Tutta colpa di Edipo di Starlet (/viewuser.php?uid=217041)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Tutta
colpa di Edipo
Prologo
Un pesce azzurro con le squame argentate nuotava tranquillo in
compagnia del suo banco, spostandosi perfettamente in sincronia insieme
a tutti i suoi compagni, in quel bellissimo tratto di oceano che non
era altri che il Grande Blu. Improvvisamente, la sua attenzione venne
attirata da un piccolo oggetto che galleggiava nell’acqua e,
per paura di essere preceduto, guizzò in avanti per
afferrarlo.
Sfortunatamente, si accorse solo in quel momento che quel piccolo pezzo
di pane era sorretto da un amo.
- Guarda Usop! Ne ho preso uno! - urlò il ragazzo di gomma
riavvolgendo il filo della canna da pesca e spaventando a morte il
cecchino seduto a fianco a lui, che per poco non finì in
acqua.
- Soddisfatto adesso? Possiamo andare a dormire? - affermò
assonnato il povero Usop, trattenendo a stento uno sbadiglio. Un
po’ si pentiva di aver regalato a Rufy una nuova canna da
pesca per il suo compleanno: era già passata una settimana
ormai, ma sul volto del capitano ancora non erano spariti il sorriso e
l’eccitazione che erano scaturiti non appena aveva aperto il
proprio regalo. Lo utilizzava tutti i giorni e a tutti gli orari
possibili, anche quella sera, coinvolgendo sempre il povero Usop, che
non poteva fare altro se non sopportare le stramberie del proprio
capitano.
Non tutti i componenti della ciurma erano, però,
già andati a dormire: come dimostrato dalla luce ancora
accesa, Sanji si trovava in cucina per riordinarla come tutte le sere.
Era il suo piccolo regno personale e amava prendersene cura: oltre a
lavare i piatti, riordinare le stoviglie, e mettere in ordine tutto
ciò che era stato lasciato fuori posto dai suoi compagni
più esagitati, ricontrollava frigorifero e dispensa (prima
di averli sigillati per prevenire un qualsiasi spuntino notturno del
capitano) e organizzava, in base alle disponibilità degli
ingredienti, i pasti della giornata successiva. Da persona precisa e
puntigliosa, rifiutava sempre l’aiuto dei compagni:
nonostante apprezzasse il gesto, voleva essere il solo a occuparsi
della cucina.
Oltre al cuoco, anche il carpentiere si dava da fare sotto coperta:
controllava sempre la sua bellissima nave prima di andare a dormire.
Voleva essere sicuro che tutto procedesse per il meglio, prima di
riuscire ad addormentarsi placidamente. Ma Franky non era
l’ultimo mugiwara ancora in piedi.
- ... e così Issunboshi visse per sempre felice e contento
insieme alla sua principessa.
Robin si trovava nell’osservatorio in compagnia di Chopper, e
stava leggendo una favola alla piccola renna.
- Che bella storia! - disse il dottore tutto contento, guardando ancora
l’illustrazione stampata sulla pagina del libro che
l’archeologa teneva in grembo. - Ma non credo che possa
esistere un bambino grande quanto un pollice.
Robin rise di fronte allo scetticismo scientifico del piccolo.
- Si tratta di una leggenda Chopper. È normale che vi sia
qualche particolare di fantasia.
- Come per la coppia di anziani che desideravano un figlio. Dopo una
certa età è impossibile averne, ne sono
certissimo. L’ho studiato in uno dei miei libri.
- Non nego la tua preparazione, ma... hai mai pensato che dietro ad
ogni leggenda possa celarsi un fondo di verità?
Chopper la guardò sorpreso e parve riflettere per qualche
momento sulle parole della donna.
- Tu pensi che sia vero, Robin?
- Non lo so. Ma i fatti inspiegabili accadono. Tu come medico dovresti
saperlo bene.
Chopper riprese a pensarci, mettendosi una zampa a sostegno del mento,
come se dovesse fare un ragionamento molto complicato.
- Intendi ad esempio, - riprese il piccolo con calma. - la
capacità di Zoro di riprendersi da qualsiasi colpo subisca?
- Cosa centro io adesso? - si intromise lo spadaccino entrando nella
stanza.
Chopper esibì un sorriso a trentadue denti vedendolo in
piedi: nessuno avrebbe mai sospettato che fosse rimasto gravemente
ferito nel loro ultimo attacco contro i marines, se non avesse avuto il
braccio e la spalla sinistra bendati con cura e assicurati al collo con
una banda scura.
Tralasciando quel particolare, sembrava lo stesso Zoro di sempre:
neanche un proiettile nella spalla poteva fermarlo.
- Ciao Zoro! - lo salutò la piccola renna. - Come va la
spalla adesso?
- Molto meglio. Anche se hai esagerato con i tranquillanti.
- Se non l’avessi fatto, avresti passato tutto il giorno in
palestra a sollevare pesi nonostante il dolore!
- E invece da bravo medico mi hai fatto dormire quattordici ore filate.
- Sempre meglio che vederti mentre ti distruggi quel poco di
articolazione che ti è rimasta!
- Chopper ha ragione, Kenshi-san.
Lo spadaccino si abbandonò ad un grugnito di rassegnazione,
mentre abbassava lo sguardo verso il pavimento.
- Comunque. - riprese poi riconcentrando l’unico occhio sano
sui due compagni seduti davanti a lui. - Cosa state facendo?
- Robin mi ha appena letto una storia molto bella!
Zoro prese il libro dal grembo dell’archeologa senza farsi
troppi problemi e, girando faticosamente poche pagine con la mano
destra mentre reggeva il tomo, lesse il titolo del racconto.
- “La leggenda di Issunboshi”? - chiese incredulo,
ponendo lo sguardo verso la renna. - Non è una favola per
bambini?
- Non esistono le favole per bambini Kenshi-san. - disse Robin
alzandosi in piedi e prendendo il libro dalla mano dello spadaccino. -
Ognuno è libero di leggere ciò che più
lo aggrada.
- Penso solo che Chopper possa trovarsi qualcosa di più
interessante da leggere, o da farsi leggere. - affermò lui
prontamente guardandola fissa negli occhi.
Chopper si godeva tranquillo lo scambio di battute, sapendo
perfettamente come sarebbe finita.
- Forse. - esordì lei spostandolo di lato e riponendo il
libro su uno degli scaffali. - Ma ci vorrebbe qualcuno capace di
consigliarlo al meglio.
- Per questo ci sei tu, o sbaglio? - finì lui trionfante, e
andò a sedersi a fianco della piccola renna, rimasta un
po’ sorpresa dal termine del discorso. Di solito era Robin ad
averla vinta.
- Beh, di certo non si può chiedere a qualcuno che passa la
propria vita tra palestra e allenamenti, e prende ciò che
vuole senza nemmeno chiedere, giusto Kenshi-san?
Chopper sorrise. Era sicuro che l’archeologa non avesse
finito. Per quanto Zoro ci tentasse, non riusciva mai ad averla vinta
contro di lei.
Lo spadaccino, infatti, se ne stava contrariato accanto alla renna, ma
non sembrava volesse terminare lo scambio di opinioni.
- Sempre meglio che passare tutto il proprio tempo con il naso tra i
libri, no? E credo che anche tu mi abbia tolto il libro dalle mani.
- Passare il tempo tra i libri non è affatto uno spreco.
- Nemmeno passarlo in palestra, te l’assicuro.
Ormai si era giunti alle battute finali, Chopper se lo sentiva.
- Chopper. - disse poi l’archeologa attirando
l’attenzione della renna. - Credo che sia ora che tu vada a
dormire.
- Cosa?!
Ma il volto di Robin era impassibile, e il dottore scese dalla panchina
su cui era seduto per avvicinarsi all’archeologa che, al suo
arrivo, si abbassò sulle ginocchia per arrivare alla sua
altezza.
- Buonanotte Robin. - disse il piccolo lasciandole un lievissimo bacio
sulla guancia. Lei sorrise e rispose al saluto, mentre la renna si
avvicinava allo spadaccino, lo salutava, ed usciva dalla stanza.
- Ma che brava mammina abbiamo qui. - scherzò subito lo
spadaccino, non appena Chopper si fu allontanato.
L’archeologa rimase in silenzio e si limitò ad
alzarsi, aggiustandosi la lunga gonna rosa. Si rivolse immediatamente
allo scaffale, traendone un tomo piuttosto corposo. Cominciò
a sfogliarlo velocemente, rimanendo concentrata sulle pagine coperte da
una scrittura molto fitta, mentre lo spadaccino la guardava impotente,
aspettando la risposta che, sapeva, sarebbe arrivata.
- Mammina... è questo che pensi? - Lui le fece cenno di
avvicinarsi, quando lei alzò lo sguardo dal libro.
Robin si sedette al suo fianco, guardandolo con sufficienza.
- Lo tratti come un bambino.
- Tu invece lo tratti come un uomo, vero?
- Sì, esatto. Di certo non mi metto a leggergli le fiabe
della buonanotte.
- Certo... tu preferisci mostrargli come si comporta il vero guerriero.
Per esempio cercando di farti ammazzare come tuo solito. - Robin
parlava con tono pacato, ma si notava chiaramente dai suoi occhi la
rabbia leggera che la stava animando da dentro.
Era stanca di vedere lo spadaccino che si sacrificava per la ciurma:
era già successo molte volte in passato, la più
eclatante due anni prima a Thriller Bark, ma quando l’aveva
visto sacrificarsi per salvare Chopper dai proiettili dei marines,
aveva paura che la storia potesse ripetersi.
- Ci risiamo... sono vivo, non lo vedi?
- Per stavolta... forse. - L’archeologa volse lo sguardo
nuovamente verso il libro aperto posto sul suo grembo. - Non
è detto che adesso tu sia fuori pericolo.
C’è sempre la possibilità di un
infezione o di una degenerazione della ferita. È per questo
che Chopper si preoccupa tanto.
Lui le prese il mento con la mano destra, rivolgendole lo sguardo verso
di sé. - Solo Chopper, vero? - Ghignò.
- Sì. Solo Chopper. - Lei sorrise e, alzandosi in piedi, si
liberò dalla sua presa. - In fondo ti considera quasi come
un padre.
- Non esageriamo. Non credo proprio di poterlo essere.
- È un vero peccato. - riprese lei furba, con un sorriso che
poteva significare tutto e niente. - Eppure ti stava così
bene la divisa da “mammo” a Water Seven.
Si godette per qualche secondo lo sguardo minaccioso dello spadaccino,
intenerito dal rossore che prendeva posto sulle sue guance, e
uscì portando il libro con sé, mormorando appena
un lieve “Buonanotte, Kenshi-san”.
Zoro rimase da solo, in quella stanza che frequentava molto raramente,
e si mise a riflettere su ciò che Robin gli aveva detto: non
si era mai reso conto del ruolo che poteva avere per la renna, a
differenza di Robin che dimostrava al piccolo medico tutto il suo
affetto materno. Doveva ammettere a sé stesso che,
però, la discussione accaduta poco prima sembrava davvero
avvenuta in una coppia di genitori.
- Tsk, dovremmo anche finire il discorso... - ragionò ad
alta voce lo spadaccino. In quel momento, come se
l’archeologa lo avesse sentito, un braccio
germogliò sulla parete e avvicinandosi alla guancia di Zoro,
la accarezzò con il dorso di una mano, prima di svanire in
leggeri petali bianchi.
Zoro ghignò, appoggiandosi allo schienale del divano su cui
era seduto.
I pensieri dello spadaccino erano inutili, Robin aveva ragione: nella
mente della renna, era lui la figura paterna della ciurma. Forse anche
più di Franky, considerando il suo carattere a volte troppo
infantile. Nulla da togliere al cyborg: Chopper lo ammirava moltissimo
per le sue capacità, la sua forza e la sua simpatia, ma in
Zoro aveva sempre visto qualcosa in più. La piccola renna se
ne stava sdraiata sul suo letto negli alloggi maschili e, tranquilla e
in silenzio, ascoltava i suoi compagni che russavano. Ormai solo lo
spadaccino mancava all’appello, e Chopper si chiedeva tra
quanto li avrebbe raggiunti: solitamente, Zoro e Robin lo allontanavano
o perché la discussione in corso stava prendendo una piega a
cui non volevano la renna assistesse, o perché volevano
passare del tempo da soli. Considerando poi che il discorso di poco
prima non aveva creato particolari tensioni, e tenendo in conto che i
due litigavano raramente, a Chopper non rimase che sorridere.
Aveva ancora bene in mente la sera in cui aveva scoperto la loro
relazione...
Si era risvegliato nel
cuore della notte. Non sapeva nemmeno lui bene
il motivo: nessun incubo aveva disturbato il suo sonno, né,
e ne era certo, aveva mai sofferto in vita sua d’insonnia. Si
guardò intorno con gli occhi assonnati, stropicciandoseli
con le zampette per svegliarsi del tutto, e cercò la figura
di Zoro, perché di solito era a lui che si rivolgeva se
aveva qualche problema. Lo spadaccino, però, non era nella
stanza.
- Stanotte doveva stare
di guardia... - si disse la renna, dandosi un
leggero schiaffo sulla fronte. Il resto dei suoi compagni russava
tranquillo, e, vedendoli, preferì lasciarli dormire e
cercare di risolvere il suo problema da solo.
La soluzione migliore
che gli venne in mente, fu di recarsi in cucina
per bere qualcosa.
Ancora mezzo
addormentato, percorse tutto il ponte, provando dei
leggeri brividi sulla schiena a causa della gelida brezza notturna, e
salì piano le scale che lo avrebbero portato davanti alla
porta della cucina, senza fare il minimo rumore, e senza nemmeno
rendersi conto che la luce era già accesa.
Appena entrato, si
rivolse subito verso i fornelli e la dispensa,
ignorando la presenza di Robin e Zoro nella stanza: lei era poggiata al
tavolo e teneva le braccia intorno al collo dello spadaccino, mentre
lui aveva appoggiato le mani sui fianchi dell’archeologa,
cercando di tenerla vicina. La cosa curiosa era il bacio che si stavano
scambiando, ma la renna era troppo addormentata per accorgersene.
Almeno in un primo momento.
Prima di spostarsi
effettivamente verso il piano cottura, Chopper si
rivolse nuovamente ai due, che ora lo guardavano stupiti, ma sempre
abbracciati. Di certo non si aspettavano di essere scoperti da qualcuno.
Quando videro gli
occhioni di Chopper che si spalancavano per la
sorpresa, capirono che la renna era arrivata ad una conclusione.
- Chopper, possiamo
spiegarti... - cominciò
l’archeologa, distaccandosi dallo spadaccino e muovendosi
verso il medico di bordo.
- Robin, non
è stupido. Penso che abbia già
capito. - affermò lapidario lo spadaccino, incrociando le
braccia al petto.
- Non lo metto in
dubbio, - continuò la donna. - ma forse
avrai qualcosa da chiederci, giusto Chopper?
La renna non rispondeva:
guardava il vuoto, come se fosse scioccata, ma
Robin aspettò pazientemente che si riprendesse da
sé.
Non ci volle molto. La
renna guardò l’archeologa.
- Anche tu non riuscivi a dormire, Robin?
Zoro non poteva credere
alle proprie orecchie.
- Esatto, - disse
sorridente l’archeologa. - e ho pensato di
fare compagnia allo spadaccino.
- Ho capito. Ma
così non si distrae dal suo turno di guardia?
- Forse, - riprese Robin
ridendo. - ma è sempre meglio
così piuttosto che rischiare che si addormenti.
Zoro li osservava a
metà tra l’imbarazzato e il
rabbioso: il volto severo era arrossito violentemente, mentre sentiva
l’archeologa che scherzava con la renna come se non fosse
successo nulla.
- Come mai sei sveglio,
Chopper? - chiese poi la donna.
- Non riuscivo a dormire
e volevo bere qualcosa.
- Ti va qualcosa di
caldo? Lo preparo in un attimo.
- Sì,
volentieri!
- Tu bevi qualcosa
Kenshi-san?
Ma lo spadaccino
negò scuotendo la testa, ed andò
a sedersi al tavolo, seguito dalla renna.
La situazione tra i due
era piuttosto tesa: seduti l’uno di
fronte all’altro, Chopper non riusciva a sostenere lo sguardo
severo di Zoro e teneva gli occhi bassi sul piano del tavolo,
aspettando pazientemente l’arrivo dell’archeologa.
- Chopper. -
cominciò lo spadaccino, attirando
l’attenzione dell’animale. - Quello che
è successo...
- Cosa? - chiese lui
innocente.
- Quello che
è successo poco fa... - cercò di
spiegare imbarazzato l’altro. - Hai capito?
- Si riferisce al bacio,
Chopper. - intervenne l’archeologa.
- Ah, ok. -
annuì la renna riportando lo sguardo sullo
spadaccino.
- Sì,
comunque... credo che sia meglio che tu non lo dica a
nessuno.
- Perché? -
disse subito stupito il medico. - È
giusto che lo sappiano tutti. Che male c’è se vi
volete bene?
- Non vogliamo che
l’equilibrio della ciurma subisca dei
cambiamenti a causa nostra. - disse l’archeologa portando due
tazze al tavolo e sedendosi a fianco della renna. - Né che
qualcuno vada in escandescenze. - aggiunse Zoro.
- Non avrai paura del
nostro cuoco, Kenshi-san? - fece Robin con un
sorriso furbo.
