Come with me

di scrittrice in canna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0, l'inizio ***
Capitolo 2: *** capitolo 1, dove si scopre un po' di più ***
Capitolo 3: *** capitolo 2, dove succede ***
Capitolo 4: *** capitolo 3. Gibbs. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Libera! ***
Capitolo 6: *** capitolo 5. Senza... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0, l'inizio ***


Vi invitiamo alla chiesa di
S. Antonio per celebrare la nostra unione.
Cordialmente
Anthony DiNozzo e Ziva David
a
Leroy Jethro Gibbs

 
 
Lo sposo stava aspettando fuori dalla chiesa la sposa mentre salutava tutte le persone che gli saltavano addosso per fargli gli auguri. Ma mancavano ancora due ospiti importanti: Eli David e Anthony DiNozzo Sr.
Ore 11:55.
Eccolo! È arrivato il padre dello sposo.
“Auguri Junior, sapevo che Ziva avrebbe fatto colpo su di te.” azzardò dando due pacche sulla spalla al figlio ed entrando in chiesa. Ma dov’ era Eli?
Ore 11:45
Ziva si stava preparando, le restava il trucco, proprio mentre stava mettendo l’ ultima traccia di cipria sul volto bussarono alla porta:” Tony, non puoi vederla in abito da sposa prima della cerimonia, vai in chiesa!” annunciò Abby dal divanetto nella stanza
“Non sono Anthony, signorina Sciuto!” quella voce era troppo familiare, Ziva aprì la porta e si trovò d’avanti il padre
“Papà? Che ci fai qui?” annunciò la ragazza
“È il giorno più importante della tua vita, dovevo esserci.” abbassò lo sguardo e si rese conto che al collo la ragazza non portava la stella di David di Tali ma un’ altra, diversa con pietre incastonate, di oro bianco.
“È nuova quella? Che fine ha fatto la stella di tua sorella?” la ragazza si guardò per un secondo il petto rendendosi conto di ciò a cui alludeva il padre e rispose: ”Me l’ha regalata il mio fidanzato, quando si è dichiarato… ancora mi ricordo eravamo fuori con Abby e Timmy e…” sospirò, ricordando quella sera, rimase imbambolata per un po’ poi scosse la testa lievemente per non scompigliare la pettinatura, suo padre la guardava con il mezzo sorriso, ma lei lo sapeva, ormai non era più lui ma Gibbs la figura paterna per eccellenza, senza considerare il legame di sangue che legava i David. Oltre tutto lei sapeva che l’ uomo che aveva d’avanti non avrebbe mai voluto vedere la sua prole in vestito bianco, lui avrebbe voluto un uomo in smoking con i suoi tratti per dargli una pacca sulla spalla e dire: vai figliolo e porta avanti la dinastia dei David. Gli faceva quasi ribrezzo che la sua unica figlia favorisse l’andare avanti di un'altra famiglia, che prendesse un altro cognome, quello era l’ unica cosa che la teneva ancora sua, sposandosi sarebbe scomparsa dalla sua vita per sempre. Aveva l’ ultima possibilità. Perderla o ritrovarla. Una sola parola l’ avrebbe avvicinata o allontanata per sempre dal padre biologico. Una sillaba, un piccolo momento di esitazione, uno sguardo. Era il momento della verità. E Ziva lo sapeva.
“Posso avere l’ onore di guidare l’auto della sposa?” forse era la mossa giusta dal momento che la ragazza sorrise e si avviò con il padre fuori dalla porta
“Abby, andiamo, siamo in ritardo.” annunciò andandosene
“La sposa deve essere in ritardo, Aspettami!” gridò mentre raggiungeva l’amica.
Ore 12:00.
Chiesa S. Antonio.
Finalmente s’iniziava ad intravedere una macchina in lontananza e, mentre lo sposo era imbambolato d’avanti la chiesa, il suo testimone lo trascinava dentro. La macchina si fermò e come d’incanto all’entrata di Ziva in chiesa tutti si alzarono, il suo splendido abito bianco conduceva i suoi passi in modo elegante, corpetto lavorato e una gonna che cadeva perfettamente lungo il corpo della ragazza, una flebile luce entrava dalle finestre, una stella di David padroneggiava sulla tovaglia poggiata all’altare, fiori gialli coprivano la navata e inebriavano con un profumo meraviglioso, la damigella con il suo bouquet sorrideva felice, tutto quello che in quei mesi la ragazza aveva progettato sembrava non avere senso, le scarpe, il vestito, i fiori, il tulle. L’unica cosa che riusciva a vedere era lui, immobile, con un sorriso nervoso sulle labbra e le mani incrociate timidamente, ma di una cosa era sicura, i suoi occhi risplendevano di una luce che nemmeno dieci mila soli avrebbero potuto eguagliare, la luce di un uomo innamorato. In prima fila, dal lato dello sposo c’erano Jenny, Gibbs, Palmer, Ducky e Senior. Dal lato di lei una sfilza di persone che nessuno conosceva e che sussurrava in una lingua sconosciuta, Eli fissava il ragazzo che aveva d’avanti pensando:- Ecco l’uomo che vivrà con mia figlia per il resto della sua vita.-. Tutto sembrava non avere senso per i due che vedevano solo l’uno la luce negli occhi dell’altra e viceversa. Credo che per Gibbs fu il momento più emozionante della sua vita perché una lacrima scese dal suo viso nel momento in cui i ragazzi si presero per mano e tutti si sedettero.
“Stai piangendo, Jethro?” chiese Jenny sottovoce con un mezzo sorriso, lui si girò e la vide che lo squadrava, con quei suoi capelli da folletto e lo sguardo furbo, un po’ ironico.
“Non sto piangendo, sto… godendomi il momento.” rispose brancolando nel buio. Quando era con lei le parole uscivano a fatica tanto erano irrilevanti, tanto lei da un solo sguardo capiva tutto. Era sempre riuscita a scrutagli l’anima. Sin da Parigi.
“Oh no, tu ti sei commosso.” lo apostrofò lei, sorrisero.
“Okay, mi hai beccato, sono un romanticone represso.”
Quella sembrò l’ora più lunga del mondo, per tutti. Quel fatidico sì sembrava non arrivare mai, ma quando arrivò tutti piansero commossi, chi applaudiva, chi rideva e chi, come McGee, benediceva Maometto per aver dato fine a quel supplizio che nessuno riusciva a capire, nemmeno lo sposo stesso anche se Ziva l’aveva condotto a cento corsi di ebraico e gli aveva illustrato passo passo tutta la cerimonia ma a Tony non importava molto, l’importate era l’atto in se.
Tuti si alzarono e non appena gli sposi uscirono cominciarono a volare confetti. Mentre i ragazzi s’indirizzavano alla macchina per andare al ristorante Gibbs prese un enorme palloncino con su scritto: 12= Non si possono avere relazioni fra colleghi.
“Tagliatelo.” Ordinò ai due indicando il filo che teneva il palloncino a terra e porgendo un paio di forbici. I due obbedirono e lo videro volare via. Ora le regole erano 50.
Al ristorante i neo coniugi avevano deciso di far sedere tutti i colleghi in un solo tavolo in modo che si potessero ritrovare.
Tutto perfetto, il brindisi, il menù, la famiglia, i padri. Finché non si arrivò alla parte che i single odiavano di più: il primo ballo degli sposi. Mentre la loro canzone veniva inserita e le coppie si preparavano sulla pista da ballo Gibbs e Jenny venivano incitati a ballare da… tutti: “Dai capo, sarà divertente.” Avevano detto i due ragazzi
“Direttore, che ne dice di convincere lei Gibbs?” aveva chiesto Abby. Dopo un po’ i due si convinsero.
“Mi fanno male i piedi.” commentò Jennifer dopo poco
“Io mi sento ridicolo.” Disse lui di rimando
“Invece sei carino, sembri proprio un pinguino, finché non mi pesti i piedi.” rispose lei guardando verso il basso. Risero.
“Se ce ne andiamo?” pensò a voce alta Jethro
“Tony e Ziva non se lo meritano, dobbiamo restare per loro.”
“Almeno possiamo smetterla con quest’assurda scenetta, no?” era alquanto annoiato
“Concordo.” Affermò lei iniziando ad andare verso i tavoli. Era sera, festeggiavano da quella mattina, avevano mangiato ogni sorta di cibo italiano (unico privilegio concesso a Tony) ed erano entrambi distrutti. Si sedettero, Jenny tolse delle briciole invisibili dalla gonna azzurrina e si sistemò la giacca del completo, sbuffò, crollò con la schiena sulla sedia e guardò l’uomo accanto a lei di sottecchi, vide che sghignazzava. “Cosa c’è, adesso?”
“Se io sembro un pinguino tu sembri un folletto con questo vestito colorato.”
“Louis Vuitton, italiano.”
“Anche i mocassini in tinta che indossi sono italiani, Jenny?”
“Se proprio vuoi saperlo, sì.” Gibbs non poté far altro che ridere.
“Sempre meglio di te che hai lo stesso vestito dal matrimonio di McGee e Abby.”
“Ehi! È stato solo un anno fa.”
“Appunto.”
I due continuarono a punzecchiarsi per un po’. Arrivato il momento di andare via Jennifer arrivò a casa, si sedette nel suo ufficio e prese una bottiglia di Scotch invecchiato di suo padre e cominciò a versarlo in un bicchiere da bar quando la sua cameriera entrò e le porse una busta arrivata il pomeriggio, mentre era la matrimonio. Le sua mani cominciarono a tremare, prese il taglierino, aprì la busta e il contenuto le fece gelare il sangue nelle vene.
 
