di un uomo normale non possiede. Noi Illuminati abbiamo già individuato alcuni di questi individui: se riuscissimo a fondere loro con l’Imperatore usando il materiale genetico di Lilith, potremmo rivitalizzare il nostro signore e forse fornirgli anche un nuovo corpo! L’Imperatore tornerà a camminare tra gli uomini, te ne rendi conto?"

"Tremo tutto dall’arrapamento" sbottò Logan sarcastico "I vostri amichetti della Seele non sono riusciti a usare ‘sta roba e pretendete di farlo voi?"

"Oh, ma anche se la Seele non riuscì a usare né Lilith né lo 01, la fusione dell’umanità in un’unica entità avvenne comunque. Le circostanze non sono chiare, ma la fusione ci fu, dando luogo al cosiddetto Third Impact. Anzi, è possibile che la Seele avesse tentato quello stesso procedimento anche con Adam e che il Second Imapct ne sia stato la diretta conseguenza. Apparentemente, non tutti gli esseri umani furono partecipi della fusione allo stato primordiale, perché, se così fosse stato, noi non saremmo qui a parlare. Ma ci fu, e il processo funziona. È solo questione di…"

L’uomo biondo non terminò mai la frase: il pugno destro di Logan gli si abbatté in faccia, facendolo piegare sulle ginocchia; un attimo dopo, il sinistro lo centrò al mento, rivoltandogli il capo all’indietro. Poi, fu la volta di un calcio al ventre e il corpulento Illuminato si piegò reggendosi lo stomaco e cadendo a terra poco dopo. "Non fare tante scene!" esclamò il ragazzo balzando all’indietro e preparandosi a una reazione. "Alzati, datti una mossa. Non pretendo certo di averti steso con quei colpi". Logan non riuscì nemmeno a sentire la risposta, ammesso che ve ne fosse stata una: il suo avversario scattò in piedi verso di lui e lo centrò in pieno viso con un colpo che lo spedì nella polvere. "Non ho mai pensato di poterti nascondere che sono anch’io uno psyker" disse il biondo "D’altra parte, sapevo che lo avresti intuito percependo la mia aura. Però, ammetto che non mi aspettavo un attacco così sleale e vigliacco… Non mi hai nemmeno lasciato finire di parlare". Il corpulento individuo si avvicinò al giovane e lo sollevò afferrandolo per il colletto della camicia: "Sappi che morirai per mano di Dexter degli Illuminati. Mi è sempre piaciuto presentarmi al mio nemico, trovo che dia allo scontro una tonalità drammatica, non pensi?". "Adesso te lo faccio vedere io il dramma" sibilò il ragazzo mentre il sangue che gli colava dal naso gli scendeva pigramente in bocca. Un secondo dopo, afferrò il polso della mano con cui Dexter lo stava trattenendo e scalciò velocemente contro il viso del nemico. O almeno credette di farlo: prima ancora di completare il suo movimento, si trovò proiettato a una decina di metri dal suolo, con il biondo Illuminato che si lanciava verso di lui a pugno proteso. Con un tempismo che derivava più dalla fortuna che dai riflessi, Logan evitò l’attacco con un colpo di reni e fece per colpire a propria volta con la sinistra. Ancora una volta, la velocità dell’avversario si dimostrò eccessiva: un violento attacco portato con il taglio della mano lo raggiunse sul fianco, mandandolo a schiantarsi nella sabbia. Dexter atterrò poco lontano da lui; con un gesto sprezzante, si tolse il mantello, rivelando la sobria tuta grigia che portava sotto di esso. Sia la tuta che gli stivali neri erano aderenti e sembravano fatti apposta per consentire la massima libertà di movimento. Uno psyker combattente, uno che era abituato a usare i propri poteri per massacrare la gente, ecco cos’era quel tizio. Fu più o meno questo che pensò Logan quando si alzò. Un attimo dopo, sorrise: un nemico forte. Una delle poche cose che lo esaltavano. Il giovane psyker scattò verso l’avversario, mentre sulla sua mano si formava una sfera turbinante di energia violacea: voleva provare quella nuove tecnica che aveva imparato da poco, quella tramite la quale concentrava l’aura nelle mani e la scagliava sull’avversario. Non volendo aspettare l’attacco del suo opponente, Dexter si lanciò a propria volta verso di lui. Non sembrò particolarmente turbato quando Logan scartò improvvisamente di lato, quasi a evitare il confronto diretto. Né sembrò rendersene conto quando il giovane gli si portò alle spalle con un rapido movimento; né sembrò reagire quando questi slanciò il braccio in avanti per inondarlo con la sua energia violacea. Ma fu Logan a sorprendersi, quando il suo colpo trovò la mano di Dexter, giratosi in una frazione di secondo, che lo bloccava sulla sua traiettoria e ne soffocava le fiamme viola nell’implacabile morsa delle dita. Una morsa che poi si avvolgeva attorno alla mano del suo nemico, bloccandola e stringendola, per poi scagliare verso l’alto tutto il corpo del ragazzo e colpirlo in pieno ventre con un pugno dell’altro braccio. Per qualche secondo, la scena, irreale e grottesca, restò così: Logan, come impalato sul braccio alzato di Dexter, che penzolava mollemente, mentre il viso contratto in una smorfia di dolore mostrava in maniera eloquente la sua situazione. Poi, il giovane psyker balzò all’indietro e la scena sembrò ripetersi: l’uomo biondo saltò verso di lui a pugno teso. Logan evitò con un colpo di reni. Dexter usò l’altra mano per menare un colpo di taglio. Ma stavolta il suo avversario non fu impreparato: intuendo la mossa dell’opponente, ruotò attorno al braccio di questi con una capriola a mezz’aria e slanciò entrambe le gambe verso il volto del massiccio combattente. La faccia di Dexter fu centrata in pieno da entrambi i piedi del ragazzo. La situazione era ora capovolta: l’Illuminato si abbatté al suolo, lo psyker in nero atterrò dolcemente a breve distanza. "Bella mossa" commentò Dexter rialzandosi e massaggiandosi la mandibola "Però, penso sia arrivato il momento di chiudere il combattimento. Forse ti seccherà sapere che avevo previsto questa tua reazione. Anzi, ti ho attaccato in maniera pressoché identica alla prima volta proprio perché speravo che tu rispondessi più o meno come hai fatto". Per un attimo, Logan fu colto di sorpresa. Poi capì. Era atterrato proprio tra i mento e il collo dello 01: il volto ghignante dell’Eva sembrava scrutarlo beffardo, come a ricordargli che, in quella situazione, non poteva fuggire da nessuna parte. "Sì," disse l’Illuminato allargando le braccia e traendo un profondo respiro, come se avesse capito cosa il suo avversario stava pensando "volevo che tu atterrassi lì, così ora non potrai schivare il mio colpo". Poi, l’aria sembrò condensarsi attorno a Dexter, turbinando in un vortice incolore che pareva squarciare la realtà. Logan si preparò a ricevere l’attacco o, nel peggiore dei casi, a evitarlo saltando. Ma non fece nemmeno in tempo ad assumere una nuova posizione di combattimento: con un feroce urlo di guerra, il biondo concentrò la sua aura in una sorta di cerchio di energia scintillante e trasparente davanti a sé. Un attimo dopo, l’energia così condensata schizzò verso il suo bersaglio. "Merda!" sibilò Logan mentre arretrava istintivamente e si trovava a picchiare le spalle contro l’Evangelion. Quel colpo era maledettamente veloce! In un ultimo, disperato tentativo, il ragazzo proiettò la mano destra davanti a sé e scagliò una sfera di energia violacea contro l’attacco nemico. Il colpo di Logan sembrò infrangersi sul cerchio di energia in corsa; poi, in meno di un secondo, si riformò nello stesso punto che aveva toccato e volò verso il mittente. Centrato in pieno petto dalle sua stessa sfera violacea, Logan fece appena in tempo a vedere il colpo di Dexter che lo travolgeva. Poi avvertì l’impatto della sua schiena contro la corazza dell’Eva. Poi, più niente.

 

Quando Fabius Bile entrò nella capitale di Novet, lo spettacolo che gli si presentò davanti non sorprese più di tanto. Nonostante i combattimenti tra la Guardia Imperiale e i Marine del Caos appena arrivati durassero solo da poche ore, gli edifici portavano già i segni indelebili dello scontro furioso che si stava consumando per le strade. Palazzi in fiamme o sul punto di crollare, dai quali i civili si affrettavano a fuggire, erano diventati in breve una vista comune; ovunque risuonava il tuonare dei cannoni e il sibilo dei laser. Dense volute di fumo grigiastro si levavano al cielo, gli ordini impartiti dagli ufficiali risuonavano per le vie. Sbuffando seccato, Bile pensò che quell’attacco fosse arrivato proprio nel momento meno adatto. Proprio quando stava per impadronirsi dello 01, proprio quando Erin non era con lui e non aveva modo di contattarla, proprio quando la Guardia Imperiale, e probabilmente anche l’Inquisizione, avevano deciso di recuperare l’Evangelion a propria volta, proprio quando Derketo e i suoi Emperor’s Children si erano messi in testa di andarsene per i fatti loro. A questo punto, la priorità era una sola: Bile aveva intenzione di riprendersi la sua astronave. Naturalmente, l’aveva lasciata allo spazioporto, facendola passare per una nave cargo e distribuendo mazzette e favori per evitare che le autorità si chiedessero quanto strana fosse per essere veramente un cargo: non c’era altro posto in cui potesse stare. Mentre arrancava faticosamente tra le rovine degli edifici in fiamme, però, il Signore dei Cloni non era esattamente tranquillissimo. Aveva già visto alcune pattuglie dei Marine dall’armatura nera che si muovevano per la città, alla ricerca di schiavi e di bambini. Schiavi da asservire alla propria volontà e bambini per rimpinguare le proprie fila. Si diceva che, in tempi antichi, l’Imperatore conoscesse tecniche di manipolazione genetica che consentivano di trasformare in Space Marine anche un uomo adulto; con la sepoltura del monarca nel Trono d’Oro, però, questi segreti si erano perduti. I Capitoli dell’Adeptus Astartes, e le loro oscure controparti, erano in grado di aumentare il numero dei propri effettivi solo agendo su dei bambini. Le operazioni chirurgiche necessarie a mutare un essere umano in un Angelo della Morte funzionavano solo se eseguite mentre il soggetto era ancora nell’età della crescita, in modo che gli organi addizionali potessero svilupparsi di pari passo con il corpo ospite, riducendo al minimo la possibilità di un rigetto. Ovviamente, già da parecchio tempo Bile stava eseguendo esperimenti per riuscire a riprodurre le tecniche usate dall’Imperatore, ma non vi era ancora riuscito. E comunque, al momento, non era quella la sua preoccupazione più impellente: doveva assolutamente evitare i Marine in nero. Perché quelli non potevano che essere soldati della Nera Legione.

Un tempo si erano chiamati Luna Wolf ed erano stati la Legione nata dal modello genetico di Horus; in seguito alla gloriosa Crociata di Ullanor, durante la quale avevano sconfitto un potente impero galattico di Orketti, avevano ricevuto l’appellativo di Figli di Horus dall’Imperatore stesso. Avevano tradito l’Imperium per primi e, morto il loro Primarca, per primi si erano ritirati nell’Occhio del Terrore. Una volta lì, le altre Legioni Traditrici li avevano incolpati del fallimento della guerra civile. Tra i più ferventi detrattori dei Figli di Horus c’erano stati proprio gli Emperor’s Children, dei quali, al tempo, Bile faceva ancora parte. Con un attacco a sorpresa, gli Emperor’s Children si erano impadroniti del cadavere di Horus e lo stesso Bile ne aveva creato diversi cloni, con il duplico scopo di condurre i suoi studi sui Primarchi e di ottenere dei supersoldati (anche per gli standard degli Space Marine) ubbidienti e invincibili. Ma le cose erano andate diversamente: prima che i cloni fossero estratti dalle capsule di contenimento in cui erano cresciuti, dei misteriosi Marine dall’armatura nera avevano attaccato la fortezza degli Emperor’s Children in un rapido raid e avevano distrutto sia il corpo originale di Horus che tutte le sue copie. In seguito, Fabius Bile era venuto a sapere che quei Marine erano stati gli stessi Luna Wolf, che, sotto la guida di un nuovo comandante, avevano ridipinto le loro armature e si erano conferiti il nome di Nera Legione. Nei millenni seguenti, i rapporti tra la Nera Legione e gli Emperor’s Children erano migliorati: il nuovo signore dei Luna Wolf era un guerriero tanto potente, e tanto devastanti erano le sue armate, che moltissimi Marine del Caos, provenienti da tutte le Legioni Traditrici, si erano uniti a lui. A Fabius Bile, però, non era mai stato perdonato di aver clonato il Primarca. Per questo motivo, il Signore dei cloni sapeva benissimo che finire nelle mani dei legionari dei Figli di Horus gli sarebbe potuto costare molto caro. Anche perché, in base alle informazioni che aveva raccolto, erano venuti a sapere dell’esistenza di Erin…

 

Prossimamente: mentre Logan è costretto a porsi delle domande, Skaim – Zaim deve vedersela con un avversario tanto strambo quanto temibile. Per entrambi, la situazione potrebbe essere più difficile del previsto.

Episodio 36: Motore/Stress

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Capitolo 11
*** Episodio 36: Motore /Stress ***


??.10

 

‘Il significato della vittoria non è sconfiggere il nemico, ma distruggerlo, sradicarlo dalla memoria dei vivi, non lasciare traccia dei suoi sforzi, annientare completamente ogni suo conseguimento e rimuovere da tutte le cronache ogni segno della sua esistenza. Da una tale sconfitta nessun nemico può riprendersi. Questo è il significato della vittoria’

Signore Comandante Solar Macharius

 

Episodio 36: Motore

 

ANNO 2030

Ryoma Ikari allungò la mano e afferrò nuovamente la scala di corda sulla quale si stava arrampicando. Scrollò la testa, nel vano tentativo di rischiararsi gli occhi annebbiati. Con tutta probabilità, quello era stato l’unico gesto non istintivo che avesse compiuto nel corso degli ultimi venti minuti. Allungò di nuovo la mano e continuò la sua scalata, mentre la bava gli sgocciolava dalla bocca, mentre la sua vita confusa non gli permetteva nemmeno di vedere il chiarore delle stelle nel cielo autunnale. Salire la scala che portava all’entry plug dell’Eva 04 non era difficile: chiunque ci sarebbe potuto riuscire nel giro di pochi minuti. Ma, quando era in quelle condizioni, Ryoma poteva impiegare quasi un’ora. Ed era l’unica cosa che potesse fare.

DOVEVA entrare nello 04.

DOVEVA mettersi nel gelido ventre metallico dell’entry plug.

DOVEVA sedersi lì a fare niente.

Non sapeva perché, ma doveva farlo. Era conscio che, all’età di undici anni, un bambino non conosce molto del mondo. Era conscio di dovere imparare ancora moltissime cose. Ma era conscio anche del fatto che nessuno avrebbe potuto spiegargli questa inaudita brama di comunione con la creatura nera e possente che, inginocchiata tra le scogliere, sembrava aspettare solo lui. Quell’essere enorme eppure inerme, quel mostro che i suoi genitori sembravano odiare con tutte le proprie forze, pur riponendovi ogni speranza. Ryoma non capiva le ragioni di suo padre e sua madre, anche perché il loro comportamento era spesso contraddittorio. Il padre di Ryoma era Shinji Ikari, eroe delle battaglie contro gli Angeli. Gli avevano raccontato questa storia, sebbene proprio Shinji sembrasse essere l’unico che non considerava se stesso un eroe. Anche lui aveva guidato un Evangelion. E forse il suo odio per gli Evangelion derivava da questo. E forse il fatto che non cercasse mai attivamente di impedire a Ryo di entrare nello 04 dipendeva da questo. E forse il fatto che, in fondo, volesse vederlo guidare quell’oscuro titano dipendeva da questo.

La madre di Ryoma era Asuka Langley Soryu, eroina delle battaglie contro gli Angeli. E, a detta di Shinji, era stata molto orgogliosa del proprio Eva. Eppure, sembrava detestare lo 04 come nient’altro. Ryo si era sempre chiesto il motivo di questo odio profondo e sfrenato; aveva sempre cercato di immaginare la fonte di un tale radicato disprezzo. Aveva provato a chiederla direttamente a sua madre, ma la risposta era stata un banalissimo "Mi sta antipatico, punto e basta!". E un bambino faticava a capire le contorsioni mentali di cui una genitrice del genere era capace. Shinji era stato un po’ più preciso in merito: aveva raccontato una storia secondo cui Asuka, che si era sentita rifiutata dalla madre da piccola, adesso non sopportava di condividere suo figlio con qualcosa d’altro. Soprattutto con un Eva, la causa della morte di sua madre. La nascita di Kasumi non aveva cambiato molto le cose. Di fatto, pensava Ryo talvolta, Asuka sembrava più affezionata a sua sorella che a lui, quasi si fosse rassegnata all’idea di averlo perso per colpa dell’Evangelion.

E questo gli dispiaceva. Ma non poteva farci niente. Lo sapeva, mentre afferrava il portello dell’entry plug e usava tutta la sua acerba forza per aprirlo. Sapeva benissimo che questo non gli avrebbe portato niente di buono. Sapeva benissimo che, una volta uscito dall’Evangelion, dopo ore al suo interno, si sarebbe accasciato al suolo e non sarebbe nemmeno stato in grado di camminare. Ma doveva entrarci.

 

ANNO 2036

Il mare e il mare. Il mare d’acqua salata, blu e verdastro, sul quale si rifletteva il cadaverico disco della luna piena. Il mare di sangue, che copriva la spiaggia come un tappeto scuro e immondo, che mandava un lezzo nauseabondo, che era una minaccia contro qualsiasi cosa vivesse. Asuka si era tappata il naso già da un pezzo: non riusciva a sopportare quel fetore. Shinji, invece, sembrava più preoccupato per la scena che aveva di fronte. Davanti a lui, l’Evangelion 07 giaceva smembrato. Le braccia e le gambe erano state staccate dal resto del corpo, che, inchiodato alla scogliera dalla sonic glaive, si contorceva ancora come un’orrida lumaca, mentre il sangue gli usciva a cascate dalle ferite che gli erano state inflitte. L’enorme sagoma dell’Evangelion 04, responsabile di quello scempio, era immobile. In piedi, come caduta in trance, come ridotta al limite delle proprie forze. Nella mano destra, reggeva ancora l’enorme accetta che aveva usato per macellare l’Eva bianco, ancora sporca di sangue, con il manico quasi piegato per la violenza con cui aveva vibrato i suoi colpi. Poi, lentamente e senza alcun rumore, come un titano che si arrendesse alla collera divina, lo 04 si inginocchiò. La cupola metallica che aveva in corrispondenza della zona cervicale si aprì con un sibilo, mentre l’entry plug ne fuoriusciva, stagliandosi contro il cielo notturno.

Quasi senza nemmeno rendersene conto, Asuka, sempre tappandosi il naso con una mano, cominciò a correre verso l’Eva nero, mentre perle di sangue scarlatto schizzavano in aria a ogni suo passo.

Il boccaporto dell’entry plug si aprì.

Shinji seguì Asuka a ruota, incurante della schifezza che stava calpestando.

Una mano si protese bramosa fuori dall’entry plug. SI stava allungando verso l’esterno, Come a cercare qualcosa, come a bramare ciò che le era negato, come in una muta supplica che non aveva speranza di trovare risposta.

Quando Ryoma riaprì gli occhi, era già mattina. Era sdraiato nel suo letto, a casa sua. Le pareti di legno, i pochi mobili, per lo più riciclati tra quelli sopravvissuti al Third Impact, la finestra proprio al suo fianco. Troppo alta per poter guardare fuori, ma abbastanza bassa perché il sole entrasse e gli ferisse gli occhi. Poi, Ruo voltò la testa, sapendo bene cosa si sarebbe trovato di fronte. "Ehilà!" disse Kasumi sogghignando "Come va? Ti senti meglio?". Ryo cercò di mettersi a sedere. Non riuscì nemmeno ad alzare il capo. Kasumi Ikari, sua sorella, non era sempre una presenza gradita. Non tanto per quel senso di inferiorità che Ryoma aveva sempre provato nei suoi confronti, ritenendola responsabile, forse inconsciamente, di avergli rubato l’affetto di sua madre; piuttosto, perché aveva l’abitudine di parlare molto. Decisamente, in questo Kasumi non somigliava ai suoi genitori. Qualche anno prima, Ryoma aveva sentito Asuka dire a Shinji che, se non fosse stato per il colore dei capelli e degli occhi, Kasumi sarebbe stata la copia sputata di una fantomatica ‘Allieva Modello’. Non aveva mai saputo chi fosse questa allieva modello, ma sospettava che a sua madre non stesse molto simpatica. Kasumi aveva i capelli castani lunghi fino alle spalle e gli occhi blu; a volte Ryo si domandava come fosse l’allieva modello.

"Ehi, guarda che ti ho fatto una domanda!" esclamò Kasumi assumendo un’espressione imbronciata. "Non è carino non rispondere. Lo sai che non ti rendi per niente simpatico? E dire che io mi preoccupo tanto per te! Dovresti avere un po’ più di riguardo per quello che faccio, non ti pare? Ti faccio notare che…". "Sto bene!" rispose Ryoma alzando la voce all’improvviso. Lo aveva fatto più per bloccare la parlantina della sorella che perché voleva effettivamente replicare. Poi, capì che doveva dire qualcosa d’altro: "Il fatto che io sia qui dovrebbe significare che la mia opera di macellazione è andata almeno decentemente, no?".

"Certo!" esclamò Kasumi "Sai che hanno catturato Miller?"

Ryo scattò a sedere per lo stupore, spalancando gli occhi; un attimo dopo, il suo corpo cedette e si ritrovò ancora sdraiato. Ma ebbe la forza di dire: "Davvero? Come diavolo…?"

"Semplice! Avevi ridotto lo 07 talmente male, che Miller se ne è separato. Era quasi impazzito per il dolore. A quel punto, papà e un po’ di altra gente l’hanno immobilizzato. Era ridotto talmente male che è stato facile. Adesso lo hanno chiuso in un vecchio appartamento"

"E lo 07?"

"Ovviamente, è ancora sulla spiaggia. Solo tu potresti spostarlo, ma forse è meglio evitare…"

"Cosa vuoi dire? Che non dovrei più salire sullo 04?"

"Sai che la pensano così anche mamma e papà, nonostante tutto. Non vedi come ti riduci ogni volta?"

Ryo sbuffò e distolse lo sguardo da sua sorella, come se non volesse ammettere che aveva ragione. Ma Kasumi non capiva. "Non dipende interamente da me" disse il ragazzo alzando gli occhi al cielo.

"Sì, lo so. O almeno, me lo posso immaginare. Fin da quando eravamo bambini, mi hai raccontato molte volte di come ti senti parte dell’Eva e di come non puoi evitare di salire a bordo… Ma quell’affare ti prosciuga letteralmente la vita. È come se traesse da te l’energia per muoversi, solo che il tuo corpo non può contenerne abbastanza da spostare qualcosa di così grosso"

"Secondo Van Richten è proprio così. Ma nemmeno lui sa esattamente come sia possibile che lo 04 prenda energia da me. Di certo non lo alimento solo con il fisico, altrimenti sarei già morto da un pezzo…

"Non so che dirti, non sono un’esperta in materia. Ma so che salire sull’Eva 04 è pericoloso per te. Dovresti trovare un modo per combattere contro gli Eva degenerati senza usare il tuo"

"O usandolo in modo che non mi riduca in questo stato. Consumando meno energia, in pratica. Mamma e papà combattevano insieme contro gli Angeli… erano una squadra, potevano contare gli uni sugli altri… Se io avessi qualche compagno, forse le cose andrebbero diversamente…."

 

Episode 36: Stress

 

ANNO 992M41

C’era stato un periodo della sua vita in cui Skaim – Zaim aveva pensato di non chiedere molto. Aveva voluto combattere per il proprio popolo, diventare un difensore del pianeta artificiale chiamato Ulthwe, sul quale era nato e che, ancora oggi, amava più di qualsiasi altra cosa. Una serie di circostanze sfortunate gli avevano impedito di realizzare il proprio sogno, ma ormai non aveva più importanza. Da quando aveva conosciuto Logan e Gutzmaak, si era reso conto di quanto valore avesse la sua ambizione, che gli era parsa così semplice. Aveva viaggiato per lo spazio con i suoi due improvvisati compagni d’avventura per quasi un anno e, benché un anno fosse poco più di un istante per una razza come gli Eldar, i cui esponenti potevano vivere per secoli, ricordava quel periodo come uno dei più intensi della sua vita. E non in senso positivo. Non era mai stato sicuro di poter mangiare da un giorno all’altro, si era guadagnato da vivere rubando, svolgendo incarichi illegali o per conto di individui di dubbia moralità, si era trovato in situazioni di pericolo estremo, aveva rischiato la vita innumerevoli volte combattendo contro avversari che aveva creduto essere al di fuori della sua portata.… Il fatto di avere la canna di un fucile di precisione puntata dritta sulla faccia, in questo momento, non gli sembrava poi così inquietante. Trovava molto più preoccupante la prospettiva di dover ritornare sull’astronave con la quale viaggiava con Logan e Gutzmaak: il fucile avrebbe potuto ucciderlo sul colpo, ma con quei due aveva l’impressione di essere sottoposto a uno stillicidio lento e inesorabile, che prima o poi si sarebbe concluso con la sua morte.

"Senti," sogghignò Ward senza cambiare posizione "stavo pensando… Questa situazione non favorisce nessuno di noi. Stiamo portando avanti da parecchi minuti un’inutile battaglia nervosa. Io sono qui che sto per spararti, tu sei lì che stai per lanciarmi una raffica psichica, eppure nessuno di noi si muove. È una condizione assolutamente irragionevole, non so se mi capisci". "Già, irragionevole" convenne l’Eldar "E allora, cosa proponi di fare?".

"Molto semplice: io non premo il grilletto perché so che tu mi spezzeresti il cranio con i tuoi poteri al minimo movimento e non sono sicuro di poter essere più veloce di te; tu non mi spezzi il cranio perché sai che io premerei il grilletto al minimo movimento e non sei sicuro di poter essere più veloce di me. Allora, facciamo così: conto fino a tre e, al mio tre, io alzo il fucile e tu alzi il braccio. Poi possiamo combattere normalmente, d’accordo?"

"Va bene, ci sto. Comincia"

"Allora vado, eh? Uno…"

La fronte di Skaim – Zaim si imperlò di sudore. Non poteva avere garanzie che Ward avrebbe fatto quanto aveva detto, ma non gli importava nemmeno: quella era effettivamente una situazione senza uscita e bisognava sbloccarla in qualche modo. Nemmeno lui era sicuro di poter reggere la tensione nervosa.

"…due…"

Ward si vantava di saper mantenere il sangue freddo in qualsiasi occasione. Una dote fondamentale per un buon cecchino. Si era talmente convinto di essere gelido e granitico da non rendersi conto di quando non riusciva a mantenere la calma. Il che era un bene, perché lo faceva stare calmo.

"…tre!"

Il suono di quella parola fu come una sveglia che destasse all’improvviso dei dormienti. Skaim – Zaim si abbassò repentinamente e puntò il braccio sul nemico, mentre sulle punte delle sue dita cominciava a turbinare una sfera di energia giallastra; Ward si spostò di lato e spianò il fucile, mentre il mirino si affrettava a fornirgli una quantità di informazioni inutili e fondamentali. Un raggio esplosivo partì dalla mano dell’Eldar; un sibilo secco annunciò che un proiettile era stato sparato dal fucile. La spallina sinistra di Skaim – Zaim si infranse in pezzi e, un attimo dopo, un getto di sabbia che si sollevò dietro di lui indicò dove quel colpo fosse caduto; il raggio dorato sfiorò il gomito sinistro di Ward, spillandone uno spruzzo di sangue. Poi, i due si fermarono di nuovo, uno di fronte all’altro. "Non sei stato leale" disse il cecchino con un sogghigno "L’accordo era che avresti sollevato il braccio". "Anche tu hai barato" replicò l’Eldar "E comunque non mi sento in dovere di essere leale con degli umani"

"Una scusa per giustificare le tue contraddizioni? Tipico degli Eldar, vero?"

"In me non ci sono contraddizioni: faccio quello che fanno i figli di Ulthwe"

"Che io sappia, Ulthwe è vicino all’Occhio del Terrore e subisce spesso gli attacchi dei Marine del Caos. Di conseguenza, la cosa che gli Eldar di Ulthwe fanno meglio è morire. Vedi di tenere fede a questa fama".

 

Logan Delaque aveva undici anni. Era su Necromunda, appostato in uno degli innumerevoli tubi di scarico che, dai quartieri alti della città principale del pianeta, scendevano nelle viscere dei bassifondi. Ed era immobile. Completamente fermo. Non respirava nemmeno. Sapeva che il minimo cenno di vita avrebbe potuto mandare a monte pazienti ore di appostamento. Poi lo vide. Il grosso ratto nero sbucò dall’oscurità, nuotando agilmente nel liquame verdastro che scorreva bel tubo. Con un sorrisetto soddisfatto, il bambino puntò lo sguardo sull’animale. Ricordò le parole che gli erano state dette: ‘Devi concentrarti sul bersaglio e pensare intensamente che vuoi ucciderlo. Non è necessario che lo odi, anzi: anche se l’odio può portare una forza momentanea, tende ad annebbiare la mente e a intralciare l’uso dei poteri psichici. L’indifferenza uccide più dell’odio’. Muori! Muori! Muori! Il ratto non sembrava essersi accorto di lui, ma non moriva. Muori! Muori! Muori! Merda, non crepava! Era ancora lì, che si muoveva in quella schifezza! Alla fine, Logan si decise: doveva pur mangiare, in fin dei conti. Balzò velocemente verso la piccola bestia con le braccia protese: se non riusciva a fulminarla con i poteri psichici, l’avrebbe spezzata in due con le mani. Ecco, c’era quasi! Era stato velocissimo! L’aveva presa… Uno schianto lo colse alla sprovvista, facendo scappare atterrito il ratto; sopra il bambino, il tubo si era spaccato fragorosamente, sotto la pressione di un muscoloso braccio coperto di scaglie verdastre. La mano di quel braccio afferrò Logan per la collottola e lo trascinò fuori dal suo nascondiglio di forza. In meno di un secondo, Logan si trovò a fissare gli occhi rossastri di un volto squamoso che lo osservavano contrariati. "Ho percepito la fluttuazione della tua aura" disse l’uomo squamoso, un gigante completamente calvo vestito di stracci, che reggeva il bambino con una sola mano davanti alla propria faccia. "Hai cercato di attaccare il ratto, ma non ce l’hai fatta. Ti avevo detto chiaramente che avresti mangiato solo se fossi riuscito a catturare la tua preda con i poteri psichici. Perché credi che ti tenga con me?". Il bambino tacque e l’uomo dalle scaglie verdi continuò: "Ricordati che ti ho raccolto solo perché ho capito che sei uno psyker, come me. E che, come me, sei stato scacciato dalla tua famiglia per la tua natura di mutante. Devi diventare forte o morire: un mutante non può vivere in altro modo. Allenati finché non sarai in grado di controllare perfettamente i tuoi poteri, perché io non ti manterrò. Ti insegnerò a badare a te stesso, ma non baderò a te".

Logan gemette e cercò di rialzarsi. Sapeva di essere steso a terra, sapeva di avere gli occhi chiusi, ma il suo corpo non rispondeva. Ricordava vagamente di aver combattuto contro quel tizio biondo e di essere stato sconfitto (come odiava ammetterlo!), ma non capiva in che situazione si trovava ora. Si sentiva fluttuare in uno spazio vuoto, si sentiva come avvolto nell’ovatta, si sentiva come se tutte le sue percezioni fossero attutite da qualcosa che impediva loro di andare oltre i due metri. ‘Ma dove cazzo sono?’ pensò irritato, quasi rivolgendo la domanda più a se stesso che a un qualche interlocutore. E invece, gli arrivò la risposta: "Sei su di un pianeta di cui conosci a malapena il nome. Sei incosciente, mentre il tuo corpo sta lottando per riprendersi". Logan ebbe la netta impressione di spalancare gli occhi all’improvviso, ma attorno a lui era ancora tutto nero. All’improvviso, non si sentiva più bloccato: poteva muoversi normalmente. Si girò d’istinto e vide una sedia dietro di sé. Avvolta nel buio, era visibile con estrema chiarezza. "Tutto questo non sta succedendo realmente" sibilò Logan tra sé e sé. Aveva già vissuto un’esperienza simile: aveva subito un attacco psichico che lo aveva costretto a confrontarsi con una situazione irreale creata nella sua mente e, al tempo, non si era nemmeno accorto di essere sottoposto a quell’azione deleteria. Per un attimo, si compiacque della propria esperienza: non aveva voglia di cadere due volte nello stesso tranello. L’attimo dopo, gli arrivò anche l’altra risposta: "La realtà non è definibile. Quello che accade al tuo corpo è reale, ma quello che accade alla tua mente lo è altrettanto. Ma non sei sotto attacco". Sì, come no. Il ragazzo sospirò (o credette di farlo: dopotutto, quello in cui si trovava adesso non era il suo corpo, ma un’immagine generata dalla sua mente); non gli piaceva questo tipo di combattimento: preferiva lo scontro violento a viso aperto. "Se non sono sotto attacco, cosa sta succedendo?" chiese allora, sforzandosi di restare calmo. La risposta giunse di nuovo: "Niente, in realtà. Sei semplicemente entrato in contatto con un’anima impressa in un vuoto involucro e con i ricordi di chi ci è entrato in contatto prima di te". "Che culo!" bofonchiò il ragazzo sarcastico "Avevo proprio bisogno di entrare in contatto con un’anima…". Stavolta, la risposta fu un’altra domanda: "Sei consapevole dei tuoi bisogni?"

"Che palle! Si può sapere cosa vuoi?"

Stavolta, non ci fu alcuna risposta. Logan sbuffò seccato: "E allora? Come la mettiamo?". Ancora, nessuna risposta. Poi, il giovane avvertì all’improvviso una presenza dietro di sé. Una ragazza dai capelli corti e azzurri lo guardava con due occhi color rosso sangue. Indossava un bizzarro abito verde senza maniche, sotto il quale portava una camicia bianca. Aveva una gonna e delle lunghe calze nere; i suoi piedi erano calzati in un paio di semplici scarpe bianche. Logan la squadrò sospettoso: "Chi diavolo sei?". "Sono un ricordo" replicò lei, impassibile e con voce priva di inflessione. "Un ricordo impresso nell’involucro di prima?" chiese lui. Solo allora si ricordò che, al momento di essere colpito da Dexter, era caduto vicino all’Evangelion e aggiunse: "Tu eri il pilota dell’Evangelion 01?". "No," rispose la ragazza "io sono un ricordo del pilota. Io sono qualcuno che non ha bisogno di dare un senso alla propria vita". "E chi ne ha bisogno?" sbottò Logan sarcastico "Non c’è qualcosa che possa dare un vero senso alla vita". Subito dopo aver pronunciato queste parole, si morse la lingua: ripeteva in continuazione che cercare un motivo per vivere era solo una perdita di tempo, eppure era proprio per questo che era partito da Necromunda. In qualche modo, quando doveva affrontare la sua teoria, fingeva di non vederla. "È vero," replicò la ragazza "ma ugualmente non ne ho bisogno".

"Che cazzo stai dicendo?" Logan aggrottò la fronte irritato "Mi sembra ovvio che non si possa avere bisogno di qualcosa che non esiste"

"Gli uomini si affannano a dare un senso alla propria vita perché sono consapevoli della propria mortalità. Chi sa di non poter morire non ha bisogno di illudersi che la propria presenza al mondo serva a qualcosa e può permettersi di vivere quella totale apatica banalità che è l’unica costante dell’esistenza"

"Mi sto annoiando. Questa discussione mi sembra inutile!"

"Eppure, a me è stato dato uno scopo"

"Dove vuoi arrivare?"

"Da nessuna parte!" intervenne una nuova voce sprezzante "Quella è capace di fare solo ciò che le dicono!". Logan si girò, o almeno credette di girarsi: a parte quella sedia sospetta, non c’erano altri elementi che gli permettessero di rendersi conto dello spazio che lo circondava. Eppure, adesso l’immagine era cambiata: vedeva davanti a lui la ragazza che doveva avere risposto alla sua ultima domanda. Indossava lo steso abito dell’altra, se non fosse che aveva le calze bianche e le scarpe nere. I suoi lunghi capelli rossi le ricadevano sulle spalle e i suoi occhi blu guardavano Logan come a volerlo sfidare. In quella prevenuta ostilità, il giovane vide qualcosa di se stesso. "Un altro ricordo?" domandò Logan. La risposta della ragazza rossa non ebbe niente a che fare con la domanda; la nuova arrivata puntò l’indice direttamente alle spalle dello psyker, come a voler indicare l’altra, quella con i capelli azzurri: "Quella bambola non fa niente senza che le sia ordinato! Non sarebbe mai in grado di decidere cosa vuole dalla vita!". "Ehi, datevi una calmata!" esclamò Logan "Se vogliamo dirla tutta, non me ne frega un cazzo delle vostre seghe mentali! Non so come io sia entrato in contatto con questa cosa, ma so che non sono in me. Devo riprendere il controllo del mio corpo al più presto: là fuori c’è uno stronzo che mi ha battuto e devo vendicarmi!". Stavolta, le due ragazze parlarono all’unisono: "Perché?". Logan deglutì. Domanda inaspettata. Perché?

"Perché io devo essere il più forte…"

Di nuovo insieme: "Perché?"

"Perché è indispensabile per poter decidere del proprio destino senza essere manovrati da altri!". Logan stava cominciando a innervosirsi. Aveva l’impressione di essere costretto in una direzione che non gli piaceva. Stavolta parlò la ragazza dai capelli azzurri: "Anche essendo fortissimi, la propria concezione della vita è comunque influenzata dalle esperienze che si sono vissute. Siamo dominati dal nostro passato: nemmeno l’uomo più forte è veramente libero. La tua motivazione non ha valore".

"Ma vaffaculo! Piantala con queste banalità! Credi che non le capisca da me?"

