In un Giorno di Pioggia ·

di PJ_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 • ***
Capitolo 2: *** 2 · ***
Capitolo 3: *** 3 · ***
Capitolo 4: *** 4 · ***
Capitolo 5: *** 5 · ***
Capitolo 6: *** 6 · ***
Capitolo 7: *** 7 · ***
Capitolo 8: *** 8 · ***
Capitolo 9: *** 9 · ***
Capitolo 10: *** 10 · ***
Capitolo 11: *** 11 · ***
Capitolo 12: *** The end · ***



Capitolo 1
*** 1 • ***


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Ulster era seduta a gambe incrociate sul divano, una lunga maglietta dei Sex Pistols e un paio di culottes di pizzo nero. Portava i lunghissimi capelli neri raccolti in uno chignon improvvisato, una matita in precario equilibrio fra le ciocche. Le mani pallide stringevano Factotum, pescando ad intervalli regolari dei popcorn da una ciotola.
La notte era calata attorno a lei, era molto tardi, perfino per i suoi standard.
Il modesto salotto era ben illuminato, una coperta in pile era ripiegata con cura ai suoi piedi, l’orologio da parete ticchettava, rimbombando nel silenzio.
La giovane gettò uno sguardo alle lancette, sbuffando.
Sfilò il lapis dai capelli corvini e sbadigliò, assonnata. Si alzò dal comodo sofà, imprecando quando toccò il pavimento gelato con i piedi nudi.
Un piccolo brivido corse lungo la sua schiena quando udì il rombo dell’auto dei ragazzi arrivare dal fondo della strada. Il loro vocio invase l’ingresso della piccola casa, la porta si chiuse con un tonfo.
“Ciao Ul!” la salutò sorridendo Izzy, posando le sue dita marmate sulla sua spalla scoperta.
La maglietta le era calata di lato, rendendola particolarmente provocante agli occhi delle cinque bestie fameliche che la osservavano. La ragazza alzò un sopracciglio interrogativa, “Scordatevi uno stupro di gruppo, ragazzi” sogghignò dirigendosi in cucina.
Afferrò un cartone di latto riempiendo un pentolino e scaldando la bevanda.
Si sedette sul piano della cucina, roteando una caviglia in modo passivo.
“Com’è andata stasera? Rimorchiato qualcosa?” urlò per farsi sentire nelle camere dei musicisti.
Una massa selvaggia di ricci fece capolino pochi secondi dopo, “Macché. Nulla di nulla.”
“Axl le spaventa?” ribatté ridendo la giovane, osservando il latte fare le bolle.
“Fottiti. No, davvero, sei proprio simpatica stasera!” il cantante fece frusciare la cascata di capelli rossi sparsi sulle sue spalle, fingendo uno sguardo adirato.
La giovane fece una boccaccia alle sue spalle, spegnendo il fornello.
Scese dal piano di marmo, versando il latte in una tazza, assieme ad un tocco di cioccolato fondente.
Improvvisamente, Axl tirò a sé Ulster, posando le mani sulla schiena di lei.
Poggiò il viso sui capelli scuri della ragazza, inspirando forte il suo profumo di pioggia.
“Profumi, baby” asserì, stringendola fra le sue braccia.
“Sono irlandese, che ti aspettavi?” esclamò scostandosi, afferrò un cucchiaio, la tazza e si sistemò accanto ad Izzy, sul divano.
 
Ulster era nata a Belfast ed in un attentato aveva perso i genitori.
Era rimasta in Irlanda finché aveva potuto, amava la sua terra sopra ogni altra cosa.
Dopo il compimento dei 17 anni era scappata a Los Angeles, dove un amico d’infanzia la aveva ospitata per un paio di mesi. Quando aveva incontrato Slash si era trasferita a casa con lui, ignara delle altre quattro creaturine alle quali avrebbe dovuto provvedere.
Quando le chiedevano: “Che lavoro fai?” e lei diceva semplicemente ‘ Sto coi Guns ’, la gente diceva, infastidita, “Sei una groupie quindi.”
Odiava i loro pregiudizi del cazzo. Odiava il loro sguardo compassionevole mentre la vedevano salire in moto con Axl, stretta alla sua schiena sussurrargli cose proibite.
Si divertiva ad immaginare ciò che gli altri potessero pensare quando, in quello stesso orecchio, bisbigliava: “Pizza o cinese, stasera?”
Lei non scopava con i Guns, non solo almeno.
Badava loro. Come una madre, una sorella ed una fidanzata. Puliva i loro porcai di eroina e crema alle nocciole, riassettava le loro camere, scriveva con un pennarello nero i loro concerti sul calendario, i loro appuntamenti e i conti della lavanderia.
Cucinava ai cinque ragazzi colazione, pranzo e cena ogni giorno.
Sedeva ore intere sul divano rattoppato stringendo Axl a sé, in quei momenti bui che lo colpivano in pieno petto di tanto in tanto, leggeva i suoi occhi pesti e stanchi e baciava con dolcezza la sua fronte calda.
Appena alzata prenotava la loro sala prove, apriva le finestre e guardava Los Angeles, così diversa dalle distese verdi di casa sua.
Quando suo fratello, Gerry, la chiamava nel cuore della notte chiedendole: “Perché lo fai, Ul?”
Lei sorrideva, e semplicemente rispondeva: “Perché con loro sto bene.”



Aaaaaaah! Buonsalve girls! Eccomi di nuovo qui, vi lascio alla fict. Se vi è piaciuta, se vi ha fatto schifo, se l'avete letta, fatemi sapere! Ciao! PJ_

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Capitolo 2
*** 2 · ***


2 ·



Nancy si stirò, scendendo agilmente dal letto.
Estrasse gli artigli e li conficcò nel tappeto bordeaux della stanza, muovendo sinuosa la coda.
Entrò con passo felpato in cucina, lanciando uno sguardo denigratorio ai cinque musicisti.
Axl, seduto a gambe incrociate sul tavolo, tentò di riprodurre quel suono che tanto piaceva alla gatta, cercando di attirare la sua attenzione.
“Rinuncia Axl, è la mia gatta” asserì Ulster, sollevando la micia di peso e stringendola al petto.
“Attenta bambina, potrebbe sciupare il tuo idolo” la schernì il cantante, indicando la faccia sgualcita di Che Guevara che campeggiava, nero su rosso, sulla t-shirt con cui la giovane girovagava per casa.
“Zittoyankee” rise questa alzando il dito medio e lasciando scivolare l’animale sul pavimento.
 
 
Tirò una linea dritta e decisa di kajal.
Marcò bene il rossetto color vinaccia sulle labbra.
Si specchiò soddisfatta, sfiorandosi i capelli.
Zampettò sul gelido pavimento fino alla scarpiera, estraendo un paio di decolleté rosso fuoco.
Un fischio ammirato la colse alle spalle, una mano le sfiorò sensuale la coscia, lasciata nuda dal microscopico vestito.
“Vuoi passare del tutto inosservata stasera piccola?”, le domandò sornione Slash.
Lei rise, mostrando lui i denti. “Faccio solo il mio lavoro, capo.”
Una risata proruppe nell’ambiente, il chitarrista buttò indietro la massa di ricci ribelli.
Afferrò la vita di Ulster, tirandola a scontrarsi col proprio bacino e posando le grandi mani da musicista sui suoi glutei.
La ragazza alzò un sopracciglio, divertita. Per mordere le labbra di Slash non ebbe bisogno di allungarsi, data la presenza dei tacchi vertiginosi, semplicemente strinse fra i denti la pelle morbida, passandovi sopra la lingua.
Lo lasciò andare dopo poco, sorridendo: “Vuoi del ghiaccio? Sembri scosso…”
 
“Allora, massima serietà ragazzi. Ci siamo capiti?”
La voce di Josh risuonò dentro la stanza, sembrava stranamente duro e severo.
“Non fate scherzi Gunners, altrimenti ce la vedremo brutta. Ce la vedremo brutta tutti. Ok?”
L’uomo si passò una mano sul volto stanco, gli occhi coperti da un paio di occhiali scuri.
“Questa non è la vostra serata, è la serata di Wolf. Dobbiamo ricordarci di lui, dobbiamo ricordarlo tutti insieme. Non voglio minchiate, gente sballata, parolacce nel discorso e…”, lo sguardo del manager si spostò sul cantante della band, intento a rollarsi una canna,
“Axl, ti prego, non fare sceneggiate del cazzo.”
Come ultimo monito il signor Given gettò il drumino appena acceso a terra, prestandolo con stizza.
 
Il tappetto, immancabilmente rosso, si stendeva davanti a loro, infinito.
Centinaia di giornalisti scattavano foto, si allungavano verso di loro come a voler catturarne l’aura magica e dannata.
Izzy Stradlin, apparentemente distratto, gettò sulla folla un saluto sghembo, poggiando la mano pallida sulla spalla di una giovane giornalista, convincendola a seguirlo nel backstage –più tardi- per una sorta di intervista.
L’aver udito il breve scambio di battute fece ridere di gusto l’altro chitarrista, i ricci fluttuanti nell’aria calda di Los Angeles.
Stringeva fra le mani una Marlboro accesa, dei piccoli anelli di fumo si libravano nel cielo scuro. Si chiedeva da qualche ora ormai dove fosse Ulster ma, senza crearsi molti problemi, si ritrovò abbracciato in modo decisamente più che amichevole una fan poco pudica, strizzando l’occhio ad uno sconsolato Josh Given*, intento a parlare con un giornalista in disparte.
 
