Separated

di Owen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Separated ***
Capitolo 2: *** The nightmare ***
Capitolo 3: *** Make a wish ***
Capitolo 4: *** His eyes ***
Capitolo 5: *** The best birthday present ***



Capitolo 1
*** Separated ***


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* John P.O.V *

Non dimenticherò mai quel giorno.

Pioveva, era una fredda giornata di Ottobre.

Avevamo appena festeggiato il nostro quinto compleanno.

Sapevamo dei problemi che aveva la nostra famiglia, ma eravamo troppo piccoli per capire.

Era peggio di quanto pensassi.

Ricordo quando bussarono alla porta e io andai ad aprire.

C'erano dei polizziotti che mi spinsero via, facendomi finire a terra.

Quello che vidi dopo fù straziante.

La nostra mamma veniva portata via, due manette gli bloccavano i polsi, gli occhi rossi e le labbra tremanti.

Urlava.

Urlava i nostri nomi.

Nel frattempo mi avevi raggiunto.

Tremante e spaventato quanto me, mi hai preso la mano.

Eravamo bloccati dalla paura mentre con gli occhi spalancati e pieni di lacrime, guardavamo la scena.

E' stata spinta in un auto, mentre cercava di calmarci dicendo che andava tutto bene.

Non lo era affatto.

La stavano portando via.

Non potevamo chiamare nessuno: i nostri genitori erano separati e nostro padre viveva dall'altra parte della città.

Come avremmo fatto senza di lei?

Ricordo che mi alzai e, con la mano ancora stretta nella tua, ti trascinai fino alla nostra camera, dove ci siamo chiusi a chiave.

Siamo corsi nell'angolo dietro il letto e ci siamo seduti.

Uno nelle braccia dell'altro.

Eravamo terrorizzati da quelle persone.

Poi, quando pensavamo di essere al sicuro, qualcuno picchiò i pugni sulla porta.

Mi venne spontaneo stringerti di più.

Sentivo il tuo cuore battere veloce, il tuo respiro irregolare.

Ad ogni colpo, il mio cuore si bloccava per lo spavento.

La porta venne aperta con forza.

Due polizziotti corsero verso di noi e ci presero in braccio.

Incominciai a urlare non appena mi staccarono dalla tua presa.

Anche tu facesti lo stesso.

Ci trascinarono in giardino, dove due macchine ci aspettavano.

Due macchine uguali a quelle che hanno portato via mamma.

Cosa volevano fare?

Il polizziotto che mi teneva, aprì la portiera di una delle due.

Nel momento in cui si abbassò per adagiarmi sul sedile posteriore, riuscì a scappare dalla sua presa.

Saltai giù e subito ti cercai con lo sguardo.

Avevi fatto la stessa cosa.

Ti corsi in contro e, sotto lo sguardo di quelle persone sconosciute, ti abbracciai.

Strinsi le braccia intorno al tuo busto e incrociai le mani dietro la tua schiena.

Nessuno ci avrebbe divisi.

Sentivo le tue lacrime bagnare il mio collo.

"Non mi lasciare." furono le uniche parole che riuscì a sentire prima di essere separato nuovamente da te.

Allungai la mano e riuscì a sfiorarti per l'ultima volta.

Poi, mi buttarono in macchina, minacciandomi di non muovermi.

Sentii le tue urla, chiamavi il mio nome e io non potevo venire da te.

Poi un rumore mi fece rabbrividire.

Il rumore di una grande mano contro il tuo piccolo e pallido viso.

Ti aveva picchiato.

Incominciai a tirare calci e pugni contro la portiera della macchina, che era bloccata.

Urlai il tuo nome, invano.

Sentì il motore della macchina accendersi.

Mi affacciai al finestrino, con il naso contro il vetro.

Mi stavi guardando, sguardo perso e innocente.

Tenni lo sguardo su di te finchè mi fù possibile.

Poi, crollai.

Ti avevo promesso che nessuno ci avrebbe mai diviso.

Ti avevo promesso che nessuno si sarebbe messo tra noi.

Ma avevamo torto.

Mi avevano portato via da te.

La cosa peggiore che mi potesse mai capitare.


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Capitolo 2
*** The nightmare ***


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* Edward P.O.V. * 

Sono passati così tanti anni da quel giorno.

Quell'orribile giorno.

Ricordo qualunque cosa, come se fosse successo ieri.

Ricordo le urla, i pianti, il tuo tocco, i tuoi abbracci.

Quelle persone ti hanno portato via da me, senza un vero motivo.

In realtà c'era, ma non lo volevo ammettere.

Mamma tornava a casa tardi ogni sera, barcollava verso il bagno e si chiudeva dentro.

Sentivamo i suoi gemiti ad ogni conato di vomito.