Egregia sig. Shepard
Ci duole informarla che i risultati del suo test sono positivi.
La preghiamo di recarsi presso la nostra struttura il prima possibile.
Cordialmente dott. Harrison.
 
I pensieri di una scrittrice in canna
Rieccoci con questa serie! Cercherò di renderla più coinvolgente possibile. Questa la dedico a 
Fink1987 perché so che adora i Jibbs e se la merita ^_^
Non sono proprio sicurissima che in una cerimonia ebraica si tirino i confetti all’uscita dalla chiesa ma tant’è! L’ho scritta in un momento di sclero totale in cui non sapevo quello che facevo quindi vi prego di lasciarmi le vostre critiche per migliorare la storia il più possibile! Non ho altro da dire tranne che è il mio primo esperimento con NVU. Se non va bene torno all’ HTML del sito. Quindi se trovate qualche incongruenza… sorry!  ^_^’’
Va beh vi saluto!
Vostra
Scrittrice in canna
 

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Capitolo 2
*** capitolo 1, dove si scopre un po' di più ***


capitolo 2

Il bicchiere che aveva in mano cadde sul pavimento liberando ogni goccia di scotch presente al suo interno e permettendo che si spargesse per il parquet immacolato, Jennifer alzò gli occhi al cielo e lasciò cadere una lacrima pensando al significato di quella lettera, insopportabile quanto inaspettata. Il giorno dopo sarebbe andata al Washington’ s General hospital per parlare con il Dottor Harrison e comunicargli che forse aveva preso un abbaglio… o forse no.

 

 

 

“Abbiamo bisogno di cambiare la moquette.” esordì Ziva dando un occhiata al nuovo appartamento

“Sì, tesoro.” rispose ubbidiente lui

“Abbiamo bisogno di cambiare la carta da parati.” continuò lei

“Sì, tesoro.” disse di nuovo Tony

“Abbiamo bisogno di un frigo nuovo, questo non funziona.”

“Sì, tesoro.” la ragazza si interruppe un attimo, andò sul divano, si accoccolò nelle braccia del neo sposo e, socchiudendo gli occhi, affermò: “Abbiamo bisogno di un figlio.” Lui strabuzzò gli occhi, la guardò e aggiunse: “Un cane non… ti piacerebbe?” lei aprì gli occhi, lo squadrò e tornò alla sua posizione: “Anche quello va bene.”