Un rombo si spense tristemente nel parcheggio di un minimarket.
Ulster sbatté la portiera del suo pick-up, controllandosi le unghie laccate di scuro.
Ammirò il proprio riflesso nel finestrino dell’auto e sorrise compiaciuta.
La musica inondava le strade di quella parte di città, così in e così poco praticabile da chi
-come lei- a malapena si poteva permettere la pizza fuori casa una volta a settimana.
Gli altissimi tacchi rosso fuoco sembravano illuminarle la via, aveva qualcosa di blasfemo negli occhi, qualcosa che non sfuggì al bodyguard vicino all’ingresso.
“Ulster, qual buon vento…” sorrise avvicinandosi.
“Ciao gioia” sorrise lei sorniona, “Che dici, mi fai passare?”
L’uomo rise, sfiorandole il braccio con falsa casualità, “Fagli neri, tigre!”
 
Un passo dopo l’altro, ancheggiando in modo vergognoso, sul corpo sinuoso di Ulster si posarono molti riflettori. Sembrava incendiare la notte con ogni sorriso.
“Ul!” esclamò sconvolto Duff, guardandola avvicinarsi, “Sei uno schianto piccola!”
Lei si imporporò lievemente, increspando le labbra scure.
“Che dici man, passo inosservata?” sussurrò all’orecchio di Slash, intrecciando l’indice coi suoi capelli.
L’uomo deglutì rumorosamente, inclinando il capo verso di lei e catturandole le labbra in un bacio famelico.
Tizzoni ardenti brillarono nelle sue pupille mentre squadrava il fisico della giovane fasciato in un piccolo abito di falsa pelle. Le cosce toniche erano totalmente scoperte e attiravano molte occhiate fugaci. 
“Direi di no” borbottò poi, cingendole la vita con un braccio.
L’interno del teatro era caldo e accogliente, decine di celebrità della musica rock sfilavano davanti agli occhi grigi della giovane, alzando il cappello di tanto in tanto.
Ulster accavallò le gambe, seduta su di una poltroncina rossa. Sorseggiò il suo cocktail alle fragole storcendo il naso di tanto in tanto, intercettò poi gli occhi nocciola del barman:
“Una Guinness ce l’hai?”
 
Uscire dalla cerimonia fu, per tutti, un gran sollievo.
Sei sigarette si accesero all’unisono,  Ulster prese Axl e Steve a braccetto e si avviò a grandi passi verso l’uscita. “Hai chiamato Mambo Tango per la cena di domani, Ul?” chiese frastornato Duff, gli occhi pesti e le occhiaie sempre più scure.
La giovane annuì, “Se volete portare delle donne non ci saranno problemi. Alle 22.00 lì.”
“E per la sala prove bimba? Come siamo messi?”
Nuovamente Ulster annuì, stanca. “Due settimane con lo sconto soci. Avete finito?!”
I cinque musicisti risero di gusto, accompagnando la giovane al pick-up.
“Ok, gente, ci vediamo a casa…”
 
Il pick-up era fermo nel posteggio da quasi un’ora quando il portone fu chiuso per la seconda volta. Ulster era ormai completamente struccata ed indossava di nuovo la maglietta del suo amato Ernesto. Coccolava pigramente Nancy, stesa sulle sue cosce nude.
“Ciao piccola!” esclamò Slash, decisamente brillo, chiudendo la porta in faccia ad Izzy.
“Coglione ha chiuso fuori Stradlin…” sbottò Axl, incenerendo il chitarrista con lo sguardo.
Slash prese la mano ad Ulster, “Andiamo in camera mia, baby?”
Lei scosse il capo, “Sono stanca Saul. Non mi va.”
Allo sguardo spaurito dell’uomo scoppiò a ridere istericamente finché questo, irritato, non la sollevò come un sacco, gettandosela in spalla.
Non durò molto ed entrambi caddero a terra ubriachi e pieni di lividi.
“Che dici, restiamo qui stallone?” domandò la ragazza, iniziando a mordere il collo dell’uomo.
Il corridoio era ormai vuoto, perfino Nancy si era affidata –non senza timore- alle cure di Steve, lasciando soli i due pervertiti.
Neanche il tempo di porre la domanda che erano già state ribaltate le posizioni e Slash, già sfilata la camicia, si trovava sopra la giovane, intento a baciarla.
Ulster intrecciò le mani ai capelli del musicista, attirando con forza il proprio viso al suo, si baciarono per diversi minuti, mordendosi le labbra a vicenda.
Slash sfilò rapido la maglietta alla ragazza ma non fece in tempo a chinarsi sul suo intimo che un conato di vomito lo travolse in pieno.
Una goccia di sudore planò leggera sulle labbra di Ulster mentre il chitarrista si chinava su sé stesso tentando di trattenersi.
I capelli corvini scivolarono lungo le spalle della mora mentre si aggrappava alle spalle del ragazzo, “Slash? Che hai?” domandava ripetutamente.
Un fiotto di vomito si rovesciò sul pavimento, sporcando e schizzando sia la maglietta del Che che il muro tinteggiato di fresco.
Entrambi, accasciati sul pavimento, boccheggiarono.
Slash scivolò definitivamente a terra, il fiato troppo, troppo corto.
Ulster, indossando solo intimo, afferrò il telefono componendo un numero troppo noto.

 
*Ho chiamato così il loro fittizio manager, giusto perché è una storia leggermente fuori dagli schemi della realtà ;)




Ma heiiiiii, ciaaaaao! Grazie a Chara e Filthy Neon Angel, grazie girls *-* Grazie a Nik, grazie a chi legge e a chi magari si convincerà col secondo a recensire! Un abbraccio, PJ_

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Capitolo 3
*** 3 · ***


3 ·


“Josh, ho bisogno di Henrique. Mandalo qui.” La voce di Ulster tremava. Era spaventata.
Il manager dall’altro capo del telefono sbuffò, stanco delle bizze dei suoi musicisti.
“Che vuoi Ulster? Non posso mandarti la roba in questo momento. E’ notte fonda.”
Un brivido travolse la schiena della giovane, “Che cazzo vuol dire che non puoi, Josh?
Da quando gli spacciatori lavorano solamente la mattina dalle dieci a mezzogiorno?”
La voce di Given raggiunse le orecchie della ragazza in modo aspro e duro: “Esci in strada se hai bisogno di farti.”
“Io non ho bisogno di nulla. E’ Slash quello steso a terra che vomita e sputa sangue.”
Ulster gettò la cornetta sull’apparecchio con foga, tremando da testa a piedi.
Si inginocchiò a terra, passando ripetutamente la mano sul volto pietrificato del chitarrista.
Il caldo sudore le si attaccò al palmo. Posò fugace le labbra sulla fronte dell’uomo e si alzò rapida, chiudendosi in camera per indossare qualcosa.
Afferrò una vecchia camicia e la abbottonò con furia, dirigendosi come un tornado in camera di Axl.
“Will, Slash sta male.” Non disse altro ma lasciò che il cantante la seguisse nel corridoio, dove Slash stava ancora steso a terra, vomitando e sputando sangue.
Un rivolo rosso sporcava le morbide labbra gonfie.
Axl gettò indietro il viso, stanco di quella solita scena. “Hai chiamato un ambulanza?” domandò scettico, accoccolandosi al fianco dell’amico.
Un campanello premuto troppo a lungo sembrò portare la risposta al rosso cantante.
“Henrique!” esclamò come pregando Ulster, gettandosi fra le braccia dello spacciatore.
“Ciao piccola!” esclamò l’uomo baciandole la fronte.
“Giù le mani figlio di troia. Non toccarla, non guardarla. Dacci quello che devi e vattene.”
La voce di Duff uscì dura, quasi rotta dall’ira. Si era affacciato nel corridoio appena in tempo per vedere l’energumeno latino americano entrare nella loro casa. Aveva avuto diversi scontri di varia natura con Henrique, spacciatore ed ‘ancora di salvezza’ della band.
“Se vuoi me ne vado adesso McKagan. Me ne vado e lascio quella merda a marcire sul pavimento, ti va?”
Duff fece marcia indietro, sbattendo la porta alle sue spalle.
Ulster carezzò il braccio dello spacciatore, tentando ti tranquillizzarlo. “Aiutalo, ti prego.”
Axl, intanto, si trovava ancora a terra, tentando di dare una mano ad Henrique che, dal canto suo, se la prendeva piuttosto comoda.
“Tu” sbottò quest’ultimo, indicando il cantante, “Puliscilo.”
Poi, rivolto ad Ulster sogghignò,  “Quella testa di cazzo è caparbio eh? Quanto si era fatto stasera?”. La giovane scrollò capo e spalle, incerta, tamponando il petto di Slash con un asciugamano.
“Attenta bambolina, lascia la sua bocca libera di acchiappare un po’ d’aria.”
Con calma estenuante l’uomo si arrotolò le maniche e s’inginocchiò davanti al musicista.
“Ho una dose pronta nella borsa, Axl, prendila.”
Accondiscendenza non era certo il secondo nome di Axl Rose ma questo, buono buono, annuì, porgendo laccio e siringa ad Henrique.
“Chi è schizzinoso se ne vada, capito carina?” disse ammiccando verso il rosso, la cui mano tremava violentemente. Senza farselo ripete il cantante si dileguò, lasciando Ulster sola con lo spacciatore e Slash, steso inerme sul pavimento.
“E’ il solito?” sussurrò la giovane rivolta all’uomo.
Questo stinse il laccio attorno ai muscoli del musicista, annuendo. “Sempre Narcan, per ora.”
Aprì lo stantuffo, caricando la siringa.
“Gliene faccio due, per stare calmi una mezz’ora. Endovena e intramuscolare. Libera gli organi principali dall’assenza di ossigeno. Chiaro, bambina?”
Ulster annuì tremante, gli occhi grigi puntati sullo stantuffo che si abbassava.
Lo sguardo di Slash si illuminò per pochi istanti, spegnendosi di nuovo poco dopo.
“Quant’è che sta così? Spero per voi meno di un minuto. Altrimenti io, fossi in te, annullerei un paio di date. Giusto il tempo di trovare un nuovo chitarrista: ti ho  mai palato di Marlon, mio cugino?” asserì ridendo Henrique, leccandosi convulsamente le labbra.
Ulster si accigliò, “Fottiti” fu la sua elegante risposta.
“Come vuoi. In ogni caso tesorino, ricorda che mi devi comunque un bel po’ di verdoni, faccio pagare anche in caso di morte, lo sai.”
Ulster frego le mani infreddolite fra di sé, guardando pensierosa l’uomo di fronte a lei.
“Pago io. Non dire nulla agli altri. Te li do io” affermò sicura, voltandosi per entrare in camera.
“Continui a prostituirti per pagare i suoi cazzo di vizi?” latrò l’uomo alle sue spalle.
“Non urlare, ti prego Hen, non dirlo ad anima viva!” bisbigliò agitata la ragazza, cingendogli la vita con le braccia. Sfogliò veloce un mazzo di biglietti da 500 dollari, accartocciando diverse banconote nella mano della mano tesa davanti a lei.
“Siamo pari?” chiese, un morso allo stomaco dopo aver visto partire i suoi risparmi con tanta facilità. Henrique annuì, scocciato. “Ci vediamo bambina. Ho parlato con Given però, non posso farmi vedere troppo spesso dalle stesse persone. Non avrai molte altre possibilità di salvare in extremis il tuo amichetto.”
 

