Disarm

di Ardespuffy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In the very first place ***
Capitolo 2: *** Dirty Little Whim ***
Capitolo 3: *** Kiss Goodbye ***
Capitolo 4: *** Tasting Depths ***



Capitolo 1
*** In the very first place ***


Disarm you with a smile

Disarm you with a smile

And cut you like you want me to

Cut that little child

Inside of me and such a part of you…

 

(Ti disarmo con un sorriso

E ti ferisco come tu vuoi che faccia

Ferisco quel bambino

Dentro me e in una parte di te…)

 

 

 

 

Disarm

 

Se lo ricorda, il loro primo incontro.

Era appena sceso dal dragone alato, come chiamava il mini-jet con cui era partito da Stoccolma. Se ne stava lì, ai piedi della scaletta reclinabile, come una bella statuina accanto all’uomo che lo scortava.

Non ricorda più il suo viso.

Ciò che invece rammenta con chiarezza è l’impatto con l’opprimente calura greca, mista alla più asfissiante sensazione che l’essere umano sia capace di provare.

Angoscia.

La sentiva montare dentro, saldamente annidata alla bocca dello stomaco, espandersi verso l’alto in un doppio flusso di nausea e brividi freddi.

Voleva tornare a casa.

Buffo, dolorosamente buffo. Lui, che non si era mai sentito accetto nel grigiore svedese, avrebbe dato l’anima per non trovarsi bloccato in quel posto, quel mini aeroporto privato dai soffitti troppo alti e le vetrate ingiallite dai fumi di scarico.

Era tutto così squallido, rimuginò.

Lontana, la voce dell’uomo senza volto annunciava il loro arrivo a qualcuno che, in un primo momento, non aveva notato.

La sagoma estranea entrò nel suo campo visivo. Era un uomo alto e distinto, non più anziano di quello con cui aveva viaggiato.

Non riesce a rammentare neppure il suo, di viso.

Solo la voce gli è rimasta in testa, chiara e forte, con quell’accento marcato terribilmente poco elegante.

“Cavaliere dei Pesci… il Gran Sacerdote vi da il benvenuto ad Atene.”

Aphrodite si era limitato a sospirare.

Se quella era la Grecia, c’era poco per cui stare allegri.

 

 

 

Avevano attraversato la pista insieme. I due accompagnatori conversavano tra loro, pianificando il suo futuro e decidendo al suo posto.

Ci aveva fatto l’abitudine.

Sin dai primi anni dell’addestramento era stata la medesima storia.

Non ascoltava, naturalmente. Niente di ciò che i due vegliardi potessero dire avrebbe mai avuto anche solo la possibilità di destare il suo interesse. Invero, tutto ciò su cui posava lo sguardo non gli dava alcuno stimolo.

Brutto. Semplicemente, brutto.

Non c’era la scintilla della bellezza, in quella città. Non riusciva a sentirla nell’aria.

Rigirò la rosa che portava tra i capelli, in cerca del conforto che sempre gli recava. Aveva bisogno di sapere che l’apatico nulla di quel posto non aveva intaccato la sua fulgida bellezza.

Per la seconda volta, in quel giorno o in tutta la vita, desiderò casa sua.

Il suo roseto.

Una familiare fitta al cuore.

Le cose saranno diverse lì, Aphrodite. Ti farai dei buoni amici con cui condividere la sorte; lotterai nel nome di Atena ed ella sarà fiera di averti al suo servizio.

Nessuno oserà più farti del male.

Il Cavaliere sfiorò di nuovo la rosa, un sorriso appena percettibile ad increspargli le labbra dipinte.

Non ne dubito affatto, Maestro.

Ucciderò chiunque avrà l’ardire di provarci.

 

 

 

Il sole, florido e accecante nel cielo terso, serbò loro accoglienza trionfale. L’aria era, se possibile, persino più secca fuori le cupe mura dell’aeroporto.

La luce inondava le strade. Bagnava il bianco abbacinante delle case, pungeva sfrontata la superficie cristallina del mare.

Camminavano.

Parlavano.

Loro.

Lui rimase lì.

Immobilizzato al suolo.

Occhi cerulei fissi su di un unico dettaglio, un punto marginale del paesaggio.

Tra la vegetazione arida e brulla, sul pendio scosceso che la nobile Atene sovrastava, v’era un’unica gemma di prezioso infinito.

Una rosa selvatica.

Il dono di Atena per lui.

Aphrodite non colse il fiore. Ma un bagliore d’emozione era ormai irrimediabilmente acceso nei suoi occhi.

 

 

 

Incontrare gli altri Saints. Solo l’idea non lo entusiasmava per nulla.

Se li immaginava già: uno squadrone di energumeni fanatici e sboccati, trasudanti testosterone in modo orrendamente untuoso. 

Come ci si poteva anche solo aspettare che potesse avere qualcosa in comune con… quella gente?

Tanto più che, con un po’ di fortuna, sarebbe stato anche l’unico straniero. L’ordine di Atena era greco per tradizione; non lo avrebbero mai accettato come uno di loro.

Aphrodite strinse i denti.

Andassero pure al diavolo, tutti quanti. Figurarsi quanto gl’importava.

Per uno che è stato solo tutta la vita, la solitudine non esiste.

Attendevano fuori le grandi vetrate del terminal, ai piedi del colle della rosa. Dall’alto poteva scorgere la cloaca variopinta delle chiome che brillavano al sole.

Oh beh, considerò, almeno non sarebbe stato l’unico con dei capelli poco ortodossi.

Man mano che procedeva giù per il pendio, scortato dai sue ciarlieri anziani, guadagnava una visione più precisa. Era certo di venire scrutato a sua volta, ma a dir il vero la cosa non lo preoccupava.

Guardassero pure, i mocciosi.

Un’occhiata storta e sarebbero finiti come puntaspilli.

Si rigirò come d’abitudine la rosa tra i capelli, prima di sollevare il mento e scandagliare il gruppo.

