Il suono delle foglie.

di Crypto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le geniali idee del pomeriggio. ***
Capitolo 2: *** Stranezze ''pioggiose''. ***
Capitolo 3: *** La sequenza. ***
Capitolo 4: *** Il pacco. ***
Capitolo 5: *** Statue 'culturose'. ***
Capitolo 6: *** Quiet as a shadow. ***



Capitolo 1
*** Le geniali idee del pomeriggio. ***


Drin drin. Drin drin.
Il rumore di una sveglia fece sussultare Alessandro. Perché quel dannato aggeggio si mise a cantare?
-Stupida sveglia!-, disse, con gli occhi ancora chiusi. Era in vacanza e, come tutti gli studenti, il suo unico obiettivo era quello di dormire almeno fino a quando nessuno lo avesse svegliato, valeva a dire fino all’ora di pranzo, intorno alle tredici.
Si sfregò gli occhi e lesse l’ora: erano le nove e trentacinque. “Diamine”, pensò, “ma io ricordo di aver disattivato la sveglia!”.
Si guardò intorno. La sua stanza, un misto di pennellate arancioni e verdi, era tutta in disordine: maglie, pantaloni, calzini e libri sparpagliati qua e là. La sera prima era andato ad una festa di compleanno e, come non mai, si era dato all’alcol. Stonato e barcollante, era tornato a casa e in fretta e furia si era spogliato gettando, con noncuranza, i vestiti per aria.
Sembrava una giornata splendente. I raggi del sole penetravano dalle finestre riscaldando la stanza e inondandola di una luminosità accecante.
Alex si alzò e si accorse che gli girava un po’ la testa.
Ma d’un tratto si ricordò cos’era successo il pomeriggio precedente. Aveva lui stesso predisposto quell’orario alla sveglia, per un semplice ed unico scopo: era intenzionato a perlustrare il piccolo paese in cui si era trasferito da poco.
Il quattordicenne amava l’avventura. Quando ne aveva il tempo, si sdraiava sul suo letto e si immergeva nell’universo dei libri. Si lasciava trasportare da quel groviglio di parole, immaginando sé stesso nella storia e condividendo emozioni e ansie dei vari personaggi.
Fece velocemente colazione, mangiando solo tre fette biscottate traboccanti di nutella, si vestì, si lavò, e disse alla mamma: -Mamma, io escooooo-.
-Dove vai a quest’ora, Alex?-, gli chiese Angela.
-Vado in libreria. Ho finito di leggere ‘L’atlante di smeraldo’, e ora vado a comprare il seguito-.
-A quest’ora?-
-Sì, cosa c’è di male? A dopo.-, finì, facendole l’occhiolino.
Stava per uscire, quando si accorse di non avere il suo zainetto delle avventure. Quando esplorava, Alex portava con sé sempre uno zainetto, che conteneva una torcia e compagnia bella; insomma, il kit completo per un vero esploratore.
“Ma non ti servirà, c’è il sole e la torcia non ti sarà d’aiuto”. Una vocina si insinuò nelle viscere della sua mente.
Era indeciso se prenderlo o meno. Poi si fidò di quel ‘suggerimento’, e uscì di casa.
-Torna presto, mi raccomando!-. Un urlo riecheggiò.
-Sì mamma, non ti preoccupare!-, gridò Alex di rimando.
“A noi due, Rancerco”, si disse. Un nome buffo, per un paesino.
Pur essendo piccolino, il paese contava ottomila abitanti. Lui abitava nel centro storico.
Davanti agli occhi di Alex, vi erano due strade, con al centro un antica fontana, la più bella che Alex avesse mai visto, dal vivo: sembrava un essere mostruoso dotato di dieci mani, dalle quali fuoriusciva acqua. Una fontana di quelle che si trovano nei libri di Dan Brown, insomma.
Prendendo un gran respiro, decise. Voleva imboccare la stradina alla sua sinistra.
Cominciò quindi a camminare, osservando man mano le case che si snodavano di fianco a quel viale.
Ad un certo punto si trovò in un punto morto. Le case finivano, ma la strada continuava. Non c’era anima viva, nemmeno un uccello in volo.
Guardandosi intorno, però, noto che a nord- est c’era un bosco. La strada era piena di foglie rosse, arancioni e gialle. Ai fianchi della stradina stavano, come guardie a difendere un imponente struttura, grandi e alti alberi, mezzi spogli.
Attraversò e si diresse verso il bosco.
Era autunno, e una brezza lo investì come acqua gelida e gli fece venire i brividi.
Si incamminò su quel lungo tappeto color del fuoco e, alzando lo sguardo, notò che quel sole brillante era sparito, e nel cielo si stagliavano nuvole che promettevano acqua.
“Strano”, pensò Alex, “poco fa c’era un sole accecante”.
Alla fine del percorso, Alex si ritrovò davanti un’immensa villa. Sembrava abbandonata da anni.
Si accedeva alla struttura da un cancello di ferro arrugginito.
Quest’ultimo era sormontato da una creatura, immobile e nera (come il colore del cancello), che, nelle mani, teneva un cappello, e un sorriso stampato sulla faccia, come a dire: “Suvvia, entra nella nobile casata”. Era terrificante, con quel papillon e i capelli arruffati.
Il cancello era semichiuso.
Alex prese un profondo respiro, spalancò il cancello, che produsse un ghrrrrr ed entrò.
Lo chiuse e si avviò verso la proprietà.
Improvvisamente si fermò. La casata, di un rosa intenso, era fiancheggiata da alcune statue.
Ce n’erano ben sei, tre a destra, tre a sinistra.
Erano ben vestite, e sembravano gli antichi nobili Romani, con quei vestiti tutti ricamati.
Alex guardò quelle alla sua sinistra: notò che, sparsa, vi era una sostanza verdastra. “Muschio”, pensò.
Lasciò perdere le statue ed entrò nella villa.
La porta era chiusa.
Toc toc. –C’è nessuno?-, gridò Alex.
Nessuna risposta.
Attese una manciata di minuti e ritentò.
Toc toc.
Ancora nulla.
Afferrò la maniglia. Con un sonoro clic, quest’ultima si aprì ed Alex entrò.
Aleggiava una puzza di chiuso, e non si riusciva a vedere nulla. Camminando, si alzava sempre più polvere. Cercò a tastoni un interruttore, ma invano.
Il pavimento sotto i suoi piedi scricchiolava.
D’un tratto il pavimento prese a ‘gracchiare’ più intensamente. Il ragazzo si maledisse di un aver portato con sé lo zainetto con la torcia.
Un secondo.
Alex cercò di scostarsi, ma non ci riuscì. Il parquet si sgretolò e il ragazzo cadde.
Buio totale.
Vuoto.



Salve! Eccomi qui con una storia d'avventura.
Spero vi sia piaciuta. Ci ho provato, e... BE' ASPETTO LE VOSTRE OPINIONI!
Aspetto le vostre recensioni.
Crypto.