 

 

 

Il giorno dopo Jennifer era arrivata traballante in ospedale, con i piedi che non volevano stare dritti e le gambe che tremavano, non appena entrò avvertì un fortissimo odore di medicine, sciroppi e cibi pre-congelati delle mense. Alla reception una donna sulla quarantina, di colore, stava tranquillamente controllando i dati sul suo computer, leggermente in carne e con i capelli legati in una coda di cavallo ordinatissima, quasi maniacale, unghie laccate di un rosa pallido e occhi tinti di bianco ad esaltare il colore delle iridi scure, il completo da infermiera e la targhetta con il suo nome. Non appena Jenny arrivò al bancone la donna la guardò e affermò: “Assenza di personale, sa, stranamente di Domenica non molti hanno la voglia di venire a lavorare, ma pagano questa giornata come straordinario quindi… in cosa le posso essere utile?” la rossa rimase stordita dall’eccesso delle informazioni incluse in quella banale domanda, cercando di non farci caso rispose: “Cerco il dottor Harrison, sono la signora Shepard.” La donna dall’altro lato del tavolo si girò, controllò velocemente sul Dextop del PC e fece un cenno con la testa quasi di affermazione, premette un pulsante che fece aprire la porta di entrata ai vari reparti dell’ospedale, si rigirò sulla sedia manovrabile e disse: “Il dottore la sta aspettando. Prego si accomodi.” Sfoderò un sorriso, usò la sua voce più dolce e calma e indicò la porta a Jenny, lei proseguì e cominciò a leggere i nomi dei vari reparti: terapia intensiva, traumatologia, malattie infettive, cardiologia. Finché non arrivò a quello che le interessava, spinse la porta, che non si aprì, ritentò un altro paio di volte poi notò il cartello con su scritto:  Tirare. Tirò ed entrò. Finalmente, il primario era fermo, alla scrivania che leggeva chissà quale esito di chissà quale esame. La donna si avvicinò e fece notare la sua presenza schiarendosi la voce

“Salve, non l’aspettavo così presto.” si giustificò lui

“Stia tranquillo, sono venuta per chiederle se forse non aveva preso un abbaglio con i risultati del test, sa… capita. Un omonimo, una piccola distrazione.” disse lei cercando di giustificare più se stessa che l’uomo che aveva di fronte. Quest’ultimo si tolse gli occhiali da vista, li strofinò sul camice, li rimise e disse: “No, mi dispiace, nessun abbaglio. I suoi test sono positivi. Se non si sbriga a ricoverarsi può rischiare grosso, signora Shepard, so che le sembra strano ma se proviamo ora ad avviare tutte le precauzioni del caso potrebbe curarsi, ci sono tante cure. Può farcela.” Sentito questo la donna si alzò, ringraziò il dottore e affermò: “La ringrazio ma, almeno che non sia strettamente necessario, non intendo ricoverarmi prima di aver avvisato della mia assenza e trovato un sostituto, salutò con una stretta di mano e andò via. Si fermò un attimo e poi osservò attentamente la scritta luminosa che indicava il reparto da cui era appena uscita, sospirò pensierosa ma venne risvegliata dal cellulare che, insistentemente, suonava, lo prese e lesse il nome di Gibbs sullo schermo o meglio il nome di Jethro, rispose: “Sì, sono io. Dimmi.”

“Jenny, la tua assistente continua a perseguitarmi, ti prego, torna!” disse lui disperato, Jennifer abbozzò un sorriso,-come poteva la vorare anche di domenica quell’uomo imprevedibile?- pensò, chiuse la chiamata e cominciò a dirigersi verso l’uscita da quel posto. Annusò a pieni polmoni l’aria fresca e si rilassò un attimo. Arrivata in ufficio sperò di stare tranquilla almeno per pochi secondi ma Cintia aveva sempre un messaggio nuovo per lei e non ebbe pace.

Nel mentre Gibbs preparava, studiava e organizzava nuove tattiche per colpire il terrorista di turno senza che se ne accorgesse. Stava tranquillamente guardando le carte che la segretaria di Jenny aveva cordialmente scaraventato sulla sua scrivania quando ne vide una strana la prese e ne lesse il contenuto:

Egregio dott. Harrison

Recentemente ho riscontrato dei problemi, avrei un urgente bisogno di una sua visita.

La pregerei di non fare parola con nessuno di questo nostro incontro.

Cordialmente,

Jennifer Shepard

 

Era la brutta copia di un messaggio del direttore finito, per errore, tra le carte che contenevano le informazioni sull’uomo che stava cercando Gibbs. A quel punto si alzò, prese la lettera e salì in fretta e furia le scale per arrivare nell’ufficio più importante di tutti, l’ufficio del capo.

“Cos’è questa?” chiese leggermente adirato mentre porgeva ciò che aveva in mano alla rossa, ma non ne aveva bisogno, le bastò un occhiata dato che era scritta di suo pugno. Alzò gli occhi infuriata:” Come hai fatto ad ottenerla?” rispose alla domanda con un'altra domanda

“Era tra le mie carte, ora rispondi.” Sviò lui poggiando i palmi sulla scrivania come usava fare con i suoi ragazzi

“Sono malata, okay?” rispose infuriata, l’altro si mise in posizione eretta e cominciò quello che doveva essere un interrogatorio: ”Da quanto?”

“Qualche mese.”

“È grave?”

“Credo.” botta e risposta come una partita di pugilato: uno colpiva l’altro alzava a difesa. Sì, era questo, uno sconto, un match e Jennifer era quasi K.O., avrebbe dovuto attaccare prima o poi se non voleva perdere il round, doveva però trovare il punto debole del suo avversario, sapeva che bastava una mossa per farlo crollare ma proprio mentre stava per sferrare il primo attacco ecco che lui sferra il suo asso nella manica, il gancio destro, il colpo sotto la cintura: “Dovevi dirmelo prima, sai che puoi dirmi tutto” esordisce avvicinandosi a lei che intanto si era alzata in piedi. No, questo no, sapeva quanto fosse difficile per lei resistere ai suoi occhi azzurri e alla sua bocca così vicina. Bastò un secondo rapido per…

 

 

 

“Giselle, non correre così! Finirai a sbattere contro… qualcosa!” gridava Abby correndo dietro alla bambina

“È inutile cara,  sai che non ascolta!” ribadiva McGee per l’ennesima volta in pochi minuti

“Beh, questo l’ha preso tutto da te.” Replicò la ragazza prendendo la bimba che scalciava per farsi liberare

“Come dici tu.” Disse lui per dileguarsi da una possibile lite

“Mamma, guarda.” Disse la piccola che era riuscita a divincolarsi dall’abbraccio materno porgendo alla ragazza uno scarabocchio, poi con il ditino iniziò a spiegare: “Questo è papà, questa sei tu, questo è zio Tony e questa e zia Ziva.” E mano mano indicava quelle che sarebbero dovute essere delle figure. Abby si accigliò e rispose: “E nonno Gibbs?” la bimba perse lo sguardo nel foglio e indicò un omino con un bicchiere in mano: “Qua.” Tim notò qualcosa vicino alla raffigurazione del suo capo e chiese: “E questo cos’è?” la figlia fece un gesto con la mano e il ragazzo si avvicinò e le porse l’orecchio, la piccola mise una mano d’avanti a quest’ultimo e rispose sussurrando: “Credo che nonno Gibbs e la signorina Shepard si vogliano bene come te e mamma.”