- Di
quell’imbecille? Mai avuta e mai ne avrò. -
Zoro ghignò, sicuro di sé.
- Potrebbe avere un
infarto... - disse Chopper mogio mogio guardando la
sua tazza.
Cadde il silenzio. Sia
Robin che Chopper bevvero dalle loro tazze,
mentre Zoro commentò la frase della renna.
- Non ci avevo
pensato... Potremmo anche dirglielo allora.
Lo sguardo assassino di
Robin bastò a fargli cambiare umore.
Chopper era confuso:
scoprire una relazione tra due membri della ciurma
era già un fatto abbastanza singolare, ma tra i due membri
che considerava più vicini a sé... lo era ancora
di più. Però era contento: era felice di vedere
che quei due, proprio quei due che all’inizio del loro
viaggio sembrava non potessero nemmeno guardarsi in faccia, ora
andassero così d’accordo. Li guardò
tutto sorridente, mentre allontanava da sé la tazza ormai
vuota.
- Posso chiederti una
cosa, Robin? - domandò la renna mentre
l’amica si alzava per lavare le due tazze.
- Certo, dì
pure.
- Ormai è da
tanto tempo che ci chiami tutti per nome, ma
non riesco a capire perché non lo fai con Zoro. E lo capisco
ancora meno dopo quello che ho scoperto stasera.
- Perché si
diverte a farmi venire il nervoso, ecco
perché. - affermò sicuro lo spadaccino. - Sa
benissimo quanto odio che mi chiami in quel modo, ma continua.
Robin
ridacchiò tra sé vedendo
l’espressione infastidita di Zoro. - Non lo chiamo sempre
Kenshi-san, - cominciò allora, mentre lavava le due tazze. -
ma Zoro ha ragione, lo faccio per divertimento, per prenderlo un
po’ in giro.
Mentre due braccia
finivano di asciugare le tazze e le rimettevano al
proprio posto, Robin si riavvicinò ai due seduti al tavolo,
e invitò la renna a tornare a dormire, lasciando Zoro da
solo in cucina.
La renna si girò su un lato e chiuse gli occhi, pensando
ancora a quella strana sera, e a quanto poteva considerarsi fortunato a
sapere un segreto simile.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
Se siete arrivati vivi fin qui significa che non ho scritto un capitolo
troppo noioso. XD Questa è solo una grande premessa... la
vera avventura comincerà dal prossimo capitolo! ^^
E' la prima storia che pubblico, per cui spero che mi lascerete un
commento per farmi sapere cosa ne pensate. :)
Ciao ^^
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Tutta
colpa di Edipo
Capitolo
1
La mattina dopo, subito dopo colazione, Chopper aveva richiamato lo
spadaccino in infermeria. Gli aveva controllato la ferita e
l’aveva disinfettata, ma mentre stava procedendo al cambio
delle bende, il loro silenzio venne interrotto dalle urla del capitano.
Rufy aveva appena avvistato una nuova isola che, come accadeva sempre,
non vedeva l’ora di esplorare. Quella volta, lo spirito
avventuroso del capitano sembrò coinvolgere anche il
cecchino di bordo, che aspettava con ansia lo sbarco per visitare la
città che si scorgeva sulla costa. Insieme a lui,anche gli
altri componenti della ciurma avevano voglia di fare un giro per la
città: alcuni per vera e propria necessità, come
Sanji o Franky, altri solo per turismo e curiosità, come ad
esempio Chopper, che non aveva perso l’abitudine di cercare
nuovi libri di medicina su ogni isola civilizzata che la ciurma
incontrava nel suo viaggio.
Nel momento in cui attraccarono nel porto, vennero accolti dal chiasso
provocato dalle chiacchiere della gente del luogo che, nonostante non
fosse visibile, o lo fosse solo in lontananza, si faceva sentire
eccome. Il capitano, superata la delusione per la
tranquillità dell’isolotto, ma animato dalla
voglia di incontrare persone nuove e fare festa, si lanciò
subito per le strade inseguito da Usop e, con un leggero ritardo, anche
da Sanji che, agli ordini della sua amata Nami-san, si era preso il
compito di tenerlo d’occhio.
Nel frattempo, la navigatrice diede ordini anche al resto
dell’equipaggio: Zoro, anche per consiglio di Chopper che non
voleva si affaticasse, sarebbe rimasto a bordo in compagnia di Brook,
nella speranza così di limitare figuracce a causa dello
scheletro pervertito; gli altri erano liberi di girare per la
città, cercando di provocare meno danni possibili.
Fu così che Nami e Robin poterono godersi il mercato
cittadino organizzato in quella che sembrava la piazza principale: le
bancarelle erano moltissime e ben fornite, e la frenesia della gente
che correva da una parte all’altra metteva allegria, ma le
due donne notarono subito che qualcosa non andava.
- Non si capisce niente di quello che dicono. - sbottò
irritata Nami mentre si guardava intorno. - Come possono anche solo
pensare di riuscire a fare affari se continuano così?!
Il suo obbiettivo era quello di rifornire il suo già
attrezzatissimo guardaroba, ma sembrava un’impresa
impossibile se non si poteva comunicare con i commercianti. Certo,
avrebbe potuto rubare tutto ciò che voleva, ma era stata lei
la prima ad aver minacciato gli altri di non combinare guai, e non
voleva diventare la causa di un conflitto in seguito al furto di
vestiti e scarpe.
Robin invece si guardava intorno tranquilla, riempiendosi gli occhi dei
colori del posto: oltre ai commercianti e alle loro merci particolari,
c’erano anche molti bambini che si aggiravano per il mercato.
Molti di loro portavano piccoli doni che andavano a consegnare alle
donne che si trovavano nei dintorni, che li ringraziavano con sorrisi
ed affettuosi abbracci. Anche gli adulti compievano lo stesso gesto, ma
nei confronti di donne più anziane, che aspettavano sedute
su panchine di pietra e passavano il loro tempo chiacchierando tra di
loro.
- Guarda! - urlò Nami interrompendo i suoi pensieri. - Non
è bellissimo?
La navigatrice stava indicando un’illustrazione fatta su tela
con un soggetto floreale: i fiori, grandi e con i petali a punta,
occupavano la porzione in basso a sinistra dello spazio, mentre le loro
foglie si estendevano ad occupare, verticalmente verso l’alto
ed orizzontalmente verso destra, tutto il resto, fino a raggiungere una
strana scritta. Insieme a quell’illustrazione, appesa sul
lato della bancarella, ce n’erano molte altre, e con i
più strani soggetti.
Mentre Nami si avvicinava per ammirare da vicino quella che aveva
attirato la sua attenzione, Robin non potè fare a meno di
chiedersi se non si trattasse della bancarella di un pittore.
I suoi sospetti erano fondati: appena dietro all’impalcatura
in legno che era stata utilizzata per esporre i lavori, si trovava un
uomo sulla quarantina, intento a dipingere su una pergamena.
Nami non aveva occhi che per bellissimi fiori raffigurati sulla tela:
il blu dei petali, che sfumava fino a diventare bianco nel centro del
fiore dove si trovavano pochi stami di colore giallo, magnetizzava
l’attenzione. La base era più rigonfia rispetto al
resto dello stelo, e l’artista aveva deciso di concentrarla
nell’angolo estremo della tela.
- Quanto mi piacerebbe averla... - disse la navigatrice
rivolta all’amica. - nell’osservatorio starebbe
benissimo, non trovi?
- Sì, ma dovremmo sapere il prezzo di questo capolavoro.
- Basta chiedere signorine. - le interruppe l’uomo
distogliendo l’attenzione dal suo ultimo lavoro. - Non fatevi
ingannare dal linguaggio diverso che sentite. Capiamo e parliamo
benissimo la vostra lingua.
Fece uno strano effetto alle due sentire lo strano accento con cui
quell’uomo parlava. Aveva un qualcosa di esotico che le
incuriosì entrambe, ed era piacevole da ascoltare.
- Meglio così. - disse felice la navigatrice. - Posso
chiederle cosa c’è scritto accanto a questo fiore?
- Il suo nome, - fece l’uomo alzandosi in piedi ed
avvicinandosi. - si tratta di un Oedipus.
- Non avevo mai visto niente del genere. - cominciò
l’archeologa. - Si tratta di un fiore che cresce da queste
parti?
- In teoria sì, ma è legato ad una famosa
leggenda. Il suo nome deriva dal protagonista di quella storia.
- Le va di raccontarcela? - continuò Robin.
- Posso fare di meglio. Sono disposto a vendervi il quadro e... - si
mise a cercare qualcosa nella borsa che portava a tracolla, e dopo
qualche minuto espose trionfante un vecchio tomo. - il libro che
riporta la leggenda. È un vero affare, non se ne trovano
più in giro.
- E allora perché vuole venderlo proprio a noi? - chiese
sospettosa Nami.
- Perché non è una storia che gode di molto
successo da queste parti, soprattutto in questo periodo.
- A proposito, - chiese allora l’archeologa. - può
dirci cosa sta succedendo?
- Oggi sono cominciati i festeggiamenti per la festa della mamma. -
disse l’uomo, appoggiando sul bancone il libro rilegato in
cuoio rovinato. - È una celebrazione molto sentita su
quest’isola, perché qui sono le donne che
ricoprono i ruoli più importanti. Questa festa è
un ringraziamento al loro duro lavoro, ma risale ad un tradizione
più antica in cui si celebrava la madre per eccellenza, la
terra, per tutti i frutti che assicuravano il sostentamento degli
abitanti. Il significato di base è cambiato, ma è
una tradizione a cui nessuno rinuncia. Per questo il mercato
è così caotico questa mattina: tutti corrono a
comprare un regalo da consegnare.
- E perché lei avrebbe dovuto fare un quadro simile se il
fiore non gode di buona fama? - continuò Robin.
- Non sono originario di quest’isola, e questo quadro
l’ho realizzato molto tempo fa, quando mi sono imbattuto in
una rappresentazione antica di questo fiore. Ce l’ho da
quando mi sono stabilito qui, ma la mia unica speranza è
vederlo a qualche straniero.
- E qui entriamo in gioco noi. - lo interruppe Nami. - Viste le
circostanze... ci impegniamo a comprare libro e quadro per un quarto
del loro valore.
- Affare fatto! Sono tutti vostri!
Nami fu felice tanto quanto l’artista per la buona riuscita
della vendita, ma l’archeologa rimase un po’
perplessa. Il nome di quel fiore le ricordava qualcosa anche se non
riusciva a capire di cosa si trattasse di preciso, ma era decisa a
scoprirlo al più presto.
- Grazie mille per le informazioni! - disse Chopper salutando due gatti
che si aggiravano per la via. Colpito dall’euforia generale,
anche il piccolo medico aveva deciso di chiedere a qualcuno cosa stesse
succedendo, e quei due grossi gatti erano stati un aiuto prezioso.
Non aveva mai sentito parlare della festa della mamma, ma era una
tradizione che gli piaceva: l’avesse saputo prima, avrebbe
sfruttato l’occasione per regalare qualcosa alla dottoressa
Kureha per ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per lui.
Almeno avrebbe avuto una scusa per affrontare le proprie paure: la
dottoressa era davvero una brava donna, e Chopper teneva moltissimo a
lei, ma il suo carattere autoritario incuteva timore, e chiunque poteva
affermarlo con certezza.
La renna aveva comunque deciso di sfruttare l’occasione per
fare dei regali. Nella sua ciurma aveva infatti ben due ragazze che
avevano dimostrato più volte di volergli bene.
Nami non fu affatto un problema: sapeva che genere di cose piaceva alla
navigatrice della Thousand Sunny, quindi ripiegò su un paio
di orecchini di bigiotteria. Non aveva abbastanza soldi per permettersi
altro, ma era sicuro che Nami avrebbe apprezzato comunque il suo
regalo: riguardando quei pendenti in oro, piatti a forma di goccia e
decorati con piccoli brillanti, si era convinto che la ragazza avrebbe
trovato di certo qualcosa con cui abbinarli.
Per Robin la situazione si rivelò più
difficoltosa: avendo maturato la convinzione di poterla
considerare la propria figura materna in assenza di Kureha, Chopper
voleva farle un regalo speciale.
All’inizio pensò ad un libro: nonostante
l’idea potesse risultare scontata, era sicuro che
all’archeologa potesse far piacere. Il problema sorse quando
vide i prezzi a cui erano venduti i tomi che gli interessavano: erano
tutti troppo costosi per le sue tasche, che si erano svuotate dopo aver
acquistato il regalo per Nami. Sembrava impossibile, ma sembrava che su
quell’isola un libro costasse più di un gioiello.
La seconda idea era di acquistarle dei fiori, magari di una specie
particolare che l’archeologa avrebbe potuto trapiantare sulla
Thousand Sunny, dato che si interessava anche di giardinaggio, ma i
prezzi esorbitanti delle poche piante che gli erano piaciute,
l’avevano portato a sedersi sconsolato su un muretto, a
guardare bambini di tutte le età che portavano regali alle
proprie madri. Poteva permettersi solo dei fiori comuni, ma gli
sembrava un regalo inutile: possibile che non ci fosse nulla che
potesse andare bene?
Si guardò le zampette che, spostandosi su e giù,
toccavano il cemento del muretto. Avanti e indietro, avanti e indietro,
finchè le sue orecchie non sentirono un lamento.
Si guardò intorno, spaventato, ma sembrava che nessuno
l’avesse sentito. Fece finta di nulla.
Poco dopo, udì di nuovo lo stesso lamento, ma si
girò verso il luogo da dove proveniva: un sentiero sterrato
che portava all’interno di un boschetto, nei pressi della
cittadina.
La faccenda lo spaventava, ma i suoi doveri di medico gli imposero di
andare a controllare.
Nonostante non fosse di grandi dimensioni, il bosco era molto fitto:
Chopper si guardava intorno meravigliato, sfidandosi a riconoscere
tutte le piante e i fiori che conosceva, ma il lamento si fece
nuovamente sentire, e il piccolo medico si ricordò del
perché si fosse addentrato nel boschetto.
Strinse le zampette sui lacci dello zaino, e procedette fuori dal
sentiero, seguendo la direzione indicata dal suono che sentiva. Non ci
volle molto, che davanti ai suoi occhi comparve un vecchio: portava una
tunica e un mantello dall’apparenza antica, e un paio di
sandali. Era seduto su una roccia e, dopo essersi tolto un sandalo,
cominciò a massaggiarsi la caviglia gonfia. Portava la barba
grigia molto corta, e gli occhi stanchi tradivano una grande sofferenza.
Le caviglie dell’uomo pèrò, furono
ciò che allarmò la renna: doveva essergli
successo davvero qualcosa di brutto se le aveva così gonfie.
- Signore! Signore tutto bene? - cominciò ad urlare il
medico non appena si fu avvicinato.
L’uomo sembrò in un primo momento scettico di
fronte all’apparizione dello strano animale, ma in seguito
gli dedicò un sorriso sereno, come se fosse allietato dalla
sua presenza.
- Non molto in realtà, - cominciò allora
gioviale. - queste caviglie mi fanno impazzire, ma come sei arrivato
qui? E che animale sei?
- Sono una renna. - rispose il piccolo appoggiando lo zainetto vicino
all’uomo e cominciando ad osservare le sue caviglie. - Mi
chiamo Chopper e sono un medico.
- Piacere di conoscerti. Devi essere un animale molto intelligente se
sai parlare così bene la mia lingua. Chi ti ha insegnato?
A quelle parole, il musino di Chopper divenne tutto rosso per
l’imbarazzo. - I-io ho mangiato un frutto del mare. P-per
questo sono in grado di parlare e di comportarmi come un uomo.
- Capisco... comunque devo farti i miei complimenti. Non mi era mai
capitato di incontrare un medico così giovane.
- S-stai zitto! N-non mi piacciono i complimenti! - ma, nel frattempo,
si era messo a scavare per terra con la zampetta, mentre un grosso
sorriso gli illuminava il musetto.
- D’accordo, come vuoi tu. - disse il vecchio ridendo. - Ma
non ti preoccupare per le mie caviglie. Sono molti anni che soffro e
nessun medico ha mai trovato una cura. Tu piuttosto, cosa ci fai qui?
- Ho sentito i suoi lamenti e sono venuto a vedere se c’era
qualcuno in difficoltà. È mio dovere di medico
aiutare chi ne ha bisogno.
- Ti ringrazio molto, allora, per esserti preoccupato per me.
L’uomo indossò il sandalo e si rialzò
in piedi. - C’è qualcosa che posso fare per
ricambiare la tua gentilezza?
La renna ci pensò su. In effetti c’era qualcosa
che poteva chiedergli. - Lei conosce bene questa foresta?
- Certo. Vivo qui da molti anni.
- Quindi sarebbe in grado di indicarmi un fiore particolare che cresce
qui?
L’uomo sorrise. - Devi regalarlo?
- Sì. Allora, mi può aiutare?
- Credo di sapere quello che fa per te. Seguimi.
L’uomo si incamminò tra la fitta vegetazione e
Chopper lo seguì a ruota, curioso di scoprire dove quel
gentile signore voleva condurlo.
Sanji, Rufy e Usop erano appena tornati sulla Thousand Sunny. Tutti e
tre portavano delle borse molto pesanti, ma a differenza di quelle
degli altri due, che contenevano cibo, quelle di Usop erano piene di
oggetti particolari che aveva acquistato in un negozio in
città, e con cui voleva provare a fabbricare delle munizioni
speciali, come si divertiva a fare due anni prima.
