Dream or Reality?

di RomanticaLuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Babbana diventata strega ***
Capitolo 2: *** Black Out ***
Capitolo 3: *** Friendship ***
Capitolo 4: *** Bravery ***
Capitolo 5: *** Love ***
Capitolo 6: *** Sveglia ***



Capitolo 1
*** Una Babbana diventata strega ***


 

Avete mai avuto un libro preferito? O un cartone animato, un film, una serie televisiva che vi ispirasse particolarmente?

Beh, io si, e questa storia è Harry Potter. Adoro gli scritti di J.K.R., hanno accompagnato la mia infanzia. E' il mio sogno segreto poter andare ad Hogwarts, poter fare magie e, beh si, anche conoscere i ragazzi particolarmente belli che la mia mente crea mentre leggo le pagine della serie.
I miei compagni mi prendono in giro e mi ripetono continuamente “Kate, non sei troppo grande per credere nella magia?” io rimango in disparte, pensando che se solo potessi avere una bacchetta li trasformerei in tanti rospi. Mio padre mi ripete “Cresci un po’. Kate, la magia non esiste, altrimenti non saremmo in questa situazione disperata!”
Siamo poveri, riusciamo a malapena ad arrivare a fine mese, io e mio padre. Mamma è scappata di casa quando scoprì che papà perse tutti i soldi alle corse dei cavalli. Io non riesco a sopportare il peso che la vita mi ha messo sulle spalle alla sola età di 4 anni e per questo leggo. Mi rintano nei libri e vivo le avventure dei protagonisti. Le mie giornate sono un susseguirsi di scuola babbana, di lavoro in un posto pieno zeppo di babbani e, per finire in bellezza, delle letture più magiche che ci siano. Non ho amici, sono isolata da tutti.
La mia vita continua nello stesso modo fino a che, qualche giorno prima del mio compleanno, io e mio padre facciamo un incidente d'auto.
Un pirata della strada ha attraversato l'incrocio col rosso come un razzo e ci ha presi in pieno. Mi sono svegliata quasi subito con una sola ferita alla testa, un fatto molto ambiguo secondo i dottori. Lo stesso vale per mio padre. Dopo questo incidente, la mia intera vita è cambiata. Nei giorni a seguire, sono capitate le situazione più strane, eppure le più belle della mia vita.
E' lunedi e sono alla solita scuola babbana elementare di Bristol, la maestra spiega un’equazione matematica e il mio compagno di banco, Robert Iurs, mi prende le biro e le lancia da ogni parte della classe. Così, senza un motivo ben preciso, lui non ha mai un motivo ben preciso per fare le cose. L’insegnante non riesce a fermarlo e la mia pazienza si sta esaurendo velocemente. Mi alzo in piedi presa dalla collera e gli appoggio le mani sulle spalle, nella speranza che la smetta, che si spaventi o qualcosa del genere. Sento una piccola brezza attraversarmi il corpo e poi qualcosa lo separa da me facendolo sbattere contro il muro. Ne sono certa, è stata la magia! Sono una strega, devo esserlo! Nessun altro avrebbe potuto farlo!
Mi metto seduta, stranamente felice di essere in quella classe, e lascio finire la lezione.
Il giorno del mio undicesimo compleanno arriva la conferma ai miei sospetti: la lettera di Hogwarts. La confronto con quella stampata sulla pagina del libro. Naturalmente è cambiato il Preside, Silente è morto ed io ero presente a quel momento attraverso la mia immaginazione. La scuola è caduta ed è stata ricostruita, l’avventura dello splendido trio finita. Ma avrei potuto vederli! 20 anni più vecchi, ma sempre e comunque loro! Urlo di gioia, salto sul letto e canto a squarciagola finché mio padre entra in camera.
“Cos’hai da urlare? C’è gente che cerca di lavorare, di sotto!” urla. Mio padre è uno scrittore o, per lo meno, cerca di scrivere qualche parola su una pagina di lavoro di Word. Ma i suoi racconti, fino ad oggi, non sono mai stati molto convincenti.
“La lettera! Mi è arrivata la lettera! Sono stata presa ad Hogwarts, la storia della Rowling è vera, non è fantasia! SONO UNA STREGA!” gli grido continuando a saltellare.
“Fandonie. Te l’ho detto mille volte che la magia non esiste! Ti avranno fatto uno scherzo e tu ci sei cascata in pieno!” dice lui, distaccato dalla mia felicità. Ma non può essere uno scherzo, ho usato la magia, ho scaraventato Robert contro il muro! Le mie convinzioni vengono meno pensando ai miei compagni. Loro potrebbero farmi uno scherzo del genere. Ringrazio il cielo perché è l’ultimo anno da passare in loro compagnia!
“Ora fai i compiti e lasciami lavorare!” continua mio padre. Esce e sbatte la porta dietro di sé, facendo dondolare i quadri alla parete. “Fai i compiti e lasciami lavorare!” gli faccio verso io. Mio padre non è cattivo, solo non sa farci con le ragazzine. Non ha pratica, né tantomeno tatto. Le donne sono fuori dal suo mondo, me compresa. Però mi ha cresciuta bene, non mi manca nulla (a parte una vita sociale) e ha sempre fatto del suo meglio per farmi sentire amata. Ho appena aperto il libro di matematica quando sento un sonoro puff provenire dalle mie spalle. Mi volto di scatto. Un uomo alto e con i capelli castani e ricci, gli occhi marroni e la carnagione pallida si erge dietro di me. Indossa un completo grigio, scarpe nere e camicia bianca con un fiore viola all’occhiello. Mi offre il fiore che, per caso o per magia, è del mio colore preferito..
“Tu devi essere Kate Holmes!” mi dice, sicuro di sé. Annuisco leggermente col capo.
“Io sono il professor Neville Paciock. Insegno a…”
“ALLA SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS!” urlo. La sicurezza e la gioia che l’attimo prima mi avevano abbandonato tornano a impossessarsi della mia mente, la speranza del mio cuore.
“Vedo che sei informata” continua. Non posso crederci che quel figo pazzesco sia l’impacciato Neville. Me lo ero sempre immaginata grassottello, basso, abbastanza ripugnante e molto simile ad un rospo. Penso se sia possibile che uno dei miei compagni abbia potuto farmi uno scherzo, ma lo escludo. Nessuno dei miei compagni ha mai letto i libri di Harry Potter e di certo non avrebbero scelto un personaggio secondario!
“O ma certo che mi sono informata!” dico. Chi sa se loro sanno di essere i protagonisti della saga più popolare del mondo.
“Bene. Dovrei parlare con uno dei tuoi genitori!” esclama il professore, mettendosi in piedi.
“Professore…lei per caso insegna Erbologia?” chiedo. In alcuni commenti su Internet avevo letto di come sarebbe continuata la storia dei maghi più famosi del mondo se la Rowling avesse continuato a scriverla.
“No, io insegno Cura delle Creature Magiche. È la professoressa Abbott ad insegnare Erbologia” mi risponde con una gentilezza tale che mi fa sciogliere come una medusa al sole. La professoressa Abbott. Chi sa se sono sposati come dicevano i commenti. Guardo le sue mani e, effettivamente, la fede c'è.
“Vedo che è sposato, professore” dico mentre scendiamo le scale “non le manca sua moglie mentre lei è a scuola? Così tanto tempo separati l’uno dall’altra. Dev’essere una vita difficile quella dell’insegnante”
“Che strana domanda” esclama solamente lui. Rimango desolata, volevo almeno sapere se sua moglie era a scuola o no, se quello che raccontavano su Internet fosse giusto, e invece mi ha piantata in asso.
“Jef, c’è un uomo che vorrebbe parlarti!” urlo a mio padre.
“Che vuoi ancora? Non ti avevo detto di stare zitta?” inizia lui ma, appena vede Neville, tace e si allontana dal pc. “Vai a preparare il tè” mi ordina. Odio gli ordini. Forse perché tutti mi dicono cosa devo fare da quando sono nata, le persone mi scambiano spesso per un elfo domestico. “Kate la biancheria, Kate dammi i compiti, Kate finisci di mangiare!”. Gli ordini hanno aiutato a rendere ancora più deprimente la mia vita. Quando il vapore inizia ad uscire dalla teiera, spengo il fornello ed inserisco la polverina bianca del tè istantaneo. Porto tutto in salotto. Mio padre è diventato bianco come un lenzuolo, mentre quel figo del mio futuro insegnante gesticola per fargli capire cosa dice. E' una scena esilarante.
“Il tè è servito. Ci vuole qualche zolletta di zucchero, professor Paciock?” chiedo col cuore che batte a mille. Vorrei chiedergli l’autografo, ma penso che i compiti saranno pieni delle sue firme, così mi trattengo.
“O no, è tardissimo e devo andare ancora da altre due persone. Ci vediamo il giorno della partenza!” dice. Prende la giacca ed esce di casa.
“Vedi che non sono stramberie!” esclamo con la felicità alle stelle. Mio padre mi guarda con un’espressione inebetita, non parla. Salgo in camera saltellando e rileggo il primo libro di Harry Potter. Chi sa se la Rowling è una strega. Magari era un’insegnante ai tempi di Harry, o una mamma che sentì parlare del bambino prodigio dalla figlia. O magari ha visto dei maghi scomparire nel muro a King’s Cross ed ha iniziato la sua storia. Personalmente, credo e spero che sia una strega che, per non far conoscere il segreto ai babbani, pubblicò un libro per eliminare ogni sospetto. I ragazzi che spariscono dietro ad un muro di King’s Cross? Solo ragazzini che cercano di entrare nel set di Harry Potter! I gufi che volano sopra i tetti con delle lettere legate alle zampe? Una trovata pubblicitaria o un film che sta per essere girato! Una trovata fenomenale, geniale, degna del cervello di Hermione Granger. Sono vissuta per 11 anni nell’immaginazione ed ora, tutto quello che ho letto si è dimostrato vero! Non potrei essere più felice!