I pensieri di una scrittrice in canna

No, non ve lo dico se si baciano. Si chiama suspance! :P

Che ne dite? Le scenette di vita familiare le metto un po’ random (tranne l’ultima, quella l’ho studiata a tavolino! XD)

Può anche essere che in alcuni capitoli non le metto proprio e faccio un intero episodio tutto per i Jibbs, come mi dice la testa in pratica! Ci tenevo a sottolineare che no, non scoprirete subito che malattia ha Jenny e se è una cosa seria, sarà parte del mistero! Ora vi saluto.

Vostra

Scrittrice in canna

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Capitolo 3
*** capitolo 2, dove succede ***


“Dovevi dirmelo prima, sai che puoi dirmi tutto.” esordisce avvicinandosi a lei che intanto si era alzata in piedi. No, questo no, sapeva quanto fosse difficile per lei resistere ai suoi occhi azzurri e alla sua bocca così vicina. Bastò un secondo rapido per farli avvicinare oltre la linea di difesa che avevano imparato a rispettare, sembrava tutto perfetto, lui si era preoccupato per lei e lei ne era contenta, erano ad una distanza minima e la tensione di Jennifer si poteva tastare vividamente. Il cellulare di Gibbs interruppe tutto facendo si che entrambi si risvegliassero dall’oblio in cui erano caduti, quello più piacevole e profondo: l’oblio dei sensi. Era McGee che aveva bisogno di una mano per il caso che dovevano affrontare. Jennifer si rilassò nel momento esatto in cui lui uscì dall’ufficio. K.O. al primo round.

Gibbs si ritrovò davanti un cadavere fetido, popoloso di vermi e dall’odore immondo ma non ci faceva caso, pensava a lei, alla sua Jenny che stava male e pensava che doveva sapere cosa avesse. Rifletté a lungo su questo e arrivò alla conclusione che di qualunque cosa si trattasse il dottor Harrison doveva sapere qualcosa dato che la lettera era intestata a lui. Il primario del reparto di malattie mortali.

“DiNozzo, Ziva, McGee, vado un attimo via, voi… cercate delle tracce.” disse esitante. I tre si scambiarono uno sguardo complice ma lasciarono correre.

Arrivato al Washington’ s General hospital Gibbs non indugiò un attimo e chiese ala ragazza che stava alla reception di aprire la porta: ”Sono qui per il dottor Harrison.” La ragazza si mise ad armeggiare al computer con le sue dita laccate di rosa e rispose con un cenno della testa dopodiché aprì la via all’uomo che non esitò un attimo. Entrò nell’ufficio del primario e disse: “Sono l’agente speciale Leroy Jethro Gibbs e ho bisogno di conoscere le condizioni del mio direttore.” Mostrò il distintivo e il dottore fece una rapida telefonata senza staccare gli occhi di dosso a Gibbs, disse un’unica frase: “Mi porti i fascicoli di Jennifer Shepard.” Staccò senza neanche guardare il cellulare, cercando di sostenere lo sguardo dell’uomo che aveva di fronte ma non ci riuscì per molto. Quando l’assistente arrivò con i fascicoli il dottore prese a sfogliarli e diede voce a quelle insignificanti parole d’inchiostro: “Dopo accurate analisi abbiamo stabilito che la signora Jennifer Shepard è affetta da leucemia livello uno, è richiesto il ricovero urgente.”

“Che cane vuoi?” chiese Tony a Ziva mentre curiosava su internet

“Mi piacerebbe uno di quei cani piccoli e carini.” rispose lei dalla sua scrivania

“Un maltese?” chiese McGee intromettendosi

“Magari.” Discuteva lei ma nella sua testa c’era sempre il pensiero di un figlio, di una creaturina con gli occhi splendidi di lui e i capelli di lei, con la forza di Tony e i suoi tratti. Un essere che avrebbe amato immensamente, più di quanto amava l’uomo seduto di fronte a lei in quel momento. Un cane non le bastava. Non le sarebbe mai bastato.

Jennifer era seduta alla sua scrivania con un bicchiere del solito scotch invecchiato e la sua cameriera che puliva l’ultimo scaffale con la stessa attenzione maniacale riservata al primo e poi al secondo e al terzo e così via, conversavano da un po’ sul matrimonio, su quanto fossero in sintonia i due ragazzi e di quanto fosse dolce e talentuosa la piccola Giselle quando ad un certo punto senza una motivazione apparente Jenny si accasciò e cominciò a sudare freddo, la ragazza in preda al panico chiamò il 118 in fretta e furia e in pochi minuti un’ ambulanza era arrivata per tirare fuori da quella trappola di residui di bicchieri e freddo una donna che da troppo attendeva l’ora della fine mentre la ragazza cercava di bagnare la fronte con un panno caldo e le teneva la mano osservandola immobile sul pavimento che ripeteva: “non ci riesco, mi sento morire.” Da circa dieci minuti.

Vennero avvertiti tutti da Gibbs e Abby fino al vice direttore Leon Vance che non aspettava altro che la possibilità di uscire dall’ombra, non avrebbe mai voluto farlo in quel modo ma le cose si prendono per come vengono, Vance era un uomo d’acciaio che aveva osservato Gibbs e sapeva che sarebbe stato capace di tutto pur di stare accanto al suo direttore, un padre premuroso a casa e un marito amorevole ma sul lavoro si trasformava e il suo lato oscuro prendeva il sopravvento, a quel punto contava solo la sicurezza del suo paese tutto il resto in secondo piano. Questo era Leon, un uomo versatile e deciso.

