pdc2tMM; mating dance of souls and planets di JunJun (/viewuser.php?uid=230)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione (2014) e Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Il Consiglio ***
Capitolo 4: *** Imago ***
Capitolo 5: *** In trappola ***
Capitolo 6: *** Il sacrificio di Kisshu ***
Capitolo 7: *** Angeli protettori...miao! ***
Capitolo 8: *** Rifugio ***
Capitolo 9: *** Inganni e complotti ***
Capitolo 10: *** Strani comportamenti ***
Capitolo 11: *** Sentimenti ***
Capitolo 12: *** Addii ***
Capitolo 13: *** Preludio (Un sogno) ***
Capitolo 14: *** Il ritorno delle Mew Mew ***
Capitolo 15: *** Essere o non essere ***
Capitolo 16: *** E' una vita terribile ***
Capitolo 17: *** Equivoci pericolosi ***
Capitolo 18: *** Equilibri spezzati ***
Capitolo 19: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 20: *** Copycat ***
Capitolo 21: *** La chiave di tutto ***
Capitolo 22: *** La nascita di Venere ***
Capitolo 23: *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.1) ***
Capitolo 24: *** Il fan n°1 di Zakuro ***
Capitolo 25: *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.2) ***
Capitolo 26: *** OoP.ArtS ***
Capitolo 27: *** Il segreto della Croce ***
Capitolo 28: *** Alieni, angeli e...piramidi ***
Capitolo 29: *** Zeitnot ***
Capitolo 30: *** Labirinto di specchi ***
Capitolo 31: *** Il cammino di vita e morte ***
Capitolo 32: *** Zugzwang ***
Capitolo 33: *** [off_fanfic] Il Palazzo ***
Capitolo 34: *** Paura e delirio al Cafè Mew Mew ***
Capitolo 35: *** Intermezzo (Un viaggio) ***
Capitolo 36: *** CE4 - Incontri ravvicinati del IV tipo ***
Capitolo 37: *** Chi sei tu che avvolto nella notte... ***
Capitolo 38: *** Transizione di fase ***
Capitolo 39: *** La notte dei chimeri tarantola ***
Capitolo 40: *** Furto di strategia ***
Capitolo 41: *** Cosa sei veramente ***
Capitolo 42: *** La fine ***
Capitolo 43: *** Frattura ***
Capitolo 44: *** Colpito al cuore ***
Capitolo 45: *** 'Ops' ***
Capitolo 46: *** Ragione o sentimento ***
Capitolo 47: *** L'ora della profezia [IN REVISIONE] ***
Capitolo 48: *** Ho atteso a lungo questo momento [DA REVISIONARE] ***
Capitolo 1 *** Introduzione (2014) e Prologo ***
- Prologo -
Secoli. Decine e
decine di secoli sono trascorsi dal giorno in
cui siamo stati costretti ad abbandonare il nostro pianeta natale, la
Terra. Da quel momento, abbiamo vissuto su questo
pianeta buio e ostile. Ci siamo adattati a sopravvivere nel suo
sottosuolo, nell’oscurità più totale.
Molti di noi sono
morti a causa degli stenti, delle malattie e della scarsità
di cibo. Con il passare del tempo, la nostra tecnologia e gran
parte delle nostre antiche conoscenze sono andate perdute e noi siamo
sprofondati sempre più nell’oblio e nella barbarie.
Abbiamo rischiato piu'
volte l'estinzione.
Il
nostro riscatto è parso arrivare quando
un’entità superiore, Profondo
Blu, ci ha promesso che avrebbe riconquistato per noi la Terra che, nel
frattempo, era stata contaminata dai terrestri.
Abbiamo accettato la
sua richiesta, lo abbiamo eletto nostro Sovrano e lo abbiamo inviato
sulla Terra insieme a tre dei nostri migliori soldati. Ma ora, a
distanza di un anno terrestre dalla partenza di Profondo Blu, sembra
che la
situazione sia precipitata; sembra che Lui sia stato tradito.
Al
tempo della partenza di Profondo Blu, alla guida del nostro popolo vi
era l'anziano Mahimi Sen;
egli ha recentemente preso in moglie la giovane Kassidiya Kaishu. Ma,
avendo Mahimi ‘perso’ la
testa poco dopo la cerimonia, Kassidiya
Kaishu è attualmente, per me e per il resto del nostro
popolo, l'unica,
sola e legittima Sovrana Reggente.
E così
sarà, fino al ritorno di Profondo Blu.
Firmato,
Obadiah Shiroi
Consigliere della Sovrana Reggente
Kassidiya Kaishu
+ + +
+ + +
+ + +
Note
del 31/01/2014
~ 05/11/2014
e oltre
Ciao!
Anni
fai ho
iniziato questa fanfic in un pomeriggio di noia. Mi sono divertita
moltissimo a portare avanti la trama, ma alla fine mi sono bloccata. E'
stata una cosa molto triste.
Poi
sono
andata all'università, dove ho studiato così
tanti numeri che ho finito per darli
dimenticare come si scrive. Per tornare un
po' in me ho quindi deciso di terminare questa fanfic; ci sono
affezionata e mi è sempre dispiaciuto averla abbandonata. ;_;
Ho
deciso di
revisionare con calma tutti i capitoli prima di riprendere in mano il
finale. Sembrano tantissimi, ma lo sono
molti sono davvero corti.
Vorrei
solo
dire a chi ha letto questa fanfic in passato, se è ancora
qui, che davvero mi dispiace di aver lasciato il finale
così appeso. Non
sono brava con le parole, ma i miei sentimenti sono sinceri.
Tornando alla storia:
è divisa in parti e nello
specifico:
- capitoli 2-12:
storyline degli alieni;
- capitoli 13-18:
storyline delle Mew Mew;
- dal capitolo 19 in poi
le due storylines cominciano ad
alternarsi fino al capitolo 34.;
- dal capitolo 34 in poi
la storyline è unica.
I protagonisti
sono un po’ tutti (è anche per questo
motivo che questa robaccia è così lunga), e
saranno presenti svariati nuovi personaggi.
Il
titolo originario della fanfic era 'il
potere del
cuore', ma dopo anni ho deciso di cambiarlo
perché in passato aveva
un senso, ma ora non piu'.
Mi fermo qui per ora e
vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato. *fa inchino*
Vi mando un abbraccio grande quanto il pianeta Nibiru, ma molto piu'
caldo.
JunJun
Avvertenza 1:
Sono una persona seria. Ma non nelle scritte colorate.
Avvertenza 2: Sono
una beota distratta. Se
beccate
errori o avete
osservazioni e/o domande, se vi va non esitate a farmelo sapere:
cercherò di fare il possibile per chiarire e/o correggere
dove/come posso.
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Capitolo 2 *** Ritorno a casa ***
08/02/2014, day #1: Rileggendo
questo primo capitolo mi sono resa conto che l'impresa in cui mi sono
imbarcata è disperata djkfsdklfsd.
Ho aggiustato quanto potevo, ma in generale vi prego di perdonarmi per
questi primi capitoli: dieci anni fa avevo appena iniziato la mia
carriera (?) di fanfiction-writer.
- Capitolo 1:
Ritorno a casa -
{I
tried so hard, and got so far
But
in the end, it doesn't even matter
I
had to fall, to lose it all
But
in the end, it doesn't even matter…}
Linkin
Park, In the End
Era
un brivido di
gioia, di sollievo, o forse un tremito di paura, un angosciante tuffo
al cuore? Kisshu non riusciva a comprendere le emozioni che gli
procurava la consapevolezza di essere ritornato sul suo pianeta natale.
L’astronave
su cui era a bordo insieme ai suoi fratelli Pai e Taruto stava per
entrare nella sua atmosfera invivibile, così diversa da
quella terrestre...
…la
Terra,
il Pianeta Azzurro.
A
Kisshu mancava, e
molto. Erano ormai trascorsi già molti mesi da quando
l’aveva abbandonata per sempre.
Durante
quell’infinito periodo di viaggio spaziale, sebbene avesse a
lungo lottato contro ciò, la mente dell'alieno era spesso
tornata sulla Terra. Flashblack non voluti di ricordi avevano
continuato a riaffiorare nella sua testa: parole, azioni, errori,
sofferenze…dolorosi sentimenti che aveva cercato di
lasciarsi alle spalle, inutilmente. Un’immagine, in
particolare, gli era riapparsa più volte davanti agli occhi.
Grandi
occhi castani
vivaci,
capelli rossi…
...ma
ormai era
lontana.
Non
doveva
più pensare a lei; ormai era a migliaia di chilometri di
distanza da lei.
Era
tornato a casa.
Kisshu
aveva
già sprecato troppi pensieri per Ichigo Momomiya. E, mentre
cercava di scacciare per l’ennesima volta il ricordo del
sorriso dolce di quella terrestre, realizzò di essersi
dimenticato il modo in cui si eseguiva la manovra di
atterraggio…
“Bottone
rosso o giallo...?” continuava a ripetersi l'alieno, fissando
con poca attenzione il quadrante dei comandi, una delle poche cose
visibili nell’abitacolo della navicella immersa nella
penombra. “Se inizio a premere tasti a caso, è la
volta buona che Pai mi fa fuori.”
Istintivamente,
Kisshu
si voltò verso di lui: il suo compagno più
anziano era seduto alla sua sinistra, nella postazione centrale; era
impegnato ad azionare i comandi ed analizzare i dati che gli forniva il
computer di bordo. “Con la solita espressione da
funerale,” constatò Kisshu.
Eppure,
c’era c'era qualcosa di strano in lui: Pai continuava a
fissare i comandi dell’astronave, ma nel contempo era come se
il suo sguardo li stesse attraversando. Kisshu lo notò e
decise di indagare.
«Pai?»
chiamò. La sua voce squillante squarciò il velo
di silenzio che si era creato fra loro da ormai troppo tempo.
«Uh?»
fu la risposta indifferente.
«Quanto
ci
manca all’arrivo nell'atmosfera?»
«Poco.»
«Quanto
ci
manca all'inizio delle manovre di atterraggio?»
«Poco...»
«Eh,
e
quanto ti manca quella Retasu?»
Pai
sbarrò
gli occhi. Durò solo un istante, poi riprese il controllo
delle sue emozioni. «Ti raccomando, ripeti qualcuna di queste
idiozie anche davanti al Consiglio. Ne saranno felici,
davvero...» sibilò scostante, a denti stretti.
Le
labbra sottili di
Kisshu si incresparono in un ghigno quando notò che le
guance pallide del suo compagno si erano colorate di rosa.
“Colpito e affondato,” pensò,
soddisfatto.
Taruto,
che fino a
quel momento era rimasto in silenzio a fissare distrattamente il
monitor, sollevò appena la testa per chiedere annoiato al
fratello maggiore: «Vuoi dire che dobbiamo andare al
Consiglio...?»
«Si,»
fu la sua risposta secca. «Dobbiamo rispondere del nostro
operato e–»
«Come
credi
che prenderanno la notizia della morte di Profondo Blu?» lo
interruppe il bambino.
«Lo
sanno
già. La scomparsa di un'entità potente come
Profondo Blu non passa inosservata. E’ come se, di punto in
bianco, una stella sparisse dalla nostra galassia. Ma comunque ho
continuato ad inviare rapporti finché Profondo Blu, nella
foga del suo combattimento, non ha distrutto il comunicatore. Per cui
sul nostro pianeta ma sanno tutto, compreso–»
Pai
si interruppe di
colpo. Tornò a fissare il monitor, e dopo qualche secondo
digitò alcuni comandi sulla tastiera. Si morse
l’interno della guancia, realizzando che aveva parlato
troppo.
Ora l'alieno si sentiva addosso gli sguardi curiosi dei suoi fratelli,
o meglio, di suo fratello Taruto e di Kisshu, il fratello adottivo
immaturo e petulante che nessuno avrebbe mai voluto avere. Forse era
anche per questo che a volte non lo sopportava… ma Pai aveva
giurato di proteggerlo, e per questo motivo sentì una
stretta al cuore quando si rese conto che, per colpa sua, lui era ormai
già praticamente morto. Forse poteva ancora salvare Taruto,
adducendo come scusa la sua giovane età, ma Kisshu... Kisshu
era spacciato.
«...sanno
che cosa, Pai?» domandò il piccolo, con un tono
indagatore davvero troppo serio per lui.
Il
maggiore strinse le
labbra. Purtroppo non c'era modo di rimediare a ciò che
aveva fatto, e non sapeva come dirlo ai suoi compagni. «Siamo
entrati nell'atmosfera, comincio le manovre di atterraggio,»
dichiarò, chiudendo il discorso. Catturò
l'occhiataccia che gli stava rivolgendo Kisshu. «Se
attivi lo scudo fresosferico, forse riusciamo ad arrivare
vivi...» si limitò ad osservare.
Lui
non smise di
fissarlo, curioso e inquieto allo stesso tempo.
«E'
il
bottone nero, lì nell'angolo,» soggiunse Pai.
Kisshu
schiacciò il tasto, ma non per questo parve calmarsi.
La fase di atterraggio impegnò tutti e tre, per cui non
ebbero altre occasioni per parlare. L’astronave si immerse in
una delle profonde voragini che squarciava la crosta del Pianeta Nero e
dopo pochi secondi sfiorò il suolo sotterraneo. Terminati i
controlli di routine, i tre alieni scesero dal veicolo spaziale per
stiracchiarsi un po’ le gambe. L'aria esterna era
respirabile, ma gelida. Si trovavano a centinaia di
metri di profondità, nelle vicinanze del nucleo freddo del
pianeta.
Nibiru,
il Pianeta Nero, così lo chiamavano: faceva parte del
Sistema Solare, ma era così lontano dal Sole che non ne
catturava neanche un misero raggio. La sua orbita viaggiava in senso
opposto rispetto a quella di tutti gli altri pianeti del Sistema ed era
così ampia da fargli trascorrere la maggior parte dei 3600 ater, ovvero anni
terrestri che la componevano, fuori dal suo cerchio. Questo, tra
l'altro, era uno dei tanti motivi per cui gli umani ignoravano la sua
esistenza. Solo un popolo antico, i Sumeri, accennava a Nibiru in
alcuni poemi epici.
Ma
a nessuno dei
cosiddetti nibiriani importava dell'interessamento degli umani per
Nibiru. Loro lo odiavano: la sua superficie era inospitale e sconvolta
da continue tempeste acide che la rendevano invivibile. Per questo
motivo, per sopravvivere, erano stati costretti a costruire le loro
città nel sottosuolo. Il dover vivere in quelle condizioni
estreme aveva, nel corso del tempo, modificato in maniera permamente il
loro fisico: da esseri simili agli umani quali erano inizialmente, i
nibiriani avevano finito per trasformarsi in veri e propri mostri.
L'assenza
di luce
naturale aveva reso la loro pelle bianchissima; il loro corpo si era
irobustito e i loro occhi ora riuscivano a penetrare il buio molto
meglio di quelli di un felino. Infine, il loro senso dell'udito si era
enormemente sviluppato, determinando la caratteristica forma allungata
delle loro orecchie.
I
nibiriani erano
inoltre dotati di capacità molto speciali: potevano superare
la forza di gravità e creare portali che connettevano
diversi punti dello spazio fisico. I più abili riuscivano a
sfruttarli persino per far apparire dal nulla particolari tipologie di
oggetti. Ma l’uso di questi poteri, che nei tempi antichi
avevano permesso loro di plasmare la Terra, era attualmente vietato
dalle leggi del Pianeta Nero: i più disperati, infatti,
avrebbero potuto usarli a danno della comunità.
Così, per evitare trasgressioni, intorno alle uniche quattro
città sotterranee del Pianeta Nero erano state predisposte
particolari strumentazioni che inviavano continuamente impulsi atti a
limitare le capacità dei nibiriani. L’unico modo
per sfuggire ad essi era possedere un frammento dell'unico materiale in
grado di rifletterli e sviarli: molto raro sul Pianeta Nero,
sulla Terra era conosciuto con il nome di diamante. Solo le
Guardie Imperiali – la casta elitaria di guerrieri il cui
scopo era proteggere il Sovrano – e pochi altri fortunati
avevano accesso a quel cristallo miracoloso.
Kisshu,
Pai e Taruto,
purtroppo, non erano tra di essi. Una volta localizzata la loro
posizione e individuata la giusta direzione da prendere, i tre alieni
rientrarono nella navicella e la usarono per raggiungere
l’ingresso della Capitale, la città più
vicina nonché la Sede del Consiglio.
«Che
fortuna!» esclamò Taruto quando, dopo pochi
minuti, scesero di nuovo dall'astronave. «Siamo atterrati
proprio vicino alla Capitale!»
«Se
non
avessi fatto qualche errore di calcolo nell'inserimento delle
coordinate iniziali, saremmo arrivati qui sin
dall’inizio,» puntualizzò Pai, facendo
arrossire il piccolo.
«Pai,
credi che la prenderanno male?» domandò, cambiando
argomento. «Alla
fine siamo tornati a mani vuote.»
L'altro sospirò. Non era ancora riuscito a passare sopra il
fatto che le sue analisi avevano dimostrato che l'Acqua
Cristallo recuperata sulla Terra, alla fine, era troppo poca per poter
essere di una qualche utilità.
«Vedremo,»
mormorò.
--
L'ingresso della Capitale era
un gigantesco portellone di metallo scuro, chiamato il Portone. Era
incastrato in una parete di roccia situata alla fine di un enorme
tunnel.
Ai
due lati del
Portone vi erano due grosse sfere che emettevano una luce fioca: mentre
Pai e Taruto parlavano, Kisshu aveva raggiunto quella più
vicina e l'aveva sfiorata con le dita. A quel tocco, una luce
più forte brillò nella sfera e al suo interno
comparve l'immagine minacciosa di un robusto alieno.
«Fatevi
riconoscere,» ordinò il Guardiano della Porta con
voce profonda.
«Kisshu
Ikisatashi, Pai ikisatashi, Taruto Ikisatashi,»
sbuffò Kisshu con una certa noia. «I tre fortunati appena
tornati dalla missione sul Pianeta Azzurro...quella di cui l'ater
scorso non si faceva altro che parlare, hai presente? Quella per cui
hanno fatto tutto quel casino per scegliere i guerrieri che sarebbero
partiti insieme a Profondo Blu… Quella per cui, siccome le
selezioni stavano degenerando in guerra civile, alla fine hanno scelto
a caso fra chi si era proposto e hanno preso noi, che da quel momento
siamo diventati più odiati di tutta la famiglia Enki messa
assieme, antenati compresi… hai presente?»
«Ma
certo...» sogghignò il Guardiano. All'inizio, nel
sentire quei tre nomi, era rimasto a dir poco sconvolto ma, man mano
che Kisshu era andato avanti con il suo sfogo, si era ripreso ed aveva
assunto un'espressione alquanto pericolosa. «Vi apro
subito...amici,» disse, e chiuse il contatto.
«Bravo,»
borbottò Kisshu, prima che Pai lo raggiungesse e lo
prendesse, stravolto, per spalle.
«Che
cosa
hai fatto? Che cosa gli hai detto?!»
esclamò.
«Ma
che..la
verità, no?!» replicò l'altro, stupito
da quella scenata.
«Perché
l'hai fatto?!»
«Perché
non avrei dovuto farlo?»
Prima
che Pai potesse
rispondere, l'attenzione di tutti fu attirata dall'apertura di una
porticina intagliata nel Portone: ne fuoriuscì di corsa un
gruppetto di alieni, il cui volto era nascosto da un pesante casco di
metallo scuro; indossavano un’armatura, erano armati di
strane spade luminose, e, cosa più preoccupante, si
dirigevano verso di loro.
«Pai,»
mormorò Taruto, avvicinandosi spaventato al fratello,
«che succede?»
«Io…»
rispose il maggiore, con una nota colpevole nella voce, «nel
mio ultimo rapporto, prima della battaglia finale... ho riferito che tu
e Kisshu avete tradito Profondo Blu.»
Kisshu
rimase a bocca
aperta. «CHE COSA?!» sillabò.
«CHE COSA HAI FATTO?!»
Non
ebbe il tempo di
aggiungere altro, perché ormai le guardie li avevano
raggiunti e due di loro lo avevano afferrato per le braccia,
immobilizzandolo. Taruto subì lo stesso trattamento, ma non
si rassegnò ed iniziò ad agitarsi.
Pai, paralizzato dall'orrore e dal senso di colpa, non
riuscì a fare altro che restare a guardare.
«Fratellone!
Come hai potuto farci questo?!» strillò Taruto.
«Grazie
per
averceli riportati, soldato,» lo ringraziò invece
il Guardiano, raggiungendolo. Gli fece un leggero inchino e poi gli
rivolse un grosso sorriso soddisfatto. «Adesso questi
traditori avranno quello che meritano,» disse con
soddisfazione.
Pai
non
replicò.
«Già,
grazie, grazie di tutto, fratello,» ghignò amaro
Kisshu. «Ma, se proprio volevi liberarti di noi, avresti
potuto...che so...? Buttarci fuori dall’astronave nel
sonno...!» furono le sue ultime parole prima di essere
portato via.
|
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Capitolo 3 *** Il Consiglio ***
08/02/2014:
Continuo
a provare vergogna per ciò
che scrivevo 10 anni fa ma continuerò imperterrita
a rileggere,
correggere e migliorare tutto ciò che posso.
- Capitolo 2: Il Consiglio -
Pai
rimase immobile
davanti al Portone finché le guardie non se ne furono
andate, portando con loro i suoi fratelli.
Sapeva cosa
sarebbe
successo loro: sarebbero stati condotti al Palazzo; sarebbero
stati processati di fronte al Consiglio e, con tutta
probabilità, sarebbero stati condannati a morte.
Fortunatamente,
anche
lui doveva comparire di fronte al Consiglio per fare rapporto: forse,
se
avesse fatto in fretta, sarebbe riuscito ad evitare il peggio.
Senza
preoccuparsi di
congedarsi con il Guardiano del Portone (che, visibilmente esaltato,
dopo l'arresto di Kisshu e Taruto si era lanciato in un appassionato
monologo sui vari tipi di crudelissime torture che secondo lui
bisognava infliggere ai Traditori),
Pai corse verso la porticina
lasciata aperta dalle guardie e la varcò, entrando nella
città sotterranea.
La prima
sensazione
che provò fu un'ondata di calore che avvolgeva il suo corpo:
Polaris, la Capitale - come del resto anche Azzurra, Sirio e Orion, le
altre tre città del Pianeta Nero - era circondata da una
cupola di metallo artificiale che, grazie alle antiche tecnologie del
suo popolo,
assorbiva la poca energia celata nel nucleo del pianeta e la diffondeva
al suo interno, riscaldandola. A dire il vero, la differenza di
temperatura fra l'interno e l'esterno della città era
così grande che Pai dovette lottare per tutto il tragitto
dal Portone al Palazzo contro l'istinto di togliersi la parte superiore
delle sue vesti.
La seconda cosa che
colpì Pai fu la luce bianca che proveniva dal cielo,
talmente forte da accecarlo per qualche istante: all'esterno, le uniche
luci erano quelle fioche delle Sfere di Controllo, ma all'interno la
città era illuminata a giorno da potenti lampade, collocate
in punti strategici della cupola: questi Soli artificiali venivano
spenti e poi lentamente riaccesi ad intervalli di tempo di circa dodici
ore, in modo tale da imitare la durata del giorno e della notte
terrestri.
Ripresosi
dallo shock
iniziale, Pai iniziò a correre verso la sua meta. Non
ricordava bene la strada da imboccare per raggiungerlo, ma questo non
era un
problema: il Palazzo era la costruzione più alta della
città e la sua sagoma si distingueva anche
dalla periferia più lontana.
Pai
percorse
rapidamente una serie di vie larghe e definite ai lati da piccole
abitazioni e banchi di vendita. Non si fermò per scusarsi
con le persone che urtava nella fretta e non si curò dei
mezzi di trasporto a cui tagliava la strada attraversando gli incroci
senza fermarsi.
Un tale
comportamento
gli fece guadagnare grida irate da almeno metà delle persone
che incrociò e occhiate curiose dall'altra; non se ne
preoccupò, anche se all'inizio la cosa lo
infastidì parecchio: gli umani, in genere, erano
indifferenti a ciò che accadeva ai loro simili; i nibiriani,
invece, avevano il vizio di impicciarsi in qualunque avvenimento
accadesse in mezzo alla strada, e se l'idiota di turno li aizzava
contro il protagonista del giorno, si poteva star certi che quel povero
malcapitato non sarebbe sopravvissuto a lungo.
Era solo
per evitare
linciaggi di questo tipo che pattuglie di guardie sorvegliavano
continuamente le strade: in quella città maledetta, di
prezioso da rubare non c'era niente...
Pai
continuò a correre, finché non sentì
delle voci chiamare il suo nome, intimandogli di fermarsi: aveva
attirato l'attenzione di tre guardie. Si fermò, e un secondo
dopo si ritrovò delle spade elettriche puntate alla gola.
«Siamo
di
fretta, fratello?» ironizzò uno dei tre. Senza
smettere di puntare Pai, attivò il comunicatore che aveva al
polso. «Comunicazione: abbiamo fermato il demone che sta
seminando il panico nel mercato... no, non è davvero un
demone...si, e neanche uno spirito..» spiegò con
rassegnazione. «Molto divertente...si, ce ne occupiamo noi.
Chiudo.»
«Idioti
superstiziosi...» borbottò la seconda guardia.
«Prenderebbero
per demone persino la loro ombra,» aggiunse la terza.
Pai non
disse niente,
ma era perfettamente d'accordo con loro: la superstizione era davvero
il peggiore vizio del popolino. Alimentata dai pregiudizi, era
oltretutto anche l’indicatore più lampante del
caos in cui li aveva fatti sprofondare la fuga dalla Terra e della
malattia che, giorno dopo giorno, li consumava sempre di
più: paura. I nibiriani avevano solo paura.
Non era
vero che gli
alieni erano una civiltà più avanzata degli
umani: con il tempo, quasi tutte le conoscenze che li rendevano
superiori erano andate perdute, ed ora solo gli scienziati avevano
accesso ai loro resti, che studiavano e tentavano di ricostruire
faticosamente. Il suo popolo stava vivendo da secoli in una sorta di
stadio di decadenza, che somigliava tantissimo – in quanto ad
usi, costumi, e mentalità - al periodo che gli umani
definiscono “Medioevo”.
Ma, a
differenza degli
uomini medioevali, i nibiriani abitavano in casupole di metallo cromato
e avevano mezzi di trasporto antigravitazionali.
Le tre
guardie
abbassarono le spade. «Allora...» esordì
la stessa che aveva parlato al comunicatore, «dicci,
fratello, volevi farti ammazzare dal popolo inferocito, o stavi
semplicemente dimostrando le tue capacità
atletiche?»
«Devo
raggiungere il Palazzo, il più presto possibile,»
spiegò piatto Pai.
«Ah,
si? E
che dovresti fare tu a Palazzo...?»
«Il
mio nome
è Pai Ikisatashi, e ho un'udienza al Consiglio,»
dichiarò l’alieno, e poi ebbe un'illuminazione.
«Il Guardiano del Portone può garantire per
me.»
«Bene,
lo
contatto subito.»
«Davvero
sei
quello che è partito con Profondo Blu...?» gli
chiese la guardia più giovane, interessata. «E'
vero che è morto per colpa degli altri due membri del tuo
equipaggio, che lo hanno tradito?»
«No.»
«Ah,»
annuì quella, stupidamente. «Se è
così, allora devi sbrigarti ad andare a dirlo al Consiglio,
prima che li facciano ammazzare...li hanno smaterializzati
già da un po', se era per loro tutto quel
drappello...»
Pai
digrignò i denti. Quegli stolti non solo lo trattenevano
lì, ma gli dicevano anche che doveva sbrigarsi?!
La guardia
che si era
allontanata per parlare al comunicatore ritornò nel gruppo.
«E' confermato: lui è Ikisatashi,»
dichiarò, «e, in effetti, lo attendono a
Palazzo.»
«Perfetto.
Ora, per favore, potreste lasciarmi andare?»
«No;
ti
accompagniamo noi.»
A quel
punto, Pai non
riuscì più a trattenersi. «Forse non
capite, io non posso perdere tempo!» gridò
esasperato.
«E
chi ha
parlato di perdere tempo?» ghignò la guardia.
«Si dà il caso che noi siamo Guardie
Imperiali...» spiegò, ponendo una certa enfasi
altezzosa sull'ultima parola.
--
Pai dovette
ammette che, in fondo, non era
stata una sfortuna incontrare quei tre tipi: sbloccando
i suoi poteri con un cristallo di diamante, gli avevano permesso di
materializzarsi con loro all'interno del Palazzo, proprio
nell'anticamera della Sala del Trono.
Le porte dorate
davanti a lui, che erano l'unica cosa che attirava la sua attenzione in
quella
camera scura, erano chiuse, ma dal vociare che proveniva
dall’interno Pai immaginò che la sala doveva
essere gremita.
«Che
Ra sia
con te, Ikisatashi,» gli augurò il più
giovane del gruppo.
Pai gli
fece un cenno
di saluto e poi, voltatosi verso le porte, le spalancò ed
entrò.
Quel suo
ingresso
inaspettato fece calare il silenzio nella Sala.
L'alieno sentì addosso il peso di decine di occhi curiosi
puntati di lui, ma si concentrò nel cercare i suoi fratelli.
Percorse rapidamente con lo sguardo l'immensa sala rettangolare dalle
pareti di pietra nera: era occupata per la maggior parte dai membri del
Consiglio, anziani alieni dall'aria aristocratica, seduti su seggi di
metallo leggero. In pochi istante scorse, ai
piedi di una sontuosa piattaforma a gradoni posta in fondo, le figure
familiari di
Kisshu e Taruto.
Sospirò,
confortato nel constatare che erano ancora vivi e vegeti.
Ma il suo
sollievo
scomparve quando scorse le due figure che erano sulla
piattaforma.
«Mi
stavo
appunto chiedendo che fine avesse fatto il maggiore della
famiglia...» osservò la prima, in piedi,
fulminandolo con lo sguardo.
«Bentornato
sul tuo pianeta, Pai,» lo salutò l'altra,
elegantemente assisa su un trono, con voce mielata.
Pai
deglutì. Lui odiava i sogni, ma stavolta pregò
perché quest'assurda situazione si rivelasse tale.
Kisshu e Taruto, i
polsi immobilizzati dietro la schiena da manette di energia, vennero
spintonati malamente all'interno della città dalle guardie
che li avevano catturati: non si sarebbero mai immaginati che il
ritorno sul pianeta sarebbe stato questo…
Subito, un gruppetto
di curiosi li attorniò: volevano sapere chi erano e
cosa avevano fatto per meritarsi quel trattamento. Dopo aver scoperto
la loro identità, accalorandosi, richiamarono l'attenzione
di altre persone, che ben presto circondarono infuriate il drappello,
chiedendo giustizia immediata. Intimorite, per evitare di far arrivare
a Palazzo solo i cadaveri straziati dei due traditori, le guardie
pensarono bene di smaterializzarsi direttamente a Palazzo prima che la
situazione precipitasse.
Kisshu non ebbe il
tempo di allietarsi per lo scampato pericolo che subito, davanti a lui,
se ne presentò un altro: le guardie li avevano
rimaterializzati in quella che presto riconobbe essere la Sala del
Trono.
I soldati
indietreggiarono, e lui li seguì con lo sguardo fino a
scoprire, dietro di lui, la presenza di decine di seggi occupati da
gente che non conosceva, e che evitava deliberatamente il suo sguardo
con aria sprezzante.
«Kisshu...»
gli sussurrò un angosciato Taruto, accanto a lui.
«Voglio tornare sulla Terra.»
Il moro si
girò a guardarlo, sorridendo tirato. «Anche io,
Taruto...anche io.»
All'improvviso, un
fruscio dietro le sue spalle attirò la sua attenzione: tutti
i membri del Consiglio si erano alzati in piedi per salutare l'arrivo
di due persone che si erano appena materializzate sulla piattaforma
proprio
davanti a Kisshu e Taruto.
Il primo era un alieno
di mezza età dai capelli corti e brizzolati; aveva la
corporatura di chi,
probabilmente, in passato era stato un soldato o una guardia. Kisshu lo
conosceva bene: il suo nome era Obadiah Shiroi.
La seconda figura era
una giovane aliena, la più bella che Kisshu avesse mai
visto: aveva la pelle di un biancore candido che creava uno strano ma
splendido contrasto con i suoi lunghissimi capelli neri come
l’ebano, in parte lasciati ricadere sciolti sulle spalle ed
in parte legati in morbide trecce che le scivolavano lungo la veste di
tessuto pregiato. Aveva una corona bianca
sul capo e la sua figura era alta e slanciata; il suo viso, dai
lineamenti dolcissimi e perfetti, era illuminato da grandi occhi
violetti e innocenti.
Kisshu rimase a
fissarla, imbambolato.
L’aliena,
nel sedersi sull'elaborato trono di pietra bianca posto sulla
piattaforma, ricambiò il suo sguardo e gli sorrise, e in
quello stesso istante Kisshu capì di essersi perdutamente
innamorato di lei.
«Che il
Consiglio abbia inizio.»
La voce secca di
Shiroi, posizionatosi al fianco della giovane, richiamò
Kisshu alla realtà; seguì il discorso
introduttivo che l'anziano prese a snocciolare, che permise a Kisshu di
sapere che quella splendida nibiriana non era altri che la
nuova Sovrana
del suo pianeta. Si chiamava Kassidiya ("Un bellissimo nome..."
pensò subito, estasiato), mentre Shiroi era stato da poco
nominato il suo consigliere. E fu proprio grazie alle sue parole che a
Kisshu
tornò in mente che quello era il suo processo, e che entro
pochi minuti Kassidiya sarebbe stata costretta ad emettere contro di
lui e suo fratello una condanna a morte. Provò una fitta di
dolore, ma soprattutto vergogna: farsi condannare come traditore, in
effetti, non era certo un buon modo per far colpo su una ragazza...
La gomitata di Taruto
lo risvegliò dai suoi pensieri.
«Confermi tu
di essere tu Ikisatashi Kisshu...?» gli ripeté
Shiroi con voce dura.
«Eh...?
Ah...si, si,» rispose lui rapidamente.
Shiroi
ringhiò soffusamente e poi fece la stessa domanda a Taruto,
che annuì con un sussurro spaventato.
«E ammettete
voi di aver tradito il nostro Sovrano Profondo Blu, e di essere stati
la causa della sua prematura scomparsa?»
Kisshu e Taruto
incrociarono lo sguardo, incerti: avevano sì tradito
quell'esagitato, ma la colpa della sua morte non era tutta loro!
Leggeri mormorii di
dissenso si levarono alle loro spalle; Kisshu sapeva che, se avessero
detto la verità, sarebbero stati additati come bugiardi; se,
al
contrario, avessero mentito, sarebbero stati giudicati colpevoli. In
ogni caso, il verdetto sarebbe stato identico.
Cercò di
trovare le parole adatte per rispondere ma, all'improvviso, nella sala
scese il silenzio, rotto solo da mugolii confusi: Pai era appena
entrato dalla porta principale. Kisshu lo intravide, ma subito distolse
lo sguardo da lui: era colpa sua se si trovava in quella situazione.
Shiroi
lanciò al nuovo arrivato uno sguardo ancora più
seccato di quelli che aveva rivolto fino a quel momento a Kisshu.
«Mi stavo appunto chiedendo che fine avesse fatto il
maggiore della famiglia...» mormorò.
«Bentornato
sul tuo pianeta, mio caro Pai,» lo salutò invece
Kassidiya.
Un'altra fitta,
stavolta di gelosia, scosse l'animo di Kisshu: 'mio caro Pai'?
Cos'era
tutta quella confidenza?
Pai lo raggiunse e lo
superò, evitando di incrociare il suo sguardo.
«Immagino di
dover ripetere la mia ultima domanda e magari rivolgerla anche a
te,» osservò Shiroi.
«No,»
dichiarò Pai. «Che il Consiglio termini qui. Loro
non hanno colpa.»
Kisshu e Taruto
sbarrarono gli occhi, sorpresi, mentre i mormorii seccati invadevano di
nuovo la sala.
Shiroi
sospirò. «Ti ricordo che è la Sovrana
l'unica a poter decidere chi è colpevole o
meno…»
«...ed io
voglio sapere cosa è successo esattamente sul Pianeta
Azzurro,» concluse velocemente Kassidiya.
«Perché non me lo racconti tu, mio caro
Pai...?» chiese poi con voce suadente.
«Gli esseri
umani hanno opposto resistenza,» spiegò lui con
convincente freddezza. «Sebbene la maggior parte di loro non
comprenda il processo di autodistruzione che hanno attivato favorendo
il degrado ambientale, ci sono persone che ancora lottano per evitare
l’annientamento del pianeta: darebbero la vita per
salvarlo. I loro motivi sono nobili quanto i nostri.»
«Ti
sbagli,» obiettò Kassidiya.«I terrestri
sono esseri inferiori; sai perfettamente che non sono in
grado di provare sentimenti di questo tipo.»
«Io sono
stato testimone di ciò di cui parlo,»
ribatté Pai fiero, facendo aggrottare, con quella secca
opposizione, molte fronti dei membri del Consiglio.
«Ciò
non toglie che il pianeta ci appartiene di diritto, come ben
sai.»
«Forse
avevamo diritto al pianeta tempo fa...ma, da quando lo abbiamo
abbandonato, appartiene solo ai terrestri,» concluse Pai.
«Per questo io credo che, invece di continuare a nutrire odio
verso di loro e verso questo pianeta ostile, dovremmo cercare di
dimenticare la Terra. Avremmo dovuto farlo migliaia di anni fa, invece
di continuare a sperare di poter tornare su di essa. Se lo avessimo
fatto, forse oggi non saremo ridotti a questo punto,»
aggiunse poi.
In seguito alle parole
di Pai, gli anziani del Consiglio si chiusero di nuovo nel silenzio, ma
nessuno riuscì a capire se fosse stupito o di disprezzo.
Trascorsero istanti interminabili.
«...e per
quel che riguarda la morte di Profondo Blu?» riprese
Kassidiya, serafica. «E' vero che è stato ucciso
dai tuoi fratelli?»
«No,» dichiarò Pai.
Kisshu e Taruto
tirarono un sospiro di sollievo.
«...tutti noi abbiamo contribuito
all'eliminazione di quell'essere
maledetto.»
La Sala fu
nuovamente avvolta dal più lugubre silenzio, ma Pai stavolta
riuscì a riconoscerlo: era quello che precede una terribile
tempesta. I suoi fratelli lo fissavano con gli occhi sgranati, come a
chiedergli se fosse impazzito.
«Bene,»
commentò Kassidiya, sospirando per sfogare l'ira silenziosa
che le parole di Pai le avevano fatto avvampare. «Bene.
Capisco, Pai. Capisco che gli esseri umani ti hanno confuso, forse con
delle arti segrete, forse con delle torture, e ti hanno costretto ad
andare contro il tuo Sovrano e la tua gente,»
spiegò tranquilla.
«Non sono
confuso,» protestò Pai.
«Io…»
«Tu sei
caduto preda dei tuoi malvagi fratelli, che sono passati dalla parte
degli umani e si sono macchiati dell'assassinio di Profondo Blu,
l’unico in grado di aiutarci a ritornare sul nostro pianeta
d’origine. Sono loro, e non gli umani, esseri deboli e
inferiori, ad aver tradito, e per questo loro due verranno condannati a
morte,» proclamò Kassidya. «Questa è la mia
decisione.»
La Sovrana si
alzò in piedi, e al suo cenno due stravolti Kisshu e Taruto
vennero riagguantati dalle guardie e condotti via.
Dietro il drappello che li trasportava si incamminarono pian piano
tutte le persone che
riempivano la stanza.
Alla fine, nel grande
salone rimasero solo Kassidya, il suo consigliere e uno scioccato Pai,
che però tornò presto in controllo delle sue
emozioni.
«Che
c'è? Non mi ringrazi neanche?» gli chiese
l'aliena, sorridendogli. «Ti ho appena salvato la
vita.»
«Avrei
preferito morire con i miei fratelli,» borbottò
Pai, senza alcun rispetto per l'autorità dell'aliena.
«Come hai potuto farlo?!»
Lei scrollò
le spalle, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli. «Sei
davvero incontentabile,» sorrise. «Lo sai che non
si può. Come credi la prenderebbe la gente là
fuori, se venisse a sapere che ho graziato tutti e tre i Traditori? E
poi, ricorda che è colpa tua se faranno questa fine. Sei
stato tu ad inviare quei rapporti, o sbaglio? Avresti dovuto pensarci
prima. Ora vai, prima che cambi idea anche su di te,» disse,
e gli voltò le spalle, facendo svolazzare i lembi delle sue
vesti leggere. Fece per allontanarsi, ma la voce di Pai la convinse a
fermarsi.
«Ti
prego...» la implorò il giovane, arrendendosi.
Quando lei si voltò, lo trovò inginocchiato ai
suoi piedi; inarcò un sopracciglio.
«Farò
qualunque cosa,» continuò Pai, supplice.
«Mia
signora…» tossicchiò Shiroi, fissando
Pai
in modo indecifrabile.
Kassidiya lo
ignorò e concentrò la sua attenzione
sull’alieno. «Qualunque cosa, dici...?»
ghignò, mordendosi appena le labbra.
Pai strinse gli occhi,
ben consapevole di cosa stava passando nella mente di lei. Era odioso
far calpestare il suo orgoglio da quella vipera, ma se il suo
sacrificio poteva rimediare al suo errore, allora non poteva esitare.
«Sì,»
annuì.
Il ghigno che storceva
la bocca della giovane Sovrana si allargò, mentre si voltava
verso il consigliere e gli diceva: «Shiroi, comunica per
favore che la condanna capitale appena emessa è
annullata.»
Lui annuì e
si smaterializzò velocemente.
«Ti
ringrazio,» le sibilò Pai, tutt'altro che grato.
«Non gioire
così in fretta,» ribatté lei.
«Li lascerò nelle prigioni finché il
popolo non avrà smesso di mormorare. Quanto a te, ti concedo
di vederli un'ultima volta...ma subito dopo dovrai raggiungermi nei
miei appartamenti per esaudire la tua promessa. E non fare troppo
tardi: io odio aspettare,» concluse con un certo sorriso
malizioso e poi scomparve, lasciandolo solo nel salone vuoto.
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Capitolo 4 *** Imago ***
23/04/2014. No fermi
tutti, non mi ricordo piu’ che cosa ho scritto. Chi
è ora questa Imago? Che vuole da Kisshu?
Cavoli, mi sta
già antipatica. Aaaaaaaargh, speriamo che muoia presto!
- Capitolo 3: Imago -
Kisshu
venne scaraventato dal gruppetto di guardie dentro una vasta, putrida
stanza sotterranea; cadde addosso a Taruto, che un istante prima aveva
subito la stessa sorte. Le pesanti sbarre della cella si richiusero
dietro di loro prima che avessero il tempo di rialzarsi da terra.
«Siete
stati fortunati,» ghignò una delle guardie,
fissandoli con aria malvagia. «Ma non preoccupatevi: presto
torneremo per finire il lavoro,» disse prima di allontanarsi
con i suoi compagni.
Mentre
si rimetteva in piedi a stento, Kisshu lanciò loro qualche
maledizione silenziosa. Per lui, il rinvio della loro
condanna era stata una fortuna relativa: ricevuta la notizia, le
guardie che già bramavano di veder versare il sangue dei
Traditori erano rimaste così interdette che, per consolarsi
della delusione, non avevano deciso di divertirsi un po' con lui.
Il
moro non ricordava di aver mai provato tanto dolore tutto assieme. Si
asciugò con il polso il sangue che gli colava dalle labbra
spaccate e si guardò in giro: la stanza, immersa nella
penombra, era sporca, maleodorante e… rumorosa. In fondo
alla cella, infatti, vi erano almeno una decina di nibiriani malandati
che borbottavano fra loro. Un paio erano attaccati ai muri con delle
catene, alcuni ridevano in modo folle ed altri lo fissavano
malamente facendogli capire che, se avesse anche solo osato
avvicinarsi a loro, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe
fatto.
Kisshu
era disorientato: non si era mai trovato in una situazione del genere.
Lanciò d'istinto un’occhiata a Taruto, che
singhiozzava in silenzio stringendosi nei vestiti lacerati.
Fortunatamente, le guardie non gli avevano riservato il suo stesso
trattamento, ma, a giudicare dai lividi che gli arrossavano il viso,
dovevano averlo schiaffeggiato. L’alieno strinse i pugni,
colto da un'ira improvvisa, che un istante dopo si trasformò
in un dolore lancinante che proveniva dal suo braccio destro: a quanto
pareva, doveva esserselo slogato.
«Stai
bene, piccolo...? No, non fare sforzi! Ah, ma come hanno osato?!
Colpire un bambino!»
Kisshu
cercò di ignorare il dolore e puntò di nuovo lo
sguardo su Taruto: uno dei prigionieri, un esserino sporco avvolto in
degli stracci, si era appena chinato su di lui. Il piccolo lo spinse
via gridando, con aria disgustata:
«Non…sono…un bambino!
Lasciami!»
L'altro
non si arrese: «Uhmmm…già, ora che ti
osservo meglio, in effetti, capisco che non sei un bambino. Un tipo
così forte e coraggioso come te, non può che
essere un grande guerriero,» disse pazientemente.
Taruto
lo guardò per un lungo istante, e poi annuì
piano.
Il
prigioniero si inginocchiò accanto a lui. «E
dimmi, cosa è mai accaduto ad un guerriero come te per
trovarsi qui? Magari hai combattuto contro un demone o uno spirito
laggiù in città, ma la tua impresa ha fatto
arrabbiare gli sgherri di Sua Altezzosa
Altezza Imperiale?» disse, fingendo un tono
superbo nel pronunciare le ultime parole.
«Una
cosa del genere, si...» ammise Taruto, sorridendo un poco.
L'altro
emise una risatina consolante, e gli accarezzò la testa.
«Ehi,
tu, chi diavolo sei?» sbottò a quel punto Kisshu,
che aveva seguito la scena con interesse. Più ascoltava
quella voce bassa e rauca, più forte si faceva in lui la
convinzione che quel prigioniero fosse in
realtà…una prigioniera.
«Ah...perdonami.
Volevo solo essere gentile. Ma...se vuoi me ne vado,» fu la
risposta dell’altro, che si sollevò il cappuccio e
lo guardò in faccia: era proprio una femmina.
Kisshu
rimase un po’ interdetto. Non si aspettava di trovare una
ragazza in un posto del genere, ma questa era tutt’altro che
bella: era anzianotta e più bassa di lui di almeno tutta la
testa, ed era
così magra da fare impressione. Una lunga treccia di capelli
neri e sporchi le arrivava fin sotto la vita, mentre gli occhi erano
piccoli e scuri. Kisshu pensò che c’era qualcosa
di strano in lei, e alla fine concluse che si trattava di quel suo modo
di fare, così assurdamente gentile da essere fuori luogo in
un posto del genere.
“Probabilmente
è pazza,” pensò sospirando.
La
confrontò quasi inconsciamente con la bellezza di Kassidiya,
quindi roteò gli occhi: «No, non fa
niente,» le rispose infine. Andò ad appoggiarsi
contro il muro lì vicino e si strinse il braccio. Il suo
volto si contrasse in un'espressione di dolore che sembrò
preoccupare la giovane aliena sconosciuta, che lo aveva fissato
incantata fino a quel momento. «Cos’hai a quel
braccio?» gli chiese lei.
«Niente,
sto benissimo,» rispose Kisshu, digrignando i denti.
«Non è niente!» ripeté, dato
che l’aliena, invece di levarsi di torno, si era avvicinata a
lui insieme a Taruto.
«Ma
certo,» annuì lei in tono poco convinto.
«Diceva così anche il fratello di una mia lontana
parente, cioè un lontano mio parente, dopo che uno skunkle
inferocito gli aveva staccato una gamba ad artigliate...»
«Il
trucchetto che hai usato con Taruto non funziona con me,»
sospirò Kisshu.
«Quale
trucchetto?» chiese lui, sospettoso.
«Nessuno,»
rispose la nibiriana rapidamente, «ma il tuo
papà è davvero un brontolone.»
«Non
sono suo padre,» esalò Kisshu, sfinito.
«Sei
un suo lontano parente?»
Kisshu
gemette, esasperato. Non aveva più neanche la forza di
arrabbiarsi.
«Lui
si chiamava Yoshi. Tu come ti chiami?»
«Lui...chi?»
«Il
suo lontano parente, credo,» spiegò Taruto con una
risatina.
«Io
sono Imago,» si presentò la nibiriana.
«Io
invece sono Kisshu, e
voglio essere lasciato in pace.»
«Solo
dopo che mi avrai fatto dare un’occhiata al tuo
braccio.»
«No!»
protestò Kisshu, tirandosi indietro, quando lei si
avvicinò senza preavviso.
«Oh,
non fare il bambino, Kisshu! Prendi esempio da…Taruto,
no?»
«Già.»
«Ah,
che bello! Anche un altro mio lontano parente si chiamava
così!»
Taruto
riprese a ridere, ma Kisshu sbuffò, voltando la testa
dall’altra parte: quella tipaccia davvero
insopportabile.
Lei
gli sfiorò delicatamente il braccio in più punti;
ad ogni tocco, Kisshu provava una fitta di dolore sempre più
acuto. Sicuro che ormai la sua situazione non poteva peggiorare
ulteriormente, quando lei gli disse: «Ora scusami, ma credo
che ti farò un po’ male,» si
limitò ad annuire rassegnato.
«Ecco
fatto!» esclamò Imago dopo pochi secondi, che a
Kisshu erano sembrati un’eternità. «Ehi,
neanche un lamento. Complimenti. Come premio il tuo braccio
é come nuovo!» concluse allegramente,
allontanandosi da lui per ammirare la sua opera.
«Eh?»
esclamò Kisshu, incredulo, sgranando gli occhi. In effetti,
quando provò ad usare il braccio, non sentì
più alcun dolore. «Ma…è
impossibile! Come hai fatto?»
«Oh,
una cosa da nulla!» sorrise Imago.
«Beh…
grazie,» le disse Kisshu, e il sorriso di lei si
allargò.
Ma
un leggero colpo di tosse alle loro spalle interruppe quel momento.
«Vedo che avete trovato subito compagnia...»
osservò una voce bassa e indifferente.
«Pai...?»
sibilò uno stupito Kisshu, scorgendo il fratello in piedi
dall'altra parte delle sbarre.
«Pai!»
gridò invece Taruto, e lo raggiunse di corsa.
«Facci uscire da qui!» disse disperato.
«Non
ne ho il potere, Taruto,» fu la sua risposta secca.
«State bene?» chiese poi a lui e a Kisshu.
Quest’ultimo
gli si avvicinò, un sorrisino ironico sul viso.
«Starei meglio se mi spiegassi per quale motivo,»
disse, indicando le sbarre, «tu sei da quella parte...e noi
da quest'altra, non so se mi spiego.»
Pai
sospirò. «Credo sia perché quella
strega ha altri piani per me,» rispose laconico.
«Strega?»
ripeté Kisshu, e si sentì ferito al cuore quando
comprese che Pai si riferiva a Kassidiya. «Ehi, non osare
ripeterlo! Ma non l’hai vista? Non l’hai sentita?
E' grazie a lei se siamo ancora vivi!»
«Grazie
a lei?!» ripeté Pai stravolto. La sua bocca si
contorse in un’espressione di furia glaciale.
«Sciocco! Ma guardati! Ti ha già conquistato. Stai
facendo la fine che hanno fatto tutti quelli che l’hanno
incontrata. Presto striscerai ai suoi piedi come un verme…
sempre se non ti farà uccidere prima, ovvio.»
«Ma
che diavolo stai dicendo?» ribatté Kisshu, con
irritazione crescente. «E poi che ne sai tu di lei?»
«Più
di quanto tu immagini,» replicò Pai.
«Perché quella donna, quella Kassidiya
Kaishu,» aggiunse poi in tono piatto, «era la mia
compagna.»
Kisshu
impiegò qualche secondo per comprendere il significato di
quelle parole.
«Eh?»
esalò alla fine. «Scusa, non ho capito
l’ultima parola che hai detto. Puoi ripetere?»
«Hai
capito benissimo,» replicò Pai freddamente.
«Eh?»
ripeté Kisshu, decisamente stravolto. «M-Ma tu
non...tu non sei mai stato con nessuna! Tu non hai mai avuto successo
con le donne!»
Per
tutta risposta, il fratello gli lanciò un'occhiata del tipo:
solo-perché-non-te-ne-ho-mai-parlato-non-vuol-dire-che-sia-così.
«Ah…n-non
ci posso credere, tu… tu conoscevi…tu frequentavi
quella splendida creatura, e non me
l’hai...mai....detto...?!»
«Non
erano affari che ti riguardavano,» gli fece notare Pai.
«E oltretutto, a quel tempo tu eri impegnato con Korie. O era
Hoan?»
Kisshu
lo guardò come se fosse impazzito.
Taruto
si aggiunse alla discussione: «No, con Hoan è
stato meno di un giorno. Forse parli di Elyr!»
«No,
non era neanche lei. Uhm...» Pai assunse
un’espressione concentrata. «Ma prima di Elyr
c’era Niote o Jorine?» chiese a Taruto.
«Hmmmm…forse
Dorine,» rispose lui.
«Ah,
si, ora ricordo. Allora Katin era dopo Rik– »
«Ah!»
esclamò Kisshu, spazientito. «Voi due,
piantatela!»
«In
ogni caso, a quei tempi Kassidiya era poco più di una
bambina, decisamente carina, vero, ma insopportabile.
L’avresti mollata dopo pochi giorni,»
spiegò Pai.
«E
tu perché ti ci sei promesso, allora?» chiese
Kisshu con una punta di amarezza, «eh?»
«E’
stata lei che ha cominciato!» si difese l'altro.
«Io non la conoscevo affatto. E’ stata lei che ha
insistito tanto. Quando capii che
cosa era, me ne liberai subito.
Pensai che fosse finita lì, ma a quanto pare lei
la pensa diversamente,» sbottò. «Non
guardarmi
così, Kisshu. Ascolta, io non so come abbia fatto a
diventare Sovrana mentre noi eravamo sulla Terra e non so quali siano
i suoi piani ma, da come si è comportata, credo che voglia
vendicarsi di me per ciò che le ho fatto. E’
immatura e capricciosa, ed in questo momento è anche molto
potente.»
«Che
cosa facciamo?» domandò Taruto, preoccupato.
Pai
scosse la testa. «Non lo so. Ma adesso io devo andare da lei,
o si insospettirà.»
«E
noi?»
«Voi
non c'entrate niente con questa storia. Per il momento siete al sicuro,
per cui state tranquilli e non combinate guai. Soprattutto tu, Kisshu:
sta’ attento, e fatti passare la tua stupida cotta per
Kassidiya il prima possibile.»
Kisshu
sbuffò. «Parli di lei come se fosse un mostro
assetato di sangue. Non credo che tu la conosca bene, in
fondo,» osservò, incrociando le braccia dietro la
testa.
Sentendo
quelle parole, Pai perse rapidamente la calma: «MA QUANDO
CRESCI, IDIOTA?!» gridò, attirando
l’attenzione di tutti gli altri prigionieri.
«Kisshu, tu devi smetterla di farti incantare dalla prima
bellezza che vedi, tu non puoi sapere incontro a cosa-» si
interruppe, quando davanti a lui si materializzò una giovane
guardia imperiale, che subito si inchinò.
«Pai
Ikisatashi?» gli disse. «La Sovrana vuole
vederti.»
Kisshu
e Taruto spalancarono gli occhi: «Uh?»
«Maledizione,»
borbottò Pai a mezza voce, quindi si girò di
nuovo verso i suoi fratelli. «Kisshu, ricorda quello che ti
ho detto: non farti ingannare e, se dovesse succedermi qualcosa,
scappate. Non-fate-idiozie,»
sillabò.
«Che
vuol dire, se ti succede qualcosa?» chiese Taruto in tono
ansioso.
Pai
abbassò gli occhi. «Addio,» disse infine
ai suoi fratelli, allontanandosi dalle sbarre.
----
Ore
dopo, mentre quasi tutti i detenuti del sotterraneo dormivano, chi
russando o parlando nel sonno, chi tossendo o fischiando…e
dal soffitto un odioso gocciolio infrangeva quel silenzio fatto di
rumore… la nibiriana che aveva aiutato Kisshu si sedette
accanto a lui: erano gli unici ancora svegli in tutto il sotterraneo;
persino le guardie riposavano illegalmente. Lei continuava a discutere
a bassa voce di chissà cosa, mentre lui osservava
distrattamente il suo fratellino adottivo dormire accovacciato a terra
lì vicino.
Kisshu
non riusciva a capire cosa gli stava succedendo.
L’unica
cosa di cui era sicuro, era che tutto questo era completamente diverso
dai tempi di Profondo Blu: sembravano passati secoli da quando aveva
lasciato la Terra. Perché non vi era rimasto?
Ah,
già...
Ichigo.
Se
ne era completamente dimenticato.
La
sua piccola, dolce e antipatica bambolina.
L’aveva
dimenticata.
Di
già.
Kassidiya
aveva preso il suo posto: ormai, lui ne era innamorato perso, catturato
dal suo fascino - anche se Pai gli aveva ripetuto fino alla nausea che
non doveva lasciarsi ingannare da lei.
Ma
Pai ora era con lei. Perché non era più tornato?
Erano ormai passate ore da quando l’avevano portato via. Cosa
stavano facendo quei due?
Kisshu
sentì una forte rabbia crescere in lui, insieme ad un
sentimento di rassegnazione. "Lo so, alla fine Pai si
prenderà la Sovrana, ed io rimarrò di nuovo
solo,"
pensò, sconsolato. "E’ il mio destino.
E’ stato deciso così. Io non avrò mai
una compagna. Non una che amo davvero. Sono destinato a restare solo... che
fregatura, il mio destino."
«Ahia!»
esclamò poi improvvisamente, ritornando alla
realtà. Imago gli aveva appena pizzicato un braccio.
«Che vuoi?!» esclamò infastidito,
girandosi dalla sua parte.
«Non
hai ascoltato una singola parola di quello che ho detto,»
osservò la ragazza con rassegnazione.
«Perché,
che hai detto?»
«Lascia
perdere,» sospirò lei, grattandosi una guancia.
«Quell'alieno che prima è venuto a trovarvi, quel
Pai. Era tuo fratello?»
Kisshu
sbuffò. «Lasciami in pace. Non ho voglia di
parlare ora,» disse, ma lei lo ignorò.
«Mi
è sembrato di aver capito che siete fratelli...ma
è strano che tu non sapessi che lui era il compagno di
Diya...» osservò lei, ferendo Kisshu a tradimento,
anche se non aveva veramente l'intenzione.
Lui
le lanciò un'occhiataccia. «Perché, tu
lo sapevi?» chiese ironico.
«Io?
Ma certo, stavano sempre attaccati! O meglio… lei
gli stava sempre attaccata, quando era piccina,» rispose
Imago.
«Io...io ero...io ero un'istruttrice di grado elementare, e
frequentavo la famiglia di Kassidiya per lavoro prima che lei
diventasse Sovrana, ecco!» si affrettò ad
aggiungere poi, cogliendo l'occhiata incuriosita che Kisshu le aveva
lanciato.
«L'avevo
capito che eri un'istruttrice,» annuì lui.
«Ci sai fare con i mocciosi,» le spiegò
poi, indicando Taruto.
«Ah...si,
amo i bambini,» sorrise lei, ma Kisshu si era di nuovo perso
nei suoi pensieri. «Tu sei geloso di tuo fratello,»
dichiarò Imago alla fine.
«Non
è vero,» si affrettò a rispondere
Kisshu.
«Non
vergognartene. Kassidiya ha un fascino magnetico. E’ sempre
stata così, con tutti i maschi,» ammise l'altra
con uno strano tono di voce, che portò Kisshu a chiederle:
«Ma
tu la conoscevi?»
«Un
po’,» fu la risposta. «E mi spiace
dirtelo, ma so che è tanto bella quanto fatale.»
Se
gli occhi di Kisshu si erano illuminati per un momento, adesso quella
luce era del tutto scomparsa.
«Non
ti ci mettere anche tu, Imago.»
«D’accordo,
va bene, hai ragione tu,» annuì lei, sbuffando e
incrociando le braccia.
Kisshu
le lanciò uno sguardo esasperato: «Senti, non ce
l'ho con te, ma Kassidiya non sembra…!»
«Lo
so!» lo interruppe lei. «Per questo che nessuno
riesce a ribellarsi!»
«Senti,
perché dovrei fidarmi di quello che dici?»
ribatté Kisshu, accigliato. «Non so neanche chi
sei. Cosa hai fatto per trovarti qui? Sarà almeno la quarta
volta che te lo chiedo, ed ogni volta hai fatto finta di non sentire.
Adesso mi rispondi,» le
intimò.
Imago
sospirò. «Non è una storia
interessante, la mia.»
«Perfetto.
Ho proprio voglia di annoiarmi.»
La
nibiriana lo
fissò per qualche istante, incerta.
«Vedi,
qualche tempo fa, quando Kassidiya salì al trono,»
cominciò con cautela dopo un poco, «mi
giudicò meritevole di una condanna a morte. Me, e molte
altre persone che conoscevo. Io riuscii a scappare. La sera stessa, mi
feci arrestare con una scusa. Avevo cambiato il mio aspetto e il mio
nome. Sono brava con questi trucchetti, ed infatti nessuno mi
riconobbe. Da allora io sono qui. E il bello,» disse,
accennando un sorriso, «è che ancora mi cercano
là fuori...o forse credono che io sia morta.»
Catturò lo sguardo stranito di Kisshu. «Si, hai
ragione, il mio è un piano davvero stupido. Anche io
preferirei morire piuttosto che starmene qui rinchiusa. Ma…
ti sembrerà una cosa assurda, ma so che il mio destino non
è questo. Io sto aspettando che accada qualcosa,»
spiegò. «Non so cosa,» aggiunse poi
confusamente, «ma sento di avere un compito da svolgere...ed
è già da qualche giorno che ho come
l’impressione che….manchi poco, ormai.»
Kisshu
la guardò come se fosse pazza: «E’ uno
scherzo?»
«Suona
un po’ come una presa in giro, in effetti,»
annuì Imago.
«Bah,
stai mentendo.»
«In
ogni caso, quello che ti ho detto riguardo la mia identità
deve restare un segreto. Sai
com’é…»
«Ma
allora tu non ti chiami Imago!»
«Mi
raccomando, urla più forte, lassù
all’ultimo piano del Palazzo non ti hanno sentito!»
replicò lei, inarcando le sopracciglia cespugliose.
«Qual’è
il tuo vero nome?» le chiese velocemente Kisshu.
«Questo
non posso dirtelo. Però posso dirti che sono
d’accordo con voi, anche se penso di essere l’unica
su questo pianeta. Mi hanno riferito dei discorsi che avete fatto
davanti al Consiglio. Se i terrestri sono come noi, non vedo
perché
non meritano di vivere. Possiamo vivere insieme,»
osservò sognante.
Kisshu
sbuffò e si voltò dall’altra parte,
chiudendo gli occhi come per dormire. Era seccato perché lei
aveva cambiato discorso pur di non rispondergli.
«Gli
esseri umani sono carini?» tentò Imago.
«Un
po’,» rispose Kisshu.
«Taruto
mi ha accennato di una certa Ichigo.»
«Ricordami
di tirargli un pugno quando si sveglia.»
«Se
é vero che si è comportata con te come mi ha
detto, non devono essere molto intelligenti, in fondo,»
osservò lei pacata.
«Sono
testardi,» disse Kisshu, senza prestare troppa attenzione al
significato di quelle parole. «Senti, non mi va di parlarne
ora.»
«Capito,»
annuì lei, e fece per alzarsi. «Buon riposo e
addio.»
«Uh?
No, aspetta!» Istintivamente, Kisshu la trattenne per un
braccio.
Lei
gli lanciò uno sguardo interrogativo.
Kisshu,
accortosi del suo gesto, si affrettò a ritrarre la mano.
«Anche se sei un femmina,» le disse dopo qualche
secondo, «credo che qui tu sia l’unica con cui si
possa fare un discorso quasi
intelligente.»
La
nibiriana, dopo un
attimo di imbarazzo, si sedette di nuovo accanto a
lui. L’ombra di un sorriso le illuminò il volto, e
probabilmente era anche arrossita. «Beh grazie,»
mormorò piano. «Ma credo che ci siano molte altre
persone migliori di me qui dentro.»
Prima
che Kisshu potesse aggiungere altro, la sua attenzione venne attirata
da delle grida improvvise: in fondo alla cella, due prigionieri si
stavano prendendo a parolacce perché uno di loro, a quanto
pareva, aveva cercato di morsicare l’altro nel sonno. Alla
fine si misero a sghignazzare insieme e caddero addormentati
l’uno sopra l’altro.
«Oh,
si, certo,» sussurrò lui, osservando quello
squallido spettacolo, «hai proprio ragione.»
|
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Capitolo 5 *** In trappola ***
23/04/2014:
C'è qualcosa che non va in me... perché
ora Kassidiya mi sta simpatica? Sono diventata una persona bruttissima
nel corso degli anni! ;____;
Comunque
sia sono
un genio perché ci sono rimasta malissimo quando, andando a
rileggere a caso alcune vecchie recensioni, mi sono spoilerata il modo
in cui prosegue la MIA storia.
- Capitolo 4: In trappola -
L'Appartamento
Imperiale era forse uno dei posti più
incantevoli dell'intero Palazzo. Così ampio da fare invidia
alla Sala del Trono, riservato ai soli Sovrani, era formato da
un’unica stanza magnificamente arredata con gli oggetti
più belli che si potessero trovare su tutto il pianeta.
Molti di essi erano reliquie dell'antica civiltà terrestre e
perciò avevano un valore inestimabile; si distinguevano
dagli altri per via del materiale di cui erano fatti: non pietra o
metallo scuro, ma brillante oro o oricalco, minerali preziosissimi che
non esistevano sul Pianeta Nero. La luce delle numerose piccole lampade
che pendevano dal soffitto si riversava su di essi, facendoli
scintillare. Le pareti della stanza, inoltre, non erano di pietra viva
come tutto il resto del Palazzo, ma lisce come la seta. Erano state
realizzate con uno speciale metallo artificiale il cui colore cambiava
a seconda dello stato d'animo delle persone che vi abitavano: da quando
Kassidiya era salita al trono erano diventate rosso carminio.
Un
ampio
balcone che affacciava sulla Capitale era posizionato in un
angolo dell’Appartamento; dall'altro, invece, vi era un
alto e pesantissimo portone dorato. Era quasi sempre chiuso, ma
proprio in quel momento le due guardie che montavano perennemente il
turno all'esterno lo schiusero quel tanto che bastò per far
entrare Pai.
Il
giovane,
fatto qualche passo all'interno della lussuosa stanza,
osservò tutte le sue meraviglie con indifferenza,
finché non scorse il riflesso della Sovrana sorridergli da
uno specchio di cristallo.
Kassidiya
era seduta in fondo alla stanza. Accanto a lei, un'ancella le
pettinava la lunga chioma: anche in quel frangente, la giovane aliena
sembrava la creatura più dolce e innocente del pianeta.
Non
appena
l'ancella vide dallo specchio il nuovo arrivato, subito
abbandonò il suo lavoro per avvicinarsi a lui a grandi
passi.
«Come
osi entrare nell’appartamento di sua
Altezza!» abbaiò, con voce stridula.
«Fuori, subito, tu, ignobile– »
«Sciocca!
L'ho chiamato io!»
L'esclamazione
di Kassidiya, che si era alzata in piedi, fece morire le
parole sulle labbra della serva. «Ed ora smettila di
infastidire il mio...ospite,» continuò la Sovrana.
«Vattene.»
L'ancella
emise un singulto terrorizzato. «Ma mia
signora...non posso permettere che...voi sola con...»
«Osi
forse contraddirmi?» chiese Kassidya con voce
vellutata.
«No,
no, certo signora, no!» squittì
l’aliena, e si affrettò a lasciare la stanza.
Non
appena
il portone alle spalle di Pai si richiuse, Kassidiya scosse
la testa: «Com’è difficile oggi trovare
qualcuno che si fa gli affari suoi...» osservò,
annoiata.
Pai
non
replicò. In quel momento, stava praticamente
mandando al diavolo in un colpo solo tutte le regole comportamentali
del Palazzo: non solo si ergeva in piedi di fronte alla sua Sovrana con
le braccia incrociate in segno di sfida, ma la squadrava con una
sfacciataggine non indifferente; inoltre, non dimostrava nessun segno
di reverenza o sottomissione, ma anzi aveva un'aria palesemente
seccata, e non le rispondeva se lei gli parlava. Qualsiasi altro
alieno, al posto suo, sarebbe già stato sbattuto in cella;
ma Kassidiya, nel vederlo, non riuscì a fare altro che
rivolgergli un grosso sorriso.
«Beh,
che c’è? So che quando qualcuno mi
vede rimane senza parole, ma non credo che questo sia il tuo caso, o
no?»
Pai
non si
mosse.
«Dì,
hai intenzione di restare qui fermo a
fissarmi finché Ra non mi incenerisce?»
«Lo
avrei già fatto io, ma i tuoi simpatici
soldatini mi hanno portato via il ventaglio,» ammise Pai con
indifferenza; i suoi muscoli si irrigidirono, come se si stesse
preparando ad una terribile battaglia.
«Capisco,»
sorrise amaramente Kassidiya,
aggiustandosi un poco la lunghissima gonna della veste viola che
indossava. «Che strano. Il tempo scorre, ma tu non cambi,
Pai.»
«Anche
tu,» ribatté lui. «Sei
sempre la solita smorfiosa.»
«Può
essere.»
Kassidiya
fece qualche passo verso di lui. Era davvero bella, con i
lunghi capelli che le accarezzavano le spalle nude, quegli occhi
così seducenti incatenati ai suoi. Quando fu ad un metro da
lui, Pai sentì le sue difese frantumarsi in mille
pezzettini.
«E'
strano, però. Fino a qualche tempo
fa,» sorrise lei mentre gli sfiorava una guancia con la mano,
«non dicevi che ero così orrenda.» Le
sue dita scesero ad accarezzargli il braccio, mentre le labbra
dell’aliena lambivano il suo collo. «Mio dolce
tesoro, o non ricordi quello che–»
«Basta!»
esclamò improvvisamente Pai,
ritraendosi sconcertato.
Il
sorriso
di lei si allargò ancora di più ma,
stavolta, era tutt’altro che dolce o innocente.
«Non
mi lascerò incantare,» sibilò lui con
determinazione, cercando di
riprendere il controllo delle sue emozioni. «Lasciami in
pace,» disse alla fine, e c’era odio nella sua voce.
Kassidiya
sospirò. « Va bene. Se è
questo che vuoi,» sussurrò, dandogli le spalle.
Con
sua
grande sorpresa, quando lei si voltò di nuovo per
guardarlo in faccia, Pai vide delle lacrime farle luccicare gli
splendidi occhi. Ne rimase ferito, ma solo per un attimo.
«Smettila
con la recita; con me non funziona, lo
sai,» troncò, freddo.
Ma
a quanto
pareva, quella non era una semplice commedia,
perché quando Kassidiya gli gridò:
«Stupido! Io ti amo! Come puoi parlarmi
così?!» era davvero scoppiata in lacrime.
Per
Pai, fu
come se una freccia gli avesse trapassato il cuore. Si
stava comportando da vero bastardo: come aveva potuto ferire una
creaturina così pura e fragile?
«Io...»
Non
trovò meglio da fare che abbassare la testa. Passarono
interminabili secondi, ma alla fine rialzò gli occhi. Stava
per dirle che sì, anche lui la amava, ma qualcosa in lui lo
fermò. "E se fosse una trappola...?" pensò, senza
però trovare la forza di reagire.
Lei
gli
sembrava così sincera...
…e
lui non...
«Io
non posso perdonarti per quello che hai fatto,»
sillabò alla fine, con un tono svuotato da qualsiasi
emozione.
Non
era
sicuro di aver detto la cosa giusta.
«Cosa...?
Non mi dirai...ancora con quella vecchia
storia?» sibilò Kassidya, incredula. «Io
non c'entro, lo sai!» esclamò poi, disperata.
«E poi, in fondo, prima o poi li avrebbero uccisi comunque!
Lo sai che li odiavano tutti! Per cui, almeno la loro morte
è servita a qualcosa!»
«La
loro morte...è servita a qualcosa?»
ripeté Pai, tremante. Quelle parole furono per lui come un
pugno in pieno viso. Fu come se una nuova energia avesse invaso l'animo
di Pai, liberandogli la mente dall'incantesimo che lo stava lentamente
ammaliando, e lui ritrovò il coraggio di guardare il suo
avversario negli occhi e di dirgli piano, con convinzione tale da
sembrare crudeltà: «Sei solo un'egoista....e
un'assassina.»
Kassidiya
indietreggiò sconvolta, guardandolo come se fosse
pazzo: «Pai,» disse, «a
quell’epoca io ero solo una
bambina...cosa potevo fare? Anche se avessi voluto, tu davvero credi
che io avrei potuto fare qualcosa per salvarli?»
Non
c'erano
più lacrime ad offuscarle gli occhi. Era
stravolta e scioccata, mentre incrociava di nuovo lo sguardo
indecifrabile di Pai. Era stata sconfitta. Lui l'aveva respinta.
Un'altra volta. Nessun altro era mai riuscito a resistere a lei.
Perché soltanto lui si opponeva?
Forse
era
proprio perché Pai era l'unico immune al suo
incanto, che lei si sentiva così attratta da lui [*].
Attratta, non innamorata. O si? O forse lo considerava tutto un gioco?
Non lo sapeva neanche lei, e d'altro canto, non si era mai data pena di
pensarci su. Incrociò di nuovo i suoi occhi con quelli di
Pai: non aveva bisogno di parole per capire cosa stava pensando.
«Per
quanto tu possa avere da obiettare, questo trono
è mio di diritto!» esclamò allora,
decisa.
«Era la mia famiglia, e non quella degli Enki, che lo
meritava! Se lo vuoi sapere, mio padre ha fatto benissimo a sterminarli
tutti! Lui sì che era degno di essere Sovrano!»
«Se
lo fosse stato, non avrebbero congiurato contro di lui
per ucciderlo, poco dopo la sua elezione,» osservò
Pai. «In ogni caso, non capisco perché tu sia qui
dentro. Il diritto di sovranità non
è ereditario...»
«Io
dovevo
essere Sovrana!» strillò
Kassidiya.
«Ma
davvero?»
«Silenzio!
Non osare parlare: non sai quanto ho dovuto soffrire per arrivare sin
qui, e
cosa devo fare per riuscire a non farmi ammazzare in una congiura! Io odio dover
mantenere l'ordine, ma devo farlo, é il mio
destino! Ma tu non puoi capire...»
«Io
non capisco tante cose, e neanche come tu abbia fatto a
diventare Sovrana. Dopo la morte di tuo padre, avevano eletto quel
vecchio, Mahimi, no?»
«Si,
ma...lui è morto mentre voi eravate sul
Pianeta Azzurro...» sussurrò Kassidiya, tornando
calma. «....ed io ero sua moglie.»
«Sei
davvero caduta in basso,» osservò
Pai con disgusto, ferendola deliberatamente.
«Già,»
annuì lei, e sorrise
come se le fosse appena tornato in mente un ricordo molto felice.
«Ma ora… sono molto in alto. Molto più
di te, amore mio. E anche se finora ho lasciato correre, vorrei
ricordarti che chi dà gli ordini, qui, sono io. E che tu
stesso, poco fa, ti sei prostrato ai miei piedi per implorare la
salvezza dei tuoi cari fratelli. Se davvero tieni a loro, faresti bene
a mantenere la tua promessa!»
«Che
sarebbe...?» sibilò Pai a denti
stretti.
«Se
vuoi che i tuoi fratelli rimangano in vita,»
dichiarò Kassidiya, sorridendo, «tu dovrai essere
mio per sempre.»
Pai
quasi
scoppiò a riderle in faccia. «Sei
pazza,» commentò.
«E’
un no?» replicò lei senza
scomporsi. «Immaginavo che avresti risposto così.
Ma non fa niente. Dato che non manterrai la tua promessa con le buone,
lo farai con le cattive.»
«Quindi
secondo te cercare di sedurmi, incantarmi e poi
ricattarmi sarebbero le
buone?» ironizzò Pai, più che altro per
prendere tempo per pensare.
«Si,»
annuì Kassidiya sbrigativa.
«Ora passiamo alle cattive: guardie!»
gridò ad un minuscolo comunicatore che aveva al polso.
Un
istante
dopo, un gruppetto di Guardie Imperiali invase la stanza.
Pai
alzò gli occhi al cielo quando vide che si dirigevano
verso di lui per afferrarlo: «Credi davvero che io sia
così stupido da provare a scappare?»
«No,»
rispose dolcemente la Sovrana,
«ma qualcuno dovrà pur indicarti la strada per il
Laboratorio, no?»
«Che
cosa significa?» chiese lui sospettoso, mentre
due guardie lo prendevano per entrambe le braccia.
Kassidiya
gli rivolse un sorriso radioso: «Che la prossima
volta che ci vedremo non sarai così scontroso nei miei
confronti. Ma ti lascio la sorpresa. Ah, Bachelor.»
«Si,
mia signora?» replicò pronta una
delle guardie, un tipo basso e malizioso.
«Preparate
tutto per la cerimonia pubblica: per domani a
quest'ora voglio la testa di quei due traditori,» disse,
godendosi sul viso di Pai l’effetto delle parole che aveva
appena pronunciato.
La
guardia
chiamata Bachelor le rivolse un sorriso sdentato:
«Sarà un piacere, mia signora,» disse,
ma la sua voce venne coperta dalla quella di Pai, che gridò:
«Maledetta!» mentre cercava di liberarsi dalle
guardie che lo trascinavano via.
«No,
Sovrana!» gli gridò dietro
Kassidiya, scoppiando poi a ridere.
«Me
la pagherai…me la pagherai cara,» la
minacciò Pai, strattonando le due
guardie, che imperterrite lo condussero fuori. Un lungo cigolio
annunciò che il portone degli Appartamenti Imperiali stava
per chiudersi. Mentre inutilmente cercava di liberarsi, Pai era
consapevole che ormai non esisteva via di salvezza, ne’ per
lui, ne’ per i suoi fratelli.
Il
portone
si richiuse con un tonfo sordo.
-----
Erano ormai trascorse
ore da quel dialogo e, ignari di tutto, Taruto e
Kisshu sedevano ancora tranquilli nel loro angolino delle prigioni.
Da quando si era
svegliato, Taruto non aveva fatto altro che chiedere a
Kisshu di cercare un modo per uscire da quell’odioso stanzone
maleodorante. Ma il giovane alieno era rimasto silenzioso: aveva
cercato di pensare ad un piano, ma non era certo facile progettare
così su due piedi un’evasione da uno dei posti
più sorvegliati del pianeta.
Dopo averci ragionato
su per qualche ora, Kisshu aveva chiesto ad Imago
se lei avesse mai provato a fuggire, o se qualcuno ci fosse mai
riuscito: domanda sbagliata. Lei aveva messo su uno strano cipiglio, e
si era limitata a dirgli che esistevano molti modi per uscire dalle
prigioni, ma che non era ancora il momento. Poi si era scusata con lui,
dicendo che non avrebbe dovuto dirgli queste cose, ma che
d’altro canto lui voleva che lei non gli mentisse, e
quindi…
«Si, ma
questo non vuol dire che devi rispondermi per
indovinelli!» aveva rimbrottato lui.
A quel punto, Imago
aveva alzato le spalle: «Allora non farmi
domande strane, ed io non sarò costretta a darti risposte
strane.»
Queste erano state le
ultime parole che lei e Kisshu si erano scambiati
da amici.
Dopo di questo,
infatti, l’alieno dagli occhi ambrati non
aveva più rivolto la parola alla sua compagna di cella. Si
era richiuso in se' stesso, ed era anche decisamente arrabbiato con
lei: aveva capito che gli nascondeva non uno ma molti segreti,
più di quanti potesse immaginare. Ed anche se non aveva il
diritto di conoscerli, odiava il modo in cui si stava comportando con
lui.
Imago,
d’altro canto, sembrava non importarsene troppo: dopo
aver tagliato i ponti con Kisshu, aveva cominciato a rivolgere la
parola solo a Taruto, di cui aveva conquistato la fiducia sin dal primo
momento. Il bambino cercò di convincerli a fare pace, anche
se non aveva capito il motivo del litigio, ma l’unico
risultato che ottenne fu che adesso gli unici dialoghi fra i due erano
battute pungenti o semplici frasi di circostanza.
In effetti, nonostante
la differenza di età, i due sembravano una coppia di
innamorati al primo litigio.
---
Kisshu non
riuscì a dormire neanche quella notte. Eppure si
sentiva così stanco…
Era debole, e
perdipiù affamato: l’unico pasto che
gli era stato concesso, da quando erano arrivati, era stata una
brodaglia scura e decisamente poco appetitosa che non aveva osato
toccare. Ma non era la fame a preoccuparlo in quel momento: i suoi
pensieri erano tutti concentrati nella ricerca di una via di fuga da
quell’incubo.
Erano circa le tre del
mattino, ora terrestre, quando Kisshu
riuscì finalmente a chiudere gli occhi per qualche minuto.
Erano gonfi di sonno quando li riaprì, destato dalla voce di
Imago che stava parlando con Taruto. Cercando di trovare un modo per
farla stare zitta, ma concludendo che non esisteva, provò
riprendere sonno, ma non gli fu più possibile: presto, alla
voce di Imago e Taruto, si aggiunsero anche i rumori e mormorii
fastidiosi fatti dalle guardie che passeggiavano per i corridoi delle
celle, e degli altri prigionieri che tornavano dal mondo dei sogni.
Anche quelli della loro cella, che di norma se ne stavano buoni o
litigavano sempre per conto loro, quel giorno sembravano parecchio
allegri: discutevano animatamente, e Kisshu ad un certo punto
sentì uno di loro gridare: «Ima, stiamo morendo di
noia! Torna da noi!»
Imago, senza neanche
voltarsi, rispose: «Mi spiace, sono
impegnata!» e riattaccò a parlare con Taruto, che
sorrideva e annuiva.
I prigionieri si
guardarono l’un l’altro e poi
guardarono la prigioniera, esclamando alla fine: «Imago non
ci
vuole più bene!»
La suddetta
sospirò, e smise di parlare con Taruto.
Altro che pericolosi
carcerati…erano davvero dei bambini.
«E’
colpa dei novellini!»
gridò uno di loro.
«Uccidiamoli!»
strillò un vecchio,
additando Taruto e Kisshu.
«SI!»
ruggirono gli altri, in un coro generale.
Taruto
sobbalzò, spaventato: «Ima-chan,
forse...forse è meglio che vai da loro!» disse
velocemente.
«Ma
no!» Imago agitò una mano con
noncuranza. «Stanno solo scherzando. Sono dei
giocherelloni!»
Taruto
guardò uno dei 'giocherelloni', un alieno grosso e
muscoloso, strofinarsi i pugni e fissarlo minacciosamente.
«T-Tu
d-dici?»
«Ima,»
disse un giovane alieno, che sembrava il
più sano di mente del gruppo, «almeno cantaci una
delle tue canzoni.»
Ci fu un consenso
generale, e tutti si sedettero di nuovo.
«Tu
canti?» chiese Kisshu con fare annoiato,
aprendo un occhio.
«Oh, non ne
ho voglia!» replicò Imago,
ignorandolo. «…e poi é cattiva
educazione interrompere qualcuno mentre parla, Rugh.»
«Ma tu non
fai altro che parlare!»
rimbeccò quello.
«Ha
ragione,» annuì Kisshu. «A volte mi
chiedo come fai a
respirare.»
Lei gli
lanciò un’occhiataccia: «Potrei
offendermi per questo, lo sai?»
«Dai,
accontentali,» la incitò Taruto.
«Ok, avete
vinto,» si arrese alla fine
l’aliena. «Canterò. Taruto, tu
però tappati bene le orecchie, ti raccomando: non vorrei
crearti problemi all’udito. Io canto malissimo. Ma loro si
divertono a sentire le rime.»
«…allora?»
chiese impaziente il
prigioniero che rispondeva al nome di Rugh.
Imago si
voltò verso i suoi compagni e chiuse gli occhi,
come si stesse concentrando. Taruto la guardò incuriosito.
Kisshu aveva gli occhi chiusi, ma le sue orecchie erano ben tese.
Qualche secondo dopo, la nibiriana cominciò ad intonare le
parole della sua canzone. Non era vero che cantava male: la sua voce
era armoniosa e abbastanza intonata, molto diversa da quella che usava
per parlare, ed anche la melodia della canzone era allegra e
coinvolgente. Parlava di tre sorelle, e le parole erano più
o meno queste:
Era una notte nera, quando un
mago potente disse,
guardando dal basso il
cielo, e le stelle fisse:
“Al mondo
verranno tre sorelle.
Alla prima, destinata
dalle stelle,
per avere di tutti anima
e cuore
di un grande dono
avrà onore:
di angelico viso e
splendida bellezza
sarà
portatrice. Priva di purezza,
ma non d'altro, non certo
intelligente
sarà la
seconda, di cui corpo e mente
di uno può far
suo, che in eterno sarà di lei.
Nata per ultimo
è infine colei–
«Senti
senti che bella canzoncina!»
Quell'esclamazione
beffarda chiuse la bocca alla prigioniera
«Si,
proprio carina. Se non fossi così schifosa, me
la farei cantare da te tutte le notti.»
La
porta
della cella era stata nuovamente aperta: due delle guardie che
il giorno prima avevano portato via Pai, ora erano in piedi sulla
soglia.
«Ehi,
voi!» iniziò Kisshu, arrabbiato,
ma non seppe come continuare.
«Sorridete,
ragazzi,» ghignò
maliziosamente Bachelor, lanciando strane occhiate a lui e a Taruto.
«Siete appena stati condannati a morte.»
A
quelle
parole, risate, applausi e fischi gioiosi provennero dal fondo
della cella.
Kisshu
sgranò gli occhi, mentre Taruto balzava in piedi:
«Che cosa!?!»
«Non
è possibile!» sussurrò
Imago.
«Venite,
signori, c’è un popolo intero
che reclama il vostro sangue!» ghignò Bachelor
esibendosi in un inchino beffardo, mentre con una velocità
impressionante il compagno catturava Kisshu e Taruto.
«Lasciami!»
gridò il bambino
all’omaccione che lo tratteneva per il braccio. Anche Kisshu
cercò di liberarsi, ma era inutile: quel tipo era un gigante
alto grosso almeno il triplo di lui, e molto più pesante.
«No!
Non potete farlo!»
Imago
cercò di aiutare i suoi amici, ma con un:
«Sta’ zitta!» Bachelor la spinse
indietro, facendola cadere a terra.
«Ima-chan!»
gridò Taruto disperato,
prima di sparire dietro il corridoio.
++++
[*] Nota del 2014:
Huahuahuahua, 15 anni e già anticipavo
Twilight!X°D
Vabbeh andiamo avanti và XD
|
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Capitolo 6 *** Il sacrificio di Kisshu ***
23/04/2014:
Dico
di stare revisionando
la storia, ma in realtà mi sto
limitando a rendere i dialoghi un pelo meno infantili e la
narrazione,
quando possibile, meno pomposa.
C'è da
dire che ho dei vaghi ricordi
del fatto che in passato mi incazzai tantissimo con
non-so-chi perché
mi disse che la mia fanfic non era degna di essere segnalata su EFP fra
quelle più carine della sezione (o qualcosa di simile)
perché era
scritta male, e solo ora mi rendo conto di quanto avesse ragione
quel/quella povero/a cristo/a.
Mah, purtroppo
certe cose si capiscono solo con il tempo.
{...you
won't cry for my absence,
I
know, you forgot me
long ago
Am
I that important...
Am
I so insignificant?
Isn't
something missing?
Isn't
someone missing me?}
(Missing,
Evanescence)
- Capitolo 5: Il sacrificio di
Kisshu -
Accadde
tutto troppo
velocemente. Kisshu e Taruto vennero
condotti in uno spazio aperto molto grande, riempito da una folla
immensa di quelli che erano ben più che semplici curiosi.
Tutta l’area sembrava una di quelle grosse arene dove si
svolgono quelli che i terrestri chiamano
“concerti”. Su di un lato, vi era una tribuna su
cui sedevano persone dall’aria aristocratica; il palco era
una strana piattaforma sopraelevata, su cui vi era un traliccio di
metallo alto circa due metri.
Kisshu non aveva mai
visto niente del genere, ma non gli ispirava
alcuna fiducia.
Sentiva crescere dentro
di sé un’angoscia
opprimente: voleva fuggire, ma era inerme e senza i suoi poteri, e
soldati minacciavano lui e suo fratello.
Nella luce rossastra
dell'alba fasulla scorse migliaia di occhi felini
fissi su di lui; il suo cuore era pesante come un macigno.
Voleva solo andare via
da lì.
BASTA! All'improvviso,
Kisshu diede una spinta alle guardie che lo
scortavano, e riuscì a sfuggire alla loro presa.
Per un attimo, credette
davvero di poter scappare, ma pochi istanti
dopo l’urlo di Taruto lo costrinse a paralizzarsi e voltarsi
indietro. A causa del brusio della folla non riuscì a
sentire ciò che stava dicendo il soldato puntava un pugnale
alla gola di suo fratello, eppure Kisshu riuscì ugualmente a
percepirle nella sua testa:
«Se scappi,
lo uccido qui e ora.»
Taruto guardava suo
fratello terrorizzato. Kisshu esitò un
secondo di troppo, e questo gli costò la libertà
appena conquistata.
«NO!»,
Kisshu era ormai fuori di sé;
sapeva che quella era davvero la fine, come un animale braccato sa di
non avere speranze di salvezza, ma forse…un lampo
illuminò la sua mente. Forse per loro esisteva ancora una
speranza, ed il nome di quell’ultima misera luce
era…
«Pai!»
Taruto aveva urlato
quel nome con la disperazione nella voce:
«Pai, aiutaci! Fratello!»
Kisshu pensava che
stesse delirando ma, seguendo i suoi occhi offuscati
dalle lacrime ritrovò, a pochi metri da loro, proprio lui,
Pai.
Era in piedi,
perfettamente immobile. I suoi occhi brillavano di una
luce che Kisshu non aveva mai visto prima; erano freddi, e non
lasciavano trasparire alcuna emozione. Trascorsero secondi
interminabili, poi il giovane dalle iridi violacee voltò
loro le spalle, e fece per andarsene.
Kisshu urlò
il suo nome.
Pai voltò
leggermente la testa e lo guardò,
gelido. Mosse appena le labbra, incurvate in un sorrisetto, per
sibilare piano: «Addio…traditore.» Poi
scoppiò a ridere, una risata spietata, e così
fecero anche i soldati che si erano soffermati ad osservare la scena.
Pai scomparve fra la
folla, e con lui anche quell’ultima
speranza di salvezza.
----
Pochi minuti dopo,
Kassidiya vide Pai raggiungerlo nella sezione della
tribuna riservata alle autorità imperiali, dove lei
naturalmente occupava il posto d'onore.
«Allora…cosa
ne pensa, mia signora?»
chiese un giovane molto magro, seduto su una poltroncina accanto al
trono dell'imperatrice, alzandosi in piedi per fare posto a Pai. Aveva
più o meno la sua stessa età, eppure sembrava
molto più anziano: il merito andava principalmente al suo
volto pallido e scavato, alle guance tirate e alle orbite nere e
livide, sempre accigliate come se stessero meditando su
chissà quali oscuri ed importanti quesiti. A Kassidiya, quel
tipo era utile, ma se avesse potuto se ne sarebbe liberata
già da tempo: quella sua aria seria, ma così
patetica e fragile, le ispirava un sentimento sgradevole
di compassione.
Infatti, nonostante
indossasse un lungo e pulito camice bianco,
piuttosto che un importante scienziato e
ricercatore, il dottor Kell le ricordava un paziente afflitto da una
brutta malattia.
«Si,
splendido, davvero splendido,»
annuì Kassidiya, cercando di evitare il suo sguardo
penetrante. «Nonostante abbia rivisto i suoi fratelli, non ha
fatto una piega. I miei complimenti, dottore.»
«Oh, non li
merito, mia signora,»
sogghignò lui, scompigliandosi con una mano i capelli
neri. «Cosa vuole che sia un minuscolo impianto alla
corteccia celebrale?»
«Nulla,
infatti,» sorrise Kassidiya. Poi si rivolse
a Pai, seduto proprio al suo fianco, e gli accarezzò il
mento: «Ora sarai mio per sempre, vero?»
«Certamente,»
le rispose lui, senza fare una piega.
Lei rise deliziata.
Kell poggiò
una mano sulla spalla di Pai: «Mi
scusi mia signora ma adesso, con il vostro permesso, devo tornare al
mio laboratorio. Purtroppo, ho molto lavoro da sbrigare...»
«Si, si, vada
pure,» borbottò Kassidiya
distrattamente.
Lo scienziato si
inchinò e poi si allontanò. Non
era ancora scomparso fra la folla quando Kassidiya poggiò le
sue mani sulle spalle di Pai e avvicinò il suo viso al suo,
mormorando: «Ed ora che siamo soli…amore
mio… baciam-»
«Hem,
hem.»
Kassidiya rimase
paralizzata. Roteò gli occhi, mentre la
voce annoiata dietro di lei cominciò a parlare:
«Mia signora, perdoni l’intrusione, ma è
mio dovere informarl –»
«Shiroi,
qualunque cosa tu voglia dire, può
aspettare!»
«E' un
argomento che le interesserà,»
insistette quello con aria di urgenza.
La giovane imperatrice
sbuffò. «Ti concedo due
frasi.»
«Vostra
sorella è appena partita da
Azzurra,» spiegò il consigliere.
«Sarà qui con il suo seguito prima della
notte.»
«Oh, ci
mancava anche questa,» brontolò
Kassidiya. «Detesto mia sorella Kassandra,»
spiegò a Pai, che le lanciò uno sguardo
indifferente, ma lei aveva già rivolto nuovamente la sua
attenzione al consigliere. «Ma non le piaceva quella
città?»
«Non so
altro; sono desolato,» sussurrò
Shiroi.
Kassidiya si
lasciò ricadere sul trono: «Che
fastidio!» sbuffò, in modo molto poco regale.
Diresse poi la sua attenzione verso il patibolo. «Ed ora che
succede là sotto? Perché non si sbrigano? Che
stanno aspettando?»
----
Un alieno
dall’aria malvagia, piccolo e grasso e che
rispondeva al nome di Roll, si sedette su una sedia proprio sotto il
patibolo, lanciando occhiate maliziose a Kisshu e Taruto. I due erano
stati incatenati ed erano sorvegliati a vista da tre soldati:
«Ora vi spiego come funziona lo spettacolo,»
cominciò.
«Ignorante,»
lo interruppe il compagno in piedi
accanto a lui «Si dice cerimonia
pubblica.»
«Imbecilli,
questa è una condanna a
morte!» intervenne un terzo.
Kisshu e Taruto si
scambiarono un’occhiata: «E noi
dovremmo farci uccidere da questi…»
«SILENZIO VOI
DUE!»
«Ouch!»
un filo di sangue scese dalla bocca di
Kisshu a causa del pugno che ricevette sul viso.
«Maledetti…» sibilò.
Roll riprese a parlare:
«Dicevo: uno alla volta, voi due
verrete fatti salire là sopra, verrete legati e tutto il
resto, e poi io sparerò tre volte e…»
«Ehi! Dovevo
farlo io!» lo interruppe nuovamente il
secondo.
«Sta’
zitto!» replicò
l’altro, e lo stese a terra con un pugno sul naso.
Indicò con il dito il terzo compagno, che adesso stava
armeggiando con una grosso quadro comandi sul quale spiccava un
inquietante bottone rosso. «Dunque, al terzo sparo il mio
compare qui preme questo adorabile tastino e…» il
giustiziere fece quanto spiegato, e Kisshu e Taruto alzarono gli occhi
sulla piattaforma, attirati da un rumore come un rombo di un tuono: un
turbine di fuoco dal colore rosso sangue l’aveva
completamente avvolta. Sgranarono entrambi gli occhi, e Taruto
trattenne il fiato inorridito, mentre la folla ruggiva.
«Ah…»
«…e
l’arrosto è
pronto,» concluse Roll soddisfatto.
«Questa era
la mia battuta,» obiettò il
compagno.
«Se non
chiudi quella boccaccia, faccio arrostire anche te!
Comunque niente paura, ragazzi,» continuò,
rivolgendo un gran sorriso a Kisshu e Taruto, «Non
sarà una cosa veloce. Questa è una morte lenta e
molto dolorosa,» disse, godendosi l’effetto delle
sue parole sui due, poi scoppiando a ridere in modo stupido.
«Allora,»
esclamò poi in tono pratico,
ed indicò Taruto: «Dunque, noi siamo gentiluomini
quindi prima i bambini!»
«CHE?! Io non
sono un bambino!» protestò
lui. «NO, NON VOGLIO, NOOOOO!» strillò
il piccolo, assalito dal terrore, mentre veniva trascinato via contro
la sua volontà.
«FERMI!»
gridò Kisshu con tutta
l’aria che gli era rimasta nei polmoni. I soldati lo
guardarono.
«Che
vuoi?»
«Ascoltate!
Fate di me quello che volete, ma lasciatelo
stare!»
I soldati gli
lanciarono occhiate divertite. Poi cominciarono a
sghignazzare.
«E’
SOLO UN BAMBINO!» gridò
Kisshu, disperato.
Per la prima volta,
Taruto protestò.
«Ecco che
arriva l’eroe,» lo
canzonò il suo aguzzino, dandogli uno spintone che lo fece
strisciare contro la terra dura.
«Ma no,
dai… se ha tanta voglia di morire per
primo, accontentiamolo pure. Lasciate lo scricciolo e prendete
l’altro!»
Kisshu venne fatto
rialzare a forza e allontanato da un terrorizzato
Taruto.
«Taruto,
smettila di piangere! Sembri un moccioso!»
furono le ultime parole che riuscì a rivolgergli.
«Mi hai sentito? Sii forte!» gridò con
il viso rigato da sangue…e lacrime.
-----
Accadde
tutto
così velocemente che sembrò un
sogno. Kisshu venne sbattuto contro quel freddo palo di metallo. Non
riusciva a capire. Non riusciva a pensare a niente. La sua mente si era
come inceppata.
Qualcuno
gli
incatenò le mani con violenza. Era troppo
stretto, doloroso. Ma che importava? Kisshu guardò le
migliaia di persone che stavano sotto di lui, senza realmente vederle.
Sentiva il cuore battere nel petto come se stesse per scoppiare. Non
udì le parole con cui lo stavano condannando. Fra le
migliaia di parole, risate, pianti, e urla, sentì come in un
sogno solo voci che chiamavano lui, la sua fine. Nebbia.
C’era come una coltre di nebbia che lo separava dal resto
mondo...
Stava
per morire.
Fra
qualche secondo,
avrebbe sofferto tantissimo, ma tutto
ciò gli sembrava così impossibile, ingiusto.
Lo
terrorizzava
l’idea di dover finire così.
Era
già
morto una volta, anche quella fra atroci sofferenze.
Ma allora le aveva solo percepite, allora c’era Ichigo con
lui, che lo guardava così disperata, e mentre lei bagnava il
suo viso con quelle gocce di sale, mentre il suo pensiero gli riempiva
il cuore, facendogli dimenticare tutto il resto, per la prima
volta…
…si
era
sentito davvero...amato.
L'amore…
Non
esiste, ormai
l'aveva imparato.
Eppure
era solo quello
che inconsciamente cercava.
Era
solo quello di cui
aveva un disperato bisogno.
Ma
questo lui non lo
aveva mai capito.
Lui
non aveva mai preso
sul serio la vita.
Era
fatto
così, o meglio…lo avevano fatto
diventare così.
Era
stato privato della
sua famiglia fin da piccolo; era cresciuto fra
amarezze e delusioni, una sola missione per cui vivere: odiare la
maledetta razza degli esseri umani.
Uccidere
quegli
schifosi bastardi assassini, uno per uno, godendo della
loro sofferenza, sterminarli tutti senza pietà.
Si
era allenato per
anni. Col tempo era diventato forte, astuto; abile
con le armi, cinico e senza cuore.
Era
diventato lui
stesso un perfetto assassino.
Peccato
che a nessuno
fosse mai passato per la testa che forse anche
uno come lui aveva bisogno di amare, e di essere amato a sua volta.
Nessuna
delle persone
che aveva frequentato lo aveva mai capito
veramente.
Nessuna
aveva mai
capito cosa ci fosse nascosto sotto quel suo cinismo
e quell'odioso sorrisetto provocatorio che aveva sempre dipinto sul
viso.
Nessuna
lo aveva mai
amato veramente.
La
stessa Ichigo,
l'essere umano che aveva tanto amato, odiato, per cui
si era sacrificato, la sua gattina, neanche lei lo aveva mai capito.
Mai.
Gli
faceva male
pensarci. Ma le lacrime che lei aveva versato per lui,
mentre si addormentava per sempre fra le sue braccia, non erano certo
amore; erano solo compassione per un povero cretino, un pazzo che si
era fatto uccidere o che si era voluto far uccidere, e nulla
più.
Eppure,
in quegli
ultimi istanti della sua vita, le era sembrata la
cosa più bella del mondo. Era stato felice di essersi
sacrificato per salvarla: finalmente era riuscito a dimostrarle quanto
l'amava.
E
poi, era giunto il
buio.
Erano
passate poche
settimane da quel giorno, ma adesso gli sembravano
secoli.
Nonostante
ciò, da molto tempo Kisshu aveva la
consapevolezza che ad Ichigo non era mai importato niente di lui.
Il
suo sguardo si
posò su un bambino che gli faceva una
smorfia e rideva. Sentì una fitta trapassargli il cuore, e
abbandonò il passato per ritornare alla sua
realtà.
Questa
volta sarebbe
stato diverso.
Questa
volta, nessuno
avrebbe pianto per lui, stringendolo dolcemente
fra le braccia.
Era
completamente solo.
Nessuno
si sarebbe
preoccupato di lui, del suo dolore, e della sua
mancanza...
Era stato dimenticato
tempo fa.
Ma
non voleva dare loro
la soddisfazione di vederlo soffrire. Non
avrebbe implorato pietà. Non avrebbe implorato la
liberazione da quel dolore così terribile. No…
Uno
sparo.
...un
brivido scosse il
suo intero corpo...
…ancora
pochi secondi e poi…
...non
riusciva
più a pensare; Taruto…
Pai… la sua vita sul suo pianeta… la
Terra… Ichigo… il Cavaliere Blu…
Profondo Blu… quella strana sensazione che aveva provato era
tornato a casa… immagini confuse gli attraversarono la testa
senza fermarsi, i suoi occhi saettarono da una parte
all’altra come impazziti e poi, di colpo, il vuoto, in cui
riecheggiò il suo di un altro sparo.
…la
sua vita
era stata un disastro. Nessun pensiero, nessun
ricordo… niente che gli importasse veramente.
Aveva
seguito gli
ordini di un re avvolto
nell’oscurità, ma alla fine aveva cercato di
ucciderlo; aveva odiato gli esseri umani, ma si era innamorato di uno
di loro…
…non
aveva
mai preso niente veramente sul serio, la sua
vita… era solo un idiota, Pai aveva ragione. Ma, anche se
avesse voluto cambiare, ormai era tardi. Come se stesse guardando una
scena al rallentatore, Kisshu vide l’alieno accanto a lui
prepararsi a sparare per la terza volta, poi...qualcuno urlava nella
sua testa, ma il rombo della folla lo assordava – sentiva
solo il cuore che batteva e sembrava l’unica cosa viva nel
suo corpo scosso da brividi strinse i pugni e gli occhi sentendo il
sangue che gli ribolliva nelle vene e poi, di colpo....
...uno
sparo.
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!»...
|
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Capitolo 7 *** Angeli protettori...miao! ***
23/04/2014:
Santo
cielo, continuo a
vergognarmi tantissimo dei dialoghi che
scrivevo. Non prenderò mai piu' in giro i 13enni che
scrivono fanfic
(esclusi quelli che scrivono porno scemi con Justin Bieber: loro vanno
bashati a prescindere).
- Capitolo 6: Angeli
protettori...miao! -
«Però,
che peccato. In fondo, era
carino.»
L'eco di uno scoppio
improvviso risuonò nell'aria. Uno
sparo. Il primo. Un sorrisino curvò le labbra
dell'imperatrice Kassidiya, che stava assistendo
all’esecuzione di quella che stava per diventare la sua
ennesima vittima.
«Mi dispiace
un po’ lasciarlo morire
così,» sussurrò, ma il tono ipocrita e
la leggerezza delle sue parole tradiva le sue vere emozioni.
In realtà,
Kassidiya si stava divertendo immensamente.
Seduta sul suo trono con le gambe accavallate, una mano a sorreggerle
pigramente il mento, la Sovrana non staccava lo sguardo da
Kisshu: osservava le sue reazioni, i suoi movimenti, e giocava a
cercare di indovinare il suo stato d'animo in quei suoi ultimi secondi.
Si morse un labbro
impaziente. Lanciò un’occhiata
distratta a Pai, seduto accanto a lei: l’aveva già
messo alla prova facendogli incontrare i suoi fratelli, ma solo ora,
scorgendo l'espressione indifferente che gli congelava il viso, ne ebbe
la piena certezza: lui era davvero suo.
Piegare al suo volere
l'algido e determinato Pai si era rivelato molto
più semplice del previsto, così semplice che le
sembrava quasi strano. Ma d'altro canto, pur supponendo che lui stesse
solo fingendo di essere sotto il suo controllo, Pai non avrebbe certo
lasciato morire così suo fratello, senza fare niente per
cercare di salvarlo… giusto?
Il secondo sparo
riportò la sua attenzione sul patibolo:
mancavano solo pochi secondi.
Kassidiya sorrise di
nuovo mentre mormorava, con le labbra contorte in
un'espressione crudele: «Meno tre…meno
due…meno uno…»
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!»
«C-Che
cosa?!»
In quell'istante, il
terzo e decisivo sparo rimbombò per la
piazza.
«FERMI! NON
FATELO!» dichiarò una voce
forte e acutissima, così inaspettatamente che fu come se,
per un momento, il tempo si fosse fermato: il giustiziere si
dimenticò di premere il pulsante, la folla rimase
silenziosa, il soldato sul patibolo restò immobile con la
sua arma fumante ancora alzata e stretta nella mano.
Kisshu
lasciò passare qualche secondo di quell'innaturale
silenzio. Poi si decise ad aprire con cautela un occhio.
«Guardate
lassù!” strillò
qualcuno indicando il palazzo.
Praticamente tutti i
presenti seguirono con lo sguardo la direzione
verso cui puntava quella mano, e la videro: dall’alto del
cortile, in piedi sulla cima di una torre del palazzo, una figura
femminile, per nulla impaurita, ricambiava i loro sguardi.
«Eh?»
«Ma
cosa...»
«E'stata lei
a gridare?»
«Chi…cosa
è quella?»
Anche Kisshu, per
quanto immobilizzato dalle catene, girò la
testa quel tanto da permettergli di scorgere con la coda dell'occhio la
sua misteriosa salvatrice. Gli ci volle un solo istante per
riconoscerla; sbalordito, l’alieno spalancò la
bocca.
Non era possibile. Non
poteva essere vero.
Kisshu
pensò che probabilmente quella storia gli aveva fatto
saltare il cervello.
Si, si, era diventato
pazzo ed ora aveva le allucinazioni, non c'era
dubbio.
Ma se quella era
davvero un'allucinazione, allora perché
tutti riuscivano a vederla?
Ma era
impossibile...lei non poteva essere lì....non era
fisicamente possibile...
La figura fece qualche
passo verso il bordo della torre, lasciando alle
sue spalle l'ombra che la avvolgeva: indossava un paio di stivali
rossi, alti fino al ginocchio; i capelli morbidi rilucevano dello
stesso colore dei suoi corti abiti e dei suoi grandi occhi rosa. Dalla
testa spuntavano due orecchie da gatto, ed aveva una lunga coda nera
con un fiocco rosso.
«Basta
così! Non osate far loro del
male!» gridò la misteriosa figura. Con una serie
di salti felini, in pochi secondi fu accanto a Kisshu.
Quest'ultimo la
guardava senza riuscire a chiudere la bocca.
Il soldato sul
patibolo, invece, ci mise poco a riprendersi:
«CHI SEI?!» gridò con rabbia alla nuova
venuta.
«Oh, ti
prego, non guardarmi così,»
rispose quella con un gran sorriso. «Io sono solo un angelo
protettore, degli amici custode. Hmm…miao!»
«Muori!»
«Questo non
è molto carino da parte tua,
sai?»
Il soldato le
puntò contro la sua pistola e
sparò, ma lei evitò prontamente il proiettile che
ne fuoriuscì. Compì un balzo in avanti,
raggiungendo il suo avversario e sferrandogli un calcio che non
poté evitare: quello perse l’equilibrio e cadde
giù dal palco.
La folla, dopo un
momento di indecisione, urlò e
applaudì, soddisfatta..
«Ehi, grazie
ragazzi!» la combattente vestita di
rosa sfoderò un sorriso raggiante e fece un piccolo inchino
al pubblico, che applaudì ancora più forte.
Sembrava davvero un
concerto.
Sulla tribuna delle
autorità, però, qualcuno era
molto meno contento.
Di certo non era Pai,
che osservava la scena con un sorrisetto
impercettibile. E nemmeno il consigliere Shiroi, che continuava a
strofinarsi gli occhi e ripetere, come un registratore rotto:
«Io… sto sognando? Ma chi è? Non so
proprio chi sia… forse… forse sto
sognando?»
Era Kassidiya. La
giovane Sovrana, furiosa, stringeva i braccioli del
suo trono come se volesse spezzarli. I suoi occhi brillavano di odio
allo stato puro mentre mormorava fra sé e sé,
fissando i suoi occhi sulla nuova arrivata: «...conosco una
sola persona capace di tutto questo…»
Kisshu era stato
liberato dalle catene che lo imprigionavano.
Ma, sebbene fosse
finalmente libero, non si mosse di un passo: era
troppo stravolto anche solo per pensare qualcosa. L’unica
cosa che riuscì a fare fu squadrare per l’ennesima
volta la sua liberatrice e sillabare sconvolto, senza riuscire a
toglierle gli occhi di dosso:
«I-Ich…I...ICHIGO?!?!?!»
Lei gli
afferrò un braccio senza troppi complimenti.
«Ehm, più o meno. Ne riparliamo dopo,
‘k?»
Saltarono entrambi
giù dal patibolo e raggiunsero le guardie
che ancora tenevano prigioniero Taruto.
«Ehi voi,
liberate Taruto o assaggerete la mia
ira!» dichiarò la più-o-meno Ichigo.
«Ma tu chi
sei? Che razzo vuoi?» chiese Roll
sfoderando la sua spada.
«Analfabeta!»
replicò l’altro.
«Non si dice razzo, si dice…»
Prima che potesse
finire la frase, Mew Ichigo (più o meno)
raggiunse i due e gli sussurrò a bassa voce, in tono di
rimprovero: «Ma cosa state combinando? State mandando a
rotoli lo spettacolo che ha organizzato la Sovrana
…perché quelle facce? Non ditemi che non lo
sapevate!»
I due si scambiarono
un’occhiata confusa. Poi,
all’improvviso, con un pugno sul naso Roll stese il compagno.
Quindi si voltò verso la ragazza e disse, imbarazzato:
«Ci scusi, signorina, questi idioti non mi hanno informato
della cosa, sono…sono desolato!» Si rivolse al
compare che sorvegliava Taruto: «Liberatelo…e dopo
facciamo i conti!»
«Ma…»
«HO DETTO DI
LIBERARLO!»
E così fu.
Taruto si affrettò a raggiungere
Kisshu.
«Bene,
grazie per la collaborazione, ragazzi…ciao
ciao!!» e in un lampo, i tre si eclissarono, mescolandosi fra
la folla plaudente.
«…ma
non può essere…era
morta…E’ morta…» continuava
intanto a sillabare Kassidiya con gli occhi sbarrati.
«Se vi
riferite all’essere vestito di rosa, mia
Sovrana, è vivo e sta scappando con i due
condannati,» osservò tranquillamente Pai.
Un lampo
illuminò gli occhi dell’aliena:
«Guardie!» strillò. «Catturate
quella ragazza! Lei e quegli altri due! Voglio che mi portiate le loro
teste immediatamente!»
Mentre Kassidiya
urlava queste parole come una pazza isterica, Pai si
alzò e si allontanò.
«FERMO! NON
DICEVO A TE, IDIOTA!!!»
Le guardie, ricevuto
l’ordine, entrarono in azione: decine di
alieni armati tagliarono in due la folla nel punto in cui erano
scomparsi i tre fuggitivi, lanciando urla selvagge mentre estraevano
dal fodero le loro spade e le pistole.
«Però..sembra
tutto vero,»
mormorò Roll interessato, osservando i suoi compagni
all’inseguimento.
«Ehm,
signore…» un suo subordinato gli
stava picchiettandolo col dito sulla spalla.
«Pare… pare che sia tutto vero, signore.»
Roll lo
guardò e ci pensò su un momento.
«Cosa?!» esclamò dopo qualche secondo.
«TRADIMENTO! SIAMO STATI IMBROGLIATI!»
«Si dice
giocati,» corresse il suo compagno.
Il terzo scosse la
testa: «Io direi, presi per
il…»
«Idioti, non
perdete tempo! Inseguiamoli!!» e i tre
si gettarono fra le due ali di folla, che si richiuse dietro di loro,
mentre i cori di applausi e le risa dei bambini non riuscivano a
spegnersi.
Una risata sincera e
innocente era molto meglio di una condanna a
morte.
Decisamente.
Kisshu e Taruto,
incapaci di pensare a qualsiasi cosa, non riuscivano a
fare altro che seguire la loro salvatrice.
Mew Ichigo era
più avanti di loro di pochi passi, e correva
agile e veloce nei vicoli in cui avevano trovato una via di fuga. La
stradina che stavano percorrendo rasentava una delle cinque mura che
partivano dal Palazzo Imperiale, che dividevano la Capitale in quattro
settori; si intrecciava con altre vie, formando un vero e proprio
labirinto fatto di lunghe strade che si chiudevano in vicoli ciechi,
passaggi sotterranei, uscite, accessi, luci, ombre. Mew Ichigo si
muoveva per quel groviglio di strade come se lo conoscesse a memoria,
anche se ciò era... era praticamente impossibile.
I tre si inoltrarono
sempre più in quel labirinto: saltarono
mura, svoltarono angoli, attraversarono strade strettissime e larghe
piazzette rotonde. Alla fine, i tre si ritrovarono su una lunga strada:
incorniciata da abitazioni in pietra e metallo, del tutto deserta,
proseguiva in rettilineo per alcune centinaia di metri.
Intorno a loro era
calato il silenzio. Non si udiva alcun rumore, solo
urla molto lontane: erano riusciti a disperdere i loro inseguitori, ma
Mew Ichigo non sembrava intenzionata a fermarsi. Continuava a correre,
voltandosi ogni tanto indietro per controllare se Kisshu e Taruto la
stavano seguendo, o se qualche guardia abbastanza scaltra fosse
riuscita a raggiungerli.
«Ehi!»
ansimò Taruto, alle sue spalle.
«Ascolta! Ci vuoi spiegare cosa –»
«Eccoli! Li
abbiamo trovati!»
Taruto smise di
parlare alla ragazza per lanciare uno sguardo davanti a
sé: un gruppetto di guardie aveva appena bloccato la fine
della strada.
«Ops…da
questa parte!»
esclamò Mew Ichigo mentre lo afferrava per un braccio,
trascinandolo in un vicolo in cui si riparò anche Kisshu.
«Quello
è un vicolo cieco!»
dichiarò uno degli inseguitori, raggiante.
«Prendiamoli!» gridò, agitando la spada.
I suoi compagni lanciarono un urlo di vittoria mentre percorrevano
velocemente i pochi metri che li separavano dai fuggitivi.
«Sono qui!
Catturiamoli!» gridò
qualcuno. In pochi secondi, le guardie raggiunsero il vicolo: era buio,
perché tre mura imponenti lo circondavano. Le guardie
svoltarono l’angolo e sollevarono le armi, ma il vicolo era
deserto.
Alla fine un giovane
volontario, dopo essersi guardato intorno, si
azzardò a fare la domanda che tutti stavano pensando,
ovvero: «Scusate...ma dove sono finiti?»
«Sono
scappati! Ma come hanno fatto?!»
sillabò confuso un altro soldato, strofinandosi la visiera
del pesante casco di ordinanza, come se fosse quello a impedirgli di
vedere i fuggitivi.
«Uhm, non lo
so, Noze,» gli rispose il compagno,
stranito. Con un gesto si sfilò il casco, rivelando un
giovane volto dai lineamenti sottili, capelli scuri e grandi occhi
azzurro intenso. «Ma sai, credo che sia meglio per te se ti
tappi le orecchie, arriva il capitano...»
Il soldato non ebbe il
tempo di finire la frase che un alieno
allampanato si materializzò insieme ad un gran drappello di
guardie. Aveva una sottile fascia bianca cucita sulla divisa e non
indossava un casco, ma aveva una sorta di tatuaggio sulla fronte, e una
vocetta acuta da donna che lo rendeva ridicolo mentre strillava,
infuriato, verso di loro: «MA CHE IMBRANATI! IDIOTI! VE LI
SIETE LASCIATI SCAPPARE! VI FARO’ CONDANNARE! NON LA
PASSERETE LISCIA! VI FARO’ SBATTERE FUORI DA QUI A CALCI,
SONO STATO CHIARO?!»
«Ma
capitano,» obiettò timidamente la
guardia chiamata Noze, «eravamo certi che fossero entrati
qui….»
«SI CERTO,
ED IO SONO UNA FEMMINA!»
«Beh, in
effetti...» sussurrò
ironicamente la guardia che poco prima si era sfilata il casco,
ridacchiando. Lui doveva aver sentito la battuta, perché si
voltò verso di lui furioso – ma, dopo meno di un
secondo, lo indicò sbalordito con il dito, e
gridò: «ECCOLO! IL FUGGITIVO SI E’
TRAVESTITO, MA L’HO SCOPERTO! CATTURATELO!»
Le guardie si
guardarono in faccia l’un l’altra,
confuse.
«Ehm…capitano,
lui non è il
fuggitivo… lui Ai, è uno dei nostri,»
spiegò Noze, non senza imbarazzo. In effetti, ora che lo
notava, il suo compagno aveva una certa somiglianza con Kisshu.
«E poi, quelli sono fuggiti in questo
vicolo…»
«RAZZA DI
BABBEI IGNORANTI!» li interruppe allora
il capitano. «E COME AVREBBERO FATTO A SPARIRE IN QUESTO
VICOLO SECONDO VOI, EH? QUA NON SI PUO’
VOLARE,
NE’ MATERIALIZZARE O SMATERIALIZZARE A PIACIMENTO!
DOVE LI METTETE I SENSORI, IMBECILLI, EH?!»
«Forse…
forse hanno usato un cristallo di
diamante!»
Ai scosse la testa.
«Se lo avessero usato, avremmo percepito
la distorsione del campo creato dai sensori e li avremmo individuati in
un attimo, Noze...»
«E allora
hanno saltato!» dichiarò
un’altra guardia, indicando il muro davanti a sé:
era alto almeno sei metri.
«OH, SI! O
MAGARI SONO PASSATI ATTRAVERSO LA PARETE,
NO?!» strillò sarcastico il capitano, e il suo
drappello scoppiò in una risata sguaiata.
In effetti, era andata
proprio così, ma nessuno di loro
poteva saperlo.
***
Pochi minuti prima…
Inseguiti dalle
guardie, Mew Ichigo, Kisshu e Taruto si
infilarono nel vicolo che lei gli aveva indicato. Una volta
entrati, Mew Ichigo lasciò andare il braccio di Taruto, che
cadde a terra.
«Ahia! Sta' attenta!»
Il bambino si rialzò velocemente, guardandosi intorno, e
sussultò quando capì dove si trovava.
«Ma è un vicolo cieco!» gridò
disperato, indicando l’altissimo muro che bloccava il
passaggio.
I rumori in strada si fecero sempre più numerosi e forti.
«Stanno arrivando!» incalzò Kisshu,
ansimante e visibilmente preoccupato. «Dobbiamo andarcene da
qui. Ehi! Mi hai sentito?» esclamò rivolto a Mew
Ichigo, che lo ignorò.
La ragazza gatto rivolgeva loro le spalle; le sue mani scorrevano
rapidamente sulle pareti laterali di quel vicolo cieco.
«Dovèdovèdovèdovè…»
continuava a ripetere febbrile, tastando veloce i pesantissimi blocchi
di pietra che formavano il muro.
«Ma che fai?!» esclamò Kisshu
spazientito, afferrandola per le spalle e spingendola contro la parete:
«Dobbiamo andare via di
qu….iiiiiiiiii!!!!!!!!!!»
Fu un attimo: come se il muro dietro Mew Ichigo non esistesse, lei
ricadde all’indietro, trascinando uno sbalordito Kisshu con
sé, oltre la parete.
«Ouch! Siiii, trovato! Kisshu, sei un genio!!!»
«Ma che…» Taruto, che aveva osservato
tutta la scena con la bocca spalancata, in un balzo raggiunse il punto
in cui erano scomparsi i due.
«Sono qui! Catturiamoli!» gridò una voce
a pochi metri da lui, in strada. Senza pensarci due volte, Taruto si
lanciò contro il muro; le più elementari leggi
della fisica gli ricordavano che con quel gesto avrebbe solo rimediato
un bel bernoccolo… ma il piccolo oltrepassò la
parete come se fosse un fantasma.
Taruto si ritrovò in un posto avviluppato in
un’oscurità tale che neanche i suoi occhi alieni
riuscivano a perforarla. Sentì che, dall'altra parte del
muro, le guardie avevano raggiunto il
vicolo.
Sobbalzando per il terrore, inciampò in qualcosa e ricadde
su un duro pavimento di pietra; ma non osò lamentarsi:
sentiva le voci delle guardie come se fossero ad un metro da lui.
E in effetti, lo erano.
Taruto riusciva a distinguere le loro sagome confuse da una piccola
parte del muro che aveva una particolarità: era
semitrasparente. Era la stessa da cui era passato.
Ma sembrava che, al contrario, le guardie non potessero vedere lui. Il
bambino li sentì discutere fra loro finché non
giunsero i rinforzi: le urla stridule del capitano si udivano anche
oltre il muro di quel passaggio segreto, ma Taruto non osò
aprire bocca; sapeva che se, fosse scoppiato a ridere, sarebbero stati
tutti scoperti.
Improvvisamente, l'alieno dai due codini sentì un rumore
soffocato accanto a lui; pregò che nessuno là
fuori se ne fosse accorto. Preoccupazione inutile, dato che il capitano
ancora stava gridando.
Quando alla fine smise, e Taruto sentì il rumore dei suoi
passi allontanarsi, tirò un lungo sospiro di sollievo.
Scattò a sedere, cercando di scorgere qualcosa nel buio: i
suoi occhi alieni gli permisero di vedere suo fratello a terra
stringere una mano sulla bocca di Mew Ichigo, che era sotto di lui.
Quando i rumori all'esterno furono del tutto cessati, segno che i
soldati erano andati via, Kisshu tolse la mano e si mise a sedere,
sussurrandole a bassa voce: «…ma sei scema? Volevi
farci scoprire?!»
«Scusami!» disse Mew Ichigo. Si sedette in
ginocchio, scoppiando nella risata che Kisshu aveva cercato di
trattenere.
«Non ci trovo niente di divertente,» ammise lui,
serio. Per quanto cercasse di controllare le sue emozioni, dal suo viso
traspariva ancora un'espressione stravolta. Non si era ancora del tutto
ripreso dagli ultimi avvenimenti.
«Allora,» cominciò, quando Mew Ichigo
tornò silenziosa. «Ora tu mi spieghi cosa sta
succedendo, prima che io…»
«…mi baci?» concluse lei, e Kisshu si
voltò indietro per guardarla scioccato: arrossì
leggermente ed indietreggiò, perché i loro visi
erano molto vicini. «Mossa sbagliata: se Ichigo viene
baciata, si trasforma in un gatto.»
Kisshu spalancò la bocca, senza riuscire a spiccicare parola.
«Ehm…scusate…» Taruto avrebbe
potuto lasciare soli i due piccioncini, ma preferì chiedere
in tono abbastanza deciso: «Chiedo troppo se voglio sapere
cosa sta succedendo?!»
Mew Ichigo e Kisshu si voltarono verso di lui, guardandolo come se si
fossero appena ricordati della sue presenza.
«E anche dove siamo,» aggiunse il bambino,
incrociando le braccia.
«Beh…» disse Kisshu lanciando
un’occhiata alla stanza in cui erano caduti «Questo
sembra un…»
«…passaggio segreto,» concluse Mew
Ichigo. «Una porzione di parete é un ologramma.
Per un attimo pensavo che non sarei riuscita a trovarla. Venivo sempre
qui a giocare quando ero piccola, mi divertivo a scappare dalle
istruttric… perché mi guardate
così?!»
«Ma tu chi sei?» chiese Taruto.
«Ehm…io…beh, ecco…»
«Perché somigli così tanto ad Ichigo?
Perché ci hai salvati? Cosa vuoi da noi? CHI SEI?»
«Calma, Taruto!» esclamò Mew Ichigo con
una vena di spavento nella voce. Sotto il peso di quelle domande, si
alzò ed indietreggiò di qualche passo nel buio:
«E’ che io…ecco…io
non…»
Stavolta fu il turno di Kisshu di concludere la frase della ragazza:
«…non è Ichigo,»
spiegò in tono molto sereno, come se stesse
parlando del tempo. «E’ Imago.»
Taruto sgranò gli occhi:
«EEEEEEEEEEEEEHHHHHHHHHHHHH?!?!?!?!»
«Ho indovinato?» chiese Kisshu alla ragazza,
lanciandole uno sguardo penetrante.
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Capitolo 8 *** Rifugio ***
24/02/2014. La
cosa bella è che nella mia fanfic su
Supernatural l'OC che ho creato è un’assassina
psicopatica con problemi
di personalità. Scrivo di lei, e poi torno qui e trovo Imago
che tipo è
la cosa piu' puccia del mondo. Che cosa mi è successo in
questi 10
anni?!
Ah, due precisazioni: a mio parere, Kisshu ha sempre avuto il... bacio facile. Per lui un bacio è una sorta di... dimostrazione di interessamento, non una promessa d'amore eterno, insomma. Inoltre (e qui è colpa mia che non l'ho spiegato abbastanza chiaramente) non si era davvero "innamorato" di Kassidiya, ma era semplicemente caduto pesantemente vittima del fascino di quell'aliena (che ha questa capacità di ammaliare un po' tutti; è una sorta di suo "potere speciale").
- Capitolo 7: Rifugio -
Kisshu aveva indovinato.
In risposta
alla sua domanda, la falsa Mew Ichigo aveva annuito
lentamente. Non riusciva a sostenere lo sguardo del suo interlocutore,
così si voltò dall'altra parte. «Si,
è proprio così,» ammise, rigirandosi
nervosamente fra le dita una ciocca di capelli rosa.
Taruto
sgranò gli occhi. «Ma…ma non e'
possibile!» esclamò, con un tono a metà
fra lo sconcerto e la delusione.
Come
Kisshu, Taruto non sopportava i segreti, ma i suoi motivi erano
diversi rispetto a quelli del suo fratello adottivo: Taruto era
convinto che, se qualcuno gli nascondeva qualcosa, lo faceva
perché lo considerava troppo piccolo.
All’inizio,
Imago gli era stata simpatica perché,
a differenza dei suoi fratelli e di chiunque altro, lo aveva trattato
quasi come un suo coetaneo: loro due avevano parlato molto, e Taruto le
aveva raccontato del suo viaggio sulla Terra, di Profondo Blu, di
Purin, dei suoi fratelli. Anche lei gli aveva raccontato molte sue
esperienze ma adesso, il fatto che lei gli avesse nascosto tutto
questo, lo aveva ferito molto: neanche Imago lo giudicava abbastanza
maturo da mantenere un segreto.
Cosa
avrebbero fatto adesso? Non si fidava più neanche di
Imago.
Rivolse al
fratello uno sguardo arrabbiato che nascondeva una velata
richiesta d’aiuto, ma ben presto si rese conto che Kisshu non
lo aveva degnato di un’occhiata.
Kisshu era
stanco. Dal canto suo, aveva incassato il colpo con una
facilità di cui fu lui stesso il primo a stupirsi. Ma in
effetti, nelle ultime ore erano successe così tante cose che
ormai nulla era più in grado di sorprenderlo.
Meno di tre
giorni fa, Kisshu era insieme ai suoi fratelli a bordo di
un'astronave a sognare il suo ritorno a casa; ora, invece, si trovava
in un buio corridoio, inseguito da persone che volevano la sua morte,
incapace di riconoscere persino chi si trovava davanti a lui. Tutto
ciò era così assurdo, che Kisshu pensava
seriamente che fra pochi minuti si sarebbe risvegliato, ritrovandosi
disteso nella sua branda a ridere dei suoi sogni.
Ma il
risveglio non avvenne, e Kisshu rimase immobile quando vide la
sua ex nemica trasformarsi davanti ai suoi occhi nell’aliena
che lui e i suoi fratelli avevano conosciuto durante il loro soggiorno
nelle prigioni del palazzo.
*
Qualche
minuto dopo, Kisshu e Taruto si ritrovarono a seguire Imago
attraverso il passaggio segreto. Era molto più
vasto di quanto avessero immaginato: in pratica, era un altro
labirinto. Era formato da strettissimi corridoi e scale, quasi
completamente immersi nel buio; una debole luce rossastra proveniva da
pannelli mascherati nel pavimento che rendevano l'atmosfera opprimente.
Taruto
continuava a parlare, e sembrava l’unica cosa viva in
quel sinistro corridoio di pietra grigia.
«Allora,
ci vuoi spiegare come sei scappata, si o
no?» chiese ad Imago per quella che probabilmente era la
decima volta. Puntualmente, non ricevette risposta. Incapace di
sopportare oltre, il piccolo alieno smise di camminare.
«Ascolta!
E’ davvero insopportabile il modo in cui
continui a far finta di non sentirci quando parliamo e tutto il
resto,» disse, anche se in verità
l’unico a parlare negli ultimi venti minuti era stato lui.
«Anche se ci hai detto che ci vuoi portare in un posto
sicuro, ti giuro che se non rispondi…non farò
più neanche un passo. Ehi, mi hai sentito?»
Imago
sospirò. Si, lo aveva sentito, aveva sentito benissimo
le sue parole, e l’amarezza che ostentavano. Ma il problema
non erano le domande che faceva Taruto; il problema di Imago era che
non aveva idea di come comportarsi con lui e con Kisshu.
Se avesse
risposto ad una sola delle sue domande, sarebbe stata
costretta a raccontare tutta la sua storia, cosa che non voleva
assolutamente fare. E oltretutto aveva promesso che non l'avrebbe fatto
finché non fosse tutto finito; se Kisshu e Taruto avessero
scoperto il suo piano, sarebbe saltato tutto.
Avrebbe
potuto benissimo mentirgli, ma non le piaceva raccontare bugie:
ne aveva dette fin troppe.
L'aliena si
fermò e si voltò indietro: Taruto
aveva un’espressione così seria che sembrava
cresciuto di molti anni. Kisshu era rimasto indietro di pochi passi,
camminava con le braccia incrociate e l’aria di chi si
è perso nei suoi pensieri più oscuri.
«Vuoi
sapere come sono scappata?» ripeté
dopo qualche secondo. «Beh, non é niente di
particolare. Ma a Kassidiya sicuramente non
piacerà,» concluse, e, sebbene si fosse voltata di
nuovo avanti, Taruto avrebbe giurato che stava sorridendo.
Sbuffò, e mormorando parole poco felici ,riprese a camminare
dietro di lei.
Imago
cercò di convincersi che, se agiva così,
era per il loro bene. E poi, non poteva permettersi di perdere tempo in
spiegazioni, voleva condurli al punto d'incontro prima possibile.
Comunque sia, non aveva mentito quando aveva detto che il racconto
della sua fuga non era interessante; anzi, ora che ci ripensava, gli
sembrava molto stupido.
Camminando,
ripensò a quando, poche ore prima, il suo
compagno di cella Rugh le aveva toccato lievemente la spalla.
“Che
hai, Imago?” le aveva chiesto con molta
serenità.
“Li
hanno
portati via…” gli aveva risposto lei in un
sussurro.
“Chi,
quei due
che vogliono condannare a morte? Beh, perché fai quella
faccia? Cos’altro ti aspettavi?” aveva chiesto lui
dopo qualche secondo. Era sorpreso della tristezza della sua compagna.
“Lo sapevi già che sarebbe successo. O
no?”
Lei
lo aveva guardato
sconsolata, ma Rugh non aveva saputo interpretare quello sguardo come
una risposta. “Non è certo la prima volta che lo
fanno, su, perché sei così triste? Non li
conoscevi nemmeno.”
“Loro…erano
speciali…”
“Speciali...?”
“Nah,
ti
passerà col tempo. E poi, prima o poi, verremo portati via
tutti, quindi non vedo dove sia il problema.”
A
parlare con tale
leggerezza era stato un altro alieno intervenuto nella conversazione.
“Tu
non li hai
visti, ma sono morti tanti dei nostri amici che erano qui, imprigionati
ingiustamente e poi ammazzati come bastardi della peggior specie.
Purtroppo è il nostro destino, dobbiamo accettarlo.
E’ così…” aveva spiegato
Rugh, con la rassegnazione nella voce, “…e lo
sarà sempre, finché i nostri sovrani non si
renderanno conto che, per quanto poveri sudditi, anche noi abbiamo
un’anima.”
Così
dicendo,
Rugh aveva pensato di averla tranquillizzata, invece le sue parole
avevano ottenuto l’effetto contrario. Infatti, quando la
nibiriana aveva alzato la testa sui suoi compagni, il suo viso era
illuminato da uno sguardo molto determinato:
“Ragazzi!” aveva esclamato decisa. “Non
possiamo permettere che li uccidano!”
Gli
alieni si erano
guardati in faccia l’un l’altro: “Ah,
no?”
“Dicci
solo un
motivo perché dovremmo aiutarli,” aveva detto un
vecchio incrociando le braccia.
“Già.
Moriranno come tutti gli altri.”
“Invece
no!” aveva replicato lei. “Non lo
permetterò. E non morirà nessun altro per colpa
di Kassidiya.”
“E
cosa
vorresti fare da sola?” a parlare in tono
così sarcastico era stata una donna dall’aspetto
sgradevole.
“Da
sola? Da
sola non posso fare niente…” aveva ammesso lei.
“Però, se mi aiutate, forse…”
“CHE?!
Scordatelo!” aveva dichiarato il vecchio.
“Sono
già abbastanza nei guai per conto mio,” aveva
replicato un altro.
“Già,
anche noi!” avevano annuito i restanti.
A
sentire
ciò, lei aveva assunto un’espressione sconsolata.
“Ah. Si. Certo. Capisco. Avete ragione,” aveva
detto, e si era voltata dall'altra parte. “Vuol dire che
farò da sola. Comunque…grazie di tutto,
amici,” aveva aggiunto poi con una vocina triste.
Per
la seconda volta,
gli alieni si erano scambiati un’occhiata.
“E
va
bene,” aveva sospirato Rugh dopo qualche secondo,
“hai vinto!”
“Uhn,
Grazie!” Imago gli era praticamente saltata
addosso, abbracciandolo e facendolo diventare molto rosso.
“Vi voglio bene!”
“Poche
sdolcinatezze. Cos’hai in mente?”
“Dopo
quasi un
ater trascorso qui dentro, ho capito che le guardie della prigione sono
più stupide di…qualunque altra cosa,”
aveva sorriso lei.
“E
quindi?”
“Piano
di
evasione semplice: Nikal, tu sai imitare bene la voce del capitano
Korn, vero?”
“Perché
credi che mi abbiano sbattuto qui dentro?” aveva risposto una
ragazzina mentre gli occhi le si illuminavano.
“Bene….allora
facci vedere cosa sai fare!”
Qualche
secondo dopo,
dalla cella si era levato un gran vociare, che aveva attirato
l’attenzione delle uniche guardie rimaste a sorvegliare le
prigioni. Le altre erano tutte fuori per l'esecuzione.
“Ehi
voi
lì dentro!! Cos’è questo
caos?!” avevano chiesto sospettose, attirate dai rumori.
Sbirciando fra le sbarre, videro che tutti i prigionieri si erano
ammucchiati intorno a qualcosa o qualcuno che urlava.
“TIRATEMI FUORI DA QUI, IDIOTI!”
“Capitano?”
“Cosa
ci fa
là dentro?”
“Come
ci
è finito, direi…”
“E
se fosse
una…”
“UCCIDIAMOLO!”
aveva strillato il vecchio alieno facendo un gran rumore con le catene.
“CHE
STATE
ASPETTANDO!? MUOVETEVI! RAZZA DI CRETINI!”
“S-subito
capitano!”. Le guardie erano accorse per aprire la cella, le
spade sguainate.
“Voi!
Allontanatevi subito dal nostro capitano!”
I
prigionieri avevano
eseguito l’ordine e si erano allontanati, mentre le guardie
si erano avvicinate a quello che credevano il loro capitano; ma,
naturalmente…
“…capitano?”
“Ciao!”
aveva sorriso la piccola Nikal.
“Non
è il capitano!”
“ADDOSSO!!”
avevano gridato i carcerati, gettandosi sulle guardie.
«Dove ci stai
portando?» chiese improvvisamente
Taruto.
Imago fu
destata di colpo dai suoi pensieri.
«Perché me lo chiedi?»
replicò velocemente. «Non ti fidi di me?»
«No,»
rispose lui sincero. «Ci stai
facendo girare per questi corridoi da un sacco di tempo. Credo che tu
non abbia la minima idea di dove conducano. Ed ora, guarda: ci
ritroviamo ad un altro bivio. Ne ho visto uno identico poco fa. Secondo
me ci siamo persi!» dichiarò.
Imago
rimase a guardarlo per qualche secondo, poi, contrariamente a
tutte le aspettative, sfoderò un sorriso radioso:
«Non vi fidate di me? Bravi, fate benissimo!»
«Che
cosa?!»
Come se non
stesse aspettando altro da tempo, Taruto
indietreggiò, portandosi in una posizione di combattimento.
Kisshu, invece, fece un’espressione che mandò a
farsi benedire all’istante tutta la sua indifferenza:
«Che vuoi dire?» chiese con sospetto.
«Oh,
Kisshu, mi mancava la tua voce!»
osservò Imago in tono allegro.
Kisshu
inarcò un sopracciglio.
«Dicevo,
neanche io mi fiderei di una come me. Non pensate
che sia un po’ suonata? Comunque non c’è
da preoccuparsi, dato che l’unica cosa che voglio fare
è aiutarvi,» mentre scandiva con una certa enfasi
quest'ultima parola, l'aliena aveva fatto qualche passo in avanti
verso il bivio: a destra c’era una scala che scendeva verso
il basso, a sinistra un corridoio ingoiato
dall’oscurità. Imago non scelse ne’
l’una ne’ l’altra strada, ma
andò avanti e si fermò davanti alla parete. Diede
un colpetto ad una grossa pietra rotonda, e questa cigolò e
si aprì come se fosse una porta. «Ecco
fatto, siamo arrivati. Seguitemi!»
Imago
attraversò quell’ingresso improvvisato, ma
ne’ Kisshu ne’ Taruto si mossero di un passo.
Allora lei tornò indietro e incrociò le mani in
segno di preghiera: «E’ l’ultima cosa che
vi chiedo. Per favore!» li pregò.
I due
fratelli si scambiarono un’occhiata; erano ancora molto
incerti, quando si decisero a seguirla.
La parete,
spessa almeno una trentina di centimetri, si richiuse dietro
di loro; probabilmente, era mossa da un meccanismo automatico.
Il locale
in cui Kisshu e Taruto si ritrovarono era completamente
diverso dal resto del passaggio segreto: una stanza molto larga, aveva
le pareti metallizzate e il pavimento era di pietra bianca. Una luce
chiara scendeva dai neon incastrati nel soffitto. Era arredata, anche
se in modo molto semplice: c’erano un paio di vecchi tavoli
rettangolari, e delle cose basse e larghe, che assomigliavano a delle
poltrone, oltre a vari altri oggetti ammucchiati accanto alla parete
destra. A sinistra, invece, c’erano tre porte: una era
semiaperta, e da essa si intravedeva un corridoio, anch’esso
illuminato.
«Wow!
Dove siamo?» domandò Taruto. Dopo
tanto buio, per lui era una piacevole novità ritrovarsi in
un luogo illuminato in modo decente.
«In
un passaggio segreto nel passaggio segreto,»
spiegò Imago sorridente, incrociando le braccia dietro la
schiena. «Potete nascondervi qui finché le acque
non si saranno calmate. Non vi troverà nessuno,
garantito!» dichiarò.
Kisshu e
Taruto la guardarono increduli.
«Che
c’è…non vi sembra una
buona idea? Oppure…non vi piace?»
«Beh,
no…ma…» Kisshu
lanciò uno sguardo in giro, incerto. «Anzi, mi
sembra una buona idea, però…»
«E’
splendido!» trillò Taruto,
che al contrario del fratello, sembrava letteralmente entusiasta. Era
incredibile la capacità del piccolo di passare da uno stato
emozionale all’altro. Ma d’altronde, lui era sempre
stato così.
«Guarda!
Ci sono anche altre stanze! E’ grandioso!
Vado a dare un’occhiata!»
In un
attimo, il bambino alieno era scomparso in uno dei corridoi.
«Non
ti allontanare,» lo raccomandò
Kisshu debolmente. In un altro momento, sarebbe stato felice di essersi
tolto quel moccioso impertinente dai piedi, ma adesso la mancanza di
suo fratello lo infastidiva non poco: fino a quel momento, era stato
Taruto l’unico a parlare; aveva riempito l’aria
delle sue chiacchiere e delle sue domande, ma ciò, invece di
seccarlo come al solito, aveva fatto sentire Kisshu decisamente
più sollevato.
Era un po'
come se Taruto, sebbene non si fosse rivolto quasi mai a
lui, in realtà non avesse fatto altro che parlargli, e
rassicurarlo che lui non era solo in quell’orrenda
situazione, che c’era anche lui, che erano insieme. Senza di
lui, ora, Kisshu era solo. O meglio, era solo con quella tipa
così strana e di cui non sapeva più cosa pensare,
e un silenzio opprimente si era già impadronito anche di
quel luogo.
Cosa doveva
fare ora?
Doveva
parlare con lei?
Kisshu
aveva quasi paura di comportarsi con Imago come faceva
normalmente con le altre femmine.
Imago non era come le altre.
Ma
d’altro canto, non poteva certo rimanere lì,
immobile, finché Taruto non ritornava. Potevano passare ore
prima che il piccolo esaurisse la sua curiosità e le sue
energie. Quel posto non era certo il più bello che avesse
mai visto, ma non era male. Nella situazione in cui si trovavano, era
davvero una benedizione. Kisshu sentiva di dover ringraziare Imago per
questo. Certo, gli aveva mentito e gli stava nascondendo
chissà quanti altri segreti… ma, in fondo, li
aveva aiutati. Aveva davvero fatto di tutto per portarli in salvo, per
cui Kisshu decise che, per il momento, l’avrebbe almeno
ringraziata.
Lei stava
passeggiando per la stanza mormorando quasi fra sé
e sé frasi sconnesse sui momenti che aveva passato in quel
posto, anni prima.
Kisshu la
chiamò, e lei si voltò a guardarlo:
«Si, Kisshu?» chiese, indifferente.