Non gli occorse che un istante per realizzare la mancata unità dei nove eroi.

A colpirlo per primi furono due gemelli. Se ne stavano ritti ritti, uno accanto all’altro, come ad accogliere un dignitario in visita. Avevano una buffa espressione seria, che contrastava curiosamente con i visi paffuti.

Aphrodite non si sarebbe stupito nel constatare, poco tempo dopo, che i due erano in egual modo Cavalieri di Gemini.

Il momento successivo notò un ragazzino minuto, dai folti capelli color del grano e vividi occhi di giada. Si teneva accostato ai gemelli, e faceva loro da spalla in quella buffa ostentazione d’inopportuna solennità. Sebbene la mancanza di una lunga chioma oltremare riducesse la magnificenza dell’effetto.

Non molto distante stavano due figure longilinee. Lunghi capelli e occhi penetranti anche per loro, ma con un’accezione del tutto differente nello sguardo.

Il primo, pelle brunita da anni sotto il caldo sole ateniese, lo fissava con una curiosità che potè solo definire analitica.

Negli algidi occhi d’acqua del secondo albergava il più bieco disprezzo.

Aphrodite lo odiò dal primo istante.

Era solo l’inizio, con Camus d’Acquario; ma già sapeva, per quell’istinto da Cavaliere cui aveva sempre fatto affidamento, che il bastardo francese non gli avrebbe reso vita facile.

Più oltre stava la coppia più curiosa su cui avesse mai posato gli occhi. Il primo era un vero e proprio gigante, un energumeno assurdamente alto per la sua giovane età. Era umiliante, rifletté l’esile principe delle rose, essere costretto a reclinare il capo per guardarlo in faccia. Ma lo consolava sapere di non essere l’unico a subire un tale smacco.

Al fianco – o,per meglio dire, ai piedi – del gigante stava una diafana figura dagli incantevoli occhi d’ardesia. Questi era l’unico a fissarlo con aperta cordialità, un sorriso gentile sulle labbra sottili. Solo ad un esame più accurato il Cavaliere delle rose avrebbe notato i piccoli circoli distintivi che spiccavano sulla fronte lattea: il marchio dell’Ariete.

Fu improvvisamente distratto da un rumore soffocato. Puntò gli occhi sull’ultima coppia, causa dell’inatteso tumulto sonoro, e assisté alla prima scena realmente interessante dal suo arrivo in Grecia.

Un ragazzetto slanciato dagli ispidi capelli smeraldini stava pungolando a più riprese l’ultimo dei compagni.

“Ehi, mi senti?? Mi ascolti? Dieeeem, ci sei?”

“Non chiamarmi così.”

E allora come ti chiamo? Non mi vuoi dire il tuo vero nome!”

Fottiti.”

“Come?”

Fottiti. Levati dalla minchia, cornuto d’un caprone.

“In che cavolo di lingua stai parlando??

“Caprone ignorante.”

Ma che roba è? Oh no, aspetta, ci sono: è italiano, giusto? La tua lingua d’origine?”

’N to’ dico più, mi’: levati. Dalla. Minchia!”

“…”

“…”

“EH??”

ME CAPISTI, CORNUTU??”

“Cancer no Deathmask! Capricorn Shura! Vi sembra questo il contegno da portare di fronte al nuovo Cavaliere??

Era stato il vecchio dell’aeroporto ad interrompere il poliedrico battibecco. Aphrodite lo fulminò con lo sguardo.

Aveva appena distrutto l’unica cosa che fosse riuscita ad attirare il suo interesse.

I due Saints si posero istantaneamente sull’attenti.

“Le mie scuse, signore” fu il mormorio grave del ragazzo dai capelli verdi.

“Chiedo scusa, brutto minchione” fu il dissimile eco.

Momentaneamente soddisfatto, il vecchio benefattore introdusse il nuovo arrivato al resto del gruppo; ma Aphrodite non prestava attenzione.

Tutti i suoi sensi erano inequivocabilmente catalizzati dal Cavaliere del Cancro.

Alto, poco più di quanto fosse lui stesso, ma più massiccio. Pelle scura, sulla quale spiccavano due vitali occhi cobalto. Chioma folta e disordinata, sparata verso l’alto e lasciata cadere negligentemente sulla nuca. Labbra sottili arcuate in un sogghigno annoiato.

Fu proprio la sua espressione a colpire Aphrodite.

Quel totale disinteresse, la strafottenza che mostrava nei suoi stessi confronti, lo irritava, offendeva, e – gli dèi lo perdonassero – affascinava.

La rosa selvatica era stata un dono di Atena.

Ma cominciava a chiedersi se fosse stato l’unico.

 

 

 

“Benvenuto ad Atene! Io sono Kanon, Cavaliere di Gemini. E questo è mio fratello Saga.”

Aphrodite degnò i due di un cenno distratto, gli occhi inesorabilmente erranti verso un punto poco lontano.

Come aveva detto di chiamarsi?

Oh, già. Non l’aveva detto.

Ma quel pomposo vegliardo si era riferito a lui come a Deathmask, giusto?

Ponderò la cosa per un istante.

Deathmask. Dall’inglese, Maschera di Morte.

Possibile che fosse quello il suo vero nome?

Rammentò parte del siparietto bilingue col Capricorno. No, evidentemente non lo era.

Aphrodite ridusse gli occhi a due fessure.

Quel granchio sbruffone cercava uno sfidante?

Stirò le labbra in un sorriso felino.

Aveva trovato pane per i suoi denti.

 

 

 

Aveva fatto la conoscenza di tutti i Cavalieri. Aries e Taurus si erano rivelati i più affabili, ed era persino riuscito a intrattenersi per qualche minuto in conversazione con loro. Scorpio no Milo pareva aver terminato il suo interno esame, e a giudicare dalla cordialità vagamente melliflua con cui gli si era rivolto doveva aver tratto conclusioni soddisfacenti.