Quando la donna dai capelli raccolti, lo sguardo calmo che rispondeva al nome di Catlin vide arrivare un orda di personaggi ambigui cominciò a pensare che le domeniche lavorative doveva evitarle un po’ di più…

Da prima gli venne incontro lo stesso uomo con i capelli d’argento organizzati con un taglio militare che aveva chiesto del primario poche ore prima, poi arrivarono un ragazzo dal completo grigio e una ragazza con i codini, un pantaloncino a scacchi gialli e neri e una magliettina intonata che teneva per mano una bambina simile a lei con un bel vestitino elegante, Catlin pensò ad un incubo ma fece passare anche loro, arrivò anche un uomo anziano con il papillon blu accompagnato da un ragazzo alto, magro e con gli occhialini alla Harry Potter, seguì una coppia di ragazzi apparentemente normali se non fosse che sentì bisbigliare lei: “Ho una graffetta nella borsa, comportati bene se vuoi vedere l’alba.” Ma non era questa la parte strana ma più che altro il fatto che lui rabbrividì a quelle parole. Tutti chiedevano di Jennifer Shepard e tutti avevano la disperazione nel cuore e negli occhi.

“Come sta?” chiese Gibbs al dottorino che uscì dalla camera dove era stata ricoverata la donna

“Dobbiamo cominciare la chemio, se non si riprende ci sarà bisogno di una trasfusione di midollo osseo… in ogni caso stiamo già cercando un donatore.”

“Lo faccio io il test!” esclamarono tutti in coro alzandosi, il dottore, stupito di tale disponibilità fece entrare ad uno ad uno tutti e preparando i test.

“Ci vorranno circa due giorni per sapere se uno di voi è compatibile, adesso stanno iniziando la cura.”

I pensieri di una scrittrice in canna

So che questo è un po’ più cortino ma è per prolungare l’attesa cari miei :P Per quanto riguarda i Jibbs volevo inserirli in questo capitolo ma mi sa che prima di martedì non avrete nulla perché Sabato ho un concerto *----------* (finalmente aspetto da Dicembre) poi domenica mi riposo fino a martedì non posso cominciare a scrivere il nuovo capitolo! :(

Vostra

Scrittrice in canna

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Capitolo 4
*** capitolo 3. Gibbs. ***


Gibbs era rimasto lì, immobile, su una scomodissima sedia di plastica semovente, osservando le persone che passavano con le mani tra i capelli. Continuava a tormentarsi durante gli orari di visita, non sapeva se entrare, se vederla, non sapeva cosa pensare, cosa dire, come l’avrebbe trovata e se sarebbe riuscito a non crollare.
“Agente Gibbs, vuole entrare?” Aveva detto l’infermiere uscendo dalla stanza e togliendosi la mascherina, alche l’interpellato si alzò con le gambe tremanti e mandò giù un aspro boccone prima di riuscire ad avvicinarsi alla porta che divideva il corridoio da Jennifer, arrivò fino al lettino e ad aspettarlo c’era una donna bianca, calva e piccola, fragile, magra come se non avesse mangiato per mesi ma che riusciva ancora a sorridere al mondo
“Jethro! Come mai non sei venuto prima a farmi visita?” la voce forte e determinata aveva lasciato il posto ad una rotta e debole a mala pena udibile
“Credevo che… tu… che non ti avrebbe fatto piacere.” rispose l’uomo traballante
“Scherzi? Certo che mi fa piacere vederti, abbiamo molto di cui parlare.”
“Beh… di certo non tu, sei a pezzi.” disse lui esternando i suoi pensieri, lei lo guardò sconfitta, il suo sorriso si era improvvisamente annullato, si tolse la maschera da donna forte, cercò di ribattere ma non riuscì a trovare le parole e se le avesse trovate non sarebbe stata in grado di esprimerle, si limitò a rigirarsi su un fianco e dire: ”Vattene, sono molto stanca adesso.” Gibbs aprì e chiuse la bocca, le parole erano fittizie in quel momento, rigirò i tacchi e uscì. Jenny aveva provato a sentirsi ancora bene, credeva che almeno lui avrebbe tralasciato la sua condizione fisica, voleva solo sentirsi normale ma in quel momento non era normale, era solo malata e doveva riguardarsi non poteva permette che il suo ego firmasse assegni che il suo corpo non poteva pagare. Lo strazio e la tristezza invasero l’agente come non avevano mai fatto prima, si sentiva un deficiente e sapeva che non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo ma i pensieri con lei escono punto, era abituato a parlarle seriamente e sinceramente e quella volta non era diversa.
 
 
“Insomma, non è possibile! Due giorni! Capito Timmy? Due giorni!” continuava a ripetere Abby straziata
“Non è questo che mi preoccupa ma più che altro che adesso all’ NCIS ci sarà il vice direttore Vance.”
“Non mi ci fare pensare! Quello lì è un maniaco del potere, non aspettava altro!” continuava a dire la ragazza mentre puliva la piccola che si era imbrattata di pasta
“Ci starà alle costole.”
“Poveri noi!” mentre i due discutevano la piccola si intromise
“Mamma, ma questo Vance è cattivo?” chiese innocentemente
“Sì piccola, molto cattivo.”
“E sarà il tuo capo mentre la signorina Shepard guarisce?” continuò Giselle
“Sì amore.” A quella risposta la piccola sbatte la manina sulla fronte e scosse la testa chiudendo gli occhi
“Ahi ahi! Poveri mamma e papà!”
 
 
Jenny si rigirava nel lettino d’ospedale dolorante, la terapia funzionava molto male e lentamente, c’era velocemente bisogno di una donazione di midollo, se non avessero fatto in tempo…
Il mattino dopo Gibbs fu prepotentemente svegliato da un infermiere, aveva dormito sulla sedia nella sala d’aspetto come faceva da due giorni a quella parte.
“Abbiamo i risultati.” L’uomo si alzò di scatto e sgranò gli occhi cominciando a torturarsi le mani
“I risultati dicono che…” il ragazzo guardò la cartellina mentre il cuore di Gibbs perdeva svariati battiti
“Lei ha il 91% di compatibilità, credo sia abbastanza, se vuole possiamo procedere alla trasfusione.” Disse poi il giovane con un sorriso, a quel punto l’agente disse subito: “Sì, sì… procediamo!”.
Fu sistemato in un lettino d’ospedale e iniziò l’operazione. In quel momento lui era davvero parte di lei, come lo era stato fino a quel momento. I globuli rossi di lui presero quelli bianchi di lei e le regalarono il rosso della passione che corre tra i due, divisero quel rosso che era il segno dell’amore che Gibbs provava per lei. L’amore vinse, Jennifer si ristabilì piano.
 
