Come with me di scrittrice in canna (/viewuser.php?uid=194483)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0, l'inizio ***
Capitolo 2: *** capitolo 1, dove si scopre un po' di più ***
Capitolo 3: *** capitolo 2, dove succede ***
Capitolo 4: *** capitolo 3. Gibbs. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Libera! ***
Capitolo 6: *** capitolo 5. Senza... ***
Capitolo 1 *** Capitolo 0, l'inizio ***
Vi invitiamo alla chiesa di
S. Antonio per celebrare la nostra unione.
Cordialmente
Anthony DiNozzo e Ziva David
a
Leroy Jethro Gibbs
Lo sposo stava aspettando fuori dalla chiesa la sposa mentre salutava tutte le persone che gli saltavano addosso per fargli gli auguri. Ma mancavano ancora due ospiti importanti: Eli David e Anthony DiNozzo Sr.
Ore 11:55.
Eccolo! È arrivato il padre dello sposo.
“Auguri Junior, sapevo che Ziva avrebbe fatto colpo su di te.” azzardò dando due pacche sulla spalla al figlio ed entrando in chiesa. Ma dov’ era Eli?
Ore 11:45
Ziva si stava preparando, le restava il trucco, proprio mentre stava mettendo l’ ultima traccia di cipria sul volto bussarono alla porta:” Tony, non puoi vederla in abito da sposa prima della cerimonia, vai in chiesa!” annunciò Abby dal divanetto nella stanza
“Non sono Anthony, signorina Sciuto!” quella voce era troppo familiare, Ziva aprì la porta e si trovò d’avanti il padre
“Papà? Che ci fai qui?” annunciò la ragazza
“È il giorno più importante della tua vita, dovevo esserci.” abbassò lo sguardo e si rese conto che al collo la ragazza non portava la stella di David di Tali ma un’ altra, diversa con pietre incastonate, di oro bianco.
“È nuova quella? Che fine ha fatto la stella di tua sorella?” la ragazza si guardò per un secondo il petto rendendosi conto di ciò a cui alludeva il padre e rispose: ”Me l’ha regalata il mio fidanzato, quando si è dichiarato… ancora mi ricordo eravamo fuori con Abby e Timmy e…” sospirò, ricordando quella sera, rimase imbambolata per un po’ poi scosse la testa lievemente per non scompigliare la pettinatura, suo padre la guardava con il mezzo sorriso, ma lei lo sapeva, ormai non era più lui ma Gibbs la figura paterna per eccellenza, senza considerare il legame di sangue che legava i David. Oltre tutto lei sapeva che l’ uomo che aveva d’avanti non avrebbe mai voluto vedere la sua prole in vestito bianco, lui avrebbe voluto un uomo in smoking con i suoi tratti per dargli una pacca sulla spalla e dire: vai figliolo e porta avanti la dinastia dei David. Gli faceva quasi ribrezzo che la sua unica figlia favorisse l’andare avanti di un'altra famiglia, che prendesse un altro cognome, quello era l’ unica cosa che la teneva ancora sua, sposandosi sarebbe scomparsa dalla sua vita per sempre. Aveva l’ ultima possibilità. Perderla o ritrovarla. Una sola parola l’ avrebbe avvicinata o allontanata per sempre dal padre biologico. Una sillaba, un piccolo momento di esitazione, uno sguardo. Era il momento della verità. E Ziva lo sapeva.
“Posso avere l’ onore di guidare l’auto della sposa?” forse era la mossa giusta dal momento che la ragazza sorrise e si avviò con il padre fuori dalla porta
“Abby, andiamo, siamo in ritardo.” annunciò andandosene
“La sposa deve essere in ritardo, Aspettami!” gridò mentre raggiungeva l’amica.
Ore 12:00.
Chiesa S. Antonio.
Finalmente s’iniziava ad intravedere una macchina in lontananza e, mentre lo sposo era imbambolato d’avanti la chiesa, il suo testimone lo trascinava dentro. La macchina si fermò e come d’incanto all’entrata di Ziva in chiesa tutti si alzarono, il suo splendido abito bianco conduceva i suoi passi in modo elegante, corpetto lavorato e una gonna che cadeva perfettamente lungo il corpo della ragazza, una flebile luce entrava dalle finestre, una stella di David padroneggiava sulla tovaglia poggiata all’altare, fiori gialli coprivano la navata e inebriavano con un profumo meraviglioso, la damigella con il suo bouquet sorrideva felice, tutto quello che in quei mesi la ragazza aveva progettato sembrava non avere senso, le scarpe, il vestito, i fiori, il tulle. L’unica cosa che riusciva a vedere era lui, immobile, con un sorriso nervoso sulle labbra e le mani incrociate timidamente, ma di una cosa era sicura, i suoi occhi risplendevano di una luce che nemmeno dieci mila soli avrebbero potuto eguagliare, la luce di un uomo innamorato. In prima fila, dal lato dello sposo c’erano Jenny, Gibbs, Palmer, Ducky e Senior. Dal lato di lei una sfilza di persone che nessuno conosceva e che sussurrava in una lingua sconosciuta, Eli fissava il ragazzo che aveva d’avanti pensando:- Ecco l’uomo che vivrà con mia figlia per il resto della sua vita.-. Tutto sembrava non avere senso per i due che vedevano solo l’uno la luce negli occhi dell’altra e viceversa. Credo che per Gibbs fu il momento più emozionante della sua vita perché una lacrima scese dal suo viso nel momento in cui i ragazzi si presero per mano e tutti si sedettero.
“Stai piangendo, Jethro?” chiese Jenny sottovoce con un mezzo sorriso, lui si girò e la vide che lo squadrava, con quei suoi capelli da folletto e lo sguardo furbo, un po’ ironico.
“Non sto piangendo, sto… godendomi il momento.” rispose brancolando nel buio. Quando era con lei le parole uscivano a fatica tanto erano irrilevanti, tanto lei da un solo sguardo capiva tutto. Era sempre riuscita a scrutagli l’anima. Sin da Parigi.
“Oh no, tu ti sei commosso.” lo apostrofò lei, sorrisero.
“Okay, mi hai beccato, sono un romanticone represso.”
Quella sembrò l’ora più lunga del mondo, per tutti. Quel fatidico sì sembrava non arrivare mai, ma quando arrivò tutti piansero commossi, chi applaudiva, chi rideva e chi, come McGee, benediceva Maometto per aver dato fine a quel supplizio che nessuno riusciva a capire, nemmeno lo sposo stesso anche se Ziva l’aveva condotto a cento corsi di ebraico e gli aveva illustrato passo passo tutta la cerimonia ma a Tony non importava molto, l’importate era l’atto in se.
