pdc2tMM; mating dance of souls and planets

di JunJun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione (2014) e Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Il Consiglio ***
Capitolo 4: *** Imago ***
Capitolo 5: *** In trappola ***
Capitolo 6: *** Il sacrificio di Kisshu ***
Capitolo 7: *** Angeli protettori...miao! ***
Capitolo 8: *** Rifugio ***
Capitolo 9: *** Inganni e complotti ***
Capitolo 10: *** Strani comportamenti ***
Capitolo 11: *** Sentimenti ***
Capitolo 12: *** Addii ***
Capitolo 13: *** Preludio (Un sogno) ***
Capitolo 14: *** Il ritorno delle Mew Mew ***
Capitolo 15: *** Essere o non essere ***
Capitolo 16: *** E' una vita terribile ***
Capitolo 17: *** Equivoci pericolosi ***
Capitolo 18: *** Equilibri spezzati ***
Capitolo 19: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 20: *** Copycat ***
Capitolo 21: *** La chiave di tutto ***
Capitolo 22: *** La nascita di Venere ***
Capitolo 23: *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.1) ***
Capitolo 24: *** Il fan n°1 di Zakuro ***
Capitolo 25: *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.2) ***
Capitolo 26: *** OoP.ArtS ***
Capitolo 27: *** Il segreto della Croce ***
Capitolo 28: *** Alieni, angeli e...piramidi ***
Capitolo 29: *** Zeitnot ***
Capitolo 30: *** Labirinto di specchi ***
Capitolo 31: *** Il cammino di vita e morte ***
Capitolo 32: *** Zugzwang ***
Capitolo 33: *** [off_fanfic] Il Palazzo ***
Capitolo 34: *** Paura e delirio al Cafè Mew Mew ***
Capitolo 35: *** Intermezzo (Un viaggio) ***
Capitolo 36: *** CE4 - Incontri ravvicinati del IV tipo ***
Capitolo 37: *** Chi sei tu che avvolto nella notte... ***
Capitolo 38: *** Transizione di fase ***
Capitolo 39: *** La notte dei chimeri tarantola ***
Capitolo 40: *** Furto di strategia ***
Capitolo 41: *** Cosa sei veramente ***
Capitolo 42: *** La fine ***
Capitolo 43: *** Frattura ***
Capitolo 44: *** Colpito al cuore ***
Capitolo 45: *** 'Ops' ***
Capitolo 46: *** Ragione o sentimento ***
Capitolo 47: *** L'ora della profezia [IN REVISIONE] ***
Capitolo 48: *** Ho atteso a lungo questo momento [DA REVISIONARE] ***



Capitolo 1
*** Introduzione (2014) e Prologo ***



- Prologo -



Secoli. Decine e decine di secoli sono trascorsi dal giorno in cui siamo stati costretti ad abbandonare il nostro pianeta natale, la Terra. Da quel momento, abbiamo vissuto su questo pianeta buio e ostile. Ci siamo adattati a sopravvivere nel suo sottosuolo, nell’oscurità più totale. Molti di noi sono morti a causa degli stenti, delle malattie e della scarsità di cibo. Con il passare del tempo, la nostra tecnologia e gran parte delle nostre antiche conoscenze sono andate perdute e noi siamo sprofondati sempre più nell’oblio e nella barbarie.
Abbiamo rischiato piu' volte l'estinzione.
Il nostro riscatto è parso arrivare quando un’entità superiore, Profondo Blu, ci ha promesso che avrebbe riconquistato per noi la Terra che, nel frattempo, era stata contaminata dai terrestri.
Abbiamo accettato la sua richiesta, lo abbiamo eletto nostro Sovrano e lo abbiamo inviato sulla Terra insieme a tre dei nostri migliori soldati. Ma ora, a distanza di un anno terrestre dalla partenza di Profondo Blu, sembra che la situazione sia precipitata; sembra che Lui sia stato tradito.
Al tempo della partenza di Profondo Blu, alla guida del nostro popolo vi era l'anziano Mahimi Sen; egli ha recentemente preso in moglie la giovane Kassidiya Kaishu. Ma, avendo Mahimi ‘perso’ la testa poco dopo la cerimonia, Kassidiya Kaishu è attualmente, per me e per il resto del nostro popolo, l'unica, sola e legittima Sovrana Reggente.
E così sarà, fino al ritorno di Profondo Blu.

Firmato,
Obadiah Shiroi
Consigliere della Sovrana Reggente
Kassidiya Kaishu


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Note del 31/01/2014 ~ 05/11/2014 e oltre

Ciao!

Anni fai ho iniziato questa fanfic in un pomeriggio di noia. Mi sono divertita moltissimo a portare avanti la trama, ma alla fine mi sono bloccata. E' stata una cosa molto triste.
Poi sono andata all'università, dove ho studiato così tanti numeri che ho finito per darli dimenticare come si scrive. Per tornare un po' in me ho quindi deciso di terminare questa fanfic; ci sono affezionata e mi è sempre dispiaciuto averla abbandonata. ;_;
Ho deciso di revisionare con calma tutti i capitoli prima di riprendere in mano il finale. Sembrano tantissimi, ma lo sono molti sono davvero corti.
Vorrei solo dire a chi ha letto questa fanfic in passato, se è ancora qui, che davvero mi dispiace di aver lasciato il finale così appeso. Non sono brava con le parole, ma i miei sentimenti sono sinceri.
Tornando alla storia: è divisa in parti e nello specifico:
- capitoli 2-12: storyline degli alieni;
- capitoli 13-18: storyline delle Mew Mew;
- dal capitolo 19 in poi le due storylines cominciano ad alternarsi fino al capitolo 34.;
- dal capitolo 34 in poi la storyline è unica.
I protagonisti sono un po’ tutti (è anche per questo motivo che questa robaccia è così lunga), e saranno presenti svariati nuovi personaggi.

Il titolo originario della fanfic era 'il potere del cuore', ma dopo anni ho deciso di cambiarlo perché in passato aveva un senso, ma ora non piu'.
Mi fermo qui per ora e vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato. *fa inchino*
Vi mando un abbraccio grande quanto il pianeta Nibiru, ma molto piu' caldo.
JunJun


Avvertenza 1: Sono una persona seria. Ma non nelle scritte colorate.
Avvertenza 2: Sono una beota distratta. Se beccate errori o avete osservazioni e/o domande, se vi va non esitate a farmelo sapere: cercherò di fare il possibile per chiarire e/o correggere dove/come posso.


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Capitolo 2
*** Ritorno a casa ***


08/02/2014, day #1: Rileggendo questo primo capitolo mi sono resa conto che l'impresa in cui mi sono imbarcata è disperata djkfsdklfsd.
Ho aggiustato quanto potevo, ma in generale vi prego di perdonarmi per questi primi capitoli: dieci anni fa avevo appena iniziato la mia carriera (?) di fanfiction-writer. 





 - Capitolo 1: Ritorno a casa -

{I tried so hard, and got so far
But in the end, it doesn't even matter
I had to fall, to lose it all
But in the end, it doesn't even matter…}
Linkin Park, In the End



Era un brivido di gioia, di sollievo, o forse un tremito di paura, un angosciante tuffo al cuore? Kisshu non riusciva a comprendere le emozioni che gli procurava la consapevolezza di essere ritornato sul suo pianeta natale.
L’astronave su cui era a bordo insieme ai suoi fratelli Pai e Taruto stava per entrare nella sua atmosfera invivibile, così diversa da quella terrestre...
…la Terra, il Pianeta Azzurro.
A Kisshu mancava, e molto. Erano ormai trascorsi già molti mesi da quando l’aveva abbandonata per sempre.
Durante quell’infinito periodo di viaggio spaziale, sebbene avesse a lungo lottato contro ciò, la mente dell'alieno era spesso tornata sulla Terra. Flashblack non voluti di ricordi avevano continuato a riaffiorare nella sua testa: parole, azioni, errori, sofferenze…dolorosi sentimenti che aveva cercato di lasciarsi alle spalle, inutilmente. Un’immagine, in particolare, gli era riapparsa più volte davanti agli occhi.
Grandi occhi castani vivaci, capelli rossi…
...ma ormai era lontana.
Non doveva più pensare a lei; ormai era a migliaia di chilometri di distanza da lei.
Era tornato a casa.
Kisshu aveva già sprecato troppi pensieri per Ichigo Momomiya. E, mentre cercava di scacciare per l’ennesima volta il ricordo del sorriso dolce di quella terrestre, realizzò di essersi dimenticato il modo in cui si eseguiva la manovra di atterraggio…
“Bottone rosso o giallo...?” continuava a ripetersi l'alieno, fissando con poca attenzione il quadrante dei comandi, una delle poche cose visibili nell’abitacolo della navicella immersa nella penombra. “Se inizio a premere tasti a caso, è la volta buona che Pai mi fa fuori.”
Istintivamente, Kisshu si voltò verso di lui: il suo compagno più anziano era seduto alla sua sinistra, nella postazione centrale; era impegnato ad azionare i comandi ed analizzare i dati che gli forniva il computer di bordo. “Con la solita espressione da funerale,” constatò Kisshu.
Eppure, c’era c'era qualcosa di strano in lui: Pai continuava a fissare i comandi dell’astronave, ma nel contempo era come se il suo sguardo li stesse attraversando. Kisshu lo notò e decise di indagare.
«Pai?» chiamò. La sua voce squillante squarciò il velo di silenzio che si era creato fra loro da ormai troppo tempo.
«Uh?» fu la risposta indifferente.
«Quanto ci manca all’arrivo nell'atmosfera?»
«Poco.»
«Quanto ci manca all'inizio delle manovre di atterraggio?»
«Poco...»
«Eh, e quanto ti manca quella Retasu?»
Pai sbarrò gli occhi. Durò solo un istante, poi riprese il controllo delle sue emozioni. «Ti raccomando, ripeti qualcuna di queste idiozie anche davanti al Consiglio. Ne saranno felici, davvero...» sibilò scostante, a denti stretti.
Le labbra sottili di Kisshu si incresparono in un ghigno quando notò che le guance pallide del suo compagno si erano colorate di rosa. “Colpito e affondato,” pensò, soddisfatto.
Taruto, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a fissare distrattamente il monitor, sollevò appena la testa per chiedere annoiato al fratello maggiore: «Vuoi dire che dobbiamo andare al Consiglio...?»
«Si,» fu la sua risposta secca. «Dobbiamo rispondere del nostro operato e–»
«Come credi che prenderanno la notizia della morte di Profondo Blu?» lo interruppe il bambino.
«Lo sanno già. La scomparsa di un'entità potente come Profondo Blu non passa inosservata. E’ come se, di punto in bianco, una stella sparisse dalla nostra galassia. Ma comunque ho continuato ad inviare rapporti finché Profondo Blu, nella foga del suo combattimento, non ha distrutto il comunicatore. Per cui sul nostro pianeta ma sanno tutto, compreso–»
Pai si interruppe di colpo. Tornò a fissare il monitor, e dopo qualche secondo digitò alcuni comandi sulla tastiera. Si morse l’interno della guancia, realizzando che aveva parlato troppo.
Ora l'alieno si sentiva addosso gli sguardi curiosi dei suoi fratelli, o meglio, di suo fratello Taruto e di Kisshu, il fratello adottivo immaturo e petulante che nessuno avrebbe mai voluto avere. Forse era anche per questo che a volte non lo sopportava… ma Pai aveva giurato di proteggerlo, e per questo motivo sentì una stretta al cuore quando si rese conto che, per colpa sua, lui era ormai già praticamente morto. Forse poteva ancora salvare Taruto, adducendo come scusa la sua giovane età, ma Kisshu... Kisshu era spacciato.

«...sanno che cosa, Pai?» domandò il piccolo, con un tono indagatore davvero troppo serio per lui.
Il maggiore strinse le labbra. Purtroppo non c'era modo di rimediare a ciò che aveva fatto, e non sapeva come dirlo ai suoi compagni. «Siamo entrati nell'atmosfera, comincio le manovre di atterraggio,» dichiarò, chiudendo il discorso. Catturò l'occhiataccia che gli stava rivolgendo Kisshu.  «Se attivi lo scudo fresosferico, forse riusciamo ad arrivare vivi...» si limitò ad osservare.
Lui non smise di fissarlo, curioso e inquieto allo stesso tempo.
«E' il bottone nero, lì nell'angolo,» soggiunse Pai.
Kisshu schiacciò il tasto, ma non per questo parve calmarsi.
La fase di atterraggio impegnò tutti e tre, per cui non ebbero altre occasioni per parlare. L’astronave si immerse in una delle profonde voragini che squarciava la crosta del Pianeta Nero e dopo pochi secondi sfiorò il suolo sotterraneo. Terminati i controlli di routine, i tre alieni scesero dal veicolo spaziale per stiracchiarsi un po’ le gambe. L'aria esterna era respirabile, ma gelida. Si trovavano a centinaia di metri di profondità, nelle vicinanze del nucleo freddo del pianeta. 
Nibiru, il Pianeta Nero, così lo chiamavano: faceva parte del Sistema Solare, ma era così lontano dal Sole che non ne catturava neanche un misero raggio. La sua orbita viaggiava in senso opposto rispetto a quella di tutti gli altri pianeti del Sistema ed era così ampia da fargli trascorrere la maggior parte dei 3600 ater, ovvero anni terrestri che la componevano, fuori dal suo cerchio. Questo, tra l'altro, era uno dei tanti motivi per cui gli umani ignoravano la sua esistenza. Solo un popolo antico, i Sumeri, accennava a Nibiru in alcuni poemi epici.

Ma a nessuno dei cosiddetti nibiriani importava dell'interessamento degli umani per Nibiru. Loro lo odiavano: la sua superficie era inospitale e sconvolta da continue tempeste acide che la rendevano invivibile. Per questo motivo, per sopravvivere, erano stati costretti a costruire le loro città nel sottosuolo. Il dover vivere in quelle condizioni estreme aveva, nel corso del tempo, modificato in maniera permamente il loro fisico: da esseri simili agli umani quali erano inizialmente, i nibiriani avevano finito per trasformarsi in veri e propri mostri.
L'assenza di luce naturale aveva reso la loro pelle bianchissima; il loro corpo si era irobustito e i loro occhi ora riuscivano a penetrare il buio molto meglio di quelli di un felino. Infine, il loro senso dell'udito si era enormemente sviluppato, determinando la caratteristica forma allungata delle loro orecchie.
I nibiriani erano inoltre dotati di capacità molto speciali: potevano superare la forza di gravità e creare portali che connettevano diversi punti dello spazio fisico. I più abili riuscivano a sfruttarli persino per far apparire dal nulla particolari tipologie di oggetti. Ma l’uso di questi poteri, che nei tempi antichi avevano permesso loro di plasmare la Terra, era attualmente vietato dalle leggi del Pianeta Nero: i più disperati, infatti, avrebbero potuto usarli a danno della comunità. Così, per evitare trasgressioni, intorno alle uniche quattro città sotterranee del Pianeta Nero erano state predisposte particolari strumentazioni che inviavano continuamente impulsi atti a limitare le capacità dei nibiriani. L’unico modo per sfuggire ad essi era possedere un frammento dell'unico materiale in grado di rifletterli e sviarli: molto raro sul Pianeta Nero, sulla Terra era conosciuto con il nome di diamante. Solo le Guardie Imperiali – la casta elitaria di guerrieri il cui scopo era proteggere il Sovrano – e pochi altri fortunati avevano accesso a quel cristallo miracoloso.
Kisshu, Pai e Taruto, purtroppo, non erano tra di essi. Una volta localizzata la loro posizione e individuata la giusta direzione da prendere, i tre alieni rientrarono nella navicella e la usarono per raggiungere l’ingresso della Capitale, la città più vicina nonché la Sede del Consiglio.
«Che fortuna!» esclamò Taruto quando, dopo pochi minuti, scesero di nuovo dall'astronave. «Siamo atterrati proprio vicino alla Capitale!»
«Se non avessi fatto qualche errore di calcolo nell'inserimento delle coordinate iniziali, saremmo arrivati qui sin dall’inizio,» puntualizzò Pai, facendo arrossire il piccolo.
«Pai, credi che la prenderanno male?» domandò, cambiando argomento.  «Alla fine siamo tornati a mani vuote.»
L'altro sospirò. Non era ancora riuscito a passare sopra il fatto che le sue analisi avevano dimostrato che l'Acqua Cristallo recuperata sulla Terra, alla fine, era troppo poca per poter essere di una qualche utilità.
«Vedremo,» mormorò.

--

L'ingresso della Capitale era un gigantesco portellone di metallo scuro, chiamato il Portone. Era incastrato in una parete di roccia situata alla fine di un enorme tunnel.

Ai due lati del Portone vi erano due grosse sfere che emettevano una luce fioca: mentre Pai e Taruto parlavano, Kisshu aveva raggiunto quella più vicina e l'aveva sfiorata con le dita. A quel tocco, una luce più forte brillò nella sfera e al suo interno comparve l'immagine minacciosa di un robusto alieno.
«Fatevi riconoscere,» ordinò il Guardiano della Porta con voce profonda.
«Kisshu Ikisatashi, Pai ikisatashi, Taruto Ikisatashi,» sbuffò Kisshu con una certa noia. «I tre fortunati appena tornati dalla missione sul Pianeta Azzurro...quella di cui l'ater scorso non si faceva altro che parlare, hai presente? Quella per cui hanno fatto tutto quel casino per scegliere i guerrieri che sarebbero partiti insieme a Profondo Blu… Quella per cui, siccome le selezioni stavano degenerando in guerra civile, alla fine hanno scelto a caso fra chi si era proposto e hanno preso noi, che da quel momento siamo diventati più odiati di tutta la famiglia Enki messa assieme, antenati compresi… hai presente?»
«Ma certo...» sogghignò il Guardiano. All'inizio, nel sentire quei tre nomi, era rimasto a dir poco sconvolto ma, man mano che Kisshu era andato avanti con il suo sfogo, si era ripreso ed aveva assunto un'espressione alquanto pericolosa. «Vi apro subito...amici,» disse, e chiuse il contatto.
«Bravo,» borbottò Kisshu, prima che Pai lo raggiungesse e lo prendesse, stravolto, per spalle.
«Che cosa hai fatto? Che cosa gli hai detto?!»  esclamò.
«Ma che..la verità, no?!» replicò l'altro, stupito da quella scenata.
«Perché l'hai fatto?!»
«Perché non avrei dovuto farlo?»
Prima che Pai potesse rispondere, l'attenzione di tutti fu attirata dall'apertura di una porticina intagliata nel Portone: ne fuoriuscì di corsa un gruppetto di alieni, il cui volto era nascosto da un pesante casco di metallo scuro; indossavano un’armatura, erano armati di strane spade luminose, e, cosa più preoccupante, si dirigevano verso di loro.
«Pai,» mormorò Taruto, avvicinandosi spaventato al fratello, «che succede?»
«Io…» rispose il maggiore, con una nota colpevole nella voce, «nel mio ultimo rapporto, prima della battaglia finale... ho riferito che tu e Kisshu avete tradito Profondo Blu.»
Kisshu rimase a bocca aperta. «CHE COSA?!» sillabò. «CHE COSA HAI FATTO?!»
Non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché ormai le guardie li avevano raggiunti e due di loro lo avevano afferrato per le braccia, immobilizzandolo. Taruto subì lo stesso trattamento, ma non si rassegnò ed iniziò ad agitarsi.
Pai, paralizzato dall'orrore e dal senso di colpa, non riuscì a fare altro che restare a guardare.

«Fratellone! Come hai potuto farci questo?!» strillò Taruto.
«Grazie per averceli riportati, soldato,» lo ringraziò invece il Guardiano, raggiungendolo. Gli fece un leggero inchino e poi gli rivolse un grosso sorriso soddisfatto. «Adesso questi traditori avranno quello che meritano,» disse con soddisfazione.
Pai non replicò.
«Già, grazie, grazie di tutto, fratello,» ghignò amaro Kisshu. «Ma, se proprio volevi liberarti di noi, avresti potuto...che so...? Buttarci fuori dall’astronave nel sonno...!» furono le sue ultime parole prima di essere portato via.

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Capitolo 3
*** Il Consiglio ***


08/02/2014: Continuo a provare vergogna per ciò che scrivevo 10 anni fa ma continuerò imperterrita a rileggere, correggere e migliorare tutto ciò che posso.


 - Capitolo 2: Il Consiglio -

 


Pai rimase immobile davanti al Portone finché le guardie non se ne furono andate, portando con loro i suoi fratelli.
Sapeva cosa sarebbe successo loro: sarebbero stati condotti al Palazzo; sarebbero stati processati di fronte al Consiglio e, con tutta probabilità, sarebbero stati condannati a morte.
Fortunatamente, anche lui doveva comparire di fronte al Consiglio per fare rapporto: forse, se avesse fatto in fretta, sarebbe riuscito ad evitare il peggio.
Senza preoccuparsi di congedarsi con il Guardiano del Portone (che, visibilmente esaltato, dopo l'arresto di Kisshu e Taruto si era lanciato in un appassionato monologo sui vari tipi di crudelissime torture che secondo lui bisognava infliggere ai Traditori), Pai corse verso la porticina lasciata aperta dalle guardie e la varcò, entrando nella città sotterranea.
La prima sensazione che provò fu un'ondata di calore che avvolgeva il suo corpo: Polaris, la Capitale - come del resto anche Azzurra, Sirio e Orion, le altre tre città del Pianeta Nero - era circondata da una cupola di metallo artificiale che, grazie alle antiche tecnologie del suo popolo, assorbiva la poca energia celata nel nucleo del pianeta e la diffondeva al suo interno, riscaldandola. A dire il vero, la differenza di temperatura fra l'interno e l'esterno della città era così grande che Pai dovette lottare per tutto il tragitto dal Portone al Palazzo contro l'istinto di togliersi la parte superiore delle sue vesti.
La seconda cosa che colpì Pai fu la luce bianca che proveniva dal cielo, talmente forte da accecarlo per qualche istante: all'esterno, le uniche luci erano quelle fioche delle Sfere di Controllo, ma all'interno la città era illuminata a giorno da potenti lampade, collocate in punti strategici della cupola: questi Soli artificiali venivano spenti e poi lentamente riaccesi ad intervalli di tempo di circa dodici ore, in modo tale da imitare la durata del giorno e della notte terrestri.
Ripresosi dallo shock iniziale, Pai iniziò a correre verso la sua meta. Non ricordava bene la strada da imboccare per raggiungerlo, ma questo non era un problema: il Palazzo era la costruzione più alta della città e la sua sagoma si distingueva  anche dalla periferia più lontana.
Pai percorse rapidamente una serie di vie larghe e definite ai lati da piccole abitazioni e banchi di vendita. Non si fermò per scusarsi con le persone che urtava nella fretta e non si curò dei mezzi di trasporto a cui tagliava la strada attraversando gli incroci senza fermarsi.
Un tale comportamento gli fece guadagnare grida irate da almeno metà delle persone che incrociò e occhiate curiose dall'altra; non se ne preoccupò, anche se all'inizio la cosa lo infastidì parecchio: gli umani, in genere, erano indifferenti a ciò che accadeva ai loro simili; i nibiriani, invece, avevano il vizio di impicciarsi in qualunque avvenimento accadesse in mezzo alla strada, e se l'idiota di turno li aizzava contro il protagonista del giorno, si poteva star certi che quel povero malcapitato non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Era solo per evitare linciaggi di questo tipo che pattuglie di guardie sorvegliavano continuamente le strade: in quella città maledetta, di prezioso da rubare non c'era niente...
Pai continuò a correre, finché non sentì delle voci chiamare il suo nome, intimandogli di fermarsi: aveva attirato l'attenzione di tre guardie. Si fermò, e un secondo dopo si ritrovò delle spade elettriche puntate alla gola.
«Siamo di fretta, fratello?» ironizzò uno dei tre. Senza smettere di puntare Pai, attivò il comunicatore che aveva al polso. «Comunicazione: abbiamo fermato il demone che sta seminando il panico nel mercato... no, non è davvero un demone...si, e neanche uno spirito..» spiegò con rassegnazione. «Molto divertente...si, ce ne occupiamo noi. Chiudo.»
«Idioti superstiziosi...» borbottò la seconda guardia.
«Prenderebbero per demone persino la loro ombra,» aggiunse la terza.
Pai non disse niente, ma era perfettamente d'accordo con loro: la superstizione era davvero il peggiore vizio del popolino. Alimentata dai pregiudizi, era oltretutto anche l’indicatore più lampante del caos in cui li aveva fatti sprofondare la fuga dalla Terra e della malattia che, giorno dopo giorno, li consumava sempre di più: paura. I nibiriani avevano solo paura.
Non era vero che gli alieni erano una civiltà più avanzata degli umani: con il tempo, quasi tutte le conoscenze che li rendevano superiori erano andate perdute, ed ora solo gli scienziati avevano accesso ai loro resti, che studiavano e tentavano di ricostruire faticosamente. Il suo popolo stava vivendo da secoli in una sorta di stadio di decadenza, che somigliava tantissimo – in quanto ad usi, costumi, e mentalità - al periodo che gli umani definiscono “Medioevo”.
Ma, a differenza degli uomini medioevali, i nibiriani abitavano in casupole di metallo cromato e avevano mezzi di trasporto antigravitazionali.
Le tre guardie abbassarono le spade. «Allora...» esordì la stessa che aveva parlato al comunicatore, «dicci, fratello, volevi farti ammazzare dal popolo inferocito, o stavi semplicemente dimostrando le tue capacità atletiche?»
«Devo raggiungere il Palazzo, il più presto possibile,» spiegò piatto Pai.
«Ah, si? E che dovresti fare tu a Palazzo...?»
«Il mio nome è Pai Ikisatashi, e ho un'udienza al Consiglio,» dichiarò l’alieno, e poi ebbe un'illuminazione. «Il Guardiano del Portone può garantire per me.»
«Bene, lo contatto subito.»
«Davvero sei quello che è partito con Profondo Blu...?» gli chiese la guardia più giovane, interessata. «E' vero che è morto per colpa degli altri due membri del tuo equipaggio, che lo hanno tradito?»
«No.»
«Ah,» annuì quella, stupidamente. «Se è così, allora devi sbrigarti ad andare a dirlo al Consiglio, prima che li facciano ammazzare...li hanno smaterializzati già da un po', se era per loro tutto quel drappello...»
Pai digrignò i denti. Quegli stolti non solo lo trattenevano lì, ma gli dicevano anche che doveva sbrigarsi?!
La guardia che si era allontanata per parlare al comunicatore ritornò nel gruppo. «E' confermato: lui è Ikisatashi,» dichiarò, «e, in effetti, lo attendono a Palazzo.»
«Perfetto. Ora, per favore, potreste lasciarmi andare?»
«No; ti accompagniamo noi.»
A quel punto, Pai non riuscì più a trattenersi. «Forse non capite, io non posso perdere tempo!» gridò esasperato.
«E chi ha parlato di perdere tempo?» ghignò la guardia. «Si dà il caso che noi siamo Guardie Imperiali...» spiegò, ponendo una certa enfasi altezzosa sull'ultima parola.
 
--
 
Pai dovette ammette che, in fondo, non era stata una sfortuna incontrare quei tre tipi: sbloccando i suoi poteri con un cristallo di diamante, gli avevano permesso di materializzarsi con loro all'interno del Palazzo, proprio nell'anticamera della Sala del Trono.
Le porte dorate davanti a lui, che erano l'unica cosa che attirava la sua attenzione in quella camera scura, erano chiuse, ma dal vociare che proveniva dall’interno Pai immaginò che la sala doveva essere gremita.
«Che Ra sia con te, Ikisatashi,» gli augurò il più giovane del gruppo.
Pai gli fece un cenno di saluto e poi, voltatosi verso le porte, le spalancò ed entrò.
Quel suo ingresso inaspettato fece calare il silenzio nella Sala. L'alieno sentì addosso il peso di decine di occhi curiosi puntati di lui, ma si concentrò nel cercare i suoi fratelli. Percorse rapidamente con lo sguardo l'immensa sala rettangolare dalle pareti di pietra nera: era occupata per la maggior parte dai membri del Consiglio, anziani alieni dall'aria aristocratica, seduti su seggi di metallo leggero. In pochi istante scorse, ai piedi di una sontuosa piattaforma a gradoni posta in fondo, le figure familiari di Kisshu e Taruto.
Sospirò, confortato nel constatare che erano ancora vivi e vegeti.
Ma il suo sollievo scomparve quando scorse le due figure che erano sulla piattaforma.
«Mi stavo appunto chiedendo che fine avesse fatto il maggiore della famiglia...» osservò la prima, in piedi, fulminandolo con lo sguardo.
«Bentornato sul tuo pianeta, Pai,» lo salutò l'altra, elegantemente assisa su un trono, con voce mielata.
Pai deglutì. Lui odiava i sogni, ma stavolta pregò perché quest'assurda situazione si rivelasse tale.
 
 
----


 Poco prima…
 

Kisshu e Taruto, i polsi immobilizzati dietro la schiena da manette di energia, vennero spintonati malamente all'interno della città dalle guardie che li avevano catturati: non si sarebbero mai immaginati che il ritorno sul pianeta sarebbe stato questo…
Subito, un gruppetto di curiosi li attorniò: volevano sapere chi erano e cosa avevano fatto per meritarsi quel trattamento. Dopo aver scoperto la loro identità, accalorandosi, richiamarono l'attenzione di altre persone, che ben presto circondarono infuriate il drappello, chiedendo giustizia immediata. Intimorite, per evitare di far arrivare a Palazzo solo i cadaveri straziati dei due traditori, le guardie pensarono bene di smaterializzarsi direttamente a Palazzo prima che la situazione precipitasse.
Kisshu non ebbe il tempo di allietarsi per lo scampato pericolo che subito, davanti a lui, se ne presentò un altro: le guardie li avevano rimaterializzati in quella che presto riconobbe essere la Sala del Trono.
I soldati indietreggiarono, e lui li seguì con lo sguardo fino a scoprire, dietro di lui, la presenza di decine di seggi occupati da gente che non conosceva, e che evitava deliberatamente il suo sguardo con aria sprezzante.
«Kisshu...» gli sussurrò un angosciato Taruto, accanto a lui. «Voglio tornare sulla Terra.»
Il moro si girò a guardarlo, sorridendo tirato. «Anche io, Taruto...anche io.»
All'improvviso, un fruscio dietro le sue spalle attirò la sua attenzione: tutti i membri del Consiglio si erano alzati in piedi per salutare l'arrivo di due persone che si erano appena materializzate sulla piattaforma proprio davanti a Kisshu e Taruto.
Il primo era un alieno di mezza età dai capelli corti e brizzolati; aveva la corporatura di chi, probabilmente, in passato era stato un soldato o una guardia. Kisshu lo conosceva bene: il suo nome era Obadiah Shiroi.
La seconda figura era una giovane aliena, la più bella che Kisshu avesse mai visto: aveva la pelle di un biancore candido che creava uno strano ma splendido contrasto con i suoi lunghissimi capelli neri come l’ebano, in parte lasciati ricadere sciolti sulle spalle ed in parte legati in morbide trecce che le scivolavano lungo la veste di tessuto pregiato. Aveva una corona bianca sul capo e la sua figura era alta e slanciata; il suo viso, dai lineamenti dolcissimi e perfetti, era illuminato da grandi occhi violetti e innocenti.
Kisshu rimase a fissarla, imbambolato.
L’aliena, nel sedersi sull'elaborato trono di pietra bianca posto sulla piattaforma, ricambiò il suo sguardo e gli sorrise, e in quello stesso istante Kisshu capì di essersi perdutamente innamorato di lei.
«Che il Consiglio abbia inizio.»
La voce secca di Shiroi, posizionatosi al fianco della giovane, richiamò Kisshu alla realtà; seguì il discorso introduttivo che l'anziano prese a snocciolare, che permise a Kisshu di sapere che quella splendida nibiriana non era altri che la  nuova Sovrana del suo pianeta. Si chiamava Kassidiya ("Un bellissimo nome..." pensò subito, estasiato), mentre Shiroi era stato da poco nominato il suo consigliere. E fu proprio grazie alle sue parole che a Kisshu tornò in mente che quello era il suo processo, e che entro pochi minuti Kassidiya sarebbe stata costretta ad emettere contro di lui e suo fratello una condanna a morte. Provò una fitta di dolore, ma soprattutto vergogna: farsi condannare come traditore, in effetti, non era certo un buon modo per far colpo su una ragazza...
La gomitata di Taruto lo risvegliò dai suoi pensieri.
«Confermi tu di essere tu Ikisatashi Kisshu...?» gli ripeté Shiroi con voce dura.
«Eh...? Ah...si, si,» rispose lui rapidamente.
Shiroi ringhiò soffusamente e poi fece la stessa domanda a Taruto, che annuì con un sussurro spaventato.
«E ammettete voi di aver tradito il nostro Sovrano Profondo Blu, e di essere stati la causa della sua prematura scomparsa?»
Kisshu e Taruto incrociarono lo sguardo, incerti: avevano sì tradito quell'esagitato, ma la colpa della sua morte non era tutta loro!
Leggeri mormorii di dissenso si levarono alle loro spalle; Kisshu sapeva che, se avessero detto la verità, sarebbero stati additati come bugiardi; se, al contrario, avessero mentito, sarebbero stati giudicati colpevoli. In ogni caso, il verdetto sarebbe stato identico.
Cercò di trovare le parole adatte per rispondere ma, all'improvviso, nella sala scese il silenzio, rotto solo da mugolii confusi: Pai era appena entrato dalla porta principale. Kisshu lo intravide, ma subito distolse lo sguardo da lui: era colpa sua se si trovava in quella situazione.
Shiroi lanciò al nuovo arrivato uno sguardo ancora più seccato di quelli che aveva rivolto fino a quel momento a Kisshu. «Mi stavo appunto chiedendo che fine avesse fatto il maggiore della famiglia...» mormorò.
«Bentornato sul tuo pianeta, mio caro Pai,» lo salutò invece Kassidiya.
Un'altra fitta, stavolta di gelosia, scosse l'animo di Kisshu: 'mio caro Pai'? Cos'era tutta quella confidenza?
Pai lo raggiunse e lo superò, evitando di incrociare il suo sguardo.
«Immagino di dover ripetere la mia ultima domanda e magari rivolgerla anche a te,» osservò Shiroi.
«No,» dichiarò Pai. «Che il Consiglio termini qui. Loro non hanno colpa.»
Kisshu e Taruto sbarrarono gli occhi, sorpresi, mentre i mormorii seccati invadevano di nuovo la sala.
Shiroi sospirò. «Ti ricordo che è la Sovrana l'unica a poter decidere chi è colpevole o meno…»
«...ed io voglio sapere cosa è successo esattamente sul Pianeta Azzurro,» concluse velocemente Kassidiya. «Perché non me lo racconti tu, mio caro Pai...?» chiese poi con voce suadente.
«Gli esseri umani hanno opposto resistenza,» spiegò lui con convincente freddezza. «Sebbene la maggior parte di loro non comprenda il processo di autodistruzione che hanno attivato favorendo il degrado ambientale, ci sono persone che ancora lottano per evitare l’annientamento del pianeta: darebbero la vita per salvarlo. I loro motivi sono nobili quanto i nostri.»
«Ti sbagli,» obiettò Kassidiya.«I terrestri sono esseri inferiori; sai perfettamente che non sono in grado di provare sentimenti di questo tipo.»
«Io sono stato testimone di ciò di cui parlo,» ribatté Pai fiero, facendo aggrottare, con quella secca opposizione, molte fronti dei membri del Consiglio.
«Ciò non toglie che il pianeta ci appartiene di diritto, come ben sai.»
«Forse avevamo diritto al pianeta tempo fa...ma, da quando lo abbiamo abbandonato, appartiene solo ai terrestri,» concluse Pai. «Per questo io credo che, invece di continuare a nutrire odio verso di loro e verso questo pianeta ostile, dovremmo cercare di dimenticare la Terra. Avremmo dovuto farlo migliaia di anni fa, invece di continuare a sperare di poter tornare su di essa. Se lo avessimo fatto, forse oggi non saremo ridotti a questo punto,» aggiunse poi.
In seguito alle parole di Pai, gli anziani del Consiglio si chiusero di nuovo nel silenzio, ma nessuno riuscì a capire se fosse stupito o di disprezzo. Trascorsero istanti interminabili.
«...e per quel che riguarda la morte di Profondo Blu?» riprese Kassidiya, serafica. «E' vero che è stato ucciso dai tuoi fratelli?»
«No,» dichiarò Pai.
Kisshu e Taruto tirarono un sospiro di sollievo.
«...tutti noi abbiamo contribuito all'eliminazione di quell'essere maledetto.»
La Sala fu nuovamente avvolta dal più lugubre silenzio, ma Pai stavolta riuscì a riconoscerlo: era quello che precede una terribile tempesta. I suoi fratelli lo fissavano con gli occhi sgranati, come a chiedergli se fosse impazzito.
«Bene,» commentò Kassidiya, sospirando per sfogare l'ira silenziosa che le parole di Pai le avevano fatto avvampare. «Bene. Capisco, Pai. Capisco che gli esseri umani ti hanno confuso, forse con delle arti segrete, forse con delle torture, e ti hanno costretto ad andare contro il tuo Sovrano e la tua gente,» spiegò tranquilla.
«Non sono confuso,» protestò Pai. «Io…»
«Tu sei caduto preda dei tuoi malvagi fratelli, che sono passati dalla parte degli umani e si sono macchiati dell'assassinio di Profondo Blu, l’unico in grado di aiutarci a ritornare sul nostro pianeta d’origine. Sono loro, e non gli umani, esseri deboli e inferiori, ad aver tradito, e per questo loro due verranno condannati a morte,» proclamò Kassidya. «Questa è la mia decisione.»
La Sovrana si alzò in piedi, e al suo cenno due stravolti Kisshu e Taruto vennero riagguantati dalle guardie e condotti via.
Dietro il drappello che li trasportava si incamminarono pian piano tutte le persone che riempivano la stanza.

Alla fine, nel grande salone rimasero solo Kassidya, il suo consigliere e uno scioccato Pai, che però tornò presto in controllo delle sue emozioni.
«Che c'è? Non mi ringrazi neanche?» gli chiese l'aliena, sorridendogli. «Ti ho appena salvato la vita.»
«Avrei preferito morire con i miei fratelli,» borbottò Pai, senza alcun rispetto per l'autorità dell'aliena. «Come hai potuto farlo?!»
Lei scrollò le spalle, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli. «Sei davvero incontentabile,» sorrise. «Lo sai che non si può. Come credi la prenderebbe la gente là fuori, se venisse a sapere che ho graziato tutti e tre i Traditori? E poi, ricorda che è colpa tua se faranno questa fine. Sei stato tu ad inviare quei rapporti, o sbaglio? Avresti dovuto pensarci prima. Ora vai, prima che cambi idea anche su di te,» disse, e gli voltò le spalle, facendo svolazzare i lembi delle sue vesti leggere. Fece per allontanarsi, ma la voce di Pai la convinse a fermarsi.
«Ti prego...» la implorò il giovane, arrendendosi. Quando lei si voltò, lo trovò inginocchiato ai suoi piedi; inarcò un sopracciglio.
«Farò qualunque cosa,» continuò Pai, supplice.
«Mia signora…» tossicchiò Shiroi, fissando Pai in modo indecifrabile.
Kassidiya lo ignorò e concentrò la sua attenzione sull’alieno. «Qualunque cosa, dici...?» ghignò, mordendosi appena le labbra.
Pai strinse gli occhi, ben consapevole di cosa stava passando nella mente di lei. Era odioso far calpestare il suo orgoglio da quella vipera, ma se il suo sacrificio poteva rimediare al suo errore, allora non poteva esitare.
«Sì,» annuì.
Il ghigno che storceva la bocca della giovane Sovrana si allargò, mentre si voltava verso il consigliere e gli diceva: «Shiroi, comunica per favore che la condanna capitale appena emessa è annullata.»
Lui annuì e si smaterializzò velocemente.
«Ti ringrazio,» le sibilò Pai, tutt'altro che grato.
«Non gioire così in fretta,» ribatté lei. «Li lascerò nelle prigioni finché il popolo non avrà smesso di mormorare. Quanto a te, ti concedo di vederli un'ultima volta...ma subito dopo dovrai raggiungermi nei miei appartamenti per esaudire la tua promessa. E non fare troppo tardi: io odio aspettare,» concluse con un certo sorriso malizioso e poi scomparve, lasciandolo solo nel salone vuoto.
 

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Capitolo 4
*** Imago ***


23/04/2014.  No fermi tutti, non mi ricordo piu’ che cosa ho scritto. Chi è ora questa Imago? Che vuole da Kisshu?
Cavoli, mi sta già antipatica. Aaaaaaaargh, speriamo che muoia presto!


- Capitolo 3: Imago -

 
Kisshu venne scaraventato dal gruppetto di guardie dentro una vasta, putrida stanza sotterranea; cadde addosso a Taruto, che un istante prima aveva subito la stessa sorte. Le pesanti sbarre della cella si richiusero dietro di loro prima che avessero il tempo di rialzarsi da terra.
«Siete stati fortunati,» ghignò una delle guardie, fissandoli con aria malvagia. «Ma non preoccupatevi: presto torneremo per finire il lavoro,» disse prima di allontanarsi con i suoi compagni.
Mentre si rimetteva in piedi a stento, Kisshu lanciò loro qualche maledizione silenziosa.  Per lui, il rinvio della loro condanna era stata una fortuna relativa: ricevuta la notizia, le guardie che già bramavano di veder versare il sangue dei Traditori erano rimaste così interdette che, per consolarsi della delusione, non avevano deciso di divertirsi un po' con lui.
Il moro non ricordava di aver mai provato tanto dolore tutto assieme. Si asciugò con il polso il sangue che gli colava dalle labbra spaccate e si guardò in giro: la stanza, immersa nella penombra, era sporca, maleodorante e… rumorosa. In fondo alla cella, infatti, vi erano almeno una decina di nibiriani malandati che borbottavano fra loro. Un paio erano attaccati ai muri con delle catene, alcuni ridevano in modo folle ed altri lo fissavano malamente facendogli capire che, se avesse anche solo osato avvicinarsi a loro, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Kisshu era disorientato: non si era mai trovato in una situazione del genere. Lanciò d'istinto un’occhiata a Taruto, che singhiozzava in silenzio stringendosi nei vestiti lacerati. Fortunatamente, le guardie non gli avevano riservato il suo stesso trattamento, ma, a giudicare dai lividi che gli arrossavano il viso, dovevano averlo schiaffeggiato. L’alieno strinse i pugni, colto da un'ira improvvisa, che un istante dopo si trasformò in un dolore lancinante che proveniva dal suo braccio destro: a quanto pareva, doveva esserselo slogato.
«Stai bene, piccolo...? No, non fare sforzi! Ah, ma come hanno osato?! Colpire un bambino!»
Kisshu cercò di ignorare il dolore e puntò di nuovo lo sguardo su Taruto: uno dei prigionieri, un esserino sporco avvolto in degli stracci, si era appena chinato su di lui. Il piccolo lo spinse via gridando, con aria disgustata: «Non…sono…un bambino! Lasciami!»
L'altro non si arrese: «Uhmmm…già, ora che ti osservo meglio, in effetti, capisco che non sei un bambino. Un tipo così forte e coraggioso come te, non può che essere un grande guerriero,» disse pazientemente.
Taruto lo guardò per un lungo istante, e poi annuì piano.
Il prigioniero si inginocchiò accanto a lui. «E dimmi, cosa è mai accaduto ad un guerriero come te per trovarsi qui? Magari hai combattuto contro un demone o uno spirito laggiù in città, ma la tua impresa ha fatto arrabbiare gli sgherri di Sua Altezzosa Altezza Imperiale?» disse, fingendo un tono superbo nel pronunciare le ultime parole.
«Una cosa del genere, si...» ammise Taruto, sorridendo un poco.
L'altro emise una risatina consolante, e gli accarezzò la testa.
«Ehi, tu, chi diavolo sei?» sbottò a quel punto Kisshu, che aveva seguito la scena con interesse. Più ascoltava quella voce bassa e rauca, più forte si faceva in lui la convinzione che quel prigioniero fosse in realtà…una prigioniera.
«Ah...perdonami. Volevo solo essere gentile. Ma...se vuoi me ne vado,» fu la risposta dell’altro, che si sollevò il cappuccio e lo guardò in faccia: era proprio una femmina.
Kisshu rimase un po’ interdetto. Non si aspettava di trovare una ragazza in un posto del genere, ma questa era tutt’altro che bella: era anzianotta e più bassa di lui di almeno tutta la testa, ed era così magra da fare impressione. Una lunga treccia di capelli neri e sporchi le arrivava fin sotto la vita, mentre gli occhi erano piccoli e scuri. Kisshu pensò che c’era qualcosa di strano in lei, e alla fine concluse che si trattava di quel suo modo di fare, così assurdamente gentile da essere fuori luogo in un posto del genere.
“Probabilmente è pazza,” pensò sospirando.
La confrontò quasi inconsciamente con la bellezza di Kassidiya, quindi roteò gli occhi: «No, non fa niente,» le rispose infine. Andò ad appoggiarsi contro il muro lì vicino e si strinse il braccio. Il suo volto si contrasse in un'espressione di dolore che sembrò preoccupare la giovane aliena sconosciuta, che lo aveva fissato incantata fino a quel momento. «Cos’hai a quel braccio?» gli chiese lei.
«Niente, sto benissimo,» rispose Kisshu, digrignando i denti. «Non è niente!» ripeté, dato che l’aliena, invece di levarsi di torno, si era avvicinata a lui insieme a Taruto.
«Ma certo,» annuì lei in tono poco convinto. «Diceva così anche il fratello di una mia lontana parente, cioè un lontano mio parente, dopo che uno skunkle inferocito gli aveva staccato una gamba ad artigliate...»
«Il trucchetto che hai usato con Taruto non funziona con me,» sospirò Kisshu.
«Quale trucchetto?» chiese lui, sospettoso.
«Nessuno,» rispose la nibiriana rapidamente, «ma il tuo papà è davvero un brontolone.»
«Non sono suo padre,» esalò Kisshu, sfinito.
«Sei un suo lontano parente?»
Kisshu gemette, esasperato. Non aveva più neanche la forza di arrabbiarsi.
«Lui si chiamava Yoshi. Tu come ti chiami?»
«Lui...chi?»
«Il suo lontano parente, credo,» spiegò Taruto con una risatina.
«Io sono Imago,» si presentò la nibiriana.
«Io invece sono Kisshu, e voglio essere lasciato in pace.»
«Solo dopo che mi avrai fatto dare un’occhiata al tuo braccio.»
«No!» protestò Kisshu, tirandosi indietro, quando lei si avvicinò senza preavviso.
«Oh, non fare il bambino, Kisshu! Prendi esempio da…Taruto, no?»
«Già.»
«Ah, che bello! Anche un altro mio lontano parente si chiamava così!»
Taruto riprese a ridere, ma Kisshu sbuffò, voltando la testa dall’altra parte: quella tipaccia davvero insopportabile.
Lei gli sfiorò delicatamente il braccio in più punti; ad ogni tocco, Kisshu provava una fitta di dolore sempre più acuto. Sicuro che ormai la sua situazione non poteva peggiorare ulteriormente, quando lei gli disse: «Ora scusami, ma credo che ti farò un po’ male,» si limitò ad annuire rassegnato.
«Ecco fatto!» esclamò Imago dopo pochi secondi, che a Kisshu erano sembrati un’eternità. «Ehi, neanche un lamento. Complimenti. Come premio il tuo braccio é come nuovo!» concluse allegramente, allontanandosi da lui per ammirare la sua opera.
«Eh?» esclamò Kisshu, incredulo, sgranando gli occhi. In effetti, quando provò ad usare il braccio, non sentì più alcun dolore. «Ma…è impossibile! Come hai fatto?»
«Oh, una cosa da nulla!» sorrise Imago.
«Beh… grazie,» le disse Kisshu, e il sorriso di lei si allargò.
Ma un leggero colpo di tosse alle loro spalle interruppe quel momento. «Vedo che avete trovato subito compagnia...» osservò una voce bassa e indifferente.
«Pai...?» sibilò uno stupito Kisshu, scorgendo il fratello in piedi dall'altra parte delle sbarre.
«Pai!» gridò invece Taruto, e lo raggiunse di corsa. «Facci uscire da qui!» disse disperato.
«Non ne ho il potere, Taruto,» fu la sua risposta secca. «State bene?» chiese poi a lui e a Kisshu.
Quest’ultimo gli si avvicinò, un sorrisino ironico sul viso. «Starei meglio se mi spiegassi per quale motivo,» disse, indicando le sbarre, «tu sei da quella parte...e noi da quest'altra, non so se mi spiego.»
Pai sospirò. «Credo sia perché quella strega ha altri piani per me,» rispose laconico.
«Strega?» ripeté Kisshu, e si sentì ferito al cuore quando comprese che Pai si riferiva a Kassidiya. «Ehi, non osare ripeterlo! Ma non l’hai vista? Non l’hai sentita? E' grazie a lei se siamo ancora vivi!»
«Grazie a lei?!» ripeté Pai stravolto. La sua bocca si contorse in un’espressione di furia glaciale. «Sciocco! Ma guardati! Ti ha già conquistato. Stai facendo la fine che hanno fatto tutti quelli che l’hanno incontrata. Presto striscerai ai suoi piedi come un verme… sempre se non ti farà uccidere prima, ovvio.»
«Ma che diavolo stai dicendo?» ribatté Kisshu, con irritazione crescente. «E poi che ne sai tu di lei?»
«Più di quanto tu immagini,» replicò Pai. «Perché quella donna, quella Kassidiya Kaishu,» aggiunse poi in tono piatto, «era la mia compagna.»
Kisshu impiegò qualche secondo per comprendere il significato di quelle parole.
«Eh?» esalò alla fine. «Scusa, non ho capito l’ultima parola che hai detto. Puoi ripetere?»
«Hai capito benissimo,» replicò Pai freddamente.
«Eh?» ripeté Kisshu, decisamente stravolto. «M-Ma tu non...tu non sei mai stato con nessuna! Tu non hai mai avuto successo con le donne!»
Per tutta risposta, il fratello gli lanciò un'occhiata del tipo: solo-perché-non-te-ne-ho-mai-parlato-non-vuol-dire-che-sia-così.
«Ah…n-non ci posso credere, tu… tu conoscevi…tu frequentavi quella splendida creatura, e non me l’hai...mai....detto...?!»
«Non erano affari che ti riguardavano,» gli fece notare Pai. «E oltretutto, a quel tempo tu eri impegnato con Korie. O era Hoan?»
Kisshu lo guardò come se fosse impazzito.
Taruto si aggiunse alla discussione: «No, con Hoan è stato meno di un giorno. Forse parli di Elyr!»
«No, non era neanche lei. Uhm...» Pai assunse un’espressione concentrata. «Ma prima di Elyr c’era Niote o Jorine?» chiese a Taruto.
«Hmmmm…forse Dorine,» rispose lui.
«Ah, si, ora ricordo. Allora Katin era dopo Rik– »
 «Ah!» esclamò Kisshu, spazientito. «Voi due, piantatela!»
«In ogni caso, a quei tempi Kassidiya era poco più di una bambina, decisamente carina, vero, ma insopportabile. L’avresti mollata dopo pochi giorni,» spiegò Pai.
«E tu perché ti ci sei promesso, allora?» chiese Kisshu con una punta di amarezza, «eh?»
«E’ stata lei che ha cominciato!» si difese l'altro. «Io non la conoscevo affatto. E’ stata lei che ha insistito tanto. Quando capii che cosa era, me ne liberai subito. Pensai che fosse finita lì, ma a quanto pare  lei la pensa diversamente,» sbottò. «Non guardarmi così, Kisshu. Ascolta, io non so come abbia fatto a diventare Sovrana mentre noi eravamo sulla Terra e non so quali siano i suoi piani ma, da come si è comportata, credo che voglia vendicarsi di me per ciò che le ho fatto. E’ immatura e capricciosa, ed in questo momento è anche molto potente.»
«Che cosa facciamo?» domandò Taruto, preoccupato.
Pai scosse la testa. «Non lo so. Ma adesso io devo andare da lei, o si insospettirà.»
«E noi?»
«Voi non c'entrate niente con questa storia. Per il momento siete al sicuro, per cui state tranquilli e non combinate guai. Soprattutto tu, Kisshu: sta’ attento, e fatti passare la tua stupida cotta per Kassidiya il prima possibile.»
Kisshu sbuffò. «Parli di lei come se fosse un mostro assetato di sangue. Non credo che tu la conosca bene, in fondo,» osservò, incrociando le braccia dietro la testa.
Sentendo quelle parole, Pai perse rapidamente la calma: «MA QUANDO CRESCI, IDIOTA?!» gridò, attirando l’attenzione di tutti gli altri prigionieri. «Kisshu, tu devi smetterla di farti incantare dalla prima bellezza che vedi, tu non puoi sapere incontro a cosa-» si interruppe, quando davanti a lui si materializzò una giovane guardia imperiale, che subito si inchinò.
«Pai Ikisatashi?» gli disse. «La Sovrana vuole vederti.»
Kisshu e Taruto spalancarono gli occhi: «Uh?»
«Maledizione,» borbottò Pai a mezza voce, quindi si girò di nuovo verso i suoi fratelli. «Kisshu, ricorda quello che ti ho detto: non farti ingannare e, se dovesse succedermi qualcosa, scappate. Non-fate-idiozie,» sillabò.
«Che vuol dire, se ti succede qualcosa?» chiese Taruto in tono ansioso.
 Pai abbassò gli occhi. «Addio,» disse infine ai suoi fratelli, allontanandosi dalle sbarre.
 
 
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Ore dopo, mentre quasi tutti i detenuti del sotterraneo dormivano, chi russando o parlando nel sonno, chi tossendo o fischiando…e dal soffitto un odioso gocciolio infrangeva quel silenzio fatto di rumore… la nibiriana che aveva aiutato Kisshu si sedette accanto a lui: erano gli unici ancora svegli in tutto il sotterraneo; persino le guardie riposavano illegalmente. Lei continuava a discutere a bassa voce di chissà cosa, mentre lui osservava distrattamente il suo fratellino adottivo dormire accovacciato a terra lì vicino.
Kisshu non riusciva a capire cosa gli stava succedendo.
L’unica cosa di cui era sicuro, era che tutto questo era completamente diverso dai tempi di Profondo Blu: sembravano passati secoli da quando aveva lasciato la Terra. Perché non vi era rimasto?
Ah, già...
Ichigo.

Se ne era completamente dimenticato.
La sua piccola, dolce e antipatica bambolina.
L’aveva dimenticata.
Di già.
Kassidiya aveva preso il suo posto: ormai, lui ne era innamorato perso, catturato dal suo fascino - anche se Pai gli aveva ripetuto fino alla nausea che non doveva lasciarsi ingannare da lei.
Ma Pai ora era con lei. Perché non era più tornato? Erano ormai passate ore da quando l’avevano portato via. Cosa stavano facendo quei due?
Kisshu sentì una forte rabbia crescere in lui, insieme ad un sentimento di rassegnazione. "Lo so, alla fine Pai si prenderà la Sovrana, ed io rimarrò di nuovo solo," pensò, sconsolato. "E’ il mio destino. E’ stato deciso così. Io non avrò mai una compagna. Non una che amo davvero. Sono destinato a restare solo... che fregatura, il mio destino."
«Ahia!» esclamò poi improvvisamente, ritornando alla realtà. Imago gli aveva appena pizzicato un braccio. «Che vuoi?!» esclamò infastidito, girandosi dalla sua parte.
«Non hai ascoltato una singola parola di quello che ho detto,» osservò la ragazza con rassegnazione.
«Perché, che hai detto?»
«Lascia perdere,» sospirò lei, grattandosi una guancia. «Quell'alieno che prima è venuto a trovarvi, quel Pai. Era tuo fratello?»
Kisshu sbuffò. «Lasciami in pace. Non ho voglia di parlare ora,» disse, ma lei lo ignorò.
«Mi è sembrato di aver capito che siete fratelli...ma è strano che tu non sapessi che lui era il compagno di Diya...» osservò lei, ferendo Kisshu a tradimento, anche se non aveva veramente l'intenzione.
Lui le lanciò un'occhiataccia. «Perché, tu lo sapevi?» chiese ironico.
«Io? Ma certo, stavano sempre  attaccati! O meglio… lei gli stava sempre attaccata, quando era piccina,» rispose Imago. «Io...io ero...io ero un'istruttrice di grado elementare, e frequentavo la famiglia di Kassidiya per lavoro prima che lei diventasse Sovrana, ecco!» si affrettò ad aggiungere poi, cogliendo l'occhiata incuriosita che Kisshu le aveva lanciato.
«L'avevo capito che eri un'istruttrice,» annuì lui. «Ci sai fare con i mocciosi,» le spiegò poi, indicando Taruto.
«Ah...si, amo i bambini,» sorrise lei, ma Kisshu si era di nuovo perso nei suoi pensieri. «Tu sei geloso di tuo fratello,» dichiarò Imago alla fine.
«Non è vero,» si affrettò a rispondere Kisshu.
«Non vergognartene. Kassidiya ha un fascino magnetico. E’ sempre stata così, con tutti i maschi,» ammise l'altra con uno strano tono di voce, che portò Kisshu a chiederle:
«Ma tu la conoscevi?»
«Un po’,» fu la risposta. «E mi spiace dirtelo, ma so che è tanto bella quanto fatale.»
Se gli occhi di Kisshu si erano illuminati per un momento, adesso quella luce era del tutto scomparsa.
«Non ti ci mettere anche tu, Imago.»
«D’accordo, va bene, hai ragione tu,» annuì lei, sbuffando e incrociando le braccia.
Kisshu le lanciò uno sguardo esasperato: «Senti, non ce l'ho con te, ma Kassidiya non sembra…!»
«Lo so!» lo interruppe lei. «Per questo che nessuno riesce a ribellarsi!»
«Senti, perché dovrei fidarmi di quello che dici?» ribatté Kisshu, accigliato. «Non so neanche chi sei. Cosa hai fatto per trovarti qui? Sarà almeno la quarta volta che te lo chiedo, ed ogni volta hai fatto finta di non sentire. Adesso mi rispondi,» le intimò.
Imago sospirò. «Non è una storia interessante, la mia.»
«Perfetto. Ho proprio voglia di annoiarmi.»
La nibiriana lo fissò per qualche istante, incerta.
«Vedi, qualche tempo fa, quando Kassidiya salì al trono,» cominciò con cautela dopo un poco, «mi giudicò meritevole di una condanna a morte. Me, e molte altre persone che conoscevo. Io riuscii a scappare. La sera stessa, mi feci arrestare con una scusa. Avevo cambiato il mio aspetto e il mio nome. Sono brava con questi trucchetti, ed infatti nessuno mi riconobbe. Da allora io sono qui. E il bello,» disse, accennando un sorriso, «è che ancora mi cercano là fuori...o forse credono che io sia morta.» Catturò lo sguardo stranito di Kisshu. «Si, hai ragione, il mio è un piano davvero stupido. Anche io preferirei morire piuttosto che starmene qui rinchiusa. Ma… ti sembrerà una cosa assurda, ma so che il mio destino non è questo. Io sto aspettando che accada qualcosa,» spiegò. «Non so cosa,» aggiunse poi confusamente, «ma sento di avere un compito da svolgere...ed è già da qualche giorno che ho come l’impressione che….manchi poco, ormai.»
Kisshu la guardò come se fosse pazza: «E’ uno scherzo?»
«Suona un po’ come una presa in giro, in effetti,» annuì Imago.
«Bah, stai mentendo.»
«In ogni caso, quello che ti ho detto riguardo la mia identità deve restare un segreto. Sai com’é…»
«Ma allora tu non ti chiami Imago!»
«Mi raccomando, urla più forte, lassù all’ultimo piano del Palazzo non ti hanno sentito!» replicò lei, inarcando le sopracciglia cespugliose.
«Qual’è il tuo vero nome?» le chiese velocemente Kisshu.
«Questo non posso dirtelo. Però posso dirti che sono d’accordo con voi, anche se penso di essere l’unica su questo pianeta. Mi hanno riferito dei discorsi che avete fatto davanti al Consiglio. Se i terrestri sono come noi, non vedo perché non meritano di vivere. Possiamo vivere insieme,» osservò sognante.
Kisshu sbuffò e si voltò dall’altra parte, chiudendo gli occhi come per dormire. Era seccato perché lei aveva cambiato discorso pur di non rispondergli.
«Gli esseri umani sono carini?» tentò Imago.
«Un po’,» rispose Kisshu.
«Taruto mi ha accennato di una certa Ichigo.»
«Ricordami di tirargli un pugno quando si sveglia.»
«Se é vero che si è comportata con te come mi ha detto, non devono essere molto intelligenti, in fondo,» osservò lei pacata.
«Sono testardi,» disse Kisshu, senza prestare troppa attenzione al significato di quelle parole. «Senti, non mi va di parlarne ora.»
«Capito,» annuì lei, e fece per alzarsi. «Buon riposo e addio.»
«Uh? No, aspetta!» Istintivamente, Kisshu la trattenne per un braccio.
Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo.
Kisshu, accortosi del suo gesto, si affrettò a ritrarre la mano. «Anche se sei un femmina,» le disse dopo qualche secondo, «credo che qui tu sia l’unica con cui si possa fare un discorso quasi intelligente.»
La nibiriana, dopo un attimo di imbarazzo, si sedette di nuovo accanto a lui. L’ombra di un sorriso le illuminò il volto, e probabilmente era anche arrossita. «Beh grazie,» mormorò piano. «Ma credo che ci siano molte altre persone migliori di me qui dentro.»
Prima che Kisshu potesse aggiungere altro, la sua attenzione venne attirata da delle grida improvvise: in fondo alla cella, due prigionieri si stavano prendendo a parolacce perché uno di loro, a quanto pareva, aveva cercato di morsicare l’altro nel sonno. Alla fine si misero a sghignazzare insieme e caddero addormentati l’uno sopra l’altro.
«Oh, si, certo,» sussurrò lui, osservando quello squallido spettacolo, «hai proprio ragione.»

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Capitolo 5
*** In trappola ***


23/04/2014:  C'è qualcosa che non va in me... perché ora Kassidiya mi sta simpatica? Sono diventata una persona bruttissima nel corso degli anni! ;____;
Comunque sia sono un genio perché ci sono rimasta malissimo quando, andando a rileggere a caso alcune vecchie recensioni, mi sono spoilerata il modo in cui prosegue la MIA storia.


- Capitolo 4: In trappola -

 
L'Appartamento Imperiale era forse uno dei posti più incantevoli dell'intero Palazzo. Così ampio da fare invidia alla Sala del Trono, riservato ai soli Sovrani, era formato da un’unica stanza magnificamente arredata con gli oggetti più belli che si potessero trovare su tutto il pianeta. Molti di essi erano reliquie dell'antica civiltà terrestre e perciò avevano un valore inestimabile; si distinguevano dagli altri per via del materiale di cui erano fatti: non pietra o metallo scuro, ma brillante oro o oricalco, minerali preziosissimi che non esistevano sul Pianeta Nero. La luce delle numerose piccole lampade che pendevano dal soffitto si riversava su di essi, facendoli scintillare. Le pareti della stanza, inoltre, non erano di pietra viva come tutto il resto del Palazzo, ma lisce come la seta. Erano state realizzate con uno speciale metallo artificiale il cui colore cambiava a seconda dello stato d'animo delle persone che vi abitavano: da quando Kassidiya era salita al trono erano diventate rosso carminio.
Un ampio balcone che affacciava sulla Capitale era posizionato in un angolo dell’Appartamento; dall'altro, invece, vi era un alto e pesantissimo portone dorato. Era quasi sempre chiuso, ma proprio in quel momento le due guardie che montavano perennemente il turno all'esterno lo schiusero quel tanto che bastò per far entrare Pai.
Il giovane, fatto qualche passo all'interno della lussuosa stanza, osservò tutte le sue meraviglie con indifferenza, finché non scorse il riflesso della Sovrana sorridergli da uno specchio di cristallo.
Kassidiya era seduta in fondo alla stanza. Accanto a lei, un'ancella le pettinava la lunga chioma: anche in quel frangente, la giovane aliena sembrava la creatura più dolce e innocente del pianeta.
Non appena l'ancella vide dallo specchio il nuovo arrivato, subito abbandonò il suo lavoro per avvicinarsi a lui a grandi passi.
«Come osi entrare nell’appartamento di sua Altezza!» abbaiò, con voce stridula. «Fuori, subito, tu, ignobile– »
«Sciocca! L'ho chiamato io!»
L'esclamazione di Kassidiya, che si era alzata in piedi, fece morire le parole sulle labbra della serva. «Ed ora smettila di infastidire il mio...ospite,» continuò la Sovrana. «Vattene.»
L'ancella emise un singulto terrorizzato. «Ma mia signora...non posso permettere che...voi sola con...»
«Osi forse contraddirmi?» chiese Kassidya con voce vellutata.
«No, no, certo signora, no!» squittì l’aliena, e si affrettò a lasciare la stanza.
Non appena il portone alle spalle di Pai si richiuse, Kassidiya scosse la testa: «Com’è difficile oggi trovare qualcuno che si fa gli affari suoi...» osservò, annoiata.
Pai non replicò. In quel momento, stava praticamente mandando al diavolo in un colpo solo tutte le regole comportamentali del Palazzo: non solo si ergeva in piedi di fronte alla sua Sovrana con le braccia incrociate in segno di sfida, ma la squadrava con una sfacciataggine non indifferente; inoltre, non dimostrava nessun segno di reverenza o sottomissione, ma anzi aveva un'aria palesemente seccata, e non le rispondeva se lei gli parlava. Qualsiasi altro alieno, al posto suo, sarebbe già stato sbattuto in cella; ma Kassidiya, nel vederlo, non riuscì a fare altro che rivolgergli un grosso sorriso.
«Beh, che c’è? So che quando qualcuno mi vede rimane senza parole, ma non credo che questo sia il tuo caso, o no?»
Pai non si mosse.
«Dì, hai intenzione di restare qui fermo a fissarmi finché Ra non mi incenerisce?»
«Lo avrei già fatto io, ma i tuoi simpatici soldatini mi hanno portato via il ventaglio,» ammise Pai con indifferenza; i suoi muscoli si irrigidirono, come se si stesse preparando ad una terribile battaglia.
«Capisco,» sorrise amaramente Kassidiya, aggiustandosi un poco la lunghissima gonna della veste viola che indossava. «Che strano. Il tempo scorre, ma tu non cambi, Pai.»
«Anche tu,» ribatté lui. «Sei sempre la solita smorfiosa.»
«Può essere.»
Kassidiya fece qualche passo verso di lui. Era davvero bella, con i lunghi capelli che le accarezzavano le spalle nude, quegli occhi così seducenti incatenati ai suoi. Quando fu ad un metro da lui, Pai sentì le sue difese frantumarsi in mille pezzettini.
«E' strano, però. Fino a qualche tempo fa,» sorrise lei mentre gli sfiorava una guancia con la mano, «non dicevi che ero così orrenda.» Le sue dita scesero ad accarezzargli il braccio, mentre le labbra dell’aliena lambivano il suo collo. «Mio dolce tesoro, o non ricordi quello che–»
«Basta!» esclamò improvvisamente Pai, ritraendosi sconcertato.
Il sorriso di lei si allargò ancora di più ma, stavolta, era tutt’altro che dolce o innocente.
«Non mi lascerò incantare,» sibilò lui con determinazione, cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni. «Lasciami in pace,» disse alla fine, e c’era odio nella sua voce.
Kassidiya sospirò. « Va bene. Se è questo che vuoi,» sussurrò, dandogli le spalle.
Con sua grande sorpresa, quando lei si voltò di nuovo per guardarlo in faccia, Pai vide delle lacrime farle luccicare gli splendidi occhi. Ne rimase ferito, ma solo per un attimo.
«Smettila con la recita; con me non funziona, lo sai,» troncò, freddo.
Ma a quanto pareva, quella non era una semplice commedia, perché quando Kassidiya gli gridò: «Stupido! Io ti amo! Come puoi parlarmi così?!» era davvero scoppiata in lacrime.
Per Pai, fu come se una freccia gli avesse trapassato il cuore. Si stava comportando da vero bastardo: come aveva potuto ferire una creaturina così pura e fragile?
«Io...»
Non trovò meglio da fare che abbassare la testa. Passarono interminabili secondi, ma alla fine rialzò gli occhi. Stava per dirle che sì, anche lui la amava, ma qualcosa in lui lo fermò. "E se fosse una trappola...?" pensò, senza però trovare la forza di reagire.
Lei gli sembrava così sincera...
…e lui non...
«Io non posso perdonarti per quello che hai fatto,» sillabò alla fine, con un tono svuotato da qualsiasi emozione.
Non era sicuro di aver detto la cosa giusta.
«Cosa...? Non mi dirai...ancora con quella vecchia storia?» sibilò Kassidya, incredula. «Io non c'entro, lo sai!» esclamò poi, disperata. «E poi, in fondo, prima o poi li avrebbero uccisi comunque! Lo sai che li odiavano tutti! Per cui, almeno la loro morte è servita a qualcosa!»
«La loro morte...è servita a qualcosa?» ripeté Pai, tremante. Quelle parole furono per lui come un pugno in pieno viso. Fu come se una nuova energia avesse invaso l'animo di Pai, liberandogli la mente dall'incantesimo che lo stava lentamente ammaliando, e lui ritrovò il coraggio di guardare il suo avversario negli occhi e di dirgli piano, con convinzione tale da sembrare crudeltà: «Sei solo un'egoista....e un'assassina.»
Kassidiya indietreggiò sconvolta, guardandolo come se fosse pazzo: «Pai,» disse, «a quell’epoca io ero solo una bambina...cosa potevo fare? Anche se avessi voluto, tu davvero credi che io avrei potuto fare qualcosa per salvarli?»
Non c'erano più lacrime ad offuscarle gli occhi. Era stravolta e scioccata, mentre incrociava di nuovo lo sguardo indecifrabile di Pai. Era stata sconfitta. Lui l'aveva respinta. Un'altra volta. Nessun altro era mai riuscito a resistere a lei. Perché soltanto lui si opponeva?
Forse era proprio perché Pai era l'unico immune al suo incanto, che lei si sentiva così attratta da lui [*]. Attratta, non innamorata. O si? O forse lo considerava tutto un gioco? Non lo sapeva neanche lei, e d'altro canto, non si era mai data pena di pensarci su. Incrociò di nuovo i suoi occhi con quelli di Pai: non aveva bisogno di parole per capire cosa stava pensando.
«Per quanto tu possa avere da obiettare, questo trono è mio di diritto!» esclamò allora, decisa. «Era la mia famiglia, e non quella degli Enki, che lo meritava! Se lo vuoi sapere, mio padre ha fatto benissimo a sterminarli tutti! Lui sì che era degno di essere Sovrano!»
«Se lo fosse stato, non avrebbero congiurato contro di lui per ucciderlo, poco dopo la sua elezione,» osservò Pai. «In ogni caso, non capisco perché tu sia qui dentro. Il diritto di sovranità non è ereditario...»
«Io dovevo essere Sovrana!» strillò Kassidiya.
«Ma davvero?»
«Silenzio! Non osare parlare: non sai quanto ho dovuto soffrire per arrivare sin qui, e cosa devo fare per riuscire a non farmi ammazzare in una congiura! Io odio dover mantenere l'ordine, ma devo farlo, é il mio destino! Ma tu non puoi capire...»
«Io non capisco tante cose, e neanche come tu abbia fatto a diventare Sovrana. Dopo la morte di tuo padre, avevano eletto quel vecchio, Mahimi, no?»
«Si, ma...lui è morto mentre voi eravate sul Pianeta Azzurro...» sussurrò Kassidiya, tornando calma. «....ed io ero sua moglie.»
«Sei davvero caduta in basso,» osservò Pai con disgusto, ferendola deliberatamente.
«Già,» annuì lei, e sorrise come se le fosse appena tornato in mente un ricordo molto felice. «Ma ora… sono molto in alto. Molto più di te, amore mio. E anche se finora ho lasciato correre, vorrei ricordarti che chi dà gli ordini, qui, sono io. E che tu stesso, poco fa, ti sei prostrato ai miei piedi per implorare la salvezza dei tuoi cari fratelli. Se davvero tieni a loro, faresti bene a mantenere la tua promessa!»
«Che sarebbe...?» sibilò Pai a denti stretti.
«Se vuoi che i tuoi fratelli rimangano in vita,» dichiarò Kassidiya, sorridendo, «tu dovrai essere mio per sempre.»
Pai quasi scoppiò a riderle in faccia. «Sei pazza,» commentò.
«E’ un no?» replicò lei senza scomporsi. «Immaginavo che avresti risposto così. Ma non fa niente. Dato che non manterrai la tua promessa con le buone, lo farai con le cattive.»
«Quindi secondo te cercare di sedurmi, incantarmi e poi ricattarmi sarebbero le buone?» ironizzò Pai, più che altro per prendere tempo per pensare.
«Si,» annuì Kassidiya sbrigativa. «Ora passiamo alle cattive: guardie!» gridò ad un minuscolo comunicatore che aveva al polso.
Un istante dopo, un gruppetto di Guardie Imperiali invase la stanza.
Pai alzò gli occhi al cielo quando vide che si dirigevano verso di lui per afferrarlo: «Credi davvero che io sia così stupido da provare a scappare?»
«No,» rispose dolcemente la Sovrana, «ma qualcuno dovrà pur indicarti la strada per il Laboratorio, no?»
«Che cosa significa?» chiese lui sospettoso, mentre due guardie lo prendevano per entrambe le braccia.
Kassidiya gli rivolse un sorriso radioso: «Che la prossima volta che ci vedremo non sarai così scontroso nei miei confronti. Ma ti lascio la sorpresa. Ah, Bachelor.»
«Si, mia signora?» replicò pronta una delle guardie, un tipo basso e malizioso.
«Preparate tutto per la cerimonia pubblica: per domani a quest'ora voglio la testa di quei due traditori,» disse, godendosi sul viso di Pai l’effetto delle parole che aveva appena pronunciato.
La guardia chiamata Bachelor le rivolse un sorriso sdentato: «Sarà un piacere, mia signora,» disse, ma la sua voce venne coperta dalla quella di Pai, che gridò: «Maledetta!» mentre cercava di liberarsi dalle guardie che lo trascinavano via.
«No, Sovrana!» gli gridò dietro Kassidiya, scoppiando poi a ridere.
«Me la pagherai…me la pagherai cara,» la minacciò Pai, strattonando le due guardie, che imperterrite lo condussero fuori. Un lungo cigolio annunciò che il portone degli Appartamenti Imperiali stava per chiudersi. Mentre inutilmente cercava di liberarsi, Pai era consapevole che ormai non esisteva via di salvezza, ne’ per lui, ne’ per i suoi fratelli.
Il portone si richiuse con un tonfo sordo.

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Erano ormai trascorse ore da quel dialogo e, ignari di tutto, Taruto e Kisshu sedevano ancora tranquilli nel loro angolino delle prigioni.
Da quando si era svegliato, Taruto non aveva fatto altro che chiedere a Kisshu di cercare un modo per uscire da quell’odioso stanzone maleodorante. Ma il giovane alieno era rimasto silenzioso: aveva cercato di pensare ad un piano, ma non era certo facile progettare così su due piedi un’evasione da uno dei posti più sorvegliati del pianeta.
Dopo averci ragionato su per qualche ora, Kisshu aveva chiesto ad Imago se lei avesse mai provato a fuggire, o se qualcuno ci fosse mai riuscito: domanda sbagliata. Lei aveva messo su uno strano cipiglio, e si era limitata a dirgli che esistevano molti modi per uscire dalle prigioni, ma che non era ancora il momento. Poi si era scusata con lui, dicendo che non avrebbe dovuto dirgli queste cose, ma che d’altro canto lui voleva che lei non gli mentisse, e quindi…
«Si, ma questo non vuol dire che devi rispondermi per indovinelli!» aveva rimbrottato lui.
A quel punto, Imago aveva alzato le spalle: «Allora non farmi domande strane, ed io non sarò costretta a darti risposte strane.»
Queste erano state le ultime parole che lei e Kisshu si erano scambiati da amici.
Dopo di questo, infatti, l’alieno dagli occhi ambrati non aveva più rivolto la parola alla sua compagna di cella. Si era richiuso in se' stesso, ed era anche decisamente arrabbiato con lei: aveva capito che gli nascondeva non uno ma molti segreti, più di quanti potesse immaginare. Ed anche se non aveva il diritto di conoscerli, odiava il modo in cui si stava comportando con lui.
Imago, d’altro canto, sembrava non importarsene troppo: dopo aver tagliato i ponti con Kisshu, aveva cominciato a rivolgere la parola solo a Taruto, di cui aveva conquistato la fiducia sin dal primo momento. Il bambino cercò di convincerli a fare pace, anche se non aveva capito il motivo del litigio, ma l’unico risultato che ottenne fu che adesso gli unici dialoghi fra i due erano battute pungenti o semplici frasi di circostanza.
In effetti, nonostante la differenza di età, i due sembravano una coppia di innamorati al primo litigio.
 
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Kisshu non riuscì a dormire neanche quella notte. Eppure si sentiva così stanco…
Era debole, e perdipiù affamato: l’unico pasto che gli era stato concesso, da quando erano arrivati, era stata una brodaglia scura e decisamente poco appetitosa che non aveva osato toccare. Ma non era la fame a preoccuparlo in quel momento: i suoi pensieri erano tutti concentrati nella ricerca di una via di fuga da quell’incubo.
Erano circa le tre del mattino, ora terrestre, quando Kisshu riuscì finalmente a chiudere gli occhi per qualche minuto. Erano gonfi di sonno quando li riaprì, destato dalla voce di Imago che stava parlando con Taruto. Cercando di trovare un modo per farla stare zitta, ma concludendo che non esisteva, provò riprendere sonno, ma non gli fu più possibile: presto, alla voce di Imago e Taruto, si aggiunsero anche i rumori e mormorii fastidiosi fatti dalle guardie che passeggiavano per i corridoi delle celle, e degli altri prigionieri che tornavano dal mondo dei sogni. Anche quelli della loro cella, che di norma se ne stavano buoni o litigavano sempre per conto loro, quel giorno sembravano parecchio allegri: discutevano animatamente, e Kisshu ad un certo punto sentì uno di loro gridare: «Ima, stiamo morendo di noia! Torna da noi!»
Imago, senza neanche voltarsi, rispose: «Mi spiace, sono impegnata!» e riattaccò a parlare con Taruto, che sorrideva e annuiva.
I prigionieri si guardarono l’un l’altro e poi guardarono la prigioniera, esclamando alla fine: «Imago non ci vuole più bene!»
La suddetta sospirò, e smise di parlare con Taruto.
Altro che pericolosi carcerati…erano davvero dei bambini.
«E’ colpa dei novellini!» gridò uno di loro.
«Uccidiamoli!» strillò un vecchio, additando Taruto e Kisshu.
«SI!» ruggirono gli altri, in un coro generale.
Taruto sobbalzò, spaventato: «Ima-chan, forse...forse è meglio che vai da loro!» disse velocemente.
«Ma no!» Imago agitò una mano con noncuranza. «Stanno solo scherzando. Sono dei giocherelloni!»
Taruto guardò uno dei 'giocherelloni', un alieno grosso e muscoloso, strofinarsi i pugni e fissarlo minacciosamente.
«T-Tu d-dici?»
«Ima,» disse un giovane alieno, che sembrava il più sano di mente del gruppo, «almeno cantaci una delle tue canzoni.»
Ci fu un consenso generale, e tutti si sedettero di nuovo.
«Tu canti?» chiese Kisshu con fare annoiato, aprendo un occhio.
«Oh, non ne ho voglia!» replicò Imago, ignorandolo. «…e poi é cattiva educazione interrompere qualcuno mentre parla, Rugh.»
«Ma tu non fai altro che parlare!» rimbeccò quello.
 «Ha ragione,» annuì Kisshu. «A volte mi chiedo come fai a respirare.»
Lei gli lanciò un’occhiataccia: «Potrei offendermi per questo, lo sai?»
«Dai, accontentali,» la incitò Taruto.
«Ok, avete vinto,» si arrese alla fine l’aliena. «Canterò. Taruto, tu però tappati bene le orecchie, ti raccomando: non vorrei crearti problemi all’udito. Io canto malissimo. Ma loro si divertono a sentire le rime.»
«…allora?» chiese impaziente il prigioniero che rispondeva al nome di Rugh.
Imago si voltò verso i suoi compagni e chiuse gli occhi, come si stesse concentrando. Taruto la guardò incuriosito. Kisshu aveva gli occhi chiusi, ma le sue orecchie erano ben tese. Qualche secondo dopo, la nibiriana cominciò ad intonare le parole della sua canzone. Non era vero che cantava male: la sua voce era armoniosa e abbastanza intonata, molto diversa da quella che usava per parlare, ed anche la melodia della canzone era allegra e coinvolgente. Parlava di tre sorelle, e le parole erano più o meno queste:
 
Era una notte nera, quando un mago potente disse,
guardando dal basso il cielo, e le stelle fisse:
“Al mondo verranno tre sorelle.
Alla prima, destinata dalle stelle,
per avere di tutti anima e cuore
di un grande dono avrà onore:
di angelico viso e splendida bellezza
sarà portatrice. Priva di purezza,
ma non d'altro, non certo intelligente
sarà la seconda, di cui corpo e mente
di uno può far suo, che in eterno sarà di lei.
Nata per ultimo è infine colei–
 
«Senti senti che bella canzoncina!»
Quell'esclamazione beffarda chiuse la bocca alla prigioniera
«Si, proprio carina. Se non fossi così schifosa, me la farei cantare da te tutte le notti.»
La porta della cella era stata nuovamente aperta: due delle guardie che il giorno prima avevano portato via Pai, ora erano in piedi sulla soglia.
«Ehi, voi!» iniziò Kisshu, arrabbiato, ma non seppe come continuare.
«Sorridete, ragazzi,» ghignò maliziosamente Bachelor, lanciando strane occhiate a lui e a Taruto. «Siete appena stati condannati a morte.»
A quelle parole, risate, applausi e fischi gioiosi provennero dal fondo della cella.
Kisshu sgranò gli occhi, mentre Taruto balzava in piedi: «Che cosa!?!»
«Non è possibile!» sussurrò Imago.
«Venite, signori, c’è un popolo intero che reclama il vostro sangue!» ghignò Bachelor esibendosi in un inchino beffardo, mentre con una velocità impressionante il compagno catturava Kisshu e Taruto.
«Lasciami!» gridò il bambino all’omaccione che lo tratteneva per il braccio. Anche Kisshu cercò di liberarsi, ma era inutile: quel tipo era un gigante alto grosso almeno il triplo di lui, e molto più pesante.
«No! Non potete farlo!»
Imago cercò di aiutare i suoi amici, ma con un: «Sta’ zitta!» Bachelor la spinse indietro, facendola cadere a terra.
«Ima-chan!» gridò Taruto disperato, prima di sparire dietro il corridoio.
 
 
 
 
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[*] Nota del 2014: Huahuahuahua, 15 anni e già anticipavo Twilight!X°D Vabbeh andiamo avanti và XD

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Capitolo 6
*** Il sacrificio di Kisshu ***


23/04/2014:  Dico di stare revisionando la storia, ma in realtà mi sto limitando a rendere i dialoghi un pelo meno infantili e la narrazione,  quando possibile, meno pomposa.
C'è da dire che ho dei vaghi ricordi del fatto che in passato mi incazzai tantissimo con non-so-chi  perché mi disse che la mia fanfic non era degna di essere segnalata su EFP fra quelle più carine della sezione (o qualcosa di simile) perché era scritta male, e solo ora mi rendo conto di quanto avesse ragione quel/quella povero/a cristo/a.
Mah, purtroppo certe cose si capiscono solo con il tempo.


{...you won't cry for my absence,
I know, you forgot me long ago
Am I that important...
Am I so insignificant?
Isn't something missing?
Isn't someone missing me?}
(Missing, Evanescence)



- Capitolo 5: Il sacrificio di Kisshu -

 
 
Accadde tutto troppo velocemente. Kisshu e Taruto vennero condotti in uno spazio aperto molto grande, riempito da una folla immensa di quelli che erano ben più che semplici curiosi. Tutta l’area sembrava una di quelle grosse arene dove si svolgono quelli che i terrestri chiamano “concerti”. Su di un lato, vi era una tribuna su cui sedevano persone dall’aria aristocratica; il palco era una strana piattaforma sopraelevata, su cui vi era un traliccio di metallo alto circa due metri.
Kisshu non aveva mai visto niente del genere, ma non gli ispirava alcuna fiducia.
Sentiva crescere dentro di sé un’angoscia opprimente: voleva fuggire, ma era inerme e senza i suoi poteri, e soldati minacciavano lui e suo fratello.
Nella luce rossastra dell'alba fasulla scorse migliaia di occhi felini fissi su di lui; il suo cuore era pesante come un macigno.
Voleva solo andare via da lì.
BASTA! All'improvviso, Kisshu diede una spinta alle guardie che lo scortavano, e riuscì a sfuggire alla loro presa.
Per un attimo, credette davvero di poter scappare, ma pochi istanti dopo l’urlo di Taruto lo costrinse a paralizzarsi e voltarsi indietro. A causa del brusio della folla non riuscì a sentire ciò che stava dicendo il soldato puntava un pugnale alla gola di suo fratello, eppure Kisshu riuscì ugualmente a percepirle nella sua testa:
«Se scappi, lo uccido qui e ora.»
Taruto guardava suo fratello terrorizzato. Kisshu esitò un secondo di troppo, e questo gli costò la libertà appena conquistata.
«NO!», Kisshu era ormai fuori di sé; sapeva che quella era davvero la fine, come un animale braccato sa di non avere speranze di salvezza, ma forse…un lampo illuminò la sua mente. Forse per loro esisteva ancora una speranza, ed il nome di quell’ultima misera luce era…
«Pai!»
Taruto aveva urlato quel nome con la disperazione nella voce: «Pai, aiutaci! Fratello!»
Kisshu pensava che stesse delirando ma, seguendo i suoi occhi offuscati dalle lacrime ritrovò, a pochi metri da loro, proprio lui, Pai.
Era in piedi, perfettamente immobile. I suoi occhi brillavano di una luce che Kisshu non aveva mai visto prima; erano freddi, e non lasciavano trasparire alcuna emozione. Trascorsero secondi interminabili, poi il giovane dalle iridi violacee voltò loro le spalle, e fece per andarsene.
Kisshu urlò il suo nome.
Pai voltò leggermente la testa e lo guardò, gelido. Mosse appena le labbra, incurvate in un sorrisetto, per sibilare piano: «Addio…traditore.» Poi scoppiò a ridere, una risata spietata, e così fecero anche i soldati che si erano soffermati ad osservare la scena.
Pai scomparve fra la folla, e con lui anche quell’ultima speranza di salvezza.
 
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Pochi minuti dopo, Kassidiya vide Pai raggiungerlo nella sezione della tribuna riservata alle autorità imperiali, dove lei naturalmente occupava il posto d'onore.
«Allora…cosa ne pensa, mia signora?» chiese un giovane molto magro, seduto su una poltroncina accanto al trono dell'imperatrice, alzandosi in piedi per fare posto a Pai. Aveva più o meno la sua stessa età, eppure sembrava molto più anziano: il merito andava principalmente al suo volto pallido e scavato, alle guance tirate e alle orbite nere e livide, sempre accigliate come se stessero meditando su chissà quali oscuri ed importanti quesiti. A Kassidiya, quel tipo era utile, ma se avesse potuto se ne sarebbe liberata già da tempo: quella sua aria seria, ma così patetica e fragile, le ispirava un sentimento sgradevole di compassione.
Infatti, nonostante indossasse un lungo e pulito camice bianco, piuttosto che un importante scienziato e ricercatore, il dottor Kell le ricordava un paziente afflitto da una brutta malattia.
«Si, splendido, davvero splendido,» annuì Kassidiya, cercando di evitare il suo sguardo penetrante. «Nonostante abbia rivisto i suoi fratelli, non ha fatto una piega. I miei complimenti, dottore.»
«Oh, non li merito, mia signora,» sogghignò lui, scompigliandosi con una mano i capelli neri. «Cosa vuole che sia un minuscolo impianto alla corteccia celebrale?»
«Nulla, infatti,» sorrise Kassidiya. Poi si rivolse a Pai, seduto proprio al suo fianco, e gli accarezzò il mento: «Ora sarai mio per sempre, vero?»
«Certamente,» le rispose lui, senza fare una piega.
Lei rise deliziata.
Kell poggiò una mano sulla spalla di Pai: «Mi scusi mia signora ma adesso, con il vostro permesso, devo tornare al mio laboratorio. Purtroppo, ho molto lavoro da sbrigare...»
«Si, si, vada pure,» borbottò Kassidiya distrattamente.
Lo scienziato si inchinò e poi si allontanò. Non era ancora scomparso fra la folla quando Kassidiya poggiò le sue mani sulle spalle di Pai e avvicinò il suo viso al suo, mormorando: «Ed ora che siamo soli…amore mio… baciam-»
«Hem, hem.»
Kassidiya rimase paralizzata. Roteò gli occhi, mentre la voce annoiata dietro di lei cominciò a parlare: «Mia signora, perdoni l’intrusione, ma è mio dovere informarl –»
«Shiroi, qualunque cosa tu voglia dire, può aspettare!»
«E' un argomento che le interesserà,» insistette quello con aria di urgenza.
La giovane imperatrice sbuffò. «Ti concedo due frasi.»
«Vostra sorella è appena partita da Azzurra,» spiegò il consigliere. «Sarà qui con il suo seguito prima della notte.»
«Oh, ci mancava anche questa,» brontolò Kassidiya. «Detesto mia sorella Kassandra,» spiegò a Pai, che le lanciò uno sguardo indifferente, ma lei aveva già rivolto nuovamente la sua attenzione al consigliere. «Ma non le piaceva quella città?»
«Non so altro; sono desolato,» sussurrò Shiroi.
Kassidiya si lasciò ricadere sul trono: «Che fastidio!» sbuffò, in modo molto poco regale. Diresse poi la sua attenzione verso il patibolo. «Ed ora che succede là sotto? Perché non si sbrigano? Che stanno aspettando?»
 

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Un alieno dall’aria malvagia, piccolo e grasso e che rispondeva al nome di Roll, si sedette su una sedia proprio sotto il patibolo, lanciando occhiate maliziose a Kisshu e Taruto. I due erano stati incatenati ed erano sorvegliati a vista da tre soldati: «Ora vi spiego come funziona lo spettacolo,» cominciò.
«Ignorante,» lo interruppe il compagno in piedi accanto a lui «Si dice cerimonia pubblica
«Imbecilli, questa è una condanna a morte!» intervenne un terzo.
Kisshu e Taruto si scambiarono un’occhiata: «E noi dovremmo farci uccidere da questi…»
«SILENZIO VOI DUE!»
«Ouch!» un filo di sangue scese dalla bocca di Kisshu a causa del pugno che ricevette sul viso. «Maledetti…» sibilò.
Roll riprese a parlare: «Dicevo: uno alla volta, voi due verrete fatti salire là sopra, verrete legati e tutto il resto, e poi io sparerò tre volte e…»
«Ehi! Dovevo farlo io!» lo interruppe nuovamente il secondo.
«Sta’ zitto!» replicò l’altro, e lo stese a terra con un pugno sul naso. Indicò con il dito il terzo compagno, che adesso stava armeggiando con una grosso quadro comandi sul quale spiccava un inquietante bottone rosso. «Dunque, al terzo sparo il mio compare qui preme questo adorabile tastino e…» il giustiziere fece quanto spiegato, e Kisshu e Taruto alzarono gli occhi sulla piattaforma, attirati da un rumore come un rombo di un tuono: un turbine di fuoco dal colore rosso sangue l’aveva completamente avvolta. Sgranarono entrambi gli occhi, e Taruto trattenne il fiato inorridito, mentre la folla ruggiva.
«Ah…»
«…e l’arrosto è pronto,» concluse Roll soddisfatto.
«Questa era la mia battuta,» obiettò il compagno.
«Se non chiudi quella boccaccia, faccio arrostire anche te! Comunque niente paura, ragazzi,» continuò, rivolgendo un gran sorriso a Kisshu e Taruto, «Non sarà una cosa veloce. Questa è una morte lenta e molto dolorosa,» disse, godendosi l’effetto delle sue parole sui due, poi scoppiando a ridere in modo stupido.
«Allora,» esclamò poi in tono pratico, ed indicò Taruto: «Dunque, noi siamo gentiluomini quindi prima i bambini!»
«CHE?! Io non sono un bambino!» protestò lui. «NO, NON VOGLIO, NOOOOO!» strillò il piccolo, assalito dal terrore, mentre veniva trascinato via contro la sua volontà.
«FERMI!» gridò Kisshu con tutta l’aria che gli era rimasta nei polmoni. I soldati lo guardarono.
«Che vuoi?»
«Ascoltate! Fate di me quello che volete, ma lasciatelo stare!»
I soldati gli lanciarono occhiate divertite. Poi cominciarono a sghignazzare.
«E’ SOLO UN BAMBINO!» gridò Kisshu, disperato.
Per la prima volta, Taruto protestò.
«Ecco che arriva l’eroe,» lo canzonò il suo aguzzino, dandogli uno spintone che lo fece strisciare contro la terra dura.
«Ma no, dai… se ha tanta voglia di morire per primo, accontentiamolo pure. Lasciate lo scricciolo e prendete l’altro!»
Kisshu venne fatto rialzare a forza e allontanato da un terrorizzato Taruto.
«Taruto, smettila di piangere! Sembri un moccioso!» furono le ultime parole che riuscì a rivolgergli. «Mi hai sentito? Sii forte!» gridò con il viso rigato da sangue…e lacrime.
 

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Accadde tutto così velocemente che sembrò un sogno. Kisshu venne sbattuto contro quel freddo palo di metallo. Non riusciva a capire. Non riusciva a pensare a niente. La sua mente si era come inceppata.
Qualcuno gli incatenò le mani con violenza. Era troppo stretto, doloroso. Ma che importava? Kisshu guardò le migliaia di persone che stavano sotto di lui, senza realmente vederle. Sentiva il cuore battere nel petto come se stesse per scoppiare. Non udì le parole con cui lo stavano condannando. Fra le migliaia di parole, risate, pianti, e urla, sentì come in un sogno solo voci che chiamavano lui, la sua fine. Nebbia. C’era come una coltre di nebbia che lo separava dal resto mondo...
Stava per morire.
Fra qualche secondo, avrebbe sofferto tantissimo, ma tutto ciò gli sembrava così impossibile, ingiusto.
Lo terrorizzava l’idea di dover finire così.
Era già morto una volta, anche quella fra atroci sofferenze. Ma allora le aveva solo percepite, allora c’era Ichigo con lui, che lo guardava così disperata, e mentre lei bagnava il suo viso con quelle gocce di sale, mentre il suo pensiero gli riempiva il cuore, facendogli dimenticare tutto il resto, per la prima volta…
…si era sentito davvero...amato.
L'amore…
Non esiste, ormai l'aveva imparato.
Eppure era solo quello che inconsciamente cercava.
Era solo quello di cui aveva un disperato bisogno.
Ma questo lui non lo aveva mai capito.
Lui non aveva mai preso sul serio la vita.
Era fatto così, o meglio…lo avevano fatto diventare così.
Era stato privato della sua famiglia fin da piccolo; era cresciuto fra amarezze e delusioni, una sola missione per cui vivere: odiare la maledetta razza degli esseri umani.
Uccidere quegli schifosi bastardi assassini, uno per uno, godendo della loro sofferenza, sterminarli tutti senza pietà.
Si era allenato per anni. Col tempo era diventato forte, astuto; abile con le armi, cinico e senza cuore.
Era diventato lui stesso un perfetto assassino.
Peccato che a nessuno fosse mai passato per la testa che forse anche uno come lui aveva bisogno di amare, e di essere amato a sua volta.
Nessuna delle persone che aveva frequentato lo aveva mai capito veramente.
Nessuna aveva mai capito cosa ci fosse nascosto sotto quel suo cinismo e quell'odioso sorrisetto provocatorio che aveva sempre dipinto sul viso.
Nessuna lo aveva mai amato veramente.
La stessa Ichigo, l'essere umano che aveva tanto amato, odiato, per cui si era sacrificato, la sua gattina, neanche lei lo aveva mai capito.
Mai.
Gli faceva male pensarci. Ma le lacrime che lei aveva versato per lui, mentre si addormentava per sempre fra le sue braccia, non erano certo amore; erano solo compassione per un povero cretino, un pazzo che si era fatto uccidere o che si era voluto far uccidere, e nulla più.
Eppure, in quegli ultimi istanti della sua vita, le era sembrata la cosa più bella del mondo. Era stato felice di essersi sacrificato per salvarla: finalmente era riuscito a dimostrarle quanto l'amava.
E poi, era giunto il buio.
Erano passate poche settimane da quel giorno, ma adesso gli sembravano secoli.
Nonostante ciò, da molto tempo Kisshu aveva la consapevolezza che ad Ichigo non era mai importato niente di lui.
Il suo sguardo si posò su un bambino che gli faceva una smorfia e rideva. Sentì una fitta trapassargli il cuore, e abbandonò il passato per ritornare alla sua realtà.
Questa volta sarebbe stato diverso.
Questa volta, nessuno avrebbe pianto per lui, stringendolo dolcemente fra le braccia.
Era completamente solo.
Nessuno si sarebbe preoccupato di lui, del suo dolore, e della sua mancanza...
Era stato dimenticato tempo fa.
Ma non voleva dare loro la soddisfazione di vederlo soffrire. Non avrebbe implorato pietà. Non avrebbe implorato la liberazione da quel dolore così terribile. No…
Uno sparo.
...un brivido scosse il suo intero corpo...
…ancora pochi secondi e poi…
...non riusciva più a pensare; Taruto… Pai… la sua vita sul suo pianeta… la Terra… Ichigo… il Cavaliere Blu… Profondo Blu… quella strana sensazione che aveva provato era tornato a casa… immagini confuse gli attraversarono la testa senza fermarsi, i suoi occhi saettarono da una parte all’altra come impazziti e poi, di colpo, il vuoto, in cui riecheggiò il suo di un altro sparo.
…la sua vita era stata un disastro. Nessun pensiero, nessun ricordo… niente che gli importasse veramente.
Aveva seguito gli ordini di un re avvolto nell’oscurità, ma alla fine aveva cercato di ucciderlo; aveva odiato gli esseri umani, ma si era innamorato di uno di loro…
…non aveva mai preso niente veramente sul serio, la sua vita… era solo un idiota, Pai aveva ragione. Ma, anche se avesse voluto cambiare, ormai era tardi. Come se stesse guardando una scena al rallentatore, Kisshu vide l’alieno accanto a lui prepararsi a sparare per la terza volta, poi...qualcuno urlava nella sua testa, ma il rombo della folla lo assordava – sentiva solo il cuore che batteva e sembrava l’unica cosa viva nel suo corpo scosso da brividi strinse i pugni e gli occhi sentendo il sangue che gli ribolliva nelle vene e poi, di colpo....
...uno sparo.
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!»...

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Capitolo 7
*** Angeli protettori...miao! ***


23/04/2014:  Santo cielo, continuo a vergognarmi tantissimo dei dialoghi che scrivevo. Non prenderò mai piu' in giro i 13enni che scrivono fanfic (esclusi quelli che scrivono porno scemi con Justin Bieber: loro vanno bashati a prescindere).  




- Capitolo 6: Angeli protettori...miao! -

 

 
 «Però, che peccato. In fondo, era carino.»
L'eco di uno scoppio improvviso risuonò nell'aria. Uno sparo. Il primo. Un sorrisino curvò le labbra dell'imperatrice Kassidiya, che stava assistendo all’esecuzione di quella che stava per diventare la sua ennesima vittima.
«Mi dispiace un po’ lasciarlo morire così,» sussurrò, ma il tono ipocrita e la leggerezza delle sue parole tradiva le sue vere emozioni.
In realtà, Kassidiya si stava divertendo immensamente. Seduta sul suo trono con le gambe accavallate, una mano a sorreggerle pigramente il mento,  la Sovrana non staccava lo sguardo da Kisshu: osservava le sue reazioni, i suoi movimenti, e giocava a cercare di indovinare il suo stato d'animo in quei suoi ultimi secondi.
Si morse un labbro impaziente. Lanciò un’occhiata distratta a Pai, seduto accanto a lei: l’aveva già messo alla prova facendogli incontrare i suoi fratelli, ma solo ora, scorgendo l'espressione indifferente che gli congelava il viso, ne ebbe la piena certezza: lui era davvero suo.
Piegare al suo volere l'algido e determinato Pai si era rivelato molto più semplice del previsto, così semplice che le sembrava quasi strano. Ma d'altro canto, pur supponendo che lui stesse solo fingendo di essere sotto il suo controllo, Pai non avrebbe certo lasciato morire così suo fratello, senza fare niente per cercare di salvarlo… giusto?
Il secondo sparo riportò la sua attenzione sul patibolo: mancavano solo pochi secondi.
Kassidiya sorrise di nuovo mentre mormorava, con le labbra contorte in un'espressione crudele: «Meno tre…meno due…meno uno…»
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!»
«C-Che cosa?!»
In quell'istante, il terzo e decisivo sparo rimbombò per la piazza.
«FERMI! NON FATELO!» dichiarò una voce forte e acutissima, così inaspettatamente che fu come se, per un momento, il tempo si fosse fermato: il giustiziere si dimenticò di premere il pulsante, la folla rimase silenziosa, il soldato sul patibolo restò immobile con la sua arma fumante ancora alzata e stretta nella mano.
Kisshu lasciò passare qualche secondo di quell'innaturale silenzio. Poi si decise ad aprire con cautela un occhio.
«Guardate lassù!” strillò qualcuno indicando il palazzo.
Praticamente tutti i presenti seguirono con lo sguardo la direzione verso cui puntava quella mano, e la videro: dall’alto del cortile, in piedi sulla cima di una torre del palazzo, una figura femminile, per nulla impaurita, ricambiava i loro sguardi.
«Eh?»
«Ma cosa...»
«E'stata lei a gridare?»
«Chi…cosa è quella?»
Anche Kisshu, per quanto immobilizzato dalle catene, girò la testa quel tanto da permettergli di scorgere con la coda dell'occhio la sua misteriosa salvatrice. Gli ci volle un solo istante per riconoscerla; sbalordito, l’alieno spalancò la bocca.
Non era possibile. Non poteva essere vero.
Kisshu pensò che probabilmente quella storia gli aveva fatto saltare il cervello.
Si, si, era diventato pazzo ed ora aveva le allucinazioni, non c'era dubbio.
Ma se quella era davvero un'allucinazione, allora perché tutti riuscivano a vederla?
Ma era impossibile...lei non poteva essere lì....non era fisicamente possibile...
La figura fece qualche passo verso il bordo della torre, lasciando alle sue spalle l'ombra che la avvolgeva: indossava un paio di stivali rossi, alti fino al ginocchio; i capelli morbidi rilucevano dello stesso colore dei suoi corti abiti e dei suoi grandi occhi rosa. Dalla testa spuntavano due orecchie da gatto, ed aveva una lunga coda nera con un fiocco rosso.
«Basta così! Non osate far loro del male!» gridò la misteriosa figura. Con una serie di salti felini, in pochi secondi fu accanto a Kisshu.
Quest'ultimo la guardava senza riuscire a chiudere la bocca.
Il soldato sul patibolo, invece, ci mise poco a riprendersi: «CHI SEI?!» gridò con rabbia alla nuova venuta.
«Oh, ti prego, non guardarmi così,» rispose quella con un gran sorriso. «Io sono solo un angelo protettore, degli amici custode. Hmm…miao
«Muori!»
«Questo non è molto carino da parte tua, sai?»
Il soldato le puntò contro la sua pistola e sparò, ma lei evitò prontamente il proiettile che ne fuoriuscì. Compì un balzo in avanti, raggiungendo il suo avversario e sferrandogli un calcio che non poté evitare: quello perse l’equilibrio e cadde giù dal palco.
La folla, dopo un momento di indecisione, urlò e applaudì, soddisfatta..
«Ehi, grazie ragazzi!» la combattente vestita di rosa sfoderò un sorriso raggiante e fece un piccolo inchino al pubblico, che applaudì ancora più forte.
Sembrava davvero un concerto.
Sulla tribuna delle autorità, però, qualcuno era molto meno contento.
Di certo non era Pai, che osservava la scena con un sorrisetto impercettibile. E nemmeno il consigliere Shiroi, che continuava a strofinarsi gli occhi e ripetere, come un registratore rotto: «Io… sto sognando? Ma chi è? Non so proprio chi sia… forse… forse sto sognando?»
Era Kassidiya. La giovane Sovrana, furiosa, stringeva i braccioli del suo trono come se volesse spezzarli. I suoi occhi brillavano di odio allo stato puro mentre mormorava fra sé e sé, fissando i suoi occhi sulla nuova arrivata: «...conosco una sola persona capace di tutto questo…»
 
 
Kisshu era stato liberato dalle catene che lo imprigionavano.
Ma, sebbene fosse finalmente libero, non si mosse di un passo: era troppo stravolto anche solo per pensare qualcosa. L’unica cosa che riuscì a fare fu squadrare per l’ennesima volta la sua liberatrice e sillabare sconvolto, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso: «I-Ich…I...ICHIGO?!?!?!»
Lei gli afferrò un braccio senza troppi complimenti. «Ehm, più o meno. Ne riparliamo dopo, ‘k?»
Saltarono entrambi giù dal patibolo e raggiunsero le guardie che ancora tenevano prigioniero Taruto.
«Ehi voi, liberate Taruto o assaggerete la mia ira!» dichiarò la più-o-meno Ichigo.
«Ma tu chi sei? Che razzo vuoi?» chiese Roll sfoderando la sua spada.
«Analfabeta!» replicò l’altro. «Non si dice razzo, si dice…»
Prima che potesse finire la frase, Mew Ichigo (più o meno) raggiunse i due e gli sussurrò a bassa voce, in tono di rimprovero: «Ma cosa state combinando? State mandando a rotoli lo spettacolo che ha organizzato la Sovrana …perché quelle facce? Non ditemi che non lo sapevate!»
I due si scambiarono un’occhiata confusa. Poi, all’improvviso, con un pugno sul naso Roll stese il compagno. Quindi si voltò verso la ragazza e disse, imbarazzato: «Ci scusi, signorina, questi idioti non mi hanno informato della cosa, sono…sono desolato!» Si rivolse al compare che sorvegliava Taruto: «Liberatelo…e dopo facciamo i conti!»
«Ma…»
«HO DETTO DI LIBERARLO!»
E così fu. Taruto si affrettò a raggiungere Kisshu.
«Bene, grazie per la collaborazione, ragazzi…ciao ciao!!» e in un lampo, i tre si eclissarono, mescolandosi fra la folla plaudente.
 
 
«…ma non può essere…era morta…E’ morta…» continuava intanto a sillabare Kassidiya con gli occhi sbarrati.
«Se vi riferite all’essere vestito di rosa, mia Sovrana, è vivo e sta scappando con i due condannati,» osservò tranquillamente Pai.
Un lampo illuminò gli occhi dell’aliena: «Guardie!» strillò. «Catturate quella ragazza! Lei e quegli altri due! Voglio che mi portiate le loro teste immediatamente!»
Mentre Kassidiya urlava queste parole come una pazza isterica, Pai si alzò e si allontanò.
«FERMO! NON DICEVO A TE, IDIOTA!!!»
 
 
Le guardie, ricevuto l’ordine, entrarono in azione: decine di alieni armati tagliarono in due la folla nel punto in cui erano scomparsi i tre fuggitivi, lanciando urla selvagge mentre estraevano dal fodero le loro spade e le pistole.
«Però..sembra tutto vero,» mormorò Roll interessato, osservando i suoi compagni all’inseguimento.
«Ehm, signore…» un suo subordinato gli stava picchiettandolo col dito sulla spalla. «Pare… pare che sia tutto vero, signore.»
Roll lo guardò e ci pensò su un momento. «Cosa?!» esclamò dopo qualche secondo. «TRADIMENTO! SIAMO STATI IMBROGLIATI!»
«Si dice giocati,» corresse il suo compagno.
Il terzo scosse la testa: «Io direi, presi per il…»
«Idioti, non perdete tempo! Inseguiamoli!!» e i tre si gettarono fra le due ali di folla, che si richiuse dietro di loro, mentre i cori di applausi e le risa dei bambini non riuscivano a spegnersi.
Una risata sincera e innocente era molto meglio di una condanna a morte.
Decisamente.
 
 
Kisshu e Taruto, incapaci di pensare a qualsiasi cosa, non riuscivano a fare altro che seguire la loro salvatrice.
Mew Ichigo era più avanti di loro di pochi passi, e correva agile e veloce nei vicoli in cui avevano trovato una via di fuga. La stradina che stavano percorrendo rasentava una delle cinque mura che partivano dal Palazzo Imperiale, che dividevano la Capitale in quattro settori; si intrecciava con altre vie, formando un vero e proprio labirinto fatto di lunghe strade che si chiudevano in vicoli ciechi, passaggi sotterranei, uscite, accessi, luci, ombre. Mew Ichigo si muoveva per quel groviglio di strade come se lo conoscesse a memoria, anche se ciò era... era praticamente impossibile.
I tre si inoltrarono sempre più in quel labirinto: saltarono mura, svoltarono angoli, attraversarono strade strettissime e larghe piazzette rotonde. Alla fine, i tre si ritrovarono su una lunga strada: incorniciata da abitazioni in pietra e metallo, del tutto deserta, proseguiva in rettilineo per alcune centinaia di metri.
Intorno a loro era calato il silenzio. Non si udiva alcun rumore, solo urla molto lontane: erano riusciti a disperdere i loro inseguitori, ma Mew Ichigo non sembrava intenzionata a fermarsi. Continuava a correre, voltandosi ogni tanto indietro per controllare se Kisshu e Taruto la stavano seguendo, o se qualche guardia abbastanza scaltra fosse riuscita a raggiungerli.
«Ehi!» ansimò Taruto, alle sue spalle. «Ascolta! Ci vuoi spiegare cosa –»
«Eccoli! Li abbiamo trovati!»
Taruto smise di parlare alla ragazza per lanciare uno sguardo davanti a sé: un gruppetto di guardie aveva appena bloccato la fine della strada.
«Ops…da questa parte!» esclamò Mew Ichigo mentre lo afferrava per un braccio, trascinandolo in un vicolo in cui si riparò anche Kisshu.
«Quello è un vicolo cieco!» dichiarò uno degli inseguitori, raggiante. «Prendiamoli!» gridò, agitando la spada. I suoi compagni lanciarono un urlo di vittoria mentre percorrevano velocemente i pochi metri che li separavano dai fuggitivi.
«Sono qui! Catturiamoli!» gridò qualcuno. In pochi secondi, le guardie raggiunsero il vicolo: era buio, perché tre mura imponenti lo circondavano. Le guardie svoltarono l’angolo e sollevarono le armi, ma il vicolo era deserto.
Alla fine un giovane volontario, dopo essersi guardato intorno, si azzardò a fare la domanda che tutti stavano pensando, ovvero: «Scusate...ma dove sono finiti?»
«Sono scappati! Ma come hanno fatto?!» sillabò confuso un altro soldato, strofinandosi la visiera del pesante casco di ordinanza, come se fosse quello a impedirgli di vedere i fuggitivi.
«Uhm, non lo so, Noze,» gli rispose il compagno, stranito. Con un gesto si sfilò il casco, rivelando un giovane volto dai lineamenti sottili, capelli scuri e grandi occhi azzurro intenso. «Ma sai, credo che sia meglio per te se ti tappi le orecchie, arriva il capitano...»
Il soldato non ebbe il tempo di finire la frase che un alieno allampanato si materializzò insieme ad un gran drappello di guardie. Aveva una sottile fascia bianca cucita sulla divisa e non indossava un casco, ma aveva una sorta di tatuaggio sulla fronte, e una vocetta acuta da donna che lo rendeva ridicolo mentre strillava, infuriato, verso di loro: «MA CHE IMBRANATI! IDIOTI! VE LI SIETE LASCIATI SCAPPARE! VI FARO’ CONDANNARE! NON LA PASSERETE LISCIA! VI FARO’ SBATTERE FUORI DA QUI A CALCI, SONO STATO CHIARO?!»
«Ma capitano,» obiettò timidamente la guardia chiamata Noze, «eravamo certi che fossero entrati qui….»
«SI CERTO, ED IO SONO UNA FEMMINA!»
«Beh, in effetti...» sussurrò ironicamente la guardia che poco prima si era sfilata il casco, ridacchiando. Lui doveva aver sentito la battuta, perché si voltò verso di lui furioso – ma, dopo meno di un secondo, lo indicò sbalordito con il dito, e gridò: «ECCOLO! IL FUGGITIVO SI E’ TRAVESTITO, MA L’HO SCOPERTO! CATTURATELO!»
Le guardie si guardarono in faccia l’un l’altra, confuse.
«Ehm…capitano, lui non è il fuggitivo… lui Ai, è uno dei nostri,» spiegò Noze, non senza imbarazzo. In effetti, ora che lo notava, il suo compagno aveva una certa somiglianza con Kisshu. «E poi, quelli sono fuggiti in questo vicolo…»
«RAZZA DI BABBEI IGNORANTI!» li interruppe allora il capitano. «E COME AVREBBERO FATTO A SPARIRE IN QUESTO VICOLO SECONDO VOI, EH? QUA NON SI PUO’ VOLARE,             NE’ MATERIALIZZARE O SMATERIALIZZARE  A PIACIMENTO! DOVE LI METTETE I SENSORI, IMBECILLI, EH?!»
«Forse… forse hanno usato un cristallo di diamante!»
Ai scosse la testa. «Se lo avessero usato, avremmo percepito la distorsione del campo creato dai sensori e li avremmo individuati in un attimo, Noze...»
«E allora hanno saltato!» dichiarò un’altra guardia, indicando il muro davanti a sé: era alto almeno sei metri.
«OH, SI! O MAGARI SONO PASSATI ATTRAVERSO LA PARETE, NO?!» strillò sarcastico il capitano, e il suo drappello scoppiò in una risata sguaiata.
In effetti, era andata proprio così, ma nessuno di loro poteva saperlo.
 
 
 
***

Pochi minuti prima…
 
Inseguiti dalle guardie, Mew Ichigo, Kisshu e Taruto si infilarono nel vicolo che lei gli  aveva indicato. Una volta entrati, Mew Ichigo lasciò andare il braccio di Taruto, che cadde a terra.
«Ahia! Sta' attenta!»
Il bambino si rialzò velocemente, guardandosi intorno, e sussultò quando capì dove si trovava. «Ma è un vicolo cieco!» gridò disperato, indicando l’altissimo muro che bloccava il passaggio.
I rumori in strada si fecero sempre più numerosi e forti.
«Stanno arrivando!» incalzò Kisshu, ansimante e visibilmente preoccupato. «Dobbiamo andarcene da qui. Ehi! Mi hai sentito?» esclamò rivolto a Mew Ichigo, che lo ignorò.
La ragazza gatto rivolgeva loro le spalle; le sue mani scorrevano rapidamente sulle pareti laterali di quel vicolo cieco.
«Dovèdovèdovèdovè…» continuava a ripetere febbrile, tastando veloce i pesantissimi blocchi di pietra che formavano il muro.
«Ma che fai?!» esclamò Kisshu spazientito, afferrandola per le spalle e spingendola contro la parete: «Dobbiamo andare via di qu….iiiiiiiiii!!!!!!!!!!»
Fu un attimo: come se il muro dietro Mew Ichigo non esistesse, lei ricadde all’indietro, trascinando uno sbalordito Kisshu con sé, oltre la parete.
«Ouch! Siiii, trovato! Kisshu, sei un genio!!!»
«Ma che…» Taruto, che aveva osservato tutta la scena con la bocca spalancata, in un balzo raggiunse il punto in cui erano scomparsi i due.
«Sono qui! Catturiamoli!» gridò una voce a pochi metri da lui, in strada. Senza pensarci due volte, Taruto si lanciò contro il muro; le più elementari leggi della fisica gli ricordavano che con quel gesto avrebbe solo rimediato un bel bernoccolo… ma il piccolo oltrepassò la parete come se fosse un fantasma.
Taruto si ritrovò in un posto avviluppato in un’oscurità tale che neanche i suoi occhi alieni riuscivano a perforarla. Sentì che, dall'altra parte del muro, le guardie avevano raggiunto il vicolo.         Sobbalzando per il terrore, inciampò in qualcosa e ricadde su un duro pavimento di pietra; ma non osò lamentarsi: sentiva le voci delle guardie come se fossero ad un metro da lui.
E in effetti, lo erano.
Taruto riusciva a distinguere le loro sagome confuse da una piccola parte del muro che aveva una particolarità: era semitrasparente. Era la stessa da cui era passato.
Ma sembrava che, al contrario, le guardie non potessero vedere lui. Il bambino li sentì discutere fra loro finché non giunsero i rinforzi: le urla stridule del capitano si udivano anche oltre il muro di quel passaggio segreto, ma Taruto non osò aprire bocca; sapeva che se, fosse scoppiato a ridere, sarebbero stati tutti scoperti. 
Improvvisamente, l'alieno dai due codini sentì un rumore soffocato accanto a lui; pregò che nessuno là fuori se ne fosse accorto. Preoccupazione inutile, dato che il capitano ancora stava gridando.
Quando alla fine smise, e Taruto sentì il rumore dei suoi passi allontanarsi, tirò un lungo sospiro di sollievo. Scattò a sedere, cercando di scorgere qualcosa nel buio: i suoi occhi alieni gli permisero di vedere suo fratello a terra stringere una mano sulla bocca di Mew Ichigo, che era sotto di lui.
Quando i rumori all'esterno furono del tutto cessati, segno che i soldati erano andati via, Kisshu tolse la mano e si mise a sedere, sussurrandole a bassa voce: «…ma sei scema? Volevi farci scoprire?!»
«Scusami!» disse Mew Ichigo. Si sedette in ginocchio, scoppiando nella risata che Kisshu aveva cercato di trattenere.
«Non ci trovo niente di divertente,» ammise lui, serio. Per quanto cercasse di controllare le sue emozioni, dal suo viso traspariva ancora un'espressione stravolta. Non si era ancora del tutto ripreso dagli ultimi avvenimenti.
«Allora,» cominciò, quando Mew Ichigo tornò silenziosa. «Ora tu mi spieghi cosa sta succedendo, prima che io…»
«…mi baci?» concluse lei, e Kisshu si voltò indietro per guardarla scioccato: arrossì leggermente ed indietreggiò, perché i loro visi erano molto vicini. «Mossa sbagliata: se Ichigo viene baciata, si trasforma in un gatto.»
Kisshu spalancò la bocca, senza riuscire a spiccicare parola.
«Ehm…scusate…» Taruto avrebbe potuto lasciare soli i due piccioncini, ma preferì chiedere in tono abbastanza deciso: «Chiedo troppo se voglio sapere cosa sta succedendo?!»
Mew Ichigo e Kisshu si voltarono verso di lui, guardandolo come se si fossero appena ricordati della sue presenza.
«E anche dove siamo,» aggiunse il bambino, incrociando le braccia.
«Beh…» disse Kisshu lanciando un’occhiata alla stanza in cui erano caduti «Questo sembra un…»
«…passaggio segreto,» concluse Mew Ichigo. «Una porzione di parete é un ologramma. Per un attimo pensavo che non sarei riuscita a trovarla. Venivo sempre qui a giocare quando ero piccola, mi divertivo a scappare dalle istruttric… perché mi guardate così?!»
«Ma tu chi sei?» chiese Taruto.
«Ehm…io…beh, ecco…»
«Perché somigli così tanto ad Ichigo? Perché ci hai salvati? Cosa vuoi da noi? CHI SEI?»
«Calma, Taruto!» esclamò Mew Ichigo con una vena di spavento nella voce. Sotto il peso di quelle domande, si alzò ed indietreggiò di qualche passo nel buio: «E’ che io…ecco…io non…»
Stavolta fu il turno di Kisshu di concludere la frase della ragazza: «…non è Ichigo,» spiegò in tono molto  sereno, come se stesse parlando del tempo. «E’ Imago.»
Taruto sgranò gli occhi: «EEEEEEEEEEEEEHHHHHHHHHHHHH?!?!?!?!»
«Ho indovinato?» chiese Kisshu alla ragazza, lanciandole uno sguardo penetrante.

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Capitolo 8
*** Rifugio ***


24/02/2014.  La cosa bella è che nella mia fanfic su Supernatural l'OC che ho creato è un’assassina psicopatica con problemi di personalità. Scrivo di lei, e poi torno qui e trovo Imago che tipo è la cosa piu' puccia del mondo. Che cosa mi è successo in questi 10 anni?!
Ah, due precisazioni: a mio parere, Kisshu ha sempre avuto il... bacio facile. Per lui un bacio è una sorta di... dimostrazione di interessamento, non una promessa d'amore eterno, insomma.
Inoltre (e qui è colpa mia che non l'ho spiegato abbastanza chiaramente) non si era davvero "innamorato" di Kassidiya, ma era semplicemente caduto pesantemente vittima del fascino di quell'aliena (che ha questa capacità di ammaliare un po' tutti; è una sorta di suo "potere speciale").




- Capitolo 7: Rifugio -

 
Kisshu aveva indovinato.
In risposta alla sua domanda, la falsa Mew Ichigo aveva annuito lentamente. Non riusciva a sostenere lo sguardo del suo interlocutore, così si voltò dall'altra parte. «Si, è proprio così,» ammise, rigirandosi nervosamente fra le dita una ciocca di capelli rosa.
Taruto sgranò gli occhi. «Ma…ma non e' possibile!» esclamò, con un tono a metà fra lo sconcerto e la delusione.
Come Kisshu, Taruto non sopportava i segreti, ma i suoi motivi erano diversi rispetto a quelli del suo fratello adottivo: Taruto era convinto che, se qualcuno gli nascondeva qualcosa, lo faceva perché lo considerava troppo piccolo.
All’inizio, Imago gli era stata simpatica perché, a differenza dei suoi fratelli e di chiunque altro, lo aveva trattato quasi come un suo coetaneo: loro due avevano parlato molto, e Taruto le aveva raccontato del suo viaggio sulla Terra, di Profondo Blu, di Purin, dei suoi fratelli. Anche lei gli aveva raccontato molte sue esperienze ma adesso, il fatto che lei gli avesse nascosto tutto questo, lo aveva ferito molto: neanche Imago lo giudicava abbastanza maturo da mantenere un segreto.
Cosa avrebbero fatto adesso? Non si fidava più neanche di Imago.
Rivolse al fratello uno sguardo arrabbiato che nascondeva una velata richiesta d’aiuto, ma ben presto si rese conto che Kisshu non lo aveva degnato di un’occhiata.
Kisshu era stanco. Dal canto suo, aveva incassato il colpo con una facilità di cui fu lui stesso il primo a stupirsi. Ma in effetti, nelle ultime ore erano successe così tante cose che ormai nulla era più in grado di sorprenderlo.
Meno di tre giorni fa, Kisshu era insieme ai suoi fratelli a bordo di un'astronave a sognare il suo ritorno a casa; ora, invece, si trovava in un buio corridoio, inseguito da persone che volevano la sua morte, incapace di riconoscere persino chi si trovava davanti a lui. Tutto ciò era così assurdo, che Kisshu pensava seriamente che fra pochi minuti si sarebbe risvegliato, ritrovandosi disteso nella sua branda a ridere dei suoi sogni.
Ma il risveglio non avvenne, e Kisshu rimase immobile quando vide la sua ex nemica trasformarsi davanti ai suoi occhi nell’aliena che lui e i suoi fratelli avevano conosciuto durante il loro soggiorno nelle prigioni del palazzo.
 
*
 
Qualche minuto dopo, Kisshu e Taruto si ritrovarono a seguire Imago attraverso il passaggio segreto.  Era molto più vasto di quanto avessero immaginato: in pratica, era un altro labirinto. Era formato da strettissimi corridoi e scale, quasi completamente immersi nel buio; una debole luce rossastra proveniva da pannelli mascherati nel pavimento che rendevano l'atmosfera opprimente.
Taruto continuava a parlare, e sembrava l’unica cosa viva in quel sinistro corridoio di pietra grigia.
«Allora, ci vuoi spiegare come sei scappata, si o no?» chiese ad Imago per quella che probabilmente era la decima volta. Puntualmente, non ricevette risposta. Incapace di sopportare oltre, il piccolo alieno smise di camminare.
«Ascolta! E’ davvero insopportabile il modo in cui continui a far finta di non sentirci quando parliamo e tutto il resto,» disse, anche se in verità l’unico a parlare negli ultimi venti minuti era stato lui. «Anche se ci hai detto che ci vuoi portare in un posto sicuro, ti giuro che se non rispondi…non farò più neanche un passo. Ehi, mi hai sentito?»
Imago sospirò. Si, lo aveva sentito, aveva sentito benissimo le sue parole, e l’amarezza che ostentavano. Ma il problema non erano le domande che faceva Taruto; il problema di Imago era che non aveva idea di come comportarsi con lui e con Kisshu.
Se avesse risposto ad una sola delle sue domande, sarebbe stata costretta a raccontare tutta la sua storia, cosa che non voleva assolutamente fare. E oltretutto aveva promesso che non l'avrebbe fatto finché non fosse tutto finito; se Kisshu e Taruto avessero scoperto il suo piano, sarebbe saltato tutto.
Avrebbe potuto benissimo mentirgli, ma non le piaceva raccontare bugie: ne aveva dette fin troppe.
L'aliena si fermò e si voltò indietro: Taruto aveva un’espressione così seria che sembrava cresciuto di molti anni. Kisshu era rimasto indietro di pochi passi, camminava con le braccia incrociate e l’aria di chi si è perso nei suoi pensieri più oscuri.
«Vuoi sapere come sono scappata?» ripeté dopo qualche secondo. «Beh, non é niente di particolare. Ma a Kassidiya sicuramente non piacerà,» concluse, e, sebbene si fosse voltata di nuovo avanti, Taruto avrebbe giurato che stava sorridendo. Sbuffò, e mormorando parole poco felici ,riprese a camminare dietro di lei.
Imago cercò di convincersi che, se agiva così, era per il loro bene. E poi, non poteva permettersi di perdere tempo in spiegazioni, voleva condurli al punto d'incontro prima possibile. Comunque sia, non aveva mentito quando aveva detto che il racconto della sua fuga non era interessante; anzi, ora che ci ripensava, gli sembrava molto stupido.
Camminando, ripensò a quando, poche ore prima, il suo compagno di cella Rugh le aveva toccato lievemente la spalla.

“Che hai, Imago?” le aveva chiesto con molta serenità.
“Li hanno portati via…” gli aveva risposto lei in un sussurro.
“Chi, quei due che vogliono condannare a morte? Beh, perché fai quella faccia? Cos’altro ti aspettavi?” aveva chiesto lui dopo qualche secondo. Era sorpreso della tristezza della sua compagna. “Lo sapevi già che sarebbe successo. O no?”
Lei lo aveva guardato sconsolata, ma Rugh non aveva saputo interpretare quello sguardo come una risposta. “Non è certo la prima volta che lo fanno, su, perché sei così triste? Non li conoscevi nemmeno.”
“Loro…erano speciali…”
“Speciali...?”
“Nah, ti passerà col tempo. E poi, prima o poi, verremo portati via tutti, quindi non vedo dove sia il problema.”
A parlare con tale leggerezza era stato un altro alieno intervenuto nella conversazione.
“Tu non li hai visti, ma sono morti tanti dei nostri amici che erano qui, imprigionati ingiustamente e poi ammazzati come bastardi della peggior specie. Purtroppo è il nostro destino, dobbiamo accettarlo. E’ così…” aveva spiegato Rugh, con la rassegnazione nella voce, “…e lo sarà sempre, finché i nostri sovrani non si renderanno conto che, per quanto poveri sudditi, anche noi abbiamo un’anima.”
Così dicendo, Rugh aveva pensato di averla tranquillizzata, invece le sue parole avevano ottenuto l’effetto contrario. Infatti, quando la nibiriana aveva alzato la testa sui suoi compagni, il suo viso era illuminato da uno sguardo molto determinato: “Ragazzi!” aveva esclamato decisa. “Non possiamo permettere che li uccidano!”
Gli alieni si erano guardati in faccia l’un l’altro: “Ah, no?”
“Dicci solo un motivo perché dovremmo aiutarli,” aveva detto un vecchio incrociando le braccia.
“Già. Moriranno come tutti gli altri.”
“Invece no!” aveva replicato lei. “Non lo permetterò. E non morirà nessun altro per colpa di Kassidiya.”
“E cosa vorresti fare da sola?” a parlare in tono così sarcastico era stata una donna dall’aspetto sgradevole.
“Da sola? Da sola non posso fare niente…” aveva ammesso lei. “Però, se mi aiutate, forse…”
“CHE?! Scordatelo!” aveva dichiarato il vecchio.
“Sono già abbastanza nei guai per conto mio,” aveva replicato un altro.
“Già, anche noi!” avevano annuito i restanti.
A sentire ciò, lei aveva assunto un’espressione sconsolata. “Ah. Si. Certo. Capisco. Avete ragione,” aveva detto, e si era voltata dall'altra parte. “Vuol dire che farò da sola. Comunque…grazie di tutto, amici,” aveva aggiunto poi con una vocina triste.
Per la seconda volta, gli alieni si erano scambiati un’occhiata.
“E va bene,”  aveva sospirato Rugh dopo qualche secondo, “hai vinto!”
“Uhn, Grazie!”  Imago gli era praticamente saltata addosso, abbracciandolo e facendolo diventare molto rosso. “Vi voglio bene!”
“Poche sdolcinatezze. Cos’hai in mente?”
“Dopo quasi un ater trascorso qui dentro, ho capito che le guardie della prigione sono più stupide di…qualunque altra cosa,” aveva sorriso lei.
“E quindi?”
“Piano di evasione semplice: Nikal, tu sai imitare bene la voce del capitano Korn, vero?”
“Perché credi che mi abbiano sbattuto qui dentro?” aveva risposto una ragazzina mentre gli occhi le si illuminavano.
“Bene….allora facci vedere cosa sai fare!”
Qualche secondo dopo, dalla cella si era levato un gran vociare, che aveva attirato l’attenzione delle uniche guardie rimaste a sorvegliare le prigioni. Le altre erano tutte fuori per l'esecuzione.
“Ehi voi lì dentro!! Cos’è questo caos?!” avevano chiesto sospettose, attirate dai rumori. Sbirciando fra le sbarre, videro che tutti i prigionieri si erano ammucchiati intorno a qualcosa o qualcuno che urlava. “TIRATEMI FUORI DA QUI, IDIOTI!”
“Capitano?”
“Cosa ci fa là dentro?”
“Come ci è finito, direi…”
“E se fosse una…”
“UCCIDIAMOLO!” aveva strillato il vecchio alieno facendo un gran rumore con le catene.
“CHE STATE ASPETTANDO!? MUOVETEVI! RAZZA DI CRETINI!”
“S-subito capitano!”. Le guardie erano accorse per aprire la cella, le spade sguainate.
“Voi! Allontanatevi subito dal nostro capitano!”
I prigionieri avevano eseguito l’ordine e si erano allontanati, mentre le guardie si erano avvicinate a quello che credevano il loro capitano; ma, naturalmente…
“…capitano?”
“Ciao!” aveva sorriso la piccola Nikal.
“Non è il capitano!”
“ADDOSSO!!” avevano gridato i carcerati, gettandosi sulle guardie.

«Dove ci stai portando?» chiese improvvisamente Taruto.
Imago fu destata di colpo dai suoi pensieri. «Perché me lo chiedi?» replicò velocemente. «Non ti fidi di me?»
«No,» rispose lui sincero. «Ci stai facendo girare per questi corridoi da un sacco di tempo. Credo che tu non abbia la minima idea di dove conducano. Ed ora, guarda: ci ritroviamo ad un altro bivio. Ne ho visto uno identico poco fa. Secondo me ci siamo persi!» dichiarò.
Imago rimase a guardarlo per qualche secondo, poi, contrariamente a tutte le aspettative, sfoderò un sorriso radioso: «Non vi fidate di me? Bravi, fate benissimo!»
«Che cosa?!»
Come se non stesse aspettando altro da tempo, Taruto indietreggiò, portandosi in una posizione di combattimento. Kisshu, invece, fece un’espressione che mandò a farsi benedire all’istante tutta la sua indifferenza: «Che vuoi dire?» chiese con sospetto.
«Oh, Kisshu, mi mancava la tua voce!» osservò Imago in tono allegro.
Kisshu inarcò un sopracciglio.
«Dicevo, neanche io mi fiderei di una come me. Non pensate che sia un po’ suonata? Comunque non c’è da preoccuparsi, dato che l’unica cosa che voglio fare è aiutarvi,» mentre scandiva con una certa enfasi quest'ultima parola, l'aliena aveva fatto qualche passo in avanti verso il bivio: a destra c’era una scala che scendeva verso il basso, a sinistra un corridoio ingoiato dall’oscurità. Imago non scelse ne’ l’una ne’ l’altra strada, ma andò avanti e si fermò davanti alla parete. Diede un colpetto ad una grossa pietra rotonda, e questa cigolò e si aprì come se fosse una porta.  «Ecco fatto, siamo arrivati. Seguitemi!»
Imago attraversò quell’ingresso improvvisato, ma ne’ Kisshu ne’ Taruto si mossero di un passo. Allora lei tornò indietro e incrociò le mani in segno di preghiera: «E’ l’ultima cosa che vi chiedo. Per favore!» li pregò.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata; erano ancora molto incerti, quando si decisero a seguirla.
La parete, spessa almeno una trentina di centimetri, si richiuse dietro di loro; probabilmente, era mossa da un meccanismo automatico.
Il locale in cui Kisshu e Taruto si ritrovarono era completamente diverso dal resto del passaggio segreto: una stanza molto larga, aveva le pareti metallizzate e il pavimento era di pietra bianca. Una luce chiara scendeva dai neon incastrati nel soffitto. Era arredata, anche se in modo molto semplice: c’erano un paio di vecchi tavoli rettangolari, e delle cose basse e larghe, che assomigliavano a delle poltrone, oltre a vari altri oggetti ammucchiati accanto alla parete destra. A sinistra, invece, c’erano tre porte: una era semiaperta, e da essa si intravedeva un corridoio, anch’esso illuminato.
«Wow! Dove siamo?» domandò Taruto. Dopo tanto buio, per lui era una piacevole novità ritrovarsi in un luogo illuminato in modo decente.
«In un passaggio segreto nel passaggio segreto,» spiegò Imago sorridente, incrociando le braccia dietro la schiena. «Potete nascondervi qui finché le acque non si saranno calmate. Non vi troverà nessuno, garantito!» dichiarò.
Kisshu e Taruto la guardarono increduli.
«Che c’è…non vi sembra una buona idea? Oppure…non vi piace?»
«Beh, no…ma…» Kisshu lanciò uno sguardo in giro, incerto. «Anzi, mi sembra una buona idea, però…»
«E’ splendido!» trillò Taruto, che al contrario del fratello, sembrava letteralmente entusiasta. Era incredibile la capacità del piccolo di passare da uno stato emozionale all’altro. Ma d’altronde, lui era sempre stato così.
«Guarda! Ci sono anche altre stanze! E’ grandioso! Vado a dare un’occhiata!»
In un attimo, il bambino alieno era scomparso in uno dei corridoi.
«Non ti allontanare,» lo raccomandò Kisshu debolmente. In un altro momento, sarebbe stato felice di essersi tolto quel moccioso impertinente dai piedi, ma adesso la mancanza di suo fratello lo infastidiva non poco: fino a quel momento, era stato Taruto l’unico a parlare; aveva riempito l’aria delle sue chiacchiere e delle sue domande, ma ciò, invece di seccarlo come al solito, aveva fatto sentire Kisshu decisamente più sollevato.
Era un po' come se Taruto, sebbene non si fosse rivolto quasi mai a lui, in realtà non avesse fatto altro che parlargli, e rassicurarlo che lui non era solo in quell’orrenda situazione, che c’era anche lui, che erano insieme. Senza di lui, ora, Kisshu era solo. O meglio, era solo con quella tipa così strana e di cui non sapeva più cosa pensare, e un silenzio opprimente si era già impadronito anche di quel luogo.
Cosa doveva fare ora?
Doveva parlare con lei?
Kisshu aveva quasi paura di comportarsi con Imago come faceva normalmente con le altre femmine. Imago non era come le altre.
Ma d’altro canto, non poteva certo rimanere lì, immobile, finché Taruto non ritornava. Potevano passare ore prima che il piccolo esaurisse la sua curiosità e le sue energie. Quel posto non era certo il più bello che avesse mai visto, ma non era male. Nella situazione in cui si trovavano, era davvero una benedizione. Kisshu sentiva di dover ringraziare Imago per questo. Certo, gli aveva mentito e gli stava nascondendo chissà quanti altri segreti… ma, in fondo, li aveva aiutati. Aveva davvero fatto di tutto per portarli in salvo, per cui Kisshu decise che, per il momento, l’avrebbe almeno ringraziata.
Lei stava passeggiando per la stanza mormorando quasi fra sé e sé frasi sconnesse sui momenti che aveva passato in quel posto, anni prima.
Kisshu la chiamò, e lei si voltò a guardarlo: «Si, Kisshu?» chiese, indifferente.
Pessima interpretazione. Non stava aspettando altro, l’avrebbe capito chiunque...o almeno, chiunque non stesse combattendo una furiosa battaglia interiore come stava facendo Kisshu in quel momento.
«Io…io voglio…» pronunciò l’alieno, mentre i suoi pugni si stringevano in un gesto nervoso. «Io voglio sapere chi sei tu in realtà,» concluse.
Ma che diavolo gli saltava in mente?
«Parli con me?»
Ah, al diavolo.
«Smettila. Come hai fatto a trasformarti in Ichigo? Come facevi a sapere chi è e come parla?»
Imago indietreggiò, assumendo un'aria imbarazzata. «Mi dispiace…» blaterò. «Io…»
Kisshu aggrottò la fronte.
«D’accordo, ho capito…»
L'aliena sospirò, ed andò a sedersi su una di quelle strane poltrone bianche. Fece un gesto per invitare Kisshu a sedersi accanto a lei.
Con non poca incertezza, lui si avvicinò e ne scelse una a due metri da lei; ma più che sedersi, ci affondò dentro: era talmente soffice che sembrava fatta di piume. Non era sicuro se fosse comoda o meno.
Quando finalmente Kisshu riuscì a sistemarsi in modo dignitoso, guardò interrogativamente Imago, che ricambiò il suo sguardo con aria pensierosa prima di iniziare a parlare.
«Devi sapere che io ho un potere molto particolare,» disse. «Quando sono vicina a qualcuno, sono capace di trasformarmi nelle persone a cui…come dire… tiene in particolar modo,» spiegò, incerta.
Kisshu la osservò con un’espressione che si potrebbe definire interessata. «Come fai?» chiese piano dopo qualche secondo.
«Glielo leggo negli occhi,» fu la risposta della nibiriana.
L’alieno sbatté i suoi un paio di volte: «Tutto ciò è molto romantico, ma io non tengo ad Ichigo.»
«Oh, si che ci tieni.»
«No.»
«Su, non devi nascondere il tuo sentimento, è bellissimo!»
«Se tu credi che questa schifezza che ho dentro, che mi tormenta ogni giorno e che non riesco a dimenticare, sia bellissima, allora scusami, ma abbiamo idee diverse,» sbottò improvvisamente Kisshu, non con rabbia, ma con una serietà tale che quasi spaventò la sua interlocutrice, che capì in quel momento di aver toccato una ferita ancora aperta.
Taruto le aveva raccontato che Kisshu si era innamorato di un'umana di nome Ichigo, che però non lo aveva ricambiato; ma non immaginava che il ricordo di lei lo facesse soffrire ancora; o meglio, non si era minimamente posta questo problema quando aveva deciso di trasformarsi nella ragazza gatto che aveva visto riflessa negli occhi di Kisshu. All’improvviso, si sentì immensamente dispiaciuta. Le bastò capire in che stato ora si trovava lui per colpa sua per comprendere che era davvero un’idiota.
La verità era che Imago viveva per rendere felice la gente; vedere qualcuno allegro era per lei una gioia immensa. Era in grado di far sorridere chiunque parlasse con lei ma stavolta, davvero, aveva sbagliato dall’inizio alla fine. Beh, ormai, l’unica cosa che poteva fare era cercare di salvare il salvabile, anche se non aveva la minima idea di come fare.
Kisshu guardava il muro davanti a lui, ma i suoi occhi erano annebbiati dai ricordi. Quando finalmente rivolse di nuovo la parola all'aliena, la sua voce era del tutto inespressiva.
«Qual’è il tuo vero aspetto?» fu la sua domanda.
Imago ebbe un sussulto: «Uh? Da cosa lo hai capito?» chiese sorpresa.
«Non sono uno sciocco.»
«Dici?»
«Ti odio,» dichiarò Kisshu, più serio che mai.
«Anche io ti voglio bene, Kisshu.»
Ecco, se prima aveva qualche dubbio, ora Imago aveva la certezza di essere davvero una stupida.
«Voglio vederti
Quella di Kisshu non era una domanda. Era un ordine.
Il sorriso scomparve dalle labbra di lei. «No,» dichiarò, seria.
«Perché?» chiese lui, aggrottando la fronte.
«Perché… perché mi vergogno, ecco!» sbuffò Imago, voltandosi dall’altra parte.
«Eh?» sillabò Kisshu, sbalordito. In quel momento, rinunciò a capire Imago. Fece uno sforzo enorme per non alzare gli occhi al cielo. «Sei un'anziana, ma sembri una bambina,» osservò alla fine.
«Non sono né anziana né una bambina!»
«Cos- Quanti anni hai?»
«Terrestri? Hm…diciassette…»
«Ah…come me.»
«…si…ehm…meno due...»
«Quindici?»
Imago annuì. «Da poco.»
Kisshu fece uno strano sorriso. Se a lei piaceva giocare, allora perché non poteva farlo anche lui?
«Allora sei davvero una bambina. Comunque sia, scherzavo, non mi importa davvero vedere come sei,» ammise poi alzandosi. Si diresse verso il corridoio in cui era scomparso Taruto. «Mah, forse è meglio che vada a cercare quel moccioso di mio fratello.»
«Dove vai ora?»
Imago lo guardò andare via con un’espressione a metà fra il sorpreso e il deluso. «Sei davvero impossibile, lo sai, vero?» sospirò. Si alzò e lo raggiunse in pochi passi. Gli sfiorò un braccio; lui si girò indietro e trasalì.
«Eh...ma cosa...?»
«Ecco, sei contento ora?» gli disse Imago, quella vera però.
Imago non era l'aliena dal viso piagato e pieno di rughe e cicatrici che Kisshu e Taruto avevano conosciuto in cella; Imago, se quello era davvero il suo aspetto reale, era del tutto diversa.
Il suo fisico non era cambiato: piccolo e magro, troppo. In realtà, Imago era l’aliena più strana che Kisshu avesse mai visto: aveva la pelle delicata di un colore rosato molto simile a quello di un essere umano; i suoi capelli erano ancora legati in una treccia, ma non erano più neri - osservandoli bene, Kisshu non avrebbe saputo dire di che colore fossero: un castano molto chiaro, che si avvicinava all’arancio. Aveva due occhioni vivaci di un blu molto intenso, tendente al violaceo. Anche la sua voce era cambiata: era quella dolce e allo stesso tempo vivace con cui aveva cantato la sua canzone, il giorno prima, nelle prigioni.
Ma, nonostante la metamorfosi, la sua bellezza non era neanche lontanamente paragonabile a quella di Kassidiya, e la stessa Ichigo era molto più carina di lei; eppure, Imago aveva qualcosa di diverso.
E comunque, anche se a modo suo, era carina: quegli occhi sembravano davvero dolci.
Kisshu sorrise. «Così va meglio,» disse.
«Uffa...» La ragazza aliena incrociò le braccia, assumendo un’aria offesa; Kisshu non seppe dire se lo fosse davvero o stesse scherzando. «Scommetto che ora vorrai sapere anche il mio vero nome, no?»
Lui sfoderò un sorrisetto malizioso. «Grazie per avermelo ricordato, piccola.»
«URGH! Che stupida!» Imago si colpì sulla testa con un pugno. «E non chiamarmi piccola. No, no, il mio nome non te lo dirò mai, mai, mai
Il giovane alieno la lasciò sfogare senza fare una piega; quando lei ebbe finito, si limitò a dire: «Allora?»
«Kassimago,» rispose lei docile.
«Pffff.»
Kisshu cercò di trattenere una risata, con poco successo.
«Ecco, vedi? Chiamami Imago.»
Lui annuì, ancora sorridendo. «A parte gli scherzi, tu mi ricordi qualcuno, sai?»
«Lo so,» disse lei, mentre tornava a sedersi. «Dicono tutti così, ma non ci arriva mai nessuno.»
«Ah, no?»
«No.»
«E’ una persona che conosco?» provò Kisshu.
«Oh, si,» esclamò Imago con molta enfasi. «E’ tanto bella quanto nevrotica, indossa una corona e si chiama Kassidiya.»
«Uh?»
«Ed è mia sorella,» continuò la nibiriana, incurante dell’espressione stralunata di Kisshu.
«Eh?»
Gemella. Anche se sostiene di essere più grande perché è nata 164 secondi prima di noi…»
«Ah?»
«Hai… hm, finito con le vocali?»
«Ma…»
Kisshu osservò meglio la ragazza. In effetti, c’era una lontana somiglianza fra lei e Kassidiya nei lineamenti del viso. Ma era solo un’ombra... Certo, era già da parecchio che Kisshu aveva capito non trovarsi di fronte ad una semplice popolana, però pensava che Imago fosse una borghese. Mai a pensare che proprio lei…sorella dell’imperatrice…un momento…
«Noi chi, scusa?»
«Io e Kassandra,» rispose Imago come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Kisshu strizzò gli occhi: «Siete…ehm…tre?!»
«Sì, e ognuna di noi ha qualcosa di particolare.»
Kisshu deglutì, e fece una strana espressione, come se avesse appena mandato giù troppo in fretta un gelato freddissimo. Gli venne persino il mal di testa.
Sprofondò nuovamente nella sua sedia. Si sentiva come se invisibili fili stessero collegando fra loro tasselli di un puzzle nella sua mente. Ma ne mancavano moltissimi, ma all’improvviso, gli tornarono in mente della parole di Imago. Parole che parlavano di tre sorelle.
«La tua canzone…»
«Non è una canzone. E non è mia. E’ una profezia,» disse Imago. «Ed anche esatta. O forse no. Quando parla di me dice una cosa del tipo: Nata per ultimo è infine colei / Che degli altri non può far suo che l’aspetto, / Ma per il suo animo si deve aver rispetto, / Fra le tre è l’unica perseguitata,» recitò velocemente. «Andiamo, come si può avere rispetto di una come me?»
«Kassidiya voleva ucciderti…»
«Perché non mi sopporta. Sono troppo...caotica per lei. Forse teme che possa congiurare contro di lei, come se una cosa del genere fosse possibile. E' per questo mi nascondevo, facendole credere che fossi morta.»
«Ora ti avrà sicuramente scoperto,» constatò Kisshu, con una punta di preoccupazione nella voce. «Perché ci hai salvato?»
«Perché, perché…» cominciò Imago incerta, e Kisshu pregò silenziosamente che non cambiasse discorso e che restasse seria. «Perché non era giusto lasciarvi morire così. Te l’ho detto: sono d’accordo con le vostre idee sugli esseri umani. Inoltre, credo che mia sorella sia una tiranna. Non vorrei dirlo, ma davvero, è un disastro come Sovrana. Credo che abbia bisogno di qualcuno che la faccia ragionare… o di qualcuno che la fermi…»
«Fammi indovinare, e quel qualcuno saresti tu?» chiese Kisshu, osservandola con attenzione.
«Io sono più incapace di lei,» osservò tristemente Imago. «Ho provato a parlarle, e per poco non venivo uccisa. C’erano un sacco di persone che mi davano ragione. Per colpa mia sono morte tutte.» disse. «Per colpa mia…» ripeté, stavolta con voce tremante.
«Beh, ora ci sono io.»
Kisshu la interruppe prima che potesse andare oltre. Aveva l’impressione che non gli sarebbe piaciuto vederla piangere.
«Eh?»
«Non farti strane idee. Ma dopotutto sono in debito con te, no?» disse lui con noncuranza.
Imago lo guardò confusa, e seriamente sorpresa: «No che non lo sei!» sillabò. «Se vi ho salvati, non è stato certo perché volevo chiedervi aiuto. E poi, non voglio più coinvolgere nessuno in questa storia. Questa è una questione che devo risolvere da sola.»
Più Kisshu ascoltava, più gli sembrava di riuscire a capire la ragazza di fronte a lui: il carattere che mostrava a tutti era simile a quello di Ichigo e Purin; ma in realtà era – o meglio si sentiva –insicura come quella Mew Mew dai capelli verdi il cui solo nome turbava l’animo di suo fratello Pai. Kisshu sorrise. Beh, però era in gamba. Aveva solo bisogno di…un po’ di fiducia in sé stessa, forse?!
«Per quanto detesti dirlo, e non fosse stato per te io e Taruto saremmo morti.»
«Non dire così…guarda che…per me aiutarvi è stato un…ehm…un piacere!» balbettò lei. Persino un cieco avrebbe capito che quella situazione per lei era davvero imbarazzante. 
«Anche per me lo è,» disse Kisshu con un sorriso dolce come il miele, che la fece arrossire ancora di più.
«O-ok…g-grazie.»
Kisshu continuò a sorridere, ma Imago non lo stava più guardando. Rossa come un peperone, si era girata di lato e si stava picchiettando nervosamente gli indici. L’alieno restò qualche secondo in attesa, ma lei continuò a non parlare.«Ma quanto tempo ci mette Taruto?» chiese alla fine, più che altro per rompere quel silenzio imbarazzato. Stava cercando di pensare…ma, a dire il vero, non riusciva a fare molto in quel momento; aveva appena realizzato che erano completamente soli in quella stanza, e quanto carina era lei quando le sue guance vellutate le si coloravano leggermente per l'imbarazzo, rendendola...appetitosa...
Kisshu spalancò gli occhi, arrossendo a sua volta. Improvvisamente, sentiva molto caldo. Cercò di calmarsi: tutto questo non era affatto da lui.
«Kisshu,» lo chiamò ad un tratto Imago.
Sentire pronunciare il suo nome non lo aveva mai emozionato così tanto. Provò qualcosa come una stretta allo stomaco. Fame?
«Che c'è?»
«Io…credo di aver preso una decisione.»
«Che cosa?»
Sotto lo sguardo inorridito di Kisshu, la ragazza si avvicinò a lui e gli appoggiò con delicatezza le mani sulle spalle. Non lo guardava negli occhi. Non ci sarebbe riuscita. Già in quel momento, era talmente rossa che Kisshu riusciva quasi a sentire il calore delle sue guance.
«Ti conosco appena, ma se vuoi io…posso essere la tua Ichigo.»
Lui la guardò. Aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente. Non perché era imbarazzato, ma perché non sapeva proprio cosa fare.
Abbassò anche lui gli occhi: «No…» disse alla fine.
«Ah...»
Imago sembrò incassare il colpo abbastanza velocemente. In un lampo, si alzò e si allontanò il più possibile da lui. «Oh, scusami, scusami davvero, sono una stupida!» esclamò, con un con sorrisetto imbarazzato. «Perdonami. Anzi, ascolta, per favore, fai una cosa, dimentica tutto quello che ho detto, fai conto che ero fuori di me per via di un non so cosa che–»
Kisshu alzò di nuovo lo sguardo su di lei: «Tu non devi essere come Ichigo,» disse, interrompendola. «Vai bene così come sei,» sorrise.
Imago indietreggiò come se Kisshu avesse impugnato contro di lei un coltello. Probabilmente, se lo avesse fatto davvero, si sarebbe sentita meglio: era imbarazzata da far paura....non sapeva affatto come comportarsi situazioni come questa; a differenza delle sorelle, lei era sempre stata un disastro in questo tipo di cose.
«Dici d-davvero…cosa…ah, no, dai, smettila di scherzare!» esclamò in un tono stranissimo, a metà fra il serio e il divertito. E l’imbarazzato. «Non mi conosci per nulla, io dormo tutto il giorno, mangio un sacco e odio tutte le buone maniere...da piccola, poi, ero una peste! Ho fatto scappare via piangendo tre istruttrici, dovevi vedere come mi sgridavan-» non poté continuare oltre perché, in un attimo, Kisshu si era alzato e l’aveva raggiunta, catturando le sue labbra in un bacio.
Quando si lasciarono, Kisshu le sorrise malizioso. «Scusami, ma è l’unico modo che conosco per farti stare zitta.»
«C-Capisco…»
Alla faccia della ragazza estroversa. Sembrava che stesse per morire.
“Cavoli, si é trasformata in quella Retasu,” pensò Kisshu. “Ora sì che ci vorrebbe Pai.”
«Mi dicevano sempre che ero terribile con i maschi,» ammise lei toccandosi i capelli.
«Ma tu lo sei,» assentì Kisshu sorridendo, sfiorandole una guancia.
Imago lo guardò e sorrise appena, ma non riuscì a fare altro: infatti, in quel preciso momento, Taruto era ritornato.
Ma non era entrato nella stanza.
Qualcuno ce lo aveva scaraventato dentro, facendolo sbattere a terra dolorosamente.
«Taruto!»
Spaventatissima, Imago corse verso di lui per aiutarlo a rialzarsi.
«Fratellone...aiutami...» sussurrò il piccolo.
«Taruto...?» sillabò Kisshu, stravolto. «Ma cosa…?»
«Alla fine vi ho trovati, traditori,» disse una voce bassa e soddisfatta.
Kisshu si voltò verso uno dei corridoi illuminati: una porta era stata spalancata con un calcio da qualcuno che si stava avvicinando a loro.
Un alieno alto, dall'aria minacciosa, con i capelli neri e occhi scuri e impenetrabili.
«Adesso avrete ciò che vi meritate,» sibilò, e puntò verso di loro la sua arma, un ventaglio rosso.
Kisshu indietreggiò, sconvolto: «P-PAI?!»

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Capitolo 9
*** Inganni e complotti ***


24/02/2014.  Ora che ci penso, mi sento un po' come se avessi scritto il Trono di Spade dei poveri, versione TMM XDD

You! You hit my soul...
you couldn’t make it any deeper inside,
You just hit my soul...
and now only one word is left for me to say:
"Why?"
(Bitter words, Elisa)


- Capitolo 8: Inganni e complotti -

 

 
Il ventaglio color rosso sangue che Pai stringeva fra le mani fu scosso da una scarica elettrica.
L’alieno avanzò a passi lenti nella stanza bianca, squadrando i suoi tre occupanti con aria assente, e si fermò a pochi metri da loro. Non era solo: dietro di lui c'erano almeno dieci guardie armate di pistole a impulsi, una delle quali ancora fumante.
A quella vista, istintivamente, Kisshu si ritrasse indietro. «Ehilà, fratello!» lo salutò con un sorriso contrito mentre constatava che tutte le vie di fuga erano state bloccate. «Qual buon vento, come dicono gli umani...»
Kisshu non aveva idea di come avesse fatto a Pai rintracciarli – e soprattutto così velocemente. Non ci mise molto a fare due più due: suo fratello, da solo, non sarebbe mai riuscito a trovarli; qualcuno doveva aver fatto la spia.
«Pai...?!» sillabò Imago, lanciandogli uno sguardo nervoso. Aveva un'aria preoccupata, probabilmente per via di Taruto, che, privo di sensi, teneva fra le braccia. Il bambino perdeva sangue da una gamba, e le sue condizioni non sembravano delle più felici. Imago deglutì: «Ma cosa…non dovevi…non…»
Pai non la degnò neanche di uno sguardo.
In compenso, Kisshu si pose davanti a lei, come per proteggerla. «Nah, tu fai silenzio, piccola,» le disse. «Sono molto, molto arrabbiato con te.»
«Cosa?»
«Non dovevamo essere al sicuro qui? Più tardi noi due facciamo i conti.»
Il tono con cui Kisshu pronunciò questa frase era scherzoso, ma lo sguardo che riservò alla giovane, quando voltò appena la testa per guardarla, era deluso e accusatorio.
«Perché non sei stata tu, vero...? Ma… perché? Perché l’hai fatto? E’… E’ uno scherzo, vero?»
Dall'espressione desolata che assunse Imago, Kisshu comprese che non lo era. Fu come una pugnalata al cuore. Imago li aveva traditi. Li aveva condotti in quella trappola solo per consegnati ai loro inseguitori. Non c’era dubbio che le cose fossero andate così, eppure tutto questo non aveva senso. Era stata lei a salvarli: perché li aveva nuovamente ricondotti fra le braccia del nemico?
Un pensiero orrendo lo assalì.
 
“Ma cosa state combinando? State mandando a rotoli lo spettacolo che ha organizzato l’imperatrice …perché quelle facce? Non ditemi che non lo sapevate! Ne parlano tutti...!”
 
Imago aveva urlato queste parole alle guardie per convincerle a liberare Taruto. In quel momento, Kisshu aveva pensato che fosse un trucco, ma ora, l’alieno prese in seria considerazione il fatto che probabilmente non lo era affatto.
E se tutto questo non fosse stato altro che una messa in scena di Kassidiya – o di chi per lei – per umiliarli? A stento, Kisshu cercò di reprimere l’ondata di rabbia che lo aveva travolto.
 
“Non vi fidate di me? Bravi, fate benissimo! Neanche io mi fiderei di una come me…”
 
Tutto questo… tutto questo era assurdo! Allora anche lei si era solo presa gioco di lui? E lui che, come un idiota, era arrivato persino a baciarla...
Kisshu si sentì improvvisamente così stupido e arrabbiato da desiderare di uccidere qualcuno. Probabilmente, lui stesso.
«Ascolta, Kisshu…» Imago cercò di prendergli il braccio, ma lui la spinse via. «Ti prego, non fare così, io non volevo, ma ho dovuto farlo! Perdonami, io…»
«IO TI AVEVO DATO LA MIA FIDUCIA!» le gridò Kisshu.
Le guardie scoppiarono in una sonora risata di scherno. Anche Pai incrociò le braccia, una smorfia crudele dipinta sul viso.
Kisshu lo squadrò con rabbia: «Tu ridi perché questo ti sembra divertente, vero?» abbaiò.
«No, traditore. Rido perché qualunque cosa accada, tu sei e resterai sempre uno stolto,» rispose lui con calma. «Non prendertela con quella povera stupida,» continuò poi, «vi avremmo trovati anche se non vi avesse venduti.»
Sentire la conferma dei suoi sospetti paralizzò Kisshu dall’orrore. Una sola domanda si impossessò della sua mente:
“Ma perché lo ha fatto?" continuò a ripetersi.
Come se potesse leggergli nel pensiero, Pai sospirò. «Sapeva che prima o poi vi avrebbero catturati di nuovo, e per lei sarebbe stata la fine,»  spiegò in tono convincente. «Ora, invece, verrà adeguatamente ricompensata per i suoi servigi.»
Kisshu aggrottò la fronte. Quella storia non aveva senso, neanche un po'. C’era qualcosa che non quadrava, ma l’alieno evitò di chiedere ulteriori spiegazioni e decise di restare in silenzio.
In quel momento, Taruto si riprese. Kisshu lo sentì mugolare qualcosa dietro di lui, ma non osò voltarsi indietro: se lo avesse fatto, avrebbe di nuovo incrociato gli occhi di Imago.
«Oh, ecco, mancava solo il moccioso,» osservò Pai divertito.
«Credevo di averlo ucciso,» osservò una delle guardie, evidentemente la stessa che aveva ferito Taruto la prima volta. «Posso riprovare, signore? Vi giuro che stavolta non mancherò il bersaglio!»
Pai la trattenne, facendogli intendere con uno sguardo che se ne sarebbe occupato lui.
«Fratello!»
In un attimo, Taruto si rialzò e superò Kisshu, camminando verso il fratello maggiore. Si stringeva il braccio, anch'esso sanguinante. «Perché ti comporti così? Smettila! Non ti ricordi di noi?»
Lui incrociò le braccia, inarcando appena le labbra sottili. «Certamente. Ricordo che la mia Signora vi ha condannato a morte,» disse.
«La tua Signora ti ha fatto il lavaggio del cervello!» esclamò Taruto con esasperazione. «Pai, torna in te! Sono io! Sono Taruto!»
«Taruto!» chiamò Kisshu, preoccupato.
«Io non ho intenzione di combattere contro di te! E non me ne vado se tu non vieni con noi! E vedi di ricordartelo perché non ho intenzione di ripeterlo!» strillò il piccolo; non era solo il dolore al braccio a fargli luccicare gli occhi.
«Ed infatti tu non combatterai contro di me,» mormorò Pai. Il suo sorriso si distorse in un ghigno spietato. «Tu e i tuoi amici morirete adesso.»
Taruto sgranò gli occhi mentre Pai alzava il suo ventaglio, che continuava a sviluppare potere sotto forma di scariche elettriche e fulmini sempre più grandi. Le guardie, spaventate dalla potenza tremenda che emanava quell’arma, indietreggiarono.
Kisshu teneva gli occhi fissi sul ventaglio. «No…» esalò.
«Fratellone!» gridò Taruto.
«E’ la fine per voi! FU RAI SEN!» gridò Pai, lanciando contro di loro un turbine di energia elettrica.
 Ci fu un bagliore, come un sole improvviso, seguito da un boato che fece tremare tutta la Capitale. Del passaggio segreto sotto le mura, a seguito della tremenda esplosione che si verificò al suo interno, non rimasero che macerie fumanti.
 