Ultima fatica, *-*
Spero in un vostro commento, un abbraccio, PJ_

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Capitolo 4
*** 4 · ***



4





“Hudson, cazzo, controllati!” sbottò Axl, fulminando con lo sguardo il chitarrista che era letteralmente intento a mangiare i prosperosi seni di Ulster.
Una risata riverberò nell’aria del salotto. “Guarda la televisione e taci Rose…” lo freddò la giovane donna, allacciando le gambe attorno al bacino di Slash.
Solamente un campanello riportò quel groviglio di baci, gambe e braccia alla realtà.
“Oh, beh, credo sia Henrique” sussurrò Ulster, sistemandosi le coppe del reggiseno.
Slash si passò scocciato una mano fra i ricci, alzandosi per aprire la porta.
Lo spacciatore si trovava a pochi passi da loro, sorridendo mellifluo.
“Ul è in casa?” domandò scostante, poggiandosi allo stipite della porta e gettando i propri occhi castani nelle pozze di pece del chitarrista che si ritrovava di fronte.
Slash annuì, “Che vuoi da lei?” chiese immediatamente dopo.
Henrique si passò una mano fra i capelli unticci e ghignò, mostrando il piccolo dente d’oro che brillava in fondo alla sua bocca: “Ulster mi deve, per così dire, un servizietto.”
Slash si impietrì, dimenticando completamente di spostarsi dall’uscio.
“Che tipo di servizietto?” domandò deglutendo forte.
Un sorriso si aprì sulla bocca del pusher, “Uno di quelli in cui lei è tanto brava, non credo che la cosa ti riguardi Slash. Adesso chiamamela, da bravo.”
“Tu scopi Ulster?” chiese il riccio, ignorando candidamente la richiesta dell’altro.
La risposta non arrivò e solamente la voce cristallina della giovane alle loro spalle placò temporaneamente le acque. “Ciao Hen, entra pure!” sussurrò imbarazzata la ragazza, prendendo la mano di Slash e scostandolo dall’entrata principale.
Dopo aver strizzato l’occhio al chitarrista Ulster sparì in camera sua, parlando fitto fitto con Henrique che, Slash poté vedere solo questo prima che chiudessero la porta, si gettò sul letto della ragazza.
 
Seduto schiena al muro nel piccolo salotto Slash teneva premuti i palmi sulla fronte.
“Ti stai innamorando di Ulster” fu il verdetto che proferì Steve, la mano mollemente adagiata sul pelo nero di Nancy.
“No!” esclamò il chitarrista sconvolto, “No. Ma è la nostra groupie, non può farsi chi vuole in casa nostra!”
Axl scoppiò a ridere, “Geloso marcio, guardatelo ragazzi! Man, tu sei perso!”
Izzy batté forte una mano sulla spalla del rosso, accendendosi subito dopo una sigaretta.
“Non credo stiano scopando, Ulster è più rumorosa solitamente” affermò lapidario.
Un sospiro profondo si levò dal petto di Slash, le ciocche di ricci abbandonate sul viso corrucciato, “Quant’è che stanno li dentro?” chiese ai suoi amici.
Steve guardò rapido l’orologio alla parete, “Due ore? Due ore e mezza? Si forse due ore e mezza.”
 Slash si alzò rapido e furioso, immobilizzandosi quando udì alcuni piccoli singhiozzi provenire dalla stanza della giovane.
Perse la testa in un batter d’occhio, spalancando la piccola porta di legno e sferrando senza tante pretese un pugno in pieno volto ad Henrique.
“SAUL!” urlò terrorizzata Ulster, gettandosi sull’uomo steso a terra.
“Henrique come stai?” sussurrò, poggiando le mani esili sul volto sporco di sangue.
L’uomo, furibondo, si alzò da terra sferrando alla giovane un ceffone in pieno viso.
“Fottiti, puttana. Scordati di chiamare Henrique una sola altra volta. La prostituzione in cambio di eroina va molto di moda a Santa Barbara!”
E con queste dolci parole d’addio il nerboruto spacciatore uscì dalla porta come uscì dalle loro vite.
Delle grosse lacrime rotolarono lungo le guance della giovane, gli occhi ancora puntati su Slash.
Si alzò lentamente come un automa, poggiò le mani sul petto del giovane e lo spinse fuori.
Chiuse la porta ed urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Poi inspirò forte ed iniziò a fare le valigie.



P.S. GRAZIE A TUTTE LE RAGAZZE CHE HANNO RECENSITO IL PRECEDENTE CAPITOLO! :3
Sono gioie! Un abbraccio enorme. PJ_

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Capitolo 5
*** 5 · ***


5 ·



Il diluvio che bagnò Los Angeles quella notte fu il miglior medicinale.
I Guns suonarono in un piccolo locale in periferia, facendo il tutto esaurito.
Per la prima volta dalla formazione della band, suonarono senza Ulster.
La ragazza solitamente sedeva in disparte dietro le quinte attendendo il rientro delle cinque rockstar con un libro fra le braccia, altre volte invece, la scorgevano nelle ultime file con una birra in mano.
Più spesso stava sotto palco decisamente svestita, le braccia al cielo e la gola che ardeva assieme a quella di Axl.
Quella sera si sarebbe ‘goduta’ il live dei ragazzi stesa sul piccolo letto di un motel.
Aveva con sé la borsa dell’acqua calda, un sacchetto di caramelle gommose e Cime tempestose.
Strinse a sé il cuscino sbadigliando.
Lanciò uno sguardo all’orologio da uomo che indossava.
Una fitta la travolse in pieno petto, quello l’orologio che Slash aveva smesso di portare quando lei e Duff gliene avevano regalato un altro.
Da quel giorno il riccio chitarrista aveva insistito perché lo portasse lei, e lei adesso vi piangeva sopra.
Asciugò stizzita le lacrime che le erano colate sul collo soffiandosi il naso rumorosamente.
Decise di alzarsi per bere qualcosa, sarebbe uscita magari.
Avrebbe potuto bere qualcosa, magari conoscere qualcosa.
Uno sguardo demoralizzato affondò nella minuscola specchiera appesa al muro: era orribile.
Il pigiama sformato le cadeva largo, probabilmente era stato di Izzy.
I capelli arruffati sembravano voler farle notare ogni singola doppia punta, passò una mano pallida sul capo, tentando di riassettare la folta chioma nera.
Si spazientì in pochi minuti, sbuffando sonoramente.
E chi aveva realmente voglia di uscire? Si gettò a peso morto sul materasso duro, sperando in un giovamento per la sua fragile spina dorsale.
 
