La storia.

di Emerson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


‘Ciao!’
Presi il mio zaino in spalla e uscii dall’aula.
Ero totalmente rincoglionita dal mal di testa, nelle ore precedenti si era tenuta l’assemblea d’istituto e non era stato tutto poi così silenzioso, qualcuno mandò anche affanculo la rappresentante e io avevo una voglia estrema di mettermi delle dannate cuffie ed estraniarmi da tutti quei coglioni che mi davano ai nervi, mi sembrava però sempre troppo maleducato allora mi ostinavo a non metterle, o a leggere. Dio quanto avrei voluto mettere le cuffie, aprire il mio libro e leggere. Non sentire tutti quei brusii e quella stancante, noiosa e fottuta assemblea d’istituto. Starmene in pace.
Attraversai velocemente il corridoio, mentre le mie mani cercavano di sfilare i fili delle cuffie incastrate tra loro, nonostante l’opprimente mal di testa non riuscivo a rinunciare alla musica, alle cuffie, al mondo silenzioso che si ricreava nella testa con una estrema colonna sonora che ti portava ovunque, nonché fuori dalla sporca realtà. Dove a renderla sporca contribuivo anche io.
Attraversato il grande arco che costeggiava l’entrata e adesso l’uscita, mille piccolissime pietre di ghiaia finirono sotto le mie suole, osservai per un attimo quelle piccole pietre che saltavano all’impatto. Cercai un piccolo posto tra la folla che dava calore quasi quanto quel sole che nel dì splendeva in un modo assurdo, mi scostai ancora un altro po’ e poi riuscii ad uscire.
Ancora un po’ e potrai mettere le cuffie, solo un altro po’.
Abbassai la testa, per evitare di inciampare tra tutte le scarpe, scesi gli scalini..
‘BUONGIORNO MARTI!’ Mi chiesi chi era l’idiota che mi gridava il buongiorno alle dodici e mezza. Amplificando di gran lunga il mal di testa. Amplificò anche il mio nervosismo.
Mi girai, e, il mio respiro si fermò. Leonardo, era davanti a me, con il suo solito, largo, e bellissimo sorriso. Inutile dire che cercai di rimangiarmi l’ultimo aggettivo che gli avevo attribuito.
‘Buongiorno’ risposi sgarbata, e frastornata.
Ride. E il suo sorriso si allarga ancora, e i suoi occhi si infittiscono, le guance si sollevano, e io perdo un altro respiro, un altro battito.
Senza aspettare altro mi giro, e continuo a camminare.
‘Aspetta, dovrei venire a mangiare a casa tua oggi, tuo fratello mi ha detto che esce all’una, quindi dovrei venire solo… e potremo andare insieme!’
E’ una cattiva idea, è una cattiva idea.
‘Okay, va bene.’ Avevo l’amaro difetto di essere timida, e avevo paura sbagliassi e sembrassi stupida qualsiasi cosa dicessi. Così molte volte mi limitavo all’indispensabile.
Sorrise di nuovo, un altro battito andato via.
Mi scrollai da quel sorriso e incominciai a camminare, senza aspettarlo.
‘Dove vai?’
Mi chiesi se mi prendeva in giro. ‘A casa?’
‘A piedi? Ho la vespa, sali!’
Presa anche dall’imbarazzo andai verso di lui, mi bloccai, davanti la vespa.
‘E se ti dico che non mi fido?’ Dissi, guardandolo negli occhi. Quanto è bello.
Rise quasi di gusto, alzò un sopracciglio, e arricciò le labbra, diventando buffo. Pensai che dopotutto mi divertiva.
‘Eddai, ma sei tremenda. Fidati, prometto che non vado veloce.’’ Si mise una mano sul cuore, che stupido. Questa volta risi anche io.
‘Quello tremendo sei tu. Mi fido, ma se perdo qualcosa, abbi la decenza di tenermi sulla coscienza per la vita.’ Dissi, sorridendo. Incominciavo ad essere felice come una pasqua.