***
***

 
«…prigioni devastate, il palazzo nel panico…»
Shiroi, seduto su uno dei seggi nella Sala del Consiglio, sfogliava con voce sempre più monotona il contenuto di una delle infinite relazioni che continuavano a comparire sullo schermo rotondo che aveva davanti. I decrepiti membri del Consiglio ascoltavano in silenzio, seduti ai loro posti, mentre Kassidiya era davanti a loro, sul trono, a sbadigliare.
«…gli ultimi rapporti fanno salire il numero dei feriti…»
«Più che feriti direi pestati, consigliere Shiroi...» osservò un anziano aristocratico, annotando tutto su un oggetto che somigliava molto ad tablet.
«Morti...?»
«No, soltanto una decina di fuggitivi…e poi alcuni bambini…»
«Ma vogliamo parlare delle inesistenti misure di prevenzione attualmente in vigore?» esclamò di colpo un altro membro del Consiglio, balzando in piedi. «Tutto questo è accaduto perché l’ultimo decreto approvato da questa corte non é stato rispettato pienamente, e mi riferisco soprattutto al ventiseiesimo dei suoi duecentocentoquarantatré punti!» disse, e si lanciò in un’appassionata discussione sui decreti legislativi emanati dalla fondazione del regno ad oggi.
Dopo cinque minuti di quella tediosa conferenza, Kassidiya sospirò pesantemente. Quando il vecchio passò all’ennesimo punto dell’ennesimo comma dell’ennesimo decreto, la Sovrana comprese di aver esaurito la sua pazienza. Scattò in piedi esclamando: «E voi mi avreste disturbato per queste sciocchezze?!» e, scesa dalla piattaforma, oltrepassati i membri del Consiglio, uscì dalla Sala del Consiglio lasciando sbattere la porta dietro di lei.
«Signori, il consiglio è sospeso,» osservò con calma Shiroi sfiorando appena il suo schermo, che si spense. «Riprenderemo il prima possibile,» spiegò agli attoniti presenti, cominciando poi a riordinare i suoi appunti.
 
*
 
Kassidiya, una volta uscita dalla stanza, fece pochi passi incerti, e alla fine andò ad appoggiarsi sul davanzale della finestra più vicina. Dal vetro trasparente vide le grandi luci artificiali affievolirsi lentamente; contemporaneamente, tantissime minuscole lucine iniziavano ad illuminare la città sotto di lei.
Sospirò nuovamente. Sapeva che in pochi minuti sarebbe dovuta ritornare in quella fastidiosa stanza, anche se lei, veramente, il Consiglio imperiale proprio non lo reggeva.
Perché i suoi prigionieri avevano deciso di fuggire proprio quel giorno?
«Non c’erano già abbastanza problemi, ci mancava solo l’evasione di massa ora…ah, rieccoti! Dove eri finito!? Parla, e pretendo una scusa convincente!» gridò la Sovrana all'alieno che era appena comparso dal fondo del corridoio.
Pai, raggiuntala, si inchinò leggermente di fronte a lei. Era in compagnia di un paio di giovani guardie, che gli saltellavano intorno con sguardo adorante, nonché dallo stesso scienziato che lo aveva ridotto in schiavitu’, il dottor Kell.
Kassidiya fece a tutti e quattro cenno di rialzarsi.
«Ho rintracciato e ucciso i tre fuggitivi, mia signora,» rispose Pai in tono piatto.
Kassidiya spalancò gli occhi per la sorpresa. «Che cosa?!»
«Davvero! L’ho visto con i miei occhi uscire da quelle macerie fumanti!» intervenne entusiasticamente una delle guardie.
«Già, una cosa impressionante!» annuì l’altra.
Il dottor Kell prese ad annotare degli appunti su una sorta di palmare che tirò fuori da una tasca della sua tunica bianco sporco.
«Ma come…spiegate»” ordinò l’imperatrice, confusa.
«Uno dei fuggitivi ha avuto paura e in cambio di aver salva la vita ha tradito gli altri…quella ragazza… quella strana…» spiegò il soldato, incespicando nelle parole per l'emozione.
A sentire ciò, Kassidiya quasi si dimenticò di respirare per l’ansia. «La…ragazza? ….ed ora che fine ha fatto?» chiese.
Per tutta risposta, Pai le mostrò l’oggetto che aveva stretto fra le mani fino a quel momento: sembrava un pezzo di vetro, invece si trattava di un gioiello di metallo con al centro una pietra luccicante, macchiato di sangue. Kassidiya lo prese fra le mani e lo osservò: conosceva quell’oggetto; quella croce ansata era il medaglione che, a pochi giorni dalla sua morte, sua madre aveva regalato a sua sorella Kassimago, e dalla quale lei aveva giurato di non separarsene mai.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro.
«Perfetto,» annuì Kassidiya, lanciando un’occhiata soddisfatta a Pai. «Direi che abbiamo finalmente trovato un nuovo Capitano delle Guardie Imperiali.»
Pai incrociò le braccia,ma non disse niente, ne’ si mosse.
«Scusatemi, mia signora…ma…e Korn?» osservò timidamente una delle guardie.
Kassidiya alzò gli occhi al cielo. «Giustiziatelo, mandatelo a strillare fra le bancarelle del mercato, cosa posso saperne io? Non sono problemi miei questi!» esclamò seccata, appoggiando distrattamente il pendente sul davanzale. «Ed ora andate!»
«Agli ordini!»
 Le due guardie si inchinarono e si smaterializzarono.
Kassidiya rivolse la sua attenzione a Kell, che ancora scriveva sul suo palmare con una bacchetta metallica.
«Ed anche lei, se permette dottore…vorrei restare da sola con-»
…Pai. Prima che la giovane potesse pronunciare questo nome, Shiroi uscì dalla sala del consiglio, e contemporaneamente, una voce femminile provenne dal fondo del corridoio.
«Ehilà, sorellina! Psicolabile come al solito, eh?»
Una giovane aliena raggiunse il gruppo e, a scanso di tutte le regole, abbracciò calorosamente la Sovrana. «Tesoro, è splendido rivederti!» esclamò, con tutto l’entusiasmo che mancava all’altra; peccato che fosse falso.
«Ah…Kassandra. Si, certo…» mormorò lei, più sorpresa che altro.
Quando si staccarono, gli sguardi curiosi di tutti erano posti sulla nuova arrivata: era un'aliena dai lunghi capelli neri, molto simile a Kassidiya, ed anche per questo decisamente attraente. Ma, a differenza della sorella, vestiva in modo tutt’altro che ortodosso, e il suo stesso viso dalle sopracciglia marcate, naso piccolo e labbra pesantemente evidenziate dal trucco, era la personificazione della malizia.
«Come sei cambiata! Era da così tanto tempo che non ti pregiavo di una mia visita,» osservò Kassandra, con una vocetta acuta, da bambina. «Sei invecchiata, sai? Forse è la tensione…prima ti invidiavo perché eri Sovrana, ma da quando ho notato le tue doppie punte e le rughe…»
«Mia signora…il Consiglio,» sussurrò Shiroi all’imperatrice, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere per il nervosismo.
«Giusto, il Consiglio!» ripeté lei, lieta di aver trovato una via di fuga. «Kassandra, anche per me è un piacere rivederti, ma purtroppo non posso permettermi di restare a conversare piacevolmente con te, per quanto mi dispiaccia. Per cui-»
«Oh, non preoccuparti, parleremo più tardi, o anche domani,» la interruppe quella. «Ho già fatto portare di sopra i miei bagagli! Penso che rimarrò qui per molto tempo!»
«Splendido,» commentò Kassidiya in tono da funerale.
«Allora è deciso. Oh, scusatemi, devo andare a cercare la mia guardia del corpo. E’ così affezionata a me che sta perquisendo l’intero palazzo per cercare eventuali pericoli per la mia persona. Non è un amore...?»
Kassidiya non stette nemmeno a chiedersi chi fosse il mentecatto in grado di riuscire a resistere per più di cinque minuti con quella petulante. L’unica cosa che la consolava era che, dopo il Consiglio, e dopo sua sorella, avrebbe potuto restare sola con il suo Pai.
Ma, come se potesse leggerle nel pensiero, il dottor Kell scostò per la prima volta da quando era arrivato lo sguardo dal palmare e le disse: «Credo che stanotte dovrò tenere sotto osservazione il mio Oggetto di Esperimento. Dai dati che ho raccolto, credo che la mia operazione abbia intaccato alcune delle sue funzioni celebrali secondarie, e di conseguenz–»
«E va bene, fate tutti quello che volete!» strillò a quel punto Kassidiya, perdendo completamente la pazienza; tornò nella sala del Consiglio sbattendo le porte.
Shiroi dedicò una strana smorfia a Kell, riaprì le porte, entrò, e le richiuse.
«Oh, povera sorellina…» biascicò falsamente Kassandra, scoppiando a ridere, «...prima o poi questa faccenda del regno le farà perdere la testa.» Sorrise, e poi lanciò uno sguardo a Pai: «Oggetto di Esperimento?» osservò divertita, prima di andare via canticchiando, per la verità con voce piuttosto stonata.
Pai rimase solo con il dottor Kell.
«Sono stato davvero così scortese?» si chiese quello, posando il palmare nella tasca.
Pai gli lanciò un’occhiata.
«Beh, che hai da guardare?» gli domandò lo scienziato, palesemente infastidito.
«Ti ho mai detto che sei uno sciocco, Alan?» rispose Pai con un sorriso impercettibile.
«Fa’ silenzio, Oggetto di Esperimento 47/bis,» ribatté quello, dandogli una pacca sulla spalla. «E ringrazia lo sciocco che ti ha salvato il cervello e la famiglia.»
«Già...odio ammetterlo,» annuì l'altro in risposta, «ma credo di essere in debito con te. O meglio, con te e con Chris.»
«Oh, si, soprattutto con lei,» replicò quello, abbassando la voce. «Giuro, quando l’altro giorno ti hanno presentato davanti a me con l’ordine di cancellarti la volontà, io non ti avevo neanche riconosciuto. Sei cambiato tantissimo. Erano…non so…- quattro ater?- che non avevamo più avuto tue notizie. Non so come lei abbia fatto a ricordarsi del suo vecchio compagno di allenamento. Se non fosse stato per lei, adesso tu saresti…». Il giovane dottore fece un chiaro gesto con le mani. «E devi ringraziarla anche per il suo piano di fingerti sotto il suo controllo per riuscire a liberare i tuoi fratelli. E per aver portato al sicuro quei due mentre noi venivamo qui a completare la messa in scena con Kassidiya. Accidenti, devi ringraziare quella ragazza per talmente tante cose, che per sdebitarti come minimo dovresti…» si interruppe, lanciando però una chiara allusione a Pai.
«Non credo di essere il suo tipo,» osservò lui semplicemente.
«O il contrario, no? Capisco…» sospirò Kell, palesemente sollevato da quella notizia. «Bene, credo che sia ora di andare, prima che qualcuno ci veda parlare come due vecchi amici. No, non seguirmi, tu inizia ad incamminarti – io devo cercare un attimo una persona. Ci vediamo fra un minuto davanti al portone d’entrata...»
«D’accordo,» si limitò ad annuire Pai, e si allontanò.
Non appena scomparve dietro l’angolo, Kell si avvicinò alla porta della Sala del Consiglio – ma il rumore di passi lo costrinse a voltarsi indietro, verso il corridoio.
«Stavo quasi per dimenticarmene!»
Con pochi passi, Pai superò Kell e si diresse verso il davanzale della finestra a cui si era appoggiata qualche minuto prima Kassidiya – e dove aveva dimenticato il medaglione di Imago. L’alieno lo raccolse e se lo infilò velocemente in tasca. «Mi ha detto che se glielo perdevo ne avrebbe fatto un altro con le mie ossa,» si giustificò con il suo amico.
«Capisco,» osservò lui come deluso. «Ho cambiato idea!» esordì quando Pai fece per andarsene. «Cercherò dopo quella persona. Ora torniamo a casa. Le mie donne mi stanno aspettando… e se tutto è andato bene, lì dovrebbero esserci anche i tuoi fratelli,» gli disse, prima di sparire dietro l’angolo insieme a lui. «E fammi un favore, leva una buona volta quel sorrisetto dalla faccia o ci scopriranno, OdE 47/bis.»
 




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Capitolo 10
*** Strani comportamenti ***


26/04/2014. Porno gay.
Forse dovrei provare a scrivere un po’ di porno gay. Non in questa fanfic intendo.




- Capitolo 10: Strani comportamenti -


Quella notte, il cielo artificiale di Polaris era il più tetro dell'intero pianeta.
Pesanti masse di nuvole sintetiche, generate da appositi strumenti che copiavano gli agenti atmosferici fondamentali per la vita, avviluppavano l'intera città, foderando il cielo di uno spesso velo di tenebra. Questi cumuli grigiastri si protendevano fino a terra – e lì, trasformati in foschia, penetravano in ogni angolo della capitale, inghiottendo palazzi, strade e luci. La pioggia, gridata continuamente da spaventosi tuoni e rapide saette, sferzava violentemente qualunque cosa su cui precipitava.
Il vento gelido spalancò improvvisamente una delle quattro finestre rotonde della stanza comune della casa di Kell. L'acqua cominciò ad invaderla con prepotenza, costringendo la signora Kell a raggiungere di corsa l'apertura e a richiuderla con uno scatto.
«E’ vero che negli ultimi tempi non hanno fatto piovere, ma ora per rimediare devono proprio esagerare a questo modo?!" sbraitò la nibiriana, contrariata. «Hah! Lo so io chi è che ha combinato questo disastro! E' stato Inu, Alan! Ti ricordi di lui? Quel tuo collega che voleva a tutti i costi prendere il posto di Chris, povera cara! Alla fine, l'hanno fatto addetto al controllo dell’atmosfera artificiale; appena qui fuori si calma, giuro che vado a contargliene quattro, a quello sciocco!»
Mentre la signora Kell borbottava agitando a caso un mestolo, suo figlio Alan, Pai, Kisshu, Chris, Imago, Taruto e Belle, seduti intorno ad un tavolo, continuavano a mangiare e chiacchierare fra loro.
A loro non importava del tempo impazzito: il tepore piacevole della casa avvolgeva e riscaldava i loro animi e i loro corpi, facendo dimenticare loro ogni pensiero e preoccupazione. La stanza comune in cui si trovavano, che occupava da sola più di metà del piano terra dell’edificio, era ampia e stranamente riempita da oggetti che la rendevano calda e accogliente. Infatti, oltre al largo tavolo bianco occupato dai nostri - che si trovava a poca distanza dalla porta che conduceva alla cucina -, nella stanza c'erano numerosi ripiani grandi e piccoli, di colore chiaro, che contenevano oggetti come calici elaborati o particolari piatti per i cibi; su uno, opposto al tavolo, di fronte ad un largo sedile bianco e soffice che svolgeva le funzioni di un divano, era poggiata una grossa sfera che luccicava debolmente e serviva per comunicare con le persone lontane che ne possedevano un'altra. Le deprimenti pareti di metallo erano vivacizzate un po' da tessuti colorati, probabilmente intrecciati dalla stessa signora Kell, e, di fronte una porta, c’era persino un grosso specchio rotondo.
Era la posizione importante che Kell occupava a Palazzo a permettergli tutti questi lussi. Nel complesso, lui non era ne' troppo ricco ne' troppo povero: apparteneva ad una classe media, cosa che, oltre alla cura della casa, permetteva a lui e alla sua famiglia di mangiare più di una volta al giorno. E la signora Kell era davvero esperta quando si parlava di cibo... Infatti tutti, alla fine, furono concordi nell’affermare che la madre dello scienziato era tanto moralista quanto brava in cucina, e fu per questo motivo che quasi tutti chiesero, dopo aver mangiato, più volte un bis. La grossa signora acconsentiva con gioia ad ogni richiesta, e si preoccupava premurosamente di passare ai suoi ospiti piatti sempre più grandi. Li adorava, ma, non appena notava anche un solo minimo tentativo di conversazione o scambio di sguardi fra due persone di sesso opposto (che non fossero Taruto e Belle o Chris e Kell, s'intende), il suo sorriso si trasformava in stizza, e cominciava lunghi ed appassionati discorsi sull’immoralità dei giovani moderni.
Kisshu, Pai e Taruto non ne avevano ascoltato neanche uno.
Taruto era troppo impegnato a divorare avidamente tutto quello gli capitava sottomano; Kisshu e Pai riuscirono invece a conservare un minimo di dignità a tavola, ma questo non li salvò dalle occhiate stranite degli altri.
«Wow, non avrei mai pensato che la vostra cucina gli sarebbe piaciuta così tanto, signora Kell,» aveva osservato Chris, fissando i tre con gli occhi spalancati e il cucchiaio alzato.
«Sai, non credo che si tratti della sua cucina,» aveva obiettato Kell. «Senza offesa, madre.»
Queste osservazioni non erano sfuggite a Kisshu. «Schushatesci,» aveva dichiarato, con la bocca piena della carne cotta di uno dei pochi, strani e violenti animali che vivevano sul Pianeta Nero: non sapeva neanche quale fosse, e tra l’altro a lui non era mai piaciuta la carne; neanche quando era sulla Terra aveva mai sopportato l'idea di mangiare degli animali, ma quando si dice la fame...
«E’ davvero tutto ottimo, signora, complimenti. Dovreste proporre questo menù alle prigioni del Palazzo,» aveva scherzato l’alieno, una volta ingoiato.
A sentire ciò, la signora Kell aveva scoccato a Kisshu un’occhiata obliqua talmente fulminante che gli aveva fatto indietreggiare la sua sedia di qualche centimetro dal tavolo, intimidito.
La serata era proseguita tranquillamente. Dopo che tutti ebbero finito di mangiare, la signora Kell andò in cucina a riordinare, ma non accettò l’aiuto che le avevano proposto Imago e Chris, dichiarando che dopo una tale giornata dovevano essere tutte molto stanche e che avevano bisogno di riposare. I nostri poterono così rimanere finalmente un po’ soli – anche se ogni pochi minuti la signora Kell si affacciava con qualche scusa nella stanza per vedere cosa stavano facendo. E quando ciò accadeva, dove un minuto prima provenivano risate e rumori, calava il silenzio più totale.
Chi andò peggio quella sera fu Taruto: Belle lo tormentò senza pietà per tutto il tempo, e alla fine gli chiese persino se voleva essere il suo compagno, in un tono che non ammetteva una risposta negativa. Ciò che salvò la vita a Taruto fu l'intervento di Imago, che si intrattenne qualche minuto a giocare con la bambina, distraendola il tempo necessario da permettere a Taruto di cercare un nascondiglio abbastanza sicuro nel quale stare tranquillo per un po'.
Pai, invece, passò la maggior parte del tempo chiuso in un silenzio grave, mentre Kell era semplicemente scomparso.
Chris, da parte sua, sentiva che c’era qualcosa di strano nell’aria: poco dopo la cena, aveva visto Pai sparire e poi rientrare in casa con vestiti e capelli completamente zuppi d’acqua: l’ipotesi di una passeggiata sotto la pioggia era molto poco realistica, ma allora che cosa era successo?
Dopo aver rinunciato ad intraprendere un discorso con Pai sull’argomento, l’aliena decise che avrebbe chiesto a Kell più tardi. Nel mentre, decise di fare amicizia con Imago: sebbene avesse qualche anno meno di lei, sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d’onda.
La cosa funzionò; a metà serata, l’argomento della loro conversazione divenne Kisshu, che Chris aveva scoperto continuava a lanciare occhiate dalla loro parte….

Infatti, sebbene ciò gli fosse più doloroso della tortura, Kisshu non osava avvicinarsi a Imago: la minaccia della signora Kell e del suo mestolo erano perennemente presenti.
Certo, quella donna non era sua madre o una sua parente, e aveva alcun diritto su di lui; ma aveva accolto lui e i suoi fratelli in casa sua quando praticamente tutto il pianeta li voleva morti; e, anche se Kisshu era il tipo che se ne fregava altamente delle regole e del galateo, gli sembrava davvero scorretto infrangere le sue regole in casa sua.Per questo motivo, l’alieno dagli occhi ambrati si accontentò di osservare Imago mentre parlava vivacemente con Chris. Erano sedute sul divano a poca distanza da lui, che si stava mordendo le labbra nel tentativo di afferrare qualche stralcio di quella conversazione.
«Vedi, il problema nasce se voi due state insieme,» sentì affermare dopo un po’ da un pensierosa Chris.
«In che senso?» sentì rispondere da Imago.
«…voi due state insieme?» domandò Chris.
«Non lo so,» rispose Imago alzando le spalle. «Kisshu, noi due stiamo insieme?» chiese l’aliena ad alta voce, rivolgendosi direttamente a lui.
«P-Perché lo chiedi a me?!» fu la sua risposta istintiva. Quella domanda, posta così improvvisamente e con quel tono così naturale, lo aveva lasciato per un attimo disorientato.
«Beh, non può certo chiederlo alla madre di Ally,» si intromise Chris alzando le spalle.
Imago arrossì.
«Forse a lei potresti chiederlo….» osservò Kisshu, aggrottando la fronte.
Chris li guardò senza capire. «Beh, ma se non state insieme, allora non c’è nessun problema!» esclamò vivacemente dopo un poco.
«Direi di no,» annuì Imago sorridendo.
«Ma che state dicendo?» chiese Kisshu, mentre il suo sguardo si faceva sempre più nervoso: quelle due messe insieme non gli ispiravano alcuna fiducia.
Senza rispondergli, Imago si alzò in piedi e lo raggiunse, prendendogli una mano fra le sue e guardandolo in modo molto serio. «Hm….Kisshu, ascolta, devo dirti una cosa…» cominciò, incerta.
«Che cosa?» domandò Kisshu, visibilmente preoccupato. Sentì qualcuno battergli sulla spalla in segno di consolazione. Era Chris, che, con lo stesso tono serio, gli diceva: «Cerca di essere forte, ragazzo.»
«Vedi,» proruppe Imago dopo qualche secondo di silenzio, nel quale Kisshu aveva afferrato nervosamente fra le mani un bicchiere d’acqua, «la verità è che io sono già impegnata,» ammise alla fine.
Kisshu rischiò seriamente di affogarsi con l’acqua.
«Si, insomma, tesoro, mi spiace dirtelo, ma io e Imago ci troviamo così bene insieme che deve essere per forza la mia compagna gemella,» dichiarò Chris, scoppiando a ridere. «Vero, piccola?»
Imago annuì, trattenendo una risatina.«Però, se proprio vuoi, stanotte possiamo vederci tutti e tre,» continuò Chris, con un’ombra di serietà nel tono fintamente malizioso.
Kisshu, smesso di tossire, aprì la bocca per mandare a quel paese lei, Imago e i loro stupidi scherzi, ma Belle lo interruppe:
«Che cosa fate stanotte? Voglio partecipare anche io!» strillò, tirando la gonna di Chris.
«Allora facciamo una cosa a quattro,» le sorrise lei amabilmente.
«M-Ma…non è un po’ troppo piccola?» osservò Imago.
«Ma no…tanto c’è Taruto!»
«NEANCHE MORTO!» gridò una credenza con la voce di Taruto.
«Tarutaru!!!» Belle corse verso il mobile, da cui il bambino fuggì orripilato.

«E tu, Pai, cosa ne dici?» chiese intanto Chris.
Lui roteò gli occhi. «Fate quello che volete,» fu la risposta incurante.
«Okay, c’è anche Pai!» dichiarò Chris. Poi ci pensò un attimo. «Ma che…PAI ha detto di si?! PAI!»
«Da te non me l’aspettavo…» completò Kisshu, ormai contagiato da quell'atmosfera.
Per tutta risposta, Pai li squadrò tutti, le sopracciglia inarcate, prima di mormorare un: «Lasciatemi fuori dalle vostre perversioni,» e uscire dalla stanza. Chris fu l’unica a restare a fissare per qualche secondo il punto in cui era scomparso, prima di tornare a scherzare con gli altri.
Pochi minuti dopo, Taruto fu trascinato in un angolo da Belle; in questo modo, Kisshu e Imago ebbero l’occasione di trovarsi per un attimo soli e vicini.

«Ti devo dire una cosa,» cominciarono insieme, e insieme arrossirono violentemente.
«VOI DUE!» strillò all’improvviso una voce imperiosa. Non ci volle molto a capire a chi appartenesse.
«Al diavolo tutto, io quella la strangolo,» mormorò Kisshu, prima di essere costretto ad allontanarsi da una dispiaciutissima Imago, che però riuscì a sussurrargli, con il tono di voce più basso con cui riusciva a parlare: «Io sono nella camera con Chris. Ci vediamo lì più tardi, va bene?»
Poco dopo, ripensando a queste parole, l’ennesima scenata della signora Kell parve a Kisshu molto più leggera.

*

Dopo cena Kell si era rifugiato nella sua stanza, che per quella notte avrebbe condiviso con Pai. Imago e Chris si erano organizzate per dormire insieme nella camera degli ospiti; Kisshu e Taruto, invece, avrebbero riposato nella stanza comune.

Kell, in genere, lavorava in un attrezzatissimo laboratorio nel Palazzo, ma la sua camera era essa stessa una sorta di piccolo laboratorio: era occupata per un terzo dagli schermi di grossi computer, uno dei quali sferico di ultima generazione; aveva una sfera comunicante personale e strumenti e macchinari strani sparsi un po' dappertutto. In giro vi erano decine di antichissimi papiri, fogli di materiale plastico e microscopici porta-dati rotondi. Nello spazio restante erano confinati un paio di letti ed un piccolo armadio metallico.

Lo scienziato, che si era tolto la tunica di lavoro, sedeva a gambe incrociate sul suo letto, l'attenzione catturata dal computer a schermo piatto appeso alla parete di fronte a lui. Nella stanza volutamente buia, la luce di quel monitor illuminava solo parte del suo volto.
Kell osservava con grande attenzione un puntino azzurro che compariva ad intermittenza sullo schermo giallastro. «Hai scoperto qualcosa?» gli chiese Pai, entrando dalla porta automatica.
Lo scienziato scosse la testa. «Niente di nuovo. Ma, forse, l’ho rintracciato; sembra che si stia dirigendo verso il Palazzo,» disse, indicando il puntino. «Proprio come sospettavamo,» soggiunse Pai, posando su di esso lo sguardo. “Mi chiedo come abbia fatto a scoprirci…” pensò poi, frustrato.
Kell e Pai avevano fatto di tutto per far sì che il loro inganno restasse segreto, ma sembrava che qualcuno li avesse scoperti. Infatti, poco prima, Kell aveva chiamato da parte Pai e gli aveva rivelato che i suoi strumenti gli avevano indicato la presenza di un intruso all’interno della casa. Pai e Kell non avevano detto niente a nessuno, ma avevano cercato di stanare da soli quell’estraneo. Purtroppo, quando Pai riuscì infine a scovarlo, quello stava già saltando fuori dalla finestra della stanza di Chris, al primo piano: Pai aveva visto un lembo del suo vestito scomparire davanti a lui con un guizzo. Kell, accorso nella stanza, gli aveva messo nella mano un quasi microscopico oggetto nero, dicendogli di lanciarlo addosso al fuggitivo, poiché ormai era certo che non sarebbero più riusciti a prenderlo. Pai allora, senza pensarci due volte, era saltato anche lui giù dalla finestra, e, ignorando la pioggia battente che aveva preso a frustargli il viso, si era concentrato sull’ombra che stava correndo a meno di due metri da lui. Pai aveva lanciato contro di essa l’oggetto che gli aveva consegnato Kell, che si era poi rivelato essere una microtrasmittente.
“Probabilmente,” ragionò Pai, “quando oggi ho parlato con quelle guardie,le ho fatte insospettire. Una di loro deve avermi seguito,” concluse. Pur non avendo visto in faccia la spia, Pai aveva l’impressione che si trattasse proprio del nibiriano che somigliava a Kisshu. Si morse il labbro inferiore, frustrato: se quel ragazzo avesse raggiunto il Palazzo e rivelato a tutti che i traditori erano ancora vivi...
«Vedi, Pai, quella microtrasmittente mi trasmette la sua posizione; analizzerebbe anche qualche altro stupido misero dato, se solo questo sciocco si fermasse un momento per prendere fiato! Almeno sapessi chi è... maledizione! Ma, per ora, è ancora abbastanza lontano dal Palazzo; è a piedi e la pioggia l’ha rallentato, ma resta lo stesso un grosso problema per noi,» disse Kell, il volto rabbuiato. «Dobbiamo abbatterlo, prima che–»
«Chi volete abbattere voi due?»
Chris, stupita, si fece largo nella stanza. Pai e Kell si scambiarono un’occhiata esitante.
«Niente, Chris, lascia perdere.»
«Anche se lo sembro, non sono una stupida,» dichiarò l’aliena, seria. «Spiegatemi cosa sta succedendo, o lo scoprirò da sola.»
«Qualcuno ci ha spiati, e ha scoperto il nostro doppio gioco,» spiegò brevemente Kell, senza staccare gli occhi dallo schermo. «Se va a Palazzo e racconta quello che ha visto sono guai, per cui–»
«Accidenti, ma com’è successo?» lo interruppe Chris.
«Io…» cominciò Pai, ma in quel momento lo scienziato accanto a lui scattò in piedi.

«Finalmente!» esclamò Kell. Raggiunse in fretta il computer sferico. «Si è fermato. Ed ora posso…» cominciò a sfiorare lo schermo luminoso, premendovi le dita in una sequenza velocissima. Una serie di incomprensibili informazioni apparve sullo schermo appeso alla parete, e Kell prese a lavorare su di esse.
«Ehm, cosa facciamo?» chiese nervosamente Chris.
«Alan, se hai la sua posizione, dammi le coordinate: vado io a riprenderlo,» propose Pai.
«Non ce ne è bisogno,» borbottò l'lo scienziato, improvvisamente più sollevato: aveva appena scoperto l’identità della spia, ed aveva già provveduto ad avvertire chi di dovere perché mandasse qualcuno a fermarlo. Ma si premurò di non dirlo ai suoi amici.

Chris e Pai lo fissarono incuriositi.
«Non ce ne è bisogno,» ripeté Kell, sfiorando il computer sferico un’ultima volta, spegnendolo. «Non preoccupatevi: non credo che per stanotte riuscirà a raggiungere il Palazzo.»
«Che cosa significa?»
«Quello che vi ho detto. Fidatevi di me. E ora direi di andare a dormire…» mormorò Kell soffocando uno sbadiglio. Stiracchiandosi, andò a sdraiarsi sul suo letto, ignorando gli sguardi poco convinti che i suoi sue migliori amici gli stavano lanciando.
«Ma Ally...»
«Hai davvero intenzione di dormire?» chiese Pai, guardandolo severamente.
«Lo farei, se voi due smetteste di lamentarvi. Vi ho detto che non c’è da preoccuparsi. Per cui, buon riposo,» concluse Kell, crollando.
 
* *

Fuori, nel buio, Ai correva, mentre l’aria era impregnata di pioggia. La strada pietrosa davanti a lui scorreva rapidamente. L'acqua gelida che precipitava dal cielo gli inzuppava i lunghi capelli verdi; i suoi occhi cerulei erano dischiusi per cercare di perforare la nebbia impossibile che lo circondava. D’un tratto, si fermò. “Fantastico, mi sono perso,”  pensò, ansante. “Ma com’è possibile? Ero sicuro di conoscere queste strade...”
Lanciò occhiate nervose in giro, cercando di riconoscere luoghi a lui noti, con scarsi risultati.  Scorse però, alla sua destra, un puntino giallo che combatteva per non essere assorbito dalla nebbia. “Laggiù c’è una luce!”
Ai decise di raggiungerla. Ma la nebbia, l'acqua e la poca attenzione confusero i suoi sensi, che lo portarono chissà dove, finché non si scontrò con qualcosa di duro. Riuscì a mantenersi in piedi, ma dal gemito femminile che sentì provenire a terra capì di aver fatto cadere a terra l’aliena contro cui si era scontrato.
«Maledetto clima artificiale,» imprecò il giovane, tendendo la mano alla sconosciuta. «Ehi, stai bene?»
In risposta alla sua domanda, quella afferrò il suo braccio con forza. D’istinto, Ai si irrigidì.
«Ai, sei tu?» gli disse però la nibiriana a terra, usando la presa che aveva sul braccio di lui per rialzarsi. Si gettò praticamente fra le sue braccia.  
«U-Umi?!» esclamò il giovane, quando si ritrovò faccia a faccia con la giovanissima aliena dai corti capelli blu scuro, che lo squadrava incerta. «Che ci fai qui?»
«Ti stavo cercando,» rispose lei, aggrottando la fronte. Ai riusciva a vedere la pioggia gocciolarle giù dalle lunghe ciglia. Erano entrambi completamente fradici. «Andiamo via da qui!» disse Umi in tono urgente, tirandolo via dalla strada.
«E-Ehi!» protestò l’alieno, «aspetta!»
Lei non lo ascoltò. Trascinò Ai per molti minuti nel buio con fare esperto. Lui la lasciò fare, anche perché non aveva molte altre alternative.
Alla fine, Umi lo spinse sotto un piccolo porticato in rovina di un’abitazione abbandonata. Sembrava che, al di là di esso, ci fosse il vuoto più assoluto. Approfittando del riparo, l’aliena iniziò a strizzare i suoi vestiti, imprecando a mezza voce.
Ai rimase fermo a guardarla, incerto. «Dove siamo?» le chiese. «Non conosco questa parte della città.»
«Siamo al riparo da questa tempesta assurda,» sbuffò lei. «Ti raccomando, non ringraziarmi,» aggiunse poco dopo, irritata dal silenzio di lui.
Ai si innervosì. «Non cominciare, ora non ho tempo. Devi portarmi al Palazzo,» le ordinò.
«Che cosa?!»
«Hanno rubato il mio cristallo di diamante,» mentì Ai. «Sono in missione e devo tornare subito al Palazzo.»
«Ma certo! Sei in missione!» esclamò Umi, incredula e arrabbiata. «E io faccio parte di un ordine segreto di ribelli!»

«Senti, io non posso-»
«No, ascolta tu!» esplose lei. «Sono la tua compagna, ma non fai altro che evitarmi! Sei uno sciocco irresponsabile, e io mi sono stancata di correrti dietro per venirti a cercare, ogni volta che scompari misteriosamente! Sono giorni che non ho tue notizie! Sei un egoista senza cuore!»
Ai la fissò ad occhi sbarrati. Si passò una mano sulla testa, tirando indietro un ciuffo di capelli bagnati che gli ricadeva sul viso. Era assurdo... Aveva appena scoperto che uno degli scienziati più famosi del Regno stava proteggendo i traditori; anche se era stato congedato, avrebbe dovuto essere a Palazzo per riferirlo alla Sovrana o al Capitano delle Guardie, invece era sotto la pioggia a litigare con la sua compagna. «Perfetto, allora finiamola qui, Umi. E’ meglio per tutti e due. Prima però spiegami perché quando ci siamo conosciuti hai insistito così tanto per stare con un egoista senza cuore come me. Tanto tu lo sapevi fin dall'inizio che io non ti amavo, no?»
SCIAFF!
La guancia destra di Ai divenne rossa. «E’ così che la pensi?» strillò, esasperata, la giovane aliena. «Allora addio, Ai. Ma, sai una cosa? Io ti volevo bene davvero. Avrei potuto essere tutto ciò di cui avevi bisogno, invece ora non voglio più avere a che fare con te! Perché tu, tu non sei normale! Sei soltanto un povero malato perso nel suo mondo dei sogni, che tenta disperatamente di farsi una vita normale per assomigliare agli altri ma non ci riesce, per cui… addio per sempre, Ai!»
Sfiorandosi con il dorso della mano la guancia rovente, Ai fissò senza alcuna emozione la sua ex-compagna rituffarsi nella nebbia e sparire. «No,» sospirò, una volta rimasto solo. «Io sono solo uno che non riesce a provare sentimenti.»
Il giovane rimase qualche secondo così, in piedi e in silenzio. Poi, di colpo, la realizzazione balenò nella mente.
«Ehi, Umi! Dove mi hai portato?» esclamò. «Come faccio a raggiungere il Palazzo? UMI!» gridò al buio, ma non ottenne alcuna risposta.
 
* * *

Dopo la pioggia venne il buio, e poi la luce. La mattina seguente, le luci erano appena state accese quando i due imponenti gorilla a guardia dell’entrata del Palazzo Imperiale si ritrovarono coinvolti in una discussione con Ai: tremante di freddo e completamente zuppo d’acqua, il giovane voleva a tutti i costi avere un’udienza con Kassidiya.
«Ma allora sei idiota!» sbraitò la guardia più grossa. «La nostra Sovrana non può concedere udienza ad un pezzente come te!»
«E allora,» replicò il giovane, testardo, «voglio parlate con il Capitano delle Guardie!» Si avviò verso l’entrata, che gli venne sbarrata dal secondo gorilla.

«Ma dove credi di andare?!» esclamò quello. «E poi, chi diavolo sei tu per darti tante arie?»
«Ero una delle Guardie Imperiali,» ribatté Ai. «E dato che ho passato una notte da schifo, è meglio per voi due se non mi fate arrabbiare.»
I due gorilla si scambiarono un’occhiata e poi scoppiarono a ridere fragorosamente.
«Basta così,» dichiarò Ai, «mi avete rotto.»

«Ma davvero?! E cos’hai intenzione di fare, ragazzino? Annoiarci a morte con i tuoi piagnistei?» scherzò uno dei due, lacrimando dal ridere.
Ai rivolse ad entrambi un sorriso davvero poco raccomandabile.


Qualche minuto dopo, una porta secondaria della Sala del Consiglio si aprì automaticamente. Ai vi entrò camminando risoluto sul tappeto vellutato e lanciò uno sguardo distratto ai tre alieni che la occupavano: gli stavano dando le spalle, ma uno di loro, gli era stato detto, era il nuovo  Capitano delle Guardie, fresco di nomina. La notizia non si era ancora diffusa, ma presto ci sarebbe stata una cerimonia in suo onore.

Ai lo riconobbe dalla fascia dorata che indossava. «Mio Capitano,» cominciò, inchinandosi, «mi scuso per la mia intrusione. Vi porto delle notizie-»
«…che cosa vi avevo detto? E' andato tutto come previsto.» lo interruppe la voce conciliante di Kell.
Ai smise di parlare per alzare lo sguardo sui tre.
«Oh, tu devi essere la spia,
» disse Chris, voltandosi verso di lui. Gli sorrise amabilmente. «Ciao! Sai, stavamo parlando proprio di te!»
«EH?! Ma che…VOI?!?!»
Ai si rimise in piedi con uno scatto nervoso, sgranando gli occhi quando scoprì che l’alieno che indossava la fascia di Capitano delle Guardie era Pai. «Dov’è il Capitano?» gridò il giovane, fuori di sé.
«Il Capitano? Credo di essere io,» ammise Pai, non senza ironia.
«Ma cosa…oh…n-no…” sillabò il giovane, indietreggiando, sbalordito, verso la porta da cui era entrato.
Un tonfo dietro di lui lo costrinse a voltarsi indietro: Kell aveva appena sbarrato l’uscita.
«Ascolta, ragazzo. Ci dispiace, ma ti sei ficcato in affari che non ti riguardavano, ed ora non possiamo lasciarti andare,» dichiarò lo scienziato.
«Però, se collabori,» continuò Chris in tono rassicurante, « non ti accadrà nient-»
«Apra quella porta,» sibilò Ai, rivolgendosi a Kell.
«Non credo che lo farò,» osservò lui con noncuranza.
«Non potete tenermi qui.»
«E tu non dovevi spiarci. Quanti ater hai, ragazzo? Quindici, sedici? Con la tua stupidità hai rischiato di farci uccidere tutti, lo sai, vero?»
«Dirò a tutti la verità. Dirò che nascondete i due traditori, e che state tramando contro la nostra Sovrana!»
«Pai,» disse Kell, grave. «La fascia che ti è stata appena consegnata simboleggia la responsabilità di mantenere la sicurezza e l’ordine nel Palazzo. Questo ragazzo minaccia entrambe le cose. Cosa hai intenzione di fare di lui?»
Pai scosse la testa, fronteggiando lo sguardo sprezzante di Ai. «Anche se parlasse, probabilmente non lo crederebbero. Ad ogni modo, non possiamo correre questo rischio.»
«Ti lasceremo andare, se giuri di non rivelare a nessuno quello che hai visto ieri,» provò nuovamente Chris.
«Scordatelo, traditrice!»
Chris sospirò.
Kell guardò Ai con interesse. «Ascolta, Pai… in Laboratorio ci sarebbe bisogno di una cavia da vivisezionare,» ammise. «Che ne diresti se…»
«CHE?!»
Lo sguardo ora terrorizzato di Ai andò da Kell a Pai, e poi si fermò su Chris, che si limitò ad alzare le spalle:
«Non guardare me, io volevo aiutarti.»

«Voi siete…voi siete pazzi! Io…» cominciò il ragazzo, ma una fitta improvvisa al collo gli fece lanciare un grido soffocato.
«Ally!» gridò Chris, sconvolta.
Kell, con un’indifferenza sconcertante, estrasse dalla nuca di Ai lo spesso ago che vi ci aveva immerso con forza.
Il ragazzo cadde a terra in ginocchio.
«E’ solo un narcotico,» spiegò lo scienziato in tono incolore. «Questo sciocco ci ha già fatto perdere abbastanza tempo.»
Un dolore acutissimo e lancinante, che si propagò velocemente per ogni singola vena del suo corpo, costrinse Ai ad emettere un penoso gemito: «Che cosa…» sussurrò, ansante. «Che cosa volete farmi?!»
«Baderò io a te, ragazzo. Ora sei nelle mie mani,» gli rispose Kell, mentre una strana luce iniziava a brillare nei suoi occhi.
«N-Nelle…tue…m-mani?» ripeté Ai, stringendosi dolorosamente il cuore, lottando per non perdere la sua coscienza. Digrignò i denti. «N-no, i-io n-no-n…IO NON VOGLIO!»
«Cosa?!»
Raccogliendo tutte le sue ultime forze, sotto lo sguardo allibito dei presenti, Ai si rialzò. Con un’agilità impressionante, il ragazzo si lanciò verso Pai, strappandogli dal collo il cristallo di diamante che portava in qualità di Guardia Imperiale, e si lanciò fuori da una delle finestre della Sala, spaccando il sottile cristallo di cui erano fatte. «Ma che …»
«NO!!»
Chris si precipitò alla finestra e si sporse, guardando febbrilmente verso il basso. «E poi siamo noi quelli pazzi! Siamo a trenta metri d’altezza!»
Kell la raggiunse in meno di un secondo. «Dov’è andato?!» gridò, fuori di sé.
«Non vedo nessun ragazzino spiaccicato sotto la finestra, per cui suppongo che si sia smaterializzato,» rispose Chris.
«Dobbiamo trovarlo!» esclamò Pai risoluto, avviandosi verso la porta. «Aspetta, Pai! Non andare!»
«Cosa?! Perché, Chris?»
«Beh, perché ha usato il tuo cristallo per smaterializzarsi, no? Quindi possiamo individuare la distorsione che ha causato nel campo dei sensori per scoprire dove è ricomparso, grazie a questo radar," spiegò la ragazza estraendo da una tasca una sorta di tablet grande quanto una mano e iniziando a smanettarci. «Ecco, l’ho tracciato: è riapparso nel Cortile Centrale,» trillò allegra dopo pochissimi secondi. «Andiamo a riprenderlo, in quello stato non può andare lontano. Ally, tu resta qui!»
Pai, piuttosto colpito, annuì alle indicazioni della ragazza e la seguì fuori dalla Sala del Consiglio, evitando però di guardare Kell.

Pochi minuti dopo, i due si trovavano in un minuscolo giardino interno antistante le mura del Palazzo: Ai non era lì. Però, poco più in là, c’era un porticato di pietra che, come spiegò Chris, si riallacciava ad un passaggio secondario che conduceva al Cortile Centrale. I due decisero di percorrerlo. Mentre correvano verso il porticato, Chris richiamò l'attenzione di Pai, che, voltandosi della sua parte, le rivolse uno sguardo distratto: dall'espressione preoccupata che vide dipinta sul volto della ragazza, si sarebbe aspettato che lei gli avesse chiesto qualcosa riguardo Ai, invece Chris disse, con voce ansiosa: «Hai visto anche tu lo sguardo di Ally, vero?»

Pai annuì, ma non disse niente. Si, aveva visto anche lui quella luce brillare per un istante negli occhi del suo migliore amico. Ma era più che certo che si fosse trattato solo di una piccola crisi di stress o di qualcosa di simile; Alan non era mai stato crudele...certo, era ambizioso ed un po' arrogante, ma non era un assassino.
Chris e Pai percorsero velocemente tutto il porticato semicoperto, al termine del quale c'era l'ingresso di uno stretto corridoio di pietra scura che si ricollegava al Cortile Centrale del Palazzo. Il Cortile Centrale era lo stesso posto in cui, soltanto il giorno prima, Kisshu e Taruto avevano rischiato di essere giustiziati: aveva le dimensioni di uno stadio olimpionico, e, a dispetto del nome, era costituito da un’immensa distesa di pietra e cemento. Era piuttosto isolato dal resto del Palazzo, perché le mura e le spesse pareti che lo circondavano fungevano da insonorizzatori. Le uniche vie di accesso al Cortile erano alcuni corridoi interni e quattro portoni, posti ai quattro punti cardinali. Uno dei portoni aveva la peculiarità di essere collegato alle prigioni – non era difficile indovinarne il perché. Nel Cortile, solitamente, si svolgevano cerimonie pubbliche, feste o riunioni popolari. In quei casi vi si raccoglieva talmente tanta gente, alla fine, che non vi era posto neanche per uno spillo; ma quel giorno, fortunatamente, non c’erano in programma ne’ feste, ne’ cerimonie.
O almeno, così credevano Pai e Chris…
«Lo troveremo facilmente!» affermò Chris con sicurezza. «E’ molto presto, chi vuoi che vada in giro per il Cortile a quest’or…oh, maledizione…»
Pai non riuscì a sentire le ultime parole che gli rivolse Chris perché, giunto al termine del corridoio, dopo aver svoltato l’ultimo angolo, una massa di rumori, alieni e bagliori lo investì con la stessa forza di uno tsunami. Il Cortile non era completamente strapieno, era di più. Questo perché, come gridò un giovane alieno rispondendo alla domanda di Chris,«LA PRINCIPESSA KASSANDRA, LA SORELLA DELLA SOVRANA, STA PER PARTIRE CON UN’ASTRONAVE PER ANDARE SUL PIANETA AZZURRO!»
Pai e Chris rimasero di sasso. C’erano almeno cinquemila nibiriani in quel Cortile: come avrebbero fatto a trovare Ai?
«DIVIDIAMOCI!» propose Pai. “NON PUÒ ESSERE ANDATO MOLTO LONTANO. LO TROVEREMO!”
«VA BENE, IO VADO DI LÀ. CI RITROVIAMO QUI FRA…oh, ma che dico…IN MEZZO A TUTTO QUESTO CAOS, CI RITROVIAMO SE CAPITA!» esclamò Chris, prima di essere inghiottita dalla folla.

*

Trovare quel ragazzino non era un’impresa facile come Pai aveva creduto all'inizio. L’alieno dai capelli viola, per farsi largo fra la massa di nibiriani, era costretto ad avanzare a forza di spintoni, di cui non si premurava di scusarsi. «Non lo troverò mai in quest’inferno,» si disse ad alta voce poco dopo, perché il frastuono che lo circondava era tale da impedirgli di sentire persino i suoi pensieri.
«CHE COSA HAI DETTO!?» gli gridò una vocetta acuta nelle orecchie. Pai capì presto che quella domanda non era rivolta a lui: la ragazzina dai capelli blu scuro alla sua destra stava cercando di capire quello che il tipo accanto a lei gli stava dicendo. «AI?! SE L’HO VISTO?!»
Pai, che già stava per allontanarsi, sentendo quel nome rimase paralizzato – cosa poco salutare per lui, perché la sua esitazione gli costò una gomitata nello stomaco da parte di chissà chi. «NO E NON NE VOGLIO PIU’ SAPERE DI LUI!» strillò la ragazza, e dopo qualche secondo, probabilmente rispondendo ad un’altra domanda, continuò: «NO, STAVOLTA SONO SERIA, NOZE! E ANZI TI GIURO CHE SE LO RIVEDO…»
Pai fu spintonato via prima di sentire cosa quell’esile aliena avrebbe fatto ad Ai se lo avesse rincontrato. Ma non si preoccupò molto di questo, perché aveva capito che neanche lei sapeva dov’era. Sperava solo che Chris avesse avuto più fortuna.

* *

L’astronave di Kassandra partì all’incirca mezz’ora dopo. Pai se ne accorse quando un potente rombo risuonò nell’aria e un’ondata di polvere travolsero lui e tutto il resto della folla. A seguito della partenza, il Cortile a poco a poco si svuotò, ma trascorse molto tempo prima che Pai e Chris riuscissero a riunirsi.
«Sparito. Svanito. Scomparso. Volatilizzato, dissolto nell’aria…» mormorò Chris per tutto il tragitto dal Cortile al Laboratorio. Dopo quell’estenuante ricerca, l’aliena era a pezzi come il suo camice da lavoro, ormai sudicio.
«Si…» si limitò ad annuire Pai, nelle stesse condizioni.
«Eclissato, volatilizzato…»
«L’hai già detto.»
«Alan ci ucciderààààà…» si lagnò di colpo l’aliena, quando furono davanti alla porta del Laboratorio, gettandogli le braccia al collo con disperazione.
Quando Pai riuscì a convincerla a staccarsi, entrarono nel grosso e asettico stanzone. Scorsero Kell, solo, chino a riparare quello che sembrava un microchip. Non appena lo scienziato si accorse della loro presenza, li salutò con un sorriso radioso.
«Un lavoro perfetto,» commentò entusiasticamente, abbandonando il suo lavoro. «I miei complimenti, amici miei! Ma dove siete stati finora?»
Chris e Pai si scambiarono un’occhiata confusa.
«Perché quelle facce?» Lo scienziato li esaminò entrambi, aggrottando la fronte. «Volete dire che non siete stati voi ad ucciderlo?»
«Ucciderlo?!» esclamò Chris. «No! Perché, vuoi dire che quel ragazzo é…»
«La mia microtrasmittente è programmata per funzionare finché riceve impulsi vitali dal corpo che analizza,» le spiegò Kell. «E' più di un'ora, ormai, che il segnale è svanito.»
«Ma…ne sei sicuro?» domandò Pai, stupito.
«Certo,» annuì Kell. «Ai è morto, oppure ha lasciato il pianeta: l’unico limite di quel congegno, è che il suo raggio d’azione non va oltre il miglio d’altezza,» disse, sorridendo. «A proposito, a cos’era dovuta tutta la confusione qui sotto? Hanno giustiziato qualcuno?»
Chris e Pai si scambiarono una seconda occhiata, stavolta terrorizzata.
Lo sguardo di Kell andò dall’uno all’altra. «Voi due, che cosa mi state nascondendo?» chiese, iniziando a diventare ansioso. «Che fine ha fatto quel tipo? Non vorrete dirmi che…»
«Già, proprio così,» ammise Pai. «Ha lasciato il pianeta.»
Kell spalancò gli occhi per la sorpresa. «Ma che…come…»
«Ehm…» Chris sfoderò un adorabile sorrisetto imbarazzato. «Guardiamo il lato positivo: ora non abbiamo più il problema di convincerlo a stare zitto.»
«No, maledizione!» Kell afferrò una sedia e la scaraventò a terra.
«A-Ally…» provò Chris, preoccupata da quella reazione.

«QUEL RAGAZZO DOVEVA MORIRE!» le gridò lui in faccia, infuriato. La scansò via, quasi gettandola addosso a Pai, che la prese per le spalle per evitare che cadesse. Kell uscì dal Laboratorio dalla porta secondaria, senza aspettare che si aprisse da sola; le diede una botta talmente forte che rischiò di spaccarla.
«Hn...ho esagerato?» chiese Chris a Pai dopo qualche secondo.
Pai la guardò in faccia: «Come al solito,» rispose, con quel suo tono indecifrabile che riusciva a nascondere completamente le sue vere emozioni.




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Capitolo 11
*** Sentimenti ***


25/04/2014. Oh, ho letto che fra poco tornano le Mew Mew. Peccato, stavo iniziando ad abituarmi agli alieni.
Gli occhi dorati di Kisshu. Avevo una cotta per gli occhi dorati di Kisshu. <3


- Capitolo 9: Sentimenti -

Kassidiya era tornata a sedersi nella Sala del Consiglio.
Non sembrava essere in un una condizione felice: aveva un’aria stanca e i suoi bei occhi violetti, in genere intensi e scintillanti, erano quasi spenti.
“Tutta colpa di questa maledetta riunione, e degli incompetenti che mi circondano,”  pensò la giovane Sovrana, mentre il Consiglio continuava i suoi lavori. Voleva andarsene da lì, anche perché la sua presenza era essenziale solo in apparenza: in realtà, lei non doveva fare altro che annuire o confermare i dati e i suggerimenti che il suo Consigliere elaborava.
Shiroi era un elemento prezioso. Certo, spesso era pedante e fastidioso, ma aveva una scaltrezza e un'intelligenza decisamente superiori alla norma. E poi, si preoccupava molto per Kassidiya: le stava sempre attaccato, anche quando non era strettamente necessario; le chiedeva continuamente come si sentisse, se ci fossero pensieri a turbarla, se aveva degli ordini o desideri particolari. Tutta quella gentilezza avrebbe dovuto insospettire la giovane Sovrana - ma lei, abituata a vedersi cadere ai piedi maschi di ogni età ed estrazione sociale, non semplicemente non badava alla palese cotta che Shiroi aveva per lei. E poi, a lei interessava un’altra persona...
Kassidiya stava fissando un punto imprecisato della Sala con aria assente quando, all'improvviso, venne colta da un brusco ascesso di tosse.  Un dolore lancinante le trapassò la testa con violenza tale da farle schiudere le labbra in un gemito soffocato.
La frase che Shiroi stava pronunciando in quel momento gli rimase bloccata in gola non appena si accorse del malessere della Sovrana. Il consigliere si voltò verso di lei, fissandola in modo indecifrabile. Un attimo dopo, si era affrettato a chiudere il Consiglio, intimando a tutti gli Anziani di andare via immediatamente. Questi, borbottando, avevano eseguito l'ordine, lasciando la Sovrana sola con il suo Consigliere.
Lui le si avvicinò. «Sta bene, mia Signora?» le chiese inquieto.
«Si, certo,» annuì lei. Per un istante si era sentita così male che aveva pensato di stare addirittura per morire, ma il dolore si era dissolto rapidamente. «Credo che la giornata di oggi mi abbia stancata; penso che andrò a riposare.»
Aveva appena finito di pronunciare queste parole che le porte della Sala del Consiglio si aprirono sbattendo: Kassandra, entrando con passi decisi e furiosi, scorse la sorella dal fondo della sala e strillò: «Kassidiya! Ma qui è una noia mortale!»
Dalla parte opposta del lungo stanzone, la Sovrana sospirò e scosse la testa con rassegnazione, nascondendosela fra le mani.
«Porti pazienza,» le mormorò Shiroi con un tono che si poteva definire consolatorio.
«Insomma, come fai a sopravvivere in un posto come questo?» gridava intanto Kassandra, petulante. «E’ tutto così sciatto, così deprimente! Come questo stupido pianeta! Brulica di plebaglia ignorante e disperata. Tutte le città sono uguali, pietra per pietra. Identiche. E’ tutto così monotono… io voglio qualcosa di eccitante
L’eco ingigantì le sue parole, che risuonarono nella stanza per qualche secondo, prima di svanire.
«Oh, ma guardala, non ha ascoltato una singola parola di quello che ho detto,» constatò dopo poco Kassandra, gli occhi fissi sulla sorella, ancora accasciata sul trono, e le braccia converse al petto. «Quando fa così è davvero insopportabile. Hiroyuki-sama, proponi tu qualche soluzione. Se non ne trovi una subito,  penso che morirò di noia! Si, sto morendo. Aiutami! Sei così intelligente, almeno quando vuoi! Avanti, parla!»
Kassandra aveva rivolto queste ultime parole all’alieno in piedi alla sua destra, che fino a quel momento non aveva aperto la bocca, né si era mosso di un millimetro. A quella richiesta, si limitò a lanciarle un’occhiata di sufficienza, cosa che infastidì ancora di più Kassandra.
Hiroyuki – così si chiamava la sua giovane guardia del corpo – era un essere alto, muscoloso, e, cosa strana per la loro razza, aveva la pelle scurissima e dei lunghi capelli bianchi. Il suo viso scavato era privo di qualsiasi sfumatura emozionale, i suoi occhi grigi erano duri e freddi. I suoi vestiti, strappati in più punti, erano di un colore biancastro, e ciò lo faceva somigliare, nel complesso, ad una sorta di tetra apparizione. Portava un orecchino cerchiato all’orecchio sinistro e, dietro le spalle,  portava aveva due guaine incrociate in cui riposavano due sciabole. In generale, nessuno sapeva da quale inferno Kassandra avesse tirato fuori quel tipaccio, o perché lui avesse accettato di seguirla; l’unica cosa che si sapeva di lui era che sembrava obbedire solo alla sua padrona.
Kassandra si materializzò proprio ai piedi del soppalco su cui era la sorella, che si era appena alzata dal trono con aria sfinita.
«La tua fissa per quell'Ikisatashi non ti è ancora passata, mi hanno detto,» osservò casualmente, e Kassidiya sgranò gli occhi. «Sei davvero malata: come fai a trovare attraente quello stupido spilungone mezzo traditor–»
«NON OSARE PARLARE COSÌ DI PAI!» la interruppe di colpo Kassidiya. Quell'ultima parola riecheggiò varie volte nella stanza vuota.
Kassandra soffocò una risatina.
«Non osare...» ripeté l'altra, in tono quasi minaccioso.
«Va bene, va bene,» ghignò Kassandra in risposta, con malizia. «Però mi sorprende la smisuratezza della tua superbia. Voglio dire, hai ai piedi praticamente chiunque, eppure vuoi avere con ogni mezzo l’unico che probabilmente non avrai mai…?!»
«Non si tratta di superbia, né follia,» la ammonì l’altra, con molta sicurezza. «Ma non credo che tu conosca altri sentimenti a di fuori di questi.»
«Lo ami?» sbuffò Kassandra, sardonica. «Se è così, ti do ragione: non conosco questa cosa, ma solo perché non esiste. L’unico vero sentimento che un essere è in grado di provare è solo Egoismo, te lo dico io. Desiderio di possedere, nulla più. Ma, personalmente, non riesco a dispiacermi per questo: perché fissarsi sul voler possedere una sola persona, quando si ha la possibilità di averne molte di più?»
Kassidiya non replicò alla sorella, ma si limitò a lanciarle uno sguardo di puro disprezzo. Quelle parole le avevano appena fatto ritornare in mente tutti gli scandali in cui la sua dolce sorellina aveva coinvolto la sua famiglia, per via di quel suo punto di vista. Ogni volta, le era stato detto di controllarsi e di comportarsi in modo più rispettoso, ma a Kassandra era importato. Non le era mai importato nulla di nessuno, ed era anche per questo che Kassidiya la odiava: l’unico suo desiderio, in quel momento, era liberarsi di lei.
«Insomma, io qui mi annoio!» dichiarò infine Kassandra, cambiando discorso.
«Dunque ti annoi?» replicò Kassidiya dopo qualche secondo, cominciando a scendere i gradini che la separavano da sua sorella. «Ti annoi e vorresti qualcosa di eccitante,» ripeté, con un tono di voce malizioso, mentre una luce insolita le illuminava gli occhi.
Era diventata improvvisamente così strana che non sembrava quasi più lei.
Kassandra la guardò con sospetto. «Si, credo di aver usato queste parole,» annuì.
«Perfetto.»
Kassidiya scese l’ultimo gradino e si fermò proprio davanti alla sorella. Le poggiò entrambe le mani sulle spalle e poi disse, senza staccarle gli occhi di dosso: «Allora dimmi, che cosa ne dici della Terra?»
«La Terra?» ripeté Kassandra, sbattendo gli occhi truccati. «Il Pianeta Azzurro? Il nostro pianeta?»
«Non è più il nostro pianeta,» la corresse la Sovrana. «Gli esseri umani l’hanno schiavizzato e distrutto. Ricordi? Profondo Blu partì per riconquistarlo, ma è stato ucciso. Non dagli esseri umani: è stato tradito.»
«Non sono così stupida da non saperlo, sai?» borbottò Kassandra. «E comunque, se è morto così facilmente, in fondo non doveva essere poi così potente,» commentò.
«Oh, no, lui era potentissimo,» sorrise l’altra, poi abbassò il tono di voce fino a farlo diventare un sussurro, «ma noi lo siamo di più.»
Messa a disagio dal comportamento della sorella, Kassandra si liberò dalle sue mani e si allontanò da lei di qualche passo. «Dunque, fammi capire: tu mi stai proponendo di andare sulla Terra per fare ciò che Profondo Blu non è riuscito a fare?»
Kassidiya alzò le spalle con noncuranza. «Se vuoi, puoi restare qui ad annoiarti fino alla fine dei tuoi giorni. Ma, se scegli di percorrere la strada che ti sto proponendo…beh, conosci i vecchi racconti: il Pianeta Azzurro è un posto meraviglioso, e io non posso governare due regni contemporaneamente. Per cui, dato che tu sei mia sorella…»
«Stai dicendo che potrei essere la Sovrana della Pianeta Azzurro?!» esclamò Kassandra, inarcando le sopracciglia con uno stupore quasi infantile.
«Tu lo dici, mia cara.»
«Hm. Dov’è l’inganno?»
«Così mi offendi,» osservò Kassidiya. «Non c’è alcun inganno, solo un piccolo particolare...»
Il tono di voce con cui la Sovrana pronunciò quel 'piccolo' non lasciò presagire a Kassandra niente di buono.
«Ho fatto una lunga chiacchierata con Pai, stamattina. Volente, o nolente, mi ha parlato di un gruppo di terrestri ribelli che si fa chiamare Mew Mew.»
«Mew Mew? Che nome ridicolo,» osservò Kassandra.
«Già, ma, a quanto pare, queste ribelli hanno opposto una resistenza così strenua a Profondo Blu che, in fondo, è un po’ anche colpa loro se i suoi piani sono falliti.»
«Se le Mew Mew sono un ostacolo, bisogna eliminarle.»
«Vedo che hai capito cosa intendo,» annuì Kassidiya, il viso contratto in una smorfia crudele.
«Tu cosa ne dici, Hiroyuki? Ti va l’idea di andare sulla Terra a gettare un po' di rifiuti?»
L’alieno, rimasto fino a quel momento in silenzio con le braccia incrociate al petto, inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi, improvvisamente animati da una luce inquietante.
Kassandra dovette interpretare quel gesto come un sì perché si voltò verso la sorella e le disse vivacemente: «Allora è deciso. Domani io e la mia guardia del corpo partiremo per raggiungere la Terra. Quanto è lontana la Terra?»
«Un po', ma il problema è che, al momento, credo che non ci sia un’astronave a disposizione,» si intromise Shiroi, tossicchiando.
«Ma certo che ne abbiamo una disponibile!» esclamò invece Kassidiya. «Te la farò trovare pronta per domani, quando le Luci saranno appena state accese. Ora vai a riposare, sorellina… non immagini nemmeno che cosa ti aspetta sulla Terra!»
«Meraviglie a non finire!» sorrise Kassandra con aria sognante. «Ti ringrazio di cuore, sorella. Anzi, no, volevo dire… Sovrana,» mormorò e, prima di indietreggiare ed uscire dalla Sala insieme alla sua guardia, si esibì in un inchino appena percettibile.
Quando la porta fu chiusa, Kassidiya la sentì scoppiare in una delle sue odiose risate stridule. Non appena si fu allontanata abbastanza, Shiroi mosse un passo verso Kassidiya, allarmato.
«Mi perdoni, mia Signora, ma non possiamo togliere una singola astronave al nostro eser –»
Kassidiya lo interruppe sollevando una mano.
«Ma, mia Signora!»
«Caro Shiroi, tutto il mio esercito non vale quanto la splendida consapevolezza di essersi liberati per sempre anche della mia seconda sorella!»
«Io credo che potreste provare a sopportarla. Mandarla sulla Terra è troppo pericoloso, senza contare che, in questo modo, sarà necessario riorganizzare tutto!» osservò il Consigliere, infastidito.
«Ho sopportato Kassimago e i suoi sogni da sciocca ragazzina fino allo sfinimento, Shiroi. Non ho alcuna intenzione di fare lo stesso anche per quella stolta, arrogante Kassandra. No, ho deciso: scomparirà anche lei, per sempre, per mano di quelle…Mew Mew.»
Shiroi sospirò. «Capisco, ma l'esercito...»
«Sono sicura che riuscirai a riorganizzarlo con una nave in meno. Ed ora lasciami sola.»
Il consigliere sbuffò, ma annuì. Probabilmente, pensò Kassidiya guardandolo allontanarsi frettolosamente, avrebbe passato la notte a rifare tutti i suoi preziosi calcoli riguardo al numero dei soldati e di astronavi, alla quantità di denaro da spendere per attrezzature, eccetera, eccetera, eccetera… certo, preparare un esercito segreto per un’invasione della Terra in grande stile non era cosa da poco, ma Kassidiya sapeva di potersi fidare di lui, così come si fidava del Dottor Alan Kell.
Era sicura che nessuno dei due avrebbe mai rivelato il suo segreto.
Ed infatti, in quello stesso momento, a molte miglia di distanza, Pai aveva appena strabuzzato gli occhi, sussurrando: «Si stanno preparando… ad invadere… la Terra?»
«Già, amico mio,» rispose Kell.
 «La Terra? Vogliono davvero invadere la Terra?» ripeté Pai, come se la sola idea gli sembrasse ridicola.
 «Oh, no, non invadere,» spiegò Kell con entusiasmo, camminando con lui per le di nuovo affollate strade della Capitale. L’alieno agitava le braccia, senza curarsi minimamente di abbassare la voce. Non prestava neanche attenzione alle persone che per sbaglio continuava ad urtare, perso nella foga di condividere con l'amico quell’importantissimo segreto. «Noi vogliamo purificarla dal virus degli esseri umani e dall’inquinamento, e poi trasferire lì tutti gli abitanti del nostro regno. Niente male, no? So che tu sei filo-terrestre, ma se proprio vuoi sapere la mia opinione, questa idea non è del tutto da gettare vi–»
Pai gli lanciò un’occhiata obliqua.
«Capito. Rimangio tutto. Ma, se ti consola, il pericolo non è imminente: ci vorrà ancora del tempo prima che sia tutto pronto, ed io lo so per certo perché faccio parte della sezione scientifica del progetto.»
«Non è possibile fermare Kassidiya, vero?» chiese Pai con una certa amarezza.
«Mi dispiace, no. Devi rassegnarti,» replicò Kell, alzando le spalle. «Aspetta… che cosa sta succedendo lì in fondo?» domandò incerto dopo qualche secondo, indicando un gruppetto di alieni in lontananza.
Quattro giovani nibiriani stavano discutendo animatamente ad un lato della strada, accanto ad un muretto cadente. Due di loro erano appoggiati pigramente ad esso, mentre gli altri davano le spalle alla strada. Lo sguardo di Pai si fissò subito su uno di questi, il cui profilo gli era decisamente familiare…
«Ma che…quell’idiota!» gridò allarmato, raggiungendo il gruppetto in pochi passi. Afferrò per una spalla l’alieno che aveva puntato e lo costrinse a voltarsi dietro di lui. «Kisshu! Che diavolo ci fai qui in mezzo alla strad–»
«Ehi, ma che diavolo vuoi?!» rispose quello, stizzito, liberandosi dalla presa di Pai con un velocissimo strattone.
«Ma che…»
Pai lo guardò ed indietreggiò di un passo, stravolto: la somiglianza di Kisshu con quell’alieno era davvero notevole: aveva la stessa fisionomia, gli stessi capelli, lo stesso sguardo. Ma il colore dei suoi occhi, blu zaffiro, e i lineamenti dolci del viso, gli fecero comprendere di aver commesso un semplice scambio di persona.
«Beh, che hai da guardare?» gli chiese il giovane, sospettoso.
«….»
Kell raggiunse il gruppetto di corsa. «Perdonatelo per il disturbo… andiamo, 47/bis,» scandì a denti stretti, tirando Pai per un braccio, più che altro per evitare gli sguardi curiosi dei passanti che, alle urla del giovane, avevano preso a lanciare occhiate e mormorare nella loro direzione.
«Oh, ma lei è il Dottor Kell!» esclamò un altro degli alieni, riconoscendolo. «Non si preoccupi: il vostro amico non è il primo né sarà l'ultimo a scambiare Ai per quel condannato fuggito. E’ questo idiota che non si ci é ancora abituato.»
«Beh, probabilmente Ai è nervoso perché quel bastardo di Korn ci ha appena congedati permanentemente dal servizio militare…  solo perché ci siamo lasciati sfuggire quei condannati da sotto il naso!» esclamò un altro, sferrando un furioso pugno al muro. «Tanti anni spesi per entrare nella Guardia Imperiale, ed ora siamo di nuovo fuori. Che fregatura…»
«Puoi dirlo forte, Noze,» sospirò un altro. «Cosa dirà mia madre quando verrà a saperlo? Ve lo dico io, stavolta è davvero la fine!»
«Scusateci ancora. 47/bis, andiamo via. Pai,» ripeté Kell con non poca preoccupazione nella voce.
Pai non lo stava ascoltando. L’alieno simile a Kisshu, che rispondeva al nome di Ai, continuava a guardarlo sprezzante, e lui ricambiava a sua volta con uno sguardo indecifrabile.
«Sai una cosa, Miyaki? Io credo che questo sia solo l’inizio,» sussurrò Ai, quando Kell e Pai si furono allontanati, continuando a seguirli con lo sguardo mentre si perdevano fra la folla.
 
*
 
«Amico mio, tu sei sempre posato e riflessivo,» cominciò Kell dopo un lungo silenzio durante il quale, mentre le luci sopra di loro già erano quasi del tutto oscurate, avevano percorso a piedi alcune centinaia di metri. «Ma questa volta, scusa se te lo dico, stavi per rovinare tutto. Vedi, tuo fratello non poteva essere lì tranquillo a chiacchierare con quelle guardie per due motivi: il primo è che ufficialmente è morto, mentre il secondo è che ho ordinato a Chris di perderlo di vista nemmeno per un secondo.”
«Lo so,» annuì Pai con aria assente.
«Certo che lo sai, sei stato tu ad ideare il piano, no?»
Pai, che non era in vena di intraprendere un litigio con il suo unico amico, si limitò a fare un cenno affermativo con la testa.
Era vero, era stato lui stesso a definire quella parte del piano. Mentalmente, l’alieno ritornò indietro nel tempo di circa una ventina di ore.
 
Quella mattina, le luci erano appena state accese quando Kell, dopo avergli operato quel suo presunto lavaggio del cervello, lo stava conducendo da Kassidiya. Ma, durante il loro percorso, Pai aveva udito delle voci che parlavano di un’evasione di massa in atto. Credendo che fosse opera di Kisshu e Taruto, si era allontanato da Kell ed era corso difilato verso le prigioni.
“Pai!” si era sentito chiamare, mentre scendeva gli intricati scaloni che conducevano ai sotterranei, “Oh, sacro Ra, non posso credere che tu sia qui! Ti ricordi di me?”
Dal basso giungeva un chiasso tremendo, fatto di urla, colpi, spari. Ma la voce che lo aveva chiamato proveniva da un pianerottolo poco più in alto della scala su cui si trovava: apparteneva ad Imago, che si era affrettata a raggiungerlo.
Pai la squadrò sospettoso finché lei non gli mostrò per pochi secondi le sue vere sembianze: fu solo allora che l’alieno la riconobbe come la sorella sognatrice della sua ex-compagna Kassidiya.
Aveva sempre creduto che fosse una ragazza a posto, per cui si fidò delle sue spiegazioni: lei gli disse che, poiché Kisshu e Taruto stavano per essere giustiziati, aveva causato quell'evasione di massa per creare un diversivo. Aveva inoltre intenzione di far fuggire Kisshu e Taruto grazie ai suoi poteri. Mentre la ascoltava, seppur ammirandola per il suo ardimento, Pai aveva scosso la testa: non era una buona idea far fuggire i suoi fratelli, perché Kassidiya avrebbe messo a ferro e fuoco la città finché non li avesse ritrovati.
C’era un unico modo per salvare Kisshu e Taruto: fingere la loro morte. Per questo motivo, lui e Imago avevano rapidamente organizzato un piano alternativo: lei avrebbe fatto fuggire Kisshu e Taruto, conducendoli in un posto segreto; Pai, invece, avrebbe fatto finta di essere il cattivo della situazione, a cui lei avrebbe venduto i due in cambio della sua salvezza. Pai, fingendosi sotto il controllo di Kassidiya, avrebbe condotto con sé delle guardie come testimoni per avvalorare la messa in scena. Ne avrebbe lasciate alcune all’entrata del passaggio segreto, mentre altre lo avrebbero seguito.
Una volta ritrovati i suoi fratelli, Pai avrebbe fatto finta di eliminarli, ma in realtà avrebbe rivolto il suo attacco contro le guardie e contro le mura portanti del passaggio. Il crollo del soffitto e delle pareti, causato dall’esplosione, avrebbe fatto il resto.
E così era stato. Pai si era salvato gettandosi sull’uscita: le guardie rimaste fuori avevano sentito solo che lui aveva organizzato una trappola per eliminare i fuggitivi, e poi un’esplosione terribile seguita dal crollo dell’edificio, dalla quale solo Pai era miracolosamente riuscito a salvarsi. Per loro, non c’era dubbio che i tre fuggitivi fossero rimasti uccisi in quella trappola mortale.
In realtà Kisshu, Taruto e Imago erano stati salvati all’ultimo momento da Chris, l’assistente di Kell. Chris aveva seguito di nascosto Pai e, pochi istanti prima che lui lanciasse il suo attacco, aveva afferrato Imago e gridato a Kisshu e Taruto di seguirla. Con un sangue freddo non indifferente, la nibiriana aveva guidato i tre fuori dal passaggio prima che rovinasse del tutto, e quindi li aveva portati a casa di Kell per nasconderli.
A dire il vero, l'ultima parte del piano era stata proposta dallo stesso Kell,dopo che Pai gli ebbe confidato del suo incontro con Imago.
Pai non aveva voluto che Imago rivelasse a Kisshu e Taruto il loro piano, perché voleva che nessuno avesse dubbi sulla storia di quel presunto tradimento: se Kisshu e Taruto non fossero stati attori convincenti, il piano sarebbe saltato.
Inoltre Imago, prima di separarsi da lui, gli aveva affidato il suo ciondolo a forma di croce: Pai lo avrebbe mostrato a Kassidiya come prova della sua morte. A seguito dell’esplosione, Pai era rimasto lievemente ferito, e il pendente si era macchiato del suo sangue…
 
Fortunatamente, tutto era andato per il meglio, e adesso, pensò Pai, era finita. Finalmente, dopo questa spossante giornata, avrebbe potuto chiudere un po’ gli occhi: in effetti, gli pareva di non riposare da settimane.
«Siamo arrivati,» dichiarò d’un tratto Kell, indicando una villetta di un solo piano, isolata di qualche decina di metri dalla strada principale da un cortile di pietra e circondata da un basso muro di cinta scuro. «Quella lì in fondo è la mia casa.»
In poco tempo, i due percorsero il lungo viale pietroso che portava all’edificio: dall’esterno, sembrava un posto tranquillo e silenzioso. Era fatto del solito metallo nero ed aveva molte aperture, ma Pai non riuscì ad osservare altri particolari perché, ormai, la luce scarseggiava.
Kell aprì la porta con uno scatto ed entrò. Pai lo seguì, ma aveva appena varcato la soglia, quando un oggetto terribilmente pesante e lanciato in modo terribilmente violento lo colpì in pieno sulla fronte. Non ebbe il tempo di capire cosa gli era successo che si ritrovò ad appoggiarsi al muro per non cadere a terra, mentre i suoi sensi si oscuravano velocemente…
  
*
 
«….madre, piantatela di correre su e giù gridando, neanche fosse morto! E tu, Belle, smettila di piangere! Ah, mi farete collassare il cervello! …che vuol dire ‘non ci vuole molto’? Senti Chris, non ti ci mettere anche tu ora!»
Le urla di Kell, così forti che sovrastavano rumori confusi in sottofondo, furono le prime cose che accolsero Pai al suo risveglio.
«Ecco, visto? Si sta già riprendendo!» sentì dire dal suo amico, dopo quelle che gli erano sembrate ore.
«Uhn? Si sta riprendendo?»
«Pai! Sveglia!»
Pai capì di essere disteso su qualcosa morbido, probabilmente un letto. Si rialzò a sedere tenendosi la testa, che gli doleva. Cercò di riaprire gli occhi, ma non vide altro che immagini sfuocate. «Che...che cosa…?»
«Hai riaperto gli occhi! Ciao, Pai!!» sentì esclamare da una giovane voce femminile. Un attimo dopo, l’alieno si ritrovò stretto in un abbraccio così caloroso che ricadde all’indietro. La sua vista non si era ancora del tutto stabilizzata, ma Pai non impiegò molto per capire a chi appartenesse quell’entusiasmo: lunghi capelli castani legati in una treccia, luminosi occhi color del miele.
«Per fortuna ti sei ripreso subito!» sorrise l’aliena sopra di lui, raggiante. «E’ splendido rivederti!» disse, baciandolo due volte sulle guance e sulla fronte.
«C-Chris…» mugolò lui, dolorante e imbarazzato.
«Credimi, mi dispiace tanto per la tua testa! Quando quella piccolina fa i capricci è davvero una cosa terribile!» esclamò lei, ignorandolo. «Oh, no, che cosa ti succede ora? Hai un viso rosso da far paura! Oh, no, stai male!»
Kell, a poca distanza dai due, diede un leggero colpo di tosse. «Chris, forse Pai starebbe meglio se lo facessi respirare,» osservò con educazione. «E se evitassi tutto questo entusiasmo,» aggiunse poi in tono leggermente seccato.
«Dici che l’ho messo a disagio?» chiese lei dubbiosa, mentre si rialzava. «Non lo ricordavo così impressionabile, Ally.»
Pai  tornò a sedere sul letto su cui si trovava. Si guardò intorno: era in una stanzetta piccolina, asettica, dalle pareti metallizzate lisce e grigie. Gli unici mobili presenti erano il letto e un piccolo ripiano a forma di parallelepipedo. In effetti, cose come armadi, scaffali e librerie adibite a piedistalli per esibire i ninnoli e gli oggettini inutili che gli umani amavano così tanto sfoggiare nelle loro abitazioni, sul suo pianeta semplicemente non esistevano.
In generale, tutte le case erano arredate con lo stretto necessario: brande, piccoli sedili, un piano dove consumare pasti e poco altro. Il sistema di illuminazione era formato da neon incastrati nel soffitto che si accedevano automaticamente ogni volta che avvertivano una presenza.
Inoltre, il popolo era troppo povero per permettersi lussi come case a più stanze: viveva in piccoli edifici formate da una sola grande stanza comune, in cui gli oggetti personali dei suoi abitanti erano custoditi in semplici vani portaoggetti mimetizzati nelle pareti, che si aprivano premendo una serie di bottoni posti all’ingresso.
Tutto ciò era lontano anni luce dal Palazzo, in cui ognuna delle innumerevoli stanze era ingombra dei più lussuosi e inutili arredi luccicanti, e c'erano lampadari ricchi di cristalli luminosi, tessuti alle pareti di pietra viva e molto altro.
«Beh, tutto a posto?» chiese brusco Kell a Pai, richiamandolo alla realtà.
Pai lo scorse appoggiato con la schiena al ripiano accanto al letto: aveva ancora addosso la sua lunga tunica da lavoro, bianca e stropicciata, e lo stava fissando con occhi neri e penetranti.
«Sono stato meglio,» biascicò lui, scuotendo la testa per riprendersi. Non fece in tempo a rialzare il viso sul suo amico, che sentì Chris prenderlo fra le mani e avvicinarlo pericolosamente al suo…
«Chris, no, aspetta, cosa–» Pai avvampò nuovamente.
«Questo livido non mi piace,» dichiarò seria la ragazza, tastandogli piano la fronte. «No, non mi piace proprio…» sospirò. «Oh, non so davvero come scusarmi, Pai,» continuò poi, sinceramente dispiaciuta. «La sorellina di Ally stava facendo di nuovo i capricci, e ha cominciato a lanciare tutto quello che le capitava fra le mani. Ho tentato di fermarla, ma prima che potessi farlo ti aveva già preso in testa con una delle sfere comunicanti.»
«Dimmi, posso fare qualcosa per te?» riprese Chris dopo qualche secondo di silenzio, accennando un sorriso dolce.
«Ehm…»
A dispetto della sua abituale freddezza, Pai era tremendamente imbarazzato dalla vicinanza di Chris. Sapeva che era inutile spiegarle il concetto di spazio personale: per lei, comportarsi in quel modo così espansivo era la cosa più naturale del mondo.
In effetti, Chris era sempre stata molto espansiva, sin dal loro primo incontro.
Chris era stata una delle poche ragazze ad aver frequentato l’Istituto di Combattimento. Pai la conobbe quando gli fu assegnata come compagna di allenamento: lei non aveva amiche, perché in genere le ragazze che frequentavano l’Istituto erano aliene alquanto mascoline il cui unico obiettivo era trasformarsi in macchine da guerra, principalmente per scatenarla contro il genere maschile. Lei, invece, non solo era molto più femminile, ma il suo carattere gioioso e aperto riusciva a riportare il sorriso sulle labbra di chiunque la incontrasse.
Nessuno capì mai il motivo per cui una come lei avesse deciso di frequentare un posto come quello, e d’altro canto nessuno riuscì a ottenere da lei una risposta convincente.
A Chris, Pai fu subito simpatico; ma, anche se passavano insieme tantissimo tempo, ed era chiaro che lei nutriva un affetto particolare per lui, Pai era sempre formale e distaccato con la sua giovane compagna. Non perché la trovasse antipatica – anzi, dopo qualche tempo finì per affezionarsi a lei – ma, semplicemente, perché quello era il suo carattere.
In effetti, Chris e Pai erano un po’ come il caldo fuoco contro il gelido ghiaccio. Non erano in pochi a credere che in realtà quei due fossero segretamente innamorati; ma, quando il primo che osò prendere in giro Pai si ritrovò in infermeria con la mandibola fratturata, tutte le voci, come per magia, cessarono.
Pai non sapeva quali fossero i sentimenti di Chris; sapeva solo che l’unico con cui lei avesse mai avuto una storia era un giovane studente della sezione di ricerca, un certo Alan Kell. Si erano lasciati dopo poche settimane, ma da allora erano rimasti così legati che sembravano due fratelli.  
Era stata Chris a presentare Alan a Pai. Kell era un alieno tanto intelligente (e lo era molto per la sua età) quanto ambizioso. Era riflessivo, razionale, ma odiava tutti i lavori che coinvolgevano l’uso dei muscoli.
Alan e Chris erano stati due dei pochi amici di Pai, ma, terminato il ciclo all’Istituto, lui aveva perso di vista entrambi.
Ed ora rieccoli lì, insieme, dopo tanti anni, come se il tempo non fosse mai passato.
Kell era ancora in piedi accanto a lui, lo sguardo remoto, impegnato in chissà quali pensieri, mentre Chris era accovacciata accanto a lui e lo osservava incuriosita. Pai ricordò che lei gli aveva posto una domanda.
«No,» si affrettò a risponderle. «Non mi serve niente.»
«Sei sempre il solito,» sbuffò lei, che evidentemente si aspettava una risposta del genere. «Ma te l’ho detto, quel livido non mi piace. Ally, nella ghiacciaia comune qui fuori dovrebbero esserci i fratelli di Pai, ne andresti a prendere uno, per favore? Ehi, no, non fate quella faccia, intendevo un pezzo di ghiaccio da poggiargli sulla fronte…»
Lottando per non alzare gli occhi al cielo, Kell si allontanò dai due; la porta si aprì automaticamente al suo passaggio, ma si bloccò mentre compiva il processo inverso, e restò socchiusa.
«Ally è strano ultimamente, sai?» osservò Chris. «Si sforza di apparire normale, ma a volte è chiuso e sembra molto triste. Sai, credo che sia colpa tua!»
Pai aggrottò la fronte. «Mia?»
«Si,»  annuì Chris. «Proprio tua. Lo hai contagiato!» esclamò, e Pai capì che lo stava prendendo in giro.
«Ah, ma smettil–» cominciò, ma lei gli aveva gettato di nuovo le braccia intorno al collo.
«Ma nonostante tutto mi sei mancato tanto, sono così felice di rivederti,» disse, sincera.
Per la terza volta in pochi minuti, il sangue rifluì sulle guance di Pai. Ma questa volta, sebbene dopo qualche secondo di indecisione, l'alieno ricambiò goffamente l’abbraccio: «Sì...Chris...in fondo...anche tu mi–»
SBAM!
Taruto aveva appena spalancato la porta con un calcio, rischiando di fracassarne i complessi meccanismi: «Pai, insomm–!»
Prima che potesse completare l’esclamazione, l’alieno venne sospinto indietro per il braccio da un essere misterioso, che si premurò di richiudere la porta.
Pai guardò il punto in cui un secondo prima c’era il fratello. Dietro la porta si udivano rumori e borbottii.
«Idioti,» mormorò, staccandosi da Chris e alzandosi in piedi. «Entrate, prima che mi penta di non avervi ucciso davvero,» disse alla porta.
«Un segno del destino…okay, capito,» sospirò intanto Chris, triste, ma nessuno le prestò attenzione.
Quei nessuno, oltre a Pai, erano Taruto, Kisshu e Imago, che all’invito dell’alieno entrarono nella stanza: erano tutti e tre sani e salvi, e, anche se avevano qualche ammaccatura qua e là, sembravano in condizioni decisamente migliori di come Pai li aveva lasciati. I vestiti di Kisshu e Taruto erano stati lavati e ricuciti talmente bene che sembravano nuovi. Imago invece, al posto dei suoi stracci sporchi ora indossava una graziosa tunica bianca dalle lunghe maniche scampanate e una riga blu ai bordi, prestito di Chris, che ne indossava una simile. Continuava però a tenere i capelli legati in una lunga treccia.
Pai lanciò al trio un’occhiata di sufficienza.
«Scusa il disturbo, fratello… non pensavo che fosse la tua compagna,» disse Kisshu indicando Chris con lo sguardo.
«Infatti non lo è!» L’occhiata assassina che Pai lanciò al fratello congelò sulle labbra il sorrisetto che stava esibendo. «Allora?» chiese il maggiore, bruscamente. «Che volete voi tre?»
Imago alzò una mano: «Io rivoglio la mia croce.»
«Siete una bella coppia voi due, sai?» osservò intanto Kisshu, sorridendo maliziosamente a Chris.
Lei ricambiò il sorriso, ma in modo sincero, e non disse niente.
Sentendo quelle parole, Pai, che stava ripescando il ciondolo di Imago dalla tasca dei suoi pantaloni, con un gesto istintivo, invece di consegnarla alla sua legittima proprietaria lo sbatté sul ripiano di metallo con tale forza  da rischiare di spaccare entrambi.
«Ehi! Va bene che è diamante, ma è delicato!» strillò Imago, e si affrettò a recuperare il gioiello.
«Hai forse detto qualcosa, Kisshu?» chiese Pai molto lentamente.
«Non oserei mai senza il suo consenso, mio sublime Capitano delle Guardie Imperiali,» replicò lui sarcastico, facendo un plateale inchino.
«Ce l’ha detto il Dottor Kell,» spiegò Imago mentre armeggiava con il suo pendente e un laccio nero, notando la faccia confusa di Pai.
Lui non osò dirle che era rimasto disorientato perché in realtà si era completamente dimenticato della carica che Kassidiya gli aveva assegnato.
Kell, come evocato dalle parole di Imago, fece capolino nella stanzetta in quello stesso momento; lanciata a Pai un’occhiata, gli fece cenno di seguirlo. Lui lo fece in silenzio, mentre Kisshu esclamava, rivolto ad Imago: «Ma come ti metti quella collana?!»
«Non è una collana,» rispose lei, attorcigliando su sé stesso il laccio su cui aveva infilato il suo pendente.
«Ah, no?»
«Non mi piacciono le collane,» affermò l’aliena. «Si notano troppo e si perdono facilmente.»
«E per questo motivo te la leghi al polso?»
«Si chiama ‘bracciale’.»
«Contenta tu…»
«Come siete carini,» osservò in quel momento Chris, soffocando una risatina.
Imago voltò le spalle a Kisshu, per guardare l'aliena. Scosse la testa: «Io non sono carina.»
«Sono d’accordo con lei,» si affrettò ad annuire lui, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Lui non è male,» dichiarò Imago, indicandolo. «Però è scemo!»
«Uhn?»
Chris alzò le spalle, lanciandole uno sguardo compassionevole. «Succede sempre così.»
«Io, scemo?» ripeté Kisshu.
«A proposito, dove sono finiti Taruto e Pai?»
«Pai? Non lo so. Era qui un secondo fa…» rispose Chris soprappensiero. «Mentre Taruto è nascosto sotto il letto.»
«Dove hai detto che è?» chiese una vocetta acuta.
«Sotto il letto,» ripeté Chris. «Perché?»
«Grazie mille, Chris!»
«Ops…oh, no!!»
Chris si accorse troppo tardi che a parlare era stata una bambina aliena, più o meno dell’età di Taruto: era alta quanto lui, ma grossa almeno il doppio...aveva dei corti capelli scuri, l'aria vivace ed era la sorella minore di Kell. Il suo nome era Belle. Belle Kell.
«Tarutaru!!!» esclamò deliziata la piccola, scostando le coperte per scovare il bambino. «Perché ti sei nascosto qui sotto?»
«Noooooooo!!!» gridò lui in risposta, in uno stato vicino alla disperazione. «Ti ho già detto che non devi chiamarmi così!!!»
Nello stesso momento in cui aveva messo piede nella casa di Kell, Taruto era stato letteralmente assalito da Belle, che probabilmente si era presa una cotta fulminante per lui. Ma il bambino, a parte il fatto che nonostante tutto era ancora troppo immaturo per l'amore, detestava Belle perché era così noiosa, capricciosa e appiccicosa che… piuttosto che essere costretto a stare con lei, avrebbe quasi preferito che Pai lo avesse eliminato per davvero, ecco.
A peggiorare la situazione c'era stato poi il fatto che la madre di Belle, che fisicamente sembrava la sua copia da adulta, vedendo la sua bambina così felice di aver trovato un amichetto, lo aveva praticamente minacciato di trattarla bene perché, se non lo avesse fatto, sarebbe rimasta molto delusa e arrabbiata…
Per farla breve, di fronte alla prospettiva di dover restare solo con Belle, Taruto aveva scelto la fuga libera. Ma, purtroppo per lui…
«Andiamo, Tarutaru, mamma ha già preparato da mangiare,» esclamò la bambina trascinandolo fuori dalla stanza per un piede.
«Noooooo! Sei solo una mocciosa, lasciami!! Chris, questa me la paghiiiii!!!»
«In fondo, mi fa un po’ pena,» mormorò Kisshu, osservando la scena.
 Chris si grattò la guancia, sorridendo imbarazzata. «Ho capito, vado a salvarlo, però… credo che fareste bene a scendere di sotto anche voi… vi concedo tre minuti!» dichiarò, e poi uscì anche lei, avendo però l’accortezza di chiudere per bene la porta.
«Generosa,» osservò ironico Kisshu. «Allora, dove eravamo rimasti noi due?» chiese poi a Imago, con la quale era rimasto finalmente solo.
C’è da dire che, dopo essere arrivati a casa di Kell, Imago gli aveva raccontato tutta la verità, spiegandogli che tutto quello che era successo era stato una finzione… beh,quasi tutto.
Ma, nonostante le spiegazioni, da quel momento Kisshu aveva cominciato a comportarsi in modo cauto, quasi diffidente con lei, come se avesse paura che da un momento all’altro potesse saltare fuori qualche altro colpo di scena.
Ma entrambi sapevano che non sarebbe durato a lungo.
«Forse al fatto che tu sei carino,» rispose lei con finta distrazione e imbarazzo quasi palpabile.
«Ah, si? Io ricordo anche un altro aggettivo,» sbuffò lui. Sospirò. «Va bene, sei perdonata: non ti ucciderò per oggi,» ammise alla fine.
L’aliena gli rivolse un piccolo sorriso. «Grazie,» gli disse. «Sei davvero carino.»
«Lo so,» annuì lui con aria saputa.
Imago scosse la testa. «Scemo,» borbottò.
«Stai diventando ripetitiva,» commentò Kisshu, ghignando. Si avvicinò a lei e toccò la sua treccia, giocando con la ciocca di capelli alla sua estremità.
«A-Allora ti dirò che mi piace il tuo sorriso,» mormorò lei, rossa in viso. «Peccato che finora ti ho visto sorridere solo una volta.»
«Ma io sto sorridendo,» protestò lui, indicandosi la faccia. «E comunque, quando le sorridevo, Ichigo mi definiva un bastardo,» ammise poi con un tono indecifrabile.
«No, no, io parlo del tuo sorriso!» ribatté Imago. «Non ghigno o smorfia. Il tuo s-sorriso… è molto bello.»
«Oh,» disse semplicemente Kisshu, arrossendo.
«Però, insomma, queste cose dovresti dirle tu a me!»
«Oh, non rompere,» la liquidò Kisshu.
«Stupido,» sbuffò lei.
«Mocciosa,» replicò lui pronto, incrociando le braccia.
«Maleducato.»
Si fermarono a guardarsi e si sorrisero.
«Allora?» disse Kisshu, dopo qualche secondo.
«Allora cosa?»
«Posso baciarti?»
Imago si irrigidì e, se possibile, divenne ancora più rossa. Chiuse gli occhi e sospirò per calmarsi, poi li riaprì. «S-Se ora non lo fai,» disse, piantando lo sguardo a terra, «ti tiro uno schiaffo.»
«Allora mi tocca farlo,» rispose Kisshu, non riuscendo più a trattenere un sorrisetto. Fece scivolare un braccio dietro la sua schiena e la attirò a sé. Posò l’altra mano sulla sua guancia e la accarezzò piano, guardandola con i suoi grandi occhi dorati.
Imago tremava nel suo abbraccio come se stesse per svenire. Kisshu non riusciva ancora a credere che fosse davvero così timida. «Devi rilassarti,» le sussurrò con voce dolce.
Lei annuì piano e socchiuse gli occhi, adagiando la guancia sulla mano di Kisshu, che abbassò il viso su quello della ragazza, cercando le sue labbra.
«Hem, hem.»
Kisshu e Imago si voltarono di scatto verso la porta: dalla soglia, un'anziana donna molto grassa, armata di un grosso e pesante bastone di metallo con cui si aiutava a camminare, li fissava con sguardo omicida. «Il pasto è pronto, ragazzi,» disse, con voce fintamente premurosa.
Kisshu e Imago, entrambi imbarazzatissimi e rossissimi, si staccarono velocemente.
«Si, signora Kell, grazie!»
«Arriviamo subito, signora!»
«No, voi venite ADESSO!» esclamò la donna, agitando il bastone. «Altrimenti, il cibo si raffredderà,» aggiunse con un tono così calmo da essere inquietante.
«Già…vero…allora…andiamo…ehm.»
I due si affrettarono ad uscire dalla stanza, ma la signora Kell continuò a lanciargli occhiatacce per tutto il percorso da quella alla stanza comune al piano di sotto.
«I giovani d'oggi, tutti pervertiti...pensano solo a quello,» sbuffò a voce abbastanza alta perché Kisshu e Imago potessero sentirla e guardarsi nervosamente negli occhi per un istante, per poi voltarsi entrambi nella direzione opposta.
 
 

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Capitolo 12
*** Addii ***


28/04/2014: Noo, Diya-sama! ;__; Eri troppo figa per questa fanfic.
Ma a parte questo. In questo capitolo ho apportato numerose modifiche. Ho snellito quasi tutti i dialoghi, ho aggiunto alcune descrizioni e ho ‘censurato’ una scena fra Kisshu e Imago per due motivi:
1.    Imago, sul piano sentimentale, è e resta timida e un po' impacciata. Per quanto ami Kisshu, non credo che possa concedersi a lui così rapidamente.
2.    Credo sia più carino non rendere troppo esplicita la loro relazione, almeno per ora.


- Capitolo 11: Addii -

Kell non si fece vedere per tutto il resto della mattinata. Quando iniziò il turno di lavoro molti dei suoi colleghi lo cercarono, ma lui aveva spento il suo comunicatore portatile rendendosi irrintracciabile.
«Fa sempre così,» sentì Pai dire da uno di loro. «Quel tipo è un genio, ma è sempre stato un po’ strano.»
Non avendo altro da fare, Pai decise di trattenersi nel Laboratorio con Chris.
Il Laboratorio era una vasta area del Palazzo suddivisa in più settori di studio; Kell era a capo di quello che si concentrava sul recupero delle antiche tecnologie. Il suo gruppo di lavoro, che aveva a disposizione una sala privata adibita a centro di ricerca, era composto da circa quindici ricercatori che, senza di lui, erano completamente allo sbaraglio.
Chris trascorse la mattina correndo di qua e di là come una matta: dava ordini, prendeva decisioni e controllava con una pignoleria pazzesca calcoli e grafici nel tentativo di sopperire alla mancanza del suo superiore. A causa di ciò, Pai non ebbe quasi l’occasione di parlarle. Scioccato dalla frenesia con cui si lavorava in quell’ambiente, l’alieno appoggiò la schiena ad uno degli inquietanti macchinari che occupavano la stanza e rimase lì fermo ad osservare i sottoposti di Kell senza osare disturbarli.
Nel mentre, la sua mente correva ad Ai. C’era qualcosa di strano in quel ragazzino, a cominciare dalla sua somiglianza con Kisshu: se Pai non fosse stato sicuro che la famiglia di Kisshu era stata sterminata, avrebbe seriamente considerato il fatto che quei due fossero parenti.
«Pai Ikisatashi!» L’arrivo di due Guardie Imperiali interruppe le elucubrazioni dell'alieno.
«Eccomi,» dichiarò lui con una certa aria rassegnata, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Con sua grande sorpresa, le due guardie si inginocchiarono di fronte a lui. «Capitano, la Sovrana ha richiesto la vostra presenza nei suoi appartamenti. Vi preghiamo di recarvi da lei appena possibile,» pronunciò una di loro in tono reverente.
Pai annuì, ma, non appena le due guardie si smaterializzarono, non riuscì a non alzare gli occhi al cielo.
Chris abbandonò il suo lavoro per raggiungerlo, preoccupata. «Vengo con te,» gli disse.
Pai aggrottò la fronte. «Non puoi lasciare anche tu il lavoro.»
«Oh, i ragazzi se la caveranno benissimo anche senza di me,» sorrise lei, mentre alle sue spalle un computer esplodeva e tre ricercatori si gettavano su di esso nel tentativo di spegnere l’incendio, finendo per prendere fuoco a loro volta.


* *

Chris e Pai decisero di raggiungere Kassidiya a piedi.
Quando arrivarono al portone d’entrata dell'Appartamento scoprirono che questo era stato lasciato socchiuso, e che le guardie che di solito montavano il turno lì davanti non c'erano. Udirono delle voci discutere animatamente all’interno della stanza e, non sapendo se potevano entrare o meno, rimasero fermi in ascolto.
«Siete contenta, adesso? Vostra sorella è partita con la migliore delle nostre navi,» si lamentava Shiroi, irritato.
«Usa un’altra volta quel tono con me, Shiroi, e ti mando in esilio ad Orion!» fu la risposta piccata di Kassidiya. «E comunque sia, si. Sono contenta di non dover avere più a che fare con quella sciocca, e... chi è là?!»

Chris, nel tentativo di avvicinarsi di piu’ alla porta, era inciampata su un tappeto ed era sbattuta di faccia contro il portone. Non avendo altra scelta, lei e Pai si fecero avanti nella stanza, esibendosi in un formale inchino.
Kassidiya sorrise e, con un cenno della mano, congedò senza troppi complimenti il suo Consigliere. «Buongiorno, mio Capitano,» disse poi a Pai, dopo che Shiroi fu uscito sbuffando. «E tu chi saresti?» domandò invece a Chris, non senza lanciarle un’occhiata obliqua.
«Chris, Assistente personale del Dottor Kell,» si presentò lei. «In questo momento lui é...impegnato, per cui ha mandato me.»
Kassidiya inarcò un sopracciglio. «Oh, ho sentito parlare di te. La tua famiglia scomparve quando ci fu quell’incendio nel Laboratorio e tu, da quel momento, convivi ambiguamente con il tuo superiore.»
Chris arrossì. «Sì, mia signora,
» annuì, non potendo fare altro.
«Dimmi, Chris: quali sono le sue condizioni?» le chiese Kassidiya indicando con un cenno della testa Pai.
«Purtroppo pessime,» mentì Chris, sfruttando tutta la faccia tosta che aveva. «Deve essere tenuto continuamente sotto osservazione e…»
«Chissà perché, ma lo immaginavo,» sospirò Kassidiya, interrompendola. «Lasciaci soli.»
Chris si morse un labbro e lanciò un’occhiata nervosa a Pai, incrociando il suo sguardo supplice. «Mia signora, non so se…» cominciò, ma venne nuovamente interrotta.
«Ho assolutamente bisogno di parlare con lui,
» dichiarò Kassidiya, in tono che non ammetteva repliche. «Sempre che sia in grado almeno di comprendere ciò che dico… lo sei, vero?» gli chiese.
«Sì, mia signora,» rispose Pai, incolore.
«E’ già qualcosa,» sospirò Kassidiya, poi fece un cenno a Chris, che fu costretta ad andare via.
“Buona fortuna, Pai,” pensò l’aliena mentre richiudeva dietro di sé il portone. “Mi dispiace, ma non posso proprio aiutarti.”
Una volta soli, Kassidiya si mosse verso Pai con passi lenti. Lo scrutò attentamente, come se lo stesse studiando. Lui non batté ciglio, ma aggrottò impercettibilmente la fronte: aveva già vissuto quella scena, poco meno di due giorni fa. Allora, nonostante tutto, era riuscito ad uscirne vincitore, ma adesso le cose erano diverse: anche se ciò lo disgustava, avrebbe dovuto acconsentire a qualsiasi volontà di Kassidiya, o la sua copertura sarebbe saltata.
«Bene,» cominciò la Sovrana. Si era fermata di fronte a lui e lo guardava con occhi scintillanti. «Ora, Pai, ti prego di ascoltare con attenzione le mie parole.»

Lui annuì meccanicamente.
«Questa mattina, mia sorella Kassandra è partita il Pianeta Azzurro,» cominciò la giovane senza staccare gli occhi da lui, che ricambiava con uno sguardo spento. «Durante la partenza, alcuni popolani hanno scatenato una lite, ed in molti sono rimasti feriti. Mi hanno appena informato che ci sono stati anche dei decessi. Inoltre, è stata denunciata la scomparsa di una ex-Guardia Imperiale. Tutto questo non deve più accadere,» dichiarò Kassidiya, ponendo molta enfasi sulle ultime quattro parole. Pai non l’aveva mai vista così seria, e notò quanto quell’espressione la faceva sembrare più adulta. «Tu hai studiato le forme viventi terrestri, vero?». Domanda retorica. «Un insetto può essere schiacciato con facilità. Ma uno sciame di insetti può arrivare persino ad ucciderti, se non sai come controllarlo. Pai, la popolazione è una bestia pericolosa. Deve essere tenuta a bada, e questo è un tuo dovere, ora che sei Capitano. Hai a disposizione dei sottoposti e un potere non trascurabile: devi usarlo per mantenere l’ordine e, credimi, il peso di questa responsabilità è secondo solo a quello che porto io. Il tuo predecessore era uno stolto; era da tanto tempo che volevo rimpiazzarlo. Quanto a te, mi fido delle tue capacità e so che non mi deluderai. Ordinerò a Shiroi di spiegarti meglio i tuoi compiti. Ma, per ora, ti consiglio di scegliere un ufficiale, fra i più esperti, in modo che possa consigliarti...» Man mano che quelle parole uscivano dalle labbra della Sovrana, Pai si sentiva sempre più stupido: si era preparato al peggiore degli scenari, e non gli era neanche passato per la testa che Kassidiya potesse voler effettivamente parlare con lui solo di lavoro.
«Dimmi, c’è qualcosa che non ti è chiaro?» concluse Kassidiya dopo molti minuti, scrutandolo.
La stima di lui nei suoi confronti sembrava aver appena subito un leggero aumento – se non altro, almeno ora non rasentava più lo zero assoluto - ma Pai si limitò a pronunciare un atono: «No, mia signora,» che lo rese molto più simile ad una macchina che ad un essere vivente.
A sentire ciò, Kassidiya tremò leggermente e si girò dall'altra parte. «Allora puoi andare,» disse. Pai chinò leggermente la schiena in un formale saluto e poi, voltatele le spalle, si diresse verso l’uscita.
«Mi dispiace.»

Pai aveva appena appoggiato la mano affusolata sul freddo metallo del portone quando udì quelle parole. Sgranò gli occhi, irrigidendosi. Forse non aveva sentito bene.
«Mi dispiace,» ripeté Kassidiya, sospirando pesantemente. «Sei stato l’unico che si sia mai opposto a me, l’unico immune al mio fascino; mi hai sempre detto cose che nessun altro aveva il coraggio di dirmi. Ed io, per questo, ti ho odiato, ma, allo stesso tempo, ti ho desiderato. Alla fine, sono riuscita ad averti, ma… guardati, Pai! Guarda come ti ho ridotto… ti ho privato della tua famiglia, dei tuoi ideali, persino della tua volontà! Dovrei essere felice, perché sei finalmente mio, e invece… mi sento così stupidamente in colpa…»
Lentamente, Pai si girò verso di lei: Kassidiya teneva la testa bassa e si stringeva il ventre con le braccia in un gesto nervoso. Un flusso di emozioni contrastanti turbinarono nel suo animo: odio, rabbia, e una grande tristezza… pietà, forse?
«Avevi ragione,» ammise Kassidiya, con voce sempre meno ferma. «Non ero io quella che doveva essere Sovrana. Ho commesso un errore, ho commesso errori per tutta la mia vita, uno dopo l’altro, io…». Singhiozzò piano. «C-Che cosa devo fare?» gemette infine, crollando.

Pai distolse lo sguardo da lei. “Puoi ancora cambiare,” pensò. Non poteva dirlo ad alta voce, o si sarebbe tradito.
«Non posso far nulla per cambiare. E’ troppo tardi,» gemette lei, come leggendogli nel pensiero. Raggiunse uno specchio e vi poggiò sopra entrambe le mani, guardando le lacrime rigare il viso del proprio riflesso. Se le asciugò rapidamente, ma solo per versarne altre un secondo dopo. «Questo è il mio destino. Io sono maledetta, Pai. Lo so, lo sento; ma non volevo trascinarti nell’abisso insieme a me… non volevo... mi dispiace, Pai… m-mi dispiace per tutto…»
Pai aggrottò la fronte. Non capiva cosa stava succedendo; sapeva solo che la donna che stava parlando non era Kassidiya: lei non si era mai fatta alcuno scrupolo, né aveva mai provato alcun senso di colpa. L'alieno decise, nonostante tutto, di preservare la propria copertura, e per questo motivo rimase immobile e in silenzio ad ascoltare i singhiozzi della Sovrana.
«Vattene, Pai. Salvati, se puoi,» sussurrò infine lei.
Pai indietreggiò, lieto di essere stato congedato. Lasciò l’Appartamento; prima di farlo, però, lanciò a Kassidiya un'ultima occhiata: si stava specchiando nuovamente, mormorando delle parole incomprensibili.
Lasciò socchiuso il portone, così come lo aveva trovato quando era entrato. Chris, appostata a pochi metri di distanza, lo raggiunse di corsa non appena lo vide: era la faccia della preoccupazione. «Allora? Ti ha detto qualcosa? Ti ha fatto qualcosa? Ah, quella strega!» disse in una serie di rapidissimi sussurri.
«Non le interesso più,» troncò Pai con voce altrettanto bassa.
Chris lo guardò a bocca aperta.
«Non so cosa le sia preso. Ha iniziato a dire cose molto stran-»
«AHHHHHHHHHHHHHH!!!!»
L’urlo di Kassidiya costrinse Pai ad interrompersi. «Che diavolo succede ora?!» gridò l’alieno, precipitandosi nell’Appartamento, spalancando la porta. Chris, stravolta, lo seguì: quando entrò, vide che Pai stava sollevando da terra una Kassidiya priva di conoscenza.
«Oh, sacro Ra...che cosa…che cosa le è successo?» balbettò l'assistente scienziata, portandosi una mano alla bocca.
Pai non sapeva cosa risponderle. Sistemò Kassidiya sul suo letto e lei si mosse lievemente, schiudendo appena gli occhi.
«Un altro demone che sembra il mio Pai,» disse la Sovrana in un sussurro, prima di stringere dolorosamente gli occhi. «Volete torturarmi, maledetti…ma io non…a-ah
«Chris, che cosa le sta succedendo?» chiese Pai, sbalordito.
Lei indietreggiò. «Non lo so, non sono un medico! Vado a cercarne uno, corro!»
«Vengo con...» cominciò Pai, ma Kassidiya gli afferrò il braccio.
«P-Pai,» mormorò, con voce appena percettibile. «Non lasciarmi da sola. Ti supplico, NON LASCIARMI SOLA CON LEI!» strillò, così improvvisamente che Pai ne rimase quasi spaventato.
«Lei chi?» domandò lui, ma Kassidiya lo guardò come se Pai stesse parlando una lingua che non conosceva. «Chi, Kassidiya? C’è qualcun altro in questa stanza? Rispondi!» ordinò.
Kassidiya mosse l'altro braccio debolmente. «Lei,» sospirò, indicando un punto a pochi metri dal letto.
Pai si voltò di scatto, ma l’unica cosa che vide fu il suo doppione incorporeo. Scosse la testa, voltandosi verso la giovane aliena. «Quello è uno specchio, Kassidiya,» spiegò con rassegnazione.
«NO! E’ UN DEMONE!» gridò lei, fuori di sé. «Dice che sono maledetta, che mi ucciderà! Dice che mi sta uccidendo!» Non aveva fatto in tempo a pronunciare quell’ultima parola che rimase paralizzata; i suoi occhi erano vitrei mentre sillabava, spaventata: «M-Mi sta uccidendo… Pai, io… io sto morendo.»
Pai strinse i denti. «Basta con queste idiozie!» esclamò. Si staccò da Kassidiya con uno strattone, ed in pochi passi fu accanto allo specchio; estrasse il suo ventaglio e lo uscò per spaccarlo in mille pezzi.
I suoi frammenti si sparsero sul pavimento con un tintinnio.
«Così va bene?» chiese a Kassidiya. Si aspettava da lei una qualsiasi reazione a quel gesto, invece scoprì che non si era neanche accorta del suo allontanamento.
Kassidiya, infatti,  si era seduta sul letto e che aveva iniziato a sfilare ad una ad una le perle che formavano la collana che indossava, allineandole sulle lenzuola in una fila ordinata.
L’alieno non sapeva più cosa pensare.
Tornò accanto a lei, e a quel punto lei gli rivolse un sorriso felice. «Guarda come luccicano!» gli disse con voce emozionata, riferendosi alle perle. «Sono così rotonde e belle, brillano così tanto! Questa però è quella che luccica di più ed è più bella, anche se non è una perla… che cos’è?» disse, prendendo in mano il gioiello al centro della collana. Pai portò la sua attenzione su di esso: era molto elaborato e rappresentava un cerchio con una croce che ne oltrepassava la circonferenza; al centro di esso vi era incastonata una gemma di colore rosso. Pai non gliel'aveva mai notato addosso, ma realizzò subito che quella croce era molto simile a quella che aveva Imago. Scosse la testa. «Kassidiya…» tentò, ma lei, adesso, lo stava ignorando. «Non ho idea di come sia stato possibile, ma credo che tu sia impazzita,» concluse.
Ma dov’erano finite tutte le Guardie? E perché Chris stava impiegando così tanto tempo?
Kassidiya gli lanciò addosso la sua croce. «IO NON SONO PAZZA!» dichiarò, infuriata. «Io sono Kassidiya Kaishu, e non sono il tuo burattino! Sono più forte di te, e te lo dimostrerò! IO VI ODIO, VI UCCIDERÒ TUTTI! Vi farò sparire da questo mondo! Sono io la più forte, sono io!» urlò. «Ma perché vi odio?» si chiese improvvisamente, incerta, mordicchiandosi un dito. Un istante dopo, la rabbia prese di nuovo il controllo del suo corpo: «Vi odio perché non avete mai capito niente di noi! E se io ora morissi, nessuno verserebbe neanche una lacrima per me! E’ così…» iniziò a piangere. «I-Io sono sola… sono…sono così sola… almeno tu, Pai, non mi lasciare, non di nuovo… ti prego!» gemette con voce sempre piu’ lieve, prima di perdere i sensi.
Pai impedì che ricadesse sul cuscino prendendola per le spalle e la stese con delicatezza sul letto. Poi indietreggiò di qualche passo, scioccato.
Non avrebbe mai immaginato di potersi trovare in una situazione del genere. Tutto ciò era... era assurdo. Gli sembrava di stare vivendo un sogno, e in cuor suo sperava ardentemente che fosse così.
«Che cosa ti prende, Kassidiya?» chiese all’aliena profondamente addormentata. «Ho sempre pensato che fossi pazza, ma ora… ora lo sei diventata davvero,» constatò. La sua voce era vuota quasi come la sua mente.
Le parole pronunciate da Pai non si persero nell’aria. Un'ombra le udì mentre socchiudeva silenziosamente il portone e scivolava via - era la stessa ombra che aveva seguito da quella posizione tutta la scena, e che mormorò, senza sforzarsi di reprimere una risatina nervosa: «Dunque la profezia non mentiva… è cominciato.»

* *

Probabilmente, durante il giorno, l’addetto al controllo dell’atmosfera artificiale di Polaris aveva ricevuto una bella strigliata dalla madre di Kell, dato che per quella notte si era accontentato di lasciare un semplice cielo nero.
Pai sedeva sul tetto della casa di Kell. Le sue mani stringevano un ginocchio; i suoi vestiti erano spiegazzati e ciuffi di capelli ribelli gli ricadevano disordinatamente sulla fronte: gli erano cresciuti, ma tagliarsi i capelli era l'ultima cosa che gli passava per la testa in quel momento. Il giovane fissava il cielo vuoto senza veramente vederlo, immerso com’era nei suoi pensieri.
Non riusciva a smettere di pensare a Kassidiya: non poteva essere impazzita di punto in bianco; c’era sicuramente qualcosa sotto.
Quella mattina, poco dopo che Kassidiya aveva perso i sensi, Chris era ritornata nell'Appartamento con uno stuolo di medici di Palazzo e tre Guardie. I medici si erano affrettati a prestarle soccorso, ma lei non aveva reagito a nessuna cura: era come se, di punto in bianco, fosse caduta in coma. Pai non disse a nessuno della sua pazzia e nessuno, per suo grande sollievo, ipotizzò che lui potesse aver avvelenato la Sovrana o qualcosa del genere.
Restava il fatto che Kassidiya, prima di addormentarsi, aveva parlato di un demone, di un burattinaio e di una maledizione, e Pai aveva continuato per tutto il giorno a chiedersi che cosa significasse tutto ciò.
«Oh, eccoti qui!»

Pai sussultò.
«Ehilà, straniero! Disturbo?»

Chris.
Per la prima volta dopo molto tempo, l'alieno distolse lo sguardo pensieroso dal cielo; lo posò sull’aliena che lo aveva raggiunto sorridendo.
«Anche se ti dicessi di si non te ne andresti, vero?» disse sconsolato. Per tutta risposta, Chris si sedette accanto a lui.
Pai tornò a fissare un punto imprecisato in alto. «Stavo pensando,» spiegò, intrecciando le mani sul ginocchio.

«Guardando il cielo? Sei un tipo romantico,» osservò lei con un occhiolino. Pai non ribatté e per questo motivo, dopo un po’, anche Chris alzò il naso in su e disse, scuotendo la sua lunga treccia: «Che squallore però, avere un cielo artificiale… noi non possiamo salire sulla superficie del nostro pianeta, perché altrimenti le condizioni esterne ci ucciderebbero. Sai cosa ti dico? Ti invidio. Tu sei fortunato ad aver visto davvero il cielo, e sul Pianeta Azzurro, per giunta! Ehi, Pai, com’è il cielo sul Pianeta Azzurro di notte?
»
«Luminoso,» rispose lui senza guardarla, «a causa delle stelle e della luce riflessa dalla Luna.»

«E’ luminoso?» replicò Chris. I suoi tentativi di conversazione stavano miseramente fallendo, sebbene fosse partita con le migliori intenzioni. «Quindi sulla Terra è come se fosse sempre giorno?» chiese, anche se sapeva benissimo la risposta.
Chris stava cercando in tutti i modi di distrarre Pai dal pensiero di Kassidiya. Lui non lo dava a notare, ma lei aveva capito che aveva subito un vero e proprio shock.

Pai sospirò, scuotendo le spalle. «No, non è così. Le stelle brillano, ma non abbastanza.»
Chris si strinse le mani al petto. Faceva freddo lassù. «Sai, un tempo, anche ad Alan piaceva osservare il cielo come stai facendo tu,» disse con una nota triste nella voce. «Ora invece preferisce numeri, lettere e calcoli.»
«E’ il suo lavoro,» le fece notare Pai.
«Si, ma prima non era così,» esclamò Chris. «A volte, io… non lo riconosco più.»
«Avrà i suoi motivi per comportarsi in quel modo.»

«Tu ti fidi molto di lui, vero?»
«Ha salvato la vita a me e ai miei fratelli,» osservò Pai.
«Io non so più cosa pensare di lui,» mormorò Chris cupa, abbassando lo sguardo a terra.
Pai le lanciò un’occhiata di sfuggita. «Cosa ti preoccupa?» le domandò.
«Oh, lascia stare, non è niente,» rispose lei, ma dopo un po’ cambiò posizione per guardare Pai in faccia. «Ecco, guardami: anche ora che abbiamo problemi ben più grossi, io non faccio altro che perdere tempo in questo modo, con questi pensieri sciocchi... Ma nonostante tutto io non riesco a non farlo... da una parte mi sembra di stare facendo una cosa assurda, ma dall’altra sono sicurissima che anche se ci proverò non riuscirò mai, semplicemente non ci riuscirò, e…»
«Chris.»
«Si?»
«Stai blaterando.»
L’aliena gemette vistosamente e rovesciò la testa all’indietro per tornare a contemplare il cielo. «Che guaio, l’amicizia,» si lasciò sfuggire dopo qualche secondo. «Perché esiste l’amicizia?!»
«Non credo che il tuo problema sia l’amicizia,» osservò Pai, dimenticando per un attimo la sua Sovrana. «Sei così innamorata?» le chiese diretto, una volta che lei si fu rimessa a sedere.
Chris sussultò, lasciando a Pai un indizio per indovinare la risposta. «Sei innamorata del tuo amico, ma hai paura di rovinare la tua amicizia confessandoglielo,» disse, e lei annuì, arrossendo.

«Già. E inutilmente, dato che so già che lui non è interessato a me.»
«Dici?»
«Ho provato questi sentimenti per lui in passato, ma qualcosa è andato storto e fra noi è finita male. Ho provato a dimenticarlo, e forse ci ero anche riuscita, ma lui mi è ripiombato improvvisamente nella vita e io…»
«Sei una sciocca.»
«Si, e…ehi!»
«Chris, hai avuto la capacità di scegliere in un colpo solo la persona, il suo stato d’animo, ed il momento meno adatti per parlare di questo argomento. Ma non pensi che, continuando a nascondergli i tuoi sentimenti, finirai solo per soffrire di più? Prima o poi lui se ne accorgerà, e quando accadrà sarà molto peggio di adesso.»
«Lo so. Ma io sono sempre stata brava a scavarmi la fossa da sola. E’ uno dei miei numerosi talenti.»
«Chris, vai a parlargli. Adesso.»
«E’ la stessa cosa che mi ha detto Imago.»
«Ha più cervello di Kisshu, certo…» sospirò Pai.
Chris scosse la testa: «No… non ci riesco.»
«Chris…» cominciò Pai.
«Oh, insomma! Non è che non ci abbia provato! Ma il mio momento di coraggio è durato fino a quando non ho scoperto che la stanza di Ally era vuota.»
«Ah, sei andata nella sua stanza,» osservò Pai con un tono malizioso che gli era del tutto estraneo. Non era affatto dell’umore adatto per scherzare, ma gli premeva tirare su di morale la sua amica.
«Smettila,» ribatté lei, sorridendo appena. «Dicevo, dopo di ciò, sono tornata da Ima-chan in cerca di consolazione, ma lei, nel frattempo, era scomparsa.»

«Uhm, a Kisshu non piacerà questa storia,» scherzò Pai.
«Non preoccuparti, è sparito anche lui,» concluse Chris con una voce impastata.
«Quindi sei venuta da me perché ero l’unico rimasto? Dovrei offendermi, suppongo.»
A quel punto lei sembrò perdere la pazienza. «Ascolta, razza di stupido!» esclamò, balzando in piedi. «Per tua informazione, tu avresti dovuto essere nella stanza di Alan!»
Pai la guardò, ma non ebbe il tempo di assorbire il significato di quelle parole che una vocina allegra gli fischiò nei timpani:
«Zia Chris! Che bello, allora sei qui!»
Belle raggiunse i due, arrancando sul tetto, e si aggrappò alla gonna della tunica di Chris. «Quando torna il mio fratellone?» chiese, tirando. «Non riesco a dormire se non mi racconta una storia!»
«Oh, Belle, lui stanotte ha da lavorare al Palazzo, non ricordi quando ce lo ha detto?» le disse Chris pazientemente.
«Ma… ma io voglio sentire una sua storia!» piagnucolò Belle.«Zio Pai, vai a chiamarlo! Zio Pai!» chiamò la bambina, ma Pai la ignorò. Non lo fece per cattiveria, ma semplicemente perché era impegnato a fare qualche semplice collegamento logico…
Chris era innamorata del suo migliore amico.
Chris aveva due migliori amici: Kell e lui.
E sapeva che Kell non sarebbe tornato quella sera.
Ma cercava qualcuno che doveva trovarsi nella sua stanza.
E quindi, praticamente…
«Lascialo stare, piccola, oggi lo zio non si sente troppo bene. Vuol dire che stasera ti racconterò io una storia, va bene?» le sorrise Chris.
«Siiiii!» esultò Belle; la prese per la mano e la trascinò via.
«Chris, aspetta!» la chiamò Pai, tendendo d’istinto una mano nella sua direzione.

Lei si immobilizzò e si voltò verso di lui. Aveva un sorriso tristissimo. «Visto che avevo ragione? Mi sono scavata la fossa da sola!» disse, prima di sparire all’interno della casa.
«Io...» sospirò Pai, abbassando la mano, «ho la sensazione che il prossimo ad impazzire sarò io,» mormorò scompigliandosi i capelli scuri, una volta rimasto solo.


* *

Pai rientrò in casa alcune ore dopo. Passò direttamente dalla finestra della camera di Kell e si gettò sul suo letto, crollando in un sonno pieno di perle e di demoni. La mattina seguente, spossato, si trascinò verso la sala comune della casa, strofinandosi gli occhi ormai cerchiati da pesanti occhiaie.
Era ancora molto presto, e per questo motivo si aspettava di trovare Kisshu e Taruto ronfare spaparanzati da qualche parte. Inarcò un sopracciglio quando, al posto di Taruto, scorse Imago.
Lei e Kisshu riposavano insieme, accoccolati su un divano: lui teneva un braccio intorno alla sua vita e lei dormiva abbracciandolo, con la testa poggiata teneramente sul suo petto. Nel complesso, la visione era così sdolcinata che Pai si sentì salire la nausea. Rimase fermo a guardarli a braccia incrociate per molti minuti, fino a che Kisshu aprì pigramente gli occhi, lo scorse, e scattò a sedere terrorizzato, rischiando di far cadere Imago giù dal divano.
«Che diavolo stavi facendo?!» sbraitò l’alieno dai capelli verdi. «Che cosa sei, uno stalker?!»
«Kisshu, sai che la madre di Alan non approva,» mormorò Pai in tono inespressivo.
«E’…E’ colpa mia!» si affrettò a dire Imago, stringendosi i pugni al petto. «Perdonami, Pai, io… ero stanchissima e sono crollata senza neanche accorgermene!»
«Non devi difenderlo,» sospirò lui.
Imago arrossì.
«Sai se per caso Chris è già sveglia? Devo parlarle,» le disse Pai subito dopo.

Per tutta risposta, lei lanciò un’occhiata a Kisshu. «Oh, hai vinto tu.»
Lui rise malizioso, appoggiando la testa sulla sua spalla e scoccandole un bacio sulla guancia. «Te l’avevo detto che assomigliava troppo a Retasu perché ne restasse indifferente…»
Pai fulminò entrambi con lo sguardo. «Sentite,» sillabò con impazienza. «Non sto scherzando e non ho voglia di…»
«Salve, amici miei.»
Kell aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza. Pai si interruppe per girarsi verso l’amico. «E tu quando sei tornato?»
«Poco fa. Credo di essermi appisolato in cucina,» mormorò lui, sbadigliando vistosamente. «Allora, qual è il problema del giorno?»
«Si chiama Chris,» gli rispose Kisshu.
Kell si lasciò ricadere su una sedia accanto al tavolo, ancora in preda ad uno stato di torpore: «Oh, no, lei per un po’ non sarà più un problema…» spiegò, con voce impastata di sonno. Era praticamente distrutto.
«Eh?»
«E’ partita,» spiegò Kell scuotendo la testa per scacciare via la sonnolenza. Si lasciò sfuggire un’imprecazione quando guardò l’orario. «E’ tardissimo,» disse, sebbene in realtà fosse ancora molto presto.
«Partita?» gli fecero intanto eco Pai, Kisshu ed Imago.
«Si, non ve l’aveva detto?» sbuffò Kell. «Qualche tempo fa chiesi agli scienziati di Orion di analizzare un meccanismo antico. Ieri mattina mi hanno mandato una comunicazione per avvertirmi che avevano terminato le analisi e che potevo andare a riprendere il mio reperto. Na io sono impegnato, quindi ho dovuto mandare Chris.»
Pai, Kisshu e Imago si guardarono tra loro, increduli. Come aveva potuto Kell mandare Chris ad Orion da sola? Non solo era una città estremamente fuori mano, ma era anche molto meno sicura della Capitale; in molti credevano che fosse la sede di pericolosi ribelli, nonché di esseri malvagi e spietati.
«Mi scusi, Dottor Kell…» cominciò Imago in tono diplomatico.
«E tu hai avuto il coraggio di mandarla laggiù da sola?!» concluse Pai, sbattendo i palmi sul tavolo.
Kell si coprì il viso con una mano. «Non dirmi che anche tu credi che Orion sia infestata da demoni,» commentò, insofferente. «Pai, quel meccanismo e quelle analisi sono davvero molto importanti per me; Chris se la caverà.»
«Oh, siete già tutti svegli?» si intromise in quel momento la signora Kell, entrando. Per loro fortuna, Kisshu e Imago riuscirono a gettarsi in direzione opposta prima che lei si accorgesse di quanto erano stati vicini fino a quel momento. «Se è così, non vi muovete! Vi porto subito da mangiare,» dichiarò l’aliena in tono pratico.

L’atmosfera era molto tesa quando, pochi minuti dopo, la signora Kell tornò con un enorme vassoio di cibo fra le mani. Pai, Kisshu, Imago e Kell si accomodarono in silenzio al tavolo, ma nessuno di loro sembrava essere interessato alla colazione. L’anziana aliena li squadrò uno per uno, contrariata. Aveva appena poggiato, quasi come una sfida, una tazza piena di liquido fumante davanti a Kisshu, quando Taruto li raggiunse.
«Buongiorno. Non avevo sonno,» si giustificò preventivamente il piccolo, catturando l’espressione disapprovante della signora Kell. Ignaro della situazione, andò a sedersi accanto al suo fratello maggiore e si strizzò gli occhi, soffocando un piccolo sbadiglio. Poi schioccò un dito, come se si fosse appena ricordato di una cosa. «Ah, Pai, hai visto Chris per cas-»

SBAM!
Pai aveva appena sferrato al tavolo un pugno così forte da far rovesciare addosso a Kisshu la sua bevanda. Senza dire una parola, ignorando guardi attoniti dei presenti e le imprecazioni di Kisshu, l’alieno si alzò dalla tavola e uscì dalla stanza con passi grandi e furiosi.
«…che ho detto?!» sillabò Taruto, sbalordito.

«Lascialo stare, ha appena scoperto di avere un cuore,» sbuffò Kisshu, cercando di pulirsi il vestito.
«Bene, io evaporo,» annunciò Kell, alzandosi. «Non combinate guai. Ci vediamo a luci spente.»

«Tesoro, non torni per mangiare?» gli chiese sua madre, angosciata.
Lui pronunciò qualche scusa mentre faceva scattare la serratura magnetica dell’ingresso. «Riunione… lavoro… ciao,» biascicò, prima di richiudere la porta dietro di sé.


***

**


*


Tempo dopo, sulla Terra...

DRIN DRIN!

Il sole era tramontato da un pezzo quando il giovane corriere aveva premuto meccanicamente il tasto del citofono di quello strano edificio rosa. Quella era l’ultima consegna della giornata: presto, sarebbe tornato a casa.

DRIIIIIIIN!

   Il corriere attese impaziente alla porta, rigirandosi fra le mani il pacchetto giallo che doveva consegnare. Nessuno venne ad aprirgli, così cominciò a bussare con insistenza, finché, finalmente, la porta si spalancò. Un caos di voci, risa, urla e strilli acuti giunse alle orecchie del giovane: all’interno di quel locale doveva esserci una gran confusione, ma, dato che la ragazza che gli aveva aperto era uscita e aveva socchiuso la porta dietro di lei, non poté indagare oltre.
Ma in fondo, non erano affari suoi.

Il corriere rivolse la sua attenzione alla ragazza di fronte a lui, trovandola davvero molto carina: era alta, snella e perfettamente truccata, anche se in modo appena percepibile; indossava una graziosa uniforme viola da cameriera, che si accordava con il colore dei suoi lunghi capelli.

«Buonasera,» la salutò, ammirato.
«Buonasera,» replicò lei; osservava il giovane con i suoi freddi occhi azzurro ghiaccio come se la infastidisse. «Che cosa vuole?Il Café Mew Mew è riservato stasera,» tagliò corto, incrociando le braccia al petto.

«Io… io devo solo consegnare un pacco,» spiegò lui.

«A quest’ora?»
«Io lavoro per la Ogni Ora Express,» rispose il corriere con un piccolo sorriso. «Non ha visto la pubblicità in TV? Ogni Ora, ogni mezz’ora, la vostra gioia…» iniziò a canticchiare, ma la voce gli morì in gola quando incrociò lo sguardo infastidito della cameriera, che sembrava sul punto di picchiarlo.
«Devo consegnare questo pacco al signor Shirogane,» disse, dopo essersi schiarito la voce.
«…Ryo?» concluse la ragazza sospettosa, e l’uomo annuì. «Lo dia pure a me,» dichiarò, impassibile.
«Per…perfetto…» sorrise il corriere, leggermente scioccato dai modi bruschi di quella bellissima cameriera. «Firmi qui, per cortesia.»
La ragazza prese la penna che il giovane le stava porgendo, e velocemente scrisse sulla ricevuta di consegna un elegante Zakuro Fujiwara.
Lui le consegnò il pacco e lei lo studiò con interesse: non era molto grande, eppure aveva un peso non indifferente.

Nel mentre, il corriere riprese il foglio e lesse la firma. Strabuzzò gli occhi: «Ma…ma lei non è…?» cominciò sbalordito, ma Zakuro gli aveva già richiuso la porta in faccia, lasciandolo fuori al buio.
Il corriere si grattò la testa. «Pacchi urgentissimi che arrivano da paesi sperduti dell’Africa… bar strambi… idol che vedi sorridere in TV ma che ti guardano come se fossi un bidone della spazzatura… mah, forse dovrei prendermi una vacanza,» rimuginò fra sé e sé mentre si allontanava a passi stravolti dal Café Mew Mew.
 



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Capitolo 13
*** Preludio (Un sogno) ***


28/04/2014: La canzone con cui assillo in questo capitolo è la prima versione di “Haunted” degli Evanescence, che trovate qui.
Non ho agito molto su questo capitolo. Non c'era molto da fare.



- Capitolo 12: Un sogno -



Long lost words whisper slowly to me
 Still can't find what keeps me here
 And all this time I've been so hollow...inside,
 
Giaceva supina, in quella stanza buia.
Era raggomitolata su se stessa, sotto un morbido piumone.
Non si muoveva.
 
and I know you're still there....

«Ich…igo…»
I suoi occhi erano chiusi, i capelli sciolti ricadevano morbidi e disordinati sul cuscino candido.
Aveva il respiro tranquillo e regolare; era proprio come se stesse dormendo.
«Ichigo.»
Strinse gli occhi. No, non stava dormendo; era sveglia, e ne era pienamente consapevole. Sentiva la pioggia battere sulle sue finestre e i rami mossi dal vento, che graffiavano contro i vetri…
E, allo stesso modo, percepiva distintamente la presenza oscura nella sua stanza che la stava chiamando.
«Ichigo!»
Rabbrividì, senza muoversi, cercando di ignorarla, sperando che se ne andasse.
«Ichigooo…» cantilenò invece quella, e stavolta la ragazza avvertì persino il suo soffio gelido sulla guancia.
E un tono di crudele maliziosità in quella voce che le dava i brividi.
E il suo respiro lento e profondo…
La sentiva. La stava fissando. Era sopra di lei.
Ichigo era in trappola.
Non voleva aprire gli occhi. Non voleva vederla. Voleva solo che sparisse e che la lasciasse in pace.

Watching me, wanting me
 I can feel you pull me down
 Fearing you, loving you
 I know I'll find you somehow
 
Di colpo, la finestra si spalancò, sbattendo forte contro il muro. Ichigo aprì di scatto gli occhi e balzò a sedere sul letto.
Le tende davanti a lei svolazzavano come foglie preda del vento; i vetri ancora tremavano a causa del colpo.
Ichigo ansimava come se avesse appena finito un'interminabile corsa.
Si guardò intorno angosciata, in cerca dell'essere che l’aveva tormentata fino a poco fa, ma non vide nessuno.
“Era un sogno,” si disse per tranquillizzarsi.
Eppure si sentiva ancora addosso quella sensazione opprimente...
Un brivido le risalì lungo la schiena.
La ragazza si alzò, dirigendosi verso la finestra: stava per chiuderla, ma vide un’ombra guizzarle davanti. D’istinto, fece un salto all’indietro.
In quel momento, una sola parola le si formò nella mente, e meno di un secondo dopo ichigo si pentì di aver appena ricordato la sua paura più grande.
“Fa…fantasma…?!”
Incapace di riavvicinarsi alla finestra, Ichigo lasciò che il vento gelido le frustasse il viso, e brividi istintivi scuotere il suo intero corpo. Indietreggiò sempre più, senza staccare gli occhi dalla finestra.
Poi la vide.
Rimase immobile, paralizzata, in preda ad un folle terrore.
C’era una figura, fuori dalla sua finestra, che la osservava con gelidi occhi azzurri.
Venne sopraffatta dall’orrore.
«Ichigo,» la chiamò l’ombra.
Lei avrebbe voluto urlare, scappare, ma il suo corpo sembrava non rispondere più, e la sua razionalità era sparita già da un pezzo.
«Perché hai paura di me?» le disse però l’ombra con voce tristemente malinconica. «Ichigo, sono io.»
Senza staccare lo sguardo dalla finestra, la ragazza si strinse con una mano la stoffa del pigiama all’altezza del cuore, cercando di regolarizzare il respiro.
A poco a poco, i suoi occhi si abituarono al buio, ed ora riusciva a distinguere il profilo sfocato di quell’ombra, i suoi lunghi capelli, le sue orecchie a punta.
Tutto ciò le era familiare…
E quella voce… l’avrebbe riconosciuta fra mille.
«A-Aoyama-kun,» soffiò, correndo verso di lui.
Il Cavaliere Blu galleggiava in aria, a pochi centimetri dal suo davanzale.
«Che cosa…che cosa succede?» gli chiese la rossa, in preda alla confusione. «Perché-»
«Volevo rivederti,» la interruppe lui, «un’ultima volta. Mi dispiace, Ichigo. Non posso più proteggerti. Ho fallito,» continuò luttuosamente, mentre il freddo vento congelava una lacrima sul suo viso.
Ichigo sbarrò gli occhi.
«Addio,» le disse il Cavaliere Blu, tendendole la mano.
«Aoyama-kun!» chiamò lei di nuovo, incredula. Si sporse dal davanzale, cercando di raggiungere la mano del giovane.
La sfiorò: era ghiacciata.
Lui la prese nella sua e la strinse forte, così tanto da farle male.
Iniziò a tirarla con violenza, come se volesse trascinare Ichigo con sé, fuori dalla finestra.
«E’ colpa tua! E’ tutta colpa tua, piccola strega!» strillò lui con voce roca e spaventosa.
«Ma cosa…» Ichigo alzò gli occhi, terrorizzata, su colui che credeva fosse il Cavaliere Blu.
Una giovane donna ricambiò il suo sguardo stravolto con uno crudele, assatanato. I suoi occhi erano vitrei e rossi, e aveva una massa disordinata di capelli neri sporchi di sangue, lo stesso che le sgorgava dalla bocca mentre urlava: «E’ colpa tua se sono morta!»
Ichigo iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola, tirando indietro la mano, lottando contro quella orrenda apparizione.
«Per questo ora tu verrai con me!» continuò quella, e tirò più forte la mano di Ichigo, che credette di impazzire per il terrore. Con uno sforzo quasi sovrumano, la ragazza riuscì a liberarsi; ricadde a terra con tutto il suo peso, ma si rialzò subito e si precipitò fuori dalla stanza sbattendo la porta con un tonfo.

Hunting you, I can smell you alive,
your heart’s pounding in my head

Ichigo rimase lì, con la schiena premuta contro la porta, cercando di ritrovare il suo respiro; il cuore le pulsava così forte nel petto che sembrava stesse per scoppiarle.
Udì un forte graffiare dall’altra parte, e una voce cavernosa gemere il suo nome.
Senza pensarci neanche un secondo, Ichigo volò giù per le scale e si ritrovò al piano di sotto, dove un terrificante raschiare faceva tremare i vetri di ogni singola finestra di casa sua.
Indietreggiò fino al muro, troppo terrorizzata per fare altro.
«T-tutto…t-tut-tto q-questo…tutto questo é…
» balbettò, rannicchiandosi in un angolo della stanza, «semplicemente…assurdo,» gemette, coprendosi le orecchie con le mani.
All’improvviso, sentì un suono alla sua destra: un respiro, una risatina crudele...
Si sollevò di scatto, e si voltò appena in tempo per vedere un’altra ombra.
«Chi sei?» gridò, disperata, all’aria. Sentiva di stare per morire dalla paura, ma fece ugualmente un passo avanti. «Non sei un fantasma,» disse, più per farsi coraggio che per convinzione.
«Complimenti, bambolina, hai vinto un orsacchiotto,» mormorò una voce alle sue spalle. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, Ichigo sentì qualcuno afferrarla da dietro, immobilizzandola.
Non riusciva quasi a respirare, tanto forte la stringeva.
«K-Kisshu, lasciami!» gridò.
L’alieno scoppiò in una risata crudele.  «Ti sbagli, piccola. Io non sono Kisshu.»
Prima che ichigo potesse replicare, un metallo freddo iniziò a scorrerle lungo la gola; quella sensazione la fece rabbrividire.
«Di’ buonanotte, Ichigo!» ghignò l’alieno. Portò in avanti il pugnale e lo spinse verso il suo collo con uno scatto violento.
«NO! KISSHU! NON FARLO, NO!» Ichigo gridò, gridò con quanta forza aveva nei polmoni, e spalancando gli occhi di scatto si accorse che quelle urla non erano affatto parte del sogno.
Stava gridando per davvero.
Chiuse la bocca.
Si sedette sul letto, tenendosi la gola; respirava a malapena, ma almeno adesso aveva la certezza di essere sveglia.
«Un sogno, era solo un sogno… un sogno…»
Ichigo continuò a ripeterselo febbrilmente, mentre si alzava per richiudere la finestra che il vento aveva fatto spalancare. «Solo un sogno,» ripeté, tornando a sedersi sul letto, guardando l’orologio fluorescente sulla scrivania, che segnava le quattro di mattina.
Si strofinò gli occhi, spazzando via le ultime briciole di sonno. Erano passate meno di tre ore da quando era tornata a casa e si era gettata sul letto, addormentandosi di colpo. Indossava ancora gli abiti del giorno prima. Per distrarsi, la ragazza si alzò con l’intenzione di infilarsi il pigiama, ma una lacrima solcò il suo viso stanco.
«No, non era un sogno,» soffiò, ricadendo sul letto disperata.

Watching me, wanting me
I can feel you pull me down
Fearing you, loving you
I won't let you hold me down.
 



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Capitolo 14
*** Il ritorno delle Mew Mew ***


14/05/2014. Ci ho ragionato su e alla fine ho riscritto da zero una buona metà di questo capitolo. Nella versione iniziale girava tutto attorno ad una specie di complicato messaggio di sangue che faceva tanto film horror trash! Sono stata felice di toglierlo e di sostituire alla stazione della metropolitana il giardino botanico.
Buona lettura! Spero di riuscire a restaurare i prossimi capitoli più rapidamente.



- Capitolo 13: Il ritorno delle Mew Mew -



Il giorno dopo, erano circa le sette del mattino quando il signor Momomiya scese in cucina per fare colazione. Vi trovò sua figlia Ichigo, stranamente già in piedi e pronta per andare a scuola.
«Buongiorno, papà,» lo salutò la ragazza con voce stanca, sistemando sul tavolo una tazza del caffè che gli aveva appena preparato.
Sotto lo sguardo attonito del genitore, Ichigo raccolse dal ripiano della cucina un toast alla marmellata e iniziò a mordicchiarlo senza appetito.
«Vado a scuola, papà,» mormorò dopo un poco, avviandosi verso la porta. «Ci vediamo stasera.»
«Tesoro!» la fermò lui, la tazza di caffè bollente ancora fra le dita.
«Sì?»
L’uomo tossicchiò. «Io…lo sai che ti voglio bene, vero?»
Ichigo inclinò la testa di lato, stupita da quella domanda.
«Stanotte sei tornata molto tardi,» azzardò il signor Momomiya, «e ti ho sentito gridare nel sonno.»
La ragazza tremò leggermente e non rispose.
«Ichigo, ora che tua madre è in ospedale io… io sto cercando di badare a te. Non voglio intromettermi nei tuoi affari, però… se questo Kisshu ti fa soffrire, lascia che parli io con lui!»
Il toast cadde dalla bocca di Ichigo. «Che cosa?! Voglio dire… papà, cosa significa?!» Arrossì d'istinto. «Chi ti ha parlato di Kisshu?!»
«E’ il tuo nuovo ragazzo, vero? Non devi nascondermelo.»
«Papà, no! No!»
«E allora chi è?» domandò il signor Momomiya con fare indagatore.
Ichigo sbatté le palpebre, confusa. «Lui era… un amico,» disse senza pensarci. «Ma si è… trasferito molti mesi fa, e non credo che tornerà più qui.»
«Ti ha fatto del male? Ti ho sentito chiamarlo nel sonno. Sembravi spaventata. Volevo entrare e svegliarti, ma-»
Ichigo non si sentiva in grado di continuare quella conversazione, non nello stato emozionale in cui si trovava in quel momento. «Papà, io… ecco, io devo andare a scuola!» disse sbrigativa, interrompendolo.
«Tesoro, aspetta!»
«A stasera!» lo salutò lei. Raccolse la sua cartella, si infilò le scarpe e si affrettò ad uscire di casa.
Una volta fuori chinò la testa. La frangetta le ricadde ai lati, nascondendo gli occhi lucidi.  «Scusami papà,» sussurrò, iniziando a correre a testa bassa verso la scuola.
Si sentiva malissimo a comportarsi così, a mentire e a tenersi tutto dentro, ma non poteva dire la verità a suo padre. Non poteva certo raccontargli quello che era successo ieri sera, quando…


(Flashback)

La bambina soffiò sulla torta, spegnendo in un colpo tutte le candeline; non era stata un’impresa difficile, dato che erano solo tre.
Compiuto questo gesto, fu sommersa da una marea di applausi.
«Augui Hikaii!» gridarono altri bambini. «Buon compeanno!»
La bambina sorrise felice, poi si schiarì la voce e pronunciò un solenne: «Gazzie a tutti!»
«Tanti tanti tantissimi auguri, sorellina!» esclamò una ragazzina, una bionda tutto pepe, abbracciandola e sollevandola da terra per farla roteare in aria.
«Gazzie Purin onee-sama!» rispose la festeggiata scoppiando a ridere «Come sei buffa vettita così!»
«Io sono una cameriera, Hikari!» si giustificò Purin, rimettendola a terra.
«Auguri anche da parte nostra, Hikari-chan,» sorrise Minto mentre tagliava la torta in fettine perfettamente identiche.
«Voio io la totta!» gridò un bambinetto allungando la mano.
«No, pima io!» dichiarò un altro.
«No io!» e i bambini cominciarono ad affollarsi attorno a Minto.
«Ehm… calmi, piccoli…» disse la ragazza con una risatina nervosa. «Ichigo! Ichigo, per favore… tieni indietro questi… esseri.»
«Su, bimbi, calma! Ce n’è per tutti,» tentò imbarazzata la rossina, mettendosi davanti a Minto per proteggerla; non ebbe molto successo.
«Ed ora i regali!» gridò Purin.
«SIIII!» rispose il coro dei bambini. Corsero tutti da lei, lasciando un po' di respiro a Minto.
«NO!» strillò invece Ichigo preoccupatissima, agitando le braccia. «Fermi! Non correte per il locale! Vi farete male!»

«Ichigo,» la chiamò Zakuro.
Lei si girò nella sua direzione.«Zakuro, aiutami, dobbiamo trovare un modo per calmarli!» le disse quasi piangendo.
«Non è il momento per questo,
» la liquidò la ragazza lupo.  «Ora che quei bambini sono impegnati con i regali, devo dirvi una cosa.»
«Cosa succede, Zakuro?» Minto si era accostata alla modella.
«Ho bisogno di parlare con tutti voi. Riuscite a radunarvi nella saletta lì in fondo?» domandò lei, e Minto annuì. A quel punto, Zakuro si guardò in giro. «Dov’è Retasu?» chiese.
«E’ di là che continua a rovesciare piatti, lezione di vita che i bambini hanno appreso con una velocità sorprendente,» replicò Minto con un sospiro.
«Vado a recuperarla. Voi aspettatemi di là.»
Zakuro si avviò verso la cucina del Café, e, non appena varcò la soglia, udì una serie di sonori crash che confermarono le parole di Minto.
Retasu aveva appena fatto rovesciare un altro vassoio. La cameriera dai capelli verdi era allo stesso tempo dispiaciuta e imbarazzatissima per l'incidente. Keiichiro aveva cercato di aiutarla, allontanando i bambini che si stavano avvicinando pericolosamente ai cocci a terra, ma i suoi modi cortesi e i suoi affascinanti sorrisi, a quanto pareva, avevano effetto solo sulle ragazze dai tredici anni in su.
Nel frattempo, Purin continuava giocare con i suoi fratellini e con gli altri bambini invitati al compleanno, che stavano dando il meglio di sé. Ichigo continuava a supplicarla di calmarsi e Retasu continuava a far cadere a terra piatti.
Nel complesso, constatò Zakuro, tutto ciò provocava un caos considerevole.
La ragazza si diresse rapida verso il bancone sul quale, appoggiato sui gomiti, vi era un giovane dai capelli biondi ed angelici occhi azzurri, con cui osservava indifferente la scena.
«Ryo, quanto durerà ancora?» gli chiese Zakuro.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata distratta. «Le pareti dovrebbero reggere, sono antisismiche,» rispose pacato. «Ma per quel che riguarda il soffitto, non so fino a che punto le travi-»
«Intendo questa festa,» precisò Zakuro. «Ho delle cose importanti da dire a te, Keiichiro, Ichigo e alle altre.»
Ryo si passò una mano fra i capelli, osservando impassibile Ichigo inseguire Purin, impegnata a fare capriole su una gigantesca palla. «Ichigo, hai detto? Beh, vediamo…» chiuse gli occhi e aprì una mano; chiuse un dito alla volta, contando i secondi in silenzio e, al cinque, sentì una presenza ringhiare di fronte a lui. Se non avesse già saputo di chi si trattava avrebbe pensato ad una tigre in libertà.
«RRRRRRRRRYOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!» tuonò Ichigo.
Lui si portò le mani all’orecchio ora dolorante, massaggiandoselo.
Lei lo ignorò. «Ascoltami! Io voglio bene a Purin e non mi è dispiaciuto riaprire il Café Mew Mew per festeggiare il compleanno della sua sorellina, ma perché devo sempre fare tutto io?! Perché, perché?! Retasu continua a fare casino, Purin è peggio di quei bambini, e io da sola NON posso –»
«Ti vedo un po’ nervosa stasera. Problemi con il tuo ragazzo?» le chiese il biondo con un sorriso impercettibile, e Ichigo avvampò.
«Aoyama-kun non c’entra niente!» strillò in risposta.
Retasu e Purin raggiunsero il gruppo.
«Ichigo, scusaci, non volevamo...!» cominciò Retasu.
«Ragazzi, vi prego!» esalò a quel punto Zakuro, esasperata. «Devo parlarvi. E’ importante!»
DRIN!  DRIN!
«Il campanello! Aspettiamo qualcuno?» chiese Retasu.
«No, nessuno,» rispose rapido Ryo. «E comunque, Ichigo, riguardo i tuoi problemi con Aoyama, forse se tu fossi meno infantile, forse non-»
«La smetti di dire che ho problemi con Aoyama-kun?!»  lo interruppe la rossina. «Aspetta, hai detto che sono infantile?»
DRIIIIIIIIIN!
«Vado io,» troncò Zakuro. «Voi sedate quei bambini. Quando torno, voglio trovarvi tutti di là,» dichiarò.


(Fine flashback)


Mentre era ferma all’incrocio, aspettando che il semaforo per i pedoni diventasse verde, Ichigo si specchiò pensierosa nella vetrina di un negozio di elettrodomestici.
“Io chiamo il nome di Kisshu nel sonno?” si chiese, incerta.
Suo padre credeva che fosse il suo ragazzo, ma lei scosse la testa con decisione, stringendo gli occhi. No, non era possibile. Lei non aveva mai provato niente per Kisshu, né prima, né tantomeno adesso. L’unico ragazzo che avrebbe voluto avere accanto a sé in quel momento era il suo Aoyama.
Gli mancava, gli mancava come l’aria. Non lo vedeva da tre mesi: era andato in America per un progetto di studio, ma ciò che consolava Ichigo era il fatto che, in capo a pochi giorni, sarebbe tornato in Giappone.
«Aoyama-kun, quanto vorrei che tu fossi qui con me ora,» sussurrò tristemente la ragazza, ripensando agli eventi della sera precedente e agli incubi che l’avevano tormentata per tutta la notte.
Dopo alcuni secondi il semaforo scattò, ma Ichigo non si mosse subito: la sua attenzione era stata catturata dalle immagini che le televisioni esposte nella vetrina del negozio stavano trasmettendo. La ragazza si ritrovò sovrastata da decine di facce di un’aliena che storceva la bocca in un ghigno; poteva leggere chiaramente sulle sue labbra le parole ‘Mew Mew’. Il viso dell’aliena era di una bellezza sconcertante, ma i suoi occhi chiari erano accesi e sadici. Aveva dei capelli corvini lunghi e mossi e, ai lati della sua testa, spuntavano due orecchie a punta.
Ichigo sussultò, ma ben presto l’immagine dell’aliena venne sostituita da una foto di repertorio delle Mew Mew e dall’inquadratura a mezzobusto di un giornalista che spiegava la notizia del giorno al pubblico a casa.
La ragazza non aveva bisogno dell’audio per sapere cosa stava dicendo quell’uomo: aveva vissuto gli eventi in prima persona solo poche ore fa.
Forse, era stato proprio quello il motivo per cui aveva cominciato a pensare a Kisshu: in passato, lui era stato il suo acerrimo nemico, si era comportato da bastardo e non aveva fatto altro che farsi odiare da lei... ma, nonostante ciò, le aveva voluto bene, al punto da sacrificarsi per lei.
Come in trance, Ichigo continuò a guardare il telegiornale; senza volerlo, lesse i sottotitoli scorrere in fondo allo schermo:

Orrore al giardino botanico di Jindai: il cadavere di una giovane donna è stato ritrovat–

Ichigo si riscosse rapidamente e voltò le spalle alle televisioni. “Kisshu era buono, in fondo. Lui non avrebbe mai fatto questo,” si disse amareggiata. “Lui non era come loro.”
Attraversò la strada. Dietro di lei, lo speaker terminò quel servizio e passò al successivo. I sottotitoli dicevano:

America, aereo scomparso: è precipitato nell’Oceano Pacifico.



(Flashback)


Alla fine Ichigo, Purin, Retasu, Minto, Ryo e Keiichiro riuscirono a radunarsi nella saletta privata in fondo al Café.
Mentre attendevano il ritorno di Zakuro, una figura si sporse nella stanzetta. «Ah, eccovi! Ma che cosa ci fate tutti qui?» domandò sospettosa una ragazza bionda. Aveva all’incirca diciotto anni ed era davvero molto carina; il suo fisico era alto e slanciato, simile a quello di una modella.
«Oh, Keira… niente, niente!» si affrettò a mentire Purin con un sorriso.
«Allora niente in contrario se resto con voi, vero, cuginetta?» ribatté lei con l’aria di chi ha mangiato la foglia. Prima che Purin potesse risponderle si accomodò su una sedia accanto a Ryo, che la guardò malissimo.
In quel momento Zakuro li raggiunse: stringeva fra le mani un pacchetto giallo e parve contrariata nel constatare la presenza indesiderata di Keira.
«Zakuro-oneesama, chi era alla porta?» le chiese Minto.
«Un pacco urgente per Ryo,» rispose lei, poggiandolo su un mobile all’angolo. «Ma a parte questo…»
«No, Ryo, ora mi spieghi perché sono una ragazzina immatura!» si lagnò Ichigo.
«Allora, Zakuro, cosa volevi dirci?» domandò calmo Ryo, ignorando la rossa, che per tutta risposta lo afferrò per il bavero:
«Non cambiare discorso!»
«Smettetela immediatamente!» sbottò a quel punto Zakuro, sbattendo la mano aperta sul tavolo.
Questo sembrò catturare l’attenzione dei presenti.
Tutti puntarono il loro sguardo su Zakuro, che aprì la bocca per parlare.
Ma fuori dalla stanza uno dei bimbi scoppiò improvvisamente a piangere, e la ragazza lupo fu sul punto di imitarlo.
«Oh, no, Shinji!» esclamò Purin preoccupata; fece per correre verso il suo fratellino, ma Ryo le mise una mano sulla spalla, fermandola.
«Keira, potresti dare tu un momento un’occhiata ai bambini?» chiese. «Noi dobbiamo discutere di alcuni problemi burocratici.»
La ragazza gli lanciò un’occhiata indispettita: era chiaro come il sole che non credeva alle parole del giovane, eppure sembrava non riuscire a dirgli di no. Rimase però immobile, seduta sulla sua sedia.
«Per favore, Keira,» aggiunse Purin a quel punto, «ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti preeeg-»
«Oh, basta!» sbottò quella. «D’accordo, ci penso io!»
Purin le sorrise radiosa. «Grazie, cuginetta!»
Keira la ignorò ed uscì dalla stanza, ponendo particolare attenzione nel chiudere la porta nel modo più rumoroso possibile.
«Dicci, Zakuro,» esordì Ichigo non appena furono soli, «che cosa succede?»
«Un disastro,» replicò quella senza troppe cerimonie. Estrasse dalla tasca del grembiule dei lunghi ritagli di giornale e li sistemò sul tavolo rotondo intorno a cui si erano radunati i suoi compagni.
Loro posarono gli occhi su quei fogli, che portavano la data odierna.
«Oh,» sussurrò Minto, rabbuiandosi.
Ichigo lesse il titolo in prima pagina ed inorridì, così come Retasu.
«Drammatica serie di omicidi nei quartieri di Tokyo. Ieri notte tre nuove vittime,» lesse Minto distaccata. «Lo sapevo già, l’ho sentito al telegiornale. Sono giorni che non fanno altro che parlare di queste morti misteriose. E’ una storia terribile,» commentò.
«Io… io non lo sapevo!» esclamò Ichigo sconvolta, scorrendo febbrilmente il primo articolo.
«Credo che tu sia l’unica in tutto il Giappone a non saperlo,» osservò Ryo, la fronte aggrottata.
«Era questo quello che volevi farci vedere, Zakuro?» chiese invece Keiichiro.
«Si,» annuì lei incrociando le braccia al petto.
«Che cosa dobbiamo fare?» chiese Purin ansiosa.
«Niente,» fu la risposta secca di Ryo.
Ichigo interruppe la sua lettura e lo guardò sbalordita. «Ma…» cominciò.
«Questi non sono problemi di nostra competenza,» la freddò lui.
«E’ vero, noi non ci occupiamo dei criminali, ma… e se questa fosse opera degli alieni?» propose timidamente Retasu. «Ryo, tu ci avevi detto che c’era la possibilità che un giorno sarebbero tornati.»
«E’ impossibile,» intervenne Keiichiro. «In questi mesi di pace ho tenuto sotto controllo la situazione in modo costante, e finora non ho rilevato nessuna presenza nemica.»
«Ascolta, Ryo, noi…» cominciò Ichigo veemente, ma per la seconda volta Ryo la interruppe.
«Voi,» disse con voce severa, leggendo nel pensiero della rossa, «dovete capire che il vostro compito è quello di proteggere la Terra dalla minaccia aliena. Il destino dell’intera umanità è nelle vostre mani, e per questo motivo, farvi rischiare la vita inutilmente mi sembra…»
«Inutilmente?! Delle persone vengono uccise e noi dobbiamo restare qui ferme a guardare?» lo interruppe a sua volta Ichigo.
«Le persone muoiono ogni giorno. Io voglio solo che voi non corriate rischi inutili. E poi te l’ho già detto, non sono affari che ci riguardano.»
«Io credo che lo siano,» osservò piatta Zakuro.
Ryo distolse l’attenzione da Ichigo e la puntò su di lei. «Spiegati,» le ordinò.
Zakuro cercò fra i vari articoli e, quando trovò quello che le interessava, lo mise in cima agli altri. «Leggete il modo in cui queste persone sono morte.»
Ichigo, Minto e Purin si piegarono sul foglio.
«Oh, non leggete ad alta voce,» le supplicò Retasu, lanciando occhiate preoccupate alla sottile porta che le divideva dai bambini.
«Ecco, leggete qui,» Zakuro indicò un punto a circa metà articolo.
«Hm…» mormorò pensierosa Minto, portandosi un dito sulle labbra.
Quell'articolo era molto dettagliato: descriveva in maniera accurata il numero di vittime, la data e il luogo del loro ritrovamento. Si concludeva dicendo che, dato che le modalità con cui avvenivano gli omicidi variava di volta in volta, era probabile che si trattasse non di una, ma di più killer o bande criminali in azione.
Minto confrontò rapidamente quanto letto con gli altri articoli e alla fine si accorse che a ben vedere c’era qualcosa di molto strano in molte di quelle morti: ad esempio, due delle vittime erano state ritrovate in una pineta con le ossa fracassate come se fossero precipitate da un palazzo, ma non c’era nulla di abbastanza alto da cui potessero essere cadute. Quasi tutte le altre erano degli escursionisti, ritrovati morti a causa di grosse ferite da armi bianche; poi c'erano dei jogger in un parco e dei pescatori sulle rive di un lago, i cuoi corpi erano stati squarciati praticamente a metà, come se fossero stati colpiti da una grossa cannonata in pieno petto.
Era tutto molto sospetto, e Minto pensò che Retasu non aveva tutti i torti ad aver tirato in ballo gli alieni. Inoltre, c’era anche un altro dettaglio…
«Zakuro, dicci cosa hai scoperto!» esclamò Ichigo.
Minto sospirò. «Credo che Retasu abbia ragione,» ammise. «Ora che ci penso, credo anche io che sia opera degli alieni.»
«Perché lo credi?» le domandò Ryo.
«Pur volendo ignorare la stranezza di questi omicidi, è impossibile non notare che tutte queste persone sono morte in luoghi, potremmo dire, naturali
«Quindi non era solo una mia impressione,» sospirò il biondo.
«Che cosa vuoi dire?» chiese Purin.
«La razza aliena con cui abbiamo avuto a che fare in passato era il tipo di gente che avrebbe fatto del male a delle persone innocenti anche solo perché inquinavano la natura con la loro presenza,» osservò Zakuro.
«Oh,» sussurrò Ichigo, iniziando finalmente a collegare i vari pezzi del puzzle.
«Ma non possiamo dirlo per certo,» puntualizzò Ryo.
«Taruto e gli altri non farebbero mai qualcosa del genere,» dichiarò Purin. «Se sono alieni, forse si tratta di altri alieni?»
Keiichiro appoggiò i gomiti sul tavolo, meditando. «Non so come sia possibile che degli alieni siano riusciti a passare sotto i miei radar, ma indagherò.»
Aveva appena finito di dire questa frase che la porta della sala si aprì. Keira si appoggiò allo stipite, le braccia incrociate.
«Cosa c’è?» le chiese Ryo.
«Avevo messo i bambini a guardare uno spettacolo in TV, ma credo che si sia rotta,» rispose lei. «Ha iniziato a trasmettere una specie di film di fantascienza con un’aliena che strilla di essere la Sovrana del Pianeta Azzurro. Qualcuno potrebbe venire a sistemarla? Ai bambini non piace, e non posso dargli torto.»

