Separated di Owen (/viewuser.php?uid=194450)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Separated ***
Capitolo 2: *** The nightmare ***
Capitolo 3: *** Make a wish ***
Capitolo 4: *** His eyes ***
Capitolo 5: *** The best birthday present ***
Capitolo 1 *** Separated ***
* John P.O.V *
Non dimenticherò mai quel giorno.
Pioveva, era una fredda giornata di Ottobre.
Avevamo appena festeggiato il nostro quinto compleanno.
Sapevamo dei problemi che aveva la nostra famiglia, ma
eravamo troppo piccoli per capire.
Era peggio di quanto pensassi.
Ricordo quando bussarono alla porta e io andai ad aprire.
C'erano dei polizziotti che mi spinsero via, facendomi finire
a terra.
Quello che vidi dopo fù straziante.
La nostra mamma veniva portata via, due manette gli
bloccavano i polsi, gli occhi rossi e le labbra tremanti.
Urlava.
Urlava i nostri nomi.
Nel frattempo mi avevi raggiunto.
Tremante e spaventato quanto me, mi hai preso la mano.
Eravamo bloccati dalla paura mentre con gli occhi spalancati
e pieni di lacrime, guardavamo la scena.
E' stata spinta in un auto, mentre cercava di calmarci
dicendo che andava tutto bene.
Non lo era affatto.
La stavano portando via.
Non potevamo chiamare nessuno: i nostri genitori erano
separati e nostro padre viveva dall'altra parte della città.
Come avremmo fatto senza di lei?
Ricordo che mi alzai e, con la mano ancora stretta nella tua,
ti trascinai fino alla nostra camera, dove ci siamo chiusi a chiave.
Siamo corsi nell'angolo dietro il letto e ci siamo seduti.
Uno nelle braccia dell'altro.
Eravamo terrorizzati da quelle persone.
Poi, quando pensavamo di essere al sicuro, qualcuno
picchiò i pugni sulla porta.
Mi venne spontaneo stringerti di più.
Sentivo il tuo cuore battere veloce, il tuo respiro
irregolare.
Ad ogni colpo, il mio cuore si bloccava per lo spavento.
La porta venne aperta con forza.
Due polizziotti corsero verso di noi e ci presero in braccio.
Incominciai a urlare non appena mi staccarono dalla tua presa.
Anche tu facesti lo stesso.
Ci trascinarono in giardino, dove due macchine ci aspettavano.
Due macchine uguali a quelle che hanno portato via mamma.
Cosa volevano fare?
Il polizziotto che mi teneva, aprì la portiera di
una delle due.
Nel momento in cui si abbassò per adagiarmi sul
sedile posteriore, riuscì a scappare dalla sua presa.
Saltai giù e subito ti cercai con lo sguardo.
Avevi fatto la stessa cosa.
Ti corsi in contro e, sotto lo sguardo di quelle persone
sconosciute, ti abbracciai.
Strinsi le braccia intorno al tuo busto e incrociai le mani
dietro la tua schiena.
Nessuno ci avrebbe divisi.
Sentivo le tue lacrime bagnare il mio collo.
"Non mi lasciare." furono le uniche parole che
riuscì a sentire prima di essere separato nuovamente da te.
Allungai la mano e riuscì a sfiorarti per l'ultima
volta.
Poi, mi buttarono in macchina, minacciandomi di non muovermi.
Sentii le tue urla, chiamavi il mio nome e io non potevo
venire da te.
Poi un rumore mi fece rabbrividire.
Il rumore di una grande mano contro il tuo piccolo e pallido
viso.
Ti aveva picchiato.
Incominciai a tirare calci e pugni contro la portiera della
macchina, che era bloccata.
Urlai il tuo nome, invano.
Sentì il motore della macchina accendersi.
Mi affacciai al finestrino, con il naso contro il vetro.
Mi stavi guardando, sguardo perso e innocente.
Tenni lo sguardo su di te finchè mi fù
possibile.
Poi, crollai.
