I passi dell'amore di Shinalia (/viewuser.php?uid=68696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Riprendo qui
una mia vecchia storia che avevo interrotto, con l'intenzione di
correggerla e ripostarla man mano. Il titolo dice tutto :) è infatti
ispirata al film "I passi dell'amore", e al relativo libro. Un bacione.
Prologo
Edward
Cullen era un vampiro da ormai ben oltre un secolo. La sua vita era
terminata a
causa di una malattia nel lontano 1901, quando Carslisle Cullen, colui
che ora
definiva padre, gli aveva donato l’immortalità.
Sebbene
fosse tra tutti i suoi familiari il primo ad essere stato trasformato,
era
l’unico a non aver accettato la sua vera natura, almeno non
completamente.
L’angoscia
permeava tutto il suo essere e l’inquietudine era una costante della
sua
esistenza, da quel lontano giorno.
Detestava
essere un vampiro, una creatura che vive di sangue e morte. Odiava
avvertire
dentro di sé il mostro che scalciava per soddisfare la sua brama. La
sua
non-vita era un susseguirsi incessante di giornate senza senso. Aveva
tentato
ogni cosa per attribuirgli un qualche significato... il sesso,
l’alcool,
amicizie tutt’altro che convenienti; ma nulla era riuscito a riempire
la
voragine del suo animo.
Un
vuoto incolmabile che pareva non voler essere riempito in alcun modo.
Benché
la sua famiglia tentasse di consolarlo, a nulla valevano i loro sforzi
ed
Edward avvertiva un senso di oppressione costante.
Anche
quella mattina era sopraggiunta. I raggi flebili del sole filtravano
attraverso
le tende di lino bianco, prima di essere completamente ricoperti dalla
coltre
di nuvole tipica di Forks: un piccolo paesino avvolto dalla vegetazione
in cui
il costante cielo plumbeo gli permetteva di vivere senza destare
sospetti tra
gli umani.
Edward
sbuffò contrariato alzandosi dal suo divano in pelle nera. Si godeva
qualche
giorno di solitudine grazie ad un improvviso viaggio della sua famiglia.
Alice
aveva organizzato una settimana in un lussuoso albergo dove le “giovani coppie” avrebbero potuto bearsi
di un po’ di sana intimità.
Nonostante
le sue intenzioni di godere del silenzio della casa e della tranquilla
apatia
in cui sguazzava, Edward si diresse verso la Fork High School. Alice
gli aveva
imposto categoricamente di presentarsi e, sebbene lui non ne avesse
compreso il
motivo reale, attribuì il tutto alle visioni della sua piccola e
pestifera
sorellina veggente.
Le
voleva bene e avrebbe fatto tutto pur di accontentarla, anche se era
piuttosto
contrariato dal suo fare autoritario e dalla costante interferenza
nella sua
vita privata.
Il
suo
potere sapeva essere non poco molesto. Infatti, la vampira dai capelli
scuri ed
il corpo minuto, era in grado di avere visioni riguardati il futuro.
Più volte
aveva approfittato del suo dono per raggirare abilmente lui e i suoi
familiari,
ottenendo ciò desiderava.
Una
mente machiavellica, una pessima combinazione se sommata alla sua
preveggenza.
Edward
sbuffò, mentre la sua mente tentava di attribuire un senso alla sua
insistenza.
Era
sempre stata piuttosto astuta, questo era indiscutibile.
I
suoi
familiari erano partiti tutti con una certa fretta e sebbene avesse
indugiato
nei loro pensieri più del dovuto, non era riuscito a comprendere poi
molto.
Sicuramente
Alice aveva intimato loro di celargli il suo ennesimo piano. Temeva
seriamente
stesse progettando l’ennesima follia a suo danno.
Non
era
poi una novità.
Tra
i
suoi tentativi di accasarlo con le vampire del clan di Denali ed il
concorso
che aveva indetto tra le ragazze della scuola per trovargli una
compagna,
Edward non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Sua
sorella aveva il costante ed improponibile desiderio di vederlo
felicemente
innamorato.
Quale
pazzia! Si
disse prima di salire sulla sua Volto, pronto per l’ennesimo noioso
giorno di
scuola.
O
almeno così credeva.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Eccomi :) Il primo capitolo finalmente è terminato ahahahha ci ho messo
un pò per rivederlo e tra tagli e aggiunte varie ammetto di aver perso
più tempo del previsto! hihihihi
Adesso vi lascio al chappy *O* grazie mille per le recensioni,
troverete le risposte nella posta di efp hihihihihi
Kiss
Quando
si vive nel passato ogni giorno non appare che un dilungarsi di
inutili ore in cui ogni pensiero si perde tra i ricordi, in cui ogni
fallimento appare nella sua brutalità e l'eternità si trasforma in
un'angosciante prospettiva difficile da dissimulare.
Per
Edward la vita era questo, lui era questo.
Un’anima
tormentata, un uomo a metà tra passato e futuro, incapace di trarre
dal presente le gratificazioni desiderate. Osservava, come uno
spettatore, il mondo umano e le sue creature avvicendarsi nel tempo
mentre per lui l’immobilità era la sola compagna.
Un
susseguirsi di giorni che non avrebbe rammentato e che si sarebbero
ammassati in un angolo della sua memoria, come insignificanti istanti
che per la loro inutilità gli avrebbero causato solo rabbia.
Rancore.
Frustrazione.
Quella
di chi sa di essere bloccato, quella di una creatura che nella sua
sovraumana potenza è consapevole di non poter aspirare a nulla al di
fuori di ciò che possiede e che lo tormenta.
Il
tutto e il niente.
Anche
quella giornata stava trascorrendo nella solita monotonia e sino a
quel momento, Edward, non aveva notato nulla di strano. Nessuno
stormo di ochette starnazzanti preda di strani deliri, almeno non più
del solito, e nessuno scherzo da parte di Alice.
Tranne
qualche insolito sms giunto sul suo cellulare.
“Baci
e bacetti dalla tua sorellina adorata. Smettila di temere un mio
agguato da un momento all’altro, non posseggo ancora il dono
dell’ubiquità e sono ad Honolulu con gli altri.”
Allegato
al messaggio c’era un foto di lei e Jasper su di una spiaggia
bianca, al chiaro di luna.
Edward
si diede del paranoico ipotizzando che il cattivo presentimento di
quel mattino fosse dovuto esclusivamente al suo pessimo umore, e che
sua sorella per una volta si era limitata ad organizzare una
tranquilla settimana di relax.
Nessun
secondo fine!
Come
poi fosse riuscita a convincere suo padre a lasciare l’ospedale per
ben sette giorni proprio non lo capiva. Era raro che Carlisle si
assentasse per un tempo tanto lungo. Adorava il suo lavoro,
soprattutto perché amava rendersi utile.
Per
lui era una sorta di espiazione. Tra tutti i componenti della
famiglia Cullen, era colui che era più attaccato alla sua umanità.
Nella sua esistenza da immortale non aveva mai compiuto alcun atto
scellerato, né azioni spregevoli di cui tutti si erano macchiati con
l’ingresso nella nuova vita. Anzi, con fatica e devozione era stato
in grado di sviluppare una vera e propria resistenza al richiamo del
sangue umano.
Era
impossibile non provare ammirazione per lui.
Carlisle
Cullen era un esempio oltre che un padre.
Una
di quelle persone per la quale tentava di dissimulare la sua apatia,
perseverando in quella vita senza speranza.
Patetico.
Si
diresse svogliatamente verso l’aula di biologia, tentando di
scacciare quelle elucubrazioni, sino a quando qualcuno non si pose
sul suo cammino, con un’0nda di pensieri melliflui che lo investì
in pieno.
«
Edward! »
la voce svenevole di Jessica lo irritò più del solito, ma tentò di
mascherare il suo disappunto ostentando la consueta indifferenza,
appresa in decenni di pratica.
Le
fece un cenno del capo pronto ad andare oltre, quando un particolare
pensiero della sua mente lo fece irrigidire.
«
Cosa volevi dirmi? »
borbottò trattenendo un ringhio. Sapeva di chi era la colpa, la
responsabile non poteva essere che una: Alice.
I
suoi sospetti come al solito erano più che fondati, il piccolo
mostriciattolo dai capelli corvini aveva architettato qualche nuovo
piano, con l’intento di minare seriamente la sua sanità mentale.
Come
aveva anche solo potuto ipotizzare fosse in buona fede?
Impossibile.
Dal
canto Jessica sobbalzò spaventata della strana reazione del vampiro.
Non era il suo primo tentativo di approccio, ma in passato le uniche
risposte che aveva ottenuto erano stati cenni del capo privi di
interesse.
Bhe,
in quell’istante rimpianse quelle mancate reazioni.
Mai
sfidare la sorte, certa gente dovrebbe stare attenta a ciò che
desidera. Sibilò il mostro
dentro di lui, divertito dalla paura della ragazza, speranzoso di
veder cessare il supplizio dei suoi continui approcci e dei suoi
insignificanti pensieri, costantemente persi in una venerazione mal
riposta su di lui e sui suoi fratelli.
Se
solo avesse saputo a cosa andava incontro.
«
Io, ecco... ho visto che sei iscritto al provino per il corso...
di... teatro. »
balbettò.
La
furia di Edward era palese sul suo viso. Non comprendeva come sua
sorella avesse potuto partorire una simile idea.
Recita
teatrale?
Sarebbe
stato costretto a mischiarsi con un'orda di umani, in continuo
contatto con loro.
La
sua vita non era abbastanza noiosa?
Possibile
che fosse costantemente pronta ad impicciarsi in questioni che non le
competevano?
Dannazione,
si sentiva terribilmente frustrato.
Era
pronto a chiamarla per urlarle tutto il suo sdegno, ma decise di
provvedere prima a cancellare la sua iscrizione, onde evitare fosse
troppo tardi.
Ma
questa volta lei non avrebbe evitato di subire la sua punizione.
No...
si sarebbe vendicato dando fuoco alla miriade di abiti che sostavano
nel suo armadio. Uno ad uno…
Senza
alcun saluto si allontanò da Jessica in direzione dell’aula di
teatro, pronto ad annunciare il disguido in cui era incappato ed a
ritirare la sua candidatura, pregustando l’istante in cui si
sarebbe deliziato del fuoco del camino alimentato dai jeans Armani di
sua sorella.
Stava
per spalancare l’enorme porta in legno massello del teatro quando
notò un insolito particolare. Dall’interno della sala non giungeva
alcun pensiero, solo una voce. Una
splendida voce. Edward rimase
affascinato da quelle dolci note che volteggiavano nell’aria
armoniose,
ed incuriosito aprì la
porta per permettere alla sua vista di svelare il mistero.
Fu
sorpreso di vedere Isabella Swan sul piccolo palchetto intenta a
cantare a pieni polmoni. Poche volte aveva avuto la possibilità di
udire la sua voce e gli era parsa nulla più che un flebile sussurro.
Non avrebbe mai immaginato potesse celare un simile talento.
Era
una ragazza semplice e tranquilla sempre attenta a non attirare gli
sguardi altrui, e lui stesso in fin dei conti non si era mai
soffermato ad osservarla.
Non
che tendesse a prestare volontariamente attenzione agli umani, al
contrario… ma non di rado le loro manie di protagonismo lo
costringevano a fingere di prestare ascolto alle loro richieste.
Soprattutto
quando i loro pensieri lo bombardavano.
Fu
proprio in quell'istante che rammentò l'inquietante dettaglio di
quella mente muta.
Non
avvertiva alcun pensiero.
Non
è possibile.
Scioccato
chiuse gli occhi, scandagliando la moltitudine di voci che si
affollavano attorno a lui, tentando di captare quella flebile e
sommessa della Swan, nel vano tentativo di isolarla.
Nulla.
Inspiegabilmente
percepiva solo il vuoto.
È
assurdo.
Possibile
che non si fosse mai premurato di controllare? Il chiacchiericcio
costante che lo affliggeva doveva aver celato quella inconsueta
realtà. Eppure non riusciva a capacitarsi di ciò. Nessuno era mai
sfuggito al suo potere, vampiro o umano che fosse.
Anche
creature potenti di clan conosciuti non potevano sottrarsi al suo
dono e lo stesso valeva per la sua famiglia. Era un potere molesto,
forse al pari di quello di Alice, e aveva spesso detestato la sua
capacità cogliere i segreti reconditi delle menti attorno a lui, ma
quell'improvvisa scoperta lo destabilizzò.
Chi
era quella ragazza per riuscire dove tutti gli altri avevano fallito?
Lei,
con quello sguardo costantemente spaventato, pallida e smunta.
Lei...
così anonima.
«
Signor Cullen! »
una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
La
professoressa Cronford, direttrice delle opere teatrali scolastiche,
gli si era avvicinata cogliendolo di sorpresa; tanto era preso nelle
sue riflessioni da non aver udito i suoi passi.
Assurdo!
Come poteva un vampiro come lui farsi cogliere in fallo?
Alice
ed Emmett lo avrebbero deriso in eterno ed era certo che la sua
sorellina in quel momento era intenta a narrare l’accaduto a tutta
la famiglia.
Piccola
pulce dispettosa.
«
Professoressa! »
salutò rispettoso, distogliendo il suo sguardo dalla ragazza.
«
Ho notato la sua domanda tra gli iscritti e ne sono piacevolmente
sorpresa – affermò immaginando il successo che avrebbe riscosso
grazie alla sua presenza. – Era venuto per chiedere qualche
informazione? »
Lo
sguardo di Edward saettò sulla piccola figura di Isabella che rossa
di vergogna che, notata la presenza degli estranei, aveva prontamente
interrotto il suo canto.
Peccato,
a lui piaceva la sua voce.
«
Nulla, volevo solo confermare la mia presenza! »
mentì allontanandosi senza aspettare alcuna risposta.
Non
seppe il motivo di quel suo comportamento, o almeno non lo comprese
appieno.
Era
seriamente incuriosito da Isabella. Che qualcuno potesse celargli i
pensieri era una novità alquanto interessante ed il fatto che il
soggetto fosse quella ragazza lo intrigava ancora di più.
In
fin dei conti era una delle poche che non lo molestava con pressanti
richieste ed era certo di non averla mai vista importunarlo a San
Valentino, quando il suo banco diveniva un cumulo indistinto di
pacchetti e dolcetti; che oltretutto non avrebbe nemmeno potuto
mangiare.
Che
spreco.
Il
trillo del cellulare attirò la sua attenzione.
“Sarai
bravissimo! Quella parte è perfetta per te!”
«
Alice. »
ringhiò sommessamente, scuotendo il capo contrariato.
Chi
poteva essere se non lei l’artefice di tutto?
__________________________________
I
provini per le principali parti si svolsero celermente, il giorno
successivo.
Edward,
come previsto, ottenne la parte principale. Le sue doti di attore
erano eccelse, ma anche in caso contrario la professoressa Cronford
non avrebbe esitato ad attribuirgli il ruolo di protagonista. Ciò
che sorprese tutti fu invece il personaggio principale femminile, che
fu assegnato ad Isabella Swan.
I
volti lividi delle ragazze della scuola mostravano il disappunto per
quella scelta da nessuno compresa. Lei, tanto timida ed impacciata,
non sarebbe mai stata considerata per un simile ruolo, eppure la
professoressa non aveva indugiato molto nella selezione. Era
consapevole delle doti canore di Isabella e della sua facoltà di
distaccarsi dalla sua vita una volta sul palco. Lì non era
l’impacciata ragazzina derisa da tutti, in teatro la sua
personalità coincideva con il personaggio che avrebbe interpretato.
Che fosse la spigliata Elisabeth Bennet o la superficiale Catherine
Earnshaw, non importava.
Non
era Isabella Swan.
Edward
stesso si stupì di scoprire il motivo di quella scelta e la
curiosità verso quella ragazza non poté che venir ulteriormente
alimentata. Così silenziosa ed in apparenza fragile, pareva celare
non poche sorprese, e lui ammise a se stesso che forse, quella
piccola umana, sarebbe potuta essere un ottimo diversivo alla sua
perenne indolenza.
Una
novità.
Al
termine delle prove decise di avvicinarsi. In fin dei conti avrebbero
dovuto provare molte scene insieme e sarebbe stato opportuno
presentarsi. Una parte di lui però ancora sperava di riuscire ,con
la vicinanza fisica, a cogliere qualche stralcio di pensiero.
Sperava…
o forse no. Iniziava a sentirsi intrigato da quella inconsueta
situazione.
Volse
lo sguardo alla sala, riponendo nello zaino le ultime cose, e la
individuò immediatamente.
Isabella
era seduta infondo, su una delle poltroncine del teatro, intenta a
sfogliare il copione consegnatole dalla professoressa.
Un
piccolo cipiglio increspava la sua fronte, formando una deliziosa
ruga tra le sopracciglia.
Aveva
un che di buffo. Pensò Edward divertito.
Eppure
era nuovamente sola. Pareva non aver stretto alcun legame con i vari
studenti della scuola. Gran parte di loro la ritenevano piuttosto
strana e soprattutto eccessivamente riservata. Difficilmente
spiccicava parola con qualcuno, se non in caso di necessità. L’unica
ragazza che mostrava verso di lei un comportamento cortese era Angela
Weber, la figlia del pastore di Forks.
Era
una ragazza di buon cuore e come Isabella abbastanza tranquilla,
forse per questo motivo era l’unica in grado di capirla,
rispettando i suoi silenzi.
Eppure
Edward non potè non chiedersi il motivo di quella ritrosia tanto
eccessiva, palese anche nel suo abbigliamento. Non indossava mai
vestiti scollati e succinti, al contrario il suo corpo era sempre
coperto da felpe e maglioni sformati. Abbigliamento tutt'altro che
comune in una ragazza della sua età.
Immaginava
il volto di sua sorella Alice incresparsi in un’espressione di puro
orrore, notando quegli abiti tanto fuori moda.
Decisamente
fuori moda!
Edward
abbandonò quei futili pensieri schiarendosi la voce per attirare
l’attenzione di Isabella.
Il
volto della ragazza si alzò incrociando gli occhi color oro del
vampiro, mentre le sue guance assumevano come di consueto una
colorazione purpurea.
«
Ciao. – mormorò suadente. – Io sono Edward Cullen. » si
presentò porgendole la mano.
Lei,
dal canto suo, lo fissò per qualche istante quasi indecisa. «
Isabella, ma preferisco Bella. » soffiò tornando immediatamente a
fissare il copione e lasciando spiazzato il povero vampiro.
Non
era di certo abituato ad un simile trattamento, al contrario erano le
ragazze che generalmente si avvicinavano a lui con la speranza di
esser notate. Avrebbero fatto carte false pur di vedersi rivolto un
suo sorriso e ben poche potevano vantare di essere state avvicinate
da lui, soprattutto senza alcun secondo fine.
Rimase
impalato per qualche istante, tentando in vano di soppesare la
situazione, almeno fino a quando l'irritazione non prevalse e, zaino
in spalla, si diresse verso l'uscita.
Assurdo.
Mormorò
tra sé.
Il
trillo del cellulare lo avvisò dell’arrivo di un nuovo messaggio.
“ Abituati
fratellino! La nostra Bella ti darà molto da fare.”
Nostra?
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Salveee! Eccomi
qui con il nuovo capitolo di questa ff. Questa volta scritto dal punto
di vista di Bella *O*
Spero vi
piaccia.
Ecco a voi la bellissima cover di questa
storia, realizzata da Betrayed_89
Grazie grazie grazie grazie ♥♥♥
CAPITOLO
2
Cit:
“L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso... L'amore
non è mai presuntuoso o pieno di se, non è mai scortese o egoista,
non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione
per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre
pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi
tempesta.”
Isabella
era non poco sorpresa da ciò che era accaduto. Quel giorno aveva
ceduto alle richieste della professoressa Cronford, accettando il
ruolo di protagonista nella rappresentazione teatrale, indetta dalla
scuola. Le era capitato in passato di far parte dei cori della
piccola chiesa di Forks, ma ormai erano anni che prediligeva
l’anonimato.
A
scuola era solita mantenere un certo riserbo, evitando qualsiasi
situazione che potesse attirare su di sé l’attenzione più del
necessario.
Ma
non quel giorno.
Qualcosa
era scattato in lei, inducendola ad accettare.
Non
seppe darsi realmente una spiegazione. Forse la consapevolezza che
presto non avrebbe avuto altrettante opportunità, che tutto sarebbe
svanito da lì a pochi mesi, o solo per il bisogno di un cambiamento.
Non
lo sapeva!
La
sua vita, sospesa su di un filo, era un lento e monotono susseguirsi
di giorni, ormai da tempo.
Nulla
mutava.
Chiusa
nel suo cantuccio fatto di poesie e racconti si crogiolava nelle
sensazioni che il mondo della fantasia poteva donarle. Un mondo ben
distinto da quello reale.
Meno
crudele.
Pur
nella sua giovane età aveva dovuto far fronte ad esperienze
tutt’altro che liete. La prematura morte di sua madre l’aveva
segnata più di quanto non mostrasse e ciò che affliggeva il suo
corpo come una condanna, ben poco poteva farla gioire.
Era
così giovane.
Comprendeva
fosse inutile rimuginarvi, ma talvolta il peso della consapevolezza
era troppo pensante per essere ignorato. Fingeva dinanzi al mondo
un’indifferenza che non le era propria, una serenità inesistente
ed una rassegnazione a dir poco improponibile.
Ma
nulla avrebbe potuto mutare il corso degli eventi ed una pacata
accettazione aveva lasciato spazio alla disperazione dei primi tempi.
Arresa al suo destino trascinava il peso di quei giorni attendendo
l’inevitabile.
Sperare
sarebbe stato inutile e degradante.
La
prognosi era stata chiara: ancora pochi mesi, forse un anno.
Nessuno
poteva sospettare, pochi sapevano.
Non
voleva arrecare dolori a chi la circondava, non voleva affliggere suo
padre più di quanto non facesse. Aveva perduto sua moglie da tempo
eppure la tristezza nei suoi occhi non lo aveva mai abbandonato. Ciò
nonostante era stato un padre esemplare, sempre disponibile
emotivamente ed affettuoso, ben attento alle esigenze della sua
bambina.
Il
sorriso aveva sempre increspato le sue labbra, benché occuparsi da
solo di sua figlia non fosse un compito facile.
Non
le aveva mai fatto pesare nulla.
Ma
da quel giorno maledetto in cui le era stato comunicato della sua
malattia, tutta quella serenità che si erano conquistati man mano si
era infranta come il più fragile dei cristalli.
Suo
padre era cambiato divenendo apprensivo e malinconico oltre misura.
Soffriva…
e Bella taceva.
Si
teneva lontana da chi avrebbe potuto penarsi quando l’inevitabile
sarebbe accaduto, avrebbe tenuto a distanza tutti con i suoi silenzi
e con i suoi muti pensieri sino all’ultimo dei suoi giorni.
La
vita scorreva e lei osservava.
Osservava.
Le piaceva contemplare i colori del mondo, le vite altrui. Ammirava
la spensieratezza di cui gli altri godevano, talvolta invidiandoli.
Ascoltava quei progetti futuri a cui era stata costretta a
rinunciare, impedendosi di fantasticare su ciò che non avrebbe mai
potuto avere.
Ma
quel giorno qualcosa aveva sconvolto la sua stasi.
Era
stata sorpresa quando Edward Cullen le aveva rivolto la parola. Lei,
insignificante ragazzina, tanto restia ai rapporti non comprendeva
cosa, uno come lui, potesse volere da lei.
La
sua fama lo aveva ampiamente preceduto. Tutte le ragazze erano a
conoscenza dei suoi modi brutali e non poco indelicati nei confronti
delle sue conquiste. Armato di avvenenza e carisma, con un sorriso,
otteneva chiunque desiderava e, benché le sue prede fossero
consapevoli che le sue attenzioni non sarebbero durate che poche ore,
cedevano.
Cheerleader,
studentesse modello, atlete della squadra di ginnastica… non erano
pochi i nomi che Edward poteva vantare.
La
stessa Isabella lo aveva osservato. E come avrebbe potuto evitarlo?
La bellezza di quel ragazzo era impareggiabile. I suoi occhi color
oro, caldi e profondi, l’avevano stregata al primo sguardo e se non
fosse stata tanto coscienziosa forse lei stessa sarebbe potuta cadere
vittima di quel suo fascino ammaliatore. Eppure di una cosa era più
che certa, dietro quella perfetta facciata c’era ben altro.
Molto
altro…
Qualcosa
di buono!
Non
sapeva spiegarsi il motivo di quella sua sensazione, che negli anni
si era rafforzata sino a diventare quasi una convinzione.
I
suoi occhi sempre velati di malizia celavano dietro di sé un
tormento senza pari. Una disperazione che aveva avuto modo di mirare
raramente ed una rassegnazione evidente nelle espressioni del suo
viso.
Dietro
quella maschera che si ostinava ad ostentare c’era un mondo di
emozioni e sensazioni, che nessuno sembrava notare.
Forse
un brutto passato, ricordi dolorosi.
Questo
Bella non lo sapeva, ma la sua mente si era persa spesso ad
immaginare cosa nascondesse quel suo strano quanto interessante
compagno.
Almeno
sino a quando lo stato avanzato della malattia aveva portato i suoi
pensieri su ben altre direzioni. Le sue curiosità erano svanite,
sotterrate dalle premure che era costretta ad usare per evitare che
qualcuno scoprisse di ciò che soffriva. Tutte volte a porre distanza
tra sé e il mondo, anche se in fin dei conti non era stato poi così
difficile.
Nessuno
aveva avuto la giusta pazienza per sopportare i suoi silenzi oppure i
momenti in cui la sua mente si perdeva a fantasticare dinanzi ad un
bel libro, nessuno era stato in grado di guardare oltre le apparente.
Nessuno
si era domandato realmente cosa si celasse dietro quel suo riserbo,
dietro quelle parole non dette. Si erano limitati a giudicare quello
che la superficie mostrava loro, una ragazzetta troppo timida e
decisamente poco interessata alle mode giovanili.
Nessuno!
________________________________
Quel
giorno al termine delle lezioni recuperò il suo pickup dirigendosi
verso l’ospedale di Seattle, dove spesso si dedicava ad attività
di volontariato. Nel reparto neonatale trascorreva il suo tempo
osservando i nuovi nati e dando come poteva il suo supporto.
Le
ostetriche e le infermiere si erano sempre mostrate molto gentili con
lei. Era difficile poter usufruire dell’aiuto di giovani volontari
e benché quel reparto fosse di per sé il più allegro, i compiti
non mancavano di certo.
Isabella
dal canto suo riusciva a trarre da quell’esperienza e da quel luogo
un senso di immenso benessere, quando si perdeva ad osservare quelle
creature innocenti, le speranze che vorticavano su di loro e sul loro
futuro, la beatitudine delle coppie di genitori che trascorrevano ore
a vezzeggiare i propri piccoli.
Quel
clima di serenità rendeva quel reparto la sua piccola oasi felice,
in cui i brutti pensieri venivano surclassati dalle emozioni positive
che vi aleggiavano.
«
Buongiorno Christin. »
salutò educatamente, facendo il suo ingresso nell’ampia struttura
e rivolgendosi all’infermiera della reception, intenta a scrivere
qualcosa su di una cartella.
Quest’ultima
la salutò con un ampio sorriso, ritornando immediatamente alle sue
mansioni. In ospedale quasi tutto il personale conosceva Isabella,
sebbene pochi fossero consapevoli della sua malattia.
Gli
unici ad essere informati in merito erano il suo medico: Carlisle
Cullen e alcune delle infermiere di quel reparto. Il dottore era
stato ben attento a non far diffondere la notizie, come da richiesta
di Isabella. Un compito tutt’altro che facile considerando le
dimensioni della piccola città.
Bella
si fidava ciecamente di lui, era un ottimo dottore, forse il migliore
che l’aveva avuta in cura.
E
non erano pochi.
Successivamente
alla prognosi suo padre non si era arreso, decidendo di ricorrere al
parere di moltissimi medici. Erano stati in Europa, a New York, in
Canada, ma le analisi non erano mutate, così come la prognosi
finale.
Pochi
mesi.
L’ultimo
medico che avevano contattato era stato il dottor Cullen, che si era
proposto per seguire il progredire della malattia di Isabella,
dandole il giusto supporto e i medicinali che avrebbero potuto in
qualche modo limitare il dolore.
Un
sospiro affranto si dipinse sul suo volto quando i suoi pensieri
corsero al futuro. Sapeva ciò che l’attendeva, ma darsi pace era
tutt’altra cosa. Per quanto avesse ormai accettato ciò che il fato
aveva preposto per lei, i suoi pensieri spesso non potevano non
divenire rabbiosi. A nulla erano valsi i suoi tentativi di trovare in
ciò un significato profondo, una motivazione…
Non
comprendeva.
«
Isabella! »
una voce squillante la ridestò dai suoi pensieri e notò la figura
rotondetta, della segretaria del dottor Cullen, correrle in contro.
Sorrise
arrestando il suo passo, attendendo che questa potesse raggiungerla.
«
Signora Margaret, salve. - salutò educatamente. – Posso aiutarla?
»
La
donna annuì tirando dalla tasca una piccola ricetta medica. « Il
dottor Cullen è partito per una piccola vacanza e mi ha incaricata
di consegnarti questa ed il numero per rintracciarlo in caso di
bisogno. Mi ha esortato a dirti di non crearti scrupoli e di
chiamarlo in qualsiasi momento tu lo ritenga opportuno. »
Il
sorriso sul volto di Isabella si distese ulteriormente. Il dottor
Cullen era sempre estremamente premuroso. « La ringrazio. »
La
donna, compiuta la sua missione, vezzeggiò affettuosamente la
guancia di Bella, prima di scomparire dietro la porta del reparto. Le
era difficile trattenere le lacrime in sua presenza, quando
rammentava la sua sorte segnata ed Isabella, notando spesso i suoi
occhi lucidi, tentava sempre di trattenerla il meno possibile.
Sospirando
sommessamente si avviò verso la sua destinazione, ponendo da parte i
suoi problemi, pronta a godersi i gorgoglii e i borbottii dei nuovi
nati.
__________________________
Isabella
tornò dall’ospedale in tempo per preparare la cena a suo padre, di
ritorno dal lavoro. Come ogni sera, benché lui si opponesse
desiderando evitarle ogni tipo di sforzo, Bella preparava il pasto
onde evitare che suo padre desse fuoco alla casa.
Nei
rari casi in cui aveva preso il suo posto in cucina i risultati erano
stati a dir poco disastrosi e non era raro che Bella temesse il
giorno in cui Charlie sarebbe stato da solo, ad occuparsi di sé
stesso.
«
Non dovresti affaticarti troppo! »
sentenziò notando il volto cereo della sua bambina.
Lei
scrollò le spalle con indifferenza poggiando sul tavolo la ciotola
dell’insalata. «
Non preoccuparti. »
mormorò tentando di essere rassicurante, ma con scarso risultato.
Il
suo corpo diceva molto più di quello che le sue parole potevano
affermare. Aveva perso peso nell’ultimo periodo ed il suo incarnato
mancava di quel roseo colore del passato.
Suo
padre sospirò sommessamente, fingendo di crederle per non
impensierirla ulteriormente.
Anni
prima avevano scoperto il male che l’affliggeva. Charlie rammentava
perfettamente il vuoto percepito in quell’istante, un incolmabile
senso di vuoto che lo avevo pervaso annullando la sua lucidità per
svariati istanti. Attorno a sé non percepiva nulla, come avvolto dal
torpore del sonno non pareva comprendere realmente il significato
delle parole che gli venivano rivolte.
Leucemia.
Non
era mai stato un uomo particolarmente religioso, ma era sempre stato
certo che ci fosse un Dio, nella sua trascendenza, a decidere del
destino dei mortali sulla terra. Aveva sempre creduto che per tutti
ci fosse un destino, un compito da adempiere. Quando sua moglie era
morta dando alla luce la loro bambina aveva sofferto, il dolore era
stato atroce, eppure aveva visto in quel frugoletto tra le sue
braccia il motivo per il quale Renée aveva donato la sua vita.
Una
motivazione.
L’aveva
reso un padre, aveva dato tutto ciò che aveva solo per lei.
Per
loro.
Ma
Isabella? Così giovane ed ingenua, come poteva essere tanto infausto
il destino per accanirsi su una creatura che della vita sapeva tanto
poco? Che della vita non aveva gustato se non i più acerbi frutti?
Quale
Dio poteva aver deciso per lei una simile sorte?
Per
tanto i suoi pensieri erano stati contornati dalle preghiere più
svariate, alle imprecazioni, dai rimorsi, dai rimpianti . La
rassegnazione non era mai sopraggiunta a donargli la pace di cui
necessitava. Fingeva una tranquillità che non possedeva per non
impensierire ulteriormente la sua bambina, per non far gravare su di
lei anche il suo dolore.
Troppo
fragili erano le sue spalle per poter sopportare ancora.
«
Papà, io non ho molta fame, credo andrò a dormire. »
annunciò, riponendo il piatto nel lavabo.
L’uomo
annuì stancamente. «
Notte. »
Bella
si allontanò, salendo le scale che l’avrebbero condotta alla sua
stanza. Avvertiva il senso di spossatezza divenire sempre più
pressante, ma nonostante ciò quella sera l’ora del sonno sarebbe
stata ritardata.
Si
sedette alla scrivania tirando fuori un piccolo blocchetto ed una
penna consumata, imprimendo su quei fogli i suoi ultimi desideri.
Quelle piccole cose che avrebbe voluto realizzare prima del
sopraggiungere della morte, sperando forse di riuscire ad accettare
l’inevitabile se fosse riuscita ad ottenere da quella vita almeno
parte di ciò che agognava.
In
realtà gran parte di esse non erano che futili e talvolta
stravaganti esperienze, dettate più dal divertimento che ne avrebbe
tratto per realizzarle, che da un reale desiderio. Rise di sé stessa
più volte durante la sua piccola impresa.