 
“Dobbiamo parlarne Slash. Sai che dobbiamo.” La voce di Izzy Stradlin era stranamente forte e dura. Non era solito imporre decisioni e giudizi alle persone ma in quel momento riteneva opportuno far ragionare Slash.
Il riccio scosse il capo, cocciuto. Che volevano gli dicesse? Che era una vera merda e tale si sentiva?
“Mi manca Ulster” borbottò mogio Steven, grattando le orecchie a Nancy, pigramente acciambellata sul tavolo da pranzo.
“Non dovresti permetterle di dormire sul tavolo.” Sussurrò Izzy indicando la gatta.
“E tu non dovresti bucarti e lasciare le tue siringhe a giro. Nancy sicuramente è più igienica!”
prese le difese dalla felina Duff.
“In ogni caso” riprese il biondo, “dobbiamo parlane. Slash non puoi ignorarci a vita.”
Le mani di Axl Rose tremavano convulsamente mentre cercava di toccare Nancy, da sempre scontrosa col cantante, di sfuggita. Sbuffò sonoramente, massaggiandosi il graffio che aveva appena ricevuto. “Merda!” sottò alzandosi e bevendo un generoso sorso di rum.
Slash alzò il capo, inclinandolo leggermente, “Che hai?” chiese rivolto all’amico, posandosi due dita sulle tempie. Aveva un gran mal di testa, duro a morire.
“Come diavolo avete fatto a non accorgervene?”, Axl quasi urlò rafforzando incredibilmente la presa sulla bottiglia semi vuota.
Quattro paia d’occhi lo guardarono increduli, “Prego?” domandò Slash interdetto.
Il cantante gettò indietro il capo e la sua scintillante chioma rossa, poi, dopo un respiro breve e affannato ripeté: “Come cazzo avete fatto a non accorgervi di nulla?”
Fu Izzy a parlare, “Accorgerci di che, Will?” chiese usando il nome di battesimo del rosso, convinto che la cosa fosse abbastanza seria da consentirglielo.
“Di ciò che lei faceva per voi, voi brutti eroinomani del cazzo.
“Che francesismi Rose! In ogni caso saresti tanto gentile da spiegarti?” era metallico il timbro nella voce di Steve, aveva smesso di coccolare il pelo scuro di Nancy e i grandi occhi adesso fissavano il volto teso di Axl.
“Pensate che Henrique vi abbia salvato il culo così tante volte perché siete carini? O che vi regalasse la roba perché facciamo buona musica? Cazzo, non siete tanto svegli…”
Duff si alzò in piedi, storcendo il naso, “Non ha sempre pagato Josh?”
Axl rise, amaramente e con gli occhi stanchi, “No. Non ha mai pagato Josh. Ha sempre pagato Ulster.”
Un silenzio preoccupato ed ostile si impadronì della stanza, Izzy si leccò le labbra secche,
“E, in che modo pagava? Tu lo sai, vero?” il suo tono distante lasciava capire il suo dolore, i suoi occhi si tradivano totalmente. Stava dando voce ai pensieri di tutti loro. Alle loro preoccupazioni.
“In contanti, ogni volta che poteva. Ha terminato il suo fondo ‘sogni nel cassetto’ solo qualche mese fa. Da quel giorno ha provato a vendersi. Spesso l’ho portata a casa io, dopo averla trovata sul Sunset semi nuda…”
Axl si passò una mano fra i capelli rossi. Poi posò la bottiglia svuotata sul lavandino issandosi sul piano di marmo della cucina e puntando le sue iridi glaciali nelle pozze nere di Slash.
“Non dici nulla tu, Slash?” chiese acidamente all’amico.
Solo in quel momento gli sguardi impauriti dei giovani musicisti si staccarono dal carismatico cantante per posarsi leggeri sul chitarrista.
Solo in quel momento i ragazzi si accorsero delle lacrime lievi che solcavano il suo viso.
Un cristallo frantumato a terra. Nient’altro poteva apparire Slash in quel momento.
“Perché non ci ha chiesto di smettere?” borbottò roco, senza neanche fingere contegno.
Non fu Axl a rispondere quella volta, ma Duff. “Me ne parlò mesi e mesi fa, non le diedi peso.
Pensava che se ci avesse chiesto di smettere con qualsiasi dipendenza l’avremmo sbattuta fuori.”
“O cazzo.”
Slash non disse nient’altro e, procuratosi un paio di dosi, si chiuse in camera con gli occhi pesti.

 
 Che mi dite? Mi linciate? A presto, grazie mille a tutte voi, PJ_ (Grazie fida *.*)

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Capitolo 6
*** 6 · ***


6 ·




Ulster infilò l’impermeabile scuro e si allacciò la cintura in vita.
Scosse i lunghi capelli neri, raccogliendoli in una cosa alta, fuori le gocce di pioggia ticchettavano sul tetto. Si maledisse mentalmente per la milionesima volta.
Aveva terminato i rispari saldando i conti con Henrique e adesso non avrebbe potuto pagare una sola altra notte in quel motel.
Lasciò il denaro al reception, o quello che avrebbe potuto essere il tavolo di legno nell’ingresso dell’edificio. Salutò cordialmente ed uscì nell’aria umida di Los Angeles.
Storse il naso nell’ammirare le gocce rade e fastidiose. Era irlandese. Voleva i temporali scroscianti lei. Prese il piccolo trolley che portava con sé e s’incamminò lungo la piccola viuzza opprimente in cui aveva soggiornato in quell’ultima settimana.
Dove sarebbe potuta andare? Non osava tornare da loro, non ora.
Non adesso che la notte riusciva a non sprecarla tutta in lacrime.
Una cabina telefonica sembrò chiamarla a gran voce, entrò titubante, come se qualcuno potesse scorgerla e punirla. Digitò quel numero, quello che aveva dato alle amiche e al fratello.
Attese gli squilli con cuore a mille dentro il petto, respirando veloce.
“Pronto?” la sua voce roca la fece rabbrividire, sembrava fatto, magari non l’avrebbe riconosciuta.
“C-cerco William…” bisbigliò atterrita, le mani tremanti sulla cornetta.
“Chi sei?” continuò la voce dall’altro capo del filo.
Cazzo. Avrebbe capito sicuramente. Nessuno lo chiama più William.
Decise di non rispondere, aspettando che la chiamata arrivasse al destinatario.
Poi un rumore forte, un singulto. “Ulster, Ulster sei tu vero?”
Scosse energicamente il capo, come se lui fosse lì a vederla.
Riattaccò, mentre due lacrimoni scivolavano sulle sue guance pallide.
 
Uno sguardo incredulo si dipinse sul volto del chitarrista, la bocca aperta come un bambino.
“Era Ul. Ti voleva.” Sussurrò poche parole diretto ad Axl, steso semi nudo sul divano, una rivista sdraiata sul petto e gli occhi chiusi.
L’uomo schizzò seduto, “Cosa?!”
Slash annuì, assente. “Te l’ho detto. Era Ul, al telefono. Ti voleva.”
Il cantante scosse il capo, dispiaciuto. Sapeva benissimo che l’amico aveva bisogno di una mano, ma non era in grado di dargliela.
Avrebbe voluto sbatterlo fuori a calci in culo, alla ricerca di quella ragazza strana e misteriosa che aveva salvato loro il culo una marea di volte. Ma non poteva.
“Slash, dovresti smettere di farti” asserì tetro, “Guarda che merda hai combinato!”
Il chitarrista lo incenerì con lo sguardo. “Fottiti Will. Davvero, Will, vaffanculo.”
L’uomo si alzò ed uscì fuori, sotto lo goccioline fastidiose.
Ulster si ritrovò a vagare vicino alla casa in cui aveva vissuto per molto tempo.
Voleva tornare, sedersi sul divano con Nancy ed Izzy. Parlare, leggere, prenotare le loro sale prova, divertirsi. Ma, con che coraggio avrebbe potuto ripresentarsi? Scosse il capo.
Non aveva speranze, non aveva niente da offrire. Entrò in un locale, cercavano personale.
Una giovane dai lunghissimi capelli azzurri le sorrise amichevolmente: “Posso aiutarti?”
Ulster annuì, “Cercavo lavoro, ho visto che avete bisogno di una cameriera…”
“Giusto! Io sono Phil, la proprietaria. Puoi stare in prova una settimana, poi vedremo, ok?”
Sulle labbra della mora si aprì un sorriso per la prima volta dopo molto tempo.
Annuì decisa e ordinò una birra scura.
 