 
“Pronto, qui è l’agente speciale Anthony DiNozzo.”
“Salve, è ilWashington’ s General Hospital.”
“Chi è?” chiese piano Ziva accanto a lui
“Ospedale.” sussurrò lui coprendo il ricevitore. “Mi dica.” Continuò parlando alla donna all’altro capo dell’apparecchio
“Abbiamo contattato il vostro direttore, ci ha detto di parlare con lei… c’è un grave problema con l’agente Gibbs.” Il viso di Tony sbiancò immediatamente e i suoi occhi divennero grandi il doppio mentre il suo cuore si rimpiccioliva
“C-c-os’è successo? Sapevo ce ha fatto la trasfusione di midollo… c’è stato qualche problema per caso?”
“Purtroppo l’agente Gibbs sta riscontrando dei forti problemi, credevamo fosse normale ma la verità e che non riesce a ricreare globuli rossi, avrebbe bisogno di tempo, cure giuste, dobbiamo stimolare il midollo e renderlo fertile, ma tutto ciò comporta alti costi ed alti rischi.” Una lacrima solcò la guancia del ragazzo mentre la moglie cercava di interpretare la telefonata dalla scrivania.
“Quanto serve?” chiese traumatizzato
“dodici mila dollari.” confermò la donna.
“Dica al dottor Harrison che troverà i soldi sulla sua scrivania entro la prossima settimana.”
“Agente DiNozzo, forse non capisce, la prossima settimana sarà già troppo tardi! Abbiamo urgentemente bisogno di almeno cinquecento dollari per dare inizio alla cura.”
“Sono già lì.” disse Tony determinato, poi si girò verso Ziva: “Gibbs sta molto male, non riesce a sviluppare globuli rossi e c’è bisogno di dodicimila dollari per dare inizio alla cura che potrebbe salvarlo… ci sono comunque molti rischi.” La ragazza cominciò a versare lacrime tinte di nero da mascara e odio.
“Hanno bisogno di cinquecento dollari entro oggi per poter intervenire e provare a salvarlo… io ne ho duecentocinquanta…” la donna guardò nella sua borsa e allungò l’altra metà al ragazzo che li prese al volo e scappò verso l’ascensore.
“Voglio venire anch’io!” urlò Ziva tra le lacrime e mettendosi a camminare a passo svelto.
“Ti porto da Abby.” disse Tony in ascensore
“No, voglio venire con te in ospedale.” continuava a ripetere lei, lui si girò nella sua direzione e vide un viso solcato da strisce nere che colavano perenni e che non volevano andare via, ricordavano le sbarre di una prigione, quella in cui la loro relazione era rimasta per molto tempo… sta volta si tratta di vere lacrime, lacrime di gioia, di tristezza, anni e anni di pianti che venivano a galla in un unico momento.
No, non sarebbe rimasto fermo mentre le persone che amava di più soffrivano e crollavano ai suoi piedi. Tony era determinato. Era tutto nelle sue mani.
 
I pensieri di una scrittrice in canna
Ben ritrovati… che dire aggiornare a mezzanotte è proprio una bella cosa! :D
No dai a parte gli scherzi ho cercato di rendere il capitolo il più lungo e intenso possibile. Vi piace? Spero di sì. Ci ho messo tutta me stessa.
Ringraziamenti:
Ringrazio Zavarix e Fink1987 per tutte le recensioni, le critiche costruttive che mi aiutano a crescere.
Ringrazio AleTiva95, Maggie90, sweet cheeks, Lonni, VooJDee, __WeatherlyGirl (o il suo fantasma) per avermi ispirata con le loro storie.
Ringrazio anche alex995, charmartyXD per avermi fatto i complimenti per la mia prematura età.
Ringrazio Caskett_Always che ha messo la storia tra i preferiti
Ringrazio Japril lover, NymphCalypso,  zavarix (ancora) per aver messo la storia tra le seguite.
Ringrazio le oltre 1000 persone che hanno letto il primo capitolo della storia “Mia” ringrazio le oltre 100 persone che hanno visualizzato questa storia.
Ringrazio tutti! Senza di voi io non continuerei a scrivere! :* Tanti baci!

Vostra
Scrittrice in canna

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Libera! ***


 

Mentre Ziva piangeva silenziosa seduta accanto a lui sull’auto il resto del mondo correva veloce contro la loro folle corsa verso l’ospedale, contro la pioggia che batteva forte e produceva un rumore orribile contro i vetri che separavano loro due dal resto, l’acqua continuava a sbattere forte come le lacrime di lei che colpivano a forza il cuore di lui.
Arrivati in ospedale i distintivi lasciarono loro la possibilità di entrare e il dottor Harrison li aspettava in piedi nel suo studio, quando li vide prese gli occhiali, li tolse, li pulì nel camice e li rimise, come era solito fare quando doveva dare una brutta notizia. Tony non aspettò nemmeno un secondo, diede i soldi al dottore e esordì: “Faccia tutto quello che può.” L’uomo non parlò, prese il denaro ed entrò in sala operatoria.

 

Abby era comodamente seduta in salotto intenta ad ammirare la figlia giocare per terra quando il telefono di casa cominciò a suonare: “Ziva, ciao! Devi vedere Giselle sta…” fu bruscamente interrotta dalla voce rotta dell’amica
“Gibbs… lui sta molto male e servono… dodici mila dollari per curarlo…lui sta… sta morendo Abby.” dall’altro lato un pianto sommesso aveva sovrastato il rumore del gioco della piccola, un bip sonoro fece capire che la conversazione era volta la termine.

 

Jennifer si era lentamente ristabilita e riusciva a camminare anche se molto lentamente. Quel giorno decise di prendere tutta la sua forza di volontà e il suo coraggio e dirigersi da Gibbs e dai ragazzi, arrivata alla soglia della camera dove lui era ricoverato incontrò i ragazzi che piangevano abbracciati, sorrise ma solo Tony ricambiò, entrò e lo vide, disteso sul letto, fragile.
“Ciao… come stai?” aveva detto piano avvicinandosi, nessuna risposta. Dormiva calmo e non aveva intenzione di svegliarsi, non riusciva più a muovere la mano destra e camminare gli era impossibile, mangiava attraverso le flebo e apriva gli occhi a stento, fortunatamente riusciva a parlare ma gli organi funzionavano pochissimo. Andava avanti a trasfusioni ma non sarebbe bastato ancora per molto. McGee aveva portato sette mila dollari dalla pubblicazione del suo romanzo, Tony e Ziva altri tre mila dal matrimonio ma mancavano ancora molti soldi e le operazioni da fare erano davvero tante. C’era chi, come Vance, aveva perso la speranza e chi, come Jenny e gli altri, sperava ancora in un miracolo o in qualche sorpresa di Gibbs.