Al suo fianco, l’altezzoso Camus lo aveva apostrofato con un saluto stentato, al quale Aphrodite aveva risposto con freddezza persino superiore. Milo non aveva potuto fare a meno di ghignare, nel notare la cosa.

Sembrava proprio che il nuovo Cavaliere avrebbe portato un bel po’ di scompiglio da quelle parti.

Aiolia si era limitato a sorridergli con aria schiva, mentre Shura lo aveva avvicinato senza la minima esitazione.

Spaventandolo.

“Hola, tìo! Soy Shura de Capricuerno. Qué tàl?”

L’espressione vagamente attonita sull’efebico volto dell’interlocutore lo spinse a ripetersi.

“Scusami. La forza dell’abitudine. Non mi sono ancora del tutto abituato a questa lingua.

Aveva parlato con un accento che Aphrodite sapeva essere nettamente migliore del suo.

Una ragione in più per starsene zitto e lasciare che fosse ‘esagitato spagnolo a condurre la conversazione.

Shura prese a scrutarlo con un’insistenza che mise presto il Saint dei Pesci a disagio. L’impaccio si trasformò rapidamente in irritazione, e l’irritazione in rabbia.

Sbottò prima che avesse modo di pensarci: “Si può sapere che diavolo hai da guardare??”

L’altro Cavaliere parve riscuotersi da una qualche sorta di torpore, e batté due volte le palpebre, in fretta.

“Guardavo te. In verità…”

S’interruppe bruscamente.

“Beh, non so se faccio bene a dirtelo…”

I cristalli negli occhi dello svedese si ravvivarono di una lucentezza pericolosa.

“Parla.”

Vale. Bueno, mi stavo solo chiedendo… tu hai un aspetto molto… beh, femminile. Lo sai, no? Quello che voglio dire è…”

Aphrodite lo fissò senza realmente vederlo.

“Sì, sono un maschio. Era questo che volevi dire, no?”

La voce era fuoriuscita più tagliente di una lama, gli occhi tracciati dal rimmel intorbidati.

Sul volto di Shura apparve un’espressione a metà tra il sollievo e l’imbarazzo: “Yo… oh, beh… d’accordo. E’ solo che, sai, con quei… capelli, e quegli occhi… truccati, e, beh, quel neo…”

“Sì, sì. Levati di mezzo.”

Era una delle poche espressioni che aveva perfettamente imparato in lingua greca.

Shura ammutolì, cedendo servilmente il passo all’androgino Saint dei Pesci.

Restò ad osservare il compagno allontanarsi, un sospiro rassegnato gli sfuggì dalle labbra.

Mierda.

Perché era maledettamente circondato da ragazzi?

 

 

********

 

 

Eccolo lì, il suo obiettivo.

La sua preda, per meglio dire.

Aphrodite si avvicinò a passo lento ma sicuro, il mento fieramente eretto, lo sguardo fermo. L’idea di quel confronto lo intrigava da impazzire.

Lo eccitava, persino.

Sperava solo di non restare deluso.

Il Cavaliere del Cancro se ne stava in disparte nella grande sala addobbata a festa, un’espressione di supremo disinteresse dipinta in volto. Espressione che non mutò di una virgola quando il nuovo arrivato, la star del ricevimento, entrò nel suo campo visivo.

Aphrodite si concesse un solo istante per valutare la situazione, poi esordì con tutta calma:

“Salve. Non mi pare di esserci presentati.”

Deathmask di Cancer sostenne gli occhi del compagno senza che il minimo turbamento gli si disegnasse in viso.

“Dieci e lode per lo spirito d’osservazione, principessa!”

Principessa.

Ma tu guarda.

Aphrodite rifiutò categoricamente di perdere la calma: “Visto che sei l’unico dei presenti a non avermi ancora reso omaggio, ne deduco che tu sia il Saint di Cancer.”

La risata che lasciò la bocca di Deathmask risuonò roca e sguaiata: “Renderti omaggio??! Per amor del cielo, chi ti credi d’essere?? Qui vali esattamente quanto gli altri, e in più sei l’ultimo arrivato. Spetterebbe a te salutare me per primo.”

Aphrodite digrignò appena i denti. Maledetto granchio.

“Il tuo atteggiamento non è proprio quello che ci si aspetterebbe da un Cavaliere d’Oro. Comincio a dubitare che meriti la tua armatura” commentò sostenuto. Un sorrisino compiaciuto gli illuminò il volto all’espressione truce di Cancer.

Sembrava sul punto di perdere la calma.

“Il giorno in cui il mio Cloth mi abbandonerà sarai il primo a saperlo. Scommetto che ti piacerebbe vedermi in mutande” ingiunse con un luccichio lascivo negli occhi.

Aphrodite non si lasciò cogliere in fallo, nonostante l’intimo stupore: “Non più di quanto piacerebbe a te.

Le labbra di Deathmask di schiusero in un sogghigno perverso: “Sai che non hai tutti i torti? D’altronde con quel faccino che ti ritrovi…! Prima del tuo arrivo pensavo che Shaka fosse effeminato; ora posso proprio dire che i miei standard sono cambiati!”

Una risatina tenue rilasciò in risposta le labbra di Piscis: “Che buffo, è esattamente ciò che penso anch’io. Prima di parlarti mi ero convinto che fosse Shura l’idiota del gruppo. Evidentemente di avevo sottovalutato, Cancer.

Deathmask sorrise appena, poi socchiuse gli occhi.

Aphrodite era assolutamente certo che fosse il suo modo di scrutarlo.

L’italiano non parlò che dopo una pausa: “Sei proprio un bel tipo, principessa. Come hai detto che ti chiami?”

Nonostante gli incoraggiamenti del suo insegnante, nonostante tutti i buoni propositi, si sentì improvvisamente piccolo e vulnerabile: “Aphrodite.

Tacque, in attesa dell’inevitabile scoppio d’ilari banalità che il suo nome suscitava invariabilmente.