Tuti si alzarono e non appena gli sposi uscirono cominciarono a volare confetti. Mentre i ragazzi s’indirizzavano alla macchina per andare al ristorante Gibbs prese un enorme palloncino con su scritto: 12= Non si possono avere relazioni fra colleghi.
“Tagliatelo.” Ordinò ai due indicando il filo che teneva il palloncino a terra e porgendo un paio di forbici. I due obbedirono e lo videro volare via. Ora le regole erano 50.
Al ristorante i neo coniugi avevano deciso di far sedere tutti i colleghi in un solo tavolo in modo che si potessero ritrovare.
Tutto perfetto, il brindisi, il menù, la famiglia, i padri. Finché non si arrivò alla parte che i single odiavano di più: il primo ballo degli sposi. Mentre la loro canzone veniva inserita e le coppie si preparavano sulla pista da ballo Gibbs e Jenny venivano incitati a ballare da… tutti: “Dai capo, sarà divertente.” Avevano detto i due ragazzi
“Direttore, che ne dice di convincere lei Gibbs?” aveva chiesto Abby. Dopo un po’ i due si convinsero.
“Mi fanno male i piedi.” commentò Jennifer dopo poco
“Io mi sento ridicolo.” Disse lui di rimando
“Invece sei carino, sembri proprio un pinguino, finché non mi pesti i piedi.” rispose lei guardando verso il basso. Risero.
“Se ce ne andiamo?” pensò a voce alta Jethro
“Tony e Ziva non se lo meritano, dobbiamo restare per loro.”
“Almeno possiamo smetterla con quest’assurda scenetta, no?” era alquanto annoiato
“Concordo.” Affermò lei iniziando ad andare verso i tavoli. Era sera, festeggiavano da quella mattina, avevano mangiato ogni sorta di cibo italiano (unico privilegio concesso a Tony) ed erano entrambi distrutti. Si sedettero, Jenny tolse delle briciole invisibili dalla gonna azzurrina e si sistemò la giacca del completo, sbuffò, crollò con la schiena sulla sedia e guardò l’uomo accanto a lei di sottecchi, vide che sghignazzava. “Cosa c’è, adesso?”
“Se io sembro un pinguino tu sembri un folletto con questo vestito colorato.”
“Louis Vuitton, italiano.”
“Anche i mocassini in tinta che indossi sono italiani, Jenny?”
“Se proprio vuoi saperlo, sì.” Gibbs non poté far altro che ridere.
“Sempre meglio di te che hai lo stesso vestito dal matrimonio di McGee e Abby.”
“Ehi! È stato solo un anno fa.”
“Appunto.”
I due continuarono a punzecchiarsi per un po’. Arrivato il momento di andare via Jennifer arrivò a casa, si sedette nel suo ufficio e prese una bottiglia di Scotch invecchiato di suo padre e cominciò a versarlo in un bicchiere da bar quando la sua cameriera entrò e le porse una busta arrivata il pomeriggio, mentre era la matrimonio. Le sua mani cominciarono a tremare, prese il taglierino, aprì la busta e il contenuto le fece gelare il sangue nelle vene.
Egregia sig. Shepard
Ci duole informarla che i risultati del suo test sono positivi.
La preghiamo di recarsi presso la nostra struttura il prima possibile.
Cordialmente dott. Harrison.
I pensieri di una scrittrice in canna
Rieccoci con questa serie! Cercherò di renderla più coinvolgente possibile. Questa la dedico a Fink1987 perché so che adora i Jibbs e se la merita ^_^
Non sono proprio sicurissima che in una cerimonia ebraica si tirino i confetti all’uscita dalla chiesa ma tant’è! L’ho scritta in un momento di sclero totale in cui non sapevo quello che facevo quindi vi prego di lasciarmi le vostre critiche per migliorare la storia il più possibile! Non ho altro da dire tranne che è il mio primo esperimento con NVU. Se non va bene torno all’ HTML del sito. Quindi se trovate qualche incongruenza… sorry! ^_^’’
Va beh vi saluto!
Vostra
Scrittrice in canna
|
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Capitolo 2 *** capitolo 1, dove si scopre un po' di più ***
capitolo 2
Il
bicchiere che aveva in mano
cadde sul pavimento liberando ogni goccia di scotch presente al suo
interno e
permettendo che si spargesse per il parquet immacolato, Jennifer
alzò gli occhi
al cielo e lasciò cadere una lacrima pensando al significato
di quella lettera,
insopportabile quanto inaspettata. Il giorno dopo sarebbe andata al
Washington’
s General hospital per parlare con il Dottor Harrison e comunicargli
che forse
aveva preso un abbaglio… o forse no.
“Abbiamo
bisogno di cambiare la
moquette.” esordì Ziva dando un occhiata al nuovo
appartamento
“Sì,
tesoro.” rispose ubbidiente
lui
“Abbiamo
bisogno di cambiare la
carta da parati.” continuò lei
“Sì,
tesoro.” disse di nuovo Tony
“Abbiamo
bisogno di un frigo
nuovo, questo non funziona.”
“Sì,
tesoro.” la ragazza si
interruppe un attimo, andò sul divano, si
accoccolò nelle braccia del neo sposo
e, socchiudendo gli occhi, affermò: “Abbiamo
bisogno di un figlio.” Lui
strabuzzò gli occhi, la guardò e aggiunse:
“Un cane non… ti piacerebbe?” lei
aprì gli occhi, lo squadrò e tornò
alla sua posizione: “Anche quello va bene.”
Il
giorno dopo Jennifer era
arrivata traballante in ospedale, con i piedi che non volevano stare
dritti e
le gambe che tremavano, non appena entrò avvertì
un fortissimo odore di
medicine, sciroppi e cibi pre-congelati delle mense. Alla reception una
donna
sulla quarantina, di colore, stava tranquillamente controllando i dati
sul suo
computer, leggermente in carne e con i capelli legati in una coda di
cavallo
ordinatissima, quasi maniacale, unghie laccate di un rosa pallido e
occhi tinti
di bianco ad esaltare il colore delle iridi scure, il completo da
infermiera e
la targhetta con il suo nome. Non appena Jenny arrivò al
bancone la donna la
guardò e affermò: “Assenza di
personale, sa, stranamente di Domenica non molti
hanno la voglia di venire a lavorare, ma pagano questa giornata come
straordinario quindi… in cosa le posso essere
utile?” la rossa rimase stordita
dall’eccesso delle informazioni incluse in quella banale
domanda, cercando di
non farci caso rispose: “Cerco il dottor Harrison, sono la
signora Shepard.” La
donna dall’altro lato del tavolo si girò,
controllò velocemente sul Dextop del
PC e fece un cenno con la testa quasi di affermazione, premette un
pulsante che
fece aprire la porta di entrata ai vari reparti
dell’ospedale, si rigirò sulla
sedia manovrabile e disse: “Il dottore la sta aspettando.