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Capitolo 2
*** Stranezze ''pioggiose''. ***


Il pensiero è meraviglioso, ma ancor più meravigliosa è l’avventura.
Oscar Wilde, Il critico come artista, 1889
 
 
 
 
 
Solo il ticchettio incessante della pioggia dominava su quel silenzio terrificante.
Tic, tic. Tic, tic.
Nell’aria aleggiava un freddo pungente. Dove sono?, si chiese Alex. Dopo la caduta nel vuoto, aveva perso i sensi, completamente. Quel pezzo di parquet era crollato sotto i suoi piedi, e l’impatto era stato davvero violento e sgradevole. Si sentiva stordito e dolorante. Lentamente, aprì gli occhi; davanti gli si parò il nero, il buio totale. 
Dove sono?, si chiese per la seconda volta. Non si vedeva un fico secco. In quel momento maledisse nuovamente quella vocina che gli aveva suggerito di non portare lo zainetto delle avventure: se l’avesse portato, avrebbe potuto almeno prendere la torcia e vedere dove realmente si trovasse. E invece no. –Perdiana!-, gridò. La sua voce rimbombò nella stanza, o qualunque cosa fosse. Cercò di alzarsi, ma la sua testa stava compiendo un valzer: era la seconda volta che gli girava in un giorno… o quanto tempo? Aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva nemmeno da quanti secondi, o minuti, od ore fosse lì, steso come un morto su quel che sembrava un tappeto. Il tatto lo aveva aiutato. In lontananza vide una minuscola finestra da cui filtrava un bagliore debole. Barcollante, cercò di raggiungere la luce, sperando che potesse illuminare minimamente la stanza immersa nel buio. I brividi cominciarono ad estendersi,come formichine dotate di turbo, per tutto il corpo e i denti iniziarono ad essere posseduti dal tremore. Freddo siberiano. Non appena ebbe raggiunto la finestrella, si sporse per vedere il paesaggio, dove si trovasse. Davanti ai suoi occhi, che non si abituarono immediatamente alla luce, gli si parò la giungla, almeno così pareva: c’erano alberi –pini, abeti, una piccola palma-, e sparpagliati qua e là stavano piccoli fiori rossi quasi appassiti, gocciolanti; la pioggia si abbatteva con violenza sul suolo. Alex alzò gli occhi e vide un cielo plumbeo. –E ora come torno a casa?-, disse a bassa voce. –Mamma si starà preoccupando! E non so nemmeno che ore sono, maledizione!-. Inspirando, per eliminare il nervoso che stava offuscando la sua mente, riportò le sue pupille verso il paesaggio: di fronte agli alberi c’era lo steccato, i pali di legno formavano stelle a cinque punte. “Chissà chi è così bravo da poter creare cose del genere”, pensò Alex, ammirando stupito quelle forme. Corrugò le sopracciglia, poiché non aveva mai visto steccati di quella forma, la maggior parte delle volte semplici rettangoli caratterizzati da due pali di legno che si intersecavano in un punto a formare una ‘X’. Girò i suoi occhi color smeraldo verso sinistra e vide che c’era un pilastro bello grosso che sosteneva l’abitazione, alto forse tre metri. Altra cosa strana: tutti i colori, tutti, si trovavano sulla colonna, formando dei cerchi concentrici con la tonalità più chiara partendo dal basso; l’apice del pilastro era di un nero come il carbone, come… insomma, non aveva mai osservato un colore così scuro. “Ma dove mi trovo? Nella residenza di un pazzo rimbambito?”, si chiese fa sé e sé il ragazzo. Goccioloni cominciarono ad abbattersi con violenza sul selciato. Una piccola stradina risaliva, formano un angolo di 180° gradi. Fu tentato di aprire la finestra e balzare fuori, ma non poteva rischiare di beccarsi una polmonite. “Ma come sei delicato.”, una vocina, la solita voce, si insinuò. Preso dallo sconforto, si girò verso il buio pesto, piegò la testa e scoprì che il pavimento era di marmo color porpora. Individuata altra stranezza. Il bagliore non riusciva a penetrare in tutta la stanza, ma in una piccolissima parte, ovvero nella posizione in cui lui stesso si trovava. “Perdiana!”, ripeté nuovamente tra sé. –C’è nessunoooooo?!-, gridò con tutta la forza. Attese un minuto, ma non ottenne risposta. Si impose di ragionare, ma in quel momento aveva perso la lucidità. Si accasciò quindi contro il muro gelido, piegando la testa e appoggiandola tra le braccia sostenute dai menischi delle ginocchia. Alex cominciò a maledire se stesso in primis, ma soprattutto l’avventura, la sua inesauribile curiosità, cercando di trovare dell’acqua che potesse spegnere quella fiamma che ardeva dentro di lui; si mise a pregare, ad invocare Dio sperando che facesse materializzare una torcia o un qualcosa che emettesse luce. O il famoso deluminatore di Ron Weasley. “Hai letto troppi libri fantasy”, disse la vocina presuntuosa e sudbola. Si pentì di aver detto alla madre una bugia. Si pentì di esser stato travolto dalla curiosità per il nuovo paesino. Sì pentì di non aver portato lo zainetto, suo compagno ‘fedele’ di qualsiasi avventura. Si pentì di non aver fatto amicizia con nessuno, almeno avrebbe potuto condividere quel viaggio con qualcuno. Cercò di chiudere gli occhi, mentre il suo cuore cominciava a battere più forte. Un forte botto lo fece sussultare, accrescendo il battito cardiaco. -Perché proprio ora, Zeus, devi scoreggiare e lanciare le tue saette?-, disse Alex, con una vena di paura nella voce. 
Improvvisamente qualcosa, un piccolo rumore proveniente dal piano di sopra -la stanza col parquet ‘molle’-, attirò l’attenzione del quattordicenne. La porta venne chiusa con violenza e una voce di donna disse:- Fottuta pioggia!-. Successivamente, forse notando in buco nel pavimento riprese:- Occazzo, ma cosa è successo?!-. 
Alex allora prese a gridare:- Ehi, sono quaggiù, sono caduto!-. Un bagliore serpeggiò per la stanza del piano terra e la donna sbraitò, facendo sbucare la sua testa:- E chi cazzo sei? Ma come cazzo sei finito laggiù?-.
“Che volgarità.”, pensò Alex. –Non lo so! Il parquet è crollato e sono finito qui. E’ la prima volta che vengo in questo strano posto! Aiutami, per favore!-.
La ragazza non rispose, ma fece un ghigno. –Per favore, donna. Sei la proprietaria, no?-, riprese il ragazzo con voce debole.
-Nah.-, rispose la donna, e sparì dalla vista. 
-Torna qui, per favoreee!-, gridò con tutto il fiato Alex. Dopo pochi secondi un’altra porta, nella stanza dove si trovava, venne aperta e finalmente la luce ebbe la meglio sull’oscurità. 
-Benvenuto, baby.-, disse quella che, si accorse il giovane, era una ragazza, tra i quattordici e i quindici anni. La vista che si parò davanti agli occhi di Alex gli tolse il respiro, uno stupore così immenso lo avvolse.
-Emozionante, vero?-, riuscì a dire la ragazza, vedendo la sua espressione.
“Ma dove mi trovo?”, si disse il giovane, in procinto di perdere i sensi. Non riusciva a capacitarsi di esser capitato in una stanza di quel genere.
 
 
 
Salve gente! Come va? Sì, c’ho messo un bel po’, ma non ho avuto mai tempo! Oggi che non avevo compiti ho deciso di scrivere il secondo capitolo, quindi se lo trovate noioso o banale o chicchessia è perché non gli ho rivolto la dovuta attenzione. L’ho scrivo tutto d’un fiato. Spero vi stia appassionando questa storia. Ho provato ad immergermi nel mondo dell’avventura, e spero di esser riuscito nell’intento.
E… bè, aspetto le vostre recensioni, su!
Ahahah, sì, insomma, lasciate la vostra opinione, se volete. Accetterò le critiche anche.
Devo scappare,a presto, 
 
Crypto.
PS: forse è un po’ porto, sì, lo so. La prossima volta cercherò di fare di meglio. ;)

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Capitolo 3
*** La sequenza. ***


Per Babu, con affetto.