 

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Capitolo 2
*** Black Out ***




 

Sembra tutto ancora un sogno e la confusione regna sovrana nella mia vita. I giorni e le notti spesso si mischiano tra loro inspiegabilmente, senza che io mi accorga di aver vissuto o di aver dormito. Sono sempre energica ed i miei parenti hanno iniziato a venirmi a trovare da quando hanno saputo che partirò a breve per un lungo viaggio. Mio padre vuole tenerseli ben stretti, perché sono la sua unica fonte di ricchezza, una sicurezza economica. Ma a me importa poco di loro. Non hanno mai fatto niente per me in 11 anni, perché si mettono in mezzo ora?
Il momento di partire è arrivato, l’estate non l’ho nemmeno vista. D’un tratto vedo una famiglia attraversare la barriera magica e mi blocco.
“Che hai ora?” mi chiede mio padre.
“Nulla” dico e ci rimettiamo a camminare. Ma non è vero. Non ho “nulla”, ho “tutto”! Non ho mai avuto neanche un amico, come potrò ad ambientarmi? Lontana da casa, lontana dai miei nascondigli seminati per la città, lontana dal caos… diretta ad una scuola piena di studenti. Temo soprattutto i Serpeverde. Ho paura di loro ancora prima di vederli, ancora prima di conoscerli.
“Mamma, prometti che ti farai sentire tutti i giorni!” diceva una voce acuta, probabilmente appartenente ad una ragazzina. La guardo nello stesso momento in cui lei guarda me. Ha qualcosa di famigliare…i capelli rossi, gli occhi verdi.
“Certo, tesoro” le dice la madre. La ragazzina mi saluta con la mano, ma io non riesco a ricambiare il gesto. Passano loro, poi passo io. Mio padre è sparito.
Sono sul treno, le cuffiette dell’i-pod in nelle orecchie e la musica al massimo. Non ricordavo di averne uno. Due ragazzini entrano nello scompartimento ed abbasso la musica. Hanno entrambi la mia età, i capelli rossi e le lentiggini sulle guance.
“Abbiamo visto che eri sola e volevamo proporti di venire nel nostro scompartimento” mi dice il maschio. Accetto. D’un tratto sono seduta insieme a loro e ad altri due ragazzi. Mi sembra di conoscerli, eppure non capisco chi possano essere. Il ragazzo moro con gli occhiali si presenta “Io sono Albus Potter” dice. Tutto mi torna alla mente. Albus, Rose, Lily e Hugo. Ecco perché mi sembravano tanto famigliari, sono i figli dei miei eroi! Li guardo. Albus e Lily hanno gli occhi di Harry. Rose ha gli occhi azzurri, come Ron, Hugo li ha marroni, come Hermione.
“E loro sono mia sorella Lily e miei cugini, Hugo e Rose” finisce di presentare. Non l’ho interrotto perché sarebbe sembrato strano che una ragazzina, nata babbana e che non avevano mai visto, diceva “o, vi conosco già!”
“Io sono Kate Holmes, primo anno!” dico, quando vedo che tutti mi guardano con gli occhi sgranati.
Nel giro di qualche minuto siamo ad Hogwarts. Non capisco se mi sono addormentata o se il mio cervello sta andando in tilt, ma mi perdo intere parti delle mie giornate.
Indosso un mantello nero che copre una gonna grigia lunga fino alle ginocchia, una camicia bianca a maniche corte ed un maglioncino grigio. Ho delle ballerine nere e i capelli raccolti. Sono sicura che li avevo sciolti prima di partire, perché stavo giocando con i boccoli che ricadevano sul seno. Tocco l’acconciatura ed estraggo un bastoncino di legno: la mia bacchetta!
Vedo il professor Paciock, in lontananza. Non andiamo alle barche, ma ci fa aspettare nel cortile.
“Primo anno, ben arrivati!” ci dice. Mi guardo intorno. Hugo è rimasto vicino a me, Lily è appena dietro. Vedo un ragazzo che mi sembra famigliare e lo riconosco: è Jacob Prince, un mio compagno di classe. Poi vedo Janette Prince, sua sorella, anche lei in classe con me. Si tengono per mano e parlano tra loro. Non avrei mai pensato che anche loro fossero maghi. Arrivano delle carrozze colorate ed il professor Paciock ci invita a salire. Sono grandi quanto la mia stanza e in ognuna ci stanno minimo 8 studenti. Non parlo, ho paura. Sento il cuore battere a mille, i pensieri offuscarsi. Ho un black out e, quando il mio cervello torna a connettere, siamo già stati smistati per casate. Mi guardo in giro, Hugo è ancora in parte a me.
Non voglio mostrarmi persa o in disagio. Capisco che siamo in Sala Grande, ma nulla di più. I ragazzi sono tutti uguali, non riesco a capire in che Casa siamo capitati. Taglio il pezzo di carne sul mio piatto e lo addento. Sembra filetto. Vedo Lily nel tavolo di fronte al nostro, insieme a Rose e ad Albus. Quello deve essere Grifondoro. Quindi non sono in Grifondoro…allora, dove posso essere? Nessuno indossa cravatte o spille, sono vestiti come me. Un altro ragazzo del primo anno sta di fronte a me. È timido, non parla con nessuno.