Pessima
interpretazione. Non stava aspettando altro,
l’avrebbe capito chiunque...o almeno, chiunque non stesse
combattendo una furiosa battaglia interiore come stava facendo Kisshu
in quel momento.
«Io…io
voglio…»
pronunciò l’alieno, mentre i suoi pugni si
stringevano in un gesto nervoso. «Io voglio sapere chi sei tu
in realtà,» concluse.
Ma che
diavolo gli saltava in mente?
«Parli
con me?»
Ah, al
diavolo.
«Smettila.
Come hai fatto a trasformarti in Ichigo? Come facevi a sapere chi
è e come parla?»
Imago
indietreggiò, assumendo un'aria imbarazzata.
«Mi dispiace…» blaterò.
«Io…»
Kisshu
aggrottò la fronte.
«D’accordo,
ho capito…»
L'aliena
sospirò, ed andò a sedersi su una di
quelle strane poltrone bianche. Fece un gesto per invitare Kisshu a
sedersi accanto a lei.
Con non
poca incertezza, lui si avvicinò e ne scelse una a
due metri da lei; ma più che sedersi, ci affondò
dentro: era talmente soffice che sembrava fatta di piume. Non era
sicuro se fosse comoda o meno.
Quando
finalmente Kisshu riuscì a sistemarsi in modo
dignitoso, guardò interrogativamente Imago, che
ricambiò il suo sguardo con aria pensierosa prima di
iniziare a parlare.
«Devi
sapere che io ho un potere molto
particolare,» disse. «Quando sono vicina a
qualcuno, sono capace di trasformarmi nelle persone a
cui…come dire… tiene in particolar
modo,» spiegò, incerta.
Kisshu la
osservò con un’espressione che si
potrebbe definire interessata. «Come fai?» chiese
piano dopo qualche secondo.
«Glielo
leggo negli occhi,» fu la risposta della
nibiriana.
L’alieno
sbatté i suoi un paio di volte:
«Tutto ciò è molto romantico, ma io non
tengo ad Ichigo.»
«Oh,
si che ci tieni.»
«No.»
«Su,
non devi nascondere il tuo sentimento, è
bellissimo!»
«Se
tu credi che questa schifezza che ho dentro, che mi
tormenta ogni giorno e che non riesco a dimenticare, sia bellissima,
allora scusami, ma abbiamo idee diverse,» sbottò
improvvisamente Kisshu, non con rabbia, ma con una serietà
tale che quasi spaventò la sua interlocutrice, che
capì in quel momento di aver toccato una ferita ancora
aperta.
Taruto le
aveva raccontato che Kisshu si era innamorato di un'umana di
nome Ichigo, che però non lo aveva ricambiato; ma non
immaginava che il ricordo di lei lo facesse
soffrire ancora; o meglio, non si era minimamente posta questo problema
quando aveva deciso di trasformarsi nella ragazza gatto che aveva visto
riflessa negli occhi di Kisshu. All’improvviso, si
sentì immensamente dispiaciuta. Le bastò capire
in che stato ora si trovava lui per colpa sua per comprendere che era
davvero un’idiota.
La
verità era che Imago viveva per rendere felice la gente;
vedere qualcuno allegro era per lei una gioia immensa. Era in grado di
far sorridere chiunque parlasse con lei ma stavolta, davvero, aveva
sbagliato dall’inizio alla fine. Beh, ormai,
l’unica cosa che poteva fare era cercare di salvare il
salvabile, anche se non aveva la minima idea di come fare.
Kisshu
guardava il muro davanti a lui, ma i suoi occhi erano annebbiati
dai ricordi. Quando finalmente rivolse di nuovo la parola all'aliena,
la sua voce era del tutto inespressiva.
«Qual’è
il tuo vero aspetto?»
fu la sua domanda.
Imago ebbe
un sussulto: «Uh? Da cosa lo hai
capito?» chiese sorpresa.
«Non
sono uno sciocco.»
«Dici?»
«Ti
odio,» dichiarò Kisshu,
più serio che mai.
«Anche
io ti voglio bene, Kisshu.»
Ecco, se
prima aveva qualche dubbio, ora Imago aveva la certezza di
essere davvero una stupida.
«Voglio
vederti.»
Quella di
Kisshu non era una domanda. Era un ordine.
Il sorriso
scomparve dalle labbra di lei.
«No,» dichiarò, seria.
«Perché?»
chiese lui, aggrottando la
fronte.
«Perché…
perché mi vergogno,
ecco!» sbuffò Imago, voltandosi
dall’altra parte.
«Eh?»
sillabò Kisshu, sbalordito. In
quel momento, rinunciò a capire Imago. Fece uno sforzo
enorme per non alzare gli occhi al cielo. «Sei un'anziana, ma
sembri una
bambina,» osservò alla fine.
«Non
sono né anziana né una bambina!»
«Cos-
Quanti anni hai?»
«Terrestri?
Hm…diciassette…»
«Ah…come
me.»
«…si…ehm…meno
due...»
«Quindici?»
Imago
annuì. «Da poco.»
Kisshu fece
uno strano sorriso. Se a lei piaceva giocare, allora
perché non poteva farlo anche lui?
«Allora
sei davvero una bambina. Comunque sia, scherzavo, non
mi importa davvero vedere come sei,» ammise poi alzandosi. Si
diresse verso il corridoio in cui era scomparso Taruto. «Mah,
forse è meglio che vada a cercare quel moccioso di mio
fratello.»
«Dove
vai ora?»
Imago lo
guardò andare via con un’espressione a
metà fra il sorpreso e il deluso. «Sei davvero
impossibile, lo sai, vero?» sospirò. Si
alzò e lo raggiunse in pochi passi. Gli sfiorò un
braccio; lui si girò indietro e trasalì.
«Eh...ma
cosa...?»
«Ecco,
sei contento ora?» gli disse Imago, quella
vera però.
Imago non
era l'aliena dal viso piagato e pieno di rughe e cicatrici che Kisshu e
Taruto avevano conosciuto
in cella; Imago, se quello era davvero il suo aspetto reale, era del
tutto diversa.
Il suo
fisico non era cambiato: piccolo e magro, troppo. In
realtà, Imago era l’aliena più strana
che Kisshu avesse mai visto: aveva la pelle delicata di un colore
rosato molto
simile a quello di un essere umano; i suoi capelli erano ancora legati
in una treccia, ma non erano più neri - osservandoli bene,
Kisshu non avrebbe saputo dire di che colore fossero: un castano molto
chiaro, che si avvicinava all’arancio. Aveva due occhioni
vivaci di un blu molto intenso, tendente al violaceo. Anche la sua voce
era cambiata: era quella dolce e allo stesso tempo vivace con cui aveva
cantato la sua canzone, il giorno prima, nelle prigioni.
Ma,
nonostante la metamorfosi, la sua bellezza non era neanche
lontanamente paragonabile a quella di Kassidiya, e la stessa Ichigo era
molto più carina di lei; eppure, Imago aveva qualcosa di
diverso.
E comunque,
anche se a modo suo, era carina: quegli occhi sembravano
davvero dolci.
Kisshu
sorrise. «Così va meglio,» disse.
«Uffa...»
La ragazza aliena incrociò le
braccia, assumendo un’aria offesa; Kisshu non seppe dire se
lo fosse davvero o stesse scherzando. «Scommetto che ora
vorrai sapere anche il mio vero nome, no?»
Lui
sfoderò un sorrisetto malizioso. «Grazie per
avermelo ricordato, piccola.»
«URGH!
Che stupida!» Imago si colpì
sulla testa con un pugno. «E non chiamarmi piccola. No, no,
il mio nome non te lo dirò mai, mai, mai!»
Il giovane
alieno la lasciò sfogare senza fare una piega;
quando lei ebbe finito, si limitò a dire:
«Allora?»
«Kassimago,»
rispose lei docile.
«Pffff.»
Kisshu
cercò di trattenere una risata, con poco successo.
«Ecco,
vedi? Chiamami Imago.»
Lui
annuì, ancora sorridendo. «A parte gli
scherzi, tu mi ricordi qualcuno, sai?»
«Lo
so,» disse lei, mentre tornava a sedersi.
«Dicono tutti così, ma non ci arriva mai
nessuno.»
«Ah,
no?»
«No.»
«E’
una persona che conosco?»
provò Kisshu.
«Oh,
si,» esclamò Imago con molta
enfasi. «E’ tanto bella quanto nevrotica, indossa
una corona e si chiama Kassidiya.»
«Uh?»
«Ed
è mia sorella,» continuò
la nibiriana, incurante dell’espressione stralunata di Kisshu.
«Eh?»
Gemella.
Anche se sostiene di essere più grande
perché è nata 164 secondi prima di
noi…»
«Ah?»
«Hai…
hm, finito con le vocali?»
«Ma…»
Kisshu
osservò meglio la ragazza. In effetti,
c’era una lontana somiglianza fra lei e Kassidiya nei
lineamenti del viso. Ma era solo un’ombra... Certo, era
già da parecchio che Kisshu aveva capito non trovarsi di
fronte ad una semplice popolana, però pensava che Imago
fosse una borghese. Mai a
pensare che proprio lei…sorella
dell’imperatrice…un momento…
«Noi
chi, scusa?»
«Io
e Kassandra,» rispose Imago come se fosse la
cosa più naturale del mondo.
Kisshu
strizzò gli occhi:
«Siete…ehm…tre?!»
«Sì,
e ognuna di noi ha qualcosa di
particolare.»
Kisshu
deglutì, e fece una strana espressione, come se
avesse appena mandato giù troppo in fretta un gelato
freddissimo. Gli venne persino il mal di testa.
Sprofondò
nuovamente nella sua sedia. Si sentiva come se
invisibili fili stessero collegando fra loro tasselli di un puzzle
nella sua mente. Ma ne mancavano moltissimi, ma
all’improvviso, gli tornarono in mente della parole di Imago.
Parole che parlavano di tre sorelle.
«La
tua canzone…»
«Non
è una canzone. E non è mia.
E’ una profezia,» disse Imago. «Ed anche
esatta. O forse no. Quando parla di me dice una cosa del tipo: Nata per
ultimo è
infine colei / Che degli altri non può far suo che
l’aspetto, / Ma per il suo animo si deve aver rispetto, / Fra
le tre è l’unica perseguitata,»
recitò velocemente. «Andiamo, come si
può avere rispetto di una come me?»
«Kassidiya
voleva ucciderti…»
«Perché
non mi sopporta. Sono troppo...caotica
per lei. Forse teme che possa congiurare contro di lei, come se una
cosa del genere fosse possibile. E' per
questo mi nascondevo, facendole credere che fossi morta.»
«Ora
ti avrà sicuramente scoperto,»
constatò Kisshu, con una punta di preoccupazione nella voce.
«Perché ci hai salvato?»
«Perché,
perché…»
cominciò Imago incerta, e Kisshu pregò
silenziosamente che non cambiasse discorso e che restasse seria.
«Perché non era giusto lasciarvi morire
così. Te l’ho detto: sono d’accordo con
le vostre idee sugli esseri umani. Inoltre, credo che mia sorella sia
una tiranna. Non vorrei dirlo, ma davvero, è un
disastro come Sovrana. Credo che abbia bisogno di qualcuno che la
faccia ragionare… o di qualcuno che la
fermi…»
«Fammi
indovinare, e quel qualcuno saresti tu?»
chiese Kisshu, osservandola con attenzione.
«Io
sono più incapace di lei,»
osservò tristemente Imago. «Ho provato a parlarle,
e per poco non venivo uccisa. C’erano un sacco di persone che
mi davano ragione. Per colpa mia sono morte tutte.» disse.
«Per colpa mia…» ripeté,
stavolta con voce tremante.
«Beh,
ora ci sono io.»
Kisshu la
interruppe prima che potesse andare oltre. Aveva
l’impressione che non gli sarebbe piaciuto vederla piangere.
«Eh?»
«Non
farti strane idee. Ma dopotutto sono in debito con te,
no?» disse lui con noncuranza.
Imago lo
guardò confusa, e seriamente sorpresa:
«No che non lo sei!» sillabò.
«Se vi ho salvati, non è stato certo
perché volevo chiedervi aiuto. E poi, non voglio
più coinvolgere nessuno in questa storia. Questa
è una questione che devo risolvere da sola.»
Più
Kisshu ascoltava, più gli sembrava di
riuscire a capire la ragazza di fronte a lui: il carattere che mostrava
a tutti era simile a quello di Ichigo e Purin; ma in realtà
era – o meglio si sentiva –insicura come quella Mew
Mew dai capelli verdi il cui solo nome turbava l’animo di suo
fratello Pai. Kisshu sorrise. Beh, però era in gamba. Aveva
solo bisogno di…un po’ di fiducia in sé
stessa, forse?!
«Per
quanto detesti dirlo, e non fosse stato per te io e
Taruto saremmo morti.»
«Non
dire così…guarda
che…per me aiutarvi è stato
un…ehm…un piacere!» balbettò
lei. Persino un cieco avrebbe capito che quella situazione per lei era
davvero imbarazzante.
«Anche
per me lo è,» disse Kisshu con un
sorriso dolce come il miele, che la fece arrossire ancora di
più.
«O-ok…g-grazie.»
Kisshu
continuò a sorridere, ma Imago non lo stava
più guardando. Rossa come un peperone, si era girata di lato
e si stava picchiettando nervosamente gli indici. L’alieno
restò qualche secondo in attesa, ma lei continuò
a non parlare.«Ma quanto tempo ci mette Taruto?»
chiese alla fine, più che altro per rompere quel silenzio
imbarazzato. Stava cercando di pensare…ma, a dire il vero,
non riusciva a fare molto in quel momento; aveva appena realizzato che
erano completamente soli in quella stanza, e quanto carina era lei
quando le sue guance vellutate le si coloravano leggermente per
l'imbarazzo, rendendola...appetitosa...
Kisshu
spalancò gli occhi, arrossendo a sua volta.
Improvvisamente, sentiva molto caldo. Cercò di calmarsi:
tutto questo non era affatto da lui.
«Kisshu,»
lo chiamò ad un tratto Imago.
Sentire
pronunciare il suo nome non lo aveva mai emozionato
così tanto. Provò qualcosa come una stretta allo
stomaco. Fame?
«Che
c'è?»
«Io…credo
di aver preso una decisione.»
«Che
cosa?»
Sotto lo
sguardo inorridito di Kisshu, la ragazza si
avvicinò a lui e gli appoggiò con delicatezza le
mani sulle spalle. Non lo guardava negli occhi. Non ci sarebbe
riuscita. Già in quel momento, era talmente rossa che Kisshu
riusciva quasi a sentire il calore delle sue guance.
«Ti
conosco appena, ma se vuoi io…posso essere la
tua Ichigo.»
Lui la
guardò. Aprì la bocca, ma non
riuscì a dire niente. Non perché era imbarazzato,
ma perché non sapeva proprio cosa fare.
Abbassò
anche lui gli occhi:
«No…» disse alla fine.
«Ah...»
Imago
sembrò incassare il colpo abbastanza velocemente. In
un lampo, si alzò e si allontanò il
più possibile da lui. «Oh, scusami, scusami
davvero, sono una stupida!» esclamò, con un con
sorrisetto imbarazzato. «Perdonami. Anzi, ascolta, per
favore, fai una cosa, dimentica tutto quello che ho
detto, fai conto che ero fuori di me per via di un non so cosa
che–»
Kisshu
alzò di nuovo lo sguardo su di lei: «Tu non
devi essere come Ichigo,» disse, interrompendola.
«Vai bene così come sei,» sorrise.
Imago
indietreggiò come se Kisshu avesse impugnato contro di
lei un coltello. Probabilmente, se lo avesse fatto davvero, si sarebbe
sentita meglio: era imbarazzata da far paura....non sapeva affatto come
comportarsi situazioni come questa; a differenza delle sorelle, lei era
sempre stata un disastro in questo tipo di cose.
«Dici
d-davvero…cosa…ah, no, dai,
smettila di scherzare!» esclamò in un tono
stranissimo, a metà fra il serio e il divertito. E
l’imbarazzato. «Non mi conosci per nulla, io dormo
tutto il giorno, mangio un sacco e odio tutte le buone maniere...da
piccola, poi, ero una peste! Ho fatto scappare via piangendo tre
istruttrici, dovevi vedere come mi sgridavan-» non
poté continuare oltre perché, in un attimo,
Kisshu si era alzato e l’aveva raggiunta, catturando le sue
labbra in un bacio.
Quando si
lasciarono, Kisshu le sorrise malizioso. «Scusami,
ma è l’unico modo che conosco per farti stare
zitta.»
«C-Capisco…»
Alla faccia
della ragazza estroversa. Sembrava che stesse per morire.
“Cavoli,
si é trasformata in quella
Retasu,” pensò Kisshu. “Ora
sì che ci vorrebbe Pai.”
«Mi
dicevano sempre che ero terribile con i
maschi,» ammise lei toccandosi i capelli.
«Ma
tu lo sei,» assentì Kisshu
sorridendo, sfiorandole una guancia.
Imago lo
guardò e sorrise appena, ma non riuscì a
fare altro: infatti, in quel preciso momento, Taruto era ritornato.
Ma non era
entrato nella stanza.
Qualcuno ce
lo aveva scaraventato dentro, facendolo sbattere a terra
dolorosamente.
«Taruto!»
Spaventatissima,
Imago corse verso di lui per aiutarlo a rialzarsi.
«Fratellone...aiutami...»
sussurrò il
piccolo.
«Taruto...?»
sillabò Kisshu, stravolto.
«Ma cosa…?»
«Alla
fine vi ho trovati, traditori,» disse una
voce bassa e soddisfatta.
Kisshu si
voltò verso uno dei corridoi illuminati: una porta
era stata spalancata con un calcio da qualcuno che si stava avvicinando
a loro.
Un alieno
alto, dall'aria minacciosa, con i capelli neri e occhi scuri
e impenetrabili.
«Adesso
avrete ciò che vi meritate,»
sibilò, e puntò verso di loro la sua arma, un
ventaglio rosso.
Kisshu
indietreggiò, sconvolto: «P-PAI?!»
|
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Capitolo 9 *** Inganni e complotti ***
24/02/2014. Ora che ci penso, mi sento
un po' come se avessi scritto il Trono di Spade dei poveri, versione
TMM XDD
You! You hit my soul...
you couldn’t make it any deeper inside,
You just hit my soul...
and now only one word is left for me to say:
"Why?"
(Bitter words, Elisa)
- Capitolo 8: Inganni e complotti -
Il ventaglio color rosso sangue che Pai stringeva fra le mani fu scosso
da una scarica elettrica.
L’alieno avanzò a passi lenti nella stanza bianca,
squadrando i suoi tre occupanti con aria assente, e si fermò
a pochi metri da loro. Non era solo: dietro di lui c'erano almeno dieci
guardie armate di pistole a impulsi, una delle quali ancora fumante.
A quella vista, istintivamente, Kisshu si ritrasse indietro.
«Ehilà, fratello!» lo salutò
con un sorriso contrito mentre constatava che tutte le vie di fuga
erano state bloccate. «Qual buon vento, come dicono gli
umani...»
Kisshu non aveva idea di come avesse fatto a Pai rintracciarli
– e soprattutto così velocemente. Non ci mise
molto a fare due più due: suo fratello, da solo, non sarebbe
mai riuscito a trovarli; qualcuno doveva aver fatto la spia.
«Pai...?!» sillabò Imago, lanciandogli
uno sguardo nervoso. Aveva un'aria preoccupata, probabilmente per via
di Taruto, che, privo di sensi, teneva fra le braccia. Il bambino
perdeva sangue da una gamba, e le sue condizioni non sembravano delle
più felici. Imago deglutì: «Ma
cosa…non dovevi…non…»
Pai non la degnò neanche di uno sguardo.
In compenso, Kisshu si pose davanti a lei, come per proteggerla.
«Nah, tu fai silenzio, piccola,» le disse.
«Sono molto, molto arrabbiato con te.»
«Cosa?»
«Non dovevamo essere al sicuro qui? Più tardi noi
due facciamo i conti.»
Il tono con cui Kisshu pronunciò questa frase era scherzoso,
ma lo sguardo che riservò alla giovane, quando
voltò appena la testa per guardarla, era deluso e
accusatorio.
«Perché non sei stata tu, vero...? Ma…
perché? Perché l’hai fatto?
E’… E’ uno scherzo, vero?»
Dall'espressione desolata che assunse Imago, Kisshu comprese che non lo
era. Fu come una pugnalata al cuore. Imago li aveva traditi. Li aveva
condotti in quella trappola solo per consegnati ai loro inseguitori.
Non c’era dubbio che le cose fossero andate così,
eppure tutto questo non aveva senso. Era stata lei a salvarli:
perché li aveva nuovamente ricondotti fra le braccia del
nemico?
Un pensiero orrendo lo assalì.
“Ma cosa state
combinando? State mandando a rotoli lo spettacolo che ha organizzato
l’imperatrice …perché quelle facce? Non
ditemi che non lo sapevate! Ne parlano tutti...!”
Imago aveva urlato queste parole alle guardie per convincerle a
liberare Taruto. In quel momento, Kisshu aveva pensato che fosse un
trucco, ma ora, l’alieno prese in seria considerazione il
fatto che probabilmente non lo era affatto.
E se tutto questo non fosse stato altro che una messa in scena di
Kassidiya – o di chi per lei – per umiliarli? A
stento, Kisshu cercò di reprimere l’ondata di
rabbia che lo aveva travolto.
“Non vi fidate di me?
Bravi, fate benissimo! Neanche io mi fiderei di una come
me…”
Tutto questo… tutto questo era assurdo! Allora anche lei si
era solo presa gioco di lui? E lui che, come un idiota, era arrivato
persino a baciarla...
Kisshu si sentì improvvisamente così stupido e
arrabbiato da desiderare di uccidere qualcuno. Probabilmente, lui
stesso.
«Ascolta, Kisshu…» Imago
cercò di prendergli il braccio, ma lui la spinse via.
«Ti prego, non fare così, io non volevo, ma ho
dovuto farlo! Perdonami, io…»
«IO TI AVEVO DATO LA MIA FIDUCIA!» le
gridò Kisshu.
Le guardie scoppiarono in una sonora risata di scherno. Anche Pai
incrociò le braccia, una smorfia crudele dipinta sul viso.
Kisshu lo squadrò con rabbia: «Tu ridi
perché questo ti sembra divertente, vero?»
abbaiò.
«No, traditore.
Rido perché qualunque cosa accada, tu sei e resterai sempre
uno stolto,» rispose lui con calma. «Non
prendertela con quella povera stupida,» continuò
poi, «vi avremmo trovati anche se non vi avesse
venduti.»
Sentire la conferma dei suoi sospetti paralizzò Kisshu
dall’orrore. Una sola domanda si impossessò della
sua mente:
“Ma perché lo ha fatto?" continuò a
ripetersi.
Come se potesse leggergli nel pensiero, Pai sospirò.
«Sapeva che prima o poi vi avrebbero catturati di nuovo, e
per lei sarebbe stata la fine,» spiegò
in tono convincente. «Ora, invece, verrà
adeguatamente ricompensata per i suoi servigi.»
Kisshu aggrottò la fronte. Quella storia non aveva senso,
neanche un po'. C’era qualcosa che non quadrava, ma
l’alieno evitò di chiedere ulteriori spiegazioni e
decise di restare in silenzio.
In quel momento, Taruto si riprese. Kisshu lo sentì mugolare
qualcosa dietro di lui, ma non osò voltarsi indietro: se lo
avesse fatto, avrebbe di nuovo incrociato gli occhi di Imago.
«Oh, ecco, mancava solo il moccioso,»
osservò Pai divertito.
«Credevo di averlo ucciso,» osservò una
delle guardie, evidentemente la stessa che aveva ferito Taruto la prima
volta. «Posso riprovare, signore? Vi giuro che stavolta non
mancherò il bersaglio!»
Pai la trattenne, facendogli intendere con uno sguardo che se ne
sarebbe occupato lui.
«Fratello!»
In un attimo, Taruto si rialzò e superò Kisshu,
camminando verso il fratello maggiore. Si stringeva il braccio,
anch'esso sanguinante. «Perché ti comporti
così? Smettila! Non ti ricordi di noi?»
Lui incrociò le braccia, inarcando appena le labbra sottili.
«Certamente. Ricordo che la mia Signora vi ha condannato a
morte,» disse.
«La tua Signora ti ha fatto il lavaggio del
cervello!» esclamò Taruto con esasperazione.
«Pai, torna in te! Sono io! Sono Taruto!»
«Taruto!» chiamò Kisshu, preoccupato.
«Io non ho intenzione di combattere contro di te! E non me ne
vado se tu non vieni con noi! E vedi di ricordartelo perché
non ho intenzione di ripeterlo!» strillò il
piccolo; non era solo il dolore al braccio a fargli luccicare gli occhi.
«Ed infatti tu non combatterai contro di me,»
mormorò Pai. Il suo sorriso si distorse in un ghigno
spietato. «Tu e i tuoi amici morirete adesso.»
Taruto sgranò gli occhi mentre Pai alzava il suo ventaglio,
che continuava a sviluppare potere sotto forma di scariche elettriche e
fulmini sempre più grandi. Le guardie, spaventate dalla
potenza tremenda che emanava quell’arma, indietreggiarono.
Kisshu teneva gli occhi fissi sul ventaglio.
«No…» esalò.
«Fratellone!» gridò Taruto.
«E’ la fine per voi! FU RAI SEN!»
gridò Pai, lanciando contro di loro un turbine di energia
elettrica.
Ci fu un bagliore, come un sole improvviso, seguito da un
boato che fece tremare tutta la Capitale. Del passaggio segreto sotto
le mura, a seguito della tremenda esplosione che si verificò
al suo interno, non rimasero che macerie fumanti.
***
***
«…prigioni devastate, il palazzo nel
panico…»
Shiroi, seduto su uno dei seggi nella Sala del Consiglio, sfogliava con
voce sempre più monotona il contenuto di una delle infinite
relazioni che continuavano a comparire sullo schermo rotondo che aveva
davanti. I decrepiti membri del Consiglio ascoltavano in silenzio,
seduti ai loro posti, mentre Kassidiya era davanti a loro, sul trono, a
sbadigliare.
«…gli ultimi rapporti fanno salire il numero dei
feriti…»
«Più che feriti direi pestati, consigliere
Shiroi...» osservò un anziano aristocratico,
annotando tutto su un oggetto che somigliava molto ad tablet.
«Morti...?»
«No, soltanto una decina di fuggitivi…e poi alcuni
bambini…»
«Ma vogliamo parlare delle inesistenti misure di prevenzione
attualmente in vigore?» esclamò di colpo un altro
membro del Consiglio, balzando in piedi. «Tutto questo
è accaduto perché l’ultimo decreto
approvato da questa corte non é stato rispettato pienamente,
e mi riferisco soprattutto al ventiseiesimo dei suoi
duecentocentoquarantatré punti!» disse, e si
lanciò in un’appassionata discussione sui decreti
legislativi emanati dalla fondazione del regno ad oggi.
Dopo cinque minuti di quella tediosa conferenza, Kassidiya
sospirò pesantemente. Quando il vecchio passò
all’ennesimo punto dell’ennesimo comma
dell’ennesimo decreto, la Sovrana comprese di aver esaurito
la sua pazienza. Scattò in piedi esclamando: «E
voi mi avreste disturbato per queste sciocchezze?!» e, scesa
dalla piattaforma, oltrepassati i membri del Consiglio, uscì
dalla Sala del Consiglio lasciando sbattere la porta dietro di lei.
«Signori, il consiglio è sospeso,»
osservò con calma Shiroi sfiorando appena il suo schermo,
che si spense. «Riprenderemo il prima possibile,»
spiegò agli attoniti presenti, cominciando poi a riordinare
i suoi appunti.
*
Kassidiya, una volta uscita dalla stanza, fece pochi passi incerti, e
alla fine andò ad appoggiarsi sul davanzale della finestra
più vicina. Dal vetro trasparente vide le grandi luci
artificiali affievolirsi lentamente; contemporaneamente, tantissime
minuscole lucine iniziavano ad illuminare la città sotto di
lei.
Sospirò nuovamente. Sapeva che in pochi minuti sarebbe
dovuta ritornare in quella fastidiosa stanza, anche se lei, veramente,
il Consiglio imperiale proprio non lo reggeva.
Perché i suoi prigionieri avevano deciso di fuggire proprio
quel giorno?
«Non c’erano già abbastanza problemi, ci
mancava solo l’evasione di massa ora…ah, rieccoti!
Dove eri finito!? Parla, e pretendo una scusa convincente!»
gridò la Sovrana all'alieno che era appena comparso dal
fondo del corridoio.
Pai, raggiuntala, si inchinò leggermente di fronte a lei.
Era in compagnia di un paio di giovani guardie, che gli saltellavano
intorno con sguardo adorante, nonché dallo stesso scienziato
che lo aveva ridotto in schiavitu’, il dottor Kell.
Kassidiya fece a tutti e quattro cenno di rialzarsi.
«Ho rintracciato e ucciso i tre fuggitivi, mia
signora,» rispose Pai in tono piatto.
Kassidiya spalancò gli occhi per la sorpresa. «Che
cosa?!»
«Davvero! L’ho visto con i miei occhi uscire da
quelle macerie fumanti!» intervenne entusiasticamente una
delle guardie.
«Già, una cosa impressionante!»
annuì l’altra.
Il dottor Kell prese ad annotare degli appunti su una sorta di palmare
che tirò fuori da una tasca della sua tunica bianco sporco.
«Ma come…spiegate»”
ordinò l’imperatrice, confusa.
«Uno dei fuggitivi ha avuto paura e in cambio di aver salva
la vita ha tradito gli altri…quella ragazza…
quella strana…» spiegò il soldato,
incespicando nelle parole per l'emozione.
A sentire ciò, Kassidiya quasi si dimenticò di
respirare per l’ansia. «La…ragazza?
….ed ora che fine ha fatto?» chiese.
Per tutta risposta, Pai le mostrò l’oggetto che
aveva stretto fra le mani fino a quel momento: sembrava un pezzo di
vetro, invece si trattava di un gioiello di metallo con al centro una
pietra luccicante, macchiato di sangue. Kassidiya lo prese fra le mani
e lo osservò: conosceva quell’oggetto; quella
croce ansata era il medaglione che, a pochi giorni dalla sua morte, sua
madre aveva regalato a sua sorella Kassimago, e dalla quale lei aveva
giurato di non separarsene mai.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro.
«Perfetto,» annuì Kassidiya, lanciando
un’occhiata soddisfatta a Pai. «Direi che abbiamo
finalmente trovato un nuovo Capitano delle Guardie Imperiali.»
Pai incrociò le braccia,ma non disse niente, ne’
si mosse.
«Scusatemi, mia signora…ma…e
Korn?» osservò timidamente una delle guardie.
Kassidiya alzò gli occhi al cielo. «Giustiziatelo,
mandatelo a strillare fra le bancarelle del mercato, cosa posso saperne
io? Non sono problemi miei questi!» esclamò
seccata, appoggiando distrattamente il pendente sul davanzale.
«Ed ora andate!»
«Agli ordini!»
Le due guardie si inchinarono e si smaterializzarono.
Kassidiya rivolse la sua attenzione a Kell, che ancora scriveva sul suo
palmare con una bacchetta metallica.
«Ed anche lei, se permette dottore…vorrei restare
da sola con-»
…Pai. Prima che la giovane potesse pronunciare questo nome,
Shiroi uscì dalla sala del consiglio, e contemporaneamente,
una voce femminile provenne dal fondo del corridoio.
«Ehilà, sorellina! Psicolabile come al solito,
eh?»
Una giovane aliena raggiunse il gruppo e, a scanso di tutte le regole,
abbracciò calorosamente la Sovrana. «Tesoro,
è splendido rivederti!» esclamò, con
tutto l’entusiasmo che mancava all’altra; peccato
che fosse falso.
«Ah…Kassandra. Si, certo…»
mormorò lei, più sorpresa che altro.
Quando si staccarono, gli sguardi curiosi di tutti erano posti sulla
nuova arrivata: era un'aliena dai lunghi capelli neri, molto simile a
Kassidiya, ed anche per questo decisamente attraente. Ma, a differenza
della sorella, vestiva in modo tutt’altro che ortodosso, e il
suo stesso viso dalle sopracciglia marcate, naso piccolo e labbra
pesantemente evidenziate dal trucco, era la personificazione della
malizia.
«Come sei cambiata! Era da così tanto tempo che
non ti pregiavo di una mia visita,» osservò
Kassandra, con una vocetta acuta, da bambina. «Sei
invecchiata, sai? Forse è la tensione…prima ti
invidiavo perché eri Sovrana, ma da quando ho notato le tue
doppie punte e le rughe…»
«Mia signora…il Consiglio,»
sussurrò Shiroi all’imperatrice, che sembrava sul
punto di scoppiare a piangere per il nervosismo.
«Giusto, il Consiglio!» ripeté lei,
lieta di aver trovato una via di fuga. «Kassandra, anche per
me è un piacere rivederti, ma purtroppo non posso
permettermi di restare a conversare piacevolmente con te, per quanto mi
dispiaccia. Per cui-»
«Oh, non preoccuparti, parleremo più tardi, o
anche domani,» la interruppe quella. «Ho
già fatto portare di sopra i miei bagagli! Penso che
rimarrò qui per molto tempo!»
«Splendido,» commentò Kassidiya in tono
da funerale.
«Allora è deciso. Oh, scusatemi, devo andare a
cercare la mia guardia del corpo. E’ così
affezionata a me che sta perquisendo l’intero palazzo per
cercare eventuali pericoli per la mia persona. Non è un
amore...?»
Kassidiya non stette nemmeno a chiedersi chi fosse il mentecatto in
grado di riuscire a resistere per più di cinque minuti con
quella petulante. L’unica cosa che la consolava era che, dopo
il Consiglio, e dopo sua sorella, avrebbe potuto restare sola con il
suo Pai.
Ma, come se potesse leggerle nel pensiero, il dottor Kell
scostò per la prima volta da quando era arrivato lo sguardo
dal palmare e le disse: «Credo che stanotte dovrò
tenere sotto osservazione il mio Oggetto di Esperimento. Dai dati che
ho raccolto, credo che la mia operazione abbia intaccato alcune delle
sue funzioni celebrali secondarie, e di conseguenz–»
«E va bene, fate tutti quello che volete!»
strillò a quel punto Kassidiya, perdendo completamente la
pazienza; tornò nella sala del Consiglio sbattendo le porte.
Shiroi dedicò una strana smorfia a Kell, riaprì
le porte, entrò, e le richiuse.
«Oh, povera sorellina…»
biascicò falsamente Kassandra, scoppiando a ridere,
«...prima o poi questa faccenda del regno le farà
perdere la testa.» Sorrise, e poi lanciò uno
sguardo a Pai: «Oggetto di Esperimento?»
osservò divertita, prima di andare via canticchiando, per la
verità con voce piuttosto stonata.
Pai rimase solo con il dottor Kell.
«Sono stato davvero così scortese?» si
chiese quello, posando il palmare nella tasca.
Pai gli lanciò un’occhiata.
«Beh, che hai da guardare?» gli domandò
lo scienziato, palesemente infastidito.
«Ti ho mai detto che sei uno sciocco, Alan?»
rispose Pai con un sorriso impercettibile.
«Fa’ silenzio, Oggetto di Esperimento
47/bis,» ribatté quello, dandogli una pacca sulla
spalla. «E ringrazia lo sciocco che ti ha salvato il cervello
e la famiglia.»
«Già...odio ammetterlo,»
annuì l'altro in risposta, «ma credo di essere in
debito con te. O meglio, con te e con Chris.»
«Oh, si, soprattutto con lei,» replicò
quello, abbassando la voce. «Giuro, quando l’altro
giorno ti hanno presentato davanti a me con l’ordine di
cancellarti la volontà, io non ti avevo neanche
riconosciuto. Sei cambiato tantissimo. Erano…non
so…- quattro ater?- che non avevamo più avuto tue
notizie. Non so come lei abbia fatto a ricordarsi del suo vecchio
compagno di allenamento. Se non fosse stato per lei, adesso tu
saresti…». Il giovane dottore fece un chiaro gesto
con le mani. «E devi ringraziarla anche per il suo piano di
fingerti sotto il suo controllo per riuscire a liberare i tuoi
fratelli. E per aver portato al sicuro quei due mentre noi venivamo qui
a completare la messa in scena con Kassidiya. Accidenti, devi
ringraziare quella ragazza per talmente tante cose, che per sdebitarti
come minimo dovresti…» si interruppe, lanciando
però una chiara allusione a Pai.
«Non credo di essere il suo tipo,»
osservò lui semplicemente.
«O il contrario, no? Capisco…»
sospirò Kell, palesemente sollevato da quella notizia.
«Bene, credo che sia ora di andare, prima che qualcuno ci
veda parlare come due vecchi amici. No, non seguirmi, tu inizia ad
incamminarti – io devo cercare un attimo una persona. Ci
vediamo fra un minuto davanti al portone
d’entrata...»
«D’accordo,» si limitò ad
annuire Pai, e si allontanò.
Non appena scomparve dietro l’angolo, Kell si
avvicinò alla porta della Sala del Consiglio – ma
il rumore di passi lo costrinse a voltarsi indietro, verso il
corridoio.
«Stavo quasi per dimenticarmene!»
Con pochi passi, Pai superò Kell e si diresse verso il
davanzale della finestra a cui si era appoggiata qualche minuto prima
Kassidiya – e dove aveva dimenticato il medaglione di Imago.
L’alieno lo raccolse e se lo infilò velocemente in
tasca. «Mi ha detto che se glielo perdevo ne avrebbe fatto un
altro con le mie ossa,» si giustificò con il suo
amico.
«Capisco,» osservò lui come deluso.
«Ho cambiato idea!» esordì quando Pai
fece per andarsene. «Cercherò dopo quella persona.
Ora torniamo a casa. Le mie donne mi stanno aspettando… e se
tutto è andato bene, lì dovrebbero esserci anche
i tuoi fratelli,» gli disse, prima di sparire dietro
l’angolo insieme a lui. «E fammi un favore, leva
una buona volta quel sorrisetto dalla faccia o ci scopriranno, OdE
47/bis.»
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Capitolo 10 *** Strani comportamenti ***
26/04/2014. Porno
gay.
Forse dovrei provare a scrivere un po’ di porno gay. Non in questa fanfic intendo.
- Capitolo 10: Strani comportamenti
-
Quella notte,
il cielo artificiale di Polaris era il più tetro dell'intero
pianeta.
Pesanti masse
di nuvole sintetiche, generate da appositi strumenti che copiavano gli
agenti atmosferici fondamentali per la vita, avviluppavano l'intera
città, foderando il cielo di uno spesso velo di tenebra.
Questi cumuli grigiastri si protendevano fino a terra – e
lì, trasformati in foschia, penetravano in ogni angolo della
capitale, inghiottendo palazzi, strade e luci. La pioggia, gridata
continuamente da spaventosi tuoni e rapide saette, sferzava
violentemente qualunque cosa su cui precipitava.
Il vento
gelido spalancò improvvisamente una delle quattro finestre
rotonde della stanza comune della casa di Kell. L'acqua
cominciò ad invaderla con prepotenza, costringendo la
signora Kell a raggiungere di corsa l'apertura e a richiuderla con uno
scatto.
«E’
vero che negli ultimi tempi non hanno fatto piovere, ma ora per
rimediare devono proprio esagerare a questo modo?!" sbraitò
la nibiriana, contrariata. «Hah! Lo so io chi è
che ha combinato questo disastro! E' stato Inu, Alan! Ti ricordi di
lui? Quel tuo collega che voleva a tutti i costi prendere il posto di
Chris, povera cara! Alla fine, l'hanno fatto addetto al controllo
dell’atmosfera artificiale; appena qui fuori si calma, giuro
che vado a contargliene quattro, a quello sciocco!»
Mentre la
signora Kell borbottava agitando a caso un mestolo, suo figlio Alan,
Pai, Kisshu, Chris, Imago, Taruto e Belle, seduti intorno ad un tavolo,
continuavano a mangiare e chiacchierare fra loro.
A loro non
importava del tempo impazzito: il tepore piacevole della casa avvolgeva
e riscaldava i loro animi e i loro corpi, facendo dimenticare loro ogni
pensiero e preoccupazione. La stanza comune in cui si trovavano, che
occupava da sola più di metà del piano terra
dell’edificio, era ampia e stranamente riempita da oggetti
che la rendevano calda e accogliente. Infatti, oltre al largo tavolo
bianco occupato dai nostri - che si trovava a poca distanza dalla porta
che conduceva alla cucina -, nella stanza c'erano numerosi ripiani
grandi e piccoli, di colore chiaro, che contenevano oggetti come calici
elaborati o particolari piatti per i cibi; su uno, opposto al tavolo,
di fronte ad un largo sedile bianco e soffice che svolgeva le funzioni
di un divano, era poggiata una grossa sfera che luccicava debolmente e
serviva per comunicare con le persone lontane che ne possedevano
un'altra. Le deprimenti pareti di metallo erano vivacizzate un po' da
tessuti colorati, probabilmente intrecciati dalla stessa signora Kell,
e, di fronte una porta, c’era persino un grosso specchio
rotondo.
Era la
posizione importante che Kell occupava a Palazzo a permettergli tutti
questi lussi.
Nel complesso, lui non era ne' troppo ricco ne' troppo povero:
apparteneva ad una classe media, cosa che, oltre alla cura della casa,
permetteva a lui e alla sua famiglia di mangiare più di una
volta al giorno. E la signora Kell era davvero esperta quando si
parlava di cibo... Infatti tutti, alla fine, furono concordi
nell’affermare che la madre dello scienziato era tanto
moralista quanto brava in cucina, e fu per questo motivo che quasi
tutti chiesero, dopo aver mangiato, più volte un bis. La
grossa signora acconsentiva con gioia ad ogni richiesta, e si
preoccupava premurosamente di passare ai suoi ospiti piatti sempre
più grandi. Li adorava, ma, non appena notava anche un solo
minimo tentativo di conversazione o scambio di sguardi fra due persone
di sesso opposto (che non fossero Taruto e Belle o Chris e Kell,
s'intende), il suo sorriso si trasformava in stizza, e cominciava
lunghi ed appassionati discorsi sull’immoralità
dei giovani moderni.
Kisshu, Pai e
Taruto non ne avevano ascoltato neanche uno.
Taruto era
troppo impegnato a divorare avidamente tutto quello gli capitava
sottomano; Kisshu e Pai riuscirono invece a conservare un minimo di
dignità a tavola, ma questo non li salvò dalle
occhiate stranite degli altri.
«Wow,
non avrei mai pensato che la vostra cucina gli sarebbe piaciuta
così tanto, signora Kell,» aveva osservato Chris,
fissando i tre con gli occhi spalancati e il cucchiaio alzato.
«Sai,
non credo che si tratti della sua cucina,» aveva obiettato
Kell. «Senza offesa, madre.»
Queste
osservazioni non erano sfuggite a Kisshu.
«Schushatesci,» aveva dichiarato, con la bocca
piena della carne cotta di uno dei pochi, strani e violenti animali che
vivevano sul Pianeta Nero: non sapeva neanche quale fosse, e tra
l’altro a lui non era mai piaciuta la carne; neanche quando
era sulla Terra aveva mai sopportato l'idea di mangiare degli animali,
ma quando si dice la fame...
«E’
davvero tutto ottimo, signora, complimenti. Dovreste proporre questo
menù alle prigioni del Palazzo,» aveva scherzato
l’alieno, una volta ingoiato.
A sentire
ciò, la signora Kell aveva scoccato a Kisshu
un’occhiata obliqua talmente fulminante che gli aveva fatto
indietreggiare la sua sedia di qualche centimetro dal tavolo,
intimidito.
La serata era
proseguita tranquillamente. Dopo che tutti ebbero finito di mangiare,
la signora Kell andò in cucina a riordinare, ma non
accettò l’aiuto che le avevano proposto Imago e
Chris, dichiarando che dopo una tale giornata dovevano essere tutte
molto stanche e che avevano bisogno di riposare. I nostri poterono
così rimanere finalmente un po’ soli –
anche se ogni pochi minuti la signora Kell si affacciava con qualche
scusa nella stanza per vedere cosa stavano facendo. E quando
ciò accadeva, dove un minuto prima provenivano risate e
rumori, calava il silenzio più totale.
Chi
andò peggio quella sera fu Taruto: Belle lo
tormentò senza pietà per tutto il tempo, e alla
fine gli chiese persino se voleva essere il suo compagno, in un tono
che non ammetteva una risposta negativa. Ciò che
salvò la vita a Taruto fu l'intervento di Imago, che si
intrattenne qualche minuto a giocare con la bambina, distraendola il
tempo necessario da permettere a Taruto di cercare un nascondiglio
abbastanza sicuro nel quale stare tranquillo per un po'.
Pai, invece,
passò la maggior parte del tempo chiuso in un silenzio
grave, mentre Kell era semplicemente scomparso.
Chris, da
parte sua, sentiva che c’era qualcosa di strano
nell’aria: poco dopo la cena, aveva visto Pai sparire e poi
rientrare in casa con vestiti e capelli completamente zuppi
d’acqua: l’ipotesi di una passeggiata sotto la
pioggia era molto poco realistica, ma allora che cosa era successo?
Dopo aver
rinunciato ad intraprendere un discorso con Pai
sull’argomento, l’aliena decise che avrebbe chiesto
a Kell più tardi. Nel mentre, decise di fare amicizia con
Imago: sebbene avesse qualche anno meno di lei, sembrava essere sulla
sua stessa lunghezza d’onda.
La cosa funzionò; a metà serata,
l’argomento della loro conversazione divenne Kisshu, che
Chris aveva scoperto continuava a lanciare occhiate dalla loro
parte….
Infatti,
sebbene ciò gli fosse più doloroso della tortura,
Kisshu non osava avvicinarsi a Imago: la minaccia della signora Kell e
del suo mestolo erano perennemente presenti.
Certo, quella
donna non era sua madre o una sua parente, e aveva alcun diritto su di
lui; ma aveva accolto lui e i suoi fratelli in casa sua quando
praticamente tutto il pianeta li voleva morti; e, anche se Kisshu era
il tipo che se ne fregava altamente delle regole e del galateo, gli
sembrava davvero scorretto infrangere le sue regole in casa sua.Per
questo motivo, l’alieno dagli occhi ambrati si
accontentò di osservare Imago mentre parlava vivacemente con
Chris. Erano sedute sul divano a poca distanza da lui, che si stava
mordendo le labbra nel tentativo di afferrare qualche stralcio di
quella conversazione.
«Vedi,
il problema nasce se voi due state insieme,» sentì
affermare dopo un po’ da un pensierosa Chris.
«In
che senso?» sentì rispondere da Imago.
«…voi
due state insieme?» domandò Chris.
«Non
lo so,» rispose Imago alzando le spalle. «Kisshu,
noi due stiamo insieme?» chiese l’aliena ad alta
voce, rivolgendosi direttamente a lui.
«P-Perché
lo chiedi a me?!» fu la sua risposta istintiva. Quella
domanda, posta così improvvisamente e con quel tono
così naturale, lo aveva lasciato per un attimo disorientato.
«Beh,
non può certo chiederlo alla madre di Ally,» si
intromise Chris alzando le spalle.
Imago
arrossì.
«Forse
a lei potresti chiederlo….» osservò
Kisshu, aggrottando la fronte.
Chris li
guardò senza capire. «Beh, ma se non state
insieme, allora non c’è nessun
problema!» esclamò vivacemente dopo un poco.
«Direi
di no,» annuì Imago sorridendo.
«Ma
che state dicendo?» chiese Kisshu, mentre il suo sguardo si
faceva sempre più nervoso: quelle due messe insieme non gli
ispiravano alcuna fiducia.
Senza
rispondergli, Imago si alzò in piedi e lo raggiunse,
prendendogli una mano fra le sue e guardandolo in modo molto serio.
«Hm….Kisshu, ascolta, devo dirti una
cosa…» cominciò, incerta.
«Che
cosa?» domandò Kisshu, visibilmente preoccupato.
Sentì qualcuno battergli sulla spalla in segno di
consolazione. Era Chris, che, con lo stesso tono serio, gli diceva:
«Cerca di essere forte, ragazzo.»
«Vedi,»
proruppe Imago dopo qualche secondo di silenzio, nel quale Kisshu aveva
afferrato nervosamente fra le mani un bicchiere d’acqua,
«la verità è che io sono già
impegnata,» ammise alla fine.
Kisshu
rischiò seriamente di affogarsi con l’acqua.
«Si,
insomma, tesoro, mi spiace dirtelo, ma io e Imago ci troviamo
così bene insieme che deve essere per forza la mia compagna
gemella,» dichiarò Chris, scoppiando a ridere.
«Vero, piccola?»
Imago
annuì, trattenendo una risatina.«Però,
se proprio vuoi, stanotte possiamo vederci tutti e tre,»
continuò Chris, con un’ombra di serietà
nel tono fintamente malizioso.
Kisshu, smesso
di tossire, aprì la bocca per mandare a quel paese lei,
Imago e i loro stupidi scherzi, ma Belle lo interruppe:
«Che
cosa fate stanotte? Voglio partecipare anche io!»
strillò, tirando la gonna di Chris.
«Allora
facciamo una cosa a quattro,» le sorrise lei amabilmente.
«M-Ma…non
è un po’ troppo piccola?»
osservò Imago.
«Ma
no…tanto c’è Taruto!»
«NEANCHE
MORTO!» gridò una credenza con la voce di Taruto.
«Tarutaru!!!» Belle corse verso il mobile, da cui
il bambino fuggì orripilato.
«E
tu, Pai, cosa ne dici?» chiese intanto Chris.
Lui
roteò gli occhi. «Fate quello che
volete,» fu la risposta incurante.
«Okay,
c’è anche Pai!» dichiarò
Chris. Poi ci pensò un attimo. «Ma
che…PAI ha detto di si?! PAI!»
«Da
te non me l’aspettavo…»
completò Kisshu, ormai contagiato da quell'atmosfera.
Per tutta
risposta, Pai li squadrò tutti, le sopracciglia inarcate,
prima di mormorare un: «Lasciatemi fuori dalle vostre
perversioni,» e uscire dalla stanza. Chris fu
l’unica a restare a fissare per qualche secondo il punto in
cui era scomparso, prima di tornare a scherzare con gli altri.
Pochi minuti dopo, Taruto fu trascinato in un angolo da Belle; in
questo modo, Kisshu e Imago ebbero l’occasione di trovarsi
per un attimo soli e vicini.
«Ti
devo dire una cosa,» cominciarono insieme, e insieme
arrossirono violentemente.
«VOI
DUE!» strillò all’improvviso una voce
imperiosa. Non ci volle molto a capire a chi appartenesse.
«Al
diavolo tutto, io quella la strangolo,» mormorò
Kisshu, prima di essere costretto ad allontanarsi da una
dispiaciutissima Imago, che però riuscì a
sussurrargli, con il tono di voce più basso con cui riusciva
a parlare: «Io sono nella camera con Chris. Ci vediamo
lì più tardi, va bene?»
Poco dopo,
ripensando a queste parole, l’ennesima scenata della signora
Kell parve a Kisshu molto più leggera.
*
Dopo cena Kell si era rifugiato nella sua stanza, che per quella notte
avrebbe condiviso con Pai. Imago e Chris si erano organizzate per
dormire insieme nella camera degli ospiti; Kisshu e Taruto, invece,
avrebbero riposato nella stanza comune.
Kell, in genere, lavorava in un attrezzatissimo laboratorio nel
Palazzo, ma la sua camera era essa stessa una sorta di piccolo
laboratorio: era occupata per un terzo dagli schermi di grossi
computer, uno dei quali sferico di ultima generazione; aveva una sfera
comunicante personale e strumenti e macchinari strani sparsi un po'
dappertutto. In giro vi erano decine di antichissimi papiri, fogli di
materiale plastico e microscopici porta-dati rotondi. Nello spazio
restante erano confinati un paio di letti ed un piccolo armadio
metallico.
Lo scienziato,
che si era tolto la tunica di lavoro, sedeva a gambe incrociate sul suo
letto, l'attenzione catturata dal computer a schermo piatto appeso alla
parete di fronte a lui. Nella stanza volutamente buia, la luce di quel
monitor illuminava solo parte del suo volto.
Kell osservava
con grande attenzione un puntino azzurro che compariva ad intermittenza
sullo schermo giallastro. «Hai
scoperto qualcosa?» gli chiese Pai, entrando dalla porta
automatica.
Lo scienziato
scosse la testa. «Niente di nuovo. Ma, forse, l’ho
rintracciato; sembra che si stia dirigendo verso il Palazzo,»
disse, indicando il puntino. «Proprio
come sospettavamo,» soggiunse Pai, posando su di esso lo
sguardo. “Mi chiedo come abbia fatto a
scoprirci…” pensò poi, frustrato.
Kell e Pai
avevano fatto di tutto per far sì che il loro inganno
restasse segreto, ma sembrava che qualcuno li avesse scoperti. Infatti, poco prima,
Kell aveva chiamato da parte Pai e gli aveva rivelato che i suoi
strumenti gli avevano indicato la presenza di un intruso
all’interno della casa. Pai e Kell non avevano detto niente a
nessuno, ma avevano cercato di stanare da soli
quell’estraneo. Purtroppo, quando Pai riuscì
infine a scovarlo, quello stava già saltando fuori dalla
finestra della stanza di Chris, al primo piano: Pai aveva visto un
lembo del suo vestito scomparire davanti a lui con un guizzo. Kell, accorso nella
stanza, gli aveva messo nella mano un quasi microscopico oggetto nero,
dicendogli di lanciarlo addosso al fuggitivo, poiché ormai
era certo che non sarebbero più riusciti a prenderlo. Pai
allora, senza pensarci due volte, era saltato anche lui giù
dalla finestra, e, ignorando la pioggia battente che aveva preso a
frustargli il viso, si era concentrato sull’ombra che stava
correndo a meno di due metri da lui. Pai aveva lanciato contro di essa
l’oggetto che gli aveva consegnato Kell, che si era poi
rivelato essere una microtrasmittente.
“Probabilmente,”
ragionò Pai, “quando oggi ho parlato con quelle
guardie,le ho fatte insospettire. Una di loro deve avermi
seguito,” concluse. Pur non avendo visto in faccia la spia,
Pai aveva l’impressione che si trattasse proprio del
nibiriano che somigliava a Kisshu. Si morse il labbro inferiore,
frustrato: se quel ragazzo avesse raggiunto il Palazzo e rivelato a
tutti che i traditori erano ancora vivi...
«Vedi,
Pai, quella microtrasmittente mi trasmette la sua posizione;
analizzerebbe anche qualche altro stupido misero dato, se solo questo
sciocco si fermasse un momento per prendere fiato! Almeno sapessi chi
è... maledizione! Ma, per ora, è ancora
abbastanza lontano dal Palazzo; è a piedi e la pioggia
l’ha rallentato, ma resta lo stesso un grosso problema per
noi,» disse Kell, il volto rabbuiato. «Dobbiamo
abbatterlo, prima che–»
«Chi
volete abbattere voi due?»
Chris,
stupita, si fece largo nella stanza. Pai e Kell si
scambiarono un’occhiata esitante.
«Niente,
Chris, lascia perdere.»
«Anche
se lo sembro, non sono una stupida,» dichiarò
l’aliena, seria. «Spiegatemi cosa sta succedendo, o
lo scoprirò da sola.»
«Qualcuno
ci ha spiati, e ha scoperto il nostro doppio gioco,»
spiegò brevemente Kell, senza staccare gli occhi dallo
schermo. «Se va a Palazzo e racconta quello che ha visto sono
guai, per cui–»
«Accidenti,
ma com’è successo?» lo interruppe Chris.
«Io…» cominciò Pai, ma in
quel momento lo scienziato accanto a lui scattò in piedi.
«Finalmente!»
esclamò Kell. Raggiunse in fretta il computer sferico.
«Si è fermato. Ed ora posso…»
cominciò a sfiorare lo schermo luminoso, premendovi le dita
in una sequenza velocissima. Una serie di incomprensibili informazioni
apparve sullo schermo appeso alla parete, e Kell prese a lavorare su di
esse.
«Ehm,
cosa facciamo?» chiese nervosamente Chris.
«Alan,
se hai la sua posizione, dammi le coordinate: vado io a
riprenderlo,» propose Pai.
«Non ce ne è bisogno,»
borbottò l'lo scienziato, improvvisamente più
sollevato: aveva appena scoperto l’identità della
spia, ed aveva già provveduto ad avvertire chi di dovere
perché mandasse qualcuno a fermarlo. Ma si
premurò di non dirlo ai suoi amici.
Chris e Pai lo
fissarono incuriositi.
«Non
ce ne è bisogno,» ripeté Kell,
sfiorando il computer sferico un’ultima volta, spegnendolo.
«Non preoccupatevi: non credo che per stanotte
riuscirà a raggiungere il Palazzo.»
«Che
cosa significa?»
«Quello
che vi ho detto. Fidatevi di me. E ora direi di andare a
dormire…» mormorò Kell soffocando uno
sbadiglio. Stiracchiandosi, andò a sdraiarsi sul suo letto,
ignorando gli sguardi poco convinti che i suoi sue migliori amici gli
stavano lanciando.
«Ma
Ally...»
«Hai
davvero intenzione di dormire?» chiese Pai, guardandolo
severamente.
«Lo
farei, se voi due smetteste di lamentarvi. Vi ho detto che non
c’è da preoccuparsi. Per cui, buon
riposo,» concluse Kell, crollando.
* *
Fuori,
nel buio, Ai correva, mentre l’aria era impregnata di
pioggia. La strada pietrosa davanti a lui scorreva rapidamente. L'acqua
gelida che precipitava dal cielo gli inzuppava i lunghi capelli verdi;
i suoi occhi cerulei erano dischiusi per cercare di perforare la nebbia
impossibile che lo circondava. D’un
tratto, si fermò.
“Fantastico, mi sono perso,”
pensò, ansante. “Ma com’è
possibile? Ero sicuro di conoscere queste strade...”
Lanciò
occhiate nervose in giro, cercando di riconoscere luoghi a lui noti,
con scarsi risultati. Scorse però, alla sua
destra, un puntino giallo che combatteva per non essere assorbito dalla
nebbia.
“Laggiù c’è una
luce!”
Ai decise di
raggiungerla. Ma la nebbia, l'acqua e la poca attenzione confusero i
suoi sensi, che lo portarono chissà dove, finché
non si scontrò con qualcosa di duro. Riuscì a
mantenersi in piedi, ma dal gemito femminile che sentì
provenire a terra capì di aver fatto cadere a terra
l’aliena contro cui si era scontrato.
«Maledetto
clima artificiale,» imprecò il giovane, tendendo
la mano alla sconosciuta. «Ehi, stai bene?»
In risposta
alla sua domanda, quella afferrò il suo braccio con forza.
D’istinto, Ai si irrigidì.
«Ai,
sei tu?» gli disse però la nibiriana a terra,
usando la presa che aveva sul braccio di lui per rialzarsi. Si
gettò praticamente fra le sue braccia.
«U-Umi?!»
esclamò il giovane, quando si ritrovò faccia a
faccia con la giovanissima aliena dai corti capelli blu scuro, che lo
squadrava incerta. «Che ci fai qui?»
«Ti
stavo cercando,» rispose lei, aggrottando la fronte. Ai
riusciva a vedere la pioggia gocciolarle giù dalle lunghe
ciglia. Erano entrambi completamente fradici. «Andiamo via da
qui!» disse Umi in tono urgente, tirandolo via dalla strada.
«E-Ehi!»
protestò l’alieno, «aspetta!»
Lei non lo
ascoltò. Trascinò Ai per molti minuti nel buio
con fare esperto. Lui la lasciò fare, anche
perché non aveva molte altre alternative.
Alla fine, Umi
lo spinse sotto un piccolo porticato in rovina di
un’abitazione abbandonata. Sembrava che, al di là
di esso, ci fosse il vuoto più assoluto. Approfittando del
riparo, l’aliena iniziò a strizzare i suoi
vestiti, imprecando a mezza voce.
Ai rimase
fermo a guardarla, incerto. «Dove siamo?» le
chiese. «Non conosco questa parte della
città.»
«Siamo
al riparo da questa tempesta assurda,» sbuffò lei.
«Ti raccomando, non ringraziarmi,» aggiunse poco
dopo, irritata dal silenzio di lui.
Ai si
innervosì. «Non cominciare, ora non ho tempo. Devi
portarmi al Palazzo,» le ordinò.
«Che
cosa?!»
«Hanno
rubato il mio cristallo di diamante,» mentì Ai.
«Sono in missione e devo tornare subito al Palazzo.»
«Ma certo! Sei in missione!» esclamò
Umi, incredula e arrabbiata. «E io faccio parte di un ordine
segreto di ribelli!»
«Senti,
io non posso-»
«No,
ascolta tu!» esplose lei. «Sono la tua compagna,
ma non fai altro che evitarmi! Sei uno sciocco irresponsabile,
e io mi sono stancata di correrti dietro per venirti a cercare, ogni
volta che scompari misteriosamente! Sono giorni che non ho tue notizie!
Sei un egoista senza cuore!»
Ai la
fissò ad occhi sbarrati. Si passò una mano sulla
testa, tirando indietro un ciuffo di capelli bagnati che gli ricadeva
sul viso. Era assurdo... Aveva appena scoperto che uno degli scienziati
più famosi del Regno stava proteggendo i traditori; anche se
era stato congedato, avrebbe dovuto essere a Palazzo per riferirlo alla
Sovrana o al Capitano delle Guardie, invece era sotto la pioggia a
litigare con la sua compagna. «Perfetto,
allora finiamola qui, Umi. E’ meglio per tutti e due. Prima
però spiegami perché quando ci siamo conosciuti
hai insistito così tanto per stare con un egoista senza
cuore come me. Tanto tu lo sapevi fin dall'inizio che io non ti amavo,
no?»
SCIAFF!
La guancia
destra di Ai divenne rossa. «E’ così che
la pensi?» strillò, esasperata, la giovane aliena.
«Allora addio, Ai. Ma, sai una cosa? Io ti volevo bene
davvero. Avrei potuto essere tutto ciò di cui avevi bisogno,
invece ora non voglio più avere a che fare con te!
Perché tu, tu non sei normale! Sei soltanto un povero malato
perso nel suo mondo dei sogni, che tenta disperatamente di farsi una
vita normale per assomigliare agli altri ma non ci riesce, per
cui… addio per sempre, Ai!»
Sfiorandosi
con il dorso della mano la guancia rovente, Ai fissò senza
alcuna emozione la sua ex-compagna rituffarsi nella nebbia e sparire.
«No,» sospirò, una volta rimasto solo.
«Io sono solo uno che non riesce a provare
sentimenti.»
Il giovane
rimase qualche secondo così, in piedi e in silenzio. Poi, di
colpo, la realizzazione balenò nella mente.
«Ehi,
Umi! Dove mi hai portato?» esclamò.
«Come faccio a raggiungere il Palazzo? UMI!»
gridò al buio, ma non ottenne alcuna risposta.
* * *
Dopo
la pioggia venne il buio, e poi la luce. La mattina seguente,
le luci erano appena state accese quando i due imponenti gorilla a
guardia dell’entrata del Palazzo Imperiale si ritrovarono
coinvolti in una discussione con Ai: tremante di freddo e completamente
zuppo d’acqua, il giovane voleva a tutti i costi avere
un’udienza con Kassidiya.
«Ma
allora sei idiota!» sbraitò la guardia
più grossa. «La nostra Sovrana non può
concedere udienza ad un pezzente come te!»
«E allora,» replicò il giovane,
testardo, «voglio parlate con il Capitano delle
Guardie!» Si avviò verso l’entrata, che
gli venne sbarrata dal secondo gorilla.
«Ma
dove credi di andare?!» esclamò quello.
«E poi, chi diavolo sei tu per darti tante arie?»
«Ero
una delle Guardie Imperiali,» ribatté Ai.
«E dato che ho passato una notte da schifo, è
meglio per voi due se non mi fate arrabbiare.»
I due gorilla
si scambiarono un’occhiata e poi scoppiarono a ridere
fragorosamente.
«Basta così,» dichiarò Ai,
«mi avete rotto.»
«Ma
davvero?! E cos’hai intenzione di fare, ragazzino? Annoiarci
a morte con i tuoi piagnistei?» scherzò uno dei
due, lacrimando dal ridere.
Ai rivolse ad
entrambi un sorriso davvero poco raccomandabile.
Qualche minuto dopo, una porta secondaria della Sala del Consiglio si
aprì automaticamente. Ai vi entrò camminando
risoluto sul tappeto vellutato e lanciò uno sguardo
distratto ai tre alieni che la occupavano: gli stavano dando le spalle,
ma uno di loro, gli era stato detto, era il nuovo Capitano
delle Guardie, fresco di nomina. La notizia non si era ancora diffusa,
ma presto ci sarebbe stata una cerimonia in suo onore.
Ai lo
riconobbe dalla fascia dorata che indossava. «Mio
Capitano,» cominciò, inchinandosi, «mi
scuso per la mia intrusione. Vi porto delle notizie-»
«…che
cosa vi avevo detto? E' andato tutto come previsto.» lo
interruppe la voce conciliante di Kell.
Ai smise di
parlare per alzare lo sguardo sui tre.
«Oh,
tu devi essere la spia,» disse Chris,
voltandosi verso di lui. Gli sorrise amabilmente. «Ciao! Sai,
stavamo parlando proprio di te!»
«EH?!
Ma che…VOI?!?!»
Ai si rimise
in piedi con uno scatto nervoso, sgranando gli occhi quando
scoprì che l’alieno che indossava la fascia di
Capitano delle Guardie era Pai.
«Dov’è il Capitano?»
gridò il giovane, fuori di sé.
«Il
Capitano? Credo di essere io,» ammise Pai, non senza ironia.
«Ma
cosa…oh…n-no…”
sillabò il giovane, indietreggiando, sbalordito, verso la
porta da cui era entrato.
Un tonfo
dietro di lui lo costrinse a voltarsi indietro: Kell aveva appena
sbarrato l’uscita.
«Ascolta,
ragazzo. Ci dispiace, ma ti sei ficcato in affari che non ti
riguardavano, ed ora non possiamo lasciarti andare,»
dichiarò lo scienziato.
«Però,
se collabori,» continuò Chris in tono
rassicurante, « non ti accadrà nient-»
«Apra
quella porta,» sibilò Ai, rivolgendosi a Kell.
«Non
credo che lo farò,» osservò lui con
noncuranza.
«Non
potete tenermi qui.»
«E
tu non dovevi
spiarci. Quanti ater hai, ragazzo? Quindici, sedici? Con la tua
stupidità hai rischiato di farci uccidere tutti, lo sai,
vero?»
«Dirò
a tutti la verità. Dirò che nascondete i due
traditori, e che state tramando contro la nostra Sovrana!»
«Pai,»
disse Kell, grave. «La fascia che ti è stata
appena consegnata simboleggia la responsabilità di mantenere
la sicurezza e l’ordine nel Palazzo. Questo ragazzo minaccia
entrambe le cose. Cosa hai intenzione di fare di lui?»
Pai scosse la
testa, fronteggiando lo sguardo sprezzante di Ai. «Anche se
parlasse, probabilmente non lo crederebbero. Ad ogni modo, non possiamo
correre questo rischio.»
«Ti
lasceremo andare, se giuri di non rivelare a nessuno quello che hai
visto ieri,» provò nuovamente Chris.
«Scordatelo,
traditrice!»
Chris
sospirò.
Kell
guardò Ai con interesse. «Ascolta, Pai…
in Laboratorio ci sarebbe bisogno di una cavia da vivisezionare,» ammise.
«Che ne diresti se…»
«CHE?!»
Lo sguardo ora
terrorizzato di Ai andò da Kell a Pai, e poi si
fermò su Chris, che si limitò ad alzare le spalle:
«Non guardare me, io volevo aiutarti.»
«Voi
siete…voi siete pazzi! Io…»
cominciò il ragazzo, ma una fitta improvvisa al collo gli
fece lanciare un grido soffocato.
«Ally!»
gridò Chris, sconvolta.
Kell, con
un’indifferenza sconcertante, estrasse dalla nuca di Ai lo
spesso ago che vi ci aveva immerso con forza.
Il ragazzo
cadde a terra in ginocchio.
«E’
solo un narcotico,» spiegò lo scienziato in tono
incolore. «Questo sciocco ci ha già fatto perdere
abbastanza tempo.»
Un dolore
acutissimo e lancinante, che si propagò velocemente per ogni
singola vena del suo corpo, costrinse Ai ad emettere un penoso gemito:
«Che cosa…» sussurrò,
ansante. «Che cosa volete farmi?!»
«Baderò
io a te, ragazzo. Ora sei nelle mie mani,» gli rispose Kell,
mentre una strana luce iniziava a brillare nei suoi occhi.
«N-Nelle…tue…m-mani?»
ripeté Ai, stringendosi dolorosamente il cuore, lottando per
non perdere la sua coscienza. Digrignò i denti.
«N-no, i-io n-no-n…IO NON VOGLIO!»
«Cosa?!»
Raccogliendo
tutte le sue ultime forze, sotto lo sguardo allibito dei presenti, Ai
si rialzò. Con un’agilità
impressionante, il ragazzo si lanciò verso Pai,
strappandogli dal collo il cristallo di diamante che portava in
qualità di Guardia Imperiale, e si lanciò fuori
da una delle finestre della Sala, spaccando il sottile cristallo di cui
erano fatte.
«Ma che …»
«NO!!»
Chris si
precipitò alla finestra e si sporse, guardando febbrilmente
verso il basso. «E poi siamo noi quelli pazzi! Siamo a trenta
metri d’altezza!»
Kell la
raggiunse in meno di un secondo. «Dov’è
andato?!» gridò, fuori di sé.
«Non
vedo nessun ragazzino spiaccicato sotto la finestra, per cui suppongo
che si sia smaterializzato,» rispose Chris.
«Dobbiamo
trovarlo!» esclamò Pai risoluto, avviandosi verso
la porta.
«Aspetta, Pai! Non andare!»
«Cosa?!
Perché, Chris?»
«Beh,
perché ha usato il tuo cristallo per smaterializzarsi, no?
Quindi possiamo individuare la distorsione che ha causato nel campo dei
sensori per scoprire dove è ricomparso, grazie a questo
radar," spiegò la ragazza estraendo da una tasca una sorta
di tablet grande quanto una mano e iniziando a smanettarci.
«Ecco, l’ho tracciato: è riapparso nel
Cortile Centrale,» trillò allegra dopo pochissimi
secondi. «Andiamo a riprenderlo, in quello stato non
può andare lontano. Ally, tu resta qui!»
Pai, piuttosto
colpito, annuì alle indicazioni della ragazza e la
seguì fuori dalla Sala del Consiglio, evitando
però di guardare Kell.
Pochi minuti dopo, i due si trovavano in un minuscolo giardino interno
antistante le mura del Palazzo: Ai non era lì.
Però, poco più in là, c’era
un porticato di pietra che, come spiegò Chris, si
riallacciava ad un passaggio secondario che conduceva al Cortile
Centrale. I due decisero di percorrerlo. Mentre correvano verso il
porticato, Chris richiamò l'attenzione di Pai, che,
voltandosi della sua parte, le rivolse uno sguardo distratto:
dall'espressione preoccupata che vide dipinta sul volto della ragazza,
si sarebbe aspettato che lei gli avesse chiesto qualcosa riguardo Ai,
invece Chris disse, con voce ansiosa: «Hai visto anche tu lo
sguardo di Ally, vero?»
Pai
annuì, ma non disse niente. Si, aveva visto anche lui quella
luce brillare per un istante negli occhi del suo migliore amico. Ma era
più che certo che si fosse trattato solo di una piccola
crisi di stress o di qualcosa di simile; Alan non era mai stato
crudele...certo, era ambizioso ed un po' arrogante, ma non era un
assassino.
Chris e Pai
percorsero velocemente tutto il porticato semicoperto, al termine del
quale c'era l'ingresso di uno stretto corridoio di pietra scura che si
ricollegava al Cortile Centrale del Palazzo. Il Cortile Centrale
era lo stesso posto in cui, soltanto il giorno prima, Kisshu e Taruto
avevano rischiato di essere giustiziati: aveva le dimensioni di uno
stadio olimpionico, e, a dispetto del nome, era costituito da
un’immensa distesa di pietra e cemento. Era piuttosto isolato
dal resto del Palazzo, perché le mura e le spesse pareti che
lo circondavano fungevano da insonorizzatori. Le uniche vie di accesso
al Cortile erano alcuni corridoi interni e quattro portoni, posti ai
quattro punti cardinali. Uno dei portoni aveva la
peculiarità di essere collegato alle prigioni –
non era difficile indovinarne il perché. Nel Cortile,
solitamente, si svolgevano cerimonie pubbliche, feste o riunioni
popolari. In quei casi vi si raccoglieva talmente tanta gente, alla
fine, che non vi era posto neanche per uno spillo; ma quel giorno,
fortunatamente, non c’erano in programma ne’ feste,
ne’ cerimonie.
O almeno,
così credevano Pai e Chris…
«Lo
troveremo facilmente!» affermò Chris con
sicurezza. «E’ molto presto, chi vuoi che vada in
giro per il Cortile a quest’or…oh,
maledizione…»
Pai non
riuscì a sentire le ultime parole che gli rivolse Chris
perché, giunto al termine del corridoio, dopo aver svoltato
l’ultimo angolo, una massa di rumori, alieni e bagliori lo
investì con la stessa forza di uno tsunami. Il Cortile non era
completamente strapieno, era di più. Questo
perché, come gridò un giovane alieno rispondendo
alla domanda di Chris,«LA PRINCIPESSA KASSANDRA, LA SORELLA
DELLA SOVRANA, STA PER PARTIRE CON UN’ASTRONAVE PER ANDARE
SUL PIANETA AZZURRO!»
Pai e Chris
rimasero di sasso. C’erano almeno cinquemila nibiriani in
quel Cortile: come avrebbero fatto a trovare Ai?
«DIVIDIAMOCI!»
propose Pai. “NON PUÒ ESSERE ANDATO MOLTO LONTANO.
LO TROVEREMO!”
«VA
BENE, IO VADO DI LÀ. CI RITROVIAMO QUI FRA…oh, ma
che dico…IN MEZZO A TUTTO QUESTO CAOS, CI RITROVIAMO SE
CAPITA!» esclamò Chris, prima di essere
inghiottita dalla folla.
*
Trovare quel ragazzino non era un’impresa facile come Pai
aveva creduto all'inizio. L’alieno dai capelli viola, per
farsi largo fra la massa di nibiriani, era costretto ad avanzare a
forza di spintoni, di cui non si premurava di scusarsi. «Non
lo troverò mai in quest’inferno,» si
disse ad alta voce poco dopo, perché il frastuono che lo
circondava era tale da impedirgli di sentire persino i suoi pensieri. «CHE COSA
HAI DETTO!?» gli gridò una vocetta acuta nelle
orecchie. Pai capì presto che quella domanda non era rivolta
a lui: la ragazzina dai capelli blu scuro alla sua destra stava
cercando di capire quello che il tipo accanto a lei gli stava dicendo.
«AI?! SE L’HO VISTO?!»
Pai, che
già stava per allontanarsi, sentendo quel nome rimase
paralizzato – cosa poco salutare per lui, perché
la sua esitazione gli costò una gomitata nello stomaco da
parte di chissà chi. «NO E NON
NE VOGLIO PIU’ SAPERE DI LUI!» strillò
la ragazza, e dopo qualche secondo, probabilmente rispondendo ad
un’altra domanda, continuò: «NO,
STAVOLTA SONO SERIA, NOZE! E ANZI TI GIURO CHE SE LO
RIVEDO…»
Pai fu
spintonato via prima di sentire cosa quell’esile aliena
avrebbe fatto ad Ai se lo avesse rincontrato. Ma non si
preoccupò molto di questo, perché aveva capito
che neanche lei sapeva dov’era. Sperava solo che Chris avesse
avuto più fortuna.
* *
L’astronave
di Kassandra partì all’incirca mezz’ora
dopo. Pai se ne accorse quando un potente rombo risuonò
nell’aria e un’ondata di polvere travolsero lui e
tutto il resto della folla. A seguito della partenza, il Cortile a poco
a poco si svuotò, ma trascorse molto tempo prima che Pai e
Chris riuscissero a riunirsi.
«Sparito.
Svanito. Scomparso. Volatilizzato, dissolto
nell’aria…» mormorò Chris per
tutto il tragitto dal Cortile al Laboratorio. Dopo
quell’estenuante ricerca, l’aliena era a pezzi come
il suo camice da lavoro, ormai sudicio.
«Si…»
si limitò ad annuire Pai, nelle stesse condizioni.
«Eclissato,
volatilizzato…»
«L’hai
già detto.»
«Alan
ci
ucciderààààà…»
si lagnò di colpo l’aliena, quando furono davanti
alla porta del Laboratorio, gettandogli le braccia al collo con
disperazione.
Quando Pai
riuscì a convincerla a staccarsi, entrarono nel grosso e
asettico stanzone. Scorsero Kell, solo, chino a riparare quello che
sembrava un microchip. Non appena lo scienziato si accorse della loro
presenza, li salutò con un sorriso radioso.
«Un
lavoro perfetto,» commentò entusiasticamente,
abbandonando il suo lavoro. «I miei complimenti, amici miei!
Ma dove siete stati finora?»
Chris e Pai si
scambiarono un’occhiata confusa.
«Perché
quelle facce?» Lo scienziato li esaminò entrambi,
aggrottando la fronte. «Volete dire che non siete stati voi
ad ucciderlo?»
«Ucciderlo?!»
esclamò Chris. «No! Perché, vuoi dire
che quel ragazzo é…»
«La
mia microtrasmittente è programmata per funzionare
finché riceve impulsi vitali dal corpo che
analizza,» le spiegò Kell. «E'
più di un'ora, ormai, che il segnale è
svanito.»
«Ma…ne
sei sicuro?» domandò Pai, stupito.
«Certo,»
annuì Kell. «Ai è morto, oppure ha
lasciato il pianeta: l’unico limite di quel congegno,
è che il suo raggio d’azione non va oltre il
miglio d’altezza,» disse, sorridendo. «A
proposito, a cos’era dovuta tutta la confusione qui sotto?
Hanno giustiziato qualcuno?»
Chris e Pai si
scambiarono una seconda occhiata, stavolta terrorizzata.
Lo sguardo di
Kell andò dall’uno all’altra.
«Voi due, che cosa mi state nascondendo?» chiese,
iniziando a diventare ansioso. «Che fine ha fatto quel tipo?
Non vorrete dirmi che…»
«Già,
proprio così,» ammise Pai. «Ha lasciato il pianeta.»
Kell
spalancò gli occhi per la sorpresa. «Ma
che…come…»
«Ehm…»
Chris sfoderò un adorabile sorrisetto imbarazzato.
«Guardiamo il lato positivo: ora non abbiamo più
il problema di convincerlo a stare zitto.»
«No, maledizione!» Kell afferrò una sedia e la
scaraventò a terra.
«A-Ally…» provò Chris,
preoccupata da quella reazione.
«QUEL
RAGAZZO DOVEVA MORIRE!» le gridò lui in faccia,
infuriato. La scansò via, quasi gettandola addosso a Pai,
che la prese per le spalle per evitare che cadesse. Kell uscì
dal Laboratorio dalla porta secondaria, senza aspettare che si aprisse
da sola; le diede una botta talmente forte che rischiò di
spaccarla.
«Hn...ho
esagerato?» chiese Chris a Pai dopo qualche secondo.
Pai la
guardò in faccia: «Come al solito,»
rispose, con quel suo tono indecifrabile che riusciva a nascondere
completamente le sue vere emozioni.
|
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Capitolo 11 *** Sentimenti ***
25/04/2014. Oh, ho letto che fra
poco tornano le Mew Mew. Peccato, stavo iniziando ad abituarmi agli
alieni.
Gli occhi dorati di
Kisshu. Avevo una cotta per gli occhi dorati di Kisshu. <3
- Capitolo 9: Sentimenti -
Kassidiya
era tornata a sedersi nella Sala del Consiglio.
Non
sembrava essere in un una condizione felice: aveva un’aria
stanca e i suoi bei occhi violetti, in genere intensi e scintillanti,
erano quasi spenti.
“Tutta
colpa di questa maledetta riunione, e degli incompetenti che mi
circondano,” pensò la giovane Sovrana,
mentre il Consiglio continuava i suoi lavori. Voleva andarsene da
lì, anche perché la sua presenza era essenziale
solo in apparenza: in realtà, lei non doveva fare altro che
annuire o confermare i dati e i suggerimenti che il suo Consigliere
elaborava.
Shiroi
era un elemento prezioso. Certo, spesso era pedante e fastidioso, ma
aveva una scaltrezza e un'intelligenza decisamente superiori alla
norma. E poi, si preoccupava molto per Kassidiya: le stava sempre
attaccato, anche quando non era strettamente necessario; le chiedeva
continuamente come si sentisse, se ci fossero pensieri a turbarla, se
aveva degli ordini o desideri particolari. Tutta quella gentilezza
avrebbe dovuto insospettire la giovane Sovrana - ma lei, abituata a
vedersi cadere ai piedi maschi di ogni età ed estrazione
sociale, non semplicemente non badava alla palese cotta che Shiroi
aveva per lei. E poi, a lei interessava un’altra persona...
Kassidiya
stava fissando un punto imprecisato della Sala con aria assente quando,
all'improvviso, venne colta da un brusco ascesso di tosse. Un
dolore lancinante le trapassò la testa con violenza tale da
farle schiudere le labbra in un gemito soffocato.
La
frase che Shiroi stava pronunciando in quel momento gli rimase bloccata
in gola non appena si accorse del malessere della Sovrana. Il
consigliere si voltò verso di lei, fissandola in modo
indecifrabile. Un attimo dopo, si era affrettato a chiudere il
Consiglio, intimando a tutti gli Anziani di andare via immediatamente.
Questi, borbottando, avevano eseguito l'ordine, lasciando la Sovrana
sola con il suo Consigliere.
Lui
le si avvicinò. «Sta bene, mia Signora?»
le chiese inquieto.
«Si,
certo,» annuì lei. Per un istante si era sentita
così male che aveva pensato di stare addirittura per morire,
ma il dolore si era dissolto rapidamente. «Credo che la
giornata di oggi mi abbia stancata; penso che andrò a
riposare.»
Aveva
appena finito di pronunciare queste parole che le porte della Sala del
Consiglio si aprirono sbattendo: Kassandra, entrando con passi decisi e
furiosi, scorse la sorella dal fondo della sala e strillò:
«Kassidiya! Ma qui è una noia mortale!»
Dalla
parte opposta del lungo stanzone, la Sovrana sospirò e
scosse la testa con rassegnazione, nascondendosela fra le mani.
«Porti
pazienza,» le mormorò Shiroi con un tono che si
poteva definire consolatorio.
«Insomma,
come fai a sopravvivere in un posto come questo?» gridava
intanto Kassandra, petulante. «E’ tutto
così sciatto, così deprimente! Come questo
stupido pianeta! Brulica di plebaglia ignorante e disperata. Tutte le
città sono uguali, pietra per pietra. Identiche.
E’ tutto così monotono… io voglio
qualcosa di eccitante!»
L’eco
ingigantì le sue parole, che risuonarono nella stanza per
qualche secondo, prima di svanire.
«Oh,
ma guardala, non ha ascoltato una singola parola di quello che ho
detto,» constatò dopo poco Kassandra, gli occhi
fissi sulla sorella, ancora accasciata sul trono, e le braccia converse
al petto. «Quando fa così è davvero
insopportabile. Hiroyuki-sama, proponi tu qualche soluzione. Se non ne
trovi una subito, penso che morirò di noia! Si,
sto morendo. Aiutami! Sei così intelligente, almeno quando
vuoi! Avanti, parla!»
Kassandra
aveva rivolto queste ultime parole all’alieno in piedi alla
sua destra, che fino a quel momento non aveva aperto la bocca,
né si era mosso di un millimetro. A quella richiesta, si
limitò a lanciarle un’occhiata di sufficienza,
cosa che infastidì ancora di più Kassandra.
Hiroyuki
– così si chiamava la sua giovane guardia del
corpo – era un essere alto, muscoloso, e, cosa strana per la
loro razza, aveva la pelle scurissima e dei lunghi capelli bianchi. Il
suo viso scavato era privo di qualsiasi sfumatura emozionale, i suoi
occhi grigi erano duri e freddi. I suoi vestiti, strappati in
più punti, erano di un colore biancastro, e ciò
lo faceva somigliare, nel complesso, ad una sorta di tetra apparizione.
Portava un orecchino cerchiato all’orecchio sinistro e,
dietro le spalle, portava aveva due guaine incrociate in cui
riposavano due sciabole. In generale, nessuno sapeva da quale inferno
Kassandra avesse tirato fuori quel tipaccio, o perché lui
avesse accettato di seguirla; l’unica cosa che si sapeva di
lui era che sembrava obbedire solo alla sua padrona.
Kassandra
si materializzò proprio ai piedi del soppalco su cui era la
sorella, che si era appena alzata dal trono con aria sfinita.
«La
tua fissa per quell'Ikisatashi non ti è ancora passata, mi
hanno detto,» osservò casualmente, e Kassidiya
sgranò gli occhi. «Sei davvero malata: come fai a
trovare attraente quello stupido spilungone mezzo
traditor–»
«NON
OSARE PARLARE COSÌ DI PAI!» la interruppe di colpo
Kassidiya. Quell'ultima parola riecheggiò varie volte nella
stanza vuota.
Kassandra
soffocò una risatina.
«Non
osare...» ripeté l'altra, in tono quasi
minaccioso.
«Va
bene, va bene,» ghignò Kassandra in risposta, con
malizia. «Però mi sorprende la smisuratezza della
tua superbia. Voglio dire, hai ai piedi praticamente chiunque, eppure
vuoi avere con ogni mezzo l’unico che probabilmente non avrai
mai…?!»
«Non
si tratta di superbia, né follia,» la
ammonì l’altra, con molta sicurezza. «Ma
non credo che tu conosca altri sentimenti a di fuori di
questi.»
«Lo
ami?» sbuffò Kassandra, sardonica. «Se
è così, ti do ragione: non conosco questa cosa,
ma solo perché non esiste. L’unico vero sentimento
che un essere è in grado di provare è solo
Egoismo, te lo dico io. Desiderio di possedere, nulla più.
Ma, personalmente, non riesco a dispiacermi per questo:
perché fissarsi sul voler possedere una sola persona, quando
si ha la possibilità di averne molte di
più?»
Kassidiya
non replicò alla sorella, ma si limitò a
lanciarle uno sguardo di puro disprezzo. Quelle parole le avevano
appena fatto ritornare in mente tutti gli scandali in cui la sua dolce
sorellina aveva coinvolto la sua famiglia, per via di quel suo punto di
vista. Ogni volta, le era stato detto di controllarsi e di comportarsi
in modo più rispettoso, ma a Kassandra era importato. Non le
era mai importato nulla di nessuno, ed era anche per questo che
Kassidiya la odiava: l’unico suo desiderio, in quel momento,
era liberarsi di lei.
«Insomma,
io qui mi annoio!» dichiarò infine Kassandra,
cambiando discorso.
«Dunque
ti annoi?» replicò Kassidiya dopo qualche secondo,
cominciando a scendere i gradini che la separavano da sua sorella.
«Ti annoi e vorresti qualcosa di eccitante,»
ripeté, con un tono di voce malizioso, mentre una luce
insolita le illuminava gli occhi.
Era
diventata improvvisamente così strana che non sembrava quasi
più lei.
Kassandra
la guardò con sospetto. «Si, credo di aver usato
queste parole,» annuì.
«Perfetto.»
Kassidiya
scese l’ultimo gradino e si fermò proprio davanti
alla sorella. Le poggiò entrambe le mani sulle spalle e poi
disse, senza staccarle gli occhi di dosso: «Allora dimmi, che
cosa ne dici della Terra?»
«La
Terra?» ripeté Kassandra, sbattendo gli occhi
truccati. «Il Pianeta Azzurro? Il nostro pianeta?»
«Non
è più il nostro pianeta,» la corresse
la Sovrana. «Gli esseri umani l’hanno schiavizzato
e distrutto. Ricordi? Profondo Blu partì per riconquistarlo,
ma è stato ucciso. Non dagli esseri umani: è
stato tradito.»
«Non
sono così stupida da non saperlo, sai?»
borbottò Kassandra. «E comunque, se è
morto così facilmente, in fondo non doveva essere poi
così potente,» commentò.
«Oh,
no, lui era potentissimo,» sorrise l’altra, poi
abbassò il tono di voce fino a farlo diventare un sussurro,
«ma noi lo siamo di più.»
Messa
a disagio dal comportamento della sorella, Kassandra si
liberò dalle sue mani e si allontanò da lei di
qualche passo. «Dunque, fammi capire: tu mi stai proponendo
di andare sulla Terra per fare ciò che Profondo Blu non
è riuscito a fare?»
Kassidiya
alzò le spalle con noncuranza. «Se vuoi, puoi
restare qui ad annoiarti fino alla fine dei tuoi giorni. Ma, se scegli
di percorrere la strada che ti sto proponendo…beh, conosci i
vecchi racconti: il Pianeta Azzurro è un posto meraviglioso,
e io non posso governare due regni contemporaneamente. Per cui, dato
che tu sei mia sorella…»
«Stai
dicendo che potrei essere la Sovrana della Pianeta Azzurro?!»
esclamò Kassandra, inarcando le sopracciglia con uno stupore
quasi infantile.
«Tu
lo dici, mia cara.»
«Hm.
Dov’è l’inganno?»
«Così
mi offendi,» osservò Kassidiya. «Non
c’è alcun inganno, solo un piccolo
particolare...»
Il
tono di voce con cui la Sovrana pronunciò quel 'piccolo' non
lasciò presagire a Kassandra niente di buono.
«Ho
fatto una lunga chiacchierata con Pai, stamattina. Volente, o nolente,
mi ha parlato di un gruppo di terrestri ribelli che si fa chiamare Mew
Mew.»
«Mew
Mew? Che nome ridicolo,» osservò Kassandra.
«Già,
ma, a quanto pare, queste ribelli hanno opposto una resistenza
così strenua a Profondo Blu che, in fondo, è un
po’ anche colpa loro se i suoi piani sono falliti.»
«Se
le Mew Mew sono un ostacolo, bisogna eliminarle.»
«Vedo
che hai capito cosa intendo,» annuì Kassidiya, il
viso contratto in una smorfia crudele.
«Tu
cosa ne dici, Hiroyuki? Ti va l’idea di andare sulla Terra a
gettare un po' di rifiuti?»
L’alieno,
rimasto fino a quel momento in silenzio con le braccia incrociate al
petto, inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi,
improvvisamente animati da una luce inquietante.
Kassandra
dovette interpretare quel gesto come un sì perché
si voltò verso la sorella e le disse vivacemente:
«Allora è deciso. Domani io e la mia guardia del
corpo partiremo per raggiungere la Terra. Quanto è lontana
la Terra?»
«Un
po', ma il problema è che, al momento, credo che non ci sia
un’astronave a disposizione,» si intromise Shiroi,
tossicchiando.
«Ma
certo che ne abbiamo una disponibile!» esclamò
invece Kassidiya. «Te la farò trovare pronta per
domani, quando le Luci saranno appena state accese. Ora vai a riposare,
sorellina… non immagini nemmeno che cosa ti aspetta sulla
Terra!»
«Meraviglie
a non finire!» sorrise Kassandra con aria sognante.
«Ti ringrazio di cuore, sorella. Anzi, no, volevo
dire… Sovrana,» mormorò e, prima di
indietreggiare ed uscire dalla Sala insieme alla sua guardia, si
esibì in un inchino appena percettibile.
Quando
la porta fu chiusa, Kassidiya la sentì scoppiare in una
delle sue odiose risate stridule. Non appena si fu allontanata
abbastanza, Shiroi mosse un passo verso Kassidiya, allarmato.
«Mi
perdoni, mia Signora, ma non possiamo togliere una singola astronave al
nostro eser –»
Kassidiya
lo interruppe sollevando una mano.
«Ma,
mia Signora!»
«Caro
Shiroi, tutto il mio esercito non vale quanto la splendida
consapevolezza di essersi liberati per sempre anche della mia seconda
sorella!»
«Io
credo che potreste provare a sopportarla. Mandarla sulla Terra
è troppo pericoloso, senza contare che, in questo modo,
sarà necessario riorganizzare tutto!»
osservò il Consigliere, infastidito.
«Ho
sopportato Kassimago e i suoi sogni da sciocca ragazzina fino allo
sfinimento, Shiroi. Non ho alcuna intenzione di fare lo stesso anche
per quella stolta, arrogante Kassandra. No, ho deciso:
scomparirà anche lei, per sempre, per mano di
quelle…Mew Mew.»
Shiroi
sospirò. «Capisco, ma l'esercito...»
«Sono
sicura che riuscirai a riorganizzarlo con una nave in meno. Ed ora
lasciami sola.»
Il
consigliere sbuffò, ma annuì. Probabilmente,
pensò Kassidiya guardandolo allontanarsi frettolosamente,
avrebbe passato la notte a rifare tutti i suoi preziosi calcoli
riguardo al numero dei soldati e di astronavi, alla quantità
di denaro da spendere per attrezzature, eccetera, eccetera,
eccetera… certo, preparare un esercito segreto per
un’invasione della Terra in grande stile non era cosa da
poco, ma Kassidiya sapeva di potersi fidare di lui, così
come si fidava del Dottor Alan Kell.
Era
sicura che nessuno dei due avrebbe mai rivelato il suo segreto.
Ed
infatti, in quello stesso momento, a molte miglia di distanza, Pai
aveva appena strabuzzato gli occhi, sussurrando: «Si stanno
preparando… ad invadere… la Terra?»
«Già,
amico mio,» rispose Kell.
«La
Terra? Vogliono davvero invadere la Terra?» ripeté
Pai, come se la sola idea gli sembrasse ridicola.
«Oh,
no, non invadere,» spiegò Kell con entusiasmo,
camminando con lui per le di nuovo affollate strade della Capitale.
L’alieno agitava le braccia, senza curarsi minimamente di
abbassare la voce. Non prestava neanche attenzione alle persone che per
sbaglio continuava ad urtare, perso nella foga di condividere con
l'amico quell’importantissimo segreto. «Noi
vogliamo purificarla dal virus degli esseri umani e
dall’inquinamento, e poi trasferire lì tutti gli
abitanti del nostro regno. Niente male, no? So che tu sei
filo-terrestre, ma se proprio vuoi sapere la mia opinione, questa idea
non è del tutto da gettare vi–»
Pai
gli lanciò un’occhiata obliqua.
«Capito.
Rimangio tutto. Ma, se ti consola, il pericolo non è
imminente: ci vorrà ancora del tempo prima che sia tutto
pronto, ed io lo so per certo perché faccio parte della
sezione scientifica del progetto.»
«Non
è possibile fermare Kassidiya, vero?» chiese Pai
con una certa amarezza.
«Mi
dispiace, no. Devi rassegnarti,» replicò Kell,
alzando le spalle. «Aspetta… che cosa sta
succedendo lì in fondo?» domandò
incerto dopo qualche secondo, indicando un gruppetto di alieni in
lontananza.
Quattro
giovani nibiriani stavano discutendo animatamente ad un lato della
strada, accanto ad un muretto cadente. Due di loro erano appoggiati
pigramente ad esso, mentre gli altri davano le spalle alla strada. Lo
sguardo di Pai si fissò subito su uno di questi, il cui
profilo gli era decisamente familiare…
«Ma
che…quell’idiota!» gridò
allarmato, raggiungendo il gruppetto in pochi passi. Afferrò
per una spalla l’alieno che aveva puntato e lo costrinse a
voltarsi dietro di lui. «Kisshu! Che diavolo ci fai qui in
mezzo alla strad–»
«Ehi,
ma che diavolo vuoi?!» rispose quello, stizzito, liberandosi
dalla presa di Pai con un velocissimo strattone.
«Ma
che…»
Pai
lo guardò ed indietreggiò di un passo, stravolto:
la somiglianza di Kisshu con quell’alieno era davvero
notevole: aveva la stessa fisionomia, gli stessi capelli, lo stesso
sguardo. Ma il colore dei suoi occhi, blu zaffiro, e i lineamenti dolci
del viso, gli fecero comprendere di aver commesso un semplice scambio
di persona.
«Beh,
che hai da guardare?» gli chiese il giovane, sospettoso.
«….»
Kell
raggiunse il gruppetto di corsa. «Perdonatelo per il
disturbo… andiamo, 47/bis,» scandì a
denti stretti, tirando Pai per un braccio, più che altro per
evitare gli sguardi curiosi dei passanti che, alle urla del giovane,
avevano preso a lanciare occhiate e mormorare nella loro direzione.
«Oh,
ma lei è il Dottor Kell!» esclamò un
altro degli alieni, riconoscendolo. «Non si preoccupi: il
vostro amico non è il primo né sarà
l'ultimo a scambiare Ai per quel condannato fuggito. E’
questo idiota che non si ci é ancora abituato.»
«Beh,
probabilmente Ai è nervoso perché quel bastardo
di Korn ci ha appena congedati permanentemente dal servizio
militare… solo perché ci siamo lasciati
sfuggire quei condannati da sotto il naso!»
esclamò un altro, sferrando un furioso pugno al muro.
«Tanti anni spesi per entrare nella Guardia Imperiale, ed ora
siamo di nuovo fuori. Che fregatura…»
«Puoi
dirlo forte, Noze,» sospirò un altro.
«Cosa dirà mia madre quando verrà a
saperlo? Ve lo dico io, stavolta è davvero la
fine!»
«Scusateci
ancora. 47/bis, andiamo via. Pai,» ripeté Kell con
non poca preoccupazione nella voce.
Pai
non lo stava ascoltando. L’alieno simile a Kisshu, che
rispondeva al nome di Ai, continuava a guardarlo sprezzante, e lui
ricambiava a sua volta con uno sguardo indecifrabile.
«Sai
una cosa, Miyaki? Io credo che questo sia solo
l’inizio,» sussurrò Ai, quando Kell e
Pai si furono allontanati, continuando a seguirli con lo sguardo mentre
si perdevano fra la folla.
*
«Amico
mio, tu sei sempre posato e riflessivo,» cominciò
Kell dopo un lungo silenzio durante il quale, mentre le luci sopra di
loro già erano quasi del tutto oscurate, avevano percorso a
piedi alcune centinaia di metri. «Ma questa volta, scusa se
te lo dico, stavi per rovinare tutto. Vedi, tuo fratello non poteva
essere lì tranquillo a chiacchierare con quelle guardie per
due motivi: il primo è che ufficialmente è morto,
mentre il secondo è che ho ordinato a Chris di perderlo di
vista nemmeno per un secondo.”
«Lo
so,» annuì Pai con aria assente.
«Certo
che lo sai, sei stato tu ad ideare il piano, no?»
Pai,
che non era in vena di intraprendere un litigio con il suo unico amico,
si limitò a fare un cenno affermativo con la testa.
Era
vero, era stato lui stesso a definire quella parte del piano.
Mentalmente, l’alieno ritornò indietro nel tempo
di circa una ventina di ore.
Quella mattina, le
luci erano appena state accese quando Kell, dopo avergli operato quel
suo presunto lavaggio del cervello, lo stava conducendo da Kassidiya.
Ma, durante il loro percorso, Pai aveva udito delle voci che parlavano
di un’evasione di massa in atto. Credendo che fosse opera di
Kisshu e Taruto, si era allontanato da Kell ed era corso difilato verso
le prigioni.
“Pai!”
si era sentito chiamare, mentre scendeva gli intricati scaloni che
conducevano ai sotterranei, “Oh, sacro Ra, non posso credere
che tu sia qui! Ti ricordi di me?”
Dal basso giungeva un
chiasso tremendo, fatto di urla, colpi, spari. Ma la voce che lo aveva
chiamato proveniva da un pianerottolo poco più in alto della
scala su cui si trovava: apparteneva ad Imago, che si era affrettata a
raggiungerlo.
Pai la
squadrò sospettoso finché lei non gli
mostrò per pochi secondi le sue vere sembianze: fu solo
allora che l’alieno la riconobbe come la sorella sognatrice
della sua ex-compagna Kassidiya.
Aveva sempre creduto
che fosse una ragazza a posto, per cui si fidò delle sue
spiegazioni: lei gli disse che, poiché Kisshu e Taruto
stavano per essere giustiziati, aveva causato quell'evasione di massa
per creare un diversivo. Aveva inoltre intenzione di far fuggire Kisshu
e Taruto grazie ai suoi poteri. Mentre la ascoltava, seppur ammirandola
per il suo ardimento, Pai aveva scosso la testa: non era una buona idea
far fuggire i suoi fratelli, perché Kassidiya avrebbe messo
a ferro e fuoco la città finché non li avesse
ritrovati.
C’era un
unico modo per salvare Kisshu e Taruto: fingere la loro morte. Per
questo motivo, lui e Imago avevano rapidamente organizzato un piano
alternativo: lei avrebbe fatto fuggire Kisshu e Taruto, conducendoli in
un posto segreto; Pai, invece, avrebbe fatto finta di essere il cattivo
della situazione, a cui lei avrebbe venduto i due in cambio della sua
salvezza. Pai, fingendosi sotto il controllo di Kassidiya, avrebbe
condotto con sé delle guardie come testimoni per avvalorare
la messa in scena. Ne avrebbe lasciate alcune all’entrata del
passaggio segreto, mentre altre lo avrebbero seguito.
Una volta ritrovati i
suoi fratelli, Pai avrebbe fatto finta di eliminarli, ma in
realtà avrebbe rivolto il suo attacco contro le guardie e
contro le mura portanti del passaggio. Il crollo del soffitto e delle
pareti, causato dall’esplosione, avrebbe fatto il resto.
E così era
stato. Pai si era salvato gettandosi sull’uscita: le guardie
rimaste fuori avevano sentito solo che lui aveva organizzato una
trappola per eliminare i fuggitivi, e poi un’esplosione
terribile seguita dal crollo dell’edificio, dalla quale solo
Pai era miracolosamente riuscito a salvarsi. Per loro, non
c’era dubbio che i tre fuggitivi fossero rimasti uccisi in
quella trappola mortale.
In realtà
Kisshu, Taruto e Imago erano stati salvati all’ultimo momento
da Chris, l’assistente di Kell. Chris aveva seguito di
nascosto Pai e, pochi istanti prima che lui lanciasse il suo attacco,
aveva afferrato Imago e gridato a Kisshu e Taruto di seguirla. Con un
sangue freddo non indifferente, la nibiriana aveva guidato i tre fuori
dal passaggio prima che rovinasse del tutto, e quindi li aveva portati
a casa di Kell per nasconderli.
A dire il vero,
l'ultima parte del piano era stata proposta dallo stesso Kell,dopo che
Pai gli ebbe confidato del suo incontro con Imago.
Pai non aveva voluto
che Imago rivelasse a Kisshu e Taruto il loro piano, perché
voleva che nessuno avesse dubbi sulla storia di quel presunto
tradimento: se Kisshu e Taruto non fossero stati attori convincenti, il
piano sarebbe saltato.
Inoltre Imago, prima
di separarsi da lui, gli aveva affidato il suo ciondolo a forma di
croce: Pai lo avrebbe mostrato a Kassidiya come prova della sua morte.
A seguito dell’esplosione, Pai era rimasto lievemente ferito,
e il pendente si era macchiato del suo sangue…
Fortunatamente,
tutto era andato per il meglio, e adesso, pensò Pai, era
finita. Finalmente, dopo questa spossante giornata, avrebbe potuto
chiudere un po’ gli occhi: in effetti, gli pareva di non
riposare da settimane.
«Siamo
arrivati,» dichiarò d’un tratto Kell,
indicando una villetta di un solo piano, isolata di qualche decina di
metri dalla strada principale da un cortile di pietra e circondata da
un basso muro di cinta scuro. «Quella lì in fondo
è la mia casa.»
In
poco tempo, i due percorsero il lungo viale pietroso che portava
all’edificio: dall’esterno, sembrava un posto
tranquillo e silenzioso. Era fatto del solito metallo nero ed aveva
molte aperture, ma Pai non riuscì ad osservare altri
particolari perché, ormai, la luce scarseggiava.
Kell
aprì la porta con uno scatto ed entrò. Pai lo
seguì, ma aveva appena varcato la soglia, quando un oggetto
terribilmente pesante e lanciato in modo terribilmente violento lo
colpì in pieno sulla fronte. Non ebbe il tempo di capire
cosa gli era successo che si ritrovò ad appoggiarsi al muro
per non cadere a terra, mentre i suoi sensi si oscuravano
velocemente…
*
«….madre,
piantatela di correre su e giù gridando, neanche fosse
morto! E tu, Belle, smettila di piangere! Ah, mi farete collassare il
cervello! …che vuol dire ‘non ci vuole
molto’? Senti Chris, non ti ci mettere anche tu
ora!»
Le
urla di Kell, così forti che sovrastavano rumori confusi in
sottofondo, furono le prime cose che accolsero Pai al suo risveglio.
«Ecco,
visto? Si sta già riprendendo!» sentì
dire dal suo amico, dopo quelle che gli erano sembrate ore.
«Uhn?
Si sta riprendendo?»
«Pai!
Sveglia!»
Pai
capì di essere disteso su qualcosa morbido, probabilmente un
letto. Si rialzò a sedere tenendosi la testa, che gli
doleva. Cercò di riaprire gli occhi, ma non vide altro che
immagini sfuocate. «Che...che cosa…?»
«Hai
riaperto gli occhi! Ciao, Pai!!» sentì esclamare
da una giovane voce femminile. Un attimo dopo, l’alieno si
ritrovò stretto in un abbraccio così caloroso che
ricadde all’indietro. La sua vista non si era ancora del
tutto stabilizzata, ma Pai non impiegò molto per capire a
chi appartenesse quell’entusiasmo: lunghi capelli castani
legati in una treccia, luminosi occhi color del miele.
«Per
fortuna ti sei ripreso subito!» sorrise l’aliena
sopra di lui, raggiante. «E’ splendido
rivederti!» disse, baciandolo due volte sulle guance e sulla
fronte.
«C-Chris…»
mugolò lui, dolorante e imbarazzato.
«Credimi,
mi dispiace tanto per la tua testa! Quando quella piccolina fa i
capricci è davvero una cosa terribile!»
esclamò lei, ignorandolo. «Oh, no, che cosa ti
succede ora? Hai un viso rosso da far paura! Oh, no, stai
male!»
Kell,
a poca distanza dai due, diede un leggero colpo di tosse.
«Chris, forse Pai starebbe meglio se lo facessi
respirare,» osservò con educazione. «E
se evitassi tutto questo entusiasmo,» aggiunse poi in tono
leggermente seccato.
«Dici
che l’ho messo a disagio?» chiese lei dubbiosa,
mentre si rialzava. «Non lo ricordavo così
impressionabile, Ally.»
Pai
tornò a sedere sul letto su cui si trovava. Si
guardò intorno: era in una stanzetta piccolina, asettica,
dalle pareti metallizzate lisce e grigie. Gli unici mobili presenti
erano il letto e un piccolo ripiano a forma di parallelepipedo. In
effetti, cose come armadi, scaffali e librerie adibite a piedistalli
per esibire i ninnoli e gli oggettini inutili che gli umani amavano
così tanto sfoggiare nelle loro abitazioni, sul suo pianeta
semplicemente non esistevano.
In
generale, tutte le case erano arredate con lo stretto necessario:
brande, piccoli sedili, un piano dove consumare pasti e poco altro. Il
sistema di illuminazione era formato da neon incastrati nel soffitto
che si accedevano automaticamente ogni volta che avvertivano una
presenza.
Inoltre,
il popolo era troppo povero per permettersi lussi come case a
più stanze: viveva in piccoli edifici formate da una sola
grande stanza comune, in cui gli oggetti personali dei suoi abitanti
erano custoditi in semplici vani portaoggetti mimetizzati nelle pareti,
che si aprivano premendo una serie di bottoni posti
all’ingresso.
Tutto
ciò era lontano anni luce dal Palazzo, in cui ognuna delle
innumerevoli stanze era ingombra dei più lussuosi e inutili
arredi luccicanti, e c'erano lampadari ricchi di cristalli luminosi,
tessuti alle pareti di pietra viva e molto altro.
«Beh,
tutto a posto?» chiese brusco Kell a Pai, richiamandolo alla
realtà.
Pai
lo scorse appoggiato con la schiena al ripiano accanto al letto: aveva
ancora addosso la sua lunga tunica da lavoro, bianca e stropicciata, e
lo stava fissando con occhi neri e penetranti.
«Sono
stato meglio,» biascicò lui, scuotendo la testa
per riprendersi. Non fece in tempo a rialzare il viso sul suo amico,
che sentì Chris prenderlo fra le mani e avvicinarlo
pericolosamente al suo…
«Chris,
no, aspetta, cosa–» Pai avvampò
nuovamente.
«Questo
livido non mi piace,» dichiarò seria la ragazza,
tastandogli piano la fronte. «No, non mi piace
proprio…» sospirò. «Oh, non
so davvero come scusarmi, Pai,» continuò poi,
sinceramente dispiaciuta. «La sorellina di Ally stava facendo
di nuovo i capricci, e ha cominciato a lanciare tutto quello che le
capitava fra le mani. Ho tentato di fermarla, ma prima che potessi
farlo ti aveva già preso in testa con una delle sfere
comunicanti.»
«Dimmi,
posso fare qualcosa per te?» riprese Chris dopo qualche
secondo di silenzio, accennando un sorriso dolce.
«Ehm…»
A
dispetto della sua abituale freddezza, Pai era tremendamente
imbarazzato dalla vicinanza di Chris. Sapeva che era inutile spiegarle
il concetto di spazio
personale: per lei, comportarsi in quel modo
così espansivo era la cosa più naturale del
mondo.
In
effetti, Chris era sempre stata molto
espansiva, sin dal loro primo incontro.
Chris
era stata una delle poche ragazze ad aver frequentato
l’Istituto di Combattimento. Pai la conobbe quando gli fu
assegnata come compagna di allenamento: lei non aveva amiche,
perché in genere le ragazze che frequentavano
l’Istituto erano aliene alquanto mascoline il cui unico
obiettivo era trasformarsi in macchine da guerra, principalmente per
scatenarla contro il genere maschile. Lei, invece, non solo era molto
più femminile, ma il suo carattere gioioso e aperto riusciva
a riportare il sorriso sulle labbra di chiunque la incontrasse.
Nessuno
capì mai il motivo per cui una come lei avesse deciso di
frequentare un posto come quello, e d’altro canto nessuno
riuscì a ottenere da lei una risposta convincente.
A
Chris, Pai fu subito simpatico; ma, anche se passavano insieme
tantissimo tempo, ed era chiaro che lei nutriva un affetto particolare
per lui, Pai era sempre formale e distaccato con la sua giovane
compagna. Non perché la trovasse antipatica –
anzi, dopo qualche tempo finì per affezionarsi a lei
– ma, semplicemente, perché quello era il suo
carattere.
In
effetti, Chris e Pai erano un po’ come il caldo fuoco contro
il gelido ghiaccio. Non erano in pochi a credere che in
realtà quei due fossero segretamente innamorati; ma, quando
il primo che osò prendere in giro Pai si ritrovò
in infermeria con la mandibola fratturata, tutte le voci, come per
magia, cessarono.
Pai
non sapeva quali fossero i sentimenti di Chris; sapeva solo che
l’unico con cui lei avesse mai avuto una storia era un
giovane studente della sezione di ricerca, un certo Alan Kell. Si erano
lasciati dopo poche settimane, ma da allora erano rimasti
così legati che sembravano due fratelli.
Era
stata Chris a presentare Alan a Pai. Kell era un alieno tanto
intelligente (e lo era molto per la sua età) quanto
ambizioso. Era riflessivo, razionale, ma odiava tutti i lavori che
coinvolgevano l’uso dei muscoli.
Alan
e Chris erano stati due dei pochi amici di Pai, ma, terminato il ciclo
all’Istituto, lui aveva perso di vista entrambi.
Ed
ora rieccoli lì, insieme, dopo tanti anni, come se il tempo
non fosse mai passato.
Kell
era ancora in piedi accanto a lui, lo sguardo remoto, impegnato in
chissà quali pensieri, mentre Chris era accovacciata accanto
a lui e lo osservava incuriosita. Pai ricordò che lei gli
aveva posto una domanda.
«No,»
si affrettò a risponderle. «Non mi serve
niente.»
«Sei
sempre il solito,» sbuffò lei, che evidentemente
si aspettava una risposta del genere. «Ma te l’ho
detto, quel livido non mi piace. Ally, nella ghiacciaia comune qui
fuori dovrebbero esserci i fratelli di Pai, ne andresti a prendere uno,
per favore? Ehi, no, non fate quella faccia, intendevo un pezzo di
ghiaccio da poggiargli sulla fronte…»
Lottando
per non alzare gli occhi al cielo, Kell si allontanò dai
due; la porta si aprì automaticamente al suo passaggio, ma
si bloccò mentre compiva il processo inverso, e
restò socchiusa.
«Ally
è strano ultimamente, sai?» osservò
Chris. «Si sforza di apparire normale, ma a volte
è chiuso e sembra molto triste. Sai, credo che sia colpa
tua!»
Pai
aggrottò la fronte. «Mia?»
«Si,»
annuì Chris. «Proprio tua. Lo hai
contagiato!» esclamò, e Pai capì che lo
stava prendendo in giro.
«Ah,
ma smettil–» cominciò, ma lei gli aveva
gettato di nuovo le braccia intorno al collo.
«Ma
nonostante tutto mi sei mancato tanto, sono così felice di
rivederti,» disse, sincera.
Per
la terza volta in pochi minuti, il sangue rifluì sulle
guance di Pai. Ma questa volta, sebbene dopo qualche secondo di
indecisione, l'alieno ricambiò goffamente
l’abbraccio: «Sì...Chris...in
fondo...anche tu mi–»
SBAM!
Taruto
aveva appena spalancato la porta con un calcio, rischiando di
fracassarne i complessi meccanismi: «Pai,
insomm–!»
Prima
che potesse completare l’esclamazione, l’alieno
venne sospinto indietro per il braccio da un essere misterioso, che si
premurò di richiudere la porta.
Pai
guardò il punto in cui un secondo prima c’era il
fratello. Dietro la porta si udivano rumori e borbottii.
«Idioti,»
mormorò, staccandosi da Chris e alzandosi in piedi.
«Entrate, prima che mi penta di non avervi ucciso
davvero,» disse alla porta.
«Un
segno del destino…okay, capito,»
sospirò intanto Chris, triste, ma nessuno le
prestò attenzione.
Quei
nessuno, oltre a Pai, erano Taruto, Kisshu e Imago, che
all’invito dell’alieno entrarono nella stanza:
erano tutti e tre sani e salvi, e, anche se avevano qualche ammaccatura
qua e là, sembravano in condizioni decisamente migliori di
come Pai li aveva lasciati. I vestiti di Kisshu e Taruto erano stati
lavati e ricuciti talmente bene che sembravano nuovi. Imago invece, al
posto dei suoi stracci sporchi ora indossava una graziosa tunica bianca
dalle lunghe maniche scampanate e una riga blu ai bordi, prestito di
Chris, che ne indossava una simile. Continuava però a tenere
i capelli legati in una lunga treccia.
Pai
lanciò al trio un’occhiata di sufficienza.
«Scusa
il disturbo, fratello… non pensavo che fosse la tua
compagna,» disse Kisshu indicando Chris con lo sguardo.
«Infatti
non lo è!» L’occhiata assassina che Pai
lanciò al fratello congelò sulle labbra il
sorrisetto che stava esibendo. «Allora?» chiese il
maggiore, bruscamente. «Che volete voi tre?»
Imago
alzò una mano: «Io rivoglio la mia
croce.»
«Siete
una bella coppia voi due, sai?» osservò intanto
Kisshu, sorridendo maliziosamente a Chris.
Lei
ricambiò il sorriso, ma in modo sincero, e non disse niente.
Sentendo
quelle parole, Pai, che stava ripescando il ciondolo di Imago dalla
tasca dei suoi pantaloni, con un gesto istintivo, invece di consegnarla
alla sua legittima proprietaria lo sbatté sul ripiano di
metallo con tale forza da rischiare di spaccare entrambi.
«Ehi!
Va bene che è diamante, ma è delicato!»
strillò Imago, e si affrettò a recuperare il
gioiello.
«Hai
forse detto qualcosa, Kisshu?» chiese Pai molto lentamente.
«Non
oserei mai senza il suo consenso, mio sublime Capitano delle Guardie
Imperiali,» replicò lui sarcastico, facendo un
plateale inchino.
«Ce
l’ha detto il Dottor Kell,» spiegò Imago
mentre armeggiava con il suo pendente e un laccio nero, notando la
faccia confusa di Pai.
Lui
non osò dirle che era rimasto disorientato perché
in realtà si era completamente dimenticato della carica che
Kassidiya gli aveva assegnato.
Kell,
come evocato dalle parole di Imago, fece capolino nella stanzetta in
quello stesso momento; lanciata a Pai un’occhiata, gli fece
cenno di seguirlo. Lui lo fece in silenzio, mentre Kisshu esclamava,
rivolto ad Imago: «Ma come ti metti quella
collana?!»
«Non
è una collana,» rispose lei, attorcigliando su
sé stesso il laccio su cui aveva infilato il suo pendente.
«Ah,
no?»
«Non
mi piacciono le collane,» affermò
l’aliena. «Si notano troppo e si perdono
facilmente.»
«E
per questo motivo te la leghi al polso?»
«Si
chiama ‘bracciale’.»
«Contenta
tu…»
«Come
siete carini,» osservò in quel momento Chris,
soffocando una risatina.
Imago
voltò le spalle a Kisshu, per guardare l'aliena. Scosse la
testa: «Io non sono carina.»
«Sono
d’accordo con lei,» si affrettò ad
annuire lui, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Lui
non è male,» dichiarò Imago,
indicandolo. «Però è scemo!»
«Uhn?»
Chris
alzò le spalle, lanciandole uno sguardo compassionevole.
«Succede sempre così.»
«Io,
scemo?» ripeté Kisshu.
«A
proposito, dove sono finiti Taruto e Pai?»
«Pai?
Non lo so. Era qui un secondo fa…» rispose Chris
soprappensiero. «Mentre Taruto è nascosto sotto il
letto.»
«Dove
hai detto che è?» chiese una vocetta acuta.
«Sotto
il letto,» ripeté Chris.
«Perché?»
«Grazie
mille, Chris!»
«Ops…oh,
no!!»
Chris
si accorse troppo tardi che a parlare era stata una bambina aliena,
più o meno dell’età di Taruto: era alta
quanto lui, ma grossa almeno il doppio...aveva dei corti capelli scuri,
l'aria vivace ed era la sorella minore di Kell. Il suo nome era Belle.
Belle Kell.
«Tarutaru!!!»
esclamò deliziata la piccola, scostando le coperte per
scovare il bambino. «Perché ti sei nascosto qui
sotto?»
«Noooooooo!!!»
gridò lui in risposta, in uno stato vicino alla
disperazione. «Ti ho già detto che non devi
chiamarmi così!!!»
Nello
stesso momento in cui aveva messo piede nella casa di Kell, Taruto era
stato letteralmente assalito da Belle, che probabilmente si era presa
una cotta fulminante per lui. Ma il bambino, a parte il fatto che
nonostante tutto era ancora troppo immaturo per l'amore, detestava
Belle perché era così noiosa, capricciosa e
appiccicosa che… piuttosto che essere costretto a stare con
lei, avrebbe quasi preferito che Pai lo avesse eliminato per davvero,
ecco.
A
peggiorare la situazione c'era stato poi il fatto che la madre di
Belle, che fisicamente sembrava la sua copia da adulta, vedendo la sua
bambina così felice di aver trovato un amichetto, lo aveva
praticamente minacciato di trattarla bene perché, se non lo
avesse fatto, sarebbe rimasta molto delusa e arrabbiata…
Per
farla breve, di fronte alla prospettiva di dover restare solo con
Belle, Taruto aveva scelto la fuga libera. Ma, purtroppo per
lui…
«Andiamo,
Tarutaru, mamma ha già preparato da mangiare,»
esclamò la bambina trascinandolo fuori dalla stanza per un
piede.
«Noooooo!
Sei solo una mocciosa, lasciami!! Chris, questa me la
paghiiiii!!!»
«In
fondo, mi fa un po’ pena,» mormorò
Kisshu, osservando la scena.
Chris
si grattò la guancia, sorridendo imbarazzata. «Ho capito, vado a
salvarlo, però… credo che fareste bene a scendere
di sotto anche voi… vi concedo tre minuti!» dichiarò,
e poi uscì anche lei, avendo però
l’accortezza di chiudere per bene la porta.
«Generosa,»
osservò ironico Kisshu. «Allora, dove eravamo
rimasti noi due?» chiese poi a Imago, con la quale era
rimasto finalmente solo.
C’è
da dire che, dopo essere arrivati a casa di Kell, Imago gli aveva
raccontato tutta la verità, spiegandogli che tutto quello
che era successo era stato una finzione… beh,quasi tutto.
Ma,
nonostante le spiegazioni, da quel momento Kisshu aveva cominciato a
comportarsi in modo cauto, quasi diffidente con lei, come se avesse
paura che da un momento all’altro potesse saltare fuori
qualche altro colpo di scena.
Ma
entrambi sapevano che non sarebbe durato a lungo.
«Forse
al fatto che tu sei carino,» rispose lei con finta
distrazione e imbarazzo quasi palpabile.
«Ah,
si? Io ricordo anche un altro aggettivo,» sbuffò
lui. Sospirò. «Va bene, sei perdonata: non ti
ucciderò per oggi,» ammise alla fine.
L’aliena
gli rivolse un piccolo sorriso. «Grazie,» gli
disse. «Sei davvero carino.»
«Lo
so,» annuì lui con aria saputa.
Imago
scosse la testa. «Scemo,» borbottò.
«Stai
diventando ripetitiva,» commentò Kisshu,
ghignando. Si avvicinò a lei e toccò la sua
treccia, giocando con la ciocca di capelli alla sua
estremità.
«A-Allora
ti dirò che mi piace il tuo sorriso,»
mormorò lei, rossa in viso. «Peccato che finora ti
ho visto sorridere solo una volta.»
«Ma
io sto sorridendo,» protestò lui, indicandosi la
faccia. «E comunque, quando le sorridevo, Ichigo mi definiva
un bastardo,» ammise poi con un tono indecifrabile.
«No,
no, io parlo del tuo sorriso!» ribatté Imago.
«Non ghigno
o smorfia.
Il tuo s-sorriso… è molto bello.»
«Oh,»
disse semplicemente Kisshu, arrossendo.
«Però,
insomma, queste cose dovresti dirle tu a me!»
«Oh,
non rompere,» la liquidò Kisshu.
«Stupido,»
sbuffò lei.
«Mocciosa,»
replicò lui pronto, incrociando le braccia.
«Maleducato.»
Si
fermarono a guardarsi e si sorrisero.
«Allora?»
disse Kisshu, dopo qualche secondo.
«Allora
cosa?»
«Posso
baciarti?»
Imago
si irrigidì e, se possibile, divenne ancora più
rossa. Chiuse gli occhi e sospirò per calmarsi, poi li
riaprì. «S-Se ora non lo fai,» disse,
piantando lo sguardo a terra, «ti tiro uno
schiaffo.»
«Allora
mi tocca farlo,» rispose Kisshu, non riuscendo più
a trattenere un sorrisetto. Fece scivolare un braccio dietro la sua
schiena e la attirò a sé. Posò
l’altra mano sulla sua guancia e la accarezzò
piano, guardandola con i suoi grandi occhi dorati.
Imago
tremava nel suo abbraccio come se stesse per svenire. Kisshu non
riusciva ancora a credere che fosse davvero così timida.
«Devi rilassarti,» le sussurrò con voce
dolce.
Lei
annuì piano e socchiuse gli occhi, adagiando la guancia
sulla mano di Kisshu, che abbassò il viso su quello della
ragazza, cercando le sue labbra.
«Hem,
hem.»
Kisshu
e Imago si voltarono di scatto verso la porta: dalla soglia, un'anziana
donna molto grassa, armata di un grosso e pesante bastone di metallo
con cui si aiutava a camminare, li fissava con sguardo omicida.
«Il pasto è pronto, ragazzi,» disse, con
voce fintamente premurosa.
Kisshu
e Imago, entrambi imbarazzatissimi e rossissimi, si staccarono
velocemente.
«Si,
signora Kell, grazie!»
«Arriviamo
subito, signora!»
«No,
voi venite ADESSO!» esclamò la donna, agitando il
bastone. «Altrimenti, il cibo si raffredderà,»
aggiunse con un tono così calmo da essere inquietante.
«Già…vero…allora…andiamo…ehm.»
I
due si affrettarono ad uscire dalla stanza, ma la signora Kell
continuò a lanciargli occhiatacce per tutto il percorso da
quella alla stanza comune al piano di sotto.
«I
giovani d'oggi, tutti pervertiti...pensano solo a quello,»
sbuffò a voce abbastanza alta perché Kisshu e
Imago potessero sentirla e guardarsi nervosamente negli occhi per un
istante, per poi voltarsi entrambi nella direzione opposta.
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Capitolo 12 *** Addii ***
28/04/2014: Noo,
Diya-sama! ;__; Eri troppo figa per questa fanfic.
Ma
a parte questo. In questo capitolo ho apportato numerose
modifiche. Ho snellito quasi tutti i dialoghi, ho aggiunto
alcune descrizioni e ho ‘censurato’ una scena fra
Kisshu e Imago per due motivi:
1.
Imago, sul piano sentimentale, è e resta timida e
un po' impacciata. Per quanto ami Kisshu, non credo che possa
concedersi a lui così rapidamente.
2.
Credo sia più carino non rendere troppo esplicita
la loro relazione, almeno per ora.
- Capitolo 11: Addii
-
Kell non si fece
vedere per tutto il resto della mattinata. Quando iniziò il
turno di lavoro molti dei suoi colleghi lo cercarono, ma lui aveva
spento il suo comunicatore portatile rendendosi irrintracciabile.
«Fa
sempre così,» sentì Pai dire da uno di
loro. «Quel tipo è un genio, ma
è sempre stato un po’ strano.»
Non avendo
altro da fare, Pai decise di trattenersi nel Laboratorio con Chris.
Il Laboratorio era una vasta area del Palazzo suddivisa in più
settori di studio; Kell era a capo di quello che si concentrava sul
recupero delle antiche tecnologie. Il suo gruppo di lavoro, che aveva a
disposizione una sala privata adibita a centro di ricerca, era
composto da circa quindici ricercatori che, senza di lui, erano
completamente allo sbaraglio.
Chris
trascorse la mattina correndo di qua e di là come una matta:
dava ordini, prendeva decisioni e controllava con una pignoleria
pazzesca calcoli e grafici nel tentativo di sopperire alla mancanza
del suo superiore. A causa di ciò, Pai non ebbe quasi
l’occasione di parlarle. Scioccato dalla frenesia con cui si
lavorava in quell’ambiente, l’alieno
appoggiò la schiena ad uno degli inquietanti macchinari che
occupavano la stanza e rimase lì fermo ad osservare i
sottoposti di Kell senza osare disturbarli.
Nel mentre, la
sua mente correva ad Ai. C’era qualcosa di strano in quel
ragazzino, a cominciare dalla sua somiglianza con Kisshu: se Pai non
fosse stato sicuro che la famiglia di Kisshu era stata sterminata,
avrebbe seriamente considerato il fatto che quei due fossero parenti.
«Pai
Ikisatashi!» L’arrivo di
due Guardie Imperiali interruppe le elucubrazioni dell'alieno.
«Eccomi,» dichiarò lui con una certa aria rassegnata,
lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Con sua grande
sorpresa, le due guardie si inginocchiarono di fronte a lui. «Capitano,
la Sovrana ha richiesto la vostra presenza nei suoi appartamenti. Vi
preghiamo di recarvi da lei appena possibile,»
pronunciò una di loro in tono reverente.
Pai
annuì, ma, non appena le due guardie si smaterializzarono, non riuscì a non alzare gli occhi al cielo.
Chris
abbandonò il suo lavoro per raggiungerlo, preoccupata.
«Vengo con te,» gli disse.
Pai
aggrottò la fronte. «Non puoi lasciare anche tu il
lavoro.»
«Oh, i ragazzi se la caveranno benissimo anche senza di
me,» sorrise lei, mentre alle sue spalle un computer
esplodeva e tre ricercatori si gettavano su di esso nel tentativo di
spegnere l’incendio, finendo per prendere fuoco a loro volta.
* *
Chris e Pai decisero di raggiungere Kassidiya a piedi.
Quando
arrivarono al portone d’entrata dell'Appartamento
scoprirono che questo era stato lasciato socchiuso, e che le guardie che di
solito montavano il turno lì davanti non c'erano. Udirono
delle voci discutere animatamente all’interno della stanza e,
non sapendo se potevano entrare o meno, rimasero fermi in ascolto.
«Siete
contenta, adesso? Vostra sorella è partita con la migliore
delle nostre navi,» si lamentava Shiroi, irritato.
«Usa un’altra volta quel tono con me, Shiroi, e ti
mando in esilio ad Orion!» fu la risposta piccata di
Kassidiya. «E comunque sia, si. Sono contenta
di non dover avere più a che fare con quella sciocca, e... chi
è là?!»
Chris, nel
tentativo di avvicinarsi di piu’ alla porta, era inciampata
su un tappeto ed era sbattuta di faccia contro il portone. Non avendo
altra scelta, lei e Pai si fecero avanti nella stanza, esibendosi in un
formale inchino.
Kassidiya
sorrise e, con un cenno della mano, congedò senza troppi
complimenti il suo Consigliere.
«Buongiorno, mio Capitano,» disse poi a Pai, dopo
che Shiroi fu uscito sbuffando. «E tu chi saresti?»
domandò invece a Chris, non senza lanciarle
un’occhiata obliqua.
«Chris, Assistente personale del Dottor Kell,» si
presentò lei. «In questo momento lui
é...impegnato, per cui ha mandato me.»
Kassidiya
inarcò un sopracciglio. «Oh, ho sentito parlare di
te. La tua famiglia scomparve quando ci fu quell’incendio nel
Laboratorio e tu, da quel momento, convivi ambiguamente con il tuo
superiore.»
Chris
arrossì. «Sì, mia signora,» annuì, non
potendo fare altro.
«Dimmi,
Chris: quali sono le sue condizioni?» le chiese Kassidiya
indicando con un cenno della testa Pai.
«Purtroppo
pessime,» mentì Chris, sfruttando tutta la faccia
tosta che aveva. «Deve essere tenuto continuamente sotto
osservazione e…»
«Chissà
perché, ma lo immaginavo,» sospirò
Kassidiya, interrompendola. «Lasciaci soli.»
Chris si morse
un labbro e lanciò un’occhiata nervosa a Pai,
incrociando il suo sguardo supplice. «Mia
signora, non so se…» cominciò, ma venne
nuovamente interrotta.
«Ho
assolutamente bisogno di parlare con lui,» dichiarò
Kassidiya, in tono che non ammetteva repliche. «Sempre che
sia in grado almeno di comprendere ciò che dico…
lo sei, vero?» gli chiese.
«Sì,
mia signora,» rispose Pai, incolore.
«E’
già qualcosa,» sospirò Kassidiya, poi
fece un cenno a Chris, che fu costretta ad andare via.
“Buona
fortuna, Pai,” pensò l’aliena mentre
richiudeva dietro di sé il portone. “Mi dispiace,
ma non posso proprio aiutarti.”
Una volta
soli, Kassidiya si mosse verso Pai con passi lenti. Lo
scrutò attentamente, come se lo stesse studiando. Lui non
batté ciglio, ma aggrottò impercettibilmente la
fronte: aveva già vissuto quella scena, poco meno di due
giorni fa. Allora, nonostante tutto, era riuscito ad uscirne vincitore,
ma adesso le cose erano diverse: anche se ciò lo disgustava,
avrebbe dovuto acconsentire a qualsiasi volontà di
Kassidiya, o la sua copertura sarebbe saltata.
«Bene,» cominciò la Sovrana. Si era
fermata di fronte a lui e lo guardava con occhi scintillanti.
«Ora, Pai, ti prego di ascoltare con attenzione le mie
parole.»
Lui
annuì meccanicamente.
«Questa
mattina, mia sorella Kassandra è partita il Pianeta
Azzurro,» cominciò la giovane senza staccare gli
occhi da lui, che ricambiava con uno sguardo spento. «Durante
la partenza, alcuni popolani hanno scatenato una lite, ed in molti sono
rimasti feriti. Mi hanno appena informato che ci sono stati anche dei
decessi. Inoltre, è stata denunciata la scomparsa di una
ex-Guardia Imperiale. Tutto questo non
deve più accadere,»
dichiarò Kassidiya, ponendo molta enfasi sulle ultime
quattro parole. Pai non l’aveva mai vista così
seria, e notò quanto quell’espressione la faceva
sembrare più adulta. «Tu hai studiato le forme
viventi terrestri, vero?». Domanda retorica. «Un
insetto può essere schiacciato con facilità. Ma
uno sciame
di insetti può arrivare persino ad ucciderti, se non sai
come controllarlo. Pai, la popolazione è una
bestia pericolosa. Deve essere tenuta a bada, e questo è un
tuo dovere, ora che sei Capitano. Hai a disposizione dei sottoposti e
un potere non trascurabile: devi usarlo per mantenere
l’ordine e, credimi, il peso di questa
responsabilità è secondo solo a quello che porto
io. Il tuo predecessore era uno stolto; era da tanto tempo che volevo
rimpiazzarlo. Quanto a te, mi fido delle tue capacità e so
che non mi deluderai. Ordinerò a Shiroi di spiegarti meglio
i tuoi compiti. Ma, per ora, ti consiglio di scegliere un ufficiale,
fra i più esperti, in modo che possa
consigliarti...» Man mano che quelle
parole uscivano dalle labbra della Sovrana, Pai si sentiva sempre
più stupido: si era preparato al peggiore degli scenari, e
non gli era neanche passato per la testa che Kassidiya potesse voler
effettivamente parlare con lui solo di lavoro.
«Dimmi,
c’è qualcosa che non ti è
chiaro?» concluse Kassidiya dopo molti minuti, scrutandolo.
La stima di
lui nei suoi confronti sembrava aver appena subito un leggero aumento
– se non altro, almeno ora non rasentava più lo
zero assoluto - ma Pai si limitò a pronunciare un atono:
«No, mia signora,» che lo rese molto più
simile ad una macchina che ad un essere vivente.
A sentire
ciò, Kassidiya tremò leggermente e si
girò dall'altra parte. «Allora
puoi andare,» disse. Pai chinò
leggermente la schiena in un formale saluto e poi, voltatele le spalle,
si diresse verso l’uscita.
«Mi dispiace.»
Pai aveva
appena appoggiato la mano affusolata sul freddo metallo del portone
quando udì quelle parole. Sgranò gli occhi,
irrigidendosi. Forse non aveva sentito bene.
«Mi
dispiace,» ripeté Kassidiya, sospirando
pesantemente. «Sei stato l’unico che si sia mai
opposto a me, l’unico immune al mio fascino; mi hai sempre
detto cose che nessun altro aveva il coraggio di dirmi. Ed io, per
questo, ti ho odiato, ma, allo stesso tempo, ti ho desiderato. Alla
fine, sono riuscita ad averti, ma… guardati, Pai! Guarda
come ti ho ridotto… ti ho privato della tua famiglia, dei
tuoi ideali, persino della tua volontà! Dovrei essere
felice, perché sei finalmente mio, e invece… mi
sento così stupidamente in colpa…»
Lentamente,
Pai si girò verso di lei: Kassidiya teneva la testa bassa e
si stringeva il ventre con le braccia in un gesto nervoso. Un flusso di
emozioni contrastanti turbinarono nel suo animo: odio, rabbia, e una
grande tristezza… pietà, forse?
«Avevi ragione,» ammise Kassidiya, con voce sempre
meno ferma. «Non ero io quella che doveva essere Sovrana. Ho
commesso un errore, ho commesso errori per tutta la mia vita, uno dopo
l’altro, io…». Singhiozzò
piano. «C-Che cosa devo fare?» gemette infine,
crollando.
Pai distolse
lo sguardo da lei. “Puoi ancora cambiare,”
pensò. Non poteva dirlo ad alta voce, o si sarebbe tradito.
«Non
posso far nulla per cambiare. E’ troppo tardi,»
gemette lei, come leggendogli nel pensiero. Raggiunse uno specchio e vi
poggiò sopra entrambe le mani, guardando le lacrime rigare
il viso del proprio riflesso. Se le asciugò rapidamente, ma
solo per versarne altre un secondo dopo. «Questo è
il mio destino. Io sono maledetta, Pai. Lo so, lo sento; ma non volevo
trascinarti nell’abisso insieme a me… non
volevo... mi dispiace, Pai… m-mi dispiace per
tutto…»
Pai
aggrottò la fronte. Non capiva cosa stava succedendo; sapeva
solo che la donna che stava parlando non era Kassidiya: lei non si era
mai fatta alcuno scrupolo, né aveva mai provato alcun senso
di colpa.
L'alieno decise, nonostante tutto, di preservare la propria copertura,
e per questo motivo rimase immobile e in silenzio ad ascoltare i
singhiozzi della Sovrana.
«Vattene,
Pai. Salvati, se puoi,» sussurrò infine lei.
Pai
indietreggiò, lieto di essere stato congedato.
Lasciò l’Appartamento; prima di farlo,
però, lanciò a Kassidiya un'ultima occhiata: si
stava specchiando nuovamente, mormorando delle parole incomprensibili.
Lasciò socchiuso il portone, così come lo aveva
trovato quando era entrato.
Chris, appostata a pochi metri di distanza, lo raggiunse di corsa non appena lo vide: era
la faccia della preoccupazione. «Allora? Ti ha detto
qualcosa? Ti ha fatto qualcosa? Ah, quella strega!» disse in
una serie di rapidissimi sussurri.
«Non le interesso più,»
troncò Pai con voce altrettanto bassa.
Chris lo
guardò a bocca aperta.
«Non
so cosa le sia preso. Ha iniziato a dire cose molto stran-»
«AHHHHHHHHHHHHHH!!!!»
L’urlo
di Kassidiya costrinse Pai ad interrompersi. «Che
diavolo succede ora?!» gridò l’alieno,
precipitandosi nell’Appartamento, spalancando la porta.
Chris, stravolta, lo seguì: quando entrò, vide
che Pai stava sollevando da terra una Kassidiya priva di conoscenza.
«Oh,
sacro Ra...che cosa…che cosa le è
successo?» balbettò l'assistente scienziata, portandosi
una mano alla bocca.
Pai non sapeva
cosa risponderle. Sistemò Kassidiya sul suo letto e lei si
mosse lievemente, schiudendo appena gli occhi.
«Un
altro demone che sembra il mio Pai,» disse la Sovrana in un
sussurro, prima di stringere dolorosamente gli occhi. «Volete
torturarmi, maledetti…ma io non…a-ah!»
«Chris,
che cosa le sta succedendo?» chiese Pai, sbalordito.
Lei
indietreggiò. «Non lo so, non sono un medico! Vado
a cercarne uno, corro!»
«Vengo
con...» cominciò Pai, ma Kassidiya gli
afferrò il braccio.
«P-Pai,»
mormorò, con voce appena percettibile. «Non
lasciarmi da sola. Ti supplico, NON LASCIARMI SOLA CON LEI!»
strillò, così improvvisamente che Pai ne rimase
quasi spaventato.
«Lei
chi?» domandò lui, ma Kassidiya lo
guardò come se Pai stesse parlando una lingua che non
conosceva. «Chi, Kassidiya? C’è qualcun
altro in questa stanza? Rispondi!» ordinò.
Kassidiya
mosse l'altro braccio debolmente. «Lei,»
sospirò, indicando un punto a pochi metri dal letto.
Pai si
voltò di scatto, ma l’unica cosa che vide fu il
suo doppione incorporeo. Scosse la testa, voltandosi verso la giovane
aliena. «Quello è uno specchio,
Kassidiya,» spiegò con rassegnazione.
«NO!
E’ UN DEMONE!» gridò lei, fuori di
sé. «Dice che sono maledetta, che mi
ucciderà! Dice che mi sta uccidendo!» Non aveva
fatto in tempo a pronunciare quell’ultima parola che rimase
paralizzata; i suoi occhi erano vitrei mentre sillabava, spaventata:
«M-Mi sta uccidendo… Pai, io… io sto
morendo.»
Pai strinse i
denti. «Basta con queste idiozie!»
esclamò. Si staccò da Kassidiya con uno
strattone, ed in pochi passi fu accanto allo specchio; estrasse il suo
ventaglio e lo uscò per spaccarlo in mille pezzi.
I suoi
frammenti si sparsero sul pavimento con un tintinnio.
«Così
va bene?» chiese a Kassidiya. Si aspettava da lei una
qualsiasi reazione a quel gesto, invece scoprì che non si
era neanche accorta del suo allontanamento.
Kassidiya,
infatti, si era seduta sul letto e che aveva iniziato a
sfilare ad una ad una le perle che formavano la collana che indossava,
allineandole sulle lenzuola in una fila ordinata.
L’alieno
non sapeva più cosa pensare.
Tornò
accanto a lei, e a quel punto lei gli rivolse un sorriso felice.
«Guarda come luccicano!» gli disse con voce
emozionata, riferendosi alle perle. «Sono così
rotonde e belle, brillano così tanto! Questa però
è quella che luccica di più ed è
più bella, anche se non è una perla…
che cos’è?» disse, prendendo in mano il
gioiello al centro della collana. Pai portò
la sua attenzione su di esso: era molto elaborato e
rappresentava un cerchio con una croce che ne oltrepassava la
circonferenza; al centro di esso vi era incastonata una gemma di colore
rosso. Pai non gliel'aveva mai notato addosso, ma realizzò
subito che quella croce era molto simile a quella che aveva Imago.
Scosse la testa. «Kassidiya…»
tentò, ma lei, adesso, lo stava ignorando. «Non ho idea di come sia stato possibile, ma credo che tu sia impazzita,» concluse.
Ma
dov’erano finite tutte le Guardie? E perché Chris
stava impiegando così tanto tempo?
Kassidiya gli
lanciò addosso la sua croce. «IO NON SONO
PAZZA!» dichiarò, infuriata. «Io sono
Kassidiya Kaishu, e non sono il tuo burattino! Sono più
forte di te, e te lo dimostrerò! IO VI ODIO, VI
UCCIDERÒ TUTTI! Vi farò sparire da questo mondo!
Sono io la più forte, sono io!» urlò.
«Ma perché vi odio?» si chiese
improvvisamente, incerta, mordicchiandosi un dito. Un istante dopo, la
rabbia prese di nuovo il controllo del suo corpo: «Vi odio perché non avete mai capito niente di noi! E se io ora morissi, nessuno verserebbe
neanche una lacrima per me! E’
così…» iniziò a
piangere. «I-Io sono sola… sono…sono
così sola… almeno tu, Pai, non mi lasciare, non
di nuovo… ti
prego!» gemette con voce sempre piu’
lieve, prima di perdere i sensi.
Pai
impedì che ricadesse sul cuscino prendendola per le spalle e
la stese con delicatezza sul letto. Poi indietreggiò di
qualche passo, scioccato.
Non avrebbe
mai immaginato di potersi trovare in una situazione del genere. Tutto
ciò era... era assurdo. Gli sembrava di stare vivendo un
sogno, e in cuor suo sperava ardentemente che fosse così.
«Che
cosa ti prende, Kassidiya?» chiese all’aliena
profondamente addormentata. «Ho sempre pensato che fossi
pazza, ma ora… ora lo sei diventata davvero,»
constatò. La sua voce era vuota quasi come la sua mente.