Prego si accomodi.”
Sfoderò un sorriso, usò la sua voce
più dolce e calma e indicò la porta a
Jenny, lei proseguì e cominciò a leggere i nomi
dei vari reparti: terapia
intensiva, traumatologia, malattie infettive, cardiologia.
Finché non arrivò a
quello che le interessava, spinse la porta, che non si aprì,
ritentò un altro
paio di volte poi notò il cartello con su scritto: Tirare. Tirò ed
entrò. Finalmente, il
primario era fermo, alla scrivania che leggeva chissà quale
esito di chissà
quale esame. La donna si avvicinò e fece notare la sua
presenza schiarendosi la
voce
“Salve,
non l’aspettavo così
presto.” si giustificò lui
“Stia
tranquillo, sono venuta per
chiederle se forse non aveva preso un abbaglio con i risultati del
test, sa…
capita. Un omonimo, una piccola distrazione.” disse lei
cercando di
giustificare più se stessa che l’uomo che aveva di
fronte. Quest’ultimo si
tolse gli occhiali da vista, li strofinò sul camice, li
rimise e disse: “No, mi
dispiace, nessun abbaglio. I suoi test sono positivi. Se non si sbriga
a ricoverarsi
può rischiare grosso, signora Shepard, so che le sembra
strano ma se proviamo
ora ad avviare tutte le precauzioni del caso potrebbe curarsi, ci sono
tante
cure. Può farcela.” Sentito questo la donna si
alzò, ringraziò il dottore e
affermò: “La ringrazio ma, almeno che non sia
strettamente necessario, non
intendo ricoverarmi prima di aver avvisato della mia assenza e trovato
un
sostituto, salutò con una stretta di mano e andò
via. Si fermò un attimo e poi
osservò attentamente la scritta luminosa che indicava il
reparto da cui era
appena uscita, sospirò pensierosa ma venne risvegliata dal
cellulare che,
insistentemente, suonava, lo prese e lesse il nome di Gibbs sullo
schermo o
meglio il nome di Jethro, rispose: “Sì, sono io.
Dimmi.”
“Jenny,
la tua assistente
continua a perseguitarmi, ti prego, torna!” disse lui
disperato, Jennifer abbozzò
un sorriso,-come poteva la vorare anche di domenica
quell’uomo imprevedibile?-
pensò, chiuse la chiamata e cominciò a dirigersi
verso l’uscita da quel posto.
Annusò a pieni polmoni l’aria fresca e si
rilassò un attimo. Arrivata in
ufficio sperò di stare tranquilla almeno per pochi secondi
ma Cintia aveva
sempre un messaggio nuovo per lei e non ebbe pace.
Nel
mentre Gibbs preparava,
studiava e organizzava nuove tattiche per colpire il terrorista di
turno senza
che se ne accorgesse. Stava tranquillamente guardando le carte che la
segretaria di Jenny aveva cordialmente scaraventato sulla sua scrivania
quando
ne vide una strana la prese e ne lesse il contenuto:
Egregio dott.
Harrison
Recentemente ho
riscontrato dei problemi, avrei un urgente bisogno di una sua visita.
La pregerei di non
fare parola con nessuno di questo nostro incontro.
Cordialmente,
Jennifer Shepard
Era
la brutta copia di un
messaggio del direttore finito, per errore, tra le carte che
contenevano le
informazioni sull’uomo che stava cercando Gibbs. A quel punto
si alzò, prese la
lettera e salì in fretta e furia le scale per arrivare
nell’ufficio più
importante di tutti, l’ufficio del capo.
“Cos’è
questa?” chiese
leggermente adirato mentre porgeva ciò che aveva in mano
alla rossa, ma non ne
aveva bisogno, le bastò un occhiata dato che era scritta di
suo pugno. Alzò gli
occhi infuriata:” Come hai fatto ad ottenerla?”
rispose alla domanda con
un'altra domanda
“Era
tra le mie carte, ora
rispondi.” Sviò lui poggiando i palmi sulla
scrivania come usava fare con i
suoi ragazzi
“Sono
malata, okay?” rispose
infuriata, l’altro si mise in posizione eretta e
cominciò quello che doveva
essere un interrogatorio: ”Da quanto?”
“Qualche
mese.”
“È
grave?”
“Credo.”
botta e risposta come
una partita di pugilato: uno colpiva l’altro alzava a difesa.
Sì, era questo,
uno sconto, un match e Jennifer era quasi K.O., avrebbe dovuto
attaccare prima
o poi se non voleva perdere il round, doveva però trovare il
punto debole del
suo avversario, sapeva che bastava una mossa per farlo crollare ma
proprio
mentre stava per sferrare il primo attacco ecco che lui sferra il suo
asso
nella manica, il gancio destro, il colpo sotto la cintura:
“Dovevi dirmelo
prima, sai che puoi dirmi tutto” esordisce avvicinandosi a
lei che intanto si
era alzata in piedi. No, questo no, sapeva quanto fosse difficile per
lei
resistere ai suoi occhi azzurri e alla sua bocca così
vicina. Bastò un secondo
rapido per…
“Giselle,
non correre così!
Finirai a sbattere contro… qualcosa!” gridava Abby
correndo dietro alla bambina
“È
inutile cara, sai
che non ascolta!” ribadiva McGee per
l’ennesima volta in pochi minuti
“Beh,
questo l’ha preso tutto da
te.” Replicò la ragazza prendendo la bimba che
scalciava per farsi liberare
“Come
dici tu.” Disse lui per
dileguarsi da una possibile lite
“Mamma,
guarda.” Disse la piccola
che era riuscita a divincolarsi dall’abbraccio materno
porgendo alla ragazza
uno scarabocchio, poi con il ditino iniziò a spiegare:
“Questo è papà, questa
sei tu, questo è zio Tony e questa e zia Ziva.” E
mano mano indicava quelle che
sarebbero dovute essere delle figure. Abby si accigliò e
rispose: “E nonno
Gibbs?” la bimba perse lo sguardo nel foglio e
indicò un omino con un bicchiere
in mano: “Qua.” Tim notò qualcosa vicino
alla raffigurazione del suo capo e
chiese: “E questo cos’è?” la
figlia fece un gesto con la mano e il ragazzo si
avvicinò e le porse l’orecchio, la piccola mise
una mano d’avanti a
quest’ultimo e rispose sussurrando: “Credo che
nonno Gibbs e la signorina
Shepard si vogliano bene come te e mamma.”