“Hanno detto qualcosa delle lezioni di domani?” chiedo ad Hugo.
“Come puoi pensare già alle lezioni? Hai davanti tutto questo ben di Dio!” dice lui. Guardo la tavolata dei professori, il professor Paciock mi fa l’occhiolino. Riconosco Hannah Abbott e la McGranitt. Sono più vecchie di quanto avessi pensato. Ci sono una donna alta, con i capelli rossi e gli occhi castani, un uomo cinese grosso con due ciuffi mori e lo sguardo bonario, uno alto e muscoloso, i denti perfetti e gli occhi di un blu intenso. Due donne, probabilmente sorelle perché si somigliavano molto, i capelli lisci e neri ed il viso ovale. Due uomini parlano animatamente tra loro, uno ha i capelli d’oro legati in un codino basso, l’altro li ha color paglia perfettamente in piedi per formare una cresta dritta. Sono giovanissimi.
Un ragazzino più alto e più grosso di noi mi distrae. “Ciao, io sono Nicolò Hagrid!” gli sorrido. Il figlio di Hagrid e nella mia stessa Casa. Che bella coincidenza! “Ciao!” balbetto. Sembra che attiri gli sguardi e che impietosisca le persone, perché tutti cercano di parlarmi e si presentano a me. Sono contenta, però. Avrei avuto degli amici per la prima volta in vita mia!
È mattina e sono in un letto comodissimo. Il mio stomaco brontola per la fame, tutto in torno a me c’è silenzio. In camera con me c’è una ragazza. Ha i capelli tagliati a caschetto, castani. Dorme ancora e non mi sembra il caso di svegliarla. Mi guardo intorno, non riconosco il dormitorio. Esco e mi trovo in una sala circolare, dai colori spenti. Sul pavimento c’è un grosso tappeto, morbido e caldo, alle pareti diversi quadri. Diverse poltroncine sono seminate per la stanza, i colori prevalenti sono il giallo canarino e il grigio: Tassorosso. Quindi è questa la mia Casa. Sono tra i leali ed i generosi. Nessuno dei libri di Harry Potter dice nulla sulla Sala Comune dei Tassorosso, così la esploro per conto mio. Ai due lati della stanza rotonda sono presenti due porte di legno massiccio, rotonde anch’esse. Su una c’è scritto femmine in bella grafia, sull’altra maschi. Un quadro di una ragazza mingherlina mi saluta. Mi spavento e lei si scusa. Ha i capelli rosso fuoco ed una sciarpa gialla. I suoi occhi sono del colore dell’oro, sembrano due Galeoni con una pupilla in mezzo.
“Non volevo spaventarti! Benvenuta nei Tassorosso, io sono Tosca, la fondatrice!” dice la ragazza. Anche lei la immaginavo diversa. Non so perché, ma Tosca nella mia immaginazione era più grassottella e poco graziosa. Forse perché ho sempre visto che i più gentili sono quasi sempre i più disprezzati dalla società.
“Sono un po’ tesa. Io sono Kate” le rispondo. È molto bella. Ha tratti delicati.
“Per ogni necessità, io sono sempre a tua disposizione!” continua la fanciulla.
“Emm…si…da dove si esce?” chiedo.
“Lo vedi quel quadro?” dice indicando una grossa natura morta appesa al muro “ruota la mela col morso, in modo che sembri ancora intatta, e il passaggio comparirà!”
La ringrazio.
Sono in un’aula, ho avuto un altro black out. Quando ho fatto colazione? Dove sono? Chi è la donna che spiega? E poi, come ho fatto ad arrivare qui?
“Kate, stai bene? Mi sembri pallida!” mi dice Hugo. Annuisco. Guardo alla lavagna il nome scritto in corsivo: Ambra Parkinson, insegnante di Trasfigurazioni. Bene, un po’ di ordine nella mia testa.
Guardo il resto della classe. Ci sono i fratelli Prince, entrambi indossano una cravatta color rosso e oro. Io, Hugo, Nicolò Hagrid, Lily, la ragazza che era con me in stanza e altri 10 ragazzini smistati in Grifondoro o Tassorosso. Uno particolarmente piccolo mi sembra di conoscerlo. È Kevin Mandley, giocavamo insieme da bambini. È finito anche lui in Tassorosso. Lo saluto con la mano e lui ricambia.
“Signorina, vuole seguire? Non siamo mica in un parco giochi!” esclama la professoressa. Mi volto, sono sbiancata di colpo. Eppure vedo che gli occhi dell’insegnante non puntano me, ma quella subito dietro.
“Mi scusi, professoressa” dice la voce.
Suona la campana.
“Ascolta Hugo, non prendermi per pazza. Ma quando mi vedi strana ricordami cosa stiamo facendo, ok?” gli bisbiglio mentre passiamo davanti ad un fantasma molto gioioso.
“OK” conferma lui.
Credo che il mio cervello si sia sconnesso di nuovo, perché ora sono al lago.