Deathmask inarcò le sopracciglia: “Wow. Cos’è, un’usanza svedese dare nomi compromettenti ai nascituri? Oppure è un nome d’arte? Non sarà che nel tempo libero fai la drag queen??

Meglio di quanto avesse temuto. Poteva gestirlo.

“Dimmelo tu, Deathmask”.

Seppe di aver colto nel segno quando Cancer si accigliò: “A quanto pare tu il mio nome lo sai. E’ evidente che quel caprone ficcanaso non ha ancora imparato la lezione.”

Aphrodite si esibì in un sorriso serafico: “Forse il tuo aspetto burbero non è sufficiente a trasformare gli altri in servili cagnolini.

Il siciliano lo squadrò spudoratamente, da capo a piedi: “Ammettilo, principessa. Ti piacerebbe eccome essere il mio cagnolino!”

Ormai era una sfida. Una letale partita di ping-pong verbale.

“Solo se tu fossi all’altezza di fare il padrone.

Quasi non si accorse che l’altro Saint si era avvicinato, a passi lenti e misurati, senza mai distogliere lo sguardo.

“Credimi, Aphrodite. Non troveresti al mondo padrone migliore. Io sono nato per dominare.”

Le ultime parole erano state pronunciate con una sensualità così sfacciata che il principe delle rose fu scosso da un brivido.

Caldo, lungo la schiena.

Terribilmente piacevole.

“Questo perché non hai ancora incontrato qualcuno in grado di metterti sotto” ribattè a tono.

Un altro passo in avanti: “Spiacente di deluderti, ma non sono il tipo che sta sotto. In nessun caso.”

I loro sguardi si scontrarono con furia, nell’impatto più intenso che Aphrodite ricordasse di aver mai avuto.

Allusione.

Aveva imparato a conoscerla, nel corso di quella grottesca commedia tragica che era stata la sua infanzia. Non sapeva esattamente da quando avesse preso a riferirsi a quegli anni come ad un tempo passato; ciò di cui non dubitava, d’altro canto, era che un Cavaliere cresce in fretta.

La malizia era stata parte della sua vita sin da quando aveva memoria, scudo di velluto contro i colpi dello scherno, fino a diventare una componente integrante di se stesso.

Solo che non aveva mai trovato qualcuno degno di sfidarlo su quel piano – né su molti altri, a dir il vero.

Deathmask di Cancer ci andava giù pesante.

E questo gli piaceva da impazzire.

Scrutò in quegli occhi di petrolio, assurdamente vicini ai suoi. Un unico desiderio prese possesso del suo essere, una brama di conoscenza inusitata.

Curiosità morbosa e scalpitante, come un grido ad una voce che sgorga dal centro del petto.

La domanda scivolò liquida dal fiore dipinto della sua bocca:

“Qual è il tuo vero nome?”

Potè distinguere lo scintillio della sorpresa nello sguardo cupo del suo interlocutore.

Solo per un attimo, però.

Il Cavaliere recuperò brillantemente la tipica verve e sogghignò: “Non te la prendere, principessa, ma certi argomenti restano off limits!”

Nella vita, Aphrodite aveva imparato, c’è un momento per tutto, e ognun deve adattarsi meglio che può. Quello era il momento di sfruttare la più innata delle sue doti.

La malia.

“Anche per me?” chiese con eccessiva dolcezza, sbattendo le lunghe ciglia dipinte.

Era una mossa semplice, eppure estremamente subdola.

Nessuno resisteva agli occhi di Aphrodite.

Mai.

Deathmask non smise quel sorriso fastidiosamente accattivante: “In che modo ti ho dato l’impressione che tu fossi diverso dagli altri?”

Oh, quello era un vero oltraggio! Urgeva passare al secondo livello della tecnica.

Il broncio.

Ma io lo sono!”

La cosa parve divertire Cancer. Immensamente: “Su questo non v’è dubbio!”. Il suo sguardo si fece più penetrante: “Non avevo mai neppure visto uno come te, prima d’ora.”

Di nuovo quel brivido.

Viscido cobra di seta rovente.

Aphrodite non sapeva come prendere il commento.

Ma sapeva esattamente come replicare.

Inconsciamente si leccò le labbra: “Una confessione speciale ad una persona speciale, Deathmask.

Aveva parlato con la sua voce più allettante.

E stavolta ottenne una reazione.

Gli occhi dell’altro s’incupirono, ammantati di quel velo d’ombra che donava loro un’intensità superiore a quella della più splendida rosa.

C’era qualcosa, in quegli occhi.

Erano più spenti, ed erano più scuri.

Ma così simili ai suoi.

Aphrodite frenò bruscamente quei pensieri, prima di cadere nella banalità.

Rose.

Pensa alle rose.

Languidamente fece scorrere tra le dita una ciocca di capelli turchini: “Maschera di morte non è neppure un nome elegante” osservò con noncuranza. “Non ti sta nemmeno bene.”

Cancer lo fissò inarcando lievemente le sopracciglia: “Questo vuol dire che mi ritienielegante?!

C’era un’ilarità, in quelle parole, che Aphrodite ardeva dalla voglia di smontare.

“In un certo qual modo.”

La curiosità si allargò a macchia d’olio sul volto brunito: “E in quale modo, di grazia?”

Quella non era una domanda pertinente.

Aphrodite non rispose.

Tutto ciò che fece fu sfilarsi dolcemente la rosa rossa dai capelli.

“William Shakespeare” esordì distrattamente, gli occhi fissi ai petali cangianti. “…disse che una rosa avrebbe avuto lo stesso profumo… anche con un altro nome.

Solo allora sollevò la testa, per niente sorpreso di constatare il rapimento sul viso del compagno.

Ma se non mi è dato di conoscere il tuo profumo, devo almeno donarti un nome, o non potrei pensarti. Svaniresti come mille anime fanno ogni minuto, nell’oblio della memoria temporanea.