Così
trascorse tutta la notte, immersa nei suoi pensieri, fino a quando
Morfeo non reclamò la sua piccola creatura ed Isabella, ancora
seduta alla sua scrivania, si addormentò, senza sapere che qualcuno,
poco distante, aveva osservato incuriosito ogni sua mossa.
Quando
il visitatore notturno fu certo che la ragazza fosse ormai assopita
fece il suo ingresso nella stanza, tentando di leggere ciò che aveva
canalizzato completamente l’attenzione della ragazza. Purtroppo per
lui l’intero foglio era coperto dall’esile corpo e non avrebbe
avuto modo di recuperarlo senza svegliarla.
Una
sola parola era visibile, tracciata con una goffa calligrafia:
- Innamorarsi.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Aggiornamento lampo mentre corro da una parte all'altra dello studio
ahahahahahah XD
Non mi dilungo e vi lascio direttamente al capitolo! un bacioneee!!1!
Capitolo
3
Cit:
“Forse
Dio ha un progetto migliore per me, di quello che io avevo per me
stessa…”
Isabella
fu risvegliata dal suono insistente della sveglia. Stropicciò gli
occhi assonnata e spossata, notando solo in quell’istante la sua
posizione. Il suo corpo riverso alla scrivania era coperto da una
delle coperte che generalmente erano posizionate sul suo letto.
Se
ne stupì. Non rammentava di essersi coperta la sera precedente, ma
attribuì erroneamente il tutto a suo padre, che probabilmente le
aveva fatto visita prima di andare a lavoro.
Si
alzò stiracchiandosi notando il frutto del suo lavoro notturno.
Innamorarsi.
Un
leggero sorriso increspò le sue labbra constatando l’assurdità
dei suoi pensieri, soprattutto contemplando quello che tra tutti era
il suo primo desiderio.
Come
avrebbe potuto innamorarsi di qualcuno perpetrando
quell’atteggiamento di completa chiusura verso il mondo?
Sarebbe
stato piuttosto complesso, soprattutto rimuginando su quello che ne
avrebbe comportato. Non era una delle ragazze ben in vista nella
scuola e ciò implicava che difficilmente sarebbe stata ricambiata,
anche se fosse riuscita ad incontrare qualcuno realmente in grado di
attirare la sua attenzione in quel modo.
Cosa
di cui dubitava fortemente.
Aveva
avuto modo di constatare l’assurda superficialità di cui peccavano
i suoi compagni e, benché in parte invidiasse quel loro modo di
porsi, le sue esperienze le impedivano di fare altrettanto.
Considerava la vita un bene prezioso, memore di ciò che avrebbe
perduto e consapevole che non sempre i progetti riuscivano a vedere
una realizzazione.
Lei
ne era la prova vivente.
Aveva
sognato, aveva immaginato, aveva sperato… eppure ogni suo progetto
non aveva futuro. Riposto in un cassetto della sua memoria e del suo
cuore sarebbe stato custodito come un dolce ricordo, regalo di una
spensierata infanzia.
Un’infanzia
priva di consapevolezze….
Quella
sensazione di invulnerabilità che provavano generalmente i ragazzi
alla sua età non era che una chimera, l’illusione di essere
inviolabili, dettata dalla convinzione che il destino in qualche modo
non potesse accanirsi su di loro.
Li
invidiava, pur sapendo quanto quel sentimento fosse inappropriato e
futile.
Ciò
nonostante era certa che non fosse quello il suo principale problema,
almeno non solo. Anche se avesse incontrato qualcuno in grado di
risvegliare in lei sensazioni sopite, era ben consapevole che
difficilmente qualcuno avrebbe accettato il suo interesse di buon
grado, senza schernirla.
Non
le erano mai sfuggiti i commenti pungenti su di lei, sul suo
abbigliamento, sul suo comportamento. Gli sguardi colmi di derisione
avevano accompagnato ogni suo passo, in quella scuola.
Sospirò
sommessamente.
Non
che necessitasse di essere corrisposta, in fin dei conti ciò che
avrebbe almeno voluto provare era quel sentimento tanto decantato nei
libri che era solita leggere. Aveva trascorso anni tra le pagine
ingiallite delle opere di Sheakespeare, Jane Austen, Emily Bronte…
agognando quelle sensazioni sconosciute.
La
possessione, la gelosia e tutto ciò che relativo all’amore poteva
essere sperimentato. Un desiderio forse strano considerando che la
sua vita avrebbe visto il suo termine in breve tempo, eppure
probabilmente aggrapparsi a quelle piccole cose poteva donarle la
giusta serenità per abbandonarsi al suo destino.
Non
rimpiangeva quello che la vita le aveva donato. Aveva avuto l’affetto
di un padre stupendo, che l’aveva amata senza riserve. Un’infanzia
serena ed una madre che le aveva donato la vita.
Ma
a cosa le sarebbe servito lasciar scorrere ciò che le restava senza
rendere realmente la sua esistenza degna di nota? A cosa sarebbe
servito non tentare di ottenere un po’ di quella serenità che le
spettava?
Oltretutto
era consapevole che quel suo atteggiamento in qualche modo affliggeva
suo padre, sebbene non volesse dimostrarlo, comprendendo che in fin
dei conti lei si era arresa.
Arresa
ad essere nulla oltre un piccolo puntino bianco tra i mille colori
che la contornavano.
Arresa
a lasciare che i suoi ultimi giorni trascorressero, senza bearsi dei
pochi attimi di cui avrebbe potuto godere, di quelle sensazioni che
in parte avrebbero potuto farla sentire nuovamente viva.
Era
assurdo per lei notare come il giorno della diagnosi avesse
inevitabilmente segnato la sua morte.
Certo, camminava e respirava, ma la sua mente era costantemente
rivolta al giorno in cui la sua anima avrebbe abbandonato le sue
spoglie terrene, a quel giorno di lutto in cui Charlie avrebbe pianto
la sua unica figlia.
Era
quello che l’affliggeva sopra ogni cosa.
Aveva lasciato che la malattia la schiacciasse, cercando nel mondo
solo una piccola distrazione, nulla di cui realmente avrebbe potuto
bearsi. Nulla che potesse concederle la felicità che in parte
sentiva di meritare.
Lei
si era realmente arresa al suo destino.
Lei
si era arresa, lasciandosi morire.
___________________________
Pov Edward
Quella
notte inspiegabilmente aveva fatto visita a casa Swan, incuriosito
dalla figura di Isabella, ma soprattutto innervosito dal suo
comportamento.
Vi
aveva rimuginato durante tutto il pomeriggio, giudicandola fredda e
scostante senza motivo.
Si
sentiva oltraggiato.
Nessuno
aveva mai usato tanta indifferenza verso di lui ed in parte ciò lo
aveva ferito nell’orgoglio. Si disse che quel suo crucciarsi fosse
relativo semplicemente a quel comportamento e non alla ragazza che lo
aveva osato.
Era
giunto in prossimità della sua casa in un’ora tarda, convinto che
lei fosse ormai tra le braccia di Morfeo, invece si era dovuto
ricredere. Poggiato al ramo fuori dalla sua finestra aveva scrutato i
lineamenti stanchi del suo viso distendersi nelle più varie
espressioni.
Indecisione,
curiosità, ilarità.
Non
era riuscito a non trovarla deliziosa e per giunta era incuriosito
oltre misura riguardo ciò che stava scrivendo su di un piccolo block
notes.
Con
il favore della notte aveva vegliato su di lei, sino a quando,
stremata, non si era addormentata e lui aveva fatto incursione nella
sua stanza.
Finalmente
pronto a sedare in parte la sua curiosità crescente.
Aveva
tentato in ogni modo di scrutare le parole scritte velocemente su
quel foglio, ma il corpo della ragazza lo copriva quasi interamente
lasciando alla sua vista ben poco.
Solo
un primo punto era visibile: innamorarsi.
Non
comprese cosa volesse indicare e, nonostante una certa riluttanza, si
riservò di indagare in futuro, consapevole che per recuperare il
foglio avrebbe rischiato di destarla dal suo sonno.
Sarebbe
stato difficile spiegare la sua presenza lì, come minimo avrebbe
urlato al maniaco.
Bhe,
in quell’istante si sentiva realmente tale.
Si
trovava in camera di una ragazza che aveva spiato per tutta la sera,
pronto a curiosare in giro. Si,
decisamente un maniaco.
Imprecando
a denti stretti decise di rivolgere la sua attenzione altrove,
cercando di comprendere di più di lei attraverso la sua camera.
Iniziò a vagare indisturbato tra le mensole ed il mobilio,
rimproverandosi per la sua indiscrezione ma curiosando ugualmente.
Non fu sorpreso di notare un gran numero di libri riempire gli
scaffali, rammentando che più volte aveva avuto modo di vedere la
sua figura nascosta in un angolo della scuola assorbita da qualche
volume.
Probabilmente
riempiva la sua solitudine riversando la sua attenzione sui vecchi
tomi polverosi.
Sbuffò
osservando i piccoli ninnoli e le fotografie, nelle quali era
ritratta quasi esclusivamente in compagnia del padre. A quanto sapeva
la moglie dello sceriffo era deceduta dando alla luce Isabella, a
scuola molti mormoravano fosse il senso di colpa a dilaniare la
ragazza rendendola tanto restia ai rapporti. O almeno questo era
quello che pensava chi non si limitava a schernirla con qualche
sciocca battuta.
Cosa
assai rara.
Edward
proprio non riusciva a comprendere come lei potesse sopportare
stoicamente gli innumerevoli pettegolezzi che la circondavano. Era
certo ne fosse consapevole, pur non potendo leggere nella sua mente.
Gli studenti della Fork’s Hight School non mostravano in tal senso
alcuna discrezione, beffandosi di lei apertamente e senza remore.
Eppure, Bella non aveva mostrato mai alcun cenno di cedimento quasi
come se tutto ciò che la contornava non fosse realmente rilevante
per lei.
Quasi
come non contasse nulla.
Quegli
occhi color cioccolato erano costantemente velati dall’apatia.
Spenti…
vuoti.
Si
sorprese di aver notato un simile dettaglio, ma non se ne curò
perché un impercettibile movimento del corpo della ragazza attirò
la sua attenzione. Scioccamente notò di aver lasciato la finestra
aperta dopo il suo ingresso e l’aria gelida dell’inverno aveva
ormai invaso la stanza, abbassandone la temperatura.
Si
diede dello stupido.
Le
necessità umane erano per lui ormai nulla più che un vago ricordo.
Recuperò
istintivamente una coperta, ponendola sulle esili spalle di Bella.
Per un istante pensò di sollevarla e poggiarla sul letto, notando la
posizione scomoda nella quale si era assopita. Probabilmente dormire
così non le avrebbe giovato, ma il buon senso mise a tacere le sue
preoccupazioni imponendogli di allontanarsi dalla camera prima di
compiere qualche azione sconsiderata.
Che
diamine mi sta succedendo?
Si domandò stordito.
Per
quanto gli fosse complicato ammetterlo quella ragazza generava in lui
delle strane sensazioni e premure che non aveva mai osato rivolgere
ad altri, esclusa la sua famiglia. Si disse che forse la fragilità
che lei esprimeva risvegliava il senso di cavalleria insito nella sua
persona ed assopito da anni, ma preferì non approfondire.
Almeno
per il momento.
Uscì
da quella stanza, richiudendo la finestra dietro di sé, e salutando
il nuovo giorno con uno strano sentore.
Qualcosa
stava mutando.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Questo
capitolo è decisamente più lungo dei precedenti. hihihihi Qui ancora
non c'è un incontro tra i due, ma per questo dovrete aspettare il
prossimo capitolo. Cercherò di postare a breve, anche perchè ho deciso
che mi dedicherò maggiormente ad una ff, per volta. E, al momento, ho
scelto questa. :) Cercherò di portarla a termine in breve, tentando di
non farle superare la quindicina di capitoli. *incrocia le dita.* Detto
questo vi ringrazio... a chi segue e soprattutto a chi recensisce. Kiss
Kiss Manu ♪
Vi lascio il link del mio gruppo su fb,
dove inserisco gli spoiler e le info: Storie
di Shinalia
Capitolo 4
.."il
vero amore ti può cambiare
la vita, lascia che sia il tuo cuore a condurre i tuoi passi"...
Chi
non ha mai pensato alla morte?
Ognuno,
più di una volta, ha ceduto a
simili pensieri, benché talvolta fugaci. Chi in seguito ad una dolorosa
esperienza, chi angosciato da pressanti problemi, chi giunto lì solo
per una
qualche riflessione.
Isabella
aveva avuto modo di pensarvi
spesso di recente. Quando si è certi di essere in procinto per quel
“paradiso”
che tutti decantano, non sono poche le domande che ci si pone. Si era
chiesta
se fosse vero che al di là della vita potesse attenderle un luogo fatto
di
luce, in cui la sua anima avrebbe potuto trovare ristoro. Aveva sperato
che
quel trapasso non portasse con sé anche i suoi ricordi, forte del
pensiero che
il tempo avrebbe lasciato ben poco nella memoria di chi la circondava.
Erano
tante le cose sperate e
altrettante le paure che si erano insidiate in lei, percuotendola
violentemente
in quei momenti bui che tentava di affrontare, senza sprofondare.
Un
giorno aveva tentato di immaginare
cosa potesse esserci in caso contrario; se la morte avesse portato con
sé solo
un puro e semplice annullamento.
Quella
prospettiva l’aveva
terrorizzata.
Preferiva
credere che vi fosse qualcosa
ad attenderla, che non fosse tutto lì… in terra, ma che ci fosse ben
altro,
nuove possibilità, un mondo dove poter vegliare su coloro che avrebbe
abbandonato, perché il solo pensiero che tutto sarebbe terminato in un
istante
le appariva improponibile.
La
fine… solo la fine.
Niente
più dolore, certo… ma anche la fine di qualunque gioia.
Aveva
frequentato la chiesa per tanti
anni, ma forse nella sua infanzia ben poco capiva di quei sermoni
predicati dal
reverendo o dalla catechista. Era affascinata dalle storie che
narravano, ma
non aveva mai pensato realmente a Dio e quando la comprensione aveva
scacciato
le convinzioni infantili, aveva prevalso per un po’ un certo rancore.
In fin
dei conti, se quel Dio realmente esisteva, perché le aveva strappato la
sua
mamma prima che lei potesse anche solo conoscerla? Perché lei avrebbe
dato la
sua vita per metterla alla luce?
Perché
quel sacrificio per quella
manciata di anni che le erano stati concessi?
In
quegli anni in cui il senso di colpa
aveva spesso prevalso quando gli occhi di suo padre, velati di lacrime,
scorrevano sulla mensola del camino, adorna di vecchie foto di sua
moglie.
Oh
si,
aveva provato una gran pena ed
un’immensa afflizione quando la prima volta aveva compreso come sua
madre
avesse perso la vita. Aveva invidiato i bambini, che a quel tempo,
ricevevano
un bacio, in saluto dalle loro mamme, all’uscita da scuola, mentre per
lei
c’era solo la signora Floor, l’anziana vicina di casa. Era una brava
donna,
molto dolce, che spesso si occupava di lei… ma pur non avendo mai
vissuto con
Renèe, percepiva che qualcosa mancava.
Un’incolmabile
vuoto…
Solo
con il tempo si era arresa,
abbandonando il rancore e rammentando al gesto altruistico di sua
madre.
Charlie le ribadiva spesso quando lei la desiderasse, dei pomeriggi che
trascorreva narrando storie al suo enorme pancione, leggendo qualche
favola o solo
immaginandola, fantasticando su quel piccolo fagottino che ogni giorno
cresceva
e che scatenava nella sua mamma le più inconsuete e strane voglie.
L’espressione
di suo padre quando
parlava di Renèe appariva quasi sognante.
L’amava.
Oh si, l’amava davvero.
Non
quell’amore che molte coppie
dimenticano dopo qualche anno, non quello che fingono di provare mentre
in cuor
loro rivaleggia con la frustrazione.
No,
il loro era puro, reale.
Vivo…
prima del sul arrivo.
Eppure
il destino pareva essersi
accanito su quel pover’uomo, costringendolo ad affrontare l’idea di un
nuovo
lutto. Bella era ben consapevole di quanto suo padre fingesse, appariva
quasi
tranquillo e sereno e forse, se non fosse stato per le occhiaie livide
ed i
segni del pianto al mattino, lei avrebbe davvero potuto credere alla
sua farsa.
Almeno
in città nessuno sospetta nulla! si
disse Isabella rimuginando, mentre preparava lo zaino per la scuola.
Detestava
il pensiero di poter essere compatita od osservata con pietà.
Desiderava
poter vivere una vita
normale, almeno per quel poco tempo che le restava. I medici le avevano
consigliato di procedere in quel modo, lasciarsi abbattere dal dolore
non
sarebbe stato proficuo e avrebbe potuto accelerare il decorso della
malattia.
Le
ribadivano che doveva lottare,
continuare a vivere.
Facile
a dirsi…
quando si è
consapevoli di non aver più tempo ogni cosa perde il suo senso. Perché fingere? Perché destarsi ogni
mattina, percorrendo i corridoi della scuola e lasciarsi rivolgere
occhiate di
scherno o commenti beffardi? Perché non lasciarsi cullare dal torpore,
attendendo
inerme?
…
quelli che all’epoca della diagnosi
erano stati i suoi primi pensieri, iniziarono a scorrerle nella mente,
rammentandole l’afflizione provata.
Quelli
erano stati i suoi desideri.
Aveva percepito un vago intontimento che si era propagato dentro di
lei,
estendendosi a macchia d’olio, assopendola. Stordendola!
Non
voglio pensare!
La
sua mente, al momento, si era
rifiutata di elaborare quella notizia, spingendola al di là della
consapevolezza…
lontana dalla comprensione.
Perché?
Non
vi era una motivazione in grado di
giustificare ciò che stava accadendo.
Avrebbe
voluto arrendersi e lasciarsi
spegnere come una piccola candela sferzata del gelido vento e se non
fosse
stato per Charlie probabilmente non avrebbe esitato.
La
sua farsa era solo per lui, per
concedergli del tempo, per ripagarlo di quell’amore che le aveva
donato,
nonostante tutto!
Lui
sarebbe stato il suo più grande
rimpianto!
Sospirò
affranta consapevole che la sua
recita ormai avrebbe avuto breve durata. Il dosaggio dei farmaci per il
dolore
era stato ulteriormente aumentato, benché odiasse l’assopimento
derivante dai
medicinali. Il progresso della malattia pareva non volersi arrestare e
gli
spasmi si acuivano di giorno in giorno.
Il
trillo del telefono la distolse
dalle sue elucubrazioni, facendola sobbalzare vistosamente.
Sarà
Charlie.
Mesta
si diresse verso l’apparecchio,
ignorando la schiena dolente per la notte trascorsa prona sulla
scrivania.
«
Pronto? »
«Bells,
tutto bene? » la voce ansiosa
di suo padre sopraggiunse dall’altro capo del telefono, lasciandola
perplessa.
«Certo.
– mormorò cauta. – è successo
qualcosa? »
Lo
sentì rilasciare un profondo
respiro, pur non comprendendo il motivo di quella sua strana reazione.
Non era raro
che la mattina le telefonasse prima che lei si recasse a scuola, ma di
rado
osava esternare una tale ansia. Charlie era costantemente in pena per
il suo
stato, ma onde evitare di rammentarle di continuo della malattia,
fingeva di
non cogliere i segni del suo progressivo peggioramento. Forse chi non
era a
conoscenza del suo stato non avrebbe mai potuto collegarlo alla sua
cagionevole
salute, ma per suo padre quei mutamenti rappresentavano l’inesorabile
destino
contro il quale non avrebbe mai potuto nulla.
Inerme,
avrebbe solo potuto osservare il
deperire di quella giovane ed ingenua creatura che era la sua bambina.
Il
tempo sta scadendo…
Per
lui non avrebbe potuto esserci fato
peggiore.
«
Ho provato a chiamare varie volte, ma
non rispondevi. » ammise titubante. Lo sceriffo quella notte era stato
convocato in centrale urgentemente ed era stato costretto a trattenersi
lì sino
all’inizio del suo turno, lasciando Isabella da sola in casa. Come ogni
mattina
le aveva telefonato per accertarsi non vi fossero problemi, ma gli
innumerevoli
squilli a vuoto lo avevano terrorizzato portandolo ad immaginare le più
atroci
prospettive.
Non
ancora, non ancora, non sono pronto! Si
era ripetuto come un mantra, pur consapevole che mai sarebbe stato in
grado di
accettare quello che stava accadendo. Se solo avesse potuto, sarebbe
giunto a
qualsiasi compromesso pur di salvarla… qualsiasi!
Bella
sospirò sommessamente, inquieta.
« Ero sotto la doccia, probabilmente è per questo che non ho sentito lo
squillo
del telefono. » mentì, omettendo il dettaglio della sua notte insonne,
conscia
che suo padre non avrebbe gradito. Era sempre ben attendo ad evitare
che lei
potesse affaticarsi e l’ammoniva di continuo per quella che considerava
una sua
sconsideratezza.
Ma
a lei restava ben poco ed in fondo,
limitarsi non avrebbe mai condotto ad alcun miglioramento. Tanto valeva
cercare
di vivere approfittando anche di quei piccoli istanti che scorrevano
inesorabili.
«Bene,
stai attenta piccola. »
Riagganciò
velocemente, lievemente
imbarazzato per la sua reazione ansiosa, ritornando al suo lavoro.
Bella, dal
canto suo, notando l’ora tarda si affrettò ad uscire di casa per
raggiungere la
scuola. Quel giorno sarebbe stata costretta a partecipare alla prima
riunione
del club di teatro. Si domandò se Edward Cullen le avrebbe rivolto
nuovamente
la parola, sperando vivamente che si tenesse a distanza. Sebbene fosse
certa
che le voci sul suo conto non fossero totalmente fondate, temeva ciò
che lui
avrebbe potuto dirle.
Era
un avvenimento tanto inconsueto che
difficilmente riusciva ad attribuirgli una qualche spiegazione.
…
Che
il dottor Cullen gli avesse rivelato la verità?
Quel
pensiero passò fulmineo nella sua
mente, gelandola sul posto. Edward non si era mai premurato di
avvicinarla, al
contrario, comportandosi come i loro compagni si era sempre tenuto a
debita
distanza. Lei non era il genere di ragazza con cui lui tendeva ad
approcciarsi,
troppo scialba e silenziosa.
Quindi
perché si era presentato?
Che
Carlisle gli avesse chiesto di
accertarsi della sua salute, temendo qualche problema? Il dottore era
sempre
eccessivamente premuroso ed attento ad ogni suo accenno di malessere.
Appariva
costantemente afflitto al pensiero della sua malattia, forse
consapevole
dell’impossibilità di guarirla e di poter fare qualcosa per lei, se non
aumentare il dosaggio dei medicinali.
Quello
sguardo colmo di pietà che si
era vista rivolgersi da molti medici ed infermieri la irritava, ma
difficilmente riusciva a portare rancore a Carlisle. Era un uomo troppo
buono…
si era sempre domandata come lui, con la sua spiccata sensibilità,
riuscisse a
sopportare quel mestiere, circondato da malati spesso terminali.
Come
lei, d’altronde!
Strinse
le mani al volante inquieta. Il
dottore non avrebbe mai infranto il suo segreto, le aveva promesso il
massimo
riserbo sulla questione e sapeva che Charlie non avrebbe esitato a
chiamarlo se
le sue condizioni fossero peggiorate. Ne era certa, Edward Cullen non
poteva
essere a conoscenza della sua malattia, doveva esserci un altro motivo
per il
suo strano comportamento.
Ma
quale?
Infondo
a scuola lui non sembrava
essere incline ai pettegolezzi, su di lui ne circolavano tanti quasi
quanto
quelli sul conto di Isabella. Sino a quel momento probabilmente doveva
averla a
stento notata e forse si era presentato per pura e semplice cortesia.
Bella
sbuffò contrita, presa dallo
sgomento, era stata non poco maleducata ed un po’ se ne pentiva. Non
era da lei
comportarsi scortesemente, al contrario era stata spesso elogiata da
insegnanti
ed adulti per la sua educazione, sebbene fosse ritenuta estremamente
timida; e
soprattutto
a scuola questo era un
dettaglio che aveva destato non pochi commenti. Lì
dove anche la minima minuzia veniva notata ed
ingigantita oltre misura, il suo comportamento riservato non era di
certo
passato inosservato. Molti apparivano addirittura contrariati da quel
suo
riserbo considerandola forse altezzosa, altri erano certi che lei
celasse a
tutti qualche orribile segreto o chissà cosa… bhe, forse questi ultimi
non
erano poi tanto lontani dalla verità.
Ciò
che la rincuorava era il pensiero
che quando la notizia della sua malattia si sarebbe diffusa, non
avrebbe dovuto
osservare le reazioni di chi la circondava, frequentare la scuola le
sarebbe
stato impossibile.
Era
frustrante pensare che in fin dei
conti, il poco tempo rimastole, stava scorrendo ad una tale velocità,
lasciandole ben poco.
Assurdo
che un tale pensiero la
sfiorasse in quel momento. La scuola sarebbe dovuta essere la sua
ultima
preoccupazione.
Avrebbe
dovuto ripensare a come
sfruttare quei suoi ultimi mesi. Era certa che quella sciocca lista,
che quella
notte le aveva strappato tante ore di sonno, sarebbe stata nulla più
che carta
sprecata. Era troppo stanca per poter realmente iniziare ad agire…
O
forse solo vigliacca.
Forse
preferiva lasciare quel mondo
sapendo che avrebbe abbandonato ben poco, che quasi nulla di realmente
caro
avrebbe rimpianto in quegli ultimi giorni di agonia, in cui sapeva che
il
dolore sarebbe stato straziante, rammentandole costantemente ciò che le
attendeva.
Era
il suo modo di difendersi da quel
destino infausto.
«
Bella! » una voce attirò la sua
attenzione ed i suoi occhi incrociarono quelli ridenti di Angela, una
sua
compagnia di scuola, una delle poche persone che le erano realmente
care.
Isabella
represse l’espressione corrucciata
ed afflitta che sembrava sul punto di affiorare sul suo volto,
costringendosi a
sorridere. In fin dei conti era abituata a fingere, quella simulata
pacatezza
era una maschera ben congeniata che riusciva ad indossare quasi a
comando.
«
Buongiorno! - esclamò leggermente
incuriosita dall’euforia
della sua amica. – Sono all’oscuro di qualche interessante novità? »
domandò
ironicamente, attendendo spiegazioni.
Un
piccolo broncio le increspò le
labbra. « Dovresti essere tu a dirmi qualcosa. – la contraddisse
indispettita.
– E dovresti essere entusiasta, hai
ottenuto la parte da protagonista nella recita ed invece sembra quasi
che a te
non interessi! Non avevi intenzione di comunicarmi la novità? »
Bella
ridacchiò, scrollando le spalle
con disinvoltura. « Mi era passato di mente. » si giustificò.
Aveva
ben altri pensieri ad assorbirla
ed una sciocca recita non era tra le priorità, almeno sino a quando il
panico
non si sarebbe impossessato di lei. Sarebbe stata costretta a salire
sul palco
e recitare dinanzi all’intera scolaresca ed i loro genitori. Una
prospettiva
tutt’altro che lieta che la portava ad immaginare le innumerevoli
ripercussioni
che ci sarebbero state a scuola.
Preferiva
non pensarci, almeno per il
momento.
Lo
sbuffò contrariato di Angela la
divertì più del lecito. « Sei sempre la solita… - l’ammonì
scherzosamente. -
Voglio tutti i dettagli sulle espressioni di Jessica e delle altre! »
gongolò
in trepidante attesa.
Era
risaputo che gran parte delle
ragazze della scuola ambivano a quella parte, essendo Edward il
protagonista
principale, ed Angela aveva trascorso ore ad immaginare i cipigli
inorriditi
dipinti sui volti delle loro compagne, scoprendo a chi era stato
affidato il
ruolo. Si rammaricava di essersi persa quel meraviglioso evento, se
solo lo
avesse saputo si sarebbe presentata ad assistere alle audizioni, con
tanto di
sorriso vittorioso stampato in volto.
Bella
si meritava quelle attenzioni e
lei ne era più che convinta.
La
sua timidezza e la sua riservatezza non
erano da biasimare, erano tratti della sua personalità da apprezzare,
come la
sua dolcezza.
Ad
Angela Isabella piaceva davvero.
Lentamente
si avviarono in aula, mentre
la sua amica le poneva svariate domande sul copione o sulla fantomatica
presenza di Edward Cullen. Tutti erano consapevoli che raramente lui si
dedicava a simili attività, quelle extrascolastiche, che erano
disdegnate sia
lui che dai suoi fratelli.
Prediligevano
di gran lunga trascorrere
il loro tempo al di fuori dell’istituto e Bella non poteva biasimarli.
Nonostante ciò, la presenza del più giovane dei Cullen la insospettiva
e non
poté evitarsi di tornare al ricordo del giorno precedente, quando lui
aveva
inutilmente tentato di fare conoscenza.
Non
ne parlò ad Angela, non che non si
fidasse, semplicemente preferiva tenere per sé quello strano episodio.
Non
voleva certo dare adito a nuove voci di circolare sul suo conto, le
bastava ciò
che già alimentava involontariamente.
_____________________________
Edward,
tornato a casa, si preparò per la nuova giornata scolastica. Avvertiva
nuovamente una certa irritazione e non solo per i continui messaggi di
Alice,
che gli rammentavano di futilità come la scelta degli abiti per quel
giorno o
l’importanza di memorizzare le battute.
La
sua
memoria da vampiro non necessitava di alcun impegno in quel senso e non
comprendeva cosa potesse spingere sua sorella ad affliggerlo in quel
modo.
Quel
giorno sarebbe stato costretto a
partecipare alla prima riunione del gruppo teatrale e la sensazione di
disagio non
pareva volersi dissipare. Detestava il pensiero di dover trascorrere il
suo
tempo circondato dagli umani, limitando le sue capacità, attendo a non
dare
alcun segno della sua natura. Per tale motivo prediligeva trascorrere
le sue
giornate in compagnia della sua famiglia, con loro non era costretto a
nascondere nulla.
Libero.
Poteva
essere se stesso, solo ed esclusivamente Edward, un vampiro centenario
dotato
del molesto dono di lettura del pensiero.
Se
solo
i suoi compagni lo avessero saputo, probabilmente avrebbero contenuto
le loro
inquietanti riflessioni!
Stava
proprio recuperando lo zaino quando il cellulare riprese a squillare.
Non aveva
bisogno di leggere il nome sul display per sapere chi fosse.
«Alice.»
la sua voce apparve spossata
persino a lui.
Sua
sorella
era l’unica persona in grado di ridurlo in quello stato. Un vampiro non
poteva
certo avvertire un senso spossatezza, almeno fisicamente, ma lei aveva
la
capacità di sfiancarlo psicologicamente.
Lo
sbuffò dall’altro capo del telefono gli giunse distintamente. «
Porta rispetto fratello
ingrato. – sbottò la vocina acuta di Alice. – Ti telefono onde evitare
tu
faccia fuori un’intera classe. »
Edward
sobbalzò stralunato, a quelle parole. «
Che
diamine stai dicendo? »
biascicò, tentando invano di comprendere se quello fosse uno degli
innumerevoli
scherzi della piccola folle. Già in passato il suo senso dell’umorismo
aveva
appurato fosse piuttosto macabro.
Come
Jasper riuscisse a sopportarla, proprio non gli era chiaro!
«
Alla seconda ora Banner ha
intenzione di fare una piccola lezione sui gruppi sanguinei, a cui ti
proporrei
di non partecipare. -
mormorò
annoiata. – Dovresti essere contento che nonostante io sia in vacanza
continui
a vegliare sul tuo futuro. »
lo
ammonì.
Dal
suo
tono di voce Edward intuì fosse offesa e se ne rammaricò. Per quanto
sapesse
essere petulante, la sua sorellina si era sempre mostrata gentile e
premurosa,
nei suoi confronti, e lui non aveva il diritto di mostrarsi
irrispettoso.
Sospirò
contrito. «
Mi
dispiace, sono solo un po’ nervoso.»
si
giustificò, sprofondando stancamente nella poltrona.
«
Lo so. – asserì lei. – Vorrei
solo che tu ti tranquillizzassi, vedrai che la recita sarà una bella
esperienza. »
Il
vampiro alzò gli occhi al cielo,
sebbene fosse consapevole che la piccoletta non potesse vederlo. «
Se non
fosse per il tuo potere non avrei mai accettato, ma ciò non toglie che
mi
piacerebbe avere un’anteprima su ciò che hai visto. »
tentò, pur sapendo che non avrebbe
ricevuto le risposte desiderate. Con lei era sempre così, si divertiva
ad
osservare il loro futuro, progettando strani piani alle spalle di tutti
loro.
Se solo non fossero partiti avrebbe potuto vegliare sui suoi pensieri
per
scorgere qualche dettaglio, in grado di aiutarlo a scoprire l’origine
dei suoi
complotti, ma loro erano letteralmente fuggiti da un istante ad un
altro, senza
preavviso.
Per
un momento pensò addirittura che
quel viaggio fosse stato pianificato dalla piccoletta con un preciso
scopo,
sfuggire al suo potere per poterlo manipolare con maggiore facilità.
Si
diede immediatamente dello sciocco
per quel pensiero tanto egocentrico. La sua famiglia si era solo
concessa una
piccola vacanza, nulla di più.
Sto
diventando paranoico! Si
ammonì.
Alice
cantilenò una risata «
In primo luogo so benissimo
che non sono certo io il motivo per il quale hai accettato di
partecipare,
quindi ti consiglierei di evitare menzogne con la sottoscritta. –
trillò
allegra, soddisfatta di sé e del suo potere di chiaroveggenza. Adorava
possedere un simile controllo sugli eventi. Il prevedere le possibilità
future
le permetteva di destreggiarsi tra queste, manipolando abilmente i
comportamenti altrui per giungere al suo scopo e ciò che in quel
momento stava
progettando era troppo importante per permettere ad Edward di opporsi.