‘Offerta accettata.’ Si sedette allora sulla vespa, spinse in avanti facendo scattare il cavalletto e introdusse le chiavi nella serratura ormai rovinata e trasandata. Si tolse il casco che teneva sul braccio e me lo porse.
‘Mettilo.’
‘E tu?’
‘Quante storie, mi terrai sulla coscienza anche tu. Mettilo!’
Feci una smorfia e misi il casco.
La moto tossì, e partì. Il mio cuore no.
Tutto, tutto era fermo, ma allo stesso tempo sembrava tutto girasse intorno a noi.
Il suo profumo sembrava mi confondesse, e a me piaceva. Piaceva quella confusione, piaceva lui. Era la prima volta che lo dicevo, e forse mi spaventai, non perché non volevo provare sentimenti, né perché me ne volevo stare solo e soltanto per i cazzi miei, senza problemi, anche perché sapevo benissimo che i problemi arrivavano comunque, ma perché sapevo sarebbe stato una merda, insomma, lui è uno degli amici più stretti di mio fratello Riccardo, e non sarebbe potuto mai succedere niente. Non volevo aspettare, non a lungo, come ho sempre fatto, perché nel mentre non mi rendevo conto che intanto che aspettavo, lui viveva la sua vita, senza di me, comunque sia.
Mi distrassi da pensieri inutili e mi accorsi in tempo che non stava prendendo la strada giusta, la direzione giusta, casa mia! Entrai in confusione e le mani presero a tremare leggermente.
‘Lo sai che dovevamo scendere per andare a casa mia, vero?’ Urlai, cercando di farmi sentire tra tutto il frastuono, mentre l’aria ci spostava i capelli e ci dava freschezza.
‘Si.’
‘Allora torna indietro..!’
Mosse il capo da una parte all’altra mentre rideva divertito. ‘No.’
‘E’ uno scherzo?’
‘No.’
‘Fammi scendere.’
‘Eh va bene.’
‘Davvero?’ Non pensavo sarebbe stato tanto facile, meglio così.
‘Si, siamo arrivati.’
Spense il motore e scese. Mi guardò ridendo: ‘Tu non volevi scendere?’
‘Sei uno stronzo!’
‘Sei piccola per dire queste parole, sai?’
‘Sei grande, eppure sei un idiota, sai? Mentre io ho quindici anni, e sembro molto più intelligente di te.’
‘Sembri.’ Disse ridendo. Io feci una smorfia.
‘Scendi, o ti prendo in braccio.’
Scesi in un attimo, mai stata più agile.
Si avvicinò, e tese le mani sul cinturino del casco mentre mi guardava fermamente negli occhi. Credevo fermamente che a poco sarei ceduta, tutto dentro di me era in subbuglio, metteva in subbuglio tutto, con quel verde accesso. Pensai quanto fosse stato dolce quel gesto.
Me lo sfilò e io, se pure a scatto ritardato, mi affrettai ad aggiustare i capelli arruffati ed elettrizzati.
Fece qualche passo e aprì un piccolo e basso cancello, seguito da un corto viale, poi da qualche gradino e infine da un grande portone marrone scuro.
‘Prego signorina!’ Allungo un braccio con tanto di mano composta facendo poi un piccolo inchino, io lo guardai storto mentre mi sfuggiva un sorriso a labbra chiuse.

Mi fermai sull’entrata, quando ormai la porta era già stata aperta e spalancata.
La casa era molto bella. Un grande salone ben arredato era dinanzi a me, due divani di pelle neri formavano un angolo mentre davanti loro, al muro, era sistemato un grande televisore a schermo piatto. Dietro i divani era posta una grande cristalliera, e intorno varie piante.
‘Entra, su.’ Mi disse allargando un sorriso.
Lo guardai storto, come per ricordargli che era stato ingiusto.
Roteò gli occhi: ‘Eddai, sono solo, vuoi farmi mangiare solo?’
‘Ecco, non volevi mangiare in solitudine, adesso capisco tutto, sembrava strano!’ Dissi con espressione ovvia e sarcastica.