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Capitolo 3
*** Friendship ***




 

È inverno. In realtà non ricordo molto del tempo passato ad Hogwarts, ma sento le emozioni dentro di me cambiare. Prima la paura riempiva completamente il mio cervello, ora sta scomparendo. Piano, piano.
Hugo mi chiama, da lontano. Sta volando in sella alla sua scopa e vuole passarmi la Pluffa. Mi guardo: anche io sto in sella ad una scopa e sto volando a diversi metri di altezza. La professoressa di volo è Ginny Weasley o, come la chiamano gli studenti, Mrs Potter. Prendo la Pluffa al volo e penso di volare verso i cerchi. Il mio pensiero diventa realtà, sento di muovermi e il vento mi sfiora i capelli. Vedo subito che non siamo solo Tassorosso a giocare quella partitella: ci sono anche i Corvonero. Li riconosco dalla maglietta completamente blu e la piccola spilla argentea di un corvo appuntata al petto. Nella mischia c’è anche Helena Maureen, una ragazzina che vive vicino a me, a Bristol. Non le ho mai parlato, nel mondo babbano, ma penso sia una buona occasione essere tutte e due ad Hogwarts. Passo la palla ad una ragazzina bionda che fa parte dei gialli, lei tira e fa punto. Esulta, circondata dal resto della Casa. Hugo mi invita ad unirmi ai festeggiamenti e accetto entusiasta l’invito. Mi piace Hugo, è gentile ed un grande amico. Mi presta attenzioni, cosa a cui non ero abituata, e mi fa sentire parte di un gruppo. Anche Lily è molto premurosa. Lei mi parla spesso della sua famiglia, di come sia cresciuta dietro la fama del suo cognome. Immagino a come possa essere. La figlia del bambino sopravvissuto, dell’eroe del mondo magico, del grande Auror. Non dev’essere facile vivere costantemente all’ombra di qualcuno. Per non parlare del fatto che sua madre è costantemente presente nella sua vita, dato che è una professoressa di Hogwarts.
La lezione finisce ed andiamo a cambiarci in spogliatoio.
“Tieni” mi dice la ragazzina bionda a cui ho passato la Pluffa, porgendomi una spazzola. Mi guardo allo specchio. I miei capelli castani hanno formato un groviglio di nodi sulla mia testa.
“Grazie!”. La guardo negli occhi e le sorrido. Sento il mio cuore allargarsi, mi è piaciuto quel gesto. Cerco di pettinarmi, ma non è un’impresa semplice. Il vento ha completamente deformato i boccoli di cui vado tanto fiera.
“Se vuoi ti do una mano. Mia madre è una parrucchiera!” suggerisce la ragazzina. Vedo sulla veste le iniziali AC.
“Sei molto gentile. Se non ti disturba, accetto volentieri l’offerta!” dico, sorridendo. Mi sento leggera ed in pace con me stessa, Hogwarts mi sta cambiando lentamente. Sento i suoi colpi decisi ma non mi fa male. Vedo i boccoli ricadere uno ad uno sulle spalle.
“Grazie…” dico cercando di ricordare il suo nome. Nei mesi trascorsi ad Hogwarts devo per forza aver conosciuto quella ragazza. Un nome compare in sovrimpressione davanti ai miei occhi e lo dico “Anastasia”
“Di nulla” mi dice lei. Il suo sorriso si è fatto ancora più grande.
Hugo entra di corsa nello spogliatoio delle ragazze ed una, ancora in intimo, urla e gli sbatte la porta in faccia.
“Kate, hai finito?” dice la sua voce da dietro la spessa porta di legno.
“Due secondi e ci sono” urlo per sovrastare il rumore di una bacchetta utilizzata come phon. Anastasia finisce di pettinarmi anche l’ultimo boccolo e mi si posiziona davanti.
“Ti va di fare un giro al lago con me, oggi pomeriggio?” mi chiede. Annuisco, saluto ed esco.
Raggiungo Hugo che sta parlando con Mrs Potter. È bello poterla vedere. La bellissima Ginny Weasley, la paladina del Quidditch femminile, è la mia professoressa di volo. Credo che potrei esplodere a trovarmela davanti, i suoi occhi azzurri che mi fissano.
“Non sei male in volo!” mi dice “potresti diventare una brava giocatrice, se solo ti impegnassi un po’!”. Il suo sorriso è dolcissimo, rassicurante come quello di un’amica e ha tutta la sicurezza di quello di una mamma.
“Grazie!” le dico, timidamente. Hugo mi prende per mano e saliamo al castello, dove Rose ed il suo fidanzato ci aspettano appiccicati l’uno all’altra.
“Ehi, voi due, siete ridicoli!” urla Hugo da distanza. Rose lo guarda e gli lancia uno sguardo di sfida, il ragazzo biondissimo con gli occhi blu ci guarda un po’ smarrito.
“A si, lui è Lysander” annuncia quando vede che entrambi lo guardiamo “stiamo insieme da qualche giorno”
Lysander…secondo i commenti che avevo letto su Internet prima di partire lui è il figlio di Luna Lovegood. Le somiglia, effettivamente. O, per lo meno, somiglia alla Luna che avevo creato nella mia mente. I capelli biondi, la carnagione chiara, gli occhi che scrutano continuamente il cielo, la spilla dei Corvonero appuntata sul petto. È molto carino. Arrivano correndo anche Lily e Albus che urlano “Cos’è l’urgenza!”.
Rose ci fa mettere in cerchio, poi guarda i cugini negli occhi “avete visto vostro fratello maggiore, oggi?” chiede loro.
“No, perché?” chiede Lily, col fiatone.
“Ha bevuto una pozione d’amore…anzi, vedendo l’effetto, credo che ne abbia bevute due diverse” spiega la ragazza. Perché io sono qui, in mezzo a loro? Guardo l’orologio, sono le 15:00.
“Scusate, io devo andare, ho promesso ad un’amica di stare un po’ con lei. Vi lascio alle vostre questioni famigliari!” dico prima di correre via. Lascio piano la mano di Hugo, non mi ricordavo di essere ancora attaccata a lui.
Anastasia mi aspetta seduta su di una radice. Sta guardando la sua immagine riflessa nello specchio dell’acqua. Mi saluta appena mi vede e mi viene incontro. Nonostante sia inverno e faccia freddo, la neve non è ancora scesa ad Hogwarts. Rimaniamo sedute sulla sponda del Lago Nero in silenzio, osserviamo il panorama. Vedo l’involucro di una chitarra posto vicino a lei.
“Suoni?” le chiedo, curiosa. Mi accorgo di non sapere molto di lei.
“Poco. Tu?”
“No. Però mi piace cantare” rispondo.
“Conosco una canzone. Se sai le parole possiamo provare a farla!” propone. Annuisco.
Prende lo spartito e me lo porge. La canzone la so, è molto conosciuta nella mia classe e mi è sempre piaciuta. Suona il primo accordo ed io la seguo con la voce. La melodia attira altri ragazzi, che formano un grande cerchio attorno a noi. Giovani dal primo al settimo anno e appartenenti a tutte e 4 le Case ci circondano. Sento il calore sul viso, mi sento in imbarazzo in mezzo a tanta gente, ma la compagnia di Anastasia mi mette sicurezza. Non smetto di cantare, non me ne vado, faccio finta di essere da sola con lei ed elimino il resto dei rumori. Quando finisce la canzone, i ragazzi ci applaudono. Divento rossa e cerco di evaporare, ma la mia nuova amica mi tira al centro dell’attenzione.
“Hai una bella voce” mi sussurra
“E tu suoni fantasticamente” le dico.
Mi ha preso per mano, quella stretta mi da forza, sento di poter abbattere le difficoltà. Vinco la timidezza, facciamo entrambe un inchino e, su proposta dei ragazzi, cominciamo un’altra canzone.
È bello avere un’amica, non l’avevo mai sperimentato prima, e sono contenta che Anastasia mi abbia notata e mi abbia estratto da quell’involucro di timidezza che mi circondava.