Ti avevo promesso che nessuno ci avrebbe mai diviso.
Ti avevo promesso che nessuno si sarebbe messo tra noi.
Ma avevamo torto.
Mi avevano portato via da te.
La cosa peggiore che mi potesse mai capitare.
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Capitolo 2 *** The nightmare ***
* Edward P.O.V. *
Sono
passati così tanti anni da quel giorno.
Quell'orribile
giorno.
Ricordo
qualunque cosa, come se fosse successo ieri.
Ricordo
le urla, i pianti, il tuo tocco, i tuoi abbracci.
Quelle
persone ti hanno portato via da me, senza un vero motivo.
In
realtà c'era, ma non lo volevo ammettere.
Mamma
tornava a casa tardi ogni sera, barcollava verso il bagno e si chiudeva
dentro.
Sentivamo
i suoi gemiti ad ogni conato di vomito.
Noi
eravamo nella stanza accanto, strisciavo nel tuo letto e mi accoglievi
con un abbraccio.
Avevamo
paura.
Paura
di poterla perdere.
Ricordo
che la sera prima era tornata abbastanza presto, visto che noi eravamo
svegli.
Non
era ubriaca, aveva gli occhi rossi e lucidi, lo sguardo perso.
Poi
è successo.
Si
arrabbiò con noi, senza motivo.
Ci
urlò contro, ci picchiò.
Ma
quello che faceva più male non erano i colpi sul viso, erano
le tue urla di paura e dolore.
Siamo
riusciti a nasconderci in bagno, dove ci siamo chiusi dentro.
Fù
la prima volta che ti vidi così terrorizzato, prima del
giorno dopo ovviamente.
Abbiamo
aspettato in bagno.
Ci
siamo medicati i piccoli tagli sul viso.
Eravamo
preoccupati per quello che sarebbe successo dopo.
Quando
siamo usciti, abbiamo trovato mamma seduta in un angolo della camera,
le ginocchia strette al petto, il viso tra le mani.
Piangeva
e sussurrava qualcosa a se stessa.
Quando
alzò lo sguardo e ci vide, rimase immobile.
Indietreggiai,
afferrando la tua mano.
Lei
ci disse, tra i singhiozzi, che non ci avrebbe più toccato.
Si
mise a piangere ancora più forte, sussurrando le sue scuse.
Ci
guardammo, gli occhi pieni di lacrime che minacciavano di uscire.
Ci
siamo avvicinati e l'abbiamo abbracciata forte.
Abbiamo
cercato di calmarla.
"Ti
vogliamo bene" abbiamo detto contemporaneamente.
Ci
prese in braccio e ci portò a letto, abbiamo dormito
abbracciati a lei quella notte.
La
mattina dopo il suono del campanello ci svegliò.
Tu
andasti ad aprire e il nostro incubo ebbe inizio.
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Capitolo 3 *** Make a wish ***
*John P.O.V.*
Mi
affidarono ad una famiglia.
Era
a chilometri di distanza da te.
Nostro
padre aveva una casa troppo piccola per accoglierci entrambi.
Così
ci separarono.
Fù
la decisione più sensata per loro, avrei trovato
più velocemente una famiglia.
Non
ti vidi più da quel giorno.
Non
ebbi più tue notizie.
Non
sapevo se eri rimasto con papà oppure anche tu eri stato
affidato ad una famiglia.
Oggi
è il giorno del nostro diciottesimo compleanno.
Festeggerò
da solo, ancora una volta.
Non
mi sono fatto amici, non ne sentivo il bisogno.
Passo
le mie giornate a cercare il tuo nome su Internet, sui giornali,
ovunque.
Ogni
giorno mi sento distrutto, dentro.
Ho
paura che tu sia cambiato.
Così
tanto da non riuscire più a riconoscerti.
E
se tu fossi più vicino di quanto penso?
Forse
sono così stupido da non accorgermi di te?
I
ragazzi della nostra età dovrebbero pensare a divertirsi,
agli amici, alle ragazze.