La rossa lo derise: "Eppure hai appena detto che vuoi essere forte per decidere del tuo destino. E ora affermi di capire che questo non è possibile. Allora perché vuoi essere forte?"

"Per mio padre". Non era stato Logan a rispondere. Alla sua destra (o comunque fosse collocabile nello spazio quel posto) era comparso un ragazzo. Era basso, indossava una camicia bianca a maniche corte e dei pantaloni neri. "Che palle!" sibilò lo psyker irritato "Adesso ce n’è un altro? Che cazzo vuole anche questo?". Il giovane appena arrivato puntò un dito su Logan: "Sei succube di tuo padre" sentenziò "Non riesci a liberarti della sua influenza".

"Mio padre? Ma se l’avrò visto un paio di volte in vita mia! L’ho incontrato qualche mese fa e l’ho lasciato nel bel mezzo di un pianeta infestato dai demoni!"

"Non sei succube del tuo vero padre, ma della persona con cui sei cresciuto"

La ragazza dai capelli rossi fece un passo verso Logan: "Temi la solitudine e per questo ti rifugi nella solitudine. Quella persona ti incitava a essere il più forte per sopravvivere da solo e adesso tu cerchi di ottenere una potenza sempre maggiore perché questo modo di comportarti ti ricorda quando stavi con quell’individuo". Logan ringhiò sprezzante: "Quella è acqua passata! Non mi importa più di lui!". "Quella è stata l’unica cosa che tu abbia percepito come una famiglia" rincarò la ragazza dai capelli azzurri "La solitudine e il combattimento ti ricordano della sua presenza, quindi li persegui incessantemente". Logan chiuse gli occhi e sospirò. Poi, li riaprì e stavolta tutti e tre i suoi interlocutori erano davanti a lui. La sedia era scomparsa. "Sapete una cosa?" disse sogghignando "Non me ne frega niente. Se anche quello che dite fosse vero, io sono io e basta. Non mi importa di sapere perché mi piace combattere e perché non mi piace la gente. Questo è quello che sono e, se lo trovate così irritante, potete anche crepare!". Il giovane alzò all’improvviso la mano verso i tre e ne fece erompere un fiotto di raggi violacei. Il ragazzo e le ragazze ne furono travolti in pieno e i loro corpi sembrarono dissolversi in quel fluire di energia psichica. "Io non mi piego alle vostre seghe mentali!" esplose Logan, cominciando a sparare raggi anche dall’altra mano "Avete finito di rompere i coglioni! Levatevi dalle palleeeeeeeee!"

 

Ward sorrise. Sembrava voler lanciare a Skaim – Zaim uno sguardo di intesa, come se fosse stato sul punto di fargli chissà che rivelazione. Un attimo dopo, abbassò il fucile. Skaim – Zaim non abbandonò la propria posizione di guardia: sospettava che il suo avversario avesse qualche asso nella manica e, se questo fosse stato vero, muoversi avventatamente sarebbe potuto essere fatale. Con un gesto assurdamente teatrale, il cecchino degli Illuminati afferrò il mantello che aveva ancora sulle spalle e lo lanciò davanti a sé; poi, aprì la mano destra verso l’Eldar, mostrandogli le tre monete che teneva sul palmo. Senza mai smettere di sorridere. Con un unico movimento, scagliò in aria i piccoli dischi metallici e sparò due colpi con il fucile. Skaim – Zaim non ebbe bisogno di avvicinarsi alle monete cadute a terra per sapere che erano state trapassate dai proiettili. "E questo cosa vorrebbe dimostrare?" domandò provocatorio. "Pensavi di impressionarmi con questa sterile dimostrazione di mira?". "Non l’ho fatto per te" replicò Ward senza togliersi di dosso quel suo sorriso irritante. "È solo che volevo scrollarmi di dosso un po’ di stress. Ho lanciato in aria tre monete e le ho centrate tutte con due colpi, il che significa che oggi sono in gran forma. Quindi, l’unico proiettile che mi è rimasto nel fucile dovrebbe essere più che sufficiente a permettermi di batterti"

"Cosa?" Skaim – Zaim fu sul punto di scoppiare a ridere "Ha sparato solo per scrollarti di dosso lo stress e adesso ti resta un solo colpo? Non ho mai sentito niente di più stupido!"

"Può darsi, ma riflettici. Lo stress è deleterio: se non mi fossi rilassato, forse ti avrei mancato anche avendo tre proiettili; invece, se sono calmo, uno mi basta e avanza"

"Sei tu che non hai capito niente. Tu puoi sparare solo usando il fucile, mentre io posso lanciare i miei colpi psichici da entrambe le mani. Posso attaccarti due volte mentre tu mi attacchi una volta sola e poi io non ho limitazioni di quantità: sei palesemente in svantaggio"

"Proviamo!". Senza nemmeno aspettare una risposta, Ward si lanciò velocissimo su Skaim – Zaim; in un attimo, questi si trovò la canna del fucile puntata contro. Istintivamente, alzò il braccio destro, che si scaldava di una luce dorata, ma non ebbe mai modo usarlo: il cecchino glielo colpì rapidamente con la punta della propria arma, deviandone l’ascesa e impedendogli di portarsi in posizione pericolosa. Con un pensiero più ragionato, l’Eldar cercò di puntare il sinistro, ma il calciò di Ward lo centrò in pieno petto. Skaim – Zaim sentì lo spazio che gli mancava improvvisamente sotto i piedi e si rese conto di quello che era successo: l’improvviso avanzamento del suo avversario era servito per farlo arretrare fino al limite della formazione rocciosa sulla quale stavano combattendo. Voleva farlo cadere lungo la breve scarpata che ora aveva alle spalle, consapevole de proprio vantaggio sulla lunga distanza. Skaim – Zaim rifletté rapidamente: stava cadendo a terra e non poteva mirare con accuratezza; contemporaneamente, il suo avversario gli stava puntando contro il fucile e, se fosse stato attaccato direttamente ala testa, avrebbe comunque avuto il tempo di premere il grilletto. L’Eldar lanciò la propria raffica psichica. L’arma di Ward, centrata in pieno, volò a terra. In quell’infinito momento, lo psyker di Ulthwe vide la possibilità che gli avrebbe potuto far vincere lo scontro: sollevò il braccio destro e si preparò a colpire… Ma una cortina nera gli ostacolò la vista.

Ward sogghignò soddisfatto: aveva previsto che l’Eldar gli avrebbe fatto saltare il fucile; per questo si era portato in una posizione in cui si sarebbe trovato vicino al mantello che aveva gettato a terra di proposito, immaginando quello che sarebbe successo. Quando ebbe alzato il mantello davanti a sé con un calcio, la prima cosa che il cecchino fece fu raggiungere velocemente una delle sue tasche interne per estrarne una minuscola pistola. La seconda cosa che fece fu inginocchiarsi: aveva visto l’Eldar preparare un colpo psichico e abbassandosi gli avrebbe impedito di immaginare la posizione del bersaglio. La terza cosa che fece fu sparare tutti e quattro i colpi della pistola attraverso il mantello: contrariamente a lui, l’Eldar stava cadendo all’indietro, quindi non avrebbe potuto spostarsi velocemente; la sua posizione era facilmente intuibile. Il colpi dell’arma squarciarono l’aria con il loro ritmico esplodere. Il mantello cadde a terra placidamente. Ward lasciò cadere la pistola e si rialzò, pronto a contemplare la propria opera.

Niente. Quando la cortina nera che aveva innalzato toccò il suolo, l’Eldar non si trovava lì. Vedendo le pietre infrante sul bordo della scarpata, a Ward non ci volle molto per capire cosa fosse successo: il suo avversario aveva sparato sul terreno la raffica psichica che avrebbe dovuto colpirlo, rompendo le pietre dietro di sé per accelerare la propria caduta e sottrarsi così ai colpi di pistola.

Skaim – Zaim si alzò rapidamente e imprecò silenziosamente contro se stesso: si era immaginato che il cecchino avesse alzato quel mantello per coprire i propri movimenti e che ne avrebbe approfittato per attaccarlo in qualche modo. Ma perché non aveva evitato i colpi levitando, anziché lasciandosi cadere lungo la scarpata? Mentre gemeva per i mille piccoli dolori che gli punzecchiavano il corpo, lacero e contuso per la caduta, si ripromise di non farsi più annebbiare la mente dalla fretta e dalla paura. Ma dovette constatare con amarezza che il suo avversario aveva avuto ragione: liberandosi dello stress, quell’umano aveva cominciato a muoversi con più disinvoltura e a pensare più lucidamente. Al contrario, lui stava rapidamente perdendo la capacità di ragionare. Nonostante il cecchino sembrasse non avere più armi, Skaim – Zaim ammise con se stesso di essere in palese svantaggio.

Ward fece qualche passo indietro e raccolse il fucile che gli era caduto poco prima. La distanza a cui si trovavano ora giocava a suo vantaggio: se l’Eldar avesse potuto attaccarlo da lì con i suoi raggi psichici, non si sarebbe mai avvicinato. Imbracciò l’arma e prese la mira con calma: non si preoccupò quando vide Skaim – Zaim lanciarglisi contro risalendo la scarpata, perché tanto non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo prima che lui sparasse. Con un sogghigno, si preparò a premere il grilletto. Poi, una cortina rossa gli occultò la vista. Merda! Quello era il punto in cui l’Eldar aveva lasciato cadere il proprio mantello al momento del primo attacco! Ward imprecò per esseri lasciato fregare dallo steso trucco che lui aveva appena usato, ma stavolta la situazione era differente: di nuovo, i sensori del suo fucile gli indicarono gli spostamenti del nemico e di nuovo lui si girò velocemente per fronteggiarlo.

Balzando sopra Ward, Skaim – Zaim si preparò a calare su di lui il proprio pugno. Vide il cecchino voltarsi. Vide che teneva tra i denti un lembo del mantello, mentre le mani reggevano il fucile puntato. Vide che abbassava il capo, per permettere all’ampio indumento di volteggiare sopra entrambi. Poi, non vide più niente: fu completamente coperto dal mantello.

Ward sogghignò soddisfatto: ora che aveva la testa coperta, quell’Eldar non poteva certo colpirlo accuratamente. Con un "Fregato!" soddisfatto, l’inviato degli Illuminati puntò il fucile verso il capo del proprio nemico e premette il grilletto. Il suo sogghigno si trasformò in profonda delusione quando l’arma gli rispose con un ‘click’ inequivocabile: non c’erano proiettili. Una frazione di secondo dopo, strappando il mantello, le dita di Skaim – Zaim, avvolte in una luminescenza dorata soprannaturale, affiorarono dalle volute scarlatte e saettarono davanti all’uomo in un movimento fluido e velocissimo. L’Eldar, liberandosi dell’enorme panno rosso, atterrò dolcemente. In quel preciso istante, Ward si rese conto di avere la gola squarciata. Lo capì dopo che il sangue aveva già cominciato a fluire copioso fuori dalla ferita, rubandogli inevitabilmente la vita. "Ti stai chiedendo perché il tuo fucile non abbia sparato?" domandò Skaim –Zaim. "Be’, è semplice. Poco fa, quando ho colpito la tua arma con il mio attacco psichico, ho mirato alla camera di lancio. L’unico proiettile che era rimasto è saltato fuori in quel momento. Come hai potuto non accorgertene? La tua terapia anti-stress non è stata poi così efficace…". Il cecchino cadde a terra afferrandosi freneticamente la gola con entrambe le mani, nel vano tentativo di bloccare quella ormai letale emorragia. Sarebbe morto, questo era ovvio; ma avrebbe portato con sé all’inferno il suo nemico.

Skaim – Zaim vide il corpo del suo rivale distendersi nella morte. Era lì, immobile. L’Eldar si passò un braccio sulla fronte, detergendosi il sudore. Un altro combattimento al quale era sopravvissuto per un pelo. Da quando aveva incontrato Logan, non faceva altro che combattere contro nemici fortissimi. Il ragazzo in nero non gli era mai stato simpatico, un po’ per i suoi modi di fare, un po’ per la sua propensione a creare problemi a chiunque gli stesse intorno. Ma quello, ormai, era risolto. Skaim – Zaim si avviò verso il bordo della scarpata: non percepiva più l’aura di Logan e temeva fosse successo qualcosa. Visto che era stato Logan a stringere il patto con Fabius Bile, la sua morte sarebbe potuta essere un problema. Non fece in tempo a muovere un ulteriore passo: una stretta decisa gli serrò il collo, accompagnata da uno schizzo di sangue che gli si riversò negli occhi, accecandolo improvvisamente. Impiegò poco a capire che quello che gli si era avvinghiato addosso era il braccio di Ward e che il sangue veniva dalla ferita sul suo collo. "Adesso ti ho fregato davvero!" esclamò il cecchino brandendo un pugnale nell’altra mano, mentre il sangue che gli colava dalla bocca rendeva a malapena comprensibili le sue parole. "Crepa, Eldar!". "Idiota!" sibilò Skaim – Zaim per tutta risposta. Fu allora che Ward si rese conto di avere una mano del suo avversario appoggiata sulla pancia. Non fece in tempo ad abbassare il pugnale: da quella stessa mano eruppe un fascio di energia dorata che lo scagliò a una decina di metri di distanza, mandando il suo corpo, trapassato da parte a parte da innumerevoli raffiche psichiche, ad abbattersi tra le rocce. "Come poteva pensare che sbagliassi nel colpire un avversario così vicino?" mormorò l’Eldar apprestandosi a scendere la scarpata.

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Capitolo 12
*** Episodio 37: Cambiamenti/Awakening Titan ***


La storia finora

Visto che non aggiorno da un qualche tempo, uso un po’ di spazio per fare il punto della situazione e presentare i personaggi a chi non se li ricordasse o avesse aperto questo capitolo per puro caso. Naturalmente, se non avete bisogno che vi rinfreschi al memoria, potete passare direttamente alla storia. Questa sezione sarà probabilmente mantenuta anche nei prossimi update, con gli aggiornamenti del caso.

Prima del riassunto, però, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto/recensito/valutato Psycho Impact. Ho notato che il numero di view della ‘fic in generale è molto simile a quello delle view dell’ultimo capitolo, il che significa che la maggior parte della gente che l’ha cominciata l’ha letta tutta. Bizzarro. Mi fa piacere, comunque. E penso che sia un ottimo motivo per non pubblicare altre storie dopo aver finito questa.

Anno 992M41 (che sarebbe il 40.992 secondo la nostra datazione)

Su di un remoto pianeta imperiale chiamato Novet, cade un misterioso oggetto di forma umanoide: si tratta dell’unità Evangelion 01, dispersa nello spazio in seguito al Third Imapct. L’Inquisitore dell’Ordo Malleus Otto Zdansky, insieme con le sue apprendiste Megan Derleth e Alexandra Connolly, vuole impadronirsene per studiarlo, senza sapere esattamente cosa sia e credendo che si tratti di un demone dotato di corpo materiale; tra gli aspiranti possessori dello 01 ci sono anche il Marine del Caos Fabius Bile e la setta degli Illuminati, che ha ereditato le conoscenze della Seele. Le motivazioni di Bile e degli Illuminati restano per ora oscure; fatto sta che il Marine del Caos assolda per l’impresa di recupero tre psyker: l’umano Logan Delaque, l’Eldar Skaim – Zaim e l’Orketto Gutzmaak. Manda con loro Erin, una ragazza frutto dei suoi esperimenti genetici, che, condividendo parte del DNA dello 01, potrebbe essere l’unica persona in grado di pilotarlo. Per distrarre l’attenzione della Guardia Imperiale di Novet dallo 01, Bile spedisce un contingente di Emperor’s Children, Marine del Caos dei quali un tempo faceva parte, a impegnare i soldati in una logorante guerra nel deserto; questo provoca le richieste d’aiuto del governo di Novet, alle quali rispondono i Novamarine, un Capitolo di Space Marine di ritorno da una lunga e difficile campagna contro i Tiranidi. Come se non bastasse, proprio mentre Zdansky si appresta al recupero dell’Evangelion (ma le persone ai suoi ordini sono in realtà segretamente comandate dagli Illuminati), un’altra Legione di Marine del Caos, per ragioni ancora non chiare, ma presumibilmente correlate alla presenza di Bile, attacca la capitale di Novet, costringendo la Guardia Imperiale a una rapida ritirata dal fronte per proteggere la città. Logan e Skaim – Zaim (Gutzmaak parrebbe essersi perso nel deserto) trovano in questo una buona occasione per recarsi a prendere lo 01 insieme con Erin, ma, lungo la strada, incontrano gli agenti degli Illuminati, che li coinvolgono in duri combattimenti. Skaim – Zaim ha la meglio, sconfiggendo il cecchino Ward, mentre Logan si ritrova battuto dal corpulento psyker Dexter. Il che significa che Erin, che era rimasta con lui, è ora in balìa degli Illuminati! Chi entrerà in possesso dell’Evangelion? Riuscirà Logan a riprendersi in tempo per evitare che Dexter usi Erin per i suoi scopi? Chi sono i misetriosi Marine del Caos che hanno attaccato Novet? I Novamarine riusciranno ad atterrare sul pianeta? Dove cazzo è finito Gutzmaak, che non si vede da un pezzo? Non vi garantisco che troverete tutte le risposte in questo capitolo: leggete e sperate.

Personaggi & interpreti, ovvero: un trio nato dalla solitudine

Logan Delaque

Data di nascita: 13 settembre 974M41

Altezza: 173 cm.

Dovrebbe essere l’improbabile protagonista della storia. Nato su Terra, ma poi portato su Necromunda per motivi a lui ignoti e lì cresciuto, è stata abbandonato dalla propria madre adottiva non appena ha cominciato a manifestare dei poteri psichici. È cresciuto tra bande di criminali e mutanti, addestrato all’uso dei suoi poteri da un misterioso individuo del quale non si sa ancora niente (e niente si saprà) e che finalizzava all’acquisizione della forza le capacità del suo discepolo. Avendo identificato quell’uomo come l’unica famiglia che abbia mai avuto, la vita di Logan è stata diretta alla ricerca della forza: il ragazzo ama il combattimento perché questo gli ricorda una sensazione familiare. Circa un anno prima della nostra storia, ha incontrato per caso Gutzmaak e Skaim – Zaim, ai quali si è dovuto unire per fare fronte comune contro un nemico più forte. Combattendo, ha perso l’indice, il medio e metà pollice della mano sinistra, sostituiti da protesi bioniche; si è anche procurato una cicatrice che gli attraversa il viso. In seguito, resosi conto che la propria esistenza era stata plasmata inevitabilmente dalle circostanze, ha deciso di partire da Necromunda per vedere lo spazio e trovare una ragione per vivere. È consapevole di essersi posto un obiettivo infantile e irraggiungibile, ma pensa che il suo viaggio gli servirà a qualcosa comunque. Logan è stato su molti pianeti insieme ai suoi due improvvisati compagni di avventure e si è trovato coinvolto in una quantità di situazioni pericolose e combattimenti contro avversari molto forti (almeno per i suoi standard); nonostante i suoi poteri psichici si siano affinati col tempo, resta sempre uno psyker di basso livello. È volgare, rozzo, maschilista, sadico, cinico, avido, insensibile, privo di tatto e gratuitamente stronzo: i suoi unici pregi sono l’astuzia e la tenacia nei combattimenti. Oltre a tutto questo, è anche un diciottenne in piena tempesta ormonale alla disperata ricerca della prima esperienza sessuale: ci prova con qualsiasi donna fisicamente passabile e il suo tipico metodo di approccio consiste in un paio di palpatine e un "Ehi, che ne diresti di darmela?". È l’unico a stupirsi che non funzioni: è convinto di essere l’uomo più bello e affascinante della Galassia.

Gutzmaak

Data di nascita: 15 novembre 966M41

Altezza: 198 cm.

Gutzmaak è un Orketto. O meglio, uno Ztrano, ovvero un Orketto dotato di poteri psichici. Dato che gli Ztrani tendono a essere involontari ricettacoli di energia spirituale, gli Orketti insieme a loro rischiano di ritrovarsi con la testa esplosa da un momento all’altro. Per questo motivo, gli Ztrani vengono isolati in cima ad alti pilastri di rame e questo è quanto è accaduto anche a Gutzmaak. I membri della sua razza lo hanno sempre usato solo in battaglia, quando i suoi poteri potevano tornare utili; alla prima occasione, però, lo hanno abbandonato su di un pianeta sconosciuto. Viaggiando per lo spazio, Gutzmaak ha conosciuto Logan e Skaim – Zaim e ha trovato in loro, psyker come lui, l’unico modo per combattere la solitudine. E, non trascurabile, per infilarsi nei casini che gli Orketti tanto amano! Gutzmaak ha un carattere spensierato come la maggior parte degli Orketti e, come la maggior parte degli Orketti, ama il chiasso e la lotta. Però, il tempo passato tra gli umani ha un po’ cambiato il suo modo di essere, rendendolo talvolta meno impulsivo della media dei membri della sua razza.

Skaim – Zaim

Data di nascita: 21 novembre 865M41

Altezza: 186 cm.

Si sa molto poco del passato di Skaim – Zaim. È un Eldar e, come la maggior parte di quelli della sua razza, è nato su di un mondo artificiale. Quel che è certo è che faceva parte dell’esercito regolare, ma l’ha lasciato in seguito a contrasti con alcuni suoi superiori per delle questioni non meglio precisate (come al solito, nella più grande cazzata della vita di un uomo c’è di mezzo una donna, ma non spiegherò di più). Dopo questi eventi, è diventato un commerciante di armi Eldar presso altre razze, fatto questo che gli ha guadagnato la diffidenza, se non l’ostilità, dei suoi simili. Trovatosi su Necromunda per lavoro, si vede rubare la fornitura che avrebbe dovuto vendere e viene coinvolto da Logan in una situazione alquanto spinosa. Deve perciò unire le forze a quelle di Gutzmaak e dello stesso Logan per affrontare un nemico comune, per poi partire insieme a loro nella speranza di trovare una nuova fornitura. Le macchinazioni dei suoi due stronzissimi compagni di viaggio gli hanno finora impedito di raggiungere il suo scopo. Skaim – Zaim ha un forte senso dell’onore e una morale teoricamente ferrea, anche se spesso si contraddice da questo punto di vista; è un po’ ingenuo ed entra spesso in conflitto con la mancanza di scrupoli di Logan e Gutzmaak. Nonostante tutto, però, resta sempre un Eldar, e quindi propenso a considerare le altre razze come inferiori e incapaci di provare vere emozioni; lui stesso si sorprende per il fatto di accompagnare un umano e un Orketto e un po’ se ne vergogna. Ma forse vede in questi due individui, che non appartengono alla sua stessa razza, un modo per non essere solo pur senza stare tra i suoi simili.

Fabius Bile

Data di nascita: 2 febbraio anno imprecisato(era Tenente Comandante degli Emperor’s Children al tempo dell’Eresia di Horus, quindi ha più di diecimila anni)

Altezza: 227 cm.

Marine del Caos millenario e scienziato pazzo, meglio noto come Signore dei Cloni e Squartauomini, Fabius Bile è sempre stato ossessionato dalla ricerca della vita e dei segreti del codice genetico. Un tempo ufficiale degli Emperor’s Children, ha rinunciato al culto di Slaanesh (e a qualsiasi altro tipo di religione) per mettersi in proprio e perseguire i propri fini. Nel corso dei millenni, ha eseguito innumerevoli esperimenti sulle creature della Galassia, deviando geneticamente le popolazioni di interi pianeti. Uno dei suoi ultimi progetti consiste nel fare rivivere il leggendario Primarca Horus tramite un suo clone femminile, Erin. Il motivo per cui Bile ha intrapreso questa iniziativa è ignoto, ma adesso si ritrova con la possibilità di recuperare lo 01 proprio grazie a Erin.

Erin Von Krueger

Data di nascita: 3 gennaio 973M41

Altezza: 168 cm.

L’Imperatore, che ha sempre manovrato la Storia dell’umanità da dietro le quinte, aveva ideato le tecniche genetiche per creare un ibrido tra uomo e demone in tempi remoti. Rei Ayanami, primo risultato di questa immonda unione, non è stata che il prototipo di quelli che sarebbero stati il corpo definitivo dell’Imperatore stesso e dei suoi Primarchi. Erin, nata sul pianeta chiamato Camarina, è un clone femminile, creato da Fabius Bile, di Horus, il più potente tra i Primarchi. Ed è soprattutto una persona la cui vita non ha un senso: tutta la sua esistenza è stata manovrata da Bile affinché lei potesse manifestare i ricordi e i poteri di Horus a piacimento del Signore dei Cloni. Le persone che ha incontrato erano sul libro paga di Bile, le esperienze che ha vissuto sono state tutte predeterminate. Suo padre, il suo ragazzo, il religioso del centro urbano in cui viveva, non erano altro che frammenti di un mondo costruito apposta per lei. Venuta a sapere la verità in circostanze impreviste, Erin ha deciso di seguire Fabius Bile, perché lui, avendola creata per uno scopo, è ormai l’unica persona che possa dare un senso a una vita costruita su di un cumulo di falsità. È consapevole di quanto sia illusoria questa sua speranza, ma crede comunque di potersi aggrappare a qualcosa di vero facendo quello che le viene detto senza preoccuparsi d’altro che avere uno scopo immediato a cui finalizzare i suoi sforzi.

Otto Zdansky

Data di nascita: 3 giugno 951M41

Altezza: 173 cm. (sembra grosso perché indossa la Power armour)

Inquisitore dell’Ordo Malleus, Zdnasky gode di una pessima reputazione. Ha fama di essere il tipo che fa qualsiasi cosa per raggiungere i propri scopi, ma è convinto di dover compiere una nobile missione per il bene dell’umanità. Ritiene che la razza umana debba difendersi dai demoni e dalle minacce del Warp con qualsiasi mezzo, compresi i poteri psichici e le armi usate dai demoni stessi. Ha preso con sé Megan e Alexandra, figlie di due suoi vecchi nemici, crescendole come adepte dell’Inquisizione. Lo stesso Zdansky non è pienamente consapevole del motivo per cui ha preso questa decisione: sfruttare i loro poteri psichici, certo, ma forse anche un modo per alleviare la tristezza e la solitudine che si porta dietro chi deve rinunciare alla propria vita per proteggere la razza umana. Lui cerca di non pensarci.

Megan Derleth

Data di nascita: 12 maggio 974M41

Altezza: 161 cm.

Megan è l’ultima rappresentante del popolo degli Tcho-Tcho, una razza umana dedita al culto del Dio del Caos Khorne. Quando era ancora bambina, Zdansky l’ha indotta con l’inganno a sterminare tutti gli altri Tcho-Tcho, per poi prenderla con sé (questo accadeva pochi anni dopo la nascita di Alexandra). Megan è una persona molto pratica: l’educazione ricevuta l’ha indotta a pensare che sia stato un bene che lei abbia annientato la sua razza, condannata alla dannazione dall’adorazione del Caos, ma non le ha levato un vago senso di colpa e di solitudine, per combattere il quale si dedica anima e corpo al proprio lavoro. A volte è testarda e poco disposta a scendere a compromessi: è fermamente convinta che la gente sia responsabile di quello che fa indipendentemente dalle motivazioni e non si preoccupa di capire perché una persona abbia agito in un certo modo. Gli anni passati insieme ad Alexandra hanno permesso lo sviluppo tra le due ragazze di un senso di cameratismo molto forte, al punto che ciascuna di loro è convinta di poter contare sull’altra, in qualsiasi situazione.

Alexandra Connolly

Data di nascita: 18 luglio 974M41

Altezza: 166 cm.

Alexandra è figlia di un criminale catturato da Zdansky; l’Inquisitore ha barattato la salvezza della giovane e di sua sorella gemella con alcune informazioni importanti. Cresciuta con Megan da quando era molto piccola, Alexandra ha forse inconsciamente riversato sull’amica quello che avrebbe dovuto provare per la sorella (che non ha mai conosciuto: Zdansky l’ha presa con sé che era appena nata), vedendola come una presenza più vicina e sentita rispetto all’Inquisitore. Il fatto di avere con sé qualcuno con cui esprimersi liberamente e rapportarsi allo stesso livello dopo che aveva passato i suoi primi anni praticamente solo con Zdansky, ha portato Alexandra a sfogare qualsiasi emozione repressa avesse su Megan. Ma, nonostante questo, resta una ragazza che si sente costretta dal suo ruolo: è convinta di fare il bene dell’umanità perché così le è stato insegnato, ma non ama quello che fa. Forse perché, vedendo in prima persona l’educazione di Megan, si è resa conto di quanto questo procedimento possa deviare la concezione di bene e male di un individuo, un’esperienza che le ha lasciato l’impressione di avere da dire più di quanto le sia permesso. Alexandra è essenzialmente una persona ottimista, ma non al punto di non vedere quanto cinismo sia talvolta necessario per sopravvivere.

Brian May

Data di nascita: 1 agosto 956M41

Altezza: 179 cm.

È il colonnello del contingente della Guardia Imperiale di Novet incaricato di fermare l’avanzata degli Emperor’s Children nel deserto. È insofferente verso le richieste di Zdansky, che vorrebbe aiuto nel recupero dello 01 e non approva le risoluzioni del governo religioso di Novet.

Nathaniel Wingate Peasley

Data di nascita: sconosciuta

Altezza: 170 cm.

Fa parte della Guardia Imperiale al comando di May, ma in realtà è un membro degli Illuminati. È il contatto di Charles, Dexter e Ward nella Guardia e arrangia le cose in modo da facilitare il loro compito. Nathaniel Wingate Peasley non è il suo vero nome (che è sconosciuto).

Charles, Dexter e Ward

Date di nascita: sconosciute

Altezza: rispettivamente 176 cm., 197 cm. e 181 cm.

Sono i tre agenti degli Illuminati incaricati di organizzare il recupero dello 01. Dexter è uno psyker abbastanza forte (per gli standard degli psyker di basso livello), Ward è un cecchino abilissimo (ma viene sconfitto da Skaim – Zaim) e Charles non si è ancora visto all’opera.

Derketo

Data di nascita: 6 aprile anno imprecisato (era commilitone di Bile ai tempi dell’Eresia)

Altezza: 231 cm.

Derketo, commilitone di Fabius Bile ai tempi dell’Eresia di Horus, è il Signore del Caos che comanda il contingente di Emperor’s Children che attacca Novet. Quando i Marine dall’armatura nera assalgono la capitale, dirige i suoi soldati nel mezzo della battaglia.

Bansegoth

Data di nascita: 3 ottobre 861M41

Altezza: 233 cm.

Maestro dei Novamarine, è determinato a scendere su Novet per combattere, ma la presenza di una enorme astronave nell’atmosfera del pianeta lo costringe a una condotta prudente. Ha intenzione di guidare personalmente l’attacco sul pianeta e l’abbiamo lasciato a bordo di un Thunderhawk, in attesa di atterrare nel bel mezzo della zona di guerra.

Shinji Ikari

Data di nascita: 6 giugno 2001

Altezza: 174 cm.

Non penso abbia bisogno di presentazioni. Dopo il Third Impact, ha dovuto preoccuparsi di sopravvivere in un mondo molto diverso da quello a cui era stato abituato; ha perciò acquisito una mentalità più pratica. Sappiamo che ha avuto due figli con Asuka, ma i dettagli della loro storia sono ancora avvolti nel mistero. Con la resurrezione degli Eva bianchi, la loro trasformazione e l’arrivo di Miller con lo 07, si è trovato a dover fare qualcosa di più per procurarsi da mangiare e la comparsa dello 04 è stata la risposta alle sue speranze: avrebbe potuto fare concorrenza a Miller. L’idea di fare partorire Asuka nell’entry plug dell’Eva è stata sua, ma se ne è pentito quasi subito, soprattutto dopo aver visto il rapporto che lega Ryo allo 04: teme di avere commesso lo stesso errore di suo padre, condizionando irrimediabilmente la vita del proprio figlio.

Asuka Langley Soryu

Data di nascita: 4 dicembre 2001

Altezza: 164 cm.

Forse dipende dalle esperienze passate con sua madre, ma Asuka è sorprendentemente affezionata ai suoi figli. Si è lasciata convincere a dare alla luce Ryo nell’Eva 04 solo perché pensava che non ci fosse alternativa per fermare Miller e fargli una concorrenza plausibile. Ma la cosa non le è piaciuta: crescendo, Ryo è sempre sembrato più attaccato all’Evangelion che a lei e Asuka l’ha sentito allontanarsi sempre più, al punto di ritenerlo praticamente già perso e sfogare le proprie emozioni materne su Kasumi. Tende a dimenticare di avere partorito nell’entry plug anche per sua volontà e a riversare tutta la colpa su Shinji. Certe cose non cambiano mai. Nonostante questo, però, vedere l’abilità di Ryoma alla guida pare ricordare ad Asuka di quando lei stessa era un pilota e a volte la esalta. È molto critica nei confronti di suo figlio quando combatte e non tollera che fallisca una missione.

Ryoma Ikari

Data di nascita 28 o 29 agosto 2019 (è nato più o meno a mezzanotte, quindi la data non può essere stabilita con esattezza)

Altezza: 175 cm.

Quando Shinji e Asuka hanno trovato lo 04, hanno cercato di pilotarlo personalmente, ma senza successo. Non sapevano quali fossero i criteri che permettevano di sincronizzarsi con l’Eva, quindi hanno fatto la cosa che sembrava loro più logica per aumentare la sintonia tra l’umanoide e il pilota: hanno fatto nascere il pilota nell’entry plug. Ryoma Ikari è venuto alla luce in una notte di luna piena, all’interno di un Evangelion nascosto tra le scogliere, e la sua vita non si è mai potuta liberare si questa condanna. La sua mente è entrata in simbiosi con quella dello 04 al punto di non poterne più fare a meno; l’Eva è una droga per Ryo, che non può fare a meno di passarci dentro molto del proprio tempo. Si è reso conto fin troppo bene che i suoi genitori sembrano considerarlo più un’arma che un figlio e questo lo porta a essere mortalmente geloso di Kasumi. Cerca di convincersi che questa situazione non è colpa di sua sorella, ma fatica a trovare un compromesso tra la sua ragione e i suoi sentimenti. Probabilmente, è per questo che è tanto brutale quando combatte sullo 04. Dopo un primo scontro con Miller, Ryo si rende conto che per loro, singolarmente, sarebbe impossibile sconfiggere gli Eva degenerati e che tanto vale facciano fronte comune. Nonostante questo, fanno parecchia fatica ad andare d’accordo.

Kasumi Ikari

Data di nascita: 1 marzo 2021

Altezza: 162 cm.

Fisicamente, somiglia a Rei Ayanami (ma sarebbe più corretto dire che somiglia a Yui Ikari). Caratterialmente, è un altro pianeta: Kasumi parla, parla, parla, parla e, quando ha finito, si accorge di avere ancora qualcosa da dire e ricomincia. È cresciuta con un misto di affetto istintivo e timore reverenziale verso suo fratello, che ha sempre visto come una figura lontana e non facilmente comprensibile. Da piccola, si lamentava perché lui non la faceva entrare nell’Uomo nero, come chiamava lo 04; adesso, resasi conto di cosa questo comporti, non ci tiene più molto. È probabilmente l’unico personaggio onesto e disinteressato che compaia in questa fanfiction, ma, essendo una figura relativamente marginale, non l’ho approfondita granché. Forse rimedierò in futuro. Non ci contate.

Joshua Miller

Data di nascita: 11 agosto 1986

Altezza: 182 cm.

Non si sa molto di lui. L’unica cosa certa è che, durante il Third Impact, si è in qualche modo fuso a livello cellulare con l’Eva 07, guadagnandone il controllo. Forte di questa sua arma, ha cominciato a combattere contro gli Evangelion degenerati, pretendendo in cambio di essere mantenuto dalle popolazioni che ne venivano tormentate (o che credevano di esserne tormentate); un cambio di oppressore, in pratica. Dopo essere stato sconfitto da Ryo sullo 04, decide di diventarne alleato nella battaglia contro gli Eva degenerati, ma i due vanno tutt’altro che d’accordo. Sappiamo che Miller ha una figlia, ma niente di più in proposito…

Unità Evangelion 04

Data di nascita: imprecisata, probabilmente nel 2015

Altezza: troppi metri, non ho voglia di contarli

L’unità Evangelion 04 è accomunata allo 01 da due caratteristiche: è un modello sperimentale ed è un’entità vivente completa e a sé stante. Contrariamente alla maggior parte degli altri Eva, il materiale genetico dello 04 non viene da Adam, ma da Shamshel, il quarto Angelo. Fabbricato e assemblato in Nevada seguendo i progetti inviati dalla sede centrale della Nerv in Giappone, l’Eva 04, come tutta la filiale locale della Nerv, era sotto il più stretto controllo da parte dell’esercito statunitense, che ne aveva anche fornito il pilota, una donna il cui nome non è stato rivelato, ma che faceva parte dell’aviazione. Seguendo le istruzioni sui documenti a firma della dottoressa Akagi, Rudolph Van Richten, capo del progetto, aveva provveduto a riversare nel nucleo dell’Eva gli schemi mentali del pilota, ma qualcosa andò storto. Durante il primo test di attivazione, gli strumenti segnarono un graduale aumento del tasso di sincronia, fino a superare il 400%; la donna all’interno dell’entry plug, però, non si fuse con l’Eva, né lo 04 fece il minimo movimento. Van Richten capì cosa fosse successo solo quando ormai era troppo tardi: l’Evangelion non si era sincronizzato con il pilota, ma con il bambino che la donna portava in grembo, che era ormai irrimediabilmente fuso con l’unità. Poco tempo dopo, la sede della Nerv in Nevada sparì misteriosamente; lo 04 sarebbe comparso solo quattro anni più tardi, tra le scogliere che davano sul mare di quella che un tempo era stata Neo Tokyo 3, con enorme stupore di Shinji e Asuka. Il reperimento di un pilota è già stato spiegato nelle biografie degli altri personaggi; quello che conta è che l’Eva, che ha l’anima di un bambino mai nato, ha percepito la nascita di Ryoma come la propria; in altre parole, lo 04 crede di essere Ryoma ed è per questo che si muove ai suoi comandi e trae da lui la propria energia. La fusione tra lo 04 e il bambino sembra essere diversa da quella avvenuta tra lo 01 e Yui. Nell’Eva 01, l’umanoide manteneva blandamente l’impostazione mentale originaria e la personalità di Yui si rendeva evidente solo in particolari circostanze; nello 04, l’anima del bambino pare avere completamente sovrascritto gli schemi mentali originari ed è sempre presente. Ryo è consapevole della sua esistenza, anche se non sa cosa sia esattamente, e ci conversa in continuazione mentre pilota, fornendo all’Eva, oltre alle energie fisiche per muoversi, anche una riserva di ricordi ed esperienze, delle quali l’unità è avidissima. Lo 04 non ha una forza combattiva significativamente superiore a quella dello 02 o dello 03, ma il pilota ha ereditato il talento dei genitori e il suo peculiare sistema di pilotaggio, tramite l’identificazione personale con l’Eva, riesce a tirare fuori il potenziale del mezzo. Ryo ha dimostrato di saper usare con inventiva e prontezza le capacità dello 04, sia per quanto riguarda la manipolazione dell’AT-field che per ciò che concerne le abilità meramente fisiche (ha usato la bocca dell’Eva per mordere Leviathan). Asuka va pazza per queste cose.