«Che cosa?!» Ryo si staccò dal mobile a cui aveva appoggiato la schiena e uscì a grandi passi dalla stanzetta, tornando nell’atrio del locale.
I bambini erano seduti tranquillamente a terra di fronte alla televisione a cristalli liquidi appesa in un angolo del muro. Nello schermo c’era un ondeggiante primo piano di un'aliena che altri che non era che Kassandra. Nonostante la scarsa qualità del video, che era girato in un luogo poco illuminato, il suo volto era perfettamente distinguibile: la pelle candida, il taglio serpentino degli occhi e le orecchie a punta non lasciavano molti dubbi sulla sua natura non umana.
«Sono… Sono davvero gli alieni!» esclamò scioccata Ichigo.
«Silenzio!» Ryo prese il telecomando e alzò il volume della televisione.
«…avete capito, stolti? Vi risparmio solo per pietà. Ma mi sono stancata delle vostre facce da ebeti e del modo arrogante con cui osate rivolgermi la parola! Da oggi, chiunque non si inchinerà al passaggio di me, la Sovrana del Pianeta, verrà condannato a morte!» stava dicendo  Kassandra.
«Ma è seria? Voglio dire, ci crede davvero?» domandò Minto.
«Ho paura di sì,» ammise Keiichiro.
Zakuro aggrottò la fronte. «La sua voce è irritante.»
«Però è davvero bella,» osservò Retasu.
Era vero. Kassandra era la creatura più bella che lei e le sue compagne avessero mai visto. Quando l’aliena si allontanò di qualche passo dalla telecamera, Ichigo e i suoi compagni poterono scorgere il resto del suo corpo perfettamente proporzionato, avvolto in un corto vestito scuro, asimmetrico e senza spalle, decorato con una complessa fantasia a quadri che brillavano ogni volta che la luce vi si posava sopra.
«Un’ultima cosa,» riprese Kassandra, «sto cercando un gruppo di ribelli terrestri chiamato Mew Mew. So che le state nascondendo qui da qualche parte. Se continuerete a mentirmi, vi farò torturare tutti e farò torturare anche i vostri cari e le persone care ai vostri cari finché non parlerete!»
Ryo ne aveva avuto abbastanza: spense la televisione e lanciò un’occhiata al gruppo di ragazze davanti a lui, mentre i fratellini di Purin ricominciavano a fare casino.
Non avevano bisogno di parlare: era chiaro a tutti che era stata quell’aliena a commettere gli omicidi. A quanto pareva non si trattava di semplice pulizia: stava cercando disperatamente le Mew Mew, ed era convinta che i terrestri le stessero mentendo. Ciò, unito al suo discorso delirante sulle condanne a morte e sul fatto di essere la Sovrana del Pianeta, rese chiaro il fatto che quella donna era completamente pazza.
«Ragazze, avete sentito cosa ha detto?» disse Ichigo in un sussurro appena percettibile. «Tutte… tutte quelle… persone…»
Ryo posò una mano sulla sua spalla, impedendole di terminare la frase. Avvicinò la bocca al suo orecchio e Ichigo sbarrò gli occhi. «Non possiamo fare piu’ nulla per loro,» le disse a bassa voce. «Ma possiamo evitare che faccia del male ad altri.»
Ichigo si girò verso le sue compagne: erano scosse quanto lei, ma allo stesso tempo nei loro occhi brillava una luce determinata che la convinse a smettere di autoincolparsi.
«Sorellona! Sorellona!»
Uno dei fratellini di Purin si intromise nella discussione e iniziò a tirare la gonna arancione della sorella. «E’ vero che quello era un alieno? Keira dice di no!»
«Oh,» replicò Purin, ammorbidendo la sua espressione. Carezzò la testa del bambino e sorrise. «Ma certo che è un vero alieno… solo che ora è salito sulla sua astronave ed è tornato a casa! Così: fuuuuh~!!» esclamò lei, e iniziò a correre per il locale con le braccia spalancate ad ala, facendo ridere tutti i bambini.
«Hah! Se quella è un vero alieno io sono una sacerdotessa scintoista,» commentò Keira, attirando l’attenzione del resto del gruppo, che si era totalmente dimenticato della sua presenza. Sollevò le spalle. «Andiamo! Secondo me è una pubblicità virale di un qualche telefilm ispirato a quelle ragazze mascherate che si vedevano in giro qualche tempo fa.»
«Lo credo anche io,» annuì Ryo con accondiscendenza.
«BAMBINI, LA FESTA È FINITA!» dichiarò Purin, sovrastando la voce del biondo. «E’ ora di tornare a casa!»
«NOOOO!!!» fu il coro generale.
«Puoi riportarli a casa da sola, Keira?» chiese la cinesina alla ragazza. «Io e le mie amiche abbiamo… dei fogli di lavoro da compilare. Tanti fogli. Tanto lavoro.»
Lei le lanciò un’occhiataccia.
«Ti prego! Potrai restare a casa mia per tutto il tempo che vorrai!» le promise Purin in ginocchio, e sembrò che quella condizione piacesse parecchio a Keira, perché scattò in piedi ed esclamò:
«Per quando tornerai saranno già tutti a letto!»
«Grazie, ti voglio bene!!» gioì Purin, abbracciandola.

(Fine flashback)


Ichigo attraversò la porta della sua classe con largo anticipo. Gettò sul banco la sua borsa e si lasciò ricadere senza forze sulla sedia sospirando.
«Hello, sunny strawberry,» le sorrise una sua compagna, accomodandosi al banco accanto al suo.
«Ciao Marie,» soffiò Ichigo senza alzare la testa. Non aveva voglia di vedere nessuno quel giorno, tantomeno la sua nuova compagna di classe, con la quale fra l’altro era un’impresa parlare.
Marie Wise, infatti, non era giapponese. Lo si intuiva facilmente dai suoi lineamenti occidentali, dalla pelle pallida e dai capelli e occhi chiari che aveva. Nello specifico, Marie era inglese, o meglio londinese, e si era trasferita lì a Tokyo soltanto pochi giorni fa.
Era stata assegnata alla classe di Ichigo; il professore le aveva dato il banco alla destra della rossina, dividendola così da Moe e Miwa, le sue amiche di sempre.
A Ichigo non importava di quel cambiamento: Marie era dolce e molto amichevole. Ciò che rendeva le giornate scolastiche di Ichigo difficili era solo il fatto che, nonostante la straniera avesse superato con successo i test di ammissione alla scuola, si esprimeva in giapponese con estrema difficoltà.
La pronuncia giapponese di Marie era terribile e la sua grammatica un po’ incerta. Infilava in tutte le sue frasi una sfilza di termini inglesi sconosciuti a Ichigo, e lei faticava non poco per capire cosa la ragazza le stesse dicendo ogni volta.
«Poi mi spieghi cosa vuol dire sunny strawberry,» sospirò la rossina, scostante.
Marie si abbassò leggermente per guardarla, e i suoi capelli dorati scivolarono giù dalle spalle. «What’s wrong, Ichigo? Che cos’hai?» le chiese preoccupata. «You look tired. Hai fatto un incubo stanotte?» provò.
Ichigo riemerse dal suo mondo. Non sapeva come facesse, ma quella ragazza aveva la capacità di indovinare sempre la risposta giusta. «Credo di sì,» rispose laconica.
Prima che Marie potesse replicare, la campana suonò ed il professore fece il suo ingresso nella classe, troncando la discussione fra le due ragazze.


(Flashback)


Le lancette dell’orologio avevano da poco superato il numero undici quando Ichigo spalancò la porta della sala sotterranea del Café. La ragazza entrò a gran passi ed esclamò: «Keiichiro! Allora?»
L’uomo alzò la testa dal computer. «Forse ho trovato,» disse in riposta.
«Parla!» ordinò Ichigo. Dietro di lei c’erano le sue compagne, mentre Ryo era fermo sulla porta.
Keiichiro si mise in piedi ed attivò il proiettore. «Gli alieni non hanno fornito la loro posizione e i miei radar continuano a non individuarli, ma… ho recuperato da internet il video, ed analizzando l'ultima parte, ho notato questo dettaglio!» Schiacciò un pulsante e l’immagine sgranata di un grosso fiore rosso apparve sulla parete di fronte alle ragazze. Si trattava di un ingrandimento di un angolo del filmato, ma le mew mew non riuscivano a capire come questa cosa avrebbe potuto esser loro utile.
«La pianta che vedete è una Hydnora Africana,
» spiegò Keiichiro. «E’ molto rara, ed uno dei pochi esemplari presenti in Giappone si trova nel Giardino Botanico di Jindai.»
Ryo incrociò le braccia. «Stai dicendo che è lì che si nascondono? Ne sei sicuro?»
«Non so se la loro base si trovi lì, ma sono certo che il video è stato girato in quel luogo. E’ probabile che siano ancora nelle vicinanze.»
Mentre parlava, Keiichiro aveva iniziato a smanettare con il suo computer nel tentativo di fare uno screening della zona del Giardino Botanico. Quando la procedura che aveva avviato si concluse, Mash, che era appoggiato sullo schermo del computer, sembrò andare in tilt, e la stessa macchina cominciò a lanciare un segnale a intermittenza.
«Ma cosa… i sensori rivelano presenze aliene!» esclamò Ryo, superando di corsa le ragazze per raggiungere Keiichiro. «Come mai non le avevano captate prima?!»
«E’ probabile che si siano schermati,» ipotizzò lui, sorpreso quanto il compagno. «Ma ora che ho aumentato la potenza dei radar e ristretto il campo di ricerca, è riuscito ad individuarli. Sono davvero a Jindai!»
«Allora dobbiamo muoverci, ragazze!» esclamò Ichigo, e le altre annuirono.
«Mew Mew Strawberry…»
«Mew Mew Pudding…»
«Mew Mew Lettuce…»
«Mew Mew Mint…»
«Mew Mew Zakuro…»
«...METAMORPHOSIS!» conclusero insieme, trasformandosi.
«Fate attenzione! Noi vi seguiremo da qui!» disse Keiichiro. «Mash, vai con loro!» ordinò poi al piccolo androide, che volò veloce sulla spalla di Mew Ichigo.
Ryo tese un braccio verso di loro. «SQUADRA MEW MEW,» gridò per la prima volta dopo molto tempo, «IN AZIONE!»

(Fine flashback)


Ichigo sussultò, aprendo di scatto gli occhi: si era addormentata in classe.
Di nuovo.
«Ichigo? Sicura di stare bene?» le sussurrò Marie.
«Sì,» mugolò lei, senza nemmeno sforzarsi di essere convincente.
“No,” pensò un attimo dopo, cercando di ricacciare indietro le lacrime.


(Flashback)

Il piazzale di fronte ai cancelli d’ingresso del Giardino Botanico non era molto trafficato. L’ora di chiusura era già stata ampiamente superata, e la zona, seppur ben illuminata, era quasi deserta. Infatti, a parte alcuni passanti casuali, c’erano solo una coppietta abbracciata su una panchina e un paio di anziani che passeggiavano tranquilli.
Le Mew Mew si fermarono al centro dello spiazzale.
«I cancelli sono chiusi… siamo sicuri che siano davvero lì dentro?» chiese Mew Ichigo grattandosi la testa.
«Hanno viaggiato nello spazio per raggiungere la Terra, secondo te si fanno fermare da un cancello chiuso?» sospirò in risposta Mew Mint.
«Ehi, ma voi siete le Mew Mew!»
A parlare era stato il ragazzo sulla panchina, che ora le stava additando sconvolto.

La sua fidanzata iniziò a smanettare rapidamente con il suo cellulare e fece loro anche una foto.
«Oh, è vero, sono proprio loro,» gli fece eco uno degli anziani, dopo essersi pulito gli occhiali.
«Guardate, ci sono le Mew Mew!» esclamò un passante, attirando l’attenzione di un gruppo di uomini che era a poca distanza.
In un tempo estremamente breve, le cinque ragazze si ritrovarono letteralmente circondate da una folla di persone.
«E-Ehm, salve a tutti,» li salutò Mew Ichigo.  
«Che cosa volete da noi? Volete consegnarci?» domandò brusca Mew Zakuro.
«Certo che no!» le rispose una donna dal fondo al gruppo. «Noi ricordiamo cosa avete fatto!»
Mew Ichigo tirò un sospiro di sollievo. «Beh allora… vi ringraziamo per il supporto, ma non c’è bisogno di ringraziarci per aver salvato la Terra. E ci dispiace,» disse, «…ma ora non abbiamo tempo per gli autograf-»
«Salvato?!» sbraitò a quel punto un uomo, «voi siete quelle che due mesi fa hanno distrutto Tokyo!»
«GIA’! E' VERO!» concordò un secondo.
«Dovete ripagarci i danni!»
«LA MIA CASA E' STATA INVASA DA PIANTE CARNIVORE! ED E’ STATA TUTTA COLPA LORO!» strillò furiosa una donna.
«Ops…» sussurrò imbarazzata Mew Ichigo, indietreggiando verso le sue compagne, «se lo ricordano ancora.»
Il cerchio di gente inferocita si strinse minacciosamente intorno a loro. «Ragazze, al tre?» propose Mew Lettuce.
«Ok!» annuì Mew Pudding. «Uno!» gridò e saltò via, seguita dalle altre.
«E-Ehi!» esclamò Mew Ichigo, l’unica rimasta immobile.
«PRENDIAMOLA!» ruggì intanto la folla.
«Nyaaaaaa!!!!!»
Mew Ichigo saltellò via spaventata e raggiunse rapidamente le sue amiche, che si erano rifugiate oltre i cancelli del giardino botanico, al riparo dalla folla.

«La prossima volta avvertitemi!!» 

«Dobbiamo cercare gli alieni,» disse Mew Zakuro, ignorandola.
«Separiamoci, avremo più possibilità di trovarli!» propose Mew Mint, e così fecero: ognuna prese una strada diversa, e in un batter d’occhio la zona tornò deserta.



«Alieni! Alieni! Alieni!» ripeteva Mash, aggrappato alla spalla di Mew Lettuce.
La Mew Mew stava camminando all’interno di una grossa serra del giardino botanico. Le luci principali erano spente e le sagome delle piante che la circondavano, nella penombra, apparivano davvero inquietanti.
Mew Lettuce era molto tesa; posò una mano sulla testolina del piccolo androide per far calmare almeno lui.

«Shht,» gli disse. Mash si zittì.
La Mew Mew continuò ad avanzare fino a che non udì il suono di una voce femminile: qualcuno, a poca distanza da lei, stava canticchiando un motivetto.
La guerriera si nascose in fretta dietro il  cespuglio spinoso che aveva davanti a lei; le ci volle tutto il suo coraggio per sporgersi dal suo nascondiglio e sbirciare il fondo della serra. Quando lo fece, scoprì che a cantare era un’aliena dai lunghi capelli corvini che galleggiava a pochi centimetri da terra: si trattava senza dubbio della stessa del video.

Mew Lettuce prese Mash fra le mani: «Vai a chiamare le altre,» gli sussurrò prima di lasciarlo andare.
Kassandra smise di canticchiare, ma sembrava non essersi accorta di lei: le dava le spalle ed era impegnata a sistemarsi i capelli osservando il suo riflesso nel vetro della serra.
La guerriera deglutì e strinse a sé la sua arma.
«E’ maleducazione spiare gli altri,» esordì a quel punto l'aliena.
Mew Lettuce si irrigidì per la sorpresa.
«Ma d’altronde siete solo umani: che cosa potete mai sapere voi della civiltà?» proseguì lei, guardandola dal riflesso del vetro.
«Tu… Tu sei un'amica di Kisshu?» chiese la mew mew timidamente, uscendo dal suo ormai inutile nascondiglio.
«No, non ci siamo, non ci siamo per niente!» sbottò l'aliena atterrando. Portò le mani sui fianchi e aggrottò la fronte. «Non hai sentito il mio messaggio? Io non sono Kassandra, la Magnifica ed Eccelsa Kassandra, Sovrana del Pianeta Azzurro! Sono discesa fra voi esseri osceni per concedervi l’onore di essere miei schiavi, e per questo motivo devi prostrarti a terra e ringraziarmi per la mia immensa bontà. Se hai capito, immondo esserino, inchinati!» ordinò.
Mew Lettuce le scagliò contro il suo Ribbon Lettuce Rush.
Kassandra strillò sconvolta e scomparve un attimo prima che l’acqua la colpisse; l’attacco della Mew Mew colpì e frantumò metà della parete della serra.
In quel momento le luci della serra vennero accese; pochi istanti dopo, Mew Ichigo e Mew Mint raggiunsero Mew Lettuce.
«L’ha...l'ha evitato!» disse lei alle sue compagne come per scusarsi del fatto di non essere riuscita a colpire l’aliena.
 «Come osi?!» disse intanto Kassandra, appena riapparsa nello stesso punto in cui era svanita. «Tu, piccola, insignificante…»
«Lei è l’aliena della TV?» chiese Mew Mint, incerta. «E' molto piu' bassa di quanto avevo immaginato.»
«C-Come vi permettete?!» sillabò quella, precipitando in uno stato che andava ben oltre la semplice indignazione. «Morirete, tutte e tre!»
«Smettila!» disse Mew Ichigo a quel punto. «Noi siamo le Mew Mew e siamo venute qui per fermarti!
» spiegò, evitando di proposito la sua usuale presentazione: era troppo scossa per farla. «Non sappiamo chi sei, ma hai fatto del male a molte persone, e per questo motivo te la faremo pagare cara!»
A quella dichiarazione, Kassandra piegò la testa di lato. «E quindi i famigerati ribelli terrestri sarebbero tre marmocchie mal vestite?» chiese incredula dopo un po’.
«Parla per te,» replicò Mew Mint. «Non sai che le losanghe sono fuori moda da anni?»
«Basta così! Hiroyuki, vieni subito qui!»
«Chi?!»
La guardia del corpo di Kassandra apparve docile al suo fianco. Le guerriere non avevano mai visto un alieno così alto e muscoloso e rimasero interdette per qualche secondo.
L’alieno dalla pelle scura teneva il braccio chiuso sul collo di una giovane donna in uniforme, probabilmente la sorvegliante notturna del giardino botanico. La poverina era cosciente e teneva le dita conficcate nell’avambraccio del suo rapitore nel tentativo di liberarsi, ma lui sembrava non accorgersene.
«A-Aiuto!» sussurrò la donna alle Mew Mew.
«Chi sei?» gridò Mew Ichigo all'alieno, nel panico. «Lasciala andare!»
Nello stesso momento, due trafelate Mew Zakuro e Mew Pudding si unirono al gruppo.
«R-Ragazze! Dove eravate finite?»
«Altre due? Ma quante sono?» si domandò Kassandra ad alta voce.
«Seguivamo quel tipo,» boccheggiò Mew Pudding indicando Hiroyuki, «abbiamo tentato di attaccarlo, ma ha preso un ostaggio ed è scomparso!»
«Tipo? Lui non è un tipo!» la corresse Kassandra. «Il suo nome è Hiroyuki ed è il mio servitore piu’ fedele. Quanto a me sono Kassandra, Principessa del Pianeta Nero, Sovrana del Pianet-»
«Devi fare così ogni volta?» la interruppe Ai con fare annoiato, materializzandosi a pochi passi da lei.
Kassandra gli lanciò uno sguardo omicida.
Mew Ichigo puntò le iridi rosate sul nuovo arrivato. «K-KISSHU?!» esclamò stravolta.
«Con le lenti a contatto colorate…?!
» aggiunse Mew Pudding.
«No,» rispose Kassandra con un gesto noncurante della mano, «lui è uno scarto del popolo finito qui per errore, non fateci caso.»
Ai incrociò le braccia dietro la schiena in un gesto davvero molto simile a quelli di Kisshu. «Beh, sempre meglio essere uno scarto del popolo che una…un…» si interruppe, portandosi una mano al mento e socchiudendo gli occhi. «Aspetta, come si chiamano quegli animali sciocchi che fanno quel verso fastidioso?» chiese pensieroso, «qua…qua…»
«Ehmm… intendi le oche?» propose Mew Mint.
Ai schioccò un dito e lo puntò nella direzione di Mew Mint. «Giusto! Un’oca capricciosa e viziata,» concluse l’alieno.
«Hiroyuki, annienta prima queste Mew Mew e poi lui!»
«Andiamo Kass, chi ha scoperto che il motore dell’astronave era difettoso? Vuoi forse correre il rischio di saltare in aria se si rompe qualcosa e né tu né lo stoccafisso lì ve ne accorgete?»
«Mi stai ricattando, plebeo?! Ti ucciderò con le mie mani!»
«Vorrei vederti provare.» 
«Ma che fanno, litigano fra loro?» disse Mew Mint osservando la scena.
Mew Ichigo fece un passo in avanti: «Lascia andare quella ragazza!» ordinò nuovamente ad Hiroyuki.
Nel sentire ciò, Kassandra distolse l’attenzione da Ai: «E’ inutile, lui obbedisce solo a me. Te lo dimostro: Hiroyuki! Liberati di quel giocattolino e occupati delle Mew Mew!» gridò.
L’alieno annuì. Prima che le Mew Mew potessero fare qualsiasi cosa, spinse la donna verso di loro; contemporaneamente estrasse dal fodero una delle sue sciabole e gliela piantò nella schiena. Lei lanciò un urlo strozzato. Hiroyuki mosse l’arma di lato, squarciandole il torso; quando cadde a terra, era già morta.
Le Mew Mew rimasero lì in piedi, inebetite: quell’alieno aveva appena ucciso una donna davanti a loro, e loro non avevano fatto nulla per evitarlo.
Non si erano mai ritrovate in una situazione simile; pur avendo letto i resoconti dei giornali, non si aspettavano che una cosa del genere potesse avvenire di fronte ai loro occhi e rimasero tutte paralizzate dallo shock e dalla nausea.
Hiroyuki iniziò a muoversi verso di loro.
«C-c-co-co-me…c-come potete…» balbettò Mew Ichigo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal corpo della ragazza. «Io…io…»
Kassandra contorse le labbra in un sorrisino. «Tu cosa, bestiolina?»
«RIBBON ZAKURO SPEAR!»
A sorpresa, una pioggia di fulmini si abbatté sull’aliena e sulla sua guardia del corpo. Ma quest’ultima respinse l’attacco mobilitando una sorta di barriera invisibile con un movimento del braccio e poi scomparve.
Mew Zakuro non riuscì nemmeno a voltarsi indietro che avvertì un dolore lancinante alla schiena che le svuotò i polmoni. Era stato Hiroyuki. A causa della forza con cui le fu inferto quel colpo, la guerriera sfondò un’altra delle pareti di vetro e finì fuori dalla serra. Strisciò per parecchi metri sul tappeto d’erba umido; prima che potesse rialzarsi, Hiroyuki si lanciò contro di lei con le sciabole sguainate, pronto ad infliggerle il colpo di grazia: la vita della ragazza fu salvata soltanto dai suoi riflessi, perché all'ultimo istante Mew Zakuro rotolò di lato, e le lame dell’alieno si conficcarono profondamente nel terreno. La Mew Mew ne approfittò per rialzarsi: riuscì ad evitare un altro affondo del suo avversario ma non il successivo calcio rovesciato che la prese proprio sul mento.
Mew Zakuro non ebbe il tempo di provare dolore che sentì un pugno colpirla alla guancia, mandandola al tappeto.
«Zakuro!» gridò Mew Mint, terrorizzata da quella vista.
Hiroyuki avrebbe sicuramente ucciso Zakuro se Mew Ichigo non si fosse messa davanti a lei all’ultimo istante e l’avesse difesa con la barriera protettiva della sua Strawberry Bell. L’alieno non riuscì a superare la barriera con le sue armi, che a contatto con essa iniziarono a stridere minacciose; decise di farsi indietro. Approfittando della sua esitazione, Mew Ichigo gli lanciò contro il suo colpo più potente, ma lui si smaterializzò per ricomparire alle spalle della guerriera, che però si scansò a sua volta, riuscendo nel contempo a graffiargli il volto; lui invece la colpì allo stomaco con l'impugnatura di una delle sue armi: la ragazza-gatto riuscì a cadere in piedi, ma barcollò pericolosamente.
Hiroyuki aggiustò la presa sulle sue sciabole e si precipitò verso Mew Ichigo, che riuscì a schivarlo per un soffio.
«Ribbon Pudding Ring Inferno!»
Hiroyuki fu investito in pieno dall’attacco di Mew Pudding, che lo immobilizzò il tempo necessario per dare a Mew Lettuce il piacere di lanciargli contro una massa imponente di acqua. Ma lui riuscì a sovrastarla e anzi la superò, ricomparendo proprio davanti Mew Lettuce, le lame sguainate.
La guerriera era paralizzata dal terrore; Mew Zakuro la spinse via, procurandosi però un lungo taglio all’addome. A quel punto Mew Pudding lanciò nuovamente il suo attacco, seguita da Mew Ichigo e da Mew Lettuce. Anche Mew Mint, che si stava preparando ad intervenire, alla vista della sua compagna più anziana gravemente ferita iniziò a caricare il suo attacco, ma proprio mentre stava per lanciarlo qualcuno afferrò le sue ali e la spinse all’indietro, facendole perdere l’equilibrio e la sua arma.
«Ehi!» esclamò la Mew Mew a terra, alzando lo sguardo. «Ma cosa…»
«Ah-ah. Niente armi, dolcezza,» sorrise crudele Ai, chinandosi di fronte a lei. Le strinse il collo con una mano e la sollevò da terra, mentre con l’altra estrasse un kris (un pugnale dalla lama ricurva, ndr), ma Mew Mint gli tirò un solenne calcio allo stomaco e riuscì a divincolarsi dalla sua stretta, sfuggendogli. «Questo vale anche per te!» replicò lei, colpendogli la mano con un altro calcio: il kris volò in aria e si perse fra i cespugli del giardino.
Mew Mint approfittò della distrazione dell'alieno per recuperare il suo arco e lanciare un attacco che scaraventò Ai all’indietro, mandandolo a sbattere contro Kassandra, che stava osservando in disparte il combattimento. Lei se lo tolse di dosso con ben poca grazia e gli tirò anche uno schiaffo, come se fosse stata colpa sua se le era finito addosso.
Alcuni metri piu’ in là, la Strawberry Bell di Mew Ichigo si incrociò un’ultima volta con le sciabole di Hiroyuki; invece di tentare di sopraffarla, l’alieno scomparve e ricomparve accanto alla sua padrona, che adesso giaceva seduta a terra, e pareva essere la definizione vivente dell'irritazione.
Mew Lettuce, che stava aiutando una sanguinante Zakuro a rialzarsi, si allontanò momentaneamente da lei per lanciare insieme alle altre un potente attacco combinato contro i tre alieni, che furono colpiti in pieno.
«Ce l’abbiamo fatta!» gridò Mew Pudding, ma si sbagliava: il loro attacco aveva creato uno squarcio nel muro davanti al quale si erano radunati i tre alieni, ma quando la nebbiolina di polvere che si era alzata si diradò, loro riemersero completamente illesi.
«I miei capelli! Avete rovinato i miei capelli! Oh, e guardate il mio vestito!» strillò istericamente Kassandra.
Le Mew Mew erano a dir poco sconvolte: com’era possibile che quei tre fossero ancora interi?
«Devo correre a cambiarmi,» proclamò Kassandra. «Mew Mew, per stasera risparmio la vostra vita. Ma non appena avrò trovato un vestito nuovo verrò a cercarvi, e a quel punto vi pentirete amaramente di non esservi sottomesse a me perché ordinerò a Hiroyuki di infliggervi un tormento così tormentante che vi tormenterete pregando che il vostro tormento finisca!»
Kassandra stava evidentemente tentando di apparire minacciosa, ma era troppo nervosa per rendersi conto di ciò che stava blaterando e come risultato, invece di spaventarsi, le Mew Mew si guardarono stranite l’un'altra.
Ciò fece irritare Kassandra ancora di più: gettò una ciocca di capelli spettinati dietro la schiena e proferì un: «Presto imparerete a temere e rispettare la vostra Sovrana!» prima di sparire con uno schiocco insieme a Hiroyuki.
Ai, nel frattempo, era andato alla ricerca del suo kris. L’arma era caduta in un folto cespuglio di piccoli fiori blu che lui frugò rumorosamente fino a che le sue dita non si richiusero su di essa.
«Trovata!» esclamò sollevato alzando il braccio al cielo, ma il sorriso scomparve rapidamente dalle sue labbra quando si accorse di essere stato circondato dalle Mew Mew.
«Dove...credi di andare...tu?» ansimò debole ma decisa Mew Zakuro, sorretta da Mew Lettuce.
«Non ti lasceremo scappare!» le fece eco Mew Mint, puntandogli contro il suo arco.
Ai non sembrò spaventarsi. «Oh, davvero?» sospirò verso Mew Mint mentre faceva sparire la sua arma.
Prima che le Mew Mew potessero ribattere si era già lanciato contro di lei, che però riuscì ad evitarlo spostandosi di lato. «Sono un soldato. Ti ho lasciato giocare, ma potrei ucciderti qui e ora, se solo volessi,» le sussurrò nell'attimo in cui le passò accanto. Poi la spinse con forza addosso a Mew Lettuce, facendole cadere entrambe a terra.
«A presto,» disse Ai, e poi si teletrasportò via.



(Fine flashback)

Ama il prossimo come te stesso
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.

Quando Ichigo riaprì gli occhi, la prima cosa che catturò il suo sguardo furono queste due frasi. Erano state riportate alla lavagna dal suo professore di storia, lo stesso che aveva appena sbattuto con forza il palmo della mano aperta sul suo banco. Ichigo lanciò un piccolo grido spaventato, e per poco il sua DNA felino non la tradì davanti a tutta la classe.
«Signorina Momomiya, mi perdoni se disturbo il suo pisolino. Le dispiacerebbe ripetermi l’argomento della lezione di oggi?» le chiese con voce dolcemente minacciosa il professore.
«Ehm…» Ichigo arrossì. «La...la filosofia occidentale dice che l’uomo, per vivere in armonia con la natura, deve sfruttarla e non studiarla con attenzione per comprendere il suo messaggio…»
La classe scoppiò una risatina.
«O forse era il contrario…» mormorò la rossina. Era una sua impressione, o improvvisamente stava diventando sempre più piccola?
Il professore la scrutò per un lungo istante. «Dicevamo, la filosofia confuciana e quella cristiana,» riprese, rivolgendosi alla classe. «Chi sa dirmi qual è la differenza fra le due frasi scritte alla lavagna?»
La mano di Marie scattò in aria.
«Signorina Wise?»
«La prima frase è molto profonda, ma è irreale. La seconda è più pratica,» spiegò la straniera in un giapponese incerto.
«Perfetto, signorina Wise, anche se dovrebbe cercare di migliorare l’esposizione. E chi di voi sa dirmi il perché?» chiese poi il professore alla classe.
Volente o nolente, Ichigo fu costretta a seguire con attenzione il resto di quella stupida lezione, mentre immagini confuse della notte precedente le ritornavano alla mente.
Dopo lo scontro con gli alieni, lei e le sue amiche erano dovute tornare al Café per incontrarsi con Ryo e Keiichirio. Si erano trattenute lì fino a tardi e, quando Ichigo era riuscita finalmente a tornare a casa, era praticamente svenuta sul suo letto.
Quella stessa notte aveva fatto un sogno terribile, che pullulava di fantasmi e di sangue; ancora rivedeva nella sua mente gli occhi imploranti della ragazza che Hiroyuki aveva ucciso di fronte a lei. Aveva l’amara impressione che non l'avrebbe mai dimenticata.
E nonostante le cose non potessero andare più male di così, Ichigo aveva il presentimento che quella giornata iniziata da appena nove ore in modo così terribile le avrebbe riservato ancora delle brutte sorprese.
Il suo era un orrendo, realistico presentimento.




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Capitolo 15
*** Essere o non essere ***


,lklkòk
15/05/2014: Non ho potuto/voluto modificare troppo questo capitolo. Ho cercato semplicemente di renderlo meno pesante e di descrivere in modo meno criptico la scena fra Ichigo e Ryo/Cavaliere Blu~



- Capitolo 14: Essere o Non essere -


Ichigo tirò un sospiro di sollievo quando la campana scolastica decretò la fine delle lezioni. Era stanca e con il cuore ancora colmo di angoscia; in verità non sapeva neanche lei perché aveva deciso di alzarsi quella mattina.
Mentre i suoi compagni di classe andavano via uno dopo l’altro, lei si attardò perdendo tempo a gettare apaticamente penne e quaderni nella cartella e per questo motivo, quando fu pronta, l’aula era ormai deserta.
Si incamminò verso l’uscita della scuola; aveva fatto solo pochi passi quando udì, alle sue spalle, il professore di storia pronunciare il suo nome.
Lo guardò interrogativa e lui le fece cenno di seguirlo nell’ufficio nel Preside.
Ichigo eseguì l’ordine di malavoglia.

«Sarò breve, signorina Momomiya,» esordì grave l’insegnante una volta nell'ufficio, occupando senza troppi complimenti il posto del dirigente scolastico.

Al fianco della rossa, una desolata Marie si stringeva nervosamente le mani, lo sguardo fisso a terra.
«Negli ultimi tempi il suo rendimento scolastico è calato notevolmente. Non che fosse mai stato alto,» osservò il professore, lanciando ad Ichigo uno sguardo indagatore al di sopra degli occhialetti squadrati che indossava.
Lei era troppo stanca per ribattere, per cui si limitò ad annuire.
«La sua classe è la migliore della scuola, e per questo motivo è stata scelta per testare un programma speciale che prevede l’insegnamento extra di Filosofia orientale e occidentale; la sua classe, signorina, è il fiore all’occhiello della scuola e io non posso permettere che elementi come lei rovinino la reputazione che io ho faticato tanto a costruire.»
Sentendo quelle parole, Ichigo corrugò la fronte: lei non aveva mai scelto di essere inserita in quel programma speciale, era stato il suo professore a deciderlo e a convincere il Preside e i genitori a mettere in atto quest’assurdità, quindi non capiva realmente perché dovesse impegnarsi a cercare di capire una cosa inutile e surreale come la Filosofia.
«Per questo motivo ho chiesto alla signorina Wise di darle alcune ripetizioni,» continuò in tono più vivace il professore.
«Che cosa?!»
Marie arrossì imbarazzata e diede di nascosto un’occhiata ad Ichigo come per dirle: “Non l’ho voluto io, perdonami!”.
«Vede, ho scoperto che la signorina Wise è appassionata della mia materia, e personalmente trovo la sua preparazione, sebbene autodidatta, davvero ottima. Inoltre, io e il Preside siamo convinti che frequentarvi anche in orario extrascolastico sarà un bene per entrambe,» spiegò il professore, alludendo allo scarso giapponese di Marie. «Non crede anche lei, signorina Momomiya?»
Ichigo aprì la bocca per rispondere: «Io..»
«Vogliamo parlare del suo ultimo test di Storia, signorina Momomiya?»
«…accetto volentieri, professore, è una splendida idea!» sospirò la ragazza.
«Bene, sono lieto di vedere che concorda con me,» sorrise il professore. «Fra due giorni la interrogherò su quanto visto sinora a lezione. E se andrà male, credo che convocherò i suoi genitori per esporre loro la drammaticità della sua situazione scolastica. Ora andate pure ragazze, e buono studio!» concluse con un sorrisetto irritante.

**

«I’m sorry!» ripeté Marie per quella che ormai doveva essere la decima volta. Lei e Ichigo stavano passeggiando insieme sul marciapiede deserto di una strada poco distante dalla scuola.

«Non ti preoccupare,» replicò la rossa. «Lo so che sei sorry e lo sono anche io, ma ora non ho tempo per studiare con te, io ora dovere andare al lavoro, tu capire me?» le sillabò piano e con voce chiara.
La straniera la guardò incerta per qualche secondo, poi rispose con un sorriso morbido: «Okay. Vengo con te e aspetto che finisci!»
Ichigo si rassegnò: non si sarebbe liberata facilmente di Marie.
Mezz’ora e due fermate della metropolitana dopo, le due arrivarono al Cafè Mew Mew. Era ancora chiuso, per cui Ichigo dovette usare le sue chiavi per aprire il portone.
Nella sala principale c’era Ryo: seduto al bancone con la testa rivolta verso la televisione, il biondino aveva tutta l’aria di qualcuno a cui avevano appena investito il gatto.  
«Ichigo…?» mormorò stupito quando vide la ragazza.
Lei non si accorse dell’aria strana che aveva il ragazzo e sbuffò, preparandosi al sermone quotidiano: «Si, lo so, sono arrivata di nuovo in ritardo, ma-» prima che potesse concludere la frase, Ryo la raggiunse a gran passi e la strinse a sé in un inaspettato abbraccio. Ichigo quasi trattenne il fiato per l’emozione, ma non riuscì a fare lo stesso con il suo sangue, che le rifluì sulle guance, facendole diventare dello stesso colore dei suoi capelli.
«R-Ry-y-o, c-che c-cos-sa…?» mugolò stravolta.
«Non credevo che saresti venuta,» le sussurrò lui. «Mi dispiace, Ichigo. Mi dispiace molto.»
«Ehm...lui è il tuo boss, Ichigo?» domandò Marie con voce abbastanza alta da ricordare ad entrambi la sua presenza.
Ryo si staccò da Ichigo, rivolgendo per la prima volta la sua attenzione alla straniera.
«Are you english?» le chiese.
«Yes,» rispose lei in tono cortese. «And sorry, but today I have to study with Ichigo because our professor…»
«I’m sorry too, but I don’t believe Ichigo is going to go to school tomorrow,» la interruppe Ryo.
«What? Why?» chiese sospettosa Marie, guardando prima Ryo, che sembrava non ispirarle molta fiducia, quindi la sua compagna, che in risposta le lanciò un’occhiata spaesata.
Ryo si voltò verso di lei: «Ma…non glielo hai detto?» sillabò incredulo.
Ichigo parve confusa, e fu in quel momento che Ryo capì come stavano le cose: «Non lo sai ancora…» mormorò.
La rossa si chiese preoccupata cosa avrebbe dovuto sapere di così importante mentre ascoltava Ryo dire in tono grave a Marie: «Yesterday, there was an air crash. Her boyfriend died.»
Ichigo non comprese una singola parola di quel discorso, ma vide Marie portarsi una mano alla bocca sconvolta, e poi sussurrarle un desolatissimo: «Oh Ichigo… mi dispiace… parlerò io con il professore domani, don’t worry… lui capirà.»
La straniera strinse forte le mani della sua compagna e scosse la testa, gli occhi lucidi. Poi la salutò e andò via senza aggiungere altro, lasciandola sola con Ryo.
«R-Ryo?» lo chiamò lei a quel punto, gli occhi bassi e un orrendo presentimento nel cuore. «C-che cosa dovrei sapere, Ryo?»
Era strano. Ichigo udiva la sua voce tremare mentre formulava quella domanda, tuttavia non capiva il perché. Sentiva il cuore pulsarle prepotentemente nella testa, svuotandola di qualsiasi pensiero o emozione, eppure non ne comprendeva il motivo.
Ryo si avvicinò a lei lentamente e, quando le fu ad un passo, posò con delicatezza le mani sulle sue spalle. La ragazza sussultò e sollevò di scatto la testa.
«Stanotte, c’è stato un incidente. Un aereo americano è precipitato nell’Oceano Pacifico. Il tuo fidanzato… è nella lista dei dispersi.»
«E-Eh?»
«Aoyama,» sospirò Ryo, «non tornerà piu'.»
La mente di Ichigo si inceppò. La ragazza non riuscì a capire il significato delle parole che Ryo aveva appena pronunciato. Non riusciva a capire cosa le stesse accadendo....ma in quel preciso momento, Ichigo comprese di non essere Ichigo. Capì di non essere la ragazza dai capelli rossi e dal DNA felino, ma semplicemente di aver visto fino a quel momento attraverso i suoi occhi. Si convinse che quella non era lei, che quella non era la sua vita, non era il suo mondo.
Qualcosa di misterioso e antico iniziò a risvegliarsi in lei, qualcosa che andava oltre le normali sensazioni provate ogni giorno dagli esseri umani. Quell’essenza oscura la avvolse con lentezza, inesorabilmente. Voleva trascinarla giù, nel buio. Ichigo sentì le forze abbandonarla, finché improvvisamente cedette del tutto e venne strappata via dalla realtà. Riusciva però ancora a scorgerla, come quando si osserva la propria immagine riflessa in uno specchio. Solo che per lei era diverso, perché lei il sottile riflesso dietro lo specchio, mentre quella che vedeva da lontano era la realtà.
«Mi dispiace, Ichigo.»
Amplificata da mille echi, la voce lontana di Ryo risuonò vuota nella sua mente, sovrastata dal frastuono del battito del suo cuore. Ichigo percepì qualcosa bruciarle gli occhi, e solo dopo molto tempo capì di stare piangendo. Sentì qualcuno gemere, singhiozzare e urlare con usando la sua voce; non si rese conto che, in realtà, era proprio lei a farlo.
Affondò le unghia nella schiena del ragazzo che aveva di fronte a lei e gettò la testa sul suo petto, aggrappandosi a lui. I suoi movimenti erano guidati dal puro e semplice istinto.
Non credeva che tutto questo stesse accadendo sul serio, non credeva di essere davvero lì con Ryo. Non voleva essere con lui, tutto ciò che voleva era rivedere Aoyama, rivedere il suo sorriso un’altra volta.
Ryo la lasciò sfogare a lungo sulla sua spalla, offrendole il conforto che poteva. Era stato brutale nel comunicarle la notizia, ma d'altro canto sarebbe stato inutile cercare di indorarle la pillola.
Quando i singhiozzi di Ichigo iniziarono a spegnersi, la mano del giovane sfiorò con delicatezza i suoi capelli rossi, accarezzandoli, e poi scese per sollevarle il mento.

Ichigo sentiva le gambe tremarle pericolosamente. Era praticamente sorretta dall’abbraccio di Ryo, e quando incrociò il suo sguardo penetrante, non riuscì a vedere altro che quello del Cavaliere Blu.
Ichigo chiuse gli occhi, desiderando con tutto il suo essere di tornare indietro, e quando li riaprì, nonostante la consapevolezza che fosse Ryo Shirogane ad abbracciarla, al suo viso si sovrappose l’immagine del Cavaliere Blu, del suo Aoyama, perfetto e malinconico così cme l’aveva visto l'ultima volta, nel suo sogno. Rimase incantata a guardarlo, a stringerlo. Lo leggeva dalle sue labbra, le parole che Ryo stava dicendo in quel momento non erano le stesse che lei stava ascoltando, eppure lei le sentì lo stesso: «Volevo solo rivederti… un’ultima volta. Mi dispiace, io… non posso più proteggerti. Ho fallito…» le ripeté il Cavaliere Blu accarezzandole una guancia. «Addio…» le sussurrò poi chiudendo gli occhi, mentre poggiava dolcemente le sue labbra su quelle di Ichigo, che si abbandonò completamente a quel bacio, scivolando nell’oblio insieme al suo amato.
«Aoyama…»

**
*
**

Quando si riscosse, Ichigo non era più insieme al Cavaliere Blu.

Ora era dall’altra parte dell’universo, in una stanzetta grigia, soffocante.
C’era un letto disfatto accanto alla finestra e, su di esso, vi era un bambino accovacciato con lo sguardo perso nel vuoto.

Guardava il cielo cupo… calde lacrime bagnavano il suo viso cereo, e nei suoi grandi occhi ambrati si leggeva solo malinconia.
Ichigo aveva l’impressione di conoscerlo…
«Mi manchi…» sentì sussurrare da quel bambino. 
Stringeva fra le mani qualcosa che causava un rumorino fastidioso…
Un piccolo pezzo di carta logoro…
L’incarto di una caramella.
«Mi manchi, Purin.»
«Ichigo, sveglia! Ichigo!» le gridò nell’orecchio la ragazzina.
«P-Purin…?!» gemette debolmente la rossina.
 «Ichigo! Ragazze, si, è svegliata!»
«Oh, Ichigo!»
«Hmmmm…»
Ichigo aprì gli occhi e scattò a sedere, ritrovandosi circondata dalle sue amiche. «Ragazze! Che cosa è successo?» domandò sorpresa. Era a letto nella stanza di Ryo, ma non si ricordava di esserci entrata.
Le quattro si scambiarono un’occhiata nervosa.
«Ryo ci ha detto che hai perso i sensi,» spiegò piano Retasu.
«Eh?»
«Si, dopo che ti ha detto che… beh… Aoyama é...»
La ragazza non ebbe bisogno di concludere la frase. Come se qualcuno l’avesse appena pugnalata in pieno petto, Ichigo spalancò gli occhi e si irrigidì, il respiro mozzato.
«Avevo fatto un sogno, ma… allora non era un sogno…» balbettò confusa, mentre le lacrime ricominciavano a colmare i suoi occhi. «Aoyama … no... ti prego, no… no, no, no…. »
Ichigo si portò le mani al viso e pianse, pianse come mai aveva fatto, ma stavolta non c’erano più gli occhi tristi e freddi del Cavaliere Blu ad  ipnotizzarla, c’erano solo le sue lacrime e quelle delle sue amiche, che piangevano con lei mentre la abbracciavano.

**
*
**


Retasu si chiuse alle spalle la porta da cui era appena entrata. Si strofinò i grandi occhi blu, ora arrossati e lucidi, e scese nel sotterraneo del Café, dove trovò Minto e Purin.

Le due ragazze le davano le spalle. Stavano parlando con Ryo, che aveva appena chiesto loro come stava Ichigo.
«Zakuro ha deciso di accompagnarla a casa,» rispose Minto, riponendo nella tasca del grembiule il fazzoletto di seta con cui si era appena asciugata le ultime lacrime.
«Povera Ichigo,» commentò Retasu raggiungendo le sue amiche a testa bassa. Non sapeva cos’altro dire. Lanciò uno sguardo allo schermo del computer di Keiichiro accanto a cui sedeva Ryo: il browser web era posizionato sul sito di un giornale online che riportava l’articolo:

L’aereo dell’American Air scomparso l’altra notte dai radar potrebbe essere esploso in volo. Secondo le fonti americane, il fatto che non si trovi ancora alcun rottame del velivolo potrebbe essere la dimostrazione che l’aereo si è disintegrato a circa 32mila piedi di altezza.
Non è ancora possibile dire se sia stata una bomba o un problema tecnico a causare l’esplosione. Le ricerche dei dispersi e dei resti del velivolo sono ancora in corso.

«Aoyama non avrebbe dovuto essere su quell’aereo, ma pare che l’avesse preso per fare una sorpresa ad Ichigo,» spiegò Ryo in tono incolore. «Non ci voleva,» sospirò poi, «proprio adesso che abbiamo degli avversari così forti e spietati che ci alitano sul collo…»

«Ci sono novità su di loro?» domandò Minto.
Ryo si passò una mano fra i capelli. «Mash ha filmato tutto il combattimento di ieri sera. I dati che ha raccolto sono stati sufficienti per farci un’idea dei nostri avversari…»
«Potevi chiedere direttamente a noi, noi ce la siamo già fatta un’idea!» esclamò Purin. «Quelli vogliono distruggere l’umanità!»
«Come al solito,» osservò Minto cupa. «Inoltre, è chiaro che appartengono alla stessa razza di Kisshu, Pai e Taruto. Si vede che quei tre in realtà ci avevano mentito quando ci avevano detto che la guerra fra i nostri popoli era finita…»
«Minto, io credo che stessero dicendo la verità,» la contraddisse Retasu. «Forse… forse sul loro pianeta non li hanno ascoltati. E se gli fosse successo qualcosa?» ipotizzò preoccupata, ma nessuno le diede retta.
«In ogni caso, come avete potuto notare, questi nuovi alieni sono molto più spietati e forti di quelli contro cui avete combattuto in precedenza, per cui vi chiedo di prepararvi ad una guerra molto più dura di quella che abbiamo affrontato in passato. Dovrete fare molta attenzione,» spiegò Ryo.
Il giovane proseguì poi con il suo discorso, ma ad un tratto il cellulare di Purin cominciò a suonare e lui si interruppe. Purin guardò il nome che lampeggiava sullo schermo del telefono e poi fece loro un largo sorriso ai suoi compagni.
«Scusa Ryo, scusate ragazze, devo correre a casa. Continuate pure senza di me, okay?» disse e, prima che qualcuno avesse il tempo di dirle qualcosa, volò fuori dalla porta.
Minto corrugò leggermente la fronte: «Purin è strana in questi giorni,» commentò.
Retasu annuì.
«E anche tu, sai?» continuò Minto verso di lei.
La ragazza per tutta risposta arrossì e, mosso un passo verso Ryo, gli sussurrò un nervoso: «Forse è meglio che andiamo anche noi, si è fatto tardi, non credi?»
Lui fissò Retasu in silenzio per alcuni secondi, come se stesse cercando di leggere i suoi pensieri, ma alla fine fece un cenno d'assenso con la testa. «D’accordo,» disse, «ascoltate solo un’ultima cosa: io e Keiichiro crediamo -anzi, siamo certi- che questi alieni, a differenza di Kisshu e compagnia, non conoscano le vostre vere identità. Fate in modo che il vantaggio che abbiamo rimanga tale,» le avvertì. «A domani. E passate parola alle altre,» concluse poi, e mentre Minto e Retasu risalivano nell’atrio del Cafè, sprofondò sulla sedia di fronte alla scrivania di Keiichiro.
Il ragazzo guardò stancamente il monitor del computer, poi senza pensarci due volte chiuse il browser web e riaprì il file sugli alieni su cui lui e Keiichiro avevano lavorato l’intera notte: era una cartella in cui, raggruppati disordinatamente, vi erano immagini, tabelle, grafici e vari file di testo. Soprappensiero, Ryo cominciò ad organizzarli in modo più accurato, ma non passò neanche un minuto che la presenza di Keiichiro alle sue spalle lo fece distrarre dal suo lavoro.
«Stanotte non hai chiuso occhio,» osservò l’uomo preoccupato.
«Si nota molto?»
«Già, e non solo dalla faccia. Sei distrutto. Dovresti riposare, almeno qualche ora.»
«No,» disse Ryo, massaggiandosi le tempie. «Sto bene, ora pensiamo agli alieni.»
Keiichiro scosse la testa. «Gli alieni sono il tuo ultimo pensiero in questo momento, come per Ichigo e le altre. Ryo, che cosa ti succede?»
«Ti ho detto che sto bene,» sibilò il biondo in un tono che non ammetteva repliche.
«Questo è un periodo nero per tutti, a quanto pare,» osservò Keiichiro con circospezione. «Soprattutto per la povera Ichigo… ora che Aoyama non c’è più, ha bisogno di qualcuno che le stia accanto e la aiuti a superare la cosa.»
Sentendo ciò, Ryo parve diventare improvvisamente triste. «L’ho baciata di nuovo,» ammise in un sussurro, dopo un lungo silenzio.
Keiichiro inarcò un sopracciglio. Avrebbe voluto dire molte cose, ma si limitò a chiedere: «E lei?»
«Mi ha chiamato Aoyama,» rispose il biondo con amarezza, accennando un sorrisino. «Non dire niente, Kei. So di aver fatto un’idiozia e di doverle dare tempo, ma in quel momento, credimi, era come se non fossi in me.»
Keiichiro si morse un labbro, ma non parlò. Cercò di sembrare il più naturale possibile mentre si sedeva accanto a Ryo e gli passava l’oggetto che fino a quel momento aveva stretto fra le mani. «Tieni,» gli disse, «è per te.»
Il biondo rigirò fra le mani il pacco giallo che gli aveva dato Keiichiro, guardandolo in modo interrogativo.
«E’ il pacco che ti è arrivato ieri, quello che ti ha portato Zakuro. Ha sopra una ventina di francobolli africani,» sorrise Keiichiro. «L’ho ritrovato oggi su un tavolo.»
«L’avevo dimenticato,» ammise Ryo, poi sollevò il pacco per cercare il nome del mittente. «Pamela Johnsson, Klerksdorp Museum, Klerksdorp,» lesse. Stracciò in fretta la carta dell’imballaggio ed estrasse, dopo qualche secondo, uno strano oggetto: si trattava di una pesante sfera rotonda del diametro di poco meno di dieci centimetri; era di metallo bluastro ed era decorata con strane linee bianche parallele che si incrociavano ai poli, che erano leggermente schiacciati. Ryo le lanciò un’occhiata annoiata. «Un’altra sfera del Transvaal (regione del Sudafrica, ndr),» commentò senza interesse. «Perché Pam me l’ha mandata? Sono interessanti, ma ne ho già abbastanza…ed ora francamente non ho tempo per loro,» concluse appoggiando l’oggetto sulla scrivania e alzandosi in piedi.
«Posso analizzarla io,» propose Keiichiro. A differenza del suo compagno, era sicuro che la loro collaboratrice africana aveva avuto un valido motivo per spedirgli quell’oggetto.
Ma Ryo scosse la testa. «No. Voglio che tu ti concentri sullo scoprire qualcosa di più su questi alieni. Per quel che riguarda la sfera, andrò a metterla insieme alle altre,» disse barcollando impercettibilmente, cosa che non sfuggì a Keiichiro.
«Va bene, lo farò. Ma solo se mi prometti che andrai a riposare,» sospirò al biondino. «Dormi almeno due ore e cerca di non tormentarti troppo, o ti verrà un crollo nervoso.»
«Sì, mamma,» replicò ironico Ryo, appoggiando la mano sulla maniglia della porta.
«Ryo, non sto scherzando.»
«Sto forse ridendo?»

**

*

**

 
In un quartiere periferico di Tokyo, c'era un'immensa e lussuosa villa circondata da un enorme parco.
Un tempo doveva essere stata bellissima, ma adesso le sue mura di pietra lavorata erano malconce e ricoperte da rampicanti selvatici; le ringhiere dei balconi erano arrugginite e il tetto era crollato in più punti. Gli infissi erano stati inchiodati, così come tutti gli altri accessi all’abitazione, circondata da erbacce.
Tutto ciò aveva fatto assumere alla villa lo squallido aspetto di un posto abbandonato.
All’interno vi erano decine di stanze, fra cui anche una biblioteca. Nella biblioteca erano conservati centinaia di libri, gettati a caso su scaffali di legno o ben conservati dietro vetrine impolverate; la finestra della biblioteca era coperta da pesanti tende rosse stracciate, mentre ciò che rimaneva del vecchio arredamento era solo uno scrittoio sfondato, una lampada rotta rovesciata a terra, un divano di velluto sporco di chissà cosa, un vecchio tappeto arrotolato ed una poltrona.
Su quest’ultima giaceva semisdraiato un giovane che per le sue strane fattezze non poteva considerarsi ‘umano’. Teneva una mano dietro la testa, mentre con l’altra sorreggeva un libricino che, nonostante il buio che lo circondava, leggeva con scioltezza ed avidità tale da sillabare inconsciamente le parole che gli scorrevano davanti agli occhi.
La sua lettura si interruppe di colpo quando d’un tratto la porta della biblioteca si spalancò da sola come per magia.
«Dannazione!» imprecò Kassandra, piombando nella stanza come una spiritata.
Ai, che per un momento aveva guardato incuriosito l’ingresso, ritornò alla sua lettura. Dopo qualche secondo, sentì qualcosa capitombolare a terra, e comprese con un sospiro annoiato che Kassandra era inciampata sul tappeto. Schioccò le dita e una decina di minuscoli chimeri parassiti illuminarono fiocamente l’ambiente. In questo modo Ai riuscì ad avere una percezione più chiara del corpo perfetto di Kassandra, ora steso di lungo a terra in una posizione decisamente poco consona al suo rango.
A differenza sua, che continuava ad indossare il suo semplice vestito nero e blu a collo alto, l’aliena si era cambiata: ora indossava un abito color antracite con una fantasia a pois bianchi. Il modello era molto simile all'uniforme di Mew Ichigo, ma il tessuto era spesso e lucido.
Kassandra si tirò indietro con un gesto nervoso i lunghi capelli mossi e si rialzò esclamando un ennesimo: «Maledizione!»
Dato che questo suo gesto non sortì alcun effetto, la principessa aliena richiuse i suoi delicati palmi, racchiusi in un guanto nero lungo fino al gomito, in un pugno. «Io, io…non so se essere arrabbiata o…o…furiosa, ecco!» si lagnò.
«Eh, si,» annuì distrattamente Ai voltando una pagina del suo libro. «Essere o non essere…è davvero questo il problema,» mugolò pensieroso.
Kassandra lo guardò per un attimo confusa, poi gli voltò le spalle. «Non è possibile che quelle cinque stupide osino opporsi a me in modo così sfacciato! A me, capisci? Più ci penso e meno riesco a sopportarlo! Io sono venuta qui per ottenere il dominio del pianeta; avrebbero dovuto inchinarsi di fronte alla mia potenza, ed invece guarda come mi hanno trattata! Quelle sciocche… gliela farò pagare, ah, se gliela farò pagare!»
Ai decise di evitare qualsiasi genere di osservazione sul discorso di Kassandra e tentò di concentrarsi sulla lettura. «E’ meglio per l’anima soffrire tali ingiurie del destino, o prender l’armi contro questi guai, opporvisi e annientarli?» recitò. «Morire…»
«Il loro solo pensiero mi toglie il sonno!» strillò dall’altra parte Kassandra. «Io non riesco a dormire per colpa loro! Ti rendi conto? MI SONO VENUTE LE OCCHIAIE!»
«Dormire…nulla più. E dirsi così con un sonno che noi mettiamo fine al supplizio del cuore ed alle mille ingiurie naturali, retaggio della carne!»
«Devo trovare un modo per sconfiggerle tutte e subito…» mugolò intanto Kassandra, mordendosi la punta di un guanto. «…devo…»
«Morire…»
Kassandra si voltò di scatto, rossa e gonfia come un pomodoro così maturo che sta per scoppiare. «CHI DEVE MORIRE, PLEBEO?!»
«…dormire… dormire, sognare forse… forse; è qui l’intralcio. Che i sogni sopravvengano dopo che ci si strappa dal tumulto della vita mortale?»
Per la prima volta, Kassandra ascoltò quello che Ai stava dicendo. «Ehi,» disse, confusa.
Ai era presissimo dal suo libro, che continuava a leggere sempre più velocemente, e Kassandra non capiva: non aveva mai visto nessuno rimanere così affascinato da un semplice ammasso di fogli pieni di fastidiose scritte.
«Chi vorrebbe sopportare malanni e le frustate dei tempi, l’oppressione dei tiranni, le contumelie dell’orgoglio, e i pungoli d’amor spezzato e remore di leggi, arroganza dall’alto e derisione degl’indegni sul merito paziente, chi lo potrebbe mai se può donarsi la pace col nudo pugnale?
Chi vorrebbe sudare e bestemmiare spossato sotto il peso della vita, se non fosse l’angoscia del paese dopo la morte, da cui mai nessuno è tornato, a confonderci il volere ed a farci indurire ai mali d’oggi, piuttosto che volare a mali ignoti?» continuò Ai. «La coscienza, così, ci fa tutti vili, e il colore della decisione al riflesso del dubbio si corrompe, e le imprese più alte e che più contano si disviano.»
Kassandra era a bocca aperta. «Basta così!» decretò, e si diresse verso di lui.
«…perdono anche il nome dell’azione,» concluse Ai, rallentando la lettura. «Ma silenzio ora, si avvicina la bella Ofelia.»
Kassandra lo raggiunse e gli sfilò il libro di mano. «Ti ordino di smetterla immediatamente!»
«O mia dolce ninfa, possa tu ricordare nelle tue preghiere i miei peccati,» le sorrise Ai, recitando a memoria.
Kassandra era senza parole. «Che cosa combini?!» gli domandò.
Ai si strinse nelle spalle. «Leggo Shakespeare,» rispose semplicemente.
«Chi diavolo è? Un terrestre?»
«Già, e fra i migliori,» osservò Ai rialzandosi dalla poltrona.
«Cose da matti,» borbottò Kassandra.
«Uhm,» mugolò intanto il giovane alieno, prendendo a girarle intorno, osservandola con attenzione.
«Ed ora che cosa ti prende, maniaco pervertito?!» chiese una sconcertata Kassandra, quasi pentendosi di non indossare un vestito più coprente.
Ai si fermò davanti a lei e si accarezzò il mento con le dita mentre squadrava Kassandra dall’alto in basso come se fosse un’opera d’arte. Alla fine, dopo molti secondi, sospirò.
«No, tu non sei Ofelia… Ma non è questo l’importante,» ammise.
«E-Eh?!»
Kassandra indietreggiò di un passo, ma Ai ne fece un altro verso di lei e allungò una mano verso il suo petto. L’aliena gliela schiaffeggiò via.
«Il problema è che tu non sei neanche la dolce Giulietta,» osservò sconsolato il giovane. «Sei malvagiamente affascinante, e potresti essere Mefistofele, e se così fosse ti venderei volentieri la mia anima in cambio di te, ma purtroppo…»
Kassandra sollevò entrambe le sopracciglia.
«…hai poco cervello persino per essere Mefistofele,» constatò Ai con delusione.
A quel punto l’aliena, pur non capendo cosa stesse dicendo Ai, si sentì ferita nell'orgoglio. «Ma con chi ti credi di stare parlando?» sbottò esasperata. «Io sono una principessa! Tu DEVI adorarmi!»
«Sul nostro pianeta,» le ricordò lui, annoiato.
«Presto lo sarò anche su questo, per cui…»
«…fino a quel momento non potrai darmi ordini.»
«Non era questo quello che intendevo!»
Ai scosse la testa e le diede le spalle.
«Ed ora dove vai?!» gli domandò Kassandra.
«A cercare la mia Giulietta,» rispose lui, e si teletrasportò via.
 Kassandra sbatté un paio di volte le lunghe ciglia nere. «E’ completamente matto,» concluse allibita una volta sola.

**

*

**


«Mamma, sono tornata!» salutò Retasu, richiudendo dietro di sé la porta di casa.
Richiamata dalla sua voce, una donna dai capelli verde scuro si sporse dalla camera da letto e le andò incontro con un’espressione a dir poco infuriata dipinta sul viso; le afferrò un braccio e la trascinò via. «Razza di incapace, che fine avevi fatto? La casa è un disastro, vieni ad aiutarmi!»
«Un…un attimo!!» balbettò la ragazza, lasciando cadere a terra la sua cartella.
«No! Fila a riordinare in cucina!»
Retasu annuì e si lasciò condurre nella stanza, dove cominciò docilmente a rassettare. In verità c’era ben poco da fare: la cucina era immacolata, e le uniche cose fuori posto erano un paio di bicchieri sporchi poggiati nel lavandino. Retasu li lavò e li asciugò, ma quando fece per riporli insieme agli altri, ne urtò uno con il dorso della mano e lo fece cadere.
Il bicchiere scivolò a terra e si infranse con un rumore sordo.
«Retasu! Che cos’era quel rumore?!» strillò sua madre. Quando capì cosa era successo iniziò a tremare visibilmente, così forte che Retasu si spaventò. «S-Se non fossi così imbranata,» singhiozzò la donna, trattenendo a stento le lacrime, «f-forse saresti in grado di aiutarmi!»
La madre di Retasu si coprì il volto con le mani ed andò a chiudersi nella camera da letto, lasciando soli una desolata Retasu e il suo fratellino minore Shin.
«Che cosa succede alla mamma?» chiese lui preoccupato dal divano, distogliendo l’attenzione dal cartone animato che stava guardando.
Retasu sospirò mentre raccoglieva i cocci del bicchiere.
«Oggi, mentre non c’eri, ha urlato un sacco con papà e mi hanno fatto uscire fuori,» proseguì il bambino.
Quando finì di pulire a terra, la sorella maggiore lo raggiunse e gli accarezzò la testa. «Vedi, la mamma sta passando un brutto periodo. Sii paziente e non farla arrabbiare, presto tornerà tutto come prima,» disse con voce triste.
«Oh. Va bene,» annuì lui, anche se con poca convinzione.





+ + +

Note:
Come avrete sicuramente capito, Ai stava leggendo l'Amleto di Shakespeare; il passo in particolare era tratto dal famoso monologo di Amleto. Ovviamente, Giulietta è la protagonista di "Romeo e Giulietta". Infine, Mefistofele è il demone protagonista del Faust (suppongo che Aicchan abbia trovato la tragedia scritta da Marlowe).




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Capitolo 16
*** E' una vita terribile ***


23/05/2014. Hmmm… Ai, figliolo, sei un gran figo ma devo renderti meno emo.
Kass tu invece sei una principessa, che droga prendevo quando decidevo di farti parlare come una trattorista?!



- Capitolo 15: E' una vita terribile - 


Erano trascorsi dieci giorni dal primo scontro delle Mew Mew con gli alieni. Quella sera, quando giunse l’orario di chiusura, Zakuro spense le luci esterne e sbarrò il portone del Cafè.
Anche per oggi era finita, pensò la ragazza mentre si sfilava la cuffietta da cameriera. Accanto al bancone in fondo al locale c’erano Retasu, accasciata debolmente su un sedile, Minto, con la testa appoggiata sulla sua spalla, e Purin, che teneva i gomiti sulla cassa e le mani a sorreggerle il viso.
Ichigo non era con loro, ma quella ormai non era più una novità.
Era dal giorno della notizia della morte di Aoyama che non si era più fatta vedere né al Cafè, né a scuola, né da qualsiasi altra parte. La sua casa era deserta, i vicini sembravano non saperne nulla e le ragazze erano molto in pena per lei.
Ryo e Keiichiro avevano scoperto che i genitori di Ichigo erano fuori zona e che sarebbero tornati verso la fine del mese, ma Ichigo non era con loro: la rossina sembrava essere praticamente scomparsa.
Zakuro si strofinò un graffio che aveva sulla guancia e raccolse da terra uno straccio. «Pulizie?» chiese ad alta voce.
«Abbiamo forse un’altra scelta?» sospirò Minto con aria svogliata.
«Si, tornate a casa e riposatevi. Domani il bar resta chiuso,» rispose Ryo, raggiungendo il gruppo di cameriere. «E probabilmente sarà così per sempre,» concluse poi con un tono che voleva suonare indifferente.
Le quattro si scambiarono una serie di sguardi scioccati.
«E questo che cosa significa?» gli domandò Zakuro.
«Io e Keiichiro crediamo che sia meglio chiuderlo definitivamente,» spiegò il biondo con calma. «Ci siamo resi conto che è un peso troppo grande da sostenere per voi ragazze. La lotta contro i nostri nuovi avversari consuma tutte le vostre energie, e senza Mew Ichigo…»
«Riusciamo a cavarcela anche senza di lei,» obiettò Minto.
«Sì Ryo, noi stiamo benissimo, davvero! Guarda! Guarda!» le fece eco energicamente Purin, prendendo una scopa e iniziando a spazzare a terra.
Ryo incrociò le braccia al petto e strinse la labbra. Le ragazze sapevano bene che, testardo com’era, non si sarebbe lasciato convincere facilmente a cambiare idea. Sapevano anche che Ryo aveva ragione, ma chiudere il Cafè Mew Mew avrebbe significato ammettere che loro, da sole, erano troppo deboli per mandarlo avanti, e se non riuscivano a tenere aperto un bar, come potevano sperare di salvare il mondo?
E poi, non appena Ichigo fosse tornata, come avrebbe reagito alla notizia della chiusura? Aveva già perso tanto, perdere anche il loro luogo di ritrovo sarebbe stato un ennesimo colpo per lei.
«Io e Keiichiro studieremo un modo per permettervi di tenervi in contatto e riunirvi facilmente in caso di pericolo,» le tranquillizzò Ryo, con poco successo.
«Ma senza il Cafè non avremo più una copertura,» protestò Retasu. «Mia madre mi lascia venire qui a lavorare perché abbiamo bisogno di soldi, ma se chiudessimo tutto dovrei cercarmi un altro lavoro e, nel frattempo, non so proprio come potrei giustificarle la mia assenza da casa.»
Ryo aprì la bocca per replicare, ma venne interrotto dall’arrivo di Keiichiro, che si precipitò nella stanza passando dalla porta sul retro. «Gli alieni! Gli alieni stanno attaccando!» esclamò.
«Alieni! Alieni!» gli fece eco un terrorizzato Mash alle sue spalle.
Ryo digrignò i denti. «Maledizione!» imprecò.
«Ma… di nuovo?!» chiese Minto, gli occhi sbarrati. «Li abbiamo affrontati appena tre ore fa!»
Purin lasciò cadere a terra la sua scopa e si accasciò sfinita accanto ad essa. Retasu quasi scoppiò in lacrime, mentre Zakuro sbatté entrambi i palmi sul bancone, stringendoli poi in un pugno.
Keiichiro non si lasciò impietosire. «Stavolta sembra che ci siano tutti e tre,» disse, «sono a nord di Tokyo. Andate, vi comunicherò le coordinate precise tramite Mash.»
«Continueremo il nostro discorso più tardi,» disse Ryo alle ragazze. «Squadra Mew Mew!» chiamò.
Le quattro ragazze si trasformarono rapidamente e lasciarono il locale, dirigendosi nella zona indicata da Keiichiro.
Mew Purin avanzava saltando sui tetti, seguendo le indicazioni che gli dava Mash. Le tenevano dietro un'agile Mew Zakuro e Mew Lettuce, un po’ più impacciata. Mew Mint aveva invece deciso di utilizzare le sue ali per precedere di qualche metro le sue compagne.
Erano ancora provate dallo scontro precedente, ma il problema non era quello, il problema era che erano dieci giorni che andava avanti questa storia. Infatti, dopo essere usciti allo scoperto, gli alieni avevano iniziato ad attaccare in modi sempre più violenti ed improvvisi zone a caso di Tokyo, sguinzagliando chimeri sempre più forti, distruggendo e uccidendo finché le Mew Mew non arrivavano e li costringevano, volenti o nolenti, alla ritirata. Questa “tattica” era molto simile a quella che, a suo tempo, avevano adottato Kisshu, Pai e Taruto, ma la differenza era che Kassandra, Hiroyuki e Ai attaccavano, soli o insieme, anche più di una volta al giorno.
Keiichiro e Ryo non erano riusciti a trovare un modo per prevedere gli attacchi, che avvenivano nelle ore più disparate del giorno e della notte, e le Mew Mew, dal canto loro, si stavano lentamente consumando per la stanchezza e l’ansia.
L’assenza di Ichigo non faceva altro che peggiorare la situazione.
L’unico lato positivo era che i numerosi combattimenti erano serviti alle ragazze per studiare la personalità, la forza e le debolezze dei loro avversari.
Kassandra, avevano concluso, non era un pericolo: infatti, quando lei attaccava – cosa che avveniva il 90% delle volte - si limitava a creare dei chimeri e a farsi da parte, per poi filarsela quando questi venivano sconfitti. Purtroppo, l’aliena era protetta dal gigante con la pelle scura, Hiroyuki, mille volte più forte e pericoloso di lei. Per quel che riguardava Ai… beh, lui compariva raramente al fianco dei suoi due compagni, e in quelle occasioni sembrava quasi che ci fosse capitato per caso o che la cosa lo infastidisse.  Non obbediva agli ordini di Kassandra e spesso iniziava a battibeccare con lei...  l’unica cosa che accomunava quei due era l’odio che provavano nei confronti delle Mew Mew. All’inizio loro avevano considerato Ai inoffensivo, ma ben presto avevano dovuto constatare che anche lui, quando voleva, sapeva combattere con una forza e un’abilità sconcertanti. E avevano compreso anche che, se con Kisshu, Pai e Taruto arrivare al dialogo era stato difficile… con Kassandra, Hiroyuki e Ai era a dir poco impossibile.
Dopo dieci giorni di combattimento, le ragazze avevano capito molte cose dei loro avversari, ma non riuscivano a comprendere dove volevano arrivare.
Qual era lo scopo di quei tre?
Distruggere l’umanità? Uccidere loro? Conquistare la Terra? La strategia che stavano usando era in ogni caso assurda, priva di qualsiasi logica!
E, dopo dieci giorni, Minto, Zakuro, Retasu e Purin ne avevano abbastanza.
Un flash di luce bianca, seguito da un rombo terrificante, catturò l'attenzione delle ragazze.
«Sono laggiù!» gridò Mew Purin, indicando con un dito il punto in cui era provenuta l’esplosione.
Mew Zakuro strinse gli occhi. «Ma quella é…»
«MA QUELLA E' CASA MIA!» strillò Mew Mint, terrorizzata.

* *

Un chilometro più in là, Hiroyuki galleggiava sulla verticale di villa Aizawa: le sciabole che impugnava nelle mani nodose brillavano della stessa luce fredda e minacciosa dei suoi occhi. Dietro di lui c’erano Kassandra e Ai: lei aveva un’aria eccitata e lui continuava a lanciarle di sbieco occhiate di sufficienza.
«Così non conquisterai mai la Terra, l’hai capito questo?» si decise a dire alla fine il giovane, palesemente annoiato, fissando il cratere causato da Hiroyuki solo pochi secondi fa.
«Non ricordo di aver richiesto la tua presenza qui, villico,» borbottò Kassandra in risposta.
«Davvero, io non capisco. Pensavo che volessi uccidere le Mew Mew e diventare la Sovrana del pianeta, invece continui a fare di testa tua,» replicò Ai, un sopracciglio inarcato. «Almeno spiegami perché adesso ti sei messa in testa di disintegrare questo posto,» aggiunse poi.

«Perché questo pianeta è già mio, e ne faccio ciò che voglio,» fu la risposta altezzosa di Kassandra. «E poi lo stile di questa abitazione è orrido.»
Ai la guardò interdetto, ma lei non gli prestò attenzione: aveva appena ordinato alla sua guardia del corpo di distruggere villa Aizawa, ed ora si stava preparando ad assistere allo spettacolo.
Hiroyuki, un metro più in basso, incrociò le sue sciabole. Le armi iniziarono a brillare e in pochi secondi l'energia che le attraversava si raccolse nel punto in cui le armi si toccavano, formando una sfera nera che si ingrandì sempre di più. Si preparò a spararla verso il suo obiettivo… ma non ci riuscì, perché una voce femminile attirò la sua attenzione.
«FERMO, NON FARLO!»
L’anziana governante di villa Aizawa, la balia di Minto, stava agitando le mani nella direzione degli alieni.
Kassandra si portò le mani sui fianchi. «Cosa è quell’essere patetico?»
«Non potete distruggere questa casa!» continuò intanto la donna, disperata.
Sentendo ciò, le labbra sottili di Ai piegarono in un sorrisetto. «Ah, no?» disse a voce bassa, in tono di sfida. «Vogliamo scommettere?»
L’alieno si materializzò davanti alla balia: impugnava il suo kris e avrebbe sicuramente trapassato senza troppi complimenti l’anziana donna se Mew Zakuro non l’avesse spinta via all’ultimo momento, gettandosi addosso a lei.
«Uh…?!»
Ai si era già lanciato in avanti per colpire la donna, ma lo scatto della guerriera lo fece distrarre e sbilanciare. Nello stesso momento, alla sua destra comparve una luce color celeste.
«Ribbon Mint ECHO!» gridò Mew Mint.
L’attacco che Mew Mint lanciò era potente, molto più del solito, e Ai lo prese in pieno. L’alieno venne sbalzato molti metri più in là e rotolò a terra, dolorante e disarmato. Quando si rialzò vide colei che lo aveva colpito stringere nervosamente i pugni nella sua direzione.
«Non osare farlo MAI più!» gli intimò: aveva il respiro affannato e l'aria distrutta, ma Ai non l’aveva mai vista così arrabbiata.
Dietro di lei, l’alieno intravide le sue compagne; la signora anziana era invece sparita. Senza staccare gli occhi da Mew Mint, Ai si toccò appena le labbra con un dito e se lo portò davanti al viso, scorgendo una macchiolina rossastra che gli sporcava i polpastrelli: sangue, quell'essere inferiore gli aveva tirato fuori del sangue… una smorfia truce gli deformò la faccia: stavolta gliel’avrebbe fatta pagare.
«Ancora voi!» esclamò intanto una sdegnata Kassandra, molti metri più in alto.
«Non ti lasceremo mai fare del male a queste persone!» le disse Mew Zakuro. «Per cui, perché non la smetti di scappare come un coniglio quando ci vedi e ci affronti in una battaglia vera?»
«E perché mai dovrei farlo?!»
«Perché chi vince si prende il pianeta.»
Le altre Mew Mew rivolsero a Zakuro uno sguardo incredulo.
«Aspetta, Zakuro…» obiettò Mew Mint, «non puoi…»
«Ancora?! Il pianeta è già mio,» ripeté Kassandra dall’alto. «E, ad ogni modo, una pezzente come te non sarebbe mai in grado di battermi.»
«Ehiehiehi, chi l’ha detto che è tuo?» protestò Mew Pudding.
«Se sei così forte, allora perché continui a nasconderti?» domandò intanto Mew Zakuro.
Kassandra si morse le labbra. «Basta così! Hiroyuki!»
Obbediente, l’alieno apparve davanti a lei ed estrasse le sue sciabole. Vedendo ciò, le Mew Mew si scambiarono un’occhiata d’intesa e scattarono ognuna in una direzione diversa, mentre Mew Pudding gridava: «Ragazze, piano A!»
Hiroyuki fissò con sospetto Mew Zakuro, che gli era appena comparsa davanti ed aveva estratto la sua frusta.
«Ribbon…» cominciò la guerriera, e Hiroyuki si preparò a parare il colpo. «...ZAKURO SPEAR!» gridò Mew Zakuro lanciandogli contro l’attacco, che all’ultimo momento compì una brusca deviazione ed passò oltre l'alieno, dirigendosi dritto verso una scioccata Kassandra.
La principessa venne avvolta e immobilizzata dal lungo raggio d’energia viola della Mew Mew e ricadde a terra, urtando il muretto di una fioriera con la schiena. Hiroyuki non riuscì ad aiutarla perché, mentre si stava lanciando verso la sua padrona, venne colto di sorpresa da Mew Lettuce e Mew Purin, che lo attaccarono insieme sui due lati. Distratto, fu costretto ad ingaggiare un combattimento contro di loro. Nel frattempo, Mew Zakuro si era avvicinata a Kassandra e le aveva chiesto, con una certa soddisfazione: «Stavi dicendo?»
«Levami subito questa robaccia di dosso!» si lamentò lei in risposta, cercando di liberarsi.
Mew Zakuro strinse gli occhi. «Non credo che lo farò. Mew Mint!»
La birdgirl annuì ed impugnò il suo arco, puntandolo verso Kassandra mentre compiva un salto. «Stavolta non mi sfuggirai!» le disse, incoccando una freccia. «Ribbon Mint Echo!»
«Ribbon Zakuro Spear!»
Kassandra trattenne il respiro, terrorizzata dalla visione dei due attacchi che si stavano dirigendo verso di lei: erano così potenti e sparati da una distanza così corta che, se l’avessero colpita, l’avrebbero seriamente ferita. «N-No…» mormorò. «Non voglio… NON VOGLIO!»
Sembrava finita per lei… ma all’improvviso, il ciondolo a forma di croce che nascondeva sotto i vestiti esplose in una fortissima luce azzurra che distrusse l’attacco combinato di Mew Mint e Mew Zakuro. Le guerriere non ebbero il tempo di sorprendersi che delle grosse colonne nere vennero sparate fuori dal terreno ai loro piedi, facendole saltare via terrorizzate. Kassandra riuscì a stracciare le restrizioni che la bloccavano, mentre le Mew Mew fissavano inebetite quelle colonne di almeno un metro di diametro che continuavano a emergere dalla terra.
«Che…che cosa sono questi cosi?» sillabò sconvolta Mew Lettuce, osservando una delle colonne compiere a circa venti metri d’altezza una curva aggraziata e cominciare la parabola di discesa. Man mano che precipitava verso il basso, avvicinandosi a loro, le Mew Mew identificarono una marea di squame e due occhi gialli, piccole narici nere e una gigantesca bocca spalancata da cui sporgevano delle zanne aguzze: quelle colonne erano in realtà dei chimeri, i più spaventosi che avessero mai visto. Le guerriere riuscirono a spostarsi dalla traiettoria del primo appena in tempo e il chimero si rituffò nel terreno, lasciando dietro di sé una voragine dalla forma rotonda.
«Carini, vero?» sorrise Kassandra, aggiustandosi i capelli. «Questi chimeri anima sono la mia ultima creazione. Li ho fatti nascere modificando quegli adorabili animaletti striscianti che chiamate serpenti.» L’aliena schioccò le dita. «Attaccate!»
Gli altri quattro chimeri, seguendo l’esempio del primo, puntarono verso le Mew Mew, che dovettero impiegare tutta la loro agilità per riuscire ad evitare di essere inghiottite al volo. I mostri scomparivano rapidi sottoterra per poi rispuntarne di colpo, sibilando pericolosamente mentre si incrociavano fra loro, confondendo le guerriere.
Mew Zakuro lanciò contro uno di loro il suo attacco e lo colpì in mezzo alla fronte. Prima di cadere a terra inerme, il chimero le sputò addosso una sorta di sostanza verde gelatinosa che, a contatto con la sua pelle, prese a bruciarle terribilmente.
Mew Zakuro gridò dal dolore e cadde a terra in ginocchio. Kassandra atterrò con grazia davanti a lei e, replicando quanto aveva vissuto solo pochi minuti prima, le sorrise provocatoria. «Ho dimenticato di dirvi che ho utilizzato dei serpenti sputatori… velenosi,» disse, premendo il tacco del suo stivale sulla mano della Mew Mew, impedendole qualsiasi tentativo di attivare la sua arma.
«Mew Zakuro!» gridò Mew Pudding, ma la sua distrazione le costò cara: la coda di un chimero la colpì al petto e la mandò a sbattere contro il muro di cinta della casa di Minto. Nel frattempo, Mew Lettuce venne colpita –anche se fortunatamente solo di striscio - dal veleno di un altro. Mew Mint era riuscita ad evitare il veleno, ma quando si accorse del chimero che aveva alle spalle era ormai troppo tardi. Si voltò verso di lui in tempo per vedere la sua gigantesca bocca spalancarsi e il suo respiro si fermò mentre realizzava a malapena il fatto di stare per essere divorata viva. Paralizzata dalla paura, Mew Mint avvertì sul corpo il calore del fiato del mostro… ma venne afferrata e portata via un secondo prima di essere fatta a pezzi.
La Mew Mew si sentì sbattere con violenza su una superficie solida, che scricchiolò sotto la sua schiena.
Non capì cosa le era successo ed istintivamente cercò di rialzarsi, ma rimase ferma in ginocchio quando capì che era stata teletrasportata sul tetto di casa sua, e che a portarla lì, salvandola dal chimero, era stato Ai.
L’alieno dagli occhi azzurri evitò rapidamente il suo sguardo confuso. «Non farti strane idee,» le disse in tono piatto. «Non potevo permettere che tu venissi uccisa da quel mostro, noi due abbiamo ancora un conto in sospeso,» dichiarò, estraendo di nuovo il suo pugnale dalla forma serpentina.
Mew Mint si rialzò appena  in tempo per evitare l’affondo del suo avversario, che si scagliò contro di lei mirando al suo petto.
 «Aspetta, ma cosa…?!» la guerriera compì un lungo salto e atterrò dall'altra parte del tetto, ma venne ben presto raggiunta dal suo avversario, che sembrava più agguerrito che mai. Lei lo fissò, confusa.
«Mi sei sempre stata antipatica, ma ora mi hai davvero stancato! Preparati!»
Mew Mint evitò un altro affondo. «Ehi, non te la prendere con me! Siete voi che non avete rispetto per i sentimenti altrui!»
Ai continuò ad attaccarla. In pochi secondi, la ragazza si ritrovò con le spalle premute contro le fragili tegole del tetto. Riuscì a parare l’assalto frontale del suo avversario con il suo arco, ma le due armi rimasero incastrate fra loro.
«Io non ho sentimenti,» disse Ai digrignando i denti, «perché dovrebbe fregarmene qualcosa di quelli degli altri?!»
«Oh poverino, non hai dei sentimenti!» lo prese in giro Mew Mint, nonostante fosse seriamente in difficoltà. «E allora perché dici che mi odi, dimmi?!»
Ai riuscì a liberare il suo pugnale e compì un balzo all’indietro. Sembrava che Mew Mint avesse toccato un nervo scoperto perché, quando l’alieno aprì di nuovo le labbra, sembrava davvero fuori di sé. «Cosa ne sai tu di me?!» sbottò furioso.«Tu non puoi capire!»
«Sei tu che non capisci, stupido!» esclamò Mew Mint, rimettendosi in piedi. «Continuare a combattere in questo modo è inutile!»
«Lo so perfettamente, grazie.»
«E allora perché continui a combattere?!» continuò la ragazza, esasperata. «Tu non sei come Kassandra! Perché ti comporti così?»  domandò. Un istante dopo indietreggiò di un passo, spaventata dall’espressione gelida che aveva assunto Ai.
L'alieno stringeva i pugni per fermare il tremito rabbioso che gli percorreva il corpo. «Io faccio quello che voglio,» sibilò con una calma innaturale. «E quanto a te, non osare parlarmi come se mi conoscessi. Tu non sai niente di me. Tu non hai idea di quanto io ho sofferto!»
Non fu tanto quella risposta, quanto il tono amaro con cui era stata pronunciata a colpire la ragazza.
«Tu, una stupida Mew Mew!» continuò l’alieno in tono sprezzante. «Che tra l’altro… è destinata a morire,» concluse con un sorrisetto nervoso e, approfittando della distrazione della guerriera, le si materializzò accanto e la pugnalò allo stomaco.
Lei, incredula, sentì i suoi polmoni contrarsi e piantò gli occhi cerulei in quelli vuoti dell’alieno.
Con un gesto meccanico, Ai estrasse l’arma dal corpo della ragazza; sconvolta, lei pressò una mano sulla macchia rossa che si stava allargando velocemente sul vestito verde acqua.
Ai la spinse giù dal tetto. Mew Mint ricadde accanto alle sue compagne, che frattanto erano state ridotte allo stremo dai chimeri e da Hiroyuki.
Ai si materializzò accanto a Kassandra, ancora livido in volto e tremante. Lei era troppo impegnata ad ammirare la sconfitta delle sue avversarie e non se ne accorse.
«Missione compiuta,» ghignò l’aliena, gettandosi dietro le spalle la chioma scura. «Adesso finitele!» ordinò ai chimeri superstiti, schioccando le dita. Questi si prepararono ad attaccare, le fauci spalancate.
Mentre si gettavano addosso alle Mew Mew, Mew Zakuro schiuse faticosamente un occhio. «R-Ragazze…» sussurrò.
«…p-piano B?» mormorò Mew Lettuce, cercando di rialzarsi.
Mew Zakuro scosse la testa. «No… temo che q-questa… sia la fine.»
«Addio, Mew Mew,» sorrise Kassandra.
Ma, prima che i chimeri potessero colpire le quattro ragazze…
«Ribbon Strawberry Check Surprise!»
…uno scudo di energia luminosa li respinse indietro.




+++

Note:
Solo per dire che i serpenti di cui parla Kassandra appartengono ad famiglia particolare di serpenti che, invece di azzannare le loro prede, lanciano loro addosso il veleno "sputandolo" con grande precisione e potenza dalle zanne. 

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Capitolo 17
*** Equivoci pericolosi ***


02/06/2014. Ho deciso di iniziare qui la mia carrellata di immagini di riferimento dei miei infiniti OCs.
In questo capitolo vi presento Marie Wise. L’aspetto fisico del suo personaggio è basato su quello di Misuzu di AIR, e se dovessi cercare un’immagine che la rappresenta sceglierei questa fanart:





- Capitolo 16: Equivoci pericolosi - 


Mew Ichigo era ritornata dalle sue compagne per proteggerle. Stringeva fra le dita la sua Strawberry Bell e aveva un’espressione determinata dipinta sul viso.
«Voi tre,» disse agli alieni che galleggiavano alcuni metri più in alto, «come avete osato fare del male alle mie amiche?!»
«Ma come, ce n’è anche un’altra?» si domandò una confusa Kassandra. In effetti, l’aliena aveva visto Mew Ichigo solo al Giardino Botanico, ma a distanza di giorni si era completamente dimenticata di lei.
«Ha respinto i tuoi chimeri senza il minimo sforzo,» osservò Ai in tono incolore.
«Già!» annuì Mew Ichigo dal basso, muovendo nell’aria la Strawberry Bell. «E non hai ancora visto la parte migliore!»
Un gemito lieve alle spalle dell’eroina catturò la sua attenzione: Mew Lettuce la stava chiamando debolmente. Era ridotta molto male, ma almeno era rimasta cosciente. Le altre, invece…
Mew Ichigo raggiunse l’amica e si chinò accanto a lei, prendendole la mano che lei le stava tendendo.
«I-Ichigo…» le sussurrò la combattente verde, «t-ti-prego….scappa.»
Lei scosse la testa. «Mi sono stancata di scappare,» ammise, osservando le ferite della compagna con un sorriso triste. «Non preoccuparti per me. Ora ci penso io agli alieni.»
Mew Ichigo lasciò la mano di Mew Lettuce e si rimise in piedi. Alzò la testa verso i suoi avversari e una strana luce argentea cominciò a brillare nei suoi occhi, diffondendosi poi lungo i contorni del suo corpo. La guerriera abbassò le palpebre e pose le mani davanti a sé: «O virga mew aqua, luce!» recitò ad alta voce. Una lunga bacchetta rosa si materializzò fra le mani. Sotto lo sguardo incuriosito degli alieni, Mew Ichigo gridò: «Ribbon Aqua Guttae!» e di colpo centinaia di bolle di sapone colorate e luccicanti vennero sprigionate dalla bacchetta. In pochi secondi l’intero quartiere ne fu sommerso al punto tale che i passanti credettero di essere precipitati in di quelle sferette natalizie con dentro la neve artificiale colorata.
I chimeri, già indeboliti dal colpo ricevuto in precedenza, si disintegrarono al minimo contatto con le bolle. Fiutando il pericolo, gli alieni si teletrasportarono via per non fare la stessa fine. Si materializzarono tutti e tre a debita distanza dalle bolle e con orrore constatarono che le Mew Mew, al contrario dei chimeri, a contatto con esse stavano riacquistando la loro forza: le loro ferite guarivano a vista d’occhio come per magia.
Spaventata, Kassandra corse a rifugiarsi dietro la sua guardia del corpo.
«Ma questo… questo è impossibile!» borbottò.
Hiroyuki rimase immobile e impassibile anche quando la squadra delle Mew Mew al completo, pochi secondi dopo, lo raggiunse e lo circondò.
«Abbiamo un conto in sospeso, noi due,» disse Mew Zakuro, completamente ristabilita, a Kassandra.
Lei, sempre nascosta dietro Hiroyuki, si sporse leggermente solo per guardarla male.
«Allora io vi lascio giocare, ragazze. Con il vostro permesso,» tossicchiò Ai.
Mew Ichigo impugnò la Strawberry Bell. «Ribbon Strawberry Check Surprise!» gridò, mentre le sue compagne le facevano eco.
«Ribbon Lettuce Rush!»
«Ribbon Minto Echo!»
«Ribbon Pudding Ring Inferno!»
«Ribbon Zakuro Pure!»
I cinque potentissimi attacchi si diressero dritti verso i tre alieni, che riuscirono a scappare all’ultimo secondo per miracolo.
«Ritirata… ma vi giuro che la prossima volta che ci incontreremo sarà l’ultima!» furono le ultime parole di Kassandra prima di svanire nel nulla.
«Non è la prima volta che ce lo dici!» le gridò dietro Mew Pudding, facendole una linguaccia. «MEW ICHIGO!» esclamò poi, gettandosi addosso alla Mew gatto con tale entusiasmo da farla ricadere all’indietro. «SEI TORNATA!»
Le altre le circondarono.
«Ichigo! Ma dove eri scomparsa?»
«Eravamo così in pensiero!»
«Sei andata a cercare l’acqua mew?» le chiese Mew Zakuro, aiutandola a rialzarsi.
Mew Ichigo annuì, abbassando gli occhi a terra. «Scusatemi se non vi ho avvertito… era una cosa… che volevo fare da sola.»
«Non dirci che l’hai consumata tutta per salvarci!» chiese scioccata Mew Mint, ancora scossa per via del combattimento.
«No… ne ho trovate solo poche gocce, ma sono sicura che saranno sufficienti a rispedire quegli alieni sul loro pianeta e farceli restare,» la tranquillizzò la gatta.
«D’accordo…ma ciò non toglie che ci hai fatto morire dalla preoccupazione,» sbuffò lei in risposta. «Potevi almeno avvertirci! Noi… abbiamo temuto il peggio.»
Mew Ichigo si strinse le mani. «Ragazze… mi dispiace, io-»
«Non preoccuparti, l’importante è che adesso sei qui con noi, Ichigo,» la interruppe Mew Lettuce con un sorriso rassicurante.
«No, avete ragione.» Mew Ichigo scosse la testa. «Ho pensato di farla finita ad un certo punto. Però, alla fine, Ho pensato che…ad A-Aoyama-kun non avrebbe fatto piacere se la Terra fosse andata distrutta,» ammise con voce incrinata.
Mew Zakuro le posò con delicatezza una mano sulla spalla. «Torniamo a casa ora.»

 
* * *


Solito bar, solite cameriere, il giorno dopo.
Ryo sedeva al tavolo della cucina. Era concentrato nella lettura di alcuni stampati che sfogliava con aria pensierosa, quando sentì qualcuno battergli su una spalla. Il giovane si voltò e si ritrovò faccia a faccia con una perplessa Purin, seduta a gambe incrociate sulla sua gigantesca palla.
«Ryo, è vero che ora che Ichigo è tornata non chiuderai il Cafè?» chiese la ragazzina. «E’ vero, vero?»
Lui le lanciò uno sguardo indecifrabile. «Non ho ancora deciso,» sbuffò dopo molti secondi di silenzio, per poi tornare ai suoi fogli.
Purin inclinò la testa di lato, incerta.
«Oggi gli alieni non si sono ancora fatti vedere in giro. Credo che, dopo la mazzata che hanno ricevuto ieri, non si faranno vivi per un po’,» si intromise Minto, posando accanto al forno una guantiera vuota che Retasu si affrettò a riempire di pasticcini alla crema.
«Io mi preoccupo per Ichigo,» ammise quella.
Seguendo lo sguardo di Retasu, Minto, Purin e Ryo si sporsero un poco verso la porta per vedere cosa stava accadendo nella sala da tè.
Ichigo si era appena accostata ad un tavolino per raccogliere un’ordinazione: sebbene si sforzasse di sorridere, i suoi occhi erano così spenti da spezzare il cuore; teneva le spalle curve e la voce faticava a restare ferma, eppure continuava a svolgere il suo lavoro senza battere ciglio.
«Non sembra più neanche lei,» sospirò Retasu. «E’ così…»
«…professionale?» concluse Minto.
Retasu annuì.
Ryo, scuro in viso, abbassò gli occhi sui suoi appunti.
In quel momento Ichigo fece il suo ingresso nella cucina: poggiò sul tavolo il blocchetto delle ordinazioni e iniziò a sistemare alcuni dolcetti in un vassoio. «Retasu, per favore, puoi riscaldare dell’altra acqua per il tè?» chiese con cortesia.
Retasu le lanciò uno sguardo incerto.
«Che c’è?»
«Ecco… perdonami se te lo chiedo, Ichigo, ma...sei davvero sicura di voler restare qui con noi?»
«Se non te la senti di lavorare puoi tornare a casa, ci pensiamo noi al Cafè,» aggiunse Purin.
Ichigo tremò leggermente, sentendo gli occhi delle sue amiche e di Ryo puntati sulla sua schiena.
«Io…oh, non ditelo neanche per scherzo!» esclamò dopo un attimo di incertezza, voltandosi verso di loro. «Io… io non voglio abbandonarvi di nuovo.»
Ryo mise da parte i suoi fogli. «Ichigo…» iniziò.
«Non posso passare il resto della mia vita a piangermi addosso e a soffrire per…A-Aoyama-kun, Ryo!» esclamò lei. «Soprattutto in momenti come questi, in cui dovremmo essere più unite che mai…» soggiunse. «E poi, sapete… come dice una mia compagna di classe… the show must go on
Ichigo fece un grosso respiro e tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Stava posizionando una bustina di tè al cedro sul vassoio quando si accorse della mano di Ryo sulla sua spalla.
La ragazza sussultò e si girò di scatto nella sua direzione; i loro sguardi si incrociarono e Ichigo arrossì.
«Perdonami,» le disse semplicemente Ryo.
«E-Eh?!»
Un sorrisino increspò appena le labbra del giovane. «Devo ammetterlo: mi ero sbagliato. Sei più matura di quanto credessi,» ammise. Lasciò scivolare via la mano. «Però ora non montarti la testa eh,» concluse con un velo di sarcasmo.
Ichigo strinse i pugni e corrugò la fronte con nervosismo.
«Io non mi monto la testa!» sbottò, seccata.
Ryo la ignorò e, anche se lei non poteva vederlo, continuò a sorridere. Stava per lasciare la cucina, ma non appena afferrò la maniglia della porta qualcuno dall’altra parte la spalancò con veemenza tale da farlo letteralmente spiaccicare contro la parete.
«ICHIGO!!» strillò Marie lanciandosi addosso la rossina. Le gettò le braccia al collo, mentre i presenti fissavano inebetiti la scena. Conoscevano Marie di vista perché era da almeno una settimana che quella ragazzina veniva al Cafè e chiedeva loro notizie di Ichigo, ma non pensavano che il rivederla potesse renderla capace di un tale scatto di entusiasmo: in genere, Marie era sempre molto tranquilla.
Ichigo si staccò con imbarazzo da quell’abbraccio. «M-Marie!» disse, sorpresa. «Che cosa ci fai qui al Cafè?»
Zakuro entrò nella stanza. «Mi dispiace, non sono riuscita a fermarla,» spiegò ad Ichigo, lanciando nel contempo a Marie un'occhiata obliqua.
Lei prese le mani di Ichigo fra le sue e la guardò: i suoi occhi luccicavano per la felicità ed il  sollievo. «Non dovrei essere qui lo so, ma ero molto preoccupata per te, come stai amica mia?» disse velocemente.
Incredibile ma vero, quella frase era stata pronunciata in un giapponese perfetto, anche se con il tono di un bambino che recita una poesia imparata a memoria.
Ichigo apprezzò lo stesso quel tentativo. «Sei stata molto gentile, grazie,» rispose, sorridendo alla sua compagna di classe. «Sono dovuta… partire improvvisamente per un problema di famiglia e sono tornata solo ieri.»
«Oh. Capisco.»
«Già.»
Ichigo notò con imbarazzo crescente che Marie non sembrava intenzionata a lasciare le sue mani. Le stringeva forte, trasmettendole la sua apprensione, e la rossina non sapeva cosa dirle per convincerla a calmarsi.
Di colpo, un rumore sordo fece sobbalzare entrambe: Keiichiro era appena entrato dalla porta del retro. Il giovane uomo aveva con un’aria sconvolta che non faceva presagire niente di buono.
«Ragazze!» esclamò. «Ho delle novità riguardo agli al–»
Purin e Retasu saltarono addosso a Keiichiro e gli tapparono la bocca prima che lui potesse completare la frase. Minto si affrettò ad afferrare Mash e a nasconderlo dentro una caffettiera.
Marie osservò la scena con stupore.
«…ALIMENTI da utilizzare per i nuovi dolci!» concluse un sorridente Ryo Shirogane, dando una sonora pacca sulla spalla al suo amico. «Finalmente, erano giorni che aspettavo quelle ricette! Andiamo subito a vederle!»
Quando Purin e Retasu lo lasciarono andare, Keiichiro guardò il gruppo di cameriere, accorgendosi finalmente della presenza di Marie fra di loro. «Ma certo! Era proprio questo ciò di cui volevo urgentemente parlarvi,» replicò tossicchiando.
«Perfetto, allora per oggi chiudiamo… avete sentito ragazze? Oggi chiusura anticipata. Vi aspettiamo di sotto,» tagliò corto Ryo. Sorrise un’ultima volta a Marie e poi si avviò con Keiichiro nella sala sotterranea, richiudendosi la porta alle spalle.
«Ma… aspettate! Non possiamo chiudere all’improvvis…oh, che tipi!» sospirò Minto. «Speriamo che i clienti siano comprensivi…»
Fortunatamente lo furono. Non appena l’ultimo cliente fu uscito, Zakuro chiuse a chiave il portone d’ingresso del locale e poi raggiunse Retasu in cucina. Le due cameriere stavano per scendere nel sotterraneo quando Zakuro, all’improvviso, si immobilizzò.
«L’hai sentito anche tu?» chiese.
«Che cosa?»
Zakuro rizzò la testa e nel modo in cui farebbe un cane e ritornò guardinga sui suoi passi. «Uno starnuto. Qualcuno ha starnutito,» borbottò, la fronte corrugata per la concentrazione.
«Ne sei sicura? Su questo piano ci siamo solo noi.»
«Uhm…»
«Credi che siano i nostri nemici?»
«Fai silenzio un attimo, Retasu.»
Prima che la verde potesse replicare, la cameriera viola aveva già raggiunto il bagno del locale ed era entrata. Al suo interno scovò, in piedi accanto ad un lavandino… una spaventata Marie. La fulminò con lo sguardo; Retasu invece sospirò sollevata e le si avvicinò timidamente. «Ehm… scusaci, ma devi andare,» le disse un po’ incerta.
Marie la guardò interrogativa. «Sorry, I don't understand.»
«Il Cafè Mew Mew è chiuso! Ci dispiace, ma devi andare!» ripeté Retasu a voce più alta.
«Guarda che è straniera, non sorda,» le fece notare Zakuro, e Retasu arrossì. «Could I ask you what are you doing here?» chiese poi bruscamente alla straniera.
Marie parve stupita dal fatto che Zakuro parlasse la sua lingua.
«I…er…I got lost,» rispose, distogliendo lo sguardo dalle due cameriere.
L’espressione di Zakuro si rabbuiò.
«Ma…che…che succede?» domandò Retasu.
Zakuro guardò Marie sospettosa. «The exit is right there,» disse, indicando la direzione in cui si trovava la porta del Cafè.
«Oh. Thank you,» replicò Marie, e lasciò il  bagno con una velocità sconcertante.
«Retasu, falla uscire e poi richiudi a chiave il portone, per favore,» disse Zakuro alla sua compagna. Lei annuì, e quando tornò, mentre si avviava con lei nel sotterraneo, Zakuro le confidò: «Credo che quella straniera ci nasconda qualcosa. Ho come uno strano presentimento.»
La ragazza dai capelli verdi non seppe cosa risponderle.
 

* *


Ai era sdraiato su un vecchio letto, gli occhi cerulei fissi nel vuoto. La finestra della stanza polverosa in cui si trovava era sbarrata da assi di legno, ma dei sottili raggi di sole riuscivano ugualmente a filtrare all’interno, passando attraverso gli spazi fra di esse.
«Che cosa mi succede?» mormorò l’alieno, osservando distrattamente le particelle di polvere che galleggiavano nei raggi di luce.
Era da un pezzo che stava lì fermo, immobile. Non era malato, eppure non si sentiva per niente bene. L’alieno non riusciva a ragionare lucidamente: tutti i suoi pensieri erano catalizzati sulle parole che Mew Mint gli aveva rivolto durante il loro ultimo combattimento.
“Perché continui a combattere?!” continuava a ripetere la Mew Mew nella sua testa.
Ai non si era mai posto questa domanda, ma da quando la sua avversaria lo aveva fatto non riusciva a fare a meno di cercare una risposta.
In effetti, perché combatteva?
Era sempre stato molto devoto alla causa del suo Pianeta ed estremamente ligio al suo dovere, ma ormai non era più una Guardia Imperiale e non aveva più l’obbligo di servire o obbedire a nessuno. Inoltre, non è che gli importasse poi così tanto della vendetta sugli umani o dei piani di Kassandra.
La semplicità della mente di quella principessina viziata era a dir poco incredibile. In fondo, molto in fondo, Ai la invidiava.
Se solo lei non fosse sempre così irritante, avrebbero potuto essere alleati…e forse anche amici.
Invece, le cose avevano preso una piega a dir poco penosa.
Non era certo una novità per lui: Ai non era mai riuscito a legarsi veramente a qualcuno, e nessuno aveva mai sentito il bisogno di legarsi a lui.
Non aveva mai conosciuto la sua famiglia: non ricordava niente dei suoi primi anni di vita. I suoi primi ricordi risalivano all’orfanotrofio in cui era cresciuto, orfanotrofio che l’aveva scaricato in quell’inferno di Istituto Militare non appena aveva raggiunto l’età adatta per essere iscritto. In quel posto gli avevano insegnato a combattere per il loro sovrano, a combattere contro i nemici dell’impero, a combattere per morire con onore…
Nella sua vita, Ai non aveva fatto altro che combattere. Ma, ora che finalmente era libero da ogni dovere, perché continuava a farlo?
"Già, perché?" ricominciò a torturarsi il giovane alieno. "Perché continuo a combattere, ad odiare e disprezzare e uccidere? Perché non riesco a trovare pace? Perché sento il bisogno di tutto questo?"
Si rigirò sul letto, e nel farlo fece cadere a terra il libricino aveva cercato di leggere per distrarsi un po’.
Era di un certo Blaise Pascal, si intitolava "Pensieri". Ai rimase a fissarne la copertina sgualcita senza interesse… poi all’improvviso comprese: Pascal…il divertissement.
"Io sento il bisogno di combattere," pensò, "perché mi distrae… mi distrae dal pensare a me stesso, alla mia vita, al mio passato… a quanto sono stupido… debole… e solo."
«Ah, eccoti finalmente!»
Ai balzò a sedere al suono di quella voce stridula: Kassandra si era appena materializzata nella stanza.
Chissà perché, non riusciva ad esserne felice.
«Ti ho cercato dappertutto!» si lamentò l’aliena, le mani poggiate sui fianchi sottili.
Ai la degnò a malapena di uno sguardo. Raccolse da terra il suo libricino e fece per andarsene ma Kassandra, con un gesto rapido, glielo sfilò di mano e lo gettò via senza troppi complimenti, spaginandolo.
«Ehi!» protestò a quel punto il giovane. «Che vuoi? Non ho voglia di litigare oggi!»
«Sai qual è la novità, villico? Neanche io!» ribatté lei acida, alzando il tono di voce.
«Ma davvero?! A me non–»
«Fai silenzio ed ascoltami, anche perché non ho voglia di perdere tempo a parlare con te: oggi ho pensato–»
«Ah, sai fare anche questo?»
«…e ho concluso che quelle Mew Mew, in fondo, non sono poi così forti.»
Ai sbuffò una risatina ironica. «Quindi secondo te sono i tuoi chimeri a fare schifo?»
«NO!» troncò Kassandra, rossa di rabbia. «Quelle cose continuano a sconfiggerci perché sono unite da una specie di spirito di squadra!» rivelò. «E’ questa la loro forza, per cui se vogliamo batterle, noi dobbiamo…»
«…farle dividere?» domandò Ai, inarcando un sopracciglio.
«No plebeo… dobbiamo unirci anche noi,» concluse Kassandra con l’entusiasmo di una mosca appena finita nella tela di un ragno.
«Temevo che l’avresti detto,» sospirò Ai, roteando gli occhi.
«Non credere che l’idea mi alletti…» gli fece eco l'aliena.
I due rimasero in silenzio per un tempo abbastanza lungo da farli sentire entrambi in imbarazzo.
«Hai pensato anche ad altro per caso?» chiese alla fine Ai, con una certa venatura di sarcasmo nella voce.
«No.»
«Allora ascolta me adesso,» propose l'alieno. «Sai qual è la prima cosa che insegnano all’Istituto Militare?»
«Di certo non il galateo,» osservò Kassandra.
«Conosci il tuo nemico,» recitò Ai, ignorandola.
«Certo che lo conosciamo, sono quelle cinque bestie immonde!»
Ai sembrò fare una fatica immensa per non picchiarla. «Intendo dire, conosci i punti deboli del tuo nemico,» precisò. «Dimmi, quand’è che le Mew Mew sono deboli?» chiese poi.
Kassandra lo guardò confusa.
«Ok, mettiamola in termini più semplici: come sono gli esseri umani?»
«D-Deboli?!» tentò la principessa.
Lui annuì. «Stando ai dati in nostro possesso, le Mew Mew non sono altro che degli esseri umani in grado di trasformarsi. Sono un pericolo solo quando sono trasformate, ma finché sono esseri umani non lo sono, per cui basta scoprire la loro vera identità e distruggerle mentre sono inermi,» concluse. «Hai capito?»
Kassandra non rispose subito: era rimasta profondamente colpita dal suo compagno, non tanto per via del piano che aveva ordito, quanto per il fatto che riuscisse effettivamente a ragionare… fu costretta ad ammettere che non era poi così scemo come pensava, ed oltretutto non era neanche brutto, anzi…
«Kass?»
Kassandra avvampò. «NON TRATTARMI COME UNA STUPIDA!» strillò ad Ai – e poi gli mollò un ceffone sorprendentemente forte sulla guancia destra.
«Kassandra, VATTENE ALL’INFERNO!» sbraitò lui in risposta, sollevando i pugni.
«Esperienza già fatta, grazie!» replicò lei. Uscì sbattendo la porta, lasciando solo Ai che, quando fu sicuro che Kassandra se ne fosse andata, tornò a buttarsi sul letto e si portò una mano alla guancia colpita, lasciandosi sfuggire un flebile: «Ahio».

*

Ai si era appisolato, ma i suoi sensi allenati lo fecero tornare alla realtà quando avvertì dei rumori nella stanza.
L’alieno afferrò il suo kris e aprì gli occhi solo per ritrovarsi davanti una copia nuova di zecca dei Pensieri di Pascal. A porgergliela era Kassandra, che stava evitando accuratamente il suo sguardo. Ai afferrò il libro e tornò a stendersi a letto senza dire una parola.
«Plebeo,» lo chiamò l’aliena a quel punto, avvicinandosi di un passo, «hai per caso qualche idea per scoprire la loro vera identità?»
Ai alzò la testa verso di lei e la fissò. Poi si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi, come per concentrarsi.
«Io…»
«In fretta possibilmente, stasera ho un impegno!»
«…io non ne ho idea,» concluse Ai.
Kassandra parve offendersi a morte. «IDIOTA, RAGIONA!»
Ai scoppiò in una risata di scherno che fece innervosire ancora di più la principessa aliena. Lei stava per andarsene ma, a sorpresa, lui si rimise in piedi e disse: «Le Mew Mew… il loro aspetto fisico sicuramente cambia dopo la trasformazione: non ho mai visto esseri umani con code, ali o pinne; ma credo che cose come il carattere, il modo di parlare, i movimenti, rimangano gli stessi anche dopo la trasformazione.»
A sentire ciò, Kassandra assunse un’aria pensierosa. «Beh, se la metti così, ho notato che una di loro ha un portamento molto elegante, persino aristocratico,» osservò dopo un poco.
«Quale?» le chiese Ai interessato.
«Quella volante.»
«Mew Mint,» mormorò lui con uno strano tono di voce, un po' più alto del normale.
L’aliena annuì. «Si, si, è troppo leggera ed aggraziata per essere una zotica come le altre.»
Ai ebbe un altro di quegli odiosi flash del combattimento del giorno prima. «Io non l’ho notato,» si affrettò a rispondere, atono.
«Che cosa vuoi notare tu…» cominciò Kassandra, ma sussultò e chiuse la bocca quando Ai le si materializzò affianco all’improvviso, spingendola da parte. «E-Ehi!» esclamò, offesa. «Che cos-»
«L’hai sentito?» le chiese l’alieno, stringendo gli occhi sospettoso.
Kassandra si scostò una ciocca di capelli corvini dalle spalle, seguendo con lo sguardo il suo compagno, che aveva preso a studiare la stanza con circospezione: «Che cosa avrei dovuto sentire?»
«Un rumore strano… una specie di crepitio.»
«Io non ho sentito niente… ti dicevo, probabilmente quella tizia è o un’aristocratica o una danzatrice, o magari tutte e due.»
«Ah, si? Allora forse parteciperà a quello spettacolo di domani,» sbottò Ai, scostando bruscamente una tenda stracciata e polverosa, quasi come se si aspettasse che potesse esserci qualcuno dietro: l’unico intruso che scovò, però, fu solo un enorme ragno peloso. Disgustato, l’alieno si decise a lasciar perdere e tornò a sedersi sul letto.
«Di che stai parlando?» gli chiese Kassandra.
«Ho letto che domani, al Tokyo Dome, ci sarà una competizione di danza classica,» spiegò Ai, poggiando gli avambracci sulle ginocchia. «Se le tue ipotesi sono giuste, cosa di cui dubito, quella Mew Mew potrebbe decidere di parteciparvi.»
«E tu come fai a sapere di questa cosa?»
«L’ho letto per caso in città, su un manifesto della famosissima idol Fujiwara Zakuro…»
«E chi diavolo è questa, adesso?»
«…che presenzierà lì domani in qualità di madrina dell’evento.»
«Oh,» mormorò Kassandra. «Allora, secondo te… per togliere di mezzo la Mew Mew domani non dobbiamo fare altro che attaccare il Tokyo Dome e annientare tutti gli esseri umani che ci sono dentro, vero?» domandò.
«Sì, ma–»
«Perfetto!» cinguettò la principessa, battendo una volta le mani. Si teletrasportò via.
«Prego, Kass,» sbuffò Ai ironico.
 
* *
 
Ichigo, Retasu, Zakuro, Purin e Minto si scambiarono un’occhiata confusa: stavano succedendo cose strane in quel sotterraneo. Quando circa un quarto d’ora fa ne avevano varcato la soglia, avevano trovato Ryo e Keiichiro impegnati a trafficare attorno a Mash. Il primo aveva collegato il robottino ad un computer portatile tramite dei cavi, mentre il secondo stava smanettando sulla tastiera con aria concentrata. Dopo aver elaborato una lunga serie di dati, Keiichiro aveva avviato un programma molto simile a quelli usati per elaborare le registrazioni vocali.
Purtroppo, qualcosa era andato storto e Keiichiro, borbottando qualcosa su un blocco di sistema, aveva finito per chiudere il software vocale e aprire una sorta di foglio di testo su magicamente avevano iniziato a comparire una serie di scritte.
La maggior parte di esse erano illeggibili, a dire il vero. Si trattava perlopiù di una marea di punti interrogativi alternati da vocali o spazi; erano poche le parole che riuscivano a leggersi per intero. Keiichiro stampò quel foglio e lo passò a Ryo: lui, dopo avergli dato una veloce scorsa, contorse le labbra in una strana smorfia.
«Ryo, non è che per caso potremmo sapere che cosa succede?» si azzardò a chiedere a quel punto una spazientita Ichigo.
Il ragazzo non spostò gli occhi dal foglio.  «Abbiamo inviato DT-210/2013 a spasso per Tokyo,» rispose brevemente.
«Chi è-»
«Fai conto che sia un fratellino di Mash.»
«E’ un drone che ho costruito da poco,» spiegò Keiichiro. «E’ molto simile a Mash, ma è più piccolo e meno vistoso. L’ho dotato di sensori sensibilissimi, sperando che così riuscisse ad individuare gli alieni…e così è successo. Li ha trovati e raggiunti. Purtroppo, si è verificato un problema tecnico ed abbiamo perso il segnale prima di riuscire a conoscere la sua posizione. L’unica cosa che funzionava prima che la riserva di energia di DT si esaurisse era la ricetrasmittente: sono riuscito ad ottenere una copia dei suoni che ha captato prima di andare fuori uso del tutto.»
«Suoni?» ripeté Ichigo, perplessa.
«Ci stai dicendo che è riuscito ad ascoltare i discorsi degli alieni?» domandò Zakuro.
«Che forza!» esclamò Purin. «Allora? Cosa dicono gli alieni?» chiese poi, incuriosita.
Ryo le mostrò il foglio con aria seccata. «Che ci hanno scoperti,» rispose in tono piatto.
«Che cosa?!»
Retasu si portò una mano alla bocca. «Oh, no!»
«Già. A quanto pare hanno scoperto l’identità di Zakuro,» spiegò il biondo. Guardò la diretta interessata, che aveva corrugato la fronte con preoccupazione. «Domani tu devi andare al Dome, vero?» le chiese.
«Si,» annuì la ragazza lupo.
«Hanno intenzione di attaccarlo. Hanno parlati di identità umana delle Mew Mew e hanno fatto il tuo nome.»
Zakuro ignorò i mugolii preoccupati delle sue amiche. «Che cosa devo fare?» chiese.
«Ormai non puoi tirarti indietro. Devi andare.»
Zakuro annuì nuovamente.
«Ma è un suicidio!» protestò a quel punto Minto.
«Non possiamo permettere che attacchino al Dome! Ho letto che lì domani ci sarà un evento molto importante! Ne parla tutta Tokyo! Ci saranno migliaia di persone!» disse nello stesso istante Ichigo.
«Vuol dire che dovremo salvaguardarle,» le rispose Ryo. «Ricordate che siamo in vantaggio rispetto agli alieni: abbiamo l’acqua mew e sappiamo dove e chi avranno intenzione di colpire. Ci faremo trovare pronti.»
Ichigo non era molto convinta.
«Qual è il piano?» domandò Retasu.
« Tu, Ichigo e Purin vi mescolerete al pubblico e cercherete di individuale gli alieni prima che attacchino,» fu la replica di Ryo. «Zakuro, tu invece seguirai la tua scaletta, ma sarai pronta a trasformarti al minimo accenno di pericolo.»
«Ed io?» chiese Minto.
«Tu fai danza classica, no? Ti infiltrerai fra le partecipanti.»
«Ma…»
«Sentite, non abbiamo scelta! E’ l’unica occasione che abbiamo per fermali!» esclamò esasperato Ryo. Poi, però, gli accadde una cosa molto strana.
Il biondo si irrigidì di colpo e si avvicinò ad Ichigo; la scostò, la superò e si avviò meccanicamente verso l’uscita.

«R-Ryo?! Dove te ne vai ora?!» chiese lei stupefatta.
«Mi sta cercando,» sussurrò il ragazzo con voce appena percettibile, lo sguardo fisso nel vuoto. «Adesso…»
«Ryo, che cosa stai dicendo?»
«Devo andare,» disse ed uscì, richiudendosi la porta alle spalle.
«Ma che gli prende?!» domandò Ichigo. Le altre fecero spallucce. «Vado a riprenderlo. Voi restate qui!
» esclamò allora la rossa, correndo verso la porta.
«Vengo con te!» le gridò dietro Retasu, seguendola.
Le due risalirono nervosamente le scale, ritrovandosi nella cucina del Cafè.
«Insomma, Ryo, si può sapere che cavol…» cominciò Ichigo, ma fu costretta ad interrompersi per lo shock.
Infatti, Ryo era in piedi nella parte opposta della cucina, accanto alla porta che comunicava con il resto del Cafè. Non era solo: di fronte a lui c’era una ragazza dai lunghissimi capelli color miele; era alta, snella, molto giovane. Indossava una camicetta azzurra aperta sul davanti e una gonna lunga fino al ginocchio, mentre ai piedi portava delle scarpe celesti a punta.
Nel vedere i due, Retasu indietreggiò di qualche passo. Non rotolò giù per le scale soltanto perché dietro di lei c’era Keiichiro, che come Ichigo rimase paralizzato di fronte a quella scena.
«Che succede? Perché fate quella faccia?»
Purin si fece largo fra le gambe delle ragazze, ritrovandosi presto accanto ad Ichigo. Seguì il suo sguardo e trovò Ryo e la ragazza. I suoi occhi si illuminarono: «WOW! Si stanno baciando!» disse ad alta voce la biondina, «Che figo!!»
Ryo e la ragazza misteriosa, accortisi a quel punto del gruppo di spettatori, si staccarono. Lui voltò la testa indifferente, mentre la ragazza assunse un’espressione seccata. Si girò verso i nuovi arrivati, squadrandoli con aria malevola: era molto carina, ma probabilmente non era giapponese: con quegli occhi castani dal taglio occidentale assomigliava molto a Marie.
«Ryo, ma cosa…chi…chi è quella?» sussurrò Retasu strabuzzando gli occhi.
La ragazza sbuffò. «Conosci questi individui, Shirogane?» chiese al ragazzo, che non rispose.
«Scusa, ma tu… chi sei?» le domandò a quel punto Ichigo.
Lei si scostò i capelli lisci, lasciandoseli ricadere dietro le spalle, e disse, con aria di superiorità: «Il mio nome è Luna, mocciosetta, e quanto a Shirogane, sono la sua compagna. Perché quella faccia? C’è forse qualche problema?»
 
 


++++
 
Note:
(1)Blaise Pascal è un filosofo del '600; il "divertissement" è un estratto della sua filosofia, ovvero: “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci.” (Pensieri, 168). In pratica, vi è mai capitato di cercare disperatamente di ottenere qualcosa, e quando finalmente ci riuscite, scoprite che non vi interessa più? Secondo Pascal l’uomo non cerca cose come il denaro, il gioco o la guerra per ottenere la felicità. L’uomo cerca il casino che il cercare di ottenere queste cose comporta, perché lo distrae dal pensare a se’ stesso, al vuoto interiore che è dentro di lui, che lo porterebbe a scoprire la sua sofferenza e i suoi problemi.
(2) Gli alieni non conoscono le proprietà rinvigorenti e curative dell’acqua mew, per questo motivo sono scappati quando hanno visto che essa ha distrutto i loro chimeri.

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Capitolo 18
*** Equilibri spezzati ***


09/06/2014. Lui è Ai. Una lettrice è stata così carina da mandarmi QUESTA sua CGI (insieme ad altre). L'ho modificata leggermente (solo l'espressione e i colori) per renderla piu' simile a come vedo io Ai (sono impedita col disegno o ne avrei fatta una io, chiedo venia)
L'autrice delle CGI è MewLeemon e non saprò mai come ringraziarla. E' anche grazie alle sue CGI che mi è tornata la voglia di ricominciare a scrivere.






- Capitolo 17: Equilibri spezzati - 


La bionda squadrò Ichigo dall’alto in basso e poi le disse, con un sorrisetto odioso stampato sulla faccia: «Il mio nome è Luna, mocciosetta, e quanto a Shirogane, sono la sua compagna
Ichigo rimase a bocca aperta. «Co-cosa?!» mormorò, stupefatta.
«Perché quella faccia? C’è forse qualche problema?» continuò l'altra, l’arroganza nella voce.
«MA CERTO CHE NO!!» trillò all'improvviso la vocetta gioiosa di Purin.
«E-EH?!»
«Non sapevo che Ryo avesse la fidanzata!» esclamò la bambina, parandosi davanti a Luna con gli occhioni che scintillavano. Un secondo dopo era in piedi sulla sua palla e con almeno una decina di piatti in equilibrio su dei bastoncini: «Piacere, io sono Purin! Dimmi, ti piacciono gli spettacoli di magia con le scimmiette?»
Stavolta fu il turno di Luna a restare a bocca aperta...più spaventata che altro, la ragazza indietreggiò di qualche passo: «I-Io…N-NO!» negò con leggera isteria. Poi sentì qualcuno che le prendeva la mano: guardò in basso, e sconcertata scorse Keiichiro in ginocchio ai suoi piedi.
«E’ un piacere conoscerla, signorina,» sorrise il giovane prima di sfiorarle appena la mano con le labbra.
In quel momento, Luna comprese di essere circondata da matti.
«Sono certo che apprezzerà molto Ryo,» continuò Keiichiro. «Lui è un ragazzo intelligente ma, a volte, non sa cosa fa…vero, Ryo?»
Lui si girò dall’altra parte per evitare lo sguardo del tutore... e poi fece per andarsene, ma Ichigo lo afferrò per la spalla, bloccandolo.
«Ryo! Ti sembra un comportamento corretto questo?!» domandò, molto rossa.
Lui non ebbe il tempo di risponderle perché, ancora prima che lei potesse terminare la frase, Luna l’aveva raggiunta e spinta via con forza.
«Non osare più toccarlo,» le aveva intimato minacciosa.
«Io che cosa?!» sillabò Ichigo con lo stesso tono.
Le due ragazze si squadrarono come due leonesse fameliche che puntano la stessa preda.
Ichigo strinse i pugni. Probabilmente li avrebbe sbattuti sul bel visino di Luna se Retasu non l’avesse trattenuta per le spalle.
«Ti prego, Ichigo lascia perdere… in fondo, non sono affari che ci riguardano,» disse con voce malferma.
«Ma Retasu-»
«Oh, finalmente una persona che dice cose sensate!» osservò Luna. Si girò verso Ryo: «Ora andiamo tesoro, sono stufa di questo postaccio,» disse.
Ichigo si mosse verso Ryo. «Ryo, non oserai…»
Lui osò e seguì Luna fuori dalla cucina senza dire una parola.
«RYO!»
Il tonfo del portone del Cafè fece terminare ogni discussione; tra l’altro, fu così forte che pezzi di intonaco del soffitto ricaddero sul pavimento, spezzandosi in mille frammenti di polvere bianca. 
Keiichiro emise un lungo sospiro, guardando distrattamente in alto. «Credo che sia necessario ridipingere il soffitto,» mormorò sconsolato.


**


Un’ora dopo, mentre il sole cominciava a calare alle loro spalle, le cinque ragazze passeggiavano insieme per una stradina che costeggiava il fiume. L'argomento dei discorsi che si scambiavano non erano ne’ gli alieni, ne’ la salvezza del mondo: le ragazze stavano infatti dibattendo su Luna e sullo strano comportamento di Ryo.

O almeno, Minto, Purin e Zakuro parlavano fra loro; Ichigo, invece, camminava più avanti a passi svelti, come se stesse cercando di scappare via.
Retasu, che dal canto suo seguiva la discussione in silenzio, se ne accorse presto. Quando non riuscì piu' a sopportarlo, raggiunse Ichigo e ed appoggiò una mano sul suo braccio per attirare la sua attenzione. Lei si fermò.
«Che c’è, Retasu?»
La ragazza ritrasse timidamente la mano. «Niente, niente…volevo solo sapere… stai bene?»
«Ma certo!» rispose la rossina, la voce più acuta del normale, e Retasu capì che stava mentendo.
Le altre si fermarono a guardarle.
«Stavo solo pensando,» si giustificò Ichigo. «A che ora ha detto Keiichiro che dobbiamo trovarci davanti al Dome domani?»
«Alle sei di pomeriggio,» rispose docile Retasu.
«Vero, ora ricordo.»
Ichigo ricominciò a camminare senza aggiungere altro.
Le altre la imitarono. Continuarono così per qualche minuto, poi Minto si accostò a Zakuro.
«Scusami onee-sama, potrei chiederti un favore?» cominciò incerta. La modella le fece un cenno d'assenso, così lei prese coraggio. «Dopo l’ultimo combattimento, la mia casa è praticamente distrutta…i miei genitori hanno già contattato un’impresa per rimetterla in sesto, ma nel frattempo…io…ecco…potrei restare un po’ di tempo da te?»
Senza risponderle, Zakuro la fissò in modo strano.
«Se non trovo una scusa convincente per restare qui dovrò trasferirmi a Berlino da mio fratello finché i lavori non saranno ultimati!» si giustificò Minto.
Zakuro alzò le spalle. «Perché non chiedi ad Ichigo?» replicò, lasciandola pietrificata.
Minto si girò istintivamente verso la rossa, che prese quello sguardo per una domanda.
«Io… io non lo so, cioè… se ti va per me non c’è problema Minto, però ti avverto che staremo da sole,» rispose imbarazzata.
«Perché?» si intromise Purin. «I tuoi genitori non sono a casa?»
Ichigo scosse la testa. «Vedete ragazze, durante un viaggio di lavoro a Kyoto la mamma si è sentita male… ora è in ospedale laggiù. Non può muoversi, per cui non può tornare a casa finché non si sente meglio. E mio padre vuole stare vicino a lei,» spiegò, inceppandosi nell’ultima frase. «Lui ha deciso di restare lì finché la mamma non migliora… così io sono sola a casa,» concluse brevemente.
«Accidenti, ci dispiace!» disse Purin. «Non ce l’avevi detto che tua madre stava male! Che cos’ha di così grave da non potersi muovere?»
«Beh, vedi… è stata una cosa improvvisa,» farfugliò Ichigo, arrossendo. «Lei in realtà avrebbe dovuto stare così tra circa due mesi, ma ha anticipato i tempi. Cioè…» Ichigo vide le sue amiche fissarla in modo strano. Tirò un profondo sospiro, quindi disse rapidamente: «Mia madre aspetta un bambino.»
Le quattro ragazze smisero di camminare nello stesso istante, restando a bocca aperta.
«Ehehe… sorpresa, eh?» mugolò Ichigo, sorridendo imbarazzata.
Le ragazze si guardarono fra loro.
«Ichigo, MA CHE DIAVOLO! Tu stai per avere un fratellino e non ci dici niente?!?! MA CHE TI SALTA IN MENTE?!» gridarono poi di colpo, contemporaneamente.
Per la sorpresa, ad Ichigo spuntarono due orecchie da gatto.
«CALME! Non pensavo che vi interessasse!!» si difese la rossina, mettendosi le mani sulla testa per coprirsi le orecchie.
«MA COME?!» esclamò Purin, ma in quello stesso istante il suo cellulare squillò. «Oh, scusate un momento!» disse rispondendo. «Pronto? ….urgh!» Purin chiuse la chiamata. «Scusatemi ragazze, devo andare! A doman-»
«Ferma lì!» Zakuro la afferrò per le spalle, immobilizzandola.
«Tu non vai da nessuna parte,» dichiarò Minto. «E’ una settimana che non appena ti squilla il telefono tu ti volatilizzi. Siamo stufe di questa storia! Ci spieghi che succede?!»
«Non è niente, niente di niente, davvero!» Purin cercò di divincolarsi dalla stretta di Zakuro, inutilmente. «Ok…» disse all'improvviso, rassegnata. «Vi ricordate mia cugina Keira? Vuole restare un po’ qui a Tokyo… così si è trasferita a casa mia. E’ che ogni tanto ha bisogno di me, e così… devo andare!» disse Purin, ma Zakuro non la liberò. La biondina sospirò e riprese a parlare. «Keira non sa prendersi cura dei miei fratellini, e così ogni tanto si arrabbia con loro, o rompe qualcosa…»
«Perché è a casa tua?» le chiese Ichigo.
«Dice che è scappata di casa perché i suoi la trattavano male,» rispose Purin.
«Che cosa?»
«Lei dice così, ma io so che non è vero. I miei zii sono buoni, l’unica cosa che hanno fatto di male è stato… forse… viziarla un po',» concluse triste la bambina. Poi rialzò la testa: «Ora posso andare? Dice che Rei-chan si è fatta male… devo andare a controllare!»
Zakuro la lasciò, e lei si inchinò leggermente: «Scusatemi ancora, ragazze… a domani!» disse alle sue amiche, e poi corse via.
«Povera Purin,» sussurrò Retasu, guardandola sparire in fondo alla strada.
«Dato che ormai siamo all’angolino delle confidenze, ci dici anche tu che ti succede ultimamente?» le chiese Minto a tradimento.
Retasu emise un pesante sospiro. «Vedete… i miei genitori…» disse con voce quasi impercettibile. «Ecco, loro...»
«Loro...?»

* *

«Non riesco davvero a capire perché non ci hai detto prima che i tuoi genitori stanno divorziando!» sbuffò Ichigo a Retasu il giorno dopo, mentre si facevano largo fra la marea di persone che quella sera riempiva il Dome. «Devi aver sofferto tantissimo! Noi siamo tue amiche, ti avremmo aiutata!»

Retasu abbassò lo sguardo per controllare l’ora. «Sono appena le sette. Secondo Ryo, gli alieni attaccheranno fra un’ora, non appena Zakuro salità sul palco… credo che dovremmo trovare un posto con una buona visuale dove attenderli,» osservò.
Ichigo capì l’antifona e lasciò cadere il suo discorso. Mentre lei e Retasu si arrampicavano al livello superiore della platea, la rossina si soffermò a guardare l’immenso palco dello stadio di Tokyo, illuminato a giorno da centinaia di riflettori.
«Stanno per cominciare! Minto e le altre partecipanti sono salite sul palco per la presentazione,» esclamò, sollevandosi sulle punte per vedere meglio.
Purin, nel frattempo, si era arrampicata su uno dei pali che sostenevano le telecamere. «Com’è carina Minto onee-chan!» commentò allegramente, gli occhi fissi su un punto imprecisato del palco.
Minto era una fra le partecipanti più giovani della competizione, che era stata organizzata per beneficenza da un ricco uomo d’affari amante della danza classica femminile. Sul palco con lei vi erano molte ballerine famose, che Minto non avrebbe mai creduto di poter incontrare di persona. Quasi nessuna di loro indossava il classico tutù da ballerina: lei stessa portava un vestito molto simile alla sua uniforme di Mew Mew, ma di colore blu intenso e composto da fasce orizzontali che si intrecciavano morbidamente ai lati; le calze erano bianche e semitrasparenti, mentre gli scaldamuscoli e le scarpette erano dello stesso colore del vestito. Aveva anche cambiato acconciatura: i suoi capelli erano intrecciati in un unico chignon centrale, ma alcune ciocche le ricadevano ai lati del volto in riccioli eleganti.
«Mash, tu non rilevi niente?» chiese Ichigo al piccolo robot, mimetizzato nello squillobrillo del suo cellulare.
«Negativo. Nessuna presenza aliena,» fu la risposta.
«Non ci resta che continuare ad aspettare,» sospirò Retasu.



Minto deglutì e strinse i pugni con nervosismo.
Era sul palco del Dome, e sotto di lei migliaia di persone la stavano guardando, facendola sentire in soggezione.
Certo, era abituata a salire su un palco per esibirsi, eppure ogni volta era sempre terrorizzante come la prima.
La ragazza chiuse gli occhi. “Basta tremare, devo rilassarmi. Non c’è niente di cui preoccuparsi. Se non mi preoccupo non sbaglio,” si rassicurò rapidamente. Emise un profondo respiro e quando riaprì gli occhi sorrise, la paura del tutto scomparsa. Guardò le altre ballerine che si erano disposte nella stessa fila orizzontale di cui faceva parte lei… le ballerine di danza classica più famose del Giappone. Erano lì, a pochi metri.
Minto si sentiva come in un sogno; ancora non riusciva a credere di trovarsi lì. Doveva ringraziare Ryo e le sue conoscenze importanti per questo. Sospirò di nuovo, stavolta per l’emozione.
Sentì il presentatore davanti a lei, che era in fondo al palco, descrivere la competizione, quindi invitare una ad una le partecipanti a fare singolarmente qualche passo avanti ed un inchino.
Fu in quel momento che Minto tornò alla realtà. Non avrebbe mai vinto la competizione e lo sapeva, ma non le interessava: l’unica cosa che voleva era che nessuna delle persone presenti nel Dome venisse ferita dagli alieni.
E poi c’era da dire che tutti sapevano già che la vincitrice sarebbe stata Haru Izumi. Era la migliore, la più talentuosa di tutte, anche se aveva appena 16 anni.
Minto la vide mentre avanzava verso il centro del palco, esibendosi in un inchino delicato: era una ragazzina estremamente aggraziata; era minuta, anche se il costante esercizio della danza classica le aveva donato un fisico poco più muscoloso del normale. Sfoggiava la stessa pettinatura che Minto portava di solito, ma i suoi capelli erano poco più scuri dei suoi. Minto sussultò leggermente quando il presentatore chiamò il suo nome e si fece avanti per fare il suo inchino, incrociando per un attimo la strada con Haru che tornava in fondo al palco.


Mentre Haru usciva di scena, lasciando il posto a Minto, un’ombra scura sopra il palco sorrise, lasciando intravedere i canini aguzzi.
«E’ il momento,» ghignò piano, e si teletrasportò via.

*


Zakuro era seduta davanti allo specchio nel suo camerino. Una truccatrice stava finendo di prepararla: di lì a poco sarebbe dovuta andare in scena per annunciare la vincitrice della competizione.
Lei sapeva che gli alieni non avrebbero attaccato prima di quel momento, per cui sarebbe stato inutile preoccuparsi prima di allora… eppure, era da quando era entrata nel Dome che continuava ad avvertire la sensazione di essere spiata.
“E’ solo lo stress,” si disse mentalmente per calmarsi.
La truccatrice concluse il suo lavoro e su sua richiesta uscì dal camerino, lasciandola sola. A quel punto, la ragazza si alzò e andò alla finestra, come se il semplice guardare fuori riuscisse a colmare quella voglia di libertà che il suo istinto bramava enormemente.
Non le piaceva essere famosa: doveva frequentare un sacco di persone, era perennemente seguita dalle telecamere e dai fan… era una delle ragazze più ammirate di Tokyo, ma davvero non era questa la vita che desiderava. Avrebbe preferito vivere sola, in un posto sconosciuto e selvaggio, libera. Appoggiata al davanzale della finestra, la mora sorrise, scuotendo la testa: a volte si chiedeva se queste idee fossero davvero le sue o se gli fossero state inculcate dai geni del lupo grigio.
Di colpo, Zakuro si girò indietro, verso la stanza: le era sembrato di sentire qualcosa.
Non era uno scherzo dello stress: c’era qualcuno lì dentro con lei, adesso avvertiva con chiarezza la sua presenza.
Infilò la mano nella tasca del vestito, cercando la sua spilla. «Esci fuori,» ordinò. «Lo so che sei qui.»
Si guardò intorno nervosa, scrutando ogni angolo, finché non vide un’ombra avanzare dalla porta del bagno del camerino.  
«Ops…beccato,» disse un ragazzo. Doveva avere sui quattordici/quindici anni, ma era alto quasi quanto Zakuro; la felpa rossa che indossava faceva intuire appena quanto fosse magro, ma la prima cosa che saltò agli occhi della modella erano i suoi lunghi capelli castani, che teneva legati in una coda bassa.
Zakuro non aveva idea di chi fosse.
«Mi arrendo, non sparate,» sorrise ironico il giovane, alzando le mani in segno di resa.
Zakuro però non ci trovava niente di divertente. «Chi sei?» gli domandò a bruciapelo.
«Un tuo fan,» rispose lui facendo spallucce, le mani ancora alzate.
«Come hai fatto ad arrivare qui?»
Il sorriso del ragazzo si allargò.
Zakuro strinse le dita intorno alla spilla, pronta a trasformarsi. Quel ragazzo aveva un che di sospetto…e se si fosse trattato di un…?
Il suono di pesanti passi nel corridoio fuori dal camerino li distrasse entrambi dalla conversazione.
«Signorina Fujiwara?» chiese un addetto della sicurezza, bussando alla porta. «La stanno attendendo di là. Tutto bene?»
Il fan imprecò a bassa voce e, invece di rassegnarsi all’idea di stare per essere scoperto e buttato fuori a calci, fece una cosa che lasciò Zakuro sconvolta: corse verso la finestra e vi si arrampicò sopra.
«E’ stato un piacere conoscerti, Fujiwara,» disse, poggiando il piede sul davanzale. «Ci rivedremo presto: c’è una cosa che voglio da te,» aggiunse, prima di lasciarsi cadere di sotto.
«E-Ehi! Aspetta!» Zakuro si precipitò alla finestra: erano a dodici metri da terra, per l’amor del cielo!
la ragazza guardò febbrilmente verso il basso, ma il fan era sparito.
“Chi era quello?” si chiese confusa.
Il rombo che seguì, però, freddò tutti i suoi pensieri. L’intero Dome tremò, e mentre Zakuro si appoggiava al muro per non cadere, non ebbe dubbi su chi fosse stato a causare quell’esplosione.
“Ma come… non dovevano attaccare più tardi?” pensò la ragazza lupo in preda al terrore, precipitandosi fuori dal corridoio, ignorando completamente le urla spaventate dell’addetto alla sicurezza che le diceva di fuggire nella direzione opposta.
In effetti, Zakuro stava andando controsenso: una marea di persone in fuga le stava venendo addosso, rischiando di travolgerla, ma l'idol riuscì lo stesso a infilarsi in un corridoio secondario e a trasformarsi.

Quando la combattente riuscì a raggiungere l'area centrale del Dome, ebbe la conferma delle sue paure: era arrivata troppo tardi.

Il Dome non esisteva più. Dove prima c’era il palco, ora sprofondava una voragine scura. La platea dello stadio di Tokyo, inoltre, era in fiamme e sotto attacco: decine e decine di chimeri aquila giganteschi, che volavano sotto l’immenso soffitto, si gettavano continuamente in picchiata per afferrare le persone che si erano attardate a fuggire.
Mew Zakuro scorse a molti metri di distanza le sue compagne che combattevano. Tastò l’aria in cerca degli alieni, ma non ne individuò nessuno.
“Maledizione… maledizione!”
Senza indugiare oltre, la guerriera si lanciò nella mischia, eliminando un chimero che stava per trafiggere un uomo con il suo becco acuminato.
 
**

Haru Izumi correva terrorizzata per una scura sala sotterranea.
Poco prima, mentre stava per scendere dal palco, aveva sentito un boato terribile ed era stata sbalzata via da un fortissimo spostamento d’aria.
Intuì che il palco era crollato, e che lei era caduta giu' e adesso si trovava nel piano sotterraneo, quello relegato all’uso di magazzino, sale conferenze, servizi o altro.
Era stata molto fortunata a non farsi male. Si chiese quale potesse essere stata la causa: un terremoto? Un attacco terroristico?
La ballerina smise di correre quando raggiunse una rampa di scale che si arrampicava in alto. Incerta sul se risalire in superficie, da cui provenivano in lontananza urla e rumori davvero terribili, la ragazza  fine decise di cercare un’uscita alternativa.
Stava attraversando un ennesimo corridoio buio quando una figura si materializzò due metri sopra di lei.
«Credi davvero di poter scappare?» mormorò Ai, lanciando nella direzione della ragazza un chimero che esplose al contatto con il suolo.  
Haru gridò di paura mentre l’esplosione la faceva sbattere con violenza contro una parete. Ferita, non crollò a terra solo perché l’alieno si materializzò davanti a lei e la immobilizzò contro il muro prendendola per il colletto del suo abitino.
«Presa,» sussurrò con un sorrisino.
Haru rabbrividì. «C-Chi sei? Che cosa vuoi da me?» gli chiese, in preda al panico.
Ai strinse gli occhi, sospettoso.
«Non mi riconosci?» chiese alla ragazza, mentre il sorriso gli spariva dal volto.
Per tutta risposta, Haru scoppiò in lacrime. «Lasciami andare, ti prego!» lo supplicò, cercando inutilmente di divincolarsi.
Ai aggrottò la fronte. Eppure quella ragazza somigliava così tanto a Mew Mint…! Non poteva essere un caso. Probabilmente era lei e stava semplicemente bluffando, avrebbe fatto meglio ad ucciderla e non pensarci più...
E invece, alla fine, l’alieno preferì ascoltare il suo istinto e lasciò la presa su Haru, che ricadde a terra a peso morto. La ballerina si raggomitolò a terra, tremando come un pulcino indifeso.
«Non sei Mew Mint,» osservò Ai annoiato. «Ti ho salvato perché pensavo fossi tu e volevo occuparmi di te personalmente, ma a questo punto credo che la vera Mew Mint sia morta insieme alle altre quando ho ordinato allo schiavetto di Kassandra di attaccare,» disse, deluso più che altro. Poi alzò lo sguardo su Haru, che ora piangeva sommessamente; i suoi occhi, che fino a poco prima avevano scintillato come zaffiri, adesso erano ritornati freddi come il ghiaccio. «Dimmi, ragazza, ed ora che cosa me ne faccio di te?» sospirò, incrociando le braccia al petto.
Un istante dopo, però, l'alieno avvertì un dolore acutissimo alla nuca e si sentì spingere in avanti: ricadde bocconi a terra, ringhiando dal dolore. Mentre cercava di riprendersi, udì una voce maschile gridare dietro di lui: «Vai via, Haru! Scappa! Presto!»
Ai sentì i passi leggeri della ballerina allontanarsi rapidamente, e scorse di striscio il tulle bianco del suo vestito scomparire nell’oscurità.
“Maledizione a Kassandra e alle sue idee stupide…” imprecò rialzandosi a fatica, una mano sulla testa, guardando il ragazzo umano che l’aveva colpito alle spalle con un tubo di ferro.
«Impossibile, sei in piedi!» esclamò quello, indietreggiando spaventato nella penombra scura: a quanto sembrava, il suo momento di coraggio era finito quando Haru era scappata via.
«Già, bel giochino, amico,» mormorò lui in risposta. Si stava sforzando di far finta di niente, ma si era fatto davvero male. «Vuoi vedere il mio?»
Il ragazzo indietreggiò ancora di più, lanciando occhiate nervose al corridoio alle sue spalle: probabilmente aspettava il momento buono per fuggire, ma un attimo dopo Ai gli apparve davanti di colpo e lo colpì allo stomaco con un pugno.
«Razza di vigliacco,» commentò l'alieno, guardando il ragazzo cadere all’indietro a poca distanza da lui e fingersi morto a terra.
«Ehi! C’è qualcuno lì? Rispondete!» risuonò in quel momento in quella una voce femminile lontana.
Ai sussultò a quella voce, guardandosi intorno per capire da dove provenisse. Sentì un rumore di passi da un corridoio alla sua destra. Si premette la mano dietro il collo, trattenendo a stento il senso di nausea crescente che stava provando a causa del colpo subìto. Non riusciva a concentrarsi. La voce era sempre più vicina… doveva sbrigarsi. «Bah…al diavolo!» esclamò alla fine e, mentre il ragazzo scattava in piedi per cogliere al volo l'occasione di scappare, i contorni della figura dell’alieno iniziarono a brillare.

*

Minto ricordava a malapena cosa le era successo prima di perdere i sensi: era sul palco del Dome, ma all’improvviso si era sentita mancare la terra sotto i piedi. Senza capire cosa le stesse succedendo, era precipitata verso il basso. Quando aveva ripreso conoscenza, si era risvegliata su un cumulo di macerie.
Non si era ferita, ma era preoccupata per il destino delle ragazze che erano con lei: le aveva cercate dappertutto, le aveva chiamate, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Minto cominciava a temere il peggio quando sentì delle voci lontane, e subito si diresse nella loro direzione, credendo che si trattasse di qualcuno in difficoltà.
«Ehi! C’è qualcuno lì? Rispondete!» chiamò, ma non ebbe risposta. In compenso, aveva appena svoltato l’angolo quando un flash di  luce fortissima la accecò per alcuni secondi. Minto estrasse la sua spilla per la trasformazione e, quando il bagliore si fu esaurito, avanzò a passi lenti nel corridoio da cui aveva sentito provenire le voci, pronta a trasformarsi al minimo accenno di pericolo.
Ben presto, la ragazza notò con orrore che in un lato del corridoio c’era una persona stesa a terra. Angosciata da quella visione, si precipitò verso di lui, ma fu subito sollevata quando scoprì che lo sconosciuto era illeso.
«E-Ehi…» gli disse piano Minto, chinandosi su di lui. «Stai bene?» chiese.
«Sono stato meglio,» rispose lui in tono affaticato. Scostò Minto senza neanche guardarla e si rialzò, massaggiandosi i polsi e la testa. «Lasciami perdere ragazzina, sto bene e-» iniziò, ma non appena sollevò gli occhi sulla ragazza si interruppe e trattenne il fiato.
Minto lo guardò stupefatta. «Sei, ehm, sicuro di stare bene?» domandò.
Il ragazzo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, continuando a fissare Minto.
«Ciao,» la salutò con aria sognante, e lei alzò le sopracciglia. «Voglio dire… sì, non è niente.»
«Se lo dici tu…» replicò lei girandosi dall’altra parte per evitare quello sguardo innocente ma fastidioso. Quel ragazzo si stava comportando in modo davvero strano… probabilmente doveva essere per via della botta che aveva preso. Ma l’importante era che fosse salvo.
Adesso però Minto non aveva più tempo da perdere: doveva raggiungere le sue amiche, che con tutta probabilità stavano rischiando la vita quattro metri più in alto. «Allora ciao,» disse al ragazzo, e si allontanò in direzione delle scale.
«Aspetta!» la chiamò lui, ma inutilmente: Minto era già andata via.
Il giovane rimase a lungo a fissare punto in cui era scomparsa e alla fine poi sospirò, incantato.
«Oh mio dolce angelo, ora e per sempre, fino alla fine del tempo, il mio cuore ti appartiene,» recitò.

*

Un piano più in alto, le Mew Mew erano in difficoltà.
Mew Ichigo aveva utilizzato l’acqua mew per eliminare tutti i chimeri e salvare le persone che erano rimaste ferite, ma a quel punto Kassandra era apparsa dal nulla ed aveva portato con sé un esercito di nuovi chimeri.
Inoltre, si era premurata di ordinare ad Hiroyuki di annichilire Mew Ichigo, se pure sapeva che cosa significava quella parola.
Le sue compagne avevano cercato di proteggerla dal pericolo, ma inutilmente: i chimeri non erano molto forti, ma erano numerosissimi e le ostacolavano troppo. Senza contare che le persone che non erano riuscite a evacuare ora rischiavano di nuovo la vita.
Le Mew Mew erano ancora impegnate nello scontro quando Ai si materializzò a pochi metri da quel che restava del palco. L’attenzione dell’alieno fu subito attratta dalla visione di una giovane donna che si era gettata su di un bambino per spingerlo via prima che un pezzo di tribuna gli precipitasse addosso. La donna cadde a terra, tenendo il bambino sotto di lei per proteggerlo. Un chimero falco la notò e si lanciò contro di lei, ma Ai si parò davanti al mostro e lo respinse.
La donna si rimise in piedi e, tenendo ancora stretto a sé il figlioletto, corse verso l’uscita d'emergenza più vicina.
Ai si girò a guardarla scappare, ma ben presto la sua attenzione venne catturata da Mew Pudding, che era appena precipitata ai suoi piedi.
“Piovono Mew Mew?” si chiese l’alieno, alzando poi lo sguardo sull’altissimo soffitto del Dome: la battaglia era concentrata lì, fra gli enormi tralicci metallici della copertura.
Hiroyuki e i chimeri stavano combattendo contro tre Mew Mew, fra le quali però Ai non riusciva a scorgere Mew Mint. La cercò con lo sguardo, ma non riuscì a trovarla da nessuna parte. Fu in quel momento che si rassegnò al fatto che era ormai scomparsa per sempre.
Ben presto, però, si ricordò della nemica che aveva davanti a lui: fu un bene, perché se avesse ritardato di un solo secondo, si sarebbe ritrovato imprigionato dentro un gigantesco budino giallo.
«Non sai che non è buona educazione colpire i nemici quando sono distratti?» chiese sarcastico alla Mew scimmia, estraendo il suo kris.
Mew Pudding era ancora troppo stordita dal colpo ricevuto da Hiroyuki per riuscire a ribattere. Si limitò a compiere un lungo salto per sfuggire al nemico che la stava attaccando con un’onda di energia generata dalla sua arma; ma lui le si teletrasportò davanti prima che avesse il tempo di preparare una difesa.
«Sparisci, tu e i tuoi poteri ridicoli,» le sibilò Ai, alzando il kris.
Ma mentre stava abbassando l’arma, questa volò via dalle sue mani, sbalzata via da una freccia turchese: Mew Mint si era parata davanti alla sua compagna, in posizione difensiva.
Ai non impiegò molto per elaborare l’accaduto.  «Ma tu non eri morta?» esclamò scioccato, teletrasportandosi a qualche metro di distanza.
«Mew Mint, facciamogliela vedere!» disse Mew Pudding, preparandosi al combattimento.
Ma lei scosse la testa. «No. Combatterò da sola contro di lui,» dichiarò.
«CHE COSA?!»
«Scusami, Mew Pudding, ma è una faccenda personale. Fidati di me: non mi accadrà niente.»
«Su questo ho dei dubbi,» osservò Ai, galleggiando a braccia incrociate poco più in alto.
«Ma… Mew Mint…»
«Vai! Le altre hanno bisogno di te! Non ce la faranno mai da sole contro tutti quei chimeri!»
Mew Pudding annuì. Riluttante, si allontanò dalla sua compagna e poi salto via, lasciandola sola con il suo nemico.
Lui, adesso, la stava fissando in modo imperscrutabile, e Mew Mint comprese che stava cercando di capire quale fosse il suo piano.
«Allora?» si decise a chiedere alla fine Ai, giocherellando con la sua arma. «Hai deciso di condannarti a morte, o…»
«Ti devo parlare,» lo interruppe lei nervosa, stringendo fra le mani il suo arco.
Ai si materializzò di colpo a due passi da lei. Era palese che quel gesto era stato fatto per spaventarla, ma lei rimase immobile.
«E pensare che prima ero quasi dispiaciuto che Hiroyuki ti avesse ucciso,» osservò Ai, puntandole addosso uno sguardo di ghiaccio.
«Perché stai male?» gli domandò lei a bruciapelo.
«Uh?»
«L’ultima volta hai detto che non posso capirti perché non so cosa ti ha fatto soffrire,» disse Mew Mint tutto d’un fiato. «Voglio che tu me ne parli.»
Il volto di Ai si oscurò. «Sei…sei matta,» soffiò, girando la testa di lato.
«Tu non sei senza sentimenti. Ti ho visto salvare quella donna. Perché lo hai fatto?»
«Quello che faccio sono affari miei!» sbottò lui. «Ora basta chiacchiere, combatti!» gridò improvvisamente, lanciandosi in avanti. Mew Mint evitò il suo attacco frontale, ma lui le sferrò a sorpresa una gomitata alla schiena che le fece perdere l’equilibrio. Prima che la mew mew potesse reagire, l’alieno le afferrò il collo con una mano.
«Questa volta non ti salverai,» le disse minaccioso, stringendo talmente forte da toglierle il fiato.
Mew Mint non riusciva più a respirare, ma non si arrese. «D-di-m-mi p-perché!» boccheggiò, sentendosi mancare. Lui strinse più forte la presa. “E’ la fine,” pensò la ragazza nel panico. Ma all’improvviso la stretta dell’alieno si allentò.
La Mew Mew scivolò a terra in ginocchio e si portò subito le mani alla gola, tossendo.
Ai era ancora in piedi davanti a lei. «Perché non volevo che suo figlio diventasse come me,» mormorò, crollando.
Mew Mint alzò gli occhi su di lui. «M-Mi dispiace,» sussurrò in modo quasi automatico, colpita da quel suo atteggiamento.
Ma Ai le lanciò un’occhiataccia. «Non ho bisogno della tua pietà,» disse a denti stretti, e mentre lei si rimetteva in piedi, le voltò le spalle e fece per andarsene.
«Aspetta!» lo chiamò però la Mew Mew. «Ai!»
«Non osare chiamarmi per nome!» tuonò stizzito l’alieno. «Ho sbagliato a lasciarti parlare, ma la prossima volta non te la caverai così: io non sono come quei traditori!»
«Se ti riferisci a Kisshu, Pai e Taruto,» ribatté Mew Mint, «loro hanno capito le nostre ragioni, e che non dobbiamo per forza combattere,» spiegò e poi proseguì, in tono più dolce: «Possiamo trovare un accordo, se solo riuscissimo a parlare. Potremmo…»
«IO NON PARLO CON IL MIO NEMICO!» urlò Ai, rosso in viso. «Basta, ho perso la pazienza! Stavolta non mi sfuggirai!» gridò, e nelle sue mani comparvero due kris. Ma si vide presto costretto a rinfoderarli perché le compagne di Mew Mint erano appena comparse davanti a lei per proteggerla. Solo in quel momento, l’alieno si accorse che le guerriere erano riuscite ad eliminare tutti i chimeri. Kassandra e Hiroyuki se n’erano già andati via da un pezzo.
Mew Ichigo puntò verso di lui la Strawberry Bell. «Preparati, adesso è il tuo turno!»
Ai la ignorò. «Non finisce qui,» le sibilò, e scomparve.
Le ragazze tirarono un sospiro di sollievo generale.
«Ce l’abbiamo fatta anche stavolta,» commentò Mew Retasu, sollevata.
Ma Mew Ichigo non era della stessa opinione. «Dannazione,» inveì, facendo sussultare le sue compagne. «Vi rendete conto di quante persone hanno rischiato la vita oggi? Ci sono un sacco di feriti, ed è tutta colpa di Ryo e di quella dannata Luna!»
Mew Zakuro appoggiò le mani sulle sue spalle. «Calma… si sono salvati tutti, grazie a noi.»
«Stavolta sì… ma abbiamo messo a rischio tutte queste persone e non abbiamo comunque concluso niente!» ribatté Mew Ichigo. «Sono troppo forti… e noi non saremo fortunate in eterno!»
«Ascolta, la prossima volta li prenderemo,» dichiarò Mew Zakuro con tono convincente.
Mew Pudding annuì, saltellando. «Li rispediremo tutti e tre sul loro pianeta con un grosso calcione!» aggiunse.
Mew Ichigo non parve molto convinta della cosa. «Speriamo,» sussurrò in un sospiro, sforzandosi di essere positiva.
 

**


Fra una cosa e l’altra, le cinque ragazze riuscirono a lasciare il Dome solo un paio d’ore dopo. Ryo aveva offerto loro un passaggio in auto fino alle rispettive case, ma loro avevano rifiutato: Zakuro aveva chiamato un taxi e si era allontanata rapidamente per evitare i giornalisti, mentre le altre ragazze avevano deciso di fare una passeggiata a piedi per schiarirsi un po’ le idee.
Mentre camminavano in silenzio sul marciapiedi illuminato, Purin ricevette un messaggio sul suo cellulare. La ragazzina lo aprì e lo lesse rapidamente.
«E’ Keira?» domandò Ichigo.
Purin si reinfilò il telefonino nella tasca. «Keiichiro. Vuole sapere se domani possiamo andare al locale.»
Ichigo annuì, passando sopra il fatto che il giorno dopo fosse domenica.
«Alle sei di mattina,» aggiunse Purin.
«CHE COSA?!» sbottò Ichigo.
«Per me va bene,» disse Retasu.
«Sì, anche per me..» si rassegnò la rossina. «Minto, e per te?» chiese poi alla sua amica, girandosi verso di lei. Minto non aveva spiccicato parola da quando erano uscite dal Dome. Indossava ancora il suo vestito da danza, ma teneva poggiato sulle spalle il soprabito di Keiichiro: visto che l’aria della sera era fredda e lei aveva perso il suo cambio d'abito nella confusione, lui glielo aveva prestato prima di andar via.
Minto aveva l’aria stanca come le sue compagne e camminava a testa bassa, immersa in chissà quali pensieri. «Minto…tutto ok?» insistette Ichigo, preoccupata.
La ragazza si affrettò a riscuotersi. «Si, certo!» rispose, ma in quel mentre inciampò e perse l’equilibrio.
«Minto!» gridò Ichigo.
Troppo sfinita per reagire, la ragazza stava per cadere in mezzo alla strada, quando si sentì afferrare da due mani forti che la tennero stretta. Quando riaprì gli occhi, Minto scoprì che appartenevano al ragazzo che aveva incontrato al Dome.
«Va tutto bene, mio dolce angelo?» le chiese lui.
Minto arrossì senza ritegno e liberò dalla sua presa, facendo un passo indietro. «C-Che cosa ci fai tu qui?» chiese stravolta.
Lui aprì la bocca per risponderle, ma delle vocine alle sue spalle lo fecero desistere.
«A-Angelo?!» ripeté Retasu con voce acuta per l'imbarazzo.
«Si vede che non la conosci bene!» ridacchiava intanto Ichigo.
«Che bello!» saltellò Purin, «anche Minto ha un fidanzato! E anche carino!»
In effetti, il giovane sconosciuto non era affatto male: fisico snello, bel viso, spalle larghe, capelli corti e scuri  ed occhi chiari, che teneva fissi su Minto.
«Smettetela!» esclamò lei, incapace di sopportare oltre. «Io non so neanche chi sia questo qui! Ichigo, dovevamo andare a casa tua noi due, no?» Si girò verso il ragazzo: «Scusaci, abbiamo fretta!» lo salutò, e poi trascinò via a forza le sue amiche.
«Minto…» ripeté pensieroso il giovane una volta solo, assaporando quel nome sulle sue labbra e trovandolo incantevole.


**


Nello stesso momento, la professoressa Cherry Novak scese dal jet privato appena atterrato all’aeroporto.