Il giovane Alex stava lì, come intontito, come se fosse stato catapultato in un’altra dimensione di perfezione quasi assoluta. ‘Sto sognando, è così ovvio!’, disse tra sé Alex. Sembrava un ebete, con quegli occhi spalancati e la bocca aperta, da cui, da un momento all’altro, sarebbe certamente scesa un po’ di saliva, come un cane affamato.
La bellezza di quella piccola “reggia” era impressionante. Anzi, impressionante era dir poco. Splendore e maestosità si incastonavano perfettamente.
-Wow… -, riuscì a dire Alex, con voce impastata e gracchiante, ingoiando il fiume di saliva che si era formato nella sua bocca. Lo stupore si era impossessato di lui. In quella stanza ogni singolo granello di polvere valeva un milione, sicuramente.
‘Una villa di questa portata da tempo abbandonata e mai a nessuno è passata per la mente l’idea di venire a rubare un chicchessia?’, si chiese Alex, assorto più che mai nei suoi pensieri. Non che ammirasse la figura del ladro, ma era inevitabile immaginare un morto di fame andare in quel posto sperduto da chissà quanti anni o mesi a cercar di entrarvi furtivamente ed appropriarsi di un oggetto che probabilmente lo avrebbe reso il più ricco del mondo. Il giovane era riuscito ad entrare senza nessuna difficoltà in quel piccolo regno, ma aveva maledetto anche quel parquet scricchiolante sotto i suoi piedi. ‘Bè, se non fosse stato per quel cavolo di coso, non mi troverei qui.’, sorrise tra sé.
La piccola reggia era molto vasta. Al centro della stanza troneggiava una tavola da biliardo, con un panno verde smeraldo su cui si trovavano quattro biglie d’avorio, aspettando di essere lanciate nei buchi per scivolare e raggiungere le altre; sul lato sinistro del tappeto una stecca abbandonata, la parte inferiore ricoperta da uno strato di polvere. ‘Qualcuno ha lasciato in sospeso una partita’, considerò il giovane. Ai lati del grande rettangolo erano collocati lunghi portastecche dal colore nero, i bordi di un rosso scuro: poggiavano su di essi solo tre stecche di un legno molto raffinato; al disopra della struttura invece era appeso un lampadario da biliardo, con tre cerchi uniti, ricoperti intorno di plastica verde smeraldo, come il colore del panno, caratterizzati da una scritta: GPQA.
‘Cosa potrebbe significare?’, si chiese Alex, ma nella sua mente tanti boh facevano la conga.
A nord della tavola da gioco si stagliava un lungo tavolo, coperto da una tovaglia color porpora con ricami sparpagliati, groviglio di verde e azzurro; sul copritavolo dormivano quattro candelabri color dell’oro, due a destra due a manca, e al centro delle due schiere un cestino contenente frutta finta: arance, banane, mele e uva; intorno al portafrutta erano incastonate in vari punti quelle che sembravano pietre preziose. ‘Ma ‘sto tipo deve avere i miliardi nella banca!’, pensò Alex. Di fianco ai lati del tavolo si trovavano dodici sedie, come sentinelle, simili a troni per re, se non tali: era tutte fatte di oro, uno schienale con ricami di fiori arancioni e foglie di un verde scuro, il piano orizzontale su cui sedersi una distesa di rosso color del sangue, composto da figure di rombi color panna uniti tra loro da venature di viola; le gambe di sostentamento invece erano decorate magistralmente, frutto di una mente ben attenta e capace.
Fortunatamente, nel punto in cui lui era precipitato non si trovava nulla.
La cosa che però avvolse maggiormente di stupore Alex erano le librerie, che spiccavano contro le pareti rosse: erano ben quattro, collocate ai lati dei portastecche, di un legno tra chiaro e scuro, con screziature qua e là; sei scaffali,per ognuna,contenevano antichi volumi, forse sottratti dalla famosa biblioteca di Alessandria da un antenato dell’ignoto proprietario, tomi polverosi e recenti pubblicazioni. Non c’era uno spazio vuoto tra i libri, nemmeno uno.
Il giovane si avviò verso una di queste e prese un tomo pieno di polvere, passò una mano sulla copertina e lesse: Dante Alighieri, Divina Commedia, e sotto: Inferno-Purgatorio-Paradiso.
Aprì il tomo, sfogliò alcune pagine, superando prefazione e cose varie, arrivò al primo canto e lesse ad alta voce:



Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!



Il resto era composto probabilmente da commenti, parafrasi e altrettante spiegazioni che il quattordicenne non si prese la briga di analizzare.
-Mmh…-, disse Alex.
-Cazzo leggi?-, arrivò una voce femminile.
Alex sussultò. Si era dimenticato totalmente della ragazza che lo ‘aveva soccorso’, la donna pasta-e-cazzi che aveva aperto la luce e lo aveva catapultato di fronte all’enorme ricchezza di quella stanza.
-Mi hai fatto prendere uno spavento!-, riuscì a dire Alessandro, deglutendo. Rimise il tomo della Commediaal suo posto, ed avanzò per leggere i nomi sugli altri volumi: Platone, Cicerone, Apuleio, Cesare, Plutarco, Boccaccio, Petrarca, e poi ancora Dostoevskij, Manzoni, Pirandello.
Di alcuni ne aveva sentito parlare, di altri non ne aveva la minima idea. ‘Che mente che aveva, quest’uomo!’, ammise tra sé Alex.
-Si può sapere chi cazzo sei?-, disse la ragazza.
-Senti, potresti smetterla di buttare cazzi ovunque?-, il cuore gli sussultava, non si era mai rivolto così a nessuno, né tantomeno ad una ragazza che sembrava della sua stessa età.
-Ok, baby, ma muoviti a dirmi chi sei.-
-Mi chiamo Alessandro, per gli amici Alex, piacere, ed ho quattordici anni. Tu, invece?-, rispose cordialmente il ragazzo, tendendole la sua mano che non riusciva a stare ferma.
-E cosa te ne importa, a te?-, sbraitò quella, ridendo e mostrando denti perfetti. Le sue labbra carnose si estendevano su tutta la faccia, e quegli occhi verde scuro guardarono Alex, trasportando una dose di quello che sembrava disprezzo. I riccioli rossi che le ricadevano sulle spalle erano in perfetta armonia con quegli occhi.
-E vabbene, fa’ come vuoi.-, affermò Alex, e le voltò le spalle, per incamminarsi verso l’altra libreria. Sotto le strutture imponenti erano conficcati tappeti persiani molto lunghi, con ricami particolari, caleidoscopio di colori. Alzò gli occhi verso il soffitto e vide due lampadari mozzafiato: erano entrambi di cristallo, con gocce che cadevano da ogni parte; dal centro si estendevano, come tante braccia, candelabri argentati con al vertice fiamme di vetro da cui esplodevano raggi di luce.
Passò all’altra libreria e,scorrendo con gli occhi i vari scaffali, notò una scritta che lo colpì. Sulla mensola di legno era stato intagliato una sorte di codice:


                                                          XTAE8645QM723


Non riuscì a capire proprio cosa potesse significare. Di fianco a questo incastro di lettere e numeri stava una freccia che volgeva verso destra, puntando alla libreria da cui prima aveva presa la Commedia. Allora ritornò a quella e vide che compariva la stessa sequenza nella stesso punto, con un’eccezione: la freccetta di fianco puntava verso il basso.
Alex chiamò la ragazza e chiese:-Senti, guarda qui. Cos’è questa sequenza?-.
La ragazza si avvicinò al giovane, guardò il punto da lui indicato e rispose:-Non saprei, non l’ho mai notata, sinceramente.- Qualcosa in lei era cambiato, forse il tono; si era fatta tutt’un tratto seria.
-Vengo qui una volta ogni mese, ma non mi sono mai soffermata sui particolari di questa casa schifosa.-, continuò, riacquistando quel suo modo sprezzante. E si allontanò.
-E come fai ad avere le chiavi di questa villa?-
-Semplice: sono la nipote dell’ex proprietario, ovvero l’ex sindaco di questo schifoso paesino.-, rispose di rimando, mentre si sedeva su una sedia. Alex deciso di accantonare quella nuova, sconvolgente scoperta per dedicarsi ad un’intuizione che era sbucata dai cespugli della sua mente.
Si era creata una specie di pensiero, e deciso di seguirlo. Fece a grandi passi la stanza ed arrivò alla parte destra di quest’ultima. Voleva controllare se la stessa scritta si trovasse intagliata nel legno delle libreria. Pertanto si avvicinò ad una e il risultato fu lo stesso: stesso codice,
stesso punto. Soltanto la direzione della freccetta era diversa, poiché puntava a destra.
Il giovane quindi inspirò e capì il trucco. Doveva seguire la direzione delle frecce. Passò all’altra libreria. Stesso codice, stesso punto, stessa freccia.
‘Entrambe le frecce puntano a destra, due librerie a destra, quindi devo passare alle altre due.’, ragionò tra sé. Ritornò sul lato sinistro della piccola reggia, si avvicinò alla mensola e riguardò la direzione del ‘dardo’. Destra. Puntava verso l’ultima struttura. Raggiunse la quarta libreria: la freccia ora puntava verso il basso.
-Che cazzo stai facendo?-, chiese la ragazza.
-Shh.-, la zittì Alex, assorto nelle sue teorie. Piegò le gambe, si distese sul tappeto e guardò sotto la tavola da biliardo. Non riusciva a scorgere alcunché, quindi strisciò come un serpente e si trovò sotto la struttura. Tastò il pavimento freddo e trovò una specie di serratura. Cercò di aprirla ed in effetti ci riuscì.
Guardò in basso, ma era buio. Chiese alla ragazza se ci fosse una torcia.
-La porto sempre con me, baby-, rispose quella, che la prese dalla tasca dei suoi jeans a tubo, che aderivano perfettamente alle sue gambe, e gliela porse ad Alex. Il giovane pigiò e dalla torcia spuntò una luce bianca, che puntò verso il basso.
E maledisse quel momento.