Le parole
pronunciate da Pai non si persero nell’aria. Un'ombra le
udì mentre socchiudeva silenziosamente il portone e
scivolava via - era la stessa ombra che aveva seguito da quella
posizione tutta la scena, e che mormorò, senza sforzarsi di
reprimere una risatina nervosa: «Dunque la profezia non
mentiva… è cominciato.»
* *
Probabilmente,
durante il giorno, l’addetto al controllo
dell’atmosfera artificiale di Polaris aveva ricevuto una
bella strigliata dalla madre di Kell, dato che per quella notte si era
accontentato di lasciare un semplice cielo nero.
Pai sedeva sul
tetto della casa di Kell. Le sue mani stringevano un ginocchio; i suoi
vestiti erano spiegazzati e ciuffi di capelli ribelli gli ricadevano
disordinatamente sulla fronte: gli erano cresciuti, ma tagliarsi i
capelli era l'ultima cosa che gli passava per la testa in quel momento.
Il giovane fissava il cielo vuoto senza veramente vederlo, immerso
com’era nei suoi pensieri.
Non riusciva a
smettere di pensare a Kassidiya: non poteva essere impazzita di punto
in bianco; c’era sicuramente qualcosa sotto.
Quella
mattina, poco dopo che Kassidiya aveva perso i sensi, Chris era
ritornata nell'Appartamento con uno stuolo di medici di Palazzo e tre
Guardie. I medici si erano affrettati a prestarle soccorso, ma lei non
aveva reagito a nessuna cura: era come se, di punto in bianco, fosse
caduta in coma. Pai non disse a nessuno della sua pazzia e
nessuno, per suo grande sollievo, ipotizzò che lui potesse
aver avvelenato la Sovrana o qualcosa del genere.
Restava il
fatto che Kassidiya, prima di addormentarsi, aveva parlato di un
demone, di un burattinaio e di una maledizione, e Pai aveva continuato
per tutto il giorno a chiedersi che cosa significasse tutto
ciò.
«Oh, eccoti qui!»
Pai
sussultò.
«Ehilà, straniero! Disturbo?»
Chris.
Per la prima
volta dopo molto tempo, l'alieno distolse lo sguardo pensieroso dal
cielo; lo posò sull’aliena che lo aveva raggiunto
sorridendo.
«Anche
se ti dicessi di si non te ne andresti, vero?» disse
sconsolato.
Per tutta risposta, Chris si sedette accanto a lui.
Pai tornò a fissare un punto imprecisato in alto.
«Stavo pensando,» spiegò, intrecciando
le mani sul ginocchio.
«Guardando
il cielo? Sei un tipo romantico,» osservò lei con
un occhiolino. Pai non ribatté e per questo motivo, dopo un
po’, anche Chris alzò il naso in su e disse,
scuotendo la sua lunga treccia: «Che squallore
però, avere un cielo artificiale… noi non
possiamo salire sulla superficie del nostro pianeta, perché
altrimenti le condizioni esterne ci ucciderebbero. Sai cosa ti dico? Ti
invidio. Tu sei fortunato ad aver visto davvero il cielo, e sul Pianeta
Azzurro, per giunta! Ehi, Pai, com’è il cielo sul
Pianeta Azzurro di notte?»
«Luminoso,» rispose lui senza guardarla,
«a causa delle stelle e della luce riflessa dalla
Luna.»
«E’
luminoso?» replicò Chris. I suoi tentativi di
conversazione stavano miseramente fallendo, sebbene fosse partita con
le migliori intenzioni. «Quindi sulla Terra è come
se fosse sempre giorno?» chiese, anche se sapeva benissimo la
risposta.
Chris stava cercando in tutti i modi di distrarre Pai dal pensiero di
Kassidiya. Lui non lo dava a notare, ma lei aveva capito che aveva
subito un vero e proprio shock.
Pai
sospirò, scuotendo le spalle. «No, non
è così. Le stelle brillano, ma non
abbastanza.»
Chris si
strinse le mani al petto. Faceva freddo lassù.
«Sai, un tempo, anche ad Alan piaceva osservare il cielo come
stai facendo tu,» disse con una nota triste nella voce.
«Ora invece preferisce numeri, lettere e calcoli.»
«E’
il suo lavoro,» le fece notare Pai.
«Si,
ma prima non era così,» esclamò Chris.
«A volte, io… non lo riconosco
più.»
«Avrà i suoi motivi per comportarsi in quel
modo.»
«Tu
ti fidi molto di lui, vero?»
«Ha
salvato la vita a me e ai miei fratelli,» osservò
Pai.
«Io
non so più cosa pensare di lui,»
mormorò Chris cupa, abbassando lo sguardo a terra.
Pai le
lanciò un’occhiata di sfuggita. «Cosa ti
preoccupa?» le domandò.
«Oh,
lascia stare, non è niente,» rispose lei, ma dopo
un po’ cambiò posizione per guardare Pai in
faccia. «Ecco, guardami: anche ora che abbiamo problemi ben
più grossi, io non faccio altro che perdere tempo in questo
modo, con questi pensieri sciocchi... Ma nonostante tutto io non riesco
a non farlo... da una parte mi sembra di stare facendo una cosa
assurda, ma dall’altra sono sicurissima che anche se ci
proverò non riuscirò mai, semplicemente non ci
riuscirò, e…»
«Chris.»
«Si?»
«Stai
blaterando.»
L’aliena
gemette vistosamente e rovesciò la testa
all’indietro per tornare a contemplare il cielo.
«Che guaio, l’amicizia,» si
lasciò sfuggire dopo qualche secondo.
«Perché esiste l’amicizia?!»
«Non
credo che il tuo problema sia l’amicizia,»
osservò Pai, dimenticando per un attimo la sua Sovrana.
«Sei così innamorata?» le chiese
diretto, una volta che lei si fu rimessa a sedere.
Chris sussultò, lasciando a Pai un indizio per indovinare la
risposta. «Sei innamorata del tuo amico, ma hai paura di
rovinare la tua amicizia confessandoglielo,» disse, e lei
annuì, arrossendo.
«Già.
E inutilmente, dato che so già che lui non è
interessato a me.»
«Dici?»
«Ho provato questi sentimenti per lui in passato, ma qualcosa è andato storto e fra noi è finita male. Ho provato a
dimenticarlo, e forse ci ero anche riuscita, ma lui mi è
ripiombato improvvisamente nella vita e io…»
«Sei
una sciocca.»
«Si,
e…ehi!»
«Chris,
hai avuto la capacità di scegliere in un colpo solo la
persona, il suo stato d’animo, ed il momento meno adatti per
parlare di questo argomento. Ma non pensi che, continuando a
nascondergli i tuoi sentimenti, finirai solo per soffrire di
più? Prima o poi lui se ne
accorgerà, e quando accadrà sarà molto peggio di
adesso.»
«Lo
so. Ma io sono sempre stata brava a scavarmi la fossa da sola.
E’ uno dei miei numerosi talenti.»
«Chris,
vai a parlargli. Adesso.»
«E’
la stessa cosa che mi ha detto Imago.»
«Ha
più cervello di Kisshu, certo…»
sospirò Pai.
Chris scosse
la testa: «No… non ci riesco.»
«Chris…»
cominciò Pai.
«Oh,
insomma! Non è che non ci abbia provato! Ma il mio momento
di coraggio è durato fino a quando non ho scoperto che la
stanza di Ally era vuota.»
«Ah,
sei andata nella sua stanza,» osservò Pai con un
tono malizioso che gli era del tutto estraneo. Non era affatto
dell’umore adatto per scherzare, ma gli premeva tirare su di
morale la sua amica.
«Smettila,» ribatté lei, sorridendo
appena. «Dicevo, dopo di ciò, sono tornata da
Ima-chan in cerca di consolazione, ma lei, nel frattempo, era
scomparsa.»
«Uhm,
a Kisshu non piacerà questa storia,»
scherzò Pai.
«Non
preoccuparti, è sparito anche lui,» concluse Chris
con una voce impastata.
«Quindi
sei venuta da me perché ero l’unico rimasto?
Dovrei offendermi, suppongo.»
A quel punto
lei sembrò perdere la pazienza. «Ascolta, razza di
stupido!» esclamò, balzando in piedi.
«Per tua informazione, tu
avresti dovuto essere nella stanza di Alan!»
Pai la
guardò, ma non ebbe il tempo di assorbire il significato di
quelle parole che una vocina allegra gli fischiò nei timpani:
«Zia
Chris! Che bello, allora sei qui!»
Belle
raggiunse i due, arrancando sul tetto, e si aggrappò alla
gonna della tunica di Chris. «Quando torna il mio
fratellone?» chiese, tirando. «Non riesco a dormire
se non mi racconta una storia!»
«Oh,
Belle, lui stanotte ha da lavorare al Palazzo, non ricordi quando ce lo
ha detto?» le disse Chris pazientemente.
«Ma…
ma io voglio sentire una sua storia!» piagnucolò
Belle.«Zio Pai, vai a chiamarlo! Zio Pai!»
chiamò la bambina, ma Pai la ignorò. Non lo fece
per cattiveria, ma semplicemente perché era impegnato a fare
qualche semplice collegamento logico…
Chris era
innamorata del suo migliore amico.
Chris aveva
due migliori amici: Kell e lui.
E sapeva che
Kell non sarebbe tornato quella sera.
Ma cercava
qualcuno che doveva trovarsi nella sua stanza.
E quindi,
praticamente…
«Lascialo
stare, piccola, oggi lo zio non si sente troppo bene. Vuol dire che
stasera ti racconterò io una storia, va bene?» le
sorrise Chris.
«Siiiii!»
esultò Belle; la prese per la mano e la trascinò
via.
«Chris, aspetta!» la chiamò Pai,
tendendo d’istinto una mano nella sua direzione.
Lei si
immobilizzò e si voltò verso di lui. Aveva un
sorriso tristissimo. «Visto che avevo ragione? Mi sono
scavata la fossa da sola!» disse, prima di sparire
all’interno della casa.
«Io...» sospirò Pai, abbassando la mano,
«ho la sensazione che il prossimo ad impazzire
sarò io,» mormorò scompigliandosi i
capelli scuri, una volta rimasto solo.
* *
Pai
rientrò in casa alcune ore dopo. Passò
direttamente dalla finestra della camera di Kell e si gettò
sul suo letto, crollando in un sonno pieno di perle e di demoni. La
mattina seguente, spossato, si trascinò verso la sala comune
della casa, strofinandosi gli occhi ormai cerchiati da pesanti occhiaie.
Era ancora
molto presto, e per questo motivo si aspettava di trovare Kisshu e
Taruto ronfare spaparanzati da qualche parte. Inarcò un
sopracciglio quando, al posto di Taruto, scorse Imago.
Lei e Kisshu
riposavano insieme, accoccolati su un divano: lui teneva un braccio
intorno alla sua vita e lei dormiva abbracciandolo, con la testa
poggiata teneramente sul suo petto. Nel complesso, la visione era
così sdolcinata che Pai si sentì salire la nausea. Rimase fermo a guardarli a
braccia incrociate per molti minuti, fino a che Kisshu aprì
pigramente gli occhi, lo scorse, e scattò a sedere
terrorizzato, rischiando di far cadere Imago giù dal divano.
«Che diavolo
stavi facendo?!» sbraitò l’alieno dai
capelli verdi. «Che cosa sei, uno stalker?!»
«Kisshu,
sai che la madre di Alan non approva,» mormorò Pai
in tono inespressivo.
«E’…E’
colpa mia!» si affrettò a dire Imago, stringendosi
i pugni al petto. «Perdonami, Pai, io… ero
stanchissima e sono crollata senza neanche accorgermene!»
«Non
devi difenderlo,» sospirò lui.
Imago arrossì.
«Sai se per caso Chris è già sveglia?
Devo parlarle,» le disse Pai subito dopo.
Per tutta
risposta, lei lanciò un’occhiata a Kisshu.
«Oh, hai vinto tu.»
Lui rise
malizioso, appoggiando la testa sulla sua spalla e scoccandole un bacio
sulla guancia. «Te l’avevo detto che assomigliava
troppo a Retasu perché ne restasse
indifferente…»
Pai
fulminò entrambi con lo sguardo.
«Sentite,» sillabò con impazienza.
«Non sto scherzando e non ho voglia di…»
«Salve,
amici miei.»
Kell aveva
appena fatto il suo ingresso nella stanza. Pai si interruppe per
girarsi verso l’amico. «E tu quando sei
tornato?»
«Poco
fa. Credo di essermi appisolato in cucina,»
mormorò lui, sbadigliando vistosamente. «Allora,
qual è il problema del giorno?»
«Si
chiama Chris,» gli rispose Kisshu.
Kell si
lasciò ricadere su una sedia accanto al tavolo, ancora in
preda ad uno stato di torpore: «Oh, no, lei per un
po’ non sarà più un
problema…» spiegò, con voce impastata
di sonno. Era praticamente distrutto.
«Eh?»
«E’
partita,» spiegò Kell scuotendo la testa per
scacciare via la sonnolenza. Si lasciò sfuggire
un’imprecazione quando guardò l’orario.
«E’ tardissimo,» disse, sebbene in
realtà fosse ancora molto presto.
«Partita?»
gli fecero intanto eco Pai, Kisshu ed Imago.
«Si,
non ve l’aveva detto?» sbuffò Kell.
«Qualche tempo fa chiesi agli scienziati di Orion di
analizzare un meccanismo antico. Ieri mattina mi hanno mandato una
comunicazione per avvertirmi che avevano terminato le analisi e che
potevo andare a riprendere il mio reperto. Na io sono impegnato, quindi ho dovuto mandare Chris.»
Pai, Kisshu e
Imago si guardarono tra loro, increduli. Come aveva potuto Kell mandare
Chris ad Orion da sola? Non solo era una città estremamente
fuori mano, ma era anche molto meno sicura della Capitale; in molti
credevano che fosse la sede di pericolosi ribelli, nonché di
esseri malvagi e spietati.
«Mi
scusi, Dottor Kell…» cominciò Imago in
tono diplomatico.
«E
tu hai avuto il coraggio di mandarla laggiù da
sola?!» concluse Pai, sbattendo i palmi sul tavolo.
Kell si
coprì il viso con una mano. «Non dirmi che anche
tu credi che Orion sia infestata da demoni,»
commentò, insofferente. «Pai, quel meccanismo e
quelle analisi sono davvero molto importanti per me; Chris se la
caverà.»
«Oh,
siete già tutti svegli?» si intromise in quel
momento la signora Kell, entrando. Per loro fortuna, Kisshu e Imago
riuscirono a gettarsi in direzione opposta prima che lei si accorgesse
di quanto erano stati vicini fino a quel momento. «Se
è così, non vi muovete! Vi porto subito da
mangiare,» dichiarò l’aliena in tono
pratico.
L’atmosfera
era molto tesa quando, pochi minuti dopo, la signora Kell
tornò con un enorme vassoio di cibo fra le mani. Pai,
Kisshu, Imago e Kell si accomodarono in silenzio al tavolo, ma nessuno
di loro sembrava essere interessato alla colazione. L’anziana
aliena li squadrò uno per uno, contrariata. Aveva appena
poggiato, quasi come una sfida, una tazza piena di liquido fumante
davanti a Kisshu, quando Taruto li raggiunse.
«Buongiorno. Non avevo sonno,» si
giustificò preventivamente il piccolo, catturando
l’espressione disapprovante della signora Kell. Ignaro della
situazione, andò a sedersi accanto al suo fratello maggiore
e si strizzò gli occhi, soffocando un piccolo sbadiglio. Poi
schioccò un dito, come se si fosse appena ricordato di una
cosa. «Ah, Pai, hai visto Chris per cas-»
SBAM!
Pai aveva
appena sferrato al tavolo un pugno così forte da far
rovesciare addosso a Kisshu la sua bevanda. Senza dire una parola,
ignorando guardi attoniti dei presenti e le imprecazioni di Kisshu,
l’alieno si alzò dalla tavola e uscì
dalla stanza con passi grandi e furiosi.
«…che ho detto?!» sillabò
Taruto, sbalordito.
«Lascialo
stare, ha appena scoperto di avere un cuore,»
sbuffò Kisshu, cercando di pulirsi il vestito.
«Bene, io evaporo,» annunciò Kell,
alzandosi. «Non combinate guai. Ci vediamo a luci
spente.»
«Tesoro,
non torni per mangiare?» gli chiese sua madre, angosciata.
Lui
pronunciò qualche scusa mentre faceva scattare la serratura
magnetica dell’ingresso.
«Riunione… lavoro… ciao,»
biascicò, prima di richiudere la porta dietro di
sé.
***
**
*
Tempo dopo,
sulla Terra...
DRIN
DRIN!
Il sole era
tramontato da un pezzo quando il giovane corriere aveva premuto
meccanicamente il tasto del citofono di quello strano edificio rosa.
Quella era l’ultima consegna della giornata: presto, sarebbe
tornato a casa.
DRIIIIIIIN!
Il corriere attese impaziente alla porta, rigirandosi fra le mani il
pacchetto giallo che doveva consegnare. Nessuno venne ad aprirgli,
così cominciò a bussare con insistenza,
finché, finalmente, la porta si spalancò. Un caos
di voci, risa, urla e strilli acuti giunse alle orecchie del giovane:
all’interno di quel locale doveva esserci una gran
confusione, ma, dato che la ragazza che gli aveva aperto era uscita e
aveva socchiuso la porta dietro di lei, non poté indagare
oltre.
Ma in fondo, non erano affari suoi.
Il corriere rivolse la sua attenzione alla ragazza di fronte a lui,
trovandola davvero molto carina: era alta, snella e perfettamente
truccata, anche se in modo appena percepibile; indossava una graziosa
uniforme viola da cameriera, che si accordava con il colore dei suoi
lunghi capelli.
«Buonasera,»
la salutò, ammirato.
«Buonasera,» replicò lei; osservava il
giovane con i suoi freddi occhi azzurro ghiaccio come se la
infastidisse. «Che cosa vuole?Il Café Mew Mew
è riservato stasera,» tagliò corto,
incrociando le braccia al petto.
«Io… io devo solo consegnare un pacco,»
spiegò lui.
«A
quest’ora?»
«Io
lavoro per la Ogni Ora Express,» rispose il corriere con un
piccolo sorriso. «Non ha visto la pubblicità in
TV? Ogni Ora, ogni
mezz’ora, la vostra gioia…»
iniziò a canticchiare, ma la voce gli morì in
gola quando incrociò lo sguardo infastidito della cameriera,
che sembrava sul punto di picchiarlo.
«Devo
consegnare questo pacco al signor Shirogane,» disse, dopo
essersi schiarito la voce.
«…Ryo?»
concluse la ragazza sospettosa, e l’uomo annuì.
«Lo dia pure a me,» dichiarò,
impassibile.
«Per…perfetto…»
sorrise il corriere, leggermente scioccato dai modi bruschi di quella
bellissima cameriera. «Firmi qui, per cortesia.»
La ragazza
prese la penna che il giovane le stava porgendo, e velocemente scrisse
sulla ricevuta di consegna un elegante Zakuro Fujiwara.
Lui le consegnò il pacco e lei lo studiò con
interesse: non era molto grande, eppure aveva un peso non indifferente.
Nel mentre, il
corriere riprese il foglio e lesse la firma. Strabuzzò gli
occhi: «Ma…ma lei non
è…?» cominciò sbalordito, ma
Zakuro gli aveva già richiuso la porta in faccia,
lasciandolo fuori al buio.
Il corriere si
grattò la testa. «Pacchi urgentissimi che arrivano
da paesi sperduti dell’Africa… bar
strambi… idol che vedi sorridere in TV ma che ti guardano
come se fossi un bidone della spazzatura… mah, forse dovrei
prendermi una vacanza,» rimuginò fra sé
e sé mentre si allontanava a passi stravolti dal
Café Mew Mew.
|
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Capitolo 13 *** Preludio (Un sogno) ***
28/04/2014: La
canzone con cui assillo in questo capitolo è la prima
versione di “Haunted” degli Evanescence, che
trovate qui.
Non ho agito molto su questo capitolo. Non c'era molto da fare.
- Capitolo 12: Un sogno
-
Long lost words
whisper slowly to me
Still can't
find what keeps me here
And all this
time I've been so hollow...inside,
Giaceva
supina, in quella stanza buia.
Era
raggomitolata su se stessa, sotto un morbido piumone.
Non si
muoveva.
and I know you're
still there....
«Ich…igo…»
I suoi occhi
erano chiusi, i capelli sciolti ricadevano morbidi e disordinati sul
cuscino candido.
Aveva il
respiro tranquillo e regolare; era proprio come se stesse dormendo.
«Ichigo.»
Strinse gli
occhi. No, non stava dormendo; era sveglia, e ne era
pienamente consapevole. Sentiva la pioggia
battere sulle sue finestre e i rami mossi dal vento, che graffiavano
contro i vetri…
E, allo stesso
modo, percepiva distintamente la presenza oscura nella sua stanza che
la stava chiamando.
«Ichigo!»
Rabbrividì,
senza muoversi, cercando di ignorarla, sperando che se ne andasse.
«Ichigooo…»
cantilenò invece quella, e stavolta la ragazza
avvertì persino il suo soffio gelido sulla guancia.
E un tono di
crudele maliziosità in quella voce che le dava i brividi.
E il suo
respiro lento e profondo…
La sentiva. La
stava fissando. Era sopra di lei.
Ichigo era in
trappola.
Non voleva
aprire gli occhi. Non voleva vederla. Voleva solo che
sparisse e che la lasciasse in pace.
Watching me, wanting
me
I can feel
you pull me down
Fearing you,
loving you
I know I'll
find you somehow
Di colpo, la
finestra si spalancò, sbattendo forte contro il muro. Ichigo
aprì di scatto gli occhi e balzò a sedere sul
letto.
Le tende
davanti a lei svolazzavano come foglie preda del vento; i vetri ancora
tremavano a causa del colpo.
Ichigo
ansimava come se avesse appena finito un'interminabile corsa.
Si
guardò intorno angosciata, in cerca dell'essere che
l’aveva tormentata fino a poco fa, ma non vide nessuno.
“Era
un sogno,” si disse per tranquillizzarsi.
Eppure si
sentiva ancora addosso quella sensazione opprimente...
Un brivido le
risalì lungo la schiena.
La ragazza si
alzò, dirigendosi verso la finestra: stava per chiuderla, ma
vide un’ombra guizzarle davanti. D’istinto, fece un
salto all’indietro.
In quel
momento, una sola parola le si formò nella mente, e meno di
un secondo dopo ichigo si pentì di aver appena ricordato la
sua paura più grande.
“Fa…fantasma…?!”
Incapace di
riavvicinarsi alla finestra, Ichigo lasciò che il vento
gelido le frustasse il viso, e brividi istintivi scuotere il suo intero
corpo. Indietreggiò sempre più, senza staccare
gli occhi dalla finestra.
Poi la vide.
Rimase
immobile, paralizzata, in preda ad un folle terrore.
C’era
una figura, fuori dalla sua finestra, che la osservava con gelidi occhi
azzurri.
Venne
sopraffatta dall’orrore.
«Ichigo,»
la chiamò l’ombra.
Lei avrebbe
voluto urlare, scappare, ma il suo corpo sembrava non rispondere
più, e la sua razionalità era sparita
già da un pezzo.
«Perché
hai paura di me?» le disse però l’ombra
con voce tristemente malinconica. «Ichigo, sono io.»
Senza staccare
lo sguardo dalla finestra, la ragazza si strinse con una mano la stoffa
del pigiama all’altezza del cuore, cercando di regolarizzare
il respiro.
A poco a poco,
i suoi occhi si abituarono al buio, ed ora riusciva a distinguere il
profilo sfocato di quell’ombra, i suoi lunghi capelli, le sue
orecchie a punta.
Tutto
ciò le era familiare…
E quella
voce… l’avrebbe riconosciuta fra mille.
«A-Aoyama-kun,»
soffiò, correndo verso di lui.
Il Cavaliere
Blu galleggiava in aria, a pochi centimetri dal suo davanzale.
«Che
cosa…che cosa succede?» gli chiese la rossa, in
preda alla confusione. «Perché-»
«Volevo
rivederti,» la interruppe lui, «un’ultima
volta. Mi dispiace, Ichigo. Non posso più proteggerti. Ho
fallito,» continuò luttuosamente, mentre il freddo
vento congelava una lacrima sul suo viso.
Ichigo
sbarrò gli occhi.
«Addio,»
le disse il Cavaliere Blu, tendendole la mano.
«Aoyama-kun!»
chiamò lei di nuovo, incredula. Si sporse dal davanzale,
cercando di raggiungere la mano del giovane.
La
sfiorò: era ghiacciata.
Lui la prese
nella sua e la strinse forte, così tanto da farle male.
Iniziò
a tirarla con violenza, come se volesse trascinare Ichigo con
sé, fuori dalla finestra.
«E’
colpa tua! E’ tutta colpa tua, piccola strega!»
strillò lui con voce roca e spaventosa.
«Ma
cosa…» Ichigo alzò gli occhi,
terrorizzata, su colui che credeva fosse il Cavaliere Blu.
Una giovane
donna ricambiò il suo sguardo stravolto con uno crudele,
assatanato. I suoi occhi erano vitrei e rossi, e aveva una massa
disordinata di capelli neri sporchi di sangue, lo stesso che le
sgorgava dalla bocca mentre urlava: «E’ colpa tua
se sono morta!»
Ichigo
iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola,
tirando indietro la mano, lottando contro quella orrenda apparizione.
«Per
questo ora tu verrai con me!» continuò quella, e
tirò più forte la mano di Ichigo, che credette di
impazzire per il terrore. Con uno sforzo quasi sovrumano, la ragazza
riuscì a liberarsi; ricadde a terra con tutto il suo peso,
ma si rialzò subito e si precipitò fuori dalla
stanza sbattendo la porta con un tonfo.
Hunting you, I can
smell you alive,
your heart’s
pounding in my head
Ichigo rimase
lì, con la schiena premuta contro la porta, cercando di
ritrovare il suo respiro; il cuore le pulsava così forte nel
petto che sembrava stesse per scoppiarle.
Udì
un forte graffiare dall’altra parte, e una voce cavernosa
gemere il suo nome.
Senza pensarci
neanche un secondo, Ichigo volò giù per le scale
e si ritrovò al piano di sotto, dove un terrificante
raschiare faceva tremare i vetri di ogni singola finestra di casa sua.
Indietreggiò
fino al muro, troppo terrorizzata per fare altro.
«T-tutto…t-tut-tto
q-questo…tutto questo é…» balbettò,
rannicchiandosi in un angolo della stanza,
«semplicemente…assurdo,» gemette, coprendosi
le orecchie con le mani.
All’improvviso,
sentì un suono alla sua destra: un respiro, una risatina
crudele...
Si
sollevò di scatto, e si voltò appena in tempo per
vedere un’altra ombra.
«Chi
sei?» gridò, disperata, all’aria.
Sentiva di stare per morire dalla paura, ma fece ugualmente un passo
avanti. «Non sei un fantasma,» disse,
più per farsi coraggio che per convinzione.
«Complimenti,
bambolina, hai vinto un orsacchiotto,» mormorò una
voce alle sue spalle. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, Ichigo
sentì qualcuno afferrarla da dietro, immobilizzandola.
Non riusciva
quasi a respirare, tanto forte la stringeva.
«K-Kisshu,
lasciami!» gridò.
L’alieno
scoppiò in una risata crudele. «Ti
sbagli, piccola. Io non sono Kisshu.»
Prima che
ichigo potesse replicare, un metallo freddo iniziò a
scorrerle lungo la gola; quella sensazione la fece rabbrividire.
«Di’
buonanotte, Ichigo!» ghignò l’alieno.
Portò in avanti il pugnale e lo spinse verso il suo collo
con uno scatto violento.
«NO!
KISSHU! NON FARLO, NO!» Ichigo gridò,
gridò con quanta forza aveva nei polmoni, e spalancando gli
occhi di scatto si accorse che quelle urla non erano affatto parte del
sogno.
Stava gridando
per davvero.
Chiuse la
bocca.
Si sedette sul
letto, tenendosi la gola; respirava a malapena, ma almeno adesso aveva
la certezza di essere sveglia.
«Un
sogno, era solo un sogno… un sogno…»
Ichigo
continuò a ripeterselo febbrilmente, mentre si alzava per
richiudere la finestra che il vento aveva fatto spalancare.
«Solo un sogno,» ripeté, tornando a
sedersi sul letto, guardando l’orologio fluorescente sulla
scrivania, che segnava le quattro di mattina.
Si
strofinò gli occhi, spazzando via le ultime briciole di
sonno. Erano passate meno di tre ore da quando era tornata a casa e si
era gettata sul letto, addormentandosi di colpo. Indossava ancora gli
abiti del giorno prima. Per distrarsi, la ragazza si alzò
con l’intenzione di infilarsi il pigiama, ma una lacrima
solcò il suo viso stanco.
«No,
non era un sogno,» soffiò, ricadendo sul letto
disperata.
Watching me, wanting
me
I can feel you pull me
down
Fearing you, loving
you
I won't let you hold
me down.
|
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Capitolo 14 *** Il ritorno delle Mew Mew ***
14/05/2014.
Ci
ho ragionato su e alla fine ho riscritto da zero una buona
metà di questo capitolo. Nella versione iniziale girava
tutto attorno ad una specie di complicato messaggio di sangue
che faceva tanto film horror trash! Sono stata felice di toglierlo e di
sostituire alla stazione della metropolitana il giardino botanico.
Buona
lettura! Spero di riuscire a restaurare i prossimi capitoli
più rapidamente.
- Capitolo 13: Il ritorno delle Mew
Mew
-
Il
giorno dopo, erano circa le sette del mattino quando il signor Momomiya
scese in cucina per fare colazione. Vi trovò
sua figlia Ichigo, stranamente già in piedi e pronta per
andare a scuola.
«Buongiorno,
papà,» lo salutò la ragazza con voce
stanca, sistemando sul tavolo una tazza del caffè che gli
aveva appena preparato.
Sotto lo
sguardo attonito del genitore, Ichigo raccolse dal ripiano della cucina
un toast alla marmellata e iniziò a mordicchiarlo senza
appetito.
«Vado
a scuola, papà,» mormorò dopo un poco,
avviandosi verso la porta. «Ci vediamo stasera.»
«Tesoro!»
la fermò lui, la tazza di caffè bollente ancora
fra le dita.
«Sì?»
L’uomo
tossicchiò. «Io…lo sai che ti voglio
bene, vero?»
Ichigo
inclinò la testa di lato, stupita da quella domanda.
«Stanotte
sei tornata molto tardi,» azzardò il signor
Momomiya, «e ti ho sentito gridare nel sonno.»
La ragazza
tremò leggermente e non rispose.
«Ichigo,
ora che tua madre è in ospedale io… io sto
cercando di badare a te. Non voglio intromettermi nei tuoi affari,
però… se questo Kisshu ti fa soffrire, lascia che
parli io con lui!»
Il toast cadde
dalla bocca di Ichigo. «Che
cosa?! Voglio dire… papà, cosa
significa?!» Arrossì d'istinto. «Chi ti
ha parlato di Kisshu?!»
«E’
il tuo nuovo ragazzo, vero? Non devi nascondermelo.»
«Papà,
no! No!»
«E
allora chi è?» domandò il signor
Momomiya con fare indagatore.
Ichigo
sbatté le palpebre, confusa. «Lui era…
un amico,» disse senza pensarci. «Ma si
è… trasferito
molti mesi fa, e non credo che tornerà più
qui.»
«Ti
ha fatto del male? Ti ho sentito chiamarlo nel sonno. Sembravi
spaventata. Volevo entrare e svegliarti, ma-»
Ichigo non si
sentiva in grado di continuare quella conversazione, non nello stato
emozionale in cui si trovava in quel momento.
«Papà, io… ecco, io devo andare a
scuola!» disse sbrigativa, interrompendolo.
«Tesoro,
aspetta!»
«A
stasera!» lo salutò lei. Raccolse la sua cartella,
si infilò le scarpe e si affrettò ad uscire di
casa.
Una volta
fuori chinò la testa. La frangetta le ricadde ai lati,
nascondendo gli occhi lucidi. «Scusami
papà,» sussurrò, iniziando a correre a
testa bassa verso la scuola.
Si sentiva
malissimo a comportarsi così, a mentire e a tenersi tutto
dentro, ma non poteva dire la verità a suo padre. Non poteva
certo raccontargli quello che era successo ieri sera, quando…
(Flashback)
La
bambina soffiò sulla torta, spegnendo in un colpo tutte le
candeline; non era stata un’impresa difficile, dato che erano
solo tre.
Compiuto
questo gesto, fu sommersa da una marea di applausi.
«Augui
Hikaii!» gridarono altri bambini. «Buon
compeanno!»
La
bambina sorrise felice, poi si schiarì la voce e
pronunciò un solenne: «Gazzie a tutti!»
«Tanti
tanti tantissimi auguri, sorellina!» esclamò una
ragazzina, una bionda tutto pepe, abbracciandola e sollevandola da
terra per farla roteare in aria.
«Gazzie
Purin onee-sama!» rispose la festeggiata scoppiando a ridere
«Come sei buffa vettita così!»
«Io
sono una cameriera, Hikari!» si giustificò Purin,
rimettendola a terra.
«Auguri
anche da parte nostra, Hikari-chan,» sorrise Minto mentre
tagliava la torta in fettine perfettamente identiche.
«Voio
io la totta!» gridò un bambinetto allungando la
mano.
«No,
pima io!» dichiarò un altro.
«No
io!» e i bambini cominciarono ad affollarsi attorno a Minto.
«Ehm…
calmi, piccoli…» disse la ragazza con una risatina
nervosa. «Ichigo! Ichigo, per favore… tieni
indietro questi… esseri.»
«Su,
bimbi, calma! Ce n’è per tutti,»
tentò imbarazzata la rossina, mettendosi davanti a Minto per
proteggerla; non ebbe molto successo.
«Ed
ora i regali!» gridò Purin.
«SIIII!»
rispose il coro dei bambini. Corsero tutti da lei, lasciando un po' di
respiro a Minto.
«NO!» strillò invece Ichigo
preoccupatissima, agitando le braccia. «Fermi! Non correte
per il locale! Vi farete male!»
«Ichigo,»
la chiamò Zakuro.
Lei
si girò nella sua direzione.«Zakuro, aiutami,
dobbiamo trovare un modo per calmarli!» le disse quasi
piangendo.
«Non
è il momento per questo,» la
liquidò la ragazza lupo. «Ora che quei bambini
sono impegnati con i regali, devo dirvi una cosa.»
«Cosa
succede, Zakuro?» Minto si era accostata alla modella.
«Ho
bisogno di parlare con tutti voi. Riuscite a radunarvi nella saletta
lì in fondo?» domandò lei, e Minto
annuì. A quel punto, Zakuro si guardò in giro.
«Dov’è Retasu?» chiese.
«E’
di là che continua a rovesciare piatti, lezione di vita che
i bambini hanno appreso con una velocità
sorprendente,» replicò Minto con un sospiro.
«Vado
a recuperarla. Voi aspettatemi di là.»
Zakuro si
avviò verso la cucina del Café, e, non appena
varcò la soglia, udì una serie di sonori crash che
confermarono le parole di Minto.
Retasu aveva
appena fatto rovesciare un altro vassoio. La cameriera dai capelli
verdi era allo stesso tempo dispiaciuta e imbarazzatissima per
l'incidente. Keiichiro aveva cercato di aiutarla,
allontanando i bambini che si stavano avvicinando
pericolosamente ai cocci a terra, ma i suoi modi cortesi e i suoi
affascinanti sorrisi, a quanto pareva, avevano effetto solo sulle
ragazze dai tredici anni in su.
Nel frattempo,
Purin continuava giocare con i suoi fratellini e con gli altri bambini
invitati al compleanno, che stavano dando il meglio di sé.
Ichigo continuava a supplicarla di calmarsi e Retasu continuava a far
cadere a terra piatti.
Nel complesso,
constatò Zakuro, tutto ciò provocava un caos
considerevole.
La ragazza si
diresse rapida verso il bancone sul quale, appoggiato sui gomiti, vi
era un giovane dai capelli biondi ed angelici occhi azzurri, con cui
osservava indifferente la scena.
«Ryo,
quanto durerà ancora?» gli chiese Zakuro.
Il ragazzo le
rivolse un’occhiata distratta. «Le pareti
dovrebbero reggere, sono antisismiche,» rispose pacato.
«Ma per quel che riguarda il soffitto, non so fino a che
punto le travi-»
«Intendo
questa festa,» precisò Zakuro. «Ho delle
cose importanti da dire a te, Keiichiro, Ichigo e alle altre.»
Ryo
si passò una mano fra i capelli, osservando impassibile
Ichigo inseguire Purin, impegnata a fare capriole su una gigantesca
palla. «Ichigo, hai detto? Beh, vediamo…»
chiuse gli occhi e aprì una mano; chiuse un dito alla volta,
contando i secondi in silenzio e, al cinque, sentì una
presenza ringhiare di fronte a lui. Se non avesse già saputo
di chi si trattava avrebbe pensato ad una tigre in libertà.
«RRRRRRRRRYOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!»
tuonò Ichigo.
Lui
si portò le mani all’orecchio ora dolorante,
massaggiandoselo.
Lei
lo ignorò. «Ascoltami! Io voglio bene a Purin e
non mi è dispiaciuto riaprire il Café Mew Mew per
festeggiare il compleanno della sua sorellina, ma perché
devo sempre fare tutto io?! Perché, perché?!
Retasu continua a fare casino, Purin è peggio di quei
bambini, e io da sola NON posso –»
«Ti
vedo un po’ nervosa stasera. Problemi con il tuo
ragazzo?» le chiese il biondo con un sorriso impercettibile,
e Ichigo avvampò.
«Aoyama-kun
non c’entra niente!» strillò in risposta.
Retasu
e Purin raggiunsero il gruppo.
«Ichigo,
scusaci, non volevamo...!» cominciò Retasu.
«Ragazzi,
vi prego!» esalò a quel punto Zakuro, esasperata.
«Devo parlarvi. E’ importante!»
DRIN!
DRIN!
«Il
campanello! Aspettiamo qualcuno?» chiese Retasu.
«No,
nessuno,» rispose rapido Ryo. «E comunque, Ichigo,
riguardo i tuoi problemi con Aoyama, forse se tu fossi meno infantile,
forse non-»
«La
smetti di dire che ho problemi con Aoyama-kun?!» lo
interruppe la rossina. «Aspetta, hai detto che sono
infantile?»
DRIIIIIIIIIN!
«Vado
io,» troncò Zakuro. «Voi sedate quei
bambini. Quando torno, voglio trovarvi tutti di
là,» dichiarò.
(Fine
flashback)
Mentre era
ferma all’incrocio, aspettando che il semaforo per i pedoni
diventasse verde, Ichigo si specchiò pensierosa nella
vetrina di un negozio di elettrodomestici.
“Io
chiamo il nome di Kisshu nel sonno?” si chiese, incerta.
Suo padre
credeva che fosse il suo ragazzo, ma lei scosse la testa con decisione,
stringendo gli occhi. No, non era possibile. Lei non aveva mai provato
niente per Kisshu, né prima, né tantomeno adesso.
L’unico ragazzo che avrebbe voluto avere accanto a
sé in quel momento era il suo Aoyama.
Gli mancava,
gli mancava come l’aria. Non lo vedeva da tre mesi: era
andato in America per un progetto di studio, ma ciò
che consolava Ichigo era il fatto che, in capo a pochi giorni, sarebbe
tornato in Giappone.
«Aoyama-kun,
quanto vorrei che tu fossi qui con me ora,»
sussurrò tristemente la ragazza, ripensando agli eventi della
sera precedente e agli incubi che l’avevano tormentata per
tutta la notte.
Dopo alcuni
secondi il semaforo scattò, ma Ichigo non si mosse subito:
la sua attenzione era stata catturata dalle immagini che le televisioni
esposte nella vetrina del negozio stavano trasmettendo. La ragazza si
ritrovò sovrastata da decine di facce di un’aliena
che storceva la bocca in un ghigno; poteva leggere chiaramente sulle
sue labbra le parole ‘Mew
Mew’. Il viso dell’aliena era di una
bellezza sconcertante, ma i suoi occhi chiari erano accesi e sadici.
Aveva dei capelli corvini lunghi e mossi e, ai lati della sua testa,
spuntavano due orecchie a punta.
Ichigo
sussultò, ma ben presto l’immagine
dell’aliena venne sostituita da una foto di repertorio
delle Mew Mew e dall’inquadratura a mezzobusto di un
giornalista che spiegava la notizia del giorno al pubblico a casa.
La ragazza non
aveva bisogno dell’audio per sapere cosa stava dicendo
quell’uomo: aveva vissuto gli eventi in prima persona solo
poche ore fa.
Forse, era
stato proprio quello il motivo per cui aveva cominciato a
pensare a Kisshu: in passato, lui era stato il suo acerrimo nemico, si
era comportato da bastardo e non aveva fatto altro che farsi odiare da
lei... ma, nonostante ciò, le aveva voluto bene, al punto da
sacrificarsi per lei.
Come in
trance, Ichigo continuò a guardare il telegiornale; senza
volerlo, lesse i sottotitoli scorrere in fondo allo schermo:
Orrore
al giardino botanico di Jindai: il cadavere di una giovane donna
è stato ritrovat–
Ichigo si
riscosse rapidamente e voltò le spalle alle televisioni.
“Kisshu era buono, in fondo. Lui non avrebbe mai fatto
questo,” si disse amareggiata. “Lui non era come
loro.”
Attraversò
la strada. Dietro di lei, lo speaker terminò quel servizio e
passò al successivo. I sottotitoli dicevano:
America, aereo
scomparso: è precipitato nell’Oceano Pacifico.
(Flashback)
Alla
fine Ichigo, Purin, Retasu, Minto, Ryo e Keiichiro riuscirono a
radunarsi nella saletta privata in fondo al Café.
Mentre
attendevano il ritorno di Zakuro, una figura si sporse nella stanzetta.
«Ah, eccovi! Ma che cosa ci fate tutti qui?»
domandò sospettosa una ragazza bionda. Aveva
all’incirca diciotto anni ed era davvero molto carina; il
suo fisico era alto e slanciato, simile a quello di una modella.
«Oh,
Keira… niente, niente!» si affrettò a
mentire Purin con un sorriso.
«Allora
niente in contrario se resto con voi, vero, cuginetta?»
ribatté lei con l’aria di chi ha mangiato la
foglia. Prima che Purin potesse risponderle si accomodò su
una sedia accanto a Ryo, che la guardò malissimo.
In
quel momento Zakuro li raggiunse: stringeva fra le mani un pacchetto
giallo e parve contrariata nel constatare la presenza indesiderata di
Keira.
«Zakuro-oneesama,
chi era alla porta?» le chiese Minto.
«Un
pacco urgente per Ryo,» rispose lei, poggiandolo su un mobile
all’angolo. «Ma a parte
questo…»
«No,
Ryo, ora mi spieghi perché sono una ragazzina
immatura!» si lagnò Ichigo.
«Allora,
Zakuro, cosa volevi dirci?» domandò calmo Ryo,
ignorando la rossa, che per tutta risposta lo afferrò per il
bavero:
«Non
cambiare discorso!»
«Smettetela
immediatamente!» sbottò a quel punto Zakuro,
sbattendo la mano aperta sul tavolo.
Questo
sembrò catturare l’attenzione dei presenti.
Tutti
puntarono il loro sguardo su Zakuro, che aprì la bocca per
parlare.
Ma
fuori dalla stanza uno dei bimbi scoppiò improvvisamente a
piangere, e la ragazza lupo fu sul punto di imitarlo.
«Oh,
no, Shinji!» esclamò Purin preoccupata; fece per
correre verso il suo fratellino, ma Ryo le mise una mano sulla spalla,
fermandola.
«Keira,
potresti dare tu un momento un’occhiata ai
bambini?» chiese. «Noi dobbiamo discutere di alcuni
problemi burocratici.»
La
ragazza gli lanciò un’occhiata indispettita: era
chiaro come il sole che non credeva alle parole del giovane, eppure
sembrava non riuscire a dirgli di no. Rimase però immobile,
seduta sulla sua sedia.
«Per
favore, Keira,» aggiunse Purin a quel punto, «ti
prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti preeeg-»
«Oh,
basta!» sbottò quella.
«D’accordo, ci penso io!»
Purin
le sorrise radiosa. «Grazie, cuginetta!»
Keira
la ignorò ed uscì dalla stanza, ponendo
particolare attenzione nel chiudere la porta nel modo più
rumoroso possibile.
«Dicci,
Zakuro,» esordì Ichigo non appena furono soli,
«che cosa succede?»
«Un
disastro,» replicò quella senza troppe cerimonie.
Estrasse dalla tasca del grembiule dei lunghi ritagli di giornale e li
sistemò sul tavolo rotondo intorno a cui si erano radunati i
suoi compagni.
Loro
posarono gli occhi su quei fogli, che portavano la data odierna.
«Oh,»
sussurrò Minto, rabbuiandosi.
Ichigo
lesse il titolo in prima pagina ed inorridì, così
come Retasu.
«Drammatica serie di omicidi nei
quartieri di Tokyo. Ieri notte tre nuove vittime,»
lesse Minto distaccata. «Lo sapevo già,
l’ho sentito al telegiornale. Sono giorni che non fanno altro
che parlare di queste morti misteriose. E’ una storia
terribile,» commentò.
«Io…
io non lo sapevo!» esclamò Ichigo sconvolta,
scorrendo febbrilmente il primo articolo.
«Credo
che tu sia l’unica in tutto il Giappone a non
saperlo,» osservò Ryo, la fronte aggrottata.
«Era
questo quello che volevi farci vedere, Zakuro?» chiese invece
Keiichiro.
«Si,»
annuì lei incrociando le braccia al petto.
«Che
cosa dobbiamo fare?» chiese Purin ansiosa.
«Niente,»
fu la risposta secca di Ryo.
Ichigo
interruppe la sua lettura e lo guardò sbalordita.
«Ma…» cominciò.
«Questi
non sono problemi di nostra competenza,» la freddò
lui.
«E’
vero, noi non ci occupiamo dei criminali, ma… e se questa
fosse opera degli alieni?» propose timidamente Retasu.
«Ryo, tu ci avevi detto che c’era la
possibilità che un giorno sarebbero tornati.»
«E’
impossibile,» intervenne Keiichiro. «In questi mesi
di pace ho tenuto sotto controllo la situazione in modo costante, e
finora non ho rilevato nessuna presenza nemica.»
«Ascolta,
Ryo, noi…» cominciò Ichigo veemente, ma
per la seconda volta Ryo la interruppe.
«Voi,»
disse con voce severa, leggendo nel pensiero della rossa,
«dovete capire che il vostro compito è quello di
proteggere la Terra dalla minaccia aliena. Il destino
dell’intera umanità è nelle vostre
mani, e per questo motivo, farvi rischiare la vita inutilmente mi
sembra…»
«Inutilmente?!
Delle persone vengono uccise e noi dobbiamo restare qui ferme a
guardare?» lo interruppe a sua volta Ichigo.
«Le
persone muoiono ogni giorno. Io voglio solo che voi non corriate rischi
inutili. E poi te l’ho già detto, non sono affari
che ci riguardano.»
«Io
credo che lo siano,» osservò piatta Zakuro.
Ryo
distolse l’attenzione da Ichigo e la puntò su di
lei. «Spiegati,» le ordinò.
Zakuro
cercò fra i vari articoli e, quando trovò quello
che le interessava, lo mise in cima agli altri.
«Leggete il modo in cui queste persone sono
morte.»
Ichigo,
Minto e Purin si piegarono sul foglio.
«Oh,
non leggete ad alta voce,» le supplicò Retasu,
lanciando occhiate preoccupate alla sottile porta che le divideva dai
bambini.
«Ecco,
leggete qui,» Zakuro indicò un punto a circa
metà articolo.
«Hm…»
mormorò pensierosa Minto, portandosi un dito sulle labbra.
Quell'articolo
era molto dettagliato: descriveva in maniera accurata il numero di
vittime, la data e il luogo del loro ritrovamento. Si concludeva
dicendo che, dato che le modalità con cui avvenivano gli
omicidi variava di volta in volta, era probabile che si trattasse non
di una, ma di più killer o bande criminali in azione.
Minto
confrontò rapidamente quanto letto con gli altri articoli e
alla fine si accorse che a ben vedere c’era qualcosa di molto
strano in molte di quelle morti: ad esempio, due delle vittime erano
state ritrovate in una pineta con le ossa fracassate come se fossero
precipitate da un palazzo, ma non c’era nulla di abbastanza
alto da cui potessero essere cadute. Quasi
tutte le altre erano degli escursionisti, ritrovati morti a causa di
grosse ferite da armi bianche; poi c'erano dei jogger in un parco e dei
pescatori sulle rive di un lago, i cuoi corpi erano stati squarciati
praticamente a metà, come se fossero stati colpiti da una
grossa cannonata in pieno petto.
Era
tutto molto sospetto, e Minto pensò che Retasu non aveva
tutti i torti ad aver tirato in ballo gli alieni. Inoltre,
c’era anche un altro dettaglio…
«Zakuro,
dicci cosa hai scoperto!» esclamò Ichigo.
Minto
sospirò. «Credo che Retasu abbia
ragione,» ammise. «Ora che ci penso, credo anche io
che sia opera degli alieni.»
«Perché
lo credi?» le domandò Ryo.
«Pur
volendo ignorare la stranezza di questi omicidi, è
impossibile non notare che tutte queste persone sono morte in luoghi,
potremmo dire, naturali.»
«Quindi
non era solo una mia impressione,» sospirò il
biondo.
«Che
cosa vuoi dire?» chiese Purin.
«La
razza aliena con cui abbiamo avuto a che fare in passato era il tipo di
gente che avrebbe fatto del male a delle persone innocenti anche solo
perché inquinavano
la natura con la loro presenza,» osservò Zakuro.
«Oh,»
sussurrò Ichigo, iniziando finalmente a collegare i vari
pezzi del puzzle.
«Ma
non possiamo dirlo per certo,» puntualizzò Ryo.
«Taruto
e gli altri non farebbero mai qualcosa del genere,»
dichiarò Purin. «Se sono alieni, forse si tratta
di altri alieni?»
Keiichiro
appoggiò i gomiti sul tavolo, meditando. «Non so
come sia possibile che degli alieni siano riusciti a passare sotto i
miei radar, ma indagherò.»
Aveva
appena finito di dire questa frase che la porta della sala si
aprì. Keira si appoggiò allo stipite, le braccia
incrociate.
«Cosa
c’è?» le chiese Ryo.
«Avevo
messo i bambini a guardare uno spettacolo in TV, ma credo che si sia
rotta,» rispose lei. «Ha iniziato a trasmettere una
specie di film di fantascienza con un’aliena che strilla di
essere la Sovrana del Pianeta Azzurro. Qualcuno potrebbe venire a
sistemarla? Ai bambini non piace, e non posso dargli torto.»
«Che
cosa?!» Ryo si staccò dal mobile a cui aveva
appoggiato la schiena e uscì a grandi passi dalla stanzetta,
tornando nell’atrio del locale.
I
bambini erano seduti tranquillamente a terra di fronte alla televisione
a cristalli liquidi appesa in un angolo del muro.
Nello schermo c’era un ondeggiante primo piano di un'aliena che altri che non era che Kassandra.
Nonostante la scarsa qualità del video, che era girato in un
luogo poco illuminato, il suo volto era perfettamente
distinguibile: la pelle candida, il taglio serpentino degli occhi e le
orecchie a punta non lasciavano molti dubbi sulla sua natura
non umana.
«Sono…
Sono davvero gli alieni!» esclamò scioccata Ichigo.
«Silenzio!»
Ryo prese il telecomando e alzò il volume della televisione.
«…avete capito,
stolti? Vi risparmio solo per pietà. Ma mi sono stancata
delle vostre facce da ebeti e del modo arrogante con cui osate
rivolgermi la parola! Da oggi, chiunque non si inchinerà al
passaggio di me, la Sovrana del Pianeta, verrà condannato a
morte!» stava dicendo Kassandra.
«Ma
è seria? Voglio dire, ci crede davvero?»
domandò Minto.
«Ho
paura di sì,» ammise Keiichiro.
Zakuro
aggrottò la fronte.
«La sua voce è irritante.»
«Però
è davvero bella,» osservò Retasu.
Era
vero. Kassandra era la creatura più bella che lei e le sue
compagne avessero mai visto. Quando l’aliena si
allontanò di qualche passo dalla telecamera, Ichigo e i suoi
compagni poterono scorgere il resto del suo corpo perfettamente
proporzionato, avvolto in un corto vestito scuro, asimmetrico e senza
spalle, decorato con una complessa fantasia a quadri che brillavano
ogni volta che la luce vi si posava sopra.
«Un’ultima
cosa,» riprese Kassandra, «sto cercando un gruppo
di ribelli terrestri chiamato Mew Mew. So che le state nascondendo qui
da qualche parte. Se continuerete a mentirmi, vi farò
torturare tutti e farò torturare anche i vostri cari e le
persone care ai vostri cari finché non parlerete!»
Ryo
ne aveva avuto abbastanza: spense la televisione e lanciò
un’occhiata al gruppo di ragazze davanti a lui, mentre i
fratellini di Purin ricominciavano a fare casino.
Non
avevano bisogno di parlare: era chiaro a tutti che era stata
quell’aliena a commettere gli omicidi. A quanto pareva non si
trattava di semplice pulizia:
stava cercando disperatamente le Mew Mew, ed era convinta che i
terrestri le stessero mentendo. Ciò, unito al suo discorso
delirante sulle condanne a morte e sul fatto di essere la Sovrana del
Pianeta, rese chiaro il fatto che quella donna era
completamente pazza.
«Ragazze,
avete sentito cosa ha detto?» disse Ichigo in un sussurro
appena percettibile. «Tutte… tutte
quelle… persone…»
Ryo
posò una mano sulla sua spalla, impedendole di terminare la
frase. Avvicinò la bocca al suo orecchio e Ichigo
sbarrò gli occhi. «Non possiamo fare
piu’ nulla per loro,» le disse a bassa voce.
«Ma possiamo evitare che faccia del male ad altri.»
Ichigo
si girò verso le sue compagne: erano scosse quanto lei, ma
allo stesso tempo nei loro occhi brillava una luce determinata che la
convinse a smettere di autoincolparsi.
«Sorellona!
Sorellona!»
Uno
dei fratellini di Purin si intromise nella discussione e
iniziò a tirare la gonna arancione della sorella.
«E’ vero che quello era un alieno? Keira dice di
no!»
«Oh,»
replicò Purin, ammorbidendo la sua espressione.
Carezzò la testa del bambino e sorrise. «Ma certo
che è un vero alieno… solo che ora è
salito sulla sua astronave ed è tornato a casa!
Così: fuuuuh~!!»
esclamò lei, e iniziò a correre per il locale con
le braccia spalancate ad ala, facendo ridere tutti i bambini.
«Hah!
Se quella è un vero alieno io sono una sacerdotessa
scintoista,» commentò Keira, attirando
l’attenzione del resto del gruppo, che si era totalmente
dimenticato della sua presenza. Sollevò le spalle.
«Andiamo! Secondo me è una pubblicità
virale di un qualche telefilm ispirato a quelle ragazze mascherate che
si vedevano in giro qualche tempo fa.»
«Lo
credo anche io,» annuì Ryo con accondiscendenza.
«BAMBINI,
LA FESTA È FINITA!» dichiarò Purin,
sovrastando la voce del biondo. «E’ ora di tornare
a casa!»
«NOOOO!!!»
fu il coro generale.
«Puoi
riportarli a casa da sola, Keira?» chiese la cinesina alla
ragazza. «Io e le mie amiche abbiamo… dei fogli di
lavoro da compilare. Tanti fogli. Tanto lavoro.»
Lei
le lanciò un’occhiataccia.
«Ti
prego! Potrai restare a casa mia per tutto il tempo che
vorrai!» le promise Purin in ginocchio, e sembrò
che quella condizione piacesse parecchio a Keira, perché
scattò in piedi ed esclamò:
«Per
quando tornerai saranno già tutti a letto!»
«Grazie,
ti voglio bene!!» gioì Purin, abbracciandola.
(Fine
flashback)
Ichigo
attraversò la porta della sua classe con largo anticipo.
Gettò sul banco la sua borsa e si lasciò ricadere
senza forze sulla sedia sospirando.
«Hello, sunny strawberry,»
le sorrise una sua compagna, accomodandosi al banco accanto al suo.
«Ciao
Marie,» soffiò Ichigo senza alzare la testa. Non
aveva voglia di vedere nessuno quel giorno, tantomeno la sua nuova
compagna di classe, con la quale fra l’altro era
un’impresa parlare.
Marie Wise,
infatti, non era giapponese. Lo si intuiva facilmente dai suoi
lineamenti occidentali, dalla pelle pallida e dai capelli e occhi
chiari che aveva. Nello specifico, Marie era inglese, o meglio
londinese, e si era trasferita lì a Tokyo soltanto pochi
giorni fa.
Era stata
assegnata alla classe di Ichigo; il professore le aveva dato il banco
alla destra della rossina, dividendola così da Moe e Miwa,
le sue amiche di sempre.
A Ichigo non
importava di quel cambiamento: Marie era dolce e molto amichevole.
Ciò che rendeva le giornate scolastiche di Ichigo difficili
era solo il fatto che, nonostante la straniera avesse superato con
successo i test di ammissione alla scuola, si esprimeva in giapponese
con estrema difficoltà.
La pronuncia
giapponese di Marie era terribile e la sua grammatica un po’
incerta. Infilava in tutte le sue frasi una sfilza di termini inglesi
sconosciuti a Ichigo, e lei faticava non poco per capire cosa la
ragazza le stesse dicendo ogni volta.
«Poi
mi spieghi cosa vuol dire sunny
strawberry,» sospirò la rossina,
scostante.
Marie si
abbassò leggermente per guardarla, e i suoi capelli dorati
scivolarono giù dalle spalle. «What’s wrong,
Ichigo? Che cos’hai?» le chiese preoccupata.
«You look tired.
Hai fatto un incubo stanotte?» provò.
Ichigo
riemerse dal suo mondo. Non sapeva come facesse, ma quella ragazza
aveva la capacità di indovinare sempre la risposta giusta.
«Credo di sì,» rispose laconica.
Prima che
Marie potesse replicare, la campana suonò ed il professore
fece il suo ingresso nella classe, troncando la discussione fra le due
ragazze.
(Flashback)
Le lancette
dell’orologio avevano da poco superato il numero undici
quando Ichigo spalancò la porta della sala sotterranea del
Café. La ragazza entrò a gran passi ed
esclamò: «Keiichiro! Allora?»
L’uomo
alzò la testa dal computer. «Forse ho
trovato,» disse in riposta.
«Parla!»
ordinò Ichigo. Dietro di lei c’erano le sue
compagne, mentre Ryo era fermo sulla porta.
Keiichiro si
mise in piedi ed attivò il proiettore. «Gli alieni
non hanno fornito la loro posizione e i miei radar continuano a non
individuarli, ma… ho recuperato da internet il video, ed
analizzando l'ultima parte, ho notato questo dettaglio!» Schiacciò
un pulsante e l’immagine sgranata di un grosso fiore rosso
apparve sulla parete di fronte alle ragazze. Si trattava di un
ingrandimento di un angolo del filmato, ma le mew mew non riuscivano a
capire come questa cosa avrebbe potuto esser loro utile.
«La
pianta che vedete è una Hydnora
Africana,»
spiegò Keiichiro. «E’ molto
rara, ed uno dei pochi esemplari presenti in Giappone si trova nel
Giardino Botanico di Jindai.»
Ryo
incrociò le braccia. «Stai dicendo che
è lì che si nascondono? Ne sei sicuro?»
«Non
so se la loro base si trovi lì, ma sono certo che il video
è stato girato in quel luogo. E’ probabile che
siano ancora nelle vicinanze.»
Mentre
parlava, Keiichiro aveva iniziato a smanettare con il suo computer nel
tentativo di fare uno screening della zona del Giardino Botanico.
Quando la procedura che aveva avviato si concluse, Mash, che era
appoggiato sullo schermo del computer, sembrò andare in
tilt, e la stessa macchina cominciò a lanciare un segnale a
intermittenza.
«Ma
cosa… i sensori rivelano presenze aliene!»
esclamò Ryo, superando di corsa le ragazze per raggiungere
Keiichiro. «Come mai non le avevano captate prima?!»
«E’
probabile che si siano schermati,» ipotizzò lui,
sorpreso quanto il compagno. «Ma ora che ho aumentato la
potenza dei radar e ristretto il campo di ricerca, è
riuscito ad individuarli. Sono davvero a Jindai!»
«Allora
dobbiamo muoverci, ragazze!» esclamò Ichigo, e le
altre annuirono.
«Mew
Mew Strawberry…»
«Mew
Mew Pudding…»
«Mew
Mew Lettuce…»
«Mew
Mew Mint…»
«Mew
Mew Zakuro…»
«...METAMORPHOSIS!»
conclusero insieme, trasformandosi.
«Fate
attenzione! Noi vi seguiremo da qui!» disse Keiichiro.
«Mash, vai con loro!» ordinò poi al
piccolo androide, che volò veloce sulla spalla di Mew Ichigo.
Ryo tese un
braccio verso di loro. «SQUADRA MEW MEW,»
gridò per la prima volta dopo molto tempo, «IN
AZIONE!»
(Fine
flashback)
Ichigo
sussultò, aprendo di scatto gli occhi: si era addormentata
in classe.
Di nuovo.
«Ichigo?
Sicura di stare bene?» le sussurrò Marie.
«Sì,»
mugolò lei, senza nemmeno sforzarsi di essere convincente.
“No,”
pensò un attimo dopo, cercando di ricacciare indietro le
lacrime.
(Flashback)
Il piazzale di
fronte ai cancelli d’ingresso del Giardino Botanico non era
molto trafficato. L’ora di chiusura era già stata
ampiamente superata, e la zona, seppur ben illuminata, era quasi
deserta. Infatti,
a parte alcuni passanti casuali, c’erano solo una coppietta
abbracciata su una panchina e un paio di anziani che passeggiavano
tranquilli.
Le Mew Mew si
fermarono al centro dello spiazzale.
«I
cancelli sono chiusi… siamo sicuri che siano davvero
lì dentro?» chiese Mew Ichigo grattandosi la testa.
«Hanno
viaggiato nello spazio per raggiungere la Terra, secondo te si fanno
fermare da un cancello chiuso?» sospirò in
risposta Mew Mint.
«Ehi,
ma voi siete le Mew Mew!»
A parlare era stato il ragazzo sulla panchina, che ora le stava
additando sconvolto.
La sua
fidanzata iniziò a smanettare rapidamente con il suo
cellulare e fece loro anche una foto.
«Oh,
è vero, sono proprio loro,» gli fece eco uno degli
anziani, dopo essersi pulito gli occhiali.
«Guardate,
ci sono le Mew Mew!» esclamò un passante,
attirando l’attenzione di un gruppo di uomini che era a poca
distanza.
In un tempo
estremamente breve, le cinque ragazze si ritrovarono letteralmente
circondate da una folla di persone.
«E-Ehm,
salve a tutti,» li salutò Mew Ichigo.
«Che
cosa volete da noi? Volete consegnarci?» domandò
brusca Mew Zakuro.
«Certo
che no!» le rispose una donna dal fondo al gruppo.
«Noi ricordiamo cosa avete fatto!»
Mew Ichigo
tirò un sospiro di sollievo. «Beh
allora… vi ringraziamo per il supporto, ma non
c’è bisogno di ringraziarci per aver salvato la
Terra. E ci dispiace,» disse, «…ma ora
non abbiamo tempo per gli autograf-»
«Salvato?!»
sbraitò a quel punto un uomo, «voi siete quelle
che due mesi fa hanno distrutto Tokyo!»
«GIA’!
E' VERO!» concordò un secondo.
«Dovete
ripagarci i danni!»
«LA
MIA CASA E' STATA INVASA DA PIANTE CARNIVORE! ED E’ STATA
TUTTA COLPA LORO!» strillò furiosa una donna.
«Ops…»
sussurrò imbarazzata Mew Ichigo, indietreggiando verso le
sue compagne, «se lo ricordano ancora.»
Il cerchio di
gente inferocita si strinse minacciosamente intorno a loro.
«Ragazze, al tre?» propose Mew Lettuce.
«Ok!»
annuì Mew Pudding. «Uno!»
gridò e saltò via, seguita dalle altre.
«E-Ehi!»
esclamò Mew Ichigo, l’unica rimasta immobile.
«PRENDIAMOLA!»
ruggì intanto la folla.
«Nyaaaaaa!!!!!»
Mew Ichigo
saltellò via spaventata e raggiunse rapidamente le sue
amiche, che si erano rifugiate oltre i cancelli del giardino botanico,
al riparo dalla folla.
«La prossima volta avvertitemi!!»
«Dobbiamo
cercare gli alieni,» disse Mew Zakuro, ignorandola.
«Separiamoci,
avremo più possibilità di trovarli!»
propose Mew Mint, e così fecero: ognuna prese una strada
diversa, e in un batter d’occhio la zona tornò
deserta.
«Alieni! Alieni! Alieni!»
ripeteva Mash, aggrappato alla spalla di Mew Lettuce.
La Mew Mew
stava camminando all’interno di una grossa serra del giardino
botanico. Le luci principali erano spente e le sagome delle piante che
la circondavano, nella penombra, apparivano davvero inquietanti.
Mew Lettuce era molto tesa; posò una mano sulla testolina
del piccolo androide per far calmare almeno lui.
«Shht,»
gli disse. Mash si zittì.
La Mew Mew
continuò ad avanzare fino a che non udì il suono
di una voce femminile: qualcuno, a poca distanza da lei, stava
canticchiando un motivetto.
La guerriera si nascose in fretta dietro il cespuglio spinoso
che aveva davanti a lei; le ci volle tutto il suo coraggio per
sporgersi dal suo nascondiglio e sbirciare il fondo della serra. Quando
lo fece, scoprì che a cantare era
un’aliena dai lunghi capelli corvini che galleggiava a pochi
centimetri da terra: si trattava senza dubbio della stessa del video.
Mew Lettuce
prese Mash fra le mani: «Vai a chiamare le altre,»
gli sussurrò prima di lasciarlo andare.
Kassandra
smise di canticchiare, ma sembrava non essersi accorta di lei: le dava
le spalle ed era impegnata a sistemarsi i capelli osservando il suo
riflesso nel vetro della serra.
La guerriera
deglutì e strinse a sé la sua arma.
«E’
maleducazione spiare gli altri,» esordì a quel
punto l'aliena.
Mew Lettuce si
irrigidì per la sorpresa.
«Ma
d’altronde siete solo umani: che cosa potete mai sapere voi
della civiltà?» proseguì lei,
guardandola dal riflesso del vetro.
«Tu…
Tu sei un'amica di Kisshu?» chiese la mew mew timidamente,
uscendo dal suo ormai inutile nascondiglio.
«No,
non ci siamo, non ci siamo per niente!» sbottò
l'aliena atterrando. Portò le mani sui fianchi e
aggrottò la fronte. «Non hai sentito il mio
messaggio? Io non sono Kassandra, la Magnifica ed Eccelsa Kassandra,
Sovrana del Pianeta Azzurro! Sono discesa fra voi esseri osceni per
concedervi l’onore di essere miei schiavi, e per questo
motivo devi prostrarti a terra e ringraziarmi per la mia immensa
bontà. Se hai capito, immondo esserino,
inchinati!» ordinò.
Mew Lettuce le
scagliò contro il suo Ribbon Lettuce Rush.
Kassandra
strillò sconvolta e scomparve un attimo
prima che l’acqua la colpisse; l’attacco della Mew
Mew colpì e frantumò metà della parete
della serra.
In quel
momento le luci della serra vennero accese; pochi istanti dopo, Mew
Ichigo e Mew Mint raggiunsero Mew Lettuce.
«L’ha...l'ha
evitato!» disse lei alle sue compagne come per scusarsi del
fatto di non essere riuscita a colpire l’aliena.
«Come
osi?!» disse intanto Kassandra, appena riapparsa nello stesso
punto in cui era svanita. «Tu, piccola,
insignificante…»
«Lei
è l’aliena della TV?» chiese Mew Mint,
incerta. «E' molto piu' bassa di quanto avevo immaginato.»
«C-Come
vi permettete?!» sillabò quella, precipitando in
uno stato che andava ben oltre la semplice indignazione.
«Morirete, tutte e tre!»
«Smettila!»
disse Mew Ichigo a quel punto. «Noi siamo le Mew Mew e siamo
venute qui per fermarti!»
spiegò, evitando di proposito la sua usuale presentazione:
era troppo scossa per farla. «Non sappiamo chi sei,
ma hai fatto del male a molte persone, e per questo motivo te la faremo
pagare cara!»
A quella
dichiarazione, Kassandra piegò la testa di lato.
«E quindi i famigerati ribelli terrestri sarebbero tre
marmocchie mal vestite?» chiese incredula dopo un
po’.
«Parla
per te,» replicò Mew Mint. «Non sai che
le losanghe sono fuori moda da anni?»
«Basta
così! Hiroyuki, vieni subito qui!»
«Chi?!»
La guardia del
corpo di Kassandra apparve docile al suo fianco. Le guerriere non
avevano mai visto un alieno così alto e muscoloso e rimasero
interdette per qualche secondo.
L’alieno
dalla pelle scura teneva il braccio chiuso sul collo di una giovane
donna in uniforme, probabilmente la sorvegliante notturna del giardino
botanico. La poverina era cosciente e teneva le dita conficcate
nell’avambraccio del suo rapitore nel tentativo di liberarsi,
ma lui sembrava non accorgersene.
«A-Aiuto!»
sussurrò la donna alle Mew Mew.
«Chi
sei?» gridò Mew Ichigo all'alieno, nel panico.
«Lasciala andare!»
Nello stesso
momento, due trafelate Mew Zakuro e Mew Pudding si unirono al gruppo.
«R-Ragazze!
Dove eravate finite?»
«Altre
due? Ma quante sono?» si domandò Kassandra ad alta
voce.
«Seguivamo
quel tipo,» boccheggiò Mew Pudding indicando
Hiroyuki, «abbiamo tentato di attaccarlo, ma ha preso un
ostaggio ed è scomparso!»
«Tipo?
Lui non è un tipo!» la corresse Kassandra.
«Il suo nome è Hiroyuki ed è il mio
servitore piu’ fedele. Quanto a me sono Kassandra,
Principessa del Pianeta Nero, Sovrana del Pianet-»
«Devi
fare così ogni volta?» la interruppe Ai con fare
annoiato, materializzandosi a pochi passi da lei.
Kassandra gli
lanciò uno sguardo omicida.
Mew Ichigo
puntò le iridi rosate sul nuovo arrivato.
«K-KISSHU?!» esclamò stravolta.
«Con
le lenti a contatto colorate…?!» aggiunse Mew Pudding.
«No,»
rispose Kassandra con un gesto noncurante della mano, «lui
è uno scarto del popolo finito qui per errore, non fateci
caso.»
Ai
incrociò le braccia dietro la schiena in un gesto davvero
molto simile a quelli di Kisshu. «Beh, sempre meglio essere
uno scarto del popolo che una…un…» si
interruppe, portandosi una mano al mento e socchiudendo gli occhi.
«Aspetta, come si chiamano quegli animali sciocchi che fanno
quel verso fastidioso?» chiese pensieroso,
«qua…qua…»
«Ehmm…
intendi le oche?» propose Mew Mint.
Ai
schioccò un dito e lo puntò nella direzione di
Mew Mint. «Giusto! Un’oca capricciosa e
viziata,» concluse l’alieno.
«Hiroyuki,
annienta prima queste Mew Mew e poi lui!»
«Andiamo
Kass, chi ha scoperto che il motore dell’astronave era
difettoso? Vuoi forse correre il rischio di saltare in aria se si rompe
qualcosa e né tu né lo stoccafisso lì
ve ne accorgete?»
«Mi
stai ricattando, plebeo?! Ti ucciderò con le mie
mani!»
«Vorrei
vederti provare.»
«Ma
che fanno, litigano fra loro?» disse Mew Mint osservando la
scena.
Mew Ichigo
fece un passo in avanti: «Lascia andare quella
ragazza!» ordinò nuovamente ad Hiroyuki.
Nel sentire
ciò, Kassandra distolse l’attenzione da Ai:
«E’ inutile, lui obbedisce solo a me. Te lo
dimostro: Hiroyuki! Liberati di quel giocattolino e occupati delle Mew
Mew!» gridò.
L’alieno
annuì. Prima che le Mew Mew potessero fare qualsiasi cosa,
spinse la donna verso di loro; contemporaneamente estrasse dal fodero
una delle sue sciabole e gliela piantò nella schiena. Lei lanciò un urlo strozzato. Hiroyuki mosse
l’arma di lato, squarciandole il torso; quando cadde a terra,
era già morta.
Le Mew Mew
rimasero lì in piedi, inebetite: quell’alieno
aveva appena ucciso una donna davanti a loro, e loro non avevano fatto
nulla per evitarlo.
Non si erano
mai ritrovate in una situazione simile; pur avendo letto i resoconti
dei giornali, non si aspettavano che una cosa del genere potesse
avvenire di fronte ai loro occhi e rimasero tutte paralizzate dallo
shock e dalla nausea.
Hiroyuki
iniziò a muoversi verso di loro.
«C-c-co-co-me…c-come
potete…» balbettò Mew Ichigo, senza
riuscire a distogliere lo sguardo dal corpo della ragazza.
«Io…io…»
Kassandra
contorse le labbra in un sorrisino. «Tu cosa,
bestiolina?»
«RIBBON
ZAKURO SPEAR!»
A sorpresa,
una pioggia di fulmini si abbatté sull’aliena e
sulla sua guardia del corpo. Ma quest’ultima respinse
l’attacco mobilitando una sorta di barriera invisibile con un
movimento del braccio e poi scomparve.
Mew Zakuro non
riuscì nemmeno a voltarsi indietro che avvertì un
dolore lancinante alla schiena che le svuotò i polmoni. Era
stato Hiroyuki. A causa della forza con cui le fu inferto quel colpo,
la guerriera sfondò un’altra delle pareti di vetro
e finì fuori dalla serra. Strisciò per parecchi
metri sul tappeto d’erba umido; prima che potesse rialzarsi,
Hiroyuki si lanciò contro di lei con le sciabole sguainate,
pronto ad infliggerle il colpo di grazia: la vita della ragazza fu
salvata soltanto dai suoi riflessi, perché all'ultimo
istante Mew Zakuro rotolò di lato, e le lame
dell’alieno si conficcarono profondamente nel terreno. La Mew
Mew ne approfittò per rialzarsi: riuscì ad
evitare un altro affondo del suo avversario ma non il successivo calcio
rovesciato che la prese proprio sul mento.
Mew Zakuro non
ebbe il tempo di provare dolore che sentì un pugno colpirla
alla guancia, mandandola al tappeto.
«Zakuro!»
gridò Mew Mint, terrorizzata da quella vista.
Hiroyuki avrebbe
sicuramente ucciso Zakuro se Mew Ichigo non si fosse messa davanti a
lei all’ultimo istante e l’avesse difesa con la
barriera protettiva della sua Strawberry Bell. L’alieno non
riuscì a superare la barriera con le sue armi, che a
contatto con essa iniziarono a stridere minacciose; decise di farsi
indietro. Approfittando della sua esitazione, Mew Ichigo gli
lanciò contro il suo colpo più potente, ma lui si
smaterializzò per ricomparire alle spalle della guerriera,
che però si scansò a sua volta, riuscendo nel
contempo a graffiargli il volto; lui invece la colpì allo
stomaco con l'impugnatura di una delle sue armi: la ragazza-gatto
riuscì a cadere in piedi, ma barcollò
pericolosamente.
Hiroyuki
aggiustò la presa sulle sue sciabole e si
precipitò verso Mew Ichigo, che riuscì a
schivarlo per un soffio.
«Ribbon
Pudding Ring Inferno!»
Hiroyuki fu
investito in pieno dall’attacco di Mew Pudding, che lo
immobilizzò il tempo necessario per dare a Mew Lettuce il
piacere di lanciargli contro una massa imponente di acqua. Ma lui
riuscì a sovrastarla e anzi la superò,
ricomparendo proprio davanti Mew Lettuce, le lame sguainate.
La guerriera
era paralizzata dal terrore; Mew Zakuro la spinse via, procurandosi
però un lungo taglio all’addome. A quel punto Mew
Pudding lanciò nuovamente il suo attacco, seguita da Mew
Ichigo e da Mew Lettuce. Anche Mew Mint, che si stava preparando ad
intervenire, alla vista della sua compagna più anziana
gravemente ferita iniziò a caricare il suo attacco, ma
proprio mentre stava per lanciarlo qualcuno afferrò le sue
ali e la spinse all’indietro, facendole perdere
l’equilibrio e la sua arma.
«Ehi!»
esclamò la Mew Mew a terra, alzando lo sguardo.
«Ma cosa…»
«Ah-ah.
Niente armi, dolcezza,» sorrise crudele Ai, chinandosi di
fronte a lei. Le strinse il collo con una mano e la sollevò
da terra, mentre con l’altra estrasse un kris (un pugnale
dalla lama ricurva, ndr), ma Mew Mint gli tirò un solenne
calcio allo stomaco e riuscì a
divincolarsi dalla sua stretta, sfuggendogli. «Questo vale anche per te!» replicò lei, colpendogli la mano con un altro calcio: il kris volò in
aria e si perse fra i cespugli del giardino.
Mew Mint approfittò della distrazione dell'alieno per recuperare il suo arco e lanciare
un attacco che scaraventò Ai all’indietro,
mandandolo a sbattere contro Kassandra, che stava osservando in
disparte il combattimento. Lei se lo tolse di dosso con ben poca grazia
e gli tirò anche uno schiaffo, come se fosse stata colpa sua
se le era finito addosso.
Alcuni metri
piu’ in là, la Strawberry Bell di Mew Ichigo si
incrociò un’ultima volta con le sciabole di
Hiroyuki; invece di tentare di sopraffarla, l’alieno
scomparve e ricomparve accanto alla sua padrona, che adesso giaceva
seduta a terra, e pareva essere la definizione vivente dell'irritazione.
Mew Lettuce,
che stava aiutando una sanguinante Zakuro a rialzarsi, si
allontanò momentaneamente da lei per lanciare insieme alle
altre un potente attacco combinato contro i tre alieni, che furono
colpiti in pieno.
«Ce
l’abbiamo fatta!» gridò Mew Pudding, ma
si sbagliava: il loro attacco aveva creato uno squarcio nel muro
davanti al quale si erano radunati i tre alieni, ma quando la
nebbiolina di polvere che si era alzata si diradò, loro
riemersero completamente illesi.
«I
miei capelli! Avete rovinato i miei capelli! Oh, e guardate il mio
vestito!» strillò istericamente Kassandra.
Le Mew Mew
erano a dir poco sconvolte: com’era possibile che quei tre
fossero ancora interi?
«Devo
correre a cambiarmi,» proclamò Kassandra.
«Mew Mew, per stasera risparmio la vostra vita. Ma non appena
avrò trovato un vestito nuovo verrò a cercarvi, e
a quel punto vi pentirete amaramente di non esservi sottomesse a me
perché ordinerò a Hiroyuki di infliggervi un
tormento così tormentante che vi tormenterete pregando che
il vostro tormento finisca!»
Kassandra
stava evidentemente tentando di apparire minacciosa, ma era troppo
nervosa per rendersi conto di ciò che stava blaterando e
come risultato, invece di spaventarsi, le Mew Mew si guardarono
stranite l’un'altra.
Ciò
fece irritare Kassandra ancora di più: gettò una
ciocca di capelli spettinati dietro la schiena e proferì un:
«Presto imparerete a temere e rispettare la vostra
Sovrana!» prima di sparire con uno schiocco insieme a
Hiroyuki.
Ai, nel
frattempo, era andato alla ricerca del suo kris. L’arma era
caduta in un folto cespuglio di piccoli fiori blu che lui
frugò rumorosamente fino a che le sue dita non si richiusero
su di essa.
«Trovata!»
esclamò sollevato alzando il braccio al
cielo, ma il sorriso scomparve rapidamente dalle sue labbra quando si
accorse di essere stato circondato dalle Mew Mew.
«Dove...credi
di andare...tu?» ansimò debole ma decisa Mew
Zakuro, sorretta da Mew Lettuce.
«Non
ti lasceremo scappare!» le fece eco Mew Mint, puntandogli
contro il suo arco.
Ai non
sembrò spaventarsi. «Oh, davvero?»
sospirò verso Mew Mint mentre faceva sparire la sua arma.
Prima che le
Mew Mew potessero ribattere si era già lanciato contro di
lei, che però riuscì ad evitarlo spostandosi di
lato. «Sono un soldato. Ti ho lasciato giocare, ma potrei
ucciderti qui e ora, se solo volessi,» le sussurrò
nell'attimo in cui le passò accanto. Poi la spinse con forza
addosso a Mew Lettuce, facendole cadere entrambe a terra.
«A
presto,» disse Ai, e poi si teletrasportò via.
(Fine
flashback)
Ama il
prossimo come te stesso
Non
fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Quando Ichigo
riaprì gli occhi, la prima cosa che catturò il
suo sguardo furono queste due frasi. Erano state riportate alla lavagna
dal suo professore di storia, lo stesso che aveva appena sbattuto con
forza il palmo della mano aperta sul suo banco. Ichigo
lanciò un piccolo grido spaventato, e per poco il sua DNA
felino non la tradì davanti a tutta la classe.
«Signorina
Momomiya, mi perdoni se disturbo il suo pisolino. Le dispiacerebbe
ripetermi l’argomento della lezione di oggi?» le
chiese con voce dolcemente minacciosa il professore.
«Ehm…»
Ichigo arrossì. «La...la filosofia occidentale dice che l’uomo, per vivere in armonia con la
natura, deve sfruttarla e non studiarla con attenzione per comprendere
il suo messaggio…»
La classe
scoppiò una risatina.
«O
forse era il contrario…» mormorò la
rossina. Era una sua impressione, o improvvisamente stava diventando
sempre più piccola?
Il professore
la scrutò per un lungo istante. «Dicevamo, la
filosofia confuciana e quella cristiana,» riprese,
rivolgendosi alla classe. «Chi sa dirmi qual è la
differenza fra le due frasi scritte alla lavagna?»
La mano di
Marie scattò in aria.
«Signorina
Wise?»
«La
prima frase è molto profonda, ma è irreale. La
seconda è più pratica,»
spiegò la straniera in un giapponese incerto.
«Perfetto,
signorina Wise, anche se dovrebbe cercare di migliorare
l’esposizione. E chi di voi sa dirmi il
perché?» chiese poi il professore alla classe.
Volente o
nolente, Ichigo fu costretta a seguire con attenzione il resto di
quella stupida lezione, mentre immagini confuse della notte precedente
le ritornavano alla mente.
Dopo lo
scontro con gli alieni, lei e le sue amiche erano dovute tornare al
Café per incontrarsi con Ryo e Keiichirio. Si erano
trattenute lì fino a tardi e, quando Ichigo era riuscita
finalmente a tornare a casa, era praticamente svenuta sul suo letto.
Quella stessa
notte aveva fatto un sogno terribile, che pullulava di fantasmi e di
sangue; ancora rivedeva nella sua mente gli occhi imploranti della
ragazza che Hiroyuki aveva ucciso di fronte a lei. Aveva
l’amara impressione che non l'avrebbe mai dimenticata.
E nonostante
le cose non potessero andare più male di così,
Ichigo aveva il presentimento che quella giornata iniziata da appena
nove ore in modo così terribile le avrebbe riservato ancora
delle brutte sorprese.
Il suo era un
orrendo, realistico presentimento.
|
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Capitolo 15 *** Essere o non essere ***
,lklkòk
15/05/2014:
Non ho potuto/voluto modificare troppo questo capitolo. Ho cercato
semplicemente di renderlo meno pesante e di descrivere in modo meno
criptico la scena fra
Ichigo e Ryo/Cavaliere Blu~
- Capitolo 14: Essere o Non essere
-
Ichigo
tirò un
sospiro di sollievo quando la campana scolastica decretò la
fine
delle lezioni. Era stanca e con il cuore ancora colmo di angoscia; in
verità non sapeva neanche lei perché aveva deciso
di
alzarsi quella mattina.
Mentre
i suoi compagni
di classe andavano via uno dopo l’altro, lei si
attardò
perdendo tempo a gettare apaticamente penne e quaderni nella cartella e
per questo motivo, quando fu pronta, l’aula era ormai
deserta.
Si incamminò verso l’uscita della scuola;
aveva
fatto solo pochi passi quando udì, alle sue spalle, il
professore di storia pronunciare il suo nome. Lo guardò
interrogativa e lui le fece cenno di seguirlo nell’ufficio
nel Preside.
Ichigo
eseguì l’ordine di malavoglia.
«Sarò breve, signorina Momomiya,»
esordì
grave l’insegnante una volta nell'ufficio, occupando senza
troppi
complimenti il posto del dirigente scolastico.
Al
fianco della rossa, una desolata Marie si stringeva nervosamente le
mani, lo sguardo fisso a terra.
«Negli
ultimi
tempi il suo rendimento scolastico è calato notevolmente.
Non
che fosse mai stato alto,» osservò il professore,
lanciando ad Ichigo uno sguardo indagatore al di sopra degli
occhialetti squadrati che indossava.
Lei
era troppo stanca per ribattere, per cui si limitò ad
annuire.
«La
sua classe
è la migliore della scuola, e per questo motivo è
stata
scelta per testare un programma speciale che prevede
l’insegnamento extra di Filosofia orientale e occidentale; la
sua
classe, signorina, è il fiore all’occhiello della
scuola e
io non posso permettere che elementi come lei rovinino la reputazione
che io ho
faticato tanto a costruire.»
Sentendo
quelle
parole, Ichigo corrugò la fronte: lei non aveva mai scelto
di
essere inserita in quel programma speciale, era stato il suo professore
a deciderlo e a convincere il Preside e i genitori a mettere in atto
quest’assurdità, quindi non capiva realmente
perché
dovesse impegnarsi a cercare di capire una cosa inutile e surreale come la
Filosofia.
«Per
questo
motivo ho chiesto alla signorina Wise di darle alcune
ripetizioni,» continuò in tono più
vivace il
professore.
«Che
cosa?!»
Marie
arrossì
imbarazzata e diede di nascosto un’occhiata ad Ichigo come
per
dirle: “Non l’ho voluto io, perdonami!”.
«Vede,
ho
scoperto che la signorina Wise è appassionata della mia
materia,
e personalmente trovo la sua preparazione, sebbene autodidatta, davvero
ottima. Inoltre,
io e il Preside siamo convinti che frequentarvi anche in orario
extrascolastico sarà un bene per entrambe,»
spiegò
il professore, alludendo allo scarso giapponese di Marie.
«Non
crede anche lei, signorina Momomiya?»
Ichigo
aprì la bocca per rispondere: «Io..»
«Vogliamo
parlare del suo ultimo test di Storia, signorina Momomiya?»
«…accetto
volentieri, professore, è una splendida idea!»
sospirò la ragazza.
«Bene,
sono
lieto di vedere che concorda con me,» sorrise il professore.
«Fra due giorni la interrogherò su quanto visto
sinora a
lezione. E se andrà male, credo che convocherò i
suoi
genitori per esporre loro la drammaticità della sua
situazione
scolastica. Ora andate pure ragazze, e buono studio!»
concluse
con un sorrisetto irritante.
**
«I’m
sorry!»
ripeté Marie per quella che ormai doveva essere la decima
volta.
Lei e Ichigo stavano passeggiando insieme sul marciapiede deserto di
una strada poco distante dalla scuola.
«Non
ti preoccupare,» replicò la rossa. «Lo
so che sei sorry
e lo sono anche io, ma ora non ho tempo per studiare con te, io ora
dovere andare al lavoro, tu capire me?» le sillabò
piano e
con voce chiara.
La
straniera la guardò incerta per qualche secondo, poi rispose
con un sorriso morbido: «Okay.
Vengo con te e aspetto che finisci!»
Ichigo
si rassegnò: non si sarebbe liberata facilmente di Marie.
Mezz’ora
e due
fermate della metropolitana dopo, le due arrivarono al Cafè
Mew
Mew. Era ancora chiuso, per cui Ichigo dovette usare le sue chiavi per
aprire il portone.
Nella
sala principale
c’era Ryo: seduto al bancone con la testa rivolta verso la
televisione, il biondino aveva tutta l’aria di qualcuno a cui
avevano appena investito il gatto.
«Ichigo…?»
mormorò stupito quando vide la ragazza.
Lei
non si accorse
dell’aria strana che aveva il ragazzo e sbuffò,
preparandosi al sermone quotidiano: «Si, lo so, sono arrivata
di
nuovo in ritardo, ma-» prima che potesse concludere la frase,
Ryo
la raggiunse a gran passi e la strinse a sé in un
inaspettato
abbraccio. Ichigo quasi trattenne il fiato per l’emozione, ma
non
riuscì a fare lo stesso con il suo sangue, che le
rifluì
sulle guance, facendole diventare dello stesso colore dei suoi capelli.
«R-Ry-y-o,
c-che c-cos-sa…?» mugolò stravolta.
«Non
credevo che saresti venuta,» le sussurrò lui.
«Mi dispiace, Ichigo. Mi dispiace molto.»
«Ehm...lui
è il tuo boss, Ichigo?» domandò Marie
con voce
abbastanza alta da ricordare ad entrambi la sua presenza.
Ryo
si staccò da Ichigo, rivolgendo per la prima volta la sua
attenzione alla straniera.
«Are you english?»
le chiese.
«Yes,»
rispose lei in tono cortese. «And sorry, but today I have to
study with Ichigo because our professor…»
«I’m sorry too, but I
don’t believe Ichigo is going to go to school tomorrow,»
la interruppe Ryo.
«What? Why?»
chiese sospettosa Marie, guardando prima Ryo, che sembrava non
ispirarle molta fiducia, quindi la sua compagna, che in risposta le
lanciò un’occhiata spaesata.
Ryo
si voltò verso di lei: «Ma…non glielo
hai detto?» sillabò incredulo.
Ichigo
parve confusa,
e fu in quel momento che Ryo capì come stavano le cose:
«Non lo sai ancora…» mormorò.
La
rossa si chiese
preoccupata cosa avrebbe dovuto sapere di così importante
mentre
ascoltava Ryo dire in tono grave a Marie: «Yesterday, there was an air
crash. Her boyfriend died.»
Ichigo
non comprese
una singola parola di quel discorso, ma vide Marie portarsi una mano
alla bocca sconvolta, e poi sussurrarle un desolatissimo: «Oh
Ichigo… mi dispiace… parlerò io con il
professore
domani, don’t
worry… lui capirà.»
La
straniera strinse
forte le mani della sua compagna e scosse la testa, gli occhi lucidi.
Poi la salutò e andò via senza aggiungere altro,
lasciandola sola con Ryo.
«R-Ryo?»
lo chiamò lei a quel punto, gli occhi bassi e un orrendo
presentimento nel cuore. «C-che cosa dovrei sapere,
Ryo?»
Era
strano. Ichigo
udiva la sua voce tremare mentre formulava quella domanda, tuttavia non
capiva il perché. Sentiva il cuore pulsarle prepotentemente
nella testa, svuotandola di qualsiasi pensiero o emozione, eppure non
ne comprendeva il motivo.
Ryo
si avvicinò
a lei lentamente e, quando le fu ad un passo, posò con
delicatezza le mani sulle sue spalle. La ragazza sussultò e
sollevò di scatto la testa.
«Stanotte,
c’è stato un incidente. Un aereo americano
è
precipitato nell’Oceano Pacifico. Il tuo
fidanzato…
è nella lista dei dispersi.»
«E-Eh?»
«Aoyama,»
sospirò Ryo, «non
tornerà piu'.»
La
mente di Ichigo si
inceppò. La ragazza non riuscì a capire il
significato
delle parole che Ryo aveva appena pronunciato. Non riusciva a capire
cosa le stesse accadendo....ma in quel preciso momento, Ichigo comprese
di non essere Ichigo. Capì di non essere la ragazza dai
capelli rossi e dal DNA felino, ma semplicemente di aver visto fino a
quel momento attraverso i suoi occhi. Si convinse che quella non era
lei, che quella non era la sua vita, non era il suo mondo.
Qualcosa
di misterioso
e antico iniziò a risvegliarsi in lei, qualcosa che andava
oltre
le normali sensazioni provate ogni giorno dagli esseri umani.
Quell’essenza oscura la avvolse con lentezza,
inesorabilmente.
Voleva trascinarla giù, nel buio. Ichigo sentì le
forze
abbandonarla, finché improvvisamente cedette del tutto e
venne
strappata via dalla realtà. Riusciva però ancora
a
scorgerla, come quando si osserva la propria immagine riflessa in uno
specchio. Solo che per lei era diverso, perché lei il
sottile
riflesso dietro lo specchio, mentre quella che vedeva da lontano era la
realtà.
«Mi
dispiace, Ichigo.»
Amplificata
da mille
echi, la voce lontana di Ryo risuonò vuota nella sua mente,
sovrastata dal frastuono del battito del suo cuore. Ichigo
percepì qualcosa bruciarle gli occhi, e solo dopo molto
tempo
capì di stare piangendo. Sentì qualcuno gemere,
singhiozzare e urlare con usando la sua voce; non si rese conto che, in
realtà, era proprio lei a farlo.
Affondò
le unghia nella schiena del ragazzo che aveva di fronte a lei e
gettò la testa sul suo petto, aggrappandosi a lui. I suoi
movimenti erano guidati dal puro e semplice istinto.
Non
credeva che tutto questo stesse accadendo sul serio, non
credeva di essere davvero lì con Ryo. Non voleva essere con
lui,
tutto ciò che voleva era rivedere Aoyama, rivedere il suo
sorriso un’altra volta.
Ryo
la lasciò
sfogare a lungo sulla sua spalla, offrendole il conforto che poteva.
Era stato brutale nel comunicarle la notizia, ma d'altro canto sarebbe
stato inutile cercare di indorarle la pillola.
Quando i singhiozzi di Ichigo iniziarono a spegnersi, la mano del
giovane sfiorò con delicatezza i suoi capelli rossi,
accarezzandoli, e poi scese per sollevarle il mento.
Ichigo
sentiva le
gambe tremarle pericolosamente. Era praticamente sorretta
dall’abbraccio di Ryo, e quando incrociò il suo
sguardo
penetrante, non riuscì a vedere altro che quello del
Cavaliere
Blu.
Ichigo
chiuse gli
occhi, desiderando con tutto il suo essere di tornare indietro, e
quando li riaprì, nonostante la consapevolezza che fosse Ryo
Shirogane ad abbracciarla, al suo viso si sovrappose
l’immagine
del Cavaliere Blu, del suo Aoyama, perfetto e malinconico
così cme
l’aveva visto l'ultima volta, nel suo sogno. Rimase incantata
a guardarlo, a
stringerlo. Lo leggeva dalle sue labbra, le parole che Ryo stava
dicendo in quel momento non erano le stesse che lei stava ascoltando,
eppure lei le sentì lo stesso: «Volevo solo
rivederti… un’ultima volta. Mi dispiace,
io… non
posso più proteggerti. Ho fallito…» le
ripeté il Cavaliere Blu accarezzandole una guancia.
«Addio…» le sussurrò poi
chiudendo gli
occhi, mentre poggiava dolcemente le sue labbra su quelle di Ichigo,
che si abbandonò completamente a quel bacio, scivolando
nell’oblio insieme al suo amato.
«Aoyama…»
**
*
**
Quando si riscosse, Ichigo non era più insieme al Cavaliere
Blu.
Ora
era dall’altra parte dell’universo, in una
stanzetta grigia, soffocante.
C’era un letto
disfatto accanto alla finestra e, su di esso, vi era un bambino
accovacciato con lo sguardo perso nel vuoto.
Guardava
il cielo
cupo… calde lacrime bagnavano il suo viso cereo, e nei suoi
grandi occhi ambrati si leggeva solo malinconia.
Ichigo
aveva l’impressione di conoscerlo…
«Mi
manchi…» sentì sussurrare
da quel bambino.
Stringeva
fra le mani qualcosa che causava un rumorino fastidioso…
Un
piccolo pezzo di carta logoro…
L’incarto
di una caramella.
«Mi manchi,
Purin.»
«Ichigo,
sveglia! Ichigo!» le gridò nell’orecchio
la ragazzina.
«P-Purin…?!»
gemette debolmente la rossina.
«Ichigo!
Ragazze, si, è svegliata!»
«Oh,
Ichigo!»
«Hmmmm…»
Ichigo
aprì gli
occhi e scattò a sedere, ritrovandosi circondata dalle sue
amiche. «Ragazze! Che cosa è successo?»
domandò sorpresa. Era a letto nella stanza di Ryo, ma non si
ricordava di esserci entrata.
Le
quattro si scambiarono un’occhiata nervosa.
«Ryo
ci ha detto che hai perso i sensi,» spiegò piano
Retasu.
«Eh?»
«Si,
dopo che ti ha detto che… beh… Aoyama
é...»
La
ragazza non ebbe
bisogno di concludere la frase. Come se qualcuno l’avesse
appena
pugnalata in pieno petto, Ichigo spalancò gli occhi e si
irrigidì, il respiro mozzato.
«Avevo
fatto un
sogno, ma… allora non era un sogno…»
balbettò confusa, mentre le lacrime ricominciavano a colmare
i suoi occhi.
«Aoyama … no... ti prego, no… no, no,
no….
»
Ichigo
si portò
le mani al viso e pianse, pianse come mai aveva fatto, ma stavolta non
c’erano più gli occhi tristi e
freddi del Cavaliere Blu ad ipnotizzarla, c’erano
solo le sue lacrime e quelle
delle sue amiche, che piangevano con lei mentre la abbracciavano.
**
*
**
Retasu si chiuse alle
spalle la porta da cui era appena entrata. Si strofinò i
grandi
occhi blu, ora arrossati e lucidi, e scese nel sotterraneo del
Café, dove trovò Minto e Purin.
Le
due ragazze le davano le spalle. Stavano parlando con Ryo, che aveva
appena chiesto loro come stava Ichigo.
«Zakuro
ha
deciso di accompagnarla a casa,» rispose Minto, riponendo
nella tasca del grembiule il fazzoletto di seta con cui si era appena
asciugata le
ultime lacrime.
«Povera
Ichigo,» commentò Retasu raggiungendo le sue
amiche a
testa bassa. Non sapeva cos’altro dire. Lanciò uno
sguardo
allo schermo del computer di Keiichiro accanto a cui sedeva Ryo: il
browser web era posizionato sul sito di un giornale online che
riportava l’articolo:
L’aereo
dell’American Air scomparso l’altra notte dai radar
potrebbe essere esploso in volo. Secondo le fonti americane, il fatto
che non si trovi ancora alcun rottame del velivolo potrebbe essere la
dimostrazione che l’aereo si è disintegrato a
circa 32mila
piedi di altezza.
Non è ancora
possibile dire se sia stata una bomba o un problema tecnico a causare
l’esplosione. Le ricerche dei dispersi e dei resti del
velivolo
sono ancora in corso.
«Aoyama non
avrebbe dovuto essere su quell’aereo, ma pare che
l’avesse
preso per fare una sorpresa ad Ichigo,» spiegò Ryo
in tono
incolore. «Non ci voleva,» sospirò poi,
«proprio adesso che abbiamo degli avversari così
forti e
spietati che ci alitano sul collo…»
«Ci
sono novità su di loro?» domandò Minto.
Ryo
si passò
una mano fra i capelli. «Mash ha filmato tutto il
combattimento
di ieri sera. I dati che ha raccolto sono stati sufficienti per farci
un’idea dei nostri avversari…»
«Potevi
chiedere
direttamente a noi, noi ce la siamo già fatta
un’idea!» esclamò Purin.
«Quelli vogliono
distruggere l’umanità!»
«Come
al
solito,» osservò Minto cupa. «Inoltre,
è
chiaro che appartengono alla stessa razza di Kisshu, Pai e Taruto. Si
vede che quei tre in realtà ci avevano mentito quando ci
avevano
detto che la guerra fra i nostri popoli era
finita…»
«Minto,
io credo
che stessero dicendo la verità,» la contraddisse
Retasu.
«Forse… forse sul loro pianeta non li hanno
ascoltati. E
se gli fosse successo qualcosa?» ipotizzò
preoccupata, ma
nessuno le diede retta.
«In
ogni caso,
come avete potuto notare, questi nuovi alieni sono molto più
spietati e forti di quelli contro cui avete combattuto in precedenza,
per cui vi chiedo di prepararvi ad una guerra molto più dura
di
quella che abbiamo affrontato in passato. Dovrete fare molta
attenzione,» spiegò Ryo.
Il
giovane
proseguì poi con il suo discorso, ma ad un tratto il
cellulare
di Purin cominciò a suonare e lui si interruppe. Purin
guardò il nome che lampeggiava sullo schermo del telefono e
poi
fece loro un largo sorriso ai suoi compagni.
«Scusa
Ryo,
scusate ragazze, devo correre a casa. Continuate pure senza di me,
okay?» disse e, prima che qualcuno avesse il tempo di dirle
qualcosa, volò fuori dalla porta.
Minto
corrugò leggermente la fronte: «Purin è
strana in questi giorni,»
commentò.
Retasu
annuì.
«E
anche tu, sai?» continuò Minto verso di lei.
La
ragazza per tutta
risposta arrossì e, mosso un passo verso Ryo, gli
sussurrò un nervoso: «Forse è meglio
che andiamo
anche noi, si è fatto tardi, non credi?»
Lui
fissò
Retasu in silenzio per alcuni secondi, come se stesse cercando di
leggere i suoi pensieri, ma alla fine fece un cenno d'assenso con la
testa.
«D’accordo,» disse, «ascoltate
solo
un’ultima cosa: io e Keiichiro crediamo -anzi, siamo certi-
che
questi alieni, a differenza di Kisshu e compagnia, non conoscano le
vostre vere identità. Fate in modo che il vantaggio che
abbiamo
rimanga tale,» le avvertì. «A domani. E passate
parola alle altre,» concluse poi, e mentre Minto e Retasu
risalivano nell’atrio del Cafè,
sprofondò sulla
sedia di fronte alla scrivania di Keiichiro.
Il
ragazzo
guardò stancamente il monitor del computer, poi senza
pensarci
due volte chiuse il browser web e riaprì il file sugli
alieni su cui lui e
Keiichiro avevano lavorato l’intera notte: era una cartella
in
cui, raggruppati disordinatamente, vi erano immagini, tabelle, grafici
e vari file di testo. Soprappensiero, Ryo cominciò ad
organizzarli in modo più accurato, ma non passò
neanche
un minuto che la presenza di Keiichiro alle sue spalle lo fece
distrarre dal suo lavoro.
«Stanotte
non hai chiuso occhio,» osservò l’uomo
preoccupato.
«Si
nota molto?»
«Già,
e non solo dalla faccia. Sei distrutto. Dovresti riposare, almeno
qualche ora.»
«No,»
disse Ryo, massaggiandosi le tempie. «Sto bene, ora pensiamo
agli alieni.»
Keiichiro
scosse la
testa. «Gli alieni sono il tuo ultimo pensiero in questo
momento,
come per Ichigo e le altre. Ryo, che cosa ti succede?»
«Ti
ho detto che sto bene,» sibilò il biondo in un
tono che non ammetteva repliche.
«Questo
è
un periodo nero per tutti, a quanto pare,» osservò
Keiichiro con circospezione. «Soprattutto per la povera
Ichigo… ora che Aoyama non c’è
più, ha
bisogno di qualcuno che le stia accanto e la aiuti a superare la
cosa.»
Sentendo
ciò,
Ryo parve diventare improvvisamente triste. «L’ho
baciata
di nuovo,» ammise in un sussurro, dopo un lungo silenzio.
Keiichiro
inarcò un sopracciglio. Avrebbe voluto dire molte cose, ma
si limitò a chiedere: «E lei?»
«Mi
ha chiamato
Aoyama,» rispose il biondo con amarezza, accennando un
sorrisino.
«Non dire niente, Kei. So di aver fatto un’idiozia
e di
doverle dare tempo, ma in quel momento, credimi, era come se non fossi
in me.»
Keiichiro
si morse un
labbro, ma non parlò. Cercò di sembrare il
più
naturale possibile mentre si sedeva accanto a Ryo e gli passava
l’oggetto che fino a quel momento aveva stretto fra le mani.
«Tieni,» gli disse, «è per
te.»
Il
biondo rigirò fra le mani il pacco giallo che gli aveva dato
Keiichiro, guardandolo in modo interrogativo.
«E’
il
pacco che ti è arrivato ieri, quello che ti ha portato
Zakuro.
Ha sopra una ventina di francobolli africani,» sorrise
Keiichiro.
«L’ho ritrovato oggi su un tavolo.»
«L’avevo
dimenticato,» ammise Ryo, poi sollevò il pacco per
cercare
il nome del mittente. «Pamela Johnsson, Klerksdorp Museum,
Klerksdorp,» lesse. Stracciò in fretta la carta
dell’imballaggio ed estrasse, dopo qualche secondo, uno
strano
oggetto: si trattava di una pesante sfera rotonda del diametro di poco
meno di dieci centimetri; era di metallo bluastro ed era decorata con
strane linee bianche parallele che si incrociavano ai poli, che erano
leggermente schiacciati. Ryo le lanciò un’occhiata
annoiata. «Un’altra sfera del Transvaal (regione
del
Sudafrica, ndr),» commentò senza interesse.
«Perché Pam me l’ha mandata? Sono
interessanti, ma
ne ho già abbastanza…ed ora francamente non ho
tempo per
loro,» concluse appoggiando l’oggetto sulla
scrivania e
alzandosi in piedi.
«Posso
analizzarla io,» propose Keiichiro. A differenza del suo
compagno, era sicuro che la loro collaboratrice africana aveva avuto un
valido motivo per spedirgli quell’oggetto.
Ma
Ryo scosse la
testa. «No. Voglio che tu ti concentri sullo scoprire
qualcosa di
più su questi alieni. Per quel che riguarda la sfera, andrò a metterla insieme alle altre,» disse
barcollando
impercettibilmente, cosa che non sfuggì a Keiichiro.
«Va
bene, lo farò. Ma
solo se mi prometti che andrai a riposare,»
sospirò al
biondino. «Dormi almeno due ore e cerca di non tormentarti
troppo, o ti verrà un crollo nervoso.»
«Sì,
mamma,» replicò ironico Ryo, appoggiando la mano
sulla maniglia della porta.
«Ryo,
non sto scherzando.»
«Sto
forse ridendo?»
**
*
**
In
un quartiere periferico di Tokyo, c'era un'immensa e lussuosa villa
circondata da un enorme parco.
Un
tempo doveva essere
stata bellissima, ma adesso le sue mura di pietra lavorata erano
malconce e ricoperte da rampicanti selvatici; le ringhiere dei balconi
erano arrugginite e il tetto era crollato in più punti. Gli
infissi erano stati inchiodati, così come tutti gli altri
accessi all’abitazione, circondata da erbacce.
Tutto
ciò aveva fatto assumere alla villa lo squallido aspetto di
un posto abbandonato.
All’interno
vi
erano decine di stanze, fra cui anche una biblioteca. Nella biblioteca
erano conservati centinaia di libri, gettati a caso su scaffali di
legno o ben conservati dietro vetrine impolverate; la finestra della
biblioteca era coperta da
pesanti tende rosse stracciate, mentre
ciò che rimaneva del vecchio arredamento era solo uno
scrittoio
sfondato, una lampada rotta rovesciata a terra, un divano di velluto
sporco di chissà cosa, un vecchio tappeto arrotolato ed una
poltrona.
Su
quest’ultima
giaceva semisdraiato un giovane che per le sue strane fattezze non
poteva considerarsi ‘umano’. Teneva una mano dietro
la
testa, mentre con l’altra sorreggeva un libricino che,
nonostante
il buio che lo circondava, leggeva con scioltezza ed avidità
tale da sillabare inconsciamente le parole che gli scorrevano davanti
agli occhi.
La
sua lettura si
interruppe di colpo quando d’un tratto la porta della
biblioteca
si spalancò da sola come per magia.
«Dannazione!»
imprecò Kassandra, piombando nella stanza come una
spiritata.
Ai,
che per un momento
aveva guardato incuriosito l’ingresso, ritornò
alla sua
lettura. Dopo qualche secondo, sentì qualcosa capitombolare
a
terra, e comprese con un sospiro annoiato che Kassandra era inciampata
sul tappeto. Schioccò le dita e una decina di minuscoli
chimeri parassiti illuminarono fiocamente l’ambiente. In
questo modo Ai riuscì ad avere una percezione più
chiara del corpo perfetto di Kassandra, ora steso di lungo a terra in
una posizione decisamente poco consona al suo rango.
A
differenza sua, che continuava ad indossare il suo semplice vestito
nero e blu a collo alto, l’aliena
si era cambiata: ora indossava un abito color antracite con una
fantasia a pois bianchi. Il modello era molto simile
all'uniforme di Mew Ichigo, ma il tessuto era spesso e lucido.
Kassandra
si
tirò indietro con un gesto nervoso i lunghi capelli mossi
e si rialzò esclamando un ennesimo:
«Maledizione!»
Dato
che questo suo
gesto non sortì alcun effetto, la principessa aliena
richiuse i suoi
delicati palmi, racchiusi in un guanto nero lungo fino al gomito, in un
pugno. «Io, io…non so se essere arrabbiata
o…o…furiosa, ecco!» si lagnò.
«Eh,
si,»
annuì distrattamente Ai voltando una pagina del suo libro.
«Essere o non
essere…è davvero questo il
problema,» mugolò pensieroso.
Kassandra
lo
guardò per un attimo confusa, poi gli voltò le
spalle.
«Non è possibile che quelle cinque stupide osino
opporsi a
me in modo così sfacciato! A me, capisci? Più ci
penso e
meno riesco a sopportarlo! Io sono venuta qui per ottenere il dominio
del pianeta; avrebbero dovuto inchinarsi di fronte alla mia potenza,
ed invece guarda come mi hanno trattata! Quelle sciocche…
gliela
farò pagare, ah, se gliela farò pagare!»
Ai
decise di evitare
qualsiasi genere di osservazione sul discorso di Kassandra e
tentò di concentrarsi sulla lettura. «E’ meglio per
l’anima soffrire tali ingiurie del destino, o prender
l’armi contro questi guai, opporvisi e annientarli?»
recitò. «Morire…»
«Il
loro solo
pensiero mi toglie il sonno!» strillò
dall’altra
parte Kassandra. «Io non riesco a dormire per colpa loro! Ti
rendi conto? MI SONO VENUTE LE OCCHIAIE!»
«Dormire…nulla
più. E dirsi così con un sonno che noi mettiamo
fine al
supplizio del cuore ed alle mille ingiurie naturali, retaggio della
carne!»
«Devo
trovare un
modo per sconfiggerle tutte e subito…»
mugolò
intanto Kassandra, mordendosi la punta di un guanto.
«…devo…»
«Morire…»
Kassandra
si
voltò di scatto, rossa e gonfia come un pomodoro
così
maturo che sta per scoppiare. «CHI DEVE MORIRE,
PLEBEO?!»
«…dormire…
dormire, sognare forse… forse; è qui
l’intralcio.
Che i sogni sopravvengano dopo che ci si strappa dal tumulto della vita
mortale?»
Per
la prima volta, Kassandra ascoltò quello che Ai stava
dicendo. «Ehi,» disse, confusa.
Ai
era presissimo dal
suo libro, che continuava a leggere sempre più velocemente,
e
Kassandra non capiva: non aveva mai visto nessuno rimanere
così
affascinato da un semplice ammasso di fogli pieni di fastidiose scritte.
«Chi vorrebbe
sopportare malanni e le frustate dei tempi, l’oppressione dei
tiranni, le contumelie dell’orgoglio, e i pungoli
d’amor
spezzato e remore di leggi, arroganza dall’alto e derisione
degl’indegni sul merito paziente, chi lo potrebbe mai se
può donarsi la pace col nudo pugnale?
Chi vorrebbe sudare e
bestemmiare spossato sotto il peso della vita, se non fosse
l’angoscia del paese dopo la morte, da cui mai nessuno
è
tornato, a confonderci il volere ed a farci indurire ai mali
d’oggi, piuttosto che volare a mali ignoti?»
continuò Ai. «La coscienza, così, ci fa
tutti vili,
e il colore della decisione al riflesso del dubbio si corrompe, e le
imprese più alte e che più contano si disviano.»
Kassandra
era a bocca aperta. «Basta così!»
decretò, e si diresse verso di lui.
«…perdono
anche il nome dell’azione,» concluse
Ai, rallentando la
lettura. «Ma
silenzio ora, si avvicina la bella Ofelia.»
Kassandra
lo raggiunse e gli sfilò il libro di mano. «Ti
ordino di smetterla immediatamente!»
«O mia dolce ninfa, possa tu
ricordare nelle tue preghiere i miei peccati,»
le sorrise Ai, recitando a memoria.
Kassandra
era senza parole. «Che cosa combini?!» gli
domandò.
Ai
si strinse nelle spalle. «Leggo Shakespeare,»
rispose semplicemente.
«Chi
diavolo è? Un terrestre?»
«Già,
e fra i migliori,» osservò Ai rialzandosi dalla
poltrona.
«Cose
da matti,» borbottò Kassandra.
«Uhm,»
mugolò intanto il giovane alieno, prendendo a girarle
intorno, osservandola con attenzione.
«Ed
ora che cosa
ti prende, maniaco pervertito?!» chiese una sconcertata
Kassandra, quasi pentendosi di non indossare un vestito più
coprente.
Ai
si fermò
davanti a lei e si accarezzò il mento con le dita mentre
squadrava Kassandra dall’alto in basso come se fosse
un’opera d’arte. Alla fine, dopo molti secondi,
sospirò.
«No,
tu non sei Ofelia… Ma non è questo
l’importante,» ammise.
«E-Eh?!»
Kassandra
indietreggiò di un passo, ma Ai ne fece un altro verso di
lei e
allungò una mano verso il suo petto. L’aliena
gliela
schiaffeggiò via.
«Il
problema
è che tu non sei neanche la dolce Giulietta,»
osservò sconsolato il giovane. «Sei malvagiamente
affascinante, e potresti essere Mefistofele, e se così fosse
ti
venderei volentieri la mia anima in cambio di te, ma
purtroppo…»
Kassandra
sollevò entrambe le sopracciglia.
«…hai
poco cervello persino per essere Mefistofele,»
constatò Ai con delusione.
A
quel punto
l’aliena, pur non capendo cosa stesse dicendo Ai, si
sentì ferita nell'orgoglio. «Ma con chi
ti credi di stare parlando?» sbottò esasperata.
«Io
sono una principessa! Tu DEVI adorarmi!»
«Sul
nostro pianeta,» le ricordò lui, annoiato.
«Presto
lo sarò anche su questo, per cui…»
«…fino
a quel momento non potrai darmi ordini.»
«Non
era questo quello che intendevo!»
Ai
scosse la testa e le diede le spalle.
«Ed
ora dove vai?!» gli domandò Kassandra.
«A
cercare la mia Giulietta,» rispose lui, e si
teletrasportò via.
Kassandra
sbatté un paio di volte le lunghe ciglia nere.
«E’
completamente matto,» concluse allibita una volta sola.
**
*
**
«Mamma,
sono tornata!» salutò Retasu, richiudendo dietro
di sé la porta di casa.
Richiamata
dalla sua
voce, una donna dai capelli verde scuro si sporse dalla camera da letto
e le andò incontro con un’espressione a dir poco
infuriata
dipinta sul viso; le afferrò un braccio e la
trascinò
via. «Razza di incapace, che fine avevi fatto? La casa
è
un disastro, vieni ad aiutarmi!»
«Un…un
attimo!!» balbettò la ragazza, lasciando cadere a
terra la sua cartella.
«No!
Fila a riordinare in cucina!»
Retasu
annuì e
si lasciò condurre nella stanza, dove cominciò
docilmente
a rassettare. In verità c’era ben poco da fare: la
cucina
era immacolata, e le uniche cose fuori posto erano un paio di bicchieri
sporchi poggiati nel lavandino. Retasu li lavò e li
asciugò, ma quando fece per riporli insieme agli altri, ne
urtò uno con il dorso della mano e lo fece cadere.
Il
bicchiere scivolò a terra e si infranse con un rumore sordo.
«Retasu!
Che
cos’era quel rumore?!» strillò sua
madre. Quando
capì cosa era successo iniziò a tremare
visibilmente,
così forte che Retasu si spaventò.
«S-Se non fossi
così imbranata,» singhiozzò la donna,
trattenendo a
stento le lacrime, «f-forse saresti in grado di
aiutarmi!»
La
madre di Retasu si
coprì il volto con le mani ed andò a chiudersi
nella
camera da letto, lasciando soli una desolata Retasu e il suo fratellino
minore Shin.
«Che
cosa
succede alla mamma?» chiese lui preoccupato dal divano,
distogliendo l’attenzione dal cartone animato che stava
guardando.
Retasu
sospirò mentre raccoglieva i cocci del bicchiere.
«Oggi,
mentre
non c’eri, ha urlato un sacco con papà e mi hanno
fatto
uscire fuori,» proseguì il bambino.
Quando
finì di
pulire a terra, la sorella maggiore lo raggiunse e gli
accarezzò
la testa. «Vedi, la mamma sta passando un brutto periodo. Sii
paziente e non farla arrabbiare, presto tornerà tutto come
prima,» disse con voce triste.
«Oh.
Va bene,» annuì lui, anche se con poca convinzione.
+ +
+
Note:
Come
avrete sicuramente capito, Ai stava leggendo l'Amleto di Shakespeare;
il passo in particolare era tratto dal famoso monologo di Amleto.
Ovviamente, Giulietta è la protagonista di "Romeo e
Giulietta".
Infine, Mefistofele è il demone protagonista del Faust (suppongo che Aicchan abbia trovato la tragedia scritta da Marlowe).
|
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Capitolo 16 *** E' una vita terribile ***
23/05/2014. Hmmm…
Ai, figliolo, sei un gran figo ma devo renderti meno emo.
Kass
tu invece sei una principessa, che droga prendevo quando decidevo di
farti parlare come una trattorista?!
- Capitolo 15: E' una vita
terribile
-
Erano
trascorsi dieci giorni dal primo scontro delle Mew Mew con gli alieni.
Quella sera, quando giunse l’orario di chiusura, Zakuro
spense le luci esterne e sbarrò il portone del
Cafè.
Anche per oggi
era finita, pensò la ragazza mentre si sfilava la cuffietta
da cameriera. Accanto al bancone in fondo al locale c’erano
Retasu, accasciata debolmente su un sedile, Minto, con la testa
appoggiata sulla sua spalla, e Purin, che teneva i gomiti sulla cassa e
le mani a sorreggerle il viso.
Ichigo non era
con loro, ma quella ormai non era più una novità.
Era dal giorno
della notizia della morte di Aoyama che non si era più fatta
vedere né al Cafè, né a scuola,
né da qualsiasi altra parte. La sua casa era deserta, i
vicini sembravano non saperne nulla e le ragazze erano molto in pena
per lei.
Ryo e
Keiichiro avevano scoperto che i genitori di Ichigo erano fuori zona e
che sarebbero tornati verso la fine del mese, ma Ichigo non era con
loro: la rossina sembrava essere praticamente scomparsa.
Zakuro si
strofinò un graffio che aveva sulla guancia e raccolse da
terra uno straccio. «Pulizie?» chiese ad alta voce.
«Abbiamo
forse un’altra scelta?» sospirò Minto
con aria svogliata.
«Si,
tornate a casa e riposatevi. Domani il bar resta chiuso,»
rispose Ryo, raggiungendo il gruppo di cameriere. «E
probabilmente sarà così per sempre,»
concluse poi con un tono che voleva suonare indifferente.
Le quattro si
scambiarono una serie di sguardi scioccati.
«E
questo che cosa significa?» gli domandò Zakuro.
«Io
e Keiichiro crediamo che sia meglio chiuderlo
definitivamente,» spiegò il biondo con calma.
«Ci siamo resi conto che è un peso troppo grande
da sostenere per voi ragazze. La lotta contro i nostri nuovi avversari
consuma tutte le vostre energie, e senza Mew
Ichigo…»
«Riusciamo
a cavarcela anche senza di lei,» obiettò Minto.
«Sì
Ryo, noi stiamo benissimo, davvero! Guarda! Guarda!» le fece
eco energicamente Purin, prendendo una scopa e iniziando a spazzare a
terra.
Ryo
incrociò le braccia al petto e strinse la labbra. Le ragazze
sapevano bene che, testardo com’era, non si sarebbe lasciato
convincere facilmente a cambiare idea. Sapevano anche che Ryo aveva
ragione, ma chiudere il Cafè Mew Mew avrebbe significato
ammettere che loro, da sole, erano troppo deboli per mandarlo avanti, e
se non riuscivano a tenere aperto un bar, come potevano sperare di
salvare il mondo?
E poi, non
appena Ichigo fosse tornata, come avrebbe reagito alla notizia della
chiusura? Aveva già perso tanto, perdere anche il loro luogo
di ritrovo sarebbe stato un ennesimo colpo per lei.
«Io
e Keiichiro studieremo un modo per permettervi di tenervi in contatto e
riunirvi facilmente in caso di pericolo,» le
tranquillizzò Ryo, con poco successo.
«Ma
senza il Cafè non avremo più una
copertura,» protestò Retasu. «Mia madre
mi lascia venire qui a lavorare perché abbiamo bisogno di
soldi, ma se chiudessimo tutto dovrei cercarmi un altro lavoro e, nel
frattempo, non so proprio come potrei giustificarle la mia assenza da
casa.»
Ryo
aprì la bocca per replicare, ma venne interrotto
dall’arrivo di Keiichiro, che si precipitò nella
stanza passando dalla porta sul retro. «Gli alieni! Gli
alieni stanno attaccando!» esclamò.
«Alieni!
Alieni!» gli fece eco un terrorizzato Mash alle sue spalle.
Ryo
digrignò i denti. «Maledizione!»
imprecò.
«Ma…
di nuovo?!» chiese Minto, gli occhi sbarrati. «Li
abbiamo affrontati appena tre ore fa!»
Purin
lasciò cadere a terra la sua scopa e si accasciò
sfinita accanto ad essa. Retasu quasi scoppiò in lacrime,
mentre Zakuro sbatté entrambi i palmi sul bancone,
stringendoli poi in un pugno.
Keiichiro non
si lasciò impietosire. «Stavolta sembra che ci
siano tutti e tre,» disse, «sono a nord di Tokyo.
Andate, vi comunicherò le coordinate precise tramite
Mash.»
«Continueremo
il nostro discorso più tardi,» disse Ryo alle
ragazze. «Squadra Mew Mew!» chiamò.
Le quattro
ragazze si trasformarono rapidamente e lasciarono il locale,
dirigendosi nella zona indicata da Keiichiro.
Mew Purin
avanzava saltando sui tetti, seguendo le indicazioni che gli dava Mash.
Le tenevano dietro un'agile Mew Zakuro e Mew Lettuce, un po’
più impacciata. Mew Mint aveva invece deciso di utilizzare
le sue ali per precedere di qualche metro le sue compagne.
Erano ancora
provate dallo scontro precedente, ma il problema non era quello, il
problema era che erano dieci giorni che andava avanti questa storia.
Infatti, dopo essere usciti allo scoperto, gli alieni avevano iniziato
ad attaccare in modi sempre più violenti ed improvvisi zone
a caso di Tokyo, sguinzagliando chimeri sempre più forti,
distruggendo e uccidendo finché le Mew Mew non arrivavano e
li costringevano, volenti o nolenti, alla ritirata. Questa
“tattica” era molto simile a quella che, a suo
tempo, avevano adottato Kisshu, Pai e Taruto, ma la differenza era che
Kassandra, Hiroyuki e Ai attaccavano, soli o insieme, anche
più di una volta al giorno.
Keiichiro e
Ryo non erano riusciti a trovare un modo per prevedere gli attacchi,
che avvenivano nelle ore più disparate del giorno e della
notte, e le Mew Mew, dal canto loro, si stavano lentamente consumando
per la stanchezza e l’ansia.
L’assenza
di Ichigo non faceva altro che peggiorare la situazione.
L’unico
lato positivo era che i numerosi combattimenti erano serviti alle
ragazze per studiare la personalità, la forza e le debolezze
dei loro avversari.
Kassandra,
avevano concluso, non era un pericolo: infatti, quando lei attaccava
– cosa che avveniva il 90% delle volte - si limitava a creare
dei chimeri e a farsi da parte, per poi filarsela quando questi
venivano sconfitti. Purtroppo, l’aliena era protetta dal
gigante con la pelle scura, Hiroyuki, mille volte più forte
e pericoloso di lei. Per quel che riguardava Ai… beh, lui
compariva raramente al fianco dei suoi due compagni, e in quelle
occasioni sembrava quasi che ci fosse capitato per caso o che la cosa
lo infastidisse. Non obbediva agli ordini di Kassandra e
spesso iniziava a battibeccare con lei... l’unica
cosa che accomunava quei due era l’odio che provavano nei
confronti delle Mew Mew. All’inizio loro avevano considerato
Ai inoffensivo, ma ben presto avevano dovuto constatare che anche lui,
quando voleva, sapeva combattere con una forza e
un’abilità sconcertanti. E avevano compreso anche
che, se con Kisshu, Pai e Taruto arrivare al dialogo era stato
difficile… con Kassandra, Hiroyuki e Ai era a dir poco
impossibile.
Dopo dieci
giorni di combattimento, le ragazze avevano capito molte cose dei loro
avversari, ma non riuscivano a comprendere dove volevano arrivare.
Qual era lo
scopo di quei tre?
Distruggere
l’umanità? Uccidere loro? Conquistare la Terra? La
strategia che stavano usando era in ogni caso assurda, priva di
qualsiasi logica!
E, dopo dieci
giorni, Minto, Zakuro, Retasu e Purin ne avevano abbastanza.
Un flash di
luce bianca, seguito da un rombo terrificante, catturò
l'attenzione delle ragazze.
«Sono
laggiù!» gridò Mew Purin, indicando con
un dito il punto in cui era provenuta l’esplosione.
Mew Zakuro
strinse gli occhi. «Ma quella
é…»
«MA
QUELLA E' CASA MIA!» strillò Mew Mint,
terrorizzata.
* *
Un chilometro
più in là, Hiroyuki galleggiava sulla verticale
di villa Aizawa: le sciabole che impugnava nelle mani nodose brillavano
della stessa luce fredda e minacciosa dei suoi occhi. Dietro di lui
c’erano Kassandra e Ai: lei aveva un’aria eccitata
e lui continuava a lanciarle di sbieco occhiate di sufficienza.
«Così
non conquisterai mai la Terra, l’hai capito
questo?» si decise a dire alla fine il giovane, palesemente
annoiato, fissando il cratere causato da Hiroyuki solo pochi secondi fa.
«Non
ricordo di aver richiesto la tua presenza qui, villico,»
borbottò Kassandra in risposta.
«Davvero, io non capisco. Pensavo che volessi uccidere le Mew
Mew e diventare la Sovrana del pianeta, invece continui a fare di testa
tua,» replicò Ai, un sopracciglio inarcato.
«Almeno spiegami perché adesso ti sei messa in
testa di disintegrare questo posto,» aggiunse poi.
«Perché
questo pianeta è già
mio, e ne faccio ciò che voglio,» fu la risposta
altezzosa di Kassandra. «E poi lo stile di questa abitazione
è orrido.»
Ai la
guardò interdetto, ma lei non gli prestò
attenzione: aveva appena ordinato alla sua guardia del corpo di
distruggere villa Aizawa, ed ora si stava preparando ad assistere allo
spettacolo.
Hiroyuki, un
metro più in basso, incrociò le sue sciabole. Le
armi iniziarono a brillare e in pochi secondi l'energia che le
attraversava si raccolse nel punto in cui le armi si toccavano,
formando una sfera nera che si ingrandì sempre di
più. Si preparò a spararla verso il suo
obiettivo… ma non ci riuscì, perché una voce femminile attirò la sua attenzione.
«FERMO,
NON FARLO!»
L’anziana
governante di villa Aizawa, la balia di Minto, stava agitando le mani
nella direzione degli alieni.
Kassandra si
portò le mani sui fianchi. «Cosa è
quell’essere patetico?»
«Non
potete distruggere questa casa!» continuò intanto
la donna, disperata.
Sentendo
ciò, le labbra sottili di Ai piegarono in un sorrisetto.
«Ah, no?» disse a voce bassa, in tono di sfida.
«Vogliamo scommettere?»
L’alieno
si materializzò davanti alla balia: impugnava il suo kris e
avrebbe sicuramente trapassato senza troppi complimenti
l’anziana donna se Mew Zakuro non l’avesse spinta
via all’ultimo momento, gettandosi addosso a lei.
«Uh…?!»
Ai si era
già lanciato in avanti per colpire la donna, ma lo scatto
della guerriera lo fece distrarre e sbilanciare. Nello stesso momento,
alla sua destra comparve una luce color celeste.
«Ribbon
Mint ECHO!» gridò Mew Mint.
L’attacco
che Mew Mint lanciò era potente, molto più del
solito, e Ai lo prese in pieno. L’alieno venne sbalzato molti
metri più in là e rotolò a terra,
dolorante e disarmato. Quando si rialzò vide colei che lo
aveva colpito stringere nervosamente i pugni nella sua direzione.
«Non
osare farlo MAI più!» gli intimò: aveva
il respiro affannato e l'aria distrutta, ma Ai non l’aveva
mai vista così arrabbiata.
Dietro di lei,
l’alieno intravide le sue compagne; la signora anziana era
invece sparita. Senza staccare gli occhi da
Mew Mint, Ai si toccò appena le labbra con un dito e se lo
portò davanti al viso, scorgendo una macchiolina rossastra che
gli sporcava i polpastrelli: sangue, quell'essere inferiore gli aveva tirato fuori del sangue… una smorfia
truce gli deformò la faccia: stavolta
gliel’avrebbe fatta pagare.
«Ancora
voi!» esclamò intanto una sdegnata Kassandra,
molti metri più in alto.
«Non
ti lasceremo mai fare del male a queste persone!» le disse
Mew Zakuro. «Per cui, perché non la smetti di
scappare come un coniglio quando ci vedi e ci affronti in una battaglia
vera?»
«E
perché mai dovrei farlo?!»
«Perché
chi vince si prende il pianeta.»
Le altre Mew
Mew rivolsero a Zakuro uno sguardo incredulo.
«Aspetta,
Zakuro…» obiettò Mew Mint,
«non puoi…»
«Ancora?!
Il pianeta è già mio,»
ripeté Kassandra dall’alto. «E, ad ogni
modo, una pezzente come te non sarebbe mai in grado di
battermi.»
«Ehiehiehi,
chi l’ha detto che è tuo?»
protestò Mew Pudding.
«Se
sei così forte, allora perché continui a
nasconderti?» domandò intanto Mew Zakuro.
Kassandra si
morse le labbra. «Basta così! Hiroyuki!»
Obbediente,
l’alieno apparve davanti a lei ed estrasse le sue sciabole.
Vedendo ciò, le Mew Mew si scambiarono un’occhiata
d’intesa e scattarono ognuna in una direzione diversa, mentre
Mew Pudding gridava: «Ragazze, piano A!»
Hiroyuki
fissò con sospetto Mew Zakuro, che gli era appena comparsa
davanti ed aveva estratto la sua frusta.
«Ribbon…»
cominciò la guerriera, e Hiroyuki si preparò a
parare il colpo. «...ZAKURO SPEAR!»
gridò Mew Zakuro lanciandogli contro l’attacco,
che all’ultimo momento compì una brusca deviazione
ed passò oltre l'alieno, dirigendosi dritto verso una
scioccata Kassandra.
La principessa
venne avvolta e immobilizzata dal lungo raggio d’energia
viola della Mew Mew e ricadde a terra, urtando il muretto di una
fioriera con la schiena. Hiroyuki non riuscì ad aiutarla
perché, mentre si stava lanciando verso la sua padrona,
venne colto di sorpresa da Mew Lettuce e Mew Purin, che lo attaccarono
insieme sui due lati. Distratto, fu costretto ad ingaggiare un
combattimento contro di loro. Nel frattempo, Mew Zakuro si era
avvicinata a Kassandra e le aveva chiesto, con una certa soddisfazione:
«Stavi dicendo?»
«Levami
subito questa robaccia di dosso!» si lamentò lei
in risposta, cercando di liberarsi.
Mew Zakuro
strinse gli occhi. «Non credo che lo farò. Mew
Mint!»
La birdgirl
annuì ed impugnò il suo arco, puntandolo verso
Kassandra mentre compiva un salto. «Stavolta non mi
sfuggirai!» le disse, incoccando una freccia.
«Ribbon Mint Echo!»
«Ribbon
Zakuro Spear!»
Kassandra
trattenne il respiro, terrorizzata dalla visione dei due attacchi che
si stavano dirigendo verso di lei: erano così potenti e
sparati da una distanza così corta che, se
l’avessero colpita, l’avrebbero seriamente ferita.
«N-No…» mormorò.
«Non voglio… NON VOGLIO!»
Sembrava
finita per lei… ma all’improvviso, il ciondolo a
forma di croce che nascondeva sotto i vestiti esplose in una fortissima
luce azzurra che distrusse l’attacco combinato di Mew Mint e
Mew Zakuro. Le guerriere non ebbero il tempo di sorprendersi che delle
grosse colonne nere vennero sparate fuori dal terreno ai loro piedi,
facendole saltare via terrorizzate. Kassandra riuscì a
stracciare le restrizioni che la bloccavano, mentre le Mew Mew
fissavano inebetite quelle colonne di almeno un metro di diametro che
continuavano a emergere dalla terra.
«Che…che
cosa sono questi cosi?» sillabò sconvolta Mew
Lettuce, osservando una delle colonne compiere a circa venti metri
d’altezza una curva aggraziata e cominciare la parabola di
discesa. Man mano che precipitava verso il basso, avvicinandosi a loro,
le Mew Mew identificarono una marea di squame e due occhi gialli,
piccole narici nere e una gigantesca bocca spalancata da cui sporgevano
delle zanne aguzze: quelle colonne erano in realtà dei
chimeri, i più spaventosi che avessero mai visto. Le
guerriere riuscirono a spostarsi dalla traiettoria del primo appena in
tempo e il chimero si rituffò nel terreno, lasciando dietro
di sé una voragine dalla forma rotonda.
«Carini,
vero?» sorrise Kassandra, aggiustandosi i capelli.
«Questi chimeri anima sono la mia ultima creazione. Li ho
fatti nascere modificando quegli adorabili animaletti striscianti che
chiamate serpenti.» L’aliena schioccò le
dita. «Attaccate!»
Gli altri
quattro chimeri, seguendo l’esempio del primo, puntarono
verso le Mew Mew, che dovettero impiegare tutta la loro
agilità per riuscire ad evitare di essere inghiottite al
volo. I mostri scomparivano rapidi sottoterra per poi rispuntarne di
colpo, sibilando pericolosamente mentre si incrociavano fra loro,
confondendo le guerriere.
Mew Zakuro
lanciò contro uno di loro il suo attacco e lo
colpì in mezzo alla fronte. Prima di cadere a terra inerme,
il chimero le sputò addosso una sorta di sostanza verde
gelatinosa che, a contatto con la sua pelle, prese a bruciarle
terribilmente.
Mew Zakuro
gridò dal dolore e cadde a terra in ginocchio. Kassandra
atterrò con grazia davanti a lei e, replicando quanto aveva
vissuto solo pochi minuti prima, le sorrise provocatoria. «Ho
dimenticato di dirvi che ho utilizzato dei serpenti sputatori…
velenosi,» disse, premendo il tacco del suo stivale sulla
mano della Mew Mew, impedendole qualsiasi tentativo di attivare la sua
arma.
«Mew
Zakuro!» gridò Mew Pudding, ma la sua distrazione
le costò cara: la coda di un chimero la colpì al
petto e la mandò a sbattere contro il muro di cinta della
casa di Minto. Nel frattempo, Mew Lettuce venne colpita
–anche se fortunatamente solo di striscio - dal veleno di un
altro. Mew Mint era riuscita ad evitare il veleno, ma quando si accorse
del chimero che aveva alle spalle era ormai troppo tardi. Si
voltò verso di lui in tempo per vedere la sua gigantesca
bocca spalancarsi e il suo respiro si fermò mentre
realizzava a malapena il fatto di stare per essere divorata viva.
Paralizzata dalla paura, Mew Mint avvertì sul corpo il
calore del fiato del mostro… ma venne afferrata e portata
via un secondo prima di essere fatta a pezzi.
La Mew Mew si
sentì sbattere con violenza su una superficie
solida, che scricchiolò sotto la sua schiena.
Non
capì cosa le era successo ed istintivamente cercò
di rialzarsi, ma rimase ferma in ginocchio quando capì che
era stata teletrasportata sul tetto di casa sua, e che a portarla
lì, salvandola dal chimero, era stato Ai.
L’alieno
dagli occhi azzurri evitò rapidamente il suo sguardo
confuso. «Non farti strane idee,» le disse in tono
piatto. «Non potevo permettere che tu venissi uccisa da quel
mostro, noi due abbiamo ancora un conto in sospeso,» dichiarò, estraendo di nuovo il suo
pugnale dalla forma serpentina.
Mew Mint si
rialzò appena in tempo per evitare
l’affondo del suo avversario, che si scagliò
contro di lei mirando al suo petto.
«Aspetta,
ma cosa…?!» la guerriera compì un lungo
salto e atterrò dall'altra parte del tetto, ma venne ben
presto raggiunta dal suo avversario, che sembrava più
agguerrito che mai. Lei lo fissò, confusa.
«Mi
sei sempre stata antipatica, ma ora mi hai davvero stancato!
Preparati!»
Mew Mint
evitò un altro affondo. «Ehi, non te la prendere
con me! Siete voi che non avete rispetto per i sentimenti
altrui!»
Ai
continuò ad attaccarla. In pochi secondi, la ragazza si
ritrovò con le spalle premute contro le fragili tegole del
tetto. Riuscì a parare l’assalto frontale del suo
avversario con il suo arco, ma le due armi rimasero incastrate fra loro.
«Io
non ho sentimenti,» disse Ai digrignando i denti,
«perché dovrebbe fregarmene qualcosa di quelli
degli altri?!»
«Oh
poverino, non hai dei sentimenti!» lo prese in giro Mew Mint,
nonostante fosse seriamente in difficoltà. «E
allora perché dici che mi odi, dimmi?!»
Ai
riuscì a liberare il suo pugnale e compì un balzo
all’indietro. Sembrava che Mew Mint avesse toccato un nervo
scoperto perché, quando l’alieno aprì
di nuovo le labbra, sembrava davvero fuori di sé.
«Cosa ne sai tu di me?!» sbottò
furioso.«Tu non puoi capire!»
«Sei
tu che non capisci, stupido!» esclamò Mew Mint,
rimettendosi in piedi. «Continuare a combattere in questo
modo è inutile!»
«Lo
so perfettamente, grazie.»
«E
allora perché continui a combattere?!»
continuò la ragazza, esasperata. «Tu non sei come
Kassandra! Perché ti comporti
così?» domandò. Un istante
dopo indietreggiò di un passo, spaventata
dall’espressione gelida che aveva assunto Ai.
L'alieno
stringeva i pugni per fermare il tremito rabbioso che gli percorreva il
corpo. «Io faccio quello che voglio,»
sibilò con una calma innaturale. «E
quanto a te, non osare parlarmi come se mi conoscessi. Tu non sai
niente di me. Tu non hai idea di quanto io ho sofferto!»
Non fu tanto
quella risposta, quanto il tono amaro con cui era stata pronunciata a
colpire la ragazza.
«Tu,
una stupida Mew Mew!» continuò l’alieno
in tono sprezzante. «Che tra l’altro…
è destinata a morire,» concluse con un sorrisetto
nervoso e, approfittando della distrazione della guerriera, le si
materializzò accanto e la pugnalò allo stomaco.
Lei,
incredula, sentì i suoi polmoni contrarsi e
piantò gli occhi cerulei in quelli vuoti
dell’alieno.
Con un gesto
meccanico, Ai estrasse l’arma dal corpo della ragazza;
sconvolta, lei pressò una mano sulla macchia rossa che si
stava allargando velocemente sul vestito verde acqua.
Ai la spinse
giù dal tetto. Mew Mint ricadde accanto alle sue
compagne, che frattanto erano state ridotte allo stremo dai chimeri e
da Hiroyuki.
Ai si
materializzò accanto a Kassandra, ancora livido in volto e
tremante. Lei era troppo impegnata ad ammirare la sconfitta delle sue
avversarie e non se ne accorse.
«Missione
compiuta,» ghignò l’aliena, gettandosi
dietro le spalle la chioma scura. «Adesso
finitele!» ordinò ai chimeri superstiti,
schioccando le dita. Questi si prepararono ad attaccare, le fauci
spalancate.
Mentre si
gettavano addosso alle Mew Mew, Mew Zakuro schiuse faticosamente un
occhio. «R-Ragazze…» sussurrò.
«…p-piano
B?» mormorò Mew Lettuce, cercando di rialzarsi.
Mew Zakuro
scosse la testa. «No… temo che
q-questa… sia la fine.»
«Addio,
Mew Mew,» sorrise Kassandra.
Ma, prima che
i chimeri potessero colpire le quattro ragazze…
«Ribbon Strawberry Check Surprise!»
…uno
scudo di energia luminosa li respinse indietro.
+++
Note:
Solo
per dire che i serpenti di cui parla Kassandra appartengono ad famiglia
particolare di serpenti che, invece di azzannare le loro prede,
lanciano loro addosso il veleno "sputandolo" con grande precisione e
potenza dalle zanne.
|
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Capitolo 17 *** Equivoci pericolosi ***
02/06/2014. Ho
deciso di iniziare qui la mia carrellata di immagini di riferimento dei
miei infiniti OCs.
In
questo capitolo vi presento Marie
Wise. L’aspetto fisico del suo personaggio
è basato su quello di Misuzu di AIR, e se dovessi cercare
un’immagine che la rappresenta sceglierei questa fanart:
- Capitolo 16: Equivoci pericolosi
-
Mew Ichigo era
ritornata dalle sue compagne per proteggerle. Stringeva fra le dita la
sua Strawberry Bell e aveva un’espressione determinata
dipinta sul viso.
«Voi
tre,» disse agli alieni che galleggiavano alcuni metri
più in alto, «come avete osato fare del male alle
mie amiche?!»
«Ma
come, ce n’è anche un’altra?»
si domandò una confusa Kassandra. In effetti,
l’aliena aveva visto Mew Ichigo solo al Giardino Botanico, ma
a distanza di giorni si era completamente dimenticata di lei.
«Ha
respinto i tuoi chimeri senza il minimo sforzo,»
osservò Ai in tono incolore.
«Già!»
annuì Mew Ichigo dal basso, muovendo nell’aria la
Strawberry Bell. «E non hai ancora visto la parte
migliore!»
Un gemito
lieve alle spalle dell’eroina catturò la sua
attenzione: Mew Lettuce la stava chiamando debolmente. Era ridotta
molto male, ma almeno era rimasta cosciente. Le altre,
invece…
Mew Ichigo
raggiunse l’amica e si chinò accanto a lei,
prendendole la mano che lei le stava tendendo.
«I-Ichigo…»
le sussurrò la combattente verde,
«t-ti-prego….scappa.»
Lei scosse la
testa. «Mi sono stancata di scappare,» ammise,
osservando le ferite della compagna con un sorriso triste.
«Non preoccuparti per me. Ora ci penso io agli
alieni.»
Mew Ichigo
lasciò la mano di Mew Lettuce e si rimise in piedi.