La porta del piccolo pub si aprì, Slash, si trascinò dentro il quarto locale e si buttò su una sedia.
“Bimba, portami una bottiglia di Jack!” biascicò poggiando i gomiti sul tavolo.
“Sei alticcio eh?” scherzò la cameriera facendo ondeggiare la chioma celeste.
“La mia ragazza mi ha mollato, ho il diritto di fare cosa voglio!” esclamò ridendo, allegro come un bambino il giorno di Natale.
Appena la bottiglia arrivò di fronte a lui, ne scolò generose sorsate.
Rideva in modo sguaiato e continuava a portare le labbra alla bottiglia, ignorando il bicchiere che aveva davanti. “Bambina, perché ti sei fatta quei cazzo di capelli blu?” mugolò fissandosi le mani appiccicose di Whiskey.
“Mi piace il blu. Perché la tua donna ti ha mollato capellone?”
“Perché faccio schifo!” sghignazzò allegramente il riccio. “Dammene un’altra…” aggiunse poi indicando la bottiglia vuota.
Phil annuì, porgendo lui una nuova bottiglia.
In pochi minuti Slash si ritrovò sbronzo e con un conto da pagare.
Quando gli fu gentilmente fatto notare che il locale avrebbe chiuso per la pausa e che lui doveva andarsene, possibilmente col portafogli più leggero, si arrabbiò notevolmente.
Tentò di scappare, cadendo a terra rovinosamente.
Un taglio sotto lo zigomo si aprì lentamente, gettando fuori enormi goccioloni di sangue scarlatto.
 
Ulster alzò il capo, aveva sentito Phil gridare qualcosa dalla sala accanto.
Si drizzò sulla sedia, cercando di vedere qualcosa.
Tutto quello che scorse fu un giovane gettato in strada con forza e Phil col viso imporporato.
Andò alla cassa per pagare, quando un gemito la bloccò.
La sua voce stava mugolando qualcosa di troppo, troppo simile ad ‘Ulster’.




Ta daaaaaaaaa! Ve lo aspettavate? Dai un po' sì!
Grazie mille a chi recensisce siete troppo maggggiche. Basta vado via, ho perso le speranze con me stessa. Mi rifugio nell'algebra .-. PJ_

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Capitolo 7
*** 7 · ***







Si guardò attorno, pensierosa.
Sfregò le mani sui fianchi , e cercò Phil dietro il bancone.
La faccia pallida e bianca della nuova amica la interdisse, alzò un sopracciglio e, presa una nuova pinta di birra, le domandò cosa fosse successo.
“Un alcolizzato col cuore infranto. I soliti rockettari coglioni. Lasciamo perdere…”
“Lo hai sbattuto fuori?” allibì Ulster, gustando grandi sorsi del liquido scuro.
La proprietaria del locale annuì, raccogliendo in uno chignon i lunghi capelli azzurri, “Doveva andarsene. Un capellone con una puzza incredibile sotto al naso”.
Ulster s’imbronciò, la ragazza non avrebbe dovuto parlare così di qualcuno con problemi di cuore.
“Chi era questo ragazzo Phil?” chiese sedendosi al bancone.
Phil si fece una pinta chiara e alzò le spalle, “Non credo tu lo conosca. Era Slash, quello dei Guns. Soliti problemi da fattone, no?”
Il boccale semivuoto di Ulster si sfracellò a terra, arrossì violentemente e si accese una sigaretta, aspirando grandi boccate di fumo. “Dove lo hai mandato?”
Phil sorrise, conscia di aver intuito qualcosa, “A cacare. Probabilmente girella da queste parti”,
Ulster annuì veloce e terminò in tre boccate la cicca.
Uscì, un cenno della mano rivolto alla sua nuova amica.
 
Dopo tre quarti d’ora passati a giro per il piccolo quartiere si arrese, sedendosi accanto ad un barbone su una panchina.
Accese la sesta sigaretta della giornata ed aspirò forte il fumo.
L’uomo accanto a lei stava mangiando un panino, gliene offrì un morso e le chiese, in modo particolarmente cortese, “Cara, cerchi qualche senza tetto? Ti ho visto girare come una pazza oggi. Magari posso aiutarti!”
Ulster scosse il capo, pensierosa, “Cerco un capellone, uno con tantissimi ricci, sbattuto fuori da un pub un’ora fa’…”
Gli occhi grandi dell’anziano si illuminarono e questo annuì eccitato: “Sta’ là. Là da Jim, è un pub per tossici e musicisti, non che ci sia tanta differenza a parer mio. E’ un bravo ragazzo ma una donna gli ha spezzato il cuore scappando. Che vigliacca!”
Ul si alzò lasciando un po’ di risparmi ed un pacchetto di sigarette all’uomo, ringraziandolo.
 
L’insegna di Jim cadeva a pezzi e l’interno puzzava in modo vomitevole.
Il locale era pieno di gente che Ulster aveva già intravisto ad eventi contro la droga, al solo pensiero le sfuggì una risata.
Tante volte Izzy e Steven avevano presenziato a serate in onore di musicisti che avevano perso la vita per overdose, Ulster trovava loro puntualmente chiusi in bagno a farsi la sera stessa.
Gli occhi grigi della ragazza indagarono le facce nel locale, nessuno di loro era Salsh.
Si avvicinò al bancone, domandando se lo avessero visto e Jim, annuendo, le disse che era appena uscito.
Distrutta, uscì nuovamente in strada.
Non dovette cercare molto. Una massa incolta di ricci attirò la sua attenzione in pochi secondi.
Slash aveva la schiena al muro ed era seduto a terra, gli occhi bassi.
Aveva un taglio profondo sotto lo zigomo, e le mani poggiate malamente sotto le ginocchia, una bottiglia di Jack Daniel’s fra le gambe.
“Saul?” chiese Ulster in un sussurro.
L’uomo alzò il volto, una piccola traccia di pianto sulla guancia graffiata.
Nei suoi occhi passarono varie emozioni mentre la giovane gli si inginocchiava a fianco.
“Saul ti hanno picchiato?” domandò, senza bisogno di una risposta.
Slash annuì, “Sono andato a trovare Henrique.”

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Capitolo 8
*** 8 · ***


8 ·




Ulster posò la mano fredda sul volto di Slash, “Sei un idiota Slash!” esclamò scuotendo i lunghi capelli neri.
Il chitarrista tentò di indignarsi, ma si perse negli occhi grigi e profondi della ragazza.
Ulster lo tirò a sé e lo fece alzare, “Andiamo al motel, è qui vicino, ho una camera.”
Non dissero altro. Il volto di Slash virava leggermente al viola profondo e la giovane irlandese scuoteva il capo ogni tre passi.
 