I
pensieri di una scrittrice in
canna
No,
non ve lo dico se si baciano.
Si chiama suspance! :P
Che
ne dite? Le scenette di vita
familiare le metto un po’ random (tranne l’ultima,
quella l’ho studiata a
tavolino! XD)
Può
anche essere che in alcuni
capitoli non le metto proprio e faccio un intero episodio tutto per i
Jibbs,
come mi dice la testa in pratica! Ci tenevo a sottolineare che no, non
scoprirete subito che malattia ha Jenny e se è una cosa
seria, sarà parte del
mistero! Ora vi saluto.
Vostra
Scrittrice
in canna
|
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Capitolo 3 *** capitolo 2, dove succede ***
“Dovevi
dirmelo
prima, sai che
puoi dirmi tutto.” esordisce avvicinandosi a lei che intanto
si era
alzata in
piedi. No, questo no, sapeva quanto fosse difficile per lei resistere
ai suoi
occhi azzurri e alla sua bocca così vicina. Bastò
un secondo rapido per
farli
avvicinare oltre la linea di difesa che avevano imparato a rispettare,
sembrava
tutto perfetto, lui si era preoccupato per lei e lei ne era contenta,
erano ad
una distanza minima e la tensione di Jennifer si poteva tastare
vividamente. Il
cellulare di Gibbs interruppe tutto facendo si che entrambi si
risvegliassero
dall’oblio in cui erano caduti, quello più
piacevole e profondo:
l’oblio dei
sensi. Era McGee che aveva bisogno di una mano per il caso che dovevano
affrontare. Jennifer si rilassò nel momento esatto in cui
lui uscì
dall’ufficio.
K.O. al primo round.
Gibbs
si ritrovò
davanti un
cadavere fetido, popoloso di vermi e dall’odore immondo ma
non ci
faceva caso,
pensava a lei, alla sua Jenny che stava male e pensava che doveva
sapere cosa
avesse. Rifletté a lungo su questo e arrivò alla
conclusione che di
qualunque
cosa si trattasse il dottor Harrison doveva sapere qualcosa dato che la
lettera
era intestata a lui. Il primario del reparto di malattie mortali.
“DiNozzo,
Ziva,
McGee, vado un
attimo via, voi… cercate delle tracce.” disse
esitante. I tre si
scambiarono
uno sguardo complice ma lasciarono correre.
Arrivato
al
Washington’ s General
hospital Gibbs non indugiò un attimo e chiese ala ragazza
che stava
alla
reception di aprire la porta: ”Sono qui per il dottor
Harrison.” La
ragazza si
mise ad armeggiare al computer con le sue dita laccate di rosa e
rispose con un
cenno della testa dopodiché aprì la via
all’uomo che non esitò un
attimo. Entrò
nell’ufficio del primario e disse: “Sono
l’agente speciale Leroy Jethro
Gibbs e
ho bisogno di conoscere le condizioni del mio direttore.”
Mostrò il
distintivo
e il dottore fece una rapida
telefonata
senza staccare gli occhi di dosso a Gibbs, disse un’unica
frase: “Mi
porti i
fascicoli di Jennifer Shepard.” Staccò senza
neanche guardare il
cellulare,
cercando di sostenere lo sguardo dell’uomo che aveva di
fronte ma non
ci riuscì
per molto. Quando l’assistente arrivò con i
fascicoli il dottore prese
a
sfogliarli e diede voce a quelle insignificanti parole
d’inchiostro:
“Dopo
accurate analisi abbiamo stabilito che la signora Jennifer Shepard
è
affetta da
leucemia livello uno, è richiesto il ricovero
urgente.”
“Che
cane vuoi?”
chiese Tony a
Ziva mentre curiosava su internet
“Mi
piacerebbe uno di
quei cani
piccoli e carini.” rispose lei dalla sua scrivania
“Un
maltese?” chiese
McGee
intromettendosi
“Magari.”
Discuteva
lei ma nella
sua testa c’era sempre il pensiero di un figlio, di una
creaturina con
gli
occhi splendidi di lui e i capelli di lei, con la forza di Tony e i
suoi
tratti. Un essere che avrebbe amato immensamente, più di
quanto amava
l’uomo
seduto di fronte a lei in quel momento. Un cane non le bastava. Non le
sarebbe
mai bastato.
Jennifer
era seduta
alla sua
scrivania con un bicchiere del solito scotch invecchiato e la sua
cameriera che
puliva l’ultimo scaffale con la stessa attenzione maniacale
riservata
al primo e
poi al secondo e al terzo e così via, conversavano da un
po’ sul
matrimonio, su
quanto fossero in sintonia i due ragazzi e di quanto fosse dolce e
talentuosa
la piccola Giselle quando ad un certo punto senza una motivazione
apparente
Jenny si accasciò e cominciò a sudare freddo, la
ragazza in preda al
panico
chiamò il 118 in fretta e furia e in pochi minuti
un’ ambulanza era
arrivata
per tirare fuori da quella trappola di residui di bicchieri e freddo
una donna
che da troppo attendeva l’ora della fine mentre la ragazza
cercava di
bagnare
la fronte con un panno caldo e le teneva la mano osservandola immobile
sul
pavimento che ripeteva: “non ci riesco, mi sento
morire.” Da circa
dieci minuti.
Vennero
avvertiti
tutti da Gibbs
e Abby fino al vice direttore Leon Vance che non aspettava altro che la
possibilità di uscire dall’ombra, non avrebbe mai
voluto farlo in quel
modo ma
le cose si prendono per come vengono, Vance era un uomo
d’acciaio che
aveva osservato
Gibbs e sapeva che sarebbe stato capace di tutto pur di stare accanto
al suo
direttore, un padre premuroso a casa e un marito amorevole ma sul
lavoro si
trasformava e il suo lato oscuro prendeva il sopravvento, a quel punto
contava
solo la sicurezza del suo paese tutto il resto in secondo piano. Questo
era
Leon, un uomo versatile e deciso.