Ciao a tutti J
Sì, c’ho messo un bel po’ per aggiornare. Ma oggi ho colto la palla al balzo e mi sono messo a scrivere. Sì, so che mi sono abbandonato ad una descrizione abbastanza spicciola del luogo, ma con le descrizioni sono proprio al livello 0, ahahah !
Spero vi piaccia questo nuovo capitolo, l’ho scritto tutto d’un fiato e… Sì, leggete leggete! E lasciate le vostre opinioni, se vi va.
Buona Pasqua!

Crypto.

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Capitolo 4
*** Il pacco. ***


Sì, era davvero capitato in uno strano posto, Alex. Il ragazzo se lo stava ripetendo per l’infinitesima volta nella sua mente.
 Codici intagliati nel legno, freccette con una strana sequenza, steccati con stelle a cinque punte, un pilastro dai cerchi concentrici formato da tutti i colori, il parquet crollato sotto i suoi piedi. Tutto completamente strambo. E ancor più strambo era ciò che vide quando puntò la torcia verso il basso. La luce sprofondò in quel piccolo buco quadrato totalmente immerso nel buio. Al centro dello spazio sotto la superficie era appoggiata una scatola dal verde smeraldo, un colore acceso, quello stranamente preferito di Alex. ‘Non sono coincidenze.’, si disse tra sé, per tranquillizzarsi. Una scatola senza il solito fiocco né bigliettino. Una scatola, forse, per nessuno. Ma che, sfortunatamente, il ragazzo aveva trovato, seguendo il suo istinto e le sue teorie arzigogolone.
-Allora? Hai trovato qualcosa?-, la voce della ragazza-senza-nome giunse alle orecchie di Alex quasi come un sussurro. Al disopra di lui troneggiava l’imponente tavola da biliardo che rendeva pressoché debole la sua voce. ‘Bel posto, per metterci un regalo!’.
-Sì, qui c’è una scatola verde.-, rispose pacatamente Alex.
-E muoviti a vedere cosa c’è!-, ricominciò la ragazza, munendosi di quel suo modo di parlare scorbutico e a dir poco insolente. Alex decise di non rispondere, altrimenti l’avrebbe offesa. Eppure c’era qualcosa in lei di straordinario, non solo prepotenza.
Appoggiò la piccola torcia sul pavimento freddo, un miscuglio di forme geometriche e figure concave, caleidoscopio di colori, in modo da proiettare la luce in quella piccola apertura, e, prono, allungò le sue braccia per prendere la scatola, invano. L’apparente regalo era collocato più profondamente, cosa che impediva alle braccia del giovane di prenderlo. Allora Alex serpeggiò sul glaciale pavimento e si avvicinò un po’ di più al buco. Gettò nuovamente le sue braccia e finalmente ebbe nelle sue mani quello strano pacco, freddo.
-Preso.-, disse alla nipote del proprietario, ex sindaco della cittadina. Stranamente non aveva dato molta importanza e dedicato molta attenzione a quella notizia che poco prima la ragazza gli aveva detto con determinazione, venando la sua voce quasi di odio. ‘C’è ancora tempo’, si disse tra sé. ‘O almeno credo.’. Strisciò con il corpo sulla superficie del pavimento con il pacco tra le mani, bramando di uscire da quel mostro che incombeva su di lui, come dagli abissi del mare. Il contatto con le piastrelle fredde del pavimento gli fece venire la pelle d’oca, mentre brividi serpeggiavano lungo tutto il corpo. Sembrava uno di quegli esercizi che fanno i militari nel campo d’addestramento, intrappolati sotto un groviglio di reti fastidiose, bramosi di arrivare al traguardo. Alex riemerse e, togliendosi la polvere dalla sua maglia dei Guns N’Roses nera e dai pantaloni, guardò la ragazza dai riccioli rossi. E le porse l’ipotetico dono.
-Ecco. Apri e vedi cosa tuo zio, probabilmente, ha lasciato.-, le disse, accennando un sorriso.
La ragazza-senza-nome lo guardò con occhi da cui trapelava pura incertezza e anche paura. Emozioni stavano trafiggendo come lance i suoi ricordi, risaliti a galla in un secondo, pronti a torturarla.
-Io…-, uscì dalla voce della ragazza, come un sussurro. Volse gli occhi verso il basso, inspirò profondamente e avanzò verso Alex, il quale non sapeva come comportarsi. Ella prese il pacco e si avviò a piccoli passi verso una sedia riccamente decorata con diversi fiori rossi e viola, all’angolo destro della stanza. Si sedette e poggiò il pacco verde sul tavolino di cristallo che era posto di fronte a lei, gli occhi persi nel vuoto. Alex osservò in silenzio reverente la scena e poi decise di avviarsi anche lui verso la ragazza sconosciuta, i capelli che le coprivano il volto. –Scusami se non ti ho detto il mio nome…-, cominciò quella con voce spezzata, alzando lo sguardo e puntando i suoi occhi in quelli di Alex, stupefatto dal cambiamento repentino della ragazza. –Comunque mi chiamo Teresa, è un piacere conoscerti…-. Si alzò e porse la sua mano ad Alex.
Teresa: finalmente il grande mistero era stato risolto. Alex le porse per la seconda volta la sua mano un po’ tremante. Le loro mani si unirono armoniosamente. –Ri-piacere, mi chiamo Alessandro, per gli amici Alex, ed è un piacere conoscerti, Teresa-, cominciò in tono scherzoso il ragazzo, per sdrammatizzare un po’ e per rompere quei muri di ricordi velenosi.
Almeno il giovane le strappò un sorriso, insinuando in lei un bagliore confortante, da tempo seppellito nelle rovine del suo cuore.
Si guardarono per pochi secondi, poi Alex decise:- Su, ora vediamo cosa contiene quella scatola.-
Teresa continuò a guardarlo, dicendo:- E comunque, se ti interessa, ho sedici anni.-
‘L’amore non ha età!’. Un pensiero si insinuò nella mente di Alex, che le scoccò di rimando un sorriso.
Entrambi, quindi, nello stesso momento, si avviarono verso il tavolino: l’uno si sedette, stiracchiando le sue gambe indolenzite; l’altra si piegò per aprire il pacco smeraldo. –Pronti?-, chiese retoricamente Teresa, gravida di emozione.
-Pronti.-, ripeté con decisione Alex, curioso di vedere cosa si celava dietro quelle mura di cartone verdi.
Teresa allungò le sue mani sulla scatola, tolse il coperchio. All’interno vi era una busta contenente sicuramente una lettera, chiusa da un pallino verde di ceralacca. Di fianco alla busta si trovava un piccolo contenitore di ferro a forma di esagono.
La ragazza prese,con mani tremanti, la busta, mostrandola ad Alex. –Apri-, enunciò quest’ultimo con voce invitante. –Non avere paura-. Teresa vacillò per un po’ di tempo, incerta di vedere cosa contenesse quel messaggio. Con suo zio non voleva più a che fare.