Noi eravamo nella stanza accanto, strisciavo nel tuo letto e mi accoglievi con un abbraccio.

Avevamo paura.

Paura di poterla perdere.

Ricordo che la sera prima era tornata abbastanza presto, visto che noi eravamo svegli.

Non era ubriaca, aveva gli occhi rossi e lucidi, lo sguardo perso.

Poi è successo.

Si arrabbiò con noi, senza motivo.

Ci urlò contro, ci picchiò.

Ma quello che faceva più male non erano i colpi sul viso, erano le tue urla di paura e dolore.

Siamo riusciti a nasconderci in bagno, dove ci siamo chiusi dentro.

Fù la prima volta che ti vidi così terrorizzato, prima del giorno dopo ovviamente.

Abbiamo aspettato in bagno.

Ci siamo medicati i piccoli tagli sul viso.

Eravamo preoccupati per quello che sarebbe successo dopo.

Quando siamo usciti, abbiamo trovato mamma seduta in un angolo della camera, le ginocchia strette al petto, il viso tra le mani.

Piangeva e sussurrava qualcosa a se stessa.

Quando alzò lo sguardo e ci vide, rimase immobile.

Indietreggiai, afferrando la tua mano.

Lei ci disse, tra i singhiozzi, che non ci avrebbe più toccato.

Si mise a piangere ancora più forte, sussurrando le sue scuse.

Ci guardammo, gli occhi pieni di lacrime che minacciavano di uscire.

Ci siamo avvicinati e l'abbiamo abbracciata forte.

Abbiamo cercato di calmarla.

"Ti vogliamo bene" abbiamo detto contemporaneamente.

Ci prese in braccio e ci portò a letto, abbiamo dormito abbracciati a lei quella notte.

La mattina dopo il suono del campanello ci svegliò.

Tu andasti ad aprire e il nostro incubo ebbe inizio.

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Capitolo 3
*** Make a wish ***


Image and video hosting by TinyPic *John P.O.V.*


Mi affidarono ad una famiglia.

Era a chilometri di distanza da te.

Nostro padre aveva una casa troppo piccola per accoglierci entrambi.

Così ci separarono.

Fù la decisione più sensata per loro, avrei trovato più velocemente una famiglia.

Non ti vidi più da quel giorno.

Non ebbi più tue notizie.

Non sapevo se eri rimasto con papà oppure anche tu eri stato affidato ad una famiglia.

Oggi è il giorno del nostro diciottesimo compleanno.

Festeggerò da solo, ancora una volta.

Non mi sono fatto amici, non ne sentivo il bisogno.

Passo le mie giornate a cercare il tuo nome su Internet, sui giornali, ovunque.

Ogni giorno mi sento distrutto, dentro.

Ho paura che tu sia cambiato.

Così tanto da non riuscire più a riconoscerti.

E se tu fossi più vicino di quanto penso?

Forse sono così stupido da non accorgermi di te?

I ragazzi della nostra età dovrebbero pensare a divertirsi, agli amici, alle ragazze.

Ma non io.

L'unica cosa che voglio è quella di incontrarti.

Di abbracciarti, di sentire il tuo profumo e di intrecciare le dita nelle tue mani.

Da quel giorno, ormai lontano, vedo il mondo nero.

Sono pieno di paure.

Prima avevo sempre te al mio fianco.

Ora sono solo.

Prima c'eri tu a ricordarmi quanto valevo.

Ora nessuno.

Vivo nei miei sogni impossibili sperando che un giorno almeno uno di questi si realizzi.

La mia nuova famiglia non vede l'ora di sbattermi fuori casa.

Sono sempre stato distaccato con loro, non li ho mai chiamati "mamma" o "papà".

Li stavo usando.

Avevo bisogno di cibo, di una casa e di qualcuno che mi mantenesse finchè ne avessi bisogno.

A scuola a malapena mi conoscevano i miei compagni di classe.


Andai in un supermercato vicino e comprai una tortina.

Mi recai al parco della città dove trovai una panchina vuota e isolata.

Misi una piccola candelina sulla torta e l'accesi.

"Auguri Edward" dissi.

Come ogni anno, esprimetti lo stesso desiderio.

Poi soffiai.

Le lacrime mi annebbiarono la vista.

Non potevo piangere, non qui.

La mia attenzione venne rapita da due bambini in lontananza.

Uno più grande e l'altro più piccolo.

Stavano litigando e questo mi fece pensare che fossero fratelli.

Una lacrima solcò il mio viso.

Improvvisamente i ricordi riempirono la mia mente.

Ricordai tutti i nostri litigi.

Dopo pochi minuti ero tra le tue braccia.

Non potevo essere arrabbiato con te.

Con chi avrei giocato?

Con chi avrei parlato?

Chi avrei abbracciato?