La stanza di Ulster era piccola e spoglia, fece sedere Slash sul letto e iniziò a disinfettare i tagli.
“Quanto hai bevuto?” chiese tirandogli i ricci indietro.
Lui sorrise, “Un bel po’. Ma lo reggo bene piccola, lo sai.”
Ulster scoppiò a ridere, cingendogli le spalle con un esile braccio, “Che ci sei andato a fare da Henrique brutto idiota?”
Il chitarrista storse la bocca in seguito alla sensazione di bruciore sui graffi delle gote.
“Volevo ucciderlo. Non ci sono andato nemmeno vicino, tranquilla. Ma credo che si ricorderà di me.” La semplicità disarmante con cui raccontava delle risse in cui era convolto la sconcertava, sembrava essere totalmente a proprio agio nel descrivere nei minimi dettagli ogni avvenimento. “Purtroppo nessuno mi aveva detto che con lui abitano anche un paio di spacciatori dei giri importanti. Avevano un paio di glock e un coltello.”
Gli occhi grigi di Ulster si riempirono di lacrime e aprì la bocca, sconvolta.
Slash scosse il capo, estraendo una cicca dalla tasca, “Non fare così baby. Sono vivo e vegeto, come vedi. Ma una bella scarica di cazzotti non me l’ha tolta nessuno!!”
Le mani della giovane erano sicure e veloci nel ripulire il volto di Saul, “Sei pazzo, perché lo hai fatto?!”
Il giovane continuò a lamentarsi del dolore. Inspirò forte e riprese: “Ti avevano portato via da me! Eri la mia…”
“La tua cosa? Groupie? Ne trovi altre, Slash!”
“No. La mia irlandese rompicazzo. Sei l’unica Ul, lo sai. Sei coraggiosa e riesci a martellare le palle ad Axl senza che lui ti dica mai niente. Sei stata l’ancora di salvezza dei Guns, sempre.
Sei tu che ci accompagni alle prove, che segni sul calendario i concerti e i giorni in cui dobbiamo incidere. Tieni a bada me ed Izzy con la roba e…  Ci hai parato il culo con Josh fin troppe volte. Torna con noi.”
Ulster rimase interdetta, cogliendo il lato sbagliato del discorso ed infuocandosi: “Non ho bisogno di fare la vostra badante per vivere, Slash. Hai bisogno che qualcuno ti compri l’ero?
Sposati. Trova una sgualdrina pronta a reggere le lagne di cinque drogati che non riescono a trovarsi le vene da soli, provaci. Prova a vedere se qualcuno potrà mai sbattersi per voi, parandovi il culo ogni fottuta volta. Io non ho bisogno di voi.”
Slash scosse il capo, esasperato, sfiorandosi i lividi coi polpastrelli ruvidi. Aveva bisogno della sua pelle morbida e liscia. “Ulster, io…”
Lei alzò le spalle, indicando lui la porta, “Va’ pure, Slash. Ora non hai più nulla.”
Un lacrima silenziosa scivolò sulla guancia perlacea della giovane.
Il chitarrista si alzò e, impetuoso, l’abbracciò.
Sussurrò uno ‘scusami’ poco comprensibile, e, presale la testa con dolcezza, la baciò insistente.
Ulster rispose con vigore al bacio caldo e travolgente dell’uomo, intrecciando le mani ai suoi ricci selvaggi e scompigliati.
“Sei uno yankee del cazzo” sussurrò la donna staccandosi e dalle labbra morbide di Slash.
Il ragazzo alzò un sopracciglio, interrogativo: “Comunista!”
Ulster rise, riprendendo a baciarlo con foga.
“Sicura di non aver bisogno di me?” chiese il chitarrista, carezzando i lunghi capelli neri e lisci.
“Mi mancate. Ma non voglio vivere con voi. E’ un incubo continuo. Vomito, sangue, overdose.
Vi manca l’ero e andate nel pallone, siete violenti, volgari, mi picchiate, spaccate ogni cosa.
Non vi ho mai chiesto di smettere, Saul. Mai. Ho preferito smettere io, eravate voi la mia droga.
Eri tu.”
Slash tossì forte, grattandosi la fronte. “Io non ti ho mai picchiato!”
La giovane si staccò da lui, alzandosi la maglietta fino a sotto il seno e poggiando l’indice su di un grande livido viola e verde: “L’ultima volta che eri fatto, qualche settimana fa’. Lo hai fatto tu, ma non lo puoi ricordare, non ti potevi controllare.”
Slash boccheggiò, smarrito. “Smetterò. Te lo giuro, smetto.”
Ul rise, sedendosi sulle su ginocchia ed intrecciando lenta i suoi capelli neri.
“Non puoi, Saul. Ci sei dentro, troppo dentro. Sento il tuo cuore che batte veloce, sei sudato e hai il fiato corto. Sei già in astinenza. Ho già provato questa situazione con Steven, è solo angoscia.”
Le mani impotenti dell’uomo strinsero l’aria, nervose ed isteriche.
“Posso farcela Ulster, io… Quante volte è successo? Quante volte io…?”
Le labbra rosee della ragazza posarono un bacio sulla fronte calda di Slash, “Hai iniziato dopo pochi mesi che mi sono trasferita da voi. La notte andavo da Axl, lui mi medicava i tagli. Non ti sei mai spinto troppo oltre, grazie a Dio.”
Slash la strinse forte, baciandole il collo e provocando piccoli brividi sulla sua pelle chiara.
“Torna, cambierò.”
Ulster scosse il capo, mordendo la pelle mulatta del giovane e facendo lui un piccolo succhiotto.
Slash reclinò il capo, socchiudendo gli occhi. Cercò le labbra morbide di lei, baciandola dolcemente. “Resta, piccola. Cambierò, te lo giuro.”
Un sorriso sghembo prese Ulster, “Non giurare ciò che non manterrai.”
Fece stendere il chitarrista sul suo letto, baciando piano il petto del giovane, ormai privo della maglietta insanguinata.
“E’ solo questo che ti piace Saul. Non vuoi me, vuoi una groupie qualsiasi…”
Notando la premente erezione del giovane, iniziò a baciarlo da sopra la stoffa dei jeans, senza pudore né dolcezza, solo passione e furore.
Le mani del chitarrista scesero a sbottonarsi i jeans, lasciando la sua nudità alle labbra vogliose di Ulster, che iniziarono a divertirsi lungo l’erezione del giovane.
Un piccolo gemito scaturì dalla gola di Slash, frustrato.
“Che hai?” chiese Ulster, guardandolo negli occhi, interrompendo il suo divertimento.
“Mi mancavi piccola. Vieni a vivere con me. Sarai il mio calmante nelle crisi d’astinenza.”
Ulster rise divertita, continuando ciò che aveva interrotto, portando Slash al limite.
L’uomo piantò le unghie nei capelli della giovane, muovendole lentamente il capo, con decisione.
Ulster si scostò, lasciandolo libero e insoddisfatto.
Terminò il piacere di Slash, provocando in lui ringhi gutturali ed ansiti.
 
“Verrai con me?” sussurrò il giovane, seduto sul pavimento del motel fumando l’ennesima sigaretta.
Ulster scosse il capo decisa, “No, non verrò. Non adesso almeno. Trova qualcuno che possa mantenerti Slash, io non ho soldi, non ho nulla da darti, non potrai mai fare affidamento su di me, sulla mia famiglia. Dovete sfondare con la band, sarete importanti e la droga avrà il sopravvento. Non voglio abbandonarti Saul, non lo farei mai. Adesso però devo andare.
E tu devi tornare dai ragazzi. Abbracciali tutti da parte mia, ci rivedremo.”
Un velo di terrore passò sugli occhi neri del giovane, “Dove andrai?”
“Torno a casa, in Irlanda. Ricorda però, che non ti lascerò mai.”


Ooook, auguri in ritardo e, no, non sono ancora morta! Nel prossimo capitolo ci sarà un bel salto temporale, giuro che proverò ad aggiornare più spesso! Venia! Un abbraccio, PJ_

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Capitolo 9
*** 9 · ***


9 ·



Dublino, tre anni dopo

 
Slash sbatté lo sportello della limousine, stanco e svogliato.
Il soundcheck quel pomeriggio era stato interminabile, il concerto quella sera sarebbe stato sfiancante come i precedenti.
Lanciò uno sguardo al suo cantante, intento in una conversazione fitta e veloce con Izzy.
Scosse il capo, frustrato. Non avrebbe voluto essere lì, in Irlanda.
Le ferite erano ancora aperte e lui non era il tipo che pensava o ragionava prima di reagire, le tensioni all’interno nel gruppo erano decisamente troppe e  l’eroina aveva subito un calo nel prezzo.
Ultimamente era entrato in un giro di spacciatori, loro gliela tagliavano e lui la provava per loro, gratis.
Se era buona, via, sul mercato, altrimenti, se lui ci fosse restato secco, l’avrebbero gettata.
Odiava quella vita, solo la musica lo teneva ancora su, appeso ad un filo invisibile volteggiava sopra tutti gli altri. Axl perdeva sempre più spesso il lume della ragione, scosso più di ogni altro dall’abbandono di Ulster.
Aveva preso l’accaduto come un fatto strettamente personale e aveva smesso di presentarsi alle prove, di parlare con gli altri ragazzi, ignorando completamente il dover iniziare a comporre i pezzi per un nuovo album.
La serie di concerti che Josh aveva trovato loro nel Nord Europa, dove erano ancora ben poco noti, avrebbe dovuto tranquillizzarli e calmarli prima del ritorno in studio.
 
Le strade di Dublino erano illuminate un sole tiepido e luminoso, strinse la giacca a sé e affrettò il passo, alzando la sciarpa fin sopra il naso.
L’aria tiepida e frizzante le scompigliò i lunghissimi capelli neri e le fece arricciare il naso.
Lanciò uno sguardo all’orologio di Slash, lo teneva ancora al polso.
Le tornarono in mente gli ultimi momenti passati con Slash, l’ultimo bacio ed il suo profumo fortissimo, le mancava.
Durante quei tre anni aveva fatto per loro ciò che poteva, procurando loro serate importanti, pregando e scongiurando Josh di affidare loro un tour, mentendo lui e affermando che avrebbero potuto gestirlo! Al solo pensiero ancora le scappava da ridere.
Aveva segretamente pagato una clinica perché vi accettassero Steven, fallendo miseramente.
Ogni tanto la voglia e la necessità di sentire William avevano preso il sopravvento e aveva composto il numero dell’abitazione, riattaccando al primo squillo.
Tramite alcuni piccoli giornaletti di musica rock era rimasta aggiornata sui vizi di Slash, piangendo tutte le sue lacrime in silenzio.
Sapeva di aver sbagliato abbandonandolo, lasciandolo solo. Non aveva più avuto l’occasione di smezzargli una dose o riportare ad Henrique le bustine che trovava, in segreto.
Alzò il bavero della giacca e infilò le mani in tasca, lanciando uno sguardo nella vetrina del negozio di vinili.
Un grandissimo poster dei Guns campeggiava appeso alla porta, sotto la data del giorno stesso, un indirizzo ed un orario. Ulster impallidì, portando la mano alle labbra.
Spinse violenta la porta del negozio, affacciandosi nel piccolo locale buio.
Il proprietario aveva una lunga coda di cavallo rossiccia e un pizzetto irsuto, sedeva con le gambe accavallate davanti al bancone, leggendo un fumetto stropicciato.
“I Guns n Roses sono Dublino?!” urlò Ulster nella penombra polverosa.
Il giovane irlandese sobbalzò, lasciando cadere il volumetto e fissando gli occhi strabiliati della ragazza, annuendo, “Sì! Abbiamo anche tutti i loro gadget….”, ma ormai la sua voce era lontana per la giovane.
 