Aphrodite si era avvicinato, sicuro, quasi colmando le ultime distanze.

“E’ questo che vuoi, Cavaliere d’oro?  Vuoi finire in polvere prima del tuo tempo?”

Vi era stato il silenzio.

Poi Deathmask si era chinato, annullando del tutto lo spazio tra di loro.

Il suo viso abbronzato, dalla pelle ancora liscia d’infanzia, sfiorò la guancia nivea di Aphrodite, travolgendolo. Nel turbine di un’essenza calda e amara, troppo acre per la delicatezza del gesto.

Parlò in un soffio, le labbra che danzavano all’altezza del lobo bianco:

“Tu il mio profumo puoi sentirlo quando vuoi.”

E poi si era ritratto, e nello stesso istante una voce estranea era piombata a sciogliere l’ipnosi.

Aphrodite si svegliò.

E nel medesimo frangente seppe di essere perduto.

Definitivamente.

Tutte le rose che Atena poteva donargli non avrebbero restituito alla vita il suo colore.

Condannato ad uno spettro di grigio perpetuo.

Era solo l’inizio, e aveva già visto la fine.

In quegli occhi e in quel profumo.

La voce tornò a farsi sentire, così dolorosamente, stupidamente materiale in quel momento di visione.

Il sorriso di Deathmask sbocciò come una corolla cremisi sulla lama di un pugnale: “I sudditi reclamano la tua presenza, principessa. Farai meglio ad andare.”

Aphrodite andò.

Senza voltarsi.

concedersi il lusso di pensare.

Il battito ritmico nel petto, solo un po’ più accelerato.

Si sarebbe calmato in pochi istanti.

O forse avrebbe corso ancor più forte. Fino ad esplodere in un vortice di pece e argento, e carminio ed ametista, e quell’essenza, e quel profumo.

E le sue rose, maledettamente presenti fino all’ultimo baleno.

Era tornato allo stupido ricevimento con un sorriso tenue sulle labbra.

Già contornato dall’orma invisibile di due lacrime di sangue.   

 

 

 

 

Oh oh, the years burn…

 

(Gli anni bruciano…)







Ed eccomi con l'ennesima prova. Sono un'inarrestabile macchina delle fanfics! >.< Stavolta mi dedico interamente a due personaggi ingiustamernte sottovalutati. Perchè ho scorto un immenso potenziale in loro, ed è mio intento almeno provare ad omaggiarli.

Attraverso le memorie di una vita al capolinea.

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Capitolo 2
*** Dirty Little Whim ***


Grazie di cuore a chi ha commentato il capitolo precedente ^.*. Ecco che qui le cose prendono una piega differente...
Oh, a questo proposito, colgo l'occasione per spiegarmi: questa storia vuole raccontare l' evoluzione di Aphro e DM. Quindi è perfettamente voluto l'effetto vagamente OOC dei due personaggi. Prometto solennemente che rientreranno presto nei canoni entro i quali siamo abituati a riconoscerli. ^^






I used to be a little boy

I used to be a little boy

So old in my shoes

And what I choose is my choice

What’s a boy supposed to do?

 

(Ero solo un bambino

Troppo grande per la mia età

E quello che scelgo è una mia scelta

Cosa dovrebbe fare un ragazzino?)

 

 

 

 

Disarm

 

 

 

 

 

Avevano litigato, quella volta.

Niente di serio, si badi bene. Solo l’ennesimo dei loro pressoché quotidiani battibecchi.

Non ricorda neppure com’era cominciata.

Tutto ciò che rammenta è di essersi trovato in piedi contro quel muro, braccato come una fiera dal cacciatore.

Deathmask, fucile umano.

Il suo corpo era solido ed ampio, perfettamente modellato per appartenere a un ragazzino. Piacevolmente caldo in contrasto col freddo della parete. Tentava di torreggiare minacciosamente sulla sua preda, ma la scarsa differenza di statura riduceva l’effetto.

“Che cosa pensi di fare, eh??” ringhiò il cacciatore, negli occhi un’inquietudine malcelata. V’era stato un tremito, in quella voce grave, e Aphrodite l’aveva percepito.

Lasciò che un sorriso innocente gli arcuasse le labbra: “Guardati. Tutta questa aggressività sempre pronta a saltar fuori… dovresti davvero rilassarti, Chela di Granchio!”

Uno spintone. Occhi che incupiscono.

“Non dirmi cosa devo fare!”

Sorrideva. Incapace di trattenersi.

“Era solo un consiglio amichevole. Cos’è, non ti fidi più di me?”

Deathmask rise con rabbia. Tra i denti: “Io, fidarmi di te?! Di una lurida serpe strisciante… che ti si annida in grembo e morde!”

Doveva averlo fatto incazzare parecchio. Non che fosse difficile, in effetti.

Aphrodite elargì un sorriso volto a rabbonire: “Oh, andiamo granchietto, guardami. Ti sembra forse che potrei mai morderti??

Adrenalina. Elettricità allo stato puro.

Scintille di cosmos altamente infiammabili.

Tensione.

Milioni di particelle ardenti come in un flipper impazzito.

Non solo atmosferica.

Fottutissimi ormoni.

Cancer strinse le labbra. Il viso turbato, in tempesta.

Parlò piano, scandendo parole dall’agrodolce sapore d’ambiguità:

“E’ proprio questo il problema, con te. Non so mai… cosa aspettarmi. Quanto lontano… ti spingerai.”

Aphrodite socchiuse gli occhi.

Ansia. Ansia in quelli ottenebrati del compagno.

Forse paura.

Persino paura.

Non nei suoi, però. Mai nei suoi.

Dubita ci sia più qualcosa in grado di spaventarlo.

Restarono a fissarsi. Stretti l’uno contro l’altro, troppo vicini per mantenere ancora le distanze.

Guardami negli occhi. Dimmi cosa vedi.

Sangue dal più debole.