Ma
non io.
L'unica
cosa che voglio è quella di incontrarti.
Di
abbracciarti, di sentire il tuo profumo e di intrecciare le dita nelle
tue mani.
Da
quel giorno, ormai lontano, vedo il mondo nero.
Sono
pieno di paure.
Prima
avevo sempre te al mio fianco.
Ora
sono solo.
Prima
c'eri tu a ricordarmi quanto valevo.
Ora
nessuno.
Vivo
nei miei sogni impossibili sperando che un giorno almeno uno di questi
si realizzi.
La
mia nuova famiglia non vede l'ora di sbattermi fuori casa.
Sono
sempre stato distaccato con loro, non li ho mai chiamati "mamma" o
"papà".
Li
stavo usando.
Avevo
bisogno di cibo, di una casa e di qualcuno che mi mantenesse
finchè ne avessi bisogno.
A
scuola a malapena mi conoscevano i miei compagni di classe.
Andai in un supermercato vicino e comprai una tortina.
Mi
recai al parco della città dove trovai una panchina vuota e
isolata.
Misi
una piccola candelina sulla torta e l'accesi.
"Auguri
Edward" dissi.
Come
ogni anno, esprimetti lo stesso desiderio.
Poi
soffiai.
Le
lacrime mi annebbiarono la vista.
Non
potevo piangere, non qui.
La
mia attenzione venne rapita da due bambini in lontananza.
Uno
più grande e l'altro più piccolo.
Stavano
litigando e questo mi fece pensare che fossero fratelli.
Una
lacrima solcò il mio viso.
Improvvisamente
i ricordi riempirono la mia mente.
Ricordai
tutti i nostri litigi.
Dopo
pochi minuti ero tra le tue braccia.
Non
potevo essere arrabbiato con te.
Con
chi avrei giocato?
Con
chi avrei parlato?
Chi
avrei abbracciato?
Una
goccia bagnò il mio zigomo, non era una lacrima.
Aveva
iniziato a piovere.
Così,
mentre corsi verso casa, nessuno si accorse del mio pianto.
Le
lacrime si mischiavano con la pioggia.
Spazio
Autrice:
Ehilà,
sono Martina e per la prima volta in questa storia metto un piccolo
spazio riservato a me e ai miei lettori.
Volevo
solo dire un grandissimo grazie per tutte le persone che seguono la
storia e che, ad ogni capitolo, lasciano una bellissima recensione. Mi
rendete molto felice.
Finisco
con il dire cosa mi è successo ieri.
Conoscete
la rivista Big? E' un magazine per ragazze e nell'ultimo numero hanno
fatto una piccola intervista ai Jedward, scegliendo le domande che i
fan hanno scritto sotto un post di Facebook...
E
indovinate? Hanno risposto ad una mia domanda! Sono felicissima e forse
verranno in Italia quest'estate.
Forse
finalmente il mio sogno si realizzerà.
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Capitolo 4 *** His eyes ***
*Edward
P.O.V.*
Ancora
una volta mio padre mi ha costretto ad andare con lui.
Una
volta ogni due settimane lo accompagnavo dall'altra parte della
città.
Lì
viveva la sua nuova fidanzata.
Dopo
che mamma venne portata in prigione quel giorno, mi affidarono a
papà.
Non
ne ero molto entusiasta, non sono mai andato d'accordo con lui.
Non
lo considero nemmeno un padre, non ha mai fatto niente per noi.
Si
è separato da mamma quando ha saputo della sua gravidanza.
L'ha
lasciata sola.
Quel
giorno, una volta a casa della donna, decisi di uscire, di visitare il
paese.
Avevo
sempre paura a fare qualcosa di nuovo da solo.
Era
la prima volta per me.
Il
cielo era coperto da nuvole, segno che sarebbe iniziato a piovere
presto.
Affondai
le mani nelle tasche del cappotto mentre il vento scompigliava il mio
ciuffo biondo che mi ricadeva sulla fronte.