Una goccia bagnò il mio zigomo, non era una lacrima.

Aveva iniziato a piovere.

Così, mentre corsi verso casa, nessuno si accorse del mio pianto.

Le lacrime si mischiavano con la pioggia.




Spazio Autrice:

Ehilà, sono Martina e per la prima volta in questa storia metto un piccolo spazio riservato a me e ai miei lettori.

Volevo solo dire un grandissimo grazie per tutte le persone che seguono la storia e che, ad ogni capitolo, lasciano una bellissima recensione. Mi rendete molto felice.

Finisco con il dire cosa mi è successo ieri.

Conoscete la rivista Big? E' un magazine per ragazze e nell'ultimo numero hanno fatto una piccola intervista ai Jedward, scegliendo le domande che i fan hanno scritto sotto un post di Facebook...

E indovinate? Hanno risposto ad una mia domanda! Sono felicissima e forse verranno in Italia quest'estate.

Forse finalmente il mio sogno si realizzerà.

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Capitolo 4
*** His eyes ***


Image and video hosting by TinyPic *Edward P.O.V.*



Ancora una volta mio padre mi ha costretto ad andare con lui.

Una volta ogni due settimane lo accompagnavo dall'altra parte della città.

Lì viveva la sua nuova fidanzata.

Dopo che mamma venne portata in prigione quel giorno, mi affidarono a papà.

Non ne ero molto entusiasta, non sono mai andato d'accordo con lui.

Non lo considero nemmeno un padre, non ha mai fatto niente per noi.

Si è separato da mamma quando ha saputo della sua gravidanza.

L'ha lasciata sola.

Quel giorno, una volta a casa della donna, decisi di uscire, di visitare il paese.

Avevo sempre paura a fare qualcosa di nuovo da solo.

Era la prima volta per me.

Il cielo era coperto da nuvole, segno che sarebbe iniziato a piovere presto.

Affondai le mani nelle tasche del cappotto mentre il vento scompigliava il mio ciuffo biondo che mi ricadeva sulla fronte.

Amavo camminare, mi faceva sempre pensare.

Pensare a te.

Da quel giorno sei diventato il mio pensiero fisso.

Ti incontro ogni notte, nei miei sogni.

Quando mi sveglio e mi ritrovo solo nel letto, piango.

Fà male.

Fà fottutamente male.

Non ho mai trovato una persona, un amico in grado di colmare quel vuoto lasciato da te.

Mi trovavo lungo un viale, di lato alcuni alberi mossi dal vento.

Intravidi un parco oltre le chiome e così decisi di andarci.

La gente stava tornando alle loro case, stava per iniziare una tempesta.

Trovai una panchina isolata.

Presi il mio blocco da disegno, lo tenevo sempre in tasca visto le piccole dimensioni.

Scrivere e disegnare era l'unico modo che avevo per sfogarmi.

Molti dei miei compagni di classe lo trovano stupido e infantile.

Ma non per me.

Non ho nessuno con cui posso esprimere le mie emozioni e i miei sentimenti.

Così scrivo.

Poesie, canzoni, qualunque cosa.

Disegno.

Mi piace disegnare, soprattutto occhi.

I tuoi.

Sembra una cosa strana, ma tra noi riuscivamo a capirci anche con un solo sguardo.

Non servivano parole.

Anche in quel momento ero solo, a disegnare i tuoi occhi, l'unica cosa che non sarebbe mai cambiata.

Sognavo di poterli incontrare, un giorno.

Una goccia bagnò l'angolo del mio foglio, risvegliandomi dai miei pensieri.

Forse era ora di tornare a casa.






Avviso importante:

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo!

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Capitolo 5
*** The best birthday present ***


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* John P.O.V *

Stavo scappando.

Scappavo dalle mie paure, senza affrontarle.

La pioggia colpiva il mio viso.

Misi il cappuccio della felpa sul capo, iniziando a correre più veloce.

Il vento e l'acqua mi limitavano la vista, ma non mi fermai.

Volevo solo tornare a casa e chiudermi in camera mia.

Avrei ascoltato della musica, per ricompormi.

La musica.

L'unica in grado di capirmi davvero.

L'unica in grado di ascoltarmi.

L'unica in grado di descrivere le mie emozioni.

Urtai improvvisamente una persona, non mi girai.

Sentì un gemito di dolore non appena egli finì a terra.

Mi fermai, sentendomi improvvisamente in colpa per quello che avevo appena fatto.

Ritornai indietro e, porgendo una mano in segno di aiuto, gli feci le mie scuse.

Non vedevo il suo volto, lo teneva basso.

Il ragazzo a terra si irrigidì non appena sentì la mia voce.

Un singhiozzo improvviso scosse il suo corpo e io fui preso dal panico.