Il cuoco era riuscito a non far toccare al capitano le provviste che
gli aveva fatto portare, e gliele aveva fatte lasciare in cucina, prima
che l’uomo di gomma si precipitasse a salutare
l’amico spadaccino.
In cucina, Brook sorseggiava tranquillo una tazza di latte.
- Oh, Sanji! Hai fatto delle buone compere?
- Sì... Rufy è stato un osso duro. Ci
è toccato trascinarlo via di peso da una macelleria... ma
per il resto è andato tutto bene. La città
è tranquilla. Penso che ti piacerà.
- Se è piena di belle signorine senz’altro,
yohohoho! - rise di gusto lo scheletro.
- Oh, su questo puoi stare tranquillo. - rispose allora Sanji con un
lieve rossore sulle guance e un sorriso ebete.
- Yohohoho! Vedo che ci capiamo Sanji! Yohohoho! Hai bisogno di aiuto
per preparare il pranzo?
- No, grazie Brook. Piuttosto vai a vedere cosa combinano il marimo e
il capitano. Hai controllato l’alga, vero?
- Certo! Non ha nemmeno guardato un peso.
Rufy, intanto, si annoiava guardando gli esperimenti del cecchino, dato
che Zoro gli aveva intimato, e nemmeno troppo gentilmente, di lasciarlo
in pace.
- Uffa... Zoro è così noioso! - si lamentava il
capitano, guardando verso l’osservatorio. - Possibile che
dopo una mattina passata a fare niente, non voglia ancora fare niente?
- Lascialo in pace, Rufy. - rispose Usop senza distogliere gli occhi
concentrati su quello che stava facendo. - Sappiamo bene come
è fatto, e dopo due anni non è cambiato.
Starà meditando, o qualcosa di simile.
- E non si annoia? - fece il capitano allungando un dito verso
ciò che Usop teneva in mano.
- No, a quanto pare. - rispose il cecchino evitando che il capitano
toccasse il suo ultimo esperimento. - Ma anche se così fosse
non dobbiamo disturbarlo. Non ci tengo a fare una brutta fine. Guarda!
Stanno arrivando le ragazze! - disse infine, con la speranza di
liberarsi di Rufy.
La fortuna era dalla sua parte: in quel momento Nami e Robin comparvero
sul ponte.
Come era previsto, Nami stava trasportando una quantità
esorbitante di borse di colore diverso, mentre Robin ne reggeva solo un
paio, e camminava sfogliando le pagine di un libro.
- Ciao ragazzi! Guardate, non è stupendo? - disse la
navigatrice mostrando l’illustrazione acquistata.
Sanji, sentendo la voce della ragazza nonostante si trovasse in cucina,
si precipitò sul ponte e inondò la navigatrice di
tutti i complimenti di cui era capace.
- Oh, Nami-san! È splendido, ma niente potrà mai
essere paragonato alla tua sfolgorante bellezza!
- Ti ringrazio Sanji, ma, seriamente, cosa ne pensate? Secondo me
starebbe benissimo nell’osservatorio!
- Non è affatto male, - cominciò il cecchino
osservando attentamente il dipinto. - ma se volevi qualcosa per
decorare l’osservatorio avrei potuto farlo io.
- In realtà è già da un po’
che ci penso, ma credo che sia meglio qualcosa di più
originale, non trovi?
- Come vuoi tu, Nami... - si arrese Usop, e ricominciò ad
armeggiare con le sue invenzioni.
Robin alzò finalmente gli occhi dal libro che reggeva in
mano, e si unì alla conversazione. - Vuoi che lo porti
nell’osservatorio, Nami? Avevo già intenzione di
cercare un libro.
- Preferisco mostrarlo a tutti prima, ma grazie lo stesso.
- Non ti conviene andare nell’osservatorio Robin. - la
avvertì il capitano. - C’è
già Zoro e non mi sembrava affatto di buon umore.
- Dovrà sopportarmi allora.
- Non sia mai, Robin-chwan! Se la palla di muschio ti fa qualcosa, non
ti fare problemi a dirmelo, ok? Io sono sempre qui per voi, ragazze!
- Sì, sì certo, Sanji-kun. - lo interruppe Nami,
prendendolo per un orecchio. - Ma adesso non ti sembra ora di andare a
preparare il pranzo?
- Certo! Volo subito, ma chérie!
Mentre il cuoco saliva di corsa le scale, per arrivare il
più presto possibile in cucina, Robin si dirigeva
tranquillamente verso l’osservatorio.
Zoro era seduto sul divanetto e osservava attento un libro: ancora gli
ronzavano in testa le parole della sera prima. Sentiva la
necessità di pensarci seriamente, e quello di cui aveva meno
bisogno era certamente l’euforia del capitano.
Era strano pensare di essere considerato padre: anche la sera prima,
quando era andato a dormire, gli era rimasto lo stesso pensiero.
Possibile che non si fosse mai accorto di quanto Chopper contava su di
lui?
La faccenda si stava facendo complicata. Troppo complicata per i suoi
gusti.
Ricominciò a leggere distrattamente il fiume di parole
impresso nella carta leggera del libro che reggeva fra le mani, ma
l’illustrazione riportata sulla pagina successiva lo attirava
molto di più: Issunboshi, era l’unica parola
impressa sul fondo della pagina in corsivo.
- Non credevo di essere mai così fortunata da trovarti con
un libro tra le mani. - esordì l’archeologa
chiudendo la porta dell’osservatorio dietro di sé.
Zoro non fece caso alla sua osservazione, e riprese a leggere, o
meglio, a guardare il libro.
- Mi hanno detto che sei un po’ nervoso, oggi.
- Come ti sentiresti se non potessi fare nulla? Non posso allenarmi,
bere non se ne parla nemmeno... e per una volta in vita mia, posso dire
che mi sono stufato di dormire. - affermò lapidario lo
spadaccino senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
- Vita intensa la tua... - terminò il discorso Robin,
avvicinandosi ad uno scaffale dopo aver deposto sul divano il libro
comprato poco prima. Zoro lo guardò incuriosito. - Nuovo
acquisto?
Lei si limitò ad annuire. Cercava insistentemente qualcosa
tra i libri di Chopper: i suoi occhi vagavano da un tomo
all’altro, percorrendo dorsi di copertine e titoli
accuratamente stampati.
- Da quando sei interessata alla medicina?
- Da quando tu hai cominciato a interessarti per il libro che hai in
mano.
- Smettila di scherzare. Oggi non sono in vena.
- Lo vedo. - rispose lei, finalmente girandosi verso lo spadaccino.
Gli si sedette accanto, mentre lui chiudeva il libro. Robin non si
stupì nel riconoscere il tomo che aveva consultato la sera
prima per leggere la fiaba a Chopper.
- So benissimo quanto sia frustrante per te non fare nulla, ma
è per il tuo bene, e lo sai meglio di chiunque altro. Quella
spalla non guarirà magicamente: hai bisogno di farla
riposare per riprenderti del tutto.
- Ma se non sento più niente! - disse lo spadaccino
irritato, levandosi la banda dal braccio. Pochi secondi dopo,
però, una dolorosa fitta alla spalla lo convinse ad
appoggiare nuovamente il braccio alla banda di tessuto, mentre sul
volto dell’archeologa si formava il sorriso di chi la sapeva
lunga.
- Non cominciare a fare quella faccia. Piuttosto, chi sarebbe Oedipus?
- Zoro indicò con un cenno del capo il libro rovinato
appoggiato poco distante da loro. Sulla copertina di cuoio, si
riuscivano a malapena a distinguere le lettere che formavano il titolo.
- È il nome di un fiore leggendario originario di
quest’isola, oltre che del protagonista della storia narrata
in questo libro. Non ne so ancora molto: ti dirò di
più quando avrò finito di leggerlo, e quando
avrò trovato quello che sto cercando.
- Cioè?
L’archeologa riprese in mano il libro, e ne
accarezzò la copertina con le dita lunghe e affusolate, fino
a raggiungere il titolo, su cui si soffermò.
- Sono sicura di aver già sentito una cosa simile qualche
tempo fa. Forse me ne ha parlato Chopper, per questo stavo guardando
tra i suoi libri di medicina. - volgendo lo sguardo altrove dal libro
che reggeva tra le mani, l’archeologa incontrò
nuovamente il volume della sera prima, e un sorriso genuino le comparve
sulle labbra. - Oggi, su quest’isola, sono cominciati i
festeggiamenti per la festa della mamma.
Anche Zoro, che non si aspettava il repentino cambio di discorso, volse
istintivamente lo sguardo verso lo stesso oggetto che
l’archeologa ammirava con interesse, e si limitò a
prenderlo con il braccio sano.
- Hai scelto proprio una storia per bambini ieri. - disse poi,
ghignando verso il volume. - Non ti aspetterai un regalo da Chopper,
spero.
Lei scosse la testa. - Non mi aspetto assolutamente nulla. La trovo
soltanto una tradizione interessante.
- Dì la verità, archeologa. - ribattè
lui, avvicinandola. Lei rise sommessamente, ma si liberò dal
compagno e si alzò in piedi. - Ho detto la
verità, Kenshi-san. E ora, scusami, ma non credo di avere
tempo per te. Devo finire questo libro.
Chinandosi per recuperare il testo che la incuriosiva, Zoro la
fermò. - E quando avresti tempo?
- Stanotte credo di essere libera. - rispose lei, guardandolo negli
occhi. - Mi è parso di capire che non hai molta voglia di
dormire, giusto Kenshi-san?
Un ultimo sorriso, e lo abbandonò in quella stanza per la
seconda volta in due giorni, mentre ancora la sua mente cercava
disperatamente di ricordare perché il nome Oedipus le fosse
così famigliare.
Quando raggiunse la cucina, vi trovò anche Franky che,
mentre Nami e Usop allestivano la tavola, sorseggiava soddisfatto una
bottiglia di cola, chiacchierando animatamente con il capitano.
- Hey Robin! Pensavo che il nostro superfratellino fosse con te!
- A quanto pare, Chopper è ancora in città. A te
come è sembrata, Franky?
- Hanno tutto quello che serve ad un supercarpentiere, ahaha! E domani
sera avremo anche una fantastica festa, se ce lo permetterà
la nostra navigatrice.
- Penso che si possa fare, Franky. - rispose allora la diretta
interessata. - due giorni sono più che sufficienti per
caricare il log pose con il magnetismo dell’isola. Possiamo
partire senza fretta dopodomani appena finita la colazione.
- SUUUUUUUPER! - urlarono in coro il cyborg e il capitano.
La renna continuava a seguire il vecchietto che, nonostante il gonfiore
alle caviglie, camminava di gran lena tra la vegetazione del bosco. Era
già riuscito a trovare molte piante che potevano fare al
caso suo, ma ogni volta che Chopper interrompeva il cammino per
mostrare il fiore che aveva attirato la sua attenzione
all’uomo, quello rispondeva che conosceva un’altra
bellissima pianta, che vinceva tutte le altre per colori e profumo.
- È già da tanto che camminiamo. - disse infine
Chopper stanco di aspettare ancora. - I miei compagni saranno
già tornati tutti sulla nave per il pranzo.
- Tranquillo, ormai dovremmo esserci. - gli rispose rassicurante il
vecchio, ma senza mai fermarsi.
Il piccolo medico abbassò lo guardo, e continuò a
camminare a testa bassa, finchè non andò a
sbattere contro la schiena della sua guida e cadde a terra.
- Siamo arrivati. - disse infine l’uomo, quasi con le lacrime
agli occhi.
Massaggiandosi la testa per riprendersi dalla caduta, la renna si
guardò avanti, e un enorme sorriso prese posto sul suo
musetto: davanti a lui, c’era un bellissimo gruppo di fiori
blu e bianchi, con i petali a punta, e le foglie di un vivissimo verde.
I colori erano straordinari, mentre il profumo che gli raggiungeva le
narici era delicato ed inebriante. Quei fiori erano una vera e propria
meraviglia.
- Sono... sono... - provò ad articolare il medico della
Thousand Sunny.
- Splendidi, non è vero? - finì per lui
l’uomo. - Spero che l’attesa ti abbia soddisfatto.
Era questo quello che cercavi?
- Sì, cioè... volevo dire, no... insomma... sono
troppo belli! - terminò la frase urlando e correndo a
perdifiato verso quella magnifica manifestazione della natura, che lo
accolse teneramente fra le proprie foglie, essendo quei fiori alti
qualche centimetro meno di lui.
- Sono perfetti per Robin! - mormorò tra sé il
medico, mentre ne stringeva alcuni.
- Robin? - chiese il vecchio curioso, intenerito dalla scena che si
trovava ad assistere.
- Sì, Robin. - rispose frettolosa la renna. - È
una mia compagna di viaggio e volevo farle un regalo per ringraziarla
per tutto quello che fa per me.
- Capisco.
Dopo qualche secondo di silenzio dell’uomo, in cui nella
foresta non si sentirono altro che le urla festanti di Chopper, il
vecchio si allontanò di qualche passo. - Ora credo che il
mio compito sia finito. Ti saluto, Chopper.
Ma la renna non lasciò che si allontanasse e lo
richiamò. - Aspetti!
L’uomo gli rivolse nuovamente la propria attenzione. -
Può dirmi almeno come si chia-
La renna si interruppe bruscamente. Aveva strappato un fiore e il suo
polline, nell’attimo immediatamente successivo,
l’aveva avvolto, facendo perdere lucidità allo
sguardo del medico, e provocando un lieve bagliore rossastro nei suoi
occhi scuri.
- Come mi chiamo? - disse l’uomo osservando la scena. - Il
mio nome è Edipo.
Detto questo, svanì nel nulla.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
So che il capitolo in sé è già
abbastanza lungo, ma avrei bisogno di dirvi un paio di cose.
Prima di tutto riguardo alla storia: come avete visto siamo finalmente
entrati nella vicenda vera e propria, e penso che sia chiaro il motivo
per cui ho deciso di pubblicare il primo capitolo proprio il 12 di
Maggio. ^^
Ditemi se trovate errori o pensate che i personaggi siano OOC: io sto
facendo del mio meglio, ma dopo aver riletto decine e decine di volte
lo stesso capitolo è facile farsi scappare qualcosa. ;D
Grazie a tutti quelli che hanno letto, a chi ha recensito lo scorso
capitolo, a chi recensirà e a chi deciderà ( o ha
già deciso ;D) di seguire la mia storia. ^^ Mi fa felice
sapere che vi piace. :D
Detto questo, vi saluto! ^^
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Tutta
colpa di Edipo
Capitolo
2
Chopper si svegliò nella foresta con un mucchietto di fiori
secchi stretti in una zampetta. Cosa ci faceva in quel posto? E chi
l’aveva portato fin lì?
Non riusciva a darsi una risposta: gli girava la testa, e non capiva
niente. Per di più, si era trovato sdraiato accanto ad un
grosso fiore rosso, che gli stava appestando le narici con la sua puzza
immonda.
Tappandosi il naso con una zampetta, il medico si alzò in
piedi e si allontanò velocemente, cercando il sentiero per
uscire dal bosco in cui era finito. L’unica cosa che
ricordava era che doveva ancora cercare un regalo adatto a Robin. Forse
quei fiori erano stati la sua prima idea, ma probabilmente erano
talmente delicati da essersi seccati mentre lui... riposava?
La tavola era ormai pronta e, mentre i primi membri della ciurma
cominciavano a sedervisi intorno, Robin continuava la sua lettura,
seduta sul comodo divano presente in cucina.
- Sto cominciando a preoccuparmi, - disse la navigatrice. - possibile
che Chopper non abbia ancora fatto ritorno?
- Arriverà vedrai, - la rassicurò il cuoco,
posando le ultime pietanze sulla tavola. - si sarà fermato
un po’ più del solito in una libreria e
avrà perso la cognizione del tempo.
- Speriamo. - sospirò la rossa prima di mettersi a tavola.
Pochi attimi più tardi, mentre anche gli ultimi prendevano
posto, la renna fece il suo ingresso in cucina con il suo sorriso
migliore stampato sul musetto.
- Chopper! - lo salutò il capitano. - Ma dov’eri
finito?
- Stavo cercando una cosa. - rispose frettolosa la renna lasciando lo
zaino sul divano e sedendosi a tavola. - Ho scoperto che oggi su
quest’isola cominciano i festeggiamenti per la festa della
mamma, e ho pensato di fare un regalo a Nami e Robin per ringraziarle
per tutto quello che fanno per me.
- Non dovevi! - urlò subito la navigatrice con tono molto
falso. - Ma il regalo, dov’è?
- Materialista. - sussurrò il cecchino, ma venne
immediatamente zittito da un colpo della compagna, seduta non molto
distante da lui.
La solita aria festosa che accompagnava i pasti si stava diffondendo, e
l’archeologa rivolse lo sguardo sorridente verso lo
spadaccino, che aveva già pronto un ghigno da offrirle.
“Non speravi nel regalo, vero?” pensò
subito Zoro vedendola così felice.
Lo scambio di sguardi, però, non passò
inosservato alla piccola renna che, senza che fosse vista da nessuno,
si rabbuiò lievemente, e cominciò silenziosa a
consumare il proprio pranzo.
Appena ebbero finito, Chopper fu felice di consegnare i due pacchetti:
Nami stravide per i due orecchini che si trovò davanti,
nonostante fossero di bigiotteria, mentre Robin si scoprì
sinceramente sorpresa di fronte al proprio regalo.
