My Idol's Life

di Moonshine Quinn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sembrava una giornata come le altre ***
Capitolo 2: *** Ospiti Speciali ***



Capitolo 1
*** Sembrava una giornata come le altre ***


Cap.1

Sembrava una giornata come le altre, eppure sapevo bene che non era così. Quella sera avremmo fatto delle prove un po' speciali, non più con solo i membri della Rebel BVB Band, la band di cui attualmente sono cantante e chitarrista, ma avremmo avuto anche degli ospiti speciali. O così ci aveva anticipato il nostro manager da quattro soldi che ogni tanto riusciva a piazzarci in qualche scarso locale, oppure in qualche manifestazione che nessuno conosceva. E conoscendolo, gli ospiti speciali saranno stati sicuramente i nostri famigliari che, a nostra insaputa, avranno preparato una festa a sorpresa per il quinto anno dalla nascita della Cover Band.

Scossi il capo e avviai il motore della macchina. Tanto valeva lasciarsi sorprendere, no?

La mia scuola distava a pochi isolati da Evil Church Street ma, con il tempo da lupi che faceva, preferivo decisamente andare in macchina. Avevo da poco fatto le patenti, e lasciare la macchina a prendere polvere in garage mi sembrava un vero peccato! Non sarà stata una macchina da 30.000 e passa dollari, ma era comunque qualcosa. La mia piccola fiat panda, che mi aveva lasciata a piedi già due volte nell'arco di un mese, era comunque un gioiellino che mi era costato sudore e fatica! Al mio sedicesimo compleanno cominciai a lavorare sodo ogni vacanza ed ogni week-end per riuscire a fare le patenti, e con i soldi rimanenti mi ero comprata un'auto d'occasione.

Inserì la marcia e sgommai a tutta velocità fuori dalla via di casa, diretta verso scuola.

 

Parcheggiato il veicolo nell'autosilo, entrai di corsa a scuola e mi precipitai in segreteria. Ultimamente a ogni docente era venuto in mente di cambiare aula, ed ogni mattina bisognava fare a gara a chi arrivava per primo a domandare gli orari del giorno alla segretaria, e ogni giorno mi toccava svegliarmi sempre più presto. E anche questa mattina la storia era sempre la stessa, una colonna di almeno venti minuti solo per prendere degli stupidi orari!

Spostai lo sguardo sull'orologio gigante appeso in mezzo all'atrio… erano solo le 7.30 am! Sconsolata, mi sedetti su una sedia vicino all'entrata del segretariato e poggiai il capo contro il muro. Non feci a tempo a chiudere gli occhi che il sonno mi prese e mi portò via con se.

 

«Moon? Moon! Dove sei? Non riesco a vederti!» continuava a ripetermi una voce lontana chilometri da me. Mi scossi appena e aprii gli occhi, guardandomi attorno. Mossi leggermente il capo e notai, con grande stupore, che ero immersa in almeno dieci buoni centimetri, nella neve. Mi misi seduta, scrollandomi la neve dai capelli. Capelli molto belli e particolari, diceva sempre la mia migliore amica, Jeika, fiera del suo lavoro. Erano blu, ma non di un blu uniforme. Avevano ogni sfumatura di blu che aveva la coda di un pavone, senza tralasciare qualche ciuffo verde e viola.

Feci per mettermi in piedi, quando una mano mi si poggiò delicatamente sulla spalla costringendomi, a mio malgrado, a rimanere seduta. Alzai il capo, ma non riuscii a vedere il volto dello sconosciuto che mi obbligava a stare seduta a terra, sulla neve gelida e bagnata. Aprii la bocca per urlargli di lasciarmi andare, ma lui mi precedette.

«Sssssht, non dire nulla Moonshine, non devi sprecare energie. Ti conviene svegliarti, se non vuoi fare tardi a lezione.» Mi disse dolcemente, poi cominciò a scrollarmi. Mi scrollò prima delicatamente, e man mano aumentò la forza, iniziando così a scrollarmi insistentemente, gridando «Moon! Moooooon!!! Porca di quella puttana! Ti vuoi svegliare?? Siamo in ritardo!!»

 

Mi svegliai di soprassalto, e la prima cosa che vidi fu il viso pallido e minuto della mia migliore amica. Spostai lo sguardo da lei all'orologio, e scattai immediatamente in piedi. Le 8.20 am. Cacchio! Avevo dormito per così tanto tempo?? Presi di corsa le mie cose ed entrai in segreteria, per prendere l'orario. Guardai Jeika con un'aria afflitta e mi diressi con lei su per le scale, saltando due gradini alla volta.