Quel vampiro
era sempre troppo testardo… - Dici sempre di detestare le mie
intromissioni,
quindi perché mai dovrei renderti partecipe delle mie visioni. »
Scosse
il capo. «
Sei
insopportabile. – sentenziò, mentre un sorriso affiorava sulle sue
labbra. Lei
era sempre capace di rigirare le parole a suo piacimento. – Tanto
presto
scoprirò cosa hai in mente. »
«
Non ne dubito! »
esclamò divertita prima di
riagganciare.
Edward
fissò il telefono non comprendendo l’origine delle sue parole.
Intendeva dirgli
la verità? Probabilmente no… ma allora cosa stava per accadere?
Sbuffò
esasperato, detestava non sapere.
Svogliatamente
volse lo sguardo al grande orologio a pendolo nell’atrio, notando
l’orario, era
piuttosto tardi, ma con la sua guida era certo che sarebbe giunto a
destinazione in tempo per la prima lezione. Per un istante pensò
addirittura di
non recarsi a scuola ma era certo che Alice non avrebbe gradito la sua
idea,
ripiegando la sua ira sulla sua Aston Martin oppure organizzando
qualche brutto
scherzo… ma soprattutto perché in fin dei conti era curioso di
osservare
Isabella. Quel giorno avrebbe avuto modo di studiarla durante le
lezioni di
teatro ed una parte di lui sperava di riuscire a comprendere il motivo
del suo
comportamento del giorno precedente.
Ancora
non riusciva a capacitarsi di essere stato ignorato in quel modo,
soprattutto
da una semplice umana.
Avvilito
si alzò uscendo di casa.
Come
previsto raggiunse la scuola con qualche minuto di anticipo ed al suono
della
campanella era già in aula, accomodato al suo banco. Alla seconda ora
avrebbe
estorto un permesso alla signorina Cope e si sarebbe concesso di
sfogliare il
copione per la recita, in fin dei conti quel pomeriggio ci sarebbero
state le
prime prove. L’idea non lo allettava granchè, almeno per certi versi,
del resto
Alice non aveva avuto torto… non era stato per lei che aveva accettato
di
partecipare a quella follia. Lei aveva preparato solo la trappola e lui
ci si
era gettato dentro con il sorriso sulle labbra.
Bravo
Edward, ormai lei ti raggira come
vuole!
Si ammonì esasperato, benché in fin dei conti ormai si
fosse rassegnato agli strani complotti a suo danno. Non erano certo una
novità,
quello che però si chiedeva era perché e come Bella era implicata in
quella
faccenda. Alice sapeva della sua impossibilità di leggerle nel
pensiero? Era a
conoscenza di altro?
Era
un
modo per esasperarlo?
Ripercorse
mentalmente gli accadimenti del giorno precedente. Una parte di lui era
ancora
stupita del fatto che non avesse mai notato il silenzio dei suoi
pensieri, per
quanto anonima iniziava a notare in quella ragazza qualcosa di insolito.
Come
poteva essergli sfuggito?
Attraverso
le menti dei suoi compagni andò alla ricerca della figlia dello
sceriffo,
ignorando le ciarle inutili del professore di spagnolo. Trovò Isabella
grazie
ad Angela, la sua compagna di banco, che la stava osservando sottecchi,
con una
certa preoccupazione.
“Oggi
Bella è più pallida del solito,
sembra anche dimagrita.”
Era
inquieta. I suoi pensieri erano completamente incentrati sulla ragazza
al suo
fianco, permettendogli di cogliere numerosi particolari. Effettivamente
la Swan
non appariva il salute, al contrario sembrava leggermente debilitata.
Può
essere il risultato della notte
insonne, gli esseri umani sono così delicati. Si
rammentò. Forse avrebbe dovuto spostarla sul suo letto quella notte e
non
lasciarla prona sulla scrivania e si pentì amaramente di non aver
assecondato
quell’idea che al momento gli era apparsa folle. Quella ragazza tanto
strana
gli suscitava emozioni che proprio non riusciva a comprendere, era per
lui un
piccolo mistero!
Un
mistero che intendeva svelare quanto prima.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Aggiornamento super
veloce. Immagino la vostra sorpresa nel notare il capitolo qui, dopo
solo un giorno! ahahahah mi riporta ai bei tempi quando aggiornavo un
capitolo ogni due giorni, come facevo? Bho... non ne ho la minima idea.
Comunque mi dispiace non riuscire a rispondere alle recensioni oggi, ma
lo studio mi reclama. Comunque come al solito non posso fare a meno di
ringraziarvi per il vostro supporto :) Grazie! Spero tanto che la
storia non vi stia annoiando.. ho notato che aumentano il numero delle
persone che seguono la storia ma i commenti diminuiscono. Come mai?
*curiosa.* Bhe, smetto di tergiversare e con il mio thè caldo me ne
torno dai libri... stress stress stress. Kiss. (Ps: sul mio gruppo su
fb troverete tutti gli spoiler e le info sulle mie numerose storie XD)
Capitolo
5
Cit: “Come puoi
vedere posti come questi, passare dei momenti come
questi e non credere? È come il vento non lo vedo però lo percepisco:
la
meraviglia, la gioia, l'amore. “
Bella tentò invano di
ignorare le
occhiate preoccupate di Angela. Aveva notato una certa apprensione nel
suo
sguardo, durante l’ora di letteratura, una delle poche che
condividevano. In
compenso aveva finto di prestare interesse alla lezione su Byron,
lasciando che
i suoi pensieri scorressero frenetici tra le svariate implicazioni di
quella
recita, a cui si apprestava a partecipare.
Si era pentita? Un
pochino. Ciò che
temeva erano i pettegolezzi che tutto quello avrebbe alimentato. Non le
erano
sfuggiti i sogghigni di Jessica e Lauren, così come i commenti poco
bonari
fatti da alcuni ragazzi. Effettivamente lei non era bella o
affascinante, la
sua timidezza poi era un’ulteriore aggravante, così in molti si
domandavano se,
una volta sul palco, sarebbe stata in grado di interpretare la figura
ammaliante che le era stata assegnata.
Sospirò sommessamente.
Delle volte avrebbe
desiderato far
sparire tutto e tutti, o scappare in un luogo lontano, dove poter
trascorrere
in pace gli ultimi suoi giorni. Le tornò in mente la proposta di sua
zia Bonnie.
La sorella di sua madre
viveva a
Jacksonville, ed era un’infermiera in pensione. Le aveva chiesto se
desiderava
trascorrere lì il suo ultimo periodo, godendo del clima caldo e
piacevole di
quelle zone, decisamente più adeguato alla sua salute. Oltretutto il
suo
mestiere le avrebbe permesso di prendersi cura di lei, una volta che il
decorso
della malattia fosse giunto verso la sua fine. Non aveva dimenticato le
parole
di Carlisle a riguardo, in quella fase sarebbe stato difficile per lei
compiere
anche i più effimeri gesti, stravolta dalla stanchezza e dai dolori.
Come avrebbe potuto
Charlie occuparsi di
tutto, da solo?
L’ennesimo sospiro,
sfuggì alle sue
labbra, contratte.
Forse avrebbe dovuto.
Forse avrebbe
potuto evitare a suo padre le sue consuete preoccupazioni.
Forse…
Un profondo senso
d’angoscia le
attanagliò lo stomaco, stringendolo in una gelida morsa che le mozzò il
respiro.
Restava così poco tempo e
lui sarebbe
stato costretto ad assistere al suo deperimento, inerme.
Oddio!
Avvertì le lacrime
salirle agli occhi, ma
le ricacciò con risoluta rabbia. Non
avrebbe pianto, non sarebbe servito a nulla, non avrebbe risolto la
situazione.
Perché abbandonarsi alla desolazione quando questo non faceva che
palesare la
sua debolezza? Quale vantaggio si traeva abbandonandosi allo sconforto?
Lei non lo sapeva… ma
talvolta, immersa
nella solitudine della sua stanza, aveva dato sfogo a tutte quelle
lacrime
difficilmente trattenute, lasciando che con esse scivolassero via anche
quelle
sensazioni di strazio e oppressione che le dilaniavano l’animo.
Piangeva così… fino a
sentirsi svuotata.
Ma anche quel tempo era
passato, perché
ormai tutte le sue lacrime erano state versate e di lei non era rimasto
che un
guscio che aveva perduto la sua anima, un corpo che camminava e si
muoveva per
inerzia, senza alcuna reale volontà di
vivere, di godere e di gioire.
Lei
ormai non era più nulla… non sentiva più nulla.
Vuota!
Stancamente riportò lo
sguardo sul
professor Sheriff, impelagato in un maldestro tentativo di destare
l’entusiasmo
dei suoi studenti.
L’uomo appariva
decisamente avvilito
mentre constatava il generale menefreghismo.
Bhe, doveva essere
piuttosto frustrante
parlare ad un'aula completamente assorta in ben altri pensieri e
preoccupazioni.
Scosse il capo,
trattenendo uno sbuffo. «
Bene, la lezione è finita, tra qualche minuto suonerà la campanella, ma
visto
il vostro interesse ritengo inutile continuare. – comunicò rassegnato,
mentre
un sorriso sornione si distendeva sul suo viso. – Ciò non toglie che
avete tre giorni
di tempo per dedicarvi alla stesura di una tesina, in merito
all’argomento
trattato oggi. »
Un coro di protesta si
levò nell’aula, ma
lui disinteressato si allontanò, gioendo della sua piccola vendetta.
Bhe,
almeno qualcuno era contento.
« Altro lavoro da fare. »
lo sbuffò
contrariato di Angela, attirò l’attenzione di Isabella, che le rivolse
un
sorriso confortante.
« Come se fosse una
novità. » commentò
ironica, richiudendo il quaderno degli appunti, immacolato.
Forse avrebbe dovuto
prestare un minimo
d’attenzione. Si ammonì, storcendo il naso. Byron non era uno dei suoi
autori
preferiti e questo avrebbe richiesto dell'impegno extra nello studio.
Angela alzò gli occhi al
cielo, annuendo
svogliatamente. « Che lezione hai ora? » le domandò sovrappensiero,
mentre
recuperava l’astuccio ed i libri da riporre nell’armadietto.
Bella si alzò con
eccessivo impeto. «
Biologia con Banner. » rispose ma, colta da un capogiro, si lasciò
cadere
nuovamente sulla sedia.
Dannazione.
Imprecò
sottovoce.
Vide il volto di Angela
allarmarsi, ma
non vi diede peso. « È solo un calo di pressione. – biascicò,
respirando a
fondo. – Stanotte ho dormito poco a causa di alcuni compiti e stamane
non ho
fatto colazione. »
« Sei un’irresponsabile.
» mugugnò
l’amica, per nulla convinta, iniziando a scavare nell’ampia borsa che
portava
in spalla, alla ricerca di qualcosa.
Lei sospirò. « Si è fatto
tardi. - si
alzò nuovamente, ma questa volta con cautela, maledicendo la sua
debolezza. –
Banner odia i ritardi. » si rammentò.
La biologia le
interessava. Se non fosse
stato per la sua condizione e per la sua strana avversione per il
sangue, le
sarebbe piaciuto diventare un medico, per poter aiutare le persone.
Trovava
fosse una professione estremamente nobile. Naturalmente quel pensiero
era stato
scacciato con forza, qualche anno prima, una volta presa coscienza
della sua
malattia.
Il futuro per lei non
esisteva. La fine
era sin troppo prossima per perdersi in fantasie inutili, che avrebbero
avuto
solo il potere di aumentare il senso di amarezza che covava.
A
che serve rimuginare su qualcosa di impossibile? Se anche la più flebile speranza ti
abbandona non ti resta che chinare il capo, dinanzi alla vita ed al
destino che
ha scelto per te.
Ciò nonostante quando
Bella ascoltava i
suoi compagni parlare del collage, delle richieste inviate nei più
disparati
luoghi dell’America ed anche oltre, si sorprendeva a provare un immenso
senso
di invidia.
Si… invidia. Per quanto
trovasse ciò
inopportuno e sgradevole, non riusciva a scacciare quella sensazione.
A lei non era stato
neanche concesso di
illudersi. Delle volte si era domandata perché la sua fine, prematura,
non
potesse essere sopraggiunta improvvisa e veloce. Perché quel tormento?!
Dio non
avrebbe potuto risparmiarle almeno quello?
Angela l’affiancò, mentre
uscivano
dall’aula, porgendole una barretta ai cereali, distogliendola
nuovamente dai
suoi pensieri, quel giorno ancor più cupi del solito. « Mangia. »
l’ammonì, per
nulla propensa ad ottenere un rifiuto.
Tenera e premurosa
Angela.
Bella le sorrise
dolcemente e, benché la
nausea fosse prepotente, decise di non contrariare la sua amica. Angela
era una
ragazza meravigliosa e, nonostante i pettegolezzi sul suo conto, lei
non le
aveva mai rivolto alcun cenno di scherno. Eppure, anche quella sincera
amicizia
sorta tra loro, aveva un sapore amaro. Bella si chiedeva spesso se non
fosse
giusto comunicarle il suo stato di salute, condividere ciò che stava
passando.
Forse ne avrebbe
beneficiato anche lei.
Non aveva parlato della
sua condizione
con nessuno oltre la sua famiglia ed i medici, nessuno con cui potesse
in
qualche modo sfogarsi senza riserve, senza temerne un crollo nervoso.
Suo padre l'amava troppo,
non l'avrebbe
sopportato.
Ma Angela?
Cosa avrebbe pensato
quando la notizia
della sua malattia si sarebbe sparsa? Si sarebbe sentita ferita?
L’avrebbe
compresa?
Lei non era mai parsa
irritata dal muro
di riserbo che Isabella aveva issato tra sé stessa e il mondo, e forse
queste
le aveva permesso di avvicinarsi tanto da divenirle così cara.
« Grazie Angy. » mormorò
in un sospiro
sommesso.
La ragazza si accigliò,
rivolgendole poi
un sorriso divertito. « È solo una barretta e io sono fin troppo in
carne, non
mi farà male attendere l’ora di pranzo. » commentò, fingendosi
imbronciata.
Bella rise e, benché il
suo
ringraziamento non si riferisse solo alla merendina che l’amica le
aveva
ceduto, non ribatté.
« Ok. Io vado in aula, ci
vediamo dopo. »
la salutò, prima di allontanarsi attraverso il corridoio gremito di
studenti.
Bella scosse la testa,
accennando
nuovamente sorriso. Angela era unica!
Tranquillamente si
diresse verso la sua
meta, ben attenta a non farsi travolgere dalla folla. Entrando in aula,
notò
con non poco timore, le innumerevoli attrezzature che facevano bella
mostra
sulla cattedra del professore. L’uomo, impegnato a suddividere il
materiale,
stava ritardando la lezione di qualche minuto e, per sua fortuna,
Isabella si
evitò la consueta strigliata che lui riservava ai ritardatari.
Tanto
meglio. Pensò,
dirigendosi verso la sua postazione. Lei era l’unica, in aula, a non
avere un
compagno di banco; non che la cosa le dispiacesse, al contrario…
adorava avere
tutto lo spazio per sé, senza nessuno che la costringesse a ciarlare
inutilmente.
Una volta aveva condiviso
la lezione di
storia, con Alice Cullen, la sorella di Edward. Bhe, il mal di testa
che le
aveva provocato era stato memorabile. Ancora non comprendeva come una
persona
potesse essere in grado di spendere due ore parlando solo di abiti.
Personalmente lei era non poco scioccata, malgrado ciò non potè evitare
un
sorriso di affiorare sulle sue labbra, al ricordo. Anche su quella
ragazza
circolavano numerose voci, molte delle quali la definivano altezzosa e
schizzinosa, a lei era parsa estremamente socievole e simpatica.
Forse
un po’ troppo logorroica…
« Oggi faremo un piccolo
esperimento sui
gruppi sanguigni. » annunciò il professore, calamitando su di se
l’attenzione
dei presenti, compresa Isabella che, sbiancò leggermente.
Il verso strozzato che
proruppe dalla sua
gola fu troppo lieve per essere udito da orecchio umano, ma la sua
espressione
terrorizzata fu palese.
« Tutto bene signorina
Swan? » domandò
Banner, scrutandola sorpreso. Era una delle sue migliori allieve,
l’unica che
non lamentava mai un mal di testa o un qualsiasi altro dolore per
sfuggire a
compiti e interrogazioni. Fossero stati
tutti come lei l’insegnamento non gli avrebbe causato un’ulcera,
quattro anni
prima. Pensò mesto.
Lei annuì, tentata di
spiegare la sua
riluttanza, ma represse quell’impulso, sospirando sommessamente. « Tutto bene. » pigolò.
L’uomo si accigliò, per
nulla convinto,
ma non ribattè, rivolgendosi immediatamente ad uno dei ragazzi infondo
all’aula.
« Signor Newton, visto
che il suo
compagno di laboratorio oggi non è presente, si accomodi accanto ad
Isabella. »
Mike annuì alzandosi
baldanzoso,
sorridendo sornione. La mancanza di Edward era una lieta novità per
lui, quel
ragazzo lo terrorizzava con i suoi occhi neri e la sua consueta
serietà, per
non parlare delle occhiatacce che gli rivolgeva di frequente.
Ogniqualvolta gli
era vicino percepiva brividi attraversargli la spina dorsale e non
poteva
evitare alla tensione di tendere il suo corpo e la sua mente.
Era in un costante stato
di allerta.
Si accomodò accanto ad
Isabella,
rivolgendole un semplice cenno di saluto, al quale lei rispose con la
medesima
solerzia.
« Bene, recuperate i
vostri kit e l’ago
presente nelle confezioni sigillate, controllate che tutto sia in
regola, mi
raccomando! » esclamò serio, scoccando un’occhiata ammonitrice
all’intera classe,
mentre iniziava il suo consueto giro tra i banchi.
Isabella inspirò
pesantemente, per nulla
propensa a seguire le indicazioni. Accanto a lei Mike sembrava quasi
divertito,
mentre osservava con fremente attesa il piccolo ago. Lei si domandò se
fosse pazzo
o masochista, ma probabilmente la risposta era più semplice.
Esperimento
significava niente interrogazioni o test a sorpresa.
Personalmente lei
preferiva di gran lunga
qualche questionario. Giocare con il sangue o con delle povere rane
stecchite
le sembrava sempre poco allettante.
Fatti
coraggio Bella, è solo uno stupido ago, cosa vuoi che sia? Considerando
le
lunghe degenze in ospedale la vista del sangue dovrebbe essere una
bazzecola. Ironizzò
tra sé, sebbene fosse
consapevole che parte del problema fosse quello. La sua avversione
risaliva al
periodo in cui le era stata diagnosticata la sua malattia, e ai
continui
controlli e accertamenti a cui l’avevano costretta.
Prelievi,
su prelievi… esami…
Il
suo sangue…
Deglutì rumorosamente
prima di forarsi le
dita, lasciando che una piccola goccia di liquido denso e rassastro
fuoriuscisse dalla ferita.
_________
Edward era comodamente
abbandonato sul
sedile della sua Volvo, in attesa del termine dell’ora. Alice gli aveva
consigliato di allontanarsi, a causa della lezione sui gruppi sanguinei
del
professor Banner. Se fosse stato per uno o due tagli non avrebbe avuto
problemi
a resistere dal fare fuori l’intera scolaresca, evitando di respirare
naturalmente, ma venti ragazzi muniti di aghi erano una tentazione sin
troppo
forte, persino per lui.
Sospirò sommessamente,
sintonizzandosi
nuovamente sui pensieri che vorticavano nell’aula di biologia.
Stupore, disgusto,
preoccupazione,
divertimento…
Le emozioni più disparate
si alternavano
tra gli studenti.
Il
professore era intento a spiegare, svogliatamente, l’esperimento,
lanciando
occhiate di ammonimento ad un paio di ragazze, in prima fila. Poteva
ancora
cogliere un certo fermento nei pensieri degli studenti, a causa della
sua
insolita partecipazione alla recita. Un evento inconsueto,
effettivamente. Non
che la cosa lo urtasse... aveva le sue ragioni. Peccato che anche lui
avrebbe
voluto essere a conoscenza di quel fantomatico motivo che lo aveva
spinto ad
una simile follia.
Ciò che sapeva era ben
poco…
La voce di Isabella lo
aveva stregato, i
suoi modi incuriosito e la sua mente silenziosa intrigato. Un mix
letale anche
per un apatico come lui.
La sua attenzione destata
da una semplice
umana… se Alice gli avesse anticipato un tale avvenimento avrebbe riso
fino
allo sfinimento, credendola una delle sue solite burle.
Si ritrovò a sospirare
sommessamente,
cercando tra le menti degli studenti qualcuno in grado di permettergli
di
osservare la piccola umana.
Pallida e scura in volto
osservava l’ago
con un cipiglio singolare. Sembrava quasi desiderosa di trucidarlo con
il solo
sguardo.
Edward sogghignò.
C’era qualcosa in Bella
di così
misterioso ed interessante da fungere da calamita per i suoi pensieri.
Avrebbe
voluto parlarle per scoprire qualcosa sul suo conto, o anche solo per
comprendere il motivo della sua espressione, in quell’istante.
Lei
era…
Sfuggente, come una foglia trasportata
da un alito
di vento o forse come una leggiadra bolla di sapone, delicata ed
evanescente.
Fragile.
Il suo sguardo si
concentrò su di lei,
attraverso la mente del professore, cogliendo quei pochi dettagli che
l’occhio
umano gli permetteva di osservare.
Maledettamente
pallida.
L’ago penetrò debolmente
la sua pelle.
Svenne.
Edward sobbalzò, aprendo
la portiera con
uno scatto secco, stranamente incurante della furiosa pressione
esercitata
sullo sportello della sua amata auto. Le urla e lo spavento nell’aula
echeggiarono nella sua mente, stordendolo, mentre con difficoltà
tentava di
appurare le condizioni di Isabella.
Imprecò a denti stretti,
correndo
attraverso i corridoi deserti, tenendo costantemente sotto controllo la
mente
di Mike Newton che era stato esortato gentilmente dal professore ad
accompagnare Isabella in infermeria, insieme al suo compagno.
Naturalmente i
due sciocchi, anche se malvolentieri erano stati costretti ad obbedire.
Eccola!
« Attento » ringhiò,
osservando l’umano
che teneva Isabella per un fianco, con una certa difficoltà.
Il poveretto sobbalzò
vistosamente
rischiando di far cadere la ragazza e, forse, sarebbe accaduto senza la
prontezza di riflessi del vampiro. « Idiota. - sibilò quest’ultimo,
trattenendosi dallo scoprire i canini in segno di avvertimento. - La reggo io. » asserì, afferrando quel
corpicino tra le sue braccia.
Era pallida,
maledettamente pallida.
Ben attento a non
respirare, osservò il
dito incriminato, accigliandosi.
« Cazzo, continua a
sanguinare. Com’è
possibile? » Mike, che stranamente non si era ancora dileguato come suo
solito,
osservava la ferita, grattandosi il capo come una scimmia perplessa.
Effettivamente la
somiglianza tra il
ragazzo ed un primate era evidente. Entrambi sempre pronti ad
assecondare le
proprie pulsioni, lasciando ben poco spazio alla razionalità.
« Andate in classe, mi
occupo io di lei.
» ringhiò, mortalmente irritato.
Mike lo fissò per qualche
istante,
immobile, mentre il suo amico si allontanava quasi correndo.
« Ok. » biascicò per
nulla convinto, ma
assolutamente deciso a non contraddirlo.
Edward scuotendo il capo,
strinse a sé il
corpo di Isabella, conducendola nell’infermeria e fu sorpreso nel
constatare la
tranquillità con la quale era adagiata al suo petto. Così
indifesa… Sanguinante
tra le braccia di un vampiro.
Una situazione quantomeno
anomala.
« Signorina Cope. »
mormorò, facendo il
suo ingresso nella segreteria, fingendosi leggermente affaticato,
malgrado
Isabella avesse per lui il peso di un fuscello.
La
finzione è tutto.
La donna alzò il volto
dalle scartoffie,
spalancando gli occhi. « Oh mio Dio, cos’è successo? » pigolò
inorridita,
appurando lo stato di incoscienza della ragazza.
Edward trattenne un
sospiro esasperato. «
Esperimento sui gruppi sanguinei! » esclamò piccato, irritato da quelle
ciance
inutili. – La porto in infermeria, c’è la signora Harley? » in realtà
era ben
consapevole che la donna era momentaneamente assente, in palestra a
medicare la
storta di una delle cheerleader, dopo una rovinosa caduta; ma in quel
modo
sperava di esortare la Cope ad alzarsi dalla sedia e a provvedere.
« Vado subito a
chiamarla, tu appoggia
Isabella sul lettino. »
Edward annuì, dirigendosi
nella sala
attigua, riponendo il corpo cadaverico dove gli era stato indicato. « Cazzo, quanto è pallida. » mormorò a denti
stretti, seriamente preoccupato. Avrebbe potuto far concorrenza a lui,
un
vampiro. I suoi occhi guizzarono sulla mano di lei, nuovamente sulla
piccola
ferita da cui sgorgava sangue. Diamine,
gli umani guarivano lentamente, ma quello era ugualmente inconsueto.
Qualcosa scattò nella sua
mente,
osservando quel microscopico taglietto. La sua resistenza al sangue era
ottima,
aveva trascorso anni nutrendosi di sangue animale e, per qualche tempo,
aveva
assistito Carlisle nel suo lavoro all’ospedale, quando vivevano ancora
in
Alaska.
Forse avrebbe potuto…
Lei dormiva, placidamente.
La signora Cope era
lontana.
Accosto le sue labbra
alle piccole dita,
deciso a chiudere quel taglio, ma ben attento a non respirare. Si
chiese come
sarebbe stato il sangue di lei. Quella ragazza aveva un buon odore,
anche se un
po’ strano… qualcosa nel profumo del suo sangue sembrava alterarlo,
benché lui non riuscisse a comprendere cosa.
La lingua guizzò veloce
sul piccolo
taglio e lui scattò immediatamente indietro, timoroso di compiere
qualche
sciocchezza. Ebbe appena il tempo di avvertire il sapore del sangue
sulle sue
labbra, che la signora Harley, affannata, fece il suo ingresso.
Oddio,
com’è pallida.
Il suo pensiero lo colpì
forte, ma lui
non si scompose.
Si strofinò con urgenza
le labbra e la
lingua con la manica della sua maglia, impossibilitato a trovare
qualcosa di
meglio.
Non
devo deglutire, non devo deglutire. Si ripeté come un mantra,
facendo forza
su sé stesso, mentre un ringhio cupo minacciava di levarsi dal suo
petto.
Si sentiva annaspare,
attanagliato da un
innumerevole quantità di desideri contrastanti, preda di uno spasmodico
bisogno
che non avrebbe mai assecondato.
Oddio!
« Grazie per averla
portata subito qui,
Edward. Ora puoi tornare in aula. » lo congedò velocemente la donna,
lasciando
scorrere le mani sul quel piccolo e fragile corpo, alla ricerca della
ferita.
« L’indice della mano
sinistra. »
mormorò, prima di allontanarsi, con una certa fatica, a capo chino.
Sapeva che se qualcuno
avesse incrociato
i suoi occhi sarebbe rimasto impressionato dal nero cupo che li
connotava, in
quell’istante.
La sua riserva d’aria era
ormai
terminata, ma si impose di non respirare sino a quando non fosse
tornato
padrone del suo corpo.
Per un momento aveva
desiderato
assaporare quel nettare, per un momento aveva desiderato inspirare il
suo
profumo da vicino, accostare le labbra ai suoi capelli, toccare quelle
labbra
rosse.
Dannazione, era così
calda e… morbida.
Un trillo acuto lo
risvegliò dalle sue
elucubrazioni.
Un sms.
Ottimo
lavoro fratellino!
Alice.
__________
Bella si risvegliò in una
sala dalle
pareti bianche, che riconobbe immediatamente: l’infermeria della scuola.
A causa del suo
equilibrio precario e
della sua inettitudine nello sport le sue visite alla signorina Harley
erano
state piuttosto frequenti in passato. Naturalmente, dopo la diagnosi,
le era
stato consigliato di evitare sforzi e, un permesso speciale, le
permetteva di
saltare le ore di educazione fisica.
Proposta che aveva
appreso più che lieta.
« Tesoro, ti sei
svegliata finalmente. »
la signora Harley la fissava con una punta d’ansia, ma ostentando il
suo solito
sorriso bonario.
Era una brava donna.
Isabella si accigliò,
tentando di
rammentare cosa era accaduto. « Come
sono finita qui? » la sua voce era maledettamente roca e sentiva la
testa
vorticarle pericolosamente.
« Esperimento sul gruppo
sanguineo. »
« Ah. » alitò, iniziando
a far luce su
quello che era accaduto. Si era punta, tentando di seguire le
indicazioni del
professore, poi… nulla.
Che
sciocca. Si
disse.
Avrebbe dovuto prevederlo.
Sospirò sommessamente
alzando la mano
sinistra, per appurare il danno.
Si sarebbe aspettata di
trovare un
cerotto o qualcosa di simile… ma, niente! E, cosa ancora più
stupefacente, non
c’era nessun taglio.
Ma
cosa diamine…?
Increspò la fronte,
osservando
velocemente l’altro mano, sospettando di aver inciso inavvertitamente
l’indice
della mano destra.
« Ma non ci sono segni. »
commentò, più a
sé stessa che all’infermiera.
La donna scrollò le
spalle. « Deve
essersi richiuso velocemente, se non fosse stato per Edward non avrei
mai
saputo quale mano ti eri punta. »
sorrise scuotendo il capo.
Richiuso
velocemente?
Questo le appariva quanto
meno
improbabile, ma soprattutto… « Edward? » diede voce ai suoi pensieri,
seriamente incuriosita.
« Edward Cullen, ti ha
accompagnato lui
in infermeria. »
Sbatté le palpebre,
sempre più perplessa.
Lui non era a lezione, lo ricordava bene, perché la sua assenza era
stata la
causa del suo nuovo vicino di banco. Come aveva potuto condurla lui in
infermeria?
Osservò distrattamente la
sua mano,
rimuginando su quello che poteva essere accaduto, senza individuare la
benché
minima spiegazione. Alla fine però, una cosa le era chiara, avrebbe
dovuto ringraziarlo.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Salve, eccomi qui con il nuovo capitolo, dopo settimane di blocco oggi
sembra andare un pò meglio... anche se poco. Fortunatamente per me di
questa ff avevo già un bel pò di capitoli scritti!!!! XD Bhe, finito di
sistemare questo vado a provare a scrivere il capitolo nuovo di
palpiti. O.O sperando di riuscire a combinare qualcosa. Un bacioneeeee
kiss
Capitolo
6
"Il mistero non si può
comprendere... si può solo accettare."
Edward trascorse le ore
di lezioni a
maledirsi per il suo gesto folle ed a scrutare nelle menti dei
presenti, per
poter controllare Isabella. Qualcosa gli diceva che quella ragazza era
sin
troppo fragile e delicata per essere lasciata a sé stessa. Si era
svegliata in
infermeria, estremamente sorpresa nello scoprire che era stato lui ad
accompagnarla.
Confusione
lecita…
Non che si biasimasse per
essere
sopraggiunto in suo soccorso, ma doveva ammettere che la sua solita
discrezione
pareva andare a farsi benedire, quando c’era lei di mezzo. Forse
avrebbe dovuto
starle il più lontano possibile, considerando l’effetto anomalo che
aveva su di
lui, ma… perchè negarsi una distrazione da quella monotonia che era la
sua
esistenza. Scoprire i misteri di quella ragazza poteva rivelarsi una
buona
occupazione, ma prima…
Afferrò il cellulare,
componendo
velocemente il numero di sua sorella. « C’è qualcosa che vorresti
dirmi? »
mormorò, ancor prima di permetterle di parlare.
Una risata cristallina fu
la sua
immediata risposta. Naturalmente lei era a conoscenza di quella
telefonata, lei
era a conoscenza di tutto. « Nulla di particolare, perché? »
Arricciò le labbra in una
smorfia
irritata. « Stai tenendo sotto sorveglianza il mio futuro. » constatò,
senza
alcuna inflessione. Normalmente avrebbe
dato di matto, sbottando irritato per quell’intromissione per nulla
gradita,
detestava sentirsi manovrato da quella piccoletta.
Eppure quel giorno ben
altre
preoccupazioni premevano dentro di lui, aveva bisogno di comprendere il
perché di
tutto quel riserbo, di quell’ormai ovvio tentativo di avvicinarlo a
Bella.
C’era qualcosa di cui lo
teneva
volutamente all’oscuro e lui doveva scoprire cosa, per poterne appurare
la
gravità, per potersi allontanare prima di commettere qualche errore
irreparabile.
«Alice, per favore.» si
costrinse a
pronunciare quelle parole, sperando di ottenere con la pietà quello che
non
riusciva ad estorcerle con la rabbia.
«È una cosa che ho sempre
fatto. –
constatò lei in tono blando, dall’alto capo del telefono. – Non vedo
cosa ci
sia di diverso il questo caso.»
Edward sospirò,
immaginandola sogghignare
beffarda. Lo aveva in pugno!
In quel gioco erano
entrambi piuttosto
bravi, con la differenza che per telefono lui non era in grado di
utilizzare il
suo potere, lei invece si.
Piccola
arpia svitata!
« Perché non hai voluto
che restassi in
classe con lei? » non c’era alcun bisogno di specificare il soggetto,
era ormai
consapevole che quella ragazza rientrava in qualche modo negli strani
progetti
di sua sorella. Il difficile era comprendere come e perché!
Il tintinnare della sua
risata lo irritò.