‘Non ho detto questo, non fraintendermi.’ Rispose serio, come ad evidenziare che non gli piaceva pensassi questo neanche sarcasticamente.
Lo ignorai, feci un sospiro arreso, ed entrai.
‘Permesso.’
‘Ma se ti ho appena detto che non c’è nessuno!’ Disse ridendo.
Lo guardai e risi, mentre seguivo i suoi passi. Entrammo nella cucina, i mobili erano di un bianco candido, era sistemata tutta su una parete, e davanti, era sistemato il tavolo, di un chiaro legno beige.
‘Hai una bella casa.’ Ammisi. Lui si girò, e mi sorrise: ‘Grazie.’ Ammiccò sorridendo a labbra chiuse.
Osservai un altro po’ intorno mentre lui tirava fuori una pentola che riempì d’acqua e posò sul fuoco.
Bip, bip, bip, bip.
‘Mh, il telefono.’ Come avvisato presi il mio telefono: ‘’Mamma’’ 
‘Ciao mamma.’
‘Martina, mi ha chiamato tuo fratello, come mai non sei ancora a casa per mangiare?’ Oh, merda. Me n’ero completamente dimenticata.
‘Mh, si, ecco, mangio da Carolina! Mi sono dimenticata di chiamarti, scusami.’ Leonardo si girò, soffocando una piccola risata. Arrossii.
‘Quando pensavi di chiedermelo?’ ‘Mh, adesso. Posso?’ ‘Va bene, ormai ci sei. Ma torna subito.’ ‘Okay, ciao mamma.’
Schiacciai il piccolo bottone rosso, e un po’ di ansia svanì.
Sentii subito dopo la risata di Leonardo. ‘E così mi chiamo Carolina, eh?’
‘Simpatico, vuoi per caso che la richiami e le dica che sono qui?’
Il sorriso gli morì, di colpo. Io risi. ‘No.’ Disse secco.
‘Ti piace pasta e tonno?’
‘Potrei vivere solo di pasta e tonno, non potrei vivere senza!’ Dissi immediatamente, tanto da non rendermi subito conto della frase idiota.
‘Oh.’ Disse fingendosi sbalordito. Avanzò verso di me, erano pochi metri quelli che ci dividevano e adesso erano ancora di meno. Arrivò a poco, pochissimo da me.
Le gambe incominciarono a tremare, e il cuore a scalciare e martellare contro la gabbia toracica, la cucina sembrò incominciare a girare.
Nel panico appoggiai una mano sul tavolo, e una sul davanzale, deglutii forte quando a poco i nostri nasi potevano sfiorarsi e feci un passo indietro. Lui fece un passo in avanti.
‘E potresti vivere senza di me?’ Disse piano. Feci di nuovo un passo indietro. Mi ripetevo di scappare, ma nessun muscolo aveva la forza di muoversi. Mise una mano sulla mia schiena impedendomi di fare un altro passo allontanandomi così da lui. Fece un passo in avanti. Chiuse gli occhi, si avvicinò. I nostri nasi si ormai sfioravano, chiusi gli occhi anch’io.
‘A-assolutamente s-si.’ Dissi con poco fiato e sminuzzando e balbettando le parole. Mi mancava l’aria. Mi venne in mente che forse lui era il mio ossigeno.

                          
                                                                    ‘’Tu sei il mio ossigeno, potrei mai vivere senza ossigeno?’’


‘Davvero?’ Disse, avvicinandosi. Sentivo il suo respiro soffiare su di me.
‘P-probab..’ Deglutii. Le parole mi si spezzarono in gola quando aprii gli occhi e vidi i suoi a pochissimi centimetri da me aprirsi, sfoggiare così i bellissimi e caldi occhi verdi che mi lasciarono senza fiato. Cercai di deglutire nuovamente per prendere un minimo di forza. Si avvicino ancora di più.
Adesso anche le nostre bocche si sfioravano.