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Capitolo 4
*** Bravery ***




 

È dicembre e la neve cade leggera e copre ogni cosa, formando una coperta alta e resistente. Il volo ed il Quidditch sono stati sospesi ed esplicitamente vietati da Mrs Potter, ma ci stiamo dirigendo in ogni caso verso il campo. Lily e Rose sono a capo della fila. Non so perché mi portino sempre con loro, ma mi piace, mi fa sentire una famiglia.
Sulle tribune ci sono sei ragazzi, le scope in spalla ed i caschetti in testa. Sembrano pronti per sfrecciare nel cielo bianco e grigio.
“Era ora! Pensavamo vi foste ritirati!” urla uno di loro.
“Certo che no! Ma le belle ragazze devono farsi aspettare!” grida Rose. Vedo che i ragazzi in tribuna scoppiano in una fragorosa risata e lei si gira per vederne il motivo. James, Albus ed Hugo si guardano l’uno l’altro con facce ambigue, chiedendosi probabilmente quando siano diventati ragazze anche loro. Sorrido anche io.
Ormai siamo ad una spanna dai ragazzi. Sono tutti maschi, e tutti Serpeverde. Brutto segno! Li osservo per un minuto, poi Hugo mi passa il casco ed una scopa e mi preparo per salire. Nemmeno i miei maglioni pesanti riescono a proteggermi dal freddo della giornata. Sfreccio con Lily al fianco in cerca degli anelli Verdi, un ragazzo moro li protegge. Ci dividiamo, lei su un lato, io sull’altro, passando ai lati di due energumeni alti due metri che cercano di disarcionarci con le mazze. Passo la palla a Lily, lei la ripassa a me. Tiro e riesco a centrare l’anello più laterale, per sommo dispiacere del portiere. La Pluffa viene rimessa subito in gioco, sfreccia veloce verso la nostra area. Vedo Hugo smarrito, è stato messo in porta e non sa nemmeno lui cosa deve fare. Cerca di parare ma non ci riesce. Un goal pari, la partita è ancora tutta da giocare. Guardo in alto: sopra di noi Rose sta cercando il Boccino d’Oro, seguita dal figlio di Draco Malfoy. È bello come suo padre, se non di più. Il mento un po’ spigoloso, i lineamenti fini, la carnagione un po’ pallida, ma nemmeno troppo, i capelli che gli volano attorno al viso sottili come fili di lino e dello stesso colore del sole estivo.
“Kate! Svegliati!” mi urla Albus, con la mazza ha appena parato un Bolide che mi stava per colpire. Volo verso il centro campo e raggiungo Lily accerchiata da quattro ragazzi Verdi.
“Lily falla cadere!” le dico, mentre mi sposto direttamente sotto di lei. Forse perché in difficoltà o perché si fida di me, obbedisce e lascia cadere la Pluffa verso il basso, senza farsi vedere. I ragazzi le stanno ancora addosso e ho tutta lo spazio necessario per muovermi in libertà. Vado per la seconda volta verso la porta, ma non riesco a tirare. Un Bolide colpisce la mia scopa ed io, che non ho ancora imparato a stare bene in equilibrio, barcollo e cado. Riesco a tenermi attaccata al manico con una mano, la Pluffa mi è caduta appena ho sentito il colpo. Cerco di attaccarmi, ma il mio braccio è troppo corto ed il vento non permette alla scopa di stare immobile. Sento che sto perdendo la presa, le mie dita si allentano e scivolano ad una ad una. Perdo completamente la presa, mi sento cadere nel vuoto ed urlo. Ma la mia discesa è corta. Un miracolo, forse, fatto sta che un Verde ha avuto i riflessi pronti ed è riuscito a prendermi al volo. Lo guardo, è Scorpius Malfoy. Cerca di sollevarmi sulla sua scopa, vedo lo sforzo del suo viso, devo essere troppo pesante per lui.
“Grazie” dico. Non so dove mettere le mani, non ho un appiglio.
“Attaccati a me” sussurra lui. Com’è bello. I miei pensieri vorticano appena il suo profumo dolce arriva al cervello, la mia immaginazione naviga a tutta velocità. Incrocio le braccia davanti al suo stomaco e cerco di tenermi in sella meglio che posso.
“Preso!” urla la voce di Rose da oltre le nuvole.
Sento la scopa muoversi, Scorpius le ha tirato un pugno. Dev’essere amareggiato per la sconfitta, un gruppo di Serpeverde perdere contro dei ragazzini di Grifondoro e Tassorosso…dev’essere un’enorme delusione per lui.
“Tieniti” mi dice. Lo vedo dirigere il manico verso il basso e scendiamo ad una velocità impressionante. Nascondo il viso dietro la sua schiena per proteggermi dal vento che, gelido e forte, mi colpisce il viso con la forza di uno schiaffo.
“Potevi anche fare con calma” mi lamento quando mi fa scendere dalla scopa. Barcollo e lui mi sostiene. Non pensavo che un Serpeverde avrebbe mai potuto aiutarmi, eppure ero praticamente tra le braccia di uno di loro e non avevo paura.