Tenebre. Ovunque. Orrendo presagio.

Maledettamente reali.

Perdersi in lui. In quel bastardo d’un italiano, in quel figlio di puttana dalle labbra troppo invitanti.

Semplice e letale.

Estatico supplizio.

Come quel giorno d’otto mesi prima, di nuovo una voce a infrangere l’incanto.

Deathmask si volse.

Aphrodite no.

Sente ancora nelle orecchie le parole di Shura, stranamente limpide come in un sogno mai spirato: “Ehilà ragazzi, vi ho trovato! Il Gran Sacerdote vuole…”

Nessuno dei due seppe mai cosa il Gran Sacerdote volesse.

Aphrodite aveva studiato.

Nel momento in cui Cancer si era voltato, abbassando la guardia, il cacciatore era divenuto preda.

Non aveva esitato un momento.

Lesto come un colpo di spingarda aveva preso il volto del compagno tra le mani, forzandolo alla propria portata.

E l’aveva baciato.

Labbra su labbra, rapide e fugaci; sorprendentemente intense, calde, decise in quel frangente d’ebbrezza.

Era stato un solo istante, poco più d’un battito di ciglia.

Ma per un solo istante Aphrodite aveva sentito.

Un piccolo bocciolo era spuntato dal nulla dentro di lui. Sarebbe diventato una splendida rosa.

Si allontanò con un sorriso sbarazzino, divertito, sul viso lievemente arrossato.

L’espressione di puro sgomento negli occhi sgranati di Deathmask era impagabile. Più del gracidio sconcertato sfuggito alla gola di Shura.

Il Saint dei Pesci mantenne quell’aria gaia nello spostare lo sguardo dall’uno all’altro Cavaliere.

Hola, Shura” esclamò con un sorriso innocentemente radioso.

E infine tornò negli occhi di Cancer, e più che mai fu chiaro chi fosse fiera e chi spingarda:

“Non c’è un limite… a quanto lontano io possa spingermi.

Bevve ingordo l’incredulità che permeava le fattezze del compagno, dimentico per un lunghissimo momento di tutto ciò che entrambi circondava.

Poi si riscosse, e senza perdere quel luccichio smaliziato nello sguardo ruotò sui tacchi e svanì nel buio, in un unico fruscio di serico mantello.

 

 

 

… The killer in me is the killer in you…

 

(L’assassino che c’è in me… è lo stesso che c’è in te)

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Capitolo 3
*** Kiss Goodbye ***


Disarm you with a smile

Disarm you with a smile

And leave you like

they left me here

To wither in denial…

 

(Ti disarmo con un sorriso

E ti lascio qui

come hanno lasciato me

Ad appassire nel diniego…)

 

 

 

 

Disarm

 

L’estate era arrivata.

E il tempo era scaduto. 

Scivolò su un gradino dopo l’altro, il passo felpato d’un predatore e leggiadro di una preda.

Si arrestò alle porte del quarto tempio ed espanse il suo cosmo.

Lui c’era.

Oltrepassò la soglia ed istintivamente storse il naso. La vista di quelle maschere di morte poste come cruenti suppellettili feriva puntualmente il suo spiccato senso estetico.

Sorrise tra sé. C’era una sola maschera di morte su cui potesse posare lo sguardo senza ribrezzo.

Ed era lì, davanti a lui.

Fermò i propri passi e attese.

Un piede bardato d’oro calciò con foga un piccolo sasso.

Che sei venuto a fare?”

Aphrodite ghignò.

Dentro stava urlando.

“E’ forse questa l’accoglienza da riservare ad un amico in partenza?”

Deathmask badò a rimarcare le distanze, voltandogli le spalle per osservare il Santuario tra le colonne.

“Allora avevo visto giusto. Te ne vai.”

Il principe delle rose annuì, per quanto l’interlocutore non potesse vederlo: “Il mio addestramento non è ancora del tutto concluso. Era già stabilito che ritornassi in Svezia dopo l’investitura ufficiale.

Silenzio.

Vi sono tanti tipi di silenzio. V’è quello imbarazzato, dettato dal disagio. V’è quello grave, come dopo un litigio. V’è quello confortevole, per chi si conosce tanto da non necessitare di parole.

E poi v’è il silenzio di Deathmask.

Silenzio di fumo.

Aphrodite restò a contemplare, per metà sedotto, per l’altra contrariato, la miccia della sigaretta bianca che tutto il tempio pareva illuminare.

Chi con noncuranza la stringeva tra le dita guardava lontano, oltre le bianche vette delle altre Case, come a cercare la stessa presenza di Atena sulla Meridiana infuocata.

O forse fissava nel vuoto.

Uno sbuffo avido e fumoso riempì l’aria d’esasperazione.

E allora passa.”

Un sottile sopracciglio turchino s’inarcò, discrepando per un attimo la fronte immacolata:

“Passa?”

Occhiata obliqua.

A chi è ancora indegno di veder altro se non il suo profilo.

E’ per questo che sei qui, no? Devi attraversare.” Ennesima boccata.

Ebbene, Deathmask di Cancer ti concede il permesso di superare la Quarta Casa. Ora sparisci.”

Aphrodite esitò.

Per un lungo istante.

Poi scosse la testa, un sorriso condiscendente sulle labbra carnose:

“Non funziona così, amico mio. Non ho bisogno del tuo permesso per uscire da questo posto.

Deathmask scagliò con rabbia il mozzicone oltre il colonnato. La scintilla fiammeggiante descrisse una parabola nel cielo, prima di precipitare come inghiottita dalla luce.

“Se sei così superbo da pensarla in questo modo, a maggior ragione puoi toglierti di torno.

Ancora non lo guardava.

Troppo orgoglioso per ammettere una sconfitta che stava per schiacciarlo.

Aphrodite sorrideva.

Non poteva farci nulla. Lo trovava irresistibilmente ironico.