 

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Pensiero di oggi: la speranza è l’inizio dell’infelicità.

 

Episodio 37: Cambiamenti

 

ANNO 2016

Asuka Langley Soryu stava morendo. Questa consapevolezza la colpì in maniera inaspettatamente nitida. Per quanto potesse sembrare un paradosso, si rendeva conto che le sue percezioni erano annebbiate, eppure capì di stare morendo con una chiarezza sconcertante. Faceva fatica a respirare: un po’ perché il suo stesso sangue, e forse anche quello dello 02, le tappava il naso e la bocca, un po’ perché, tra le lamiere contorte dell’entry plug, fra le quali era rimasta schiacciata quando gli Evangelion bianchi avevano cominciato a smembrare il suo, stava mancando l’aria. Stava morendo all’interno dell’Eva… o forse all’interno di sua madre? Quella presenza che aveva percepito per un attimo, quella voce che le aveva infuso tanta energia, che l’aveva trascinata fuori dallo stato pietoso in cui si era ridotta nel giro di qualche secondo, in una sfida verso qualsiasi terapia medica, era stata forse sua madre? Sorprendendo anche se stessa, Asuka trovò la forza di biascicare qualcosa: "E che mi frega?". Molto tempo prima si era ripromessa di non vivere sul ricordo di sua madre. Non avrebbe mai avuto bisogno di una madre. Né di una madre né di nessun altro. E allora, perché sentire che era stata lì, insieme a lei, nelle profondità del lago del Geo Front, le aveva dato tanta sicurezza? Per un attimo pensò che la sua risoluzione a vivere senza considerare il ricordo della donna che, ancora bambina, si era vista penzolare davanti senza vita l’avesse in realtà fatta succube di quelle memorie, rendendola fragile e indifesa. Ma chi mai avrebbe definito con queste parole Asuka Langley Soryu? Lei non aveva bisogno di nessuno, lei era forte… Era la migliore. Sapeva pilotare l’Eva come nessun altro. Fu proprio quel pensiero a farla infuriare ancor più del dolore e della sensazione di essere appena stata sconfitta: l’Eva. L’Eva! ‘Fanculo l’Eva! Le aveva procurato solo problemi! L’Eva aveva ucciso sua madre (ma si affrettò a rassicurarsi che di questo non le importava), l’Eva, a nemmeno quindici anni, l’aveva costretta a correre più pericoli di quanti ne affrontasse un essere umano nella propria intera esistenza, l’Eva adesso la stava imprigionando nel suo ventre, come una madre che non volesse far nascere il proprio figlio, l’Eva l’aveva spinta a incontrare le persone più odiose che si potessero immaginare. In cima alla classifica c’era indubbiamente la First, quella maledetta bambola che parlava solo quando doveva tacere. Poi veniva Misato. In un primo momento, le era stata indifferente, poi aveva cominciato a detestarla. Non solo per la sua storia con Kaji, ma anche perché era evidente che preferiva Shinji a lei, nonostante LEI fosse la migliore. Ah, già, Shinji. Quando il Third Children le tornò alla memoria, fu per un attimo sfiorata dal dubbio che forse non era lei la migliore nel pilotare gli Eva. Ma no, questo era impossibile. Quei test di sincronia dovevano essere sbagliati. Strumentazioni inadeguate, senza dubbio. D’altra parte, perché mai proprio Shinji sarebbe dovuto essere un buon pilota? Che mai sapeva fare, Shinji? Shinji Ikari, eh, non uno Shinji qualsiasi. Di nuovo, Asuka trovò la forza di parlare. Di nuovo, quello che disse, mentre il sangue le usciva a fiotti dalla bocca, fu chiaro solo per lei: "Sai cosa mi fa incazzare di te?". Non riuscì a proseguire, perché un dolore lacerante all’addome stroncò le sue parole sul nascere. Continuò il discorso solo nella propria mente. ‘Mi fai incazzare, Shinji Ikari,’ pensò ‘perché fai finta di essere un completo imbecille. Assumi quell’espressione odiosamente colpevole, chiedi scusa per qualsiasi idiozia e ti fai passare per un ragazzino cagasotto senza la minima parvenza di spina dorsale… Però non sei così, questo è evidente… Hai abbattuto da solo due Angeli prima che io arrivassi in Giappone… Ti sei buttato in un vulcano per salvarmi…. Hai sconfitto quell’Angelo che aveva massacrato sia me che la First… Ma perché diavolo non cerchi di somigliare un po’ più a… somigliare a… a te stesso, maledizione?’.

L’entry plug dello 02 si aprì. Qualcuno l’aveva forzata dall’esterno. Asuka non riuscì a vedere il volto di quel misterioso individuo, ma si accorse che non aveva attrezzi di alcun tipo con sé. Aveva aperto l’entry plug sigillato a mani nude? Ma chi diavolo era quello? Era troppo grosso per essere Shinji: Asuka se ne accorse quando spostò senza la minima fatica le lamiere che la imprigionavano e la estrasse da quella che aveva creduto sarebbe stata la propria tomba. Sentì che quell’individuo la prendeva in braccio e diceva qualcosa. Non fu sicura di comprendere tutte le parole, ma le parve di coglierne qualcuna: "…mi servi…non devi ancora morire…DNA modificato…la nuova umanità…". Poi, più niente.

 

ANNO 2017

Asuka aprì gli occhi. La luce purpurea dell’alba le accarezzò le palpebre, mentre l’acqua salmastra le scrosciava attorno e la cullava dolcemente, facendole aderire addosso la camicia da notte. Non sapeva perché lo facesse, ma aveva preso questa abitudine. Di tanto in tanto, si svegliava poco prima del sorgere del sole e andava sulla spiaggia. Poi, si sdraiava nell’acqua bassa e passava il tempo che la separava dall’alba sonnecchiando. Era una sensazione strana, che non riusciva a definire. Le sembrava di essere in un posto sicuro, nel quale sarebbe potuta vivere in eterno senza bisogno di niente. Le tornavano alla mente ricordi che non avrebbe mai sospettato di avere, capiva cose di cui non conosceva nemmeno l’esistenza. Sospirò rassegnata: possibile che quella situazione le ricordasse l’utero materno? Era dunque succube di sua madre fino a tal punto?

"Ehilà!" Shinji, entrato in acqua a propria volta, chinò il viso verso di lei. "Cosa sei venuto a fare?" sibilò Asuka irritata "Lo sai che non mi piace essere disturbata mentre sono qui". Il ragazzo fece spallucce: "Oggi sei stata via più tempo del solito. Temevo ti fosse successo qualcosa e sono venuto a controllare".

"Stavo sognando"

Shinji si sedette in acqua: "Ah, sì?"

"Sì"

"Era un bel sogno?"

"Era un sogno strano. Mi sono ricordata del tizio che mi ha medicata dopo che lo 02 era stato smembrato dagli Eva bianchi". Entrambi guardarono il mare. Le sagome pietrificate degli Evangelion della serie definitiva erano scomparse ormai da qualche mese. Non avevano mai saputo con esattezza dove fossero andati i titani dall’armatura immacolata, ma non se ne curavano più di tanto. Dopotutto, pensavano, cosa avrebbero potuto fare?.

"Davvero?" domandò Shinji "Allora c’era qualcun altro oltre a noi quando è successo tutto quel casino?"

"Sì. Non so chi, però"

"Non importa. Ormai è tutto finito". Sapeva che era una bugia, ma voleva crederci.

"Sì. O forse no. O forse non ci sono un inizio e una fine. Tutto accade in perfetta consequenzialità, senza che sia possibile definire quando una cosa comincia e quando termina"

"Le nostre vite non sono abbastanza importanti da rapportare loro quello che accade in generale, no?"

"Suppongo di sì. La vita umana è semplicemente la nostra unità di misura del tempo. Stabiliamo se un certo periodo di tempo è ‘lungo’ o ‘corto’ sulla base della sua incidenza sulla nostra aspettativa di vita totale. Quanto credi che vivremo ancora?"

"Il cibo e l’acqua li abbiamo. Però ci mancano le cognizioni mediche: potremmo morire per una malattia o un incidente banali. Cosa succederebbe se a uno di noi venisse un’appendicite?"

"Io l’ho già avuta quando stavo in Germania. Non ho problemi di questo tipo"

Shinji scosse il capo. Come al solito, era lui il più debole. Ricordava un tempo in cui gli aveva fatto comodo calarsi in questa parte: il bravo bambino gentile e remissivo che dipendeva dagli altri. Che aspettava che gli altri gli dicessero cosa fare, un po’ per paura di doversi effettivamente confrontare con loro, un po’ perché vivere così, senza veramente pensare alle proprie azioni, era più facile. Si portò la mano destra davanti agli occhi e la chiuse in un pugno, come a voler lanciare una sfida a se stesso e a qualsiasi altra entità lo stesse osservando, e considerò che, anche se non fosse sopravvissuto ancora per molto tempo, comunque era diventato migliore di quanto non fosse stato solo un anno prima. Non solo ciò che aveva vissuto durante quell’incubo apparentemente suscitato da Ayanami, in seguito al quale il mondo era cambiato completamente, lo aveva costretto a riflettere su se stesso; gli eventi successivi, il doversi prendere cura di Asuka ferita e il dover cercare di sopravvivere con pochi mezzi, procurandosi da mangiare giorno per giorno, lo avevano costretto ad affrontare la vita con uno spirito più pratico. Lo avevano costretto a prendere iniziative e a mettersi in discussione continuamente. Un tipo di vita che lo Shinji Ikari che era arrivato a Neo Tokyo 3 quel fatale giorno in cui il terzo Angelo aveva attaccato non avrebbe mai potuto sostenere. Voltò la sguardo verso Asuka. La vide con gli occhi fissi al cielo. Chissà cosa stava cercando. Voleva vedere la luna che tramontava? Voleva contare quante stelle scomparivano nella luce del mattino? "Credo di doverti ringraziare" disse il ragazzo alzandosi in piedi. Lei, quasi liberata da uno stato di trance, voltò il capo nella sua direzione: "Perché?". Shinji prese un lungo respiro: "Penso che… come dire… tante cose che sono successe nell’ultimo anno non sarebbero accadute se non ci fossi stata tu"

"Mi sembra ovvio, dato che non abbiamo visto altri esseri umani da un anno a questa parte. Anzi, credo che sia in po’ più di un anno…"

"Un anno e quattro mesi, ho tenuto il conto. E comunque, non intendevo questo. Volevo dire che il tempo che abbiamo passato insieme dopo la catastrofe è stato molto diverso da quello trascorso quando abitavamo a casa della signorina Misato. E non mi riferisco al tipo di vita che abbiamo fatto, ma proprio a come sono andate le cose fra noi due, in generale"

Asuka sembrò prendersi una pausa per riflettere. Poi, porse la mano a Shinji e lui la aiutò a rialzarsi. "Sì, può darsi" ammise lei mettendosi in piedi. "Ecco, appunto!" esclamò lui con un debole sorriso.

"Appunto cosa?"

"A quei tempi non mi avresti mai teso la mano. La Asuka che viveva a casa della signorina Misato non avrebbe mai compiuto un gesto che potesse essere interpretato come una richiesta d’aiuto"

"Andiamo! Non è che avessi davvero bisogno di te per mettermi in piedi, era solo un modo di fare!"

"Lo so, ma era un modo di fare che la vecchia Asuka non avrebbe mai adottato"

"E lo Shinji Ikari che viveva con quell’Asuka non avrebbe mai parlato con qualcuno di come si sentiva" ribatté lei ricambiando il sorriso. Seguì un altro lungo silenzio. Probabilmente, nemmeno loro erano pienamente consapevoli di quello a cui stavano pensando. Poi, Shinji disse: "Ma è possibile cambiare così tanto nel giro di un anno?". Asuka sbuffò. Adesso che era ritornata al suo modo di fare seccato e impaziente, somigliava molto di più alla vecchia se stessa: "Ma che diavolo stai dicendo?" sbottò "Ti sembra il caso di porsi queste domande assurde? Andiamo a mangiare qualcosa, dai". Certe cose non cambiavano mai.

 

Episode 37: Awakening Titan

 

ANNO 992M41

Quando aveva visto Logan cadere a terra sotto i colpi di quello spilungone biondo dalla mascella quadrata, Erin non ne era rimasta particolarmente scossa. Aveva pensato che non sarebbe più stata in grado di fare come il signor Bile le aveva detto, ma nemmeno questa idea era riuscita a scuoterla. Si era sorpresa della propria leggerezza. Dopo essersi vista la vita che aveva creduto reale crollarle davanti, aveva deciso che sarebbe stato molto più facile agire secondo lo scopo che le era stato assegnato. Era un clone di Horus e doveva servire per la ricerca di Fabius Bile, per realizzare il suo grande scopo. Ma, chissà perché, adesso quell’obiettivo non le sembrava più tanto importante. Forse era rimasta colpita da quello che Logan le aveva detto: il modo in cui si guardavano le cose poteva cambiarne radicalmente la valutazione. Ma la sorte del ragazzo, in fin dei conti, non la interessava più di tanto. "E di te cosa facciamo, signorina?". La domanda di Dexter interruppe improvvisamente i suoi pensieri: Erin volse lo sguardo verso l’uomo senza rispondere. Non provava paura. Ne avrebbe avuto tutte le ragioni, ma non temeva quel gigante dalla mascella squadrata che aveva steso uno psyker senza troppi problemi. "Ho sentito il discorso che facevi con quel tale" continuò l’uomo biondo "Diceva che hai il codice genetico di un Primarca… Quindi, Fabius Bile si è spinto a tanto… Per quanto ne so, sono già diversi secoli che dice di avere scoperto le tecniche di ingegneria genetica usate dall’Imperatore per creare i Primarchi, ma tu sei il primo risultato dei suoi esperimenti che mi capita sotto gli occhi". Erin aggrottò la fronte: doveva dunque rassegnarsi a essere definita come il risultato di un esperimento? Era a questo che doveva finalizzare la propria vita? Aveva già considerato la situazione. Ci aveva già pensato. Sapeva di essere fondamentalmente una creatura artificiale e proprio questa considerazione la aveva portata a pensare che un vero motivo per vivere non le servisse: dato che lei era nata solo in funzione di qualcun altro, allora non doveva porsi questo problema. "Non faccio fatica a capire cosa Bile volesse che tu facessi" disse Dexter afferrando un braccio della ragazza, che restò completamente immobile. "Un clone di un Primarca potrebbe essere l’unico essere vivente in grado di pilotare l’Evangelion 01. Ho idea che io e te ci faremo un giro turistico nella cabina di pilotaggio di quell’affare". L’uomo indicò con un cenno del capo la gigantesca sagoma dell’Eva. "Non credo proprio" replicò Erin inespressiva. "Cosa vuoi dire?" domandò il gigante con un sorriso beffardo "Pensi forse di poter decidere?".

"Non è questo il punto. Il fatto è che qualcuno potrebbe non esser d’accordo"

Dexter deglutì. Un po’ per la completa freddezza con cui quelle parole era state proferite, che lo aveva lasciato disorientato; un po’ perché stava cominciando a percepire due aure di psyker ed era evidente che la ragazza le aveva individuate prima di lui. "Ma guarda un po’!" esclamò beffarda una voce femminile "Sembra proprio che qui ci sia qualcuno che non vuole stare ai patti!". Dexter alzò lo sguardo verso l’Eva. In piedi a braccia incrociate su una delle spalle del titano c’erano due ragazze avvolte dalla leggere Power armour femminile che indossavano le militanti dell’Adepta Sororitas. Quella che aveva parlato, i cui lunghi capelli castani si muovevano dolcemente nella brezza mattutina, balzò a terra. L’altra, una bionda un po’ più alta, la seguì subito dopo. "Prima ci dicono di voler spostare questo demone in una zona più sicura," continuò la giovane dai capelli scuri "poi arrivano questo qui – indicò Dexter con il capo – e quell’altro imbecille – Erin pensò si riferisse a Logan – a complicare le cose… Abbiamo fatto bene a lasciarvi azzuffare fra di voi, ci siamo risparmiate un problema". La giovane donna saltò a terra, proprio davanti a Dexter, e continuò: "Adesso ci basta stendere te ed estorcerti un paio di informazioni. Per esempio, quando parlavi con quell’altro, abbiamo sentito che sei uno degli Illuminati, ma mi piacerebbe sapere cosa sei venuto a fare esattamente". Dexter si lasciò andare in un sorrisetto: aveva già sconfitto un ragazzino e adesso arrivavano due signorine a infastidirlo? Le nuove generazioni erano veramente stupide! "L’Inquisizione, suppongo" disse l’uomo flettendo i muscoli delle braccia in un gesto minaccioso "Mi è stato ordinato di evitare i contatti con voi, ma, visto che ci siamo, vediamo di fare una cosa veloce". Le parole quasi gli morirono in gola quando si accorse che la ragazza bionda era sparita dalla spalla dell’Eva. Si girò freneticamente alla disperata ricerca della sua aura e la trovò. La giovane ora stava in piedi esattamente dietro a Erin. Ancor prima di rendersene pienamente conto, Dexter fu raggiunto da un pugno in piena faccia che lo mandò lungo disteso a terra.

 

Nella periferia della capitale di Novet c’era uno spazioporto di medie dimensioni. Veniva usato essenzialmente per trasportare risorse fuori e dentro il pianeta; non era l’unico del mondo, ma era quello principale. Ed era anche il posto dove si stava concentrando l’attenzione di molte persone. L’astronave dell’Inquisitore Otto Zdansky, ufficialmente un mercantile, era atterrata lì e ancora attendeva: mentre il suo signore, con le proprie dirette collaboratrici, era sul pianeta in missione, il resto dell’equipaggio aspettava paziente, obbedendo agli ordini di non interagire più del necessario con i nativi. L’astronave di Fabius Bile, la cui presenza era stata celata da alcuni compiacenti seguaci del Signore dei Cloni, si trovava anch’essa lì. E lì si era concentrata una discreta parte dell’esercito di Marine del Caos dall’armatura nera che avevano assalito la città: essendo l’unico posto in cui una nave potesse atterrare con relativa sicurezza nel raggio di parecchie centinaia di chilometri, era una posizione strategica da assicurarsi assolutamente.

In parte perché ben presto sarebbero arrivati altri moduli sa sbarco a portare rinforzi, in parte perché bisognava impedire qualsiasi partenza per evitare che qualcuno potesse avvertire altre forze imperiali eventualmente nei paraggi. Isaac Cornelius, il Signore del Caos responsabile del coordinamento dell’attacco alla capitale non voleva lasciare niente al caso: ben presto il suo diretto superiore sarebbe arrivato sul pianeta alla ricerca della persona che lo aveva convinto a viaggiare fin lì. E il superiore di Cornelius, anche se aveva fama di essere un uomo comprensivo, non amava l’inefficienza: sarebbe arrivato con tutto il suo seguito, teletrasportandosi nel bel mezzo della zona di guerra e poi procedendo personalmente alla caccia. Per allora, il contingente di soldati che avrebbe dovuto accompagnarlo si sarebbe fatto trovare pronto.

Otto Zdansky non sapeva niente di tutto ciò, ma non faticava a immaginare che la presenza di quei Marine del Caos significasse qualcosa. Nelle ultime ore, la situazione si era fatta più complicata: aveva lasciato Megan e Alexandra a sorvegliare l’umanoide e si era diretto in città nella speranza di guidare le truppe della Guardia alla riconquista dello spazioporto, una posizione fondamentale per poter trasportare via da quel pianeta l’oggetto delle sue brame; appena arrivato, però, si era reso conto che sarebbe stato impossibile ottenere quello che voleva. Il gruppo di soldati che era riuscito a penetrare nel centro urbano, superando a malapena la linea di fuoco che i Marine in armatura nera aveva allestito con velocità sorprendente appena al di fuori dell’abitato, si era subito trovato coinvolto in un conflitto a fuoco con dei nemici apparentemente invisibili. Zdansky aveva già affrontato questo tipo di avversari: i veterani delle Legioni Traditrici e le loro tattiche di infiltrazione erano temuti in tutto l’Imperium. Alcuni militari erano soliti dire più o meno: ‘Sono giganti di quasi due metri e mezzo in armatura pesante, ma possono arrivarti sotto al culo senza che tu nemmeno te ne accorga’, e questa affermazione non era poi molto lontana dalla realtà. E questo era una seccatura notevole per l’Inquisitore. Non solo rischiava di non riuscire a raggiungere la propria astronave, ma non poteva nemmeno tenere d’occhio personalmente quel gigantesco demone. Mentre usciva rapidamente dal mucchio di detriti dietro il quale si era riparato fino a un attimo prima per fare fuoco con lo storm bolter su di un nemico che lo aveva attaccato dalla finestra di un edificio, si chiese se Megan e Alexandra avessero avuto dei problemi.

 

Dexter si rialzò a fatica, tenendosi la mano sul naso sanguinante. Davanti a lui, la ragazza in armatura dai capelli castani sogghignava soddisfatta, invitandolo beffarda a rialzarsi con dei gesti della mano. "Già finito?" commentò Megan avvicinandosi all’agente degli Illuminati senza scomporsi minimamente. Dexter attese deglutendo più volte di quante potesse contarne. Non era possibile che una ragazzina potesse metterlo sotto in quel modo! Era semplicemente impensabile! Se la situazione fosse stata diversa, probabilmente di sarebbe lanciato sul nemico in preda all’ira, ma non lo fece. In quella giovane c’era qualcosa che lo tratteneva, un’aura di sicurezza e fiducia in se stessa che gli faceva pensare che qualsiasi strategia avesse adottato si sarebbe rivelata inefficace. Mentre la ragazza continuava ad avvicinarglisi, lenta e calma, quasi volesse intimorirlo più di quanto non fosse già, lo psyker degli Illuminati non poté fare altro che restare fermo. Megan bloccò la propria avanzata solo quando ci furono meno di trenta centimetri tra lei e il suo avversario. Alzò lo sguardo verso di lui, che ancora si teneva il naso grondante sangue. "Ero convinta che valessi qualcosa di più" disse, quasi con delusione. "Dopotutto, ho visto il tuo combattimento e non mi eri sembrato malaccio. Ma adesso possiamo davvero farla finita. Tanti saluti!". La giovane tirò indietro la mano destra; un turbine di fiamme verdastre sembrò concentrarsi nel suo palmo, come evocato dal nulla, come se una falla nello spazio reale si fosse aperta e stesse riversando il potere dell’Immaterium sul corpo di chi lo aveva evocato. Dexter fece a malapena qualche passo indietro: il terrore lo stava letteralmente paralizzando: perché doveva morire per mano di una ragazzina? Ma, nonostante questa consapevolezza lo stesse tormentando con una ferocia ossessionante, non riuscì comunque a muoversi.

Quando vide la mano di Megan scagliarsi contro di lui, le fiamme che la inglobavano aumentare di intensità e trasformarsi in una sfera esplosiva, capì che era finita. Serrò gli occhi, preparandosi allo schianto. E lo schianto ci fu, ma non lo investì. Una sagoma nera, dalle vesti fluttuanti, si era frapposta fra lui e l’attacco, bloccandolo con il proprio corpo. Quando la forza dell’esplosione verdastra si spense, soffocata dalle mani del salvatore improvvisato, Dexter ebbe modo di vedere cosa fosse successo.

Logan si trovava lì, tra l’apprendista Inquisitrice e l’agente degli Illuminati. Si era frapposto tra i due, bloccando l’attacco tra le mani. Mentre il suo soprabito tornava a ondeggiare dolcemente attorno alle sue caviglie, il ragazzo alzò lo sguardo verso la giovane: "Se non ti dispiace, questo qui lo voglio ammazzare io. Sai com’è, avremmo un conto in sospeso….". Fu solo in quel momento che gli occhi di Logan e Megan si incrociarono. E le facce di entrambi si contrassero in una smorfia sbalordita. Fu la ragazza la prima a parlare: "Ma io ti conosco! Tu sei quell’imbecille che ci ha sputtanato la missione su MW11! Prima non ti avevo riconosciuto!". "Non ti ho sputtanato la missione!" protestò Logan "È stato quel Demone Maggiore a costringerci alla fuga!".

In effetti, non era la prima volta che Logan incontrava Megan e Alexandra. Diversi mesi prima, lui, Gutzmaak e Skaim – Zaim erano atterrati su di un pianeta imperiale chiamato MW11, dove avevano conosciuto le due Inquisitrici, che lì si erano recate per debellare quella che aveva creduto essere una piccola setta di adoratori di Slaanesh. Quando Logan aveva involontariamente scoperto chi fossero in realtà le due, si erano trovate costrette a ucciderlo per proteggere la propria copertura; Megan lo aveva effettivamente sconfitto, ma non era riuscita a dargli il colpo di grazia. In seguito, trovatisi di fronte un potentissimo demone evocato dai seguaci di Slaanesh, Logan, Gutzmaak e Skaim – Zaim si erano trovati costretti a unire le forze a quelle delle giovani, riuscendo a sfuggire al nemico solo a malapena.

"Non importa!" esplose Megan "Quello che conta è che ti devo uccidere perché conosci la mia identità e, non trascurabile, perché su MW11 mi hai praticamente costretta a pagare una colazione pantagruelica a te e ai tuoi stupidissimi amici!". "Non sono miei amici!" ritorse il ragazzo puntando un dito sulla sua interlocutrice "E poi, non potremmo terminare la discussione dopo che avrò ammazzato ‘sto tizio?". Logan indicò Dexter con un cenno della testa. "E va bene" concesse l’Inquisitrice "Dopotutto, se uno di voi uccide l’altro, noi abbiamo solo da guadagnarci…".

Con un sogghigno diabolico, Logan si girò verso l’agente degli Illuminati. E Dexter parve riprendersi dal timoroso torpore che l’aveva pervaso fino ad allora. "Vuoi combattere con me?" domandò, quasi lasciandosi andare a un riso isterico e levandosi la mano dal naso. "Vuoi che ti riduca ancora come prima? Ti sei salvato per miracolo e adesso desideri a tal punto la morte?". "Non hai alcuna speranza di batterlo, idiota" lo interruppe Megan. Indicò Logan con un cenno del capo: "Ti faccio notare che poco fa ha bloccato il colpo che ti avrebbe annientato. È evidente che ormai tu non ce la possa fare contro di lui". "La vedremo!" gridò l’omone, mentre un turbine di sabbia, in reazione allo sfogo della sua aura, cominciava a svolazzargli attorno, un capriccioso sbattere di fini granelli dall’incessante moto.

Scattò verso il nemico, scagliandoglisi contro con tutta la potenza che la spinta generata dalla propria aura gli consentiva. Sogghignò nel vedere che l’espressione indifferente, quasi seccata, del ragazzo non cambiava: evidentemente, non era nemmeno in grado di vedere quel movimento rapidissimo. La mano di Dexter avvampò, mentre un gorgo di energia dorata si concentrava sul suo pugno chiuso, mentre la forza del Warp si apprestava a concederglisi per abbattere l’avversario, come aveva già fatto così tante volte in passato.

Il pugno calò. Volò come una cometa scintillante verso il bersaglio, la testa del giovane vestito di nero. E, come una cometa, si spense consumandosi lentamente. Il colpo dell’Illuminato si schiantò contro la mano aperta di Logan, sfogandovi addosso tutta la propria potenza distruttiva. Dexter sorrise, quando si rese conto di quello che stava succedendo: il ragazzo, incredibile ma vero, aveva visto il pugno arrivargli addosso e aveva alzato la mano per fermarlo al volo. Ma era evidente che non potesse farcela: quella infima barriera non aveva arrestato la forza dell’attacco. Rifugiato senza speranza dietro il proprio braccio, Logan stava venendo spinto indietro dall’inesorabile azione distruttiva di quel colpo, i piedi che formavano due lunghi solchi nella sabbia, alzando un polverone che impediva di vedere cosa stesse succedendo. Dexter pensò di stare smuovendo fondamentalmente un peso morto, passivamente in attesa di spezzarsi sotto la sua pressione.

Poi accadde qualcosa.

L’Illuminato sentì l’energia concentrata sulla sua mano diminuire gradualmente, scemando da un decimo di secondo all’altro, diventando sempre più debole, fino a spegnersi del tutto con un’ultima scintilla morente. La folle corsa dei due psyker terminò così come era iniziata: le dita di Logan erano avvolte attorno al pugno chiuso di Dexter, che, ancora con il braccio teso e il corpo lanciato in avanti, guardava con stupore il suo avversario. Deglutì. E, in quel preciso momento, le parole della ragazza non gli sembrarono così insensate. Non perché il suo attacco fosse stato fermato (era già accaduto più volte e se l’era sempre cavata comunque), quanto per il modo in cui era stato fatto. Il ragazzo aveva soffocato l’energia spirituale dell’avversario avvolgendovi attorno le dita e consumandola con la propria aura. La stessa identica tecnica che aveva usato Dexter nello scontro precedente.

Quasi intimorito, l’Illuminato strappò il pugno dalla stretta del giovane, facendo qualche passo indietro. "Ma bravo," ridacchiò "vedo che sei uno che impara in fretta. Ma c’è ancora un fattore che ci differenzia, ed è l’esperienza!". Senza nemmeno aspettare una risposta, il biondo scattò in avanti, il pugno che volava verso la testa del giovane…. Ma non trovò mai il suo bersaglio: la mano dell’omone fendette l’aria sibilando. Dexter non tardò ad accorgersi di dove il suo avversario si fosse spostato: girando rapidamente su se stesso, alzò il braccio e si preparò a calarlo contro il nemico, che si trovava al suo fianco. E di nuovo il colpo andò a vuoto. E di nuovo Dexter vide Logan di fianco a sé. E di nuovo attaccò con un pugno. E di nuovo dovette subire l’umiliazione di essere schivato. Ringhiando in preda alla rabbia e alla frustrazione, l’Illuminato cominciò a mulinare le braccia senza logica, scagliando una raffica di colpi velocissimi uno dietro l’altro, contro un bersaglio che ora gli si trovava esattamente davanti. E non un singolo pugno raggiunse l’obiettivo. L’ultimo passò a pochi centimetri dalla faccia del ragazzo, fermandosi poi improvvisamente, bloccato dal fiato pesante dell’uomo che l’aveva tirato. Ansimando vittima dello sforzo, Dexter puntò su Logan i propri occhi, mentre una goccia di gelido sudore gli scivolava lungo la fronte.

"Prima ti è stato facile schivare i miei colpi," considerò il giovane inespressivo "perché sono sempre stati attacchi diretti o portati in senso verticale. Di conseguenza, ti sei limitato a usare la tua velocità per evitare con spostamenti laterali. Ma anche i tuoi colpi sono diretti o verticali, quindi non ho dovuto fare altro che muovermi esattamente come te".

Dexter spalancò gli occhi incredulo…. Un attimo dopo, il suono di una risata lo indusse a voltarsi. A qualche metro di distanza, alla sua destra, la ragazza dai capelli castani era scoppiata in un riso genuino e quasi innocente. Piegata sulle ginocchia, con quasi le lacrime agli occhi, Megan sembrava completamente diversa rispetto a quando era stata intenta combattere. Sembrava quasi una ragazza qualsiasi. Divertita per i maldestri tentativi di Dexter, o forse sadicamente intrattenuta dalla disinvoltura con cui Logan sembrava tenere testa al suo avversario.

Poi, l’Illuminato riportò lo sguardo sul nemico. Video il giovane vestito di nero spostare un braccio all’indietro, mentre la sua mano si illuminava di una luce violacea. Poi, una frazione di secondo più tardi, quello stesso braccio vibrò verso di lui, descrivendo un arco orizzontale di letale lucentezza. Istintivamente Dexter si spostò di lato. Fu quasi sorpreso quando sentì un dolore pungente alla spalla e vide una larga ferita aprirsi su di essa, sprizzando sangue sulla sabbia del deserto. Fissò il suo nemico con gli occhi sbarrati, come a chiedersi come avesse potuto avere la presunzione di colpirlo, come avesse potuto avere l'ardire di prevedere i suoi movimenti, come avesse potuto osare carpire la sua tecnica dopo un unico scontro. Ma poi, un sogghigno gli balenò sulle labbra. Balzò all’indietro e unì sopra la testa i due indici, abbassandoli poi a tracciare un cerchio nell’aria, mentre una sottile linea scintillante dorata restava sul percorso delle sue dita. Finché davanti all’Illuminato non ci fu un disco di energia trasparente, che mandava un bagliore traslucido del colore dell’oro.

"Che palle!" sibilò Logan tra i denti "Ancora il colpo di prima?". "Idiota!" sbottò Dexter "Ti faccio notare che questo colpo palloso ti ha già sconfitto una volta!"

"Appunto" Logan alzò gli occhi al cielo, come fosse stato intento a parlare a un bambino che stava imparando a camminare proprio in quel momento "L’ho già visto una volta, quindi non puoi pretendere che funzioni ancora"

"Taci!" esclamò Dexter, quasi in preda a un’isteria fulminante "Questo è il mio colpo finale! L’ho chiamato Mirror Smasher e puoi immaginartene il motivo! Come hai già sperimentato sulla tua pelle, qualsiasi attacco tu gli contrapponga ti torna indietro! Il che significa che è una tecnica infallibile! E se la schiverai io potrò sempre raggiungerti in un attimo e darti il colpo di grazia!"

"Non ho bisogno di schivarla. C’è un modo molto semplice per bloccarla senza esporsi troppo"

"Sta’ zitto!". L’urlo di Dexter sembrò scuotere la sabbia de deserto , mentre il Mirror Smasher, una trasparente barriera di bagliori dorati, partiva verso Logan. Senza scomporsi più di tanto, il ragazzo piantò saldamente i piedi per terra e si mise al centro della traiettoria dell’attacco. Mentre il colpo gli correva incontro, strisciando sul terreno e sollevando un polverone irrespirabile, il giovane inspirò profondamente. Chiunque l’avesse visto in quel momento, davanti a un cumulo di energia psichica che stava per abbatterglisi addosso, avrebbe detto che stesse guardando la morte in faccia. Quando la barriera del Mirror Smasher fu a meno di un metro da lui, Logan la colpì con un pugno, per poi balzare indietro in un attimo. Nessun effetto. Lo schermo di energia non si fermava. Di nuovo, fu a pochissima distanza dal ragazzo. Di nuovo, questi si limitò a colpire con un pugno e saltare all’indietro. Di nuovo, nessuna differenza apprezzabile comparve nel moto del colpo. Nonostante fossero passati solo pochissimi secondi da quando aveva lanciato il suo attacco, Dexter si vedeva già la vittoria in pugno: qualsiasi cosa stesse progettando il suo avversario, non funzionava. Guardò divertito il giovane in nero che ripeteva lo stesso identico procedimento per altre tre volte; nel giro di sei secondi, era arretrato al punto di avere di nuovo lo 01 quasi direttamente alle spalle. Bene, si stava mettendo in trappola esattamente come prima.

Poi, accadde l’imprevisto: sotto il sesto pugno di Logan, il Mirror Smasher sembrò vacillare, la sua immagine si fece sempre più vacua, la sua energia parve scemare in un attimo, finché non scomparve in un’implosione di polvere d’oro. Grattandosi pensosamente la testa, Logan avanzò a grandi passi verso Dexter, rimasto completamente immobile per lo stupore. "Che coglione!" sibilò irritato "Adesso magari mi dirai anche che non te lo aspettavi. Quando ho subito il tuo colpo la prima volta, mi sono reso conto di un fatto: per rispedire indietro gli attacchi che gli vengono lanciati, usa una parte della propria energia, in modo da riprodurre quantitativamente quella che lo ha centrato. Il che significa, per esempio, che se io mi trovo a tre metri di distanza e sparo una sfera psichica contro il Mirror Smasher, quella che mi tornerà indietro avrà una gittata di tre metri. In pratica, con ogni pugno che tiravo, mi tornava indietro un colpo di pari potenza ma con gittata zero, quindi innocuo, perché in quel momento non toccavo la barriera. E ogni volta il tuo Mirror Smasher perdeva un po’ della sua energia. Devo andare avanti?". L’espressione di Dexter mutò: il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia, un vena che gli pulsava inquietante alla tempia sinistra, mentre i denti si stringevano fin quasi a spezzarsi. Lanciò un urlo immane: "Maledetto bastardooooo!"; alzò il braccio destro, che avvampava di fiamme d’oro, pronto a calarlo sul nemico così presuntuoso. "E piantala con questo melodramma!" esclamò Logan alzando le braccia a propria volta "Adesso te lo faccio vedere io il mio colpo!". Tutto successo in meno di sette secondi: le braccai del ragazzo sembrarono scomparire, mentre una tempesta di pugni si abbatteva ferocemente sull’Illuminato dai capelli biondi, ciascun colpo che deformava le carni e spezzava le ossa. Quello che si sollevò dal suolo, fece qualche metro in aria e poi si schiantò a terra non era più un uomo. Era un ammasso di poltiglia sanguinante completamente maciullato da quella violenta pioggia di pugni.