“Grazie” sussurro. Sorrido, lui non ricambia. Appena riacquisto sensibilità nelle gambe mi libero delle sue braccia. I fratelli Potter toccano terra uno dopo l’altro ed esultano per la partita vinta, Hugo sta arrivando a corse, trascinando la scopa alle sue spalle, mentre Rose, l’ultima a scendere, mostra trionfante il piccolo Boccino.
“Bene, Malfoy. Noi abbiamo vinto, ora voi dovete fare la vostra parte!” dice loro con aria di sfida.
Il ragazzo guarda gli amici alle sue spalle. Si dirigono verso gli spalti e sfilano una scatola nascosta sotto una panchina. La porgono a Rose e lei la apre freneticamente.
Estrae un peluche con la forma di orsacchiotto e se lo stringe al cuore. Hugo la guarda a bocca aperta, sembra allibito, io rido tra me.
“Abbiamo fatto tutto questo per uno stupido peluche?!” urla poi alla sorella.
“QUESTO non è stupido!” esclama lei, passandogli l’orsacchiotto sotto il naso.
“Ci hai portati fuori con questo tempo, nel gelo più assoluto e con la sicurezza di farci ammalare per un orsacchiotto! Brutto per di più!” continua a gridare Hugo. Le sue guance sono rosse, i capelli ritti sulla testa.
“Tu non puoi capire” bisbiglia Rose. Prende Lily per un polso e la trascina al castello. Scorgo Scorpius seguirle con lo sguardo, non perde nemmeno uno dei loro movimenti. Hugo mi prende per mano e seguiamo le due ragazze, con la speranza di arrivare presto in un posto caldo.
Viaggio nei sotterranei, sono sola. Hugo ha un brutto raffreddore ed ha preferito rimanere a letto, al caldo. Dovrei andare all’aula di pozioni, ma una scena mi trattiene in corridoio. Un gruppo di ragazzi urla ed esulta in cerchio, poco più avanti rispetto a dove mi trovo. Una mano rosea sporge vicino ad una scarpa.
Cosa sta succedendo? Stanno picchiando un ragazzo? Cosa devo fare?
La paura ha preso il sopravvento, occupa completamente il mio cervello che impedisce ogni minimo movimento.
“Ora!” urla una voce all’interno del gruppo “cos’hai da dire in tua difesa?!”
La mano si muove leggermente. Tutti ridono e poi sento il suono di qualcosa di duro che picchia contro il muro. La mano si gira e resta ferma.
“Sei solo un bamboccio. Cosa pensavi di fare? Venire a origliare le nostre conversazioni! Non avresti dovuto!” grida ancora qualcuno. Una bacchetta si alza verso l’alto, non so perché, ma sento di muovermi. Sto correndo verso il gruppo.
“NO!” urlo. Riesco a distrarre l’attenzione dei ragazzi che si voltano nella mia direzione. Si apre un varco e vedo una ragazzina poco più grande di me a terra. È piena di lividi, alcuni capelli sono stati strappati e dal labro perde sangue.
“Cosa…” non riesco a trovare le parole, mi avvicino alla ragazza immobile sul pavimento. Loro mi guardano, un po’ allibiti e probabilmente chiedendosi se fossi pazza. Credo di si, sono pazza se penso di tener testa ad un gruppo di Serpeverde da sola. Posso anche aver letto tutti i libri della saga e sapere più incantesimi di loro, ma non ho mai imparato ad usarli veramente.
“Che vuoi? Fare la stessa fine della tua amica?” mi dice il ragazzo più grosso. Deve avere 15 anni a contare dall’altezza, gli occhi iniettati di odio. Estraggo la bacchetta presa da un momento di coraggio. Cosa penso di fare? Schiantarne uno può andare, ma 6 sono troppi anche per un mago più esperto di me. Sento un tocco sulla caviglia. La mano della giovane si muove alla cieca, cerca qualcosa a cui aggrapparsi.
“Povera stupida” dice il ragazzo di prima. Alza la bacchetta, ma lunghi anni di lettura mi hanno abituata a quel genere di atteggiamenti da parte dei Serpeverde, quindi reagisco istintivamente. Muovo la bacchetta, un raggio giallo esce dalla sua punta ed immobilizza il mio avversario. Tutti gli altri, nello stesso momento in cui il loro amico cade a terra, estraggono le loro bacchette, pronti ad attaccarmi. Ora sono veramente nei guai. Ho cercato di proteggere una ragazzina e mi sono cacciata nei pasticci anche io.
“Non ci pensate nemmeno!” urla una voce maschile, acuta ma sicura. Tutti abbassano le bacchette e, piano, si dissolvono. Mi guardo attorno ma non c’è più nessuno. Aiuto la ragazza ad alzarsi, la trascino fino in infermeria.
“Grazie” riesce a dirmi, prima che io sia costretta a lasciare la stanza.
Dove ho preso il coraggio di mettermi in mezzo per proteggerla? Non sono mai stata coraggiosa, non ho mai avuto nemmeno la forza di controbattere alle offese dei miei compagni! Mi sto fortificando, Hogwarts mi fa bene, è una medicina potente per la mia personalità.