« Fratellino, hai due lauree in medicina, perdere una lezione di Banner
per te
è irrilevante. »
« Stai tergiversando. »
Lei sbuffò, leggermente
contrariata, e
lui si figurò il broncio che stava increspando le sue labbra sottili. «
Sei
indisponente. – sentenziò, con una punta di acidità. – Non ho
intenzione di
comunicarti nulla sul futuro, anche perché tu non hai mai perso
occasione per
ribadirmi quanto detesti le mie intromissioni. Mi spieghi cosa c’è di
diverso
questa volta? »
L’ennesimo tranello di
quella
squinternata. Cosa voleva che lui le dicesse? « Il suo sangue era
strano.
- tentennò insicuro. – è molto pallida e
non sembra in salute. Non riesco a leggere i suoi pensieri e… bhe,
credo mi
detesti.» confessò non riuscendo a reprimere l’incredulità nel suo tono.
Era una ragazza e
difficilmente
un’adolescente, con gli ormoni in subbuglio, era in grado di rifiutare
un suo
approccio. Ciò che però non poté non rammentarsi era che Isabella era
un’anomalia in tutti i sensi. Troppo matura, troppo coscienziosa,
troppo
altruista, troppo poco libidinosa per essere una normale diciassettenne.
Avvertì il sospiro
sommesso di sua
sorella ed il suo tono, insolitamente triste, lo sorprese. Stava di
certo
nascondendo qualcosa… ma cosa!? « Non ti detesta. – ribatté, mesta. -
Solo che
in quella stupida scuola nessuno perde occasione per schernirla. »
Vero…
Edward l’aveva notato.
Molti suoi
compagni si erano mostrati indifferenti verso di lei, ma molti altri,
al
contrario avevano palesato un’evidente ostilità.
Un senso di rabbia montò
nel suo petto.
Era incredulo. Come si poteva anche solo pensare di infastidire una
creatura
tanto fragile?! Certo, sapeva essere pungente ed estremamente
silenziosa, ma
questo non intaccava le sue virtù. Per quello che aveva potuto appurare
la sua
tranquillità non celava alcuna superbia, ma solo un desiderio di
riservatezza.
« Idioti. » sibilò a
denti stretti,
meravigliandosi di come spesso gli umani fossero superficiali, a
quell’età.
Preda dei loro istinti badavano ben poco al reale valore delle cose e
delle
persone.
« Edward. - Alice
richiamò suo fratello,
perentoria. - Cerca solo di non comportarti da stronzo esibizionista. È
una
brava ragazza ma ha un gran numero di problemi e non intende
complicarsi la
vita. »
« Questo significa che
dovrei starle
lontano. – sentenziò lui, scuro in volto. – Una chiacchierata con un
vampiro
può essere facilmente collocata nella categoria problemi, non trovi? »
Un sospiro sommesso,
l’ennesimo. «
Torneremo tra due giorni! » esclamò riagganciando.
Ma…?
Edward fissò perplesso lo
schermo del
cellulare, non comprendendo il motivo di quel repentino cambio di
argomento.
Che fosse a causa di una qualche visione? Qualcosa aveva interferito
con i
piani machiavellici di sua sorella?
Non seppe dirlo ed era
fin troppo stanco
per riprendere una discussione con lei. Alice aveva il potere di
sfiancarlo
psicologicamente, e lui si domandava spesso come Jasper potesse
sopportarla.
Più volte aveva supposto che suo fratello esercitasse sulla piccoletta
il suo
potere da empatico, sedando il suo estenuante entusiasmo.
Sbuffò, gettando il
cellulare sul sedile
della sua auto. Si era rifugiato lì, in attesa del termine delle
lezioni,
pronto per la riunione di teatro, sebbene l’idea di affrontare Isabella
e ciò
che ne sarebbe conseguito non lo allettava. Avrebbe preferito
osservarla,
trascorrere qualche altra notte vegliando su di lei e sui suoi sogni,
indagare
la mente di suo padre per poter accedere ai segreti di quella strana
ragazza.
Pigramente si lasciò
scivolare la lingua
sul labbro inferiore. Avvertiva ancora il suo sapore, quello del suo
sangue… e
forse quello era uno dei suoi maggiori crucci. Erano anni che non si
nutriva di
umani, ma il gusto di quel nettare era difficile da dimenticare ed in
quello di
Bella c’era qualcosa di strano.
Per un istante si
rammentò quanto fosse
stato folle, accostare la bocca alla ferita di una ragazza indifesa,
rischiando
di perdere il controllo. Come aveva potuto? Lui, sempre così accorto…
Qualunque
cosa mi stia succedendo, sono certo non mi piacerà per niente. Pensò, stancamente, prima di
abbandonare
l’auto.
__________________________________
Bella affrettò i suoi
passi per
raggiungere la sala adibita a teatro, dove si sarebbe svolta la prima
riunione
del gruppo. Sospirando sommessamente fece il suo ingresso, ben attenta
ad
evitare gli sguardi irritati delle sue compagne e quelli interdetti di
molti
dei ragazzi presenti. La storia che avrebbero rappresentato era stata
scritta
alcuni anni addietro dal pastore della chiesa, in alternativa a quella
di
Dikinson. Quest’ultima era divenuta ormai una tradizione ma, come ogni
antica
tradizione, prima o poi veniva soppiantata.
Difficile a dirsi, ma la
professoressa
era stata in grado di convincere il consiglio scolastico, facendoli
capitolare.
Il carisma di quella
donna per lei era
una continua sorpresa.
Quell’anno però, a causa
di quella
innovazione, la recita avrebbe attirato ancor più spettatori, tutti
entusiasmati dall’idea di assistere alla realizzazione della
sceneggiatura del
reverendo, il padre di Angela.
Ho
scelto il momento sbagliato per decidermi a partecipare… pensò mesta, rammentandosi
poi che in
futuro non avrebbe goduto di ulteriori possibilità.
Bella
fregatura!
Scosse il capo, per
scacciare i cattivi
pensieri, accomodandosi su una delle poltroncine, per sfogliare il
copione.
Secondo questo, lei avrebbe dovuto interpretare l’angelo che, in
soccorso del
protagonista, interveniva permettendogli di comprendere il reale valore
di ciò
che possedeva.
Bhe, molti ritenevano che
l’aspetto di Bella
non fosse propriamente angelico e da ciò erano derivate non poche
obiezioni.
Non che lei temesse in alcun modo il loro giudizio sul suo aspetto
fisico, era
ben consapevole di non essere all’altezza di Jessica od altre compagne.
La sua
carnagione era maledettamente pallida, le labbra piene, gli occhi
anonimamente
castani ed i capelli costantemente legati in una coda.
Un tempo aveva adorato i
suoi capelli,
quando la chemio non aveva influito sulla loro lucentezza. Di quel
meraviglioso
manto era rimasto ben poco di meraviglioso,
ma in fin dei conti se fosse stata costretta a continuare con quel
sistema
tanto invasivo sarebbe stato peggio.
La leucemia era stata
estesa a tal punto
da rendere quelle cure inefficienti e, tentare ulteriormente con
terapie di
quel tipo, avrebbe solo gravato ulteriormente sul suo fisico provato.
Non sarebbe servito a
nulla se non ad
aumentare le nausee, i dolori e la fiacchezza. Sarebbe stato solo un
vano
tentativo di stuccare un muro ormai cadente, cercando di porre rimedio
all’inevitabile, rischiando solo di peggiorare l’esito. Per questo
aveva
preferito affidarsi semplicemente agli antidolorifici, prescritti dal
dottor
Cullen.
Di Carlisle si fidava
ciecamente, sapeva
di poter riporre nei suoi consigli la massima aspettativa.
Per un attimo si domandò come fosse il suo
rapporto con Edward, sapeva che lui, come gli altri fratelli, era stato
adottato. Era certa che il dottore fosse perfettamente in grado di
donare loro
l’amore sufficiente, ma quei ragazzi apparivano così strani.
Ed Edward era sempre così
tormentato…
« Iniziamo. - la professoressa battè le
mani
nervosamente, richiamando l’attenzione degli studenti presenti nella
sala e
facendo sobbalzare vistosamente Isabella. – Credo sia opportuno
dividervi in
gruppi. Coloro che dovranno occuparsi di scenografie e costumi si
facciano
avanti. »
La signora Cronford dettò
le istruzioni
da seguire, dedicando totale attenzione alla suddivisione dei compiti
ed
impartendo ordini precisi e perentori. Energica, decisa ed
efficiente… Bella non poteva non ammirarla.
Era tutto ciò che lei non sarebbe mai stata.
Nonostante l’età
avanzata, la corporatura
grassoccia, le evidenti difficoltà di movimento a causa di un ginocchio
malandato
e un matrimonio fallito alle spalle, quella donna era solare ed al
contempo
tanto sicura di sé da rendere impossibile a chiunque dubitare della sua
parola.
Quindi, pur conoscendo di teatro ben poco, se non ciò che aveva appreso
grazie
alla sua passione, a lei era stata affidata la completa gestione del
corso,
senza remore.
« Isabella, cara. – il
sorriso gentile
che le rivolse non la stupì. Con lei si era mostrata sempre molto
garbata,
forse a causa del trattamento che subiva dagli altri alunni. – Tu vai a
ripassare
la parte, perché sono costretta ad occuparmi prima di questi lavativi,
addetti
alle sceneggiature. Qualcuno dovrà pur evitare che si schiaccino le
dita con il
martello o chissà che! » sbottò, lanciando un fugace sguardo ai ragazzi
alle
sue spalle, che giocherellavano con le attrezzature.
Di
bene in meglio…
pensò
Bella, notando le vene sul collo della professoressa divenire sempre
più
prominenti. Per un istante ebbe addirittura il timore che potessero
scoppiarle.
Intimorita si allontanò,
giusto in tempo
per sottrarsi alle urla isteriche della donna, che minacciava di
torcere il
collo a Mike e Tayler se non smettevano di gingillarsi con i martelli
neanche
fossero spade laser.
Non che gli isterismi
della professoressa
non fossero comprensibili.
Le scenografie erano una
parte
fondamentale della rappresentazione e lei desiderava chiarire ogni
punto onde
evitare il ripetersi degli incidenti degli anni precedenti. Ancora non
comprendeva come la vecchia stalla che aveva ospitato la vergine Maria
e il suo
bambino si fosse trasformata in una casetta di compensato con le pareti
dipinte
di arancione e rosa, con deliranti decorazioni e scritte
impronunciabili.
Era stato definito lo scherzone del secolo, architettato da
alcuni buzzurri del secondo anno su cui era preservato l’anonimato,
anche se
solo per i professori. Tutti gli alunni della scuola erano a conoscenza
degli
artefici della brava, visto il loro entusiastico vantarsi.
Bambocci!
Bella ancora si domandava
cosa potesse
esserci di esilarante in un simile atto di vandalismo che, l’anno
precedente,
aveva creato evidenti difficoltà a tutti coloro che avevano lavorato
duramente
per la rappresentazione. Peccato che, chi partecipava a quelle attività
extra
curriculari, fosse generalmente troppo in basso sulla scala gerarchica,
vigente
nella scuola, per poter far valere la propria parola.
Ad
eccezione di quest’anno!
Edward Cullen era stata
un’inconsueta
novità, in tal proposito. Isabella si voltò guardinga, tentando di
individuare
la figura dai capelli bronzei che ultimamente era divenuta stranamente
presente
nella sua vita. Sembrava sbucare fuori dal nulla, con i suoi saluti ed
i suoi
interventi di salvataggio… oppure i suoi enigmatici sorrisi.
Sospirò sommessamente, il
suo istinto era
maledettamente in allerta in quei giorni. Temeva che Carlisle potesse
aver
rivelato qualcosa accidentalmente, in merito alla sua malattia. Avrebbe
tanto
desiderato poter scoprire il motivo del suo avvicinamento, senza
sbilanciarsi
troppo.
« Come stai? » sobbalzò
spaventata,
udendo quella voce conosciuta.
Ma
cos’ha al posto dei piedi? Delle piume…!?
Portandosi la mano sul
cuore, tentando di
rallentarne i battiti furiosi, si voltò verso il suo interlocutore che
le
sorrideva per nulla pentito.
« Non volevo spaventarti,
mi dispiace. »
Lei scosse il capo,
respirando
profondamente, ben attenta a non incrociare il suo sguardo. Riusciva a
metterla
in soggezione, e non solo perché poteva essere venuto a conoscenza
della sua
situazione, quella sua bellezza ed etera perfezione le creava disagio…
Per lei che in ogni
contesto si
considerava insignificante la presenza di quel ragazzo le rammentava
più che
mai le sue mancanze.
« Tutto bene. – biascicò,
schiarendosi la
gola e raccogliendo il suo coraggio. - Volevo ringraziarti. » esordì
mesta,
senza preamboli.
Non erano amici ed il
loro rapporto non
era iniziato nel migliore dei modi, forse… considerando la sua
scortesia del
girono precedente, avrebbe dovuto mostrarsi più accomodante, ma la sua
natura
sospettosa prevalse, nuovamente.
Quando si subiscono
schermaglie ed
offese, quando si comprende di essere oggetto di scherno… si finisce
per erigere
tra sé e il mondo un muro. Qualcosa che possa permettere di preservarsi
dallo
sconforto.
Se
non si ha fiducia nel prossimo, non si rischia alcun tipo di delusione.
O almeno,
questa era divenuta la sua
convinzione.
Edward, dal canto suo,
corrugò la fronte
evidentemente perplesso, mentre un guizzo di irritazione attraversava
il suo
sguardo.
« L’infermiera mi ha
detto che sei stato
tu a portarmi da lei. » spiegò velocemente, prendendosi il lusso di
fissarlo,
per la prima volta, un po’ più a lungo. Era bello, avvolto nei suoi
jeans
costosi, nella sua camicia azzurra che lasciava scoperto il collo. Ma
ciò che
realmente lei ammirava in lui erano i suoi occhi…
quel caldo color oro, aveva sempre qualcosa di confortante, sebbene
pochi
potessero descrivere lui con un simile termine.
Anzi, lei stessa si stupì
del suo
pensiero e se Edward fosse stato in grado di udirlo ne sarebbe stato
ugualmente
sconvolto. Definire confortante lo sguardo di un vampiro non era comune
e di
certo non un sintomo di un buon istinto di conservazione. Al contrario…
Lui scrollò il capo,
apparentemente
indifferente, infelicemente all’oscuro dei pensieri della sua
interlocutrice. «
Non avevi una gran bella cera. – sentenziò, improvvisamente serio. –
Forse
dovresti tornare a casa, sei ancora così pallida. »
Un solo commento fu in
grado di
riportarla bruscamente alla realtà: lei
non era il ritratto della salute perché lei non era in salute. Un
dettaglio
tutt’altro che rassicurante, che si premurò di non esporre. Ormai il
tempo
trascorreva tanto velocemente da palesare, di giorno in giorno, nuovi
segni
della malattia.
Manca
così poco… troppo poco.
« Colpa del sangue… »
commentò, optando
per una mezza verità, lasciando che la maschera e le bugie celassero i
suoi
segreti.
Edward le rivolse uno
sguardo scettico
che pareva quasi volerla trapassare.
Ha
scoperto che sto mentendo?
Non
mi crede?
Conosce
la verità?
Ne
parlerà a qualcuno?
Per un istante fu quasi
presa dal panico,
sebbene sul suo volto non vi fossero tracce dei timori che la stavano
attanagliando.
Solo quando l’ombra di un sorriso attraversò il volto di Edward, lei
parve
rilassarsi.
Dannazione,
inizio a comportarmi da paranoica!
Era così intimorita dal
pensiero del
polverone che si sarebbe levato una volta scoperta la verità che ormai
viveva
nel terrore che qualcuno potesse scoprire ogni cosa.
« Ti dispiace se mi siedo
accanto a te? –
domandò d’un tratto, lasciandola completamente inebetita. – Solo per
ripetere,
naturalmente. Ho qualche difficoltà con la parte. »
_________________________
Se qualcuno dei suoi
familiare avesse
udito la patetica scusa a cui era ricorso avrebbe riso fino allo
sfinimento. E
lui non avrebbe potuto dargli torto. Sperò solo che Alice contenesse il
suo
potere, ma che soprattutto tenesse a bada la sua linguaccia lunga.
Complimenti
Edward, sei un idiota!
Lo sguardo di Bella, nel
frattempo,
divenne lievemente sospettoso. Non che fosse una novità, quella pareva
essere
quasi la sua espressione preferita. Era maledettamente diffidente e
guardinga,
probabilmente memore degli scherzi subiti dai suoi compagni di scuola.
Non
poteva biasimarla.
Non poteva porre rimedio
ai numerosi anni
di schermaglie di cui lei era stata oggetto, ma poteva farle
comprendere la sua
buona fede e la mancanza di doppi fini, sebbene la mancanza di un
qualsiasi
scopo fosse una menzogna.
Non aveva alcuna
intenzione di
schernirla, ma desiderava comprenderla e svelare il mistero che
l’avvolgeva.
Una volta risolto quell’enigma entrambi sarebbero tornati alla loro
routine e
lui avrebbe smesso di importunarla.
« Giuro che non ti darò
alcun fastidio. -
insistette, maledicendosi. – Non vorrei fare una pessima figura sul
palco. »
Lei sembrava quasi non
credere alle sue
parole, per quanto umane potessero apparire. Non sarebbe stato inusuale
se
avesse avuto difficoltà con la parte, la recitazione e la
memorizzazione di un
copione non era cosa da nulla e, tutti i partecipanti, condividevano la
medesima apprensione di non rammentare le battute.
Il perché poi
fosse ricorso a quei mezzucci solo per stare in sua compagnia,
era un altro discorso, che lo faceva sentire maledettamente patetico;
ma non
per questo intendeva rinunciare al suo piano B. Constatato che un
normale
approccio non avrebbe prodotto alcun risultato, non gli restava che avvicinarla sperando nella sua indole buona e
nel suo desiderio di essere d’aiuto.
« Non ci sono altre
alternative? »
domandò, tentennando.
Lui scosse il capo,
ostentando un finto
accoramento. « Condivido con te gran parte delle battute, quindi se
provassi
con te sarebbe tutto più… utile, per
la buona riuscita dello spettacolo. »
Su,
Bella, pensa alla povera signorina Cronford, non vorrai deluderla,
spero?
Un sospiro sommesso e un
cenno del capo
decretarono la sua vittoria, ma si impedì di esultare, limitandosi ad
un lieve
sorriso. « Grazie. »
Primo
passo compiuto!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Eccovi un
nuovo capitolo!! XD Parecchio lunghetto effettivamente ahahahha ma una
volta iniziato a sistemarlo non mi andava di tagliarlo! Questo in
realtà è l'ultimo di quelli che avevo scritto tempo fa, quindi da ora
in poi saranno tutti capitoli nuovi! ahahahha spero di non combinare
ulteriori casini ahahahhaah Chissà! Adesso vi lascio alla lettura, un
bacione ♥
Capitolo
7
« Che
problemi hai con la parte? Hai già memorizzato qualcosa? » mormorò
Bella, mentre si spostava per permettergli di sederle accanto.
Edward
sorrise, tentando di mascherare il suo divertimento. Gli era bastato
leggere il copione per memorizzare tutto ciò che era necessario e
anche più di quello; ma nonostante ciò ostentò un’espressione
pensierosa, fingendo di rammentare ciò che lo aveva turbato.
« In
generale, credo di avere problemi a recitare stando attento ai tempi,
anche per questo vorrei provassimo insieme. » tentò,
complimentandosi con sé stesso per la perfetta scusa. Con tali
premesse Bella non poteva certo esimersi dall’aiutarlo, non sarebbe
mai stata causa volontaria di un epilogo disastroso della
rappresentazioni.
Lei, come
previsto, sospirò remissiva e, pur non apparendo affatto allegra
dinanzi alla prospettiva di trascorrere del tempo con lui, accettò.
Neanche
fosse pronta per il patibolo!
Edward non
potè evitare che una piccola ruga increspasse la sua fronte, offeso
per il suo atteggiamento. Era raro che qualcuno mostrasse una tale
riluttanza nei suoi confronti, lui che era solito attrarre le ragazze
con un solo sguardo, talvolta anche senza desiderarlo realmente.
Ma forse
parte dell’attrattiva di Isabella risiedeva anche in quello. Era
meschino come pensiero, eppure se non fosse stato per la sua mente
muta e quel suo carattere inusuale lui era consapevole che non
avrebbe mai posato i suoi occhi su di lei.
Era carina,
con un viso a cuore e labbra all’apparenza morbide. Ma era
assurdamente pallida e di una bellezza che non era assolutamente
paragonabile a quella vampira e neanche a quella degli umani più
avvenenti.
Graziosa,
nulla di più nulla di meno.
« Domani
pomeriggio, dopo le lezioni, passa da me. Ripeteremo in giardino se
sei d’accordo. » borbottò, arrendendosi all’evidenza che non vi
era altro modo. Probabilmente se avesse avuto più tempo per pensarci
avrebbe trovato una soluzione alternativa, ma la pressione esercitata
dalla presenza di Edward non le dava una simile possibilità.
Lui annuì
rinfrancato, senza però riuscire a scacciare del tutto il senso di
disagio dato da quella morbosa curiosità che lo stava portando ad
infrangere le sue solite cautele. Ciò che riuscì in parte a
rincuorarlo fu la consapevolezza che Alice non era parsa in alcun
modo preoccupata per quegli approcci, quindi non dovevano esserci
particolari pericoli all’orizzonte.
Non che
di Alice ci si potesse fidare del tutto...
« A domani
allora. » asserì lei, allontanandosi mesta, verso l’insegnante.
La riunione
di quel giorno era stata necessaria solo per comunicare le direttive
generali, la signorina Cronford aveva parlato singolarmente con ogni
studente, annunciandoci ciò che erano obbligati a fare, gli orari
delle prove che sarebbero stati distinti in vari gruppi, a seconda
dei ruoli interpretati. Era una fautrice dell’economia del tempo,
trovava inutile costringere tutti a trascorrere interi pomeriggi in
quella sala teatro solo per assistere alle prove altrui. Così aveva
preventivamente stilato una tabella nella quale indicava i turni di
ogni gruppo incrociate con le parti da inscenare. I gruppi non
sarebbero stati fissi, ma Edward poté constatare felicemente che la
presenza di Isabella, nei suoi giorni, era quasi una costante.
________________________
Tornò a
casa leggermente demoralizzato, rimuginando sul suo comportamento e
sull’assurdità della sua fissazione. Era tale l’ossessione per
quella ragazza che non poteva non sorprendersi. Aveva sempre provato
una certa riluttanza verso gli umani, eccessivamente monotoni e
prevedibili, ancor di più per le ragazze, vampire o meno che
fossero. I rapporti si limitavano all’ambito familiare, i suoi
parenti erano gli unici con i quali era riuscito ad instaurare un
rapporto, e perché ciò accedesse erano stati necessari anni ed
anni, trascorsi a stretto contatto.
Li adorava
indiscutibilmente. Ognuno di loro aveva le sue peculiarità, chi la
capacità di amare incondizionatamente, chi la perseveranza, chi la
gioia e l’entusiasmo…
Ed era
proprio tutto ciò a rendere ancora più assurdo il suo interesse per
Isabella. Quelle poche caratteristiche che potevano destare la sua
attenzione erano discutibili e, sebbene lui trovasse difficoltà
anche ad ammetterlo a se stesso, non erano le uniche motivazioni a
spingerlo ad avvicinarla.
In lei
c’era qualcosa… qualcosa che lo attraeva, inesorabilmente.
Sbuffò
contrariato, richiudendo bruscamente lo sportello del suo pianoforte.
Altra
bizzarra anomalia… la sua ispirazione era tornata, più potente e
avvolgente che mai. Componeva in ogni attimo in cui non era occupato
a rimuginare o a sorvegliare quella strana ragazza. La prima melodia,
nata in quel periodo, era stata creata rammentando quel volto
assopito, i cui tratti distesi dal sonno, apparivano dolci e
stranamente rilassati. Alla luce della luna il suo viso, con il suo
chiarore, aveva assunto una aria quasi eterea.
Fragile,
delicata… qualcosa da custodire e da proteggere.
Una rosa da
preservare dalle intemperie della vita.
… e lui
sentì montare dentro di sé il desiderio di adempiere a quel
compito, pur non comprendendone il motivo.
Devo
essere impazzito.
Sospirò,
prendendosi la testa tra le mani, turbato dalle sue stesse fantasie.
Lei era umana e lui un vampiro e non si era mai visto uno della sua
specie prendere tanto a cuore una creatura come Isabella.
Mai… era
impensabile che un mostro bramasse qualcosa di tanto inconsueto.
Qualcosa di
tanto... puro.
Un vortice
di pensieri, la cui tonalità avrebbe riconosciuto ovunque, piombò
in casa, scaraventandosi su di lui senza alcuna delicatezza, facendo
quasi rovesciare la sedia su cui era accomodato.
« Per la
miseria Alice, sei un terremoto! » esclamò sorridendo, abbandonando
per un attimo le sue elucubrazioni, troppo felice da quella sorpresa
ma soprattutto lieto di essere nuovamente circondato dalla sua
famiglia. Era strano non avere quel piccolo tornado che gironzolava
per casa.
Sincerandosi
delle sue condizioni e di quelle della famiglia tutta, l’abbracciò
stretta, scoccandole un bacio sulla guancia, da lei appositamente
esposta. « Eddy, mi sei mancato. »
Lui si
abbandonò ad una risata liberatoria, il buonumore di sua sorella
riuscì a contagiarlo, permettendogli di scacciare un po’ di quella
malinconia che lo tormentava da giorni. « Anche tu, scricciolo. »
« Lo so e
ti annuncio che abbiamo una magnifica sorpresa! » esclamò,
entusiasta, staccandosi da lui. « Non avverti nulla di diverso? »
Edward
inarcò le sopracciglia, guardandosi attorno e annusando l’aria con
una certa titubanza. Effettivamente, un nuovo odore impregnava gli
abiti di sua sorella, qualcosa di muschiato. Piacevole, ma
sconosciuto, anche se solo in parte.
« È per
questo che vi siete allontanati? Un vampiro? » domandò esitante,
sinceramente curioso.
Lei annuì
vigorosamente, sorridendo sorniona. « Non proprio solo per questo,
ma James è stata una rivelazione. È adorabile. »
«James…
» pronunciò quel nome, tentando di penetrare nella mente di sua
sorella, per racimolare le informazioni che desiderava, ma purtroppo
ricavandone ben poco.
Ormai aveva
appreso come raggirarlo, proiettando i suoi pensieri su argomenti di
poca importanza o recitando versi di qualche antico poeta.
Deliziosamente esasperante.
Alice
sorrise beffarda. « Smettila di sbirciare, lo vedrai a tempo debito.
– sentenziò, mentre il trillo della sua risata risuonava per il
salone. – Ma parlando di cose importanti, come sta Bella? »
« Non
cambiare discorso… - l’ammonì lui, scuotendo il capo a disagio.
Isabella in quel momento non era assolutamente un buon argomento. Non
solo per l’inquietudine che iniziava a trasmettergli il pensiero di
lei, ma anche perché sapeva che sua sorella nascondeva qualcosa.
Dietro quel suo improvviso interesse era celata una qualche visione,
che lo riguardava sicuramente. In quel momento, però, non aveva
assolutamente la forza psicologica per indagare. « Voglio sapere il
perché di questo strano odore. »
Lei si
limitò a sospirare, increspando le labbra, in una piccola e graziosa
smorfia. « Lo abbiamo trovato in Amazzonia, presso una tribù di
vampiri, lì nascono di frequente questi esemplari e una vampira del
posto, amica di Carlisle, lo ha contattato per alcune ricerche. »
Aggrottò
la fronte, palesemente scettico. « Mezzi vampiri? »
« Nati da
un umana, donna, e un vampiro. » la sua espressione supponente lo
indispettì leggermente, ma la rivelazione era a tal punto
sconvolgente che non riuscì a soffermarsi su quel dettaglio.
Strabuzzò
gli occhi, apertamente colpito. « Ma è impossibile, noi siamo
morti, non possiamo procreare. »
« A quanto
pare restano comunque dei residui di mortalità nei nostri corpi, ciò
che però impedisce alle femmine, della nostra razza, di essere
ingravidate è l’immobilità a cui sono vincolati i loro corpi. »
la voce di Jasper, sicura e pacata, irruppe nella conversazione.
« Una cosa
insolita. – sentenziò Edward, meditabondo. – I Volturi cosa ne
pensano? »
« Stanno
facendo ricerche, desiderano assoldarli nella loro Guardia. - ammise,
scrollando le spalle. – Ma stanno testando la loro
resistenza ed i vantaggi in combattimento. »
« Capisco.
»
« Domani
sarà Bella a venire da noi e non il contrario. » annunciò d’un
tratto Alice, ostentando la sua espressione più impenetrabile,
mentre saltellava verso il suo compagno.
Edward
corrugò la fronte, incredulo, per quella bizzarra novità. Non che
la cosa fosse di per sé rilevante, ma gli appariva insolito che
Isabella potesse accettare una simile proposta. « Di che diamine
parli? » domandò brusco.
« C’è
stato un piccolo incidente a casa sua e non… »
Scattò in
piedi preoccupato. « Cosa? Razza di psicopatica! Quando imparerai ad
avvisarmi in tempo quando le succede qualcosa. » sibilò, ponendosi
ad un palmo da lei, senza preoccuparsi di celare il ringhio che si
levava dal suo petto.
Era
decisamente furioso. Nella sua mente si proiettarono gli scenari più
inquietanti, misti al volto cereo di Isabella, su cui il suo sguardo
aveva avuto modo di indugiare quando si era visto costretto ad
accompagnarla in infermeria, quella mattina.
«
Fratello, calmati. » ordinò Jazz, lasciando che, il suo potere
empatico, placasse l’ira di Edward. Lentamente si avvicinò cauto a
sua moglie, ostentando un’espressione di puro biasimo. « Alice! »
La piccola
vampira sbuffò contrariata, evitando di mostrare il suo sorriso
soddisfatto. « Non le succederà nulla. Sta bene… suo padre però
dimenticherà di chiudere il freezer e si scongelerà tutto il pesce
che hanno stipato lì…Immagina la puzza. »
Una smorfia
di disgusto piegò le labbra sottili della sua sorellina ed Edward si
rabbonì. « Non farmi più scherzi simili. » la rimproverò,
accomodandosi nuovamente sullo sgabello del pianoforte.
Il suo
sguardo assorto scivolò sui tasti bianchi e neri, dinanzi a lui. Si
era sempre sorpreso come la semplice pressione su di essi potesse
produrre melodie, di rara bellezza. Lasciò scorrere le dita,
leggere, su di essi, sospirando sommessamente. Anche quella reazione
era tutt’altro che normale.
Cosa mi
sta accadendo?
« Perché
sei così preoccupato per la sicurezza dell’umana? » i pensieri di
Jazz rivelavano un genuino stupore, a differenza di quelli della sua
consorte, la quale celava il suo compiacimento dietro antiche canzoni
popolari.
Mi
piacerebbe tanto saperlo.
« Se la
vedessi capiresti perché. » ribattè lui, senza alcuna inflessione,
ricorrendo ad una mezza verità. Peccato che il potere empatico del
fratello potesse andare ben oltre la sua maschera di indifferenza.
« Non
credo genererebbe in me alcun tipo di istinto di protezione. –
sentenziò serio. – Perché è questo che stai provando ora. Sei
preoccupato per lei. »
« Tu segui
la nostra dieta da meno tempo di me, il tuo controllo non è
altrettanto ferreo. » le sue parole non volevano essere in alcun
modo un’offesa, ma una semplice constatazione. Eppure nessuno dei
presenti, lui compreso, trovò in quella giustificazione il
significato che lui avrebbe voluto attribuirgli.
« Se lo
dici tu. »
Edward si
voltò verso la sorella, pronto a condurre la conversazione altrove.
« Mi chiamerà lei? »
«
Domattina ti telefonerà per disdire e tu le proporrai di venire da
noi. »
« Non sarà
pericoloso? » domandò quasi rassegnato.
Lei scosse
il capo, sorridendo sorniona. « Fidati di me. »
Più
facile a dirsi che a farsi.
_______________________
Bella uscì
dall’auto, dopo aver parcheggiato nell’immenso cortile dei
Cullen. I suoi progetti per quel pomeriggio erano mutati bruscamente
a causa di suo padre.
Benché lui
sostenesse il contrario, si era dimenticato di chiudere adeguatamente
lo sportello del freezer, causando un vero e proprio disastro.
L’ingresso in quella casa era accompagnato dal fetore di pesce, che
si era esteso sino alle camere da letto e, nonostante la quantità di
candeggina e deodoranti utilizzati, impregnava ormai la tappezzeria e
le pareti dell’intera abitazione.
Nauseante.
Rammaricata
e dispiaciuta si era vista costretta a contattare Edward, rinviando
le loro prove. Si era sentita amareggiata, nonostante il disagio che
la sua presenza le creava, quel fascino che esercitava sull’intera
scolaresca femminile, su di lei non era totalmente assente. Al
contrario… naturalmente quegli istinti erano messi a tacere dal suo
buon senso, ma la prospettiva di osservare da vicino quel ragazzo
tanto particolare era una piacevole distrazione alle sue giornate.
Per tale
motivo quando lui le aveva proposto di provare a casa sua, lei aveva
accettato senza remore. Per quanto ne sapeva il dottor Cullen non
sarebbe stato ancora presente, e questo limitava le sue
preoccupazioni, in merito alla sua malattia. Non osava immaginare il
disagio che avrebbe provato incontrandolo dinanzi ai suoi figli.
Forse sarebbe stata costretta a dare spiegazioni.
Meglio
non pensarci. Si disse,
sbuffando contrita.
Oltretutto
presto avrebbe dovuto fare i conti con la consapevolezza che l’intera
cittadina sarebbe stata a conoscenza del suo segreto. Ne aveva
parlato con suo padre… al termine dell’anno scolastico avrebbe
abbandonato gli studi e si sarebbe recata da sua zia.