Alzò la testa verso i suoi avversari e una strana luce
argentea cominciò a brillare nei suoi occhi, diffondendosi
poi lungo i contorni del suo corpo. La guerriera abbassò le
palpebre e pose le mani davanti a sé: «O virga mew aqua, luce!»
recitò ad alta voce. Una lunga bacchetta rosa si
materializzò fra le mani. Sotto lo sguardo incuriosito degli
alieni, Mew Ichigo gridò: «Ribbon Aqua
Guttae!» e di colpo centinaia di bolle di sapone colorate e
luccicanti vennero sprigionate dalla bacchetta. In pochi secondi
l’intero quartiere ne fu sommerso al punto tale che i
passanti credettero di essere precipitati in di quelle sferette
natalizie con dentro la neve artificiale colorata.
I chimeri,
già indeboliti dal colpo ricevuto in precedenza, si
disintegrarono al minimo contatto con le bolle. Fiutando il pericolo,
gli alieni si teletrasportarono via per non fare la stessa fine. Si
materializzarono tutti e tre a debita distanza dalle bolle e con orrore
constatarono che le Mew Mew, al contrario dei chimeri, a contatto con
esse stavano riacquistando la loro forza: le loro ferite guarivano a
vista d’occhio come per magia.
Spaventata, Kassandra corse a rifugiarsi dietro la sua guardia del
corpo. «Ma
questo… questo è impossibile!»
borbottò.
Hiroyuki
rimase immobile e impassibile anche quando la squadra delle Mew Mew al
completo, pochi secondi dopo, lo raggiunse e lo circondò.
«Abbiamo
un conto in sospeso, noi due,» disse Mew Zakuro,
completamente ristabilita, a Kassandra.
Lei, sempre
nascosta dietro Hiroyuki, si sporse leggermente solo per guardarla male.
«Allora
io vi lascio giocare, ragazze. Con il vostro permesso,»
tossicchiò Ai.
Mew Ichigo
impugnò la Strawberry Bell. «Ribbon Strawberry
Check Surprise!» gridò, mentre le sue compagne le
facevano eco.
«Ribbon
Lettuce Rush!»
«Ribbon
Minto Echo!»
«Ribbon
Pudding Ring Inferno!»
«Ribbon
Zakuro Pure!»
I cinque
potentissimi attacchi si diressero dritti verso i tre alieni, che
riuscirono a scappare all’ultimo secondo per miracolo.
«Ritirata…
ma vi giuro che la prossima volta che ci incontreremo sarà
l’ultima!» furono le ultime parole di Kassandra
prima di svanire nel nulla.
«Non
è la prima volta che ce lo dici!» le
gridò dietro Mew Pudding, facendole una linguaccia.
«MEW ICHIGO!» esclamò poi, gettandosi
addosso alla Mew gatto con tale entusiasmo da farla ricadere
all’indietro. «SEI TORNATA!»
Le altre le
circondarono.
«Ichigo!
Ma dove eri scomparsa?»
«Eravamo
così in pensiero!»
«Sei
andata a cercare l’acqua mew?» le chiese Mew
Zakuro, aiutandola a rialzarsi.
Mew Ichigo
annuì, abbassando gli occhi a terra. «Scusatemi se
non vi ho avvertito… era una cosa… che volevo
fare da sola.»
«Non
dirci che l’hai consumata tutta per salvarci!»
chiese scioccata Mew Mint, ancora scossa per via del combattimento.
«No…
ne ho trovate solo poche gocce, ma sono sicura che saranno sufficienti
a rispedire quegli alieni sul loro pianeta e farceli
restare,» la tranquillizzò la gatta.
«D’accordo…ma
ciò non toglie che ci hai fatto morire dalla
preoccupazione,» sbuffò lei in risposta.
«Potevi almeno avvertirci! Noi… abbiamo temuto il
peggio.»
Mew Ichigo si
strinse le mani. «Ragazze… mi dispiace,
io-»
«Non
preoccuparti, l’importante è che adesso sei qui
con noi, Ichigo,» la interruppe Mew Lettuce con un sorriso
rassicurante.
«No,
avete ragione.» Mew Ichigo scosse la testa. «Ho
pensato di farla finita ad un certo punto. Però, alla fine,
Ho pensato che…ad A-Aoyama-kun non avrebbe fatto piacere se
la Terra fosse andata distrutta,» ammise con voce incrinata.
Mew Zakuro le
posò con delicatezza una mano sulla spalla.
«Torniamo a casa ora.»
* * *
Solito bar,
solite cameriere, il giorno dopo.
Ryo sedeva al
tavolo della cucina. Era concentrato nella lettura di alcuni stampati
che sfogliava con aria pensierosa, quando sentì qualcuno
battergli su una spalla. Il giovane si voltò e si
ritrovò faccia a faccia con una perplessa Purin, seduta a
gambe incrociate sulla sua gigantesca palla.
«Ryo,
è vero che ora che Ichigo è tornata non chiuderai
il Cafè?» chiese la ragazzina.
«E’ vero, vero?»
Lui le
lanciò uno sguardo indecifrabile. «Non ho ancora
deciso,» sbuffò dopo molti secondi di silenzio,
per poi tornare ai suoi fogli.
Purin
inclinò la testa di lato, incerta.
«Oggi
gli alieni non si sono ancora fatti vedere in giro. Credo che, dopo la
mazzata che hanno ricevuto ieri, non si faranno vivi per un
po’,» si intromise Minto, posando accanto al forno
una guantiera vuota che Retasu si affrettò a riempire di
pasticcini alla crema.
«Io
mi preoccupo per Ichigo,» ammise quella.
Seguendo lo
sguardo di Retasu, Minto, Purin e Ryo si sporsero un poco verso la
porta per vedere cosa stava accadendo nella sala da tè.
Ichigo si era
appena accostata ad un tavolino per raccogliere
un’ordinazione: sebbene si sforzasse di sorridere, i suoi
occhi erano così spenti da spezzare il cuore; teneva le
spalle curve e la voce faticava a restare ferma, eppure continuava a
svolgere il suo lavoro senza battere ciglio.
«Non
sembra più neanche lei,» sospirò
Retasu. «E’ così…»
«…professionale?»
concluse Minto.
Retasu
annuì.
Ryo, scuro in
viso, abbassò gli occhi sui suoi appunti.
In quel
momento Ichigo fece il suo ingresso nella cucina: poggiò sul
tavolo il blocchetto delle ordinazioni e iniziò a sistemare
alcuni dolcetti in un vassoio. «Retasu, per favore, puoi
riscaldare dell’altra acqua per il tè?»
chiese con cortesia.
Retasu le
lanciò uno sguardo incerto.
«Che
c’è?»
«Ecco…
perdonami se te lo chiedo, Ichigo, ma...sei davvero sicura di voler
restare qui con noi?»
«Se
non te la senti di lavorare puoi tornare a casa, ci pensiamo noi al
Cafè,» aggiunse Purin.
Ichigo
tremò leggermente, sentendo gli occhi delle sue amiche e di
Ryo puntati sulla sua schiena.
«Io…oh,
non ditelo neanche per scherzo!» esclamò dopo un
attimo di incertezza, voltandosi verso di loro.
«Io… io non voglio abbandonarvi di
nuovo.»
Ryo mise da
parte i suoi fogli. «Ichigo…»
iniziò.
«Non
posso passare il resto della mia vita a piangermi addosso e a soffrire
per…A-Aoyama-kun, Ryo!» esclamò lei.
«Soprattutto in momenti come questi, in cui dovremmo essere
più unite che mai…» soggiunse.
«E poi, sapete… come dice una mia
compagna di classe… the
show must go on.»
Ichigo fece un
grosso respiro e tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Stava
posizionando una bustina di tè al cedro sul vassoio quando
si accorse della mano di Ryo sulla sua spalla.
La ragazza
sussultò e si girò di scatto nella sua direzione;
i loro sguardi si incrociarono e Ichigo arrossì.
«Perdonami,»
le disse semplicemente Ryo.
«E-Eh?!»
Un sorrisino
increspò appena le labbra del giovane. «Devo
ammetterlo: mi ero sbagliato. Sei più matura di quanto
credessi,» ammise. Lasciò scivolare via la mano.
«Però ora non montarti la testa eh,»
concluse con un velo di sarcasmo.
Ichigo
strinse i pugni e corrugò la fronte con nervosismo.
«Io non mi monto la
testa!» sbottò, seccata.
Ryo la
ignorò e, anche se lei non poteva vederlo,
continuò a sorridere. Stava per lasciare la cucina, ma non
appena afferrò la maniglia della porta qualcuno
dall’altra parte la spalancò con veemenza tale da
farlo letteralmente spiaccicare contro la parete.
«ICHIGO!!»
strillò Marie lanciandosi addosso la rossina. Le
gettò le braccia al collo, mentre i presenti fissavano
inebetiti la scena. Conoscevano Marie di vista perché era da
almeno una settimana che quella ragazzina veniva al Cafè e
chiedeva loro notizie di Ichigo, ma non pensavano che il rivederla
potesse renderla capace di un tale scatto di entusiasmo: in genere,
Marie era sempre molto tranquilla.
Ichigo si
staccò con imbarazzo da quell’abbraccio.
«M-Marie!» disse, sorpresa. «Che cosa ci
fai qui al Cafè?»
Zakuro
entrò nella stanza. «Mi dispiace, non sono
riuscita a fermarla,» spiegò ad Ichigo, lanciando
nel contempo a Marie un'occhiata obliqua.
Lei prese le
mani di Ichigo fra le sue e la guardò: i suoi occhi
luccicavano per la felicità ed il sollievo.
«Non dovrei essere qui lo so, ma ero molto preoccupata per
te, come stai amica mia?» disse velocemente.
Incredibile ma
vero, quella frase era stata pronunciata in un giapponese perfetto,
anche se con il tono di un bambino che recita una poesia imparata a
memoria.
Ichigo
apprezzò lo stesso quel tentativo. «Sei stata
molto gentile, grazie,» rispose, sorridendo alla sua compagna
di classe. «Sono dovuta… partire improvvisamente
per un problema di famiglia e sono tornata solo ieri.»
«Oh.
Capisco.»
«Già.»
Ichigo
notò con imbarazzo crescente che Marie non sembrava
intenzionata a lasciare le sue mani. Le stringeva forte, trasmettendole
la sua apprensione, e la rossina non sapeva cosa dirle per convincerla
a calmarsi.
Di colpo, un
rumore sordo fece sobbalzare entrambe: Keiichiro era appena entrato
dalla porta del retro. Il giovane uomo aveva con un’aria
sconvolta che non faceva presagire niente di buono.
«Ragazze!»
esclamò. «Ho delle novità riguardo agli
al–»
Purin e Retasu
saltarono addosso a Keiichiro e gli tapparono la bocca prima che lui
potesse completare la frase. Minto si affrettò ad afferrare
Mash e a nasconderlo dentro una caffettiera.
Marie
osservò la scena con stupore.
«…ALIMENTI
da utilizzare per i nuovi dolci!» concluse un sorridente Ryo
Shirogane, dando una sonora pacca sulla spalla al suo amico.
«Finalmente, erano giorni che aspettavo quelle ricette!
Andiamo subito a vederle!»
Quando Purin e
Retasu lo lasciarono andare, Keiichiro guardò il gruppo di
cameriere, accorgendosi finalmente della presenza di Marie fra di loro.
«Ma certo! Era proprio questo ciò di cui volevo
urgentemente parlarvi,» replicò tossicchiando.
«Perfetto,
allora per oggi chiudiamo… avete sentito ragazze? Oggi
chiusura anticipata. Vi aspettiamo di sotto,»
tagliò corto Ryo. Sorrise un’ultima volta a Marie
e poi si avviò con Keiichiro nella sala sotterranea,
richiudendosi la porta alle spalle.
«Ma…
aspettate! Non possiamo chiudere all’improvvis…oh,
che tipi!» sospirò Minto. «Speriamo che
i clienti siano comprensivi…»
Fortunatamente
lo furono. Non appena l’ultimo cliente fu uscito, Zakuro
chiuse a chiave il portone d’ingresso del locale e poi
raggiunse Retasu in cucina. Le due cameriere stavano per scendere nel
sotterraneo quando Zakuro, all’improvviso, si
immobilizzò.
«L’hai
sentito anche tu?» chiese.
«Che
cosa?»
Zakuro
rizzò la testa e nel modo in cui farebbe un cane e
ritornò guardinga sui suoi passi. «Uno starnuto.
Qualcuno ha starnutito,» borbottò, la fronte
corrugata per la concentrazione.
«Ne
sei sicura? Su questo piano ci siamo solo noi.»
«Uhm…»
«Credi
che siano i nostri nemici?»
«Fai
silenzio un attimo, Retasu.»
Prima che la
verde potesse replicare, la cameriera viola aveva già
raggiunto il bagno del locale ed era entrata. Al suo interno
scovò, in piedi accanto ad un lavandino… una
spaventata Marie. La fulminò con lo sguardo; Retasu invece
sospirò sollevata e le si avvicinò timidamente.
«Ehm… scusaci, ma devi andare,» le disse
un po’ incerta.
Marie la
guardò interrogativa. «Sorry, I don't understand.»
«Il
Cafè Mew Mew è chiuso! Ci dispiace, ma devi
andare!» ripeté Retasu a voce più alta.
«Guarda
che è straniera, non sorda,» le fece notare
Zakuro, e Retasu arrossì. «Could I ask you what are you
doing here?» chiese poi bruscamente alla
straniera.
Marie parve
stupita dal fatto che Zakuro parlasse la sua lingua.
«I…er…I got
lost,» rispose, distogliendo lo sguardo dalle
due cameriere.
L’espressione
di Zakuro si rabbuiò.
«Ma…che…che
succede?» domandò Retasu.
Zakuro
guardò Marie sospettosa. «The exit is right there,»
disse, indicando la direzione in cui si trovava la porta del
Cafè.
«Oh.
Thank you,»
replicò Marie, e lasciò il bagno con
una velocità sconcertante.
«Retasu,
falla uscire e poi richiudi a chiave il portone, per favore,»
disse Zakuro alla sua compagna. Lei annuì, e quando
tornò, mentre si avviava con lei nel sotterraneo, Zakuro le
confidò: «Credo che quella straniera ci nasconda
qualcosa. Ho come uno strano presentimento.»
La ragazza dai
capelli verdi non seppe cosa risponderle.
* *
Ai era
sdraiato su un vecchio letto, gli occhi cerulei fissi nel vuoto. La
finestra della stanza polverosa in cui si trovava era sbarrata da assi
di legno, ma dei sottili raggi di sole riuscivano ugualmente a filtrare
all’interno, passando attraverso gli spazi fra di esse.
«Che
cosa mi succede?» mormorò l’alieno,
osservando distrattamente le particelle di polvere che galleggiavano
nei raggi di luce.
Era da un
pezzo che stava lì fermo, immobile. Non era malato, eppure
non si sentiva per niente bene. L’alieno non riusciva a
ragionare lucidamente: tutti i suoi pensieri erano catalizzati sulle
parole che Mew Mint gli aveva rivolto durante il loro ultimo
combattimento.
“Perché
continui a combattere?!” continuava a ripetere la Mew Mew
nella sua testa.
Ai non si era
mai posto questa domanda, ma da quando la sua avversaria lo aveva fatto
non riusciva a fare a meno di cercare una risposta.
In effetti,
perché combatteva?
Era sempre
stato molto devoto alla causa del suo Pianeta ed estremamente ligio al
suo dovere, ma ormai non era più una Guardia Imperiale e non
aveva più l’obbligo di servire o obbedire a
nessuno. Inoltre, non è che gli importasse poi
così tanto della vendetta sugli umani o dei piani di
Kassandra.
La
semplicità della mente di quella principessina viziata era a dir poco incredibile. In fondo, molto in fondo, Ai la invidiava.
Se solo lei
non fosse sempre così irritante, avrebbero potuto essere
alleati…e forse anche amici.
Invece, le
cose avevano preso una piega a dir poco penosa.
Non era certo
una novità per lui: Ai non era mai riuscito a legarsi
veramente a qualcuno, e nessuno aveva mai sentito il bisogno di legarsi
a lui.
Non aveva mai
conosciuto la sua famiglia: non ricordava niente dei suoi primi anni di
vita. I suoi primi ricordi risalivano all’orfanotrofio in cui
era cresciuto, orfanotrofio che l’aveva scaricato in
quell’inferno di Istituto Militare non appena aveva raggiunto
l’età adatta per essere iscritto. In quel posto
gli avevano insegnato a combattere per il loro sovrano, a combattere
contro i nemici dell’impero, a combattere per morire con
onore…
Nella sua
vita, Ai non aveva fatto altro che combattere. Ma, ora che finalmente
era libero da ogni dovere, perché continuava a farlo?
"Già,
perché?" ricominciò a torturarsi il giovane
alieno. "Perché continuo a combattere, ad odiare e
disprezzare e uccidere? Perché non riesco a trovare pace?
Perché sento il bisogno di tutto questo?"
Si
rigirò sul letto, e nel farlo fece cadere a terra il
libricino aveva cercato di leggere per distrarsi un po’.
Era di un
certo Blaise Pascal, si intitolava "Pensieri".
Ai rimase a fissarne la copertina sgualcita senza interesse…
poi all’improvviso comprese: Pascal…il divertissement.
"Io sento il
bisogno di combattere," pensò, "perché mi
distrae… mi distrae dal pensare a me stesso, alla mia vita,
al mio passato… a quanto sono stupido…
debole… e solo."
«Ah,
eccoti finalmente!»
Ai
balzò a sedere al suono di quella voce stridula: Kassandra
si era appena materializzata nella stanza.
Chissà
perché, non riusciva ad esserne felice.
«Ti
ho cercato dappertutto!» si lamentò
l’aliena, le mani poggiate sui fianchi sottili.
Ai la
degnò a malapena di uno sguardo. Raccolse da terra il suo
libricino e fece per andarsene ma Kassandra, con un gesto rapido, glielo
sfilò di mano e lo gettò via senza
troppi complimenti, spaginandolo.
«Ehi!»
protestò a quel punto il giovane. «Che vuoi? Non
ho voglia di litigare oggi!»
«Sai
qual è la novità, villico? Neanche io!»
ribatté lei acida, alzando il tono di voce.
«Ma
davvero?! A me non–»
«Fai
silenzio ed ascoltami, anche perché non ho voglia di perdere
tempo a parlare con te: oggi ho pensato–»
«Ah,
sai fare anche questo?»
«…e
ho concluso che quelle Mew Mew, in fondo, non sono poi così
forti.»
Ai
sbuffò una risatina ironica. «Quindi secondo te
sono i tuoi chimeri a fare schifo?»
«NO!»
troncò Kassandra, rossa di rabbia. «Quelle cose
continuano a sconfiggerci perché sono unite da una specie di
spirito di squadra!» rivelò.
«E’ questa la loro forza, per cui se vogliamo
batterle, noi dobbiamo…»
«…farle
dividere?» domandò Ai, inarcando un sopracciglio.
«No
plebeo… dobbiamo unirci
anche noi,» concluse Kassandra con
l’entusiasmo di una mosca appena finita nella tela di un
ragno.
«Temevo
che l’avresti detto,» sospirò Ai,
roteando gli occhi.
«Non
credere che l’idea mi alletti…» gli fece
eco l'aliena.
I due rimasero
in silenzio per un tempo abbastanza lungo da farli sentire entrambi in
imbarazzo.
«Hai
pensato anche ad altro per caso?» chiese alla fine Ai, con
una certa venatura di sarcasmo nella voce.
«No.»
«Allora
ascolta me adesso,» propose l'alieno. «Sai qual
è la prima cosa che insegnano all’Istituto
Militare?»
«Di
certo non il galateo,» osservò Kassandra.
«Conosci il tuo nemico,»
recitò Ai, ignorandola.
«Certo
che lo conosciamo, sono quelle cinque bestie immonde!»
Ai
sembrò fare una fatica immensa per non picchiarla.
«Intendo dire, conosci i punti deboli del tuo
nemico,» precisò. «Dimmi,
quand’è che le Mew Mew sono deboli?»
chiese poi.
Kassandra lo
guardò confusa.
«Ok,
mettiamola in termini più semplici: come sono gli esseri
umani?»
«D-Deboli?!»
tentò la principessa.
Lui
annuì. «Stando ai dati in nostro possesso, le Mew
Mew non sono altro che degli esseri umani in grado di trasformarsi.
Sono un pericolo solo quando sono trasformate, ma finché
sono esseri umani non lo sono, per cui basta scoprire la loro vera
identità e distruggerle mentre sono inermi,»
concluse. «Hai capito?»
Kassandra non
rispose subito: era rimasta profondamente colpita dal suo compagno, non
tanto per via del piano che aveva ordito, quanto per il fatto che riuscisse effettivamente a ragionare… fu costretta ad ammettere che non era poi così scemo come pensava,
ed oltretutto non era neanche brutto, anzi…
«Kass?»
Kassandra
avvampò. «NON TRATTARMI COME UNA
STUPIDA!» strillò ad Ai – e poi gli
mollò un ceffone sorprendentemente forte sulla guancia
destra.
«Kassandra,
VATTENE ALL’INFERNO!» sbraitò lui in
risposta, sollevando i pugni.
«Esperienza
già fatta, grazie!» replicò lei.
Uscì sbattendo la porta, lasciando solo Ai
che, quando fu sicuro che Kassandra se ne fosse andata,
tornò a buttarsi sul letto e si portò una mano
alla guancia colpita, lasciandosi sfuggire un flebile:
«Ahio».
*
Ai si era
appisolato, ma i suoi sensi allenati lo fecero tornare alla
realtà quando avvertì dei rumori nella stanza.
L’alieno
afferrò il suo kris e aprì gli occhi solo per
ritrovarsi davanti una copia nuova di zecca dei Pensieri di Pascal.
A porgergliela era Kassandra, che stava evitando accuratamente il suo
sguardo. Ai afferrò il libro e tornò a stendersi
a letto senza dire una parola.
«Plebeo,»
lo chiamò l’aliena a quel punto, avvicinandosi di
un passo, «hai per caso qualche idea per scoprire la loro
vera identità?»
Ai
alzò la testa verso di lei e la fissò. Poi si
portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi, come per
concentrarsi.
«Io…»
«In
fretta possibilmente, stasera ho un impegno!»
«…io
non ne ho idea,» concluse Ai.
Kassandra
parve offendersi a morte. «IDIOTA, RAGIONA!»
Ai
scoppiò in una risata di scherno che fece innervosire ancora
di più la principessa aliena. Lei stava per andarsene ma, a
sorpresa, lui si rimise in piedi e disse: «Le Mew
Mew… il loro aspetto fisico sicuramente cambia dopo la
trasformazione: non ho mai visto esseri umani con code, ali o pinne; ma
credo che cose come il carattere, il modo di parlare, i movimenti,
rimangano gli stessi anche dopo la trasformazione.»
A sentire
ciò, Kassandra assunse un’aria pensierosa.
«Beh, se la metti così, ho notato che una di loro
ha un portamento molto elegante, persino aristocratico,»
osservò dopo un poco.
«Quale?»
le chiese Ai interessato.
«Quella
volante.»
«Mew
Mint,» mormorò lui con uno strano tono di voce, un
po' più alto del normale.
L’aliena
annuì. «Si, si, è troppo leggera ed
aggraziata per essere una zotica come le altre.»
Ai ebbe un
altro di quegli odiosi flash del combattimento del giorno prima.
«Io non l’ho notato,» si
affrettò a rispondere, atono.
«Che
cosa vuoi notare tu…» cominciò
Kassandra, ma sussultò e chiuse la bocca quando Ai le si
materializzò affianco all’improvviso, spingendola
da parte. «E-Ehi!» esclamò, offesa.
«Che cos-»
«L’hai
sentito?» le chiese l’alieno, stringendo gli occhi
sospettoso.
Kassandra si
scostò una ciocca di capelli corvini dalle spalle, seguendo
con lo sguardo il suo compagno, che aveva preso a studiare la stanza
con circospezione: «Che cosa avrei dovuto sentire?»
«Un
rumore strano… una specie di crepitio.»
«Io
non ho sentito niente… ti dicevo, probabilmente quella tizia
è o un’aristocratica o una danzatrice, o magari
tutte e due.»
«Ah,
si? Allora forse parteciperà a quello spettacolo di
domani,» sbottò Ai, scostando bruscamente una
tenda stracciata e polverosa, quasi come se si aspettasse che potesse
esserci qualcuno dietro: l’unico intruso che
scovò, però, fu solo un enorme ragno peloso.
Disgustato, l’alieno si decise a lasciar perdere e
tornò a sedersi sul letto.
«Di
che stai parlando?» gli chiese Kassandra.
«Ho
letto che domani, al Tokyo Dome, ci sarà una competizione di
danza classica,» spiegò Ai, poggiando gli
avambracci sulle ginocchia. «Se le tue ipotesi sono giuste,
cosa di cui dubito, quella Mew Mew potrebbe decidere di
parteciparvi.»
«E
tu come fai a sapere di questa cosa?»
«L’ho
letto per caso in città, su un manifesto della famosissima
idol Fujiwara Zakuro…»
«E
chi diavolo è questa, adesso?»
«…che
presenzierà lì domani in qualità di
madrina dell’evento.»
«Oh,»
mormorò Kassandra. «Allora, secondo te…
per togliere di mezzo la Mew Mew domani non dobbiamo fare altro che
attaccare il Tokyo Dome e annientare tutti gli esseri umani che ci sono
dentro, vero?» domandò.
«Sì,
ma–»
«Perfetto!»
cinguettò la principessa, battendo una volta le mani. Si
teletrasportò via.
«Prego,
Kass,» sbuffò Ai ironico.
* *
Ichigo,
Retasu, Zakuro, Purin e Minto si scambiarono un’occhiata
confusa: stavano succedendo cose strane in quel sotterraneo. Quando
circa un quarto d’ora fa ne avevano varcato la soglia,
avevano trovato Ryo e Keiichiro impegnati a trafficare attorno a Mash.
Il primo aveva collegato il robottino ad un computer portatile tramite
dei cavi, mentre il secondo stava smanettando sulla tastiera con aria
concentrata. Dopo aver elaborato una lunga serie di dati, Keiichiro
aveva avviato un programma molto simile a quelli usati per elaborare le
registrazioni vocali.
Purtroppo,
qualcosa era andato storto e Keiichiro, borbottando qualcosa su un
blocco di sistema, aveva finito per chiudere il software vocale e
aprire una sorta di foglio di testo su magicamente avevano iniziato a
comparire una serie di scritte.
La maggior
parte di esse erano illeggibili, a dire il vero. Si trattava
perlopiù di una marea di punti interrogativi alternati da
vocali o spazi; erano poche le parole che riuscivano a leggersi per
intero. Keiichiro stampò quel foglio e lo passò a
Ryo: lui, dopo avergli dato una veloce scorsa, contorse le labbra in
una strana smorfia.
«Ryo,
non è che per caso potremmo sapere che cosa
succede?» si azzardò a chiedere a quel punto una
spazientita Ichigo.
Il ragazzo non
spostò gli occhi dal foglio. «Abbiamo
inviato DT-210/2013 a spasso per Tokyo,» rispose brevemente.
«Chi
è-»
«Fai
conto che sia un fratellino di Mash.»
«E’
un drone che ho costruito da poco,» spiegò
Keiichiro. «E’ molto simile a Mash, ma è
più piccolo e meno vistoso. L’ho dotato di sensori
sensibilissimi, sperando che così riuscisse ad individuare
gli alieni…e così è successo. Li ha
trovati e raggiunti. Purtroppo, si è verificato un problema
tecnico ed abbiamo perso il segnale prima di riuscire a conoscere la
sua posizione. L’unica cosa che funzionava prima che la
riserva di energia di DT si esaurisse era la ricetrasmittente: sono
riuscito ad ottenere una copia dei suoni che ha captato prima di andare
fuori uso del tutto.»
«Suoni?»
ripeté Ichigo, perplessa.
«Ci
stai dicendo che è riuscito ad ascoltare i discorsi degli
alieni?» domandò Zakuro.
«Che
forza!» esclamò Purin. «Allora? Cosa
dicono gli alieni?» chiese poi, incuriosita.
Ryo le
mostrò il foglio con aria seccata. «Che ci hanno
scoperti,» rispose in tono piatto.
«Che
cosa?!»
Retasu si
portò una mano alla bocca. «Oh, no!»
«Già.
A quanto pare hanno scoperto l’identità di
Zakuro,» spiegò il biondo. Guardò la
diretta interessata, che aveva corrugato la fronte con preoccupazione.
«Domani tu devi andare al Dome, vero?» le chiese.
«Si,»
annuì la ragazza lupo.
«Hanno
intenzione di attaccarlo. Hanno parlati di identità umana
delle Mew Mew e hanno fatto il tuo nome.»
Zakuro
ignorò i mugolii preoccupati delle sue amiche.
«Che cosa devo fare?» chiese.
«Ormai
non puoi tirarti indietro. Devi andare.»
Zakuro
annuì nuovamente.
«Ma
è un suicidio!» protestò a quel punto
Minto.
«Non
possiamo permettere che attacchino al Dome! Ho letto che lì
domani ci sarà un evento molto importante! Ne parla tutta
Tokyo! Ci saranno migliaia di persone!» disse nello stesso
istante Ichigo.
«Vuol
dire che dovremo salvaguardarle,» le rispose Ryo.
«Ricordate che siamo in vantaggio rispetto agli alieni:
abbiamo l’acqua mew e sappiamo dove e chi avranno intenzione
di colpire. Ci faremo trovare pronti.»
Ichigo non era
molto convinta.
«Qual
è il piano?» domandò Retasu.
«
Tu, Ichigo e Purin vi mescolerete al pubblico e cercherete di
individuale gli alieni prima che attacchino,» fu la replica
di Ryo. «Zakuro, tu invece seguirai la tua scaletta, ma sarai
pronta a trasformarti al minimo accenno di pericolo.»
«Ed
io?» chiese Minto.
«Tu
fai danza classica, no? Ti infiltrerai fra le partecipanti.»
«Ma…»
«Sentite,
non abbiamo scelta! E’ l’unica occasione che
abbiamo per fermali!» esclamò esasperato Ryo. Poi,
però, gli accadde una cosa molto strana.
Il biondo si irrigidì di colpo e si avvicinò ad
Ichigo; la scostò, la superò e si
avviò meccanicamente verso l’uscita.
«R-Ryo?!
Dove te ne vai ora?!» chiese lei stupefatta.
«Mi
sta cercando,» sussurrò il ragazzo con voce appena
percettibile, lo sguardo fisso nel vuoto.
«Adesso…»
«Ryo,
che cosa stai dicendo?»
«Devo
andare,» disse ed uscì, richiudendosi la porta
alle spalle.
«Ma
che gli prende?!» domandò Ichigo. Le altre fecero
spallucce. «Vado a riprenderlo. Voi restate qui!» esclamò
allora la rossa, correndo verso la porta.
«Vengo
con te!» le gridò dietro Retasu, seguendola.
Le due
risalirono nervosamente le scale, ritrovandosi nella cucina del
Cafè.
«Insomma,
Ryo, si può sapere che cavol…»
cominciò Ichigo, ma fu costretta ad interrompersi per lo
shock.
Infatti, Ryo
era in piedi nella parte opposta della cucina, accanto alla porta che
comunicava con il resto del Cafè. Non era solo: di fronte a
lui c’era una ragazza dai lunghissimi capelli color miele;
era alta, snella, molto giovane. Indossava una camicetta azzurra aperta
sul davanti e una gonna lunga fino al ginocchio, mentre ai piedi
portava delle scarpe celesti a punta.
Nel vedere i
due, Retasu indietreggiò di qualche passo. Non
rotolò giù per le scale soltanto
perché dietro di lei c’era Keiichiro, che come
Ichigo rimase paralizzato di fronte a quella scena.
«Che
succede? Perché fate quella faccia?»
Purin si fece
largo fra le gambe delle ragazze, ritrovandosi presto accanto ad
Ichigo. Seguì il suo sguardo e trovò Ryo e la
ragazza. I suoi occhi si illuminarono: «WOW! Si stanno
baciando!» disse ad alta voce la biondina, «Che
figo!!»
Ryo e la
ragazza misteriosa, accortisi a quel punto del gruppo di spettatori, si
staccarono. Lui voltò la testa indifferente, mentre la
ragazza assunse un’espressione seccata. Si girò
verso i nuovi arrivati, squadrandoli con aria malevola: era molto
carina, ma probabilmente non era giapponese: con quegli occhi castani
dal taglio occidentale assomigliava molto a Marie.
«Ryo,
ma cosa…chi…chi è quella?»
sussurrò Retasu strabuzzando gli occhi.
La ragazza
sbuffò. «Conosci questi individui,
Shirogane?» chiese al ragazzo, che non rispose.
«Scusa,
ma tu… chi sei?» le domandò a quel
punto Ichigo.
Lei si
scostò i capelli lisci, lasciandoseli ricadere dietro le
spalle, e disse, con aria di superiorità: «Il mio
nome è Luna, mocciosetta, e quanto a Shirogane, sono la sua
compagna. Perché quella faccia? C’è
forse qualche problema?»
++++
Note:
(1)Blaise
Pascal è un filosofo del '600; il "divertissement"
è un estratto della sua filosofia, ovvero: “Gli
uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria,
l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non
pensarci.” (Pensieri, 168). In pratica, vi è mai
capitato di cercare disperatamente di ottenere qualcosa, e quando
finalmente ci riuscite, scoprite che non vi interessa più?
Secondo Pascal l’uomo non cerca cose come il denaro, il gioco
o la guerra per ottenere la felicità. L’uomo cerca
il casino che il cercare di ottenere queste cose comporta,
perché lo distrae dal pensare a se’ stesso, al
vuoto interiore che è dentro di lui, che lo porterebbe a
scoprire la sua sofferenza e i suoi problemi.
(2)
Gli alieni non conoscono le proprietà rinvigorenti e
curative dell’acqua mew, per questo motivo sono scappati
quando hanno visto che essa ha distrutto i loro chimeri.
|
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Capitolo 18 *** Equilibri spezzati ***
09/06/2014. Lui
è Ai. Una lettrice è stata così carina da mandarmi QUESTA
sua CGI (insieme ad altre). L'ho modificata leggermente (solo l'espressione e i colori) per renderla piu' simile
a come vedo io Ai (sono impedita col disegno o ne avrei fatta una io,
chiedo venia)
L'autrice delle CGI è MewLeemon e non saprò mai come ringraziarla. E' anche grazie alle sue CGI che mi è tornata la voglia di ricominciare a scrivere.
- Capitolo 17: Equilibri spezzati
-
La bionda
squadrò Ichigo dall’alto in basso e poi le disse,
con un sorrisetto odioso stampato sulla faccia: «Il mio nome
è Luna, mocciosetta, e quanto a Shirogane, sono la sua compagna.»
Ichigo
rimase a bocca aperta. «Co-cosa?!»
mormorò, stupefatta.
«Perché
quella faccia? C’è forse qualche
problema?» continuò l'altra, l’arroganza
nella voce.
«MA
CERTO CHE NO!!» trillò all'improvviso la vocetta
gioiosa di Purin.
«E-EH?!»
«Non
sapevo che Ryo avesse la fidanzata!» esclamò la
bambina, parandosi davanti a Luna con gli occhioni che scintillavano.
Un secondo dopo era in piedi sulla sua palla e con almeno una decina di
piatti in equilibrio su dei bastoncini: «Piacere, io sono
Purin! Dimmi, ti piacciono gli spettacoli di magia con le
scimmiette?»
Stavolta
fu il turno di Luna a restare a bocca aperta...più
spaventata che altro, la ragazza indietreggiò di qualche
passo: «I-Io…N-NO!» negò con
leggera isteria. Poi sentì qualcuno che le prendeva la mano:
guardò in basso, e sconcertata scorse Keiichiro in ginocchio
ai suoi piedi.
«E’
un piacere conoscerla, signorina,» sorrise il giovane prima
di sfiorarle appena la mano con le labbra.
In
quel momento, Luna comprese di essere circondata da matti.
«Sono
certo che apprezzerà molto Ryo,»
continuò Keiichiro. «Lui è un ragazzo
intelligente ma, a volte, non
sa cosa fa…vero, Ryo?»
Lui
si girò dall’altra parte per evitare lo sguardo
del tutore... e poi fece per andarsene, ma Ichigo lo afferrò
per la spalla, bloccandolo.
«Ryo!
Ti sembra un comportamento corretto questo?!»
domandò, molto rossa.
Lui
non ebbe il tempo di risponderle perché, ancora prima che
lei potesse terminare la frase, Luna l’aveva raggiunta e
spinta via con forza.
«Non
osare più toccarlo,» le aveva intimato minacciosa.
«Io
che cosa?!» sillabò Ichigo con lo stesso tono.
Le
due ragazze si squadrarono come due leonesse fameliche che puntano la
stessa preda.
Ichigo
strinse i pugni. Probabilmente li avrebbe sbattuti sul bel visino di
Luna se Retasu non l’avesse trattenuta per le spalle.
«Ti
prego, Ichigo lascia perdere… in fondo, non sono affari che
ci riguardano,» disse con voce malferma.
«Ma
Retasu-»
«Oh,
finalmente una persona che dice cose sensate!»
osservò Luna. Si girò verso Ryo: «Ora
andiamo tesoro, sono stufa di questo postaccio,» disse.
Ichigo
si mosse verso Ryo. «Ryo, non oserai…»
Lui
osò e seguì Luna fuori dalla cucina senza dire
una parola.
«RYO!»
Il
tonfo del portone del Cafè fece terminare ogni discussione;
tra l’altro, fu così forte che pezzi di intonaco
del soffitto ricaddero sul pavimento, spezzandosi in mille frammenti di
polvere bianca.
Keiichiro
emise un lungo sospiro, guardando distrattamente in alto.
«Credo che sia necessario ridipingere il soffitto,»
mormorò sconsolato.
**
Un’ora dopo, mentre il sole cominciava a calare alle loro
spalle, le cinque ragazze passeggiavano insieme per una stradina che
costeggiava il fiume. L'argomento dei discorsi che si
scambiavano non erano ne’ gli alieni, ne’ la
salvezza del mondo: le ragazze stavano infatti dibattendo su Luna e
sullo strano comportamento di Ryo.
O
almeno, Minto, Purin e Zakuro parlavano fra loro; Ichigo, invece,
camminava più avanti a passi svelti, come se stesse cercando
di scappare via.
Retasu,
che dal canto suo seguiva la discussione in silenzio, se ne accorse
presto. Quando non riuscì piu' a
sopportarlo, raggiunse Ichigo e ed appoggiò una
mano sul suo braccio per attirare la sua attenzione. Lei si
fermò.
«Che
c’è, Retasu?»
La
ragazza ritrasse timidamente la mano. «Niente,
niente…volevo solo sapere… stai bene?»
«Ma
certo!» rispose la rossina, la voce più acuta del
normale, e Retasu capì che stava mentendo.
Le
altre si fermarono a guardarle.
«Stavo
solo pensando,» si giustificò Ichigo. «A
che ora ha detto Keiichiro che dobbiamo trovarci davanti al Dome
domani?»
«Alle
sei di pomeriggio,» rispose docile Retasu.
«Vero,
ora ricordo.»
Ichigo
ricominciò a camminare senza aggiungere altro.
Le
altre la imitarono. Continuarono così per qualche minuto,
poi Minto si accostò a Zakuro.
«Scusami
onee-sama, potrei chiederti un favore?» cominciò
incerta. La modella le fece un cenno d'assenso, così lei
prese coraggio. «Dopo l’ultimo combattimento, la
mia casa è praticamente distrutta…i miei genitori
hanno già contattato un’impresa per rimetterla in
sesto, ma nel frattempo…io…ecco…potrei
restare un po’ di tempo da te?»
Senza
risponderle, Zakuro la fissò in modo strano.
«Se
non trovo una scusa convincente per restare qui dovrò
trasferirmi a Berlino da mio fratello finché i lavori non
saranno ultimati!» si giustificò Minto.
Zakuro
alzò le spalle. «Perché non chiedi ad
Ichigo?» replicò, lasciandola pietrificata.
Minto
si girò istintivamente verso la rossa, che prese quello
sguardo per una domanda.
«Io…
io non lo so, cioè… se ti va per me non
c’è problema Minto, però ti avverto che
staremo da sole,» rispose imbarazzata.
«Perché?»
si intromise Purin. «I tuoi genitori non sono a
casa?»
Ichigo
scosse la testa. «Vedete ragazze, durante un viaggio di
lavoro a Kyoto la mamma si è sentita male… ora
è in ospedale laggiù. Non può
muoversi, per cui non può tornare a casa finché
non si sente meglio. E mio padre vuole stare vicino a lei,»
spiegò, inceppandosi nell’ultima frase.
«Lui ha deciso di restare lì finché la
mamma non migliora… così io sono sola a
casa,» concluse brevemente.
«Accidenti,
ci dispiace!» disse Purin. «Non ce
l’avevi detto che tua madre stava male! Che cos’ha
di così grave da non potersi muovere?»
«Beh,
vedi… è stata una cosa improvvisa,»
farfugliò Ichigo, arrossendo. «Lei in
realtà avrebbe dovuto stare così tra circa due
mesi, ma ha anticipato i tempi. Cioè…»
Ichigo vide le sue amiche fissarla in modo strano. Tirò un
profondo sospiro, quindi disse rapidamente: «Mia madre
aspetta un bambino.»
Le
quattro ragazze smisero di camminare nello stesso istante, restando a
bocca aperta.
«Ehehe…
sorpresa, eh?» mugolò Ichigo, sorridendo
imbarazzata.
Le
ragazze si guardarono fra loro.
«Ichigo,
MA CHE DIAVOLO! Tu stai per avere un fratellino e non ci dici
niente?!?! MA CHE TI SALTA IN MENTE?!» gridarono poi di
colpo, contemporaneamente.
Per
la sorpresa, ad Ichigo spuntarono due orecchie da gatto.
«CALME!
Non pensavo che vi interessasse!!» si difese la rossina,
mettendosi le mani sulla testa per coprirsi le orecchie.
«MA
COME?!» esclamò Purin, ma in quello stesso istante
il suo cellulare squillò. «Oh, scusate un
momento!» disse rispondendo. «Pronto?
….urgh!» Purin chiuse la chiamata.
«Scusatemi ragazze, devo andare! A doman-»
«Ferma
lì!» Zakuro la afferrò per le spalle,
immobilizzandola.
«Tu
non vai da nessuna parte,» dichiarò Minto.
«E’ una settimana che non appena ti squilla il
telefono tu ti volatilizzi. Siamo stufe di questa storia! Ci spieghi
che succede?!»
«Non
è niente, niente di niente, davvero!» Purin
cercò di divincolarsi dalla stretta di Zakuro, inutilmente.
«Ok…» disse all'improvviso, rassegnata.
«Vi ricordate mia cugina Keira? Vuole restare un
po’ qui a Tokyo… così si è
trasferita a casa mia. E’ che ogni tanto ha bisogno di me, e
così… devo andare!» disse Purin, ma
Zakuro non la liberò. La biondina sospirò e
riprese a parlare. «Keira non sa prendersi cura dei miei
fratellini, e così ogni tanto si arrabbia con loro, o rompe
qualcosa…»
«Perché
è a casa tua?» le chiese Ichigo.
«Dice
che è scappata di casa perché i suoi la
trattavano male,» rispose Purin.
«Che
cosa?»
«Lei
dice così, ma io so che non è vero. I miei zii
sono buoni, l’unica cosa che hanno fatto di male è
stato… forse… viziarla un po',»
concluse triste la bambina. Poi rialzò la testa:
«Ora posso andare? Dice che Rei-chan si è fatta
male… devo andare a controllare!»
Zakuro
la lasciò, e lei si inchinò leggermente:
«Scusatemi ancora, ragazze… a domani!»
disse alle sue amiche, e poi corse via.
«Povera
Purin,» sussurrò Retasu, guardandola sparire in
fondo alla strada.
«Dato
che ormai siamo all’angolino delle confidenze, ci dici anche
tu che ti succede ultimamente?» le chiese Minto a tradimento.
Retasu
emise un pesante sospiro. «Vedete… i miei
genitori…» disse con voce quasi impercettibile.
«Ecco, loro...»
«Loro...?»
* *
«Non riesco davvero a capire perché non ci hai
detto prima che i tuoi genitori stanno divorziando!»
sbuffò Ichigo a Retasu il giorno dopo, mentre si facevano
largo fra la marea di persone che quella sera riempiva il Dome.
«Devi aver sofferto tantissimo! Noi siamo tue amiche, ti
avremmo aiutata!»
Retasu
abbassò lo sguardo per controllare l’ora.
«Sono appena le sette. Secondo Ryo, gli alieni attaccheranno
fra un’ora, non appena Zakuro salità sul
palco… credo che dovremmo trovare un posto con una buona
visuale dove attenderli,» osservò.
Ichigo
capì l’antifona e lasciò cadere il suo
discorso. Mentre lei e Retasu si arrampicavano al livello superiore
della platea, la rossina si soffermò a guardare
l’immenso palco dello stadio di Tokyo, illuminato a giorno da
centinaia di riflettori.
«Stanno
per cominciare! Minto e le altre partecipanti sono salite sul palco per
la presentazione,» esclamò, sollevandosi sulle
punte per vedere meglio.
Purin,
nel frattempo, si era arrampicata su uno dei pali che sostenevano le
telecamere. «Com’è carina Minto
onee-chan!» commentò allegramente, gli occhi fissi
su un punto imprecisato del palco.
Minto
era una fra le partecipanti più giovani della competizione,
che era stata organizzata per beneficenza da un ricco uomo
d’affari amante della danza classica femminile. Sul palco con lei vi
erano molte ballerine famose, che Minto non avrebbe mai creduto di
poter incontrare di persona. Quasi nessuna di loro indossava il
classico tutù da ballerina: lei stessa portava un vestito
molto simile alla sua uniforme di Mew Mew, ma di colore blu intenso e
composto da fasce orizzontali che si intrecciavano morbidamente ai
lati; le calze erano bianche e semitrasparenti, mentre gli
scaldamuscoli e le scarpette erano dello stesso colore del vestito.
Aveva anche cambiato acconciatura: i suoi capelli erano intrecciati in
un unico chignon centrale, ma alcune ciocche le ricadevano ai lati del
volto in riccioli eleganti.
«Mash,
tu non rilevi niente?» chiese Ichigo al piccolo robot,
mimetizzato nello squillobrillo del suo cellulare.
«Negativo.
Nessuna presenza aliena,» fu la risposta.
«Non
ci resta che continuare ad aspettare,» sospirò
Retasu.
*
Minto
deglutì e strinse i pugni con nervosismo.
Era
sul palco del Dome, e sotto di lei migliaia di persone la stavano
guardando, facendola sentire in soggezione.
Certo,
era abituata a salire su un palco per esibirsi, eppure ogni volta era
sempre terrorizzante come la prima.
La
ragazza chiuse gli occhi. “Basta tremare, devo rilassarmi.
Non c’è niente di cui preoccuparsi. Se non mi
preoccupo non sbaglio,” si rassicurò rapidamente.
Emise un profondo respiro e quando riaprì gli occhi sorrise,
la paura del tutto scomparsa. Guardò le altre ballerine che si
erano disposte nella stessa fila orizzontale di cui faceva parte
lei… le ballerine di danza classica più famose
del Giappone. Erano lì, a pochi metri.
Minto
si sentiva come in un sogno; ancora non riusciva a credere di trovarsi
lì. Doveva ringraziare Ryo e le sue conoscenze importanti per
questo. Sospirò di nuovo, stavolta per l’emozione.
Sentì
il presentatore davanti a lei, che era in fondo al palco, descrivere la
competizione, quindi invitare una ad una le partecipanti a fare
singolarmente qualche passo avanti ed un inchino.
Fu
in quel momento che Minto tornò alla realtà. Non
avrebbe mai vinto la competizione e lo sapeva, ma non le interessava:
l’unica cosa che voleva era che nessuna delle persone
presenti nel Dome venisse ferita dagli alieni.
E
poi c’era da dire che tutti sapevano già che la
vincitrice sarebbe stata Haru Izumi. Era la migliore, la più
talentuosa di tutte, anche se aveva appena 16 anni.
Minto
la vide mentre avanzava verso il centro del palco, esibendosi in un
inchino delicato: era una ragazzina estremamente aggraziata; era
minuta, anche se il costante esercizio della danza classica le aveva
donato un fisico poco più muscoloso del normale. Sfoggiava
la stessa pettinatura che Minto portava di solito, ma i suoi capelli
erano poco più scuri dei suoi. Minto sussultò
leggermente quando il presentatore chiamò il suo nome e si
fece avanti per fare il suo inchino, incrociando per un attimo la
strada con Haru che tornava in fondo al palco.
Mentre
Haru usciva di scena, lasciando il posto a Minto, un’ombra
scura sopra il palco sorrise, lasciando intravedere i canini aguzzi.
«E’
il momento,» ghignò piano, e si
teletrasportò via.
*
Zakuro
era seduta davanti allo specchio nel suo camerino. Una truccatrice
stava finendo di prepararla: di lì a poco sarebbe dovuta
andare in scena per annunciare la vincitrice della competizione.
Lei
sapeva che gli alieni non avrebbero attaccato prima di quel momento,
per cui sarebbe stato inutile preoccuparsi prima di allora…
eppure, era da quando era entrata nel Dome che continuava ad avvertire
la sensazione di essere spiata.
“E’
solo lo stress,” si disse mentalmente per calmarsi.
La
truccatrice concluse il suo lavoro e su sua richiesta uscì
dal camerino, lasciandola sola. A quel punto, la ragazza si
alzò e andò alla finestra, come se il semplice
guardare fuori riuscisse a colmare quella voglia di libertà
che il suo istinto bramava enormemente.
Non
le piaceva essere famosa: doveva frequentare un sacco di persone, era
perennemente seguita dalle telecamere e dai fan… era una
delle ragazze più ammirate di Tokyo, ma davvero non era
questa la vita che desiderava. Avrebbe preferito vivere sola, in un
posto sconosciuto e selvaggio, libera. Appoggiata al davanzale della
finestra, la mora sorrise, scuotendo la testa: a volte si chiedeva se
queste idee fossero davvero le sue o se gli fossero state inculcate dai
geni del lupo grigio.
Di
colpo, Zakuro si girò indietro, verso la stanza: le era
sembrato di sentire qualcosa.
Non
era uno scherzo dello stress: c’era qualcuno lì
dentro con lei, adesso avvertiva con chiarezza la sua presenza.
Infilò
la mano nella tasca del vestito, cercando la sua spilla. «Esci
fuori,» ordinò. «Lo so che sei
qui.»
Si
guardò intorno nervosa, scrutando ogni angolo,
finché non vide un’ombra avanzare dalla porta del
bagno del camerino.
«Ops…beccato,»
disse un ragazzo. Doveva avere sui quattordici/quindici anni, ma era
alto quasi quanto Zakuro; la felpa rossa che indossava faceva intuire
appena quanto fosse magro, ma la prima cosa che saltò agli
occhi della modella erano i suoi lunghi capelli castani, che teneva
legati in una coda bassa.
Zakuro
non aveva idea di chi fosse.
«Mi
arrendo, non sparate,» sorrise ironico il giovane, alzando le
mani in segno di resa.
Zakuro
però non ci trovava niente di divertente. «Chi
sei?» gli domandò a bruciapelo.
«Un
tuo fan,» rispose lui facendo spallucce, le mani ancora
alzate.
«Come
hai fatto ad arrivare qui?»
Il
sorriso del ragazzo si allargò.
Zakuro
strinse le dita intorno alla spilla, pronta a trasformarsi. Quel ragazzo aveva un
che di sospetto…e se si fosse trattato di un…?
Il
suono di pesanti passi nel corridoio fuori dal camerino li distrasse
entrambi dalla conversazione.
«Signorina
Fujiwara?» chiese un addetto della sicurezza, bussando alla
porta. «La stanno attendendo di là. Tutto
bene?»
Il
fan imprecò a bassa voce e, invece di rassegnarsi
all’idea di stare per essere scoperto e buttato fuori a
calci, fece una cosa che lasciò Zakuro sconvolta: corse
verso la finestra e vi si arrampicò sopra.
«E’
stato un piacere conoscerti, Fujiwara,» disse, poggiando il
piede sul davanzale. «Ci rivedremo presto:
c’è una cosa che voglio da te,»
aggiunse, prima di lasciarsi cadere di sotto.
«E-Ehi!
Aspetta!» Zakuro si precipitò alla finestra: erano
a dodici metri da terra, per l’amor del cielo!
la
ragazza guardò febbrilmente verso il basso, ma il fan era
sparito.
“Chi
era quello?” si chiese confusa.
Il
rombo che seguì, però, freddò tutti i
suoi pensieri. L’intero Dome tremò, e mentre
Zakuro si appoggiava al muro per non cadere, non ebbe dubbi su chi
fosse stato a causare quell’esplosione.
“Ma
come… non dovevano attaccare più
tardi?” pensò la ragazza lupo in preda al terrore,
precipitandosi fuori dal corridoio, ignorando completamente le urla
spaventate dell’addetto alla sicurezza che le diceva di
fuggire nella direzione opposta.
In
effetti, Zakuro stava andando controsenso: una marea di persone in fuga
le stava venendo addosso, rischiando di travolgerla, ma l'idol
riuscì lo stesso a infilarsi in un corridoio secondario e a
trasformarsi.
Quando la combattente riuscì a raggiungere l'area centrale
del Dome, ebbe la conferma delle sue paure: era arrivata troppo tardi.
Il
Dome non esisteva più. Dove prima c’era il palco,
ora sprofondava una voragine scura. La platea dello stadio di Tokyo,
inoltre, era in fiamme e sotto attacco: decine e decine di chimeri
aquila giganteschi, che volavano sotto l’immenso soffitto, si
gettavano continuamente in picchiata per afferrare le persone che si
erano attardate a fuggire.
Mew
Zakuro scorse a molti metri di distanza le sue compagne che
combattevano. Tastò l’aria in cerca degli alieni,
ma non ne individuò nessuno.
“Maledizione…
maledizione!”
Senza
indugiare oltre, la guerriera si lanciò nella mischia,
eliminando un chimero che stava per trafiggere un uomo con il suo becco
acuminato.
**
Haru Izumi correva
terrorizzata per una scura sala sotterranea.
Poco
prima, mentre stava per scendere dal palco, aveva sentito un boato
terribile ed era stata sbalzata via da un fortissimo spostamento
d’aria.
Intuì
che il palco era crollato, e che lei era caduta giu' e adesso si
trovava nel piano sotterraneo, quello relegato all’uso di
magazzino, sale conferenze, servizi o altro.
Era
stata molto fortunata a non farsi male. Si chiese quale potesse essere
stata la causa: un terremoto? Un attacco terroristico?
La
ballerina smise di correre quando raggiunse una rampa di scale che si
arrampicava in alto. Incerta sul se risalire in superficie, da cui
provenivano in lontananza urla e rumori davvero terribili, la
ragazza fine decise di cercare un’uscita
alternativa.
Stava
attraversando un ennesimo corridoio buio quando una figura si
materializzò due metri sopra di lei.
«Credi
davvero di poter scappare?» mormorò Ai, lanciando
nella direzione della ragazza un chimero che esplose al contatto con il
suolo.
Haru
gridò di paura mentre l’esplosione la faceva
sbattere con violenza contro una parete. Ferita, non crollò
a terra solo perché l’alieno si
materializzò davanti a lei e la immobilizzò
contro il muro prendendola per il colletto del suo abitino.
«Presa,»
sussurrò con un sorrisino.
Haru
rabbrividì. «C-Chi sei? Che cosa vuoi da
me?» gli chiese, in preda al panico.
Ai
strinse gli occhi, sospettoso.
«Non
mi riconosci?» chiese alla ragazza, mentre il sorriso gli
spariva dal volto.
Per
tutta risposta, Haru scoppiò in lacrime. «Lasciami
andare, ti prego!» lo supplicò, cercando
inutilmente di divincolarsi.
Ai
aggrottò la fronte. Eppure quella ragazza somigliava
così tanto a Mew Mint…! Non poteva essere un
caso. Probabilmente era lei e stava semplicemente bluffando, avrebbe
fatto meglio ad ucciderla e non pensarci più...
E
invece, alla fine, l’alieno preferì ascoltare il
suo istinto e lasciò la presa su Haru, che ricadde a terra a
peso morto. La ballerina si raggomitolò a terra, tremando
come un pulcino indifeso.
«Non
sei Mew Mint,» osservò Ai annoiato. «Ti
ho salvato perché pensavo fossi tu e volevo occuparmi di te
personalmente, ma a questo punto credo che la vera Mew Mint sia morta
insieme alle altre quando ho ordinato allo schiavetto di Kassandra di
attaccare,» disse, deluso più che altro. Poi
alzò lo sguardo su Haru, che ora piangeva sommessamente; i
suoi occhi, che fino a poco prima avevano scintillato come zaffiri,
adesso erano ritornati freddi come il ghiaccio. «Dimmi,
ragazza, ed ora che cosa me ne faccio di te?»
sospirò, incrociando le braccia al petto.
Un
istante dopo, però, l'alieno avvertì un dolore
acutissimo alla nuca e si sentì spingere in avanti: ricadde
bocconi a terra, ringhiando dal dolore. Mentre cercava di riprendersi,
udì una voce maschile gridare dietro di lui: «Vai
via, Haru! Scappa! Presto!»
Ai
sentì i passi leggeri della ballerina allontanarsi
rapidamente, e scorse di striscio il tulle bianco del suo vestito
scomparire nell’oscurità.
“Maledizione
a Kassandra e alle sue idee stupide…”
imprecò rialzandosi a fatica, una mano sulla testa,
guardando il ragazzo umano che l’aveva colpito alle spalle
con un tubo di ferro.
«Impossibile,
sei in piedi!» esclamò quello, indietreggiando
spaventato nella penombra scura: a quanto sembrava, il suo momento di
coraggio era finito quando Haru era scappata via.
«Già,
bel giochino, amico,» mormorò lui in risposta. Si
stava sforzando di far finta di niente, ma si era fatto davvero male.
«Vuoi vedere il mio?»
Il
ragazzo indietreggiò ancora di più, lanciando
occhiate nervose al corridoio alle sue spalle: probabilmente aspettava
il momento buono per fuggire, ma un attimo dopo Ai gli apparve
davanti di colpo e lo colpì allo stomaco con un pugno.
«Razza
di vigliacco,» commentò l'alieno, guardando il
ragazzo cadere all’indietro a poca distanza da lui e fingersi
morto a terra.
«Ehi!
C’è qualcuno lì? Rispondete!»
risuonò in quel momento in quella una voce femminile lontana.
Ai
sussultò a quella voce, guardandosi intorno per capire da
dove provenisse. Sentì un rumore di passi da un corridoio
alla sua destra. Si premette la mano dietro il collo, trattenendo a
stento il senso di nausea crescente che stava provando a causa del
colpo subìto. Non riusciva a concentrarsi. La voce era
sempre più vicina… doveva sbrigarsi.
«Bah…al diavolo!» esclamò
alla fine e, mentre il ragazzo scattava in piedi per cogliere al volo
l'occasione di scappare, i contorni della figura dell’alieno
iniziarono a brillare.
*
Minto
ricordava a malapena cosa le era successo prima di perdere i sensi: era
sul palco del Dome, ma all’improvviso si era sentita mancare
la terra sotto i piedi. Senza capire cosa le stesse succedendo, era
precipitata verso il basso. Quando aveva ripreso conoscenza, si era
risvegliata su un cumulo di macerie.
Non
si era ferita, ma era preoccupata per il destino delle ragazze che
erano con lei: le aveva cercate dappertutto, le aveva chiamate, ma non
aveva ricevuto alcuna risposta. Minto cominciava a temere il peggio
quando sentì delle voci lontane, e subito si diresse nella
loro direzione, credendo che si trattasse di qualcuno in
difficoltà.
«Ehi!
C’è qualcuno lì? Rispondete!»
chiamò, ma non ebbe risposta. In compenso, aveva appena
svoltato l’angolo quando un flash di luce
fortissima la accecò per alcuni secondi. Minto estrasse la
sua spilla per la trasformazione e, quando il bagliore si fu esaurito,
avanzò a passi lenti nel corridoio da cui aveva sentito
provenire le voci, pronta a trasformarsi al minimo accenno di pericolo.
Ben
presto, la ragazza notò con orrore che in un lato del corridoio
c’era una persona stesa a terra. Angosciata da quella visione, si
precipitò verso di lui, ma fu subito sollevata quando
scoprì che lo sconosciuto era illeso.
«E-Ehi…»
gli disse piano Minto, chinandosi su di lui. «Stai
bene?» chiese.
«Sono
stato meglio,» rispose lui in tono affaticato.
Scostò Minto senza neanche guardarla e si rialzò,
massaggiandosi i polsi e la testa. «Lasciami perdere
ragazzina, sto bene e-» iniziò, ma non appena
sollevò gli occhi sulla ragazza si interruppe e trattenne il
fiato.
Minto
lo guardò stupefatta. «Sei, ehm, sicuro di stare
bene?» domandò.
Il
ragazzo lasciò cadere le braccia lungo i fianchi,
continuando a fissare Minto.
«Ciao,»
la salutò con aria sognante, e lei alzò le
sopracciglia. «Voglio dire… sì, non
è niente.»
«Se
lo dici tu…» replicò lei girandosi
dall’altra parte per evitare quello sguardo innocente ma
fastidioso. Quel ragazzo si stava comportando in modo davvero
strano… probabilmente doveva essere per via della botta che
aveva preso. Ma l’importante era che fosse salvo.
Adesso
però Minto non aveva più tempo da perdere: doveva
raggiungere le sue amiche, che con tutta probabilità stavano
rischiando la vita quattro metri più in alto.
«Allora ciao,» disse al ragazzo, e si
allontanò in direzione delle scale.
«Aspetta!»
la chiamò lui, ma inutilmente: Minto era già
andata via.
Il
giovane rimase a lungo a fissare punto in cui era scomparsa e alla fine
poi sospirò, incantato.
«Oh mio dolce angelo, ora e per
sempre, fino alla fine del tempo, il mio cuore ti appartiene,» recitò.
*
Un piano
più in alto, le Mew Mew erano in difficoltà.
Mew
Ichigo aveva utilizzato l’acqua mew per eliminare tutti i
chimeri e salvare le persone che erano rimaste ferite, ma a quel punto
Kassandra era apparsa dal nulla ed aveva portato con sé un
esercito di nuovi chimeri.
Inoltre,
si era premurata di ordinare ad Hiroyuki di annichilire Mew
Ichigo, se pure sapeva che cosa significava quella parola.
Le
sue compagne avevano cercato di proteggerla dal pericolo, ma
inutilmente: i chimeri non erano molto forti, ma erano numerosissimi e
le ostacolavano troppo. Senza contare che le persone che non erano
riuscite a evacuare ora rischiavano di nuovo la vita.
Le
Mew Mew erano ancora impegnate nello scontro quando Ai si
materializzò a pochi metri da quel che restava del palco.
L’attenzione dell’alieno fu subito attratta dalla
visione di una giovane donna che si era gettata su di un bambino per
spingerlo via prima che un pezzo di tribuna gli precipitasse addosso.
La donna cadde a terra, tenendo il bambino sotto di lei per
proteggerlo. Un chimero falco la notò e si lanciò
contro di lei, ma Ai si parò davanti al mostro e lo respinse.
La
donna si rimise in piedi e, tenendo ancora stretto a sé il
figlioletto, corse verso l’uscita d'emergenza più
vicina.
Ai
si girò a guardarla scappare, ma ben presto la sua
attenzione venne catturata da Mew Pudding, che era appena precipitata
ai suoi piedi.
“Piovono
Mew Mew?” si chiese l’alieno, alzando poi lo
sguardo sull’altissimo soffitto del Dome: la battaglia era
concentrata lì, fra gli enormi tralicci metallici della
copertura.
Hiroyuki
e i chimeri stavano combattendo contro tre Mew Mew, fra le quali
però Ai non riusciva a scorgere Mew Mint. La
cercò con lo sguardo, ma non riuscì a trovarla da
nessuna parte. Fu in quel momento che si rassegnò al fatto
che era ormai scomparsa per sempre.
Ben
presto, però, si ricordò della nemica che aveva
davanti a lui: fu un bene, perché se avesse ritardato di un
solo secondo, si sarebbe ritrovato imprigionato dentro un gigantesco
budino giallo.
«Non
sai che non è buona educazione colpire i nemici quando sono
distratti?» chiese sarcastico alla Mew scimmia, estraendo il
suo kris.
Mew
Pudding era ancora troppo stordita dal colpo ricevuto da Hiroyuki per
riuscire a ribattere. Si limitò a compiere un lungo salto
per sfuggire al nemico che la stava attaccando con un’onda di
energia generata dalla sua arma; ma lui le si teletrasportò
davanti prima che avesse il tempo di preparare una difesa.
«Sparisci,
tu e i tuoi poteri ridicoli,» le sibilò Ai,
alzando il kris.
Ma
mentre stava abbassando l’arma, questa volò via
dalle sue mani, sbalzata via da una freccia turchese: Mew Mint si era parata
davanti alla sua compagna, in posizione difensiva.
Ai
non impiegò molto per elaborare
l’accaduto. «Ma tu non eri
morta?» esclamò scioccato, teletrasportandosi a
qualche metro di distanza.
«Mew
Mint, facciamogliela vedere!» disse Mew Pudding, preparandosi
al combattimento.
Ma
lei scosse la testa. «No. Combatterò da sola
contro di lui,» dichiarò.
«CHE
COSA?!»
«Scusami,
Mew Pudding, ma è una faccenda personale. Fidati di me: non
mi accadrà niente.»
«Su
questo ho dei dubbi,» osservò Ai, galleggiando a
braccia incrociate poco più in alto.
«Ma…
Mew Mint…»
«Vai!
Le altre hanno bisogno di te! Non ce la faranno mai da sole contro
tutti quei chimeri!»
Mew
Pudding annuì. Riluttante, si allontanò dalla sua
compagna e poi salto via, lasciandola sola con il suo nemico.
Lui,
adesso, la stava fissando in modo imperscrutabile, e Mew Mint comprese
che stava cercando di capire quale fosse il suo piano.
«Allora?»
si decise a chiedere alla fine Ai, giocherellando con la sua arma.
«Hai deciso di condannarti a morte, o…»
«Ti
devo parlare,» lo interruppe lei nervosa, stringendo fra le
mani il suo arco.
Ai
si materializzò di colpo a due passi da lei. Era palese che
quel gesto era stato fatto per spaventarla, ma lei rimase immobile.
«E
pensare che prima ero quasi dispiaciuto che Hiroyuki ti avesse
ucciso,» osservò Ai, puntandole addosso uno
sguardo di ghiaccio.
«Perché
stai male?» gli domandò lei a bruciapelo.
«Uh?»
«L’ultima
volta hai detto che non posso capirti perché non so cosa ti
ha fatto soffrire,» disse Mew Mint tutto d’un
fiato. «Voglio che tu me ne parli.»
Il
volto di Ai si oscurò. «Sei…sei
matta,» soffiò, girando la testa di lato.
«Tu
non sei senza sentimenti. Ti ho visto salvare quella donna.
Perché lo hai fatto?»
«Quello
che faccio sono affari miei!» sbottò lui.
«Ora basta chiacchiere, combatti!» gridò
improvvisamente, lanciandosi in avanti. Mew Mint evitò il
suo attacco frontale, ma lui le sferrò a sorpresa una
gomitata alla schiena che le fece perdere l’equilibrio. Prima
che la mew mew potesse reagire, l’alieno le
afferrò il collo con una mano.
«Questa
volta non ti salverai,» le disse minaccioso, stringendo
talmente forte da toglierle il fiato.
Mew
Mint non riusciva più a respirare, ma non si arrese.
«D-di-m-mi p-perché!»
boccheggiò, sentendosi mancare. Lui strinse più
forte la presa. “E’ la fine,”
pensò la ragazza nel panico. Ma
all’improvviso la stretta dell’alieno si
allentò.
La
Mew Mew scivolò a terra in ginocchio e si portò
subito le mani alla gola, tossendo.
Ai
era ancora in piedi davanti a lei. «Perché non
volevo che suo figlio diventasse come me,»
mormorò, crollando.
Mew
Mint alzò gli occhi su di lui. «M-Mi
dispiace,» sussurrò in modo quasi automatico,
colpita da quel suo atteggiamento.
Ma
Ai le lanciò un’occhiataccia. «Non ho
bisogno della tua pietà,» disse a denti stretti, e
mentre lei si rimetteva in piedi, le voltò le spalle e fece
per andarsene.
«Aspetta!»
lo chiamò però la Mew Mew.
«Ai!»
«Non
osare chiamarmi per nome!» tuonò stizzito
l’alieno. «Ho sbagliato a lasciarti parlare, ma la
prossima volta non te la caverai così: io non sono come quei
traditori!»
«Se
ti riferisci a Kisshu, Pai e Taruto,» ribatté Mew
Mint, «loro hanno capito le nostre ragioni, e che non
dobbiamo per forza combattere,» spiegò e poi
proseguì, in tono più dolce: «Possiamo
trovare un accordo, se solo riuscissimo a parlare.
Potremmo…»
«IO
NON PARLO CON IL MIO NEMICO!» urlò Ai, rosso in
viso. «Basta, ho perso la pazienza! Stavolta non mi
sfuggirai!» gridò, e nelle sue mani comparvero due
kris. Ma si vide presto costretto a rinfoderarli perché
le compagne di Mew Mint erano appena comparse davanti a lei per
proteggerla. Solo in quel momento, l’alieno si accorse che le
guerriere erano riuscite ad eliminare tutti i chimeri. Kassandra e
Hiroyuki se n’erano già andati via da un pezzo.
Mew
Ichigo puntò verso di lui la Strawberry Bell.
«Preparati, adesso è il tuo turno!»
Ai
la ignorò. «Non finisce qui,» le
sibilò, e scomparve.
Le
ragazze tirarono un sospiro di sollievo generale.
«Ce
l’abbiamo fatta anche stavolta,»
commentò Mew Retasu, sollevata.
Ma
Mew Ichigo non era della stessa opinione.
«Dannazione,» inveì, facendo sussultare
le sue compagne. «Vi rendete conto di quante persone hanno
rischiato la vita oggi? Ci sono un sacco di feriti, ed è
tutta colpa di Ryo e di quella dannata Luna!»
Mew
Zakuro appoggiò le mani sulle sue spalle.
«Calma… si sono salvati tutti, grazie a
noi.»
«Stavolta
sì… ma abbiamo messo a rischio tutte queste
persone e non abbiamo comunque concluso niente!»
ribatté Mew Ichigo. «Sono troppo forti…
e noi non saremo fortunate in eterno!»
«Ascolta,
la prossima volta li prenderemo,» dichiarò Mew
Zakuro con tono convincente.
Mew
Pudding annuì, saltellando. «Li rispediremo tutti
e tre sul loro pianeta con un grosso calcione!» aggiunse.
Mew
Ichigo non parve molto convinta della cosa.
«Speriamo,» sussurrò in un sospiro,
sforzandosi di essere positiva.
**
Fra una cosa e
l’altra, le cinque ragazze riuscirono a lasciare il Dome solo
un paio d’ore dopo. Ryo aveva offerto loro un passaggio in
auto fino alle rispettive case, ma loro avevano rifiutato: Zakuro aveva
chiamato un taxi e si era allontanata rapidamente per evitare i
giornalisti, mentre le altre ragazze avevano deciso di fare una
passeggiata a piedi per schiarirsi un po’ le idee.
Mentre
camminavano in silenzio sul marciapiedi illuminato, Purin ricevette un
messaggio sul suo cellulare. La ragazzina lo aprì e lo lesse
rapidamente.
«E’
Keira?» domandò Ichigo.
Purin
si reinfilò il telefonino nella tasca. «Keiichiro.
Vuole sapere se domani possiamo andare al locale.»
Ichigo
annuì, passando sopra il fatto che il giorno dopo fosse
domenica.
«Alle
sei di mattina,» aggiunse Purin.
«CHE
COSA?!» sbottò Ichigo.
«Per
me va bene,» disse Retasu.
«Sì,
anche per me..» si rassegnò la rossina.
«Minto, e per te?» chiese poi alla sua amica,
girandosi verso di lei. Minto non aveva spiccicato parola da quando
erano uscite dal Dome. Indossava ancora il suo vestito da danza, ma
teneva poggiato sulle spalle il soprabito di Keiichiro: visto che
l’aria della sera era fredda e lei aveva perso il suo cambio
d'abito nella confusione, lui glielo aveva prestato prima di andar via.
Minto
aveva l’aria stanca come le sue compagne e camminava a testa
bassa, immersa in chissà quali pensieri.
«Minto…tutto ok?» insistette Ichigo,
preoccupata.
La
ragazza si affrettò a riscuotersi. «Si,
certo!» rispose, ma in quel mentre inciampò e
perse l’equilibrio.
«Minto!»
gridò Ichigo.
Troppo
sfinita per reagire, la ragazza stava per cadere in mezzo alla strada,
quando si sentì afferrare da due mani forti che la tennero
stretta. Quando riaprì gli occhi, Minto scoprì
che appartenevano al ragazzo che aveva incontrato al Dome.
«Va
tutto bene, mio dolce angelo?» le chiese lui.
Minto
arrossì senza ritegno e liberò dalla sua presa,
facendo un passo indietro. «C-Che cosa ci fai tu
qui?» chiese stravolta.
Lui
aprì la bocca per risponderle, ma delle vocine alle sue
spalle lo fecero desistere.
«A-Angelo?!»
ripeté Retasu con voce acuta per l'imbarazzo.
«Si
vede che non la conosci bene!» ridacchiava intanto Ichigo.
«Che
bello!» saltellò Purin, «anche Minto ha
un fidanzato! E anche carino!»
In
effetti, il giovane sconosciuto non era affatto male: fisico snello,
bel viso, spalle larghe, capelli corti e scuri ed occhi
chiari, che teneva fissi su Minto.
«Smettetela!»
esclamò lei, incapace di sopportare oltre. «Io non
so neanche chi sia questo qui! Ichigo, dovevamo andare a casa tua noi
due, no?» Si girò verso il ragazzo:
«Scusaci, abbiamo fretta!» lo salutò, e
poi trascinò via a forza le sue amiche.
«Minto…»
ripeté pensieroso il giovane una volta solo, assaporando
quel nome sulle sue labbra e trovandolo incantevole.
**
Nello stesso momento, la professoressa Cherry Novak scese dal jet privato
appena atterrato all’aeroporto.
“Così…
questa è Tokyo?” pensò, ammirando gli
altissimi grattacieli luminosi che la circondavano da ogni parte. Era
uno spettacolo impressionante, anche per lei che era abituata alla vita
delle grandi città.
Il
vento che le scompigliava i capelli condusse al suo orecchio una voce
che la chiamava. In basso, in fondo alla pista, un assistente del museo
la attendeva con una macchina come stabilito.
Cherry
raggiunse l’uomo, che quando la vide più da vicino
sgranò gli occhi stupito. In effetti, lei non era proprio il
tipo di donna che passava inosservata… la professoressa si
scompigliò con una mano i suoi folti capelli rosa e sorrise.
“Si,
credo proprio che mi divertirò quaggiù.”
|
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Capitolo 19 *** Un ritorno inaspettato ***
14/06/2014. In
questi giorni ho un gran mal di testa. Non mi sento per niente bene.
Comunque sia, questa
è la CGI di Imago,
realizzata sempre da MewLeemon: è a dir poco adorabile e
perfetta.
- Capitolo 18: Un ritorno
inaspettato
-
La ragazza camminava davanti a lui, dandogli le spalle.
Pai
la raggiunse e la abbracciò.
Lei
si irrigidì, sconvolta da quel gesto.
Lui
la strinse a sé con delicatezza: riusciva a sentire il suo profumo, il calore della sua pelle. Non sapeva descrivere ciò che stava provando, ma era meraviglioso. Le sensazioni che quella ragazza scatenava in lui erano così forti da essere sconcertanti. Tirò un profondo respiro.
Non
era del tutto sicuro di quello che stava per fare.
«Ormai
è inutile,» esalò, sfiduciato.
«Però volevo dirti lo stesso che io…
io…»
Istintivamente,
l’alieno strinse più forte la ragazza, ma ben
presto si accorse che lei era svanita. Ora davanti a lui si ergeva
un’alta finestra ogivale: i mille colori dei tasselli di
vetro che la componevano si intrecciavano fra loro per formare una
figura complessa. Confuso, Pai appoggiò una mano sul mosaico
raffinato. Sentiva dei rumori provenire dall’altra parte del
vetro… strinse gli occhi e vi si avvicinò,
cercando di guardare attraverso di esso. Scorse delle figure che si
muovevano...
Erano
ombre scure di cui non riusciva a distinguere i contorni. Pai
cercò allora di concentrarsi sul rumore di fondo, ma
qualcuno iniziò a scuoterlo con forza, facendolo svegliare.
«Pai!
Pai, insomma!» lo chiamò Kell, trascinandolo fuori
dal suo sogno.
L’alieno
sussultò e scattò a sedere così
all’improvviso che l’amico cadde
all’indietro.
«Cos–
…che succede?! Ci hanno scoperti?»
domandò allertato.
Ben
presto, Pai udì le urla che provenivano dal piano di sotto.
«Che sta succedendo?» ripeté, balzando
giù dal suo giaciglio.
Kell
gli rivolse uno sguardo spaventato. Gli andò vicino e lo
prese per le spalle. «Ascolta, se sai dove sono andati quei
due dimmelo, mia madre sta davvero dando di matto!»
Pai
schiuse le labbra, iniziando a capire la situazione. «Non ti
starai riferendo mica a…»
«Sì,
il tuo stupido fratello e la sua compagna! Sono spariti!»
Pai
sospirò, alzando gli occhi al cielo. Si staccò
dall’amico. «Non ne ho la minima idea,»
sbuffò, strofinandosi gli occhi. Ricadde sul letto, cercando
di riaddormentarsi.
«Senti,
quando mia madre ha scoperto che quei due erano spariti, è
praticamente impazzita per la rabbia!» esclamò
Kell a quel punto, quasi offeso dal comportamento di Pai. «Lo
sai come la pensa sulla purezza dei giovani e tutta quella sua roba
religiosa. Ora è sconvolta e infuriata e, se non recuperiamo
in fretta quei due e li costringiamo a scusarsi, ho paura che possa
andare a denunciarli a Palazzo, e a quel punto sarebbe la fine per
tutti noi!» gridò, per sovrastare le urla della
signora Kell dal piano di sotto.
Pai
si passò una mano sulla faccia. «Quei due
cretini…» borbottò infine, rialzandosi.
* *
Il
Quartier Generale delle Guardie Imperiali era un basso fabbricato poco
distante dal Palazzo. Costruito in
robustissima pietra nera, brulicante di sentinelle, era considerato uno
dei posti più sicuri del pianeta dopo il Palazzo.
Eppure,
quella notte, qualcuno era riuscito a superare la sorveglianza e ad
intrufolarsi lì dentro.
L’intrusa
avanzava silenziosamente in uno dei corridoi più secondari
dell’edificio. Quella parte del Quartier generale era poco
utilizzata e, per questo motivo, poco controllata. La figura
nell’ombra evitò un paio di sentinelle infilandosi
in uno stanzino buio, ma una volta dentro sentì un rumore
che la fece trasalire.
C’era
qualcuno dietro di lei! Mentre questa realizzazione si faceva spazio
nella sua testa si sentì afferrare alle spalle e coprire la
bocca con una mano. Colta di sorpresa, emise un grido soffocato.
«Le
ragazze carine come te non dovrebbero girare da sole la
notte,» le soffiò all’orecchio
l’assalitore, per poi lasciarla andare. «Sai, qui
fuori è pieno di persone poco raccomandabili.»
Una
volta libera, Imago si strofinò il dorso della mano sulle
labbra con un gesto istintivo. Ad aggredirla non era stato altri che
Kisshu, che ora le stava facendo segno di fare silenzio.
Nonostante
la battuta, l’alieno sembrava sorpreso di vederla
lì; lei, invece, era solo nervosa.
«Tecnicamente
parlando,» gli rispose l'aliena a bassa voce, ignorando il
suo avvertimento, «visto che sono appena entrata illegalmente
in un edificio militare, quella poco raccomandabile sono io.
Ovviamente, ho tralasciato il fatto che sono considerata una minaccia
per il Regno... se venissi scoperta, finirei per essere giustiziata
ancor prima di poter pensare
le mie ultime parole.»
«Sì,
in effetti è così,» mormorò
Kisshu. «Mi chiedo perché tu abbia fatto una cosa
così scema.»
«Purtroppo
non posso farci nulla, dato che il mio compagno è un
idiota.»
Un
pesante rumore di passi nel corridoio troncò la discussione
dei due, che trattennero il fiato quando i passi si fermarono proprio
davanti alla porta. Fortunatamente, dopo alcuni secondi la sentinella
si allontanò.
«Parla
piano, piccola,» sussurrò Kisshu, poggiandole un
dito sulle labbra.
Per
tutta risposta, Imago gli diede una gomitata nel fianco.
«Stupido!» esclamò furiosa a voce
più bassa possibile. «Come ti è saltato
in mente di venirti a cacciare nel Quartier Generale delle guardie? Hai
forse voglia di suicidarti?!»
Lui
la guardò di sottecchi, trattenendo un sorrisetto.
«Quanto sei carina quando ti arrabbi,»
ridacchiò malizioso.
«Non
è il momento adesso!» lo ammonì lei
esasperata. «Quando mi sono accorta che eri sparito, non sai
cosa ho dovuto fare per riuscire a scoprire dove eri andato. Credevo
che ti avessero catturato! Dobbiamo andarcene subito, prima che ci
scoprano!»
Di
quel bel discorso, Kisshu non aveva ascoltato neanche una singola
parola. «Mi hai seguito perché eri preoccupata per
me?» constatò colpito quando lei smise di parlare.
Ma, prima che Imago avesse il tempo di ribattere, scosse la testa.
«Mi spiace, ma non posso tornare indietro adesso. Sono venuto
qui perché devo fare una cosa,» spiegò,
e poi schiuse leggermente la porta dello stanzino. Il corridoio, in
quel momento, era deserto e silenzioso.
«Resta
qui,» disse l’alieno dagli occhi ambrati a Imago,
«tornerò a riprenderti.»
Uscì
allo scoperto, nel corridoio. Imago, ovviamente, lo seguì.
Kisshu
si muoveva per il Quartier Generale come se lo conoscesse come le sue
tasche, e ben presto Imago capì che era così
rapido e sicuro di sé perché teneva fra le mani
uno dei congegni radar che lei aveva visto usare da Kell, l'irascibile
super-scienziato che li stava nascondendo.
Imago
vide Kisshu saltare giù per una rampa di scale che
conducevano ad un piano sotterraneo. Una volta scesa anche lei,
l’aliena si ritrovò davanti ad un portone che
Kisshu era appena riuscito ad aprire grazie ad un altro degli aggeggi
di Kell. Sullo stipite di metallo era incisa nell’alfabeto
della loro lingua la parola “DEPOSITO”.
“Il
deposito?” si chiese la ragazza, aggrottando la fronte.
“Ma che vuole fare?”
Varcò
incerta quella soglia. «Kisshu?» chiamò
a bassa voce, guardandosi intorno spaesata. Il deposito non era altro
che un grosso stanzone riempito da box e scaffali da cui traboccavano
oggetti di ogni tipo.
Seguendo
il rumore di cianfrusaglie gettate a terra senza alcun ritegno, Imago
rintracciò presto Kisshu: era impegnato a scandagliare
minuziosamente il contenuto di un grosso contenitore di metallo.
«Questo
no, questo neanche, quest’altro
nemmeno…» lo sentì mormorare Imago.
«Trovato!» esclamò di colpo.
Sotto lo sguardo inquieto di Imago, Kisshu estrasse dal box uno spesso
oggetto metallico di forma rettangolare grande quasi quanto Taruto.
«Questo
è il quadro di memoria della nostra astronave,»
spiegò alla sua compagna. «E’ stata
sequestrata e smantellata quando ci hanno arrestati, ma le Guardie
hanno tenuto questo pezzo. Ero sicuro che l’avrebbero fatto:
i quadri di memoria sono la parte più importante di
un’astronave perché conservano tutte le
informazioni sulle rotte e sugli spostamenti compiuti.»
«D’accordo
Kisshu,» annuì Imago, «posso capire
l’importanza che hanno per te i ricordi, ma non credi che sia
un po’ esagerato…»
Kisshu
poggiò il quadro di memoria su di un piano e
fracassò con un colpo secco il minuscolo pannello laterale.
Imago
sussultò terrorizzata, ma lui ghignò soddisfatto.
«Sapevo che avevamo fatto bene a nasconderla
qui,» disse, estraendo da un fondo segreto una
sferetta di colore trasparente.
«E
questa che cos’è?» gli chiese Imago,
avvicinandosi di un passo.
«Qualche
tempo fa ti parlai dell’acqua mew, ti ricordi?»
rispose lui. «Alla fine, le Mew Mew ci regalarono tutta
quella che ancora possedevano. Pai l'ha analizzata e ha concluso che è troppo poca per essere di una qualche utilità, ma ho pensato che non potevamo lasciarla marcire qui.»
Imago
rimase a bocca aperta. «L’acqua mew?»
scandì, fissando incredula la sferetta che Kisshu si stava
infilando nella tasca. «Ma scusa, è
così piccola,» osservò, «come
può questa cosa minuscola avere un potere così
grande?»
Lui
sospirò. «Me l’hai insegnato tu che a
volte le cose non sono quelle che sembrano,» sorrise
avvicinandosi a lei, sollevandole il mento con una mano.
«Oh,»
sussurrò lei, ma Kisshu si era già allontanato in
direzione di uno scaffale.
«E
questi sono i miei,» ghignò, infilandosi nella
cintura due tridenti impolverati. «Prendi queste!»
disse poi a Imago, lanciandole fra le mani uno strano oggetto colorato.
Lei
lo prese al volo e lo guardò. «Delle...
bolas?» sillabò confusa.
«Sono
di Taruto. Tienile tu per ora.»
«Ma…»
«Bene,
ora possiamo andare,» concluse Kisshu, prendendole la mano.
In
quel momento, i pannelli luminosi del deposito iniziarono ad accendersi
uno dopo l’altro.
Un
rumore di passi giunse alle loro orecchie. «Chi è
là?» esclamò la voce minacciosa di una
sentinella, avanzando nello stanzone.
Imago
si irrigidì spaventata, e Kisshu la trascinò con
lui dietro una grossa fila di contenitori metallici.
«Inutile
nascondersi, intrusi, vi abbiamo visti!» sbraitò
una seconda voce, a poca distanza dal loro nascondiglio.
«Siete in trappola! Uscite fuori con le mani bene in
vista!»
Kisshu
sbuffò. «Seccatori…»
«Conteremo
fino a dieci, se non uscite verremo a prendervi!»
incalzò la sentinella. «Uno…»
Imago
deglutì. «Kisshu, spero per noi che tu sia molto bravo con
quei tridenti.»
Lui
estrasse le armi e se le rigirò fra le mani con maestria.
«Lo scopriremo subito.»
«Anzi
no, aspetta!» lo bloccò a quel punto Imago,
afferrando un oggetto che aveva appena notato su uno scaffale.
«Ho un’idea migliore!»
«…cinque…»
contò intanto la seconda sentinella, facendo un cenno
d’intesa al suo collega piu’ giovane.
Estrassero
dal fodero una pistola ad impulsi, pronti ad usare i loro cristalli per
andare a stanare gli intrusi nel loro nascondiglio prima di terminare
il countdown. Stavano per smaterializzarsi quando, dal muro di box
metallici, sbucarono fuori due alieni.
Il
primo era un tizio sporco, con i capelli corti e arruffati e un paio di
manette ai polsi. Il secondo era una femmina, che la sentinella
piu’ giovane riconobbe immediatamente come il…
«C-caporale
Yashal?» farfugliò incredula, e per poco la
pistola non gli cadde dalle mani. «C-che cosa ci fa lei
qui?»
La bella soldatessa
gli lanciò uno sguardo in tralice. «Quello che non
fai tu, sciocco: catturo l'intruso,» rispose, spintonando un
recalcitrante Kisshu, che teneva la testa bassa.
«Ha…
catturato l’intruso?» domandò
l’altra sentinella, sospettosa.
«Certo,
non vede come è legato?»
La
sentinella indicò le manette arrugginite che trattenevano
Kisshu. «Con quei reperti archeologici?»
«Come
si permette? Queste manette erano di mio nonno e sono
robustissime!»
«Ah,
sì?»
«Ve
lo dimostro subito,» sbottò Yashal. Diede una
gomitata a Kisshu. «Avanti, intruso! Prova a
liberarti!»
Lui
agitò debolmente i polsi. Le manette tintinnarono.
«Non
ci riesco,» ammise con voce piatta.
«Visto?»
esclamò allora vittoriosa Yashal, rivolgendosi ai suoi
compagni.
Loro
si guardarono in faccia. Il maggiore si grattò la testa.
«Ora
lasciatemi passare, devo portare in prigione questo
senzatetto,» disse Yashal. «Voi, intanto, aumentate
la sorveglianza: potrebbero essercene altri. E tu cammina!»
esclamò, spingendo in avanti Kisshu.
«Ehi!»
esclamò lui contrariato, avanzando.
«Si,
certo…bene caporale…» annuì
intanto la sentinella giovane, guardando i due allontanarsi verso
l’uscita. «Che femmina…»
sospirò poi sognante al compagno, una volta rimasto solo.
«Non
sapevo che quella donna si occupasse delle ronde notturne,»
rimunginò intanto l'altra. «E poi...
non ti sembra che quel poveraccio avesse un'aria familiare?»
*
«Mi
ero quasi dimenticato del tuo trucchetto,»
sogghignò Kisshu appena girato l’angolo.
Il
falso caporale Yashal sospirò, ritornando ad essere Imago.
«Beh, io ho dimenticato il giorno in cui sei nato, quindi
direi che siamo pari,» disse, accennando un sorriso. Imago
aveva la capacità di trasformarsi nelle persone amate da
qualcuno, e questa era la seconda volta che con il suo potere salvava
la vita a Kisshu: tempo prima, lo aveva salvato da una fine tremenda
sotto le sembianze di Mew Ichigo.
«Mi
dispiace solo per i tuoi capelli,» mormorò.
Oltre allo sporcarsi il viso, Kisshu era stato costretto a tagliare con
un paio di colpi secchi le sue ciocche laterali per evitare di essere
riconosciuto all'istante.
«Ricresceranno,»
sospirò lui. Poi le sorrise: «Grazie per avermi
aiutato, piccola.»
Lei
avvampò. «Q-Quando vuoi.»
* *
Un’ora dopo, Kisshu e Imago erano ad ormai pochi metri dalla
casa di Kell.
«Ora
che ci penso… non potevi chiedere a Pai di recuperare
l’acqua mew?» chiese l’aliena al
compagno, varcando il cancello. «Lui non avrebbe avuto
problemi a intrufolarsi nel Quartier Generale: è il Capitano
delle Guardie.»
Kisshu
portò le mani dietro la testa. «Sì, ma
è sorvegliato a vista, l’hai dimenticato? Tutti
credono che sia una specie di robot. E poi,» soggiunse,
trattenendo un sorrisetto, «che ti devo dire, mi piace fare
un po’ di casino ogni tanto.»
Ci
mancò poco che Imago non inciampasse e cadesse per terra.
«F-Fare casino?! Rischiare la vita a caso per te è
fare casino?!»
«E
dai, ammettilo che grazie a me ti sei divertita.»
«Ma
certo che mi sono divertita!» strillò Imago in
tono vagamente isterico. «Anzi, adesso ti mostro tutta la mia
gratitudine!» aggiunse poi, cercando di colpire Kisshu che,
ridacchiando, evitava i suoi pugni maldestri con facilità.
«Voi
due,» li richiamò una voce pericolosamente bassa
alla loro sinistra.
Appoggiato
al muro della casa, a braccia conserte, c’era Pai.
«Ops…
ciao Pai,» sussurrò imbarazzata Imago, lasciando
perdere Kisshu.
«’Ciao
Pai’ un accidente,» sbottò
l’alieno, raggiungendo i due. «Si può
sapere che cosa vi siete messi in testa? Sparire così nel
bel mezzo della notte… a quella donna stava per prendere un
colpo!»
«M-Mi
dispiace Pai, io…»
«Non
ci sono scuse, Imago!»
«E’
colpa mia,» intervenne Kisshu, «non te la
prendere con lei.»
«Lei
è irresponsabile quanto te,» replicò
Pai, lanciandogli un’occhiataccia, «ma capisco che
sei tu a rovinarla.»
Kisshu
strinse gli occhi, fronteggiando lo sguardo di Pai. «Scusa
piccola, potresti lasciarci un attimo soli?» chiese calmo a
Imago, senza muoversi.
«Se
vuoi entrare in casa è meglio che lo fai con Alan, da sola
non sopravviveresti. Lo trovi dall’altra parte del
cortile,» la istruì Pai.
«O-Ok…»
annuì l’aliena, avvilita dalla piega che aveva
preso la situazione.
Non
appena Imago si fu allontanata, il volto di Kisshu divenne cupo.
«E’ sempre colpa mia, no?»
sbottò, rivolto al fratello. «Sono sempre io il
bastardo della situazione, eh?»
«Ma
lo capisci che hai messo in pericolo sia te che lei? Se qualcuno scopre
che sei ancora vivo, siamo spacciati!»
«Io
so qual è la nostra situazione, grazie tante. E a te sfugge
un particolare: io non sono un moccioso, e non devo rendere conto a
nessuno delle mie azioni, men che meno te o quella donna assillante. I
tuoi sermoni valli a fare a Taruto!»
«Taruto
è più maturo di te!» esclamò
Pai, iniziando ad alterarsi. «Non sei più sulla
Terra, Kisshu! Sei un condannato a morte, maledizione!»
«E
cosa dovrei fare secondo te? Dovrei starmene nascosto per sempre?
E’ quasi un mese che me ne sto rinchiuso in quella casa senza
fare niente, e non lo sopporto! Sto impazzendo, lo capisci questo? Se
per vivere devo continuare a stare così, allora sai che ti
dico, Pai? A questo punto è meglio morire!»
Pai
digrignò i denti e alzò una mano come per colpire
Kisshu, ma qualcuno gli trattenne il braccio.
«Basta
così, Pai!» esclamò il nuovo arrivato.
«Ma
che…»
Kisshu
guardò stranito la figura avvolta in un mantello apparsa
dietro Pai. «Cosa…?»
«Non
posso lasciarvi soli un attimo che iniziate subito a
litigare,» sbuffò l’aliena con finta
desolazione, lasciandosi ricadere sulle spalle il cappuccio che le
copriva il volto. «Comunque sia, bel taglio di capelli,
Kisshu!»
Pai
ritrasse la mano e si voltò a guardarla, incredulo.
«Chris...?» mugolò.
Lei
annuì, sorridendogli. «Già…
ciao, Pai,» disse poi, abbassando gli occhi. «Sono
tornata.»
|
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Capitolo 20 *** Copycat ***
04/10/2014. Eccomi
qui! Causa impegni sono scomparsa di nuovo, ma non ho pigrato
troppissimo: in quattro mesi ho dato ben due esami e mezzo (lasciamo
perdere...piango) e recuperato e riletto i manga di Tokyo Mew Mew (i
miei erano andati perduti anni fa).
Di questo capitolo, la parte più divertente da risistemare
sono state le elucubrazioni di Minto. Delle altre non ho toccato poi
molto.
Ah a sorpresa ecco qui Chris~!
Non è proprio lei, ma questo elfo di Dragon's Crown (schizzo di un autore sconosciuto) somiglia
molto all'idea di lei che ho io.
- Capitolo 19: Copycat
-
Domenica, ore otto del
mattino. Un bel sole tondo e dorato spadroneggiava nel cielo limpido,
mentre la brezza primaverile faceva muovere i rami degli alberi del
parco e le imposte aperte del Cafè Mew Mew.
Quella
mattina le ragazze avrebbero dovuto discutere degli avvenimenti del
Dome con Ryo e Keiichiro ma, a causa del ritardo del suo protetto,
quest'ultimo aveva deciso di rimandare la riunione e aprire il locale.
C'è
da dire che nel corso dei mesi, fra alti e bassi, il Cafè
Mew Mew aveva guadagnato una discreta popolarità e per
questo motivo si riempì quasi subito di clienti passati
lì per gustarsi una tazza di caffè o una fetta
delle squisite torte di Keiichiro. In poco tempo le ordinazioni si
moltiplicarono e Ichigo, come al solito, perse il controllo. Non
potendo prendersela con Zakuro o con Purin, che erano impegnate
rispettivamente in cucina e alla cassa, e nemmeno con Retasu, che
sembrava mettercela tutta nel cercare di portare ai clienti le bevande
senza rovesciarle a terra, la rossa andò per esclusione a
sfogarsi con Minto.
La
ragazza dagli occhi color nocciola sedeva su una delle poltroncine in
fondo al locale. Impegnata a rigirare con un cucchiaino d'argento il
tè nella tazza che reggeva fra le dita, Minto ignorava
completamente i suoi doveri da cameriera. Non era la prima volta che
succedeva e non sarebbe stata neanche l’ultima, ma stavolta
c’era qualcosa di diverso: la ragazza stava girando lo
zucchero da ormai quasi mezz’ora.
Ichigo
le si pose davanti all’improvviso. «Minto!
INSOMMA!» esclamò, facendola sussultare.
«Vuoi lavorare, sì o no?»
Gli
occhi fiammeggianti e le mani sui fianchi, Ichigo attese il solito
rimbecco altezzoso della compagna, che però stavolta non
venne. Infatti, Minto si limitò a posare il cucchiaino e ad
esalare un profondo sospiro.
La
rossa, sorpresa da questa reazione, si accigliò un poco;
chinandosi sull'amica, le sventolò una mano davanti agli
occhi.
«Minto…ci
sei?»
Lei
sbatté le palpebre e tornò in sè,
portando istintivamente la tazza alle labbra. «Oh, Ichigo.
Hai detto qualcosa?» le chiese sorseggiando il suo
tè: era freddo e ormai imbevibile. Minto fece una piccola
smorfia di disgusto e lo mise via.
«C’è
bisogno di te!» spiegò una stressantissima Ichigo.
Tirò in piedi la compagna e le mise in mano un blocchetto
per le ordinazioni. «Lavoro… cameriera…
vai!» ordinò, e la spinse verso il centro della
sala.
“L'ultimo
combattimento deve averla sconvolta davvero tanto,”
pensò preoccupata, osservandola mentre si avvicinava con
aria assente ad un tavolino occupato da un tipo immerso nella lettura
di un giornale.
«Buongiorno,
come posso servirla?» gli chiese meccanicamente, preparando
la penna.
Il
cliente abbassò il giornale: era lo stesso ragazzo che Minto
aveva conosciuto la sera prima al Dome. «Buongiorno, o
splendida creatura celeste...» cominciò a
declamare.
«Oh
no, ti prego!» esclamò Minto con esasperazione una
volta superata la sorpresa iniziale. Lasciò il blocchetto
delle ordinazioni a Retasu, che passava lì accanto in quel
momento, e se ne andò.
«Ehm….c-cosa
vuoi ordinare?» chiese la cameriera verde al giovane.
Minto entrò con passo stanco nella cucina, dove Zakuro
stava preparando un vassoio di bevande fredde.
«Che
ti succede?» le chiese la ragazza lupo, notando il suo
sconforto.
«N-Niente,»
rispose lei girandosi dall’altra parte con la scusa di
leggere le ordinazioni.
«E'
da ieri che ti stai comportando in modo molto strano,»
insistette Zakuro con aria indifferente.
«Te
lo dico io cos’ha!» esclamò Purin
spuntando fuori dal nulla. «La mia macchina della
verità dice che Minto onee-sama si comporta così
perché si è innamorata!!!»
dichiarò, mostrando uno strano marchingegno rosa che aveva
preso chissà dove.
Minto
sobbalzò. «Non è vero!»
«Allora
a cosa stai pensando?» le chiese Purin a tradimento.
Minto
avvampò. «Ai…ai fatti miei!»
sbottò irritata.
Purtroppo
per lei, la sua reazione sembrò non far altro che confermare
i sospetti della biondina. «Minto è
innamorata!» dichiarò infatti, raggiante.
«I-Io
non sono innamorata!»
«Io
non sono gelosa!» esclamò nello stesso momento
Ichigo, entrando nella cucina insieme a Retasu. «E’
solo che non mi fido di quell’antipatica!»
«Oh?
Ed ora che ha Ichigo?» chiese Purin.
«E’
gelosa della fidanzata di Ryo,» spiegò Retasu.
Ichigo
la fulminò con gli occhi. «Io non-»
«Vi
prego di scusarmi, ma non mi sento molto bene oggi,» la
interruppe Minto, stanca. Posò su una sedia la sua cuffietta
e si slacciò il grembiule. « Vado a prendere una
boccata d’aria; chiamatemi quando arriva Ryo,»
disse, ed uscì dalla porticina che dava sul retro del locale.
Non
appena Minto si fu allontanata, Purin rivolse la sua attenzione ad
Ichigo: «Di un po', stai parlando di quella Luna?»
domandò.
Lei
annuì. «Quella ragazza ha qualcosa che non va.
Dev’essere colpa sua se Ryo si sta comportando in modo
così strano in questi giorni!» dichiarò
con aria convinta. «Quella tizia sta pianificando qualcosa,
ne sono sicura. Avete visto come lo guardava l’altra
sera?!»
«In
tutta franchezza, Ichigo, ho visto molte ragazze guardarlo
così,» osservò Zakuro. Poi
lanciò un’occhiata al suo orologio:
«Ragazze, purtroppo devo lasciarvi anch’io: ho un
appuntamento per un servizio fotografico.»
«Non
preoccuparti, ti chiameremo noi in caso di bisogno,» la
rassicurò Retasu, e Zakuro le sorrise grata in risposta
prima di andar via.
«Quindi
secondo te quella Luna è una strega che ha usato i suoi
occhi magici per ipnotizzare Ryo?!» continuò
intanto un’incuriosita Purin.
«Sì,»
rispose Ichigo, lasciandosi andare. «Ne sono sicura.
E’ l’unica spiegazione! Spiegami altrimenti come
lui faceva a sapere che era arrivata…»
«Chi
è arrivata?» si intromise il diretto interessato.
Ryo
era appena entrato in cucina… Ichigo si ammutolì.
«Che
c’è, state spettegolando su di me?»
chiese il ragazzo con aria scherzosa lanciando un’occhiata ad
Ichigo, che divenne rossa come la sua divisa da cameriera. Ma prima che potesse
trovare le parole per rispondergli, Ryo aggrottò la fronte e
iniziò a tastarsi la giacca.
«Ah,
dove ho messo il mio cercapersone?» si chiese il giovane.
Dopo qualche secondo estrasse dalla tasca interna del vestito una
scatolina nera che vibrava leggermente. «Ah, mi sta
cercando,» disse, leggendo un nome sul minuscolo display
dell’apparecchio. Poi rivolse la sua attenzione ad Ichigo,
che adesso lo stava guardando a bocca aperta. «Si chiama cercapersone,»
scandì, indicandole l’oggetto che aveva fra le
mani.
«Ce-cercapersone?»
ripeté lei sbalordita.
Ryo le
lanciò in mano un mazzo di chiavi. «Servite solo
le persone che sono già dentro e non appena andranno via
chiudete il locale, pulite, e poi cominciate pure senza di me.
Purtroppo sembra che oggi io sia impegnato,» disse. Mentre si
avviava verso l’uscita si incrociò con Keiichiro.
«Devi
già andare? Buon divertimento,» gli disse lui con
voce affettata.
«Non
mi diverto e tu lo sai,» rispose il biondo prima di
scomparire dalla porta.
«Allora
stavamo dicendo, Ichigo...?» chiese Purin una volta che Ryo
se ne fu andato. Cercò con lo sguardo la sua compagna,
trovandola infine accovacciata in un angolino che disegnava cerchietti
immaginari per terra.
«Niente,»
sussurrò lei demoralizzata. «Lascia
perdere.»
**
Minto sospirò triste mentre si lasciava ricadere su una
panchina di legno sul retro del Cafè. Era scomoda e un
po’ sporca, ma non se ne curò.
Erano
giorni che non faceva altro che rimuginare sugli alieni, ed era
fermamente convinta di essersi lasciata prendere troppo da questi
pensieri. Sapeva benissimo che gli ultimi avvenimenti erano stati
davvero forti e traumatici e che era solo a causa di tutto questo,
oltre che dello stress e della stanchezza, che si sentiva
così male.
Stringendo
le mani sul vestito blu, Minto continuò a ripeterselo per
molti minuti, fino a che non esplose.
“Ma
chi voglio imbrogliare?” si sgridò mentalmente,
cedendo. Forse, in fondo, Purin non aveva poi così torto.
Minto
non era mai stata molto brava a mentire a sé stessa. Lei
sapeva sempre chi era e cosa provava nei riguardi delle cose, degli
eventi e delle persone. Spesso però non riusciva a
comprendere questi suoi sentimenti fino al momento in cui la situazione
non si presentava effettivamente e lei si ritrovava a viverla sulla sua
pelle. E in quel caso, la
situazione aveva due grandi occhi color mare e un odio profondo per l'umanità.
Ma
Minto non era tipo di persona che si perde in chiacchiere o in sogni.
Non amava fantasticare sulle cose impossibili. Per questo motivo, sin
da quando aveva capito cosa le stava succedendo, aveva cercato fino
alla fine di negare i suoi sentimenti. Aveva cercato in ogni modo di
negare di essere attratta dall'alieno di nome Ai.
Non
poteva essere attratta da lui!
Si
nascose il viso fra le mani, arrossendo per l’imbarazzo e la
frustrazione. Era ridicola. Ridicola, davvero. Come aveva potuto
lasciarsi trascinare in questa situazione?
Sospirò
di nuovo ed appoggiò le mani sul grembo, guardando fisso
avanti a sé.
Non
sapeva perché quell’alieno la facesse sentire così. Era carino, su questo non c’erano
dubbi. Ma è
un nostro nemico, si disse. Era abile, intelligente e
sicuro delle sue capacità.
Ma è un
nostro nemico.
Le
aveva messo le mani addosso e l’aveva pugnalata. Pugnalata,
per l’amor del cielo! Se fosse stato un umano, un tipo
così sarebbe sicuramente finito in galera.
Ma
era questo il punto. Il punto era che Ai non era un essere umano. Era
un alieno come Kisshu, Pai e Taruto, e come loro era vissuto in un luogo
orribile, buio e inospitale. Non era crudele, era diventato crudele.
E ne soffriva, perché lui non era così. Lui era
il ragazzo che protegge una madre sconosciuta perché
non vuole che suo figlio provi il dolore che ha provato lui. Aveva
tentato di ucciderla, vero, ma non aveva più volte fatto anche lei
lo stesso, mentre combattevano? In fondo erano nemici.
Minto
non si faceva molte illusioni: le possibilità che una storia
fra loro due funzionasse erano pressoché nulle. Ma se fosse
riuscita a sfondare il muro dietro cui il vero Ai si nascondeva,
avrebbero almeno potuto salvarlo e forse, se ci fosse riuscita, avrebbe potuto persino far terminare la guerra fra
di loro.
Decise
che lo avrebbe fatto. Doveva solo trovare il modo. Forse
poteva…
«Minto!»
La
ragazza riemerse di colpo dai suoi pensieri. «Eh? Ancora?! Ma
non è possibile!» sbottò.
Il
ragazzo del Dome era in piedi a poca distanza da lei. Lei si rimise in piedi,
infastidita. Lui si avvicinò di un paio di passi e lei
indietreggiò di tre.
«Perché
ti allontani?» le chiese lui stupito.
«Perché
tu ti stai avvicinando,» fu la risposta di Minto. Si
guardò intorno, rendendosi conto di essere completamente sola con quel tipo. “Perché le amiche non ci sono
mai quando servono?!” pensò. Scorse la mazza di
una scopa di saggina poggiata alla parete del locale. Keiichiro la
usava per spazzare via le foglie ma, se il tizio inquietante avesse osato toccarla,
lei l’avrebbe usata in modo molto diverso.
«Non
posso evitarlo; sono una falena e tu sei la luce che mi attira verso di
te,» sospirò il
giovane.
«Io
non sono un lampione stradale,» puntualizzò Minto,
«io sono una
ragazza. E non so neanche come ti chiami.»
«Se
è un nome l’unico ostacolo al nostro amore, allora
annulliamolo!» proclamò il ragazzo, sempre con la
sua stramba aria melodrammatica. «Il mio nome è
Will,» disse, come se quel semplice nome potesse risolvere
tutti i suoi problemi. Si mosse in avanti di un passo.
Minto
indietreggiò di un altro passo.
«Perfetto… Will. Ora dimmi, come hai fatto a
sapere che lavoro qui?»
«E’
stato il destino a condurmi qui. Io…»
«Bene,
allora per favore dici al destino di condurti lontano da me, prima che
ti denunci per stalking!» lo interruppe la
ragazza.
Lui
parve disorientato. «Che cosa significa 'stalking'?»
«Significa
pedinare le persone, ed è una cosa davvero molto, molto
brutta,» spiegò Minto, che non riusciva a capire
se quel tipo fosse pericoloso o solo molto, molto ingenuo.
«Non farlo mai più o chiamo la polizia per
davvero. Ed ora scusami, ma devo lavorare,» troncò
e, girate le spalle, tornò dentro il locale, lasciando solo
un confusissimo Will.
**
«Si,
Retasu!» gridò Ichigo dalla cucina, asciugando un
piatto appena lavato. «Qui ci sto pensando io, non ti
preoccupare!»
"Odio
fare le pulizie…" sospirò poi la ragazza mentre
posava il piatto sul tavolo. Ne prese un altro dal lavello.
Un
secondo dopo, si ritrovò in mezzo ad un affollatissimo
marciapiede di Tokyo.
«Ma
cosa…» disse, sconvolta. Si guardò
intorno: fra la folla di persone grigie e anonime notò una
giovane donna che camminava proprio davanti a lei. Era molto diversa
dagli altri: indossava un tailleur lilla con i bordi bianchi, ed aveva
un caschetto di sgargianti capelli rosa. Improvvisamente la donna si
girò di lato, ed Ichigo riuscì a scorgere una
singola ciocca fucsia sul lato destro del viso e delle iridi rosate
dietro un paio di eccentrici occhiali da sole. Ma ciò che
più la sorprendeva era la fisionomia di quella donna: era
praticamente la copia vivente di Mew Ichigo… la sua copia.
Anche
gli altri passanti si voltarono nella stessa direzione della donna, ed
Ichigo li imitò. Gridò: due chimeri alati stavano
puntando proprio nella sua direzione. Spaventata, la giovane estrasse
la sua spilla per trasformarsi, ma di colpo si sentì
afferrare i polsi da una forza misteriosa.
«Lasciami
stare!» gridò Ichigo dimenandosi. Si
liberò con uno strattone, ma perse l’equilibrio e
cadde a terra, sul pavimento del Cafè Mew Mew.
**
Zakuro
era in auto insieme al suo manager. Lui le stava riepilogando con voce
monotona gli impegni del pomeriggio, ma ben presto qualcosa
attirò l'attenzione della modella.
Delle
urla lontane…
L’istinto
del lupo grigio le comunicò la presenza di un chimero. Senza
curarsi del suo manager, saltò giù
dall’auto ferma nel traffico e si diresse verso il vicolo
più vicino per trasformarsi.
**
Ichigo
sollevò la testa con aria spaventata: Retasu,
preoccupatissima, era in piedi davanti a lei. Ichigo si chiese
perché se ne stava là immobile: c’erano
dei chimeri a pochi metri da lei!
«Retasu,
dobbiamo trasformarci!» le disse, balzando in piedi. Poi si
guardò intorno. «No, aspetta…
dove… dove sono i chimeri?!»
L’amica
le si avvicinò e la prese per le spalle.
«I-Ichigo, non c’è nessun
chimero,» le disse, cercando di tranquillizzarla.
«Io e Purin eravamo di là a spazzare, quando ti
abbiamo sentito urlare. Siamo corse da te e ti abbiamo trovata che
continuavi ad agitarti, poi hai estratto la spilla come per
trasformarti…»
«Avrai
fatto un sogno ad occhi aperti!» osservò Purin
porgendole la sua spilla, che era scivolata a terra.
Ichigo
la prese fra le mani, stringendola forte. «Un
sogno?» ripeté, per nulla convinta.
**
Mew
Zakuro continuava a saltare sui tettucci delle automobili. Il suo
istinto la condusse in una strada affollata dove un chimero volante
aveva appena puntato una persona. La guerriera liberò la sua
frusta appena in tempo, cogliendolo in pieno e annientandolo. Nel
fuggi-fuggi generale che stava verificando, una sola persona rimase a
terra, forse ferita: Mew Zakuro, impegnata a scacciare il secondo
chimero, la notò con la coda dell'occhio e la riconobbe come
la sua compagna.
«Mew
Ichigo! Sei ferita?» esclamò, correndo verso di
lei.
«Chi
è Mew Ichigo?» rispose quella confusa, rialzandosi.
Mew
Zakuro si fermò. Ormai era a pochi metri da lei e riusciva a
vederla bene in volto: sebbene somigliasse tantissimo alla sua amica,
quella donna non aveva ne’ orecchie da gatto ne’
coda, ed era di almeno dieci anni più grande di lei.
La
donna simile a Mew Ichigo raccolse da terra gli occhiali da sole e li
pulì con cura con un fazzoletto. «Mi avevano detto
che Tokyo era piena di supereroi, ma non avrei mai pensato di
incontrarne davvero uno,» disse distrattamente, fissando di
sottecchi Mew Zakuro. Poi inforcò gli occhiali e le tese la
mano, scandendo con un leggero accento francese le parole:
«Piacere signorina supereroe, il mio nome è Cherry
Novak ed insegno storia dell’arte alla Sorbona. Parigi,
Francia, ha presente..?»
**
Ichigo
sbatté il telefono cordless sul ricevitore con forza tale da
rischiare di rompere entrambi.
Ma
non le importava. A che cavolo serviva il telefono se ogni volta che
componeva il numero di Ryo rispondeva quella maledetta segreteria
telefonica?
«Ichigo,
calmati! Era solo un sogno!» ripeté Retasu per
quella che ormai doveva essere la decima volta.
«E’
vero! Io sono stata qui fuori per tutto il tempo e non ho visto nessun
chimero!» dichiarò Minto.
«Non
era un sogno! Io l’ho visto davvero quel chimero!»
protestò la rossa. «E c’era anche una
persona che assomigliava tantissimo a Mew Ichigo!»
Retasu,
Purin e Minto si guardarono fra di loro, sconsolate.
«Disturbo...?»
chiese in quel mentre una voce nota.
Zakuro
era appena entrata dalla porta principale, che le cameriere avevano
lasciato socchiusa quando Keiichiro poco prima era uscito per andare a
cercare Ryo.
«Zakuro?
Che cosa ci fai qui? Non dovevi lavorare?» chiese Purin.
«Già…»
annuì lei con un’aria strana. «Dovevo,
ma sono tornata perché ci tenevo a farvi conoscere la
mia...nuova amica.Vieni pure,» disse poi, lanciando
un’occhiata fuori dalla porta del locale.
Sotto
lo sguardo allibito delle ragazze, la donna uguale a Mew Ichigo si fece
avanti.
«Bonjour, mesdemoiselles mew
mew!» le salutò, sorridendo amabilmente. «Piacere di conoscervi,
il mio nome è Cherry. Oh, ma questo posto è
incantevole,» osservò
deliziata, guardandosi intorno. «La sua architettura
è una splendida coniugazione dell’arte
post-moderna con il protoromanticismo pre-impressionista...ah...mi
ricorda tanto il sapore limpido e luminoso delle opere del mio caro
connazionale Renoir, che possiamo contrapporre all’angosciosa
Guernica di Picasso… chi l’ha progettato? Devo
fargli assolutamente i miei complimenti!»
Retasu,
Purin e Minto si guardarono per una seconda volta in faccia.
Poi
guardarono Zakuro, poi Ichigo, Cherry e di nuovo Ichigo.
Retasu
cadde a terra svenuta.
**
Quando
Retasu rinvenne, si ritrovò sdraiata sul divanetto di uno
dei tavoli in fondo al locale. Ryo, tornato da chissà quanto tempo, era accanto a lei e le stava sventolando un fazzoletto
profumato davanti al viso.
La
giovane si stropicciò gli occhi. «Ho fatto un
sogno strano…» mormorò assonnata. Si
interruppe e arrossì tremendamente quando si accorse del
biondo accanto a lei.
«Per
caso, c’era forse lei nel tuo sogno?» le chiese
lui, indicando un punto alle sue spalle: Cherry stava parlando a
Keiichiro con grande eccitazione, additando un oggetto posto sulla
parete del Cafè.
Retasu
colse uno stralcio del suo appassionato discorso:
«…per non parlare di quest’armonia
creata dal colore rosso e bianco si mescola in una combinazione
dall’apparenza moderna, ma che trova nelle sue forme rotonde
e morbide una sottile rivisitazione dell’arte gotica
dell’Europa nel tardo XVI secolo…»
Ryo
sospirò. «E’ lì da dieci
minuti. Nessuno ha il coraggio di dirle che quello è
l’estintore,» spiegò alzando le spalle.
Qualche
minuto dopo le ragazze, Ryo e Keiichiro erano seduti al tavolo della
cucina del Cafè, intorno a Cherry.
«Potresti
spiegarci di nuovo chi sei, per favore?» le chiese Minto,
guardandola sospettosa.
«Ve
l’ho detto,» sospirò lei,
«Sono una docente di Storia dell’Arte. Sono
arrivata ieri notte qui a Tokyo. Un mio caro amico, il direttore del
Museo Nazionale di Tokyo, mi ha invitato qui perché oggi
pomeriggio ci sarà l’inaugurazione di
un'importante mostra sull’arte europea e ci teneva moltissimo
alla mia presenza. Stavo andando all’appuntamento con il
curatore della mostra, quando ho visto quegli strani animali sopra di
me,» disse, riferendosi ai chimeri. Un attimo dopo si
alzò di scatto dalla sedia: «Oh mon Dieu!
L’appuntamento! Dovevo essere al museo per
mezzogiorno!» esclamò, terrorizzata.
«Non
si preoccupi, mademoiselle,
manca ancora più di un’ora alle dodici,»
disse amabilmente Keiichiro, alzandosi e raggiungendola.
«Risolveremo in fretta la sua situazione. Intanto, le faccio
fare un giro per il locale. La prego, mi segua,» disse, e
presale la mano, la sfiorò con le labbra.
Cherry
arrossì. «Oh ma diamoci del tu, monsieur Keiichiro…»
mormorò la donna, imbarazzata. "Hm, questo viaggio a Tokyo
si sta rivelando molto più interessante del
previsto…"
Quando
Keiichiro e Cherry scomparvero nella Sala da Tè
lì accanto, Ryo si alzò in piedi e prese parola.
«Il
piano degli alieni è chiaro, ragazze. Non riescono a
battervi in battaglia, per cui hanno cambiato strategia. Prendono di
mira tutte le persone che somigliano a voi, nella speranza di riuscire
a uccidere, prima o poi, proprio voi. Dobbiamo fermali prima che
facciano del male a qualcuno.»
«E
se tentassimo di parlargli?» provò Minto.
Le
sue compagne la guardarono malissimo.
«Era…era
solo un’idea.»
«Uno
dei chimeri che hanno attaccato Cherry è fuggito.
Tornerà sicuramente a cercarla, credendo che sia in
realtà Mew Ichigo. Probabilmente avrà anche
avvertito i suoi padroni. Non possiamo lasciarla andare in giro,
è in pericolo,» disse Zakuro.
«Ho
un’idea!» dichiarò all'improvviso Purin,
alzando la mano. «Ichigo, tu farai di essere Cherry,
così quando gli alieni attaccheranno, sarai pronta a
fronteggiarli!»
«No!»
esclamò Ryo balzando in piedi e sbattendo i palmi sul
tavolo. «Non possiamo farla rischiare!»
«Purin
ha ragione, è l’unico modo!»
ribatté Ichigo, imitandolo.
«Quando
si trattava di me, non hai esitato a farmi rischiare,»
fece notare Minto a Ryo con aria indifferente.
Ryo
le lanciò un’occhiataccia. Tornò a
sedersi e non replicò.
“Touché,” pensò Minto.
«Andrò
al Museo Nazionale al posto di Cherry e voi mi seguirete. Questa volta
però non ci limiteremo ad aspettare che attacchino.
Prepareremo una vera e propria trappola agli alieni,» propose
la rossa.
Ryo
si sporse leggermente di lei. «D’accordo. Qual
è il tuo piano?» chiese con aria interessata.
«Creeremo
una trappola molto astuta e sofisticata,» ribadì
la ragazza in tono convinto.
«Ovvero?»
«Ecco,
io... non ne ho idea,» ammise alla fine Ichigo, crollando.
Ryo
scosse la testa. «Ho capito, penserò a
qualcosa,» sospirò. «Rimane solo un
problema. Ichigo, la Novak non è uguale a te, ma a Mew
Ichigo. Non puoi fingerti lei.»
«Se
però mi trasformassi…»
«...come
spiegheresti al curatore del museo le orecchie da gatto?»
Il
rumore della serratura del portone d’ingresso che scattava
fece calare il silenzio fra i ragazzi. Pochi secondi dopo, dalla porta
della stanza entrò…
«Hello,
Ichigo!»
…Marie.
«Marie,
ma che cavolo…?» cominciò Ichigo
stravolta.
Dietro
l’inglesina apparvero Cherry e un dispiaciuto Keiichiro.
«Era qui fuori che bussava, ha chiesto di voi e le ho aperto,
ho fatto male?» sorrise la donna.
«Ichigo
noi due dobbiamo studiare insieme, don’t
you remember?» si difese intanto Marie.
«Cosa state facendo?» domandò poi,
lanciando occhiate curiose in giro.
«Mi
dispiace, ma non posso studiare oggi…ho un
impegno!» mentì Ichigo.
«Allora
io starò qui finché tu non avrai esaurito
l’impegno,» ribatté calma la ragazza.
Ichigo
si adombrò. «Io…
Io…»
In
quel momento il cercapersone di Ryo trillò nuovamente. Il
ragazzo fece per controllarlo, ma Ichigo glielo prese di mano e lo
gettò nella pattumiera, compiendo un perfetto
canestro. «Io ne ho
abbastanza!» sbraitò, coprendosi la
testa per nascondere le orecchie da gatto che le erano spuntate sulla
testa.
Keiichiro
trovò opportuno trascinare via da lì Cherry e
Marie con una scusa.
«Ahh,
non ce la posso fare,» mormorò Ichigo, scuotendo
la testa, mentre le altre cercavano di calmarla.
«Cherry… Marie…
Luna…» farfugliò la ragazza.
«Troppe persone a cui badare!»
«La
nostra priorità sono gli alieni,»
precisò Zakuro.
«Okay...okay…»
annuì Ichigo, calmandosi. Le orecchie e la coda si
ritrassero. «Dunque, uno alla volta.
Dov’è Cherry?»
«E’
qui fuori a farfugliare cose indicando il portaombrelli,»
rispose Minto sbirciando dalla porta.
Ichigo
sospirò. «Facciamo così. Diciamo a
Keiichiro di convincere Marie e Cherry a restare qui, mentre noi
intanto andiamo a prendere a calci gli alieni.»
«D'accordo...vado
subito a dirlo a Kei,» annuì Ryo, facendo
per uscire.
«Ryo,
quanto a te!» esclamò a quel punto Ichigo, balzando sopra la sedia e puntandolo. «Non
permetterti di scomparire i nuovo! Tu vieni al museo con noi,
CHIARO?!»
Ryo
la guardò fisso per alcuni istanti, per poi sorriderle provocatorio.
«Sbaglio o sei gelosa?»
Ichigo
avvampò per la rabbia. Sotto lo sguardo sconvolto delle sue
amiche raggiunse il biondo e si fermò solo quando fu a pochi
centimetri da lui. Sollevò la mano all’altezza
della sua guancia; scioccato, l'americano rimase immobile.
Dopo
molti secondi, Ichigo ritrasse la mano, abbassò la testa e
si allontanò dal ragazzo senza dirgli una parola,
rinunciando all’idea di dargli uno schiaffo.
Ryo
si sentì come se gliene avesse tirati due.
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Capitolo 21 *** La chiave di tutto ***
10/10/2014. Cattivo
capitolo, cattivo. L’ho riscritto quasi tutto.
E poi, per compensare il fatto che nel 2004 non sapevo disegnare, ora
che siamo nel 2014 ho progettato e modellato la Chiave in 3D.
Questo perché continuo a non saper disegnare.
- Capitolo 20: La chiave di tutto
-
Il dottor Alan Kell
rimboccò le coperte a sua madre, che finalmente russava
tranquilla nel suo letto.
Era
dovuto ricorrere ad un sedativo per farla calmare, ma almeno adesso non
urlava più contro quella depravata – l'appellativo più gentile che aveva rivolto a Imago
– che, secondo lei, era fuggita per gettare al vento la sua
innocenza senza alcun pudore.
Kell
non sopportava l’intransigenza di sua madre, e ringraziava il
fatto di essere nato maschio. Un po’ comprendeva il
comportamento e le preoccupazioni della sua anziana genitrice, ma lui
in quel momento aveva già abbastanza problemi e non aveva
proprio tempo di darle corda.
Il
giovane scienziato uscì dalla camera e si avviò
verso la stanza principale della casa, dove lo stava aspettando Pai,
insieme ai due criminali.
Sospirò;
non era proprio in vena di mettersi a fare loro la predica, anche
perché era sicuro che Pai aveva già provveduto,
ma non se la sentiva neanche di glissare sull’argomento:
quella volta l’avevano fatta davvero grossa.
Imbronciato,
lo scienziato fece il suo ingresso nella stanza da cui
giungevano le voci dei suoi amici. Era deciso a minacciare Kisshu di
mettergli un collare elettrico punitivo se non si fosse dato una
calmata, ma quando si accorse dell’aliena ancora avvolta in
un mantello da viaggio seduta accanto a lui, sbiancò e dimenticò tutti i suoi propositi.
«Ciao
Ally! Sorpresa! Sono tornata, sei contento?» lo
salutò Chris, alzandosi in piedi.
«T-Tu?!»
balbettò lo scienziato. L’aliena si
precipitò verso di lui per abbracciarlo ma lui, superato lo
shock iniziale, si mosse rapidamente di lato per evitarla.
Chris,
presa alla sprovvista, finì per sbattere la faccia contro
l’ingresso e si accasciò a terra dolorante.
«Ahio,»
mugolò , massaggiandosi il naso.
Pai,
Kisshu e Imago si scambiarono un’occhiata confusa.
«Allora...sei
ritornata,» le disse Kell in tono distaccato, osservandola
dall’alto. Lei lo guardò stranita. Era cambiato rispetto all’ultima volta che Chris lo aveva visto, e lei non riusciva a capire se in meglio o in peggio. Sin da quando lo aveva conosciuto, Kell aveva sempre avuto l’aria di un nibiriano stanco e malaticcio; camminava con la schiena curva e, tranne nei momenti in cui il suo carattere lunatico lo rendeva insopportabile, era molto mite. Ora, però, c’era qualcosa di diverso in lui: anche se il suo viso era ancora segnato da profonde occhiaie, la sua stanchezza sembrava essere scomparsa per lasciar spazio ad una nuova determinazione che brillava nei suoi occhi; aveva corretto la sua postura, rivelando la sua vera altezza, e in generale sembrava aver preso maggiore consapevolezza di sé stesso e del suo corpo.
Emanava una strana aura grave e quasi minacciosa. Per un attimo, Chris ne fu sopraffatta e non seppe cosa dire.
«Ehm... Già,»
annuì alla fine l'aliena, cercando di sorridere.
Kell
sbottò in una strana risatina incredula. Poi tese la mano
verso l’aliena come se volesse aiutarla a rialzarsi, ma
subito dopo disse: «Dammi il reperto.»
A
quella richiesta, una sempre piu' stravolta Chris estrasse rapida da
sotto il mantello un pesante cofanetto di pietra bianca. Titubante, lo
tese verso l’amico, che si affrettò a prenderlo
fra le mani per affrettarsi a controllare che il sigillo che lo
chiudeva fosse intatto.
Chris
apparve leggermente risentita da quelle maniere. «Grazie
Ally, anche io sono felice di rivederti,»
ironizzò, rialzandosi da sola.
«Prego,»
rispose lui, lanciandole un’occhiataccia. La stretta delle
sue mani sul cofanetto di fece più forte.
«Io non volevo mandare te a recuperare
quest’oggetto, Chris. Ci sono stato costretto. Ed ora
scusatemi tutti, ma devo lavorare,» disse.
Lo
scienziato fece per tornare sui suoi passi, ma a quel punto Kisshu non
riuscì più a resistere.
«Ehi,»
lo chiamò infastidito. «Questa ragazza ha
viaggiato per mezzo pianeta solo per te. Non pensi che dovresti dire
qualcos’altro prima di andartene?»
Kell
si immobilizzò sulla porta. «Oh,
giusto,» annuì, voltandosi verso i suoi amici.
«Mi ero dimenticato di dirvelo: ho una notizia dal Palazzo.
Riguarda Kassidiya.»
A
quel nome, Imago balzò in piedi. «Come si sente?
E’ guarita? Sta meglio?» domandò.
Imago
sapeva, grazie alle indiscrezioni di Pai, che Kassidiya non si era
ancora ripresa dal sonno in cui era misteriosamente
scivolata. In città, aveva detto loro la signora
Kell, si era invece sparsa la voce che una grave malattia avesse
deturpato il viso della Sovrana, che per questo motivo si era chiusa
nel Palazzo e si rifiutava di uscire in pubblico.
A
Imago non piaceva sua sorella, ma era pur sempre sua sorella. Per
quanto Kassidiya fosse antipatica o crudele, lei non riusciva ad
odiarla o a desiderarla morta. Per questo motivo, l’aliena
era sinceramente preoccupata per lei quando incitò Kell,
dicendogli: «Allora?»
Lui
impiegò qualche secondo per trovare le parole adatte.
«Dipende dai punti di vista,» disse alla fine. Si
sentì addosso lo sguardo di tutta la stanza, e per questo
motivo tirò un sospiro. «E' morta,»
ammise cupo, senza troppe cerimonie.
Se
Kell avesse tirato un pugno in pieno viso ad Imago invece di parlare,
forse lei sarebbe rimasta meno sconvolta. La giovane avvertì
dietro di lei il calore delle braccia di Kisshu che le avevano avvolto
le spalle, sorreggendola – per fortuna, perché
all’improvviso non si sentiva più le gambe.
«Morta?»
ripeté Kisshu, la fronte aggrottata. Sentì che
Imago tremava leggermente nel suo abbraccio, e la strinse
più forte. «Perché?»
«Pare
che la sua fosse una malattia molto grave,» fu la risposta
laconica di Kell. «Ma vi prego di non dirlo a nessuno, per
ora la notizia deve rimanere segreta.»
Imago
annuì, trattenendo le lacrime.
Di
fronte a quella scena, Kell si ammorbidì un po’.
«Più che per lei, credo che dovresti preoccuparti
per te, ragazza,» le disse in tono incerto. «Voglio
dire, se quella della Sovrana era una malattia ereditaria, una cosa del
genere potrebbe accadere anche a te. Cosa che io non so…
ovviamente.»
Sentendo
quell’affermazione, Kisshu fece una faccia strana, a
metà fra lo sconvolto e l’irato. «E-Ehi,
ma che dici? Lei sta benissimo!»
«Ma
certo,» annuì lo scienziato e, senza aggiungere
altro, Kell girò le spalle e se ne andò.
Pai
guardò la schiena dell’amico allontanarsi ma non
disse nulla.
«Ohi,
non ho ancora finito con te!» lo chiamò Kisshu.
«Ma che gli è preso?» domandò
poi a Pai.
«E’…E’
solo nervoso,» balbettò Imago, slegandosi
dall’abbraccio del suo compagno. Tirò su
con il naso e si asciugò le lacrime come meglio poteva.
«Chris, Kell si sta comportando così da quando te
ne sei andata. Torna qui tardi e, a giudicare dai rumori che sentiamo,
continua a lavorare anche durante la notte. Credo che abbia fra le mani
un lavoro molto importante. E' così scorbutico solo
perché è molto stanco,» disse.
«Lavoro?»
domandò Chris. «Che lavoro?»
«Non
ha detto nulla a riguardo neanche a me,» ammise
Pai.
«Mi
state dicendo che il vostro amico è il tipo di nibiriano che
dà pesantemente di matto quando è sotto
stress?» sbottò Kisshu.
«E’
così, oppure pianifica di tradirci e rivelare a tutti che vi
nascondete qui,» gli rispose Chris sorridendo. Kisshu e Imago
diventarono pallidi. «Avete per caso preso una delle sue
paste addolcite? Lui ne è ghiotto. Rubategliene una e vi
assicurò che vi denuncerà tutti.»
«Chris,
smettila di spaventarli,» la zittì Pai.
«Scusa.»
«Odio
essere ricercato,» sbuffò Kisshu.
«Scusami se te lo chiedo adesso dolcezza, ma visto che tua
sorella è andata, non puoi reclamare il trono
tu?»
«N-Non
è così facile,» rispose Imago.
«Kassidiya non era proprio la legittima Sovrana. E i Saggi
del Consiglio… erano loro a prendere le decisioni
più importanti, non lei. Non so se saranno felici di
vedermi.»
In
quel mentre, Belle corse nella stanza.
«Ciao
Chris! Allora eri tu!» gridò. Si gettò
tutta felice verso di lei, che la prese in braccio, sebbene con non
poca fatica per via della preoccupante stazza della piccola.
«C-Ciao
Belle!» ansimò Chris, rossa per lo sforzo.
«C-Come va? C…Come vanno le cose tra te e
Tart-chan?»
L’espressione
della piccola cambiò immediatamente.
«Non voglio più sentire parlare di quello
lì!» dichiarò, offesa.
Chris,
incapace di continuare a reggerla in braccio, la posò a
terra: «Perché? Avete litigato, forse?»
chiese, curiosa.
«NO!»
rispose Belle. «E’ cattivo! E’ matto! Si
è arrabbiato tanto e mi ha urlato un sacco di
cose!»
A
quelle parole, il piccolo alieno comparve sulla soglia: era arrabbiato
quasi quanto la sua coetanea.
«E’
COLPA SUA! Chris, questo pozzo senza fondo ha mangiato le mie
caramelle!» gridò, e con un gesto eloquente
mostrò la cartina colorata che ancora stringeva nella mano,
la prova inconfutabile della colpevolezza della bambina.
«Ehm…
ciao Taruto!» lo salutò Chris, incerta se
preoccuparsi seriamente o meno per la situazione. «Dai, non
dire così… in fondo non erano che dei... ehm...
dolcetti, no?»
Taruto
fissò sconsolato l’incarto stropicciato che aveva
fra le mani. Chris non capiva niente, quelli non erano dei dolcetti
normali. Erano i dolcetti che gli aveva dato Purin, ed ora non
c’erano più.
«No
che non lo erano!» disse, e poi corse via.
Belle
scoppiò a piangere e scappò in direzione opposta.
«Certo
che non ci si annoia mai in questa casa,» commentò
Chris.
**
Kell
richiuse la porta della sua camera e la serrò.
Sigillò poi la finestra e si assicurò che nessuno
potesse vedere o sentire cosa stesse facendo.
Una
volta terminati i controlli, lo scienziato si diresse verso il piano su
cui conservava disordinatamente tutti i documenti contenenti le sue
ricerche. Gettò a terra tutto con una manata e vi
poggiò sopra con molta delicatezza il cofanetto che
stringeva fra le mani.
Rapido,
estrasse dalla tasca una boccetta ricolma di liquido e la
versò sul cofanetto: il sigillo che lo chiudeva si sciolse
al minimo contatto con esso. Kell sollevò piano il coperchio
della scatola ed estrasse con molta cautela l’oggetto che
aveva spedito al laboratorio di Orion.
Si
trattava di un antico reperto davvero fuori dal comune: era un oggetto
di colore dorato, grande quanto il palmo una mano; aveva la forma di
una croce ed era finemente decorato con delicate incisioni e dentini
simili a quelli di un ingranaggio. Era stata creata dagli Antichi e poi
trasportata su Nibiru durante la loro fuga, in quanto
l’oricalco con cui era stata realizzata era un materiale
prettamente terrestre.
Al
centro della croce era incastonato un cristallo di pietra
nera.
Kell
rimase per lungo tempo a scrutare con sguardo attento il reperto. Alla
fine decise di mettersi al lavoro: infilò una mano nel
coperchio del cofanetto ed estrasse da un doppio fondo segreto un
dischetto argenteo, che poggiò sul suo schermo sferico per
poi spingerlo al suo interno. In pochi secondi, tutte le informazioni
contenute in quel disco vennero caricate sulla superficie circolare
dell'elaboratore: apparvero alcune immagini della croce e numerosi
scritti e dati numerici, tutti relativi agli studi che gli scienziati
di Orion avevano effettuato sulla croce. Lo schermo era un touchscreen
in tre dimensioni, per cui Kell scorse velocemente tutti quei dati come
se fossero dei normali fogli scritti. Vi erano anche molte
registrazioni in ologramma di prove ed esperimenti. Giocherellando
distrattamente con la Croce, Kell si concentrò su una di
esse in particolare, contrassegnata come di massima importanza.
L’ologramma
mostrava uno scienziato che, nel corso di una prova sulla croce,
ruotava uno dei suoi pseudo-ingranaggi con molta delicatezza
utilizzando una pinza. Un istante dopo, senza apparente motivo, sia la
pinza che la mano dello scienziato si sciolsero, così come
il resto del corpo dell’alieno, che si ridusse in un ammasso
di carne bruciata e agonizzante in pochissimi secondi.
Kell
smise di giocare con il manufatto.
In
quel momento un tintinnio proveniente da uno dei suoi schermi
richiamò l’attenzione dello scienziato, che
schioccò le dita: un volto non piu' giovane e a lui ben noto
apparve su tutti gli schermi della camera.
«Shiroi,»
salutò con aria turbata, chinando leggermente la testa in
segno di saluto.
Il
consigliere di corte lo ignorò. «Sta
ancora riposando?» domandò in tono
autoritario.
«Si,»
rispose come convenuto Kell.
«Da
quanto?»
«Da
sempre, in attesa del suo risveglio.»
A
quella risposta, Shiroi rilassò leggermente i muscoli del
viso e perse parte della sua aria severa. «Mi è
stato detto che la Chiave è ritornata a te,» disse.
«Non
pensavo sarebbe successo.»
«Non
aveva motivo di rubarcela adesso,» osservò Shiroi.
«I nostri fratelli di Orion hanno scoperto qualcosa di
utile?» domandò poi.
«Uhm,»
mugolò Kell, mentre l’immagine del suo collega
agonizzante ricompariva davanti ai suoi occhi. «Si ipotizza
che gli ingranaggi esterni siano parte di un antico meccanismo,
necessario forse ad aprirla o a trasformarla. Purtroppo, possiede un
eccellente sistema di protezione interno.»
«Che
tipo di protezione?»
«Scarica
radioattiva, pare. Un meccanismo di difesa vecchio di migliaia di anni.
Chiunque cerca di manomettere la Chiave brucia vivo in pochi
secondi.»
«Possiamo
aggirarlo?»
«Non
so se è possibile.»
«In
qualche modo va fatto. Dobbiamo scoprire che segreti nasconde questa
croce. Il tempo stringe,» tagliò corto Shiroi.
«Kassidiya ha già rivelato la sua vera
natura.»
«E’
successo prima del previsto,» osservò lo
scienziato, studiando le iscrizioni incise sui bracci della croce con
precisione millimetrica. Vi era scritto, nell’antica lingua
del suo popolo, “la
Chiave / di tutto è l’incrocio”.
«Sono
accadute molte cose che non siamo riusciti a prevedere».
«Beh,
avreste dovuto!» sbottò a quel punto Kell,
perdendo la calma di colpo. «Che cosa avete fatto per tutto
questo tempo, a parte recuperare questa Chiave? Perché avete
permesso a quell’abominio di arrivare così lontano
indisturbato? Perché non potete fare qualcosa per fermarlo
adesso?»
«Lo
abbiamo fatto. Ti abbiamo risvegliato non appena ci siamo resi conto
del pericolo.»
«Mi
avete risvegliato,
per far cosa? Per ucciderlo?»
«Per
avvertirti. Noi non abbiamo la forza di fermarlo, Cavaliere, e neanche
tu. Sa di noi, e se ci sta tenendo in vita è solo
perché pensa di poterci usare per raggiungere i suoi
obiettivi.»
Kell
si adombrò.
«E’
tuo compito dimostrare che sta commettendo un grave errore. Vedi, dopo
Kassidiya, toccherà alle altre. Ma se non sveliamo il
mistero nascosto in questo meccanismo antico, sarà tutto
inutile.»
«Credo
che sospettino di me,» borbottò Kell dopo alcuni
secondi.
Shiroi
aggrottò la fronte. «E’
perché non riesci a contenere le tue emozioni,»
osservò.
«E
secondo te come posso fare a trattenerle?» ringhiò
lo scienziato fra i denti, frustrato, stringendo i pugni.
«Per tutta la mia vita,
io…io…» Si passò
una mano sugli occhi umido e poi inspirò profondamente per
calmarsi. «La pagherà cara,»
soffiò in tono così calmo e pacato da suonare
spaventoso.
«Non
è il momento di dar sfogo al tuo rancore,»
sospirò il Consigliere. «Prima riuscirai a capire
come si usa la Chiave, prima otterrai la tua vendetta. Pace.»
«Pace,»
salutò Kell mentre il contatto si interrompeva.
Fissò a lungo la superficie trasparente di uno dei suoi
schermi, perso nei suoi pensieri.
«Maledetto
vecchio,» mormorò verso il punto in cui prima
c’era Shiroi. «Avrei preferito vivere quel poco che
mi sarebbe rimasto senza sapere nulla di tutto questo.»
Alla
fine, si decise a dedicarsi alla Chiave. “La chiave di tutto
è l’incrocio…”
ripeté di nuovo, prima di tornare al lavoro. Aveva
deciso di tentare di collegare le ricerche condotte dagli scienziati di
Orion con i suoi studi sulle tecnologie perdute del suo popolo, nel
tentativo di scoprire qualcosa di più su quel manufatto.
Era
notte fonda quando, ormai esausto, urtò per errore la
Chiave, facendola scivolare giù dal piano.
“Sto
per morire,” pensò terrorizzato lo scienziato
mentre l’antico reperto rovinava a terra.
Fortunatamente
per lui, non ci fu alcuna scarica di radiazioni. Quando Kell raccolse
la Chiave da terra, però, notò che la pietra nera
centrale, a causa dell’urto con il pavimento, si
era scheggiata da un lato, staccandosi in parte.
Gli
sembrò che ci fosse qualcosa sotto, ma non ne era sicuro.
Doveva
rimuovere anche il resto della pietra e controllare? Lo scienziato di
Orion era morto per aver ruotato leggermente un braccio di
quell’oggetto. Cosa sarebbe successo a lui se ne avesse
staccato un intero pezzo?
“La
chiave di tutto è l’incrocio,”
continuava però a ripetergli il suo istinto. “La
chiave di tutto è l’incrocio… e se si
riferisse proprio a questa pietra?”
«Oh,
che io sia dannato,» si disse. Afferrò un
punteruolo dai suoi strumenti e lo usò per rimuovere con la
forza la pietra dal suo alloggiamento.
Non
successe nulla. Completata l’operazione, Kell notò
che effettivamente la pietra aveva nascosto per tutto quel tempo delle
altre incisioni, così piccole che dovette ricorrere ad una
lente per leggerle. Scoprì che aveva fatto centro, ma pochi
istanti dopo capì che non era finita lì.