 

 

Nell’altra stanza la squadra al completo aspettava… non si sa di preciso cosa ma aspettava…
Per cambiare discorso e non pensare Tony disse: “Il cagnolino lo andiamo a cercare domani?” Abby capendo ciò che stava per succedere sussurrò al ragazzo che stava giocando con la figlia: “Andiamo, veloce.” Ziva si alzò, guardò il coniuge negli occhi e, con i suoi ancora gonfi di lacrime, cominciò a parlare adirata: “Ancora non l’hai capito?” lui si alzò, le andò vicino, sfoderò il suo sorriso più dolce e la guardò attendendo che continuasse, non continuò, lui si girò, si allontanò, lei riprese a piangere e gridò per farsi sentire: “Non voglio un cane!” Tony si fermò e tornò a guardarla negli occhi, non voleva discutere, non in quel momento, era distrutto, stavano lì da due giorni, doveva trovare tre mila dollari entro il giorno seguente, le banche gli avevano negato tutti i prestiti, Jennifer avrebbe potuto ma sarebbe stato da infami chiedere a una persona sull’orlo della morte dei soldi, non era in condizioni, non voleva, lei era la sua unica boa e la stava vedendo affondare. Ziva si calmò, asciugò le lacrime e si avvicinò di qualche passo

“Io voglio un figlio…” Tony le prese le mani e la guardò, le diede un bacio sulla fronte e posò il mento sui capelli di lei… non ora, pensava lui, non ora.  

 

Mentre Jenny teneva amorevolmente le mani di Gibbs i marchingegni segnarono un blocco respiratorio, all’istante circa dieci infermieri intervenirono, uno di loro ricondusse la donna alla sua stanza e il dottor Harrison si preparò per l’intervento: guanti, mascherina ed era pronto

“Un campione di sangue zero positivo! Chiamate l’equipe! Presto!” gridava il dottore a destra e a manca
“Queste cure private costano più di nove mila dollari! Non possiamo intervenire.” Diceva un giovane infermiere
“Mene fotto delle cure private, prendete dei soldi dal mio stipendio e aiutiamo quest’uomo! Subito!” nessuno aveva sentito il dottor Richard Harrison dire una cosa simile o adirarsi tanto, ci teneva davvero a salvare quell’uomo
“Dottore noi…” continuava il ragazzo
“Non lo lascerò morire! È una delle persone più amate che io abbia mai visto! Deve restare su questa terra!” continuava a gridare Richard entrando in sala operatoria, serviva un intervento rapido e preciso, dovevano stimolare il midollo e inserire una macchina che avrebbe permesso ai polmoni di respirare con il poco sangue che avevano a disposizione, tutto a cuore pompante.
“Dottore l’equipe è qui.” Circa venti persone entrarono in sala operatoria e cominciarono ad armeggiare con la vita di quell’uomo che si trovava sull’orlo del precipizio.
“Abbiamo una sola busta di sangue zero positivo a disposizioni per l’agente Gibbs.” esordì un primario
“Ce la faremo bastare…” disse allora Harrison senza togliere gli occhi dal suo lavoro, aveva poco più di dieci minuti prima che il sangue finisse e i globuli rossi creati dalla trasfusione non avrebbero retto più di mezz’ora senza ossigeno.
A due minuti dalla fine dell’intervento la macchina per il battito cardiaco segnava un bip insistente
“Defibrillatore! Subito! Portatemi un cazzo di defibrillatore all’istante!” ordinò il dottore
“Libera! Libera! Lo stiamo perdendo!” gridava un membro dell’equipe don l’attrezzo in mano. Poco dopo il dottor Harrison uscì dalla sala operatoria con il camice sporco di sangue, si avvicinò ai ragazzi che erano in sala d’aspetto, tolse gli occhiali, li pulì e li rimise, com’era solito fare prima di dare una brutta notizia.

 

I pensieri di una scrittrice in canna

Sono passativtipo... 5 giorni e io sto aggiornando di nuovo xD
no e che avevo il capitolo pronto e non volevo lasciarlo a prendere polvere pixellosa :3
L’ansia D:
Spero di avervene fatta venire molta, se sì sono riuscita nel mio intento.
Riuscirà Gibbs a sopravvivere? Jenny si ristabilirà del tutto? Tony crollerà? E Ziva?
Intanto io soffro T.T finali di stagione del ca... volo, non sono così volgere eh! u.u

Vostra
Scrittrice in canna

P.S.: Sì la frase del capitolo precedente: “non poteva permette che il suo ego firmasse assegni che il suo corpo non poteva pagare” l’ho presa dalla scena in cui Tony perde la voce e Ducky cita Top Gun. xD

P.P.S.: Grazie a Japril lover che si è fatta viva e ha recensito :D. Ovviamente grazie anche a zavarix.

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Capitolo 6
*** capitolo 5. Senza... ***


Richard esitò un attimo, si pulì il camice da qualche briciola invisibile e guardò i due ragazzi negli occhi, intanto Abby e McGee stavano raggiungendo i compagni avendo visto il dottore uscire dalla sala operatoria.

“Dottor. Harrison, ci dica, come è andata l’operazione? La prego.” Disse allora Ziva con gli occhi lucidi. Harrison guardò i quattro, poi la piccola, le arruffò i capelli e fece un mezzo sorriso, andò di fronte alla donna che aveva appena parlato e le poggiò la mano sulla spalla.

“L’intervento è… andato abbastanza bene, l’agente Gibbs è ancora molto debole però e abbiamo bisogno di mille dollari per finire la terapia anche se adesso ci sono ottime possibilità che si riprenda… pensi che ad un certo punto ho creduto che non ce l’avrebbe fatta ma Dio ha assistito quell’uomo, è davvero fortunato.” Finì con un sorrisone a trentaquattro denti e poco dopo Abby e la ragazza che aveva davanti l’abbracciarono forte per ringraziarlo di aver salvato il loro “papà”. Tony e McGee sorridevano e Gisella guardava il genitore con aria interrogativa: “Che vuol dire questo papi? Nonno Gibbs sta meglio ora?” il ragazzo guardò la figlia, la prese in braccio e la strinse più forte che poteva: “Sì Giselle, nonno Gibbs sta bene ora.” piansero, tutti, di felicità, per la prima volta dopo circa un mese. Erano felici, tutti. Solo dopo un po’ Tony chiese al dottore: “Mi scusi ma i due mila dollari che servivano per l’operazione?” Richard sorrise e ammise: “Li ho messi di tasca mia, Gibbs doveva continuare a vivere e a godersi tutti voi. È un uomo fortunato.” Continuava a ripeterlo, come se lo invidiasse. Dopo qualche minuto Jennifer fu informata della bella notizia e andò subito a trovare il malato, di nuovo.