Amavo
camminare, mi faceva sempre pensare.
Pensare
a te.
Da
quel giorno sei diventato il mio pensiero fisso.
Ti
incontro ogni notte, nei miei sogni.
Quando
mi sveglio e mi ritrovo solo nel letto, piango.
Fà
male.
Fà
fottutamente male.
Non
ho mai trovato una persona, un amico in grado di colmare quel vuoto
lasciato da te.
Mi
trovavo lungo un viale, di lato alcuni alberi mossi dal vento.
Intravidi
un parco oltre le chiome e così decisi di andarci.
La
gente stava tornando alle loro case, stava per iniziare una tempesta.
Trovai
una panchina isolata.
Presi
il mio blocco da disegno, lo tenevo sempre in tasca visto le piccole
dimensioni.
Scrivere
e disegnare era l'unico modo che avevo per sfogarmi.
Molti
dei miei compagni di classe lo trovano stupido e infantile.
Ma
non per me.
Non
ho nessuno con cui posso esprimere le mie emozioni e i miei sentimenti.
Così
scrivo.
Poesie,
canzoni, qualunque cosa.
Disegno.
Mi
piace disegnare, soprattutto occhi.
I
tuoi.
Sembra
una cosa strana, ma tra noi riuscivamo a capirci anche con un solo
sguardo.
Non
servivano parole.
Anche
in quel momento ero solo, a disegnare i tuoi occhi, l'unica cosa che
non sarebbe mai cambiata.
Sognavo
di poterli incontrare, un giorno.
Una
goccia bagnò l'angolo del mio foglio, risvegliandomi dai
miei pensieri.
Forse
era ora di tornare a casa.
Avviso
importante:
Il
prossimo capitolo sarà l'ultimo!
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Capitolo 5 *** The best birthday present ***
* John P.O.V *
Stavo
scappando.
Scappavo
dalle mie paure, senza affrontarle.
La
pioggia colpiva il mio viso.
Misi
il cappuccio della felpa sul capo, iniziando a correre più
veloce.
Il
vento e l'acqua mi limitavano la vista, ma non mi fermai.
Volevo
solo tornare a casa e chiudermi in camera mia.
Avrei
ascoltato della musica, per ricompormi.
La
musica.
L'unica
in grado di capirmi davvero.
L'unica
in grado di ascoltarmi.
L'unica
in grado di descrivere le mie emozioni.
Urtai
improvvisamente una persona, non mi girai.
Sentì
un gemito di dolore non appena egli finì a terra.
Mi
fermai, sentendomi improvvisamente in colpa per quello che avevo appena
fatto.
Ritornai
indietro e, porgendo una mano in segno di aiuto, gli feci le mie scuse.
Non
vedevo il suo volto, lo teneva basso.
Il
ragazzo a terra si irrigidì non appena
sentì la mia voce.
Un
singhiozzo improvviso scosse il suo corpo e io fui preso dal panico.
"Ti
ho fatto male?" chiesi insicuro, mentre la pioggia scendeva
più forte.
Poi
il tempo si bloccò.
Il
mio cuore smise di battere per qualche secondo.
Le
mie gambe incominciarono a tremare.
La
mia vista venne annebbiata dalle lacrime, non di dolore.
Il
mio labbro inferiore prese a tremare.
Trattenni
il respiro per un tempo indefinito.
Aveva
alzato lo sguardo.
Non
mi trovavo di fronte ad uno specchio.
Era
forse un'allucinazione?
Riuscivo
a trovare quelle piccole differenze che non vedevo da anni.
La
cicatrice sul suo labbro.
Ero
in uno stato di shock e confusione, come lui.
Stava
ancora a terra, seduto sul terreno bagnato.
Stavamo
immobili, a fissarci.
Si
alzò lentamente, tremante e senza distogliere lo sguardo dal
mio.
Allungò
la mano, fino a sfiorare il mio viso.
Tracciò
con un gesto delicato la mia guancia, scendendo fino alla mia cicatrice.