Al sibilare del vento sulla sabbia e sul sangue faceva da contraltare la risata sgangherata di Logan: "Hai visto, idiota? Te lo sei proprio meritato! Mi hai rotto i coglioni e sei crepato nella maniera più ignobile possibile! Ecco come finiscono quelli come te". Poi, all’improvviso, il giovane si calmò e sollevò il pugno destro davanti agli occhi, come a volerlo esaminare: "Pensandoci bene, però, non pensavo di poter lanciare un colpo del genere, mi è venuto così. Certo che era proprio figo, degno dell’uomo più bello della Galassia. Come potrei chiamarlo? Thresher Punch? Suona bene, no?".

"Perché non provi a usarlo contro di me?" domandò Megan saltando davanti al ragazzo, a soli pochi metri di distanza. "Dato che sei qui per lo 01, mi sa che siamo concorrenti. E comunque, tu sei al corrente dell’identità mia e della mia collega, quindi non posso lasciarti andare". "Volentieri!" rispose Logan sogghignando "Allora mi dai la rivincita per l’altra volta?". La giovane non ebbe il tempo di rispondere: Alexandra si era frapposta fra i due, il viso rivolto allo psyker in nero. "Sono io il tuo avversario" dichiarò risoluta. Logan ne fu per un attimo sorpreso: "Che significa" chiese poi sogghignando "Vuoi combattere prima della tua amica?". Il viso di Alexandra era serissimo: "No, combatterò solo io e tu sarai sconfitto". "Ehi, aspetta un attimo" protestò Megan mettendo una mano sulla spalla della collega. "Penso che Megan sia ancora più forte di te," continuò Alexandra ignorandola "ma ammetto che sei migliorato molto dall’ultima volta. Megan potrebbe batterti, ma non ne uscirebbe certo integra, quindi ci penso io". La ragazza mora deglutì. Conosceva la sua amica da anni, eppure a volte ne restava comunque sorpresa. Restava sorpresa da quanto la sua decisione in certe situazioni contrastasse con il suo comportamento spesso troppo poco severo. Restava sorpresa dalla sua franchezza. Restava sorpresa dalla forza interiore che sapeva emanare nei momenti problematici. "Non mi piace combattere," riprese Alexandra "soprattutto contro qualcuno che ha lottato al mio fianco in passato. Considerato che ormai la missione durante la quale hai scoperto le nostre identità è conclusa e che il fatto che tu ne sia a conoscenza non costituisce un grave problema, per quanto mi riguarda sarei anche disposta a lasciarti andare – ignorò l’esclamazione ‘Assurdo! Non possiamo lasciarlo in vita!’ che la sua collega proferì al sentirle uscire di bocca questa affermazione –. Però, se vuoi combattere con Megan, devi prima affrontare me". Logan strinse gli occhi, mentre il suo visto si contraeva in un sogghigno maligno: "Mi sta bene. Devo pur riscaldarmi prima del vero combattimento, no?".

I due avversari si scambiarono una truce occhiata, mentre ciascuno di loro avvertiva l’aura dell’altro che si espandeva e avvampava, preparandosi a potenziare i colpi che sarebbero stati lanciati nella battaglia imminente. La tensione era quasi tangibile, mentre l’aria cominciava a saturarsi di energia spirituale, crepitando e turbinando come se una tempesta fosse stata sul punto di esplodere.

Poi, un’altra aura comparve all’improvviso. Il terreno cominciò a tremare, scosso da un peso troppo grande per essere concepito. Un polverone accecante si sollevò all’improvviso, ostruendo la vista. Ma non c’era bisogno di vedere per capire quello che stava succedendo. Anche perché, in ogni caso, ciò che aveva provocato tanto subbuglio si alzava ben oltre la cortina di polvere. Alexandra si morse il labbro, maledicendo se stessa per avere lasciato Erin incustodita. Perché si era preoccupata per Megan al punto di fare una mossa tanto avventata? Ora non faceva fatica a immaginare cosa fosse successo. Proprio no. Non faceva fatica a immaginare chi ci fosse dentro il titano che, scrollandosi stancamente di dosso quintali di sabbia e polvere, si stava lentamente alzando al di sopra delle teste di tutti. E l’immaginazione non poté esserle d’aiuto quando vide ergersi davanti a sé la sagoma, erosa e sporca, ma sempre imponente, dell’unità Evangelion 01.

 

E qui, con gran senso del pathos, fermo questo capitolo. Alla prossima.

Ah, una cosa: ovviamente, le altezze di Shinji e Asuka sono invenzioni mie, dato che, a quanto mi risulta, l’unico personaggio di Eva del quale questa caratteristica sia ufficialmente dichiarata è Misato (163 cm., come leggiamo sul suo tesserino che compare nell’episodio 8). Ebbene sì, tutti quei siti che riportano l’altezza dei personaggi banfano alla grande. Che rivelazione, eh? Un po’ come la scoperta dell’acqua calda, direi. Per quanto riguarda date di nascita & altezze degli altri protagonisti, in molti casi ho inventato sul momento, ma, essendo personaggi miei, va bene anche questo, no?

Ri-alla prossima.

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Capitolo 13
*** Episodio 38: Rabbia e sangue/Warmaster of Chaos ***


La storia finora

Anno 992M41 (che sarebbe il 40.992 secondo la nostra datazione)

Su di un remoto pianeta imperiale chiamato Novet, cade un misterioso oggetto di forma umanoide: si tratta dell’unità Evangelion 01, dispersa nello spazio in seguito al Third Imapct. L’Inquisitore dell’Ordo Malleus Otto Zdansky, insieme con le sue apprendiste Megan Derleth e Alexandra Connolly, vuole impadronirsene per studiarlo, senza sapere esattamente cosa sia e credendo che si tratti di un demone dotato di corpo materiale; tra gli aspiranti possessori dello 01 ci sono anche il Marine del Caos Fabius Bile e la setta degli Illuminati, che ha ereditato le conoscenze della Seele. Le motivazioni di Bile e degli Illuminati restano per ora oscure; fatto sta che il Marine del Caos assolda per l’impresa di recupero tre psyker: l’umano Logan Delaque, l’Eldar Skaim – Zaim e l’Orketto Gutzmaak. Manda con loro Erin, una ragazza frutto dei suoi esperimenti genetici, che, condividendo parte del DNA dello 01, potrebbe essere l’unica persona in grado di pilotarlo. Per distrarre l’attenzione della Guardia Imperiale di Novet dallo 01, Bile spedisce un contingente di Emperor’s Children, Marine del Caos dei quali un tempo faceva parte, a impegnare i soldati in una logorante guerra nel deserto; questo provoca le richieste d’aiuto del governo di Novet, alle quali rispondono i Novamarine, un Capitolo di Space Marine di ritorno da una lunga e difficile campagna contro i Tiranidi. Come se non bastasse, proprio mentre Zdansky si appresta al recupero dell’Evangelion (ma le persone ai suoi ordini sono in realtà segretamente comandate dagli Illuminati), un’altra Legione di Marine del Caos, per ragioni ancora non chiare, ma presumibilmente correlate alla presenza di Bile, attacca la capitale di Novet, costringendo la Guardia Imperiale a una rapida ritirata dal fronte per proteggere la città. Logan e Skaim – Zaim (Gutzmaak parrebbe essersi perso nel deserto) trovano in questo una buona occasione per recarsi a prendere lo 01 insieme con Erin, ma, lungo la strada, incontrano gli agenti degli Illuminati, che li coinvolgono in duri combattimenti. Skaim – Zaim ha la meglio, sconfiggendo il cecchino Ward, mentre Logan si ritrova battuto dal corpulento psyker Dexter. Cercando di sfruttare Erin per i suoi fini, però, Dexter si imbatte in Megan e Alexandra, lasciate da Zdansky a guardia dello 01. Proprio mentre sta per rendersi conto della sue inferiorità rispetto a Megan, un redivivo Logan salta fuori dal nulla e lo massacra di botte, prendendosi la rivincita per la precedente sconfitta. Ma, mentre il giovane psyker sta per affrontare anche le due apprendiste di Zdansky, Erin sembra sparire dalla circolazione; un attimo dopo, l’Evangelion 01 comincia a muoversi: sotto gli occhi esterrefatti di tutti si alza in piedi. Adesso cominciano i veri problemi.

 

??.12

 

‘Solo i pazzi hanno abbastanza forza per prosperare; solo chi prospera può giudicare chi è sano di mente’

Proverbio

 

Episodio 38: Rabbia e sangue

 

ANNO 1981

"Tanti auguri!". L’esclamazione risuonò per l’ampio salotto, mentre una bambina dai corti capelli castani si arrampicava su di una sedia e si sporgeva verso la piccola torta al centro della tavola per soffiare sulle quattro candeline che spiccavano sul dolce. La bambina trasse un profondo respiro, fin quasi a diventare rossa; poi, soffiò su quelle quattro minuscole colonne azzurre con tutto il fiato che aveva in corpo.

Poi, la bambina guardò in alto, verso il volto di sua madre, e vide quello che aveva cercato: il sorriso di approvazione che la faceva sentire accettata. "Sei stata proprio brava, Yui" disse la donna accarezzando la testa della figlia "Hai spento tutte le candeline in una volta! Oggi hai compiuto quattro anni! Si vede che sei cresciuta!". Yui Ikari non poteva sapere che quelle erano solo frasi di circostanza, quel genere di cose che gli adulti dicono ai bambini quando vogliono tranquillizzarli o accattivarsi le loro simpatie. Yui scese dalla sedia e si mise davanti a sua madre, fissandola dritta negli occhi, come a voler dare maggiore forza a quello che stava per dire: "Sono cresciuta! Sono diventata grande! E l’anno prossimo sarò ancora più grande!"

 

ANNO 2002

"Vorrei fare qualcosa di più" disse Yui Ikari, senza alzare lo sguardo. Il corridoio era immerso in un’oscurità quasi totale: Yui non aveva mai capito perché, ma sembrava quasi che le persone che avevano finanziato la costruzione di quell’enorme stazione di ricerca nel sottosuolo del Giappone avessero voluto dare una parvenza di mistero e sacralità a tutta la struttura. L’uomo che stava precedendo la giovane scienziata mentre avanzavano non era molto alto e la sua figura curva lasciava pensare che fosse anche debole. Ma, e di questo ben pochi si rendevano conto, stringeva nelle mani un potere superiore a quello di qualsiasi altra persona sulla faccia della Terra. Era qualcuno che preferiva non farsi vedere in giro, che prediligeva restare in un discreto anonimato, mentre i suoi agenti portavano avanti i suoi interessi. Il fatto che fosse presente in quel momento e in quel posto era un’eccezione di portata inconcepibile, oltre che un fatto di cui nessuno dovesse essere a conoscenza: con l’esclusione dei suoi collaboratori più stretti, nessuno sapeva che era venuto personalmente a supervisionare uno dei progetti più importanti per la realizzazione dei suoi piani. "Sta già facendo abbastanza", replicò Keel Lorentz senza voltarsi. "Non è necessario che vada oltre". Yui aggrottò la fronte. Aveva l’impressione che il suo messaggio non venisse recepito. "Il clone di Adam non è il massimo che possiamo fare" spiegò lei. "E non siamo nemmeno sicuri che sia quello che ci serve! Se potessimo provare qualcosa di simile anche con Lilith, sono certa che riusciremmo a…". Le parole della giovane donna furono stroncate sul nascere quando il suo interlocutore si fermò all’improvviso. Per un lungo istante, Lorentz tacque, come se volesse accertarsi che Yui pendesse dalle sue labbra. "Non è necessario" disse infine "Quello che stiamo facendo adesso potrebbe consentirci di accelerare i tempi rispetto al copione previsto. Proceda secondo il progetto stabilito"

"Mi dispiace, ma non sono d’accordo". Yui cercò di sembrare il più risoluta possibile.

Apparentemente, questo ebbe l’effetto di far girare l’uomo verso di lei: "Questo è irrilevante. Segua le indicazioni". Ci fu un lungo silenzio, come se entrambi i due interlocutori fossero stati intenti a studiarsi, a cercare un punto debole nell’altro, a scoprire una breccia fatale nell’armatura che avrebbero voluto oltrepassare. Fu Lorentz a rompere quell’innaturale immobilità: "Non negherò che lei riesce a sorprendermi, Yui Ikari. Io potrei tenere la sua vita nelle mie mani, eppure, mi risponde in quel modo e senza mezzi termini. Mi chiedo quale ferocia nascosta si celi nel suo animo".

 

Anno 2015

"Fallo smettere! Papà, fallo smettere!". Le grida di Shinji risuonavano nell’entry plug e, attraverso il collegamento radio, in tutta la sala comandi del Geo Front. Gendo Ikari, immobile, contemplava la scena sullo schermo principale, mentre, qualche metro sotto di lui, i suoi subordinati osservavano sbalorditi quello che stava accadendo, quasi che le urla del ragazzo non fossero in grado di scuoterli dalla terrorizzata paralisi in cui sembrava essere stati sprofondati da quell’irreale combattimento. Due mostri si stavano scontrando. Chiunque non fosse stato a conoscenza dei fatti avrebbe scambiato la scena sullo schermo per la sequenza di un qualche film d’azione o di un qualche cartone animato di fantascienza messo insieme per fare soldi ma mascherato da lezione di vita.

"Metti fine a tutto questo! Dannazione! Vuoi fermarti?". Mentre l’Eva 01 afferrava ferocemente il collo dello 03, emettendo un basso gorgoglìo che sembrava provenire dalle viscere di chissà quale abisso, Shinji stringeva freneticamente le manopole del sistema di controllo, gridando la propria disperazione. Perché stava uccidendo una persona. Perché in quell’Eva c’era un pilota. Perché …. Non gli era chiaro esattamente il perché. Fu solo per un attimo, eppure, in quella precisa circostanza, a Shinji venne da chiedersi per quale motivo gli stesse così a cuore la vita di uno sconosciuto. Per quale motivo avrebbe preferito morire egli stesso piuttosto che ucciderlo. Fu solo un secondo. Gli balenò per la testa l’idea che quella sua reazione non fosse dettata dalle proprie convinzioni morali. Aveva vissuto la propria vita facendo quello che gli altri gli avevano detto. Gli era stato insegnato che uccidere era un male. Forse avrebbe preferito morire che confrontarsi con l’idea di avere compiuto un’azione così radicalmente contraria a ciò che gli era stato detto? Anche questo suo atteggiamento era dunque una ulteriore conferma della sua condizione imbelle e rinunciataria? Le circostanze non gli permisero di ragionarci sopra; e, più importante, forse lui non voleva ragionarci sopra. "Fermati! Fermati! Fermati! Fermati! Fermati!". In seguito, Shinji non avrebbe saputo dire esattamente quante volte avesse ripetuto quell’ordine, mentre lo 01 massacrava lo 03, mentre lo riduceva letteralmente in pezzi, mentre lo smembrava un arto alla volta, mentre trasformava la sagoma dell’Evangelion nero in un lago di sangue. "No, fermo!" fu l’urlo che il Third Children lanciò disperato quando vide l’entry plug dello 03 in mano allo 01. Un urlo disperato quanto inutile, perché la mano del gigante viola si chiuse inesorabile sul lucido cilindro metallico…

Se l’attenzione di qualcuno fosse stata puntata su di lei, Maya Ibuki sarebbe stata vista deglutire rumorosamente. All’interno di quella sala comandi, con l’eccezione della dottoressa Akagi e del comandante Ikari (e probabilmente anche del vice comandante Fuyutsuki), lei era l’unica a sapere esattamente cosa stesse succedendo. Quasi completamente, almeno. Non le era mai stato detto molto sulle reali caratteristiche degli Evangelion, ma sapeva che erano cloni di Adam. Sapeva su quale principio si basava il sistema di controllo di quegli enormi umanoidi e sapeva come funzionasse il dummy system. La funzione del dummy plug consisteva nel completare gli schemi mentali infusi nel nucleo dell’Evangelion con degli impulsi psichici copiati da una personalità compatibile. Quella di Rei Ayanami, nel caso specifico. Maya non sapeva con esattezza a chi appartenesse il modello mentale presente nello 01, né aveva mai cercato di chiederlo, benché la curiosità la divorasse: quello sembrava essere un argomento del quale la dottoressa Akagi non voleva parlarle. Però, pensò la giovane operatrice, c’era stato un essere umano che aveva fornito, seppure in maniera grezza, la propria personalità all’Evangelion. Un essere umano che era capace di una simile ferocia…. Tempo prima, aveva sentito dire che certe tare mentali, che erano alla base della follia di alcuni individui, erano ereditarie: e se la persona che aveva fornito all’Eva gli schemi mentali avesse avuto dei discendenti? Sarebbero stati altrettanto violenti e sanguinari come l’Eva si era dimostrato?

 

ANNO 2036

La creatura strisciò velocemente sul terreno. La sua lunga coda di serpente, che spuntava dal massiccio torso umanoide, si agitava continuamente, spingendo il suo grosso corpo. Un corpo che si poggiava su due snelle braccia ricoperte di scaglie verdastre, che terminavano ciascuna in quattro dita opposte a due a due. L’enorme capo della creatura, un muso allungato occupato quasi totalmente dalla bocca e completamente privo di occhi, si alzò. Le piccole narici del mostro fiutarono l’aria. La creatura sapeva di essere inseguita. I colossali alberi attraverso i quali si muoveva celavano il nemico alla sua vista, ma la minaccia era un odore quasi percepibile. Il mostro non aveva un nome vero e proprio: La gente che lo conosceva lo chiamava Demeter o, più raramente, Zebos. Chi lo aveva creato lo aveva chiamato Evangelion 10, ma quella denominazione ormai non gli si addiceva più. Il Third Impact lo aveva cambiato; o forse era stata semplicemente la sua natura mutevole, che rifletteva quella del suo progenitore. Quando si era liberato del rivestimento di pietra che lo aveva ricoperto dopo che aveva fatto parte dell’Albero della Vita, Demeter era cambiato. Le sue ali erano diventate più grandi e fragili, come degli enormi fogli colorati di giallo, di rosso e di azzurro, e su di esse si era spinto nel cielo, rilasciando sotto di sé qualcosa di cui nemmeno conosceva la natura. Un polline ignoto, un fertilizzante incredibile, che aveva seminato la terra, facendo crescere, nel giro di pochissimi anni, degli alberi ciclopici, che si innalzavano nel cielo per decine di metri. Zebos era stato padrone del proprio territorio, o almeno così credevano le popolazioni umane che gli vivevano vicino. Ma non era chiaro se all’Eva degenerato interessasse veramente dominare sugli altri esseri viventi. Forse si era limitato a vivere secondo la propria natura.

Non ci fu un suono, non ci fu un singolo rumore. Solo qualche foglia cadde a terra. L’Eva 04, reggendo la sonic glaive con entrambe le mani, cadde di schianto sulla schiena del 10, conficcando la propria arma dritta nel suo corpo, fino a quando la punta della colossale lancia si infisse nel terreno. In un disperato tentativo di fuga, Demeter spiegò le sue enormi ali da farfalla, mentre la sua bocca si apriva a lanciare un grido lacerante, che sembrava voler far crollare quei giganteschi alberi semplicemente con la propria presenza.

Lasciando l’arma, lo 04 cominciò a colpire ripetutamente la schiena dell’altro Eva; i pugni del titano nero sfondarono ben presto la spessa corazza di scaglie indurite che proteggeva Zebos; fiotti di sangue scuro bagnarono il terreno. Lo 04 spalancò la bocca ed emise il suo sibilo caratteristico, mentre la sua lingua sembrava agitarsi, come pregustando un pasto tanto feroce quanto naturale, come a preludere a un atto di cannibalismo bestiale eppure inevitabile.

 

C’era stato un periodo, molti anni prima, in cui l’interno dell’entry plug di un Evangelion era stato un posto comodo, quasi confortevole. Pieno di LCL che forniva ossigeno senza bisogno di respirare, cosparso di lucette e indicatori che consentivano di tenere sotto controllo la situazione, dotato di uno schermo multidirezionale che permetteva di vedere all’esterno.

L’entry plug dell’Eva 04 era un posto buio, asciutto e scomodo, dove il caldo era implacabile e dove l’ossigeno scarseggiava. Non era possibile vedere l’esterno in alcun modo. Però, seppure attutite, le urla di dolore dell’Eva 10 erano chiaramente distinguibili.

Ryoma Ikari sorrise.

 

Episode 38: Warmaster of Chaos

 

ANNO 992M41

La Power armour indossata dagli Space Marine era ritenuta una delle migliori protezioni della Galassia. Persino l’avanzata tecnologia della razza Eldar aveva difficoltà a riprodurre un tale capolavoro di tecnica. Le piastre di ceramite e plastacciaio che si connettevano su più strati, i canali che permettevano il collegamento con gli spinotti dorsali dei Marine, l’equipaggiamento a interfaccia neurale che consentiva ai soldati di usare i sistemi ausiliari come se fossero stati parti del proprio corpo, erano tutti elementi difficilmente riproducibili. Non era strano che queste possenti corazze fossero riverite come reliquie dai Capitoli dell’Adeptus Astartes; non sorprendeva che venissero conservate per millenni e che quelle appartenute ai più grandi eroi fossero concesse solo ai migliori guerrieri della propria generazione.

Eppure, la Power armour non era l’apice della tecnica di fabbricazione delle armature. C’era di meglio. La Tactical Drednought Armour era decisamente più riverita. E decisamente più temuta. La Tactical Dreadnought Armour somigliava molto alla Power armour, ma presentava alcune differenze sostanziali. Innanzitutto, era molto più grossa: un Marine che la indossasse superava facilmente i tre metri di altezza. In secondo luogo, non aveva un ‘collo’, per così dire: il casco, una protezione allungata, che includeva una telecamera personale e sistemi di comunicazione radio a breve distanza, era incassato direttamente sopra la piastra pettorale, in una sorta di alloggio corazzato che si innalzava oltre la testa del soldato, definendo l’effettiva altezza delle spalle dell’armatura. Poi, c’erano le armi, che erano costruite direttamente insieme alle braccia: per cambiare l’armamento di una Tactical Dreadnought Armour, bisognava smontarne tutta una parte. Le armi standard dei Marine imperiali che indossavano questa corazza erano lo storm bolter e il power fist, una sorta di enorme braccio sproporzionato, una gigantesca mano che, avvolgendosi in un campo di forza generato autonomamente, era in grado di abbattersi sul bersaglio sfasciando strati e strati di corazza, annientando persino carri armati ed edifici. Fin dalle sue prime apparizioni sui campi di battaglia, ai tempi della Grande Crociata, la Tactical Dreadnought Armour si era guadagnata una reputazione di solidità ed efficienza, tanto che sia la corazza stessa che chi la indossava avevano cominciato a essere chiamati ‘Terminator’.

Tradizionalmente, tra gli Space Marine, i Terminator erano i veterani, gli appartenenti alla Prima Compagnia del Capitolo. Solo i soldati migliori e gli ufficiali, e nemmeno tutti, avevano il diritto di indossare la Terminator armour. Una tradizione che le Legioni Traditrici, entro certi limiti, continuavano ad applicare.

Tra i Marine del Caos, tipicamente, le Terminator armour erano riservate ai guerrieri scelti della singola formazione combattente o alla guardia del corpo personale del comandante; spesso, queste due posizioni coincidevano.

Nella capitale di Novet, c’era un grande palazzo, nel quale era stato solito riunirsi il Consiglio dei nobili (quasi interamente ecclesiastici, in questo caso), che decidevano la politica del pianeta. Il palazzo aveva un ampio cortile, un inno al lusso sfrenato in cui la casta dominante si crogiolava, un posto in cui raffinati labirinti di siepi circondavano fontane scolpite nel marmo da cui zampillava quell’acqua che era il principale oggetto di desiderio dei ceti poveri della città. E, in quello stesso cortile, Isaac Cornelius attendeva. Con i suoi due metri e quarantasei, Cornelius era alto anche per gli standard degli Space Marine; la sua Power armour nera non faceva che accrescerne le dimensioni. Cornelius, contrariamente a molti suoi commilitoni, non era particolarmente vecchio: era in vita da poco più di quattro millenni. Era stato uno di quei bambini che venivano rapiti dai Marine del Caos in tenera età, sottoposti al procedimento di bio-elaborazione e fatti unire all’esercito quando il procedimento era concluso. In un certo senso, non aveva mai avuto una vera possibilità di scelta, ma la cosa non lo preoccupava. E nemmeno ci pensava molto: mentre camminava impaziente avanti e indietro per il cortile, il mantello viola che gli sfiorava le caviglie, l’unica cosa che aveva in mente era quello che stava per succedere. L’arrivo del suo diretto superiore.

Le elucubrazioni di Cornelius vennero interrotte quando un suo commilitone gli si parò di fronte. "Signore," disse il Marine del Caos alzando gli occhi per incontrare le fredde lenti rosse del casco del suo superiore, dal quale si innalzavano due grosse corna avvitate e ricurve, "abbiamo appena ricevuto la comunicazione che attendevamo: il rituale di teletrasporto è stato avviato". Il Signore del Caos si limitò ad annuire e si girò verso il centro del cortile. L’aria sembrò tremolare debolmente, quasi che una serie di sottilissime lame la stessero tagliando, calando dall’alto verso il basso. Era come se una pioggia di stiletti trasparenti fosse stata sul punto di tagliuzzare la realtà. Poi, poco a poco, quegli stiletti parvero ruotare su se stessi, assumendo colore, un lucido nero che pareva anche più irreale della trasparenza. E il nero sembrò turbinare, fondersi con se stesso, mescolarsi con altri stiletti del colore dell’osso, del metallo e dell’oro, dando forma a massicce sagome più grosse dello stesso Cornelius, generando dieci colossali figure contenute a malapena nell’angusto cortile.

Dieci Terminator erano appena comparsi davanti al Signore del Caos; appena riconobbe quello che era al centro del gruppo, la sua reazione fu quella di inginocchiarsi sulla gamba destra e chinare il capo. Lo aveva riconosciuto ancor prima che il teletrasporto fosse completato.

Il Terminator che guidava la squadra era diverso dagli altri. Tutte le Terminator armour avevano almeno quattro alte picche su ciascuna spalla, sulle quali erano impalati teschi e trofei; quelle dell’uomo al centro erano le più pesanti e ornate. Tutte le Terminator armour erano bordate di barocchi lavori di cesello di un freddo colore metallico; quella dell’uomo al centro aveva le bordature d’oro, dello stesso oro che colorava l’occhio stilizzato sulle spalliere destre di tutti i guerrieri appena arrivati. Tutte le Terminator armour erano dotate di un’arma da fuoco. Tre di queste armi erano costituite semplicemente da una coppia di bolter montati insieme; due erano formate da un bolter unito a un meltagun (un’arma in grado di sparare potenti raggi termici), una era un bolter fuso con un lanciafiamme, tre erano dei bizzarri e minacciosi cannoni a due canne. L’uomo al centro, al braccio destro dell’armatura, aveva un enorme artiglio, una mano sproporzionata dotata di cinque unghie dorate, sulla quale era montato uno storm bolter. Tutti i Terminator avevano nella sinistra un’arma da mischia: una mortale chain-axe, un’ascia con una motosega al posto della lama; una minacciosa power mace, una mazza che risplendeva di energia crepitante; una brutale power axe, una gigantesca ascia risplendente per il campo di forza in cui era avvolta. L’uomo al centro impugnava nella mano d’acciaio una colossale spada, la cui lama sembrava tagliare la realtà stessa, una sorta di fiamma solida che si agitava dei volti e delle anime che gridavano e si contorcevano al suo interno. Tutti i Terminator portavano un casco allungato, dal quale spuntavano corna e zanne demoniache; l’uomo al centro mostrava il suo volto, i suoi tratti delicati e quasi infantili, la sua testa praticamente nuda, con i capelli raccolti in un altissimo panno rosso, che li sollevava in una sorta di morbida colonna a più di un metro e mezzo sopra il capo, coronandoli con il simbolo di un teschio, per poi farli ricadere sul viso del loro proprietario. Capelli neri, lisci e sottili, della consistenza della seta. Che toccavano un volto appesantito da un trucco nero, che scendeva sotto gli occhi formando due strisce di irreali lacrime, che campeggiava sulla fronte disegnando un occhio enorme e demoniaco, che sul mento si innalzava in una linea sottile verso la piccola bocca.

L’uomo al centro aprì gli occhi, neri e sottili, e fece un passo avanti, guardando Corneluis: "Alzati, Isaac" disse con voce calma e quasi suadente. Il Signore del Caos ubbidì. "Sono soddisfatto del tuo lavoro" continuò il nuovo arrivato "Hai preso la città nel giro di poche ore, come promesso. Hai provveduto a catturare lo spazioporto. Confido che tu abbia anche preparato delle squadre con le quali presidiare i principali punti strategici ai fini della caccia".

"Signorsì, signore" replicò Cornelius annuendo vigorosamente.

Il guerriero in Terminator armour sorrise e il suo viso sembrò davvero quello di un bambino: "Sei sempre fin troppo formale, Isaac. Se hai fatto come ti avevo detto, la trappola dovrebbe essere tesa. Fabius Bile e la sua immonda progenie stavolta saranno nostri"

"Mi accerterò che siano abbattuti, signore"

"No, Isaac. Non devono essere abbattuti. Li voglio vivi. Lui e la ragazza. Non deve essere loro torto un capello"

"Ma signore, pensavo che…"

"Che li volessi morti solo perché ho fatto distruggere l’ultimo pianeta su cui li avevamo localizzati? No, quello non era che un avvertimento. Volevo che Bile si sentisse braccato, perché io non mi nascondo quando dò la caccia alla mia preda. Adesso che sono qui, lo prenderò personalmente e poi lasceremo questo mondo. Qui non c’è niente che ci interessi".

Senza aspettare una risposta, l’uomo si incamminò verso l’uscita del cortile. L’incedere lento e monotono delle pesanti Terminator armour della sua scorta contrastava violentemente con i suoi passi che, pur gravati dall’armatura, sembravano leggeri e spontanei, di una grazia soprannaturale. Quello era l’uomo che l’Imperium considerava il proprio nemico principale da più di diecimila anni. Quello era l’uomo che era stato Capitano della Prima Compagnia dei Luna Wolf. Quello era l’uomo che aveva avuto la stima e l’amicizia di Horus. Quello era l’uomo che veniva chiamato anche Arcidiavolo, Tre Volte Maledetto, Flagello del Settore Gotico, Condottiero di dodici Nere Crociate. Quello era Abaddon il Profanatore, Maestro di Guerra del Caos.

 

Logan frugò per una manciata di secondi nella tasca sinistra del soprabito, poi il suo viso si contrasse in un ghigno: aveva trovato quello che stava cercando. Perdere qualcosa di tanto importante nello scontro con Dexter lo avrebbe seccato, ma era stato fortunato. Estrasse dalla tasca un piccolo oggetto metallico, apparentemente una confezione di carne in scatola; concentrò la propria aura nella punta del dito, che cominciò a brillare di una luce purpurea, e la passò velocemente sul bordo dell’oggetto. Il coperchio della scatoletta, tagliato dall’energia psichica, si aprì lentamente. Logan piegò quello che ne restava ed estrasse dalla scatola qualche pezzetto di carne secca. "Ma ti sembra il caso di mangiare?" domandò Megan prima ancora che lui potesse portarsi il cibo alla bocca. "Oh, non preoccuparti," replicò Logan con noncuranza "ho una fiaschetta d’acqua nell’altra tasca". "Non intendevo questo!" sbottò la ragazza. "Ti rendi conto della situazione in cui ci troviamo? E ti metti a mangiare?".

Il giovane psyker lanciò un’occhiata diffidente all’Inquisitrice, poi portò lo sguardo dritto davanti a sé. L’Evangelion 01 era lì, in piedi di fronte a lui. Immobile. Era già passata una decina di minuti da quando si era alzato, aveva emesso una sorta di strano grugnito e aveva sollevato le mani più o meno all’altezza dello stomaco, lasciandole lì, un palmo di fronte all’altro. Da allora non si era spostato di un millimetro. Era rimasto assolutamente fermo, come un’enorme statua, come ad attendere qualcosa.

"Perché non dovrei poter mangiare?" chiese Logan ficcandosi in bocca il primo pezzo di carne. "Io ho fame". Megan sbuffò spazientita. Ogni volta che incontrava quel tale, succedeva qualcosa di sgradevole e, questo la seccava anche di più, lui sembrava comportarsi in maniera tanto disinvolta da impedirle di capire se non si rendesse conto della situazione o se avesse una totale fiducia in se stesso. Probabilmente, una combinazione di entrambi gli atteggiamenti. "A questo punto, l’eliminazione di questo tipo passa in secondo piano" commentò Alexandra lanciando un’occhiata verso la testa del titano, ora molto più minacciosa di quando era stata mezza sepolta nella sabbia. "Dobbiamo avvertire il signor Zdansky, anche se probabilmente avrà percepito l’aura del demone e starà già immaginando che stia succedendo qualcosa". "Tu la fai facile, ma io ho l’impressione che la situazione ci stia sfuggendo di mano" rispose Megan incrociando le braccia sul petto e squadrando la compagna con disapprovazione. "E quando mai ce l’abbiamo avuta in mano?" chiese Logan senza spostare lo sguardo dall’Eva. "La verità è che non sappiamo ancora esattamente come abbia fatto questo coso a muoversi, né perché si sia fermato in quella posizione. Forse avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento, o forse ha reagito a qualche elemento del quale non siamo a conoscenza".

"Di certo non l’ho spostato io".

Quella voce fece girare le teste di tutti. Dietro Logan, Megan e Alexandra, Erin guardava a propria volta l’Evangelion, l’espressione impassibile come al solito. Logan aggrottò la fronte: "Che cazzo ci fai qui?" domandò, mentre continuava a masticare la carne secca. "Non dovresti essere a bordo dell’Evangelion?". "Non sono stata io a muoverlo, te lo ripeto. Non mi sono mai avvicinata all’unità 01. Quando sono arrivate loro – indicò Megan e Alexandra – e hanno cominciato a combattere contro quel tizio, io mi sono nascosta per evitare che mi catturassero".

"Aspettate un attimo" intervenne Megan, "Qui c’è qualcosa che non mi torna: perché questa ragazza dovrebbe poter muovere quell’affare? E perché lo chiamate ‘Evangelion’ e ‘unità 01’? Cosa ne sapete esattamente?". "Buone domande", convenne Alexandra annuendo con il capo "E spero che possiate darci delle buone risposte". "È un casino" spiegò Logan scuotendo il capo "C’è dietro tutta una storia della quale non si capisce una fava. L’Evangelion dovrebbe essere il clone di un demone creato su Terra per combattere contro degli altri mostri. E ce n’erano anche altri come questo qui. Però, sembra che servissero anche per qualche altro scopo, oltre che combattere, e che abbiano causato un cataclisma, o roba simile…". "Ma sì, ma sì,", tagliò corto Megan "abbiamo sentito quello che dicevate tu e quell’agente degli Illuminati. Ma nel vostro discorso c’erano molti punti oscuri dei quali non avete parlato, e…". Le proteste dell’Inquisitrice furono stroncate sul nascere: un’aura era comparsa improvvisamente davanti al gruppetto. "Che stronzo!", sbottò Logan, come se la cosa non lo sorprendesse, "Guarda un po’ dove era finito!".

Camminando goffamente (come era normale per un Orketto) tra le gambe dell’Evangelion, mezzo celato dalla cortina di polvere sollevata dall’umanoide, che non si era ancora abbassata, Gutzmaak stava avanzando verso il gruppetto. "Si può sapere dove ti eri infilato?" chiese Logan senza smettere di mangiare (ma anzi estraendo la fiaschetta d’acqua e tirando una sorsata). L’Orketto si mise davanti al compagno di sventure e sfoderò uno dei suoi sorrisi, quelli che normalmente venivano scambiati per ringhi minacciosi: "Sono stato a kompiere la missione!" dichiarò soddisfatto. Il ragazzo aggrottò la fronte: quando Gutzmaak era così convinto, significava che stava per succedere qualcosa di brutto. L’Orketto frugò freneticamente tra le tasche della sua tuta mimetica rossa e viola. Dopo una manciata di minuti di affannosa ricerca, estrasse un bizzarro pezzo di materia di un colore rossiccio-brunastro. "Ekko kui!" esclamò trionfante. Megan si avvicinò alla mano di Gutzmaak, esaminando incuriosita l’oggetto. "Che roba è?" domandò perplessa. "La sua karne!" rispose il pelleverde con un altro sorriso indicando lo 01. "L’ho presa senza ke se ne akkorgessero! Sono veramente figo!". Logan rimise distrattamente in tasca la scatola di carne e la fiaschetta d’acqua; impiegò un paio di minuti a togliersi dai denti i resti di cibo usando le unghie e poi guardò Gutzmaak negli occhi: "E che cazzo me ne dovrei fare di quella roba?". L’Orketto non ebbe mai il tempo di rispondere: davanti agli occhi suoi e del ragazzo balenò un lampo nero. Un’ombra, una sorta di macchia di tenebra che sembrava essere sbucata dal nulla, come se fosse stata evocata all’improvviso direttamente dall’Immaterium. Un attimo dopo, la macchia si fermò, solo a qualche metro di distanza dai due. Era un essere umano. Il mantello che aveva sulle spalle aveva il grigio colore della sabbia di Novet (benché fosse ben visibile che era foderato di nero) e la tuta che indossava, che gli copriva anche la testa con una sorta di patina aderente, era di quel colore oscuro che era passato davanti a Logan e Gutzmaak un secondo prima. Nella mano destra, l’unica che spuntava da sotto il mantello, l’uomo stringeva il pezzo di carne dell’Evangelion che, fino a qualche secondo prima, era stato in possesso dell’Orketto. E, cosa ben più preoccupante, quella mano era avvolta in un guanto sul quale erano montate quattro lame, una in corrispondenza di ciascun dito opposto al pollice.

"Devo dire che mi avete sorpreso", commentò l’uomo, "Non è facile sfuggire alla nostra sorveglianza, né sconfiggere i nostri agenti". "Uno degli Illuminati, suppongo" chiese Logan alzando istintivamente i pugni. "Chiamatemi Charles, se volete proprio darmi un nome. Non che vi serva, visto che in realtà non mi chiamo così, ma se può rassicurarvi…". "Come diavolo hai fatto ad avvicinarti senza che percepissimo la tua aura?" domandò Alexandra camminando davanti all’uomo, come a volergli chiudere ogni via di fuga tra sé e Megan.