“E’ dunque questo ciò che mi è lecito attendermi da te, nobile Cavaliere?”

La violenza con cui Deathmask si volse fu tale da farlo quasi trasalire. Quasi, si badi bene.

“Cosa cazzo ti aspettavi, eh??! Come diamine…??

Tacque, colto alla sprovvista dalla temuta realizzazione.

Aveva perso.

Ed era stato il sorriso di ghiaccio su quel volto femmineo a decretare la sconfitta.

Laviche ondate d’ira parvero erompere dal nulla dentro di lui, invadendo l’intero corpo come un cancro distruttivo.

Aphrodite vide e seppe. Che se in quell’istante avesse tirato troppo la corda si sarebbe ritrovato sulla bocca dell’Ade prima ancora di distinguere l’attacco.

Cancer distolse lo sguardo, pronto al bieco castigo dell’umiliazione in solitudine:

“Vattene.”

Il Cavaliere delle rose si concesse un’ultima occhiata.

Deathmask. L’amico. Il compagno. L’antagonista. L’incubo nel sogno.

Croce e delizia.

Filo rosso del destino.

Rosso sangue per un fato di morte.

Ruotò sui tacchi, fiero ed eretto nonostante il peso dell’armatura che recava sulle spalle.

E quello, ben più considerevole, che gli albergava in petto.

Deathmask osservò la figura aggraziata oltrepassarlo.

E tremò.

Oramai hai già perso, amico.

Uno scatto.

Aphrodite si sentì afferrare il braccio con inusitata forza.

Fu costretto ad una grottesca giravolta che sbilanciò il carico del Cloth. Aprì la bocca per protestare, ma tutto ciò che riuscì a emettere fu un gemito strozzato.

Soffocato dalle labbra di Cancer sulle sue.

Lo scrigno dell’armatura si sganciò definitivamente dal suo alloggio, schiantandosi al suolo polveroso. Potè quasi sentire un lamento di dolore dal volto di cadavere che era stato colpito nell’impatto.  

Deathmask lo attirò a sé con foga, un braccio intorno alla vita, l’altro fra i capelli, senza mai smettere di saggiare quelle labbra truccate con le proprie. Avidamente, con ansia febbrile. Eppure, in qualche assurdo modo, con dolcezza.

Fu Aphrodite a schiudere la bocca per primo, lasciando la lingua libera di esplorare e giocare con l’altra.

Che le porte dell’Ade si spalancassero pure, per loro.

Quell’unico istante di lussuria valeva bene l’eterno tormento.

Avvinti l’uno all’altro, più vicini che mai. Calore nella fusione della pelle accaldata.

Sapeva di fumo, Deathmask.

Agrodolce, come il suo sorriso.

Sentire le sue mani forti massaggiargli la nuca, inclinandogli il capo per approfondire il bacio, per affondare senza freni in quell’oceano di voluttà che era la sua bocca…

Maledettamente delizioso.

Una vita intera non sarebbe valsa a cancellare quell’impronta.

Si ritrassero così come s’erano congiunti, le labbra dischiuse dal respiro affannato. Ancora vicini, per un ultimo brandello d’intimità prima del finale distacco.

E poi Cancer si allontanò, definitivamente. Rosso in viso, il suo imbarazzo tanto palese da intenerire: “Io… uh…”

Aphrodite riacquistò in fretta il controllo. Esibì un sorriso caustico nel chinarsi a raccogliere il forziere del Cloth, avendo cura di nascondere al compagno il colorito acceso sulle sue stesse gote. Tornò in piedi e si sistemò alla meglio lo scrigno sulle spalle, scuotendo nel contempo la chioma che ancora ardeva di quel tocco estraneo.

Si diresse all’uscita.

Aphro…”

Volse appena il capo.

Deathmask non lo guardava in viso: “Fa buon viaggio” bofonchiò torvo.

Il Cavaliere delle rose si assicurò di memorizzare ogni particolare della scena; dal modo in cui i raggi del sole picchiavano sulle colonne, all’espressione di docile disagio sul ben noto viso di un amico. Certo che tale visione lo avrebbe confortato nei duri mesi a venire.

Il suo dono di commiato fu un sorriso, più civettuolo del solito.

Infine se ne andò sul serio, conscio degli occhi in tempesta che lo accompagnarono lungo la discesa. E di una subdola scintilla che si era accesa nel suo cuore, per bruciare indomita, era sicuro, nel corso del lungo anno che gli stava innanzi.    

Nostalgia.

Mi mancherai anche tu, Granchietto.

 

 

 

… The bitterness of one who’s left alone…

 

(L’amarezza di chi è rimasto solo…)

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Tasting Depths ***


Oh, the years burn, burn, burn…

Oh, the years burn, burn, burn…

And what I choose is my choice

What’s a boy supposed to do?

The killer in me is the killer in you, my love…

 

(Oh, gli anni bruciano…

E quello che scelgo è una mia scelta

Cosa dovrebbe fare un ragazzino?

L’assassino che c’è in me è lo stesso che c’è in te, amore mio…)

 

 

 

 

Disarm

 

 

 

 

 

Era tornato cambiato.

L’aveva sentito in quel saluto distratto, visto in quello sguardo di vento.

Al di fuori, si ritrovò a constatare, non senza una punta di stizza, era rimasto com’era, solo cresciuto. Che sia dannato lui e la sua femminea bellezza.

Ma negli occhi, in quei cazzo d’occhi

Gli occhi di chi ha conosciuto la morte.

Di chi l’ha avvertita sulla pelle, sentita scorrere, fluida e cremisi, calda linfa vitale tra le dita.

Di chi ha intrapreso il cammino sul tappeto rosso della dannazione, di chi l’ha fatto con grazia regale e passo felino, di chi ha osato bearsi dei riflettori e degli applausi, nonostante il sangue.

Aphrodite aveva ucciso, e quegli occhi lontani sapevano.

Alle volte non c’è modo di tornare indietro.