“Così… questa è Tokyo?” pensò, ammirando gli altissimi grattacieli luminosi che la circondavano da ogni parte. Era uno spettacolo impressionante, anche per lei che era abituata alla vita delle grandi città.
Il vento che le scompigliava i capelli condusse al suo orecchio una voce che la chiamava. In basso, in fondo alla pista, un assistente del museo la attendeva con una macchina come stabilito.
Cherry raggiunse l’uomo, che quando la vide più da vicino sgranò gli occhi stupito. In effetti, lei non era proprio il tipo di donna che passava inosservata… la professoressa si scompigliò con una mano i suoi folti capelli rosa e sorrise.
“Si, credo proprio che mi divertirò quaggiù.”


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Capitolo 19
*** Un ritorno inaspettato ***


14/06/2014. In questi giorni ho un gran mal di testa. Non mi sento per niente bene.
Comunque sia, questa è la CGI di Imago, realizzata sempre da MewLeemon: è a dir poco adorabile e perfetta.



- Capitolo 18: Un ritorno inaspettato - 


La ragazza camminava davanti a lui, dandogli le spalle.

Pai la raggiunse e la abbracciò.
Lei si irrigidì, sconvolta da quel gesto.
Lui la strinse a sé con delicatezza: riusciva a sentire il suo profumo, il calore della sua pelle. Non sapeva descrivere ciò che stava provando, ma era meraviglioso. Le sensazioni che quella ragazza scatenava in lui erano così forti da essere sconcertanti. Tirò un profondo respiro.
Non era del tutto sicuro di quello che stava per fare.
«Ormai è inutile,» esalò, sfiduciato. «Però volevo dirti lo stesso che io… io…»
Istintivamente, l’alieno strinse più forte la ragazza, ma ben presto si accorse che lei era svanita. Ora davanti a lui si ergeva un’alta finestra ogivale: i mille colori dei tasselli di vetro che la componevano si intrecciavano fra loro per formare una figura complessa. Confuso, Pai appoggiò una mano sul mosaico raffinato. Sentiva dei rumori provenire dall’altra parte del vetro… strinse gli occhi e vi si avvicinò, cercando di guardare attraverso di esso. Scorse delle figure che si muovevano...
Erano ombre scure di cui non riusciva a distinguere i contorni. Pai cercò allora di concentrarsi sul rumore di fondo, ma qualcuno iniziò a scuoterlo con forza, facendolo svegliare.
«Pai! Pai, insomma!» lo chiamò Kell, trascinandolo fuori dal suo sogno.
L’alieno sussultò e scattò a sedere così all’improvviso che l’amico cadde all’indietro.
«Cos– …che succede?! Ci hanno scoperti?» domandò allertato.
Ben presto, Pai udì le urla che provenivano dal piano di sotto. «Che sta succedendo?» ripeté, balzando giù dal suo giaciglio.
Kell gli rivolse uno sguardo spaventato. Gli andò vicino e lo prese per le spalle. «Ascolta, se sai dove sono andati quei due dimmelo, mia madre sta davvero dando di matto!»
Pai schiuse le labbra, iniziando a capire la situazione. «Non ti starai riferendo mica a…»
«Sì, il tuo stupido fratello e la sua compagna! Sono spariti!»
Pai sospirò, alzando gli occhi al cielo. Si staccò dall’amico. «Non ne ho la minima idea,» sbuffò, strofinandosi gli occhi. Ricadde sul letto, cercando di riaddormentarsi.
«Senti, quando mia madre ha scoperto che quei due erano spariti, è praticamente impazzita per la rabbia!» esclamò Kell a quel punto, quasi offeso dal comportamento di Pai. «Lo sai come la pensa sulla purezza dei giovani e tutta quella sua roba religiosa. Ora è sconvolta e infuriata e, se non recuperiamo in fretta quei due e li costringiamo a scusarsi, ho paura che possa andare a denunciarli a Palazzo, e a quel punto sarebbe la fine per tutti noi!» gridò, per sovrastare le urla della signora Kell dal piano di sotto.
Pai si passò una mano sulla faccia. «Quei due cretini…» borbottò infine, rialzandosi.
 

* *


Il Quartier Generale delle Guardie Imperiali era un basso fabbricato poco distante dal Palazzo. Costruito in robustissima pietra nera, brulicante di sentinelle, era considerato uno dei posti più sicuri del pianeta dopo il Palazzo.
Eppure, quella notte, qualcuno era riuscito a superare la sorveglianza e ad intrufolarsi lì dentro.
L’intrusa avanzava silenziosamente in uno dei corridoi più secondari dell’edificio. Quella parte del Quartier generale era poco utilizzata e, per questo motivo, poco controllata. La figura nell’ombra evitò un paio di sentinelle infilandosi in uno stanzino buio, ma una volta dentro sentì un rumore che la fece trasalire.
C’era qualcuno dietro di lei! Mentre questa realizzazione si faceva spazio nella sua testa si sentì afferrare alle spalle e coprire la bocca con una mano. Colta di sorpresa, emise un grido soffocato.
«Le ragazze carine come te non dovrebbero girare da sole la notte,» le soffiò all’orecchio l’assalitore, per poi lasciarla andare. «Sai, qui fuori è pieno di persone poco raccomandabili.»
Una volta libera, Imago si strofinò il dorso della mano sulle labbra con un gesto istintivo. Ad aggredirla non era stato altri che Kisshu, che ora le stava facendo segno di fare silenzio.
Nonostante la battuta, l’alieno sembrava sorpreso di vederla lì; lei, invece, era solo nervosa.
«Tecnicamente parlando,» gli rispose l'aliena a bassa voce, ignorando il suo avvertimento, «visto che sono appena entrata illegalmente in un edificio militare, quella poco raccomandabile sono io. Ovviamente, ho tralasciato il fatto che sono considerata una minaccia per il Regno... se venissi scoperta, finirei per essere giustiziata ancor prima di poter pensare le mie ultime parole.»
«Sì, in effetti è così,» mormorò Kisshu. «Mi chiedo perché tu abbia fatto una cosa così scema.»
«Purtroppo non posso farci nulla, dato che il mio compagno è un idiota.»
Un pesante rumore di passi nel corridoio troncò la discussione dei due, che trattennero il fiato quando i passi si fermarono proprio davanti alla porta. Fortunatamente, dopo alcuni secondi la sentinella si allontanò.
«Parla piano, piccola,» sussurrò Kisshu, poggiandole un dito sulle labbra.
Per tutta risposta, Imago gli diede una gomitata nel fianco. «Stupido!» esclamò furiosa a voce più bassa possibile. «Come ti è saltato in mente di venirti a cacciare nel Quartier Generale delle guardie? Hai forse voglia di suicidarti?!»
Lui la guardò di sottecchi, trattenendo un sorrisetto. «Quanto sei carina quando ti arrabbi,» ridacchiò malizioso.
«Non è il momento adesso!» lo ammonì lei esasperata. «Quando mi sono accorta che eri sparito, non sai cosa ho dovuto fare per riuscire a scoprire dove eri andato. Credevo che ti avessero catturato! Dobbiamo andarcene subito, prima che ci scoprano!»
Di quel bel discorso, Kisshu non aveva ascoltato neanche una singola parola. «Mi hai seguito perché eri preoccupata per me?» constatò colpito quando lei smise di parlare. Ma, prima che Imago avesse il tempo di ribattere, scosse la testa. «Mi spiace, ma non posso tornare indietro adesso. Sono venuto qui perché devo fare una cosa,» spiegò, e poi schiuse leggermente la porta dello stanzino. Il corridoio, in quel momento, era deserto e silenzioso.
«Resta qui,» disse l’alieno dagli occhi ambrati a Imago, «tornerò a riprenderti.»
Uscì allo scoperto, nel corridoio. Imago, ovviamente, lo seguì.
Kisshu si muoveva per il Quartier Generale come se lo conoscesse come le sue tasche, e ben presto Imago capì che era così rapido e sicuro di sé perché teneva fra le mani uno dei congegni radar che lei aveva visto usare da Kell, l'irascibile super-scienziato che li stava nascondendo.
Imago vide Kisshu saltare giù per una rampa di scale che conducevano ad un piano sotterraneo. Una volta scesa anche lei, l’aliena si ritrovò davanti ad un portone che Kisshu era appena riuscito ad aprire grazie ad un altro degli aggeggi di Kell. Sullo stipite di metallo era incisa nell’alfabeto della loro lingua la parola “DEPOSITO”.
“Il deposito?” si chiese la ragazza, aggrottando la fronte. “Ma che vuole fare?”
Varcò incerta quella soglia. «Kisshu?» chiamò a bassa voce, guardandosi intorno spaesata. Il deposito non era altro che un grosso stanzone riempito da box e scaffali da cui traboccavano oggetti di ogni tipo.
Seguendo il rumore di cianfrusaglie gettate a terra senza alcun ritegno, Imago rintracciò presto Kisshu: era impegnato a scandagliare minuziosamente il contenuto di un grosso contenitore di metallo.
«Questo no, questo neanche, quest’altro nemmeno…» lo sentì mormorare Imago. «Trovato!» esclamò di colpo.
Sotto lo sguardo inquieto di Imago, Kisshu estrasse dal box uno spesso oggetto metallico di forma rettangolare grande quasi quanto Taruto.

«Questo è il quadro di memoria della nostra astronave,» spiegò alla sua compagna. «E’ stata sequestrata e smantellata quando ci hanno arrestati, ma le Guardie hanno tenuto questo pezzo. Ero sicuro che l’avrebbero fatto: i quadri di memoria sono la parte più importante di un’astronave perché conservano tutte le informazioni sulle rotte e sugli spostamenti compiuti.»
«D’accordo Kisshu,» annuì Imago, «posso capire l’importanza che hanno per te i ricordi, ma non credi che sia un po’ esagerato…»
Kisshu poggiò il quadro di memoria su di un piano e fracassò con un colpo secco il minuscolo pannello laterale.
Imago sussultò terrorizzata, ma lui ghignò soddisfatto. «Sapevo che avevamo fatto bene a nasconderla qui,»  disse, estraendo da un fondo segreto una sferetta di colore trasparente.
«E questa che cos’è?» gli chiese Imago, avvicinandosi di un passo.
«Qualche tempo fa ti parlai dell’acqua mew, ti ricordi?» rispose lui. «Alla fine, le Mew Mew ci regalarono tutta quella che ancora possedevano. Pai l'ha analizzata e ha concluso che è troppo poca per essere di una qualche utilità, ma ho pensato che non potevamo lasciarla marcire qui.»
Imago rimase a bocca aperta. «L’acqua mew?» scandì, fissando incredula la sferetta che Kisshu si stava infilando nella tasca. «Ma scusa, è così piccola,» osservò, «come può questa cosa minuscola avere un potere così grande?»
Lui sospirò. «Me l’hai insegnato tu che a volte le cose non sono quelle che sembrano,» sorrise avvicinandosi a lei, sollevandole il mento con una mano.
«Oh,» sussurrò lei, ma Kisshu si era già allontanato in direzione di uno scaffale.
«E questi sono i miei,» ghignò, infilandosi nella cintura due tridenti impolverati. «Prendi queste!» disse poi a Imago, lanciandole fra le mani uno strano oggetto colorato.
Lei lo prese al volo e lo guardò. «Delle... bolas?» sillabò confusa.
«Sono di Taruto. Tienile tu per ora.»
«Ma…»
«Bene, ora possiamo andare,» concluse Kisshu, prendendole la mano.
In quel momento, i pannelli luminosi del deposito iniziarono ad accendersi uno dopo l’altro.
Un rumore di passi giunse alle loro orecchie. «Chi è là?» esclamò la voce minacciosa di una sentinella, avanzando nello stanzone.
Imago si irrigidì spaventata, e Kisshu la trascinò con lui dietro una grossa fila di contenitori metallici.
«Inutile nascondersi, intrusi, vi abbiamo visti!» sbraitò una seconda voce, a poca distanza dal loro nascondiglio. «Siete in trappola! Uscite fuori con le mani bene in vista!»
Kisshu sbuffò. «Seccatori…»
«Conteremo fino a dieci, se non uscite verremo a prendervi!» incalzò la sentinella. «Uno…»
Imago deglutì. «Kisshu, spero per noi che tu sia molto bravo con quei tridenti.»
Lui estrasse le armi e se le rigirò fra le mani con maestria. «Lo scopriremo subito.»  
«Anzi no, aspetta!» lo bloccò a quel punto Imago, afferrando un oggetto che aveva appena notato su uno scaffale. «Ho un’idea migliore!»


«…cinque…» contò intanto la seconda sentinella, facendo un cenno d’intesa al suo collega piu’ giovane.
Estrassero dal fodero una pistola ad impulsi, pronti ad usare i loro cristalli per andare a stanare gli intrusi nel loro nascondiglio prima di terminare il countdown. Stavano per smaterializzarsi quando, dal muro di box metallici, sbucarono fuori due alieni.
Il primo era un tizio sporco, con i capelli corti e arruffati e un paio di manette ai polsi. Il secondo era una femmina, che la sentinella piu’ giovane riconobbe immediatamente come il…
«C-caporale Yashal?» farfugliò incredula, e per poco la pistola non gli cadde dalle mani. «C-che cosa ci fa lei qui?»
La bella soldatessa gli lanciò uno sguardo in tralice. «Quello che non fai tu, sciocco: catturo l'intruso,» rispose, spintonando un recalcitrante Kisshu, che teneva la testa bassa.
«Ha… catturato l’intruso?» domandò l’altra sentinella, sospettosa.
«Certo, non vede come è legato?»
La sentinella indicò le manette arrugginite che trattenevano Kisshu. «Con quei reperti archeologici?»
«Come si permette? Queste manette erano di mio nonno e sono robustissime!»
«Ah, sì?»
«Ve lo dimostro subito,» sbottò Yashal. Diede una gomitata a Kisshu. «Avanti, intruso! Prova a liberarti!»
Lui agitò debolmente i polsi. Le manette tintinnarono.
«Non ci riesco,» ammise con voce piatta.
«Visto?» esclamò allora vittoriosa Yashal, rivolgendosi ai suoi compagni.
Loro si guardarono in faccia. Il maggiore si grattò la testa.
«Ora lasciatemi passare, devo portare in prigione questo senzatetto,» disse Yashal. «Voi, intanto, aumentate la sorveglianza: potrebbero essercene altri. E tu cammina!» esclamò, spingendo in avanti Kisshu.
«Ehi!» esclamò lui contrariato, avanzando.
«Si, certo…bene caporale…» annuì intanto la sentinella giovane, guardando i due allontanarsi verso l’uscita. «Che femmina…» sospirò poi sognante al compagno, una volta rimasto solo.
«Non sapevo che quella donna si occupasse delle ronde notturne,» rimunginò intanto l'altra. «E poi... non ti sembra che quel poveraccio avesse un'aria familiare?»

*

«Mi ero quasi dimenticato del tuo trucchetto,» sogghignò Kisshu appena girato l’angolo.
Il falso caporale Yashal sospirò, ritornando ad essere Imago. «Beh, io ho dimenticato il giorno in cui sei nato, quindi direi che siamo pari,» disse, accennando un sorriso. Imago aveva la capacità di trasformarsi nelle persone amate da qualcuno, e questa era la seconda volta che con il suo potere salvava la vita a Kisshu: tempo prima, lo aveva salvato da una fine tremenda sotto le sembianze di Mew Ichigo.
«Mi dispiace solo per i tuoi capelli,» mormorò. Oltre allo sporcarsi il viso, Kisshu era stato costretto a tagliare con un paio di colpi secchi le sue ciocche laterali per evitare di essere riconosciuto all'istante.
«Ricresceranno,» sospirò lui. Poi le sorrise: «Grazie per avermi aiutato, piccola.»
Lei avvampò. «Q-Quando vuoi.»


* *

Un’ora dopo, Kisshu e Imago erano ad ormai pochi metri dalla casa di Kell.

«Ora che ci penso… non potevi chiedere a Pai di recuperare l’acqua mew?» chiese l’aliena al compagno, varcando il cancello. «Lui non avrebbe avuto problemi a intrufolarsi nel Quartier Generale: è il Capitano delle Guardie.»
Kisshu portò le mani dietro la testa. «Sì, ma è sorvegliato a vista, l’hai dimenticato? Tutti credono che sia una specie di robot. E poi,» soggiunse, trattenendo un sorrisetto, «che ti devo dire, mi piace fare un po’ di casino ogni tanto.»
Ci mancò poco che Imago non inciampasse e cadesse per terra. «F-Fare casino?! Rischiare la vita a caso per te è fare casino?!»
«E dai, ammettilo che grazie a me ti sei divertita.»
«Ma certo che mi sono divertita!» strillò Imago in tono vagamente isterico. «Anzi, adesso ti mostro tutta la mia gratitudine!» aggiunse poi, cercando di colpire Kisshu che, ridacchiando, evitava i suoi pugni maldestri con facilità.
«Voi due,» li richiamò una voce pericolosamente bassa alla loro sinistra.
Appoggiato al muro della casa, a braccia conserte, c’era Pai.
«Ops… ciao Pai,» sussurrò imbarazzata Imago, lasciando perdere Kisshu.
«’Ciao Pai’ un accidente,» sbottò l’alieno, raggiungendo i due. «Si può sapere che cosa vi siete messi in testa? Sparire così nel bel mezzo della notte… a quella donna stava per prendere un colpo!»
«M-Mi dispiace Pai, io…»
«Non ci sono scuse, Imago!»
«E’ colpa mia,»  intervenne Kisshu, «non te la prendere con lei.»
«Lei è irresponsabile quanto te,» replicò Pai, lanciandogli un’occhiataccia, «ma capisco che sei tu a rovinarla.»
Kisshu strinse gli occhi, fronteggiando lo sguardo di Pai. «Scusa piccola, potresti lasciarci un attimo soli?» chiese calmo a Imago, senza muoversi.
«Se vuoi entrare in casa è meglio che lo fai con Alan, da sola non sopravviveresti. Lo trovi dall’altra parte del cortile,» la istruì Pai.
«O-Ok…» annuì l’aliena, avvilita dalla piega che aveva preso la situazione.
Non appena Imago si fu allontanata, il volto di Kisshu divenne cupo. «E’ sempre colpa mia, no?» sbottò, rivolto al fratello. «Sono sempre io il bastardo della situazione, eh?»
«Ma lo capisci che hai messo in pericolo sia te che lei? Se qualcuno scopre che sei ancora vivo, siamo spacciati!»
«Io so qual è la nostra situazione, grazie tante. E a te sfugge un particolare: io non sono un moccioso, e non devo rendere conto a nessuno delle mie azioni, men che meno te o quella donna assillante. I tuoi sermoni valli a fare a Taruto!»
«Taruto è più maturo di te!» esclamò Pai, iniziando ad alterarsi. «Non sei più sulla Terra, Kisshu! Sei un condannato a morte, maledizione!»
«E cosa dovrei fare secondo te? Dovrei starmene nascosto per sempre? E’ quasi un mese che me ne sto rinchiuso in quella casa senza fare niente, e non lo sopporto! Sto impazzendo, lo capisci questo? Se per vivere devo continuare a stare così, allora sai che ti dico, Pai? A questo punto è meglio morire!»
Pai digrignò i denti e alzò una mano come per colpire Kisshu, ma qualcuno gli trattenne il braccio.
«Basta così, Pai!» esclamò il nuovo arrivato.
«Ma che…»
Kisshu guardò stranito la figura avvolta in un mantello apparsa dietro Pai. «Cosa…?»
«Non posso lasciarvi soli un attimo che iniziate subito a litigare,» sbuffò l’aliena con finta desolazione, lasciandosi ricadere sulle spalle il cappuccio che le copriva il volto. «Comunque sia, bel taglio di capelli, Kisshu!»
Pai ritrasse la mano e si voltò a guardarla, incredulo. «Chris...?» mugolò.
Lei annuì, sorridendogli. «Già… ciao, Pai,» disse poi, abbassando gli occhi. «Sono tornata.»

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Capitolo 20
*** Copycat ***


04/10/2014. Eccomi qui! Causa impegni sono scomparsa di nuovo, ma non ho pigrato troppissimo: in quattro mesi ho dato ben due esami e mezzo (lasciamo perdere...piango) e recuperato e riletto i manga di Tokyo Mew Mew (i miei erano andati perduti anni fa). 
Di questo capitolo, la parte più divertente da risistemare sono state le elucubrazioni di Minto. Delle altre non ho toccato poi molto. 
Ah a sorpresa ecco qui Chris~! Non è proprio lei, ma questo elfo di Dragon's Crown (schizzo di un autore sconosciuto) somiglia molto all'idea di lei che ho io.

Chris

- Capitolo 19: Copycat - 


Domenica, ore otto del mattino. Un bel sole tondo e dorato spadroneggiava nel cielo limpido, mentre la brezza primaverile faceva muovere i rami degli alberi del parco e le imposte aperte del Cafè Mew Mew.
Quella mattina le ragazze avrebbero dovuto discutere degli avvenimenti del Dome con Ryo e Keiichiro ma, a causa del ritardo del suo protetto, quest'ultimo aveva deciso di rimandare la riunione e aprire il locale.
C'è da dire che nel corso dei mesi, fra alti e bassi, il Cafè Mew Mew aveva guadagnato una discreta popolarità e per questo motivo si riempì quasi subito di clienti passati lì per gustarsi una tazza di caffè o una fetta delle squisite torte di Keiichiro. In poco tempo le ordinazioni si moltiplicarono e Ichigo, come al solito, perse il controllo. Non potendo prendersela con Zakuro o con Purin, che erano impegnate rispettivamente in cucina e alla cassa, e nemmeno con Retasu, che sembrava mettercela tutta nel cercare di portare ai clienti le bevande senza rovesciarle a terra, la rossa andò per esclusione a sfogarsi con Minto.
La ragazza dagli occhi color nocciola sedeva su una delle poltroncine in fondo al locale. Impegnata a rigirare con un cucchiaino d'argento il tè nella tazza che reggeva fra le dita, Minto ignorava completamente i suoi doveri da cameriera. Non era la prima volta che succedeva e non sarebbe stata neanche l’ultima, ma stavolta c’era qualcosa di diverso: la ragazza stava girando lo zucchero da ormai quasi mezz’ora.
Ichigo le si pose davanti all’improvviso. «Minto! INSOMMA!» esclamò, facendola sussultare. «Vuoi lavorare, sì o no?»
Gli occhi fiammeggianti e le mani sui fianchi, Ichigo attese il solito rimbecco altezzoso della compagna, che però stavolta non venne. Infatti, Minto si limitò a posare il cucchiaino e ad esalare un profondo sospiro.
La rossa, sorpresa da questa reazione, si accigliò un poco; chinandosi sull'amica, le sventolò una mano davanti agli occhi.
«Minto…ci sei?»
Lei sbatté le palpebre e tornò in sè, portando istintivamente la tazza alle labbra. «Oh, Ichigo. Hai detto qualcosa?» le chiese sorseggiando il suo tè: era freddo e ormai imbevibile. Minto fece una piccola smorfia di disgusto e lo mise via.
«C’è bisogno di te!» spiegò una stressantissima Ichigo. Tirò in piedi la compagna e le mise in mano un blocchetto per le ordinazioni. «Lavoro… cameriera… vai!» ordinò, e la spinse verso il centro della sala.
“L'ultimo combattimento deve averla sconvolta davvero tanto,” pensò preoccupata, osservandola mentre si avvicinava con aria assente ad un tavolino occupato da un tipo immerso nella lettura di un giornale.
«Buongiorno, come posso servirla?» gli chiese meccanicamente, preparando la penna.
Il cliente abbassò il giornale: era lo stesso ragazzo che Minto aveva conosciuto la sera prima al Dome. «Buongiorno, o splendida creatura celeste...» cominciò a declamare.
«Oh no, ti prego!» esclamò Minto con esasperazione una volta superata la sorpresa iniziale. Lasciò il blocchetto delle ordinazioni a Retasu, che passava lì accanto in quel momento, e se ne andò.
«Ehm….c-cosa vuoi ordinare?» chiese la cameriera verde al giovane.


Minto entrò con passo stanco nella cucina, dove Zakuro stava preparando un vassoio di bevande fredde.
«Che ti succede?» le chiese la ragazza lupo, notando il suo sconforto.
«N-Niente,» rispose lei girandosi dall’altra parte con la scusa di leggere le ordinazioni.
«E' da ieri che ti stai comportando in modo molto strano,» insistette Zakuro con aria indifferente.
«Te lo dico io cos’ha!» esclamò Purin spuntando fuori dal nulla. «La mia macchina della verità dice che Minto onee-sama si comporta così perché si è innamorata!!!» dichiarò, mostrando uno strano marchingegno rosa che aveva preso chissà dove.
Minto sobbalzò. «Non è vero!»
«Allora a cosa stai pensando?» le chiese Purin a tradimento.
Minto avvampò. «Ai…ai fatti miei!» sbottò irritata.
Purtroppo per lei, la sua reazione sembrò non far altro che confermare i sospetti della biondina. «Minto è innamorata!» dichiarò infatti, raggiante.
«I-Io non sono innamorata!»
«Io non sono gelosa!» esclamò nello stesso momento Ichigo, entrando nella cucina insieme a Retasu. «E’ solo che non mi fido di quell’antipatica!»
«Oh? Ed ora che ha Ichigo?» chiese Purin.
«E’ gelosa della fidanzata di Ryo,» spiegò Retasu.
Ichigo la fulminò con gli occhi. «Io non-»
«Vi prego di scusarmi, ma non mi sento molto bene oggi,» la interruppe Minto, stanca. Posò su una sedia la sua cuffietta e si slacciò il grembiule. « Vado a prendere una boccata d’aria; chiamatemi quando arriva Ryo,» disse, ed uscì dalla porticina che dava sul retro del locale.
Non appena Minto si fu allontanata, Purin rivolse la sua attenzione ad Ichigo: «Di un po', stai parlando di quella Luna?» domandò.
Lei annuì. «Quella ragazza ha qualcosa che non va. Dev’essere colpa sua se Ryo si sta comportando in modo così strano in questi giorni!» dichiarò con aria convinta. «Quella tizia sta pianificando qualcosa, ne sono sicura. Avete visto come lo guardava l’altra sera?!»
«In tutta franchezza, Ichigo, ho visto molte ragazze guardarlo così,» osservò Zakuro. Poi lanciò un’occhiata al suo orologio: «Ragazze, purtroppo devo lasciarvi anch’io: ho un appuntamento per un servizio fotografico.»
«Non preoccuparti, ti chiameremo noi in caso di bisogno,» la rassicurò Retasu, e Zakuro le sorrise grata in risposta prima di andar via.
«Quindi secondo te quella Luna è una strega che ha usato i suoi occhi magici per ipnotizzare Ryo?!» continuò intanto un’incuriosita Purin.
«Sì,» rispose Ichigo, lasciandosi andare. «Ne sono sicura. E’ l’unica spiegazione! Spiegami altrimenti come lui faceva a sapere che era arrivata…»
«Chi è arrivata?» si intromise il diretto interessato.
Ryo era appena entrato in cucina… Ichigo si ammutolì.
«Che c’è, state spettegolando su di me?» chiese il ragazzo con aria scherzosa lanciando un’occhiata ad Ichigo, che divenne rossa come la sua divisa da cameriera. Ma prima che potesse trovare le parole per rispondergli, Ryo aggrottò la fronte e iniziò a tastarsi la giacca.
«Ah, dove ho messo il mio cercapersone?» si chiese il giovane. Dopo qualche secondo estrasse dalla tasca interna del vestito una scatolina nera che vibrava leggermente. «Ah, mi sta cercando,» disse, leggendo un nome sul minuscolo display dell’apparecchio. Poi rivolse la sua attenzione ad Ichigo, che adesso lo stava guardando a bocca aperta. «Si chiama cercapersone,» scandì, indicandole l’oggetto che aveva fra le mani.
«Ce-cercapersone?» ripeté lei sbalordita.
Ryo le lanciò in mano un mazzo di chiavi. «Servite solo le persone che sono già dentro e non appena andranno via chiudete il locale, pulite, e poi cominciate pure senza di me. Purtroppo sembra che oggi io sia impegnato,» disse. Mentre si avviava verso l’uscita si incrociò con Keiichiro.
«Devi già andare? Buon divertimento,» gli disse lui con voce affettata.
«Non mi diverto e tu lo sai,» rispose il biondo prima di scomparire dalla porta.
«Allora stavamo dicendo, Ichigo...?» chiese Purin una volta che Ryo se ne fu andato. Cercò con lo sguardo la sua compagna, trovandola infine accovacciata in un angolino che disegnava cerchietti immaginari per terra.
«Niente,» sussurrò lei demoralizzata. «Lascia perdere.»


**


Minto sospirò triste mentre si lasciava ricadere su una panchina di legno sul retro del Cafè. Era scomoda e un po’ sporca, ma non se ne curò.

Erano giorni che non faceva altro che rimuginare sugli alieni, ed era fermamente convinta di essersi lasciata prendere troppo da questi pensieri. Sapeva benissimo che gli ultimi avvenimenti erano stati davvero forti e traumatici e che era solo a causa di tutto questo, oltre che dello stress e della stanchezza, che si sentiva così male.
Stringendo le mani sul vestito blu, Minto continuò a ripeterselo per molti minuti, fino a che non esplose.
“Ma chi voglio imbrogliare?” si sgridò mentalmente, cedendo. Forse, in fondo, Purin non aveva poi così torto.
Minto non era mai stata molto brava a mentire a sé stessa. Lei sapeva sempre chi era e cosa provava nei riguardi delle cose, degli eventi e delle persone. Spesso però non riusciva a comprendere questi suoi sentimenti fino al momento in cui la situazione non si presentava effettivamente e lei si ritrovava a viverla sulla sua pelle. E in quel caso, la situazione aveva  due grandi occhi color mare e un odio profondo per l'umanità.
Ma Minto non era tipo di persona che si perde in chiacchiere o in sogni. Non amava fantasticare sulle cose impossibili. Per questo motivo, sin da quando aveva capito cosa le stava succedendo, aveva cercato fino alla fine di negare i suoi sentimenti. Aveva cercato in ogni modo di negare di essere attratta dall'alieno di nome Ai.
Non poteva essere attratta da lui!
Si nascose il viso fra le mani, arrossendo per l’imbarazzo e la frustrazione. Era ridicola. Ridicola, davvero. Come aveva potuto lasciarsi trascinare in questa situazione?
Sospirò di nuovo ed appoggiò le mani sul grembo, guardando fisso avanti a sé.
Non sapeva perché quell’alieno la facesse sentire così. Era carino, su questo non c’erano dubbi. Ma è un nostro nemico, si disse. Era abile, intelligente e sicuro delle sue capacità.
Ma è un nostro nemico.
Le aveva messo le mani addosso e l’aveva pugnalata. Pugnalata, per l’amor del cielo! Se fosse stato un umano, un tipo così sarebbe sicuramente finito in galera.
Ma era questo il punto. Il punto era che Ai non era un essere umano. Era un alieno come Kisshu, Pai e Taruto, e come loro era vissuto in un luogo orribile, buio e inospitale. Non era crudele, era diventato crudele. E ne soffriva, perché lui non era così. Lui era il ragazzo che protegge una madre sconosciuta perché non vuole che suo figlio provi il dolore che ha provato lui. Aveva tentato di ucciderla, vero, ma non aveva più volte fatto anche lei lo stesso, mentre combattevano? In fondo erano nemici.
Minto non si faceva molte illusioni: le possibilità che una storia fra loro due funzionasse erano pressoché nulle. Ma se fosse riuscita a sfondare il muro dietro cui il vero Ai si nascondeva, avrebbero almeno potuto salvarlo e forse, se ci fosse riuscita, avrebbe potuto persino far terminare la guerra fra di loro.
Decise che lo avrebbe fatto. Doveva solo trovare il modo. Forse poteva…
«Minto!»
La ragazza riemerse di colpo dai suoi pensieri. «Eh? Ancora?! Ma non è possibile!» sbottò.
Il ragazzo del Dome era in piedi a poca distanza da lei. Lei si rimise in piedi, infastidita. Lui si avvicinò di un paio di passi e lei indietreggiò di tre.
«Perché ti allontani?» le chiese lui stupito.
«Perché tu ti stai avvicinando,» fu la risposta di Minto. Si guardò intorno, rendendosi conto di essere completamente sola con quel tipo. “Perché le amiche non ci sono mai quando servono?!” pensò. Scorse la mazza di una scopa di saggina poggiata alla parete del locale. Keiichiro la usava per spazzare via le foglie ma, se il tizio inquietante avesse osato toccarla, lei l’avrebbe usata in modo molto diverso. 
«Non posso evitarlo; sono una falena e tu sei la luce che mi attira verso di te,» sospirò il giovane.
«Io non sono un lampione stradale,» puntualizzò Minto, «io sono una ragazza. E non so neanche come ti chiami.»
«Se è un nome l’unico ostacolo al nostro amore, allora annulliamolo!» proclamò il ragazzo, sempre con la sua stramba aria melodrammatica. «Il mio nome è Will,» disse, come se quel semplice nome potesse risolvere tutti i suoi problemi. Si mosse in avanti di un passo.
Minto indietreggiò di un altro passo. «Perfetto… Will. Ora dimmi, come hai fatto a sapere che lavoro qui?»
«E’ stato il destino a condurmi qui. Io…»
«Bene, allora per favore dici al destino di condurti lontano da me, prima che ti denunci per stalking!» lo interruppe la ragazza.
Lui parve disorientato. «Che cosa significa 'stalking'
«Significa pedinare le persone, ed è una cosa davvero molto, molto brutta,» spiegò Minto, che non riusciva a capire se quel tipo fosse pericoloso o solo molto, molto ingenuo. «Non farlo mai più o chiamo la polizia per davvero. Ed ora scusami, ma devo lavorare,» troncò e, girate le spalle, tornò dentro il locale, lasciando solo un confusissimo Will.


**


«Si, Retasu!» gridò Ichigo dalla cucina, asciugando un piatto appena lavato. «Qui ci sto pensando io, non ti preoccupare!»
"Odio fare le pulizie…" sospirò poi la ragazza mentre posava il piatto sul tavolo. Ne prese un altro dal lavello.
Un secondo dopo, si ritrovò in mezzo ad un affollatissimo marciapiede di Tokyo.
«Ma cosa…» disse, sconvolta. Si guardò intorno: fra la folla di persone grigie e anonime notò una giovane donna che camminava proprio davanti a lei. Era molto diversa dagli altri: indossava un tailleur lilla con i bordi bianchi, ed aveva un caschetto di sgargianti capelli rosa. Improvvisamente la donna si girò di lato, ed Ichigo riuscì a scorgere una singola ciocca fucsia sul lato destro del viso e delle iridi rosate dietro un paio di eccentrici occhiali da sole. Ma ciò che più la sorprendeva era la fisionomia di quella donna: era praticamente la copia vivente di Mew Ichigo… la sua copia.
Anche gli altri passanti si voltarono nella stessa direzione della donna, ed Ichigo li imitò. Gridò: due chimeri alati stavano puntando proprio nella sua direzione. Spaventata, la giovane estrasse la sua spilla per trasformarsi, ma di colpo si sentì afferrare i polsi da una forza misteriosa.
«Lasciami stare!» gridò Ichigo dimenandosi. Si liberò con uno strattone, ma perse l’equilibrio e cadde a terra, sul pavimento del Cafè Mew Mew.
 
**

Zakuro era in auto insieme al suo manager. Lui le stava riepilogando con voce monotona gli impegni del pomeriggio, ma ben presto qualcosa attirò l'attenzione della modella.
Delle urla lontane…
L’istinto del lupo grigio le comunicò la presenza di un chimero. Senza curarsi del suo manager, saltò giù dall’auto ferma nel traffico e si diresse verso il vicolo più vicino per trasformarsi.
 
**
 
Ichigo sollevò la testa con aria spaventata: Retasu, preoccupatissima, era in piedi davanti a lei. Ichigo si chiese perché se ne stava là immobile: c’erano dei chimeri a pochi metri da lei!
«Retasu, dobbiamo trasformarci!» le disse, balzando in piedi. Poi si guardò intorno. «No, aspetta… dove… dove sono i chimeri?!»
L’amica le si avvicinò e la prese per le spalle. «I-Ichigo, non c’è nessun chimero,» le disse, cercando di tranquillizzarla. «Io e Purin eravamo di là a spazzare, quando ti abbiamo sentito urlare. Siamo corse da te e ti abbiamo trovata che continuavi ad agitarti, poi hai estratto la spilla come per trasformarti…»
«Avrai fatto un sogno ad occhi aperti!» osservò Purin porgendole la sua spilla, che era scivolata a terra.
Ichigo la prese fra le mani, stringendola forte. «Un sogno?» ripeté, per nulla convinta.
 
**
 
Mew Zakuro continuava a saltare sui tettucci delle automobili. Il suo istinto la condusse in una strada affollata dove un chimero volante aveva appena puntato una persona. La guerriera liberò la sua frusta appena in tempo, cogliendolo in pieno e annientandolo. Nel fuggi-fuggi generale che stava verificando, una sola persona rimase a terra, forse ferita: Mew Zakuro, impegnata a scacciare il secondo chimero, la notò con la coda dell'occhio e la riconobbe come la sua compagna.
«Mew Ichigo! Sei ferita?» esclamò, correndo verso di lei.
«Chi è Mew Ichigo?» rispose quella confusa, rialzandosi.
Mew Zakuro si fermò. Ormai era a pochi metri da lei e riusciva a vederla bene in volto: sebbene somigliasse tantissimo alla sua amica, quella donna non aveva ne’ orecchie da gatto ne’ coda, ed era di almeno dieci anni più grande di lei.
La donna simile a Mew Ichigo raccolse da terra gli occhiali da sole e li pulì con cura con un fazzoletto. «Mi avevano detto che Tokyo era piena di supereroi, ma non avrei mai pensato di incontrarne davvero uno,» disse distrattamente, fissando di sottecchi Mew Zakuro. Poi inforcò gli occhiali e le tese la mano, scandendo con un leggero accento francese le parole: «Piacere signorina supereroe, il mio nome è Cherry Novak ed insegno storia dell’arte alla Sorbona. Parigi, Francia, ha presente..?»

**

Ichigo sbatté il telefono cordless sul ricevitore con forza tale da rischiare di rompere entrambi.
Ma non le importava. A che cavolo serviva il telefono se ogni volta che componeva il numero di Ryo rispondeva quella maledetta segreteria telefonica?
«Ichigo, calmati! Era solo un sogno!» ripeté Retasu per quella che ormai doveva essere la decima volta.
«E’ vero! Io sono stata qui fuori per tutto il tempo e non ho visto nessun chimero!» dichiarò Minto.
«Non era un sogno! Io l’ho visto davvero quel chimero!» protestò la rossa. «E c’era anche una persona che assomigliava tantissimo a Mew Ichigo!»
Retasu, Purin e Minto si guardarono fra di loro, sconsolate.
«Disturbo...?» chiese in quel mentre una voce nota.
Zakuro era appena entrata dalla porta principale, che le cameriere avevano lasciato socchiusa quando Keiichiro poco prima era uscito per andare a cercare Ryo.
«Zakuro? Che cosa ci fai qui? Non dovevi lavorare?» chiese Purin.
«Già…» annuì lei con un’aria strana. «Dovevo, ma sono tornata perché ci tenevo a farvi conoscere la mia...nuova amica.Vieni pure,» disse poi, lanciando un’occhiata fuori dalla porta del locale.
Sotto lo sguardo allibito delle ragazze, la donna uguale a Mew Ichigo si fece avanti.
«Bonjour, mesdemoiselles mew mew!» le salutò, sorridendo amabilmente. «Piacere di conoscervi, il mio nome è Cherry. Oh, ma questo posto è incantevole,» osservò deliziata, guardandosi intorno. «La sua architettura è una splendida coniugazione dell’arte post-moderna con il protoromanticismo pre-impressionista...ah...mi ricorda tanto il sapore limpido e luminoso delle opere del mio caro connazionale Renoir, che possiamo contrapporre all’angosciosa Guernica di Picasso… chi l’ha progettato? Devo fargli assolutamente i miei complimenti!»
Retasu, Purin e Minto si guardarono per una seconda volta in faccia.
Poi guardarono Zakuro, poi Ichigo, Cherry e di nuovo Ichigo.
Retasu cadde a terra svenuta.
 
**

Quando Retasu rinvenne, si ritrovò sdraiata sul divanetto di uno dei tavoli in fondo al locale. Ryo, tornato da chissà quanto tempo, era accanto a lei e le stava sventolando un fazzoletto profumato davanti al viso.
La giovane si stropicciò gli occhi. «Ho fatto un sogno strano…» mormorò assonnata. Si interruppe e arrossì tremendamente quando si accorse del biondo accanto a lei.
«Per caso, c’era forse lei nel tuo sogno?» le chiese lui, indicando un punto alle sue spalle: Cherry stava parlando a Keiichiro con grande eccitazione, additando un oggetto posto sulla parete del Cafè.
Retasu colse uno stralcio del suo appassionato discorso: «…per non parlare di quest’armonia creata dal colore rosso e bianco si mescola in una combinazione dall’apparenza moderna, ma che trova nelle sue forme rotonde e morbide una sottile rivisitazione dell’arte gotica dell’Europa nel tardo XVI secolo…»
Ryo sospirò. «E’ lì da dieci minuti. Nessuno ha il coraggio di dirle che quello è l’estintore,» spiegò alzando le spalle.


Qualche minuto dopo le ragazze, Ryo e Keiichiro erano seduti al tavolo della cucina del Cafè, intorno a Cherry.
«Potresti spiegarci di nuovo chi sei, per favore?» le chiese Minto, guardandola sospettosa.
«Ve l’ho detto,» sospirò lei, «Sono una docente di Storia dell’Arte. Sono arrivata ieri notte qui a Tokyo. Un mio caro amico, il direttore del Museo Nazionale di Tokyo, mi ha invitato qui perché oggi pomeriggio ci sarà l’inaugurazione di un'importante mostra sull’arte europea e ci teneva moltissimo alla mia presenza. Stavo andando all’appuntamento con il curatore della mostra, quando ho visto quegli strani animali sopra di me,» disse, riferendosi ai chimeri. Un attimo dopo si alzò di scatto dalla sedia: «Oh mon Dieu! L’appuntamento! Dovevo essere al museo per mezzogiorno!» esclamò, terrorizzata.
«Non si preoccupi, mademoiselle, manca ancora più di un’ora alle dodici,» disse amabilmente Keiichiro, alzandosi e raggiungendola. «Risolveremo in fretta la sua situazione. Intanto, le faccio fare un giro per il locale. La prego, mi segua,» disse, e presale la mano, la sfiorò con le labbra.
Cherry arrossì. «Oh ma diamoci del tu, monsieur Keiichiro…» mormorò la donna, imbarazzata. "Hm, questo viaggio a Tokyo si sta rivelando molto più interessante del previsto…"
Quando Keiichiro e Cherry scomparvero nella Sala da Tè lì accanto, Ryo si alzò in piedi e prese parola.
«Il piano degli alieni è chiaro, ragazze. Non riescono a battervi in battaglia, per cui hanno cambiato strategia. Prendono di mira tutte le persone che somigliano a voi, nella speranza di riuscire a uccidere, prima o poi, proprio voi. Dobbiamo fermali prima che facciano del male a qualcuno.»
«E se tentassimo di parlargli?» provò Minto.
Le sue compagne la guardarono malissimo.
«Era…era solo un’idea.»
«Uno dei chimeri che hanno attaccato Cherry è fuggito. Tornerà sicuramente a cercarla, credendo che sia in realtà Mew Ichigo. Probabilmente avrà anche avvertito i suoi padroni. Non possiamo lasciarla andare in giro, è in pericolo,» disse Zakuro.
«Ho un’idea!» dichiarò all'improvviso Purin, alzando la mano. «Ichigo, tu farai di essere Cherry, così quando gli alieni attaccheranno, sarai pronta a fronteggiarli!»
«No!» esclamò Ryo balzando in piedi e sbattendo i palmi sul tavolo. «Non possiamo farla rischiare!»
«Purin ha ragione, è l’unico modo!» ribatté Ichigo, imitandolo.
«Quando si trattava di me, non hai esitato a farmi rischiare,» fece notare Minto a Ryo con aria indifferente.
Ryo le lanciò un’occhiataccia. Tornò a sedersi e non replicò. “Touché,” pensò Minto.
«Andrò al Museo Nazionale al posto di Cherry e voi mi seguirete. Questa volta però non ci limiteremo ad aspettare che attacchino. Prepareremo una vera e propria trappola agli alieni,» propose la rossa.
Ryo si sporse leggermente di lei. «D’accordo. Qual è il tuo piano?» chiese con aria interessata.
«Creeremo una trappola molto astuta e sofisticata,» ribadì la ragazza in tono convinto.
«Ovvero?»
«Ecco, io... non ne ho idea,» ammise alla fine Ichigo, crollando.
Ryo scosse la testa. «Ho capito, penserò a qualcosa,» sospirò. «Rimane solo un problema. Ichigo, la Novak non è uguale a te, ma a Mew Ichigo. Non puoi fingerti lei.»
«Se però mi trasformassi…»
«...come spiegheresti al curatore del museo le orecchie da gatto?»
Il rumore della serratura del portone d’ingresso che scattava fece calare il silenzio fra i ragazzi. Pochi secondi dopo, dalla porta della stanza entrò…
«Hello, Ichigo!»
…Marie.
«Marie, ma che cavolo…?» cominciò Ichigo stravolta.
Dietro l’inglesina apparvero Cherry e un dispiaciuto Keiichiro. «Era qui fuori che bussava, ha chiesto di voi e le ho aperto, ho fatto male?» sorrise la donna.
«Ichigo noi due dobbiamo studiare insieme, don’t you remember?» si difese intanto Marie. «Cosa state facendo?» domandò poi, lanciando occhiate curiose in giro.
«Mi dispiace, ma non posso studiare oggi…ho un impegno!» mentì Ichigo.
«Allora io starò qui finché tu non avrai esaurito l’impegno,» ribatté calma la ragazza.
Ichigo si adombrò. «Io… Io…»
In quel momento il cercapersone di Ryo trillò nuovamente. Il ragazzo fece per controllarlo, ma Ichigo glielo prese di mano e lo gettò nella pattumiera, compiendo un perfetto canestro.  «Io ne ho abbastanza!»  sbraitò, coprendosi la testa per nascondere le orecchie da gatto che le erano spuntate sulla testa.
Keiichiro trovò opportuno trascinare via da lì Cherry e Marie con una scusa.
«Ahh, non ce la posso fare,» mormorò Ichigo, scuotendo la testa, mentre le altre cercavano di calmarla. «Cherry… Marie… Luna…» farfugliò la ragazza. «Troppe persone a cui badare!»
«La nostra priorità sono gli alieni,» precisò Zakuro.
«Okay...okay…» annuì Ichigo, calmandosi. Le orecchie e la coda si ritrassero. «Dunque, uno alla volta. Dov’è Cherry?»
«E’ qui fuori a farfugliare cose indicando il portaombrelli,» rispose Minto sbirciando dalla porta.
Ichigo sospirò. «Facciamo così. Diciamo a Keiichiro di convincere Marie e Cherry a restare qui, mentre noi intanto andiamo a prendere a calci gli alieni.»
«D'accordo...vado subito a dirlo a Kei,» annuì Ryo, facendo per uscire.
«Ryo, quanto a te!» esclamò a quel punto Ichigo, balzando sopra la sedia e puntandolo. «Non permetterti di scomparire i nuovo! Tu vieni al museo con noi, CHIARO?!»
Ryo la guardò fisso per alcuni istanti, per poi sorriderle provocatorio. «Sbaglio o sei gelosa?»
Ichigo avvampò per la rabbia. Sotto lo sguardo sconvolto delle sue amiche raggiunse il biondo e si fermò solo quando fu a pochi centimetri da lui. Sollevò la mano all’altezza della sua guancia; scioccato, l'americano rimase immobile.
Dopo molti secondi, Ichigo ritrasse la mano, abbassò la testa e si allontanò dal ragazzo senza dirgli una parola, rinunciando all’idea di dargli uno schiaffo.
Ryo si sentì come se gliene avesse tirati due.




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Capitolo 21
*** La chiave di tutto ***


10/10/2014. Cattivo capitolo, cattivo. L’ho riscritto quasi tutto.
E poi, per compensare il fatto che nel 2004 non sapevo disegnare, ora che siamo nel 2014 ho progettato e modellato la Chiave in 3D.
Questo perché continuo a non saper disegnare.

La chiave

- Capitolo 20: La chiave di tutto -



Il dottor Alan Kell rimboccò le coperte a sua madre, che finalmente russava tranquilla nel suo letto.
Era dovuto ricorrere ad un sedativo per farla calmare, ma almeno adesso non urlava più contro quella depravata – l'appellativo più gentile che aveva rivolto a Imago – che, secondo lei, era fuggita per gettare al vento la sua innocenza senza alcun pudore.
Kell non sopportava l’intransigenza di sua madre, e ringraziava il fatto di essere nato maschio. Un po’ comprendeva il comportamento e le preoccupazioni della sua anziana genitrice, ma lui in quel momento aveva già abbastanza problemi e non aveva proprio tempo di darle corda.
Il giovane scienziato uscì dalla camera e si avviò verso la stanza principale della casa, dove lo stava aspettando Pai, insieme ai due criminali.
Sospirò; non era proprio in vena di mettersi a fare loro la predica, anche perché era sicuro che Pai aveva già provveduto, ma non se la sentiva neanche di glissare sull’argomento: quella volta l’avevano fatta davvero grossa.
Imbronciato, lo scienziato fece il suo ingresso nella stanza da cui giungevano le voci dei suoi amici. Era deciso a minacciare Kisshu di mettergli un collare elettrico punitivo se non si fosse dato una calmata, ma quando si accorse dell’aliena ancora avvolta in un mantello da viaggio seduta accanto a lui, sbiancò e dimenticò tutti i suoi propositi.
«Ciao Ally! Sorpresa! Sono tornata, sei contento?» lo salutò Chris, alzandosi in piedi.
«T-Tu?!» balbettò lo scienziato. L’aliena si precipitò verso di lui per abbracciarlo ma lui, superato lo shock iniziale, si mosse rapidamente di lato per evitarla.
Chris, presa alla sprovvista, finì per sbattere la faccia contro l’ingresso e si accasciò a terra dolorante.
«Ahio,» mugolò , massaggiandosi il naso.
Pai, Kisshu e Imago si scambiarono un’occhiata confusa.
«Allora...sei ritornata,» le disse Kell in tono distaccato, osservandola dall’alto. Lei lo guardò stranita. Era cambiato rispetto all’ultima volta che Chris lo aveva visto, e lei non riusciva a capire se in meglio o in peggio.
Sin da quando lo aveva conosciuto, Kell aveva sempre avuto l’aria di un nibiriano stanco e malaticcio; camminava con la schiena curva e, tranne nei momenti in cui il suo carattere lunatico lo rendeva insopportabile, era molto mite. Ora, però, c’era qualcosa di diverso in lui: anche se il suo viso era ancora segnato da profonde occhiaie, la sua stanchezza sembrava essere scomparsa per lasciar spazio ad una nuova determinazione che brillava nei suoi occhi; aveva corretto la sua postura, rivelando la sua vera altezza, e in generale sembrava aver preso maggiore consapevolezza di sé stesso e del suo corpo. Emanava una strana aura grave e quasi minacciosa. Per un attimo, Chris ne fu sopraffatta e non seppe cosa dire.

«Ehm... Già,» annuì alla fine l'aliena, cercando di sorridere.
Kell sbottò in una strana risatina incredula. Poi tese la mano verso l’aliena come se volesse aiutarla a rialzarsi, ma subito dopo disse: «Dammi il reperto.»
A quella richiesta, una sempre piu' stravolta Chris estrasse rapida da sotto il mantello un pesante cofanetto di pietra bianca. Titubante, lo tese verso l’amico, che si affrettò a prenderlo fra le mani per affrettarsi a controllare che il sigillo che lo chiudeva fosse intatto.
Chris apparve leggermente risentita da quelle maniere. «Grazie Ally, anche io sono felice di rivederti,» ironizzò, rialzandosi da sola.
«Prego,» rispose lui, lanciandole un’occhiataccia. La stretta delle sue mani sul cofanetto di fece più forte. «Io  non volevo mandare te a recuperare quest’oggetto, Chris. Ci sono stato costretto. Ed ora scusatemi tutti, ma devo lavorare,» disse.
Lo scienziato fece per tornare sui suoi passi, ma a quel punto Kisshu non riuscì più a resistere.
«Ehi,» lo chiamò infastidito. «Questa ragazza ha viaggiato per mezzo pianeta solo per te. Non pensi che dovresti dire qualcos’altro prima di andartene?»
Kell si immobilizzò sulla porta. «Oh, giusto,» annuì, voltandosi verso i suoi amici. «Mi ero dimenticato di dirvelo: ho una notizia dal Palazzo. Riguarda Kassidiya.»
A quel nome, Imago balzò in piedi. «Come si sente? E’ guarita? Sta meglio?» domandò.
Imago sapeva, grazie alle indiscrezioni di Pai, che Kassidiya non si era ancora ripresa dal sonno in cui era misteriosamente scivolata.  In città, aveva detto loro la signora Kell, si era invece sparsa la voce che una grave malattia avesse deturpato il viso della Sovrana, che per questo motivo si era chiusa nel Palazzo e si rifiutava di uscire in pubblico.
A Imago non piaceva sua sorella, ma era pur sempre sua sorella. Per quanto Kassidiya fosse antipatica o crudele, lei non riusciva ad odiarla o a desiderarla morta. Per questo motivo, l’aliena era sinceramente preoccupata per lei quando incitò Kell, dicendogli: «Allora?»
Lui impiegò qualche secondo per trovare le parole adatte. «Dipende dai punti di vista,» disse alla fine. Si sentì addosso lo sguardo di tutta la stanza, e per questo motivo tirò un sospiro. «E' morta,» ammise cupo, senza troppe cerimonie.
Se Kell avesse tirato un pugno in pieno viso ad Imago invece di parlare, forse lei sarebbe rimasta meno sconvolta. La giovane avvertì dietro di lei il calore delle braccia di Kisshu che le avevano avvolto le spalle, sorreggendola – per fortuna, perché all’improvviso non si sentiva più le gambe.
«Morta?» ripeté Kisshu, la fronte aggrottata. Sentì che Imago tremava leggermente nel suo abbraccio, e la strinse più forte. «Perché?»
«Pare che la sua fosse una malattia molto grave,» fu la risposta laconica di Kell. «Ma vi prego di non dirlo a nessuno, per ora la notizia deve rimanere segreta.»
Imago annuì, trattenendo le lacrime.
Di fronte a quella scena, Kell si ammorbidì un po’. «Più che per lei, credo che dovresti preoccuparti per te, ragazza,» le disse in tono incerto. «Voglio dire, se quella della Sovrana era una malattia ereditaria, una cosa del genere potrebbe accadere anche a te. Cosa che io non so… ovviamente.»
Sentendo quell’affermazione, Kisshu fece una faccia strana, a metà fra lo sconvolto e l’irato. «E-Ehi, ma che dici? Lei sta benissimo!»
«Ma certo,» annuì lo scienziato e, senza aggiungere altro, Kell girò le spalle e se ne andò.
Pai guardò la schiena dell’amico allontanarsi ma non disse nulla.
«Ohi, non ho ancora finito con te!» lo chiamò Kisshu. «Ma che gli è preso?» domandò poi a Pai.
«E’…E’ solo nervoso,» balbettò Imago, slegandosi dall’abbraccio del suo compagno.  Tirò su con il naso e si asciugò le lacrime come meglio poteva. «Chris, Kell si sta comportando così da quando te ne sei andata. Torna qui tardi e, a giudicare dai rumori che sentiamo, continua a lavorare anche durante la notte. Credo che abbia fra le mani un lavoro molto importante. E' così scorbutico solo perché è molto stanco,» disse.
«Lavoro?» domandò Chris. «Che lavoro?»
«Non ha detto nulla a riguardo neanche a me,» ammise Pai. 
«Mi state dicendo che il vostro amico è il tipo di nibiriano che dà pesantemente di matto quando è sotto stress?» sbottò Kisshu.
«E’ così, oppure pianifica di tradirci e rivelare a tutti che vi nascondete qui,» gli rispose Chris sorridendo. Kisshu e Imago diventarono pallidi. «Avete per caso preso una delle sue paste addolcite? Lui ne è ghiotto. Rubategliene una e vi assicurò che vi denuncerà tutti.»
«Chris, smettila di spaventarli,» la zittì Pai.
«Scusa.»
«Odio essere ricercato,» sbuffò Kisshu. «Scusami se te lo chiedo adesso dolcezza, ma visto che tua sorella è andata, non puoi reclamare il trono tu?» 
«N-Non è così facile,» rispose Imago. «Kassidiya non era proprio la legittima Sovrana. E i Saggi del Consiglio… erano loro a prendere le decisioni più importanti, non lei. Non so se saranno felici di vedermi.»
In quel mentre, Belle corse nella stanza.
«Ciao Chris! Allora eri tu!» gridò. Si gettò tutta felice verso di lei, che la prese in braccio, sebbene con non poca fatica per via della preoccupante stazza della piccola.
«C-Ciao Belle!» ansimò Chris, rossa per lo sforzo. «C-Come va? C…Come vanno le cose tra te e Tart-chan?»
L’espressione della piccola cambiò immediatamente.  «Non voglio più sentire parlare di quello lì!» dichiarò, offesa.
Chris, incapace di continuare a reggerla in braccio, la posò a terra: «Perché? Avete litigato, forse?» chiese, curiosa.
«NO!» rispose Belle. «E’ cattivo! E’ matto! Si è arrabbiato tanto e mi ha urlato un sacco di cose!»
A quelle parole, il piccolo alieno comparve sulla soglia: era arrabbiato quasi quanto la sua coetanea. 
«E’ COLPA SUA! Chris, questo pozzo senza fondo ha mangiato le mie caramelle!» gridò, e con un gesto eloquente mostrò la cartina colorata che ancora stringeva nella mano, la prova inconfutabile della colpevolezza della bambina.
«Ehm… ciao Taruto!» lo salutò Chris, incerta se preoccuparsi seriamente o meno per la situazione. «Dai, non dire così… in fondo non erano che dei... ehm... dolcetti, no?»
Taruto fissò sconsolato l’incarto stropicciato che aveva fra le mani. Chris non capiva niente, quelli non erano dei dolcetti normali. Erano i dolcetti che gli aveva dato Purin, ed ora non c’erano più.
«No che non lo erano!» disse, e poi corse via.
Belle scoppiò a piangere e scappò in direzione opposta.
«Certo che non ci si annoia mai in questa casa,» commentò Chris.

 
**

 Kell richiuse la porta della sua camera e la serrò. Sigillò poi la finestra e si assicurò che nessuno potesse vedere o sentire cosa stesse facendo.
Una volta terminati i controlli, lo scienziato si diresse verso il piano su cui conservava disordinatamente tutti i documenti contenenti le sue ricerche. Gettò a terra tutto con una manata e vi poggiò sopra con molta delicatezza il cofanetto che stringeva fra le mani.
Rapido, estrasse dalla tasca una boccetta ricolma di liquido e la versò sul cofanetto: il sigillo che lo chiudeva si sciolse al minimo contatto con esso. Kell sollevò piano il coperchio della scatola ed estrasse con molta cautela l’oggetto che aveva spedito al laboratorio di Orion.
Si trattava di un antico reperto davvero fuori dal comune: era un oggetto di colore dorato, grande quanto il palmo una mano; aveva la forma di una croce ed era finemente decorato con delicate incisioni e dentini simili a quelli di un ingranaggio. Era stata creata dagli Antichi e poi trasportata su Nibiru durante la loro fuga, in quanto l’oricalco con cui era stata realizzata era un materiale prettamente terrestre.
Al centro della croce era incastonato un cristallo di pietra nera. 

Chiave


Kell rimase per lungo tempo a scrutare con sguardo attento il reperto. Alla fine decise di mettersi al lavoro: infilò una mano nel coperchio del cofanetto ed estrasse da un doppio fondo segreto un dischetto argenteo, che poggiò sul suo schermo sferico per poi spingerlo al suo interno. In pochi secondi, tutte le informazioni contenute in quel disco vennero caricate sulla superficie circolare dell'elaboratore: apparvero alcune immagini della croce e numerosi scritti e dati numerici, tutti relativi agli studi che gli scienziati di Orion avevano effettuato sulla croce. Lo schermo era un touchscreen in tre dimensioni, per cui Kell scorse velocemente tutti quei dati come se fossero dei normali fogli scritti. Vi erano anche molte registrazioni in ologramma di prove ed esperimenti. Giocherellando distrattamente con la Croce, Kell si concentrò su una di esse in particolare, contrassegnata come di massima importanza.
L’ologramma mostrava uno scienziato che, nel corso di una prova sulla croce, ruotava uno dei suoi pseudo-ingranaggi con molta delicatezza utilizzando una pinza. Un istante dopo, senza apparente motivo, sia la pinza che la mano dello scienziato si sciolsero, così come il resto del corpo dell’alieno, che si ridusse in un ammasso di carne bruciata e agonizzante in pochissimi secondi.
Kell smise di giocare con il manufatto.
In quel momento un tintinnio proveniente da uno dei suoi schermi richiamò l’attenzione dello scienziato, che schioccò le dita: un volto non piu' giovane e a lui ben noto apparve su tutti gli schermi della camera.
«Shiroi,» salutò con aria turbata, chinando leggermente la testa in segno di saluto.
Il consigliere di corte lo ignorò. «Sta ancora  riposando?» domandò in tono autoritario.
«Si,» rispose come convenuto Kell.
«Da quanto?»
«Da sempre, in attesa del suo risveglio.»
A quella risposta, Shiroi rilassò leggermente i muscoli del viso e perse parte della sua aria severa. «Mi è stato detto che la Chiave è ritornata a te,» disse.
«Non pensavo sarebbe successo.»
«Non aveva motivo di rubarcela adesso,» osservò Shiroi. «I nostri fratelli di Orion hanno scoperto qualcosa di utile?» domandò poi.
«Uhm,» mugolò Kell, mentre l’immagine del suo collega agonizzante ricompariva davanti ai suoi occhi. «Si ipotizza che gli ingranaggi esterni siano parte di un antico meccanismo, necessario forse ad aprirla o a trasformarla. Purtroppo, possiede un eccellente sistema di protezione interno.»
«Che tipo di protezione?»
«Scarica radioattiva, pare. Un meccanismo di difesa vecchio di migliaia di anni. Chiunque cerca di manomettere la Chiave brucia vivo in pochi secondi.»
«Possiamo aggirarlo?»
«Non so se è possibile.»
«In qualche modo va fatto. Dobbiamo scoprire che segreti nasconde questa croce. Il tempo stringe,» tagliò corto Shiroi. «Kassidiya ha già rivelato la sua vera natura.»
«E’ successo prima del previsto,» osservò lo scienziato, studiando le iscrizioni incise sui bracci della croce con precisione millimetrica. Vi era scritto, nell’antica lingua del suo popolo, “la Chiave / di tutto è l’incrocio”.
«Sono accadute molte cose che non siamo riusciti a prevedere».
«Beh, avreste dovuto!» sbottò a quel punto Kell, perdendo la calma di colpo. «Che cosa avete fatto per tutto questo tempo, a parte recuperare questa Chiave? Perché avete permesso a quell’abominio di arrivare così lontano indisturbato? Perché non potete fare qualcosa per fermarlo adesso?»
«Lo abbiamo fatto. Ti abbiamo risvegliato non appena ci siamo resi conto del pericolo.»
«Mi avete risvegliato, per far cosa? Per ucciderlo?»
«Per avvertirti. Noi non abbiamo la forza di fermarlo, Cavaliere, e neanche tu. Sa di noi, e se ci sta tenendo in vita è solo perché pensa di poterci usare per raggiungere i suoi obiettivi.»
Kell si adombrò.
«E’ tuo compito dimostrare che sta commettendo un grave errore. Vedi, dopo Kassidiya, toccherà alle altre. Ma se non sveliamo il mistero nascosto in questo meccanismo antico, sarà tutto inutile.»
«Credo che sospettino di me,» borbottò Kell dopo alcuni secondi.
Shiroi aggrottò la fronte. «E’ perché non riesci a contenere le tue emozioni,» osservò.
«E secondo te come posso fare a trattenerle?» ringhiò lo scienziato fra i denti, frustrato, stringendo i pugni. «Per tutta la mia vita, io…io…» Si passò una mano sugli occhi umido e poi inspirò profondamente per calmarsi. «La pagherà cara,» soffiò in tono così calmo e pacato da suonare spaventoso.
«Non è il momento di dar sfogo al tuo rancore,» sospirò il Consigliere. «Prima riuscirai a capire come si usa la Chiave, prima otterrai la tua vendetta. Pace.»
«Pace,» salutò Kell mentre il contatto si interrompeva. Fissò a lungo la superficie trasparente di uno dei suoi schermi, perso nei suoi pensieri.
«Maledetto vecchio,» mormorò verso il punto in cui prima c’era Shiroi. «Avrei preferito vivere quel poco che mi sarebbe rimasto senza sapere nulla di tutto questo.»
Alla fine, si decise a dedicarsi alla Chiave. “La chiave di tutto è l’incrocio…” ripeté di nuovo, prima di tornare al lavoro.  Aveva deciso di tentare di collegare le ricerche condotte dagli scienziati di Orion con i suoi studi sulle tecnologie perdute del suo popolo, nel tentativo di scoprire qualcosa di più su quel manufatto.
Era notte fonda quando, ormai esausto, urtò per errore la Chiave, facendola scivolare giù dal piano.
“Sto per morire,” pensò terrorizzato lo scienziato mentre l’antico reperto rovinava a terra.
Fortunatamente per lui, non ci fu alcuna scarica di radiazioni. Quando Kell raccolse la Chiave da terra, però, notò che la pietra nera centrale, a causa dell’urto con il pavimento,  si era scheggiata da un lato, staccandosi in parte.
Gli sembrò che ci fosse qualcosa sotto, ma non ne era sicuro.
Doveva rimuovere anche il resto della pietra e controllare? Lo scienziato di Orion era morto per aver ruotato leggermente un braccio di quell’oggetto. Cosa sarebbe successo a lui se ne avesse staccato un intero pezzo?
“La chiave di tutto è l’incrocio,” continuava però a ripetergli il suo istinto. “La chiave di tutto è l’incrocio… e se si riferisse proprio a questa pietra?”
«Oh, che io sia dannato,» si disse. Afferrò un punteruolo dai suoi strumenti e lo usò per rimuovere con la forza la pietra dal suo alloggiamento.
Non successe nulla. Completata l’operazione, Kell notò che effettivamente la pietra aveva nascosto per tutto quel tempo delle altre incisioni, così piccole che dovette ricorrere ad una lente per leggerle. Scoprì che aveva fatto centro, ma pochi istanti dopo capì che non era finita lì.
Gli antichi sapevano nascondere informazioni in modo estremamente contorto quando volevano.
 

**

 Pai era di nuovo sul tetto della casa di Kell. Quella notte non era riuscito a dormire bene, e non aveva trovato di meglio da fare che uscire per andare a prendere un po’ d’aria.
L’alba artificiale stava sorgendo sopra di lui, ma Pai non le prestava attenzione. Era seduto sulla copertura, nella stessa posizione in cui era qualche tempo fa. E come allora fissava il vuoto, rivolgendo i suoi pensieri a quella persona. Era strano: non la vedeva da tempo e non l’avrebbe rivista sicuramente mai più, eppure aveva uno strano presentimento su di lei. Sperava che stesse bene.
«Ciao,» lo salutò Chris, raggiungendolo a sorpresa alle spalle.
«Dovresti dormire,» le disse lui, mentre lei gli si accomodava accanto.
«E invece mi sono arrampicata qui a portarti un regalino,» replicò lei, mettendogli un minuscolo oggetto brillante e squadrato fra le mani.
«Cos’è?»
«Ti piace? E’ un nuovo tipo di cristallo di diamante,» spiegò Chris. «E’ stato modificato artificialmente. Me ne hanno dati alcuni esemplari al laboratorio che ho visitato.  La differenza con quelli reali è che questi hanno una portata molto limitata.»
«Io ne ho uno autentico, a Palazzo.»
«Sì, ma questo non è rintracciabile dai radar. Se lo usi, nessuno lo saprà.»
Pai inarcò un sopracciglio. «Come possono averti dato una cosa del genere?»
«Forse l’ho presa in prestito,» si scusò Chris, beccandosi un’occhiataccia di Pai.
«Per caso li hai dati anche a Kisshu e Imago?»
«Certo.»
«Ecco perché stanotte si sta così tranquilli,» concluse l’alieno.
 Seguì un lungo silenzio, nel quale Pai si ritrovò ad osservare il piccolo cristallo che stringeva nella mano. Dunque grazie a quello aveva di nuovo i suoi poteri, e per il momento nessuno si sarebbe accorto se li avesse utilizzati. Un briciolo di libertà in più.
«Beh, com’è andata mente ero via?» chiese Chris, cercando di avviare un discorso. «Mi siete mancati tutti, a partire da te e Ally,» ammise.
Il bel volto di Pai si accigliò se possibile ancora più del normale, cosa che non sfuggì a Chris.
«Ma dai, non dirmi che sei geloso!» scherzò.
Pai si girò verso di lei. «Perché l’hai fatto?» chiese brusco. «Andartene in quel modo, intendo.»
Chris lo guardò colpita, ma non rispose. Si avvicinò ancora di più a lui, sotto i suoi occhi stupiti. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò piano sulle labbra.
Pai non ricambiò, ma nemmeno si oppose.
«Ti bastano le scuse, Pai?» chiese lei sorridendo appena, quando dopo poco si staccarono.
Mentre lei lo abbracciava, Pai aprì la bocca senza trovare le parole per rispondere. Sentiva il respiro tranquillo della ragazza ed il dolce calore del suo corpo.
Lei gli sorrise di nuovo e poggiò la fronte contro la sua.
In quel momento, per una volta, Pai decise di non rendere conto delle sue azioni alla sua mente calcolatrice. «No, Chris,» mormorò, non del tutto certo di star facendo la cosa giusta. Poi chiuse gli occhi e la baciò.



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Capitolo 22
*** La nascita di Venere ***


20 06/10/2014. In questa revisione ho fatto una piccola modifica perché… perché adoro fare collegamenti mentali strambi. ;__; (e poi volevo modificare una cosa in vista del seguito)
Don't mind me. Sono idiota a livello psicologico.


 
- Capitolo 21: La nascita di Venere - 



Mezz’ora dopo, Ichigo era all'interno del Museo Nazionale di Tokyo.
Dopo aver mandato via Marie, Ryo aveva spiegato rapidamente la situazione a Cherry e lei non aveva avuto alcun problema ad accettare lo scambio di ruoli.
C’è da dire che Cherry non era per nulla spaventata dall’idea di essere il bersaglio degli alieni…anzi, la giovane donna era a dir poco entusiasta all’idea di poter collaborare con delle autentiche supereroine giapponesi.

Cherry aveva prestato ad Ichigo la sua carta d’identità, aveva fornito a tutti il suo numero di cellulare e li aveva rassicurati rivelando che lei e la persona con cui si sarebbe dovuta incontrare, il curatore della mostra, non si erano mai visti, ma avevano parlato solo una volta al telefono alcune settimane prima. Certo, per fingersi Cherry, Ichigo si era dovuta trasformare, ma la sua uniforme mew mew era coperta da un lungo soprabito beige e i suoi capelli, tenuti raccolti da un paio di sgargianti fermagli, nascondevano le orecchie da gatto, ben appiattite sulla sua testa.
A causa dei lavori di allestimento della mostra, il museo quella mattina non era aperto al pubblico e soltanto chi aveva un appuntamento o lavorava lì aveva il permesso di entrare: grazie al travestimento e ai documenti, Ichigo era riuscita ad ingannare la sorveglianza ed ora stava aspettando che il curatore della mostra la raggiungesse.
Ichigo non aveva paura di essere attaccata improvvisamente. Anche se in quel momento sembrava essere sola e vulnerabile, sapeva di essere circondata dai suoi compagni: Ryo e Retasu erano davanti all’entrata a fingersi una coppia di turisti che attende l’apertura del museo; Purin stazionava sul tetto in compagnia di Mash e da lì, stretta nel suo giubbotto in stile Sherlock Holmes, sorvegliava la zona; ed infine Zakuro e Minto, travestite da operai, erano riuscite ad infiltrarsi all’interno del museo e, apparentemente impegnare a lucidare una statua, in realtà erano pronte ad entrare in azione al minimo accenno di pericolo.
Tutti i ragazzi si tenevano in contatto fra loro tramite ricetrasmittente; la stessa Ichigo aveva un auricolare e un piccolo microfono abilmente nascosto fra i vestiti.
L’attesa della giovane fu breve. Pochi minuti dopo le dodici, infatti, il curatore della mostra si fece avanti nella sala. Era un ometto basso, sulla cinquantina. Si presentò con educazione, la salutò con un perfetto francese e la ringraziò calorosamente per i preziosi consigli che lei gli aveva dato per allestire la mostra. Dopo di ciò, le propose di farne un giro in anteprima.
A quel punto, ad Ichigo non rimase che incrociare le dita: non sapeva niente dell’Arte Rinascimentale in Europa –questo era il tema della mostra-, ma fortunatamente, l’unico a parlare durante la visita fu il curatore, che le narrò un sacco di noiosi aneddoti sull'organizzazione della mostra mentre  passeggiava con lei nell’ala del museo che ospitava le varie opere esposte.
«Ah, e abbiamo anche una riproduzione della sua opera d’arte preferita, guardi!» esclamò ad un certo punto l'uomo, trascinando Ichigo davanti ad un grosso quadro stampato con sotto un’elegante targa dorata.
"The Birth of Venus - La nascita di Venere"? lesse Ichigo un po' confusa. Lei quel quadro non l’aveva mai visto, ne’ sapeva cosa fosse. Lo stava ancora osservandolo con occhio distratto quando il curatore pronunciò l’inesorabile frase: «Ma che sciocco, finora ho parlato soltanto io… ora parli un po’ lei!»
Ichigo rimase pietrificata.
Finché si era trattato di ascoltare o guardare, se l’era cavata bene, ma discutere d’arte… non era davvero il suo campo!
C’era una sola cosa che poteva salvarla: «Ryo… aiuto,» sussurrò disperata al microfono nascosto.


Il ragazzo biondo, fuori dal museo, stava già componendo il numero di Cherry dal suo cellulare.
«Hallo, c'è qualche problema?» rispose pronta la professoressa, che era nel sotterraneo del Cafè insieme a Keiichiro.
«Ci serve un tuo parere sulla Nascita di Venere,» spiegò Ryo.
«La Nascita di Venere?!» Cherry sospirò in estasi. «Oh, io adoro quel dipinto!» rispose in tono sognante. « La Venere è ritratta nuda su una conchiglia che solca la superficie del mare,» iniziò, muovendo le mani con molta enfasi, come per disegnare la scena che vedeva nella sua mente, «a sinistra volano i venti, a destra un’ancella l'aspetta per vestirla. Nel prato si scorgono delle violette, simbolo di amore. L’iconografia della Venere è deriva dal tema classico della venus pudica, ma l’opera richiama anche al neoplatonismo, inoltre la Venere appare fortemente idealizzata, ossia rispetta l’ideale rinascimentale di bellezza e di perfezione, che trova un suo corrispettivo in scultura nella statu-»
Ryo chiuse la chiamata.
«Spiacente Ichigo, devi cavartela da sola,» mormorò al trasmettitore.


«Che cosa?! Da sola?! E come faccio?» esalò la ragazza dall’altra parte.
Il curatore non se ne accorse, stava ancora parlando. «Il suo amico, il direttore del Museo, mi ha detto che lei adora questo dipinto, così ne abbiamo fatto fare una litografia in scala appositamente per lei in segno di ringraziamento. Le verrà consegnata come omaggio simbolico durante l’inaugurazione, professoressa Novak,» disse. Ichigo si sforzò di sembrare entusiasta all'idea. «Bene, il giro è terminato. Prima di andare, però, vorrei che esprimesse per me uno dei suoi famosi giudizi su quest’opera.»
Ichigo sbiancò. «Un…un giudizio su quest’opera d’arte?» ripeté. Il curatore annuì, guardandola interessato. «Ehm, non è che ci sia molto da dire,» farfugliò la ragazza, molto imbarazzata.
«Dunque mi dica!»
Ichigo prese a sudare freddo. «Beh… è molto carina… ha dei bei colori… una bella cornice…»
Il curatore scosse la testa sorridendo. «Professoressa, io mi riferivo a ciò che rappresenta quest’opera nella visione complessiva dell’arte rinascimentale europea.»
Ichigo si sforzò di pensare, toccandosi freneticamente i capelli. «Beh, è un messaggio molto chiaro…» ammise incerta dopo un poco, lanciando occhiate nervose all'opera d'arte. «C’è… C'è Sailor Venus che si trasforma-»
Ichigo sentì un suono dall’altra parte del trasmettitore, come se Ryo fosse scoppiato a piangere. [1]
Il curatore del museo, invece, era scoppiato in una grossa risata. «Davvero molto, molto divertente, professoressa, davvero! Mi avevano parlato della sua passione per i mahō shōjo [2], ma non immaginavo che avesse così tanto senso dell’umorismo!»
Ichigo si sforzò di ridacchiare con lui.


Ryo si tolse l’auricolare dall’orecchio e tirò un sospiro di sollievo.
Retasu gli si avvicinò ansiosa. «Come sta Ichigo?» gli chiese.
«Se l’è cavata,» rispose lui. “Certo, definire un Botticelli in quel modo…” Ryo sospirò di nuovo, cercando di scacciare dalla mente il pensiero del grande artista rinascimentale che si rivoltava nella tomba.
Ma, nonostante tutto, il ragazzo stava lottando per trattenere un sorriso.
Si sedette sul primo dei gradoni della grossa scalinata di marmo del museo e Retasu lo imitò.

«Mi chiedo se il nostro piano funzionerà… chi ci assicura che gli alieni attaccheranno proprio qui?» gli chiese la ragazza dopo qualche secondo di silenzio. «L’hanno vista una volta sola, siamo davvero sicuri che siano in grado di rintracciarla così facilmente? N-Non voglio offendere nessuno, ma…mi sembra tutto  così assurdo!»
Ryo scosse la testa. «La storia che stiamo vivendo è assurda,» disse sinceramente. «Quindi probabilmente gli alieni attaccheranno qui.»
«Mi chiedo come andrà a finire,» sospirò Retasu, abbracciandosi le ginocchia.
Ryo fece spallucce. «Probabilmente in un modo assurdo,» scherzò.
Retasu comprese che aveva detto quelle parole per rassicurarla. «Grazie…» gli sorrise dolce.
«L’importante è non perdere mai la fiducia in sé stessi, Retasu,» soggiunse il biondo, voltandosi dall’altra parte.
“Non vuole guardarmi negli occhi,” osservò tristemente lei in quel momento. Poi, la sua ricetrasmittente vibrò nella sua mano. Retasu la attivò.
«Sì?»
«RAGAZZI!» l’urlo assordante di Purin quasi la fece gridare dalla sorpresa. «C’è un alieno! ALLARME GENERALE!»



Nello stesso istante, molti metri al di sopra del tetto del Museo, Ai galleggiava a braccia incrociate in compagnia del chimero sfuggito a Mew Zakuro.
«E quindi secondo te sarebbe qui dentro?» gli chiese. L’uccellaccio annuì e lui sbuffò annoiato. «Bah. Volevo finire di leggere Il Ritratto di Dorian Gray oggi, ma quella Kassandra me l'ha confiscato.» I suoi occhi si abbassarono sull’edificio sotto di lui. «Dunque, vediamo… che tipo di chimero potrei creare per eliminare velocemente un gatto?» rimuginò. Di colpo sorrise, e poi scomparve.



Ryo abbassò il binocolo con cui aveva osservato Ai fino a quel momento.
«Purin aveva ragione, era uno degli alieni!» disse.
Retasu deglutì. «O-okay… ma dov’è andato adesso?»
«Dividiamoci e cerchiamolo!» propose Ryo, e prese ad arrampicarsi di corsa su per gli scaloni del museo. Si fermò all’ultimo gradino e si preparò a superare con la forza la sorveglianza.
«Scusa, amico, potresti farmi un favore?» gli chiese però una voce alle sue spalle.
Ryo si girò indietro di scatto. «Non ho tem-»
«Mi presti la tua anima?» sorrise maleficamente Ai, portando una mano al petto del giovane.
 


Il curatore del museo stava ancora parlando ad Ichigo quando lei venne avvertita da Purin della presenza degli alieni. Inventata una scusa qualsiasi, la ragazza si congedò e si diresse in fretta verso l’uscita per ricongiungersi con le sue compagne.
Però, c’era un problema…
«Questi corridoi sono tutti uguali… nyah, DOV’E’ L’USCITAAAH?!»



Ryo ricadde di schiena sul marmo dell’ingresso del Museo. Qualcuno lo aveva spinto via prima che Ai fosse riuscito a colpirlo, prendendo però il suo posto. Il ragazzo si rialzò quasi subito. A terra davanti a lui, esanime, c’era…
«RETASU!» Ryo si chinò terrorizzato su di lei, che nel giro di pochi secondi era diventata pallidissima, e la prese fra le braccia. «Maledetto!» gridò all’alieno di fronte a lui.
Ai non lo ascoltò neanche: era impegnato a creare un minuscolo chimero parassita. «Non guardare me, è stata lei a mettersi in mezzo,» mormorò con disappunto, quindi unì il chimero all’energia vitale della ragazza. «Spero almeno che sia compatibile…Fusion!»



«Professoressa, si può sapere che cosa sta facendo?!»
Il curatore del Museo aveva infine raggiunto Ichigo che, dopo aver rinunciato a cercare un’uscita, si era liberata dal suo travestimento ed ora stava tentando di scavalcare una finestra.
Lei si affrettò a scendere dal davanzale. «Ehm, io…io posso spiegare…» miagolò all’uomo, che però adesso la guardava stranito.
«Ma… lei non è la professoressa Novak…» balbettò il curatore, indietreggiando. «Lei è…»
Un'improvvisa scossa di terremoto gli fece morire le parole in gola.
Il museo tremò fino alle fondamenta.
«Che cosa succede? No! Le opere!» gridò il curatore, appoggiandosi ad una statua traballante, che però lo avrebbe travolto se Mew Ichigo non lo avesse tirato via in tempo.
«Vada via, qui è in pericolo!» gli disse l'eroina, e senza altri indugi si lanciò fuori dalla finestra. Atterrò in piedi molti metri più in basso, ma quando alzò gli occhi per cercare i suoi avversari, quello che vide la fece rimanere a bocca aperta.
“Ma…. Ma è uno scherzo?!”
Davanti a lei stava una specie di coso indefinito alto quasi quanto una casa. Era vivo: la sua pelle lucida era bianco perla e sembrava fatta di plastica; aveva una coda e quattro pinne, e continuava a saltellare e ad agitarsi in maniera convulsa. Mew Ichigo impiegò qualche secondo prima di capire si trattava di un gigantesco chimero-pesce.



Frattanto, qualche metro più in alto, Ai si premeva una mano sul viso, incapace di guardare.
«Quel che si dice un pesce fuor d’acqua…» mormorò con frustrazione, mentre il chimero sotto di lui continuava a dimenarsi.
«ANCORA TU!» lo chiamò dal basso Mew Ichigo.
Ai le lanciò un'occhiataccia. «Ah, eccoti, finalmente!» disse. «Avanti chimero, distruggila!» ordinò poi.
Al suono della sua voce, il chimero smise di muoversi e puntò i suoi due grandi occhioni blu sull’alieno, fissandolo per molti secondi con aria interrogativa.
«Beh, almeno provaci,» aggiunse lui con un grosso gocciolone sulla testa.
Per tutta risposta, il chimero ricominciò ad agitarsi ancora più forte, in ogni direzione, scuotendo la terra ogni volta che ci ricadeva sopra con tutto il suo peso. Gli edifici intorno a lui presero a ondeggiare, mentre il chimero muoveva convulsamente la coda e le pinne, distruggendo tutto ciò contro cui sbattevano.
Una marea di persone si riversò in strada e iniziò a scappare via, nel panico. La cosa continuò finché il chimero non andò a sbattere contro un gigantesco palazzo in costruzione e una gru gli cadde in testa, mettendolo infine K.O. .
Mew Ichigo lo fissò a bocca aperta. «Ha fatto tutto da solo,» commentò.
Ai era senza parole. Più per sfuggire da quello spettacolo ridicolo che per altro, si teletrasportò dalla parte opposta del museo dove, fra le altre persone che fuggivano dall'edificio ormai sconvolto da crolli, vi erano anche Minto e Zakuro. Ai fissò la sua attenzione su di lei.
“Zakuro Fujiwara?” si disse. “Che cosa ci fa lei qui?”
Poi notò l’altra ragazza.


Minto e Zakuro, capito che il loro piano era saltato, stavano cercando di raggiungere la loro compagna in difficoltà. Purtroppo, il chimero gigante aveva colpito piu’ volte il museo, rendendone la struttura instabile. Le due ragazze avevano aiutato le persone ancora all’interno della struttura ad evacuare ed erano state le ultime a fuggire. Ma avevano varcato da poco la soglia dell’uscita quando l’intera parete esterna cominciò a rovinare loro addosso.
L’istinto di Zakuro le permise di sfuggire al crollo con un lungo salto, ma Minto non fu così agile: sotto gli occhi della sua compagna, la ragazza stava per essere schiacciata dal muro ma, all’ultimo momento, scomparve nel nulla.


Troppo disperata per pensare lucidamente, Minto avvertì una sensazione sgradevole seguita dal rumore di un risucchio e si chiese quello fosse ciò che si prova quando si muore.
Sentì in lontananza il rumore del crollo e delle grida, ma era così spaventata che continuò a tenere gli occhi serrati. Tremava, e trascorsero molti secondi prima che riuscisse a tornare a respirare normalmente. Presto, la ragazza si accorse che i suoi piedi non stavano toccando terra: qualcuno la stava sorreggendo e, chiunque fosse, aveva una presa forte e un odore familiare.
Quando Minto aprì gli occhi si ritrovò fra le braccia di Ai.
Arrossì con violenza tale da sembrare una pentola a pressione che sta per esplodere, ma l'alieno non la degnò neanche di uno sguardo: la posò a terra e poi si teletrasportò via lasciandola lì, rigida e accaldata come una statua di ghiaccio rovente. La ballerina si portò una mano al petto per cercare di calmare i battiti convulsi del suo cuore.

L’aveva salvata…perché? si chiese.
Non rimase a ragionarci su molto: quello non era il momento adatto.
Ai l'aveva teletrasportata in un vicolo distante alcune centinaia di metri dal Museo. Rimasta sola, la ragazza si trasformò e tornò rapidamente nella zona rossa, dalle sue compagne, che nel frattempo si erano raggruppate nello spiazzale di fronte all’ormai ex-Museo Nazionale per osservare il chimero che, ripresosi, aveva ricominciato a dimenarsi.

Mew Zakuro la guardò sconvolta. Aveva visto Minto scomparire prima di essere schiacciata viva, ma non aveva capito cosa fosse successo e le si leggeva in viso la voglia di avere spiegazioni plausibili a riguardo.
«Che cosa sta succedendo? Cos’è quel chimero?» domandò Mew Mint, evitando l’argomento.
«Stiamo cercando di capirlo anche noi,» rispose Mew Zakuro.
«Eppure ha qualcosa di familiare,» osservò Mew Pudding. «A proposito, dov’è finita Mew Lettuce?»
Mew Ichigo scosse la testa per scacciare la sua indecisione e assunse una posa convinta. «D’accordo, non è importante. Dobbiamo fermarlo prima che faccia del male a qualcuno,» esclamò. Saltò sulla cima di una enorme fontana decorativa lì vicino e la usò per raggiungere con un secondo salto la facciona paffuta del chimero. Si aggrappò con una mano ad un ciuffo di grosse sopracciglia per non cadere.
«Ehi, sono io quella che vuoi, no?!» gli gridò. «Avanti, prova a colpirmi se ci riesci!»
In risposta a quella provocazione, il chimero ruggì e cominciò a saltellare e a muovere la testa. Non stava cercando di liberarsi, era come se fosse...felice di vedere Mew Ichigo.
«W-Whoa! E-Ehi, c-calma-tiiii!!» protestò però la ragazza gatto, sballottata qua e là.

«Proviamo ad attaccarlo!» propose Mew Pudding da terra, e lanciò contro il corpo del chimero il suo attacco speciale, seguita dalle sue compagne.
Ma il colpo combinato venne assorbito dalla pelle elastica del mostro, che compì una trasformazione, diventando ancora più grande. Ormai, la sua altezza era superava i dieci metri.
Mew Ichigo si staccò dal mostro. «Non funziona!» constatò, tornando dalle sue compagne. «Che si fa?»
«Ragazze!» chiamò una voce alle loro spalle. Ryo le raggiunse di corsa.
Il biondo stringeva fra le braccia il corpo cadaverico di Retasu. Alla sua vista, le Mew Mew sbiancarono.
«E’ RETASU!» gridò Ryo, prima che potessero aprire bocca. «Ragazze, quel chimero è Retasu!»
«C-CHE COSA?!?! QUEL COSO E' RETASU?!?!»


«Quel chimero è Retasu!» confermò Keiichiro dal sotterraneo del Cafè Mew Mew, parlando tramite ricetrasmittente. Stava seguendo lo scontro via computer tramite Mash, ed era visibilmente scioccato. «E’ immune ai poteri mew mew perché lei stessa lo è! Anzi, ogni volta che la colpite non fate altro che potenziarla sempre di più!»
In quel momento, Cherry fece capolino dalla porta: «Qu’est-ce que, Keiichiro?» chiese preoccupata, entrando nella stanza con in mano due tazze di tè alla rosa. Poi notò le immagini del chimero sul monitor. «Oh, che splendido esemplare, mi ricorda una di quelle opere post-futuristiche che-» si interruppe incrociando lo sguardo di Keiichiro. «…non è il momento adatto, vero?»
Lui si infilò gli occhiali e prese a smanettare su un secondo computer: «Perdonami chérie, decisamente no.»


Kassandra si materializzò al fianco di Ai. Lanciò uno sguardo alle macerie del museo, poi al gruppo di mew mew ed infine al chimero strambo.
«Ero venuta qui per divertirmi un po’ ma onestamente mi sento così depressa adesso,[3]» ammise con rassegnazione.
Ai arrossì di vergogna. «Dove eri finita?» replicò sulla difensiva. «Uh, e dov’è il tuo schiavetto?»
«L’ho lasciato alla villa perché credevo che non avresti avuto difficoltà a svolgere un compito così dannatamente semplice. Ma d’altro canto, come dicono i terrestri…. se vuoi una cosa fatta bene, devi farla da te,» spiegò Kassandra, dirigendosi verso il chimero.
«Ehi! Che cosa vuoi fare?» le gridò dietro Ai.
«Ora ti faccio vedere io come si crea un chimero degno di questo nome, plebeo.»
Quando l’aliena fu di fronte al chimero, estrasse dalla scollatura della camicetta a pois che indossava il suo ciondolo a forma di croce e lo rivolse contro di lui. «Sapphire Dark Light,» mormorò, e dal ciondolo partì un grosso raggio bluastro che colpì in pieno il mostro.


«RETASU!» gridò Mew Ichigo dal basso mentre il chimero lanciava un ruggito sofferente.
Il corpo dell’essere cominciò a brillare di luce propria e le ragazze furono presto costrette a coprirsi gli occhi con le braccia per non rimanere accecate. Ci fu uno spostamento d’aria fortissimo, che sollevò una nuvola di polvere e detriti e rischiò di scaraventarle via.
Ryo si inginocchiò a terra e strinse a sè il corpo di Retasu nel tentativo di proteggerlo, ma quello si dissolse fra le sue braccia, lasciandolo sbalordito.
La luce accecante durò solo qualche secondo; nonostante la polvere che impediva la vista, quando le mew mew riuscirono finalmente a riaprire gli occhi videro chiaramente che il chimero stava diventando sempre più piccolo. Infine, quando raggiunse le dimensioni di un corpo umano, la trasformazione cessò.  
La luce scomparve del tutto, lasciando il posto ad un essere seminascosto dalla nuvola di polvere grigia, che poggiava i piedi su una enorme conchiglia.
La sua silouhette era identica a quella di Mew Lettuce; non appena si fu stabilizzato del tutto, mise il piede a terra ed iniziò a muovere qualche passo nella direzione delle Mew Mew.
Il rumore ritmico dei tacchi dei suoi stivali riecheggiò nell’aria fumosa.
«Re...Re...Retasu...?» mugolò Mew Ichigo, a bocca aperta.
Quando l’essere riemerse dalla polvere, avanzando lentamente verso di loro, le ragazze capirono che quella non poteva essere la loro compagna.
L’uniforme che indossava, uguale a quella di Mew Lettuce, era di un’orribile tonalità verde palude ed era stracciata in più punti. Le iridi dei suoi occhi erano spente, ed i capelli scuri erano spettinati e quasi neri.
Kassandra, che stava ancora galleggiando in aria accanto ad Ai, afferrò quest’ultimo per un braccio. «Quella è una mew mew!» gli gridò addosso. «Non dirmi che… Hai usato l'energia vitale di una mew mew per creare un chimero?!»
Prima che Ai potesse risponderle, la principessa aliena lanciò un grido di gioia e gli saltò addosso, stampandogli a sorpresa un bacio sulla guancia. «Finalmente hai fatto una cosa intelligente!» ruggì trionfante, poi in un attimo si materializzò davanti alla Mew Lettuce oscura, che si fermò.
Kassandra indicò il gruppetto di guerriere a poca distanza da loro. «Prestami attenzione, schiava! Vedi quelle? Sono le tue nemiche. Ti ordino di distruggerle immediatamente!» le intimò.
Per tutta risposta, Dark Mew Lettuce sollevò confusa gli occhi verso le sue compagne, che ricambiarono con degli sguardi tesi. Trascorsero alcuni istanti, poi il corpo della ragazza prese a tremare ed il suo respiro si fece affannato. Era come se stesse lottando contro qualcosa: si portò i pugni alla testa e strinse forte, artigliando i capelli. Lanciò un urlo di dolore straziante.
«R-RETASU!» gridò Mew Ichigo, iniziando a correre d’istinto verso di lei. Mew Zakuro e Ryo la trattennero.
Dark Mew Lettuce cadde a terra in ginocchio, nascondendosi il viso fra le mani per soffocare un lamento che però, ben presto, si trasformò in quella che era senza dubbio una risatina.
Kassandra, che non capiva cosa stava succedendo, materializzò fra le mani un ventaglio, lo richiuse e ne usò la punta per tastare il braccio dell’ormai ex-Mew Mew. «Um,» provò, incerta, «schiava?»
La reazione fu così immediata che Kassandra sobbalzò all’indietro spaventata: rizzata la schiena in modo quasi ridicolo, Dark Mew Lettuce lasciò ricadere le mani lungo i fianchi e, sollevata la testa, scoppiò in una risata fortissima.
Kassandra aprì il ventaglio e lo usò per nascondere parte del viso dietro di esso.
«Credo che sia impazzita,» ammise Ai, comparendole accanto. «Dopotutto, credo che non fosse compatibile.»
Kassandra richiuse il ventaglio e glielo diede in testa con violenza.
«Ouch!» si lamentò l’alieno.
«E’ tutta colpa tua!» iniziò a strillare la principessa. «Dopo questa, ti farò decapitare per davvero! E tu, ameba fuori moda, cos’hai da guardare? Se hai un briciolo di cervello, esegui l’ordine che ti ho dato e uccidi quelle lagne viventi!»
Dark Mew Lettuce aveva smesso di ridere e si era rialzata in piedi. Adesso, stava studiando con attenzione i movimenti di Kassandra, che parve decisamente infastidita dalla cosa.
Infine, l’ex-Mew Mew inclinò la testa di lato e le sorrise sinistramente. «No, non penso che lo farò,» rispose.
Kassandra rimase di stucco. Dark Mew Lettuce prese ad avvicinarsi a lei, che iniziò ad indietreggiare saltellando come un pulcino.
Spaventata, l’aliena lanciò un’occhiata supplichevole ad Ai, ma lui era attualmente impegnato a massaggiarsi la testa, fissando con aria indagatoria il gruppetto di sconvolte mew mew, che di colpo sembravano essere diventate, per lui, stranamente interessanti.
Fu un attimo: Dark Mew Lettuce raggiunse Kassandra e le strappò con un colpo secco la croce dal collo.
«Le chiedo perdono, Mia Signora, ma questo lo prendo io,» sogghignò.
«E-Ehi! Come osi!» strillò Kassandra.
«Ora che finalmente sono libera, ho davvero voglia di divertirmi un po’!» spiegò Dark Mew Lettuce facendo spallucce.
«Retasu! Che cosa stai dicendo?!»
Mew Ichigo, liberatasi dalla presa di Mew Zakuro e Ryo, prese a correre febbrilmente verso la sua ex compagna ma, prima che potesse raggiungerla, lei si era già teletrasportata via.
«Ferma! Dove vai?!» strillò Kassandra. «Plebeo, non possiamo lasciarla fuggire così, dobbiamo riprenderla!» disse ad Ai, quindi si sollevò in volo e svanì.
Lui, dal canto suo, curvò le labbra in un mezzo sorriso mentre fissava Mew Zakuro con l’aria del gatto che ha mangiato il topo.
Lei se ne accorse. «Cos’hai da guardare?» gli domandò bruscamente.
«Ora sono di fretta, ma te lo dirò la prossima volta, Mew Zakuro… beh, ci si rivede,» disse, e si preparò a teletrasportarsi via.
«Aspetta!»
«Uh...?» Ai abbassò gli occhi sulla mew mew che l’aveva chiamato. «Che vuoi, mew blu?»
«Ehm….» mugolò un’imbarazzata Mew Mint, mentre anche le sue compagne prendevano a lanciarle occhiate confuse. “Sei davvero un genio, Minto. Ed ora che cosa gli dici?” furono le uniche frasi che il suo cervello riuscì a razionalizzare in quel momento. «Io… Io…» tentò la ragazza. Alla fine, essendo a corto di opzioni, strinse i pugni e chiuse gli occhi: «Io…io te la farò pagare per quello che hai fatto alla nostra amica, alieno!» esclamò, cercando di sembrare determinata.
Ai inarcò un sopracciglio. «Tu devi avere qualche rotella fuori posto,» osservò, e poi scomparve.
Mew Mint sospirò, sentendosi una perfetta idiota.
«Che…che cosa si fa adesso?» chiese alle sue compagne.
«Ma che domande fai?!» saltò su una preoccupatissima Mew Ichigo. «Dobbiamo trovare Retasu!»
«Ma come facciamo a trovarla?» domandò Mew Pudding, preoccupatissima. «Potrebbe essere dappertutto!»
«Temo che ci basterà seguire la scia di danni…» sospirò Mew Zakuro mentre rumori di urla, clacson, scontri, esplosioni ed altri disastri in lontananza giungevano alle loro orecchie.


 
+++

Note:
[1] Never forget che nella versione originale del capitolo si parlava della Creazione di Michelangelo che Ichigo definiva come “due gay che si toccano” D: 
[2] I manga e gli anime majokko obviously
[3] Non ho resistito. 

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Capitolo 23
*** L'Ordine di Ra-Hu (pt.1) ***


23 11/10/2014: M-Ma perché anni fa, nel rispondere alle recensioni, scrivevo come una ritardata? *piange* *cancella* *lancia il monitor giù dal balcone*


*va a riprendere monitor*
Ho commissionato ad una mia amica illustratrice una lineart di Ally e mi sono innamorata del risultato. Lei è davvero bravissima! Se vi va, date un’occhiata ai suoi lavori [qui]!
Quanto allo scienziato alieno di questa fanfic, nella prima stesura ero impegnata a incasinarmi con la trama e ho finito per trascurarlo. Cercherò di coccolarlo un po’ di più.
kell2
Questo è lo schizzo di prova/anteprima. La lineart in HQ è [QUI].


- Capitolo 22: L'Ordine di Ra-Hu - 


Quella notte, Imago non riuscì a dormire per nulla bene. Crollò poco prima dell’alba, senza nemmeno togliersi gli abiti del giorno prima. Fece un incubo pazzesco che però dimenticò non appena aprì gli occhi di scatto. Si risvegliò nella stessa posizione in cui si era addormentata, abbracciata a Kisshu.
Fu solo per questo motivo che riuscì a calmarsi e a regolarizzare il suo respiro affannato così rapidamente. Si accoccolò contro di lui, che riposava tranquillo, fino a che non si fu ripresa del tutto. Sollevò appena la testa per guardarlo. Lui era così dolce quando dormiva...gli carezzò una guancia, ma non riuscì a sorridere: era ancora troppo scossa dalla notizia della morte di sua sorella.
Sfiorò le labbra di Kisshu nel bacio più delicato e leggero possibile, poi si mosse piano per alzarsi.
Ci riuscì a fatica. Aveva uno strano dolore alla testa, come un peso. D'istinto, si dette un pugno su una tempia sperando di farselo passare ma, naturalmente, l’unica cosa che ottenne fu un dolore ancora più intenso.
«Ahia,» gemette, e si diede mentalmente della stupida.
Si stava ancora massaggiando la testa quando le sembrò di sentire una risatina alle sue spalle.
Imago si voltò indietro di colpo verso il punto da cui aveva sentito provenire la voce, ma non vide nessuno. Kisshu, ancora addormentato, si rigirò sul suo giaciglio.
L'aliena era sicura che loro due fossero soli nella stanza, eppure avvertiva distintamente anche un’altra presenza accanto a lei. Angosciata, Imago si portò entrambe le mani al cuore, che aveva iniziato a martellarle nel petto. Si ricordò che a pochi passi da lei Chris aveva posizionato un grosso specchio olografico. Raccolto tutto il suo coraggio, provò allora a sollevare piano la testa per guardarne il riflesso, ma una fitta al cuore le fece crollare le gambe. Non cadde mai a terra, perché Kisshu riuscì a prenderla prima che potesse farlo.
«Che succede?» le chiese lui, spaventato.
Imago arrossì pesantemente. «Ehm… ben svegliato,» disse imbarazzata.
La sensazione sgradevole che aveva provato era improvvisamente del tutto scomparsa.
«Dolcezza, tutto… tutto bene?» domandò Kisshu.
La ragazza aliena si affrettò ad annuire energicamente. «Ma sì, certo!» disse, e si rimise in piedi. «Scusami, è stato solo un mancamento. Sai, non è che quella di stanotte sia stata una delle mie notti migliori, per cui…» lasciò cadere il resto della frase. «Comunque grazie per tutto,» mormorò poi, accennando un sorriso lieve. Lo baciò di nuovo a fior di labbra, ma lui rimase immobile, scrutando i suoi movimenti come se avesse paura che potesse cadere svenuta a terra da un momento all’altro.
«Su, non guardarmi così! Non sto mica per morire!» esclamò allora Imago.
Kisshu non sapeva cosa dirle. Lei ebbe come l’impressione che potesse leggerle nel pensiero, e che sentisse anche lui quello che sentiva lei. Quello stesso presentimento. Imago pregò che fosse solo una suggestione che le avevano causato le parole di Kell.
L’aliena abbracciò il suo compagno, stringendolo forte. «Io non sto per morire,» ripeté, ma non ne era molto convinta.

**

«Sono ore che è là dentro,» osservò Chris con voce angosciata. I suoi occhi erano fissi sulla porta della stanza di Kell, desolatamente chiusa.
La sua mano stringeva quella di Pai, che era accanto a lei, in un gesto nervoso. Il giorno era ormai iniziato da un pezzo, ma Kell non era ancora uscito dalla quella stanza. Era completamente isolata dal resto della casa, per cui nessuno sapeva realmente cosa stesse facendo lì dentro.
«Mi preoccupa davvero…pensi che si comporti così perché é arrabbiato con me?» chiese a Pai, che socchiuse le sue iridi scure.
«Te l’ho detto, è da quando sei andata via che si è buttato nel lavoro in questo modo,» spiegò lui con calma.
«Oh, ma questo è normale, mio figlio è un genio!» si intromise la signora Kell, sbucando a gran passi nell’andito. Reggeva fra le mani una cesta piena di vestiti puliti ed aveva un’aria stranamente allegra. «Un tempo, il nostro popolo era uno dei più avanzati dell’intero universo. Poi, quando siamo stati costretti a migrare su questo pianeta, tutte le nostre conoscenze sono andate perdute. Oggi, sono passati millenni e siamo così arretrati! Però, grazie a persone come mio figlio, presto torneremo ad ottenere una conoscenza assoluta!» esclamò orgogliosa senza smettere di camminare, oltrepassando i due ragazzi. Poi scomparve dietro l’angolo canticchiando.
«Almeno lei sembra contenta,» osservò Pai con un grosso gocciolone sulla testa.
«Non capisco come faccia,» ammise invece Chris, pensierosa.
 
**

Pochi minuti dopo, nella stanza principale della casa, Imago prese le mani di Chris fra le sue e le sorrise. «Allora, come ti senti amica mia? Ti sei ripresa dal viaggio? Ieri non ci hai detto nulla, ma io sono curiosa di sapere com’è andata. Dai, racconta! Hai pestato qualche bandito? Hai incontrato qualche tipo interessante?» chiese con il suo solito tono vivace, anche se un po’ più incrinato del normale.
Ma questo era già un miracolo, perché poco prima Chris e Pai, entrando nella stanza, l’avevano trovata che accasciata contro il petto di Kisshu. Aveva un’espressione stanca e vuota. Kisshu le carezzava piano i capelli e continuava a parlarle, nel tentativo di tirarle su il morale.
Quando però Imago si era accorta della presenza dei due amici, si era sforzata di tornare in lei e di sembrare normale. Chris e Pai avevano deciso di far finta di non averlo notato.
Di fronte alle domande di Imago Chris scosse la testa, abbozzando un sorrisino. «No, no,» rispose. «E’ stato un viaggio tranquillo, ma i tipi del laboratorio in cui sono stata erano un po’ strani. Avevano una strana premura di farmi andare via da lì, come se nascondessero qualcosa. E poi mi hanno fatto così tante raccomandazioni riguardo a quell’oggetto…non avevo idea che fosse così prezioso.» Sospirò, inquieta. «Ragazzi, io ho paura per Ally… quei suoi amici scienziati non mi piacevano neanche un po’, e lui si sta comportando in modo davvero troppo strano.»
«Credi che ci sia qualcosa sotto?» le domandò Kisshu.
«Non lo so. Vorrei saperlo.»
«E se provassimo ad indagare?» propose Imago. Prima che qualcuno potesse risponderle, aggiunse, con una strana eccitazione: «Sgattaioliamo nella sua stanza e scopriamo che cosa fa. Che ne dite?»
Pai e Kisshu le rivolsero un’occhiata incredula.
«Mi hai tolto le parole di bocca, ragazza!» esclamò invece entusiasta Chris.
«Mi dispiace, ma non posso permettervelo,» dichiarò Pai.
«Ma… Ma perché?»
«Non vogliamo fare nulla di male. Vogliamo solo dare un’occhiata al suo lavoro!»
«Pai ha ragione,» ammise Kisshu. «Lunatico com’è, quel tipo potrebbe prenderla molto male se vi scoprisse.»
«Ma è per il suo bene,» protestò Chris.
«Se c’è qualcosa che lo preoccupa, è nostro dovere scoprire cos’è e  aiutarlo,» aggiunse Imago.
«Non fate le bambine,» sbottò Pai. «Se fosse qualcosa per cui possiamo aiutare, ce lo avrebbe dett-»
«Buon giorno,» salutò in quel momento Kell, facendo il suo ingresso nella stanza. Indossava il suo camice stropicciato e un paio di lenti la lavoro, che teneva sollevate sopra la testa. Si strofinò gli occhi affaticati e si diresse automaticamente verso la parte opposta della grossa camera.
«E’ il momento di entrare in azione!» sussurrò Chris, e trascinò via in tutta fretta Imago per un braccio.
«No, ferme! Non-»
«Pai, dove stanno andando quelle due?» chiese Kell con sospetto, dando le spalle al tavolo su cui sua madre gli aveva lasciato la colazione.
Pai non era sicuro di potergli mentire: nonostante tutto, si fidava ancora di lui.
«A cercare Taruto per convincerlo a fare pace con tua sorella,» si intromise Kisshu, rispondendo con aria indifferente. «Simpatiche, vero?»
Lo scienziato si ficcò in bocca una pasta addolcita e ne masticò un boccone. «Come la morte,» sussurrò con aria infastidita, senza sospettare nulla.
 
 
**

Chris fece scattare l’apertura della porta della camera di Kell.
«Ha cambiato il codice di apertura,» disse a bassa voce ad Imago mentre entravano. «Ma io sono stata con lui una vita intera, ormai conosco il modo con cui sceglie i suoi codici.»
La camera di Kell era buia e molto disordinata. Vi erano dappertutto strumenti, papiri e schermi che mostravano calcoli e progetti di vario tipo, ma l’attenzione di Imago fu attratta subito da un oggetto dorato.
«E questo cos’è? Una croce?» chiese l'aliena, allungando la mano verso la Chiave poggiata sul piano di lavoro di Kell.
«Non la toccare!»
Chris le schiaffeggiò il braccio con un gesto brusco. «Non dobbiamo toccare niente! Discrezione, principessa!»
«Hai ragione,» si scusò Imago. «Ma quest’oggetto è strano… mi ricorda qualcosa.»
«Forse il tuo ciondolo?»
Istintivamente, Imago sollevò il polso destro: la manica della sua maglia si abbassò, rivelando il suo strano braccialetto. La pietra preziosa incastonata nella croce ansata del ciondolo brillò sinistramente alla luce dei monitor di Kell.
«Su, basta perdere tempo, dobbiamo sbrigarci,» la richiamò Chris, nervosa. «Vedi qualcosa di strano o pericoloso?»
Imago lanciò un’occhiata in giro, spaesata. Vide piani di astronavi, grafici di traiettorie, analisi complesse di strumentazioni che lei non sapeva neanche esistessero. «Niente che io riesca a capire… quello che fa Alan sembra così complicato…»
In quel momento, Chris lanciò un piccolo strillo. «Oh, no, lo sapevo! Lo sapevo che era questo!»
Imago sobbalzò, e si girò di scatto verso l’amica: alla faccia della discrezione! A parte l’urlo, solo qualche secondo prima Chris le aveva detto di non toccare niente…che ci faceva lei ora seduta davanti allo schermo sferico di Kell?!
«E-Ehi, che cosa stai facendo, Chris? Se consulti il suo computer, lui se ne accorgerà di cer-»
«Guarda!» la interruppe Chris con aria sconvolta, indicando sullo schermo del terminale il documento che aveva aperto.
Imago gli rivolse uno sguardo incerto. «Sembra un diario personale,» disse dopo qualche secondo. «Che significa?»
«Che Ally è nei guai,» singhiozzò Chris, selezionando e ingrandendo solo alcuni dei punti di quel documento. «Guai grossi…leggi!»
Imago corrucciò la fronte, chinandosi verso la luce dello schermo e concentrandosi sulle frasi evidenziate da Chris, che a quanto pareva Kell aveva scritto di suo pugno. Erano tutte anticipate da una data, e la piu' recente risaliva a quella notte.
Lui aveva una grafia davvero brutta, per cui l’aliena fece molta fatica per capire cosa aveva scritto, e ad ogni modo alcune parole le sfuggirono.

/* Dopo secoli di ricerche, finalmente abbiamo ritrovato la Chiave…essa è la Croce di oricalco, può condurci alla soluzione ma nessuno sa in che modo. I fratelli dell’Ordine si fidano ciecamente di me e me l’hanno affidata, eppure non sono riuscito ancora a trovare un modo… Le mie conoscenze sembrano essere inutili, è in momenti come questi che non mi considero degno… *

/* Seguendo le indicazioni del Maestro, ho spedito la Chiave dai fratelli dell’Ordine di Orion, sperando che riuscissero dove io ho fallito, ma comincio a dubitare che quell’oggetto tornerà mai fra le mie mani, poiché … *

/* Mi avvicino alla soluzione! Ho trovato un’antica scritta all’interno della sfera centrale della Chiave. Secondo i miei studi, indica il modo per maneggiarla in sicurezza. Purtroppo, suddetta scritta sembra non avere alcun senso, non trovo riscontri in alcuna parte delle antiche profezie o in qualsiasi altra cosa. Il tempo stringe, continuano a ripetermi dall’Ordine di Ra-Hu… *
 
«L’ordine di Ra-Hu?»” ripeté Imago.  «Che cosa è?»
Chris non rispose.
Imago socchiuse gli occhi: aveva un altro dei suoi pessimi presentimenti. Solo in quel momento, abbassando la testa, notò che ai piedi del monitor c’erano decine di stampe cartacee che riportavano tutte una stessa figura:
 
p1

La ragazza ne raccolse una a caso e si concentrò su di essa, cercando inutilmente di dare un senso a quello che leggeva.
«Un’antica scritta all’interno della sfera centrale…si riferisce a questa? Ma è un'immagine ingrandita di quella croce! Aspetta… allora quell’oggetto a forma di croce è una chiave? Ma chiave di cosa? Non ci capisco niente!»
«Io lo so che cosa vuol dire,» ammise Chris, con l’aria di chi è appena venuto a sapere che il suo più caro amico è morto. «Prendiamo una di queste stampe, ce ne sono così tante…. non credo che lui se ne accorgerà. Potrebbe servirci, poi ti spiego. Ora andiamo, prima che ritorni…» mormorò e poi si avviò verso l’uscita della camera, seguita da una sempre più confusa Imago.




+++

Note:
Never forget che questo capitolo è così corto perché nel mentre mi scervellavo su come impostare la dannatissima seconda profezia. D:

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Capitolo 24
*** Il fan n°1 di Zakuro ***


22
10/10/2014: Dopo questo capitolo inizia il casino. Da una parte sono felice di poter finalmente sistemare come si deve il casino, dall'altra invece la mia mente sfaticata continua a ripetermi nopenopenopenopenope.
Sto passando un periodo di forte stress e dedicarmi alla fanfic è davvero una delle poche cose che mi aiutano a rilassarmi.
Fra le poche correzioni che ho fatto qui, ho battuto un po' piu' sui poteri sgravatissimi di dark!Retasu che ad un certo punto ammetterà proprio a parole di essere una Dea (essendo l'antiRetasu, la modestia non è il suo forte).
Ad ogni modo qui c'è Hiroyuki-san. Questi disegni li ha fatti Jinny (Jinebura) chan. Li adoro! Qui Hiroyuki è in stile molto terrestre, ma non mi dispiace per nulla.



Hiro H


- Capitolo 23: Il fan n°1 di Zakuro - 


Retasu varcò la porta d’ingresso di casa sua come se niente fosse. Ma, anche se aveva sciolto la trasformazione ed era tornata normale, tutto in lei era cambiato.
Si tolse le scarpe canticchiando, poi gettò in un angolo la sua borsetta. C’era un lungo specchio rettangolare lì all’ingresso: Retasu rimase incantata lì davanti per parecchi minuti a contemplare il suo riflesso. Non l’aveva mai fatto prima, o perlomeno non così a lungo. Si tolse gli occhiali e li lasciò cadere a terra; poi poggiò due dita davanti agli occhi e usò i suoi poteri per curare la sua miopia. Si sfiorò il viso, si aggiustò i capelli e poi studiò con una smorfia insoddisfatta i vestiti che stava indossando.
“Questi vanno cambiati,” pensò, sollevandosi la lunga gonna gialla a varie altezze per fare delle prove.
I suoi pensieri vennero interrotti dalle voci concitate dei suoi genitori. Retasu alzò gli occhi al cielo: possibile che quei due non riuscissero proprio a fare a meno di litigare?
Sospirando, la ragazza si staccò dallo specchio e si diresse verso il soggiorno, da cui provenivano le voci. Dalla soglia della stanza scorse suo padre che, rosso di collera, aveva appena messo le mani addosso a sua madre e le stava sbraitando addosso qualcosa.
Lei continuava a gridare fra le lacrime: «Lasciami! Lasciami o ne parlerò col mio avvocato!»
«Tu non lo farai,» le intimò lui minaccioso. «Altrimenti io-»
L’uomo non riuscì a concludere la frase perché, un secondo dopo, si ritrovò ad essere scaraventato contro la finestra da una forza inumana. La sfondò e volo giù. Retasu abitava al secondo piano, per cui il tonfo del corpo che toccava terra non tardò a farsi sentire. Dalla strada provenne un urlo femminile terrorizzato, seguito da molte altre voci.
«Mio Dio!»
«Che gli è successo? E’ morto?»
«Chiamate un’ambulanza!»
La madre di Retasu si portò le mani alla bocca, sconvolta. Lei, che si era limitata ad evocare i suoi nuovi poteri con un gesto della mano, senza muoversi dalla soglia, le sorrise in risposta.
«Scusami mamma,» le disse, «ma oggi non resto per pranzo. Ora mi metto addosso qualcosa di decente e poi vado a fare un giro. Ciao!»


 **


Kassandra svolazzava senza meta nel cielo di Tokyo. Guardava con un misto di preoccupazione e speranza verso il basso, come se si stesse aspettando che da un momento all’altro l’oggetto della sua ricerca le venisse incontro sorridendo.
Ai le teneva dietro, ma non sembrava darle molta attenzione.  «Mew Mew Zakuro,» continuava infatti a ripetere pensieroso, e quando Kassandra lo notò, il suo bel viso divenne scuro. «Mew Zakuro…Zakuro…Zakuro Fuji-»
«PLEBEO! MI VUOI AIUTARE A CERCARE LA MEW CHIMERO O NO?!»
Lo strillo di Kassandra fu così improvviso e insopportabile che Ai si fermò a mezz’aria e si coprì d’istinto le orecchie con le mani. «Non urlare così, dannazione!» replicò innervosito. «E poi che fretta c’è? Prima o poi ci capiterà davanti e allora la cattureremo,» sbuffò.
«Tu non capisci!» gli disse isterica Kassandra. «Quel mostro ha rubato il mio ciondolo!»
Ai incrociò le braccia al petto. «E allora?»
«E allora adesso Hiroyuki verrà a cercarmi!»
«Hiroyuki? Che vuoi dire?»
Kassandra aprì la bocca per rispondergli, ma qualcosa sembrò trattenerla dal raccontare al suo subordinato tutta la storia. «Lascia perdere, non è questo l’importante,» disse alla fine. «Ascolta plebeo, solo io sono in grado di controllare il potere di quella croce. Presto, contaminerà quella matta e non ho idea di cosa potrebbe succedere a quel punto. Per quel che ne so, metà del pianeta potrebbe saltare in aria!» spiegò tutto d’un fiato.
Ai inclinò la testa di lato, poco convinto. «Quel ciondolo è davvero così potente?»
«Sì…» Kassandra si nascose il viso tra le mani e iniziò a piangere. «Io non voglio morire così! Rivoglio il mio ciondolo!» si lamentò in tono infantile. «Aiutami, per favore!»
Di fronte a quella scena, Ai assunse un’espressione leggermente dispiaciuta. «Capisco,» annuì, mentre  Kassandra continuava a lagnarsi. «No, non fare così mia dolce principessa, vedere in lacrime una splendida creatura come te mi spezza il cuore. Ti aiuterò a ritrovare il tuo ciondolo,» le promise consolante, accarezzandole i capelli.
A quel punto l’aliena, incredula, smise di fingere di singhiozzare e sollevò la testa verso il compagno. «Davvero?» chiese sospettosa.
«Ovviamente no,» rispose Ai. «Ho altro da fare oggi. Buona fortuna!» disse, e si teletrasportò via.
Kassandra rimase a bocca aperta. «No aspetta! Plebeo!» lo chiamò, asciugandosi in fretta le finte lacrime. «Maledetto! Torna subito qui! Brucerò tutti i tuoi stupidi libri! Ti farò torturare! Ti farò torturare tantissimo! E non scherzo! Mi hai sentita?!»


**

 

Ryo entrò nella sua camera sbattendo la porta.«Accidenti!»  disse al vuoto.
Era ritornato sfinito al Cafè Mew Mew dopo ore di disperate ricerche per le strade di Tokyo sotto forma del gatto Art.
Il ragazzo si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo quella mattina a Retasu: lei ora si trovava in quella situazione perché lui era stato così stupido da abbassare la guardia.

Non riusciva a perdonarsi per questo. Furioso, raggiunse la scrivania e per sfogarsi scaraventò a terra tutto ciò che vi era sopra, lampade, fogli, attrezzi elettronici, tutto. Vi poggiò poi le mani e chinò la testa, cercando di calmarsi.
«E’ colpa mia,» iniziò a dire dopo qualche secondo, amareggiato. «E’ colpa mia se ti è capitato questo, Retasu. Io avevo giurato di proteggervi, ma non sono stato in grado di mantenere la mia promessa.»
«Colpa, Shirogane?» gli rispose  a quel punto una voce divertita dall’altra parte della stanza. «Che vuol dire colpa? Chiamalo merito, piuttosto.»
Era stata Retasu a parlare. Ryo aveva avvertito la sua presenza da prima, per cui non ne fu sorpreso.
Alla fine decise di fronteggiarla, per cui si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire la sua voce.
Lei, seduta sul suo letto, si stava divertendo ad osservare il lato B del biondo già da un po’.
Era così diversa dal solito da non sembrare più neanche lei: non indossava più i suoi grandi occhiali rotondi e si era truccata gli occhi e le labbra. Aveva sciolto i capelli, che le ricadevano sensuali sulle spalle, ed indossava una maglietta verde sporco con una scollatura vertiginosa, una minigonna a dir poco indecente, e degli stivali che le arrivavano fin sopra il ginocchio. La croce di Kassandra era in bella vista sul suo petto.
Nel complesso, il risultato avrebbe fatto girare la testa a qualunque ragazzo, anche perché Retasu aveva un bel fisico, ma era sempre stata molto restia a farlo notare. Lo stesso Ryo, sbalordito, dovette fare uno sforzo sovrumano per costringersi a guardarla negli occhi.
«Parli di me come se io fossi morta,» continuò Retasu, attorcigliandosi in un dito una ciocca di capelli. «Invece io devo ringraziarti per quello che mi è accaduto! Prima ero una stupida mocciosa imbranata, invece ora guardami! Grazie a te, sono rinata!»
Ryo si girò dall’altra parte, senza rispondere. Fu in quel momento che il ragazzo notò uno strano luccichio provenire da terra.
Retasu scosse la testa sorridendo e si alzò dal letto, avvicinandosi a Ryo. «Non sono piu' un normale essere umano, ora sono una Dea. Sono bella, forte e posso fare e avere tutto ciò che voglio.»
«E che cosa vuoi adesso?» le chiese Ryo, disgustato da quelle parole.
«Te,» fu la risposta.
Ryo sorrise. «Mi dispiace, ma non sono interessato.»
Retasu scosse la testa sogghignando. Ormai a pochi centimetri da lui, gli prese il viso fra le mani. «Sono sicura che possiamo trovare un accordo. Tu mi sei sempre piaciuto, Shirogane,» gli sussurrò in un orecchio, premendo il suo corpo contro quello del ragazzo.
«Sono onorato, Retasu,»  ironizzò Ryo fra i denti, senza più sorridere.
In quel momento, le altre ragazze fecero irruzione nella stanza.
«Retasu! RYO! Ma che diavolo state facendo?!» ringhiò Ichigo con fare decisamente simile a quello di un gattino traumatizzato.
«Oneesama Retasu!» strillò Purin.
Lei alzò gli occhi al cielo, staccandosi dal biondo. «Lasciatemi in pace!»
«Retasu, devi cercare di tornare in te!» le disse Zakuro.  
«SONO in me!» replicò quella. «Io sono Retasu!»
«Non è vero!» le disse Minto. «Tu non sei la nostra amica. Sei solo un chimero creato dagli alieni che ha preso possesso del suo corpo!»
«Minto ha ragione! La vera Retasu non si sarebbe mai comportata così!» annuì Ichigo.
«E’ così,» osservò pacato Ryo. «Dicendo di essere lei, ti stai solo rendendo ridicola.»
Sentendo quelle parole, Retasu sembrò perdere davvero la pazienza.
«Vi sbagliate! Vi sbagliate tutti!» proruppe. «Io sono la vera Retasu! Sono la parte più nascosta di lei, quella che lei tenta disperatamente di reprimere. Lei in realtà non è quella che voi conoscete! Lei ha sempre desiderato usare i suoi poteri per divertirsi, ha sempre sognato di farla pagare a quel bastardo di suo padre, e di vestirsi e truccarsi in questo modo, e di avere Shirogane, e mandarvi tutte a quel paese! Nel profondo del suo cuore, Retasu vi odia, tutte, dalla prima all’ultima, ma solo ora lei ha, io ho il coraggio di dirvelo in faccia!»
«Smettila!» protestò Ichigo. Dopo avere ascoltato quelle parole, aveva le lacrime agli occhi.
«La verità fa male, eh?» sogghignò Retasu. «Bah, andate tutte al diavolo!» esclamò poi, e lanciò la sua borsetta contro le sue ex-amiche. Loro si scostarono istintivamente, e Retasu ne approfittò per oltrepassarle sprezzante ed uscire dalla stanza.
«No, Retasu! Aspetta!»
«Inseguiamola!» esclamò Ichigo. «Dobbiamo fermarla! Ryo, vieni anche tu!» e si avviò giù per le scale, seguita dalle altre.
«Arrivo,» mormorò intanto pensieroso il ragazzo. Si era attardato nel fissare l’oggetto che aveva visto brillare poco prima.
Si trattava della sferetta che giorni addietro gli era stata inviata dall’Africa. Ryo la raccolse da terra: il metallo a sfumature blu che la componeva si era ammaccato a causa dell’urto, e la sua superficie si era leggermente scheggiata. “Che strano, si è rotta,” pensò. “Uh, ma non è importante adesso,” concluse. Si infilò la sferetta nella tasca e raggiunse le ragazze che lo aspettavano davanti all’entrata del Cafè. “Dov’è andata?” chiese.
Zakuro scosse la testa: «Crediamo che si sia teletrasportata di nuovo.»
«Ma così non la troveremo mai!» si lagnò Purin scivolando a terra.
Nel mentre, Zakuro sentì vibrare il suo cellulare. La ragazza lesse sul display il nome della persona che la stava cercando e si rabbuiò. Quando rispose, dall’altra parte del telefono udì la voce incazzata del suo manager.
«Signorina Fujiwara, non ho piu’ avuto sue notizie da stamattina. Che cosa le è successo?» domandò l’uomo in tono inquisitorio.
«Sono desolata, ma ho avuto un impegno improvviso,» rispose lei. «E’ possibile spostare i miei impegni a dopodomani?»
«No, Fujiwara. E’ la seconda volta che rimandiamo il set fotografico per cui deve posare oggi. Ho fatto i salti mortali per non farle perdere questo lavoro, per cui veda di presentarsi qui in studio entro mezz’ora o le giuro che ha chiuso con la notorietà!» esclamò il manager, e chiuse la chiamata.
«Perfetto,» disse a mezza voce Zakuro. Poi si rivolse alle sue amiche: «Devo andare, mi dispiace. Dovrete cercare Retasu senza di me.»
Le ragazze le lanciarono uno sguardo demoralizzato.
«Non crediate che mi faccia piacere,» si scusò la modella, e poi si affrettò a telefonare ad un taxi mentre si allontanava.
«E noi cosa facciamo?» chiese Minto.
«Tornate dentro,» rispose Ryo. «Riunione straordinaria nel sotterraneo.»
Ichigo lo guardò storto. «Ryo, non possiamo farlo! Retasu-» prima la rossina che potesse concludere l'obiezione, Ryo se la caricò sulla spalla destra e la condusse a forza dentro il Cafè Mew Mew.
 

**


«Bentornate, ragazze.»
Cherry salutò Minto e Purin non appena entrarono nella stanza sotterranea.
«Salut anche a te, Ryo. Ichigo.»
«Ascolta Ryo, non possiamo permetterci di perdere tempo,» cominciò Ichigo, ignorando la sua sosia, nello stesso momento in cui Ryo la rimise a terra.
«Retasu sta bene, non preoccuparti,» la interruppe Keiichiro rassicurante. «Si è resa irrintracciabile, ma registro ancora i segnali vitali emessi dal suo ciondolo mew: è viva ed in piena salute. Dobbiamo solo trovarla.»
«Prima però dobbiamo studiare un modo per farla tornare in sé, o sarà inutile. Fuggirebbe di nuovo e torneremmo al punto di partenza,» osservò Ryo.
Ichigo rimase un momento interdetta. «Hai ragione,» ammise alla fine.
«Retasu si è trasformata dopo che Kassandra le ha lanciato quel raggio con il suo ciondolo,» disse Purin. «Poi gliel’ha rubato, e ha perso completamente il controllo.»
«Credete che sia colpa di quell’oggetto se Retasu è diventata malvagia?» chiese Ichigo.
«Secondo me sì. Avete visto cos’è successo mentre le parlavamo? Aveva una luce strana negli occhi, e per un attimo mi è sembrato di vedere la stessa luce brillare nel ciondolo che aveva al collo!»
«Beh, se è solo quella croce il problema, allora basta togliergliela,» osservò Minto.
«Non credo sia così facile,» obiettò Keiichiro dall’altra parte della stanza buia. Mostrò loro dal proiettore una foto del ciondolo di Kassandra. «Grazie a Mash, ho potuto raccogliere delle informazioni interessamto riguardo quest’oggetto: possiede un enorme potere negativo, concentrato nella pietra rotonda incastonata al centro, e non è escluso che Retasu -o meglio la sua controparte malvagia- se ne sia servita per sottrarsi ai comandi degli alieni. Ora che è lei a possederlo, il ciondolo continua a riversare dentro di lei l’energia accumulata al suo interno, incrementando in maniera drammatica le sue capacità. Purtroppo non so fino a che punto Retasu riuscirà a gestire tutto quel potere senza rimanerne schiacciata,» spiegò. Fece una piccola pausa riflessiva, poi riprese a parlare. «Non possiamo sapere come potrebbe reagire se le togliessimo con la forza quella croce. Probabilmente sarebbe come rompere una diga.»
«Senza dimenticare che Retasu ha ancora dentro di sé l’alieno parassita,» fece notare Ryo. «Potremmo dire che Retasu non è altro che un chimero estremamente potente, sfuggito al controllo degli alieni.»
Ichigo gli lanciò uno sguardo desolato: di tutto quel discorso, aveva capito solo che qualunque decisione avessero preso, Retasu rischiava seriamente la vita. «E quindi cosa dovremmo fare?» chiese.
«E’ semplice: se non possiamo toglierle noi il ciondolo, dobbiamo convincerla a toglierselo da sola,» rispose il biondo. «In questo modo, il suo corpo potrebbe prepararsi al distacco e soffrirebbe in maniera minore delle conseguenze.»
Ichigo si morse un labbro, ma non protestò.
«A quel punto dovrete attaccarla,» continuò Ryo. «Così da far uscire dal suo corpo anche l’alieno parassita prima che la faccia ritrasformare in quel chimero-pesce. Se la colpite mentre si sta trasformando, dovreste riuscire a farcela.»
«Ma così rischiamo di ucciderla!» esclamò Ichigo, incapace di trattenersi oltre.
Ryo la ignorò: «Questo è quanto,» concluse. «Ora dovete andare a cercarla.»
«D’accordo,» annuì Minto, neanche lei del tutto convinta che quella fosse la cosa giusta da fare.
«Vi avviserò non appena avrò delle nuove informazioni,» le rassicurò Keiichiro.
Le tre ragazze annuirono e, seguite da Mash, si diressero fuori dal sotterraneo senza dire altro.
«La decisione che hai preso è molto difficile,» osservò a quel punto Cherry, rivolgendosi a Ryo.
«Qualcuno deve farlo,» rispose lui, dandole le spalle.
 La donna lo lasciò stare. Era chiaro come il sole che, in quel momento, chi stava soffrendo di piu' era lui.

 

**

 

Marie, stretta nella sua uniforme scolastica, stava camminando verso il Cafè Mew Mew.
«London Bridge is falling down, falling down, falling down,» cantava a bassa voce, con aria assorta. «London Bridge is falling down, my fair lady.»
“Ichigo mi ha evitato di nuovo oggi,” si disse. “E’ davvero una ragazza molto strana. Mi chiedo se sia davvero lei quella che sto cercando… e se mi stessi sbagliando?”
I pensieri dell’inglesina rimasero appesi quando vide Ichigo, Purin e Minto uscire dal Cafè di corsa. Si affrettò a nascondersi dietro il tronco di un albero per non farsi notare.
“Dove stanno correndo così di fretta?”  pensò sospettosa.
 

**


Zakuro, già truccata e pettinata, aveva appena finito di vestirsi per il photoset. Si sedette davanti allo specchio del suo camerino e sospirò.
Nonostante fosse una professionista, con tutti i pensieri e le preoccupazioni che aveva nella testa in quel  momento non era sicura di riuscire a essere convincente sul set.
«Tra cinque minuti si inizia,» la avvertì il suo manager, passando di fretta.
Zakuro si rialzò automaticamente e si avviò verso il luogo che avevano convenuto. Scese una rampa di scale, ma una volta raggiunto il piano terra venne attratta da uno strano canto che proveniva in direzione opposta a quella del suo set.
La modella non ci pensò su neanche per un attimo: voltate le spalle, decise di raggiungere la fonte della melodia.
La musica proveniva da un vecchio studio televisivo situato in un piano seminterrato. Non poteva far parte di uno spettacolo in fase di registrazione, era troppo stonata e sinistra per essere parte di uno show. Eppure, Zakuro si sentiva attratta da essa. Non riusciva a pensare ad altro, e le ci volle uno sforzo tremendo per raccogliere dalla tasca il suo cellulare e premere il tasto per la richiamata automatica a Keiichiro.
«Sta succedendo qualcosa di strano qui,» disse Zakuro quando lui rispose, senza neanche specificare il luogo in cui si trovava.
«Strano in che senso?» rispose l’uomo dall’altra parte del telefono. «...Zakuro?»
«Non lo so,» sussurrò la ragazza, chiudendo poi la chiamata per concentrarsi meglio sulla musica.
La cosa assurda era che sembrava che Zakuro fosse l’unica a sentirla, perché nessun altro  pareva farci caso.
Com’era possibile?
Giunta davanti alla porta dello studio televisivo, Zakuro la trovò sbarrata, perché lo studio era ormai abbandonato da tempo. Controllò che non ci fosse nessuno in vista e la aprì con una spallata.
Il suono era fortissimo lì dentro. Zakuro accese le luci principali, che per fortuna funzionavano ancora, e rimase sconcertata dalla visione che le si parò davanti.
La fonte della musica era Retasu. In piedi al centro del vecchio palco, circondato per metà da un semicerchio di tribune a gradoni piene di polvere, la ragazza teneva strette le mani al petto mentre intonava la sua canzone.  Quando si accorse della presenza dell’amica, smise di cantare.
«Ciao, Zakuro,» la salutò.
«Come hai fatto?» le chiese la ragazza lupo senza troppi convenevoli.
«Sono letteralmente una sirena. Nessuno può resistere al mio canto,» rispose Retasu.
Zakuro fece qualche passo all’interno della stanzona. «Sapevo che mi avresti cercata,» sorrise amara.
Lei si lasciò sfuggire una risatina. «Sai già la verità, eh?» sogghignò, muovendosi per andarle incontro. «Non avevo dubbi… è così ovvio!»
Zakuro strinse i pugni.
«Tu sai benissimo di non meritare di essere famosa, Zakuro…perché la verità è che sono io la più bella!» dichiarò Retasu, lasciando di sasso la sua interlocutrice. In effetti non era proprio questo quello che intendeva Zakuro…
Ma la modella non ebbe il tempo di ribattere perché in quel momento giunse nella stanza anche un'altra persona: era il ragazzo che Zakuro aveva incontrato la sera precedente al Dome, quel suo misterioso fan.
«Finalmente ti ho trovato,» sorrise compiaciuto il giovane. «Sapevo che saresti venuta qui oggi. Ti avevo vista correre nel corridoio, ero sicuro che fossi tu!»
“Di nuovo quel ragazzo,” pensò Zakuro, dimenticandosi momentaneamente di Retasu, che rimase ferma a guardare la scena. «Chi sei?» gli chiese, sentendosi a disagio.
«Ti ho cercata dappertutto, Zakuro Fujiwara,» sogghignò lui, muovendo un passo verso di lei, che lo fronteggiò a viso aperto.
«Rispondi alla mia domanda!» ripeté Zakuro.
«Attenzione, attenzione, rilevata presenza aliena!»
Mash, appena entrato da un condotto dell’aria, prese a svolazzare tutto intimorito per lo studio.
«Mash?» esclamò Zakuro stravolta, poi il suo sguardo febbrile si fermò sul suo fan. “Una presenza aliena? Possibile che… che questo ragazzo sia…?”
L’idol strinse gli occhi. Prese le affermazioni del robottino come la prova definitiva delle sue intuizioni. Senza ulteriori esitazioni, estrasse dalla tasca la sua spilla: «Mew Mew Zakuro! Methamorphosis!» gridò.
Retasu non capiva cosa stava succedendo, ma per non essere da meno decise di trasformarsi anche lei: «Dark Mew Lettuce! Metamorphosis!» recitò in tono sinistro.
Quando la trasformazione si concluse, Mew Zakuro estrasse la sua frusta, sfidando il giovane davanti a lei, che però non sembrava affatto in vena di ingaggiare un combattimento.
«Ma cosa…una mew mew?» sillabò infatti, squadrando incredulo la guerriera. «Zakuro Fujiwara…è una Mew Mew?!» ripeté allucinato, indietreggiando fino alla porta.
Mew Zakuro sgranò gli occhi, sorpresa da quel comportamento. Era sicura che lui fosse un alieno. Si era forse sbagliata? In fondo, non avevano mai avuto notizie su di una eventuale capacità degli alieni di trasformarsi in umani. Era stato il suo istinto a suggerirle che una cosa del genere fosse possibile.
In quel momento, Ai si materializzò in aria e la indicò trionfale: «Lo sapevo che eri tu, Zakuro Fujiwara!»
«Tu?!» esclamò disorientata la ragazza, guardando prima l’alieno e poi il suo fan, che sembrava sul punto di svenire dal terrore. «Ma allora non-»
La risatina di Dark Mew Lettuce dietro di lei le impedì di completare la frase. «Ehi Zakuro-oneesama! Non dirmi che credevi che quello,» disse, indicando il fan, «fosse un alieno...».
Ai e il ragazzo incrociarono gli sguardi. «Che cosa?» dissero insieme.
«U-Un alieno?» balbettò poi il fan, sempre più spaventato. «Sei un alieno vero?!»
«Ma levati di torno,»  rispose Ai annoiato, e senza troppi complimenti puntò il palmo aperto verso il ragazzino e generò un’onda di energia semitrasparente che lo scagliò via.
Il giovane batté la testa contro uno dei gradoni delle tribune e si accasciò a terra privo di sensi.
«Maledetto!» gridò Mew Zakuro all’alieno. «Come…come ti permetti?!»
«Cominciavamo ad essere in troppi,» rispose lui in tono leggero. «No, come non detto… arriva la cavalleria,» aggiunse poi a mezza voce.
Infatti, un momento dopo Mew Ichigo, seguita da Mew Mint e Mew Purin, era entrata dopo aver sfondato nuovamente la porta dello studio.
«Zakuro! Keiichiro ci ha detto che eri in pericolo!» esclamò Mew Ichigo. «Ah…Retasu?!»
«Ma che…Ai?» aggiunse Mew Mint.
«Sbaglio, o ti ho già detto di non chiamarmi per nome?» disse l’alieno, scendendo a terra e fulminandola con lo sguardo.
Dark Mew Lettuce, approfittando della sua distrazione, lo abbracciò da dietro. «Oh, tesoro, sei sempre così brontolone?» gli domandò.
«E-Eh?! E tu che cosa vuoi?!»
«Wow,» mormorò la Mew Mew oscura, ignorando le proteste dell’alieno, «il tuo corpo è molto più tonico di quello che sembra,» disse, lasciando scorrere languidamente una mano lungo gli addominali dell’alieno.
«R-Retasu! Che cosa fai?» esclamò Mew Ichigo, imbarazzatissima.
«Smettila subito!» gridò invece Mew Mint.
Ai, infastidito, si liberò con poca fatica dalla presa della mew chimero, che però parve non importarsene.
«Allora è come pensavo!» esclamò lei drammaticamente, additando Mew Mint, che arrossì.
«Che cosa vuol dire?» chiese Mew Pudding incuriosita, guardando la sua compagna.
«N-Niente!» si affrettò a rispondere lei.
«Oh, ve lo spiego io,» intervenne la mew chimero con aria divertita. «La vostra cara collega…»
«Ribbon Mint Echo!»
Dark Mew Lettuce fu costretta a interrompersi e a compiere un salto all’indietro per evitare l’attacco della sua ex-compagna.  «Ehi! Come ti permetti, piccola stupida?» replicò, materializzando un paio di nacchere nere.
Mew Mint, per tutta risposta, caricò un’altra freccia nel suo arco e si preparò a scoccarla.
«Personalmente non capisco cosa stia succedendo, ma se volete ammazzarvi tra di voi ben venga,» osservò Ai spostando lo sguardo dall’una all’altra mew mew. Poi alzò le spalle, sogghignando: «In fondo, anche se finirete per far pace, ora che conosco la vera identità di Mew Zakuro e di Mew Lettuce, per me sarà facile togliervi di mezzo… quando meno ve lo aspettate,» concluse, e si teletrasportò via.
«Oh, è andato via. Che peccato, vero, Mew Mint?»  sogghignò malefica la Mew Mew oscura.
«I-Io non so davvero di cosa tu stia parlando!» negò quella in tono a dir poco disperato.
«Minto, non dirmi che ti piace quell’Ai,» sillabò un'incredula Mew Ichigo. «Non può essere vero!»
«Parli proprio tu, dopo tutto quello che hai combinato con quel Kisshu,» osservò distrattamente Dark Mew Lettuce mentre giocherellava con una ciocca di capelli.
«Ehi, ma cosa stai dicendo? Non è vero!»
«Tu cosa, Ichigo?»
«Sbaglio,» intervenne fredda Mew Zakuro, «o stai cercando in ogni modo di seminare zizzania fra di noi, Retasu?»
«Sto solo dimostrando che siete solo delle ipocrite. Ammettetelo, non siete mai state veramente amiche.»
«Ed invece sei tu che ti sbagli!» protestò Mew Pudding. «Noi siamo amiche di Retasu!»
«Di quella stupida mocciosa? Lei è storia vecchia! Ora ci sono io!» ribatté la mew chimero. «Un essere perfetto!»
«Potrai anche essere perfetta, cosa di cui ad ogni modo dubito,» replicò Mew Mint, «ma resti sempre sola.»
«Sisi, noi invece siamo in quattro contro di te!» esclamò Mew Pudding. «E ci vogliamo bene, per cui non riuscirai mai a dividerci!»
«E’ questo ciò che ti manca Retasu, l’amicizia,» annuì Mew Ichigo, poi fece un passo verso la sua ex compagna, che la guardò storto. «Te l’ho già detto in passato, non devi dubitare di noi. Noi siamo tue amiche. Se solo…»
«Ribbon Lettuce Dark Rush!»
Mew Ichigo venne investita da una massa di acqua fangosa ed inquinata che la scaraventò all’indietro, addosso alle sue compagne, che si affrettarono a sostenerla. La ragazza tossì  per sputare l’acqua che aveva inghiottito e si tolse un’alga marcia dai capelli.
«Ahia! Retasu , per favore…!» ricominciò la mew rosa, ma quando rialzò di nuovo lo sguardo sulla sua compagna ebbe come un flashback ad occhi aperti: all’immagine della Mew Mew oscura si sovrappose quella della sua compagna, piangente e spaventata come quando lei e Mew Mint l’avevano incontrata per la prima volta nella palestra della scuola. “Un’altra visione?” si chiese la ragazza, sentendo Retasu che le chiedeva aiuto fra le lacrime.
«Retasu, torna in te! Ti prego!» supplicò allora Mew Ichigo, staccandosi dalle sue compagne e avanzando verso di lei. «Lo so che riesci a sentirmi, ti prego lotta contro il mostro che è dentro di te!»
«Idiota!» Dark Mew Lettuce sollevò di nuovo le sue nacchere. «La vecchia Retasu non esiste più! Quante volte te lo devo dire? IO SONO RETASU! RIBBON LETTUCE DARK RUSH!»
«NO!» negò Mew Ichigo. Le altre la fissavano incredule, senza sapere cosa fare. «Tu sei solo un’apparenza creata da quel ciondolo! La verità è che TU non esisti!» gridò mentre, colpita, veniva lanciata contro il muro.
«ICHIGO!» urlò Mew Mint, correndo verso di lei.
«Non è vero! Bugiarda!» strillò la mew chimero, ed alzò di nuovo le sue armi verso la mew gatto, ma Mew Zakuro e Mew Pudding le si pararono davanti per proteggerla.
«E allora dimostracelo!» disse Mew Zakuro, cogliendo la palla al balzo. «Se è vero che sei l’autentica Retasu e che non hai bisogno di quel ciondolo per esistere, allora toglitelo!»
«Toglierlo?» Dark Mew Lettuce esitò un momento. «I-Io esisto davvero! Non devo dimostrare niente a nessuno!»
«Io non ti credo!» incalzò Mew Pudding. «Secondo me hai paura!»
«Io non ho paura, razza di stupida! Guarda!» sbottò allora spazientita la mew chimero. Si strappò di dosso la croce e la gettò via. Il ciondolo rovinò  a terra con un tintinnio molti metri più in là.
Non successe niente.
Dark Mew Lettuce lanciò alle sue ex compagne uno sguardo trionfante: «Sei contenta adesso?» disse, ma un attimo dopo urlò in modo così straziante che si pentì del suo gesto. Dolorante, fu costretta a portarsi entrambe le mani alla testa. «Smettila! Smettila! Sono IO Retasu! Sono io! Io!» gridò più volte.
«Non mollare, Retasu! Torna in te, cacciala via!» la incitò Mew Ichigo.
Un turbine di luce bianca avvolse il corpo della Mew Mew oscura, che iniziò a deformarsi e ad ingigantirsi.
«Ce l’ha fatta?» domandò Mew Pudding stupita.
«Presto! Dobbiamo colpirla prima che ritorni ad essere un chimero!» esclamò Mew Mint, estraendo la sua arma.
Le altre la imitarono.
«Aspettate, non possiamo! Potremmo farle del male!» protestò Mew Ichigo. «In questo momento non ha difese!»
«Lo so ma dobbiamo! C’è in gioco la vita di tutte le persone all’interno di questo edificio e qui fuori! Se ritorna ad essere un chimero sarà la fine per loro!» esclamò Mew Zakuro, ma Mew Ichigo rimase immobile. «Ichigo! Credi che sia facile per noi?»
Il turbine di luce si fece sempre più grande, e la terra cominciò a tremare.
«Non c’è più tempo! Ichigo!» gridò Mew Zakuro, e puntò la sua arma proprio verso il centro del turbine. «Ribbon Zakuro Spear!»
«Ribbon Pudding Ring Inferno!»
«Ribbon Mint Echo!»
Mew Ichigo strinse fra le mani la sua campana, e chiuse gli occhi: «Perdonami, Retasu…» sussurrò. «Ribbon Strawberry Check Surprise!»
I quattro attacchi si scontrarono con il turbine di luce, facendolo esplodere. Il contraccolpo colpì le mew mew, che vennero spazzate via.
La luce divenne abbagliante: sembrava la fine ma, lentamente, il turbine cominciò a ridursi di volume fino a scomparire, lasciando il posto ad un’estenuata Retasu, che cadde a terra svenuta, mentre dal suo corpo usciva un chimero parassita che venne prontamente recuperato da Mash.
Era finita.
Mew Ichigo fu la prima a rialzarsi. «Retasu…Retasu!» gridò, e si precipitò dall’amica. Le altre guerriere, pur provate dalla botta ricevuta, la imitarono.

 
Frattanto, una figurina dai lunghi capelli biondi sbucò fuori da un angolo dello studio. Marie lanciò uno sguardo furtivo alle ragazze che le davano le spalle, ignare della sua presenza. “Non immaginavo che sul campo di battaglia Ichigo fosse così,” sorrise fra sé e sé. “Ho sbagliato a dubitare, è davvero lei.”
La ragazza raccolse il ciondolo di Kassandra da terra e lo strinse leggermente. «Tu ritorna dalla tua legittima proprietaria. Non è ancora il momento,» sussurrò.
Il ciondolo scomparve, e così anche lei.
 

«Retasu!» chiamò Ichigo appoggiando la testa della ragazza sulle sue gambe e  scuotendola piano per farla rinvenire.
Lei schiuse appena gli occhi, sussurrando un debole: «A-Amiche..?»
«Si è ripresa! Si è ripresa!» esclamò Mew Purin abbracciandola.
Mew Ichigo trattenne a stento le lacrime. «Scema! Ci hai fatto preoccupare da morire!»
«Lo so…mi dispiace, ragazze… n-non sono riuscita a combattere contro quella cosa dentro di me…»
Mew Mint aggrottò la fronte. «Alla fine però sei riuscita a scacciarla. E’ questo l’importante.»
«G-Grazie, Minto.»


Mentre Retasu si riprendeva, Mew Zakuro aveva raggiunto il suo fan. Il ragazzo era ancora svenuto, e Mew Zakuro si affrettò a controllare che il suo respiro e il suo battito cardiaco fossero regolari.
«Oh santo cielo, chi è questo ragazzo?» chiese Mew Ichigo quando si accorse di lui.
«E’ in questo stato per colpa mia,» spiegò brevemente la guerriera lupo. «Sembra che stia sta bene. Andate pure, ragazze. Resto io con lui.»
«Restiamo anche noi!» propose Mew Ichigo.
Mew Mint scosse la testa. «Forse è meglio se li lasciamo soli,» disse.


Qualche minuto dopo, il ragazzo strinse pigramente gli occhi. «F-Fujiwara…» sussurrò con voce flebile. Si ritrovò seduto su uno dei sedili della tribuna. Zakuro era accanto a lui e gli stava premendo una borsa del ghiaccio sulla testa.
«Ehi…tutto bene?» gli chiese.
Lui si rialzò di scatto a sedere, facendo scivolare la borsa dalle mani di Zakuro. «Fujiwara-san?» ripeté, stravolto. Si portò una mano alla testa, che aveva appena scoperto gli faceva malissimo. «Ahi…che… che è successo? Io non ricordo… C’erano dei tipi strani…le mew mew e…»
«Le mew mew?! Credo che tu abbia sognato tutto,» lo interruppe Zakuro con un sorriso. «Vedi, stavo discutendo qui con una mia amica. Ad un certo punto sei entrato e sei svenuto,» gli spiegò. «Credo sia stato a causa dello sbalzo di temperatura rispetto al corridoio esterno. Qui dentro fa davvero molto caldo,» aggiunse in tono convincente.
Il ragazzo parve incerto, ma alla fine annuì. «Yuhi,» disse dopo qualche secondo. «Mi chiamo Yuhi, Fujiwara-san,» proseguì poi. «Mi dispiace averti dato questi problemi. Io… volevo solo vederti… cioè… i-io volevo…»
«Che cosa volevi?»
«I-Io, ecco…» Yuhi tirò un grosso respiro e poi, a sorpresa, prese le mani di Zakuro fra le sue. «Fujiwara-san, io sono il tuo fan numero uno! Ti ammiro da sempre, e volevo chiederti se…se…»
Zakuro sbatté le ciglia. «Se…?»
Yuhi prese a frugarsi nella tasca. Dopo qualche secondo ne estrasse un blocchetto e una penna. «Ti prego,  puoi farmi un autografo?» chiese arrossendo.
Zakuro rimase interdetta. «Un autografo? E’ questo quello che volevi da me?»
«Però con una dedica!» specificò il ragazzo. «E senza sbagliare il mio nome, per favore….Yuhi si scrive con la h!» le tese il blocchetto, che Zakuro prese in mano sconcertata.
Yuhi sospirò, guardando la sua espressione. «Ecco, lo sapevo,» commentò, «ora penserai che sono un bambino,» concluse in tono metà scherzoso metà rassegnato. «Ehmmm...Fujiwara-san? Che cosa ti prende?!» sillabò poi sorpreso, dato che Zakuro era appena scoppiata in una risata argentina. «Oh, ecco, lo sapevo, faccio sempre figure del cavolo!» sbottò Yuhi, ma Zakuro rise più forte, finendo per contagiarlo.

 
«Non avevo mai sentito Zakuro ridere così di gusto,» sorrise Ichigo, spiando fuori dalla porta dello studio.
«Quel ragazzino, senza accorgersene, ha fatto il miracolo,» commentò Minto, trattenendo a sua volta un risolino.
«Ragazze…scusate…»
«Si, Retasu?»
«Ecco…per caso sapete dove sono i miei occhiali? Non vedo niente senza!»
«Meglio,» commentò Minto. «Vedessi come ti sei conciata…»
Retasu arrossì leggermente. «Perché? Come sono vestita? Sto...sto molto male?»
«No, no, anzi!» si affrettò a dire Ichigo. «Credo che faresti svenire tutti i ragazzi che incontri per strada.»
Retasu avvampò.
«Però stai bene con la minigonna Retasu onee-sama!» esclamò Purin.
«E’ vero, anche il trucco ti dona molto,» ammise Minto. «Però forse quella maglia è un po’ troppo scollata e… ma non ti sei messa il reggiseno scusa?»
Retasu diventò così rossa in viso da assomigliare alla bandiera del Portogallo: «VI PREGO, RIPORTATEMI SUBITO A CASA!!» strillò imbarazzata.

 
**


Intanto, nel nascondiglio degli alieni, Hiroyuki aveva appena afferrato Kassandra per il colletto del suo vestito.
«Maledetta strega, che cosa hai fatto?! CHE COSA MI HAI FATTO?!» le gridò in faccia.
Terrorizzata, Kassandra mise le mani avanti: «Ca-calmo! Perché…perché non ne parliamo?»
«Tu non hai idea della gravità delle tue azioni,» ringhiò lui, gettandola a terra.
«Hiroyuki, no, aspetta, posso spiegare!» strillò la principessa, indietreggiando da seduta verso un angolo della stanza.
«Non posso ucciderti,» ammise Hiroyuki, «ma mi assicurerò che tu non possa più fare nulla di stupido
L’alieno fece comparire fra le sue mani un grosso papiro; lo aprì ed iniziò a leggere le parole al suo interno, scritte in una lingua che Kassandra non conosceva.
Mentre Hiroyuki leggeva, un vortice di elettricità iniziò ad accumularsi nella stanza. Stava creando qualcosa intorno a Kassandra. Ma proprio in quel momento, il ciondolo a forma di croce comparve fra le mani dell’aliena che, d’istinto, scattò in piedi  e glielo puntò contro. «Hiroyuki, la tua volontà mi appartiene! Tu devi eseguire i miei ordini ed io ti ordino di fermarti!» ordinò la principessa.
Rispondendo al comando, il ciondolo emise una luce bluastra che avvolse Hiroyuki.
Lui lasciò cadere il papiro, che si dissolse nel nulla prima di toccare terra, e rimase immobile. L'elettricità scomparve, e lo sguardo dell'alieno tornò ad essere vuoto e freddo come sempre.
Kassandra rimase ferma in quella posizione fino a che non fu sicura che il pericolo fosse passato. «Che razza di rischio ho corso,» mormorò alla fine. «Ma come ci è arrivato qui il mio ciondolo?» Se lo rimise al collo, nascondendolo sotto la camicetta. «Beh, meglio così!» sorrise, e si allontanò da Hiroyuki. Nel passargli davanti, gli mise una mano sulla faccia e fra i capelli, spettinandoglieli mentre lo oltrepassava.
Lui non fece una piega.


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Capitolo 25
*** L'Ordine di Ra-Hu (pt.2) ***


24 12/10/2014: (Stavolta le note introduttive sono musicali?)
Io amo la musica e non riesco a fare a meno di ascoltarla anche quando scrivo. D: Se dovessi pensare ad una canzone da abbinare a questa fanfic, allora sarebbe: No Differences di Aimee Blackschleger . E' davvero bellina!
Della stessa raccolta, mentre scrivo sento spesso anche AL°C@ . The Call to Arms parla di alieni che vogliono conquistare la Terra e lollo sempre tantissimo quando la ascolto. (Amo le OST di Hiroyuki Sawano. Peccato che non abbia mai il tempo di guardare gli anime da cui sono tratte.)