Arrivate al quinto piano, entrammo in aula come delle furie, e ci sedemmo una in faccia all'altra. Per il resto della lezione di economia, lei non fece altro che puntarmi i suoi occhi color cioccolata addosso con aria di rimprovero. Non ci potevo far nulla se a scuola avevano deciso di farci impazzire, crollare completamente, facendo in modo di farci alzare circa due ore prima del dovuto per arrivare almeno un'ora prima a scuola! E siccome io avevo bisogno di molte ore di sonno per rendere a scuola, e non mi piaceva andare a dormire troppo presto, a scuola davo davvero poco… anzi, recentemente facevo proprio schifo!

Durante la pausa pranzo sgattaiolai via da tutto e da tutti, rifugiandomi nella vecchia casetta del magazziniere. Da tre anni a questa parte, la capanna di legno tutta malandata era diventata il mio posto privato, dove mi rifugiavo a scrivere o a disegnare, il mio piccolo luogo di sfogo. Era chiuso da circa una quarantina d'anni e, siccome qualche storia horror deve pur girare tra i banchi di scuola, si diceva che il vecchio magazziniere, morto per un ictus, fosse tornato nella sua vecchia baracca a finire gli ultimi lavori che aveva lasciato in sospeso, o che non aveva avuto la possibilità di finire a causa del continuo via vai dall'ospedale.

Era, da sempre, chiusa a chiave con un almeno sette lucchetti e catenacci, ma io il primo anno di liceo, visto non avevo nessuno con cui parlare e nessun posto importante in cui andare, avevo deciso di fare un po' di esplorazione.

Erano le prime due ore del pomeriggio, le mie prime due ore libere, in cui non avevo assolutamente nulla da fare, e non avevo voglia di rimanere a casa da sola, che la scoprii. La nostra scuola sorge vicino ad una montagna e, di conseguenza,vicino ad un bosco. Stavo passeggiando lungo il sentiero quando avevo scorto, tra i rami caduti e le foglie secche dell'autunno, un tetto fatto di piode. Sono scivolata lungo il vecchio sentiero che portava alla cascina e mi ero fermata proprio davanti ad essa. Non era molto grande, ma nemmeno minuscola. Tutte le pareti e i mobili all'interno erano fatti interamente di legno, tranne le poltrone e il letto. La casa era stata costruita su due piani e lontana da tutto e tutti. Sembrava un angolo di paradiso, e volevo che diventasse mio! Ricordo che avevo girato intorno alla casa circa una decina di volte, quando finalmente avevo notato un'asse marcia leggermente scostata dal resto delle altre, tutte belle ordinate. Avevo faticato molto semplicemente a spostarla di un centimetro, ed effettivamente mi era balenata l'idea di rinunciare a quel posto e tornarmene in classe a non fare nulla, e penso che se non avessi scorso quel piccolo cranio bianco, me ne sarei andata. Con un sasso alquanto pesante ruppi l'asse, che andò in frantumi. Curiosa da quello strano cranio color avorio, mi ero inginocchiata ed avevo cominciato a cercare il resto del corpo, ma purtroppo ero solo riuscita a riportare alla luce una piccola parte di costole, colonna vertebrale, e un femore… felini. I denti attaccati al cranio ricordavano molto quelli di un gatto, peccato che il teschio fosse troppo grande per un animale così piccolo. Una lince forse? Non l'avrei mai saputo.

Avevo praticamente torturato una parte della cantina, pur di entrare in quel piccolo, meraviglioso posto. La parte superiore della cantina usciva leggermente dal terreno così, dopo aver tolto le varie assi, ero entrata, immergendomi in un posto buio, che puzzava di umido.