"Hai mai sentito parlare di quella cosina chiamata aegis suit?". Charles indicò il proprio petto. "Si tratta di una tuta nella quale vengono inseriti dei minuscoli circuiti in grado di interferire con i poteri degli psyker. Chi la indossa è quasi immune agli attacchi psichici di basso livello e ha una discreta probabilità di restare illeso anche contro quelli potenti. Per lo stesso principio, l’aegis suit blocca anche le emanazioni dell’aura provenienti dal proprio interno, quindi non potete localizzarmi basandovi sulle vostre percezioni".

Logan fece un passo avanti: "Perché hai rubato quel pezzo dello 01? Pensavo che voi Illuminati voleste recuperarlo tutto"

"Era il nostro scopo, in effetti. Però, ho appena ricevuto una comunicazione dalla nostra astronave, che si trova in orbita attorno a Novet. Dice che il pianeta è sotto attacco da parte di alcuni avversari parecchio problematici, quindi non potremmo riuscire a fuggirne con una nave abbastanza grande da contenere l’Evangelion, perché, per fare una cosa del genere, ci servirebbe lo spazioporto, che è già in mano nemica. Di conseguenza, recupererò un pezzo dello 01 e porterò via quello, poi provvederò a dare indicazioni affinché questo pianeta, e l’Evangelion con esso, vengano annientati. È un peccato, ma non possiamo rischiare che qualcosa di così prezioso finisca nelle mani di gente come Bile, Zdansky o peggio"

"Tutta questa storia mi sta un po’ rompendo le palle!", sibilò Logan aggrottando la fronte. "Ma quanta gente c’è che conosce cose che nessuno dovrebbe conoscere?"

"Troppa, è vero", convenne Charles. "Ma non preoccuparti, la mia organizzazione cerca di fare in modo che ce ne sia la minor quantità possibile"

"Di certo adesso ce ne sarà uno in meno", commentò Megan spostandosi dietro l’Illuminato.

Un sibilo. Il pugno della ragazza fendette l’aria, mentre il mantello grigio di Charles balzava. Un secondo dopo, l’uomo dai guanti artigliati atterrò dietro alla ragazza; la sua mano destra si mosse con una velocità sovrumana, quasi ultraterrena. L’immagine che si presentò a Logan subito dopo era quella di Megan che aveva bloccato il colpo intercettando al volo la mano destra dell’uomo, intrecciando con le dita di questa quelle della propria mano sinistra. "Merda!", sibilò la ragazza ritirando istintivamente il braccio e saltando all’indietro. "Ma come diavolo fa a muoversi così velocemente senza essere uno psyker?".

Charles sghignazzò: "Droghe da combattimento. Incrementano i riflessi e la potenza muscolare. E ti riducono il cervello a una pappina molliccia e al sapore di prugna, ma non è che ci sia molta scelta quando devi combattere contro individui dotati di poteri psichici. Non ti sembrava strano che fossi uscito allo scoperto nonostante voi foste in superiorità numerica? Il fatto è che ho qualche asso nella manica che mi pone comunque in vantaggio rispetto a voi….". l’Illuminato abbassò la propria maschera, mostrando i tratti affilati e il naso aquilino, poi cominciò a frugare tra le tasche del mantello. Un attimo dopo, ne estrasse un bizzarro boccaglio rotondo, al quale erano fissati due piccoli tubi, e un cilindro metallico nerastro, sulla superficie del quale spiccava una specie di piccola ventosa. Sorrise e lo prese tra i denti per la ventosa.

Poi saltò.

Un rapido volteggio su se stesso a mezz’aria: questo fu tutto ciò che fece. Se coloro che lo stavano guardando non fossero stati psyker, probabilmente non avrebbero mai visto i minuscoli oggetti sferici che erano usciti dal suo mantello durante quel volteggio ed erano caduti tra i presenti.

Logan non aveva mai visto qualcosa di simile: quelle piccole sfere metalliche, grandi nemmeno come il palmo di una mano, con un minuscolo foro sulla sommità, non erano di certo esplosivi: se così fosse stato, quel tizio non le avrebbe certo lanciate così vicino. Piuttosto, dovevano avere qualcosa a che fare con il boccaglio che stava usando….

Nemmeno Megan si era mai trovata ad avere a che fare con quegli affari, ma capì al volo cosa fossero: ne aveva sentito parlare durante l’addestramento.

E anche Alexandra: si ritrasse istintivamente, quasi senza accorgersene.

Gutzmaak, contrariamente a tutti gli altri, si avvicinò incuriosito.

Poi, come rispondendo a un muto ordine, le sfere cominciarono a sibilare contemporaneamente. Un sibilo penetrante e continuo, quasi irritante. Accompagnato subito dopo da un gas purpureo che fuoriusciva dal foro di ciascuno di quegli oggetti.

"Gas soporifero ad azione rapida", spiegò Charles. "Addormentatevi pure, che poi vi faccio fuori con calma uno per uno".

"Merda!" sibilò Logan mentre le sue palpebre si facevano pesanti. Cercò istintivamente Erin con la mano e trovò il suo braccio. "Andiamocene, presto!" sibilò mentre cercava di saltare al di fuori della nube di gas che si stava lentamente alzando dal terreno. Non gli ci volle molto: un paio di rapidi salti all’indietro lo portarono al di fuori del raggio d’azione di quella micidiale sostanza gassosa, ma il problema restava. I piedi dell’Evangelion 01 erano ora avvolti in una nube soporifera impenetrabile e chi avrebbe potuto dire quanto tempo ci sarebbe voluto prima che si disperdesse?

Logan girò istintivamente il capo: alla sua sinistra, Megan e Alexandra sembravano avere preso la sua stessa decisione, portandosi velocemente al di fuori del raggio d’azione del gas. Ma Gutzmaak? Era rimasto lì. Non era riuscito ad andarsene in tempo e si era addormentato? Lo psyker aggrottò la fronte: quell’agente degli Illuminati aveva un campione dello 01. Se il recupero completo dell’Eva era ormai quasi impossibile, almeno portare a Bile un suo pezzo di carne avrebbe potuto concludere parzialmente la missione. "Gutzmaak!" gridò il ragazzo, senza realmente sperare in una risposta. Risposta che invece arrivò: "Sono kui!". La voce dell’Orketto sembrava essere tutt’altro che affaticata. "Prendi il campione di carne dell’umanoide ed esci di lì, sbrigati!" esclamò Logan urlando a pieni polmoni. "Adesso lo stendo!" rispose il pelleverde, sempre senza una traccia di stanchezza nelle sue parole.

"Maledizione!", esclamò Megan, "L’Orketto deve essere immune all’effetto del gas, ecco perché non si è ancora addormentato!". Logan afferrò l’occasione al volo: "Stammi a sentire! Io torno da Bile a informarlo dell’accaduto! Tu sistema quel tizio, recupera il frammento dell’umanoide e riportalo in città, hai capito?".

"D’akkordo!"

"Diamoci una mossa" disse il giovane rivolto a Erin.

Alexandra lanciò un’occhiata a Megan. "Ma sì, ma sì, ho capito!", disse quest’ultima prima che la compagna potesse parlare. "Vado a cercare il signor Zdansky e gli riferisco tutto, mentre tu stai qui a controllare la situazione. Se vincesse l’Orketto, lo farai fuori appena uscirà dalla nube, se vincesse quel tizio, anche. Ci vediamo".

 

"Non pensavo che gli Orketti fossero immuni al mio soporifero" commentò Dexter, allungando davanti a sé l’artiglio sinistro, mentre piegava il braccio destro contro il busto. Per tutta risposta, Gutzmaak portò la mano dietro la schiena e ne prese la grossa ascia bipenne, facendola poi volteggiare un paio di volte sopra la testa. Il sogghigno delle sue zanne giallastre avrebbe impaurito un uomo qualsiasi. "C’è una cosa che devi sapere", continuò l’agente degli Illuminati, riuscendo incredibilmente a parlare pur tenendo il boccaglio fra i denti. "Io non sono uno psyker come Dexter e non sono abile come Ward con le armi da fuoco. Mi piace credere di essere uno che pensa con attenzione a quello che fa. Non mi sarei mostrato così platealmente, se avessi ritenuto di mettermi in serio pericolo. È vero che non pensavo di doverti affrontare ora, ma comunque tutte le circostanze sono a mio vantaggio. Adesso ci divertiamo".

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Capitolo 14
*** Episodio 39: “che ne diresti di acquisire un potere che ti permetta di strappare Yui allo 01 con le tue sole forze?”/ “I’ll take you with me. What’s your name?” ***


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‘Addossatevi al vostro Imperatore se vi fa sentire al sicuro. Non può salvarvi, perché solo il Caos è eterno…’

Endemion, Warsmith degli Iron Warrior

 

Episodio 39: "che ne diresti di acquisire un potere che ti permetta di strappare Yui allo 01 con le tue sole forze?"

 

ANNO 2004

Gendo Ikari aveva un problema: faceva fatica a esternare le proprie emozioni. In realtà, lui non lo viveva come un limite: non gli importava più di tanto che gli altri capissero quello che provava. Con il tempo, era arrivato a pensare alla sua incapacità di esternare i propri sentimenti più come a un vantaggio che come a un intralcio. Lo aveva favorito in parecchie occasioni sul lavoro, consentendogli di superare dei concorrenti agguerriti. Ma, sebbene qualcuno lo negasse con forza, anche Gendo Ikari era umano e anche lui era preda di se stesso, esattamente come tutti i propri simili. O forse un po’ meno, o almeno così gli piaceva credere. Preda delle proprie emozioni. Non riusciva ancora a definire in altro modo lo stato in cui si trovava in quel momento. Solo pochi giorni prima, sua moglie Yui era rimasta vittima di un incidente durante l’esperimento di attivazione dell’unità Evangelion 01; un incidente che, con tutta probabilità, gliel’aveva tolta per sempre. Seduto alla sua scrivania alla sede del Gehirn, lo sguardo perso nel vuoto tra i giochi di luce che il sole del tramonto proiettava oltre le vetrate, gli sembrò di rivedere Fuyutsuki, ricordando il giorno in cui, in quella stessa stanza, era venuto a minacciarlo di rendere pubblica la verità sul Second Impact. Fuyutsuki! Aveva sempre avuto una predilezione per Yui, nonostante non fosse chiaro fin dove questa predilezione arrivasse. E, per dirla tutta, a Gendo Ikari non importava nemmeno granché. All’inizio, non gli era importato perché non era stato particolarmente interessato alla stessa Yui: lei era stata solo un mezzo per arrivare alla Seele, uno strumento che gli avrebbe dovuto permettere il classico "salto di qualità". Poi, non gli era importato perché la relazione con quella ragazza, tanto più giovane di lui, eppure tanto più decisa e brillante, lo aveva coinvolto oltre qualsiasi limite di guardia. Gendo Ikari pensava talvolta che essersi innamorato di Yui fosse stata una sorta di compensazione a una vita passata a tenersi dentro tutti i propri sentimenti. E il dolore, la rabbia e la frustrazione che provava ora, che sapeva di non poterla più rivedere, dovevano essere il mezzo di espiazione che una qualche dio feroce gli aveva caricato sulle spalle.

Gendo Ikari chiuse gli occhi e piegò la testa all’indietro sullo schienale della poltrona; si sollevò gli occhiali sulla fronte con la mano sinistra e si afferrò la base del naso con l’indice e il pollice della destra, sospirando per la stanchezza che lo aveva assalito anche se non aveva fatto assolutamente niente. Si risistemò gli occhiali, tornò ad abbassare la testa e aggrottò la fronte, cercando di guardare meglio davanti a sé. Aveva la netta impressione che ci fosse qualcuno davanti a lui. Poi, con più chiarezza, vide una sagoma umana, nascosta dalla luce che entrava dalle vetrate, era in piedi davanti alla scrivania, a circa tre metri di distanza. Curiosamente, la luce sembrava disporsi su quell’individuo come se fosse stata dotata di volontà propria, come se avesse voluto deliberatamente celarne l’aspetto.

Ikari non disse una parola: aveva l’impressione che chiedere a quel tizio chi fosse lo avrebbe messo in una posizione di svantaggio. Ma, considerò subito, sarebbe stato molto peggio restare lì per minuti interi senza dire niente. "Sì?", domandò infine, ritenendo che quella parola non lo scoprisse troppo. Continuava a chiedersi come avesse fatto quell’uomo ad entrare senza che lui se ne fosse accorto. Sembrava essersi materializzato tra i raggi del sole.

"Sono qui per farti le mie condoglianze", disse il nuovo arrivato, una voce asciutta e inespressiva, "Deve essere difficile perdere la propria amata consorte dopo solo due anni di matrimonio".

Ikari giudicò che la situazione non permettesse più né convenevoli né comportamenti di facciata: "Chi sei? Come hai fatto a entrare nel mio ufficio senza farti annunciare?". La sua voce era rimasta impassibile, ma la minaccia dietro quelle parole era evidente.

Ma lo straniero sembrò non coglierla e rispose con tranquillità disarmante: "Quando nacqui, mi fu affibbiato un nome, ma la lingua che parlavano i miei genitori è ormai morta da tempi immemorabili. Ora uso diversi nomi a seconda delle circostanze; non è necessario che tu ne conosca uno in particolare. Quanto al sistema che ho usato per entrare… be’, non hai alcuna esperienza in merito, quindi non ti sarebbe facile comprendere una spiegazione".

"Sono un tipo aperto alle novità", replicò Ikari inespressivo, mentre faceva scivolare la mano sotto la scrivania per premere il pulsante che avrebbe richiamato gli uomini della sicurezza (che avrebbe poi provveduto a far licenziare non appena lo avessero liberato di quel fastidioso intruso).

"Diciamo che ho fatto qualcosa che mi piacerebbe chiunque potesse fare, anche se questo sarà possibile solo in un lontano futuro… Ero fuori da questo posto e ho desiderato di entrare. Per fare ciò, ho spostato il mio corpo materiale in una realtà parallela a quella che conosciamo, l’ho mosso nuotando per le correnti di quella realtà e ho trovato la marea che mi ha condotto a un punto diverso dell’universo in cui viviamo. Quello in cui mi trovo ora, per l’appunto".

"Interessante…". Stava solo cercando di prendere tempo. Ikari stava solo cercando di far parlare quell’uomo, nell’attesa che arrivassero i sorveglianti.

"Ah, giusto per chiarire un punto, lascia che ti spieghi che l’allarme che hai appena premuto non ha richiamato nessuno. Devo parlarti di argomenti troppo importanti, non posso permettere alcuna interruzione".

Stavolta Ikari deglutì, anche se cercò di non farlo notare. Doveva trovare un modo per uscire da quella situazione. Per ora, tanto valeva dare corda a quel pazzo: "Ti ascolto".

"Tua moglie non è propriamente morta, come ti ha spiegato Naoko Akagi. Ma il piano che ti ha proposto per tentarne il recupero fallirà, te lo garantisco; non avrò nemmeno bisogno di intervenire, perché la verità è che la stessa Akagi vuole che fallisca. Eppure, tu hai comunque un modo per rivedere Yui". Nessuna risposta. L’intruso giudicò di dover continuare: "Come sai, il presidente Keel non ha intenzione di rinunciare al proposito che lo ha portato a realizzare il Second Impact, ma le sue teorie necessitano di uno studio più approfondito e di strutture appropriate, che non saranno del tutto operative ancora per molto tempo. Anche se devo ammettere che il mio piano originario ha subito qualche variazione, tutto sta andando più o meno come previsto: i Rotoli del Mar Morto sono nelle mani della Seele e loro li seguiranno con diligenza. Ma questo non ti riporterà Yui".

"Vieni al punto". Gendo Ikari si stupì di se stesso: non era da lui diventare impaziente in quel modo. Che la speranza di poter rivedere Yui lo avesse reso così ansioso? Era evidente che quel tizio non era un pazzoide qualsiasi: sapeva troppe cose.

"Certo, scusa. Tendo a divagare, me lo dicono tutti. Quello che cercavo di dirti è che il Third Impact che vuole la Seele non è necessariamente l’unico possibile. Riflettici: hai Lilith praticamente nelle tue mani, intendi lasciarti sfuggire un’occasione tanto irripetibile?"

"Cosa vuoi dire esattamente?"

"Molto semplice: che ne diresti di acquisire un potere che ti permetta di strappare Yui allo 01 con le tue sole forze? Se Yui è diventata LCL e si è fusa con il nucleo dell’Eva, per riportarla indietro non ti resta che riuscire a controllare qualcuno che possa creare l’LCL e dominarlo a piacimento. Qualcuno come Lilith, per esempio. Non ti nascondo che sarà un procedimento lungo e difficile. Ma un sistema c’è". L’uomo uscì dalla luce e si avvicinò alla scrivania. Poggiò le mani sul bordo e si allungò verso il proprio interlocutore. Ikari fu infastidito nel vedere che, anche ora, che la faccia dell’intruso si trovava a pochi centimetri dalla sua, non riusciva a distinguerla assolutamente. "Un tramite!", continuò l’uomo, "Ti serve un tramite che faccia da mezzo di comunicazione tra te e Lilith, innanzitutto. Poi ti serve Adam, perché solo per mezzo del suo potere avrai la facoltà di controllare direttamente la madre dell’umanità. Ma avrai Adam al momento opportuno: per ora, preoccupati del tramite. Ti serve una creatura abbastanza umana da obbedirti e abbastanza demoniaca da poter entrare in sintonia con Lilith. Ti serve un ibrido, in altre parole. Io ti spiegherò come ottenerlo".

"Perché mi vuoi aiutare? Cosa ci guadagni?".

L’uomo tornò a mettersi in piedi, ritto davanti alla scrivania: "Non sono solo io a guadagnarci, ma tutta l’umanità. In questo universo, e nell’altro di cui ti parlavo prima, ci sono delle minacce che non puoi nemmeno immaginare e, ora come ora, la razza umana non è preparata ad affrontarle. L’umanità deve evolversi. Deve acquisire poteri simili ai miei, o perirà. Quello che voglio è che Lilith scateni il Third Impact, ma questo Third Impact deve fallire. Gli uomini devono diventare LCL per entrare in comunione con il Caos, ma poi devono tornare a essere uomini. A quel punto, il loro codice genetico sarà contaminato e, con il passare delle generazioni, si evolveranno per diventare psyker. Ma il fatto è che Keel vuole che l’umanità resti per sempre fusa con se stessa, quindi mi serve qualcuno che faccia fallire il suo piano. Adesso sto facendo leva sulle tue motivazioni perché voglio che sia tu questo qualcuno. Ma nemmeno quello che ti sto proponendo è ciò che voglio: al momento opportuno, farò in modo che tu sia tradito".

"Non è molto intelligente da parte tua dirmi in anticipo che mi vuoi tradire"

"Non ti preoccupare: ricorderai solo ciò che voglio tu ricordi. Prima di andarmene, provvederò a cancellare dalla tua memoria tutto ciò che non mi serve tu sappia, compreso il ricordo di avermi incontrato".

"Se sei tanto abile a manipolare la mente delle persone, perché non fai direttamente quello che ti sei proposto? Ti sarebbe così difficile ottenere tutto ciò che ti serve?".

"Ci sono tre motivi per cui non posso fare come dici. Innanzitutto, non è ancora tempo che l’umanità sappia della mia esistenza. Se mi rivelassi al mondo, sarei preso per pazzo e nessuno crederebbe alle mie parole, perché nessuno immagina l’esistenza di certe cose. In secondo luogo, il combattimento contro Adam che ho sostenuto quattro anni fa ha prosciugato completamente i miei poteri. Mi ci vorranno altri anni per riprendermi completamente. Devo risparmiare energie, quindi ho deciso di agire solo sulle persone che possono avere un ruolo importante nel mio progetto, anche perché ritengo che mi servirà tutta la mia forza per resistere al Third Impact. Infine, come ti dicevo, sono necessarie diverse strutture apposite per ottenere quello che voglio e servirà molto tempo perché siano completamente operative. Ma adesso basta divagare: sto per spiegarti come ottenere il tuo ibrido, quindi ascoltami bene…".

 

ANNO 2016

Rei Ayanami aprì la porta ed entrò nel suo appartamento. Era la prima volta che lo vedeva, ma ci era già stata. Lo ricordava chiaramente. Una sensazione strana, come non aveva mai provata prima. Ma non faticava a capire cosa le stesse succedendo: lei era la terza. Aveva ereditato i ricordi della seconda. Erano quei ricordi che ora vedeva come proprie esperienze. Erano quei ricordi che costituivano la sua intera vita, benché non l’avesse mai vissuta. Sapeva di essere stata confinata per anni in una vasca colma di LCL, insieme a decine di altre sue copie, o meglio, copie dell’originale. Ma non ricordava niente di quel periodo: le memorie di Rei Ayanami, che era un’unica entità, avevano completamente preso il sopravvento su quelle che ci sarebbero dovute essere nel suo cervello. I ricordi di Rei Ayanami. Rei Ayanami si fermò davanti allo specchio che c’era vicino al suo letto e lentamente, quasi gustando ogni attimo con un bizzarro senso di masochismo, si tolse le medicazioni una per una. Dalla testa e dalle braccia. Medicazioni che non avevano ragione d’essere: non c’era alcuna ferita. Poi, girò lentamente la testa verso sinistra. I ricordi di Rei Ayanami. Un paio di occhiali con una crepa che attraversava una lente. Appoggiati sul comodino. Quelli erano un ricordo di Rei Ayanami. Uno dei più vividi, per la verità: le riportavano alla mente un uomo. Un uomo che era stato importante. Un uomo che l’aveva creata per uno scopo. Che le aveva risparmiato la seccatura di dare un senso alla propria vita, fornendole un motivo per continuare a esistere. Anche oltre la propria morte. Fornendole l’obbligo di continuare a esistere. Rei si girò completamente e mosse qualche passo verso il comodino. Ancor prima di poter raggiungere gli occhiali, tese la mano, come per afferrarli. E li prese.

Davanti a lei c’era un uomo che glieli stava passando. Non riusciva a vederlo bene, era come un’immagine sfocata, era come se si fosse trovato dietro un vetro sporco, come se fosse stato dipinto su di una tela strappata.

Rei prese gli occhiali. Di una sola cosa era certa: quell’uomo non era la persona a cui appartenevano. "Sei stata creata per uno scopo", disse lui. Nessuna risposta. "Ti hanno detto che il tuo scopo è permettere l’evoluzione dell’umanità,", continuò l’uomo, "e io ti dico che è vero. Il motivo per cui ho fornito a Rokubungi le tecniche necessarie per generare una creatura come te è proprio questo. Ora, adempi al tuo compito. C’è un solo modo in cui tu possa farlo. Ed è il modo che io ho stabilito". L’uomo indicò gli occhiali che la ragazza teneva in mano: "Pensavo che avrei dovuto manipolare la tua mente per indurti ad agire in questo modo. Ma i ricordi dell’altra te stessa sono ancora vivi in te. Agirai come io voglio, ma lo farai di tua volontà. Hai trovato qualcosa di più importante dello scopo che ti era stato assegnato e, sostenendo questo, farai ciò che io avevo prefissato. Lilith è stata la madre dell’umanità che sta per finire: tu, carne e sangue di Lilith, sarai la madre dell’umanità che rinascerà dal Third Impact".

Rei portò lo sguardo sugli occhiali. Nessuno glieli aveva passati, li aveva presi lei stessa dal comodino. Nel suo appartamento non c’era nessun altro. Era completamente sola. Nessuno le aveva parlato. Il suo scopo, prefissato dal proprietario di quegli occhiali, non era cambiato. La sensazione che quegli occhiali le procuravano non era cambiata. Sicurezza. Supporto. Approvazione. Cura. Interesse. Solitudine. Abbandono. Sensazione di avere perso qualcosa di importante. Sensazione di non aver mai deciso niente nella propria vita. Di essere stata deliberatamente isolata da tutto ciò che avrebbe potuto dissuaderla dallo scopo prefissato. I ricordi di Rei Ayanami.

Rei strinse gli occhiali. Sempre più forte. Quasi senza rendersene conto. Poi, vide qualcosa macchiare le lenti. "Queste sono lacrime?", si chiese sbalordita. "Dovrebbe essere la prima volta che le verso… eppure, ho la sensazione che non sia la prima volta… Io sto… Io sto piangendo? Perché sto piangendo?".

Gli occhiali si spezzarono.

 

Episode 39: "I’ll take you with me. What’s your name?"

 

ANNO 992M41 (forse)

Erin stava camminando. Era in una pianura immensa, ma non riusciva a vedere nemmeno un centimetro quadrato di terreno. Perché tutto il terreno era coperto di cadaveri. Uomini dilaniati da proiettili, esplosioni, colpi di spada e da una serie di altri danni che non potevano essere immaginati, giacevano davanti a lei, formando un macabro tappeto, una testimonianza alla loro stessa follia.

Per niente intimidita da quella vista, come se ci fosse stata abituata, avanzava con passo lento ma sicuro, calpestando carni e ossa sotto i propri piedi, percorrendo a grandi falcate quelle terre tormentate.

Grandi falcate? Erin si fermò un attimo a pensare… Lei non era così alta… Guardò verso il basso. La prima cosa che attirò la sua attenzione fu la posizione della sua stessa testa: giudicò che dovessero esserci più di due metri tra i propri occhi e il terreno. Il secondo elemento strano di quella situazione era, Erin notò, che le sue gambe erano avvolte negli schinieri metallici di una Power armour bianco sporco. Non è che lei avesse visto molti Space Marine in vita sua: alcuni su Camarina, poi Fabius Bile e altri con cui questi aveva avuto a che fare. Però, ne sapeva abbastanza da riconoscere una Power armour quando ne vedeva una. Istintivamente, si portò la mano destra davanti agli occhi. Come aveva pensato, calzava un guanto metallico che non poteva che appartenere a una corazza dell’Adeptus Astartes. Con suo stesso stupore, la cosa non la sorprese molto. Riprese a camminare.

Si fermò.

Davanti a lei c’era qualcuno. Vivo. Un ragazzino dai capelli neri e corti, vestito con abiti sporchi e strappati, sdraiato tra i cadaveri come se la sua massima ambizione fosse stata essere uno di loro, fissava il cielo con i suoi occhi spalancati.

Erin sospirò. Guardò lungamente il giovane: ci vedeva qualcosa di familiare, percepiva con lui una bizzarra affinità istintiva, ma non avrebbe saputo dire da cosa derivasse. Forse aveva l’impressione che le loro esperienze coincidessero in qualche modo, ma non riusciva a focalizzare bene come. Anzi, non riusciva a focalizzare nemmeno quali fossero le esperienze che glielo facevano sentire vicino. Le aveva vissute, ma non le conosceva. O forse le conosceva ma non le aveva vissute.

Poi, Erin parlò: "Chi sei?". Si stupì di sé stessa: aveva pronunciato quelle parole con una voce maschile. Non particolarmente profonda o possente, ma era indubbiamente una voce maschile.

"Ha importanza?" rispose il ragazzo senza distogliere i suoi occhi neri dalle grigie nuvole che si andavano ammassando in cielo. "Non siamo forse quello che facciamo?" aggiunse poi con rassegnazione.

"No, se non siamo noi a volerlo" replicò Erin, sempre con la stessa voce maschile.

Il ragazzo sbuffò: "Troppo facile. Questo significa che possiamo fare qualsiasi cosa e poi assumerci solo la responsabilità di quello che ci piace o che ci è andato bene?".

"Non ho detto questo. Intendevo semplicemente che ci sono molte cose che siamo costretti a fare. Dobbiamo comunque assumercene la responsabilità, ma abbiamo il diritto di affermare il nostro disaccordo. Esistono fin troppe circostanze in cui non siamo noi a decidere quello che va fatto".

"Io ho deciso tutto. Sono stato io a decidere che tutte queste persone morissero. E sai perché adesso sono qui? Sai perché vorrei morire anch’io? Non perché io provi rimorso. No, assolutamente. Né sono dispiaciuto per la fine di questa gente. Non rimpiango minimamente quello che ho fatto. Sto aspettando di morire solo perché, dopo tutto questo, ho capito di non aver fatto niente. Ho causato la morte di migliaia di persone, eppure non provo niente. Non mi sento triste, non mi sento in colpa, non mi sento solo. Anche dopo ciò che ho provocato, non riesco a provare alcunché. Se non sono capace di avere emozioni, significa che non sono vivo, quindi tanto vale che io muoia qui".

"È solo questo il tuo problema?".

"Solo…?".

"Ti lamenti per il fatto di non provare emozioni? Hai idea di quanta gente vorrebbe essere al tuo posto? Sai quante persone vorrebbero poter fare quello che fanno senza esserne tormentate?".

Il ragazzo balzò a sedere e, per la prima volta, volse gli occhi su Erin, fulminandola con uno sguardo carico di rabbia: "E cosa vuoi che me ne importi degli altri? Tutti abbiamo dei problemi! Non pretendo di essere capito, io avevo già deciso cosa fare! Io vorrei essere tormentato dalle mie azioni, se questo mi dimostrasse che esisto! Non me ne frega niente di chi non riesce a scrollarsi di dosso il rimorso per quello che fa!".

Erin guardò lungamente il giovane. Poi, rispose: "Io posso risolvere il tuo problema, e forse tu potresti risolvere il mio. Ti prendo con me. Come ti chiami?".

Il giovane distolse nuovamente lo sguardo: "Che importa? Tanto non esisto!".

"Hai ragione, non importa. Allora, visto che comincerai a esistere da questo momento, ti darò io un nome: in ragione della morte che hai causato, il tuo nome sarà Abaddon, come il demone distruttore dei miti antichi. Vieni con me, Abaddon, vedrai quanto è facile provare emozioni….".

 

Erin si svegliò. Un improvviso scossone la fece sobbalzare sul sedile e quasi cadere dalla jeep. Stropicciandosi gli occhi, si girò alla propria sinistra: Logan stava guidando a tutta velocità verso la capitale di Novet, lo sguardo contratto in una smorfia seccata. La ragazza scosse il capo, sbadigliando profondamente. Gli ultimi giorni erano stati parecchio stressanti e dormire un po’ le era proprio servito. Quel sogno strano, però, l’aveva turbata. Fabius Bile le aveva già spiegato che il codice genetico di un Primarca, come quello che lei aveva ereditato, era psichicamente carico e quindi non c’era da stupirsi dei ricordi residui che le aveva trasmesso. Eppure, rivivere le esperienze di qualcun altro la turbava. Sbadigliò e si appoggiò sullo schienale del sedile accanto a quello del guidatore, senza curarsi troppo dei continui sobbalzi a cui la strada dissestata che portava alla capitale sottoponeva la jeep. Si girò verso Logan: "Tu credi nella reincarnazione?" domandò senza troppa convinzione. "Certo!", replicò lui con decisione, "L’unghia dell’alluce sinistro mi si è reincarnata due volte". Erin sbuffò: "Stavo parlando di reincarnazione, non di unghie incarnite. Metempsicosi, hai presente?". Il ragazzo aggrottò la fronte: "Com’è che ti vengono in mente queste cose proprio adesso?".

"Ho fatto un sogno strano. Credo fossero ricordi di Horus. Ogni tanto mi capita".

Logan poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui, nella propria vita, si era trovato senza parole. In genere, trovava il modo di replicare a qualsiasi cosa, magari con un semplice ‘Vaffanculo!’, giusto per non lasciare all’interlocutore l’ultima parola. In quella particolare circostanza, però, si sentiva spiazzato: non era difficile capire perché Erin avesse tanti problemi a trovarsi uno scopo nella vita, se non riusciva nemmeno ad avere dei ricordi completamente propri. Ma, in fin dei conti, la cosa non lo interessava più di tanto. "Hai idea di come trovare Bile?" chiese senza distogliere lo sguardo dalla strada, mentre già si profilava la sagoma, ormai quasi spettrale, della capitale di Novet. "Mi ha dato una trasmittente per tenermi in contatto con lui, ma sembra che non funzioni", replicò la ragazza. "Ci sono troppe interferenze". "Capito," sospirò Logan "allora dovrò passare al piano B".

"Sarebbe?".

"Cercherò di percepire la sua aura e di localizzarlo così. Bile non è uno psyker, quindi non sarà facile. D’altra parte, se adesso non lo trovo, tutta la missione rischia di saltare".

"Logan?".

"Eh?".

"Vuoi che ti dica come la penso? La missione è già saltata. Se l’Evangelion si è mosso, deve essere successo qualcosa che non era previsto. A questo punto, penso che le probabilità che io possa controllarlo siano davvero minime".

"Forse sì e forse no. Con tutti i soldi che ci sono di mezzo, non mi va di rinunciare così facilmente. Non mi stupirei se Bile avesse previsto anche questo e me l’avesse tenuto nascosto per qualche motivo".

 

"C’è una cosa che dovresti sapere prima di cominciare a combattere", disse Charles a Gutzmaak, apparentemente senza che il suo respiratore intralciasse minimamente la sua capacità di parlare. Si muoveva facendo ondeggiare le proprie braccia e il proprio tronco con un ipnotico ritmo incalzante, che sembrava aumentare impercettibilmente di secondo in secondo. "Si crede erroneamente che gli psyker possano essere combattenti più efficaci di chi non possiede poteri psichici. Ebbene, io ho scoperto che questo non è vero, anzi. Gli psyker sono più vulnerabili, basta poco per trasformare i loro poteri in uno svantaggio, e ora ti dimostrerò come….". Senza nemmeno poter finire il proprio discorso, l’agente degli Illuminati si ritrovò sbalzato in aria, impegnato in un velocissimo salto mortale all’indietro. Aveva effettuato quel movimento senza pensarci: dove, meno di due secondi prima c’erano stati i suoi piedi, ora l’ascia bipenne dell’Orketto era saldamente conficcata nel terreno. Charles atterrò, il cuore che gli martellava nelle orecchie: aveva reagito con un semplice riflesso condizionato, ma era stato troppo occupato a blaterare per evitare il colpo. E, per dirla tutta, non aveva alcuna certezza che quel pelleverde fosse uno psyker…. Aveva visto il ragazzo e la ragazza dai capelli castani combattere e di loro era sicuro. Aveva visto la ragazza bionda prepararsi ad affrontare il ragazzo, quindi doveva esserlo anche lei. Ma l’Orketto? C’era un solo modo per saperlo. L’Illuminato terminò il pensiero appena prima di essere nuovamente scagliato in aria dai suoi riflessi potenziati dalla droga: di nuovo il mondo cominciò a turbinare attorno a lui, mentre vedeva vagamente il movimento delle lame sporche dell’ascia che cercavano la sua testa. Stavolta, agì consciamente: atterrò su entrambi i piedi e fece un altro salto all’indietro, roteando su se stesso in un movimento acrobatico. Poi un altro e un altro ancora, curando sempre di mantenersi all’interno della densa nube che il suo gas soporifero aveva creato. Poi, si acquattò al suolo.

Gutzmaak sogghignava vistosamente. Era da un po’ che non aveva occasione di fare kasino, come diceva lui, e finalmente questo umano che saltava dappertutto gli dava un’opportunità di recuperare l’arretrato. Con le spalle scosse da un riso sgangherato, trotterellò dove aveva visto sparire il suo avversario, facendo roteare l’ascia sopra la testa in un ampio movimento. Si guardò attorno. Le volute di fumo create dal gas impedivano di vedere con chiarezza; quel tizio sarebbe potuto essere praticamente ovunque. Ma era davanti a lui.

Fu il dolore a suggerirglielo: il dolore di quattro fredde lame che gli penetravano profondamente nello stomaco. Gutzmaak ringhiò, più per la rabbia che per il male, e balzò all’indietro, staccandosi di dosso quel fastidioso nemico. Davanti a lui, Charles lo guardava sospettoso, mentre il suo artiglio destro grondava il sangue verde tipico degli Orketti.

"Sei proprio uno psyker", commentò l’Illuminato. "Un individuo qualsiasi avrebbe evitato senza problemi questo attacco". Gutzmaak sbuffò, afferrandosi la ferita con una mano. "Magari penserai che io abbia tentato una tattica azzardata,", disse l’umano alzando stavolta entrambi gli artigli, "ma dovevo sapere cosa aspettarmi esattamente da te e confidavo di poter evitare un tuo eventuale contrattacco. Ma pare che vincere questo scontro sarà più facile del previsto: dopotutto, sei solo uno psyker….". Di nuovo, Charles sembrò scomparire tra le volute di gas, come un’ombra dissolta dal sole. Il pelleverde si guardò freneticamente attorno, girando rapidamente su se stesso e puntando l’ascia in qualsiasi direzione si voltasse. Per un essere umano, la ferita che aveva subito sarebbe stata fatale: la peculiare alga che si trovava però nel sangue degli Orketti (e di alcune altre razze inferiori) gli garantiva una straordinaria velocità di coagulazione e una resistenza fuori dal comune. Ma quattro coltelli in pancia facevano male comunque.

Ancora dolore. Stavolta al fianco. Con un ringhio furente, Gutzmaak si girò su se stesso e fece volteggiare l’ascia in un unico movimento. Fece appena in tempo a vedere la sagoma di Charles balzare all’indietro e nascondersi nuovamente nel gas soporifero, nuovamente lasciando di sé solo qualche parola: "Voi psyker siete troppo abituati a basarvi sui vostri sensi psichici. Localizzate il nemico percependo la sua aura, anche se potete vederlo. Spesso lo fate inconsciamente. È per questo che posso avvicinarmi a te così tanto senza che tu ti accorga di me: non individui la mia aura grazie all’aegis suit che indosso e la tua vista è troppo abituata a rendersi conto del nemico solo dopo che tu l’hai percepito".

Gli Orketti avevano molti difetti, almeno a sentire le altre razze (loro erano convintissimi di essere perfetti). Tra questi, c’era l’impulsività. Sebbene Gutzmaak avesse imparato a temprare questo suo istinto naturale, almeno in parte, grazie al molto tempo passato lontano dai membri della sua razza, non lo aveva certo perso completamente. Non gli piaceva aspettare. Voleva colpire quel nemico. Lanciando uno "Waaaaaaaaagh!" acuto e prolungato, cominciò a saltare a casaccio tra le volute di fumo, mulinando l’ascia senza uno scopo preciso. Impiegò circa cinque minuti in questa attività, prima di fermarsi, piegandosi sulle ginocchia e ansimando per la stanchezza.