- Capitolo 24: L'Ordine di Ra-Hu #2 - 


Imago e Chris conclusero la loro "missione di spionaggio" appena in tempo. Infatti, incrociarono Kell mentre stava tornando al lavoro quando ormai erano già ben lontane dalla sua stanza.
L’alieno le oltrepassò guardandole male, ma non disse nulla. Le due aliene dettero insieme un sospiro di sollievo e tornarono dagli altri.
«Che state combinando?» chiese loro Taruto, che era stato in parte messo a corrente della situazione da Pai appena in tempo e solo perché altrimenti avrebbe fatto saltare la loro copertura.
«Pessime novità, fratellino,» rispose Imago, guardandosi intorno. «Dov’é Kisshu?» chiese poi, aggrottando la fronte.
«Giusto un attimo fa la madre di Kell è entrata, l’ha visto e si è infuriata con lui. Non ha ancora digerito il fatto di ieri notte. L’ha buttato fuori e gli ha detto di non farsi vedere…ora lei è uscita con quella rompiballe di Belle. A parte lo scienziato pazzo, siamo soli in casa.»
Mentre Taruto finiva di parlare, Imago assunse un’espressione sconsolata, che però non era neanche lontanamente confrontabile con quella di Chris, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Pai lo notò, e per questo le chiese, piuttosto brusco:
«Che ti prende?»
L’aliena, per tutta risposta, gli tese il foglietto con l'immagine dell’iscrizione. Pai la prese e gli diede un’occhiata, poi corrugò la fronte.
«Che cos’è?» chiese Taruto, galleggiando sopra la spalla del fratello per sbirciare la stampa. «E’ un disegno?»
Pai rimase fermo a lungo a guardare quei segni antichi senza rispondere. Non conosceva il loro significato, ma gli erano in qualche modo familiari.
«Solo come il principio della luce che splende, e di lì fino al vespro,» recitò Imago davanti a lui. «E’ la lingua che usava il nostro popolo quando era ancora sul Pianeta Azzurro,» spiegò poi. «Nessuno la usa più ormai. Mia madre però ha sempre insistito per farla imparare a me e alle mie sorelle, quando eravamo piccole. Diceva che era importante.»
«Capisco,» mormorò Pai passandole la stampa.
Nel mentre, Chris si era lasciata cadere a peso morto sul divano bianco e si era nascosta il viso fra le mani. Aveva preso a singhiozzare. Pai lasciò perdere Imago e si girò verso di lei: non sapeva perché si stava comportando così né che cosa doveva fare lui, ma alla fine decise di andare a sedersi accanto a lei. Strinse una mano sulla spalla di Chris. Non ne era molto sicuro, ma sperava che questo riuscisse a farla stare meglio.
«Perché proprio lui, perché?» gemette l'aliena con voce spezzata, accasciandosi contro il suo petto e lasciandolo per un attimo stupito.
«Puoi spiegarmi che cosa succede?» le chiese lui alcuni secondi dopo in tono calmo ma deciso.
«L’Ordine di Ra-Hu…Ally fa parte dell’Ordine Sacro di Ra-Hu…»
«L’Ordine di cosa?» si intromise Taruto.
Imago alzò le spalle. «Non lo so, ma ha scritto che si fidano di lui.»
«Cos’è, Chris?» domandò Pai, ma lei non riuscì a rispondergli: le lacrime glielo impedivano.
«Avanti, non fare così. Non è da te,» cercò di consolarla l’alieno. Dopo quello che era successo quella notte fra lui e Chris si sentiva responsabile per lei, ma non sapeva bene come ci si dovesse comportare in situazioni del genere, anche perché la sua preoccupazione per il suo amico d’infanzia aumentava in proporzione con la disperazione di Chris.
«S-Si, s-scusami…» annuì lei, strofinandosi gli occhi come una bambina.
«Ehi, amica mia, ti va di raccontarci quello che sai su questo misterioso Ordine?» le chiese cauta Imago, avvicinandosi.
Lei annuì. «E’…è una setta segreta, nata molto tempo fa. Pensavo fosse una leggenda ed invece…» si asciugò un’altra goccia di pianto.
«Mai sentita,» ammise Pai. «Di cosa si occupa?»
«Ne fanno parte coloro che attendono il risveglio del Messia. Vedete, i membri dell’Ordine di Ra-Hu credono noi siamo destinati a tornare sul Pianeta Azzurro. Credono che da qualche parte ci sia un Messia che, giunto il momento, si mostrerà e ci permetterà di ritornare nel paradiso terrestre da cui siamo stati cacciati.»
«Hm…non è una cosa poi così brutta,» osservò Taruto grattandosi la testa.
«Questa loro convinzione è basata sulla fede oppure c’è qualcosa di più?» domandò invece Pai.
«In passato furono scritte delle profezie a riguardo. Purtroppo, nel corso del tempo, sono andate perdute con il resto delle nostre conoscenze,» spiegò Chris.
«E chi dovrebbe essere questo Messia?» chiese Taruto, curioso.
Pai, che fino a quel momento era stato chino su Chris, ebbe come un sussulto. Alzò la testa verso il fratello minore e attese molti secondi prima di essere sicuro di voler davvero esternare i suoi pensieri. «Profondo Blu,» scandì infine in tono grave.
«Cosa? Profondo Scemo era il Messia?»
«Messia? Per me era solo un pazzo furioso,» osservò Kisshu, materializzandosi in quel momento nella stanza. Seduto con le braccia dietro la testa, galleggiando a un metro da terra, lanciò un’occhiata in giro. «Salve… mi sono perso qualcosa?»
«Per ora un’iscrizione misteriosa, una setta millenaria e una profezia perduta,» rispose Imago, andandogli vicino, un poco più sollevata. «Ma sembra che non sia finita qui.»
«No, infatti,» disse Chris, staccandosi da Pai e asciugandosi le ultime lacrime. Quando riprese a parlare, sembrava essersi completamente ripresa dal suo shock. «Vedete, la verità è che l’Ordine di Ra-Hu non si limitava soltanto attendere il risveglio del Messia. Nel corso dei secoli ha sempre tentato di stimolarlo. Ufficialmente, Profondo Blu è apparso a noi di sua spontanea volontà e ci ha promesso di riconquistare il Pianeta per noi, ma io sono sicura che sia stato proprio l’Ordine ad evocarlo e a mandarlo sul Pianeta Azzurro. Sono potentissimi, e sono dappertutto. Ma in realtà il Messia non era Profondo Blu…»
«Non lo era?»
«No, anche se probabilmente in un primo momento tutti hanno pensato che fosse così. Ma il Messia in cui crede l’Ordine è un essere assolutamente invincibile e dai poteri immensi, in grado di sradicare ogni briciola di corruzione dal Pianeta Azzurro… Profondo Blu, invece, è stato sconfitto.»
«Aspetta un momento,» la interruppe Kisshu. «Che cosa intendi per sradicare
«E’ molto semplice. Ormai il Pianeta Azzurro è troppo inquinato, e sterminare la razza umana non risolverebbe il problema. L’Ordine di Ra-Hu crede che il Messia sia in grado di disintegrare l’intero strato superficiale del pianeta, portando così alla luce quello inferiore, ancora incontaminato. Ciò permetterà al pianeta di rigenerarsi e ritornare al punto di partenza. Non appena la crosta superficiale si sarà stabilizzata e si saranno formate nuove terre, tutto sarà nuovo e puro come lo era in principio…e si potrà ricominciare tutto daccapo.»
«Quindi il Messia distruggerà la Terra? E tutti gli esseri che la abitano? Animali, piante, insetti…umani…?!»
«Si. E l’Ordine di Ra-Hu cerca di risvegliarlo per farglielo fare. Ally è uno di loro…»
«E’ terribile, davvero…» sussurrò Imago.
«Se disintegrasse la crosta continentale terrestre, le acque ricoprirebbero tutto e ci vorrebbero milioni di anni per far tornare il pianeta abitabile. Nel mentre, la nostra stirpe continuerebbe a marcire qui,» osservò giustamente Pai. «Siamo già ridotti al limite: finiremmo per estinguerci prima che la Terra sia pronta. E questo Alan lo sa benissimo: è vero che desidera tornare sul nostro pianeta d’origine, ma è troppo intelligente per volere una cosa del genere.»
«Ma lui non è più lo stesso!» obiettò Chris. «L’Ordine deve aver notato le sue potenzialità come scienziato e deve aver fatto leva sulla sua voglia di riconquistare il pianeta per convincerlo ad unirsi a loro. Scommetto che a quel punto gli hanno fatto il lavaggio del cervello. Ricordi quando voleva uccidere quel giovane soldato? Il nostro amico non si sarebbe mai comportato così! L’avevano già preso a quel tempo. Come ho potuto non accorgermene?»
«Hm,» mugolò Pai. Quello che diceva la sua amica non era così logico come lei voleva farlo sembrare. E’ vero che Kell si era comportato in modo strano nei riguardi di quel nibiriano, ma era anche vero che, se il giovane avesse rivelato a qualcuno che Kisshu, Imago e Taruto erano ancora vivi, tutti loro sarebbero stati condannati a morte e la sua famiglia sarebbe stata sterminata. Non poteva dar torto a Kell se aveva desiderato di chiudere la bocca per sempre a quel soldato.
«Scommetto che gli hanno fatto credere di essere uno degli Eredi,» incalzò Chris.
Taruto inclinò la testa. «Chi?!»
«Non lo sai? Si crede che siano le reincarnazioni di coloro che governavano anticamente sul Pianeta Azzurro. Sono esseri dotati di una forza, conoscenza e intelligenza superiore alla media. Si dice che siano immortali e che per questo siano destinati a ripopolare il Pianeta Azzurro.»
«Sono solo vecchie leggende, Chris,» osservò Pai.
«Anche l’esistenza dell’Ordine lo era.»
«C’è una cosa che mi sfugge, Chris,» intervenne Kisshu, posandosi a terra davanti a lei. «Hai detto che quest’Ordine Mu-Mu…»
«Ra-Hu, scemo,» lo corresse Imago con un mezzo sorriso.
«Si insomma c’è questa setta di esagitati, che è segreta.»
«Sì.»
«Mi spieghi come fai tu a sapere tutte queste cose su di loro?»
«Me le ha dette Alan stesso,» rispose Chris alzando le spalle. «Vedete, fin da piccolo lui si interessava alle antiche storie, gli piacevano. Tempo fa mi raccontò che aveva scoperto la leggenda di un gruppo di indemoniati che voleva distruggere la Terra… ne parlava ridendo. Non potevo immaginare che un giorno sarebbe entrato a farne parte.»
Detto questo, l'aliena si rialzò mesta in piedi.
«D’accordo, allora… esiste quest’Ordine di pazzi e Kell ne fa parte… ma non ho ancora capito che cosa è quella cosa che sta stringendo fra le mani la mia compagna,» chiese Kisshu, indicando la foto dell’antica iscrizione.
«Questa scritta é all’interno di uno strano oggetto nella stanza di Alan, una specie di croce,» gli spiegò Imago, mostrandogliela.
«Era lo stesso oggetto che ero andata a prendere al laboratorio di Orion,» proseguì Chris. «Sembra che sia una chiave e che per l’Ordine sia importantissima. Sto cominciando a credere che sia la Chiave per risvegliare il Messia.»
A quelle parole, Kisshu ghignò. «Ma allora è semplice!» Prese la stampa dalle mani di Imago e la strappò. «Troviamo quell’oggetto e distruggiamolo. Togliamolo di mezzo, così nessuno riuscirà mai a risvegliare roba strana.»
Kisshu lanciò in aria i minuscoli frammenti del foglio che aveva strappato e, usando i suoi poteri, diede loro fuoco.
«No, non credo che sia una buona idea,» ammise Chris. «Probabilmente, anche senza la Chiave, prima o poi quelli dell’Ordine troveranno un modo per portare a compimento i loro piani, e poi non dimenticare che le antiche profezie-»
«La profezia!» esclamò Imago di colpo, attirando l'attenzione di tutti su di lei.
«Eh..?»
«Chris, le profezie di cui parli…ne conosco una! E’ la mia canzone!»
Kisshu strinse gli occhi, cercando di ricordare: «Quella che hai cantato quando ci siamo conosciuti?» chiese. Senza volerlo, la voce argentina della ragazza gli risuonò nella mente:

Era una notte nera, quando un mago potente disse,
guardando dal basso il cielo, e le stelle fisse:
Al mondo verranno tre sorelle.
Alla prima, destinata dalle stelle,
per conquistare di tutti anima e cuore
di un grande dono avrà onore:
di angelico viso e splendida bellezza
sarà portatrice. Priva di purezza,
ma non di altro, non certo intelligente
sarà la seconda, di cui corpo e mente
di uno può far suo, che in eterno sarà di lei.
Nata per ultimo è infine colei
Che degli altri non può far suo che l’aspetto
Ma per il suo animo si deve aver rispetto.
Fra le tre è l’unica perseguitata...

«Si,» annuì Imago. «Proprio quella. Però, vedi… quella strofa era parte di un testo molto più lungo. Noioso. E senza rime. Mi sono divertita a tentare di trasformarlo in canzone quando non sapevo come passare il tempo in prigione,» ridacchiò imbarazzata. «Ma non è questo il punto. Le parole che fanno parte di quella cosa sono antichissime: la mia famiglia se le è tramandate per non so quante generazioni e hanno costretto anche me e le mie sorelle ad impararle a memoria. E’ una specie di poesia, e ad un certo punto parla anche di un Messia…»
«Davvero?»
«Sì! Non ricordo cosa diceva all’inizio, ma dopo aver narrato di noi tre sorelle, racconta di quanto è brutto questo pianeta e di quanto era luminoso il Pianeta Azzurro. E poi dice questo:

E così, dopo secoli e millenni
Giunge, infine, il momento
Il Messia risorge dal suo sonno
Non si può evitare.
Gli angeli non avranno più potere
Le anime maligne ne sono assetate
Esse provengono dal puro male
Profondo come l’oceano più scuro.
Il cerchio è destinato a riaprirsi
Perciò in guardia, o posteri
Da ciò che vive al di sopra
Dell’antico cammino di vita e di morte!

La chiave di tutto è l’incrocio
Quando lontani il primo e l’ultimo
Riusciranno a guardarsi negli occhi
Il suo nodo sarà già stato sciolto.
Destinata, creatura scelta
Non temere di donare il buio
 Perché la Luce sarà nelle tue mani
E sarai sola, quando:
Gli angeli saranno per sempre assopiti
Le prescelte troveranno la via
Che i cavalieri avranno aperto
Comprendi dunque queste parole.»
 
«Imago, che cosa significa che non ricordi cosa diceva all'inizio?»
«Ecco, è che… le altre parti erano così noiose che le ho dimenticate.»
«Stai forse dicendo che ti è stata affidata una conoscenza vecchia milioni di anni, e tu l’hai dimenticata perché era noiosa?» domandò Pai con calma.
«Uhm…» Imago aveva come il presentimento che, se avesse annuito, sarebbe stata fulminata dal ventaglio dell’alieno.
«Beh, comunque sia mi piaceva più con le rime,» borbottò Kisshu per sciogliere la tensione.
«Queste strofe mi sono tornate in mente perché anche sulla Chiave c’era scritto ‘La chiave di tutto è l’incrocio.’ Ecco perché quando l’ho vista mi ha ricordato qualcosa,» concluse Imago.
«Uh, chissà cosa significa il resto,» si domandò Kisshu.
«Me lo sono sempre chiesta anche io,» gli fece eco l'aliena dai capelli arancioni.
«Io mi preoccuperei più per la parte che dice che non si può evitare questo Messia,» osservò Chris.
Pai scosse piano la testa con aria pensierosa. «Io invece non comprendo il collegamento del Messia con le tre sorelle.»
«Due, Diya è morta,» disse Imago con voce piatta.
«Una, anche Kassandra lo è,» precisò Chris.
«C-Che cosa?»
«Mi dispiace dirtelo così, Ima. Ma poco tempo dopo la sua partenza, il team che si occupava del monitoraggio della sua nave ha perso ogni contatto con lei. Si è concluso che la sua nave è esplosa nello spazio.»
Imago divenne pallida.
Kisshu aggrottò la fronte. «Pai, tu lo sapevi?»
«Era un’informazione riservata,» annuì lui. «E non volevamo… ferirla,» aggiunse poi.
Ed infatti Imago, che aveva appena iniziato a riprendersi dalla morte di Kassidiya, a causa delle novità su Kassandra era nuovamente ricaduta in uno stato di shock. Stavolta, però, non pianse. Raggiunse solo uno dei cuscini a terra e si sedette lì.
«Sto bene,» sussurrò a Kisshu, che l’aveva subito raggiunta. «Va tutto bene.»
Pai guardò seccamente Chris. «Perché glielo hai detto adesso?»
Lei sollevò appena le spalle. «Doveva saperlo prima o poi.»
«Bah.»
Pai decise di lasciar perdere ogni ulteriore commento su quella cosa. Si rimise in piedi e fece qualche passo nella stanza, pensieroso. La sua mente era andata in un overload di informazioni, ma sentiva che c’era qualcosa di quella storia che gli stava sfuggendo. Qualcosa che riguardava Kassidiya…

«P-Pai. Non lasciarmi da sola. TI SUPPLICO, NON LASCIARMI SOLA CON LEI!»
«Lei chi? …Chi, Kassidiya? C’è qualcun altro in questa stanza? Rispondi!»
«Lei…»
«Quello è uno specchio, Kassidiya.»
«NO! E’ UN DEMONE! E’ me ma non sono io! Dice che mi ucciderà! Dice che mi sta uccidendo! M-Mi sta uccidendo…Pai, io… io sto morendo.»

Queste erano state alcune le ultime parole sensate che la Sovrana gli aveva rivolto prima di addormentarsi. Pai intuì che tutto questo fosse collegato.
“Lei lo sapeva…” pensò, mordendosi un labbro. “Lei lo sapeva che sarebbe morta… sapeva di avere uno spirito dentro di lei… maledizione!” Strinse i pugni. «E’ Kassidiya il Messia…» dichiarò.
«Kassidiya?» protestò Kisshu. «Ma…»
«Lei…ha tentato di dirmi qualcosa, prima di…»
«No, Pai. La sorella di Imago è morta.»
«No, si è addormentata. Ed ora sta dormendo… perché deve risvegliarsi come Messia.» 
Chris ci pensò su. «Potrebbe essere,» ammise alla fine.
«S-Scusate, ma allora se mia sorella è malvagia, vuol dire che anche io lo sono?» osservò Imago, sempre più rattristata da quella discussione.
Kisshu alzò gli occhi al cielo. «Dolcezza,» le disse, scompigliandole i capelli, «senza offesa, ma tu non sei fatta per essere malvagia.»
Questo parve tirare un po’ su di morale Imago.
«Non cominciare a pensare cose sciocche, ragazza,» commentò Pai. «Nessuno ti dice che tu sia collegata al resto della profezia. Non parla di sorelle in quest’ultima parte che hai recitato.»
«In conclusione, che cosa facciamo?» sbadigliò Taruto, annoiato.
«Dobbiamo prendere una decisione,» rispose Chris. «E se…e se provassimo a risolvere il mistero di questa croce antica? Serve per risvegliare il Messia, no? Scopriamo come funziona e fermiamo il processo. In questo modo, salveremo il nostro pianeta d’origine dalla distruzione…e Ally…»
«Quando ero una bambina,» disse Imago, «mia madre diceva che io e le mie sorelle eravamo destinate a grandi cose… io accetto la proposta di Chris!»
«D’accordo, anche noi tre,» annuì Kisshu, rialzandosi. «Ah, Ima, mi fai vedere il cristallo che ti ha dato Chris?»
«Uh? Eccolo, perché?»
«Perfetto.»
Kisshu prese dalle mani di Imago il cristallo sperimentale e lo lanciò a Taruto che, colto di sorpresa, per poco non lo lasciò cadere a terra.
«E-Ehi,» balbettò Imago, confusa, «ma cosa…wha?!»
Prima che potesse terminare la frase, l’alieno dagli occhi dorati l’aveva sollevata di peso e se l'era caricata sulle spalle.
«Spiacente, dolcezza: tu non andrai da nessuna parte,» sogghignò, portandola via.
«Ehi, Kisshu, lasciami subito! Lasciami andare!» protestò Imago. «Lasciami! Hai capito? Non hai il diritto di farmi questo!»
«No, no, no, si, forse no ma non me ne importa,» rispose Kisshu in sequenza senza fare una piega. «Spiacente mia piccola intrepida principessina, ma è troppo pericoloso.» Poi, dato che Imago non la smetteva di ribellarsi, aggiunse: «L’hai detto tu stessa: angeli che dormono, mostri assetati di sangue, messia psicopatici, tu resti qui e niente storie!»
L’aveva portata nella sua stanza. La gettò sul letto, le voltò le spalle, e prima che lei potesse rialzarsi e andargli dietro uscì fuori e la chiuse dentro.
«Non puoi farmi questo, Kisshu!» strillò Imago dall’interno della stanza.
«Oh si che posso, piccola!» replicò lui sogghignando. «L’ho già fatto!»
«Ti odio!»
«Oh, non mentire: lo so che mi ami!»


Quando pochi secondi dopo Kisshu tornò dai suoi compagni, li trovò che stavano confabulando fra di loro. «Dunque, qual’è il piano?» chiese.
«Kassidiya è nel luogo più sorvegliato del Palazzo, protetta da decine di guardie, e probabilmente anche da membri dell’Ordine,» spiegò. «Per questo motivo dobbiamo per forza concentrarci sulla Chiave. Fra poco Ally andrà al suo laboratorio al Palazzo, e sicuramente la porterà con sé. Al Laboratorio però sarà impegnato con altre cose, per cui noi andremo lì e, approfittando della sua distrazione, gliela ruberemo. Risolviamo il mistero, scopriamo in che modo quei folli vogliono risvegliare il Messia e lo neutralizziamo per sempre. Ci stai?» chiese, tendendo la mano in direzione di Kisshu.
«Certo! E’ perfetto. Allora andiamo!» esclamò Imago, stringendo la mano di Chris.
«Sapevo di poter contare su di te, sorella,» sorrise lei.
A vedere Imago lì, la mandibola di Kisshu sfiorò la terra. «E tu che ci…»
Imago gli mostrò uno dei cristalli sperimentali: il suo, che lei era riuscita a rubargli dalla tasca mentre lui la stava portando sulla spalla. «Cerchi questo?»
Gli occhi dorati di Kisshu brillarono per un momento. «Mi arrendo, piccolo demonietto maligno, vieni anche tu,» sospirò alla fine, riprendendosi il cristallo dalle mani dell'aliena sorridente.


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Capitolo 26
*** OoP.ArtS ***


25 15/10/2014: Ho cercato di sfoltire un po’ queste pagine togliendo nomi ed informazioni inutili.
Ah e ho aggiunto un po’ di distruzione e di yuri.
Lo yuri è molto importante.



- Capitolo 25: OOPARTS -



Ichigo entrò nel cortiletto del Cafè Mew Mew e trattenne a stento l’istinto di gettarsi su uno dei letti di fiori nelle aiuole e crollare addormentata lì. Le sue compagne la seguirono a ruota, chi più chi meno provata.
L’ultimo combattimento era stato davvero duro per loro, non tanto per la battaglia in sé quanto per la preoccupazione e l’ansia che avevano vissuto nell’essere costrette a combattere contro una di loro.
Retasu, l’unica che sembrava in piena forma, stava ancora lottando contro i sensi di colpa per non essere stata in grado di scacciare sin da subito il chimero dal suo corpo. Non ricordava molto di ciò che aveva combinato quando era sotto il suo controllo, e forse era meglio così.
Le cinque si diressero verso l’ingresso del locale, ma si fermarono non appena si accorsero della persona educatamente seduta su una delle panchine lì accanto.
«Welcome back,» le salutò Marie, storcendo la bocca in un sorrisetto, «my dears.»
Lo strano tono di voce della straniera fece rabbrividire Ichigo. «Ma…Marie!» le disse, mentre le sue compagne si lanciavano degli sguardi inquieti. «Che cosa ci fai ancora qui?»
La biondina, che aveva ancora indosso la divisa scolastica, si alzò dalla panchina e le mostrò alcuni tomi voluminosi che aveva portato con sè. «Ichigo, te l’avevo detto che sarei tornata per studiare con te,» le rispose con calma.
La ragazza gatto mosse un passo indietro: non capiva perché, ma si sentiva molto nervosa. «Stu…studiare? Ma…ma ormai è sera!»
«I know. Ma io ho preso questo impegno e voglio mantenerlo.»
Presa in contropiede, Ichigo non riuscì a pensare a qualcosa da replicare alla sua compagna di classe. Se l’avesse mandata via di nuovo con una scusa, lei si sarebbe offesa sicuramente. O, peggio, avrebbe potuto insospettirsi.
«Fai una cosa, Ichigo,» le sibilò piano Minto all’orecchio. «Resta qui con lei a studiare una mezz’ora per accontentarla. Avvisiamo noi Ryo.»
«Ma…»
«Sono d’accordo,» annuì Zakuro, sempre a bassa voce. «Ci raggiungerai nel sotterraneo non appena avrai finito. Devi solo farmi il favore di tenere d’occhio quella ragazzina: ho come l’impressione che nasconda qualcosa.»
«Va bene…capito…»
«Bene, allora buono studio, ragazze!»
Minto diede un colpetto leggero sulla spalla dell’amica e poi, insieme a Zakuro, Retasu e Purin, superò Marie ed entrò nel locale, scomparendo oltre la porta d’ingresso.
Marie non le guardò nemmeno, ma si rivolse direttamente ad Ichigo. «So?» le chiese.
«So, le mie amiche hanno del lavoro da sbrigare, ma noi due possiamo restare qui a studiare su uno dei tavoli del locale. Ti dispiace?»
«No problem.»
«Però non vorrei metterci troppo,»  aggiunse Ichigo speranzosa.
«Oh, don’t worry,»  sorrise Marie. «Faremo molto presto.»
 

**

 
Ichigo non era sicura di aver fatto bene ad accontentare Marie.  Seduta su uno dei tavolini del locale vuoto, continuava a pensare solo al suo letto. Davvero, le sembrava trascorso un secolo dall’ultima volta che si era arrotolata al calduccio fra le coperte. Quella mattina aveva anche dovuto alzarsi prestissimo per andare a lavorare. Questa volta, Ryo non l’avrebbe passata liscia: le avrebbe pagato gli straordinari e anche una vacanza extra.
Marie, seduta di fronte a lei, iniziò a sfogliare con aria pensosa uno degli grossi libri che aveva portato, attirando la sua attenzione.
«Ehm,» mormorò imbarazzata la ragazza dai capelli rossi. «Allora, che cosa avete fatto nei giorni in cui sono stata assente? Ancora quella stupida filosofia?»
Marie annuì distrattamente e continuò a sfogliare le pagine del suo libro.
«Si, abbiamo parlato di Platone,» disse alla fine. «E’ un antico filosofo… difficile che lo trovi sui tuoi libri…he’s from Greece
Ichigo aveva accettato da tempo l’idea di non avere più una vita normale, ma in quel momento si chiese perché non poteva  avere almeno un professore normale. Sospirò. «Cosa devo sapere di lui?»
«Credo che sia molto importante che tu sappia cosa scrisse Platone nel Timeo. Sai, per l’interrogazione,» disse Marie, ponendo molta enfasi su quell’ultima parola. Poi, trovata finalmente la pagina che cercava, iniziò a leggerla ad alta voce.
Il libro era in una lingua che Ichigo non conosceva ma la straniera, leggendo, scorreva rapidamente il dito da un punto all’altro del brano e traduceva al volo per lei dei passaggi che aveva evidenziato con una velocità e una precisione sorprendenti. 
Le parole di Marie furono più o meno queste:

“In Egitto, vi è un distretto denominato Saitico, la cui capitale è Sais.
Solone, giunto in quel luogo, venne accolto con grandi onori, ma quando chiese ai sacerdoti più preparati informazioni sui fatti antichi, scoprì che né lui né nessun altro greco era al corrente di tali fatti. E allora per spingerli verso questo argomento, cominciò a parlare di quei fatti che qui si pensa che siano i più antichi, e narrò del primo uomo e del Diluvio.
Ma a quel punto un anziano sacerdote si alzò e disse: - Solone, voi Greci siete sempre dei bambini...siete tutti giovani, nelle anime, perché voi non conservate nessuna antica credenza, nessuna conoscenza maturatasi nel corso delle età.
Il genere umano è stato e sarà ancora sterminato per innumerevoli ragioni. Voi ricordate un solo diluvio della Terra, ma in realtà ce ne sono stati molti,  ed inoltre non sapete che nella vostra regione ha avuto origine la stirpe più onorevole e più nobile di uomini. Dicono infatti le scritture quanto grande fu quella potenza che la vostra città sconfisse, la quale invadeva tutta l’Europa e l’Asia nel contempo, provenendo dall’Oceano Atlantico. Allora infatti quel mare era navigabile, e davanti all’imboccatura che voi chiamate colonne d’Ercole, c’era un’isola, così grande che puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente. In quest’isola di Atlantide regnava una potente e meravigliosa dinastia regale…
Atlantide tentò di conquistare con un solo assalto la vostra regione, la nostra, e ogni luogo che si trovasse al di qua dell’imboccatura. Fu in quella occasione, Solone, che la potenza della vostra città si distinse per virtù e per forza dinanzi a tutti gli uomini. In seguito, però, avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro esercito sprofondò insieme nella terra; allo stesso modo l’isola di Atlantide scomparve, sprofondando nel mare…”
 
Marie smise di leggere e lanciò ad Ichigo un’occhiata significativa, ma scoprì ben presto che la rossina stava fissando il libro con un grosso punto interrogativo che le lampeggiava a scatti sopra la testa. Allora sfogliò altre pagine e tradusse per lei degli stralci di un’altra opera di Platone, il Crazia:
 
“Poseidone, che aveva ricevuto l'isola di Atlantide in sorte, vi stabilì i propri figli, generati da una donna mortale. Questi abitarono qui con i loro discendenti, esercitando il comando: la loro stirpe fu numerosa e onorata e preservò il regno per molte generazioni, acquistando ricchezze in quantità tale quante mai ve n'erano state prima in nessun dominio di re, né mai facilmente ve ne saranno in avvenire.
Molte risorse provenivano loro dall'esterno, ma la maggior parte le offriva l'isola stessa: sia tutti i tipi metalli - fra cui anche quello del quale oggi si conosce solo il nome, l'oricalco, che era il più prezioso -, sia tutto ciò che offrono le foreste.
Per molte generazioni, finché fu abbastanza forte in loro la natura divina, avevano pensieri veri e grandi in tutto, e usavano mitezza e saggezza negli eventi che di volta in volta si presentavano e nei rapporti reciproci.”
 
La giovane si interruppe di nuovo quando sentì Ichigo sbadigliare vistosamente. La guardò con un’espressione a dir poco sconvolta e lei arrossì.
«Ah, e-ehm, scusami! E’ che, sai, oggi ho avuto davvero una giornataccia…ehm…stavi dicendo?!» ridacchiò imbarazzata la rossina.
«Stavo dicendo,» ripeté Marie, leggermente irritata dall'ottusità di Ichigo, «che Platone sosteneva che molto tempo fa sulla Terra esisteva una civiltà chiamata Atlantide. Era molto avanzata e i suoi regnati erano saggi e giusti, ma…» chinò di nuovo la testa sul libro «…quando l'elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere umano prevalse, e allora degenerarono.  A quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, ma agli altri apparvero bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un castigo. Convocò gli dei tutti, e poi, disse...»
«Che disse?»
«No one knows it. Il Crizia si interrompe qui. Ma non è importante: la storia la conosciamo tutti…»
Ichigo aggrottò la fronte, incerta.
«Non fare quella faccia: l’ho letto prima, un cataclisma distrusse Atlantide e sconvolse tutto il pianeta.»
«Ah, si? Bella favola!» ironizzò Ichigo, per poi deglutire.
C’era qualcosa di strano in Marie. Improvvisamente, quella ragazza riusciva a parlare un giapponese perfetto…
La biondina richiuse il libro e vi sbatté la mano sopra.
«Ascolta, qui si parla della furia degli Dèi, ma in realtà la fine dell’Antico Impero fu dovuta ad altro!» esclamò spazientita. Ichigo scattò in piedi d'istinto e Marie la imitò.
«E’ accaduto così: quando la stella Bal[1] cadde là dove ora non c’è che mare…le Sette Città tremarono con le loro porte e i loro templi. Gli uomini, spaventati, si ripararono nei templi e nel palazzo del re. Il re disse: -Forse non l’avevo annunciato?- e gli uomini e le donne vestiti con abiti preziosi e adornati con preziosi gioielli lo implorarono e lo pregarono di salvarli. Ma il re predisse loro che sarebbero morti, con i loro schiavi e loro figlie, e che dalle loro ceneri sarebbe sorta una nuova razza umana.»
«Co-cosa stai dicendo, Marie?» balbettò Ichigo sempre piu' spaurita, indietreggiando fino a toccare il muro con le spalle. Non sapeva perché era così terrorizzata: Marie era solo una sua compagna di classe. Era una ragazza bassa e dall'aria fragile e non era un mostro né un alieno. Perché le incuteva un tale timore?
La straniera, rossa in viso, raggiunse Ichigo e posò le mani sulle sue guance. Si portò piu' vicina a lei, così tanto che le ciocche dei suoi capelli biondi solleticarono il viso della rossina. «Volevo spiegarlo con le parole, ma forse è meglio che te lo mostri,» disse in un sussurro.
Si alzò in punta di piedi e avvicinò il volto a quello dell'altra ragazza. Lei pensò che stesse per baciarla e iniziò a mugolare parole imbarazzate e senza senso, ma un attimo dopo si accorse che Marie aveva solo premuto la fronte contro la sua.
All’inizio, Ichigo non capì che cosa le stava succedendo, ma un attimo dopo vide.
Vide gli antichi abitanti della Terra e le città meravigliose in cui abitavano; sorrise alla gentilezza del loro sguardo e ascoltò le risate dei loro bambini che giocavano. Il sole era caldo e si rifletteva sui vetri colorati e sulle pareti d'oro degli edifici, facendoli luccicare.
Ichigo si sentì felice.
Poi, però, le cose cambiarono, e Ichigo vide la guerra, la decadenza e il dolore. Vide un uomo povero e malato, accasciato contro un muro sporco, sollevare debolmente un braccio e puntare un dito verso il cielo. Tutte le persone intorno a lui si fermarono e guardarono nella direzione che indicava.
C’era un oggetto che stava precipitando giù dal cielo. Nessuno sapeva cosa fosse, così tutti rimasero fermi a guardare. L’oggetto si schiantò da qualche parte in lontananza, facendo tremare la terra. Fu un attimo: l’onda d’urto travolse tutto e fece spaccare i vetri e scoppiare le case. In pochi secondi, gli alberi e le persone bruciarono, gli edifici crollarono l’uno addosso all’altro. Un
fumo nero e denso si riversò nelle strade. Ichigo vide tutto, ma non riuscì ad aiutare nessuno.
Non ci furono sopravvissuti.
Poi venne l’acqua, che scaraventò via ogni cosa e sommerse la terra.
Non fu solo una città: l’intero continente venne scosso da quel disastro.  Ichigo vide le terre sprofondare e il clima cambiare. Vide il cielo oscurarsi e non sentì più nulla, perché tutto divenne silenzioso. E poi iniziò a piovere. Piovere, piovere, piovere.
Fra le lacrime, Ichigo vide delle navi spaziali bucare la coltre di nubi e scomparire. Non erano gli abitanti del continente colpito dal disastro: erano uomini che avevano avuto la fortuna di nascere dall’altra parte del pianeta, e che solo per questo motivo avevano avuto il tempo di scappare.
C’erano anche altre persone che erano riuscite a sopravvivere al disastro: loro non riuscirono a fuggire, ma almeno riuscirono a restare in vita. E, quando la pioggia terminò, anche se ormai erano stanchi e distrutti sia nel corpo che nell'animo, ripopolarono la Terra.

**
 
 
Frattanto, qualche metro più in basso, le ragazze avevano appena finito di narrare a Ryo la loro ultima avventura.
«E quindi non siete più riuscite a ritrovare il ciondolo di quell’aliena…» borbottò il giovane, accigliato.
Le quattro ragazze annuirono con desolazione.
«Com’è possibile?!» Ryo sbuffò amareggiato di fronte a quell’ennesimo mistero, ma capì che era inutile prendersela con la squadra di supereroine: ne avevano già passate troppe quel giorno. Decise allora di rivolgere l’attenzione a Retasu, che continuava a scrutarlo con un nervosismo quasi palpabile. «Beh, l’importante è che tu stia bene,» le disse, abbozzando un sorriso rassicurante.
Per tutta risposta, la ragazza abbassò rapidamente la schiena in segno di scuse. «Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, Ryo! I-Io non…non volevo!»
«Non pensarci più. Ora abbiamo altro di cui preoccuparci.»
«Già, adesso gli alieni conoscono la vera identità di Zakuro e di Retasu,» intervenne gravemente Keiichiro. Cercando di mantenere uno sguardo e un aspetto calmo, aggiunse: «Non tarderanno molto a risalire anche a quella di Purin, Minto ed Ichigo e a collegare tutto a questo locale. Dobbiamo prepararci immediatamente all’eventualità che ci attacchino qui.»
«C’è anche dell’altro,» disse Ryo. «Credo di avere un indizio che forse potrebbe aiutarci, anche se non capisco in che modo.»
«Che cosa?» chiese Keiichiro.
Il biondo si passò un dito sulle labbra, pensieroso. «Oggi, mentre l’antiRetasu era con me , ho notato che quest’oggetto ha reagito alla sua presenza.»
Mentre parlava, Ryo aveva estratto dalla tasca la sferetta bluastra che aveva conservato fino a quel momento.
Minto chinò di lato la testa per osservarla meglio. «Che cos'è?» chiese, domandandosi cosa c'entrasse quella sferetta con gli alieni.
Probabilmente anche le altre ragazze si stavano chiedendo la stessa cosa e per questo guardarono tutte Ryo, in attesa di una sua risposta. Che non venne mai, perché  lui aveva assunto all’improvviso un’espressione vuota e si era irrigidito, facendo cadere a terra la sfera.
«Mi sta cercando,»  sussurrò, incamminandosi meccanicamente verso l’uscita.
Minto alzò gli occhi al cielo. «Oh, no, ci risiamo.»
«Questo suo comportamento è preoccupante,» commentò Zakuro, raccogliendo la sferetta.
Retasu le lanciò uno sguardo supplichevole. «Che cosa facciamo?»
Purin strinse i pugni. «C’è solo una soluzione,» disse alle sue compagne. «PRENDIAMOLO!!»
 

**

 
Marie si allontanò da Ichigo e ricadde scompostamente su una delle sedie del locale.  Sollevò le mani per coprirsi il volto arrossato e prese dei grossi respiri affannati. Aveva un’aria sconvolta, ma mai quanto quella di Ichigo che, premuta contro la parete, sembrava davvero un gattino terrorizzato. 
La ragazza gatto non sapeva cosa pensare. Non era stato un sogno ad occhi aperti, lei aveva davvero visto con i suoi occhi e provato sulla sua pelle la storia che Marie aveva tentato di spiegarle per tutto quel tempo. Come aveva fatto? Chi era davvero quella ragazza? Che cosa voleva da lei?
Un rumore di passi proveniente dalle scale del sotterraneo impedì alla rossa di porsi ulteriori domande.
«I have to go now,» sussurrò Marie rialzando la testa, ridestata da quei suoni. «Bye bye, my sweet friend,»  le disse con una voce stranamente dolce e, raccolti i suoi libri, uscì.
«A-Aspetta!» Ichigo cercò di raggiungerla per fermarla,  ma quando varcò la soglia del Cafè scoprì che l’inglesina era scomparsa nel buio della notte.
Ferma sulla porta, Ichigo venne spinta via a sorpresa da Ryo, che doveva passare. «E-Ehi!» ringhiò lei in automatico. «Ma ti sembra questo il modo?!»
Ryo non si girò a guardarla: tutta la sua attenzione era rivolta a Luna, che era comparsa da chissà dove e che lo prese per mano e lo condusse via, ma non prima di aver fatto una rapida smorfia a Ichigo.
Lei stava per urlare a entrambi parole ben poco carine, ma la voce sconsolata di Purin la distolse dal suo intento.
«Uffa! Troppo tardi!» esclamò la ragazzina, seguita di corsa dalle sue amiche.
Ancora leggermente stordita, Ichigo desiderò con tutto il suo cuore di svegliarsi da quello che ormai era sempre piu' simile ad un brutto sogno.
 

**
 
Retasu intrecciò le mani al petto, preoccupata. «Ichigo, che cos’hai? » chiese alla sua amica.
«Dieci minuti scarsi di studio sono devastanti per zoticone come lei,» osservò Minto in tono provocatorio.
Ma Ichigo non reagì: non riusciva a smettere di ripensare a ciò che aveva visto. Era troppo difficile da spiegare a parole e lei stessa non era sicura di ciò che era accaduto, per cui decise di tenerlo nascosto alle sue compagne. «Che cosa vi stava dicendo Ryo prima di andare con quell’antipatica?» domandò loro mentre scendeva per ultima le scale che portavano al sotterraneo, ignorando Minto.
Zakuro le mostrò la sferetta bluastra. «Stavamo cercando di capire cos’è quest’oggetto.»
«Uh? Che cos’è?»
Purin rubò la sfera dalla mano alla ragazza-lupo. «E’ bellissima! La posso usare per i miei spettacoli!» esclamò sorridente, e la lanciò in aria insieme alle sue palle da giocoliere.
«NOOOO!!!! NE LE FAIRE PAS!!!!!»
Cherry, che fino a quel momento era rimasta seduta in un angolo del sotterraneo a leggere, scattò in piedi così all’improvviso da far cadere all’indietro la sua sedia. Le ragazze sobbalzarono al vederla: per tutto quel tempo, la professoressa era stata così silenziosa che non si erano neanche accorte della sua presenza!
«Non è un giocattolo!» strillò isterica Cherry raggiungendo Purin e strappandole letteralmente di mano la sfera.
«Ah, no?» chiese la biondina in tono innocente.
«NO!» fu la risposta Cherry, che impiegò alcuni secondi e un paio di nervosi colpi di tosse per calmarsi. «Perdona la mia reazione,» disse a Purin poco dopo, «ma questo è un reperto davvero molto antico e bisogna trattarlo con estrema cura.»
«Uffa,» borbottò la ragazza scimmia.
Keiichiro, dietro di lei, si lasciò sfuggire un lieve sorriso. «Vedo che anche tu conosci la storia,» disse.
«Non è poi così strano se pensi alle persone con cui ho a che fare per lavoro, Keiichiro-san,» rispose Cherry. Spolverò delicatamente la sfera con le mani e controllò che non avesse subito danni. «Ho molti amici archeologi che si dilettano con oggetti fuori posto come questo.»
Tutti, meno Keiichiro, assunsero un’aria perplessa.
«Oggetti fuori posto? Di cosa si tratta?» chiese Zakuro.
Cherry prese fiato e si preparò a spiegare, ma si interruppe appena prima di iniziare per voltarsi verso Keiichiro: «Forse vuoi dirglielo tu...?» gli chiese.
Lui scosse la testa: «Preferisco ascoltare le parole di una professionista,» sorrise amabile.
Cherry arrossì leggermente. Si rivolse poi alle ragazze in attesa. «Dunque, un oggetto fuori posto è un manufatto databile ad un’epoca in cui teoricamente non sarebbe dovuto esistere e/o ritrovato in un luogo a lui completamente estraneo,» spiegò.
Le cinque cameriere si guardarono l’un l’altra con aria confusa.
«Ad esempio, immaginate di ritrovare un dipinto post-impressionista in un’antica piramide egizia,» le aiutò Cherry.
«Ehm….mi è sfuggita l’ultima parte, ma credo di aver capito cosa vuoi dire,» ammise Ichigo toccandosi i capelli.
«Perfetto! Vedete, gli oggetti fuori posto sono davvero un grande mistero. Molti sono dei falsi, ma alcune volte l'autenticità di questi reperti è certa.»
«Che tipo di oggetti sono?» chiese Retasu, curiosa.
«Spesso sono così misteriosi che sono indefinibili,» le rispose Keiichiro, seduto di traverso su una sedia accanto a Cherry.
«A volte non si tratta neanche di oggetti… ad, esempio, sono state trovate impronte di scarpe umane in uno strato di roccia risalente a più di 300 milioni di anni fa,» aggiunse la professoressa.
«300 milioni di anni fa?» ripeté Purin. «Io so perché! Sulla Terra in quel periodo c’erano gli alieni!!»
 Ichigo sobbalzò. «No, non è vero! A quel tempo c’erano gli Atal...Atlan...Atlantidei!» farfugliò.  Nessuno le diede peso.
«Alieni? Quelli che state combattendo voi héroïnes
«E’ una lunga storia, Cherry. Ora parlaci delle Sfere. Che cosa sai di questi oggetti?» intervenne Keiichiro.
«Ah…si, le Sfere del Transvaal. Ne sono state ritrovate moltissime in una miniera di quella regione, tutte realizzate allo stesso modo: metallo blu con linee parallele che si incrociano ai poli, proprio come questa,» disse, e poi si interruppe pensierosa, cercando di ricordare quello che aveva letto mesi prima alla biblioteca dell’università. «Sembrano essere opera dell’uomo, ma gli studi effettuati su di loro hanno dimostrato che sono state create oltre due miliardi di anni fa…»
«Due miliardi di anni fa?» domandò incredula Zakuro.
«Beh, a quel tempo l'atmosfera era più o meno uguale a quella odierna, ed esistevano mari e continenti, anche se i loro confini erano totalmente diversi,
» le disse Keiichiro. «Si crede che, a quel tempo, la vita fosse già presente sul pianeta, anche se le tracce più avanzate che i geologi hanno ritrovato sono quelle di organismi multicellulari invertebrati. Organismi che, sulla scala evolutiva, sono qualche gradino sotto la medusa, per cui…»
«…è ovvio che nessuna delle creature viventi di quel tempo può aver fabbricato queste sfere, che hanno l’aspetto di un manufatto creato in fonderia utilizzando un acciaio di speciale durezza per uno scopo preciso,» concluse Cherry con uno dei suoi sorrisi smaglianti.
«Eppure, a dispetto di ciò, gli studiosi concordano che le sfere non possono essere opera dell'uomo,» riprese Keiichiro.
«E’ comprensibile, dato che la prima comparsa dell'umanità moderna risale a circa 100.000 anni fa, nell'Africa meridionale. Per cui, in conclusione…»
«...il luogo è quello giusto, ma il tempo e il livello di sviluppo tecnologico sono completamente sbagliati.»
«Che carini, completano l’uno la frase dell’altra,
[2]» osservò Minto, quasi imbarazzata da quella scena.
«Però questa sfera a dire la verità è diversa,» osservò Cherry, rigirandosela fra le mani. «Un mio amico archeologo una volta me ne fece vedere una che stava studiando, ed era molto più piccola e leggera.»
«E questo che cosa significa?» chiese Ichigo.
«Non me lo chiedere tesoro: sono storica d’arte, non Indiana Jones.»
«Vedete ragazze, io e Ryo crediamo che queste sfere siano state fabbricate dai primi abitanti della Terra…quelli che poi furono costretti ad abbandonarla, e che oggi sono i nostri nemici. Ma la loro funzione è sconosciuta,» ammise Keiichiro.
«Ryo ha detto che la sfera ha reagito con il ciondolo di Kassandra… potrebbero essere collegati,» azzardò Zakuro.
«Non lo so. Per scoprirlo dovremmo risolvere il loro mistero.»
«Non per essere disfattista,» tossicchiò Cherry a quel punto, «ma sono anni che ci si prova senza successo, e non credo che ora voi sei novellini riuscirete a-»
«Ma noi siamo l’invincibile Squadra delle Mew Mew~!» la interruppe Purin.
«Si, però…»
«Senza contare che io e Ryo stiamo studiando le antiche civiltà da una vita…»
«Comprendo, tuttavia…»
Ichigo si tirò su le maniche del vestito. «Forza, mettiamoci all’opera, ragazze!»
Cherry sospirò, rassegnata. «E va bene… mettiamoci all'opera.»
 
 


++++++++
 
Note:
(1) Riguardo la storia di Bal: c‘è chi crede che si tratti di una seconda Luna terrestre caduta sulla Terra, chi dice che si tratti di un asteroide, chi parla di bombe atomiche e di invasioni aliene e chi più ne ha più ne metta!
Le fonti però concordano tutte sul fatto che la caduta di questo Bal (da cui sembra derivi anche la parola Baal-zabuh, cioè Belzebù, Satana insomma), sia la causa della scomparsa delle antiche civiltà. 
Parte delle parole di Marie, inoltre, sono la traduzione delle presunte antiche tavolette di argilla ritrovate dall’inglese Churchward nel 1870, tavolette che parlano appunto di una civiltà ancestrale chiamata scomparsa migliaia di anni fa. 
(2) In Frozen della Disney questo non ha portato nulla di buono, just sayin'.




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Capitolo 27
*** Il segreto della Croce ***


27 21/10/2014: Aw, devo assolutamente laurearmi entro l’anno prossimo. Se non lo faccio impazzisco. Mi mancano ancora 5 esami e sono tutti o molto complessi o molto noiosi. Domani ne avevo uno, ma non sono riuscita a finire di prepararlo. Non ce la faccio piu'!


- Capitolo 26: Il segreto della croce -



Mentre Pai, Chris, Kisshu e Imago stavano ancora complottando ai danni di Kell, il diretto interessato entrò nella stanza, causando un immediato silenzio di tomba.
«Vado al Laboratorio,» dichiarò burbero lo scienziato.
«Vengo con te,» si affrettò a dirgli Chris.
«No,» fu la risposta secca. «Tu non muoverti da qui.»
«Ma…»
«Ho detto di no!» esclamò Kell, facendo spaventare tutti. Lo scienziato guardò la sua assistente fisso negli occhi: da com’era nervoso, sembrava capace di uccidere. «Non ho bisogno del tuo aiuto,» ripeté con voce bassa e minacciosa.
«V-Va bene,» annuì lei, piu' con cautela che con timore.
«Anche voi,» abbaiò Kell al resto del gruppo. «Restate qui e non fate nulla di stupido. Ho bisogno di restare da solo per lavorare.»
«D’accordo, Einstein, non è il caso di scaldarsi tanto,» commentò sarcastico Kisshu. Kell lo ignorò ed uscì sbattendo la porta dietro di sé.
Per Pai, quella fu l'ultima goccia: senza pensarci due volte, l'alieno uscì a sua volta e andò dietro al suo amico.
«Alan!» gridò Pai una volta fuori per richiamare l’attenzione dello scienziato, che aveva ormai raggiunto la strada.
Lui si fermò al suono del suo nome e Pai lo raggiunse in pochi secondi.
«Che cosa vuoi?» gli domandò scontroso lo scienziato quando furono faccia a faccia.
«Cosa sai dell’Ordine di Ra-Hu?» chiese Pai.
Evidentemente Kell non si aspettava una domanda così diretta, perché per tutta risposta fece un passo indietro e per un attimo la sua maschera di rabbia cadde, lasciando spazio ad un sentimento che Pai non riuscì a comprendere. Era paura? O forse era solo stupore?
Lo scienziato si affrettò a ricomporsi. «Non so niente,» sbuffò in risposta, dando poi la schiena all’amico.
Pai, che non aveva intenzione di mollare così facilmente, lo trattenne stringendo una mano sulla sua spalla. La reazione di Kell fu immediata: voltatosi di scatto con un’agilità che Pai non sapeva possedesse, gli afferrò il braccio e glielo torse, per poi sbatterlo contro una parete lì vicino.
L’algido alieno non fece una piega. «Che ti è successo?» insistette, mentre l’altro gli schiacciava la schiena contro il metallo freddo. «Che cosa ti hanno fatto?»
«Tu non vuoi saperlo, amico mio. Tu non vuoi saperlo.»
«Vuoi davvero sterminare ogni forma di vita presente sulla Terra? Vuoi davvero questo?»
Pai non riusciva a liberarsi dalla stretta di Kell. Non sapeva che lui fosse così forte, non lo era mai stato.
«Pai,»  mormorò lo scienziato, «ti fidi di me?»
«Vorrei poterlo fare,» fu la risposta.
Kell abbassò la testa, sospirando. Quando alzò di nuovo lo sguardo, sembrava rattristato. Liberò l’amico e uscì dal suo spazio personale.
Pai rimase fermo contro il muro a massaggiarsi il braccio dolente, guardando con inquietudine crescente il nibiriano di fronte a lui. 
«State lontani da me,» ordinò lui con fermezza. «Il mio lavoro è quasi terminato. Presto capirete tutto. Ho bisogno solo di altro tempo per terminare il mio progetto. E voi… voi non dovete interferire. E’ per questo motivo che Chris è stata allontanata. Resta qui con lei e con la tua famiglia: la prossima volta che ci vedremo, ogni cosa ti risulterà chiara,» promise.
Poco dopo, quando Pai rientrò in casa, Chris gli venne incontro con aria euforica.
«Pai! Sono entrata di nuovo nella camera di Ally: sembra che abbia scoperto che l’indovinello serve ad azionare una specie di meccanismo che si trova al centro della Chiave!»
«Vi aiuterò a risolvere il mistero,» annunciò l'alieno dai capelli violacei.
«Cosa? Davvero?!»
Pai strinse gli occhi. «Voglio capire cosa c’è dietro questa storia.»

* *

«Pai, hai capito cosa significa quella frase?» chiese Imago per l’ennesima volta in pochissimo tempo.
«Ancora no,» replicò lui seccato, trattenendosi dall’urlarle contro qualcosa di davvero brutto.
«Secondo me sbagliamo a perdere tempo qui, dobbiamo andare a Palazzo anche noi e prendere in prestito quel reperto da Ally, prima che lui arrivi alla soluzione…» osservò Chris nervosamente.
«Sì, ma se poi non sappiamo cosa farci, prenderlo non servirà a niente,» commentò Kisshu.
Chris ribatté qualcosa sul fatto che invece dovevano fare in fretta, Kisshu obiettò qualcos’altro, Imago si intromise e così ricominciarono a discutere.
Pai trattenne l’istinto di lanciare contro tutti loro una scarica di fulmini.
Intanto, Taruto se ne stava seduto a gambe incrociate su un cuscino e osservava la scena pensando a quanto erano noiosi gli adulti, quando sentì uno strattone su uno dei nastri del suo vestito.
«Tarutaru…» lo chiamò una vocina acuta.
Belle. Taruto rilasciò un sospiro esasperato. «Di nuovo tu! Ma non eri uscita? Che vuoi?» disse in torno arrabbiato. Non l’aveva ancora perdonata per essersi mangiata l’ultimo ricordo che aveva di Purin.
Lei aveva un’aria vagamente triste. «Questa è per te. L’ho fatta io,» gli disse, mettendogli in mano un foglietto piegato con cura. Poi corse via.
Taruto rimase a guardare il punto in cui la bambina aliena era scomparsa per qualche secondo. “Ma che aveva? Chi la capisce è bravo", pensò scartando il foglietto: era una poesia di scuse. Infantile, ma comunque carina. Dopo averla letta senza particolare entusiasmo, Taruto se la infilò in tasca, anche perché i “grandi” sembravano aver preso la decisione di andare al Palazzo.
«Ci teletrasportiamo lì?» domandò al suo fratello maggiore, avvicinandosi.
«Non possiamo,» gli rispose Chris. «I cristalli modificati non hanno una portata così grande. Senza contare che, se comparissimo in un luogo affollato, finiremmo tutti nei guai.»
«E allora come facciamo? Non possiamo certo entrare per la porta principale,» protestò Kisshu.
Chris sogghignò. «Invece forse possiamo,» disse, per poi spiegare agli altri l’idea che le era appena venuta in mente.


* *

«Ehilà Chris! Era da un po’ che non ti si vedeva in giro, che fine avevi fatto?»
«Sono stata un po’ impegnata, Truffle. Vi sono mancata?»
Chris salutò con un piccolo inchino scherzoso le due guardie che stazionavano davanti all’ingresso del Laboratorio Imperiale. Truffle, il più anziano dei due, scoppiò in una sonora risata.
«Scherzi? Senza di te, Kell ha dato di matto per tutto il tempo,» rispose bonario. Usò poi la lunga lancia che impugnava per indicare lo strano gruppetto di alieni alle spalle di Chris: tre di loro erano avvolti in grossi mantelli stracciati ed avevano dei cappucci così abbassati sul viso da coprirlo quasi per intero; un quarto, in fondo al gruppo, gli stava lanciando un’occhiata severa.  «Piuttosto, chi sono i tuoi amici?»
«Lui è Pai Ikisatashi, il Capitano,» gli disse a mezza bocca la seconda guardia in tono di rimprovero.
«Oh…. Oh!» Truffle si affrettò ad inchinarsi a Pai. «Mi scusi, Signore. Non avevo ancora avuto il piacere di incontrarla.»
Pai gli fece cenno di rialzare la schiena.
«Vedi, amico mio, questi poveracci sono volontari che si sono proposti come cavie per i nostri esperimenti in cambio di cibo. Vengono dalla città e li sto portando dentro prima che cambino idea. Il Capitano è stato così gentile da scortarmi per tutto il viaggio.»
Truffle mise via la sua lancia. «Beh, allora non c’è nessun problema: passate pure!»
«Veramente, il Dottor Kell ci ha ordinato di non far passare nessuno,» osservò la guardia più giovane.
«Ma lei è la sua assistente personale, è ovvio che lei può passare!»
«Hm…»
« Come ti chiami?» chiese Chris al compagno di Truffle. «Non ti ho mai visto in giro. Sei nuovo?»
«Lui è Kin,» rispose l’anziano per lui. «E’ qui da poco, ma è un ottimo soldato.»
Chris sorrise di nuovo e si avvicinò a Kin. Lui corrugò la fronte, ma lei non se ne curò e gli strinse ugualmente una mano fra le sue. «Piacere, il mio nome è Chris. Non preoccuparti, se sono qui è solo per il bene di Alan,» lo rassicurò.
«Non vi farò passare,» replicò convinta la guardia, ritirando in fretta la mano.
«Oh, non dargli retta, Chris. Avanti, non voglio farti perdere altro tempo, so che sei sempre impegnata. Passate,» ripeté Truffle. «E buon lavoro!»
«Anche a te, amico mio!» lo salutò la nibiriana prima di varcare il cancello, per poi rivolgergli un ultimo sorriso di ringraziamento.
Dopo che Chris e gli altri si furono allontanati, Truffle riprese la sua posizione. «Chris è una bravissima persona,» spiegò al suo subordinato.
L'anziana guardia non sospettava minimamente né di essere stato ingannato da Chris né che sotto quei mantelli ci fossero i Traditori.
Ma un'altra cosa, molto piu' grave, che Truffle non sospettava, era che il suo compare non si chiamava davvero Kin: il suo nome era Batter, ed era un membro dell’Ordine di Ra-Hu.
Batter era entrato nell’Ordine quando era ancora un bambino e non aveva mai fallito una missione. Aveva sempre compiuto il suo dovere e adesso stava per farlo di nuovo, contattando l’Ordine per informarlo della situazione, ma di colpo sbarrò gli occhi, come se avesse appena visto qualcosa di terribile comparire davanti a lui. Un attimo dopo iniziò a tossire e sputare sangue, ma nessuno lo aveva ferito.
Batter crollò a terra morto prima di poter sollevare il suo comunicatore.

* *
 
Una volta entrati nel Palazzo passando per l’Ala Scientifica, i nostri riuscirono a muoversi indisturbati al suo interno. Pai venne a sapere dai suoi sottoposti che la Sala del Consiglio sarebbe stata deserta per molte ore, e per questo motivo decisero di teletrasportarsi al suo interno e trasformarla nella loro base temporanea.
In effetti, quando furono dentro, i nostri poterono constatare che la grossa sala decorata era completamente vuota. Mentre Kisshu, Imago e Taruto si liberavano del loro travestimento, Pai si avvicinò al lungo tavolo di pietra rettangolare, unico arredamento della stanza, prese un papiro e una penna magnetica e scrisse:
 
Solo come il principio della luce
che splende, e di lì fino al vespro.
 
L’alieno meditò a lungo su quelle parole. Dietro quella stupida frase c’era la soluzione di tutti i loro problemi, ma lui non riusciva a vederla.
Senza smettere di fissare il papiro, Pai strinse gli occhi, cercando di concentrarsi: “Solo come il principio della luce…” si disse. “La luce…”
In quel momento Chris apparve nella sala, distraendolo dai suoi pensieri. Gli fece un segno di vittoria e un occhiolino. Seguendo il piano che avevano approvato per maggioranza, la nibiriana si era infilata di nascosto nel Laboratorio con l’intento di rubare la Croce a Kell non appena lui si fosse distratto.
Aveva fatto in fretta, notò Pai.  Anche troppo in fretta: lui non aveva ancora risolto l’indovinello. Improvvisamente, si sentì uno stupido. Si sedette su una delle sedie riservate ai membri del Consiglio e chinò di nuovo la testa sul papiro, cercando di concentrarsi.
Imago si accomodò sulla sedia alla sua destra e lo guardò di sottecchi.
«Non sono ancora riuscito a risolverlo, se è questo che stavi per chiedermi,» la anticipò lui brusco.
«Lo avevo capito. Volevo solo dirti di non preoccuparti se non riesci a capire subito a cosa si riferisce questa frase: è davvero difficile darle un senso,» lo consolò lei, parlando come se gli avesse letto nel pensiero. «E poi figurati, io non conosco neanche alcune di quelle parole… quindi non pensare di essere tu lo stupido della situazione.»
«Parole che non conosci?» ripeté Pai. Strano, quella frase era piuttosto elementare. «Quali?»
«Vespro,» rispose Imago, indicando l’ultima riga dell’indovinello. «Non so cosa sia. Forse ho sbagliato a riportare i segni nell'alfabeto moderno?»
Pai si girò verso di lei, le sopracciglia inarcate: Imago non poteva conoscere quella parola, sul loro pianeta il vespro non esisteva. «No, non hai sbagliato. Sulla Terra, per vespro si intende quel lasso di tempo in cui il Sole scompare sotto la linea dell’orizzonte,» spiegò.
«Oh,»  commentò la ragazza aliena, sorpresa. «Non sapevo. Ti ringrazio,» disse sorridendo.
«Non fa nulla,» borbottò Pai in risposta, vagamente colpito dalla dolcezza di quel sorriso. Quella ragazzina era davvero qualcosa di speciale, si ritrovò a pensare. Era davvero unica nel suo genere.
«Pai, smettila di provarci con la mia compagna e lavora.»
«E-Ehi! N-Non ci stava provando! Sono stata io che…»
«Fai silenzio, Kisshu.»
L’alieno dai capelli verdi andò alle spalle del suo fratellastro; si chinò su di lui per rileggere la scritta riportata sul papiro e sogghignò.
«Kisshu, non ho tempo per le tue stupidaggini. Sto lavorando,» mormorò Pai in tono nervoso.
«Io so che cosa significa questa frase,» dichiarò però l’alieno, sorprendendo tutti i presenti. «Perché mi guardate così? Voi sopravvalutate Pai. Anche io sono intelligente
«Kisshu, smettila di scherzare e fai concentrare Pai,» lo ammonì Taruto.
«Davvero, Kisshu, questa è una cosa molto importante,» gli fece eco Chris.
«Tesoro, lo so che vuoi sciogliere la tensione, ma…»
«Il Sole, maledizione!» sbottò Kisshu. «Quella frase si riferisce al Sole!»
«Che cosa?!»
Le labbra di Pai si schiusero a formare un’espressione stupita. Possibile che Kisshu avesse ragione?
“Solo come il principio della luce che splende, e di lì fino al vespro…”
Ci ragionò attentamente. 

In effetti, questo avrebbe spiegato perché Kell non era già riuscito a risolvere l’enigma. Era molto probabile che a creare quella Chiave fosse stato un Antico Abitante della Terra, che ogni mattina vedeva il sole sorgere e ogni sera lo guardava sparire oltre la linea dell’orizzonte. Ma Kell, a differenza di Pai, Kisshu e degli Antichi, non era mai stato sulla Terra: aveva sempre vissuto nella città sotterranea, e per questo motivo ragionare sul Sole era una cosa del tutto innaturale per lui.
Quella frase sibillina, dunque, voleva davvero dire che il solo modo per attivare il meccanismo centrale era fargli compiere lo stesso percorso del Sole, dall’alba al tramonto?
«Se l’intuizione di Kisshu è corretta,» mormorò alla fine Pai, «è necessario far compiere all’ingranaggio mezzo giro, ruotandolo in senso antiorario.»
Tale era infatti il moto apparente del Sole sulla sfera celeste che si presentava agli occhi di un generico osservatore sulla superficie del pianeta.
«Certo che lo è,» esclamò lui infastidito, incrociando le braccia al petto mentre galleggiava in aria.
Chris alzò le spalle e lanciò la Chiave a Kisshu. «Visto che ne sei così convinto, direi di lasciare a te l’onore di provare,» gli disse.
Lui, afferrato al volo l’oggetto con la mano sinistra, ridiscese a terra. Senza smettere di guardare la Chiave allungò le dita vero il meccanismo centrale, improvvisamente nervoso.
“Ma sì… in fondo, anche se sbaglio, cosa può succedere?” si disse mentalmente, e poi girò l’ingranaggio secondo le indicazioni di Pai.
La Chiave reagì al movimento impresso da Kisshu facendo scattare una serie di meccanismi interni che portarono all’apertura di un comparto segreto sul retro, da cui cadde  un minuscolo papiro plastificato accuratamente ripiegato.
Taruto e Imago saltellarono emozionati. «Ha funzionato!» esclamarono all’unisono mentre Kisshu raccoglieva da terra il pezzo di carta.
«Bene, ed ora direi di svelare finalmente questo misterioso segreto,» dichiarò. Si girò verso Imago e si inchinò di fronte a lei: «A te l’onore, mia principessa,» scherzò, passandole quadratino di carta sottile.
Lei, imbarazzata, lo prese e lo dispiegò, leggendolo. «Ehm…» mugolò dopo qualche secondo.
«Allora?» incalzò Chris, ansiosa.
«E’ che… c’è una scritta… una specie di scritta,» ammise alla fine la ragazza aliena. «Ho bisogno di qualcosa su cui scrivere!»
Imago si affrettò a prendere dal tavolo della Sala un altro papiro e a tradurre i simboli riportati al suo interno nell’alfabeto moderno, mentre gli altri le facevano capannello intorno.
Taruto, che era il più piccolo, rimase fuori.  «Fate leggere anche me!» ripeteva , saltellando intorno al gruppetto.
Imago scrisse:
 
chinato aI +
quel chelo
inda tza sU DE
+ I profonndo
 
«Sei sicura di aver capito bene?» domandò Pai a Imago dopo averla letta.
«Sì, è che... questa scritta è solo un miscuglio di lettere scritte nell'antico alfabeto,» ammise lei.
Taruto, che galleggiando in aria era finalmente riuscito ad intrufolarsi nel gruppo, indicò altre iscrizioni riportate in fondo al papiro, che Imago sembrava aver trascurato. «Anche queste?» chiese.
«No, queste no.»
«E cosa c’è scritto lì allora?»
«Forse il percorso della Luna terrestre?» scherzò Chris.
Imago corrugò la fronte. «Se ve lo dicessi, non mi credereste.»
Kisshu si portò le mani dietro la testa, in attesa. «Beh, allora scrivilo.»
La giovane aliena, obbedendo alla richiesta del suo compagno,  aggiunse rapidamente sotto la scritta misteriosa che aveva appena tradotto le parole:
 
…ah, e attenti alla testa!
 
Ed in effetti, non appena lo lessero, i nostri la picchiarono a terra cadendo a gambe all’aria.



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Capitolo 28
*** Alieni, angeli e...piramidi ***


26 25/10/2014: Qui vale lo stesso avvertimento presente nella prima versione della fanfic: se leggere di Bibbia e alieni vi turba assai, saltate il capitolo, perché qui si parlerà proprio di questo! 
Senza rivelare ciò in cui credo io, mi sento in dovere di spiegare che sono appassionata di archeologia misteriosa etc., ma molte cose scritte nel capitolo sono forzature ficcate dentro a calci per far quadrare la trama.
Con la revisione ho approfondito alcuni punti e ne ho eliminati altri (meno importanti) per non appesantire troppo il discorso.
Sono un po' stanca in questi giorni e quindi spero di non essermi lasciata sfuggire troppi errori. @_@ Ci sono ancora tantissimi punti del discorso di Ryo che vorrei approfondire, ma credo che lo farò pian piano nei prossimi capitoli.



- Capitolo 27: Alieni, angeli e...piramidi -



Ichigo camminava svogliata sul marciapiede deserto, diretta verso casa. Il quartiere che stava attraversando era molto periferico e per questo motivo non c’erano persone o auto in giro, ma di tanto in tanto si sentivano dei corvi gracchiare fra i rami degli alberi del viale.
Il sole che stava tramontando dietro di lei allungava a dismisura la sua ombra, rendendola simile ad uno strano essere dalla forma indefinita.
All’improvviso, la ragazza si fermò e si lasciò cadere a terra.
«Non ce la faccio più!» si sfogò con il nulla. «Perché non posso avere una vita normale?!»
Erano trascorse quasi ventiquattr’ore dalla sera in cui lei e le sue compagne avevano iniziato a studiare la Sfera. Ovviamente, come Cherry aveva previsto, non erano riuscite a scoprire nulla di nuovo.
Le ragazze erano rimaste al Caffè fino a notte fonda e il mattino dopo Ichigo si era dovuta fiondare a scuola, dove era stata interrogata ed era andata malissimo. All’uscita, era tornata al locale: vi aveva trascorso l’intero pomeriggio, collezionando ore e ore di lavoro extra nell’attesa che Keiichiro e Cherry trovassero una soluzione al mistero della Sfera, inutilmente.
«Voglio dormire,» mugolò la ragazza. Era troppo stanca persino per addentare i melonpan che aveva comprato sulla via del ritorno. Chiuse gli occhi, lasciando ricadere a terra la sua cartella scolastica.
«Non vorrai mica addormentarti qui davanti…»
Ichigo si rizzò di scatto. «R-Ryo?!» esclamò, rivolta al ragazzo in piedi di fronte a lei.
Era così distrutta che non si era accorta del suo avvicinarsi. Lui le raccolse da terra la cartella e gliela tese. «Mi dispiace, Ichigo…» le disse crucciato.
Teneva gli occhi azzurri fissi su di lei, che era arrossita. Al crepuscolo, i suoi capelli biondi erano luminosi come l’oro; la luce faceva risaltare i lineamenti perfetti del suo viso, rendendolo ancora piu' bello del solito.
«…non pensavo fossi ridotta così male da non avere neanche un posto dove dormire,» concluse compassionevole il ragazzo.
Ichigo si sentì crollare di nuovo le gambe.
«Molto divertente! Per tua informazione,» replicò la ragazza irritata, rialzandosi, «se sono ridotta così è per colpa tua! Dove sei stato ieri? E oggi? Non dirmi che ci hai lasciato sole per andare a fare il damerino con quell’arrogante altezzosa!»
«Invece sembra proprio che sia andata così,» annuì Ryo senza scomporsi. «Comunque gradirei che non ti accampassi davanti casa mia: sai, rovini l’ambiente più di quanto non lo sia già.»
«Casa tua?!»
Ichigo si girò indietro ed alzò la testa: solo in quel momento si accorse di essere di fronte al cancello arrugginito di un villone che si intravedeva in lontananza.
La pesante targa di marmo nero accanto al cancello riportava in lettere dorate la scritta:
 
~ Villa Shirogane ~
 
Sospirando con rassegnazione, Ryo superò Ichigo e fece scattare la serratura del cancello con una grossa chiave.
«Allora ciao,» la salutò e, spingendo l’inferriata cigolante, entrò.
Lei rimase un momento ferma sul marciapiede. Non sapeva perché, ma era rimasta impressionata. Senza pensarci troppo decise di seguire Ryo, per cui si diresse verso il cancello. Scoprì che, guarda caso, lui l’aveva lasciato socchiuso.
Ichigo raggiunse Ryo davanti al portone della villa: lui non sembrava sorpreso di vederla.
«Ancora qui?» disse con un fintissimo tono annoiato.
«Che cos’è questo posto, Ryo?» gli domandò Ichigo.
Lui fece girare rumorosamente una chiave nella vecchia serratura della porta d’ingresso. «Questa è una delle case che i miei genitori mi hanno lasciato in eredità,» rispose. «Orrenda, vero?» commentò poi, indicando con un cenno della testa il vecchio porticato umido in cui si trovavano, le finestre rotte e chiuse da assi di legno, le ringhiere arrugginite e il vasto giardino infestato dalle erbacce selvatiche.
«Sembra una di quelle case da film dell’orrore. Perché non la fai ristrutturare? Potrebbe essere meravigliosa!» replicò Ichigo.
Ryo sollevò le spalle con noncuranza prima di varcare la soglia dell’ingresso. «Perché dovrei? Questa casa è troppo grande per me solo.»
«Non ti capisco a volte, sai?» osservò Ichigo. Entrò anche lei e la porta le si richiuse da sola alle sue spalle, facendola sobbalzare.
Se l’esterno della villa era spettrale, pensò la ragazza, l’interno era molto peggio. Era tutto buio, rotto e polveroso, e si percepiva una strana atmosfera inquietante. La penombra delineava i contorni di vecchi mobili ricoperti da lenzuola, e nuvole di polvere svolazzavano nella luce tenue che filtrava dalle finestre spaccate.
Ichigo fece un passo e il pavimento scricchiolò sinistramente. Poi, un altro scricchiolio alla sua destra: la ragazza si girò e si trovò faccia a faccia con una figura umana che ricambiava il suo sguardo. Era solo il suo riflesso in uno specchio impolverato, ma Ichigo si era appena tranquillizzata quando qualcuno le afferrò un braccio, facendola strillare di paura.
Era Ryo. «Vieni con me e non toccare nulla!» le ordinò. «E non allontanarti, potrebbe essere pericoloso,» soggiunse poi a bassa voce. «Sai, ho sentito dire che qui dentro si aggirano strane presenze...si sentono rumori strani...passi, urla...»
«Sei un idiota! Lo dici solo perché sai che ho paura dei fantasmi!»
L'americano scoppiò in una risata argentina. «Può essere,» ammise per poi allontanarsi da lei, che si era liberata dalla sua presa.
«E non trattarmi come una bambina!» esclamò Ichigo, rossa in viso per la rabbia.
Ma le parole di Ryo avevano lo stesso sortito il loro effetto: Ichigo si sentiva sempre più in soggezione e si affrettò a raggiungere il biondo in fondo al salone d’ingresso, ai piedi di un’enorme scala di marmo bianco che si arrampicava su un pianerottolo che si intravedeva appena nel buio.
Ryo la ignorò e si diresse sulla sinistra, dove c’erano delle piccole porticine seminascoste da un pannello. Si infilò in una di queste: era uno ripostiglio strettissimo e occupato da scope e ramazze, ma non appena Ryo premette un tasto invisibile, il muro dello sgabuzzino si aprì e rivelò un ascensore nascosto. Il giovane vi entrò portandosi dietro una confusissima Ichigo, e poi spinse un tasto che lo fece mettere in moto.
L'ascensore cominciò a scendere lentamente. Dopo una decina di secondi, la porta si riaprì su un corridoio metallizzato illuminato da neon. In fondo, si intravedeva una porta.
Ryo si avviò deciso verso di essa. Ichigo invece uscì timidamente dall’ascensore, che si richiuse rapidamente. Lei non capiva cosa stava succedendo, ma era terrorizzata all’idea di restare da sola in quel posto.
«E-Ehi, dove stai andando? Aspettami!»
«Torno subito. Tu rimani qui e non toccare niente,» le ripeté lui dal fondo del corridoio senza neanche voltarsi, e poi scomparve oltre la porta.
Ichigo non poteva credere che lui l’avesse davvero portata fin lì per poi abbandonarla in quel modo. Scartata a priori l’idea di eseguire gli ordini del biondo, le rimasero due opzioni: seguirlo oppure tornare indietro e dimenticare tutto quello che aveva appena visto.
Alla fine, decise di andare per la seconda e premette il pulsante per richiamare l’ascensore.
Mossa sbagliata.
Una sirena acutissima cominciò a suonare, assordandola, ma non era niente in confronto allo spaventoso clangore metallico che sentì provenire dal vano ascensore. I neon del corridoio saltarono uno dopo l’altro, e quando l’ultima luce si spense, Ichigo si ritrovò immersa nell’oscurità totale.
Terrorizzata, la ragazza si girò da una parte e dall’altra, ma non vedeva niente. Indietreggiò fino al muro, poi sentì una presenza alla sua destra. Si voltò in quella direzione appena in tempo per vedere Ryo che le puntava la luce di una piccola torcia in faccia, accecandola.
«Complimenti, complimenti davvero,» ironizzò seccato il ragazzo.
«AH! Ryo! Che cosa…che cosa è successo?» chiese lei stralunata.
«Hai attivato il sistema di sicurezza,» spiegò lui con aria rassegnata. «Se ti avevo detto di non toccare niente non era per fare conversazione: l’ascensore ha un antifurto basato sul controllo delle impronte digitali. Riconosce solo le mie e quelle di Keiichiro. Quando lo hai toccato, hai fatto scattare il blocco automatico di tutte le vie d’uscita.»
«Oh, no! Vuoi dire che siamo rimasti chiusi dentro?»
«Già.»
«Non c’è un modo per sbloccare questa cosa?»
«No, non c’è. E questo bunker è completamente isolato. Dovremo aspettare che Keiichiro veda l'allarme lampeggiare nel sotterraneo del Cafè Mew Mew e corra qui per controllare.»
«Oh, no…» Ichigo si sentì crollare il mondo addosso. «Siamo chiusi qui dentro, soli e al buio,» mormorò. Guardò spaventata Ryo, che ricambiò senza capire. «Io ho paura del buio!» spiegò, tremante.
Lui la guardò fisso, ma decise di non commentare. Si diresse in un vano nascosto del corridoio e lo aprì con una chiavetta: conteneva contatori elettrici. Alzò alcune leve, e dalla porticina in fondo al corridoio si diffuse una lucina fioca.
«Vieni, nella sala principale ci sono le lampade di emergenza,» disse, ed Ichigo si affrettò a seguirlo.
La ragazza raggiunse la porta in fondo al corridoio e sbirciò oltre: vide un salone immerso in una penombra spaventosa, ma era sempre meglio del buio totale del corridoio. Ryo si scostò per farla entrare per prima.
«Grazie,» sussurrò lei, e fece un passo dentro la stanza.
Un attimo dopo, lanciò un urlo terrorizzato.
«Me lo sentivo,» sospirò nuovamente Ryo, entrando e richiudendo la porta dietro di lui.
Ichigo gli si avvinghiò addosso in puro stile polipo assassino, guardandosi intorno sempre più terrorizzata: «RYO! Ma…ma ma…ma cos’è questo, un museo dell’orrore?!» sillabò sconvolta, affondando le unghie nel braccio del ragazzo.
«Piantala di fare la bambina!» esclamò lui, cercando di scollarsela di dosso.
«Ma queste sono mummie! Questi sono scheletri!» gridò Ichigo fuori di sé, indicando alcune delle teche di vetro che riempivano quasi ogni metro della sala.
Ryo si liberò con uno strattone. «Si, e quello laggiù è un fantasma,» borbottò.
«EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEKKKKKKKKKKKKKKKKKKK!!!!!!!!!!!»
«Ichigo! Scherzavo!»
«Mi spieghi che diavolo combini qua dentro?!»
«Dai un’occhiata in giro e capirai da sola,» troncò il ragazzo incrociando le braccia. «Per merito tuo, abbiamo tutto il tempo che vogliamo.»
«S-Sei un antipatico, e un deviato!» replicò Ichigo. Gemette ancora una volta, osservando le mummie deformate che Ryo teneva ben conservate in alcune teche sulla destra. «Una persona sana di mente…non colleziona teschi!» disse con angoscia crescente.
A quel punto Ryo si lasciò sfuggire un sorriso e, presa per mano la ragazza, la portò di fronte ad una delle teche più vicine alla porta d’ingresso. «Calmati e osserva questo reperto: non noti niente di strano?» domandò.
Seppur lievemente disgustata, Ichigo osservò bene l’oggetto che si intravedeva appena nella penombra: «Si, è un teschio umano che tu conservi in una teca, ecco cosa c'è di strano! E ha un foro proprio in mezzo alla fron…un foro? Ma…ma questo vuol dire che quest’uomo è stato ucciso! Gli hanno sparato!»
«Esatto,» annuì Ryo. «Peccato che nel Neanderthal, il periodo a cui risale questo cranio, non esistessero pistole.»
Ichigo rimase interdetta. «Che cosa significa?»
«E’ una bella domanda,» sorrise enigmatico il ragazzo.
La rossina deglutì senza replicare nulla. Non si sentiva tranquilla in quel posto e non riusciva a pensare lucidamente: le sembrava di essere piombata di punto in bianco in un film dell’orrore.
Ryo forse lo comprese  e per questo motivo la condusse via dagli scheletri, verso il centro del salone, che era davvero grande e aveva tutta l’aria di essere una specie di museo: ai due lati e al centro c’erano decine e decine di teche in cui erano conservati scrupolosamente innumerevoli oggetti; su molte di esse erano appesi fogli pieni di scritte, e quando lo spazio sulla teca non bastava, i fogli erano appesi alle pareti.
Ryo condusse Ichigo davanti ad uno scrittoio dal piano trasparente al centro della sala: all’interno vi era un ennesimo reperto. «Che ne dici di questa?» le chiese, indicandolo con il dito.
«E’ una catena d’oro,» rispose Ichigo tremante. «Sembra molto antica,» aggiunse poi, dato che Ryo non accennava a parlare.
Lui annuì. «In effetti, risale a parecchi milioni di anni fa. E’ stata ritrovata in un’antichissima vena carbonifera: è uno dei cosiddetti oggetti fuori posto,» spiegò. «Un oggetto fuori posto è-»
«…un oggetto che risale ad un’epoca in cui teoricamente non sarebbe dovuto esistere,» recitò Ichigo, memore della lezione di Cherry e Keiichiro. «Come trovare un dipinto impressionista in una piramide egizia, no?» la sua paura si placò un poco quando scorse la faccia stupita di Ryo.
«Sei una piccola complottista,» sogghignò lui premendole un indice sulla fronte in modo irritante. Evitando il morso che la ragazza cercò di dargli in risposta, riprese: «Questi oggetti sono un vero e proprio enigma per gli studiosi tradizionali, ma oggi in molti credono che siano stati creati dai primi abitanti della Terra: erano un popolo potente e numeroso, tecnologicamente avanzato. Ormai sono ben poche le tracce delle loro città,» raccontò, indicando un ripiano di vetro orizzontale posto a poca distanza, riempito da foto e disegni di strane vestigia di templi ed edifici. Ichigo riconobbe molte di esse: ritraevano monumenti che aveva visto in televisione o sui suoi libri.
Si avvicinò per guardare meglio e raccolse dal ripiano uno dei fascicoli che vi erano deposti sopra in maniera disordinata. Lo sfogliò per curiosità e scoprì che al suo interno vi era la foto di una cartina geografica antica denominata “Mappa di Piri re'is” messa a confronto con una moderna cartina dell’Antartide. Le due immagini erano identiche in tutto e per tutto, tranne che per un piccolo particolare: nella mappa di Piri re’is l'Antartide era verdeggiante e libera dai ghiacci.
«Questa mappa risale al 1500, ma l’Antartide è stata scoperta nel 1800. Era priva di ghiacci solo molte decine di migliaia di anni fa,» commentò il giovane dietro di lei. «Piri re’is probabilmente ha copiato questa mappa da una molto più antica, una reliquia dell’antica civiltà terrestre di…»
«…Atlantide, si, lo so, Ryo.»
Il biondo inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Sei davvero una complottista.»
Ichigo gli lanciò in faccia il fascicolo. «Non sono una complottista!» esclamò. «Che cosa significa complottista, poi?! Sei tu quello che dice cose strane e colleziona scheletri per hobby!»
«Non è un hobby. Questo – tutto questo – è il motivo per cui il Progetto Mew è riuscito a partire.»
«Cosa?!»
«E’ difficile da spiegare, Ichigo. Forse è meglio che lasci perdere.»
«Ryo, io ho sedici anni, sono intelligente e ti sto ascoltando. Sono anche spaventata a morte – per cui o mi fai uscire da qui, oppure trovi un modo per evitare che impazzisca qui dentro!» 
Ryo sorrise leggermente. «Allora ti racconterò questa storia,» disse sedendosi a terra, appena sotto una delle luci centrali di emergenza. Ichigo, seppur incerta, lo imitò e si accomodò di fronte a lui.
Il ragazzo rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo da dove iniziare. Decise infine di partire dall’inizio. «Secondo la leggenda, Atlantide era una civiltà antica e molto avanzata, che però venne distrutta per cause misteriose. Dopo questo disastro, le tecnologie atlantidee andarono perdute e la civiltà ricominciò da zero.»
Ichigo mugolò in tono di disapprovazione: grazie alla sua stranissima compagna di classe, forse lei sapeva quale era stata la causa misteriosa della fine di Atlantide… rabbrividì al ricordo della visione che aveva avuto, ma decise di non dire nulla a Ryo.
«A causa di questo disastro gli Atlantidei fuggirono. Io sono convinto che si rifugiarono sul Pianeta X, il pianeta da cui vengono gli alieni che combattiamo oggi. In altre parole, io credo che Kisshu e i suoi compagni non siano altro che i discendenti degli atlantidei, gli originari abitanti del pianeta. Ecco perché sostengono di essere i nostri "padroni" e perché credono che la Terra sia loro di diritto.»
«EH?!»
«Il Pianeta X, tra l'altro, sembra essere il misterioso Decimo Pianeta del Sistema Solare. Oggi lo chiamano Nibiru, e credo che ci abbiano anche fatto un paio di film sopra.»
«Ma Ryo, gli alieni non possono essere stati degli umani. Sono così diversi da noi!»
«Ma le nostre specie sono compatibili, ed è questo l’importante.»
«In che senso compatibili?»
Ryo si passò una mano sulle labbra. «Ci sono buone probabilità che se tu avessi accettato le avances di quel Kisshu, adesso avresti almeno una decina di piccoli bambini alieni svolazzanti.»
Ichigo avvampò. «Sei un idiota!»
«A volte. Ma per farmi perdonare, ti rivelerò da cosa io e Keichiro abbiamo tratto ispirazione quando abbiamo ideato il Progetto Mew.»
Ichigo, che per il nervosismo stava per lanciare addosso a Ryo sia la sua cartella che la bustina di melonpan, fermò il braccio a mezz’aria.
«Eh?»
«Ricordi che cosa ti spiegai il giorno in cui ci siamo conosciuti?»
«Sì...tu e Keiichiro… avete detto di aver dato a me e alle mie amiche il DNA degli animali in via di estinzione.»
«Esatto. L’aggiunta del DNA dei Red Data Animals ha modificato la configurazione del vostro, permettendovi di sviluppare dei poteri sovrumani e abilità proprie dell’animale selezionato. E questa è  esattamente la stessa cosa che hanno fatto gli Atlantidei con noi esseri umani all’inizio dei tempi.»
Ichigo inclinò la testa di lato senza capire. Per un attimo, dimenticò di essere nei sotterranei di una villa fantasma, in una stanza buia e piena di cadaveri. 
«Ryo, hai visto troppi film di fantascienza.»
«Non è fantascienza. Abbiamo le prove. Non è neanche difficile trovarle, visto che sono sotto gli occhi di tutti.»
«Ah, sì? Io non ho mai sentito di nulla del genere.»
«Forse perché non hai mai letto questo,» rispose Ryo, allungando la mano verso una pila di libri ammucchiati a poca distanza da lui. Ne prese uno abbastanza grosso e impolverato, pieno di segnapagine. «La Bibbia, il testo sacro della religione più diffusa al mondo, il Cristianesimo,» rivelò. «Questo libro è così complesso che è stato calcolato che ogni frase al suo interno può avere decine interpretazioni diverse. Se però lo si legge e lo si traduce letteralmente, come se fosse un normale racconto, e non ci si perde a chiedersi chissà quali concetti complessi e trascendentali nasconda, tutto cambia. Vedi, nella Bibbia non ci sono concetti complessi. Ci sono scene reali descritte nei particolari a cui hanno assistito migliaia di persone del tempo, con tanto di dati geografici e temporali. Questo testo è stato scritto da uomini che cercavano di spiegare, con le parole e le conoscenze del tempo, fenomeni che ai loro occhi erano così inspiegabili da apparire divini.
«Per farti capire, immagina ad esempio di avere di fronte a te un uomo preistorico e di usare di fronte a lui un accendino: lui penserebbe che sei una Dea che sta generando il fuoco usando i suoi poteri, e descriverebbe l’evento ai suoi simili usando proprio queste parole.  Ecco, secondo me questa è la chiave di lettura della Bibbia e di tutti gli altri testi sacri di ogni tempo o religione: leggere le esatte parole riportate nel testo e cercare di capire a cosa si riferivano gli autori... senza inventare teorie sul fatto che loro stessero cercando di parlare di sogni o metafore.»
«Ryo, io… non capisco dove vuoi arrivare.»
Il biondo sospirò: non era mai stato un buon insegnante e quel discorso era davvero molto delicato. Si grattò la testa, meditando sulle giuste parole da dire.
«Hai studiato la teoria di Darwin a scuola, vero?»
«Quella che dice di come l’uomo si sia evoluto a partire dalla scimmia?» chiese Ichigo. «Si, certo!» Chissà perché, in quel momento le ritornò in mente Purin.
«Devi sapere che la nostra specie si è evoluta con una rapidità a dir poco inspiegabile. La stessa cosa, però, non si può dire per tutte le altre forme appartenenti ai nostri parenti più stretti: ad esempio, gli scimpanzé sono fondamentalmente uguali da circa 5 milioni di anni. Perché solo noi ci siamo evoluti? E perché è successo così rapidamente?»
Ichigo non rispose. Non sapeva molto di quell’argomento e comunque, in effetti, non si era mai posta un quesito del genere.
«Ci sono studiosi che ritengono che circa 150 mila anni fa l’uomo ha compiuto un vero e proprio balzo evolutivo. Sembra che la causa di questa rapida evoluzione siano circa 200 geni anormali, apparsi misteriosamente nella mappa del genoma umano in quel periodo. Da dove vengono questi geni?»
Ryo balzò in piedi per andare a prendere un grosso fascicolo abbandonato su una teca a poca distanza. Quando tornò da Ichigo si sedette accanto a lei e le mostrò il materiale contenuto al suo interno, costituito perlopiù da foto e traduzioni di antiche tavolette scarabocchiate.
«La risposta potrebbe venire da queste tavolette sumere. Vedi, la Genesi sumerica -il libro sacro che narrava la nascita del mondo secondo i Sumeri- racconta una storia molto interessante. Spiega che il nostro pianeta, in passato, era abitato dal popolo degli annunaki, il cui sovrano era chiamato Anu. Gli annunaki erano molto interessati all’oro, che estraevano in tutto il mondo ed usavano per i loro scopi. La stessa cosa si narra degli atlantidei: per questo e per altri motivi, io credo che siano lo stesso popolo, solo chiamato con nomi diversi.
«Ma tornando a noi, sembra che il lavoro di estrazione e lavorazione dell’oro fosse molto duro e per questo motivo un giorno, recitano le tavolette, gli annunaki addetti ai lavori si ribellarono. La situazione divenne così grave che nacque il bisogno di trovare dei sostituti, dei lavoratori che potessero svolgere quei compiti così pesanti. Così, gli annunaki effettuarono una serie di esperimenti genetici sugli ominidi già presenti sulla Terra per modificare il loro DNA. Innestarono in loro una porzione del proprio DNA, ottenendo come risultato finale un nuovo essere più evoluto del precedente. Lo chiamarono chiamato adàmà; nella Bibbia è noto come Adamo, che non è un nome proprio ma un nome generico che significa “il terrestre”.
« L’Adamo era abbastanza intelligente per comprendere gli ordini dei suoi creatori e abbastanza forte e resistente per lavorare al loro posto. E nella Genesi biblica, forse non a caso, è scritto letteralmente che, dopo avere creato l’uomo, il Dio cristiano “desistette da ogni opera sua[1]»
«Oh,» mormorò Ichigo, iniziando a comprendere il discorso di Ryo.
«Basandoci su questo racconto, io e Keiichiro abbiamo cercato di replicare l'esperimento degli annunaki per permettere a voi ragazze di evolvere in una nuova forma,» ammise Ryo, non senza soddisfazione.
«Ma aspetta, tutto questo… è avvenuto prima della fine di Atlantide, vero?»
«Sì. »
Ichigo si mordicchiò il labbro inferiore per qualche secondo, sotto gli occhi di Ryo, che ora le stava prestando senza apparente motivo tutta la sua attenzione. Alla fine, la ragazza si voltò leggermente verso di lui e chiese, incerta: «Supponendo che a distruggere questa Atlantide sia stato un meteorite caduto dal cielo… se questi Atlantidei avevano davvero una tecnologia così avanzata, non avrebbero potuto fare qualcosa per evitare la distruzione?»
«Loro sapevano che sarebbe successo,» fu la risposta immediata del ragazzo. «O almeno, alcuni di loro lo sapevano. In molti avevano già dei mezzi di fuga o di salvataggio pronti. Aspetta, è scritto qui!»
Il ragazzo si alzò di nuovo per andare alla ricerca di altri libri. Quando tornò, sedette di nuovo spalla a spalla con Ichigo. Stavolta aveva fra le mani un’altra versione della Bibbia, ancora più consumata della prima.
«Devi sapere che la Genesi biblica racconta che ad un certo punto gli annunaki, che qui chiama Figli di Dio, iniziarono ad essere attratti dalle femmine umane. Ora te lo leggo,» disse, sfogliando il libro finché non trovò i versetti che cercava. « “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie,  i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. (Ma) il Signore vide che la malvagità (di questi) uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.  Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo”. [2] Questo è il fulcro intorno a cui ruota tutto, Ichigo.»
«Ah, sì?»
«Ascolta, proviamo a leggere questo passo nell’ottica di un cristiano, che crede che Dio sia onnipotente, onnisciente e giusto. Innanzitutto, se Dio è onnisciente, perché non ha previsto che l’uomo degenerasse così? E se è giusto, perché cambiare idea e sterminare così crudelmente non solo l’uomo, ma anche gli animali e le piante, che non c’entravano nulla con lui?»
«In effetti sembra un po’ esagerato.»
«Una possibile spiegazione è che fu Anu a voler sterminare i terrestri e la nuova razza che si era generata dalla mescolanza della loro specie con gli umani. Forse perché erano diventati troppi, oppure perché erano diventati impossibili da controllare. Per questo motivo è probabile che abbia ordinato ai purosangue annunaki, che sapevano dell’imminente catastrofe che stava per verificarsi, di fuggire e lasciare qui a morire le popolazioni più….problematiche.»
«Sembra…plausibile?» osservò Ichigo, anche se un po' dubbiosa.
«Però pare che non tutti gli annunaki fossero d’accordo. I Sumeri narrano che un certo Enki era innamorato dei terrestri e che per questo motivo decise di salvare alcuni di loro.  Informò quindi del pericolo imminente un uomo, che nella Bibbia viene chiamato Noè, e gli diede le istruzioni necessarie per mettere in salvo se stesso, la sua famiglia e alcuni animali. Tutte le antiche religioni parlano di lui e di come sopravvisse al Diluvio Universale grazie ad una speciale Arca.
«Ma c’è anche un’altra cosa. Secondo me non tutti gli annunaki fuggirono sul Pianeta X. Forse alcuni, ribellatisi agli ordini di Anu, stazionarono nelle vicinanze della Terra e quando la situazione si fu calmata vi fecero ritorno. Dopo il Disastro, gettarono le basi per la Storia come la conosciamo noi: probabilmente fondarono le civiltà antiche come quella dei Sumeri e degli Egizi e si autoelessero loro Dei o sovrani. I Sumeri, ad esempio, apparvero improvvisamente circa seimila anni fa: erano un popolo  dotato di una cultura e una tecnologia molto avanzate, e ancora oggi si fatica a capire come avessero fatto ad ottenere tutte queste conoscenze.»
Ichigo scosse la testa. «Non conoscevo questi Sumeri,» ammise, «mentre degli Egizi ricordo solo le piramidi, e l’unico mistero che conosco, è che non si capisce bene come abbiano fatto a costruirle.»
«Questa,» annuì il biondo, «è solo la punta dell’iceberg. Ma questa è una storia troppo complessa per parlarne qui dentro. Seguimi nella sala apposita.»
Il giovane, dopo essersi staccato da Ichigo, si diresse verso una porticina nascosta in un angolo della stanza.
«Sala apposita?» ripeté lei sbattendo gli occhi un paio di volte. Seguì Ryo oltre la porticina, che nascondeva un’altra stanza del bunker sotterraneo: era abbastanza grande, ma troppo piccola per contenere tutto il materiale che vi era accumulato all’interno: statuette, copricapi e gioielli di fattura egiziana ben conservati in teche di vetro indistruttibili; strumenti da lavoro, piccoli soprammobili e interi scaffali straripanti di fogli e mappe di tutti i tipi. Al centro della stanza c’era una piccola riproduzione di una piramide in sezione, ed accanto ad essa quella di un obelisco e della Sfinge, conservati in bacheche quadrate poggiate su dei piedistalli. In un angolo, infine, c’era quello che aveva tutta l’aria di essere un autentico sarcofago egiziano, usato come un cassettone: sopra vi erano appoggiati disordinatamente antichi papiri dall’aria fragile. Foto di vario tipo erano appese alle pareti e, in fondo alla stanza, i tre astri bianchi di una mappa stellare brillavano sinistri alla luce delle lampade di emergenza.
Ichigo rimase a lungo sulla porta, incerta se entrare o meno, soprattutto per via dell’antica bara egizia: a parte il fatto che aveva visto il film “La Mummia” e non aveva dormito per tre giorni, aveva sentito parlare di fantasmi di faraoni che vagano per millenni in cerca di chi ha osato profanare le loro tombe… Rabbrividì al solo pensiero.
Ryo notò l’incertezza della ragazza, per cui la prese di nuovo per mano e la condusse lui stesso all’interno della stanza. Ichigo approfittò di quel gesto per avvicinarsi istintivamente a Ryo, finendo in pratica per rannicchiarsi intimorita contro la sua schiena. Lui non le disse niente né la scostò, consapevole della sua spettro-fobia. Però, desideroso di condividere con lei le sue scoperte, la portò accanto a sé e le cinse le spalle con un braccio, mentre con l’altro indicò un punto della parete sopra il sarcofago: «Guarda, Ichigo: questa è la mappa stellare della costellazione di Orione,» spiegò, e poi rivolse il dito sul foglio appeso accanto. «Quella invece è una vista aerea delle tre piramidi che costituiscono il complesso di Giza: Cheope, Chefren e Micerino. Osservale bene e dimmi che cosa vedi.»
Ichigo si distrasse per un momento dalla sua paura e sollevò appena la testa verso la parete, confrontando al volo le due figure.

pyramids

 «Ehm…sono uguali,» disse piano, e poi tornò a fissare angosciata il sarcofago.
«Si, è la stessa cosa che disse uno studioso, Robert Bauval, quando le confrontò la prima volta. Le tre più famose piramidi situate sull'altopiano di Giza sembrano proprio posizionate come le stelle che formano la Cintura della Costellazione di Orione.» commentò Ryo. Poi si allontanò da Ichigo; per suo sommo terrore, si avvicinò al sarcofago e alle due cartine.  «Guarda: è tutto così chiaro! Le tre piramidi di Giza non sono allineate perfettamente. L'egittologia classica sostiene si tratta di un errore di calcolo degli antichi egizi, ma se confrontiamo la veduta aerea del complesso con l'immagine delle stelle che formano la Cintura di Orione, le cose cominciano a diventare chiare.»
«Per te, forse,» sussurrò piano Ichigo, lanciando occhiate nervose alla porta dietro di lei.
Ryo raggiunse le teche in cui erano conservate le riproduzioni dei monumenti egizi, indicando poi ad Ichigo di avvicinarsi a quella della piramide. Le fece vedere dei solchi che la tagliavano obliquamente all’interno. «Sai cosa sono questi?» le chiese quando lei gli fu vicino.
La ragazza osservò i solchi, cercando di rispolverare le sue povere conoscenze di architettura egizia. «I condotti di aerazione?» chiese piano dopo un poco.
«Li chiamano così. Ma c’è una teoria, sai? Si dice che nella Grande Piramide, la piramide di Cheope, i cosiddetti condotti di aerazione avessero un’altra funzione.»
Ichigo ebbe il presentimento che Ryo stesse per tirare fuori qualche altra teoria assurda sugli alieni.
«I condotti della Grande Piramide, che dalle camere interne ne attraversano tutta la struttura per sbucare all' aperto, all'epoca in cui fu costruita la piramide puntavano –rispettivamente- quelli posti a Sud verso la Cintura di Orione, e verso Sirio, che altri non erano che gli Dei egizi Osiride e Iside; quelli posti a Nord verso la stella polare e verso la testa dell' Orsa Minore, che era l' ascia celeste di Horus [3]» spiegò Ryo. «La Costellazione di Orione era il luogo in cui si pensava venisse proiettata l'anima del faraone deceduto. Il faraone era considerato un Dio dagli egizi, per questo motivo, secondo loro, una volta morto egli ritornava al cielo, dove era venuto.»
Il ragazzo si interruppe per riprendere fiato.
«Bel discorso Ryo…ma, e quindi?»
«E quindi…la Piramide di Cheope è unica nel suo genere. Dopo la sua costruzione, non ne furono più costruite di così grandi. Io credo che sia perché questa piramide fu costruita per essere una vera e propria fortezza che conservava i resti dell’antico Faraone, uno degli annunaki ritornati sulla Terra dopo il Diluvio. Tutte le altre piramidi non sono altro che brutte copie di questa, probabilmente perché con il passare dei secoli gli egiziani persero sempre di più la conoscenza dei simboli che la piramide assommava in sé, nonché la tecnologia indispensabile alla loro costruzione.
»
«Hm… ma se davvero questi annunaki/atlantidei/faraoni o quel che erano erano degli Dei, non  avrebbero dovuto essere immortali?»
«Ci ho pensato anche io all’inizio,» sorrise Ryo. «Vedi, è probabile che in realtà la vita degli Annunaki fosse solo molto più lunga di quella degli esseri umani: probabilmente questi antichi abitanti vivevano per centinaia di anni, e per questo motivo è probabile che gli esseri umani, che hanno una vita molto più breve, abbiano iniziato a credere che fossero immortali. Ci sono anche dei versetti della Bibbia che sembrano confermarlo.»
«Ryo…»
«Si?»
«Ho il mal di testa.»
«E non hai ancora sentito la parte più interessante di tutte le mie ricerche!» ghignò il biondo, e si sedette a gambe accavallate sul sarcofago. Ichigo fu ben lungi dall’imitarlo e preferì restare in piedi davanti a lui.
«Avanti, racconta.»
«Tornando al discorso degli alieni-dei, la Bibbia cristiana è ricchissima di interventi di strani esseri che interagiscono e guidano i fedeli. A partire da Mosè, avvengono continui rapporti tra il popolo degli ebrei ed esseri superiori che si manifestano sempre su nubi luminose e colonne di fuoco volanti… praticamente espressioni che descrivono un UFO,» concluse Ryo. «Inoltre nella Bibbia si parla più volte veri e propri strumenti tecnologici alieni. Uno dei più interessanti è descritto nella storia di Mosè.»
«Mosè?»
«Era un profeta, o meglio, un uomo prescelto da Dio per salvare il suo popolo. Ma, se vuoi metterla in altri termini, Mosé era un intermediario che lavorava per un annunaki…» ricominciò Ryo, prendendo a sfogliare un’ennesima Bibbia. Era impossibile, erano dappertutto in quel bunker!
«Ecco qui: nel libro dell’Esodo, Mosé parla con Dio, o meglio con questo annunaki che si fa chiamare Yahweh.  Ad un certo punto, gli chiede: “Mostrami la tua Gloria!” e lui risponde: “Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Yahweh, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia. Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo. … Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò …  finché non sarò passato. … Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”[4]. Ichigo, capisci cosa significa?»
«No,» mugolò lei.
«Come no? La Gloria, cioé il potere di Yahweh… di questo Dio spirituale onnipotente e onnisciente… può uccidere l’uomo! Come può essere un potere spirituale essere così letale? E soprattutto, che razza di Dio onnipotente è un Dio che ammette di non essere in grado di controllare il suo potere, al punto tale che è costretto a far mettere al riparo dietro una rupe quest’uomo che vuole provare a vederlo in azione, avvertendolo che in ogni caso potrebbe comunque restare ucciso per errore?»
Ichigo rimase interdetta.
«Ad ogni modo, l’Esodo racconta che  dopo questa esperienza, Mosè torna dal popolo "con il volto arrossato, come bruciato", come se fosse stato esposto una potente fonte di calore che lo ha ustionato. In altre parti della Bibbia, si dice che la Gloria di Yahweh si presentava come  fuoco o come nube, e che era accompagnata da tuoni, lampi di luce, un suono forte e prolungato come quello di una tromba... e se questa Gloria non fosse stata nient’altro che il mezzo di trasporto tecnologico con cui viaggiava questo annunaki, descritto dalle persone che vivevano all’epoca?»
«Non lo so… ma comunque scusa, chi dice tutte queste cavolate? Le hai inventate tu?» sbottò a quel punto Ichigo.
«Io sto solo leggendo, cercando di immedesimarmi in un povero nomade ignorante disperso in un deserto che vede un evento che non riesce a comprendere e lo descrive come meglio può. Ti faccio un altro esempi: in un altro episodio della Bibbia si narra che Yahweh, adirato contro le città di Sodoma e Gomorra, le ha distrutte, salvando solo pochi eletti. La moglie di Lot, uno di essi, si volse indietro per guardare la città, ignorando l’avvertimento divino di non voltarsi, e per questo fu trasformata in una statua di sale,» raccontò brevemente, poi assunse un’aria accigliata: «Le circostanze della distruzione di Sodoma e Gomorra sono descritte in modo tale da richiamare alla mente un’esplosione nucleare come avrebbe potuto essere descritta da un osservatore vissuto in tempi antichi. In particolare, l’onda d’urto provocata dall’esplosione nucleare avrebbe spazzato i giacimenti di salgemma del Mar Morto e investito la moglie di Lot, trasformandola in una statua di sale….inoltre è fin troppo evidente l’obbligo di non doversi girare per non guardare la luce dannosa dell’esplosione nucleare.»
«Un’esplosione nucleare nell’antichità?» chiese Ichigo, ormai rassegnata.
«Beh, non sarebbe certo la prima del tempo: Mohenjo-Daro, un antichissimo sito nell’America del Sud, ha le caratteristiche di una città moderna distrutta da bombe atomiche: le sue rovine sono inesistenti al centro e più alte verso la periferia… ah, e poi c'è anche il discorso degli Angeli.»
«Angeli?»
« Sì. Sai, gli Angeli biblici sono descritti come esseri intelligenti e superiori agli uomini. Oggi, per i cristiani sono delle presenze spirituali ed invisibili, ma nella Bibbia si parla sempre di loro come esseri con una presenza fisica concreta: parlano, camminano, mangiano, si riposano e combattono insieme agli uomini, usando però dei poteri sovrannaturali. Penso che anche loro non fossero altro che discendenti degli atlantidei, forse dei subordinati di Yahweh.»
Ichigo si portò le mani alla testa. Non sapeva più cosa pensare…le tornò in mente il giorno in cui aveva  Purin: lei gli aveva raccontato che, la prima volta che aveva visto Kisshu, aveva avuto con lui un dialogo del tipo:
 
“E tu chi sei?”
 “Io sono un angelo!”
“Non è vero, gli angeli non hanno una faccia brutta e cattiva come la tua!”
“Urgh! Stupida mocciosa!”
 
Forse, pensò Ichigo, quella volta Kisshu non aveva del tutto torto…
«E mi ero quasi dimenticato di dirti che nel 7 a.C., che è la data di nascita reale di Gesù, il Messia dei cristiani, nel cielo comparve un oggetto luminoso volante chiamato Stella Cometa. Quest'oggetto guidò i famosi Magi nel loro cammino e si fermò sopra il luogo della natività.»
«Fammi indovinare, per te anche questa Stella Cometa era un’astronave aliena.»
«Chissà. Secondo me…» iniziò Ryo, ma un risucchio sordo lo costrinse a fermarsi. Il ragazzo si portò una mano allo stomaco, che stava rumoreggiando. «Chiedo perdono. Non ho ancora cenato,» si costrinse ad ammettere dopo qualche secondo di imbarazzo. Poi guardò Ichigo con una strana aria supplichevole, che lei non gli aveva mai visto fare in vita sua.
«Ho dei melonpan nell’altra stanza,» si ritrovò a dire lei senza neanche pensarci. «Li avevo presi per merenda prima di cena. Per me,» sottolineò.
«Capisco,» annuì Ryo stoicamente. Il suo stomaco brontolò di nuovo, e ad esso fece eco quello di Ichigo.
Lei si mosse a pietà. «Sono tre. Te ne darò uno solo!» disse alla fine.
«Ti darò un aumento di stipendio,» la ringraziò lui dirigendosi verso l’uscita e i melonpan.
«I-Io non lo sto facendo per l’aumento di stipendio!» replicò lei, abbandonando a sua volta la stanza egizia.


Poco dopo, Ryo e Ichigo erano seduti contro una parete fra due teche, impegnati a mangiucchiare gli ultimi pezzi di un melonpan alla fragola. Avevano lasciato perdere il discorso sugli alieni ed ora sedevano in silenzio l’uno accanto all’altra. Erano vicini anche perché, a causa della mancanza di elettricità e quindi del riscaldamento, l’ambiente aveva iniziato a raffreddarsi.
La temperatura era scesa così tanto che Ichigo starnutì un paio di volte.
«Sembra che Keiichiro non abbia ancora notato l’allarme,» osservò Ryo dopo un po’. «Purtroppo credo che dovremo trascorrere la notte qui.»
Ichigo circondò le ginocchia con le braccia, sospirando stancamente. «Ryo, ma alla fine, perché stasera avevi deciso di venire in questo posto?»
«Volevo confrontare la Sfera che vi ho mostrato con le altre che conservo qui…Ichigo, prima che tu facessi saltare tutto, ho fatto in tempo a prenderne una in mano, e già mi è bastato per vedere la differenza: la Sfera che ho lasciato al locale è anomala, completamente diversa dalle altre e…» si accorse che la ragazza si era appisolata, crollando addosso alla sua spalla, per cui smise di parlare e appoggiò la testa sulla parete dietro di lui. Ichigo tremava leggermente, per cui la strinse a sé come meglio poteva, cercando di riscaldarla col suo corpo. Rimase fermo a fissare i reperti che lui e Keiichiro avevano accumulato nel corso degli anni, ma senza vederli davvero.
«Potresti pensare che io sia convinto che tutto quello che ti ho detto sia vero,» mormorò  dopo qualche minuto di silenzio a Ichigo, «ma non è così. Io stesso a volte dubito dei collegamenti che creo, per via delle assurde conclusioni a cui mi porta il seguire i fili del mio ragionamento. Sai cosa ti dico? Probabilmente non sapremo mai la verità. Anche se è proprio qua fuori, a portata di mano, mi sa che non riusciremo mai a comprenderla…» concluse, chiudendo a sua volta gli occhi, distrutto.


Addormentati, infreddoliti e abbracciati: fu così Keiichiro trovò Ryo e Ichigo quando, un paio d’ore dopo, si precipitò nel bunker dopo aver visto l’allarme. Affrettatosi a metter via la pistola che aveva portato con sé, si tolse la giacca che indossava e la usò per coprire come meglio poteva i due ragazzi. Cercò di essere delicato, ma Ryo se ne accorse ugualmente e, svegliatosi di colpo, si mosse in avanti di scatto, facendo perdere l’equilibrio e svegliare anche Ichigo.
«Kei, che cosa stavi facendo?!» domandò il ragazzo biondo con aria nervosa.
«A-Ah, K-Keiichiro! Non è come credi, non è assolutamente come credi!»
Lui sorrise amabilmente. «Scusatemi, eravate così carini che non volevo svegliarvi.»
Ryo arrossì leggermente e si grattò una guancia, rimettendosi in piedi senza dir nulla.
«Portami via da qui, Keiichiro!» lo supplicò intanto Ichigo a mani congiunte, inginocchiandosi disperata ai suoi piedi.
Keiichiro guardò disorientato Ryo. «Che cosa le hai fatto?»
«Solo un piccolo tour guidato del bunker,» replicò lui alzando le spalle. «E’ stata lei a far scattare l’allarme, e visto che tardavi, ho deciso che era un buon modo per punirla.»
«Capisco.» Keiichiro sorrise di nuovo, rivolgendo a Ichigo uno sguardo comprensivo. «Mi dispiace averci impiegato così tanto. Purtroppo sono rimasto a lavorare fino a notte fonda con le altre ragazze.»
«Notte fonda? Perché, che ore sono?!» domandò la rossina.
«E' quasi l'una di notte. Non preoccuparti, ti riaccompagno subito a casa. Hai problemi con i tuoi genitori?»
«No, loro non sono ancora tornati da Kyoto…però Minto sarà furiosa!»
Ichigo aveva promesso a Minto di ospitarla a casa sua finché i lavori di ricostruzione di Villa Aizawa non fossero stati completati; visto che non aveva le chiavi dell’appartamento di Ichigo, probabilmente lei in questo momento la stava aspettando fuori, arrabbiata e infreddolita.
La ragazza si affrettò a raccogliere la sua cartella scolastica e fece un inchino. «Scusatemi, devo davvero scappare,» esclamò. Poi sorrise a Ryo: «Comunque… grazie, davvero.»
«Grazie a te per non aver creduto che sia pazzo,» ammiccò lui, mentre lei si allontanava.
«No io credo che tu lo sia!» gli gridò lei dalla porta.
«Sopravviverò lo stesso.»
Keiichiro rivolse un’occhiata complice a Ryo: «Vedo che hai trovato una nuova amica, oggi, eh?»
«All’inizio credevo che parlare di queste cose con lei sarebbe stato come tentare di spiegare ad un pesce ad andare in bicicletta. Ma la verità è che Ichigo non è così sciocca come sembra. L’ho sempre saputo, ma non lo avevo mai ammesso,» sbuffò fuori Ryo.
Aveva appena finito di parlare quando le luci della sala di spensero di nuovo. L’allarme riprese a suonare, e Ryo e Keiichiro si guardarono in faccia: non ci voleva molto a capire cosa fosse appena successo di nuovo.
«MALEDIZIONE ICHIGO, RAZZA DI IDIOTA!» gridò Ryo furibondo, fiondandosi fuori dalla sala, nel corridoio che portava all’ascensore...
 



***
 
Note/Fonti:
[1] Queste parole e svariate altre teorie presenti nel capitolo sono citazioni o comunque sia spunti presi dai libri di Mauro Biglino, che trovate qui: http://www.maurobiglino.it/?page_id=6 . Lui condivide molte delle affermazioni di Sitchin, il cui sito ufficiale è:  http://www.sitchin.com/ , dove trovate anche i numerosi libri che ha scritto. MA per par condicio, se siete interessati a quest’argomento, vi consiglio anche questo articolo, che è scritto davvero bene: http://www.nibiru2012.it/nibiru-2012/le-falsita-di-sitchin-prima-parte.html .
[2] http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Genesi6%3A1-8&formato_rif=vp
[3] Bauval è giunto a questa scoperta calcolando la precessione degli equinozi ed il moto proprio di tutte le stelle risalendo all' epoca intorno al 2500 a.C. Successivamente, due studiosi hanno constatato che le piramidi di Giza riproducono sulla Terra la disposizione delle tre stelle principali della Cintura di Orione, mentre John Anthony West ha descritto nel suo libro "Il Serpente Celeste" l' Egitto dei faraoni come la rappresentazione in scala terrestre della Via Lattea. Tutto questo per collegare il popolo Egizio alle stelle, da dove questi autori pensano siano giunti gli Dèi degli Egizi.
[4] http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo33


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Capitolo 29
*** Zeitnot ***


26 30/10/2014: Non ho il coraggio di cambiare il titolo della fanfic. Devo farlo, ho il titolone figo (?!) pronto,  ma continuo a non avere il coraggio di sostituirlo.
Il potere del cuore era un titolo che non mi è mai piaciuto molto: troppo vago, troppo banale, troppo italiano (?); aveva un suo perché, ma il significato si è perso quando anni fa decisi di far prendere una certa piega alla trama.
Il nuovo titolo invece è trash, inglese, lungo e mi fa ridere un sacco perché è ridicolissimo ma sigh, continuo a non avere il coraggio.
Spero di trovarlo nei prossimi giorni.
PS. In questa sede ho accorciato sia la parte di Chris che quella dedicata alla PaixChris; ho aggiunto una scena alla fine.
Sono ufficialmente tristissima a causa di Kell.
Non so se l’ho mai detto, ma il suo nome deriva da jelly, la gelatina per desserts, però Jelly o Jell non mi piaceva e Kelly era il nome di una mia vecchia bambola.
Povero Kell.


- Capitolo 28: Zeitnot -



Quel giorno il clima artificiale della Capitale era davvero perfetto: le luci non erano né accecanti né troppo fioche e c’era persino un piacevole movimento d’aria a rinfrescare l’atmosfera.
La vista della città dalla Sala del Consiglio era stupenda, se si ignorava l’oscurità minacciosa del terreno al di fuori della cupola che la conteneva. Chris sedeva accovacciata al davanzale di una delle finestre e, stando ben attenta a non sporgersi troppo per non farsi scoprire, si divertiva a passare il tempo ammirando il panorama sottostante. Da quella posizione la ragazza aliena aveva una visione così completa da riuscire persino a riconoscere in lontananza il poverissimo quartiere periferico in cui era nata e cresciuta. Era sicura di poterne sentire la puzza sin da lassù.
Dopo un po’, Chris si annoiò di osservare, ma non poteva far nulla a riguardo: i suoi amici non erano ancora riusciti a risolvere il nuovo ridicolo indovinello saltato fuori dalla Chiave e, finché non trovavano una soluzione a quel problema, erano tutti bloccati lì.
La nibiriana dai capelli castani non si premurò di aiutare perché sapeva di essere solo d’impiccio in quel momento: aprire una via non era il suo forte, per quello c’era Pai.

Gli lanciò un’occhiata di soppiatto: lui era seduto a poca distanza da lei e stava fissando l’enigma con aria persa.
Fu in quella situazione che Chris si rese realmente conto di quanto lo aveva cambiato il viaggio sul Pianeta Azzurro: prima di partire, Pai era colui che si potrebbe definire il soldato perfetto: forte, intelligente, devoto e così ligio al dovere che, in una missione, avrebbe sacrificato persino la sua famiglia senza battere ciglio se i suoi calcoli lo avessero portato a concludere che era necessario.
Ora, però, sembrava che la sua mente analitica, che era ciò che più serviva loro in quel momento, fosse stata danneggiata. Non era difficile capire da cosa.

«Emozioni,» sbuffò Chris a bassa voce.
Non era sicura che il fatto che Pai avesse iniziato a crescere sul livello emozionale fosse positivo ma d’altronde, se non fosse successo, non avrebbe mai deciso di seguire lei e contemporaneamente dubitare di Kell.
All’improvviso Pai alzò la testa, distraendo Chris dai suoi pensieri. Lei riuscì a notare il luccichio che aveva appena illuminato gli occhi scuri dell’alieno.
«Che hai?» domandò Kisshu al fratello maggiore. Lui era seduto dall'altra parte del tavolo insieme ad Imago e Taruto e stava leggendo senza troppa convinzione un’altra copia dell’indovinello.
«quel chelo…» mormorò Pai in risposta.
«Cosa?»
Pai piombò in un silenzio carico di concentrazione fino a che non disse, alzando lo sguardo su Kisshu, «…quel cheloquello che. Perfetto: ho trovato la soluzione.»
Chris scattò in piedi all’istante. «Lo sapevo, sei un genio!» esclamò in tono sollevato, raggiungendolo e saltandogli al collo per abbracciarlo. Quando però si accorse che lui era rimasto scioccato da quel suo gesto, il suo entusiasmo si sciolse un po’. Si fece quindi indietro e recuperò un certo contegno. «Hmm…allora?» chiese, vagamente imbarazzata.
«Questo secondo enigma è anagramma,» rispose Pai.
«Un...anagramma?»
«Si. Non potevate sapere neanche questo, perché è un gioco terrestre. Sul nostro pianeta probabilmente ne è andata perduta la conoscenza, ma è piuttosto elementare: basta invertire l’ordine delle lettere di una parola per crearne un’altra. In questo modo, ad esempio, “quel chelo” diventa “quello che”.»
«Oh,» mormorò stupita Chris.
«Ehi, io conoscevo questo gioco!» disse Imago come risentita, avvicinandosi ai due insieme agli altri. «Ma lo ammetto, non sarei mai pensato che gli Antichi avrebbero potuto usarlo qui. Ora che però me l'hai detto, fammi provare…hm… ”i profonndo” potrebbe stare per “in profondo”?»
«Si. Queste due righe erano piuttosto semplici. Il problema sono le altre due.»
«Conosci un metodo per decifrarle?» chiese Chris.
Pai si accarezzò il mento. «In mancanza di strumentazioni adeguate, l’unico modo che conosco è…» si interruppe, rileggendo l’enigma.
Taruto, teso come gli altri, deglutì. «…è…?»
«…andare a tentativi,» concluse Pai.
Gli altri caddero per terra.
«Datemi qualche minuto,» li rassicurò lui brevemente, agitando il papiro con l’anagramma.
C’era uno stanzino per le discussioni private in fondo alla Sala del Consiglio, separato da essa da un pesante drappeggio rosso. Pai decise di andare a rintanarsi lì dentro per avere la pace di cui necessitava per risolvere l’enigma.

«Sta diventando sempre peggio…» osservò Kisshu rialzandosi e massaggiandosi la fronte.
«Spero che faccia in fretta. Potrebbero scoprirci da un momento all’altro,» osservò invece Taruto con ansia crescente.
«Se accadesse, vi salverò io,» dichiarò Imago. «Sono la specialista delle fughe improvvisate, ricordi?»
Taruto non sembrava molto rassicurato.
«Amici, io vado da Pai,» disse Chris, abbandonando anche lei il gruppo.
 
*
 
Pai entrò nello stanzino: era molto piccolo, ma era ordinato e silenzioso e a lui bastava. Senza staccare gli occhi dal papiro, si accomodò sul soffice divanetto di stoffa nera posto a un lato della stanza, davanti a cui era stato disposto un basso tavolino di pietra. Pochi secondi dopo Chris lo raggiunse.
«Pai, dovrei…»
«Chris scusami, vorrei cercare di risolvere l’anagramma.»
«…parlarti.»
«Dopo,» la liquidò l'alieno con aria distaccata.
Chris non la prese bene e, invece di andar via, si portò davanti a lui. «Perché ti comporti così?» domandò, accigliata.
«Così come?»
«Sei freddo.»
«Questa è una cosa che mi dici da quando ci siamo conosciuti,» ribatté Pai mentre l’ombra di un sorriso gli attraversava il volto.
«Si, lo so, ma questa volta è diverso, voglio dire…insomma, guarda che si capisce!» sbottò alla fine la nibiriana. «C’è qualcosa che ti preoccupa, giusto?»
Pai distolse lo sguardo dall’anagramma. «Intendi a parte il fatto che il Pianeta Azzurro rischia di essere distrutto, che Kassidiya è morta e che colui che credevo essere un amico è in realtà un folle assassino?»
Chris aggrottò la fronte. «Non è solo questo ciò che ti ha ridotto così.»
«Può darsi,» rispose lui in tono indecifrabile, «ma ora non è il momento per queste cose.»  Chinò di nuovo la testa sul papiro.
L'aliena non si arrese. «Avanti, confessa i tuoi peccati, debole essere mortale!»
Pai realizzò con frustrazione che non se ne sarebbe andata fino a che lui non avesse sputato il rospo, e non era possibile lavorare in quelle condizioni. «Va bene,» sospirò sconfitto, mettendo via l’anagramma.  Appoggiò i gomiti sulle cosce e abbassò la testa. Lasciò trascorrere almeno un minuto prima di iniziare a parlare.
«Continuo a fare un sogno,» ammise infine con riluttanza.
Chris lo guardò fisso, sorpresa da quella risposta. Aspettò che lui continuasse, ma poiché ciò non avvenne, decise di stuzzicarlo osservando in tono neutro: «Dicono che i sogni siano le ombre della coscienza.»
«Non mi interessa quello che dicono,» replicò rapidamente Pai. «Il mio sogno non è qualcosa di comune: è tetro, opprimente e fin troppo realistico. Credo che abbia un significato, ma non riesco ad afferrarlo.»
«Prova a raccontarmelo.»
«Non c’è molto da dire. Mi trovo davanti ad un muro...»
«Un muro?»
«No, è un vetro. Spesso e molto colorato. E’ davvero bello, ma nasconde qualcosa di tremendo. Non so come spiegare: sento che davanti a me c'è qualcosa di malvagio, ma non riesco a capire cosa sia perché quel vetro colorato lo nasconde alla mia vista. E poi…» Pai si interruppe, ripensando alla ragazza che aveva abbracciato nel sogno. Si morse un labbro: sentiva chiaramente di amarla, così come sentiva il suo cuore spezzarsi quando lei scompariva fra le sue braccia. Incrociò gli occhi color miele di Chris, che stava attendendo ansiosa la conclusione del racconto: Pai non aveva idea di chi fosse quella ragazza, ma sapeva che non era lei.
Decise di non dirle niente.
«…e poi finisco col risvegliarmi,» concluse, interrompendo il contatto visivo con l’aliena. «Ma ad ogni modo, non credo che i miei incubi siano qualcosa di così importante,» soggiunse poi, con un tono ostile che lasciava ben intendere che il discorso era chiuso. 
Chris non replicò. Assunse un’aria pensierosa e, quando il suo compagno ritornò al lavoro, girò in tondo per parecchie volte nella stanzetta.
«Via un’altra,» mormorò Pai sovrappensiero dopo alcuni secondi.
«Hai decifrato qualcosa?» 
«Sì. Chi nato ai…hai antico. Ora manca solo la terza riga. La quarta, come ha detto Imago, è in profondo
«Sembra così difficile,» osservò Chris avvicinandosi.
«Lo è,» annuì lui. Era davvero difficile districarsi per le vie confuse del suo cuore; ma, forse, Chris non si riferiva a questo.
«Sono sicura che ce la farai,» lo consolò lei dolcemente, sedendoglisi accanto e posando una mano sulla sua coscia.
Fu in quell'istante che Pai si pentì di averla baciata.
In realtà, lui non provava nulla di diverso da stima e amicizia fraterna per Chris, e questo lo sapeva già da tempo. E sapeva anche che prima o poi si sarebbe ritrovato in una situazione del genere: lo aveva intuito quando lei gli aveva confessato di amarlo e dannazione, se non fosse scappata in quel modo dopo averlo fatto, forse lui sarebbe riuscito a chiarire subito la situazione e ad evitare tutto questo!
Ma purtroppo non era andata così, ed ora Pai si trovava in una posizione davvero spiacevole e imbarazzante. Se l’era cercata lui, in effetti: in uno stupido momento di debolezza si era approfittato di lei ed ora la stava illudendo, e questo lo faceva sentire tremendamente in colpa.
Però anche lei, insomma! L’aveva praticamente messo con le spalle al muro! Bel tipo, quella Chris! Sembrava un’innocentina, e invece…!
«Ascolta Pai, stavo ragionando sulle parole che hai trovato: ‘hai antico quello che in profondo’. Lette insieme, non hanno senso! E poi, nella terza riga, hai notato che queste tre lettere…»
«…sono evidenziate e anagrammandole si ottiene la parola DUE? Sì, l’ho notato. Dev’essere un numero importante. Se lo escludiamo dal testo, rimane solo inda tza s,» osservò Pai in modo meccanico, pensando nel mentre a tutt’altra cosa.
L’alieno si stava chiedendo che cosa avrebbe dovuto fare con Chris. Doveva parlarle adesso che ne aveva l’occasione? Era necessario: ogni secondo che passava avrebbe ingigantito la ferita che lui le avrebbe inferto rivelandole di non provare amore per lei.
Di colpo, però, Pai si ricordò che il destino di un intero pianeta dipendeva da lui, e concluse che l’enigma aveva la precedenza rispetto ai suoi dilemmi personali. Per questo motivo, alla fine, decise di rimandare il discorso.
«Quindi mescolando queste lettere dovremmo formare altre parole?» chiese Chris. «Uhm…non mi viene in mente niente…ma come fai tu?»
«Te l’ho detto, vado a tentativi. Non sono poi molte le parole che si possono formare con queste poche lettere. Abbiamo due a, una i, e poi n, d, t, z e s. Basta trovare il giusto ordine. Siccome ci sono solo tre vocali, direi che non possono essere più di due parole.»
«Allora..se mettiamo la i con la n…diventa in datzsa?» provò Chris.
«Ecco, questo è il modo sbagliato di procedere.»
«Urgh! Sei odioso!!»
«Io credo che la i debba andare con la ddi natzsa,» osservò Pai.
Chris gli fece una linguaccia. «Non ha più senso della mia, mi sembra.»
«Ti riferisci a natzsa? E’ l’anagramma di...»
«Aspetta…stanza
«Vedo che impari in fretta.»
«E quindi la soluzione è…hai antico / quello che / stanza due di / in profondo
«Probabilmente perché abbia un senso deve essere letta dal basso verso l’alto.» 
«Però manca ancora qualcosa…questi due segni a forma di croce…»
«Hai ragione, li avevo tralasciati. Pensavo che fossero una sorta di elemento grafico decorativo ma, volendo, questo segno potrebbe essere visto come un elemento da associare alle parole che abbiamo trovato.»
«Aspetta, intendi così?»
Chris estrasse da una tasca una penna e trascrisse:
 
In più profondo, stanza due di quello che hai più antico.
 
Rilesse entusiasta, quindi esclamò: «Ce l’abbiamo fatta! Andiamo a dirlo agli altri!» e, afferrato Pai per un braccio, nonostante le sue opposizioni lo trascinò fuori con un gran rumore.
 

*

 

Imago lesse il foglio con la trascrizione che Chris le aveva appena passato. «Wow,» commentò con poco entusiasmo.
L'assistente scienziata parve delusa. «Abbiamo lavorato tanto e tu dici solo ‘wow’?»
«No, no, volevo dire…WOW! E’ che… Ed ora?»
«Ed ora cosa?»
Kisshu, che aveva sbirciato il foglio da dietro le spalle di Imago, disse piatto: «Cosa significa questa frase? Lo sapete, no?»
Pai e Chris ammutolirono e si guardarono fra di loro; ma non ebbero tempo di fare altro, perché un tonfo proveniente in direzione dell’ingresso della Sala attirò l’attenzione di tutti: una giovane ancella era appena entrata e li aveva visti.
L'aliena aveva lasciato cadere a terra il vaso che stava tenendo fra le braccia e si era portata le mani alla bocca, sgomenta.
«Aspetta, non è come credi! Siamo bravi nibiriani!» tentò Kisshu muovendo un passo verso di lei, che a quel punto strillò qualcosa e corse via.
«Mi sa che stando con me hai perso un po’ l’allenamento,» commentò Imago.
«Ho come l’impressione che la nostra tanto sudata copertura sia saltata,» sospirò invece Chris.
«Kisshu, hai davvero detto ‘siamo bravi nibiriani’?!» lo redarguì un incredulo Pai.
«Lo sapevo che sarebbe finita così!» si lagnò Taruto. «E adesso?!»
«E adesso, fine del gioco!» esclamò rapido Kisshu, afferrando la mano di Imago. «Via da qui!» disse, e nessuno trovò nulla da ridire.
 

* *


Lo schermo di una delle postazioni della sezione più isolata del Laboratorio iniziò a lampeggiare in maniera insistente: qualcuno stava tentando di mettersi in contatto con le persone al suo interno, ma nessuno rispose.
Era strano perché nell'area Recupero delle Antiche Tecnologie, quel giorno, avrebbero dovuto essere al lavoro almeno quattro fra i migliori scienziati della Capitale.

Le luci fioche dell'asettico stanzone traballarono, mentre i fili strappati di alcuni cavi che pendevano dal soffitto emanavano un ronzio sinistro.
I terminali degli scienziati erano rovesciati e distrutti, i macchinari spaccati e macchiati del sangue dei cadaveri che giacevano riversi sul pavimento.

Nell'area Recupero delle Antiche Tecnologie, quel giorno, erano al lavoro quattro fra i migliori scienziati della Capitale, ed ora erano tutti morti.
Lo schermo, un quadrato luminoso nella penombra, continuò a diramare l’avviso di comunicazione in arrivo fino a che qualcuno non lo attivò schiacciando un tasto.
Il volto corrucciato di Shiroi venne proiettato, in versione ingigantita, sui pannelli al plasma che componevano una delle pareti. «Perché hai impiegato così tanto a rispondere? Batter è stato ucciso e io pretendo di sapere perché tu non…»
Il Consigliere interruppe la sua ramanzina quando si rese conto dello stato fisico del suo interlocutore dall’altra parte dello schermo.
«S-Siamo stati attaccati,» esalò Kell con voce roca, tossendo. Lo scienziato, fermo davanti alla postazione centrale, premeva una mano sul pannello di controllo nel tentativo di sorreggersi in piedi; teneva il braccio destro allacciato allo stomaco e respirava in modo pesante e irregolare. «Erano d-due. Cer…cerc-cavano…la Chiave,» riuscì a balbettare.
Shiroi inarcò le sopracciglia sottili. «La Chiave è in mano ai tuoi amici Traditori,» replicò con disinvoltura. «Sono stati avvistati nella Sala del Consiglio poco fa ed ora sono in fuga. Sono stati loro a ridurti così?»
«No!» ansimò Kell. «Loro non…»
Un fortissimo attacco di tosse colpì lo scienziato e gli impedì di continuare. Crollò a terra in ginocchio, sporcandosi le mani e i vestiti con il sangue che ora gli usciva a fiotti dalla bocca.
Shiroi attese che l’attacco fosse passato prima di ricominciare a parlare. Anche se non lasciava trapelare i suoi sentimenti, era visibilmente seccato da quell’imprevisto.
«Forse inizio a comprendere la situazione,» rimuginò ad alta voce. «Quindi quegli sciocchi non sanno del pericolo che stanno correndo. Suppongo che non resti altro da fare che trovarli prima che chi ti ha attaccato faccia far loro la tua stessa fine. Risveglieremo anche l’ultimo Cavaliere, sperando che sia migliore di te.»
Un gemito sommesso sgorgò dalle labbra dello scienziato agonizzante.
«Fortunatamente è ormai quasi tutto pronto: basterà solo accelerare i tempi. Ma se non sono stati quei ragazzini, riesci almeno a dirmi contro cosa dobbiamo aspettarci di combattere?» provò Shiroi ma dopo alcuni secondi, resosi conto che Kell ormai sembrava non essere più in grado di rispondere, decise che era inutile insistere. Scosse la testa. «Vuol dire che lo scopriremo da soli. Vedi, fratello, la profezia era molto vaga sul tuo destino, e per questo motivo l’Ordine di Ra-Hu era preparato a questo scenario. Avremmo preferito restare neutrali fino a che i preparativi non fossero conclusi del tutto, ma ora che siamo stati sfidati così impunemente non resteremo fermi a guardare. Quanto a te, sei sollevato dalla tua missione. Buon riposo, Cavaliere,» concluse il Consigliere, chiudendo la comunicazione.
“Dammi tregua, vecchio,” pensò Kell sfinito, odiandolo con tutto il cuore.
Il giovane scienziato sentiva il sangue avvelenato bruciare nelle sue vene e scorrere dentro ogni singolo capillare del suo corpo. Era una tortura e ogni respiro, ogni battito del cuore era sempre più doloroso del precedente. Desiderava solo che finisse, ma sembrava non finire mai. Lo trovò assurdo e ingiusto, perché coloro che aveva visto ricevere la sua stessa ferita erano morti molto più rapidamente.
Kell suppose che la sua resistenza fisica superiore fosse dovuta alla sua vera natura, che l’Ordine di Ra-Hu aveva provveduto a risvegliare perché necessaria ai suoi scopi. Lo maledì per questo, maledì Shiroi e maledì anche Pai per tutto, per non avergli dato ascolto e per essere entrato in possesso della Chiave, mettendosi in pericolo in modo così idiota.

Mentre, tremando, si asciugava il sangue dagli angoli della bocca con un polso, realizzò che non poteva finire così. Lui non poteva morire in quel Laboratorio insieme alle sue ricerche, non quando era arrivato a un passo dalla fine. E non poteva lasciare quegli incoscienti né nelle mani di Shiroi né di quei mostri.
Per questo motivo, con uno sforzo immenso, Kell si trascinò verso l’angolo in cui erano conservati i sieri sperimentali. Nel farlo, inciampò sui resti di una delle sue ricercatrici. Kell non si ricordava neanche il suo nome, sapeva solo che era la più giovane e che non conosceva nulla dell’Ordine. Quando erano stati attaccati era riuscito a proteggerla dal primo di quegli abomini, ma lei aveva finito per essere presa dal secondo; le sue grida disperate lo avevano distratto ed il suo avversario ne aveva approfittato per azzannargli un braccio e ridurlo in quello stato.
Kell raggiunse il ripiano a muro su cui erano conservate le provette che cercava e ne prese una che conteneva un fluido violaceo. Le sue mani erano scosse da tremiti e fu solo dopo molti frustranti tentativi che riuscì a estrarlo con una siringa.
Gemette quando si infilò con un colpo secco il grosso ago nella gamba e si affrettò a svuotare tutto il contenuto della provetta nell’arteria: non era un antidoto e sapeva che, anche se quella roba lo avrebbe rimesso in sesto e gli avrebbe fatto smettere di provare dolore, le tossine che ormai dilagavano nel suo corpo avrebbero continuato a distruggerlo dall’interno fino a che i suoi organi vitali non fossero collassati.
Sperava solo che gli fossero concessi il tempo e la lucidità di cui aveva bisogno per fermare quella pazzia. 



 
 
+ + + +
 
Extra: Sfoglio spesso le vecchie recensioni per vedere se c’è qualche osservazione dei lettori che posso usare come spunto per la revisione, e ho notato che mi è stato chiesto da dove ho preso tutta la roba incasinata che scrivo.
Ebbene, vi narrerò la mia storia.
Dovete sapere che 14 anni fa non c’erano né Adam Kadmon né Enigmi Alieni, e per questo motivo il mondo era un posto migliore.
A quel tempo ero un piccolo bradipo solitario e non facevo altro che leggere. Dopo aver letto tutto ciò che c’era di leggibile in casa, l’unica cosa che mi rimase erano le riviste del mistero di papà. Ero piccina e avevo paura delle foto dei presunti fantasmi e alieni che c’erano lì dentro, per cui avevo studiato tutta una tecnica basata sull’individuare e coprire con un foglio le foto più spaventose prima che il mio cervello le memorizzasse. In questo modo potevo concentrarmi sulla lettura.
Fu così che, all’età di 12 anni, la Jun si appassionò all’archeologia misteriosa e a tutte queste belle cose, che in seguito ha ficcato nella fanfic.
-- fine --


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Capitolo 30
*** Labirinto di specchi ***


26 30/10/2014: Devo smetterla di inserire scene in cui muore gente.


- Capitolo 29: Labirinto di specchi -



«Mi spiegate a che cosa servono quei cristalli speciali se non possiamo utilizzarli?!»
Un seccato Taruto raggiunse in volo i suoi amici che, fuggiti dalla Sala del Consiglio, correvano senza alcun ritegno per i corridoi del Palazzo.
Correvano, e i loro passi risuonavano per quei vuoti passaggi; si mescolavano ad altri rumori più bassi e lontani, ma non per questo meno minacciosi.
«Non è sicuro!» rispose Pai. «La loro portata è molto bassa e le guardie si stanno concentrando in quest’ala del Palazzo: rischieremmo di finire in mezzo a loro.»
«Sì ma ci stanno raggiungendo!» obiettò il piccolo.
Mentre percorrevano un corridoio, un gruppetto di Guardie Imperiali apparvero davanti a loro per bloccargli il passaggio, mentre delle altre si avvicinavano dalla direzione opposta: erano in trappola.
«Kisshu!» supplicò Taruto.
«D’accordo, facciamolo!» annuì quello, prendendo Taruto per un braccio. I due fratelli scomparvero insieme e Pai andò con loro, mentre Chris e Imago, che non fecero in tempo a seguirli, finirono da un’altra parte.

Le due riapparvero in una stanza poco distante in cui sembrava che non ci fosse nessuno.
Imago, che era sempre stata molto impacciata con quella cosa del teletrasporto, lasciata da sola finì per capitombolare a terra. Chris invece si posò
con grazia sul pavimento decorato e sorrise. «Siamo state fortunat-» disse, ma venne presa alle spalle da due guardie e costretta in ginocchio con una rapidità impressionante. Il suo cristallo le cadde di mano e rotolò sotto i piedi di una terza guardia, che lo schiacciò. «Rimangio tutto.»
«E-Ehi!» Imago, nel frattempo, era stata rimessa in piedi e bloccata da una quarta guardia, così grossa che con una sola mano riusciva a tenerle ferme entrambe le braccia dietro la schiena, mentre con l’altra le requisiva il cristallo e glielo distruggeva.
«Bene, bene,» mormorò la guardia che aveva rotto il cristallo di Chris, avvicinandosi a lei.
La sua voce profonda era chiaramente quella di una donna: era alta e aveva un fisico mozzafiato malamente nascosto dall’uniforme che indossava.
«Mezzo palazzo vi sta cercando e voi finite proprio nelle nostre mani. Deve essere il mio giorno fortunato,» commentò l’aliena mentre una piccola mitraglia, tecnologica e molto elaborata, le appariva fra le mani. La puntò contro Chris.
«Non ricordavo che le Guardie Imperiali avessero in dotazione delle armi del genere,» osservò lei con calma.
«Non l’hanno, infatti, questa è mia,» rispose l’altra, togliendosi la visiera che le copriva il volto: era un’aliena poco più adulta di Chris e portava un caschetto di capelli color azzurro ghiaccio con due lunghe trecce arrotolate dietro la testa. Il suo viso era allungato, così come il taglio dei suoi occhi; aveva un ghigno sadico stampato sulla faccia.
«Il mio nome è Tinga Jiuniang, e sono un membro dell’Ordine di Ra-Hu,» spiegò. «Sono così felice di aver preso in un colpo solo proprio voi due! Magari, per ringraziarmi, il Maestro mi farà Cavaliere.»
«C-Cavaliere?» balbettò Imago, senza capire.
«Sono io qui a fare le domande! E per iniziare, ditemi: dove è la Chiave?»
«N-Non ce l’abbiamo noi!» rispose Chris. «E’ tutto un gigantesco equivoco: vede, io ero solo…qui per lavoro oggi!»
«Oh, andiamo, come se ti potessi crederti!» replicò divertita Tinga, premendole la pistola sul collo. «Farai bene a rispondermi immediatamente, mostriciattolo. Non posso ucciderti, ma posso sempre farti desiderare di essere morta,» soggiunse minacciosa.
Chris chiuse gli occhi come per prepararsi al peggio.
«Aspetta, non farle del male!»
«Fà silenzio, principessina!»
«Imago, usa il tuo potere!» urlò Chris all’improvviso. «Leggi nella mia mente!»
«Eh?»
«ORA!»
Imago non sapeva come l’apparizione di Pai potesse essere utile in quella situazione ma, spaventata e spronata da Chris, chiuse gli occhi e si concentrò. Come al solito un’immagine si formò nella sua mente e, man mano che la figura prendeva forma dentro di lei, il suo corpo si modificava, assumendo le sembianze dell’essere amato dalla sua amica.
L’energumeno che tratteneva Imago vide con terrore l’altezza della ragazza cambiare, i capelli allungarsi a dismisura e avvertì una scarica di energia percorrere il suo corpo.
«Ma cosa…?»
Tinga si distrasse e si girò verso Imago, ma un attimo dopo venne avvolta da una luce terribile che si sprigionò dal corpo della ragazza.
Ci fu una sorta di esplosione silenziosa di energia bluastra. Durò un istante e, quando cessò, le quattro guardie erano a terra.
La luce sprigionata dall’essere si disperse rapidamente; Imago tornò normale e si piegò sulle ginocchia, sconvolta da ciò che era appena successo.
Chris le tese una mano. «Bel colpo, sorellina.»
«Ma…ma… Lui?» sussurrò la ragazza aliena, tremando.
«Ehm,» annuì Chris con imbarazzo.
«I-Io pensavo che ti piacesse Pai!»
«E’ così infatti!»
«Ma, Chris, tu…tu ami Profondo Blu.»
«Beh, come tutte le nibiriane del pianeta, no?» replicò lei imbronciata, aiutando Imago a rimettersi in piedi. «Non giudicarmi! Ho visto femmine con decine di figli che svenivano al solo sentire il suo nome. Io almeno mi limitavo a fare dei disegni...e qualche pupazzetto.»
«Tu facevi dei pupazzetti di Profondo Blu?!»
«Erano carini,» mormorò Chris a mò di scuse, avvampando. «Oh, andiamo, non dirmi che non hai mai avuto una cotta per un Sovrano o qualcosa del genere!»
«Beh, in effetti sì…» ammise Imago a quel punto, arrossendo a sua volta. «Il suo nome era…»
Pai, Kisshu e Taruto comparvero nella stanza prima che Imago potesse concludere la frase.
«Eccovi, finalmente! Siamo riusciti a disperdere i Babbei Imperiali, e…» Kisshu si guardò intorno, «…cosa diamine è successo qui?!»
Chris batté le mani fra di loro come per pulirsi da uno strato di polvere invisibile. «Oh nulla, io e Imago abbiamo preso a calci qualcuno di quegli fanatici di Ra-Hu, visto che voi maschioni eravate impegnati a scappare.»
Kisshu si voltò verso la sua compagna. «La tua capacità di ficcarti nei guai è impressionante,» disse con sincerità.
Lei aveva le lacrime agli occhi. «Non prendermi in giro, io ho avuto paura!» rispose, tirando su con il naso.
Pai si chinò a terra per premere due dita sul collo di Tinga, verificando il battito del suo cuore. «Sono solo svenuti. Faremmo meglio ad allontanarci prima che si riprendano,» disse.
«Ok!» Taruto aprì rapido la porta per uscire, ma mentre lo faceva altre guardie vi passarono davanti e fu solo per miracolo che non lo videro. Kisshu si affrettò a richiuderla e a serrarla proprio mentre un altro gruppetto di ignare guardie appariva nel corridoio esterno lì davanti.
«Non ci lasceranno fuggire così facilmente,» sibilò Kisshu al fratello minore. «Se vogliamo andarcene, dobbiamo essere pronti a combattere. Ma se lo facessimo, attireremmo ancora di più l’attenzione e ci sarebbero tutti addosso in un attimo.»
«C’è anche un altro problema,» osservò Chris. «Se fuggiamo adesso dal Palazzo non avremo più possibilità di ritornarci. Organizzerebbero una sorveglianza molto più stretta, e noi non abbiamo tempo da perdere.»
Taruto sbuffò, incrociando le braccia. «Quegli stupidi non valgono neanche la metà di noi: combattiamo!»
«Parlando di non attirare l’attenzione, no?» ribatté l’alieno dagli occhi dorati, inarcando un sopracciglio.
«Oh, insomma, Kisshu! Potrei sapere che cosa ti è successo? Un tempo non eri così codardo!»
«Taruto!» lo richiamò Pai, facendolo voltare di scatto nella sua direzione. «A nessuno di noi piace questa situazione, e tu lo sai bene. Ma purtroppo Chris ha ragione: se ce ne andassimo ora, perderemmo tutto il lavoro fatto fino a questo momento. Quando hai deciso di venire con noi hai preso sulle tue spalle la responsabilità della missione che dobbiamo compiere: ciò significa che non sei autorizzato a insistere sul voler andare via.»
Il contegno assunto da Pai mentre pronunciava queste parole era così grave e solenne che troncò ogni ulteriore discussione.
Nella stanza calò un silenzio teso, rotto solo dai respiri leggeri di Imago, che senza farsi notare aveva appoggiato la schiena alla parete della stanza: lo sforzo sostenuto per usare i suoi poteri l’aveva sfiancata al punto da aver bisogno di un supporto per non cadere a terra; le sembrò strano, perché in genere non aveva mai avuto questo tipo di problemi.
Non voleva essere d’impiccio agli altri e quindi decide di limitarsi ad aspettare che quell’improvvisa stanchezza le passasse. Nell’attesa, la nibiriana osservò meglio la stanza in cui erano capitati: era abbastanza grande ed aveva una sola porta di ingresso, ma nessuna finestra. Le pareti erano di nera pietra viva, e l’unico elemento di arredo presente era un’ampia lastra di cristallo scuro di forma semicircolare, incastrata nel muro in fondo.
Non appena Imago la notò ci mancò poco che non svenne dalla felicità: conosceva bene quel luogo, e finirci dentro era stata la fortuna più grande che avesse potuto capitargli. Doveva dirlo agli altri…
«Però non capisco, perché mai dovremmo ritornare qui a Palazzo?» stava intanto domandando ostinatamente Taruto.
«Perché, saputello,» rispose Kisshu, incrociando a sua volta le braccia, «sembra che sia io che Pai siamo arrivati alla conclusione che In più profondo, stanza due di quello che hai più antico non sia altro che un modo poetico per dire: "in fondo alla seconda stanza di quello che hai più antico".»
Un’espressione di vaga confusione si dipinse sul viso del bambino.
«Ho capito!» esclamò Chris, facendo sobbalzare tutti. «Questo Palazzo, essendo stato costruito dai nostri antenati quando giunsero la prima volta su questo pianeta, è proprio una cose più antiche che esistono!»
«Esattamente,» annuì Kisshu. «Ma non chiedermi quale sia la seconda stanza…»
«Seconda stanza,» ripeté Pai. Cercò di riflettere su quelle parole, ma non gli venne in mente niente.
Forse, pensò, in passato le stanze del Palazzo erano state numerate… e se era così, e questa numerazione era andata perduta col tempo, ora come ora l’unico modo per trovare la stanza giusta era quello di frugarle singolarmente tutte quante; ma questa era una cosa assurda solo a pensarci, perché il Palazzo era composto da centinaia e centinaia di stanze, senza contare i passaggi segreti. Avrebbero impiegato secoli per esplorarlo tutto. E ad ogni modo, erano proprio sicuri che la cosa antica fosse davvero il Palazzo del Pianeta Nero?
«Ad ogni modo, dobbiamo trovare in fretta un modo di andare via da qui. C’è metà dell’esercito fuori da questa porta, e non tarderanno a venire a curiosare qui dentro,» mormorò Kisshu.
«Io conosco un modo!» si intromise Imago a quel punto.
«Sarebbe?»
«Maestra delle fughe, ricordi?» rispose l’aliena, indicandosi la faccia con larghi gesti delle dita. Poi, senza voltarsi indietro, batté il pugno su un pannello metallico alle sue spalle e la lastra di cristallo in fondo alla stanza si aprì in due come se fosse una porta automatica.
«Cos’è, un altro passaggio segreto?» chiese Chris.
Imago scosse la testa. «Purtroppo no, e le guardie stesse conoscono bene questa porta, ma se entriamo qui dentro non ci troveranno facilmente.»
Chris annuì e si avvicinò all’ingresso di quella nuova via di fuga, ma i tre fratelli rimasero fermi dietro di lei. Per questo motivo, l’aliena si girò dalla loro parte con aria interrogativa. «Che cosa vi prende adesso?» domandò.
Kisshu, Pai e Taruto si scambiarono un’occhiata veloce.
«Ma questo… questo non è il Labirinto degli Specchi, vero?» sussurrò spaventato il più piccolo. «Vero che non lo é?»
Imago si morse un labbro. «Invece lo è,» rispose con cautela.
Le gambe di Taruto si mossero all’indietro da sole. «No, no, io lì non ci entro! Io lì dentro non ci entro!»
«Non mi dirai che credi a quelle stupide storie?» sbottò Kisshu a quel punto, nascondendo la sua paura. «Avanti, non fare il bambino!»
«No, no, no! No!»
«D’accordo, non so cosa sia questo Labirinto di Specchi, ma comincio ad avere una brutta sensazione a riguardo,» osservò Chris verso Pai, che pure sembrava leggermente turbato. «Stiamo per morire tutti?»
«Dipende,» rispose serio l’alieno. «C’è una buona probabilità che le storie legate a questo luogo siano false. D’altra parte, i morti e gli scomparsi in questo luogo erano veri, quindi qualcosa di strano è effettivamente successo qui dentro. Credo comunque che ci toccherà fidarci di Imago.»
Pai tirò un profondo sospiro, poi si rivolse a Taruto: «Kisshu ha ragione, smettila di fare i capricci. O gli spiriti degli specchi o la condanna a morte,» lo minacciò, indicando la porta alle loro spalle. «Scegli.»
«La condanna a morte!» dichiarò subito Taruto, ma nel frattempo Kisshu lo aveva preso per le spalle e lo aveva trascinato di peso dentro il labirinto, seguendo Imago.
Chris non sapeva cosa fare. «Gli spiriti…?» chiese confusa a Pai.
«Andiamo anche noi,» si limitò a replicare lui, facendo un cenno con la testa.
«Quali spiriti
«Non ci sono spiriti,» rispose Pai con una secca convinzione. «Non esistono cose del genere. E anche se ci fossero, non permetterei loro di farvi del male,» concluse.
Sentendo quelle parole, Chris si decise a varcare l’ingresso del labirinto. Pai entrò per ultimo, ma non prima di aver premuto nuovamente il pannello che attivava il passaggio, che si richiuse un attimo prima che un piccolo drappello di Guardie Imperiali comparisse nella stanza per perquisirla.
 
 
«Ah! Che razza di posto è questo?»
Chris non riusciva a credere ai suoi occhi: era circondata da specchi!
Aveva immaginato una cosa del genere, dato che Taruto aveva chiamato quel luogo “Labirinto di Specchi”…ma il ritrovarsi circondata da decine di vetri che riflettevano e distorcevano in ogni modo possibile la sua immagine era comunque sconcertante!
Quegli specchi, di infinite forme e materiali diversi, erano ammassati senza logica in ogni parte e ricoprivano persino il soffitto e il pavimento; diffondevano male la luce di alcune sfere luminose che galleggiavano in aria, dando nel complesso a quel luogo un’aria spettrale. C’era un silenzio di tomba; Chris se ne rese conto non appena la prima reazione di stupore fu passata.
Pai le sfiorò un braccio. «Muoviamoci. E non guardare gli specchi,» le disse passando avanti.
«E’ facile,» rispose lei sarcastica.
«Non fidarti di quello che vedi,» precisò Kisshu. Taruto, accanto a lui, batteva i denti come se avesse improvvisamente freddo.
Sentirono delle voci oltre la porta: ferme dall’altra parte del cristallo, le guardie stavano decidendo se entrare nel Labirinto per cercare i fuggitivi o andarsene e lasciarli al loro destino.
«Non possono teletrasportarsi qui?»
«In questo posto le nostre capacità sono azzerate,» rispose Imago. «Andiamo,» disse poi, e condusse gli altri verso un angolo in cui, incassato in mezzo a due specchi convessi, c’era un passaggio.
Era talmente stretto che a stento due persone potevano percorrerlo insieme. Ce ne erano decine di simili e per questo motivo gli alieni realizzarono che, se si fossero allontanati abbastanza dall’entrata, le guardie avrebbero impiegato parecchio tempo per trovarli, sempre se avessero avuto il coraggio di attraversare quella soglia maledetta.
Il problema adesso era solo trovare l’uscita.
«Imago, tu conosci bene questo luogo, vero?» domandò Pai.
«No, in effetti no. Questa è la prima volta che ci entro,» rispose lei serafica.
«Spero che la mia compagna stia scherzando,» osservò Kisshu con voce leggermente più acuta del normale; avanzava a fatica e per ultimo perché Taruto gli stava abbarbicato ad una gamba per il terrore.
«No, ma il mio istinto mi dice che ce la faremo,» rispose lei con ottimismo.
«Dovrei avere con me una penna magnetica e un foglio,» osservò Chris soprappensiero. «Penso che li userò per scrivere le mie ultime volontà.»
Mentre si inoltravano in quell’inno alla claustrofobia, il loro udito sviluppato permise loro di sentire dei suoni profondi e lontani.
Erano le guardie che avevano infine deciso di seguirli, oppure era…altro?
I cinque percorsero il passaggio fino in fondo; si strinse al punto tale che furono costretti a procedere in fila indiana. Dopo poco tempo, scoprirono che la strada che avevano scelto aveva quattro differenti diramazioni. Imago, che apriva la strada, scelse il passaggio a destra senza fermarsi e gli altri la seguirono.  
Neanche a dirlo, nel passaggio in cui si erano infilati c’erano altri specchi, tanti: erano dappertutto, e per questo sembrava che da ogni parte del corridoio intorno a loro ci fosse un silenzioso movimento di figure che li stavano seguendo, specchio dopo specchio, aspettando soltanto il momento buono per saltare fuori e prenderli.

Pai non riusciva a distinguere bene i riflessi negli specchi perché la luce scarseggiava; vedeva solo sagome indistinte muoversi dentro di loro come un incantesimo ammaliante, e si ritrovò a lottare per non restarne succube. Si ricordò che sul Pianeta Azzurro c’erano molti posti simili a questo Labirinto: gli esseri umani li consideravano un’attrazione e li usavano per divertirsi, ma lì dentro non c’era nulla da ridere: persino lui che non credeva agli spiriti si sentiva intimorito dall'aria di morte che aleggiava in quel luogo.
Raggiunsero un altro bivio; Imago si fermò pensierosa e gli altri la imitarono.
Attaccato ad uno specchio c’era un’altra di quelle sferette luminose, ma non per questo l’atmosfera era meno opprimente. Ora non si sentivano piu' voci o rumori, eppure ad ogni minimo movimento qualcosa guizzava intorno a loro.
Un sottile sibilo di lame… Kisshu aveva estratto i suoi due tridenti ed ora si stava guardando intorno con circospezione.
Taruto gli andò vicino, tremando paurosamente.
«Perché i tuoi fratelli sono così spaventati?» domandò sottovoce Chris a Pai. «Questo posto è molto caratteristico, ma niente più.»
«Se fosse un semplice labirinto ti darei ragione,» sussurrò Pai in risposta. «Ma devi sapere che Deiwos, il primo Sovrano dopo la fuga dalla Terra, fece costruire questo luogo per liberarsi dei suoi avversari.»
«Bel tipo. Li faceva perdere dentro il labirinto?»
«La leggenda narra che imprigionasse le loro anime in questi specchi.»
Un improvviso clangore metallico li fece voltare di scatto entrambi: un tridente era scivolato di mano a Kisshu.
L’alieno, imbarazzato, afferrò Taruto. «Insomma! La smetti di fare il neonato?»
«Ma se non ti ho toccato!» protestò quello, ma Kisshu gli tappò la bocca con una mano.
«Zitto, non cercare scuse!»
«Mpphhh...fei fu fe fei un fifiacco!»
Chris si voltò di nuovo verso Pai. «E’ molto inquietante, ma… anche se fosse vera, finché questi poveracci se ne stanno richiusi negli specchi non c’è problema per noi, no?»
«Il fatto è che si dice che con il passare del tempo le anime malvagie di questi esseri abbiano preso il controllo del Labirinto e che ora si divertano a vincolare nella loro dimensione chiunque osi addentrarsi al suo interno. Se qualcuno disturba il loro riposo, loro gli strappano l’anima e la incatenano per l’eternità in uno specchio. Non è possibile combattere contro di loro perché non sono esseri vivi o reali... non c’è scampo, una volta che si sono risvegliati,» raccontò Pai. Si girò verso Kisshu e Taruto: «Perciò voi due fareste meglio a chiudere quelle bocche; e tu Imago, cerca presto una via d’uscita, sempre se esiste…. ma… dov’è finita Imago?»
«Oh no, l’hanno presa!» esclamò Taruto atterrito, liberandosi dalla presa di Kisshu. «Ora toccherà a noi!»
«Taruto, questa degli spiriti è solo una favola per bambini capricciosi come te,» precisò Pai.
«Intanto però la mia compagna è scomparsa per davvero,» sussurrò Kisshu, riafferrando i suoi tridenti. «Imago!» chiamò cercando di far meno rumore possibile, e si guardò intorno. «Ah, dove eri andata?» le disse, quando lei si fece avanti da un passaggio sulla destra.
Lei non rispose.
«Hai trovato l’uscita?»
L’aliena annuì senza fermarsi, camminando dalla parte opposta del passaggio.
«Aspetta! Dove vai?» Kisshu si staccò dal gruppo e le andò dietro.
«Kisshu! Dove vai tu! Io sono qui!» disse Imago alle sue spalle, afferrando uno dei nastri del suo vestito per fermarlo.
«Eh?!»
Kisshu si girò indietro e la vide. Si girò di nuovo davanti e scoprì che l’altra Imago era sparita.
«…occoics orevoP» gli sembrò di sentirsi sussurrare nelle orecchie da una voce sconosciuta, che subito dopo scoppiò in una risatina. Deglutì.
«Che cos’hai?» gli chiese Imago, incerta.
Lui le rivolse uno sguardo nervoso e la prese per mano, tornando dagli altri che li stavano aspettando a poca distanza; poi si guardò intorno, e vide Pai che lo squadrava, le mani al petto.
«Una favola, eh?» mormorò Kisshu, rivolto verso di lui. Aveva un’aria stravolta.
«Comincio ad averne abbastanza di questo posto,» ribatté Pai con un’espressione indecifrabile. «Sbrighiamoci a trovare una via d’uscita.»
Mentre Pai parlava, Chris si era fermata davanti ad uno specchio grezzo e pieno di graffi. «Interessante…» sussurrò, sfiorando con una mano la sua superficie scura del vetro. Per un attimo, le sembrò che qualcosa tremasse al suo interno, poi vide qualcosa avvicinarsi alle spalle del suo riflesso.
Si sentì stringere davvero le spalle e sussultò, ma era solo Pai.
«Chris!» le disse lui, tirandola via da lì. «Sta’ attenta, insomma!»
«Ma certo!» sorrise lei aggrappandosi al suo braccio muscoloso, cosa che fece irrigidire Pai per l'imbarazzo.
Taruto deglutì: si era messo di fronte ad un altro specchio. «Io non voglio finire qui dentro, non voglio, non voglio,» mormorò più volte. Alzò la testa e guardò il vetro: rifletteva la sua immagine, ma riusciva a scorgere anche l’immagine dello specchio alle sue spalle che lo rifletteva, e con esso il suo riflesso. E dentro il riflesso, c’era il riflesso del suo riflesso. Era una cosa che lo mandava in confusione.
«Taruto…!» Kisshu lo agguantò e lo portò via da lì, mentre lui ancora piagnucolava. Fecero insieme qualche passo, ma scoprirono presto di essere rimasti indietro.
Kisshu cercò di trovare Pai e gli altri, ma era troppo buio e confuso per capire quale passaggio avevano scelto di prendere. «Per colpa tua, ci siamo persi!» esclamò nervoso al fratello minore.
«!isrep omais ic ,aut aploc reP» gli fece eco una voce lontana.
«Ma cosa…?» sussultò Kisshu, fermandosi. Lasciò la presa sul braccio di Taruto.
«?…asoc aM» disse la voce, risuonando nel vuoto.
Scese il silenzio, e poi di colpo Kisshu e Taruto avvertirono una presenza nel corridoio che si estendeva di fronte a loro. Non riuscivano a vederla, ma i loro sensi la percepivano chiaramente: scivolava verso di loro sibilando, e man mano che avanzava gli specchi più lontani scricchiolavano in modo sinistro come se il passaggio che creavano fosse troppo stretto per la stazza dell’essere che lo stava percorrendo.
Senza esitare oltre Kisshu riafferrò il braccio di Taruto e cercò di teletrasportarsi lontano da quel pericolo imminente, ma qualcosa non funzionò perché furono scaraventati entrambi a terra.
«Siamo rimbalzati contro uno specchio! Questo posto è schermato!»
Si rialzarono e, tenendo lo sguardo basso per non guardare gli specchi, corsero entrambi più veloce che poterono per i corridoi in direzione opposta, finché non parve loro di vedere in lontananza i loro amici. Si avvicinarono a loro, ma finirono per sbattere la faccia contro un ennesimo specchio.
«Ne ho abbastanza di questi cosi!»
«Questo è un riflesso! Sono dall’altra parte!» esclamò Taruto, e stavolta fu lui a trascinare via Kisshu.
Quando alla fine raggiunsero gli altri, che erano fermi in una piccola isola circolare in cui confluivano almeno una decina di percorsi, i due fratelli respiravano a fatica per la corsa e la paura.
«Siete…siete voi davvero?» chiese Kisshu ansimando.
«Is is!» sorrise Imago.
Kisshu, se possibile, divenne ancora più pallido di quanto già non fosse nella normalità.
«Calma, calma, scherzavo!» si affrettò a dire Imago.
«Non c’è niente da scherzare! Questo posto è assurdo!» ululò lui.
«Ma dai, è solo la tua immaginazione! Qui dentro non c’è nessun pericolo!»
«No, ti dico che c’è qualcosa, invece!»
Pai strinse gli occhi, guardandosi intorno con aria concentrata. «Anche io credo che ci sia qualcosa, ma secondo me non sono altro che i nostri inseguitori. I loro passi e le loro voci rimbombano nell’ambiente chiuso e danno l’impressione che ci sia una presenza sovrannaturale.»
«Ti sbagli, Pai!» protestò Taruto. «Io e Kisshu abbiamo visto…»
«Oh, no, vuoi dire che non si sono ancora arresi?» sbuffò Chris, interrompendo il piccolo. «Sono davvero dei pazzi.»
«Sì, e sembra che stavolta siamo davvero in trappola,» osservò Pai.
«Vuoi dire che dovremo davvero farci strada combattendo?»
«Non c’è n’è bisogno,» si intromise Imago. «Dovete sapere che siamo proprio al centro del Labirinto.»
Pai si accigliò. «Non capisco come questo possa aiutarci.»
«Beh, vedete questo specchio grande e nero che abbiamo qui davanti?» chiese, indicando il gigantesco specchio decorato posto al centro dell’isola. «Si dice che sia il portale d’ingresso per la dimensione in cui vivono gli spiriti cattivi.»
«Ah, allora è tutto a posto!» ironizzò Kisshu.
«Per questo motivo, nessuno osa avvicinarsi,» concluse Imago.
Chris incrociò le braccia. «E’ una anche questa favola, vero?»
«Lo scopriremo subito,» le rispose l’altra sorridendo; indietreggiò fino allo specchio e scomparve dentro di esso.
«I-Imago!» gridò Kisshu in preda al panico, e in un momento fu davanti allo specchio nero.
«Dannazione a te!» disse, prendendo a pugni la cornice.
Taruto si portò le mani al viso. «Lo sapevo! LO SAPEVO!» strillò isterico.
Chris e Pai erano entrambi sbalorditi; ma quando sentirono le voci delle guardie sempre più vicine, furono costretti a raccogliere nuovamente il loro sangue freddo.
Indietreggiarono tutti verso lo specchio nero e Pai estrasse il ventaglio, pronto a vendere cara la pelle.
Kisshu cercò di imitarlo, ma dopo pochi istanti li rinfoderò.
«No, perdonatemi,» mormorò nervoso, con un sorrisetto, «non posso lasciare sola quella lì,» ammise, e poi si gettò anche lui dentro lo specchio.
Le bolas scivolarono dalle mani di Taruto. Lui, Pai e Chris si lanciarono un’occhiata, ma nessuno si mosse o disse niente.
All’improvviso, Kisshu riemerse per metà dal finto vetro. «Paura, eh?» sogghignò, guardando le facce dei suoi compagni. «Avanti, venite!»
«Ma…»
«Fidatevi, non vi accadrà niente!» e scomparve di nuovo.
«Fidarsi… come si fa a fidarsi di tipi come questi?» si lagnò Chris, oltrepassando per ultima lo specchio dopo Pai e un tesissimo Taruto.
Quando alcuni secondo dopo anche le Guardie Imperiali raggiunsero il centro del labirinto, lo trovarono deserto.
Si convinsero che gli spiriti avessero preso gli intrusi, e per questo motivo corsero via in preda al terrore più profondo.
Solo due di loro rimasero fermi in posizione: erano altri membri dell’Ordine che si erano infiltrati fra le Guardie per ordine di Shiroi. Uno dei due fece un cenno all’altro e si avvicinò allo specchio nero, ma sentì un fruscio ed un tonfo dietro di lui e quando si voltò indietro scoprì che il suo fratello giaceva a terra in preda all'agonia.
Spaventato, il nibiriano estrasse una pistola a impulsi e contemporaneamente prese un comunicatore, ma lì dentro non funzionavano neanche quelli. Un attimo dopo venne sbattuto contro uno specchio da una forza possente e invisibile e finì per fracassarlo; a causa della caduta, perse la sua arma. Cercò di riprenderla, ma qualcosa che non poteva essere visto da occhi normali si avventò su di lui e lo fece a pezzi nel tempo di un respiro.