"Ti ho fatto male?" chiesi insicuro, mentre la pioggia scendeva più forte.

Poi il tempo si bloccò.

Il mio cuore smise di battere per qualche secondo.

Le mie gambe incominciarono a tremare.

La mia vista venne annebbiata dalle lacrime, non di dolore.

Il mio labbro inferiore prese a tremare.

Trattenni il respiro per un tempo indefinito.

Aveva alzato lo sguardo.

Non mi trovavo di fronte ad uno specchio.

Era forse un'allucinazione?

Riuscivo a trovare quelle piccole differenze che non vedevo da anni.

La cicatrice sul suo labbro.

Ero in uno stato di shock e confusione, come lui.

Stava ancora a terra, seduto sul terreno bagnato.

Stavamo immobili, a fissarci.

Si alzò lentamente, tremante e senza distogliere lo sguardo dal mio.

Allungò la mano, fino a sfiorare il mio viso.

Tracciò con un gesto delicato la mia guancia, scendendo fino alla mia cicatrice.

Le lacrime gli solcavano il viso, gli occhi rossi e spalancati.

"John." soffocò in un singhiozzo.

Era da tanto tempo che non sentivo quella voce.

Poi, all'improvviso, mi ritrovai tra le sue braccia.

Stringeva talmente forte che rendeva difficile la respirazione.

Non mi importava.

Iniziai a piangere anche io, dopo aver superato lo shock.

Sentivo il suo corpo tremante, scosso da forti singhiozzi.

"Dimmi... Dimmi che non sto sognando." ha sussurrato contro il mio collo.

"Dimmi che tutto questo non finirà, dimmi che non mi sveglierò nel mio letto." ha continuato, stringendo la presa sulla mia spalla.

"Edward io..." non riuscì a terminare la frase.

Rimanemmo in quella posizione per minuti.

Tenevo gli occhi chiusi.

Avevo paura.

Paura di aprirli e di non trovare nessuno con me.

Mi feci coraggio.

Abbassai lo sguardo, era leggermente più basso di me.

Notai i suoi cambiamenti.

Il suo corpo era cambiato, era diverso rispetto a tanti anni fà.

Era meno robusto di me, riuscivo a sentire le sue ossa sotto il sottile strato di pelle.

Aveva sempre avuto problemi con il cibo.

Eravamo nati prematuri.

Il suo viso era più sottile del mio.

Ma i suoi occhi, quelli erano sempre gli stessi.

Potevo leggere la felicità e lo stupore di quel momento.

Ma potevo immaginare tutto il dolore passato in questi ultimi anni.

"Ho sognato questo momento da tutta la vita." pianse sulla mia spalla.

"E'...E' tutto finito Ed'ard." lo tranquillizzai, con voce tremante.

Quanto tempo è passato dall'ultima volta che l'ho chiamato così?

Tanto, troppo.

"Non voglio passare più un secondo lontano da te." ha detto, allontanandosi per guardarmi in viso.

Sorridevi.

Quel sorriso che non vedevo da anni.

Quel sorriso che mi ha dato la forza per lottare ogni giorno.

Quel sorriso che era diventato il mio traguardo.

Quanto mi è mancato.

Mi sei mancato.

"Scusami." ho sussurrato, prima di ricominciare a lottare contro i singhiozzi.

Mi hai preso di nuovo tra le tue braccia, mi hai cullato.

"Per cosa?" mi hai chiesto una volta calmo, accarezzandomi la guancia.

"Non sono riuscito a mantenere la promessa." risposi, abbassando lo sguardo.

Mi alzasti il viso, stringendomi forte le mani.

"Jawn, non importa più il passato. Pensiamo solo al futuro."

Avevi ragione.

Ti strinsi ancora più forte.

"Auguri Edward." sussurrai al tuo orecchio.

"Auguri John." dissi, baciandomi la tempia.

La pioggia era passata in secondo piano.

Rimasi immobile a studiarti.

Emanavi gioia.

Tutto era ritornato come prima.

Dovevamo dimenticare il passato.

Siamo destinati a stare insieme.

Ora.

Per sempre.

Spazio Autrice:

Ehilà gente! Anche questa Fan Fiction è terminata....

Voglio ringraziare tutti i lettori, tutti quelli che hanno lasciato una recensione ad ogni capitolo, tutti.

Grazie mille, mi avete reso davvero felice c:

p.s. Sò che a nessuno importa ma volevo sfogare la mia felicità con qualcuno... Forse mia zia, se lavoro quest'estate, mi porta a Dublino a Gennaio per vedere il musical dei Jedward! Non voglio fare filmini mentali ora, sarò davvero felice quando avrò quei biglietti tra le mie mani c:

Alla prossima Fan Fiction.

Owen.






John: "Edward is my best friend and he means everything to me."

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