Strisciando a terra, Charles sogghignò: quell’Orketto era davvero stupido. Si era sbattuto tanto nella speranza di colpire qualcosa, ma aveva ottenuto l’unico scopo di stancarsi inutilmente. A questo punto, sarebbe bastato un unico colpo ben assestato per mandarlo all’altro mondo. Molleggiandosi sulle gambe per guadagnare quanto più slancio possibile, l’Illuminato strisciò velocemente dietro il suo nemico, avvicinandosi tra la polvere e la sabbia che il mulinare dell’ascia aveva sollevato. Alzò il braccio destro, l’artiglio che incombeva sul collo dell’inconsapevole bersaglio, e scagliò il proprio attacco. Capì di avere commesso un errore solo quando il verde pugno sinistro dell’Orketto lo centrò in piena faccia, mandandolo ad abbattersi a terra. Mentre respirava affannosamente attraverso il filtro che aveva in bocca, mentre sentiva il sangue che gli bagnava la lingua, mentre cercava di rialzarsi, mentre guardava il suo avversario girarsi verso di lui e lanciarglisi contro mulinando l’ascia, capì dove aveva sbagliato. Muovendo convulsamente la propria arma, il pelleverde non aveva sperato di colpirlo per caso. No. La sua intenzione era stata quella di sollevare un polverone, tutto qui. Aveva intuito la sua posizione dal movimento dei granelli di polvere. Lo aveva previsto fin dall’inizio. Di nuovo, Charles balzò in aria per schivare il colpo d’ascia e atterrò in piedi qualche metro più indietro.

Gutzmaak sogghignò e si fermò subito dopo il suo colpo d’ascia: aveva capito che attaccare il nemico direttamente non sarebbe servito a niente. La velocità dell’avversario era superiore e avrebbe potuto schivare ogni assalto. Però, aveva anche l’impressione di non poter usare lo stesso trucco una seconda volta. Non aveva ragionato con attenzione questa eventualità, c’era una specie di istinto combattivo che gliela suggeriva. A questo punto, aveva solo una scelta: non doveva perdere di vista l’umano. Non era facile tenerlo d’occhio tra le volute di gas, anche se il suo mulinare furiosamente l’ascia le aveva parzialmente disperse.

E fu questo a impensierire Charles. Non c’era più tutto il gas che c’era stato prima. Stava incominciando a svanire, anche a causa del vento che aveva iniziato a soffiare sulla pianura sabbiosa. L’agente degli Illuminati sbuffò: doveva chiudere il combattimento il prima possibile. Non poteva permettersi di allungare ulteriormente i tempi, perché non sarebbe certo riuscito a nascondersi sotto la sabbia mentre il suo avversario aveva gli occhi puntati su di lui. La scelta era una sola: doveva basarsi sulla propria velocità superiore.

Senza rifletterci un attimo di più, scattò in avanti; quasi istintivamente, senza nemmeno pensarci, schivò un fendente verticale dell’ascia dell’Orketto e scivolò alle sue spalle con una rapidità quasi inconcepibile per l’occhio umano. Sorrise amaramente, pensando che tutta la forza che gli davano le droghe da combattimento prima o poi lo avrebbe stroncato. Alzò entrambi gli artigli e si preparò a calarli sulla schiena scoperta de nemico, quando i suoi riflessi alterati l avvertirono di un pericolo. Un sibilo, un movimento dell’aria, un silenzioso boato che proveniva dall’alto. Puntò lo sguardo verso il cielo, mentre le sue gambe lo portavano a saltare all’indietro quasi meccanicamente. Un enorme corpo traslucido e dall’aspetto vagamente simile a quello di un piede stava letteralmente cadendo dalle nuvole. Il gigantesco piede si schiantò al suolo a pochi centimetri dalla schiena dell’Orketto, dove un attimo prima c’era stato lui. L’impatto di quell’affare con la sabbia alzò un polverone per diversi metri, e, contemporaneamente, dissipò quasi completamente il gas soporifero. Charles ringhiò di disappunto: anche se la polvere impediva di vedere con chiarezza, attaccare sfruttandola non sarebbe servito a niente, perché il nemico aveva già dimostrato di poterla percepire. Si ritornava al piano originario: sfruttare la velocità. Mentre correva verso il nemico, l’Illuminato si ritrovò a considerare di averlo sottovalutato. Aveva già sentito parlare del potere psichico chiamato "Da Krunch": gli Orketti lo usavano per creare il simulacro di un enorme piede, che credevano appartenere a una delle loro divinità. Mork, o forse Gork, Charles non ci capiva molto: sembrava che i pelleverde fossero gli unici esseri viventi in tutta la Galassia a cogliere qualche differenza tra queste due figure dei loro miti. Più che altro, si sorprese della perspicacia di quel particolare pelleverde, che doveva aver previsto fin dall’inizio l’attacco alle spalle, dato che non poteva certo aver percepito la sua aura a causa dell’aegis suit. Possibile che avesse carpito il suo stile di combattimento solo dopo averne visto qualche movimento? Decise di lasciar perdere le congetture stupide e di concentrarsi sullo scontro.

Ecco, il suo nemico era davanti a lui. Era evidente che non riuscisse a seguire la sua velocità, altrimenti avrebbe tentato di tenere il passo con i suoi movimenti, anziché restare lì con l’ascia in mano, come ad attendere la morte. Stavolta, pensò Charles, non sarebbe stato un attacco alle spalle. Prima avrebbe colpito il manico dell’ascia per abbassarla, poi avrebbe tagliato la gola dell’Orketto con un rapido movimento dell’altra mano. Entrò nella nube di polvere, che non si era ancora diradata. Sarebbe stata questione di un attimo. Tutto si svolse come al rallentatore: Cherles colpì l’ascia di Gutzmaak con l’artiglio destro, facendola calare. Poi, vibrò veloce il sinistro, mirando al collo. E colpì. Si bloccò di scatto sorridendo e portò l’artiglio più vicino agli occhi. Volle scappare, ma era già troppo tardi. Infilzato sulle unghie di metallo c’era il cappello del pelleverde. Prima ancora che l’Illuminato potesse identificarlo chiaramente, sentì i suoi stessi intestini che gli scivolavano fuori dalla pancia. Cadde in ginocchio. E vide. L’Orketto era nel solco lasciato dal colpo del Da Krunch. Un solco poco profondo, neanche mezzo metro. Ma era quanto bastava per impedire che il preciso fendente dell’Illuminato colpisse nel segno: il pelleverde si era messo proprio davanti a quel dislivello e ci si era lasciato cadere appena Charles gli aveva toccato l’ascia. Anzi, doveva essere stato proprio quello il segnale che lo aveva avvertito della posizione del nemico, ancor più del movimento della polvere. Ecco perché aveva alzato l’arma davanti a sé. Da quella sua nuova posizione, l’umanoide doveva aver trovato molto facile tagliargli il ventre con un colpo della sua lama sporca di polvere e ruggine.

Mentre un fiotto di sangue gli fuoriusciva dalla bocca, Charles picchiò un pugno per terra: era stato sconfitto solo a causa della propria stupidità. Aveva sottovalutato l’avversario fin dall’inizio del combattimento. Fece in tempo a rendersene conto. Poi, l’oblio lo inghiottì.

 

Con un sorriso da Orketto sulle labbra, quel tipo di sorrisi che gli umani scambiavano per gesti minacciosi a causa delle zanne che mettevano in mostra, Gutzmaak trotterellò allegramente fino a portarsi fuori dal polverone. Fece roteare l’ascia sopra la testa in un gesto di pura euforia, quasi a voler dare sfogo alla esaltazione per la vittoria. Impiegò qualche secondo ad accorgersi della persona che gli stava davanti. Una delle umane in armatura. Quella bionda.

Alexandra squadrò Gutzmaak pensosamente. Aveva battuto quel tizio conducendo un buon combattimento, dando prova di una certa astuzia animale, della quale gli Orketti erano spesso ampiamente dotati. Fece qualche passo verso quello che stava per diventare il suo avversario: "In teoria, il mio scopo sarebbe solo recuperare il pezzo di carne di quel demone," esordì "ma purtroppo non posso lasciarti andare nemmeno se accetti di cedermelo. Nonostante la cosa non mi entusiasmi, ti dovrò uccidere, visto che conosci la mia identità".

Il pezzo di carne dell’umanoide? Gutzmaak passò una decina di secondi abbondante a chiedersi a cosa si riferisse l’umana. Poi si ricordò: era quello che aveva preso lui e che adesso doveva essere ancora addosso al tizio con gli artigli. A dire la verità, non gli importava più di tanto di quell’affare, però non voleva lasciarsi sfuggire la possibilità di combattere ancora. Sogghignò e puntò l’ascia contro la ragazza.

 

Un tonfo. Sia Gutzmaak che Alexandra lo sentirono chiaramente, anche se, in un primo momento, non capirono da dove arrivasse. Un altro tonfo, seguito subito dopo da un ulteriore tonfo. Il rumore si ripeté ancora, e stavolta i due psyker vi colsero un ritmo insolito e familiare al tempo stesso. Non solo. Capirono che proveniva dal titano in armatura viola in piedi a pochi metri da loro. Capirono di non averlo sentito, ma percepito: era stato il frutto di un’emanazione psichica, non di un’azione fisica. Di nuovo. E di nuovo. I tonfi aumentarono sempre più di frequenza e intensità e adesso il loro ritmo era chiaramente distinguibile: era quello di un cuore che battesse.

Con un ringhio sordo, l’unità Evangelion 01 spaccò l’armatura facciale e spalancò la bocca.

 

Logan inchiodò, facendo scivolare la jeep sulla strada, lasciando due dita di pneumatici sull’asfalto. Era quasi arrivato alla capitale, ma questo imprevisto lo aveva fermato all’improvviso. Si mise in piedi sul sedile e guardò verso il deserto, senza sapere nemmeno lui cosa stesse cercando. "Ma si può sapere cosa ti prende?", si lamentò Erin ricomponendosi, dopo che l’improvvisa frenata le aveva quasi fatto sbattere la faccia sul cruscotto. "Sento un’aura mostruosa provenire dal deserto", mormorò il ragazzo cupo in viso. "Non può essere l’Orketto, e nemmeno l’Eldar. A questo punto, resta una sola alternativa…..".

 

Skaim – Zaim restò quasi atterrito dalla vista che gli si stava presentando davanti. Aveva percepito l’aura di Gutzmaak in pieno combattimento e aveva visto da lontano il Da Krunch che si abbatteva sul terreno. Si era diretto verso il luogo dello scontro, che era la vallata in cui era stato trovato lo 01, vicinissima alla scarpata dove aveva appena affrontato il cecchino.

E non si sarebbe mai aspettato di vedere quello che vide. L’Evangelion 01, in piedi, con la bocca spalancata verso il cielo, ringhiava come una bestia in gabbia, mentre un’aura di una potenza inaudita si sprigionava dal suo corpo, alzando nuvole di polvere per tutta la vallata. Ma la cosa che più lo colpì fu un’altra. Dalla schiena dell’Eva spuntavano delle strane appendici luminose, che si estendevano per decine e decine di metri, pur senza causare alcun apparente sbilanciamento alla creatura. Skaim – Zaim capì cosa fossero solo a una seconda occhiata: erano dodici ali di pura energia.

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Capitolo 15
*** Episodio 40: Evoluzione/Black Moon ***


??.14

 

‘Quando apro il mio Occhio del Warp, guardo il volto dell’Empireo e vedo l’inferno stesso che guarda me. Sovrapposti al mondo materiale, vedo gli squali del Warp che nuotano attorno a ogni persona a me cara. Chi ha la Vista, come gli Astropati, gli psyker e la mia gente, i Navigatori, brilla di un fuoco spirituale talmente ardente da offuscare completamente le piccole fiammelle di chi sta loro vicino. Costoro attraggono i più voraci predatori del Warp, che ringhiano, schioccano le mascelle e sbavano dal proprio reame. Se questi individui non fossero protetti dai propri poteri o dal legame con l’Imperatore, queste creature del Warp trapasserebbero le loro menti e si farebbero strada con gli artigli nell’universo materiale. È per questo che non posso scoprire il mio Occhio del Warp in presenza di chi non è protetto. Incontrare lo Sguardo del Warp di un Navigatore significa vedervi riflessa la più orribile verità: l’anima umana non è che un granello di polvere alla deriva nell’oceano del Warp, circondata da orrori sbavanti che sembrano usciti dai nostri peggiori incubi’.

Barone des Champ, Principio della Casata des Champ della Navilis Nobilite.

 

Episodio 40: Evoluzione

 

CIRCA 225 MILIONI DI ANNI FA

L’animale uscì dalla sua tana e si guardò attorno circospetto. Era un animale piccolo: non misurava nemmeno dodici centimetri. Era una bestiola quadrupede e pelosa, una sorta di lucertola coperta da un fitto crine bruno. Le sue zampe erano un po’ diverse da quelle di una lucertola, però: erano in poste in posizione perpendicolare rispetto al corpo, il che permetteva una maggiore velocità. Di fatto, quella creatura faceva dell’agilità di movimento la sua arma migliore: la usava per catturare gli insetti di cui si nutriva e la usava per sfuggire ai predatori che le davano la caccia, troppo lenti per tenere il passo. Fiutò l’aria, alla ricerca dell’odore di qualche altro animale pericoloso; poi, non avvertendone alcuno, scivolò rapidamente fuori dalla piccola intercapedine tra due pietre che le faceva da tana. Il deserto roccioso che si estendeva per chilometri attorno a quelle pietre era tutto ciò che la bestia aveva visto nella sua vita: era nata lì e, in qualche modo, sapeva che sarebbe morta lì. Ma non le importava: l’unico suo interesse era trovare cibo. L’esplorazione di terre sconosciute era una possibilità semplicemente non contemplata dal suo cervello. La lucertola pelosa corse rapida sul suolo rovente: la temperatura massacrante delle ore più calde della giornata non la infastidiva più di tanto: contrariamente agli altri animali che conosceva, quella creatura era capace di regolare internamente il proprio calore corporeo, quindi poteva permettersi di muoversi anche quando una bestia sprovvista di questa capacità doveva rifugiarsi all’ombra. E lo sapeva. Per questo cercava di saziare la propria fame, molto superiore a quella di un animale delle stesse dimensioni, quando riteneva di incontrare meno pericoli uscendo dalla tana. La lucertola pelosa si fermò nuovamente a fiutare l’aria, alzando il suo muso, dal quale uscivano dei sottili baffi vibranti. Nessun pericolo, registrarono i suoi organi sensoriali.

Circa un secondo dopo che il suo cervello ebbe elaborato quell’informazione, la lucertola pelosa fu inchiodata al suolo da un paio di zampe artigliate. Un attimo più tardi, il morso di una fila di denti aguzzi le affondò nel collo, uccidendola quasi sul colpo.

Un lucertolone bipede sollevò la sua preda con le zampe anteriori; ne prese in bocca la testa e cominciò a inghiottirla, facendola scivolare lentamente per il suo lungo collo. L’operazione richiese qualche minuto, durante il quale il lucertolone non fece altro che aiutarsi con delle contrazioni dei muscoli del collo. Poi, cominciò a saltellare agilmente verso le pietre poco distanti: chissà che non vi si nascondesse qualche altra preda. L’animale, con la sua lunga coda rigida proiettata all’indietro, si muoveva con destrezza sulle sue zampe posteriori, sottili ma muscolose. Era lungo trentanove centimetri e sei millimetri e pesava ottantotto grammi. Molti milioni di anni più tardi, una razza discendente della lucertola pelosa che aveva appena mangiato lo avrebbe chiamato Lagosuchus lilloensis. Ma all’animale non importava dei nomi: erano una di quelle cose che il suo cervello non concepiva. Quello che invece capiva perfettamente era di essere una delle poche creature in grado di muoversi anche nel caldo massacrante del mezzogiorno e nel fresco vento del crepuscolo, quando molti altri predatori che gli facevano concorrenza dovevano ripararsi. Perché regolava internamente la propria temperatura. Come le lucertole pelose. Però aveva un vantaggio anche rispetto a loro: quando si fermava per riposarsi, il suo metabolismo diminuiva moltissimo rispetto ai suoi periodi di attività. E questo gli consentiva di vivere mangiando molto meno di una lucertola pelosa, sopportando lunghi periodi di digiuno. Il lucertolone non lo sapeva, ma sarebbe stata proprio questa caratteristica che avrebbe permesso ai suoi discendenti di dominare il pianeta Terra per i successivi centocinquanta milioni di anni, mentre la discendenza delle lucertole pelose avrebbe dovuto nascondersi alla loro ombra.

Il lagosuco non si chiedeva perché le cose stessero così: questa era la realtà, e tanto gli bastava.

 

ANNO 2015

Il Termnal Dogma era il posto più sicuro del Geo Front. Le persone che erano autorizzate ad accedervi erano pochissime; quelle che potevano entrare nella sua zona più segreta si contavano sulle dita di una mano. Perché il Terminal Dogma era il posto in cui era tenuta prigioniera Lilith, il posto in cui l’inizio e la fine dell’umanità di incontravano, il posto in cui si sarebbe deciso il destino del mondo. Era raro che una persona scendesse fin nel Terminal Dogma, e ancora più insolito che si spingesse fin nell’area in cui si trovava Lilith; il fatto che in quel momento ce ne fossero ben due, quindi, era quasi unico. Gendo Ikari alzò lo sguardo sul titano crocifisso: quella vista rappresentava ciò per cui aveva lavorato negli ultimi anni, ciò a cui aveva dedicato tutto se stesso. Dietro di lui, Kozo Fuyutsuki, cupo in volto, sospirò: "Gli esseri umani hanno una dentatura adatta a mangiare vegetali", disse, "eppure, per poter sopravvivere, si sono evoluti in modo da poter mangiare anche la carne. Mi chiedo cosa altro dovremo abituarci a mangiare per sopravvivere ulteriormente". "Non sarà necessario adattarci", replicò Ikari senza distogliere lo sguardo dal titano bianco. "Basterà lasciare che altri compiano l’evoluzione in vece nostra". Fuyutsuki avanzò, fino a portarsi di fianco al suo interlocutore: "Penso che dovremmo essere noi a decidere cosa significhi evolversi, ed eventualmente sopportarne le conseguenze".

"Non tutti possono permettersi questo lusso".

"Vorresti che ci assumessimo noi questa responsabilità anche per gli altri?".

"Preferisci che sia la Seele a farlo?".

"No di certo. Ma non stiamo parlando di inezie… Guidare l’evoluzione è un’impresa mai tentata prima. Come possiamo essere sicuri che le cose andranno come vogliamo?".

"Non possiamo. Ma fare questo tentativo è l’unica alternativa alla falsa soluzione che dovremmo accettare incondizionatamente".

Lo sguardo di Fuyutsuki si incupì. C’erano dei momenti in cui Gendo Ikari riusciva a trasmettergli quella stessa sgradevole sensazione che aveva avuto in occasione del loro primo incontro. "Come se fosse solo questo il motivo per cui vuoi correre un rischio simile!".

Passò qualche secondo prima che arrivasse una risposta: "Lo stesso si può dire di te, no?". Il vice comandante tacque. Ikari giudicò che il suo silenzio fosse un invito a continuare: "Comunque sia, ormai abbiamo preso la nostra decisione". Prima ancora di finire la frase, il comandante della Nerv fu sfiorato da un pensiero che non ricordava di avere mai contemplato. ‘Abbiamo preso la nostra decisione’? Chi l’aveva presa? Lui e Fuyutsuki? Strappare Yui allo 01? Era una follia, indubbiamente. Yui era morta. Il tentativo di riportarla indietro fatto da Naoko Akagi era fallito. Per quanto innamorato, nessun uomo penserebbe di poter fare risorgere una morta. Ma lui, Gendo Ikari, aveva a disposizione Lilith e i cloni di Adam. Aveva un potere che nessuno uomo aveva avuto prima. Le porte della divinità erano spalancate di fronte a lui. E aveva avuto quell’intuizione geniale, folle e blasfema al tempo stesso, per creare un intermediario tra se stesso e Lilith. Era stata senza dubbio un’idea sua, di chi altri? E, per quanto lo riguardava, serviva essenzialmente per riavere Yui. Che altra ragione poteva esserci? Il resto dell’umanità ne avrebbe beneficiato? Possibile, ma questo non gli importava più di tanto. Aveva passato troppi anni a desiderare di vedere Yui. Tutto il resto, soprattutto ora che il momento tanto atteso era a portata di mano, passava in secondo piano. La presenza di Rei, sempre al suo fianco, lo aveva aiutato a tenere Yui sempre al centro dei propri pensieri, una sfida della determinazione di un uomo alla tendenza umana a dimenticare. C’erano dei momenti in cui Gendo Ikari si guardava allo specchio. Vedeva un uomo stanco, spossato da un lavoro che, per il suo obiettivo finale, aveva messo davanti a qualsiasi altra considerazione. Non aveva mai sentito di altre persone che avessero affrontato un’impresa tanto incerta ed enorme con una tale determinazione. Forse, lui ci era riuscito perché, contrariamente a chiunque altro volesse rivedere un morto, aveva concrete possibilità di successo. O forse, scherzava talvolta fra sé e sé (chiedendosi cosa avrebbero pensato i suoi sottoposti se avessero saputo che anche Gendo Ikari era capace di scherzare), aveva subito il lavaggio del cervello da parte di qualcuno che era interessato al progetto.

Ikari si voltò verso Fuyutsuki: "Ormai abbiamo preso la nostra decisione", ripeté, "ed è ovvio che non possiamo più tornare indietro. Secondo i vecchi della Seele, manca pochissimo prima che il tempo promesso cominci. È per questo che dobbiamo prepararci".

"Alludi all’arrivo del Third Children?".

"Esatto. Dovrebbe essere qui entro domani. Ho incaricato Katsuragi di occuparsene personalmente, visto che sarà il suo diretto superiore. Se non riusciremo a recuperare Rei e lo 00 in tempo, potrà farci da pilota di riserva".

 

ANNO 2036

"Grazie", disse Ryoma restituendo a sua madre la borraccia, dopo averne tratto un profondo sorso. "Ti ricordi cosa ha detto Van Richten?" domandò Asuka, mentre accompagnava suo figlio lungo la scogliera. Mentre le onde del mare si infrangevano sulle rocce sotto di loro, il ragazzo in plug suit nera e viola e la donna camminavano con passo deciso verso la fine della cresta rocciosa, in direzione delle acque che si estendevano a perdita d’occhio. "Ma sì, ma sì", replicò il giovane con un cenno seccato della mano. "Gli Evangelion della serie definitiva sono equipaggiati di motore S^2, quindi hanno una resistenza fisica pressoché infinita e sono in grado di rigenerare praticamente qualsiasi danno subiscano. Anche farli a pezzi servirebbe solo a rallentarli". "Appunto", confermò la madre, "quindi cerca di non buttarti a testa bassa contro qualsiasi pericolo come fai di solito".

"Sai, papà dice che lo facevi anche tu quando combattevi contro gli Angeli".

Asuka afferrò suo figlio per un polso, bloccandolo sul posto. "Non sto scherzando", disse togliendosi gli occhiali da sole e fissando Ryoma con il suo vitreo occhio sinistro. "Vedi cosa mi hanno fatto quei mostri? Vuoi finire così anche tu?".

Ryo si divincolò dalla stretta e riprese a camminare verso la fine della scogliera: "La situazione è completamente diversa. Tu eri da sola contro… Quanti…? Sette Eva?".

"Nove".

"Ecco, nove. Io li affronterò uno per volta e verrà con me anche Miller. E poi, tu non conoscevi il loro punto debole, io sì, perché me l’ha spiegato Van Richten".

"Non li sottovalutare! A parte il fatto che la teoria di Van Richten non può essere confermata, mi piacerebbe proprio sapere come hai intenzione di fare una cosa del genere!".

"Massacrandoli, ovviamente. Van Richten dice che l’Evangelion non è un essere vivente completo e si muove solo grazie alla sincronia tra gli schemi mentali impostati nel nucleo e quelli del pilota. Negli Eva bianchi non c’è un pilota, ma solo un entry plug che contiene degli impulsi psichici preimpostati, copiati dalla personalità di chissà chi. Basterà spezzare loro la schiena ed estrarre l’entry plug, così smetteranno di muoversi".

"Lo dici come se fosse facile!". Asuka quasi non si accorse che erano ormai arrivati al termine della scogliera.

"Mamma…", disse Ryo fermandosi e girandosi verso la donna. La guardò in viso e aggrottò la fronte. Era sempre così quando doveva parlare con sua madre fissandola in volto. Non avrebbe saputo dire nemmeno lui perché. Non le aveva mai detto ‘ti voglio bene’ in vita sua. Non gli era mai venuto spontaneo. Sua madre era una persona importante, questo lo sapeva. O almeno, sapeva che sarebbe dovuto essere così. Eppure… C’era qualcosa dentro di lui che gli impediva di esprimersi con lei come avrebbe voluto. Lanciò un’occhiata alle onde sotto di lui. Che fosse quello il motivo?

"Sì?", chiese Asuka, quasi pendendo dalle labbra del figlio. Era una situazione che la seccava molto, ma si ripeteva piuttosto spesso. Asuka non aveva mai faticato a notare l’incomunicabilità tra sé e Ryoma. Fra di loro c’era qualcosa che nessuno dei due riusciva a mettere a fuoco, qualcosa che li legava e li divideva con un vuoto incolmabile al tempo stesso. Per qualche motivo, non riuscivano a parlare come volevano l’uno con l’altra. A volte, la donna pensava che, almeno da parte propria, ci fosse qualcosa di simile a un senso di colpa…

Ryoma sospirò: "Hai presente Daniele Coppi, quell’italiano che vive al villaggio?".

"Che c’entra adesso Coppi?".

"Sai, lui dice sempre che faceva il calciatore prima del Third Impact. Mi ha anche raccontato di avere vinto i Mondiali nel 2014".

"Sì, ricordo che l’Italia ha vinto i Mondiali di quell’anno, ma cosa c’entra adesso?".

Ryo abbassò lo sguardo, cercando di trovare le parole. "Quei suoi racconti mi sono sempre piaciuti. Mi piace starlo a sentire che mi riporta per filo e per segno le partite a cui ha preso parte. Ha giocato in Brasile e in Spagna, prima di tornare in Italia. Quando mi parla di tutti i giocatori che ha affrontato, penso che anche a me sarebbe piaciuto fare il calciatore, se fossi nato prima del Third Impact. Però sono nato dopo… E sono figlio tuo e di papà. E sono nato dentro allo 04. Quindi, non è che abbia potuto scegliere veramente cosa volessi essere… Nonostante questo…".

"Basta, per favore". Stavolta fu Asuka a distogliere lo sguardo. Sì, quello era decisamente senso di colpa. "Non è necessario che tu vada avanti, ho capito dove vuoi arrivare. Non credere che io sia contenta di come stanno le cose. Non c’era alternativa. Al momento, io e tuo padre abbiamo pensato che fosse l’unica possibilità. E ha funzionato, anche se… Ryo, tu non devi pensare nemmeno per un momento che noi due volessimo…".

Ryo si girò e si mise in piedi sul bordo della scogliera. "Lo so, mamma. Volevo dirti solo che non vi odio. Ci vediamo".

Accovacciato sul fondo marino, l’Eva 04 attendeva. Anzi, la sua attesa era terminata. I suoi occhi brillarono di una inquietante luce scarlatta, mentre si sollevava in piedi e spiccava un balzo verso l’alto.

Ryo saltò dalla scogliera. Chiunque l’avesse visto in quel momento l’avrebbe interpretato come un tentato suicidio. Ma Asuka sapeva bene quello che stava succedendo. Sollevando un’enorme ondata di acqua salmastra, scagliando sugli scogli pesci e alghe, l’Eva 04, l’entry plug che gli sporgeva sgocciolante dalla schiena, schizzò fuori dal mare. Con una precisione che aveva del disumano, Ryo atterrò proprio sul boccaporto aperto del cilindro di pilotaggio. Mentre l’umanoide nero, lanciato dal salto, si proiettava in cielo, l’entry plug gli rientrò nel corpo con un sibilo. L’Evangelion atterrò pesantemente sulla scogliera, mentre delle crepe si aprivano sotto i suoi piedi; un attimo dopo, cominciò a correre velocissimo verso l’entroterra. Asuka, caduta a terra per le vibrazioni provocate da quella corsa innaturale, lanciò uno sguardo all’enorme creatura e sospirò.

 

Episode 40: Black Moon

 

ANNO 992M41

"Ke figata!" esclamò Gutzmaak, mentre guardava l’imponente sagoma dell’Evangelion 01 che si stagliava davanti a lui, ringhiando e gemendo, come a voler gridare una muta sfida al cielo. Sogghignò felice, incurante delle nubi di polvere che l’aura della creatura, che si sprigionava incessante, stava sollevando.

Alexandra si morse un labbro e sbuffò seccata: possibile che quella missione diventasse sempre più difficile a ogni minuto che passava? Perché continuavano a verificarsi questi imprevisti indesiderati? Non fece in tempo a porsi un’ulteriore domanda: l’Evangelion smise di ringhiare e si chinò su se stesso, assumendo una posizione ingobbita quasi grottesca, eppure sorprendentemente naturale. Sembrava che l’Eva fosse nato per questo istante, sembrava che tutto ciò che era successo fino ad allora fosse stato solo un preludio a un accadimento più grande.

Mentre i suoi bianchi denti perlacei si chiudevano lentamente e ritmicamente, l’Eva avvicinò ulteriormente i palmi delle mani, che aveva sempre tenuti rivolti gli uni verso gli altri, fin da quando si era alzato in piedi. Un lieve bagliore brillò tra le dita della creatura; poi, il bagliore divenne oscurità, divenne una goccia di tenebra che sembrava allargarsi in una pozzanghera, espandendo la notte tra le mani del titano. Alexandra non impiegò nemmeno un secondo a capire di cosa si trattasse.

 

"Un Warp gate!", esclamò Zdansky, mettendo un piede sul cadavere del Marine del Caos che aveva appena ucciso e facendo leva per estrarre la Force sword dal cadavere. "È stato aperto un Warp gate a pochi chilometri da qui!". L’Inquisitore si guardò attorno. Sette Marine del Caos dall’armatura nera giacevano a terra morti, le Power armour trapassate da colpi di laser accuratamente mirati o dalla lama mistica che lui stesso aveva mosso. Accanto a lui, visibilmente scossi e provati, tre soldati della Guardia Imperiale di Novet sembravano aspettare ordini, mentre una dozzina e più di loro compagni giaceva, insanguinata e infranta, sulla strada secondaria della capitale dove avevano teso un’imboscata alla squadra di Space Marine.

Poco dopo essere entrato in città per raggiungere lo spazioporto, Zdansky aveva incontrato alcune squadre della Guardia intente a cercare di fermare l’avanzata degli attaccanti; incurante delle sorti della capitale, l’Inquisitore li aveva presi ai propri ordini, scavalcando l’autorità planetaria, e aveva pensato di utilizzarli come scorta personale per raggiungere la propria astronave. La battaglia contro i Marine del Caos in cui si erano imbattuti li aveva visti vincitori, ma era costata moltissimo in termini di vite e adesso il gruppo era praticamente decimato.

"Signore,", domandò uno dei soldati "cosa succede?". "Un Warp gate", ripeté Zdansky, come se questo avesse potuto spiegare tutto. "Riesco a percepire chiaramente la presenza di un Warp gate non lontano da qui, in direzione del deserto…. Là ci sono anche le mie apprendiste…. Ma che diavolo stanno facendo?". I soldati non ebbero bisogno di chiedere cosa fosse un Warp gate: era ben noto che si trattava di varchi aperti sul Warp, solitamente creati dalle astronavi dotate di dispositivi apposito, per entrare nell’Immaterium e compiere i viaggi da un capo all’altro della Galassia. Nessuno di loro aveva mai visto quegli Warp gate che talvolta gli psyker aprivano sul campo di battaglia per spostare velocemente se stessi e i propri compagni; tutti, però, sapevano che i meccanismi di teletrasporto usati sia dall’Imperium che dalle altre razze si basavano proprio su degli Warp gate. E che, essendo collegati direttamente con l’Empireo, gli Warp gate erano estremamente pericolosi: per quanto bene potesse essere calcolato il punto d’arrivo, c’era sempre il rischio che chi vi si avventurava si perdesse per sempre, o che giungesse a destinazione secoli dopo, senza essere invecchiato di un secondo. Anche se era un viaggio di una decina di metri. Ma chi poteva avere aperto un Warp gate proprio nel deserto? E per quale motivo? La situazione si stava facendo sempre più difficile a ogni secondo. Zdansky cercò di ragionare velocemente. La priorità restava quella di guadagnare l’accesso allo spazioporto: se lui si fosse salvato, magari non sarebbe riuscito a recuperare l’umanoide, ma sicuramente avrebbe avuto modo di invocare l’Exterminatus, e avrebbe almeno cancellato ogni traccia di pericolo da Novet. L’Inquisitore sogghignò: non è che usare l’Exterminatus gli piacesse, ma aveva perso il conto di quanti pianeti aveva già sistemato in quel modo e trovava ironico che la reputazione che si portava dietro lui, un Inquisitore incaricato di proteggere l’umanità, venisse più da quanti stermini aveva compiuto che da quante vite aveva salvato.

Perché l’Exterminatus era uno sterminio. Ci si poteva girare intorno finché si voleva, ma un bombardamento su scala planetaria con missili che portavano agenti patogeni in grado di annientare qualsiasi forma di vita conosciuta (o, a seconda dei casi, esplosivi abbastanza potenti da distruggere ogni materiale noto) era uno sterminio. Una tale estrema risorsa veniva utilizzata solo quando un mondo era giudicato troppo contaminato dal Caos per essere recuperabile, o quando bisognava nascondere qualcosa di pericoloso anche a costo di gravi perdite. Tipicamente, l’Exterminatus calava anche su quei mondi che avevano appena respinto un’invasione di demoni o Marine del Caos: le popolazioni venivano generalmente considerate contaminate e si riteneva più prudente sterminarle, Guardia Imperiale compresa. Era per questo motivo che ben pochi pianeti chiedevano l’aiuto dell’Inquisizione: le voci di mondi annientati per motivi non meglio precisati (perché l’esistenza dei demoni era tenuta segreta) circolavano per tutto l’Imperium e nessuno aveva voglia di essere ucciso solo per avere fatto un incontro sbagliato. Dopo qualche secolo, i pianeti colpiti dall’Exterminatus venivano tipicamente ripopolati e si faceva il possibile per farvi rinascere la vita animale e vegetale, importandola da altri mondi. I processi di terraforming utilizzati in tempi antichissimi dalla razza umana erano ormai perduti, ma i Tecnopreti dell’Adeptus Mechanicus avevano cercato di ricrearli, seppure con alterne fortune.

Zdansky sospirò: a questo punto, non poteva fare altro che lasciare perdere e prepararsi al peggio. C’era solo una cosa che lo preoccupava: che fine avevano fatto Megan e Alexandra? L’idea di abbandonarle lì lo seccava profondamente. Non poteva perdere due subordinate tanto valide. E, ma questo si rifiutò di formularlo come un pensiero coerente, aveva la sgradevole impressione che si sarebbe sentito solo senza di loro.

 

Logan sospirò e si sedette di nuovo al posto di guida. Si girò verso Erin: "Credo proprio che la missione sia definitivamente saltata", disse incupendosi. "Ho lasciato la mia astronave a poca distanza da qui e la situazione si sta facendo un po’ troppo pericolosa. Mi sa che faccio bene ad andarmene di qui finché sono in tempo". "Aspetta un attimo!", protestò la ragazza "E l’Evangelion?". "A questo punto, non può fregarmene di meno", replicò il giovane psyker. "L’aura che sto percependo viene proprio da dove dovrebbe trovarsi, quindi è altamente probabile che sia la sua, o che comunque sia coinvolto in questo casino. Anzi, mi stupirei del contrario. Mi secca non vedere i soldi di Bile, ma tengo di più alla mia pelle".

Prima ancora che Logan finisse di parlare, un rumore sferragliante riempì la strada e una scalcagnata auto scoperchiata fece la propria comparsa dalla direzione in cui la jeep stava andando. Le braccia meccaniche che spuntavano dai sedili e la forma di un uomo in Power armour che sedeva al posto di guida non lasciavano molti dubbi su chi fosse il conducente.

"Signor Bile!" esclamò Erin saltando giù dal sedile e correndo verso la macchina. L’auto si fermò e il Marine del Caos ne scese goffamente. Un uomo alto più di due metri, con addosso un’armatura che lo rendeva ancora più grosso, era evidentemente impacciato in un mezzo che non era stato costruito per qualcuno della sua taglia. "Che è successo?", domandò Bile alla ragazza. "Perché siete qui?". "È successo un bel casino!" rispose Logan scendendo a propria volta dalla jeep. Stavamo venendo a informarti che l’Evangelion si è messo in piedi, quindi il recupero del mezzo è impossibile. Bene che vada, l’Orketto riuscirà a portarti un campione della sua carne, come da accordi iniziali. Facciamo che ci paghi la cifra che avevi promesso in origine e chiudiamo qui l’incarico, va bene?".

Fabius Bile non era uno stupido. C’erano dei momenti in cui la sua brama di conoscenza e la sua voglia di ottenere qualcosa che desiderava ardentemente annebbiavano il suo giudizio, questo sì. Ma non era tipo da lasciarsi fregare in maniera tanto plateale. E Logan stava palesemente cercando di tirarsi fuori dalla faccenda guadagnandoci qualcosa. "Un campione della sua carne?" domandò il Signore dei Cloni, mentre sul suo viso si dipingeva un sogghigno a metà tra l’amareggiato e l’entusiasta. "E perché dovrei accontentarmi di così poco? Hai idea del motivo per cui sono uscito dalla città, quando invece mi sarebbe stato più utile cercare di recuperare la mia astronave?".