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Capitolo 31
*** Il cammino di vita e morte ***


26 30/10/2014: Prima della revisione questo capitolo era lungo circa 6700 parole, ora invece è di 5990 parole.
Mi sento realizzata quando riesco a fare queste cose.
(Il capitolo resta comunque incasinato, ma almeno ora è meno prolisso.)
PS. Facciamo tutti finta che le soluzioni degli indovinelli siano credibili.



- Capitolo 30: Il cammino di vita e morte -

 
Il buio.
Il nulla, il vuoto, la totale assenza di ogni cosa: questo era ciò che si nascondeva oltre lo Specchio Nero.
Una volta che Pai, Taruto e Chris lo ebbero attraversato, rimasero stupefatti da ciò che…non si trovarono davanti. L’oscurità intorno a loro li accecò e li spaventò, cancellando ogni loro certezza; ma tutto questo solo per un istante, perché presto sentirono alle loro spalle un risolino conosciuto.
«Benvenuti nella dimensione degli spiriti!» La voce allegra di Imago disperse ogni loro paura.
Taruto, che fino a quel momento aveva tremato stringendo un lembo del vestito di Pai, tirò un sospiro di sollievo.
«Davvero molto divertente,» commentò Chris, facendosi aria con una mano.
«Siete voi che vi spaventate per nulla,» osservò pacato Kisshu. Creò un paio di chimeri luminosi che subito diffusero luce nell’ambiente, facendone risaltare i contorni.
Gli altri ne approfittarono per lanciare occhiate curiose in giro: questa volta erano capitati in un lungo passaggio che si estendeva in linea retta davanti a loro per alcuni metri, per poi perdersi nell’oscurità; i grossi blocchi di pietra che formavano le sue pareti dovevano essere di un materiale pregiato, ma il tempo e la poca cura li avevano ormai corrosi irrimediabilmente.
Chris si tolse un po’ di povere dalla tunica bianca che indossava e incrociò lo sguardo della sua amica. «Ma davvero, tu conosci tutti i passaggi segreti del Palazzo?»
Imago alzò le spalle. «Diciamo che conosco bene casa mia,» le rispose.
Lei non replicò ma iniziò a camminare in avanti, scuotendo la testa. Gli altri le tennero dietro.
Si inoltrarono nel passaggio; ogni passo che muovevano sollevava una nuvoletta di polvere ai loro piedi.
“Casa mia…”
Mentre camminava in silenzio dietro ai suoi compagni, Imago ripensò alle sue ultime parole.
Come le era saltato in mente di chiamare il Palazzo  “casa sua”?
In fondo, aveva abitato lì dentro solo per poco, durante il brevissimo regno di suo padre.
Improvvisamente, le tornarono in mente i ricordi del suo passato: dapprima cercò di respingerli, poi cominciò a giocarci. Si rivide mentre, da piccola, piagnucolava con sua madre perché non voleva studiare l’alfabeto antico. Lei, abituata a queste scene, sospirò con rassegnazione.
Imago rivide la porta della sua casa aprirsi e suo padre entrare. Con lui c’era un nibiriano che si era presentato come un messo imperiale: annunciò che era appena stato eletto Sovrano del pianeta, e che presto avrebbe dovuto trasferirsi a Palazzo con tutta la sua famiglia.
Suo padre, ricordava Imago, a quelle parole aveva assunto un’espressione compiaciuta e vagamente maliziosa; poi, dopo che il messo si fu congedato, con quella stessa faccia si era avvicinato a sua madre, chiedendole perché lei invece sembrasse così turbata.
“Non fraintendermi,” si era affrettata a rispondere lei. “Sono felice per te, solo che… credevo che il nuovo Sovrano fosse Tule degli Enki.”
“Chi, quel traditore...?” aveva ribattuto lui con noncuranza. “Sembra che lui e la sua famiglia siano scomparsi in un… tragico incidente…” aveva soggnignato, e nello stesso momento Kassandra, seduta accanto a Imago, aveva soffocato una risatina malefica.
Kassidiya, invece, si era limitata a sollevare la testa dal grosso papiro che stava leggendo, per poi a tornare a immergersi apaticamente nella sua lettura.
La madre di Imago annuì alle parole del compagno e poi svanì con il resto del ricordo.
Imago, a quel tempo, non aveva sospettato nulla; solo in seguito aveva scoperto che in realtà era stato suo padre, insieme ad altri congiurati, ad assassinare Tule e la sua famiglia. Quella notizia era praticamente di dominio pubblico, ma nessuno aveva mai trovato da protestare: al contrario, tutti erano lieti che finalmente la vergognosa stirpe degli Enki si fosse estinta per sempre. Tutti, ancora oggi, consideravano suo padre un eroe.
Tutti, tranne lei.
Chissà, forse lei era stata la sola a provare dispiacere nell’apprendere quella notizia. E’ che proprio non riusciva a immaginare che suo padre potesse uccidere, e poi… non riusciva ad accettare la scomparsa degli ultimi discendenti del suo eroe personale.
Le tornò in mente la storia di Enki, che era sempre stata la sua preferita: quando era piccola, se l’era fatta raccontare da sua madre decine di volte. Non riusciva a ricordare le parole precise, ma si divertì a richiamarla alla memoria: era ambientata nel passato, quando la loro gente ancora viveva sul Pianeta Azzurro….
 
Esisteva, durante quel meraviglioso periodo, un ingegnere, uno dei più abili di Atlantide, il cui nome era Enki.
Il suo popolo doveva lavorare molto ed era in difficoltà e per questo motivo, spinto dal Sovrano Anu, Enki e la sua compagna Ninti usarono le loro conoscenze per creare degli aiutanti. Questi esseri, diceva Enki, sarebbero stati forti e puri d’animo, e si sarebbero chiamati terrestri.
Il primo uomo si chiamò l'Adamo, per l'appunto; poi fu la volta della prima donna, che venne chiamata Eva.
All'inizio, i risultati delle ricerche di Enki furono accolti con gioia dal popolo: i terrestri erano utili e persino divertenti nella loro innocenza: mostravano di capire, potevano parlare e, soprattutto, li lodavano come se fossero degli dèi; ma delizia del popolo si trasformò in panico quando si scoprì che Enki aveva continuato con le sue ricerche, modificando i terrestri in modo che potessero amarsi e riprodursi da soli.
Ciò fece perdere ai terrestri la loro originale purezza e li trasformò in un pericolo, perché si perse il controllo della nuova specie. Le nascite non furono più programmate e limitate e la popolazione umana aumentò a dismisura in poco tempo; iniziò persino a mischiarsi con quella degli atlantidei e questo causò l’ira di Anu.
Il Sovrano ordinò che da quel momento in poi i terrestri non sarebbero più stati un trastullo per i suoi sudditi, ma sarebbero stati utilizzati prettamente come schiavi e per questo motivo avrebbero dovuto essere trattati come tali.
I terrestri vennero così deportati e costretti a lavorare fino alla morte nelle miniere d’oro e a guadagnarsi con fatica la vita, con addosso il rimorso di aver tradito la fiducia divina di Anu. Morirono a migliaia.
Gli incroci, invece, si ribellarono e furono costretti a molte battaglie, che causarono povertà e grandi sofferenze.
Un giorno, quando si scoprì che un meteorite avrebbe presto colpito la Terra, Anu ordinò ai suoi sudditi di fuggire, abbandonando i terrestri e gli incroci al proprio destino.
In questo modo, quando un giorno sarebbero tornati sul Pianeta Azzurro, avrebbero potuto ricominciare tutto daccapo.
Ma Enki si era innamorato dei terrestri e, tradendo gli ordini di Anu, decise di salvarne una parte insegnando ad uno di loro come costruire un’arca in grado di affrontare il disastro che stava per abbattersi su di loro. Poi fuggì con Ninti e con il fratello Enlil.
Enlil, però, scoperto il tradimento del fratello, lo precipitò sulla Terra, uccidendolo; inoltre, fece in modo che tutti coloro che avevano sostenuto la sua causa fossero abbandonati nel deserto inospitale di Marte. Non punì Ninti, perché se ne era perdutamente innamorato: ma il suo fu un grave errore, perché Ninti era incinta, e quando Enlil se ne accorse, per lui era ormai troppo tardi.
Fu così che la discendenza di Enki venne salvata; e fu così che l’umanità sopravvisse al Diluvio Universale, ma il nome del suo vero salvatore venne maledetto per l’eternità.
 
Imago considerava Enki un eroe perché aveva compreso che i terrestri, anche se erano stati creati, erano esseri viventi e avevano diritto di esistere, di essere felici e di innamorarsi, ma era una delle poche a pensarla così: sul Pianeta Nero, tutti ce l’avevano sempre avuta sempre a morte con gli Enki perché secondo loro era colpa sua se adesso la Terra era irreversibilmente contaminata dai terrestri, di cui non avrebbero mai perso il controllo se lui non gli si fosse avvicinato più del dovuto. La discendenza di Enki era stata sempre soggetta ad muto disprezzo e, quando uno degli ultimi Sovrani designò proprio un Enki come suo successore, dopo poco sia lui che l’intera famiglia di “traditori” e “filo-terrestri” morì in un incidente. Dopo ciò, il Consiglio elesse come nuovo Sovrano il nobile Kaishu, il padre di Imago, che era da sempre espressamente anti-terrestri; quando poco tempo dopo anche lui morì, a salire al potere fu un anziano, Mahimi. Sposandolo, qualche anno dopo, Kassidiya riprese il trono che le era stato ingiustamente, secondo lei, tolto.
 
Mentre fantasticava con questi pensieri, Imago sentì una mano scivolarle intorno alla vita e prima ancora di accorgersene si ritrovò stretta a Kisshu, che la stava fissando.
Lei arrossì e ricambiò quello sguardo penetrante con uno interrogativo.
«Non mi piaci quando fai questa faccia,» disse lui come preoccupato.
«Cosa? Quale faccia?» replicò lei, ancora più confusa di prima.
«Quella che hai adesso. E’ troppo seria…» spiegò Kisshu, lasciando la presa. Le passò davanti, incrociando le braccia dietro la testa.«…se la fai, sembra davvero che tu stia pensando a qualcosa di intelligente,» concluse sogghignando.
Imago arrossì. «Allora non sto pensando certo a te!» ribatté piccata, colpendolo con un piccolo pugno alla spalla.
«Ahia! Sei davvero un essere odioso, ragazzina!»
«Guarda che sei tu che sei insopportabile!»
«Ah, è così che la pensi?»
Kisshu e Imago si guardarono in cagnesco per molti secondi, ma alla fine scoppiarono a ridere insieme.
«Voi due, vi sembra il momento?!» li sgridò a quel punto Pai, seccato.
I due ripresero a camminare in silenzio nel passaggio; quando però Imago avvicinò la sua mano a quella di Kisshu, lui gliela strinse e le sorrise, facendole accelerare in modo spaventoso i battiti del cuore.
Lei non sarebbe riuscita a spiegare la sensazione che stava provando in quel momento: sapeva solo che le riempiva il cuore e aumentava la sua energia a dismisura, cancellando ogni pensiero negativo dalla sua mente. Amava davvero tanto Kisshu, ma non aveva idea di come dimostrargli i suoi sentimenti, per cui si limitò a scoccargli un bacio sulla guancia non appena ne ebbe l’occasione, facendolo arrossire leggermente per la sorpresa.
Chissà come avrebbe reagito Imago se avesse saputo che Kisshu era uno dei discendenti sopravvissuti di Enki?
 
Alcuni minuti dopo, i cinque alieni si ritrovarono davanti ad un bivio e si fermarono per riposarsi un po’. Cominciarono a parlare dell’enigma della stanza, ma ben presto il discorso scivolò sull’ultimo ostacolo che si erano lasciati alle spalle.
«Scommetto che nessuno è mai uscito dal Labirinto perché tutti se la filavano per lo Specchio Nero, no?» osservò Kisshu.
«Solo pochi ce l’hanno fatta,» rispose Imago. «Tutti gli altri erano terrorizzati per il solo ritrovarsi lì, figuriamoci se osavano toccare lo specchio maledetto,» sospirò, cercando di non pensare alla morte terribile che avevano fatto quegli sventurati.
«Ma perché gettare i tuoi nemici in un posto con una via d’uscita così in bella vista?»
«Non so, forse per dargli un’ultima possibilità,» mormorò Pai in risposta, con poco interesse. «Ad ogni modo, Imago, dove siamo adesso?»
«Uhm,» meditò l’aliena. «Il Labirinto era nei piani superiori del Palazzo, ma il portale dello Specchio ci ha condotti sottoterra. Avevo sentito parlare di questo passaggio segreto: credo sia quello centrale, che ha un sacco di sbocchi per tutti i piani del Palazzo. Si dice che sia molto articolato, ma sembra che non esistano sue mappe.»
«Di un po’, pensi che l’indovinello rimandi a questo tunnel?» le chiese Pai a bruciapelo.
«Ci ho pensato: in fondo questo passaggio si trova nella parte più profonda di una stanza antichissima del Palazzo…però non c’è nessun riferimento al numero due!»
Chris si intromise nella discussione. «Beh, se c’è una possibilità che sia questo il posto giusto, perché non proviamo a frugarlo tutto? In fondo, non abbiamo nulla da perdere.»
«L’orientamento, si,» replicò Imago. «Te l’ho detto, è uno dei passaggi più estesi,» sospirò. «Ho paura che la nostra caccia al tesoro sia finita qui,» disse, appoggiandosi al muro e lasciandosi scivolare a terra.
Kisshu le andò vicino, sorpreso da quel comportamento. «Ma che stai dicendo? Avanti, rialzati,» la richiamò.
«Fra un attimo…» rispose lei, chinando la testa.
A Kisshu quello sbalzo d’umore parve a dir poco strano: dov’era finita tutta l’energia e l’ottimismo di Imago?
«D’accordo, se vuoi riposarti…» annuì poco convinto e andò dagli altri, che ora stavano esaminando il bivio su cui si trovavano: da un lato c’era un altro corridoio che saliva con una leggera pendenza; dall’altro, una discesa che si perdeva nell’oscurità.
«Dove finisce quello scivolo, Imago?» chiese Chris, indicandolo con un dito.
«Di sotto,» rispose lei passivamente.
«Non ci sarei mai arrivata,» osservò Chris con ironia. Poi notò che la sua compagna era diventata pallida. «Che hai?» le domandò.
«Niente, sono un po’ stanca...»
Chris socchiuse gli occhi. «Cerchiamo di fare in fretta, allora.»
«Fare cosa? Forse non ve ne siete accorti, ma siamo ad un punto morto!» si lagnò Taruto.
«Ma cos’è, un’epidemia di depressione?» sbottò Kisshu a quel punto.
Pai lo sostenne. «Se avessimo voluto piangere o disperarci ci sarebbe bastato consegnarci alle Guardie. Ma ormai siamo qui e dobbiamo andare avanti,» disse con autorevolezza.
«Non vedo niente di utile davanti a noi,» commentò Chris.
«Io vedo due strade,» rispose Pai. «E siccome non possiamo tornare indietro, l’unica cosa da fare è vedere dove portano e scegliere quella migliore. Propongo di dividerci: io e Chris andremo a destra mentre tu, Taruto, andrai a sinistra. Ci rivediamo qui.»
«Va bene!» annuì Taruto. «A dopo!» e si lanciò giù per lo scivolo a sinistra.
«Pai, non ti sembra di dimenticare qualcuno...?» gli fece notare Kisshu.
«No. Tu resterai qui.»
Lui gli lanciò un’occhiataccia.
«D’accordo, allora fai quello che preferisci, ma ovunque deciderai di andare, non credo che la tua compagna sia in grado di seguirti,» sbottò il maggiore.
Kisshu spalancò gli occhi. «Che cosa?» esclamò, girandosi verso Imago, che evitò di guardarlo.
«Noi andiamo…» mormorò Pai e, insieme a Chris, scomparve dietro l’angolo a destra.
Kisshu si avvicinò a Imago. Si inginocchiò davanti a lei e la prese per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.  «Che vuol dire che non stai bene?» le chiese, sconvolto. «Non sarà mica…»
«Ora è la tua faccia che non piace a me,» osservò lei con un vago sorriso. Kisshu la guardò così male che si affrettò ad aggiungere: «Non preoccuparti, mi è già capitato altre volte, fra pochissimo tornerò normale!»
«Ti è già capitato?» la interruppe lui, inorridito. «Perché non me l’hai detto?»
«Ops.» Imago chinò la testa senza rispondere.
Kisshu stava per aggiungere qualcosa quando gli giunse all’orecchio l’improvviso rumore di un frangersi d’acqua, come se qualcuno si fosse appena tuffato in una piscina, seguito da uno strillo: provenivano dal fondo dello scivolo dove era sparito Taruto.
Lui ricomparve con il teletrasporto un secondo dopo, con gli abiti stracciati e sporchi e un odoraccio rivoltante addosso.
«Bleah!» dichiarò schifato il piccolo alieno. «Quello scivolo finiva nelle fogne! Doppio bleah! Triplo bleah!»
Kisshu e Imago, dimenticando per un momento la situazione, non poterono fare altro che guardarsi in faccia e scoppiare in un risolino.
Tornarono subito seri, ma Taruto assunse un’aria offesa e si strofinò il viso tutto impiastricciato.
«Oh, aspetta, dovrei avere un fazzoletto…» gli disse Imago, cercando fra le pieghe del suo vestito.
Istintivamente, Taruto la imitò: si frugò le tasche finché non gli capitò in mano qualcosa. «Ce l’ho anche io!» esultò Poi, con disappunto, scoprì che era un solo foglietto stropicciato. «No…è quella poesia stupida di Belle.» Accartocciò il foglietto e lo gettò via. «Odio questa giornata.»
«Quella mocciosa ti ha scritto una poesia?» domandò Kisshu, principalmente per prenderlo in giro.
«Lasciamo perdere,» rispose Taruto più che demoralizzato. Se ne andò ad accucciarsi in un angolo, cercando di asciugarsi alla meglio con le maniche del vestito.
Kisshu allora tornò a concentrarsi su Imago: la vide con lo sguardo perso nel vuoto che sorrideva, e questo lo tirò un po’ su di morale. «Che c’è ora?» le chiese, sfiorandole una guancia con le dita.
Lei si riscosse. «Niente, pensavo… lascia stare. Guarda, ora mi sento meglio, possiamo andare.»
«A cosa pensavi?» insistette lui, curioso.
«I miei soliti vagheggiamenti senza senso, tutto nella normalità, lo sai che sono una sciocca,» si alzò in piedi, con una certa aria frettolosa. «Allora, andiamo?»
«Prima… dimmi cosa stavi vagheggiando di così interessante.»
«No,» rispose lei, decisa. «Ti arrabbieresti.»
Lui la baciò. «Mettimi alla prova,» le sussurrò sorridendo maliziosamente, sollevandole il mento.
Imago si perse nei suoi occhi dorati. «D’accordo,» disse, sognante. ”Ma come diavolo fa a persuadermi così?” si ritrovò a pensare un secondo dopo. “Mi ipnotizza e non me ne accorgo? Me lo devo far spiegare, un giorno!”
«E-Ecco…non offenderti,» disse poi, staccandosi da lui. «Però, io…hm…per un attimo… io avrei voluto sentire da te una… una poesia…» balbettò, girandosi dall’altra parte, vergognandosi tremendamente.
Kisshu sbarrò gli occhi. «Una…poesia?» sillabò incredulo.
Lei si girò di nuovo dalla sua parte. «Si, si, una poesia,» ripetè, con un sorriso che avrebbe sciolto un macigno.
 

Chris e Pai avevano percorso appena una ventina di metri in quella salita; poi però erano stati costretti a fermarsi, perché avevano scoperto che il crollo di una parete di blocchi di pietra aveva ostruito il passaggio.
Chris, compreso che non era possibile andare avanti, propose di tornare indietro; stava già scendendo quando Pai le afferrò un braccio con un gesto improvviso.
Lei si girò dalla sua parte, sorpresa.
Pai aprì la bocca, ma sembrava troppo teso per poter parlare; lasciò la presa sul suo braccio, e solo dopo aver tirato un lungo sospiro si decise a dire: «Prima di tornare indietro… credo di doverti dire una cosa.»
La ragazza aliena non accennò una risposta, né lo incitò ad andare avanti; si limitò a fissarlo. Intorno a loro c’era il silenzio totale.
Pai strinse i denti: quella situazione era così imbarazzante…
Perché i rapporti sociali erano tanto complessi?
«Vedi, riguardo noi due…» cominciò, dopo un poco. «Ciò che è successo tra noi...»
«Si?»
«Chris, mi sembra giusto farti sapere che in realtà io non…»
«Ah, eccovi qui, finalmente! Dove vi eravate cacciati?»
Kisshu piombò in mezzo ai due, facendoli sobbalzare.
Pai indietreggiò fino alla parete crollata, decisamente rosso in viso.
Il fratello lo osservò stranito e poi chiese, con aria innocente: «Ho interrotto qualcosa?»
«No,» rispose Chris.
«Si!» esclamò Pai.
Il tutto in contemporanea.
Kisshu li guardò un momento. «…chiarissimo. Comunque Pai, non posso spiegarti perché, ma ho assolutamente bisogno che tu mi scriva una poesia,» disse velocemente.
Lui non rispose, ma lo guardò come se fosse un pazzo furioso, ed evidentemente doveva pensarlo anche Chris, a giudicare all’espressione che aveva appena fatto.
«So che sembra assurdo, ma è importante! Io non sono tipo da frasi sdolcinate, però mi servono! Avanti! So che puoi farcela, Pai! Hai qualche idea?»
«Che..che idea dovrei avere, se non quella che la tua balordaggine non ha fondo? Come ti salta in mente questa cosa adesso?» replicò Pai, sconvolto. Poi, siccome Kisshu non accennava a ribattere, continuò, lasciando che il nervosismo facesse spazio alla confusione: «Abbiamo altro a cui pensare adesso! Te ne rendi conto? Abbiamo tutta la sorveglianza del Palazzo addosso, oltre che i membri dell’Ordine di Ra-Hu; potrebbero scoprire che siamo qui da un momento all'altro. C’è la Terra che rischia di essere distrutta, quel Messia che si sta per risvegliare, e tu pensi alle poesie? Dovrei scaraventarti da… da qualche parte per questo!» non aveva ancora finito di parlare che Kisshu gli aveva preso le mani fra le sue, facendogli gli occhi dolci.
«Pai, lo so che sei in grado di farcela…»
«Ma…»
«….per cui ora piantala e tira fuori il Petrarca che è in te!» concluse allegro.
«Il che?» domandò Chris.
«Roba terrestre,» spiegò Kisshu, poi si rivolse a Pai: «Allora, fratello adorato?»
Pai alzò le mani nella sua direzione come se volesse strozzarlo, ma alla fine le abbassò. «Kisshu, mi spiace, ma non posso aiutarti. Anche se mi sforzassi, non riuscirei mai a comporre una poesia in pochi minuti. Avrei bisogno ore, se non giorni!»
«Perché?» chiese Kisshu, con l’aria di un bambino deluso.
«Perché per fare una poesia bisogna essere sistematici. Innanzitutto, una volta scelto il tema e come svilupparlo, oltre alle eventuali figure retoriche si deve tenere conto della metrica, ovvero l’organizzazione delle varie strofe. Ad esempio, se si scrive un sonetto alla maniera italiana, si devono posizionare quattordici versi divisi in due quartine e due terzine, mentre se lo si fa alla maniera inglese…»
Pai cominciò così un noiosossimo excursus sulla versificazione poetica degli umani, durante il quale Chris rischiò più volte di cadere a terra addormentata e Kisshu realizzò che il suo razionale fratello non era proprio il tipo adatto per scrivere una poesia.
«…infine, se si sceglie il madrigale o la canzone libera che non ha una suddivisione precisa puoi organizzare le stanze come…» Pai si fermò improvvisamente. «…un momento, ho forse detto stanze…?»
Kisshu e Chris gli rivolsero un’occhiata confusa.
«Io…Ora è tutto chiaro…!» Pai aveva l’aria di chi aveva appena ricevuto un’illuminazione. «Razza di bastardi!» esclamò energico, sbattendo di colpo un pugno in una mano; poi corse via.
Kisshu e Chris rimasero immobili a guardarsi in faccia.
«Tu ci hai capito qualcosa...?» chiese il primo.
«Sinceramente? No.» rispose la seconda.
 
Taruto si rialzò dal suo angolino. «Ma dove è corso Kisshu così di fretta?» chiese a Imago.
«Non saprei,» rispose lei. Aveva appena finito di parlare che Pai la raggiunse tutto trafelato e la prese per le spalle:
«Imago!» esclamò.
«Ehmm, Pai?!» replicò lei confusa.
«La tua profezia…a che epoca risale?»
«La profezia? Non lo so, ma è molto antica… è stata composta sul Pianeta Azzurro e…»
«Ne ero sicuro! Ora ripetimi l’ultimo verso della seconda stanza!»
«L’ultimo verso di cosa?!»
In quel momento giunsero anche Kisshu e Chris.
«Insomma, che succede?» chiese Taruto.
«Succede che,» rispose Pai, «la stanza è la strofa di una poesia. E la profezia di Imago è una poesia! Dire in fondo alla seconda stanza vuol dire nell'ultimo verso della seconda strofa della profezia!» snocciolò tutto d’un fiato.
I suoi compagni lo fissarono a bocca aperta.
«L’antico cammino di vita e di morte…» sussurrò pensierosa Imago. 
Tutti si voltarono verso di lei.
«Voglio dire… la seconda parte della profezia dice: Perciò in guardia, o posteri, / da ciò che vive al di sopra / dell’antico cammino di vita e di morte,»  spiegò.
Chris inarcò entrambe le sopracciglia. «Spero che tu sappia cosa sia….»
«Si, beh,» annuì Imago, «la buona notizia è che effettivamente si trova qui a Palazzo.»
«E la cattiva?» chiese Kisshu.
«Ecco…» sussurrò lei, facendosi piccola piccola.
Come glielo diceva adesso che sarebbero dovuti tornare là sotto?
Stava per spiegarglielo, quando sentirono delle voci dal fondo del passaggio.
Taruto sbarrò gli occhi, terrorizzato. «Oh, no, ci hanno scoperto!»
 
Qualche minuto dopo, Taruto era dietro le sbarre di una cella, nelle prigioni sotterranee. A fargli compagnia c’era un vecchio alieno basso, curvo e sporco, immerso in un frenetico dialogo con un ascoltatore inesistente in fondo alla stanza. Sembrava che non si fosse ancora accorto del bambino; appena lo vide, gli lanciò un’occhiata incuriosita.
«Ero sicuro che tu non ci fossi prima. Quando sei stato portato qui?» gli chiese.
«Ehm.» Taruto indietreggiò fino alle sbarre, vagamente intimidito.
«Taruto! Che ci fai là dentro? Esci subito fuori da lì!» lo richiamò Kisshu che, nel corridoio delle prigioni, aveva appena finito di stordire l’ultima guardia.
«Si, si, subito!» rispose il piccolo. Si smaterializzò, per ricomparire accanto ai suoi compagni. «Scusate, ho fatto qualche errore col teletrasporto,» si giustificò.
Frattanto, il vecchio raggiunse a stento le sbarre della cella e fissò il gruppo con lo stesso sguardo curioso con cui aveva scrutato Taruto. «Sto forse sognando?» mormorò.
Imago raggiunse la cella e si appoggiò alle sbarre, di fronte a lui: lui probabilmente dovette riconoscerla, perché la chiamò principessa e si inchinò.
«Ma… non sei fuggito insieme agli altri?» gli chiese lei.
«Intende qualche tempo fa, quando ci fu tutto quel trambusto? No, io preferisco restare qui. Ora che non c’è più nessuno, si sta molto più tranquilli. E poi qui ho tutti gli amici che mi servono,» disse e indicò le pareti ammiffite, le sbarre e le catene.
«Interessante filosofia,» osservò brevemente Kisshu, allontanando la sua compagna da quel folle. «Facciamo presto, non mi piace essere ritornato quaggiù,» disse.
Kisshu lanciò un’occhiata alle Prigioni: erano composte da un lungo corridoio rettangolare, ai cui lati vi erano almeno una ventina di celle maltenute. In fondo vi era il portone che conduceva al Cortile Centrare; dalla parte opposta, le scale che si arrampicavano sul Palazzo.
«Allora, dov’è questo cammino di vita e morte?» chiese a Imago, che gli rispose:
«Ci siamo sopra.»
Kisshu aggrottò la fronte, guardando a terra. «Il corridoio?»
«Si,» annuì lei. «Sai, siccome è l’ultimo passaggio che percorrono da vivi i condannati a morte prima di…» fece un gesto eloquente con una mano, «…nell’antichità l’hanno battezzato così.»
«Questa è pura perversione,» commentò Kisshu.
Lei scosse le spalle.
Pai, che aveva ascoltato le parole della nibiriana, le si avvicinò. «Non vedo numeri sulle celle, e non ho mai sentito chiamare così questo posto. Sei sicura di quello che hai detto, o è solo una tua supposizione?»
«Ho letto questo nome su degli antichi  papiri che mi sono capitati tra le mani quando abitavo qui. E’ lì che ho saputo dell’uscita del Labirinto.»
«Sai cosa ti dico, Imago?» sorrise Chris, posandole una mano una spalla. «E’ una fortuna che tu abbia trovato quei fogli, e soprattutto che tu sia con noi!»
«Non è fortuna,» osservò Kisshu, scuotendo la testa. «Sto cominciando a pensare che il destino esista davvero…» mormorò a mezza voce. Poi si riscosse. «Beh, che fate lì fermi? Ci siamo, diamoci da fare, no?»
 
 
I cinque alieni si misero all’opera: cercarono in ogni angolo delle Prigioni ma, sfortunatamente, non trovarono niente che potesse aiutarli. Alla fine, si riunirono al centro del corridoio per scambiarsi opinioni di disappunto.
«Eppure deve essere qui,» sussurrò Imago, mordendosi le labbra.
Dalla cella in cui era rinchiuso, il vecchio prigioniero attirò la loro attenzione.
«Scusate,» chiese. «Cercate qualcosa?»
«No, facciamo una passeggiata,» rispose brevemente Chris, allontanandosi.
«Davvero? E perché proprio qui sotto?»
Imago, al contrario, andò vicino all’anziano. «Cerchiamo una stanza, forse una cella antica, che riporta il numero due. Tu ne sai qualcosa?» gli chiese.
«Antica?!» replicò quello. «Qui cade tutto a pezzi. Senza offesa, eh.»
Kisshu raggiunse i due.
«Ragazzi!» li chiamò Chris dal fondo del corridoio. «Su, lasciate stare quel poveraccio! Aiutateci, piuttosto!»
«No, noi intendiamo qualcosa di veramente antico,» spiegò Kisshu al vecchio. Aveva deciso di fidarsi dell’intuito e della fortuna sfacciata che stava avendo Imago.
Lui scosse la testa. «No, qui ci sono solo celle. E le segrete, sotto. Avete visto le segrete?»
«Segrete?» ripeté Imago. «Non sapevo che esistessero.»
«Non sono segrete per niente, principessa,» sorrise amabilmente l’anziano alieno. Poi aggiunse: «Sotto le scale, lì in fondo, vedete che c’è una pietra del pavimento più irregolare delle altre? Sotto, c’è un passaggio che porta alle segrete. Non sono mai state usate perché la Chiave per aprirle è andata perduta, si dice, quando fu costruito il Palazzo.»
«E lei come fa a sapere tutte queste cose?» domandò Kisshu, sospettoso.
«Me le ha raccontate lui,» rispose deciso il vecchio, indicando il muro alla sua destra.
Senza fare altre domande, Kisshu e Imago lo ringraziarono e andarono nel punto che aveva indicato loro. Grazie ai poteri dei suoi tridenti, Kisshu non impiegò molto a tagliare il pesantissimo blocco di pietra in una decina di pezzi, che precipitarono all’interno del buco che ricopriva. Pochi secondi e una nube di vapore denso salì verso l’alto, disperdendosi nell’aria.
Gli altri, attirati dal rumore delle pietre cadute, li raggiunsero.
«Avete trovato qualcosa?» chiese Chris. «Ehi, e questo cos’è...?»
«La nostra ultima tappa,» rispose Kisshu con una nuova determinazione. Senza rinfoderare i tridenti, saltò all’interno del buco, ignorando le ripidissime gradinate di pietra; gli altri lo seguirono.
 

Si ritrovarono, come aveva predetto loro il vecchio, nell’anticamera delle segrete: era un ambiente cristallino, rivestito con pietre color bianco latte. Non c’era neanche un briciolo di polvere, solo un lieve odore di chiuso e, cosa stranissima, c'erano decine e decine di lanterne già accese, che emanavano tutt’intorno una luce azzurrina.
«Strano posto,» commentò Kisshu, facendo scomparire le sue armi e guardandosi intorno. L’anticamera era formata da due corridoi lunghi una decina di metri ognuno e larghi quattro; si incrociavano perpendicolarmente al centro, in modo da formare una…
«Croce perfetta,» osservò Pai, stringendo gli occhi.
«Qualcosa mi dice che siamo nel posto giusto,» commentò Kisshu, dietro di lui.
«Ma…e le fiamme di quelle lanterne?» domandò Imago, spaventata. «Chi le ha accese? Questo posto è sigillato da un’eternità!»
«Non lo so chi le ha accese,» rispose Chris, che pure si sentiva leggermente in soggezione. «Avete visto?» chiese dopo un po’. «In fondo ad ogni lato di questa croce c‘è una porta…sono quattro in tutto. Una di queste deve essere quella della stanza che cerchiamo, ma…qual’è? E come facciamo ad aprirla?»
«Dimentichi che abbiamo la Chiave,» le fece notare Pai.
«Oh…giusto,» annuì Chris sorridendo. «Chi ce l’ha?»
«Io…»
Pai la estrasse da una tasca, giusto in tempo perché Taruto gliela rubasse dalle mani.
«Bene, ora è il momento di prendere in mano la situazione!
» esclamò il piccolo.  «Dobbiamo trovare la porta della stanza due!» disse, scomparendo.
Pai assunse un’aria concentrata. «Sarà difficile…»
«Guardate! Qui c’è un disegno di una croce!» urlò Taruto, ricomparso di fronte ad una delle porte.
«Cosa?» sibilò Pai.
«Qui ce ne sono due!» continuò, teletrasportandosi di fronte all’altra. Poi scomparve di nuovo: «Qui tre! E qui quattro!» Ritornò dagli altri. «Ci sono delle croci che indicano il numero della stanza. Dobbiamo aprire la seconda, lo faccio io, okay?» spiegò, e poi fece per teletrasportarsi di nuovo; ma Pai lo fermò prendendogli un braccio.
«Che c’è?» gli chiese Taruto, scocciato.
«E’ troppo semplice,» spiegò il maggiore. «Credo sia una trappola. Inoltre, la stanza due si riferiva alla profezia, quindi non possiamo dire che sia valida anche per le segrete. Ci deve essere dell’altro.»
«Ma no, non credo! Ormai siamo alla fine! Voglio farla finita con questa storia!» protestò il minore; si girò verso gli altri. «Diteglielo voi che è paranoico!»
«Forse dovremmo fare come dice Pai,» gli fece notare con molta gentilezza Imago.
A quelle parole, Taruto si gonfiò come un palloncino. «E va bene, siete grandi, vedetevela voi!» sbottò, restituendo la Chiave a Pai.
«Non prenderla così,» osservò lui, quasi dispiaciuto.
Frattanto, Chris aveva estratto il foglio su cui aveva annotato la trascrizione dell’indovinello. Rilesse:
 
In più profondo, stanza due di quello che hai più antico.

«Forse Taruto ha ragione…» commentò.
«Aspetta…ma non c’era anche quella cosa della testa?» domandò Imago, pensierosa.
«Già…» Pai tirò fuori il papiro originale e rilesse: 
 
chinato aI +
quel chelo
inda tza sU DE
+ I profonndo
 
…ah, e attenti alla testa!

 «Finora abbiamo tralasciato questa frase. Per quanto stupida sia, potrebbe aiutarci…dobbiamo solo capire a cosa si riferisce.»
«Ehm,» mormorò nervosamente Kisshu, indicando il soffitto, «credo a quello.»
Pai sollevò la testa e sbarrò gli occhi quando scoprì che, sopra di loro, vi erano una serie di enormi e complessi meccanismi dorati collegati al resto delle segrete e ad ogni singola porta.
«A cosa servono quei cosi?» chiese Imago, inquieta.
Pai studiò con attenzione la configurazione degli ingranaggi. «E’ un meccanismo di difesa. Suppongo che sia stato studiato per azionarsi all’apertura delle porte. Ho la netta impressione che se apriamo quella sbagliata, imprimerà una forte spinta di trazione che si trasmetterà in una reazione a catena per tutto l’edificio…»
«In parole povere?»
«Se sbagliamo, il Palazzo crollerà,» spiegò Pai in tono piatto.
Chris sospirò. «Non è così tragico. In fondo, anche se crolla tutto, noi possiamo fuggire, no?» osservò con una nota sollevata nella voce.
«Oh, si. Ma se crolla tutto, noi perdiamo la possibilità di trovare quella porta,» le ricordò Kisshu.
«Senza dimenticare che metteremmo in pericolo la vita di tutti coloro che si trovano a Palazzo in questo momento, per cui… cerchiamo di evitarlo, okay?» aggiunse Imago.
«Sono d’accordo,» annuì Kisshu. «Propongo di usare carta, forbici e sasso per decidere quale porta aprire.»
«KISSHU!» strillarono Pai e Taruto.
«Calma…calma, scherzavo!»
«Scusate…cos’è carta, forbici, sasso...?»
 
Taruto rilesse per la milionesima volta l’indovinello. «Qui lo dice chiaramente, la porta giusta è la due!»
«Ma così sarebbe troppo ovvio,» obiettò Imago.
«Anche il numero scritto qui sopra è ovvio
«…e se fosse la numero uno?» propose Chris. «In fondo, sulla porta c’è disegnata una croce.»
«Però una croce ha quattro lati, quindi la soluzione potrebbe anche essere la porta con il numero quattro,» osservò Imago.
«Ma una croce è formata da due assi incrociate…»
«Ragazze, le assi sono incrociate! Per questo si chiama croce!»
«…che c'entra, Taruto?»
«Sono sicuro che la stanza giusta sia la tre,» dichiarò Kisshu.
«Come mai?»
«Perché state tirando fuori teorie assurde su tutte le altre.»
Pai non lo degnò neanche di uno sguardo. «Dicevamo?» disse agli altri.
«Uff, e va bene… facciamo i seri…» Kisshu strappò il papiro di mano al fratello adottivo.
«Kisshu, lascia quel foglio,» sbottò lui a quel punto. «Tanto, neanche sai leggere.»
«Molto divertente,» commentò l'altro acido. «Ora, seriamente…e se fosse la quattro?» disse dopo aver osservato bene l'enigma.
Imago gli saltò al collo. «Qualcuno che è d’accordo con me! Grazie!»
«Senti, Kisshu…»
«No, senti tu Pai… una croce ha quattro lati, come ha detto Imago… ma a parte questo, la soluzione è nell’indovinello, e qui appare il numero quattro.»
Pai socchiuse gli occhi, incerto. «E dove sarebbe?»
L’altro ghignò. «Non hai nemmeno un po’ di spirito d’osservazione, eh? Eppure, sei stato tu a risolvere l’anagramma…» lo prese in giro. Poi indicò il foglio con la trascrizione di Chris:  «Quei segni a forma di + non sono casuali. Secondo voi, gli Antichi li avrebbero messi per caso? Osservate bene.»
Chris rigirò il foglio verso di sé, concentrando l’attenzione sulle due croci. «Non capisco cosa vuoi dire.»
Kisshu sbuffò. «Dammi la tua penna e quella trascrizione, per favore.»
Prima di farlo, Chris lanciò di sfuggita un’occhiata a Pai, che annuì.
Kisshu pasticciò qualcosa con la penna, poi la passò di nuovo alla sua proprietaria insieme al foglio. «Ora va meglio?»
Lei lanciò un’occhiata alla trascrizione e sgranò gli occhi: non riusciva a crederci!
 
In + profondo, stanza DUE di quello che hai + antIco
 
«Ma cosa… 1 + DUE + 1...?!»
«Fa quattro!»
«Grazie, Taruto,» disse Kisshu senza alcun entusiasmo. Poi riprese: «Vedete, il quattro è un numero speciale: quattro sono i lati della croce, quattro sono le porte… e se estendiamo il discorso sul Pianeta Azzurro, laggiù ci sono quattro elementi, quattro stagioni, quattro tipi di vento principali…»
Mentre elencava queste sorprendenti coincidenze del numero quattro, gli altri lo fissavano a bocca aperta.
«…quando escono, gli umani dicono di andare a fare quattro passi…quando parlano, dicono di fare quattro chiacchiere…quando sono pochi, dicono di essere quattro gatti…»
«Okay, okay, basta, abbiamo capito!» lo fermò Chris. Però era così felice che gli scompigliò i capelli come se fosse un ragazzino. «Sei un genio, incompreso ma lo sei!» lo lodò.
Lui non parve apprezzare troppo quel trattamento.
«Già,» commentò Pai, ancora non del tutto convinto, avvicinandosi a loro. «Per questo motivo, la responsabilità dell’eventuale crollo del Palazzo sarà tua.» Gli tese la Chiave. «A te l’onore, genio
Kisshu fissò l'oggetto nella mano del fratello. «Lascio a te il privilegio,» tentò.
Pai gli mise a forza la Chiave fra le mani. «Muoviti e apri quella serratura!» ordinò, spingendolo verso la numero quattro.
«Va bene, non c’è bisogno di essere violenti!»
 Kisshu raggiunse la porta: non aveva una serratura vera e propria, ma la sagoma della Chiave era incisa profondamente proprio al centro. Prese un respiro, e la appoggiò in quell’alloggiamento. All’inizio non successe nulla; poi, però, gli ingranaggi ai lati della Chiave iniziarono a girare da soli e trasmisero una serie di input ai meccanismi sul soffitto.
Tutto cominciò a tremare paurosamente e Kisshu si girò verso i suoi compagni, che avevano gli occhi fissi su di lui.
«Ragazzi,» mormorò, trattenendo un ghigno nervoso. «Non vogliatene male, ma…credo di aver sbagliato.»
 
 
 
 
+++++++++++++++
 
Note.
In generale, la storia di Enki e della nascita dei terrestri è  ispirata alla genesi sumerica.
Quanto alle lanterne perenni, sono degli ooparts di cui mi è sempre piaciuto leggere. Uno dei miei racconti preferiti a riguardo è la storia della presunta figlia di Cicerone: si dice che il suo corpo venne ritrovato in una tomba nel 1500, perfettamente conservato ed immerso in un liquido che evaporò all’apertura della tomba. Ai suoi piedi vi era una lampada accesa, che si spense al contatto con l'aria. Traducendo alcune iscrizioni, si venne a sapere che la tomba era stata sigillata 1500 anni prima.
 


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Capitolo 32
*** Zugzwang ***


26 16/11/2014: Questo capitolo è diverso dalla versione precedente; ho deciso di fare delle modifiche perché ho cambiato il finale della fanfic. Ero affezionata alla storyline originaria, ma ammetto che sto piangendo come un’idiota mi sto divertendo davvero tanto a scrivere il nuovo finale.
In questi giorni sono stata assente sia perché stavo ragionando sul finale che perché ho finalmente dato un esame bruttissimo che mi trascinavo da due (due!) anni e ho avuto per i giorni precedenti e successivi il cervello ridotto ad uno straccio da pavimento. Non so ancora bene quanto lucidamente ho scritto e spero di non aver fatto troppi errori.  ;_;



- Capitolo 31: Zugzwang -

 
Le Segrete del Palazzo erano forse uno dei luoghi più antichi e misteriosi dell’intero Pianeta Nero: erano composte da due corridoi lunghi e molto larghi che si intersecavano al centro, generando una pianta a forma di croce; in fondo ad ognuno di essi vi era una porta di metallo a due battenti finemente decorata e chiusa. Non c’era nessun arredo, solo pareti di pietra liscia e levigata, pallida, che rifletteva il chiarore diffuso dalle numerose lanterne blu che ardevano silenziose sulle mura e sul pavimento mosaicato.
Quel posto nascondeva molti segreti che però, a quanto pareva, erano destinati a sparire per sempre. Infatti, non appena Kisshu aveva appoggiato la Chiave sulla quarta porta, tutto aveva cominciato a tremare, minacciando il crollo imminente del soffitto e con tutta probabilità dell’intero Palazzo.
In quei momenti l'alieno pensò che forse, dopotutto, aveva scelto la porta sbagliata…. eppure, nonostante i primi calcinacci stessero già rovinando sul pavimento e le lampade stessero cadendo a pezzi una dopo l’altra, la quarta porta si stava schiudendo.
Kisshu compì un balzo all’indietro per tornare dai suoi compagni, ma non smise di fissare il rettangolo che continuava ad allargarsi davanti a lui con una lentezza esasperante. I meccanismi sul soffitto giravano faticosamente, emettendo scricchiolii sinistri. Le scosse durarono molti e interminabili secondi, ma alla fine cessarono.
La porta si era aperta.
«Non è crollato niente,» sussurrò per primo Taruto, deglutendo. «Siamo salvi!» strillò poi, e il suo entusiasmo in breve contagiò anche gli altri che, se non si lasciarono andare ad esclamazioni di gioia, tirarono almeno un sospiro di sollievo.
Kisshu rilasciò il fiato trattenuto fino a quel momento e curvò le labbra in un sorriso nervoso. Si avvicinò poi all’apertura davanti a lui: non riusciva a capire cosa su cosa desse perché l’ambiente oltre quella porta era avvolto nell’oscurità.
Si concentrò su di essa. Sbatté gli occhi per cercare di mettere a fuoco e, non appena si fu abituato al buio, riuscì a scorgere un’infinità di puntini brillanti. Impiegò alcuni secondi per capire che quelle lucine dorate non erano lampade ma stelle, stelle che annegavano nell’infinità dell’universo.
«Lo spazio…?» mormorò allora, incredulo.
Non era una visione: era proprio lì, oltre quella porta, e Kisshu non riusciva a crederci. D’istinto, portò una mano davanti a lui per toccarlo, e per sua sorpresa ci riuscì davvero: al suo tocco, la superficie scura dell’universo si increspò in piccole onde concentriche come se fosse fatta d’acqua. Era tiepida al tatto e in preda ad un movimento invisibile simile a quello di una corrente marina ma, quando Kisshu ritrasse la mano, scoprì che questa era perfettamente asciutta.
«Ehi, venite un po’ a vedere,» disse ai suoi compagni, che erano alle sue spalle.
Taruto lo raggiunse per primo: sembrava perplesso e un po’ ansioso. Imago, invece, aveva gli occhi che brillavano quasi quanto le stelle oltre la porta.
«Che meraviglia,» osservò incantata, intrecciando le mani al petto. «Cos’è?»
«Lo spazio,» le spiegò Kisshu. «O meglio, una piccola parte dell’universo visibile.»
«E’ così l’universo?» gli domandò lei. Imago, come la maggior parte dei nibiriani, non aveva mai messo piede fuori dalla città sotterranea e non aveva idea del mondo che esisteva al di fuori di essa.
«La vera domanda è: qual è la natura di questo passaggio, e dove conduce?» meditò Pai ad alta voce. «Dal Messia? O da qualche altra parte?»
Kisshu si grattò la testa. «Suppongo che lo scopriremo solo entrandoci dentro.»
Chris, che era rimasta indietro di un paio di passi rispetto al resto del gruppo, scrollò le spalle. «Oh, beh. Allora diamo inizio alla festa, no?» sorrise allegramente.
Non appena Chris ebbe pronunciato quelle parole accaddero due cose molto strane: la prima fu che Taruto, che galleggiava ad un paio di metri dal suolo, avvertì la sensazione tremenda di una presenza alle sue spalle che gli fece venire la pelle d’oca; la seconda fu che proprio lì, un istante dopo, un oggetto lungo e sottile apparso dal nulla andò a conficcarsi nella parete a ridosso del soffitto. Gli alieni udirono uno stridore assordante provenire da quel punto e Taruto venne scaraventato a terra da una forza invisibile.
«Che cosa succede adesso?!» esclamò Kisshu imprecando e tappandosi le orecchie. Guardò l’oggetto che sembrava aver causato quello scompiglio e lo riconobbe come una lunga ed elaborata freccia scura. Quando il rumore cessò, si sollevò per andare a prenderla ma venne tirato  giù da Imago, che lo aveva afferrato per la giacca del vestito con una mano e ora gli stava indicando un punto all’inizio del corridoio con l’altra.
Guardando in quella direzione Kisshu, così come gli altri, vide un alieno avanzare verso di loro: la sua sagoma era così nota che non ci furono dubbi sull’identità del nuovo arrivato.
«Woah! Lo scienziato pazzo!» strillò uno sbalordito Taruto.
Alan Kell si fermò quando fu a pochi metri dal gruppo di amici. «Ti avevo detto di non fare nulla di stupido,» esordì, gli occhi che brillavano di una luce innaturale mentre abbassava il grosso arco nero che aveva usato per scoccare la freccia. «E invece eccoti qui, Pai.»
Lui assunse un’espressione a dir poco sconcertata.
Dall’altra parte Kisshu, al suono di quelle parole, si riprese dalla sorpresa iniziale. «Tu!» gridò, serrando i pugni.
«Come hai fatto a trovarci?» gli domandò invece Chris. La sua voce era sconvolta e tremante; in generale, la paura che stava provando l’aliena era così intensa da essere quasi palpabile.
«Chi lo sa,» rispose Kell, puntando l’arco verso di lei. Tese la corda e una freccia nera si materializzò fra di essa e il riser metallico. «Suppongo che morirai continuando a chiedertelo.»
Pai si teletrasportò fra lui e Chris, il ventaglio nella mano. «Che cosa diamine ti è preso?» domandò all’amico in tono così duro e glaciale da essere spaventoso.
Kell sussultò intimorito e la freccia scomparve. «T-Tu non capisci, è stata lei a prendermi la Chiave! Lei…»
«Lo sappiamo,» annuì Pai, abbassando a sua volta l’arma.
«E’… E’ vero, è colpa mia,» ammise Chris a quel punto, recuperando un po’ di lucidità. «Sono entrata nel Laboratorio di nascosto e l’ho rubata mentre eri distratto. Eravamo preoccupati per te! Noi volevamo–»
«Stai davvero cercando di giustificarti così?!»
«Io sono tua amica, Ally! Non ti ricordi? Siamo cresciuti insieme. Quelli dell’Ordine ti hanno fatto il lavaggio del cervello, e noi abbiamo solo cercato di aiutarti! Per favore, torna in te!»
«Ehi vecchiaccio, puoi minacciarci quanto vuoi,» si intromise a quel punto Taruto, facendo roteare le sue bolas. «Ma non riuscirai mai a realizzare i tuoi piani!»
«E’ così!» gli fece eco Imago con determinazione. «Non permetteremo mai che il Messia si risvegli e distrugga il Pianeta Azzurro!»
Kell sembrò confuso di fronte a quei discorsi ed esitò il tempo sufficiente a permettere a Kisshu di scattare nella sua direzione e materializzarsi proprio dietro di lui.
«Hanno ragione. Arrenditi e mettiamo fine a questa storia,» concluse l’alieno dagli occhi dorati, premendo la lama di uno dei suoi sai sul collo esile dello scienziato.
«Voi…» sibilò Kell a quel punto. «Voi… voi non capite… voi non capite cosa…»
«Lascia cadere quell’arma,» incalzò freddamente Pai. «E’ finita.»
Kell chiuse gli occhi e stirò le labbra, assimilando le parole dell’ormai ex-amico. «Io non credo,» mormorò di colpo ed estrasse dalla tasca una provetta che frantumò a terra, generando una nube di fiamma.
Kisshu si tirò indietro per non esserne bruciato e lo scienziato ne approfittò per sfuggire alle sue lame. Tirò la corda dell’arco e generò una nuova freccia, ma Pai estrasse il suo ventaglio e sferrò contro di lui il suo Fu Rai Sen: l’attacco elettrico lo colpì al braccio e gli impedì di portare a termine l’assalto. Kell ringhiò dal dolore e indietreggiò, lasciando a Pai il tempo per caricare un attacco di vento e lanciarlo contro di lui, che finì per essere sbattuto con forza contro la parete di pietra a parecchi metri di distanza.
Mentre Kell cadeva, un improvviso eco di passi provenienti dal piano di sopra catturò l’attenzione dei presenti.
«Sembra che abbiamo fatto un po’ troppo rumore,» commentò Kisshu, facendo sparire le sue armi.
«Sono quelle guardie!» Taruto scese a terra e raggiunse i suoi fratelli. «Stanno arrivando,  che facciamo?»
«Dobbiamo andarcene prima che sia troppo tardi!» esclamò Chris. Prese la mano di Pai e si mosse verso il portale, ma lui fece forza per restare fermo nella sua posizione.
«Io resto qui,» dichiarò cupo l’alieno dai capelli scuri.
«CHE COSA?»
«Mi hai sentito. Farò in modo che non riescano a seguirvi. Dovunque porti quel passaggio, prendetelo ed andate: distruggete questo dannato Messia, prima che siano troppo tardi.»
«Ti è per caso caduta in testa una di quelle rotelle sul soffitto?»
«Sono perfettamente sano, Kisshu. E non ho intenzione di ripetermi.»
Pai si girò verso di lui e lasciò che i loro sguardi si incrociassero. «Sei uno sciocco e irresponsabile, per nulla maturo,» aggiunse, sorridendo appena. «Ma ti ho sempre voluto bene, come se fossi stato davvero mio fratello.»
Kisshu non aveva mai visto Pai lasciarsi andare a questo tipo di sentimentalismi e ne rimase sorpreso. Fu solo per un istante, poi gli rivolse un ghigno forzato. «Lo sei,» rispose.
«Ma tu non puoi restare qui!» insistette Chris. «Non posso permetterlo!»
«Chris…»
Kisshu afferrò la ragazza aliena per i polsi e la tirò via, verso il portale, mentre lei ancora protestava. La gettò dentro a forza e poi la seguì.
Taruto andò dietro Kisshu, ma rimase fermo sulla soglia. «Pai…!» provò mentre le lacrime si addensavano sui suoi occhi.
«Vai, Taruto!» lo incitò il maggiore della famiglia. «Hai un compito da svolgere.»
In quello stesso momento un drappello di guardie, o meglio di membri dell’Ordine, si precipitò giù per le scale d’accesso dell’Anticamera. Pai si materializzò a poca distanza da loro, estrasse un secondo ventaglio e li utilizzò entrambi per scagliare contro di loro un’onda di vento:  impreparate, le guardie la presero in pieno e vennero respinte all’indietro o gettate a terra.
L’alieno guardò un’ultima volta la porta: Taruto era andato, ora era rimasta solo Imago, che lo stava fissando. Le si leggeva in faccia il desiderio che aveva di convincerlo ad andare via con loro.
«Andate, e non fatemelo dire di nuovo!» le urlò da lontano.
Lei annuì intimorita e afferrò le maniglie interne della porta, tirandole in modo da chiuderla dietro di sé mentre scompariva al suo interno.
Quando la porta si fu chiusa, Pai puntò il ventaglio contro di essa e senza un attimo di esitazione vi lanciò contro il suo attacco più potente. Il raggio elettrico si infranse contro la Chiave ancora incastrata nell’alloggiamento e la ridusse in pezzi;  il materiale radioattivo custodito al suo interno esplose, generando una piccola esplosione che si propagò nel corridoio con una nuvola di fumo denso e pesante.
Adesso era finita.
Pai si lasciò ricadere a terra in ginocchio, abbandonando la presa sui ventagli.
Aveva salvato la sua famiglia: la sua missione era terminata. D’ora in poi, non ci sarebbero più state battaglie per lui. Niente più sentimenti contrastanti nel suo cuore, niente più agitazioni o inquietudini, niente più dolore. Ora poteva finalmente trovare la sua pace.
Alzò lo sguardo davanti a lui: le guardie si erano riprese, avevano estratto le loro armi e adesso stavano puntando nella sua direzione. 
Avrebbe potuto fuggire o vendere cara la pelle, ma una parte di lui sapeva che sarebbe stato meglio farla finita così.  Era troppo sfinito per combattere ancora. Chiuse gli occhi e cercò di svuotare la sua mente, preparandosi al peggio. Sentì i suoi nemici percorrere di corsa la distanza che li separava da lui: impiegarono solo pochi secondi ma, dopo averlo raggiunto con le armi sguainate... le guardie lo superarono di corsa, una dopo l’altra, per andare a tuffarsi nella nube biancastra che aveva sollevato l’esplosione.
Incredulo, Pai sbarrò gli occhi. Che cosa significava? Perché lo avevano ignorato?
Si rimise in piedi con lentezza e cercò di capire a cosa miravano quegli alieni.
Stanziare in un ambiente radioattivo non era letale per la sua razza, ma il fumo era parecchio fastidioso e a quanto pareva quelle guardie stavano cercando di bucarlo o diradarlo usando i loro poteri.
Dunque era questo ciò che volevano, l’accesso al passaggio che lui aveva distrutto. Nel realizzarlo, il giovane sbuffò un mezzo sorriso che però svanì di colpo quando i suoi occhi caddero quasi casualmente su Kell, che era a terra a poca distanza da lui.
Nel sotterraneo rimbombavano voci che lanciavano ordini e imprecazioni, ma quei rumori giungevano all’orecchio di Pai in modo ovattato perché la sua intera attenzione, adesso, era focalizzata sul suo ex amico: era accasciato sul pavimento con la schiena poggiata sulla parete contro cui il fu shi sen l’aveva scaraventato, e sembrava non starsela passando per nulla bene.
Si stringeva con una mano il braccio ustionato dalla scarica di elettricità che lo aveva ferito, e aveva il volto contratto in un’espressione di muta sofferenza. Il suo petto si alzava e si abbassava in modo rapido e irregolare e un rivolo di sangue scuro che gli colava giù dalle labbra.
Senza chiedersi perché lo stesse facendo, Pai lo raggiunse e si inginocchiò accanto a lui.
Avvertendo la sua vicinanza, Kell curvò le labbra spaccate in un sorriso miserevole. «Alla fine sono felice che tu sia qui adesso,» osservò con voce arrochita e stanca, muovendo appena gli occhi per guardarlo.
«Parli come se stessi per morire.»
«Sfortunatamente è ciò che sta accadendo.»
Pai rimase in silenzio per un po’ prima di chiedergli, «Sono stato io?»
«No,» rispose lui con aria sofferente. «Io… ero già morto.»
Pai sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. «Chi è stato?» chiese. Quell’intera conversazione gli sembrava qualcosa di surreale.
«Quello,» sussurrò Kell, sollevando appena gli occhi per guardare oltre le spalle del compagno.
Lui girò la testa per guardare nella direzione che lo scienziato stava cercando di indicargli: si trattava del punto che aveva colpito al suo arrivo. Nonostante gli ultimi residui del fumo, si distingueva bene la freccia ancora lì conficcata e sangue, molto sangue. Stava scivolando lungo le pareti candide, raccogliendosi a terra in una piccola pozzanghera.
Sangue e una freccia nera. Non c’era altro.
«Voleva uccidervi.»
Pai corrugò la fronte. «Non riesco a vedere nulla.»
«E’ per questo che non ve ne siete accorti.»
«Ci stava seguendo?!»
«Erano due. Non so dove sia l’altro,» spiegò lo scienziato con un sospiro. Poi cominciò a tossire.
Pai vide un fiotto di sangue uscire dalla sua bocca ed ebbe paura. Non era pronto ad una cosa del genere, non era il momento per una cosa del genere. Kell non poteva morire così, doveva spiegargli i motivi del suo comportamento. Doveva spiegargli tutto.
«E allora?» gli domandò con urgenza quasi disperata. «Chi ci stava seguendo? Che cosa sta succedendo? Perché hai fatto tutto questo? Volevi distruggere il Pianeta Azzurro così tanto? Se eravamo in pericolo, perché non ce l’hai detto prima?»
Kell strinse gli occhi per concentrarsi e cercò di trovare in qualche modo la forza di comporre una risposta. «Io sono uno scienziato,» disse in un soffio e con molto sforzo. «Il mio compito non è parlare… ma dimostrare.»  
Pai venne colto di sorpresa quando l’alieno si staccò dalla parete e faticosamente si portò vicino a lui, ma non si mosse neanche quando avvicinò la bocca al suo orecchio.
«Non lasciare… c-che ti prendano,» gli disse in un sussurro sempre più flebile. «Al Laboratorio. Sul mio terminale… capirai tutto, Ikisatashi
Pai avvertì il panico crescere in maniera terribile. «Cosa?» domandò. «Spiegati adesso, maledizione!»
Kell venne colto da un altro debole attacco di tosse. Respirò rumorosamente un’ultima volta e poi si lasciò ricadere addosso all’ex amico.
Lui prese per le spalle e cercò di farlo riprendere. «E-Ehi, tieni duro!» gli disse, scuotendolo leggermente. «Ehi!» Gli prese il viso fra le mani, controllò le pupille e poi il battito, ma poté solo constatare che colui che un tempo era stato il suo migliore amico non era più con lui.
Quando lo realizzò, emise un sospiro spezzato e distese a terra il cadavere con un gesto automatico. Nonostante Kell non fosse più accasciato sul suo petto, continuava a sentire un peso premere su di esso. Faceva male.
Chiuse gli occhi e rimase lì fermo accanto a lui, senza sapere piu' cosa pensare.
«Cosa ti ha detto?» domandò una voce grave alle sue spalle dopo alcuni secondi.
Era Shiroi. Pai non sapeva da quanto tempo fosse lì né quale fosse il suo ruolo in tutta quella storia, ma continuò ad ignorarlo come aveva fatto fino a quel momento. Perché avrebbe dovuto dargli attenzione, in fondo?
«Ikisatashi, ho bisogno che tu collabori con me,» proseguì allora il Consigliere.
Pai cercò di far ripartire il suo cervello. Se fosse stato abbastanza rapido, avrebbe potuto estrarre il ventaglio e fulminare quel vecchio, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che in quel momento non era quella la cosa importante. Aveva un’altra missione adesso, ed era quella di scoprire la verità. Doveva capire che cosa aveva cercato di dimostrare il suo amico. Non poteva perdere tempo con Shiroi, qualunque cosa volesse da lui.
Prese un respiro e, lasciandosi guidare dall’istinto, allungò la mano verso l’arco che aveva usato Kell, che giaceva accanto al suo corpo. Lo strinse fra le dita: al contatto, l’arma divenne uno spesso bracciale metallico che gli si avvolse intorno al polso.
«Non fare un altro movimento!» gli intimò a quel punto una voce femminile.
Voltandosi nella direzione da cui proveniva, Pai scorse l’aliena che Imago e Chris avevano steso poco prima: gli stava puntando contro uno strano tipo di arma. Lui le rivolse un ghigno derisorio e si teletrasportò via.
«No!» esclamò quella, vedendolo spanire.
Shiroi sbuffò seccato. «Non può essere andato lontano, Tinga. Trovalo e portalo da me,» le ordinò.
Lei fece un cenno d’assenso e scomparve.
Rimasto solo, come era solito fare Shiroi si portò le braccia al petto e le giunse, lasciando che le maniche della sua tunica le nascondessero. Si incamminò nel corridoio che Pai aveva distrutto: le sue guardie avevano già ripulito l’area dai danni causati dallo scoppio radioattivo ed ora accanto i resti della porta stazionavano due alieni, un maschio e una femmina, impegnati ad effettuare una serie di test sfruttando dei minuscoli dispositivi di elaborazione che reggevano fra le mani.
Shiroi li conosceva: si chiamavano Hoppy e Shochu, erano gemelli ed erano gli unici ricercatori scientifici a conoscenza dell’Ordine di Ra-Hu rimasti in vita dopo il massacro al Laboratorio. Erano poco più che ragazzini ed erano stati iniziati da pochissimo tempo, ma al momento erano la sua unica speranza.
Si avvicinò a loro e, con sommo disappunto, si rese conto che il passaggio che avevano usato i Traditori per fuggire era scomparso.
«Qual è la situazione?» chiese allora ai due, interrompendo il loro lavoro.
La femmina, Hoppy, sussultò spaventata e si strinse nella sua tunica bianca da scienziato troppo grande per lei. «S-Signore,» balbettò timidamente, «l-le analisi h-hanno mostrato che questa porta era un d-dispositivo artificiale…»
«…che generava un collegamento spaziotemporale pressoché diretto fra il nostro pianeta e l’Azzurro sfruttando l’allineamento planetario attualmente in corso,» concluse Shochu con molta più sicurezza.
«E-Esatto. V-Varcando quella soglia, l’energia cosmica innescava un campo contro-direzionale di luce che…»
«Lasciate perdere questi dettagli. Come ripristiniamo il passaggio?» tagliò corto Shiroi.
«L-La porta è andata distrutta, ma il collegamento è ancora attivo, s-signore. Sarà attivo finché l’orbita del nostro pianeta resterà nella p-posizione attuale. P-Purtroppo… non sappiamo come riallacciarci ad esso.»
«Che cosa?!»
«E’ come dice Py, signore,» concordò Shochu assumendo un’aria desolata. «Non abbiamo la minima idea di come sistemare questo danno. Il Dottor Kell avrebbe saputo come fare,» ammise tristemente, lanciando un’occhiata al corpo riverso a terra a molti metri di distanza da lui. «Lui era un genio. Era…»
Shiroi si rabbuiò. «Quello sciocco arrogante è appena deceduto, per cui dovrete farlo voi,» disse impietoso mentre estraeva da una manica il suo terminale portatile, con cui iniziò a smanettare rapidamente.
«Ma…»
«E’ necessario un passaggio abbastanza largo e stabile per consentire il transito di questo,» spiegò Shiroi, mostrando ai due fratelli lo schermo del suo dispositivo.
I due osservarono l’immagine che vi era proiettata sopra e impallidirono.
«Oh, s-sacro R-Ra!»
«Quindi era questo il grande piano dell'Ordine?!»
«Cos’altro vi aspettavate? Che ci pensassero i terrestri?» borbottò il Consigliere, riprendendosi il dispositivo. «In tempi normali questa era un’informazione riservata solo ai membri dell’Ordine di grado massimo, ma date le circostanze è giunto il momento di renderla di dominio pubblico. Sottoporrò l’argomento all’attenzione del Consiglio. E per quando avrò finito, voi due avrete ripristinato quel passaggio. Non mi importa quanto difficile sia o come farete: le risorse offerte dal Pianeta Nero sono sempre più scarse e non c’è un reale bisogno di tenere in vita qualcuno che non è neanche in grado di fare il proprio dovere. Spero di essere stato sufficientemente chiaro.»
Subito dopo aver pronunciato queste parole, Shiroi se ne andò, lasciando soli i due ricercatori. Loro si guardarono fra di loro e sospirarono: sarebbe stata una lunga giornata.
E forse anche l’ultima.



 
 
 

++++

 
Note:
Py e Sho sono due new entries. I loro nomi sono ispirati a una bevanda alcolica giapponese. Sono due gemelli poco piu' grandi di Taruto e sono particolarmente geniali e produttivi, ma solo se lavorano insieme.
Facevano parte del gruppo di ricerca di Kell e lo adoravano; nel momento dell'attacco si trovavano fuori dal Palazzo e quindi si sono salvati.
Mi sono prodigata a scrivere questa nota su di loro, ma ad ogni modo non compariranno molto.


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Capitolo 33
*** [off_fanfic] Il Palazzo ***


Quella che segue è una parziale traduzione dei resti di un antico papiro che riportava informazioni sulla storia del Palazzo di Polaris, la Capitale del Pianeta Nero.
La scrittura manuale su primitivi supporti di questo tipo si rese necessaria quando gli Antichi giunsero sul Pianeta Nero, su cui il materiale necessario per la costruzione e le riparazioni dei loro strumenti di uso comune, fra cui i dispositivi di memoria, scarseggiava.
Gli Antichi non avevano previsto di doversi trattenere così a lungo su quel pianeta, e si ritrovarono impreparati alle condizioni particolarmente ostili che vi trovarono. Furono costretti ad adattarsi come potevano, fra mille difficoltà e sacrifici.
Continuarono a sognare per lungo tempo il Pianeta Azzurro.



0. La sede del Sovrano del Pianeta Nero è il Grande Palazzo. Questo è il più alto del pianeta[1] ed è stato progettato dai migliori costruttori sotto la guida dell’ingegnere Hal per ordine del Primo Sovrano[2] del Pianeta Nero. […]

1. E' stato costruito al di sotto di un oceano di metalbenzolo presente sulla superficie del Pianeta Nero. E’ stato realizzato di forma quadrangolare principalmente di pietra nera[3] e oro e oricalco proveniente dal Pianeta Azzurro. Poggia per un lato contro una parete rocciosa (Grande Roccia) e mostra altri tre lati verso la Capitale […]. E’ situato al centro della Capitale.

[…]

2g. I sotterranei sono stati costruiti per accogliere le prigioni: si accede alle celle passando dal materializzatore [di realizzazione antica, ma distrutto in seguito ad un crollo] o dalle primitive scale di pietra, percorrendo il Cammino di Vita e di Morte che comunica con il Cortile Centrale in superficie. Il resto è occupato da un hangar segreto noto a pochi. Il primo piano... […]

3a. La storia del Palazzo è molto travagliata […] durante il regno di Alkaid, 6__ (666°) sovrano, un meteorite si schiantò sulla superficie del pianeta, devastandolo in gran parte. Lo sconvolgimento si ripercosse anche nel sottosuolo: la Grande Roccia si rovesciò in parte addosso al Palazzo, distruggendo i settori 1 e 4, causando gravi danni e molte vittime. In più, parte dell'oceano acido della superficie si riversò nella voragine creata dal crollo della Grande Roccia, rischiando di annientare per sempre la Capitale. Solo grazie alle conoscenze... […]

3v. I danni furono i seguenti: settore 1 sommerso per il 40%; settore 4 gravemente colpito, mentre del Palazzo, colpito direttamente dall’oceano acido, finirono completamente sciolti i piani dal 48 al 34. Non si sa ancora il numero preciso di vittime né valore dei danni di questa catastrofe.

3z. Trascorsero 12 Ater[4] prima che i settori colpiti potessero essere completamente sgombrati da rocce, corpi, e metalbenzolo rappreso. [...]

6. Poiché molte stanze erano ancora intatte, ma altrettanti passaggi distrutti, ne vennero costruiti di nuovi, ma successivamente vennero recuperati anche i vecchi, che vennero fusi ai primi, provocando grande confusione di passaggi.

7. Nel corso della ricostruzione venne scoperto un intrico di vie segrete fatte costruire da Mizar, figlia di Deiwos, che si diceva ossessionata da manie persecutorie: ella a volte scompariva per giorni interi nella Camera Bianca che si era fatta realizzare  in segreto, dietro un secondo passaggio segreto contenuto nel primo, per maggior sicurezza. L'entrata al primo passaggio, che si estende per le mura fino al Palazzo nella stanza di Mizar [ora distrutta], è collocato nelle mura divisorie del settore secondo e terzo, al 5__ (555°) shar[5] in linea retta. L'entrata alla Camera Bianca si trova in quello stesso, seguendo la via tracciata dal mosaico delle lampade pavimentali del colore dell’antica kuruvinda, fino ad arrivare ad un bivio: al centro vi è l'ingresso.

8. Inoltre, altri passaggi furono individuati: nel sotterraneo… […]

9. La maggior parte di questi passaggi segreti fu lasciata intatta da Alioth, molti altri invece furono distrutti e utilizzati come nuovi corridoi, che si intrecciarono ai primi, rendendo la pianta dei piani ricostruiti così intricata che in molti si persero. Si tramanda che Megret, moglie di Alioth, scomparve nei passaggi del piano 23, e il suo corpo senza vita fu ritrovato solo dopo molti giorni di ricerche. In seguito alla morte della compagna, Alioth sposò Merak, che però subì la stessa fine, come anche Dubhe, finché la sua ultima compagna Phecda lo rinchiuse a tradimento nel Labirinto dei Vetri dei Morti[6] (nel piano 5) - e per questo fu in seguito condannata a morte.

ì. Stella, il 7_0 (700°) sovrano, amava questi passaggi - che secondo il suo regale parere incutevano terrore e mostravano potenza e lusso al popolo-, e per questo decide di mantenerli e ristrutturò quasi ogni piano, anche. Fece costruire nel 3° piano un grandioso laboratorio di ricerche; nel 4° invece mise tutto ciò che è bello e piacevole per i sensi fisici; nel 5° tutto ciò che fa bene agli altri sensi, e nel 6° e nei successivi saloni e portici per discutere dei problemi del governo; negli ultimi fece porre un succedersi di splendori uno dopo l’altro, culminanti con l’ultimo piano dove fece realizzare… […]

ò. ...sulle leggende e racconti fantastici sul Palazzo, si narra che esso sia sede di un folle ordine di ribelli formato dalla discendenza di un’antica casta di guerrieri e sacerdoti che sul Pianeta Azzurro difendevano il sovrano; ma, per la ridicolezza della cosa e la fonte inattendibile dell'informazione, non si ritiene necessario soffermarsi oltre su ciò. Si narra inoltre dei demoni racchiusi nei Vetri dei Morti del Labirinto fatto costruire da Deiwos. Leggenda vuole che lì Egli rinchiudesse i suoi avversari, condannandoli a follia e morte certa, ma la realtà è che Egli, amante del tetro e della sua immagine, spesso faceva visita al Labirinto per ammirarsi continuamente e in ogni modo negli specchi [...] Eppure si dice che Mizar, con l'aiuto di una sacerdotessa malvagia, infine stregò un bellissimo specchio di cristallo e lo regalò al padre, che subito lo mise al centro del Labirinto e lo elesse come suo preferito. Ma appena si avvicinò a quello stesso per guardarsi meglio, vi precipitò all'interno e scomparve per sempre...da allora il Labirinto fu considerato tabù e lo specchio maledetto, ma oggi noi abbiamo scoperto che così non era, perché in verità...[…]

[…]

[…]




Segnatura ufficiale
Ori Deneb
Primo Consigliere di Corte del Sovrano Pherkad
842mo dalla fuga dal Pianeta Azzurro




Note per lettori terrestri:
[1] 48 piani più i sotterranei
[2] Deiwos, successore di Anu, che morì di malattia poco dopo l’arrivo sul Pianeta Nero.
[3] La pietra nera è molto più duratura e resistente -oltre che pregiata- di qualsiasi altro materiale da costruzione presente sul Pianeta Nero.
[4] Anni terrestri (secondo l’antico calendario)
[5] 1 shar = 1,628 metri
[6] Volgarmente conosciuto come "Labirinto degli Specchi"

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Capitolo 34
*** Paura e delirio al Cafè Mew Mew ***


26 03/11/2014: A me… non è mai piaciuto questo capitolo. Ricordo che ci rimasi bloccata sopra per molto tempo.
In generale mi piace il personaggio di Marie, ma odio scrivere di lei.
Uh.



- Capitolo 32: Paura e delirio al Cafè Mew Mew -


Nello stesso istante, migliaia di anni luce più in là, una ragazza stava osservando il cielo stellato: quel nero abisso silenzioso punteggiato di gemme dorate era sempre stato terribilmente affascinante per lei.
Le stelle, quella notte, luccicavano come mai visto prima, e non solo perché la Luna stava ormai calando, lasciando loro spazio: no, stavolta c’era qualcosa di nuovo nel cielo, lo si percepiva chiaramente.
Stava per arrivare…
Una stella lontana brillò più delle altre.
Non poteva esitare oltre.
Sapeva da tempo che prima o poi sarebbe giunto quel momento, il suo momento.
A malincuore, la ragazza si staccò dalla finestra a cui era affacciata. Camminando piano, raggiunse il centro della sala scura in cui si trovava. Si fermò e prese un grosso respiro.
"E’ ora di invocare la Guardiana," pensò, e poi assunse un'aria concentrata, congiunse le mani e chiuse gli occhi.

- - - -

Frattanto, nei sotterranei di Villa Shirogane, una rumorosa scintilla di colore blu elettrico schizzò fuori dal pannello di controllo centrale dell’allarme. Keiichiro, che stringeva
nella mano un cacciavite, si tirò indietro di un passo e si girò verso i suoi due compagni di quell’assurda prigionia.
«Niente da fare,» dichiarò rassegnato mentre una nuvoletta di fumo sbuffava fuori dal pannello, ormai completamente fulminato. L’acre odore della plastica bruciata invase il corridoio e Mash svolazzò qua e là, stordito dalla puzza.
Ryo tossì un paio di volte. «Fantastico, sono prigioniero in casa mia,» borbottò seccamente. Lanciò uno sguardo in tralice alla ragazza alla sua destra.
«Senti, ti ho già chiesto scusa mille volte, Ryo!» sbottò lei. «E poi anche tu, non potevi mettere un antifurto normale?»
Il biondo sembrò fare uno sforzo immenso per non risponderle male.
Fortunatamente, Keiichiro si portò in mezzo a loro, dividendoli. «Non fate così,» gli disse accomodante, «la situazione non è così grave. Il sistema ha solo avuto un sovraccarico di tensione. Dovrei avere dei pezzi di ricambio nel deposito. Lo ripristinerò in pochissimo tempo e potremo andar via.»
Ma ormai Ryo e Ichigo erano andati.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Ichigo!» esclamò il primo; la sua rabbia risvegliò l’orgoglio della ragazza.
«Perfetto, allora!» replicò lei, scansando Keiichiro dalla sua traiettoria. «Allora lo sai dove puoi andare?»
«Da nessuna parte, visto che hai distrutto tutto!»
«Ti odio, Ryo!»
«Ah,» ribatté Il biondo, scompigliandosi i capelli con aria nervosa, «a volte vorrei davvero che tu sparissi!»
«R-Ragazzi…»
«Che cosa hai detto? Ripetilo se hai il coraggio!»
«Ti ho detto, SPARISCI DALLA MIA VISTA!»
Effettivamente, non appena Ryo ebbe pronunciato queste parole, Ichigo scomparve in un vortice luminoso.
Le labbra di Keiichiro si spalancarono per formare un’espressione scioccata, mentre Ryo rimase a fissare come un ebete il punto in cui un momento prima c’era la ragazza.
«E’…è scomparsa davvero,» osservò mentre la rabbia scemava, lasciando il posto al terrore.
«E’ scomparsa,» ripeté Keiichiro, incredulo.
«Che cosa… che cosa le ho fatto?!»

- - - -

«Sei uno stupido, Ryo!» strillò Ichigo, fuori di sé. «Se non mi chiedi scusa immediatamente, io…» aprì gli occhi, e si ritrovò in un luogo buio ma ben conosciuto. «….e-EH?! Il Cafè?» sillabò, confusa.
Sbatté le palpebre un paio di volte: come ci era finita laggiù?
«…Ryo?» chiamò, guardandosi intorno disorientata. «…Keiichiro? Dove siete?»
«Ben arrivata, Guardiana,» la salutò una voce nell'oscurità.
Ichigo voltò bruscamente lo sguardo nella sua direzione per cercarne la fonte, un sopracciglio inarcato. «Marie?» mormorò stupita, quando l’ebbe individuata.
La giovane annuì e fece qualche passo in avanti, verso di lei.
In quel punto, il pallido chiarore della luna morente attraversava una finestra lasciata aperta, creando un raggio obliquo che permise ad Ichigo di osservare il cambiamento della sua compagna di classe: adesso, Marie indossava una sottile tunica argentea lunga fino ai piedi, i cui orli erano decorati con ricami dorati che luccicavano ad ogni suo movimento; portava una cintura, anch’essa dorata, e le sue mani erano semicoperte da lunghe maniche scampanate. I suoi lunghissimi capelli biondi le ricadevano sciolti sulle spalle, ed indossava un paio di orecchini dalla forma elaborata e una collana con uno strano medaglione.
Dal retro del vestito spuntavano dei nastri bianchi e leggeri che, come mossi da un vento invisibile, galleggiavano silenziosi, avvolgendosi dolcemente in mille spire.
La sua pelle, e soprattutto i suoi occhi, erano come messi in risalto da una strana luce innaturale.
Ichigo rimase immobile a scrutarla: non sapeva cosa pensare, o meglio, non riusciva proprio a pensare. Non riusciva quasi nemmeno a guardare la sua amica, perché era così… bella, che le sembrava di stare commettendo un peccato.
Non si trattava di una bellezza umana, e neanche aliena: era qualcosa si molto più misterioso e profondo.
Marie si fermò proprio davanti e lei e le prese le mani fra le sue. Ichigo fu scossa da un tremito: erano fredde.
L’altra non sembrò turbarsi per quel gesto. «E’ arrivato il momento di parlarti in modo sincero,» le disse con dolcezza. «Devi sapere che io conosco la tua vera identità.»
La rossa sbarrò gli occhi, colta di sorpresa. «Non so di cosa tu stia parlando,» si affrettò a negare, facendo un passo indietro e ritraendo la mano.
«Oh, non fare così… ti ho vista mentre ti trasformavi.»
Ichigo si rabbuiò; la sua mano corse istintivamente alla sua spilla per trasformarsi.
«Non essere spaventata da me, io voglio aiutarti.»
«Aiutarmi?»
«Esatto.»
La strana ragazza fece un cenno con la mano e le luci della stanza si accesero. Voltò le spalle ad Ichigo ed andò a sedersi ad un tavolino su cui era appoggiato un vassoio d'argento, in cui c’erano una teiera e due tazze. Marie ne prese una e la riempì di tè. Alzò la testa verso Ichigo, che era rimasta ferma:
«Siediti,» le disse gentilmente, indicando la sedia di fronte a lei.
Ichigo non si mosse. «Che cosa hai fatto alle mie amiche?» le chiese improvvisamente, dura.
«Niente,» fu la risposta. «Giuro. Quando sono arrivata qui, era già tutto deserto. C’era solo quella francese fissata con l’arte al piano di sotto, ma (perdonami per questo) ho eseguito un rituale per farla cadere in un sonno profondo; è crollata ma sta bene, credimi.»
Con molta cautela, Ichigo si sedette di fronte a lei, che le sorrise e le porse una tazza.
«Cos’è?» chiese Ichigo circospetta, osservando il liquido nero e fumante al suo interno.
«Black chocolate tea,» fu la risposta. «Tè nero al cioccolato. Il mio preferito. Il tè è una tradizione per noi inglesi, sai?»
Marie versò una tazza anche per sé stessa e ne prese un sorso.
Ichigo fece rigirare la sua tazza fra le mani, fissando la superficie del liquido incresparsi. «E se non volessi berlo?»
«Non ti sto obbligando.»
Ichigo esitò alcuni secondi; alla fine, si portò la tazza alle labbra e sorseggiò un po’ di tè.
Dovette ammettere che era una delle cose più buone che avesse mai assaggiato.
Si rilassò. In fondo, pensò, se Marie avesse voluto davvero farle del male, avrebbe potuto farlo in mille altre occasioni.
«Mi fa piacere che ti piaccia,» commentò la biondina poggiando la sua tazza sul tavolino. Poi vi poggiò sopra anche i gomiti e scrutò a lungo Ichigo, tenendo le mani sotto il mento.
«Ma tu chi sei?» si decise a chiederle lei.
«L’importante è quello che sei tu, my dear. Tu sei, come le tue compagne, una guerriera che è stata scelta dalla Terra per difendere lei e le sue creature da ogni pericolo. Per questo motivo, ti è stata concessa una briciola del suo potere, che ti consente di trasformarti e combattere nel suo nome. Giusto?»
«Beh…sì.»
«Ed ora, stai per affrontare la più grande delle battaglie.»
Ichigo si accigliò. «Intendi dire quella contro quei tre alieni?»
«No. Loro non sono i vostri veri avversari. Il vostro vero avversario è… Lui.»
«Lui? Lui chi
«Vorrei tanto saperlo anche io,» sospirò Marie con aria triste. Prese un sorso della sua bevanda. «So solo che si chiama il Messia; sono venuta qui per aiutarvi a combatterlo.»
«Aiutarci?» ripeté Ichigo. «Ma… come? Marie, chi sei? E come mai riesci a parlare benissimo la mia lingua ora?»
«Una domanda alla volta! Allora, io sono una sacerdotessa.»
La ragazza aveva risposto con decisione ma, dopo pochi istanti, le sue guance si arrossarono per l'imbarazzo. «Okay…apprendista sacerdotessa.»
«Sacerdotessa di cosa?»
«Di Avalon.»
«Avalon..?» ripeté Ichigo, incerta.
Marie si alzò in piedi. «Ti faccio vedere,» replicò pratica, ma Ichigo indietreggiò spaventata.
«Non puoi dirmelo… normalmente? Sai, non mi sono ancora ripresa dall’ultima volta!»
«Oh,» commentò la biondina, «va bene. Allora mi limiterò a raccontarti la mia storia a voce: devi sapere che migliaia di anni fa, nel mio Paese, c’era una delle colonie di Atlantide. Il suo nome era Lyonesse: era un posto meraviglioso, ma come altri venne annientato dal Grande Disastro. Qualcuno dei suoi antichi abitanti però restò e sopravvisse; e in seguito, nel tentativo di riportare in vita gli splendori antichi, dette vita al centro di Avalon. Era un Ordine di pochi eletti che custodiva i segreti di Atlantide… ne faceva parte anche colui che oggi è noto come Mago Merlino.»
Ichigo inclinò la testa di lato, ma non disse nulla.
«Con il passare del tempo, gli eletti si sparsero per l’Europa; costruirono megaliti e complessi come quello di Stonehenge, costruzioni che hanno un profondo significato esoterico. La loro dinastia sopravvive ancora oggi. Vedi, Ichigo, mia madre è una delle sacerdotesse di Avalon. Un giorno incontrò mio padre, un francese, una specie di Indiana Jones: lui cercava informazioni su Atlantide. Si innamorarono, e dalla loro unione nacqui io…»
«Oh,» commentò Ichigo con stupore.
«Come mia madre, io ho sempre avuto delle abilità molto particolari. Qualche mese fa ho cominciato ad avere moltissime visioni davvero tremende; ho chiesto spiegazioni a mia madre, e lei mi ha risposto che erano causate dal fatto che il Messia stava per risvegliarsi e che, se non fossi riuscita a rintracciarvi, le mie visioni sarebbero divenute realtà. Così ho deciso di venire qui a Tokyo in incognito: mi sono finta una studentessa, mi sono lasciata guidare dal destino e ho incontrato te. Ho intuito che potevi essere una delle Guardiane, così ho fatto in modo di finire nella tua classe…»
«Ma…perché hai fatto finta di non conoscere la mia lingua?»
«Volevo concentrarmi sul mio compito. Fingere di capire a malapena cosa dicessero tutti mi permetteva di restare sempre da sola.»
Ichigo scosse la testa. «Sei incredibile! Dovrei essere molto arrabbiata con te, lo sai, vero?»
Marie le rivolse un gran sorriso, poi però assunse un’espressione pensierosa.
La rossa attese che lei riprendesse a parlare, ma ciò non accadde, anzi: Marie aveva appoggiato il mento su una mano e si era apparentemente immersa in una fantasticheria.
«Marie?» la chiamò.
«Eh?» Lei si riebbe di colpo. «Si. Scusa,» disse. «Ti piacciono le chiese, Ichigo? Ho appena avuto una visione di te in una chiesa. Ce l’hai tu la Sfera?»
«N-No, credo sia rimasta con Ryo… aspetta un momento, come fai a sapere della sfera?»
«Lo so,» rispose laconica la sacerdotessa, e poi stese la mano sopra il tavolo e la fissò intensamente, finché non vi apparve sopra la sfera del Transvaal. «Non perderla di vista. E’ un’arma molto potente,» spiegò, porgendola alla sua amica. Poi si corresse. «No, sarà un’arma. Ma non la tua. Ops, forse era meglio lasciarla al ragazzo biondo.»
Ichigo prese la sfera, ma aveva un’aria scioccata. «Come…come fai a fare tutto questo?»
«Gli Atlantidei erano evoluti, ma non era solo questione di tecnologia,» sorrise l’altra in risposta, aggiungendo poi un occhiolino.
Ichigo non sapeva se sorridere a sua volta o essere preoccupata.
«Per quel che riguarda il Messia… devi sapere che una delle cose che il nostro Ordine continua a tramandare è una profezia che parla della venuta di un essere la cui missione è purificare il pianeta, ma per farlo lo distruggerà in gran parte, sterminando tutti voi umani.»
«E noi dovremo combattere contro di lui?»
«No, Ichigo. Se vuoi, puoi offrirgli un tè.»
La rossina impiegò alcuni secondi per capire che si trattava di una battuta.
«La profezia dice che il Messia giungerà quando il primo e l’ultimo riusciranno a guardarsi negli occhi,» riprese Marie.
«Che cosa significa?»
«Questi versi si riferiscono al nostro pianeta e al pianeta degli alieni, Nibiru. La sua orbita lo sta portando vicino al nostro; e questa notte i due pianeti sono così vicini che noi possiamo persino osservarlo. Questa vicinanza ha permesso di stabilire una sorta di contatto cosmico: le mie visioni dicono che sarà grazie ad esso che il Messia risorgerà.»
«E…qual è il modo per fermarlo?»
«Mi dispiace, non conosco questa risposta… però so che presto verrà pronunciata la frase “La sua vita non è un libro già scritto, e nemmeno un copione da recitare. Perché non capisce che se odia il finale, può cambiarlo?” ...o qualcosa del genere. Ti dice qualcosa?»
«Nulla,» rispose Ichigo sconsolata, bevendo l’ultimo goccio del suo tè.
«Su, non fare quella faccia, sono sicura che puoi farcela! E in fondo tu sapevi già del Messia: da mesi la Terra te lo sta sussurrando.»
Sentendo queste parole, ci mancò poco che Ichigo non sputassequanto aveva appena bevuto. «Cos’è questa storia adesso?!» tossì.
«Negli ultimi tempi, non ti è capitato di fare sogni o di avere visioni particolari? Il pianeta ti sta parlando, perché tu sei la….»
In quel preciso istante l'ingresso del locale saltò in aria, troncando ogni ulteriore discussione.
«Che cosa succede?» strillò Ichigo, balzando in piedi con fare alquanto felino. «Oh no,» sussurrò quando comprese chi fosse stato ad attaccarle, «oh no, no, no...»
In mezzo al polverone che si era creato si intravidero due figure conosciute: Hiroyuki e Kassandra.
Lui era rigido e freddo come al solito e stringeva fra le mani le sue due sciabole; lei, invece, non sembrava al massimo della forma: era come accaldata, ed infatti aveva con sé un grosso ventaglio nero di piume con cui era impegnata a farsi aria.
«Voi!» esclamò la rossa, sconcertata.
«E’ inutile nascondersi, mocciosa! Abbiamo scoperto che siete voi piccole streghe di cameriere…» disse sprezzante Kassandra, più nervosa che mai.
Ichigo parve disorientata. «Ma come…»
«E' inutile che spieghi come ho fatto ad un essere inferiore come te, non capiresti,» sbuffò l'aliena. Chiuse il ventaglio con uno scatto. «Ora siamo alla resa dei conti!» gridò poi in tono minaccioso.
«Hm,» osservò Marie, portandosi dietro Ichigo, «I don’t like this...»
Kassandra la notò in quel momento. «E tu chi saresti?» le chiese con la sua solita 'gentilezza' aristocratica.
«Una tua lontana parente,» le rispose lei sorridendo. «Nice to meet you!»
Ichigo si girò verso di lei. «Scappa Marie, qui sei in pericolo!»
«TU lo sei, ragazza!» si intromise Kassandra. «Avanti, Hiroyuki!»
A quella chiamata, docile come un cagnolino, la guardia del corpo di Kassandra spiccò un salto verso Ichigo, preparandosi a colpirla con le sue sciabole. Lei era distratta , ma riuscì ugualmente a gettarsi di lato in tempo.
Il suo nemico non si perse però d’animo, e, poggiati i piedi a terra per recuperare l'equilibrio, agitò una delle spade, fendendo l’aria.
All’inizio, Ichigo non capì il motivo di quel gesto, ma un istante dopo spalancò gli occhi nel sentire l'impercettibile sibilo di una lama invisibile avvicinarsi a lei; compì un balzo e scoprì che una lama invisibile che aveva appena evitato aveva segato in due una colonna alle sue spalle. Inorridita, Ichigo trovò a malapena il tempo di trasformarsi e scansare un nuovo attacco, ma Hiroyuki le comparve davanti all'improvviso e riuscì a ferirla al fianco con una delle sue lame, anche se solo di striscio.
Mew Ichigo resistette all’impulso stringersi il punto colpito e compì una capriola all’indietro per distanziare l’alieno, ma lui le dette un calcio e la fece rotolare fino in fondo al Caffè, rovesciando un tavolo.
Lei si rialzò subito.
«Mettiti in salvo!» ripeté a Marie che però, per tutta risposta, si limitò a scuotere distrattamente una mano nella sua direzione:
«One moment, just one moment…»
Mew Ichigo non capiva: perché quella ragazza non si decideva a fuggire? E perché sembrava così distratta? Forse stava avendo un'altra delle sue visioni? Il suo velo si agitava dietro di lei in maniera frenetica.
La guerriera si accorse che Marie stava fissando Hiroyuki.
«Eppure mi è familiare…» la sentì sussurrare.
Subito dopo, Mew Ichigo fu costretta a concentrarsi di nuovo sulla battaglia, perché ora l’alieno stava cercando di colpirla di nuovo con le sue lame d’aria.
«Ma a che gioco sta giocando?» pensò freneticamente la mewgatto, rotolandosi più volte a terra per evitare i colpi in successione dell’avversario, che spaccarono parecchie piastrelle del pavimento. La polvere che si alzò la fece tossire, e le schegge le ferirono il viso e una le entrò nell'occhio.
Il suo nemico non le stava concedendo un attimo di tregua, e lei non avrebbe potuto continuare a saltellare via per sempre. Però, non aveva il tempo di contrattaccare! Era disperata.
«Come on, don’t give up!» sentì gridare da Marie, nel frastuono generale. «Sii consapevole della tua essenza, e potrai batterlo!»
«Come faccio a essere consapevole quando rischio di venire affettata?» riuscì a tossirle in risposta.
«Oh, insomma, abbi fiducia in te!»
«Ok!» assentì Mew Ichigo, e, nell’evitare l'ultima lama d'aria, compì un lungo salto e atterrò in piedi in cima al bancone del locale. «Malvagio alieno, io sono Mew Ichigo, e ti batterò! Angeli protettori, della Terra custodi, miao!» esclamò, e poi estrasse la sua Strawberry Bell.
Hiroyuki, che non si era lasciato minimamente turbare da quella ridicola scenetta, incrociò le sue sciabole e le lanciò contro il raggio azzurro che si generò al centro dell’incrocio; Mew Ichigo contraccambiò con il suo attacco e i due colpi si scontrarono a mezz’aria, annullandosi a vicenda.
«Non era esattamente ciò che intendevo… ma continua così che vai forte!» esultò Marie.
Mew Ichigo, di colpo, scomparve alla vista di Hiroyuki. Lui si guardò intorno per un attimo e se la ritrovò sul lato destro: era troppo tardi per evitarla, così pose una delle sue sciabole come protezione, senza sapere che così aveva fatto esattamente il gioco della sua avversaria: Mew Ichigo gli tirò una ginocchiata sul polso, facendogliela saltare via dalla mano, e la riprese al volo, utilizzandola immediatamente per parare un affondo che intanto l’alieno aveva cercato di approntarle con la seconda spada.
Le due armi strisciarono fra loro, emettendo uno stridio insopportabile per le orecchie umane (ma fortunatamente non c’era nessuno di veramente umano là in mezzo).
Hiroyuki spinse con maggiore forza: stava per avere la meglio in quello scontro diretto, ma Mew Ichigo usò di nuovo la sua agilità per sfuggirgli. Lui si trovò sbilanciato frontalmente, e stava per cadere a terra; la guerriera gli piombò con i piedi sulla schiena e cercò di atterrarlo, ma lui si smaterializzò all’ultimo momento e le ricomparve davanti.
I due ripresero a combattere per degli interminabili minuti, finché, dopo l'ennesimo corpo a corpo, si staccarono per riprendere fiato.
Mew Ichigo era sconvolta: non pensava di essere così forte. Era stanca e ansante, ma lo era anche il suo avversario. "E' incredibile!" pensò. “Siamo pari!”
«Yay!» esclamò marie, entusiasta «This is so cool!»
Mew Ichigo sorrise, mentre riprendeva fiato. «Umana o sacerdotessa, tu non cambi mai, eh?»
«Hiroyuki!» gridò in quel momento Kassandra. Indicò Marie con un dito. «Quella lì sta fomentando troppo la tua avversaria,» sentenziò. «Toglila di mezzo!»
«Ops,» commentò Marie, tappandosi la bocca.
Hiroyuki scomparve dalla vista di Mew Ichigo e ricomparve proprio davanti a Marie, le armi in pugno; lei sembrava troppo sorpresa per cercare di evitarlo. Hiroyuki abbassò l'arma.
In quel momento accaddero due cose: Marie gridò: «Horakhti!», e Mew Ichigo la salvò parandosi davanti a lei e opponendosi alle sciabole con la sua campana rosa. Gli lanciò a sorpresa un attacco che lo prese proprio sugli occhi, sbalzandolo parecchi metri più in là.
Prima che Marie potesse ringraziarla, lei la prese per le spalle. «Devi andare via da qui!» le ripeté per la terza volta, terrorizzata.
«Si,» rispose lei, altrettanto spaventata, «cioé no, aspetta, io conosco quell’alieno, io so chi è quell’alieno!»
«Eh?! Tu conosci Hiroyuki?»
«Sì! Mi sono ricordata di lui! Lui è uno degli Osservatori di Horakhti!» esclamò Marie. Un turbinio di pensieri le attraversò la testa: perché mai si trovava sulla Terra? Perché si stava comportando così? Perché cercava di uccidere lei? Non l’aveva riconosciuta?
La voce stridula di Kassandra le si infiltrò nelle orecchie. «Basta così!» aveva gridato l'aliena. Stava per incitare nuovamente all'attacco il suo schiavo, ma Mew Ichigo la anticipò:
«Eh no, basta tu adesso!» esclamò e, afferrata la sua strawberry bell, le lanciò un attacco che lei prese in pieno. «L’ho colpita!» esclamò trionfante la mew gatto, ritornando a terra.
La potenza del colpo aveva fatto sbattere Kassandra contro una delle pareti del locale. Lei cercò di rialzarsi, ma per sua sorpresa si scoprì incapace di farlo. «Ma… Ma…» mormorò stupita, ricadendo a terra senza forze.
«Ehm…stai bene?» le chiese Mew Ichigo, facendo un passo verso di lei.
«Ma…Maledetta!» le strillò quella in risposta. «Non oserai colpire un avversario in difficoltà, vero?»
Se per un istante Mew Ichigo aveva provato un briciolo di pietà per lei, ora era scomparsa del tutto. «Tu sei un’eccezione!» dichiarò. Impugnò la sua arma, e fece per darle il colpo di grazia.
«Peggio per te,» ghignò Kassandra.
Accadde in un attimo.
Mew Ichigo sentì un: «Attenta!» gridato da Marie; mente si voltava indietro, la vide che compariva un paio di metri davanti a lei, fermando Hiroyuki.
Lui aveva cercato di attaccarla alle spalle e lei glielo aveva impedito.
Kassandra lo chiamò di nuovo, ma stavolta con un sussurro molto debole. «Hiro…yuki…» mormorò, «lo senti anche tu questo? Portami via...»
Obbedendo all’ordine, lui abbandonò la battaglia, le apparve accanto e la teletrasportò via.
«Se ne sono andati,» commentò Mew Ichigo, tirando un sospiro di sollievo. Fece sparire la sua arma e sorrise. «Ehi sacerdotessa, grazie,» disse all'amica con un sorriso.
Marie, ferma in piedi davanti a lei, non le rispose. Le stava dando le spalle. Mew Ichigo ebbe un tremendo presentimento.
«E-Ehi, tutto bene?» le chiese con un tono di urgenza.
«Hiroyuki,» sussurrò Marie, «è davvero forte come dice la leggenda.»
La ragazza crollò a terra, gettando Mew Ichigo nel panico. Lei le corse subito accanto, realizzando con orrore che la biondina aveva una vistosa ferita sul petto che stava sanguinando copiosamente, macchiando il suo vestito candido e colorando di rosso il pavimento.
«Ma-Marie!» balbettò. Stava perdendo troppo sangue, doveva portarla via da lì. Doveva chiamare aiuto. Doveva andare subito all’ospedale. Doveva…
«V-Va tutto bene,» ripose la ragazza con voce appena percettibile. «Non potevo permettere che tu finissi così, tu sei… troppo importante…» disse. Poi rovesciò gli occhi e lasciò andare il suo respiro.
La testa di Mew Ichigo si svuotò. Chiamò la sua amica, non riuscendo a credere che ciò che aveva davanti agli occhi fosse vero. Cercò di rianimarla in ogni modo che conosceva. Pianse, gridò. Ma fu tutto inutile perché Marie, l’apprendista sacerdotessa, se ne era appena andata fra le sue braccia.






++++


Note della revisione:
Ho tolto la scena finale che c'era originariamente nel capitolo perché medito di ficcarla nel prossimo. *mumble mumble*



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Capitolo 35
*** Intermezzo (Un viaggio) ***


26 18/11/2014: Questo non è un capitolo, ma è un… intermezzo che introduce l'ultima parte della fanfic.
A causa delle modifiche fatte in precedenza (damn you, revisione), ho sentito il bisogno di posizionare questa vecchia scena (opportunamente aggiornata) qui.
Non ho la minima idea di come revisionare il prossimo capitolo e sono attualmente in attesa di un'illuminazione. D:
EDIT: Oh e visto che la funzione automatica di EFP reindirizza chi clicca sull'ultimo capitolo direttamente qui, incollo quello che avevo scritto nell'Agnello e il Dragone:
Nota del 18 novembre 2014: E’ da gennaio che sto ‘silenziosamente’ revisionando questa fanfic e finalmente credo di aver reso presentabile la prima trentina di capitoli.
(Oh e ho cambiato il titolo. Amo il trash che traspare dal nuovo titolo!)
La storia risulta aggiornata perché ho aggiunto il capitolo al n. 35.
I restanti capitoli sono ancora da revisionare (ma ce la farò!).




- Capitolo 33: Intermezzo -

 
Kisshu non riusciva a capire se era ancora vivo o no. Pensava, quindi doveva essere per forza ancora in vita. O forse si poteva continuare a pensare anche da morti?
…m-morti?
L’alieno scacciò dalla mente le fantasie indesiderate sul destino di Pai e si concentrò sulla sua nuova situazione.
Prima di tutto, dove si trovava? Si guardò intorno, ma non vide nulla di utile a rispondere alla domanda. Si accorse che stava galleggiando, ma non stava volando; respirava normalmente, eppure non era possibile che in quel posto vi fosse aria. I suoi sensi erano attenuati, ma sentiva chiaramente su di lui una sensazione avvolgente e delicata, simile ad una carezza o all’acqua tiepida che scorre sulla pelle.
Era piacevole.
C’era una grande tranquillità in quel luogo. Kisshu non sarebbe riuscito a definirlo e d'altro canto non aveva mai sentito parlare di un posto del genere.
Scorse i suoi amici a poca distanza da lui e si sentì sollevato. Poi, però, notò che c’era qualcosa che non andava in loro, perché i loro corpi erano come sfocati. Anche il suo emanava uno strano chiarore evanescente, ed era molto più leggero del normale. Così ridotti, sembravano tutti dei fantasmi. Un dubbio orribile lo colse: lo erano per davvero?
«No, non lo siamo,» lo rassicurò la voce argentina di Imago, che lo aveva raggiunto silenziosamente. Le sue parole erano come amplificate da un eco mentre continuava, intimorita: «Morti, intendo. Almeno credo. E’…E’ così, vero?»
Kisshu inarcò le sopracciglia con fare incerto, mentre una parte della sua mente si divertiva a realizzare che l'espressione preoccupata che stava facendo la sua compagna era adorabile. In effetti, lei era adorabile. Si chiese come aveva fatto, in passato, ad innamorarsi di persone con personalità così differenti dalla sua.
Poi però gli venne un dubbio.
«Dolcezza, si dice che gli innamorati possano leggersi nel pensiero… ma seriamente, come hai fatto a rispondere ad una domanda che non ti ho fatto?»
Lei scosse la testa, e le ciocche della sua frangetta ondeggiarono dolcemente. «Non lo so. Ma ti prego, non ragionare troppo sulle tue conquiste amorose, perché a quanto sembra riesco a sentire i tuoi pensieri.»
Più colpito dalla prima parte della risposta che dal finale, Kisshu stava per sbottare un: «Io non stavo ragionando sulle mie numerose conquiste!» sulla difensiva, quando sentì l'aliena aggiungere:
“Ma non riesco a sentire il tuo calore…”
Lei non aveva mosso le labbra e non lo stava neanche guardando, eppure l’aveva sentita chiaramente sospirare quelle parole. Sorpreso, lui fece per muovere d'istinto una mano verso di lei ma si rese conto che gliela stava già stringendo. Non se ne era accorto. Neanche lui sentiva alcun calore dal corpo della ragazza, e nemmeno materia, così come nel suo. Che cosa gli stava succedendo in quel posto assurdo…?
“Pai…perché l’hai fatto? Fratellone…” la voce depressa di Taruto echeggiò nella testa di Kisshu come se il bambino gli avesse parlato direttamente nel cervello. In realtà, Taruto era ad almeno tre metri da lui, vicino a Chris.
"Possibile che che in questo posto si riescano a sentire i pensieri degli altri?" si chiese a quel punto il maggiore.
"Pare proprio che sia così," annuì Chris a quel punto, senza parlare. «Taruto, smettila di piangere nel pensiero, per favore. Tuo fratello se la caverà,» disse poi al minore del gruppo per consolarlo. «Ora pensiamo a dove siamo finiti noi.»
«Sembra lo spazio,» sussurrò Kisshu, ben consapevole di essere in errore.
«Scusa, ma se sai di stare sbagliando, che parli a fare?»
«Chris, non leggermi nel pensiero!»
«Come se dipendesse da me, idiota!» sbuffò seccata la ragazza aliena. “Io non volevo questo!” borbottò poi nervosamente.
“Ma che le prende?!” pensò Kisshu. “E' sempre più agitata…è per Pai?”
Ehi! Guarda che io non sono agitata!
Non voglio immaginare cosa rispondi alla gente quando sei agitata!
“Vi prego, smettetela!” li supplicò mentalmente Imago. I pensieri di Kisshu e Chris avevano risuonato così forte nella sua testa che lei si era portata d’istinto le mani sulle orecchie in un inutile tentativo di proteggersi. “Voglio andare via da qui,” pensò.
Come rispondendo a quella richiesta, il fluido invisibile che circondava i quattro alieni prese ad agitarsi, formando flussi che si raccolsero in un vortice; prima di potersi rendere conto di cosa stava accadendo vennero tutti risucchiati al suo interno e, un attimo dopo, vennero scaraventati di punto in bianco su un pavimento di terra polverosa, dura e rossastra.
«Ouch,» commentò Taruto, dolorante.
«Beh, questo è stato veloce,»commentò Chris. Si rimise in piedi e si guardò intorno, imitata presto dagli altri. «Ma ora...dove siamo?»
«Non sembra il nostro pianeta,» osservò Imago. «Allora, forse… siamo sull'Azzurro?»
«Non credo proprio,» ammise Kisshu. Osservò le costellazioni sconosciute nel cielo e poi il deserto rosso e privo di vita in cui si trovavano: in lontananza, era possibile scorgere degli ammassi di pietre ammucchiate che sembravano quasi formazioni naturali, ma erano così ben definite che non potevano esserlo. "Piramidi?" si chiese l’alieno. Una lampadina si illuminò nella sua testa e lui schioccò le dita. «Deserto rosso e piramidi… Mistero risolto, siamo sul Pianeta Rosso!»
«Marte?» sibilò un incredulo Taruto. «Come abbiamo fatto ad arrivare in così poco tempo su Marte? E senza neanche un’astronave!»
«Allora è vero che la fine è arrivata…» disse a quel punto una voce sconosciuta.
«…non credevo che sarebbe successo,» le fece eco un’altra.
Kisshu e gli altri si allarmarono nello scoprire che tre figure ammantate di bianco stavano in piedi a pochi passi da loro e li stavano indicando mentre parlottavano fra loro. Erano sbucati dal nulla all’improvviso. Due avevano la stessa altezza, mentre la terza era piu' bassa di loro di almeno la metà.
Kisshu si strofinò gli occhi, pensando che fossero un’allucinazione: i tre non scomparvero, per cui estrasse i suoi sai. «Chi siete?» domandò minaccioso.
A quella domanda, uno dei due sconosciuti più alti fece un passo verso di lui. Indossava un lungo mantello e un cappuccio come gli altri, ma a differenza loro se lo abbassò, rivelando un essere anziano con la pelle scura e dei lunghi capelli argentati.
«Il mio nome è Zaraxa. Vi do’ il benvenuto sul Pianeta Rosso, abitanti di Nibiru,» li salutò con una voce profonda e cortese. «Suppongo che abbiate utilizzato il contatto planetario per giungere sin qua.»
Kisshu, Imago, Chris e Taruto si guardarono fra di loro.
«Ah, sì?» chiese alla fine Kisshu.
Alle spalle del marziano, intanto, la figura più bassa sembrava parecchio eccitata dalla loro presenza.
«…quindi sono loro?» chiese all’altra con una vocetta infantile. «Però! La nostra specie si è involuta tantissimo nel corso dei secoli. Hai visto come solo pallidi? Che cosa ci trova Hiroyuki di così interessante in loro?»
«Silenzio, Juaj,» l’ammonì quella usando un inconfondibile timbro vocale femminile.
«Quelli dietro di me sono la mia famiglia, Azyra  e Juaj. Non preoccupatevi, non vogliamo farvi del male. Noi siamo solo dei semplici osservatori,» spiegò Zaraxa in tono benevolo. «Questo vuol dire che ci limitiamo a guardare. Non vogliamo interferire…»
«Quindi non glielo diciamo?» gli domandò Juaj, interrompendolo.
Azyra gli diede un pugno sulla testa incappucciata.
«Ahio! Dai, qualcuno deve pur dirglielo!»
«Dirci cosa, piccolino?» gli chiese Imago, incuriosita.
«Noi siamo osservatori,» ripeté a quel punto Zaraxa, lanciando un’occhiataccia al minore della sua famiglia mentre enfatizzava in modo estremamente seccato l’ultima parola della frase. Riportò poi la sua attenzione sul gruppo di stranieri e indicò un punto alle loro spalle. «Lì si concentrano le linee del flusso di connessione planetaria. Vi condurranno sulla Terra, ma state attenti alle deviazioni dimensionali: se non vi concentrate sulla vostra meta, potreste finire in una qualche galassia sconosciuta. Buon viaggio.»
I quattro non ebbero quasi il tempo di voltarsi indietro che furono nuovamente catturati dal flusso. Marte e i suoi strani abitanti scomparvero e loro si ritrovarono di nuovo immersi in quell’oceano invisibile, ma stavolta erano circondati da una serie di vortici luminosi e un vento fortissimo gli impediva di scegliere liberamente la direzione in cui andare.
“Concentratevi sulla Terra!” gridò Chris nel pensiero.
Gli altri annuirono, e, dopo alcuni secondi, un rettangolo dorato sotto di loro divenne sempre più grande e luminoso. All’improvviso, l’energia che li teneva sospesi nel flusso cessò come se qualcuno avesse staccato la corrente; i quattro alieni non riuscirono più a restare sospesi e precipitarono in basso, nella luce dorata. Ricaddero a terra malamente, finendo per sbattere l’uno sopra l’altro.
«Q-Qualcuno però poteva anche concentrarsi sull’atterraggio!» commentò Chris, precipitata sotto Kisshu e Imago.
«Ahia…» si lamentò quest'ultima. Poi si accorse di essere finita proprio addosso a Kisshu e si affrettò a tirarsi in piedi e a scusarsi con lui,  imbarazzatissima.
«I-Imago, forse dovresti metterti a dieta, sai…?» mugolò lui a fatica, tutto acciacciato.
«Io stavolta sono caduto sul morbido,» osservò allegramente Taruto, penzolando appeso per le gambe sui rami di un albero che aveva attutito la sua caduta. Erano finiti in un minuscolo parchetto deserto, a poca distanza dalla strada principale di chissà quale città terrestre. Il terreno era ricoperto d’erba e di sabbia, c’erano piante e fiori e una vecchia altalena arrugginita.
«Non interessa a nessuno, Taruto,» sbuffò Kisshu, massaggiandosi i fianchi.
«Quindi questo è il Pianeta Azzurro?» domandò Imago, guardandosi intorno con aria sognante.
«Esatto,» rispose Kisshu.
«Dov’è il sole? Voglio vedere il sole!»
«Adesso è notte. Il sole comparirà fra qualche ora.»
«Oh,» mormorò triste l’aliena, perdendo un po’ di entusiasmo.
In quel mentre, un rumore attirò l’attenzione dei quattro alieni. Era il fruscio di qualcosa, forse un pacco o una busta, che cadeva a terra, segnale della presenza di qualcuno nelle vicinanze.
«Oh no, siamo stati visti!» esclamò Chris indicando la ragazzina bionda che li stava fissando
già da un po’ dalla strada con la bocca spalancata per lo shock.
Quando Taruto la vide, perse l'equilibrio e cadde giù dall’albero per la sorpresa.
Imago, invece, lanciò un gridolino di gioia. «Aspetta, quello è un terrestre? Un terrestre vero? Oh, com’è carino! Possiamo portarlo a casa?»
Kisshu sospirò, riconoscendo anche lui la ragazzina. «No, Imago. E’ meglio che non porti a casa questo terrestre. Ci abbiamo già avuto a che fare in passato: è una scimmia malefica.»
«Scimmia? Cos'è una scimmia?»
«Non è vero, Kisshu. Io sono un leone!» gli gridò a quel punto Purin da lontano, riprendendosi dallo stupore. Compì un salto pazzesco e atterrò proprio di fronte a lui. «E mi chiamo Purin, piacere!» disse a Imago, per poi raggiungere Taruto con un altro salto.
Lui era ancora steso a terra sulla schiena, per cui Purin si chinò su di lui e lo guardò dall’alto. «Stai bene?» gli chiese preoccupata.
«O-Ora no,» rispose lui, balzando in piedi in tutta fretta. «Davvero, con tutti gli esseri umani sul pianeta, proprio te dovevamo incontrare?» bofonchiò dando le spalle alla biondina e iniziando a spolverarsi i vestiti nervosamente.
Lei gli andò davanti e gli tese una mano piena di caramelle.
Lui la guardò con aria interrogativa.
«Scommetto che sei tornato perché le avevi finite, no?» gli disse Purin, continuando a porgergli i dolcetti finché lui non si decise a prenderli. «Bentornato, Taruto,» lo salutò a quel punto con un sorriso.
Lui arrossì. «Grazie,» rispose, facendo di tutto per sembrare seccato da quelle attenzioni. «M-Ma non è che le ho finite apposta.»
«Ehi, piccioncini,» li chiamò Kisshu a quel punto. «Vi dispiacerebbe continuare dopo? Abbiamo bisogno di aiuto adesso.»
«Aiuto?» ripeté Purin andando da lui. «Perché, che cosa vi è successo? Qualcuno si è fatto male? Vi serve un dottore?»
«No,» replicò Kisshu scuotendo una mano con noncuranza. «Non ci siamo fatti male. Siamo stati condannati a morte, ricercati per tutto il pianeta, abbiamo risolto un enigma millenario, viaggiato attraverso un passaggio dimensionale, fatto un giretto su Marte e scoperto che la Terra sta per essere distrutta.»
Purin lo guardò pensierosa. «Non penso che esista un dottore in grado di aiutarvi per queste cose,» ammise alla fine.
Kisshu si sentì crollare la gambe. «NON HAI CAPITO NIENTE!» le gridò esasperato.
«Sei tu che non ti spieghi!» ribatté lei incrociando le braccia.
«Portami da Ichigo, lei è più intelligente di te.»
«Ichigo? Oh, ho capito! Tutto questo è una scusa per provare a rapirla di nuovo, giusto?»
«No, stupida scimmia, non voglio più rapirla!»
«Rapire? C-Cos’è questa storia, Kisshu?» intervenne Imago.
«Meglio che tu non lo sappia,» sospirò Taruto, galleggiando a gambe incrociate accanto a lei.
Mentre Kisshu e Purin continuavano a litigare, Chris, che nel mentre era andata a sedersi sull’altalena ed era rimasta lì in silenzio per tutto il tempo, trasse un profondo sospiro. «Uccidetemi adesso,» disse in un sussurro, dondolando piano.




++++

 
Note:
La storia dei tre ciccini marziani e del loro legame con Hiroyuki doveva essere un’altra sottotrama di questa fanfic (lato mew mew), ma poiché non ho mai trovato una reale ispirazione non l’ho mai scritta.
Se fossi stata un’autrice seria li avrei cancellati dalla fanfic visto che sono inutili, ma io sono una beota e se li avessi cancellati mi sarei sentita come se li avessi uccisi, per cui li ho lasciati.
....
....ho già detto che sono una beota?


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Capitolo 36
*** CE4 - Incontri ravvicinati del IV tipo ***


26 19/11/2014: In queste quattro paginette ho raccolto tutte le vecchie scene omesse nei capitoli precedenti, opportunamente riscritte, anche se forse un po’ deliranti (giustamente nei miei giorni di ferie, in cui ho tempo per scrivere, mi viene la febbre).
Ho ancora 12 capitoli da revisionare, che insieme ai credo 8 del finale, fanno 20 capitoli ancora da vedere. La cosa mi deprime un po’ e spero di non incagliarmi da qualche parte. ;___;
*Jun fissa il peluche del dio distruttore mangia-uomini Cthulhu, romantico regalo del suo ragazzo e fidata fonte di conforto ed ispirazione*
Forza, piccolo mio: ce la possiamo fare.



- Capitolo 34: CE4  -

 
Quella sera,  nonostante l’ora tarda, la vita a Tokyo scorreva frenetica come al solito; eppure, c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Dovunque, dalle strade ai negozi ai numerosi luoghi di ritrovo sparsi un po’ dappertutto, aleggiava una strana tensione molto simile all’ormai iconica calma prima della tempesta.
Presentendola, man mano che il tempo passava sempre più persone decisero di loro spontanea volontà di rientrare a casa, abbandonando i propri piani di lavoro o divertimento notturno. Nessuna di loro avrebbe saputo spiegare a parole il motivo di quella decisione. Ciò che quella gente provava era una sorta di istinto comune, un presentimento negativo fatto inquietudine e paura; era una sensazione atavica di pericolo imminente, che iniziò a prendere forma quando internet e i telegiornali mostrarono le prime immagini di quella che di lì a poco avrebbe preso il nome di Notte del Disastro.
Dapprima iniziarono le notizie della riattivazione contemporanea di tutti i maggiori vulcani europei, compreso il Marsili, il cui scoppio subacqueo avevano causato uno tsunami di intensità così alta da distruggere gran parte della penisola italiana e delle isole; poi toccò ai temporali che avevano preso a sferzare con violenza
inaudita vaste zone dell’America del Nord, interferendo con le comunicazioni e spazzando via intere città; ed infine cominciarono a giungere le notizie del surreale inabissamento delle piramidi egiziane, scomparse nella sabbia come navi che affondano nell’oceano, dei maremoti che aveva colpito l’Australia, dei terremoti e delle valanghe in Russia, insieme a infinite altre sciagure che si stavano abbattendo nei luoghi più disparati del pianeta.
Gli abitanti di Tokyo sentirono queste notizie mentre erano al sicuro nelle loro comode case; non furono in pochi a sospirare sollevati per il fatto che quelle disgrazie non fossero toccate a loro, perché è questa la natura umana: primitiva, egoista, opportunista.
Tutti si preoccuparono solo per loro stessi,o  al massimo per i  loro cari; e fu anche per questo motivo che nessuno prestò attenzione ai due alieni che erano appena apparsi in bella vista in cima ad un grattacielo in pieno centro.
I due non erano altri che Kassandra e Hiroyuki. Quest’ultimo, che stava tenendo fra le braccia la sua padrona, atterrò sul tetto del grattacielo e la mise a terra con lentezza mentre lei respirava affaticata come se avesse appena compiuto una lunghissima corsa.
«C-Che cosa… mi sta succedendo?» sussurrò l’aliena ansimando, mentre sollevava a fatica le mani tremanti.
Fece comparire il suo ventaglio, ma si accorse presto di non avere la forza di reggerlo. Si sentì mancare e si lasciò scivolare a terra su di un fianco.
Ora il suo respiro era molto più rapido per la paura che l’aveva colta, che non stava facendo altro che accelerare i tempi di ciò che l’aliena sentiva essere ormai vicinissimo e inevitabile.
«Io… sono la Sovrana del Pianeta Azzurro,» si ripeté quasi delirando, sforzandosi di ricordare il motivo per cui si trovava lì.  «Non posso… Non posso finire così! Non… Non ora, non qui!»
Boccheggiò. Stava succedendo tutto all'improvviso e troppo rapidamente, troppo, e lei era sola ed aveva paura e non riusciva più a muoversi, «Aiutami… Aiutami Hiroyuki, non… non voglio morire!»  gracchiò con voce spezzata. «A…Aiutami!»
Imperturbabile come una statua di marmo, l’alieno dalla pelle scura osservò la sua padrona contorcersi e lottare disperatamente per resistere, per poi infine lasciarsi andare ed emettere un ultimo respiro.
Hiroyuki non sapeva perché tutto questo fosse appena accaduto, sapeva solo che Kassandra gli aveva ordinato di aiutarla, e così avrebbe fatto.
Certo, donare la vita o la morte non era uno dei poteri che gli erano stati concessi, ma c'era qualcos'altro che poteva fare...
Sedette accanto al corpo dell’aliena e vi pose sopra i palmi aperti, ma senza toccarlo. Iniziò ad intonare una litania in una lingua ormai dimenticata con voce bassa e solenne, e ben presto un alone luminoso cominciò a diffondersi e passare dal suo corpo a quello di lei.

- - - -

Nel frattempo, al Cafè Mew Mew, Cherry si strofinò gli occhi mentre risaliva con passi stanchi le scale del sotterraneo.
«Che sonno,» sbadigliò, stiracchiandosi pigramente. «Ora capisco cosa prova la Venere dormiente di Giorgione...» 
Quando raggiunse il piano terra, lo spettacolo che le si parò davanti la lasciò di stucco. Il torpore abbandonò di colpo il corpo della professoressa mentre lei si rendeva conto che l'atrio locale era completamente distrutto.
Disorientata, nel tentativo di capire cosa fosse successo, Cherry si avventurò al suo interno, facendo ben attenzione a non inciampare sul pavimento spaccato.
«Ma…sono precipitata in un quadro cubista?» commentò a mezza voce, spostando lo sguardo dal portone sfondato ai tavolini e alle sedie sfasciati, fino al bancone rovesciato su di un lato. Fece qualche passo nella sala, facendo scricchiolare sotto le decolté fucsia i pezzi di vetro e ceramica sparsi ovunque; alla fine, udì un gemito sommesso provenire da un angolo.
Era stata Mew Ichigo: Cherry la scorse di spalle, seduta a terra. La raggiunse e scoprì che era china su una ragazza stesa sul pavimento in un lago di sangue. Morta.
La professoressa trattenne il fiato, terrorizzata da quella visione.
«L’hanno uccisa!» le disse Mew Ichigo fra le lacrime, accorgendosi di lei. Si rialzò e le corse incontro, gettandosi su di lei per poi scoppiare in un nuovo attacco di pianto, molto più forte e doloroso del precedente.
«Mi ha salvato la vita, e l’hanno uccisa!» singhiozzò, stringendosi alla donna.
Cherry, dal canto suo, era troppo sconvolta per darle conforto. Ebbe l'istinto di fuggire, ma ben presto realizzò che non poteva abbandonare in quel modo quella ragazzina così disperata. Trattenendo la nausea e la paura, si fece dunque forza e realizzò che, per prima cosa, doveva portarla via da lì.
«Vieni,» le disse in tono fermo, facendo un passo indietro e prendendola per mano.
«N-no, non pos-sso...»
«Vieni!»
Cherry la trascinò quasi di forza fuori dal locale, all’aria aperta. Il vento freddo della notte le fece rabbrividire entrambe, ma Mew Ichigo non accennò a smettere di piangere.
«Ascoltami tesoro, se quella ragazza è morta per proteggerti,» provò a dirle Cherry, «non è certo perché poi voleva vederti piangere così.»
Mew Ichigo non parve darle retta, per cui lei la prese per le spalle e la costrinse a guardarla in faccia. «Mew Ichigo, tu devi reagire!» esclamò con forza.
«N-non ce la f-faccio, C-Cherry-san...»
«Invece devi farcela,» insistette lei, scrollandola un po’. «Sei una paladina della giustizia, e questo significa che i poteri di cui sei dotata ti costringono a portare un peso troppo grande per te. Ma su di te contano tutti gli abitanti di questa città, e persino del resto del mondo! Anche la tua amica contava su di te, ed è per questo che ha dato la sua vita per salvarti.»
La professoressa circondò le guance della mew gatto con le mani e le sollevò il viso. «Guardami,» le disse, «non puoi crollare adesso.»
Lei singhiozzò un’ultima volta; le lacrime continuavano scivolarle giù per le guance, ma lei annuì. «Non…non succederà,» promise, anche se ancora scossa. «Io… Io sconfiggerò quegli alieni, e lo farò anche per Marie.»
«Brava ragazza,» sussurrò commossa Cherry, abbracciandola.
Fu in quel preciso momento che Taruto si materializzò in aria a un metro dalle due.
«Siete in due?!» esclamò notando Mew Ichigo e la sua copia in versione umana. «Bleah, Kisshu una volta mi ha raccontato di aver sognato una cosa del genere,» ammise, scioccato e un po’ disgustato al ricordo.
«T-Taruto?!» esclamò la ragazza gatto nel vederlo, sobbalzando per lo stupore. «Che cosa…?»
«Storia lunga,» tagliò lui, agitando le braccia, «vecchiaccia,» concluse, scomparendo nel nulla e portando con sé  le due ragazze.

- - - -

Retasu teneva gli occhi fissi sull’elettrocardiogramma di fronte a lei. Il beep che il macchinario emetteva a ritmo costante era stabile e quasi ipnotico.
La ragazza era seduta già da un po’ nella stanza d’ospedale in cui era stato portato suo padre e, nonostante sapesse che l’orario delle visite stava per terminare, non osava muoversi da lì.
Non lo aveva detto alle sue amiche, ma era colpa sua se quell’uomo era finito in coma. Era successo quando era diventata un chimero impazzito: non ricordava molto, ma sapeva che era stata lei a ridurlo in quello stato e si sentiva male al solo pensiero.
I rilievi della polizia avevano stabilito che si era trattato di un incidente o di un tentato suicidio; e mentre sua madre, a causa dello shock, non rammentava nulla, Retasu aveva combattuto a lungo contro l’idea di costituirsi alla polizia. L’unica cosa che l’aveva fermata da farlo realmente era stato il pensiero per Ryo e per le sue compagne: per quanto lei fosse inutile e, come aveva recentemente dimostrato, persino dannosa per loro, non aveva il cuore di lasciarle combattere da sole contro gli alieni.
Continuava però a chiedersi se quella fosse davvero la cosa giusta da fare.
«Sei tu Retasu Midorikawa?» le chiese d’un tratto una voce femminile alle sue spalle.
«S-Sì,» balbettò lei in risposta. Si sollevò appena gli occhiali per strofinarsi via le lacrime che si erano raccolte agli angoli dei suoi occhi. «Mi scusi, vado subito via,» disse a quella che credeva essere un’infermiera. Quando però si girò, impallidì nello scoprire che a parlarle era stata un’aliena che non aveva mai visto in vita sua.
«Oh, che carina che sei,» osservò Chris in tono amichevole. «Sembri davvero dolce come mi hanno raccontato,» aggiunse mentre la smaterializzava via con lei.

- - - -

Zakuro stava piacevolmente annegando nel mare dei suoi sogni, quando all’improvviso avvertì qualcosa di molto freddo e appiccicoso incollarsi sulla sua faccia.
Si agitò d’istinto e si portò le mani al viso nel tentativo di staccare quel corpo estraneo, senza capire se si trattasse del sogno o della realtà fino a che non riuscì nel suo intento e scattò a sedere sul suo letto.
Respirando affannosamente, la ragazza lupo scoprì di avere fra le mani un minuscolo parassita medusa, identico a quello che gli alieni utilizzavano per creare i loro mostri. Muoveva le zampine e cercava di afferrarla; Zakuro sussultò e lo lanciò via, mandandolo a sbattere contro una parete.
Fu solo a quel punto che si accorse della presenza aliena nella sua camera da letto che, a giudicare dall’intensità della risata che stava facendo, aveva trovato l’intera scena molto divertente.
Zakuro conosceva bene sia quella sagoma che quella risata, e non ebbe bisogno di accendere la luce per capire che l'alieno di fronte a lei non era altri che Kisshu.
Rimase lì a fissarlo, semicoperta dalle lenzuola profumate, con gli occhi stretti in due fessure di confusione e nervosismo crescente.
«Tu…» esalò alla fine, sprezzante.
Lui smise di sghignazzare. «Già,» annuì sfacciatamente, sostenendo lo sguardo penetrante e pieno d’odio della ragazza con il suo. «Perdonami, ma non mi era stato detto che ti avrei trovata addormentata e non venivano in mente altre idee per svegliarti,» le spiegò con un tono così irritante che Zakuro desiderò di tirargli un paio di pugni. Si trattenne dal farlo davvero solo perché Kisshu aggiunse, in tono serio e muovendo un passo verso di lei: «Siamo tornati qui perché il vostro pianeta è in pericolo. Stiamo radunando voi ragazze in un unico posto, in modo da potervi spiegare la situazione.»
La modella serrò le labbra senza interrompere il contatto visivo con lui, e per un attimo Kisshu ebbe l’impressione che stesse aspettando solo una sua minima distrazione per saltargli addosso e sbranarlo. Lui e la guerriera con i geni del lupo grigio, in effetti, non erano mai andati troppo d'accordo e lo scherzetto che lui le aveva fatto non era stato altro che una piccola rivincita per tutte le volte che lei lo aveva preso a calci.
«Ma sono sicuro che tu non mi credi, giusto?» proseguì l'alieno, intuendo i suoi pensieri. Poiché non ottenne risposta dalla ragazza, sospirò platealmente. «Ho capito. Vado a prendere qualcosa in grado di convincerti,» disse, sparendo.
Zakuro approfittò del momento per balzare in piedi e afferrare la sua spilla per la trasformazione, ma un attimo dopo Kisshu riapparve nella stanza, e stavolta non era solo.
Retasu era insieme a lui. Era un ostaggio o era venuta lì di sua spontanea volontà?
La modella lasciò ricadere la mano che stringeva la spilla lungo i fianchi, incerta sul da farsi, e rimase in attesa di capire quale fosse la situazione.
Ma nessuno dei due visitatori le spiegò nulla, perché non appena Retasu vide la sua amica arrossì violentemente e abbassò gli occhi sul pavimento, mentre Kisshu si girò dall’altra parte per ammirare con improvviso interesse il panorama della finestra in fondo alla stanza.
Il loro comportamento era del tutto giustificato se si pensa che Zakuro era abituata a dormire con addosso solo della biancheria intima, e che quella sera l’aveva scelta trasparente e merlettata, di colore viola.
L’essere quasi nuda di fronte a due persone, nella normalità, era una situazione di svantaggio per una donna, ma per Zakuro fu solo un’occasione in più per prendere in mano le redini della situazione.
«Retasu, che cosa stai facendo con questo alieno?» domandò infatti per prima all’amica in tono brusco e autoritario, indicando Kisshu.
Lei si azzardò a sollevare appena lo sguardo sulla compagna. «Lui… Lui non è un nostro nemico. E’ davvero qui per aiutarci,» rispose con un leggero imbarazzo.
La modella strinse gli occhi con sospetto. «Non mentirmi. Ti sta minacciando o costringendo in qualche modo?»
Kisshu roteò gli occhi e sbuffò, ma non rispose.
«N-No! Non ti sto mentendo, Zakuro! Non so ancora molto della situazione, ma credimi, è davvero così!»
Nonostante la sua risposta fosse un po’ sconnessa, Retasu aveva replicato con tale trasporto che l’amica parve finalmente convincersi.
Per cui alla fine, tratto un profondo sospiro, Zakuro rilassò leggermente le spalle. «Era quello che temevo,» commentò, dirigendosi poi verso il suo armadio. Ne spalancò le ante e iniziò a frugare al suo interno.
«Ho bisogno solo di un minuto,» spiegò mentre afferrava nel buio una gonna abbastanza corta e una maglietta. «Nel frattempo, Kisshu, se vuoi puoi andare giù in cucina e farti una camomilla. Sai, sembri piuttosto nervoso,» si divertì a proseguire in tono ironico e tagliente, prima di chiudersi nel bagno lì accanto.
L’alieno, anche lui visibilmente arrossito, bofonchiò qualcosa di molto offensivo nei riguardi di Zakuro che però Retasu decise di ignorare.
Lei impiegò alcuni secondi prima di trovare il coraggio di rivolgergli la parola.
«Ora… Ora ci riporterai a casa di Purin, vero?»
«Sì, non appena vostra maestà termina la sua vestizione
Retasu deglutì. «Se possibile, preferirei tornare a piedi.»
Kisshu sbattè le palpebre, confuso. «E perché mai?»
«Perché…» pigolò la ragazza, facendosi piccola piccola, «credo di… credo di non sopportare il teletrasporto.»
«Non lo sopporti?!» Kisshu alzò gli occhi al cielo, sbottando a bassa voce uno scocciato: «Umane…»
Poco dopo, Zakuro uscì dal bagno: si era rivestita e si era legata i capelli in una coda alta per fare più in fretta. Il suo viso era un po’ umido per via di tutta l’acqua che si era gettata in faccia per svegliarsi del tutto.
«Molto affascinante,» commentò Kisshu sbrigativo, preparandosi a smaterializzarle entrambe, ignorando palesemente le richieste di Retasu.
Mentre stavano già per lasciare la stanza, Zakuro lanciò all'ex avversario un’ultima occhiata gelida. «Per il tuo bene, spero che tu non stia cercando di imbrogliarci.»
«Andiamo, come potrei imbrogliarvi?» fu la replica beffarda di Kisshu. «Mi conosci, sono puro e innocente come un bambino!»






++++

 
Note:
Ho deciso di istituire in questa sede "l'angolo delle spiegazioni dei titoli": i precedenti Zeitnot e Zugzwang erano gergo scacchistico, Paura e delirio al Cafè Mew Mew cita un famosissimo film e CE4 è la sigla usata nella classificazione di Hynek per descrivere gli incontri ravvicinati che implicano un rapimento di esseri umani da parte di entità aliene.
Il prossimo capitolo, che sarà una new entry come il precedente, richiamerà Shakespeare (che in questo momento suppongo si stia rigirando nella tomba come un kebab da rosticceria).


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Capitolo 37
*** Chi sei tu che avvolto nella notte... ***


26 22/11/2014:Qui valgono le stesse note dell'aggiornamento precedente: questo capitolo è nato a causa della revisione che sto operando su questa fanfic
Sto cercando di sistemare il prossimo ma è dura perché è un casino e io sono distratta dall'ispirazione per una mezza AU a sfondo Kisshu x Minto che mi ha colta a caso ieri notte.
E tipo vorrei ragionare sulla AU e revisionare questa fanfic, ma nel mentre ho anche anche da studiare e svolgere delle commissioni di lavoro.
E non ce la posso fare. *dies*
Ma pensando al presente, credo di non essere mai riuscita a inquadrare bene il mio oc intp alieno complessato preferito, e da questa considerazione sono nate le modifiche a questo capitolo.
Cliché level is over 9000, ma in queste pagine ci ho messo il cuore perché voglio dedicarle a Fan of the Doors, che da settimane per questa fanfic è il mio sostegno morale. Credo che senza le sue osservazioni e le sue parole di incoraggiamento non sarei mai arrivata fin qui.
Non saprò mai come ringraziarla abbastanza.



- Capitolo 35 -

 
La cosa più frustrante per Ai era che, pur avendo lavorato duramente per scoprire la vera identità del Team Mew, ora che era ad un passo dalla soluzione del mistero aveva perso completamente la voglia di risolverlo.
L’idea di risalire all’identità di Mew Ichigo, Mew Pudding e Mew Mint gli era di colpo diventata così insopportabile che alla fine aveva passato a Kassandra tutte le informazioni raccolte su Retasu Midorikawa e Zakuro Fujiwara e le aveva lasciato carta bianca.
Adesso Ai sedeva su un tetto a poca distanza dalla villa Aizawa. Non era passato molto tempo dal giorno in cui avevano combattuto lì, ma i lavori di ricostruzione della casa erano già a buon punto. Nel ricordare quello scontro Ai aveva sentimenti contrastanti, che andavano dalla rabbia all’amarezza fino a scivolare in una strana malinconia.
Non volle soffermarsi a comprendere il motivo; non voleva più avere niente a che fare con quelle ragazze terrestri, soprattutto con quella che si faceva chiamare così stupidamente Mew Mint. Tra l’altro, che cosa voleva da lui quella piccola arrogante? Si divertiva davvero così tanto a provocarlo ogni volta?
Distolse lo sguardo dalla villa e scese in strada, allontanandosi a passi lenti e chiedendosi perché le era tornata in mente proprio quella lì. Ormai, Mew Mint non era più un suo problema: Kass e lo stoccafisso si sarebbero occupati di lei e delle sue compagne in poco tempo; senza più avversarie in giro, la principessa aliena avrebbe conquistato il pianeta e lui avrebbe potuto smettere di combattere e prendere per sé il suo premio, forse l’unica cosa ancora in vita che si salvava in quel mare di marciume che era l’umanità.
«Ehi amico, ti sembra il caso di girare in cosplay a quest’ora?» lo schernì  un passante. Era un ragazzo a capo di un gruppetto di bulli, che lo accerchiarono rapidamente; uno di loro teneva sulle spalle una mazza da baseball.
«Perché non rispondi?» continuò il ragazzetto. «Vuoi forse essere picchiato, razza di idiota?»
Ai ne aveva abbastanza degli esseri umani.
Mentre pochi secondi dopo si allontanava dai bulli, tutti stesi a terra con vari gradi di contusioni, si infilò l’orribile felpa gialla che aveva preso ad uno di loro.
Non voleva nascondersi e non voleva attaccar briga con i terrestri; voleva solo essere lasciato in pace e, se si fosse mescolato a loro, nessuno lo avrebbe notato. La sua razza era visibilmente diversa da quella umana, ma lui aveva dalla sua parte la tecnologia del suo pianeta. Non era nulla di troppo complesso: una semplice immagine olografica semisolida che modificava le sue sembianze e i suoi abiti con qualcosa di basico, nascondendo la sua vera identità. La stava usando Kassandra da chissà quanto tempo per andare chissà dove.
Lì fuori si gelava; la felpa del bulletto era calda ma aveva uno strano tipo di meccanismo di chiusura scorrevole che Ai non sapeva bene come far funzionare: quella roba non esisteva sul suo pianeta e lui, a differenza di Kassandra, non era interessato alle trovate terrestri in fatto di vestiario. Per lui, gli esseri umani erano un branco di bestie ottuse, e solo in pochi si salvavano.
Minto Aizawa era una di questi.
Lei era diversa dagli altri. L'aveva incrociata per pochi secondi e quasi per caso quel giorno maledetto in cui avevano deciso di attaccare il Dome; da quel momento lei gli era entrata nella testa, e per quanto lui avesse cercato di fare non vi era più uscita.

Ai non sarebbe riuscito a dire come era iniziata; non c'era una spiegazione, era successo e basta e a lui non era rimasto altro da fare che pagare le conseguenze di quella che con il tempo era diventata sempre piu' una dolce ossessione.
Aveva cercato di avvicinarsi all'oggetto del suo desiderio utilizzando una strategia che gli era sembrata perfetta, ma aveva fallito. Da una parte non capiva dove avesse sbagliato, ma dall'altra era consapevole di non avere idea di come si corteggiasse qualcuno.
In genere erano sempre stati gli altri ad avvicinarsi a lui. Era perché aveva un bell’aspetto, gli avevano detto tutti; e tutti, quando alla fine se ne erano andati, gli avevano rinfacciato di essere una persona orribile.
L'ex soldato si era chiesto per lungo tempo che cosa ci fosse di sbagliato in lui, ma alla fine aveva smesso di farlo e lo aveva accettato come un dato di fatto. Si era chiuso in sé stesso e aveva concluso che non gli importava se gli altri lo disprezzavano perché lui non aveva bisogno di loro.
Ma con Minto era diverso. Anche se lei era una terrestre, avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterle stare accanto.
“Chissà dov’è adesso?” si ritrovò a chiedersi. “Voglio vederla…”.
Decise di andare da lei. Dopo l'ultima volta, non sapeva come avrebbe reagito alla sua vista... ma, in verità, non gli importava.

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Era ormai un’ora che Minto era ferma davanti alla soglia della villetta a due piani di Ichigo ad aspettare che lei si facesse viva. Era notte e faceva freddo; l’aria gelida si infilava sotto il tulle della sua gonna e la faceva tremare.
Minto aveva provato più volte a rintracciare l'amica, ma il suo cellulare era sempre non raggiungibile. Non era preoccupata per lei: se ci fosse stata un’emergenza in corso, Ryo si sarebbe sicuramente fatto sentire.
Maledì silenziosamente il momento in cui aveva preso accordi con lei per restare a casa sua: quella ragazza si era rivelata del tutto inaffidabile come al solito.
Un uccello notturno gracchiò un paio di volte.
«Non posso credere che si sia davvero dimenticata di me!» esclamò Minto quando l’ultima goccia della sua riserva di pazienza si fu consumata.
Il suo cagnolino Miki, un batuffolo di pelo castano da cui la ballerina non si separava mai, sobbalzò e le abbaiò contro come per sgridarla di aver sbottato così all’improvviso.
Minto, per scusarsi, gli si inginocchiò accanto e cercò di calmarlo, ma lui sembrava molto teso per qualche motivo sconosciuto. Forse era l’ambiente diverso in cui si trovava, o forse aveva sonno; forse era arrabbiato anche lui con Ichigo.
«Scusami, Miki. E’ che lei ha smontato molto prima di me, con la scusa di essere stanca. E io che le avevo anche preparato una torta per ringraziarla dell’ospitalità!» si sfogò la ragazza, in un nuovo impeto di nervosismo. «Questa volta non gliela faccio passa liscia! Aspetta solo che torna…»
Sospirò.
«Il problema è che non torna,» esalò infine, frustrata.
Minto conosceva un modo per entrare in casa ma non osava metterlo in pratica, per cui continuò ad attendere educatamente. Passò altro tempo, e poiché Miki stava diventando troppo irrequieto, alla fine la ragazza crollò.
“D’accordo, ora basta!” si disse per darsi coraggio. Legò il suo cagnolino al cancello d’ingresso e, assicuratasi che non vi fosse nessuno in vista, usando i suoi poteri si posò con un balzo sul grosso ramo di un albero del giardino e lo usò per raggiunse con un salto aggraziato il davanzale della finestra di Ichigo al primo piano, che lei aveva lasciato socchiusa.
Entrare in casa d’altri come una ladra non era sua abitudine, ma quando era troppo era troppo. Assaporando il tepore della casa, la ballerina scese le scale e posò le sue cose nell'ingresso. Recuperò una copia delle chiavi per sicurezza e uscì per riprendere Miki, ma quando aprì la porta scoprì che lui aveva tirato il guinzaglio fino a strapparlo ed era corso via.
Rimase di stucco, perché lui non era il tipo da fare una cosa del genere. Che cosa gli era preso?
Solo in quel momento Minto si accorse che anche i cani delle case lì intorno adesso stavano abbaiando e ululando in modo insopportabile, mentre quelli chiusi nei cortili grattavano sulle staccionate e sui cancelli per uscire.
Erano tutti come impazziti.
“Ma che succede?” si chiese. “E’ come se sentissero qualcosa…”.
«Miki!» chiamò. Ripeté il suo nome più volte, ma lui non ritornò.
Minto non poteva lasciare Miki fuori in quel posto sconosciuto, per cui si avventurò a cercarlo.

----

Poco dopo, Minto stava camminando nel parchetto a ridosso di quel quartiere, deserto a causa del freddo e dell’ora tarda.
Il vento notturno portava storie terribili dal resto del mondo, storie che gli alberi del parco afferravano e si raccontavano fra loro, frusciando in modo angoscioso – ma la ragazza non diede loro alcun peso. Sapendo che Miki era abituato a giocare nel suo immenso giardino, credeva possibile che si fosse rifugiato in uno dei cespugli piantati lì e per questo era tutta presa dalla sua ricerca. Non appena sentiva qualcosa muoversi scattava in quella direzione; ma, ogni volta, era solo il vento o un qualche animaletto notturno.
Minto percorse tutto il parco, inutilmente.
Proseguì allora nel quartiere successivo. Svoltato un angolo, si ritrovò in una strada scarsamente illuminata dai pochi lampioni sopravvissuti alle scorribande dei vandali. Sembrava proprio che quella non fosse una zona tranquilla.
«Miki...?» chiamò piano, guardandosi intorno.
Non ottenne risposta: quel posto sembrava come abbandonato ed era buio, troppo buio. Minto era accanto alla vecchia saracinesca di un’officina quando decise di lasciar perdere. Stava già tornando sui suoi passi quando sentì una voce maschile a poca distanza.
«Hai forse bisogno di aiuto, bambolina?»
Si girò e vide un uomo sui trent’anni, appena sbucato da un vicolo lì vicino. Lo squadrò e decise in un attimo che non aveva un’aria raccomandabile.
«No, grazie.»
Minto fece per allontanarsi, ma venne afferrata per le spalle da un altro ragazzo che intanto le si era avvicinato di soppiatto.
Sussultò, presa alla sprovvista, me venne immobilizzata prima di poter fare altro.
Un terzo uomo, più grande degli altri, raggiunse il gruppo.
«Guarda cos’abbiamo trovato, Tozaki,» gli disse il primo. «Sembra un uccellino spaventato. Non l’ho mai vista in questa zona.»
«Che ne facciamo?» chiese quello che teneva ferma Minto.
Lei si guardò intorno: quella strada era vuota, e questo significava che nessuno avrebbe potuto vedere o sentire nulla mentre lei insegnava l’educazione a quelle persone a suon di calci.
«Se fai la brava bambina non ti accadrà nulla,» mormorò il tipo chiamato Tozaki, avvicinandosi. Era evidentemente il capo del gruppo. Mentre lottava contro la nausea dovuta all’alito d’alcool dell’uomo, Minto desiderò di colpirlo con una delle sue frecce.
«Lasciatemi andare immediatamente,» ordinò ai tre in tono autoritario.
Quelli risero. «Immediatamente o cosa, tesoro?»
Minto era in grado di vedersela con loro, ma prima doveva liberarsi. La presa dell’uomo che le stava bloccando i polsi dietro la schiena sembrava d’acciaio e lei non riusciva a muoversi.
Se non fosse riuscita a liberarsi e neanche a raggiungere la sua spilla, che cosa avrebbe potuto fare?
Cercò di divincolarsi ma Tozaki le mise le mani addosso, toccando e tirando il cotone rasato della sua camicetta preferita. Minto non riuscì a far nulla per fermarlo; fu in quel momento che provò per la prima volta paura.
L’amico, intanto, prese il suo cellulare e lo puntò verso la scena, che voleva evidentemente registrare. Ma di colpo finì a terra, dritto in una pozzanghera sporca, insieme al suo telefono.
“Ma cosa...?”
Minto sgranò gli occhi: a quanto pareva, a stendere il tipaccio era stato un ragazzo.
«La vostra intelligenza media è molto bassa,» osservò il nuovo arrivato, raccogliendo il cellulare e spaccandolo in due, «ma credevo che riusciste almeno a capire le richieste di una persona che parla la vostra stessa lingua.»
«Oh,» mormorò Minto. Non riusciva a credere che qualcuno fosse davvero intervenuto in suo soccorso; aveva sempre pensato che queste cose accadessero solo nei film.
Quando Tozaki si tolse dal suo campo visivo, la ragazza riuscì finalmente a vedere il volto del suo salvatore.
Non tardò a riconoscerlo. «Will?!» sibilò incredula. Che cosa ci faceva lì? E soprattutto, era stupido a sfidare da solo quegli uomini?
«Ti ho trovata, finalmente,» le disse lui con il sollievo nella voce. «Ti ho cercata dappertutto.»
«Credo che tu non abbia compreso la situazione, amico,» lo interruppe tranquillo Tozaki, tirando fuori dalla tasca un coltello a serramanico.
«Io credo di aver compreso benissimo,» ribatté Will, scuro in viso, irrigidendosi.
Rimase immobile anche quando Tozaki gli fu addosso. Lui cercò di colpirlo, ma il ragazzo gli agguantò il polso della mano che reggeva il coltello, bloccandolo quando la lama era ormai a pochi centimetri dalla sua faccia.
«Potrà anche essere la tua fidanzatina,» ringhiò l’aggressore, facendo forza per distruggere la sua difesa, «ma è capitata nel mio quartiere, per cui ora è mia.»
«Ti sbagli,» replicò calmo Will, «lei è mia.»
Fu in quel momento che Minto raggiunse ufficialmente il limite della sopportazione. Approfittando della distrazione del malvivente che la stava immobilizzando, gli pestò un piede con tutta la forza che aveva; lui imprecò e per la sorpresa allentò la presa su di lei, che ne approfittò per sgusciare via dalle sue mani sudice.
«Tu, piccola…»
L’uomo fece per riafferrarla, ma Minto si gettò a terra e tese la gamba, effettuando una spazzata che fece perdere l’equilibrio all’avversario.
Guardandolo ricadere sul marciapiede, la ballerina provò un’immensa soddisfazione: lei non era un uccellino spaventato né tantomeno il premio di qualcuno. Era una ragazza con un’ottima educazione e un curriculum perfetto; studiava, lavorava, parlava fluidamente due lingue ed aveva combattuto per anni contro mostri e alieni di ogni tipo - per cui nessuno dei presenti doveva permettersi di trattarla in quel modo.
La ragazza notò che Will, che aveva appena atterrato quel Tozaki, ora la stava fissando impressionato: probabilmente non immaginava che fosse in grado di vedersela con un omaccione grosso il doppio di lei. In effetti, forse aveva esagerato.
«Studio danza a livello professionale,» si affrettò a spiegargli.
Mentre parlava, però, Minto si accorse che il primo dei suoi assalitori, quello del cellulare, si era rialzato ed ora stava cercando di colpire Will da un lato. Non ebbe il tempo di avvertirlo ma lui, senza neanche voltarsi, afferrò il braccio dell’avversario e si portò dietro di lui, torcendogli l’arto fin quasi a spezzarglielo; mentre quello gridava dal dolore, Will lo fece volare a terra come se fosse una piuma.
Si accorse che ora era Minto ad essere sbalordita. «Ho… frequentato dei corsi di combattimento sin da quando ero bambino,» disse.
«Complimenti per la tecnica,» commentò la ragazza, accennando uno chaines per evitare l’energumeno che aveva atterrato, che si era rimesso in piedi ed aveva tentato, inutilmente, di prenderla alle spalle. Il tizio si squilibrò e inciampò in avanti, in direzione di Will.
Lui gli portò una mano sotto il mento e si gettò in ginocchio a terra, trascinandolo con sé: la spina dorsale dell’uomo descrisse un arco mentre lui finiva scenograficamente a terra, battendo la schiena e andando K.O.
«Anche a te per la tua.»
Quando Will rimise in piedi, raggiunse Minto e si fermò di fronte a lei, che lo guardò come se lo stesse vedendo in quel momento per la prima volta.
Nessuno dei due riuscì a trovare le parole giuste da pronunciare.
«O-Ora vi faccio vedere io,» sibilò però Tozaki, riprendendosi, «Romeo e Giuletta dei miei stivali.»
I due ragazzi si accorsero troppo tardi che aveva tirato fuori dalla giacca una pistola. Will non si aspettava un’arma del genere e, quando l’uomo premette il grilletto, d’istinto cercò di coprire Minto come poteva. Il delinquente non aveva una gran mira, ma quando sparò il sangue di Will schizzò sulla camicetta di Minto.
Lei non aveva sentito il rumore dello sparo; non si era neanche resa bene conto di cosa era successo.
Indietreggiò spaventata mentre vedeva il suo salvatore cadere sulle gambe stringendosi un punto poco sopra il gomito destro.
«Colpa mia,» mormorò lui, mordendosi il labbro inferiore. «Distrarsi durante uno scontro è il modo più facile per farsi ammazzare.»
«Oh, mi assicurerò che tu abbia imparato per bene questa lezione, stronzetto.»
Will digrignò i denti mentre Tozaki si rimetteva in piedi e gli puntava la pistola contro; ma, un attimo dopo, quest’ultimo venne centrato in fronte da una bottiglia vuota e crollò a terra svenuto.
Rimase stupefatto nel rendersi conto che era stata Minto a lanciarla.
La ragazza corse a prendere la pistola e la gettò il più lontano possibile da lì per sicurezza. Centrò un secchio dell’immondizia dietro cui saltò fuori Miki, che le corse incontro.
Lei lo prese in braccio e lo strinse forte. Le veniva da piangere.
«Ottima mira,» si complimentò Will, rialzandosi in piedi. Poi si accorse che c’era qualcosa che non andava in Minto: era rabbuiata e nervosa, aveva i vestiti rovinati e gli occhi che le luccicavano per le lacrime che stava cercando di trattenere in tutti i modi.
Qualunque cosa si era creata pochi secondi fa fra di loro, ora era del tutto scomparsa.
«Minto…» provò, accigliato.
«Ti avevo detto di non seguirmi,» lo interruppe lei brusca.
«Io non ti stavo seguendo!» protestò lui.
«Ti hanno sparato,» constatò allora la ballerina con voce ben poco ferma.
Will osservò la sua ferita, che aveva formato una larga chiazza rossastra sui vestiti. Era per questo che Minto era così arrabbiata?
«Non è nulla,» la rassicurò.
Il sangue gli scivolava lungo il polso e gocciolava a terra ai suoi piedi. Minto lo vide e parve stabilire che una cosa del genere non poteva essere classificabile come nulla. «Dovresti andare all’ospedale.»
«Già.»
«Non lo farai, vero?»
«No.»
La ragazza rimase ferma per molti secondi, ma alla fine sospirò e posò a terra Miki. Estrasse un fazzoletto di seta da una delle sue tasche; Will la guardò male, ma la lasciò ugualmente avvicinare e si lasciò annodare quella stoffa costosa sul punto ferito. «Non ho intenzione di lasciarti qui in questo stato. Sono a casa di una mia amica che abita poco lontano da qui. Vieni con me, controllerò le tue condizioni.»
Lui non rispose, ma catturò la sua occhiataccia quando lei aggiunse un: «Se provi a fare o dire qualcosa di strano ti faccio fare la fine di questi signori.»
A quel punto, sorrise. «Non ne dubitavo.»