Le
lacrime gli solcavano il viso, gli occhi rossi e spalancati.
"John."
soffocò in un singhiozzo.
Era
da tanto tempo che non sentivo quella voce.
Poi,
all'improvviso, mi ritrovai tra le sue braccia.
Stringeva
talmente forte che rendeva difficile la respirazione.
Non
mi importava.
Iniziai
a piangere anche io, dopo aver superato lo shock.
Sentivo
il suo corpo tremante, scosso da forti singhiozzi.
"Dimmi...
Dimmi che non sto sognando." ha sussurrato contro il mio
collo.
"Dimmi
che tutto questo non finirà, dimmi che non mi
sveglierò nel mio letto." ha continuato, stringendo la presa
sulla mia spalla.
"Edward
io..." non riuscì a terminare la frase.
Rimanemmo
in quella posizione per minuti.
Tenevo
gli occhi chiusi.
Avevo
paura.
Paura
di aprirli e di non trovare nessuno con me.
Mi
feci coraggio.
Abbassai
lo sguardo, era leggermente più basso di me.
Notai
i suoi cambiamenti.
Il
suo corpo era cambiato, era diverso rispetto a tanti anni fà.
Era
meno robusto di me, riuscivo a sentire le sue ossa sotto il sottile
strato di pelle.
Aveva
sempre avuto problemi con il cibo.
Eravamo
nati prematuri.
Il
suo viso era più sottile del mio.
Ma
i suoi occhi, quelli erano sempre gli stessi.
Potevo
leggere la felicità e lo stupore di quel momento.
Ma
potevo immaginare tutto il dolore passato in questi ultimi anni.
"Ho
sognato questo momento da tutta la vita." pianse sulla mia spalla.
"E'...E'
tutto finito Ed'ard." lo tranquillizzai, con voce tremante.
Quanto
tempo è passato dall'ultima volta che l'ho chiamato
così?
Tanto,
troppo.
"Non
voglio passare più un secondo lontano da te." ha detto,
allontanandosi per guardarmi in viso.
Sorridevi.
Quel
sorriso che non vedevo da anni.
Quel
sorriso che mi ha dato la forza per lottare ogni giorno.
Quel
sorriso che era diventato il mio traguardo.
Quanto
mi è mancato.
Mi
sei
mancato.
"Scusami."
ho sussurrato, prima di ricominciare a lottare contro i singhiozzi.
Mi
hai preso di nuovo tra le tue braccia, mi hai cullato.
"Per
cosa?" mi hai chiesto una volta calmo, accarezzandomi la guancia.
"Non
sono riuscito a mantenere la promessa." risposi, abbassando lo sguardo.
Mi
alzasti il viso, stringendomi forte le mani.
"Jawn,
non importa più il passato. Pensiamo solo al futuro."
Avevi
ragione.
Ti
strinsi ancora più forte.
"Auguri
Edward." sussurrai al tuo orecchio.
"Auguri
John." dissi, baciandomi la tempia.
La
pioggia era passata in secondo piano.
Rimasi
immobile a studiarti.
Emanavi
gioia.
Tutto
era ritornato come prima.
Dovevamo
dimenticare il passato.
Siamo
destinati a stare insieme.
Ora.
Per
sempre.
Spazio
Autrice:
Ehilà
gente! Anche questa Fan Fiction è terminata....
Voglio
ringraziare tutti i lettori, tutti quelli che hanno lasciato una
recensione ad ogni capitolo, tutti.
Grazie
mille, mi avete reso davvero felice c:
p.s.
Sò che a nessuno importa ma volevo sfogare la mia
felicità con qualcuno... Forse mia zia, se lavoro
quest'estate, mi porta a Dublino a Gennaio per vedere il musical dei
Jedward! Non voglio fare filmini mentali ora, sarò davvero
felice quando avrò quei biglietti tra le mie mani c:
Alla
prossima Fan Fiction.
Owen.
John: "Edward is my
best friend and he means everything to me."
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