Logan aggrottò la fronte. Bile giudicò che quell’atteggiamento valesse come un ‘no’ e si rispose da solo. Frugò tra le pesanti vesti che portava sopra il pettorale della Power armour e ne estrasse un bizzarro oggetto, un corto manico con una sorta di piccolo schermo piatto a un’estremità. "Ho scoperto che questo affare funziona", disse allargando il ghigno. "È un particolare tipo di scanner che ho rubato anni fa in una base segreta degli Illuminati, la stessa in cui ho ritrovato le informazioni riguardo l’Evangelion. A quanto ho capito, questo coso è stato costruito prendendo a modello alcune strumentazioni risalenti a trentotto millenni fa, più o meno il periodo in cui gli Eva combattevano contro i demoni, lo stesso in cui ci fu quel cataclisma…. Gli Illuminati sanno esattamente cosa è successo, ma dubito che lo dicano anche alla loro manovalanza. Se ci sono degli Illuminati su questo pianeta, è altamente probabile che abbiano solo una vaga idea di come siano andate realmente le cose". "E nemmeno tu hai detto tutto alla manovalanza", aggiunse Logan. "E anche tu sai esattamente cosa è successo, giusto?".

"Certo che lo so. Ma non credo proprio che avresti accettato la missione, se l’avessi saputo anche tu"

"È così terribile?"

"Oh, molto più di quanto pensi…. Non ci fu un’esplosione che spazzò via il genere umano. Gli Evangelion non distrussero il mondo…. Gli Evangelion diedero all’uomo quello che l’uomo voleva. Gli esseri umani passano la vita nel vano tentativo di trovare qualcuno che possa capirli appieno. Gli Evangelion tolsero all’uomo questa necessità. Ma le cose vanno ben oltre".

"Che diavolo stai dicendo?"

"Aura superficiale!", esclamò Bile, come se questa parola avesse potuto spiegare tutto. "Quando un organismo si forma in questo universo, a un certo punto l’anima entra dal Warp nel corpo e lo pervade con la propria aura. È questa aura che conferisce al corpo la sua forma e lo tiene insieme. Si potrebbe dire che sia la forma più basilare di consapevolezza di sé. Si può vedere una cosa simile anche nei demoni: dato che i loro corpi sono composti di energia spirituale, necessitano di un’aura superficiale più salda per restare integri, al punto che spesso si manifesta come un campo di forza. Solo pochi demoni riescono a materializzarsi con concretezza sufficiente da farne a meno"

"Finiscila con questi giri di parole, non mi stai spiegando niente!"

Bile sghignazzò: "Ma come, non ci sei ancora arrivato? Gli Evangelion furono usati come parte di un rituale, che aveva Lilith come proprio fulcro: questo rituale privò gli esseri umani della propria aura superficiale. Riesci a immaginare cosa accadde? L’intera umanità si trasformò in un mare di brodo primordiale, diventando un tutt’uno con se stessa. Gli Evangelion e Lilith, per la precisione. Fu un rituale che avrebbe potuto portare alla creazione di una nuova divinità, esattamente come è già accaduto con gli Dei del Caos che conosciamo, con l’unica differenza che il procedimento sarebbe avvenuto su di un pianeta nell’universo reale e non nel Warp"

"Gli Dei del Caos?"

"Eh, già, suppongo che tu non sappia nemmeno questo….. Quando una creatura muore e la sua anima torna nel Warp, si associa spontaneamente con anime di esseri di natura affine. Le anime dei violenti si uniscono ad anime di altri violenti. Le anime dei caritatevoli ricercano quelle di altri caritatevoli. Con il passare dei millenni, queste anime si concentrano in un unico punto del non-spazio che è l’Empireo e danno luogo a tempeste del Warp. Alcune di queste tempeste possono acquisire coscienza propria, diventando la quinta essenza del carattere comune che ha portato insieme le anime che le compongono. Questo è un dio, niente di più, niente di meno. Il mare di brodo primordiale formatosi su Terra durante il rituale degli Evangelion era praticamente equivalente a una tempesta del Warp nell’universo reale. Essendo nell’universo reale, però, le anime che la abitavano non erano morte e la memorie dei corpi disciolti che la formavano fisicamente era ancora impressa in esse. Questo significa che un tale fenomeno era possibile solo con il consenso dei diretti interessati, ovvero gli esseri umani. E sai perché noi adesso siamo qui, che possiamo parlare? Perché ci furono esseri umani che decisero di non fare parte di quella divinità artificiale, che decisero di tornare a essere quello che erano, esattamente come era stato previsto!"

Logan sbuffò: "Riesci a essere insopportabile, sai? Ogni tua spiegazione non fa altro che complicare le cose! Previsto da chi? Qualcuno ha voluto una cosa del genere?"

"È ovvio", sbottò Bile, mentre il suo sogghigno si contraeva sempre più nella smorfia di chi volesse creare aspettativa nel proprio interlocutore. "Certe cose non capitano per caso. A quel tempo c’era un’organizzazione che possiamo pensare fosse composta dai predecessori degli Illuminati: loro volevano che l’umanità diventasse divinità di se stessa. Avevano trovato Adam e Lilith e progettavano di usarli a questo scopo. O almeno, così credevano. Quello era un tempo in cui l’Imperatore, seppure sotto mentite spoglie, camminava ancora tra gli esseri umani. Sapendo dell’esistenza delle Oscure Potenze, concepì un metodo tale da permettere all’umanità di combatterle. Manovrò gli eventi affinché i vecchi Illuminati decidessero di portare avanti questo folle piano, ma, al tempo stesso, si accertò che altri lo facessero fallire. Voleva che il rituale avesse luogo ma si concludesse con un fallimento. In realtà, non so bene nemmeno io in che modo agì. È possibile che si sia limitato a controllare mentalmente le azioni di alcune persone, o forse aveva concertato le cose ancora meglio. Forse non aveva fatto ricorso ai propri poteri psichici, si era limitato a regolare quel dettaglio che avrebbe fatto quadrare l’insieme…. Fatto sta che le cose andarono proprio come aveva previsto: a rito già iniziato, ci fu un’interruzione, o forse intervenne un elemento estraneo e non programmato dagli Illuminati fin dall’inizio. E alcuni esseri umani poterono tornare alla loro forma materiale. Pare che la stragrande maggioranza dell’umanità abbia preferito restare nell’oceano di brodo primordiale, ma, a quanto ne so, non c’è niente di simile su Terra. Non saprei dirti dove questo oceano sia finito, perché, dalle informazioni in mio possesso, sembra che sia sparito poco tempo dopo la fine del rituale. È possibile che le anime che lo componevano si siano istintivamente ritirate nel Warp"

"C’è un’ultima cosa che non mi quadra: hai detto che l’Imperatore voleva che il rituale cominciasse e fallisse per permettere all’umanità di combattere contro gli Dei del Caos…. Ma in che modo? Cosa è cambiato? Perché adesso gli esseri umani sarebbero migliori di prima?"

Il volto del Signore dei Cloni si aprì in un sorriso di soddisfazione: "E me lo chiedi proprio tu? Tu sei la risposta vivente a questa domanda. Tu sei quello che l’Imperatore voleva. Perché tu sei…."

"Uno psyker!". Logan capì all’improvviso. "L’Imperatore voleva che l’umanità fosse sottoposta a un rituale che coinvolgeva dei cloni di un demone, cioè una creatura del Warp. La vicinanza con il Warp ha alterato il codice genetico degli esseri umani tornati dal brodo primordiale e ha dato il via all’evoluzione della specie come razza psichica!"

"Se ti impegni ci arrivi, eh? Ovviamente, l’evoluzione è stata lenta e non è certo terminata…. Le prime generazioni di umani post-rituale non erano certo composte di psyker. Però, con il passare dei millenni, con l’influenza dell’Immaterium derivata dai viaggi spaziali, i geni alterati eredità degli Evangelion si sono risvegliati a poco a poco. E così, negli ultimi secoli, gli psyker sono aumentati moltissimo, anche se restano una percentuale minima della razza umana. Era decisamente un progetto a lungo termine. Se l’Imperatore non avesse dovuto affrontare Horus, probabilmente starebbe seguendo anche ora questa evoluzione". Bile alzò nuovamente lo scanner, mettendolo sotto gli occhi del proprio interlocutore. "Secondo questo affare, l’evento si sta ripetendo, più o meno. Ha appena rilevato una fonte di energia molto simile a quella che si attivò ai tempi della catastrofe. Un Warp gate e un’emanazione psichica che amplia a dismisura l’aura superficiale di un singolo essere estremamente potente, permettendole di cancellare quelle delle creature inferiori che si trovano entro il proprio raggio…. Non pensavo che fosse possibile, ma l’Evangelion 01, il figlio illegittimo di Lilith, ha creato a propria volta una Luna Nera…."

Logan pestò rabbiosamente un piede per terra: "Ti diverti a farti chiedere spiegazioni, eh? Dovrei chiederti cosa cazzo è ‘sta Luna Nera, no?".

"Se proprio insisti". Sul volto di Bile danzò un ghigno beffardo: "L’esatta natura della Luna Nera è ignota, ma si tratta fondamentalmente di un Warp gate. Il Principe Demoniaco Lilith aveva una caratteristica fondamentale: alterava la vita. La trasformazione degli esseri viventi in un mare di brodo primordiale non era che una parte di un procedimento di generazione e rinnovamento. Attraverso il Warp gate che è la Luna Nera, Lilith dovrebbe richiamare l’energia spirituale necessaria alla trasformazione e, in un secondo tempo, le anime delle nuove creature che nasceranno dal liquido da lei stessa generato. Non sono riuscito a capire granché dei dettagli, ma sembra che Lilith abbia dato vita ad Adam in questo modo e che lo stesso Adam abbia utilizzato un procedimento simile per generare i demoni contro i quali gli Evangelion combattevano… Isolare una gran quantità di creature, addirittura su scala planetaria, trasformarle in brodo primordiale e poi dare a questo liquido una nuova forma, usando delle anime richiamate dall’Immaterium per animarla. Forse ci sono Lilith e Adam dietro le estinzioni di massa che hanno sconvolto la storia di Terra nel corso di molti milioni di anni".

Logan sbuffò istintivamente: che cazzo stava succedendo? Aura superficiale? Allora era destinato anche lui a sciogliersi in una pozza di brodo primordiale? "Va bene,", disse spingendo Erin giù dalla jeep, "facciamo che io lascio la missione, tu non mi paghi e siamo pari. Saluti". La jeep ingranò la marcia indietro e si mosse di qualche metro, mentre Logan si apprestava a fare manovra. "Non risolverai niente", gridò il Signore dei Cloni, mentre il ragazzo, la fronte imperlata di sudore, cercava di dirigere nuovamente il mezzo verso il deserto. "Se scappi adesso, non hai alcuna possibilità di salvarti: l’azione di Lilith si è verificata su scala planetaria, quindi è verosimile che sarà così anche per lo 01. Che io sappia, esiste un solo modo per resistere al procedimento di scioglimento". Logan bloccò improvvisamente la jeep, che ormai stava dando le spalle a Bile, e lanciò un’occhiata arcigna al Marine del Caos. Bile giudicò che fosse un invito a proseguire: "Secondo i dati che ho raccolto, Lilith creò delle illusioni in grado di creare forti emozioni nelle persone. Generalmente sollievo, affezione o sicurezza, in modo da stimolare lo scioglimento dell’aura superficiale dell’individuo. Probabilmente, in qualche caso, anche paura, per fare crollare le difese psicologiche. Se non ci sono emozioni di fondo, è possibile che il procedimento non funzioni. Per evitare di diventare brodo primordiale, devi essere completamente impassibile. Non provare emozioni di alcun tipo, è l’unico modo per non essere coinvolto nella ripetizione del rituale". Senza nemmeno rispondere, Logan ingranò la prima e partì verso le distese desertiche.

Fabius Bile si avvicinò a Erin e le mise una mano sulla spalla, seguendo con lo sguardo il giovane wyrd che si allontanava, apparentemente dimentico che lo stava facendo su di una jeep che lui stesso gli aveva fornito. Il fatto che Logan avesse voluto chiamarsi fuori dalla missione non lo disturbava più di tanto: se l’Evangelion si era animato, un suo recupero era ormai impossibile. Lo Squartauomini scosse il capo sogghignando. In realtà, non era proprio sicuro che fosse possibile resistere all’azione della Luna Nera con il sistema che aveva descritto. Era più che altro una sua teoria. Sapeva che fuggire da Novet in quel momento sarebbe stato inutile: raggiungere lo spazioporto presidiato dalla Nera Legione era praticamente impossibile e questo significava restare coinvolti nel rituale. Però… Se avesse giocato bene le sue carte, pensò Bile, forse si sarebbe salvato e avrebbe anche guadagnato qualche informazione interessante…

 

La capitale di Novet era in fiamme. Ormai da qualche ora i Marine in armatura nera l’avevano messa a ferro e fuoco; il piccolo gruppo di Emperor’s Children guidato da Derketo aveva già raggiunto la zona di guerra e aveva cominciato a divertirsi. Con la parola ‘divertimento’, i seguaci di Slaanesh intendevano esperienze nuove e sensazioni forti. E questo era un problema, perché alcuni di loro erano in vita da millenni. Nell’Occhio del Terrore, dove lo spazio reale e la materia dell’Empireo si mescolavano in un amalgama di follia e irrazionalità, il tempo non aveva alcun significato, con il risultato che una vita poteva essere prolungata quasi all’infinito. Ne conseguiva che alcuni Emperor’s Children avevano provato praticamente di tutto e questo li aveva sprofondati in una noia mortale e implacabile. Si narravano storie di membri di questa Legione che, sentendosi ormai impossibilitati a trovare un’esperienza mai provata, si suicidavano per provare qualcosa di nuovo. Non Derketo. Lui era un veterano dell’Eresia di Horus, aveva più di diecimila anni, aveva servito sotto il Primarca Fulgrim in persona, aveva viaggiato per la Galassia combattendo la Grande Crociata, aveva ceduto al richiamo di Slaanesh insieme ai suoi fratelli Marine ed era stato uno dei seguaci più zelanti. Ai tempi, quando Fabius Bile era stato ancora parte della Legione, Derketo aveva trovato in lui e nei suoi continui esperimenti una fonte di esperienze interessanti quasi inesauribile. Per questo era sempre ben disposto a seguire il suo vecchio compagno d’arme nelle sue imprese. Ma non era un suo subordinato. Non era un suo servo.

Quando aveva saputo dell’attacco alla capitale, aveva immediatamente lasciato il fronte del deserto per andarsi a divertire. Mentre avanzava tra le macerie e gli edifici sventrati, si guardava attorno ammirato. L’efficienza degli attaccanti era stata ammirevole: schierando l’armata tramite i drop pod, avevano portato sul posto rapidamente numerosi soldati e armi d’appoggio, con il risultato che la città era stata ridotta all’ombra di se stessa nel giro di poche ore. Ma gli Emperor’s Children avevano trovato comunque qualcosa da fare, o almeno ci avevano provato. Avevano catturato una ventina di fuggiaschi, civili che avevano cercato di lasciare il complesso urbano in rovina, nella speranza di trovare rifugio tra le dune e le rocce ventose del deserto, ma adesso non sapevano cosa farci. Da più di venti minuti, i Marine stavano discutendo se fosse il caso di trovare un modo nuovo di ucciderli o se bisognasse riservare loro qualche trattamento meno scontato. Derketo trovava queste situazioni terribilmente noiose. Ne aveva già sentite a migliaia e aveva capito ormai da secoli che l’atto di uccidere in sé non era poi così divertente e che le varianti erano piuttosto limitate. Molti seguaci di Slaanesh di primo pelo diventavano assassini efferati, perché infrangere le convenzioni del vivere comune era la via più logica verso il nuovo e l’inesplorato. Ma il semplice omicidio non era particolarmente esaltante e si impiegava poco tempo a capire quanto poco valesse una morte rispetto a un vita. Con un morto si poteva fare ben poco, con un vivo si poteva fare molto di più.

Il gruppo di Emperor’s Children si era accampato all’interno di una piccola abitazione semidistrutta dalle cannonate: Derketo aveva lasciato il grosso dei suoi soldati libero di andarsi a divertire per le vie della città, limitandosi a imporre un orario per riunirsi e portando con sé solo la sua guardia del corpo personale. Mentre si sedeva mollemente tra i detriti e guardava i suoi commilitoni litigare, si chiese se entrare nella capitale fosse stata una mossa prudente. La risposta era indubbiamente no, e questo lo convinse di avere fatto la scelta giusta. Sbadigliò sonoramente e cominciò a picchiare distrattamente tre le macerie la sua lunga spada dalla larga lama ricurva. Anche vedere saltare dei frammenti di casa era qualcosa che aveva già provato in più di un’occasione.

Sarebbe potuto restare lì, a fare niente, per ore. Il tempo non gli mancava di certo. Improvvisamente, notò del movimento tra i suoi commilitoni. Non impiegò molto a capire cosa fosse successo: Fabius Bile era appena entrato nell’abitazione semidistrutta, accompagnato da quella ragazzina che si portava dietro ogni tanto. Derketo sbuffò: aveva già una mezza idea di quello che il suo ex commilitone voleva dirgli. Lo avrebbe rimproverato per avere lasciato la propria posizione e gli avrebbe negato il divertimento che gli aveva promesso. Che noia.

"Ti diverti?", domandò Bile mettendosi dritto davanti a Derketo e lanciandogli un’occhiata beffarda. "No", ammise senza problemi il Signore del Caos. "Questo posto è una noia. Ma è comunque meglio del deserto in cui mi hai spedito tu, quindi risparmiami la menata, d’accordo?". Il Signore dei Cloni scosse il capo: "In effetti, se la situazione fosse diversa, credo che mi sarei preso una qualche vendetta per questo tuo comportamento sconsiderato. Ma si dà il caso che tu sia venuto in città proprio quando avevo bisogno di parlarti. Avevi detto di non avere ancora giocato le tue carte migliori, no? Forse so dove potresti calarle. Sta per succedere qualcosa che non hai mai visto, ne sono certo!".

 

Gutzmaak stava gongolando. Aveva passato molto tempo tra gli umani, quindi non era più definibile come un tipico Orketto. Ormai aveva perso o smussato alcuni tratti tipici della sua razza. Non sempre era incosciente, per esempio. Ma c’era una caratteristica tipicamente orkettesca che gli era rimasta: subiva senza riserve il fascino delle cose strane, grosse, rumorose e/o veloci. Mentre guardava dal basso in alto l’imponente sagoma dello 01, pensò che fosse una delle viste più esaltanti che gli fossero mai capitate sotto gli occhi.

Alexandra era di tutt’altro avviso. Percepiva l’aura dell’Evangelion crescere di minuto in minuto, mentre enormi nubi di polvere e sabbia di si sollevavano attorno ai piedi del gigantesco umanoide. Valutò rapidamente che la missione fosse ormai fallita: a questo punto, non le restava che raggiungere Zdansky e Megan e lasciare quel pianeta il prima possibile. Stava decisamente succedendo qualcosa di strano. La ragazza alzò gli occhi al cielo, dove si stavano cominciando a radunare delle nubi nere, che turbinavano direttamente sopra la testa dell’Eva, come a formare un mulinello veloce e travolgente, che sembrava voler risucchiare tutta l’aria dentro di sé e che contrastava violentemente con la luce rosata del mattino. Lanciò un’occhiata all’Orketto. Non c’era tempo di pensare a lui. Sorrise tristemente tra sé e sé: sembrava fosse destino che qualcosa le impedisse di uccidere quel pelleverde e i suoi compagni ogni volta che li incontrava. Personalmente, la cosa non le dispiaceva più di tanto: l’idea di ammazzare qualcuno al fianco del quale aveva combattuto non era certo entusiasmante per lei. Le sembrava di tradire la lealtà. Non tanto quella altrui, ma la propria. Professionalmente, invece, si rendeva conto che lasciare in vita qualcuno che conosceva la sua identità era un grosso problema per un Inquisitore. Ma, almeno per ora, non aveva scelta.

Si girò e espanse la propria aura, preparandosi a usarla per alzarsi da terra e levitare verso la città alla massima velocità possibile; prima che potesse esprimere il pensiero cosciente di volare, però, qualcosa la fermò. Un concerto. Una musica stridente e fastidiosa si stava espandendo nell’aria. Sembrava un concerto di mille organi. Contrariamente a quella degli organi, però, questa musica non era lenta e solenne: era veloce e ritmata, potente e vibrante. Sembrava venire da un’altra dimensione, ma era più verosimile che la sua provenienza fosse il confine tra la capitale e il deserto. Aumentava sempre più di ritmo e intensità, come a raggiungere un crescendo intollerabile che spaccava i timpani e non solo: si insinuava nell’anima, scavava nel profondo, tirava fuori gli istinti più nascosti. Era un monito alla fragilità della carne umana e al tempo stesso un inno al piacere che permetteva di provare.

Alexandra cadde a terra ansimante, mentre sentiva il sangue affluirle alla faccia, scaldandogliela innaturalmente. Cadde in ginocchio e vide i suoi stessi capelli che le ricadevano davanti agli occhi. Poi, all’improvviso, i suoi capezzoli avvamparono di una sensazione piacevole ma terribile, perché non aveva alcuna ragione di esserci. Era successo così, senza motivo apparente. Gemette involontariamente e, un secondo dopo, si vergognò con se stessa, perché stava cominciando a capire quello che stava accadendo. Il suo respiro si stava facendo pesante, il suo corpo vibrava come in preda a scatti incontrollabili. Si piegò ulteriormente, picchiando la fronte sul terreno e scoprendo di essere bagnata tra le gambe. Aveva già provato qualcosa di simile, e non tra le braccia di un uomo. L’odore di vaniglia che le riempì le narici subito dopo le diede la conferma definitiva di quello che stava succedendo. Tirando un profondo respiro, alzò la testa e guardò in direzione della città.

Sembrava una massa informe, ma non lo era. Guardando meglio, era possibile distinguere delle sagome abbastanza ben definite nell’orda che stava avanzando verso la pianura. Le creature erano piuttosto varie fra di loro, ma erano tutte ugualmente belle e orribili. Orribili nell’aspetto, bellissime per il conturbante fastidio che la loro presenza suscitava. Erano una schiera, un esercito. Alexandra valutà che fossero più di mille, ma forse non aveva visto bene: la sua testa era ancora annebbiata da spasmi di doloroso piacere. Distinse abbastanza chiaramente le creature di forma umanoide, perché le aveva già incontrate. Alcune erano glabre, altre avevano una folta chioma. Alcune somigliavano molto a degli esseri umani, altre avevano delle gambe da uccello, sulle quali saltellavano agilmente. Tutte avevano delle grosse chele al posto delle mani.

C’erano degli altri esseri là in mezzo. Ad Alexandra sembrò di vedere dei mostri simili a centauri, con un muso allungato da rettile, delle zampe equine ridicolmente corte e tozze e le solite che alle braccia. Le parve anche di cogliere con lo sguardo dei serpenti che correvano veloci su lunghe e snelle zampe artigliate, mentre una viscida lingua guizzava fuori dalle loro bocche. Alcuni di questi ultimi erano cavalcati dai mostri umanoidi. E poi, Alexandra vide anche delle enormi bestie dalla testa bovina, dotate di quattro braccia e rivestite di pelle e d’argento.

Non c’era dubbio: mentre la musica si faceva sempre più fastidiosa e incalzante, Alexandra capì di trovarsi di fronte un’orda di demoni di Slaanesh.

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Capitolo 16
*** Episodio 41: Raduno/Daemon Prince ***


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‘Uomo bestia cattivo. Cattivo Uomo bestia. Sporco. A Imperatore no piace. Uomo bestia ama Imperatore. Offrite sangue a Imperatore. Offrite teste a Imperatore. Offrite mani a Imperatore. Chiedete scusa’.

Capo branco Grasht, assegnato alla settima Compagnia, quattordicesimo Reggimento di Gratanor

Episodio 41: Raduno

UN PIANETA IMPRECISATO, IN UN PERIODO IMPRECISATO (non troppo lontano dagli eventi descritti in Psycho Impact, comunque)

La grande pianura, coperta a perdita d’occhio dalla massa informe e ululante dell’orda caotica, sembrava quasi gridare al nero cielo notturno una sfida totale e definitiva. Mentre le nubi cariche di pioggia cominciavano ad addensarsi, mentre i fulmini già balenavano all’orizzonte, l’orda stava compiendo i propri rituali.

Nel corso dei lunghi viaggi spaziali che avevano portato l’umanità a colonizzare la Galassia, l’esposizione al Warp aveva causato lenti ma costanti cambiamenti nel codice genetico delle persone. Cambiamenti che si potevano vedere anche sui pianeti più civilizzati nel sempre crescente numero di psyker e mutanti che nascevano nell’Imperium, ma che si palesavano al punto da diventare normalità solo nelle razze abumane. Gli abumani erano delle stirpi di esseri umani che erano mutate profondamente nel corso delle generazioni, acquisendo tratti fisici e mentali ben definiti e diventando delle nuove sottospecie di Homo sapiens a tutti gli effetti. Tra gli abumani più noti c’erano gli Ogryn, giganteschi e stupidi, ammassi di muscoli in grado di spazzare via qualsiasi nemico con la mera forza fisica, superiore persino a quella di uno Space Marine. E c’erano gli Squat, bassi e tozzi, ma dal fisico possente e dalla resistenza impareggiabile. E c’erano i Ratling, piccoli, agili e tranquilli, ma letali quando impugnavano un’arma da fuoco.

E poi c’erano gli Uomini bestia. Homo sapiens variatus, per chi preferiva formalizzare il loro nome. I Gor, l’etnia più comune, avevano un aspetto per certi versi simile a quello di un umano qualsiasi, se non fosse stato per le gambe e la testa, che erano di forma inequivocabilmente caprina. I Gor, e gli Uomini bestia in generale, erano un problema per l’Imperium, sebbene ciascuna autorità planetaria lo trattasse diversamente. Avevano un’indole indubbiamente bellicosa e questo portava molti a identificarli con il Caos in sé, come la razza che portava nel proprio codice genetico l’essenza stessa della natura caotica, anche più degli psyker. Di fatto, molti Uomini bestia erano seguaci del Caos in varie forme e a volte comparivano persino nelle armate dei Marine traditori. Per un gran numero di Inquisitori puritani, il semplice fatto di essere un Uomo bestia era un peccato punibile con la morte. D’altra parte, c’erano stati diversi casi riportati di intere comunità di Gor che, avvicinate dagli umani "normali" con intento pacifico, si erano dimostrate tutto sommato non intrattabili. Alcune di esse avevano persino cominciato a praticare il culto predicato dall’Ecclesiarchia, diventando tra i più devoti seguaci dell’Imperatore. Benché certi sacerdoti dell’Adeptus Ministorum trovassero piuttosto disturbante che gli Uomini bestia adorassero l’Imperatore sacrificandogli i nemici catturati in brutali riti di sangue (che a volte culminavano con banchetti in cui le carni delle vittime erano la portata principale), era sempre meglio che vederli lodare le Potenze del Caos.

Addirittura, sui pianeti i cui la concentrazione di Uomini bestia era particolarmente alta, venivano irregimentati in plotoni militari all’interno della Guardia Imperiale (sebbene non tutti i comandanti fossero disposti ad avere queste creature al proprio servizio), dove si dimostravano combattenti feroci e molto devoti alla causa. Qualcuno diceva che questa loro devozione era dovuta alla bassa intelligenza, ma a nessuno importava veramente.

Però, quando l’Imperium doveva affrontare degli Uomini bestia in battaglia, le cose andavano molto peggio. Nonostante fossero suddivisi in diverse etnie, che non sempre si mescolavano tra di loro, quando decidevano di andare in guerra, lo facevano in grande stile. Tipicamente, un potente capotribù erigeva una enorme pietra, sulla quale faceva incidere e scrivere simboli mistici di un qualche valore religioso. Appena le tribù vicine venivano a sapere dell’erezione di una Pietra del Raduno, così venivano chiamati questi monoliti, vi si dirigevano immediatamente. Una volta lì, i vari gruppi di Uomini bestia festeggiavano, organizzavano rituali e banchetti e decidevano chi sarebbero stati i comandanti che avrebbero guidato tutte le tribù convenute contro il nemico (chiunque esso fosse). Ovviamente, la scelta dei leader passava attraverso la prova di forza: chi riusciva a sconfiggere i diretti concorrenti aveva il diritto di scrivere il proprio nome sulla Pietra del Raduno e di prendere il comando di una quantità variabile di guerrieri.

La Pietra del Raduno al centro della pianura, un monolito nero che si innalzava per più di sette metri nel cielo scuro, aveva qualcosa di particolare. Non erano state le mani di un uomo bestia a porlo dove si trovava. Le prime tribù che avevano saputo della sua esistenza e vi si erano dirette avevano trovato una sorpresa. Ad aspettare l’arrivo dell’orda, infatti, non c’era un Uomo bestia con il suo seguito, ma degli umani alti e possenti, avvolti di Power armour di un viola cupo, bordate di finiture color oro e ornate di trofei, teschi e scalpi. Il loro capo aveva scritto chiaramente il proprio nome sulla pietra, nei caratteri quasi universali del Basso Gotico (probabilmente ben sapendo che buona parte degli Uomini bestia era analfabeta in termini imperiali e conosceva solo i rozzi segni della propria lingua, quasi in una sfida alle loro usanze, una profanazione con un agente estraneo a un monumento appartenente alla loro cultura). Ieron, questo era il nome.

Ieron era un Marine del Caos, ma non sapeva perché. Anzi, era un Signore del Caos, un comandante di un’armata di guerrieri che avevano dichiarato guerra all’Imperium dell’Umanità e si erano schierati al fianco di divinità blasfeme e corrotte. Era alto due metri e ventidue centimetri, il che non era molto per uno Space Marine; indossava una Power armour color viola scuro, le cui spalliere e i cui schinieri erano bordati di rinforzi color oro. Dal suo casco, che copriva il volto come una maschera inespressiva, si levavano due enormi corna incurvate verso l’alto, che sembravano rivaleggiare con i trofei che si innalzavano dal grande zaino metallico, due lunghe picche su ciascuna delle quali erano infissi due teschi, gli ultimi resti di chissà quali vittime. Uno di essi era ancora chiuso nel caso bianco e azzurro che usavano gli Space Marine di un qualche Capitolo leale il cui nome non ricordava più. Raptor Army? No, forse Raptor Legion… Be’, qualcosa di simile. Fermato sulle spalle dalla pelliccia bruna di chissà che animale, Ieron portava un mantello di un viola pallido e deprimente; la power axe che impugnava aveva una grossa lama bluastra, sulla quale balenavano riflessi azzurrini. A volte, Ieron si chiedeva se fossero un segno di vita da parte del demone che vi era rinchiuso.

A tutti i primi capotribù che si erano presentati di fronte a lui, Ieron aveva ripetuto la stessa identica formula: "Sono Ieron. Sono il capo di questa orda che sta per formarsi. Tu sei al mio servizio". Alla risposta "No" (spesso condita da epiteti, grugniti e a volte anche tentativi di attacco), era seguita l’immediata decapitazione dell’individuo con un preciso colpo d’ascia. Tipicamente, il successore del capotribù (che veniva deciso in pochi minuti: agli Uomini bestia non serviva molto per stabilire chi fosse il più forte fra di loro) accettava la leadership del Marine del Caos senza troppe storie.

Nel giro di poche settimane, le tribù che si erano riunite nella pianura erano diventate una moltitudine. Si era già sparsa la voce dell’umano dall’armatura viola che voleva comandare sugli Uomini bestia. Molti venivano a vederlo spinti dalla curiosità, e poi restavano. E non solo uomini bestia. Gruppi di Centauri arrivavano galoppando furiosamente, dando sfoggio della propria forza bestiale e producendosi nelle loro infantili ostentazioni di potenza e fierezza. I loro capi scrivevano il proprio nome sulla Pietra del Raduno e poi alzavano i fucili e sparavano in aria gridando e nitrendo. I Minotauri più forti lasciavano le loro vite da eremiti, lasciavano i templi del Caos a cui si erano consacrati, per unirsi a questo esercito e sacrificare vittime alle Oscure Potenze. I Dragogryn, enormi creature centaurine con il torso di un Ogryn piantato sul corpo di un dinosauro, si svegliavano dal loro sonno secolare per partecipare alla battaglia. Era una specie di evento, perché i Dragogryn passavano buona parte della propria esistenza a dormire. Nessuno sapeva come si riproducessero, forse perché erano più antichi di qualsiasi creatura presente su quel pianeta e non ne erano nati di nuovi fin da quando erano arrivati gli umani, circa duemila anni prima. Ciò che era noto era la loro tendenza a diventare sempre più grossi con il passare del tempo e a dormire sempre di più con l’aumentare delle loro stazza. Non diventavano mai senili (almeno per quanto se ne sapeva), ma, a seconda della loro età, potevano passare anche millenni a dormire nelle profondità di qualche grotta montana. Poi, arrivava il momento in cui una tempesta di fulmini notturna li svegliava, e allora si radunavano sui picchi rocciosi a combattere fra di loro, esaltati dalla furia degli elementi che si scatenava nelle tenebre. Sebbene un Dragogryn avesse già una stazza considerevole (spesso sfiorava i tre metri di altezza), girava voce che i più grossi e antichi di loro, gli Shaggoth, potessero anche superare i nove metri. Erano delle vere e proprie mostruosità ambulanti, che combattevano brandendo alberi e che potevano spazzare via interi eserciti.

Mentre guardava la vastità dell’orda caotica radunarsi sotto il suo monolito, Ieron, seduto sul trono di granito che aveva portato davanti all’enorme pietra, rimuginava. Pensava che le cose stessero andando più o meno come aveva programmato. Pensava che presto avrebbe saputo ciò che voleva.

Episode 41: Daemon Prince

ANNO 992M41, TEMPO ESATTO IMPRECISATO, LUOGO SEGRETO

Buio. Completamente buio. La stanza, o qualunque fosse l’ambiente in questione, era completamente immersa nelle tenebre. L’unica cosa che denotava la presenza di qualcuno o qualcosa erano dei suoni. Passi, probabilmente, e il frusciare di vesti. Poi, dei rumori metallici e infine il ritmico respirare di esseri viventi. Le tenebre si ruppero. Un grosso schermo brillante di luce bianca si accese: su di esso, campeggiava il simbolo di un triangolo con un occhio al centro. Ancora un rumore di passi, stavolta di una singola persona, poi una voce, palesemente alterata elettronicamente: "Miei ignoti discepoli, benvenuti. Le missione per la quale state per partire è di importanza vitale per la nostra organizzazione e per il destino dell’umanità. Il fallimento non vi è permesso e quindi vi saranno fornite tutte le informazioni di cui avrete bisogno". L’immagine sullo schermo cambiò: ora comparve quella che sembrava essere una fotografia sfocata, ma qualsiasi essere umano sano di mente avrebbe sostenuto che si trattava di un falso. Cose come quelle che si vedevano nell’immagine non potevano esistere davvero. Sullo schermo era visibile un gruppo di bizzarre creature umanoidi, apparentemente intente a caricare chi aveva scattato la foto. Gli esseri erano piuttosto diversi fra loro, eppure erano accomunati da diversi elementi. Innanzitutto, la pelle color rosso vivo e la possente muscolatura. Poi, la forma della testa, allungata verso l’alto e dotata di grosse corna sui lati. Era impossibile distinguere l’impressione del viso, ma pareva quasi di poter vedere dei denti aguzzi biancheggiare nelle bocche spalancate. Poi, cominciavano le differenze. Un paio di quelle creature erano a torso nudo, o almeno così sembrava; reggevano delle grosse spade nere con entrambe le mani e le loro gambe, anch’esse nude, sembravano simili a quelle di un uccello. Un altro di quei mostri indossava una sorta di armatura che copriva il torso, fatta di un qualche metallo brillante; tra le mani, portava un’enorme ascia. Poi, si potevano vedere con discreta chiarezza altri due di quegli esseri: erano costituiti da solo un paio di gambe, dalle quali si prolungava un torso serpentino. In cima a esso, la testa, praticamente identica a quella degli altri mostri, dalla quale spuntavano però le braccia, lunghe e sottili. Questi ultimi due esseri impugnavano degli spadini. La voce riprese a parlare: "Quelli che vedete sono demoni di rango inferiore, quelli comunemente classificati come Fanteria Demoniaca. In particolare, alle creature dell’immagine è stato dato il nome di Spargisangue; sono al servizio dell’Oscura Potenza nota come Khorne. Le loro apparizioni sono documentate in diverse zone di guerra, durante battaglie alle quali hanno preso parte seguaci del Caos, in particolare di Khorne stesso. Allo stato naturale, quando si trovano nel Warp, tutti i demoni sono costituiti di pura energia e possono comparire nell’universo reale solo in particolari condizioni, creando all’istante un corpo materiale radunando la forza spirituale presente nell’atmosfera. Questo significa che la comparsa dei demoni è strettamente connessa alle emozioni e alle azioni dei viventi. I demoni di Khorne, nel nostro esempio, compaiono preferibilmente dove si sta svolgendo un massacro o dove è in corso un gran numero di combattimenti. Quando le condizioni per la loro permanenza vengono meno, i corpi dei demoni scompaiono e le creature tornano nel Warp. Questo significa che, per un demone, è più facile permanere nell’universo reale se si trova in presenza di persone che credono intensamente alla sua esistenza. Ovviamente, un individuo che ne viene minacciato, ha qualche difficoltà a non crederci". L’immagine sullo schermo cambiò. Stavolta era molto più nitida, ma questo non fu certo un piacere per chi la stava guardando. La creatura che raffigurava, di forma vagamente umanoide, si stagliava sopra il punto di osservazione spalancando le lunghe braccia dalle mani a quattro dita artigliate; le sue enormi ali dalle piume blu elettrico facevano sembrare l’essere ancora più imponente. In cima al lungo collo c’era una testa scarnificata che, con un po’ di fantasia, si sarebbe potuta descrivere come un misto tra quella di un rapace, con un becco lungo e appuntito, e quella di un coccodrillo dalle spesse zanne. Sotto il livello della vita, la pelle azzurrina del mostro sembrava coperta di piume blu, le stesse che c’erano sulle ali e attorno alla base del collo. La bestia aveva le fauci spalancate e sembrava intenta a gridare al cielo. "Questo è un Demone Maggiore" ricominciò la voce "Per la precisione, un Signore del Cambiamento, devoto al Dio del Caos Tzeentch. I Demoni Maggiori si manifestano secondo modalità simili a quelle delle loro controparti più piccole, ma sembrano preferire la possessione. Tipicamente, un Demone Maggiore prende possesso del corpo di un adoratore del Caos e vi resta finché non si verificano le condizioni della sua manifestazione. Quando finalmente si palesa nell’universo reale, deforma il corpo ospite fino ad assumere il suo aspetto definitivo, come quello che vedete. In questo modo, il Demone Maggiore ha un corpo almeno parzialmente materiale, sebbene debba usare una certa quantità di energia spirituale per avviare la trasformazione e per colmare il divario tra la massa dell’individuo ospite e la propria. Che, come vedete, è decisamente superiore a quella di un umano". Di nuovo un’altra immagine, di gran lunga la più raccapricciante. La creatura che compariva nella foto, torreggiante su di un gruppo di tre Space Marine dall’armatura bianca in fuga, poteva essere definita più o meno come un cumulo di melma, sporcizia, letame e lordure varie, nel quale erano a malapena distinguibili un paio di braccia magre e artigliate e una testa grassa, nella quale si spalancava una bocca zannuta, la cui lingua sproporzionata era avvolto attorno alla vita di uno dei Marine. Guardando bene, si poteva vedere anche un paio di tozze gambe. Dal ventre rigonfio dell’essere sembravano fuoriuscire dei mostriciattoli a esso somiglianti, insieme con intestini, pezzi di fegato e polmoni e organi non meglio identificati, che parevano lasciarsi dietro una scia di putridume. La voce riprese: "Questo, invece, è un Principe Demoniaco. A quanto ne sappiamo, quello che vediamo nell’immagine si chiama Foulspawn ed è un seguace della Divinità Oscura Nurgle. I Principi Demoniaci dispongono di un corpo materiale vero e proprio, perché un tempo erano mortali, almeno nella maggior parte dei casi. Quando un Campione del Caos dimostra il proprio valore alla sua divinità protettrice, può essergli offerta l’opportunità di diventare un Principe Demoniaco. Questa premessa serve per farvi capire quello con cui abbiamo a che fare. I demoni del Caos ci sono sempre stati e, con tutta probabilità, esisteranno finché ci saranno creature viventi le cui emozioni possano alimentare l’esistenza delle Oscure Potenze. Su Terra, circa trentotto millenni fa, fu rinvenuto un demone dotato di corpo fisico. Presumibilmente un Principe Demoniaco, dunque. In qualche modo, questo demone diede origine a una stirpe di creature a lui simili; il fatto è che abbiamo ragione di credere che questo Principe Demoniaco non fosse un mortale asceso al rango di demone, quanto piuttosto una creatura generata artificialmente.