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Capitolo 5
*** Love ***




 

Mi sveglio con un enorme mal di testa, ho freddo e mi fanno male le ossa. Ogni minimo rumore sembra come un martello pneumatico e la luce che filtra dalle finestre è accecante. Non riesco ad alzarmi, a malapena a muovermi.
“Stai bene?” mi chiede Anastasia. Un gorgoglio significa no e lei sembra capirlo.
“Vado a chiamare la professoressa Parkinson!” dice prima di lasciare la stanza. Torna 5 minuti dopo con l’insegnante di Incantesimi, nonché nostra Direttrice. Mi mette la mano sulla fronte.
“Ma tu scotti! Sarà meglio portarti in infermeria. Riesci a muoverti?” mi domanda. Ha un atteggiamento materno, quasi protettivo. Scuoto la testa, piano. Sento come se il cervello sbattesse da ogni parte all’interno del mio cranio. Mi prende in braccio e saliamo verso l’infermeria, poi mi posa sul letto. La voce di un’altra donna si aggiunge nella stanza. Sento il mio braccio sollevarsi e un ago infilarsi sotto la pelle. La pressione di un liquido appena iniettato e poi più nulla. Sono sveglia o, per lo meno, sento le voci che mi circondano. Ma il dolore è sparito e non riesco ad aprire gli occhi. Pian piano, ricado nel mondo dei sogni.
Quando mi sveglio, è mattina. La professoressa Jemina Parkinson è accovacciata ai piedi del mio letto intenta nella lettura di un grosso volume. Perché è rimasta con me per tutto questo tempo? Non ha lezione oggi?
“Ti sei presa una bella influenza” dice senza guardarmi. La sua voce è dolce, rassicurante.
“A quanto pare!” concordo. Cerco di alzarmi, faccio fatica.
“Aspetta, ti aiuto!” esclama e, lasciato il suo libro sulla sedia, mi solleva delicatamente. Dolci boccoli le ricadono lungo la schiena, sono appuntati alla nuca con un piccolo fermaglio a cuore. È una donna molto graziosa e, nonostante sembri stanca, i suoi occhi sprizzano passione e voglia di fare.
“Perché è rimasta con me?” le chiedo, curiosa.
“Sei una mia studentessa, sei sotto la mia tutela. E poi, ogni ragazza anche ad Hogwarts deve sentirsi amata come a casa, dalla propria famiglia. Ho pensato che ti facesse piacere. Le nate babbane di solito preferiscono avere accanto una figura materna” risponde. Una figura materna… penso a mia madre, non l’avevo mai fatto prima. Ero molto piccola quando ci abbandonò, ma ricordo perfettamente i suoi occhi verdi pieni di lacrime, la sua voce roca e sempre incrinata dal pianto a causa dei litigi con papà. Ci lasciò con un solo biglietto: tornerò. Giuro che tornerò. Ho bisogno di ragionare
Ma non è più tornata. Mi ha lasciata sola con papà. Non era con me quando ho iniziato la scuola, non mi ha dato consigli su come fare per uscire dalla timidezza, non c’era quando, per la prima volta, ho avuto il ciclo e sono svenuta alla vista del sangue.
Guardo la professoressa Parkinson, il mio cuore le è grato per quello che sta facendo. Si sta sostituendo alla madre che, praticamente, non ho mai avuto. Mi stava dando quel tipo di amore che solo la donna che ti ha partorito e visto crescere può darti.
Per la prima volta, da quando sono nata, mi sento completa. Hogwarts mi ha aiutata a fare un grande passo che non sarei mai riuscita a compiere da sola, mi ha dato cose che non possedevo, mi ha aiutata a crescere.
“Questa era sul tuo comodino. Credo sia della tua famiglia!” dice l’insegnante “ti lascio sola, ti passo a trovare più tardi”. Detto ciò, chiude la porta alle sue spalle.
La lettera è da parte di mio padre. È la prima che ricevo da quando sono partita.
Cara Kate. So che sembra formale e, anzi, forse lo è. Non sono mai stato un padre modello, ne sono consapevole, ma ho sempre fatto il meglio che potevo e so che tu lo comprendi. Forse avrei potuto fare di più, lo capisco ora che tu sei lontana da me e ti giuro che se tornerai da me, ti darò tutto l’amore e l’affetto di cui necessiti. Mi manchi, mi manchi tantissimo. I tuoi libri sparsi per casa, il tuo dolce canto quando fai la doccia, le tue urla quando prendi un buon voto.
Sono passati alcuni dei tuoi amici, dicono che si sente la tua mancanza. Ci sono i tuoi zii. È passata anche tua madre. Vuole vederti, vedere i tuoi splendidi occhi color smeraldo brillare di nuovo, il tuo sorriso riaccendersi di fronte a lei. Ti prego, torna presto tra di noi.
Papà.
Chiudo la lettera. Non ho più pensato a mio padre e mi sorprendo a piangere per quelle poche righe. Mi manca, voglio rivedere il suo viso, sentirmi stringere tra le sue braccia forti, essere consolata come al solito dalla sua voce e richiamata dai suoi occhi smeraldini.
“Sei pronta!” mi dice la voce di Hugo.
“Pronta per cosa?” chiedo. È strano, sembra diverso.
“Per tornare indietro. Sei cresciuta, non hai più bisogno di noi”. È sempre più ambiguo, non riesco a capirlo.
Si siede vicino a me, mi prende la mano. Si avvicina al mio viso e mi bacia dolcemente.
“Torna dal tuo papà, ci rivediamo nei tuoi sogni” mi sussurra.
I miei occhi si chiudono, il cervello si svuota. L’unico che rimane completamente colmo di gioia e sicurezza è il cuore. Sembra che lui sappia cosa fare, mi dice di seguirlo. Così mi lascio andare e tutto quello che mi circonda sparisce. Il mio corpo perde sensibilità, rimango da sola in un limbo buio e silenzioso, vuoto ed infinito.
Una porta si apre ed una luce sottile cancella il nero. La seguo.

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Capitolo 6
*** Sveglia ***




 