Quando
la donna dai
capelli
raccolti, lo sguardo calmo che rispondeva al nome di Catlin vide
arrivare un
orda di personaggi ambigui cominciò a pensare che le
domeniche
lavorative
doveva evitarle un po’ di più…
Da
prima gli venne
incontro lo
stesso uomo con i capelli d’argento organizzati con un taglio
militare
che
aveva chiesto del primario poche ore prima, poi arrivarono un ragazzo
dal
completo grigio e una ragazza con i codini, un pantaloncino a scacchi
gialli e
neri e una magliettina intonata che teneva per mano una bambina simile
a lei con
un bel vestitino elegante, Catlin pensò ad un incubo ma fece
passare
anche
loro, arrivò anche un uomo anziano con il papillon blu
accompagnato da
un
ragazzo alto, magro e con gli occhialini alla Harry Potter,
seguì una
coppia di
ragazzi apparentemente normali se non fosse che sentì
bisbigliare lei:
“Ho una
graffetta nella borsa, comportati bene se vuoi vedere
l’alba.” Ma non
era
questa la parte strana ma più che altro il fatto che lui
rabbrividì a
quelle
parole. Tutti chiedevano di Jennifer Shepard e tutti avevano la
disperazione
nel cuore e negli occhi.
“Come
sta?” chiese
Gibbs al
dottorino che uscì dalla camera dove era stata ricoverata la
donna
“Dobbiamo
cominciare
la chemio,
se non si riprende ci sarà bisogno di una trasfusione di
midollo osseo…
in ogni
caso stiamo già cercando un donatore.”
“Lo
faccio io il
test!”
esclamarono tutti in coro alzandosi, il dottore, stupito di tale
disponibilità
fece entrare ad uno ad uno tutti e preparando i test.
“Ci
vorranno circa
due giorni per
sapere se uno di voi è compatibile, adesso stanno iniziando
la cura.”
I
pensieri di una scrittrice in
canna
So
che questo è un po’ più
cortino ma è per prolungare l’attesa cari miei :P
Per quanto riguarda i
Jibbs
volevo inserirli in questo capitolo ma mi sa che prima di
martedì non
avrete
nulla perché Sabato ho un concerto *----------* (finalmente
aspetto da
Dicembre) poi domenica mi riposo fino a martedì non posso
cominciare a
scrivere
il nuovo capitolo! :(
Vostra
Scrittrice
in canna
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Capitolo 4 *** capitolo 3. Gibbs. ***
Gibbs era rimasto lì, immobile, su una scomodissima sedia di plastica semovente, osservando le persone che passavano con le mani tra i capelli. Continuava a tormentarsi durante gli orari di visita, non sapeva se entrare, se vederla, non sapeva cosa pensare, cosa dire, come l’avrebbe trovata e se sarebbe riuscito a non crollare.
“Agente Gibbs, vuole entrare?” Aveva detto l’infermiere uscendo dalla stanza e togliendosi la mascherina, alche l’interpellato si alzò con le gambe tremanti e mandò giù un aspro boccone prima di riuscire ad avvicinarsi alla porta che divideva il corridoio da Jennifer, arrivò fino al lettino e ad aspettarlo c’era una donna bianca, calva e piccola, fragile, magra come se non avesse mangiato per mesi ma che riusciva ancora a sorridere al mondo
“Jethro! Come mai non sei venuto prima a farmi visita?” la voce forte e determinata aveva lasciato il posto ad una rotta e debole a mala pena udibile
“Credevo che… tu… che non ti avrebbe fatto piacere.” rispose l’uomo traballante
“Scherzi? Certo che mi fa piacere vederti, abbiamo molto di cui parlare.”
“Beh… di certo non tu, sei a pezzi.” disse lui esternando i suoi pensieri, lei lo guardò sconfitta, il suo sorriso si era improvvisamente annullato, si tolse la maschera da donna forte, cercò di ribattere ma non riuscì a trovare le parole e se le avesse trovate non sarebbe stata in grado di esprimerle, si limitò a rigirarsi su un fianco e dire: ”Vattene, sono molto stanca adesso.” Gibbs aprì e chiuse la bocca, le parole erano fittizie in quel momento, rigirò i tacchi e uscì. Jenny aveva provato a sentirsi ancora bene, credeva che almeno lui avrebbe tralasciato la sua condizione fisica, voleva solo sentirsi normale ma in quel momento non era normale, era solo malata e doveva riguardarsi non poteva permette che il suo ego firmasse assegni che il suo corpo non poteva pagare. Lo strazio e la tristezza invasero l’agente come non avevano mai fatto prima, si sentiva un deficiente e sapeva che non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo ma i pensieri con lei escono punto, era abituato a parlarle seriamente e sinceramente e quella volta non era diversa.
“Insomma, non è possibile! Due giorni! Capito Timmy? Due giorni!” continuava a ripetere Abby straziata
“Non è questo che mi preoccupa ma più che altro che adesso all’ NCIS ci sarà il vice direttore Vance.”
“Non mi ci fare pensare! Quello lì è un maniaco del potere, non aspettava altro!” continuava a dire la ragazza mentre puliva la piccola che si era imbrattata di pasta
“Ci starà alle costole.”
“Poveri noi!” mentre i due discutevano la piccola si intromise
“Mamma, ma questo Vance è cattivo?” chiese innocentemente
“Sì piccola, molto cattivo.”
“E sarà il tuo capo mentre la signorina Shepard guarisce?” continuò Giselle
“Sì amore.” A quella risposta la piccola sbatte la manina sulla fronte e scosse la testa chiudendo gli occhi
“Ahi ahi! Poveri mamma e papà!”
Jenny si rigirava nel lettino d’ospedale dolorante, la terapia funzionava molto male e lentamente, c’era velocemente bisogno di una donazione di midollo, se non avessero fatto in tempo…
Il mattino dopo Gibbs fu prepotentemente svegliato da un infermiere, aveva dormito sulla sedia nella sala d’aspetto come faceva da due giorni a quella parte.
“Abbiamo i risultati.” L’uomo si alzò di scatto e sgranò gli occhi cominciando a torturarsi le mani
“I risultati dicono che…” il ragazzo guardò la cartellina mentre il cuore di Gibbs perdeva svariati battiti
“Lei ha il 91% di compatibilità, credo sia abbastanza, se vuole possiamo procedere alla trasfusione.” Disse poi il giovane con un sorriso, a quel punto l’agente disse subito: “Sì, sì… procediamo!”.
Fu sistemato in un lettino d’ospedale e iniziò l’operazione. In quel momento lui era davvero parte di lei, come lo era stato fino a quel momento. I globuli rossi di lui presero quelli bianchi di lei e le regalarono il rosso della passione che corre tra i due, divisero quel rosso che era il segno dell’amore che Gibbs provava per lei. L’amore vinse, Jennifer si ristabilì piano.
“Pronto, qui è l’agente speciale Anthony DiNozzo.”
“Salve, è ilWashington’ s General Hospital.”