Allora poggiò le sue lunghe dita sulla superficie ruvida della busta, aprì con forza, spezzando il sigillo di ceralacca verde, spiegò il foglio color crema e cominciò a leggere nella sua mente, mentre i suoi occhi dribblavano.
-Cosa dice?-, chiese con gentilezza Alex, curioso del contenuto. Teresa alzò gli occhi, si schiarì la voce e cominciò:


“Buon salve, gentaglia.
Donc, se state visionando questo messaggio, vuol dire che avete, attraverso
un processo di ragionamento certosino e mirato, scoperto e seguito
la sequenza elaborata dalla mia mente brillante, grondante
ingegno smisurato e aspaziale.
Certo, la mia incomparabile genialità è stata eguagliata, ma resterà pur
sempre irraggiungibile. Modestia a parte, ovviamente.
Bravo, ye!  chiunque tu sia, hai vinto una lettera del sindaco di Rancerco.
Pardon, ex sindaco.

Sono stato esiliato per mano vostra, cittadini, poiché mi riteneste
inadatto a questa carica.
Sappiate che, dopo l’espulsione, mi sono allontanato da questa feccia
di paesino viscido, stanziandomi in un posto tranquillo, desolato,
dove poter intrattenermi con la solitudine e la bellezza del paesaggio,
e non della natura.
La natura è spietata.

Veniamo al dunque, caro ignoto cittadino.
Un avvertimento io ti lascio: fa’ buon uso del codice da te
stesso trovato.
Se la sequenza leggerai (e forse l’hai già fatto.), il tesoro
troverai. Vuoi un piccolo indizio?
Nah, sta a te scoprire il tutto.
Altrimenti… che gusto c’è?

Un abbraccio stritola-costole.
Con affetto,

L’ex strambo sindaco della feccia Rancerco, lurido
posto di luridi individui.
Firmato, Arturo. (sì, bel nome, faccina-con-occhiolino.)

                                               
                                       Teresa, mi manchi.”





Quando ebbe terminato di leggere la lettera, sul viso di Teresa cominciarono a scendere lacrime. ‘Teresa, mi manchi.’, tre parole che l’avevano paralizzata dentro.
-Posso dirti una cosa?-, iniziò Alex, dopo un lungo silenzio.
-Spara.-, replicò Teresa, con voce impastata. Lo zio doveva aver rivestito sicuramente un ruolo rilevante nella sua vita.
-Senza offesa, ma… francamente tuo zio mi sembra un tipo strambo. Da come scrive, il suo pizzico di ironia, la sua schiettezza… ma mai giudicare dalle apparenze. Scusa se ti dico questo, non lo faccio per ferirti…-. ‘Ormai è troppo tardi, bamboccio’. La solita vocina malefica serpeggiò nei suoi pensieri.
-Ma và, non preoccuparti!-, disse la ragazza, accennando una piccola risata. –Sì, è strambo, senza ombra di dubbio. La sua follia gli è costata cara però…-, e lasciò in sospeso il pensiero, che si disintegrò nell’aria.
-Puoi togliermi una curiosità?-, chiese Alex. ‘Quanta curiosità, peggio di Pandora!’, gridò la vocina. ‘Ma sta’ un po’ zitto, stupido’, aggredì la seconda vocina, quella buona.
-Spara, baby.-
-Abbiamo scoperto questo codice, no? Bè, mentre osservavo la stanza, mi ha colpito quella scritta sul lampadario della tavola da biliardo. SPQA. Mi chiedevo, insomma… che cosa significa?-
-Mio zio era un erudito, passava la maggior parte del suo tempo a leggere tomi e mucchi di libri, oltre a svolgere, evidentemente in malo modo il suo ruolo. Amava il latino, soprattutto un oratore di nome Cicerone. Così, quando fece costruire questa casa, il giorno dopo della sua elezione a sindaco, chiese che fosse stampata questa breve sigla. Senatus populusque Arcturi, ecco cosa significa.-, disse senza interruzioni Teresa.
‘Strambo, non c’è alcun dubbio’, pensò Alex. Assorto nei suoi pensieri, e investito da una raffica di quesiti, si ricordò di qualcuno.
Sua madre. Le aveva detto che sarebbe andato a comprare un libro, e invece aveva mentito.
-Per caso hai un orologio? Puoi dirmi che ora sono?-, chiese Alex, preoccupato.
Teresa prese dalla tasca del suo jeans a tubino un i-Phone 4 e lesse l’ora. –Sono le 14, 30.-, rispose.
-Occazzo!-, gridò Alex. Si stava teresizzando. –Scusami, ma devo proprio andare. Io sono nuovo qui e non voglio che mia madre si preoccupi già da ora.-
-Non preoccuparti, vai pure.-, rispose pacata Teresa, sorridendo.
-So che sto liquidandoti in modo pazzesco, ma devo proprio andare! Ti va bene se ci incontriamo qui alle 17, 30?-
-Mmmh… okay, baby.-
-Grazie Teresa. Potresti accompagnarmi alla porta? Non so da dove uscire.-, affermò Alex impacciato.
-Vieni, da questa parte.-, indicò la ragazza, avviandosi verso la porta dalla quale, all’inizio, era scesa.
Alex la seguì, incamminandosi nel buio su scale che sembravano interminabili.
Arrivarono al piano terra, nel soggiorno. Ora Alex vedeva il buco del parquet maledetto. Si avviò verso la porta, accompagnato da Teresa. Il ragazzo aprì la porta e si voltò, guardando negli occhi la sedicenne.
-E tu ora resti qui?-
-No, tra un po’ torno a casa, non preoccuparti per me.-, rispose Teresa. E successivamente aggiunse:-Ah, e non preoccuparti per me. Grazie di tutto…-
-E’ stato un piacere conoscerti.- Alex si corazzò di coraggio, le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia, come simbolo di congedo.
Sì girò e si avviò verso casa, ringraziando il parquet per essere crollato sotto i suoi piedi.










Sì, mancano i colpi di scena, lo so!
Ma se non avessi scritto oggi, non avrei più continuato, ahahahah! Sparisco, non ho altro da aggiungere. Non l'ho nemmeno riletto perché sono stanchissimo! (la scuola distrugge)
Leggete, se volete, e recensite!!
Crypto.
PS: fa schifo, lo so ;)

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Capitolo 5
*** Statue 'culturose'. ***


Mentre si avviava verso casa, camminando sul lungo manto di foglie arancioni e gialle, Alex si voltò per vedere Teresa. Stava ancora lì, all’ingresso della casa, immobile come le statue che circondavano la villetta, gli occhi persi nel vuoto. Ritornò sulla sua prospettiva, anche se non voleva lasciare la ragazza da sola, in un posto strano come quello. Però Alex non poteva riempire di preoccupazioni la madre, a pochi giorni dall’arrivo a Rancerco.
Non di nuovo, no.