Il pomeriggio andava pian piano avviandosi verso la sera, il sole era però ancora alto e splendido nel cielo. Slash addentò un panino, posando su di una panchina la sua Coca Cola.
Axl sedeva a terra, nel parco, le ginocchia al petto e le mani tremanti stese lungo i fianchi.
“Non mi parlerai mai più? Pensi sia colpa mia vero?” la voce di Slash scosse l’aria, tonante.
Era uscita un sussurro tremante ma pareva a tutti  potente come un rombo di cannone.
Axl scattò in piedi, afferrando il colletto della t-shirt di Slash, “Certo che è colpa tua, coglione. Sono passati tre anni e non hai fatto nulla per farla tornare, idiota. Adesso siamo qui e…”
Duff alzò il braccio, attirando l’attenzione, “Ulster veniva da Belfast, questa non è casa sua. E poi, Axl, se tanto ci tenevi a lei, avresti potuto cercarla tu!”
Gli occhi verdi del cantante si incendiarono, era furibondo.
Si alzò in piedi e se ne andò, correndo veloce. Si fermò poco dopo, tornò indietro e sputò ai piedi di Slash, “Stasera trovate qualcuno che canti, io non ne ho la minima intenzione. E, per inciso, io non ho mai alzato un dito su Ulster, quanti di voi posso dire lo stesso?!”
 
Ulster sedette nel parco, gli ultimi raggi caldi a sfiorarle la pelle. Sorrise al ricordo degli hamburger mangiati coi vecchi amici, proprio accanto a lei qualcuno aveva abbandonato una Coca Cola, la cannuccia era morsa. Non poté non pensarci, Slash era solito stringere la plastica tra i denti, lasciando l’impronta degli incisivi.
Gettò il bicchierone di carta plastificata nel cestino, amava tenere pulita la città.
Si stese sulla panchina, allungando le gambe.
Quando aveva lasciato Los Angeles era tornata per pochi mesi a Belfast, la situazione era continuamente complicata e la tensione era palpabile così, poco dopo, si era trasferita a Dublino. Adesso lavorava come cameriera e come insegnante privata di Gaelico, non era male.
Aveva preso un cane con sé, un enorme alano bianco e nero.
Ripensando allo scambio di battute coi suoi compagni, ridendo ancora al fatto che loro fossero semplici yankee e lei una comunista, aveva chiamato il cane Pugno Alzato.
Improvvisamente pensò che era l’ora di farlo uscire. Voleva portare il proprio cane a fare un giro. Si alzò e corse a casa.
 
S’accasciò a terra, stanco per quella corsa senza meta, senza fine.
La fronte imperlata di sudore, la maglia attaccata al petto, appiccicosa. La sfilò e la gettò a terra, stringendo la mascella.
Un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare, spaventato. Axl Rose non ha paura, ricordò a sé stesso.
Dovette pensarci più volte e non servì quando, di fronte a lui, un enorme cane bianco e nero puntò gli occhi grandi nelle sue pozze verdi. L’animale non ringhiò, non si mosse, semplicemente continuò ad ammirare quel giovane, stanco di tutto e tutti, steso a terra nel parco.
Solo dopo qualche minuto uggiolò, attirando l’attenzione della padrona, intenta a cercarlo altrove: “Pugno Alzato? Pugno Alzato sei qui?” chiese la voce di Ulster resa roca dalla sigaretta che stringeva fra le labbra.
Il cane mugolò più forte e la sigaretta cade a pochi millimetri dall’enorme zampa nera.
“Axl?”  sussurrò Ulster, pietrificata.




 Ringrazio tutti quelli che hanno recensito *-* Grazie anche al mio fida, che mi ha regalato l'uovo del Mondo di Patty, sei un tesoro *-*

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Capitolo 10
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10 ·





Ulster sgranò gli occhioni grigi, allungando una mano verso l’amico steso a terra, spingendo indietro il grande molossoide pezzato.
“Che cazzo di nome è Pugno Alzato, Ul?” biascicò il cantante, stringendo la mano alla vecchia amica.
La giovane sorrise tirata, issando in piedi Axl, “Un fottutissimo, bellissimo nome, yankee!”
“Che ci fai qui, Axl?” continuò la giovane, raccogliendo la maglietta stropicciata da terra.
Il giovane passò una mano fra i capelli, “Abbiamo una serata qui, tu? Non abitavi a Belfast?”,
Ulster annuì piano, “Sono venuta a Dublino poco dopo aver lasciato Los Angeles. Come stai, Will?”
“Sono stato meglio. Perché sei scappata Ulster?” Un pugno allo stomaco fece boccheggiare la giovane, che sbiancò.
“Senza peli sulla lingua, eh?! Ho dovuto Axl, lo sai.”
Il giovane cantante scoppiò a ridere, falsamente divertito: “Che senso ha? Hai litigato con Slash e sei fuggita. Ti odio.”
Detto ciò il giovane cantante riprese a correre, alzando molta polvere alle sue spalle.
Pugno Alzato iniziò a correre, le lunghe zampe agili che a malapena toccavano il suolo, inseguendo Axl tutto eccitato.
Ulster allungò il passo, saltando con slancio alle spalle dell’amico, “Fermati, Billy. Respira, guardami, calmati piccolo.”
Gli occhi profondamente feriti del giovane erano arrossati e lucidi, stava piangendo.
“Perché mi hai abbandonato? Pensavo ci fosse qualcosa di speciale fra noi, Ul.”
La ragazza poggiò le mani sulle spalle nude di Axl ed inspirò,  tesa “C’era. C’è ancora. So che Josh ti ha detto di ciò che ho fatto per voi in questi tre anni. Non negare che vi sia stata vicina!”
Axl boccheggiò, allargando le braccia e sbuffando, “Lo so, non ti rinfaccio nulla da questo punto di vista, Ulster. Ma sei fuggita, mi hai abbandonato e hai spezzato il cuore a Slash.
So bene che ti sei protetta, ma non è servito a nulla farti scudo con Slash, lo hai ferito.”
Ulster chinò il capo, prendendo l’amico per mano. “Andiamo a casa, vieni.”
 
L’appartamento era piccolo e profumato, tante candele erano sparse nell’appartamento.
Le accese tutte, dopo aver acceso anche la luce si sedette sul divano morbido.
“Questa sì che è una casa!” esclamò il ragazzo sedendosi al suo fianco.
“Prendi una coperta, sei gelato Axl!”, la giovane coprì con un pile la pelle diafana di Axl, alzandosi poi per fare del tè.
“Slash ti pensa continuamente, so che fai lo stesso, vero?” sussurrò il musicista stringendosi la coperta addosso.
“Gli penso molto, lo sai. So di aver fatto una cazzata con lui, ma non avevo altra scelta.
Zucchero?” domandò posando la tazza di ceramica sul tavolino e versandoci dello zucchero di canna.
 
“Dove cazzo è Axl?! Fra poco dobbiamo suonare!” sbottò Duff, infilando il basso a tracolla.
“Non ne ho idea, rintracciamolo!” rispose sbuffando Josh, appoggiato agli amplificatori con un blocco in mano, scribacchiando appunti.
L’aria tesa nel backstage si percepiva chiaramente, Izzy fumava come una ciminiera e Slash era steso a terra, pallido.
 
“Bimbo, devi suonare? Andiamo?” sussurrò Ulster all’orecchio di Axl, posando il palmo sulla sua fronte rovente.
Il giovane scosse il capo, allacciando le braccia dietro al collo della ragazza, “Sto male, non posso stasera…”
Ulster posò la borsa dell’acqua calda vicino all’amico, rimboccando lui la coperta e portandogli una medicina, “Prendila, Axl, ti farà sentire meglio. Adesso.”
Il giovane deglutì, poggiando il capo sul guanciale e chiudendo gli occhi verdi.
 
Mezz’ora dopo…

 
Bussò con forza alla porta, il battito del cuore accelerato e le mani sudate.
Sentì dei rumori provenire dall’interno del camerino, alcune imprecazioni e una bestemmia a mezza voce, yankee, pensò ridendo.
“Axl, figlio di puttana, alla buon’ora!” sbottò Slash, aprendo la porta.
“Non sono Axl…” borbottò Ulster, fissando i tizzoni neri di Slash davanti a lei.

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Capitolo 11
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11 ·





Slash sgranò i grandi occhi neri, sbuffando sonoramente.
“Chi sei tu?” gridò con forza il chitarrista, gli occhi lucidi e la voce roca, le labbra tremanti.
Fece scostare con forza la giovane dalla porta ed uscì, diretto verso le porte di sicurezza.
“Slash!” esclamò Izzy, gettando a terra la sigaretta appena consumata e scattando in piedi.
Il chitarrista era ormai lontano ed Ulster era sbiancata, le mani che si muovevano freneticamente, “Ciao ragazzi…” aggiunse poi.
Josh alzò una mano in modo flebile, “Hey Ul! Sei passata?”
La donna scrollò le spalle, “Ho trovato Will al parco, adesso sta male ed è a casa mia!”
“Perché sei qui? Ti mancavo?” sussurrò dolcemente al suo orecchio Duff, sollevandola da terra e cingendole le spalle con le braccia.
Ulster sorrise ed annuì, “Mi mancavi capellone. Ma diciamo pure che sono venuta a dirvi che Axl non può venire oggi.”
Josh scosse il capo, scocciato: “Strano, non è proprio la prima volta…”
“Sta realmente male, ragazzi. E… beh senza cantante né chitarrista, vorrei fare qualcosa per voi stasera, yankees.”
 