Lui
l’avrebbe seguita. Si sarebbero trasferiti insieme perché Charlie
si era detto assolutamente contrario all’idea di starle lontano.
Sarebbe stato il suo sostegno, ancora
una volta.
Avrebbe
assistito alla morte di una persona cara, ancora
una volta.
Bella
avvertì le lacrime pungerle gli occhi, a quei pensieri. Non voleva
infliggergli altra sofferenza, ma paradossalmente si sentiva
confortata dall’idea di averlo al suo capezzale, di percepire la
sua presenza accanto a sé.
Lasciò
scorrere le dita sul suo viso, asciugando qualche lacrima dispettosa
che le rigava il viso.
Sospirò
cercando di recuperare un certo contegno, osservando con
circospezione quel luogo meraviglioso, intenzionata a distrarsi. La
casa, tinteggiata di un fresco e candito bianco, era imponente e
maestosa, sensazione amplificata dalla fitta flora che l’avvolgeva.
Il rumore
dello scroscio d’acqua del ruscello le arrivava nitido, così come
i profumi della foresta e della vegetazione che circondava la casa.
Incantevole.
Aveva
spesso sentito parlare della loro dimora, dagli abitanti del paese.
Nessuno osava inoltrarsi sino a lì, soprattutto dal trasferimento
dei Cullen, ma si diceva che prima del loro arrivo quello non fosse
altro che un cadente rudere.
Era stata
Esme a ristrutturarlo.
Bella,
persa ancora nella sua contemplazione, non notò subito il bambino
che la osservava, sul portico. Solo quando quest’ultimo lasciò
cadere uno dei suoi giocattoli, lei si voltò di scatto scontrandosi
con due penetranti occhi azzurri.
Inclinò il
capo, tentando di mettere a fuoco la sua figura, mentre si avvicinava
cauta, per non spaventarlo. Non sapeva che i signori Cullen avevano
adottato un altro bambino, per giunta tanto piccolo, una simile
notizia avrebbe di certo fatto il giro del paese.
Strano…
Era davvero
molto carino, con i suoi capelli biondo cenere e la carnagione
lattea. Non dimostrava più di cinque anni, il suo viso paffutello
ed il sorriso imbarazzato che le rivolse la intenerì. « Ciao
piccolo, io sono Bella. » mormorò, accovacciandosi accanto a lui ed
osservano il delizioso trenino giocattolo che stringeva
spasmodicamente tra le mani.
Sembrava a
disagio, probabilmente non era abituato ad interagire con degli
sconosciuti, pensò lei. Ma non demorse.
Bella
adorava i bambini, vedeva in loro quell’innocenza e quella dolcezza
che gli adulti perdevano con gli anni. Una delle cose che più
rimpiangeva era che la malattia le stava strappando la possibilità
di godere della maternità, una di quelle gioie a cui lei non avrebbe
mai potuto aspirare. Non aveva mai avuto modo di pensare spesso a
questo, ma quando la sua mente vagava su quei sentieri non poteva
fare a meno di percepire una tremenda rabbia, montare dentro di sé.
Troppe
poche possibilità… troppo poco tempo.
« Posso
sapere il tuo nome? » continuò, non allentando il suo sorriso.
Lo vide
deglutire a vuoto, arricciando leggermente il nasino.
« Io sono
James. »
La porta si
spalancò in quell’istante, rivelando la figura di un Edward
trafelato. Bella osservò il suo volto scuro, mentre rivolgeva al
piccolo un’occhiata tutt’altro che benevola.
« James,
vai dentro. – sentenziò serio. – Alice ha preparato da mangiare,
andrete a fare un pic-nick nel bosco. »
Il bambino
lo osservò imbarazzato, limitandosi a chinare il capo e ad annuire.
Ma che
succede?
Alice
sopraggiunse, proprio in quell'istante, con la sua solita andatura
aggraziata, ostentando un sorriso divertito, non preoccupandosi
minimamente del pericolo sfiorato.
« Tu devi
essere Bella. – asserì, tendendole la mano. – Io sono Alice,
spero che il nostro cuginetto non ti abbia creato fastidi. »
James alzò
appena lo sguardo, attaccandosi alla gonna della piccola vampira, con
veemenza, intimorito dalla figura di Edward.
Isabella se
ne domandò il motivo, ma non osò chiedere, comprendendo non fossero
problemi di sua competenza. In compenso le dispiaceva osservare
l’espressione impaurita del piccolo.
« Piacere
di conoscerti. – rispose educatamente, volgendosi verso la ragazza,
leggermente intimorita da tutta quella bellezza e grazia, qualcosa a
cui nessun comune mortale avrebbe mai potuto aspirare. Oltretutto
quel suo gioviale carattere le creava sempre un certo disagio,
proprio come lo sguardo attento e vigile che schermava dietro i suoi
sorrisi allegri. – James è adorabile. » ribattè candidamente.
Il
tintinnare della sua risata fece affiorare un tenue sorriso anche sul
suo volto. « Bene, noi andiamo a pranzo, ma sono sicura che ci
rivedremo più tardi. Ciao. » cinguettò, afferrando la manina
paffutella di James e trascinandolo via con sé.
La tensione
accumulata nel corpo di Edward parve sciogliersi leggermente e con un
tono leggermente più rilassato, la invitò ad entrare in casa.
« Andiamo,
possiamo provare nel salone, fuori c’è un po’ di vento. »
mormorò, fissandola con una certa apprensione. Forse aveva notato il
colorito particolarmente pallido oppure il piccolo livido sullo
zigomo, recente dono di una brutta caduta, nella cucina allagata.
Ora che
ci penso, il bambino ha arricciato il naso, quando mi sono
avvicinata... non è che puzzo ancora di pesce?
Con
discrezione accostò il braccio al volto per appurare se l’intero
barattolo di bagnoschiuma alla vaniglia era stato in grado di
eliminare lo sgradevole tanfo.
Non mi
sembra…
Troppo
presa dalla sua operazione non notò il sorriso divertito che per
qualche istante piegò le labbra del vampiro.
_____________________
Edward la
fissò tra il perplesso ed il divertito.
Per un
attimo si era seriamente spaventato quando, nella mente del piccolo
James, aveva percepito il desiderio per il sangue di Isabella. Il
panico aveva attanagliato il suo stomaco alla prospettiva che potesse
balzare al collo di lei, ferendo quella fragile creatura.
Fortunatamente era giunto in tempo, evitando una catastrofe.
Il mezzo
vampiro, abituato al sangue umano, non era affatto allettato dalla
nuova dieta che gli era stata imposta, malgrado tutto non si era
opposto, forzandosi ad ubbidire agli ordini.
Edward si
domandò perché Alice avesse trovato tanto interessante l’arrivo
di Bella nella loro casa.
Che avesse
in mente qualche astruso piano? Probabilmente.
« Vuoi
qualcosa da bere? » domandò, rivolgendosi alla pallida ragazza al
suo seguito, indicandole il divano su cui accomodarsi.
Era
mortalmente pallida, ancora più del solito. Per non parlare del
livido violaceo che macchiava la sua pelle candida… avrebbe tanto
desiderato domandarle cosa le era successo, ma probabilmente sarebbe
risultato indiscreto.
Non
intendeva farla scappare, perdendo quella ghiotta occasione. Aveva
finalmente la possibilità di parlarle, senza rischi di intrusioni
oppure il nutrito pubblico del corso di teatro.
Lei annui,
guardandosi attorno imbarazzata. « Si, grazie.» Non sembrava
minimamente a suo agio eppure, mentre era in compagnia di James,
aveva notato attraverso i pensieri di quest’ultimo, il sorriso
dolce che gli aveva rivolto.
Non
sembrava tesa, malgrado ciò che il piccolo avrebbe potuto farle.
Sospettò
che il suo istinto di sopravvivenza non fosse dei migliori.
Solerte, si
diresse in cucina, alla ricerca di qualcosa di commestibile per lei
ed assolutamente disgustoso per lui. Tutto ciò di cui aveva bisogno
era stato riposto amorevolmente sul tavolo, accompagnato da un
biglietto di sua madre.
Ti
ho lasciato in fresco del succo d’arancia, da offrire alla tua
amica.
La
torta è nel forno, al suono del timer tirala fuori. È al
cioccolato, secondo Alice le piacerà.
Con
amore, mamma.
Mi
raccomando, comportati bene.
Ridacchiò
divertito, osservando quelle linee tondeggianti, in grado di
trasmettergli come sempre un immenso calore. Ricordava poco della sua
vera madre, ma erano ormai anni che considerava Esme una mamma. Con
le sue premure e il suo affetto era stata in grado di ricreare quel
clima familiare anche tra vampiri centenari.
Una donna
meravigliosa.
Scuotendo
il capo, tornò nuovamente nel salone.
« Non hai
mai partecipato alle rappresentazioni, vero? » mormorò,
accomodandosi accanto a lei, dopo aver recuperato il copione ed
averle porto un bicchiere ricolmo di liquido arancione.
Lei annuì
sorseggiando il suo succo. « La recitazione non è il mio forte, ma
quest’anno volevo fare qualcosa di diverso. » si lasciò sfuggire.
I pensieri
di Edward corsero immediatamente a quella strana lista che aveva
avuto modo di notare a casa sua, tempo addietro. Forse anche
quell’esperienza vi era riportata!
«Come mai?
»
Gli occhi
di lei scivolarono per la stanza, ben attenti a non incrociare quelli
del suo interlocutore, per il timore di rivelare qualcosa di troppo.
« Ogni tanto è piacevole cambiare, non trovi? » sviò, lasciando
che lui traesse da quella sua osservazione le debite conclusioni. Non
le interessava ciò che lui pensava di lei, di questo ne era certo, e
non intendeva lasciargli in alcun modo scorgere oltre quella corazza
che aveva eretto tra sé e il mondo.
« Perché
ti comporti così? » domandò, con un tono petulante che sorprese
lui stesso. Desiderava ardentemente capire… capirla.
Bella
corrugò la fronte, fissandolo perplessa, in attesa di delucidazione.
« In modo
così… chiuso. » tentennò, insicuro sulle parole adeguate per
esprimere il suo pensiero, senza lasciar trapelare la frustrazione
che covava.
« Non mi
sembra che tu sia tanto diverso da me. - sentenziò lei, increspando
le labbra. – Anzi sono seriamente curiosa di capire il perché del
tuo atteggiamento nei miei confronti. »
Vorrei
saperlo anche io…
« Sono
solo gentile. – rimbeccò. – Cosa che non si può dire di te! »
Bella
arrossì vistosamente ed Edward non seppe se per l’imbarazzo o per
la rabbia. Probabilmente per entrambe. « Non mi piace quando
qualcuno si impiccia degli affari altrui. » obiettò lei.
Un punto
per lei… Lui stesso non poteva fare a meno di detestare tutti
quegli umani, ossessionanti, che costantemente tentavano di invadere
la sua privacy. Ciò nonostante lui non poteva dirsi altrettanto
sfacciato, anche se forse si stava rivelando estremamente più
subdolo, con i suoi continui sotterfugi. Per non parlare
dell’invadenza dimostrata durante i suoi appostamenti notturni,
alla sua finestra.
Questo
però lei non può saperlo. Ebbe
la sensazione che se fosse venuta a conoscenza di simili dettagli non
avrebbe esitato a picchiarlo con il copione che stava stritolando tra
le mani.
« Sto solo
cercando di conoscerti. – si giustificò, candidamente. – Non
credo ci sia nulla di male. »
« Io non
vengo certo a domandarti il perché del tuo sguardo tormentato. –
sbottò lei aspramente. – Gradirei che tu mi restituissi il favore.
»
L’espressione
sul viso di Edward divenne immediatamente stupefatta e, almeno per
qualche secondo, non ebbe la prontezza di ribattere. Se aveva intuito
che Bella fosse una buona osservatrice, doveva ammettere che non le
aveva dato abbastanza credito. La possibilità di scrutare nella
mente altrui gli permetteva di comprendere che mai nessuno era andato
oltre quella facciata di perfezione ed algida bellezza, su cui lo
sguardo umano generalmente si fermava.
No… Bella
era andata ben oltre.
Che il
tormento potesse essere palese nei suoi occhi, lo sconvolgeva.
« Io non
ho uno sguardo tormentato. » contestò, per nulla convinto, ancora
troppo scosso dalla rivelazione.
L’occhiata
di sufficienza che lei gli rivolse lo fece desistere da qualsiasi
obiezione. Non voleva certo offendere in qualche modo la sua
intelligenza. « Come vuoi! » esclamò, alzando gli occhi al cielo.
«Perché
lo credi? » le parole gli scivolarono via, senza controllo, dettate
dalla morbosa curiosità di penetrare nei recessi della mente della
sua interlocutrice.
Aveva
bisogno di sapere, di comprendere perché lei apparisse ai suoi occhi
tanto imperscrutabile, perchè la sua mente fosse muta, perchè lei
fosse in grado di cogliere quella parte di lui che cercava di
nascondere.
Lo
spasmodico desiderio gli attanagliava lo stomaco.
Aveva
vissuto un secolo crogiolandosi nel malessere, in una vita tra
menzogne ed incessanti lotte, per reprimere quel mostro che dentro di
sé gli rammentava costantemente quanto poco di umano fosse il lui.
Quanto la
sua anima fosse ormai perduta.
Talvolta
quando lo sconforto pone le sue radici a fondo, dentro di noi, non
riusciamo più a cogliere nel mondo alcuna bellezza. Ogni dolce
pensiero, ogni sentimento di gioia ha in sé un retrogusto amaro.
Quel lascito che il dolore trascina con sé infanga la mente,
vincolandola, assoggettandola.
Edward era
preda della sua intollerante angoscia, sempre.
Lo sguardo
di Bella si fece attento e profondo, così intenso che per un istante
fu costretto a distogliere gli occhi dai suoi. Si sentiva nudo,
dinanzi a lei, percepiva le sue emozioni completamente alla sua
mercé.
Vulnerabile…
« Non lo
so e non posso nemmeno permettermi di immaginarlo. – asserì,
seria, addolcendo il suo tono. - I drammi umani sono così vari e non
tutti vogliono rendere di dominio pubblico i propri problemi. Non mi
permetterei mai di indurti a parlarmi di qualcosa che desideri tenere
per te. Ciò non toglie che se qualcuno ha bisogno di un consiglio
disinteressato, io sono sempre disponibile. »
Sorrise, un
sorriso candido e genuino. Nessuna finzione, nessun artificio.
Perchè?
Edward non
potè fare a meno di avvertire il senso di colpa invaderlo. Aveva
tentato di violare la sua privacy per cogliere i suoi segreti, solo
per uno sciocco capriccio, per nulla interessato a quella persona
seduta dinanzi a lui. Voleva solo distrarsi…
Sono un
mostro.
« Non sei
d’accordo con me? » domandò, inclinando il capo, permettendogli
di immergersi nel mare liquido e scuro dei suoi occhi.
Espressivi,
profondi… sembrano celare molto più dell’animo di una semplice
adolescente, tormentata dalle sue piccole tragedie quotidiane. No…
c’è molto di più, ne sono certo.
« Sei una
persona interessante. » si lasciò sfuggire ed avvertì un’ondata
di compiacimento notando il rossore imporporare il suo volto.
Per un
momento immaginò il suo viso, non più scarno e pallido. Se lo
figurò florido, con le gote arrossate ed un sorriso sereno in volto.
I capelli lucenti e morbidi, lasciati ondeggiare al vento, ed una
tranquillità mai vista nei suoi occhi.
Non seppe
perché ma, un misto di inquietudine ed angoscia, gli straziò il
petto. Solo in seguito avrebbe scoperto il motivo di quello che
all’epoca sarebbe potuto essere interpretato come un presagio.
Ma in
quell’istante, bastò il dolce sorriso imbarazzato di lei a
dissipare dubbi e timori, spronandolo invece, per la prima volta, a
rimuginare su Bella, oltre che quel semplice capriccio.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Lol,
quasi non ci credo di essere finalmente riuscita a finirlo. Volevo
postarlo ieri, per il mio compleanno (posto sempre un capitolo al mio
compleanno XD non so perchè), ma non ci sono riuscita... quindi ve lo
lacio oggi. Mi scuso per l'attesa ma sono stata mortalmente indaffarata
a causa di un'esame che stato il mio incubo per 12 mesi e sono stata
così presa che l'ispirazione è andata a farsi un giro alle hawaai,
senza biglietto di ritorno. Cercherò in questi giorni di recuperare
come posso gli aggiornamenti... *O* questa ff avrà la priorità, perchè
ho deciso che avere 9 ff in corso contemporaneamente è una follia e che
quindi devo iniziare a concluderne qualcuna O.o mhm... spero di
riuscirci presto. Detto questo vi lascio alla lettura, ringraziandovi
come sempre delle bellissime recensioni a cui andrò a rispondere ora.
Un bacione. Manu ♥
Capitolo
8
I
giorni si susseguirono scanditi dalle prove. Edward per la prima volta,
nella
sua esistenza, provava sensazioni distanti dall’apatia. Trascorreva
gran parte
del suo tempo in un angolo dell’immenso teatro, provando le scene
principali
della rappresentazione.
Il
testo era stato scritto da uno dei ragazzi e, per quanto lo trovasse
scadente
in più punti, la situazione non si prospettava totalmente sgradevole
come aveva
inizialmente ipotizzato.
Al
contrario.
La
presenza di Isabella era una fonte di distrazione non trascurabile ed
il suo
strano comportamento, sommato ai suoi pensieri assenti calamitava su di
sé
l’attenzione del vampiro.
Anche
se nella più completa incoscienza.
Non
aveva avuto modo di convincere Isabella a prestargli maggiore
attenzione, lei
stessa era immersa nelle prove. Affabile si dedicava ad illustrare a
chi ne
avesse bisogno cosa fosse necessario ed al contempo si adoperava nelle
prove di
canto, quando ormai i turni del gruppo di recitazione erano terminati.
I
momenti in sua compagnia erano solo questo: per lo più silenzi e
musica, ma ad
Edward anche questo piaceva.
Desiderava
penetrare nella sua mente per cogliere i suoi più intimi pensieri, per
sedare
la sua trepidante curiosità, ma una parte di lui era lieta di
quell’alone di
mistero, perché tutto sommato, la sua compagnia, lo faceva sentire
umano.
Soffocando
quel suo dono che nell’ultimo secolo era stato suo compagno anche negli
istanti
in cui avrebbe preferito cavarsi il cervello pur di non percepire i
dolori, le
angosce e i problemi altrui, lei gli permetteva di restare solo con la
sua
mente, ma non nel corpo.
La
sua
presenza, osservare la sua figura intenta a camminare davanti e
indietro per il
teatro ripetendo le battute aveva un che
di confortante.
Ma,
soprattutto, amava quegli istanti in cui non c’erano che loro, perché
quando
tutti lasciavano il teatro lei accendeva lo stereo e la sua voce si
espandeva
nel silenzio della sala.
Soli.
In
quegli istanti Edward restava lì, ad ascoltarla, quasi senza respirare.
Si
godeva quelle note fluttuare nell’aria, assaporandole ad occhi chiusi,
perdendosi in esse e nella strana tranquillità che quel teatro vuoto e
quella
voce meravigliosa riuscivano a risvegliare.
Non
era
stato facile convincerla a cantare dinanzi a lui. Isabella si era detta
immediatamente contraria quando, riponendo il copione sulla poltrona,
si era
seduto in fondo alla sala, pronto ad ascoltarla.
A
convincerla era stata solo l’idea che prima o poi quella stessa sala
sarebbe
stata gremita di persone e che lei non avrebbe potuto rifiutarsi di
cantare
dinanzi a tutti loro.
Bhe,
dopo quelle parole Edward
aveva quasi temuto di vederla svenire dinanzi ai suoi piedi, tanto il
suo volto
era divenuto cereo dal panico, ma alla fine la paura aveva ceduto il
passo alla
razionalità.
Aveva
iniziato a cantare… per lui. O almeno
così gli piaceva credere, nonostante quel pensiero fosse folle. La
ascoltava
crogiolandosi nella inconsueta consapevolezza che in fin dei conti non
rifiutava la sua compagnia, come quella degli altri. A nessuno oltre
lui era
concesso essere lì, a nessuno oltre lui lei permetteva di avvicinarsi a
tal
punto da scorgere ciò che celava dentro di sé.
Nonostante
sembrasse non notarlo, o almeno non darvi peso, i suoi comportamenti di
giorno
in giorno divenivano meno riservati, le sue parole più spigliate e
dirette, il
suo sguardo meno sfuggente.
Non
rifuggiva dai contatti come un tempo. I sorrisi che gli rivolgeva, un
misto di
dolcezza e indulgenza, calamitavano il suo sguardo.
Essere
entrato nella sua vita, averle permesso di entrare nella sua vita…
anche se in
punta di piedi ed a passi esitanti, si stava rivelando per entrambi una
possibilità:
La
possibilità di condividere, anche solo i silenzi.
La
possibilità di condividere, anche solo la desolazione di quei luoghi
affollati
capaci di rammentare ad entrambi la desolazione della loro vita.
La
solitudine che come un macigno li braccava, impedendogli il passaggio
verso
qualcosa che la vita non aveva dato loro l’opportunità di conoscere.
Un
sibilo acuto riecheggiò improvvisamente, interrompendo bruscamente la
musica e
le elucubrazioni mentali di Edward.
Dannato
mangiacassette. Imprecò
tra sé.
Non
era
la prima volta che avveniva, al contrario quel rottame sembrava essere
sul
punto di esplodere da un’istante ad un altro, con il suo consueto
ronzio.
«Si
è
bloccato di nuovo.» mormorò Bella, china sul vecchio stereo messo a
disposizione della scuola, probabilmente dal giorno della sua apertura.
«Non
riuscirò mai a cantarla di seguito, di questo passo.»
Un
brontolio di irritazione proruppe dalla sua gola mentre si adoperava a
strattonare il cavo della corrente, cercando in qualche modo di far
ripartire
quel rudere ormai spirato a miglior vita.
Edward
si diresse verso di lei, scuotendo il capo divertito da quella scena.
Bella non
si alterava mai realmente, ma a quanto pareva anche la sua pazienza
aveva un
limite. Il suo sguardo si scostò verso
il pianoforte posto nell’angolo del palco, con i tasti ingialliti dal
tempo ed
un aspetto per nulla paragonabile al modernissimo strumento che
adornava la sua
camera.
Meglio
di nulla.
Si
disse, con una scrollata di spalle.
L’idea
di suonare per lei, di accompagnare la sua voce lo intrigava e lo
deliziava al
contempo. Si era sempre adoperato a comporre musiche e melodie che,
negli
ultimi tempi e grazie la rinnovata ispirazione, occupavano quasi tutti
i suoi
momenti liberi, ma mai aveva pensato di accompagnare una voce, di
suonare per e con qualcuno.
Eppure
in quell’istante desiderava davvero farlo, sperava che lei
acconsentisse
regalandogli quella possibilità di condividere qualcosa con lei,
qualcosa che
entrambi amavano: la musica.
Quello
che per lui era stato per tanti anni un regno privato, un luogo di
solitudine…
qualcosa in cui riversava le sue emozioni per poterle esprimere, quando
a
parole non gli era possibile.
«Pronta?»
domandò, accomodandosi.
Bella
sollevò lo sguardo, staccando sfinita la spina dell’infernale aggeggio
che
stava internamente maledicendo. Il sibilo cupo dello stereo non
premetteva
nulla di buono e i suoi tentativi rischiavano solo di peggiorare la
situazione,
concludendosi con un giro all’ospedale di Seattle. Come se non vi
trascorresse
abbastanza tempo.
Portò
finalmente la sua attenzione su Edward che le sorrideva da un angolo
del palco,
accomodato dinanzi al vecchio pianoforte di Willie. Il vecchio prete lo
aveva
donato alla scuola nelle sue ultime volontà testamentarie.
Era
l’unico oggetto realmente di valore che possedeva ed ormai si trovava
abbandonato ed inutilizzato da anni, ricoperto di polvere.
Che
spreco.
Pensò
contrariata.
«Che
stai facendo?» chiese circospetta, arcuando il delicato sopracciglio,
in
quell’espressione perplessa che lui le vedeva spesso dipinta in viso.
In quegli
istanti il bisogno di penetrare nella sua mente, per cogliere i suoi
pensieri,
lo scuoteva nel profondo. Il desiderio di carpire i suoi segreti, di
sapere
cosa quella mente muta pensasse di lui.
Cosa
vedeva?
Cosa
appariva al suo sguardo? Quel ragazzo dall’algida bellezza che non era?
Il
mostro che si celava dentro di lui? Una creatura incomprensibile, al
centro tra
due mondi, tra vita e morte?
Un
adolescente come tanti altri?
Avrebbe
dato qualsiasi cosa per saperlo ed altrettanto per non scoprire che lo
considerava alla stregua di tutti coloro che l’avevano derisa negli
ultimi
anni.
In
fin
dei conti molti dicono che ciò che desiderano è sempre e solo la
verità, nella
realtà dei fatti però quando essa non è esprime ciò che vogliamo non
siamo poi
tanto propensi ad ascoltarla.
Serriamo
gli occhi, cuciamo le labbra.
Ignoriamo
quasi sperando svanisca, con i suoi lasciti e la delusione che con sé
porta.
La
verità è un’arma a doppio taglio e
talvolta – forse - sarebbe meglio una
bugia.
«Io
suono e tu canti, cosa c’è di difficile da capire.» commentò sardonico,
tirando
un fazzoletto dalla tasca per ripulire il piano dallo strato di polvere
raggrumato sui tasti.
«Sai
suonare?»
Il
tono
di voce palesemente scettico lo irritò, come il prendere coscienza di
quanto
poco lei lo conoscesse, in fin dei conti. Se quella consapevolezza con
altri
era un sollievo, con lei era una cocente delusione. Edward non ne
comprendeva
il motivo, né la portata che tutto ciò aveva su di lui, ma era
infastidito da
quella realtà dei fatti.
Lei
era
al di fuori della sua famiglia, non sapeva dei suoi secoli di
solitudine, e
stranamente tutto ciò gli permetteva di sentirsi se stesso, senza il
peso di
quegli anni a gravargli sulle spalle.
Ciò
che
era prima che il mostro prendesse il sopravvento su di lui, derubando
la vita
altrui, compiendo peccati che avrebbe rivisto in eterno scorrere nella
sua
mente.
Con
te mi illudo di essere umano.
«Bella
stai perdendo tempo.» l’ammonì contrariato, sistemandosi meglio sullo
sgabello
logoro. «Sono già le sette e tra meno di
venti minuti il bidello verrà a chiederci di lasciare la struttura
scolastica,
quindi direi di iniziare, se non ti dispiace.»
Il
suo
sbuffo contrariato non gli sfuggì e con una certa difficoltà riuscì a
reprimere
un sorriso, imponendosi di non voltarsi per osservare la sua
espressione
irritata. Era soddisfacente sapere di essere uno dei pochi a riuscire a
strappare dal suo volto la maschera di pacata accettazione che
indossava
costantemente.
Nulla
pareva mai turbarla, nulla ad eccezione di lui.
Con
Edward, Bella veniva colta dalla frustrazione, dal sospetto,
dall’irritazione
per i suoi modi spesso insoliti e, nonostante lei non desiderasse
ammetterlo,
lui la affascinava.
Si
sentiva sciocca a subire lo charme di quel ragazzo idolatrato
dall’intera
scolaresca femminile, sebbene i motivi che la spingevano verso di lui
andavano
ben oltre quella mera superficialità sulla quale tutte loro si
fermavano.
Lei
sapeva che Edward era molto altro. Molto più che un superbo ragazzo di
buona
famiglia, tanto si celava al di là di quella apatia in cui si rifugiava
costantemente. Un cuore ed un animo tormentato da qualcosa che lei non
poteva
immaginare, nonostante quel desiderio di potergli arrecare in qualche
modo
sollievo che la sovrastava.
In
fin
dei conti lui la aiutava.
Pur
senza esserne cosciente, la sua presenza, era per lei una forza in
quegli
ultimi giorni. Malgrado la consapevolezza che il tempo scorreva sin
troppo
velocemente il poter trascorrere quegli istanti con lui, distraendosi
dai suoi
stessi pensieri, troppo presa a studiare il criptico comportamento del
suo
compagno, le permetteva di affrontare il nuovo giorno con un sorriso
meno
tetro.
Lui
era
una spinta a godersi quegli ultimi mesi.
Era
un
cambiamento a cui si aggrappava con tutte le sue forze, stringendo la
presa,
forse anche rinnegando il suo destino, per non auto annientarsi.
Era
un
tentativo di rivalsa, su quella vita che non le aveva inflitto che
pene, una
speranza forse di lasciare un segno dietro di sé e non solo dolore.
Con
un
sospiro sommesso, scostando nervosamente i capelli dal volto, scacciò
con
risolutezza quei pensieri.
Negazione.
Forse il suo tentativo non era
che questo, ma preferiva chiudere gli occhi all’abbattimento e al
dolore che l’avevano
fino ad allora logorata.
«Vediamo
cosa sai fare, maestro.» scherzò, dipingendosi in viso un sorriso
incerto.
Edward
annuì
soddisfatto, chiudendo gli occhi ed ispirando a fondo, visualizzando
nella sua
mente la melodia di quella canzone che negli ultimi tempi scorreva
continuamente
nella sua mente. Lasciò che le dita scivolassero sui tasti,
riproducendo quei
suoni familiare, in attesa che la voce di Bella si unisse ad essi.
Venne
trasportato in quella melodiosa alternanza di note che vorticavano nel
silenzio
della sala, fino a quando le labbra di Isabella non si schiusero e
tutto ciò
gli apparve assolutamente perfetto.
_________________________________________
Le
settimane trascorsero frenetiche,
susseguendosi velocemente, lasciando dietro di esse il fermento per le
prove e
l’organizzazione della recita. Le liti e le discussioni, le
contestazioni, gli
errori nelle scenografie, ma anche gli scherzi e le risa accompagnarono
quelle
giornate che alla fine anche per Bella risultarono più piacevoli di
quello che
avrebbe mai immaginato.
«
Finito! »
esultò Isabella sorridendo dolcemente. Avevano
appena terminato la scena centrale dell’opera teatrale. Edward aveva
avuto non
poche difficoltà ad impersonare un uomo innamorato, in fondo lui non
poteva
dirsi né realmente uomo né innamorato, e tutte quelle parole non gli
apparivano
che semplici insulsaggini. Nonostante ciò la presenza di Isabella
allietava
quei momenti. Aveva scoperto molto di lei, in quelle ultime settimane.
A
differenza di quello che molti pensavano era una ragazza estremamente
interessante. La sua dolcezza ed i suoi modi la rendevano estremamente
diversa
dalle altre. Grazie alle domande che le
aveva rivolto, aveva scoperto i suoi gusti e i suoi interessi, poco
conformi
alla sua età e forse più simili ai suoi di quanto lui stesso volesse
ammettere.
Amava
la lettura, la musica, aveva addirittura scoperto che era impegnata con
il
volontariato, all’ospedale di Seattle. L’aveva ammesso Carslie dopo che
aveva
ascoltato Bella parlare di suo padre con un tono dolce e sommesso che
gli aveva
permesso di intuire si conoscessero.
Quella
stessa sera, ritornato a casa, aveva chiesto spiegazioni a lui che lo
aveva
informato delle ore che Isabella trascorreva in pediatria. Non si era
sbilanciato molto nel racconto, limitandosi a poche e coincise frasi,
mentre i
suoi pensieri erano concentrati su un particolare caso clinico degli
ultimi
giorni.
Edward
si
era insospettito inizialmente per quel suo comportamento evasivo, ma
aveva poi
erroneamente attribuito il tutto alla preoccupazione per un altro
paziente.
Solo
in
seguito avrebbe scoperto la realtà dei fatti. Solo con il senno
di poi avrebbe potuto interpretare i silenzi di Carlisle, gli
sguardi vacui e tristi di Alice, le emozioni altalenanti di sua sorella
che
Jasper tentava in qualche modo di controllare.
Solo
il
tempo gli avrebbe illustrato quanto poco accorto era stato, quanto poco
avesse
valutato i dettagli così palesi dinanzi ai suoi occhi, sin dai primi
istanti.
Solo
poi
avrebbe avuto modo di pentirsi di aver
preferito non vedere.
Edward
le
sorrise debolmente sfogliando il copione per la scena successiva.
Isabella
lo osservò corrucciata persa in qualche riflessione che lui avrebbe
ardentemente desiderato cogliere, senza però averne la possibilità.
Erano tante
le cose che sembravano frullare nella sua mente, soprattutto come in
quell’istante,
quando si chiudeva in un silenzio meditabondo.
«
Non ti piaceva molto quella
scena, vero? »
domandò reclinando leggermente il capo e cercando di cogliere a pieno
le espressioni
che si dipingevano sul volto del vampiro.
Lui
annuì mestamente, increspando leggermente le labbra. «
Troppo smielato per i miei
gusti! »
confessò sinceramente. Per
qualche strano motivo quella ragazza era in grado di ispirargli
fiducia, forse
troppa, così talvolta si lasciava scappare frasi che perdevano la sua
solita enigmaticità.
«
Non credi nell’amore?! »
La sua più che una domanda
pareva un’affermazione, ed Edward si stupì di quelle parole così
semplici quanto
veritiere.
Annuì
senza poterlo evitare.
Lui
non
credeva nell’amore, o più precisamente non credeva che una creatura
come lui
potesse avere un simile privilegio. Non era che un essere dannato
dotato di un
cuore di ghiaccio. Aveva compiuto troppi peccati per poter sperare in
una
simile indulgenza del fato.
Avrebbe
vissuto la sua eternità cosciente della cruda realtà, senza illudersi
di poter
trovare qualcosa di inesistente. A cosa sarebbero valsi i suoi sforzi
di
attendere l’impossibile? La solitudine sarebbe stato l’unico modo per
espiare i
suoi mali e le sue pene.