Contenuta in una piccola scatoletta, una meravigliosa spilla le donava
tutta la sua lucentezza: sembrava piuttosto antica, ma il materiale che
la costituiva, probabilmente oro, brillava intensamente, come se la
spilla fosse stata appena lucidata. Sia Nami che Robin riconobbero
all’istante, nella decorazione floreale applicata alla
spilla, il fiore rappresentato nel dipinto che avevano acquistato
quella mattina.
Chopper non prese benissimo lo sguardo spento della compagna, e subito
la interrogò sul regalo.
- Non ti piace, Robin?
L’archeologa, come fosse stata risvegliata da qualche
profondo pensiero, alzò lo sguardo di scatto verso la renna,
e gli dedicò un sorriso dolce, che servì a
rasserenarlo. - È davvero bellissima, Chopper.
- Già. - s’intromise la navigatrice. - Come hai
fatto a comprare una meraviglia del genere?
- È costata meno di quanto pensate. - si affrettò
a rispondere la renna arrossendo.
Tutta la ciurma volle osservarla da vicino, e tutti rimasero colpiti
dalla bellezza dell’oggetto, finchè non
arrivò nelle mani di Nami: con la sua esperienza in
preziosi, la navigatrice poteva assicurare senza alcun dubbio
l’autenticità dei piccolissimi diamanti che
decoravano il gambo del fiore, così come dell’oro
con cui era stato modellato il magnifico gioiello. Non credeva a una
sola parola di quello che aveva riferito Chopper: i suoi orecchini
erano di bigiotteria, avrebbe potuto affermarlo anche se li avesse
visti da una distanza chilometrica, ma se lo aspettava, viste le scarse
possibilità finanziarie della renna. Ma non appena Robin
aveva aperto la scatola, la certezza di quello che provava era
inconfutabile: era invidiosa. Se il medico l’aveva rubata,
come era probabile, perché non avrebbe potuto prendere
qualcosa del genere anche per lei?
Uscì dalla stanza: non voleva che il resto della ciurma si
accorgesse del suo stato d’animo.
Si recò prima di tutto nella sua cabina, dove
indossò uno dei suoi bikini preferiti e un paio di sciccosi
occhiali da sole che ne riprendevano i colori abbinandosi
perfettamente, e una volta giunta sul ponte, aprì una sdraio
e vi stese, convinta di volersi rilassare per sbollire
l’astio verso il medico di bordo.
- Sanji-kun! - urlò poi spostandosi gli occhiali sulla
fronte.
Il cuoco arrivò in men che non si dica, portandosi appresso
tutta la sua galanteria e il suo servilismo.
- Hai chiamato, Nami-san? - cominciò lui,
già perso ad osservare le forme della donna che si trovava
davanti, e indossando uno dei suoi sorrisi più fanatici.
- Non hai da fare questo pomeriggio, vero? - disse lei, sorridendo. -
Perché vorrei rimanere sulla nave, e pensavo che tu saresti
stato disposto a farmi compagnia.
- Certo! Tutto quello che vuoi, Nami-san! Lascia solo che finisca di
lavare i piatti e sarò subito da te! Vuoi anche che ti
prepari una bibita mentre sono in cucina?
- Sarebbe splendido. - si limitò a rispondere, mentre il
cuoco sprofondava in uno dei suoi abissali pensieri da casanova da cui
non riusciva a far ritorno, e correva verso la cucina esaltato come non
lo era mai stato.
“Perfetto.” Pensò la navigatrice
stiracchiandosi: cosa c’era di meglio di qualcuno disposto ad
adularla senza sosta e pronto a qualsiasi suo ordine, per riprendersi
da una piccola delusione?
Nel pomeriggio, con Nami e Sanji rimasti sulla Sunny, il resto della
ciurma potè godersi un nuovo giro in città. Brook
ne approfittò immediatamente per bearsi delle bellezze del
luogo, guadagnandosi, ad ogni sua domanda indecente, uno strillo acuto
ed una fuga, oppure, da parte delle più coraggiose,
portentosi schiaffi che non avevano nulla da invidiare ai colpi della
navigatrice.
Cecchino, carpentiere e capitano avevano deciso di divertirsi in
maniera totalmente diversa: l’unica cosa che volevano
davvero, era di girare la città il più possibile
e, almeno per quanto riguardava il cyborg, raccogliere qualche
informazione in più sulla festa a cui avrebbero partecipato
la sera successiva.
Anche per lo spadaccino i piani non erano molto differenti: la
città gli sembrava un centro abitato normalissimo, che non
offriva nulla di particolare se non la tranquillità adatta
ad una passeggiata, ma chiunque lo guardasse in faccia non avrebbe
pensato la stessa cosa.
Camminava controvoglia, scomodo per via del braccio che si vedeva
costretto a tenere appeso al collo, e costretto a seguire i suoi tre
compagni.
- Dai, Zoro! Ti muovi? - fu tutto ciò che fu in grado di
urlargli il capitano l’unica volta in cui si era voltato
indietro verso di lui. Allo spadaccino non era rimasto altro che
stringere i denti per l’irritazione e affrettare il passo.
- A cosa pensi, Robin? - chiese la piccola renna all’amica,
vedendola con lo sguardo perso davanti ad uno scaffale.
I due si trovavano in una libreria; uno dei tanti negozi che il piccolo
aveva adocchiato e voleva visitare a tutti i costi.
- Non ancora a Zoro, spero. - aggiunse subito Chopper incrociando le
zampe al petto.
L’archeologa fece finta di nulla, ma la renna aveva
indovinato perfettamente: approfittando della situazione, le sarebbe
piaciuto passare un po’ del suo tempo con Zoro, ma Chopper si
era fermamente rifiutato. Voleva essere lui l’unico ad avere
la compagnia dell’archeologa, per cui anche alla proposta di
Robin di farsi accompagnare dallo spadaccino, aveva risposto di no in
modo risoluto: “So che ha un pessimo senso
dell’orientamento, ma non potrebbe andare con gli
altri?”. Di fronte alle parole della renna, era stato proprio
Zoro a voler lasciar perdere.
- No, tranquillo. - mentì l’archeologa
sorridendogli dolcemente.
La renna sembrò rilassarsi e tornare allegra, anche per aver
notato che l’archeologa indossava la spilla preziosa che le
aveva donato, e si rituffò tra gli scaffali, cercando
qualche titolo interessante.
Per quanto riguardava Robin, l’unico motivo per cui cercava
fra i libri, era trovare un collegamento con la leggenda di Oedipus.
- Senti, Chopper, - cominciò con nonchalance, attirando
immediatamente su di sé l’attenzione della renna.
- per caso, il nome Oedipus ti risulta famigliare?
- Oedipus? - chiese sorpreso il medico. - No, non ho mai sentito nulla
del genere. Perché mi fai questa domanda?
- È da qualche tempo che ho in mente questo nome, ma non
riesco a capire perché. Pensavo fossi stato tu a parlarmene.
- Possiamo cercare insieme se vuoi! Qui ci sono tanti libri, sono
sicuro che troveremmo qualcosa!
- No, non è il caso. Non abbiamo molti soldi, e questi libri
costano molto. Preferisco concentrarmi su qualcosa di più
utile, come i tuoi libri di medicina.
- Grazie, Robin! - disse gioioso il medico, abbracciandole le gambe. -
Sei sempre così buona con me!
In quel momento la donna non sapeva se essere felice del gesto
affettuoso della renna, o preoccuparsene.
Chopper non era mai stato particolarmente espansivo: c’erano
stati episodi in cui la renna aveva sfogato le sue emozioni
abbracciando i compagni, ma solitamente si limitava a risate o attimi
di pianto esattamente come gli altri. Tutte le dimostrazioni di affetto
che la stavano interessando però, oltre a farlo sembrare
più immaturo, lo rendevano bizzarro, imprevedibile. Forse
Zoro aveva ragione: trattandolo con troppa dolcezza, la renna doveva
essere rimasta legata al suo lato infantile. Doveva cercare di cambiare
atteggiamento e porsi con un distacco più maturo verso il
medico.
Usciti dalla libreria, i due compagni continuarono il loro
giro per la città: Chopper non aveva interrotto il suo
particolare atteggiamento, e l’archeologa cominciava a
preoccuparsene seriamente. Faceva però finta di nulla, come
se tutto fosse normale, per non allarmare la renna, già
sensibilissima ad ogni suo cambio di umore: se la vedeva annoiata,
proponeva subito qualcosa di diverso; se la vedeva felice, alzava la
zampetta per prenderla per mano; se la vedeva stanca, cercava subito un
luogo adatto in cui potessero fermarsi per qualche momento.
Fu così che entrarono in un piccolo bar.
Non era molto affollato e non fu difficile trovare un tavolo a cui
sedersi: Chopper si affrettò a spostare la sedia a Robin
prima che si sedesse, e alla donna vennero i brividi: le sembrava quasi
che il medico si fosse fatto contagiare dall’eccessiva
galanteria di Sanji.
- Hai deciso cosa prendere, Robin? - chiese la renna vedendola assorta
nella lettura del menù posto sul tavolo.
L’archeologa ricambiò immediatamente lo sguardo
del piccolo: per un momento aveva temuto che la chiamasse Robin-chwan.
- Credo che mi accontenterò del solito caffè. Tu
invece?
- Io... - la renna era tentata dalla fotografia di un gelato stampata
sul menù. A Robin era bastato pochissimo per accorgersene.
- Prendi pure il gelato se vuoi. Non farti problemi per il prezzo.
- Non è per quello! - disse frettolosamente Chopper. -
È che... - “È troppo da
bambini” aggiunse nella propria testa.
- ... voglio provare anch’io il caffè. - disse
infine guadagnandosi l’espressione sorpresa della compagna.
- D’accordo, come vuoi tu. - E a Robin non rimase altro se
non ordinare due tazze di caffè.
Quando gli presentarono la tazzina, Chopper dovette inghiottire a
vuoto. Riconosceva il sapore amaro della sostanza solo annusandola, ma
alzando gli occhi vide Robin che la sorseggiava tranquillamente, dopo
aver aggiunto appena un cucchiaino di zucchero. La imitò, ma
dopo aver assaggiato la bevanda, gli risultò ancora troppo
amara. Ne aggiunse un altro, e un altro, e un altro ancora,
finchè il contenuto della sua tazzina non sembrò
una crema di zucchero, piuttosto che un caffè, ma finalmente
riuscì a berlo fino in fondo.
Robin non potè fare a meno di accorgersene e di porsi nuovi
interrogativi.
Una volta usciti, si diressero insieme verso la Thousand Sunny, per
ricongiungersi agli altri membri della ciurma.
- Quindi ha ordinato un caffè? - Zoro chiese, incredulo.
La ciurma aveva appena finito di cenare, e l’archeologa era
riuscita a ritagliarsi un attimo di tempo per parlare con lo spadaccino.
- Sì. E l’ha riempito di zucchero per riuscire a
berlo. - rispose Robin, serissima.
Erano entrambi vicini ai mandarini di Nami, appoggiati al parapetto per
guardare il mare che si estendeva all’orizzonte. Zoro non
aveva avuto bisogno di molto tempo per capire che
l’archeologa aveva qualcosa che non andava: non si era
nemmeno preoccupata di nasconderlo. Era stata seria e schiva sin da
quando aveva raggiunto la nave con Chopper, e per lo spadaccino era
sembrato logico che la renna avesse a che fare con il suo nuovo
comportamento.
- Se la cosa ti preoccupa tanto, perché non
gliel’hai detto subito?
- Perché voleva fare la persona matura e non me la sono
sentita. Sappiamo che Chopper ha delle reazioni particolari in base ai
suoi stati d’animo, e sinceramente non mi andava di
infrangere il momento in cui lo vedevo... crescere, in un certo senso.
Capisci cosa voglio dire?
- Più o meno. - rispose lo spadaccino. - Stai prendendo
questa cosa della madre troppo seriamente.
- Come? - fece la donna incredula.
Nonostante avesse notato la sottile vena polemica con cui era stata
pronunciata quella singola parola, Zoro aveva proseguito con il suo
discorso, senza farsi troppi problemi. - Ti comporti come se fossi sua
madre, ma non lo sei. Mettitelo in testa, Robin. Chopper è
solo un tuo compagno: potrà intenerirti e risvegliare il tuo
lato materno, ma questo non cambia le cose. Se c’è
qualcosa che non va diglielo e basta, senza farti troppe paranoie. E ti
ricordo che il “piccolo che stai vedendo crescere”
non ha sei anni, ma diciassette.
Robin guardava verso il mare. Capiva perfettamente cosa voleva dire
Zoro, ci aveva pensato anche lei poco prima, ma porsi con atteggiamento
più maturo verso Chopper non le sembrava facile come aveva
creduto.
Sospirò. - Forse hai ragione. Dovrò cominciare a
trattarlo da persona matura, per il suo bene e... anche per il mio.
Lo spadaccino annuì consenziente. - Cambiando argomento,
com’è che Chopper voleva che steste da soli?
- Questo è esattamente il problema. - rispose Robin
rivolgendogli lo sguardo. - Non ho idea del perché sia
diventato così possessivo, né del
perché abbia cominciato a comportarsi come...
- ...lo stupido cuoco. Io l’ho sempre detto che è
un pessimo esempio.
- Senti senti... chi è che sta cominciando a fare il padre
premuroso adesso? - fece Robin sorridendo.
- Di certo non io. - aggiunse subito lo spadaccino. - Vorrei
semplicemente buttare il damerino fuori bordo e godermi la vista degli
squali che lo fanno a pezzi.
- Macabro.
- Senti chi parla.
- Non lo pensi davvero. Non odi Sanji fino a questo punto.
- E tu come fai ad esserne sicura?
Robin lasciò cadere il discorso: era inutile parlare con
quei due testoni. Erano come due bambini che nascondevano il loro
legame sotto una dose massiccia di litigate e insulti.
- Tralasciando il mio odio per il cuoco... sei riuscita a trovare
qualcosa? Quella storia di Oedipus sembrava ti interessasse parecchio.
- Ancora niente. - disse Robin. - Ho provato a parlarne anche con
Chopper, ma non mi è stato di grande aiuto. Credo che la
prima cosa da fare sia finire di leggere quel libro, poi mi
farò venire in mente qualcosa.
- Non l’hai ancora finito? - chiese Zoro con un ghigno. -
Conoscendoti, avrei detto che l’avessi già letto
un paio di volte.
- Ho avuto altro da fare, Kenshi-san. - disse Robin insistendo sul
nomignolo.
- Non ti stancherai mai di chiamarmi così, vero?
Robin scosse leggermente la testa, sorridendo all’espressione
falsamente sconsolata dello spadaccino.
Chopper li aveva osservati di nascosto per tutta la durata della
conversazione: aveva subito temuto che Robin volesse passare il suo
tempo con Zoro, per cui aveva agito di conseguenza. Ma cosa aveva
quello più di lui? Di certo era più intelligente
dello spadaccino, più educato, e aveva in comune con Robin
la passione per i libri e la conoscenza. E allora perché lei
preferiva Zoro? Doveva fare qualcosa e in fretta.
- Zoro! - lo chiamò avvicinandosi alla coppia. - Verresti
con me in infermeria? Voglio controllare di nuovo la ferita.
- D’accordo. - rispose l’altro. Prima di
allontanarsi, però, sussurrò qualcosa
all’orecchio dell’archeologa, che sorrise di
rimando. La renna lo sentì chiaramente: “Ci
vediamo più tardi.”
Il medico si volse verso il ponte e digrignò i denti.
Non appena arrivarono in infermeria, Chopper tolse le bende a Zoro e
gli disinfettò minuziosamente la ferita. Lo spadaccino si
stava riprendendo in fretta come al solito, e da medico, la renna non
potè che rallegrarsene. Il suo dovere professionale veniva
prima di ogni situazione personale, ma...
- C’è qualcosa che non mi convince. - disse infine
la renna, osservando la ferita più da vicino.
Lo spadaccino non potè non nascondere un certa sorpresa a
quelle parole, ma si fidava del medico di bordo, e continuò
ad ascoltarlo.
- Sdraiati per favore. - disse girandosi verso la propria scrivania.
Lo spadaccino ubbidì, appoggiandosi lentamente sulla
schiena, cercando di non posare direttamente la spalla ferita.
Il medico si rivolse nuovamente verso di lui con una siringa,
guadagnandosi un’espressione stupita dal proprio paziente.
Chopper sorrise. - Non avrai paur-
- Ti sembro uno che ha paura di queste cose? - lo interruppe subito
Zoro, contrariato. - Sbrigati, così possiamo andare entrambi
a dormire.
Chopper finse il sorriso che gli era rimasto sul musetto, e procedette
con l’iniezione.
- Rimani sdraiato, non vorrei che ti facessi male.
Zoro non capiva. Le parole della renna sembravano non avere
senso, ma improvvisamente gli girò la testa e si
abbandonò debole sul cuscino. A Chopper non rimase altro che
spegnere la luce.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
Spero che il capitolo di oggi vi sia piaciuto. ^^ Personalmente non
sono del tutto convinta su come abbia reso Robin... ma come al solito
spero in un vostro giudizio. :) Un consiglio, una critica o anche un
semplice commento sono sempre ben accetti! ^^
Grazie ancora a chi legge e continua a seguire questa storia! :D
Al prossimo capitolo! ^^ Ciao
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Tutta
colpa di Edipo
Capitolo
3
Nella notte, una figura nera comparve sul ponte della Thousand Sunny:
si spostava velocemente, senza fare rumore, e, sempre in silenzio,
aprì la porta degli alloggi maschili. Notando un letto
vuoto, la richiuse e si diresse verso l’infermeria. Robin
aprì la porta lentamente, abbastanza per riconoscere la
figura di Zoro che dormiva sul lettino.