Allora tenevo sempre diecimila cose attaccate alle chiavi, e tra queste c'era una fantastica pila tascabile a forma di bara. L'avevo presa e, dopo aver cercato il pulsante per accenderla, il fascio di luce aveva illuminato l'intera cantina. Era un posto lugubre e spettrale, pieno di ragni, ragnatele, oggetti strani, curiosi e anche un po' da psicopatici. C'erano bambole senza occhi, braccia o altre parti del corpo, tenute talmente bene che l'usura del tempo non le aveva rovinate! Quando avevo spostato la lampadina lungo il pavimento, avevo notato dei strani disegni, ma avevo preferito non approfondire la conoscenza su quei segni. Finalmente, dopo una buona ispezione della cantina, avevo trovato le scale, coperte da non so quanti strati di stoffa! Illuminato in cima, avevo notato con grande piacere che c'era una porta che comunicava con il piano terra. Tutta felice avevo cominciato a salire le scale ma, una volta arrivata sulla soglia, avevo esitato un poco prima di abbassare la maniglia. Però, in fin dei conti, sarebbe stato un po' stupido mollare tutto, adesso che ero arrivata fino a li, così mi ero fatta coraggio ed ero entrata.

Fortunatamente la porta era aperta e, quando avevo varcato la soglia, ero rimasta colpita da ciò che si celava dietro le finestre coperte dalle assi. Subito d'avanti a me c'era un tavolo piuttosto piccolo, grande solo per due persone, era di legno (probabilmente mogano, visto che era in perfette condizioni) con sopra una tovaglia a scacchi rossi e bianchi. C'era una sola sedia, anch'essa di mogano, con intagli molto complicati sullo schienale. Subito dietro si trovava il piccolo angolo cucina, fornita di due placche, una media e l'altra grande, un lavandino in ferro, e un piccolo forno a legna. Accanto alla cucina, si poteva scorgere la porta che portava al bagno, di cui potevo intravvedere una doccia, un lavandino e un gabinetto, tutto in ceramica. Ogni parete di quella stanzetta era completamente rivestita di piastrelle, compreso il soffitto. Non era male come casa da single, effettivamente. Avanzando lungo il corridoio che si trovava accanto alla porta della cantina, ero entrata in un piccolo salotto con due poltrone abbastanza piccole, un caminetto e una stufa. Nulla di particolare, ma decisamente tutto l'insieme di quella semplicità aveva un non so che di affascinante. Subito sulla sinistra c'era una tenda fatta da coperte tutte cucite assieme. L'avevo tirata, scoprendo così una scala che portava su, al primo piano. Probabilmente sotto di esse c'erano le altre scale, quelle che dalla cantina mi avevano portata fino a qui. Una volta arrivata sopra, notai che il piano era piuttosto grande, cioè… era grande quanto tutto l'insieme del piano inferiore, solo che non c'erano i muri che separavano le stanze al piano di sotto. Nella parte alla mia destra c'era un letto ad una piazza e mezza, messo tutto punto, completo di piumino, cuscini e pigiama. In faccia ad esso c'era una cassettiera con contenente, probabilmente, i vestiti del vecchio proprietario. Riscese le scale, avevo lasciato la giacca su una poltrona e mi ero messa a cercare una scopa, per tirare via tutte le ragnatele, la polvere e altre sporcizie che nel corso degli anni si erano depositate su ogni angolo di quella bellissima casetta.

Un ora dopo avevo finito di pulire la casa da cima a fondo. Ora era ufficialmente diventata mia. Purtroppo il tempo era passato velocemente, perciò ero tornata nella cantina, che non avevo pulito perché mi dispiaceva togliere l'unica cosa che mi ricordasse gli anni che aveva quella dimora, e me ne ero tornata a scuola.

E da li nessuno mi aveva mai scoperta. Quando non mi andava di tornare a casa, capitava perfino che li ci dormivo. Avevo fatto un po' di provviste, caso mai mi fosse saltato in mente di mangiare una cosa calda, fatta sul momento, che non fosse l'orribile cibo-spazzatura della mensa.

 

E così feci oggi.

Finita la pausa pranzo, me ne tornai in classe, pronta per altre quattro ore di disegno di figura.

Non feci in tempo a varcare la soglia, che Jeika mi piombò addosso come una furia.

«Si può sapere dove diavolo eri??»

«Avevo voglia di mangiare qualcosa di commestibile, così sono andata a casa. Perché?» chiesi, facendo la finta innocente.

Lei sbuffò e mi trascinò in aula, obbligandomi a starle seduta accanto. Questo significava… lunga ramanzina da parte sua. Va bene che non vivo più con i miei genitori, ma riuscivo a cavarmela bene lo stesso!

«Stai sparando cazzate. Ho visto che la tua macchina era nel parcheggio, perciò eri nei paraggi. Dubito fortemente che tu, Moonshine Quinn, te ne sia andata fino a casa a piedi con questa neve e con questo freddo, quando potevi adoperare la macchina. Allora, dov'eri?»