"Solo molto tempo dopo, in seguito ad approfondite ricerche, avemmo modo di sapere di cosa si trattasse esattamente. Quella creatura, a cui fu dato il nome in codice di ‘Lilith’ da coloro che la scoprirono, era stata elaborata artificialmente da una razza scomparsa da moltissimo tempo. Come tutti sapete, prima dell’Imperium dell’umanità, prima dello splendore della civiltà Eldar, prima ancora del dominio degli esseri dalla pelle verde che crearono gli Orketti, questa Galassia era sotto il controllo di alieni non meglio identificati a cui diamo il nome di ‘Slann’, o ‘Antichi’. Questi esseri combattevano una feroce guerra contro la razza chiamata Necrontyr, in merito alla quale vi invito a consultare l’Archivio Xenos numero 277. Gli Slann erano dotati di una tecnologia superiore, ma ben presto i Necrontyr presero ad adorare come divinità delle strane creature chiamate C’tan. Gli C’tan non possono essere dei nel senso comunemente inteso, perché sembrano tra i pochi esseri viventi a non possedere un’anima, quindi un corrispettivo nel Warp. Anzi, pare che l’Immaterium costituisca per loro un anatema e che sia una delle poche cose in grado di danneggiarli. All’atto pratico, però, gli C’tan dispongono di un potere quasi divino. Grazie a loro, i Necrontyr poterono lentamente cominciare a competere con gli Slann. Gli Slann erano già allora una razza in declino: stavano creando una miriade di nuove specie di servi, che potessero aiutarli contro i loro nemici. Da un certo punto di vista, si può dire che Lilith sia stato il loro più grande successo. In un modo o nell’altro, riuscirono a fare acquisire consistenza materiale a un’entità demoniaca. Probabilmente usarono qualcuna delle tecniche psichiche di cui erano maestri.

"Dato che gli C’tan avevano imparato a trarre energia dai sacrifici di esseri viventi, gli Slann pensarono di togliere loro questa fonte di potere. Avevano elaborato geneticamente Lilith in modo che potesse annientare una gran quantità di creature in breve tempo ricorrendo al potere del Warp. L’abilità di Lilith consisteva nell’emettere un’aura superficiale in grado di annullare quella degli altri esseri viventi, riducendoli quindi a uno stato primordiale inerte. Questo non avrebbe avuto effetto sugli C’tan stessi, giacché loro, completamente distaccati dal Warp, non avevano alcun tipo di aura. Di fatto, non avevano nemmeno una vera forma fisica prima che i Necrontyr dessero loro dei corpi composti del metallo vivente che usavano per le loro astronavi. D’altra parte, i Necrontyr stessi potevano essere eliminati a miliardi contemporaneamente grazie al potere di Lilith. È ignoto come gli Slann potessero controllare quell’essere; forse grazie ai loro poteri psichici. Ma la bella idea degli Slann non durò a lungo: i Necrontyr chiesero agli C’tan che fossero loro donati dei corpi di metallo vivente come quelli dei signori che servivano e questo li rese immuni al potere di Lilith.

Nel frattempo, gli Slann avevano creato molte altre razze, tra cui gli Eldar, che avevano trovato il sistema di abbattere gli C’tan usando le armi note come ‘Macchine di Vaul’, ma questo esula dall’argomento della nostra lezione. In un modo o nell’altro, sappiamo che gli C’tan furono sconfitti, o si ritirarono spontaneamente, e con loro i Necrontyr. Sembra che abbiano ricominciato a circolare per la Galassia solo negli ultimi anni, ma questo non ci interessa per ora. Quello che conta è che gli Slann sono estinti. Non sappiamo come, ma, conoscendo le capacità di Lilith, possiamo farcene un’idea. Secondo i documenti che abbiamo recuperato, pare che il potere di Lilith si basi sull’annullamento dell’individualità e sulla fusione delle personalità. In altre parole, potremmo interpretarlo come un modo per abbattere le barriere che da sempre causano incomprensioni tra gli esseri viventi, un sistema per poter godere della compagnia altrui senza doversi confrontare con il prossimo. È possibile che gli stessi Slann siano rimasti conquistati dal fascino di questa possibilità e che il loro impero sia caduto in tal modo.

"La nostra storia si sposta ora su Terra, in un’epoca precedente alla nascita dell’Imperatore. È opinione comune che la razza umana sia una delle creazioni degli Slann, ma in realtà c’è un divario temporale notevole tra la data della loro presunta caduta e la comparsa del primo uomo su Terra. Sappiamo che, in qualche modo, Lilith è finita sul pianeta originario dell’umanità; il come è ignoto. A giudicare dai documenti lasciati dai nostri predecessori, insieme con un corpo materiale, Lilith aveva ottenuto anche una necessità prettamente mortale: lo stimolo a riprodursi, come vi stavo spiegando prima. La situazione non è ben chiara: non sappiamo esattamente come funzionasse il procedimento, ma da Lilith nacque un altro demone dotato di corpo, a cui gli esseri umani diedero il nome di Adam. Adam si riprodusse a propria volta, generando un’intera stirpe di demoni corporei. E poi, Lilith ebbe altri figli che, a quanto sappiamo, furono i primi uomini. Abbiamo alcuni campioni di DNA della progenie di Adam, creature chiamate ‘Angeli’ da coloro che li combatterono trentotto millenni fa: il loro materiale genetico è estremamente simile al nostro, il che conferma un’inequivocabile parentela. A suo tempo, di questo deve essersi accorto anche l’Imperatore: la razza umana è nata direttamente da una creatura del Warp, ed è quindi particolarmente sensibile alle sue sollecitazioni.

"Quando i nostri predecessori ritrovarono Adam, e poi Lilith, vennero in possesso anche di alcuni scritti stilati dall’Imperatore stesso molti millenni prima, che riportavano le caratteristiche della stirpe dei demoni corporei. Ci sono pochi dubbi sul fatto che sia stato l’Imperatore stesso a fornire loro questo tipo di materiale, insieme con le conoscenze necessarie per realizzare la distruzione dell’aura superficiale e l’annullamento dell’individualità. Sembra che fu tentato un esperimento con Adam in questo senso, ma fu un fallimento, forse grazie all’intervento dell’Imperatore, che, a quanto ne sappiamo, probabilmente credeva ancora che quel demone fosse stato umano un tempo.

"Forse fu proprio in quell’occasione che l’Imperatore si rese conto di quale minaccia fosse veramente il caos per l’umanità. O forse no, è possibile che lo sapesse già da prima. Fatto sta che gli eventi lo indussero a concepire un piano che avrebbe permesso all’umanità di entrare in contatto con l’intima essenza del Caos e di tornarne. Tornarne con il patrimonio genetico impercettibilmente ma irreversibilmente alterato, cominciando così la propria evoluzione psichica. Ma questo sarebbe accaduto solo parecchi anni più tardi. Prima di allora, gli Angeli nati da Adam misero a dura prova il genere umano. Non è chiaro come siano andate esattamente le cose: apparentemente, gli Angeli erano intenzionati a riunirsi con Adam, ma il motivo non è noto. Abbiamo concluso che, in contatto con Adam, avrebbero potuto realizzare un cataclisma come quello che hanno causato i nostri predecessori. La differenza è che, in quel caso, sarebbero stati gli Angeli stessi a ottenere lo stato divino. Sembra però che gli Angeli, pur essendo in grado di percepire la presenza di Adam e Lilith non fossero in grado di distinguere tra i due a un primo esame: alcuni esseri umani utilizzarono Lilith come esca per attirare i demoni corporei, massacrandoli dal primo all’ultimo ed eliminando così i potenziali concorrenti. A tale scopo, furono utilizzati i cosiddetti ‘Evangelion’, dei cloni di Adam guidati da esseri umani tramite un sistema di controllo mentale, che si basava sull’impostazione degli schemi mentali del pilota nella creatura stessa. Un principio di base molto simile a quello utilizzato negli esoscheletri Knight, in pratica. Fu anche realizzata un’intera città fortificata attorno a Lilith, il cui unico scopo era quello di fungere da trappola per Angeli. La città aveva infatti una serie di strutture per agevolare gli Evangelion durante i combattimenti e pare che il progetto abbia avuto successo.

"Annientati tutti gli Angeli, i nostri predecessori pensarono a realizzare il proprio progetto. A questo punto, gli eventi si fanno nebulosi. Non sappiamo come e quanto l’Imperatore abbia influenzato gli avvenimenti: sappiamo solo che aveva arrangiato le cose in modo che il piano fallisse. L’annullamento dell’aura superficiale portò effettivamente l’umanità a sciogliersi in un mare di brodo primordiale, nel quale tutte le coscienze furono unite. In quel momento, la razza umana divenne effettivamente un dio del Caos. Non sappiamo cosa abbia causato l’inversione del procedimento. Pare che non tutti gli umani siano tornati a essere tali; alcuni restarono fusi in quel mare, ma su Terra non ce ne è traccia. Non sappiamo dove sia finito; forse è stato inghiottito in qualche modo nel Warp. Fatto sta che, in un modo o nell’altro, l’umanità tornò a essere tale. Ma c’era un problema: alcuni degli Evangelion avevano acquisito coscienza propria e costituivano un pericolo per la nuova razza umana. Forse l’Imperatore lo aveva previsto, però. Pare infatti che, prima ancora della catastrofe, avesse trafugato un Evangelion, per poi restituirlo agli esseri umani sopravvissuti. Grazie a questo Evangelion, fu possibile combattere contro questi avversari… Non conosciamo esattamente l’esito dello scontro, ma ora su Terra non c’è alcun Evangelion. Di fatto, l’unico Evangelion del quale abbiamo notizia si trova su di un pianeta della Frangia Orientale. E la missione che sto per assegnarvi consiste proprio nell’andarlo a recuperare".

C’era stato un tempo in cui gli Eldar avevano dominato un vasto impero galattico. Avevano costruito una civiltà potente e prospera, che aveva permesso agli esponenti di questa particolare razza di esprimere senza riserve le proprie emozioni. Gli Eldar differivano infatti dagli umani, ancor più che nell’aspetto fisico, nella carica emotiva, che li portava a sperimentare ogni esperienza con un’intensità inconcepibile, perdendovisi totalmente, a volte restandovi intrappolati al punto di creare una personalità fittizia, che si manifestava solo quando quell’esperienza veniva vissuta.

Questo portava gli Eldar a eccellere nelle attività che praticavano, ma li rendeva anche estremamente instabili e vulnerabili agli eccessi. Ed era proprio questa la loro rovina. Senza nemici, senza nessuno che sfidasse la loro supremazia, gli Eldar cominciarono a indulgere nella mollezza, nell’edonismo e nella ricerca del bello a ogni costo. Con il passare dei secoli, le anime degli Eldar morti in questo periodo di tempo si accumularono nel Warp, assumendo sostanza e consapevolezza, diventando un vortice turbinante di lussuria e brama, una personificazione della ricerca del piacere e del nuovo. Un dio.

Non ha senso parlare di ‘tempo’ quando ci si riferisce al Warp: non ci sono regole fisse che stabiliscano una rigorosa collocazione spazio-temporale degli eventi. A tutti gli effetti, nel Warp non c’è spazio e non c’è tempo. Quel dio nacque allora, eppure esisteva già da millenni. Quel dio era Slaanesh. Il suo primo vagito fu l’evento che, da allora in poi, gli Eldar avrebbero ricordato come ‘la Caduta’. I mondi dominati dalla loro razza, concentrati nel nord-ovest della Galassia, cessarono, all’atto pratico, di esistere. Travolta dall’inconcepibile ondata psichica della nascita di un nuovo Dio del Caos, la realtà non fu in grado di conservare la propria consistenza e fu letteralmente sfondata dall’Immaterium. La materia grezza del Caos fluì nello spazio reale, travolgendo i pianeti che incontrava e trasformandoli in ricettacoli di follia. Gli Eldar che riuscirono a sopravvivere alla distruzione dei propri mondi fuggirono su enormi pianeti artificiali o cercarono rifugio altrove, ma la loro razza cominciò proprio allora il suo declino. Insieme con i mondi da loro conquistati, infatti, gli Eldar avevano perso anche quasi tutte le divinità che avevano adorato, sterminate dalla potenza enorme che le loro stesse pulsioni avevano donato a Slaanesh. Da allora, Slaanesh fu sempre noto come ‘il Nemico’ presso gli Eldar, l’avversario finale da affrontare nell’apocalittica guerra del Rhana Dandra, la battaglia che, secondo la loro mitologia, avrebbe decretato il trionfo o la sconfitta con le Oscure Potenze.

Quando Skaim – Zaim vide la vastità dei demoni di Slaanesh agitarsi informe e caotica nella vallata, la prima cosa che gli venne in mente fu che fosse ora di scappare. Doveva assolutamente tornare all’astronave e fuggire. Logan e Gutzmaak non avevano alcuna importanza. Si guardò freneticamente attorno, alla disperata ricerca di un particolare che potesse aiutarlo a orientarsi. Ma il deserto di Novet sembrava uguale ovunque: solo sabbia, polvere e rocce. Tra l’altro, da quando l’enorme umanoide aveva aperto le ali, un vento impietoso aveva cominciato a sferzare la pianura, sollevando fastidiose nubi.

Si voltò, dando le spalle all’Evangelion, cercando di capire dove fosse l’astronave con la quale era arrivato insieme ai suoi compagni di viaggio. Non gli fu difficile distinguere l’aura di Logan in lontananza: stava andando proprio nella direzione in cui la navetta si sarebbe dovuta trovare. A giudicare dalla velocità, doveva essere ancora sulla jeep che gli aveva dato Bile, quindi aveva con sé la bussola e sapeva dove dirigersi. Era già qualcosa. Ora Skaim – Zaim doveva solo sperare di arrivare sul posto prima del suo inaffidabile compagno, perché questi avrebbe potuto decidere di partire senza preoccuparsi di lui. Era l’eventualità più probabile, rifletté l’Eldar.

Gutzmaak guardava meravigliato l’orda demoniaca davanti a sé. Anche se sentiva una qualche bizzarra sensazione di paura nel profondo del proprio animo, il suo istinto di Orketto non poteva che restare affascinato da una vista tanto bizzarra. Lanciò un’occhiata distratta alla donna umana al suo fianco (in realtà, lui non capiva bene che differenza ci fosse esattamente tra uomini e donne, ma aveva imparato a distinguere un paio di particolari che gli permettevano di coglierla; continuava a sfuggirgli il motivo per cui tale differenza esistesse, ma non è che fosse una sua preoccupazione primaria) e la vide rialzarsi faticosamente, mentre ansimava e deglutiva, appoggiandosi sulle ginocchia per trovare un traballante supporto. Non era decisamente interessante quanto i demoni. Ne aveva già visti prima, ma questi erano veramente tantissimi! Si passò la lingua sui denti, sistemandosi l’ascia tra le mani. Era ancora profondamente indeciso tra il buttarsi a capofitto nella massa informe di demoni e il fuggire a gambe levate.

Da qualche parte, nel deserto di Novet ma non troppo lontana dalla città, c’era un’astronave. Non era molto grossa: era semplicemente una massa metallica di una ventina di metri, che nessuno avrebbe mai ritenuto capace di spostarsi nello spazio. Qualsiasi nave in grado di superare l’atmosfera di un pianeta paragonabile alla Terra avrebbe dovuto avere reattori molto più potenti. E nessun mezzo spaziale così piccolo poteva accomodare i complicati meccanismi che permettevano a un Navigatore di interfacciarsi con la nave e leggere le maree del Warp. Ma quell’astronave non faceva testo. Era stata costruita da una razza aliena che aveva dominato la Galassia molto prima che l’umanità vi comparisse; poteva vincere l’attrazione gravitazionale di pianeti molto più grossi di Terra, poteva spostarsi nel Warp senza bisogno che qualcuno ne controllasse i movimenti, compiendo viaggi molto più sicuri di quanto qualsiasi Navigatore avrebbe potuto promettere. All’interno di quella stessa astronave dormiva una delle creature che l’aveva progettata, persa in un sonno psichico che durava da milioni di anni, che probabilmente non si sarebbe mai più interrotto. La creatura era sdraiata in un feretro di uno sconosciuto materiale trasparente, in una piccola stanza nella parte posteriore della nave. Non le importava che la sua tomba virtuale, trovata per caso circa un anno prima da alcuni vagabondi dello spazio, venisse usata da altri. Le importava solo di continuare a dormire, di continuare a sognare, di continuare a vivere un tempo ormai morto. Ma era consapevole di quello che accadeva attorno a sé. Completamente consapevole. I suoi enormi poteri psichici mettevano la creatura in grado di percepire la realtà. Sapeva chi stava usando la sua astronave, sapeva perché questi vagabondi viaggiavano, conosceva ogni loro pensiero. A volte li influenzava anche, sebbene loro non se ne rendessero nemmeno conto, tanto era sottile l’intrusione psichica a cui erano sottoposti. Accadeva di rado, in realtà, molto di rado. Ma la creatura cercava di prendersi cura della propria tomba viaggiante, quando ne aveva l’occasione.

Quella creatura era uno Slann. Gli umani avevano parecchie leggende circa la razza a cui apparteneva. Secondo una storia molto in voga, gli Slann erano una razza di grossi rospi umanoidi, grassi e praticamente incapaci di muoversi. La creatura era quanto di più lontano si potesse immaginare da una simile descrizione. Il suo corpo nudo, coperto da una pelle di un bruno – verdastro, era molto simile a quello di un essere umano. Mani e piedi avevano tre dita; quelle degli arti superiori comprendevano un pollice opponibile. Dalla punta delle dita dei piedi fino alla caviglia, la creatura aveva una fila di scaglie allargate poste una sopra l’altra, come quelle degli uccelli. Un’altra caratteristica che la accomunava agli uccelli erano le spesse piume marroni che le ornavano la nuca. Aveva un volto appiattito, con grandi occhi e un naso schiacciato; l’unica cosa che potesse ricordare delle orecchie nella sua anatomia erano un paio di fori posti ai lati del cranio.

Nonostante non avesse orecchie, percepì chiaramente l’entrata dell’astronave che si apriva. Uno dei vagabondi era tornato.

Ogni volta che metteva piede nell’astronave che lui e i suoi improvvisati compagni di viaggio avevano rubato dagli scavi archeologici di un remoto pianeta, Logan non poteva fare a meno di pensare allo Slann che vi dormiva. Non che quella presenza lo infastidisse particolarmente, ma non era ancora riuscito a capire se fosse innocuo o no. Ma non ci pensava troppo, soprattutto nei momenti di immediato pericolo. Dato che gli Slann erano stati una razza psichica, l’intera struttura dell’astronave era stata pensata per essere utilizzata da degli psyker: Logan impartì il comando mentale che apriva l’ingresso della cabina di pilotaggio ed entrò. Si sedette sul sedile, ricoperto delle scaglie verdi di chissà quale creatura, e si preparò a comandare la partenza.

Lo Slann decise che non era ancora tempo di andarsene.

Bansegoth, Meastro dei Novamarine, arrancava faticosamente tra le dune polverose del deserto. Dietro di lui, le Power armour flagellate dall’incessante tempesta di sabbia e polvere, un nutrito gruppo di Space Marine lo seguivano di buon passo. Per uno Space Marine, potenziato per resistere alle condizioni più estreme, camminare nel bel mezzo di quello sferzante turbinare di granelli grigiastri non era particolarmente problematico. Anche perché le armature erano a tenuta stagna. Quello che invece preoccupava Bansegoth era il fatto di essere dovuti atterrare a un punto parecchio distante da quello preventivato. Poco dopo essere entrati nell’atmosfera, i Thunderhawk su cui il contingente di Novamarine aveva sperato di raggiungere i pressi della capitale di Novet erano dovuti atterrare improvvisamente nel bel mezzo del deserto a causa di un non meglio identificato mutamento delle condizioni atmosferiche. Non erano state solo le violente raffiche di vento a impedire ai velivoli corazzati di proseguire: sembrava che il cielo stesso fosse intento a rivoltarsi contro qualsiasi cosa fosse in grado di volare. I fulmini avevano cominciato a turbinare attorno ai Thunderhawk, rendendo problematico avanzare anche solo di un chilometro. Ma un Marine non si sarebbe mai lasciato fermare da un problema simile. Gli Space Marine erano i migliori soldati dell’Imperium. Erano famosi perché combattevano in condizioni disperate e vincevano. Erano noti perché si buttavano tra tempeste di proiettili, perché affrontavano avversari dieci volte più numerosi di loro, perché erano disposti a tutto pur di compiere la missione. Se non si poteva arrivare sulla zona di guerra volando, ci sarebbero giunti a piedi: Bansegoth aveva fatto sbarcare tutti i soldati dai Thunderhawk e li stava conducendo personalmente verso la capitale. La capitale in fiamme.

A chi non lo conosceva bene, Fabius Bile poteva sembrare un tipo frivolo. Di fatto, era molto più pragmatico di molti Space Marine: pur essendo perfettamente consapevole della propria superiorità fisica sugli esseri umani qualsiasi, capiva che farsi nemici era sempre pericoloso, per quanto deboli potessero sembrare. Capitava quindi che cercasse l’interazione sociale con le persone con le quali aveva a che fare: in fondo, avrebbe potuto averne bisogno in seguito. A volte gli balenava per la testa l’idea che forse questo era un modo con cui un uomo che aveva abbandonato qualsiasi legame combatteva la solitudine, ma era troppo preso dai propri esperimenti per pensare seriamente a questa, che lui riteneva una questione di poco conto.

Quando Fabius Bile si trovò faccia a faccia con Abaddon, nessuno avrebbe pensato che volesse prendere con leggerezza questo incontro. Forse perché aveva sempre saputo che prima o poi si sarebbe verificato. Dopo essere andato a cercare Derketo, Bile aveva seguito lui e i suoi Emperor’s Children fino al deserto, dove l’Eva 01 stava generando una nuova Luna Nera. Quella poteva essere l’unica possibilità di salvezza. Gli Emperor’s Children non si sarebbero mai lasciati sfuggire la possibilità di vedere qualcosa di nuovo e interessante come un Evangelion, men che meno di combatterlo ricorrendo ai loro cacofonici rituali di evocazione demoniaca. Con le loro Power armour modificate dal Caos, avevano intonato un empio e depravato concerto a Slaanesh, e il Principe del Piacere aveva risposto con un’orda di demoni. Quando Bile aveva visto avvicinarsi i tre enormi carri armati neri, simili a scatoloni cingolati sui ciascun lato dei quali spiccavano due cannoni, aveva capito istantaneamente a chi appartenessero. Il simbolo dell’occhio dorato che campeggiava sulle fiancate non lasciava molto spazio all’immaginazione. Lo stesso Derketo, in un insolito impeto di buon senso, aveva ordinato ai suoi uomini di non attaccare. O forse lo aveva fatto perché trovava l’Eva molto più interessante. Abaddon, con un passo misurato, inquietante nella sua implacabile lentezza, era uscito dal pesante boccaporto del suo carro armato personale, che si era aperto come la bocca di una bestia davanti al Signore dei Cloni. I Land Raider, così si chiamavano quei carri armati, erano stati il fiore all’occhiello dei mezzi corazzati degli Space Marine fin dai tempi dell’Eresia di Horus. Progettati, come la stragrande maggioranza dei mezzi dell’Adeptus Astartes, per l’assalto in profondità, potevano trasportare nel loro ventre d’acciaio fino a dieci uomini in Power armour. Quando quegli stessi uomini indossavano una Terminator armour, però, ce ne stavano al massimo cinque: era per questo motivo che il seguito di Abaddon si era dovuto dividere fra tre Land Raider.

Il Profanatore e lo Squartauomini si trovavano ora uno di fronte all’altro. Non era la prima volta che si incontravano e non erano mai riusciti ad andare d’accordo. Troppo diversi i loro obiettivi, troppo diverso il loro modo di essere, troppo diverso il loro modo di valutare quello che era accaduto diecimila anni prima, durante la fatidica battaglia al palazzo imperiale, l’epico scontro nel corso del quale Horus era morto e l’Imperatore era stato ridotto all’ombra di se stesso. Abaddon era circondato dai suoi Terminator. A pochi metri di distanza da lui, Fabius Bile aveva al suo fianco solo Erin, un’espressione sul viso tanto impassibile quanto inquietante. Gli Emperor’s Children di Derketo, troppo impegnati a continuare il loro concerto in onore dei demoni, sembravano avere altro da fare che curarsi di quell’incontro.

Fu Abaddon il primo a parlare: "Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati, no?". Bile sogghignò: "Neanche tanto… Non è nemmeno un anno, se non ricordo male. Hai cercato di uccidermi distruggendo un pianeta, giusto?".

"Sbagliato. In quell’occasione non ci siamo incontrati di persona e sapevo che tu te ne eri già andato, quando ho impartito l’ordine di annientare quel pianeta. Diciamo che è stato un avvertimento. Che, ovviamente, non hai preso in considerazione".

Il signore della Nera Legione lanciò un’occhiata verso Erin. "È lei, suppongo" disse senza tradire la minima emozione. "Già", annuì Bile. "Che ne dici, è somigliante? Tenendo conto della differenza di sesso, ovviamente". Abaddon fece qualche passo avanti, come a voler studiare la ragazza. Erin aggrottò la fronte, senza distogliere lo sguardo, quasi volesse sfidare quello Space Marine, reso ancor più enorme dalla Terminator armour. "In un certo qual modo, sì", ammise Abaddon. "Ma non è lui. Mi piacerebbe sapere come l’hai educata… Ricorderai che Horus aveva costruito buona parte della propria volontà sulle basi di quello che aveva vissuto. Non è sufficiente un clone per avere un nuovo Horus, come ti ho già dimostrato in passato".

"Come l’ho educata? Che importa? Il DNA di Horus su cui lei è basata è psichicamente carico, come qualsiasi cosa provenga dal corpo di un demone… Erin ha già dimostrato di avere alcuni ricordi del tuo amico. E comunque, non è questo che mi interessa".

"Ecco, appunto. Ricordo che molti anni fa, poco dopo l’Eresia, tu rubasti il cadavere di Horus e ne creasti dei cloni per conto degli Emperor’s Children… Cloni adulti e maschili…".

"Bravo, e ricorda anche che fine fecero".

"Li distrussi prima che fossero risvegliati, ovviamente, insieme con la salma originale. Era evidente che volevi creare un’armata di super guerrieri anche per gli standard degli Space Marine. Ma hai completamente frainteso quale fosse la forza di Horus. Dei cloni no sarebbero mai stati all’altezza dell’originale. Però mi chiedo: perché hai voluto riprovarci? E perché hai dato al tuo nuovo esperimento le sembianze di una ragazza? Che diavolo volevi ottenere stavolta?".

Fabius Bile sospirò. Si lanciò un’occhiata alle spalle, quasi volesse assicurarsi che gli Emperor’s Children non se ne fossero andati, poi si girò nuovamente verso Abaddon. Il vento era diventato improvvisamente più sferzante; attorno all’imponente sagoma dell’Evangelion cominciavano a turbinare i fulmini e il bizzarro Warp gate che teneva tra le mani sembrava espandersi di minuto in minuto. "Potrei chiedere a te perché combatti per risponderti", ritorse il Signore dei Cloni. "Sai benissimo perché lo faccio", replicò il Marine in nero. "Anche se si dice di me che ho rinnegato il mio Primarca, penso che non ci sia nessuno che sostiene i suoi ideali come faccio io. Io li ho sostenuti per diecimila anni, e sai perché? Perché, prima di conoscerli, la mia vita non esisteva. Qualsiasi cosa vedessi attorno a me era grigia. Era come se guardassi il mondo attraverso un vetro sporco. Le immagini di ciò che mi stava attorno mi arrivavano filtrate, e così anche le emozioni. Non c’era niente che mi provocasse gioia, dolore, tristezza, soddisfazione… Qualsiasi cosa mi accadesse era semplicemente un fatto da archiviare. Dopo avere conosciuto Horus, però, cambiò tutto. Vidi che il cielo era blu, che l’erba era verde, che il sangue era rosso. Vidi qualcosa per cui rallegrarmi e vidi qualcosa per cui intristirmi. Se porto avanti le convinzioni di Horus da tanto tempo, è perché non voglio perdere tutto questo. Perché quello che Horus mi ha insegnato è che gli esseri umani devono decidere con la propria volontà come vivere e i cloni che tu crei sono la negazione di tutto questo". "Tutt’altro", replicò Bile con un sogghigno. "Anch’io sono interessato a questi argomenti. I miei cloni non hanno vincoli morali imposti dalla società. Posso dare loro un corpo adulto senza il condizionamento mentale che si assorbe crescendo e chi ci impedisce di usare le nostre facoltà al cento per cento. Capisci l’importanza della mia ricerca, Abaddon? Solo i miei cloni sono veramente liberi di decidere! Una libertà che io non ho mai avuto. Perché anche il semplice fatto che io mi interessi di genetica non è che il risultato delle mie esperienze passate. Nessuno di noi è veramente libero".

"Questione di punti di vista. Stento a credere che tu non ci metta del tuo nella crescita dei tuoi cloni. Questa ragazza, per esempio…"

"Lei? Oh, lei è stata un esperimento particolare. L’ho affidata a una persona che l’ha fatta crescere come una persona qualsiasi, perché era di questo che avevo bisogno. Ma non mi comporto così con tutti i miei cloni. I miei studi richiedono che alcuni di essi siano liberi e che costruiscano da sé il proprio destino. Tempo fa mi importava solo di scoprire i segreti della creazione della vita artificiale e della sua alterazione; ora che li ho trovati, voglio vedere come questa vita si sviluppa senza le inibizioni del senso comune. Una naturale progressione delle mie ambizioni, direi".

Abaddon strinse gli occhi. Se le occhiate avessero potuto uccidere, Bile sarebbe rimasto incenerito in quel preciso istante. "E queste tue ricerche comprendono anche lei?". Il Maestro di Guerra indicò Erin con la lama della sua spada. "Un clone di Horus? Vuoi vedere come reagisce a certi stimoli? È solo questo che cerchi?".

"Molto di più, in realtà", sogghignò il Signore dei Cloni. "Ma temo di non poterti dire altro".

"D’accordo, non parlare. Verrai con me, mi spiegherai tutto quando saremo sulla mia astronave". Quella di Abaddon non era una richiesta, ma un’affermazione. Non ammetteva repliche. I Terminator al suo seguito si allargarono attorno a Bile, quasi a volergli impedire la fuga. "Abaddon, temo che tu non abbia ben capito la situazione", commentò lo Squartauomini. "Al momento, né tu né io siamo in condizione di pensare ad altro che alla nostra immediata incolumità". Sogghignando, indicò alle proprie spalle. Oltre il gruppo di Emperor’s Children, in lontananza, era visibile l’imponente sagoma dell’Eva 01 che si stagliava contro il cielo grigio, mentre i fulmini le turbinavano attorno e alte nubi di polvere si alzavano sotto la spinta di un vento furioso. "Se le informazioni in mio possesso sono esatte, quell’affare sta per fare il botto", disse Bile, con un’espressione che impediva di capire se fosse preoccupato o soddisfatto. "Vorrei precisare che la probabilità che chiunque di noi lasci vivo questo pianeta è estremamente esigua. Tra l’altro, con queste condizioni climatiche, mi piacerebbe proprio sapere come credi che le tue navette da sbarco possano volare per riportarti sulla tua astronave…".

Appena Bile ebbe finito di parlare, un boato assordante riempì l’aria. Attorno all’Evangelion sembrò scatenarsi l’inferno: come un’onda inarrestabile, una enorme massa di sabbia e polvere si sollevò, come a voler sommergere tutta la conca in cui l’umanoide si trovava. L’Evangelion spalancò la bocca e lanciò un urlo lacerante; le sue ali sembrarono spalancarsi ancora di più, finché non parve essere sul punto di sollevarsi in volo. Poi, qualcosa accadde. L’orda di demoni di Slaanesh ai piedi della colossale creatura ebbe una reazione. Le creature vomitate dal Warp parvero accartocciarsi su se stesse. Si riunirono, si avvicinarono, si abbracciarono. Quei corpi viscidi e conturbanti nella loro mostruosità, avvinghiandosi gli uni agli altri in maniera oscena, sembravano fondersi, compenetrarsi, diventare un tutt’uno enorme e temibile. La trasformazione durò solo una manciata di minuti: i demoni di Slaanesh avevano ceduto il posto a qualcosa di ben peggiore.

Il vento era diventato ormai irresistibile: nessun velivolo si sarebbe potuto librare in volo. Nessuno, tranne l’astronave degli Slann su cui Logan stava viaggiando. Come protetta da un invisibile campo di forza, sembrava intoccabile alle raffiche che avrebbero abbattuto qualsiasi altro mezzo, anche più robusto. Ma questo non tranquillizzava affatto Logan: da quando era entrato nella navetta, non ne aveva avuto il minimo controllo. A tutti gli effetti, si era mossa da sola. E, di volontà propria, si era spostata verso la conca dove era l’Evangelion. Attraverso la vetrata della sala di pilotaggio, Logan vedeva davanti a sé l’enorme Eva che urlava e dispiegava le ali. Poi, si accorse di qualcosa d’altro. Di fronte all’Evangelion c’era una massa informe, una sorta di enorme grumo di materia nerastra. Non riusciva a distinguere bene cosa stesse accadendo: le nubi di polvere e sabbia sollevate dal vento rendevano la visibilità alquanto problematica. Ebbe l’impressione che la massa nera si spezzasse. E dovette effettivamente accadere qualcosa di simile, perché, subito dopo, ne schizzò fuori una colossale forma serpentina. Una forma che si sollevò sulla coda, raggiungendo un’altezza paragonabile a quella dell’Evangelion, anzi, apparentemente volendo sfidare l’umanoide artificiale con la propria sola presenza. A questo punto, l’essere acquisì contorni più definiti, ma Logan non avrebbe saputo dire se questo fosse dovuto alle sue enormi ali da pipistrello, che fermavano una parte della polvere, o al fatto che si era trasformato in un attimo, facendo spuntare quelle stesse ali e quelle quattro braccia dal torso umano che si impiantava sopra la coda di rettile. Torso che terminava in una testa dal viso di un pallore mortale, eppure di una bellezza quasi fastidiosa, incorniciato da folti capelli verde acqua e coronato da due piccole corna sulla fronte. Tre delle quattro braccia impugnavano una spada dalla lama ricurva e seghettata; l’ultimo braccio, calzato in un guanto di pelle nera cosparsa di borchie, stringeva una lunga frusta. Il corpo della creatura era avvolto dalle piastre metalliche, bordate di pizzo e merletti, di una pesante armatura finemente cesellata.

Nonostante fosse dentro l’astronave, Logan sentì quel fastidioso odore di vaniglia che aveva già fiutato in passato. L’odore dei demoni di Slaanesh.

Derketo lanciò un’occhiata alla conca rocciosa e il suo volto si contrasse in un largo sorriso. Vide la sagoma serpentina che si innalzava davanti all’Evangelion, e ne fu compiaciuto. Aveva già incontrato l’individuo a cui quell’aspetto apparteneva, ma non l’aveva mai visto combattere contro un umanoide gigante artificiale. Rivolgendosi sogghignante a se stesso, Derketo disse la prima cosa che gli venne in mente: "È arrivato papà…".

Ehilà, signori lettori.

Punto primo: so che gli Slann ufficiali non sono come quelli che ho descritto io, né nel Rogue Trader, né nell’ambientazione attuale di WHFB. Non vi preoccupate, quella dell’uomo-dinosauro è solo una fissa mia.

Punto secondo: qui lo dico e qui lo nego, il prossimo capitolo di Psycho Impact dovrebbe essere l’ultimo, anche se sarà corredato da un epilogo, dalle note conclusive in cui spiego un po’ di cose e forse anche da uno special bonus per i giocatori di WH40K. Vedremo, dipende da come mi gira. Saluti.

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