Scosse la testa, sorridendo: era stato lui a ricordarle di fargli
visita, ma a quanto pare nulla era riuscito a vincere sul sonno dello
spadaccino. Richiuse la porta, augurandogli mentalmente la buona notte:
forse avrebbe preferito essere stato svegliato, ma di certo un
po’ di riposo in più non avrebbe potuto che fargli
bene.
Per lei non valeva lo stesso discorso: ormai era abituata a poche ore
di sonno per notte, per cui si diresse velocemente
nell’osservatorio, per prendere con sé il libro
che lei e Nami avevano acquistato al mercato. Decise di sistemarsi sul
comodo divano della cucina per continuare la lettura, e si
rituffò nuovamente tra le pagine. Quel piccolo testo
trattava della storia di una famiglia originaria di
quell’isola, colpita, purtroppo, come sostenuto dagli
isolani, da una maledizione. L’inizio era solo una grande
presentazione della storia, trattata, dal suo punto di vista, con tono
esageratamente tragico dall’autore anonimo del manoscritto.
Non si era mai annoiata tanto nella lettura di un libro, ma armata di
coraggio e nella speranza che le cose si facessero più
interessanti, ritrovò il segno e riprese a leggere.
Il villaggio era in festa: le campane suonavano, le donne
cantavano,
gli uomini si erano radunati in piazza. Un matrimonio era sempre un
evento che meritava di essere festeggiato con tutti gli onori, anche se
in quella circostanza, si trattava di un’occasione poco
gradita dalla cittadinanza. Una delle ragazze più belle del
paese era stata chiesta in moglie da uno straniero, molto
più vecchio di lei, e con cui nessuno andava particolarmente
d’accordo, ma la famiglia aveva ugualmente accettato,
perché quell’uomo era ricco, e poteva assicurare
alla giovane una vita più che dignitosa. Quando la
lasciarono all’altare, quell’anima pura vestita di
bianco sorrideva cordialmente, e aveva preso sottobraccio il futuro
marito che, nemmeno in quella contingenza, aveva deciso di abbandonare
il proprio burbero carattere.
Quel giorno volarono delle colombe, ma un corvo le inseguì
svelto nel cielo, imitandone il volo aggraziato. Gli sposi non vi
donarono peso, perché nessun segno di sventura è
mai accolto nella propria felicità.
Robin continuò a leggere velocemente le parole che si
inseguivano su quelle pagine antiche, ponendo la propria attenzione sui
fatti di vita quotidiana raccontati con estrema minuziosità:
in cuor suo non vedeva l’ora di scoprire cosa fosse celato
dietro a quello strano monito di sventura, ma il suo amore per la
storia non le lasciò scampo. Si trattava pur sempre della
testimonianza di vita di una civiltà del passato.
Dalla loro unione, nacque un bellissimo bambino: aveva occhi
grandi e
curiosi, la pelle rosea e vellutata, i capelli morbidi e lucenti. Tutti
nel villaggio erano lieti della somiglianza del piccolo con la
bellissima madre, e si auguravano per lui un futuro prospero,
illuminato dalla buona sorte.
Il piccolo aveva portato una luce di speranza in quella famiglia
così singolare: anche il padre sembrò mutare
leggermente nel suo comportamento.
Crebbe velocemente diventando un bambino forte, sano e molto diligente,
che amava correre e giocare all’aperto, e che seguiva
scrupolosamente le tradizioni.
Era ormai consuetudine vederlo partecipare a tutte le manifestazioni e
alle feste popolane senza dimenticare mai un rito, e le donne anziane
che presiedevano nel villaggio con la loro saggezza cominciarono a
vederlo con occhi pieni di rispetto e ammirazione.
Le tradizioni del villaggio erano descritte con grande attenzione, e
l’archeologa non potè che trovarle molto
interessanti. Ciascuna aveva una propria particolarità che
la distingueva e la caratterizzava, e Robin riconobbe
all’istante alcune espressioni che dovevano riferirsi alla
“festa della mamma”: in quel libro non
c’era solo la descrizione dello scambio di regali, ma di una
serie di veri e propri riti, seguiti per rendere omaggio alle sagge che
governavano l’isola. Molte di quelle tradizioni dovevano
essersi perse, esattamente come aveva raccontato loro il pittore del
mercato.
Ma, un giorno, il piccolo cambiò bruscamente: si
narra che
fosse accaduto dopo che fosse tornato dalla raccolta di erbe per la
madre, ma nessuno potrà mai esserne certo. Senza dubbio, i
popolani notarono fin dall’inizio il comportamento del
fanciullo, ma, anziché preoccuparsene e intervenire, lo
incoraggiarono con lodi e complimenti.
Il piccolo infatti aveva cominciato a nutrire una stima sempre
più profonda per la madre che, ignara, l’aveva
esortato a proseguire, ringraziandolo con il suo affetto. Le faceva
spesso doni di ringraziamento, tra cui molti fiori, che diceva
raccogliesse quando era mandato in cerca di qualche erba per la cucina.
I suoi preferiti erano degli strani, ma meravigliosi fiori
blu, pieni di beltà, ma privi purtroppo di ogni fragranza.
Gli occhi di Robin si riempirono di sorpresa: le sembrava di leggere il
cambiamento che aveva subito la piccola renna, e, notato il tono con
cui il racconto proseguiva, non poteva che aspettarsi una qualche sorta
di fatto tragico. Proseguì nella lettura stando sempre
più attenta, soffermandosi su ogni singola parola.
Nella loro società così dedita al culto
della
Madre Terra, tutto ciò non poteva che essere un buon segno,
e il bambino crebbe con la consapevolezza di essere un uomo tanto
saggio quanto degno di venerazione.
E quel bambino crebbe, divenne ragazzo. Un ragazzo piacente, che molte
delle sue coetanee corteggiavano e frequentavano, ma che nessuna
riuscì a conquistare.
Lui proseguiva nel suo amabile comportamento verso la madre, ancora
tanto bella, e, anche se non ignorava le attenzioni delle fanciulle e
non disdegnava la loro compagnia, non si legò mai ad una in
particolare, e proseguì tranquillo nella sua pia esistenza.
Nonostante la sua ammirazione, non ascoltò nemmeno i
consigli materni: la madre desiderava che si trovasse una compagna, ma
lui negava sempre, sostenendo di voler aspettare la persona perfetta,
la più giusta, colei che avrebbe riempito il suo cuore per
il resto della sua esistenza.
Robin rimase delusa: era convinta di poter ottenere qualche spunto in
più per indagare sul comportamento del medico, ma non si
perse d’animo. Tutta quell’attesa la spingeva solo
maggiormente verso la continuazione della lettura. Una domanda
però prese posto tra i suoi pensieri: se era quel giovane il
protagonista della leggenda, perché non era ancora stato
nominato come Oedipus?
Quando raggiunse l’età adulta, si
scoprì il suo astio verso la figura paterna:
l’uomo, ormai anziano, non sopportava i comportamenti del
ragazzo, che accusava di superbia e presunzione di fronte alle lodi di
cui era ricoperto, e il figlio rispondeva a tono, sostenendo di non
poter essere aggredito da un uomo che non seguiva le tradizioni e che
era sempre stato un pessimo esempio per l’intera
comunità. Lo incolpava per il suo comportamento burbero
verso chiunque, per i suoi modi poco gentili, per la sua estrema
autorità che gravava su ogni conoscente, anche verso la
madre da lui tanto amata.
Robin girò la pagina, aspettando trepidante la
continuazione, ma ciò che trovò furono solo fogli
estremamente rovinati, illeggibili, ricoperti da inchiostro sbavato, o
addirittura divorati in parte dall’umidità. Si
meravigliò di non essersene minimamente accorta al momento
dell’acquisto, ma continuò a sfogliare il libro
consunto, arrivando ad una delle ultime pagine.
... fu così che la gente cominciò a
chiamarlo
Oedipus, associando a quel nome tutto l’astio che provavano
per lui, dopo aver visto accadere la disgrazia presagita ancora prima
dell’inizio della sua esistenza.
Ogni qualvolta si presentasse per rendere omaggio alla madre con i
fiori di cui già le faceva dono quando era fanciullo, la
gente lo evitava, ne stava lontana, come se avesse dimenticato tutte le
lodi di cui era stato fatto oggetto, e quei fiori, che nessuno per
altro conosceva, vennero chiamati Oedipus, come lui, per legarli per
sempre alla sua sventura.
L’uomo allora, stanco di tutto quell’astio, prese a
vagare per i boschi, e non fece più ritorno.
L’archeologa alzò lo sguardo dalle pagine: quel
finale non voleva dire assolutamente nulla. Le mancava
l’avvenimento principale, quello che potesse dare alla
vicenda tutta la sua logica.
Rilesse nuovamente le ultime righe: l’unica cosa che poteva
dedurre con certezza era la sfumatura dispregiativa che quel nome
portava con sé. Pareva una sorta di insulto, e, secondo
quello che comunicava l’autore, qualcosa di piuttosto pesante.
Tutto convergeva però in quello strano fiore: lo stesso che
il pittore aveva raffigurato, e che l’orafo aveva scelto per
decorare la sua spilla. La portava ancora, fissata sulla leggera
camicetta che aveva deciso di indossare quella sera. Dove poteva averla
presa il piccolo medico? Doveva averla trovata sicuramente da qualche
parte, considerando l’astio che gli abitanti
dell’isola portavano verso quella pianta, ma era troppo
curiosa per non chiedersi dove.
Si rilassò sul morbido divanetto, appoggiando il libro al
suo fianco: il primo passo l’aveva fatto terminando di
leggerlo.
Quello che voleva era saperne di più, ma non era il caso di
preoccuparsi: sapeva perfettamente a chi rivolgersi.
La mattina successiva, la ciurma si ritrovò in cucina per la
colazione: la gioia e la vitalità erano quelle di sempre,
fatta eccezione per l’assenza dello spadaccino, che aveva
posto più d’un dubbio nelle menti dei suoi otto
compagni. Si era svegliato con un gran mal di testa, e le urla di Rufy,
sommate alla confusione che c’era nell’altra
stanza, non fecero altro che peggiorare la situazione. Si
alzò in piedi e, leggermente barcollante,
cominciò a guardarsi intorno: non ricordava molto della sera
prima. Era andato in infermeria, di questo ne era certo, altrimenti non
si sarebbe mai svegliato in quella stanza, ma a quel punto non sapeva
più se i suoi ricordi fossero sogni o fatti reali: possibile
che Chopper gli avesse fatto realmente qualche strana iniezione?
Sentiva ancora il tono gelido con cui gli aveva rivolto quelle poche
parole, prima che sprofondasse nel nulla, ma non riusciva ad ammettere
a sé stesso che fosse stata proprio la renna a pronunciarle.
Dove poteva aver mai nascosto un lato così meschino?
Quando aprì la porta, tutti si girarono nella sua direzione,
salutandolo con un sorriso più o meno accentuato e da
ulteriori urla. Il dottore, però, prima di salutarlo con una
finta aria innocente, si era lasciato visibilmente sfuggire
un’espressione stupita. Forse i ricordi che aveva non erano
sogni, dopotutto.
- Finalmente ti sei fatto vivo! - cominciò la navigatrice,
mentre Zoro prendeva posto. - Pensavamo volessi saltare la colazione.
Chopper era inquieto, lo si vedeva benissimo: aveva stretto le zampette
non appena Zoro si era seduto, e aveva la classica espressione di
qualcuno deluso dal modo in cui i suoi piani erano andati a finire.
- Tutto bene, Chopper? - chiese allora lo spadaccino con nonchalance.
La piccola renna sembrò essere stata presa alla sprovvista.
- C-Certo! Perché questa strana domanda? Piuttosto sono io
che devo chiedere a te. Oggi come ti senti?
- Mai stato meglio. - mentì, evitando di parlare del mal di
testa.
La renna sorrise e riprese a mangiare normalmente, con la solita aria
innocente stampata sul musetto.
Il discorso cadde lì, e a Zoro non importò di
indagare oltre. Avrebbero parlato in un altro momento, non era il caso
di far intervenire tutta la ciurma.
- Stavamo decidendo come organizzarci per oggi. - riprese poi la
navigatrice, rivolgendosi allo spadaccino. - Servono due persone che
stiano sulla Sunny, gli altri penso che possano prendersi una giornata
di relax: ai rifornimenti si è già pensato ieri.
Chi si offre?
Il silenzio calò sulla stanza: per una volta in cui
l’isola su cui erano approdati non presentava pericoli,
nessuno voleva stare di guardia sulla nave e perdersi il divertimento
di una giornata libera.
- Non tutti insieme, mi raccomando. - disse sconsolata Nami. - Io e
Sanji siamo già stati sulla Sunny ieri pomeriggio, e oggi ho
proprio voglia di fare un giro. Lo stesso discorso vale per Zoro e
Brook-
- Anche io! - la interruppe Rufy. - Io sono il capitano, per cui decido
che non devo rimanere sulla nave.
Un pugno ben assestato lo convinse a riprendere il proprio posto. -
Così impari a interrompere le persone! - ringhiò
la navigatrice. - Dunque la scelta è fra voi quattro. Chi
resta?
Il cecchino, fatto oggetto degli sguardi dell’intera ciurma,
sospirò. - Credo che tocchi a me.
- Bravo Usop! - aggiunse il carpentiere posandogli una delle sue grandi
mani sulla spalla. - Così potrai aiutarmi a dare una bella
ricontrollata alla SUPER Thousand Sunny. Mi offro io per restare, sorel-
- No! - urlò il medico. Tutti si voltarono nella sua
direzione, stupiti da quel gesto così insolito. Tornando in
lui, il piccolo continuò il suo discorso con aria molto
imbarazzata. - Volevo dire... avrei un altro suggerimento.
- Vuoi rimanere insieme ad Usop? - chiese allora la navigatrice.
- No... però Franky mi ha promesso ieri che mi avrebbe
accompagnato a fare un giro in città. Ha detto che
c’era una cosa particolarmente SUPER che voleva farmi vedere
a tutti i costi.
- Io? - chiese sconcertato il carpentiere. - Non mi pare di averti
detto-
- Come, non ti ricordi? - lo interruppe Chopper con le lacrime agli
occhi. - Avevi detto che ci saremmo stati questa mattina,
perché era il momento ideale in cui vederla!
Franky si grattò la testa, confuso dagli occhioni della
renna e dalle urla del capitano, che voleva assolutamente andare con
loro.
- Suppongo che se scendo in città, mi ricorderò
qualcosa. - si arrese allora il cyborg.
Chopper e Rufy esplosero in grida festose, mentre il resto della ciurma
era ancora abbastanza scettico dalla situazione.
- A questo punto, - disse allora Nami. - rimani solo tu Robin. Ti va di
fare compagnia ad Usop?
- Avrei bisogno di cercare una cosa in città-
- Ti prego, Robin! - intervenne Chopper. Nami lo sollevò dal
colletto della maglietta, guardandolo con aria minacciosa. - Sembra che
qualcuno oggi abbia voglia di fare i capricci. - sibilò tra
i denti.
- Ma suppongo di poterlo fare anche questo pomeriggio. -
finì sorridendo l’archeologa.
Usop si trovava sul ponte della nave, appoggiato al parapetto, e si
stava sbracciando per salutare i propri compagni. Robin lo guardava
divertita dalla porta della cucina, ma qualcuno la convinse vivamente a
rientrare nella stanza.
- Come mai non sei venuta stanotte? - si sentì sussurrare
all’orecchio.
L’archeologa si voltò, incontrando lo sguardo
dello spadaccino, come si era aspettata fin dall’inizio.
- Dormivi. - fu l’unica cosa che disse. La donna
aprì la porta, ma Zoro la richiuse immediatamente. - E
perché non mi hai svegliato?
- Perché è un bene che ti riposi, l’ha
detto anche Chopper.
- Chopper... - sussurrò lui, avvicinandosi al divano e
sedendovisi. Robin lo raggiunse subito, stupita dal tono con cui lo
spadaccino aveva pronunciato quel nome.
- Stamattina ho notato che c’era qualcosa che non andava fra
voi due. Cos’è successo?
Zoro si prese qualche secondo prima di rivolgerle nuovamente la parola.
- Credo che mi abbia drogato ieri sera, o qualcosa di simile.
Lo spadaccino non si stupì nel vedere
l’espressione completamente sorpresa della donna, e riprese
immediatamente il discorso. - Mi ha iniettato qualcosa, poi sono
crollato.
- Ma perché avrebbe dovuto fare una cosa simile?
All’inizio non voleva ti sforzassi, ma ora che ragione aveva?
- Non vuole più vederci insieme.
Lo spadaccino si alzò in piedi, mentre la compagna
continuava a seguirlo con lo sguardo. Era impossibile una cosa del
genere: Chopper era sempre stato felice della loro relazione.
- Non fare quella faccia, mi sembra piuttosto ovvio. È
diventato iperprotettivo nei tuoi confronti, ieri mattina mi ha
costretto a rimanere sulla nave, ieri pomeriggio ha voluto che rimaste
soli, e ieri sera...