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Qualche minuto dopo erano a casa di Ichigo. Di lei ancora neanche l’ombra, ovviamente: non c’era mai nel momento del bisogno, ma in fondo Minto non avrebbe saputo come spiegarle la situazione, per cui forse era meglio così.
Fece sedere Will sul divano del soggiorno e gli lasciò accanto il kit di primo soccorso che aveva recuperato da un mobile. Poi si allontanò per andare a lavarsi e disinfettarsi le mani prima di iniziare.
Minto si sentiva tremendamente in colpa: pur essendo una Mew Mew, si era comportata da sciocca e per colpa della sua disattenzione aveva quasi fatto ammazzare quel ragazzo innocente.
Il suo malessere aumentò quando, mentre si stava strofinando le dita con il sapone, scorse nel suo riflesso allo specchio alcune gocce di sangue finite sul suo viso. Se le sciacquò via rapidamente.
Andò ad indossare al volo una maglietta pulita e poi si attardò a cercare fra le cose che aveva portato con sé in casa di Ichigo qualcosa anche per Will. Fortunatamente, aveva conservato in una valigia un paio di completi di suo fratello che non aveva avuto il cuore di abbandonare nella sua vecchia casa.
Prendere dei vestiti puliti non era realmente un’urgenza, ma Minto voleva rimandare il più possibile ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco. Infatti, lei non aveva la minima idea di come trattare una ferita da sparo. In genere, quando lei e le sue amiche necessitavano di medicazioni era Keiichiro a prendersi cura di loro: forse poteva chiamare lui?
La ragazza afferrò una camicia bianca di cotone e decise che avrebbe provato almeno a valutare la situazione. Quando tornò nel soggiorno, però, scoprì che Will era a torso nudo: arrossì di botto e si appiattì dietro la porta del corridoio, nascondendosi.
Cercò di calmarsi e ragionare: se doveva constatare le condizioni della sua ferita doveva vederlo senza maglietta, per cui era inutile fare tutte quelle storie; per cui, tratto un profondo respiro, entrò determinata nella stanza, ma solo per restare a bocca aperta nello scoprire che Will stava finendo di medicarsi da solo.
Il ragazzo aveva pulito e disinfettato la ferita, si era assicurato di fermare il sangue e aveva annodato una garza sterile sul punto ferito, aiutandosi con i denti.
«Visto? Non era nulla di grave,» le disse con noncuranza, rimettendo a posto il resto dei medicamenti.
Cercando di guardarlo il meno possibile, la ragazza gli tese la camicia e lui la prese. Nell’infilarsi la manica destra fece una piccola smorfia di dolore, ma non disse nulla e Minto fu lieta che la situazione fosse meno seria del previsto.
Il ragazzo si infilò la camicia senza problemi; solo che si fermò lì, per cui quando Minto lo guardò di nuovo vide che aveva ancora metà del petto e degli addominali in bella vista.
«Devi abbottonarla,» gli ricordò, imbarazzata.
Lui osservò il lembo di stoffa su cui erano cuciti i bottoni. «Questi? Li ho già visti da qualche parte,» mormorò pensieroso, e Minto si chiese se stesse scherzando.
Will cercò di chiudere i bottoni, ma faceva fatica a muovere la mano destra a causa della ferita ed inoltre nel sistemare il primo prese l’asola sbagliata.
«Non così,» osservò Minto.
Lui le lanciò un’occhiata spaventata, e fu allora che lei perse la pazienza.
«Oh, santo cielo,» sospirò esasperata sedendoglisi accanto per aiutarlo. Mentre le sue dita posizionavano un bottone dopo l’altro evitando accuratamente toccare altro, Minto si accorse che Will la stava annusando.
Lo guardò scioccata. Seriamente? Si chiese.
«Ho già sentito questo profumo da qualche parte,» osservò lui, non cogliendo il suo sconcerto.
«Non credo, è Hermes. Hai idea di quanto costi un profumo di Hermes? Lo indossano solo nell’alta società,» rispose lei con una certa altezzosa nonchalance, mantenendo la sua dignità mentre terminava il suo lavoro. Gli sistemò il colletto ma decise di non chiuderglielo: in fondo, non aveva preso una cravatta.
«Sei anche tu una principessa?»
«Anche io? Conosci una principessa?»
Will mosse la testa verso di lei: aveva uno sguardo penetrante ed erano così vicini che Minto poteva sentire il suo respiro sulle labbra.
Lei arrossì.
«No, è solo una sciocca,» rispose lui rivolgendole un mezzo sorriso, senza reale interesse per quella conversazione.
Calò il silenzio e Minto si accorse solo in quel momento che stava tenendo le mani sui lembi della camicia del ragazzo anche se ormai non ce ne era più bisogno. Le tirò via di scatto come se avesse preso una scossa di elettricità. «Posso offrirti una fetta di torta?» chiese e, senza aspettare una risposta, si allontanò rapida verso l’angolo cucina dall’altra parte della stanza.
“Ma che cosa mi succede?” pensò, spacchettando meccanicamente il suo dolce. Si sentiva le guance bruciare e cuore palpitare nel petto come impazzito.
Si domandò per quale assurdo motivo adesso una sola occhiata di quel tipo la facesse sentire così su di giri. Certo, questa era già la seconda volta che le salvava la vita; era forte e aveva un bel fisico. Realizzò che era simile a quello di Ai,  così come il modo in cui si muoveva in combattimento. Minto si chiese se era per questo che aveva iniziato a trovare Will così interessante.
Sì, ora che lo aveva visto in azione non poteva negare che Will somigliasse davvero tanto ad Ai, ma la sua voce era più profonda e i lineamenti del viso erano diversi, così come gli occhi ed i capelli. E soprattutto, lui non le aveva mai rivolto lo sguardo irato o gelido che le riservava quell’alieno, né quello avido che aveva visto brillare negli occhi dei suoi assalitori. C’era una sorta di purezza in lui; era un tipo bizzarro, soprattutto quando recitava cose a caso, ma non sembrava una cattiva persona.
Mentre l’odore familiare del pan di spagna al cioccolato fondente si diffondeva nell’aria, Minto si chiese come doveva comportarsi con lui. Non aveva idea di cosa le stesse dicendo il suo corpo o di cosa era giusto fare; non capiva neanche cosa voleva realmente e questa cosa la confondeva. 
Guardò Miki, che ora dormiva beato su un cuscino: almeno lui se la stava passando bene. Notò poi che Will, dall’altra parte della stanza, ora si stava osservando i polsini della camicia con aria corrucciata, come se non avesse mai indossato nulla di simile: sembrava un pesce fuor d’acqua, e contro ogni razionalità Minto si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, quella sua strana ingenuità era graziosa.
Decise di lasciar perdere tutti quei pensieri e rilassarsi.
«Hai intenzione di fare così per tutta la sera?» domandò al ragazzo, tornando da lui.
Lui si imbronciò e abbassò il braccio. «Io faccio quello che voglio.»
Anche quella frase era molto da Ai, pensò Minto. Posò il vassoio con la torta, un coltello, una palettina da dolci e un piatto sul tavolino di fronte al divano.
«Stai facendo cose strane,» commentò.
«Parli tu. E’ tua abitudine frequentare quel tipo di compagnia?»
«Non frequento quei posti! Ero lì per colpa della mia amica.»
«Che coincidenza… anche io ero in giro per colpa di amiche
Minto inarcò un sopracciglio.
«Avevo un impegno di lavoro con loro,» continuò il ragazzo in tono vago. Guardò il dolce e poi lanciò un’occhiata in giro. «Ma questa è una notte così speciale che ho deciso di prendermi una pausa,» concluse dopo alcuni secondi.
Visto che Minto lo stava fissando, puntò un dito verso il cielo che si vedeva dal balcone che era davanti a loro. «Voglio dire, non vedi anche tu qualcosa di diverso stanotte, nel firmamento? O forse… è la tua presenza che lo rende così vivido e brillante?»
«Credo che tu ora debba andare, Will,» replicò pronta la ballerina.
Lui scoppiò in una risata. «Scherzavo. Ho capito che non apprezzi questo tipo di comunicazione. Meglio così, non credo sia il mio forte.»
Minto si sentì come se qualcuno le avesse appena rovesciato un secchio d’acqua in testa.
«Cosa? Quindi quando parlavi in quel modo… tu recitavi?»
«Sì,» rispose lui con innocenza.
«Vuoi dire che mi hai preso in giro per tutto questo tempo?!»
Will parve intuire il pericolo. «No, io ero sincero,» si difese ma era troppo tardi, perché Minto si era arrabbiata di nuovo.
«Mi stai dicendo che ti fingevi matto? Ma che cosa ti salta in mente?!»
«Non mi fingevo matto! Io sono una persona tremenda. Mi sono innamorato di te e ho pensato che l’unico modo per non spaventarti fosse emulare qualcosa di perfetto
Era così convinto e sincero mentre pronunciava quelle parole che Minto spalancò gli occhi per lo stupore. C’era qualcosa di surreale in quel ragazzo: sembrava uscito da un film d'azione ma non sapeva come parlare rispettosamente o come vestirsi; non aveva la minima idea di come funzionassero le interazioni sociali in una società civile. Era davvero come un alieno e lei semplicemente non poteva essere arrabbiata con una persona così. 
«W-Will, tu…non devi emulare nessuno,» gli disse, ignorando la prima parte del suo sfogo. «Devi essere te stesso.»
«Non posso
«Ma perché? Insomma, non hai l’aria di essere così terribile!»
Lui fece una smorfia frustrata. «”Ci sono molte più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne dica la tua filosofia,”» recitò.
Lei sospirò. «Il mio nome è Minto,» gli fece notare accomodante, allungandogli una fetta di torta, «e non mi sembra il caso di scomodare l’Amleto per queste cose.»
Will prese il piattino che lei gli stava tendendo senza replicare; sembrava colpito dal fatto che avesse riconosciuto la citazione, per cui la ballerina decise che quello era il momento adatto per insistere sul concetto che stava tentando di spiegargli.
«Io credo che ognuno di noi sia ciò che fa, non ciò che pensa di essere. Tu ti sei messo contro tre persone armate per aiutarmi e mi hai fatto scudo con il tuo corpo. Certo sei anche uno stalker e sono davvero tentata di denunciarti, ma a parte questo non vedo perché dovresti essere cattivo,» concluse, sedendo compostamente all’altro lato del divano.
Lui non rispose, ma assunse un’aria pensierosa e abbassò lo sguardo sul dolce che aveva tra le mani. Ne prese una forchettata e Minto restò in attesa che lo assaggiasse: quella era la sua torta migliore ed era sicura che gli sarebbe piaciuta. Qualcosa dentro di lei le diceva che se l’avesse mangiata, sarebbe andato tutto al posto giusto.
Lo vide portarsi alla bocca un quadratino di cioccolato, ma alla fine abbassò la forchetta.
«Ti sbagli,» dichiarò Will.
«Perché?» domandò lei, delusa.
«Perché non sai come sono realmente, per cui non puoi conoscere le motivazioni delle mie azioni. Potrei averti mentito; potrei aver fatto tutto questo solo per guadagnarmi la tua fiducia e farmi condurre da te in questo posto, dove siamo soli. Potrei farti del male adesso.»
«No, non lo farai,» ribatté tranquilla Minto.
Lui le sorrise provocatorio. «Perché non sono cattivo
«Sì,» rispose lei, «ma anche perché sai perfettamente che se provassi a fare qualcosa di sbagliato, afferrerei il coltello qui di fronte a me e ti infilzerei la mano. La torta era già tagliata, ma io ho portato lo stesso un coltello; tu l’hai notato e hai istintivamente hai studiato la stanza, cercando una via di fuga o forse qualcosa per difenderti in caso di necessità,» spiegò con calma. «Ma sono certa che non ci sarà bisogno di nulla di tutto questo, perché tu non hai intenzione di farmi del male,» concluse poi con un sorriso.
Will sbatté le palpebre un paio di volte. «Io… pensavo che fossi un dolce angelo indifeso, invece sei vagamente inquietante,» ammise alla fine.
«Sono una persona dolcissima,» replicò la ballerina continuando a sorridergli; ora sembrava davvero inquietante.
Dopo qualche secondo di incertezza lui scosse la testa e rise piano, divertito. Poi gli venne un’idea improvvisa e increspò le labbra in un ghigno. Se lei voleva giocare, perché non poteva farlo anche lui?, pensò. Posò il dolce e si alzò dal suo posto, andandole vicino.
Prima che lei potesse fare qualcosa, mise un ginocchio nello spazio fra le gambe della ragazza e poggiò il palmo della mano sinistra sullo schienale del divano, bloccandola.
«E-Ehi!» protestò lei.
«Allora?» le domandò Will, mentre il sorrisino maligno sulla sua faccia si espandeva. «Sostieni di essere padrona della situazione, ma allora perché non c’è nessun coltello nella mia mano, Minto?»
Il modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome fece rabbrividire la ragazza, ma non era una sensazione del tutto spiacevole. Lei sapeva che per liberarsi da quella situazione le sarebbe bastato spingerlo via, ma non lo fece. Si chiese il perché.
«Non so. Forse perché non stai facendo niente di sbagliato,» rispose d’istinto, lasciandolo spiazzato e spiazzando persino sé stessa.
Sollevò appena la testa per guardarlo: ora lui non sorrideva più e non accennava a ribattere né a spostarsi da lì. A lei non importava: aveva appena realizzato che in fondo non le dispiaceva averlo così vicino.
D'un tratto, Will si allontanò da lei e sbuffò una risata rassegnata. «Mi hai battuto di nuovo,» le disse.
«Noi...non stavamo combattendo.»
«No? E cosa stavamo facendo allora?»
Quella era una bella domanda. Minto ci pensò su ma l'unica risposta che le veniva in mente era il verbo flirtare, che non gli avrebbe detto neanche se lui l'avesse torturata.
Per fortuna, il trillo allegro del suo cellulare le venne in aiuto.
«Oh, è il mio,» mormorò, alzandosi e andando a recuperare il telefono dalla borsetta.  Aprì il flip con molta calma, lesse il nome della persona che la stava chiamando e poi rispose.
«RAZZA DI SFATICATA!» gridò al microfono, facendo sobbalzare Will. «Si può sapere dove diamine ti sei cacciat-»
«Minto. Sono io, Zakuro,» la interruppe una voce ferma dall’altra parte.
La ballerina ammutolì, facendosi di mille colori. Desiderò di morire lì e adesso.
«Ci sono problemi?» le chiese Will.
Lei emise una risatina nervosa. «No, no, perdonami.»
«Pronto? Ma con chi stai parlando?»
«Scusami Zakuro, pensavo fosse…»
«Lascia stare, non c’è tempo per questo,» la interruppe la modella dall’altro capo del telefono. «C’è un’emergenza.»
«E’ successo qualcosa?»
«Non quello che pensi tu, ma abbiamo un problema…anzi, quattro
«Non ricominciate con quel dannato quattro!» gridò una voce lontana, che a Minto parve di riconoscere.
Stava per chiedere chi fosse, quando sentì un gran caos, e Purin strillare qualcosa.
«Io NON sono tornato perché mi mancavi!» sentì dire da un’altra voce familiare. «Stupida mocciosa!»
Tutto questo le ricordava qualcosa…
Zakuro riprese il controllo della situazione. «Siamo a casa di Purin, raggiungici subito. Ti spieghiamo tutto qui.»
«O-Ok, arrivo,» annuì Minto, terminando la telefonata. «Mi dispiace,» disse poi a Will, «una mia amica sta avendo una… situazione. Devo andare.»
Lui in quel momento non le stava prestando attenzione: nel tornare a sedersi, aveva premuto per errore un tasto del telecomando, facendo accendere la televisione che ora stava mostrando delle preoccupanti breaking news dal resto del mondo: terremoti, inondazioni, eruzioni e aperture di voragini. Quando Minto le vide, impallidì.
«Santo cielo, ma… che cosa sta succedendo?»
«Non ne ho idea. Il mondo è fuor dai cardini,» rispose il ragazzo, passandosi una mano dietro il collo.
Minto distolse lo sguardo dalla televisione. «Will, tu... dovresti davvero fare qualcosa per questa tua mania di citare l’Amleto senza motivo.»
«Ma… Ma non è senza motivo!»
«Può darsi, ma potresti comunque evitarlo.»
«Non puoi darmi ordini, Minto.»
«Non è un ordine, è solo un consiglio.»
Lui le lanciò un’occhiata stranita e poi alzò le mani in segno di sconfitta. «Come vuole, mia signora. Comunque devo andare anche io ora, continueremo un’altra volta.»
Minto incrociò le braccia al petto. «Continuare cosa? Questa serata è stata un’eccezione. Avevo un debito con te, ma ora siamo pari. Inoltre, mi sto già vedendo con una certa assiduità con una persona che mi interessa,» spiegò. Tecnicamente parlando, non era neanche una bugia.
Will la raggiunse e le si fermò proprio davanti.
«Capisco. Allora mi dispiace per questo.»
«Per cosa?»
Un attimo dopo, Minto si ritrovò le labbra del ragazzo premute a tradimento sulle sue.
Fu un bacio leggero, che durò forse troppo poco perché lei potesse provare realmente qualcosa. Ma nonostante questo, quando Will si staccò da lei, Minto rimase immobile per lo shock.
Lui le rivolse un sorrisino e la superò, dirigendosi verso la porta d’ingresso.
«E-Ehi, Will!» lo chiamò però la ballerina.
Lui si fermò sulla soglia. «Che c'è?»
«Credo di aver commesso un errore nel giudicarti una brava persona,» ammise Minto, continuando a dargli le spalle.
Lui curvò le labbra in un ghigno. «Sì, avevo tentato di avvertirti,» rispose con finta noncuranza prima di andar via.
Mentre sentiva il rumore della porta che si chiudeva, Minto si toccò le labbra.
Un tipo strano che conosceva appena le aveva appena rubato il suo primo bacio. E non lo avrebbe mai ammesso, ma non le era dispiaciuto.





++++

 
Note:
Ho come l'impressione che...gettare via una pistola carica sia abbastanza pericoloso.

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Capitolo 38
*** Transizione di fase ***


26 30/11/2014: Queste pagine sono state particolarmente dure da domare. >_>
Note della revisione:
 Per dirla in breve, ho revisionato e fuso insieme gli ex capitoli "Insieme (2)" e "Incenso e pietre preziose" e li ho chiamati "Transizione di fase", because reasons. A causa di ciò (e del pochissimo tempo che sto avendo per dedicarmi alla fanfic), questo capitolo è pieno di cambi di scena e di punti di vista; non sono sicura di aver gestito bene il tutto, ma ci ho provato. :°°°(
E poi ho fatto un PICCOLO cambiamento di programma e aggiunto, non so perché, roba sentimentale *hissa come un vampiro che viene colpito dalla luce del giorno*.
Ma passando alle cose belle! Volevo ringraziare Fan of The Doors, Angelobiondo99 e Mobo: quando l’altro giorno ho visto le vostre recensioni così incoraggianti e dolci mi sono venute le lacrime agli occhi per la commozione. ;____;
Ero incagliatissima (in origine volevo revisionare questo capitolo a metà dicembre, sperando che nel mentre mi sarebbe venuta un'illuminazione), ma le vostre parole mi hanno fatto tornare la carica e sono riuscita a terminarlo ieri notte. D:
Quindi grazie, grazie di cuore! ;____; 




- Capitolo 36: Transizione di fase -

 
Ichigo, Retasu, Zakuro, Cherry e gli alieni si erano tutti radunati nella sala d’ingresso della casa di Purin.
L’abitazione dell’esuberante biondina era diversa da quella delle altre ragazze in quanto era stata realizzata per ricordare la Cina, il suo paese natale, in ogni minimo dettaglio; purtroppo, però, l’arredamento e le suppellettili erano ridotte al minimo perché Purin aveva ampiamente sperimentato che è impossibile tenere oggetti delicati in bella vista quando si vive con dei bambini iperattivi come i suoi fratellini.
Fortunatamente, essendo notte, ora loro stavano dormendo al piano di sopra.


Quando poco prima Mew Ichigo era stata trasportata lì e aveva visto Kisshu materializzarsi insieme a Zakuro e a una pallidissima Retasu, il suo cuore aveva dato un balzo.
«Cosa…Cosa ci fai tu qui?» gli aveva chiesto, mentre lui faceva scorrere lo sguardo confuso da lei a Cherry.
«Felice anche io di rivederti, micetta,» le aveva risposto lui a quel punto con un sorrisino.
Prima che lei potesse ribattere, un’aliena che Ichigo non aveva mai visto in vita sua si era fatta avanti. «Voi due dovete essere le altre mew mew,» aveva detto in tono amichevole alle nuove arrivate, tendendo loro la mano. «Piacere, io sono Chris.»
Zakuro le aveva rivolto uno sguardo torvo e si era allontanata da lei, raggiungendo il lato opposto della stanza e appoggiandosi con le spalle accanto alla finestra aperta.
Mew Ichigo, invece, l’aveva squadrata da capo a piedi con aria scioccata, e il suo shock si era duplicato quando aveva notato che, alle spalle di Chris, una seconda aliena sconosciuta la stava fissando incuriosita. Era più bassa di lei sembrava molto emozionata per un qualche motivo ignoto.
Accorgendosi di avere gli occhi di Mew Ichigo puntati addosso, l'aliena si era affrettata ad esclamare goffamente, «Veniamo in pace!». Un attimo dopo però era arrossita ed aveva aggiunto, «Voglio dire… Il mio nome è Imago. E… veniamo in pace.»
Kisshu aveva tossicchiato. «Sì ragazze, lei è Ichigo,» aveva spiegato, intromettendosi in quell’imbarazzante discussione. «Invece quella che vi sta guardando come se volesse mangiarvi a morsi è Zakuro. E quest’altra è… un’altra Ichigo?!»
«Cherry,» si era presentata la professoressa, chinando la schiena un lieve inchino. «Non preoccupatevi di me, je suis juste un personnage secondaire.»
Chris aveva indietreggiato di qualche passo fino a raggiungere Taruto ed aveva studiato pensierosa le quattro ragazze umane. «Sono sono state davvero loro ad aver sconfitto Profondo Blu?» aveva sussurrato al bambino alieno.
Lui aveva scrollato le spalle. «Già. Sembrano un po’ così, ma se la cavano sempre. Tranne lei, che è inutile,» aveva risposto indicando Purin.
La biondina aveva gonfiato le guance, mettendo su il broncio. «Sei cattivo, Taruto. Anche se ora sei più alto di me, non hai il diritto di trattarmi male.»
«Lo sto facendo, invece. E, sì, in questi mesi sono diventato più alto di te!»
«Posso ancora batterti.»
Taruto aveva incrociato le braccia. «Non ci riusciresti mai,» aveva dichiarato.
Un secondo dopo, Taruto era stato scaraventato a terra da una mossa di arti marziali di Purin, con cui aveva ricominciato a litigare subito dopo.
«Dì un po’ Ichigo, hai cambiato stile?» aveva intanto chiesto ironico Kisshu alla ragazza gatto, facendola sussultare per la sorpresa.
Senza capire il senso della sua domanda, lei aveva seguito il suo sguardo, accorgendosi che Kisshu si stava riferendo al suo vestito rosa, stropicciato e strappato in più punti a causa del suo ultimo scontro. La ragazza aveva sciolto quindi la trasformazione, tornando normale.
«Hai combattuto?» le aveva domandato Retasu. «Stai bene, Ichigo?»
Lei aveva abbassato gli occhi a terra. «Io, io non voglio parlarne,» aveva detto.
Zakuro le si era avvicinata. «Cos’è successo?»
«Una sua compagna di scuola è stata uccisa,» aveva spiegato a quel punto Cherry, abbattuta. «E’ ancora molto scossa.»
«Che COSA?!»
«Ragazze, dov’è Minto?» aveva domandato allora Ichigo, cercando di sviare il discorso.
«E’ colpa mia,» le aveva risposto Imago, alzando appena la mano. «Dovevo andare a prenderla io, ma non sono riuscita ad orientarmi nella vostra città.»
«Com’è possibile? Il teletrasporto è la cosa più facile del mondo!» le aveva fatto notare Kisshu,. «Davvero, sei un disastro,» aveva concluso poi, sospirando.
Nel sentire quelle parole, Imago aveva assunto un’aria desolata ma non aveva replicato nulla.
«Non fa niente, la chiamo io e le dico di venire qui,» si era intromessa rapida Ichigo, prendendo il suo cellulare. Aveva cercato di comporre il numero della sua amica con dita tremanti, ma alla fine era stata Zakuro a concludere l’operazione per lei.
La modella aveva detto a Minto di raggiungerle immediatamente, e poi aveva restituito il cellulare alla sua compagna.


Erano trascorsi solo pochi minuti da quella telefonata quando Ichigo, riacquistato un po’ di colore dopo aver bevuto una tisana che Purin aveva preparato per lei, disse al gruppo di alieni: «E quindi, perché siete tornati qui? E dov’è Pai?»
Kisshu sospirò. «E’ una lunga storia.»
Ichigo si accomodò sul divano che Purin teneva di fronte alla televisione. «Beh, prova a riassumercela.»
L’alieno grugnì con disappunto e si lasciò cadere anche lui sul divano, meditando sul modo miglior per sintetizzare le surreali avventure che avevano vissuto negli ultimi mesi. Ci fu un silenzio molto lungo. «Allora,» cominciò infine, «tutto è iniziato quando siamo tornati sul nostro pianeta…»

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Minto si trasformò non appena fu sicura che Will si fosse allontanato. Uscita di casa, cominciò a saltare di tetto in tetto per raggiungere il più velocemente possibile la casa di Purin.
Era già a metà strada quando notò delle luci lampeggianti brillare nelle vicinanze del Cafè Mew Mew. Le parve strano, per cui deviò il suo percorso per andare a vedere che cosa stesse succedendo.
Una volta raggiunto il locale, Mew Mint scoprì che le luci erano tutte accese e che vi erano due macchine della polizia e un’ambulanza parcheggiate nel parco antistante. Sempre più stupita, si nascose dietro il gruppetto di alberi più vicino al portone d’ingresso per studiare la situazione.
Da quella posizione Mew Mint riuscì a scorgere sulla soglia del locale alcuni agenti di polizia che discutevano fra di loro mentre un terzo, intanto, stava stendendo dei nastri gialli su ogni finestra. Con sommo orrore, infine, la mew mew vide due paramedici portare fuori quello che era senza ombra di dubbio un cadavere.
Alla vista del sacco grigio in cui era contenuto il corpo, Mew Mint inorridì e indietreggiò di un passo, facendo scricchiolare un ramo secco sotto i suoi stivali; il rumore attirò l’attenzione di un quarto agente che stava esplorando i dintorni e che si girò di scatto nella sua direzione.
Il cono di luce della torcia elettrica che il poliziotto stringeva in mano la colpì dritta in faccia e lei, momentaneamente accecata, si portò una mano sul viso per proteggersi gli occhi.
«E-Ehi!» balbettò sconvolto l’agente. «Tu sei una di quelle mew mew?!»
Mew Mint gli lanciò un’occhiata spaventata e fuggì senza dire una parola.
«FERMA!» le gridò quello. «ASPETTA!»
Provò ad inseguirla, ma lei riuscì a far perdere rapidamente le sue tracce grazie ai suoi poteri.
Senza riuscire a credere a cosa aveva appena visto, Mew Mint percorse i pochi chilometri che la separavano dalla sua meta in brevissimo tempo, ma atterrò nel giardino della casa di Purin con molta meno delicatezza del solito.
Si sentiva rabbrividire e aveva la testa svuotata da ogni pensiero.
Sciolta la trasformazione, andò a bussare alla porta principale.
«Minto! Stai bene!» strillò Purin saltandole in braccio quasi nello stesso istante in cui aprì la porta. La trascinò dentro casa, e a quel punto fu il turno della ballerina di restare sbalordita dalla presenza dei loro vecchi ex nemici.
«Taruto e Kisshu sono tornati per aiutarci a combattere,» le spiegò Purin con molta eccitazione. «E hanno portato con loro delle amiche!»
Minto sbatté le palpebre un paio di volte. Impiegò parecchi secondi per assorbire quelle informazioni, e quando Chris e Imago le si presentarono non fu ben sicura di aver compreso i loro nomi. «Io… posso chiedervi di spiegarmi… che cosa succede?» domandò alla fine, rivolgendosi alle sue compagne. «C’era la polizia al locale. C’era un… morto.»
«Era Marie,» si decise infine a rivelare tristemente Ichigo, attirando su di sé l’attenzione di tutto il resto del gruppo. «Non era una ragazza normale. Mi ha salvato la vita. Mi ha detto che il nostro pianeta correrà un grave pericolo.»
«Correrà?» ripeté Minto, non del tutto in sé stessa. «Ma non avete visto il telegiornale? Sta accadendo adesso, il mondo intero sembra impazzito! Che cosa dobbiamo fare? Dove sono Ryo e Keiichiro?»
«Ho cercato di localizzare quei due, ma non ci sono riuscito,» le rispose Kisshu, grattandosi la testa. «E Pai è rimasto sul nostro pianeta. Sembra che stavolta dovremo vedercela senza i cervelloni del gruppo.»
«Minto, sembra che ciò che sta accadendo nel mondo sia collegato alla comparsa imminente di un essere chiamato Messia. Vuole distruggere la Terra, e Kisshu e i suoi amici dicono di essere qui per aiutarci a fermarlo,» le riassunse Zakuro.
«Come sarebbe, ‘dicono’?!» si intromise costernato Taruto. «Hai sentito o no quante ne abbiamo passate per arrivare fin qua?!»
La modella strinse le labbra e non rispose. Sul suo volto era dipinta un’espressione di gelido sospetto e lo stesso sentimento, anche se in misura minore, sembrava serpeggiare anche nel resto del gruppo di eroine.
«Ma davvero, cos’avete che non va?» sbuffò spazientito Taruto.
«Non è che non vogliamo credervi,» osservò Retasu, «ma potreste dirci, per favore, in che rapporti siete con la principessa Kassandra?»
Sentendo quel nome, Imago sobbalzò.
«Chi?!» esclamò Taruto.
«La squinternata che ci sta attaccando da mesi, tentando di conquistare il pianeta,» sbuffò Minto.
«Conquistare il pianeta?!»
«Già,» commentò Zakuro in tono sprezzante. «Mentre voi vi divertivate con i vostri indovinelli noi abbiamo combattuto contro di lei, e a questo punto mi chiedo se in verità non siate venuti a darle manforte.»
«Noi non abbiamo nulla a che fare con lei!» dichiarò Kisshu, sulla difensiva.
«Beh, relativamente nulla, visto che è mia sorella,» si lasciò sfuggire Imago.
Kisshu le diede una gomitata sul braccio.
«Cosa?» scattò Purin. «Tu sei sua SORELLA?!»
«Sì,» ammise Imago, e poi trasse un sospiro di sollievo. «Credevo fosse morta. E’ viva, per fortuna.»
«Ha ucciso delle persone,» le disse Zakuro, scura in volto, facendola impallidire.
«Perdonami… Imago, vero? – ma tua sorella è una psicopatica,» aggiunse Minto. «Ha quasi fatto ammazzare Retasu l’ultima volta!»
Sgomenta, l’aliena si girò di scatto in direzione della ragazza dai capelli verdi, che portò le mani avanti a sé e le agitò rapidamente, sorridendo nervosa. «Non preoccuparti, alla fine non è successo nulla!» minimizzò.
Imago trasse un respiro avvilito. «Sono desolata, Retasu. Se ti può essere di consolazione, Sandra ha cercato di uccidere anche me una volta,» le rivelò.
Kisshu, accanto a lei, le lanciò una strana occhiata. «Davvero?»
«Forse qualcuna in più,» confessò l’aliena grattandosi una guancia, e Kisshu alzò gli occhi al cielo.
«Lasciatela stare ragazze, non la vedete? Imago è il contrario di Kassandra,» intervenne a quel punto Ichigo, placando gli animi.
«Grazie,» le disse lei in risposta.
La rossa scosse la testa e si alzò in piedi, andandole davanti. Era seria in una maniera che le era del tutto estranea quando le disse, «Non sei come tua sorella, ma è stata lei a far uccidere Marie, e io non posso perdonarla per questo. Ho intenzione di combattere contro di lei e di fermarla. Tu da che parte stai?»
Imago sostenne lo sguardo di Ichigo: era grave, sofferente ma determinato. Fu in quel momento che l’aliena la vide per la prima volta come la leader terrestre. Quella ragazza, realizzò, era bella, forte, coraggiosa e combatteva come una vera guerriera per la salvezza dei suoi amici e per il pianeta Terra: non ebbe dubbi sul perché Kisshu si fosse innamorato di lei a prima vista. «Le voglio bene, ma so che ha commesso degli errori terribili,» le rispose. «Ti prego solo di non…ucciderla. Consegnala alla giustizia terrestre e lascia che faccia il suo corso.»
Quella risposta parve rasserenare Ichigo, che annuì, così anche Imago le rivolse un sorriso grato.
«La verità è che anche sul nostro pianeta non si riusciva a sopportarla e quindi la nostra Sovrana l’ha mandata qui, forse sperando che sparisse nello spazio insieme a quel bestione della sua guardia del corpo,» disse Chris, che intanto si era seduta su una poltrona lì vicino, accarezzandosi il mento. «Oh, e poi con loro c’era quel tipetto. Qual era il suo nome…?»
«Ai?» domandò d’istinto Minto.
Chris schioccò le dita nella sua direzione e annuì. «E’ finito con Kassandra per errore. Lui era una delle Guardie Imperiali, cioè dei soldati fedelissimi che fanno parte dell’esercito personale del Sovrano,» spiegò. «Li addestrano in modo speciale per assicurarsi che siano davvero i migliori del pianeta. In altre parole, gli fanno il lavaggio del cervello sin da quando sono piccoli. Se non ricordo male, quel ragazzo era stato congedato, ma nonostante questo era fissato con l’idea di eseguire gli ordini; era particolarmente ostinato.»
Zakuro si lasciò sfuggire una risatina amara. «Non hai idea di quanti problemi ci sta causando anche lui. E’ imprevedibile e credo che soffra di un qualche disturbo passivo-aggressivo.»
«Immagino. Ritrovarsi di colpo libero e su un pianeta così diverso dal nostro… dev’essere confuso.»
«Come noi,» sospirò Ichigo. «Ad ogni modo, come facciamo a fermare questo Messia?»
Chris intrecciò le braccia al petto. «Beh, c’è una profezia…» cominciò, ma un suono improvviso di sirene la distrasse.
Chris guardò il gruppo di terrestri come per chiedere loro silenziosamente se quell’evento era una cosa normale, quando di colpo la porta scorrevole in fondo alla sala si aprì.
La cugina di Purin varcò la soglia e avanzò in direzione del gruppetto. Indossava un pigiama colorato e aveva il sorriso di un ladro che è appena riuscito a fare il colpo della sua vita.
Purin le arrivò di fronte con un balzo. «Oh, Keira…scusa, ti abbiamo svegliato?» le chiese.
Lei, per tutta risposta, sogghignò.
«Ah, non ti ho presentato i miei amici!» esclamò allora la biondina in tono vivace.
«Non credo che le importino le presentazioni,» osservò a quel punto Taruto, squadrando male la nuova arrivata.
Purin si accigliò. «Che succede, Keira?»
«Ero qui fuori e stavo navigando su internet,» rispose lei mostrandole il suo cellulare, «quando ho letto una notizia interessante. Sai che nel locale dove lavori hanno ucciso una ragazza? Stanno cercando il colpevole.»
Purin parve incerta sulla risposta da dare. «E… E allora?»
«E allora, poco prima, mentre passavo nel corridoio, ho notato che i vestiti della collega che stai nascondendo sono ancora sporchi di sangue,» dichiarò Keira, indicando Ichigo.
«N-No, aspetta! Non è come credi,» si affrettò a dire Purin.
«Troppo tardi, cuginetta. Ho chiamato la polizia… E’ qui fuori e voi siete in trappola,» ridacchiò. «Povera Purin. Ti arresteranno e, una volta che tu sarai in prigione, io mi prenderò la tua casa con la scusa di dover badare ai tuoi stupidi fratellini.»
«Ma… Ma perché?»
«Ma come perché?! Non voglio più tornare a casa mia! Resterò qui a Tokyo e diventerò una idol, a tutti i costi!»
Purin era incredula. «Cosa?» mugolò, triste non tanto per la serie di assurdità che stava elencando Keira, quanto per il fatto che le aveva pensate.
La biondina sentì una stretta forte sulla sua spalla, che riconobbe essere quella di Taruto. «Simpatica tua cugina!» le disse sarcastico. «Peccato che le sia sfuggita una cosa.»
Keira gli lanciò un’occhiataccia. «E sarebbe, moccioso in costume?»
«Questo!» esclamò Taruto, smaterializzandosi insieme a Purin.
Vedendoli sparire, Keira lanciò un gridolino spaventato.
«Si, ottima idea,» annuì Kisshu in tono pratico portando via anche Ichigo, Imago e le altre.
Keira rimase sola nella stanza; presa dallo sgomento, lasciò scivolare il cellulare sul pavimento.
Il panda dell’orologio a cucu' che Purin teneva sulla porta saltò fuori dalla sua casetta e fece una giravolta. Vedendolo, la ragazza scoppiò in una risatina sconnessa e poi cadde a terra svenuta.

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Gli alieni portarono le ragazze sul tetto piano di un basso edificio poco lontano da lì; videro da lontano le auto della polizia che, a sirene spiegate, parcheggiavano di fronte al cancello di Purin.
Lei si abbandonò sulla ringhiera protettiva di quella copertura. «Che cosa facciamo ora?»
Zakuro corrugò la fronte. «Il locale è controllato dalla polizia, per cui non possiamo andarci. Dobbiamo trovare un posto tranquillo in cui decidere il da farsi. Kisshu, ti ricordi le coordinate del luogo in cui mi hai attaccato la prima volta?»
«No…anzi, si! Quel posto strano? Certo che lo ricordo! Vuoi che vi porti lì?»
La modella fece un cenno affermativo e Kisshu tese la mano davanti a sé per materializzare un nuovo varco. Il gruppetto si mosse verso di lui, ma Cherry rimase indietro.
«Io resto qui,» disse, attirandosi gli sguardi sorpresi di tutti. «Credo che, qualunque cosa sia necessario fare, avrete bisogno di supporto tecnico. Ichigo mi ha detto che Ryo e Keiichiro sono bloccati all’interno di un bunker: chiamerò un taxi e andrò ad aiutarli ad uscire. Ci terremo in contatto telefonicamente, d’accordo?»
Le ragazze si guardarono fra di loro. Il sostegno e la dedizione che quella donna gli stava offrendo sin da quando l’avevano incontrata per la prima volta era così grande che, nel sentire quelle ultime parole, quasi si commossero. «Grazie, Cherry,» mormorò per prima Ichigo con gratitudine.
Lei si avvicinò e le stampò un bacio sulla fronte. «Non è niente, tesoro. Siete voi che dovete salvare il mondo.»
«Stai certa che lo faremo!» esclamò Purin con rinnovata determinazione.
La professoressa la salutò agitando la mano. «Bonne chance, ragazze!»
Kisshu aprì il varco per il teletrasporto e Ichigo, Purin e gli altri vennero risucchiati al suo interno, svanendo nel nulla.

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Prima di conoscere le altre ragazze, Zakuro era una persona molto solitaria. Quando era confusa o ansiosa, invece di parlare con qualcuno o sfogarsi, preferiva andare in chiesa a pregare da sola, in silenzio. Kisshu era a conoscenza di questo fatto, perché in passato aveva combattuto contro di lei proprio lì; teletrasportò quindi il gruppo all’interno del luogo sacro in pochissimi secondi.
La chiesa visitata da Zakuro era stata costruita in tempi recenti, ma la sua architettura richiamava palesemente lo stile gotico occidentale. Di pianta rettangolare terminante con un abside semicircolare, era composta da un’ampia navata centrale divisa da quelle laterali da due serie di alte colonne. Quasi tutto lo spazio delle navate laterali era occupato da una serie di banchi ammucchiati l’uno sull’altro dietro i quali si scorgevano nicchie e statue, dipinti e altarini; a parte l’altare in marmo posto nell’abside, il resto dello spazio era, invece, completamente vuoto.
La luce della notte filtrava da grandi vetrate sapientemente decorate che, colpite dalle luci esterne, proiettavano sul pavimento rettangoli dai colori vivaci che tagliavano il buio. Il portone gigantesco di bronzo era sbarrato.
«Cos’è successo a questa chiesa?» domandò Ichigo, guardandosi intorno.
«Recentemente hanno realizzato un ampliamento, aggiungendo un sottotetto. E’ ancora chiusa al pubblico,» rispose Zakuro. «Questo significa che nessuno verrà a cercarci qui.»
«Oh, è davvero un posto stupendo,» commentò Imago, incantata dai disegni elaborati delle vetrate.
«Sarà, ma è così terrorizzante… ho davvero tanta paura!» piagnucolò Purin, stringendosi al braccio di Taruto. 
Lui se la staccò di dosso nervosamente. «No, tu fai tutte queste storie solo per starmi attaccata!» ribatté, rosso in faccia.
Purin lo guardò con le lacrime agli occhi, tirando su con il naso.
Anche se sapeva che stava fingendo lui arrossì, e per non farlo vedere si girò con la faccia dall’altra parte. «D’accordo, prendi,» disse facendo l’offeso, e le tese il braccio.
«Grazie mille!» Purin gli saltò al collo, con tale energia che Taruto perse l’equilibrio e finirono per cadere a terra l’una sopra l’altro.
«Tornando a noi,» tossicchiò Chris, ignorando i due, «Imago, puoi dire a queste ragazze la profezia che parla del Messia?»
Prontamente, dopo essersi schiarita la voce, la ragazza aliena cominciò a recitare per l’ennesima volta le strofe antiche.
Ichigo ne ascoltò i primi versi, ma non riuscì a mantenere la concentrazione; assorta nei suoi pensieri, finì per girare le spalle al resto del gruppo e poi si allontanò, dirigendosi verso l’altare. Minto lo notò e schiuse le labbra per rimproverarla, ma alla fine decise di lasciarle fare ciò che voleva.

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Ichigo si fermò ai piedi dell’altare e alzò la testa sul soffitto della chiesa, osservando con interesse i mosaici che lo adornavano: le tessere colorate che si mescolavano per formare un complesso disegno erano bagnate dai pallidi raggi della luna, che le faceva brillare di una luce tenue.
Quel luccichio le ricordò la tunica da sacerdotessa di Marie. Ichigo non si era ancora ripresa dalla sua morte e dal senso di colpa, e sapeva bene che la visione del corpo steso a terra della sua amica l’avrebbe perseguitata fino alla fine dei suoi giorni.
Sospirò, scacciando via le nuove lacrime che si erano prontamente formate agli angoli dei suoi occhi. Doveva essere forte.
“Ryo, dove sei?” si ritrovò però a pensare.
Accarezzò per un momento l'immagine del ragazzo biondo. Aveva davvero bisogno di lui in quel momento; aveva bisogno che le venisse in aiuto e la tirasse fuori da quel buio.
Era da quando Aoyama era scomparso che Ryo era diventato l’unico punto di riferimento per lei. Nonostante tutte le loro liti, il comportamento strano che aveva avuto negli ultimi tempi e la natura particolare del loro rapporto, senza di lui ora Ichigo si sentiva persa. Ryo avrebbe saputo cosa fare in un momento così delicato, e avrebbe saputo come guidarla e aiutarla.
Ma lui non c’era, c’erano solo i ricordi del suo ultimo scontro contro gli alieni e la nuova minaccia del Messia. Ichigo si chiese come potevano fermare un essere del genere se lei e le sue amiche non erano state neanche in grado di sconfiggere Hiroyuki. Allo stato attuale, anche Ryo avrebbe concordato nel dire che erano troppo deboli. Avevano bisogno di più potere, di nuove armi…
Armi…
Le parole di Marie riecheggiarono nella sua mente. “Non perderla di vista. E’ un’arma molto potente,” le aveva detto.
La sfera misteriosa! La sfera misteriosa era un’arma! Ichigo l’aveva dimenticata già da parecchio nella sua borsetta. Colta da quell’improvvisa illuminazione, la recuperò e se la portò davanti al viso, osservandola attentamente.
Nello studiarne la superficie graffiata e crepata in più punti, Ichigo si chiese cosa avrebbe pensato Ryo al suo posto. Non aveva idea di cosa fosse in realtà quell’oggetto o di come funzionasse, ma in fondo era pur sempre uno di quegli ooparts vecchi milioni di anni, per cui doveva essere appartenuta agli atlantidei… forse potevano usarla per sconfiggere il Messia?
Ichigo stava ancora esaminando la sfera quando un topolino le passò davanti di corsa, squittendo. Colta di sorpresa, la ragazza cacciò un piccolo urlo e balzò indietro d’istinto, ma nel farlo la sfera le sfuggì di mano e andò a spaccarsi a terra, contro il duro pavimento di marmo.
«Ops,» mormorò, mentre realizzava di aver appena ridotto in pezzi l’unica cosa che poteva esserle d’aiuto.

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Il rumore del metallo che si frantumava rimbombò per tutta la chiesa, attirando l’attenzione del resto del gruppo.
Kisshu fu il primo ad alzare la testa e voltarsi in direzione di Ichigo. «Ma che le prende?» domandò alle altre ragazze. «Non riesco quasi a riconoscerla.»
Minto sospirò. «Ne ha passate di tutti i colori in questi ultimi mesi. Ha perso Aoyama e da quel momento in poi non ha fatto altro che combattere. I vostri amici non ci hanno lasciato un attimo di pace.»
«Non sono amici miei,» sbuffò l’alieno, ritenendo il sarcasmo di Minto del tutto inopportuno. «Bah, vado a parlarle.»
Zakuro gli lanciò un’occhiataccia. «Kisshu.»
«Solo parlarle,» precisò lui. «E poi, non penso che sopporterò ancora a lungo questa inutile profezia.»
«Aspetta, vengo con…»  Imago tentò di prendere la mano di Kisshu, ma lui si teletrasportò da Ichigo prima che lei potesse farlo. «…te.»
La ragazza aliena rimase ferma a guardare il punto in cui era scomparso, la mano ancora tesa.
«Scusami Imago, sei sicura di non sapere qualcos’altro di quella profezia che potrebbe esserci utile?» le domandò timidamente Retasu.
«S-Sì,» balbettò lei, girandosi verso di lei. «Forse ricordo qualche altra strofa.»

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Ichigo si abbassò a terra e iniziò a raccogliere in fretta e furia i frammenti della sfera, come se sperasse di poterla aggiustare se li avesse rimessi tutti insieme. Ben presto, però, scorse un luccichio fra i pezzi del reperto ormai distrutto e si fermò. Stupita, lasciò perdere quanto raccolto finora e prese il minuscolo oggetto rimasto nascosto fino a quel momento all’interno della sfera.
Era una pietra preziosa! Dentro quella sfera c’era una pietra preziosa!
Ichigo non ne aveva mai visto una simile: grande quanto una noce, leggera e brillante, sembrava acqua mew, ma era granulosa e calda. A seconda di come era esposta alla luce assumeva una diversa sfumatura di colore: ora azzurrina, ora arancione, ora verde o dorata.
Presa da un’improvvisa euforia, la ragazza si girò indietro per andare a comunicare la scoperta alle sue compagne, ma nel muovere il primo passo finì addosso a Kisshu, che le era appena apparso alle spalle galleggiando a pochi centimetri da terra.
«Ehilà micetta, sei davvero così felice di vedermi?» scherzò lui.
Lei si rabbuiò. «Ah, sei tu, Kisshu,» disse piatta. «Scusa.»
Lui sollevò le spalle. «Fa niente. Credo che per te sia molto attraente…»
La risposta di Ichigo fu così nervosa e improvvisa che Kisshu quasi si spaventò. «Potresti smetterla, per favore?» sbottò in tono ostile.
«Cosa intendi dire?»
«Lo sai benissimo. Non ricominciare con quella vecchia storia, Kisshu. Io non ti ho mai trovato attraente e soprattutto ora non è il momento anzi, non è mai stato il moment–»
«Ichigo,» la interruppe l’alieno, «io stavo parlando di quella pietra luccicante che hai in mano.»
Le guance di Ichigo si colorarono di rosso, un bel rosso fragola. «Ah,» mormorò, e poi chiuse la bocca mentre si dava mentalmente della stupida almeno una ventina di volte.
Kisshu si avvicinò a lei, incuriosito dall'oggetto. «Cos’è? Altra acqua mew?»
«No, io… non so bene cosa sia.»
L’alieno inclinò la testa di lato. «Uhm, non ho mai visto nulla del genere,» ammise, «ma mi dà una strana sensazione.»
«Anche a me,» concordò Ichigo. Improvvisamente, si ritrovò a pensare che era strano discutere in modo così normale con Kisshu. Non avevano mai parlato così, perché nel passato non avevano fatto altro che lottare o litigare a causa dell’ossessione che lui aveva nutrito per lei. Da una parte le faceva piacere realizzare che sembrava essere scomparsa, ma dall’altra il sapere di non essere più di alcun interesse per lui la faceva sentire irragionevolmente dispiaciuta.
«Dovresti mostrarla alle tue amiche,» propose Kisshu dopo alcuni secondi, richiudendo le dita intorno ad uno dei polsi della ragazza. «E soprattutto, smettere di fare l’asociale. Non è da te, sai?» le disse facendole un occhiolino.
Arrossendo leggermente, Ichigo annuì e lasciò che lui la guidasse dalle sue amiche.

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Accadde mentre stava ripetendo per la terza volta i versi che ricordava della profezia alle ragazze. Imago cominciò a provare una sensazione di disagio, che si diffuse così rapidamente dentro di lei da farle venire la nausea; cominciò a tremare in maniera incontrollata.
«Imago, stai bene?» si sentì chiedere da Retasu.
La voce della verde giunse all’orecchio dell'aliena lontana e ovattata. «S-Si,» mentì. «E’ che non sono abituata all’aria terrestre… sai, avendo vissuto sempre nel sottosuolo…» disse, o almeno, credette di dirlo; non ne fu del tutto sicura.
Si sentì di colpo molto, molto debole e stanca. La sua vista si annebbiò e la testa iniziò a dolerle; il battito del suo cuore divenne un suono insopportabile che la assordava e la disorientava. Gemette, portandosi le mani alle orecchie. Non capiva cosa le stava succedendo, ma voleva che finisse. Non importava come, voleva solo che finisse.
Più lei tentava di resistere, più il dolore aumentava, per cui pensò di lasciarsi andare. Decise che sì, era davvero meglio lasciarsi andare. Ma venne afferrata da una presa salda e una voce la riportò alla realtà.
«Ehi, Imago!» sentì gridare da Kisshu. Lui la stava sorreggendo, tenendola fra le braccia. Fu la prima cosa che riuscì a capire quando si riprese. Non era certa di quando lui le fosse apparso accanto ma, se non lo avesse fatto, sarebbe crollata a terra.
Cercò di concentrarsi su di lui. «Kisshu,» disse in un soffio incerto mentre riprendeva conoscenza, «sei tornato per me?»
«Che cosa stai dicendo?!» rispose l’alieno, premendo le mani ai lati del suo viso e costringendola a guardarlo in quelle pozze dorate che erano i suoi occhi. «Non sono mai andato via.»
«Che succede, Imago? Stai male?» domandò Ichigo, raggiungendoli. Kisshu l'aveva abbandonata quando erano a metà della navata per precipitarsi da Imago non appena si era reso conto che stava per svenire.
La ragazza aliena trattenne un respiro e si rivolse a Kisshu. «Io…Io pensavo che tu…»
«Tu pensi sempre troppo,» la interruppe lui e poi coprì la sua bocca con la sua, trascinandola in un bacio che lei non si aspettava.
Imago gemette sorpresa mentre Kisshu la baciava come se lei fosse aria e lui stesse annegando; c’era qualcosa di disperato in quel bacio. Non si sentiva ancora del tutto se stessa, ma intrecciò le braccia intorno al collo e lo strinse e ricambiò come poteva, anche se lui la stava lasciando senza fiato.
Quando Kisshu si staccò da lei, l'aliena si ricordò che non erano soli; si accorse che Ichigo e le altre ragazze terrestri li stavano guardando con espressioni più o meno sconvolte.
Provò un imbarazzo terribile. Spinse via Kisshu con una forza che non credeva di avere, barcollando ma restando in piedi. «N-Non davanti a tutti, stupido!» blaterò, rossa in viso.
Lui la guardò fisso per qualche attimo, incerto. «Dovevi pensarci prima di farmi prendere un colpo,» replicò alla fine, sorridendo leggermente. «E sappi che lo farò di nuovo se proverai a farmi una cosa del genere. E questa è una minaccia,» concluse in tono scherzoso, cercando di non far trasparire quanto era in realtà ancora preoccupato.
Imago si coprì il viso e mugolò delle scuse sconnesse in direzione del resto del gruppo e soprattutto di Ichigo.
«Non… Non preoccuparti, Imago, siete davvero carini insieme!» intervenne allora Minto, dato che la sua leader sembrava troppo scioccata per spiccicare parola. Si portò una mano al lato della bocca. «Ma Kisshu è un pervertito,» le sussurrò segretamente da lontano, in modo perfettamente udibile da tutti.
«Sì, sì, è un pervertito!» le fece eco allegra Purin alle sue spalle, beccandosi un’occhiataccia irritata dell’alieno.
«Volete smetterla di giocare? Il mondo sta per finire,» le richiamò Zakuro a quel punto, ricordando loro il motivo di quella riunione improvvisata.
«G-Giusto! A questo proposito, io ho scoperto…» cominciò Ichigo, ma un profumo intenso le stuzzicò il naso e la fece starnutire più volte di seguito, impedendole di terminare la frase.
«Salute!» le disse gentilmente Retasu, ma un istante dopo anche lei fu presa da un violento attacco di raffreddore.
«Ehi! Non sentite anche voi uno strano odore?» chiese Purin, guardandosi intorno e annusando l’aria con piglio molto animalesco.
Una sottile nebbiolina bianca, dal profumo intenso e penetrante, stava rapidamente avvolgendo l’ambiente intorno a loro.
«Che succede in questo posto?» sibilò Chris, disgustata e preoccupata allo stesso tempo, cominciando a tossire.
«E’ incenso…» spiegò Zakuro portandosi una mano alla bocca, tossendo a sua volta.
«Bleah, e a che serve questa roba?» chiese Taruto, nascondendosi il viso fra i vestiti nel tentativo di filtrare l'aria.
«A stordire i fedeli, credo…» gli rispose una nauseata Minto, che subito dopo fu costretta ad appoggiarsi ad Ichigo per evitare di cadere a terra: quel profumo così forte le si era insinuato nelle narici e lei sentiva che se non se ne fosse sottratta al più presto, sarebbe caduta a terra svenuta.
Una risata inquietante riecheggiò nella nebbia. «L’incenso serve per festeggiare,» disse una voce maliziosa, «in questo caso, la vostra fine!»
La reazione di Zakuro fu istantanea. «Mew Mew Zakuro, metamorphosis!» gridò, trasformandosi. Agitò la sua frusta e il movimento dell’aria spazzò via la nuvola asfissiante d’incenso, liberando i polmoni e la visuale alle ragazze.
«Grazie, Mew Zakuro!» disse Ichigo alla compagna respirando profondamente, ma continuando a tossire per i troppi fumi aspirati.
Mentre le ragazze si strofinavano gli occhi lacrimanti, Chris, che sembrava non aver accusato troppo gli effetti dell’incenso, esaminò con aria nervosa lo spazio intorno a loro. «Voglio proprio vedere chi… ah, lei?!» esclamò con stupore non appena individuò l’aliena apparsa dall’altra parte della chiesa. Gli altri seguirono il suo sguardo ed infine anche loro la videro.
«K-Kassandra!» esclamò Retasu con voce arrochita, stringendosi una mano al petto, laddove c’era il suo tatuaggio.
La bella aliena era seduta sul davanzale di una delle vetrate a gambe accavallate, e Hiroyuki era in piedi accanto a lei. Era circondata da un’infinità di chimeri parassita, che rilucevano al buio come stelle nel cielo. Impegnata a ridere sguaiatamente, non sembrava essersi accorta di Kisshu e degli altri.
«Io sono la Principessa Kassandra!» gridò dall’alto a Retasu, correggendola. «E questa, mie care avversarie… questa è la resa dei conti!» strillò, per poi scoppiare in una nuova risata.






++++

 
Note:
Con la presente rendo noto al mondo che quando scrivo delle risate di Kassandra immagino che siano ridicolissime come quelle di Takano-san e di conseguenza inizio a ridere anche io.
Per farvi capire: http://youtu.be/1W3XUP1LD7A?t=16s (vi avverto just in case, nel link c’è uno spoiler di Higurashi no Naku Koro ni).

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Capitolo 39
*** La notte dei chimeri tarantola ***


26 19/12/2014: In genere mi diverto a cercare titoli carini, ma stavolta non mi veniva in mente nulla di intelligente e quindi sono andata sul trash, che è sempre una sicurezza.
In verità qui sotto non ci sono tarantole ma chimeri ispirati alle nephilae maculatae.
“La notte della nephila maculata”, però, non suonava per nulla bene.


- Capitolo 37: La notte dei chimeri tarantola -

 

Ichigo e le sue compagne si precipitarono al centro della navata principale, lasciando in disparte gli alieni.
In fondo, molti metri sopra le loro teste, le cinque ragazze scorsero il profilo conosciuto della principessa Kassandra, accompagnata come sempre dalla sua guardia del corpo. Intorno a lei galleggiavano centinaia di chimeri parassita luminescenti.
Gli occhi di Mew Zakuro divennero due fessure cariche di rabbia. «Ancora lei,» sussurrò, rinsaldando la presa sulla sua frusta.
L’avversaria, con il vestito lucido che metteva in risalto ogni sua curva, i lunghissimi capelli sciolti, le labbra rosse socchiuse e lo sguardo malizioso che dava espressione al bel viso, in quell’occasione era così perfetta che pareva quasi un’apparizione surreale.
La magia però si interruppe quando cacciò un gridolino beffardo e fastidioso. «Vedo che avete trovato rinforzi… peccato che non vi serviranno a niente, perché stavolta morirete qui!» sghignazzò, per poi lasciarsi andare ad una nuova risata, così sonora da rasentare l’isteria.

Kisshu, nel seguire la scena da lontano, incrociò le mani dietro la testa. «Ma che problema ha tua sorella?» domandò con un vago stupore a Imago, che si era nascosta dietro di lui nello stesso momento in cui Kassandra aveva fatto la sua apparizione.
«E’ sempre stata così,» sospirò lei con la depressione nella voce.
«Però dovete ammettere che ci sa fare,» commentò allegra Chris. «Voglio dire, questa sì che è una bella entrata in scena!»
Taruto e Kisshu le lanciarono un’occhiata scettica. «Lo stai dicendo davvero?!»

Ichigo distolse gli occhi da Kassandra e strinse i pugni: non si era aspettata di rivedere così presto gli esseri che avevano causato così tanta sofferenza a lei e a molti altri innocenti.
Erano a pochi metri da lei, pronti ad attaccarla. Stranamente, a differenza di quanto aveva immaginato, questa consapevolezza non la rendeva disperata, ma furiosa. Più che furiosa.
Retasu, forse comprendendo il suo stato d’animo, le posò una mano sulla spalla sinistra. Minto fece lo stesso con l’altra.
«Finiamola qui,» disse loro Ichigo con voce ferma.
Le due ragazze annuirono.
«Questa volta la batteremo di sicuro!» esclamò Purin. «Forza! Mew Mew Pudding…»
«Mew Mew Lettuce…»
«Mew Mew Mint…»
«Mew Mew Strawberry…»
«...METAMORPHOSIS!»

«Finalmente vi siete mostrate!» disse entusiasta la principessa aliena dall’alto, puntando un dito contro le mew mew quando la luce delle loro trasformazioni si dissolse. «Ed ora preparatevi! Questa è la vostra fin–»
«Ciao, Sandra.»
«…K-Kassimago?!»
«Ehm... sì.»
Imago si era materializzata di colpo di fronte Kassandra, sorprendendola.
Colpita da quell’apparizione inaspettata, lei si tirò indietro di scatto. «Cos… E tu cosa ci fai qui?!» strepitò. «Non eri morta?!»
La gemella minore emise una risatina imbarazzata. «Sì, ecco, vedi…»
«No, lascia stare,» la interruppe l'altra, «non voglio sapere.» Nascose la parte inferiore del viso dietro al suo ampio ventaglio e assunse un’aria sospettosa. «Perché sei qui? Che cosa vuoi? Guarda che questo pianeta è mio!»
«Ma… Ma certo!» si affrettò a confermare Imago, arrossendo. «E’ solo che…»
«Solo che..?»
«So che se ansiosa di disintegrare queste terrestri inferiori, ma mi chiedevo… non potresti, uhm, lasciar perdere per qualche ora?»
Mentre le mew mew a terra si scambiavano una serie di sguardi increduli, Kassandra si sporse in avanti quel tanto che le bastava per afferrare rudemente il colletto del vestito della sorella. «Cosa stai dicendo?» le domandò minacciosa, tirandola verso di sé.
«Niente.. Niente!» si scusò lei, spaventata. «E’ che c’è questo Oscuro Signore che vuole apparire, conquistare la terra e ripopolarla e distruggerla non si sa bene in che ordine, e io e Kisshu e le mew mew terrestri stiamo provando a capire come fermarlo, perché sembra ci sia un modo ma non siamo sicuri di…»
«Non capisco cosa stai blaterando, ma questa è la mia chance di uccidere quei mostriciattoli informi e fuori moda!» le fece notare Kassandra, rigettandola indietro sprezzante. «Ma d’altra parte, se qualcuno vuole usurpare il mio trono, in quanto Signora della Terra non posso restare indifferente,» ragionò ad alta voce un attimo dopo, facendosi aria con il ventaglio.
Imago intrecciò le dita e se le portò al petto con fare speranzoso.  «Quindi… Quindi ci aiuterai?»
Kassandra richiuse il ventaglio con uno scatto. «D’accordo, ho preso la mia decisione!» dichiarò. «Fu – si –on,» scandì, contorcendo le labbra in un ghigno.
Al suo comando, i parassiti schizzarono via come comete impazzite; si sparsero per la chiesa, raggiungendo gli ospiti designati e impossessandosi dei loro corpi. Le loro dimensioni erano insignificanti, ma al contatto con il potere alieno cominciarono a distorcersi, ingrandendosi. Alcuni diventarono alti quanto una persona, ma la maggior parte non superò il metro. Erano centinaia e la loro comparsa richiamò molti altri loro minuscoli simili dall’esterno, che vennero presto presi dagli ultimi parassiti.
Erano chimeri ragno. Neri e gialli, con la corazza lucida e il torso sorretto da due file di zampe spesse quanto un braccio.
Alcuni di loro si arrampicarono sulle pareti della chiesa, ricoprendole in parte con il corpo grosso e tozzo.
Le mew mew si raggrupparono in un unico punto, guardandoli sbucare da ogni dove. 
Imago tese una mano verso la sorella, che era apparentemente molto soddisfatta delle sue creazioni. «A-Aspetta, Sandra!» tentò, ma Kisshu le si materializzò accanto con un balzo.
«Negoziazioni fallite, dolcezza,» le disse, portandola via da lì.
«Ehi, Kassandra!» gridò nel mentre Mew Pudding dal basso. «Non hai sentito tua sorella? Il mondo sta per essere distrutto, non abbiamo tempo per giocare con te!»
«Ha! Quanto siete stupide,» commentò lei, poggiando le mani sui fianchi. «Questo non è un gioco, è un test. Ipotizzando che la mia inutile sorella non stia mentendo per salvarvi la vita, provate a sopravvivere ai miei chimeri! In fondo, se venite sconfitte da loro, vuol dire che non avete comunque la forza di battere l’Usurpatore, no?!»

Chris, dal fondo della chiesa, annuì. «Ha una sua logica,» ammise.
«La smetti di parteggiare per quella pazza?!» le gridò dietro Taruto.

«Qui dentro siamo in trappola,» osservò intanto Mew Zakuro. «Dobbiamo attirarli all’esterno.»
Tutte sembrarono d’accordo con lei. Dopo essersi scambiate un cenno d’intesa, le ragazze si lanciarono verso il portone d’ingresso.
«Pensate davvero di poter scappare?!»
Kassandra ordinò ai chimeri di fermarle. Loro, obbedienti, sputarono addosso alle ragazze una pioggia di fili di ragnatela che le costrinsero a saltar via ognuna di una direzione diversa. Altri chimeri ne approfittarono per tessere con velocità inaudita una enorme tela che in pochi secondi ricoprì completamente la porta.
Ben presto, le ragazze si resero conto che quella e tutte le altre vie d’uscita erano state sigillate: adesso, le vetrate proiettavano ombre di gigantesche ragnatele dorate percorse dai chimeri.
«Sembra proprio che non abbiamo scelta, eh?» osservò Mew Mint, evocando il suo arco. Si preparò, come le altre, allo scontro imminente.
Mew Zakuro cercò con lo sguardo il gruppo di alieni alleati. «Quella scala porta al sottotetto della chiesa,» spiegò loro, indicando una scalinata seminascosta in un angolo della navata laterale destra. «Pensiamo noi a Kassandra; voi nascondetevi lì e non muovetevi finché non sarà finita.»

«Chris, l’hai sentita?» disse Kisshu all’assistente scienziata. Fece apparire i suoi tridenti, che roteò abilmente fra le mani. «Tu e Imago mettetevi al sicuro. Qui ce la vediamo noi.»
«Sissignore!» esclamò lei sull’attenti, imitando un tono militare. Afferrò Imago per un polso, ma lei sgusciò via.
«Cosa significa ‘tu e Imago mettetevi al sicuro’?!» domandò sconvolta la ragazza aliena a Kisshu, correndo a stringere debolmente entrambi i pugni sulla sua maglietta. Lui non parve sorpreso da quel comportamento.
«Esattamente quello che ho detto,» rispose con fermezza, e poi sbuffò una risatina divertita. «Andiamo, credi davvero che potrei morire per una cosa del genere?»
«Kisshu, non sono stupida.»
«Ma sei malata. Da molto tempo, e non ho ancora capito che cos'hai. Se ti sentissi di nuovo male adesso, mi distrarrei e allora sì che sarei in pericolo. Dolcezza, se vuoi davvero essermi d’aiuto, devi andare via da qui.»
Imago sciolse la presa che aveva su di lui. «Non… Non puoi dirmi questo!» replicò.
Sfruttare la sua debolezza per farla sentire in colpa... Quello di Kisshu, per lei, era un ricatto e un colpo basso. «Io… Io ti odio!» gli disse con frustrazione.
Imago sapeva che lui, le mew mew e Taruto erano forti, ma quei chimeri erano davvero troppi. Se gli fosse successo qualcosa mentre lei era nascosta e al sicuro, non se lo sarebbe mai perdonato.
Il ghigno dell’alieno si addolcì. «Anche io ti amo, piccola,» le rispose.
Prima che Imago potesse ribattere Chris la prese alle spalle, facendola sussultare per lo spavento. «Presa!» scherzò. «Ora sei mia, principessina. Ahahaha~»
«La affido a te, Chris.»
«Certo! Mi prenderò cura di lei usando i miei immensi poteri nascosti
«Non ne dubito,» sospirò piatto Kisshu, evitando l’occhiata di disapprovazione della sua compagna.
Guardò svanire entrambe, chiedendosi se Chris sarebbe davvero stata in grado di difendere Imago in caso di pericolo. Aveva frequentato lo stesso istituto di Pai, ma a Kisshu quella nibiriana così stramba e sorridente non era mai sembrata particolarmente forte.
Si smaterializzò subito dopo, riapparendo accanto alle sue ex nemiche e a Taruto, che era già con loro.
«Quindi è così che ci si sente ad essere dall’altra parte?» esclamò in tono giocoso nel tentativo di sciogliere la tensione che aleggiava nell’aria.
«Kisshu, cerca di non intralciarci troppo per favore,» lo ammonì Mew Mint senza degnarlo neanche di uno sguardo.
«Sì, tu eri quella più nervosa quando vi attaccavo,» meditò lui in risposta. «Hai imparato a controllarti o hai ancora la tendenza ad andare in panico inutilmente, finendo per prenderle?»
La ragazza si girò di scatto verso Mew Ichigo. «Quando abbiamo finito con Kassandra posso schiaffeggiarlo?»
Lei sobbalzò per la richiesta inattesa. «P-Perché lo chiedi a me?!»
«Sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui avremmo dovuto combattere contro dei veri chimeri ragno,» si lagnò intanto Mew Pudding. «Ma non ero comunque preparata.»
«Non sono semplici ragni,» balbettò Mew Lettuce. «Sembrano degli… tsuchigumo
«Sono comunque gli esseri più orribili che abbia mai visto,» mormorò Mew Zakuro.
«E’ perché chiaramente non avete gusto,» replicò Kassandra dall’alto, stringendo al petto un cucciolo di chimero, che abbracciava come se fosse un peluche. «Bene, se avete finito di parlare, possiamo dare inizio al test. Attaccate!» ordinò.
I chimeri si scagliarono insieme contro il gruppo di avversari, facendolo disperdere. Le mew mew iniziarono subito il contrattacco. Quei mostri erano orrendi, ma non erano nulla di speciale. Il loro unico vantaggio era la superiorità numerica perché, per ogni chimero abbattuto, ve ne erano almeno tre che prendevano il suo posto. Lanciavano contro le ragazze fili di tela appiccicosa, correvano, si ammassavano sul pavimento e le costringevano a saltare in continuazione da un posto all’alto.
Kassandra ammirava la scena da lontano, galleggiando pigramente sulla verticale dell’altare maggiore.
Kisshu la puntò e, dopo aver schivato il chimero che avevano tentato di afferrarlo, si materializzò di fronte a lei e tentò un affondo. Lei gli lanciò addosso il suo cucciolo: Kisshu lo distrusse con un singolo fendente e poi scomparve, riapparendo alle spalle della principessa.
La immobilizzò in un secondo.
«Tesoro,» le disse con malizia, premendo la lama affilata di uno dei suoi tridenti contro il suo collo sottile, «se ritiri quei tuoi mostriciattoli, non ti farò troppo male.»
Stranamente, Kassandra non sembrò spaventarsi. «Che essere sgradevole,» commentò in tono tanto suadente quanto divertito. «Hai allontanato mia sorella perché pianificavi questo sin dall’inizio, vero? Sei più oscuro di quanto vuoi farle credere. Ma non preoccuparti, non l’ha capito. E’ il suo problema… vede solo il lato buono delle cose.»
Kisshu strinse la presa che aveva su di lei. «Non sto scherzando,» la avvertì, serio.
«Avevi catturato la mia attenzione perché somigli a quel villano, ma sei deludente quanto lui,» lo schernì lei. «Cosa posso dire? Si vede che i plebei sono tutti uguali. Hiroyuki.»
Il calcio sferrato dalla guardia del corpo di Kassandra fu così rapido che Kisshu non riuscì neanche a vederlo. Avvertì un dolore immenso al fianco destro e i tridenti gli caddero di mano mentre lui veniva scaraventato via.
Finì contro la ragnatela a spirale che uno dei chimeri aveva intrecciato nello spazio fra due colonne laterali. Era fitta ed estremamente appiccicosa. Kisshu cercò di smaterializzarsi, ma scoprì di essere completamente invischiato. «Oh, andiamo!» esclamò mentre cercava freneticamente di liberarsi. Il padrone di casa, un chimero grosso quanto lui, gli si avvicinò, agitando le chele in modo minaccioso.
«Ribbon Zakuro Spear!»
La frusta di Mew Zakuro tagliò la ragnatela da un lato, rendendola instabile al punto da farla cedere. Nello stesso momento, Mew Mint scagliò cinque frecce simultanee contro il chimero, annientandolo.
Kisshu cadde con il resto della tela, ma Mew Mint lo prese al volo. Frenò la sua caduta, evitando che rovinasse a terra.
«Potresti evitare di morire mentre combattiamo contro questi obbrobri?!» gli disse mentre venivano accerchiati da altri chimeri, fortunatamente più piccoli del precedente. Poggiò la schiena contro la sua, preparandosi a scagliare altre frecce contro il primo avversario che avesse tentato di saltarle addosso.
«Chiedo scusa rondinella, ma quel tipo è forte.»
«Oh, ma davvero?» commentò lei sarcastica, un attimo prima di ricominciare a combattere.

Dall’altra parte della navata, Mew Ichigo e Mew Pudding lavoravano in team per immobilizzare ed abbattere quanti più nemici possibile.
Purtroppo, per quanto rapidi e numerosi fossero gli attacchi della biondina, i chimeri che non riusciva a imprigionare divoravano la sua gelatina dorata con una velocità impressionante, liberando i compagni e rendendo inutili tutti i suoi sforzi.
«Basta,» ansimò lei dopo molti minuti di estenuante combattimento. Smise di saltare da una parte all’altra della navata e crollò in ginocchio a terra, esausta. Immediatamente dei ragni grossi come granchi cominciarono ad arrampicarsi su per le sue gambe.
«Mew Pudding!» gridò Mew Ichigo, cercando di raggiungerla.
«Ma sei scema?!» esclamò Taruto, correndo per primo in suo aiuto. Lanciò le sue bolas contro un chimero che si stava avvicinando troppo e poi sollevò da terra la mew mew sfinita; i ragni ricaddero a terra e vennero spazzati via dall’attacco di Mew Lettuce.
«Sono troppi, che cosa facciamo?» domandò lei, atterrita. I mostri la circondarono, rendendole impossibile attaccare da un lato senza restare scoperta sugli altri.
Mew Ichigo le aprì una via di fuga con il suo Ribbon Strawberry Check, ma per farlo si distrasse e finì per non accorgersi del chimero che si era calato dall’alto dietro di lei. Quando fu conscia del pericolo, il mostro le aveva già sparato contro un ammasso di fili viscidi, ma Mew Mint la spinse via prima che potessero colpirla. Era sbucata fuori dal nulla, e Mew Ichigo la vide venire imprigionata nella tela al suo posto. La violenza del colpo scagliò la guerriera dai capelli blu a terra, su cui cadde riversa.
La trasformazione di Mew Mint si sciolse; aveva esaurito ogni sua energia per combattere fino a quel momento contro decine e decine di chimeri.
Anche Mew Zakuro era ormai al limite: era stata ferita ad una spalla ed ora teneva la schiena premuta contro una colonna a poca distanza da loro; si stringeva il punto ferito con un’espressione sofferente e sembrava stare lottando per non crollare svenuta.
Mew Ichigo distrusse il mostro che stava minacciando Minto, ma questa volta il suo colpo fu più debole del solito perché ormai la stanchezza stava iniziando a impossessarsi anche del suo corpo.
Mentre cercava di mantenere la concentrazione, sentì riecheggiare da lontano le risate di Kassandra.
Un ennesimo, gigantesco chimero le si parò davanti e spalancò le fauci, tenendo otto occhi neri fissi su di lei. Mew Ichigo indietreggiò intimidita, ma sentì i passi leggeri di un altro mostro che le si avvicinava alle spalle, bloccandole la fuga.
La ragazza esitò a scagliare il suo colpo speciale. Probabilmente, per come era ridotta, non sarebbe stato di nessun aiuto.
Non riusciva a crederci. Sarebbe davvero morta con le sue compagne in quel posto, senza essere riuscita a concludere nulla?
Aveva fatto tutta quella strada per finire così?
Serrò gli occhi, stringendo forte la Strawberry Bell. Il chimero alle sue spalle lanciò un gridolino…
…e poi compì un balzo e si gettò sull’altro, facendolo a pezzi in pochissimi secondi.
Mew Ichigo non se lo era aspettata. Non appena si rese conto di essere ancora viva, riaprì gli occhi e osservò lo spettacolo incredula. «C-Cosa?!» mormorò, mentre il mostro che le aveva salvato la vita veniva attaccato dagli altri.
In sua difesa accorsero dei nuovi chimeri, in numero spropositato.
La mew gatto notò che erano diversi dagli altri: erano di colore chiaro, avevano delle zampe sottili e lunghissime ed il simbolo di un cerchio circondato da tre triangoli tatuato sui visi mostruosi.
Lei conosceva quel marchio. Lo aveva visto innumerevoli volte in passato.
«K-Kisshu…?!» sibilò.
«Esattamente,» le rispose l’alieno, atterrando accanto a lei. «Scusami se ci ho messo così tanto, ma ero un po’ arrugginito,» le disse con un sorrisino.
Kisshu era scomparso dal suo campo visivo poco dopo l’inizio della battaglia. Mew Ichigo aveva pensato che fosse fuggito, ma a quanto pareva aveva sfruttato il diversivo che lei e le sue compagne avevano inconsapevolmente creato per avere il tempo di generare i suoi parassiti.
Era stata un'idea geniale. Lei era troppo sorpresa per parlare, per cui lo ringraziò mentalmente. Gli doveva la sua vita e quella delle sue amiche.
«C-Come può quello stupido avere così tanto potere?!» strillò intanto Kassandra.
La sua domanda rimase senza risposta.
Sotto di lei, i chimeri ingaggiarono uno scontro all’ultimo sangue l’uno contro l’altro, ammucchiandosi nella navata centrale. Ben presto, divenne tutto un ammasso di corpi e zampe che si contorcevano. I chimeri di Kisshu attaccavano i più grandi in gruppo, gli altri si difendevano staccando loro le gambe o la testa con le chele. Erano alla pari: se avessero continuato così, avrebbero finito per annientarsi a vicenda.
«Ehi, Retasu!» gridò Kisshu alla mew focena, l’unica ancora in forze, «credo che ci sia del lavoro per te!»
Lei sussultò. «S-Sì!» annuì, distogliendo gli occhi da quello spettacolo terribile.
Prese le sue nacchere. Nel generare il suo colpo speciale, questa volta Mew Lettuce fece appello a tutte le sue energie. L’onda d’acqua che creò travolse entrambe le fazioni in lotta e si infranse contro le vetrate dietro l’altare, contro cui gli ormai pochi chimeri rimasti sbatterono; regredirono in massa, sotto gli occhi stupefatti di Kassandra. I parassiti che fuoriuscirono dai loro corpi smisero di brillare e si dissolsero.
«Fantastico, non ne è rimasto neanche uno!» esclamò Taruto, materializzandosi a pochi passi dalla mew mew; lei gli sorrise debolmente, per poi ricadere seduta sul pavimento. Il ragazzino alieno fece sedere accanto a lei una spossata Mew Pudding, che aveva protetto per tutto il tempo.

Kassandra chiuse con rabbia il suo ventaglio. «Non importa,» gracchiò. Tremava per il nervosismo, la cui presenza lasciava intendere quanto in realtà le importasse. «Il mio obiettivo è stato comunque raggiunto,» proseguì con arroganza, «le mew mew sono stremate e in trappola. Hiroyuki! Finiscile!»
Rispondendo all’ordine, l’alieno si teletrasportò a terra ed estrasse le sue sciabole. Mosse un passo nella navata centrale, ma solo per finire imprigionato in una rete generata dalle bolas di Taruto.
«Ora, Kisshu!» gridò.
Lui incrociò i suoi tridenti, generando una scarica di energia bluastra.
Mew Ichigo gli andò in aiuto. «Ribbon Strawberry Surprise!» gridò, evocando gli ultimi residui del suo potere. I due attacchi si fusero insieme e si diressero contro Hiroyuki, colpendolo in pieno e generando una piccola esplosione che distrusse parecchie lastre del pavimento ai suoi piedi.
La guerriera gatto guardò con apprensione la nuvola di povere sollevata dallo schianto. «Ce l’abbiamo fatta…?!» domandò.
Non aveva ancora neanche finito di parlare che Hiroyuki balzò fuori dal fumo. Riapparve fra  Mew Ichigo e Kisshu nel tempo di un respiro, generando uno spostamento d’aria innaturale che li mandò a sbattere in due direzioni opposte; poi spiccò un salto verso Minto.
Lei era ancora a terra, imprigionata dalla ragnatela e priva della sua trasformazione; vide l’alieno estrarre le spade mentre si preparava a colpirla. Non sarebbe mai riuscita a scappare e le sue compagne erano troppo sfinite per accorrere in suo aiuto.
Minto trattenne il fiato per la paura. Era la fine.
All’ultimo momento qualcosa si frappose fra di lei e Hiroyuki, salvandole la vita. La ballerina udì lo stridio delle sue lame che strisciavano contro un oggetto metallico e poi vide l’alieno venire respinto con forza.
La guardia del corpo di Kassandra volò all’indietro e, quando ricadde, strisciò a terra per molti metri; urtò la testa contro l’altare e non si rialzò.
Minto era senza parole.
«Scusa il ritardo,» le disse il ragazzo intervenuto per proteggerla. «Ho avuto qualche problema con quelle ragnatele.»
«W…Will?» sillabò lei, incredula.
Il giovane si inginocchiò davanti a lei e la aiutò a liberarsi.
«Ma davvero, possibile che tu non sappia fare altro che cacciarti nei guai? Non finirò mai di salvarti,» sbuffò lui, spolverandole via gli ultimi rimasugli di tela dorata dal vestito.
Lei non capì se la stava rimproverando o prendendo in giro. In generale, non riusciva a spiegarsi perché quel ragazzo era così forte né come facesse ad apparire dal nulla ogni volta che lei era in pericolo. Che cos’era? Il suo Cavaliere Blu personale?
Se era così, avrebbe dovuto essere felice di averne uno anche lei… ma allora perché si sentiva così agitata?
«Non avere paura,» le disse lui, come intuendo i suoi pensieri. Le sollevò il mento con due dita. «Non permetterò a nessuno di toccarti. E quando la Terra sarà sotto il controllo di Kassandra,» soggiunse con dolcezza, «io ti salverò.»
Subito dopo aver pronunciato queste parole, un portacandele di ferro gli piombò in testa dall’alto.
«Cosa ti fa pensare che, quando io prenderò il pieno possesso di questo pianeta, tu ti salverai?» gli strillò Kassandra, galleggiando un paio di metri più in alto. «Tu, volgare vigliacco e traditore!»
Strofinandosi il punto ferito, il ragazzo le lanciò un’occhiataccia.
«Aspetta, lasciami capire», proseguì furibonda la principessa aliena, «fino ad oggi non ti sei mai fatto vedere quando servivi, ed ora che finalmente stavo per ottenere il mio trionfo da sola, ti permetti di apparire dal nulla e rovinarmi tutto?! Ne ho abbastanza di te!»
«Trionfo?!» Will sollevò la testa per guardarla bene in faccia. «Ma cosa stai dicendo, Kass? E’ così importante per te uccidere una terrestre indifesa?»
«Non hai capito NIENTE!» strillò Kassandra. Incrociò le braccia al petto. «E comunque, se proprio vogliamo dirlo, schiacciare uno di questi miseri esserini sarebbe già una grande vittoria per te, visto che non ti ho mai visto riuscire a finirne uno. Cos’è, hai il cuore tenero?!»
«E’ divertente che sia proprio tu a dirmi che non sono in grado di far nulla, sai?!» replicò il ragazzo dal basso, cominciando a perdere la pazienza. «Se non fosse per quel tuo Hiroyuki…»
«Will,» lo chiamò Minto.
Quel sussurro appena percepibile bastò a farle ottenere la completa attenzione del ragazzo.
Quando lui si girò verso di lei, la trovò in piedi che lo fissava con un’espressione che non riuscì a decifrare.
«Will, tu non sei un essere umano, vero?» gli domandò Minto con voce tremante, dopo un lungo silenzio.
Lui corrugò la fronte e abbassò lo sguardo a terra. «Ho paura di no,» ammise.
Minto trattenne un respiro, sentendo le sue gambe minacciare di cedere. «Cosa… Chi sei, allora?»
Il ragazzo si morse un labbro e indietreggiò di un passo. «Perdonami se non te l’ho detto prima. Ho pensato che, se mi fossi presentato per come sono realmente, saresti fuggita. Ma io… te l’avrei detto, prima o poi.»
Minto non replicò. Continuò a restare lì immobile, in attesa. Spaventata da ciò che sapeva di stare per sentire.
«Non sono Will,» sospirò alla fine il ragazzo, cedendo. «Will non è mai esistito. Sono un abitante del Pianeta Nero,» disse, «e il mio vero nome è Ai.»






+ + +

Note:
* A differenza di quelli di Taruto e Pai, i chimeri di Kisshu sono marchiati con il simbolo di un cerchio circondato da tre piccoli triangoli. Probabilmente lo sapevate già tutti, ma io l’ho scoperto solo poco tempo fa. T___T Son tarda.
* Gli tsuchigumo sono demoni giapponesi dalla forma di ragni giganti.
* Ho un rapporto di terrore/amore con i ragni. Mi fan paura, ma amo l’ingegneria delle loro tele. E’ stato comunque tremendo doverli googlare e poi descrivere. Ci sono stati momenti in cui tremavo... Perché cavolo ho deciso di ficcare dei chimeri ragno??

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Capitolo 40
*** Furto di strategia ***


26 13/12/2014: Tesori belli, originariamente questo capitolo era molto "piatto", per cui ho pensato di aggiungere un po' di azione. Ho anche tagliato alcune parti meno importanti per snellirlo.
Pai gridava e faceva parecchio il pazzo... ho cercato di riportarlo in character. E’ ancora tutto lontano dalla perfezione, ma credo che la situazione sia migliorata rispetto a prima e quindi sono soddisfatta anche così.
In questi giorni ho battuto un po’ la fiacca con la fanfic perché ho cercato di far innamorare di me tutti i volatili di Hatoful Boyfriend studiato. Studiato tanto, tantissimo. Oh dottor Iwamine, mio sexy e perverso fagiano grasso, il mio cuore è tuuuuuo~ ♥ ♥ ♥
Ah e mi sono sempre dimenticata di caricarla, ma questa è l’immaginina di Kassidiya. L’ha fatta sempre MewLeemoon. :3

Diya-sama, eri così figa...! Chissà se un giorno tornerai.

- Capitolo 38: Furto di strategia -

 
Nel tentativo di sfuggire per l’ennesima volta ai suoi inseguitori, Pai si rintanò nella nicchia buia di un corridoio del Palazzo.  Respirava affannosamente; le gocce di sudore gli scivolavano giù dalla fronte bagnata e inumidivano i capelli ai lati del suo viso.
Aveva appena scoperto che il cristallo artificiale che stava usando per aggirare i sensori si stava scaricando, rendendogli sempre più difficile l’utilizzo dei suoi poteri.  Non appena si fosse esaurito del tutto, per lui sarebbe stata la fine.
Doveva pensare al più presto ad un modo per tirarsi fuori da quella situazione, ma era stanco e confuso e non aveva ancora le idee ben chiare su cosa fare. Prima di morire, Kell gli aveva detto di andare sul suo terminale, ma per farlo Pai doveva superare la sorveglianza e raggiungere il Laboratorio.
Attualmente la cosa era, se non impossibile, quantomeno improbabile.
“Puoi sempre rinunciare e scappare,” gli sussurrò maliziosa una parte della sua mente. “In fondo, chi ti dice che Alan non ti abbia mentito?”
Pai stirò le labbra in un gesto di stizza e si portò una mano sul viso, stringendo. «E’ per aver dubitato di lui che adesso mi ritrovo qui,» ricordò sottovoce a sé stesso.
“E dunque, sei stato tu la causa della sua morte?”
«Basta,» mormorò Pai, incapace di controllare i suoi pensieri.
“Sai bene che è così. E sai bene di non aver salvato la tua famiglia, ma solo di averla mandata a morire chissà dove, per mano di chissà quale demone. E’ per questo che volevi farla finita in quelle segrete. Hai deciso di nuovo di ignorare la tua logica e di seguire i sentimenti, proprio come quando hai salvato quelle terrestri da Profondo Blu. Ma questa volta è diverso, perché non sei morto subito dopo aver preso la tua decisione – no, questa volta sei costretto ad affrontarne le conseguenze.”
Pai deglutì, cercando di ignorare quell’insana voce interiore. Sapeva che aveva ragione, ma quello non era proprio il momento di lasciarsi prendere dal rimorso.
Riuscì a distogliere l’attenzione dai suoi pensieri solo quando avvertì delle presenze fuori dall’angolo buio in cui si nascondeva.
Sperò che, chiunque fosse, proseguisse senza accorgersi di lui; ma purtroppo così non fu e, quando Pai sbirciò nel corridoio, scoprì che non solo erano due guardie, ma anche che, a giudicare dal modo attento con cui esaminavano i dintorni, erano guardie che stavano cercando lui.
I suoi sospetti vennero confermati quando sentì dire da una di loro, «E’ qui. Riesco a sentire il suo odore.»
«Sì, tu sei sempre stato strano,» commentò l’altra. «Ehi, Ikisatashi!» gridò poi a gran voce. «Ovunque tu sia, esci fuori! ‘Noi’ abbiamo quest’ala del Palazzo sotto controllo. Non puoi sfuggirci per sempre!»
Pai tornò nella nicchia. Se le cose stavano così, una strategia di fuga non era più perseguibile; doveva aprirsi un varco con la forza.
Di colpo, nel corridoio scese il silenzio. Pai comprese che quei due dovevano aver scoperto il suo nascondiglio.
“Maledizione,” si disse con disappunto.
Un istante dopo, i due scagnozzi di Shiroi apparvero di fronte alla nicchia e puntarono le armi al suo interno, ma la trovarono deserta. Si guardarono l’un l’altro disorientati poco prima che Pai piombasse loro addosso dall’alto, mettendoli fuori combattimento in un secondo.
Un terzo membro dell’Ordine si materializzò alle sue spalle nel tentativo di tendergli un agguato, ma Pai estrasse il ventaglio e lo stordì con il suo attacco di vento. Subito dopo avvertì, alla sua destra, il sibilare di due colpi di arma da fuoco.
Il primo, sparato con precisione millimetrica, gli perforò il ventaglio che stringeva nella mano destra, mentre il secondo lo prese al polso sinistro. Pai non avvertì alcun dolore ma, quando guardò il punto colpito, scoprì che su di esso vi era arrotolata una spessa catena fatta di una strana energia solida e luminescente.
Non aveva mai visto una cosa del genere. Che razza di restrizione era quella?
«Sei davvero degno della tua fama, Pai Ikisatashi,» osservò sardonica una voce femminile a molti metri di distanza da lui. Apparteneva all’aliena che, nell’anticamera delle Segrete, aveva provato a fermarlo. Aveva la sua pistola in una mano, mentre nell’altra indossava un guanto metallico da cui pendeva l’inizio della catena che lo stava imprigionando, impedendogli di fuggire.
L’aliena si fermò a tre metri da lui e rinfoderò la pistola. «Prima abbiamo iniziato con il piede sbagliato, per cui direi di ripartire da zero,» disse. «Il mio nome è Tinga Jiuniang. Il Sommo Shiroi, Maestro dell’Ordine di Ra-Hu, ha espresso il desiderio di parlare con te. Posso accompagnarti da lui mentre ti racconto quanto è ridicolo il nuovo abito da giorno della nobile Castella, oppure posso ridurti in fin di vita e trascinarti di peso mentre sei svenuto. A te la scelta.»
Pai squadrò in silenzio il corpo agile e perfettamente proporzionato di Tinga. «Bella, giovane e armata di catene. Quel vecchio maniaco non si smentisce mai,» commentò con voce piatta.
«Cosa stai insinuando?! Io sono qui solo perché ho abbracciato la causa dell’Ordine!»
«Infatti non è te che stavo disprezzando.»
«Razza di…»
Innervosita, Tinga tirò a sé la catena, costringendo Pai a fare un passo in avanti, ma lui si gettò in ginocchio e con una velocità fulminea fece apparire l’arco di Kell, tese la corda e lanciò la freccia che si era prontamente materializzata contro il guanto di Tinga.
Colpì il primo degli anelli della catena e lo ridusse in pezzi, spezzando il collegamento; l’aliena cacciò un gridolino sorpreso e si mosse all’indietro, lasciando a Pai la possibilità di girare i tacchi e fuggire.
Tinga impiegò tre secondi netti per riprendersi dallo stupore. «I…IKISATASHI!» ruggì, togliendosi il guanto e scaraventandolo via.
Correndo nei corridoi, Pai riuscì a mettere parecchie decine di metri fra lui e Tinga, ma non appena mise piede nell’atrio deserto di una nuova ala del Palazzo fu costretto a teletrasportarsi di nuovo per evitare di essere ridotto a brandelli da una scarica dei suoi colpi di pistola. Lei lo aveva anticipato, materializzandosi lì, e lo aveva aspettato al varco. Pai non aveva pensato che l’avrebbe inseguito.
Ricominciò a correre ma si accorse che lei gli teneva dietro, fermandosi a tratti per sparargli contro. I suoi attacchi non erano mortali – mirava alle gambe o alle braccia, ma in modo così preciso che lui dovette usare tutta la sua abilità per schivarli. Non erano proiettili, ma piccoli raggi laser: ogni volta Pai li evitava cozzavano contro un muro o una suppellettile, formando un piccolo cratere.
Ad un certo punto, Tinga rischiò persino di colpire un’ignara servitrice di passaggio, che strillò di paura e si rannicchiò in un angolo.
«Pensavo che foste un Ordine segreto!» esclamò Pai mentre si lanciava giù da una immensa scalinata di pietra nera, atterrando al piano inferiore. «Ragazza, sono abbastanza sicuro che se distruggi il Palazzo c’è un’elevata probabilità che vi  scoprano.»
Tinga lo puntò dalla cima delle scale. «Non distruggerei nulla se tu smettessi di scappare, idiota!» gli gridò in risposta, ricominciando a sparare.
Pai fu costretto a gettarsi di lato per sfuggire all’attacco. Non aveva intenzione di sprecare altre energie lottando, ma quella donna era estremamente aggressiva e più attirava l’attenzione, più il suo piano di raggiungere inosservato il Laboratorio svaniva.
Doveva neutralizzarla.
C’era una porta lì vicino: l’ingresso delle cucine. Pai la sfondò e si gettò dentro, e Tinga ovviamente lo seguì; sollevò la pistola senza preoccuparsi di tutti i servitori che in quel momento stavano affollando la sala, ma Pai le si teletrasportò proprio di fronte, cogliendola di sorpresa. Diede un pugno al braccio con cui reggeva la pistola e gliela fece perdere; poi, prima che potesse reagire, fece scattare la mano sinistra dietro la sua schiena e la tirò a sé come per abbracciarla, mentre con la mano destra le spinse all’indietro una spalla: quella mossa combinata la fece squilibrare, e lui la finì con un calcio allo stomaco che la spedì contro un mobile pieno di tegami di pietra, che le si rovesciarono addosso.
I poveri cuochi presenti nella cucina si lanciarono sguardi stupefatti.
«Ti prego di riferire al Sommo Shiroi che declino il suo invito,» le disse Pai, ansimando leggermente. Si smaterializzò un’ultima volta mentre Tinga, sconfitta, perdeva i sensi.

- - -

Stremato a causa dell’uso esagerato del cristallo, che era ormai tornato ad essere una semplice pietra, Pai finì per ricomparire in un luogo casuale; aveva posto così poca attenzione nel teletrasporto che precipitò dall’alto e battè la schiena contro un durissimo tavolino di pietra, le cui gambe sottili cedettero sotto il suo peso.
Si rimise in piedi a fatica, massaggiandosi le parti colpite.
In quel mentre, una tenda venne tirata e un rettangolo di luce filtrò nel buio del minuscolo stanzino in cui era capitato. Pai si ritrovò faccia a faccia con un’aliena molto giovane, probabilmente un’ancella. Era molto carina, ma aveva un aspetto stanco e afflitto. Indossava una tunica lunga fatta di un pesante tessuto argentato, che sul suo pianeta rappresentava il lutto.
Rimasero a fissarsi imbarazzati finché lei, senza dir nulla, lo prese per la mano e lo tirò via di lì.
Lui si lasciò guidare docile in quello che riconobbe essere l’Appartamento Imperiale, il luogo in cui aveva vissuto Kassidiya. Era molto diverso da come lo ricordava: adesso non c’erano più né il rosso delle pareti né il  brillio di oggetti preziosi, ma ogni cosa era coperta da un panno d’argento. I grappoli di lampade, invece della vivida luce che fa brillare l’oricalco, diffondevano un tetro sentore di morte.
I muri, adesso, erano grigi.
Pai venne condotto vicino al letto della defunta, nascosta alla vista da pesanti tendaggi come era usanza sul suo pianeta. Tutt’intorno erano stati disposti a terra dei grossi cuscini - sempre argentei - occupati dalle ancelle, che vi erano sedute sopra in maniera composta. Dovevano essere una decina in tutto; quando Pai gli fu abbastanza vicino alcune gli lanciarono degli sguardi in tralice… ma non parlarono, perché non sapevano cosa era successo nel resto del Palazzo e soprattutto perché era vietato aprir bocca durante la veglia funebre.
Pai si inginocchiò meccanicamente su uno dei cuscini, gli occhi fissi sul letto. Si sentiva a disagio. Sapeva di dover andar via da lì al più presto, ma non vi riuscì.
Aveva già vissuto questa scena in passato, quando era poco più di un ragazzino, e il solo ripensarci lo faceva star male.
Era stato quando sua madre, dopo una lunga e terribile malattia, era morta.
Lui era rimasto per tre giorni interi a vegliarla ma, alla fine, era stato trascinato via a forza dal suo odioso patrigno. Mentre veniva tirato via per le braccia, Pai aveva visto dei nibiriani entrare nella stanza e scostare le tende del letto di sua madre per portarla via. L’aveva rivista per un attimo, poco prima che scomparisse dal suo campo visivo: aveva il volto livido eppure era ancora bellissima. In quell’occasione gli era sembrato che potesse aprire gli occhi da un momento all’altro, ma quella era stata l’ultima volta che Pai l’aveva vista.
L’ultima.
Depresso dal pesante silenzio che aleggiava nell’Appartamento e dall’angoscia dei suoi ricordi, l’alieno venne preso di colpo da un desiderio assurdo e del tutto illogico: un’ultima volta. Voleva vedere Kassidiya un’ultima volta.
Guardare il volto di un Sovrano defunto era una violazione di gravità 1… ma in fondo, lui ormai era già spacciato, no?
Rimettendosi in piedi, attirò l’attenzione delle ancelle sonnecchianti e fece loro cenno di uscire. Le donne sembrarono accogliere la richiesta con una certa riluttanza; quella accanto a lui gli sfiorò una spalla con fare consolatorio. Lui neanche la considerò, per cui lei si alzò ed eseguì l’ordine ricevuto senza fiatare.
Quando fu ben sicuro di essere solo, Pai si diresse verso il letto con passi decisi, chiedendosi nel contempo se era  davvero pronto a sopportare la nuova dose di tormento che stava per andarsi ad aggiungere a quello in cui già annegava.
In verità non voleva davvero fare tutto questo, ma il suo corpo era come entrato in una sorta di modalità pilota automatico. Sfiorò le tende: ormai bastava un solo gesto per spalancarle. Bramava di farlo, ma allo stesso tempo la sua parte razionale si opponeva a quel gesto. Rimase lì fermo, combattuto. Era forse diventato matto?
Alla fine spinse via le tende così bruscamente che quelle per poco non si strapparono.
Quando però vide cosa c’era dietro di esse, sgranò gli occhi e rimase senza fiato.
“Che cosa…  sta succedendo… in questo Palazzo?” si domandò fra lo sconcerto, muovendo alcuni passi indietro.
Uscì dall’Appartamento ancora scioccato. Ad aspettarlo fuori c’erano le ancelle. Due piangevano, e Pai dovette usare tutta la sua forza per trattenersi dal rider loro in faccia. Le guardò rientrare mestamente nella stanza. La più giovane rimase ferma sull’uscio: cercava di sorridergli, ma sembrava indecisa e in qualche modo imbarazzata. Lui rimase a guardarla.
All’improvviso, la ragazza scorse qualcosa dietro le spalle di Pai e, intimorita, si infilò rapidamente nella stanza, serrando la porta dall’interno.
Colpito da quel comportamento, Pai si girò indietro per capire cosa l’aveva spaventata. Impallidì: in mezzo al corridoio illuminato, a pochi passi da lui, c’era il Consigliere Shiroi.
In un primo momento, Pai pensò che fosse insieme ai suoi folli tirapiedi, ma fu sorpreso nel realizzare che era solo.
Catturò lo sguardo malevolo che Shiroi aveva riservato sempre solo per lui; era lo stesso che gli aveva lanciato quando lo aveva afferrato e allontanato dal letto mortuario di sua madre.
La rabbia gli montò istantanea al ricordo di tutto ciò che Shiroi, il suo patrigno, gli aveva fatto in passato, ma in qualche modo riuscì a reprimerla.
«Perché sei venuto qui?» gli domandò in tono aspro. «Quella femmina non ti ha riferito il mio messaggio?»
«Figliolo, sarei lieto se non scappassi più,» replicò lui con calma, nascondendo le mani nelle lunghe maniche della sua tunica. «Sto avendo parecchi problemi a spiegare ai membri del Consiglio il… battibecco che hai avuto con Jiuniang.»
«Non darmi ordini. Non voglio avere nulla a che fare con te!» ribatté Pai con voce più alta di quanto avrebbe voluto.
«Ti prego di parlare in tono più basso. Sai, oltre questa porta riposa un morto.»
A sentire la risposta di Shiroi, Pai non riuscì a trattenere una risatina nervosa che era quasi un ghigno. «Quindi credi che non abbia scoperto la farsa?» Il sorriso forzato si storse in una smorfia di rabbia. «Quel letto è vuoto. Parla, dov’è lei? So che è ancora viva. L’avete rapita?»
Il Consigliere lo fissò profondamente. «Kassidiya è esattamente in quel letto.»
«Tu menti.»
«L’ho fatto molte volte, ma questa volta non è così.»
I muscoli di Pai erano tesi per la rabbia.
«Pai Ikisatashi,» sussurrò Shiroi. «Ricordo tutto di te. Già quando eri un bambino, tu eri irrimediabilmente perduto. Allora eri un codardo perché mi odiavi ma non avevi il coraggio di dirmelo in faccia; ti limitavi a guardarmi come se volessi che Ra in persona venisse a scaraventarmi nel buio. Dopo la morte di tua madre io sarei rimasto con te, con Kisshu e con quell’esserino appena nato di tuo fratello per crescervi e proteggervi, ma tu facesti talmente tanto che alla fine fui costretto ad andarmene; così ti sei ritrovato a dover sopportare il peso di una famiglia. Alla fine sei riuscito a farcela da solo, ma ti sei caricato così tanto di responsabilità da finire per sopprimere tutto ciò che avresti potuto essere.»
Pai lo fissò malevolo, ma non raccolse la provocazione.
«Avevi delle grandi potenzialità,» riprese l’anziano, «ma hai finito per vivere nella miseria, dedicando la tua vita ad obbedire invece di comandare. Finché non c’era pericolo, tutto questo poteva andare; ma ora non posso più accettarlo. Ho bisogno che tu passi dalla mia parte e prenda il comando. Ho bisogno che diventi un Cavaliere dell’Ordine di Ra-Hu.»
«Cosa…?» Il giovane spalancò gli occhi, spiazzato da quella richiesta. «Sei…pazzo,» sibilò. «Perché mai dovrei fare una cosa del genere?»
«Perché il tuo migliore amico lo ha fatto. Lui ha deciso di compiere questo passo, ottenendo in cambio il potere che giaceva dimenticato dentro di lui, così come recitano le antiche profezie. Tu ora sei debole, Pai; ma se passassi dalla mia parte, potresti essere in grado di salvare coloro che ti sono cari, oltre che la tua gente. Devi solo dirmi di sì,» insistette il Consigliere, gli occhi che scintillavano pericolosamente. «D’altro canto l’alternativa, per te, è continuare a nasconderti mentre la tua famiglia viene sterminata sul Pianeta Azzurro.»
Pai aggrottò la fronte, respirando forte attraverso il naso. «Conosco i metodi con cui agisci,» mormorò dopo alcuni secondi. «Hai manipolato il mio amico, ma non riuscirai a fare lo stesso con me. E soprattutto, io non voglio che la Terra venga distrutta.»
Shiroi sospirò. «Vedo che continui a non voler ascoltare le mie ragioni. Fai ciò che vuoi, allora. Scappa, nasconditi come un vigliacco. Io, purtroppo, adesso devo tornare al Consiglio: stiamo discutendo di una questione estremamente delicata e… ah, ti informo che, finché non avremo concluso, l’intero Palazzo ha ricevuto l’ordine di non toccarti.» Gli lanciò un’ultima occhiata. «Se cambierai idea, sai come trovarmi.»
Detto questo, incrociò le braccia e si smaterializzò, lasciando solo Pai.
Lui si chiese che cosa passava per la mente di quel vecchio. Lo aveva davvero lasciato andare, o era un trucco?
Rimase lì fermò per alcuni secondi, domandandoselo, ma alla fine diede le spalle al portone dell’Appartamento di Kassidiya e andò via anche lui.
Deciso a concludere la sua missione, si impose di non pensare alle parole subdole di Shiroi, anche perché era abbastanza sicuro che fossero tutte menzogne. Dovette però ammettere che non gli aveva mentito sull’annullamento del suo ordine di cattura perché, avanzando nei corridoi, incrociò due volte delle guardie che lo puntarono e borbottarono fra di loro, ma lo lasciarono comunque passare.
Raggiunse senza difficoltà il Laboratorio e si inoltrò nel settore in cui si trovava la sala ricerche di Kell.
Comprese che c’era qualcosa che non andava ancor prima di raggiungere la porta d’ingresso: la grossa entrata in metallo ruvido, situata alla fine di un largo corridoio abbastanza isolato dal resto dell’Ala Scientifica, era infatti  chiusa e una guardia armata vi stazionava davanti.
Sul pavimento in pietra chiara lavorata, a partire dalla soglia, si dipanavano due spesse e lunghe scie di color rosso bruno; proseguivano ondeggianti per molti metri, schiarendosi sempre di più sino a svanire.
Incuriosito, Pai si chinò e ne sfiorò una con la punta dei polpastrelli, sporcandoseli.  Non tardò a capire che a colorare di rosso il pavimento non era altro che sangue.
Con il cuore in gola senza alcun motivo apparente, l’alieno si rialzò e superò la guardia, spalancando la porta del laboratorio; sbiancò di fronte alla scena che gli si parò davanti.
Morti, erano tutti morti.
Le luci erano spente, ma i suoi occhi riuscirono lo stesso a scorgere i cadaveri allineati a terra, coperti pietosamente da dei teli. L’aria puzzava di sangue e di fumo e il silenzio era spaventoso.
Che cosa diavolo era successo  lì dentro?
Orientandosi in base a ciò che ricordava, Pai raggiunse il terminale di Kell. Crollò davanti al monitor quadrangolare, così simile ai computer terrestri, ignorando le tracce del massacro che lo circondava.  Avviò la macchina, che prontamente fece comparire sullo schermo piatto una riga vuota: era la richiesta di una parola chiave necessaria per accedere alla banca dati, ma Pai non aveva idea di quale fosse.
Possibile che Kell si fosse dimenticato di aver protetto il suo terminale? L’alieno si mordicchiò un labbro, ragionando. Il suo amico non era mai stato sbadato: era uno scienziato preciso ed estremamente pratico.
Ripensò allora a ciò che gli aveva sentito dire, cercando di capire cosa gli stava sfuggendo.
«Al Laboratorio. Sul mio terminale… capirai tutto,»  aveva detto poco prima di spirare, «Ikisatashi.»
Il suo cognome era stata la sua ultima parola, ma Alan non lo aveva mai, mai chiamato per cognome. 
Aveva speso il suo ultimo respiro per dargli la password.
Amareggiato, Pai digitò le lettere del suo cognome e le inviò all’elaboratore, che le accettò. Probabilmente era stato preimpostato, perché avviò in automatico uno strano video.
L’immagine sul monitor mostrava Kell che, seduto di profilo, era assorto nel suo lavoro.
Si trovava nella sua camera da letto. L’ambiente era buio e caotico come al solito, e osservando l’avanzamento dei progetti che si intravedevano sui monitor nello sfondo, Pai comprese che la registrazione era vecchia di alcune settimane.
A quel tempo, il suo amico non lo aveva ancora cacciato via dalla sua stanza e lui aveva avuto la possibilità di aiutarlo nel suo lavoro.
Nella registrazione, quando lo scienziato si rese conto di essere filmato, si tolse i suoi occhialini da lavoro e si rivolse allo schermo. Gettò la schiena sulla spalliera della sedia e incrociò le braccia al petto.
Pai lo vide contrarre le labbra, fissare il vuoto  per alcuni secondi ed infine trarre un profondo sospiro.  “Credimi, amico mio,” disse, “mi sento davvero ridicolo nel pronunciare queste parole, ma le statistiche che ho elaborato mi suggeriscono che è necessario. Non ho molto tempo, per cui ascoltami con attenzione: se stai vedendo queste immagini, vuol dire che sono morto.”
Dopo di ciò Kell cambiò tono e continuò a parlare, e Pai lo ascoltò. Ogni frase urlata dallo scienziato era più scioccante della precedente e, mentre osservava le immagini scorrere sullo schermo e sentiva i suoi singhiozzi, Pai capì perché si era comportato così, perché aveva deciso di non parlargli; perché non aveva potuto far altro che sacrificarsi e morire in quel modo assurdo.
Quando la registrazione terminò Pai scattò in piedi, nauseato. Il cuore gli batteva furiosamente nel petto ed era così sconvolto da non accorgersi che stava tremando. Impiegò molto tempo per assorbire e collegare con gli avvenimenti delle ultime ore quanto gli era stato appena rivelato; non appena successe, si sentì stranamente vuoto.
Non aveva più bisogno di interrogarsi su nulla, perché ormai finalmente ogni tassello era andato a posto.
Ora gli era tutto chiaro, persino il significato del suo sogno ricorrente.
Ed anche quanto profondamente era stato ingannato.
Pai cancellò la registrazione e spense il terminale del suo amico. E poi, pianse.

- - -

Quando Pai si decise ad uscire dal Laboratorio, le Luci esterne erano ormai già state spente.
Si inoltrò per i passaggi fiocamente illuminati del Palazzo, deserto a quell’ora tarda. Non seppe dire per quanto avesse camminato, ma ad un certo punto vide sbucare una coppia di guardie dal fondo del corridoio anonimo che stava percorrendo.
Una di loro lo riconobbe da lontano e fece un verso molto simile al ringhio di un animale selvatico.
«I-KI-SA-TA-SHI,» scandì furiosamente Tinga. Estrasse la sua pistola e la puntò contro di lui con tale collera che la guardia accanto a lei se la diede a gambe per la paura.
Pai si fermò e sollevò entrambe le mani in segno di resa. «Quindi, com’era l’abito di quella nobile?»

- - -

La Sede dell’Ordine di Ra-Hu era all’interno del Palazzo. Considerato che a quanto pareva un quarto delle guardie imperiali erano segretamente suoi membri e che il Consigliere dell’ex-Sovrana ne era il Maestro, a Pai non parve poi così bizzarro.
La vera bizzarria, in verità, era che la Sede non era altro che una stanzetta grigia, umidiccia e non molto grande, da cui si accedeva tramite una scalinata nascosta alla vista dall’ologramma solido di una parete.
Mentre scendeva uno dopo l’altro i gradini di pietra, Pai lanciò un’occhiata in giro: la stanza non aveva finestre, ma era ben illuminata. Un lato era completamente ricoperto da monitor, mentre sugli altri due erano montati decine di scaffali ricolmi di teschi, strumenti, papiri e manoscritti antichi. Al centro vi era un tavolo ovale di pietra nera che, in quel momento, era occupato da stampe di progetti: Shiroi le stava esaminando con attenzione in compagnia di due gemelli che con tutta probabilità avevano l’età di Taruto.
A differenza loro, il Consigliere non parve sorpreso di vedere Pai.
«Ho come l’impressione che tu ora sia disposto ad ascoltarmi,» osservò, distogliendo a malapena gli occhi dai progetti.
«No. Sono qui solo per avere quel potere di cui parlavi,» ribatté lui.
Shiroi inarcò un sopracciglio, dandogli la sua completa attenzione. «E perché mai?»
«Perché voglio vendetta.»
«Inaspettato, da parte tua,» ammise il Consigliere. «Ma suppongo sia un motivo valido come un altro.»
Allontanatosi dal tavolo, raggiunse Pai ai piedi della scalinata e si fermò a pochi passi da lui.
«Non ho bisogno di darti nessun potere. E’ già dentro di te. Mi limiterò a risvegliarlo,» gli disse, tendendo il palmo della mano aperto nella sua direzione.
Il gesto era identico a quello necessario ad estrarre l’energia vitale di un essere vivente, e per un attimo quella improvvisa consapevolezza spaventò Pai. Rimase però immobile, anche quando l’anziano chiuse gli occhi e cominciò a mormorare delle parole incomprensibili.
All’inizio non successe nulla, poi però la polvere ai piedi di Pai si sollevò in un piccolo vortice circolare. Qualcosa iniziò a formicolare nelle sue ossa. Shiroi aggrottò la fronte per lo sforzo e la concentrazione e Pai avvertì un’ondata di qualcosa cercare di penetrare dentro di lui. Era un qualche tipo di potere spirituale a lui sconosciuto: fluiva nel suo petto con lentezza e difficoltà perché gli lui stava istintivamente impedendo l’accesso. Respirò forte e si costrinse ad abbassare le sue difese. Non appena lo fece, il potere si riversò dentro di lui con forza,  impossessandosi del suo corpo e di ogni pensiero e facendolo pentire di averlo lasciato entrare.
La sensazione era devastante, avrebbe voluto contorcersi e gridare ma non riuscì a muovere un muscolo perché era completamente paralizzato.
L’onda spazzò via ogni cosa e raggiunse la parte più nascosta dentro di lui, un angolo della mente di cui Pai ignorava persino l’esistenza. Ci fu uno strappo. Qualcosa dentro di lui venne lacerato.
Una tempesta di ricordi, suoni, voci e immagini gli riempì la testa con violenza tale da fargli provare dolore. Erano memorie confuse di esperienze che aveva vissuto, ma non in questa vita; conoscenze perdute e accessi a canali di energia che non aveva mai sospettato di possedere. Era ciò che voleva ma era troppo, ed era troppo improvviso.
Si sentì impazzire, ma lottò per mantenere il controllo.
Quando l’onda si ritirò, Pai crollò sulle ginocchia, il respiro affannato e le pupille completamente dilatate.
Shiroi abbassò la mano. «Bentornato, Cavaliere di Ra,» lo salutò, chinando appena la schiena con sarcasmo abbastanza palese. «Organizzerei una festicciola in tuo onore, ma non credo apprezzeresti.»
Pai lo ignorò. Si alzò in piedi, barcollando leggermente. Non sapeva dire se stava bene o no: il suo corpo era leggero e la testa sembrava volergli scoppiare.
«Cosa… significa… questo?» domandò confuso, con voce sofferente.
«Ricordi delle tue vite passate, un effetto collaterale del Risveglio. Non dar loro troppo peso, o finiranno per schiacciarti.»
Pai aprì la bocca per parlare di nuovo, ma non riuscì a dire nulla. Formulare un pensiero da trasformare in parole era di colpo diventata un’impresa parecchio complicata. Raggiunse il bordo del tavolo e vi poggiò sopra i palmi delle mani. Rovesciata la testa in avanti, inspirò ed espirò con fatica, lottando per respingere la massa ingarbugliata di sentimenti e ricordi che gli stavano offuscando la mente. Sapeva che, se avesse cominciato a riviverli, sarebbe davvero impazzito.
Gli ci volle una gran forza di volontà e molti lunghi minuti, ma alla fine riuscì a trovare un qualche equilibrio.
«S-Stai… Stai bene?» gli domandò timida uno dei due gemelli, la ragazzina, quando Pai risollevò il viso.
«Devo andare sulla Terra,» le rispose lui con urgenza. «Adesso.»
«Saremmo potuti andare tutti, se non avessi distrutto il passaggio,» si intromise l’altro gemello che, come la sorella, aveva assistito a tutta la scena in religioso silenzio dal suo posto all’altro capo del tavolo.
«Ti porgo le mie scuse,» gli disse grave Pai. «Ero stato deviato.»
Nel pronunciare quell’ultima frase, il sentimento di impotenza e frustrazione che aveva provato quando era nel Laboratorio ricominciò a scuotergli l’animo. Voleva vendicarsi. Ora che aveva il potere, avrebbe potuto vendicarsi... se non fosse bloccato sul Pianeta Nero.
Shiroi rilasciò un teatrale sospiro. «Se vuoi andare sul Pianeta Azzurro, credo di poterti aiutare. Seguimi,» gli disse semplicemente, iniziando poi a risalire la scalinata di pietra.
Pai inarcò le sopracciglia dubbioso, ma eseguì quell’ordine. Uscì dalla Sede insieme al Consigliere e passò davanti a Tinga, rimasta fuori di guardia, senza dirle una parola.
Lei gli lanciò un’occhiata obliqua ma non si mosse.
Di nuovo, Pai si ritrovò nella pace dei mille passaggi del Palazzo. Mentre camminava, guardava davanti a sé le spalle dell’anziano che aveva tanto odiato… e a ragione, per quanto lui ne dicesse. Shiroi sembrava calmo e innocuo, ma chi lo conosceva bene sapeva che era uno stratega crudele che trattava i suoi sottoposti come pedine da manovrare a suo piacimento, marionette da gettare via quando non gli servivano più.
Pai non aveva mai sopportato l’idea di crescere accanto a qualcuno del genere e non aveva mai capito come sua madre, dopo la scomparsa di suo padre, avesse potuto innamorarsi di lui.
Tra le altre cose, era stato Shiroi a spingerla ad adottare Kisshu. Lo aveva presentato in casa spacciandolo per suo parente rimasto orfano ma una notte, origliando una conversazione, Pai l’aveva sentito dire che quel bambino era uno dei figli degli Enki sfuggito miracolosamente alla morte; aveva perso la memoria per lo shock subito e doveva essere tenuto nascosto perché tutti lo credevano scomparso.
Poco dopo, Shiroi l’aveva scoperto ad origliare: l’aveva picchiato fino a farlo sanguinare e gli aveva ordinato di non riportare a nessuno ciò che aveva sentito; in caso contrario, l’avrebbe ucciso. E lui, piangendo, non aveva osato protestare.
Pai era debole e stupido da bambino. Non gli piaceva essere debole. Per questo, crescendo, si era allenato e aveva studiato così duramente.
I due alieni raggiunsero l’Appartamento di Kassidiya e si fecero aprire la porta. Una volta dentro, Shiroi batté due volte le mani, ordinando alle ancelle di andar via. Due anziane brontolarono parecchio per quella nuova intrusione, ma le altre rivolsero al Consigliere uno sguardo d’intesa. Erano tutte dell’Ordine, realizzò Pai in quell’istante.
Non stavano vegliando, stavano proteggendo.
Non appena furono soli, Shiroi scostò le tende del letto di Kassidiya: era vuoto, come Pai aveva scoperto prima. Con un gesto esperto, il Consigliere tirò fuori da un involto di coperte un oggetto luccicante che Pai ricordava di aver già visto innumerevoli volte: il medaglione a forma di croce di Kassidiya.
Glielo porse. «In questo gioiello è incastonata la pietra dell’antico kuruvinda. Devi sapere che quella che tu credevi essere Kassidiya…»
«Lo so,» lo interruppe Pai. «Il mio amico… me lo ha rivelato.»
«Bene, almeno ha fatto una cosa utile alla fine.»
Pai strinse i denti, ma non replicò. Prese fra le mani il gioiello: quella minuscola gemma di kuruvinda - o rubino, come lo chiamano i terrestri - racchiudeva una quantità immensa di energia che Kassidiya, nel corso della sua breve e finta esistenza, aveva inconsapevolmente catalizzato.
«Credo che tu possa sfruttarne un po’ per amplificare la tua capacità di teletrasporto…» borbottò Shiroi. «Dovresti riuscire a ricollegarti al contatto planetario e a raggiungere la Terra.»
Pai osservò la gemma, che era calda fra le sue dita. «Questo non fa parte della profezia,» gli fece notare.
«Sono sicuro che anche se te lo vietassi, faresti comunque di testa tua,» bofonchiò lui in risposta, scuotendo la testa. «Veloce, prima che cambi idea.»
Pai strinse il gioiello, che iniziò ad emettere delle scintille rossastre. Si concentrò sull’idea di smaterializzarsi, facendo appello alle sue capacità. Gli parve molto più facile del solito. «Non ho intenzione di ringraziarti,» disse all’anziano.
«Non è un problema. Non avrei comunque dato alcun peso alle tue patetiche frasi,» replicò lui, guardandolo svanire in un turbine color rosso brillante.





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NB:
L'efficacia delle varie mosse di combattimento presenti in questo e nei prossimi capitoli è stata sperimentata di persona dall'autrice della fanfic.
(Io ho la vitalità di una patata, ma il mio fidanzato è appassionato di karate/MMA/tiro con l'arco/combattimenti all'arma bianca/spada medioevale etc. e spesso mi usa come compagno di allenamento.)
(E visto che ormai come le gazzelle percepisco il pericolo e fuggo prima ancora che lui possa avvicinarsi, ultimamente fa finta di volermi abbracciare ma in realtà mi afferra e mi fa una mossa a tradimento. Un giorno di questi una ginocchiata laggiu' in fondo non gliela toglie nessuno.)

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Capitolo 41
*** Cosa sei veramente ***


26 02/01/2015: Ahhhh il mio vecchio pc mi sta dando un sacco di problemi, ed essendo la sessione invernale alle porte, devo dire che ha scelto davvero il momento peggiore per fare le bizze, sigh. T_T
Ma tralasciando... approfitto di questo spazio per lasciarvi i miei auguri di felice anno nuovo e [questo link] che rimanda alla track che mi ha tenuto compagnia mentre scrivevo le ultime righe del capitolo sono una brutta persona lo so. Voglio condividerla con voi perché trovo che sia un walzer davvero meraviglioso.
(Adoro questa playlist.)
Per quel che riguarda la fanfic... mi sono accorta che ormai la revisione è quasi terminata. Ne sono felice perché attualmente, essendo vincolata dalla trama che avevo iniziato a sviluppare in passato, quando sono di fronte a dei punti particolarmente critici non mi resta che cercare di "mettere una pezza". Citando Chris (?!), tutto ciò è molto frustrante - anche se ammetto che è un buon esercizio mentale.
Una cosa su cui però non riesco proprio a passare è la lunghezza della fanfic. Mi sento quasi in colpa di averla ideata così lunga, e dall'altra parte piu' vado avanti piu' trovo complesso scrivere perché devo tener ben presente tutto quello che è avvenuto in passato. 
Ultimamente - forse a causa di tutto questo - sto provando a tratti un desiderio divorante di cestinare tutto, ma per ora riesco a tenere il bastardo sotto controllo. ¬_¬



- Capitolo 39: Cosa sei veramente -

 
Il rombo di un tuono riecheggiò all’interno della chiesa in cui Kassandra aveva imprigionato le mew mew e gli alieni, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a battere rumorosamente contro le vetrate.
Di lì a poco, lì fuori si sarebbe scatenata una tempesta, ma nessuno dei presenti vi diede peso.
«Sono un abitante del Pianeta Nero,» aveva appena detto il giovane che Minto aveva sempre creduto essere un umano, «e il mio vero nome è Ai.»
Muta e sbigottita, la ragazza rimase immobile a fissarlo. Dopo gli ultimi avvenimenti, una parte di lei si era in qualche modo aspettata questa risposta; ma, nonostante questo, non voleva comunque crederci. In fondo, si disse, non era possibile che un comune ragazzo fosse anche un alieno, no?
«Non è possibile,» replicò quindi in modo automatico. «Stai mentendo.»
Di fronte alla convinzione della ballerina il giovane sospirò, sorridendo mestamente. «Non ci crederai finché non lo vedrai con i tuoi occhi, giusto?» le disse. «D’accordo allora.»
Will premette un punto del bracciale che indossava ad uno dei polsi: si sentì un crepitio e un istante dopo, al suo posto, vi era Ai. Vedendolo, Minto sentì il sangue raggelarsi nelle sue vene.
Non aveva mentito. Non aveva mentito. Non le aveva davvero mentito.
Le pupille della ragazza si dilatarono per lo shock; impallidì e si portò una mano alle labbra, le stesse che quell’alieno aveva baciato solo poche ore prima con l’inganno.
Perché sì, pensò con improvvisa disperazione, se Will era Ai allora lui l’aveva ingannata per tutto il tempo.

«E-Ehi!» esclamò una sbalordita Mew Pudding, a poca distanza da lei. «Ragazze, avete visto anche voi? Il fidanzato di Minto si è trasformato in un alieno!»
La mew scimmietta si era rimessa in piedi insieme alle altre guerriere. Non si erano ancora del tutto riprese dal combattimento, ma il modo in cui la situazione stava degenerando gli aveva lasciato ben intendere che non potevano concedersi ulteriore riposo.
«Voi… Potete davvero trasformarvi in umani?» domandò Mew Ichigo a Kisshu, aiutandolo a rialzarsi.
«Credo fosse un travestimento,» spiegò lui, vagamente intontito a causa della botta presa. «Forse un ologramma, qualcosa del genere.»
Taruto gli apparve accanto, galleggiando. «Comunque sia, quel tipo ti somiglia.»
«Uh?» Kisshu squadrò Ai da capo a piedi per molti secondi, scettico. «Nah,» sbuffò alla fine.

Ai si mosse verso Minto. «Questo è il mio vero aspetto,» le disse con un tono calmo e paziente che, per lui, era semplicemente sbagliato. «Non devi aver paura. Minto, io…»
«Non ho paura,» lo interruppe lei.
Ai fu costretto a riconoscerlo. Minto aveva gli occhi lucidi come quando era stata aggredita quei malviventi, ma non sembrava spaventata.
Non sapeva se fosse un buon segno o meno.
«E… allora?» si azzardò a chiederle.
«Allora, cosa?» ribatté lei, sforzandosi di mantenere ferma la voce. «Cosa vuoi che ti dica? Questo… Questo è stato crudele,» ammise. «Non capisco. Perché lo hai fatto? E’ una qualche strategia perversa o volevi solo divertirti alle mie spalle?»
Ai aggrottò la fronte. «Cosa stai dicendo? Credi davvero che io…»
La frusta di Mew Zakuro schioccò ai suoi piedi, interrompendolo di nuovo e costringendolo a sollevarsi da terra di un paio di metri.
«Stai lontano da lei,» ringhiò a bassa voce la guerriera lupo.
«Tu…» sibilò Ai con odio. Estrasse la sua arma, ma non la attaccò.
Nel mentre, Minto venne raggiunta da Mew Ichigo e Mew Lettuce. Quest’ultima posò entrambe le mani sulle sue spalle.
«Va tutto bene, Minto,» le disse con voce rassicurante. «Ci pensiamo noi a lui. Non gli permetteremo di farti del male.»
«Voleva davvero… farmi del male?» domandò Minto con voce flebile, mentre una lacrima silenziosa le rigava la guancia.
La mew focena esitò nel risponderle, ma Mew Ichigo annuì energicamente. «Sì,» affermò. «Voleva ingannarti per farti chissà cosa, ma a quanto pare ha fallito.» 
«Lo… Lo penso anche io,» si costrinse ad ammettere Minto, anche se con molta meno convinzione di quanto avrebbe voluto. «E’ l’unica spiegazione possibile.»
«NO!» le gridò con urgenza Ai, facendole sussultare. «Minto, non crederle! Io non ti ho ingannata!»
Sembrava quasi sincero.
«Smettila almeno di parlare!» ribatté Mew Ichigo con rabbia. Abbandonò il fianco di Minto e si avvicinò all’alieno a grandi passi, superando Mew Zakuro che stava ancora facendo loro da scudo. «Ma non ti vergogni neanche un po’ per quello che le hai fatto? Giocare con i suoi sentimenti per i vostri stupidi piani…!»
«Piani...?» domandò Ai, confuso. «Quali piani?»
«Mew Ichigo ha ragione, sei cattivo!» esclamò Mew Pudding, puntandogli contro le sue armi. «Ti faremo passare la voglia di imbrogliare le giovani ragazze in cerca d’amore!»
«Ma siete stupide?» sbottò a quel punto l'alieno con irritazione crescente. «Vi sto dicendo che non è così!»
«Mi dispiace, ma non possiamo crederti,» gli rispose Mew Zakuro. «Non dopo tutto quello che le hai fatto in passato.»
«Che cosa le avrei…»
«Se osi avvicinarti di nuovo alla mia amica, ti giuro che la pagherai cara!» lo minacciò Mew Ichigo, facendo comparire la sua Strawberry Bell.
«No, è probabile che lo ucciderò prima,» borbottò una voce sgradevole alle spalle dell’alieno.
«Oh, eccoti qui, Kass,» sospirò lui. «La prolungata assenza dei tuoi insulti stava iniziando a preoccuparmi.»
«C-Che cosa stai insinuando, villico insolente?!» replicò subito la principessa. Lo indicò con un dito accusatorio. «Ho atteso per tentare di capire che cosa stava passando nel tuo cervello da zotico, ma ora ne ho abbastanza! Tu, pezzente traditore… sei davvero sceso così in basso da mischiarti con i terrestri!»
«Fammi un favore, Kass… per una volta, solo per una volta… stai zitta e non parlare di cose che non sai.»
«Io dovrei stare zitta?! IO?! Come ti permetti?! Sei la vergogna del nostro popolo! Spingerti così in basso da ammettere di provare dei sentimenti per un essere umano inferiore è semplicemente così disgustoso che…»
«FA’ SILENZIO!» le gridò Ai in uno scatto nervoso, facendola ammutolire. Quando lui si girò per guardarla in faccia, Kassandra si specchiò scioccata nei suoi intensi occhi azzurri, ora cupi e agitati come un oceano in tempesta.
«Sai cosa ti dico, Kass?» riprese l'alieno, «Non c’è alcuna differenza fra noi e i terrestri. Per me sono uguali, perché io odio tutti allo stesso modo. Tutti, tranne lei. Lei è diversa. A me non importa che cosa sia, lei è la persona migliore che abbia mai conosciuto. Io… amo Minto e se tu o il tuo tirapiedi provate anche solo a toccarla…»
«Idiota!» ululò Kassandra a quel punto, «quella terrestre è una delle mew mew!»
«Che cosa?!» esclamò Ai sbalordito. Si voltò in direzione del gruppo di ragazze al centro della navata, gli occhi sgranati per il terrore.
“Davvero non lo sapeva?” fu l’unica cosa che riuscì a pensare Minto in quel momento. Si rese conto che Ai la stava fissando. Senza realmente pensare a cosa stava facendo, distolse lo sguardo e strinse la sua spilla, recitando la formula per la trasformazione.
Ai si ritrovò a guardare inebetito la metamorfosi della ragazza che aveva appena ammesso di amare.
Scoprire che Minto era anche colei che aveva sempre considerato essere la sua peggior nemica sembrò far andare il suo mondo in frantumi e rigettarlo a forza nella realtà.
Impietrito dalla vergogna e dal dolore, l’alieno lasciò che Kassandra richiudesse una mano su una manica del suo vestito e lo facesse da parte con una spinta.
«Si vantava di essere astuto… possibile che in realtà fosse così cretino?» bofonchiò seccata la principessa, atterrando poi sullo stesso livello delle mew mew, ma ben distante da loro. Il sottile movimento d’aria fece ondeggiare con grazia le curve morbide dei suoi capelli. «Ora che abbiamo finito con queste assurdità, direi di tornare a noi,» dichiarò. Sollevò un braccio, pronta ad evocare di nuovo il suo servitore.
«Ehi, avevi detto che se avessimo sconfitto i tuoi chimeri ci avresti aiutati!» le disse Taruto.
«Non ricordo di aver mai detto nulla del genere, traditore in miniatura,» gli rispose lei con noia. Schioccò le dita, e Hiroyuki si materializzò in ginocchio al suo fianco.
Ora che era fermo e più vicino, le mew mew poterono scrutarlo con attenzione. Per loro sorpresa, scoprirono che era illeso: a causa dei precedenti combattimenti i suoi vestiti erano stracciati in più punti e i suoi capelli erano tutti scompigliati, ma non vi era traccia di sangue o ferite sulla sua pelle, né una singola goccia di sudore.
Le ragazze si guardarono ansiose fra di loro come per chiedersi silenziosamente se quel mostro fosse, dopotutto, immortale.
«Che poteri ha questo tipo?» gli domandò Kisshu. «Quale strategia avete usato finora per combatterlo?»
«Sappiamo solo che è tremendamente forte e obbedisce ciecamente a quella donna. Le sue armi sono due spade. Gli attacchi diretti non funzionano su di lui, è troppo agile e veloce,» gli rispose Mew Zakuro.
«E se lo cogliessimo di sorpresa?»
«Inutile, ci abbiamo già provato.»
Kisshu sbuffò un mugolio infastidito.
«Dobbiamo farci venire in mente qualcosa per fermarlo,» mormorò Mew Ichigo a mezza voce, mordendosi le labbra. «Ci deve essere un modo.» Una delle sue mani si richiuse sulla pietra preziosa che teneva ben corservata nella tasca.
«Hiroyuki, togli quegli esseri inferiori dalla mia vista!» comandò intanto Kassandra passandosi una mano fra i capelli, mentre con l’altra indicava il gruppetto di avversari.
Hiroyuki annuì e… sorrise malignamente. Compiuto un balzo altissimo, materializzò le sue sciabole e le agitò più volte nell’aria.
Mew Pudding osservò quello strano spettacolo con interesse. «Che fa adesso?» chiese.
«Oh, no!» esclamò Mew Ichigo, che aveva già vissuto quella scena. «Gettatevi a terra!»
Tutti obbedirono, giusto in tempo per schivare una delle decine di invisibili lame che sfrecciarono sibilando sopra le loro teste. Quei potenti attacchi modificarono spontaneamente il loro percorso e andarono a infrangersi sulla massa di panche ammassate l'una sopra l'altra nelle navate ai lati del gruppo, che vacillarono e poi si rovesciarono con un gran rumore addosso a loro.
Mentre un nuvolone di polvere si innalzava a seguito del crollo, Hiroyuki rinfoderò l’arma e tornò da Kassandra che, più confusa che mai, spostò più volte lo sguardo da lui al cumulo di macerie precipitate sui suoi avversari.
La principessa impiegò alcuni secondi per capire che la sua guardia del corpo aveva eseguito alla lettera i suoi ordini e che adesso, in effetti, le mew mew erano completamente al di fuori dal suo campo visivo.
«Ah…!» esclamò quando se ne accorse. «Hiroyuki, ehm… si, sei stato bravo, ma forse non mi sono spiegata bene…» gli disse, e poi gli si avvicinò per esporgli meglio le sue volontà.

Nel frattempo, qualche metro più in là, Taruto stava estraendo dall cumulo legnoso Mew Pudding tirandola per la coda.
«Ahio!» si lamentò lei una volta fuori, massaggiandosi la schiena. «Fa male… ma grazie di nuovo per l’aiuto!»
«Figurati,» osservò il ragazzino alieno con una certa ansia.
Anche le altre mew mew, pian piano, riemersero in superficie: erano un po’ acciaccate, ma nel complesso stavano bene.
«Che cosa voleva dimostrare con questo?!» balbettò dolorante Mew Ichigo.
«Ha dimostrato che è un burattino nelle mani di quella pazza,»  le rispose Kisshu, tossendo a causa della polvere sollevatasi. «E’ questo il suo punto debole, non ha una sua volontà.»
Mew Ichigo annuì. Kisshu aveva ragione, la più grande debolezza di Hiroyuki era il suo dipendere completamente dagli ordini di Kassandra.
Era su questo che doveva concentrarsi. Non ci avevano mai pensato sinora, ma se fossero riusciti a giocare bene le loro carte, avrebbero potuto sfruttare questo fatto per renderlo inoffensivo senza necessariamente sconfiggerlo.
Potevano farcela.

«Stavolta c'è mancato poco...» esalò Mew Mint, togliendosi di dosso dei pezzi di segatura scura. Giaceva seduta scompostamente in un angolo della navata laterale perché, a differenza delle sue amiche, era riuscita ad evitare di essere travolta gettandosi di lato.
Occupata a riprendersi dallo shock, non si accorse del portalampade appeso alla colonna alle sue spalle che, instabilizzato dal crollo, cedette e minacciò di rovinarle addosso. Non era molto grande, ma era in metallo e la sua decorazione elaborata a foglie appuntite le avrebbe fatto davvero male… se la sua traiettoria di caduta non fosse stata prontamente deviata da un oggetto che ricadde tintinnando a poca distanza da lei.
Mew Mint lo osservò incuriosita: era il kris di Ai.
Scattò in piedi come se avesse preso una scossa di elettricità e si guardò intorno, appena in tempo per vedere l’alieno lanciarle un’occhiata indecifrabile da lontano e sparire in direzione di un punto imprecisato in fondo alla chiesa.
Grazie al cielo, pensò la ragazza, le sue compagne erano a qualche metro da lei e sembravano non essersi accorte di nulla.
Ma si rese conto di aver cantato vittoria troppo presto quando Mew Zakuro le balzò accanto e le disse in un sussurro: «Vai da lui.»
«N-Non dire sciocchezze!» esclamò lei costernata, mentre un velo di rossore del tutto inopportuno le colorava le guance. «Non vi lascerei mai sole in una situazione del genere!»
Mew Zakuro scosse la testa. «Dopo Hiroyuki e Kassandra dovremo occuparci anche di lui, e credo che abbia capito anche tu che è il tipo di avversario che preferirebbe morire piuttosto che arrendersi. Se riuscissi a convincerlo a fermarsi, non saremo costrette a ucciderlo,» le spiegò, atona. Poi sospirò piano e le rivolse un’occhiata appena più dolce. «Minto, devo ammettere che forse mi ero sbagliata su di lui. Vai e prova a parlargli. Qui ci pensiamo noi.» 
Mew Mint sentì delle lacrime di commozione colmarle gli occhi. «Ti ringrazio,» disse alla sua amica. «Ti ringrazio davvero, Zakuro.»
Lei le rivolse un cenno d’assenso e poi tornò dalle altre. Mew Mint, invece, si diresse verso il punto in cui Ai era scomparso.
Mentre si allontanava dal campo di battaglia le tornò in mente di quando, tempo addietro, si era ripromessa di salvare quell’alieno da sé stesso.
Dopo gli ultimi eventi aveva una gran confusione nel suo cuore... ma decise che avrebbe fatto di tutto per mantenere la sua promessa.

---

Seguendo il consiglio di Zakuro, Imago e Chris si erano rifugiate nel sottotetto della chiesa.
Quel locale era stato realizzato da poco, per cui nessun visitatore vi aveva mai messo piede. Non era molto ampio, ma era ben illuminato dalla rete elettrica già attivata; il soffitto scendeva a spiovente e delle colonne in legno, collegate da piccoli archi, sorreggevano la copertura a vista.
L’unica finestra presente era una grossa vetrata a blocchi rettangolari disposta lì dove il soffitto raggiungeva la massima altezza: le lastre rosa e viola che la componevano davano un tocco di colore all’ambiente, creando un’atmosfera quasi mistica.
Chris, una volta entrata, aveva afferrato un libricino dalla pila che qualcuno aveva ammucchiato su una scrivania in mogano nuova di zecca e si era accomodata su una panca con la seduta in velluto. Era rimasta lì per tutto il tempo a leggere tranquilla, incurante della battaglia che stava avvenendo proprio sotto i suoi piedi.
Imago, invece, si era raggomitolata su una scomoda savonarola e aveva trasalito ogni volta che il fragore di un attacco più forte degli altri era giunto alle sue orecchie. Si era più volte guardata la mano, aprendo e chiudendo debolmente il pugno con tristezza.
Le due ragazze aliene erano rimaste in silenzio per lungo tempo. 
«Questi terrestri sono così fantasiosi!» esclamò però ad un certo punto Chris, sembrando entusiasta
. «Ima, non puoi neanche immaginare come credono che sarà la fine del mondo! Guarda: in questo libro che uno di loro ha scritto si parla di sigilli che saltano, flagelli, cavalieri della distruzione, bestie immonde, vergini e… dragoni…?!» Rise.
«Chris, come… come fai a restare così calma in un momento del genere?» le domandò Imago, stupita da tutta quella leggerezza.
Lei sollevò appena le spalle. «Perché dovrei essere preoccupata? Il tuo amato Kisshu e le ragazze terrestri hanno detto che ci avrebbero pensato loro.»
L'aliena piu' giovane si rimise in piedi e prese un grosso respiro. «Io credo che dopotutto dovremmo andare ad aiutarli,» dichiarò. «Forse potremmo…»
La risata divertita di Chris le fece morire il resto della frase sulle labbra.
«Oh, Imago! Hai passato una vita intera a scappare e proprio ora vuoi combattere? Andiamo, lasciali giocare fra di loro! Se muoiono, muoiono. Tutto muore, alla fine,» disse, «tranne te, a quanto pare,» soggiunse poi in un tono acido che a Imago non piacque per niente.
«C-Che cosa...?» mormorò.
«Se ci pensi, la morte non è poi così mostruosa,
» fu la risposta dell'altra. «Potrebbe essere la liberazione dal dolore che ti sta torturando, non credi?» 
«No,» replicò Imago,
sentendosi a disagio. «E comunque non capisco cosa vuoi dire.»
Chris richiuse il testo sacro che stava leggendo e lo mise via. «Allora te lo mostrerò,» dichiarò in tono solenne.
Un attimo dopo Imago si ritrovò con le spalle premute contro una delle pareti del sottotetto: Chris l’aveva afferrata e smaterializzata lì con una velocità tale che lei non se ne era neanche accorta; e fu solo a causa dell’improvvisa mancanza d’aria che la ragazza si rese conto che la sua amica le aveva portato una mano alla gola e aveva iniziato a stringere, impedendole di respirare.
Incapace di muoversi, incapace di parlare, Imago puntò sconvolta gli occhi atterriti su di lei.
«Ti fa male?» le chiese Chris con disinvoltura, affondando le dita nella pelle delicata del suo collo. «Se ti fa male, dovresti morire. In questo modo non sentirai più nulla, no?»
La sua presa era salda e spietata e non accennava ad allentarsi. Imago si sentì soffocare quando pensò che fosse la fine, si ritrovò di colpo di nuovo libera.
«Ops... Scusami, ti ho spaventata?» le domandò incerta Chris, muovendosi indietro di un paio di passi. «Non volevo. Sai, sono un po’ su di giri ultimamente; mi è difficile controllarmi.»
Lei tentò di allontanarsi dalla parete ma fu solo in grado di accasciarsi contro di essa. Tossì più volte, respirando forte per riempire i polmoni d’aria.
«Comunque sia tu dici di voler combattere,
» proseguì Chris,  «ma cosa farai quando ti ritroverai sul campo di battaglia, di fronte a tua sorella? Ricordo che eri molto dispiaciuta quando ti dissi che era morta, ma poco fa sembravi davvero spaventata da lei. Suppongo che fosse perché in passato ti ha fatto del male, giusto?»
Imago rimase immobile, ansimante e scioccata, ma non disse nulla. Chris la prese come un risposta affermativa.
«Immaginavo. Quindi in passato tua sorella ti ha fatto del male, ma nonostante tutto tu non sei riuscita ad odiarla. Oh, è così da te, Imago! Sei davvero buona…. Troppo, per essere reale. E mi dispiace dirlo, ma non lo sei.»
«Non… Non scherzare, Chris.»
«Non sto scherzando. So tutto di te. Ti ho cercata per secoli, ma non sapevo sotto quale forma ti saresti presentata di fronte ai miei occhi. Credimi, fra questo e le insulse strategie di Shiroi è stato tutto molto, molto frustrante.»
«...»
Chris portò le mani dietro la schiena e sorrise con dolcezza. «Se vuoi, per farmi perdonare, ti spiegherò cosa sei realmente e perché è diventato sempre piu' faticoso per te usare i tuoi poteri.»
«Non so di cosa tu stia parlando,» replicò Imago, staccando dalla parete, «e io… non voglio sapere nulla. Per favore, Chris. Mi stai facendo paura. Ti prego, non…»
«Quel ciondolo,» disse l’assistente scienziata, ignorandola e indicando il suo polso sinistro. «E’ tutta colpa di quel ciondolo che ti porti sempre dietro. Non è un oggetto, è una parte di te. E ti sta uccidendo.»
Sentendo quelle parole, Imago rimase interdetta. «Cosa, questo?» chiese sorpresa, mostrandole il gioiello che teneva ben allacciato al polso a mo’ di bracciale. «Non è possibile,» ammise. «Questo è solo un ricordo dei miei genitori. Me l’hanno regalato quando ero piccola.»
«Davvero? E cosa è successo prima
La ragazza inclinò la testa di lato, ragionando su quella strana domanda. Finì per presto per realizzare che, in effetti, i suoi ricordi iniziavano dal momento in cui aveva ricevuto quel regalo.
Stranamente, però, la cosa non la sorprese. Si chiese il perché.
«Tu non sei mai nata,» dichiarò Chris, come leggendole nel pensiero. «Tu e le tue sorelle siete state create artificialmente a partire da un’unica essenza. La tua anima è finta: è composta da energia che si sta pian piano riversando nella pietra incastonata nel tuo ciondolo. Non appena il processo sarà terminato, tu scomparirai.»
Imago deglutì e scosse forte la testa. Non capiva perché la sua amica stesse dicendo delle cose così cattive. Era un altro dei suoi scherzi?
«Ti sbagli,» le disse ferita, portando le mani al petto. «Io sono reale.»
«Ma certo che lo sei. Il tuo involucro fisico è autentico. Un’autentica copia, programmata per essere il più credibile possibile.»
«E perché qualcuno avrebbe dovuto farci una cosa del genere?» domandò con voce tesa.
C’era una certa sfumatura di ilarità nella voce di Chris che la stava facendo rabbrividire.
«E’ una storia complicata,» rispose quella con un sospiro, tendendo pigramente il braccio destro in una direzione imprecisata. «Ma onestamente non vedo l’utilità di raccontartela, visto che sto per ucciderti.»
Imago si trovò a guardare con orrore l’arma che la sua amica aveva appena evocato con quel semplice gesto.
Non le era mai passato per la testa di chiederle quale fosse la sua arma, ma ora era lì davanti ai suoi occhi: una lancia. Chris possedeva una lancia di metallo nero lunga almeno due metri.
Imago sentì il cuore prendere a batterle all’impazzata nel petto. Non capiva cosa stava succedendo, ma era certa di una cosa: quello non era uno scherzo. Se voleva sopravvivere doveva andare via da lì, subito. Ma, al momento, non aveva abbastanza forze per usare i suoi poteri, e anche se le avesse avute era certa che lei non le avrebbe permesso di andare molto lontano.
Inerme e paralizzata dalla paura, la ragazza chiuse gli occhi e li strinse. “Non voglio morire,” si disse, trattenendo a stento le lacrime. “Ti prego, non voglio!”
Il suo ciondolo rispose a quella supplica silenziosa con un brillio tenue.
«Oh, no che non lo farai!»
Prima che potesse succedere qualcosa, Chris agitò la lancia nella sua direzione. Per evitarla, Imago si mosse di lato: portò una mano al viso per proteggersi, dando all'altra aliena l’occasione di usare la punta tagliente della sua arma per imprimerle un lungo taglio sul braccio, che finì per lacerare il laccio del suo ciondolo.
Il gioiello si staccò e cadde a terra. Mentre Imago indietreggiava, stringendosi il braccio ferito, Chris si chinò a raccoglierlo.
La ragazza  pensò che la sua mossa successiva sarebbe stata infilzarla con quella lancia, ma per sua sorpresa lei la fece sparire.
«In verità c’è ancora una cosa che non ho ancora capito, Ima,» le disse pensierosa, rigirandosi la minuscola croce ansata fra le dita. «Stando alle mie ricerche, lo schema di programmazione di voi sorelle prevedeva che l’energia di cui siete composte avrebbe dovuto, in un preciso momento della vostra vita, lasciare il vostro corpo per riversarsi nei rispettivi ciondoli, caricandoli; a causa di questo, voi avreste dovuto indebolirvi fino a spegnervi del tutto. Per Kassidiya è andata esattamente così, però sia tu che Kassandra siete ancora vive. Poco fa, mentre eravamo di sotto, ti ho vista cadere con i miei occhi: avresti dovuto davvero morire in quel momento, eppure non è successo. Perché, Imago? Che cosa avete combinato tu e tua sorella?»
Lei non seppe cosa risponderle. Tremava e desiderava solo andar via da lì.
«PERCHE’?!» le gridò di colpo Chris, perdendo la pazienza. «Perché sei così attaccata alla vita?! C’è qualcosa che ti trattiene o sei solo molto resistente?» Presa dalla rabbia, mentre le parlava la afferrò per un polso e la scagliò a terra con forza; lei batté il fianco sul pavimento e si lasciò sfuggire un grido di sorpresa piu' che di dolore.
«Non sei un guerriero!» continuò l'altra, dandole un calcio forte nello stomaco. «Non sei neanche un essere vivente. Sei una stupida principessina. Se non muori, non posso impossessarmi di quest’energia!»
Chris continuò a colpirla. Lei riusciva a malapena a muoversi ed era troppo debole per opporre qualunque resistenza.
Si sentì impotente e sola.
Quando Chris si calmò, Imago aveva la mente offuscata dal dolore ed ebbe appena la forza per singhiozzare, «Chris, perché lo fai?»
Lei le rispose con una risatina amara. «Perché, mi chiedi? Non l’hai ancora capito? Ti darò un indizio: l'obiettivo dell'Ordine di Ra-Hu non è risvegliare il Messia. Vi ho mentito, ed è stato così facile che ad un certo punto è diventato persino noioso. Tu, in particolare, sei sempre stata così buona da non aver mai dubitato di me. E’ il rovescio della medaglia dell’essere il contenitore dell’energia più pura che esista, credo: sei tremendamente… ingenua.» Le rivolse un’ultima occhiata. «Il mio piano era di aspettare che il tuo ciondolo fosse completamente carico prima di prenderlo, ma purtroppo non ho più tempo: fra pochissimo il contatto planetario spalancherà le porte dimensionali e per allora dovrà essere tutto pronto. Per cui, visto che non hai intenzione di morire, accelererò il processo. Pensaci tu, Neidr.»
Imago non capì la metà delle sue parole. Cercando di controllare il respiro, si puntellò debolmente sui gomiti per cercare di rialzarsi, ma tremava per il dolore ed era sicura che Chris le avesse rotto qualcosa. D’un tratto, percepì una presenza accanto a lei. Non riusciva a vederla, ma la sentiva chiaramente mentre si avvicinava. Era viscida e fredda e le dava i brividi. Avvertì una fitta sottile, come una puntura. Ma non era nulla in confronto a quello che stava provando in quel momento, per cui non se ne preoccupò.
Pochi secondi dopo, desiderò di essere morta.
Un dolore indicibile si impossessò del suo corpo in modo così spietato che si ritrovò a urlare come mai aveva fatto in vita sua.
«Che cos’è, Chris?» le gridò disperata, contorcendosi in quella che sembrava pura agonia. «Che cos’è?!»
«Chi, Neidr? Ah, lui è il mio piccolo. Purtroppo, da quando quello scienziato ha massacrato il suo fratello maggiore, non è più lo stesso. Se avessimo avuto più tempo te l’avrei mostrato, ma come ti ho detto… vado di fretta.»
Si inginocchiò di fronte a Imago, che si agitava e singhiozzava per il dolore. «Non preoccuparti, sarà finita subito,» la rassicurò, scostandole una ciocca di capelli sudati dagli occhi. «So come funziona il veleno di Neidr, l’ho preparato io stessa. In questo momento la tua frequenza cardiaca sta crollando, mentre il tuo sangue si sta raggrumando nelle vene. Se non sverrai per lo shock fra qualche secondo, sentirai il tuo cuore collassare e poi morirai.»
Imago gemette, pregando che fosse vero. La sensazione era lacerante ed implacabile e lei non poteva far nulla per combatterla.
"Se ci pensi, la morte non è poi così mostruosa. Potrebbe essere la liberazione dal dolore che ti sta torturando," le aveva detto Chris solo pochi minuti prima. Solo ora capiva il senso malato di quella frase. Aveva pianificato questo sin dall'inizio, aveva pianificato tutto. E lei... stava morendo. Stava morendo davvero. Sarebbe morta in quel posto sconosciuto senza essere riuscita ad aiutare nessuno.
Cosa sarebbe successo ai suoi amici?, si chiese in un ultimo barlume di lucidità,
trattenendo un grido sommesso. Cosa gli avrebbe fatto Chris? Non poteva morire. Non poteva. Non poteva. Non poteva. Doveva avvertirli. Doveva dirgli del pericolo che stavano correndo, ma non aveva neanche la forza di alzarsi in piedi.
Allora fece l’ultima cosa che le era rimasta. Sollevò appena la mano davanti a sé, mentre il dolore la distruggeva. «K-Kisshu…» esalò.
«Non verrà, principessina,» cantilenò Chris.
«Ma non preoccuparti, ci sono io con te.»
Lei strinse i denti, lottando con tutte le sue forze per restare cosciente, tutto il corpo che tremava. «…Kisshu,» disse in un ultimo soffio disperato, «scappa.»
Subito dopo, mentre Imago ricadeva a terra senza vita, Chris inarcò dubbiosa un sopracciglio.
Quando si girò indietro, nella direzione verso cui la ragazza aveva teso la mano, scorse la sagoma di Kisshu che, comparso nella stanza da chissà quanto tempo, aveva assistito a tutta la scena.






+ + +

Note dell'autrice:
E mò sono caz così, questo è il capitolo 39. Nella prima versione della fanfic, Chris rivelava la sua vera natura nel cap. 42, mentre tutte le spiegazioni erano nei capp. 43 e 44.
Anche adesso pianifico di ficcare le spiegazioni lì. Ma, revisionando, ho pensato di anticipare la questione di Chrissuccia e anche di iniziare a farle spiegare qualcosa - seppur in modo approssimativo "perché tanto, Imago-chan, tu stai per morire ♥"
. D:
In generale voglio rassicurarvi sul fatto che presto avrete tutte le risposte. D:


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Capitolo 42
*** La fine ***


26 20/01/2015:  
Avevo grandi aspettative per questo capitolo ma alla fine è andato tutto a puttane
– un riassunto di 14 parole della carriera di fanfiction-writer di JunJun.




- Capitolo 40: La fine -

 
Tutti i vetri della chiesa vibrarono pericolosamente quando il rombo di un tuono caduto lì vicino scosse l’edificio fino alle fondamenta.
Il pavimento stava ancora tremando quando Hiroyuki si scagliò sul gruppo di guerriere con le armi sguainate, ma loro lo anticiparono lanciandogli contro tutte insieme un attacco combinato: la potenza del colpo sfondò il portone d’ingresso alle spalle dell’alieno, aprendo un grosso squarcio verso l’esterno di cui subito il vento freddo e la pioggia approfittarono per entrare. Gocce d’acqua gelida schizzarono addosso alle ragazze che ben presto si accorsero che il loro avversario era scomparso dalla loro visuale.
Mew Ichigo si guardò più volte intorno nel tentativo di individuarlo. «Dov’è finito?» domandò tesa.
«Forse lo abbiamo disintegrato?» disse Mew Pudding saltellandole accanto speranzosa.
«No, è lassù,» fece notare loro Mew Lettuce, indicando un punto in alto sopra di loro: lì vi era in piedi, galleggiando, Hiroyuki. Era illeso.
Mew Zakuro digrignò nervosamente i denti. «E’ troppo veloce,» mugugnò. Come le altre, al momento non aveva alcuna idea su come abbatterlo.
Mew Ichigo indietreggiò verso Kisshu e gli lanciò un’occhiata quasi supplichevole. «Che si fa?» gli domandò.
«Sto pensando,» borbottò lui in risposta, tenendo gli occhi fissi sull’avversario. Si distrasse quando un rumore distinto catturò la sua attenzione: era un grido lontano ed ovattato, impossibile da percepire da orecchie umane – ma lui non lo era, e non appena lo udì sobbalzò perché avrebbe riconosciuto la voce a cui apparteneva fra mille.
«I-Imago…?!» balbettò, improvvisamente spaventato. Non ci pensò due volte: abbandonò il fianco di Mew Ichigo e si smaterializzò.
«Kisshu!» lo chiamò Taruto, anche lui allertato da quel suono; ma il suo fratello adottivo era già svanito.

--

Quando Kisshu raggiunse il sottotetto era ormai troppo tardi per Imago.
Lei era a terra e sembrava in preda a un dolore atroce. Kisshu la guardò tendere debolmente una mano scossa da brividi verso di lui e vide le sue labbra muoversi appena per sussurrare il suo nome e dirgli qualcosa, ma non riuscì ad afferrare le sue ultime parole perché di colpo tutto intorno a lui era diventato molto silenzioso.
Poi Imago rovesciò gli occhi e le forze la abbandonarono: batté la testa sul pavimento e per Kisshu fu come se il mondo all’improvviso avesse perso ogni colore.
L’istante successivo fra le sue mani non c’erano più i suoi tridenti ma il corpo della ragazza – non si era neanche reso conto di averla raggiunta e presa tra le braccia ma non importava, non importava più nulla ormai perché per quanto lui continuasse a chiamare il suo nome lei non si riprendeva.
Non era svenuta: il suo cuore aveva cessato di battere e non reagiva. Kisshu non poteva credere che qualcosa del genere stesse accadendo veramente. Cercò di scuoterla nel tentativo di farla riprendere, ma era così irrigidito dallo sconcerto che non riusciva neanche a respirare.
Si ricordò di colpo che dietro di lui c’era Chris.
«Cosa è successo?» domandò quasi gemendo, sconvolto al di là di ogni immaginazione. «Che cosa diavolo le è successo?!» ripeté subito dopo in tono più forte e malfermo.
«Si è sentita male di nuovo,» gli rispose lei con cautela. «Mi dispiace.»
Kisshu non la stava guardando perché non riusciva a distogliere lo sguardo da Imago.
«Avevi ragione,» continuò allora l’aliena con voce dolce, «purtroppo era malata. Ma credo che dopotutto abbia avuto fortuna: è riuscita a vederti un’ultima volta prima di andarsene.»
Mentre gli parlava così, fece sparire la lancia che aveva segretamente evocato quando Kisshu le aveva rivolto la parola.
Lui non le rispose neanche e Chris si convinse in modo definitivo che era innocuo, per cui lo lasciò perdere. Gli diede le spalle e si allontanò da lui, soffocando a stento una risatina mentre richiudeva con delicatezza la porta del sottotetto.
--
Rimasto solo, Kisshu si sforzò di concentrarsi sulle parole di Chris, anche se non l’aveva ascoltata realmente. Aveva i sensi alterati, ma la disperazione lo rendeva anche irrazionalmente lucido. Sentita male? Non poteva crederci. Imago aveva un braccio ricoperto di sangue e i vestiti rovinati; c’erano dei segni rossi sul collo come se qualcuno avesse tentato di strangolarla e, soprattutto, il ciondolo che portava al polso non c’era più. Imago non se ne separava mai. Chi lo aveva preso? Cosa era successo in quella stanza?
Kisshu si riscosse da quei pensieri confusi non appena gli tornò alla mente che lui aveva ancora con sé l’acqua cristallo. L’acqua cristallo, quella che aveva recuperato insieme ad Imago sul suo pianeta. Quella sostanza aveva restituito la vita a lui e ai suoi fratelli dopo lo scontro con Profondo Blu, per cui forse… forse poteva fare lo stesso anche con lei?
Senza pensarci oltre Kisshu prese fra le mani la sferetta trasparente e la posò sul petto della ragazza. Non aveva idea di come funzionasse quella roba, ma la supplicò con tutto sé stesso di salvare Imago.
La reazione dell’acqua cristallo alle sue preghiere fu quasi immediata: la sfera si sciolse come ghiaccio al sole e penetrò nel corpo dell’aliena, guarendo in pochi istanti ogni ferita e facendo sparire ogni traccia di sangue.
«Andiamo…» mormorò Kisshu in tono febbrile mentre i lividi sul corpo della ragazza si riassorbivano. «Andiamo…»
Non appena il processo di guarigione terminò l’alone luminoso che si era formato intorno al corpo di Imago svanì, ma lei non diede segni di vita. Kisshu restò in attesa con gli occhi sgranati dal terrore e ogni secondo che si dilatava a fino a sembrare un’eternità; ma fu del tutto inutile.
Il cuore di Imago era fermo e il suo respiro era assente.
«No,» gemette infine l’alieno, sentendo le speranze abbandonarlo.

--

Nonostante l’ordine di Kassandra, Hiroyuki non sembrava dare accenno di voler combattere. Da quando era ricomparso sulla verticale del portone d’ingresso non aveva fatto altro che restare lì fermo con le spade sguainate come in attesa di qualcosa.
Ad un certo punto Mew Ichigo ne ebbe abbastanza: mentre la pioggia sferzante le inzuppava il vestito e il vento le spettinava i capelli, strinse con entrambe le mani la sua Strawberry Bell e si preparò a lanciare di nuovo il suo colpo speciale contro di lui. Schiuse le labbra per recitare la formula d’attacco ma di colpo Hiroyuki svanì insieme alle sue compagne, alla pioggia e all’intera chiesa.
Un battito di ciglia e la ragazza scoprì di ritrovarsi in un altro luogo, una specie di stanza con il soffitto basso ed inclinato e una grossa vetrata colorata in fondo: non sapeva come ci era finita e si sentiva strana, come fuori dal mondo. I suoi pensieri erano pesanti e confusi; le facevano dolere la testa.
Kisshu era davanti a lei. Mew Ichigo non l’aveva visto subito. Le dava le spalle perché era chino su qualcosa e sembrava non essersi accorto della sua presenza. La ragazza lo chiamò ma lui parve non sentirla, per cui si avvicinò a lui.
Quando gli fu piu’ vicina, Mew Ichigo scoprì che Kisshu stava stringendo fra le braccia Imago. E lei… lei era morta.
Quest’improvvisa consapevolezza la fece restare agghiacciata. Vide che sul corpo dell'aliena aleggiava un’aura luminosa che aveva già visto innumerevoli volte e comprese che era acqua cristallo. Kisshu l’aveva usata su di lei? Ma allora perché lei non si riprendeva? Doveva riprendersi, no?
Mew Ichigo scorse la sua stessa confusione riflessa negli occhi di Kisshu. Poi, lui nascose il viso nella spalla di Imago e cominciò a piangere sommessamente, stringendola a sé.
Quella visione era così penosa che la ragazza sentì il suo cuore spezzarsi. Si portò le mani alla bocca e soffocò un singhiozzo quando l’immagine di Aoyama le si affacciò nella mente facendole realizzare che, in quel momento, Kisshu stava provando lo stesso dolore che aveva provato lei alla notizia della sua morte. Lo stesso dolore che aveva cancellato tutti i suoi sogni come un colpo di spugna, che aveva distrutto per sempre una parte di lei e che l’aveva gettata in quell’abisso oscuro, da cui era riuscita a risalire solo con uno sforzo immenso e grazie all’aiuto dei suoi cari.
Mew Ichigo sentì le lacrime traboccare dai suoi occhi rosati.
Non era giusto… non era giusto che anche Kisshu soffrisse così. Aveva finalmente trovato qualcuno che lo amava. Le era sembrato così felice.
Mew Ichigo sentì il bisogno di aiutarlo in qualche modo, ma non sapeva come. Si avvicinò a lui e sollevò una mano come per poggiarla sulla sua spalla, ma la ritrasse subito.
Lei… non ce la faceva.
Indietreggiò di un passo e la figura di Kisshu si dissolse davanti ai suoi occhi. Si ritrovò di nuovo nella chiesa insieme alle sue amiche e si rese conto che quella che aveva appena vissuto era un'ennesima visione, molto più lunga, chiara e sconvolgente di tutte le precedenti. Tremava ancora e non riusciva a smettere di piangere.
«Ichigo…stai bene?» le domandò con preoccupazione Mew Zakuro.
«Imago è morta,» rispose lei in un sussurro. «L’acqua mew non è riuscita a salvarla.»
«Cosa…?!»  trasalì confusa la sua compagna, ma Mew Ichigo non aggiunse altro. Il suo pensiero adesso stava correndo alle ultime gocce di acqua cristallo che lei stessa aveva recuperato con così tanta fatica solo poche settimane prima: le aveva affidate a Ryo e non aveva mai avuto il coraggio di usarle perché lui le aveva confermato che erano le ultime presenti sul pianeta.
Adesso, la ragazza si chiese se dopotutto le sue preoccupazioni fossero state inutili.
La voce squillante di Mew Pudding la riportò alla realtà. «Ehi, che cosa sta facendo adesso quell’alieno?» aveva domandato.
Sollevando la testa verso di lui, Mew Ichigo notò che Hiroyuki aveva chiuso gli occhi ed ora stava muovendo le labbra come per scandire una preghiera silenziosa. Delle scintille iniziarono a formarsi sulla punta delle sue sciabole, scintille che si trasformarono rapidamente in sottili fasci guizzanti color blu elettrico.
«Cosa… cosa sono quelli…?!» chiese spaventata Mew Lettuce, indietreggiando.
«Maledizione,» esclamò Mew Zakuro impugnando la sua frusta completamente bagnata dall'acqua, mentre iniziava a comprendere la gravità della situazione. «Toglietevi da qui!»
D'un tratto, Hiroyuki riaprì gli occhi ed anche Mew Ichigo capì: quei fasci luminosi che ronzavano intorno alle sue lame come uno sciame di vespe non erano energia. Erano fulmini.