“Ehi, ciao.” Disse accarezzandogli il dorso della mano

“Ciao Jenny… come ti senti?” aveva risposto! Titubante ma aveva risposto!

“Bene Jethro, grazie.” Lei sorrise, lui si girò e la guardò cercando di notare miglioramenti: effettivamente era più piena e la carnagione era migliorata ma la cosa che più lo colpì furono i capelli: “Ti stanno ricrescendo, sembri un folletto.” Aveva detto indicandole la testa con il dito tremante e accennando un sorriso, il più bello che Jenny avesse mai visto.

“Tu eri… qui quando mi sono sentito male, vero?” la donna annuì

“Grazie…” sussurrò lui calmo, poi si girò e si addormentò, mentre Jenny provava ad andare via notò che la sua mano era bloccata da quella dell’uomo che la stringeva saldamente, decise di addormentarsi sul suo petto e sentire il suo cuore battere, il battito più bello del mondo.

 

Qualche ora dopo tutta la squadra s riunì nella stanza di Gibbs, il dottor. Harrison aveva corso un grande rischio facendoli entrare tutti insieme e fuori dall’orario di visita con una bambina di circa due anni ma ne valeva la pena, Jenny era andata via da poco e si sitava preparando per andare via da quel posto infernale, la rimandavano a casa. Gibbs si stupì rivedendoli tutti: “Ragazzi, benvenuti, come va?” aveva esordito l’uomo dal lettino, mentre la piccola gli andava incontro per abbracciarlo i suoi gli facevano mille domande senza pensare ai quei maledetti mille dollari che mancavano per salvare definitivamente Gibbs. Ad un certo punto una telefonata a DiNozzo entrò nella gioia di tutti, il silenzio scese in camera: “Pronto? Certo, assolutamente direttore Vance.” Enfatizzò le ultime parole per far capire a tutti con chi stava parlando

“Davvero? Ne è sicuro? Grazie, la ringrazio infinitamente!” riattaccò e sorrise: “Abbiamo i mille dollari! Le ‘ferie’ pagate di Gibbs e l’anticipo del mio stipendio ci hanno dato abbastanza soldi per pagare la cura!” e fu euforia generale, tutto andava per il meglio, mancava solo un punto da chiarire… si ricordava le parole di sua moglie e anche ciò che aveva pensato… se quello non era il momento giusto quale poteva esserlo?

Batté con le chiavi della macchina sul pomello della porta per simulare il suono di una forchetta sbattuta contro un bicchiere di buona qualità, chiamò Ziva vicino a se con un gesto e iniziò a parlare con la sua voce da bambino, quella di quando citava i film, quella voce spensierata che non aveva da un bel pezzo: “Colleghi, nipotine, capo, abbiamo un annuncio da farvi!” la donna lo squadrò di sottecchi e prima che continuasse gli diede un pizzicotto sulla mano

“Tranquilla ti piacerà.” Sussurrò prima di continuare: “Abbiamo deciso che dopo tutti questi anni di lavoro spalla contro spalla, dopo tutti questi mesi di convivenza, dopo il matrimonio.” Enfatizzò nuovamente sull’ultima parola sta volta impuntando anche i piedi e brandendo il mazzo di chiavi.

 “È arrivato il momento di provare ad avere un figlio… nostro.” Finì stringendo la mano di lei e guardandola negli occhi. Le sue pupille si dilatarono e saltò al collo di lui senza nemmeno rendersene conto, Gibbs guardò i ragazzi, poi Giselle e affermò: “Bene piccola, a quanto pare avrai un compagno di giochi.” La bimba si girò e chiese con la fronte corrucciata: “Chi?”

“Il figlio di zio Tony e zia Ziva.” La donna bloccò subito il capo e lo corresse: “O figlia, ancora nulla è certo. Non sappiamo nemmeno se ci riusciremo.”

“Se ce l’ha fatta McPivello posso farcela anch’io, non credi?” disse Tony indicandosi

“Andate via voi due.” disse Jethro indicando i ragazzi che stavano parlando

“Perché?” chiesero in coro entrambi

“Avete un lavoro da fare, fuori, andate a casa!” specificò il capo.

 

Quando tutti se ne furono andati Jenny spuntò nuovamente sta volta con una valigia e vestita con un tailleur grigio  

“Vai via?” aveva chiesto Gibbs

“Sì.” rispose la donna sedendosi accanto a lui nel letto

“Appena esco da qui devo dirti una cosa.” Disse lui mettendosi le mani dietro la testa

“Perché non ora? Perché non qui?” chiese disorientata .

“È meglio di no.” Rispose lui distrattamente

“Dai Jethro, sai che non so aspettare.” continuava a lamentarsi come una bambina, l’uomo si stancò, le prese le mani e in tratto erano una cosa sola, finalmente un bacio vero, quello che entrambi aspettavano da tempo. Jenny si alzò e uscì felice dalla stanza, ora doveva solo aspettare che lui uscisse dall’ospedale.

 

I pensieri di una scrittrice in canna

Perché tutti questi orari strani?????????

Beh ho visto che i 4 (QUATTRO!!!!) commenti al precedente capitolo erano tutte suppliche per la salute di Gibbs, secondo voi io potevo far morire il nostro capo preferito? No vah che tipo di mostro sarei se lo facessi?  La storia non è finita qui, a breve capitolone di chiusura di tutte le storie della serie,  riepilogo finale con un slto temporale di un anno ma tranquilli, recupererete tutto. Conto di farlo non più corto di due mila parole. Insomma sarà una specie di festone finale! E poi giorno cinque Luglio grande OS tiva per festeggiare un anno della ff: “Mia.” Che è la mia prima storia che ha dato inizio a… questo! vi aspetto numerosi, grandi sorprese quest’estate! :P

Vostra

Scrittrice in canna

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