Bip. Bip. Bip. Bip. Questi sono gli unici rumori che riesco a sentire intorno a me. Muovo il mignolo con successo, poi anche le altre dita. Prima una mano, poi l’altra. Cerco di aprire gli occhi, ma non mi risulta facile. Sembrano incollati. Non so dove mi trovo. Le mie dita si chiudono attorno a qualcosa di morbido, probabilmente una coperta o un lenzuolo. Riprovo ad aprire gli occhi e le mie pupille vedono un piccolo spiraglio di luce. Li sbatto per abituarmi e poi mi guardo intorno. Sono in una stanza, mio padre sta dormendo ai piedi del letto, due piccoli fiori viola sono posati sul lenzuolo. Un monitor accanto a me forma linee regolari, su e giù, su e giù, continuamente. Un ago è inserito nel braccio ed un liquido cala al suo interno, goccia a goccia. Tanti fiori, pupazzi e lettere sono posati per terra. Apro bocca, ma non esce nessun suono. Perché mi trovo qui? Perché non sono ancora ad Hogwarts con Hugo? Ricomincio ad avere paura, ma il mio cuore mi dice di stare calma, mi invita a respirare ed a non agitarmi.
“Jef” sussurro. Un bisbiglio che arriva al suo orecchio come il canto di un uccellino: cristallino, ma troppo lontano per farlo svegliare.
“Jef” dico un po’ più forte. I suoi occhi si aprono di scatto. Mi vedono, mi scrutano e mi studiano. Poi l’abbraccio e le lacrime.
“Kate, o Kate. Sei sveglia, finalmente!” la voce rotta dal pianto di gioia e paura mescolate insieme.
“Mi fai male” mi lamento. Ma non voglio che mi lasci. Mi mancavano i suoi abbracci.
Mi molla, esce dalla stanza e rientra con una donna vestita di bianco: un’infermiere. Quindi sono in ospedale. Perché? Cosa è successo?
Un ricordo galleggia leggero nella mia mente, ci impiega un po’ di tempo prima di mostrarsi completamente: l’incidente.
Non mi sono svegliata, dopo l’incidente, sono stata portata in ospedale. Non sono mai andata ad Hogwarts, ho vissuto l’avventura solo nella mia testa. Com’è possibile? Sembrava tutto così reale. Beh, sempre che si possa chiamare “reale” far parte della tua storia preferita, incontrare i figli dei tuoi eroi e frequentare una scuola di magia.
La luce di una pila controlla i riflessi dei miei occhi.
“Beh, sembra che tu stia bene. Ma gradiremmo che restassi un’altra notte” dice l’infermiera. Annuisco, piano e, quando ci lascia soli, chiedo a mio padre cosa sia successo.
“L’incidente” bisbiglia, la voce è poco più di un tremito che un soffio di vento avrebbe potuto portare via.
“Mi sono svegliato in ospedale e tu eri qui, distesa, come morta. E credo che sei morta davvero, perché il tuo cuore ha smesso di battere e i dottori l’hanno fatto riprendere con i defibrillatori” piangeva. Grosse lacrime salate scendevano dai suoi occhi e, come pioggia, cadevano sulle lenzuola.
“Una scheggia di vetro conficcata in un’arteria. Non lasciava il passaggio del sangue e il cuore si fermava. Questo è quello che hanno detto i dottori. Ti hanno portata via da me, in sala operatoria. Dovevano toglierti la scheggia. Ma quando sei tornata qui non ti sei svegliata. Sua figlia è in coma, signore. Pensavo volessi morire e lasciarmi da solo. Pensavo che non volessi più tornare da me”. I singhiozzi non gli permettono di parlare, cede e nasconde il viso.
Alcuni ragazzi bussano alla porta, una di loro tiene un peluche a forma di orso in braccio. Sono i miei compagni di classe e ci sono anche i miei due amici d’infanzia, entrano un po’ intimoriti e si avvicinano al letto.
“Sono contenta che tu ti sia svegliata!” dice Janette Prince. Mi porge l’orsetto e mi prende la mano. È identica a come l’ho vista ad Hogwarts, i capelli raccolti, gli occhi ombrati. Suo fratello si avvicina e, col suo modo giocoso, esclama “Ci sono mancati i tuoi racconti ed i tuoi suggerimenti, a scuola!” mi sorride ed io lo ricambio.
“O si, ci è mancato il tuo Harry Potter” dice beffardo Robert Iurs, il suo tono di voce mi faceva innervosire “cosa ha fatto il tuo eroe per riportarti indietro?” mi chiede poi.
“Tanto! Molto più di quanto non abbia fatto tu, stanne pur certo!” rispondo. Lui rimane basito, non avevo mai avuto il coraggio di rispondergli. Faccio un sorriso malizioso e poi guardo i miei amici d’infanzia. Helena Maureen tiene un libro tra le mani. Normale che l’abbia messa in Corvonero, la sua mente è sempre aperta alle novità, legge e discute con i maestri di teorie complicate. La saluto e lei mi si avvicina.
“Avevo paura di perderti. Ogni giorno, venivo in ospedale e ti facevo compagnia. Su Internet ho letto che i malati in coma sentono tutto quello che succede accanto a loro” spiega.
“Ti sentivo. Ti ho vista, in sogno” le dico. Lei sembra contenta, mostra i suoi denti perfetti.
L’ultimo del gruppo è Kevin Mandley. “Quando venivo a trovarti, lui era sempre qui. Ti teneva la mano, ti leggeva storie. Usciva quando qualcuno di noi arrivava e poi riprendeva posto al fianco di tuoi padre” bisbiglia Helena. Lo guardo, lui arrossisce leggermente. Possibile che possa provare qualcosa per me?
“Cos’hai sognato?” domanda Janette.
“Ho vissuto un’avventura fantastica. Sono andata ad Hogwarts ed ho incontrato tanti amici e ho visto tutti voi e ho provato sentimenti che pensavo non mi appartenessero” dico, entusiasta di poter raccontare a qualcuno la mia esperienza ultraterrena.
“Ancora con Harry Potter. Ma cresci!” urla Robert.
“Si, l’ho fatto. Sono cresciuta! E sono cambiata” esclamo. Lui tace e si rifila in fondo al gruppo.
“Vai avanti” mi prega Janette.
“Ho imparato cosa vuol dire avere un’amica, ho vinto la timidezza, sono diventata coraggiosa e poi, ho scoperto cos’è l’amore di una persona che ti vuole veramente bene!” spiego.
“Dev’essere stato fantastico!” esclama Helena.
“Si, lo è stato” rispondo.
Entra mio padre ed i miei amici escono. È seguito da una donna famigliare: la professoressa Parkinson. Allora non è stato tutto un sogno!
“Kate, lei è…” inizia mio padre
“Tua madre” finisce la donna.
Come ho fatto a sognarla se non me la ricordavo nemmeno? Possibile che la sua immagine datata a 9 anni prima fosse ancora sigillata nella mia mente e il coma l’avesse fatta uscire?
Ha gli occhi verdi, come me e mio padre. I boccoli biondi le ricadono sulle spalle, sono spillati con una molletta a forma di cuore.
“Sono contenta di rivederti” dice lei.
Ricordo della lettera di mio padre. Deve avermele dette, quelle parole, in un momento di debolezza o sperando che io davvero le sentissi e tornassi indietro. Beh, ha funzionato. Ricordo la frase su mia madre.
È passata anche tua madre. Vuole vederti, vedere i tuoi splendidi occhi color smeraldo brillare di nuovo, il tuo sorriso riaccendersi di fronte a lei.
Le sorrido. Un sorriso dolce che racchiude un enorme ringraziamento per quello che lei ha fatto per me, anche se non può saperlo. L’ha fatto nel sogno: mi ha amata.
Mi abbraccia e mio padre fa lo stesso. Mi sento di nuovo parte di una famiglia, non voglio più lasciare questa bolla di calore e perfezione.

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