«Tu
non
puoi capire.» asserì d’un tratto, rompendo il silenzio. Lei non poteva
comprendere quel secolo di sofferenza, trascorso a desiderare la morte
e la
fine, senza mai avere il coraggio di compiere quel passo.
Osservare
la propria famiglia cogliere la sua sofferenza e patire con lui la sua
angoscia, senza poter far nulla per mutare le cose.
Chiuse
gli
occhi, ispirando profondamente.
No…
lei non poteva capire.
Bella
lo scrutò. I tratti del viso tesi fino allo spasimo, i pugni stretti, e la totale desolazione che traspariva dal suo
sguardo vacuo, che pareva guardare ben più lontano di quella squallida
sala di
teatro, ormai vuota.
Perché?
«Cosa
non posso capire, Edward?» domandò gentilmente.
«La
vita fa schifo.»
«Ti
assicuro che questo posso capirlo benissimo.»
«
Non
credo.»
Lei
sorrise, piegando le labbra in una smorfia enigmatica.
« È piuttosto presuntuoso ipotizzare che
qualcuno non possa capire i dolori della vita quanto te. – lo ammonì
bonariamente - La vita è fatta di
dolori e sofferenze per tutti, per alcuni forse la loro portata sarà
inferiore
che per altri. Talvolta alcuni percepiranno un dolore che per noi
appare
effimero con una intensità che non possiamo comprendere e che forse
finiremo
per biasimare. Ma nessuno di noi ha il diritto di giudicare le
esperienze
sofferte degli altri. »
Edward
chinò il capo, sospirando sommessamente. «Non era quello che
intendevo.» tentò
di giustificarsi imbarazzato.
Lei
scrollò le spalle con noncuranza. «Non è questo l’importante. Ciò che
realmente
è fondamentale è cercare di capire che come molti sono in situazioni
migliori,
altri invece soffrono più di noi… ed è per rispetto verso di loro che
la vita
và affrontata con un sorriso sulle labbra. È per loro che non và
calpestata e
che bisogna combattere e godere.»
«Non
è
sempre così facile.»
«Nessuno
dice debba esserlo.»
Si
voltò a guardarla, mentre giocherellava
maldestramente con il bordo del maglione sformato che indossava. La
scrutò
vedendo in lei tutte quelle caratteristiche che a lui mancavano, quella
bontà d’animo
che agognava ma a cui non poteva aspirare.
Vedendo
in lei quella possibilità di redenzione, quell’opportunità di felicità
che fino
a quell’istante gli era parsa impossibile.
Dimentico
di ogni problema, titubanza o considerazione che poi in seguito
avrebbero
invaso la sua mente, riportandolo bruscamente alla realtà,
rammentandogli
quella natura dannata che per l’eternità lo avrebbe relegato su quella
terra a
patire, si chinò su di lei.
Portando
la mano sul suo viso, lasciando scorrere le lunghe dita sulle sue
guance
pallide, e seguendo i lineamenti morbidi ed il contorno delle sue
labbra piene,
la baciò.
Non
fu un
bacio irruente o passionale, no. Si accostò a lei con delicatezza come
fosse il
più fragile e prezioso dei cristalli. Assaporò quel contatto leggero,
inebriato
dal suo profumo speziato, dal calore delle sue labbra, dalla dolcezza
del suo
sapore, staccandosi sin troppo presto, quando un fremito parve
scuoterla,
rendendosi conto di quanto quel leggero sfiorarsi gli forse parso
giusto.
Un
alito
di vita, in quella sua esistenza più prossima alla morte, e non solo
nel corpo.
Si
allontanò
leggermente da lei, riaprendo gli occhi e puntandoli nei suoi, che gli
parvero
ugualmente scossi, desiderando quasi avvicinarsi nuovamente. Era stato
un gesto
impulsivo e sconsiderato, un atteggiamento che di norma non era solito
tenere,
ma non riusciva a pentirsene. Osservava le guance accaldate di Bella,
indugiava
lo sguardo sulle sue labbra ancora rosse per il bacio e di una sola
cosa
riusciva ad essere consapevole… voleva riaccadesse. «Io…»
Voleva
stringerla tra le sue braccia e godersi nuovamente quell’obnubilamento
dei
sensi, quell’esplosione di emozioni. La
voleva.
Il
perché
non gli importava. Lui la voleva.
«
Bella.»
Quel
solo
accenno roco parve riscuoterla completamente ed Isabella si ritrovò ad
indietreggiare di scatto, quasi spaventata. Edward osservò le mutevoli
espressioni attraversare il suo volto, dallo sconcerto,
all’inquietudine a
quella che tra tutte lo ferì maggiormente: il
pentimento. «Questo non è mai successo.» mormorò con voce
strozzata,
portandosi le dita alle labbra. « Un incidente, solo un incidente.»
No!
«Bella
non credo che…»
Quanto
velocemente si può cadere dal
paradiso al centro esatto dell’inferno?
Troppo
velocemente, prima anche solo di
riuscire a sbattere le palpebre.
Prima
anche solo di riuscire ad assaporarlo…
E
di certo, dopo quell’assaggio, l’inferno
sembrerà ancor più rovente.
«Devo
andare.» sussurrò lei tremante, afferrando la borsa prima di fuggire
via,
lasciandolo dietro di sé ad osservarla mentre correva via con
quell’accenno di
paradiso che gli stava strappando.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Buongiorno,
mi è morto il pc, mi è morto il cellulare e adesso ho da chiedermi cosa
sarà la prossima cosa ahahahah Mi scuso per il ritardo, stamane sono
finalmente riuscita ad avere il tempo per completare questo capitolo.
La bozza era conservata da un mese nella pen drive (fortunatamente ho
sempre tre copie della cartella ff, tra pen drive e hd, e non ho perso
quasi nulla con la morte del pc.) ma il tempo per terminarla proprio
non c'era. Stamane grazie al giorno di festa dal lavoro mi sono
finalmente messa in moto.
C'è da dire che questa ff sarà molto più breve delle mie solite... qui
già siamo ad un buon punto, più o meno dopo la metà, quindi suppongo
che in tutto non supererà i 16 capitoli. Non ne sono certa, questa è
una stima approssimativa. Bhe non aggiungo altro :) e vi lascio alla
lettura. Buona giornata ♥ e grazie a chi continua a seguirmi nonostante
tutto.
Capitolo
9
“In
noi, anche in età adulta, c’è sempre un
bambino. Esso alimenta le nostre paure,
le nostre speranze ed i nostri sogni. Si ciba della luce delle
illusioni e di
nasconde dal buio. Ci sprona a raggiungere vette a cui forse non
possiamo
aspirare, ma che ci permette comunque di giungere più lontano di quanto
ci
saremmo aspettati. Talvolta ci dona l’incoscienza, dove trovare
rifugio, quando
la realtà è troppo crudele per essere accettata.
Come
la nostra mente che dinanzi ad un
orribile spettacolo distorce la visione che abbiamo, troppo
raccapricciante per
poterla assorbire di colpo, così talvolta noi reagiamo, aggrappandoci a
quell’illusione e a quella parvenza di letizia, nella speranza di una
pace,
sebbene transitoria.
Perché
di una cosa si può essere certi…
nessuna illusione dura in eterno.”
Quella
sera Bella tornò a casa con un’espressione a tal punto sconvolta da
apparire
palese anche a Carlisle, che solitamente non era definibile un buon
osservatore. Ciò che era accaduto le pareva completamente insensato.
Non solo
perché aveva ricambiato quel bacio, nonostante fosse consapevole
dell’errore
che stava commettendo, ma anche e soprattutto perché non si sarebbe mai
attesa
un simile gesto da Edward.
Certo,
stavano istaurando un rapporto e lei era più che lieta di condividere
con lui
l’esperienza delle prove. La sua presenza le donava il coraggio di cui
aveva
bisogno ed i sorrisi scaltri che le riservava l’attraevano, ma nulla di
tutto
ciò spiegava quel bacio.
Che
lui
potesse provare anche solo attrazione fisica per lei le pareva
oltremodo
impossibile. Possedeva uno specchio e questo le rimandava l’immagine di
un
volto stanco e scarno, di labbra pallide e di un corpo dalle curve
appena
accennate. Nulla di paragonabile alle sue continue conquiste.
Che
fossero studentesse modello, allieve della squadra di atletica o dio
solo
sapeva che altro, condividevano tutte un bell’aspetto ed un
comportamento
spigliato.
Non
era
lui a cercare le loro attenzioni, mai.
Erano sempre loro a recarsi da Edward in cerca di considerazione.
Eppure
con lei stava agendo in modo completamente diverso.
L’aveva
cercata, sin dopo il loro primo incontro. Aveva tentato di istaurare un
qualche
tipo di rapporto con una perseveranza che nessuno aveva mai mostrato.
Era
difficile non sentirsi scoraggiati dagli atteggiamenti riservati di
Bella, e
lei ne era consapevole.
Quella
era la sua manovra per tenersi ai margini, fuori da quel mondo che
comunque
l’aveva cacciata già da tempo e che attendeva solo di compiere l’ultimo
passo
per strapparla alla sua vita. La solitudine non le piaceva, ma per lei
era
sempre meglio della pietà e soprattutto della consapevolezza che
affezionandosi
a qualcosa il distacco sarebbe stato ancora più doloroso.
Un
tocco leggero alla porta la distrasse dai suoi pensieri e Bella,
istintivamente, ritrasse le dita dalle labbra. Inconsapevolmente le
aveva
lasciate scorrere lì, dove quelle di Edward si erano accostate tanto
gentilmente. Il suo sapore ancora indugiava e con essa la sensazione
inebriante
che aveva scatenato quel contatto.
Inutile
negarlo, le era piaciuto.
«Papà,
entra!» lo esortò con un sospiro sommesso. Doveva smettere di lasciarsi
andare
a simili pensieri, si ammonì bruscamente. Qualunque fosse il
significato di
quel bacio a lei non restava che ignorarlo.
Non
è mai accaduto.
Il
volto di Charlie apparì oltre lo stipite della porta, con
un’espressione
volutamente leggera che cozzava con le rughe di tensione agli angoli
della
bocca. Povero Charlie, non riusciva a
permettergli un attimo di pace.
«Tutto
bene, piccola?» l’apprensione nel suo tono di voce non la sorprese,
affatto.
«Nulla
di grave, sono solo un po’ stanca e preoccupata per la recita. – mentì.
– Ma
una notte di riposo mi risolleverà completamente.»
«Se
non
te la senti potresti chiedere a qualcuno di sostituirti, nelle tue
condizioni…»
Lo
interruppe velocemente, scuotendo il capo con veemenza. « Non è
necessario, è
un’esperienza che voglio compiere…»
Non
lo
disse, ma quel “prima di morire”
restò in sospeso nell’aria, caricandola di tensione. Era la verità,
negli
ultimi tempi cercava di racimolare ciò che le era possibile, tutto ciò
che
poteva ancora fare e sopportare, prima che il dolore la costringesse
nel letto.
Un tentativo di attribuire un senso a quegli ultimi giorni che le erano
concessi, un po’ per sé ed un po’ per rassicurare Charlie del suo stato
mentale.
Ma
anche perché qualcosa le diceva che era giusto così.
«Papà
sul serio.» continuò, cercando di tranquillizzarlo con un’espressione
risoluta
che parve funzionare e che costrinse Charlie ad assentire.
«Forse
dovresti cenare. Se sei stanca ti preparo qualcosa.»
Bella
sorrise con indulgenza. «Non vorrei dessi fuoco alla casa. – replicò,
gettando
le gambe fuori dal letto. - tra poco scendo io e preparo qualcosa di
buono per
entrambi. Quindi tieniti lontano dal fornello e dal numero della
pizzeria.»
_____________
Il
giorno dopo Bella non si recò a scuola. Le tempie le pulsavano
dolorosamente e
la nausea che le scuoteva lo stomaco era forte a tal punto da
scatenarsi ad
ogni respiro. Piegata sulla bacinella deposta accanto al letto era
scossa da
tremiti violenti che la lasciavano spossata ed esausta, mentre pregava
per
avere un po’ di sollievo.
Aveva
trascorso la notte insonne, percependo un progressivo senso di
stordimento sino
a quando il suo corpo non aveva iniziato ad accusare il dolore. Avrebbe
dovuto
immaginarlo, si rimproverò tra gli spasmi, ma era stata a tal punto
distratta
dai suoi pensieri da non aver attribuito la dovuta importanza a quei
primi
sintomi.
Oddio.
Gemendo
afferrò il cellulare sul comodino, in quel caso sapeva cosa fare. Il
dottor
Cullen le aveva comunicato il suo numero personale, per poterlo
contattare
ogniqualvolta si presentava una simile emergenza. Charlie non era in
casa, non sarebbe
tornato prima di sera, e lei in quel momento non intendeva affatto
chiamarlo, scatenando
anche il suo allarmismo.
La
sua
ansia non avrebbe risolto la situazione e lei non poteva, in quelle
condizioni,
mascherare lo stato in cui verteva.
Spinse
con tutta la forza disponibile il numero cinque sulla tastiera del
telefono, il
testo sul quale aveva memorizzato il numero del medico. Ce
la posso fare, ce la posso fare, ce la posso fare. Si ripeté
come un mantra, nella sua mente annebbiata dal dolore.
È
una questione di volontà, è tutta una
questione di volontà.
«Dottore?
» rantolò quando la voce dall’altro capo del telefono rispose, dopo
appena uno
squillo. Per sua fortunata non fu costretta ad attendere
«Isabella.»
il tono colmo di apprensione la fece sospirare.
Le
parole che seguirono quella breve conversazione furono da lei appena
sussurrate, ma fortunatamente la prontezza di Carslie Cullen a cogliere
il
problema le permise di non sprecare parole non necessarie. I conati di
vomito
continuarono a scuoterla fino a quando la figura del medico non si
affacciò nella
sua stanza, chissà quanto tempo dopo. La testa le vorticava a tal punto
da
renderle difficile ogni reale percezione di ciò che la circondava,
all’infuori
del dolore.
Non
gli
chiese come fosse entrato ed in realtà quel pensiero nemmeno la sfiorò.
Si
lasciò placidamente visitare, con quello sguardo vacuo e appannato, che
le
impediva di cogliere ciò che realmente stava accadendo, almeno sino a
quando
non si abbandonò al sonno.
____________________
Era
stanca, spossata e completamente intontita dai medicinali. Quella
mattina
Charlie aveva insistito per accompagnarla lui stesso a scuola, quando
le sue
suppliche per farla restare a casa erano cadute nel vuoto. Forse
avrebbe dovuto
ascoltarlo.
Il
ricordo del giorno precedente aveva i contorni sfocati, così come i
suoi
pensieri. Rammentava poco o nulla delle ore di fuoco che aveva
trascorso
attanagliata dal dolore, e probabilmente questo era un bene.
«Ieri
non sei venuta a scuola.»
Bella
sobbalzò per lo spavento, dinanzi a quello sguardo torvo che la fissava
a poca
distanza. Edward.
«Mi
dispiace di averti sconvolta e mi rammarico della mia impulsività, ma è
stato
estremamente infantile da parte tua cercare di evitarmi.» continuò
imperterrito,
passandosi una mano tra i capelli bronzi. Era un evidente gesto misto
di stizza
ed imbarazzo, che le fece quasi tenerezza. In fin dei conti era un
bravo
ragazzo, molto più sensibile di quanto la gente si desse pena di
credere.
Forse
la bellezza che trovavano in lui era anche in quella percezione di
irraggiungibilità, quell’alone di etereo ed evanescente che lo
avvolgeva.
Sembrava
troppo bello e perfetto per essere vero, capace di svanire al primo
tocco. Impalpabile. Probabilmente lui stesso
alimentava quell’idea che, contrariamente alla sua natura, gli
permetteva di
mantenere delle distanze.
Ma
Bella in Edward vedeva più calore di quanto lui non facesse o
desiderasse
ammettere, forse perché andava oltre l’apparenza o forse perché lui le
aveva
permesso di conoscerlo molto più di quanto egli stesso si rendesse
conto. Le
aveva dato accesso ai suoi pensieri, con quelle frasi sfuggite alla
consapevolezza
grazie a quella calda intimità nata tra loro, che lui stesso aveva
alimentato.
Entrambi
traevano dalla compagnia reciproca un’insolita sensazione di pace, o
almeno era
così prima che quel bacio scuotesse quel loro equilibrio.
Per
quanto
non volessero pensare a ciò che era accaduto, chi per un motivo e chi
per un
altro, la tensione aleggiava tra loro come una corrente carica di
parole non
dette e desideri non repressi. Lo sguardo di Edward, se pure
imbarazzato, cadde
spesso sulle labbra di lei, rammentandone il sapore ed il calore. Era
stata una
sciocchezza e ne era consapevole, ma non per questo il suo desiderio
veniva
mitigato. Al contrario.
Ad
ogni
ammonimento che si rivolgeva e ad ogni sguardo la consapevolezza di ciò
che non
avrebbe potuto più avere lo avvolgeva in una morsa, spronandolo a
prendersi ciò
che la sua natura di vampiro in accordo con quella umana, reclamava.
Bella
era sua, quelle labbra erano sue,
quello sguardo dolce ed intrigante erano suoi.
Aveva
appurato
come quel contatto fosse riuscito a sciogliere in parte quel velo di
ghiaccio
attorno alla sua mente ed al suo cuore e come, assurdamente, gli avesse
concesso di provare qualcosa.
Uno
sfavillio
di sensazioni nuove e calde, che ancora bruciavano quando la mente
correva a
quel pensiero.
Come
per
Bella, del resto.
La
ragazza continuò ad osservarlo con un interesse quasi ossessivo,
studiando la
miriade di emozioni che passavano sul suo volto ed il suo sguardo
sfuggente. Era difficile, come invece
stava avvenendo in quel momento, veder svanire sul suo volto
quell’espressione
di algida bellezza, di imperturbabilità e, si, anche glaciale
indifferenza che
tendeva ad ostentare.
Per
lui
il controllo era tutto.
La
sua
maschera era tutto… e, nonostante Bella non sapesse cosa volesse
celare, aveva
ormai compreso che si nascondeva dietro di essa.
C’era
qualcosa di stranamente fragile in lui, un qualcosa che non voleva
mostrare e
che lei avrebbe voluto sapere.
Smettila
con questi sciocchi pensieri.
Dimentica.
Un
sospiro sommesso le sfuggì dalle labbra. Il dosaggio delle medicine era
notevolmente aumentato ed almeno per i primi giorni, la sensazione di
stordimento sarebbe stata quasi assoluta.
«Non mi sentivo bene.» replicò placidamente, senza neppure
sforzarsi di
mentire. Sarebbe servito a poco e quella mattina non riusciva a pensare
abbastanza lucidamente per giustificarsi senza concedergli almeno uno
spicchio
di verità.
Fu
allora che Edward la osservò finalmente, non con quello sguardo sfocato
dall’irritazione, notando quanto lei fosse pallida, molto più del
solito. I
suoi occhi velati sembravano quasi distaccati.
Oddio!
«Cosa
ti è successo?» domandò. Pervaso da un senso di terrore si avvicinò di
scatto
afferrandola per le braccia, quasi temendo di vederla cedere da un
istante
all’altro. «In questo stato non avresti dovuto nemmeno uscire di casa.»
«Sto
bene. – mentì automaticamente, per quel riflesso condizionato che si
era
risvegliato negli ultimi anni. – E poi se fossi mancata per ben due
giorni
avresti scardinato la porta di casa mia, per riportarmi a scuola. »
ironizzò
cercando inutilmente di smorzare la tensione. Peccato che l’ansia di
Edward
fosse palpabile e che probabilmente avesse ragione, quel giorno avrebbe
dovuto
trascorrerlo a casa. La professoressa Cronfort avrebbe capito ed un
giorno in
meno di scuola non avrebbe mutato nulla, se non fosse stato per il
bisogno di
rivedere lui.
Ci
aveva rimuginato tutta la notte, distesa in quel letto dove aveva
trascorso l’intera
giornata. Aveva riflettuto sulle implicazioni di quel bacio mentre il
suo
sguardo dolente scivolava verso la busta contenente i risultati delle
analisi. Inequivocabili.
Il
progredire della malattia si era notevolmente accelerato, come
dimostrava la
soglia del dolore e la necessità di assumere una quantità di
antidolorifici
nettamente superiore al solito. Solo questo avrebbe dovuto allarmarla,
se ne
avesse avuto la forza, ma quei risultati erano la prova concreta del
fatto che
non potesse attendere oltre.
La
recita era prevista per la settimana seguente ed il giorno dopo lei
sarebbe
partita per casa di sua zia. Charlie l’avrebbe seguita qualche tempo
dopo, per
la necessità di sistemare gli ultimi dettagli alla stazione di polizia.
Stava
per abbandonare tutto, compreso Edward, e per qualche strano istinto
che
rasentava il masochismo, desiderava trascorrere con lui il più tempo
possibile,
prima della partenza.
Sciocca,
così la separazione sarà ancora
più dolorosa.
Cosa
credi di fare? Te ne andrai lasciando
dietro di te solo un caos da cui finirai per scappare.
«Ormai
sono qui e rischiamo di fare tardi in aula.»
«Ti
riaccompagno a casa!» esclamò Edward risoluto, interrompendola con
veemenza.
«Non so che razza di influenza tu abbia, ma è chiaro che hai bisogno di
riposo
e soprattutto di un medico. Chiamerò mio padre perché ti venga a
visitare.»
Un
lampo di paura attraversò i suoi occhi all’istante, mentre le
implicazioni di
quella telefonata si rivelavano come un pugno allo stomaco,
provocandole un
ulteriore attacco di nausea. Avrebbe
scoperto tutto.
«Bella.»
«Devo
solo andare a casa. – rantolò. – il mio medico mi ha visitato ieri e mi
ha
prescritto dei medicinali, non c’è bisogno di ulteriori medici.»
Lui
annuì grave, sfilandosi la giacca pesante per poggiarla sulle sue
spalle.
Nonostante non fosse una giornata particolarmente fredda Isabella
sembrava
necessitare di qualsiasi fonte di calore disponibile. I brividi che le
scuotevano il corpo non premettevano nulla di buono e non voleva
vederla
peggiorare ulteriormente. Il senso di protezione che aveva risvegliato
in lui
fu capace di stordirlo per la sua insolita intensità. Non era solito
preoccuparsi per qualcuno all’infuori della sua famiglia, ma Bella… lei
era
umana, così fragile e delicata, capace di infrangersi come uno di quei
bellissimi cristalli che Esme si ostinava a collezionare, nonostante
Emmett ne
avesse distrutti gran parte.
Bhe,
Bella
ai suoi occhi era altrettanto fragile.
Altrettanto
pura… e altrettanto bella.
Una
bellezza per nulla convenzionale, particolare del suo genere,
affascinante come
i sorrisi enigmatici che gli rivolgeva. Lei era questo: una mescolanza
di
mistero e di intrigante purezza.
«Non
c’è bisogno.» protestò debolmente, pronta a rendergli la pesante
giacca, quando
il suo sguardo risoluto la fece desistere.
«Smettila,
io non ne ho bisogno, tu si.»
Con
un
sospiro sommesso annuì, lasciandosi scortare sino a casa, dopo aver
strappato
il permesso alla signora Coope, della segreteria.
Salirono
in auto, in assoluto silenzio. Edward guidò piano, gettandole di tanto
in tanto
occhiate furtive e preoccupate. Non era sciocco, se prima la
convinzione che
avesse qualche problema si era accidentalmente affacciata nella sua
mente, in
quell’istante ne fu certo. Si domandò se Alice fosse a conoscenza del
suo stato
di salute e se non fosse relativo a questo il suo riserbo.
Ma
per
quale motivo nascondergli una simile informazione?
Sarebbe
stato sciocco, considerando che Carlisle era uno dei migliori medici
dello
stato e che avrebbe potuto aiutare Bella a rimettersi in sesto.
Impossibile.
Con
un
sospiro scacciò quei pensieri, dandosi del paranoico, mentre accostava
l’auto
sul vialetto di casa sua. All’interno della piccola struttura non vi
era alcuna
persona e nessun pensiero che potesse rivelargliela.
«Tuo
padre a che ora tornerà?» domandò d’impulso.
Bella
sbatté le palpebre sorpresa da quella domanda, notando però che
l’assenza delle
auto sul vialetto poteva avergli suggerito l’assenza di Charlie.
«Stasera
suppongo. »
Lo
vide
annuire prima che si apprestasse ad uscire dall’auto diretto verso la
sua portiera,
porgendole una mano per aiutarla a scendere.
«Edward
sto bene, sono ancora in grado di camminare fino a casa mia. – lo
schernì con
un sorriso, deliziata però dalle sue premure. – Ti ringrazio per avermi
accompagnata.»
«Resterò
con te fino all’arrivo di tuo padre.»
«Non
è
necessario.» ribattè velocemente, non voleva lui assistesse ad una
delle sue
possibili crisi, né che fosse presente all’arrivo di Charlie potendo
notare la
sua espressione distrutta.
«Non
era una domanda, era una semplice constatazione.»
Inclinò
il capo, sorpresa da quel suo atteggiamento inconsueto. «Piuttosto
insolente da
parte tua presumere che io accetti.»
«Se
c’è
in gioco la tua salute puoi darmi dell’insolente, dell’invadente e
tutto ciò
che desideri, non ho intenzione di lasciarti da sola fino all’arrivo
dello
sceriffo.» sentenziò senza il minimo accenno di incertezza, mentre
richiudeva
la portiera della sua volvo.
L’allarme
fu inserito ed il suo consueto bip riempì il silenzio, mentre i passi
sicuri di
Edward si dirigevano verso il portico di casa Swan.
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Capitolo
10
Bella
seguì Edward fino al portico, cercando
di ignorare la sensazione di disagio che l’avvolgeva. Temeva un altro
attacco
come quello del giorno precedente, temeva di aver lasciato in giro il
risultato
dei nuovi esami, per qualche oscuro motivo non riusciva in alcun modo a
rammentare dove potessero essere. Tutto le appariva come un potenziale
pericolo
per il suo segreto, accelerando il suo battito ed aumentando
inevitabilmente il
senso di nausea che le attanagliava lo stomaco.
Un
circolo
vizioso, smettila di pensare. Andrà tutto bene. Tentava
invano di rincuorarsi, ma
inutilmente. Pensava a suo padre, al suo ritorno a casa, ad una
possibile
telefonata di sua zia che predisponeva ogni cosa per il suo arrivo. Dal
giorno
precedente chiamava ogni ora, per assicurarsi del suo stato,
utilizzando come
scusa il voler conoscere il suo colore preferito per le lenzuola o per
le tende
della camera degli ospiti.
Come
se tutto ciò per lei avrebbe avuto
importanza, una volta bloccata in quel letto, incapace di comprendere
realmente
ciò che l’avrebbe circondata.
Superfluo.
Ma
come suo padre anche la zia tentava in
qualche modo di far apparire il tutto meno drammatico, meno disperato.
Forse è
nella natura umana negare sino all’ultimo istante, sino all’ultimo
respiro.
Dinanzi alla tragedia la mente prova ad elaborare possibilità
inverosimili a
cui aggrapparsi, nonostante la consapevolezza della loro vacuità.
«Tutto
bene?» domandò Edward, con le mani
nelle tasche, e il volto voltato verso di lei. Avrebbe dato qualsiasi
cosa pur
di penetrare nella sua mente, cogliere anche un unico sprazzo di
pensiero, per
comprendere, per scoprire cosa finalmente lei tentava di celargli con
tanta
ostinazione. Per la prima volta nella sua esistenza si trovava dinanzi
ad ad un
enigma e per la prima volta desiderava ardentemente giungere alla sua
soluzione. Aveva sempre considerato gli umani troppo semplici, in
particolar
modo gli adolescenti. Creature spinte esclusivamente dai loro ormoni, i
cui
comportamenti seguivano specifiche logiche.
Semplici
e a modo loro lineari.
Bella
no.
Lei
rifiutava ciò che gli altri agognavano.
Lei
preferiva la solitudine, alla popolarità.
Perché?
«
Bella?» la esortò nuovamente, dinanzi al
suo silenzio.
«Si.»
pigolò, torcendosi le dita, assalita
dal timore. «Ma credo che dovrei riposare. Ti ringrazio di essere qui,
ma non è
necessario, sul serio.»
Edward
scosse la testa esasperato. Se avesse
saputo quanto spesso le aveva fatto visita, durante la notte,
probabilmente non
sarebbe stata tanto riluttante a farlo entrare. O forse avrebbe urlato
al
maniaco, scappando da lui a gambe levate.
Possibilità
tutt’altro che remota.
«Non
è il caso che tu… » le parole furono
interrotte dal trillo del cellulare nella sua tasca, che segnalava un
messaggio, con una suoneria sconosciuta.
“Lasciala
in
pace, non ha bisogno di compagnia, mentre tu avresti bisogno di
nutrirti. Veglierò
io su di lei, mi apposterò fuori dalla sua camera, fino all’arrivo di
Charlie.
Ps:
Non
cambiare suoneria, questa è personalizzata per me. E per rispondere
alla tua
domanda, che non mi hai ancora posto… mi merito una suoneria
personalizzata perché
sono la tua sorellina preferita.”
Non
aveva bisogno di controllare il mittente
di quel messaggio, per scoprirne l’origine. Alice era l’unica persona
in grado
di tormentarlo in quel modo con le sue stranezze e avrebbe desiderato
mandarla
al diavolo, con parole che solitamente non erano parte del suo
vocabolario
quotidiano, ma il timore di una sua visione lo bloccò come al solito.
Effettivamente
era affamato e da tempo non si nutriva adeguatamente. Questo avrebbe
potuto
spingerlo a compiere qualche atto atroce, come assalire Bella.
Sarebbe
bastato un minuscolo taglio per
risvegliare la belva dentro di lui.
Un
unico insignificante incidente a decidere
tra la vita e la morte.
«Edward?»
il tono preoccupato di Bella lo
risvegliò dalle sue elucubrazioni, costringendolo ad alzare lo sguardo
su di
lei. Le labbra si incresparono in una smorfia, mentre annuiva, cedendo
alla
richiesta di Alice.
«Ok.
Ma, per favore, riposa.» borbottò in
tono di ammonimento, prima di allontanarsi e raggiungere la sua auto.
Avrebbe voluto
salutarla, chinandosi su di lei ed assaporando nuovamente le sue labbra
come il
giorno precedente. Avrebbe voluto stringerla, abbracciarla, per
assicurarsi lei
fosse reale e solida.
Avrebbe
voluto accarezzare la sua pelle cerea
e fredda, riscaldandola nonostante il suo corpo gelido come il marmo.
Ma
ovviamente non fece nulla di tutto ciò.
cit
“Il vero amore
ti può cambiare la vita: lascia che sia il cuore a condurre i tuoi
passi.!”
Il
giorno della recita finalmente giunse. Gli
attori erano in fibrillazione nascosti dall’ampio sipario in velluto
rosso,
correndo tra le quinte per ultimare gli ultimi ritocchi. Chi per il
trucco, chi
ripeteva le battute incespicando sui medesimi passi. Edward invece,
seduto su
di una morbida poltroncina e con il capo reclinato, tentava di
rilassarsi, ma il
motivo della sua ansia era ben diverso da quello dei presenti.
A
discapito di ogni sua convinzione la recita
aveva portato con sé una consapevolezza che non si sentiva pronto ad
accettare.
Quei momenti trascorsi in compagnia di Isabella, le loro conversazioni
che gli
avevano rivelato una mente acuta ed interessante, la dolcezza dei suoi
gesti ed
il calore che il suo solo sguardo riuscivano a trasmettergli lo avevano
destabilizzato. Quella amicizia, per quanto folle potesse apparirgli,
gli era
divenuta fin troppo cara e purtroppo ancora per poco avrebbe potuto
fingere che
dietro quel suo interessamento non ci fosse ben altro.
Il
suo cruccio però in quel momento
riguardava soprattutto il bacio che avrebbero dovuto scambiarsi quasi
al
termine della rappresentazione. Certo, sarebbe dovuto essere un
semplice
sfiorare, la professoressa aveva spiegato ad entrambi non fosse
necessario
provare il bacio, comprendendo la riluttanza di Isabella.
Il
colorito del suo volto diveniva, ogni
volta che si accennava a quella scena, di un intenso ed acceso rosso ed
il suo
sguardo diventava quasi sfuggente. Edward avrebbe desiderato poter
penetrare la
sua mente e comprendere il motivo di una tale esitazione. Ogni ragazza
desiderava essere al suo posto, ma lei no. E tutto ciò non faceva che
agitare
ulteriormente Edward.
Rammentava
il bacio che si erano scambiati
tempo prima, un bacio che lei aveva ricambiato, ma del quale non
avevano mai
riparlato. Ogniqualvolta lui aveva tentato di intavolare l’argomento
lei lo
aveva abilmente deviato, tentando di distrarlo, fino ad indurlo a
desistere. Era
ovvio non volesse rovinare quell’amicizia con un rifiuto. Non
necessitava del
suo dono, per comprendere una cosa tanto basilare.
Peccato
che, per qualche oscuro motivo, lui
non riusciva ad arrendersi a quella constatazione.
Avrebbe
voluto corteggiarla, avrebbe voluto
tentare di attirare la sua attenzione non più come semplice amico, ma
ogni
proposito con lei pareva cadere nel vuoto e sua sorella Alice non lo
aiutava di
certo.
Che
fosse una telefonata, un compito
improvviso, una comunicazione urgente tramite l’interfono della scuola…
lei
riusciva ad impedire qualsiasi approccio. Peccato non si desse la pena
di
illuminarlo sul motivo del suo comportamento.
Ma
forse lui era a conoscenza del motivo,
tanto scontato.
La
sua
mortalità. Gli
rammentò la
sua mente, sottolineando ciò che era ovvio. Naturalmente Alice era
consapevole
che lui, sebbene probabilmente innamorato, non l’avrebbe mai
trasformata in un
mostro.
L’avrebbe
amata forse per qualche anno, per
poi osservarla a distanza, attendendo l’inesorabile fine.