Mentre attraversava il manto bagnato di foglie autunnali, come se fosse un lungo tappeto, Alex fu assalito da un turbine di pensieri che si scontravano tra loro per conquistare l’egemonia sulla mente del ragazzo. Rimembrò tutto ciò che aveva visto quel giorno nella strana casata dell’ex sindaco del paesino: inizialmente le sei statue, poste ai lati della villetta, tre a sinistra, tre a destra; lo strano pilastro dai cerchi concentrici, unione di tutti i colori esistenti; il codice intagliato nel legno delle librerie, una sequenza che doveva avere necessariamente un significato, un certo indizio che avrebbe portato da qualche parte; la sequenza di freccette che lo avevano portato al pacco verde smeraldo; la lettera del proprietario stesso. Tutti questi elementi dovevano incastonarsi, eppure Alex non riusciva a trovare un collegamento. Accantonò queste riflessioni per aumentare il passo. ‘Mamma si starà decisamente preoccupando’, pensò con una nota d’angoscia. Mentre il vento ululava noncurante, uscì finalmente da quel sentiero di alberi-sentinelle,arbusti secolari, e attraversò la strada che inizialmente aveva percorso, finché arrivò di fronte alla porta di casa sua.
Era una mini-villetta, con due piani, composta da una piccola scala con tre gradini, e ai lati stavano dei piccoli orti, che Teresa curava ogni giorno.
Sembrava tutto tranquillo. Alex salì gli scalini che lo separavano da sua madre, bussò e attese. Non molto, perché Angela si riversò in un batter d’occhio sulla maniglia della porta, aprendo quest’ultima con molta ira e ferocia.
-Amore mio! Ma dove sei stato?! Mi stavo preoccupando, seriamente!-, gridò, avvolgendo Alex in un candido abbraccio materno.
-Scusa, mamma, ma la libreria era chiusa e poi ho deciso di girare per le strade di Rancerco.-, fantasticò il giovane, mentendo. Non voleva che alla madre venisse un colpo, se le avesse raccontato tutto ciò che era accaduto realmente. Teresa era una donna fragile, iperprotettiva verso l’unico suo figlio.
L’unica cosa che le restava.
-Mannaggia a te!-, disse Angela, scompigliandogli i capelli arruffati, poi entrambi si avviarono in casa.
Nell’aria aleggiava un buon profumino: di certo la madre aveva cucinato ad Alex la sua ciambella preferita, la torta con le mele, per immortalare i primi giorni del loro arrivo in quel paesino sconosciuto e per passarli serenamente, cosa che non era accaduta.
Dopo aver mangiato la pasta al forno, una cotoletta alla milanese affiancata da una montagna di patatine fritte e quattro pezzi della sua torta preferita, si recò nella sua stanza. Era perfettamente in ordine, non una cosa fuori posto. L’ossessione di Angela per l’ordine era terribile. Si tolse le scarpe Nike blu e le depose nella scarpiera, dopodiché si avviò verso la libreria, per scegliere un nuovo libro da leggere. Dopo pochi secondi, si accorse che non era dell’umore giusto per leggere, per la precisione dopo gli eventi accaduti, restava improbabile riuscire a distrarsi. Si stese sul letto, gli occhi rivolti sul soffitto, e restò assorto nei suoi pensieri, cercando di trovare una soluzione alle stramberie di quella mattinata-pomeriggio. Come scene di un film, quegli strani elementi sfilavano sul tappeto rosso della sua mente, come tante piccole modelle. La testa gli martellava, era davvero stanco, ma Alex non poteva mettere da parte quegli ‘indizi’.
Si ricordò che aveva dato appuntamento a Teresa alle 17:30, in quella stessa casata. Non poteva darle buco.
Affinché non si dimenticasse, nell’eventualità che si sarebbe addormentato da un momento all’altro, Alex prese la famosa sveglia post-sbornia adolescenziale, disponendola per quell’orario fissato. Il ragazzo poggiò di nuovo l’aggeggio sul comodino di legno, e cercò di concentrarsi per pescare una calamita che attirasse verso di sé gli indizi.
Alex ripensò per prima cosa alle statue poste ai lati della casata, dipinta di un rosa che in quel momento era sbiadito.
‘Tre a sinistra, tre a destra.’, si disse tra sé. ‘Tre più tre fa’ sei. Sei…’
Alex si maledisse, per la sua stupidità. Quando aveva scoperto il codice intagliato nel legno, non aveva cercato in alcun modo di memorizzarlo o scriverlo da qualche parte, inoltre non aveva portato con sé lo zainetto delle avventure, nel quale il ragazzo aveva depositato anche un blocnotes con una penna. Ricordava solo la prima lettera, X. Una lettera dell’alfabeto che sembrava insensata, insignificante.
Ritornò alle statue. Non erano così alte, al disotto dei due metri: i personaggi rappresentati stavano su dei piedistalli di marmo dalla forma quadrangolare, bianchi. Erano indubbiamente opere di un artista grandioso, per l’attenzione con cui erano state scolpite, proprio per la ricchezza di particolari, come l’illusione costruita sul movimento delle vesti o l’acconciatura.
Cercò di collegare ciò che aveva visto. ‘L’ex proprietario della casa ed ex sindaco di Rancerco era un uomo di enorme cultura, cosa evidenziata dal fatto che una delle stanze della villa trabocca di libri, la maggior parte di autori classici. Quindi forse una statua rappresenta Giove, Zeus, il dio dell’Olimpo.’ Eppure Alex aveva sempre visto Zeus rappresentato in maniera imponente nei libri di storia dell’arte. Un semplice uomo non si sarebbe mai fatto scolpire Zeus sul marmo per collocarlo nel suo giardino. ‘Nah, è impossibile.’
Mentre cercava di trovare un nesso, fantasticando con la mente, si addormentò…