Gli
antichi sapevano nascondere informazioni in modo estremamente contorto
quando volevano.
**
Pai
era di nuovo sul tetto della casa di Kell. Quella notte non era
riuscito a dormire bene, e non aveva trovato di meglio da fare che
uscire per andare a prendere un po’ d’aria.
L’alba
artificiale stava sorgendo sopra di lui, ma Pai non le prestava
attenzione. Era seduto sulla copertura, nella stessa posizione in cui
era qualche tempo fa. E come allora fissava il vuoto, rivolgendo i suoi
pensieri a quella
persona. Era strano: non la vedeva da tempo e non
l’avrebbe rivista sicuramente mai più, eppure
aveva uno strano presentimento su di lei. Sperava che stesse bene.
«Ciao,»
lo salutò Chris, raggiungendolo a sorpresa alle spalle.
«Dovresti
dormire,» le disse lui, mentre lei gli si accomodava accanto.
«E
invece mi sono arrampicata qui a portarti un regalino,»
replicò lei, mettendogli un minuscolo oggetto brillante e
squadrato fra le mani.
«Cos’è?»
«Ti
piace? E’ un nuovo tipo di cristallo di diamante,»
spiegò Chris. «E’ stato modificato
artificialmente. Me ne hanno dati alcuni esemplari al laboratorio che
ho visitato. La differenza con quelli reali è che
questi hanno una portata molto limitata.»
«Io
ne ho uno autentico, a Palazzo.»
«Sì,
ma questo non è rintracciabile dai radar. Se lo usi, nessuno
lo saprà.»
Pai
inarcò un sopracciglio. «Come possono averti dato
una cosa del genere?»
«Forse
l’ho presa in prestito,» si scusò Chris,
beccandosi un’occhiataccia di Pai.
«Per
caso li hai dati anche a Kisshu e Imago?»
«Certo.»
«Ecco
perché stanotte si sta così
tranquilli,» concluse l’alieno.
Seguì
un lungo silenzio, nel quale Pai si ritrovò ad osservare il
piccolo cristallo che stringeva nella mano. Dunque grazie a quello
aveva di nuovo i suoi poteri, e per il momento nessuno si sarebbe
accorto se li avesse utilizzati. Un briciolo di libertà in
più.
«Beh,
com’è andata mente ero via?» chiese
Chris, cercando di avviare un discorso. «Mi siete mancati
tutti, a partire da te e Ally,» ammise.
Il
bel volto di Pai si accigliò se possibile ancora
più del normale, cosa che non sfuggì a Chris.
«Ma
dai, non dirmi che sei geloso!» scherzò.
Pai
si girò verso di lei. «Perché
l’hai fatto?» chiese brusco. «Andartene
in quel modo, intendo.»
Chris
lo guardò colpita, ma non rispose. Si avvicinò
ancora di più a lui, sotto i suoi occhi stupiti. Gli prese
il viso tra le mani e lo baciò piano sulle labbra.
Pai
non ricambiò, ma nemmeno si oppose.
«Ti
bastano le scuse, Pai?» chiese lei sorridendo appena,
quando dopo poco si staccarono.
Mentre
lei lo abbracciava, Pai aprì la bocca senza trovare le
parole per rispondere. Sentiva il respiro tranquillo della ragazza ed
il dolce calore del suo corpo.
Lei
gli sorrise di nuovo e poggiò la fronte contro la sua.
In
quel momento, per una volta, Pai decise di non rendere conto delle sue
azioni alla sua mente calcolatrice. «No, Chris,»
mormorò, non del tutto certo di star facendo la cosa giusta.
Poi chiuse gli occhi e la baciò.
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Capitolo 22 *** La nascita di Venere ***
20
06/10/2014. In
questa revisione ho fatto una piccola modifica
perché…
perché adoro fare collegamenti mentali strambi. ;__; (e poi volevo
modificare una cosa in vista del seguito)
Don't mind me. Sono idiota a livello psicologico.
- Capitolo 21: La nascita di Venere
-
Mezz’ora
dopo, Ichigo era all'interno del Museo Nazionale di Tokyo.
Dopo
aver mandato via
Marie, Ryo aveva spiegato rapidamente la situazione a Cherry e lei non
aveva avuto alcun problema ad accettare lo scambio di ruoli.
C’è da dire che Cherry non era per nulla
spaventata
dall’idea di essere il bersaglio degli
alieni…anzi, la
giovane donna era a dir poco entusiasta all’idea di poter
collaborare con delle autentiche supereroine giapponesi.
Cherry
aveva prestato
ad Ichigo la sua carta d’identità, aveva fornito a
tutti
il suo numero di cellulare e li aveva rassicurati rivelando che lei e
la persona con cui si sarebbe dovuta incontrare, il curatore della
mostra, non si erano mai visti, ma avevano parlato solo una volta al
telefono alcune settimane prima.
Certo, per fingersi Cherry, Ichigo si era dovuta trasformare, ma la sua
uniforme mew mew era coperta da un lungo soprabito beige e i suoi
capelli, tenuti raccolti da un paio di sgargianti fermagli,
nascondevano le orecchie da gatto, ben appiattite sulla sua testa.
A
causa dei lavori di
allestimento della mostra, il museo quella mattina non era aperto al
pubblico e soltanto chi aveva un appuntamento o lavorava lì
aveva il permesso di entrare: grazie al travestimento e ai documenti,
Ichigo era riuscita ad ingannare la sorveglianza ed ora stava
aspettando che il curatore della mostra la raggiungesse.
Ichigo
non aveva paura
di essere attaccata improvvisamente. Anche se in quel momento sembrava
essere sola e vulnerabile, sapeva di essere circondata dai
suoi
compagni: Ryo e Retasu erano davanti all’entrata a fingersi
una
coppia di turisti che attende l’apertura del museo; Purin
stazionava sul tetto in compagnia di Mash e da lì, stretta
nel
suo giubbotto in stile Sherlock Holmes, sorvegliava la zona; ed infine
Zakuro e Minto, travestite da operai, erano riuscite ad infiltrarsi
all’interno del museo e, apparentemente impegnare a lucidare
una
statua, in realtà erano pronte ad entrare in azione al
minimo
accenno di pericolo.
Tutti
i ragazzi si
tenevano in contatto fra loro tramite ricetrasmittente; la stessa
Ichigo aveva un auricolare e un piccolo microfono abilmente nascosto
fra i vestiti.
L’attesa
della
giovane fu breve. Pochi minuti dopo le
dodici, infatti, il curatore della mostra si fece avanti nella sala.
Era un ometto basso, sulla cinquantina. Si presentò con
educazione, la salutò con un perfetto francese e la
ringraziò calorosamente per i preziosi consigli che lei gli
aveva dato per allestire la mostra. Dopo di ciò, le propose
di
farne un giro in anteprima.
A
quel punto, ad
Ichigo non rimase che incrociare le dita: non sapeva niente
dell’Arte Rinascimentale in Europa –questo era il
tema
della mostra-, ma fortunatamente, l’unico a parlare durante
la
visita fu il curatore, che le narrò un sacco di noiosi
aneddoti
sull'organizzazione della mostra mentre passeggiava con lei
nell’ala del museo che ospitava le varie opere esposte.
«Ah,
e abbiamo
anche una riproduzione della sua opera d’arte preferita,
guardi!» esclamò ad un certo punto l'uomo,
trascinando
Ichigo davanti ad un grosso quadro stampato con sotto
un’elegante
targa dorata.
"The Birth of Venus - La nascita
di Venere"?
lesse Ichigo un po' confusa. Lei quel quadro non l’aveva mai
visto, ne’ sapeva cosa fosse. Lo stava ancora osservandolo
con
occhio distratto quando il curatore pronunciò
l’inesorabile frase: «Ma che sciocco, finora ho
parlato
soltanto io… ora parli un po’ lei!»
Ichigo
rimase pietrificata.
Finché
si era
trattato di ascoltare o guardare, se l’era cavata bene, ma
discutere d’arte… non era davvero il suo campo!
C’era
una sola cosa che poteva salvarla: «Ryo…
aiuto,» sussurrò disperata al microfono nascosto.
Il
ragazzo biondo, fuori dal museo, stava già componendo il
numero di Cherry dal suo cellulare.
«Hallo,
c'è qualche problema?» rispose pronta la
professoressa,
che era nel sotterraneo del Cafè insieme a Keiichiro.
«Ci
serve un tuo parere sulla Nascita di Venere,»
spiegò Ryo.
«La
Nascita di Venere?!» Cherry sospirò in estasi.
«Oh, io adoro
quel dipinto!» rispose in tono sognante. « La
Venere
è ritratta nuda su una conchiglia che solca la superficie
del
mare,» iniziò, muovendo le mani con molta enfasi,
come per
disegnare la scena che vedeva nella sua mente, «a sinistra
volano
i venti, a destra un’ancella l'aspetta per vestirla.
Nel
prato si scorgono delle violette, simbolo di amore.
L’iconografia
della Venere è deriva dal tema classico della venus pudica,
ma l’opera richiama anche al neoplatonismo, inoltre la Venere
appare fortemente idealizzata, ossia rispetta l’ideale
rinascimentale di bellezza e di perfezione, che trova un suo
corrispettivo in scultura nella statu-»
Ryo
chiuse la chiamata.
«Spiacente
Ichigo, devi cavartela da sola,» mormorò al
trasmettitore.
«Che
cosa?! Da sola?! E come faccio?» esalò la ragazza
dall’altra parte.
Il
curatore non se ne
accorse, stava ancora parlando. «Il suo amico, il direttore
del
Museo, mi ha detto che lei adora questo dipinto, così ne
abbiamo
fatto fare una litografia in scala appositamente per lei in segno di
ringraziamento. Le verrà consegnata come omaggio simbolico
durante l’inaugurazione, professoressa Novak,»
disse.
Ichigo si sforzò di sembrare entusiasta all'idea.
«Bene,
il giro è terminato. Prima di andare, però,
vorrei che
esprimesse per me uno dei suoi famosi giudizi su
quest’opera.»
Ichigo
sbiancò.
«Un…un giudizio su quest’opera
d’arte?»
ripeté. Il curatore annuì, guardandola
interessato.
«Ehm, non è che ci sia molto da dire,»
farfugliò la ragazza, molto imbarazzata.
«Dunque
mi dica!»
Ichigo
prese a sudare
freddo. «Beh… è molto
carina… ha dei bei
colori… una bella cornice…»
Il
curatore scosse la
testa sorridendo. «Professoressa, io mi riferivo a
ciò che
rappresenta quest’opera nella visione complessiva
dell’arte
rinascimentale europea.»
Ichigo
si
sforzò di pensare, toccandosi freneticamente i capelli.
«Beh, è un messaggio molto
chiaro…» ammise
incerta dopo un poco, lanciando occhiate nervose all'opera d'arte.
«C’è… C'è Sailor
Venus che si
trasforma-»
Ichigo
sentì un suono dall’altra parte del trasmettitore,
come se Ryo fosse scoppiato a piangere. [1]
Il
curatore del museo,
invece, era scoppiato in una grossa risata. «Davvero molto,
molto
divertente, professoressa, davvero! Mi avevano parlato della sua
passione per i mahō shōjo [2],
ma non immaginavo che avesse così tanto senso
dell’umorismo!»
Ichigo
si sforzò di ridacchiare con lui.
Ryo
si tolse l’auricolare dall’orecchio e
tirò un sospiro di sollievo.
Retasu
gli si avvicinò ansiosa. «Come sta
Ichigo?» gli chiese.
«Se
l’è cavata,» rispose lui.
“Certo, definire un Botticelli in quel modo…” Ryo
sospirò di
nuovo, cercando di scacciare dalla mente il pensiero del grande artista
rinascimentale che si rivoltava nella tomba.
Ma,
nonostante tutto, il ragazzo stava lottando per trattenere un sorriso.
Si sedette sul primo dei gradoni della grossa scalinata di marmo del
museo e Retasu lo imitò.
«Mi
chiedo se il
nostro piano funzionerà… chi ci assicura che gli
alieni
attaccheranno proprio qui?» gli chiese la ragazza dopo
qualche secondo di silenzio.
«L’hanno vista una volta sola, siamo davvero sicuri
che
siano in grado di rintracciarla così facilmente? N-Non
voglio
offendere nessuno, ma…mi sembra tutto
così
assurdo!»
Ryo
scosse la testa.
«La storia che stiamo vivendo è
assurda,» disse
sinceramente. «Quindi probabilmente gli alieni attaccheranno
qui.»
«Mi
chiedo come andrà a finire,» sospirò
Retasu, abbracciandosi le ginocchia.
Ryo
fece spallucce. «Probabilmente in un modo assurdo,»
scherzò.
Retasu
comprese che aveva detto quelle parole per rassicurarla.
«Grazie…» gli sorrise dolce.
«L’importante
è non perdere mai la fiducia in sé stessi,
Retasu,»
soggiunse il biondo, voltandosi dall’altra parte.
“Non
vuole
guardarmi negli occhi,” osservò tristemente lei in
quel
momento. Poi, la sua ricetrasmittente vibrò nella sua mano.
Retasu la attivò.
«Sì?»
«RAGAZZI!»
l’urlo assordante di Purin quasi la fece gridare dalla
sorpresa.
«C’è un alieno! ALLARME
GENERALE!»
Nello
stesso istante,
molti metri al di sopra del tetto del Museo, Ai galleggiava a braccia
incrociate in compagnia del chimero sfuggito a Mew Zakuro.
«E
quindi
secondo te sarebbe qui dentro?» gli chiese.
L’uccellaccio
annuì e lui sbuffò annoiato. «Bah.
Volevo finire di
leggere Il Ritratto di Dorian Gray oggi, ma quella Kassandra me l'ha
confiscato.» I suoi occhi si
abbassarono sull’edificio sotto di lui. «Dunque,
vediamo… che tipo di chimero potrei creare per eliminare
velocemente un gatto?» rimuginò.
Di colpo sorrise, e poi scomparve.
Ryo
abbassò il binocolo con cui aveva osservato Ai fino a quel
momento.
«Purin
aveva ragione, era uno degli alieni!» disse.
Retasu
deglutì. «O-okay… ma
dov’è andato adesso?»
«Dividiamoci
e
cerchiamolo!» propose Ryo, e prese ad arrampicarsi di corsa
su
per gli scaloni del museo. Si fermò all’ultimo
gradino e
si preparò a superare con la forza la sorveglianza.
«Scusa,
amico, potresti farmi un favore?» gli chiese però
una voce alle sue spalle.
Ryo
si girò indietro di scatto. «Non ho tem-»
«Mi
presti la tua anima?» sorrise maleficamente Ai, portando una
mano al petto del giovane.
Il
curatore del museo
stava ancora parlando ad Ichigo quando lei venne avvertita da Purin
della presenza degli alieni. Inventata una scusa qualsiasi, la ragazza
si congedò e si diresse in fretta verso l’uscita
per
ricongiungersi con le sue compagne.
Però,
c’era un problema…
«Questi
corridoi sono tutti uguali… nyah, DOV’E’
L’USCITAAAH?!»
Ryo
ricadde di schiena
sul marmo dell’ingresso del Museo. Qualcuno lo aveva spinto
via
prima che Ai fosse riuscito a colpirlo, prendendo però il
suo
posto. Il ragazzo si rialzò quasi subito. A terra davanti a
lui,
esanime, c’era…
«RETASU!»
Ryo si chinò terrorizzato su di lei, che nel giro di pochi
secondi era diventata pallidissima, e la prese fra le braccia.
«Maledetto!» gridò all’alieno
di fronte a lui.
Ai
non lo
ascoltò neanche: era impegnato a creare un minuscolo chimero
parassita. «Non guardare me, è stata lei a
mettersi in
mezzo,» mormorò con disappunto, quindi
unì il
chimero all’energia vitale della ragazza. «Spero
almeno che
sia compatibile…Fusion!»
«Professoressa,
si può sapere che cosa sta facendo?!»
Il
curatore del Museo
aveva infine raggiunto Ichigo che, dopo aver rinunciato a cercare
un’uscita, si era liberata dal suo travestimento ed ora stava
tentando di scavalcare una finestra.
Lei
si affrettò
a scendere dal davanzale. «Ehm, io…io posso
spiegare…» miagolò all’uomo,
che però
adesso la guardava stranito.
«Ma…
lei
non è la professoressa Novak…»
balbettò il
curatore, indietreggiando. «Lei
è…»
Un'improvvisa
scossa di terremoto gli fece morire le parole in gola.
Il
museo tremò fino alle fondamenta.
«Che
cosa
succede? No! Le opere!» gridò il curatore,
appoggiandosi
ad una statua traballante, che però lo avrebbe travolto se
Mew
Ichigo non lo avesse tirato via in tempo.
«Vada
via, qui
è in pericolo!» gli disse l'eroina, e senza altri
indugi si lanciò fuori dalla finestra. Atterrò in
piedi
molti metri più in basso, ma quando alzò gli
occhi per
cercare i suoi avversari, quello che vide la fece rimanere a bocca
aperta.
“Ma….
Ma è uno scherzo?!”
Davanti
a lei stava una specie di coso
indefinito alto quasi quanto una casa. Era vivo: la sua pelle lucida
era bianco perla e sembrava fatta di plastica; aveva una coda e quattro
pinne, e continuava a saltellare e ad agitarsi in maniera convulsa. Mew
Ichigo impiegò qualche secondo prima di capire si trattava
di un
gigantesco chimero-pesce.
Frattanto,
qualche metro più in alto, Ai si premeva una mano sul viso,
incapace di guardare.
«Quel
che si
dice un pesce fuor d’acqua…»
mormorò con
frustrazione, mentre il chimero sotto di lui continuava a dimenarsi.
«ANCORA
TU!» lo chiamò dal basso Mew Ichigo.
Ai
le lanciò
un'occhiataccia. «Ah, eccoti, finalmente!» disse.
«Avanti chimero, distruggila!» ordinò
poi.
Al
suono della sua
voce, il chimero smise di muoversi e puntò i suoi due grandi
occhioni blu sull’alieno, fissandolo per molti secondi con
aria
interrogativa.
«Beh,
almeno provaci,» aggiunse lui con un grosso gocciolone sulla
testa.
Per
tutta risposta, il chimero ricominciò ad agitarsi ancora
più forte, in ogni direzione, scuotendo la terra ogni volta
che
ci ricadeva sopra con tutto il suo peso. Gli edifici intorno a lui
presero a ondeggiare, mentre il chimero muoveva convulsamente la coda e
le pinne, distruggendo tutto ciò contro cui sbattevano.
Una
marea di persone
si riversò in strada e iniziò a scappare via, nel
panico.
La cosa continuò finché il chimero non
andò a
sbattere contro un gigantesco palazzo in costruzione e una gru gli
cadde in testa, mettendolo infine K.O. .
Mew
Ichigo lo fissò a bocca aperta. «Ha fatto tutto da
solo,» commentò.
Ai
era senza parole.
Più per sfuggire da quello spettacolo ridicolo che per
altro, si
teletrasportò dalla parte opposta del museo dove, fra le
altre
persone che fuggivano dall'edificio ormai sconvolto da crolli, vi erano
anche Minto e Zakuro. Ai fissò la sua attenzione su di lei.
“Zakuro
Fujiwara?” si disse. “Che cosa ci fa lei
qui?”
Poi
notò l’altra ragazza.
Minto
e Zakuro, capito
che il loro piano era saltato, stavano cercando di raggiungere la loro
compagna in difficoltà. Purtroppo, il chimero gigante aveva
colpito piu’ volte il museo, rendendone la struttura
instabile.
Le due ragazze avevano aiutato le persone ancora all’interno
della struttura ad evacuare ed erano state le ultime a fuggire. Ma
avevano varcato da poco la soglia dell’uscita quando
l’intera parete esterna cominciò a rovinare loro
addosso.
L’istinto
di
Zakuro le permise di sfuggire al crollo con un lungo salto, ma Minto
non fu così agile: sotto gli occhi della sua compagna, la
ragazza stava per essere schiacciata dal muro ma, all’ultimo
momento, scomparve nel nulla.
Troppo
disperata per
pensare lucidamente, Minto avvertì una sensazione sgradevole
seguita dal rumore di un risucchio e si chiese quello fosse
ciò
che si prova quando si muore.
Sentì
in
lontananza il rumore del crollo e delle grida, ma era così
spaventata che continuò a tenere gli occhi serrati. Tremava, e trascorsero molti secondi prima che riuscisse a tornare a respirare normalmente. Presto, la ragazza si accorse che i suoi piedi non stavano toccando terra: qualcuno la stava sorreggendo e, chiunque fosse, aveva una presa forte e un odore familiare.
Quando
Minto aprì gli occhi si ritrovò fra le braccia di
Ai. Arrossì
con violenza tale da sembrare una pentola a pressione che sta per
esplodere, ma l'alieno non la degnò neanche di uno sguardo: la posò a terra e poi si teletrasportò via lasciandola lì,
rigida e accaldata come
una statua di ghiaccio rovente. La ballerina si portò una mano
al
petto per cercare di calmare i battiti convulsi del suo cuore.
L’aveva
salvata…perché? si chiese.
Non rimase a ragionarci su molto: quello non era il momento adatto.
Ai l'aveva
teletrasportata in un vicolo distante alcune centinaia di metri
dal Museo. Rimasta sola, la ragazza si trasformò e
tornò
rapidamente nella zona
rossa,
dalle sue compagne, che nel frattempo si erano raggruppate nello
spiazzale di fronte all’ormai ex-Museo Nazionale per
osservare il
chimero che, ripresosi, aveva ricominciato a dimenarsi.
Mew
Zakuro la
guardò sconvolta. Aveva visto Minto scomparire prima di
essere
schiacciata viva, ma non aveva capito cosa fosse successo e le si
leggeva in viso la voglia di avere spiegazioni plausibili a riguardo.
«Che
cosa sta succedendo? Cos’è quel
chimero?» domandò Mew Mint, evitando
l’argomento.
«Stiamo
cercando di capirlo anche noi,» rispose Mew Zakuro.
«Eppure
ha
qualcosa di familiare,» osservò Mew Pudding.
«A
proposito, dov’è finita Mew Lettuce?»
Mew
Ichigo scosse la
testa per scacciare la sua indecisione e assunse una posa convinta.
«D’accordo, non è importante. Dobbiamo
fermarlo
prima che faccia del male a qualcuno,» esclamò.
Saltò sulla cima di una enorme fontana decorativa
lì
vicino e la usò per raggiungere con un secondo salto la
facciona
paffuta del chimero. Si aggrappò con una mano ad un ciuffo
di
grosse sopracciglia per non cadere.
«Ehi,
sono io quella che vuoi, no?!» gli gridò.
«Avanti, prova a colpirmi se ci riesci!»
In
risposta a quella provocazione, il chimero ruggì e
cominciò a saltellare e a muovere la testa. Non stava
cercando di liberarsi, era come se fosse...felice di vedere Mew Ichigo.
«W-Whoa! E-Ehi, c-calma-tiiii!!»
protestò però la ragazza gatto, sballottata qua e
là.
«Proviamo
ad
attaccarlo!» propose Mew Pudding da terra, e
lanciò contro
il corpo del chimero il suo attacco speciale, seguita dalle sue
compagne.
Ma
il colpo combinato
venne assorbito dalla pelle elastica del mostro, che compì
una
trasformazione, diventando ancora più grande. Ormai, la sua
altezza era superava i dieci metri.
Mew
Ichigo si
staccò dal mostro. «Non funziona!»
constatò,
tornando dalle sue compagne. «Che si fa?»
«Ragazze!»
chiamò una voce alle loro spalle. Ryo le raggiunse di corsa.
Il
biondo stringeva fra le braccia il corpo cadaverico di Retasu. Alla sua
vista, le Mew Mew sbiancarono.
«E’
RETASU!» gridò Ryo, prima che potessero aprire
bocca.
«Ragazze, quel chimero è Retasu!»
«C-CHE
COSA?!?! QUEL COSO E' RETASU?!?!»
«Quel
chimero
è Retasu!» confermò Keiichiro dal
sotterraneo del
Cafè Mew Mew, parlando tramite ricetrasmittente. Stava seguendo lo
scontro via computer tramite Mash, ed era visibilmente scioccato.
«E’ immune ai poteri mew mew perché lei
stessa lo
è! Anzi, ogni volta che la colpite non fate altro che
potenziarla sempre di più!»
In
quel momento, Cherry fece capolino dalla porta: «Qu’est-ce que,
Keiichiro?» chiese preoccupata, entrando nella stanza con in
mano
due tazze di tè alla rosa. Poi notò le immagini
del
chimero sul monitor. «Oh, che splendido esemplare, mi ricorda
una
di quelle opere post-futuristiche che-» si interruppe
incrociando
lo sguardo di Keiichiro. «…non è il
momento adatto,
vero?»
Lui
si infilò gli occhiali e prese a smanettare su un secondo
computer: «Perdonami chérie,
decisamente no.»
Kassandra
si
materializzò al fianco di Ai. Lanciò uno sguardo
alle
macerie del museo, poi al gruppo di mew mew ed infine al chimero
strambo.
«Ero
venuta qui per divertirmi un po’ ma onestamente mi sento
così depressa adesso,[3]»
ammise con rassegnazione.
Ai
arrossì di
vergogna. «Dove eri finita?» replicò
sulla difensiva. «Uh, e dov’è il tuo
schiavetto?»
«L’ho
lasciato alla villa perché credevo che non avresti avuto
difficoltà a svolgere un compito così dannatamente
semplice. Ma d’altro canto, come dicono i
terrestri…. se
vuoi una cosa fatta bene, devi farla da te,»
spiegò
Kassandra, dirigendosi verso il chimero.
«Ehi!
Che cosa vuoi fare?» le gridò dietro Ai.
«Ora
ti faccio vedere io come si crea un chimero degno di questo nome,
plebeo.»
Quando
l’aliena
fu di fronte al chimero, estrasse dalla scollatura della camicetta a
pois che indossava il suo ciondolo a forma di croce e lo rivolse contro
di lui. «Sapphire
Dark Light,» mormorò, e dal ciondolo
partì un grosso raggio bluastro che colpì in
pieno il mostro.
«RETASU!»
gridò Mew Ichigo dal basso mentre il chimero lanciava un
ruggito sofferente.
Il
corpo
dell’essere cominciò a brillare di luce propria e
le
ragazze furono presto costrette a coprirsi gli occhi con le braccia per
non rimanere accecate. Ci fu uno spostamento d’aria
fortissimo, che sollevò una nuvola di polvere e detriti e
rischiò di scaraventarle via.
Ryo
si
inginocchiò a terra e strinse a sè il corpo di
Retasu nel
tentativo di proteggerlo, ma quello si dissolse fra le sue braccia,
lasciandolo sbalordito.
La
luce accecante
durò solo qualche secondo; nonostante la polvere che
impediva la
vista, quando le mew mew riuscirono finalmente a riaprire gli occhi
videro chiaramente che il chimero stava diventando sempre
più
piccolo. Infine, quando raggiunse le dimensioni di un corpo umano, la
trasformazione cessò.
La
luce scomparve del
tutto, lasciando il posto ad un essere seminascosto dalla nuvola di
polvere grigia, che poggiava i piedi su una enorme conchiglia.
La
sua silouhette era
identica a quella di Mew Lettuce; non appena si fu stabilizzato del
tutto, mise il piede a terra ed iniziò a muovere qualche
passo
nella direzione delle Mew Mew.
Il
rumore ritmico dei tacchi dei suoi stivali riecheggiò
nell’aria fumosa.
«Re...Re...Retasu...?»
mugolò Mew Ichigo, a bocca aperta.
Quando
l’essere riemerse dalla polvere, avanzando lentamente verso
di loro, le ragazze capirono che quella non poteva essere
la loro compagna.
L’uniforme
che
indossava, uguale a quella di Mew Lettuce, era di un’orribile
tonalità verde palude ed era stracciata in più
punti. Le
iridi dei suoi occhi erano spente, ed i capelli scuri erano spettinati
e quasi neri.
Kassandra,
che stava ancora galleggiando in aria accanto ad Ai, afferrò
quest’ultimo per un braccio. «Quella
è
una mew mew!» gli gridò addosso. «Non
dirmi
che… Hai usato l'energia vitale di una mew mew per creare un
chimero?!»
Prima
che Ai potesse
risponderle, la principessa aliena lanciò un grido di gioia
e
gli saltò addosso, stampandogli a sorpresa un bacio sulla
guancia. «Finalmente hai fatto una cosa
intelligente!»
ruggì trionfante, poi in un attimo si
materializzò
davanti alla Mew Lettuce oscura, che si fermò.
Kassandra
indicò il gruppetto di guerriere a poca distanza da loro.
«Prestami attenzione, schiava! Vedi quelle? Sono le tue
nemiche.
Ti ordino di distruggerle immediatamente!» le
intimò.
Per
tutta risposta,
Dark Mew Lettuce sollevò confusa gli occhi verso le sue
compagne, che ricambiarono con degli sguardi tesi. Trascorsero alcuni
istanti, poi il corpo della ragazza prese a tremare ed il suo respiro
si fece
affannato. Era come se stesse
lottando contro qualcosa: si portò i
pugni alla testa e strinse forte, artigliando i capelli.
Lanciò un urlo di dolore straziante.
«R-RETASU!»
gridò Mew Ichigo, iniziando a correre d’istinto
verso di
lei. Mew Zakuro e Ryo la trattennero.
Dark
Mew Lettuce cadde
a terra in ginocchio, nascondendosi il viso fra le mani per soffocare
un lamento che però, ben presto, si trasformò in
quella
che era senza dubbio una risatina.
Kassandra,
che non
capiva cosa stava succedendo, materializzò fra le mani un
ventaglio, lo richiuse e ne usò la punta per tastare il
braccio
dell’ormai ex-Mew Mew. «Um,»
provò, incerta,
«schiava?»
La
reazione fu
così immediata che Kassandra sobbalzò
all’indietro
spaventata: rizzata la schiena in modo quasi ridicolo, Dark Mew Lettuce
lasciò ricadere le mani lungo i fianchi e, sollevata la
testa,
scoppiò in una risata fortissima.
Kassandra
aprì il ventaglio e lo usò per nascondere parte
del viso dietro di esso.
«Credo
che sia
impazzita,» ammise Ai, comparendole accanto.
«Dopotutto,
credo che non fosse compatibile.»
Kassandra
richiuse il ventaglio e glielo diede in testa con violenza.
«Ouch!»
si lamentò l’alieno.
«E’
tutta colpa tua!» iniziò a strillare la
principessa. «Dopo questa, ti farò decapitare per davvero!
E tu, ameba fuori moda, cos’hai da guardare? Se hai un
briciolo
di cervello, esegui l’ordine che ti ho dato e uccidi quelle
lagne
viventi!»
Dark
Mew Lettuce aveva
smesso di ridere e si era rialzata in piedi. Adesso, stava studiando
con attenzione i movimenti di Kassandra, che parve decisamente
infastidita dalla cosa.
Infine,
l’ex-Mew
Mew inclinò la testa di lato e le sorrise sinistramente.
«No, non penso che lo farò,» rispose.
Kassandra
rimase di
stucco. Dark Mew Lettuce prese ad avvicinarsi a lei, che
iniziò
ad indietreggiare saltellando come un pulcino.
Spaventata,
l’aliena lanciò un’occhiata
supplichevole ad Ai, ma
lui era attualmente impegnato a massaggiarsi la testa, fissando con
aria indagatoria il gruppetto di sconvolte mew mew, che di colpo
sembravano essere diventate, per lui, stranamente interessanti.
Fu
un attimo: Dark Mew Lettuce raggiunse Kassandra e le strappò
con un colpo secco la croce dal collo.
«Le
chiedo perdono, Mia
Signora, ma questo lo prendo io,»
sogghignò.
«E-Ehi!
Come osi!» strillò Kassandra.
«Ora
che
finalmente sono libera, ho davvero voglia di divertirmi un
po’!» spiegò Dark Mew Lettuce facendo
spallucce.
«Retasu!
Che cosa stai dicendo?!»
Mew
Ichigo, liberatasi
dalla presa di Mew Zakuro e Ryo, prese a correre febbrilmente verso la
sua ex compagna ma, prima che potesse raggiungerla, lei si era
già teletrasportata via.
«Ferma!
Dove
vai?!» strillò Kassandra. «Plebeo, non
possiamo
lasciarla fuggire così, dobbiamo riprenderla!»
disse ad
Ai, quindi si sollevò in volo e svanì.
Lui,
dal canto suo,
curvò le labbra in un mezzo sorriso mentre fissava Mew
Zakuro
con l’aria del gatto che ha mangiato il topo.
Lei
se ne accorse. «Cos’hai da guardare?» gli
domandò bruscamente.
«Ora sono di
fretta, ma te lo dirò la prossima volta, Mew Zakuro…
beh, ci si rivede,» disse, e si preparò a
teletrasportarsi via.
«Aspetta!»
«Uh...?»
Ai abbassò gli occhi sulla mew mew che l’aveva
chiamato. «Che vuoi, mew blu?»
«Ehm….»
mugolò un’imbarazzata Mew Mint, mentre anche le
sue
compagne prendevano a lanciarle occhiate confuse. “Sei
davvero un genio, Minto. Ed ora che cosa gli dici?” furono le
uniche frasi che il suo cervello riuscì a razionalizzare in
quel
momento. «Io…
Io…» tentò la ragazza. Alla fine,
essendo a corto
di opzioni, strinse i pugni e chiuse gli occhi:
«Io…io te
la farò pagare per quello che hai fatto alla nostra amica,
alieno!» esclamò, cercando di sembrare determinata.
Ai
inarcò un sopracciglio. «Tu devi avere qualche
rotella fuori posto,» osservò, e poi scomparve.
Mew
Mint sospirò, sentendosi una perfetta idiota.
«Che…che
cosa si fa adesso?» chiese alle sue compagne.
«Ma
che domande fai?!» saltò su una preoccupatissima
Mew Ichigo. «Dobbiamo trovare Retasu!»
«Ma
come
facciamo a trovarla?» domandò Mew Pudding,
preoccupatissima. «Potrebbe essere dappertutto!»
«Temo
che ci
basterà seguire la scia di danni…»
sospirò
Mew Zakuro mentre rumori di urla, clacson, scontri,
esplosioni ed altri disastri in lontananza giungevano alle loro
orecchie.
+++
Note:
[1]
Never forget che nella versione originale del capitolo si parlava della Creazione di Michelangelo che Ichigo definiva come “due gay che si
toccano” D:
[2] I
manga e gli anime majokko obviously
[3]
Non
ho resistito.
|
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Capitolo 23 *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.1) ***
23
11/10/2014: M-Ma
perché anni fa, nel rispondere alle recensioni, scrivevo come una
ritardata? *piange* *cancella* *lancia il monitor giù dal
balcone*
…
…
*va a riprendere monitor*
Ho commissionato ad una mia amica illustratrice una lineart di Ally e mi sono
innamorata del risultato. Lei è davvero bravissima! Se vi
va, date un’occhiata ai suoi lavori [qui]!
Quanto allo scienziato alieno di questa fanfic, nella prima stesura ero
impegnata a incasinarmi con la trama e ho finito per trascurarlo.
Cercherò di coccolarlo un
po’ di più.
Questo è lo
schizzo di prova/anteprima. La lineart in HQ è [QUI].
- Capitolo 22: L'Ordine di Ra-Hu
-
Quella
notte, Imago non riuscì a dormire per nulla bene.
Crollò
poco prima dell’alba, senza nemmeno togliersi gli abiti
del giorno prima. Fece un incubo pazzesco che però
dimenticò non appena aprì gli occhi di scatto. Si
risvegliò nella stessa posizione in cui si era addormentata,
abbracciata a Kisshu.
Fu solo per questo motivo che riuscì a calmarsi e
a regolarizzare il suo respiro affannato così rapidamente.
Si
accoccolò contro di lui, che riposava tranquillo, fino a che
non
si fu ripresa del tutto. Sollevò appena la testa per
guardarlo.
Lui era così dolce quando dormiva...gli carezzò
una
guancia, ma non riuscì a sorridere: era ancora troppo scossa
dalla notizia della morte di sua sorella.
Sfiorò le labbra di Kisshu nel bacio più delicato
e leggero possibile, poi si mosse piano per alzarsi.
Ci riuscì a fatica. Aveva uno strano dolore alla testa, come
un peso. D'istinto, si
dette un pugno su una tempia sperando di farselo passare ma,
naturalmente, l’unica cosa che ottenne fu un dolore ancora
più intenso.
«Ahia,» gemette, e si diede mentalmente della
stupida.
Si stava ancora massaggiando la testa quando le sembrò di
sentire una risatina alle sue spalle.
Imago si voltò indietro di colpo verso il punto da cui aveva
sentito
provenire la voce, ma non vide nessuno. Kisshu, ancora addormentato, si
rigirò sul suo giaciglio.
L'aliena era sicura che loro due fossero soli nella stanza, eppure
avvertiva distintamente anche un’altra presenza accanto a
lei.
Angosciata, Imago si portò entrambe le mani al cuore, che
aveva iniziato a martellarle nel petto. Si ricordò che a
pochi
passi da lei Chris aveva posizionato un grosso specchio olografico.
Raccolto tutto il suo coraggio, provò allora a sollevare
piano
la testa per guardarne il riflesso, ma una fitta al cuore le fece
crollare le gambe. Non cadde mai a terra, perché Kisshu
riuscì a prenderla prima che potesse farlo.
«Che succede?» le chiese lui, spaventato.
Imago arrossì pesantemente. «Ehm… ben
svegliato,» disse imbarazzata.
La sensazione sgradevole che aveva provato era improvvisamente del
tutto scomparsa.
«Dolcezza, tutto… tutto bene?»
domandò Kisshu.
La ragazza aliena si affrettò ad annuire energicamente.
«Ma sì, certo!» disse, e si rimise in
piedi.
«Scusami, è stato solo un mancamento. Sai, non
è
che quella di stanotte sia stata una delle mie notti migliori, per
cui…» lasciò cadere il resto della
frase.
«Comunque grazie per tutto,» mormorò
poi, accennando
un sorriso lieve. Lo baciò di nuovo a fior di labbra, ma lui
rimase immobile, scrutando i suoi movimenti come se avesse paura che
potesse cadere svenuta a terra da un momento all’altro.
«Su, non guardarmi così! Non sto mica per
morire!» esclamò allora Imago.
Kisshu non sapeva cosa dirle. Lei ebbe come l’impressione che
potesse leggerle nel pensiero, e che sentisse anche lui quello che
sentiva lei. Quello stesso presentimento. Imago pregò che
fosse
solo una suggestione che le avevano causato le parole di Kell.
L’aliena abbracciò il suo compagno, stringendolo
forte.
«Io non sto per morire,» ripeté, ma non
ne era
molto convinta.
**
«Sono ore che è là dentro,»
osservò
Chris con voce angosciata. I suoi occhi erano fissi sulla porta della
stanza di Kell, desolatamente chiusa.
La sua mano stringeva quella di Pai, che era accanto a lei, in un gesto
nervoso. Il
giorno era ormai iniziato da un pezzo, ma Kell non era ancora uscito
dalla quella stanza. Era completamente isolata dal resto della casa,
per cui nessuno sapeva realmente cosa stesse facendo lì
dentro.
«Mi preoccupa davvero…pensi che si comporti
così
perché é arrabbiato con me?» chiese a
Pai,
che socchiuse le sue iridi scure.
«Te l’ho detto, è da quando sei andata
via che si
è buttato nel lavoro in questo modo,»
spiegò lui con calma.
«Oh, ma questo è normale, mio figlio è
un
genio!» si intromise la signora Kell, sbucando a gran passi
nell’andito. Reggeva fra le mani una cesta piena di vestiti
puliti ed aveva un’aria stranamente allegra. «Un
tempo, il
nostro popolo era uno dei più avanzati dell’intero
universo. Poi, quando siamo stati costretti a migrare su questo
pianeta, tutte le nostre conoscenze sono andate perdute. Oggi, sono
passati millenni e siamo così arretrati! Però,
grazie a
persone come mio figlio, presto torneremo ad ottenere una conoscenza
assoluta!» esclamò orgogliosa senza smettere di
camminare,
oltrepassando i due ragazzi. Poi scomparve dietro l’angolo
canticchiando.
«Almeno lei sembra contenta,» osservò
Pai con un grosso gocciolone sulla testa.
«Non capisco come faccia,» ammise invece Chris,
pensierosa.
**
Pochi minuti dopo, nella stanza principale della casa, Imago prese le
mani di Chris fra le sue e le sorrise. «Allora, come ti senti
amica mia? Ti sei ripresa dal viaggio? Ieri non ci hai detto nulla, ma
io sono curiosa di sapere com’è andata. Dai,
racconta! Hai
pestato qualche bandito? Hai incontrato qualche tipo
interessante?» chiese con il suo solito tono vivace, anche se
un
po’ più incrinato del normale.
Ma questo era già un miracolo, perché poco prima
Chris e
Pai, entrando nella stanza, l’avevano trovata che accasciata
contro il petto di Kisshu. Aveva un’espressione stanca e
vuota.
Kisshu le carezzava piano i capelli e continuava a parlarle, nel
tentativo di tirarle su il morale.
Quando però Imago si era accorta della presenza dei due
amici,
si era sforzata di tornare in lei e di sembrare normale. Chris e Pai
avevano deciso di far finta di non averlo notato.
Di fronte alle domande di Imago Chris scosse la testa, abbozzando un
sorrisino. «No, no,» rispose.
«E’ stato un viaggio
tranquillo, ma i tipi del laboratorio in cui sono stata erano un
po’ strani. Avevano una strana premura di farmi andare via da
lì, come se nascondessero qualcosa. E poi mi hanno fatto
così tante raccomandazioni riguardo a
quell’oggetto…non avevo idea che fosse
così
prezioso.» Sospirò, inquieta. «Ragazzi,
io ho paura
per Ally… quei suoi amici scienziati non mi piacevano
neanche un
po’, e lui si sta comportando in modo davvero troppo
strano.»
«Credi che ci sia qualcosa sotto?» le
domandò Kisshu.
«Non lo so. Vorrei saperlo.»
«E se provassimo ad indagare?» propose Imago. Prima
che
qualcuno potesse risponderle, aggiunse, con una strana eccitazione:
«Sgattaioliamo nella sua stanza e scopriamo che cosa fa. Che
ne
dite?»
Pai e Kisshu le rivolsero un’occhiata incredula.
«Mi hai tolto le parole di bocca, ragazza!»
esclamò invece entusiasta Chris.
«Mi dispiace, ma non posso permettervelo,»
dichiarò Pai.
«Ma… Ma perché?»
«Non vogliamo fare nulla di male. Vogliamo solo dare
un’occhiata al suo lavoro!»
«Pai ha ragione,» ammise Kisshu.
«Lunatico
com’è, quel tipo potrebbe prenderla molto male se vi
scoprisse.»
«Ma è per il suo bene,»
protestò Chris.
«Se c’è qualcosa che lo preoccupa,
è nostro
dovere scoprire cos’è e
aiutarlo,» aggiunse
Imago.
«Non fate le bambine,» sbottò Pai.
«Se fosse
qualcosa per cui possiamo aiutare, ce lo avrebbe dett-»
«Buon giorno,» salutò in quel momento
Kell, facendo
il suo ingresso nella stanza. Indossava il suo camice stropicciato e un
paio di lenti la lavoro, che teneva sollevate sopra la testa. Si
strofinò gli occhi affaticati e si diresse automaticamente
verso
la parte opposta della grossa camera.
«E’ il momento di entrare in azione!»
sussurrò
Chris, e trascinò via in tutta fretta Imago per un braccio.
«No, ferme! Non-»
«Pai, dove stanno andando quelle due?» chiese Kell
con sospetto, dando le spalle al tavolo su cui sua madre gli aveva
lasciato la colazione.
Pai non era sicuro di potergli mentire: nonostante tutto, si fidava
ancora di lui.
«A cercare Taruto per convincerlo a fare pace con tua
sorella,» si intromise Kisshu, rispondendo con aria
indifferente.
«Simpatiche, vero?»
Lo scienziato si ficcò in bocca una pasta addolcita e ne
masticò un boccone. «Come la morte,»
sussurrò con aria infastidita, senza sospettare nulla.
**
Chris fece scattare l’apertura della porta della camera di
Kell.
«Ha cambiato il codice di apertura,» disse a bassa
voce ad
Imago mentre entravano. «Ma io sono stata con lui una vita
intera, ormai conosco il modo con cui sceglie i suoi codici.»
La camera di Kell era buia e molto disordinata. Vi erano
dappertutto strumenti, papiri e schermi che mostravano calcoli e
progetti di vario tipo, ma l’attenzione di Imago fu attratta
subito da un oggetto dorato.
«E questo cos’è? Una croce?»
chiese l'aliena,
allungando la mano verso la Chiave poggiata sul piano di lavoro di
Kell.
«Non la toccare!»
Chris le schiaffeggiò il braccio con un gesto brusco.
«Non
dobbiamo toccare niente! Discrezione, principessa!»
«Hai ragione,» si scusò Imago.
«Ma
quest’oggetto è strano… mi ricorda
qualcosa.»
«Forse il tuo ciondolo?»
Istintivamente, Imago sollevò il polso destro: la manica
della
sua maglia si abbassò, rivelando il suo strano braccialetto.
La pietra preziosa incastonata nella croce ansata del ciondolo brillò
sinistramente alla luce dei monitor di Kell.
«Su, basta perdere tempo, dobbiamo sbrigarci,» la
richiamò Chris, nervosa. «Vedi qualcosa di strano
o
pericoloso?»
Imago lanciò un’occhiata in giro, spaesata. Vide
piani di
astronavi, grafici di traiettorie, analisi complesse di strumentazioni
che lei non sapeva neanche esistessero. «Niente che io riesca
a
capire… quello che fa Alan sembra così
complicato…»
In quel momento, Chris lanciò un piccolo strillo.
«Oh, no, lo sapevo! Lo sapevo che era questo!»
Imago sobbalzò, e si girò di scatto verso
l’amica:
alla faccia della discrezione! A parte l’urlo, solo qualche
secondo prima Chris le aveva detto di non toccare niente…che
ci
faceva lei ora seduta davanti allo schermo sferico di Kell?!
«E-Ehi, che cosa stai facendo, Chris? Se consulti il suo
computer, lui se ne accorgerà di cer-»
«Guarda!» la interruppe Chris con aria sconvolta,
indicando
sullo schermo del terminale il documento che aveva aperto.
Imago gli rivolse uno sguardo incerto. «Sembra un diario
personale,» disse dopo qualche secondo. «Che
significa?»
«Che Ally è nei guai,»
singhiozzò Chris,
selezionando e ingrandendo solo alcuni dei punti di quel documento.
«Guai
grossi…leggi!»
Imago corrucciò la fronte, chinandosi verso la luce dello
schermo e concentrandosi sulle frasi evidenziate da Chris, che a quanto
pareva Kell aveva scritto di suo pugno. Erano tutte anticipate da una
data, e la piu' recente risaliva a quella notte.
Lui aveva una grafia davvero brutta, per cui l’aliena
fece molta fatica per capire cosa aveva scritto, e ad ogni modo alcune
parole le sfuggirono.
/*
Dopo secoli di ricerche, finalmente abbiamo ritrovato la
Chiave…essa è la Croce di oricalco,
può condurci
alla soluzione ma nessuno sa in che modo. I fratelli
dell’Ordine
si fidano ciecamente di me e me l’hanno affidata, eppure non
sono
riuscito ancora a trovare un modo… Le mie conoscenze
sembrano
essere inutili, è in momenti come questi che non mi
considero
degno… *
/* Seguendo le
indicazioni del Maestro, ho spedito la Chiave dai
fratelli dell’Ordine di Orion, sperando che riuscissero dove
io
ho fallito, ma comincio a dubitare che quell’oggetto
tornerà mai fra le mie mani, poiché … *
/* Mi avvicino alla
soluzione! Ho trovato un’antica scritta
all’interno della sfera centrale della Chiave. Secondo i miei
studi, indica il modo per maneggiarla in sicurezza. Purtroppo, suddetta
scritta sembra non avere alcun senso, non trovo riscontri in alcuna
parte delle antiche profezie o in qualsiasi altra cosa. Il tempo
stringe, continuano a ripetermi dall’Ordine di
Ra-Hu… *
«L’ordine di
Ra-Hu?»”
ripeté Imago.
«Che cosa è?»
Chris non rispose.
Imago socchiuse gli occhi: aveva un altro dei suoi pessimi
presentimenti. Solo in quel momento, abbassando la testa,
notò
che ai piedi del monitor c’erano decine di stampe cartacee
che
riportavano tutte una stessa figura:
La ragazza ne raccolse una a caso e si concentrò su di essa,
cercando inutilmente di dare un senso a quello che leggeva.
«Un’antica scritta all’interno della
sfera
centrale…si riferisce a questa? Ma è un'immagine
ingrandita di quella croce! Aspetta… allora
quell’oggetto
a forma di croce è una chiave? Ma chiave di cosa? Non ci
capisco
niente!»
«Io lo so che cosa vuol dire,» ammise Chris, con
l’aria di chi è appena venuto a sapere che il suo
più caro amico è morto. «Prendiamo una
di queste
stampe, ce ne sono così tante…. non credo che lui
se ne
accorgerà. Potrebbe servirci, poi ti spiego. Ora andiamo,
prima
che ritorni…» mormorò e poi si
avviò verso
l’uscita della camera, seguita da una sempre più
confusa
Imago.
+++
Note:
Never forget che
questo
capitolo è così corto perché nel
mentre mi
scervellavo su come impostare la dannatissima seconda profezia. D:
|
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Capitolo 24 *** Il fan n°1 di Zakuro ***
22
10/10/2014: Dopo
questo capitolo inizia il
casino. Da una parte sono felice di poter finalmente
sistemare come si deve il
casino, dall'altra invece la mia mente sfaticata continua
a ripetermi nopenopenopenopenope.
Sto passando un periodo di forte stress e dedicarmi alla fanfic
è davvero una delle poche cose che mi aiutano a rilassarmi.
Fra le poche correzioni che ho fatto qui, ho battuto un po' piu' sui
poteri sgravatissimi di dark!Retasu che ad un certo punto
ammetterà proprio a parole di essere una Dea (essendo
l'antiRetasu, la modestia non è il suo forte).
Ad ogni modo qui c'è Hiroyuki-san. Questi disegni li ha
fatti Jinny (Jinebura)
chan. Li adoro! Qui Hiroyuki è in stile molto terrestre, ma
non mi dispiace per nulla.
- Capitolo 23: Il fan n°1
di Zakuro
-
Retasu
varcò la
porta d’ingresso di casa sua come se niente fosse.
Ma, anche
se aveva sciolto la trasformazione ed era tornata normale, tutto in lei
era cambiato.
Si
tolse le scarpe
canticchiando, poi gettò in un angolo la sua borsetta.
C’era un lungo specchio rettangolare lì
all’ingresso: Retasu rimase incantata lì davanti
per
parecchi minuti a contemplare il suo riflesso. Non l’aveva
mai
fatto prima, o perlomeno non così a lungo. Si tolse gli
occhiali
e li lasciò cadere a terra; poi poggiò due dita
davanti
agli occhi e usò i suoi poteri per curare la sua miopia. Si
sfiorò il viso, si aggiustò i capelli e poi
studiò
con una smorfia insoddisfatta i vestiti che stava indossando.
“Questi
vanno cambiati,” pensò, sollevandosi la lunga
gonna gialla a varie altezze per fare delle prove.
I
suoi pensieri
vennero interrotti dalle voci concitate dei suoi genitori. Retasu
alzò gli occhi al cielo: possibile che quei due non
riuscissero
proprio a fare a meno di litigare?
Sospirando,
la ragazza
si staccò dallo specchio e si diresse verso il soggiorno, da
cui
provenivano le voci. Dalla soglia della stanza scorse suo padre che,
rosso di collera, aveva appena messo le mani addosso a sua madre e le
stava sbraitando addosso qualcosa.
Lei
continuava a gridare fra le lacrime: «Lasciami! Lasciami o ne
parlerò col mio avvocato!»
«Tu
non lo farai,» le intimò lui minaccioso.
«Altrimenti io-»
L’uomo
non
riuscì a concludere la frase perché, un secondo
dopo, si
ritrovò ad essere scaraventato contro la finestra da una
forza
inumana. La sfondò e volo giù. Retasu abitava al
secondo
piano, per cui il tonfo del corpo che toccava terra non
tardò a
farsi sentire. Dalla strada provenne un urlo femminile terrorizzato,
seguito da molte altre voci.
«Mio
Dio!»
«Che gli
è successo? E’ morto?»
«Chiamate
un’ambulanza!»
La
madre di Retasu si
portò le mani alla bocca, sconvolta. Lei, che si era
limitata ad
evocare i suoi nuovi poteri con un gesto della mano, senza muoversi
dalla soglia, le sorrise in risposta.
«Scusami
mamma,» le disse, «ma oggi non resto per pranzo.
Ora mi
metto addosso qualcosa di decente e poi vado a fare un giro.
Ciao!»
**
Kassandra
svolazzava
senza meta nel cielo di Tokyo. Guardava con un misto di preoccupazione
e speranza verso il basso, come se si stesse aspettando che da un
momento all’altro l’oggetto della sua ricerca le
venisse
incontro sorridendo.
Ai
le teneva dietro,
ma non sembrava darle molta attenzione. «Mew Mew
Zakuro,» continuava infatti a ripetere pensieroso, e quando
Kassandra lo notò, il suo bel viso divenne scuro.
«Mew
Zakuro…Zakuro…Zakuro Fuji-»
«PLEBEO!
MI VUOI AIUTARE A CERCARE LA MEW CHIMERO O NO?!»
Lo
strillo di
Kassandra fu così improvviso e insopportabile che Ai si
fermò a mezz’aria e si coprì
d’istinto le
orecchie con le mani. «Non urlare così,
dannazione!»
replicò innervosito. «E poi che fretta
c’è?
Prima o poi ci capiterà davanti e allora la
cattureremo,»
sbuffò.
«Tu
non capisci!» gli disse isterica Kassandra. «Quel
mostro ha rubato il mio ciondolo!»
Ai
incrociò le braccia al petto. «E allora?»
«E
allora adesso Hiroyuki verrà a cercarmi!»
«Hiroyuki?
Che vuoi dire?»
Kassandra
aprì
la bocca per rispondergli, ma qualcosa sembrò trattenerla
dal
raccontare al suo subordinato tutta la storia. «Lascia
perdere, non
è questo l’importante,» disse alla fine.
«Ascolta plebeo, solo io sono in grado di controllare il
potere
di quella croce. Presto, contaminerà quella matta e non ho
idea
di cosa potrebbe succedere a quel punto. Per quel che ne so,
metà del pianeta potrebbe saltare in aria!»
spiegò
tutto d’un fiato.
Ai
inclinò la testa di lato, poco convinto. «Quel
ciondolo è davvero così potente?»
«Sì…»
Kassandra si nascose il viso tra le mani e iniziò a
piangere.
«Io non voglio morire così! Rivoglio il mio
ciondolo!» si lamentò in tono infantile.
«Aiutami,
per favore!»
Di
fronte a quella
scena, Ai assunse un’espressione leggermente dispiaciuta.
«Capisco,» annuì, mentre
Kassandra continuava
a lagnarsi. «No, non fare così mia dolce
principessa,
vedere in lacrime una splendida creatura come te mi spezza il cuore. Ti
aiuterò a ritrovare il tuo ciondolo,» le promise
consolante, accarezzandole i capelli.
A
quel punto
l’aliena, incredula, smise di fingere di singhiozzare e
sollevò la testa verso il compagno.
«Davvero?»
chiese sospettosa.
«Ovviamente
no,» rispose Ai. «Ho altro da fare oggi. Buona
fortuna!» disse, e si teletrasportò via.
Kassandra
rimase a
bocca aperta. «No aspetta! Plebeo!» lo
chiamò,
asciugandosi in fretta le finte lacrime. «Maledetto! Torna
subito
qui! Brucerò tutti i tuoi stupidi libri! Ti farò
torturare! Ti farò torturare tantissimo! E non
scherzo! Mi hai sentita?!»
**
Ryo
entrò nella sua camera sbattendo la
porta.«Accidenti!» disse al vuoto.
Era
ritornato sfinito al Cafè Mew Mew dopo ore di disperate
ricerche per le strade di Tokyo sotto forma del gatto Art.
Il ragazzo si sentiva terribilmente in colpa per quello che era
successo quella mattina a Retasu: lei ora si trovava in quella
situazione perché lui era stato così stupido da
abbassare
la guardia.
Non
riusciva a
perdonarsi per questo. Furioso, raggiunse la scrivania e per sfogarsi
scaraventò a terra tutto ciò che vi era sopra,
lampade,
fogli, attrezzi elettronici, tutto. Vi poggiò poi le mani e
chinò la testa, cercando di calmarsi.
«E’
colpa
mia,» iniziò a dire dopo qualche secondo,
amareggiato.
«E’ colpa mia se ti è capitato questo,
Retasu. Io
avevo giurato di proteggervi, ma non sono stato in grado di mantenere
la mia promessa.»
«Colpa,
Shirogane?» gli rispose a quel punto una voce
divertita
dall’altra parte della stanza. «Che vuol dire
colpa?
Chiamalo merito,
piuttosto.»
Era
stata Retasu a parlare. Ryo aveva avvertito la sua presenza
da prima, per cui non ne fu sorpreso.
Alla
fine decise di fronteggiarla, per cui si voltò nella
direzione da cui aveva sentito provenire la sua voce.
Lei,
seduta sul suo letto, si stava divertendo ad osservare il lato B del
biondo già da un po’.
Era
così
diversa dal solito da non sembrare più neanche lei: non
indossava più i suoi grandi occhiali rotondi e si era
truccata
gli occhi e le labbra. Aveva sciolto i capelli, che le ricadevano
sensuali sulle spalle, ed indossava una maglietta verde sporco con una
scollatura vertiginosa, una minigonna a dir poco indecente, e degli
stivali che le arrivavano fin sopra il ginocchio. La croce di
Kassandra era in bella vista sul suo petto.
Nel
complesso, il
risultato avrebbe fatto girare la testa a qualunque ragazzo, anche
perché Retasu aveva un bel fisico, ma era sempre stata molto
restia a farlo notare. Lo stesso Ryo, sbalordito, dovette fare uno
sforzo sovrumano per costringersi a guardarla negli occhi.
«Parli
di me
come se io fossi morta,» continuò Retasu,
attorcigliandosi
in un dito una ciocca di capelli. «Invece io devo
ringraziarti
per quello che mi è accaduto! Prima ero una stupida mocciosa
imbranata, invece ora guardami! Grazie a te, sono rinata!»
Ryo
si girò
dall’altra parte, senza rispondere. Fu in quel momento che il
ragazzo notò uno strano luccichio provenire da
terra.
Retasu
scosse la testa
sorridendo e si alzò dal letto, avvicinandosi a Ryo.
«Non sono piu' un normale essere umano, ora sono una Dea. Sono
bella, forte e posso fare e avere tutto ciò che
voglio.»
«E
che cosa vuoi adesso?» le chiese Ryo, disgustato da quelle
parole.
«Te,»
fu la risposta.
Ryo
sorrise. «Mi dispiace, ma non sono interessato.»
Retasu
scosse la testa
sogghignando. Ormai a pochi centimetri da lui, gli prese il viso fra le
mani. «Sono sicura che possiamo trovare un accordo. Tu mi sei
sempre piaciuto, Shirogane,» gli sussurrò in un
orecchio,
premendo il suo corpo contro quello del ragazzo.
«Sono
onorato, Retasu,» ironizzò Ryo fra i
denti, senza più sorridere.
In
quel momento, le altre ragazze fecero irruzione nella stanza.
«Retasu!
RYO! Ma che diavolo
state facendo?!» ringhiò Ichigo con fare decisamente simile a quello di un gattino traumatizzato.
«Oneesama
Retasu!» strillò Purin.
Lei
alzò gli occhi al cielo, staccandosi dal biondo.
«Lasciatemi in pace!»
«Retasu,
devi cercare di tornare in te!» le disse Zakuro.
«SONO
in me!» replicò quella. «Io sono
Retasu!»
«Non
è
vero!» le disse Minto. «Tu non sei la nostra amica.
Sei
solo un chimero creato dagli alieni che ha preso possesso del suo
corpo!»
«Minto
ha ragione! La vera Retasu non si sarebbe mai comportata
così!» annuì Ichigo.
«E’
così,» osservò pacato Ryo.
«Dicendo di essere
lei, ti stai solo rendendo ridicola.»
Sentendo
quelle parole, Retasu sembrò perdere davvero la pazienza.
«Vi
sbagliate!
Vi sbagliate tutti!» proruppe. «Io sono la vera
Retasu!
Sono la parte più nascosta di lei, quella che lei tenta
disperatamente di reprimere. Lei in realtà non è
quella
che voi conoscete! Lei ha sempre desiderato usare i suoi poteri per
divertirsi, ha sempre sognato di farla pagare a quel bastardo di suo
padre, e di vestirsi e truccarsi in questo modo, e di avere Shirogane,
e mandarvi tutte a quel paese! Nel profondo del suo cuore, Retasu vi
odia, tutte, dalla prima all’ultima, ma solo ora lei ha, io
ho il
coraggio di dirvelo in faccia!»
«Smettila!»
protestò Ichigo. Dopo avere ascoltato quelle parole, aveva
le lacrime agli occhi.
«La
verità fa male, eh?» sogghignò Retasu.
«Bah,
andate tutte al diavolo!» esclamò poi, e
lanciò la
sua borsetta contro le sue ex-amiche. Loro si scostarono
istintivamente, e Retasu ne approfittò per oltrepassarle
sprezzante ed uscire dalla stanza.
«No,
Retasu! Aspetta!»
«Inseguiamola!»
esclamò Ichigo. «Dobbiamo fermarla! Ryo, vieni
anche
tu!» e si avviò giù per le scale,
seguita dalle
altre.
«Arrivo,»
mormorò intanto pensieroso il ragazzo. Si era attardato nel
fissare l’oggetto che aveva visto brillare poco prima.
Si
trattava della
sferetta che giorni addietro gli era stata inviata
dall’Africa.
Ryo la raccolse da terra: il metallo a sfumature blu che la componeva
si era ammaccato a causa dell’urto, e la sua superficie si
era
leggermente scheggiata. “Che strano, si è
rotta,”
pensò. “Uh, ma non è importante
adesso,”
concluse. Si infilò la sferetta nella tasca e raggiunse le
ragazze che lo aspettavano davanti all’entrata del
Cafè.
“Dov’è andata?” chiese.
Zakuro
scosse la testa: «Crediamo che si sia teletrasportata di
nuovo.»
«Ma
così non la troveremo mai!» si lagnò
Purin scivolando a terra.
Nel
mentre, Zakuro
sentì vibrare il suo cellulare. La ragazza lesse sul display
il
nome della persona che la stava cercando e si rabbuiò.
Quando
rispose, dall’altra parte del telefono udì la voce
incazzata del suo manager.
«Signorina Fujiwara,
non ho piu’ avuto sue notizie da stamattina. Che cosa le
è successo?» domandò
l’uomo in tono inquisitorio.
«Sono
desolata,
ma ho avuto un impegno improvviso,» rispose lei.
«E’
possibile spostare i miei impegni a dopodomani?»
«No,
Fujiwara. E’ la seconda volta che rimandiamo il set
fotografico
per cui deve posare oggi. Ho fatto i salti mortali per non farle
perdere questo lavoro, per cui veda di presentarsi qui in studio entro
mezz’ora o le giuro che ha chiuso con la
notorietà!»
esclamò il manager, e chiuse la chiamata.
«Perfetto,»
disse a mezza voce Zakuro. Poi si rivolse alle sue amiche:
«Devo
andare, mi dispiace. Dovrete cercare Retasu senza di me.»
Le
ragazze le lanciarono uno sguardo demoralizzato.
«Non
crediate
che mi faccia piacere,» si scusò la modella, e poi
si
affrettò a telefonare ad un taxi mentre si allontanava.
«E
noi cosa facciamo?» chiese Minto.
«Tornate
dentro,» rispose Ryo. «Riunione straordinaria nel
sotterraneo.»
Ichigo
lo
guardò storto. «Ryo, non possiamo farlo!
Retasu-»
prima la rossina che potesse concludere l'obiezione, Ryo se la
caricò sulla spalla destra e la condusse a forza dentro il
Cafè Mew Mew.
**
«Bentornate,
ragazze.»
Cherry
salutò Minto e Purin non appena entrarono nella stanza
sotterranea.
«Salut
anche a te, Ryo. Ichigo.»
«Ascolta
Ryo,
non possiamo permetterci di perdere tempo,»
cominciò
Ichigo, ignorando la sua sosia, nello stesso momento in cui Ryo la
rimise a terra.
«Retasu
sta
bene, non preoccuparti,» la interruppe Keiichiro
rassicurante.
«Si è resa irrintracciabile, ma registro ancora i
segnali
vitali emessi dal suo ciondolo mew: è viva ed in piena
salute.
Dobbiamo solo trovarla.»
«Prima
però dobbiamo studiare un modo per farla tornare in
sé, o
sarà inutile. Fuggirebbe di nuovo e torneremmo al punto di
partenza,» osservò Ryo.
Ichigo
rimase un momento interdetta. «Hai ragione,» ammise
alla fine.
«Retasu
si
è trasformata dopo che Kassandra le ha lanciato quel raggio
con
il suo ciondolo,» disse Purin. «Poi
gliel’ha rubato,
e ha perso completamente il controllo.»
«Credete
che sia colpa di quell’oggetto se Retasu è
diventata malvagia?» chiese Ichigo.
«Secondo
me
sì. Avete visto cos’è successo mentre
le parlavamo?
Aveva una luce strana negli occhi, e per un attimo mi è
sembrato
di vedere la stessa luce brillare nel ciondolo che aveva al
collo!»
«Beh,
se è solo quella croce il problema, allora basta
togliergliela,» osservò Minto.
«Non
credo sia
così facile,» obiettò Keiichiro
dall’altra
parte della stanza buia. Mostrò loro dal proiettore una foto
del
ciondolo di Kassandra. «Grazie a Mash, ho potuto raccogliere
delle informazioni interessamto riguardo quest’oggetto:
possiede
un enorme potere negativo, concentrato nella pietra rotonda incastonata
al centro, e non è escluso che Retasu -o meglio la sua
controparte malvagia- se ne sia servita per sottrarsi ai comandi degli
alieni. Ora che è lei a possederlo, il ciondolo continua a
riversare dentro di lei l’energia accumulata al suo interno,
incrementando in maniera drammatica le sue capacità.
Purtroppo
non so fino a che punto Retasu riuscirà a gestire tutto quel
potere senza rimanerne schiacciata,» spiegò. Fece
una
piccola pausa riflessiva, poi riprese a parlare. «Non
possiamo
sapere come potrebbe reagire se le togliessimo con la forza quella
croce. Probabilmente sarebbe come rompere una diga.»
«Senza
dimenticare che Retasu ha ancora dentro di sé
l’alieno
parassita,» fece notare Ryo. «Potremmo dire che
Retasu non
è altro che un chimero estremamente potente, sfuggito al
controllo degli alieni.»
Ichigo
gli
lanciò uno sguardo desolato: di tutto quel discorso, aveva
capito solo che qualunque decisione avessero preso, Retasu rischiava
seriamente la vita. «E quindi cosa dovremmo fare?»
chiese.
«E’
semplice: se non possiamo toglierle noi il ciondolo, dobbiamo
convincerla a toglierselo da sola,» rispose il biondo.
«In
questo modo, il suo corpo potrebbe prepararsi al distacco e soffrirebbe
in maniera minore delle conseguenze.»
Ichigo
si morse un labbro, ma non protestò.
«A
quel punto
dovrete attaccarla,» continuò Ryo.
«Così da
far uscire dal suo corpo anche l’alieno parassita prima che
la
faccia ritrasformare in quel chimero-pesce. Se la colpite mentre si sta
trasformando, dovreste riuscire a farcela.»
«Ma
così rischiamo di ucciderla!» esclamò
Ichigo, incapace di trattenersi oltre.
Ryo
la ignorò: «Questo è quanto,»
concluse. «Ora dovete andare a cercarla.»
«D’accordo,»
annuì Minto, neanche lei del tutto convinta che quella fosse
la cosa giusta da fare.
«Vi
avviserò non appena avrò delle nuove
informazioni,» le rassicurò Keiichiro.
Le
tre ragazze annuirono e, seguite da Mash, si diressero fuori dal
sotterraneo senza dire altro.
«La
decisione che hai preso è molto difficile,»
osservò a quel punto Cherry, rivolgendosi a Ryo.
«Qualcuno
deve farlo,» rispose lui, dandole le spalle.
La donna lo lasciò stare. Era chiaro come il sole
che, in quel momento, chi stava soffrendo di piu' era lui.
**
Marie,
stretta nella sua uniforme scolastica, stava camminando verso il
Cafè Mew Mew.
«London Bridge is falling down,
falling down, falling down,» cantava a bassa
voce, con aria assorta. «London
Bridge is falling down, my fair lady.»
“Ichigo
mi ha
evitato di nuovo oggi,” si disse. “E’
davvero una
ragazza molto strana. Mi chiedo se sia davvero lei quella che sto
cercando… e se mi stessi sbagliando?”
I
pensieri
dell’inglesina rimasero appesi quando vide Ichigo, Purin e
Minto
uscire dal Cafè di corsa. Si affrettò a
nascondersi
dietro il tronco di un albero per non farsi notare.
“Dove
stanno correndo così di fretta?”
pensò sospettosa.
**
Zakuro,
già
truccata e pettinata, aveva appena finito di vestirsi per il photoset.
Si sedette davanti allo specchio del suo camerino e sospirò.
Nonostante
fosse una
professionista, con tutti i pensieri e le preoccupazioni che aveva
nella testa in quel momento non era sicura di riuscire a
essere convincente sul set.
«Tra
cinque minuti si inizia,» la avvertì il suo manager, passando di fretta.
Zakuro
si
rialzò automaticamente e si avviò verso il luogo
che
avevano convenuto. Scese una rampa di scale, ma una volta raggiunto il
piano terra venne attratta da uno strano canto che proveniva in
direzione opposta a quella del suo set.
La
modella non ci pensò su neanche per un attimo: voltate le
spalle, decise di raggiungere la fonte della melodia.
La
musica proveniva da
un vecchio studio televisivo situato in un piano seminterrato. Non
poteva far parte di uno spettacolo in fase di registrazione, era troppo
stonata e sinistra per essere parte di uno show. Eppure, Zakuro si
sentiva attratta da essa. Non riusciva a pensare ad altro, e le ci
volle uno sforzo tremendo per raccogliere dalla tasca il suo cellulare
e premere il tasto per la richiamata automatica a Keiichiro.
«Sta
succedendo
qualcosa di strano qui,» disse Zakuro quando lui rispose,
senza
neanche specificare il luogo in cui si trovava.
«Strano in che
senso?» rispose l’uomo
dall’altra parte del telefono. «...Zakuro?»
«Non
lo so,» sussurrò la ragazza, chiudendo poi la
chiamata per concentrarsi meglio sulla musica.
La
cosa assurda era che sembrava che Zakuro fosse l’unica a
sentirla, perché nessun altro pareva farci caso.
Com’era
possibile?
Giunta
davanti alla
porta dello studio televisivo, Zakuro la trovò sbarrata,
perché lo studio era ormai abbandonato da tempo.
Controllò che non ci fosse nessuno in vista e la
aprì con
una spallata.
Il
suono era
fortissimo lì dentro. Zakuro accese le luci principali, che
per
fortuna funzionavano ancora, e rimase sconcertata dalla visione che le
si parò davanti.
La
fonte della musica
era Retasu. In piedi al centro del vecchio palco, circondato per
metà da un semicerchio di tribune a gradoni piene di
polvere, la
ragazza teneva strette le mani al petto mentre intonava la sua
canzone. Quando si accorse della presenza
dell’amica, smise
di cantare.
«Ciao,
Zakuro,» la salutò.
«Come
hai fatto?» le chiese la ragazza lupo senza troppi
convenevoli.
«Sono
letteralmente
una sirena. Nessuno può resistere al mio canto,»
rispose Retasu.
Zakuro
fece qualche passo all’interno della stanzona.
«Sapevo che mi avresti cercata,» sorrise amara.
Lei
si lasciò
sfuggire una risatina. «Sai già la
verità,
eh?» sogghignò, muovendosi per andarle incontro.
«Non avevo dubbi… è così
ovvio!»
Zakuro
strinse i pugni.
«Tu
sai
benissimo di non meritare di essere famosa,
Zakuro…perché
la verità è che sono io la più
bella!»
dichiarò Retasu, lasciando di sasso la sua interlocutrice.
In
effetti non era proprio questo quello che intendeva Zakuro…
Ma
la modella non ebbe
il tempo di ribattere perché in quel momento giunse nella
stanza
anche un'altra persona: era il ragazzo che Zakuro aveva incontrato la
sera precedente al Dome, quel suo misterioso fan.
«Finalmente
ti
ho trovato,» sorrise compiaciuto il giovane.
«Sapevo che
saresti venuta qui oggi. Ti avevo vista correre nel corridoio, ero
sicuro che fossi tu!»
“Di
nuovo quel
ragazzo,” pensò Zakuro, dimenticandosi
momentaneamente di
Retasu, che rimase ferma a guardare la scena. «Chi
sei?»
gli chiese, sentendosi a disagio.
«Ti
ho cercata
dappertutto, Zakuro Fujiwara,» sogghignò lui,
muovendo un
passo verso di lei, che lo fronteggiò a viso aperto.
«Rispondi
alla mia domanda!» ripeté Zakuro.
«Attenzione,
attenzione, rilevata presenza aliena!»
Mash,
appena entrato da un condotto dell’aria, prese a svolazzare
tutto intimorito per lo studio.
«Mash?»
esclamò Zakuro stravolta, poi il suo sguardo febbrile si
fermò sul suo fan. “Una presenza aliena? Possibile
che… che questo ragazzo sia…?”
L’idol
strinse
gli occhi. Prese le affermazioni del robottino come la prova
definitiva delle sue intuizioni. Senza ulteriori esitazioni, estrasse
dalla tasca la sua spilla: «Mew Mew Zakuro!
Methamorphosis!» gridò.
Retasu
non capiva
cosa stava succedendo, ma per non essere da meno decise di trasformarsi
anche lei: «Dark Mew Lettuce! Metamorphosis!»
recitò
in tono sinistro.
Quando
la
trasformazione si concluse, Mew Zakuro estrasse la sua frusta, sfidando
il giovane davanti a lei, che però non sembrava affatto in
vena
di ingaggiare un combattimento.
«Ma
cosa…una mew mew?» sillabò infatti,
squadrando
incredulo la guerriera. «Zakuro
Fujiwara…è una Mew
Mew?!» ripeté allucinato, indietreggiando fino
alla porta.
Mew
Zakuro
sgranò gli occhi, sorpresa da quel comportamento. Era sicura
che
lui fosse un alieno. Si era forse sbagliata? In fondo, non avevano mai
avuto notizie su di una eventuale capacità degli alieni di
trasformarsi in umani. Era stato il suo istinto a suggerirle che una
cosa del genere fosse possibile.
In
quel momento, Ai si
materializzò in aria e la indicò trionfale:
«Lo
sapevo che eri tu, Zakuro Fujiwara!»
«Tu?!»
esclamò disorientata la ragazza, guardando prima
l’alieno
e poi il suo fan, che sembrava sul punto di svenire dal terrore.
«Ma allora non-»
La
risatina di Dark
Mew Lettuce dietro di lei le impedì di completare la frase.
«Ehi Zakuro-oneesama! Non dirmi che credevi che quello,»
disse, indicando il fan, «fosse un alieno...».
Ai
e il ragazzo incrociarono gli sguardi. «Che cosa?»
dissero insieme.
«U-Un
alieno?» balbettò poi il fan, sempre
più spaventato. «Sei un alieno vero?!»
«Ma
levati di
torno,» rispose Ai annoiato, e senza troppi
complimenti
puntò il palmo aperto verso il ragazzino e generò
un’onda di energia semitrasparente che lo scagliò
via.
Il
giovane batté la testa contro uno dei gradoni delle tribune
e si accasciò a terra privo di sensi.
«Maledetto!»
gridò Mew Zakuro all’alieno.
«Come…come ti permetti?!»
«Cominciavamo
ad
essere in troppi,» rispose lui in tono leggero.
«No, come
non detto… arriva la cavalleria,» aggiunse poi a
mezza
voce.
Infatti,
un momento
dopo Mew Ichigo, seguita da Mew Mint e Mew Purin, era entrata dopo aver
sfondato nuovamente la porta dello studio.
«Zakuro!
Keiichiro ci ha detto che eri in pericolo!»
esclamò Mew Ichigo.
«Ah…Retasu?!»
«Ma
che…Ai?» aggiunse Mew Mint.
«Sbaglio,
o ti
ho già detto di non chiamarmi per nome?» disse
l’alieno, scendendo a terra e fulminandola con lo sguardo.
Dark
Mew Lettuce,
approfittando della sua distrazione, lo
abbracciò
da dietro. «Oh, tesoro, sei sempre così
brontolone?» gli domandò.
«E-Eh?!
E tu che cosa vuoi?!»
«Wow,»
mormorò la Mew Mew oscura, ignorando le proteste
dell’alieno, «il tuo corpo è molto
più tonico
di quello che sembra,» disse, lasciando scorrere
languidamente
una mano lungo gli addominali dell’alieno.
«R-Retasu!
Che cosa fai?» esclamò Mew Ichigo,
imbarazzatissima.
«Smettila
subito!» gridò invece Mew Mint.
Ai,
infastidito, si liberò con poca fatica dalla presa della mew
chimero, che però parve non importarsene.
«Allora
è come pensavo!» esclamò lei
drammaticamente, additando Mew Mint, che arrossì.
«Che
cosa vuol dire?» chiese Mew Pudding incuriosita, guardando la
sua compagna.
«N-Niente!»
si affrettò a rispondere lei.
«Oh,
ve lo spiego io,» intervenne la mew chimero con aria
divertita. «La vostra cara collega…»
«Ribbon
Mint Echo!»
Dark
Mew Lettuce fu
costretta a interrompersi e a compiere un salto all’indietro
per
evitare l’attacco della sua ex-compagna.
«Ehi! Come
ti permetti, piccola stupida?» replicò,
materializzando un
paio di nacchere nere.
Mew
Mint, per tutta risposta, caricò un’altra freccia
nel suo arco e si preparò a scoccarla.
«Personalmente
non capisco cosa stia succedendo, ma se volete ammazzarvi tra di voi
ben venga,» osservò Ai spostando lo sguardo
dall’una
all’altra mew mew. Poi alzò le spalle,
sogghignando:
«In fondo, anche se finirete per far pace, ora che conosco la
vera identità di Mew Zakuro e di Mew Lettuce, per me
sarà
facile togliervi di mezzo… quando meno ve lo
aspettate,»
concluse, e si teletrasportò via.
«Oh,
è andato via. Che peccato, vero, Mew
Mint?» sogghignò malefica la Mew Mew
oscura.
«I-Io
non so davvero di cosa tu stia parlando!» negò
quella in tono a dir poco disperato.
«Minto,
non
dirmi che ti piace quell’Ai,» sillabò
un'incredula
Mew Ichigo. «Non può essere vero!»
«Parli
proprio
tu, dopo tutto quello che hai combinato con quel Kisshu,»
osservò distrattamente Dark Mew Lettuce mentre giocherellava
con
una ciocca di capelli.
«Ehi,
ma cosa stai dicendo? Non è vero!»
«Tu
cosa, Ichigo?»
«Sbaglio,»
intervenne fredda Mew Zakuro, «o stai cercando in ogni modo
di
seminare zizzania fra di noi, Retasu?»
«Sto
solo dimostrando che siete solo delle ipocrite. Ammettetelo, non siete
mai state veramente amiche.»
«Ed
invece sei tu che ti sbagli!» protestò Mew
Pudding. «Noi siamo amiche di Retasu!»
«Di
quella
stupida mocciosa? Lei è storia vecchia! Ora ci sono
io!»
ribatté la mew chimero. «Un essere
perfetto!»
«Potrai
anche
essere perfetta, cosa di cui ad ogni modo dubito,»
replicò
Mew Mint, «ma resti sempre sola.»
«Sisi,
noi
invece siamo in quattro contro di te!» esclamò Mew
Pudding. «E ci vogliamo bene, per cui non riuscirai mai a
dividerci!»
«E’
questo
ciò che ti manca Retasu, l’amicizia,»
annuì
Mew Ichigo, poi fece un passo verso la sua ex compagna, che la
guardò storto. «Te l’ho già
detto in passato,
non devi dubitare di noi. Noi siamo tue amiche. Se
solo…»
«Ribbon
Lettuce Dark Rush!»
Mew
Ichigo venne
investita da una massa di acqua fangosa ed inquinata che la
scaraventò all’indietro, addosso alle sue
compagne, che si
affrettarono a sostenerla. La ragazza tossì per
sputare
l’acqua che aveva inghiottito e si tolse un’alga
marcia dai
capelli.
«Ahia!
Retasu ,
per favore…!» ricominciò la mew rosa,
ma quando
rialzò di nuovo lo sguardo sulla sua compagna ebbe come un
flashback ad occhi aperti: all’immagine della Mew Mew oscura
si
sovrappose quella della sua compagna, piangente e spaventata come
quando lei e Mew Mint l’avevano incontrata per la prima volta
nella palestra della scuola. “Un’altra
visione?” si
chiese la ragazza, sentendo Retasu che le chiedeva aiuto fra le
lacrime.
«Retasu,
torna
in te! Ti prego!» supplicò allora Mew Ichigo,
staccandosi
dalle sue compagne e avanzando verso di lei. «Lo so che
riesci a
sentirmi, ti prego lotta contro il mostro che è dentro di
te!»
«Idiota!»
Dark Mew Lettuce sollevò di nuovo le sue nacchere.
«La
vecchia Retasu non esiste più! Quante volte te lo devo dire?
IO
SONO RETASU! RIBBON LETTUCE DARK RUSH!»
«NO!»
negò Mew Ichigo. Le altre la fissavano incredule, senza
sapere
cosa fare. «Tu sei solo un’apparenza creata da quel
ciondolo! La verità è che TU non
esisti!»
gridò mentre, colpita, veniva lanciata contro il muro.
«ICHIGO!»
urlò Mew Mint, correndo verso di lei.
«Non
è
vero! Bugiarda!» strillò la mew chimero, ed
alzò di
nuovo le sue armi verso la mew gatto, ma Mew Zakuro e Mew Pudding le si
pararono davanti per proteggerla.
«E
allora
dimostracelo!» disse Mew Zakuro, cogliendo la palla al balzo.
«Se è vero che sei l’autentica Retasu e
che non hai
bisogno di quel ciondolo per esistere, allora toglitelo!»
«Toglierlo?»
Dark Mew Lettuce esitò un momento. «I-Io esisto
davvero!
Non devo dimostrare niente a nessuno!»
«Io
non ti credo!» incalzò Mew Pudding.
«Secondo me hai paura!»
«Io
non ho
paura, razza di stupida! Guarda!» sbottò allora
spazientita la mew chimero. Si strappò di dosso la croce e
la
gettò via. Il ciondolo rovinò a terra
con un
tintinnio molti metri più in là.
Non
successe niente.
Dark
Mew Lettuce
lanciò alle sue ex compagne uno sguardo trionfante:
«Sei
contenta adesso?» disse, ma un attimo dopo urlò in
modo
così straziante che si pentì del suo gesto.
Dolorante, fu
costretta a portarsi entrambe le mani alla testa. «Smettila!
Smettila! Sono IO Retasu! Sono io! Io!» gridò
più
volte.
«Non
mollare, Retasu! Torna in te, cacciala via!» la
incitò Mew Ichigo.
Un
turbine di luce bianca avvolse il corpo della Mew Mew oscura, che
iniziò a deformarsi e ad ingigantirsi.
«Ce
l’ha fatta?» domandò Mew Pudding stupita.
«Presto!
Dobbiamo colpirla prima che ritorni ad essere un chimero!»
esclamò Mew Mint, estraendo la sua arma.
Le
altre la imitarono.
«Aspettate,
non
possiamo! Potremmo farle del male!» protestò Mew
Ichigo.
«In questo momento non ha difese!»
«Lo
so ma
dobbiamo! C’è in gioco la vita di tutte le persone
all’interno di questo edificio e qui fuori! Se ritorna ad
essere
un chimero sarà la fine per loro!»
esclamò Mew
Zakuro, ma Mew Ichigo rimase immobile. «Ichigo! Credi che sia
facile per noi?»
Il
turbine di luce si fece sempre più grande, e la terra
cominciò a tremare.
«Non
c’è più tempo! Ichigo!»
gridò Mew
Zakuro, e puntò la sua arma proprio verso il centro del
turbine.
«Ribbon Zakuro Spear!»
«Ribbon
Pudding Ring Inferno!»
«Ribbon
Mint Echo!»
Mew
Ichigo strinse fra
le mani la sua campana, e chiuse gli occhi: «Perdonami,
Retasu…» sussurrò. «Ribbon
Strawberry Check
Surprise!»
I
quattro attacchi si
scontrarono con il turbine di luce, facendolo esplodere. Il
contraccolpo colpì le mew mew, che vennero spazzate via.
La
luce divenne
abbagliante: sembrava la fine ma, lentamente, il turbine
cominciò a ridursi di volume fino a scomparire, lasciando il
posto ad un’estenuata Retasu, che cadde a terra svenuta,
mentre
dal suo corpo usciva un chimero parassita che venne prontamente
recuperato da Mash.
Era
finita.
Mew
Ichigo fu la prima
a rialzarsi. «Retasu…Retasu!»
gridò, e si
precipitò dall’amica. Le altre guerriere, pur
provate
dalla botta ricevuta, la imitarono.
Frattanto,
una
figurina dai lunghi capelli biondi sbucò fuori da un angolo
dello studio. Marie lanciò uno sguardo furtivo alle ragazze
che
le davano le spalle, ignare della sua presenza. “Non
immaginavo
che sul campo di battaglia Ichigo fosse così,”
sorrise fra
sé e sé. “Ho sbagliato a dubitare,
è davvero
lei.”
La
ragazza raccolse il
ciondolo di Kassandra da terra e lo strinse leggermente. «Tu
ritorna dalla tua legittima proprietaria. Non è ancora il
momento,» sussurrò.
Il
ciondolo scomparve, e così anche lei.
«Retasu!»
chiamò Ichigo appoggiando la testa della ragazza sulle sue
gambe
e scuotendola piano per farla rinvenire.
Lei
schiuse appena gli occhi, sussurrando un debole:
«A-Amiche..?»
«Si
è ripresa! Si è ripresa!»
esclamò Mew Purin abbracciandola.
Mew
Ichigo trattenne a stento le lacrime. «Scema! Ci hai fatto
preoccupare da morire!»
«Lo
so…mi dispiace, ragazze… n-non sono riuscita a
combattere contro quella cosa dentro di me…»
Mew
Mint
aggrottò la fronte. «Alla fine però sei
riuscita a
scacciarla. E’ questo l’importante.»
«G-Grazie,
Minto.»
Mentre
Retasu si
riprendeva, Mew Zakuro aveva raggiunto il suo fan. Il ragazzo era
ancora svenuto, e Mew Zakuro si affrettò a controllare che
il
suo respiro e il suo battito cardiaco fossero regolari.
«Oh
santo cielo, chi è questo ragazzo?» chiese Mew
Ichigo quando si accorse di lui.
«E’
in
questo stato per colpa mia,» spiegò brevemente la
guerriera lupo. «Sembra che stia sta bene. Andate pure,
ragazze.
Resto io con lui.»
«Restiamo
anche noi!» propose Mew Ichigo.
Mew
Mint scosse la testa. «Forse è meglio se li
lasciamo soli,» disse.
Qualche
minuto dopo,
il ragazzo strinse pigramente gli occhi.
«F-Fujiwara…» sussurrò con
voce flebile. Si
ritrovò seduto su uno dei sedili della tribuna. Zakuro era
accanto a lui e gli stava premendo una borsa del ghiaccio sulla testa.
«Ehi…tutto
bene?» gli chiese.
Lui
si rialzò
di scatto a sedere, facendo scivolare la borsa dalle mani di Zakuro.
«Fujiwara-san?» ripeté, stravolto. Si
portò
una mano alla testa, che aveva appena scoperto gli faceva malissimo.
«Ahi…che… che è successo? Io
non
ricordo… C’erano dei tipi strani…le mew
mew
e…»
«Le
mew mew?!
Credo che tu abbia sognato tutto,» lo interruppe Zakuro con
un
sorriso. «Vedi, stavo discutendo qui con una mia amica. Ad un
certo punto sei entrato e sei svenuto,» gli
spiegò.
«Credo sia stato a causa dello sbalzo di temperatura rispetto
al
corridoio esterno. Qui dentro fa davvero molto caldo,»
aggiunse
in tono convincente.
Il
ragazzo parve
incerto, ma alla fine annuì. «Yuhi,»
disse dopo
qualche secondo. «Mi chiamo Yuhi, Fujiwara-san,»
proseguì poi. «Mi dispiace averti dato questi
problemi.
Io… volevo solo vederti…
cioè… i-io
volevo…»
«Che
cosa volevi?»
«I-Io,
ecco…» Yuhi tirò un grosso respiro e
poi, a
sorpresa, prese le mani di Zakuro fra le sue. «Fujiwara-san,
io
sono il tuo fan numero uno! Ti ammiro da sempre, e volevo chiederti
se…se…»
Zakuro
sbatté le ciglia. «Se…?»
Yuhi
prese a frugarsi
nella tasca. Dopo qualche secondo ne estrasse un blocchetto e una
penna. «Ti prego, puoi farmi un
autografo?» chiese
arrossendo.
Zakuro
rimase interdetta. «Un autografo? E’ questo quello
che volevi da me?»
«Però
con
una dedica!» specificò il ragazzo. «E
senza
sbagliare il mio nome, per favore….Yuhi si scrive con la
h!» le tese il blocchetto, che Zakuro prese in mano
sconcertata.
Yuhi
sospirò,
guardando la sua espressione. «Ecco, lo sapevo,»
commentò, «ora penserai che sono un
bambino,»
concluse in tono metà scherzoso metà rassegnato.
«Ehmmm...Fujiwara-san? Che cosa ti prende?!»
sillabò
poi sorpreso, dato che Zakuro era appena scoppiata in una risata
argentina. «Oh, ecco, lo sapevo, faccio sempre figure del
cavolo!» sbottò Yuhi, ma Zakuro rise
più forte,
finendo per contagiarlo.
«Non
avevo mai sentito Zakuro ridere così di gusto,»
sorrise Ichigo, spiando fuori dalla porta dello studio.
«Quel
ragazzino,
senza accorgersene, ha fatto il miracolo,»
commentò Minto,
trattenendo a sua volta un risolino.
«Ragazze…scusate…»
«Si,
Retasu?»
«Ecco…per
caso sapete dove sono i miei occhiali? Non vedo niente senza!»
«Meglio,»
commentò Minto. «Vedessi come ti sei
conciata…»
Retasu
arrossì leggermente. «Perché? Come sono
vestita? Sto...sto molto male?»
«No,
no,
anzi!» si affrettò a dire Ichigo. «Credo
che faresti
svenire tutti i ragazzi che incontri per strada.»
Retasu
avvampò.
«Però
stai bene con la minigonna Retasu onee-sama!»
esclamò Purin.
«E’
vero,
anche il trucco ti dona molto,» ammise Minto.
«Però
forse quella maglia è un po’ troppo scollata
e… ma
non ti sei messa il reggiseno scusa?»
Retasu
diventò
così rossa in viso da assomigliare alla bandiera
del
Portogallo: «VI PREGO, RIPORTATEMI SUBITO A CASA!!»
strillò imbarazzata.
**
Intanto,
nel nascondiglio degli alieni, Hiroyuki aveva appena afferrato
Kassandra per il colletto del suo vestito.
«Maledetta
strega, che cosa hai fatto?! CHE COSA MI HAI FATTO?!» le
gridò in faccia.
Terrorizzata,
Kassandra mise le mani avanti: «Ca-calmo!
Perché…perché non ne
parliamo?»
«Tu
non hai idea della gravità delle tue azioni,»
ringhiò lui, gettandola a terra.
«Hiroyuki,
no,
aspetta, posso spiegare!» strillò la principessa,
indietreggiando da seduta verso un angolo della stanza.
«Non
posso ucciderti,» ammise Hiroyuki, «ma mi
assicurerò che tu non possa più fare nulla di stupido.»
L’alieno
fece
comparire fra le sue mani un grosso papiro; lo aprì ed
iniziò a leggere le parole al suo interno, scritte in una
lingua
che Kassandra non conosceva.
Mentre
Hiroyuki
leggeva, un vortice di elettricità iniziò ad
accumularsi
nella stanza. Stava creando qualcosa intorno a Kassandra. Ma proprio in
quel momento, il ciondolo a forma di croce comparve fra le mani
dell’aliena che, d’istinto, scattò in
piedi e
glielo puntò contro. «Hiroyuki, la tua
volontà mi
appartiene! Tu devi eseguire i miei ordini ed io ti ordino di
fermarti!» ordinò la principessa.
Rispondendo
al comando, il ciondolo emise una luce bluastra che avvolse Hiroyuki.
Lui
lasciò
cadere il papiro, che si dissolse nel nulla prima di toccare terra, e
rimase immobile. L'elettricità scomparve, e lo sguardo
dell'alieno tornò ad essere vuoto e freddo come sempre.
Kassandra
rimase ferma
in quella posizione fino a che non fu sicura che il pericolo fosse
passato. «Che razza di rischio ho corso,»
mormorò
alla fine. «Ma come ci è arrivato qui il mio
ciondolo?» Se lo rimise al collo, nascondendolo sotto la
camicetta. «Beh, meglio così!» sorrise,
e si
allontanò da Hiroyuki. Nel passargli davanti, gli mise una
mano
sulla faccia e fra i capelli, spettinandoglieli mentre lo oltrepassava.
Lui
non fece una piega.
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Capitolo 25 *** L'Ordine di Ra-Hu (pt.2) ***
24
12/10/2014:
(Stavolta le note introduttive sono musicali?)
Io amo la musica e non riesco a fare a meno di ascoltarla anche quando scrivo. D: Se dovessi pensare ad una canzone da abbinare a questa fanfic, allora sarebbe: No
Differences di Aimee Blackschleger . E' davvero bellina!
Della stessa raccolta, mentre scrivo sento spesso anche AL°C@ .
The Call to Arms
parla di alieni che vogliono conquistare la Terra e lollo sempre
tantissimo quando la ascolto. (Amo le OST di Hiroyuki Sawano. Peccato che non abbia mai il tempo di guardare gli anime da cui sono tratte.)
- Capitolo 24: L'Ordine di Ra-Hu
#2 -
Imago
e Chris
conclusero la loro "missione di spionaggio" appena in tempo. Infatti,
incrociarono Kell mentre stava tornando al lavoro quando ormai erano
già ben lontane dalla sua stanza.
L’alieno le oltrepassò guardandole male, ma non
disse
nulla. Le due aliene dettero insieme un sospiro di sollievo e
tornarono dagli altri.
«Che state combinando?» chiese loro Taruto,
che era stato in parte messo a corrente della situazione da Pai appena
in tempo
e solo perché altrimenti avrebbe fatto saltare la loro
copertura.
«Pessime novità, fratellino,» rispose
Imago,
guardandosi intorno. «Dov’é
Kisshu?» chiese
poi, aggrottando la fronte.
«Giusto un attimo fa la madre di Kell è entrata,
l’ha visto e si è infuriata con lui. Non ha ancora
digerito il fatto di ieri notte. L’ha buttato fuori e gli ha
detto di non farsi vedere…ora lei è uscita con
quella rompiballe di Belle. A parte lo scienziato pazzo, siamo soli in
casa.»
Mentre Taruto finiva di parlare, Imago assunse un’espressione
sconsolata, che però non era neanche lontanamente
confrontabile
con quella di Chris, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
Pai lo notò, e per questo le chiese, piuttosto brusco:
«Che ti prende?»
L’aliena, per tutta risposta, gli tese il foglietto con
l'immagine dell’iscrizione. Pai la prese e gli diede
un’occhiata, poi corrugò la fronte.
«Che cos’è?» chiese Taruto,
galleggiando sopra
la spalla del fratello per sbirciare la stampa. «E’
un
disegno?»
Pai rimase fermo a lungo a guardare quei segni antichi senza
rispondere. Non conosceva il loro significato, ma gli erano in qualche
modo familiari.
«Solo come il
principio della luce che splende, e di lì fino al vespro,»
recitò Imago davanti a lui. «E’ la
lingua che usava
il nostro popolo quando era ancora sul Pianeta Azzurro,»
spiegò poi. «Nessuno la usa più ormai.
Mia madre
però ha sempre insistito per farla imparare a me e alle mie
sorelle, quando eravamo piccole. Diceva che era importante.»
«Capisco,» mormorò Pai passandole la
stampa.
Nel mentre, Chris si era lasciata cadere a peso morto sul divano bianco
e si era nascosta il viso fra le mani. Aveva preso a singhiozzare. Pai
lasciò perdere Imago e si girò verso di lei: non
sapeva
perché si stava comportando così né
che cosa
doveva fare lui, ma alla fine decise di andare a sedersi accanto a lei.
Strinse una mano sulla spalla di Chris. Non ne era molto sicuro, ma
sperava che questo riuscisse a farla stare meglio.
«Perché proprio lui, perché?»
gemette
l'aliena con voce spezzata, accasciandosi contro il suo petto e
lasciandolo per un attimo
stupito.
«Puoi spiegarmi che cosa succede?» le chiese lui
alcuni secondi dopo in tono calmo ma deciso.
«L’Ordine di Ra-Hu…Ally fa parte
dell’Ordine Sacro di Ra-Hu…»
«L’Ordine di cosa?» si intromise Taruto.
Imago alzò le spalle. «Non lo so, ma ha scritto
che si fidano di lui.»
«Cos’è, Chris?»
domandò Pai, ma lei non
riuscì a rispondergli: le lacrime glielo impedivano.
«Avanti, non fare così. Non è da
te,»
cercò di consolarla l’alieno. Dopo quello che era
successo
quella notte fra lui e Chris si sentiva responsabile per lei, ma non
sapeva bene
come ci si dovesse comportare in situazioni del genere, anche
perché la sua preoccupazione per il
suo amico d’infanzia aumentava in proporzione con la
disperazione
di Chris.
«S-Si, s-scusami…» annuì lei,
strofinandosi gli occhi come una bambina.
«Ehi, amica mia, ti va di raccontarci quello che sai su
questo
misterioso Ordine?» le chiese cauta Imago, avvicinandosi.
Lei annuì. «E’…è
una setta segreta, nata molto tempo
fa. Pensavo fosse una leggenda ed
invece…» si asciugò un’altra
goccia di pianto.
«Mai sentita,» ammise Pai. «Di cosa si
occupa?»
«Ne fanno parte coloro che attendono il risveglio del Messia.
Vedete, i membri dell’Ordine di Ra-Hu credono noi siamo
destinati
a tornare sul Pianeta Azzurro. Credono che da qualche parte ci sia un
Messia che, giunto il momento, si mostrerà e ci
permetterà di ritornare nel paradiso terrestre da cui siamo
stati cacciati.»
«Hm…non è una cosa poi così
brutta,» osservò Taruto grattandosi la testa.
«Questa loro convinzione è basata sulla fede
oppure
c’è qualcosa di più?»
domandò invece
Pai.
«In passato furono scritte delle profezie a riguardo.
Purtroppo,
nel corso del tempo, sono andate perdute con il resto delle nostre
conoscenze,» spiegò Chris.
«E chi dovrebbe essere questo Messia?» chiese
Taruto, curioso.
Pai, che fino a quel momento era stato chino su Chris, ebbe come un
sussulto. Alzò la testa verso il fratello minore e attese
molti
secondi prima di essere sicuro di voler davvero esternare i suoi
pensieri. «Profondo Blu,» scandì infine
in tono grave.
«Cosa? Profondo Scemo era il Messia?»
«Messia? Per me era solo un pazzo furioso,»
osservò
Kisshu, materializzandosi in quel momento nella stanza. Seduto con le
braccia dietro la testa, galleggiando a un metro da terra,
lanciò un’occhiata in giro.
«Salve… mi sono
perso qualcosa?»
«Per ora un’iscrizione misteriosa, una setta
millenaria e
una profezia perduta,» rispose Imago, andandogli vicino, un
poco
più sollevata. «Ma sembra che non sia finita
qui.»
«No, infatti,» disse Chris, staccandosi da Pai e
asciugandosi le ultime lacrime. Quando riprese a parlare, sembrava
essersi completamente ripresa dal suo shock. «Vedete, la
verità è che l’Ordine di Ra-Hu non si
limitava
soltanto attendere il risveglio del Messia. Nel corso dei secoli ha
sempre tentato di stimolarlo. Ufficialmente, Profondo Blu è
apparso a noi di sua spontanea volontà e ci ha promesso di
riconquistare il Pianeta per noi, ma io sono sicura che sia stato
proprio l’Ordine ad evocarlo e a mandarlo sul Pianeta
Azzurro.
Sono potentissimi, e sono dappertutto. Ma in realtà il
Messia
non era Profondo Blu…»
«Non lo era?»
«No, anche se probabilmente in un primo momento tutti hanno
pensato che fosse così. Ma il Messia in cui crede
l’Ordine
è un essere assolutamente invincibile e dai poteri immensi,
in
grado di sradicare ogni briciola di corruzione dal Pianeta
Azzurro… Profondo Blu, invece, è stato
sconfitto.»
«Aspetta un momento,» la interruppe Kisshu.
«Che cosa intendi per sradicare?»
«E’ molto semplice. Ormai il Pianeta Azzurro
è
troppo inquinato, e sterminare la razza umana non risolverebbe il
problema. L’Ordine di Ra-Hu crede che il Messia sia in grado
di
disintegrare l’intero strato superficiale del pianeta,
portando
così alla luce quello inferiore, ancora incontaminato.
Ciò permetterà al pianeta di rigenerarsi e
ritornare al
punto di partenza. Non appena la crosta superficiale si sarà
stabilizzata e si saranno formate nuove terre, tutto sarà
nuovo
e puro come lo era in principio…e si potrà
ricominciare
tutto daccapo.»
«Quindi il Messia distruggerà la Terra? E tutti
gli esseri
che la abitano? Animali, piante,
insetti…umani…?!»
«Si. E l’Ordine di Ra-Hu cerca di risvegliarlo per
farglielo fare. Ally è uno di loro…»
«E’ terribile, davvero…»
sussurrò Imago.
«Se disintegrasse la crosta continentale terrestre, le acque
ricoprirebbero tutto e ci vorrebbero milioni di anni per far tornare il
pianeta abitabile. Nel mentre, la nostra stirpe continuerebbe a marcire
qui,» osservò giustamente Pai. «Siamo
già ridotti al
limite: finiremmo per estinguerci prima che la Terra sia pronta. E
questo Alan lo sa benissimo: è vero che desidera
tornare
sul nostro pianeta d’origine, ma è troppo
intelligente per
volere una cosa del genere.»
«Ma lui non è più lo stesso!»
obiettò
Chris. «L’Ordine deve aver notato le sue
potenzialità come scienziato e deve aver fatto leva sulla
sua
voglia di riconquistare il pianeta per convincerlo ad unirsi a loro.
Scommetto che a quel punto gli hanno fatto il lavaggio del cervello.
Ricordi quando voleva uccidere quel giovane soldato? Il nostro amico
non si sarebbe mai comportato così! L’avevano
già
preso a quel tempo. Come ho potuto non accorgermene?»
«Hm,» mugolò Pai. Quello che diceva la
sua amica non era
così logico come lei voleva farlo sembrare. E’
vero che Kell
si era comportato in modo strano nei riguardi di quel nibiriano, ma era
anche vero che, se il giovane avesse rivelato a qualcuno che Kisshu,
Imago e Taruto erano ancora vivi, tutti loro sarebbero stati condannati
a morte e la sua famiglia sarebbe stata sterminata. Non poteva dar
torto a Kell se aveva desiderato di chiudere la bocca per sempre a quel
soldato.
«Scommetto che gli hanno fatto credere di essere uno degli
Eredi,» incalzò Chris.
Taruto inclinò la testa. «Chi?!»
«Non lo sai? Si crede che siano le reincarnazioni di coloro
che
governavano anticamente sul Pianeta Azzurro. Sono esseri dotati di
una forza, conoscenza e intelligenza superiore alla media. Si dice che
siano immortali e che per questo siano destinati a ripopolare il
Pianeta Azzurro.»
«Sono solo vecchie leggende, Chris,»
osservò Pai.
«Anche l’esistenza dell’Ordine lo
era.»
«C’è una cosa che mi sfugge,
Chris,»
intervenne Kisshu, posandosi a terra davanti a lei. «Hai
detto
che quest’Ordine Mu-Mu…»
«Ra-Hu, scemo,» lo corresse Imago con un mezzo
sorriso.
«Si insomma c’è questa setta di
esagitati, che è segreta.»
«Sì.»
«Mi spieghi come fai tu a sapere tutte queste cose su di
loro?»
«Me le ha dette Alan stesso,» rispose Chris alzando
le
spalle. «Vedete, fin da piccolo lui si interessava alle
antiche
storie, gli piacevano. Tempo fa mi raccontò che aveva
scoperto
la leggenda di un gruppo di indemoniati che voleva distruggere la
Terra… ne parlava ridendo. Non potevo immaginare che un
giorno
sarebbe entrato a farne parte.»
Detto questo, l'aliena si rialzò mesta in piedi.
«D’accordo, allora… esiste
quest’Ordine di
pazzi e Kell ne fa parte… ma non ho ancora capito che cosa
è quella cosa che sta stringendo fra le mani la mia
compagna,» chiese Kisshu, indicando la foto
dell’antica
iscrizione.
«Questa scritta é all’interno di uno
strano oggetto
nella stanza di Alan, una specie di croce,» gli
spiegò
Imago, mostrandogliela.
«Era lo stesso oggetto che ero andata a prendere al
laboratorio
di Orion,» proseguì Chris. «Sembra che
sia una
chiave e che per l’Ordine sia importantissima. Sto
cominciando a
credere che sia la Chiave per risvegliare il Messia.»
A quelle parole, Kisshu ghignò. «Ma allora
è
semplice!» Prese la stampa dalle mani di Imago e la
strappò.
«Troviamo quell’oggetto e distruggiamolo.
Togliamolo di
mezzo, così nessuno riuscirà mai a risvegliare
roba
strana.»
Kisshu lanciò in aria i minuscoli frammenti del foglio che
aveva strappato e, usando i suoi poteri, diede loro fuoco.
«No, non credo che sia una buona idea,» ammise
Chris.
«Probabilmente, anche senza la Chiave, prima o poi quelli
dell’Ordine troveranno un modo per portare a compimento i
loro
piani, e poi non dimenticare che le antiche profezie-»
«La
profezia!» esclamò Imago di colpo, attirando
l'attenzione di tutti su di lei.
«Eh..?»
«Chris, le profezie di cui parli…ne conosco una!
E’ la mia canzone!»
Kisshu strinse gli occhi, cercando di ricordare: «Quella che
hai
cantato quando ci siamo conosciuti?» chiese. Senza volerlo,
la
voce argentina della ragazza gli risuonò nella mente:
Era una notte nera,
quando un mago potente disse,
guardando dal basso il
cielo, e le stelle fisse:
Al mondo verranno tre
sorelle.
Alla prima, destinata
dalle stelle,
per conquistare di
tutti anima e cuore
di un grande dono
avrà onore:
di angelico viso e
splendida bellezza
sarà
portatrice. Priva di purezza,
ma non di altro, non
certo intelligente
sarà la
seconda, di cui corpo e mente
di uno può
far suo, che in eterno sarà di lei.
Nata per ultimo
è infine colei
Che degli altri non
può far suo che l’aspetto
Ma per il suo animo si
deve aver rispetto.
Fra le tre
è l’unica perseguitata...
«Si,» annuì Imago. «Proprio
quella.
Però, vedi… quella strofa era parte di un testo
molto
più lungo. Noioso. E senza rime. Mi sono divertita a
tentare di trasformarlo in canzone quando non sapevo come passare il
tempo in
prigione,» ridacchiò imbarazzata. «Ma
non è
questo il punto. Le parole che fanno parte di quella cosa sono
antichissime: la mia famiglia se le è tramandate per non so
quante generazioni e hanno costretto anche me e le mie sorelle ad
impararle a memoria. E’ una specie di poesia, e ad un certo
punto
parla anche di un Messia…»
«Davvero?»
«Sì! Non ricordo cosa diceva all’inizio,
ma dopo
aver narrato di noi tre sorelle, racconta di quanto è brutto
questo pianeta e di quanto era luminoso il Pianeta Azzurro. E poi dice
questo:
E così,
dopo secoli e millenni
Giunge, infine, il
momento
Il Messia risorge dal
suo sonno
Non si può
evitare.
Gli angeli non avranno
più potere
Le anime maligne ne
sono assetate
Esse provengono dal
puro male
Profondo come
l’oceano più scuro.
Il cerchio
è destinato a riaprirsi
Perciò in
guardia, o posteri
Da ciò che
vive al di sopra
Dell’antico
cammino di vita e di morte!
La chiave di tutto
è l’incrocio
Quando lontani il
primo e l’ultimo
Riusciranno a
guardarsi negli occhi
Il suo nodo
sarà già stato sciolto.
Destinata, creatura
scelta
Non temere di donare
il buio
Perché
la Luce sarà nelle tue mani
E sarai sola, quando:
Gli angeli saranno per
sempre assopiti
Le prescelte
troveranno la via
Che i cavalieri
avranno aperto
Comprendi dunque queste parole.»
«Imago, che cosa significa che non ricordi cosa diceva
all'inizio?»
«Ecco, è che… le altre parti erano
così noiose che le ho dimenticate.»
«Stai forse dicendo che ti è stata affidata una
conoscenza vecchia milioni di anni, e tu l’hai dimenticata
perché era noiosa?»
domandò Pai con calma.
«Uhm…» Imago aveva come il presentimento
che, se
avesse annuito, sarebbe stata fulminata dal ventaglio
dell’alieno.
«Beh, comunque sia mi piaceva più con le
rime,» borbottò Kisshu per sciogliere la tensione.
«Queste strofe mi sono tornate in mente perché
anche sulla Chiave c’era scritto ‘La chiave di tutto è
l’incrocio.’ Ecco perché
quando l’ho vista mi ha ricordato qualcosa,»
concluse Imago.
«Uh, chissà cosa significa il resto,» si
domandò Kisshu.
«Me lo sono sempre chiesta anche io,» gli fece eco
l'aliena dai capelli arancioni.
«Io mi preoccuperei più per la parte che dice che
non si
può evitare questo Messia,» osservò
Chris.
Pai scosse piano la testa con aria pensierosa. «Io invece non
comprendo il collegamento del Messia con le tre sorelle.»
«Due, Diya è morta,» disse Imago con
voce piatta.
«Una, anche Kassandra lo è,»
precisò Chris.
«C-Che cosa?»
«Mi dispiace dirtelo così, Ima. Ma poco tempo dopo
la sua
partenza, il team che si occupava del monitoraggio della sua nave ha
perso ogni contatto con lei. Si è concluso che la sua nave
è esplosa nello spazio.»
Imago divenne pallida.
Kisshu aggrottò la fronte. «Pai, tu lo
sapevi?»
«Era un’informazione riservata,»
annuì lui.
«E non volevamo… ferirla,» aggiunse poi.
Ed infatti Imago, che aveva appena iniziato a riprendersi dalla morte
di Kassidiya, a causa delle novità su Kassandra era
nuovamente
ricaduta in uno stato di shock. Stavolta, però, non pianse.
Raggiunse solo uno dei cuscini a terra e si sedette lì.
«Sto bene,» sussurrò a Kisshu, che
l’aveva subito raggiunta. «Va tutto bene.»
Pai guardò seccamente Chris. «Perché
glielo hai detto adesso?»
Lei sollevò appena le spalle. «Doveva saperlo
prima o poi.»
«Bah.»
Pai decise di lasciar perdere ogni ulteriore commento su quella cosa.
Si rimise in piedi e fece qualche passo nella stanza, pensieroso. La
sua mente era andata in un overload
di informazioni, ma sentiva che c’era qualcosa di quella
storia
che gli stava sfuggendo. Qualcosa che riguardava Kassidiya…
«P-Pai. Non
lasciarmi da sola. TI SUPPLICO, NON LASCIARMI SOLA CON LEI!»
«Lei chi?
…Chi, Kassidiya? C’è qualcun altro in
questa stanza? Rispondi!»
«Lei…»
«Quello
è uno specchio, Kassidiya.»
«NO!
E’ UN DEMONE!
E’ me ma non sono io! Dice che mi ucciderà! Dice
che mi
sta uccidendo! M-Mi sta uccidendo…Pai, io… io sto
morendo.»
Queste erano state alcune le ultime parole sensate che la Sovrana gli
aveva rivolto prima di addormentarsi. Pai intuì che tutto
questo
fosse collegato.
“Lei lo sapeva…” pensò,
mordendosi un labbro.
“Lei lo sapeva che sarebbe morta… sapeva di avere
uno
spirito dentro di lei… maledizione!” Strinse i
pugni.
«E’ Kassidiya il Messia…»
dichiarò.
«Kassidiya?» protestò Kisshu.
«Ma…»
«Lei…ha tentato di dirmi qualcosa, prima
di…»
«No, Pai. La sorella di Imago è morta.»
«No, si è addormentata. Ed ora sta
dormendo… perché deve risvegliarsi come
Messia.»
Chris ci pensò su. «Potrebbe essere,»
ammise alla fine.
«S-Scusate, ma allora se mia sorella è malvagia,
vuol dire
che anche io lo sono?» osservò Imago, sempre
più
rattristata da quella discussione.
Kisshu alzò gli occhi al cielo.
«Dolcezza,» le
disse, scompigliandole i capelli, «senza offesa, ma tu non
sei
fatta per essere malvagia.»
Questo parve tirare un po’ su di morale Imago.
«Non cominciare a pensare cose sciocche, ragazza,»
commentò Pai. «Nessuno ti dice che tu sia
collegata al
resto della profezia. Non parla di sorelle in quest’ultima
parte
che hai recitato.»
«In conclusione, che cosa facciamo?»
sbadigliò Taruto, annoiato.
«Dobbiamo prendere una decisione,» rispose Chris.
«E
se…e se provassimo a risolvere il mistero di questa croce
antica? Serve per risvegliare il Messia, no? Scopriamo come funziona e fermiamo il processo. In questo modo, salveremo il nostro pianeta
d’origine dalla distruzione…e
Ally…»
«Quando ero una bambina,» disse Imago,
«mia
madre diceva che io e le mie sorelle eravamo destinate a grandi
cose… io accetto la proposta di
Chris!»
«D’accordo, anche noi tre,»
annuì Kisshu,
rialzandosi. «Ah, Ima, mi fai vedere il cristallo che ti ha
dato
Chris?»
«Uh? Eccolo, perché?»
«Perfetto.»
Kisshu prese dalle mani di Imago il cristallo sperimentale e lo
lanciò a Taruto che, colto di sorpresa, per poco non lo
lasciò cadere a terra.
«E-Ehi,» balbettò Imago, confusa,
«ma cosa…wha?!»
Prima che potesse terminare la frase, l’alieno dagli occhi
dorati
l’aveva sollevata di peso e se l'era caricata sulle spalle.
«Spiacente, dolcezza: tu non andrai da nessuna
parte,» sogghignò, portandola via.
«Ehi, Kisshu, lasciami subito! Lasciami andare!»
protestò Imago. «Lasciami! Hai capito? Non hai il
diritto
di farmi questo!»
«No, no, no, si, forse no ma non me ne importa,»
rispose
Kisshu in sequenza senza fare una piega. «Spiacente mia
piccola
intrepida principessina, ma è troppo pericoloso.»
Poi,
dato che Imago non la smetteva di ribellarsi, aggiunse:
«L’hai detto tu stessa: angeli che dormono, mostri
assetati
di sangue, messia psicopatici, tu resti qui e niente storie!»
L’aveva portata nella sua stanza. La gettò sul
letto, le
voltò le spalle, e prima che lei potesse rialzarsi e
andargli
dietro uscì fuori e la chiuse dentro.
«Non puoi farmi questo, Kisshu!» strillò
Imago dall’interno della stanza.
«Oh si che posso, piccola!» replicò lui
sogghignando. «L’ho già fatto!»
«Ti odio!»
«Oh, non mentire: lo so che mi ami!»
Quando pochi secondi dopo Kisshu tornò dai suoi compagni, li
trovò che stavano confabulando fra di loro.
«Dunque,
qual’è il piano?» chiese.
«Kassidiya è nel luogo più sorvegliato
del Palazzo,
protetta da decine di guardie, e probabilmente anche da membri
dell’Ordine,» spiegò. «Per
questo motivo
dobbiamo per forza concentrarci sulla Chiave. Fra poco Ally
andrà al suo laboratorio al Palazzo, e sicuramente la
porterà con sé. Al Laboratorio però
sarà
impegnato con altre cose, per cui noi andremo lì e,
approfittando della sua distrazione, gliela ruberemo. Risolviamo il
mistero, scopriamo in che modo quei folli vogliono risvegliare il
Messia e lo neutralizziamo per sempre. Ci stai?» chiese,
tendendo
la mano in direzione di Kisshu.
«Certo! E’ perfetto. Allora andiamo!»
esclamò Imago, stringendo la mano di Chris.
«Sapevo di poter contare su di te, sorella,»
sorrise lei.
A vedere Imago lì, la mandibola di Kisshu sfiorò
la terra. «E tu che ci…»
Imago gli mostrò uno dei cristalli sperimentali: il suo, che
lei
era riuscita a rubargli dalla tasca mentre lui la stava portando sulla
spalla. «Cerchi questo?»
Gli occhi dorati di Kisshu brillarono per un momento. «Mi
arrendo, piccolo demonietto maligno, vieni anche tu,»
sospirò alla fine, riprendendosi il cristallo dalle mani
dell'aliena sorridente.
|
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Capitolo 26 *** OoP.ArtS ***
25
15/10/2014: Ho
cercato di sfoltire un po’ queste pagine togliendo nomi ed
informazioni inutili.
Ah e ho aggiunto un po’ di distruzione e di yuri.
Lo yuri è molto importante.
- Capitolo
25: OOPARTS -
Ichigo entrò nel cortiletto del Cafè Mew Mew e
trattenne
a stento l’istinto di gettarsi su uno dei letti di fiori
nelle
aiuole e crollare addormentata lì. Le sue compagne la
seguirono
a ruota, chi più chi meno provata.
L’ultimo combattimento era stato davvero duro per loro, non
tanto
per la battaglia in sé quanto per la preoccupazione e
l’ansia che avevano vissuto nell’essere costrette a
combattere contro una di loro.
Retasu, l’unica che sembrava in piena forma, stava ancora
lottando contro i sensi di colpa per non essere stata in grado di
scacciare sin da subito il chimero dal suo corpo. Non ricordava molto
di ciò che aveva combinato quando era sotto il suo
controllo, e
forse era meglio così.
Le cinque si diressero verso l’ingresso del locale, ma si
fermarono non appena si accorsero della persona educatamente seduta su
una delle panchine lì accanto.
«Welcome back,»
le salutò Marie, storcendo la bocca in un sorrisetto,
«my dears.»
Lo strano tono di voce della straniera fece rabbrividire Ichigo.
«Ma…Marie!» le disse, mentre le sue
compagne si
lanciavano degli sguardi inquieti. «Che cosa ci fai ancora
qui?»
La biondina, che aveva ancora indosso la divisa scolastica, si
alzò dalla panchina e le mostrò alcuni tomi
voluminosi
che aveva portato con sè. «Ichigo, te
l’avevo detto
che sarei tornata per studiare con te,» le rispose con calma.
La ragazza gatto mosse un passo indietro: non capiva perché,
ma
si sentiva molto nervosa. «Stu…studiare?
Ma…ma
ormai è sera!»
«I know.
Ma io ho preso questo impegno e voglio mantenerlo.»
Presa in contropiede, Ichigo non riuscì a pensare a qualcosa
da
replicare alla sua compagna di classe. Se l’avesse mandata
via di
nuovo con una scusa, lei si sarebbe offesa sicuramente. O, peggio,
avrebbe potuto insospettirsi.
«Fai una cosa, Ichigo,» le sibilò piano
Minto
all’orecchio. «Resta qui con lei a studiare una
mezz’ora per accontentarla. Avvisiamo noi Ryo.»
«Ma…»
«Sono d’accordo,» annuì
Zakuro, sempre a bassa
voce. «Ci raggiungerai nel sotterraneo non appena avrai
finito.
Devi solo farmi il favore di tenere d’occhio quella
ragazzina: ho
come l’impressione che nasconda qualcosa.»
«Va bene…capito…»
«Bene, allora buono studio, ragazze!»
Minto diede un colpetto leggero sulla spalla dell’amica e
poi,
insieme a Zakuro, Retasu e Purin, superò Marie ed
entrò
nel locale, scomparendo oltre la porta d’ingresso.
Marie non le guardò nemmeno, ma si rivolse direttamente ad
Ichigo. «So?»
le chiese.
«So,
le mie amiche hanno
del lavoro da sbrigare, ma noi due possiamo restare qui a studiare su
uno dei tavoli del locale. Ti dispiace?»
«No problem.»
«Però non vorrei metterci
troppo,» aggiunse Ichigo speranzosa.
«Oh,
don’t worry,» sorrise Marie.
«Faremo molto presto.»
**
Ichigo non era sicura di aver fatto bene ad accontentare
Marie.
Seduta su uno dei tavolini del locale vuoto, continuava a pensare solo
al suo letto. Davvero, le sembrava trascorso un secolo
dall’ultima volta che si era arrotolata al calduccio fra le
coperte. Quella mattina aveva anche dovuto alzarsi prestissimo per
andare a lavorare. Questa volta, Ryo non l’avrebbe passata
liscia: le avrebbe pagato gli straordinari e anche una vacanza extra.
Marie, seduta di fronte a lei, iniziò a sfogliare con aria
pensosa uno degli grossi libri che aveva portato, attirando la sua
attenzione.
«Ehm,» mormorò imbarazzata la ragazza
dai capelli
rossi. «Allora, che cosa avete fatto nei giorni in cui sono
stata
assente? Ancora quella stupida filosofia?»
Marie annuì distrattamente e continuò a sfogliare
le pagine del suo libro.
«Si, abbiamo parlato di Platone,» disse alla fine.
«E’ un antico filosofo… difficile che lo
trovi sui
tuoi libri…he’s
from Greece.»
Ichigo aveva accettato da tempo l’idea di non avere
più
una vita normale, ma in quel momento si chiese perché non
poteva avere almeno un professore normale.
Sospirò.
«Cosa devo sapere di lui?»
«Credo che sia molto importante che tu sappia cosa scrisse
Platone nel Timeo. Sai, per l’interrogazione,»
disse Marie, ponendo molta enfasi su quell’ultima parola.
Poi,
trovata finalmente la pagina che cercava, iniziò a leggerla
ad
alta voce.
Il libro era in una lingua che Ichigo non conosceva ma la straniera,
leggendo, scorreva rapidamente il dito da un punto all’altro
del
brano e traduceva al volo per lei dei passaggi che aveva
evidenziato con una velocità e una
precisione sorprendenti.
Le parole di Marie furono più o meno queste:
“In Egitto, vi
è un distretto denominato Saitico, la cui capitale
è Sais.
Solone, giunto in quel
luogo, venne
accolto con grandi onori, ma quando chiese ai sacerdoti più
preparati informazioni sui fatti antichi, scoprì che
né
lui né nessun altro greco era al corrente di tali fatti. E
allora per spingerli verso questo argomento, cominciò a
parlare
di quei fatti che qui si pensa che siano i più antichi, e
narrò del primo uomo e del Diluvio.
Ma a quel punto un
anziano sacerdote
si alzò e disse: - Solone, voi Greci siete sempre dei
bambini...siete tutti giovani, nelle anime, perché voi non
conservate nessuna antica credenza, nessuna conoscenza maturatasi nel
corso delle età.
Il genere umano
è stato e
sarà ancora sterminato per innumerevoli ragioni. Voi
ricordate
un solo diluvio della Terra, ma in realtà ce ne sono stati
molti, ed inoltre non sapete che nella vostra regione ha
avuto
origine la stirpe più onorevole e più nobile di
uomini.
Dicono infatti le scritture quanto grande fu quella potenza che la
vostra città sconfisse, la quale invadeva tutta
l’Europa e
l’Asia nel contempo, provenendo dall’Oceano
Atlantico.
Allora infatti quel mare era navigabile, e davanti
all’imboccatura che voi chiamate colonne d’Ercole,
c’era un’isola, così grande che puoi
veramente e
assai giustamente chiamarla continente. In quest’isola di
Atlantide regnava una potente e meravigliosa dinastia regale…
Atlantide
tentò di conquistare
con un solo assalto la vostra regione, la nostra, e ogni luogo che si
trovasse al di qua dell’imboccatura. Fu in quella occasione,
Solone, che la potenza della vostra città si distinse per
virtù e per forza dinanzi a tutti gli uomini. In seguito,
però, avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un
solo
giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro esercito
sprofondò insieme nella terra; allo stesso modo
l’isola di
Atlantide scomparve, sprofondando nel mare…”
Marie smise di leggere e lanciò ad Ichigo
un’occhiata
significativa, ma scoprì ben presto che la rossina stava
fissando il libro con un grosso punto interrogativo che le lampeggiava
a scatti sopra la testa. Allora sfogliò altre pagine e
tradusse
per lei degli stralci di un’altra opera di Platone, il Crazia:
“Poseidone,
che aveva ricevuto
l'isola di Atlantide in sorte, vi stabilì i propri figli,
generati da una donna mortale. Questi abitarono qui con i loro
discendenti, esercitando il comando: la loro stirpe fu numerosa e
onorata e preservò il regno per molte generazioni,
acquistando
ricchezze in quantità tale quante mai ve n'erano state prima
in
nessun dominio di re, né mai facilmente ve ne saranno in
avvenire.
Molte risorse
provenivano loro
dall'esterno, ma la maggior parte le offriva l'isola stessa: sia tutti
i tipi metalli - fra cui anche quello del quale oggi si conosce solo il
nome, l'oricalco, che era il più prezioso -, sia tutto
ciò che offrono le foreste.
Per molte generazioni,
finché
fu abbastanza forte in loro la natura divina, avevano pensieri veri e
grandi in tutto, e usavano mitezza e saggezza negli eventi che di volta
in volta si presentavano e nei rapporti reciproci.”
La giovane si interruppe di nuovo quando sentì Ichigo
sbadigliare vistosamente. La guardò con
un’espressione a
dir poco sconvolta e lei arrossì.
«Ah, e-ehm, scusami! E’ che, sai, oggi ho avuto
davvero una
giornataccia…ehm…stavi dicendo?!»
ridacchiò
imbarazzata la rossina.
«Stavo dicendo,» ripeté Marie,
leggermente irritata
dall'ottusità di Ichigo, «che Platone sosteneva
che molto
tempo fa sulla Terra esisteva una civiltà chiamata
Atlantide.
Era molto avanzata e i suoi regnati erano saggi e giusti,
ma…» chinò di nuovo la testa sul libro
«…quando
l'elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro,
il carattere umano prevalse, e allora degenerarono. A quelli
che
erano in grado di vedere apparvero turpi, ma agli altri apparvero
bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus,
il
dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente,
volle impartir loro un castigo. Convocò gli dei tutti, e
poi,
disse...»
«Che disse?»
«No one knows
it. Il Crizia si interrompe qui. Ma non è
importante: la storia la conosciamo tutti…»
Ichigo aggrottò la fronte, incerta.
«Non fare quella faccia: l’ho letto prima, un
cataclisma
distrusse Atlantide e sconvolse tutto il pianeta.»
«Ah, si? Bella favola!» ironizzò Ichigo,
per poi deglutire.
C’era qualcosa di strano in Marie. Improvvisamente, quella
ragazza riusciva a parlare un giapponese perfetto…
La biondina richiuse il libro e vi sbatté la mano sopra. «Ascolta, qui si parla
della furia degli Dèi, ma in realtà la fine
dell’Antico Impero fu dovuta ad altro!» esclamò
spazientita. Ichigo scattò in piedi d'istinto e Marie la
imitò.
«E’ accaduto
così: quando la stella Bal[1]
cadde là dove ora non c’è che
mare…le Sette
Città tremarono con le loro porte e i loro templi. Gli
uomini,
spaventati, si ripararono nei templi e nel palazzo del re. Il re disse:
-Forse non l’avevo annunciato?- e gli uomini e le donne
vestiti
con abiti preziosi e adornati con preziosi gioielli lo implorarono e lo
pregarono di salvarli. Ma il re predisse loro che sarebbero morti, con
i loro schiavi e loro figlie, e che dalle loro ceneri sarebbe sorta una
nuova razza umana.»
«Co-cosa stai dicendo,
Marie?»
balbettò Ichigo sempre piu' spaurita, indietreggiando fino a
toccare il muro con le spalle. Non sapeva perché era
così
terrorizzata: Marie era solo una sua compagna di classe. Era una
ragazza bassa e dall'aria fragile e non era un mostro né un
alieno. Perché le incuteva un tale timore?
La straniera, rossa in viso, raggiunse Ichigo e posò le mani
sulle sue
guance. Si portò piu' vicina a lei, così tanto
che le
ciocche dei suoi capelli biondi solleticarono il viso della rossina.
«Volevo spiegarlo con le parole, ma forse è meglio
che te
lo mostri,» disse in un sussurro.
Si alzò in punta di piedi e avvicinò il volto a
quello
dell'altra ragazza. Lei pensò che stesse per baciarla e
iniziò a mugolare parole imbarazzate e senza senso, ma un
attimo
dopo si accorse che Marie aveva solo premuto la fronte contro la sua.
All’inizio, Ichigo non capì che cosa le stava
succedendo, ma un attimo dopo vide.
Vide gli antichi abitanti della Terra e le città
meravigliose in
cui abitavano; sorrise alla gentilezza del loro sguardo e
ascoltò le risate dei loro bambini che giocavano. Il sole
era
caldo e si rifletteva sui vetri colorati e sulle pareti d'oro degli
edifici, facendoli luccicare.
Ichigo si sentì felice.
Poi, però, le cose cambiarono, e Ichigo vide la guerra, la
decadenza e il dolore. Vide un uomo povero e malato, accasciato contro
un muro sporco, sollevare debolmente un braccio e puntare un dito verso
il cielo. Tutte le persone intorno a lui si fermarono e guardarono
nella direzione che indicava.
C’era un oggetto che stava precipitando giù dal
cielo.
Nessuno sapeva cosa fosse, così tutti rimasero fermi a
guardare. L’oggetto si schiantò da
qualche parte in
lontananza, facendo tremare la terra. Fu un attimo: l’onda
d’urto travolse tutto e fece spaccare i vetri e scoppiare le
case. In pochi secondi, gli alberi e le persone bruciarono, gli edifici
crollarono l’uno addosso all’altro. Un fumo nero e denso si
riversò nelle strade. Ichigo vide tutto, ma
non riuscì ad aiutare nessuno.
Non ci furono sopravvissuti.
Poi venne l’acqua, che scaraventò via ogni cosa e
sommerse la terra.
Non fu solo una città: l’intero continente venne
scosso da
quel disastro. Ichigo vide le terre sprofondare e il clima
cambiare. Vide il cielo oscurarsi e non sentì più
nulla,
perché tutto divenne silenzioso. E poi iniziò a
piovere.
Piovere, piovere, piovere.
Fra le lacrime, Ichigo vide delle navi spaziali bucare la coltre di
nubi e scomparire. Non erano gli abitanti del continente colpito dal
disastro: erano uomini che avevano avuto la fortuna di nascere
dall’altra parte del pianeta, e che solo per questo motivo
avevano avuto il tempo di scappare.
C’erano anche altre persone che erano riuscite a sopravvivere
al
disastro: loro non riuscirono a fuggire, ma almeno riuscirono a restare
in vita. E, quando la pioggia terminò, anche se ormai erano
stanchi e distrutti sia nel corpo che nell'animo, ripopolarono
la Terra.
**
Frattanto, qualche metro più in basso, le ragazze avevano
appena finito di narrare a Ryo la loro ultima avventura.
«E quindi non siete più riuscite a ritrovare il
ciondolo
di quell’aliena…» borbottò il
giovane,
accigliato.
Le quattro ragazze annuirono con desolazione.
«Com’è possibile?!» Ryo
sbuffò
amareggiato di fronte a quell’ennesimo mistero, ma
capì
che era inutile prendersela con la squadra di supereroine: ne avevano
già passate troppe quel giorno. Decise allora di rivolgere
l’attenzione a Retasu, che continuava a scrutarlo con un
nervosismo quasi palpabile. «Beh, l’importante
è che
tu stia bene,» le disse, abbozzando un sorriso rassicurante.
Per tutta risposta, la ragazza abbassò rapidamente la
schiena in
segno di scuse. «Mi dispiace per tutto quello che ho fatto,
Ryo!
I-Io non…non volevo!»
«Non pensarci più. Ora abbiamo altro di cui
preoccuparci.»
«Già, adesso gli alieni conoscono la vera
identità
di Zakuro e di Retasu,» intervenne gravemente Keiichiro.
Cercando
di mantenere uno sguardo e un aspetto calmo, aggiunse: «Non
tarderanno molto a risalire anche a quella di Purin, Minto ed Ichigo e
a collegare tutto a questo locale. Dobbiamo prepararci immediatamente
all’eventualità che ci attacchino qui.»
«C’è anche
dell’altro,» disse Ryo.
«Credo di avere un indizio che forse potrebbe aiutarci, anche
se
non capisco in che modo.»
«Che cosa?» chiese Keiichiro.
Il biondo si passò un dito sulle labbra, pensieroso.
«Oggi, mentre l’antiRetasu era con me , ho notato
che
quest’oggetto ha reagito alla sua presenza.»
Mentre parlava, Ryo aveva estratto dalla tasca la sferetta bluastra che
aveva conservato fino a quel momento.
Minto chinò di lato la testa per osservarla meglio.
«Che
cos'è?» chiese, domandandosi cosa c'entrasse
quella
sferetta con gli alieni.
Probabilmente anche le altre ragazze si stavano chiedendo la stessa
cosa e per questo guardarono tutte Ryo, in attesa di una sua risposta.
Che non venne mai, perché lui aveva assunto
all’improvviso un’espressione vuota e si era
irrigidito,
facendo cadere a terra la sfera.
«Mi sta cercando,» sussurrò,
incamminandosi meccanicamente verso l’uscita.
Minto alzò gli occhi al cielo. «Oh, no, ci
risiamo.»
«Questo suo comportamento è
preoccupante,» commentò Zakuro, raccogliendo la
sferetta.
Retasu le lanciò uno sguardo supplichevole. «Che
cosa facciamo?»
Purin strinse i pugni. «C’è solo una
soluzione,» disse alle sue compagne.
«PRENDIAMOLO!!»
**
Marie si allontanò da Ichigo e ricadde scompostamente su una
delle sedie del locale. Sollevò le mani per
coprirsi il
volto arrossato e prese dei grossi respiri affannati. Aveva
un’aria sconvolta, ma mai quanto quella di Ichigo che,
premuta
contro la parete, sembrava davvero un gattino terrorizzato.
La ragazza gatto non sapeva cosa pensare. Non era stato un sogno ad
occhi aperti, lei aveva davvero visto con i suoi occhi e provato sulla
sua pelle la storia che Marie aveva tentato di spiegarle per tutto quel
tempo. Come aveva fatto? Chi era davvero quella ragazza? Che cosa
voleva da lei?
Un rumore di passi proveniente dalle scale del sotterraneo
impedì alla rossa di porsi ulteriori domande.
«I have to go
now,» sussurrò Marie rialzando la
testa, ridestata da quei suoni. «Bye bye, my sweet friend,»
le disse con una voce stranamente dolce e, raccolti i suoi libri,
uscì.
«A-Aspetta!» Ichigo cercò di
raggiungerla per
fermarla, ma quando varcò la soglia del
Cafè
scoprì che l’inglesina era scomparsa nel buio
della notte.
Ferma sulla porta, Ichigo venne spinta via a sorpresa da Ryo, che
doveva passare. «E-Ehi!» ringhiò lei in
automatico.
«Ma ti sembra questo il modo?!»
Ryo non si girò a guardarla: tutta la sua attenzione era
rivolta
a Luna, che era comparsa da chissà dove e che lo prese per
mano
e lo condusse via, ma non prima di aver fatto una rapida smorfia a
Ichigo.
Lei stava per urlare a entrambi parole ben poco carine, ma la voce
sconsolata di Purin la distolse dal suo intento.
«Uffa! Troppo tardi!» esclamò la
ragazzina, seguita di corsa dalle sue amiche.
Ancora leggermente stordita, Ichigo desiderò con tutto il
suo
cuore di svegliarsi da quello che ormai era sempre piu' simile ad un
brutto sogno.
**
Retasu intrecciò le mani al petto, preoccupata.
«Ichigo, che cos’hai? » chiese alla sua
amica.
«Dieci minuti scarsi di studio sono devastanti per zoticone
come lei,» osservò Minto in tono provocatorio.
Ma Ichigo non reagì: non riusciva a smettere di ripensare a
ciò che aveva visto. Era troppo difficile da spiegare a
parole e
lei stessa non era sicura di ciò che era accaduto, per cui
decise di tenerlo nascosto alle sue compagne. «Che cosa vi
stava
dicendo Ryo prima di andare con quell’antipatica?»
domandò loro mentre scendeva per ultima le scale che
portavano
al sotterraneo, ignorando Minto.
Zakuro le mostrò la sferetta bluastra. «Stavamo
cercando di capire cos’è
quest’oggetto.»
«Uh? Che cos’è?»
Purin rubò la sfera dalla mano alla ragazza-lupo.
«E’ bellissima! La posso usare per i miei
spettacoli!» esclamò sorridente, e la
lanciò in
aria insieme alle sue palle da giocoliere.
«NOOOO!!!! NE LE FAIRE PAS!!!!!»
Cherry, che fino a quel momento era rimasta seduta in un angolo del
sotterraneo a leggere, scattò in piedi così
all’improvviso da far cadere all’indietro la sua
sedia. Le
ragazze sobbalzarono al vederla: per tutto quel tempo, la professoressa
era stata così silenziosa che non si erano neanche accorte
della
sua presenza!
«Non è un giocattolo!»
strillò isterica
Cherry raggiungendo Purin e strappandole letteralmente di mano la sfera.
«Ah, no?» chiese la biondina in tono innocente.
«NO!» fu la risposta Cherry, che impiegò
alcuni
secondi e un paio di nervosi colpi di tosse per calmarsi.
«Perdona la mia reazione,» disse a Purin poco dopo,
«ma questo è un reperto davvero molto antico e
bisogna
trattarlo con estrema cura.»
«Uffa,» borbottò la ragazza scimmia.
Keiichiro, dietro di lei, si lasciò sfuggire un lieve
sorriso. «Vedo che anche tu conosci la storia,»
disse.
«Non è poi così strano se pensi alle
persone con
cui ho a che fare per lavoro, Keiichiro-san,» rispose Cherry.
Spolverò delicatamente la sfera con le mani e
controllò
che non avesse subito danni. «Ho molti amici archeologi che
si
dilettano con oggetti
fuori posto come questo.»
Tutti, meno Keiichiro, assunsero un’aria perplessa.
«Oggetti fuori posto? Di cosa si tratta?» chiese
Zakuro.
Cherry prese fiato e si preparò a spiegare, ma si interruppe
appena prima di iniziare per voltarsi verso Keiichiro: «Forse
vuoi dirglielo tu...?» gli chiese.
Lui scosse la testa: «Preferisco ascoltare le parole di una
professionista,» sorrise amabile.
Cherry arrossì leggermente. Si rivolse poi alle ragazze in
attesa. «Dunque, un oggetto fuori posto è un
manufatto
databile ad un’epoca in cui teoricamente non sarebbe dovuto
esistere e/o ritrovato in un luogo a lui completamente
estraneo,»
spiegò.
Le cinque cameriere si guardarono l’un l’altra con
aria confusa.
«Ad esempio, immaginate di ritrovare un dipinto
post-impressionista in un’antica piramide egizia,»
le
aiutò Cherry.
«Ehm….mi è sfuggita l’ultima
parte, ma credo
di aver capito cosa vuoi dire,» ammise Ichigo toccandosi i
capelli.
«Perfetto! Vedete, gli oggetti fuori posto sono davvero un
grande
mistero. Molti sono dei falsi, ma alcune volte l'autenticità
di
questi reperti è certa.»
«Che tipo di oggetti sono?» chiese Retasu, curiosa.
«Spesso sono così misteriosi che sono
indefinibili,»
le rispose Keiichiro, seduto di traverso su una sedia accanto a Cherry.
«A volte non si tratta neanche di oggetti… ad,
esempio,
sono state trovate impronte di scarpe umane in uno strato di roccia
risalente a più di 300 milioni di anni fa,»
aggiunse la
professoressa.
«300 milioni di anni fa?» ripeté Purin.
«Io so
perché! Sulla Terra in quel periodo c’erano gli
alieni!!»
Ichigo sobbalzò. «No, non è
vero! A quel
tempo c’erano gli Atal...Atlan...Atlantidei!»
farfugliò. Nessuno le diede peso.
«Alieni? Quelli che state combattendo voi héroïnes?»
«E’ una lunga storia, Cherry. Ora parlaci delle
Sfere. Che cosa sai di questi oggetti?» intervenne Keiichiro.
«Ah…si, le Sfere del Transvaal. Ne sono state
ritrovate
moltissime in una miniera di quella regione, tutte realizzate allo
stesso modo: metallo blu con linee parallele che si incrociano ai poli,
proprio come questa,» disse, e poi si interruppe pensierosa,
cercando di ricordare quello che aveva letto mesi prima alla biblioteca
dell’università. «Sembrano essere opera
dell’uomo, ma gli studi effettuati su di loro hanno
dimostrato
che sono state create oltre due miliardi di anni
fa…»
«Due miliardi di anni fa?» domandò
incredula Zakuro.
«Beh, a quel tempo l'atmosfera era più o meno
uguale a
quella odierna, ed esistevano mari e continenti, anche se i loro
confini erano totalmente diversi,» le disse
Keiichiro. «Si
crede che, a quel tempo, la vita fosse già presente sul
pianeta,
anche se le tracce più avanzate che i geologi hanno
ritrovato
sono quelle di organismi multicellulari invertebrati. Organismi che,
sulla scala evolutiva, sono qualche gradino sotto la medusa, per
cui…»
«…è ovvio che nessuna delle creature
viventi di
quel tempo può aver fabbricato queste sfere, che hanno
l’aspetto di un manufatto creato in fonderia utilizzando un
acciaio di speciale durezza per uno scopo preciso,» concluse
Cherry con uno dei suoi sorrisi smaglianti.
«Eppure, a dispetto di ciò, gli studiosi
concordano che le
sfere non possono essere opera dell'uomo,» riprese Keiichiro.
«E’ comprensibile, dato che la prima comparsa
dell'umanità moderna risale a circa 100.000 anni fa,
nell'Africa
meridionale. Per cui, in conclusione…»
«...il luogo è quello giusto, ma il tempo e il
livello di sviluppo tecnologico sono completamente sbagliati.»
«Che carini, completano l’uno la frase
dell’altra,[2]»
osservò Minto, quasi imbarazzata da quella scena.
«Però questa sfera a dire la verità
è
diversa,» osservò Cherry, rigirandosela fra le
mani.