Ero sicura, ero sicura della mia instabilità, ero sicura che a poco sarei potuta cadere, le mia gambe non avrebbero potute resistere ancora per molto.
Si avvicinò ancora, ancora un altro po’.
Abbassò e rialzò lievemente il capo facendo toccare il suo labbro inferiore con il mio.
La mia mente sembrava offuscata, un brivido percorse tutto il mio corpo.
Chiusi gli occhi, chiuse gli occhi. Poi soffici labbra si posarono leggere sulle mie, circondai anch’io la sua schiena con il mio braccio.
Fece schioccare un bacio, un piccolo bacio sulle labbra. Un bacio soffice, ingenuo e leggero.
Fu il più bello, il più bello di sempre. Non avevo mai baciato nessuno, ma ero sicura, ero sicura quello fosse il più bello.
Ci allontanammo di poco, e tutti e due sorridemmo, sorrisero gli occhi, sorrise la bocca. Ripetei a me stessa di non aver mai visto tanta bellezza.
Mi distrasse un leggero rumore, anche se difficilmente spostai lo sguardo e vidi l’acqua bollire forte e subito dopo, dietro Leonardo, l’acqua bollente incominciare a scendere, molto probabilmente a pochissimi metri da lui.
‘Cazzo!’ Dalla mano che avevo ancora dietro la sua schiena lo spinsi subito contro di me, e come a  reazione a catena inciampammo tra i nostri piedi bloccati tra il poco spazio che era presente tra il tavolo e la cucina, perdemmo equilibrio e cademmo all’indietro.
Il suo viso era confuso, e forse un po’ divertito. Il mio solo divertito. Scoppiai in una fragorosa risata. ‘Ma che..’ Girò lo sguardo verso di me e sorrise. Pensai che forse sorrideva per la mia felicità e la mia risata. Poi guardò verso la pentola, guardò l’acqua, e scoppiò a ridere anche lui.
Si alzò veloce e spense il gas, poi tornò e mi tese la mano e guardandomi mi disse divertito: ‘Alzati mia eroina.’ Presi la sua mano che notai fredda. Anche con il mio aiuto mi tirò su di peso dalla mano, di slancio finii a poco da lui e veloce mi diede un altro piccolo bacio, che fece saltare il mio cuore. Ancora con le mani unite si allontanò, sorrisi mentre le mie guance prendevano un colorito quasi porpora, sorrise guardando le mie guance.
‘Hai delle mani fredde.’
‘Oh, scusami.’ Adesso quello che arrossì fu lui.
‘Ma non ho mai detto mi diano fastidio.’ Dissi allargando un sorriso.
‘Allora grazie, mia signorina.’ Scherzò con tono nobile.
‘Mi sa che è meglio un panino per pranzo.’ Dissi ridendo.
‘Oh, bhè, lo credo anch’io.’ Disse ridendo. ‘Sicura che non vuoi la pasta?’ ‘Sicura.’ Dissi sorridendo.
‘Tu?’ ‘Sicuro.’ Disse ridendo.
‘Allora vada per il panino.’
‘E per un altro bacio?’ Finii sorpresa e spiazzata da quella domanda. Alla fine sorrisi:
‘Vada per un altro bacio.’
Mi avvicinai, e si avvicinò, un altro soffice bacio mi venne stampato sulle labbra. Mi sembrava di essere leggera, come una piuma, senza alcun pensiero tra la testa affollata, adesso affollata da lui.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


‘Livino, Livino! Sta ascoltando la lezione?!’ Le urla della Morvani mi scrosciarono via da tutte le mie solite fantasie, anche se quella volta nella mia mente si ripeteva, e ripeteva quel bacio inaspettato del giorno prima. Ci misi un po’ per mettere a fuoco quelle parole, o meglio urla.
Scattai all’attenti, mentre presa ancora dal mio viaggio mentale mi toccai le labbra e sorrisi, quando ancora le strazianti riprese della professoressa rimbombavano nelle mie orecchie. Sentii Giada di fianco a me sussurrarmi un veloce ‘vuoi rispondere o no?’ fu allora che spalancai gli occhi e mi resi conto della situazione.