Nemmeno a lei, l'unica persona che mi sopportasse e chi mi era sempre stata accanto, avevo mai parlato della casa, e non volevo. Quel posto era solo mio, e non volevo condividerlo con nessuno.

«Ero andata un attimo da Charlie, perché doveva darmi su alcuni giochi per l' X-Box che gli avevo prestato tempo fa.»

«Mah, sarà… comunque io e te dobbiamo parlare» mi disse lei con tono severo.

«Ok, ma non adesso, che il professore sta cominciando a spiegare.» dissi, indicando l'uomo di mezz'età che stava cercando di far stare calma la mandria che era la mia classe.

«Va bene, ma non pensare di cavartela così facilmente. Oggi vengo a casa tua e facciamo una lunga chiacchierata»

«Oggi no, non posso. Ho le prove e…»

«Ma non le puoi saltare? Almeno per questa volta!» mi supplicò lei.

«Non questa… abbiamo ospiti speciali» sospirai, roteando gli occhi.

Jeika sbuffò e cominciò a disegnare la modella che era seduta di fronte a noi. Per il resto della lezione non ci rivolgemmo più la parola.

 

Triiiiiiiiiin

Finalmente la campanella! Penso che non avrei resistito un solo attimo in più in quel posto, con gli occhi di tutti puntati addosso. Nelle ultime due ore avevamo dovuto disegnare gli occhi di una persona a nostra scelta, e tutti, guarda caso, avevano scelto me. Tutta colpa di questi occhi del cavolo. Ma non potevano essere semplici occhi marroni? No, assolutamente. Erano blu, ma non di un solo blu! La parte più esterna dell'iride era blu notte e, man mano che i si avvicinava alla pupilla, diventavano bianchi, creando un effetto tutto particolare e spettrale.

Quando uscii dall'aula, non mi lasciai fermare da nessuno, nemmeno da Jeika. Mi diressi verso l'auto, con le chiavi in una mano, e la borsa nell'altra. Entrai nella Panda (ormai era diventato il suo nome) e misi in moto, sfrecciando lungo tutta Evil Church Street fino a casa mia.

Aprii la porta e mi lanciai sul divano, prendendo il telecomando e accendendo la TV. Miss Purdy, il mio gatto tigrato, mi venne in grembo e cominciò a fare le fusa. Le accarezzai la schiena e di li a qualche minuto mi addormentai come un ghiro.





Beeene bene bene... Ciao a tutti. 
Questa storia l'avevo già precedentemente pubblicata, ma ho deciso di cancellarla da qui e rivederla, per poi ripubblicarla x) 
Va beh, non sto tanto qui a farvi perdere tempo, siccome il capitolo che avete appena letto è parecchio lungo (e se sei arrivato fino qui... che tu sia lodato ;)  ) perciò vi saluto e, boh, spero che recensiati in tanti! 

Ciao ciao

Moonshine Quinn

 

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Capitolo 2
*** Ospiti Speciali ***


2

 

Quando riaprii gli occhi la televisione era spenta, così come tutte le luci che avevo acceso. Mi misi seduta, ancora mezza rincoglionita e, dopo aver svegliato Miss Purdy e averla fatta scendere dal divano, mi diressi verso il primo interruttore che trovai (non che ce ne fossero molti siccome era un piccolo appartamento da due miseri locali e mezzo) per poi schiacciarlo. Nulla. Lo schiacciai una, due, tre volte, ma sempre nulla.

Merda, erano saltati i fusibili!

Mi diressi verso il cassetto dove tenevo le pile d'emergenza in caso di BlackOut e ne presi fuori una. La accesi e mi diressi vero l'armadietto delle valvole. Non feci a tempo ad allungare la mano che sentii un "Tump! Tump! Tump!" deciso. Chi veniva da me a quest'ora??

Andai alla porta d'entrata e la aprii, un po' scazzata dal disturbo.

Una figura ammantata entrò come una furia e mi prese per un braccio, strattonandomi per un braccio. Si tolse il cappuccio del mantello e mi guardò dritto negli occhi. James!

«Ma si può sapere che diavolo fai ancora a casa?!»

«Porco Diavolo, James! Mi hai spaventata! Cretino!» brontolai.