“Chi è?” chiese piano Ziva accanto a lui
“Ospedale.” sussurrò lui coprendo il ricevitore. “Mi dica.” Continuò parlando alla donna all’altro capo dell’apparecchio
“Abbiamo contattato il vostro direttore, ci ha detto di parlare con lei… c’è un grave problema con l’agente Gibbs.” Il viso di Tony sbiancò immediatamente e i suoi occhi divennero grandi il doppio mentre il suo cuore si rimpiccioliva
“C-c-os’è successo? Sapevo ce ha fatto la trasfusione di midollo… c’è stato qualche problema per caso?”
“Purtroppo l’agente Gibbs sta riscontrando dei forti problemi, credevamo fosse normale ma la verità e che non riesce a ricreare globuli rossi, avrebbe bisogno di tempo, cure giuste, dobbiamo stimolare il midollo e renderlo fertile, ma tutto ciò comporta alti costi ed alti rischi.” Una lacrima solcò la guancia del ragazzo mentre la moglie cercava di interpretare la telefonata dalla scrivania.
“Quanto serve?” chiese traumatizzato
“dodici mila dollari.” confermò la donna.
“Dica al dottor Harrison che troverà i soldi sulla sua scrivania entro la prossima settimana.”
“Agente DiNozzo, forse non capisce, la prossima settimana sarà già troppo tardi! Abbiamo urgentemente bisogno di almeno cinquecento dollari per dare inizio alla cura.”
“Sono già lì.” disse Tony determinato, poi si girò verso Ziva: “Gibbs sta molto male, non riesce a sviluppare globuli rossi e c’è bisogno di dodicimila dollari per dare inizio alla cura che potrebbe salvarlo… ci sono comunque molti rischi.” La ragazza cominciò a versare lacrime tinte di nero da mascara e odio.
“Hanno bisogno di cinquecento dollari entro oggi per poter intervenire e provare a salvarlo… io ne ho duecentocinquanta…” la donna guardò nella sua borsa e allungò l’altra metà al ragazzo che li prese al volo e scappò verso l’ascensore.
“Voglio venire anch’io!” urlò Ziva tra le lacrime e mettendosi a camminare a passo svelto.
“Ti porto da Abby.” disse Tony in ascensore
“No, voglio venire con te in ospedale.” continuava a ripetere lei, lui si girò nella sua direzione e vide un viso solcato da strisce nere che colavano perenni e che non volevano andare via, ricordavano le sbarre di una prigione, quella in cui la loro relazione era rimasta per molto tempo… sta volta si tratta di vere lacrime, lacrime di gioia, di tristezza, anni e anni di pianti che venivano a galla in un unico momento.
No, non sarebbe rimasto fermo mentre le persone che amava di più soffrivano e crollavano ai suoi piedi. Tony era determinato. Era tutto nelle sue mani.
I pensieri di una scrittrice in canna
Ben ritrovati… che dire aggiornare a mezzanotte è proprio una bella cosa! :D
No dai a parte gli scherzi ho cercato di rendere il capitolo il più lungo e intenso possibile. Vi piace? Spero di sì. Ci ho messo tutta me stessa.
Ringraziamenti:
Ringrazio Zavarix e Fink1987 per tutte le recensioni, le critiche costruttive che mi aiutano a crescere.
Ringrazio AleTiva95, Maggie90, sweet cheeks, Lonni, VooJDee, __WeatherlyGirl (o il suo fantasma) per avermi ispirata con le loro storie.
Ringrazio anche alex995, charmartyXD per avermi fatto i complimenti per la mia prematura età.
Ringrazio Caskett_Always che ha messo la storia tra i preferiti
Ringrazio Japril lover, NymphCalypso, zavarix (ancora) per aver messo la storia tra le seguite.
Ringrazio le oltre 1000 persone che hanno letto il primo capitolo della storia “Mia” ringrazio le oltre 100 persone che hanno visualizzato questa storia.
Ringrazio tutti! Senza di voi io non continuerei a scrivere! :* Tanti baci!
Vostra
Scrittrice in canna |
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Capitolo 5 *** Capitolo 4. Libera! ***
Mentre
Ziva piangeva silenziosa
seduta accanto a lui sull’auto il resto del mondo correva
veloce contro la loro
folle corsa verso l’ospedale, contro la pioggia che batteva
forte e produceva un
rumore orribile contro i vetri che separavano loro due dal resto,
l’acqua
continuava a sbattere forte come le lacrime di lei che colpivano a
forza il
cuore di lui.
Arrivati in ospedale i distintivi
lasciarono loro la possibilità di entrare e il dottor
Harrison li aspettava in
piedi nel suo studio, quando li vide prese gli occhiali, li tolse, li
pulì nel
camice e li rimise, come era solito fare quando doveva dare una brutta
notizia.
Tony non aspettò nemmeno un secondo, diede i soldi al
dottore e esordì: “Faccia
tutto quello che può.” L’uomo non
parlò, prese il denaro ed entrò in sala
operatoria.
Abby
era comodamente seduta in
salotto intenta ad ammirare la figlia giocare per terra quando il
telefono di
casa cominciò a suonare: “Ziva, ciao! Devi vedere
Giselle sta…” fu bruscamente
interrotta dalla voce rotta dell’amica
“Gibbs… lui sta molto male e
servono… dodici mila dollari per curarlo…lui
sta… sta morendo Abby.” dall’altro
lato un pianto sommesso aveva sovrastato il rumore del gioco della
piccola, un
bip sonoro fece capire che la conversazione era volta la termine.
Jennifer
si era lentamente
ristabilita e riusciva a camminare anche se molto lentamente. Quel
giorno
decise di prendere tutta la sua forza di volontà e il suo
coraggio e dirigersi
da Gibbs e dai ragazzi, arrivata alla soglia della camera dove lui era
ricoverato incontrò i ragazzi che piangevano abbracciati,
sorrise ma solo Tony
ricambiò, entrò e lo vide, disteso sul letto,
fragile.
“Ciao… come stai?” aveva detto
piano avvicinandosi, nessuna risposta. Dormiva calmo e non aveva
intenzione di
svegliarsi, non riusciva più a muovere la mano destra e
camminare gli era
impossibile, mangiava attraverso le flebo e apriva gli occhi a stento,
fortunatamente riusciva a parlare ma gli organi funzionavano
pochissimo. Andava
avanti a trasfusioni ma non sarebbe bastato ancora per molto. McGee
aveva
portato sette mila dollari dalla pubblicazione del suo romanzo, Tony e
Ziva
altri tre mila dal matrimonio ma mancavano ancora molti soldi e le
operazioni
da fare erano davvero tante. C’era chi, come Vance, aveva
perso la speranza e
chi, come Jenny e gli altri, sperava ancora in un miracolo o in qualche
sorpresa di Gibbs.