«Un mio amico archeologo una volta me ne fece vedere una che
stava studiando, ed era molto più piccola e
leggera.»
«E questo che cosa significa?» chiese Ichigo.
«Non me lo chiedere tesoro: sono storica d’arte,
non Indiana Jones.»
«Vedete ragazze, io e Ryo crediamo che queste sfere siano
state
fabbricate dai primi abitanti della Terra…quelli che poi
furono
costretti ad abbandonarla, e che oggi sono i nostri nemici. Ma la loro
funzione è sconosciuta,» ammise Keiichiro.
«Ryo ha detto che la sfera ha reagito con il ciondolo di
Kassandra… potrebbero essere collegati,»
azzardò
Zakuro.
«Non lo so. Per scoprirlo dovremmo risolvere il loro
mistero.»
«Non per essere disfattista,» tossicchiò
Cherry a
quel punto, «ma sono anni che ci si prova senza successo, e
non
credo che ora voi sei novellini riuscirete a-»
«Ma noi siamo l’invincibile Squadra delle Mew
Mew~!» la interruppe Purin.
«Si, però…»
«Senza contare che io e Ryo stiamo studiando le antiche
civiltà da una vita…»
«Comprendo, tuttavia…»
Ichigo si tirò su le maniche del vestito. «Forza,
mettiamoci all’opera, ragazze!»
Cherry sospirò, rassegnata. «E va bene…
mettiamoci all'opera.»
++++++++
Note:
(1)
Riguardo
la storia di Bal: c‘è chi crede che si tratti di
una
seconda Luna terrestre caduta sulla Terra, chi dice che si tratti di un
asteroide, chi parla di bombe atomiche e di invasioni aliene e chi
più ne ha più ne metta!
Le fonti
però concordano
tutte sul fatto che la caduta di questo Bal (da cui sembra derivi anche
la parola Baal-zabuh, cioè Belzebù, Satana
insomma), sia
la causa della scomparsa delle antiche civiltà.
Parte delle parole
di Marie,
inoltre, sono la traduzione delle presunte antiche tavolette di argilla
ritrovate dall’inglese Churchward nel 1870, tavolette che
parlano
appunto di una civiltà ancestrale chiamata scomparsa
migliaia di anni fa.
(2)
In
Frozen della Disney questo non ha portato nulla di buono, just sayin'.
|
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Capitolo 27 *** Il segreto della Croce ***
27
21/10/2014:
Aw, devo assolutamente laurearmi entro l’anno prossimo. Se
non lo
faccio impazzisco. Mi mancano ancora 5 esami e sono tutti o
molto complessi o molto noiosi. Domani ne avevo uno, ma non sono
riuscita a finire di prepararlo. Non ce la faccio piu'!
- Capitolo 26: Il segreto
della croce -
Mentre
Pai, Chris,
Kisshu e Imago stavano ancora complottando ai danni di Kell, il diretto
interessato entrò nella stanza, causando un immediato
silenzio di tomba.
«Vado al Laboratorio,» dichiarò burbero
lo scienziato.
«Vengo con te,» si affrettò a dirgli
Chris.
«No,» fu la risposta secca. «Tu non
muoverti da qui.»
«Ma…»
«Ho detto di no!» esclamò Kell, facendo
spaventare
tutti. Lo scienziato guardò la sua assistente fisso negli
occhi:
da com’era nervoso, sembrava capace di uccidere.
«Non ho
bisogno del tuo aiuto,» ripeté con voce bassa e
minacciosa.
«V-Va bene,» annuì lei, piu' con cautela
che con timore.
«Anche voi,» abbaiò Kell al resto del
gruppo.
«Restate qui e non fate nulla di stupido. Ho bisogno di
restare
da solo per lavorare.»
«D’accordo, Einstein, non è il caso di
scaldarsi
tanto,» commentò sarcastico Kisshu. Kell lo
ignorò
ed uscì sbattendo la porta dietro di sé.
Per Pai, quella fu l'ultima goccia: senza pensarci due volte, l'alieno
uscì a sua volta e andò dietro al suo amico.
«Alan!» gridò Pai una volta fuori per
richiamare
l’attenzione dello scienziato, che aveva ormai raggiunto la
strada.
Lui si fermò al suono del suo nome e Pai lo raggiunse in
pochi secondi.
«Che cosa vuoi?» gli domandò scontroso
lo scienziato quando furono faccia a faccia.
«Cosa sai dell’Ordine di Ra-Hu?» chiese
Pai.
Evidentemente Kell non si aspettava una domanda così
diretta,
perché per tutta risposta fece un passo indietro e per un
attimo
la sua maschera di rabbia cadde, lasciando spazio ad un sentimento che
Pai non riuscì a comprendere. Era paura? O forse era solo
stupore?
Lo scienziato si affrettò a ricomporsi. «Non so
niente,» sbuffò in risposta, dando poi la schiena
all’amico.
Pai, che non aveva intenzione di mollare così facilmente, lo
trattenne stringendo una mano sulla sua spalla. La reazione di Kell fu
immediata: voltatosi di scatto con un’agilità che
Pai non
sapeva possedesse, gli afferrò il braccio e glielo torse,
per
poi sbatterlo contro una parete lì vicino.
L’algido alieno non fece una piega. «Che ti
è
successo?» insistette, mentre l’altro gli
schiacciava la
schiena contro il metallo freddo. «Che cosa ti hanno
fatto?»
«Tu non vuoi saperlo, amico mio. Tu non vuoi
saperlo.»
«Vuoi davvero sterminare ogni forma di vita presente sulla
Terra? Vuoi davvero
questo?»
Pai non riusciva a liberarsi dalla stretta di Kell. Non sapeva che lui
fosse così forte, non lo era mai stato.
«Pai,» mormorò lo scienziato,
«ti fidi di me?»
«Vorrei poterlo fare,» fu la risposta.
Kell
abbassò la testa, sospirando. Quando alzò di
nuovo lo sguardo, sembrava rattristato. Liberò
l’amico e uscì dal suo spazio personale.
Pai rimase fermo contro il muro a massaggiarsi il braccio dolente,
guardando con inquietudine crescente il nibiriano di fronte a
lui.
«State lontani da me,» ordinò lui con
fermezza.
«Il mio lavoro è quasi terminato. Presto capirete
tutto. Ho bisogno solo di altro tempo per
terminare il mio progetto. E voi… voi non dovete
interferire.
E’ per questo motivo che Chris è stata
allontanata. Resta
qui con lei e con la tua famiglia: la prossima volta che ci vedremo,
ogni cosa ti risulterà chiara,» promise.
Poco dopo, quando Pai rientrò in casa, Chris gli venne
incontro con aria euforica.
«Pai! Sono entrata di nuovo nella camera di Ally: sembra che
abbia scoperto che l’indovinello serve ad azionare una specie
di meccanismo
che si trova al centro della Chiave!»
«Vi aiuterò a risolvere il mistero,»
annunciò l'alieno dai capelli violacei.
«Cosa? Davvero?!»
Pai strinse gli occhi. «Voglio capire cosa
c’è dietro questa storia.»
* *
«Pai, hai capito cosa significa quella frase?»
chiese Imago per l’ennesima volta in pochissimo tempo.
«Ancora no,» replicò lui seccato,
trattenendosi dall’urlarle contro qualcosa di davvero brutto.
«Secondo me sbagliamo a perdere tempo qui, dobbiamo andare a
Palazzo anche noi e prendere in
prestito quel reperto da Ally, prima che
lui arrivi alla soluzione…» osservò
Chris nervosamente.
«Sì, ma se poi non sappiamo cosa farci, prenderlo
non servirà a niente,» commentò Kisshu.
Chris ribatté qualcosa sul fatto che invece dovevano fare in
fretta, Kisshu obiettò qualcos’altro, Imago si
intromise e
così ricominciarono a discutere.
Pai trattenne l’istinto di lanciare contro tutti loro una
scarica di fulmini.
Intanto, Taruto se ne stava seduto a gambe incrociate su un cuscino e
osservava la scena pensando a quanto erano noiosi gli adulti, quando
sentì uno strattone su uno dei nastri del suo vestito.
«Tarutaru…» lo chiamò una
vocina acuta.
Belle. Taruto rilasciò un sospiro esasperato. «Di
nuovo
tu! Ma non eri uscita? Che vuoi?» disse in torno arrabbiato.
Non
l’aveva ancora perdonata per essersi mangiata
l’ultimo
ricordo che aveva di Purin.
Lei aveva un’aria vagamente triste. «Questa
è per
te. L’ho fatta io,» gli disse, mettendogli in mano
un
foglietto piegato con cura. Poi corse via.
Taruto rimase a guardare il punto in cui la bambina aliena era
scomparsa per qualche secondo. “Ma che aveva? Chi la capisce
è bravo", pensò scartando il foglietto: era una
poesia di
scuse. Infantile, ma comunque carina. Dopo averla letta senza
particolare entusiasmo, Taruto se la infilò in tasca, anche
perché i “grandi” sembravano aver preso
la decisione
di andare al Palazzo.
«Ci teletrasportiamo lì?»
domandò al suo fratello maggiore, avvicinandosi.
«Non possiamo,» gli rispose Chris. «I
cristalli
modificati non hanno una portata così grande. Senza contare
che,
se comparissimo in un luogo affollato, finiremmo tutti nei
guai.»
«E allora come facciamo? Non possiamo certo entrare per la
porta principale,» protestò Kisshu.
Chris sogghignò. «Invece forse
possiamo,» disse, per
poi spiegare agli altri l’idea che le era appena venuta in
mente.
* *
«Ehilà Chris! Era da un po’ che non ti
si vedeva in giro, che fine avevi fatto?»
«Sono stata un po’ impegnata, Truffle. Vi sono
mancata?»
Chris salutò con un piccolo inchino scherzoso le due guardie
che stazionavano davanti
all’ingresso del Laboratorio Imperiale. Truffle, il
più
anziano dei due, scoppiò in una sonora risata.
«Scherzi? Senza di te, Kell ha dato di matto per tutto il
tempo,» rispose bonario. Usò poi la lunga lancia
che
impugnava per indicare lo strano gruppetto di alieni alle spalle di
Chris: tre di loro erano avvolti in grossi mantelli stracciati ed
avevano dei cappucci così abbassati sul viso da coprirlo
quasi
per intero; un quarto, in fondo al gruppo, gli stava lanciando
un’occhiata severa. «Piuttosto, chi sono
i tuoi
amici?»
«Lui è Pai Ikisatashi, il Capitano,» gli
disse a mezza bocca la seconda guardia in tono di rimprovero.
«Oh…. Oh!» Truffle si
affrettò ad inchinarsi
a Pai. «Mi scusi, Signore. Non avevo ancora avuto il piacere
di
incontrarla.»
Pai gli fece cenno di rialzare la schiena.
«Vedi, amico mio, questi poveracci sono volontari che si sono
proposti come cavie per i nostri esperimenti in cambio di cibo. Vengono
dalla città e li sto portando dentro prima che cambino idea.
Il
Capitano è stato così gentile da scortarmi per
tutto il
viaggio.»
Truffle mise via la sua lancia. «Beh, allora non
c’è nessun problema: passate pure!»
«Veramente, il Dottor Kell ci ha ordinato di non far passare
nessuno,» osservò la guardia più
giovane.
«Ma lei è la sua assistente personale,
è ovvio che lei può passare!»
«Hm…»
« Come ti chiami?» chiese Chris al compagno di
Truffle. «Non ti ho mai visto in giro. Sei nuovo?»
«Lui è Kin,» rispose l’anziano
per lui.
«E’ qui da poco, ma è un ottimo
soldato.»
Chris sorrise di nuovo e si avvicinò a Kin. Lui
corrugò
la fronte, ma lei non se ne curò e gli strinse ugualmente
una
mano fra le sue. «Piacere, il mio nome è Chris.
Non
preoccuparti, se sono qui è solo per il bene di
Alan,» lo
rassicurò.
«Non vi
farò passare,» replicò convinta la
guardia, ritirando in fretta la mano.
«Oh,
non dargli
retta, Chris. Avanti, non voglio farti perdere altro tempo, so che sei
sempre impegnata. Passate,» ripeté Truffle.
«E buon
lavoro!»
«Anche a te, amico mio!» lo salutò la
nibiriana
prima di varcare il cancello, per poi rivolgergli un ultimo sorriso di
ringraziamento.
Dopo che Chris e gli
altri si furono allontanati, Truffle riprese la
sua posizione. «Chris
è una bravissima persona,» spiegò al
suo subordinato.
L'anziana guardia non sospettava minimamente né di essere
stato
ingannato da Chris né che sotto quei mantelli ci fossero i
Traditori.
Ma un'altra cosa, molto piu' grave, che Truffle non sospettava, era che
il suo compare non si chiamava davvero Kin: il suo nome era Batter, ed
era un membro dell’Ordine di Ra-Hu.
Batter era entrato nell’Ordine quando era ancora un bambino e
non
aveva mai fallito una missione. Aveva sempre compiuto il suo dovere e
adesso stava per farlo di nuovo, contattando l’Ordine per
informarlo della situazione, ma di colpo sbarrò gli occhi,
come
se avesse appena visto qualcosa di terribile comparire davanti a
lui. Un attimo dopo iniziò a tossire e sputare
sangue, ma
nessuno lo aveva ferito.
Batter crollò a terra morto prima di poter sollevare il suo
comunicatore.
* *
Una volta entrati nel Palazzo passando per l’Ala Scientifica,
i nostri riuscirono a muoversi indisturbati al suo interno. Pai venne a
sapere dai suoi sottoposti che la Sala del Consiglio
sarebbe stata deserta per molte ore, e per questo motivo decisero di
teletrasportarsi al suo interno e trasformarla nella loro base
temporanea.
In effetti, quando furono dentro, i nostri poterono constatare che la
grossa sala decorata era completamente vuota. Mentre Kisshu, Imago e
Taruto si liberavano del loro travestimento, Pai si
avvicinò al lungo tavolo di pietra rettangolare, unico
arredamento della stanza, prese un papiro e una penna magnetica e
scrisse:
Solo come il principio
della luce
che splende, e di lì
fino al vespro.
L’alieno meditò a lungo su quelle parole. Dietro
quella
stupida frase c’era la soluzione di tutti i loro problemi, ma
lui
non riusciva a vederla.
Senza smettere di fissare il papiro, Pai strinse gli occhi, cercando di
concentrarsi: “Solo come il principio della
luce…”
si disse. “La luce…”
In quel momento Chris apparve nella sala, distraendolo dai suoi
pensieri. Gli fece un segno di vittoria e un occhiolino. Seguendo il
piano che avevano approvato per maggioranza, la nibiriana si era
infilata di nascosto nel Laboratorio con l’intento di rubare
la
Croce a Kell non appena lui si fosse distratto.
Aveva fatto in fretta, notò Pai. Anche troppo in
fretta:
lui non aveva ancora risolto l’indovinello. Improvvisamente,
si
sentì uno stupido. Si sedette su una delle sedie riservate
ai
membri del Consiglio e chinò di nuovo la testa sul papiro,
cercando di concentrarsi.
Imago si accomodò sulla sedia alla sua destra e lo
guardò di sottecchi.
«Non sono ancora riuscito a risolverlo, se è
questo che stavi per chiedermi,» la anticipò lui
brusco.
«Lo avevo capito. Volevo solo dirti di non preoccuparti se
non
riesci a capire subito a cosa si riferisce questa frase: è
davvero difficile darle un senso,» lo consolò lei,
parlando come se gli avesse letto nel pensiero. «E poi
figurati,
io non conosco neanche alcune di quelle parole… quindi non
pensare di essere tu lo stupido della situazione.»
«Parole che non conosci?» ripeté Pai.
Strano, quella frase era piuttosto elementare.
«Quali?»
«Vespro,»
rispose
Imago, indicando l’ultima riga dell’indovinello.
«Non so cosa sia. Forse ho sbagliato a riportare i segni
nell'alfabeto moderno?»
Pai si girò verso di lei, le sopracciglia inarcate: Imago
non
poteva conoscere quella parola, sul loro pianeta il vespro non
esisteva. «No, non hai sbagliato. Sulla Terra, per vespro si
intende quel lasso di tempo in cui il Sole scompare sotto la linea
dell’orizzonte,» spiegò.
«Oh,» commentò la ragazza
aliena, sorpresa. «Non sapevo. Ti ringrazio,» disse
sorridendo.
«Non fa nulla,» borbottò Pai in
risposta, vagamente
colpito dalla dolcezza di quel sorriso. Quella ragazzina era davvero
qualcosa di speciale, si ritrovò a pensare. Era
davvero unica
nel suo genere.
«Pai, smettila di provarci con la mia compagna e
lavora.»
«E-Ehi! N-Non ci stava provando! Sono stata io
che…»
«Fai silenzio, Kisshu.»
L’alieno dai capelli verdi andò alle spalle del
suo
fratellastro; si chinò su di lui per rileggere la scritta
riportata sul papiro e sogghignò.
«Kisshu, non ho tempo per le tue stupidaggini. Sto
lavorando,» mormorò Pai in tono nervoso.
«Io so che cosa significa questa frase,»
dichiarò
però l’alieno, sorprendendo tutti i presenti.
«Perché mi guardate così? Voi
sopravvalutate Pai.
Anche io sono intelligente.»
«Kisshu, smettila di scherzare e fai concentrare
Pai,» lo ammonì Taruto.
«Davvero, Kisshu, questa è una cosa molto
importante,» gli fece eco Chris.
«Tesoro, lo so che vuoi sciogliere la tensione,
ma…»
«Il Sole, maledizione!» sbottò Kisshu.
«Quella frase si riferisce al Sole!»
«Che cosa?!»
Le labbra di Pai si schiusero a formare un’espressione
stupita. Possibile che Kisshu avesse ragione?
“Solo come il principio della luce che splende, e di
lì fino al vespro…”
Ci ragionò attentamente.
In effetti, questo
avrebbe spiegato
perché Kell non era già riuscito a risolvere
l’enigma.
Era molto probabile che a creare quella Chiave fosse stato un Antico
Abitante della Terra, che ogni mattina vedeva il sole sorgere e ogni
sera lo guardava sparire oltre la linea dell’orizzonte. Ma
Kell, a differenza di Pai,
Kisshu e degli Antichi, non era mai
stato sulla Terra: aveva sempre vissuto nella città
sotterranea,
e per questo motivo ragionare sul Sole era una cosa del tutto
innaturale per lui.
Quella
frase sibillina, dunque, voleva davvero dire che il solo modo per
attivare il meccanismo centrale era fargli compiere lo stesso percorso
del Sole, dall’alba al tramonto?
«Se l’intuizione di Kisshu è
corretta,»
mormorò alla fine Pai, «è necessario
far compiere
all’ingranaggio mezzo giro, ruotandolo in senso
antiorario.»
Tale era infatti il moto apparente del Sole sulla sfera celeste che si
presentava agli occhi di un generico osservatore sulla superficie del
pianeta.
«Certo che lo è,» esclamò lui
infastidito, incrociando le braccia al petto mentre galleggiava in aria.
Chris alzò le spalle e lanciò la Chiave a Kisshu.
«Visto che ne sei così convinto, direi di lasciare
a te
l’onore di provare,» gli disse.
Lui, afferrato al volo l’oggetto con la mano sinistra,
ridiscese
a terra. Senza smettere di guardare la Chiave allungò le
dita
vero il meccanismo centrale, improvvisamente nervoso.
“Ma sì… in fondo, anche se sbaglio,
cosa può
succedere?” si disse mentalmente, e poi girò
l’ingranaggio secondo le indicazioni di Pai.
La Chiave reagì al movimento impresso da Kisshu facendo
scattare
una serie di meccanismi interni che portarono all’apertura di
un
comparto segreto sul retro, da cui cadde un minuscolo papiro
plastificato accuratamente ripiegato.
Taruto e Imago saltellarono emozionati. «Ha
funzionato!»
esclamarono all’unisono mentre Kisshu raccoglieva da terra il
pezzo di carta.
«Bene, ed ora direi di svelare finalmente questo misterioso
segreto,» dichiarò. Si girò verso Imago
e si
inchinò di fronte a lei: «A te l’onore,
mia
principessa,» scherzò, passandole quadratino di
carta
sottile.
Lei, imbarazzata, lo prese e lo dispiegò, leggendolo.
«Ehm…» mugolò dopo qualche
secondo.
«Allora?» incalzò Chris, ansiosa.
«E’ che… c’è una
scritta… una
specie di scritta,» ammise alla fine la ragazza aliena.
«Ho
bisogno di qualcosa su cui scrivere!»
Imago si affrettò a prendere dal tavolo della Sala un altro
papiro e a tradurre i simboli riportati al suo interno
nell’alfabeto moderno, mentre gli altri le facevano
capannello
intorno.
Taruto, che era il più piccolo, rimase fuori.
«Fate
leggere anche me!» ripeteva , saltellando intorno al
gruppetto.
Imago scrisse:
chinato aI +
quel chelo
inda tza sU DE
+ I profonndo
«Sei sicura di aver capito bene?»
domandò Pai a Imago dopo averla letta.
«Sì, è che... questa scritta
è solo un miscuglio di lettere scritte nell'antico
alfabeto,» ammise lei.
Taruto, che galleggiando in aria era finalmente riuscito ad
intrufolarsi nel gruppo, indicò altre iscrizioni riportate
in
fondo al papiro, che Imago sembrava aver trascurato. «Anche
queste?» chiese.
«No, queste no.»
«E cosa c’è scritto lì
allora?»
«Forse il percorso della Luna terrestre?»
scherzò Chris.
Imago corrugò la fronte. «Se ve lo dicessi, non mi
credereste.»
Kisshu si portò le mani dietro la testa, in attesa.
«Beh, allora scrivilo.»
La giovane aliena, obbedendo alla richiesta del suo compagno,
aggiunse rapidamente sotto la scritta misteriosa che aveva appena
tradotto le parole:
…ah, e
attenti alla testa!
Ed in effetti, non appena lo lessero, i nostri la picchiarono a terra
cadendo a gambe all’aria.
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Capitolo 28 *** Alieni, angeli e...piramidi ***
26
25/10/2014: Qui
vale lo stesso avvertimento presente nella prima versione della fanfic:
se leggere di Bibbia e alieni vi turba assai, saltate il capitolo,
perché qui si parlerà proprio di
questo!
Senza rivelare ciò in cui credo io, mi sento in dovere di
spiegare che sono appassionata di archeologia misteriosa etc., ma molte
cose scritte nel capitolo sono forzature ficcate dentro a calci per far
quadrare la
trama.
Con la revisione ho approfondito alcuni punti e ne ho eliminati altri
(meno importanti) per non appesantire troppo il discorso.
Sono un po' stanca in questi giorni e quindi spero di non essermi
lasciata sfuggire troppi errori. @_@ Ci sono ancora tantissimi punti
del discorso di Ryo che vorrei approfondire, ma credo che lo
farò pian piano nei prossimi capitoli.
- Capitolo 27: Alieni,
angeli e...piramidi -
Ichigo
camminava svogliata sul marciapiede deserto, diretta verso casa. Il quartiere che stava
attraversando era molto periferico e per questo motivo non
c’erano persone o auto in
giro, ma di tanto in tanto si sentivano dei corvi gracchiare fra i rami
degli alberi del viale.
Il
sole che stava tramontando dietro di lei allungava a dismisura la
sua ombra, rendendola simile ad uno strano essere dalla forma
indefinita.
All’improvviso, la ragazza si fermò e si
lasciò cadere a terra.
«Non ce la faccio più!» si
sfogò con il
nulla. «Perché non posso avere una vita
normale?!»
Erano trascorse quasi ventiquattr’ore dalla sera in cui lei e
le
sue compagne avevano iniziato a studiare la Sfera. Ovviamente, come
Cherry aveva previsto, non erano riuscite a scoprire nulla di nuovo.
Le ragazze erano rimaste al Caffè fino a notte fonda e il
mattino dopo
Ichigo si era dovuta fiondare a scuola, dove era stata interrogata ed
era andata malissimo. All’uscita, era tornata al locale: vi
aveva
trascorso l’intero pomeriggio, collezionando ore e ore di
lavoro
extra nell’attesa che Keiichiro e Cherry trovassero una
soluzione
al mistero della Sfera, inutilmente.
«Voglio dormire,» mugolò la ragazza. Era
troppo
stanca persino per addentare i melonpan che aveva comprato sulla via
del ritorno. Chiuse gli occhi, lasciando ricadere a terra la sua
cartella scolastica.
«Non vorrai mica addormentarti qui
davanti…»
Ichigo si rizzò di scatto. «R-Ryo?!»
esclamò, rivolta al ragazzo in piedi di fronte a lei.
Era così distrutta che non si era accorta del suo
avvicinarsi. Lui le raccolse da terra la
cartella e gliela tese. «Mi dispiace,
Ichigo…» le
disse crucciato.
Teneva gli occhi azzurri fissi su di lei, che era arrossita. Al
crepuscolo, i suoi capelli biondi erano luminosi come l’oro;
la luce faceva risaltare i lineamenti perfetti del suo viso, rendendolo
ancora piu' bello del solito.
«…non pensavo fossi ridotta così male
da non avere
neanche un posto dove dormire,» concluse compassionevole il
ragazzo.
Ichigo si sentì crollare di nuovo le gambe.
«Molto divertente! Per tua informazione,»
replicò
la ragazza irritata, rialzandosi, «se sono ridotta
così è per
colpa tua! Dove sei stato ieri? E oggi? Non dirmi che ci hai lasciato
sole per andare a fare il damerino con quell’arrogante
altezzosa!»
«Invece sembra proprio che sia andata
così,» annuì Ryo senza scomporsi.
«Comunque gradirei che non ti accampassi davanti casa mia:
sai, rovini l’ambiente più di quanto non lo sia
già.»
«Casa tua?!»
Ichigo si girò indietro ed alzò la testa: solo in
quel
momento si accorse di essere di fronte al cancello arrugginito di un
villone che si intravedeva in lontananza.
La pesante targa di marmo nero accanto al cancello riportava in lettere
dorate la scritta:
~ Villa Shirogane ~
Sospirando con rassegnazione, Ryo superò Ichigo e fece
scattare la serratura del cancello con una grossa chiave.
«Allora ciao,» la salutò e, spingendo
l’inferriata cigolante, entrò.
Lei rimase un momento ferma sul marciapiede. Non sapeva
perché,
ma era rimasta impressionata. Senza pensarci troppo decise di seguire
Ryo, per cui si diresse verso il cancello. Scoprì che,
guarda caso, lui l’aveva lasciato socchiuso.
Ichigo raggiunse Ryo davanti al portone della villa: lui non sembrava
sorpreso di vederla.
«Ancora qui?» disse con un fintissimo tono annoiato.
«Che cos’è questo posto, Ryo?»
gli domandò Ichigo.
Lui fece girare rumorosamente una chiave nella vecchia serratura della
porta d’ingresso. «Questa è una delle
case che i
miei genitori mi hanno lasciato in eredità,»
rispose.
«Orrenda, vero?» commentò poi, indicando
con un cenno della
testa il vecchio porticato umido in cui si trovavano, le finestre rotte
e chiuse da assi di legno, le ringhiere arrugginite e il vasto giardino
infestato dalle erbacce selvatiche.
«Sembra una di quelle case da film dell’orrore.
Perché non la fai ristrutturare? Potrebbe essere
meravigliosa!» replicò Ichigo.
Ryo sollevò le spalle con noncuranza prima di varcare la
soglia
dell’ingresso. «Perché dovrei? Questa
casa è
troppo grande per me solo.»
«Non ti capisco a volte, sai?» osservò
Ichigo.
Entrò anche lei e la porta le si richiuse da sola alle sue
spalle, facendola sobbalzare.
Se l’esterno della villa era spettrale, pensò la
ragazza,
l’interno era molto peggio. Era tutto buio, rotto e
polveroso, e si
percepiva una strana atmosfera inquietante. La penombra delineava i
contorni di vecchi mobili ricoperti da lenzuola, e nuvole di polvere
svolazzavano nella luce tenue che filtrava dalle finestre spaccate.
Ichigo fece un passo e il pavimento scricchiolò
sinistramente. Poi, un altro scricchiolio alla sua destra: la ragazza
si girò e si
trovò faccia a faccia con una figura umana che ricambiava il
suo
sguardo. Era solo il suo riflesso in uno specchio impolverato, ma
Ichigo si era appena tranquillizzata quando qualcuno le
afferrò
un braccio, facendola strillare di paura.
Era Ryo. «Vieni con me e non toccare nulla!» le
ordinò. «E non allontanarti, potrebbe essere
pericoloso,» soggiunse poi a bassa voce. «Sai, ho
sentito
dire che qui dentro si aggirano strane presenze...si sentono rumori
strani...passi, urla...»
«Sei un idiota! Lo dici solo perché sai che ho
paura dei fantasmi!»
L'americano scoppiò in una risata argentina. «Può
essere,»
ammise per poi allontanarsi da lei, che si era liberata dalla sua
presa.
«E non trattarmi come una bambina!»
esclamò Ichigo, rossa in viso per la rabbia.
Ma le parole di Ryo avevano lo stesso sortito il loro effetto: Ichigo
si sentiva sempre più in soggezione e si affrettò
a
raggiungere il biondo in fondo al salone d’ingresso, ai piedi
di
un’enorme scala di marmo bianco che si arrampicava su un
pianerottolo che si intravedeva appena nel buio.
Ryo la ignorò e si diresse sulla sinistra, dove
c’erano
delle piccole porticine seminascoste da un pannello. Si
infilò
in una di queste: era uno ripostiglio strettissimo e occupato da scope
e ramazze, ma non appena Ryo premette un tasto invisibile, il muro
dello sgabuzzino si aprì e rivelò un ascensore
nascosto. Il giovane vi entrò portandosi dietro una
confusissima Ichigo, e poi spinse un tasto che lo fece mettere in moto.
L'ascensore cominciò a scendere lentamente. Dopo una decina
di
secondi, la porta si riaprì su un corridoio metallizzato
illuminato da neon. In fondo, si intravedeva una porta.
Ryo si avviò deciso verso di essa. Ichigo invece
uscì
timidamente dall’ascensore, che si richiuse rapidamente. Lei
non
capiva cosa stava succedendo, ma era terrorizzata all’idea di
restare da sola in quel posto.
«E-Ehi, dove stai andando? Aspettami!»
«Torno subito. Tu rimani qui e non toccare niente,»
le
ripeté lui dal fondo del corridoio senza neanche voltarsi, e
poi scomparve oltre la porta.
Ichigo non poteva credere che lui l’avesse davvero portata
fin
lì per poi abbandonarla in quel modo. Scartata a priori
l’idea di eseguire gli ordini del biondo, le rimasero due
opzioni: seguirlo oppure tornare indietro e dimenticare tutto quello
che aveva appena visto.
Alla fine, decise di andare per la seconda e premette il pulsante per
richiamare l’ascensore.
Mossa sbagliata.
Una sirena acutissima cominciò a suonare, assordandola, ma
non
era niente in confronto allo spaventoso clangore metallico che
sentì provenire dal vano ascensore. I neon del corridoio
saltarono uno dopo l’altro, e quando l’ultima luce
si
spense, Ichigo si ritrovò immersa
nell’oscurità
totale.
Terrorizzata, la ragazza si girò da una parte e
dall’altra, ma non vedeva niente. Indietreggiò
fino al
muro, poi sentì una presenza alla sua destra. Si
voltò in quella direzione appena in tempo per
vedere Ryo
che le puntava la luce di una piccola torcia in faccia, accecandola.
«Complimenti, complimenti davvero,»
ironizzò seccato il ragazzo.
«AH! Ryo! Che cosa…che cosa è
successo?» chiese lei stralunata.
«Hai attivato il sistema di sicurezza,»
spiegò lui
con aria rassegnata. «Se ti avevo detto di non toccare niente
non
era per fare conversazione: l’ascensore ha un antifurto
basato
sul controllo delle impronte digitali. Riconosce solo le mie e quelle
di Keiichiro. Quando lo hai toccato, hai fatto scattare il blocco
automatico di tutte le vie d’uscita.»
«Oh, no! Vuoi dire che siamo rimasti chiusi dentro?»
«Già.»
«Non c’è un modo per sbloccare questa
cosa?»
«No, non c’è. E questo bunker
è completamente
isolato. Dovremo aspettare che Keiichiro veda l'allarme lampeggiare nel
sotterraneo del Cafè Mew Mew e corra qui per
controllare.»
«Oh, no…» Ichigo si sentì
crollare il mondo
addosso. «Siamo chiusi qui dentro, soli e al buio,»
mormorò. Guardò spaventata Ryo, che
ricambiò senza
capire. «Io ho paura del buio!» spiegò,
tremante.
Lui la guardò fisso, ma decise di non commentare. Si diresse
in
un vano nascosto del corridoio e lo aprì con una chiavetta:
conteneva contatori elettrici. Alzò alcune leve, e dalla
porticina in fondo al corridoio si diffuse una lucina fioca.
«Vieni, nella sala principale ci sono le lampade di
emergenza,» disse, ed Ichigo si affrettò a
seguirlo.
La ragazza raggiunse la porta in fondo al corridoio e
sbirciò
oltre: vide un salone immerso in una penombra spaventosa, ma era
sempre meglio del buio totale del corridoio. Ryo si scostò
per
farla entrare per prima.
«Grazie,» sussurrò lei, e fece un passo
dentro la stanza.
Un attimo dopo, lanciò un urlo terrorizzato.
«Me lo sentivo,» sospirò nuovamente Ryo,
entrando e richiudendo la porta dietro di lui.
Ichigo gli si avvinghiò addosso in puro stile polipo
assassino,
guardandosi intorno sempre più terrorizzata: «RYO!
Ma…ma ma…ma cos’è questo, un
museo
dell’orrore?!» sillabò sconvolta,
affondando le
unghie nel braccio del ragazzo.
«Piantala di fare la bambina!» esclamò
lui, cercando di scollarsela di dosso.
«Ma queste sono mummie! Questi sono scheletri!»
gridò Ichigo fuori di sé, indicando alcune delle
teche di
vetro che riempivano quasi ogni metro della sala.
Ryo si liberò con uno strattone. «Si, e quello
laggiù è un fantasma,»
borbottò.
«EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEKKKKKKKKKKKKKKKKKKK!!!!!!!!!!!»
«Ichigo! Scherzavo!»
«Mi spieghi che diavolo combini qua dentro?!»
«Dai un’occhiata in giro e capirai da
sola,»
troncò il ragazzo incrociando le braccia. «Per
merito tuo,
abbiamo tutto il tempo che vogliamo.»
«S-Sei un antipatico, e un deviato!»
replicò Ichigo.
Gemette ancora una volta, osservando le mummie deformate che Ryo teneva
ben conservate in alcune teche sulla destra. «Una persona
sana di
mente…non colleziona teschi!» disse con angoscia
crescente.
A quel punto Ryo si lasciò sfuggire un sorriso e, presa per
mano la ragazza,
la portò di fronte ad una delle teche più vicine
alla
porta d’ingresso. «Calmati e osserva questo
reperto: non
noti niente di strano?» domandò.
Seppur lievemente disgustata, Ichigo osservò bene
l’oggetto che si intravedeva appena nella penombra:
«Si,
è un teschio umano che tu conservi in una teca, ecco cosa
c'è di strano! E ha un foro proprio in mezzo alla
fron…un
foro? Ma…ma questo vuol dire che quest’uomo
è stato
ucciso! Gli hanno sparato!»
«Esatto,» annuì Ryo. «Peccato
che nel
Neanderthal, il periodo a cui risale questo cranio, non esistessero
pistole.»
Ichigo rimase interdetta. «Che cosa significa?»
«E’ una bella domanda,» sorrise
enigmatico il ragazzo.
La rossina deglutì senza replicare nulla. Non si sentiva
tranquilla in quel posto e non riusciva a pensare lucidamente: le
sembrava di essere piombata di punto in bianco in un film
dell’orrore.
Ryo forse lo comprese e per questo motivo la condusse via
dagli
scheletri, verso il centro del salone, che era davvero grande e aveva
tutta l’aria di essere una specie di museo: ai due lati e al
centro c’erano decine e decine di teche in cui erano
conservati
scrupolosamente innumerevoli oggetti; su molte di esse erano appesi
fogli pieni di scritte, e quando lo spazio sulla teca non bastava, i
fogli erano appesi alle pareti.
Ryo condusse Ichigo davanti ad uno scrittoio dal piano trasparente al
centro della sala: all’interno vi era un ennesimo reperto.
«Che ne dici di questa?» le chiese, indicandolo con
il dito.
«E’ una catena d’oro,» rispose
Ichigo tremante.
«Sembra molto antica,» aggiunse poi, dato che Ryo
non
accennava a parlare.
Lui annuì. «In effetti, risale a parecchi milioni
di anni
fa. E’ stata ritrovata in un’antichissima vena
carbonifera:
è uno dei cosiddetti oggetti fuori posto,»
spiegò.
«Un oggetto fuori posto è-»
«…un oggetto che risale ad un’epoca in
cui
teoricamente non sarebbe dovuto esistere,» recitò
Ichigo,
memore della lezione di Cherry e Keiichiro. «Come trovare un
dipinto impressionista in una piramide egizia, no?» la sua paura si placò un poco quando scorse la faccia stupita di Ryo.
«Sei una piccola complottista,»
sogghignò lui
premendole un indice sulla fronte in modo irritante. Evitando il morso
che la ragazza cercò di dargli in risposta, riprese:
«Questi oggetti sono un vero e proprio enigma per gli
studiosi
tradizionali, ma oggi in molti credono che siano stati
creati dai primi abitanti della Terra: erano un popolo potente e
numeroso, tecnologicamente avanzato. Ormai sono ben poche le tracce
delle loro città,» raccontò, indicando
un ripiano di
vetro orizzontale posto a poca distanza, riempito da foto e disegni
di strane vestigia di templi ed edifici. Ichigo riconobbe molte di
esse: ritraevano monumenti che aveva visto in televisione o sui suoi
libri.
Si avvicinò per guardare meglio e raccolse dal ripiano uno
dei fascicoli che vi erano deposti sopra in maniera
disordinata. Lo sfogliò per curiosità e
scoprì che al suo interno vi era la foto di una
cartina geografica antica denominata “Mappa di Piri
re'is” messa a confronto con una moderna cartina
dell’Antartide. Le due immagini erano identiche in tutto e
per
tutto, tranne che per un piccolo particolare: nella mappa di Piri
re’is l'Antartide era verdeggiante e libera dai ghiacci.
«Questa mappa risale al 1500, ma l’Antartide
è stata
scoperta nel 1800. Era priva di ghiacci solo molte decine di migliaia di
anni fa,» commentò il giovane dietro di lei.
«Piri
re’is probabilmente ha copiato questa mappa da una molto
più antica, una reliquia dell’antica
civiltà
terrestre di…»
«…Atlantide, si, lo so, Ryo.»
Il biondo inarcò un sopracciglio, sorpreso. «Sei
davvero una complottista.»
Ichigo gli lanciò in faccia il fascicolo. «Non
sono una
complottista!» esclamò. «Che cosa
significa
complottista, poi?! Sei tu quello che dice cose strane e colleziona
scheletri per hobby!»
«Non è un hobby. Questo – tutto questo
–
è il motivo per cui il Progetto Mew è riuscito a
partire.»
«Cosa?!»
«E’ difficile da spiegare, Ichigo. Forse
è meglio che lasci perdere.»
«Ryo, io ho sedici anni, sono intelligente e ti sto
ascoltando. Sono anche
spaventata a morte – per cui o mi fai uscire da qui, oppure
trovi
un modo per evitare che impazzisca qui dentro!»
Ryo sorrise leggermente. «Allora ti racconterò
questa
storia,» disse sedendosi a terra, appena sotto una delle luci
centrali di emergenza. Ichigo, seppur incerta, lo imitò e si
accomodò di fronte a lui.
Il ragazzo rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo da dove
iniziare.
Decise infine di partire dall’inizio. «Secondo la
leggenda,
Atlantide era una civiltà antica e molto avanzata, che
però venne distrutta per cause misteriose. Dopo questo
disastro,
le tecnologie atlantidee andarono perdute e la civiltà
ricominciò da zero.»
Ichigo mugolò in tono di disapprovazione: grazie alla sua
stranissima compagna di classe, forse lei sapeva quale era stata la
causa misteriosa della fine di Atlantide…
rabbrividì al
ricordo della visione che aveva avuto, ma decise di non dire nulla a
Ryo.
«A causa di questo disastro gli Atlantidei fuggirono. Io sono
convinto che si rifugiarono sul Pianeta X, il pianeta da cui
vengono gli alieni che combattiamo oggi. In altre parole, io credo
che Kisshu e i suoi compagni non siano altro che i discendenti degli
atlantidei, gli originari abitanti del pianeta. Ecco perché
sostengono di essere i nostri "padroni" e perché credono che
la
Terra sia loro di diritto.»
«EH?!»
«Il Pianeta X, tra l'altro, sembra essere il misterioso
Decimo
Pianeta del Sistema Solare. Oggi lo chiamano Nibiru, e credo che ci
abbiano anche fatto un paio di film sopra.»
«Ma Ryo, gli alieni non possono
essere stati degli umani. Sono così diversi da
noi!»
«Ma le nostre specie sono compatibili, ed è questo
l’importante.»
«In che senso compatibili?»
Ryo si passò una mano sulle labbra. «Ci sono buone
probabilità che se tu avessi accettato le avances di quel
Kisshu,
adesso avresti almeno una decina di piccoli bambini alieni
svolazzanti.»
Ichigo avvampò. «Sei un idiota!»
«A volte. Ma per farmi perdonare, ti rivelerò da
cosa io e Keichiro abbiamo tratto ispirazione quando abbiamo ideato il
Progetto Mew.»
Ichigo, che per il nervosismo stava per lanciare addosso a Ryo sia la
sua cartella che la bustina di melonpan, fermò
il braccio a mezz’aria.
«Eh?»
«Ricordi che cosa ti spiegai il giorno in cui ci siamo
conosciuti?»
«Sì...tu e Keiichiro… avete detto di
aver dato a me
e alle mie amiche il DNA degli animali in via di estinzione.»
«Esatto. L’aggiunta del DNA dei Red Data Animals ha
modificato la configurazione del vostro, permettendovi di sviluppare
dei poteri sovrumani e abilità proprie
dell’animale
selezionato. E questa è esattamente la stessa cosa
che
hanno fatto gli Atlantidei con noi esseri umani all’inizio
dei
tempi.»
Ichigo inclinò la testa di lato senza capire. Per un attimo,
dimenticò di essere nei sotterranei di una villa fantasma,
in
una stanza buia e piena di cadaveri.
«Ryo, hai visto troppi film di fantascienza.»
«Non è fantascienza. Abbiamo le prove. Non
è
neanche difficile trovarle, visto che sono sotto gli occhi di
tutti.»
«Ah, sì? Io non ho mai sentito di nulla del
genere.»
«Forse perché non hai mai letto questo,»
rispose
Ryo, allungando la mano verso una pila di libri ammucchiati a poca
distanza da lui. Ne prese uno abbastanza grosso e impolverato, pieno di
segnapagine. «La Bibbia, il testo sacro della religione
più diffusa al mondo, il Cristianesimo,»
rivelò. «Questo libro è così
complesso che è stato
calcolato che ogni frase al suo interno può avere decine
interpretazioni diverse. Se però lo si legge e lo si traduce
letteralmente, come se fosse un normale racconto, e non ci si perde a
chiedersi chissà quali concetti complessi e trascendentali
nasconda, tutto cambia. Vedi, nella Bibbia non ci sono concetti
complessi. Ci sono scene reali descritte nei particolari a cui hanno
assistito migliaia di persone del tempo, con tanto di dati geografici e
temporali. Questo testo è stato scritto da uomini che
cercavano di spiegare, con le parole e le conoscenze del tempo,
fenomeni che ai loro occhi erano così inspiegabili da
apparire
divini.
«Per farti
capire, immagina ad esempio
di avere di fronte a te un uomo preistorico e di
usare di fronte a lui un accendino: lui penserebbe che sei una Dea che
sta generando il fuoco usando i suoi poteri, e descriverebbe
l’evento ai suoi simili usando proprio queste
parole. Ecco,
secondo me questa è la chiave di lettura della Bibbia e di
tutti
gli altri testi sacri di ogni tempo o religione: leggere le esatte
parole riportate nel testo e cercare di capire a cosa si riferivano gli
autori... senza inventare teorie sul fatto che loro stessero cercando
di
parlare di sogni o metafore.»
«Ryo, io… non capisco dove vuoi
arrivare.»
Il biondo sospirò: non era mai stato un buon insegnante e
quel
discorso era davvero molto delicato. Si grattò la testa,
meditando sulle giuste parole da dire.
«Hai studiato la teoria di Darwin a scuola, vero?»
«Quella che dice di come l’uomo si sia evoluto a
partire
dalla scimmia?» chiese Ichigo. «Si,
certo!»
Chissà perché, in quel momento le
ritornò in mente
Purin.
«Devi sapere che la nostra specie si è evoluta con
una
rapidità a dir poco inspiegabile. La stessa cosa,
però,
non si può dire per tutte le altre forme appartenenti ai
nostri
parenti più stretti: ad esempio, gli scimpanzé
sono
fondamentalmente uguali da circa 5 milioni di anni. Perché
solo
noi ci siamo evoluti? E perché è successo
così
rapidamente?»
Ichigo non rispose. Non sapeva molto di quell’argomento e
comunque, in effetti, non si era mai posta un quesito del genere.
«Ci sono studiosi che ritengono che circa 150 mila anni fa
l’uomo ha compiuto un vero e proprio balzo evolutivo.
Sembra che la causa di questa rapida evoluzione siano circa 200 geni
anormali,
apparsi misteriosamente nella mappa del genoma umano in quel periodo.
Da dove vengono questi geni?»
Ryo balzò in piedi per andare a prendere un grosso fascicolo
abbandonato su una teca a poca distanza. Quando tornò da
Ichigo
si sedette accanto a lei e le mostrò il materiale contenuto
al suo interno, costituito perlopiù da foto e traduzioni di
antiche
tavolette scarabocchiate.
«La risposta potrebbe venire da queste tavolette sumere.
Vedi, la Genesi sumerica -il libro sacro che narrava la nascita del
mondo secondo i Sumeri- racconta una storia molto interessante. Spiega
che il nostro pianeta, in passato, era abitato dal popolo degli annunaki, il cui
sovrano era chiamato Anu.
Gli annunaki erano molto interessati all’oro, che estraevano
in tutto
il mondo ed usavano per i loro scopi. La stessa cosa si narra degli
atlantidei: per questo e per altri motivi, io credo che siano lo stesso
popolo, solo chiamato con nomi diversi.
«Ma tornando a noi,
sembra che il lavoro di estrazione e lavorazione dell’oro
fosse molto duro e
per questo motivo un giorno, recitano le tavolette, gli annunaki
addetti ai lavori si ribellarono. La situazione divenne così
grave che nacque il bisogno di trovare dei sostituti, dei lavoratori
che potessero svolgere quei compiti così pesanti.
Così, gli annunaki effettuarono una
serie di esperimenti genetici sugli ominidi già presenti
sulla
Terra per modificare il loro DNA. Innestarono in loro una porzione del
proprio DNA, ottenendo come risultato finale un nuovo essere
più
evoluto del precedente. Lo chiamarono chiamato adàmà;
nella Bibbia è noto come Adamo, che non è un nome
proprio
ma un nome generico che significa “il terrestre”.
«
L’Adamo era abbastanza intelligente per comprendere gli
ordini
dei suoi creatori e abbastanza forte e resistente per lavorare al loro
posto. E nella Genesi biblica, forse non a caso, è scritto
letteralmente
che, dopo avere creato l’uomo, il Dio cristiano
“desistette da
ogni opera sua”[1]»
«Oh,» mormorò Ichigo, iniziando a
comprendere il discorso di Ryo.
«Basandoci su questo racconto, io e Keiichiro abbiamo cercato
di
replicare l'esperimento degli annunaki per permettere a voi ragazze di
evolvere
in una nuova forma,» ammise Ryo, non senza soddisfazione.
«Ma aspetta, tutto questo… è avvenuto
prima della fine di Atlantide, vero?»
«Sì. »
Ichigo si mordicchiò il labbro inferiore per qualche
secondo,
sotto gli occhi di Ryo, che ora le stava prestando senza apparente
motivo tutta la sua attenzione. Alla fine, la ragazza si
voltò
leggermente verso di lui e chiese, incerta: «Supponendo che a
distruggere
questa Atlantide sia stato un meteorite caduto dal cielo… se
questi Atlantidei avevano davvero una tecnologia
così avanzata, non avrebbero potuto fare qualcosa per
evitare la
distruzione?»
«Loro sapevano che sarebbe successo,» fu la
risposta
immediata del ragazzo. «O almeno, alcuni di loro lo sapevano.
In
molti avevano già dei mezzi di fuga o di salvataggio pronti.
Aspetta, è scritto qui!»
Il ragazzo si alzò di nuovo per andare alla ricerca di altri
libri. Quando tornò, sedette di nuovo spalla a spalla con
Ichigo. Stavolta aveva fra le mani un’altra versione della
Bibbia, ancora più consumata della prima.
«Devi sapere che la Genesi biblica racconta che ad un certo
punto
gli annunaki, che qui chiama Figli
di Dio, iniziarono ad essere
attratti dalle femmine umane. Ora te lo leggo,» disse,
sfogliando
il libro finché non trovò i versetti che cercava.
«
“Quando gli
uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e
nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie
degli
uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Quando i
figli di Dio si univano alle figlie degli uomini queste partorivano
loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini
famosi. (Ma) il Signore vide che la malvagità (di questi)
uomini
era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non
era altro che male. E si pentì di aver fatto l'uomo sulla
terra
e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse:
«Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con
l'uomo
anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo”. [2] Questo
è il fulcro
intorno a cui ruota tutto, Ichigo.»
«Ah, sì?»
«Ascolta, proviamo a leggere questo passo
nell’ottica di un cristiano, che crede che Dio sia
onnipotente, onnisciente e giusto.
Innanzitutto, se Dio è onnisciente, perché non ha
previsto che l’uomo degenerasse così? E se
è
giusto, perché cambiare idea e sterminare così
crudelmente non solo l’uomo, ma anche gli animali e le
piante,
che non c’entravano nulla con lui?»
«In effetti sembra un po’ esagerato.»
«Una possibile spiegazione è che fu Anu a
voler sterminare i terrestri e la nuova razza che si era generata
dalla mescolanza della loro specie con gli umani. Forse
perché erano diventati troppi, oppure perché
erano
diventati impossibili da controllare. Per questo motivo è
probabile che abbia ordinato ai purosangue annunaki, che sapevano
dell’imminente catastrofe che
stava per verificarsi, di fuggire e lasciare qui a
morire le popolazioni
più….problematiche.»
«Sembra…plausibile?» osservò
Ichigo, anche se un po' dubbiosa.
«Però pare che non tutti gli annunaki fossero
d’accordo. I Sumeri narrano che un certo Enki era innamorato
dei terrestri e che per questo motivo decise di salvare alcuni di
loro. Informò quindi del
pericolo imminente un uomo, che nella Bibbia viene chiamato
Noè,
e gli diede le istruzioni necessarie per mettere in salvo se stesso, la
sua famiglia e alcuni animali. Tutte le antiche religioni parlano di
lui e di come sopravvisse al Diluvio Universale grazie ad una speciale
Arca.
«Ma
c’è anche un’altra cosa. Secondo me non
tutti gli annunaki fuggirono sul Pianeta X. Forse alcuni, ribellatisi
agli ordini di Anu,
stazionarono nelle vicinanze della Terra e quando la situazione si fu
calmata vi fecero ritorno. Dopo il Disastro, gettarono le basi per la
Storia come la
conosciamo noi: probabilmente fondarono le civiltà antiche
come quella dei Sumeri e degli Egizi e si autoelessero loro Dei o
sovrani. I Sumeri, ad esempio,
apparvero improvvisamente circa seimila anni fa: erano un
popolo
dotato di una cultura e una tecnologia molto avanzate, e ancora oggi si
fatica a capire come avessero fatto ad ottenere tutte queste
conoscenze.»
Ichigo scosse la testa. «Non conoscevo questi
Sumeri,»
ammise, «mentre degli Egizi ricordo solo le piramidi, e
l’unico mistero che conosco, è che non si capisce
bene come abbiano fatto a costruirle.»
«Questa,» annuì il biondo,
«è solo la
punta dell’iceberg. Ma questa è una storia troppo
complessa per parlarne qui dentro. Seguimi nella sala
apposita.»
Il giovane, dopo essersi staccato da Ichigo, si diresse verso
una porticina nascosta in un angolo della stanza.
«Sala apposita?» ripeté lei sbattendo
gli occhi un
paio di volte. Seguì Ryo oltre la porticina, che nascondeva
un’altra stanza del bunker sotterraneo: era abbastanza
grande, ma troppo
piccola per contenere tutto il materiale che vi era accumulato
all’interno: statuette, copricapi e gioielli di fattura
egiziana
ben conservati in teche di vetro indistruttibili; strumenti da lavoro,
piccoli soprammobili e interi scaffali straripanti di fogli e mappe di
tutti i tipi. Al centro della stanza c’era una piccola
riproduzione di una piramide in sezione, ed accanto ad essa quella di
un obelisco e della Sfinge, conservati in bacheche quadrate poggiate su
dei piedistalli. In un angolo, infine, c’era quello che aveva
tutta l’aria di essere un autentico sarcofago egiziano, usato
come un cassettone: sopra vi erano appoggiati disordinatamente antichi
papiri dall’aria fragile. Foto di vario tipo erano appese
alle
pareti e, in fondo alla stanza, i tre astri bianchi di una mappa
stellare
brillavano sinistri alla luce delle lampade di emergenza.
Ichigo rimase a lungo sulla porta, incerta se entrare o meno,
soprattutto per via dell’antica bara egizia: a parte il fatto
che
aveva visto il film “La
Mummia” e non aveva dormito per tre
giorni, aveva sentito parlare di fantasmi di faraoni che vagano per
millenni in cerca di chi ha osato profanare le loro tombe…
Rabbrividì al solo pensiero.
Ryo notò l’incertezza della ragazza, per cui la
prese di
nuovo per mano e la condusse lui stesso all’interno della
stanza.
Ichigo approfittò di quel gesto per avvicinarsi
istintivamente a
Ryo, finendo in pratica per rannicchiarsi intimorita contro la sua
schiena. Lui non le disse niente né la scostò,
consapevole della sua spettro-fobia. Però, desideroso di
condividere con lei
le sue scoperte, la portò accanto a sé e le cinse
le
spalle con un braccio, mentre con l’altro indicò
un punto
della parete sopra il sarcofago: «Guarda, Ichigo: questa
è
la mappa stellare della costellazione di Orione,»
spiegò,
e poi rivolse il dito sul foglio appeso accanto. «Quella
invece
è una vista aerea delle tre piramidi che costituiscono il
complesso di Giza: Cheope, Chefren e Micerino. Osservale bene e dimmi
che cosa vedi.»
Ichigo si distrasse per un momento dalla sua paura e sollevò
appena la testa verso la parete, confrontando al volo le due figure.
«Ehm…sono uguali,» disse
piano, e poi tornò a fissare angosciata il sarcofago.
«Si, è la stessa cosa che disse uno studioso,
Robert
Bauval, quando le confrontò la prima volta. Le tre
più
famose piramidi situate sull'altopiano di Giza sembrano proprio
posizionate come le stelle che formano la Cintura della Costellazione
di Orione.» commentò Ryo. Poi si
allontanò da Ichigo; per suo sommo terrore, si
avvicinò al
sarcofago e alle due cartine. «Guarda: è
tutto
così chiaro! Le tre piramidi di Giza non sono allineate
perfettamente. L'egittologia classica sostiene si tratta di un errore
di calcolo degli antichi egizi, ma se confrontiamo la veduta aerea del
complesso con l'immagine delle stelle che formano la Cintura di Orione,
le cose cominciano a diventare chiare.»
«Per te, forse,» sussurrò piano Ichigo,
lanciando occhiate nervose alla porta dietro di lei.
Ryo raggiunse le teche in cui erano conservate le riproduzioni dei
monumenti egizi, indicando poi ad Ichigo di avvicinarsi a quella della
piramide. Le fece vedere dei solchi che la tagliavano obliquamente
all’interno. «Sai cosa sono questi?» le
chiese quando lei gli fu vicino.
La ragazza osservò i solchi, cercando di rispolverare le sue
povere conoscenze di architettura egizia. «I condotti di
aerazione?» chiese piano dopo un poco.
«Li chiamano così. Ma c’è una
teoria, sai? Si
dice che nella Grande Piramide, la piramide di Cheope, i cosiddetti
condotti di aerazione avessero un’altra funzione.»
Ichigo ebbe il presentimento che Ryo stesse per tirare fuori qualche
altra teoria assurda sugli alieni.
«I condotti della Grande Piramide, che dalle camere interne
ne
attraversano tutta la struttura per sbucare all' aperto, all'epoca in
cui fu costruita la piramide puntavano –rispettivamente-
quelli
posti a Sud verso la Cintura di Orione, e verso Sirio, che altri non
erano che gli Dei egizi Osiride e Iside; quelli posti a Nord verso la
stella polare e verso la testa dell' Orsa Minore, che era l' ascia
celeste di Horus [3]»
spiegò Ryo. «La Costellazione
di Orione era il luogo in cui si pensava venisse proiettata l'anima del
faraone deceduto. Il faraone era considerato un Dio dagli egizi, per
questo motivo, secondo loro, una volta morto egli ritornava al cielo,
dove era venuto.»
Il ragazzo si interruppe per riprendere fiato.
«Bel discorso Ryo…ma, e quindi?»
«E quindi…la Piramide di Cheope è unica
nel suo
genere. Dopo la sua costruzione, non ne furono più costruite
di
così grandi. Io credo che sia perché questa
piramide fu
costruita per essere una vera e propria fortezza che conservava i resti
dell’antico Faraone, uno degli annunaki ritornati sulla Terra
dopo il Diluvio. Tutte le altre
piramidi non sono altro che brutte copie di questa, probabilmente
perché con il passare dei secoli gli egiziani persero sempre
di
più la conoscenza dei simboli che la piramide assommava in
sé, nonché la tecnologia indispensabile alla loro
costruzione.»
«Hm… ma se davvero questi
annunaki/atlantidei/faraoni o
quel che erano erano degli Dei, non avrebbero dovuto essere
immortali?»
«Ci ho pensato anche io all’inizio,»
sorrise Ryo.
«Vedi, è probabile che in realtà la
vita degli
Annunaki fosse solo molto più lunga di quella degli esseri
umani: probabilmente questi antichi abitanti vivevano per centinaia di
anni, e per questo motivo è probabile che gli esseri umani,
che
hanno una vita molto più breve, abbiano iniziato a credere
che
fossero immortali. Ci sono anche dei versetti della Bibbia che sembrano
confermarlo.»
«Ryo…»
«Si?»
«Ho il mal di testa.»
«E non hai ancora sentito la parte più
interessante di tutte le mie ricerche!» ghignò il
biondo, e si sedette a gambe
accavallate sul sarcofago. Ichigo fu ben lungi dall’imitarlo
e
preferì restare in piedi davanti a lui.
«Avanti, racconta.»
«Tornando al discorso degli alieni-dei, la Bibbia cristiana
è ricchissima di interventi di strani esseri che
interagiscono e
guidano i fedeli. A partire da Mosè, avvengono continui
rapporti
tra il popolo degli ebrei ed esseri superiori che si manifestano sempre
su nubi luminose e colonne di fuoco volanti… praticamente
espressioni che descrivono un UFO,» concluse Ryo.
«Inoltre nella Bibbia si parla più volte veri e
propri strumenti
tecnologici alieni. Uno dei più interessanti è
descritto nella storia di Mosè.»
«Mosè?»
«Era un profeta, o meglio, un uomo prescelto da Dio per
salvare il
suo popolo. Ma, se vuoi metterla in altri termini, Mosé era
un
intermediario che lavorava per un annunaki…»
ricominciò Ryo, prendendo a sfogliare un’ennesima
Bibbia.
Era impossibile, erano dappertutto in quel bunker!
«Ecco qui: nel libro dell’Esodo, Mosé
parla con Dio,
o meglio con questo annunaki che si fa chiamare Yahweh. Ad un
certo punto, gli chiede: “Mostrami
la tua Gloria!” e lui
risponde:
“Farò passare davanti a te tutto il mio
splendore e proclamerò il mio nome: Yahweh, davanti a te.
Farò grazia a chi vorrò far grazia e
avrò
misericordia di chi vorrò aver misericordia. Ma tu non
potrai
vedere il mio volto, perché nessun uomo può
vedermi e
restare vivo. … Tu starai sopra la rupe: quando
passerà
la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della
rupe e ti
coprirò … finché non
sarò passato.
… Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si
può
vedere”[4].
Ichigo, capisci cosa significa?»
«No,» mugolò lei.
«Come no? La Gloria, cioé il potere di
Yahweh… di questo Dio spirituale
onnipotente e onnisciente… può uccidere
l’uomo!
Come può essere un potere spirituale essere così
letale?
E soprattutto, che razza di Dio onnipotente è un Dio che
ammette
di non essere in grado di controllare il suo potere, al punto tale che
è costretto a far mettere al riparo dietro una rupe
quest’uomo che vuole provare a vederlo in azione,
avvertendolo
che in ogni caso potrebbe comunque restare ucciso per errore?»
Ichigo rimase interdetta.
«Ad ogni modo, l’Esodo racconta che dopo
questa
esperienza, Mosè torna dal popolo "con il volto arrossato,
come bruciato", come se fosse stato esposto una
potente fonte di calore che lo ha ustionato. In altre parti
della Bibbia, si dice che la Gloria di Yahweh si presentava
come
fuoco o come nube, e che era accompagnata da tuoni, lampi di luce, un
suono forte e prolungato come quello di una tromba... e se questa
Gloria non fosse stata nient’altro che il mezzo di trasporto
tecnologico con cui viaggiava questo annunaki, descritto dalle persone
che vivevano all’epoca?»
«Non lo so… ma comunque scusa, chi dice tutte
queste
cavolate? Le hai inventate tu?» sbottò a quel
punto Ichigo.
«Io sto solo leggendo, cercando di immedesimarmi in un povero
nomade ignorante disperso in un deserto che vede un evento che non
riesce a comprendere e lo descrive come meglio può. Ti
faccio un
altro esempi: in un altro episodio della Bibbia si narra che Yahweh,
adirato contro le città di Sodoma e Gomorra, le ha
distrutte,
salvando solo pochi eletti. La moglie di Lot, uno di essi, si volse
indietro per guardare la città, ignorando
l’avvertimento
divino di non voltarsi, e per questo fu trasformata in una statua di
sale,» raccontò brevemente, poi assunse
un’aria
accigliata: «Le circostanze della distruzione di Sodoma e
Gomorra
sono descritte in modo tale da richiamare alla mente
un’esplosione nucleare come avrebbe potuto essere descritta
da un
osservatore vissuto in tempi antichi. In particolare, l’onda
d’urto provocata dall’esplosione nucleare avrebbe
spazzato
i giacimenti di salgemma del Mar Morto e investito la moglie di Lot,
trasformandola in una statua di sale….inoltre è
fin
troppo evidente l’obbligo di non doversi girare per non
guardare
la luce dannosa dell’esplosione nucleare.»
«Un’esplosione nucleare
nell’antichità?» chiese Ichigo, ormai
rassegnata.
«Beh, non sarebbe certo la prima del tempo: Mohenjo-Daro, un
antichissimo sito nell’America del Sud, ha le caratteristiche
di
una città moderna distrutta da bombe atomiche: le sue rovine
sono inesistenti al centro e più alte verso la
periferia…
ah, e poi c'è anche il discorso degli Angeli.»
«Angeli?»
« Sì. Sai, gli Angeli biblici sono descritti come
esseri
intelligenti e superiori agli uomini. Oggi, per i cristiani sono delle
presenze spirituali ed invisibili, ma nella Bibbia si parla sempre di
loro come esseri con una presenza fisica concreta: parlano, camminano,
mangiano, si riposano e combattono insieme agli uomini, usando
però dei poteri sovrannaturali.
Penso che anche loro non fossero
altro che discendenti degli atlantidei, forse dei subordinati di
Yahweh.»
Ichigo si portò le mani alla testa. Non sapeva
più cosa
pensare…le tornò in mente il giorno in cui
aveva
Purin: lei gli aveva raccontato che, la prima volta che aveva visto
Kisshu, aveva avuto con lui un dialogo del tipo:
“E tu chi
sei?”
“Io
sono un angelo!”
“Non
è vero, gli angeli non hanno una faccia brutta e cattiva
come la tua!”
“Urgh! Stupida
mocciosa!”
Forse, pensò Ichigo, quella volta Kisshu non aveva del tutto
torto…
«E mi ero quasi dimenticato di dirti che nel 7 a.C., che
è
la data di nascita reale di Gesù, il Messia dei cristiani,
nel
cielo comparve un oggetto luminoso volante chiamato Stella Cometa.
Quest'oggetto guidò i famosi Magi nel loro cammino e
si fermò sopra il luogo della natività.»
«Fammi indovinare, per te anche questa Stella Cometa era
un’astronave aliena.»
«Chissà. Secondo me…»
iniziò Ryo, ma
un risucchio sordo lo costrinse a fermarsi. Il ragazzo si
portò
una mano allo stomaco, che stava rumoreggiando. «Chiedo
perdono.
Non ho ancora cenato,» si costrinse ad ammettere dopo qualche
secondo di imbarazzo. Poi guardò Ichigo con una strana aria
supplichevole, che lei non gli aveva mai visto fare in vita sua.
«Ho dei melonpan nell’altra stanza,» si
ritrovò a dire lei senza neanche pensarci. «Li
avevo presi
per merenda prima di cena. Per me,» sottolineò.
«Capisco,» annuì Ryo stoicamente. Il suo
stomaco
brontolò di nuovo, e ad esso fece eco quello di Ichigo.
Lei si mosse a pietà. «Sono tre. Te ne
darò uno solo!» disse alla fine.
«Ti darò un aumento di stipendio,» la
ringraziò lui dirigendosi verso l’uscita e i
melonpan.
«I-Io non lo sto facendo per l’aumento di
stipendio!»
replicò lei, abbandonando a sua volta la stanza
egizia.
Poco dopo, Ryo e Ichigo erano seduti contro una parete fra due teche,
impegnati a mangiucchiare gli ultimi pezzi di un melonpan alla fragola.
Avevano lasciato perdere il discorso sugli alieni ed ora sedevano in
silenzio l’uno accanto all’altra. Erano vicini
anche
perché, a causa della mancanza di elettricità e
quindi
del riscaldamento, l’ambiente aveva iniziato a raffreddarsi.
La temperatura era scesa così tanto che Ichigo
starnutì un paio di volte.
«Sembra che Keiichiro non abbia ancora notato
l’allarme,» osservò Ryo dopo un
po’.
«Purtroppo credo che dovremo trascorrere la notte
qui.»
Ichigo circondò le ginocchia con le braccia, sospirando
stancamente. «Ryo, ma alla fine, perché stasera
avevi
deciso di venire in questo posto?»
«Volevo confrontare la Sfera che vi ho mostrato con le altre
che
conservo qui…Ichigo, prima che tu facessi saltare tutto, ho
fatto in tempo a prenderne una in mano, e già mi
è
bastato per vedere la differenza: la Sfera che ho lasciato al locale
è anomala, completamente diversa dalle altre
e…» si
accorse che la ragazza si era appisolata, crollando addosso alla sua
spalla, per cui smise di parlare e appoggiò la testa sulla
parete dietro di lui. Ichigo tremava leggermente, per cui la strinse a
sé come meglio poteva, cercando di riscaldarla col suo
corpo.
Rimase fermo a fissare i reperti che lui e Keiichiro avevano accumulato
nel corso degli anni, ma senza vederli davvero.
«Potresti pensare che io sia convinto che tutto quello che ti
ho
detto sia vero,» mormorò dopo qualche
minuto di
silenzio a Ichigo, «ma non è così. Io
stesso a
volte dubito dei collegamenti che creo, per via delle assurde
conclusioni a cui mi porta il seguire i fili del mio ragionamento. Sai
cosa ti dico? Probabilmente non sapremo mai la verità. Anche
se
è proprio qua fuori, a portata di mano, mi sa che non
riusciremo mai a comprenderla…»
concluse, chiudendo a sua volta gli occhi, distrutto.
Addormentati, infreddoliti e abbracciati: fu così Keiichiro
trovò Ryo e Ichigo quando, un paio d’ore dopo, si
precipitò nel bunker dopo aver visto l’allarme.
Affrettatosi a metter via la pistola che aveva portato con
sé,
si tolse la giacca che indossava e la usò per coprire come
meglio poteva i due ragazzi. Cercò di essere delicato, ma
Ryo se
ne accorse ugualmente e, svegliatosi di colpo, si mosse in avanti di
scatto, facendo perdere l’equilibrio e svegliare anche Ichigo.
«Kei, che cosa stavi facendo?!» domandò
il ragazzo biondo con aria nervosa.
«A-Ah, K-Keiichiro! Non è come credi, non
è assolutamente come credi!»
Lui sorrise amabilmente. «Scusatemi, eravate così
carini che non volevo svegliarvi.»
Ryo arrossì leggermente e si grattò una guancia,
rimettendosi in piedi senza dir nulla.
«Portami via da qui, Keiichiro!» lo
supplicò intanto
Ichigo a mani congiunte, inginocchiandosi disperata ai suoi piedi.
Keiichiro guardò disorientato Ryo. «Che cosa le
hai fatto?»
«Solo un piccolo tour guidato del bunker,»
replicò lui alzando le spalle. «E’ stata
lei a far
scattare l’allarme, e visto che tardavi, ho deciso che era un
buon modo per punirla.»
«Capisco.» Keiichiro sorrise di nuovo, rivolgendo a
Ichigo
uno sguardo comprensivo. «Mi dispiace averci impiegato
così tanto. Purtroppo sono rimasto a lavorare fino a notte
fonda
con le altre ragazze.»
«Notte fonda? Perché, che ore sono?!»
domandò la rossina.
«E' quasi l'una di notte. Non preoccuparti, ti riaccompagno subito
a casa. Hai problemi con i tuoi genitori?»
«No, loro non sono ancora tornati da
Kyoto…però Minto sarà
furiosa!»
Ichigo aveva promesso a Minto di ospitarla a casa sua finché
i
lavori di ricostruzione di Villa Aizawa non fossero stati completati;
visto che non aveva le chiavi dell’appartamento di Ichigo,
probabilmente lei in questo momento la stava aspettando fuori,
arrabbiata e infreddolita.
La ragazza si affrettò a raccogliere la sua cartella
scolastica
e fece un inchino. «Scusatemi, devo davvero
scappare,»
esclamò. Poi sorrise a Ryo: «Comunque…
grazie,
davvero.»
«Grazie a te per non aver creduto che sia pazzo,»
ammiccò lui, mentre lei si allontanava.
«No io credo che tu lo sia!» gli gridò
lei dalla porta.
«Sopravviverò lo stesso.»
Keiichiro rivolse un’occhiata complice a Ryo: «Vedo
che hai trovato una nuova amica,
oggi, eh?»
«All’inizio credevo che parlare di queste cose con
lei
sarebbe stato come tentare di spiegare ad un pesce ad andare in
bicicletta. Ma la verità è che Ichigo non
è
così sciocca come sembra. L’ho sempre saputo, ma
non lo
avevo mai ammesso,» sbuffò fuori Ryo.
Aveva appena finito di parlare quando le luci della sala di spensero di
nuovo. L’allarme riprese a suonare, e Ryo e Keiichiro si
guardarono in faccia: non ci voleva molto a capire cosa fosse appena
successo di nuovo.
«MALEDIZIONE ICHIGO, RAZZA DI IDIOTA!»
gridò Ryo
furibondo, fiondandosi fuori dalla sala, nel corridoio che portava
all’ascensore...
***
Note/Fonti:
[1] Queste parole e
svariate altre teorie presenti nel capitolo sono
citazioni o comunque sia spunti presi dai libri di Mauro Biglino, che
trovate qui: http://www.maurobiglino.it/?page_id=6 . Lui
condivide molte delle affermazioni di Sitchin, il cui sito
ufficiale
è: http://www.sitchin.com/ , dove trovate anche i
numerosi libri che ha scritto. MA per par condicio, se siete
interessati a
quest’argomento, vi consiglio anche questo
articolo, che è scritto davvero bene:
http://www.nibiru2012.it/nibiru-2012/le-falsita-di-sitchin-prima-parte.html
.
[2] http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Genesi6%3A1-8&formato_rif=vp
[3] Bauval
è giunto a questa scoperta calcolando la precessione
degli equinozi ed il moto proprio di tutte le stelle risalendo all'
epoca intorno al 2500 a.C. Successivamente, due studiosi hanno
constatato che le piramidi di Giza riproducono sulla Terra la
disposizione delle tre stelle principali della Cintura di Orione,
mentre John Anthony West ha descritto nel suo libro "Il Serpente
Celeste" l' Egitto dei faraoni come la rappresentazione in scala
terrestre della Via Lattea. Tutto questo per collegare il popolo Egizio
alle stelle, da dove questi autori pensano siano giunti gli
Dèi
degli Egizi.
[4]
http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo33
|
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Capitolo 29 *** Zeitnot ***
26
30/10/2014: Non
ho il coraggio di cambiare il titolo della fanfic. Devo farlo,
ho il titolone figo (?!) pronto, ma continuo a non avere il
coraggio di sostituirlo.
Il potere del cuore
era un titolo che non mi è mai piaciuto
molto: troppo vago, troppo banale, troppo italiano (?); aveva un suo
perché, ma il
significato si è perso quando anni fa decisi di far prendere
una
certa piega alla trama.
Il nuovo titolo invece
è trash, inglese, lungo e mi fa ridere un sacco
perché
è ridicolissimo ma sigh,
continuo a non avere il coraggio.
Spero di trovarlo nei prossimi giorni.
PS. In
questa sede ho accorciato sia la parte di Chris che quella dedicata
alla PaixChris; ho aggiunto una scena alla fine.
Sono ufficialmente tristissima a causa di Kell.
Non so se l’ho mai detto, ma il suo nome deriva da jelly, la
gelatina per desserts, però Jelly o Jell non mi piaceva e
Kelly era il nome di una mia vecchia bambola.
Povero Kell.
- Capitolo 28: Zeitnot -
Quel
giorno il clima artificiale della Capitale era davvero
perfetto: le
luci non erano né accecanti né troppo fioche e
c’era persino un piacevole movimento d’aria a
rinfrescare
l’atmosfera.
La vista della
città dalla
Sala del Consiglio era stupenda, se si ignorava
l’oscurità
minacciosa del terreno al di fuori della cupola che la conteneva. Chris
sedeva
accovacciata al davanzale di una delle finestre e, stando ben attenta a
non sporgersi troppo per non farsi scoprire, si divertiva a passare il
tempo ammirando il panorama sottostante. Da quella posizione la
ragazza aliena aveva una visione così completa da riuscire
persino a riconoscere in lontananza il poverissimo quartiere periferico
in cui era
nata e cresciuta. Era sicura di poterne sentire la puzza sin da
lassù.
Dopo un po’,
Chris si annoiò
di osservare, ma non poteva far nulla a riguardo: i suoi amici non
erano ancora riusciti a risolvere il nuovo ridicolo indovinello saltato
fuori dalla Chiave e, finché non trovavano una soluzione a
quel problema, erano
tutti bloccati lì.
La nibiriana dai capelli castani non si premurò di aiutare
perché sapeva di essere solo d’impiccio in quel
momento:
aprire una via
non era il suo forte, per quello c’era Pai.
Gli lanciò
un’occhiata
di soppiatto: lui era seduto a poca distanza da lei e stava fissando
l’enigma con aria persa.
Fu in quella situazione che Chris si rese realmente conto di quanto lo
aveva
cambiato il viaggio sul Pianeta Azzurro: prima di partire, Pai era
colui che si potrebbe definire il soldato
perfetto: forte, intelligente, devoto e così
ligio al dovere che, in una missione, avrebbe sacrificato
persino la sua famiglia senza battere ciglio se i suoi calcoli lo
avessero portato a concludere che era necessario.
Ora, però, sembrava
che la sua mente analitica, che era ciò che più
serviva loro in quel momento, fosse stata danneggiata. Non era
difficile
capire da cosa.
«Emozioni,»
sbuffò Chris a bassa voce.
Non era sicura che il
fatto che Pai
avesse iniziato a crescere sul livello emozionale fosse positivo ma
d’altronde, se non fosse successo, non avrebbe mai deciso di seguire lei e contemporaneamente
dubitare di Kell.
All’improvviso
Pai alzò
la testa, distraendo Chris dai suoi pensieri. Lei riuscì a
notare il luccichio che aveva appena illuminato gli occhi scuri
dell’alieno.
«Che
hai?» domandò Kisshu al fratello maggiore. Lui era
seduto dall'altra parte del tavolo insieme ad
Imago e Taruto e stava leggendo senza troppa convinzione
un’altra
copia dell’indovinello.
«quel chelo…»
mormorò Pai in risposta.
«Cosa?»
Pai piombò
in un silenzio
carico di concentrazione fino a che non disse, alzando lo sguardo su
Kisshu, «…quel
chelo…quello
che. Perfetto: ho
trovato la soluzione.»
Chris scattò
in piedi
all’istante. «Lo sapevo, sei un genio!»
esclamò in tono sollevato, raggiungendolo e saltandogli al
collo per abbracciarlo. Quando però si
accorse che lui era rimasto scioccato da quel suo gesto, il
suo entusiasmo si sciolse un po’. Si fece quindi indietro e
recuperò un certo contegno.
«Hmm…allora?»
chiese, vagamente imbarazzata.
«Questo
secondo enigma è anagramma,» rispose Pai.
«Un...anagramma?»
«Si. Non
potevate sapere
neanche questo, perché è un gioco terrestre. Sul
nostro pianeta
probabilmente ne è andata perduta la conoscenza, ma
è
piuttosto elementare: basta invertire l’ordine delle lettere
di
una parola per crearne un’altra. In questo modo, ad esempio,
“quel chelo”
diventa “quello
che”.»
«Oh,»
mormorò stupita Chris.
«Ehi,
io conoscevo
questo
gioco!» disse Imago come risentita, avvicinandosi ai due
insieme
agli altri. «Ma lo ammetto, non sarei mai pensato che gli
Antichi avrebbero potuto usarlo qui. Ora che però me l'hai
detto, fammi provare…hm… ”i profonndo”
potrebbe stare per “in
profondo”?»
«Si. Queste
due righe erano piuttosto semplici. Il problema sono le altre
due.»
«Conosci un
metodo per decifrarle?» chiese Chris.
Pai si
accarezzò il mento.
«In mancanza di strumentazioni adeguate, l’unico
modo che
conosco è…» si interruppe, rileggendo
l’enigma.
Taruto, teso come gli
altri, deglutì.
«…è…?»
«…andare
a tentativi,» concluse Pai.
Gli altri caddero per
terra.
«Datemi
qualche minuto,»
li rassicurò lui brevemente, agitando il papiro con
l’anagramma.
C’era uno stanzino per le discussioni private
in fondo alla Sala del Consiglio, separato da essa da un pesante
drappeggio rosso. Pai decise di andare a rintanarsi
lì
dentro per avere la pace di cui necessitava per risolvere
l’enigma.
«Sta
diventando sempre peggio…» osservò
Kisshu rialzandosi e massaggiandosi la fronte.
«Spero che
faccia in fretta.
Potrebbero scoprirci da un momento all’altro,»
osservò invece Taruto con ansia crescente.
«Se
accadesse, vi salverò io,» dichiarò
Imago.
«Sono la specialista delle fughe improvvisate,
ricordi?»
Taruto non sembrava
molto rassicurato.
«Amici, io
vado da Pai,» disse Chris, abbandonando anche lei il gruppo.
*
Pai entrò
nello stanzino: era
molto piccolo, ma era ordinato e silenzioso e a lui bastava. Senza
staccare gli occhi dal papiro, si accomodò sul soffice
divanetto
di stoffa nera posto a un lato della stanza, davanti a cui era stato
disposto un basso tavolino di pietra. Pochi secondi dopo Chris lo
raggiunse.
«Pai,
dovrei…»
«Chris
scusami, vorrei cercare di risolvere l’anagramma.»
«…parlarti.»
«Dopo,»
la liquidò l'alieno con aria distaccata.
Chris non la prese bene
e, invece di
andar via, si portò davanti a lui.
«Perché ti
comporti così?» domandò, accigliata.
«Così
come?»
«Sei
freddo.»
«Questa
è una cosa che
mi dici da quando ci siamo conosciuti,» ribatté
Pai mentre
l’ombra di un sorriso gli attraversava il volto.
«Si, lo so,
ma questa volta
è diverso, voglio dire…insomma, guarda che si
capisce!» sbottò alla fine la nibiriana.
«C’è qualcosa che ti preoccupa,
giusto?»
Pai distolse lo sguardo
dall’anagramma. «Intendi a parte il fatto che il
Pianeta
Azzurro rischia di essere distrutto, che Kassidiya è morta e
che
colui che credevo essere un amico è in realtà un
folle
assassino?»
Chris
aggrottò la fronte. «Non è solo questo
ciò che ti ha ridotto così.»
«Può
darsi,»
rispose lui in tono indecifrabile, «ma ora non è
il
momento per queste cose.» Chinò di nuovo
la testa
sul papiro.
L'aliena non si arrese.
«Avanti, confessa i tuoi peccati, debole essere
mortale!»
Pai realizzò
con frustrazione
che non se ne sarebbe andata fino a che lui non avesse
sputato il rospo, e non era possibile lavorare in quelle
condizioni. «Va bene,» sospirò
sconfitto, mettendo
via l’anagramma. Appoggiò
i gomiti sulle cosce
e abbassò la testa. Lasciò trascorrere almeno un
minuto
prima di iniziare a parlare.
«Continuo a
fare un sogno,» ammise infine con riluttanza.
Chris lo
guardò fisso,
sorpresa da quella risposta. Aspettò che lui continuasse, ma
poiché ciò non avvenne, decise di stuzzicarlo
osservando
in tono neutro: «Dicono che i sogni siano le ombre della
coscienza.»
«Non mi
interessa quello che
dicono,» replicò rapidamente Pai. «Il
mio sogno non è qualcosa di comune: è tetro,
opprimente e
fin troppo realistico. Credo che abbia un significato, ma non riesco ad
afferrarlo.»
«Prova a
raccontarmelo.»
«Non
c’è molto da dire. Mi trovo davanti ad un
muro...»
«Un
muro?»
«No,
è un vetro. Spesso
e molto colorato. E’ davvero bello, ma nasconde qualcosa di
tremendo. Non so come spiegare: sento che davanti a me c'è
qualcosa di malvagio, ma non riesco a capire cosa sia perché
quel
vetro colorato lo nasconde alla mia vista. E poi…»
Pai si
interruppe, ripensando alla ragazza che aveva abbracciato nel sogno. Si
morse un labbro: sentiva chiaramente di amarla, così
come sentiva il suo cuore spezzarsi quando lei scompariva fra le sue
braccia. Incrociò gli occhi color miele di Chris, che stava
attendendo
ansiosa la conclusione del racconto: Pai non aveva idea di chi
fosse quella ragazza, ma sapeva che non era lei.
Decise di non dirle
niente.
«…e
poi finisco col
risvegliarmi,» concluse, interrompendo il contatto visivo con
l’aliena. «Ma ad ogni modo, non credo che i miei
incubi
siano qualcosa di così importante,» soggiunse poi,
con un
tono ostile che lasciava ben intendere che il discorso era
chiuso.
Chris non
replicò. Assunse
un’aria pensierosa e, quando il suo compagno
ritornò al
lavoro, girò in tondo per parecchie volte nella stanzetta.
«Via
un’altra,» mormorò Pai sovrappensiero
dopo alcuni secondi.
«Hai
decifrato qualcosa?»
«Sì.
Chi nato ai…hai
antico. Ora
manca solo la terza riga. La quarta, come ha detto Imago, è
in profondo.»
«Sembra
così difficile,» osservò Chris
avvicinandosi.
«Lo
è,»
annuì lui. Era davvero difficile districarsi per le vie
confuse
del suo cuore; ma, forse, Chris non si riferiva a questo.
«Sono sicura
che ce la
farai,» lo consolò lei dolcemente, sedendoglisi
accanto e posando una mano sulla sua coscia.
Fu in quell'istante che
Pai si pentì di averla baciata.
In realtà,
lui non provava
nulla di diverso da stima e amicizia fraterna per Chris, e questo lo
sapeva già da tempo. E sapeva anche che prima o poi si
sarebbe
ritrovato in una situazione del genere: lo aveva intuito quando lei gli
aveva confessato di amarlo e dannazione, se non fosse scappata in quel
modo dopo averlo fatto, forse lui sarebbe riuscito a chiarire subito la
situazione e ad evitare tutto questo!
Ma purtroppo non era
andata
così, ed ora Pai si trovava in una posizione davvero
spiacevole
e imbarazzante. Se l’era cercata lui, in effetti: in uno
stupido
momento di debolezza si era approfittato di lei ed ora la stava
illudendo, e questo lo faceva sentire tremendamente in colpa.
Però anche
lei, insomma!
L’aveva praticamente messo con le spalle al muro! Bel tipo,
quella Chris! Sembrava
un’innocentina, e invece…!
«Ascolta Pai,
stavo ragionando
sulle parole che hai trovato: ‘hai antico quello che in
profondo’. Lette insieme, non hanno senso! E poi, nella terza
riga, hai notato che queste tre lettere…»
«…sono
evidenziate e
anagrammandole si ottiene la parola DUE? Sì,
l’ho notato.
Dev’essere un numero importante. Se lo escludiamo dal testo,
rimane solo inda tza s,»
osservò Pai in modo meccanico,
pensando nel mentre a tutt’altra cosa.
L’alieno si
stava chiedendo
che cosa avrebbe dovuto fare con Chris. Doveva parlarle adesso che ne
aveva l’occasione? Era necessario: ogni
secondo che passava avrebbe ingigantito la ferita che lui le avrebbe
inferto rivelandole di non provare amore per lei.
Di colpo,
però, Pai si
ricordò che il destino di un intero pianeta dipendeva da
lui, e
concluse che l’enigma aveva la precedenza rispetto ai suoi
dilemmi personali. Per questo motivo, alla fine, decise di rimandare il
discorso.
«Quindi
mescolando queste
lettere dovremmo formare altre parole?» chiese Chris.
«Uhm…non mi viene in mente niente…ma
come fai
tu?»
«Te
l’ho detto, vado a
tentativi. Non sono poi molte le parole che si possono formare con
queste poche lettere. Abbiamo due a,
una i, e
poi n, d, t, z e
s. Basta
trovare il giusto ordine. Siccome ci sono solo tre vocali, direi che
non possono essere più di due parole.»
«Allora..se
mettiamo la i
con la n…diventa
in datzsa?»
provò Chris.
«Ecco, questo
è il modo sbagliato di procedere.»
«Urgh! Sei
odioso!!»
«Io credo che
la i debba
andare con la d…di
natzsa,» osservò Pai.
Chris gli fece una
linguaccia. «Non ha più senso della mia, mi
sembra.»
«Ti riferisci
a natzsa?
E’ l’anagramma di...»
«Aspetta…stanza?»
«Vedo che
impari in fretta.»
«E quindi la
soluzione è…hai
antico / quello che / stanza due di / in profondo?»
«Probabilmente
perché abbia un senso deve essere letta dal basso verso
l’alto.»
«Però
manca ancora qualcosa…questi due segni a forma di
croce…»
«Hai ragione,
li avevo
tralasciati. Pensavo che fossero una sorta di elemento grafico
decorativo ma, volendo, questo segno potrebbe essere visto come un
elemento da
associare alle parole che abbiamo trovato.»
«Aspetta,
intendi così?»
Chris estrasse da una
tasca una penna e trascrisse:
In
più profondo, stanza due di quello che hai più
antico.
Rilesse entusiasta,
quindi
esclamò: «Ce l’abbiamo fatta! Andiamo a
dirlo agli
altri!» e, afferrato Pai per un braccio, nonostante le sue
opposizioni lo trascinò fuori con un gran rumore.
*
Imago lesse il foglio
con la
trascrizione che Chris le aveva appena passato.
«Wow,»
commentò con poco entusiasmo.
L'assistente scienziata
parve delusa. «Abbiamo lavorato tanto e tu dici solo
‘wow’?»
«No, no,
volevo dire…WOW! E’ che… Ed
ora?»
«Ed ora
cosa?»
Kisshu, che aveva
sbirciato il
foglio da dietro le spalle di Imago, disse piatto: «Cosa
significa questa frase? Lo sapete, no?»
Pai e Chris
ammutolirono e si
guardarono fra di loro; ma non ebbero tempo di fare altro,
perché un tonfo proveniente in direzione
dell’ingresso
della Sala attirò l’attenzione di tutti: una
giovane
ancella era appena entrata e li aveva visti.
L'aliena aveva lasciato
cadere a
terra il vaso che stava tenendo fra le braccia e si era portata le mani
alla bocca, sgomenta.
«Aspetta, non è
come credi! Siamo bravi nibiriani!» tentò Kisshu
muovendo
un passo verso di lei, che a quel punto strillò qualcosa
e
corse via.
«Mi sa che
stando con me hai perso un po’
l’allenamento,» commentò Imago.
«Ho come
l’impressione che la nostra tanto sudata copertura sia
saltata,» sospirò invece Chris.
«Kisshu, hai
davvero detto ‘siamo
bravi nibiriani’?!» lo
redarguì un incredulo Pai.
«Lo sapevo
che sarebbe finita così!» si lagnò
Taruto. «E adesso?!»
«E adesso,
fine del
gioco!» esclamò rapido Kisshu, afferrando la mano
di
Imago. «Via da qui!» disse, e nessuno
trovò nulla da ridire.
* *
Lo schermo di una delle
postazioni
della sezione più isolata del Laboratorio iniziò a lampeggiare in maniera insistente: qualcuno stava tentando di mettersi in contatto con le persone al suo interno, ma
nessuno rispose.
Era strano perché nell'area Recupero delle Antiche Tecnologie, quel giorno,
avrebbero dovuto essere al lavoro almeno quattro fra i migliori
scienziati della Capitale.
Le luci fioche
dell'asettico
stanzone
traballarono, mentre i fili strappati di alcuni cavi che
pendevano dal soffitto emanavano un ronzio sinistro.
I terminali degli
scienziati erano rovesciati e distrutti, i macchinari spaccati e
macchiati del sangue dei cadaveri che giacevano riversi sul pavimento.
Nell'area Recupero delle Antiche Tecnologie, quel
giorno, erano al lavoro quattro fra i migliori scienziati della
Capitale, ed ora erano tutti morti.
Lo schermo, un quadrato
luminoso nella penombra, continuò a diramare
l’avviso di comunicazione in
arrivo fino a che qualcuno non lo attivò schiacciando un
tasto.
Il volto corrucciato di
Shiroi venne
proiettato, in versione ingigantita, sui pannelli al plasma che
componevano una delle pareti. «Perché hai
impiegato così tanto a rispondere? Batter è stato
ucciso
e io pretendo di sapere perché tu non…»
Il Consigliere
interruppe la sua
ramanzina quando si rese conto dello stato fisico del suo interlocutore
dall’altra parte dello schermo.
«S-Siamo
stati
attaccati,» esalò Kell con voce roca, tossendo. Lo
scienziato, fermo davanti alla postazione centrale, premeva una mano
sul pannello di controllo nel tentativo di sorreggersi in piedi; teneva
il braccio destro allacciato allo stomaco e respirava in modo pesante e
irregolare. «Erano d-due.
Cer…cerc-cavano…la
Chiave,» riuscì a balbettare.
Shiroi
inarcò le sopracciglia
sottili. «La Chiave è in mano ai tuoi amici
Traditori,» replicò con disinvoltura.
«Sono stati
avvistati nella Sala del Consiglio poco fa ed ora sono in fuga. Sono
stati loro a ridurti così?»
«No!»
ansimò Kell. «Loro non…»
Un fortissimo attacco
di tosse
colpì lo scienziato e gli impedì di continuare.
Crollò a terra in ginocchio, sporcandosi le mani e i vestiti
con
il sangue che ora gli usciva a fiotti dalla bocca.
Shiroi attese che
l’attacco
fosse passato prima di ricominciare a parlare. Anche se non lasciava
trapelare i suoi sentimenti, era visibilmente seccato da
quell’imprevisto.
«Forse inizio
a comprendere la
situazione,» rimuginò ad alta voce.
«Quindi quegli
sciocchi non sanno del pericolo che stanno correndo. Suppongo che non
resti altro da fare che trovarli prima che chi ti ha attaccato faccia
far loro la tua stessa fine. Risveglieremo anche l’ultimo
Cavaliere, sperando che sia migliore di te.»
Un gemito sommesso
sgorgò dalle labbra dello scienziato agonizzante.
«Fortunatamente
è ormai
quasi tutto pronto: basterà solo accelerare i tempi. Ma se
non
sono stati quei ragazzini, riesci almeno a dirmi contro cosa dobbiamo
aspettarci di combattere?» provò Shiroi ma dopo
alcuni secondi, resosi conto
che Kell ormai sembrava non essere più in grado di
rispondere,
decise che era inutile insistere. Scosse la testa. «Vuol
dire che lo scopriremo da soli. Vedi, fratello, la profezia era molto
vaga sul tuo destino, e per questo motivo l’Ordine di Ra-Hu
era
preparato a questo scenario. Avremmo preferito restare neutrali fino a
che i preparativi non fossero conclusi del tutto, ma ora che siamo
stati sfidati
così impunemente non resteremo fermi a guardare. Quanto a
te,
sei sollevato dalla tua missione. Buon riposo, Cavaliere,»
concluse il Consigliere, chiudendo la comunicazione.
“Dammi
tregua, vecchio,” pensò Kell sfinito, odiandolo
con tutto il cuore.
Il giovane scienziato
sentiva il
sangue avvelenato bruciare nelle sue vene e scorrere dentro ogni
singolo capillare del suo corpo. Era una tortura e ogni respiro, ogni
battito del cuore era sempre più doloroso del precedente.
Desiderava solo che finisse, ma sembrava non finire mai. Lo
trovò assurdo e ingiusto, perché coloro che aveva
visto
ricevere la sua stessa ferita erano morti molto più
rapidamente.
Kell suppose che la sua resistenza fisica superiore fosse dovuta alla
sua
vera natura, che l’Ordine di Ra-Hu aveva provveduto a
risvegliare
perché necessaria ai suoi scopi. Lo maledì per
questo,
maledì Shiroi e maledì anche Pai per tutto, per
non
avergli dato ascolto e per essere entrato in possesso della Chiave,
mettendosi in pericolo in modo così idiota.
Mentre, tremando, si
asciugava il
sangue dagli angoli della bocca con un polso, realizzò che
non
poteva finire così. Lui non poteva morire in quel
Laboratorio
insieme alle sue ricerche, non quando era arrivato a un passo dalla
fine. E non poteva lasciare quegli incoscienti né nelle mani
di
Shiroi né di quei mostri.
Per questo motivo, con
uno sforzo
immenso, Kell si trascinò verso l’angolo
in cui erano conservati i sieri sperimentali. Nel farlo,
inciampò sui resti di una delle sue ricercatrici. Kell non
si ricordava neanche il suo nome,
sapeva solo che era la più giovane e che non conosceva nulla
dell’Ordine. Quando erano stati attaccati era riuscito a
proteggerla dal primo di quegli abomini, ma lei aveva finito
per essere presa dal secondo; le sue grida disperate lo avevano
distratto ed il
suo avversario ne aveva approfittato per azzannargli un braccio e
ridurlo in quello stato.
Kell raggiunse il
ripiano a muro su
cui erano conservate le provette che cercava e ne prese una che
conteneva un fluido violaceo. Le sue mani erano scosse da tremiti e fu
solo dopo molti frustranti tentativi che riuscì a estrarlo
con
una siringa.
Gemette quando si
infilò con
un colpo secco il grosso ago nella gamba e si affrettò a
svuotare tutto il contenuto della provetta nell’arteria: non
era
un antidoto e sapeva che, anche se quella roba lo avrebbe rimesso
in sesto e gli avrebbe fatto smettere di provare dolore, le tossine che
ormai dilagavano nel suo corpo avrebbero continuato a distruggerlo
dall’interno fino a che i suoi organi vitali non fossero
collassati.
Sperava solo che gli
fossero concessi il tempo e la lucidità di cui aveva bisogno
per fermare quella pazzia.
+ + + +
Extra: Sfoglio
spesso le vecchie recensioni per vedere se c’è
qualche
osservazione dei lettori che posso usare come spunto per la revisione,
e ho notato che mi è stato chiesto da dove ho preso tutta la
roba incasinata che scrivo.
Ebbene, vi
narrerò la mia storia.
Dovete sapere che
14 anni fa
non c’erano né Adam Kadmon né Enigmi
Alieni, e per
questo motivo il mondo era un posto migliore.
A quel tempo ero
un piccolo
bradipo solitario e non facevo altro che leggere. Dopo aver letto tutto
ciò che c’era di leggibile in casa,
l’unica cosa che
mi rimase erano le riviste del mistero di papà. Ero piccina
e
avevo paura delle foto dei presunti fantasmi e alieni che
c’erano
lì dentro, per cui avevo studiato tutta una tecnica basata
sull’individuare e coprire con un foglio le foto
più
spaventose prima che il mio cervello le memorizzasse. In questo modo
potevo concentrarmi sulla lettura.
Fu
così che,
all’età di 12 anni, la Jun si
appassionò
all’archeologia misteriosa e a tutte queste belle cose, che
in
seguito ha ficcato nella fanfic.
-- fine --
|
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Capitolo 30 *** Labirinto di specchi ***
26
30/10/2014: Devo
smetterla di inserire scene in cui muore gente.
- Capitolo 29: Labirinto di
specchi -
«Mi spiegate a che
cosa servono quei cristalli speciali se non possiamo
utilizzarli?!»
Un seccato Taruto raggiunse in volo i suoi amici che, fuggiti dalla
Sala del Consiglio, correvano senza alcun ritegno per i corridoi del
Palazzo.
Correvano, e i loro passi risuonavano per quei vuoti passaggi; si
mescolavano ad altri rumori più bassi e lontani, ma non per
questo meno minacciosi.
«Non è sicuro!» rispose Pai.
«La loro portata è molto bassa e le guardie si
stanno concentrando in quest’ala del Palazzo: rischieremmo di
finire in mezzo a loro.»
«Sì ma ci stanno raggiungendo!»
obiettò il piccolo.
Mentre percorrevano un corridoio, un gruppetto di Guardie Imperiali
apparvero davanti a loro per bloccargli il passaggio, mentre delle
altre si avvicinavano dalla direzione opposta: erano in trappola.
«Kisshu!» supplicò Taruto.
«D’accordo, facciamolo!» annuì
quello, prendendo Taruto per un braccio. I due fratelli scomparvero
insieme e Pai andò con loro, mentre Chris e Imago, che non
fecero in tempo a seguirli, finirono da un’altra parte.
Le due riapparvero in una stanza poco distante in cui sembrava che non
ci fosse nessuno.
Imago, che era sempre stata molto impacciata con quella cosa del
teletrasporto, lasciata da sola finì per capitombolare a
terra. Chris invece si posò con grazia sul pavimento decorato e
sorrise. «Siamo state fortunat-» disse, ma venne
presa alle spalle da due guardie e costretta in ginocchio con una
rapidità impressionante. Il suo cristallo le cadde di mano e
rotolò sotto i piedi di una terza guardia, che lo
schiacciò. «Rimangio tutto.»
«E-Ehi!» Imago, nel frattempo, era stata rimessa in
piedi e bloccata da una quarta guardia, così grossa che con
una sola mano riusciva a tenerle ferme entrambe le braccia dietro la
schiena, mentre con l’altra le requisiva il cristallo e
glielo distruggeva.
«Bene, bene,» mormorò la guardia che
aveva rotto il cristallo di Chris, avvicinandosi a lei.
La sua voce profonda era chiaramente quella di una donna: era alta e
aveva un fisico mozzafiato malamente nascosto dall’uniforme
che indossava.
«Mezzo palazzo vi sta cercando e voi finite proprio nelle
nostre mani. Deve essere il mio giorno fortunato,»
commentò l’aliena mentre una piccola mitraglia,
tecnologica e molto elaborata, le appariva fra le mani. La
puntò contro Chris.
«Non ricordavo che le Guardie Imperiali avessero in dotazione
delle armi del genere,» osservò lei con calma.
«Non l’hanno, infatti, questa è
mia,» rispose l’altra, togliendosi la visiera che
le copriva il volto: era un’aliena poco più adulta
di Chris e portava un caschetto di capelli color azzurro ghiaccio con
due lunghe trecce arrotolate dietro la testa. Il suo viso era
allungato, così come il taglio dei suoi occhi; aveva un
ghigno sadico stampato sulla faccia.
«Il mio nome è Tinga Jiuniang, e sono un membro
dell’Ordine di Ra-Hu,» spiegò.
«Sono così felice di aver preso in un colpo solo
proprio voi due!
Magari, per ringraziarmi, il Maestro mi farà
Cavaliere.»
«C-Cavaliere?» balbettò Imago, senza
capire.
«Sono io qui a fare le domande! E per iniziare, ditemi: dove
è la Chiave?»
«N-Non ce l’abbiamo noi!» rispose Chris.
«E’ tutto un gigantesco equivoco: vede, io ero
solo…qui per lavoro oggi!»
«Oh, andiamo, come se ti potessi crederti!»
replicò divertita Tinga, premendole la pistola sul collo.
«Farai bene a rispondermi immediatamente, mostriciattolo. Non
posso ucciderti, ma posso sempre farti desiderare di essere
morta,» soggiunse minacciosa.
Chris chiuse gli occhi come per prepararsi al peggio.
«Aspetta, non farle del male!»
«Fà silenzio, principessina!»
«Imago, usa il tuo potere!» urlò Chris
all’improvviso. «Leggi nella mia mente!»
«Eh?»
«ORA!»
Imago non sapeva come l’apparizione di Pai potesse essere
utile in quella situazione ma, spaventata e spronata da Chris, chiuse
gli occhi e si concentrò. Come al solito
un’immagine si formò nella sua mente e, man mano
che la figura prendeva forma dentro di lei, il suo corpo si modificava,
assumendo le sembianze dell’essere amato dalla sua amica.
L’energumeno che tratteneva Imago vide con terrore
l’altezza della ragazza cambiare, i capelli allungarsi a
dismisura e avvertì una scarica di energia percorrere il suo
corpo.
«Ma cosa…?»
Tinga si distrasse e si girò verso Imago, ma un attimo dopo
venne avvolta da una luce terribile che si sprigionò dal
corpo della ragazza.
Ci fu una sorta di esplosione silenziosa di energia bluastra.
Durò un istante e, quando cessò, le quattro
guardie erano a terra.
La luce sprigionata dall’essere si disperse rapidamente;
Imago tornò normale e si piegò sulle ginocchia,
sconvolta da ciò che era appena successo.
Chris le tese una mano. «Bel colpo, sorellina.»
«Ma…ma… Lui?»
sussurrò la ragazza aliena, tremando.
«Ehm,» annuì Chris con imbarazzo.
«I-Io pensavo che ti piacesse Pai!»
«E’ così infatti!»
«Ma, Chris, tu…tu ami Profondo Blu.»
«Beh, come tutte le nibiriane del pianeta, no?»
replicò lei imbronciata, aiutando Imago a rimettersi in
piedi. «Non giudicarmi! Ho visto femmine con decine di figli
che svenivano al solo sentire il suo nome. Io almeno mi limitavo a fare
dei disegni...e qualche pupazzetto.»
«Tu facevi dei pupazzetti di Profondo Blu?!»
«Erano carini,» mormorò Chris a
mò di scuse, avvampando. «Oh, andiamo, non dirmi
che non hai mai avuto una cotta per un Sovrano o qualcosa del
genere!»
«Beh, in effetti sì…» ammise
Imago a quel punto, arrossendo a sua volta. «Il suo nome
era…»
Pai, Kisshu e Taruto comparvero nella stanza prima che Imago potesse
concludere la frase.
«Eccovi, finalmente! Siamo riusciti a disperdere i Babbei
Imperiali, e…» Kisshu si guardò
intorno, «…cosa diamine è successo
qui?!»
Chris batté le mani fra di loro come per pulirsi da uno
strato di polvere invisibile. «Oh nulla, io e Imago abbiamo
preso a calci qualcuno di quegli fanatici di Ra-Hu, visto che voi maschioni eravate
impegnati a scappare.»
Kisshu si voltò verso la sua compagna. «La tua
capacità di ficcarti nei guai è
impressionante,» disse con sincerità.
Lei aveva le lacrime agli occhi. «Non prendermi in giro, io
ho avuto paura!» rispose, tirando su con il naso.
Pai si chinò a terra per premere due dita sul collo di
Tinga, verificando il battito del suo cuore. «Sono solo
svenuti. Faremmo meglio ad allontanarci prima che si
riprendano,» disse.
«Ok!» Taruto aprì rapido la porta per
uscire, ma mentre lo faceva altre guardie vi passarono davanti e fu
solo per miracolo che non lo videro. Kisshu si affrettò a
richiuderla e a serrarla proprio mentre un altro gruppetto di ignare
guardie appariva nel corridoio esterno lì davanti.
«Non ci lasceranno fuggire così
facilmente,» sibilò Kisshu al fratello minore.
«Se vogliamo andarcene, dobbiamo essere pronti a combattere.
Ma se lo facessimo, attireremmo ancora di più
l’attenzione e ci sarebbero tutti addosso in un
attimo.»
«C’è anche un altro problema,»
osservò Chris. «Se fuggiamo adesso dal Palazzo non
avremo più possibilità di ritornarci.
Organizzerebbero una sorveglianza molto più stretta, e noi
non abbiamo tempo da perdere.»
Taruto sbuffò, incrociando le braccia. «Quegli
stupidi non valgono neanche la metà di noi:
combattiamo!»
«Parlando di non attirare l’attenzione,
no?» ribatté l’alieno dagli occhi
dorati, inarcando un sopracciglio.
«Oh, insomma, Kisshu! Potrei sapere che cosa ti è
successo? Un tempo non eri così codardo!»
«Taruto!» lo richiamò Pai, facendolo
voltare di scatto nella sua direzione. «A nessuno di noi
piace questa situazione, e tu lo sai bene. Ma purtroppo Chris ha
ragione: se ce ne andassimo ora, perderemmo tutto il lavoro fatto fino
a questo momento. Quando hai deciso di venire con noi hai preso sulle
tue spalle la responsabilità della missione che
dobbiamo compiere: ciò significa che non sei autorizzato a
insistere sul voler andare via.»
Il contegno assunto da Pai mentre pronunciava queste parole era
così grave e solenne che troncò ogni ulteriore
discussione.
Nella stanza calò un silenzio teso, rotto solo dai respiri
leggeri di Imago, che senza farsi notare aveva appoggiato la schiena
alla parete della stanza: lo sforzo sostenuto per usare i suoi poteri
l’aveva sfiancata al punto da aver bisogno di un supporto per
non cadere a terra; le sembrò strano, perché in
genere non aveva mai avuto questo tipo di problemi.
Non voleva essere d’impiccio agli altri e quindi decide di
limitarsi ad aspettare che quell’improvvisa stanchezza le
passasse. Nell’attesa, la nibiriana osservò meglio
la stanza in cui erano capitati: era abbastanza grande ed aveva una
sola porta di ingresso, ma nessuna finestra. Le pareti erano di nera
pietra viva, e l’unico elemento di arredo presente era
un’ampia lastra di cristallo scuro di forma semicircolare,
incastrata nel muro in fondo.
Non appena Imago la notò ci mancò poco che non
svenne dalla felicità: conosceva bene quel luogo, e finirci
dentro era stata la fortuna più grande che avesse potuto
capitargli. Doveva dirlo agli altri…
«Però non capisco, perché mai dovremmo
ritornare qui a Palazzo?» stava intanto domandando ostinatamente Taruto.
«Perché, saputello,» rispose Kisshu,
incrociando a sua volta le braccia, «sembra che sia io che
Pai siamo arrivati alla conclusione che In più profondo,
stanza due di quello che hai più antico non
sia altro che un modo poetico
per dire: "in fondo alla seconda stanza di quello che hai
più antico".»
Un’espressione di vaga confusione si dipinse sul viso del
bambino.
«Ho capito!» esclamò Chris, facendo
sobbalzare tutti. «Questo Palazzo, essendo stato costruito
dai nostri antenati quando giunsero la prima volta su questo pianeta,
è proprio una cose più antiche che
esistono!»
«Esattamente,» annuì Kisshu.
«Ma non chiedermi quale sia la seconda stanza…»
«Seconda stanza,»
ripeté Pai. Cercò di riflettere su quelle parole,
ma non gli venne in mente niente.
Forse, pensò, in passato le stanze del Palazzo erano state
numerate… e se era così, e questa numerazione era
andata perduta col tempo, ora come ora l’unico modo per
trovare la stanza giusta era quello di frugarle singolarmente tutte
quante; ma questa era una cosa assurda solo a pensarci,
perché il Palazzo era composto da centinaia e centinaia di
stanze, senza contare i passaggi segreti. Avrebbero impiegato secoli
per esplorarlo tutto. E ad ogni modo, erano proprio sicuri che la cosa antica fosse
davvero il Palazzo del Pianeta Nero?
«Ad ogni modo, dobbiamo trovare in fretta un modo di andare
via da qui. C’è metà
dell’esercito fuori da questa porta, e non tarderanno a
venire a curiosare qui dentro,» mormorò Kisshu.
«Io conosco un modo!» si intromise Imago a quel
punto.
«Sarebbe?»
«Maestra delle fughe, ricordi?» rispose
l’aliena, indicandosi la faccia con larghi gesti delle dita.
Poi, senza voltarsi indietro, batté il pugno su un pannello
metallico alle sue spalle e la lastra di cristallo in fondo alla stanza
si aprì in due come se fosse una porta automatica.
«Cos’è, un altro passaggio
segreto?» chiese Chris.
Imago scosse la testa. «Purtroppo no, e le guardie stesse
conoscono bene questa porta, ma se entriamo qui dentro non ci
troveranno facilmente.»
Chris annuì e si avvicinò all’ingresso
di quella nuova via di fuga, ma i tre fratelli rimasero fermi dietro di
lei. Per questo motivo, l’aliena si girò dalla
loro parte con aria interrogativa. «Che cosa vi prende
adesso?» domandò.
Kisshu, Pai e Taruto si scambiarono un’occhiata veloce.
«Ma questo… questo non è il Labirinto degli Specchi,
vero?» sussurrò spaventato il più
piccolo. «Vero che non lo é?»
Imago si morse un labbro. «Invece lo è,»
rispose con cautela.
Le gambe di Taruto si mossero all’indietro da sole.
«No, no, io lì non ci entro! Io lì
dentro non
ci entro!»
«Non mi dirai che credi a quelle stupide storie?»
sbottò Kisshu a quel punto, nascondendo la sua paura.
«Avanti, non fare il bambino!»
«No, no, no! No!»
«D’accordo, non so cosa sia questo Labirinto di
Specchi, ma comincio ad avere una brutta sensazione a
riguardo,» osservò Chris verso Pai, che pure
sembrava leggermente turbato. «Stiamo per morire
tutti?»
«Dipende,» rispose serio l’alieno.
«C’è una buona probabilità
che le storie legate a questo luogo siano false. D’altra
parte, i morti e gli scomparsi in questo luogo erano veri, quindi
qualcosa di strano è effettivamente successo qui dentro.
Credo comunque che ci toccherà fidarci di Imago.»
Pai tirò un profondo sospiro, poi si rivolse a Taruto:
«Kisshu ha ragione, smettila di fare i capricci. O gli
spiriti degli specchi o la condanna a morte,» lo
minacciò, indicando la porta alle loro spalle.
«Scegli.»
«La condanna a morte!» dichiarò subito
Taruto, ma nel frattempo Kisshu lo aveva preso per le spalle e lo aveva
trascinato di peso dentro il labirinto, seguendo Imago.
Chris non sapeva cosa fare. «Gli
spiriti…?» chiese confusa a Pai.
«Andiamo anche noi,» si limitò a
replicare lui, facendo un cenno con la testa.
«Quali spiriti?»
«Non ci sono spiriti,» rispose Pai con una secca
convinzione. «Non esistono cose del genere. E anche se ci
fossero, non permetterei loro di farvi del male,» concluse.
Sentendo quelle parole, Chris si decise a varcare l’ingresso
del labirinto. Pai entrò per ultimo, ma non prima di aver
premuto nuovamente il pannello che attivava il passaggio, che si
richiuse un attimo prima che un piccolo drappello di Guardie Imperiali
comparisse nella stanza per perquisirla.
«Ah! Che razza di posto è questo?»
Chris non riusciva a credere ai suoi occhi: era circondata da specchi!
Aveva immaginato una cosa del genere, dato che Taruto aveva chiamato
quel luogo “Labirinto di Specchi”…ma il
ritrovarsi circondata da decine di vetri che riflettevano e
distorcevano in ogni modo possibile la sua immagine era comunque
sconcertante!
Quegli specchi, di infinite forme e materiali diversi, erano ammassati
senza logica in ogni parte e ricoprivano persino il soffitto e il
pavimento; diffondevano male la luce di alcune sfere luminose che
galleggiavano in aria, dando nel complesso a quel luogo
un’aria spettrale. C’era un silenzio di
tomba; Chris se ne rese conto non appena la prima reazione di stupore
fu passata.
Pai le sfiorò un braccio. «Muoviamoci. E non
guardare gli specchi,» le disse passando avanti.
«E’ facile,» rispose lei sarcastica.
«Non fidarti di quello che vedi,»
precisò Kisshu. Taruto, accanto a lui, batteva i denti come
se avesse improvvisamente freddo.
Sentirono delle voci oltre la porta: ferme dall’altra parte
del cristallo, le guardie stavano decidendo se entrare nel Labirinto
per cercare i fuggitivi o andarsene e lasciarli al loro destino.
«Non possono teletrasportarsi qui?»
«In questo posto le nostre capacità sono
azzerate,» rispose Imago. «Andiamo,»
disse poi, e condusse gli altri verso un angolo in cui, incassato in
mezzo a due specchi convessi, c’era un passaggio.
Era talmente stretto che a stento due persone potevano percorrerlo
insieme. Ce ne erano decine di simili e per questo motivo gli alieni
realizzarono che, se si fossero allontanati abbastanza
dall’entrata, le guardie avrebbero impiegato parecchio tempo
per trovarli, sempre se avessero avuto il coraggio di attraversare
quella soglia maledetta.
Il problema adesso era solo trovare l’uscita.
«Imago, tu conosci bene questo luogo, vero?»
domandò Pai.
«No, in effetti no. Questa è la prima volta che ci
entro,» rispose lei serafica.
«Spero che la mia compagna stia scherzando,»
osservò Kisshu con voce leggermente più acuta del
normale; avanzava a fatica e per ultimo perché Taruto gli
stava abbarbicato ad una gamba per il terrore.
«No, ma il mio istinto mi dice che ce la faremo,»
rispose lei con ottimismo.
«Dovrei avere con me una penna magnetica e un foglio,»
osservò Chris soprappensiero. «Penso che li
userò per scrivere le mie ultime
volontà.»
Mentre si
inoltravano in quell’inno
alla claustrofobia, il loro udito sviluppato permise loro di sentire
dei suoni profondi e lontani.
Erano le guardie che avevano infine deciso di seguirli, oppure
era…altro?
I cinque
percorsero il passaggio fino in fondo; si strinse al punto tale che
furono costretti a procedere in fila indiana. Dopo poco tempo,
scoprirono che la strada che avevano scelto aveva quattro differenti
diramazioni. Imago, che apriva la strada, scelse il passaggio a destra
senza fermarsi e gli altri la seguirono.
Neanche a dirlo, nel passaggio in cui si erano infilati
c’erano altri specchi, tanti: erano dappertutto, e per questo
sembrava che da ogni parte del corridoio intorno a loro ci fosse un
silenzioso movimento di figure che li stavano seguendo, specchio dopo
specchio, aspettando soltanto il momento buono per saltare fuori e
prenderli.
Pai non riusciva a
distinguere bene i riflessi negli specchi perché la luce
scarseggiava; vedeva solo sagome indistinte muoversi dentro di loro
come un incantesimo ammaliante, e si ritrovò a lottare per
non restarne succube. Si ricordò che sul Pianeta Azzurro
c’erano molti posti simili a questo Labirinto: gli esseri
umani li consideravano un’attrazione e li usavano per
divertirsi, ma lì dentro non c’era nulla da
ridere: persino lui che non credeva agli spiriti si sentiva intimorito
dall'aria di morte che aleggiava in quel luogo.
Raggiunsero un altro bivio; Imago si fermò pensierosa e gli
altri la imitarono.
Attaccato ad uno specchio c’era un’altra di quelle
sferette luminose, ma non per questo l’atmosfera era meno
opprimente. Ora non si sentivano piu' voci o rumori, eppure ad ogni
minimo movimento qualcosa guizzava intorno a loro.
Un sottile sibilo di lame… Kisshu aveva estratto i suoi due
tridenti ed ora si stava guardando intorno con circospezione.
Taruto gli andò vicino, tremando paurosamente.
«Perché i tuoi fratelli sono così
spaventati?» domandò sottovoce Chris a Pai.
«Questo posto è molto caratteristico, ma niente
più.»
«Se fosse un semplice labirinto ti darei ragione,»
sussurrò Pai in risposta. «Ma devi sapere che
Deiwos, il primo Sovrano dopo la fuga dalla Terra, fece costruire
questo luogo per liberarsi dei suoi avversari.»
«Bel tipo. Li faceva perdere dentro il labirinto?»
«La leggenda narra che imprigionasse le loro anime in questi
specchi.»
Un improvviso clangore metallico li fece voltare di scatto entrambi: un
tridente era scivolato di mano a Kisshu.
L’alieno, imbarazzato, afferrò Taruto.
«Insomma! La smetti di fare il neonato?»
«Ma se non ti ho toccato!» protestò
quello, ma Kisshu gli tappò la bocca con una mano.
«Zitto, non cercare scuse!»
«Mpphhh...fei fu fe fei un fifiacco!»
Chris si voltò di nuovo verso Pai. «E’
molto inquietante, ma… anche se fosse vera,
finché questi poveracci se ne stanno richiusi negli specchi
non c’è problema per noi, no?»
«Il fatto è che si dice che con il passare del
tempo le anime malvagie di questi esseri abbiano preso il controllo del
Labirinto e che ora si divertano a vincolare nella loro dimensione
chiunque osi addentrarsi al suo interno. Se qualcuno disturba il loro
riposo, loro gli strappano l’anima e la incatenano per
l’eternità in uno specchio. Non è
possibile combattere contro di loro perché non sono esseri
vivi o reali... non c’è scampo, una volta che si
sono risvegliati,» raccontò Pai. Si
girò verso Kisshu e Taruto: «Perciò voi
due fareste meglio a chiudere quelle bocche; e tu Imago, cerca presto
una via d’uscita, sempre se esiste….
ma… dov’è finita Imago?»
«Oh no, l’hanno presa!»
esclamò Taruto atterrito, liberandosi dalla presa di Kisshu.
«Ora toccherà a noi!»
«Taruto, questa degli spiriti è solo una favola
per bambini capricciosi come te,» precisò Pai.
«Intanto però la mia compagna è
scomparsa per davvero,» sussurrò Kisshu,
riafferrando i suoi tridenti. «Imago!»
chiamò cercando di far meno rumore possibile, e si
guardò intorno. «Ah, dove eri andata?»
le disse, quando lei si fece avanti da un passaggio sulla destra.
Lei non rispose.
«Hai trovato l’uscita?»
L’aliena annuì senza fermarsi, camminando dalla
parte opposta del passaggio.
«Aspetta! Dove vai?» Kisshu si staccò
dal gruppo e le andò dietro.
«Kisshu! Dove vai tu! Io sono qui!» disse Imago
alle sue spalle, afferrando uno dei nastri del suo vestito per fermarlo.
«Eh?!»
Kisshu si girò indietro e la vide. Si girò di
nuovo davanti e scoprì che l’altra
Imago era sparita.
«…occoics
orevoP» gli sembrò di sentirsi
sussurrare nelle orecchie da una voce sconosciuta, che subito dopo
scoppiò in una risatina. Deglutì.
«Che cos’hai?» gli chiese Imago, incerta.
Lui le rivolse uno sguardo nervoso e la prese per mano, tornando dagli
altri che li stavano aspettando a poca distanza; poi si
guardò intorno, e vide Pai che lo squadrava, le mani al
petto.
«Una favola, eh?» mormorò Kisshu,
rivolto verso di lui. Aveva un’aria stravolta.
«Comincio ad averne abbastanza di questo posto,»
ribatté Pai con un’espressione indecifrabile.
«Sbrighiamoci a trovare una via
d’uscita.»
Mentre Pai parlava, Chris si era fermata davanti ad uno specchio grezzo
e pieno di graffi. «Interessante…»
sussurrò, sfiorando con una mano la sua superficie scura del
vetro. Per un attimo, le sembrò che qualcosa tremasse al suo
interno, poi vide qualcosa avvicinarsi alle spalle del suo riflesso.
Si sentì stringere davvero le spalle e sussultò,
ma era solo Pai.
«Chris!» le disse lui, tirandola via da
lì. «Sta’ attenta, insomma!»
«Ma certo!» sorrise lei aggrappandosi al suo
braccio muscoloso, cosa che fece irrigidire Pai per l'imbarazzo.
Taruto deglutì: si era messo di fronte ad un altro specchio.
«Io non voglio finire qui dentro, non voglio, non
voglio,» mormorò più volte.
Alzò la testa e guardò il vetro: rifletteva la
sua immagine, ma riusciva a scorgere anche l’immagine dello
specchio alle sue spalle che lo rifletteva, e con esso il suo riflesso.
E dentro il riflesso, c’era il riflesso del suo riflesso. Era
una cosa che lo mandava in confusione.
«Taruto…!» Kisshu lo agguantò
e lo portò via da lì, mentre lui ancora
piagnucolava. Fecero insieme qualche passo, ma scoprirono presto di
essere rimasti indietro.
Kisshu cercò di trovare Pai e gli altri, ma era troppo buio
e confuso per capire quale passaggio avevano scelto di prendere.
«Per colpa tua, ci siamo persi!» esclamò
nervoso al fratello minore.
«!isrep omais
ic ,aut aploc reP» gli fece eco una voce lontana.
«Ma cosa…?» sussultò Kisshu,
fermandosi. Lasciò la presa sul braccio di Taruto.
«?…asoc
aM» disse la voce, risuonando nel vuoto.
Scese il silenzio, e poi di colpo Kisshu e Taruto avvertirono una
presenza nel corridoio che si estendeva di fronte a loro. Non
riuscivano a vederla, ma i loro sensi la percepivano chiaramente:
scivolava verso di loro sibilando, e man mano che avanzava gli specchi
più lontani scricchiolavano in modo sinistro come se il
passaggio che creavano fosse troppo stretto per la stazza
dell’essere che lo stava percorrendo.
Senza esitare oltre Kisshu riafferrò il braccio di Taruto e
cercò di teletrasportarsi lontano da quel pericolo
imminente, ma qualcosa non funzionò perché furono
scaraventati entrambi a terra.
«Siamo rimbalzati contro uno specchio! Questo posto
è schermato!»
Si rialzarono e, tenendo lo sguardo basso per non guardare gli specchi,
corsero entrambi più veloce che poterono per i corridoi in
direzione opposta, finché non parve loro di vedere in
lontananza i loro amici. Si avvicinarono a loro, ma finirono per
sbattere la faccia contro un ennesimo specchio.
«Ne ho abbastanza di questi cosi!»
«Questo è un riflesso! Sono dall’altra
parte!» esclamò Taruto, e stavolta fu lui a
trascinare via Kisshu.
Quando alla fine raggiunsero gli altri, che erano fermi in una piccola
isola circolare in cui confluivano almeno una decina di percorsi, i due fratelli
respiravano a fatica per la corsa e la paura.
«Siete…siete voi davvero?» chiese Kisshu
ansimando.
«Is is!» sorrise Imago.
Kisshu, se possibile, divenne ancora più pallido di quanto
già non fosse nella normalità.
«Calma, calma, scherzavo!» si affrettò a
dire Imago.
«Non c’è niente da scherzare! Questo
posto è assurdo!» ululò lui.
«Ma dai, è solo la tua immaginazione! Qui dentro
non c’è nessun pericolo!»
«No, ti dico che c’è qualcosa,
invece!»
Pai strinse gli occhi, guardandosi intorno con aria concentrata.
«Anche io credo che ci sia qualcosa, ma secondo me non sono
altro che i nostri inseguitori. I loro passi e le loro voci rimbombano
nell’ambiente chiuso e danno l’impressione che ci
sia una presenza sovrannaturale.»
«Ti sbagli, Pai!» protestò Taruto.
«Io e Kisshu abbiamo visto…»
«Oh, no, vuoi dire che non si sono ancora arresi?»
sbuffò Chris, interrompendo il piccolo. «Sono
davvero dei pazzi.»
«Sì, e sembra che stavolta siamo davvero in
trappola,» osservò Pai.
«Vuoi dire che dovremo davvero farci strada
combattendo?»
«Non c’è n’è
bisogno,» si intromise Imago. «Dovete sapere che
siamo proprio al centro del Labirinto.»
Pai si accigliò. «Non capisco come questo possa
aiutarci.»
«Beh, vedete questo specchio grande e nero che abbiamo qui
davanti?» chiese, indicando il gigantesco specchio decorato
posto al centro dell’isola. «Si dice che sia il
portale d’ingresso per la dimensione in cui vivono gli
spiriti cattivi.»
«Ah, allora è tutto a posto!»
ironizzò Kisshu.
«Per questo motivo, nessuno osa avvicinarsi,»
concluse Imago.
Chris incrociò le braccia. «E’ una anche
questa favola, vero?»
«Lo scopriremo subito,» le rispose
l’altra sorridendo; indietreggiò fino allo
specchio e scomparve dentro di esso.
«I-Imago!» gridò Kisshu in preda al
panico, e in un momento fu davanti allo specchio nero.
«Dannazione a te!» disse, prendendo a pugni la
cornice.
Taruto si portò le mani al viso. «Lo sapevo! LO
SAPEVO!» strillò isterico.
Chris e Pai erano entrambi sbalorditi; ma quando sentirono le voci
delle guardie sempre più vicine, furono costretti a
raccogliere nuovamente il loro sangue freddo.
Indietreggiarono tutti verso lo specchio nero e Pai estrasse il
ventaglio, pronto a vendere cara la pelle.
Kisshu cercò di imitarlo, ma dopo pochi istanti li
rinfoderò.
«No, perdonatemi,» mormorò nervoso, con
un sorrisetto, «non posso lasciare sola quella
lì,» ammise, e poi si gettò anche lui
dentro lo specchio.
Le bolas scivolarono dalle mani di Taruto. Lui, Pai e Chris si
lanciarono un’occhiata, ma nessuno si mosse o disse niente.
All’improvviso, Kisshu riemerse per metà dal finto
vetro. «Paura, eh?» sogghignò, guardando
le facce dei suoi compagni. «Avanti, venite!»
«Ma…»
«Fidatevi, non vi accadrà niente!» e
scomparve di nuovo.
«Fidarsi… come si fa a fidarsi di tipi come
questi?» si lagnò Chris, oltrepassando per ultima
lo specchio dopo Pai e un tesissimo Taruto.
Quando alcuni secondo dopo anche le Guardie Imperiali raggiunsero il
centro del labirinto, lo trovarono deserto.
Si convinsero che gli spiriti avessero preso gli intrusi, e per questo
motivo corsero via in preda al terrore più profondo.
Solo due di loro rimasero fermi in posizione: erano altri membri
dell’Ordine che si erano infiltrati fra le Guardie per ordine
di Shiroi. Uno dei due fece un cenno all’altro e si
avvicinò allo specchio nero, ma sentì un fruscio
ed un tonfo dietro di lui e quando si voltò indietro
scoprì che il suo fratello giaceva a terra in preda
all'agonia.
Spaventato, il nibiriano estrasse una pistola a impulsi e
contemporaneamente prese un comunicatore, ma lì dentro non
funzionavano neanche quelli. Un attimo dopo venne sbattuto contro uno
specchio da una forza possente e invisibile e finì per
fracassarlo; a causa della caduta, perse la sua arma. Cercò
di riprenderla, ma qualcosa che non poteva essere visto da occhi
normali si avventò su di lui e lo fece a pezzi nel tempo di
un respiro.
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Capitolo 31 *** Il cammino di vita e morte ***
26
30/10/2014: Prima
della revisione questo capitolo era lungo circa 6700 parole, ora invece
è di 5990 parole.
Mi sento realizzata quando riesco a fare queste cose.
(Il capitolo resta comunque incasinato, ma almeno ora è meno
prolisso.)
PS. Facciamo
tutti finta che le soluzioni degli indovinelli siano credibili.
- Capitolo 30: Il cammino
di vita e morte -
Il buio.
Il nulla, il vuoto, la totale assenza di ogni cosa: questo era
ciò che si nascondeva oltre lo Specchio Nero.
Una volta che Pai, Taruto e Chris lo ebbero attraversato, rimasero
stupefatti da ciò che…non si trovarono davanti.
L’oscurità intorno a loro li accecò e
li
spaventò, cancellando ogni loro certezza; ma tutto questo
solo
per un istante, perché presto sentirono alle loro spalle un
risolino conosciuto.
«Benvenuti nella dimensione degli spiriti!» La voce
allegra di Imago disperse ogni loro paura.
Taruto, che fino a quel momento aveva tremato stringendo un lembo del
vestito di Pai, tirò un sospiro di sollievo.
«Davvero molto divertente,» commentò
Chris, facendosi aria con una mano.
«Siete voi che vi spaventate per nulla,»
osservò
pacato Kisshu. Creò un paio di chimeri luminosi che subito
diffusero luce nell’ambiente, facendone risaltare i contorni.
Gli altri ne approfittarono per lanciare occhiate curiose in giro:
questa volta erano capitati in un lungo passaggio che si estendeva in
linea retta davanti a loro per alcuni metri, per poi perdersi
nell’oscurità; i grossi blocchi di pietra che
formavano le
sue pareti dovevano essere di un materiale pregiato, ma il tempo e la
poca cura li avevano ormai corrosi irrimediabilmente.
Chris si tolse un po’ di povere dalla tunica bianca che
indossava
e incrociò lo sguardo della sua amica. «Ma
davvero, tu
conosci tutti i passaggi segreti del Palazzo?»
Imago alzò le spalle. «Diciamo che conosco bene
casa mia,» le rispose.
Lei non replicò ma iniziò a camminare in avanti,
scuotendo la testa. Gli altri le tennero dietro.
Si inoltrarono nel passaggio; ogni passo che muovevano sollevava una
nuvoletta di polvere ai loro piedi.
“Casa mia…”
Mentre camminava in silenzio dietro ai suoi compagni, Imago
ripensò alle sue ultime parole.
Come le era saltato in mente di chiamare il Palazzo
“casa sua”?
In fondo, aveva abitato lì dentro solo per poco, durante il
brevissimo regno di suo padre.
Improvvisamente, le tornarono in mente i ricordi del suo passato:
dapprima cercò di respingerli, poi cominciò a
giocarci.
Si rivide mentre, da piccola, piagnucolava con sua madre
perché
non voleva studiare l’alfabeto antico. Lei, abituata a queste
scene, sospirò con rassegnazione.
Imago rivide la porta della sua casa aprirsi e suo padre entrare.
Con lui c’era un nibiriano che si era presentato
come un
messo imperiale: annunciò che era appena stato eletto
Sovrano
del pianeta, e che presto avrebbe dovuto trasferirsi a Palazzo con
tutta la sua famiglia.
Suo padre, ricordava Imago, a quelle parole aveva assunto
un’espressione compiaciuta e vagamente maliziosa; poi, dopo
che
il messo si fu congedato, con quella stessa faccia si era avvicinato a
sua madre, chiedendole perché lei invece sembrasse
così
turbata.
“Non fraintendermi,” si era affrettata a rispondere
lei.
“Sono felice per te, solo che… credevo che il
nuovo
Sovrano fosse Tule degli Enki.”
“Chi, quel traditore...?” aveva ribattuto lui con
noncuranza. “Sembra che lui e la sua famiglia siano scomparsi
in
un… tragico incidente…” aveva
soggnignato, e nello
stesso momento Kassandra, seduta accanto a Imago, aveva soffocato una
risatina malefica.
Kassidiya, invece, si era limitata a sollevare la testa dal grosso
papiro che stava leggendo, per poi a tornare a immergersi apaticamente
nella sua lettura.
La madre di Imago annuì alle parole del compagno e poi
svanì con il resto del ricordo.
Imago, a quel tempo, non aveva sospettato nulla; solo in seguito aveva
scoperto che in realtà era stato suo padre, insieme ad altri
congiurati, ad assassinare Tule e la sua famiglia. Quella notizia era
praticamente di dominio pubblico, ma nessuno aveva mai trovato da
protestare: al contrario, tutti erano lieti che finalmente la
vergognosa stirpe degli Enki si fosse estinta per sempre. Tutti, ancora
oggi, consideravano suo padre un eroe.
Tutti, tranne lei.
Chissà, forse lei era stata la sola a provare dispiacere
nell’apprendere quella notizia. E’ che proprio non
riusciva
a immaginare che suo padre potesse uccidere, e poi… non
riusciva
ad accettare la scomparsa degli ultimi discendenti del suo eroe personale.
Le tornò in mente la storia di Enki, che era sempre stata la
sua
preferita: quando era piccola, se l’era fatta raccontare da
sua
madre decine di volte. Non riusciva a ricordare le parole precise, ma
si divertì a richiamarla alla memoria: era ambientata nel
passato, quando la loro gente ancora viveva sul Pianeta
Azzurro….
Esisteva,
durante quel meraviglioso periodo, un ingegnere, uno dei più
abili di Atlantide, il cui nome era Enki.
Il
suo
popolo doveva lavorare molto ed era in difficoltà e per
questo
motivo, spinto dal Sovrano Anu, Enki e la sua compagna Ninti usarono le
loro conoscenze per creare degli aiutanti.
Questi esseri, diceva Enki, sarebbero stati forti e puri
d’animo, e si sarebbero chiamati terrestri.
Il
primo uomo si chiamò l'Adamo, per l'appunto; poi fu la volta
della prima donna, che venne chiamata Eva.
All'inizio,
i risultati delle ricerche di Enki furono accolti con gioia dal popolo:
i terrestri erano utili e persino divertenti nella loro innocenza:
mostravano di capire, potevano parlare e, soprattutto, li lodavano come
se fossero degli dèi; ma delizia del popolo si
trasformò
in panico quando si scoprì che Enki aveva continuato con le
sue
ricerche, modificando i terrestri in modo che potessero amarsi e
riprodursi da soli.
Ciò
fece perdere ai terrestri la loro originale purezza e li
trasformò in un pericolo, perché si perse il
controllo
della nuova specie. Le nascite non furono più programmate e
limitate e la popolazione umana aumentò a dismisura in poco
tempo; iniziò persino a mischiarsi con quella degli
atlantidei e questo causò l’ira di Anu.
Il
Sovrano ordinò che da quel momento in poi i terrestri non
sarebbero più stati un trastullo per i suoi sudditi, ma
sarebbero stati utilizzati prettamente come schiavi e per questo motivo
avrebbero dovuto essere trattati come tali.
I
terrestri vennero così deportati e costretti a lavorare fino
alla morte nelle miniere d’oro e a guadagnarsi con fatica la
vita, con addosso il rimorso di aver tradito la fiducia divina di Anu.
Morirono a migliaia.
Gli
incroci, invece, si ribellarono e furono costretti a molte battaglie,
che causarono povertà e grandi sofferenze.
Un
giorno, quando si scoprì che un meteorite avrebbe presto
colpito
la Terra, Anu ordinò ai suoi sudditi di fuggire,
abbandonando i
terrestri e gli incroci al proprio destino.
In
questo modo, quando un giorno sarebbero tornati sul Pianeta Azzurro,
avrebbero potuto ricominciare tutto daccapo.
Ma
Enki
si era innamorato dei terrestri e, tradendo gli ordini di Anu, decise
di salvarne una parte insegnando ad uno di loro come costruire
un’arca in grado di affrontare il disastro che stava per
abbattersi su di loro. Poi fuggì con Ninti e con il fratello
Enlil.
Enlil,
però, scoperto il tradimento del fratello, lo
precipitò
sulla Terra, uccidendolo; inoltre, fece in modo che tutti coloro che
avevano sostenuto la sua causa fossero abbandonati nel deserto
inospitale di Marte. Non punì Ninti, perché se ne
era
perdutamente innamorato: ma il suo fu un grave errore,
perché
Ninti era incinta, e quando Enlil se ne accorse, per lui era ormai
troppo tardi.
Fu
così che la discendenza di Enki venne salvata; e fu
così
che l’umanità sopravvisse al Diluvio Universale,
ma il
nome del suo vero salvatore venne maledetto per
l’eternità.
Imago considerava Enki un eroe perché aveva compreso che i
terrestri, anche se erano stati creati, erano esseri viventi e avevano
diritto di esistere, di essere felici e di innamorarsi, ma era una delle poche a pensarla così: sul Pianeta Nero, tutti ce l’avevano sempre avuta sempre a
morte
con gli Enki perché secondo loro era colpa sua se adesso la Terra era irreversibilmente contaminata dai terrestri, di cui non avrebbero mai perso il controllo se lui non gli si
fosse avvicinato più del dovuto. La discendenza di Enki era
stata sempre soggetta ad muto disprezzo e, quando uno degli ultimi
Sovrani designò proprio un Enki come suo successore, dopo
poco sia lui che l’intera famiglia di
“traditori” e “filo-terrestri”
morì in
un incidente. Dopo ciò, il Consiglio elesse come nuovo
Sovrano
il nobile Kaishu, il padre di Imago, che era da sempre espressamente
anti-terrestri; quando poco tempo dopo anche lui morì, a salire
al potere fu un anziano, Mahimi. Sposandolo, qualche anno dopo,
Kassidiya riprese il trono che le era stato ingiustamente, secondo lei,
tolto.
Mentre fantasticava con questi pensieri, Imago sentì
una
mano scivolarle intorno alla vita e prima ancora di accorgersene si ritrovò stretta a
Kisshu,
che la stava fissando.
Lei arrossì e ricambiò quello sguardo penetrante
con uno interrogativo.
«Non mi piaci quando fai questa faccia,» disse lui come preoccupato.
«Cosa? Quale faccia?» replicò lei,
ancora più confusa di prima.
«Quella che hai adesso. E’ troppo
seria…»
spiegò Kisshu, lasciando la presa. Le passò
davanti,
incrociando le braccia dietro la testa.«…se la
fai, sembra
davvero che tu stia pensando a qualcosa di intelligente,»
concluse sogghignando.
Imago arrossì. «Allora non sto pensando certo a
te!»
ribatté piccata, colpendolo con un piccolo pugno alla spalla.
«Ahia! Sei davvero un essere odioso, ragazzina!»
«Guarda che sei tu che sei insopportabile!»
«Ah, è così che la pensi?»
Kisshu e Imago si guardarono in cagnesco per molti secondi, ma alla
fine scoppiarono a ridere insieme.
«Voi due, vi sembra il momento?!» li
sgridò a quel punto Pai, seccato.
I due ripresero a camminare in silenzio nel passaggio; quando
però Imago avvicinò la sua mano a quella di
Kisshu, lui
gliela strinse e le sorrise, facendole accelerare in modo spaventoso i
battiti del cuore.
Lei non sarebbe riuscita a spiegare la sensazione che stava provando in
quel momento: sapeva solo che le riempiva il cuore e aumentava la sua
energia a dismisura, cancellando ogni pensiero negativo dalla sua
mente. Amava davvero tanto Kisshu, ma non aveva idea di come
dimostrargli i suoi sentimenti, per cui si limitò a
scoccargli
un bacio sulla guancia non appena ne ebbe l’occasione,
facendolo
arrossire leggermente per la sorpresa.
Chissà come avrebbe reagito Imago se avesse saputo che
Kisshu era uno dei discendenti sopravvissuti di Enki?
Alcuni minuti dopo, i cinque alieni si ritrovarono davanti ad un bivio
e si fermarono per riposarsi un po’. Cominciarono a parlare
dell’enigma della stanza, ma ben presto il discorso
scivolò sull’ultimo ostacolo che si erano lasciati
alle
spalle.
«Scommetto che nessuno è mai uscito dal Labirinto
perché tutti se la filavano per lo Specchio Nero,
no?»
osservò Kisshu.
«Solo pochi ce l’hanno fatta,» rispose
Imago.
«Tutti gli altri erano terrorizzati per il solo ritrovarsi
lì, figuriamoci se osavano toccare lo specchio
maledetto,»
sospirò, cercando di non pensare alla morte terribile che
avevano fatto quegli sventurati.
«Ma perché gettare i tuoi nemici in un posto con
una via d’uscita così in bella vista?»
«Non so, forse per dargli un’ultima
possibilità,» mormorò Pai in risposta,
con poco
interesse. «Ad ogni modo, Imago, dove siamo adesso?»
«Uhm,» meditò l’aliena.
«Il Labirinto
era nei piani superiori del Palazzo, ma il portale dello Specchio ci ha
condotti sottoterra. Avevo sentito parlare di questo passaggio segreto:
credo sia quello centrale, che ha un sacco di sbocchi per tutti i piani
del Palazzo. Si dice che sia molto articolato, ma sembra che
non
esistano sue mappe.»
«Di un po’, pensi che l’indovinello
rimandi a questo tunnel?» le chiese Pai a bruciapelo.
«Ci ho pensato: in fondo questo passaggio si trova nella
parte
più profonda di una stanza antichissima del
Palazzo…però non c’è nessun
riferimento al
numero due!»
Chris si intromise nella discussione. «Beh, se
c’è
una possibilità che sia questo il posto giusto,
perché
non proviamo a frugarlo tutto? In fondo, non abbiamo nulla da
perdere.»
«L’orientamento, si,» replicò
Imago. «Te
l’ho detto, è uno dei passaggi più
estesi,»
sospirò. «Ho paura che la nostra caccia al tesoro
sia
finita qui,» disse, appoggiandosi al muro e lasciandosi
scivolare
a terra.
Kisshu le andò vicino, sorpreso da quel comportamento.
«Ma
che stai dicendo? Avanti, rialzati,» la richiamò.
«Fra un attimo…» rispose lei, chinando
la testa.
A Kisshu quello sbalzo d’umore parve a dir poco strano:
dov’era finita tutta l’energia e
l’ottimismo di
Imago?
«D’accordo, se vuoi
riposarti…» annuì
poco convinto e andò dagli altri, che ora stavano esaminando
il
bivio su cui si trovavano: da un lato c’era un altro
corridoio
che saliva con una leggera pendenza; dall’altro, una discesa
che
si perdeva nell’oscurità.
«Dove finisce quello scivolo, Imago?» chiese Chris,
indicandolo con un dito.
«Di sotto,» rispose lei passivamente.
«Non ci sarei mai arrivata,» osservò
Chris con
ironia. Poi notò che la sua compagna era diventata pallida.
«Che hai?» le domandò.
«Niente, sono un po’ stanca...»
Chris socchiuse gli occhi. «Cerchiamo di fare in fretta,
allora.»
«Fare cosa? Forse non ve ne siete accorti, ma siamo ad un
punto morto!» si lagnò Taruto.
«Ma cos’è, un’epidemia di
depressione?» sbottò Kisshu a quel punto.
Pai lo sostenne. «Se avessimo voluto piangere o disperarci ci
sarebbe bastato consegnarci alle Guardie. Ma ormai siamo qui e dobbiamo
andare avanti,» disse con autorevolezza.