- Ti ha addormentato. - finì per lui l’archeologa
sconvolta. Zoro annuì. - Deve averci sentiti quando
è venuto a chiamarmi. Mentre oggi ti ha convinta a rimanere
sulla nave.
Robin non riusciva a crederci. Chopper non era mai stato un traditore,
si erano sempre potuti fidare di lui. Di fronte ai fatti,
però, era difficile non convincersi che quella fosse la
verità.
- Dobbiamo scoprire qual è il problema. - disse infine
l’archeologa. - Ci sarà un motivo per cui si
comporta così.
- Se lo trovi avvertimi. - lo spadaccino si diresse verso la porta e
l’aprì, pronto ad uscire e scendere sul ponte.
- Cosa vuoi fare adesso? - chiese Robin.
- Vado a fare un giro in città. Usop ormai si
sarà accorto che sono rimasto a bordo.
Si salutarono con un cenno e lo spadaccino uscì, lasciando
l’archeologa immersa in quelle nuove rivelazioni.
Si alzò in piedi: non voleva stare con le mani in mano: in
quel momento come non mai, voleva trovare la soluzione al problema del
medico di bordo. Tutto stava ruotando intorno a quel nome, Oedipus. La
leggenda, il fiore, il regalo che Chopper le aveva consegnato. Doveva
parlare con quel pittore, e al più presto.
Si recò velocemente nella propria camera, e prese
velocemente una borsa, insieme ad un quadernetto per gli appunti, del
denaro e il libro di Oedipus. Era uscita sul ponte, e si stava
dirigendo verso il parapetto quando sentì la voce di Usop. -
Dove stai andando Robin?
La domanda del cecchino non la raggiunse inaspettata. - Ho una
questione importante da risolvere in città.
- A- aspetta! - Gridò allora il povero cecchino vedendola
decisa a sbarcare. - Dovremmo stare di guardia... non puoi scendere e
lasciarmi qui da solo!
- Il grande Usop non avrà paura di rimanere per qualche
momento da solo sulla nave? - cominciò Robin sicura di
sé.
- Conosco bene il tuo coraggio, e sono sicura che la Sunny sia in buone
mani anche se sei qui da solo.
- In effetti sono molto più forte rispetto a prima... -
disse Usop vantandosi. - Ma questo non vuol dire che puoi approfittarne
per non rispettare i tuoi compiti Nico Ro-
Parole sparse al vento: l’archeologa aveva già
abbandonato la nave.
- Ancora non ricordo a cosa ti riferivi. - disse il cyborg guardandosi
intorno. - Non mi pare di aver visto niente di così
eccezionale da queste parti.
- Sei stato tu a promettermelo. - rispose subito la renna. - Mi hai
forse ingannato Franky?
Il cyborg sospirò, e si rimise ad osservare i dintorni: non
ricordava nulla di quella stramba promessa, e le continue urla del
capitano non erano di certo un aiuto alla concentrazione.
Chopper procedeva accanto a lui: annusava attentamente
l’aria, come se cercasse qualcosa.
Erano ormai arrivati in centro, e la città si preparava ad
organizzare la grande serata che tutti attendevano: come i pirati
avevano già scoperto la giornata precedente, la festa non
era molto differente dalle normali feste paesane. si offrivano musica,
bevande, un grande buffet, e uno straordinario (ma questo lo avrebbe
giudicato il cecchino) spettacolo di fuochi artificiali. La piazza
principale era occupata da una sorta di cantiere, dove si volevano
allestire il palco e probabilmente lo spazio riservato ai tavoli e alle
cucine.
Franky si grattò la testa: forse voleva mostrare alla renna
l’intenso lavoro di quei bravi operai che gli ricordavano
tanto i suoi ragazzi, ma non capiva ancora cosa centrasse la luce del
mattino. Certamente l’inizio dei lavori, avvenuto il
pomeriggio del giorno prima, l’aveva parecchio interessato.
- Ci siamo Chopper, credo che sia questo quello di cui ti parlavo, -
disse il cyborg guardando in direzione degli operai. - ma non mi sembra
sia così SUPER come dicevi tu stamattina...
- È tutto qui Franky? - chiese deluso il capitano. - Mi
aspettavo qualcosa di più.
- Dov’è Chopper?! - urlò allarmato il
carpentiere ignorando il proprio capitano.
Rufy si accorse solo in quel momento della sparizione del proprio
medico di bordo. - Chopper! - si mise ad urlare tranquillamente
camminando per la strada. - Dove sei?
- Fratellino! - cominciò anche Franky, andando nella
direzione opposta.
Nami uscì dal negozio con aria soddisfatta, mentre Sanji,
dietro di lei, cercava di tenere in equilibrio tutti i pacchi che aveva
ammucchiati sulle braccia, già occupate da innumerevoli
sacchetti. La navigatrice era riuscita, come suo solito, a comprare
tutto ciò che le interessava ad un prezzo stracciatissimo, e
finalmente sentiva di aver sfogato la sua voglia di shopping.
Si aggiustò il cappello bianco a tesa larga che aveva appena
acquistato, e si lisciò la gonna del vestito turchese che le
scendeva leggero fino al ginocchio, rendendola simile ad una facoltosa
donna del luogo. Sanji non aveva occhi che per lei, tanto che
rischiò di mandare in fumo tutti i suoi buoni tentativi di
non far cadere nemmeno un pacchetto.
- Stai attento! - urlò allora Nami vedendolo in
difficoltà. - Non vorrai che qualcosa si sgualcisca! Deve
arrivare tutto in perfette condizioni fino alla nave, sono stata chiara?
- Assolutamente sì, Nami-san! - fece in fretta ad aggiungere
il cuoco, perdendosi nuovamente in quegli occhi color del cioccolato.
- Meglio per te. Ora sbrighiamoci, sono quasi le undici. E non ho
nessuna voglia di sentire le lamentele di Rufy sul perché
hai preparato il pranzo in ritardo.
La navigatrice era già partita a passo di carica seguita
diligentemente dal cuoco, quando l’attenzione di entrambi si
rivolse ad uno strano particolare. Stavano attraversando un vicolo che,
secondo Nami, sarebbe stato una perfetta scorciatoia per arrivare al
porto, quando videro qualcosa che si avvicinava.
Era un uomo alto, muscoloso, con tre spade al fianco e un braccio
assicurato ad una fascia posta al collo.
- Zoro! - esclamarono entrambi vedendolo accasciarsi a terra.
Gli furono vicino in poco tempo, ma non appena la navigatrice gli
sollevò la testa, perse definitivamente conoscenza.
- Dobbiamo riportarlo sulla Sunny. - disse Nami allarmata rivolgendosi
verso il cuoco. Sanji si limitò ad annuire.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Mi sento un po' una
serpe a lasciarvi così sul più bello, ma
purtroppo non potrò aggiornare per un po'. -.-
Dovrei riuscire a pubblicare il prossimo capitolo alla fine di giugno,
o al massimo all'inizio di luglio.
Grazie ancora a chi ha deciso di leggere e seguire la mia storia! ^^
Alla prossima! ;D
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Tutta
colpa di Edipo
Capitolo
4
Robin si guardava intorno attentamente. Gli occhiali scuri le
proteggevano gli occhi dai raggi del sole che, con il passare del
tempo, si facevano sempre più intensi. Il baccano e
l’eccitazione erano ancora più vigorosi rispetto
al giorno prima, nonostante non ci fosse nemmeno il mercato: la festa
era l’argomento principale di tutte le conversazioni che
Robin si era ritrovata ad ascoltare, o almeno di quelle che era
riuscita a capire. Quello strano dialetto le danzava nelle orecchie
come una canzone popolare e lo trovava estremamente piacevole.
Origliare le conversazioni altrui era più forte di lei:
ancora non aveva perso quella strana abitudine che
l’accompagnava fin dall’infanzia e non riusciva a
farsi scappare nulla.
Stava ascoltando l’ennesimo scambio di commenti, quando
qualcosa la urtò: si girò immediatamente, e vide
un bambino seduto per terra, con lo sguardo sofferente. Doveva avere
circa una decina d’anni e si massaggiava insistentemente la
testa coperta di capelli castani, bofonchiando qualche incomprensibile
parola. Accanto a lui, sulla strada, c’era un piccolo
sacchetto.
- Ti sei fatto male? - disse Robin sorridendogli e tendendogli una mano.
Il piccolo accolse il gesto. - No. - disse guardandola negli occhi. -
Mi scusi tanto, ma stavo correndo e non l’ho vista...
- Nessun problema.
Robin spostò sulla fronte gli occhiali da sole e riprese a
guardarsi intorno, catturando su di sé
l’attenzione del ragazzino. - Lei fa parte del gruppo di
stranieri che è sbarcato ieri, vero?
- Sì. - rispose immediatamente la donna. - Io sono Zayd. -
continuò il bambino. - Sta cercando qualcosa? Forse posso
esserle d’aiuto.
- Nico Robin. Piacere di conoscerti. - si presentò
l’archeologa. - Sto cercando un pittore. Ieri al mercato ho
visto la sua bancarella. Sapresti dirmi dove posso trovarlo?
- Senza problemi! - rispose Zayd tutto sorridente. - L’unico
pittore che c’è sull’isola è
il mio papà!
Usop era seduto sul ponte e cercava di tenersi occupato come poteva.
Aveva ripreso tra le mani la stessa invenzione del giorno precedente, e
continuava a modificarla e sistemarla ininterrottamente. Solo il
pensiero di essere da solo sulla nave e in balia di eventuali nemici lo
faceva sudare freddo, per cui voleva costringersi a pensare ad altro.
L’urlo di Nami lo fece sobbalzare. Si sporse immediatamente
per vedere cosa fosse successo, e la vide avvicinarsi di corsa carica
di pacchetti seguita da Sanji che sorreggeva a fatica lo spadaccino.
Visto lo stato del compagno, decise subito di aiutarli e,
faticosamente, riuscirono tutti e tre a salire sul ponte.
- Non state lì impalati! - urlò arrabbiata la
navigatrice. - Portatelo subito in infermeria!
I due annuirono. - Usop! - continuò poi. -
Dov’è Robin? Ci serve il suo aiuto se vogliamo
chiamare Chopper!
- L-lei... ecco... - balbettò il povero cecchino. - V-vedi
Nami, è scesa dalla nave qualche tempo fa e-
- COSA?! - urlò la navigatrice senza farlo finire. La
ragazza si spostò le mani fra i capelli, sottolineando la
sua esasperazione: doveva calmarsi se voleva sistemare le cose. - Io e
Sanji ci occuperemo di Zoro. Usop, tu scendi e cerca gli altri, la
città non è molto grande.
Il cecchino obbedì senza battere ciglio. Dovevano sbrigarsi.
Lo spadaccino aveva perso conoscenza: Nami provò a
controllargli la febbre, ma sembrava che Zoro fosse solo svenuto. Non
sapeva se esserne preoccupata o meno.
- Cosa facciamo Nami-san? - chiese Sanji. Nami non lo sapeva: era
inginocchiata accanto al lettino dell’infermeria e
controllava lo spadaccino con il cuoco a fianco.
- Possiamo solo assicurarci che continui a respirare. - disse infine la
navigatrice sospirando. - È l’unica cosa che
possiamo fare mentre aspettiamo Chopper.
Robin camminava per le vie seguendo il ragazzino: era stata una fortuna
incontrarlo proprio mentre tornava a casa. L’aveva guidata in
un vicolo stretto, su cui si affacciavano alcune entrate:
“case popolari” le avrebbe suggerito la propria
mente. La strada era lastricata con delle pietre, le facciate erano
scolorite e si intravedevano mattoni qua e là: certamente
non si trattava di un quartiere ricco, ma era comunque piacevole.
Quando vi si erano addentrati, erano stati accolti da due signore che
conversavano dalle proprie finestre in un uno degli ultimi piani di due
abitazioni poste l’una di fronte all’altra, mentre
un gentile e anziano signore aveva salutato Zayd dalla finestra della
propria abitazione al piano terra.
- Siamo arrivati. - disse il bambino indicando un portone di legno. Non
appena lo ebbero varcato, Robin si trovò di fronte ad una
scalinata. - Dovremo salire un po’, - aggiunse il bimbo
vedendola intenta a guardarsi intorno. - abito al terzo piano.
Robin annuì e riprese a seguirlo per le scale.
Si fermarono davanti ad una nuova porta, su cui il bambino
bussò un paio di volte.
- Sono a casa! - fu svelto ad urlare non appena varcato
l’uscio.
- Era ora! - fu l’urlo di risposta. - Si può
sapere cosa sei stato in giro a fare fino ad ades- una donna comparve
davanti agli occhi di Robin e Zayd: si stava asciugando le mani in un
panno bianco e teneva i capelli castani legati con un nastro.
- M-mi spiace. - disse sconvolta alla vista dell’archeologa.
- Non sapevo che mio figlio avesse portato un ospite.
- Si figuri, signora. - rispose Robin sorridendo cordiale. - Sono io
che mi sono presentata senza preavviso a casa sua. Cercavo suo marito,
è qui?
- Sì, è nel suo studio. - disse sollevata la
donna. - Zayd, muoviti! Accompagnala! - aggiunse poi, riportando nella
voce il tono sicuro di poco prima.
- Sì, mamma. - il piccolo le lasciò in mano il
piccolo sacchetto che aveva portato con sé, e
successivamente guidò l’archeologa verso lo studio
del padre.
Non appena entrarono nella stanza, gli occhi della donna si riempirono
di meraviglia: una grande finestra portava la luce
all’interno della stanza rendendola molto luminosa e facendo
risaltare ogni oggetto che era posto al suo interno. Tele pulite o con
disegni appena accennati, scatole contenenti pennelli o tubetti
colorati, tavolozze, stracci sporchi di colore, blocchi da disegno, ma
ogni cosa, sembrando appoggiata nella stanza senza un particolare
ordine, possedeva un proprio fascino. L’uomo era seduto ad
una scrivania e stava abbozzando un disegno a carboncino su un foglio
di carta ruvida.
- Papà. - lo richiamò Zayd. -
C’è una persona che ti vuole parlare.
L’uomo si voltò immediatamente e tolse gli
occhiali da vista che portava. - La donna di ieri mattina. -
affermò non appena la vide. - Benvenuta in casa mia. Siete
sola?
- Sì. Ha tempo per fare due chiacchiere?
- Certo. - l’uomo si alzò e spostò
alcune carte da una sedia. - Zayd, vai ad aiutare la mamma.
- D’accordo. - detto questo il bambino abbandonò
la stanza.
- Prego. - disse indicando gentilmente la sedia.
Dopo che Robin si fu accomodata riprese a parlare. - Il mio nome
è Fuad. Mi scuso per il disordine.
- No, non si preoccupi. - lo rassicurò immediatamente
l’archeologa. - Lo trovo un luogo affascinante.
- Tutto ciò non può che farmi piacere.
Ma, - continuò. - vorreste dirmi il motivo della vostra
visita?
Robin non rispose. Si concentrò per un momento sul contenuto
della sua borsa, per poi estrarre il libro e porlo sulla scrivania
dell’uomo. Fuad ne sembrò stupito.
- Questo libro? - disse incredulo prendendolo fra le mani. - Cosa
dovete chiedermi ancora di questa storia? Siete una studiosa?
- Sono un’archeologa. Mi chiamo Nico Robin.
- Allora, Nico Robin, cosa volete sapere?
La donna, con un rapido gesto della mano, lo invitò a
restituirle il tomo e, una volta avutolo, ne sfogliò le
pagine fino a raggiungere il punto in cui non erano più
leggibili.
- Voglio sapere cosa succede in questo punto. - disse tranquillamente
mostrandogliele. - Non posso capire il significato del finale senza
conoscere la parte saliente della vicenda. E mi dia pure del tu.
Il pittore lesse velocemente l’ultima parte del libro, poi le
rivolse lo sguardo. - Posso sapere cosa ti spinge a tutto questo?
- Una faccenda personale. - rispose la donna con un sospiro.
- Un mio compagno di viaggio ha cambiato improvvisamente comportamento,
e credo che ci sia un nesso tra lui e la leggenda.
L’uomo impallidì repentinamente, mostrando sul suo
volto stupore, incredulità e... paura. Robin si
sentì subito in dovere di calmarlo. - So quanto possa essere
assurdo, ma ci sono alcune analogie che-
- Quanti anni ha il tuo compagno? - disse allora l’uomo
guardandola intensamente negli occhi.
- Diciassette. - rispose subito, stupendosi della strana reazione di
Fuad. - Ma non riesco a capire perché mi stia facendo queste
doman-
- Quella spilla. - pronunciò l’uomo
interrompendola nuovamente. Quelle due parole caddero nella stanza come
due macigni. Gli occhi di Robin non poterono che posarsi sul dono di
Chopper, e lo sfilò delicatamente dal tessuto.
- Te l’ha data lui, non è così?
- Sono venuta qui per delle risposte, non per altre domande.
La sua fermezza parve aver ridato all’uomo un attimo di
lucidità. Si rilassò sullo schienale della sedia,
massaggiandosi le tempie e sospirando.
- Posso sapere cosa significa tutto questo, ora? - Robin aveva
appoggiato la spilla sul tavolo accanto al libro aperto, e
l’uomo, riaprendo gli occhi, era tornato ad osservarla, come
se fosse di fronte all’apparizione di un incubo, o di un
ricordo indesiderato. L’archeologa percepiva il suo stato
d’animo, ma voleva arrivare ad una conclusione al
più presto possibile. Non poteva permettersi di lasciare a
quell’uomo il tempo di riprendersi dallo shock che lo aveva
animato, anche se ne ignorava le cause.