‘Ma certo prof, m-mi scusi.’
‘Si, certo. Livino, le conviene stare più attenta, se non vuole vacanze inaspettate.’ Disse con acido tono.
‘Ma magari, una vacanza.’ Sussurrai tra me e me.
‘Prego?!’ Mi fulminò con lo sguardo, seppure attraverso i suoi occhiali spessi e rotondi, appuntiti sull’angolo superiore. Molte volte mi ritrovavo a pensare le appartenessero, erano terrificanti anche quelli.
Io spalancai gli occhi, e forse incrinai le sopracciglia.
‘Nulla.’ Mi dissi che probabilmente non lo avevo detto poi tanto ‘tra me e me.’
Mi guardò severa –credetti che a poco avrebbe abbaiato, o ringhiato- poi si girò verso la classe, e proseguì con sua solita voce stridula: ‘Il sistema solare, quindi, è un insieme di corpi celesti che gravitano int..’
Di grado in grado la lezione e quel fiume interminabile di parole si andò sfumando, fino a non lasciare traccia.
Ero di nuovo nel mio mondo, tra i miei pensieri. Tra quel bacio, quel sorriso, quel verde smeraldo che brillava nei suoi occhi, e intanto faceva brillare tutto questo mondo.
Finii dopo una manciata di minuti strappata di nuovo via da Leonardo dal suono stridulo e meccanico della campanella, che in compenso dava a tutti un grande sospiro di sollievo.
‘A cosa pensavi questa volta, bella sognatrice?’ Disse Giada ridendo, io mi girai e sorridendo le dissi: ‘Al mio mondo perfetto.’ Ammiccai, Giada tirò un lungo ‘uuh’ e poi prese a farmi il solletico. Risi a crepapelle, e dimenandomi, caddi anche dalla sedia.  Giada è una ragazza solare, la tipica ragazza che va d’accordo con tutti, e i ragazzi le sanno volere bene. E’ una ragazza spontanea e sa comportarsi, anche se a volte esagera con i pregiudizi, ma alla fine nessuno fa a meno di giudicare, giusto? Quindi si può sopportare.
I suoi capelli sono lunghi e castani con sfumature che degradando finiscono sul biondo. Gli occhi vanno sul castano chiaro ma a volte appaiono verdi e la bocca di un rosa molto scuro. Si vestiva semplice, camicette e cardigan, magliette e cardigan, e tante volte usava la sciarpa. Il suo fisico non era mai stato tanto male ma ricordo di una volta in cui la presero in giro per le sue cosce, adesso so frequenta la palestra.
Sa studiare e prende ottimi voti, quello che non riesco a fare io. Probabilmente è una delle cose che più detesto di me stessa. Giada ha una relazione a distanza, lei ne è felicissima. Ogni giorno mi racconta delle lunghe telefonate, e di quanto non stia nella pelle per l’estate e per i tre mesi in cui potrà vederlo, nei primi tempi mi stancavo, ma non facevo parola per la luce che splendeva nei suoi occhi e il sorriso che mostrava solo al suo nome. Giada è innamorata, eccome. Penso lo sia anche lui, o almeno si capisce che le vuole molto bene. Si può dire che stanno insieme, anche se il suo ragazzo (Roberto) agli altri dice di no, ma questo ancora non ho avuto il coraggio di dirglielo.
‘Vuoi qualcosa al bar?’ Mi disse mentre in mano faceva saltare tante monete dorate. ‘No Giada, grazie’ ‘Va bene.’ Sorrise a andò via.
Io chinai il capo giacchè non sapevo a chi rivolgere parola, quando non ero mai stata in buoni rapporti con quasi metà della classe.
Sentii ridere poco lontano da me e mi ripromisi di non girarmi, quel gruppetto di stronze non stavano parlando di me, dovevo solo convincermi di questo.
‘..già, magari sognava qualcuno la contasse..’  delle risate arrivarono dritte al mio udito.