«Non vedo niente di utile davanti a noi,»
commentò Chris.
«Io vedo due strade,» rispose Pai. «E
siccome non
possiamo tornare indietro, l’unica cosa da fare è
vedere
dove portano e scegliere quella migliore. Propongo di dividerci: io e
Chris andremo a destra mentre tu, Taruto, andrai a sinistra. Ci
rivediamo qui.»
«Va bene!» annuì Taruto. «A
dopo!» e si lanciò giù per lo scivolo a
sinistra.
«Pai, non ti sembra di dimenticare qualcuno...?»
gli fece notare Kisshu.
«No. Tu resterai qui.»
Lui gli lanciò un’occhiataccia.
«D’accordo, allora fai quello che preferisci, ma
ovunque
deciderai di andare, non credo che la tua compagna sia in grado di
seguirti,» sbottò il maggiore.
Kisshu spalancò gli occhi. «Che cosa?»
esclamò, girandosi verso Imago, che evitò di
guardarlo.
«Noi andiamo…» mormorò Pai e,
insieme a Chris, scomparve dietro l’angolo a destra.
Kisshu si avvicinò a Imago. Si inginocchiò
davanti a lei
e la prese per le spalle, costringendola a guardarlo negli
occhi.
«Che vuol dire che non stai bene?» le chiese,
sconvolto.
«Non sarà mica…»
«Ora è la tua faccia che non piace a
me,»
osservò lei con un vago sorriso. Kisshu la guardò
così male che si affrettò ad aggiungere:
«Non
preoccuparti, mi è già capitato altre volte, fra
pochissimo tornerò normale!»
«Ti è già capitato?» la
interruppe lui,
inorridito. «Perché non me l’hai
detto?»
«Ops.» Imago chinò la testa senza
rispondere.
Kisshu stava per aggiungere qualcosa quando gli giunse
all’orecchio l’improvviso rumore di un frangersi
d’acqua, come se qualcuno si fosse appena tuffato in una
piscina,
seguito da uno strillo: provenivano dal fondo dello scivolo dove era
sparito Taruto.
Lui ricomparve con il teletrasporto un secondo dopo, con gli abiti
stracciati e sporchi e un odoraccio rivoltante addosso.
«Bleah!» dichiarò schifato il piccolo
alieno.
«Quello scivolo finiva nelle fogne! Doppio bleah! Triplo
bleah!»
Kisshu e Imago, dimenticando per un momento la situazione, non poterono
fare altro che guardarsi in faccia e scoppiare in un risolino.
Tornarono subito seri, ma Taruto assunse un’aria offesa e si
strofinò il viso tutto impiastricciato.
«Oh, aspetta, dovrei avere un
fazzoletto…» gli disse Imago, cercando fra le
pieghe del suo vestito.
Istintivamente, Taruto la imitò: si frugò le
tasche
finché non gli capitò in mano qualcosa.
«Ce
l’ho anche io!» esultò Poi, con
disappunto,
scoprì che era un solo foglietto stropicciato.
«No…è quella poesia stupida di
Belle.»
Accartocciò il foglietto e lo gettò via.
«Odio
questa giornata.»
«Quella mocciosa ti ha scritto una poesia?»
domandò Kisshu, principalmente per prenderlo in giro.
«Lasciamo perdere,» rispose Taruto più
che
demoralizzato. Se ne andò ad accucciarsi in un angolo,
cercando
di asciugarsi alla meglio con le maniche del vestito.
Kisshu allora tornò a concentrarsi su Imago: la vide con lo
sguardo perso nel vuoto che sorrideva, e questo lo tirò un
po’ su di morale. «Che c’è
ora?» le
chiese, sfiorandole una guancia con le dita.
Lei si riscosse. «Niente, pensavo… lascia stare.
Guarda, ora mi sento meglio, possiamo andare.»
«A cosa pensavi?» insistette lui, curioso.
«I miei soliti vagheggiamenti senza senso, tutto nella
normalità, lo sai che sono una sciocca,» si
alzò in
piedi, con una certa aria frettolosa. «Allora,
andiamo?»
«Prima… dimmi cosa stavi vagheggiando di
così interessante.»
«No,» rispose lei, decisa. «Ti
arrabbieresti.»
Lui la baciò. «Mettimi alla prova,» le
sussurrò sorridendo maliziosamente, sollevandole il mento.
Imago si perse nei suoi occhi dorati.
«D’accordo,»
disse, sognante. ”Ma come diavolo fa a persuadermi
così?” si ritrovò a pensare un secondo
dopo.
“Mi ipnotizza e non me ne accorgo? Me lo devo far spiegare,
un
giorno!”
«E-Ecco…non offenderti,» disse poi,
staccandosi da
lui. «Però, io…hm…per un
attimo… io
avrei voluto sentire da te una… una poesia…»
balbettò, girandosi dall’altra parte,
vergognandosi tremendamente.
Kisshu sbarrò gli occhi.
«Una…poesia?» sillabò
incredulo.
Lei si girò di nuovo dalla sua parte. «Si, si, una
poesia,» ripetè, con un sorriso che avrebbe
sciolto un
macigno.
Chris e Pai avevano percorso appena una ventina di metri in quella
salita; poi però erano stati costretti a fermarsi,
perché
avevano scoperto che il crollo di una parete di blocchi di pietra aveva
ostruito il passaggio.
Chris, compreso che non era possibile andare avanti, propose di tornare
indietro; stava già scendendo quando Pai le
afferrò un
braccio con un gesto improvviso.
Lei si girò dalla sua parte, sorpresa.
Pai aprì la bocca, ma sembrava troppo teso per poter
parlare;
lasciò la presa sul suo braccio, e solo dopo aver tirato un
lungo sospiro si decise a dire: «Prima di tornare
indietro… credo di doverti dire una cosa.»
La ragazza aliena non accennò una risposta, né lo
incitò ad andare avanti; si limitò a fissarlo.
Intorno a
loro c’era il silenzio totale.
Pai strinse i denti: quella situazione era così
imbarazzante…
Perché i
rapporti sociali erano tanto complessi?
«Vedi, riguardo noi due…»
cominciò, dopo un
poco. «Ciò che è successo tra
noi...»
«Si?»
«Chris, mi sembra giusto farti sapere che in
realtà io non…»
«Ah, eccovi qui, finalmente! Dove vi eravate
cacciati?»
Kisshu piombò in mezzo ai due, facendoli sobbalzare.
Pai indietreggiò fino alla parete crollata, decisamente
rosso in viso.
Il fratello lo osservò stranito e poi chiese, con aria
innocente: «Ho interrotto qualcosa?»
«No,» rispose Chris.
«Si!» esclamò Pai.
Il tutto in contemporanea.
Kisshu li guardò un momento.
«…chiarissimo.
Comunque Pai, non posso spiegarti perché, ma ho
assolutamente
bisogno che tu mi scriva una poesia,» disse velocemente.
Lui non rispose, ma lo guardò come se fosse un pazzo
furioso, ed
evidentemente doveva pensarlo anche Chris, a giudicare
all’espressione che aveva appena fatto.
«So che sembra assurdo, ma è importante! Io non
sono tipo
da frasi sdolcinate, però mi servono! Avanti! So che puoi
farcela, Pai! Hai qualche idea?»
«Che..che idea dovrei avere, se non quella che la tua
balordaggine non ha fondo? Come ti salta in mente questa cosa
adesso?» replicò Pai, sconvolto. Poi, siccome
Kisshu non
accennava a ribattere, continuò, lasciando che il nervosismo
facesse spazio alla confusione: «Abbiamo altro a cui pensare
adesso! Te ne rendi conto? Abbiamo tutta la sorveglianza del Palazzo
addosso, oltre che i membri dell’Ordine di Ra-Hu; potrebbero
scoprire che siamo qui da un momento all'altro.
C’è la
Terra che rischia di essere distrutta, quel Messia che si sta per
risvegliare, e tu pensi alle poesie? Dovrei scaraventarti
da… da
qualche parte per questo!» non aveva ancora finito di parlare
che
Kisshu gli aveva preso le mani fra le sue, facendogli gli occhi dolci.
«Pai, lo so che sei in grado di farcela…»
«Ma…»
«….per cui ora piantala e tira fuori il Petrarca che
è in te!» concluse allegro.
«Il che?»
domandò Chris.
«Roba terrestre,» spiegò Kisshu, poi si
rivolse a Pai: «Allora, fratello adorato?»
Pai alzò le mani nella sua direzione come se volesse
strozzarlo,
ma alla fine le abbassò. «Kisshu, mi spiace, ma
non posso
aiutarti. Anche se mi sforzassi, non riuscirei mai a comporre una
poesia in pochi minuti. Avrei bisogno ore, se non
giorni!»
«Perché?» chiese Kisshu, con
l’aria di un bambino deluso.
«Perché per fare una poesia bisogna essere
sistematici.
Innanzitutto, una volta scelto il tema e come svilupparlo, oltre alle
eventuali figure retoriche si deve tenere conto della metrica, ovvero
l’organizzazione delle varie strofe. Ad esempio, se si scrive
un
sonetto alla maniera italiana, si devono posizionare quattordici versi
divisi in due quartine e due terzine, mentre se lo si fa alla maniera
inglese…»
Pai cominciò così un noiosossimo excursus sulla
versificazione poetica degli umani, durante il quale Chris
rischiò più volte di cadere a terra addormentata
e Kisshu
realizzò che il suo razionale fratello non era proprio il
tipo
adatto per scrivere una poesia.
«…infine, se si sceglie il madrigale o la canzone
libera
che non ha una suddivisione precisa puoi organizzare le stanze
come…» Pai si fermò improvvisamente.
«…un momento, ho forse detto
stanze…?»
Kisshu e Chris gli rivolsero un’occhiata confusa.
«Io…Ora è tutto
chiaro…!» Pai aveva
l’aria di chi aveva appena ricevuto
un’illuminazione.
«Razza di bastardi!» esclamò energico,
sbattendo di
colpo un pugno in una mano; poi corse via.
Kisshu e Chris rimasero immobili a guardarsi in faccia.
«Tu ci hai capito qualcosa...?» chiese il primo.
«Sinceramente? No.» rispose la seconda.
Taruto si rialzò dal suo angolino. «Ma dove
è corso Kisshu così di fretta?» chiese
a Imago.
«Non saprei,» rispose lei. Aveva appena finito di
parlare
che Pai la raggiunse tutto trafelato e la prese per le spalle:
«Imago!» esclamò.
«Ehmm, Pai?!» replicò lei confusa.
«La tua profezia…a che epoca risale?»
«La profezia? Non lo so, ma è molto
antica… è stata composta sul Pianeta Azzurro
e…»
«Ne ero sicuro! Ora ripetimi l’ultimo verso della
seconda stanza!»
«L’ultimo verso di cosa?!»
In quel momento giunsero anche Kisshu e Chris.
«Insomma, che succede?» chiese Taruto.
«Succede che,» rispose Pai, «la stanza è
la strofa
di una poesia. E la profezia di Imago è una poesia! Dire in fondo alla seconda stanza
vuol dire nell'ultimo verso
della seconda strofa della profezia!»
snocciolò tutto d’un fiato.
I suoi compagni lo fissarono a bocca aperta.
«L’antico cammino di vita e di
morte…» sussurrò pensierosa
Imago.
Tutti si voltarono verso di lei.
«Voglio dire… la seconda parte della profezia
dice: Perciò
in guardia, o posteri, / da ciò che vive al di sopra /
dell’antico cammino di vita e di morte,»
spiegò.
Chris inarcò entrambe le sopracciglia. «Spero che
tu sappia cosa sia….»
«Si, beh,» annuì Imago, «la
buona notizia è che effettivamente si trova qui a
Palazzo.»
«E la cattiva?» chiese Kisshu.
«Ecco…» sussurrò lei,
facendosi piccola piccola.
Come glielo diceva adesso che sarebbero dovuti tornare là
sotto?
Stava per spiegarglielo, quando sentirono delle voci dal fondo del
passaggio.
Taruto sbarrò gli occhi, terrorizzato. «Oh, no, ci
hanno scoperto!»
Qualche minuto dopo, Taruto era dietro le sbarre di una cella, nelle
prigioni sotterranee. A fargli compagnia c’era un
vecchio
alieno basso, curvo e sporco, immerso in un frenetico dialogo con un
ascoltatore inesistente in fondo alla stanza. Sembrava che non si fosse
ancora accorto del bambino; appena lo vide, gli lanciò
un’occhiata incuriosita.
«Ero sicuro che tu non ci fossi prima. Quando sei stato
portato qui?» gli chiese.
«Ehm.» Taruto indietreggiò fino alle
sbarre, vagamente intimidito.
«Taruto! Che ci fai là dentro? Esci subito fuori
da
lì!» lo richiamò Kisshu che, nel
corridoio delle
prigioni, aveva appena finito di stordire l’ultima guardia.
«Si, si, subito!» rispose il piccolo. Si
smaterializzò, per ricomparire accanto ai suoi compagni.
«Scusate, ho fatto qualche errore col
teletrasporto,» si
giustificò.
Frattanto, il vecchio raggiunse a stento le sbarre della cella e
fissò il gruppo con lo stesso sguardo curioso con cui aveva
scrutato Taruto. «Sto forse sognando?»
mormorò.
Imago raggiunse la cella e si appoggiò alle sbarre, di
fronte a
lui: lui probabilmente dovette riconoscerla, perché la
chiamò principessa e si inchinò.
«Ma… non sei fuggito insieme agli
altri?» gli chiese lei.
«Intende qualche tempo fa, quando ci fu tutto quel trambusto?
No,
io preferisco restare qui. Ora che non c’è
più
nessuno, si sta molto più tranquilli. E poi qui ho tutti gli
amici che mi servono,» disse e indicò le pareti
ammiffite,
le sbarre e le catene.
«Interessante filosofia,» osservò
brevemente Kisshu,
allontanando la sua compagna da quel folle. «Facciamo presto,
non
mi piace essere ritornato quaggiù,» disse.
Kisshu lanciò un’occhiata alle Prigioni: erano
composte da
un lungo corridoio rettangolare, ai cui lati vi erano almeno una
ventina di celle maltenute. In fondo vi era il portone che conduceva
al Cortile Centrare; dalla parte opposta, le scale che si arrampicavano
sul Palazzo.
«Allora, dov’è questo cammino di vita e
morte?» chiese a Imago, che gli rispose:
«Ci siamo sopra.»
Kisshu aggrottò la fronte, guardando a terra. «Il
corridoio?»
«Si,» annuì lei. «Sai, siccome
è
l’ultimo passaggio che percorrono da vivi i condannati
a morte
prima di…» fece un gesto eloquente
con una mano,
«…nell’antichità
l’hanno battezzato
così.»
«Questa è pura perversione,»
commentò Kisshu.
Lei scosse le spalle.
Pai, che aveva ascoltato le parole della nibiriana, le si
avvicinò. «Non vedo numeri sulle celle, e non ho
mai
sentito chiamare così questo posto. Sei sicura di quello che
hai
detto, o è solo una tua supposizione?»
«Ho letto questo nome su degli antichi papiri che
mi sono
capitati tra le mani quando abitavo qui. E’ lì che
ho
saputo dell’uscita del Labirinto.»
«Sai cosa ti dico, Imago?» sorrise Chris, posandole
una mano una
spalla. «E’ una fortuna che tu abbia trovato quei
fogli, e
soprattutto che tu sia con noi!»
«Non è fortuna,» osservò
Kisshu, scuotendo la
testa. «Sto cominciando a pensare che il destino esista
davvero…» mormorò a mezza voce. Poi si
riscosse. «Beh, che
fate lì fermi? Ci siamo, diamoci da fare, no?»
I cinque alieni si misero all’opera: cercarono in ogni angolo
delle Prigioni ma, sfortunatamente, non trovarono niente che
potesse aiutarli. Alla fine, si riunirono al centro del corridoio per
scambiarsi opinioni di disappunto.
«Eppure deve essere
qui,» sussurrò Imago, mordendosi le labbra.
Dalla cella in cui era rinchiuso, il vecchio prigioniero
attirò la loro attenzione.
«Scusate,» chiese. «Cercate
qualcosa?»
«No, facciamo una passeggiata,» rispose brevemente
Chris, allontanandosi.
«Davvero? E perché proprio qui sotto?»
Imago, al contrario, andò vicino all’anziano.
«Cerchiamo una stanza, forse una cella antica, che riporta il
numero due. Tu ne sai qualcosa?» gli chiese.
«Antica?!» replicò quello.
«Qui cade tutto a pezzi. Senza offesa, eh.»
Kisshu raggiunse i due.
«Ragazzi!» li chiamò Chris dal fondo del
corridoio.
«Su, lasciate stare quel poveraccio! Aiutateci,
piuttosto!»
«No, noi intendiamo qualcosa di veramente
antico,»
spiegò Kisshu al vecchio. Aveva deciso di fidarsi
dell’intuito e della fortuna sfacciata che stava avendo Imago.
Lui scosse la testa. «No, qui ci sono solo celle. E le
segrete, sotto. Avete visto le segrete?»
«Segrete?» ripeté Imago. «Non
sapevo che esistessero.»
«Non sono
segrete per niente, principessa,» sorrise
amabilmente l’anziano alieno. Poi aggiunse: «Sotto
le
scale, lì in fondo, vedete che c’è una
pietra del
pavimento più irregolare delle altre? Sotto,
c’è
un passaggio che porta alle segrete. Non sono mai state usate
perché la Chiave per aprirle è andata perduta, si
dice,
quando fu costruito il Palazzo.»
«E lei come fa a sapere tutte queste cose?»
domandò Kisshu, sospettoso.
«Me le ha raccontate lui,» rispose deciso il
vecchio, indicando il muro alla sua destra.
Senza fare altre domande, Kisshu e Imago lo ringraziarono e andarono
nel punto che aveva indicato loro. Grazie ai poteri dei suoi tridenti,
Kisshu non impiegò molto a tagliare il pesantissimo blocco
di
pietra in una decina di pezzi, che precipitarono all’interno
del
buco che ricopriva. Pochi secondi e una nube di vapore denso
salì verso l’alto, disperdendosi
nell’aria.
Gli altri, attirati dal rumore delle pietre cadute, li raggiunsero.
«Avete trovato qualcosa?» chiese Chris.
«Ehi, e questo cos’è...?»
«La nostra ultima tappa,» rispose Kisshu con una
nuova
determinazione. Senza rinfoderare i tridenti, saltò
all’interno del buco, ignorando le ripidissime gradinate di
pietra; gli altri lo seguirono.
Si ritrovarono, come aveva predetto loro il vecchio,
nell’anticamera delle segrete: era un ambiente cristallino,
rivestito con
pietre color bianco latte. Non c’era neanche un briciolo di
polvere, solo un lieve odore di chiuso e, cosa stranissima,
c'erano decine e decine di lanterne già accese, che
emanavano
tutt’intorno una luce azzurrina.
«Strano posto,» commentò Kisshu, facendo
scomparire
le sue armi e guardandosi intorno. L’anticamera era formata
da
due corridoi lunghi una decina di metri ognuno e larghi quattro; si
incrociavano perpendicolarmente al centro, in modo da formare
una…
«Croce perfetta,» osservò Pai,
stringendo gli occhi.
«Qualcosa mi dice che siamo nel posto giusto,»
commentò Kisshu, dietro di lui.
«Ma…e le fiamme di quelle lanterne?»
domandò Imago,
spaventata. «Chi le ha accese? Questo posto è
sigillato da
un’eternità!»
«Non lo so chi le ha accese,» rispose Chris, che
pure si
sentiva leggermente in soggezione. «Avete visto?»
chiese
dopo un po’. «In fondo ad ogni lato di questa croce
c‘è una porta…sono quattro in tutto.
Una di queste
deve essere quella della stanza che
cerchiamo, ma…qual’è? E come facciamo
ad
aprirla?»
«Dimentichi che abbiamo la Chiave,» le fece notare
Pai.
«Oh…giusto,» annuì Chris
sorridendo. «Chi ce l’ha?»
«Io…»
Pai la estrasse da una tasca, giusto in tempo perché Taruto
gliela rubasse dalle mani.
«Bene, ora è il momento di prendere in mano la
situazione!» esclamò il
piccolo.
«Dobbiamo
trovare
la porta della stanza due!» disse, scomparendo.
Pai assunse un’aria concentrata. «Sarà
difficile…»
«Guardate! Qui c’è un disegno di una
croce!»
urlò Taruto, ricomparso di fronte ad una delle porte.
«Cosa?» sibilò Pai.
«Qui ce ne sono due!» continuò,
teletrasportandosi
di fronte all’altra. Poi scomparve di nuovo: «Qui
tre! E
qui quattro!» Ritornò dagli altri. «Ci
sono delle
croci che indicano il numero della stanza. Dobbiamo aprire la seconda,
lo faccio io, okay?» spiegò, e poi fece per
teletrasportarsi di nuovo; ma Pai lo fermò prendendogli un
braccio.
«Che c’è?» gli chiese Taruto,
scocciato.
«E’ troppo semplice,» spiegò
il maggiore.
«Credo sia una trappola. Inoltre, la stanza due si riferiva
alla
profezia, quindi non possiamo dire che sia valida anche per le segrete.
Ci deve essere dell’altro.»
«Ma no, non credo! Ormai siamo alla fine! Voglio farla finita
con
questa storia!» protestò il minore; si
girò verso
gli altri. «Diteglielo voi che è
paranoico!»
«Forse dovremmo fare come dice Pai,» gli fece
notare con molta gentilezza Imago.
A quelle parole, Taruto si gonfiò come un
palloncino. «E
va bene, siete grandi, vedetevela voi!» sbottò,
restituendo la Chiave a Pai.
«Non prenderla così,» osservò
lui, quasi dispiaciuto.
Frattanto, Chris aveva estratto il foglio su cui aveva annotato la
trascrizione dell’indovinello. Rilesse:
In
più profondo, stanza due di quello che hai più
antico.
«Forse Taruto ha ragione…»
commentò.
«Aspetta…ma non c’era anche quella cosa
della testa?» domandò Imago, pensierosa.
«Già…» Pai tirò
fuori il papiro originale e rilesse:
chinato aI
+
quel chelo
inda tza sU DE
+ I profonndo
…ah, e attenti alla testa!
«Finora abbiamo tralasciato questa frase. Per
quanto stupida sia,
potrebbe aiutarci…dobbiamo solo capire a cosa si
riferisce.»
«Ehm,» mormorò nervosamente Kisshu,
indicando il soffitto, «credo a quello.»
Pai sollevò la testa e sbarrò gli occhi quando
scoprì che, sopra di loro, vi erano una serie di enormi e
complessi meccanismi dorati collegati al resto delle segrete e ad ogni
singola porta.
«A cosa servono quei cosi?» chiese Imago, inquieta.
Pai studiò con attenzione la configurazione degli
ingranaggi.
«E’ un meccanismo di difesa. Suppongo che sia stato
studiato per azionarsi all’apertura delle porte. Ho la netta
impressione che se apriamo quella sbagliata, imprimerà una
forte
spinta di trazione che si trasmetterà in una reazione a
catena
per tutto l’edificio…»
«In parole povere?»
«Se sbagliamo, il Palazzo crollerà,»
spiegò Pai in tono piatto.
Chris sospirò. «Non è così
tragico. In
fondo, anche se crolla tutto, noi possiamo fuggire, no?»
osservò con una nota sollevata nella voce.
«Oh, si. Ma se crolla tutto, noi perdiamo la
possibilità di trovare quella porta,» le
ricordò Kisshu.
«Senza dimenticare che metteremmo in pericolo la vita di
tutti
coloro che si trovano a Palazzo in questo momento, per cui…
cerchiamo di evitarlo, okay?» aggiunse Imago.
«Sono d’accordo,» annuì
Kisshu.
«Propongo di usare carta, forbici e sasso per decidere quale
porta aprire.»
«KISSHU!» strillarono Pai e Taruto.
«Calma…calma, scherzavo!»
«Scusate…cos’è carta,
forbici, sasso...?»
Taruto rilesse per la milionesima volta
l’indovinello. «Qui lo dice chiaramente, la porta
giusta
è la due!»
«Ma così sarebbe troppo ovvio,»
obiettò Imago.
«Anche il numero scritto qui sopra è ovvio!»
«…e se fosse la numero uno?» propose
Chris. «In fondo, sulla porta c’è
disegnata una
croce.»
«Però una croce ha quattro lati,
quindi la soluzione
potrebbe anche essere la porta con il numero quattro,»
osservò Imago.
«Ma una croce è formata da due assi
incrociate…»
«Ragazze, le assi sono incrociate!
Per questo si chiama croce!»
«…che c'entra, Taruto?»
«Sono sicuro che la stanza giusta sia la tre,»
dichiarò Kisshu.
«Come mai?»
«Perché state tirando fuori teorie assurde su
tutte le altre.»
Pai non lo degnò neanche di uno sguardo.
«Dicevamo?» disse agli altri.
«Uff, e va bene… facciamo i
seri…» Kisshu strappò il papiro di mano
al fratello adottivo.
«Kisshu, lascia quel foglio,» sbottò lui
a quel punto. «Tanto, neanche sai leggere.»
«Molto divertente,» commentò l'altro
acido.
«Ora, seriamente…e se fosse la quattro?»
disse dopo
aver osservato bene l'enigma.
Imago gli saltò al collo. «Qualcuno che
è d’accordo con me! Grazie!»
«Senti, Kisshu…»
«No, senti tu Pai… una croce ha quattro lati, come
ha
detto Imago… ma a parte questo, la soluzione è
nell’indovinello, e qui appare il numero quattro.»
Pai socchiuse gli occhi, incerto. «E dove sarebbe?»
L’altro ghignò. «Non hai nemmeno un
po’ di
spirito d’osservazione, eh? Eppure, sei stato tu a risolvere
l’anagramma…» lo prese in giro. Poi
indicò il
foglio con la trascrizione di Chris: «Quei segni a
forma di
+ non sono
casuali. Secondo voi, gli Antichi li avrebbero messi per
caso? Osservate bene.»
Chris rigirò il foglio verso di sé, concentrando
l’attenzione sulle due croci. «Non capisco cosa
vuoi
dire.»
Kisshu sbuffò. «Dammi la tua penna e quella
trascrizione, per favore.»
Prima di farlo, Chris lanciò di sfuggita
un’occhiata a Pai, che annuì.
Kisshu pasticciò qualcosa con la penna, poi la
passò di
nuovo alla sua proprietaria insieme al foglio. «Ora va
meglio?»
Lei lanciò un’occhiata alla trascrizione e
sgranò gli occhi: non riusciva a crederci!
In + profondo, stanza DUE di quello che
hai + antIco
«Ma cosa… 1 + DUE + 1...?!»
«Fa quattro!»
«Grazie, Taruto,» disse Kisshu senza alcun
entusiasmo. Poi
riprese: «Vedete, il quattro è un numero speciale:
quattro
sono i lati della croce, quattro sono le porte… e se
estendiamo
il discorso sul Pianeta Azzurro, laggiù ci sono quattro
elementi, quattro stagioni, quattro tipi di vento
principali…»
Mentre elencava queste sorprendenti coincidenze del numero quattro, gli
altri lo fissavano a bocca aperta.
«…quando escono, gli umani dicono di andare a fare
quattro
passi…quando parlano, dicono di fare quattro
chiacchiere…quando sono pochi, dicono di essere quattro
gatti…»
«Okay, okay, basta, abbiamo capito!» lo
fermò Chris.
Però era così felice che gli
scompigliò i capelli
come se fosse un ragazzino. «Sei un genio, incompreso ma lo
sei!» lo lodò.
Lui non parve apprezzare troppo quel trattamento.
«Già,» commentò Pai, ancora
non del tutto
convinto, avvicinandosi a loro. «Per questo motivo, la
responsabilità dell’eventuale crollo del Palazzo
sarà tua.» Gli tese la Chiave. «A te
l’onore,
genio.»
Kisshu fissò l'oggetto nella mano del fratello.
«Lascio a te il privilegio,» tentò.
Pai gli mise a forza la Chiave fra le mani. «Muoviti e apri
quella serratura!» ordinò, spingendolo verso la
numero quattro.
«Va bene, non c’è bisogno di essere
violenti!»
Kisshu raggiunse la porta: non aveva una serratura vera e
propria, ma
la sagoma della Chiave era incisa profondamente proprio al centro.
Prese un respiro, e la appoggiò in
quell’alloggiamento.
All’inizio non successe nulla; poi, però, gli
ingranaggi
ai lati della Chiave iniziarono a girare da soli e trasmisero una serie
di
input ai meccanismi sul soffitto.
Tutto cominciò a tremare paurosamente e Kisshu si
girò
verso i suoi compagni, che avevano gli occhi fissi su di lui.
«Ragazzi,» mormorò, trattenendo un
ghigno nervoso.
«Non vogliatene male, ma…credo di aver
sbagliato.»
+++++++++++++++
Note.
In
generale, la storia di Enki e della nascita dei terrestri
è ispirata alla genesi sumerica.
Quanto
alle lanterne perenni, sono degli ooparts di cui mi è sempre
piaciuto leggere. Uno dei miei racconti preferiti a riguardo
è
la storia della presunta figlia di Cicerone: si dice che il suo corpo
venne ritrovato in una tomba nel 1500, perfettamente conservato ed
immerso in un liquido che evaporò all’apertura
della
tomba. Ai suoi piedi vi era una lampada accesa, che si spense al
contatto con l'aria. Traducendo alcune iscrizioni, si venne a sapere
che la tomba era stata sigillata 1500 anni prima.
|
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Capitolo 32 *** Zugzwang ***
26
16/11/2014: Questo
capitolo è diverso dalla versione precedente; ho deciso di
fare
delle modifiche perché ho cambiato il finale della fanfic.
Ero
affezionata alla storyline originaria, ma ammetto che sto piangendo come
un’idiota mi sto
divertendo davvero tanto a scrivere il nuovo finale.
In questi giorni
sono stata
assente sia perché stavo ragionando sul finale che
perché
ho finalmente dato un esame bruttissimo che mi trascinavo da due (due!)
anni e ho avuto per i giorni precedenti e successivi il cervello
ridotto ad uno straccio da pavimento. Non so ancora bene quanto
lucidamente ho scritto e spero di non aver fatto troppi
errori.
;_;
- Capitolo 31: Zugzwang -
Le
Segrete del Palazzo erano forse uno dei luoghi più antichi e
misteriosi dell’intero Pianeta Nero: erano composte da due
corridoi lunghi e molto larghi che si intersecavano al centro,
generando una pianta a forma di croce; in fondo ad ognuno di essi vi
era una porta di metallo a due battenti finemente decorata e chiusa.
Non c’era nessun arredo, solo pareti di pietra liscia e
levigata,
pallida, che rifletteva il chiarore diffuso dalle numerose lanterne blu
che ardevano silenziose sulle mura e sul pavimento mosaicato.
Quel posto
nascondeva molti
segreti che però, a quanto pareva, erano destinati a sparire
per
sempre. Infatti, non appena Kisshu aveva appoggiato la Chiave sulla
quarta porta, tutto aveva cominciato a tremare, minacciando il crollo
imminente del soffitto e con tutta probabilità
dell’intero
Palazzo.
In quei momenti
l'alieno
pensò che forse, dopotutto, aveva scelto la porta
sbagliata…. eppure, nonostante i primi calcinacci stessero
già rovinando sul pavimento e le lampade stessero cadendo a
pezzi una dopo l’altra, la quarta porta si stava schiudendo.
Kisshu
compì un balzo
all’indietro per tornare dai suoi compagni, ma non smise di
fissare il rettangolo che continuava ad allargarsi davanti a lui con
una lentezza esasperante. I meccanismi sul soffitto giravano
faticosamente, emettendo scricchiolii sinistri. Le scosse durarono
molti e interminabili secondi, ma alla fine cessarono.
La porta si era
aperta.
«Non
è crollato
niente,» sussurrò per primo Taruto, deglutendo.
«Siamo salvi!» strillò poi, e il suo
entusiasmo in
breve contagiò anche gli altri che, se non si lasciarono
andare
ad esclamazioni di gioia, tirarono almeno un sospiro di sollievo.
Kisshu
rilasciò il
fiato trattenuto fino a quel momento e curvò le labbra in un
sorriso nervoso. Si avvicinò poi all’apertura
davanti a
lui: non riusciva a capire cosa su cosa desse perché
l’ambiente oltre quella porta era avvolto
nell’oscurità.
Si
concentrò su di
essa. Sbatté gli occhi per cercare di mettere a fuoco e, non
appena si fu abituato al buio, riuscì a scorgere
un’infinità di puntini brillanti.
Impiegò alcuni
secondi per capire che quelle lucine dorate non erano lampade ma
stelle, stelle che annegavano nell’infinità
dell’universo.
«Lo
spazio…?» mormorò allora, incredulo.
Non era una
visione: era proprio lì, oltre quella porta, e Kisshu non
riusciva a crederci. D’istinto,
portò una mano davanti a lui per toccarlo,
e per sua sorpresa ci riuscì davvero: al suo tocco, la
superficie scura dell’universo si increspò in
piccole onde
concentriche come se fosse fatta d’acqua. Era tiepida al
tatto e
in preda ad un movimento invisibile simile a quello di una corrente
marina ma, quando Kisshu ritrasse la mano, scoprì che questa
era
perfettamente asciutta.
«Ehi,
venite un po’ a vedere,» disse ai suoi compagni,
che erano alle sue spalle.
Taruto lo
raggiunse per
primo: sembrava perplesso e un po’ ansioso. Imago, invece,
aveva
gli occhi che brillavano quasi quanto le stelle oltre la porta.
«Che
meraviglia,» osservò incantata, intrecciando le
mani al petto. «Cos’è?»
«Lo
spazio,» le spiegò Kisshu. «O meglio,
una piccola parte dell’universo visibile.»
«E’
così
l’universo?» gli domandò lei. Imago,
come la maggior
parte dei nibiriani, non aveva mai messo piede fuori dalla
città
sotterranea e non aveva idea del mondo che esisteva al di fuori di essa.
«La
vera domanda
è: qual è la natura di questo passaggio, e dove
conduce?» meditò Pai ad alta voce. «Dal
Messia? O da
qualche altra parte?»
Kisshu si
grattò la testa. «Suppongo che lo scopriremo solo
entrandoci dentro.»
Chris, che era
rimasta
indietro di un paio di passi rispetto al resto del gruppo,
scrollò le spalle. «Oh, beh. Allora diamo inizio
alla
festa, no?» sorrise allegramente.
Non appena
Chris ebbe
pronunciato quelle parole accaddero due cose molto strane: la prima fu
che Taruto, che galleggiava ad un paio di metri dal suolo,
avvertì la sensazione tremenda di una presenza alle sue
spalle
che gli fece venire la pelle d’oca; la seconda fu che proprio
lì, un istante dopo, un oggetto lungo e sottile apparso dal
nulla andò a conficcarsi nella parete a ridosso del
soffitto.
Gli alieni udirono uno stridore assordante provenire da quel punto e
Taruto venne scaraventato a terra da una forza invisibile.
«Che
cosa succede
adesso?!» esclamò Kisshu imprecando e tappandosi
le
orecchie. Guardò l’oggetto che sembrava aver
causato
quello scompiglio e lo riconobbe come una lunga ed elaborata freccia
scura. Quando il rumore cessò, si sollevò per
andare a
prenderla ma venne tirato giù da Imago, che lo
aveva
afferrato per la giacca del vestito con una mano e ora gli stava
indicando un punto all’inizio del corridoio con
l’altra.
Guardando in
quella
direzione Kisshu, così come gli altri, vide un alieno
avanzare
verso di loro: la sua sagoma era così nota che non ci furono
dubbi sull’identità del nuovo arrivato.
«Woah!
Lo scienziato pazzo!» strillò uno sbalordito Taruto.
Alan Kell si
fermò
quando fu a pochi metri dal gruppo di amici. «Ti avevo detto
di
non fare nulla di stupido,» esordì, gli occhi che
brillavano di una luce innaturale mentre abbassava il grosso arco nero
che aveva usato per scoccare la freccia. «E invece eccoti
qui,
Pai.»
Lui assunse
un’espressione a dir poco sconcertata.
Dall’altra
parte
Kisshu, al suono di quelle parole, si riprese dalla sorpresa iniziale.
«Tu!» gridò, serrando i pugni.
«Come
hai fatto a
trovarci?» gli domandò invece Chris. La sua voce era
sconvolta e
tremante; in generale, la paura che stava provando l’aliena
era
così intensa da essere quasi palpabile.
«Chi
lo sa,»
rispose Kell, puntando l’arco verso di lei. Tese la corda e
una
freccia nera si materializzò fra di essa e il riser
metallico.
«Suppongo che morirai continuando a chiedertelo.»
Pai si
teletrasportò
fra lui e Chris, il ventaglio nella mano. «Che cosa diamine
ti
è preso?» domandò all’amico
in tono
così duro e glaciale da essere spaventoso.
Kell
sussultò
intimorito e la freccia scomparve. «T-Tu non capisci,
è
stata lei a prendermi la Chiave! Lei…»
«Lo
sappiamo,» annuì Pai, abbassando a sua volta
l’arma.
«E’…
E’ vero, è colpa mia,» ammise Chris a
quel punto,
recuperando un po’ di lucidità. «Sono
entrata nel
Laboratorio di nascosto e l’ho rubata mentre eri distratto.
Eravamo preoccupati per te! Noi volevamo–»
«Stai
davvero cercando di giustificarti così?!»
«Io
sono tua amica,
Ally! Non ti ricordi? Siamo cresciuti insieme. Quelli
dell’Ordine
ti hanno fatto il lavaggio del cervello, e noi abbiamo solo cercato di
aiutarti! Per favore, torna in te!»
«Ehi
vecchiaccio, puoi
minacciarci quanto vuoi,» si intromise a
quel punto Taruto, facendo roteare le sue bolas. «Ma non
riuscirai mai a realizzare i tuoi piani!»
«E’
così!» gli fece eco Imago con determinazione.
«Non
permetteremo mai che il Messia si risvegli e distrugga il Pianeta
Azzurro!»
Kell
sembrò confuso
di fronte a quei discorsi ed esitò il
tempo sufficiente a permettere a Kisshu di scattare nella sua
direzione
e materializzarsi proprio dietro di lui.
«Hanno
ragione.
Arrenditi e mettiamo fine a questa storia,» concluse
l’alieno dagli occhi dorati, premendo la lama di uno dei suoi
sai
sul collo esile dello scienziato.
«Voi…»
sibilò Kell a quel punto. «Voi… voi non
capite… voi non capite cosa…»
«Lascia
cadere quell’arma,» incalzò freddamente
Pai. «E’ finita.»
Kell chiuse gli
occhi e
stirò le labbra, assimilando le parole dell’ormai
ex-amico. «Io non credo,» mormorò di
colpo ed
estrasse dalla tasca una provetta che frantumò a terra,
generando una nube di fiamma.
Kisshu si
tirò
indietro per non esserne bruciato e lo scienziato ne
approfittò
per sfuggire alle sue lame. Tirò la corda
dell’arco e
generò una nuova freccia, ma Pai estrasse il suo ventaglio e
sferrò contro di lui il suo Fu Rai Sen:
l’attacco
elettrico lo colpì al braccio e gli impedì di
portare a
termine l’assalto. Kell ringhiò dal dolore e
indietreggiò, lasciando a Pai il tempo per caricare un
attacco
di vento e lanciarlo contro di lui, che finì per essere
sbattuto
con forza contro la parete di pietra a parecchi metri di distanza.
Mentre Kell
cadeva, un improvviso eco di passi provenienti dal piano di sopra
catturò l’attenzione dei presenti.
«Sembra
che abbiamo fatto un po’ troppo rumore,»
commentò Kisshu, facendo sparire le sue armi.
«Sono
quelle
guardie!» Taruto scese a terra e raggiunse i suoi fratelli.
«Stanno arrivando, che facciamo?»
«Dobbiamo
andarcene
prima che sia troppo tardi!» esclamò Chris. Prese
la mano
di Pai e si mosse verso il portale, ma lui fece forza per restare fermo
nella sua posizione.
«Io
resto qui,» dichiarò cupo l’alieno dai
capelli scuri.
«CHE
COSA?»
«Mi
hai sentito.
Farò in modo che non riescano a seguirvi. Dovunque porti
quel
passaggio, prendetelo ed andate: distruggete questo dannato Messia,
prima che siano troppo tardi.»
«Ti
è per caso caduta in testa una di quelle rotelle sul
soffitto?»
«Sono
perfettamente sano, Kisshu. E non ho intenzione di ripetermi.»
Pai si
girò verso di
lui e lasciò che i loro sguardi si incrociassero.
«Sei uno
sciocco e irresponsabile, per nulla maturo,» aggiunse,
sorridendo
appena. «Ma ti ho sempre voluto bene, come se fossi stato
davvero
mio fratello.»
Kisshu non
aveva mai visto
Pai lasciarsi andare a questo tipo di sentimentalismi e ne rimase
sorpreso. Fu solo per un istante, poi gli rivolse un ghigno forzato.
«Lo sei,» rispose.
«Ma
tu non puoi restare qui!» insistette Chris. «Non posso
permetterlo!»
«Chris…»
Kisshu
afferrò la
ragazza aliena per i polsi e la tirò via, verso il portale,
mentre lei ancora protestava. La gettò dentro a forza e poi
la
seguì.
Taruto
andò dietro Kisshu,
ma rimase fermo sulla soglia. «Pai…!»
provò
mentre le lacrime si addensavano sui suoi occhi.
«Vai,
Taruto!» lo incitò il maggiore della famiglia.
«Hai un compito da svolgere.»
In quello
stesso momento un
drappello di guardie, o meglio di membri dell’Ordine, si
precipitò giù per le scale d’accesso
dell’Anticamera. Pai si materializzò a poca
distanza da loro, estrasse un secondo ventaglio e
li utilizzò entrambi per scagliare contro di loro
un’onda
di vento: impreparate, le guardie la presero in pieno e
vennero
respinte all’indietro o gettate a terra.
L’alieno
guardò
un’ultima volta la porta: Taruto era andato, ora era rimasta
solo
Imago, che lo stava fissando. Le si leggeva in faccia il desiderio che
aveva di convincerlo ad andare via con loro.
«Andate,
e non fatemelo dire di nuovo!» le urlò da lontano.
Lei
annuì intimorita
e afferrò le maniglie interne della porta, tirandole in modo
da
chiuderla dietro di sé mentre scompariva al suo interno.
Quando la porta
si fu
chiusa, Pai puntò il ventaglio contro di essa e senza un
attimo
di esitazione vi lanciò contro il suo attacco più
potente. Il raggio elettrico si infranse contro la Chiave ancora
incastrata nell’alloggiamento e la ridusse in
pezzi; il
materiale radioattivo custodito al suo interno esplose, generando una
piccola esplosione che si propagò nel corridoio con una
nuvola
di fumo denso e pesante.
Adesso era finita.
Pai si
lasciò ricadere a terra in ginocchio, abbandonando la presa
sui ventagli.
Aveva salvato
la sua
famiglia: la sua missione era terminata. D’ora in poi, non ci
sarebbero più state battaglie per lui. Niente più
sentimenti contrastanti nel suo cuore, niente più agitazioni
o
inquietudini, niente più dolore. Ora poteva finalmente
trovare
la sua pace.
Alzò
lo sguardo
davanti a lui: le guardie si erano riprese, avevano estratto le loro
armi e adesso stavano puntando nella sua direzione.
Avrebbe potuto
fuggire o vendere cara la pelle, ma
una parte di lui sapeva che sarebbe stato meglio farla finita
così. Era troppo sfinito per combattere ancora.
Chiuse gli
occhi e cercò di svuotare la sua mente, preparandosi al
peggio.
Sentì i suoi nemici percorrere di corsa la distanza che li
separava da lui: impiegarono solo pochi secondi ma, dopo averlo
raggiunto con le armi sguainate... le guardie lo superarono di corsa,
una dopo l’altra, per andare a tuffarsi nella nube biancastra
che
aveva sollevato l’esplosione.
Incredulo, Pai
sbarrò gli occhi. Che cosa significava? Perché lo
avevano ignorato?
Si rimise in
piedi con lentezza e cercò di capire a cosa miravano quegli
alieni.
Stanziare in un
ambiente
radioattivo non era letale per la sua razza, ma il fumo era parecchio
fastidioso e a quanto pareva quelle guardie stavano cercando di bucarlo
o diradarlo usando i loro poteri.
Dunque era
questo ciò
che volevano, l’accesso al passaggio che lui aveva distrutto.
Nel
realizzarlo, il giovane sbuffò un mezzo sorriso che
però svanì di colpo quando i suoi occhi caddero
quasi casualmente su Kell, che era a terra a poca distanza da lui.
Nel sotterraneo
rimbombavano
voci che lanciavano ordini e imprecazioni, ma quei rumori giungevano
all’orecchio di Pai in modo ovattato perché la sua
intera
attenzione, adesso, era focalizzata sul suo ex amico: era accasciato
sul pavimento con la schiena poggiata sulla parete contro cui il fu shi
sen l’aveva scaraventato, e sembrava non starsela passando
per
nulla bene.
Si stringeva
con una mano il
braccio ustionato dalla scarica di elettricità che lo aveva
ferito, e aveva il volto contratto in un’espressione di muta
sofferenza. Il suo petto si alzava e si abbassava in modo rapido e
irregolare e un rivolo di sangue scuro che gli colava giù
dalle
labbra.
Senza chiedersi
perché lo stesse facendo, Pai lo raggiunse e si
inginocchiò accanto a lui.
Avvertendo la
sua vicinanza,
Kell curvò le labbra spaccate in un sorriso miserevole.
«Alla fine sono felice che tu sia qui adesso,»
osservò con voce arrochita e stanca, muovendo appena gli
occhi
per guardarlo.
«Parli
come se stessi per morire.»
«Sfortunatamente
è ciò che sta accadendo.»
Pai rimase in
silenzio per un po’ prima di chiedergli, «Sono
stato io?»
«No,»
rispose lui con aria sofferente. «Io… ero
già morto.»
Pai
sentì qualcosa
spezzarsi dentro di lui. «Chi
è stato?» chiese. Quell’intera
conversazione gli sembrava qualcosa di surreale.
«Quello,»
sussurrò Kell, sollevando appena gli occhi per guardare
oltre le spalle del compagno.
Lui
girò la testa per
guardare nella direzione che lo scienziato stava cercando di
indicargli: si trattava del punto che aveva colpito al suo arrivo.
Nonostante gli ultimi residui del fumo, si distingueva bene la freccia
ancora
lì conficcata e sangue, molto sangue. Stava scivolando lungo
le
pareti candide, raccogliendosi a terra in una piccola pozzanghera.
Sangue e una
freccia nera. Non c’era altro.
«Voleva
uccidervi.»
Pai
corrugò la fronte. «Non riesco a vedere
nulla.»
«E’
per questo che non ve ne siete accorti.»
«Ci
stava seguendo?!»
«Erano
due. Non so
dove sia l’altro,» spiegò lo scienziato
con un
sospiro. Poi cominciò a tossire.
Pai vide un
fiotto di sangue
uscire dalla sua bocca ed ebbe paura. Non era pronto ad una cosa del
genere, non era il momento per una cosa del genere. Kell non poteva
morire così, doveva spiegargli i motivi del suo
comportamento.
Doveva spiegargli tutto.
«E
allora?» gli
domandò con urgenza quasi disperata. «Chi ci stava
seguendo? Che cosa sta succedendo? Perché hai fatto tutto
questo? Volevi distruggere il Pianeta Azzurro così tanto? Se
eravamo in pericolo, perché non ce l’hai detto
prima?»
Kell strinse
gli occhi per concentrarsi e cercò di trovare
in qualche modo la forza di comporre una risposta. «Io sono
uno
scienziato,» disse in un soffio e con molto sforzo.
«Il mio
compito non è parlare… ma dimostrare.»
Pai venne colto
di sorpresa
quando l’alieno si staccò dalla parete
e
faticosamente si portò vicino a lui, ma non si mosse neanche
quando avvicinò la bocca al suo orecchio.
«Non
lasciare…
c-che ti prendano,» gli disse in un sussurro sempre
più
flebile. «Al Laboratorio. Sul mio terminale…
capirai
tutto, Ikisatashi.»
Pai
avvertì il panico
crescere in maniera terribile. «Cosa?»
domandò.
«Spiegati adesso, maledizione!»
Kell venne
colto da un altro
debole attacco di tosse. Respirò rumorosamente
un’ultima
volta e poi si lasciò ricadere addosso all’ex
amico.
Lui prese per
le spalle e
cercò di farlo riprendere. «E-Ehi, tieni
duro!» gli
disse, scuotendolo leggermente. «Ehi!» Gli prese il
viso
fra le mani, controllò le pupille e poi il battito, ma
poté solo constatare che colui che un tempo era stato il suo
migliore amico non era più con lui.
Quando lo
realizzò, emise un sospiro spezzato e distese a terra il
cadavere con un gesto automatico. Nonostante
Kell non fosse più accasciato sul suo petto, continuava a
sentire un peso premere su di esso. Faceva male.
Chiuse gli
occhi e rimase lì fermo accanto a lui, senza sapere piu'
cosa pensare.
«Cosa
ti ha detto?» domandò una voce grave alle sue
spalle dopo alcuni secondi.
Era Shiroi. Pai
non sapeva
da quanto tempo fosse lì né quale fosse il suo
ruolo in tutta quella storia, ma continuò ad ignorarlo come
aveva fatto
fino a quel momento. Perché avrebbe dovuto dargli
attenzione, in
fondo?
«Ikisatashi,
ho bisogno che tu collabori con me,» proseguì
allora il Consigliere.
Pai
cercò di far
ripartire il suo cervello. Se fosse stato abbastanza rapido, avrebbe
potuto estrarre il ventaglio e fulminare quel vecchio, ma qualcosa
dentro di lui gli diceva che in quel momento non era quella la cosa
importante. Aveva un’altra missione adesso, ed era quella di
scoprire la verità. Doveva capire
che cosa aveva cercato di dimostrare
il suo amico. Non poteva
perdere tempo con Shiroi, qualunque cosa volesse da lui.
Prese un
respiro e,
lasciandosi guidare dall’istinto, allungò la mano
verso
l’arco che aveva usato Kell, che giaceva accanto al suo
corpo. Lo
strinse fra le dita: al contatto, l’arma divenne uno spesso
bracciale metallico che gli si avvolse intorno al polso.
«Non
fare un altro movimento!» gli intimò a quel punto
una voce femminile.
Voltandosi
nella direzione
da cui proveniva, Pai scorse l’aliena che Imago e Chris
avevano
steso poco prima: gli stava puntando contro uno strano tipo di arma.
Lui le rivolse un ghigno derisorio e si teletrasportò via.
«No!»
esclamò quella, vedendolo spanire.
Shiroi
sbuffò seccato. «Non può essere andato
lontano, Tinga. Trovalo e portalo da me,» le
ordinò.
Lei fece un
cenno d’assenso e scomparve.
Rimasto solo,
come era
solito fare Shiroi si portò le braccia al petto e le giunse,
lasciando che le maniche della sua tunica le nascondessero. Si
incamminò nel corridoio che Pai aveva distrutto: le sue
guardie
avevano già ripulito l’area dai danni causati
dallo
scoppio radioattivo ed ora accanto i resti della porta stazionavano due
alieni, un maschio e una femmina, impegnati ad effettuare una serie di
test sfruttando dei minuscoli dispositivi di elaborazione che reggevano
fra le mani.
Shiroi li
conosceva: si
chiamavano Hoppy e Shochu, erano gemelli ed erano gli unici ricercatori
scientifici a conoscenza dell’Ordine di Ra-Hu rimasti in vita
dopo il massacro al Laboratorio. Erano poco più che
ragazzini
ed erano stati iniziati da pochissimo tempo, ma al momento erano la sua
unica speranza.
Si
avvicinò a loro e,
con sommo disappunto, si rese conto che il passaggio che avevano usato
i Traditori per fuggire era scomparso.
«Qual
è la situazione?» chiese allora ai due,
interrompendo il loro lavoro.
La femmina,
Hoppy,
sussultò spaventata e si strinse nella sua tunica bianca da
scienziato troppo grande per lei. «S-Signore,»
balbettò timidamente, «l-le analisi h-hanno
mostrato che
questa porta era un d-dispositivo artificiale…»
«…che
generava
un collegamento spaziotemporale pressoché diretto fra il
nostro
pianeta e l’Azzurro sfruttando l’allineamento
planetario
attualmente in corso,» concluse Shochu con molta
più
sicurezza.
«E-Esatto.
V-Varcando
quella soglia, l’energia cosmica innescava un campo
contro-direzionale di luce che…»
«Lasciate
perdere questi dettagli. Come ripristiniamo il passaggio?»
tagliò corto Shiroi.
«L-La
porta è
andata distrutta, ma il collegamento è ancora attivo,
s-signore.
Sarà attivo finché l’orbita del nostro
pianeta
resterà nella p-posizione attuale. P-Purtroppo…
non
sappiamo come riallacciarci ad esso.»
«Che
cosa?!»
«E’
come dice
Py, signore,» concordò Shochu assumendo
un’aria
desolata. «Non abbiamo la minima idea di come sistemare
questo
danno. Il Dottor Kell avrebbe saputo come fare,» ammise
tristemente, lanciando un’occhiata al corpo riverso a terra a
molti metri di distanza da lui. «Lui era un genio.
Era…»
Shiroi si
rabbuiò.
«Quello sciocco arrogante è appena deceduto, per cui dovrete farlo
voi,» disse impietoso mentre estraeva da una manica il suo
terminale portatile, con cui iniziò a smanettare rapidamente.
«Ma…»
«E’
necessario
un passaggio abbastanza largo e stabile per consentire il transito di
questo,»
spiegò Shiroi, mostrando ai due fratelli lo
schermo del suo dispositivo.
I due
osservarono l’immagine che vi era proiettata sopra e
impallidirono.
«Oh,
s-sacro R-Ra!»
«Quindi
era questo il grande piano dell'Ordine?!»
«Cos’altro
vi
aspettavate? Che ci pensassero i terrestri?»
borbottò il Consigliere, riprendendosi il dispositivo.
«In tempi normali
questa era un’informazione riservata solo ai membri
dell’Ordine di grado massimo, ma date le circostanze
è
giunto il momento di renderla di dominio pubblico.
Sottoporrò
l’argomento all’attenzione del Consiglio. E per
quando
avrò finito, voi due avrete ripristinato quel passaggio.
Non mi importa quanto difficile sia o come farete: le risorse offerte
dal Pianeta Nero sono sempre più scarse e non
c’è
un reale bisogno di tenere in vita qualcuno che non è
neanche in
grado di fare il proprio dovere. Spero di essere stato sufficientemente
chiaro.»
Subito dopo
aver pronunciato
queste parole, Shiroi se ne andò, lasciando soli i due
ricercatori. Loro si guardarono fra di loro e sospirarono: sarebbe
stata una lunga giornata.
E forse anche
l’ultima.
++++
Note:
Py e Sho sono due new
entries. I loro nomi sono ispirati a una bevanda
alcolica giapponese. Sono due gemelli poco piu' grandi di Taruto e sono
particolarmente geniali e produttivi, ma solo se lavorano insieme.
Facevano parte del gruppo di ricerca di Kell e lo adoravano; nel
momento dell'attacco si trovavano fuori dal Palazzo e quindi si sono
salvati.
Mi sono prodigata a scrivere questa nota su di loro, ma ad ogni modo
non compariranno molto.
|
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Capitolo 33 *** [off_fanfic] Il Palazzo ***
Quella che segue è
una parziale traduzione dei resti di un antico papiro che riportava
informazioni sulla storia del Palazzo di Polaris, la Capitale del
Pianeta Nero.
La scrittura manuale
su primitivi supporti di questo tipo si rese necessaria quando gli
Antichi giunsero sul Pianeta Nero, su cui il materiale necessario per
la costruzione e le riparazioni dei loro strumenti di uso comune, fra
cui i dispositivi di memoria, scarseggiava.
Gli Antichi non
avevano previsto di doversi trattenere così a lungo su quel
pianeta, e si ritrovarono impreparati alle condizioni particolarmente
ostili che vi trovarono. Furono costretti ad adattarsi come potevano,
fra mille difficoltà e sacrifici.
Continuarono a sognare
per lungo tempo il Pianeta Azzurro.
0. La sede del
Sovrano del Pianeta Nero è il Grande Palazzo. Questo
è il più alto del pianeta[1] ed è
stato progettato dai migliori costruttori sotto la guida
dell’ingegnere Hal per ordine del Primo Sovrano[2] del
Pianeta Nero. […]
1. E' stato
costruito al di sotto di un oceano di metalbenzolo presente sulla
superficie del Pianeta Nero. E’ stato realizzato di forma
quadrangolare principalmente di pietra nera[3] e oro e oricalco
proveniente dal Pianeta Azzurro. Poggia per un lato contro una parete
rocciosa (Grande Roccia) e mostra altri tre lati verso la Capitale
[…]. E’ situato al centro della Capitale.
[…]
2g. I sotterranei
sono stati costruiti per accogliere le prigioni: si accede alle celle
passando dal materializzatore [di realizzazione antica, ma distrutto in
seguito ad un crollo] o dalle primitive scale di pietra, percorrendo il
Cammino di Vita e di Morte che comunica con il Cortile Centrale in
superficie. Il resto è occupato da un hangar segreto noto a
pochi. Il primo piano... […]
3a. La storia del
Palazzo è molto travagliata […] durante il regno
di Alkaid, 6__ (666°) sovrano, un meteorite si
schiantò sulla superficie del pianeta, devastandolo in gran
parte. Lo sconvolgimento si ripercosse anche nel sottosuolo: la Grande
Roccia si rovesciò in parte addosso al Palazzo, distruggendo
i settori 1 e 4, causando gravi danni e molte vittime. In
più, parte dell'oceano acido della superficie si
riversò nella voragine creata dal crollo della Grande
Roccia, rischiando di annientare per sempre la Capitale. Solo grazie
alle conoscenze... […]
3v. I danni furono
i seguenti: settore 1 sommerso per il 40%; settore 4 gravemente
colpito, mentre del Palazzo, colpito direttamente dall’oceano
acido, finirono completamente sciolti i piani dal 48 al 34. Non si sa
ancora il numero preciso di vittime né valore dei danni di
questa catastrofe.
3z. Trascorsero 12
Ater[4] prima che i settori colpiti potessero essere completamente
sgombrati da rocce, corpi, e metalbenzolo rappreso. [...]
6. Poiché
molte stanze erano ancora intatte, ma altrettanti passaggi distrutti,
ne vennero costruiti di nuovi, ma successivamente vennero recuperati
anche i vecchi, che vennero fusi ai primi, provocando grande confusione
di passaggi.
7. Nel corso della
ricostruzione venne scoperto un intrico di vie segrete fatte costruire
da Mizar, figlia di Deiwos, che si diceva ossessionata da manie
persecutorie: ella a volte scompariva per giorni interi nella Camera
Bianca che si era fatta realizzare in segreto, dietro un
secondo passaggio segreto contenuto nel primo, per maggior sicurezza.
L'entrata al primo passaggio, che si estende per le mura fino al
Palazzo nella stanza di Mizar [ora distrutta], è collocato
nelle mura divisorie del settore secondo e terzo, al 5__ (555°)
shar[5] in linea retta. L'entrata alla Camera Bianca si trova in quello
stesso, seguendo la via tracciata dal mosaico delle lampade pavimentali
del colore dell’antica kuruvinda, fino ad arrivare ad un
bivio: al centro vi è l'ingresso.
8. Inoltre, altri
passaggi furono individuati: nel sotterraneo… […]
9. La maggior parte
di questi passaggi segreti fu lasciata intatta da Alioth, molti altri
invece furono distrutti e utilizzati come nuovi corridoi, che si
intrecciarono ai primi, rendendo la pianta dei piani ricostruiti
così intricata che in molti si persero. Si tramanda che
Megret, moglie di Alioth, scomparve nei passaggi del piano 23, e il suo
corpo senza vita fu ritrovato solo dopo molti giorni di ricerche. In
seguito alla morte della compagna, Alioth sposò Merak, che
però subì la stessa fine, come anche Dubhe,
finché la sua ultima compagna Phecda lo rinchiuse a
tradimento nel Labirinto dei Vetri dei Morti[6] (nel piano 5) - e per
questo fu in seguito condannata a morte.
ì.
Stella, il 7_0 (700°) sovrano, amava questi passaggi - che
secondo il suo regale parere incutevano terrore e mostravano potenza e
lusso al popolo-, e per questo decide di mantenerli e
ristrutturò quasi ogni piano, anche. Fece costruire nel
3° piano un grandioso laboratorio di ricerche; nel 4°
invece mise tutto ciò che è bello e piacevole per
i sensi fisici; nel 5° tutto ciò che fa bene agli
altri sensi, e nel 6° e nei successivi saloni e portici per
discutere dei problemi del governo; negli ultimi fece porre un
succedersi di splendori uno dopo l’altro, culminanti con
l’ultimo piano dove fece realizzare… […]
ò.
...sulle leggende e racconti fantastici sul Palazzo, si narra che esso
sia sede di un folle ordine di ribelli formato dalla discendenza di
un’antica casta di guerrieri e sacerdoti che sul Pianeta
Azzurro difendevano il sovrano; ma, per la ridicolezza della cosa e la
fonte inattendibile dell'informazione, non si ritiene necessario
soffermarsi oltre su ciò. Si narra inoltre dei demoni
racchiusi nei Vetri dei Morti del Labirinto fatto costruire da Deiwos.
Leggenda vuole che lì Egli rinchiudesse i suoi avversari,
condannandoli a follia e morte certa, ma la realtà
è che Egli, amante del tetro e della sua immagine, spesso
faceva visita al Labirinto per ammirarsi continuamente e in ogni modo
negli specchi [...] Eppure si dice che Mizar, con l'aiuto di una
sacerdotessa malvagia, infine stregò un bellissimo specchio
di cristallo e lo regalò al padre, che subito lo mise al
centro del Labirinto e lo elesse come suo preferito. Ma appena si
avvicinò a quello stesso per guardarsi meglio, vi
precipitò all'interno e scomparve per sempre...da allora il
Labirinto fu considerato tabù e lo specchio maledetto, ma
oggi noi abbiamo scoperto che così non era,
perché in verità...[…]
[…]
[…]
Segnatura ufficiale
Ori
Deneb
Primo
Consigliere di Corte del Sovrano Pherkad
842mo dalla
fuga dal Pianeta Azzurro
Note
per lettori terrestri:
[1] 48 piani
più i sotterranei
[2] Deiwos,
successore di Anu, che morì di malattia poco dopo
l’arrivo sul Pianeta Nero.
[3] La
pietra nera è molto più duratura e resistente
-oltre che pregiata- di
qualsiasi altro materiale da costruzione presente sul Pianeta Nero.
[4] Anni terrestri
(secondo l’antico calendario)
[5] 1 shar = 1,628
metri
[6] Volgarmente
conosciuto come "Labirinto degli Specchi"
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Capitolo 34 *** Paura e delirio al Cafè Mew Mew ***
26
03/11/2014: A
me… non è mai piaciuto questo capitolo. Ricordo
che ci rimasi bloccata sopra per molto tempo.
In generale mi
piace il personaggio di Marie, ma odio scrivere di lei.
Uh.
- Capitolo 32: Paura e
delirio al Cafè Mew Mew -
Nello stesso
istante, migliaia di anni luce più in
là, una ragazza stava osservando il cielo stellato: quel
nero abisso silenzioso punteggiato di gemme dorate era sempre stato
terribilmente affascinante per lei.
Le stelle,
quella notte, luccicavano come mai visto prima, e non solo
perché la Luna stava ormai calando, lasciando loro spazio:
no, stavolta c’era qualcosa di nuovo nel cielo, lo si
percepiva chiaramente.
Stava
per
arrivare…
Una stella
lontana brillò più delle altre.
Non poteva
esitare oltre.
Sapeva da
tempo che prima o poi sarebbe giunto quel momento, il suo
momento.
A malincuore,
la ragazza si staccò dalla finestra a
cui era affacciata. Camminando piano, raggiunse il centro della sala
scura in cui si trovava. Si fermò e prese un grosso respiro.
"E’
ora di invocare la Guardiana," pensò, e poi
assunse un'aria concentrata, congiunse le mani e chiuse gli occhi.
- - - -
Frattanto, nei
sotterranei di Villa Shirogane, una rumorosa scintilla
di colore blu elettrico schizzò fuori dal pannello di
controllo centrale dell’allarme. Keiichiro, che stringeva nella mano un
cacciavite,
si tirò indietro
di un passo e si girò verso i suoi due compagni di
quell’assurda prigionia.
«Niente da fare,» dichiarò rassegnato
mentre una nuvoletta di fumo sbuffava fuori dal pannello, ormai
completamente fulminato. L’acre odore della plastica bruciata
invase il corridoio e Mash svolazzò qua e là,
stordito dalla puzza.
Ryo tossì un paio di volte. «Fantastico, sono
prigioniero in casa mia,» borbottò seccamente.
Lanciò uno sguardo in tralice alla ragazza alla sua destra.
«Senti, ti ho già chiesto scusa mille volte,
Ryo!» sbottò lei. «E poi anche tu, non
potevi mettere un antifurto normale?»
Il biondo sembrò fare uno sforzo immenso per non risponderle
male.
Fortunatamente, Keiichiro si portò in mezzo a loro,
dividendoli. «Non fate così,» gli disse
accomodante, «la situazione non è così
grave. Il sistema ha solo avuto un sovraccarico di tensione. Dovrei
avere dei pezzi di ricambio nel deposito. Lo ripristinerò in
pochissimo tempo e potremo andar via.»
Ma ormai Ryo e Ichigo erano andati.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Ichigo!»
esclamò il primo; la sua rabbia risvegliò
l’orgoglio della ragazza.
«Perfetto, allora!» replicò lei,
scansando Keiichiro dalla sua traiettoria. «Allora lo sai
dove puoi andare?»
«Da nessuna parte, visto che hai distrutto tutto!»
«Ti odio, Ryo!»
«Ah,» ribatté Il biondo, scompigliandosi
i capelli con aria nervosa, «a volte vorrei davvero che tu
sparissi!»
«R-Ragazzi…»
«Che cosa hai detto? Ripetilo se hai il coraggio!»
«Ti ho detto, SPARISCI DALLA MIA VISTA!»
Effettivamente, non appena Ryo ebbe pronunciato queste parole, Ichigo
scomparve in un vortice luminoso.
Le labbra di Keiichiro si spalancarono per formare
un’espressione scioccata, mentre Ryo rimase a fissare come un
ebete il punto in cui un momento prima c’era la ragazza.
«E’…è scomparsa
davvero,» osservò mentre la rabbia scemava,
lasciando il posto al terrore.
«E’ scomparsa,» ripeté
Keiichiro, incredulo.
«Che cosa… che cosa le ho fatto?!»
- - - -
«Sei
uno stupido, Ryo!» strillò Ichigo,
fuori di sé. «Se non mi chiedi scusa
immediatamente, io…» aprì gli occhi, e
si ritrovò in un luogo buio ma ben conosciuto.
«….e-EH?! Il Cafè?»
sillabò, confusa.
Sbatté le palpebre un paio di volte: come ci era finita
laggiù?
«…Ryo?» chiamò, guardandosi
intorno disorientata. «…Keiichiro? Dove
siete?»
«Ben arrivata, Guardiana,» la salutò una
voce nell'oscurità.
Ichigo voltò bruscamente lo sguardo nella sua direzione per
cercarne la fonte, un sopracciglio inarcato.
«Marie?» mormorò stupita, quando
l’ebbe individuata.
La giovane annuì e fece qualche passo in avanti, verso di
lei.
In quel punto, il pallido chiarore della luna morente attraversava una
finestra lasciata aperta, creando un raggio obliquo che permise ad
Ichigo di osservare il cambiamento della sua compagna di classe:
adesso, Marie indossava una sottile tunica argentea lunga fino ai
piedi, i cui orli erano decorati con ricami dorati che luccicavano ad
ogni suo movimento; portava una cintura, anch’essa dorata, e
le sue mani erano semicoperte da lunghe maniche scampanate. I suoi
lunghissimi capelli biondi le ricadevano sciolti sulle spalle, ed
indossava un paio di orecchini dalla forma elaborata e una collana con
uno strano medaglione.
Dal retro del vestito spuntavano dei nastri bianchi e leggeri che, come
mossi da un vento invisibile, galleggiavano silenziosi, avvolgendosi
dolcemente in mille spire.
La sua pelle, e soprattutto i suoi occhi, erano come messi in risalto
da una strana luce innaturale.
Ichigo rimase immobile a scrutarla: non sapeva cosa pensare, o meglio,
non riusciva proprio a pensare. Non riusciva quasi nemmeno a guardare
la sua amica, perché era così… bella, che le
sembrava di stare commettendo un peccato.
Non si trattava di una bellezza umana, e neanche aliena: era qualcosa
si molto più misterioso e profondo.
Marie si fermò proprio davanti e lei e le prese le mani fra
le sue. Ichigo fu scossa da un tremito: erano fredde.
L’altra non sembrò turbarsi per quel gesto.
«E’ arrivato il momento di parlarti in modo
sincero,» le disse con dolcezza. «Devi sapere che
io conosco la tua vera identità.»
La rossa sbarrò gli occhi, colta di sorpresa. «Non
so di cosa tu stia parlando,» si affrettò a
negare, facendo un passo indietro e ritraendo la mano.
«Oh, non fare così… ti ho vista mentre
ti trasformavi.»
Ichigo si rabbuiò; la sua mano corse istintivamente alla sua
spilla per trasformarsi.
«Non essere spaventata da me, io voglio aiutarti.»
«Aiutarmi?»
«Esatto.»
La strana ragazza fece un cenno con la mano e le luci della stanza si
accesero. Voltò le spalle ad Ichigo ed andò a
sedersi ad un tavolino su cui era appoggiato un vassoio d'argento, in
cui c’erano una teiera e due tazze. Marie ne prese una e la
riempì di tè. Alzò la testa verso
Ichigo, che era rimasta ferma:
«Siediti,» le disse gentilmente, indicando la sedia
di fronte a lei.
Ichigo non si mosse. «Che cosa hai fatto alle mie
amiche?» le chiese improvvisamente, dura.
«Niente,» fu la risposta. «Giuro. Quando
sono arrivata qui, era già tutto deserto. C’era
solo quella francese fissata con l’arte al piano di sotto, ma
(perdonami per questo) ho eseguito un rituale per farla cadere in un
sonno profondo; è crollata ma sta bene, credimi.»
Con molta cautela, Ichigo si sedette di fronte a lei, che le sorrise e
le porse una tazza.
«Cos’è?» chiese Ichigo
circospetta, osservando il liquido nero e fumante al suo interno.
«Black
chocolate tea,» fu la risposta.
«Tè nero al cioccolato. Il mio preferito. Il
tè è una tradizione per noi inglesi,
sai?»
Marie versò una tazza anche per sé stessa e ne
prese un sorso.
Ichigo fece rigirare la sua tazza fra le mani, fissando la superficie
del liquido incresparsi. «E se non volessi berlo?»
«Non ti sto obbligando.»
Ichigo esitò alcuni secondi; alla fine, si portò
la tazza alle labbra e sorseggiò un po’ di
tè.
Dovette ammettere che era una delle cose più buone che
avesse mai assaggiato.
Si rilassò. In fondo, pensò, se Marie avesse
voluto davvero farle del male, avrebbe potuto farlo in mille altre
occasioni.
«Mi fa piacere che ti piaccia,» commentò
la biondina poggiando la sua tazza sul tavolino. Poi vi
poggiò sopra anche i gomiti e scrutò a lungo
Ichigo, tenendo le mani sotto il mento.
«Ma tu chi sei?» si decise a chiederle lei.
«L’importante è quello che sei tu, my dear. Tu sei,
come le tue compagne, una guerriera che è stata scelta dalla
Terra per difendere lei e le sue creature da ogni pericolo. Per questo
motivo, ti è stata concessa una briciola del suo potere, che
ti consente di trasformarti e combattere nel suo nome.
Giusto?»
«Beh…sì.»
«Ed ora, stai per affrontare la più grande delle
battaglie.»
Ichigo si accigliò. «Intendi dire quella contro
quei tre alieni?»
«No. Loro non sono i vostri veri avversari. Il vostro vero
avversario è… Lui.»
«Lui? Lui chi?»
«Vorrei tanto saperlo anche io,» sospirò
Marie con aria triste. Prese un sorso della sua bevanda. «So
solo che si chiama il
Messia; sono venuta qui per aiutarvi a
combatterlo.»
«Aiutarci?» ripeté Ichigo.
«Ma… come? Marie, chi sei? E come mai riesci a
parlare benissimo la mia lingua ora?»
«Una domanda alla volta! Allora, io sono una
sacerdotessa.»
La ragazza aveva risposto con decisione ma, dopo pochi istanti, le sue
guance si arrossarono per l'imbarazzo. «Okay…apprendista
sacerdotessa.»
«Sacerdotessa di cosa?»
«Di Avalon.»
«Avalon..?» ripeté Ichigo, incerta.
Marie si alzò in piedi. «Ti faccio
vedere,» replicò pratica, ma Ichigo
indietreggiò spaventata.
«Non puoi dirmelo… normalmente? Sai, non mi sono
ancora ripresa dall’ultima volta!»
«Oh,» commentò la biondina,
«va bene. Allora mi limiterò a raccontarti la mia
storia a voce: devi sapere che migliaia di anni fa, nel mio
Paese, c’era una delle colonie di Atlantide. Il suo nome era
Lyonesse: era un posto meraviglioso, ma come altri venne annientato dal
Grande Disastro. Qualcuno dei suoi antichi abitanti però
restò e sopravvisse; e in seguito, nel tentativo di
riportare in vita gli splendori antichi, dette vita al centro di
Avalon. Era un Ordine di pochi eletti che custodiva i segreti di
Atlantide… ne faceva parte anche colui che oggi è
noto come Mago Merlino.»
Ichigo inclinò la testa di lato, ma non disse nulla.
«Con il passare del tempo, gli eletti si sparsero per
l’Europa; costruirono megaliti e complessi come quello di
Stonehenge, costruzioni che hanno un profondo significato esoterico. La
loro dinastia sopravvive ancora oggi. Vedi, Ichigo, mia madre
è una delle sacerdotesse di Avalon. Un giorno
incontrò mio padre, un francese, una specie di Indiana
Jones: lui cercava informazioni su Atlantide. Si innamorarono, e dalla
loro unione nacqui io…»
«Oh,»
commentò Ichigo con stupore.
«Come
mia
madre, io ho sempre avuto delle abilità molto particolari.
Qualche mese fa ho cominciato ad avere moltissime visioni davvero
tremende; ho chiesto spiegazioni a mia madre, e lei mi ha risposto che
erano causate dal fatto che il Messia stava per risvegliarsi e che, se
non fossi riuscita a rintracciarvi, le mie visioni sarebbero divenute
realtà. Così ho deciso di venire qui a Tokyo in
incognito: mi sono finta una studentessa, mi sono lasciata guidare dal
destino e ho incontrato te. Ho intuito che potevi essere una delle
Guardiane, così ho fatto in modo di finire nella tua
classe…»
«Ma…perché hai fatto finta di non
conoscere la mia lingua?»
«Volevo concentrarmi sul mio compito. Fingere di capire a
malapena cosa dicessero tutti mi permetteva di restare sempre da
sola.»
Ichigo scosse la testa. «Sei incredibile! Dovrei essere molto
arrabbiata con te, lo sai, vero?»
Marie le rivolse un gran sorriso, poi però assunse
un’espressione pensierosa.
La rossa attese che lei riprendesse a parlare, ma ciò non
accadde, anzi: Marie aveva appoggiato il mento su una mano e
si era apparentemente immersa in una fantasticheria.
«Marie?» la chiamò.
«Eh?» Lei si riebbe di colpo. «Si.
Scusa,» disse. «Ti piacciono le chiese, Ichigo? Ho
appena avuto una visione di te in una chiesa. Ce l’hai tu la
Sfera?»
«N-No, credo sia rimasta con Ryo… aspetta un
momento, come fai a sapere della sfera?»
«Lo so,» rispose laconica la sacerdotessa, e poi
stese la mano sopra il tavolo e la fissò intensamente,
finché non vi apparve sopra la sfera del Transvaal.
«Non perderla di vista. E’ un’arma molto
potente,» spiegò, porgendola alla sua amica. Poi
si corresse. «No, sarà
un’arma. Ma non la tua. Ops, forse era meglio lasciarla al
ragazzo biondo.»
Ichigo prese la sfera, ma aveva un’aria scioccata.
«Come…come fai a fare tutto questo?»
«Gli Atlantidei erano evoluti, ma non era solo questione di
tecnologia,» sorrise l’altra in risposta,
aggiungendo poi un occhiolino.
Ichigo non sapeva se sorridere a sua volta o essere preoccupata.
«Per quel che riguarda il Messia… devi sapere che
una delle cose che il nostro Ordine continua a tramandare è
una profezia che parla della venuta di un essere la cui missione
è purificare il
pianeta, ma per farlo lo distruggerà in gran parte,
sterminando tutti voi umani.»
«E noi dovremo combattere contro di lui?»
«No, Ichigo. Se vuoi, puoi offrirgli un
tè.»
La rossina impiegò alcuni secondi per capire che si trattava
di una battuta.
«La profezia dice che il Messia giungerà quando il
primo e l’ultimo riusciranno a guardarsi negli
occhi,» riprese Marie.
«Che cosa significa?»
«Questi versi si riferiscono al nostro pianeta e al pianeta
degli alieni, Nibiru. La sua orbita lo sta portando vicino al nostro; e
questa notte i due pianeti sono così vicini che noi possiamo
persino osservarlo. Questa vicinanza ha permesso di stabilire una sorta
di contatto cosmico:
le mie visioni dicono che sarà grazie ad esso che il Messia
risorgerà.»
«E…qual è il modo per
fermarlo?»
«Mi dispiace, non conosco questa risposta…
però so che presto verrà pronunciata la frase “La sua vita non
è un libro già scritto, e nemmeno un copione da
recitare. Perché non capisce che se odia il finale,
può cambiarlo?” ...o qualcosa del
genere. Ti dice qualcosa?»
«Nulla,» rispose Ichigo sconsolata, bevendo
l’ultimo goccio del suo tè.
«Su, non fare quella faccia, sono sicura che puoi farcela! E
in fondo tu sapevi già del Messia: da mesi la Terra te lo
sta sussurrando.»
Sentendo queste parole, ci mancò poco che Ichigo non
sputassequanto aveva appena bevuto.
«Cos’è questa storia adesso?!»
tossì.
«Negli ultimi tempi, non ti è capitato di fare
sogni o di avere visioni particolari? Il pianeta ti sta parlando,
perché tu sei la….»
In quel preciso istante l'ingresso del locale saltò in aria,
troncando ogni ulteriore discussione.
«Che cosa succede?» strillò Ichigo,
balzando in piedi con fare alquanto felino. «Oh
no,» sussurrò quando comprese chi fosse stato ad
attaccarle, «oh no, no, no...»
In mezzo al polverone che si era creato si intravidero due figure
conosciute: Hiroyuki e Kassandra.
Lui era rigido e freddo come al solito e stringeva fra le mani le sue
due sciabole; lei, invece, non sembrava al massimo della forma: era
come accaldata, ed infatti aveva con sé un grosso ventaglio
nero di piume con cui era impegnata a farsi aria.
«Voi!» esclamò la rossa, sconcertata.
«E’ inutile nascondersi, mocciosa! Abbiamo scoperto
che siete voi piccole streghe di cameriere…» disse
sprezzante Kassandra, più nervosa che mai.
Ichigo parve disorientata. «Ma come…»
«E' inutile che spieghi come ho fatto ad un essere inferiore
come te, non capiresti,» sbuffò l'aliena. Chiuse
il ventaglio con uno scatto. «Ora siamo alla resa dei
conti!» gridò poi in tono minaccioso.
«Hm,» osservò Marie, portandosi dietro
Ichigo, «I
don’t like this...»
Kassandra la notò in quel momento. «E tu chi
saresti?» le chiese con la sua solita 'gentilezza'
aristocratica.
«Una tua lontana parente,» le rispose lei
sorridendo. «Nice
to meet you!»
Ichigo si girò verso di lei. «Scappa Marie, qui
sei in pericolo!»
«TU lo sei, ragazza!» si intromise Kassandra.
«Avanti, Hiroyuki!»
A quella chiamata, docile come un cagnolino, la guardia del corpo di
Kassandra spiccò un salto verso Ichigo, preparandosi a
colpirla con le sue sciabole. Lei era distratta , ma
riuscì ugualmente a gettarsi di lato in tempo.
Il suo nemico non si perse però d’animo, e,
poggiati i piedi a terra per recuperare l'equilibrio, agitò
una delle spade, fendendo l’aria.
All’inizio, Ichigo non capì il motivo di quel
gesto, ma un istante dopo spalancò gli occhi nel sentire
l'impercettibile sibilo di una lama invisibile avvicinarsi a lei;
compì un balzo e scoprì che una
lama invisibile che aveva appena evitato aveva segato in due
una colonna alle sue spalle. Inorridita, Ichigo trovò a
malapena il tempo di trasformarsi e scansare un nuovo attacco, ma
Hiroyuki le comparve davanti all'improvviso e riuscì a
ferirla al fianco con una delle sue lame, anche se solo di striscio.
Mew Ichigo resistette all’impulso stringersi il punto colpito
e compì una capriola all’indietro per distanziare
l’alieno, ma lui le dette un calcio e la fece rotolare fino
in fondo al Caffè, rovesciando un tavolo.
Lei si rialzò subito.
«Mettiti in salvo!» ripeté a Marie che
però, per tutta risposta, si limitò a scuotere
distrattamente una mano nella sua direzione:
«One moment,
just one moment…»
Mew Ichigo non capiva: perché quella ragazza non si decideva
a fuggire? E perché sembrava così distratta?
Forse stava avendo un'altra delle sue visioni? Il suo velo si agitava
dietro di lei in maniera frenetica.
La guerriera si accorse che Marie stava fissando Hiroyuki.
«Eppure mi è familiare…» la
sentì sussurrare.
Subito dopo, Mew Ichigo fu costretta a concentrarsi di nuovo sulla
battaglia, perché ora l’alieno stava cercando di
colpirla di nuovo con le sue lame d’aria.
«Ma a che gioco sta giocando?» pensò
freneticamente la mewgatto, rotolandosi più volte a terra
per evitare i colpi in successione dell’avversario, che
spaccarono parecchie piastrelle del pavimento. La polvere che si
alzò la fece tossire, e le schegge le ferirono il viso e una
le entrò nell'occhio.
Il suo nemico non le stava concedendo un attimo di tregua, e lei non
avrebbe potuto continuare a saltellare via per sempre. Però,
non aveva il tempo di contrattaccare! Era disperata.
«Come on,
don’t give up!» sentì
gridare da Marie, nel frastuono generale. «Sii consapevole
della tua essenza, e potrai batterlo!»
«Come faccio a essere consapevole quando rischio di venire
affettata?» riuscì a tossirle in risposta.
«Oh, insomma, abbi fiducia in te!»
«Ok!» assentì Mew Ichigo, e,
nell’evitare l'ultima lama d'aria, compì un lungo
salto e atterrò in piedi in cima al bancone del locale.
«Malvagio alieno, io sono Mew Ichigo, e ti
batterò! Angeli protettori, della Terra custodi,
miao!» esclamò, e poi estrasse la sua Strawberry
Bell.
Hiroyuki, che non si era lasciato minimamente turbare da quella
ridicola scenetta, incrociò le sue sciabole e le
lanciò contro il raggio azzurro che si generò al
centro dell’incrocio; Mew Ichigo contraccambiò con
il suo attacco e i due colpi si scontrarono a mezz’aria,
annullandosi a vicenda.
«Non era esattamente ciò che intendevo…
ma continua così che vai forte!» esultò
Marie.
Mew Ichigo, di colpo, scomparve alla vista di Hiroyuki. Lui si
guardò intorno per un attimo e se la ritrovò sul
lato destro: era troppo tardi per evitarla, così pose una
delle sue sciabole come protezione, senza sapere che così
aveva fatto esattamente il gioco della sua avversaria: Mew Ichigo gli
tirò una ginocchiata sul polso, facendogliela saltare via
dalla mano, e la riprese al volo, utilizzandola immediatamente per
parare un affondo che intanto l’alieno aveva cercato di
approntarle con la seconda spada.
Le due armi strisciarono fra loro, emettendo uno stridio insopportabile
per le orecchie umane (ma fortunatamente non c’era nessuno di
veramente umano là in mezzo).
Hiroyuki spinse con maggiore forza: stava per avere la meglio in quello
scontro diretto, ma Mew Ichigo usò di nuovo la sua
agilità per sfuggirgli. Lui si trovò sbilanciato
frontalmente, e stava per cadere a terra; la guerriera gli
piombò con i piedi sulla schiena e cercò di
atterrarlo, ma lui si smaterializzò all’ultimo
momento e le ricomparve davanti.
I due ripresero a combattere per degli interminabili minuti,
finché, dopo l'ennesimo corpo a corpo, si staccarono per
riprendere fiato.
Mew Ichigo era sconvolta: non pensava di essere così forte.
Era stanca e ansante, ma lo era anche il suo avversario. "E'
incredibile!" pensò. “Siamo pari!”
«Yay!» esclamò marie, entusiasta
«This is so
cool!»
Mew Ichigo sorrise, mentre riprendeva fiato. «Umana o
sacerdotessa, tu non cambi mai, eh?»
«Hiroyuki!» gridò in quel momento
Kassandra. Indicò Marie con un dito. «Quella
lì sta fomentando troppo la tua avversaria,»
sentenziò. «Toglila di mezzo!»
«Ops,» commentò Marie, tappandosi la
bocca.
Hiroyuki scomparve dalla vista di Mew Ichigo e ricomparve proprio
davanti a Marie, le armi in pugno; lei sembrava troppo sorpresa per
cercare di evitarlo. Hiroyuki abbassò l'arma.
In quel momento accaddero due cose: Marie gridò:
«Horakhti!», e Mew Ichigo la salvò
parandosi davanti a lei e opponendosi alle sciabole con la sua campana
rosa. Gli lanciò a sorpresa un attacco che lo prese proprio
sugli occhi, sbalzandolo parecchi metri più in là.
Prima che Marie potesse ringraziarla, lei la prese per le spalle.
«Devi andare via da qui!» le ripeté per
la terza volta, terrorizzata.
«Si,» rispose lei, altrettanto spaventata,
«cioé no, aspetta, io conosco
quell’alieno, io so
chi è quell’alieno!»
«Eh?! Tu conosci Hiroyuki?»
«Sì! Mi sono ricordata di lui! Lui è
uno degli Osservatori di
Horakhti!» esclamò Marie. Un turbinio
di pensieri le attraversò la testa: perché mai si
trovava sulla Terra? Perché si stava comportando
così? Perché cercava di uccidere lei? Non
l’aveva riconosciuta?
La voce stridula di Kassandra le si infiltrò nelle orecchie.
«Basta così!» aveva gridato l'aliena.
Stava per incitare nuovamente all'attacco il suo schiavo, ma Mew Ichigo
la anticipò:
«Eh no, basta tu adesso!» esclamò e,
afferrata la sua strawberry bell, le lanciò un attacco che
lei prese in pieno. «L’ho colpita!»
esclamò trionfante la mew gatto, ritornando a terra.
La potenza del colpo aveva fatto sbattere Kassandra contro una delle
pareti del locale. Lei cercò di rialzarsi, ma per sua
sorpresa si scoprì incapace di farlo.
«Ma… Ma…» mormorò
stupita, ricadendo a terra senza forze.
«Ehm…stai bene?» le chiese Mew Ichigo,
facendo un passo verso di lei.
«Ma…Maledetta!» le strillò
quella in risposta. «Non oserai colpire un avversario in
difficoltà, vero?»
Se per un istante Mew Ichigo aveva provato un briciolo di
pietà per lei, ora era scomparsa del tutto. «Tu
sei un’eccezione!» dichiarò.
Impugnò la sua arma, e fece per darle il colpo di grazia.
«Peggio per te,» ghignò Kassandra.
Accadde in un attimo.
Mew Ichigo sentì un: «Attenta!» gridato
da Marie; mente si voltava indietro, la vide che compariva un paio di
metri davanti a lei, fermando Hiroyuki.
Lui aveva cercato di attaccarla alle spalle e lei glielo aveva impedito.
Kassandra lo chiamò di nuovo, ma stavolta
con un sussurro molto debole.
«Hiro…yuki…»
mormorò, «lo senti anche tu questo? Portami
via...»
Obbedendo all’ordine, lui abbandonò la battaglia,
le apparve accanto e la teletrasportò via.
«Se ne sono andati,» commentò Mew
Ichigo, tirando un sospiro di sollievo. Fece sparire la sua arma e
sorrise. «Ehi sacerdotessa, grazie,» disse
all'amica con un sorriso.
Marie, ferma in piedi davanti a lei, non le rispose. Le stava dando le
spalle. Mew Ichigo ebbe un tremendo presentimento.
«E-Ehi, tutto bene?» le chiese con un tono di
urgenza.
«Hiroyuki,» sussurrò Marie,
«è davvero forte come dice la leggenda.»
La ragazza crollò a terra, gettando Mew Ichigo nel panico.
Lei le corse subito accanto, realizzando con orrore che la biondina
aveva una vistosa ferita sul petto che stava sanguinando copiosamente,
macchiando il suo vestito candido e colorando di rosso il pavimento.
«Ma-Marie!» balbettò. Stava perdendo
troppo sangue, doveva portarla via da lì. Doveva chiamare
aiuto. Doveva andare subito all’ospedale. Doveva…
«V-Va tutto bene,» ripose la ragazza con voce
appena percettibile. «Non potevo permettere che tu finissi
così, tu sei… troppo
importante…» disse. Poi rovesciò gli
occhi e lasciò andare il suo respiro.
La testa di Mew Ichigo si svuotò. Chiamò la sua
amica, non riuscendo a credere che ciò che aveva davanti
agli occhi fosse vero. Cercò di
rianimarla in ogni modo che conosceva. Pianse, gridò. Ma fu
tutto inutile
perché Marie, l’apprendista sacerdotessa, se ne
era appena andata fra le sue braccia.
++++
Note
della revisione:
Ho
tolto la scena finale che c'era originariamente nel capitolo
perché medito di ficcarla nel prossimo. *mumble mumble*
|
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Capitolo 35 *** Intermezzo (Un viaggio) ***
26
18/11/2014: Questo non
è un capitolo, ma è un… intermezzo che
introduce l'ultima parte della fanfic.
A causa delle modifiche fatte in precedenza (damn you, revisione),
ho sentito il bisogno di posizionare questa vecchia scena
(opportunamente aggiornata) qui.
Non ho la minima idea di come revisionare il prossimo capitolo e sono
attualmente in attesa di un'illuminazione. D:
EDIT: Oh e visto che la funzione automatica di EFP reindirizza chi clicca sull'ultimo capitolo direttamente qui, incollo quello che avevo scritto nell'Agnello e il Dragone:
Nota del 18 novembre 2014:
E’ da gennaio che sto ‘silenziosamente’ revisionando questa fanfic e finalmente credo di aver reso presentabile la prima trentina di capitoli.
(Oh e ho cambiato il titolo. Amo il trash che traspare dal nuovo titolo!)
La storia risulta aggiornata perché ho aggiunto il capitolo al n. 35.
I restanti capitoli sono ancora da revisionare (ma ce la farò!).
- Capitolo 33: Intermezzo -
Kisshu
non riusciva a capire se era ancora vivo o no. Pensava, quindi doveva
essere per forza ancora in vita. O forse si poteva continuare a pensare
anche da morti?
…m-morti?
L’alieno scacciò dalla mente le fantasie
indesiderate sul
destino di Pai e si concentrò sulla sua nuova situazione.
Prima di tutto, dove si trovava? Si guardò intorno, ma non
vide
nulla di utile a rispondere alla domanda. Si
accorse che stava galleggiando, ma non stava volando; respirava
normalmente, eppure non era possibile che in quel posto vi fosse aria.
I suoi sensi
erano attenuati, ma sentiva chiaramente su di lui una sensazione
avvolgente e delicata, simile ad una carezza o all’acqua
tiepida
che scorre sulla pelle.
Era piacevole.
C’era una grande tranquillità in quel luogo.
Kisshu non
sarebbe riuscito a definirlo e d'altro canto non aveva mai sentito
parlare di un posto
del genere.
Scorse i suoi amici a poca distanza da lui e si sentì
sollevato.
Poi, però, notò che c’era qualcosa che
non andava
in loro, perché i loro corpi erano come sfocati. Anche il
suo
emanava uno strano chiarore evanescente, ed era molto più
leggero del normale. Così ridotti, sembravano tutti dei
fantasmi. Un dubbio orribile lo colse: lo erano per davvero?
«No, non lo siamo,»
lo rassicurò la voce argentina di Imago, che lo aveva
raggiunto
silenziosamente. Le sue parole erano come amplificate da un
eco
mentre continuava, intimorita: «Morti, intendo. Almeno
credo. E’…E’ così, vero?»
Kisshu
inarcò le
sopracciglia con fare incerto, mentre una parte della sua mente si
divertiva a realizzare che l'espressione preoccupata che stava
facendo la sua compagna era adorabile. In effetti, lei era
adorabile. Si chiese come aveva fatto, in passato, ad innamorarsi di
persone con personalità così differenti dalla sua.
Poi però gli venne un dubbio.
«Dolcezza,
si dice che gli innamorati possano leggersi nel pensiero… ma
seriamente, come hai fatto a rispondere ad una domanda che non ti ho
fatto?»
Lei scosse la
testa, e le ciocche della sua frangetta ondeggiarono
dolcemente. «Non
lo so. Ma ti prego, non ragionare troppo sulle tue conquiste amorose,
perché a quanto sembra riesco a sentire i tuoi pensieri.»
Più
colpito dalla prima parte della risposta che dal finale, Kisshu stava
per sbottare un: «Io non stavo
ragionando sulle mie numerose
conquiste!» sulla difensiva,
quando sentì l'aliena aggiungere:
“Ma non riesco a sentire il tuo calore…”
Lei non aveva mosso le labbra e non lo stava neanche guardando, eppure
l’aveva sentita chiaramente sospirare quelle parole.
Sorpreso,
lui fece per muovere d'istinto una mano verso di lei ma si rese conto
che gliela stava già stringendo. Non se ne era accorto.
Neanche
lui
sentiva alcun calore dal corpo della ragazza, e nemmeno materia,
così come nel suo. Che cosa gli stava succedendo in quel
posto
assurdo…?
“Pai…perché l’hai fatto?
Fratellone…” la voce depressa di Taruto
echeggiò
nella testa di Kisshu come se il bambino gli avesse parlato
direttamente nel
cervello. In realtà, Taruto era ad almeno tre metri da lui,
vicino a Chris.
"Possibile
che che in questo posto si riescano a sentire i pensieri degli altri?"
si chiese a quel punto il maggiore.
"Pare proprio che sia
così," annuì Chris a quel punto, senza parlare. «Taruto, smettila di
piangere nel pensiero, per favore. Tuo fratello se la caverà,» disse poi al minore
del gruppo per consolarlo. «Ora pensiamo a dove
siamo finiti noi.»
«Sembra lo spazio,» sussurrò
Kisshu, ben consapevole di essere in errore.
«Scusa, ma se sai di
stare sbagliando, che parli a fare?»
«Chris, non leggermi
nel pensiero!»
«Come se dipendesse da
me, idiota!» sbuffò
seccata la ragazza aliena. “Io non
volevo questo!”
borbottò poi nervosamente.
“Ma
che le prende?!” pensò Kisshu. “E'
sempre più agitata…è per
Pai?”
“Ehi! Guarda che io non
sono agitata!”
“Non voglio immaginare
cosa rispondi alla gente quando sei
agitata!”
“Vi
prego,
smettetela!” li supplicò mentalmente Imago. I
pensieri di
Kisshu e Chris avevano risuonato così forte nella sua testa
che
lei si era portata d’istinto le mani sulle orecchie in un
inutile tentativo di
proteggersi. “Voglio andare via da qui,”
pensò.
Come rispondendo a quella richiesta, il fluido invisibile
che circondava i quattro alieni prese ad agitarsi, formando
flussi
che si raccolsero in un vortice; prima di potersi rendere conto di cosa
stava accadendo vennero tutti risucchiati al suo interno e, un attimo
dopo, vennero scaraventati di punto in bianco su un pavimento di terra
polverosa, dura e rossastra.
«Ouch,» commentò Taruto, dolorante.
«Beh,
questo è stato veloce,»commentò
Chris. Si rimise in piedi e si guardò intorno, imitata
presto
dagli altri. «Ma ora...dove siamo?»
«Non sembra il nostro pianeta,» osservò
Imago.
«Allora, forse… siamo sull'Azzurro?»
«Non credo proprio,» ammise Kisshu.
Osservò le costellazioni
sconosciute nel cielo e poi il deserto rosso e privo di
vita in cui si trovavano: in lontananza, era possibile scorgere degli
ammassi di pietre ammucchiate che sembravano quasi formazioni naturali,
ma erano così ben definite che non potevano esserlo.
"Piramidi?"
si chiese l’alieno. Una lampadina si illuminò
nella sua
testa e lui schioccò le dita. «Deserto rosso e
piramidi… Mistero risolto, siamo sul Pianeta
Rosso!»
«Marte?» sibilò un incredulo Taruto.
«Come
abbiamo fatto ad arrivare in così poco tempo su Marte? E senza
neanche un’astronave!»
«Allora è vero che la fine è
arrivata…» disse a quel punto una voce sconosciuta.
«…non credevo che sarebbe successo,» le
fece eco un’altra.
Kisshu e gli altri si allarmarono nello scoprire che tre figure
ammantate di bianco stavano in piedi a pochi passi da loro e li stavano
indicando mentre parlottavano fra loro. Erano sbucati dal nulla
all’improvviso. Due avevano la stessa altezza, mentre la
terza
era piu' bassa di loro di almeno la metà.
Kisshu si strofinò gli occhi, pensando che fossero
un’allucinazione: i tre non scomparvero, per cui estrasse i
suoi
sai. «Chi siete?» domandò minaccioso.
A quella domanda, uno dei due sconosciuti più alti fece un
passo
verso di lui. Indossava un lungo mantello e un cappuccio come gli
altri, ma a differenza
loro se lo abbassò, rivelando un essere anziano con la pelle
scura e dei lunghi capelli argentati.
«Il mio nome è Zaraxa. Vi do’ il
benvenuto sul
Pianeta Rosso, abitanti di Nibiru,» li salutò con
una voce
profonda e cortese. «Suppongo che abbiate utilizzato il
contatto
planetario per giungere sin qua.»
Kisshu, Imago, Chris e Taruto si guardarono fra di loro.
«Ah, sì?» chiese alla fine Kisshu.
Alle spalle del marziano, intanto, la figura più bassa
sembrava parecchio eccitata dalla loro presenza.
«…quindi sono loro?» chiese
all’altra con una
vocetta infantile. «Però! La nostra specie si
è
involuta tantissimo nel corso dei secoli. Hai visto come solo pallidi?
Che cosa ci trova Hiroyuki di così interessante in
loro?»
«Silenzio, Juaj,» l’ammonì
quella usando un inconfondibile timbro vocale femminile.
«Quelli dietro di me sono la mia famiglia, Azyra e
Juaj.
Non preoccupatevi, non vogliamo farvi del male. Noi siamo solo dei
semplici osservatori,» spiegò Zaraxa in tono
benevolo.
«Questo vuol dire che ci limitiamo a guardare. Non vogliamo
interferire…»
«Quindi non glielo diciamo?» gli domandò
Juaj, interrompendolo.
Azyra gli diede un pugno sulla testa incappucciata.
«Ahio! Dai, qualcuno deve pur dirglielo!»
«Dirci cosa, piccolino?» gli chiese Imago,
incuriosita.
«Noi siamo osservatori,»
ripeté a quel punto Zaraxa, lanciando
un’occhiataccia al
minore della sua famiglia mentre enfatizzava in modo estremamente
seccato l’ultima parola della frase. Riportò poi
la sua
attenzione sul gruppo di stranieri e indicò un punto alle
loro
spalle. «Lì si concentrano le linee del flusso di
connessione
planetaria. Vi condurranno sulla Terra, ma state attenti alle
deviazioni dimensionali: se non vi concentrate sulla vostra meta,
potreste finire in una qualche galassia sconosciuta. Buon
viaggio.»
I quattro non ebbero quasi il tempo di voltarsi indietro che furono
nuovamente catturati dal flusso. Marte e i suoi strani abitanti
scomparvero e loro si ritrovarono di nuovo immersi in
quell’oceano invisibile, ma stavolta erano circondati da una
serie di vortici luminosi e
un vento fortissimo gli impediva di scegliere liberamente la direzione
in cui andare.
“Concentratevi sulla Terra!” gridò Chris
nel pensiero.
Gli altri annuirono, e, dopo alcuni secondi, un rettangolo dorato sotto
di loro divenne sempre più grande e luminoso.
All’improvviso, l’energia che li teneva sospesi nel
flusso
cessò come se qualcuno avesse staccato la corrente; i
quattro
alieni non riuscirono più a restare sospesi e precipitarono
in
basso, nella luce dorata. Ricaddero a terra malamente, finendo per
sbattere l’uno sopra l’altro.
«Q-Qualcuno però poteva anche concentrarsi
sull’atterraggio!»
commentò Chris, precipitata sotto Kisshu e Imago.
«Ahia…» si lamentò
quest'ultima. Poi si accorse di
essere finita proprio addosso a Kisshu e si affrettò a
tirarsi
in piedi e a scusarsi con lui, imbarazzatissima.
«I-Imago, forse dovresti metterti a dieta,
sai…?» mugolò lui a fatica, tutto
acciacciato.
«Io stavolta sono caduto sul morbido,»
osservò
allegramente Taruto, penzolando appeso per le gambe sui rami di un
albero che aveva attutito la sua caduta. Erano finiti in un minuscolo
parchetto deserto, a poca distanza dalla strada principale di
chissà quale città terrestre. Il terreno era
ricoperto
d’erba e di sabbia, c’erano piante e fiori e una
vecchia altalena
arrugginita.
«Non interessa a nessuno, Taruto,»
sbuffò Kisshu, massaggiandosi i fianchi.
«Quindi questo è il Pianeta Azzurro?»
domandò Imago, guardandosi intorno con aria sognante.
«Esatto,» rispose Kisshu.
«Dov’è il sole? Voglio vedere il
sole!»
«Adesso è notte. Il sole comparirà fra
qualche ora.»
«Oh,» mormorò triste l’aliena,
perdendo un po’ di entusiasmo.
In quel mentre, un rumore attirò l’attenzione dei
quattro
alieni. Era il fruscio di qualcosa, forse un pacco o una busta, che
cadeva a terra,
segnale della presenza di qualcuno nelle vicinanze.
«Oh no, siamo stati visti!» esclamò
Chris indicando la ragazzina bionda che li stava fissando già da un
po’ dalla strada con la bocca
spalancata per lo shock.
Quando Taruto la vide, perse l'equilibrio e cadde giù
dall’albero per la sorpresa.
Imago, invece, lanciò un gridolino di gioia.
«Aspetta,
quello è un terrestre? Un terrestre vero? Oh,
com’è
carino! Possiamo portarlo a casa?»
Kisshu sospirò, riconoscendo anche lui la ragazzina.
«No, Imago. E’ meglio che non porti a casa questo terrestre.
Ci abbiamo già avuto a che fare in passato: è una
scimmia malefica.»
«Scimmia?
Cos'è una scimmia?»
«Non
è vero,
Kisshu. Io sono un leone!»
gli gridò a quel punto Purin da
lontano, riprendendosi dallo stupore. Compì un salto
pazzesco e
atterrò proprio di fronte a lui. «E mi chiamo
Purin,
piacere!» disse a Imago, per poi raggiungere Taruto con un
altro
salto.
Lui era ancora steso a terra sulla schiena, per cui Purin si
chinò su di lui e lo guardò dall’alto.
«Stai
bene?» gli chiese preoccupata.
«O-Ora no,» rispose lui, balzando in piedi in tutta
fretta.
«Davvero, con tutti gli esseri umani sul pianeta, proprio te
dovevamo incontrare?» bofonchiò dando le spalle
alla
biondina e iniziando a spolverarsi i vestiti nervosamente.
Lei gli andò davanti e gli tese una mano piena di caramelle.
Lui la guardò con aria interrogativa.
«Scommetto che sei tornato perché le avevi finite,
no?» gli disse Purin, continuando a porgergli i dolcetti
finché lui non si decise a prenderli. «Bentornato,
Taruto,» lo salutò a quel punto con un sorriso.
Lui arrossì. «Grazie,» rispose, facendo
di tutto per
sembrare seccato da quelle attenzioni. «M-Ma non
è che le ho finite apposta.»
«Ehi, piccioncini,» li chiamò Kisshu a
quel
punto. «Vi dispiacerebbe continuare dopo? Abbiamo bisogno di
aiuto adesso.»
«Aiuto?» ripeté Purin andando da lui.
«Perché, che cosa vi è successo?
Qualcuno si
è fatto male? Vi serve un dottore?»
«No,» replicò Kisshu scuotendo una mano
con noncuranza. «Non
ci siamo fatti male. Siamo stati condannati a morte, ricercati per
tutto il pianeta, abbiamo risolto un enigma millenario, viaggiato
attraverso un passaggio dimensionale, fatto un giretto su Marte e
scoperto che la Terra sta per essere distrutta.»
Purin lo guardò pensierosa. «Non penso che esista
un
dottore in grado di aiutarvi per queste cose,» ammise alla
fine.
Kisshu si sentì crollare la gambe. «NON HAI CAPITO
NIENTE!» le gridò esasperato.
«Sei tu che non ti spieghi!» ribatté lei
incrociando le braccia.
«Portami da Ichigo, lei è più
intelligente di te.»
«Ichigo? Oh, ho capito! Tutto questo è una scusa
per provare a rapirla di nuovo, giusto?»
«No, stupida scimmia, non voglio più
rapirla!»
«Rapire? C-Cos’è questa storia,
Kisshu?» intervenne Imago.
«Meglio che tu non lo sappia,» sospirò
Taruto, galleggiando a gambe incrociate accanto a lei.
Mentre Kisshu e Purin continuavano a litigare, Chris, che nel mentre
era andata a sedersi sull’altalena ed era rimasta
lì in
silenzio per tutto il tempo, trasse un profondo sospiro.
«Uccidetemi adesso,» disse in un sussurro,
dondolando piano.
++++
Note:
La storia dei tre ciccini marziani e del loro legame con Hiroyuki
doveva essere un’altra sottotrama di questa fanfic (lato mew
mew), ma poiché non ho mai trovato una reale ispirazione non
l’ho mai scritta.
Se fossi stata un’autrice seria li avrei cancellati dalla
fanfic
visto che sono inutili, ma io sono una beota e se li avessi cancellati
mi sarei sentita come se li avessi uccisi, per cui li ho lasciati.
....
....ho già detto che sono una beota?
|
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Capitolo 36 *** CE4 - Incontri ravvicinati del IV tipo ***
26
19/11/2014: In queste quattro
paginette ho raccolto tutte le vecchie scene omesse nei capitoli
precedenti, opportunamente riscritte, anche se forse un po’
deliranti (giustamente nei miei giorni di ferie, in cui ho tempo per
scrivere, mi viene la febbre).
Ho ancora 12 capitoli da revisionare, che insieme ai credo 8 del
finale, fanno 20 capitoli ancora da vedere. La cosa mi deprime un
po’ e spero di non incagliarmi da qualche parte. ;___;
*Jun fissa il peluche del dio distruttore mangia-uomini Cthulhu,
romantico regalo del suo ragazzo e fidata fonte di conforto ed
ispirazione*
Forza, piccolo mio: ce la possiamo fare.
- Capitolo 34:
CE4 -
Quella sera,
nonostante l’ora tarda, la vita a Tokyo scorreva frenetica
come al solito; eppure, c’era qualcosa di diverso
nell’aria.
Dovunque, dalle strade ai negozi ai numerosi luoghi di ritrovo sparsi
un po’ dappertutto, aleggiava una strana tensione molto
simile all’ormai iconica calma prima della tempesta.
Presentendola, man mano che il tempo passava sempre più
persone decisero di loro spontanea volontà di rientrare a
casa, abbandonando i propri piani di lavoro o divertimento notturno.
Nessuna di loro avrebbe saputo spiegare a parole il motivo di quella
decisione. Ciò che quella gente provava era una sorta di
istinto comune, un presentimento negativo fatto inquietudine e paura;
era una sensazione atavica di pericolo imminente, che iniziò
a prendere forma quando internet e i telegiornali mostrarono le prime
immagini di quella che di lì a poco avrebbe preso il nome di
Notte del Disastro.
Dapprima iniziarono le notizie della riattivazione contemporanea di
tutti i maggiori vulcani europei, compreso il Marsili, il cui scoppio
subacqueo avevano causato uno tsunami di intensità
così alta da distruggere gran parte della penisola italiana
e delle isole; poi toccò ai temporali che avevano preso a
sferzare con violenza inaudita vaste zone
dell’America del Nord, interferendo con le comunicazioni e
spazzando via intere città; ed infine cominciarono a
giungere le notizie del surreale inabissamento delle piramidi egiziane,
scomparse nella sabbia come navi che affondano nell’oceano,
dei maremoti che aveva colpito l’Australia, dei terremoti e
delle valanghe in Russia, insieme a infinite altre sciagure che si
stavano abbattendo nei luoghi più disparati del pianeta.
Gli abitanti di Tokyo sentirono queste notizie mentre erano al sicuro
nelle loro comode case; non furono in pochi a sospirare sollevati per
il fatto che quelle disgrazie non fossero toccate a loro,
perché è questa la natura umana: primitiva,
egoista, opportunista.
Tutti si preoccuparono solo per loro stessi,o al massimo per
i loro cari; e fu anche per questo motivo che nessuno
prestò attenzione ai due alieni che erano appena apparsi in
bella vista in cima ad un grattacielo in pieno centro.
I due non erano altri che Kassandra e Hiroyuki. Quest’ultimo,
che stava tenendo fra le braccia la sua padrona, atterrò sul
tetto del grattacielo e la mise a terra con lentezza mentre lei
respirava affaticata come se avesse appena compiuto una lunghissima
corsa.
«C-Che cosa… mi sta succedendo?»
sussurrò l’aliena ansimando, mentre sollevava a
fatica le mani tremanti.
Fece comparire il suo ventaglio, ma si accorse presto di non avere la
forza di reggerlo. Si sentì mancare e si lasciò
scivolare a terra su di un fianco.
Ora il suo respiro era molto più rapido per la paura che
l’aveva colta, che non stava facendo altro che accelerare i
tempi di ciò che l’aliena sentiva essere ormai
vicinissimo e inevitabile.
«Io… sono la Sovrana del Pianeta
Azzurro,» si ripeté quasi delirando, sforzandosi
di ricordare il motivo per cui si trovava lì.
«Non posso… Non posso finire così!
Non… Non ora, non qui!»
Boccheggiò. Stava succedendo tutto all'improvviso e troppo
rapidamente, troppo, e lei era sola ed aveva paura e non riusciva
più a muoversi, «Aiutami… Aiutami
Hiroyuki, non… non voglio morire!»
gracchiò con voce spezzata.
«A…Aiutami!»
Imperturbabile come una statua di marmo, l’alieno dalla pelle
scura osservò la sua padrona contorcersi e lottare
disperatamente per resistere, per poi infine lasciarsi andare ed
emettere un ultimo respiro.
Hiroyuki non sapeva perché tutto questo fosse appena
accaduto, sapeva solo che Kassandra gli aveva ordinato di aiutarla, e
così avrebbe fatto.
Certo, donare la vita o la morte non era uno dei poteri che gli erano
stati concessi, ma c'era qualcos'altro che poteva fare...
Sedette accanto al corpo dell’aliena e vi pose sopra i palmi
aperti, ma senza toccarlo. Iniziò ad intonare una litania
in una lingua ormai dimenticata con voce bassa e solenne, e ben presto
un alone luminoso cominciò a diffondersi e passare dal suo
corpo a quello di lei.
- - - -
Nel frattempo, al Cafè Mew Mew, Cherry si
strofinò gli occhi mentre risaliva con passi stanchi le
scale del sotterraneo.
«Che sonno,» sbadigliò, stiracchiandosi
pigramente. «Ora capisco cosa prova la Venere dormiente di
Giorgione...»
Quando raggiunse il piano terra, lo spettacolo che le si
parò davanti la lasciò di stucco. Il torpore
abbandonò di colpo il corpo della professoressa mentre lei
si rendeva conto che l'atrio locale era completamente distrutto.
Disorientata, nel tentativo di capire cosa fosse successo, Cherry si
avventurò al suo interno, facendo ben attenzione a non
inciampare sul pavimento spaccato.
«Ma…sono precipitata in un quadro
cubista?» commentò a mezza voce, spostando lo
sguardo dal portone sfondato ai tavolini e alle sedie sfasciati, fino
al bancone rovesciato su di un lato. Fece qualche passo nella sala,
facendo scricchiolare sotto le decolté fucsia i pezzi di
vetro e ceramica sparsi ovunque; alla fine, udì un gemito
sommesso provenire da un angolo.
Era stata Mew Ichigo: Cherry la scorse di spalle, seduta a terra. La
raggiunse e scoprì che era china su una ragazza stesa sul
pavimento in un lago di sangue. Morta.
La professoressa trattenne il fiato, terrorizzata da quella visione.
«L’hanno uccisa!» le disse Mew Ichigo fra
le lacrime, accorgendosi di lei. Si rialzò e le corse
incontro, gettandosi su di lei per poi scoppiare in un nuovo attacco di
pianto, molto più forte e doloroso del precedente.
«Mi ha salvato la vita, e l’hanno
uccisa!» singhiozzò, stringendosi alla donna.
Cherry, dal canto suo, era troppo sconvolta per darle conforto. Ebbe
l'istinto di fuggire, ma ben presto realizzò che non poteva
abbandonare in quel modo quella ragazzina così disperata.
Trattenendo la nausea e la paura, si fece dunque forza e
realizzò che, per prima cosa, doveva portarla via da
lì.
«Vieni,» le disse in tono fermo, facendo un passo
indietro e prendendola per mano.
«N-no, non pos-sso...»
«Vieni!»
Cherry la trascinò quasi di forza fuori dal locale,
all’aria aperta. Il vento freddo della notte le fece
rabbrividire entrambe, ma Mew Ichigo non accennò a smettere
di piangere.
«Ascoltami tesoro, se quella ragazza è morta per
proteggerti,» provò a dirle Cherry, «non
è certo perché poi voleva vederti piangere
così.»
Mew Ichigo non parve darle retta, per cui lei la prese per le spalle e
la costrinse a guardarla in faccia. «Mew Ichigo, tu devi
reagire!» esclamò con forza.
«N-non ce la f-faccio, C-Cherry-san...»
«Invece devi
farcela,» insistette lei, scrollandola un po’.
«Sei una paladina della giustizia, e questo significa che i
poteri di cui sei dotata ti costringono a portare un peso troppo grande
per te. Ma su di te contano tutti gli abitanti di questa
città, e persino del resto del mondo! Anche la tua amica
contava su di te, ed è per questo che ha dato la sua vita
per salvarti.»
La professoressa circondò le guance della mew gatto con le
mani e le sollevò il viso. «Guardami,»
le disse, «non puoi crollare adesso.»
Lei singhiozzò un’ultima volta; le lacrime
continuavano scivolarle giù per le guance, ma lei
annuì. «Non…non
succederà,» promise, anche se ancora scossa.
«Io… Io sconfiggerò quegli alieni, e lo
farò anche per Marie.»
«Brava ragazza,» sussurrò commossa
Cherry, abbracciandola.
Fu in quel preciso momento che Taruto si materializzò in
aria a un metro dalle due.
«Siete in due?!» esclamò notando Mew
Ichigo e la sua copia in versione umana. «Bleah, Kisshu una
volta mi ha raccontato di aver sognato una cosa del genere,»
ammise, scioccato e un po’ disgustato al ricordo.
«T-Taruto?!» esclamò la ragazza gatto
nel vederlo, sobbalzando per lo stupore. «Che
cosa…?»
«Storia lunga,» tagliò lui, agitando le
braccia, «vecchiaccia,» concluse, scomparendo nel
nulla e portando con sé le due ragazze.
- - - -
Retasu teneva gli occhi fissi sull’elettrocardiogramma di
fronte a lei. Il beep che
il macchinario emetteva a ritmo costante era stabile e quasi ipnotico.
La ragazza era seduta già da un po’ nella stanza
d’ospedale in cui era stato portato suo padre e, nonostante
sapesse che l’orario delle visite stava per terminare, non
osava muoversi da lì.
Non lo aveva detto alle sue amiche, ma era colpa sua se
quell’uomo era finito in coma. Era successo quando era
diventata un chimero impazzito: non ricordava molto, ma sapeva che era
stata lei a ridurlo in quello stato e si sentiva male al solo pensiero.
I rilievi della polizia avevano stabilito che si era trattato di un
incidente o di un tentato suicidio; e mentre sua madre, a causa dello
shock, non rammentava nulla, Retasu aveva combattuto a lungo contro
l’idea di costituirsi alla polizia. L’unica cosa
che l’aveva fermata da farlo realmente era stato il pensiero
per Ryo e per le sue compagne: per quanto lei fosse inutile e, come
aveva recentemente dimostrato, persino dannosa per loro, non aveva il
cuore di lasciarle combattere da sole contro gli alieni.
Continuava però a chiedersi se quella fosse davvero la cosa
giusta da fare.
«Sei tu Retasu Midorikawa?» le chiese
d’un tratto una voce femminile alle sue spalle.
«S-Sì,» balbettò lei in
risposta. Si sollevò appena gli occhiali per strofinarsi via
le lacrime che si erano raccolte agli angoli dei suoi occhi.
«Mi scusi, vado subito via,» disse a quella che
credeva essere un’infermiera. Quando però si
girò, impallidì nello scoprire che a parlarle era
stata un’aliena che non aveva mai visto in vita sua.
«Oh, che carina che sei,» osservò Chris
in tono amichevole. «Sembri davvero dolce come mi hanno
raccontato,» aggiunse mentre la smaterializzava via con lei.
- - - -
Zakuro stava piacevolmente annegando nel mare dei suoi sogni, quando
all’improvviso avvertì qualcosa di molto freddo e
appiccicoso incollarsi sulla sua faccia.
Si agitò d’istinto e si portò le mani
al viso nel tentativo di staccare quel corpo estraneo, senza capire se
si trattasse del sogno o della realtà fino a che non
riuscì nel suo intento e scattò a sedere sul suo
letto.
Respirando affannosamente, la ragazza lupo scoprì di avere
fra le mani un minuscolo parassita medusa, identico a quello che gli
alieni utilizzavano per creare i loro mostri. Muoveva le zampine e
cercava di afferrarla; Zakuro sussultò e lo
lanciò via, mandandolo a sbattere contro una parete.
Fu solo a quel punto che si accorse della presenza aliena nella sua
camera da letto che, a giudicare dall’intensità
della risata che stava facendo, aveva trovato l’intera
scena molto divertente.
Zakuro conosceva bene sia quella sagoma che quella risata, e
non ebbe bisogno di accendere la luce per capire che l'alieno
di fronte a lei non era altri che Kisshu.
Rimase lì a fissarlo, semicoperta dalle lenzuola profumate,
con gli occhi stretti in due fessure di confusione e nervosismo
crescente.
«Tu…» esalò alla fine,
sprezzante.
Lui smise di sghignazzare. «Già,»
annuì sfacciatamente, sostenendo lo sguardo penetrante e
pieno d’odio della ragazza con il suo. «Perdonami,
ma non mi era stato detto che ti avrei trovata addormentata e non
venivano in mente altre idee per svegliarti,» le
spiegò con un tono così irritante che Zakuro
desiderò di tirargli un paio di pugni. Si trattenne dal
farlo davvero solo perché Kisshu aggiunse, in tono serio e
muovendo un passo verso di lei: «Siamo tornati qui
perché il vostro pianeta è in pericolo. Stiamo
radunando voi ragazze in un unico posto, in modo da potervi spiegare la
situazione.»
La modella serrò le labbra senza interrompere il contatto
visivo con lui, e per un attimo Kisshu ebbe l’impressione che
stesse aspettando solo una sua minima distrazione per saltargli addosso
e sbranarlo. Lui e la guerriera con i geni del lupo grigio, in effetti,
non erano mai andati troppo d'accordo e lo scherzetto che lui le aveva
fatto non era stato altro che una piccola rivincita per tutte le volte
che lei lo aveva preso a calci.
«Ma sono sicuro che tu non mi credi, giusto?»
proseguì l'alieno, intuendo i suoi pensieri.
Poiché non ottenne risposta dalla ragazza,
sospirò platealmente. «Ho capito. Vado a prendere qualcosa in grado
di convincerti,» disse, sparendo.
Zakuro approfittò del momento per balzare in piedi e
afferrare la sua spilla per la trasformazione, ma un attimo dopo Kisshu
riapparve nella stanza, e stavolta non era solo.
Retasu era insieme a lui. Era un ostaggio o era venuta lì di
sua spontanea volontà?
La modella lasciò ricadere la mano che stringeva la spilla
lungo i fianchi, incerta sul da farsi, e rimase in attesa di capire
quale fosse la situazione.
Ma nessuno dei due visitatori le spiegò nulla,
perché non appena Retasu vide la sua amica
arrossì violentemente e abbassò gli occhi sul
pavimento, mentre Kisshu si girò dall’altra parte
per ammirare con improvviso interesse il panorama della finestra in
fondo alla stanza.
Il loro comportamento era del tutto giustificato se si pensa che Zakuro
era abituata a dormire con addosso solo della biancheria intima, e che
quella sera l’aveva scelta trasparente e merlettata, di
colore viola.
L’essere quasi nuda di fronte a due persone, nella
normalità, era una situazione di svantaggio per una donna,
ma per Zakuro fu solo un’occasione in più per
prendere in mano le redini della situazione.
«Retasu, che cosa stai facendo con questo alieno?»
domandò infatti per prima all’amica in tono brusco
e autoritario, indicando Kisshu.
Lei si azzardò a sollevare appena lo sguardo sulla compagna.
«Lui… Lui non è un nostro nemico.
E’ davvero qui per aiutarci,» rispose con un
leggero imbarazzo.
La modella strinse gli occhi con sospetto. «Non mentirmi. Ti
sta minacciando o costringendo in qualche modo?»
Kisshu roteò gli occhi e sbuffò, ma non rispose.
«N-No! Non ti sto mentendo, Zakuro! Non so ancora molto della
situazione, ma credimi, è davvero così!»
Nonostante la sua risposta fosse un po’ sconnessa, Retasu
aveva replicato con tale trasporto che l’amica parve
finalmente convincersi.
Per cui alla fine, tratto un profondo sospiro, Zakuro
rilassò leggermente le spalle. «Era quello che
temevo,» commentò, dirigendosi poi verso il suo
armadio. Ne spalancò le ante e iniziò a frugare
al suo interno.
«Ho bisogno solo di un minuto,» spiegò
mentre afferrava nel buio una gonna abbastanza corta e una maglietta.
«Nel frattempo, Kisshu, se vuoi puoi andare giù in
cucina e farti una camomilla. Sai, sembri piuttosto nervoso,»
si divertì a proseguire in tono ironico e tagliente, prima
di chiudersi nel bagno lì accanto.
L’alieno, anche lui visibilmente arrossito,
bofonchiò qualcosa di molto offensivo nei riguardi di Zakuro
che però Retasu decise di ignorare.
Lei impiegò alcuni secondi prima di trovare il coraggio di
rivolgergli la parola.
«Ora… Ora ci riporterai a casa di Purin,
vero?»
«Sì, non appena vostra maestà
termina la sua vestizione.»
Retasu deglutì. «Se possibile, preferirei tornare
a piedi.»
Kisshu sbattè le palpebre, confuso. «E
perché mai?»
«Perché…» pigolò
la ragazza, facendosi piccola piccola, «credo di…
credo di non sopportare il teletrasporto.»
«Non lo sopporti?!» Kisshu alzò gli
occhi al cielo, sbottando a bassa voce uno scocciato:
«Umane…»
Poco dopo, Zakuro uscì dal bagno: si era rivestita e si era
legata i capelli in una coda alta per fare più in fretta. Il
suo viso era un po’ umido per via di tutta l’acqua
che si era gettata in faccia per svegliarsi del tutto.
«Molto affascinante,» commentò Kisshu
sbrigativo, preparandosi a smaterializzarle entrambe, ignorando
palesemente le richieste di Retasu.
Mentre stavano già per lasciare la stanza, Zakuro
lanciò all'ex avversario un’ultima occhiata
gelida. «Per il tuo bene, spero che tu non stia cercando
di imbrogliarci.»
«Andiamo, come potrei imbrogliarvi?» fu la replica
beffarda di Kisshu. «Mi conosci, sono puro e innocente come
un bambino!»
++++
Note:
Ho deciso di istituire in questa sede "l'angolo delle spiegazioni dei
titoli": i precedenti Zeitnot
e Zugzwang
erano gergo scacchistico, Paura
e delirio al Cafè Mew Mew cita un famosissimo
film e CE4
è la sigla usata nella classificazione di Hynek per
descrivere gli incontri ravvicinati che implicano un rapimento di
esseri umani da parte di entità aliene.
Il prossimo capitolo, che sarà una new entry come il
precedente, richiamerà Shakespeare (che in questo momento
suppongo si stia rigirando nella tomba come un kebab da rosticceria).
|
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Capitolo 37 *** Chi sei tu che avvolto nella notte... ***
26
22/11/2014:Qui
valgono le stesse note dell'aggiornamento precedente: questo
capitolo
è nato a causa della revisione che sto operando su questa
fanfic.
Sto cercando di sistemare il prossimo ma
è dura perché è un casino e io sono
distratta dall'ispirazione per una
mezza AU a sfondo Kisshu x Minto che mi ha colta a caso ieri notte.
E tipo vorrei ragionare sulla AU e revisionare questa fanfic, ma nel
mentre ho anche anche da studiare e svolgere delle commissioni di
lavoro.
E non ce la posso fare. *dies*
Ma pensando al presente, credo di non essere mai riuscita a inquadrare
bene il mio oc intp alieno complessato preferito, e da questa
considerazione sono nate le modifiche a questo capitolo.
Cliché level is over 9000, ma in queste pagine ci ho messo il
cuore
perché voglio dedicarle a Fan of the Doors,
che da settimane per questa fanfic è il mio sostegno morale.
Credo che senza le sue osservazioni e le sue parole di incoraggiamento
non
sarei mai arrivata fin qui.
Non saprò mai come ringraziarla abbastanza.
- Capitolo 35 -
La
cosa più frustrante per Ai era che, pur avendo lavorato
duramente per scoprire la vera identità del Team Mew, ora
che
era ad un passo dalla soluzione del mistero aveva perso completamente
la voglia di risolverlo.
L’idea di risalire all’identità di Mew
Ichigo, Mew
Pudding e Mew Mint gli era di colpo diventata così
insopportabile che alla fine aveva passato a
Kassandra tutte le informazioni raccolte su Retasu Midorikawa e
Zakuro Fujiwara e le aveva lasciato carta bianca.
Adesso Ai sedeva su un tetto a poca distanza dalla villa Aizawa. Non
era passato molto tempo dal giorno in cui avevano combattuto
lì,
ma i lavori di ricostruzione della casa erano già a buon
punto.
Nel ricordare quello scontro Ai aveva sentimenti contrastanti, che
andavano dalla rabbia all’amarezza fino a scivolare in una
strana
malinconia.
Non volle soffermarsi a comprendere il motivo; non voleva
più
avere niente a che fare con quelle ragazze terrestri, soprattutto con
quella che si faceva chiamare così stupidamente Mew Mint.
Tra
l’altro, che cosa voleva da lui quella piccola arrogante?
Si
divertiva davvero così tanto a provocarlo ogni volta?
Distolse lo sguardo dalla villa e scese in strada, allontanandosi a
passi lenti e chiedendosi perché le era tornata in mente
proprio
quella lì. Ormai, Mew Mint non era più un suo
problema:
Kass e lo stoccafisso si sarebbero occupati di lei e delle sue compagne
in poco tempo; senza più avversarie in giro, la principessa
aliena avrebbe conquistato il pianeta e lui avrebbe potuto smettere di
combattere e prendere per sé il suo premio, forse
l’unica
cosa ancora in vita che si salvava in quel mare di marciume che era
l’umanità.
«Ehi amico, ti sembra il caso di girare in cosplay a
quest’ora?» lo schernì un
passante. Era un
ragazzo a capo di un gruppetto di bulli, che lo accerchiarono
rapidamente; uno di
loro teneva sulle spalle una mazza da baseball.
«Perché non rispondi?» continuò il ragazzetto. «Vuoi forse essere picchiato,
razza di idiota?»
Ai ne aveva abbastanza degli esseri umani.
Mentre pochi secondi dopo si allontanava dai bulli, tutti stesi a terra
con vari gradi di contusioni, si infilò l’orribile
felpa
gialla che aveva preso ad uno di loro.
Non voleva nascondersi e non voleva attaccar briga con i terrestri; voleva solo essere lasciato in pace e, se si fosse mescolato
a
loro, nessuno lo avrebbe notato. La sua razza era visibilmente diversa da quella umana, ma lui aveva dalla sua parte la tecnologia
del suo pianeta. Non era nulla di troppo complesso: una semplice
immagine olografica semisolida che
modificava le sue sembianze e i suoi abiti con qualcosa di basico,
nascondendo la sua vera identità. La stava usando Kassandra
da
chissà quanto tempo per andare chissà dove.
Lì fuori si gelava; la felpa del bulletto era calda ma aveva
uno
strano tipo di meccanismo di chiusura scorrevole che Ai non sapeva bene
come far funzionare: quella roba non esisteva sul suo pianeta e lui, a
differenza di Kassandra, non era interessato alle trovate terrestri in
fatto di vestiario. Per lui, gli esseri umani erano un branco di bestie ottuse, e solo in pochi si salvavano.
Minto Aizawa era una di questi.
Lei era diversa dagli altri. L'aveva incrociata per pochi secondi e quasi per caso quel giorno maledetto in cui avevano deciso di attaccare il Dome; da quel momento lei gli era entrata nella testa, e per quanto lui avesse cercato di fare non vi era più uscita.
Ai
non sarebbe riuscito a dire come era iniziata; non c'era una
spiegazione, era successo e basta e a lui non era rimasto altro da fare che pagare le conseguenze di quella che con il tempo era diventata sempre piu' una dolce ossessione.
Aveva cercato di avvicinarsi all'oggetto del suo desiderio utilizzando una strategia che gli era sembrata
perfetta, ma aveva fallito. Da una parte non
capiva dove avesse sbagliato, ma dall'altra era consapevole di non avere idea di come si corteggiasse qualcuno.
In genere erano sempre stati gli altri ad avvicinarsi a
lui. Era perché aveva un bell’aspetto, gli avevano
detto
tutti; e tutti,
quando alla fine se ne erano andati, gli avevano rinfacciato di essere
una persona
orribile.
L'ex soldato si era chiesto per lungo tempo che cosa ci fosse di
sbagliato in
lui, ma alla fine aveva smesso di farlo e lo aveva accettato come un
dato di fatto. Si era chiuso in sé stesso e aveva concluso che non gli importava se gli altri lo disprezzavano perché lui non aveva bisogno di loro.
Ma con Minto era diverso. Anche se lei era una terrestre, avrebbe fatto
qualsiasi cosa per poterle stare accanto.
“Chissà dov’è
adesso?” si
ritrovò a chiedersi. “Voglio
vederla…”.
Decise di andare da lei. Dopo l'ultima volta, non sapeva come avrebbe reagito alla sua vista... ma, in verità, non gli importava.
----
Era ormai un’ora che Minto era ferma davanti alla soglia
della
villetta a due piani di Ichigo ad aspettare che lei si facesse viva. Era
notte e faceva freddo; l’aria gelida si infilava sotto il tulle della sua gonna e la faceva tremare.
Minto aveva provato più volte a rintracciare l'amica, ma il suo
cellulare era
sempre non raggiungibile. Non era preoccupata per lei: se ci fosse
stata un’emergenza in corso, Ryo si sarebbe sicuramente fatto
sentire.
Maledì
silenziosamente il momento in cui aveva preso accordi con lei per
restare a casa sua: quella ragazza si era rivelata del tutto
inaffidabile come al solito.
Un uccello notturno gracchiò un paio di volte.
«Non posso credere che si sia davvero dimenticata di
me!» esclamò
Minto quando l’ultima goccia della sua riserva di
pazienza si fu consumata.
Il suo cagnolino Miki, un batuffolo di pelo castano da cui la ballerina
non si
separava mai, sobbalzò e le abbaiò contro come
per
sgridarla di aver sbottato così all’improvviso.
Minto, per scusarsi, gli si inginocchiò accanto e
cercò
di calmarlo, ma lui sembrava molto teso per qualche motivo sconosciuto.
Forse era l’ambiente diverso in cui si trovava, o
forse aveva sonno; forse era arrabbiato anche lui con Ichigo.
«Scusami, Miki. E’ che lei ha smontato molto prima
di me,
con la scusa di essere stanca. E io che le avevo anche
preparato una torta per ringraziarla
dell’ospitalità!» si sfogò la
ragazza, in un
nuovo impeto di nervosismo. «Questa volta non gliela faccio
passa
liscia! Aspetta solo che torna…»
Sospirò.
«Il problema è che non
torna,» esalò infine, frustrata.
Minto conosceva un modo per entrare in casa ma non osava metterlo in
pratica, per cui continuò ad attendere educatamente.
Passò altro tempo, e poiché Miki stava diventando
troppo
irrequieto, alla fine la ragazza crollò.
“D’accordo, ora basta!” si disse per
darsi coraggio.
Legò il suo cagnolino al cancello d’ingresso e,
assicuratasi che non vi fosse nessuno in vista, usando i suoi poteri si posò con un balzo sul grosso ramo di un albero del giardino e lo usò
per raggiunse con un salto aggraziato il davanzale della finestra di
Ichigo al primo piano, che lei aveva lasciato socchiusa.
Entrare in casa d’altri come una ladra non era sua abitudine,
ma quando era troppo era troppo. Assaporando il tepore della
casa, la ballerina scese le scale e posò le sue cose
nell'ingresso. Recuperò una copia delle chiavi per
sicurezza e uscì per riprendere Miki, ma quando
aprì la
porta scoprì che lui aveva tirato il guinzaglio fino a
strapparlo ed era corso via.
Rimase di stucco, perché lui non era il tipo da fare una
cosa del genere. Che cosa gli era preso?
Solo in quel momento Minto si accorse che anche i cani delle case
lì intorno adesso stavano abbaiando e ululando in modo
insopportabile, mentre quelli chiusi nei cortili grattavano sulle
staccionate e sui cancelli per uscire.
Erano tutti come impazziti.
“Ma che succede?” si chiese.
“E’ come se sentissero
qualcosa…”.
«Miki!» chiamò. Ripeté il suo
nome più volte, ma lui non ritornò.
Minto non poteva lasciare Miki fuori in quel posto sconosciuto, per cui si avventurò a cercarlo.
----
Poco dopo, Minto stava camminando nel parchetto a ridosso di
quel quartiere, deserto a causa del freddo e dell’ora tarda.
Il vento notturno portava storie terribili dal resto del mondo, storie
che gli alberi del parco afferravano e si raccontavano fra loro,
frusciando in modo angoscioso – ma la ragazza non diede loro
alcun
peso. Sapendo che Miki era abituato a giocare nel suo immenso giardino,
credeva possibile che si fosse rifugiato in uno dei cespugli piantati
lì e per questo era tutta presa dalla sua ricerca. Non
appena
sentiva qualcosa muoversi scattava in quella direzione; ma, ogni volta,
era solo il vento o un qualche animaletto notturno.
Minto percorse tutto il parco, inutilmente.
Proseguì allora nel quartiere successivo. Svoltato un
angolo, si
ritrovò in una strada scarsamente illuminata dai pochi
lampioni
sopravvissuti alle scorribande dei vandali. Sembrava proprio che quella
non fosse una zona tranquilla.
«Miki...?» chiamò piano, guardandosi
intorno.
Non ottenne risposta: quel posto sembrava come abbandonato ed era buio,
troppo buio. Minto era accanto alla vecchia saracinesca di
un’officina quando decise di lasciar perdere. Stava
già
tornando sui suoi passi quando sentì una voce maschile a
poca
distanza.
«Hai forse bisogno di aiuto, bambolina?»
Si girò e vide un uomo sui trent’anni, appena
sbucato da
un vicolo lì vicino. Lo squadrò e decise in un
attimo che non aveva
un’aria raccomandabile.
«No, grazie.»
Minto fece per allontanarsi, ma venne afferrata per le spalle da un
altro ragazzo che intanto le si era avvicinato di soppiatto.
Sussultò, presa alla sprovvista, me venne immobilizzata
prima di poter fare altro.
Un terzo uomo, più grande degli altri, raggiunse il gruppo.
«Guarda cos’abbiamo trovato, Tozaki,» gli
disse il
primo. «Sembra un uccellino spaventato. Non l’ho
mai vista
in questa zona.»
«Che ne facciamo?» chiese quello che teneva ferma
Minto.
Lei si guardò intorno: quella strada era vuota, e questo
significava che nessuno avrebbe potuto vedere o sentire nulla mentre
lei insegnava l’educazione a quelle persone a suon di calci.
«Se fai la brava bambina non ti accadrà
nulla,»
mormorò il tipo chiamato Tozaki, avvicinandosi. Era
evidentemente il capo del gruppo. Mentre lottava contro la nausea
dovuta all’alito d’alcool dell’uomo,
Minto
desiderò di colpirlo con una delle sue frecce.
«Lasciatemi andare
immediatamente,» ordinò ai tre in
tono autoritario.
Quelli risero. «Immediatamente o cosa, tesoro?»
Minto era in grado di vedersela con loro, ma prima doveva liberarsi. La
presa dell’uomo che le stava bloccando i polsi dietro la
schiena
sembrava d’acciaio e lei non riusciva a muoversi.
Se non fosse riuscita a liberarsi e neanche a raggiungere la sua
spilla, che cosa avrebbe potuto fare?
Cercò di divincolarsi ma Tozaki le mise le mani addosso,
toccando e tirando il cotone rasato della sua camicetta preferita.
Minto non riuscì a far nulla per fermarlo; fu in quel
momento
che provò per la prima volta paura.
L’amico, intanto, prese il suo cellulare e lo puntò
verso
la scena, che voleva evidentemente registrare. Ma di colpo
finì
a terra, dritto in una pozzanghera sporca, insieme al suo telefono.
“Ma cosa...?”
Minto sgranò gli occhi: a quanto pareva, a stendere il
tipaccio era stato un ragazzo.
«La vostra intelligenza media è molto
bassa,»
osservò il nuovo arrivato, raccogliendo il cellulare e
spaccandolo in due, «ma credevo che riusciste almeno a capire
le richieste di una
persona che parla la vostra stessa lingua.»
«Oh,» mormorò Minto. Non riusciva a
credere che
qualcuno fosse davvero intervenuto in suo soccorso; aveva sempre pensato che queste
cose accadessero solo nei film.
Quando Tozaki si tolse dal suo campo visivo, la ragazza
riuscì finalmente a vedere il volto del suo salvatore.
Non tardò a riconoscerlo. «Will?!»
sibilò
incredula. Che cosa ci faceva lì? E soprattutto, era stupido
a
sfidare da solo quegli uomini?
«Ti ho trovata, finalmente,» le disse lui con il
sollievo nella voce. «Ti ho cercata dappertutto.»
«Credo che tu non abbia compreso la situazione,
amico,» lo
interruppe tranquillo Tozaki, tirando fuori dalla tasca un coltello a
serramanico.
«Io credo di aver compreso benissimo,»
ribatté Will, scuro in viso, irrigidendosi.
Rimase immobile anche quando Tozaki gli fu addosso. Lui
cercò di
colpirlo, ma il ragazzo gli agguantò il polso della mano che
reggeva il coltello, bloccandolo quando la lama era ormai a pochi
centimetri dalla sua faccia.
«Potrà anche essere la tua fidanzatina,»
ringhiò l’aggressore, facendo forza per
distruggere la sua
difesa, «ma è capitata nel mio quartiere, per cui
ora
è mia.»
«Ti sbagli,» replicò calmo Will, «lei è mia.»
Fu in quel momento che Minto raggiunse ufficialmente il limite della
sopportazione. Approfittando della distrazione del malvivente che la
stava immobilizzando, gli pestò un piede con tutta la forza
che
aveva; lui imprecò e per la sorpresa allentò la
presa su
di lei, che ne approfittò per sgusciare via dalle sue mani
sudice.
«Tu, piccola…»
L’uomo fece per riafferrarla, ma Minto si gettò a
terra e
tese la gamba, effettuando una spazzata che fece perdere
l’equilibrio all’avversario.
Guardandolo ricadere sul marciapiede, la ballerina provò
un’immensa soddisfazione: lei non era un uccellino spaventato
né tantomeno il premio di qualcuno. Era una ragazza con
un’ottima educazione e un curriculum perfetto; studiava,
lavorava, parlava fluidamente due lingue ed aveva combattuto per anni
contro mostri e alieni di ogni tipo - per cui nessuno dei presenti doveva permettersi di trattarla in quel
modo.
La ragazza notò che Will, che aveva appena atterrato quel
Tozaki, ora la stava fissando impressionato: probabilmente non
immaginava che
fosse in grado di vedersela con un omaccione grosso il doppio di
lei. In effetti, forse aveva esagerato.
«Studio danza a livello professionale,» si
affrettò a spiegargli.
Mentre parlava, però, Minto si accorse che il primo dei suoi
assalitori, quello del cellulare, si era rialzato ed ora stava cercando
di colpire Will da un lato. Non ebbe il tempo di avvertirlo ma lui,
senza neanche voltarsi, afferrò il braccio
dell’avversario
e si portò dietro di lui, torcendogli l’arto fin
quasi a
spezzarglielo; mentre quello gridava dal dolore, Will lo fece volare a
terra come se fosse una piuma.
Si accorse che ora era Minto ad essere sbalordita.
«Ho…
frequentato dei corsi di combattimento sin da quando ero
bambino,» disse.
«Complimenti per la tecnica,» commentò
la ragazza,
accennando uno chaines per evitare l’energumeno che aveva
atterrato, che si era rimesso in piedi ed aveva tentato, inutilmente,
di prenderla alle spalle. Il tizio si squilibrò e
inciampò in avanti, in direzione di Will.
Lui gli portò una mano sotto il mento e si gettò
in
ginocchio a terra, trascinandolo con sé: la spina dorsale
dell’uomo descrisse un arco mentre lui finiva
scenograficamente a
terra, battendo la schiena e andando K.O.
«Anche a te per la tua.»
Quando Will rimise in piedi, raggiunse Minto e si fermò di
fronte a lei, che lo guardò come se lo stesse vedendo in
quel
momento per la prima volta.
Nessuno dei due riuscì a trovare le parole giuste da
pronunciare.
«O-Ora vi faccio vedere io,» sibilò
però
Tozaki, riprendendosi, «Romeo e Giuletta dei miei
stivali.»
I due ragazzi si accorsero troppo tardi che aveva tirato fuori dalla
giacca una pistola. Will non si aspettava un’arma del genere
e,
quando l’uomo premette il grilletto, d’istinto
cercò
di coprire Minto come poteva. Il delinquente non aveva una gran mira,
ma quando sparò il sangue di Will schizzò sulla
camicetta
di Minto.