- Perdona il mio comportamento, ma... quell’oggetto non
dovrebbe esistere. O almeno non più.
Robin rimase in silenzio. Se Fuad voleva cominciare a raccontarle della
spilla, allora l’avrebbe lasciato fare. Era sempre un punto
d’inizio.
L’uomo proseguì vedendola pronta
all’ascolto. - Ieri mattina vi ho confidato di non essere
originario di quest’isola.
Sono arrivato qui con i miei genitori molti anni fa, e questo luogo ci
ha subito conquistati. All’epoca avevo quindici anni.
La nave aveva attraccato
al porto e l’equipaggio aveva
cominciato a sbarcare portandosi appresso casse e barili, contenenti
merci da vendere. Fuad era sul ponte, gli occhi pieni di meraviglia per
lo spettacolo che aveva dinnanzi, e il fidato blocco di fogli tra le
mani, pronto ad accogliere l’ennesimo disegno che avrebbe
stuzzicato la fantasia del suo possessore. Il ragazzo non vedeva
l’ora di trovare il soggetto adatto e mettersi al lavoro, ma
la voce di sua madre lo convinse a cambiare presto i propri progetti.
Loro si sarebbero
fermati lì: la trovavano
un’isola perfetta dove sistemarsi. Il locale dove avevano
scelto di impiantare il loro commercio di tessuti era abbastanza
malridotto e necessitava di tanto lavoro, ma non si sarebbero aspettati
di meglio per il prezzo a cui lo avevano acquistato. Il padre avrebbe
tanto voluto che il figlio portasse avanti il progetto che avevano
tanto sognato, ma Fuad aveva la testa da un’altra parte: la
sua più grande ambizione era fare il pittore, certamente non
il commerciante. Per questo amava spulciare i vecchi libri, alla
ricerca di strane creature da personificare sulla carta, o di vecchie
illustrazioni che potessero dargli l’ispirazione.
Questo lo portava
lontano anche dalla sua famiglia che, nel momento in
cui aveva più bisogno di lui, lo vedeva indaffarato in
negozi o tra le bancarelle. Ma venne la sua ispirazione, dopo la vista
di un antico bozzetto contenuto in un libro: era un bel fiore disegnato
a carboncino rosso, con fitte annotazioni indicate
tutt’intorno.
- Ricordo ancora la faccia dell’uomo che mi ha visto con quel
libro in mano: me lo strappò dalle mani, dicendo che non
avrei mai dovuto vedere quell’immagine. Ormai,
però, nessuno poteva cancellare dalla mia mente il disegno
che volevo realizzare.
Dopo lunghe trattative,
il libro e il bozzetto che l’aveva
tanto colpito divennero finalmente suoi. Arrivato a casa si mise
immediatamente al lavoro, provando a disegnare gli schemi di base:
voleva creare una composizione semplice, che ricordasse le
illustrazioni dei libri di botanica. Partì dalla base dei
fiori, con quel loro gonfiore particolare, per poi delineare il gambo e
i petali del fiore principale.
Dopo varie aggiunte di
particolari come boccioli e foglie,
passò al colore, basandosi sulla descrizione delle
note. Ultimò la propria opera con il nome del
fiore, copiato minuziosamente dal bozzetto, e infine aggiunse in basso
la propria firma, fingendo di praticare già la professione
che lo affascinava tanto.
Soddisfatto del lavoro,
lo lasciò sulla scrivania ad
asciugare e solo allora la sua attenzione si spostò sul
libro: il nome del fiore e il titolo dell’opera
corrispondevano, e crebbe in lui una forte curiosità.
I suoi genitori non
erano in casa, occupati com’erano con il
negozio, per cui decise di approfittare del momento: si
sdraiò comodamente sul proprio letto e, accompagnando la
lettura con una fresca bevanda, divorò una dopo
l’altra tutte le parole che componevano il libro.
Sbuffò
contrariato di fronte alla noia delle prime pagine,
ma in seguito cominciò ad appassionarsi per le disavventure
del protagonista. Non era una storia felice, né tantomeno
allegra, ma nella sua ingenuità da adolescente si
innamorò dei risvolti misteriosi di quella strana leggenda.
Chiuse il libro soddisfatto, appoggiandosi allo schienale del letto e
cominciando a fantasticare sulla fisionomia dei personaggi che avevano
popolato quella storia, ma un urlo proveniente dal piano inferiore lo
fece sobbalzare.
- Inconsciamente, devo essere stato io l’autore di questo
disastro. - sospirò l’uomo accarezzando le pagine
rovinate. - Ma da quel giorno non ho più aperto questo libro.
- Come mai? - fu svelta a chiedere l’archeologa.
- Adesso lo scoprirai. - rispose l’uomo sorridendo alla sua
curiosità.
I suoi erano tornati ed
avevano portato con loro la notizia
dell’inizio di una festa di paese: la festa della mamma aveva
dato inizio ai suoi festeggiamenti, ma la madre di Fuad non si
aspettava nulla dal figlio. Desiderava semplicemente che il ragazzo
incontrasse nuove persone e stringesse nuove amicizie, così
lo mandò in piazza, nonostante le lamentele del giovane.
Costretto dai genitori,
il ragazzo si ritrovò ad assistere
da lontano alla gioia del paese: i suoi coetanei gli sembravano solo
dei perditempo, e anche la festa si dimostrò dopo poco tempo
estremamente noiosa.
Fu nella sua passeggiata
verso casa che incontrò una figura
interessante: un uomo vestito in modo bizzarro camminava davanti a lui
barcollante e sofferente, e si fermò presto a riposare sul
ciglio del strada. Lo ignorò: non aveva né tempo
né voglia di occuparsi di un perfetto sconosciuto. Fu
però l’uomo ad attirarlo con una domanda. - Non
sei di queste parti. Ho ragione?
Il ragazzo
ingoiò a vuoto. Impossibile che si stesse
rivolgendo ad altri: erano soli.
- Suppongo che il tuo
silenzio stia per un sì. -
continuò l’uomo. Fuad si girò verso di
lui e lo vide intento a togliersi i sandali. - Cosa stai facendo,
vecchio? - fu la domanda spontanea che gli sorse alle labbra.
- Ho camminato troppo, e
ora ho le caviglie gonfie. - rispose
sottolineando l’ovvietà delle sue parole. - Non
hai mai visto nessuno togliersi i sandali?
- Non sul ciglio di una
strada. - rispose avvicinandosi. Il vecchio
sorrise e si volse nostalgico verso la strada che avevano percorso
entrambi, e che portava verso il centro della città.
- Non sei interessato
alla festa? - chiese poi senza guardarlo. - Un
ragazzo come te dovrebbe essere attento alle tradizioni. Hai
già portato un regalo a tua madre?
- No. - disse lapidario.
L’ultima cosa che voleva era
sentirsi rimproverare da un vecchio che nemmeno lo conosceva. Lui
però non si fece influenzare dal suo volto arrabbiato.
- Male. - riprese
rivolgendosi di nuovo ai quei giovani occhi. - Ma se
vuoi ho qualcosa per te.
Gli mostrò
una spilla dorata. Fuad, sorpreso, non seppe cosa
dirgli.
- Prendila pure. Ora
è tua. - continuò
l’uomo insistendo. - Portala a tua madre, e ringraziala per
tutto ciò che fa per te.
- Perché lo
stai facendo? - chiese il giovane avvicinandosi
cautamente. - Non mi conosci nemmeno, e questa spilla deve valere una
fortuna.
- Sono vecchio. Non ho a
chi regalarla. Ma tu sì.
Non appena la prese fra
le mani, il ragazzo si sentì
diverso. Si voltò verso la strada che lo avrebbe portato
verso casa, ma quando si rivolse nuovamente verso l’uomo,
quello era sparito.
- La donai a mia madre, ma nei giorni successivi cominciai a
comportarmi diversamente: ero molto più legato a lei, e non
sopportavo la vista di qualcun altro che le fosse vicino. Mio padre mi
rimproverò per quello strano comportamento, e allora
capì che qualcosa non andava. Conoscevo la leggenda, e corsi
al porto per gettare la spilla in mare. Per questo motivo non dovrebbe
più esistere.
Robin osservò di nuovo quell’oggetto. - Qual
è il suo collegamento con la leggenda?
- Il fiore. - disse l’uomo indicandolo. - L’Oedipus
è il simbolo di Edipo, il protagonista del racconto. Colui
che fu bandito e fu costretto a vagare lontano dalla sua stessa
città.
- Ma cosa fece di così terribile?
- Provocò la morte dei suoi genitori. - finì il
pittore lasciando quelle poche parole ad ondeggiare nell’aria
dello studio.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
Scusate la lunga assenza, ma finalmente sono riuscita ad aggiornare! XD
Spero come sempre che questo capitolo vi sia piaciuto e che
vogliate farmi sapere cosa ne pensate! ^^ Io non ho molto da
aggiungere... spero solo di non essere sforata nell'OOC e di non aver
combinato qualche disastro grammaticale. ;P
Se vedete qualsiasi tipo di errore o avete dei consigli da darmi sono
prontissima ad ascoltarvi. :)
Ancora grazie a chi preferisce/ricorda/segue questa storia, a chi
recensisce e ovviamente a chi legge. ^^
Alla prossima! ;D
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Tutta
colpa di Edipo
Capitolo
5
Il volto scioccato della donna seduta davanti a sé non lo
sconvolse minimamente: sapeva che reazione poteva provocare una notizia
di quel genere. Quello che non sapeva, era che lo stupore di Robin era
legato a tutt’altro pensiero.
- Fortunatamente io ero già un adolescente, per questo
riuscii a rendermi conto in tempo della situazione. Se il tuo compagno
ha diciassette anni, sono convinto che accadrà la stessa
cosa. Basta affrontarlo nel modo giusto.
Robin non rispose, ma, una volta ripreso il libro fra le mani,
sussurrò alcune parole. - Il complesso di Edipo...
L’uomo non riuscì a trattenere la propria
curiosità. - Come dici?
- Il complesso di Edipo. - ripeté l’archeologa
rivolgendosi al suo sguardo. - Ecco dove avevo già sentito
questo nome.
- Complesso di Edipo?
La donna annuì. - Si tratta di un problema psicologico
solitamente diffuso fra i bambini, che li porta ad innamorarsi del
genitore del sesso opposto. Risale da un’antica leggenda che
narrava di un uomo colpevole di aver ucciso, inconsapevolmente, il
proprio padre ed essere convolato a nozze con la madre. Dev'essere da
qui che nasce il nome con cui è contrassegnato il
protagonista della vostra leggenda. Probabilmente la sua
identità si è persa nei secoli e nel libro si
è deciso di ometterla fino al momento in cui è
chiamato Oedipus, con
chiara valenza dispregiativa.
Robin ripose il libro e la spilla. - Non era una maledizione, solo un
disturbo psichico.
Non aveva sbagliato dunque nell’esaminare i libri
dell’osservatorio. Nella costante ricerca di libri nuovi da
sfogliare, doveva certamente essersi imbattuta in qualche tomo che
trattava della leggenda.
- Probabilmente ne era affetto, ma in seguito a tutte le lodi di cui
era stato oggetto, non è mai stato capace di superare questo
problema. - affermò sicura di sé analizzando la
situazione.
- Dimentichi che io ho incontrato quell’uomo, e che
quell’uomo mi ha spinto alla malattia psichica che dici tu.
Come è possibile? E perché è successo
se non ero più un bambino?
Il pittore non si accontentava della spiegazione scientifica:
quell’uomo e i suoi fiori lo avevano stregato, non era di
certo una sua immaginazione.
- Non lo so. - rispose Robin. - Ma credo che sia meglio chiedersi come
abbia fatto ad incontrarlo.
- Perché, pensi che non me lo sia già domandato?
- le chiese ironico Fuad. - Avevo letto la leggenda. L’avevo
riconosciuto. So benissimo che l’uomo che ho incontrato non
era vivo, ma non è questo quello che mi preoccupa.
Robin si dimostrò nuovamente pronta ad ascoltarlo: forse
poteva ancora ottenere qualche informazione dal pittore.
- Non voglio che altri subiscano la mia stessa sorte. - le disse Fuad
riprendendo il discorso. - In tutti questi anni sono sempre stato
tranquillo, perché credevo che la spilla non esistesse
più e nessuno mi aveva più parlato di questa
storia. Ora che mi hai detto che anche il tuo compagno si comporta in
modo strano, voglio sapere come fare a proteggere le persone che
conosco. Edipo è tornato. Non posso più ignorare
la sua presenza.
- Crede che Edipo sia legato alla spilla?
- Non ne ho idea. - le disse. - So solo che quando
quell’oggetto è sparito, io sono stato molto
meglio. Volevo liberarmi da tutto ciò che me lo ricordasse.
Robin annuì. - Per questo motivo ci ha venduto il libro e il
quadro.
- Non volevo distruggerli. - continuò l’uomo. -
Era solo la spilla ad avermi creato dei danni.
- E la sua unica speranza per liberarsene era venderli a degli
stranieri. - finì per lui la donna ricordando la
conversazione della mattina precedente.
Rimasero qualche istante in silenzio, finchè Robin non
riprese il discorso. - Cosa è successo esattamente ai
genitori di Edipo?
L’uomo le rispose con tono freddo e distaccato. - Uccise il
padre con le proprie mani in seguito ad un attacco d’ira. La
madre si suicidò per il dolore dopo aver visto il figlio
accanto al cadavere del marito. La leggenda dice che Edipo pianse dopo
quell’episodio, e si consegnò spontaneamente alle
autorità per poter dare ai genitori le onoranze funebri che
meritavano. Le Sagge di allora lo ritennero pazzo e lo bandirono.
L’unica cosa che potè fare fu posare un mazzo di
Oedipus sulla tomba della madre, prima di sparire per sempre.
Posso farti una domanda personale? - le chiese poi il pittore.
- Dica pure. - rispose immediatamente la donna.
- Mi stavo chiedendo come potesse un pirata essere soggetto ad un
simile potere. Nella vostra ciurma non credo siano presenti anche i
suoi genitori, quindi come avete fatto ad accorgervi del suo
cambiamento?
- La colpa è mia. - gli rispose la donna con un sorriso
triste. - Sono sempre stata molto affezionata a questo mio compagno,
tanto da comportarmi quasi come una madre per lui. È stato
il suo eccessivo affetto nei miei confronti a farmi insospettire.
- Capisco. - le rispose comprensivo il pittore. - Ma non devi sentirti
colpevole. Non c’è nulla di male nel voler bene a
qualcuno.
- Sì, se lo si tratta come un bambino. - affermò
Robin ricordando le parole di Zoro. - Questo mio compagno non lo
è e non deve essere trattato come tale.
- Su questo hai ragione. - riprese lui. - Ma non essere così
severa con te stessa. Non è solo compito dei genitori
educare i ragazzi.
Robin sorrise. Sapeva bene cosa stava cercando di dirle
quell’uomo: non aveva bisogno di essere imparentata con
Chopper per poterlo aiutare a crescere. Si erano sempre vantati di
essere una famiglia più che una ciurma, creando dei legami
che andavano al di là della semplice amicizia, e quel
concetto di nakamaship
li aveva aiutati tutti a migliorarsi.
Le vennero in mente il rimprovero di Zoro a Chopper di fronte alle sue
lacrime durante il Davy Back Fight, le parole di Rufy quando
l’aveva salvata ad Alabasta e a Enies Lobby, il discorso
dello spadaccino a Water Seven quando si erano posti il problema
dell’abbandono di Usop. Era così che si erano
aiutati fino a quel momento, e così avrebbero continuato.
Il rumore di qualcosa di metallico che cadde sul pavimento
dell’altra stanza la fece risvegliare dai propri pensieri.
- Questo deve essere Zayd. - disse divertito l’uomo. -
Starà preparando la tavola. Vuoi fermarti per il pranzo?
“Pranzo?” Pensò l’archeologa.
- No, grazie. Devo tornare subito sulla nave. I miei compagni mi
staranno aspettando.
Si alzarono e l’uomo le sorrise. - Cosa hai intenzione di
fare con il problema del tuo compagno?
- Cercherò di risolverlo e chiederò ai miei
compagni di porre fine alla questione di Edipo. - gli rispose sicura la
donna. - Non si preoccupi più.
- Vieni pure da me se hai bisogno d’altro.
Quando tornò sulla Thousand Sunny, l’archeologa
sentì distintamente le voci dei suoi compagni provenire
dalla cucina. Non aveva previsto di ripresentarsi così
tardi, ma ora aveva tutte le informazioni che le servivano.
Quando entrò nella stanza calò il silenzio e
tutti si volsero a guardarla: non stavano pranzando. Stavano
semplicemente parlando comodamente seduti, mentre Sanji era al lavoro
ai fornelli.
- Guarda un po’ chi si è deciso a comparire. -
disse Nami con tono scocciato. - Si può sapere
perché te ne sei andata, Robin?
Comprendeva l’irritazione della navigatrice,
poiché non aveva tenuto fede al suo compito.
I volti degli altri mostrarono una certa sorpresa nel sentire il tono
di Nami: la ragazza non si era mai spinta ad un simile comportamento
nei confronti dell’altra donna della ciurma.