Lei
avrebbe sposato qualcuno, avrebbe avuto
dei bambini… e lui avrebbe sofferto in un angolo, ai margini della sua
vita. Un
invisibile presenza pronta a salvaguardare la sua vita, ma incapace di
farne
parte.
Lei
forse lo avrebbe ricordato come un amore
liceale, se gli avesse dato la possibilità di divenire più che un
semplice
amico, o forse semplicemente lo avrebbe dimenticato. Proprio come il
nome dell’insegnante
di matematica oppure il numero di componenti della banda della scuola.
Dio…
Come si era ridotto in quello stato? Dove
era il suo atteggiamento distaccato e freddo, che aveva ostentato con
ogni
donna incespicata sul suo cammino?
Ma
la risposta era semplice: Bella era
diversa, da tutto ciò che aveva conosciuto nella sua lunga esistenza.
Se ne
sentiva inevitabilmente attratto e ciò lo aveva condotto spesso, nelle
ultime
notti, nella stanza di quella ragazza. Vederla dormire era
interessante,
mugugnava frasi sconnesse. Edward si compiacque di poter udire tanto
spesso il
suo nome, conscio che il suo volto popolasse i sogni di Bella. E dal
sorriso
dolce che increspava le sue labbra in quel momento poteva esser quasi
certo non
si trattasse di incubi.
«
Edward, è ora! » la
professoressa reclamò la sua attenzione e lui svogliatamente si alzò,
consolandosi del fatto che nelle prime scene lei non sarebbe apparsa e
lui
avrebbe avuto il tempo necessario per scacciare ogni pensiero molesto
che la
sua mente partoriva. O almeno era ciò che invano sperava.
Fece
il suo ingresso come da copione,
recitando la sua parte con grande maestria. Essendo abituato a fingere
in ogni
istante della sua esistenza, non trovava alcuna difficoltà
nell’immedesimarsi
in quel personaggio. Ciò però non gli impedì di cogliere i pensieri
derisori di
suo fratello Emmett dal pubblico, molti dei quali volti a scatenare la
sua
ilarità nel mezzo delle scene più drammatiche. Alice invece si
deliziava
dell’interpretazione del fratello, gongolando felice per averlo
incastrato in
una delle sue solite trappole. Eppure i pensieri di sua sorella
continuavano ad
essere piuttosto criptici. Era certo celasse qualcosa dietro le
immagini dei
nuovi vestiti che avrebbe presto acquistato, ma in quell’istante non se
ne
curò, troppo preso dai suoi problemi.
Per
un momento temette che avesse avuto
qualche visione riguardante il bacio che avrebbe scambiato quella sera
con
Isabella, ma era certo che, se fosse stato così, lo avrebbe di certo
avvertito.
Speranza
alquanto vana la sua, ma che riuscì
a tranquillizzarlo sino al termine delle sue scene, nel primo atto.
«
Edward, sei pronto? Tra qualche minuto
riapriranno il sipario. »
la flebile vocina di Isabella lo distolse dalle sue elucubrazioni. Si voltò verso di lei soffermando il suo
sguardo più del dovuto, ammirando le morbide forme della ragazza
avvolte in un
grazioso vestito. Non vi erano state prove con gli abiti di scena, nei
giorni
precedenti e fu una vera sorpresa scoprire quale fosse il suo vestiario.
«
Sei bellissima! »
esclamò senza poterlo evitare.
Il
viso di Isabella si imporporò come era
solito, rendendola agli occhi del vampiro ancora più deliziosa. «
Grazie. – biascicò intimidita. – Pronto per
riprendere? »
Lui
asserì con il capo. «
Un po’ preoccupato. »
ammise.
«
Perché? »
domandò lei non comprendendo. Edward era realmente bravo e non riusciva
a
comprendere come potesse provare timore.
«
Non credo di essere in grado di interpretare
la parte dell’innamorato. – confessò volgendo il suo sguardo sul
sipario rosso.
– Non credo di essere mai stato innamorato. »
Fino
ad ora, aggiunse la sua mente, smentendolo. Ma lui non poteva
permetterselo, il suo amore sarebbe stato sbagliato e deleterio per
l’oggetto
delle sue attenzioni e Bella era sin troppo fragile per poter
sopportare tutto
ciò che avrebbe inesorabilmente trascinato nella sua vita. Non poteva
far altro
che negare quel sentimento, fingendo non fosse mai esistito, che fosse
solo
frutto della sua fantasia.
Eppure
la scrutò sottecchi, osservando
l’espressione sbigottita di Bella che man mano si addolcì rivolgendogli
un
sorriso bonario. «
Non si può non sapere se si ha amato o meno.
– asserì convinta. – o si ama o non si ama. »
«
Allora non ho mai amato. »
replicò mesto.
La
vide scuotere il capo. «
Io non credo! – affermò risoluta. – Sospetto
più che altro che sia tu a non volerlo credere, e lo dimostra la tua
precedente
titubanza. »
«
Io
non posso amare! »
«
E
perché non potresti? Tutti possono amare Edward.» lo redarguì lei,
piegando le
labbra in quel sorriso indulgente che gli rivolgeva di tanto in tanto.
«Solo
che molti preferiscono non farlo, vuoi per paura, vuoi perché sanno che
non
avranno la possibilità di godersi quei momenti.»
«Io
semplicemente non posso.»
Scosse
il capo, esalando un respiro sommesso. «Tu sei una persona fortunata
Edward,
hai la possibilità di godere a pieno ogni giorno della tua vita, senza
la
aberrante certezza che tutto avrà fine a breve. Pensa a chi non ha la
tua
stessa fortuna.»
Il
vampiro si gelò sul posto, scrutando sbigottito l’espressione assente
sul volto
di Bella ed assimilando quelle parole senza più riuscire a respirare.
Parlava
della sua eternità? Come poteva essere a conoscenza della sua natura
immortale?
Non aveva mai dato segni di aver compreso cosa ci celasse dietro il suo
pallore
o al di là di quei sorrisi stentati per nascondere i canini.
«Non
capisco di cosa parli.» borbottò sulla difensiva.
Isabella
parve riscuotersi, sistemandosi un ciuffo di capelli invisibile, in
quel gesto
nervoso che compiva automaticamente quando si sentiva a disagio. «
Dobbiamo
andare.» asserì, prima di svanire dietro il tendaggio rosso.
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Ed eccomi qui, dopo secoli, con un nuovo capitolo di questa storia...
che ormai si avvia alla sua conclusione. Credo che manchino due o
tre capitoli!
Un bacione a tutti coloro che ancora seguono XD Se ci sono! ahahah
Isabella osservò
il sipario, con
palese riluttanza, ripensando alla conversazione appena conclusa, con
Edward.
Come simili parole potessero aver abbandonato le sue labbra, proprio
non lo
comprendeva. Aveva colto, nella sua voce, quell’amarezza che aveva
sempre
celato, conscia di non poter mutare la realtà. O almeno tentando di
mascherarla
a tutti coloro che la amavano. Perché recargli ulteriore dolore? Perché
costringerli a sopportare la vista della sua angoscia, del suo
annichilimento,
quando ben presto sarebbero stati sopraffatti dalla sua perdita?
Ma
la morte non attende, non ha alcuno scrupolo. Per lei l’età non conta,
proprio
come la bontà di chi reclama. Le sue vittime sono scelte come in un
gioco, con
una casualità aberrante, alla quale non ci si può opporre.
-E tu lo sai,
ormai ne sei
consapevole. Lo hai accettato, da tempo. – Eppure, in quel momento,
quelle
parole e quelle rassicurazioni scivolavano su di lei, vacue e prive di
senso.
Perché, in fin
dei conti, si può
davvero accettare un destino simile?
Bella,
malauguratamente, temeva
di no.
Ciò nonostante
quello non era
certo il momento adatto per perdersi in simili elucubrazioni, non se
desiderava
la buona riuscita di quella rappresentazione. Sino a quell’istante
tutto aveva
avuto una perfetta collocazione. Gli attori si erano mossi sul
palcoscenico con
sorprendente maestria e nessuno aveva notato il cambiamento nelle
battute di
Billy, che si era abbandonato all’inventiva, in preda al panico.
Fortunatamente, seppur tremando, il ragazzo aveva dimostrato una certa
abilità
ed era stato accolto, dietro le quinte, dal sorriso bonario e divertito
della
professoressa e da pacche sulle spalle, dai suoi compagni.
Il cameratismo
instauratosi tra
tutti loro, negli ultimi mesi, era stato poi un motivo di grande
orgoglio per
tutti.
Ed… Edward. –
difficile
trattenere il sospiro sommesso che, in quell’istante, abbandonava le
sue
labbra. Difficile anche scacciare la consapevolezza di quanto aveva
errato, in
quegli ultimi tempi. Si era ripromessa di non avvicinarsi a nessuno, di
non
cedere al fascino di quel ragazzo dagli occhi color oro, di non…
innamorarsi?
Sobbalzò, dinanzi
a quel
pensiero, guadagnandosi un’occhiata incuriosita dal soggetto delle sue
elucubrazioni, che accanto a lei attendeva di poter scivolare
finalmente sul
palco. Ma Bella ignorava la muta domanda riflessa nel suo sguardo,
volgendo la
sua attenzione sulle file di spettatori, concentrandosi su quei volti
conosciuti e sul vociare sommesso levatosi nella sala.
Purtroppo
l’amore è un lusso… ed
un lusso non è per tutti.
«Al termine della
rappresentazione avremo qualcosa di cui discutere.» Le aveva appena
pronunciate
e subito pentito la osservava. Non voleva imporle la sua presenza, ma
tutta la
pazienza di cui si era sempre vantato in passato, in quel momento, gli
pareva
una vera e propria chimera. Edward detestava scorgere Bella sempre
pronta ad
eludere il suo sguardo, a negargli la vista di quegli occhi espressivi,
color
cioccolato. Odiava dover pendere dalle sue labbra, tentando di
strapparle una
qualche parola, per cercare di cogliere l’intensità di quei pensieri,
che
talvolta sembravano assolverla.
Proprio come in
quel momento.
Impossibile non notare l’espressione di lei adombrarsi e le sue dita
stringere,
con veemenza, la meravigliosa veste. –
Perché? –
«Ci saranno i
festeggiamenti,
sarà difficile conversare. – un mesto pigolio, con quella voce flebile
come un
soffio, mentre fissava dinanzi a sè, mordendosi nervosamente il labbro,
ben
attenta a non volgere su di lui il suo sguardo. La sua attenzione
sembrava
rivolta al palco ed alla platea, ma dopo aver trascorso giorni ad
osservarla,
lui comprendeva che quello era solo un tentativo di evitare quella
conversazione. Tentativo palesato dalle sue successive parole. –
Dovremo
rimandare.»
Un’affermazione
al sapore di
bugia e lui ne era dolorosamente consapevole.
Nessuna
azione e nessun pensiero umano mi ha mai ferito, probabilmente perché
nessuno
di loro ha mai avuto alcuna attrattiva, per me. Ma non tu.
Non tu, con la tua eterea presenza, quel sorriso privo di malizia e
quelle
lunghe ciglia che ombreggiano il tuo volto pallido.
Volto
che, troppo spesso, porta il segno delle lacrime silenziose, che versi
quando
nessuno può scorgerti.
Lacrime
che scorrono sul tuo viso di notte, mentre il tuo petto è scosso dai
singulti.
Lacrime
che le mie dita non possono cogliere e le mie parole non possono
placare.
Perché?
Perché questi silenzi? Perché questo dolore?
La notte
precedente, come di
consueto, si era recato nella camera di lei, al calar della notte.
Aveva
osservato la sua espressione addolorata, nel sonno, e non aveva
compreso.
Eppure, in quell’istante, nel suo petto muto vi era stato un cupo
sussulto, un
dolore sordo che lo aveva straziato, mozzandogli il respiro. Perché,
per la
prima volta da quanto ne aveva ricordo, il suo desiderio non era stato
che uno:
lenire la sua sofferenza. Stringere a sé, quel corpo delicato come il
cristallo, proteggendolo dalle intemperie e dal mondo. E
chi la proteggerà da te?
Non
che sia necessario, considerando la riluttanza con la quale accetta la
mia
vicinanza.
Se l’orgoglio
fosse stato il suo
primo pensiero e se fosse stato intenzionato a preservarne ancora un
briciolo,
avrebbe assicurato a sé stesso che quella ostinazione nei confronti di
Isabella
era solo il risultato di un passeggero interesse.
Una bugia alla
quale avrebbe
davvero voluto credere e che sarebbe stata semplice da dispensare, ma
altrettanto semplice da scardinare.
Nei secoli
trascorsi non aveva
mai provato alcun interesse, non reale, per persone al di là della sua
famiglia.
Che fossero
vampiri, umani o
altro, poco importava. Lui non desiderava stringere alcun vero legame.
La consapevolezza
di essere un
mostro, di non meritare nulla, se non un’esistenza di solitudine, lo
aveva
segnato tanto da renderlo semplicemente un guscio vuoto.
Rimpiangerai
quell’indifferenza, perché la consapevolezza di non poterla avere ti
tormenterà, giorno dopo giorno, anche quando lei non sarà più parte di
questo
mondo. E, se anche lei ti desiderasse, cosa muterebbe? Non puoi averla.
Bhe, questo
pensiero non parve
comunque in grado di placare quel turbinio di emozioni, che si agitava
da
tempo, nel suo petto.
«Il problema è…
il bacio?»
Chiunque avesse
ascoltato quella
conversazione avrebbe ricollegato il tutto a ciò che stava per accadere
sul
palcoscenico. Perché, nonostante avessero notato lo strano attaccamento
tra di
loro, e la tendenza a lavorare insieme più del dovuto, nessuno aveva
attribuito
quella anomalia ad una sua infatuazione, da parte sua. Qualche ragazza
gelosa,
ben lontana della realtà, aveva silenziosamente accusato Bella di
volersi
conquistare le sue attenzioni. Bhe, se avessero scoperto quanto invece
lei
tendeva ad allontanarlo, probabilmente si sarebbe goduto delle
espressioni
esilaranti, su quei volti di stucco.
«Non è per il
bacio, solo che…
domani mi trasferisco.»
Una manciata di
parole, per porre
fine a tutto.
La musica
riecheggiava attorno a
loro che, come pedine di uno strano gioco, si muovevano sull’ampio
palcoscenico. Le luci creavano quel gioco di ombre, capace di donare a
quegli
istanti la sensazione di irrealtà, nella quale Bella sembrava
crogiolarsi. Il
silenzio degli spettatori, sembrava catapultare entrambi in una
dimensione
intima, tutta per loro. Lì non era Isabella a parlare, non la timida
ragazzina,
che trafelata celava la sua triste situazione.
No, in
quell’istante era Lavinia,
il suo personaggio, a cantare. Era la sua voce a diffondersi nell’aria,
come
una dolce carezza. Erano le sue dita a serrarsi, in una ferrea presa,
al
mantello calato sulle spalle di Edward.
Il suo Edward
che, con distaccata
indifferenza, la osservava. Il suo sguardo freddo, impenetrabile, come
era
sempre stato, prima delle loro prove e di quello spettacolo che era
giungeva a
conclusione. Prima che la loro amicizia sbocciasse, che la sua vita
migliorasse, consentendole di conoscere qualcosa al di là del suo cupo
destino.
Eppure i suoi
occhi dorati, erano
ormai privi di quel calore, di cui si accendevano indugiando su di lei.
Gli aveva
annunciato il suo trasferimento,
bisognosa di disfarsi di quel peso doloroso, che premeva sul suo petto.
Un peso
che, in quel momento, le pareva esser divenuto ancor più gravoso. Lui
non aveva
proferito parola, rivolgendole solo un brusco cenno di assenso e poi…
esclusivamente
silenzio.
Riluttante
accettazione?
Rabbia, per quel
segreto non
condiviso e serbato, nonostante tutto?
Cosa
accadrebbe se ammettessi la natura della mia decisione? – Pietà. Un’emozione
che lei non potrebbe mai tollerare, non da lui.
Cosa
desideravi? Che discutesse di una decisione ormai presa? Tu non puoi
mutare il
tuo destino e lui di certo non comprenderebbe il motivo della tua
scelta. Lui non
sa, non può sapere.
Ciò nonostante
quella
consapevolezza non mitigava la sensazione di vuoto, che dentro di lei
si
inaspriva, di istante in istante.
Terminato
lo spettacolo, tutto finirà.
La
nostra amicizia e questo acerbo amore che ho ingiustamente coltivato,
incurante
delle conseguenze.
E forse per
questo che, mentre la
musica si affievoliva dolcemente, andando in contro alle sue ultime
note, e la
consapevolezza della fine pesava su di lei, come un enorme macigno, non
vi fu
più alcuna riluttanza, per quel bacio, tanto evitato.
Perché
in un singolo bacio possono celarsi i più sordidi desideri, quelli
tanto
difficili da ammettere, alla luce del sole.
In
un solo sfiorarsi, di labbra, può nascondersi il bisogno di
dimenticare, anche
se solo per un unico istante.
E
quello fu un bacio colmo di ogni suo rimpianto, di quella possibilità
negata,
di quella vita presto spezzata.
Un
bacio per suggellare quella sua ultima speranza… svanita.
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Oggi
Il
mondo perde i suoi colori, la sua vitalità e la sua importanza, mentre
i giorni
trascorrono, con inesorabile lentezza e, al contempo, sin troppo
velocemente. E
lei si domanda se quella totale apatia non sia solo il risultato del
suo
bisogno di arrendersi, del suo desiderio di poter chiudere gli occhi e
sfuggire, a quella tangibile sofferenza; malgrado la paura che le
attanaglia il
cuore.
Perché, si può
avere fede, essere
devoti ad un Dio, eppure ugualmente terrorizzati dall’ignoto.
Quell’ignoto che
attende tutti ma che, nel suo caso, sembra desideroso di reclamarla a
sé, sin
troppo presto.
Istintivamente,
bisognosa di
sottrarsi a quelle vacue elucubrazioni, compagne di solitari giorni,
consente
al suo sguardo spento di scivolare sul mobilio di quella camera, che
non le
appartiene. Rammenta a sé stessa gli sforzi di sua zia, per renderle
anche quel
luogo familiare, ed è a suo beneficio che costantemente sorride, in sua
presenza, rifugiandosi in una maschera di innaturale tranquillità, ben
poco ingannevole.
Una strana routine, assolutamente inutile.
Fingi,
sorridi, chiacchiera, per dimostrare a tutti di non nutrire alcun
paura, di non
avvertire il peso dei giorni, di quel debole corpo, che ormai non
risponde più
agli stimoli ed ai medicinali.
Le pillole si
alternano, così
come gli aghi nella sua carne martoriata e l’intontimento che pervade
la sua
mente. Una sorta di vacuo tepore, che però non sembra in grado di far
tacere i
suoi pensieri, i ricordi e quelle speranze infrante.
Perché, per
quanto si sia certi
del proprio destino, le illusioni sono insidiose. Un bene ed al
contempo un
male. Un sollievo, seppur falso, capace di rinforcare quell’istinto di
sopravvivenza che non si arrende, che sprona a lottare, anche se per
una causa
persa.
Vi è così tanto
da perdere.
Così tanto da
rimpiangere.
Sebbene lei abbia
spesso
considerato la sua vita sin troppo ordinaria, priva di reali stimoli,
di
affetti che esulano da suo padre; ripensando ai suoi ultimi giorni,
alla
compagnia teatrale ed a quei volti noti di Forx, una parte di Bella si
domanda
se non sia stata ad un passo da ottenere ciò che aveva sempre
desiderato.
Un quesito,
quest’ultimo, capace
di strapparle quelle lacrime che tanto detesta e che con ferocia
scaccia.
Quel pensiero
inutile e perverso,
insinuatosi dentro di lei, con l’immagine di un volto pallido, divenuto
il suo
tormento.
Un lieve bussare
e la voce stanca
di suo padre riecheggiano al di là della porta, strappandola alle sue
elucubrazioni, come un’ancora alla quale aggrapparsi, con le poche
forze che
ancora possiede. Il senso di nausea sembra non volerla abbandonare,
proprio
come la spossatezza e la difficoltà nel compiere il più naturale dei
movimenti.
Quanto spesso si è ritrovata madida di sudore e stravolta? Tante,
troppe, più
di quanto non sia disposta a ricordare. Eppure, con risolutezza, le sue
labbra
si piegano in un pacato sorriso, mentre invita Charlie ad entrare.
Combatti.
Non puoi vivere per lui, ma almeno puoi alleviare le sue sofferenze,
impedendogli di scorgere la tua paura, oltre che la tua sofferenza.
«Dovresti essere
a pesca.» lo
rimprovera bonariamente, osservando con ansia il volto contratto di suo
padre,
che sembra esaminarla, con un timore reverenziale affatto da lui. Aveva
sperato,
quel giorno, che accettasse l’invito di un suo amico di infanzia,
recandosi al
lago. Lo aveva implorato, rammentandogli che lei non si sarebbe certo
allontanata e che l’avrebbe ritrovata al suo ritorno.
Perché
costringersi in queste quattro mura? Perché assorbire l’infelicità che
sembra
irradiare quest’angusto spazio, non nutrendosi che di questa?
Lui merita di
più, più di
osservare un’altra parte della sua famiglia, spirare. – rimugina tra
sé,
angosciata da quella consapevolezza, chiedendosi come il destino possa
accanirsi su di un uomo buono come Charlie. Corretto, sempre pronto e
disponibile, efficiente nel suo lavoro e devoto alla sua famiglia.
Cosa
ne sarà di lui?
«Bella…»
«Sto bene.» una
menzogna, una
patetica menzogna, accompagnata da quel tremulo sorriso, che suo padre
non
sembra più in grado di ricambiare.
Il
suo spirito morirà con me, con la sua voglia di vivere, con quella
burbera
spensieratezza, che lo ha sempre contraddistinto e quelle tenerezza con
la
quale mi ha cresciuta.
«Ho visto Edward,
sai? »
Parole
apparentemente casuali,
che suo il vecchio sceriffo pronuncia, mentre si lascia ricadere
pesantemente,
sulla sedia a dondolo.
Parole che lei
avrebbe
sinceramente preferito non udire. Bugiarda. «Ah…»
«Non hai nulla da
aggiungere.»
replica, abbozzando un sorriso, probabilmente dinanzi al tenue rossore
che,
Bella è certa ormai, imporpora le sue guance, donandole una parvenza di
colorito.
Un pallido
accenno delle sue gote
color porpora, di un tempo, quando anche un misero sguardo estraneo
risvegliava
la sua tremenda timidezza. Una timidezza ed un’innocenza ormai perduta,
a causa
del disincanto che la vita le ha imposto, ma che suo padre rammenta con
particolare malinconia.
In fin dei conti
Bella è ancora
la sua bambina.
Quella bambina
che lui non ha il
potere di proteggere.
«No… cosa dovrei
aggiungere? Forx
è un piccolo paese, non è poi insolito tu incroci il suo cammino. Posso
solo
sperare che le circostanze siano state liete e lui non si trovasse al
di là
delle tue, tanto amate, sbarre.» lo pungola, forzatamente allegra,
mentre la
sua mente la implora, così come il suo cuore in tumulto. Non può fare a
meno di
ripensare al loro ultimo incontro, allo sguardo carico di studiata
indifferenza
che le aveva rivolto, al suo noncurante congedo ed all’astio che aveva
letto,
in quegli occhi color oro, ormai divenuti il suo tormento.
Non aveva
desiderato, per la loro
amicizia, un simile addio.
Eppure come
avrebbe potuto essere
altrimenti? Non avrebbe neppure accettato la pietà, né i suoi tentativi
di
supporto o qualche visita stentata, mentre lei è in quello stato di
decadimento.
-Non avrebbe
potuto essere
altrimenti. – si ripete, incapace di credere alle sue stesse parole, ma
una
parte di lei continua a sperare che quel suo nuovo mantra si trasformi
presto
in realtà.
Illusa.
«Bella, non sei mai stata
brava a mentire.
Anche da piccola, quando goffamente distruggevi le ceramiche di tua
madre, ed
elusiva tentavi di nascondermi il misfatto… - mormora, scrollando il
capo con
leggero divertimento. – non era molto difficile comprendere fosse
accaduto
qualcosa. Non era neppure necessario ispezionare la mensola.»
«Avrei dovuto distruggere
accidentalmente l’ultima,
prima della partenza.» conclude lei, pentendosi immediatamente di
quella
affermazione e delle sue sottese parole, notando il volto di suo padre
incupirsi velocemente.
Non farò più
ritorno a casa, non ci sarà nessuno pronto a distruggere quell’ultimo
fragile
monile. Ci sarà solo silenzio, non più il profumo della cena in tavola
o il
frigo pieno. Non più il tonfo del suo continuo ruzzolare o le grida per
il
tubetto del dentifricio, che Charlie consuma sempre solo a metà.
«Bells… - brontola, in
tono nuovamente serio,
mentre gioca distrattamente con l’orlo della copertina azzurra, dono di
quando
era poco più che una bambina. – perché non gli hai confessato la
verità?
Sarebbe stato più giusto, non potrai nasconderlo per sempre e sai bene
che,
quando farò ritorno a Forx, la notizia giungerà con me. Non lo salverai
dalla
sofferenza.»
Parole di un
padre che non accetterà mai la perdita della sua piccola. Sentimenti
non
condivisi da un gruppo di quasi sconosciuti, che le hanno sempre
prestato ben
poca attenzione ed ai quali lei stessa non ha mai dedicato tempo o
interesse.
O, almeno,
non a tutti. – si
corregge,
deglutendo a fatica, incapace di reggere lo sguardo di suo padre.
«Nessuno soffrirà, non
eravamo
particolarmente amici. – ribatte, atona combattendo con quel tumulto di
emozioni
che l’assale, con particolare veemenza. Perché Charlie alimenta i suoi
dubbi? Perché
le ricorda ciò che tenta invano di dimenticare. Il volto di Edward, la
loro
amicizia, quei baci scambiati ed il cameratismo tra loro, ormai solo
uno sbiadito
ricordo. Le manca, le manca da impazzire, malgrado sia sin troppo
difficile
ammetterlo, anche a sé stessa. -
Nessuno, in quella scuola, mi era particolarmente caro. Forse
verseranno
qualche lacrima, si abbandoneranno a supposizioni ed un po’ di pietà.
Ma, nel
giro di qualche settimana, tutto sarà dimenticato. Io sarò dimenticata.»
Peccato che, la rabbia
con la quale viene
pronunciata ognuna di quelle affermazioni, riveli sin troppo le sue
tribolazioni,
il suo turbamento e quel maldestro tentativo di giustificare il suo
silenzio e
la sua fuga da Forx.
Le dita di Charlie si
serrano attorno al
bordo della sedia e le sue nocche sbiancano, a causa dell’immane sforzo
che
compie, combattendo contro il desiderio di scuotere Bella, impedendole
di
rintanarsi in quei folli pensieri, in quell’assurdo e nefasto sminuirsi.
È sempre stato così
difficile comprenderla,
accettare quelle sue insicurezze, tanto infondate. Era stata amata da
lui, sin
dal primo istante, e nessuno le aveva negato il suo affetto, quando era
una
bambina. La sua dolcezza, la sua timidezza, lo avevano costantemente
preoccupato, ma come avviene per ogni genitore, preso dalle cure di
quella
creaturina, completamente dipendente da lui. Aveva temuto di sbagliare,
di non
essere abbastanza, di non poterle donare tutto il necessario, per
consentirle
di crescere al meglio. E, tanto spesso, si era chiesto – prima della
sua
malattia – se la sua insicurezza non fosse dovuta a qualche mancanza di
lui. Al
suo non essere stato un adeguato padre.
Pensieri che, dalla
diagnosi, son divenuti
presto troppo blandi e privi di senso, ma che ora tornano ad assalirlo,
conscio
di quanto Bella abbia goduto poco della sua breve vita.
Avrebbe dovuto
assaporarne ogni istante,
accogliere la bellezza di ogni giorni, come lui non le aveva mai
educato a
fare. Avrebbe dovuto donarle tutte le attenzioni, che non potrà più
concedere
alla sua bambina.
Avrebbe… - Le lacrime gli
solcano il viso e
lui ispira a fondo, con lo sguardo velato dal dolore, incapace di
intrattenersi
oltre in quella camera. Non vuole turbarla, non vuole perdersi in
un’inutile
discussione, malgrado una parte di lui desideri perdersi in essa, per
sottrarsi
a quell’angoscia che lo satura, strappandogli il respiro e quel pezzo
del suo
cuore, che svanirà con lei.
Le persone ti sorprenderanno, se
concederai loro
l’opportunità.
Le ore scorrono ed il
dolore le dilata, sino
a rendere ogni singolo istante un tormento. Le lacrime che le solcano
il volto,
scorrono su di esso, ineluttabili, mentre le sue labbra screpolate e
schiuse,
si abbandonano a quei gemiti silenziosi, impossibili da soffocare.
Ed è tutto insolitamente
buio, dolorosamente cupo
ed insopportabilmente desolato.
Lei, rinchiusa in quella
stanza, con la sua
sofferenza, incapace di sottrarsi ad essa eppure troppo stanca anche
solo per
invocare compagnia. A cosa servirebbe poi? Il conforto di una mano
stretta
nella sua forse le darebbe un labile sollievo, che potrebbe appena
percepire e,
al contempo, tormenterebbe chiunque si troverasse ad affrontare la
notte, al
suo capezzale.
Eppure il bisogno di un
volto amico, di una
singola carezza, è tale probabilmente da attanagliare la sua mente,
rendendola
sensibile alle più assurde illusioni.
Lui non può
essere qui.
Lui non è
qui. – mormora
tra sé, incapace però
di impedire alle sue labbra di incurvarsi, in un dolce e tremulo
sorriso. «Ed…
Edward.» biascica, con voce arrochita e le palpebre che tentano di
serrarsi,
combattendo con il suo bisogno di bearsi di quella insolita immagine,
dinanzi a
lei.
«Avresti dovuto dirmelo.
Avresti dovuto avere
fiducia in me.»
Un unico sussurro, nella
notte.
Il tocco di una mano
fredda e leggera, che scivola
sulla sua fronte, tra le ciocche aggrovigliate dei suoi capelli, madidi
di
sudore.
Uno sguardo carico di
pena ed angoscia, che
lei scorge nel delirio di quella semi incoscienza, certa sia solo un
sogno.
Probabilmente il suo
ultimo sogno.
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Giorno, dopo giorno.
Ora dopo ora.
Un mesto sorriso incurva
le sue labbra,
mentre lo sguardo colmo di parole non dette e di malinconia, scivola
desolato
sul paesaggio che lo circonda. Ironico, aveva quasi iniziato ad amare
Forx, con
il suo clima perfetto, per un vampiro; con i suoi boschi folti e quella
piccola
raduna, luogo silenzioso e tranquillo, dove tanto spesso trova ristoro.
Un luogo troppo
tranquillo, in quell’istante,
Dio, non avrebbe mai
potuto immaginare un
simile epilogo.
Innamorarsi di un’umana,
avvertirne la
mancanza, quasi quanto la perdita di un proprio arto.
Ma un suo arto, se
strappato, ricrescerebbe,
il suo cuore in pezzi no.
Dovrebbe essere lieto, di
questa separazione
forzata, della capacità di Isabella di porre fine ad ogni sua vacua
speranza.
Per qualche tempo Edward aveva quasi dimenticato la sua natura dannata,
il suo
non poter condurre un’esistenza normale ed umana. Si era crogiolato in
vane
speranze, in assurde illusioni, rifuggendo dalla realtà, perché
incapace di
accettare ciò che la razionalità gli sussurrava, strenuamente.
Perchè, al fianco di lei,
tutto era parso
stranamente… possibile.
È solo una
sciocca ed egoista ragazzina, che si è divertita a schernirti. – gli sussurra, quella voce
della ragione,
tornata ad attaccarlo. O forse è solo il suo orgoglio ferito, a
mormorargli
quella sorta di inutile consolazione.
Difficile a dirsi,
considerando la confusione
che permea la sua mente.
Vorrebbe detestarla,
odiarla, eppure gli pare
impossibile serbare per lei un simile rancore.
Bella non ha mai
pronunciato alcuna promessa,
né gli ha mai concesso reali speranze.
È stata un’amica, non gli
ha concesso il suo
cuore e non gli ha mai permesso di scorgere ogni parte di lei.
Per quanto Edward non
fosse capace di
penetrare la sua mente, cogliendo i suoi più reconditi pensieri, in
quegli
occhi color cioccolato ha colto misteri insondabili ed una profondità,
nella
quale avrebbe desiderato potersi immergere.
Volevo
conoscerla, bramavo un’opportunità.
Una follia, un’assurdità,
perché un vampiro
non dovrebbe mai avere simili mire, verso una creatura tanto fragile e
delicata.
Lei
invecchierà.
Morirà.
Ed in quel
lasso di tempo, che la vita le donerà, si creerà una famiglia, un
marito e
figli che la ameranno, procurandole gioie che un’esistenza immortale le
precluderebbe per sempre.
È stato giusto così. – si
ripete, come un
mantra, tentando di aggrapparsi al senso di quelle parole, che sono
come acido,
nella sua gola.
Edward.
Un pensiero, un lieve
richiamo risuona nella
sua mente, strappandolo alle sue elucubrazioni. E non è certamente
necessario
che lui si volti, per coglierne l’origine. «Alice non ho intenzione di
discutere.»
«Per favore.»
«Sono stato uno sciocco e
non voglio che
comunichi a nessuno, quello che è accaduto.»
Lo sbuffo contrito, che
abbandona le sue
labbra piene, risuona nel silenzio teso calato sulla radura.
«Dimentichi che
Jasper percepisce il tuo strazio.»
«Lui non ne farà parola.»
Una certezza, di
cui non potrebbe mai dubitare. Suo fratello, proprio come lui, ha avuto
in dono
– con l’immortalità – un potere molesto, che richiede una certa
riservatezza,
per il bene di chi lo circonda.