Nell’altra
stanza la squadra al
completo aspettava… non si sa di preciso cosa ma
aspettava…
Per cambiare discorso e non
pensare Tony disse: “Il cagnolino lo andiamo a cercare
domani?” Abby capendo
ciò che stava per succedere sussurrò al ragazzo
che stava giocando con la
figlia: “Andiamo, veloce.” Ziva si alzò,
guardò il coniuge negli occhi e, con i
suoi ancora gonfi di lacrime, cominciò a parlare adirata:
“Ancora non l’hai
capito?” lui si alzò, le andò vicino,
sfoderò il suo sorriso più dolce e la
guardò attendendo che continuasse, non continuò,
lui si girò, si allontanò, lei
riprese a piangere e gridò per farsi sentire: “Non
voglio un cane!” Tony si
fermò e tornò a guardarla negli occhi, non voleva
discutere, non in quel
momento, era distrutto, stavano lì da due giorni, doveva
trovare tre mila
dollari entro il giorno seguente, le banche gli avevano negato tutti i
prestiti, Jennifer avrebbe potuto ma sarebbe stato da infami chiedere a
una
persona sull’orlo della morte dei soldi, non era in
condizioni, non voleva, lei
era la sua unica boa e la stava vedendo affondare. Ziva si
calmò, asciugò le
lacrime e si avvicinò di qualche passo
“Io
voglio un figlio…” Tony le
prese le mani e la guardò, le diede un bacio sulla fronte e
posò il mento sui
capelli di lei… non ora, pensava lui, non ora.
Mentre
Jenny teneva amorevolmente
le mani di Gibbs i marchingegni segnarono un blocco respiratorio,
all’istante
circa dieci infermieri intervenirono, uno di loro ricondusse la donna
alla sua
stanza e il dottor Harrison si preparò per
l’intervento: guanti, mascherina ed
era pronto
“Un
campione di sangue zero
positivo! Chiamate l’equipe! Presto!” gridava il
dottore a destra e a manca
“Queste cure private costano più
di nove mila dollari! Non possiamo intervenire.” Diceva un
giovane infermiere
“Mene fotto delle cure private,
prendete dei soldi dal mio stipendio e aiutiamo quest’uomo!
Subito!” nessuno
aveva sentito il dottor Richard Harrison dire una cosa simile o
adirarsi tanto,
ci teneva davvero a salvare quell’uomo
“Dottore noi…” continuava il
ragazzo
“Non lo lascerò morire! È una
delle persone più amate che io abbia mai visto! Deve restare
su questa terra!”
continuava a gridare Richard entrando in sala operatoria, serviva un
intervento
rapido e preciso, dovevano stimolare il midollo e inserire una macchina
che
avrebbe permesso ai polmoni di respirare con il poco sangue che avevano
a
disposizione, tutto a cuore pompante.
“Dottore l’equipe è qui.”
Circa
venti persone entrarono in sala operatoria e cominciarono ad armeggiare
con la
vita di quell’uomo che si trovava sull’orlo del
precipizio.
“Abbiamo una sola busta di sangue
zero positivo a disposizioni per l’agente Gibbs.”
esordì un primario
“Ce la faremo bastare…” disse
allora Harrison senza togliere gli occhi dal suo lavoro, aveva poco
più di
dieci minuti prima che il sangue finisse e i globuli rossi creati dalla
trasfusione non avrebbero retto più di mezz’ora
senza ossigeno.
A due minuti dalla fine
dell’intervento la macchina per il battito cardiaco segnava
un bip insistente
“Defibrillatore! Subito!
Portatemi un cazzo di defibrillatore all’istante!”
ordinò il dottore
“Libera! Libera! Lo stiamo
perdendo!” gridava un membro dell’equipe don
l’attrezzo in mano. Poco dopo il
dottor Harrison uscì dalla sala operatoria con il camice
sporco di sangue, si
avvicinò ai ragazzi che erano in sala d’aspetto,
tolse gli occhiali, li pulì e
li rimise, com’era solito fare prima di dare una brutta
notizia.
I
pensieri di una scrittrice in
canna
Sono
passativtipo... 5 giorni e io sto aggiornando di nuovo xD
no e che avevo il capitolo pronto e non volevo lasciarlo a prendere
polvere pixellosa :3
L’ansia D:
Spero di avervene fatta venire
molta, se sì sono riuscita nel mio intento.
Riuscirà Gibbs a sopravvivere?
Jenny si ristabilirà del tutto? Tony
crollerà? E Ziva?
Intanto io soffro T.T finali di stagione del ca... volo, non sono
così volgere eh! u.u
Vostra
Scrittrice in canna
P.S.:
Sì la frase del capitolo
precedente: “non poteva permette che il suo ego firmasse
assegni che il suo
corpo non poteva pagare” l’ho presa dalla scena in
cui Tony perde la voce e
Ducky cita Top Gun. xD
P.P.S.:
Grazie a Japril lover che
si è fatta viva e ha recensito :D. Ovviamente grazie anche a
zavarix.
|
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Capitolo 6 *** capitolo 5. Senza... ***
Richard esitò un attimo,
si pulì il camice da qualche briciola
invisibile e guardò i due ragazzi negli occhi, intanto Abby
e McGee stavano
raggiungendo i compagni avendo visto il dottore uscire dalla sala
operatoria.
“Dottor. Harrison, ci dica,
come è andata l’operazione? La
prego.” Disse allora Ziva con gli occhi lucidi. Harrison
guardò i quattro, poi
la piccola, le arruffò i capelli e fece un mezzo sorriso,
andò di fronte alla
donna che aveva appena parlato e le poggiò la mano sulla
spalla.
“L’intervento
è… andato abbastanza bene, l’agente
Gibbs è
ancora molto debole però e abbiamo bisogno di mille dollari
per finire la
terapia anche se adesso ci sono ottime possibilità che si
riprenda… pensi che
ad un certo punto ho creduto che non ce l’avrebbe fatta ma
Dio ha assistito
quell’uomo, è davvero fortunato.”
Finì con un sorrisone a trentaquattro denti e
poco dopo Abby e la ragazza che aveva davanti l’abbracciarono
forte per
ringraziarlo di aver salvato il loro
“papà”. Tony e McGee sorridevano e
Gisella
guardava il genitore con aria interrogativa: “Che vuol dire
questo papi? Nonno
Gibbs sta meglio ora?” il ragazzo guardò la
figlia, la prese in braccio e la
strinse più forte che poteva: “Sì
Giselle, nonno Gibbs sta bene ora.” piansero,
tutti, di felicità, per la prima volta dopo circa un mese.