- Nami, so che non dovevo e mi dispia-
- Ti dispiace?! - la interruppe la rossa. - Sai
cos’è successo mentre non c’eri? Eh? Lo
sai?
L’archeologa fece segno di no con la testa, e
cominciò a preoccuparsi viste le facce dei propri compagni.
- Zoro è stato male. Lo abbiamo riportato sulla Sunny io e
Sanji, e volevamo chiamare Chopper, ma tu non c’eri. Usop
è dovuto correre in città. Hai idea del tempo che
abbiamo perso?!
Robin non sapeva cosa dire: già solo dopo le prime parole si
era sentita un tuffo al cuore.
- Come sta adesso? - disse mantenendo tutta la calma di cui era capace.
- Chopper è con lui in infermeria. Ha detto che non dobbiamo
preoccuparci, ma non è questo il punto, Robin! -
continuò la navigatrice alzando la voce.
- Nami-san, ora calmati. Sono sicuro che Robin-chwan abbia avuto le sue
buone ragioni per- provò a dire Sanji per calmarla, ma la
rossa lo interruppe e si rivolse nuovamente all’archeologa. -
Giusta osservazione, Sanji-kun. Perché sei scesa, Robin?
- Dovevo parlare urgentemente con una persona. - rispose la donna
incamminandosi verso la porta dell’infermeria.
- Ah sì? E chi sarebbe?
Robin non rispose ed aprì la porta
dell’infermeria. Davanti a lei comparve Chopper, in piedi
sulla sedia accanto al lettino, che avvicinava pericolosamente un paio
di forbici al corpo del proprio paziente.
Uccise il padre con le
proprie mani. - Tres Fleur!
Immediatamente, due braccia immobilizzarono la renna, mentre un terzo
strappava le forbici dalla zampa del medico. Chopper, preso alla
sprovvista, perse l’equilibrio e cadde dalla sedia, portando
con sé anche gli strumenti che aveva appoggiato accanto a
lui. Le conseguenze furono un tonfo e il rumore di oggetti metallici
che urtavano il pavimento di legno.
- Cosa diavolo è successo?! - urlò ancora nervosa
la navigatrice affacciandosi alla porta. Vedere Robin che immobilizzava
Chopper non portò molti miglioramenti alla situazione
già problematica dell’archeologa.
- Ma sei impazzita?! - le chiese immediatamente la navigatrice
costringendola a voltarsi verso di lei.
Anche il resto della ciurma era in piedi, accanto alla porta, ciascuno
curioso di sapere cosa stesse accadendo.
- Si può sapere cosa ti è preso? Non ti riconosco
più! - gridò la navigatrice con le lacrime agli
occhi.
Robin non sapeva come risponderle: lasciò andare la piccola
renna e appoggiò le forbici sulla scrivania, accanto ai vari
medicinali che il medico di bordo aveva allineato ordinatamente. Nami
la rivolse nuovamente verso di sé, costringendola per una
spalla: la rabbia che la animava sembrava incontenibile.
Rufy intervenne a dividerle, rimuovendo la mano di Nami e parandosi
davanti a Robin. - Smettetela adesso!
Rimasero tutti impietriti da quel gesto così insolito:
nessuno si sarebbe aspettato una mossa del genere, soprattutto dal
proprio allegro e bonario capitano, che invece in quel momento
sfoggiava una delle sue espressioni più serie. La sua
determinazione li aveva colpiti ancora una volta. Nemmeno Sanji, che
guardava atterrito la scena, era riuscito ad intervenire: forse, si
trattava di un litigio troppo inconsueto. Nami soffocò un
moto di stizza.
- Bene. - sbottò la navigatrice ricomponendosi. - Se
qualcuno mi cerca sono nella mia cabina.
Uscì a passo di carica dalla stanza, lasciando tutti in
quell’aria pesante che si era formata. A nessuno piaceva la
sensazione che provava in quegli istanti. Eccezion fatta per Brook e
Franky, sembrava di essere tornati ai tempi della Metropoli
dell’Acqua.
- Tutto bene, Chopper? - fu svelto a chiedere il cecchino dopo essere
passato tra Rufy e Robin ed essere entrato in infermeria per soccorrere
la renna.
- S-sì, credo di sì. - rispose il medico poco
convinto. - Perché mi hai attaccato, Robin? - aggiunse poi
con tono innocente e sinceramente stupito.
L’archeologa sospirò: sentiva su di sé
lo sguardo di tutti i suoi compagni, ma non poteva certo dar loro
torto.
- Perdonami, Chopper. - disse alla renna dopo essersi inginocchiata per
essere alla sua stessa altezza. - È stata una reazione
istintiva, non avevo intenzione di farti del male. Ti ho visto con
quelle forbici e-
L’abbraccio della renna la prese alla sprovvista. - Non
preoccuparti. Non mi hai fatto niente. - disse sorridente. - Ora
però devo tornare al lavoro: Zoro ha bisogno di me.
L’archeologa non lesse alcuna bugia in quei grandi
occhi neri: solo il dovere che il piccolo nutriva verso la propria
professione. Rispose al sorriso e si rialzò, accompagnata
dal resto della ciurma al di fuori della stanza.
- Quanto tempo credi che ti serva per il pranzo, Sanji? - chiese poi al
cuoco come se non fosse successo nulla.
- Mi sono appena messo ai fornelli, Robin-chwan. Ci vorrà
ancora un po’ di pazienza. - rispose il cuoco ancora
leggermente scosso.
- Ne approfitterò per parlare con Nami allora. - disse
tranquillamente. - Devo scusarmi ancora per quello che
è successo stamattina: con te, Usop, perché non
avrei dovuto lasciarti solo sulla nave, e con te, Rufy,
perché ho disubbidito ad un ordine. Vi assicuro che non
accadrà di nuovo.
- Nah, figurati! - la rassicurò il capitano con un sorriso a
trentadue denti. - L’importante è che ora sia
tutto a posto! - aggiunse incrociando le braccia dietro la testa. - Non
voglio più vedere te e Nami litigare così.
- Su questo puoi stare tranquillo. - gli rispose Robin. - Non ho
intenzione di creare altri problemi. Bastano quelli che ci sono
già. - Detto questo uscì, lasciando i suoi
compagni confusi e stupiti dal suo tono enigmatico.
- Quest’isola ha qualcosa di strano. - affermò
Franky non appena l’archeologa se ne fu andata. - Prima lo
strano comportamento di Chopper, poi Zoro che sta male, e ora anche
Robin è irriconoscibile.
- Anche tu che non ricordi più niente, Franky! - aggiunse
sicuro di sé il capitano. - Chopper dev’esserci
rimasto malissimo in città!
Lo sguardo del carpentiere si oscurò, facendo venire i
brividi al cecchino e al musicista che non si sarebbero mai voluti
trovare nei panni del loro capitano.
- Quante volte devo ancora ripeterti che non è colpa mia?! -
ruggì infine il carpentiere. Rufy non si scompose: si
limitò a tenersi il cappello di paglia sulla testa.
- Piantatela! - li ammonì Sanji, rimasto impassibile fino a
quel momento. - Ci manca solo che litighiate anche voi due.
- Senti chi parla. - disse Franky tornando a sedersi sul divano. - Se
lo spadaccino fosse in piedi sareste già pronti a scannarvi
l’un l’altro.
Mentre Sanji si avvicinava pericolosamente al cyborg alzandosi le
maniche della camicia, Usop rifletté ad alta voce.
- Chissà perché Robin si è comportata
in quel modo con Chopper poco fa.
Quelle poche parole bastarono perché i suoi compagni lo
facessero oggetto della propria attenzione. Il cecchino, imbarazzato,
cominciò ad agitare furiosamente le mani davanti a
sé. - I-Intendevo dire che mi è sembrato un
po’ strano, tutto qui! Quei due sono sempre andati
d’accordo!
- Il problema non è Chopper, naso lungo. -
continuò Franky. - Deve essere lo spadaccino che
l’ha preoccupata.
- Non dire stronzate! - s’intromise il cuoco. -
Perché la mia bellissima Robin-chwan dovrebbe preoccuparsi
per quella specie di palla di muschio?!
- Yohohoho! Magari quei due ci nascondono qualcosa! -
affermò lo scheletro allegro.
Dopo pochi secondi di silenzio, però, tutti scossero la
testa decisi, facendo risuonare un “nah...” in
tutta la stanza.
- Adesso Sanji rimettiti a cucinare! Ho fame! - urlò il
capitano riacquistando immediatamente il sorriso che lo
contraddistingueva.
Il cuoco ubbidì, commentando sommessamente le solite frasi
di Rufy.
- La cosa non mi convince ugualmente. - riprese poi Usop.
- Non convince nessuno. - gli rispose il cyborg. - Per questo dobbiamo
aspettare la spiegazione di Robin.
Il carpentiere si rilassò sul divano prima di riprendere il
discorso. - Già che stiamo parlando... dove hai detto che
hai trovato la renna, Usop?
- Non molto distante dal porto. - rispose immediatamente. - Mi
è sembrato strano che non fosse con voi, ma ero troppo
preoccupato per darci peso. Si può sapere
cos’è successo?
- Beh... è sparito. - gli disse tranquillamente Franky. -
Semplicemente sparito. Stavamo guardando i cantieri e- il cyborg si
arrestò di colpo quando una scarpa lo colpì in
pieno volto.
- Si può sapere perché diavolo l’hai
fatto?! - urlò poi in direzione del cuoco, che rimase di
spalle, sempre rivolto verso il piano cottura. Sanji alzò
semplicemente una mano, indicando con il pollice la porta
dell’infermeria.
- Oh... - fu il commento di Franky accorgendosi della situazione. -
Ragazzi, cosa ne direste di un aperitivo nel Bar-Acquario? - disse
forzando il tono cordiale con cui aveva pronunciato la frase.
- No, preferisco rimanere qui a sentire il profumino del cibo di San-
ma il capitano venne subito zittito dal cecchino, che immediatamente
gli sigillò la bocca con una mano. Fortunatamente Usop aveva
capito al volo le vere intenzioni di Franky. - Ma certo! Andiamo subito!
Rufy mugolava e si dimenava, ma venne trascinato a forza dai compagni
al di fuori della stanza.
Chopper ascoltò distrattamente la prima parte della loro
conversazione: non si sarebbe mai aspettato un attacco di Robin, ma
sapeva bene che l’aveva fatto per proteggere Zoro, come
sapeva anche che la donna non aveva agito così
istintivamente solo per difendere un semplice compagno. Zoro era
importante per lei e non faceva altro che dimostrarlo.
Soffriva nella consapevolezza di non essere allo stesso livello dello
spadaccino. Si sentiva schiacciato dal conoscere qualcosa che i suoi
compagni, forse, neppure immaginavano. Forse se non avesse scoperto
nulla, le cose sarebbero state diverse. Quel confronto con Zoro non
sarebbe esistito e lui si sarebbe di certo sentito meglio.
Ripensando a quei pochi attimi, però, non riusciva a capire
cosa avesse potuto scatenare quel gesto da parte
dell’archeologa.
Possibile che ce l’avesse con lui? E per cosa, se non aveva
fatto nulla?
Sospirò: in fondo si era già scusata e lui
l’aveva perdonata. Era inutile pensarci ancora.
Si rivolse nuovamente a Zoro: lo spadaccino sembrava che dormisse
rilassato, come se non ci fossero problemi di alcuna sorta.
Si avvicinò nuovamente con le forbici e
un’espressione arrabbiata si dipinse sul volto della renna,
accompagnata da un lieve bagliore negli occhi neri: solo un colpo
deciso. Ne bastava solo uno.
Abbassò di colpo l’oggetto, tranciando di netto le
bende sulla spalla dello spadaccino. Scosse la testa, tornando quello
di sempre: non poteva fargli del male. Aveva un dovere a cui attenersi.
Mentre preparava un nuovo bendaggio, sentì il cambiamento di
tono nelle parole del carpentiere: non aveva più prestato
molta attenzione alla conversazione, ma le urla del cyborg
l’avevano riscosso. Tese l’orecchio, e lo
incuriosì molto come la loro chiacchierata fosse bruscamente
cambiata: il falso tono di Franky, l’interruzione di Rufy
forzata dal cecchino, i suoi amici gli stavano nascondendo qualcosa, se
lo sentiva. Si rivolse nuovamente allo spadaccino: dormiva ancora, ma
sembrò lamentarsi sommessamente. Il primo segno di
vitalità che dava da tempo.
Chopper lasciò perdere gli altri: ancora doveva capire cosa
stava succedendo al corpo del suo paziente.
Robin aprì lentamente la porta degli alloggi femminili: Nami
era seduta sul suo letto, intenta a sfogliare una mazzetta di
banconote. Contare era sempre stato un modo con cui amava calmarsi: se
si trattava di soldi, poi, poteva unire l’utile al
dilettevole.
- Cosa vuoi? - fu la domanda secca dopo aver calcolato le paia di
scarpe possibili all’acquisto.
Robin si sedette ai piedi del letto, e notò il rossore degli
occhi di Nami quando quelli si sollevarono per incontrarla: senza
dubbio aveva pianto.
- Mi spiace, Nami. - cominciò con tono calmo e rassicurante.
- Non era mia intenzione provocare problemi, e non sai quanto mi senta
in colpa per quanto è successo sia stamattina che poco fa.
Gli occhi della navigatrice ricominciarono ad inumidirsi, ma fu pronta
a scacciare le lacrime strofinandoli con una mano e rivolgendo lo
sguardo altrove.
- Lo sai che non avrei mai fatto una cosa simile senza un buon motivo,
no?
Nami si arrese e la guardò di nuovo. - E tu sai che mi hai
delusa, vero? - disse mentre nuove lacrime si accumulavano sulle sue
ciglia. - Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Mi sono
sempre potuta fidare di te e...
Si interruppe, riprendendo a strofinarsi gli occhi. Non riusciva a
parlare, si sentiva un nodo in gola.
Robin sorrise comprensiva e le appoggiò una mano sulla
spalla. Ciò che non si aspettava, era essere ricambiata da
un caldo abbraccio della navigatrice.
Dopo un primo momento di stallo, rispose felice alla stretta
dell’amica, mentre la ragazza riprese a parlare.
- Non sapevo cosa fare quando sono arrivata sulla nave insieme a Sanji.
Ero preoccupata per Zoro e nello stesso momento per te. Cosa avrei
dovuto pensare?! Tu che prendi e te ne vai senza dire niente a nessuno,
e noi che ci ritroviamo con un compagno svenuto, senza sapere nemmeno
da dove cominciare.
Nami la strinse più forte mentre singhiozzava: aveva bisogno
di sfogarsi, di lasciar andare tutto lo stress che si sentiva addosso e
che non le lasciava tregua.
Robin non disse nulla. Rispondeva semplicemente alla stretta della
compagna, aspettando che si calmasse.
Quando Nami sciolse l’abbraccio, l’archeologa si
sentì porre la domanda che si aspettava. - Perché
hai abbandonato la nave stamattina?
- Sono stata a casa del pittore che abbiamo conosciuto ieri mattina. -
rispose. - Ho letto il suo libro, ma purtroppo le ultime pagine erano
molto danneggiate. Ho voluto chiedergli il finale della storia.
- Solo per questo?! - domandò incredula la navigatrice. -
Hai abbandonato la nave per una sciocchezza simile?
- Non credo si tratti di una sciocchezza. - fu la risposta immediata
della donna. - Ho trovato un collegamento significativo tra la leggenda
e il comportamento di Chopper.
- Quale comportamento? - la interruppe l’amica. - Sei tu
quella che ha cominciato a comportarsi in modo strano: hai disubbidito
agli ordini, hai attaccato Chopper... mi sono persa qualcosa, non
è vero?
Robin sospirò. - È da quando è tornato
ieri a pranzo sulla nave che ho notato questo suo cambiamento:
è molto più attento nei miei confronti, e geloso
delle altre persone che mi stanno vicine. Ora però
raggiungiamo gli altri: ho bisogno di spiegare a tutti questa strana
situazione.
Nami annuì consenziente, curiosa di sapere finalmente cosa
stesse succedendo.
Quando uscirono dalla stanza e si recarono sul ponte, videro Usop che,
dalla porta del Bar-Acquario, le invitava calorosamente ad entrare.
Angolino
dell’autrice
Ciao a tutti! ^^
Sono in colossale ritardo... lo so. Quanti mesi sono che non pubblico
nulla? Ormai ho perso il conto... Ma tra vacanze, impegni, ecc ecc., il
tempo per scrivere non era molto. -.-
Tra l'altro, questo è forse il capitolo peggiore che mi sia
toccato scrivere. -.- Ho dovuto riscriverlo più volte, e la
mia beta ci è impazzita a continuare a rileggerlo. XD quindi
tra il tempo per scriverlo, quello per correggerlo, e i problemi della
rete... sì, è passato un bel po'.
Spero comunque che vi piaccia e che vogliate farmi sapere cosa ne
pensate. :)
Non ho assolutamente idea di quando riuscirò a pubblicare il
prossimo capitolo. Spero presto, ma non posso assicurarvelo. Mi spiace
di tenervi ancora sulle spine, ma prometto che farò del mio
meglio. :)
E, a proposito di impegno, dedico questo capitolo a Middle Earth, che
con me ha passato il suo tempo a "cercare" di correggerlo. XD Grazie!
E ovviamente ringrazio ancora tutti quelli che leggono e che mi
seguono. :)
Alla prossima! ^^
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