Un esempio di cui Alice
dovrebbe tener conto.
Piccola
impicciona.
«Tutti hanno compreso che
qualcosa non
quadra. Sei abbattuto, distrutto, un’ombra di ciò che sei sempre stato.»
«Mi riprenderò.»
pontifica, maledicendosi per
il tremolio della sua voce roca. Un dettaglio che, certamente, ad Alice
non
sfugge. Ed è per questo che la risposta di lei non dovrebbe in alcun
modo
sorprenderlo: «Sai anche tu che non è vero.»
Una risata colma di
amarezza abbandona le sue
labbra, udendo quell’affermazione che ugualmente lo colpisce, come un
pugno in
pieno stomaco. Poche parole che hanno il sapore di una sentenza,
condite dalla
consapevolezza della loro veridicità.
Lui ne è conscio,
dimenticarla sarà
impossibile, non ora che il suo cuore morto ha finalmente ripreso i
suoi
battiti, non ora che la sua mente e la sua anima si sono abbeverate di
quei
sentimenti, sino ad allora sconosciuti.
E poco importa, se il
destino non gli ha
concesso alcuna possibilità, con quell’amore ingiusto.
Lui non ha armi per poter
mutare il destino.
Peccato che Alice sembri
essere propensa a
dispensare consigli, poco ortodossi. «Potresti trasformarla.»
suggerisce, con
una ferrea determinazione, per la quale quasi la detesta.
Per lei tutto pare essere
bianco o nero.
Scelte, che conducono irrimediabilmente ad un determinato futuro.
Poco importa il mezzo
attraverso cui vi si
giunge, per Alice ciò che conta è il risultato finale.
Bhe, Edward vorrebbe
avere la medesima
capacità, la stessa noncuranza, che lei sfoggia.
Tutto
sarebbe più semplice.
Ma nulla è
semplice.
Mai.
Così il ringhio cupo che
si leva dal suo
petto è l’unica risposta che può concedere ad Alice, perché una simile
prospettiva, tanto abietta ed egoista, non è assolutamente plausibile.
E poco
importa se, nei suoi sogni ad occhi aperti, gli è stato sin troppo
semplice
scorgere il viso di Isabella, assumere le fattezze eteree
dell’immortalità.
Poco conta aver ardentemente desiderato averla al suo fianco, come
compagna in
un’eternità altresì cupa e desolata.
Lei non lo ama ed anche
se avesse risvegliato
in Isabella simili emozioni, non l’avrebbe mai strappata alla sua
umanità, non
avrebbe mai condannato la sua anima, per puro e semplice egoismo.
«Non sarebbe un atto di
egoismo.»
Detesto
quando anticipa le mie risposte.
«Per cosa? Sai quale
sofferenza si patisce,
con la transizione. Conosci i rischi e, ancor peggio, sei cosciente che
la
priverei della sua famiglia, della sua vita. Anche se mi amasse – cosa
impossibile – non acconsentirebbe mai.»
«Ma…»
«Ma cosa, Alice? Perché
ti ostini a
tormentarmi?» parole pronunciate con violenza e con una rabbia affatto
da lui.
Probabilmente si pentirà di quel tono brusco, ne è conscio, eppure, in
quell’istante, quando si volta finalmente verso di lei, ciò che scorge
negli
occhi di sua sorella è forse ancor più allarmante.
Perché, oppresso com’era
da quei sentimenti
non corrisposti e dalla fuga di Bella, aveva impedito ad ogni pensiero
altrui
di penetrare nella sua mente, bisognoso di crogiolarsi nella sua
solitudine.
Forse, perversamente,
aveva desiderato quel
silenzio che solo la compagnia di Isabella era capace di concedergli.
Una sciocca forma di
masochismo, dettata
dalla sua incapacità di saperla perduta per sempre.
Perché se la sua mente ne
è stata cosciente, sin
dall’inizio, così non è per il suo cuore.
«Alice?» gracchia,
allarmato, ritrovandosi al
suo fianco, prima ancora di averne coscienza. «Cosa mi nascondi?»
«Rose ha salvato Emmett,
quando era in punto
di morte. Lui non ha perduto nulla, vero?»
«Cos… - inevitabilmente
Edward si acciglia,
sorpreso da una domanda tanto insolita e fuori tema. In effetti non
aveva mai
indugiato, particolarmente, su pensieri simili. Era stato conscio dei
sentimenti di lei, sin dal primo istante, ed aveva compreso come Rose,
avesse
scorto in Em il suo compagno. Però… - Il suo è stato un gesto egoista.
Emmett
non era in condizioni di comprendere e decidere, per la sua vita.»
«Lui non sembra affatto
dispiaciuto.»
«La ama e con il suo
carattere temo che nulla
potrebbe mai causargli tristezza.»
«La tua situazione
deprime anche lui.»
«Alice.» un ammonizione,
l’ennesima, che pare
cadere nel vuoto. Perché nessuno è più ostinato di Alice, nessuno è
capace di
far valere le sue ragioni quanto lei. Vani sono i suoi tentativi di
ragionare,
di dimostrarle quanto inaudite siano le sue richieste e di quali
implicazioni
condurrebbero con loro. Non può trasformarla, non può tramutarla in un
mostro,
per un suo beneficio. Ha sopportato secoli di solitudine, ignorando
l’intorpidimento del suo cuore, ad ogni anno trascorso.
Ed Edward è cosciente
che, nonostante tutto,
è quello il suo destino.
Lei non è stata altro che
una meravigliosa
parentesi, di cui serbare il ricordo, quando questo non sarà più solo
doloroso.
Un ricordo dolce amaro,
quello di un amore
perduto.
«Bella sta male.»
Un sobbalzo scuote il suo
corpo ed i suoi
occhi si sgranano, per lo stupore, che quella semplice affermazione
porta con
sé.
«Un incident…»
«E’ malata Ed. Lo è
sempre stata, sin dal
primo istante in cui l’hai incontrata. – Alice esita appena, incapace
di
incontrare il suo sguardo, mentre serra il labbro tra i denti, in un
gesto nel
quale palesa la sua costernazione, per quel segreto serbato. - Era in
cura da
nostro padre e lo è stata, sino a quando le medicine hanno avuto
effetto sul
suo corpo. È fuggita da Forx, per questo.»
«Quanto è grave.»
«Fratellino, non essere
sciocco e non fingere
di non comprendere.»
Sta…
morendo.
E così tutte le visioni
di Alice si affollano
nella sua mente. Tutto ciò che le è apparso, negli ultimi mesi.
Il suo incontro con
Bella, il loro bacio, il
dolore provocato dalle cure, la stanchezza che aveva colto,
inesorabilmente, il
suo fragilissimo corpo.
I suo tentativi di
dissimulare il dolore, la
paura, l’angoscia.
La sua decisione.
Il suo desiderio di
allontanarsi da Forx, per
affrontare il suo destino, presso una parente che avrebbe potuto
aiutare
Charlie a superare la sua morte.
Un singulto risuona, nel
silenzio della
radura, scuotendo il petto di Alice, impossibilitata a versare le
lacrime di
dolore, che hanno straziato il suo corpo, tanto a lungo, mentre sola
portava
con sé il fardello di quelle visioni.
La piccola vampira aveva
intravisto in Bella
una sorella. Aveva invano tentato di pilotare gli eventi, per
permettere ad
entrambi di conoscersi, di scoprirsi, di naufragare in quei dolci
sentimenti e
quelle emozioni condivise. Aveva atteso, per far si che la pietà non
influenzasse l’amore che suo fratello nutre, per quella giovane umana.
Ma il tempo delle attese
è finalmente giunto
ed ormai nulla è più nelle sue mani.
È Edward a dover
scegliere, lui a dover
compiere quell’ultimo passo.
«E’ vero, è fuggita da
te. Ma non a causa di
un presunto disinteresse, semplicemente non voleva essere compatita,
costringendo i suoi amici a sopportare il suo calvario.»
«Non ne avevo idea. Non
avrei mai
immaginato.» eppure, mentre pronuncia quelle parole strozzate, colme di
angoscia e sofferenza, una parte di lui si rimprovera per quel mancato
acume.
Aveva notato in Bella una particolare debolezza, le sue gote pallide,
le
profonde occhiaie. L’aveva considerata immensamente fragile, come il
più bello
dei cristalli, capaci di infrangersi, ad un minimo tocco.
Ed era stato accorto per
questo, ancor più di
quanto avrebbe mai potuto essere, in compagnia di un’umana.
Aveva mitigato la sua
passione, i suoi
desideri, incapace di trattarla come una delle altre.
Una delle
tante.
Perché lei era stata
molto di più, sin
dall’inizio.
Sin dal momento in cui la
sua angelica voce,
aveva raggiunto il suo cuore, catturandolo, avviluppandolo nelle spire
di quei
sentimenti così bruscamente risvegliati.
La mia
Bella.
«Nessuno di noi ha mai
considerato Rose
egoista.» sussurra Alice, sottraendolo alla presa delle sue
elucubrazioni, con
quella frase ed i suoi significati sottesi.
«Io non…»
«E Bella soffre, per
quelle occasioni che il
fato non le ha concesso. Un’esistenza, una vita, le gioie di un mondo
che non
le sarà permesso di scorgere.»
«La sua anima.»
«Edward! – sbotta, stanca
di dover combattere
contro le assurde credenze di suo fratello, che ha trascorso sin troppo
tempo
nella convinzione di non essere nulla se non un mostro. Una convinzione
errata e
folle. Perché se anche il suo cuore non batte, non vi è uomo più
onorevole e
gentile di lui. Né creatura capace di amare con una così totalizzante
passione
ed ardore. - Io sono una vampira, Esme
lo è, Emmett e nostro padre. Tutti noi siamo creature senz’anima, a
parer tuo,
ma tu ci ami e ci consideri ammirevoli, nonostante tutto. Non oseresti
mai
considerarci dei mostri.» gli rammenta, ostinata, stringendo i pugni
ormai
pervasa dalla rabbia e dalla frustrazione, temendo ogni minuto che lui
trascorre in quella inutile indecisione.
Un’indecisione che
potrebbe essere fatale e
che rischia di strappargli quella felicità, che Edward esita ad
accogliere.
«Non la trasformerò.»
«Perfetto, se è questo
che desideri. – lo interrompe
bruscamente, conscia sia inutile ostinarsi, in quella discussione senza
alcuna
via di uscita. Non sta a lei convincerlo, non sta a lei costringerlo. -
Ma
Bella ha bisogno di te.»
«Non…»
«E’ sola, Ed. Sola in
quel letto, con le sue
sofferenze. Sola, in questa sua ultima notte.»
Immagine di Bella, invade
la sua mente. La
sua dolce Bella, distesa in un letto dalle lenzuola pallide, quanto la
sua
pelle e quelle labbra esangui, dischiuse in un silenzioso rantolo.
Ed in quell’istante non
sono le parole di
Alice a scuoterlo, quanto quella vista raccapricciante, le dita ossute
del Triste
Mietitore, tese verso la donna che ama.
Un ultima
carezza.
Un ultimo
saluto.
La sua mano,
stretta attorno a quella di lei, per sostenerla. – si ripete, tentando di
convincere sé stesso
che la sua corsa verso Bella non ha alcuno scopo, se non quello del
conforto.
Ma
fortunatamente, tanto spesso, non è la ragione a vincere.
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
Un
volto
scarno, il respiro affannoso e spezzato, le dita pallide strette al
copriletto
color porpora, sotto il quale lei pare svanire, minuta in un letto
troppo
grande.
Un’immagine
straziante, che lo perseguiterà sino a quando avrà vita.
Qualcosa
alla quale una parte di lui avrebbe preferito sottrarsi, ignorando le
sofferenze che Bella gli ha abilmente celato.
«Perché?
Perché
lo hai fatto?» sussurra, consentendosi di accarezzarle il viso pallido
ed
accaldato, sorridendo malfermo quando il volto di lei si inclina, quasi
a voler
assaporare la sua carezza o forse solo il freddo delle sue dita
tremanti. Probabilmente
non ha idea di quale mostro giaccia lì, accanto a lei. Un mostro
egoista pronto
a strapparle la sua anima, perché incapace di accettare quella vista
surreale. E
sua sorella lo aveva certamente immaginato, esortandolo così a
raggiungere
Bella.
Dio,
non è giusto.
Non
è affatto giusto.
Il
tempo
pare procedere a rallentatore, le immagini scorte nelle visioni di
Alice
vorticano nella sua mente, come un vecchio film drammatico ed
ossessionante,
alla cui presa non è capace di sottrarsi.
E
neppure
vuole sfuggire a tutto ciò. Non è forse la giusta punizione? Ha
segretamente
accusato Bella di egoismo, di averlo bistrattato, giocando con i suoi
sentimenti,
troppo preso da sé stesso per scorgere ciò che in realtà sarebbe dovuto
essere
palese. Ha vissuto abbastanza per aver chiaro il mondo, i suoi orrori,
la
caducità della vita, proprio come ha sperimentato sulla sua stessa
pelle. Ed ha
trascorso la sua esistenza immortale immerso nei pensieri degli umani…
dunque dovrebbe
saper comprendere ognuno di loro, con una facilità strabiliante.
Ed
invece,
questo secolo andato, non lo ha aiutato a maturare come avrebbe dovuto.
Si
è
trasformato in un gretto superficiale, ancorato alle sue convinzioni.
Ha fatto
affidamento sul suo potere, rendendolo il suo metro di giudizio,
atrofizzando
così la sua capacità di comprendere il mondo, al di là di esso.
Quanti
errori ci hanno condotti qui? Quanti segreti si sono
frapposti tra di noi, perché incapaci di aprirci, di mostrarci
vulnerabili, di
metterci in gioco. –
rimugina, sebbene sia conscio di non aver alcuna certezza sui
sentimenti di Bella. Forse lo considera un amico. Quel bacio può aver
avuto un
significato solo per lui.
No,
non Bella. Non mi avrebbe permesso di sfiorarla, se non avesse
nutrito anche solo un minimo interesse.
E
con il
tempo, quel minimo interesse, potrebbe maturare, consentendo a
sentimenti più
intensi di sbocciare.
Sta
morendo ed io chi sono per donarle l’immortalità, trascurando
i suoi desideri?
«Mi
dispiace. Sono stato uno sciocco, un insensibile. Ti ho imposto la mia
presenza, ho preteso la tua amicizia e molto di più, ignorando il buon
senso e
la logica ma… - espira a fondo, serrando gli occhi con veemenza, mentre
le dita
sfiorano con reverenza la pallida mano di lei. – Sei stata una boccata
d’aria
fresca, in un mondo stantio. Per nulla scontata, così buona, così
dolce… così
diversa da me, priva di ogni artificio. Ignorando il giudizio altrui
hai
percorso la tua strada, con una forza ed una risolutezza che ammiro.»
confessa,
in un sussurro dolente, conscio vi sia molto più di questo. Parole
impossibili
da pronunciare, malgrado l’incoscienza di lei.
Perché
le
parole hanno un peso ed una volta pronunciate, una volta ammessi ad
alta voce
quei sentimenti da cui rifugge, non vi sarà più alcuno scampo.
È
stato così semplice innamorarsi di lei.
Giorno
dopo giorno, istante dopo istante, lentamente le emozioni
si sono subdolamente insinuate nel suo petto, malgrado la ragnatela di
bugie
tra di loro.
La
mente
silenziosa di Bella lo ha attratto, ma è di quella splendida creatura,
dai suoi
modi e dal suo sorriso che lui è divenuto dipendente. È stata la sua
capacità
di vedere in lui più che uno sciocco superficiale, adorato da stuoli di
ragazzine ignoranti.
Tutti
pronti
a nutrirsi della sua fama, della sua visibilità, lo hanno accerchiato,
pronti a
beneficiarne.
Il
suo
aspetto fisico, le sue capacità scolastiche, sportive… tutto ciò è
sempre
dipeso, in gran parte, dalla sua natura di vampiro, dall’essere stato
costretto
a rivivere gli anni scolastici ancora, ancora ed ancora, sino alla
nausea.
Ma
quell’immagine
fittizia non lo rappresenta.
Quello
non è
lui, non è l’Edward che la sua famiglia ama e comprende.
Forse
perché
non si è mai concesso di mostrare ad altri, oltre che loro, la sua vera
indole,
lo strazio che colma da sempre il suo cuore solitario.
Il
senso di
colpa per quelle vite strappate, in passato, lo attanaglia, rendendolo
inadatto
a quella felicità che però ugualmente agogna. Ed è proprio
quell’atavico
bisogno ad averlo avvicinato a Bella, perché in lei ha scorto tutto ciò
che…
tutto ciò che…
Basta.
– si ammonisce aspramente, posando la fronte sul cuscino, accanto
a lei, inspirando il suo profumo, tentando di memorizzarlo, malgrado il
buon
senso lo esorti ad allontanarsi, prima di cedere.
Perché
sarebbe
così semplice capitolare.
Chi
potrebbe
biasimarlo?
Alice
non attende
altro e la sua famiglia, per lui, non desidera che questo: una
compagna,
qualcuno con la quale lui possa condividere la sua esistenza,
abbandonando la
cupezza nel quale si rifugia.
E
Bella? È sul
punto di perdere tutto, tra le più atroci sofferenze.
Potrebbe
scorgerlo
come il salvatore, che le ha teso la mano, nel momento del bisogno.
O
potrebbe
odiarlo, per aver distrutto ogni possibilità per la sua anima.
E
lui? Sarebbe
davvero in grado di posare su di lei il suo sguardo, ignorando la fitta
al
cuore data dalla consapevolezza del male che le arrecherebbe?
Si,
maledizione, si.
È
un
bastardo, un bastardo egoista. «Ma ti amo.» mormora mesto, quasi come
se quelle
due parole potessero spiegare tutto. Ed è forse è vero, perché se non
nutrisse
per lei quei sentimenti, nulla lo indurrebbe a prendere in
considerazione l’idea
di trasformarla.
«L’amore
rende stupidi, vulnerabili.» Rende schiavi, anche i più forti.
È
una porta
sulla felicità o sulla dannazione. Quest’ultima, nel suo caso, intesa
letteralmente.
Eppure,
malgrado tale consapevolezza e nonostante sia conscio che tutto
potrebbe
condurre al peggiore epilogo, l’idea di abbandonarla al suo destino è
inaccettabile.
Forse
lo
odierà e lui dovrà vivere chinando il capo e sopportando il suo
disprezzo.
Probabilmente
non accetterà di divenire la sua compagna, né gli concederà la
possibilità di
risvegliare in lei sentimenti simili ai suoi ma… Io non ho
scelta.
Solo
chi ama senza speranza conosce il vero amore.
Pablo Neruda
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
Eccovi il nuovo e penultimo capitolo.
Ho notato che la storia non sta prendendo, quindi è inutile sia portata
avanti per troppo. Dunque nel prossimo finalmente la conclusione ;)
Buon inizio settimana a tutti <3
Dolore.
Un dolore che la
percuote, che l’attanaglia, sino a rendere flebile il suo respiro,
mentre il
suo cuore corre, verso i suoi ultimi battiti. Una corsa attesa, la cui
conclusione è quasi invocata, in quel tunnel oscuro ed apparentemente
senza
fine. Bella aveva immaginato, quel preciso istante, avviluppata dalla
paura e
dalla rabbia.
Si era costretta a
pensare, a quel momento,
conscia di essere ormai in prossimità di quel precipizio, in bilico tra
la vita
e la morte, condotta lì da quella malattia, che le ha strappato,
lentamente,
ogni speranza.
Anni ed anni a lottare,
per rinviare
quell’istante. Anni ed anni a fingere, di poter pensare al futuro, ad
una vita
normale.
Anni ed anni, in realtà,
con il morso della
consapevolezza, a tormentarla, come un tarlo di cui era impossibile
disfarsi.
E lì, mentre le ultime
forze scivolano via,
in un magma di bruciante dolore, che sembra scorrere nelle sue vene,
lei tenta
di accettare il suo destino, con quella pacatezza che agogna. Una
pacatezza ed
una rassegnazione ben lontana.
Troppe parole mai
pronunciate.
Troppe opportunità perse
ed ignorate.
Troppe speranze disilluse
e confessioni
rinviate.
Ma, in fin dei conti, è
sempre così, no?
Nessuno è mai pronto,
nessuno accetta il fato
ed il sopraggiungere della fine, con un sorriso sulle labbra. Nessuno
ha colto
ogni occasione, affrontando così con stoicismo la morte, senza alcun
rimpianto.
Forse i rimpianti sono
parte di ogni essere
umano, quanto la sua anima ed i suoi ingarbugliati pensieri.
Sono intrinseci ad essa,
componenti di un
pacchetto completo, condito da paure, timori, gioie ed entusiasmi. –
pensa,
tentando di respirare, di dischiudere le labbra, per alleviare il
bruciore alla
gola ormai arida.
-Deve essere la febbre. –
Una spiegazione
come un’altra, un vano tentativo di razionalizzare, qualcosa che in
realtà non
ha senso.
Una parte di lei si
chiede se suo padre ha
rintracciato il dottore, come le aveva annunciato.
Malgrado il cambiamento
di stato infatti si
era dichiarato disposto a raggiungerli, senza alcuna riluttanza. Un
pensiero
che l’aveva inevitabilmente terrorizzata, conscia delle sue possibili
implicazioni.
Come possano aver
taciuto, ad Edward, la sua
condizione, è un vero mistero.
E lei, nonostante tutto,
ancora spera che
quella notizia gli sia celata.
La sola idea di essere
oggetto di inutile
compassione, forse di rimpianto è…
Quasi assurdo è che lei
tenti di rinnegare la
sua stessa volontà anche in punto di morte. È una sciocca, una mocciosa
incapace di ammettere i suoi sentimenti, solo perché non le sarà data
la
possibilità di coltivarli. Quante volte ha posato il suo sguardo su
Edward,
desiderosa di confessargli le emozioni covate nel suo petto? Avrebbe
voluto
ammettere la verità, renderlo partecipe della sua tragedia, poggiarsi a
lui,
come non era mai stata disposta a fare con nessuno, per il timore di
tramutarsi
in un insostenibile fardello.
Ha sorriso, tanto spesso,
da rendere la sua
mascella dolorante ed i suoi nervi tesi. Sorrisi che hanno increspato
le sue
labbra tumide, con il solo scopo di rassicurare la sua famiglia, i
dottori e le
infermiere che, gentilmente, si prendevano cura di lei. Sorrisi atti a
celare
la sua sofferenza, la sua paura ed il terrore. Ma, soprattutto, il
bisogno di
una spalla sulla quale piangere.
E, in momenti di follia
o, forse,
semplicemente di razionalità, lei era stata pronta a piangere sulla
spalla di
Edward.
-Sarebbe stato egoista,
ma avresti voluto. –
rimugina tra sé, inconsapevole del nome di lui che le sfugge, in un
ansito
colmo di dolore.
Il suo corpo arde, il suo
cuore corre… sino
ad arrestarsi.
E l’ultimo battito,
l’ultimo pulsare di quel
cuore ingenuo, riecheggia nel silenzio di una stanza, dove alcuni
vampiri la
osservano, con gli occhi colmi di terrore, a sua insaputa.
Edward è lì, con le mani
sul volto, e le
lacrime che non gli è concesso versare.
La camera silenziosa, il
vociare indistinto
nella mente di Alice, la preoccupazione dipinta sul volto di suo padre
e la
speranza che vela gli occhi di Esme. Un quadro, che nella sua
immobilità,
sembra intrappolare una miriade di emozioni, mentre tutti gli sguardi
son
puntati sul minuto corpo di Isabella.
Ha compiuto una follia e
per di più un rapimento.
– si rammenta, conscio che la sua famiglia avrebbe affrontato il tutto
con
maggiore logica. Ma lui si è lasciato guidare dall’istinto, dalla
paura, dalla
consapevolezza che anche un solo minuto avrebbe potuto fare la
differenza, tra
la vita e la morte.
«Rilassati.»
l’ammonizione di Alice, risuona
in quel silenzio. Un silenzio in cui non si percepisce più il ronzio di
un
debole respiro o di un cuore pulsante. Il silenzio della morte.
«Mi dispiace di avervi
trascinati qui.» ammette,
a malincuore, lieto però di avere la sua famiglia, accanto, in un
momento
simile. Una parte di lui si pente di averla morsa, senza aver concesso
a Bella
alcuna possibilità di scelta. Ha reclamato la sua anima, l’ha strappata
a suo
padre ed al suo mondo, in un gesto dettato prettamente dall’egoismo, da
quel
bisogno di lei, acuitosi di istante in istante, negli ultimi tempi.
È stata solo la prontezza
di Alice ed il suo
dono, a salvarli da uno scontro con Charlie.
«A breve si sveglierà. –
gli comunica,
posando sulla spalla di lui, la sua manina delicata. – Noi ci
allontaneremo, per
il momento. Non è opportuno si ritrovi circondata, soprattutto
considerando la
sua ovvia confusione.» conclude Alice, facendo cenno a tutti loro di
uscire. Nessuno
la contraddice e lui stesso, benché desideroso di un cuscinetto di
salvataggio
tra lui e Bella, non proferisce parola. È colpa sua e sarà lui a
concederle le
spiegazioni dovute.
Il tonfo leggero della
porta alle sue spalle,
con i pensieri che divengono man mano più lontani ed il potere di
Jasper su di
lui, che si affievolisce, accompagnano i passi della sua famiglia,
ormai
lontana. Ma i suoi occhi non si scostano, neppure per un istante, dal
volto di
Bella. Un volto ora non più scarno e debilitato, sebbene il suo pallore
non sia
mutato.
Le labbra tumide son
increspate in una lieve
smorfia, celando appena i canini appuntiti, simbolo della sua nuova
vita. Non può
ancora scorgere i suoi occhi rossi, né quel sorriso forse morto con la
sua
umanità. Edward era stato in punto di morte, quando sua madre aveva
pregato il
vampiro di salvarlo.
Non era stato lui a
scegliere ed aveva
odiato, con ogni parte di sé, la condizione impostagli.
«Vorrei poter dare la
colpa a te, per le mie
azioni. Vorrei accusarti, perché non mi hai concesso la possibilità di
parlarti
di tutto questo, concedendoti la scelta che meritavi. Ma sono
consapevole che
forse non avrei agito diversamente, neppure dinanzi ad un tuo divieto.
Ti avrei
trasformata ugualmente, perché sono egoista, uno sciocco che vive di
illusioni,
che si nutre di aspettative mal riposte. – mormora, con voce sommessa,
sfregando il pollice sul palmo sottile di Bella, lì dove non percepisce
più
alcuna pulsazione. – Eppure vorrei ugualmente tu non mi odiassi. Vorrei
che
vivessi con noi, seguendoci da un paese ad un altro, permettendomi di
beneficiare della tua presenza, anche solo come sorella. “Il cuore
conosce
ragioni che la ragione non conosce”.» recita beffardo, espirando a
fondo, con
il capo pesante chino su quella mano che stringe, in attesa del
risveglio di
Bella. Ciò che non pare aver notato sono gli occhi socchiusi di lei,
che
osservano ogni suo gesto.
«Dove… dove sono?»
Il sobbalzo di lui è
seguito da un pesante
silenzio, che egli non sa colmare. Non con il timore che lo scuote, né
con le
parole che non è in grado di pronunciare.
«Edward?» continua lei,
nel tentativo di
ridestarlo da quello strano tepore o semplicemente indurlo ad alzare lo
sguardo, così da incrociare gli occhi rossi della nuova vampira. Lei
che,
incapace di comprendere cosa accade, rimugina sulle strane parole
appena udite.
«Un albergo! Siamo a
Phoenix.» le annuncia, biascicando,
mentre un tremulo sospiro lo abbandona, alleviando leggermente la
tensione. Aveva
temuto di non poter più udire la sua voce. Mai più.
«Perché siamo in un
albergo?» tenta
nuovamente, parlando con la dolcezza di chi si rivolge ad una persona
sconvolta. Ed è assurdo, considerando che è lei a ritenersi in punto di
morte,
lei ad aver appena perduto la sua anima, attraverso il fuoco della
transizione.
Eppure le è bastato cogliere il turbamento di lui, per non desiderare
altro che
alleviare la sua pena. In fin dei conti, benché una parte di lei lo
ritenga un
sonno, la presenza di Edward ha il potere di confortarla.
E forse, se lui potesse
leggere la sua mente,
il suo terrore si affievolirebbe consentendogli di pronunciare quelle
parole
trattenute e quella confessione, che penzola sul suo capo, come una
spada da
Damocle.
«Forse dovremmo nutrirti…
- svia, il
discorso, ben consapevole dell’assurdità delle sue stesse affermazioni.
Come potrebbe
indurla a nutrirsi senza averle comunicato la sua nuova natura ed il
perché dei
canini appuntiti, al di là di quelle labbra morbide? – Avresti dovuto
dirmi
della tua malattia.»
L’irrigidirsi del corpo
di lei è una risposta
più che eloquente, ma Edward non commenta.
«Non sarebbe stato giusto
costringerti a
sopportare un simile fardello. E poi nessuno ne era a conoscenza.»
«Io non sono nessuno.»
Stronzate e lui ne è
conscio. Tra di loro non
vi è stato nulla, se non un bacio rubato e qualche chiacchiera, che lui
ha mal interpretato.
«Lo so, ma avevo paura.»
un’ammissione
semplice, candida, come lei. Un’ammissione che finalmente ha il potere
di
indurlo ad alzare lo sguardo, per incontrare quegli occhi colmi di un
dolore
che lo strazia.
Un dolore coltivato in
anni di sofferenza
taciuta. «Avrei voluto essere accanto a te, per rendere tutto meno
spaventoso.»
«Ed io avrei voluto avere
il tuo appoggio. Ma
le buone intenzioni non bastano, le speranze non salvano vite, la
possibilità
di sfogarsi renderà migliore qualche istante, solo perché saranno due
le
persone costrette a sopportare la realtà ed il suo peso. – lo
redarguisce dolcemente.
- Non sarebbe giusto e non ne sarebbe valsa la pena. Il mio tempo è
poco ed una
volta che mi sarò spenta quel peso sarà nuovamente sulle spalle di uno.»
«Il tuo tempo è molto.»
la corregge mesto,
rammentando a sé stesso i benefici di quella nuova vita, quello che le
ha
offerto e non solo ciò a cui l’ha strappata.
«Edward, i medici…»
«Avverti un qualche
dolore? Debolezza?
Fiacchezza?» la interrompe con veemenza, posando i suoi occhi color oro
sul
quel viso, improvvisamente corrucciato, ma di una bellezza devastante.
Se un
tempo l’aveva considerata meravigliosa ora, sbocciata alla nuova vita e
scacciata la debilitante malattia ed i suoi segni, appare eterea e
meravigliosa, tanto da mozzare il respiro. E lui la osserva,
abbeverandosi di
quella visione. La scruta, mentre con le labbra increspate in una
smorfia
meditabonda e quel nasino arricciato, sembra vagliare lo stato del suo
corpo,
quasi a voler ricercare quegli antichi dolori, di cui ora non vi è
traccia.
«Solo la gola… che sembra
ardere.» replica,
titubante, con quelle labbra conturbanti dischiuse per lo stupore.
«Quale
medicinale…»
«Chiudi gli occhi,
porgimi le tue dita e… non
temermi.» una supplica la sua, una preghiera veemente, colma di
preoccupazione.
Poche parole, intrise della sua disperazione. Una paura che Bella non
comprende, ma che non la induce ugualmente ad esitare. Le dita leggere
si
posano sulle labbra di lui, provocandole uno strano brivido, che le
percorre la
schiena. Inconsueto ma le pare quasi che i suoi sensi, sovra stimolati,
siano
in grado di cogliere tutto con una maggiore intensità. I suoi occhi non
le
hanno mai concesso di cogliere tutto, con una tale nitidezza. Il suo
olfatto
non ha mai colto il profumo di Edward tanto intensamente.
Ma quelle elucubrazioni
presto si dissipano e
la sua concentrazione si rivolge tutta alla punta che le sfiora i
polpastrelli,
invitandola a riaprire gli occhi, malgrado la tacita promessa
pronunciata.
Per un istante quasi si
pente di aver
disobbedito, sobbalzando alla vista dei canini appuntiti e ritraendo la
mano
con una velocità incredibile. Ulteriore dettaglio che la terrorizza,
mentre
confusa si raddrizza, sedendosi su quel morbido letto, il più lontano
possibile
da lui, nonostante l’espressione ferita che si dipinge sul viso di
Edward. Una reazione
comprensibile, destata dallo shock, un dettaglio che però il ragazzo
sembra
voler ignorare, chinando il capo turbato da quello che ha colto come un
rifiuto. «Sono un vampiro e sei una vampira. Sono stato io a
trasformarti,
prima che il tuo cuore si fermasse.» poche parole, pronunciate quasi
con
rabbia, forse con l’istintivo desiderio di turbarla o forse solo per
porre fine
a quella conversazione, a quella confessione che l’allontanerà per
sempre, che
gli strapperà tutto ciò che ha desiderato, senza neppure saperlo.
E si alzerebbe, se non
fosse conscio di
doverle più di questo. Se non fosse consapevole dell’importanza di
affidarla
alle cure di qualcuno, come la sua famiglia, capace di introdurla
gradualmente
in quel mondo, prima che lei compia qualche gesto di cui potrebbe
pentirsi.
Quanto a lei, lo osserva
in silenzio,
percependo quasi il lavorio del suo cervello, che velocemente lavora.
Ed i tasselli di quel
puzzle, colmo di
incongruenze, sembrano finalmente sistemarsi al loro posto, dando un
significato a dettagli che ora le appaiono ovvi ma che un tempo aveva
bellamente ignorato.
La tendenza ad evitare la
luce del sole, le
loro giornate di trekking, il pallore dei visi di ognuno di loro, di
quella
strana ed inconsueta famiglia, dall’aria eterea.
Vampiri.
E lei… vampira.
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