‘Ma scherzi? Neanche nei sogni.’ La scena si ripete.
Come non detto mi girai, e come non detto mi guardavano, ridendo.
Carolina dice di rispondere, reagire. Dice che non lo merito. Forse ha ragione, ma ormai sono quasi abituata, mi ripeto posso conviverci. Che convivenza di merda, pensai poi tra me e me.
Decisi di prendere le cuffie e dare una sana colonna sonora, poteva consolarmi.
Chiusi gli occhi e lasciai tutto al suo posto, io me ne andai, ma solo mentalmente.
Sentii picchiettare poco dopo sulla mia spalla e aprii gli occhi, dinanzi a me Giorgia, Fabiola e la  regina, Adriana. Adriana era famosa, sembrava tutti la invidiassero, con quel fisico perfetto, gli abiti firmati e il composto viso fresco, apparentemente innocente, che tutti amavano.
Non era famosa solo Adriana, lei era famosa con le sue avventure, la gente fremeva quasi di ascoltare le sue piccole storielle, storielle di cuori spezzati altrui, e la sua inesistente e chissà, provocante pietà. Era una stronza, una fottuta e bastarda stronza. Fui suo bersaglio solo una volta, ma me la cavai con poche battute disprezzanti, da parte sua. Erano i primi mesi di scuola, quella volta era sotto le sue ridicole coglionate.. mi sembra si chiamasse Maria, fa parte, sempre se ricordo bene, del quarto ginnasio, sezione C. Era una ragazzina minuta, con degli occhiali rotondi che la rendevano graziosa, fragile e delicata. Erano degli occhiali rosa, me lo ricordo bene perché stranamente mi ricordavano insieme ai suoi capelli biondi, un grande prato con fiori rosa accecati da un forte sole, mi rendo conto che è strano, però mi dava questa sensazione. Ho sempre pensato che, con solo un po’ di accortezze poteva mostrare la sua bellezza, ma non lo faceva. Si nascondeva sotto pesanti maglioni, larghi jeans e un quasi imponente e soffocante piumino verde. Ci trovavamo in uno spogliatoio, lei si stava cambiando per l’ora di educazione fisica e ricordo la umiliò così tanto che in pochi risero: ‘anoressica, sfigata, cesso,’ probabilmente tutte le altre cose le mia memoria rifiutò di memorizzarle. Intanto mi faceva schifo e ripudio quella situazione. Mi sentivo marcia dentro io che probabilmente non avevo colpe ma mi sentivo responsabile per questo mondo. Sicuramente faccio la mia parte, tutti fanno la loro parte. Sputai un ‘bastarda’ quasi inorridita guardando dritto verso Adriana, così i centri di bersaglio diventarono due, ma non mi pentii mai di averla insultata. Maria sorrise e sembrò di poco sollevata al mio tentativo d’ ‘eroe’.
‘Ciao, Martina. Ti chiami così, giusto?’
Alzai il capo. ‘Si.’
‘Ah, io sono Adriana.’ Le altre incominciarono a ridere.
Io le feci un evidente sorriso forzato. Abbassai lo sguardo e quest’ultimo cadde sulla bottiglietta d’acqua che teneva nella mano destra. Incominciai a dare panico. Riflettevo sul da fare, sicuramente non mi avrebbe chiesto da bere. Presa dalla confusione borbottai ‘devo andare’ e feci per alzarmi, avanzai di un passo quasi e mi bloccò da un braccio. Sentivo l’ansia salire e io la cercavo di reprimere, inutilmente. Sentii alcuni suoi capelli che avanzarono con la sua mano solleticare la mia pelle.
‘Aspetta, tu qualche mese fa mi hai prestato dei soldi per una bottiglietta d’acqua, dopo una lezione di educazione fisica, ci stavamo cambiando nello spogliatoio, ecco, adesso ricordo anche meglio, eravamo con le ragazze della quarta C in gioco. Tu ricordi?’
‘N-non lo so.’ Le prestai dei soldi, ma non quella volta, quella volta le diedi un’altra cosa, della bastarda.