«Non mi interessa! Muoviti a metterti i vestiti che adoperiamo durante i concerti, dobbiamo andare alle prove! Non ti ricordi? Alle otto vengono gli ospiti!»

Mi diedi una pacca sulla fronte e corsi in camera a cambiarmi. Merda! Me ne ero completamente dimenticata! Ero tornata da scuola talmente stanca che non avevo in mente nient'altro che non fosse dormire per almeno quattro ore.

Spostai lo sguardo sulla sveglia, posta sul comodino, e sussultai. Erano già le 7.40 pm! Mi vestii in tutta fretta con i vestiti di scena e feci per dirigermi in bagno, pronta per passare alla fase "trucco", ma James piombò nella stanza come un fulmine e mi trascinò fuori di casa.

«I trucchi sono già tutti a casa mia, e comunque anche gli altri devono ancora truccarsi, così come me.» disse il bassista, indicandosi il viso e sorridendo, per poi entrare sulla sua Jaguar, facendomi segno di salire. Non esitai un attimo e mi accomodai sul sedile del passeggero.

La macchina era davvero molto bella, lussuosa ed accogliente, con i rivestimenti in pelle beige, compreso il volante e il portaoggetti, riposto in mezzo ai sedili anteriori. Ma nulla di quella macchina poteva eguagliarle l'autoradio! Aveva 6 casse, una riposta in ogni portiera, mentre le ultime due erano nel baule. L'effetto sorround era mozzafiato, e i bassi che aveva… era spettacolare. Purtroppo anche quest'ultima meraviglia era insignificante rispetto a lui, James, il ragazzo che avevo conosciuto cinque lunghi anni fa, quando ero entrata nella band, e che da allora si era impossessato del mio cuore.

James era un ragazzo molto solitario, e respinto proprio a causa del suo look, dei suoi gusti un po' diversi da quelli degli altri ragazzi. Il bassista era alto, con i capelli neri come la pece e gli occhi di un verde tanto intenso, che sembravano fatti di smeraldo. Si truccava sempre con un leggero strato di matita nera attorno agli occhi, e ciò non faceva altro che mettere in risalto i suoi fantastici occhi. Vestiva in maniera molto simile al mio durante i concerti cioè… emo-dark. Suonava il basso da circa dieci anni, ed era più vecchio di me di un anno e qualche mese.

Quando entrammo nel locale insonorizzato del suo appartamento, è li che facevamo le prove, gli occhi di tutti i membri della band mi si inchiodarono addosso, cattivi, arrabbiati. Feci per scusarmi quando Thomas, il nostro manager, mi venne incontro tutto sudato e, da come ballonzolava, sembrava anche abbastanza innervosito. Mi prese per un braccio e mi avvicinò al suo orecchio, posto all'altezza di un metro e cinquanta, circa, per poi cominciare a sgridarmi a causa del ritardo.

«Signorina, sai per caso che ore sono?! Dovevi essere qui più di mezz'ora fa, eppure ho dovuto mandare James a prenderti! Cosa diavolo ci facevi ancora a casa? Me lo spieghi?»

Mi strinsi nelle spalle, leggermente imbarazzata a causa di tutti quegli sguardi puntati addosso, e borbottai «Nulla, dormivo semplicemente. È una settimana che non dormo abbastanza e, siccome oggi è venerdì, ne ho approfittato per recuperare un po' di energie.»

Stavo per spiegargli come mai non avevo potuto dormire a sufficienza, ma lui mi sventolò una mano d'avanti al naso, facendomi segno di tacere, per poi tirarmi per la maglia e trascinarmi fino alla stanza di James.

«Okay» disse, guardando velocemente l'iPhone «Hai esattamente dieci minuti di orologio per cambiarti, truccarti pettinarti e cambiare i vari pierci…cosi, okay?» indicò di sfuggita il mio labret laterale sul lato sinistro.