***


Drin, drin.
Quella sveglia ancora una volta lo fece sussultare. –Cazzo, cazzo, cazzo! Teresa mi aspetta!-, Alex squarciò il silenzio che regnava indisturbato nella sua stanzetta. Già, Teresa lo aveva contagiato fortemente con la sua volgarità, aveva partecipato alla mensa dove si distribuiva gratis past’e cazzi. Vide l’orario che lampeggiava sulla sveglia.
17:51. ‘Non posso farla aspettare, no.’, si diceva tra sé mentre si allacciava le scarpe velocemente. Questa volta Alex prese il suo zainetto delle avventure, posto sulla sua scrivania piena di libri. Indossò un giubbotto marrone un po’ più pesante, poiché il vento autunnale cominciava a farsi sentire, dopodiché scese le scale per andare in cucina, quasi fosse una belva eccitata alla vista della sua preda.
-Madreee, io escooooooooo.-, gridò Alex ad Angela, intenta a rilassarsi sul soffice divano rosso a punta, mentre guardava un documentario sull’Australia.
-Ma dove vai ogni volta, si può sapere?-, si issò la madre, catapultandosi ai piedi di Alex.
-Vado a vedere se la libreria è aperta e poi faccio un giretto per il paese. Ho già trovato un amico.-, rispose il giovane, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. ‘Su, non divagare’, pensò, spaventato all’idea di non trovare Teresa lì, nella casa di suo zio.
-Okkay, ma torna entro le 19, intesi?-
-Sì, madre cara, a dopoooooo.-, e si precipitò verso la porta. Nel suo modo di parlare sembrava un futuro principe medievale costretto a ripetere epiteti per non mettere in discussione le parole della madre, presumibilmente una regina vanesia di fama e potere. Per intenderci, Joffrey Baratheon e quella vipera di Cersei.
Alex sorrise mentre ripercorreva lo stesso percorso per la terza volta in quella giornata, correndo all’impazzata, il cuore che cominciava a martellargli in petto. Le nuvole grigiastre del primo pomeriggio erano sparite, ed il sole stava avviandosi al tramonto. Alex calpestava le foglie, le quali producevano uno strano “gracchiare”. Quel bosco di alberi-sentinelle era infinito, sembrava una sorta di gabbia chiusa. Finalmente arrivò al cancello della casa, dove si stagliava il demone dai capelli arruffati. Entrò e bussò alla porta della casata. Aspettò un paio di secondi e la porta, malridotta, si aprì.
Teresa sorrise, i capelli rossi che le ricadevano sulle spalle. –Entra, Alex.-
Il ragazzo, le guance che stavano acquistando un colorito rosso, avanzò e, munito di coraggio, le diede un bacio sulla guancia. E lei ricambiò, con passione e determinazione. Terminati i saluti, si avviarono nella stanza dei libri, attenti al buco che si era formato poche ore fa, quando Alex, al buio, era precipitato giù, mentre il parquet crollava sotto i suoi piedi. Attraversarono le scale ed arrivarono nella sala. La prima cosa alla quale Alex pensò fu quella di prendere velocemente il block notes dallo zainetto, in modo da copiare il codice intagliato nelle libreria su un foglio, e anche la sequenza di freccette di fianco alla sequenza.
-Scusa, ma voglio cercare di risolvere questo mistero, se così si può definire. Sai, sono un amante dell’avventura.-, si rivolse verso la ragazza, che sorrise, evidentemente entusiasta per qualcosa che evidentemente non le importava più di tanto, evidentemente.
-Ti aiuterò anche io. Volevo bene a mio zio, e voglio scoprire dove se n’è andato. Non ho più sue notizie da molto tempo.-, disse Teresa, mentre il tono della sua voce cominciava ad incrinarsi. –E poi nella lettere compare il mio nome.-
-Saremo una squadra perfetta.-, Alex le fece l’occhiolino, dopodiché si avviò verso il tavolo. Si tolse lo zainetto e prese il block notes con una penna, quella con cui scriveva racconti, fantasticando e inventando mondi utopici ed ideali…
-Ok, ora scrivo la sequenza del codice e delle freccette.-
 Il ragazzo si avviò verso le librerie, felice di essersi immerso in un’avventura che sembrava abbastanza intrigante ed intrisa di mistero. Le sue mani cominciarono a muoversi sul foglio: XTAE8645QM723.
Poi passò alla sequenza delle frecce. Nelle due librerie che si trovavano nella parte sinistra della piccola reggia, una freccia puntava a destra, l’altra in basso. Alex annotò e si avviò nell’ala destra della stanza: trascrisse la sequenza, due frecce che puntavano ambedue a sinistra, ma di fronte al ragazzo erano puntate verso destra.
-Ti sei mai soffermata ad osservare le statue che si trovano in giardino?-, chiese Alex a Teresa. Qualcosa gli sussurrava che lì avrebbe trovato un indizio che lo avrebbe aiutato nella ricerca.
-No. Mio zio voleva che nessuno andasse a disturbarlo durante i suoi momenti di “pace”, nemmeno i suoi familiari. Da quando ha abbandonato il paese, io mi reco qui molto spesso, ma non mi sono mai interessata a quelle opere.-
-C’è sempre una prima volta. Vieni, andiamo.-, incoraggiò il giovane.
Ritornarono “in superficie”, e si avviarono nel giardino. L’oscurità stava per avvolgere Rancerco, quindi dovevano sbrigarsi. –Tu osserva quelle a destra, io vado a sinistra.-, annunciò Alex.
Ed ognuno si dedicò al proprio compito. Il giovane notò che nella sua parte torreggiavano solo statue rappresentati uomini. Passarono nemmeno due minuti, e la voce di Teresa si fece sentire.
-Ale, qui ci sono solo statue di donne.-, disse la ragazza.
-E qui sono uomini.-, disse di rimando Alex. Doveva esserci un collegamento con quel dettaglio, ma il ragazzo non riusciva a trovarlo. Volse nuovamente lo sguardo verso i tre monumenti, e cercò di riordinare.
‘Tre a destra, tre a sinistra….. A sinistra tre maschi, a destra tre femmine… Tre più tre uguale a sei…
Estrasse il block notes e lesse il codice. Nella sequenza comparivano il numero due e il numero sei. Sembravano numeri gettati lì, senza alcun significato…
Alex squadrò i tre uomini raffigurati: al centro c’era un uomo con una lunga tunica, sulla faccia un lungo naso, pochi capelli in testa. Si piegò e lesse il riquadro scolpito sul rialzo di marmo: CICERO. E sotto: SPQA.
SPQA… Senatus Populusque Arcturi…
Cicero… Senatus… -Ma certo! Il grande oratore di Roma, Cicerone!-, esultò Alex. Aveva studiato un po’ di latino dal primo anno alle scuole medie, e la sua prof, al terzo anno, aveva cominciato a parlare di Cicerone, una personalità illustre nell’antica Urbs, acerrimo nemico di Catilina, contro il quale pronunciò le famose Catilinarie, che Alex aveva cominciato a tradurre.
-Hai trovato qualcosa?-, disse Teresa, dall’altra parte del cortile.
-Sì! Penso che tuo zio sia stato un fan accanito di un oratore dell’antica Roma, nulla di emozionante. E tu?-
-Certo. Le donne qui rappresentate sono: Giovanna D’Arco, che non so chi sia, e altre due soldatesse, suppongo dal loro abbigliamento bellico. Ci sono scritti i loro nomi sotto, sulla tavoletta marmorea.-
-Bene! Giovanna D’Arco!-, sorrise Alex. Aveva sentito molte volte quel nome: era famosa perché aveva condotto l’esercito francese durante un’importantissima guerra combattuta tra Francia ed Inghilterra che durò più di cento anni, definita eretica dagli inglese e giustiziata. ‘Che donna!’, pensò Alex.
-Se trovo qualcos’altro, ti dico.-, annunciò Teresa.
Alex si dedicò alla scultura alla sinistra di Cicerone. La faccia, espressione quasi rabbuiata, dell’uomo era avvolta dalla stoffa, e, intorno alla testa, era stato scolpita una corona d’alloro. Lo scialle di stoffa scendeva fino al petto, dopodiché il corpo era avvolto in una tunica lunga. Alex lesse sulla targhetta del piedistallo: FRANCESCO PETRARCA.
Petrarca… anche quel poeta aveva studiato. La sua prof lo aveva definito un depresso, ma ad Alex i suoi scritti erano piaciuti. ‘Sfoggio di cultura’, pensò il ragazzo, mentre si avviava verso l’ultima statua. Era rappresentato un vecchio, il volto caratterizzato da barba e rughe, portava un espressione quasi afflitta, mentre il corpo era circondato anch’esso da una tunica. La targhetta diceva: ESIODO.
Esiodo… sì, il poeta greco. Aveva studiato epica, e alle scuole medie Alex aveva letto il prologo della Teogonia.
Cicerone… Petrarca… Esiodo… Per certo gli autori preferiti dell’ex sindaco Arturo. Eppure gli sembrava troppo strano che un uomo si facesse scolpire in giardino personaggi così importanti…
Lo colpì un dettaglio, anzi due: su ogni targa comparivano la sigla SPQA,già notato sulla statua di Cicerone, sotto ciò il codice, e sotto ancora le solite freccette.
Sul piedistallo di Cicerone compariva una freccia rivolta verso il basso, scolpita sulla targhetta di Petrarca la freccia che puntava a destra, mentre al disotto di Esiodo la freccia puntava a sinistra.
Destra… Basso…Sinistra… Le due poste agli estremi puntavano a quella di Cicerone.
-Alex!! Ci sono le stesse frecce della libreria, solo che hanno direzioni diverse. Le statue poste ai lati di Giovanna D’Arco puntano al centro, nella quale è rappresentata una freccia che punta verso sud, verso il basso. Dev’esserci qualcosa sotto le statue, o ai piedi dei piedistalli…!-, gridò Teresa, sopraffatta da un sentimento indefinibile.
-Anche qui, la stessa cosa!-, disse Alex, il quale, preso dall’intuito, spinse una mano sulla targhetta di Cicerone.
Un meccanismo scattò improvvisamente. Il marmo stava ritirandosi all’interno della base quadrata di marmo su cui poggiavano le statue, e intanto un pezzo di terreno cominciava a dilatarsi, una scena vista tante volte nei film d’avventura.
-Qui c’è qualcosa, Teresa!-, annunciò il ragazzo alla donna, entusiasta. –Prova anche tu! Spingi la mano sulla targa di Giovanna D’Arco! Vicino alla base dovrebbe estendersi un’apertura!-
Teresa fece il procedimento descritto da Alex, ed ottenne lo stesso risultato: la terra cominciò a dilatarsi un po’, mentre la targa di marmo si “restringeva”, come una lumaca che ritorna nel suo guscio, spaventata.
-Ecco, anche qui è comparsa un’apertura!-, esclamò Teresa. La luce solare stava affievolendosi, mentre l’oscurità cavala su Rancerco.
Alex guardò verso l’apertura e vide un bigliettino. Lo prese senza alcuna difficoltà e lesse:

“Se questo bigliettino prenderai,
il tesoro troverai,
scaltro avventuriero.
Se nel mio studio ti recherai,
un bell’e bellino indizino troverai,
bel giovanottino.”


E sotto compariva la sequenza.