‘Ma come non lo sai?’ Replicò con tono raffinato e ingenuo.
‘Non me lo ricordo, d-devo andare.’ Non mollò la presa.
‘Non scappare, carina. In qualsiasi caso ho pensato di restituirtela..’
Con la coda dell’occhio vidi il suo braccio destro alzarsi, Fabiola intanto roteò il polso sul sull’orlo della bottiglia minuta, stappandola.

La mia maglietta e una parte dei pantaloni finirono completamente bagnati.
Sgomentai di colpo, strattonando il mio braccio: ‘Dio, ma che cazzo fai?’
Mille risate inondarono l’aula, seguite poi dagli altri che entrarono.
‘Ops, mi devi perdonare.’ Rabbuiata la ignorai, tornando al mio posto.
Che merda. L’ultima ora non fini mai, e quando finì, mi fiondai fuori. Con passo svelto allungai passo dopo passo. Pestai veloce la ghiaia, traballai per un secondo, scesi i gradini e mi fiondai verso casa.
‘Martì!’ No, no, no! Leonardo, era la voce di Leonardo. Intuii dal rumore meccanico fosse sulla vespa.
Continuai a camminare.
‘Marti! Fermati!’ Continuai a camminare.
‘Ti vuoi fermare?!’ Replicò ancora confuso.
Mi fermai. ‘Cosa cazzo vuoi?’ Stetti attenta a scandire ogni singola parola.
Ormai girata notò la maglia fradicia. ‘Cosa è successo alla maglia?’ Alzò un sopracciglio, quando io stavo già pensando di ripartire veloce verso casa.
‘Non voglio parlarne.’
‘Perché?’
‘Perché no.’
‘Vuoi un passaggio?’
‘No.’ Girai e tornai al mio passo. Lui mi seguì piano con la vespa.
‘E invece io voglio dartelo, sali su.’
‘Vattene via.’
Sentii spegnere il motore, e le sue scarpe camminare veloci per raggiungermi.
D’un tratto sentii da dietro una calda felpa avvolgermi le spalle, poi girò e venne davanti, chiudendola. Delle mani avvolsero la mascella e il mento, alzandoli. Mi guardò negli occhi e morsi il mio labbro inferiore per trattenere le lacrime che davanti a quei cristalli non riuscivano adesso a rimanere dov’erano.
‘Smettila di fare la stupida, e fatti dare un passaggio.’ Mi prese la mano e mi guidò fino alla vespa, prese il casco e fece per metterlo. Io lo precedetti. ‘Faccio io.’ Presi il casco e lo indossai. Lui fece lo stesso con il suo. Poi partì.
Mi aggrappai forte alla sua vita come se dovessi tenermi su, perché a me sembrava non ne fossi più capace. Era l’unica cosa mi andasse bene, strinsi forte come a non volerlo lasciare andare, se un giorno se ne sarebbe andato anche lui, io mi sarei frantumata in mille pezzi irreparabili.
Attraversammo veloce il corso, bloccandoci poi nel traffico, scese i piedi sull’asfalto per controllare meglio l’equilibrio della moto.
Guardavo il vuoto mentre incominciavo a sentire freddo e la maglietta bagnata attaccarsi alla mia pelle congelando il mio stomaco.
‘Chi è stato?’ Sentii la sua voce scavalcare il trambusto comune, in seguito, le sue mani accarezzare le mie strette sul suo stomaco. Poi dissociarle e incrociare le sue dita tra le mie. Una parte di me si rilassò a quel gesto.
‘Nessuno, parti adesso.’ Lo sentii cacciare aria dal naso e stringere forte la mascella, potevo immaginare le stesse sopracciglia aggrottate della volta in cui mi disse serio di non pensare neanche per scherzo mi stesse usando.
La sua mano si staccò, posandosi sull’acceleratore, strinse le dita sul manubrio e la moto partì. Chiusi gli occhi e inalai forte il suo profumo, così che una volta separati potesse rimanere con me una sua parte.