Spinse con forza diverse persone, ignorando i loro mugolii di protesta.
“Che cazzo vuoi, tettona rifatta?” sbuffò passando accanto ad una bionda tutto pepe e intrufolandosi sotto palco.
Si accese una sigaretta e si appoggiò alle transenne, alzando il cappuccio sul capo.
Alzò le maniche della felpa fino al gomito e iniziò a tamburellare con le dita sulle transenne, borbottando cose a mezza voce, nervoso.
 
Alcuni fischi sordi attirarono l’attenzione del pubblico verso il palco, illuminato da fari verde acido. 
Duff strinse il basso a sé e sorrise malizioso verso il backstage. Una figura uscì dall’ombra, passi felpati. Si avvicinò all’asta del microfono e mosse una mano verso i fan urlanti e scatenati.
“Ciao ragazzi, sono Ulster!” bisbigliò timidamente, stravolta dal riverbero della sua voce nell’arena.
“Beh, oggi purtroppo i Guns sono a secco, senza Axl e senza Slash. Quindi, vorrei dedicare questa serata a questi due incoscienti, hanno stravolto la mia vita e… beh, vorrei dire loro che mi dispiace, yankees.”
Alcuni fischi si levarono dal basso e la giovane alzò le mani per placare i vocii, “Vi capisco gente, vi capisco. Avete ragione ad agitarvi, ma vi prego di mantenere la calma.
I ragazzi suoneranno la scaletta completa, io sono qui solamente per ringraziare le cinque persone che mi hanno aiutato nella mia vita, mi dispiace di avervi abbandonati.
Saul, mi manchi. Mi dispiace.”
La ragazza sorrise timidamente ed uscì sul retro, prendendo una boccata d’aria fredda.
 
Accese un’altra sigaretta, la quarta, la quinta, non ne aveva idea. Scrollò le spalle a disagio, le mancavano i Guns, le mancava Slash. Alzò il bavero della giacca e si diresse verso la strada, impaziente di tornare a casa.
Affrettò il passo e sbuffò, emettendo una nube di fumo arricciata su sé stessa.
Una mano le bloccò i movimenti sbattendola a terra con rabbia, negli occhi di Slash, annebbiati dall’alcool vedeva solo rabbia.
 
La testa pulsò forte, si sentiva bagnata ed appiccicosa, odiava sentire il sangue sgorgare, le aveva sempre fatto schifo. Vide, apparentemente lontani anni luce, gli occhi felini di Duff, preoccupati e terrorizzati. “Sto bene…” borbottò più a sé stessa che altro. Poi scivolò via. Addormentata. Udiva i mugolii disperati di Slash, qualcuno le stava piangendo sulle guance, odiava anche tale sensazione, pregò che Axl non sapesse che era stata appena picchiata in un parcheggio.
Sentendo il suono di un’ambulanza si lasciò cullare da Duff, muscoloso  sicuro come ogni volta.


Stavolta capitolo rapidissimo, perdono T.T
Ok, scappo, un abbraccio, grazie a tutte come sempre, PJ_

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Capitolo 12
*** The end · ***


12


“Che cazzo le hai fatto idiota?” Axl saltò su come una molla, afferrando la maglietta di topolino per il colletto.
Izzy si avvicinò all’amico tentando di rabbonirlo e trattenerlo, “Calmati Will, lei sta bene…”
Gli occhi di Slash erano lucidi e annebbiati, era ferito ed inerme alla rabbia di Axl.
“Scusami Axl!” tentò di sussurrare roco, mentre il giovane dai capelli rossi scaraventava un distributore per l’acqua a terra, nella corsia d’ospedale.
Le braccia di Axl Rose si muovevano frenetiche, afferrava tutto ciò che aveva a tiro, dalle riviste agli estintori, lanciando ogni cosa verso le finestre o, più spesso, verso i propri compagni di band. Il sudore gelido gli imperlava la fronte, le mani, come pallidi ragni, si chiudevano velocemente attorno a tutto ciò che vedeva, il petto si alzava e si abbassava violentemente, gettò un grido disperato e si lasciò cadere a terra.
 
Alzò una mano per non rimanere accecata dalla luce, qualcuno aveva aperto la porta.
Sentiva di essere al sicuro ma non riusciva a convincersene. Lo amava? Amava Slash?
Lo amava ancora? Nonostante la sera prima? Il mal di testa la assalì.
“Hey piccola” sussurrò accanto a lei la voce protettiva di Duff, prendendole la mano, “Come ti senti?”
Ulster sbuffò, arricciando il naso per pochi secondi. “Chi c’è di là? Qualcuno sta distruggendo il mondo? Mi scoppia la testa…”
Duff le sistemò la camicia da notte che l’aveva trasformata in un piccolo fantasma, abbracciandola piano. “Axl è, come dire, sconvolto?!” l’ironia non era il cavallo di battaglia del bassista. La giovane sbiancò ancor di più, ma subito le guance le si tinsero di rosso ciliegia.
“Lo avete detto a Will?!”, le labbra screpolate tremavano impercettibilmente e la voce le si era ulteriormente abbassata. Il bassista abbassò il capo ed annuì, “Doveva saperlo. Ieri sera eri messa abbastanza male, non ce lo avrebbe mai perdonato se glielo avessimo nascosto, lo sai.”
“E….” non osava dire il suo nome, ma all’amico bastò il suo esitare per capire.
“E’ qui fuori.”
“Non siate duri con lui Duff. So cavarmela da sola. Anche se, beh, credo sia chiaro che resterò qui. Questa è casa mia. Vorrei parlarvene. Adesso.”
Il giovane le strinse la mano ancora, frastornato, “Sei stanca Ul, non dovresti affaticarti, se lo vengono a sapere i medici…”
La giova sospirò, “Diremo loro che era un urgenza e che avete il volto tra quaranta minuti, capiranno.”
 
La chiazza priva di capelli sul capo della giovane riluceva, i punti di sutura che riflettevano la luce pallida della camera.
Axl la guardava fissa, le palpebre si erano abbassate sì e no tre volte negli ultimi cinque minuti. Teneva le mani in grembo torturandole con violenza e frustrazione, scontento di tutto.
Solamente Steven aveva racconto il coraggio e la aveva abbracciata stretta, trasmettendole il calore e la dolcezza che lo rendevano sé stesso.
“Siete stati gentili a portarmi qui ragazzi. Grazie” iniziò leggermente esitante.
Izzy si aprì in un sorriso sghembo, annuendo lieve.
“Adesso però dovreste andarvene. Sul serio, non credo che sia salutare che restiate qui.
Né per voi, né tantomeno per me. Avete già fatto un mezzo casino ieri sera, credo dobbiate sdebitarvi con chi compra i vostri biglietti.”
“Ti prego…” la voce di Slash colse di sorpresa tutti e fece scivolare nel gelo la stanza.
La giovane si voltò verso di lui scuotendo il capo. Ignorando il chitarrista, riprese a parlare.
“Grazie per tutto quanto, spero di essere stata chiara ieri sera sul palco. Vi voglio davvero bene, siete la parte migliore di me, e per questo devo rinunciare a voi. Proteggendovi mi sono scottata troppe volte. Credo che essere finita in ospedale sia sufficiente. Vi voglio bene. Tanto bene.” Alcuni singhiozzi la scossero piano, tese la mano ad Axl e lo strinse a sé, cullandolo e baciandoli il capo come fosse un bambino. Poi fece cenno di saluto agli altri, abbozzando un sorriso umido.
 
 
Era finito. Era tutto finito. Ne era sicura Ulster, mentre camminava per Dublino, il passo sicuro e l’aspetto di una donna adulta. Ne era convinta mentre sorseggiava un tè davanti a Temple Bar e ne era sicura quando una mano le bloccò la spalla. La voce che le chiese, con un accento molto americano, “Tu sei Ulster, vero?!” la aveva udita solo in concerto. Non conosceva quell’uomo dai grandi occhi e dall’affascinante aspetto. Erano passati tredici anni.
I Guns erano spariti dalla sua vita, sfasciandosi e sciogliendosi come neve al sole. Nel modernissimo 2013, Ulster era una donna adulta faccia a faccia con Myles Kennedy.
Cosa sarebbe successo poi? Questo era tutto da vedere.
 



Ciao, non sono morta, no! La storia non finirà qui, ma -se voi gradite- si svilupperà nel 2013, vedendo protagonisti uno Slash più maturo e un Axl ancor più infantile. Scriverò un seguito ma, mi sembrava giusto terminare questa FF qui, concludendo l'avventura giovanile di Ulster e dei suoi amici in questo modo decisamente triste. Un abbraccio grande. PJ_

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