--

Chris poggiò la schiena sullo stipite della porta del sottotetto e socchiuse gli occhi color ebano. «Capisci quanto vale la tua vita solo quando ti sta lasciando,» canticchiò sottovoce. «Per cui non credi che sarebbe meglio morire sorridendo?» [1]
«Uno a uno, Obadiah Shiroi,» soggiunse poi, mettendo da parte il ciondolo di Imago. Sollevò quindi il braccio destro, lasciando che la manica ampia del suo vestito le ricadesse indietro e scoprisse l’avambraccio: attorcigliato intorno alla pelle diafana dell'aliena vi era un qualcosa simile ad uno strano bracciale. «Dovremmo occuparci della gemella cattiva ora, Neidr?» sussurrò Chris, guardandolo. In risposta alle sue parole, il bracciale si mosse e rivelò una minuscola testolina squamata simile a quella di un serpente, così piccola che a Chris bastò il dorso di due dita per accarezzarla.
«No, lo farò da sola. Tu hai lavorato tanto oggi; meriti un premio,» decise l’aliena dopo averci pensato su. Si inginocchiò a terra e vi poggiò sopra il palmo della mano aperta: le spire in cui era avvolto il corpo di Neidr si svolsero dal suo braccio mentre lui scivolava sul pavimento su cui mimetizzò all’istante, diventando in un attimo completamente invisibile. «Ti ho lasciato Kisshu per cena. Sangue reale, Neidr! Sono sicura che ti piacerà,» gli sussurrò allegra.
Sapeva che Neidr in quel momento era abbastanza piccolo per passare nella fessura sotto la porta chiusa alle sue spalle e sapeva anche che Kisshu, devastato com’era, non l’avrebbe nemmeno sentito avvicinarsi; per questo motivo decise di non trattenersi oltre in quel luogo.
Si rimise in piedi e mosse un passo verso le scale, ma aveva appena posato il piede sul primo gradino quando Taruto le apparve di fronte.
«Chris!» esclamò ansioso il ragazzino alieno, stendendo il braccio verso un punto in fondo alle scale, «Dobbiamo aiutarle!»
Seguendo la direzione che Taruto le stava indicando, Chris si sporse dalla ringhiera di ferro del ballatoio e si accorse con stupore che lì in basso, a parecchi metri di distanza da loro, le paladine terrestri stavano combattendo contro la guardia del corpo di Kassandra. Le spade che l’alieno impugnava ora lanciavano scariche di fulmini che guizzavano crepitando da una parte all’altra della chiesa senza controllo e incenerivano tutto ciò che sfioravano. Le mew mew non riuscivano a contrattaccare in maniera efficace e sembravano in grave difficoltà.
Chris distolse lo sguardo dalla battaglia e scosse la testa. «Ho altro da fare adesso,» ammise.
Taruto si sentì tradito. «Ma… che cosa dici?» protestò incredulo, galleggiandole davanti. Impallidì quando, un attimo dopo, Chris gli prese il viso fra le mani e gli sfiorò le labbra con le sue.
Lui si tirò indietro immediatamente.
«Ma che cosa…?!» esclamò balbettando, troppo scioccato persino per arrossire.
Chris si lasciò andare ad una risatina amabile. «Perdonami Taruto, è che tu mi sei sempre piaciuto,» gli disse con sincerità, grattandosi una guancia. «Sei così carino, e ingenuo, e puro! Facciamo così: aiuterò quelle ragazze terrestri, visto che ci tieni così tanto. In cambio, se non ti dispiace, prenderò una cosa da te.»
Taruto aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a pronunciare neanche una parola. Anche se Chris si stava comportando in maniera assurda come al solito c’era qualcosa di strano in lei, qualcosa di perverso; ma non fece in tempo a completare quel pensiero che si ritrovò a fissare il soffitto decorato del ballatoio.
La luce che rifletteva i mosaici colorati venne inghiottita dal rosso.

--

Kisshu fece scorrere piano le dita sul viso sempre più freddo di Imago.
Non si sarebbe più risvegliata. La sua dolce, piccola Imago, che gli aveva salvato la vita e che lo aveva amato incondizionatamente anche se lui non aveva fatto altro che metterla in pericolo sin dal giorno in cui l’aveva conosciuta.
Dopo averla presa fra le braccia, la sollevò da terra e poi la ridistese sul velluto morbido di una panca lì vicino; si costrinse a fatica ad allontanarsi da lei.
Ricacciando in gola un ultimo singhiozzo, Kisshu rimase fermo a guardare il corpo della ragazza, la speranza di vederla riaprire gli occhi che svaniva per lasciar spazio ad altri sentimenti molto più laceranti della disperazione. Frustrazione. Senso di impotenza. Rabbia.
Mentre il suono della pioggia che picchiava sulle tegole del tetto riempiva la stanza, Kisshu iniziò a sentirsi colpevole. Sapeva che quello non era il momento adatto per esserlo, ma non riusciva a fare a meno di pensarci.
Lui avrebbe potuto fare qualcosa per salvarla.
Ci aveva ragionato a lungo. Imago non era morta a causa di una malattia, era stata uccisa – e ciò significava che se solo non l’avesse lasciata sola, lei ora sarebbe ancora viva. Kisshu strinse i pugni. Non era il momento di incolparsi. Non aveva il tempo di incolparsi. Chris gli aveva mentito, e Kisshu non aveva idea del perché lo avesse fatto o di chi avesse ucciso la sua piccola, ma si sarebbe vendicato per questo. Chiunque fosse stato il bastardo, lui l’avrebbe trovato e lo avrebbe massacrato con le sue stesse mani.
Si mosse con l’idea di andare a cercare Chris, ma un sibilo sottile catturò la sua attenzione. Kisshu si girò verso il punto da cui era provenuto, ma non vide nulla.
Qualunque persona normale avrebbe pensato ad uno scherzo della propria immaginazione, ma il suo istinto gli diceva che non era così, e lui era stato salvato dal suo istinto troppe volte per iniziare a dubitarne proprio adesso. Estrasse quindi i tridenti e si guardò intorno con sospetto, cercando di discernere un nuovo segnale di pericolo in mezzo allo scrosciare sordo della pioggia.
Anche se non riusciva a vederlo, Kisshu percepiva la presenza di qualcosa in quella stanza con lui, qualcosa che lo stava puntando.
«Chi sei?» domandò al vuoto. Per dei lunghi secondi non udì altro che pioggia: era come se ciò che lo stava minacciando fosse completamente immobile… o come se si stesse preparando ad attaccare.
Kisshu si gettò di lato appena in tempo per evitare un assalto di quell’essere invisibile che, mancandolo, finì su una bassa mensola ricolma di vecchi calici e pissidi che era dietro Kisshu.
«Sei tu che hai ucciso Imago?» gli gridò lui, mentre tutto il contenuto della mensola si rovesciava a terra.
Si chiese cosa diamine fosse quel mostro. Doveva scoprirlo assolutamente se voleva avere una chance di contrastarlo.
Mentre il sibilo aumentava d’intensità man mano che l’essere ricominciava ad avvicinarsi a lui, Kisshu afferrò una tovaglia bianca da altare da una pila in cima ad una scrivania e la svolse lanciandola davanti a lui; il mostro finì intrappolato sotto la stoffa e si dimenò, palesemente contrariato.
Basandosi sulla sagoma individuata dalla stoffa, Kisshu realizzò che il suo avversario aveva le dimensioni e la forma di un comunissimo serpente… ma man mano che strisciava verso di lui, il suo corpo prese ad ingrandirsi in maniera spropositata fino a che, quando gli fu a cinque passi di distanza, il mostro non si sollevò fino a raggiungere la sua stessa altezza. La sua testa, ancora coperta dalla tovaglia, adesso era grossa quanto quella di una persona e appariva molto più larga del resto del corpo.
Kisshu non aveva mai sentito parlare di una forma di vita del genere; con il respiro accelerato per la tensione, esitò forse un secondo di troppo fermo nella stessa posizione ma fu grazie a ciò che, quando l’essere strappò con un morso la tovaglia e si liberò, Kisshu riuscì a vederlo per un secondo prima che sparisse di nuovo.
Aveva due occhi rossi senza pupilla e il corpo squamato di un nero quasi metallico; l’interno roseo della sua bocca spalancata era un orrore di denti aguzzi fra cui troneggiavano due canini lunghi ed affilatissimi. Fu solo allora che Kisshu comprese di trovarsi di fronte non ad un animale terrestre ma ad un chimero estremamente evoluto.
Evitò una sua nuova carica spostandosi di nuovo, ma fu troppo lento e come conseguenza il dolore bruciante che iniziò a provare all'altezza del bicipite gli fece capire che quella bestia lo aveva quasi azzannato.
Trattenendo l’istinto di stringersi il punto colpito, Kisshu approfittò della sua vicinanza con il chimero per conficcare uno dei suoi tridenti davanti a sé, affondandolo profondamente in quel corpo che non riusciva a vedere e muovendolo per squarciare quanto più possibile. Il chimero lanciò un sibilo acuto orribilmente simile ad uno strillo che riempì le orecchie di Kisshu fin quasi a farlo star male. Lui ritrasse il tridente e si allontanò da lì, ma finì per accasciarsi contro i rettangoli colorati della vetrata perché di colpo l’intero braccio ferito aveva iniziato a dolergli in maniera spaventosa.
Lo consolava il fatto che nel frattempo il chimero, a giudicare dal modo in cui continuava a gridare e a dimenarsi, sembrava essere stato ferito in modo abbastanza grave.
Kisshu si morse le labbra nel disperato tentativo di non lasciarsi sopraffare dal dolore e si concentrò sul capire che cosa aveva intenzione di fare adesso quel mostro: fu la sua salvezza perché si accorse presto che, nonostante fosse agonizzante, aveva deciso di tentare un ultimo affondo contro di lui. Si teletrasportò via appena in tempo per evitarlo, ma mentre Neidr riduceva la vetrata in mille pezzi e ricadeva all'esterno, il dolore prese il sopravvento in Kisshu e lui perse il controllo dei suoi poteri.
Si rimaterializzò appena fuori dalla vetrata distrutta e venne investito da una pioggia di acqua e frammenti di vetro; sconvolto, scorse con la coda dell’occhio il parassita uscire dal chimero morente e poi precipitò giù, battendo con violenza la schiena sul terreno fradicio d’acqua. 
Le gocce di pioggia cadevano dal cielo in modo così fitto da fargli male e gli impedivano quasi di respirare. Era come essere immersi in una piscina d’acqua gelata e Kisshu non poteva evitarlo in alcun modo perché lo shock della caduta lo aveva paralizzato.
Iniziò a tremare, ma non era sicuro che i suoi fossero brividi di freddo: provava un dolore immenso in tutto il corpo e se solo avesse potuto si sarebbe strappato le vene a mani nude pur di farlo finire. Quando infine avvertì una fitta più forte all’altezza del cuore, il dolore iniziò a scemare; Kisshu si sentì improvvisamente stanco, molto stanco. «Mi dispiace, piccola,» disse, lasciandosi andare. «Non sono riuscito a salvarti.»
L’ululato del vento assorbì la sua voce. Nessuno lo sentì, né poté rispondergli.










+ + +

Note.

[1] Chris sta canticchiando 'Hidden Truth' di Yousei Teikoku (il link diretto è nel capitolo).

[2] Neidr era un chimero simile ad una vipera testa di lancia (o un trimeresurus).
I serpenti sono fra gli animali più antichi e sono sicura che gli alieni abbiano portato qualche loro antenato preistorico sul Pianeta Nero durante la loro fuga.
Il suo fratellone si chiamava Ilan e si è beccato una freccia di Kell in testa, povero piccolo.
Nessuno si è mai accorto di loro perché Chris li teneva ben stretti a sé. Erano in grado di celarsi e mutare la loro dimensione fino ad un massimo 2-3 metri di lunghezza e 50-60 cm di diametro; Chris li aveva modificati rendendoli velenosissimi.
Praticamente Kisshu si è ritrovato davanti [qualcosa del genere]. (io son costretta a cercare queste immagini per scrivere; voi se proprio volete soffrire con me, prima di aprire il link preparatevi prima psicologicamente lol) 


PS. dell'una di notte
M-Ma io man mano che aggiorno vedo le letture dei capitoli ancora da revisionare crescere sempre di più e penso: “Noooo vi prego, chiunque voi siate non leggete quelli, sono scritti malissimo ;____;!”
(non che quelli revisionati siano scritti meglio, ma se non altro adesso dalla lettura traspare meno disagio adolescenziale)
(adesso in ciò che scrivo ci sono solo refusi e odio misto a disillusione nei confronti dell’umanità)



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Capitolo 43
*** Frattura ***


26 16/01/2015: Ai NO



- Capitolo 41: Frattura -

 
Non appena trovò la pagina che stava cercando, Ai appoggiò la schiena sul fusto spaccato di una colonna e socchiuse gli occhi. «Essere o non essere,» recitò a bassa voce, «questo è il problema.»
Il tetto di un vecchio tempio poco distante da lui crollò. Gran parte dei detriti rovinò sul pavimento trasparente ma altri, senza alcuna logica apparente, iniziarono a galleggiare nell’aria verdastra che costituiva l’atmosfera di quella dimensione.
«…e tu? Tu che ne dici, Giulietta?» gridò l’alieno a Minto, che era appena apparsa in cima ad  un largo basamento di pietra a una decina di metri distanza.
Aveva percepito la sua presenza nello stesso momento in cui lei aveva varcato il portale dimensionale che aveva lasciato aperto in quella chiesa. Si concesse qualche secondo per osservarla da lontano, ma alla fine abbassò nuovamente la testa sul libro come se nulla fosse.
Dal canto suo Minto, sentendosi chiamare in quel modo, corrugò la fronte. Incerta e vagamente intimorita, la ragazza rimase ferma vicino al portale per qualche secondo ma, alla fine, scese i gradini del basamento e si inoltrò nella dimensione aliena.
Minto era già stata lì in passato insieme alle sue compagne [1] e ricordava bene quel cielo marcio come un oceano in decomposizione e lo spazio occupato dalle rovine decrepite di chissà quale antica civiltà. Ciò che non ricordava, o che forse era una novità, erano le preoccupanti crepe che si stagliavano all'orizzonte e
la variazione altalenante dell'intensità della luce naturale, che somigliava a quella di una lampadina che sta per esaurirsi
Ma per quanto una visione del genere fosse disturbante, attualmente il problema maggiore di Minto era cercare di capire come camminare: si sentiva stranamente leggera ed aveva l’impressione che, se non avesse distribuito in maniera ottimale il suo peso a terra ad ogni passo, avrebbe cominciato a galleggiare nel vuoto prima ancora di rendersene conto.
«Ma che cos’è questo posto?» mormorò fra sé e sé la ballerina, tesa per la concentrazione.
L’udito sviluppato di Ai captò quella domanda. «Credo che sia il residuo di una dimensione creata in passato da quel Profondo Blu,» le rispose ad alta voce con indifferenza, sfogliando un’altra pagina. «L’ho scoperta per caso qualche tempo fa, ma ormai sta collassando su sé stessa. Fossi in te, me ne andrei subito.»
Minto, ovviamente, ignorò quel suggerimento. Si sforzò di camminare in linea retta e quando si rese conto di essere riuscita ad arrivare a due metri da Ai senza aver fatto movimenti troppo goffi gli lanciò un’occhiata ricolma di soddisfazione personale.
Ma l’alieno era immerso nella lettura e non le stava prestando alcuna attenzione. Minto trovò decisamente scortese quel suo atteggiamento anche perché, in un certo senso, era stato lui ad invitarla lì.
Alla fine, visto che lui non sembrava intenzionato ad iniziare un discorso, decise di farlo lei.
Si schiarì dunque la voce. « Quindi,» esordì in tono neutrale, fingendo di sistemarsi una piega della gonna finita fuori posto, «sul vostro pianeta leggete Shakespeare?»
Quella domanda così fuori luogo distrasse Ai dal suo libro. Alzò gli occhi cerulei su Minto come per cercare di capire se lo stava prendendo in giro – ma lei sembrava sinceramente curiosa.
Distolse subito lo sguardo. «Non abbiamo tempo di leggere sul nostro pianeta,» le rispose tetro. «Le persone soffrono per la fame e la sete e sono disperate. Se hai avuto la sfortuna di nascere povero, puoi scegliere se trascorrere la vita estraendo minerali in qualche cava o imparare a combattere… sperando di non essere tu la prossima recluta che non sopravvive al programma di addestramento.»
Nel sentire quelle parole Minto si accigliò, ma decise di non replicare.
«Quelli come me non sanno neanche cosa significa leggere,» continuò allora Ai. «La capacità di farlo mi è stata trasmessa da un qualche programma automatico che era nella nostra astronave, insieme ad altre conoscenze di base del vostro pianeta.»
Aveva appena finito di parlare che un piccolo tempio lì vicino si frantumò in mille pezzi senza alcun motivo apparente, facendo trasalire Minto.
Ai, perfettamente calmo, chiuse il libro e si staccò dalla colonna. «Ma non perdiamo altro tempo,» esclamò, rivolgendo alla ragazza la sua completa attenzione. «E’ evidente che se sei qui è perché vuoi morire, per cui ti accontento subito.»
Lei colse un certo guizzo malizioso nelle iridi azzurre dell’alieno e il suo cuore perse un battito. «Non sono qui per combattere,» si affrettò a dirgli.
«E allora cosa posso fare per te, mia amata?» le domandò lui in modo fastidiosamente sarcastico.
«Tanto per iniziare potresti spiegarmi perché ti sei finto un umano,» rispose lei, seria per contrasto. «Voglio dire, davvero non sapevi… chi fossi in realtà?»
«Se lo avessi saputo non saremmo qui in questo momento. O meglio, io sarei qui – tu, invece, saresti andata già da parecchio tempo. Come ai vecchi tempi, Minto. Ricordi quel giorno in cui ti ho pugnalata allo stomaco? Era tutto così semplice allora!»
«In effetti, neanche io avrei mai pensato che tu fossi Will,» ribatté la ballerina, incapace di resistere oltre a quelle provocazioni. «Lui era così ingenuo e romantico, mentre tu… oh, non eri quello che si vantava di essere senza sentimenti?»
Ai prese quel sarcasmo decisamente male. Minto lo vide incupirsi e digrignare i denti e si pentì di essere stata così sfacciata, anche se era stato lui a cercarsela.
Ci fu un silenzio lungo alcuni secondi. «Ero convinto di non avere più sentimenti,» le rispose infine l’alieno in un tono che lei non riuscì bene a decifrare. «Ci speravo, forse. I sentimenti non mi hanno mai aiutato a sopravvivere, anzi, mi hanno solo peggiorato l’esistenza. Nel tuo caso, mi hanno annebbiato la mente al punto tale da impedirmi di riconoscere che eri il mio nemico. Ma avrei dovuto capire che eri tu. Kass aveva ragione su di te: tu spiccavi fra quelle tue compagne come spicca una nivea colomba in mezzo ad uno stormo di cornacchie
Minto sbatté le palpebre. «Stai offendendo le mie amiche,» commentò.
Ai scrollò le spalle. «E’ Shakespeare,» replicò, «ed è stata tutta colpa sua,» ammise poi, gettando via il suo libro in un moto di nervosismo.
«Che cosa intendi dire?»  gli chiese Minto, restando immobile.
«Intendo dire che a me non è mai importato molto del mio popolo o di voi terrestri,» le rispose sprezzante l’alieno, allontanandosi di qualche passo. «Ho trascorso la vita ad eseguire gli ordini dei miei superiori. Combattere ed eseguire ordini – è l’unica cosa che so fare. Quando sono arrivato su questo pianeta, non avevo nessun ordine da eseguire. C’era solo quella principessa fuori di testa e questo posto assurdo, e io non avevo idea di cosa fare. E’ stato a quel punto che ho scoperto i vostri libri: quelle pagine scritte erano così… precise e convincenti che ho creduto di poterle usare per capire qual’era il modo più giusto di comportarmi.»
Minto inclinò appena la testa, stupita. «Credevi davvero che la logica dei libri si potesse applicare nella realtà?»
«Sì, ma è stato un errore. In una pagina scritta, ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se viene chiamato con un altro nome, continua a serbare pur sempre lo stesso dolce profumo,» recitò a memoria l’alieno. «Ma nel mondo reale non è così, perché ora che ho scoperto che sei l’essere che ho odiato per così tanto tempo, Minto, l’unica cosa che desidero è piantare il mio pugnale in quel tuo bel corpo leggiadro finché non sarò sicuro che sei davvero morta
«Puoi provare a farlo, se lo desideri,» rispose lei, ignorando l'occhiata obliqua che lui le stava lanciando, «ma ormai non c’è più alcun motivo per cui dobbiamo continuare ad essere nemici.»
Ai rise con amarezza. «Le tue compagne non sono della tua opinione.»
«Se aiuti quella pazza, noi siamo costrette a fermarti in qualche modo. Ma comunque, se davvero non ti importava delle sue smanie di conquista, perché ci hai combattuto?»
«Te l’ho detto, è l’unica cosa che so fare. Ma devo ammettere che, in fondo, è stato divertente.»
Mentre Ai si sollevava in aria di un paio di metri, Minto si soffermò a pensare alle sue parole. «Sì, se fossi stata al tuo posto, credo che sapere di avere dei nemici da combattere mi sarebbe stato di una qualche consolazione,» osservò. «Ma questo non è quello che vuoi, Ai. Tu non–»
«Come fai a sapere cosa voglio?» la interruppe l’alieno bruscamente. «Sei davvero così sicura di sapere tutto di me, Minto?»
Lei sgranò appena gli occhi nocciola. Si era in qualche modo aspettata una reazione del genere da lui – aveva notato da tempo che quell’argomento era il suo punto debole, per cui non si lasciò intimidire e decise di continuare a grattare quella superficie.
«Sì,» dichiarò, «e se lo sono è perché tu me l’hai mostrato, sia sotto forma di Ai che di Will.»
«Will era una menzogna,» sibilò Ai fra i denti.
«Will eri tu. E tu hai provato ad avvicinarti a me quando avresti potuto prendermi e basta. Sul tuo pianeta puoi aver eseguito gli ordini perché non potevi fare altro, ma se qui hai seguito le indicazioni di un copione è perché lo hai voluto,» ribatté Minto con decisione. «Un copione che tu hai scelto, tra l’altro. Possibile che non te renda conto?  Se ne avessi scelto un altro, avresti potuto usare Will per fare del male a me o ad altri, ma non l’hai fatto.»
Un altro tempio crollò ed il suono echeggiò nello spazio aperto. Le crepe nell’atmosfera si allargarono, ricordando a Minto che il tempo che aveva a disposizione stava per terminare.
«Io e le mie amiche non abbiamo motivo di combatterti,» riprese. «Tu non hai mai ucciso un innocente, ed anzi io ti ho visto salvare delle persone con i miei occhi. Hai salvato la vita a me, e hai continuato a farlo anche se io non facevo altro che continuare a respingerti!»
«Smettila, Minto,» esclamò Ai dall’alto. «Stai mettendo alla prova la mia pazienza.»
«Oh, non ho alcuna intenzione di smettere!» replicò lei con fervore. Si mosse in avanti di un paio di passi e poi spiccò un salto: aveva in mente solo di avvicinarsi all’alieno, ma le leggi fisiche che governavano di quella dimensione decisero che invece doveva finire addosso a lui. Facendo appello ai suoi poteri Minto riuscì a limitare il danno, ma si ritrovò ugualmente a schiacciare le mani sulla maglietta di Ai che, stupito da quel suo gesto, rimase a bocca aperta nel ritrovarsela praticamente fra le braccia.
Ignorando il calore che le stava colorando le guance, Minto strinse le mani sulla stoffa e alzò la testa per guardare l'alieno in faccia. «Tu sei il ragazzo che si getta davanti a me e si prende uno sparo al mio posto,» gli disse. «E sei uno stupido che non ha la minima idea di come ci si comporti con una ragazza, che cita Shakespeare senza motivo e che non sa neanche come abbottonarsi da solo una camicia. Ecco cosa sei. E non sei neanche lontanamente normale o perfetto, ma… va bene così, Ai. Puoi ricominciare da qui. Non ho idea di cosa ti hanno fatto sul tuo pianeta, ma se solo smettessi di combatterci... potresti rifarti una vita qui sul nostro.»
«Perché mi stai dicendo tutto questo?» le chiese lui, confuso.
«Perché,» Minto fece una pausa prima di continuare, come cercando le parole esatte per rispondergli. «Perché in questo mondo non c’è solo la guerra. Esiste anche il perdono,» mormorò alla fine. «E…»
Ai deglutì. «E…?»
Minto girò la testa di lato, imbronciata. «E..Ed ora, per favore, potresti aiutarmi a tornare a terra?»
Interdetto, l’alieno passò una mano dietro la schiena della ragazza
con un gesto meccanico e la teletrasportò con sé al livello del pavimento senza colore. Non appena Minto rimise i piedi sul suolo stabile decise che non avrebbe mai più provato a fare una cosa del genere.
«Grazie,» sospirò, ancora un po’ rossa in viso. «Ora che ne dici di andar via da questo posto?»
Ai si staccò da lei con fin troppa prontezza. «Non posso.»
«Perché?»
«Minto, la fai sembrare così facile, ma io non saprei da dove cominciare.»
«Questo non è un problema. Ti aiuterò io.»
Lui sollevò lo sguardo su di lei, accennando un sorriso afflitto. «Ti ispiro così tanta pietà?»
«Non è pietà,» sbottò Minto, nervosa ben oltre il limite dell’imbarazzo. Perché diamine non capiva? Gli diede le spalle e incrociò le braccia al petto. «E’ che… non mi piace l’idea che qualcuno così stupido finisca per essere ucciso.»
«Ho capito,» sospirò lui, passandosi una mano fra i capelli scuri. «Sei davvero la mia Giulietta.»
«Preferirei di no.»
«Uh?»
«Quella storia di Romeo e Giulietta mi fa innervosire. Quei due muoiono entrambi alla fine. E in modo abbastanza sciocco, se proprio devo essere sincera.»
Anche se Minto non poteva vederlo, Ai le sorrise. «A noi due non accadrà, perché grazie a te ora cosa fare,» disse.
L’istante successivo stringeva fra le mani il suo kris.
Allertata dal suo istinto, Minto si voltò appena in tempo per vedere Ai scagliarsi contro di lei. Grazie ai suoi riflessi si mosse indietro a sufficienza per evitare il fendente che lui le tirò, ma venne ugualmente presa di striscio: sentì la lama fredda del lungo pugnale dell'alieno sfiorarle la spalla destra e, quando se la toccò, si accorse che la sua camicetta era strappata e che stava sanguinando.
La ragazza guardò incredula il sangue color rosso brillante che le macchiava le dita e raggelò.
Non era un gioco, aveva davvero colpito con l’intenzione di farle del male. Che fine avrebbe fatto se non si fosse spostata in tempo?
Fissò lo sguardo sull’alieno di fronte a lei. Non riusciva a capire. Tutto questo non aveva alcun senso.
«Ai,» chiese con voce fievole, «perché?»
«Le tue parole mi hanno aperto gli occhi,» le rispose lui con sincerità. «Hai ragione, Minto. Anche se non avevo nessun motivo di combattervi, ho continuato a farlo perché era ciò che tutti si aspettavano che avrei fatto. E anche quando combattevo, non facevo altro che continuare a comportarmi come un attore su un palco. Ma ora non sarà più così. A partire da oggi sarò solo me stesso,» disse, «e per dimostrarlo, distruggerò il copione che ho seguito finora.»
Mentre l’alieno parlava, la mano di Minto corse frenetica alla sua spilla per la trasformazione.
Ai sollevò la testa e la guardò. «Sì,» disse, «per dimostrare che sono libero, ucciderò la mia Giulietta.»













+ + +

Note.

[1] Le ragazze scesero nella dimensione aliena nell’episodio in cui dovevano recuperare Mash.

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Capitolo 44
*** Colpito al cuore ***


43 14/02/2017: Ehm… scusate per il ritardo.
In questi ultimi mesi sono stata molto impegnata. Non ho più scritto ed ora mi sento decisamente fuori allenamento, ma il mio stile attuale è sicuramente migliore della prima stesura di questo capitolo, per cui no regrets.
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno continuato a sostenermi in questi mesi. ;_;
Parlando di revisione: tra le altre cose ho sistemato la scena fra Minto ed Ai che avevo anticipato nel capitolo precedente e dato una bella spolverata al vecchio finale del capitolo, perché io voglio bene a Ryo. ♡

 
 
- Capitolo 42: Colpito al cuore -

  

Il taxi giallo sfrecciava a tutta velocità per le strade deserte di Tokyo, incurante della tempesta di vento e pioggia che stava sferzando sulla città. Quando raggiunse Villa Shirogane, la sua destinazione, invece di rallentare accelerò.
L’automobile sfondò il cancello di ferro e slittò sul vialetto allagato, arrestando malamente la sua corsa contro un provvidenziale gruppetto di siepi. Dopo qualche secondo, dal lato del guidatore emerse una giovane donna vestita interamente di sfumature di rosa.
La donna lanciò una rapida occhiata ammirata al cofano fumante dell’auto e si chiese quanti mesi di stipendio sarebbero stati necessari per riparare il danno che aveva appena causato.
“Nei film sembra più facile,” pensò. Poi si diresse verso l’ingresso della villa.

*


Esattamente nove metri più in basso, Keiichiro e Ryo erano ancora prigionieri all’interno del bunker sotterraneo. A causa dell’ultimo sovraccarico di corrente, o forse dell’uragano in corso, erano rimasti al buio e completamente isolati dal mondo esterno.
Inutile dire che erano entrambi più che scioccati dalla scomparsa di Ichigo, avvenuta ormai più di un’ora fa. Ma mentre Keiichiro, concentratissimo, continuava a lavorare sui cavi del pannello di controllo alla luce di una piccola torcia, Ryo non riusciva a far altro che percorrere e ripercorrere a gran passi il corridoio d’ingresso in preda all’ansia. Odiava non avere la situazione sotto controllo, e detestava non sapere cosa fosse accaduto a Ichigo.
Come era potuta svanire nel nulla? Si trattava di un trucco? Di un rapimento degli alieni? E se in quel preciso momento fosse in pericolo? E se-
«Ce l’ho quasi fatta,» dichiarò Keiichiro, collegando un ennesimo cavo e interrompendo la catena di pensieri dell’americano. «Se riesco ad avviare il generatore di emergenza posso resettare l’OS, ricalibrare il sistema di allarme, e a quel punto basterà solo-»
Il suono di un tonfo metallico coprì le ultime parole dell’uomo. Ad esso ne seguì rapidamente un secondo, poi un terzo ed un quarto.
«Che cosa succede adesso?!» esclamò Ryo, correndo verso l’ascensore d’ingresso. Nel buio, poggiò l’orecchio sulle porte metalliche  e udì distintamente una seconda serie di stridii e tonfi provenire da lì.
«Keii, c’è qualcuno qui sopra!»
«Che cosa?!»
Keiichiro abbandonò il pannello di controllo e raggiunse il biondino, portando con sé la torcia. I due uomini, dopo essersi lanciati un’occhiata d’intesa, afferrarono i due lati delle porte dell’ascensore e spinsero con forza fino ad aprirle. Nella cabina dell’ascensore gli stridii superiori si avvertivano in modo ancora più sonoro e distinto. Ryo aprì la botola superiore della cabina e si arrampicò sulla cima dell’ascensore. Puntò la torcia di Keiichiro verso l’alto e intravide, molti metri sopra la sua testa, una sagoma familiare dalle sfumature rosa che – a quanto pareva – era appena riuscita a scoprire e forzare le porte dell’accesso segreto dell’ascensore.
«Mew Ichigo!» esclamò quasi con sollievo, mentre anche Keiichiro lo raggiungeva sul tetto dell’ascensore.
«Temo di no, chérie!» gridò Cherry dall’alto, lanciando loro una lunga e spessa corda.
Stringendo i denti per la frustrazione, Ryo afferrò la corda ed iniziò ad arrampicarsi. Keiichiro, con un po’ di difficoltà, lo seguì.


«Bentornati in superficie,» li salutò la professoressa di storia dell’arte non appena furono riemersi dal vano ascensore. «State bene?»
«No,» sbottò Ryo, spolverandosi la giacca di pelle nera che indossava. «Mi è sembrato di essere rimasto lì sotto per anni. Dov’è Ichigo? Ti ha detto lei che eravamo qui? Che cosa le è successo?» si affrettò poi a chiedere alla donna, impegnata ad asciugare il sudore che imperlava la fronte corrucciata di Keiichiro con un fazzolettino.
«E’ una lunga storia, ma cercherò di essere rapida come un artista concettuale,» gli rispose lei. «Sai, loro considerano l’espressione dell’idea più importante dell’estetica dell’oper-» si interruppe catturando l’occhiata in tralice di Ryo e tossicchiò leggermente. «Dunque,» iniziò a raccontare, «è iniziato tutto circa un’ora fa. Ero sola al Cafè Mew Mew, ma all’improvviso… »


*
 
Quando Kisshu riprese i sensi non riconobbe il posto in cui si trovava. Era un deposito buio, puzzolente e decisamente rumoroso. Le gocce di pioggia battevano ritmicamente sulla lamiera del tetto: quel suono incessante era così fastidioso da causargli il mal di testa.
Il giovane si mosse a fatica. Gli mancava l’aria, e non riusciva a respirare in maniera normale. Non si sentiva più le braccia e le gambe e ogni centimetro del suo petto pareva essere in fiamme.
Cercò di ricordare cosa gli era successo, ma i suoi pensieri erano scollegati e deviati dal dolore che stava provando. Aveva… combattuto contro un chimero, gusto? Era stato azzannato a morte ed era precipitato da almeno dieci metri di altezza.
Ma lo aveva ucciso. Oh sì che aveva ucciso quel bastardo. Aveva ucciso l’assassino della donna che amava.
Rantolando per il dolore, l’alieno tentò di mettersi seduto, ma qualcuno lo trattenne a terra premendo una mano sul suo petto.
Kisshu non si era accorto di avere compagnia. «Non muoverti,» gli intimò lo sconosciuto con voce grave. Troppo distrutto per ribattere, l’alieno obbedì e si lasciò ricadere sul pavimento gelido. Non che avesse avuto davvero la forza di rialzarsi.
Kisshu si accorse che il nuovo arrivato era inginocchiato a terra accanto a lui. Indossava un mantello con un cappuccio che gli copriva il volto e stava imprimendo la mano laddove il chimero lo aveva ferito, ma poiché aveva perso la sensibilità in quel punto, non avvertiva assolutamente nulla.
«Sto… morendo?» gli chiese.
«Credo che tu sia stato avvelenato,» gli rispose lui, atono. «E hai un numero imprecisato di ossa rotte. Sto cercando di guarirti, ma se continui a distrarmi e ad agitarti mi rendi le cose difficili.»
«Sei…una lagna vivente,» sbuffò Kisshu, accennando un mezzo ghigno sofferente. «Se continui così… le donne… ti odieranno… Pai,» esalò, prima di perdere di nuovo i sensi.


*

Mew Lettuce schivò il fulmine che puntava al suo petto con un salto. Atterrò malamente sul durissimo pavimento di marmo della chiesa e si rialzò a fatica solo dopo molti secondi, barcollando.
Scostò una ciocca di capelli verdi e sudati che le si era appiccicata sulla fronte e approfittò di quel momento per riprendere fiato.
L’avversario che lei e le sue compagne stavano combattendo era la guardia del corpo della principessa Kassandra, il temibile Hiroyuki: un alieno tutto muscoli e, a quanto pareva, neanche un briciolo di volontà propria, che eseguiva gli ordini della sua padrona in maniera del tutto meccanica.
Questa volta, quel mostro stava utilizzando le sue due sciabole per creare e scagliare senza sosta dei possenti attacchi elettrici contro di loro. Ad ogni movimento delle sue lame corrispondeva una nuova scarica di energia e le mew mew si erano presto ritrovate costrette a dover restare sulla difensiva, in attesa di un’apertura che sembrava non arrivare mai.
Dal canto suo, Mew Lettuce sapeva che, anche se l’occasione si fosse presentata, non avrebbe potuto far nulla: se avesse evocato una cascata d’acqua lei e le sue amiche sarebbero morte fulminate sul posto in pochi istanti. In quel frangente, i suoi poteri erano del tutto inutili.
"Q-Qualcuno ci aiuti!" pensò con disperazione la mew focena mentre vedeva Mew Zakuro, ferita alla gamba, crollare a terra accanto a una Mew Pudding già priva di sensi. Indietreggiò d’istinto di alcuni passi, ma nel farlo inciampò su un gradino che non aveva visto e cadde dentro una delle buie cappelle laterali.
Sfortunatamente per lei, Hiroyuki la notò. L’alieno si mosse nella sua direzione a passi lenti guardandola fisso e Mew Lettuce, in preda al panico, indietreggiò carponi fino alla parete alle sue spalle. Si portò una mano tremante sul petto, cercando di contenere lo spavento: non aveva tempo per questo, doveva cercare una soluzione, e doveva farlo subito.
Hiroyuki, dalla cima delle scale, mosse all’indietro sue sciabole per caricare il colpo di grazia e Mew Lettuce avvertì la sua già scarsa determinazione rompersi come una bolla di sapone.
L’alieno scagliò l’attacco e Mew Lettuce vide l’elettricità crepitante avanzare verso di lei. Fu solo l’intervento di Mew Ichigo, che si frappose fra lei e Hiroyuki, a salvarle la vita: la guerriera sfruttò il potere della sua Strawberry Bell per creare una barriera che riflesse il fulmine e lo rispedì al mittente, che per evitarlo fu costretto a scansarsi di lato.
Per nulla turbato da ciò, una volta evitato il pericolo l’alieno riprese a camminare verso le due guerriere e scese in silenzio le scale, fermandosi a pochissimi metri dalle due.
Kassandra, dall’alto, gli stava già ordinando di non lasciarsi sfuggire l’occasione e finirle entrambe.
«Mew Lettuce!» esclamò Mew Ichigo. «Devi andar via da qui!» Aveva il respiro affannato per la fatica e il suo bel vestito rosa era tutto una bruciatura. Per non parlare della coda…
Ma Mew Lettuce non stava ascoltando l’amica. Sebbene sconvolta dalla paura e impotente, aveva realizzato che Hiroyuki aveva appena evitato il suo stesso fulmine.
Ora che ci pensava, l’elettricità che Hiroyuki scagliava contro di loro si condensava sulla lama delle sue sciabole, ma non sull’elsa. Forse, in qualche modo le else erano state realizzate in modo da isolarlo dalla tensione che le sue armi generavano, a cui neanche lui era immune.
In quel momento, Mew Lettuce capì cosa doveva fare: schiacciò i palmi delle mani sul pavimento della cappella ed evocò a bassa voce il suo potere. Fu così rapida e silenziosa che Mew Ichigo si ritrovò di colpo con gli stivali sommersi in trenta centimetri d’acqua apparsa dal nulla. Hiroyuki, nella sua stessa condizione, non si scompose ma parve esitare.
«Ma cosa…?»  Mew Ichigo si distrasse dal suo avversario per voltarsi verso l’ amica.
«La prossima volta che usa quel suo potere, devia il fulmine nell’acqua e salta via. Funzionerà!» gli disse lei, ancora a terra e di conseguenza semisommersa nell’acqua, con voce più bassa e rapida possibile.
«Retasu, tu…» Mew Ichigo non aveva ben chiara la situazione, ma intuì che quello era il piano più stupido e rischioso che Retasu avesse mai ideato. Ma non ebbe tempo di protestare perché Hiroyuki, dovendo obbedire all’ordine diretto di Kassandra, stava già per lanciare un nuovo attacco.
«Cosa stai aspettando?! Rimangono solo queste due in piedi. Riducile ad un flambé SUBITO, è un ordine!» gli aveva strillato lei dall’alto, inconsapevole del pericolo che il suo subordinato stava correndo.
Quando Hiroyuki scagliò il suo attacco Mew Lettuce gridò «Ora!», ma Mew Ichigo non la ascoltò. Con scatto felino la guerriera gatto balzò sulla sua amica, la afferrò con una mano e saltò via, portandola con sé; solo dopo, mentre era al sicuro in aria, con l’altra mano usò la sua arma per deviare il fulmine nell’acqua. Mentre l’elettricità si diffondeva all’istante per tutta la cappella, Mew Ichigo e Mew Lettuce atterrarono al sicuro nella navata centrale.
Hiroyuki, dal canto suo, parve non avere neanche il tempo di provare a fuggire. Nel momento in cui venne raggiunto dal fulmine e fu avvolto dall’elettricità, le due ragazze lo sentirono urlare dal dolore.
Durò pochi secondi; non appena l’effetto del suo attacco si esaurì, Hiroyuki smise di gridare e cadde a peso morto nell’acqua sottostante.


*


Le ultime parole di Ai risuonarono nel buio dell’orizzonte verde evanescente della dimensione aliena.
“Per dimostrare che sono libero, ucciderò la mia Giulietta,” aveva dichiarato a gran voce.
Minto non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa: dopo tutto quello che era successo fra di loro, Ai non poteva davvero pensare di ucciderla. Non aveva alcun senso!
«Non lo faresti mai,» gli disse con voce più acuta del normale.
«E’ esattamente per questo che devo farlo,» replicò lui. «Ma come hai intuito, non mi piace uccidere a sangue freddo un avversario disarmato. Per cui trasformati, Minto!»
Lei indietreggiò ancora. La situazione le stava sfuggendo di mano e doveva fare qualcosa per riprendere il controllo. Trasformarsi, però, era fuori discussione: se lo avesse fatto, avrebbe perso tutto quello che aveva cercato di costruire fino a quel momento. Per questo motivo, Minto prese un grosso respiro.
«No,» disse con decisione.
«Perché devi rendere sempre tutto così complicato?» sospirò in risposta l’alieno, riponendo la sua arma. «Va bene. L’hai voluto tu.»
«Ascoltami, non devi fare questo,» insistette Minto. «Noi possiamo…»
Ai non la lasciò concludere perché si materializzò di fronte a lei e la spinse indietro fino a farla sbattere contro un rudere alle sue spalle. La gravità sballata attutì di molto l’impatto, ma Minto si lasciò ugualmente sfuggire un gemito.
Ai la teneva premuta contro la parete con entrambe le mani. I suoi occhi blu fiammeggiavano a pochi centimetri dal suo viso e per un attimo lei credette davvero che stesse per ucciderla.
Il cuore le balzò in gola. «Ti prego…» furono le uniche parole che riuscì a dire prima che l’alieno serrasse le sue labbra con le sue, facendola tacere con forza. Lei si irrigidì, scioccata da quell’azione. Esalò un gemito sorpreso e lui ne approfittò per impossessarsi della sua bocca e del suo respiro.
Non la stava uccidendo, la stava baciando. Ma la sua presa su di lei era troppo forte e i suoi canini affilati le procuravano dei piccoli tagli.
Minto respinse l’alieno quasi subito: schiacciò i palmi sul suo petto e spinse, costringendolo ad allontanarsi da lei. Lui la lasciò fare e non provò neanche ad evitare il ceffone che la ragazza gli tirò un attimo dopo.
«Che cosa stai facendo?!» gli gridò Minto con la voce che tremava per la rabbia e l’orgoglio ferito.
Ansimando leggermente, Ai si portò una mano sul punto ferito. Dopo molti secondi, strinse le labbra e voltò la testa in direzione di un punto indefinito nel vuoto.
«Non… non ho detto che ti avrei uccisa subito. Sarebbe uno spreco, in ogni caso,» le rispose in tono piatto. Prese un grosso respiro.
«Ma cosa…?»
«Ma non capisco. Perché ora protesti? Non è questo quello che vuoi?» le chiese lui subito dopo, cambiando totalmente atteggiamento: ora sembrava quasi divertito. Le ricomparve di fronte. «Non volevi farmi felice?» le disse, sollevandole il mento con una mano contro la sua volontà.
Lei non si mosse di un millimetro. «Toglimi le mani di dosso,» sibilò a denti stretti.
Ai la lasciò andare e rimaterializzò a pochi metri di distanza.
«Che c’è, ti tiri indietro adesso?» la schernì.  «O forse ti aspettavi qualcosa di romantico?»
«Smettila!»
«E’ colpa tua, Minto. Tu sapevi che ero pericoloso, ma eri troppo annebbiata dal tuo delirio di onnipotenza per pensare di poter perdere contro di me. Sei ridicola. A me non importa nulla della fine di questo mondo: ti ucciderò, e poi ucciderò le tue amiche!» dichiarò tutto d’un fiato.
Minto strinse i pugni. Quello era troppo.
«Se c’è una persona ridicola, allora sei tu,» disse. Lasciò che la sua frangia le nascondesse gli occhi mentre estraeva la sua spilla. «Non ho parole. Sei… Sei veramente stupido!»
Ai vide la luce argentata della trasformazione avvolgere il corpo della ragazza; quando lei sollevò la testa  verso di lui, era tornata ad essere Mew Mint.
Lui inarcò un sopracciglio, vagamente deluso. «E’ solo questo quello che pensi?»
«Io volevo aiutarti!» gridò lei, premendosi una mano sul petto. «Io volevo davvero aiutarti, ma se queste sono le tue intenzioni… non posso lasciarti uscire da qui,» concluse mentre estraeva il Mintone Arrow.
«Come se fossi in grado di fermarmi, mocciosa inferiore,» bisbigliò dolcemente Ai, catturando lo sguardo infuriato che la guerriera gli stava rivolgendo mentre caricava una delle sue frecce. Strinse le dita sul suo kris, preparandosi al combattimento.
Mew Mint lo attaccò molto più rapidamente del previsto. Gli lanciò contro tre delle sue frecce in sequenza, costringendolo ad indietreggiare e a spostarsi per evitarle. Distrattosi per evitare l’ultima, che puntava alla sua testa, Ai si accorse troppo tardi che la ragazza lo aveva raggiunto e lo aveva colpito allo stomaco con un tanto elegante quanto preciso calcio rotante. I suoi polmoni si svuotarono e lui tossì, indietreggiando ancora.
La guerriera azzurra rimase ferma in piedi davanti a lui, la schiena dritta e l’arma in pugno, attendendo la sua contromossa. Ai notò che il suo sguardo era freddo e severo come mai lo aveva visto e sogghignò segretamente: l’aveva fatta davvero arrabbiare.
L’alieno fece roteare il kris fra le mani e poi si scagliò verso di lei, ma Mew Mint usò il suo arco per bloccare l’affondo del pugnale. Compì una piroetta e lo colpì di nuovo ma Ai, d’istinto, parò l’attacco e riuscì a raggiungere il collo della ragazza con la sua lama. A quel punto gli sarebbe bastato un attimo per tagliarle la gola, ma non lo fece. Quei pochi istanti di esitazione diedero la possibilità alla mew mew di sgusciar via dalla sua presa e usare il suo arco per colpirlo sotto il mento, facendogli davvero male.
«Mew Mint Echo!»
L’attacco di Mew Mint colpì l’alieno in pieno petto e lui cadde di schiena, perdendo la sua arma.
Cercò di riprenderla, ma Mew Mint gliela calciò via con decisione.
Ai se la ritrovò in piedi davanti a lui; il bel viso contratto dalla rabbia, gli stava puntando contro l’arco già caricato con una nuova freccia, pronta per finirlo.
“Addio, Minto” pensò l’alieno, chiudendo gli occhi. Ma la freccia non arrivò mai, e quando Ai riaprì gli occhi si accorse che la ragazza gli aveva dato le spalle e si stava dirigendo verso l'uscita.
La realizzazione che lei lo aveva risparmiato gli fece più male di tutti i calci che aveva appena preso.
«Ma dove vai?!» tossì, rimettendosi in piedi. «Che cosa stai facendo?! Mi risparmi? Se lo fai, raggiungerò le tue amiche e-»
Mew Mint si fermò. «Ai,» disse, senza neanche girarsi verso di lui, «basta così.»
Lui si morse un labbro. «Io… io sono serio,» mormorò senza troppa convinzione.
«Oh, santo cielo!» sbottò a quel punto Mew Mint, spazientita. «Mi credi un’idiota? Ogni volta che abbiamo combattuto, mi hai sempre sconfitta nel corpo a corpo. Questa volta non solo hai evitato di procurarmi un singolo graffio, ma non mi hai fatto del male neanche quando ti ho offerto l’occasione di farlo su un piatto d’argento!»
«Anche se fosse vero, hai appena detto di odiarmi! Non sei neanche in grado di combattere seriamente?» ringhiò lui in risposta. «Che razza di soldato sei?!»
Dire che Mew Mint rimase interdetta da queste parole era poco. La ragazza non aveva più alcuna idea di cosa fare. Il nervosismo che aveva provato prima si era ormai del tutto placato per far posto al disorientamento.
Zakuro aveva ragione: Ai stava male, ed ora stava crollando. Il suo semplice tentare di farlo ragionare aveva solo peggiorato la situazione, ed ora lei non sapeva come lui avrebbe potuto reagire se si fosse avvicinata di nuovo per riprovarci.
Forse, in fondo, era vero che non poteva far nulla per aiutarlo. Raccolse tutte le sue forze.
«Ho capito che non hai il coraggio di cambiare, ma per quanto tu possa provocarmi, non ti aiuterò a farla finita,» gli disse. «Le mie amiche sono in difficoltà e devo andare a dar loro una mano. Perché è vero, oltre ad essere Minto sono anche una mew mew, e questo significa che ho un dovere da compiere. Per cui,» concluse con voce più ferma possibile, «mi dispiace Ai, ma non ho più tempo da dedicare ad un codardo come te.»
Dettò ciò, Mew Mint raggiunse il portale d’uscita cercando di trattenere il più possibile le lacrime, e scomparve al suo interno, lasciando solo l’alieno.
Lui cadde in ginocchio. «Co…dardo…?» mormorò, sentendo il mondo crollargli addosso.
Minto aveva preso il suo copione e lo aveva stracciato, distruggendo completamente ogni sua logica.
Lo aveva battuto, in ogni senso, e questa realizzazione lo spinse a versare senza alcun preavviso lacrime di dolore ed umiliazione.
Ed ora… cosa avrebbe dovuto fare?

*
 

Mew Lettuce non riusciva a staccare gli occhi dal corpo esanime di Hiroyuki. Mew Zakuro e Mew Pudding, ripresesi, la raggiunsero. Mew Zakuro le poggiò una mano sulla spalla, facendola trasalire.
«E’ morto?» le chiese la guerriera lupo.
«Non ne ho idea,» rispose al suo posto Mew Ichigo accanto a lei. Di certo, però, se avesse continuato a restare in acqua sarebbe annegato.

 

Kassandra atterrò in cima alla bassa gradinata che portava alla cappella con l’aria spaesata di chi non ha capito cosa fosse successo ma era consapevole di esser stata parte attiva del disastro.
Man mano che il potere di Retasu perdeva effetto, l’acqua si ritirava, ma Hiroyuki continuava a non muoversi. Le sue sciabole giacevano inutilizzate a poca distanza da lui.
«Non è stata colpa mia,» commentò l’aliena quasi fra sé e sé, in tono indecifrabile.
Non appena tutta l’acqua fu svanita, si avvicinò al corpo della sua ex guardia del corpo e tese la mano su di lui. Come in risposta ad un comando silenzioso, un minuscolo essere luminoso fuoriuscì dalla schiena dell’alieno e si posò sulla sua mano.
A seguito di ciò i muscoli di Hiroyuki regredirono rapidamente e il corpo ora ricoperto di ustioni divenne sempre più esile, mentre i capelli bianchi dell’alieno assumevano quello che doveva essere il loro originale colorito nero.
«Arrenditi Kassandra, ormai è finita!» sentenziò decisa Mew Ichigo dalla navata, catturando la sua attenzione. «Ora che il tuo bestione stato sconfitto…»
«Bes…tione?»  ripeté Kassandra, interrompendola. Diede un piccolo calcio al corpo di Hiroyuki, facendolo girare sul fianco. «Non si trattava di un bestione. Per lui avevo scelto lo stile guerriero,» spiegò con una punta di amarezza nella voce. «Quando l’ho conosciuto, era un ragazzino timido e così dannatamente gentile. Ho creduto che avesse delle potenzialità. Ma in fondo, chi nasce perdente non può che giungere alla fine da perdente.»
Mew Ichigo aggrottò la fronte. «Che cosa intendi dire?»
«Ma perché parlo con gli stupidi?» sbottò Kassandra. «L’ho ipnotizzato. Ip-no-tiz-za-to. Posso ipnotizzare gli esseri viventi particolarmente sensibili ai miei poteri, stupida umana, e far fare loro tutto ciò che desidero. E, sfortunatamente per voi, su questo pianeta ne ho già trovato uno. Manca solo l’ultimo tocco,» ghignò la principessa. Nei suoi occhi iniziò a brillare una insolita luce ricolma di eccitazione, tutt’altro che rassicurante. Avvicinò alle labbra l’esserino luminoso fuoriuscito dal corpo di Hiroyuki, gli sussurrò delle parole e quello, per tutta risposta, schizzò via dalla chiesa veloce come un proiettile.
«Che cosa…che cosa hai fatto?!» domandò Mew Zakuro.
Kassandra le sorrise melliflua. «Vediamo come ve la cavate contro di lui,» disse dopo un lungo silenzio, sollevando una mano e schioccando le dita.


* 

«Avevo sentito dire che il servizio taxi della città stava vivendo dei disagi,» commentò Ryo alla vista dell’auto gialla finita contro una delle sue siepi.
«Ho preso in prestito quest’auto prima. Non c’è nessuno in strada, sono tutti chiusi nelle loro case!» gli spiegò Cherry, quasi urlando per sovrastare il rumore del vento e della pioggia sferzante.
Keiichiro saltò al posto del guidatore e girò le chiavi del veicolo, rimettendolo in moto. «Dobbiamo andare al locale e rintracciare le ragazze,» disse.
«Sbrighiamoci,» gli fece eco Shirogane aprendo la portiera del passeggero, ma vi rovinò sopra quando un minuscolo oggetto sparato da lontano a tutta velocità lo colpì dritto alla schiena.
Ryo sentì il respiro spezzarsi e ogni forza venir meno. Cadde nel fango inerme, gli occhi vitrei e spalancati.
Cherry, che era accanto a lui, rimase impietrita sotto la pioggia, mentre Keiichiro corse immediatamente a soccorrerlo.
«Ryo! Ryo!» lo chiamò preoccupato, chinandosi su di lui. Vide chiaramente un esserino luminoso sparire all’interno della sua schiena. Era stato quello a colpirlo? «E’ un….un chimero?!» disse, incredulo. Provò a chiamare e scuotere Ryo più volte, ma i suoi sforzi furono vani: Ryo non poteva sentirlo; non era più lì con lui.
Il ragazzo, in quel momento, si trovava in piedi in un luogo buio e deserto della sua mente. L’essere luminoso galleggiava di fronte a lui, agitando sinuosamente nell’aria i suoi due piccoli e lunghi tentacoli.
Ryo mosse d’istinto la mano verso di lui, che restava immobile sul posto; ma quanto fu a pochi centimetri, l’esserino gli attorcigliò a tradimento i tentacoli intorno al braccio e strinse. Ryo cercò di ritrarsi e di scrollarselo di dosso, ma lui si arrampicò fino alla sua spalla e da lì si gettò dentro il suo petto. Il ragazzo si rovesciò in ginocchio a terra in preda al dolore più terribile, avvertendo i tentacoli gelidi e pungenti dell’essere avvolgersi strettamente intorno al suo cuore. Ogni sua difesa venne spezzata. Ad ogni battito, la pressione dei tentacoli aumentava e Ryo provava un dolore maggiore; gridò come impazzito mentre viveva quelli che erano i secondi più terribili della sua vita. Poi, di colpo, la stretta cessò.
Ryo chiuse gli occhi, desiderando solo di morire.
Fu in quel momento che sentì la voce suadente di una donna.
“Ryo…” lo chiamava. Seppur stordito dal dolore, lui la riconobbe subito: era la voce di Luna. Che cosa ci faceva lei in quel posto?
«S-Si?» mormorò, debole, in risposta. Non riusciva a capire. Non riusciva proprio a capire.
Ryo rimase immobile, mentre di fronte a lui appariva Luna. Non gli piaceva quella ragazza. Non gli era mai piaciuta. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in lei. Come mai aveva iniziato a frequentarla?
La figura di Luna davanti a lui fluttuava nel vuoto immobile e sorridente, compiaciuta. Quando gli si avvicinò, Ryo si accorse di essersi sbagliato: non si trattava di Luna, ma di Kassandra. Non gli ci volle molto a collegare tutti i pezzi: allora era vero, era stato ingannato dai suoi nemici per tutto questo tempo, nonostante tutto. Eppure al momento non era importante. Sapeva che l’importante era obbedire agli ordini dell’oggetto del suo desiderio.
No, aspetta… che cosa stava pensando?!
Sentì una mano fredda sollevargli il mento. «Ryo, tu mi appartieni, vero?» gli chiese l’allucinazione della principessa aliena.
Lui sentì i tentacoli avvinghiati intorno al suo cuore stringere dolcemente la presa. «Ma certo,» rispose senza batter ciglio. In un ultimo lampo di consapevolezza, realizzò che qualunque cosa fosse quel mostriciattolo dentro il suo cuore, ormai era lui ad avere il controllo del suo corpo, dei suoi pensieri e della sua vita.
«Allora farai una cosa per me?» gli domandò Kassandra.
«Farò tutto quello che vuoi,» le promise Ryo, succube ed impotente. «Mia principessa.»


*

Kassandra schioccò le dita, e un giovane si teletrasportò accanto a lei .
«Mie scialbe avversarie,» ghignò l’aliena, «vi presento il mio nuovo fedele suddito.»
Le Mew Mew guardarono sconvolte il ragazzo appena apparso nella stanza: non era un alieno, ma in passato era stato un essere umano: ogni traccia della sua precedente esistenza, però, era stata cancellata.
Il nuovo suddito di Kassandra era alto, biondo e pallido come un cadavere; le iridi dei suoi occhi incredibilmente azzurri erano spente e vuote. I suoi vestiti erano sporchi e sul suo petto si intravedeva una macchia bluastra che si estendeva sulla sua pelle come le radici di un albero e sembrava pulsare di vita propria.
Nel riconoscerlo, Mew Ichigo si sentì morire dentro. «R-Ryo…?» mugolò sbigottita.



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Capitolo 45
*** 'Ops' ***


43 13/03/2017: C'è la seria possibilità che questo profondissimo titolo sia in realtà dovuto al fatto che ho revisionato 10 pagine come un treno, sistemando tutto per farne un unico capitolo... per poi rendermi conto, al momento della pubblicazione, che dovevo dividerlo in due parti.


- Capitolo 43: "Ops" -


Kassandra fece scorrere le mani sinuose sulle braccia e sul petto di Ryo senza staccare gli occhi da Mew Ichigo. Il ragazzo, soggiogato dall’ipnosi, non reagì in alcun modo né si mosse di un millimetro. Lei sorrise, appoggiando maliziosamente il mento nell'incavo della sua spalla. «Per essere un umano è davvero bello, non credi? Il suo carattere era noioso… ma il suo corpo rasenta la perfezione, oserei dire. Non ho neanche bisogno di migliorarlo...» disse provocatoria alla sua avversaria.
Nonostante la stanchezza e le numerose ferite, lei avvertì il sangue ribollirgli nelle vene e l'impellente bisogno di saltarle addosso e graffiarla. «Non – toccarlo,» scandì pericolosamente, serrando la presa sulla Strawberry Bell. La sua coda da gatto cominciò a muoversi a scatti, sbattendo sul pavimento.
«Ma lui è mio,» sogghignò la principessa aliena, divertita dalla gelosia della sua nemica. «Vive per me e da questo momento in poi eseguirà ogni mio ordine. E comunque,» soggiunse, «anche senza di me, non avresti mai avuto nessuna speranza con lui. Un principe come lui  merita solo il meglio, che di certo non sei tu.»
Aveva appena finito di parlare che una freccia azzurra apparsa dal nulla le sfiorò un lato della testa, bruciandole qualche ciocca di capelli. Spaventata, Kassandra si teletrasportò al sicuro a molti metri da terra, staccandosi da Ryo.
«La mia amica ti ha detto di non toccarlo,» osservò Mew Mint, emergendo dal fondo della chiesa.
Kassandra fece schioccare la lingua con irritazione e non si degnò neanche di risponderle.
Mew Mint raggiunse di corsa le sue compagne. «Va tutto bene, Mew Ichigo,» disse rassicurante alla sua amica. «Non so cosa sia successo, ma non abbandoneremo Ryo: troveremo un modo per salvarlo e sistemeremo quella megera una volta per tutte. Vero ragazze?»
«Puoi contarci,» annuì decisa Mew Zakuro.
Anche Mew Purin e Mew Lettuce, che la sorreggeva, fecero un cenno d’assenso.
Per tutta risposta, Kassandra si rivolse al suo nuovo giocattolino. «E’ il momento, Shirogane. Obbedisci ai miei comandi. Uccidile tutte,» gli ordinò.
Il corpo di Ryo scattò meccanicamente verso le mew mew, che indietreggiarono in ordine sparso.
«H-Hai anche qualche idea su come salvare Ryo, Mew Mint?» domandò spaventata Mew Lettuce.
«Ci…ci sto pensando! Non posso fare tutto io!» protestò lei.
«Per il momento dobbiamo fermarlo, non c’è altra scelta,» dichiarò Mew Zakuro.
Mew Ichigo inorridì. «Non possiamo combattere contro Ryo!»
«Non credo che lui si farà gli stessi scrupoli con noi!»
«Ma…!» protestò Mew Ichigo, sentendo il panico impossessarsi di lei.
Una parte di lei non riusciva a credere che tutto questo stesse accadendo davvero. Ryo era sempre stato il loro pilastro, il loro punto di riferimento; era stato colui che le aveva rese ciò che erano, e che aveva più volte rischiato la sua vita per aiutarle. Non poteva davvero pensare di far loro del male!
«Mew Ichigo, davanti a te!»
L’esitazione di Mew Ichigo la distrasse dalla realtà, e quando tornò in sé si ritrovò Ryo a due passi da lei, con i muscoli tesi e lo sguardo assente. Vederlo ridotto in quello stato la colpì profondamente. Ebbe un flashback di quando Aoyama era stato posseduto Profondo Blu ed aveva cercato di ucciderla, e si chiese perché tutte le persone a cui teneva finivano per rivoltarsi contro di lei.
Ryo sollevò una mano, puntando al collo della mew mew.
«Ti prego fermati, Ryo!» lo supplicò lei, fuori di sé. «Tu non vuoi farci del male! Tu ci hai sempre protette!»
Per sua immensa sorpresa, la mano di Ryo si bloccò a pochi centimetri dalla sua spilla per la trasformazione. Anche Mew Ichigo rimase immobile, paralizzata dallo shock; un attimo dopo, Ryo perse i sensi e le si rovesciò addosso, trascinandola a terra con lui.
La mew mew notò con la coda dell’occhio un esserino luminoso, lo stesso parassita che poco prima aveva abbandonato il corpo di Hiroyuki, uscire dalla schiena del ragazzo e dissolversi. Lui sospirò e si mosse sopra di lei, sfregando la guancia sul suo seno come se stesse dormendo e quello fosse un comodo cuscino.
“E’ tornato normale?” si chiese Mew Ichigo. La sua confusione, in quel momento, superava di gran lunga l’imbarazzo. “Ma… sono stata io…?”
Cercò con gli occhi le sue compagne, scoprendo che stavano tutte fissando un punto sul soffitto della chiesa: quando Mew Ichigo alzò la testa in quella direzione, trovò la risposta alla sua domanda.
No, non era stata lei a fermare Ryo: lui aveva smesso di attaccare semplicemente perché, molti metri più in alto, qualcuno aveva appena trapassato alle spalle con una lancia il cuore di Kassandra.
La principessa aliena, colta di sorpresa, ora stava cercando con una mano tremante di stringere la punta dell’arma insanguinata che spuntava dal suo petto, forse per cercare di strapparla via.
Un filo di sangue cominciò a scorrerle giù da un angolo della bocca. «Come…hai fatto a…?» balbettò sofferente.
Chris, dietro di lei, sollevò le spalle. «Mi stavo annoiando,» rispose, tenendo salda la presa sulla sua arma. «E’ che mi aspettavo qualcosa di più dall’incarnazione del Male Assoluto,» proseguì poi, scandendo le ultime parole con un’enfasi che sapeva di presa in giro. «E non avevo capito come hai fatto a sopravvivere fino ad adesso, ma comincio a pensare che sia stato solo merito di quel poverino che hai abbandonato lì a terra. Tu, alla fine, non sei niente di speciale.»
«C-Come ti….permetti?!» esclamò offesa Kassandra. «Io…I-Io sono…la S-Sovran-»
Chris estrasse di colpo la lancia dal petto dell’aliena e con una naturalezza ed una grazia sconvolgente usò la lunga lama affilata della sua punta per tagliarle la testa di netto.
Sotto lo sguardo allibito dell’intera squadra Mew Mew, i resti di Kassandra si trasformarono in una nuvola di polvere brillante e si dispersero nell’aria ben prima di toccare terra: di lei non rimase più alcuna traccia.
La ragazza aliena si rigirò nella mano il ciondolo a forma di croce che le aveva strappato dal collo prima di ucciderla: la pietra preziosa incastonata al suo interno emanava una luce bluastra misteriosa ed angosciante. «Quindi questo sarebbe il famoso ‘zaffiro’…?» commentò incerta. Poi mise via sia il ciondolo che la sua arma e ridiscese a terra con nonchalance, a pochi passi dalle mew mew.
Nessuna di loro sembrava avere parole per commentare la scena a cui avevano appena assistito.
«Kassandra…è scomparsa,» osservò alla fine Mew Pudding, rompendo il silenzio.
Chris si girò verso di lei. «Già!» esclamò con un largo sorriso del tutto fuori luogo. «Diceva di essere una sovrana, ma non era neanche reale!»
Le mew mew la fissarono, poi si guardarono fra di loro.
«Oh andiamo, questa era carina!»
«Che cosa intendi dire?»
Chris si accigliò. «Kassandra non era davvero un essere vivente. Perché vi tengo in vita se non riuscite neanche a capire le mie battute?» borbottò.
Ma Ryo riprese i sensi mentre lei stava ancora parlando, e l’attenzione delle ragazze si spostò subito su di lui.
«LUNA!» aveva infatti gridato il ragazzo, scattando a sedere. Con il panico nella voce, aveva poi incrociato lo sguardo della mew gatto bloccata sotto di lui e gli aveva nuovamente ripetuto: «Luna! Dov’è Luna?!»
«L-Luna…?» Lei, superato lo stupore iniziale, avvertì la delusione crescere nel suo cuore. «Non…non è qui.»
«Ascoltami bene, Mew Ichigo. Sono ancora molto confuso e non ricordo quasi nulla, ma devi sapere che in realtà Luna era Kassandra. Non so bene come abbia fatto ad ingannarmi per tutto questo tempo, ma credo che abbia usato su di me una sorta di ipnosi e...» si interruppe quando notò che la ragazza di fronte a lui adesso aveva gli occhi lucidi. «Cosa ti prende? Ichigo, stai bene?»
«Grazie al cielo,» mormorò la mew mew. «Grazie al cielo era lei.»
Una tale reazione lasciò Ryo esterrefatto, e quella sensazione si raddoppiò quando Mew Ichigo lo attirò in un abbraccio che non si sarebbe mai aspettato.
«Non... Non capisco cosa sta succedendo e ho come l’impressione che siamo nel bel mezzo di un campo di battaglia,» ammise il ragazzo, lasciandola fare. «Ma se queste sono le tue scuse per avermi offeso in quel modo l’ultima volta che ci siamo visti, ti avverto che non basteranno: non avrai le ferie extra che mi avevi chiesto due settimane fa e... Ouch!»
Mew Ichigo, continuando ad abbracciarlo e a piangere, gli aveva tirato un pugno sulla nuca.
Nel mentre, le altre guerriere li avevano raggiunti. «Bentornato fra noi, Ryo,» lo salutò Mew Mint, tendendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi.
«Bentornato!» gli fece eco Mew Pudding.
«Sono felice che tu stia bene. Ci hai fatto preoccupare moltissimo,» aggiunse Mew Lettuce, asciugandosi una lacrima.
Chris, rimasta sola, osservò le ragazze da lontano. «In effetti,» disse pensierosa, continuando da sola il discorso che aveva iniziato poco prima, «perché le tengo ancora in vita?»
Allungò la mano per estrarre di nuovo la sua arma, ma venne fermata da una forza misteriosa prima di poterci riuscire. Qualcosa la spinse in avanti,  le si avvolse intorno alla vita e le immobilizzò entrambe le braccia, facendole perdere l’equilibrio: cadde riversa sul pavimento e fu solo allora che si accorse di essere stata legata con delle bolas.
Non tardò a capire chi era il piccolo autore di quell’inutile gesto e si insultò mentalmente per non avergli somministrato, quando ne aveva avuto occasione, la giusta dose di veleno.
«Ha! Ora lo capisci come ci si sente, vero?! Non è bello quello che mi hai fatto, sai!» la schernì Taruto, teletrasportandosi di fronte a lei. Il piccolo alieno era una molla di nervosismo e con i suoi schiamazzi non tardò a richiamare a sé l’attenzione delle mew mew.
«Taruto! Dov’eri finito?» gli gridò Mew Pudding dall’altro lato della navata. «Pensavo fossi corso a nasconderti da qualche parte!»
«Non è stata colpa mia!» le rispose lui mentre la ragazzina, seguita dalle sue compagne, colmava rapidamente i pochi metri di distanza che li dividevano. «Chris mi aveva paralizzato. Non potevo più muovermi!»
«Che COSA?!»
«Ma certo che l’ho fatto. Era l’unico modo per assicurarmi che non facessi nulla di spericolato,» gli spiegò con calma l’aliena, ancora legata, mettendosi seduta. «I tuoi fratelli maggiori avrebbero voluto così.»
«La tua premura nei confronti di Taruto è commovente, sorellona,» commentò sarcastica una voce conosciuta alle sue spalle.
Chris non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse. «Kisshu,» si limitò a constatare, piatta.
«Proprio io,» annuì lui, andandole davanti. «Che bella riunione, non credi?» le disse, inginocchiandosi di fronte a lei.
Era molto diverso dall’ultima volta in cui lei lo aveva visto: adesso i suoi vestiti erano fradici e sporchi di sangue e fango in più punti. Aveva i capelli arruffati e, per quanto stesse tentando di comportarsi normalmente, bastava una singola occhiata per capire che era in realtà furioso: ogni suo singolo muscolo era in tensione e i suoi occhi ambrati sembravano sprigionare scintille roventi. «Poco fa ho avuto da fare con un simpatico animaletto, ma ho finito per farlo volare giù dal tetto. Mi hanno detto che era tuo, per cui ti porgo le mie scuse.»
Chris rimase perfettamente immobile.
«Andiamo, Chrissuccia,» insistette Kisshu. «Lo so che ci tenevi a lui. E poi, non sei curiosa di sapere chi me l’ha detto?»
«Neidr era solo un cucciolo,» osservò a quel punto lei con la voce incrinata. «Come hai potuto?!»
«Smettila, Chris! Pai ci ha detto tutto!» sbottò Taruto, perdendo la pazienza.
Mew Lettuce sussultò. «Pai?»
«Non era rimasto sul vostro Pianeta?» domandò Mew Zakuro.
«Sì,» rispose a quel punto il diretto interessato, comparendo accanto a lei, «ma mi sono precipitato qui mezz’ora fa, per avvertirvi del pericolo imminente.»
Mew Zakuro, così come le altre ragazze, sobbalzò per la sorpresa e questo parve in qualche modo colpire Pai.
«Vi stavo osservando da lontano da qualche minuto,» spiegò l’alieno. «Vi prego comunque di perdonarmi per i problemi che questo essere vi ha causato,» aggiunse poi, avanzando verso Chris. «E’ estremamente potente e pericoloso, ma presto non potrà farvi più nulla, in quanto ho intenzione di ucciderla qui e adesso, con le mie mani».
Pai si fermò proprio davanti a Chris ed estrasse il suo vecchio ventaglio. Le mew mew lo lasciarono fare: anche se non sapevano ancora perché Pai si stava comportando in quel modo, il loro istinto animale concordava pienamente con lui.
Inoltre, nonostante a prima vista Pai non fosse cambiato di una virgola rispetto all’ultima volta che lo avevano visto, era evidente a tutte che qualcosa dentro di lui era molto diverso dal passato: la stessa voce con cui aveva pronunciato le sue ultime parole non era fredda e calcolatrice come al solito, ma colma di una ferma determinazione; i suoi occhi, tranquilli all’apparenza, brillavano di consapevolezza e decisione e questo ispirava in loro una sensazione di fiducia e sicurezza.
«Un momento!» Ryo si fece largo fra il gruppo di mew mew e si frappose fra Pai e Chris. «Nessuno ucciderà nessuno qui. Non finché voi alieni non ci avrete spiegato perché siete ritornati e che cosa sta succedendo.»
«Davvero non sai nulla?» Pai aggrottò la fronte e per la prima volta da quando era entrato nella chiesa distolse lo sguardo da Chris. «Questo essere,» disse, indicandola, «ha mentito a tutti noi, sin da quando ho memoria. Ha convinto sia la mia famiglia che la tua squadra che ci fosse un Ordine pronto a far rivivere un mostro in grado di distruggere l’intero pianeta. Ci ha persuasi a lavorare per lei e ci ha mossi come pedine fino a questo momento. Ma in realtà, non è l’Ordine a voler evocare il Messia,» spiegò, «…è lei. E per farlo, è disposta ad ucciderci tutti.»
«Eh…?»
A seguito delle parole di Pai, gli occhi di tutti i presenti si portarono su Chris. Lei, ancora seduta sul pavimento e imprigionata dalle bolas di Taruto, prese un grosso respiro. Sapeva che tutti stavano pendendo dalle sue labbra e per questo motivo le schiuse e disse, sorridendo, l’unica parola in grado di descrivere brillantemente la sua attuale situazione:
«Ops.»


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Capitolo 46
*** Ragione o sentimento ***


45
14/03/2017: Se avessi dovuto scrivere questo capitoloda zero  lo avrei unito al precedente, perché secondo me vanno insieme. Ma devo sottostare alla suddivisione che avevo fatto in passato, per cui ecco qui il capitolo 44!
Con la revisione ho rivisto la posizione di Chris e aggiunto sia il flashback iniziale (che colloca poco prima degli eventi del, uh, capitolo 28 "Zeitnot") che la scena finale (rip Paitasu). Ho soppresso le parti di Ai e di Kisshu, sistemato e ampliato un po’ tutti i dialoghi. Baci~!



- Capitolo 44: Ragione o sentimento -


Solo poche ore prima, nell’area Recupero Antiche Tecnologie del Pianeta Nero, il Dottor Kell stava percorrendo a grandi passi il corridoio che portava dal suo studio al laboratorio principale. In genere, quando c'era un problema nel Laboratorio, Kell si limitava ad attivare una connessione video fra i due locali per comunicare, ma questa volta voleva andare a vedere di persona chi era l’idiota che gli aveva fatto ricevere quattro volte di seguito la notifica automatica ESPERIMENTO IN CORSO.
Non c’era alcun esperimento in programma per quel giorno; in compenso, lui aveva pochissimo tempo per terminare la montagna di lavoro che gli era stato richiesto e non poteva permettersi alcuna distrazione.
Spalancò la porta del Laboratorio e andò dritto verso il pannello di controllo principale. «Ora mi spiegate quale immondo demone del sottosuolo vi ha insegnato a-» cominciò, ma il resto del rimprovero gli morì in gola quando si accorse che a premere quell’interruttore era stata Chris.
«Ciao Ally!» gli sorrise lei, fresca come una rosa. «Penso che tu voglia abbassare la voce. Non vorrai disturbare i nostri colleghi! Stanno lavorando su tecnologie così delicate… sarebbe un peccato se qualcosa andasse storto.»
Kell deglutì, ma rimase fermo al suo posto. Era diventato improvvisamente ancora più pallido del normale.
Gli scienziati intorno a loro erano tutti affaccendati sui loro calcoli ed elaborazioni e non si accorsero di niente.
«Ti consiglio di sorridere,» continuò intanto l’aliena. «Se qualcuno ha dei sospetti, non potrà più uscire da qui.»
«Come hai fatto ad entrare?» mormorò Kell, cercando di mantenere il sangue freddo. «No, non è importante. Ormai so tutto di te: hai finto di essere un’altra persona per sfuggire all’Ordine, ma sei stata scoperta: mentre eri via, Shiroi è venuto da me e mi ha raccontato tutto! Mi ha risvegliato e ho ricordato chi eri nel passato. Ora abbiamo già predisposto un piano per fermarti, per cui credo proprio che dovresti arrenderti!»
«Ally… questa specie di confuso riassunto non interessa a nessuno. Ah, e
ti tremano le mani.»
Notando la titubanza del suo interlocutore, Chris curvò le labbra in un sorriso ancora più largo e spaventoso del precedente. «Facciamola semplice: ora tu mi consegni la Croce e io, in nome della nostra vecchia amicizia, non ti farò nulla, così potrai trascorrere il resto della tua solitaria esistenza cercando inutilmente un modo per farmela pagare. Che ne dici? A me sembra un buon accordo.»
Kell serrò i pugni, mettendo da parte la sua paura. Venire a patti con Chris era l’ultima cosa che Kell avrebbe voluto fare… ma, in quel momento non aveva altra scelta: nonostante fosse proprio davanti a lui, quella donna era fuori dalla sua portata e se lui l’avesse contrariata, lei avrebbe distrutto in un attimo l’intero Laboratorio e con esso il lavoro di tutta la sua vita.
Fu solo per questo motivo che Kell estrasse dalla giacca la Croce e la depositò con riluttanza fra le mani di Chris.
«Non riuscirai ad ingannare ancora a lungo Pai,» le disse però lo scienziato con frustrazione. «Lui non farà mai quello che vuoi.»
«Oh, Pai sta già facendo esattamente quello che voglio,» replicò lei. «Mi dispiace Ally – ma vedi, lui ama me
Nell'ascoltare quelle parole, Kell sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. Ma non ebbe il tempo di reagire: un urlo terrorizzato dall’altra parte della sala attirò la sua attenzione: qualcosa che non riusciva a vedere aveva appena afferrato, sollevato e scaraventato contro una parete ricolma di attrezzature uno degli scienziati, causando un corto circuito. Le luci si spensero, le porte si sigillarono automaticamente e all’interno della stanza si scatenò il panico. Un attimo dopo, un altro dei presenti venne letteralmente fatto a pezzi sotto gli occhi di tutti, e dopo di lui un altro.
Le pupille scure dello scienziato si dilatarono per l’orrore. «Chris, che cosa hai…? Perché?!»
Lei scrollò le spalle. «Loro non erano compresi nell’accordo o sbaglio?»
Maledicendola, Kell corse verso il fondo del laboratorio, nel disperato tentativo di salvare i suoi collaboratori dal massacro.
«Ehi, io la mia promessa l’ho mantenuta! Non prendertela con me se per fare l’eroe finirai per farti male!» gli gridò dietro l’aliena, ridendo.

*
*
*

Chris, in lacrime, chinò la testa e gemette sonoramente. «Ascoltami, Pai. Io…Io non so cosa ti sia successo dopo che ci siamo separati, ma temo che Shiroi ti abbia fatto il lavaggio del cervello. Ora t-ti ha messo solo contro di me, ma presto troverà una scusa per convincerti a fare del male anche alla tua famiglia e ai tuoi amici, e questo… questo non posso sopportarlo! Nessuno ha il diritto di farti questo, Pai!» singhiozzò. «E’ vero, ci sono state delle occasioni in cui non ti ho detto tutta la verità, ma… ero terrorizzata! Credevo che i terrestri fossero barbari e violenti, ma ora che li ho visti con i miei occhi e che ho combattuto con loro, ho capito che per tutto questo tempo hai avuto ragione tu! Per cui ti prego, non fare qualcosa di cui ti pentirai per il resto della tua vita. Io…sono tua amica, ricordi? Noi due….no, no, aspetta, Pai! Ehi, ehi, ehi, cosa vuoi fare? Ahi! Piano! Sei molto scortese, lo sai?!»
Mentre Chris parlava, un impassibile Pai si era chinato su di lei e le aveva frugato nei vestiti fino a trovare sia il ciondolo di zaffiro di Kassandra che quello di diamante di Imago: senza dire una parola, glieli aveva strappati via e li aveva messi al sicuro insieme a quello di rubino di Kassidiya.
«Sto perdendo colpi,» commentò a quel punto Chris, piantandola con il finto piagnucolio. «Va bene. Vuol dire che non appena mi libererò, Pai, mi divertirò a distruggerti, esattamente come ho fatto con Ally,» sorrise con aria sognante. «Ti guarderò contorcerti nel dolore e poi ti ucciderò.»
Pai sollevò un sopracciglio e mosse la mano come per evocare un'arma.
«Dunque sono queste le tue ultime parole?»
«Cosa sono in realtà quei monili che le hai rubato?» gli domandò però Ryo, distraendolo.
«Le gemme al loro interno sono fonti di energia,» rispose lui conciso. «La più pura e primitiva che esista nell’intero universo.»
«Energia?!» Kisshu si girò verso Chris, stringendo rabbiosamente i suoi tridenti. «E’ per questo che hai ucciso Imago? Per rubare dell’energia?!»
Lei roteò gli occhi. «Stava già male e lo sai benissimo. Ho solo accorciato la sua sofferenza, le ho fatto un favore. Inoltre, tecnicamente non ho ucciso nessuno, dato che lei non era reale.»
Mew Zakuro superò Pai e si avvicinò a Chris. «Sbaglio o hai detto lo stesso di Kassandra?» domandò.
«Cosa significa?»
Pai sospirò, realizzando che non sarebbe riuscito a portare a termine il suo compito se prima non avesse dato a tutte quelle persone una motivazione convincente. «Capisco. In segno di rispetto nei vostri confronti, vi spiegherò tutto io dall’inizio,» dichiarò alle mew mew. «Vedete, l’Ordine di cui vi parlavo prima si chiama Ordine di Ra-Hu. E’ nato molti secoli fa, quando il nostro popolo era già sul Pianeta Nero, a seguito di una profezia che preannunciava l’arrivo di un’entità demoniaca in grado di distruggere tutto ciò che la vita era riuscita a costruire. I membri dell’Ordine hanno da sempre impiegato tutte le loro forze per evitare che ciò avvenisse. Ma la voce sulla venuta di questo essere si era comunque sparsa fra la popolazione e in molti si erano convinti che fosse un Messia che ci avrebbe permesso di tornare sul Pianeta Azzurro. Queste persone credevano che i membri dell’Ordine fossero dei traditori, e quindi li sterminarono. I pochi sopravvissuti furono costretti a nascondersi ed operare in segreto fino ad oggi,» spiegò.  «Io stesso, nel passato, ho creduto che Profondo Blu fosse il fantomatico Messia di cui parlavano le storie antiche, e che volesse davvero aiutarci,» aggiunse poi con una vaga nota di vergogna nella voce.
«Detto in breve, queste tre gemme sono il geniale metodo ideato dagli antichi membri dell’Ordine per fermare il Messia: raccolgono al loro interno energia positiva, energia negativa ed energia base, la scintilla della vita. Per evitare che tutto questo potere cadesse in mani sbagliate, quegli idioti gli hanno dato la forma di tre esseri che avevano creato artificialmente, che sarebbero tornati nella loro forma originale non appena fosse stato il momento,» continuò Chris, intromettendosi nella discussione. «La profezia aveva una data di scadenza, ed è esattamente quest’epoca. Tutto qui.»
«M-Ma quindi…Imago e quella Kassandra erano fatte di energia?» chiese Mew Mint.
«Non posso farcela con voi,» sospirò Chris. «Sì, tesoro. Non lo sapevano, ma lei e la loro terza sorella erano esseri viventi finti, programmati per assomigliare il più possibile a quelli veri, in modo da passare inosservate. Erano tecnicamente immortali, avevano una loro coscienza, un metabolismo invidiabile ed erano in grado di usare delle capacità del tutto peculiari basate perlopiù sul tipo di energia che custodivano. Avrebbero dovuto essere dei semplici pupazzi, ma hanno finito per agire di testa loro e seguire le loro inclinazioni. L’Ordine le ha lasciate fare perché i suoi membri sono degli imbecilli. Ma ad ogni modo, più l'ora della profezia si avvicinava, più la loro forma fisica si indeboliva, in accordo con lo schema originario di programmazione: le loro funzioni fisiche erano programmate per spegnersi del tutto una volta che l’energia di cui erano composte si fosse completamente riversata all’interno di appositi contenitori, ovvero le gemme che portavano sempre con loro.»
«Sta dicendo il vero,» concordò Pai. «Stranamente.»
Taruto assunse un’aria sospettosa. «Pai, ma tu come fai a sapere tutto d’un tratto tutte queste cose sull’Ordine?»
«Davvero non ci arrivi?» esclamò Chris. «Adesso il tuo fratellone lavora per Shiroi, il Grande Capo dell’Ordine. Tra le altre cose, da come si comporta, credo che quel vecchio l’abbia convinto di essere la reincarnazione di  un qualche decrepito membro del passato.»
«Non mi ha convinto,» la corresse duramente Pai. «Me lo ha mostrato.»
«Ah, beh! Allora sei sicuramente speciale,» sbottò l’aliena con ironia. «Oh, no, aspetta, prode cavaliere: anche io ho dei ricordi del passato! E guarda un po’, io sono stata colei che ha visto per la prima volta il Messia. Io ho scritto quella profezia!» sillabò con forza, digrignando i denti. «Fra tutti gli esseri viventi dell’intera galassia e di tutte le epoche, lui ha scelto me, ed è solo grazie a lui che sono qui adesso, ancora viva dopo secoli. Potete imprigionarmi, torturarmi o farmi a pezzi, ma anche se avessi l’intero sistema solare contro, non smetterò mai di aiutarlo.»
«Dubito fortemente che al Messia interessi qualcosa di te,» commentò Pai, gelido.
Le labbra di Chris si incresparono. «Sei così spavaldo solo perché hai i tuoi amici dalla tua parte. Ma non appena scopriranno il resto della storia, scommetto che saremo in due ad essere legati.»
Ryo guardò Pai con sospetto. «Cosa intende dire per ‘il resto della storia’?»
«Non ascoltatela,» rispose lui. «Vuole solo guadagnare tempo.»
«Oh, andiamo Pai. Lo sa praticamente tutto il Pianeta Nero ormai!» esclamò Chris, tornando di colpo a sorridere. «Glielo dici tu o glielo dico io?» soggiunse minacciosa.
Fu in quel momento che Kisshu, collegando tutti i pezzi di quel nuovo puzzle, sgranò gli occhi. «Ah. Dannazione, mi ero dimenticato di questa cosa.»
«Che cosa, Kisshu?!» incalzò Mew Ichigo, iniziando a preoccuparsi.
«Ne parlava l’amico di Pai, e se non ricordo male quello Shiroi...»
«Il…Grande Capo dell’Ordine? Che cosa vuole da noi?»
Pai si morse leggermente il labbro inferiore, pentendosi di aver lasciato parlare Chris. «Lui… non vuole che il Messia distrugga questo pianeta,» ammise. «E questo perché… mira a conquistarla e a riportare qui la nostra gente.»
A seguito delle parole di Pai, un silenzio colmo di realizzazione scese fra il gruppo di mew mew: avevano appena capito di aver impiegato gli ultimi mesi a sconfiggere un gruppetto di alieni per proteggere il loro mondo, ma adesso si trovavano in una stanza con una psicopatica che voleva portarci sopra un demone distruttore, ed un loro ex avversario al diretto servizio di un tizio che voleva scatenare una guerra per riconquistare il pianeta.
In altre parole, erano appena finite dalla padella all’inferno.
«Questo non ce lo avevi detto, Pai,» osservò con estrema calma Mew Mint.
«Solo perché è un problema secondario,» replicò lui.
Chris, alle sue spalle, gonfiò le guance trattenne a stento una risata.
«Perdonami, ma a me non sembra tanto secondario!» protestò la mew mew alata.
Ryo fu decisamente meno diplomatico. «Tu!» gridò all’alieno, afferrandolo per il colletto del vestito.
Pai lo lasciò fare. «Adesso non è questa la priorità,» disse in tono fermo. «Il nostro problema è Chris. Una volta che lo avremo risolto, giuro che farò il possibile per-»
«Mi prendi in giro?!»
«Io gli credo.»
La voce cristallina di Mew Lettuce lasciò Ryo di stucco. «Perdonami, Ryo. Io.. Io mi fido di Pai,»  disse accorata la guerriera. «Non è uno sciocco e so che non permetterebbe mai che ci venisse fatto del male.»
«Mew Lettuce…!» Ryo rimase fermo, non sapendo cosa ribattere.
Allo stesso tempo Pai, sinceramente sorpreso, si voltò a guardare la ragazza che con timida decisione aveva appena preso le sue difese, andando contro tutto il suo gruppo. Sin da quando era entrato nella chiesa, la sua razionalità non aveva fatto altro che ripetergli di ignorarla, ed ora l’alieno aveva capito perché: gli era bastata una sola occhiata a quella creaturina all’apparenza così fragile, eppure così tenace e risoluta, per sentire il muro gelato nel suo petto sciogliersi ed il battito del cuore accelerare. Deglutì. Per il bene di entrambi, non poteva mostrare la sua debolezza.
«Quindi lascerai che Pai mi uccida, anche se non ho fatto niente?»
La cinica osservazione di Chris fornì a Pai un’ottima scusa per distrarsi dalla mew mew.
Esitante, Mew Lettuce strinse un pugno e se lo portò d’istinto al petto. Pai però le rubò la possibilità di rispondere.
«Niente?!» gridò, colmo d'ira. «Ci hai mentito per anni. Hai mentito a queste ragazze per farle fare il tuo gioco e stavi per sterminarle!»
«Ma non le ho neanche toccate, mi sembra. E’ un processo all’intenzione il tuo?»
«Hai ucciso il mio migliore amico,» le ricordò allora Pai con voce instabile. «Hai fatto massacrare dai tuoi chimeri lui e tutti gli scienziati che lavoravano con lui.»
L'animo dell'alieno traboccava di rabbia, ma non era per Chris: lui ce l’aveva con sé stesso perché, ancora una volta, aveva dato la sua completa fiducia ad un essere che mirava solo a sfruttarlo per i suoi scopi.
«Ma questi scienziati…stavano studiando il modo per conquistare la Terra…?» osservò con cautela Mew Pudding.
«Finalmente qualcuno che ragiona!» esclamò Chris. «Esatto! Quelle persone lavoravano tutte per Shiroi. Lui ha paura di me; è per questo che ha portato dalla sua parte Pai, il mio amico d’infanzia, e lo ha mandato qui per uccidermi prima del suo arrivo. Shiroi ha un’intera armata di fanatici al suo servizio, che vuole usare per invadere questo pianeta. Ha preparato decine di astronavi per portarli tutti qui e quando accadrà, rimpiangerete di non avermi lasciato invocare il Messia.»
Il rombo di un tuono fece tremare l’intera chiesa dalle fondamenta, facendo sussultare le mew mew, già visibilmente agitate a causa della piega che stava prendendo la situazione.
«Tra l’altro,» continuò la ragazza aliena, «questo tempaccio è causa sua. L'ora della profezia sta arrivando e se non gestisco bene il rituale, lui potrebbe non riuscire ad arrivare qui tutto intero.»
Mew Mint, l’espressione accigliata, si portò due dita al mento. «Credo di aver capito la situazione,» commentò dopo alcuni secondi con un tono che voleva suonare il più possibile pacato. «Ho solo un ultimo dubbio: Chris, quando questo Messia è entrato in contatto con te per la prima volta, ti ha regalato degli strani poteri e mi sembra di capire che ciò ti ha fatto leggermente montare la testa. Ma, a parte questo…  perché vuoi portarlo qui? Se ho ben inteso, stiamo parlando di un essere proveniente da un altro piano dimensionale, così potente da poter distruggere l’intero pianeta. Vuoi davvero questo?»
Chris studiò Mew Mint con aria stupita. «Ma certo che no,» rispose. «Il Messia non distruggerà il mondo  – lui lo purificherà, sradicando ogni forma di vita, permettendo così il ripristino dell’antico equilibrio naturale. Anche io in fondo lo trovo un tantino esagerato, ma se ci pensi bene non è diverso dal cancellare un calcolo sbagliato su una pergamena e ricominciare a scrivere daccapo.»
«No, non capisco! Perché mai vorresti portare qui un folle che vuole fare una cosa del genere?»
«Perché me lo chiedi? Conosci già la risposta. In fondo, anche tu provi sentimenti per un essere più forte ed imprevedibile di te.»
Mew Mint arrossì appena, cosa che non sfuggì a Chris. «Mi dispiace, ma non provo sentimenti per nessuno del genere,» le disse.
«Vedremo,» commentò lei. Poi sorrise di nuovo e, con il suo solito tono vivace e quasi infantile, si rivolse al resto del gruppo. «Allora, vi alleate con me o no? Non c’è più molto tempo ormai.»
Pai aggrottò la fronte. «Non vorrete darle retta...!»
Mew Purin e Mew Ichigo, confuse, si guardarono fra di loro in cerca di un supporto reciproco. Mew Lettuce invece si strinse le braccia, fissando il pavimento.
«Ryo,» mormorò invece Mew Zakuro, attendendo la risposta del loro capo.
«Non collaboriamo con gli assassini,» mise subito in chiaro lui. «Oltretutto, visto che sei sul nostro pianeta, sei nostra prigioniera. Ti consegneremo viva a questo Shiroi in cambio di un accordo vantaggioso per noi terrestri.»
Le mew mew non trovarono nulla da ridire: in effetti, il piano di Ryo era la cosa più semplice e sensata che avevano sentito dire nell’ultimo quarto d’ora.
«Io una chance di sopravvivere ve l’avevo concessa,» commentò Chris, rimettendosi in piedi. Le funi che la tenevano legata, e che probabilmente aveva già allentato da tempo, si sciolsero e le bolas rotolarono a terra. «Non potete tenermi prigioniera, mi dispiace,» commentò.
Tutti i presenti si misero sull’attenti, assumendo una posizione da battaglia.
«Non fare un altro passo,» le intimò Ryo con voce dura. «Sei sola e circondata. E’ finita.»
«Sono esattamente dove dovrei essere,» replicò lei con un sorrisino, «avevo solo del tempo da perdere.» Incrociò le mani dietro la schiena e si esibì in una mezza piroetta per girarsi verso Pai, facendo ondeggiare la sua treccia e la sua tunica bianca. Lo indicò con un dito. «E’ tutta colpa tua, sai? Avresti dovuto uccidermi subito, senza neanche rivolgermi la parola.» Ma la rapidità e la furia con cui l’alieno le puntò contro il suo ventaglio fece intuire a Chris che aveva intenzione di rimediare al più presto a quell’errore.
«Ti propongo un ultimo accordo!» gli disse allora lei, mettendo le mani avanti. «Se mi darai le tre gemme entro i prossimi…diciamo tre secondi, ti restituirò la piccola, dolce e indifesa terrestre che si fida così tanto di te.»
Un lampo di terrore balenò negli occhi sottili di Pai. «Non osar-» cominciò, ma venne bruscamente interrotto da un boato forte ed improvviso, più simile ad un’esplosione che ad un tuono, che fece saltare la corrente e gridare di paura le ragazze nella chiesa.
Il terreno sotto i loro piedi iniziò a vibrare con estrema violenza, facendo tremare e crollare parti dell’edificio. Un'onda di energia forte come una marea investì l'area e in pochi istanti si ritrovarono tutti scaraventati a terra in uno stato di semi-incoscienza. Era difficile capire se tutto questo fosse stato opera di Chris o se si fosse trattato di una coincidenza; fatto sta che, quando la terra smise di tremare e le luci di emergenza si accesero con uno sfarfallio, Pai fu il primo a riprendersi. Scattò in piedi e recuperò la sua arma, ma solo per scoprire che Chris aveva approfittato della confusione per afferrare Mew Lettuce alle spalle ed immobilizzarla.
L’aliena stava stringendo forte un braccio intorno al suo collo con una presa d’acciaio mentre la mew mew, respirando a malapena, lottava con tutte le forze che le erano rimaste per liberarsi.
Lei non le stava prestando la minima attenzione. «Oh, bentornato fra noi, Pai. Non ho contato, ma credo che il tempo sia scaduto da un bel pezzo e io non vedo le mie gemme,» disse. «Hai scelto di dar retta alla tua testa, il che è decisamente in character da parte tua… ma visto che ciò mi contraria, credo che ucciderò la tua terrestre preferita.»
Chris spinse a terra Mew Lettuce, facendola cadere in ginocchio sul pavimento sporco e gelido. Lei si portò una mano alla gola e cominciò a tossire e tentare di respirare disperatamente più aria che poteva. «V-Va tutto bene,» riuscì a mormorare sofferente a Pai. «Non devi dargliele. Non lasciare che distruggano la Terra.»
Pai non capiva. Come poteva quella ragazza, persino in quel frangente, mettere con tale facilità gli altri al posto di sé stessa? Come poteva fargli questo?
Vide Chris prepararsi a trafiggere il petto della ragazza con la lancia che aveva già fatto comparire nella sua mano. Era veloce, molto più veloce di lui: non sarebbe mai riuscito a fermarla in tempo. Stava accadendo tutto così in fretta che non riuscì neanche a pensare. «Fermati!» gridò d’istinto a Chris, e prima di rendersene conto le aveva già lanciato il sacchetto che conteneva le tre gemme.
Lei lo afferrò al volo. «Ti sei davvero rammollito, Pai,» commentò. Gli regalò un occhiolino. «Non preoccuparti, non lo dirò a Shiroi.»
Un istante dopo, Chris colpì Mew Lettuce alle spalle. Spinse la punta della lancia al centro del suo petto e la lasciò lì, come se non le importasse nulla né di lei, né di quell’arma.
«RETASU!» urlò Pai, precipitandosi al fianco della ragazza. La sostenne per le spalle, cercando come poteva di non farla cadere a terra per non far muovere la lancia.
Mew Lettuce gli tossì addosso del sangue color rosso vivo. Il suo respiro era sofferente e irregolare e le impediva di parlare, e lacrime di dolore continuavano a scendere giù dai suoi occhi terrorizzati. «Devi…devi restare calma,» le disse Pai, pur non riuscendo ad esserlo neanche lui. In quel momento, il suo intero essere era un misto di dolore, rabbia e frustrazione. «Non è niente. Te la caverai.»
A giudicare dal punto in cui era stata colpita e dalla sofferenza che le causava ogni tentativo di respirare, Pai comprese che Chris le aveva perforato un polmone. Se avesse estratto dal suo corpo la lancia, Retasu sarebbe morta rapidamente, soffocata dal suo sangue; se però non avesse fatto nulla, avrebbe solo prolungato inutilmente il dolore lancinante che lei stava provando in quel momento. Impotente, l'alieno digrignò i denti. «Tu…» sibilò con odio in direzione di Chris, continuando a stringere Mew Lettuce.
«Che c’è? Te l’ho restituita, no?» gli rispose lei divertita, per poi mostrargli il sacchetto con le tre gemme. «Peccato non poter usare i poteri di queste per guarirla, vero? Ed ora ti chiedo scusa, ma ho un Messia da evocare.»
Chris si lasciò alle spalle Pai e Mew Lettuce, sicura che lui non l’avrebbe seguita: era troppo fedele per lasciar morire lì sola a terra la donna che amava. Si incamminò lentamente verso l’altare in fondo alla chiesa, ma Kisshu le sbarrò la strada dopo pochi metri. Annoiata, l’aliena poggiò una mano sul fianco e sospirò.
«Che cosa vuoi, Kisshu? Fossi in te, fuggirei il più lontano possibile da questo posto. Ma se proprio vuoi restare...» soggiunse con un sorrisetto, «…ti prometto che assisterai ad uno spettacolo che sarà la fine del mondo.»


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Capitolo 47
*** L'ora della profezia [IN REVISIONE] ***


Dopo 1000 anni di attesa, ecco infine a voi l'aggiornamento di questa fic che ormai, credo, avranno dimenticato tutti xD Per favore, scusatemi per il ritardo del capitolo, e per non aver recensito nulla io stessa in tutto questo tempo...T.T;
Nulla da dire... tranne che, riguardo l'ultima battuta laggiù in fondo alla pagina... forse vi sembrerà assurdo, forse vi sembrerà banale, ma in realtà tutto ha una propria logica (sempre relativa, s'intende xD). E poi, devo farvi stare in tensione *o*! (almeno ci provo...)
Appunto per evitare di farvi leggere quest'ultima battuta prima del tempo e rovinarvi così la *sorpresina* finale, stavolta le note....sono qua sopra ^o^! (*TONF!* ndLettori) Buona lettura!!
JunJun

Risposte alle recensioni!! ^^; (<- più che altro, sclerate varie xD)

*

Note. (L'ha fatto davvero! Non ci posso credere...O__O;; ndPai)

(*) Ricordate? All'inizio del capitolo 29.5 ^o^
(**) Ricordate la storia di Enki del capitolo "Il cammino di vita e di morte"?^.-
(***) Shi, nel capitolo "Il contatto".

Pai: ... comunque questo non è un capitolo tragico, è la fiera dei doppi sensi, lo sai, vero, umana pervertita? =.=''
JunJun: >o<;; Silenzio e fila a recitare!! *lo prende a calci*

*

Pai era ormai al limite della sua resistenza.
La presa invisibile di Chris gli stringeva il collo con tale forza da soffocarlo; ma, per fortuna, lo scricchiolio rassicurante delle sue ossa cervicali gli ricordava che esistevano altri tipi morte molto più veloci e meno dolorosi di quella per strangolamento. Lui quasi ci sperava: era troppo snervante ed umiliante essere costretti a lottare contro il proprio istinto per cercare di catturare qualche ultima maledetta boccata d’aria che, alla fine, era sempre troppo poca. E, come se non bastasse, il palpito continuo del cuore che sentiva nella gola gli faceva scoppiare la testa, mentre i suoi muscoli diventavano sempre più inermi per la mancanza d’ossigeno… ah, se soltanto avesse potuto respirarne ancora un po'! Solo un'altra volta…
Di colpo, la presa che avvinghiava Pai si contrasse come per strozzarlo. Lui boccheggiò. Un istante dopo l'alieno, senza rendersi conto di cosa fosse successo, si ritrovò accasciato a terra. Non capiva più niente; sentiva solo un dolore assurdo per tutto il corpo, il formicolio del sangue che ricominciava a fluire nelle vene. Ogni minimo movimento, fosse anche il semplice respirare, lo uccideva. Ma nonostante tutto, Pai inspirò profondamente per lunghi istanti, come in estasi, il liquido vitale che per troppo tempo gli era stato negato.
“P-Pai!” gridò Mew Retasu, quando lo vide restare così fermo e immobile a terra. Terrorizzata, fece per correre verso di lui. Ma Mew Zakuro la fermò:
“E’ troppo pericoloso!” le disse, stringendole una spalla.
Un istintivo strattone permise alla guerriera d’acqua di liberarsi; ma, dopo il richiamo di Zakuro, Mew Retasu non fu più capace di muovere un passo. “Lei ha ragione, è pericoloso…” realizzò angosciata, abbassando nuovamente lo sguardo su Pai. “Però…” Mew Retasu strinse i pugni, inquieta.
La ragazza si rassicurò un pochino quando vide che Pai stava cercando di rimettersi in piedi, sfiorandosi con pena un livido biancastro che gli era comparso sul collo; ma Chris, nel frattempo, lo stava di nuovo puntando.
“Hai visto di cosa sono capace?” sussurrò l’aliena a Pai, con una voce piatta, senza alcun sentimento, avvicinandosi lentamente a lui. Quando gli fu a pochi passi si fermò, stese la mano destra e aprì il pugno: “Ora, dammi quelle pietre," gli ordinò. " 'Per favore',” soggiunse poi.
Pai sollevò la testa, guardandola profondamente negli occhi. “Mai,” proferì con odio.
L’espressione di Chris non cambiò. Con lo stesso sguardo impenetrabile, l’aliena fece scattare in aria il braccio teso, scaraventando Pai nella buia navata laterale. La violenza del colpo fu tale da far tremare l’intero edificio. Lo spostamento d’aria fece sollevare una nuvola nera di polvere. Prima che si fosse posata, però, Chris si era già rivolta verso Kisshu.
“Sii ragionevole almeno tu,” gli disse. “Consegnami la pietra di Imago.”
Il moro, sotto shock, quasi indietreggiò di un passo per la sorpresa. Guardò prima Chris, poi il punto in cui suo fratello era stato proiettato. In verità, ad attirarlo verso quella direzione era stato il ticchettio disperato degli stivali di Mew Retasu: questa volta, Zakuro non era riuscita a fermarla.
“Kisshu, non gliela dare!” gridò Taruto.
“Uh?” a quel richiamo Kisshu, perso in chissà quali pensieri, tornò alla realtà, girandosi verso il fratello adottivo.
“Mi hai sentito? Non ti permettere di dargliela!” gli ripeté lui in tono quasi minaccioso.
Kisshu rimase immobile molti secondi a fissarlo negli occhi incerto, quasi stupito. Poi di colpo sussultò, come se si fosse ricordato di una cosa sconcertante. Si rivolse all'aliena di fronte a lui: “Chris, non posso dartela!” esclamò, pallido in viso.
Lei, come se si fosse aspettata una risposta del genere, sollevò una mano nella sua direzione, proprio come aveva fatto con Pai. “Allora morirai,” osservò semplicemente.
“No aspetta, aspetta, non intendevo questo!” si affrettò a dire Kisshu. “Ascolta, io sono dalla tua parte!”
La mano di Chris si fermò a mezz’aria: “Cosa?!”
“Eh?” sussurrò Taruto.
“CHE?!” strillò Mew Ichigo, dal fondo della chiesa. “Stai scherzando?!”
“No!” Kisshu si voltò verso di loro: “Ma non capite?” gli disse con un tono strano, serio ma come esaltato, “Non capite che ha ragione lei? Un mondo in cui ogni cosa ha senso… che importa se costerà la vita a tutti noi? Moriremmo comunque, ma così…così sarebbe per il bene!” balbettò.
Gli occhi di Mew Ichigo si sbarrarono. “Kisshu…ma tu… sei impazzito…?” sussurrò, sconvolta.
Anche Chris lo era: sembrava che non potesse credere alle parole che aveva appena ascoltato. Cercò di incrociare gli occhi di Kisshu, come se attraverso di loro potesse capire se stava dicendo la verità o no. Lui evitò in ogni modo quello sguardo penetrante, ma a Chris parve lo stesso che fosse sincero. Le labbra rosee della ragazza, rimaste dischiuse in un’espressione di sorpresa per tutto quel tempo, finalmente riuscirono a scandire le parole: “Ma allora…tu mi capisci, Kisshu? Tu credi davvero che io abbia ragione?”
Lui, la testa bassa, annuì.
Un lieve rossore colorì il volto di Chris. “Io…io ti avevo considerato male, sai?” disse sollevata a Kisshu, abbassando del tutto la mano. “Però…” aggiunse subito dopo, più seria, “…se davvero sei dalla mia parte, allora dimostramelo: consegnami l’ultima pietra.”
“La…pietra?” Kisshu sussultò di nuovo. Sollevò il capo: “Scusami Chris, ma io…io non posso farlo,” dichiarò.
“Eh?” replicò l’altra. “Ma…ma tu mi stai prendendo in giro o cosa?”
“Oh, Chris, non fare così..." sospirò Kisshu. "Io ti darei quella pietra con tutto il mio cuore, ma il fatto è che io… beh, io l’ho distrutta,” ammise (*).
“E-Eh? T-Tu…tu cosa?!”
Kisshu si portò una mano dietro la testa, ridacchiando nervosamente. “L’ho distrutta, ecco…ma non l’ho fatto apposta! E’ che mi ricordava Imago, ed ero nervoso per colpa sua; avevo voglia di rompere qualcosa, e così…”
Mew Ichigo balzò davanti a Kisshu e puntò il dito contro Chris: “…e così ha distrutto quello che ti serviva, quindi arrenditi!” esclamò, concludendo la frase al posto del moretto.
Chris, che sembrava tutto fuorché decisa ad arrendersi, alle parole di Mew Ichigo scoppiò in una risata. La mew mew rimase paralizzata per lo stupore, così Chris la oltrepassò senza problemi, dirigendosi verso Kisshu. “Se è così, allora grazie!” gli disse. “Grazie, grazie davvero!” e lo abbracciò. Questo gesto fece spalancare le bocche di tutti i presenti, tranne quella di Pai che, sorretto da Mew Retasu, continuava a ripetere a mezza bocca: “Quell’idiota…quel dannato idiota…”
“C-Cosa?”
A quel gesto dell’aliena, Kisshu restò immobile, senza capirci più niente. Solo un minuto fa quella ragazza voleva ammazzarlo, ed ora lo abbracciava teneramente? Certo, non era una cosa spiacevole, però... forse era matta davvero…
Chris si staccò di colpo dall’abbraccio: “Bene, ed ora che non ci sono più pericoli, al lavoro, è già tardi!” esclamò allegramente, e, lasciato Kisshu, si avviò verso la parte più profonda della navata centrale.
“Cosa?!” ripeté lui, sempre più sorpreso. “Cosa vuol dire?”
“Maledetto,” gli gridò Pai alle spalle. “Te lo spiego io cosa vuol dire! Ah, scusa, Retasu…” Pai si sciolse delicatamente dalla presa della mew mew, che lo fissava spaventata: in effetti, lei non lo aveva mai visto così arrabbiato. Lui cercò di ricomporsi, con scarso successo. “Vuol dire,” riprese verso Kisshu, dopo qualche istante, “che distruggendo quella pietra, non solo hai ucciso la tua adorata Imago, ma hai spianato a lei la strada per la distruzione dei mondi! Kisshu! Quelle tre pietre insieme erano l’unica cosa che la poteva fermare! Ora che tu ne hai distrutta una, le altre due sono inutili pezzi di roccia!”
“Eh?” Kisshu si sentì morire. “Aspetta, che cosa vuol dire…c-che ho ucciso Imago?”
Pai non gli rispose.
“Ma non è possibile! Lei era già…lei è…” Kisshu si guardò le mani tremanti, poi le strinse a pugno. “Stai solo mentendo! Te la farò pagare cara!” abbaiò verso il fratello, estraendo i suoi tridenti.
“No,” lo fermò Chris, alcuni metri più distante. “Kisshu, ha ragione lui…”
“Ma…ma non può essere!” balbettò l’alieno dopo molti secondi di sconcerto. “Non è possibile, non… non riesco a capire…” gettò le armi a terra. “Chris, che cosa… che cosa vuol dire tutto questo?” Un’idea improvvisa gli balenò nella testa: “L’Apocalisse..?”
Chris continuò a camminare lentamente in cerchio dinanzi all’altare della Chiesa, disegnando nell’aria strane forme che poi comparivano sul pavimento. “E’ una storia troppo lunga e complessa per essere spiegata con parole umane…” sussurrò con aria assorta. Alzò gli occhi su Kisshu: “...ma in fondo io ti sono debitrice, per cui ci proverò. Tempo fa, un tempo immemorabile, noi eravamo i sovrani di questo pianeta…”
“Si, si, si…” sbuffò annoiata Mew Ichigo, incrociando le braccia dietro la testa. “…tutta quella storia degli alieni che vivevano sul nostro pianeta…”
“Silenzio!” la zittì Mew Mint, raggiungendola insieme agli altri.
“Allora," continuò frattanto Chris, "il nostro regno non era ancora corrotto, né dal male, né dagli esseri umani… allora era un’età meravigliosa. Sembrava che nulla potesse turbare l’armonia. Ma un giorno…un giorno una profetessa ebbe una visione spaventosa: un’immensa sciagura avrebbe sconvolto il pianeta e i suoi abitanti, a meno che lei non fosse riuscita a chiamare da un'altra dimensione un Dio potentissimo che avrebbe riportato tutto alla sua originale purezza, facendo ricominciare il ciclo. Compreso il messaggio del Dio, lei si recò dal Sovrano, per chiedere il suo aiuto. Ma i Cavalieri, degli sciocchi che pretendevano di vegliare sul Sovrano del regno e sul regno stesso, non solo le impedirono di farlo, ma, quando lei cercò di evocare il Dio da sola... quei dannati la raggiunsero e la uccisero… e così il Dio non venne evocato e, poco tempo dopo la profezia della giovane si realizzò, perché sotto la dinastia di un sovrano di nome Deiwos (**) venne creata la più grande sciagura che potesse mai esistere…”
“Sarebbe?” domandò Mew Mint, catturata da quel racconto.
“Credo si riferisca a voi esseri umani,” le rispose Ai.
“Cosa?!”
“Beh, anche questa è una storia lunga,” annuì il ragazzo alieno con aria pensierosa. “Anche se sono solo sciocchezze... e comunque…non ho ancora capito cosa c’entri tutto questo con la situazione attuale.”
“Aspetta…” riprese Chris, ponendosi al centro del disegno da lei creato, che cominciava ad emanare una luce chiara ed evanescente. “Quando i cavalieri intervennero per fermare la profetessa, lei aveva già iniziato il rito sacro per il risveglio, schiudendo la porta che collega le dimensioni universali: nulla avrebbe più potuto richiuderla. Loro se ne accorsero, e l’unica soluzione che trovarono fu quella usare tutti i loro poteri per porre sulla porta un sigillo magico, che però, lo sapevano, con il tempo si sarebbe consumato… Poiché non riuscirono a trovare una soluzione migliore, quegli sciocchi decisero di far scrivere e tramandare una profezia per i posteri - che in fondo profezia non è, dato che si limita a spiegare la situazione - e posero in un oggetto magico, la Croce, tutti i poteri che erano loro rimasti in modo che, quando il loro stupido debole sigillo fosse stato sul punto di spezzarsi, e la porta delle dimensioni fosse stata in procinto di aprirsi, essa venisse trovata dalle persone giuste, che avrebbero così potuto usarla per combattere contro il Dio”.
“La porta delle dimensioni?” disse Taruto.
“E’ la stessa che abbiamo usato noi per venire qui, (***)” spiegò Pai. “Ora non è ancora aperta del tutto, e permette di collegare solo mondi diversi della stessa dimensione…ma non appena il sigillo si spezzerà, il nostro universo sarà preda di esseri provenienti da altre…tra cui quello che lei chiama Dio, il Messia… e noi non possiamo fare niente per evitarlo…”
“Non possiamo evitarlo?” ripeté Kisshu come percorso da una scarica elettrica, voltandosi improvvisamente verso di lui. Gli erano appena tornate alla mente delle parole…le parole di Imago:

“Dopo anni, secoli e millenni
Giunge, infine, il momento:
Il Messia risorge dal suo sonno,
Non si può evitare…”

…e poi? Come continuava la profezia? L’aveva dimenticata…
“Ma scusa…” obiettò Mew Mint “...almeno da quanto ho capito io, sono passati milioni di anni da quando fu posto quel sigillo…quell’essere non potrebbe essere già morto?”
“Devi capire che il concetto che voi umani vi siete creati per lo spazio e per il tempo…” cominciò Pai in tono annoiato, “...beh, lascia perdere, non capiresti,” concluse alla fine.
Mew Mint spalancò la bocca, indignata.
“La cosa importante da capire comunque è che quella maledetta ha speso tutta la vita per avvicinarsi a noi perché sapeva che saremmo stati noi a ritrovare la Croce. E lei voleva assicurarsi di essere presente al momento, in modo da strumentalizzarci, facendoci credere chissà cosa, per arrivare sulla Terra, al momento opportuno, in modo da distruggere le uniche cose che potevano fermarlo, e poter accogliere degnamente il suo adorato Messia,” sbottò amaro, guardando Chris, che ridacchiava.
“Ma insomma, che diavolo erano quelle pietre?" saltò Mew Ichigo. "Non c’è nessun altro modo per fermare tutto questo? Quella profezia non dice nulla?”
“Oh, ti rispondo io" disse Chris. "Si, la profezia dice tutto. Nella prima parte parla delle ormai defunte tre sorelle, che in realtà non sono mai vissute davvero. Loro erano l’unica cosa che poteva fermare il Messia. Credo che anche tutto quell’assurdo indovinello che derivava dalla Croce alla fine non rimandasse altro che a loro. Vedete, anche quei tre esseri non erano altro che un appannaggio della magia usata dagli antichi cavalieri. Loro sapevano che il Messia si sarebbe risvegliato, e sapevano di non avere energia sufficiente per combatterlo. Così crearono delle pietre che potessero assorbirne nel corso dei secoli e che, quando fosse giunto il momento, avrebbero dato vita a delle immagini di energia che potessero catalizzarle… le tre sorelle. Una, la piccola Imago, era l’immagine dell’energia del bene, la seconda, quella Kassandra, del male, mentre la terza, Kassidiya, era il potere equilibrante, che voi umani ancora non conoscete… comunque. Dovete capire che quelle tre non erano reali esseri viventi, esistevano al solo scopo di accumulare sempre di più energia, fino ad autodistruggersi e riversare la loro energia nelle pietre”.
“A-Autodistruggersi?”
“Si… prendete ad esempio Kassidiya: lei era la più debole, tutta quell’energia accumulatasi dentro di lei alla fine l’ha fatta impazzire. Solo in seguito è 'morta'. Le altre due invece hanno impiegato più tempo. Una volta catalizzate le pietre, esse avrebbero dato ai prescelti la forza di combattere il Messia. Ora che però una di loro è stata distrutta, la sua energia si è dispersa per sempre, e le altre due sono troppo deboli da sole. Detto in poche parole, voi ora avete la forza per uccidere me, ma non certo quella per sconfiggere il Mio Signore”.
I segni apparsi sulle pareti si tinsero di un velo argenteo, sempre più luminoso, che iniziò a turbarsi e sollevarsi come se un vento invisibile lo controllasse.
Mew Purin si portò una mano al mento, pensierosa: “Aspetta un attimo…allora, se ho capito bene, con tutto questo discorso tu vuoi dire che fra poco il nostro mondo sarà distrutto per colpa di-”
“K-KISSHU!” strillò Mew Ichigo. “MA IO TI UCCIDO!”
Il moro scoppiò in una risata isterica. “Grazie gattina, sapevo che almeno tu mi avresti capito....”
“N-Non è il momento di scherzare! Ma ti rendi conto che-”
“…che stiamo per morire, micetta? E allora?” continuò Kisshu ridendo. “Tanto sarebbe dovuto accadere comunque. Un ultimo respiro e poi, pluff! Tutti sott’acqua per sempre. Non è divertente?”
“Ma… ma che stai dicendo..?”
“La verità,” osservò Chris sorridendo, mentre l’alone intorno a lei vorticava sempre più velocemente. “Sta per arrivare. Inchinatevi di fronte a colui che purificherà il mondo.”
“C-Colui?” Mew Ichigo sentiva il cuore pulsarle nella gola. Aveva un brutto presentimento. “Ma non era una colei? Pai, Taruto, non avevate detto che il messia era quella Kassidiya?”
Chris stava cercando di concentrarsi, ma quando sentì Ichigo quasi sbatté a terra. “Ma no sciocca ragazzina, ma se ti ho appena spiegato chi era Kassidiya!!”
“E scusa tanto, mi era sfuggito!!”
Chris riacquistò la sua calma e il suo sorrisetto. “Loro lo credevano, e io gliel’ho lasciato credere. Il credere di sapere la verità rende sicuri, così quando si scopre la vera realtà si rimane confusi. Esattamente come siete voi adesso… non potete ancora credere a quello che sta succedendo, vero?”
“Beh, io non c'entro, ma credere che una ti ha mentito tutta la vita, in effetti, è difficile,” ammise Ai, non senza ironia.
“Ma io l’ho fatto solo questa vita, ragazzino. Nel complesso, è un briciolo.”
Questa vita?”
“Si...si, io ero quella profetessa!” esclamò Chris, perdendo di nuovo il controllo. “Rigenerazione, reincarnazione, metempsicosi continua, tutti gli spiriti ne sono potenzialmente in grado, per quanto mi faccia schifo, probabilmente tutti voi esseri inferiori eravate nel passato con me! …ma voi non potete ricordarlo…solo gli eletti possono farlo… e attendere, fino al momento di far compiere il destino…”
“Ma tutto questo è mostruoso!” esclamò Mew Ichigo.
“Io lo ricordavo, quello che eri tu,” disse Pai a denti stretti. “Chris, tu eri stupenda, ma dopo la visione di quel fantomatico Dio, ti sei...persa. Noi abbiamo tentato di farti tornare alla ragione, ma ormai era inutile, lui ti aveva soggiogata. Solo per questo siamo stati costretti ad ucciderti, ma-”
“Lui non mi ha soggiogata, cavaliere! Io credevo in lui, e ci credo tutt’ora, in lui e nel suo destino, ed è solo per questo che ho lottato finora, tutto questo tempo, perché ormai il vostro sigillo si è spezzato, e lui è destinato a tornare!” gridò d'un fiato Chris, e nello stesso istante intorno a lei esplose un vortice di luce, che prese a ruotare con intensità spaventosa, causando una corrente d’aria che costrinse la maggior parte dei nostri a proteggersi il volto con le mani.
“Non è ancora detto!” esclamò Taruto, indicando Kisshu, che smise di ridere. “Per ora tu sei sola, e noi siamo due!”
“Eh? Ma se ti ho detto che-” protestò quello.
“Kisshu!”
“Oh, va bene…se ci tieni così tanto…”
“Vi sbagliate, siamo in tre…” mormorò Pai, anche se con poca convinzione.
“Anche se non mi è chiara tutta la situazione, otto…” aggiunse Mew Ichigo. “…sennò noi cosa ci stiamo a fare qui?”
La guerriera non aveva ancora finito di parlare, che sentì una mano sulla sua spalla: “N-Nove…” la corresse un debole Ryo, lottando per resistere al vento. “Ho passato la vita intera a combattere contro gli alieni, n-non permetterò che ora una mocciosa psicopatica mi mandi all’aria tutto il lavoro…”
Ai fece spallucce. “Beh, facciamo dieci…anche se non penso che la cosa si risolverà così facilmente…”
Chris, dal centro del vortice, allargò il suo sorriso. “Potete fare tutto quello che volete, tanto ormai il momento è arrivato...”
“Ah, si, e da cosa lo deduci?” le domandò Ichigo con aria beffarda. Poi si accorse di un piccolo particolare: “Myah, ma come mai non sono più trasformata?!?!”
“Da questo, umana,” osservò Chris a mezza voce.
“Forse perché sei debole dopo la battaglia…” suggerì Mew Retasu.
“Non preoccuparti, ci pensiamo noi!” esclamò Mew Purin, un istante prima di tornare anche lei ad essere Purin...
“Ma cosa..?”
Mew Mint, Mew Retasu e Mew Zakuro subirono la stessa sorte pochi secondi dopo. Le ragazze si scambiarono una serie di occhiate terrorizzate, ma nello stesso tempo a Kisshu venne un’illuminazione:
“Ora ricordo come continuava la profezia! Era qualcosa come…”

“…Gli angeli non avranno più potere…”

“Abbiamo…abbiamo perso i nostri poteri!” esclamò Minto con orrore, guardandosi le mani.
Chris alzò gli occhi al cielo: “Oh, niente crisi di isteria per favore,” la ammonì.
“Non preoccuparti ragazza, doveva accadere anche questo,” la rassicurò Pai. “Voi cinque siete le custodi della terra. I vostri poteri hanno continuato ad aumentare in vista di questo momento…”
“Grandioso, e allora perché non ci sono più?!”
“Te l’ho detto, Minto! Ora non siete più mew mew, siete gli angeli della Terra, e come tali in questo momento di estremo pericolo vi saranno concessi nuovi poteri e di conseguenza nuove trasformazioni!”
“Cos... Nuovi poteri!?” ripeté Minto, sbarrando gli occhi.
“Nuove trasformazioni?” le fece eco Ichigo.
“Uh, niente più tutine sexy?” osservò Kisshu dispiaciuto.
“Certo che sono proprio testardi…” sospirò Chris dall’altra parte. “Insomma, quante volte devo dirvelo e ripetervelo che è tutto perfettamente INUTILE?!” gridò, stendendo entrambe le braccia. Una forza invisibile si scagliò contro tutti i presenti, gettandoli a terra e schiacciandoli.
“C-Com’è forte!” mormorò Purin, resistendo a fatica.
Zakuro riuscì a stento a rialzarsi in ginocchio, accanto a Pai:“S-Senti, non c’è davvero un modo per fermarla? Non si può rimettere a posto quel sigillo?” gli chiese, proteggendosi il viso con le braccia.
“Il mio compagno è morto... e io da solo non posso farcela...” rispose lui. "E poi, senza quelle pietre… non si può fare nulla…”
Pai si girò verso Kisshu, fulminandolo con lo sguardo.
“Non guardarmi così, che diavolo ne potevo sapere io?” si difese quello. Poi si rivolse ad Ai, che era finito alla sua destra: “Quanto a te, forse ti sembrerà una domanda fuori luogo, ma… ci conosciamo, per caso?”
Ichigo, nel frattempo, era riuscita, con molta fatica, a rialzarsi in piedi: “No, io non...io non posso permetterlo!” gridò decisa verso Chris. “Non possiamo permetterlo! Ragazzi, anche senza quelle pietre, se siamo uniti, possiamo farcela!”
“Ma quanto sei insistente!” la apostrofò Chris, e puntò la mano verso di lei.
Ichigo venne scagliata dal vento a molti metri di distanza. Batté la schiena a terra, e lì rimase senza rialzarsi.
“ICHIGO!” urlò Zakuro, presto imitata dalle altre ragazze.
In quella, si sentì all'esterno un altro tuono, e un rombo orribile, che fece tremare l’intero edificio fino alle fondamenta.  Fu come un'esplosione, e l'onda d'urto spazzò via il portone d’ingresso. La pioggia varcò la soglia della cattedrale, e non solo la pioggia...
Ichigo si rimise seduta. Sentiva strani rumori alle sue spalle…ma non si voltò indietro: aveva gli occhi fissi sul cerchio creato da Chris, che ora si stava illuminando di una strana luce sempre più forte.
“Che bagliore accecante…”
La rossa si portò le mani agli occhi per proteggerseli. Aveva paura, una paura matta di quello che stava accadendo. Avrebbe tanto voluto ritornare vicino alle sue amiche, ma il vento non le permetteva di muoversi, e poi, come se non bastasse, cadendo si era fatta male al fianco destro, e faticava a muoversi: aveva sbattuto contro qualcosa di terribilmente duro, appuntito e... caldo…ce l’aveva nella tasca!
“Ichigo ha ragione, non possiamo arrenderci, ci sarà pure un modo per fermare tutto questo!” stava intanto gridando Ryo agli altri.
Chris sospirò, rassegnata. “Sentite, se è la superiorità numerica ciò che vi rende così decisi, vi avverto che è solo questione di tempo...”
In effetti, i rumori alle spalle dei ragazzi diventavano sempre più forti…troppo forti per essere solo il semplice sferzare della pioggia sul pavimento...
La luce si fece sempre più intensa, avviluppando tutto l'edificio, penetrando ogni angolo e costringendo persino gli alieni a dover chiudere gli occhi. Fu come un istante... poi la luce scomparve. Il vento cessò, e con lui i rumori, tutto tornò tranquillo e immobile, come se non fosse mai successo nulla.
La pioggia continuava a scrosciare sull'ingresso con indifferenza.
Ichigo si rialzò in piedi, stravolta: le sembrava di essere appena scesa dalle montagne russe, aveva i capelli tutti scompigliati, la gonna spiegazzata e... oddio, se l'era dimenticato, aveva la gonna! Con tutto quel vento, e lei che era caduta a terra malamente, chissà cosa si era visto! Rossa per l'imbarazzo, la ragazza cercò di sistemarsi al meglio i vestiti, guardandosi freneticamente intorno, come se si aspettasse di vedere o sentire chissà quali sorrisini maliziosi e commenti. Invece constatò ben presto che le facce dei suoi compagni tutt'altro che sorridenti: tutti, persino Kisshu, avevano la stessa espressione vacua, lo sguardo fisso in un punto davanti a loro, in preda allo shock. Ichigo, incuriosita, lo seguì: era puntato nella direzione di Chris, anzi, no... era fisso sulla persona apparsa accanto a lei.
La sorpresa fece sussultare Ichigo, lasciando presto spazio al terrore più profondo: al solo distinguere il profilo di quell'essere, lei si sentì le gambe tremare, e le mani che scattavano istintivamente contro la bocca: “Oh, mio…”
Minto deglutì, stringendosi istintivamente ad Ai: “Ragazzi, per favore, ditemi che tutto questo è solo un incubo…”
“In effetti lo è Minto onee-sama, però è vero…” mormorò Purin.
Chris si inginocchiò profondamente a terra. “Mio Signore…” disse, tremante per l'emozione.
“C-cosa?” balbettò Zakuro.
“No, no, aspettate, non è possibile..." sussurrò Ichigo, scossa da brividi. "No, non di nuovo…”
Retasu si strinse forte nelle braccia, indietreggiando di alcuni passi, fino a finire addosso a Pai: invece di scusarsi, voltatasi verso di l'alieno, gli sibilò un atterrito: “N-Non ci posso credere...m-ma quello è…q-quello è...”
“Profondo Blu...” concluse Pai, e la abbracciò.
 

***

Kyaaaaaahhh!!! (<- è  un respiro di sollievo xD) ...finalmente ho finito questo capitolo... *spunta rigo dal suo block notes* ...un peso in meno sul cuore!^o^;; Siete ancora vivi? Siete caduto in un sonno profondo? Siete orripilati dal casino (in senso buono, ma anche cattivo xD) che ho combinato in questo capitolo? Bene, eccovi una "sorpresina" per farmi perdonare per i due mesi di attesa...e per tutto il resto ^^;;
(Anche se a dire il vero 1) non so quanto vi interesserà 2) queste cose le avevo già dall'inizio dell'anno o poco più, ma mi dimenticavo sempre di pubblicarle 3) mi sembra di aver scritto una pubblicità...^^''''')
Prima di cominciare con lo slider, voglio solo dire che appena possibile sposerò MewLeemoon e Jinebura-chan ^o^;;

Imago-chan by MewLeemoon
Questa è un'immagine di Imago disegnata da MewLeemoon ^O^;; Che dire...è lei! E' perfetta, esattamente come me l'ero immaginata!!! Ancora non mi capacito di come cavolo abbia fatto MewLeemy a farla, se non leggendomi nel pensiero... *ò*;;

Kassidiya by MewLeemoon
Anche Kassidiya è venuta molto bene ^o^! Ha quell'aria ambigua/maliziosa che avevo immaginato! E poi, è curata in ogni minimo dettaglio! Mi piace **;;

Ai by MewLeemoon
L'immagine è ben fatta, però, come avevo già detto a MewLeemy, Ai-chan, Ai-chan...non è proprio così! Non ha la stessa espressione maliziosa di Kisshu, é più piccolo e ha il fisico più sottile, e i capelli  più lunghi...però ciò non mi fermerà dalla mia decisione di fare una statua a quella dea che è MewLeemoon-san per tutto quello che ha fatto *O*;

Hiroyuki + Jinny by Jinny
C'è stato un piccolo disguido riguardo ai capelli di Hiroyuki (io li avevo immaginati corti, ma qui li ha lunghi), però, dopo aver visto quest'immagine, penso che andrò a modificare il capitolo in cui lo descrivo, scrivendo che ce li ha lunghi e specificando quant'è figo *ç*;;

Hiroyuki by Jinny
Idem come sopra ^^; A me piace tanto l'aria malinconica che Jinny è riuscita a dargli (ha centrato in pieno la sua essenza più profonda...), e poi, quegli occhi...*aria sognante*

Ai by Jinny
Anche qui Ai è molto carino ^o^! Assomiglia tanto a Kisshu... Jinny, che fa davvero dei disegni degni di una mangaka (**;) lo ha ritratto mentre legge un libro (probabilmente Shakespeare xD) e in una scena del capitolo 9, quando la sua ex-ragazza Umi lo ha preso a ceffoni xD

Will by JunJun
Ok, premettiamo che io non so disegnare, so a malapena fare qualche colorize al pc, questo ne è uno xD Ho modificato un'immagine del protagonista maschile di Air, Kunisaki. Lui assomiglia tantissimo a Will/Ai, come fisico, lineamenti del viso ed anche espressione (che, quando non è malinconica, è incaxxata col mondo intero xD).

Luna by JunJun
Anche qui un'immagine di un personaggio di Air modificato ^o^! Trovo che si adatti bene a Luna/Kassandra, tanto più che quest'anime è partito da un gioco hentai, e nello stile dell'artbook... va beh, lasciamo stare ^^'''!

Marie
Questa è Misuzu Kamio, protagonista di Air. Quando l'ho vista ho pensato: kami, questa è Marie!°o°'

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Capitolo 48
*** Ho atteso a lungo questo momento [DA REVISIONARE] ***


Nota del 18 novembre 2014:
E’ da gennaio che sto ‘silenziosamente’ revisionando questa fanfic e finalmente credo di aver reso presentabile la prima trentina di capitoli.  
(Oh e ho cambiato il titolo. Amo il trash che traspare dal nuovo titolo!)
La storia risulta aggiornata perché ho aggiunto il capitolo al n. 35 per i motivi descritti in quella sede.
Questo capitolo e i precedenti sono ancora da revisionare ;___; , ma ce la farò!
(In linea teorica, non appena il mio cervello smette di friggere a causa dell'influenza mi rimetto all’opera.)
EDIT: Ma che figata, la funzione "Ultimo capitolo" rimanda direttamente al capitolo 35 appena caricato! Grazie, EFP! ♥


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Capitolo 31. L’agnello e il dragone

Is this a nightmare...or I'm here to stay?
Where is the end of this darkness?
...
Struggle and struggle, we got all to lose
or thiumph with nothing to win
The moment we're living is still only truth
Where there's a over there is still a begin?
You wish it is only a fiction, 'cause
there's no one hand to catch and hold you, to help you survive
The Destiny is the name of the game, fate is playing
from now, no time to left, and no place to hide...

"Profondo Blu..." si ripeté Ichigo, osservando l'essere ad alcuni metri da lei. "Profondo Blu..." Quel profilo sottile ma terrorizzante. Gli immensi capelli alabastro, che contrastavano fortemente con la pelle cadaverica. Il sorrisino diabolico appena accennato. Gli occhi celesti, glaciali e scintillanti. Tutto proprio come quella volta, tanto tempo fa. Tutto proprio come se lo ricordava Ichigo, come ricordavano le sue compagne.
“Profondo Blu…?!” esclamò la rossa a voce molto alta, come se non riuscisse ancora a crederci.
Lui non la sentì. Era in piedi, rivolto verso Chris, che gli parlava vivacemente. La giovane stava rispondendo ad una domanda che lui le aveva rivolto. Lei parlava, la voce tremante dall’emozione. Lui la fissava, ascoltandola senza cambiare espressione: vagamente maliziosa, soddisfatta, forse di lei, forse solo di essere riuscito a tornare. Gli occhi di tutti, in quella sala, erano fissi sulla sua figura, la quale però ignorava deliberatamente chiunque intorno a sé.
Chris, molto euforica, continuava a parlargli. Su sua richiesta, gli stava raccontando, a metà fra il meccanico ed il sognante, cosa era successo: avrebbe trascorso volentieri ore ed ore a parlargli degli sforzi che aveva fatto, della forza che aveva dovuto trovare, dei complessi piani che aveva ordito, all'unico scopo di risvegliarlo.
Come darle torto? Aveva impiegato migliaia di anni per farlo.
Improvvisamente, la ragazza aliena sentì un peso sulla testa: trasalì, interrompendosi. Era arrivata a raccontare di quando aveva convinto Pai e gli altri a risolvere l'enigma della Croce. Chris riemerse dai suoi ricordi e sollevò gli occhi, ma non incrociò quelli di Profondo Blu, accanto a lei; lui stava fissando il vuoto. Si era mosso appena per poggiarle una mano gelida sul capo.
"Sei la mia degna servitrice," commentò brevemente, la voce profonda, lo sguardo lontano.
Lei si sentiva il cuore battere a mille: “L-La ringrazio,” sussurrò timida. Non sapeva se sorridere o assumere un'espressione solenne. Abbassò la testa, le guance molto rosse, quando lui nel riportare indietro la sua mano le sfiorò appena una spalla.
Profondo Blu le passò davanti, muovendo qualche passo verso il gruppo di ragazzi che lo fissavano, paralizzati, da ormai più di un minuto. Al suo incedere, lento e inesorabile, i respiri si spezzavano, ed il sudore freddo scivolava giù dalla fronte. Era come se un'aura di terrore circondasse quell'essere. E, come se non bastasse, ad ogni suo movimento un sinistro tintinnio metallico echeggiava nella chiesa, unico rumore in quel luogo, parrà strano a dirsi, dimenticato da Dio. Questo particolare, per coloro che avevano mantenuto abbastanza sangue freddo da notarlo, era davvero strano: lui era totalmente disarmato, e non indossava altro che una lunga e pesante veste di colore blu, simile alla divisa del Cavaliere che tempo prima aveva protetto Ichigo. Passarono secondi interminabili, mentre l'aria si faceva pesante. Profondo Blu, ormai al centro della navata, si fermò a pochi metri dal gruppetto di Pai, Retasu e Zakuro. Retasu quasi tremava, stretta a Pai. Il Messia inarcò le lunghe sopracciglia nere, posando su di loro il suo sguardo.
Non li stava guardando davvero; la sua espressione era pensierosa, ma quel sorriso vago, che sembrava essergli stato stampato a fuoco sul volto, la rendeva paurosa e folle.
“Io mi ricordo di voi…” rifletté con voce roca, e Retasu terrorizzata strinse più forte i pugni sulla giacca di Pai, che però non si mosse: forse aveva paura anche lui.
“Loro mi hanno aiutato a risvegliarvi,” esclamò Chris da lontano; in effetti, era la verità.
Ascoltando Chris senza muoversi, Profondo Blu allargò il suo sorriso fino a farlo diventare un ghigno. Ora faceva veramente paura.
“Avete commesso errori imperdonabili in passato. Ma se è anche grazie a voi che io sono qui..." disse mellifluo a Pai, che non fece una piega, "...vi perdonerò, se mi adorerete,” concluse dopo una piccola pausa il Messia.
In risposta, Pai sorrise in modo molto simile al suo. “Quale onore...” disse, allentando la tensione dei suoi muscoli. Ma di colpo, con un gesto rapido, stese il braccio destro: una luce argentata tracciò la sagoma di un’arma, che un istante dopo comparve nella sua mano: stavolta non si trattava del buffo ventaglio rosso, bensì di una lunga spada scintillante.
“Proprio tu, che un tempo mi hai servito fino alla fine,” commentò disgustato Profondo Blu.
“Le cose sono cambiate,” fu la risposta secca.
Pai fece cenno a Retasu di mettersi dietro di lui, e strinse la spada davanti a sé con entrambe le mani, pronto a combattere.
Le urla esasperate di Chris, però, interruppero qualsiasi altra sua azione:
“Ma che fai?” gridò l’aliena, raggiungendo in un istante i due. Si pose davanti a lui, allargando entrambe le braccia in segno di protezione. “Non osare! Il Messia non può abbassarsi a combattere contro uno come te!”
Pai fu altrettanto veloce nell’andarle contro e scansarla con una brusca spinta. Chris lottò per non perdere l’equilibrio, e l'alieno approfittò della sua distrazione per spiccare un salto verso Profondo Blu.
Lui non si muoveva, totalmente indifferente alla situazione. Ma Pai sapeva che il Messia non si sarebbe mai lasciato sopraffare con tale facilità. Sollevò la spada che stringeva fra le mani con decisione. Avvertiva su di sé lo sguardo di tutti, ma non del suo avversario. Non se ne curò. Era quasi sicuro che Profondo Blu non avrebbe controattaccato, bensì avrebbe creato una barriera per difendersi. O forse, non ne aveva bisogno. Forse l’avrebbe ucciso con un semplice gesto. Forse era davvero immortale. Ma ormai non aveva importanza, doveva farlo. Doveva almeno provarci. Era l’atto finale.
“Non perderò contro di te!” gridò Pai d’istinto, a pieni polmoni, abbassando la spada.
Rabbia?
Speranza?
Disperazione?
Pai non capì mai perché aveva pronunciato quelle parole.
Per molto tempo, non si rese neanche conto di quello che gli era successo un istante dopo averlo fatto. Prima al petto, poi contro la schiena. Dolore puro. Talmente forte da spezzarlo. Poi il nulla. Non sentiva più la spada fra le mani. Gli era caduta? Pai si ritrovò a respirare con fatica. Era solo, a terra. Sentiva un dolore lancinante da qualche parte sul petto. Provò a toccare con una mano quel punto, poi se la portò davanti agli occhi semichiusi. Sangue. Sorrise amaramente. Sapeva che sarebbe finita così, eppure aveva voluto provare lo stesso. Strinse il pugno, e senza forze lo lasciò ricadere a terra, mentre anche i suoi occhi si rovesciavano ed il dolore smetteva di dilaniare il suo corpo distrutto.
E’ superfluo dire che Retasu gridò più volte il suo nome, quando lo vide, colpito, cadere a terra. E’ altrettanto superfluo dire che colei che aveva scagliato l’attacco mortale, guardandola così disperata, quasi le rise in faccia.
“Perché quelle lacrime? Io gli avevo detto che non avrebbe dovuto osare,” le disse Chris.
Fermamente trattenuta da Zakuro, Retasu prese a singhiozzare silenziosamente, le mani a coprirle la bocca. Il silenzio scese nuovamente sul gruppo. Forse pensando che fosse inutile, o forse in attesa della prossima mossa dei loro avversari, nessuno dei presenti osò muovere un passo per andare a constatare le condizioni del loro amico. Taruto, la bocca spalancata, gli occhi fissi ora su Chris, ora sul punto in cui era stato scaraventato suo fratello, azzardò addirittura un mezzo passo indietro.
“In effetti, aveva ragione…” commentò pacato Profondo Blu, spezzando il silenzio. “Non ha perso contro di me”. E scoppiò a ridere, un risata piena, forte, malefica.
Fu in quel momento che Ichigo, come molti altri dei suoi amici, si accorse della gravità della situazione: se la sola Chris si era rivelata così potente da annientare in un colpo il più forte del loro gruppo, quanto diavolo poteva essere forte l’essere da lei evocato?
Ichigo non ebbe tempo di darsi una risposta a quel dubbio tremendo: Profondo Blu aveva appena voltato la testa nella sua direzione, osservandola come se le stesse leggendo nel pensiero, e ghignando per questo. Nonostante l’ansia le stesse facendo pulsare la testa, lei strinse le labbra e aggrottò le sopracciglia, in un’espressione istintiva di determinazione.
”Tu..!” iniziò, duramente.
Io mi tratterrei con piacere a giocare con voi,” mormorò l'altro, continuando a fissarla, ancora più divertito. “Ma, sapete…ho un mondo da purificare.”
Riportò lo sguardo in avanti, e fece per andarsene. Il suo passo era lento, ma deciso e sicuro come quello di un leone che cammina fra le sue prede, mentre attraversava e poi superava il gruppo dei nostri amici. Al suo passaggio, Taruto, Zakuro, Ai, Retasu, la stessa Ichigo e tutti gli altri, incrociarono gli sguardi. Alcuni erano incerti, altri più decisi, ma quasi tutti velati da un sentimento di paura più o meno celato.
Profondo Blu, sicuro di sé, mosse qualche altro passo, il cui eco, lento ed ingigantito, riempiva l’aria come una cascata gelata. Poi, si fermò.
Purin deglutì.
“Ripensandoci…” mormorò, voltandosi indietro. I suoi occhi scintillavano di malizia, mentre li puntava su Chris. “Tu,” le ordinò “occupati di questi sciocchi. Non vorrei che, tentando qualcosa, finissero per farsi…male da soli…” sibilò con un tono tanto basso quanto spaventoso.
Chris sembrava vagamente in soggezione. “M-Ma certo…” rispose, provando a ricambiare quel ghigno con un sorrisino che mostrava i canini. “Sarà un piacere”.
Un istante dopo Profondo Blu, senza cambiare espressione, era svanito, lasciando di sé una vaga traccia evanescente.
“No! Non lasciatelo fuggire…”
Ryo, puntellandosi debolmente ad una colonna, nel pronunciare queste parole tossì del sangue. Ichigo, che era la più vicina a lui, si affrettò a raggiungerlo.
Chris la lasciò fare, ma si voltò verso gli altri ragazzi del gruppo. “Dunque…” disse sorridendo, “…qualche altro aspirante suicida?”
Zakuro, furiosa verso l’aliena, spinse lontano da sé Retasu: “Dannatissima…”
“Silenzio!” gridò lei, e con un gesto la fece sollevare da terra e sbattere violentemente contro una parete molto vicina al luogo in cui era Pai.
Taruto e Kisshu, che a quel punto avevano messo da parte qualsiasi pensiero che non fosse di vendetta per il fratello, dopo un rapido cenno d’intesa compirono entrambi un balzo verso Chris, scagliando insieme contro di lei una miriade di minuscoli chimeri, che però esplosero al suolo. Chris non poté fare a meno di evitarli, scomparendo velocemente per poi riapparire poco distante. Mentre i chimeri ancora colpivano il suolo sollevando una nuvola di polvere, l’aliena puntò verso i due alieni una mano: ma Ai, comparsole alle spalle in quello stesso istante, le afferrò il polso, stringendolo fortemente.
“Ora basta!” le disse, ma Chris riuscì a fargli perdere l’equilibrio sferrandogli una violenta gomitata al petto. Poi cercò di colpire anche lui con il suo vento, ma Kisshu l’aveva raggiunta in tempo per impedirglielo. In tre contro una, totalmente inconsapevoli dell’antico motto terrestre: ‘Una donna non si tocca neanche con un fiore’, i tre alieni ingaggiarono una vera e propria lotta con la serva di Profondo Blu, che cercava di difendersi ed attaccare in ogni modo possibile. Nel frattempo Retasu era corsa da Zakuro, riversa a terra senza muoversi. Minto e Purin, che come le altre erano ormai senza più alcun potere, non avevano potuto fare altro che raggiungere di corsa Ichigo e Ryo, che per quanto possibile erano lontani dal luogo del combattimento, quindi relativamente al sicuro.
Minto, tanto preoccupata quanto arrabbiata, senza curarsi delle condizioni di Ryo, appena arrivata scansò Ichigo, amorevolmente china su di lui adagiato contro la colonna, e lo afferrò per il collo della camicia lacerata: “Ryo, che sta succedendo, insomma?!” indicò alle sue spalle “Quella Chris…”
Lui, un occhio semichiuso, abbozzò un sorriso: “N-Non è Chris…” balbettò, “c-credo…che Chris non sia mai esistita.”
Purin, altrettanto in ansia, accanto a Minto si portò i pugni al petto: “E chi è allora? Come ha fatto a far tornare Profondo Blu? Che vuole fare lui? Tu lo sai, vero?”
“Non sforzatelo!” esclamò Ichigo, spaventata alla vista dell’aggravarsi delle ferite di Ryo, che non accennavano a smettere di sanguinare.
Sollevando debolmente un braccio, il ragazzo indicò un libro vecchio e sgualcito ad un passo da Ichigo; probabilmente, era finito lì a causa dello spostamento d’aria che aveva seguito l’evocazione di Profondo Blu. “L-Leggete…” disse con voce flebile.
“Leggere? Ma ti pare il momento di leggere questo?! Ryo!” Minto gli diede uno scossone. “Ryo! Rispondimi!”
“Minto, lascialo stare, è svenuto!”
“Accidenti…Ryo…” Minto lo lasciò andare, poggiandolo di nuovo contro colonna con delicatezza.
“Ryo…” Ichigo, abbassando la testa, si chinò a terra per prendere in mano il libro che Ryo aveva indicato. Tutto spaginato, era rovesciato malamente a terra, ed alcune pagine erano stracciate. Senza neanche curarsi del titolo dorato, che risaltava sulla vecchia copertina nera, Ichigo lo sfogliò con un gesto disperato. Notò quasi per caso una profonda piega triangolare sul bordo di una pagina, come se qualcuno avesse voluto metterci un segno. Mentre Minto e Purin le si avvicinavano, Ichigo tolse la piega e, pur non capendo come questo potesse aiutarli, iniziò a leggere ad alta voce, senza emozione, la pagina rovinata:
“Ella…era simile ad un agnello…ma in realtà era un dragone… che esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza… e faceva sì che tutti gli abitanti della Terra adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita….e operava grandi prodigi….e seduceva gli uomini con i prodigi che la bestia le aveva concesso di fare...la bestia…”
“La bestia…” ripeté Minto, “…si riferisce a Profondo Blu?”
“Che cosa significa?” chiese Purin.

*

Dalla cima della torre di Tokyo, Profondo Blu aveva una vista perfetta della città. Era in piedi sull’ultima antenna, ed il vento, che si faceva ogni secondo più forte, faceva volare la sua veste ed i lunghi capelli alabastro. Tese le braccia verso il cielo, dove le nuvole nere di tempesta si univano in cerchi concentrici per formare un gigantesco ciclone. Fulmini fuoriuscivano da esso, precipitando sulla terra e riducendo in cenere qualunque cosa fosse abbastanza sfortunata da capitare sulla loro traiettoria. “Il varco si è aperto” pensò “Questo è solo l’inizio”. Uno dei fulmini cadde in un luogo molto vicino alla torre. Il boato fu tremendo, e l’onda d’urto fece tremare la costruzione. Tutte le luci della zona saltarono. Per strada alcuni automobilisti, presi di sorpresa, sbandarono, incidentandosi fra di loro. La corrente iniziò a saltare anche nei quartieri vicini, e molte persone, spaventate, corsero fuori casa. La violenza dei fulmini aumentava con il panico delle persone. Conscio che una scene simili si stavano verificando in tutte le zone del mondo, Profondo Blu iniziò a ridere, allargando le braccia. Come le tende di un sipario, le nuvole si aprirono, scoprendo un immenso varco oscuro simile ad un buco nero, circondato da fulmini.
“Il momento tanto atteso è finalmente arrivato!” gridò il Messia a piena voce. “Il varco è ormai spalancato. Venite a me, creature dell’oscurità!”

*

“Oh, no!”
Un brivido freddo scosse Ichigo, che fece cadere a terra il libro.
“Ichigo!” gridò Minto, per sovrastare i rumori della battaglia e dei tuoni all’esterno, “Che altro dice il libro?”
“Il libro?” replicò lei, come in un altro mondo. “Ho un brutto presentimento…un bruttissimo presentimento…”.L-La bestia…” proseguì tremante “…che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita. Le fu concesso di dare uno spirito all'immagine della bestia, affinché l'immagine potesse parlare e…
“Oh, no!” gridò Purin.
Un ennesimo tuono colpì la chiesa. Ichigo alzò di scatto la testa, seguita da Minto. Anche Retasu e Zakuro, dalla parte opposta della navata, si mossero spaventate.
Quello di Ichigo non era un presentimento. C’era qualcosa che si stava avvicinando…
In quel momento, Taruto era riuscito ad immobilizzare Chris lanciandole contro le sue bolas, che le si erano arrotolare sulla vita, legandole le mani. Lei, presa alla sprovvista, cadde a terra. Ma, quando i suoi avversari congratularono fra loro dandosi la mano in segno di vittoria, iniziò anch’essa a ridere. Kisshu, Taruto e Ai realizzarono un istante dopo il motivo: dal portone della chiesa, dalle vetrate spaccate, da ogni singola crepa creatasi fra le pareti a causa dello scontro, la debole luce che filtrava dall’esterno svaniva e riappariva in continuazione, oscurata man mano dal passaggio di quelle che sembravano essere decine e decine di esseri dalla forma indefinita che si muovevano come ombre, ridacchiando (o almeno, così sembrava loro) con una voce stridula da far invidia al peggior film del terrore.
Zakuro, accompagnata da Retasu, raggiunse le sue amiche. Chris era stata generosa con lei: la violenza del colpo ricevuto le aveva fatto perdere i sensi per qualche minuto, ma le ferite che aveva riportato erano state solo del graffi. Retasu, quasi in preda ad un attacco di panico, non aveva avuto il coraggio di andare a controllare anche le condizioni di Pai, ma sperava col cuore che anche lui se la fosse cavata.
“Che cosa sta succedendo?” domandò Zakuro verso le sue compagne.
Purin, dopo essersi guardata attorno ed aver di nuovo deglutito pesantemente, guardò l’amica accennando un sorriso semidisperato: “Uhm, Zakuro, tu da piccola avevi paura dell’Uomo Nero? No, perché qui pare che ce ne siano tanti…”

Chris, usando i suoi poteri, si liberò dalla presa di Taruto. Ancora ridendo, si rialzò da terra, ma ormai nessuno le stava prestando attenzione. I tre alieni, spalla contro spalla, fissavano preoccupati quei cosi gracchianti muoversi attorno al perimetro della chiesa, chiedendosi se li avrebbero attaccati.
La risposta non tardò a venire: come un fiume in piena, i demoni invocati da Profondo Blu si riversarono da ogni apertura all’interno della chiesa: poco più grandi di un essere umano, non avevano una sagoma precisa, e si muovevano avanzando come a tentoni sui loro quattro arti, molto più lunghi del loro stesso torso. La testa, se così si poteva chiamare, era attaccata alle spalle ed il loro volto era formato da due occhi, completamente bianchi, ed una bocca informe e slargata.
“Uh, che simpatiche bestioline!” commentò disgustato Kisshu.
“Certo che hai gusti strani,tu…” osservò Ai ironico.
“Che cosa vogliono da noi?” esclamò Taruto, spaventato, stringendosi alle spalle dei due più grandi.
Dall’altra parte, Ichigo, troppo terrorizzata per fare altro, raccolse il libro per terminare la frase che stava leggendo, ma una volta fatto, cadde in ginocchio a terra. Lanciò uno sguardo supplichevole alle sue amiche. L’Apocalisse, a quel punto, recitava: “…e fare in modo che tutti coloro che non l’adorassero dovessero…morire”.

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Eccovi, come di rito, le mie adorate Note: ^o^;
♪ ♫ ♫ ♪ ♫ ♪ ♫ ...

*Lettori si allontanano dal pc*

Scherzi a parte, sono molto felice di essere finalmente riuscita ad ultimare e pubblicare questo capitolo, rimandato da tempo immemore!*^*; Spero di non aver scritto troppe sciocchezze, ma soprattutto che il piccolo riassunto che ho scritto nella nota precedente sia stato abbastanza orientativo. Una precisazione che volevo fare è che il libretto dell'Apocalisse, che Ichigo ha trovato a terra, era stato sfogliato qualche capitolo fa dalla stessa Chris, e con tutta probabilità era stata lei stessa a mettere quel segno nel punto in cui si parlava di lei. Ryo, che era stato gravemente ferito da Kassandra ed ora è totalmente K.O. (povero lui), ha semplicemente visto a terra il libro e letto la copertina, e, collegando le cose, ha compreso la situazione in cui si trovano ora le sue ragazze.
Se leggete il testo originale dell'Apocalisse, lo troverete leggermente diverso... ho modificato alcune frasi (senza stravolgere il senso originale però!) per rendere più comprensibile la lettura.
Un'altra nota che volevo aggiungere sono le parole scritte all'inizio, che sono prese da entrambe le versioni inglesi Vision e Fate di This Illusion, opening di Fate Stay night.*ç*;; Illusion/Fate l'ho caricata qui, se qualcuno vuole ascoltarla. =P Ho ultimato e letto questo capitolo mettendole in ripetizione continua per 3 ore. (Ah, ecco perchè suonata ò.ò, ndLettori)
All'inizio volevo usare solo il testo di Fate, ma dato che mi piaceva anche quello di Vision e la base su cui sono cantati è identica, li ho messi insieme. xD Cose che capitano. *fa spallucce*

Rispondo qui alle ultime recensioni ^O^;

@Sakurabell: Ti ringrazio per la tua recensione! Beh, anch'io sono una grande fan di Kisshu/Ichigo. *-*; Infatti adoro la ff che Bea-chan ha scritto su di loro, non so se ti è capitato di leggerla! Ed in effetti, posso dirti che nel prossimo capitolo ci sarà qualcosa fra loro due, quindi chissà. ^____^;;;
@Iku: Basta, basta, mi fai montare la testa!xD Davvero, io non credo di essere così brava a scrivere, però, quando ho iniziato a buttare giù questa fanfic, ho pensato: "Voglio metterci dentro tutto quello che avrei voluto che accadesse nella serie TV!" *^*; (<- espressione folle). Così, eccomi qui. ^__^; Beh, la maggior parte delle volte, io all'università scrivo per inerzia, perché ammetto che sentirmi nella testa alle 6 di pomeriggio il professore che spiega la reazione chimica corretta per far sì che la quantità infinitesimale di gesso che bisogna aggiungere al calcestruzzo non sviluppi la dannatissima ettringite secondaria, non è molto allettante... *Iku scappa*
@Pichan: Come ho detto, spero davvero che quel riassuntino sia stato utile per riprendere in mano le fila della storia. Comprendo che dopo così tanto tempo, saranno in pochi quelli che si ricordano la trama completa. Sinceramente, nonostante appunti ed appunti vari, non mi ricordavo più tutto neanche io.^^°°°°° (E guarda caso l'unico file che ho perso è proprio quello in cui avevo fatto il riassunto di ogni singolo capitolo =^=;). Spero che questo capitolo ti abbia soddisfatta anche se, ammetto, mi sono riservata l'azione per la battaglia finale fra i nostri e Profondo Blu. *-*;
@Picci93: Picci, ma grazie di cuore per tutto!!!ç******ç;;;; Alla fine pure ho aggiornato dopo un mese. xD Io non mi capisco...*prende a testate la parete* ...ero da mesi ferma su un capitolo, poi di colpo ieri sera sono passata qui, ho letto queste recensioni, ho aperto il mio file word e ho scritto le ultime due pagine in due ore. °-°;;; (E si vede!=o=; ndTutti) Speriamo che sia così anche per i prossimi... ç_ç'
@Kuroneko: Sogno su Kisshu? Racconta ^O^; Non potrei insegnarti come sognare Kisshu perché non lo so neanche io. xD A volte mi capita perchè prima di addormentarmi magari fantastico su lui ed Ichigo, o penso alla fanfic, ma nonostante ciò una volta mi capito persino di sognare Masaya. =o=; *esperienza terrificante*
@Izayoi007: Ciao, che nick particolare! Ti ringrazio molto per le tue parole, sono stupende, mi fai sentire molto felice! Le fanfic che sono pubblicate qui, al tempo, erano tutte molto appassionanti. Mi piacevano molto quelle di Bea, di Cris, la RyoXIchigo di Cassidy (l'unica che abbia mai letto!). Ora ho visto che ce ne sono moltissime nuove e mi piacerebbe leggerle tutte, se solo potessi! (*guarda sospirando libri ed appunti vari sulla scrivania*) Però l'averti aperto alla lettura di queste fanfic mi fa sentire così... realizzata da commuovermi quasi per la gioia. çOç;
@Danya91: Oddio, no. xD Ma Mia non te l'aveva detto che erano solo note? Comunque, non sei la sola a fare sogni asdrubali, dai! *prende a braccetto Kuroneko che cerca disperatamente di divincolarsi* Potremmo mettere su un club. xD
@Mia: Mi ricredo, Mia-chan!xDDD Comunque sappi che se ci troviamo a questo punto ora è solo perché tu al CAD tempo fa mi scrissi quel PM in cui mi chiedevi se avevo intenzione di continuare la mia fanfic. Io pensavo che ormai tutti l'avessero dimenticata! Quindi è colpa tua!xD Comunque, dato che con l'università torno a casa di venerdì, bene o male quello era il giorno in cui potevo aggiornare. xD
@Francesca Akira: Eccolo, spero che ti sia piaciuto.>**<; Anche tu hai interrotto la tua fanfic? Tu?çOç; Io, ammetto, l'ho persa di vista con molte altre, però spero che la riprenderai anche tu, in futuro. Le leggevo con molto trasporto perchè era davvero fantastica, sarebbe un peccato lasciarla andare così. çç;

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