 

 

 

I volti del Quarto Tempio si erano moltiplicati.

Il numero delle anime prigioniere s’era notevolmente accresciuto nel corso di quell’anno, ma dopo l’estate vi era stato un picco che aveva convinto il Sacerdote a prendere provvedimenti.

Chi aveva creduto che il ritorno di Pisces avrebbe risolto la situazione, beh, si era sbagliato di grosso.

 

 

 

Fu alla Tredicesima Casa che si ritrovarono faccia a faccia.

Senza più alibi.

Senza silenzi.

L’uno era appena riemerso dalle sale reali, l’altro si apprestava ad entrarvi.

Deathmask, scuro in volto dopo un colloquio difficile.

Aphrodite, sicuro e composto nella sua cortina di nevischio.

Levarono lo sguardo nel medesimo istante.

Nell’amara durezza dell’uno quanto nell’opaco stupore dell’altro, una cosa fu immediatamente chiara.

Ignorarsi non era più un’opzione accettabile.

 

 

 

Cosa ci fai tu qui?”

Aphrodite si arrestò senza esitare:

“Quello che avrai appena fatto tu, immagino. Il Sommo Sacerdote ha chiesto di vedermi.

L’altro contrasse la mascella.

“Vorrà sapere cosa diavolo ti sei messo in testa, per comportarti come un bastardo da quando sei tornato!”

Petali di rosa fluttuarono lenti nell’aria.

“Tu, dare del bastardo a me? Quale ironia giunge alle mie orecchie!”

Deathmask avanzò.

Sempre a fare la cosa più stupida, amico mio.

Questo dannato primo passo.

“Sei sempre stato un tipo strano, ma mai la tua apatia era apparsa tanto preoccupante.

Inarcò appena un sopracciglio fine.

Con eloquenza.

Con crudeltà.

“Ti preoccupi per me? Sono lusingato!”

E ora facciamola finita.

Fece per procedere verso le Stanze, ma una presa ferrea lo trattenne.

Déjà-vu.

La forza dell’ostinazione.

La debolezza della cecità.

Crollino anche le ultime speranze.

E’ il nostro destino.

Ma non poteva cedere, Deathmask.

Non tanto in fretta.

“Tu non eri così!”

Una vera implosione. Voce incrinata che, no, decisamente non voleva suonare così ricca di rimpianto.

D’esasperazione.

E’ dunque di questo… che sono fatti i sogni…

Aphrodite si liberò senza fatica.

Basta giocare – amico, fratello.

Questa sarà l’ultima partita.

Che cosa vuoi ancora da me?”

Un ringhio sommesso.

“Voglio una spiegazione, cazzo, una ragione! Dimmi perché…”

Il coraggio venne a mancare solo all’ultimo.

Aphrodite lo ammirò, per questo.

Tempo di lasciarsi indietro anche l’ultimo brandello d’umanità.

“Continua, avanti. Dimmi cosa vuoi sapere. Cosa vuoi che ti dica, eh, cosa? Vuoi che ti spieghi quello che ho patito nell’ultimo anno? Vuoi che ti narri le mie esperienze, le mie scoperte? Vuoi che ti mostri le ferite nascoste? Vuoi che ti spieghi l’orrore di reggere la morte tra le dita? Di vedere l’anima spirare dal corpo di chi hai amato? Di sentire le membra del tuo mentore raffreddarsi tra le tue braccia? Vuoi che ti racconti del sangue che è scorso, che ha tinto le mie rose? Vuoi che ti apra gli occhi sul baratro in cui sono stato spinto? Vuoi sentire delle lacrime, delle grida? Vuoi sapere della brama di vendetta, del genocidio d’ogni beltà?”

Gridava. Col cuore, la carne, le ossa.

Piangeva, forse, persino.

Ma gli occhi, quelle gemme che erano state tanto vive, restavano asciutte.

Ebbene, non è ciò che farò. Perché tu non ne hai bisogno. Tu conosci già tutto questo, non è così? Tu, dominatore dell’Ade, giudice supremo delle viltà umane… tu, essenza stessa di quella morte che è scesa su di me con tutto il peso dell’orrore…”

Spento, Deathmask.

Interrotto.

Scollegato.

Disconnesso dal corpo e dalla mente, perso nel battere sincopato di un cuore tremante.

 Cosa vuoi che ti dica adesso, Deathmask di Cancer? Cosa speri ancora d’udire da me?”

Sentire, udire.

È così freddo.

Non fa più differenza.

Percepì a stento un lampo turchino oltrepassarlo, condotto per mano da una voce distorta.

“La bellezza dell’essere è l’ultimo baluardo di una giustizia in cui non so più credere. Nello stato attuale, sperare non vale più al suo scopo. Non reca conforto.”

Il tic-tac dei calzari dorati andò scemando, fagocitato dall’incognita della grande sala alle sue spalle.

Solo, Deathmask.

Con l’incubo d’una verità tanto agognata.

 

 

 

Nella mente, quell’ultimo bacio.

E quel sorriso.

 

 

 

 

 

…I send this smile over to you…

 

(Ti invio questo sorriso…)   















Torno di gran carriera, con buona lena e libera (si spera) da quell'ingiustificabile pigrizia che mi ha impedito di trascrivere i capitoli già pronti di questa storia. Non trovo parole per esprimere quanto dispiaciuta sia del ritardo (l'eufemismo del secolo, ehm-ehm). Spero vogliate continuare a seguirmi. In cambio, vi lascio con la promessa di un aggiornamento super rapido e, mi auguro, soddisfacente.
Le mie scuse però vanno soprattutto a loro, abbandonati ancora una volta senza ragione nè ritegno. Aphro, Deathmask... perdonatemi. D'ora in poi tornerete tra le miei proprità, lo giuro.
Insieme a tutti voi, miei impagabili lettori. Un grazie di cuore e un caloroso abbraccio, specie a chi ha avuto la bontà di recensire. ^_^

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