Erano felici, tutti.
Solo dopo un po’ Tony chiese al dottore: “Mi scusi
ma i due mila dollari che
servivano per l’operazione?” Richard sorrise e
ammise: “Li ho messi di tasca
mia, Gibbs doveva continuare a vivere e a godersi tutti voi.
È un uomo
fortunato.” Continuava a ripeterlo, come se lo invidiasse.
Dopo qualche minuto
Jennifer fu informata della bella notizia e andò subito a
trovare il malato, di
nuovo.
“Ehi, ciao.”
Disse accarezzandogli il dorso della mano
“Ciao Jenny…
come ti senti?” aveva risposto! Titubante ma
aveva risposto!
“Bene Jethro,
grazie.” Lei sorrise, lui si girò e la
guardò
cercando di notare miglioramenti: effettivamente era più
piena e la carnagione
era migliorata ma la cosa che più lo colpì furono
i capelli: “Ti stanno
ricrescendo, sembri un folletto.” Aveva detto indicandole la
testa con il dito
tremante e accennando un sorriso, il più bello che Jenny
avesse mai visto.
“Tu eri… qui
quando mi sono sentito male, vero?” la donna
annuì
“Grazie…”
sussurrò lui calmo, poi si girò e si
addormentò,
mentre Jenny provava ad andare via notò che la sua mano era
bloccata da quella
dell’uomo che la stringeva saldamente, decise di
addormentarsi sul suo petto e
sentire il suo cuore battere, il battito più bello del mondo.
Qualche ora dopo tutta la squadra s
riunì nella stanza di
Gibbs, il dottor. Harrison aveva corso un grande rischio facendoli
entrare
tutti insieme e fuori dall’orario di visita con una bambina
di circa due anni
ma ne valeva la pena, Jenny era andata via da poco e si sitava
preparando per
andare via da quel posto infernale, la rimandavano a casa. Gibbs si
stupì
rivedendoli tutti: “Ragazzi, benvenuti, come va?”
aveva esordito l’uomo dal
lettino, mentre la piccola gli andava incontro per abbracciarlo i suoi
gli
facevano mille domande senza pensare ai quei maledetti mille dollari
che
mancavano per salvare definitivamente Gibbs. Ad un certo punto una
telefonata a
DiNozzo entrò nella gioia di tutti, il silenzio scese in
camera: “Pronto?
Certo, assolutamente direttore Vance.” Enfatizzò
le ultime parole per far
capire a tutti con chi stava parlando
“Davvero? Ne è
sicuro? Grazie, la ringrazio infinitamente!”
riattaccò e sorrise: “Abbiamo i mille dollari! Le
‘ferie’ pagate di Gibbs e l’anticipo
del mio stipendio ci hanno dato abbastanza soldi per pagare la
cura!” e fu
euforia generale, tutto andava per il meglio, mancava solo un punto da
chiarire…
si ricordava le parole di sua moglie e anche ciò che aveva
pensato… se quello
non era il momento giusto quale poteva esserlo?
Batté con le chiavi della
macchina sul pomello della porta
per simulare il suono di una forchetta sbattuta contro un bicchiere di
buona
qualità, chiamò Ziva vicino a se con un gesto e
iniziò a parlare con la sua
voce da bambino, quella di quando citava i film, quella voce
spensierata che
non aveva da un bel pezzo: “Colleghi, nipotine, capo, abbiamo
un annuncio da
farvi!” la donna lo squadrò di sottecchi e prima
che continuasse gli diede un
pizzicotto sulla mano
“Tranquilla ti
piacerà.” Sussurrò prima di continuare:
“Abbiamo
deciso che dopo tutti questi anni di lavoro spalla contro spalla, dopo
tutti
questi mesi di convivenza, dopo il matrimonio.”
Enfatizzò nuovamente sull’ultima
parola sta volta impuntando anche i piedi e brandendo il mazzo di
chiavi.
“È
arrivato il
momento di provare ad avere un figlio… nostro.”
Finì stringendo la mano di lei
e guardandola negli occhi. Le sue pupille si dilatarono e
saltò al collo di lui
senza nemmeno rendersene conto, Gibbs guardò i ragazzi, poi
Giselle e affermò: “Bene
piccola, a quanto pare avrai un compagno di giochi.” La bimba
si girò e chiese
con la fronte corrucciata: “Chi?”
“Il figlio di zio Tony e
zia Ziva.” La donna bloccò subito
il capo e lo corresse: “O figlia, ancora nulla è
certo. Non sappiamo nemmeno se
ci riusciremo.”
“Se ce l’ha fatta
McPivello posso farcela anch’io, non
credi?” disse Tony indicandosi
“Andate via
voi due.” disse
Jethro indicando i ragazzi che stavano parlando
“Perché?”
chiesero in coro entrambi
“Avete un lavoro da fare,
fuori, andate a casa!” specificò
il capo.
Quando tutti se ne furono andati
Jenny spuntò nuovamente sta
volta con una valigia e vestita con un tailleur grigio
“Vai via?” aveva
chiesto Gibbs
“Sì.”
rispose la donna sedendosi accanto a lui nel letto
“Appena esco da qui devo
dirti una cosa.” Disse lui
mettendosi le mani dietro la testa
“Perché non ora?
Perché non qui?” chiese disorientata .
“È meglio di
no.” Rispose lui distrattamente
“Dai Jethro, sai che non so
aspettare.” continuava a lamentarsi
come una bambina, l’uomo si stancò, le prese le
mani e in tratto erano una cosa
sola, finalmente un bacio vero, quello che entrambi aspettavano da
tempo. Jenny
si alzò e uscì felice dalla stanza, ora doveva
solo aspettare che lui uscisse
dall’ospedale.
I pensieri di una scrittrice in canna
Perché tutti questi orari
strani?????????
Beh ho visto che i 4 (QUATTRO!!!!)
commenti al precedente
capitolo erano tutte suppliche per la salute di Gibbs, secondo voi io
potevo
far morire il nostro capo preferito? No vah che tipo di mostro sarei se
lo
facessi? La storia
non è finita qui, a
breve capitolone di chiusura di tutte le storie della serie, riepilogo finale con un slto
temporale di un
anno ma tranquilli, recupererete tutto. Conto di farlo non
più corto di due
mila parole. Insomma sarà una specie di festone finale! E
poi giorno cinque
Luglio grande OS tiva per festeggiare un anno della ff:
“Mia.” Che è la mia
prima storia che ha dato inizio a… questo! vi aspetto
numerosi, grandi sorprese
quest’estate! :P
Vostra
Scrittrice
in canna
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