“XTAE8645QM723.
Chissà, potresti scoprire di cosa si tratta,
scaltro avventuriero.”


-Tuo zio sta veramente fuori di testa!-, rise Alex, rendendosi conto della stupidità di quel bigliettino, fatica spesa per trovare tracce di ironia del signor Arturo. –Si sta prendendo gioco di noi!-
-Decisamente. Su, non c’è un minuto da perdere! Andiamo nel suo studio privato!-
-Okkay, baby-, rispose seccato Alex.
‘Ti farò vedere io di che pasta sono fatto, bel giovanottino Arturino.”, pensò con tono di sfida il giovane.
Il muschio verde, macchie sparse sulle statue dei tre uomini, sembrava guardasse di malocchio Alex.
Lo scricchiolio delle foglie raggiunse le orecchie dei due giovani. Qualcuno li stava osservando, da lontano…



















Eccomi con il nuovo capitolo, che, so, non è un granché. Sì, descrizioni spicciole, lo so. Ma ho troppo sonno.
Mi scoppia la testa, quindi recensite, su!
A presto.
Crypto.

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Capitolo 6
*** Quiet as a shadow. ***


L’oscurità era calata sul giardino della casata di Mr. Arturo: il bianco grigiastro del marmo delle statue sembrava possedesse una particolare luminosità, mentre dall’unica lampada, che campeggiava all’entrata della villa, fuoriusciva un debole bagliore, incapace di dominare sull’opprimente nero della sera. Nel percorso fiancheggiato dagli alberi-sentinelle, come arbusti titanici, alti e magri lampioni disegnavano ombre danzanti sul manto di foglie autunnali, come piccoli demoni pronti all’attacco.
La luna, silenziosa come sempre, sprigionava un’angoscia percepibile, come se mandasse maledizioni ai terresti, mentre una civetta, nascosta in qualche albero, ululava fastidiosamente; il vento cominciava a far sentire la sua potenza, imperterrito.
In un batter d’occhio il sole si era avviato verso i monti dando il cambio alla luna, il cielo da una tonalità porpora ora era una tela dannatamente scura,nella quale baluginavano piccole stelle, come diamanti incastonati.



L’uomo aveva sostato d’un tratto, osservando da lontana la casa dell’ex sindaco. Non si era accorto di Alex e Teresa, “nascosti” ai lati della villetta, vicini alle statue, una parte di giardino in cui la luce emanata dal lampione circolare, come un grande cappello anni ’90 in procinto di precipitare, non riusciva ad illuminare tutta la proprietà di Arturo.
Non riusciva ad identificare il colore delle pareti esterne. ‘Cose di poco conto.’, si disse tra sé.
Era ritornato, pronto a vendicarsi. Pronto a deturpare tutto il patrimonio di Arturo. Pronto a distruggerlo.



-Ehi, qualcuno ci sta guardando.-, bisbigliò Alex, il foglietto-indizio stretto nelle mani. Il suo cuore martellava in petto. Si stava mettendo male. L’uomo era comparso all’improvviso, senza che i due giovani se ne accorgessero. Solo il lontano calpestio delle foglie li avevi messi all’erta.
Silenzioso come un’ombra. *
Pareva che quell’uomo non si fosse accorto della loro presenza, poiché erano immersi nel buio.
-Sì, ho visto.-, sussurrò Teresa, la voce tremante. –Dobbiamo andarcene di qui, immediatamente.-. Sembrava un tiranno: bisognava sottostare ai suoi ordini e non contestarla. L’uomo riprese ad avanzare, furtivo, a passo molto lento, come se stesse meditando qualcosa con se stesso.
-Signorsìssignore!-, disse il giovane. A volte non si ha il coraggio di far esplodere i sentimenti quando si hanno occhi che ti puntano: ci si nasconde al buio, e tutto fila liscio.
-Devo chiudere la porta, anche se probabilmente c’è qualcosa che non va nella serratura. Come hai fatto ad aprirla tu?-, chiese stupita. Chi poteva aver rotto qualche ingranaggio al suo interno? Chi aveva tentato di introdursi nella casa?
-Non so, era già aperta, mi è bastato solo afferrare la maniglia.-. Anche ad Alex sembrava enormemente strano il fatto che un proprietario che aveva una villa così lussuosa lasciasse aperta la porta e, in generale, il cancello all’entrata. D’altronde le statue dei poeti a sinistra e delle soldatesse a destra non erano una cosa da niente: Arturo aveva consumato sicuramente la metà del suo patrimonio per farsi rappresentare quelli che sembravano i suoi idoli letterari e non solo.
-Va bene. Ora dobbiamo andare.-, enunciò Teresa, e si avviò verso il lampione antistante le due scalette che conducevano alla soglia della villa. Non c’era più tempo.



Una donna emerse improvvisamente dall’oscurità, come dal nulla. Stava percorrendo le scale per avviarsi alla porta. L’uomo era sicuro che non avrebbe trovato nessuno, e che nessuno avrebbe intralciato i suoi piani. ‘Dannazione.’
Il vento stava trasformandosi in una belva, e la sua forza fece muovere un palo della luce, provocando un tremolio. ‘Cosa vuoi che sia una donna indifesa?’
Negli ultimi anni della sua vita aveva modificato se stesso: era passato da una forma di cordialità assoluta ad una di misantropia generale. Odiava tutti, e la solitudine in cui era sprofondato lo stava consumando brutalmente.
Vendetta.
D’un tratto un altro individuo emerse, come da un portale magico. Stava raggiungendo la ragazza.
‘Merda.’



-Si è accorto di noi. Dobbiamo restare solo calmi e far finta che non sia successo niente, ok?-, cominciò Alex risoluto. L’uomo guardava ancora in direzione dei due ragazzi, come una statua, immobile nella danza del vento.
-Ok.-, rispose Teresa, lanciando il monosillabo. Era evidente che una qualche forza di terrore stava penetrando nelle sue ossa.
-Ehi, ci sono io.-, sparò Alex per rassicurarla.
-C’è qualcosa che non quadra: perché tu sei riuscito ad entrare senza la chiave ed io invece no? Chi ha chiuso la porta?-, pensava a voce alta, mentre i capelli rossi le nascondevano il volto.
-Su, avremo tempo di parlarne. Ora dobbiamo solo andare.-, esortò il ragazzo, e si voltò verso l’uomo. ‘Ancora ci guarda. E chi sarà mai? Cosa vuole da noi?’
Con difficoltà, Teresa fece girare la chiave nella serratura, e quest’ultima si chiuse.
-Andiamo, facciamo finta di essere cugini.-, disse, con gli occhi rivolti verso il basso avviandosi al cancello nero, che aveva attuato un processo di mimetismo, poiché sembrava fondersi con l’oscurità.
-E perché non facciamo finta di essere fidanzati?-
-Perché quello penserebbe che abbiamo fatto cose zozze in una casa lontana dagli occhi della gente, imbecille.-
-Ah beh.-, si stupì divertito Alex, e non disse più una sola parola.



L’uomo e la donna stavano chiudendo il cancello della casa di Arturo.
Stavano per mostrarsi alla luce.
Camminavano sul manto di foglie, come due modelli su una passerella.
-Allora, come sta tuo padre?-, disse l’uomo. L’ombra si accorse che era un ragazzo sui tredici anni, anche se sembrava ne avesse una sedicina. Era un po’ alto, con dei capelli arruffati.
-Bene, bene.-, rispose la donna, sorridendo. Era una ragazza.
In quel momento si accorse chi era.
Vendetta.








* Il trono di spade, George Martin.










Ciao a tutti! Sì, mi sono davvero sprecato, ma la verità è che in quest’ultimo periodo le Muse non mi assistono, sono scappate, e ho un vuoto di immaginazione. La scuola distrugge!
Questo capitolo è cortissimo, senza colpi di scena, ma non fa niente. Dovevo in qualche modo scrivere qualcosa.
Lasciate le vostre opinioni, ben gradite.
La prossima volta farò un capitolo lungo 2846829692868783 metri, e ben articolato, prometto!
A presto.

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