La vespa rallentò e io sollevai le palpebre che nascondevano un marrone forte e scuro.
Lo sentii smorzare delle parole, poi capii bene: ‘T-ti lascio qui..’
‘Tranquillo, puoi risparmiarti l’imbarazzo. Vado io, sarebbe strano vedermi sulla tua vespa. Ho capito, lo capisco.’ Non lasciai fuoriuscisse alcuna espressione.
‘Scusami.’
‘Niente.’
Ero ormai sulla strada grigia, tolsi il casco e glielo porsi.
‘Allora, ciao.’ Dissi frastornata, non passarono secondi quando mi girai per proseguire il piccolo percorso mi rimaneva per l’arrivo.
Scattai in avanti e i passi vennero smorzati dalla stretta sul mio polso.
‘Aspetta.’ Mi girai e i miei capelli color pece si spostarono sulla spalla e sul seno.
‘Vieni qui.’ Disse mentre mi avvicinava al suo petto. Posò le grandi mani sulle mia guance e si avvicinò lasciandomi un bacio colmo di speranza sul rassicurarmi, almeno con quel gesto. Non sapeva cosa fosse successo, ma cercò di rassicurarmi, e probabilmente quel bacio fece un po’ di effetto. Forse bastò per eliminare quella parte grigia di me che mi stava opprimendo. Cercai di strapparmi quel momento e archiviarlo nella mia memoria per rivederlo ogni volta mi era possibile, riprendermi un po’ di quella sicurezza che aveva lasciato adesso sulle mie labbra. La sicurezza di non essere soli.
‘La felpa, me ne stavo dimenticando.’
‘Tienila.’
‘Ma..’
‘Tienila.’
‘Okay.’ Dissi sconfitta.
‘Ciao.’ Disse sorridendomi compiaciuto.
‘Ciao.’
Svoltai e subito dopo sentii la vespa partire, io arrivai a casa.
Salii sul marciapiedi e premetti sul pulsante segnato da ‘Livino.’ Una voce meccanica e sonora rispose: ‘Chi è?’ Riconobbi la voce di Riccardo. ‘Apri.’ Avevo l’orribile e imbarazzante vizio di non dire neanche il mio nome.
Strisciai i piedi fino all’ascensore posto al centro del grande portone e con debolezza aprii la porta, la chiusi e nuovamente premetti il piccolo pulsante di plastica fiancheggiato da un ‘4’ color porpora.
Trovai il portoncino di casa prontamente già aperto.
‘Ciao Riccardo.’
‘Ciao!’ Disse mentre lasciava un grande morso su una mela.
‘E quella felpa?’ Disse stranito, e con la bocca piena.
‘Niente, Giada per sbaglio mi ha bagnata e mi ha prestato la felpa.’ Mi diedi i complimenti per la scusa.
‘Maschile?’ Ritirai i complimenti.
‘Mh si, le piaceva e l’ha comprata comunque.. mamma?’
‘Turno di notte, sta dormendo.’
‘Papà?’
‘Ancora a lavoro.’
‘Perfetto, come sempre. ’ Buttai acida. Continuai: ‘Mi piace, perché lui non ha un turno di notte, ma resta lì comunque.’
Mi diedi della stupida per averlo chiesto. Un turno extra in famiglia mio padre, mai.


Ciao bellissime! c: 
Innanzitutto vi ringrazio perchè voi stiate leggendo la mia storia, ci tengo molto!
Spero tantissimo vi piaccia, e spero tanto di commentare ogni capitolo con voi, sapere le vostre idee e pensieri, e non mi dispiacerebbe neanche leggere qualche critica, so che non sono l'eccellenza ma faccio di tutto per migliorare.
Bene, vi ringrazio di nuovo, e vi mando un bacio.
Se avete tempo lasciate una recensione ne sarei assolutamente felicissima e sprizzerei gioia ovunque ahahah 
Al prossimo capitolo! 
Un grandissimo abbraccio dolcezze! <3

Taaanti saluti, Martina. :)

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