Sbuffai e annuii, invitandolo gentilmente ad uscire. Aprii la porta del bagno, per poi tirare fuori dall'armadietto a specchio i trucchi e i piercings. Cominciai a truccarmi molto accuratamente, cercando di rimanere il più fedele possibile ai modelli che dovevo seguire. Jake Pitts e Andy Biersack. Già… siccome suonavo la chitarra e cantavo, non potevo utilizzare solo il trucco di uno o dell'altro, perciò ero stata costretta a fare un mix, ma non era male. Agli occhi avevo il tipico trucco di Jake, che assomigliava un po' a quello di Andy, solo che lui le linee le faceva partire da metà occhio in poi, ed erano più lunghe. Per richiamare il trucco di Andy mi facevo la tipica mezza bocca alla Jack Skeletron. Una volta che finii di truccarmi, svitai il mezzo anellino argenteo al labbro, per poi mettermi l'anellino nero. Presi la lacca e cominciai a sparare in aria i ciuffi in cima alla testa. L'unica cosa che, purtroppo, stonava in quella perfezione chiamata "Black Veil Brides's Style" erano i miei capelli blu, però mi dispiaceva rifarli neri, perché mi piacevano così, fuori di testa.

Ritornai in camera e mi guardai nello specchio dell'armadio con occhio critico, ma l'immagine che mi rifletteva non aveva nulla che non andava.

Indossavo dei leggins neri, con delle spille di sicurezza messe a gruppi di cinque un po' qui, un po' la, lungo le gambe. La maglia nera arrivava fino a metà coscia, ed aveva ricamato, sulla parte destra in basso, il logo dei Black Veil Brides. Sopra di essa avevo il mio gilet di jeans nero portafortuna, con la spilla di Joker, e il ciondolo della band attaccata alla cerniera del taschino destro. Presi il rosario dei BVB e me lo misi al collo. Ora ero perfetta. Lasciai la stanza e mi diressi di nuovo verso il locale insonorizzato, pronta a cantare e a suonare per i nostri ospiti.

Tutti e tre i membri della Rebel BVB Band erano già alle prese con gli amplificatori, grancasse, plettri e cavi di ogni genere, mentre Thomas era tranquillamente seduto su una sedia all'angolo, e sgranocchiava un panino. James, io, Nightshade e William eravamo i membri della Cover Band. James era il bassista, io la cantante e la chitarrista, Nightshade l'altro chitarrista, e William il mitico batterista. Eh sì, ero l'unica ragazza, ma non mi dava affatto fastidio. In fondo eravamo un po' come i Nightwish, no?

Quando mi misi al mio posto, accordai la chitarra (una meravigliosa B.C. Rich Mockingbird Pro, per chi non si intendesse di chitarre, è la stessa che Jake usa in "Fallen Angels"), misi il cavo nell'amplificatore e… contatto! Cominciai a strimpellare l'assolo di "Rebel Yell", dimenticandomi di praticamente tutti i miei problemi.

James mi si avvicinò all'orecchio e mi sussurrò «Gli altri vorrebbero parlarti un attimo, piccola Fallen Angel».

Arrossii violentemente, e dissi al mio cuore di smettere di battere così forte, perché se no non sentivo nulla di ciò che il mio angelo mi diceva. Mi voltai e vidi i volti di tutti non più arrabbiati, ma piuttosto tesi. Sembravano agitati e nervosi a causa degli ospiti e, quando Nightshade mi si avvicinò, cominciò a dirmi tutta la scaletta di cose che dovevamo suonare e fare quella sera. Diavolo! Sarei tornata a casa alle 3 del mattino!

«Allora, se ho ben capito, dobbiamo cominciare con tutti i brani di We Stitch These Wounds, per poi procedere con Set The World On Fire e finte in bellezza con In The End? Ma vi rendete conto che domani ho scuola di Tecniche Assassine?! Saranno 4 ore di sola musica! Non so se ce la faccio!» sbottai.

James mi poggiò una mano sulla spalla e mi avvicinò a se, sussurrandomi qualcosa come "Calma, non innervosirti", ma in realtà non lo stavo nemmeno ascoltando. Ero troppo concentrata a guardare Nightshade dritto negli occhi, cercando di capire se scherzasse o meno, ma purtroppo il suo sguardo, oltre che nervoso, era molto serio. Okay… l'indomani non sarei andata al corso… un ulteriore assenza che si poteva evitare.

Mi misi davanti al microfono, e abbassai lo sguardo pronta per l'intro del primo album. Presi il plettro dalla tasca e inspirai a fondo. Non feci a tempo ad aprire la bocca che Thomas entrò tutto trafelato e ci guardò, rosso in volto. Non avevo nemmeno notato che fosse uscito! Boccheggiando ci disse «Sono arrivati!» e li, tutto si fermò.




Ciao a tuttiiiii, ok... ecco il nuovo capitolo :D Enjoy it! 

Moonshine Quinn

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