Lei non aveva sentito il rumore dello sparo; non si era neanche resa bene conto di cosa era successo.
Indietreggiò spaventata mentre vedeva il suo salvatore
cadere
sulle gambe stringendosi un punto poco sopra il gomito destro.
«Colpa mia,» mormorò lui, mordendosi il
labbro inferiore. «Distrarsi durante uno scontro è
il modo
più facile per farsi ammazzare.»
«Oh, mi assicurerò che tu abbia imparato per bene
questa lezione, stronzetto.»
Will digrignò i denti mentre Tozaki si rimetteva in piedi e
gli
puntava la pistola contro; ma, un attimo dopo, quest’ultimo
venne centrato in fronte da una
bottiglia vuota e crollò a terra svenuto. Rimase stupefatto nel rendersi conto che era stata Minto a
lanciarla.
La ragazza corse a prendere la pistola e la gettò il
più
lontano possibile da lì per sicurezza. Centrò un
secchio
dell’immondizia dietro cui saltò fuori Miki, che
le corse
incontro.
Lei lo prese in braccio e lo strinse forte. Le veniva da piangere.
«Ottima mira,» si complimentò Will,
rialzandosi in
piedi. Poi si accorse che c’era qualcosa che non andava in
Minto: era rabbuiata e nervosa, aveva i vestiti rovinati e gli occhi
che le
luccicavano per le lacrime che stava cercando di trattenere in tutti i
modi.
Qualunque cosa si era creata pochi secondi fa fra di loro, ora era del
tutto scomparsa.
«Minto…» provò, accigliato.
«Ti avevo detto di non seguirmi,» lo interruppe
lei brusca.
«Io non ti stavo seguendo!» protestò lui.
«Ti hanno sparato,» constatò allora la
ballerina con voce ben poco ferma.
Will osservò la sua ferita, che aveva formato una larga
chiazza
rossastra sui vestiti. Era per questo che Minto era così
arrabbiata?
«Non è nulla,» la rassicurò.
Il sangue gli scivolava lungo il polso e gocciolava a terra
ai suoi piedi. Minto lo vide e parve stabilire che una cosa del genere
non poteva essere classificabile come nulla.
«Dovresti andare
all’ospedale.»
«Già.»
«Non lo farai, vero?»
«No.»
La ragazza rimase ferma per molti secondi, ma alla fine
sospirò e
posò a terra Miki. Estrasse un fazzoletto di seta da una
delle
sue tasche; Will la
guardò male, ma la lasciò ugualmente avvicinare e
si
lasciò annodare quella stoffa costosa sul punto ferito.
«Non ho intenzione di lasciarti qui in questo stato. Sono a
casa
di una mia amica che abita poco lontano da qui. Vieni con me,
controllerò le tue condizioni.»
Lui non rispose, ma catturò la sua occhiataccia quando lei
aggiunse un: «Se provi a fare o dire qualcosa di strano ti
faccio
fare la fine di questi signori.»
A quel punto, sorrise. «Non ne dubitavo.»
----
Qualche minuto dopo erano a casa di Ichigo. Di lei ancora neanche
l’ombra, ovviamente: non c’era mai nel momento del
bisogno,
ma in fondo Minto non avrebbe saputo come spiegarle la situazione, per
cui forse era meglio così.
Fece sedere Will sul divano del soggiorno e gli lasciò
accanto
il kit di primo soccorso che aveva recuperato da un mobile. Poi si
allontanò per andare a lavarsi e disinfettarsi le mani prima
di iniziare.
Minto si sentiva tremendamente in colpa: pur essendo una Mew Mew, si
era comportata da sciocca e per colpa della sua disattenzione aveva
quasi fatto ammazzare quel ragazzo innocente.
Il suo malessere aumentò quando, mentre si stava strofinando
le
dita con il sapone, scorse nel suo riflesso allo specchio alcune gocce
di sangue finite sul suo viso. Se le sciacquò via
rapidamente.
Andò ad indossare al volo una maglietta pulita e poi si
attardò a cercare fra le cose che aveva portato con
sé in
casa di Ichigo qualcosa anche per Will. Fortunatamente, aveva
conservato in una valigia un paio di completi di suo fratello che non
aveva avuto il cuore di abbandonare nella sua vecchia casa.
Prendere dei vestiti puliti non era realmente un’urgenza, ma
Minto voleva rimandare il più possibile ciò che
sarebbe
avvenuto di lì a poco. Infatti, lei non aveva la minima idea
di
come trattare una ferita da sparo. In genere, quando lei e le sue
amiche necessitavano di medicazioni era Keiichiro a prendersi cura di
loro: forse poteva chiamare lui?
La ragazza afferrò una camicia bianca di cotone e decise che
avrebbe provato almeno a valutare la situazione. Quando
tornò
nel soggiorno, però, scoprì che Will era a torso
nudo:
arrossì di botto e si appiattì dietro la porta
del
corridoio, nascondendosi.
Cercò di calmarsi e ragionare: se doveva constatare le
condizioni della sua ferita doveva vederlo senza maglietta, per cui era
inutile fare tutte quelle storie; per cui, tratto un profondo respiro,
entrò determinata nella stanza, ma solo per restare a bocca
aperta nello scoprire che Will
stava finendo di medicarsi da solo.
Il ragazzo aveva pulito e disinfettato la ferita, si era assicurato di
fermare il sangue e aveva annodato una garza sterile sul punto ferito,
aiutandosi con i denti.
«Visto? Non era nulla di grave,» le disse con
noncuranza, rimettendo a posto il resto dei medicamenti.
Cercando di guardarlo il meno possibile, la ragazza gli tese la camicia
e lui la prese. Nell’infilarsi la manica destra fece una
piccola
smorfia di dolore, ma non disse nulla e Minto fu lieta che la
situazione fosse meno seria del previsto.
Il ragazzo si infilò la camicia senza problemi; solo che si
fermò lì, per cui quando Minto lo
guardò di nuovo
vide che aveva ancora metà del petto e degli addominali in
bella
vista.
«Devi abbottonarla,» gli ricordò,
imbarazzata.
Lui osservò il lembo di stoffa su cui erano cuciti i
bottoni.
«Questi? Li ho già visti da qualche
parte,»
mormorò pensieroso, e Minto si chiese se stesse scherzando.
Will cercò di chiudere i bottoni, ma faceva fatica a muovere
la mano destra a causa della ferita ed inoltre nel sistemare il primo
prese l’asola sbagliata.
«Non così,» osservò Minto.
Lui le lanciò un’occhiata spaventata, e fu allora
che lei perse la pazienza.
«Oh, santo cielo,» sospirò esasperata
sedendoglisi accanto per aiutarlo. Mentre le sue dita posizionavano un
bottone dopo l’altro evitando accuratamente toccare altro,
Minto si accorse che Will la stava annusando.
Lo guardò scioccata. Seriamente?
Si chiese.
«Ho già sentito questo profumo da qualche
parte,» osservò lui, non cogliendo il suo
sconcerto.
«Non credo, è Hermes. Hai idea di quanto costi un
profumo
di Hermes? Lo indossano solo nell’alta
società,»
rispose lei con una certa altezzosa nonchalance, mantenendo la sua
dignità mentre
terminava il suo lavoro. Gli sistemò il colletto ma decise
di
non chiuderglielo: in fondo, non aveva preso una cravatta.
«Sei anche tu una principessa?»
«Anche
io? Conosci una principessa?»
Will mosse la testa verso di lei: aveva uno sguardo penetrante ed erano
così vicini che Minto poteva sentire il suo respiro sulle
labbra.
Lei arrossì.
«No, è solo una sciocca,» rispose lui
rivolgendole
un mezzo sorriso, senza reale interesse per quella conversazione.
Calò il silenzio e Minto si accorse solo in quel momento che
stava tenendo le mani sui lembi della camicia del ragazzo anche se
ormai non ce ne era più bisogno. Le tirò via di
scatto
come se avesse preso una scossa di elettricità.
«Posso
offrirti una fetta di torta?» chiese e, senza aspettare una
risposta, si allontanò rapida verso l’angolo
cucina dall’altra
parte della stanza.
“Ma che cosa mi succede?” pensò,
spacchettando meccanicamente il suo
dolce. Si sentiva le guance bruciare e cuore palpitare nel petto come
impazzito.
Si domandò per quale assurdo motivo adesso una sola
occhiata di quel tipo la facesse sentire
così su di giri. Certo, questa era già la seconda
volta
che le salvava la vita; era forte e aveva un bel fisico.
Realizzò che era simile a quello di Ai,
così come il modo in cui si muoveva in combattimento. Minto
si chiese se era per questo che aveva iniziato a trovare Will
così interessante.
Sì,
ora che lo aveva visto in azione non poteva negare che Will somigliasse
davvero tanto ad Ai, ma la sua voce era
più profonda e i lineamenti del viso erano diversi,
così come gli occhi ed i capelli. E soprattutto, lui non
le aveva mai rivolto lo
sguardo irato o gelido che le riservava quell’alieno,
né quello
avido che aveva visto brillare negli occhi dei suoi assalitori.
C’era una sorta di purezza in lui; era un tipo bizzarro,
soprattutto quando recitava cose a caso, ma non sembrava una cattiva
persona.
Mentre
l’odore familiare del pan di spagna al cioccolato fondente
si diffondeva nell’aria, Minto si chiese come doveva comportarsi con lui. Non aveva idea di cosa le stesse dicendo il suo corpo o di cosa
era giusto fare; non capiva neanche cosa voleva realmente e questa cosa
la confondeva.
Guardò
Miki, che ora dormiva beato su un cuscino: almeno lui se
la stava passando bene. Notò poi che Will,
dall’altra
parte della stanza, ora si stava osservando i polsini della camicia con
aria corrucciata, come se non avesse mai indossato nulla di simile:
sembrava un pesce fuor d’acqua, e contro ogni
razionalità
Minto si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, quella sua
strana ingenuità era graziosa.
Decise di lasciar perdere tutti quei pensieri e rilassarsi.
«Hai intenzione di fare così per tutta la
sera?» domandò al ragazzo, tornando da lui.
Lui si imbronciò e abbassò il braccio.
«Io faccio quello che voglio.»
Anche quella frase era molto da Ai, pensò Minto.
Posò il vassoio con la torta, un coltello, una palettina da dolci e un
piatto
sul tavolino di fronte al divano.
«Stai facendo cose strane,» commentò.
«Parli tu. E’ tua abitudine frequentare quel tipo
di compagnia?»
«Non frequento quei posti! Ero lì per colpa della
mia amica.»
«Che coincidenza… anche io ero in giro per colpa
di amiche.»
Minto inarcò un sopracciglio.
«Avevo un impegno di lavoro con loro,»
continuò il
ragazzo in tono vago. Guardò il dolce e poi
lanciò
un’occhiata in giro. «Ma questa è una
notte
così speciale che ho deciso di prendermi una
pausa,»
concluse dopo alcuni secondi.
Visto che Minto lo stava fissando,
puntò un dito verso il cielo che si vedeva dal balcone che
era davanti a loro. «Voglio dire, non vedi anche
tu qualcosa di diverso stanotte, nel firmamento? O forse…
è la tua presenza che lo rende così vivido e
brillante?»
«Credo che tu ora debba andare, Will,»
replicò pronta la ballerina.
Lui scoppiò in una risata. «Scherzavo. Ho capito
che non
apprezzi questo tipo di comunicazione. Meglio così, non
credo sia il mio forte.»
Minto si sentì come se qualcuno le avesse appena rovesciato
un secchio d’acqua in testa.
«Cosa? Quindi quando parlavi in quel modo… tu
recitavi?»
«Sì,» rispose lui con innocenza.
«Vuoi dire che mi hai preso in giro per tutto questo
tempo?!»
Will parve intuire il pericolo. «No, io ero
sincero,» si
difese ma era troppo tardi, perché Minto si era arrabbiata
di
nuovo.
«Mi stai dicendo che ti fingevi matto? Ma che cosa ti salta
in mente?!»
«Non mi fingevo matto! Io sono una persona tremenda. Mi sono
innamorato di te e ho pensato che l’unico modo per non
spaventarti fosse emulare qualcosa di perfetto!»
Era così convinto e sincero mentre pronunciava quelle parole
che Minto spalancò gli occhi per lo stupore.
C’era qualcosa di surreale in quel ragazzo: sembrava uscito
da un film d'azione ma non sapeva come parlare rispettosamente o come vestirsi; non aveva la minima idea di come
funzionassero le interazioni sociali in una società civile.
Era
davvero come un alieno e lei semplicemente non poteva essere arrabbiata
con una persona così.
«W-Will, tu…non devi emulare nessuno,»
gli disse,
ignorando la prima parte del suo sfogo. «Devi essere te
stesso.»
«Non posso.»
«Ma perché? Insomma, non hai l’aria di
essere così terribile!»
Lui fece una smorfia frustrata. «”Ci sono molte più
cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne dica la tua
filosofia,”» recitò.
Lei sospirò. «Il mio nome è
Minto,» gli fece notare accomodante, allungandogli una fetta
di torta, «e non mi sembra
il caso di scomodare l’Amleto per queste cose.»
Will prese il piattino che lei gli stava tendendo senza replicare;
sembrava colpito dal fatto che avesse riconosciuto la citazione, per
cui la ballerina decise che quello era il momento adatto per insistere
sul concetto che stava tentando di spiegargli.
«Io credo che ognuno di noi sia ciò che fa, non
ciò
che pensa di essere. Tu ti sei messo contro tre persone armate per
aiutarmi e mi hai fatto scudo con il tuo corpo. Certo sei anche uno
stalker e sono davvero tentata di denunciarti, ma a parte questo non
vedo perché dovresti essere cattivo,» concluse,
sedendo
compostamente all’altro lato del divano.
Lui non rispose, ma assunse un’aria pensierosa e
abbassò
lo sguardo sul dolce che aveva tra le mani. Ne prese una forchettata e
Minto restò in attesa che lo assaggiasse: quella era la sua
torta migliore ed era sicura che gli sarebbe piaciuta. Qualcosa dentro
di lei le diceva che se l’avesse mangiata, sarebbe andato
tutto
al posto giusto.
Lo vide portarsi alla bocca un quadratino di cioccolato, ma alla fine
abbassò la forchetta.
«Ti sbagli,» dichiarò Will.
«Perché?» domandò lei, delusa.
«Perché non sai come sono realmente, per cui non
puoi
conoscere le motivazioni delle mie azioni. Potrei averti mentito;
potrei aver fatto tutto questo solo per guadagnarmi la tua fiducia e
farmi condurre da te in questo posto, dove siamo soli. Potrei farti del
male adesso.»
«No, non lo farai,» ribatté tranquilla
Minto.
Lui le sorrise provocatorio. «Perché non sono cattivo?»
«Sì,» rispose lei, «ma anche
perché sai
perfettamente che se provassi a fare qualcosa di sbagliato, afferrerei
il coltello qui di fronte a me e ti infilzerei la mano. La torta era
già tagliata, ma io ho portato lo stesso un coltello; tu
l’hai notato e hai istintivamente hai studiato la stanza,
cercando una via di fuga o forse qualcosa per difenderti in caso di
necessità,» spiegò con calma.
«Ma sono certa
che non ci sarà bisogno di nulla di tutto questo,
perché
tu non hai intenzione di farmi del male,» concluse poi con un
sorriso.
Will sbatté le palpebre un paio di volte.
«Io…
pensavo che fossi un dolce angelo indifeso, invece sei vagamente
inquietante,» ammise alla fine.
«Sono una persona dolcissima,» replicò
la ballerina
continuando a sorridergli; ora sembrava davvero inquietante.
Dopo qualche secondo di incertezza lui scosse la testa e rise piano,
divertito.
Poi gli venne un’idea improvvisa e increspò le
labbra in
un ghigno. Se lei voleva giocare, perché non poteva farlo
anche
lui?, pensò. Posò il dolce e si alzò
dal suo posto,
andandole vicino.
Prima che lei potesse fare qualcosa, mise un ginocchio nello spazio fra
le gambe della ragazza e poggiò il palmo della mano sinistra
sullo schienale del divano, bloccandola.
«E-Ehi!» protestò lei.
«Allora?» le domandò Will, mentre il
sorrisino maligno
sulla sua faccia si espandeva. «Sostieni di essere padrona
della
situazione, ma allora perché non c’è nessun coltello
nella mia
mano, Minto?»
Il modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome fece rabbrividire
la ragazza, ma non era una sensazione del tutto spiacevole. Lei sapeva che per liberarsi da quella situazione le sarebbe bastato
spingerlo via, ma non lo fece. Si chiese il perché.
«Non so. Forse perché non stai facendo niente di
sbagliato,» rispose d’istinto, lasciandolo
spiazzato e
spiazzando persino sé stessa.
Sollevò appena la testa per guardarlo: ora lui non
sorrideva più e non accennava a ribattere né a
spostarsi
da lì. A lei non importava: aveva appena realizzato che in
fondo
non le dispiaceva averlo così vicino.
D'un tratto, Will si allontanò
da lei e sbuffò una risata rassegnata.
«Mi hai battuto di nuovo,» le disse.
«Noi...non stavamo combattendo.»
«No? E cosa stavamo facendo allora?»
Quella era una bella domanda. Minto ci pensò su ma l'unica risposta
che le veniva in mente era il verbo flirtare,
che non gli avrebbe detto neanche se lui l'avesse torturata.
Per fortuna, il trillo allegro del suo cellulare le venne in aiuto.
«Oh, è il mio,» mormorò,
alzandosi e andando a recuperare il telefono dalla borsetta.
Aprì il flip con
molta calma, lesse il nome della persona che la stava chiamando e poi
rispose.
«RAZZA DI SFATICATA!» gridò al
microfono, facendo
sobbalzare Will. «Si può sapere dove diamine ti sei
cacciat-»
«Minto. Sono
io, Zakuro,» la interruppe una voce ferma
dall’altra parte.
La ballerina ammutolì, facendosi di mille colori.
Desiderò di morire lì e adesso.
«Ci sono problemi?» le chiese Will.
Lei emise una risatina nervosa. «No, no, perdonami.»
«Pronto? Ma
con chi stai parlando?»
«Scusami Zakuro, pensavo fosse…»
«Lascia stare,
non c’è tempo per questo,»
la interruppe
la modella dall’altro capo del telefono. «C’è
un’emergenza.»
«E’ successo qualcosa?»
«Non quello
che pensi tu, ma abbiamo un problema…anzi, quattro.»
«Non
ricominciate con quel dannato quattro!»
gridò una voce lontana, che a Minto parve di riconoscere.
Stava per chiedere chi fosse, quando sentì un gran caos, e
Purin strillare qualcosa.
«Io NON sono
tornato perché mi mancavi!»
sentì dire da un’altra voce familiare. «Stupida
mocciosa!»
Tutto questo le ricordava qualcosa…
Zakuro riprese il controllo della situazione. «Siamo a casa di Purin,
raggiungici subito. Ti spieghiamo tutto qui.»
«O-Ok, arrivo,» annuì Minto, terminando
la
telefonata. «Mi dispiace,» disse poi a Will,
«una
mia amica sta avendo una… situazione. Devo andare.»
Lui in quel momento non le stava prestando attenzione: nel tornare a
sedersi, aveva premuto per errore un tasto del telecomando, facendo
accendere la televisione che ora stava mostrando delle preoccupanti
breaking news dal resto del mondo: terremoti, inondazioni, eruzioni e
aperture di voragini. Quando Minto le vide, impallidì.
«Santo cielo, ma… che cosa sta
succedendo?»
«Non ne ho
idea. Il mondo
è fuor
dai cardini,» rispose il ragazzo, passandosi una mano dietro il collo.
Minto distolse lo sguardo dalla televisione. «Will, tu...
dovresti
davvero fare qualcosa per questa tua mania di citare l’Amleto
senza motivo.»
«Ma… Ma non è senza motivo!»
«Può darsi, ma potresti comunque
evitarlo.»
«Non
puoi darmi ordini, Minto.»
«Non
è un ordine, è solo un consiglio.»
Lui le
lanciò un’occhiata stranita e poi
alzò le mani in segno di sconfitta. «Come vuole, mia
signora. Comunque devo andare anche io ora, continueremo
un’altra
volta.»
Minto incrociò le braccia al petto. «Continuare cosa? Questa serata è stata
un’eccezione. Avevo un debito con te, ma ora siamo pari.
Inoltre, mi sto già vedendo con una certa
assiduità con una persona che mi interessa,»
spiegò. Tecnicamente parlando, non era neanche una
bugia.
Will la raggiunse e le si fermò proprio davanti.
«Capisco. Allora mi dispiace per questo.»
«Per cosa?»
Un attimo dopo, Minto si ritrovò le labbra del ragazzo
premute a tradimento sulle sue.
Fu un bacio leggero, che durò forse troppo poco
perché lei potesse provare realmente qualcosa. Ma nonostante
questo, quando Will si staccò da lei, Minto rimase immobile
per lo shock.
Lui
le rivolse un sorrisino e la superò, dirigendosi verso la
porta
d’ingresso.
«E-Ehi, Will!» lo chiamò però
la ballerina.
Lui
si fermò sulla soglia. «Che
c'è?»
«Credo
di aver commesso un errore nel giudicarti una brava persona,»
ammise Minto, continuando a dargli le spalle.
Lui
curvò le labbra in un ghigno. «Sì,
avevo
tentato di avvertirti,» rispose con finta noncuranza prima di
andar via.
Mentre sentiva il rumore della porta che si chiudeva, Minto si
toccò le labbra.
Un tipo strano che conosceva appena le aveva appena rubato il suo primo
bacio. E non lo avrebbe mai ammesso, ma non le era dispiaciuto.
++++
Note:
Ho come l'impressione che...gettare via una pistola carica sia
abbastanza pericoloso.
|
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Capitolo 38 *** Transizione di fase ***
26
30/11/2014: Queste pagine sono state
particolarmente dure da domare. >_>
Note della revisione: Per dirla in
breve, ho
revisionato e fuso insieme gli ex capitoli "Insieme (2)" e "Incenso e
pietre preziose" e li ho chiamati "Transizione di fase", because
reasons. A causa di ciò (e del pochissimo tempo che sto
avendo per dedicarmi alla fanfic), questo capitolo è pieno
di cambi di scena e di punti di vista; non sono sicura di aver
gestito bene il tutto, ma ci ho provato. :°°°(
E poi ho fatto un PICCOLO cambiamento di
programma e aggiunto, non so perché, roba sentimentale *hissa come un
vampiro che viene colpito dalla luce del giorno*.
Ma passando alle cose belle! Volevo ringraziare Fan of The Doors, Angelobiondo99 e Mobo:
quando l’altro giorno ho visto le vostre recensioni
così
incoraggianti e dolci mi sono venute le lacrime agli occhi per la
commozione. ;____;
Ero incagliatissima (in origine volevo revisionare questo capitolo a
metà dicembre, sperando che nel mentre mi sarebbe venuta
un'illuminazione), ma le vostre parole mi hanno fatto tornare la carica
e sono riuscita a terminarlo ieri notte. D:
Quindi grazie, grazie di cuore! ;____;
- Capitolo 36: Transizione di fase -
Ichigo, Retasu,
Zakuro, Cherry e gli alieni si erano tutti radunati nella sala
d’ingresso della casa di Purin.
L’abitazione
dell’esuberante biondina era diversa da quella delle altre
ragazze in quanto era stata realizzata per ricordare la Cina, il suo
paese natale, in ogni minimo dettaglio; purtroppo, però,
l’arredamento e le suppellettili erano ridotte al minimo
perché Purin aveva ampiamente sperimentato che è
impossibile tenere oggetti delicati in bella vista quando si vive con
dei bambini iperattivi come i suoi fratellini.
Fortunatamente,
essendo notte, ora loro stavano dormendo al piano di sopra.
Quando
poco prima Mew Ichigo era stata trasportata lì e aveva visto
Kisshu materializzarsi insieme a Zakuro e a una pallidissima Retasu, il
suo cuore aveva dato un balzo.
«Cosa…Cosa
ci fai tu qui?» gli aveva chiesto, mentre lui faceva scorrere
lo sguardo confuso da lei a Cherry.
«Felice anche io di
rivederti, micetta,» le aveva risposto lui a quel punto con
un sorrisino.
Prima
che lei potesse ribattere, un’aliena che Ichigo non aveva mai
visto in vita sua si era fatta avanti. «Voi due dovete essere
le
altre mew mew,» aveva detto in tono amichevole alle nuove
arrivate, tendendo loro la mano. «Piacere, io sono
Chris.»
Zakuro
le aveva rivolto uno sguardo torvo e si era allontanata da lei,
raggiungendo il lato opposto della stanza e appoggiandosi con le spalle
accanto alla finestra aperta.
Mew
Ichigo, invece, l’aveva squadrata da capo a piedi con aria
scioccata, e il suo shock si era duplicato quando aveva notato che,
alle spalle di Chris, una seconda aliena sconosciuta la stava fissando
incuriosita. Era più bassa di lei sembrava molto emozionata
per
un qualche motivo ignoto.
Accorgendosi di avere gli occhi
di Mew Ichigo puntati addosso,
l'aliena si era affrettata ad esclamare goffamente, «Veniamo
in
pace!». Un attimo dopo però era arrossita ed aveva
aggiunto, «Voglio dire… Il mio nome è
Imago.
E… veniamo in pace.»
Kisshu
aveva tossicchiato. «Sì ragazze, lei è
Ichigo,» aveva spiegato, intromettendosi in
quell’imbarazzante discussione. «Invece quella che
vi sta
guardando come se volesse mangiarvi a morsi è Zakuro. E
quest’altra è… un’altra
Ichigo?!»
«Cherry,» si
era presentata la professoressa, chinando la schiena un lieve inchino.
«Non preoccupatevi di me, je suis juste un
personnage secondaire.»
Chris
aveva indietreggiato di qualche passo fino a raggiungere Taruto ed
aveva studiato pensierosa le quattro ragazze umane. «Sono
sono
state davvero loro ad aver sconfitto Profondo Blu?» aveva
sussurrato al bambino alieno.
Lui
aveva scrollato le spalle. «Già. Sembrano un
po’
così, ma se la cavano sempre. Tranne lei, che è
inutile,» aveva risposto indicando Purin.
La
biondina aveva gonfiato le guance, mettendo su il broncio.
«Sei
cattivo, Taruto. Anche se ora sei più alto di me, non hai il
diritto di trattarmi male.»
«Lo sto facendo,
invece. E, sì, in questi mesi sono diventato più
alto di te!»
«Posso ancora
batterti.»
Taruto aveva incrociato le
braccia. «Non ci riusciresti mai,» aveva dichiarato.
Un
secondo dopo, Taruto era stato scaraventato a terra da una mossa di
arti marziali di Purin, con cui aveva ricominciato a litigare subito
dopo.
«Dì
un po’ Ichigo, hai cambiato stile?» aveva intanto
chiesto
ironico Kisshu alla ragazza gatto, facendola sussultare per la sorpresa.
Senza
capire il senso della sua domanda, lei aveva seguito il suo sguardo,
accorgendosi che Kisshu si stava riferendo al suo vestito rosa,
stropicciato e strappato in più punti a causa del suo ultimo
scontro. La ragazza aveva sciolto quindi la trasformazione, tornando
normale.
«Hai
combattuto?» le aveva domandato Retasu. «Stai bene,
Ichigo?»
Lei aveva abbassato gli occhi a
terra. «Io, io non voglio parlarne,» aveva detto.
Zakuro le si era avvicinata.
«Cos’è successo?»
«Una
sua compagna di scuola è stata uccisa,» aveva
spiegato a
quel punto Cherry, abbattuta. «E’ ancora molto
scossa.»
«Che COSA?!»
«Ragazze,
dov’è Minto?» aveva domandato allora
Ichigo, cercando di sviare il discorso.
«E’
colpa mia,» le aveva risposto Imago, alzando appena la mano.
«Dovevo andare a prenderla io, ma non sono riuscita ad
orientarmi
nella vostra città.»
«Com’è
possibile? Il teletrasporto è la cosa più facile
del
mondo!» le aveva fatto notare Kisshu,. «Davvero,
sei un
disastro,» aveva concluso poi, sospirando.
Nel sentire quelle parole, Imago
aveva assunto un’aria desolata ma non aveva replicato nulla.
«Non
fa niente, la chiamo io e le dico di venire qui,» si era
intromessa rapida Ichigo, prendendo il suo cellulare. Aveva cercato di
comporre il numero della sua amica con dita tremanti, ma alla fine era
stata Zakuro a concludere l’operazione per lei.
La modella aveva detto a Minto
di raggiungerle immediatamente, e poi aveva restituito il cellulare
alla sua compagna.
Erano trascorsi
solo pochi
minuti da quella telefonata quando Ichigo, riacquistato un
po’ di
colore dopo aver bevuto una tisana che Purin aveva preparato per lei,
disse al gruppo di alieni: «E quindi, perché siete
tornati
qui? E dov’è Pai?»
Kisshu
sospirò. «E’ una lunga storia.»
Ichigo si
accomodò sul divano che Purin teneva di fronte alla
televisione. «Beh, prova a riassumercela.»
L’alieno
grugnì
con disappunto e si lasciò cadere anche lui sul divano,
meditando sul modo miglior per sintetizzare le surreali avventure che
avevano vissuto negli ultimi mesi. Ci fu un silenzio molto lungo.
«Allora,» cominciò infine,
«tutto è
iniziato quando siamo tornati sul nostro pianeta…»
--
--
Minto si
trasformò
non appena fu sicura che Will si fosse allontanato. Uscita di casa,
cominciò a saltare di tetto in tetto per raggiungere il
più velocemente possibile la casa di Purin.
Era
già a metà
strada quando notò delle luci lampeggianti brillare nelle
vicinanze del Cafè Mew Mew. Le parve strano, per cui
deviò il suo percorso per andare a vedere che cosa stesse
succedendo.
Una volta
raggiunto il
locale, Mew Mint scoprì che le luci erano tutte accese e che
vi
erano due macchine della polizia e un’ambulanza parcheggiate
nel
parco antistante. Sempre più stupita, si nascose dietro il
gruppetto di alberi più vicino al portone
d’ingresso per
studiare la situazione.
Da quella
posizione Mew Mint
riuscì a scorgere sulla soglia del locale alcuni agenti di
polizia che discutevano fra di loro mentre un terzo, intanto, stava
stendendo dei nastri gialli su ogni finestra. Con sommo orrore, infine,
la mew mew vide due paramedici portare fuori quello che era senza ombra
di dubbio un cadavere.
Alla vista del
sacco grigio
in cui era contenuto il corpo, Mew Mint inorridì e
indietreggiò di un passo, facendo scricchiolare un ramo
secco
sotto i suoi stivali; il rumore attirò
l’attenzione di un
quarto agente che stava esplorando i dintorni e che si girò
di
scatto nella sua direzione.
Il cono di luce
della torcia
elettrica che il poliziotto stringeva in mano la colpì
dritta in
faccia e lei, momentaneamente accecata, si portò una mano
sul
viso per proteggersi gli occhi.
«E-Ehi!»
balbettò sconvolto l’agente. «Tu sei una
di quelle mew mew?!»
Mew Mint gli
lanciò un’occhiata spaventata e fuggì
senza dire una parola.
«FERMA!»
le gridò quello. «ASPETTA!»
Provò
ad inseguirla, ma lei riuscì a far perdere rapidamente le
sue tracce grazie ai suoi poteri.
Senza riuscire
a credere a
cosa aveva appena visto, Mew Mint percorse i pochi chilometri che la
separavano dalla sua meta in brevissimo tempo, ma
atterrò nel giardino della casa di Purin con molta
meno
delicatezza del solito.
Si sentiva
rabbrividire e aveva la testa svuotata da ogni pensiero.
Sciolta la
trasformazione, andò a bussare alla porta principale.
«Minto!
Stai
bene!» strillò Purin saltandole in braccio quasi
nello
stesso istante in cui aprì la porta. La trascinò
dentro
casa, e a quel punto fu il turno della ballerina di restare sbalordita
dalla presenza dei loro vecchi ex nemici.
«Taruto
e Kisshu sono
tornati per aiutarci a combattere,» le spiegò
Purin con
molta eccitazione. «E hanno portato con loro delle
amiche!»
Minto
sbatté le
palpebre un paio di volte. Impiegò parecchi secondi per
assorbire quelle informazioni, e quando Chris e Imago le si
presentarono non fu ben sicura di aver compreso i loro nomi.
«Io… posso chiedervi di spiegarmi… che
cosa
succede?» domandò alla fine, rivolgendosi alle sue
compagne. «C’era la polizia al locale.
C’era
un… morto.»
«Era
Marie,» si
decise infine a rivelare tristemente Ichigo, attirando su di
sé
l’attenzione di tutto il resto del gruppo. «Non era
una
ragazza normale. Mi ha salvato la vita. Mi ha detto che il nostro
pianeta correrà un grave pericolo.»
«Correrà?»
ripeté Minto, non del tutto in sé stessa.
«Ma non
avete visto il telegiornale? Sta accadendo adesso, il mondo intero
sembra impazzito! Che cosa dobbiamo fare? Dove sono Ryo e
Keiichiro?»
«Ho
cercato di
localizzare quei due, ma non ci sono riuscito,» le rispose
Kisshu, grattandosi la testa. «E Pai è rimasto sul
nostro
pianeta. Sembra che stavolta dovremo vedercela senza i cervelloni del
gruppo.»
«Minto,
sembra che
ciò che sta accadendo nel mondo sia collegato alla comparsa
imminente di un essere chiamato Messia. Vuole distruggere la Terra, e
Kisshu e i suoi amici dicono di essere qui per aiutarci a
fermarlo,» le riassunse Zakuro.
«Come
sarebbe,
‘dicono’?!» si intromise costernato
Taruto.
«Hai sentito o no quante ne abbiamo passate per arrivare fin
qua?!»
La modella
strinse le labbra
e non rispose. Sul suo volto era dipinta un’espressione di
gelido
sospetto e lo stesso sentimento, anche se in misura minore, sembrava
serpeggiare anche nel resto del gruppo di eroine.
«Ma
davvero, cos’avete che non va?» sbuffò
spazientito Taruto.
«Non
è che non
vogliamo credervi,» osservò Retasu, «ma
potreste
dirci, per favore, in che rapporti siete con la principessa
Kassandra?»
Sentendo quel
nome, Imago sobbalzò.
«Chi?!»
esclamò Taruto.
«La
squinternata che ci sta attaccando da mesi, tentando di conquistare il
pianeta,» sbuffò Minto.
«Conquistare
il pianeta?!»
«Già,»
commentò Zakuro in tono sprezzante. «Mentre voi vi
divertivate con i vostri indovinelli noi abbiamo combattuto contro di
lei, e a questo punto mi chiedo se in verità non siate
venuti a
darle manforte.»
«Noi
non abbiamo nulla a che fare con lei!» dichiarò
Kisshu, sulla difensiva.
«Beh,
relativamente nulla, visto che è mia sorella,» si
lasciò sfuggire Imago.
Kisshu le diede
una gomitata sul braccio.
«Cosa?»
scattò Purin. «Tu sei sua SORELLA?!»
«Sì,»
ammise Imago, e poi trasse un sospiro di sollievo. «Credevo
fosse
morta. E’ viva, per fortuna.»
«Ha
ucciso delle persone,» le disse Zakuro, scura in volto,
facendola impallidire.
«Perdonami…
Imago, vero? – ma tua sorella è una
psicopatica,»
aggiunse Minto. «Ha quasi fatto ammazzare Retasu
l’ultima
volta!»
Sgomenta,
l’aliena si
girò di scatto in direzione della ragazza dai capelli verdi,
che portò le mani avanti a sé e le
agitò
rapidamente, sorridendo nervosa. «Non preoccuparti, alla fine
non
è successo nulla!» minimizzò.
Imago trasse un
respiro
avvilito. «Sono desolata, Retasu. Se ti può essere
di
consolazione, Sandra ha cercato di uccidere anche me una
volta,»
le rivelò.
Kisshu, accanto
a lei, le lanciò una strana occhiata.
«Davvero?»
«Forse
qualcuna in
più,» confessò l’aliena
grattandosi una
guancia, e Kisshu alzò gli occhi al cielo.
«Lasciatela
stare
ragazze, non la vedete? Imago è il contrario di
Kassandra,» intervenne a quel punto Ichigo, placando gli
animi.
«Grazie,»
le disse lei in risposta.
La rossa scosse
la testa e
si alzò in piedi, andandole davanti. Era seria in una
maniera
che le era del tutto estranea quando le disse, «Non sei come
tua
sorella, ma è stata lei a far uccidere Marie, e io non posso
perdonarla per questo. Ho intenzione di combattere contro di lei e di
fermarla. Tu da che parte stai?»
Imago sostenne
lo sguardo di
Ichigo: era grave, sofferente ma determinato. Fu in quel momento che
l’aliena la vide per la prima volta come la leader terrestre.
Quella ragazza, realizzò, era bella, forte, coraggiosa e
combatteva come una vera guerriera per la salvezza dei suoi amici e per
il pianeta Terra: non ebbe dubbi sul perché Kisshu si fosse
innamorato di lei a prima vista. «Le voglio bene, ma so che
ha
commesso degli errori terribili,» le rispose. «Ti
prego
solo di non…ucciderla. Consegnala alla giustizia terrestre e
lascia che faccia il suo corso.»
Quella risposta
parve rasserenare Ichigo, che annuì, così anche
Imago le rivolse un sorriso grato.
«La
verità
è che anche sul nostro pianeta non si riusciva a sopportarla
e
quindi la nostra Sovrana l’ha mandata qui, forse sperando che
sparisse nello spazio insieme a quel bestione della sua guardia del
corpo,» disse Chris, che intanto si era seduta su una
poltrona
lì vicino, accarezzandosi il mento. «Oh, e poi con
loro
c’era quel tipetto. Qual era il suo
nome…?»
«Ai?»
domandò d’istinto Minto.
Chris
schioccò le
dita nella sua direzione e annuì. «E’
finito con
Kassandra per errore. Lui era una delle Guardie Imperiali,
cioè
dei soldati fedelissimi che fanno parte dell’esercito
personale
del Sovrano,» spiegò. «Li addestrano in
modo
speciale per assicurarsi che siano davvero i migliori
del pianeta. In altre parole, gli fanno il lavaggio del cervello sin da
quando sono piccoli. Se non ricordo male, quel ragazzo era stato
congedato, ma nonostante questo era fissato con l’idea di
eseguire gli ordini; era particolarmente ostinato.»
Zakuro si
lasciò
sfuggire una risatina amara. «Non hai idea di quanti problemi
ci
sta causando anche lui. E’ imprevedibile e credo che soffra
di un
qualche disturbo passivo-aggressivo.»
«Immagino.
Ritrovarsi di colpo libero
e su un pianeta così diverso dal
nostro… dev’essere confuso.»
«Come
noi,» sospirò Ichigo. «Ad ogni modo,
come facciamo a fermare questo Messia?»
Chris
intrecciò le
braccia al petto. «Beh, c’è una
profezia…» cominciò, ma un suono
improvviso di
sirene la distrasse.
Chris
guardò il
gruppo di terrestri come per chiedere loro silenziosamente se
quell’evento era una cosa normale, quando di colpo la porta
scorrevole in fondo alla sala si aprì.
La cugina di
Purin
varcò la soglia e avanzò in direzione del
gruppetto.
Indossava un pigiama colorato e aveva il sorriso di un ladro che
è appena riuscito a fare il colpo della sua vita.
Purin le
arrivò di fronte con un balzo. «Oh,
Keira…scusa, ti abbiamo svegliato?» le chiese.
Lei, per tutta
risposta, sogghignò.
«Ah,
non ti ho presentato i miei amici!» esclamò allora
la biondina in tono vivace.
«Non
credo che le
importino le presentazioni,» osservò a quel punto
Taruto,
squadrando male la nuova arrivata.
Purin si
accigliò. «Che succede, Keira?»
«Ero
qui fuori e stavo
navigando su internet,» rispose lei mostrandole il suo
cellulare,
«quando ho letto una notizia interessante. Sai che nel locale
dove lavori hanno ucciso una ragazza? Stanno cercando il
colpevole.»
Purin parve
incerta sulla risposta da dare. «E… E
allora?»
«E
allora, poco prima, mentre passavo nel corridoio, ho notato che i
vestiti della collega
che stai nascondendo
sono ancora sporchi di sangue,» dichiarò Keira,
indicando Ichigo.
«N-No,
aspetta! Non è come credi,» si affrettò
a dire Purin.
«Troppo
tardi,
cuginetta. Ho chiamato la polizia… E’ qui fuori e
voi
siete in trappola,» ridacchiò. «Povera
Purin. Ti
arresteranno e, una volta che tu sarai in prigione, io mi
prenderò la tua casa con la scusa di dover badare ai tuoi
stupidi fratellini.»
«Ma…
Ma perché?»
«Ma
come
perché?! Non voglio più tornare a casa mia!
Resterò qui a Tokyo e diventerò una idol, a tutti
i
costi!»
Purin era
incredula.
«Cosa?» mugolò, triste non tanto per la
serie di
assurdità che stava elencando Keira, quanto per il fatto che
le
aveva pensate.
La biondina
sentì una
stretta forte sulla sua spalla, che riconobbe essere quella di Taruto.
«Simpatica tua cugina!» le disse sarcastico.
«Peccato
che le sia sfuggita una cosa.»
Keira gli
lanciò un’occhiataccia. «E sarebbe,
moccioso in costume?»
«Questo!»
esclamò Taruto, smaterializzandosi insieme a Purin.
Vedendoli
sparire, Keira lanciò un gridolino spaventato.
«Si,
ottima idea,» annuì Kisshu in tono pratico
portando via anche Ichigo, Imago e le altre.
Keira rimase
sola nella stanza; presa dallo sgomento, lasciò scivolare il
cellulare sul pavimento.
Il panda
dell’orologio a cucu' che Purin teneva sulla porta
saltò fuori dalla sua casetta e fece una giravolta.
Vedendolo, la ragazza scoppiò in una risatina sconnessa e
poi
cadde a terra svenuta.
--
Gli alieni portarono le ragazze sul tetto piano di un basso edificio
poco lontano da lì; videro da lontano le auto della polizia
che,
a sirene spiegate, parcheggiavano di fronte al cancello di Purin.
Lei si abbandonò sulla ringhiera protettiva di quella
copertura. «Che cosa facciamo ora?»
Zakuro corrugò la fronte. «Il locale è
controllato
dalla polizia, per cui non possiamo andarci. Dobbiamo trovare un posto
tranquillo in cui decidere il da farsi. Kisshu, ti ricordi le
coordinate del luogo in cui mi hai attaccato la prima volta?»
«No…anzi, si! Quel posto strano? Certo che lo
ricordo! Vuoi che vi porti lì?»
La modella fece un cenno affermativo e Kisshu tese la mano davanti a
sé per materializzare un nuovo varco. Il gruppetto si mosse
verso di lui, ma Cherry rimase indietro.
«Io resto qui,» disse, attirandosi gli sguardi
sorpresi di
tutti. «Credo che, qualunque cosa sia necessario fare, avrete
bisogno di supporto tecnico. Ichigo mi ha detto che Ryo e Keiichiro
sono bloccati all’interno di un bunker: chiamerò
un taxi e
andrò ad aiutarli ad uscire. Ci terremo in contatto
telefonicamente, d’accordo?»
Le ragazze si guardarono fra di loro. Il sostegno e la dedizione che
quella donna gli stava offrendo sin da quando l’avevano
incontrata per la prima volta era così grande che, nel
sentire
quelle ultime parole, quasi si commossero. «Grazie,
Cherry,» mormorò per prima Ichigo con gratitudine.
Lei si avvicinò e le stampò un bacio sulla
fronte.
«Non è niente, tesoro. Siete voi che dovete
salvare il
mondo.»
«Stai certa che lo faremo!» esclamò
Purin con rinnovata determinazione.
La professoressa la salutò agitando la mano. «Bonne chance,
ragazze!»
Kisshu aprì il varco per il teletrasporto e Ichigo, Purin e
gli
altri vennero risucchiati al suo interno, svanendo nel nulla.
--
Prima di conoscere le altre ragazze, Zakuro era una persona molto
solitaria. Quando era confusa o ansiosa, invece di parlare con qualcuno
o sfogarsi, preferiva andare in chiesa a pregare da sola, in silenzio.
Kisshu era a conoscenza di questo fatto, perché in passato
aveva
combattuto contro di lei proprio lì;
teletrasportò quindi
il gruppo all’interno del luogo sacro in pochissimi secondi.
La chiesa visitata da Zakuro era stata costruita in tempi recenti, ma
la sua architettura richiamava palesemente lo stile gotico occidentale.
Di pianta rettangolare terminante con un abside semicircolare, era
composta da un’ampia navata centrale divisa da quelle
laterali da
due serie di alte colonne. Quasi tutto lo spazio delle navate laterali
era occupato da una serie di banchi ammucchiati l’uno
sull’altro dietro i quali si scorgevano nicchie e statue,
dipinti
e altarini; a parte l’altare in marmo posto
nell’abside, il
resto dello spazio era, invece, completamente vuoto.
La luce della notte filtrava da grandi vetrate sapientemente decorate
che, colpite dalle luci esterne, proiettavano sul pavimento rettangoli
dai colori vivaci che tagliavano il buio. Il portone gigantesco di
bronzo era sbarrato.
«Cos’è successo a questa
chiesa?» domandò Ichigo, guardandosi intorno.
«Recentemente hanno realizzato un ampliamento, aggiungendo un
sottotetto. E’ ancora chiusa al pubblico,» rispose
Zakuro.
«Questo significa che nessuno verrà a cercarci
qui.»
«Oh, è davvero un posto stupendo,»
commentò Imago, incantata dai disegni elaborati delle
vetrate.
«Sarà, ma è così
terrorizzante… ho davvero tanta
paura!» piagnucolò Purin, stringendosi al braccio
di Taruto.
Lui se la staccò di dosso nervosamente. «No, tu
fai tutte
queste storie solo per starmi attaccata!» ribatté,
rosso
in faccia.
Purin lo guardò con le lacrime agli occhi, tirando su con il
naso.
Anche se sapeva che stava fingendo lui arrossì, e per non
farlo
vedere si girò con la faccia dall’altra parte.
«D’accordo, prendi,» disse facendo
l’offeso, e
le tese il braccio.
«Grazie mille!» Purin gli saltò al
collo, con tale
energia che Taruto perse l’equilibrio e finirono per cadere a
terra l’una sopra l’altro.
«Tornando a noi,» tossicchiò Chris,
ignorando i due,
«Imago, puoi dire a queste ragazze la profezia che parla del
Messia?»
Prontamente, dopo essersi schiarita la voce, la ragazza aliena
cominciò a recitare per l’ennesima volta le strofe
antiche.
Ichigo ne ascoltò i primi versi, ma non riuscì a
mantenere la concentrazione; assorta nei suoi pensieri, finì
per
girare le spalle al resto del gruppo e poi si allontanò,
dirigendosi verso l’altare. Minto lo notò e
schiuse le
labbra per rimproverarla, ma alla fine decise di lasciarle fare
ciò che voleva.
--
Ichigo si fermò ai piedi dell’altare e
alzò la
testa sul soffitto della chiesa, osservando con interesse i mosaici che
lo adornavano: le tessere colorate che si mescolavano per formare un
complesso disegno erano bagnate dai pallidi raggi della luna, che le
faceva brillare di una luce tenue.
Quel luccichio le ricordò la tunica da sacerdotessa di
Marie.
Ichigo non si era ancora ripresa dalla sua morte e dal senso di colpa,
e sapeva bene che la visione del corpo steso a terra della sua amica
l’avrebbe perseguitata fino alla fine dei suoi giorni.
Sospirò, scacciando via le nuove lacrime che si erano
prontamente formate agli angoli dei suoi occhi. Doveva essere forte.
“Ryo, dove sei?” si ritrovò
però a pensare.
Accarezzò per un momento l'immagine del ragazzo biondo.
Aveva
davvero bisogno di lui in quel momento; aveva bisogno che le
venisse in aiuto e la tirasse fuori da quel buio.
Era da quando Aoyama era scomparso che Ryo era diventato
l’unico
punto di riferimento per lei. Nonostante tutte le loro liti, il
comportamento strano che aveva avuto negli ultimi tempi e la natura
particolare del loro rapporto, senza di lui ora Ichigo si sentiva
persa. Ryo avrebbe saputo cosa fare in un momento così
delicato,
e avrebbe saputo come guidarla e aiutarla.
Ma lui non c’era, c’erano solo i ricordi del suo
ultimo
scontro contro gli alieni e la nuova minaccia del Messia. Ichigo si
chiese come potevano fermare un essere del genere se lei e le sue
amiche non erano state neanche in grado di sconfiggere Hiroyuki. Allo
stato attuale, anche Ryo avrebbe concordato nel dire che erano troppo
deboli. Avevano bisogno di più potere, di nuove
armi…
Armi…
Le parole di Marie riecheggiarono nella sua mente. “Non perderla di
vista. E’ un’arma molto potente,”
le aveva detto.
La sfera misteriosa! La sfera misteriosa era un’arma! Ichigo
l’aveva dimenticata già da parecchio nella sua
borsetta.
Colta da quell’improvvisa illuminazione, la
recuperò e se la portò davanti al viso,
osservandola
attentamente.
Nello studiarne la superficie graffiata e crepata in più
punti,
Ichigo si chiese cosa avrebbe pensato Ryo al suo posto. Non aveva idea
di cosa fosse in realtà quell’oggetto o di come
funzionasse, ma in fondo era pur sempre uno di quegli ooparts
vecchi milioni di anni, per cui doveva essere appartenuta agli
atlantidei… forse potevano usarla per sconfiggere il Messia?
Ichigo stava ancora esaminando la sfera quando un topolino le
passò davanti di corsa, squittendo. Colta di sorpresa, la
ragazza cacciò un piccolo urlo e balzò indietro
d’istinto, ma nel farlo la sfera le sfuggì di mano
e
andò a spaccarsi a terra, contro il duro pavimento di marmo.
«Ops,» mormorò, mentre realizzava di
aver appena
ridotto in pezzi l’unica cosa che poteva esserle
d’aiuto.
--
Il rumore del metallo che si frantumava rimbombò per tutta
la chiesa, attirando l’attenzione del resto del gruppo.
Kisshu fu il primo ad alzare la testa e voltarsi in direzione di
Ichigo. «Ma che le prende?» domandò alle
altre
ragazze. «Non riesco quasi a riconoscerla.»
Minto sospirò. «Ne ha passate di tutti i colori in
questi
ultimi mesi. Ha perso Aoyama e da quel momento in poi non ha fatto
altro che combattere. I vostri amici
non ci hanno lasciato un attimo di pace.»
«Non sono amici miei,» sbuffò
l’alieno,
ritenendo il sarcasmo di Minto del tutto inopportuno. «Bah,
vado
a parlarle.»
Zakuro gli lanciò un’occhiataccia.
«Kisshu.»
«Solo
parlarle,»
precisò lui. «E poi, non penso che
sopporterò
ancora a lungo questa inutile profezia.»
«Aspetta, vengo con…» Imago
tentò di
prendere la mano di Kisshu, ma lui si teletrasportò da
Ichigo
prima che lei potesse farlo. «…te.»
La ragazza aliena rimase ferma a guardare il punto in cui era
scomparso, la mano ancora tesa.
«Scusami Imago, sei sicura di non sapere
qualcos’altro di
quella profezia che potrebbe esserci utile?» le
domandò
timidamente Retasu.
«S-Sì,» balbettò lei,
girandosi verso di lei. «Forse ricordo qualche altra
strofa.»
--
Ichigo si abbassò a terra e iniziò a raccogliere
in
fretta e furia i frammenti della sfera, come se sperasse di poterla
aggiustare se li avesse rimessi tutti insieme. Ben presto,
però,
scorse un luccichio fra i pezzi del reperto ormai distrutto e si
fermò. Stupita, lasciò perdere quanto raccolto
finora e
prese il minuscolo oggetto rimasto nascosto fino a quel momento
all’interno della sfera.
Era una pietra preziosa! Dentro quella sfera c’era una pietra
preziosa!
Ichigo non ne aveva mai visto una simile: grande quanto una noce,
leggera e brillante, sembrava acqua mew, ma era granulosa e calda.
A seconda di come era esposta alla luce assumeva una diversa sfumatura
di colore: ora azzurrina, ora arancione, ora verde o dorata.
Presa da un’improvvisa euforia, la ragazza si girò
indietro per andare a comunicare la scoperta alle sue compagne, ma nel
muovere il primo passo finì addosso a Kisshu, che le era
appena
apparso alle spalle galleggiando a pochi centimetri da terra.
«Ehilà micetta, sei davvero così felice
di vedermi?» scherzò lui.
Lei si rabbuiò. «Ah, sei tu, Kisshu,»
disse piatta. «Scusa.»
Lui sollevò le spalle. «Fa niente. Credo che per
te sia molto attraente…»
La risposta di Ichigo fu così nervosa e improvvisa che
Kisshu
quasi si spaventò. «Potresti smetterla, per
favore?»
sbottò in tono ostile.
«Cosa intendi dire?»
«Lo sai benissimo. Non ricominciare con quella vecchia
storia,
Kisshu. Io non ti ho mai trovato attraente e soprattutto ora non
è il momento anzi, non è mai stato il
moment–»
«Ichigo,» la interruppe l’alieno,
«io stavo parlando di quella pietra luccicante che hai in
mano.»
Le guance di Ichigo si colorarono di rosso, un bel rosso fragola.
«Ah,» mormorò, e poi chiuse la bocca
mentre si dava
mentalmente della stupida almeno una ventina di volte.
Kisshu si avvicinò a lei, incuriosito dall'oggetto.
«Cos’è? Altra acqua mew?»
«No, io… non so bene cosa sia.»
L’alieno inclinò la testa di lato. «Uhm,
non ho mai
visto nulla del genere,» ammise, «ma mi
dà una
strana sensazione.»
«Anche a me,» concordò Ichigo.
Improvvisamente, si
ritrovò a pensare che era strano discutere in modo
così normale
con Kisshu. Non avevano mai parlato così, perché
nel
passato non avevano fatto altro che lottare o litigare a causa
dell’ossessione che lui aveva nutrito per lei. Da una parte
le
faceva piacere realizzare che sembrava
essere
scomparsa, ma dall’altra il sapere di non essere
più di
alcun interesse per lui la faceva sentire irragionevolmente dispiaciuta.
«Dovresti mostrarla alle tue amiche,» propose
Kisshu dopo
alcuni secondi, richiudendo le dita intorno ad uno dei polsi della
ragazza. «E soprattutto, smettere di fare
l’asociale. Non
è da te, sai?» le disse facendole un occhiolino.
Arrossendo leggermente, Ichigo annuì e lasciò che
lui la guidasse dalle sue amiche.
--
Accadde mentre stava ripetendo per la terza volta i versi che ricordava
della profezia alle ragazze. Imago cominciò a provare una
sensazione di disagio, che si diffuse così rapidamente
dentro di
lei da farle venire la nausea; cominciò a tremare in maniera
incontrollata.
«Imago, stai bene?» si sentì chiedere da
Retasu.
La voce della verde giunse all’orecchio dell'aliena lontana e
ovattata. «S-Si,» mentì.
«E’ che non
sono abituata all’aria terrestre… sai, avendo
vissuto
sempre nel sottosuolo…» disse, o almeno, credette
di
dirlo; non ne fu del tutto sicura.
Si sentì di colpo molto, molto debole e stanca. La sua vista
si
annebbiò e la testa iniziò a dolerle; il battito
del suo
cuore divenne un suono insopportabile che la assordava e la
disorientava. Gemette, portandosi le mani alle orecchie. Non
capiva cosa le stava succedendo, ma voleva che finisse. Non importava
come, voleva solo che finisse.
Più lei tentava di resistere, più il dolore
aumentava,
per cui pensò di lasciarsi andare. Decise che sì,
era
davvero meglio lasciarsi andare. Ma venne afferrata da una presa salda
e una voce la riportò alla realtà.
«Ehi, Imago!» sentì gridare da Kisshu.
Lui la stava
sorreggendo, tenendola fra le braccia. Fu la prima cosa che riuscì a capire quando si riprese. Non era certa di quando
lui
le fosse apparso accanto ma, se non lo avesse fatto, sarebbe
crollata a terra.
Cercò di concentrarsi su di lui.
«Kisshu,» disse in
un soffio incerto mentre riprendeva conoscenza, «sei tornato
per
me?»
«Che cosa stai dicendo?!» rispose
l’alieno, premendo
le mani ai lati del suo viso e costringendola a guardarlo in quelle
pozze dorate che erano i suoi occhi. «Non sono mai andato
via.»
«Che
succede,
Imago? Stai male?» domandò Ichigo, raggiungendoli.
Kisshu l'aveva abbandonata quando erano a metà della navata
per
precipitarsi da Imago non appena si era reso conto che stava per
svenire.
La
ragazza aliena trattenne un respiro e si rivolse a Kisshu.
«Io…Io pensavo che tu…»
«Tu
pensi sempre troppo,» la interruppe lui e poi coprì la
sua bocca con la sua, trascinandola in un bacio che lei non si
aspettava.
Imago gemette sorpresa mentre Kisshu la baciava come se lei fosse aria
e lui stesse annegando; c’era qualcosa di disperato in quel
bacio. Non si sentiva ancora del tutto se stessa, ma
intrecciò
le braccia intorno al collo e lo strinse e ricambiò come
poteva,
anche se lui la stava lasciando senza fiato.
Quando Kisshu si staccò da lei, l'aliena si
ricordò che
non erano soli; si accorse che Ichigo e le altre ragazze
terrestri li stavano guardando con espressioni più o meno
sconvolte.
Provò un imbarazzo terribile. Spinse via Kisshu con una
forza
che non credeva di avere, barcollando ma restando in piedi.
«N-Non davanti a tutti, stupido!»
blaterò, rossa in
viso.
Lui la guardò fisso per qualche attimo, incerto.
«Dovevi
pensarci prima di farmi prendere un colpo,»
replicò alla
fine, sorridendo leggermente. «E sappi che lo farò
di
nuovo se proverai a farmi una cosa del genere. E questa è
una
minaccia,» concluse in tono scherzoso, cercando di non far
trasparire quanto era in realtà ancora preoccupato.
Imago si coprì il viso e mugolò delle scuse
sconnesse in direzione del resto del gruppo e soprattutto di Ichigo.
«Non… Non preoccuparti, Imago, siete davvero
carini insieme!» intervenne allora Minto, dato che la sua leader
sembrava troppo scioccata per spiccicare parola. Si portò
una
mano al lato della bocca. «Ma Kisshu è un
pervertito,» le
sussurrò segretamente da lontano, in modo perfettamente
udibile
da tutti.
«Sì, sì, è un
pervertito!» le fece eco
allegra Purin alle sue spalle, beccandosi un’occhiataccia
irritata dell’alieno.
«Volete smetterla di giocare? Il mondo sta per
finire,» le
richiamò Zakuro a quel punto, ricordando loro il motivo di
quella riunione improvvisata.
«G-Giusto! A questo proposito, io ho
scoperto…»
cominciò Ichigo, ma un profumo intenso le
stuzzicò il
naso e la fece starnutire più volte di seguito, impedendole
di
terminare la frase.
«Salute!» le disse gentilmente Retasu, ma un
istante dopo anche lei fu presa da un violento attacco di raffreddore.
«Ehi! Non sentite anche voi uno strano odore?»
chiese
Purin, guardandosi intorno e annusando l’aria con piglio
molto
animalesco.
Una sottile nebbiolina bianca, dal profumo intenso e penetrante, stava
rapidamente avvolgendo l’ambiente intorno a loro.
«Che succede in questo posto?» sibilò
Chris,
disgustata e preoccupata allo stesso tempo, cominciando a tossire.
«E’ incenso…»
spiegò Zakuro portandosi una mano alla bocca, tossendo a sua
volta.
«Bleah, e a che serve questa roba?» chiese Taruto,
nascondendosi il viso fra i vestiti nel tentativo di filtrare l'aria.
«A stordire i fedeli, credo…» gli
rispose una
nauseata Minto, che subito dopo fu costretta ad appoggiarsi ad Ichigo
per evitare di cadere a terra: quel profumo così forte le si
era
insinuato nelle narici e lei sentiva che se non se ne fosse sottratta
al più presto, sarebbe caduta a terra svenuta.
Una risata inquietante riecheggiò nella nebbia.
«L’incenso serve per festeggiare,» disse
una voce
maliziosa, «in questo caso, la vostra fine!»
La reazione di Zakuro fu istantanea. «Mew Mew Zakuro,
metamorphosis!» gridò, trasformandosi.
Agitò la sua
frusta e il movimento dell’aria spazzò via la
nuvola
asfissiante d’incenso, liberando i polmoni e la visuale alle
ragazze.
«Grazie, Mew Zakuro!» disse Ichigo alla compagna
respirando
profondamente, ma continuando a tossire per i troppi fumi aspirati.
Mentre le ragazze si strofinavano gli occhi lacrimanti, Chris, che
sembrava non aver accusato troppo gli effetti dell’incenso,
esaminò con aria nervosa lo spazio intorno a loro.
«Voglio
proprio vedere chi… ah, lei?!» esclamò
con stupore
non appena individuò l’aliena apparsa
dall’altra
parte della chiesa. Gli altri seguirono il suo sguardo ed infine anche
loro la videro.
«K-Kassandra!» esclamò Retasu con voce
arrochita,
stringendosi una mano al petto, laddove c’era il suo
tatuaggio.
La bella aliena era seduta sul davanzale di una delle vetrate a gambe
accavallate, e Hiroyuki era in piedi accanto a lei. Era circondata da
un’infinità di chimeri parassita, che rilucevano
al buio
come stelle nel cielo. Impegnata a ridere sguaiatamente, non sembrava
essersi accorta di Kisshu e degli altri.
«Io sono la Principessa
Kassandra!» gridò dall’alto a Retasu,
correggendola.
«E questa, mie care avversarie… questa
è la resa
dei conti!» strillò, per poi scoppiare in una
nuova risata.
++++
Note:
Con la presente rendo noto al mondo che quando scrivo delle risate di
Kassandra immagino che siano ridicolissime come quelle di Takano-san e
di conseguenza inizio a ridere anche io.
Per farvi capire:
http://youtu.be/1W3XUP1LD7A?t=16s (vi avverto just in case, nel link
c’è uno spoiler di Higurashi no Naku Koro ni).
|
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Capitolo 39 *** La notte dei chimeri tarantola ***
26
19/12/2014: In
genere mi diverto a cercare titoli carini, ma stavolta non mi veniva in
mente nulla di intelligente e quindi sono andata sul trash, che
è sempre una sicurezza.
In verità qui sotto non ci sono tarantole ma chimeri
ispirati alle nephilae
maculatae.
“La notte della nephila maculata”, però,
non suonava per nulla bene.
- Capitolo 37: La notte dei
chimeri tarantola -
Ichigo e le sue compagne si precipitarono al centro della navata
principale, lasciando in disparte gli alieni.
In fondo, molti metri sopra le loro teste, le cinque ragazze scorsero
il profilo conosciuto della principessa Kassandra, accompagnata come
sempre dalla sua guardia del corpo. Intorno a lei galleggiavano
centinaia di chimeri parassita luminescenti.
Gli occhi di Mew Zakuro divennero due fessure cariche di rabbia.
«Ancora lei,» sussurrò, rinsaldando la
presa sulla
sua frusta.
L’avversaria, con il vestito lucido che metteva in risalto
ogni
sua curva, i lunghissimi capelli sciolti, le labbra rosse socchiuse e
lo sguardo malizioso che dava espressione al bel viso, in
quell’occasione era così perfetta che pareva quasi
un’apparizione surreale.
La magia però si interruppe quando cacciò un
gridolino
beffardo e fastidioso. «Vedo che avete trovato
rinforzi…
peccato che non vi serviranno a niente, perché stavolta
morirete
qui!» sghignazzò, per poi lasciarsi andare ad una
nuova
risata, così sonora da rasentare l’isteria.
Kisshu, nel seguire la scena da lontano, incrociò le mani
dietro
la testa. «Ma che problema ha tua sorella?»
domandò
con un vago stupore a Imago, che si era nascosta dietro di lui nello
stesso momento in cui Kassandra aveva fatto la sua apparizione.
«E’ sempre stata così,»
sospirò lei con la depressione nella voce.
«Però dovete ammettere che ci sa fare,»
commentò allegra Chris. «Voglio dire, questa
sì che
è una bella entrata in scena!»
Taruto e Kisshu le lanciarono un’occhiata scettica.
«Lo stai dicendo davvero?!»
Ichigo distolse gli occhi da Kassandra e strinse i pugni: non si era
aspettata di rivedere così presto gli esseri che avevano
causato
così tanta sofferenza a lei e a molti altri innocenti.
Erano a pochi metri da lei, pronti ad attaccarla. Stranamente, a
differenza di quanto aveva immaginato, questa consapevolezza non la
rendeva disperata, ma furiosa. Più che furiosa.
Retasu, forse comprendendo il suo stato d’animo, le
posò
una mano sulla spalla sinistra. Minto fece lo stesso con
l’altra.
«Finiamola qui,» disse loro Ichigo con voce ferma.
Le due ragazze annuirono.
«Questa volta la batteremo di sicuro!»
esclamò Purin. «Forza! Mew Mew
Pudding…»
«Mew Mew Lettuce…»
«Mew Mew Mint…»
«Mew Mew Strawberry…»
«...METAMORPHOSIS!»
«Finalmente vi siete mostrate!» disse entusiasta la
principessa aliena dall’alto, puntando un dito contro le mew
mew
quando la luce delle loro trasformazioni si dissolse. «Ed ora
preparatevi! Questa è la vostra fin–»
«Ciao, Sandra.»
«…K-Kassimago?!»
«Ehm... sì.»
Imago si era materializzata di colpo di fronte Kassandra,
sorprendendola.
Colpita da quell’apparizione inaspettata, lei si
tirò
indietro di scatto. «Cos… E tu cosa ci fai
qui?!»
strepitò. «Non eri morta?!»
La gemella minore emise una risatina imbarazzata.
«Sì, ecco, vedi…»
«No, lascia stare,» la interruppe l'altra,
«non
voglio sapere.» Nascose la parte inferiore del viso dietro al
suo
ampio ventaglio e assunse un’aria sospettosa.
«Perché sei qui? Che cosa vuoi? Guarda che questo
pianeta
è mio!»
«Ma… Ma certo!» si affrettò a
confermare Imago, arrossendo. «E’ solo
che…»
«Solo che..?»
«So che se ansiosa di disintegrare queste terrestri inferiori,
ma mi chiedevo… non potresti, uhm, lasciar perdere per
qualche ora?»
Mentre le mew mew a terra si scambiavano una serie di sguardi
increduli, Kassandra si sporse in avanti quel tanto che le bastava per
afferrare rudemente il colletto del vestito della sorella.
«Cosa
stai dicendo?» le domandò minacciosa, tirandola
verso di
sé.
«Niente.. Niente!» si scusò lei,
spaventata.
«E’ che c’è questo Oscuro
Signore che vuole
apparire, conquistare la terra e ripopolarla e distruggerla non si sa
bene in che
ordine, e io e Kisshu e le mew mew terrestri stiamo provando a capire
come fermarlo, perché sembra ci sia un modo ma non siamo
sicuri
di…»
«Non capisco cosa stai blaterando, ma questa è la
mia
chance di uccidere quei mostriciattoli informi e fuori moda!»
le
fece notare Kassandra, rigettandola indietro sprezzante. «Ma
d’altra parte, se qualcuno vuole usurpare il mio trono, in
quanto
Signora della Terra non posso restare indifferente,»
ragionò ad alta voce un attimo dopo, facendosi aria con il
ventaglio.
Imago intrecciò le dita e se le portò al petto
con fare
speranzoso. «Quindi… Quindi ci
aiuterai?»
Kassandra richiuse il ventaglio con uno scatto.
«D’accordo,
ho preso la mia decisione!» dichiarò. «Fu
– si
–on,» scandì, contorcendo
le labbra in un ghigno.
Al suo comando, i parassiti schizzarono via come comete impazzite; si
sparsero per la chiesa, raggiungendo gli ospiti designati e
impossessandosi dei loro corpi. Le loro dimensioni erano
insignificanti, ma al contatto con il potere alieno cominciarono a
distorcersi, ingrandendosi. Alcuni diventarono alti quanto una persona,
ma la maggior parte non superò il metro. Erano centinaia e
la
loro comparsa richiamò molti altri loro minuscoli simili
dall’esterno, che vennero presto presi dagli ultimi parassiti.
Erano chimeri ragno.
Neri e gialli, con la corazza lucida e il torso sorretto da due file di
zampe spesse quanto un braccio. Alcuni di loro si
arrampicarono sulle pareti
della chiesa, ricoprendole in parte con il corpo grosso e tozzo.
Le mew mew si raggrupparono in un unico punto,
guardandoli sbucare da ogni dove.
Imago tese una mano verso la sorella, che era apparentemente molto
soddisfatta delle sue creazioni. «A-Aspetta,
Sandra!»
tentò, ma Kisshu le si materializzò
accanto con un
balzo.
«Negoziazioni fallite, dolcezza,» le disse,
portandola via da lì.
«Ehi, Kassandra!» gridò nel mentre Mew Pudding dal
basso.
«Non hai sentito tua sorella? Il mondo sta per essere
distrutto,
non abbiamo tempo per giocare con te!»
«Ha! Quanto siete stupide,» commentò
lei, poggiando
le mani sui fianchi. «Questo non è un gioco,
è un test.
Ipotizzando che la mia inutile sorella non stia mentendo per
salvarvi la vita, provate a sopravvivere ai miei chimeri! In fondo, se
venite sconfitte da loro, vuol dire che non avete comunque la forza di
battere l’Usurpatore, no?!»
Chris, dal fondo della chiesa, annuì. «Ha una sua
logica,» ammise.
«La smetti di parteggiare per quella pazza?!» le
gridò dietro Taruto.
«Qui dentro siamo in trappola,» osservò intanto Mew Zakuro. «Dobbiamo attirarli
all’esterno.»
Tutte sembrarono d’accordo con lei. Dopo essersi scambiate un
cenno d’intesa, le ragazze si lanciarono verso il portone
d’ingresso.
«Pensate davvero di poter scappare?!»
Kassandra ordinò ai chimeri di fermarle. Loro, obbedienti,
sputarono addosso alle ragazze una pioggia di fili di ragnatela che le
costrinsero a
saltar via ognuna di una direzione diversa. Altri chimeri ne
approfittarono per tessere con
velocità inaudita una enorme tela che in pochi secondi
ricoprì completamente la porta.
Ben presto, le ragazze si resero conto che quella e tutte le altre vie
d’uscita erano state sigillate: adesso, le vetrate
proiettavano
ombre di gigantesche ragnatele dorate percorse dai chimeri.
«Sembra proprio che non abbiamo scelta, eh?»
osservò
Mew Mint, evocando il suo arco. Si preparò, come le altre,
allo
scontro imminente.
Mew Zakuro cercò con lo sguardo il gruppo di alieni alleati.
«Quella scala porta al sottotetto della chiesa,»
spiegò loro, indicando una scalinata seminascosta in un
angolo
della navata laterale destra. «Pensiamo noi a Kassandra; voi
nascondetevi lì e non muovetevi finché non
sarà
finita.»
«Chris, l’hai sentita?» disse Kisshu
all’assistente scienziata. Fece apparire i suoi
tridenti,
che roteò abilmente fra le mani. «Tu e Imago
mettetevi al
sicuro. Qui ce la vediamo noi.»
«Sissignore!» esclamò lei
sull’attenti,
imitando un tono militare. Afferrò Imago
per un polso, ma lei sgusciò via.
«Cosa significa ‘tu e Imago mettetevi al
sicuro’?!» domandò sconvolta la ragazza aliena a
Kisshu,
correndo a stringere debolmente entrambi i pugni sulla sua maglietta. Lui non
parve sorpreso
da quel comportamento.
«Esattamente quello che ho detto,» rispose con
fermezza, e
poi sbuffò una risatina divertita. «Andiamo, credi
davvero
che potrei morire per una cosa del genere?»
«Kisshu, non sono stupida.»
«Ma sei malata. Da molto tempo, e non ho ancora capito che
cos'hai. Se ti sentissi di nuovo male adesso, mi distrarrei e allora
sì che sarei in pericolo. Dolcezza, se vuoi davvero essermi
d’aiuto, devi andare via da qui.»
Imago sciolse la presa che aveva su di lui.
«Non… Non puoi dirmi questo!»
replicò.
Sfruttare la sua debolezza per farla sentire in colpa... Quello di
Kisshu, per lei, era un ricatto e un colpo basso.
«Io… Io ti
odio!» gli disse con frustrazione.
Imago sapeva che lui, le mew mew e Taruto erano forti, ma quei chimeri
erano davvero troppi.
Se gli fosse successo qualcosa mentre lei era
nascosta e al sicuro, non se lo sarebbe mai perdonato.
Il ghigno dell’alieno si addolcì. «Anche
io ti amo, piccola,» le rispose.
Prima che Imago potesse ribattere Chris la prese alle spalle, facendola
sussultare per lo spavento. «Presa!»
scherzò.
«Ora sei mia, principessina. Ahahaha~»
«La affido a te, Chris.»
«Certo! Mi prenderò cura di lei usando i miei immensi poteri nascosti.»
«Non ne dubito,» sospirò piatto Kisshu,
evitando l’occhiata di disapprovazione della sua compagna.
Guardò svanire entrambe, chiedendosi se Chris sarebbe
davvero
stata in grado di difendere Imago in caso di pericolo. Aveva
frequentato lo stesso istituto di Pai, ma a Kisshu quella nibiriana
così stramba e sorridente non era mai sembrata
particolarmente
forte.
Si smaterializzò subito dopo, riapparendo accanto alle sue
ex nemiche e a Taruto, che era già con loro.
«Quindi è così che ci si sente ad
essere
dall’altra parte?» esclamò in tono
giocoso nel
tentativo di sciogliere la tensione che aleggiava nell’aria.
«Kisshu, cerca di non intralciarci troppo per
favore,» lo
ammonì Mew Mint senza degnarlo neanche di uno sguardo.
«Sì, tu eri quella più nervosa quando
vi
attaccavo,» meditò lui in risposta. «Hai
imparato a
controllarti o hai ancora la tendenza ad andare in panico inutilmente,
finendo per prenderle?»
La ragazza si girò di scatto verso Mew
Ichigo. «Quando abbiamo finito con Kassandra posso
schiaffeggiarlo?»
Lei sobbalzò per la richiesta inattesa.
«P-Perché lo chiedi a me?!»
«Sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui avremmo dovuto
combattere contro dei veri chimeri ragno,» si
lagnò
intanto Mew Pudding. «Ma non ero comunque
preparata.»
«Non sono semplici ragni,» balbettò Mew
Lettuce. «Sembrano degli… tsuchigumo.»
«Sono comunque gli esseri più orribili che abbia
mai visto,» mormorò Mew Zakuro.
«E’ perché chiaramente
non avete gusto,» replicò Kassandra
dall’alto,
stringendo al petto un cucciolo di chimero, che abbracciava come se
fosse un peluche.
«Bene, se avete finito di parlare, possiamo dare inizio al
test.
Attaccate!» ordinò.
I chimeri si scagliarono insieme contro il gruppo di avversari,
facendolo disperdere. Le mew mew iniziarono subito il contrattacco.
Quei mostri erano orrendi, ma non erano nulla di speciale. Il loro
unico vantaggio era la superiorità numerica
perché, per
ogni chimero abbattuto, ve ne erano almeno tre che prendevano il suo
posto. Lanciavano contro le ragazze fili di tela appiccicosa,
correvano, si ammassavano sul pavimento e le costringevano a saltare in
continuazione da un posto all’alto.
Kassandra ammirava la scena da lontano, galleggiando pigramente sulla
verticale dell’altare maggiore.
Kisshu la puntò e, dopo aver schivato il chimero che avevano
tentato di afferrarlo, si materializzò di fronte a lei e
tentò un affondo. Lei gli lanciò addosso il suo
cucciolo: Kisshu lo distrusse con un singolo fendente e
poi scomparve, riapparendo alle spalle della principessa.
La immobilizzò in un secondo.
«Tesoro,» le disse con malizia, premendo la lama
affilata
di uno dei suoi tridenti contro il suo collo sottile, «se
ritiri
quei tuoi mostriciattoli, non ti farò troppo male.»
Stranamente, Kassandra non sembrò spaventarsi.
«Che essere
sgradevole,» commentò in tono tanto suadente
quanto
divertito. «Hai allontanato mia sorella perché
pianificavi
questo sin dall’inizio, vero? Sei più oscuro di
quanto
vuoi farle credere. Ma non preoccuparti, non l’ha capito.
E’ il suo problema… vede solo il lato buono delle
cose.»
Kisshu strinse la presa che aveva su di lei. «Non sto
scherzando,» la avvertì, serio.
«Avevi catturato la mia attenzione perché somigli
a quel
villano, ma sei deludente quanto lui,» lo schernì
lei.
«Cosa posso dire? Si vede che i plebei sono tutti uguali.
Hiroyuki.»
Il calcio sferrato dalla guardia del corpo di Kassandra fu
così
rapido che Kisshu non riuscì neanche a vederlo.
Avvertì
un dolore immenso al fianco destro e i tridenti gli caddero di mano
mentre lui veniva scaraventato via.
Finì contro la ragnatela a spirale che uno dei chimeri aveva
intrecciato nello spazio fra due colonne laterali. Era fitta ed
estremamente appiccicosa. Kisshu cercò di smaterializzarsi,
ma
scoprì di essere completamente invischiato. «Oh,
andiamo!» esclamò mentre cercava freneticamente di
liberarsi. Il padrone di casa, un chimero grosso quanto lui, gli si
avvicinò, agitando le chele in modo minaccioso.
«Ribbon Zakuro Spear!»
La frusta di Mew Zakuro tagliò la ragnatela da un lato,
rendendola instabile al punto da farla cedere. Nello stesso momento,
Mew Mint scagliò cinque frecce simultanee contro il chimero,
annientandolo.
Kisshu cadde con il resto della tela, ma Mew Mint lo prese al volo.
Frenò la sua caduta, evitando che rovinasse a terra.
«Potresti evitare di morire mentre combattiamo
contro
questi obbrobri?!» gli disse mentre venivano accerchiati da
altri
chimeri, fortunatamente più piccoli del precedente.
Poggiò la schiena contro la sua, preparandosi a scagliare
altre
frecce contro il primo avversario che avesse tentato di saltarle
addosso.
«Chiedo scusa
rondinella, ma quel tipo è forte.»
«Oh, ma davvero?» commentò lei
sarcastica, un attimo prima di ricominciare a combattere.
Dall’altra parte della navata, Mew Ichigo e Mew Pudding
lavoravano in team per immobilizzare ed abbattere quanti più
nemici possibile.
Purtroppo, per quanto rapidi e numerosi fossero gli attacchi della
biondina, i chimeri che non riusciva a imprigionare divoravano la sua
gelatina dorata con una velocità impressionante, liberando i
compagni e rendendo
inutili tutti i suoi sforzi.
«Basta,» ansimò lei dopo molti minuti di
estenuante
combattimento. Smise di saltare da una parte all’altra della
navata e crollò in ginocchio a terra, esausta.
Immediatamente
dei ragni grossi come granchi cominciarono ad arrampicarsi su per le
sue gambe.
«Mew Pudding!» gridò Mew Ichigo,
cercando di raggiungerla.
«Ma sei scema?!» esclamò Taruto,
correndo per primo
in suo aiuto. Lanciò le sue bolas contro un chimero che si
stava
avvicinando troppo e poi sollevò da terra la mew mew
sfinita; i
ragni ricaddero a terra e vennero spazzati via dall’attacco
di
Mew Lettuce.
«Sono troppi, che cosa facciamo?»
domandò lei,
atterrita. I mostri la circondarono, rendendole impossibile attaccare
da un lato senza restare scoperta sugli altri.
Mew Ichigo le aprì una via di fuga con il suo Ribbon
Strawberry
Check, ma per farlo si distrasse e finì per non accorgersi
del
chimero che si era calato dall’alto dietro di lei. Quando fu
conscia del pericolo, il mostro le aveva già sparato
contro un ammasso di fili viscidi, ma Mew Mint la spinse via prima che
potessero colpirla. Era sbucata fuori dal nulla, e Mew Ichigo la vide
venire imprigionata nella tela al suo posto. La violenza del colpo
scagliò la guerriera dai capelli blu a terra, su cui cadde
riversa.
La trasformazione di Mew Mint si sciolse; aveva esaurito ogni sua
energia per combattere fino a quel momento contro decine e decine di
chimeri.
Anche Mew Zakuro era ormai al limite: era stata ferita ad una spalla ed
ora teneva la schiena premuta contro una colonna a poca distanza da
loro; si stringeva il punto ferito con
un’espressione sofferente e sembrava stare lottando per non
crollare svenuta.
Mew Ichigo distrusse il mostro che stava minacciando Minto, ma questa
volta il suo colpo fu più debole del solito
perché ormai
la stanchezza stava iniziando a impossessarsi anche del suo corpo.
Mentre cercava di mantenere la concentrazione, sentì
riecheggiare da lontano le risate di Kassandra.
Un ennesimo, gigantesco chimero le si parò davanti e
spalancò le fauci, tenendo otto occhi neri fissi su di lei.
Mew
Ichigo indietreggiò intimidita, ma sentì i passi
leggeri
di un altro mostro che le si avvicinava alle spalle, bloccandole la
fuga.
La ragazza esitò a scagliare il suo colpo speciale.
Probabilmente, per come era ridotta, non sarebbe stato di nessun
aiuto.
Non riusciva a crederci. Sarebbe davvero morta con le sue compagne in
quel posto, senza essere riuscita a concludere nulla?
Aveva fatto tutta quella strada per finire così?
Serrò gli occhi, stringendo forte la Strawberry Bell. Il
chimero
alle sue spalle lanciò un gridolino…
…e poi compì un balzo e si gettò
sull’altro, facendolo a pezzi in pochissimi secondi.
Mew Ichigo non se lo era aspettata. Non appena si rese conto di essere
ancora viva, riaprì gli occhi e osservò lo
spettacolo
incredula. «C-Cosa?!» mormorò, mentre il
mostro che
le aveva salvato la vita veniva attaccato dagli altri.
In sua difesa accorsero dei nuovi chimeri, in numero spropositato.
La mew gatto notò che erano diversi dagli altri: erano di
colore
chiaro, avevano delle zampe sottili e lunghissime ed il simbolo di un
cerchio circondato da tre triangoli tatuato sui visi mostruosi.
Lei conosceva quel marchio. Lo aveva visto innumerevoli volte in
passato.
«K-Kisshu…?!» sibilò.
«Esattamente,» le rispose l’alieno,
atterrando accanto
a lei. «Scusami se ci ho messo così tanto, ma ero
un
po’ arrugginito,» le disse con un sorrisino.
Kisshu era scomparso dal suo campo visivo poco dopo l’inizio
della battaglia. Mew Ichigo aveva pensato che fosse fuggito, ma a
quanto pareva aveva sfruttato il diversivo che lei e le sue compagne
avevano inconsapevolmente creato per avere il tempo di generare i suoi
parassiti.
Era stata un'idea geniale. Lei era troppo sorpresa per parlare, per cui lo
ringraziò mentalmente. Gli doveva la sua vita e quella delle
sue
amiche.
«C-Come può quello stupido avere così
tanto potere?!» strillò intanto Kassandra.
La sua domanda rimase senza risposta.
Sotto di lei, i chimeri ingaggiarono uno scontro all’ultimo
sangue l’uno contro l’altro, ammucchiandosi nella
navata
centrale. Ben presto, divenne tutto un ammasso di corpi e zampe che si
contorcevano. I chimeri di Kisshu attaccavano i più grandi
in
gruppo, gli altri si difendevano staccando loro le gambe o la testa con
le chele. Erano alla pari: se avessero continuato così,
avrebbero finito per annientarsi a vicenda.
«Ehi, Retasu!» gridò Kisshu alla mew
focena,
l’unica ancora in forze, «credo che ci sia del
lavoro per
te!»
Lei sussultò. «S-Sì!»
annuì,
distogliendo gli occhi da quello spettacolo terribile.
Prese le
sue nacchere. Nel generare il suo colpo speciale, questa volta Mew
Lettuce fece
appello a tutte le sue energie. L’onda d’acqua che
creò travolse entrambe le fazioni in lotta e si infranse
contro
le vetrate dietro l’altare, contro cui gli ormai pochi chimeri rimasti sbatterono; regredirono in massa, sotto gli occhi stupefatti di
Kassandra. I parassiti che fuoriuscirono dai loro corpi smisero di
brillare e si dissolsero.
«Fantastico, non ne è rimasto neanche
uno!»
esclamò Taruto, materializzandosi a pochi passi dalla mew
mew;
lei gli sorrise debolmente, per poi ricadere seduta sul
pavimento.
Il ragazzino alieno fece sedere accanto a lei una spossata Mew Pudding,
che aveva protetto
per tutto il tempo.
Kassandra chiuse con rabbia il suo ventaglio. «Non
importa,» gracchiò. Tremava per il nervosismo, la
cui
presenza lasciava intendere quanto in realtà le importasse.
«Il mio obiettivo è stato comunque
raggiunto,»
proseguì con arroganza, «le mew mew sono stremate
e in
trappola. Hiroyuki! Finiscile!»
Rispondendo all’ordine, l’alieno si
teletrasportò a
terra ed estrasse le sue sciabole. Mosse un passo nella navata
centrale, ma solo per finire imprigionato in una rete generata dalle
bolas di Taruto.
«Ora, Kisshu!» gridò.
Lui incrociò i suoi tridenti, generando una scarica di
energia bluastra.
Mew Ichigo gli andò in aiuto. «Ribbon Strawberry
Surprise!» gridò, evocando gli ultimi residui del
suo
potere. I due attacchi si fusero insieme e si diressero contro
Hiroyuki, colpendolo in pieno e generando una piccola esplosione che
distrusse parecchie lastre del pavimento ai suoi piedi.
La guerriera gatto guardò con apprensione la nuvola di
povere
sollevata dallo schianto. «Ce l’abbiamo
fatta…?!» domandò.
Non aveva ancora neanche finito di parlare che Hiroyuki
balzò
fuori dal fumo. Riapparve fra Mew Ichigo e Kisshu nel tempo
di un respiro, generando uno spostamento d’aria
innaturale che li mandò a sbattere in due direzioni opposte;
poi
spiccò un salto verso Minto.
Lei era ancora a terra, imprigionata dalla ragnatela e priva della sua
trasformazione; vide l’alieno estrarre le spade mentre si
preparava a colpirla. Non sarebbe mai riuscita a scappare e le sue
compagne erano troppo sfinite per accorrere in suo aiuto.
Minto trattenne il fiato per la paura. Era la fine.
All’ultimo momento qualcosa si frappose fra di lei e
Hiroyuki,
salvandole la vita. La ballerina udì lo stridio delle sue
lame
che strisciavano contro un oggetto metallico e poi vide
l’alieno
venire respinto con forza.
La guardia del corpo di Kassandra volò
all’indietro e,
quando ricadde, strisciò a terra per molti metri;
urtò la
testa contro l’altare e non si rialzò.
Minto era senza parole.
«Scusa il ritardo,» le disse il ragazzo intervenuto
per proteggerla. «Ho avuto qualche problema con quelle
ragnatele.»
«W…Will?» sillabò lei,
incredula.
Il giovane si inginocchiò davanti a lei e la
aiutò a liberarsi.
«Ma davvero, possibile che tu non sappia fare altro che
cacciarti
nei guai? Non finirò mai di salvarti,»
sbuffò lui,
spolverandole via gli ultimi rimasugli di tela dorata dal vestito.
Lei non capì se la stava rimproverando o prendendo in giro.
In
generale, non riusciva a spiegarsi perché quel ragazzo era
così forte né come facesse ad apparire dal nulla
ogni
volta che lei era in pericolo. Che cos’era? Il suo Cavaliere
Blu
personale?
Se era così, avrebbe dovuto essere felice di averne uno
anche
lei… ma allora perché si sentiva così
agitata?
«Non avere paura,» le disse lui, come intuendo i
suoi
pensieri. Le sollevò il mento con due dita. «Non
permetterò a nessuno di toccarti. E quando la Terra
sarà
sotto il controllo di Kassandra,» soggiunse con dolcezza,
«io ti salverò.»
Subito dopo aver pronunciato queste parole, un portacandele di ferro
gli piombò in testa dall’alto.
«Cosa ti fa pensare che, quando io prenderò il
pieno
possesso di questo pianeta, tu ti salverai?» gli
strillò
Kassandra, galleggiando un paio di metri più in alto.
«Tu,
volgare vigliacco e traditore!»
Strofinandosi il punto ferito, il ragazzo le lanciò
un’occhiataccia.
«Aspetta, lasciami capire», proseguì
furibonda la
principessa aliena, «fino ad oggi non ti sei mai fatto vedere
quando servivi, ed ora che finalmente stavo per ottenere il mio trionfo
da sola, ti
permetti di apparire dal nulla e rovinarmi tutto?! Ne ho
abbastanza di te!»
«Trionfo?!» Will sollevò la testa per
guardarla bene
in faccia. «Ma cosa stai dicendo, Kass? E’
così
importante per te uccidere una terrestre indifesa?»
«Non hai capito NIENTE!» strillò
Kassandra.
Incrociò le braccia al petto. «E comunque, se
proprio
vogliamo dirlo, schiacciare uno di questi miseri esserini sarebbe
già una grande vittoria per te, visto che non ti ho mai
visto
riuscire a finirne uno. Cos’è, hai il cuore
tenero?!»
«E’ divertente che sia proprio tu a dirmi che non
sono in
grado di far nulla, sai?!» replicò il ragazzo dal
basso,
cominciando a perdere la pazienza. «Se non fosse per quel tuo
Hiroyuki…»
«Will,» lo chiamò Minto.
Quel sussurro appena percepibile bastò a farle ottenere la
completa attenzione del ragazzo.
Quando lui si girò verso di lei, la trovò in
piedi che lo
fissava con un’espressione che non riuscì a
decifrare.
«Will, tu non sei un essere umano, vero?» gli
domandò Minto con voce tremante, dopo un lungo silenzio.
Lui corrugò la fronte e abbassò lo sguardo a
terra. «Ho paura di no,» ammise.
Minto trattenne un respiro, sentendo le sue gambe minacciare di cedere.
«Cosa… Chi sei, allora?»
Il ragazzo si morse un labbro e indietreggiò di un passo.
«Perdonami se non te l’ho detto prima. Ho pensato
che, se
mi fossi presentato per come sono realmente, saresti fuggita. Ma
io… te l’avrei detto, prima o poi.»
Minto non replicò. Continuò a restare
lì immobile,
in attesa. Spaventata da ciò che sapeva di stare per sentire.
«Non sono Will,» sospirò alla fine il
ragazzo,
cedendo. «Will non è mai esistito. Sono un
abitante del
Pianeta Nero,» disse, «e il mio vero nome
è
Ai.»
+ + +
Note:
* A differenza di quelli di Taruto e Pai, i chimeri di Kisshu sono
marchiati con il simbolo di un cerchio circondato da tre piccoli
triangoli. Probabilmente lo sapevate già tutti, ma io
l’ho
scoperto solo poco tempo fa. T___T Son tarda.
* Gli tsuchigumo sono demoni giapponesi dalla forma di ragni giganti.
* Ho un rapporto di terrore/amore con i ragni. Mi fan paura, ma amo
l’ingegneria delle loro tele. E’ stato comunque
tremendo
doverli googlare e poi descrivere. Ci sono stati momenti in cui
tremavo... Perché cavolo ho deciso di ficcare dei
chimeri ragno??
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Capitolo 40 *** Furto di strategia ***
26
13/12/2014: Tesori
belli, originariamente questo capitolo era molto "piatto", per cui ho
pensato di aggiungere un po' di azione. Ho anche tagliato alcune parti meno
importanti per snellirlo.
Pai gridava e faceva parecchio il pazzo... ho cercato di
riportarlo in character. E’ ancora tutto
lontano dalla perfezione, ma credo che la situazione sia
migliorata rispetto a prima e quindi sono soddisfatta anche
così.
In questi giorni ho battuto un po’ la fiacca con la fanfic
perché ho
cercato di far innamorare di me tutti i volatili di Hatoful Boyfriend studiato. Studiato
tanto, tantissimo. Oh
dottor Iwamine, mio sexy e perverso fagiano grasso, il mio cuore
è tuuuuuo~ ♥ ♥ ♥
Ah e mi sono sempre dimenticata di caricarla, ma questa è
l’immaginina di Kassidiya. L’ha fatta sempre
MewLeemoon. :3
- Capitolo 38: Furto di
strategia -
Nel
tentativo di sfuggire per l’ennesima volta ai suoi
inseguitori,
Pai si rintanò nella nicchia buia di un corridoio del
Palazzo. Respirava affannosamente; le gocce di sudore gli
scivolavano giù dalla fronte bagnata e inumidivano i capelli
ai
lati del suo viso.
Aveva appena scoperto che il cristallo artificiale che stava usando per
aggirare i sensori si stava scaricando,
rendendogli sempre più
difficile l’utilizzo dei suoi poteri. Non appena si
fosse
esaurito del tutto, per lui sarebbe stata la fine.
Doveva pensare al più presto ad un modo per tirarsi
fuori da quella situazione, ma era stanco e confuso e non aveva ancora
le idee ben chiare su cosa fare. Prima di morire, Kell gli
aveva
detto di andare sul suo terminale, ma per farlo Pai doveva superare la
sorveglianza e raggiungere il Laboratorio.
Attualmente la cosa era, se non impossibile, quantomeno improbabile.
“Puoi sempre rinunciare e scappare,” gli
sussurrò
maliziosa una parte della sua mente. “In fondo, chi ti dice
che
Alan non ti abbia mentito?”
Pai stirò le labbra in un gesto di stizza e si
portò una
mano sul viso, stringendo. «E’ per aver dubitato di
lui che
adesso mi ritrovo qui,» ricordò sottovoce a
sé
stesso.
“E dunque, sei stato tu la causa della sua morte?”
«Basta,» mormorò Pai, incapace di
controllare i suoi pensieri.
“Sai bene che è così. E sai bene di non
aver
salvato la tua famiglia, ma solo di averla mandata a morire
chissà dove, per mano di chissà quale demone.
E’
per questo che volevi farla finita in quelle segrete. Hai deciso di
nuovo di
ignorare la tua logica e di seguire i sentimenti, proprio come quando
hai salvato quelle terrestri da Profondo Blu. Ma questa volta
è
diverso, perché non sei morto subito dopo aver preso la tua
decisione – no, questa volta sei costretto ad affrontarne le
conseguenze.”
Pai deglutì, cercando di ignorare quell’insana
voce
interiore. Sapeva che aveva ragione, ma quello non era proprio il
momento di lasciarsi prendere dal rimorso.
Riuscì a distogliere l’attenzione dai suoi
pensieri solo
quando avvertì delle presenze fuori dall’angolo
buio in
cui si nascondeva.
Sperò che, chiunque fosse, proseguisse senza accorgersi di
lui;
ma purtroppo così non fu e, quando Pai sbirciò
nel
corridoio, scoprì che non solo erano due guardie, ma anche
che,
a giudicare dal modo attento con cui esaminavano i dintorni, erano
guardie che stavano cercando lui.
I suoi sospetti vennero confermati quando sentì dire da una
di
loro, «E’ qui. Riesco a sentire il suo
odore.»
«Sì, tu sei sempre stato strano,»
commentò
l’altra. «Ehi, Ikisatashi!»
gridò poi a gran
voce. «Ovunque tu sia, esci fuori! ‘Noi’
abbiamo
quest’ala del Palazzo sotto controllo. Non puoi sfuggirci per
sempre!»
Pai tornò nella nicchia. Se le cose stavano
così, una
strategia di fuga non era più perseguibile; doveva aprirsi
un varco con la forza.
Di colpo, nel corridoio scese il silenzio. Pai comprese che quei due
dovevano aver scoperto il suo nascondiglio.
“Maledizione,” si disse con disappunto.
Un istante dopo, i due scagnozzi di Shiroi apparvero di fronte alla
nicchia e puntarono le armi al suo interno, ma la trovarono deserta. Si
guardarono l’un l’altro disorientati poco prima che
Pai
piombasse loro addosso dall’alto, mettendoli fuori
combattimento
in un secondo.
Un terzo membro dell’Ordine si materializzò alle
sue
spalle nel tentativo di tendergli un agguato, ma Pai estrasse il
ventaglio e lo stordì con il suo attacco di vento. Subito
dopo avvertì, alla sua destra, il sibilare di due colpi
di arma da fuoco.
Il primo, sparato con precisione millimetrica, gli perforò
il
ventaglio che stringeva nella mano destra, mentre il secondo lo prese
al polso sinistro. Pai non avvertì alcun dolore ma, quando
guardò il punto colpito, scoprì che su di esso vi
era
arrotolata una spessa catena fatta di una strana energia solida e
luminescente.
Non aveva mai visto una cosa del genere. Che razza di restrizione era
quella?
«Sei davvero degno della tua fama, Pai Ikisatashi,»
osservò sardonica una voce femminile a molti metri di
distanza
da lui. Apparteneva all’aliena che, nell’anticamera
delle Segrete,
aveva provato a fermarlo. Aveva la sua pistola in una mano, mentre
nell’altra indossava un guanto metallico da cui pendeva
l’inizio della catena che lo stava imprigionando,
impedendogli di
fuggire.
L’aliena si fermò a tre metri da lui e
rinfoderò la
pistola. «Prima abbiamo iniziato con il piede sbagliato, per
cui
direi di ripartire da zero,» disse. «Il mio nome
è
Tinga Jiuniang. Il Sommo Shiroi, Maestro dell’Ordine di
Ra-Hu, ha
espresso il desiderio di parlare con te. Posso accompagnarti da lui
mentre ti racconto quanto è ridicolo il nuovo abito da
giorno
della nobile Castella, oppure posso ridurti in fin di vita e
trascinarti di peso mentre sei svenuto. A te la scelta.»
Pai squadrò in silenzio il corpo agile e perfettamente
proporzionato di Tinga. «Bella, giovane e armata di catene.
Quel
vecchio maniaco non si smentisce mai,» commentò
con voce
piatta.
«Cosa stai insinuando?! Io sono qui solo perché ho
abbracciato la causa dell’Ordine!»
«Infatti non è te che stavo
disprezzando.»
«Razza di…»
Innervosita, Tinga tirò a sé la catena,
costringendo Pai
a fare un passo in avanti, ma lui si gettò in ginocchio e
con una
velocità fulminea fece apparire l’arco di Kell,
tese la
corda e lanciò la freccia che si era prontamente
materializzata
contro il guanto di Tinga.
Colpì il primo degli anelli della catena e lo ridusse in
pezzi,
spezzando il collegamento; l’aliena cacciò un
gridolino
sorpreso e si mosse all’indietro, lasciando a Pai la
possibilità di girare i tacchi e fuggire.
Tinga impiegò tre secondi netti per riprendersi dallo
stupore.
«I…IKISATASHI!» ruggì,
togliendosi il guanto
e scaraventandolo via.
Correndo nei corridoi, Pai riuscì a mettere parecchie decine
di
metri fra lui e Tinga, ma non appena mise piede
nell’atrio deserto di una nuova ala del Palazzo fu costretto
a
teletrasportarsi di nuovo per evitare di essere ridotto a brandelli da
una scarica dei suoi colpi di pistola. Lei lo aveva anticipato,
materializzandosi lì, e lo aveva aspettato al varco. Pai non
aveva pensato che l’avrebbe inseguito.
Ricominciò a correre ma si accorse che lei gli teneva
dietro,
fermandosi a tratti per sparargli contro. I suoi attacchi non
erano mortali – mirava alle gambe o alle braccia, ma in modo
così preciso che lui dovette usare tutta la sua
abilità
per schivarli. Non erano proiettili, ma piccoli raggi laser: ogni volta
Pai li evitava cozzavano contro un muro o una suppellettile, formando
un piccolo cratere.
Ad un certo punto, Tinga rischiò persino di colpire
un’ignara servitrice di passaggio, che strillò di
paura e si
rannicchiò in un angolo.
«Pensavo che foste un Ordine segreto!»
esclamò Pai
mentre si lanciava giù da una immensa scalinata di pietra
nera,
atterrando al piano inferiore. «Ragazza, sono abbastanza
sicuro
che se distruggi il Palazzo c’è
un’elevata
probabilità che vi scoprano.»
Tinga lo puntò dalla cima delle scale. «Non
distruggerei
nulla se tu smettessi di scappare, idiota!» gli
gridò in
risposta, ricominciando a sparare.
Pai fu costretto a gettarsi di lato per sfuggire all’attacco.
Non
aveva intenzione di sprecare altre energie lottando, ma quella donna
era estremamente aggressiva e più attirava
l’attenzione,
più il suo piano di raggiungere inosservato il Laboratorio
svaniva.
Doveva neutralizzarla.
C’era una porta lì vicino: l’ingresso
delle cucine.
Pai la sfondò e si gettò dentro, e Tinga
ovviamente lo
seguì; sollevò la pistola senza preoccuparsi di
tutti i
servitori che in quel momento stavano affollando la sala, ma Pai le si
teletrasportò proprio di fronte, cogliendola di sorpresa.
Diede
un pugno al braccio con cui reggeva la pistola e gliela fece perdere;
poi, prima che potesse reagire, fece scattare la mano sinistra dietro
la sua schiena e la tirò a sé come per
abbracciarla,
mentre con la mano destra le spinse all’indietro una spalla:
quella mossa combinata la fece squilibrare, e lui la finì
con un
calcio allo stomaco che la spedì contro un mobile pieno di
tegami di pietra, che le si rovesciarono addosso.
I poveri cuochi presenti nella cucina si lanciarono sguardi stupefatti.
«Ti prego di riferire al Sommo
Shiroi che declino il suo
invito,» le disse Pai, ansimando leggermente. Si
smaterializzò un’ultima volta mentre Tinga,
sconfitta,
perdeva i sensi.
- - -
Stremato a causa dell’uso esagerato del cristallo, che era
ormai
tornato ad essere una semplice pietra, Pai finì per
ricomparire
in un luogo casuale; aveva posto così poca attenzione nel
teletrasporto che precipitò dall’alto e
battè la
schiena contro un durissimo tavolino di pietra, le cui gambe sottili
cedettero sotto il suo peso.
Si rimise in piedi a fatica, massaggiandosi le parti colpite.
In quel mentre, una tenda venne tirata e un rettangolo di luce
filtrò nel buio del minuscolo stanzino in cui era capitato.
Pai
si ritrovò faccia a faccia con un’aliena molto
giovane,
probabilmente un’ancella. Era molto carina, ma aveva un
aspetto stanco e afflitto. Indossava una tunica lunga fatta di un
pesante tessuto argentato, che sul suo pianeta rappresentava il lutto.
Rimasero a fissarsi imbarazzati finché lei, senza dir nulla,
lo prese per la mano e lo tirò via di lì.
Lui si lasciò guidare docile in quello che riconobbe essere
l’Appartamento Imperiale, il luogo in cui aveva vissuto
Kassidiya. Era molto diverso da come lo ricordava: adesso non
c’erano più né il rosso delle pareti
né
il brillio di oggetti preziosi, ma ogni cosa era coperta da
un
panno d’argento. I grappoli di lampade, invece della vivida
luce
che fa brillare l’oricalco, diffondevano un tetro sentore di
morte.
I muri, adesso, erano grigi.
Pai venne condotto vicino al letto della defunta, nascosta alla vista
da pesanti tendaggi come era usanza sul suo pianeta.
Tutt’intorno
erano stati disposti a terra dei grossi cuscini - sempre argentei -
occupati dalle ancelle, che vi erano sedute sopra in maniera composta.
Dovevano essere una decina in tutto; quando Pai gli fu abbastanza
vicino alcune gli lanciarono degli sguardi in tralice… ma
non
parlarono, perché non sapevano cosa era successo nel resto
del
Palazzo e soprattutto perché era vietato aprir bocca durante
la
veglia funebre.
Pai si inginocchiò meccanicamente su uno dei cuscini, gli
occhi
fissi sul letto. Si sentiva a disagio. Sapeva di dover andar via da
lì al più presto, ma non vi riuscì.
Aveva già vissuto questa scena in passato, quando era poco
più di un ragazzino, e il solo ripensarci lo faceva star
male.
Era stato quando sua madre, dopo una lunga e terribile malattia, era
morta.
Lui era rimasto per tre giorni interi a vegliarla ma,
alla fine, era stato trascinato via a forza dal suo odioso patrigno.
Mentre veniva tirato via per le braccia, Pai aveva visto dei nibiriani
entrare nella stanza e scostare le tende del letto di sua madre per
portarla via. L’aveva rivista per un attimo, poco prima che
scomparisse dal suo campo visivo: aveva il volto livido eppure era
ancora bellissima. In quell’occasione gli era sembrato che
potesse aprire gli occhi da un momento all’altro, ma quella
era
stata l’ultima volta che Pai l’aveva vista.
L’ultima.
Depresso dal pesante silenzio che aleggiava nell’Appartamento
e
dall’angoscia dei suoi ricordi, l’alieno venne
preso di
colpo da un desiderio assurdo e del tutto illogico: un’ultima
volta. Voleva vedere Kassidiya un’ultima volta.
Guardare il volto di un Sovrano defunto era una violazione di
gravità 1… ma in fondo, lui ormai era
già
spacciato, no?
Rimettendosi in piedi, attirò l’attenzione delle
ancelle
sonnecchianti e fece loro cenno di uscire. Le donne sembrarono
accogliere la richiesta con una certa riluttanza; quella accanto a lui
gli sfiorò una spalla con fare consolatorio. Lui neanche la
considerò, per cui lei si alzò ed
eseguì
l’ordine ricevuto senza fiatare.
Quando fu ben sicuro di essere solo, Pai si diresse verso il letto con
passi decisi, chiedendosi nel contempo se era davvero pronto
a
sopportare la nuova dose di tormento che stava per andarsi ad
aggiungere a quello in cui già annegava.
In verità non voleva davvero fare tutto questo, ma il suo
corpo era come entrato in una sorta di modalità pilota
automatico. Sfiorò le tende: ormai bastava un
solo gesto per
spalancarle. Bramava di farlo, ma allo stesso tempo la sua parte
razionale si opponeva a quel gesto. Rimase lì fermo,
combattuto.
Era forse diventato matto?
Alla fine spinse via le tende così bruscamente che quelle
per poco non si strapparono.
Quando però vide cosa c’era dietro di esse,
sgranò gli occhi e rimase senza fiato.
“Che cosa… sta succedendo… in
questo
Palazzo?” si domandò fra lo sconcerto, muovendo
alcuni
passi indietro.
Uscì dall’Appartamento ancora scioccato. Ad
aspettarlo
fuori c’erano le ancelle. Due piangevano, e Pai dovette usare
tutta la sua forza
per trattenersi dal rider loro in faccia. Le guardò
rientrare
mestamente nella stanza. La più giovane rimase ferma
sull’uscio: cercava di sorridergli, ma sembrava indecisa e in
qualche modo imbarazzata. Lui rimase a guardarla.
All’improvviso, la ragazza scorse qualcosa dietro le spalle
di
Pai e, intimorita, si infilò rapidamente nella stanza,
serrando
la porta dall’interno.
Colpito da quel comportamento, Pai si girò indietro per
capire
cosa l’aveva spaventata. Impallidì: in mezzo al
corridoio
illuminato, a pochi passi da lui, c’era il Consigliere Shiroi.
In un primo momento, Pai pensò che fosse insieme ai suoi
folli tirapiedi, ma fu sorpreso nel realizzare che era solo.
Catturò lo sguardo malevolo che Shiroi aveva riservato
sempre
solo per lui; era lo stesso che gli aveva lanciato quando lo aveva
afferrato e allontanato dal letto mortuario di sua madre.
La rabbia gli montò istantanea al ricordo di tutto
ciò
che Shiroi, il suo patrigno, gli aveva fatto in passato, ma in qualche
modo riuscì
a reprimerla.
«Perché sei venuto qui?» gli
domandò in tono
aspro. «Quella femmina non ti ha riferito il mio
messaggio?»
«Figliolo, sarei lieto se non scappassi
più,»
replicò lui con calma, nascondendo le mani nelle lunghe
maniche della sua tunica. «Sto avendo parecchi problemi a
spiegare ai membri del Consiglio il… battibecco che hai
avuto
con Jiuniang.»
«Non darmi ordini. Non voglio avere nulla a che fare con
te!» ribatté Pai con voce più alta di
quanto
avrebbe voluto.
«Ti prego di parlare in tono più basso. Sai, oltre
questa porta riposa un morto.»
A sentire la risposta di Shiroi, Pai non riuscì a trattenere
una
risatina nervosa che era quasi un ghigno. «Quindi credi che
non
abbia scoperto la farsa?» Il sorriso forzato si storse in una
smorfia di rabbia. «Quel letto è vuoto. Parla,
dov’è lei? So che è ancora viva.
L’avete
rapita?»
Il Consigliere lo fissò profondamente. «Kassidiya
è esattamente in quel letto.»
«Tu menti.»
«L’ho fatto molte volte, ma questa volta non
è così.»
I muscoli di Pai erano tesi per la rabbia.
«Pai Ikisatashi,» sussurrò Shiroi.
«Ricordo
tutto di te. Già quando eri un bambino, tu eri
irrimediabilmente
perduto. Allora eri un codardo perché mi odiavi ma non avevi
il
coraggio di dirmelo in faccia; ti limitavi a guardarmi come se volessi
che Ra in persona venisse a scaraventarmi nel buio. Dopo la morte di
tua madre io sarei rimasto con te, con Kisshu e con
quell’esserino appena nato di tuo fratello per crescervi e
proteggervi, ma tu facesti talmente tanto che alla fine fui costretto
ad andarmene; così ti sei ritrovato a dover sopportare il
peso
di una famiglia. Alla fine sei riuscito a farcela da solo, ma ti sei
caricato così tanto di responsabilità da finire
per
sopprimere tutto ciò che avresti potuto essere.»
Pai lo fissò malevolo, ma non raccolse la provocazione.
«Avevi delle grandi potenzialità,»
riprese
l’anziano, «ma hai finito per vivere nella miseria,
dedicando la tua vita ad obbedire invece di comandare.
Finché
non c’era pericolo, tutto questo poteva andare; ma ora non
posso
più accettarlo. Ho bisogno che tu passi dalla mia parte e
prenda
il comando. Ho bisogno che diventi un Cavaliere dell’Ordine
di
Ra-Hu.»
«Cosa…?» Il giovane spalancò
gli occhi,
spiazzato da quella richiesta.
«Sei…pazzo,»
sibilò. «Perché mai dovrei fare una
cosa del
genere?»
«Perché il tuo migliore amico lo ha fatto. Lui ha
deciso
di compiere questo passo, ottenendo in cambio il potere che giaceva
dimenticato dentro di lui, così come recitano le antiche
profezie. Tu ora sei debole, Pai; ma se passassi dalla mia parte,
potresti essere in grado di salvare coloro che ti sono cari,
oltre che la tua gente. Devi solo dirmi di sì,»
insistette il
Consigliere, gli occhi che scintillavano pericolosamente.
«D’altro canto l’alternativa, per te,
è
continuare a nasconderti mentre la tua famiglia viene sterminata sul
Pianeta Azzurro.»
Pai aggrottò la fronte, respirando forte attraverso il naso.
«Conosco i metodi con cui agisci,»
mormorò dopo
alcuni secondi. «Hai manipolato il mio amico, ma non
riuscirai a
fare lo stesso con me. E soprattutto, io non voglio che la Terra venga
distrutta.»
Shiroi sospirò. «Vedo che continui a non voler
ascoltare
le mie ragioni. Fai ciò che vuoi, allora. Scappa, nasconditi
come un vigliacco. Io, purtroppo, adesso devo tornare al Consiglio:
stiamo discutendo di una questione estremamente delicata e…
ah,
ti informo che, finché non avremo concluso,
l’intero
Palazzo ha ricevuto l’ordine di non toccarti.» Gli
lanciò un’ultima occhiata. «Se cambierai
idea, sai
come trovarmi.»
Detto questo, incrociò le braccia e si
smaterializzò, lasciando solo Pai.
Lui si chiese che cosa passava per la mente di quel vecchio. Lo aveva
davvero lasciato andare, o era un trucco?
Rimase lì fermò per alcuni secondi,
domandandoselo, ma alla fine diede le spalle
al portone dell’Appartamento di Kassidiya e andò
via anche
lui.
Deciso a concludere la sua missione, si impose di non pensare alle
parole subdole di Shiroi, anche perché era abbastanza sicuro
che
fossero tutte menzogne. Dovette però ammettere che non gli
aveva
mentito sull’annullamento del suo ordine di cattura
perché, avanzando nei corridoi, incrociò due
volte delle
guardie che lo puntarono e borbottarono fra di loro, ma lo lasciarono
comunque passare.
Raggiunse senza difficoltà il Laboratorio e si
inoltrò nel settore in cui si trovava la sala ricerche di
Kell.
Comprese che c’era qualcosa che non andava ancor prima di
raggiungere la porta d’ingresso: la grossa entrata in metallo
ruvido, situata alla fine di un largo corridoio abbastanza isolato dal
resto dell’Ala Scientifica, era infatti chiusa e
una
guardia armata vi stazionava davanti.
Sul pavimento in pietra chiara lavorata, a partire dalla soglia, si
dipanavano due spesse e lunghe scie di color rosso bruno; proseguivano
ondeggianti per molti metri, schiarendosi sempre di più sino
a
svanire.
Incuriosito, Pai si chinò e ne sfiorò una con la
punta
dei polpastrelli, sporcandoseli. Non tardò a
capire che a
colorare di rosso il pavimento non era altro che sangue.
Con il cuore in gola senza alcun motivo apparente, l’alieno
si
rialzò e superò la guardia, spalancando la porta
del
laboratorio; sbiancò di fronte alla scena che gli si
parò
davanti.
Morti, erano tutti morti.
Le luci erano spente, ma i suoi occhi riuscirono lo stesso a scorgere i
cadaveri allineati a terra, coperti pietosamente da dei teli.
L’aria puzzava di sangue e di fumo e il silenzio era
spaventoso.
Che cosa diavolo era successo lì dentro?
Orientandosi in base a ciò che ricordava, Pai raggiunse il
terminale di Kell. Crollò davanti al monitor quadrangolare,
così simile ai computer terrestri, ignorando le tracce del
massacro che lo circondava. Avviò la macchina, che
prontamente fece comparire sullo schermo piatto una riga vuota: era la
richiesta di una parola chiave necessaria per accedere alla banca dati,
ma Pai non aveva idea di quale fosse.
Possibile che Kell si fosse dimenticato di aver protetto il suo
terminale? L’alieno si mordicchiò un labbro,
ragionando.
Il suo amico non era mai stato sbadato: era uno scienziato preciso ed
estremamente pratico.
Ripensò allora a ciò che gli aveva sentito dire,
cercando di capire cosa gli stava sfuggendo.
«Al Laboratorio. Sul mio terminale… capirai
tutto,» aveva detto poco prima di
spirare,
«Ikisatashi.»
Il suo cognome era stata la sua ultima parola, ma Alan non lo aveva
mai, mai chiamato per cognome.
Aveva speso il suo ultimo respiro per dargli la password.
Amareggiato, Pai digitò le lettere del suo cognome e le
inviò all’elaboratore, che le accettò.
Probabilmente era stato preimpostato, perché
avviò in
automatico uno strano video.
L’immagine sul monitor mostrava Kell che, seduto di profilo,
era assorto nel suo lavoro.
Si trovava nella sua camera da letto. L’ambiente era buio e
caotico come
al solito, e osservando l’avanzamento dei progetti che si
intravedevano sui monitor nello sfondo, Pai comprese che la
registrazione era vecchia di alcune settimane.
A quel tempo, il suo amico non lo aveva ancora cacciato via dalla sua
stanza e lui aveva avuto la possibilità di aiutarlo nel suo
lavoro.
Nella registrazione, quando lo scienziato si rese conto di essere
filmato, si tolse i suoi occhialini da lavoro e si rivolse allo
schermo. Gettò la schiena sulla spalliera della sedia e
incrociò le braccia al petto.
Pai lo vide contrarre le labbra, fissare il vuoto per alcuni
secondi ed infine trarre un profondo
sospiro. “Credimi, amico mio,” disse,
“mi sento
davvero ridicolo nel pronunciare queste parole, ma le statistiche che
ho elaborato mi suggeriscono che è necessario. Non ho molto
tempo, per cui ascoltami con attenzione: se stai vedendo queste
immagini, vuol dire che sono morto.”
Dopo di ciò Kell cambiò tono e
continuò a parlare, e Pai lo
ascoltò. Ogni frase urlata dallo scienziato era
più
scioccante della precedente e, mentre osservava le immagini scorrere
sullo schermo e sentiva i suoi singhiozzi, Pai capì
perché si era comportato così, perché
aveva deciso
di non parlargli; perché non aveva potuto far altro che
sacrificarsi e morire in quel modo assurdo.
Quando la registrazione terminò Pai scattò in
piedi,
nauseato. Il cuore gli batteva furiosamente nel petto ed era
così sconvolto da non accorgersi che stava tremando.
Impiegò molto tempo per assorbire e collegare con gli
avvenimenti delle ultime ore quanto gli era stato appena rivelato; non
appena successe, si sentì stranamente vuoto.
Non aveva più bisogno di interrogarsi su nulla,
perché ormai finalmente ogni tassello era andato a posto.
Ora gli era tutto chiaro, persino il significato del suo sogno
ricorrente.
Ed anche quanto profondamente era stato ingannato.
Pai cancellò la registrazione e spense il terminale del suo
amico. E poi, pianse.
- - -
Quando Pai si decise ad uscire dal Laboratorio, le Luci esterne erano
ormai già state spente.
Si inoltrò per i passaggi fiocamente illuminati del Palazzo,
deserto a quell’ora tarda. Non seppe dire per quanto avesse
camminato, ma ad un certo punto vide sbucare una coppia di guardie dal
fondo del corridoio anonimo che stava percorrendo.
Una di loro lo riconobbe da lontano e fece un verso molto simile al
ringhio di un animale selvatico.
«I-KI-SA-TA-SHI,» scandì furiosamente
Tinga.
Estrasse la sua pistola e la puntò contro di lui con tale
collera che la guardia accanto a lei se la diede a gambe per la paura.
Pai si fermò e sollevò entrambe le mani in segno
di resa.
«Quindi, com’era l’abito di quella
nobile?»
- - -
La Sede dell’Ordine di Ra-Hu era all’interno del
Palazzo.
Considerato che a quanto pareva un quarto delle guardie imperiali erano
segretamente suoi membri e che il Consigliere dell’ex-Sovrana
ne
era il Maestro, a Pai non parve poi così bizzarro.
La vera bizzarria, in verità, era che la Sede non era altro
che
una stanzetta grigia, umidiccia e non molto grande, da cui si accedeva
tramite una scalinata nascosta alla vista dall’ologramma
solido
di una parete.
Mentre scendeva uno dopo l’altro i gradini di pietra, Pai
lanciò
un’occhiata in giro: la stanza non aveva finestre, ma era ben
illuminata. Un lato era completamente ricoperto da monitor, mentre
sugli altri due erano montati decine di scaffali ricolmi di teschi,
strumenti, papiri e manoscritti antichi. Al centro vi
era un tavolo ovale di pietra nera che, in quel momento, era occupato
da stampe di progetti: Shiroi le stava esaminando con attenzione in
compagnia di due gemelli che con tutta probabilità avevano
l’età di Taruto.
A differenza loro, il Consigliere non parve sorpreso di vedere Pai.
«Ho come l’impressione che tu ora sia disposto ad
ascoltarmi,» osservò, distogliendo a malapena gli
occhi
dai progetti.
«No. Sono qui solo per avere quel potere di cui
parlavi,» ribatté lui.
Shiroi inarcò un sopracciglio, dandogli la sua completa
attenzione. «E perché mai?»
«Perché voglio vendetta.»
«Inaspettato, da parte tua,» ammise il Consigliere.
«Ma suppongo sia un motivo valido come un altro.»
Allontanatosi dal tavolo, raggiunse Pai ai piedi della scalinata e si
fermò a pochi passi da lui.
«Non ho bisogno di darti
nessun potere. E’ già
dentro di te. Mi limiterò a risvegliarlo,» gli
disse,
tendendo il palmo della mano aperto nella sua direzione.
Il gesto era identico a quello necessario ad estrarre
l’energia
vitale di un essere vivente, e per un attimo quella improvvisa
consapevolezza spaventò Pai. Rimase però
immobile, anche
quando l’anziano chiuse gli occhi e cominciò a
mormorare
delle parole incomprensibili.
All’inizio non successe nulla, poi però la polvere
ai
piedi di Pai si sollevò in un piccolo vortice circolare.
Qualcosa iniziò a formicolare nelle sue ossa. Shiroi
aggrottò la fronte per lo sforzo e la concentrazione e Pai
avvertì un’ondata di qualcosa cercare di
penetrare dentro
di lui. Era un qualche tipo di potere spirituale a lui sconosciuto:
fluiva nel suo petto con lentezza e difficoltà
perché gli
lui stava istintivamente impedendo l’accesso.
Respirò
forte e si costrinse ad abbassare le sue difese. Non appena lo fece, il
potere si riversò dentro di lui con forza,
impossessandosi
del suo corpo e di ogni pensiero e facendolo pentire di averlo lasciato
entrare.
La sensazione era devastante, avrebbe voluto
contorcersi e gridare ma non riuscì a muovere un muscolo
perché era completamente paralizzato.
L’onda spazzò via ogni cosa e raggiunse la parte
più nascosta dentro di lui, un angolo della mente di cui Pai
ignorava persino l’esistenza. Ci fu uno strappo. Qualcosa
dentro
di lui venne lacerato.
Una tempesta di ricordi, suoni, voci e immagini gli riempì
la
testa con violenza tale da fargli provare dolore. Erano
memorie
confuse di esperienze che aveva vissuto, ma non in questa vita;
conoscenze perdute e accessi a canali di energia che non aveva mai
sospettato di possedere. Era ciò che voleva ma era troppo, ed
era troppo improvviso.
Si sentì impazzire, ma lottò per mantenere il
controllo.
Quando l’onda si ritirò, Pai crollò
sulle
ginocchia, il respiro affannato e le pupille completamente dilatate.
Shiroi abbassò la mano. «Bentornato, Cavaliere di
Ra,» lo salutò, chinando appena la schiena con
sarcasmo
abbastanza palese. «Organizzerei una festicciola in
tuo
onore, ma non credo apprezzeresti.»
Pai lo ignorò. Si alzò in piedi, barcollando
leggermente.
Non sapeva dire se stava bene o no: il suo corpo era leggero e la testa
sembrava volergli scoppiare.
«Cosa… significa… questo?»
domandò confuso, con voce sofferente.
«Ricordi delle tue vite passate, un effetto collaterale del
Risveglio. Non dar loro troppo peso, o finiranno per
schiacciarti.»
Pai aprì la bocca per parlare di nuovo, ma non
riuscì a
dire nulla. Formulare un pensiero da trasformare in parole era di colpo
diventata un’impresa parecchio complicata. Raggiunse il bordo
del tavolo e vi poggiò sopra i palmi delle mani. Rovesciata
la
testa in avanti, inspirò ed espirò con fatica,
lottando
per respingere la massa ingarbugliata di sentimenti e ricordi che gli
stavano offuscando la mente. Sapeva che, se avesse cominciato a
riviverli, sarebbe davvero
impazzito.
Gli ci volle una gran forza di volontà e molti lunghi
minuti, ma alla fine riuscì a trovare un qualche equilibrio.
«S-Stai… Stai bene?» gli
domandò timida uno
dei due gemelli, la ragazzina, quando Pai risollevò il viso.
«Devo andare sulla Terra,» le rispose lui con
urgenza. «Adesso.»
«Saremmo potuti andare tutti, se non avessi distrutto il
passaggio,» si intromise l’altro gemello che, come
la
sorella, aveva assistito a tutta la scena in religioso silenzio dal suo
posto all’altro capo del tavolo.
«Ti porgo le mie scuse,» gli disse grave Pai.
«Ero stato deviato.»
Nel pronunciare quell’ultima frase, il sentimento di
impotenza e
frustrazione che aveva provato quando era nel Laboratorio
ricominciò a scuotergli l’animo. Voleva
vendicarsi. Ora
che aveva il potere, avrebbe
potuto vendicarsi... se non fosse
bloccato sul Pianeta Nero.
Shiroi rilasciò un teatrale sospiro. «Se vuoi
andare sul
Pianeta Azzurro, credo di poterti aiutare. Seguimi,» gli
disse semplicemente,
iniziando poi a risalire la scalinata di pietra.
Pai inarcò le sopracciglia dubbioso, ma eseguì
quell’ordine. Uscì dalla Sede insieme al
Consigliere e
passò davanti a Tinga, rimasta fuori di guardia, senza dirle
una
parola.
Lei gli lanciò un’occhiata obliqua ma non si mosse.
Di nuovo, Pai si ritrovò nella pace dei mille passaggi del
Palazzo. Mentre camminava, guardava davanti a sé le spalle
dell’anziano che aveva tanto odiato… e a ragione,
per
quanto lui ne dicesse. Shiroi sembrava calmo e innocuo, ma chi lo
conosceva bene sapeva che era uno stratega crudele
che trattava i suoi sottoposti come pedine da manovrare a suo
piacimento, marionette da gettare via quando non gli servivano
più.
Pai non aveva mai sopportato l’idea di crescere accanto a
qualcuno del genere e non aveva mai capito come sua madre, dopo la
scomparsa di suo padre, avesse potuto innamorarsi di lui.
Tra le altre cose, era stato Shiroi a spingerla ad adottare Kisshu. Lo
aveva presentato in
casa spacciandolo per suo parente rimasto orfano ma una notte,
origliando una conversazione, Pai l’aveva sentito dire che
quel
bambino era uno dei figli degli Enki sfuggito miracolosamente alla
morte; aveva perso la memoria per lo shock subito e doveva essere
tenuto nascosto perché tutti lo credevano scomparso.
Poco dopo, Shiroi l’aveva scoperto ad origliare:
l’aveva
picchiato fino a farlo sanguinare e gli aveva ordinato di non riportare
a nessuno ciò che aveva sentito; in caso contrario,
l’avrebbe ucciso. E lui, piangendo, non aveva osato
protestare.
Pai era debole e stupido da bambino. Non gli piaceva essere debole. Per
questo, crescendo, si era allenato e aveva studiato così
duramente.
I due alieni raggiunsero l’Appartamento di Kassidiya e si
fecero
aprire la porta. Una volta dentro, Shiroi batté due volte le
mani, ordinando alle ancelle di andar via. Due anziane brontolarono
parecchio per quella nuova intrusione, ma le altre rivolsero
al
Consigliere uno sguardo d’intesa. Erano tutte dell’Ordine,
realizzò Pai in quell’istante.
Non stavano vegliando,
stavano proteggendo.
Non appena furono soli, Shiroi scostò le tende del letto di
Kassidiya: era vuoto, come Pai aveva scoperto prima. Con un gesto
esperto, il Consigliere tirò fuori da un involto di coperte
un
oggetto luccicante che Pai ricordava di aver già visto
innumerevoli volte: il medaglione a forma di croce di Kassidiya.
Glielo porse. «In questo gioiello è incastonata la
pietra
dell’antico kuruvinda. Devi sapere che quella che tu credevi
essere Kassidiya…»
«Lo so,» lo interruppe Pai. «Il mio
amico… me lo ha rivelato.»
«Bene, almeno ha fatto una cosa utile alla fine.»
Pai strinse i denti, ma non replicò. Prese fra le mani il
gioiello: quella minuscola gemma di kuruvinda - o
rubino,
come lo chiamano i terrestri - racchiudeva una quantità
immensa di energia che Kassidiya, nel corso della sua breve e finta
esistenza, aveva inconsapevolmente catalizzato.
«Credo che tu possa sfruttarne un po’ per
amplificare la
tua capacità di teletrasporto…»
borbottò
Shiroi. «Dovresti riuscire a ricollegarti al contatto
planetario
e a raggiungere la Terra.»
Pai osservò la gemma, che era calda fra le sue dita.
«Questo non fa parte della profezia,» gli fece
notare.
«Sono sicuro che anche se te lo vietassi, faresti comunque di
testa tua,» bofonchiò lui in risposta, scuotendo
la testa.
«Veloce, prima che cambi idea.»
Pai strinse il gioiello, che iniziò ad emettere delle
scintille
rossastre. Si concentrò sull’idea di
smaterializzarsi,
facendo appello alle sue capacità. Gli parve molto
più
facile del solito. «Non ho intenzione di
ringraziarti,»
disse all’anziano.
«Non è un problema. Non avrei comunque dato alcun
peso alle tue patetiche frasi,»
replicò lui, guardandolo svanire in un turbine color rosso
brillante.
+ + +
NB:
L'efficacia delle varie mosse di combattimento presenti in questo e nei
prossimi capitoli è stata sperimentata di persona
dall'autrice
della fanfic.
(Io ho la vitalità di una patata, ma il mio fidanzato
è
appassionato di karate/MMA/tiro con l'arco/combattimenti all'arma
bianca/spada medioevale etc. e spesso mi usa come compagno di
allenamento.)
(E visto che ormai come le gazzelle percepisco il pericolo e fuggo
prima ancora che lui possa avvicinarsi, ultimamente fa finta di volermi
abbracciare ma in realtà mi afferra e mi fa una mossa a
tradimento. Un giorno di questi una ginocchiata laggiu' in
fondo
non gliela toglie nessuno.)
|
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Capitolo 41 *** Cosa sei veramente ***
26
02/01/2015: Ahhhh
il mio vecchio pc
mi sta dando un sacco di problemi, ed essendo la sessione invernale
alle porte, devo dire che ha scelto davvero il momento peggiore per
fare le bizze, sigh. T_T
Ma tralasciando... approfitto di questo spazio per lasciarvi i miei
auguri di felice anno nuovo e [questo
link] che rimanda alla track che mi ha tenuto compagnia
mentre scrivevo le ultime righe del capitolo sono una brutta
persona lo so. Voglio condividerla con voi
perché trovo che sia un walzer davvero meraviglioso.
(Adoro questa playlist.)
Per quel che riguarda la fanfic... mi sono accorta che ormai la revisione è quasi terminata. Ne sono felice
perché attualmente, essendo vincolata dalla trama che avevo
iniziato a sviluppare in passato, quando sono di fronte a dei punti
particolarmente critici non mi resta
che cercare di "mettere una pezza". Citando Chris (?!), tutto
ciò è molto frustrante - anche se ammetto che
è un buon esercizio mentale.
Una cosa su cui però non riesco proprio a passare
è la lunghezza della fanfic. Mi sento quasi in colpa di
averla ideata così lunga, e dall'altra parte piu' vado
avanti piu' trovo complesso scrivere perché devo tener ben
presente tutto quello che è avvenuto in passato.
Ultimamente - forse a causa di tutto questo - sto provando a tratti un
desiderio divorante di cestinare tutto, ma per ora riesco a tenere il
bastardo sotto controllo. ¬_¬
- Capitolo 39: Cosa sei
veramente -
Il
rombo di un tuono riecheggiò all’interno della
chiesa in
cui Kassandra aveva imprigionato le mew mew e gli alieni, mentre le
prime gocce di pioggia iniziavano a battere rumorosamente contro le
vetrate.
Di lì a poco, lì fuori si sarebbe scatenata una
tempesta, ma nessuno dei presenti vi diede peso.
«Sono un abitante del Pianeta Nero,» aveva appena
detto il
giovane che Minto aveva sempre creduto essere un umano, «e il
mio
vero nome è Ai.»
Muta e sbigottita, la ragazza rimase immobile a fissarlo. Dopo gli
ultimi avvenimenti, una parte di lei si era in qualche modo aspettata questa
risposta;
ma, nonostante questo, non voleva comunque crederci. In fondo, si
disse, non era
possibile che un comune ragazzo fosse anche un alieno, no?
«Non è possibile,» replicò
quindi in modo automatico. «Stai mentendo.»
Di fronte alla convinzione della ballerina il giovane
sospirò,
sorridendo mestamente. «Non ci crederai finché non
lo
vedrai con i tuoi occhi, giusto?» le disse.
«D’accordo allora.»
Will premette un punto del bracciale che indossava ad uno dei
polsi: si sentì un
crepitio e un istante dopo, al suo posto, vi era Ai. Vedendolo, Minto
sentì il sangue raggelarsi nelle sue vene.
Non aveva mentito. Non aveva mentito. Non le aveva davvero mentito.
Le pupille della ragazza si dilatarono per lo shock;
impallidì e
si portò una mano alle labbra, le stesse che
quell’alieno
aveva baciato solo poche ore prima con l’inganno.
Perché sì, pensò con improvvisa
disperazione, se
Will era Ai allora lui l’aveva ingannata per
tutto il tempo.
«E-Ehi!» esclamò una sbalordita Mew
Pudding, a poca
distanza da lei. «Ragazze, avete visto anche voi?
Il fidanzato di Minto si è trasformato in un
alieno!»
La mew scimmietta si era rimessa in piedi insieme alle altre guerriere.
Non si erano ancora del tutto riprese dal combattimento, ma il modo in
cui la situazione stava degenerando gli aveva lasciato ben intendere
che non potevano concedersi ulteriore riposo.
«Voi… Potete davvero trasformarvi in
umani?»
domandò Mew Ichigo a Kisshu, aiutandolo a rialzarsi.
«Credo fosse un travestimento,» spiegò
lui,
vagamente intontito a causa della botta presa. «Forse un
ologramma, qualcosa del genere.»
Taruto gli apparve accanto, galleggiando. «Comunque sia, quel
tipo ti somiglia.»
«Uh?» Kisshu squadrò Ai da capo a piedi
per molti
secondi, scettico. «Nah,» sbuffò alla
fine.
Ai si mosse verso Minto. «Questo è il mio vero
aspetto,» le disse con un tono calmo e paziente che, per lui,
era semplicemente sbagliato.
«Non devi aver paura. Minto,
io…»
«Non ho paura,» lo interruppe lei.
Ai fu costretto a riconoscerlo. Minto aveva gli occhi lucidi come
quando era stata aggredita quei malviventi, ma non sembrava spaventata.
Non sapeva se fosse un buon segno o meno.
«E… allora?» si azzardò a
chiederle.
«Allora, cosa?» ribatté lei, sforzandosi
di
mantenere ferma la voce. «Cosa vuoi che ti dica?
Questo…
Questo è stato crudele,» ammise. «Non
capisco.
Perché lo hai fatto? E’ una qualche strategia
perversa o
volevi solo divertirti alle mie spalle?»
Ai aggrottò la fronte. «Cosa stai dicendo? Credi
davvero che io…»
La frusta di Mew Zakuro schioccò ai suoi piedi,
interrompendolo
di nuovo e costringendolo a sollevarsi da terra di un paio di metri.
«Stai lontano da lei,» ringhiò a bassa
voce la guerriera lupo.
«Tu…» sibilò Ai con odio.
Estrasse la sua arma, ma non la attaccò.
Nel mentre, Minto venne raggiunta da Mew Ichigo e Mew Lettuce.
Quest’ultima posò entrambe le mani sulle sue
spalle.
«Va tutto bene, Minto,» le disse con voce
rassicurante. «Ci pensiamo noi a lui. Non gli permetteremo di
farti del male.»
«Voleva davvero… farmi del male?»
domandò
Minto con voce flebile, mentre una lacrima silenziosa le rigava la
guancia.
La mew focena esitò nel risponderle, ma Mew Ichigo
annuì
energicamente. «Sì,» affermò.
«Voleva
ingannarti per farti chissà cosa, ma a quanto pare ha
fallito.»
«Lo… Lo penso anche io,» si costrinse ad
ammettere
Minto, anche se con molta meno convinzione di quanto avrebbe voluto.
«E’ l’unica spiegazione
possibile.»
«NO!» le gridò con urgenza Ai, facendole
sussultare.
«Minto, non crederle! Io non ti ho ingannata!»
Sembrava quasi sincero.
«Smettila almeno di parlare!» ribatté
Mew Ichigo con
rabbia. Abbandonò il fianco di Minto e si
avvicinò
all’alieno a grandi passi, superando Mew Zakuro che stava
ancora
facendo loro da scudo. «Ma non ti vergogni neanche un
po’
per quello che le hai fatto? Giocare con
i suoi sentimenti per i vostri stupidi
piani…!»
«Piani...?»
domandò Ai, confuso. «Quali piani?»
«Mew Ichigo ha ragione, sei cattivo!»
esclamò Mew
Pudding, puntandogli contro le sue armi. «Ti faremo passare
la voglia di imbrogliare le giovani ragazze in cerca
d’amore!»
«Ma siete stupide?» sbottò a quel punto
l'alieno con irritazione
crescente. «Vi sto dicendo che non è
così!»
«Mi dispiace, ma non possiamo crederti,» gli
rispose Mew
Zakuro. «Non dopo tutto quello che le hai fatto in
passato.»
«Che cosa le avrei…»
«Se osi avvicinarti di nuovo alla mia amica, ti giuro che la
pagherai cara!» lo minacciò Mew Ichigo, facendo
comparire
la sua Strawberry Bell.
«No, è probabile che lo ucciderò
prima,»
borbottò una voce sgradevole alle spalle
dell’alieno.
«Oh, eccoti qui, Kass,» sospirò lui.
«La
prolungata assenza dei tuoi insulti stava iniziando a
preoccuparmi.»
«C-Che cosa stai insinuando, villico insolente?!»
replicò subito la principessa. Lo indicò con un
dito
accusatorio. «Ho atteso per tentare di capire che cosa stava
passando nel tuo cervello da zotico, ma ora ne ho
abbastanza! Tu, pezzente traditore… sei davvero sceso
così in basso da mischiarti con i terrestri!»
«Fammi un favore, Kass… per una volta, solo per
una
volta… stai zitta e non parlare di cose che non
sai.»
«Io dovrei stare zitta?! IO?! Come ti permetti?! Sei la
vergogna
del nostro popolo! Spingerti così in basso da ammettere di
provare dei sentimenti per un essere umano inferiore è
semplicemente così disgustoso
che…»
«FA’ SILENZIO!» le gridò Ai in
uno scatto
nervoso, facendola ammutolire. Quando lui si girò per
guardarla
in faccia, Kassandra si specchiò scioccata nei suoi intensi
occhi azzurri, ora cupi e agitati come un oceano
in tempesta.
«Sai cosa ti dico, Kass?» riprese l'alieno,
«Non c’è alcuna differenza fra noi e i
terrestri.
Per me sono uguali, perché io odio tutti allo stesso modo.
Tutti, tranne lei.
Lei è diversa. A me non importa che cosa sia,
lei è la persona migliore che abbia mai conosciuto.
Io… amo
Minto e se tu o il tuo tirapiedi provate anche solo a
toccarla…»
«Idiota!» ululò Kassandra a quel punto,
«quella terrestre è una delle mew mew!»
«Che cosa?!» esclamò Ai sbalordito. Si
voltò
in direzione del gruppo di ragazze al centro della navata, gli occhi
sgranati per il terrore.
“Davvero non lo sapeva?” fu l’unica cosa
che
riuscì a pensare Minto in quel momento. Si rese conto che Ai
la
stava fissando. Senza realmente pensare a cosa stava facendo, distolse
lo sguardo e strinse la sua spilla, recitando la formula per la
trasformazione.
Ai si ritrovò a guardare inebetito la metamorfosi della
ragazza che aveva appena ammesso di amare.
Scoprire che Minto era anche colei che aveva sempre considerato essere
la sua peggior nemica sembrò far andare il suo mondo in
frantumi e rigettarlo a forza nella realtà.
Impietrito dalla vergogna e dal dolore, l’alieno
lasciò
che Kassandra richiudesse una mano su una manica del suo vestito e lo
facesse da parte con una spinta.
«Si vantava di essere astuto… possibile che in
realtà fosse così cretino?»
bofonchiò
seccata la principessa, atterrando poi sullo stesso livello delle mew
mew, ma ben distante da loro. Il sottile movimento d’aria
fece
ondeggiare con grazia le curve morbide dei suoi capelli. «Ora
che
abbiamo finito con queste assurdità, direi di tornare a
noi,»
dichiarò. Sollevò un braccio, pronta ad evocare
di nuovo
il suo servitore.
«Ehi, avevi detto che se avessimo sconfitto i tuoi chimeri ci
avresti aiutati!» le disse Taruto.
«Non ricordo di aver mai detto nulla del genere, traditore in
miniatura,» gli rispose lei con noia. Schioccò le
dita, e
Hiroyuki si materializzò in ginocchio al suo fianco.
Ora che era fermo e più vicino, le mew mew poterono
scrutarlo
con attenzione. Per loro sorpresa, scoprirono che era illeso: a causa
dei precedenti
combattimenti i suoi vestiti erano stracciati in più punti e
i
suoi capelli erano tutti scompigliati, ma non vi era traccia di sangue
o ferite sulla sua pelle, né una singola goccia di sudore.
Le ragazze si guardarono ansiose fra di loro come per chiedersi
silenziosamente se quel mostro fosse, dopotutto, immortale.
«Che poteri ha questo tipo?» gli domandò
Kisshu.
«Quale strategia avete usato finora per
combatterlo?»
«Sappiamo solo che è tremendamente forte e
obbedisce
ciecamente a quella donna. Le sue armi sono due spade. Gli
attacchi diretti non funzionano su di lui, è troppo agile e
veloce,» gli rispose Mew Zakuro.
«E se lo cogliessimo di sorpresa?»
«Inutile, ci abbiamo già provato.»
Kisshu sbuffò un mugolio infastidito.
«Dobbiamo farci venire in mente qualcosa per
fermarlo,»
mormorò Mew Ichigo a mezza voce, mordendosi le labbra.
«Ci
deve essere
un modo.» Una delle sue mani si richiuse sulla pietra
preziosa che teneva ben corservata nella tasca.
«Hiroyuki, togli quegli esseri inferiori dalla mia
vista!»
comandò intanto Kassandra passandosi una mano fra i capelli,
mentre con l’altra indicava il gruppetto di avversari.
Hiroyuki annuì e… sorrise malignamente. Compiuto
un balzo
altissimo, materializzò le sue sciabole e le
agitò più
volte nell’aria.
Mew Pudding osservò quello strano spettacolo con interesse.
«Che fa adesso?» chiese.
«Oh, no!» esclamò Mew Ichigo, che aveva
già vissuto quella scena. «Gettatevi a
terra!»
Tutti obbedirono, giusto in tempo per schivare una delle decine di
invisibili lame che sfrecciarono sibilando sopra le loro teste. Quei
potenti attacchi modificarono spontaneamente il loro percorso e
andarono a infrangersi sulla massa di panche ammassate l'una sopra
l'altra nelle navate ai
lati del gruppo, che vacillarono e poi si rovesciarono con un gran
rumore addosso a loro.
Mentre un nuvolone di polvere si innalzava a seguito del crollo,
Hiroyuki rinfoderò l’arma e tornò da
Kassandra che,
più confusa che mai, spostò più volte
lo sguardo
da lui al cumulo di macerie precipitate sui
suoi avversari.
La principessa impiegò alcuni secondi per capire che la sua
guardia del corpo aveva eseguito alla lettera i suoi ordini e che
adesso, in effetti, le mew mew erano completamente al di fuori dal suo
campo visivo.
«Ah…!» esclamò quando se ne
accorse.
«Hiroyuki, ehm… si, sei stato bravo, ma forse non
mi sono
spiegata bene…» gli disse, e poi gli si
avvicinò per esporgli meglio le sue volontà.
Nel frattempo, qualche metro più in là, Taruto
stava
estraendo dall cumulo legnoso Mew Pudding tirandola per la coda.
«Ahio!» si lamentò lei una volta fuori,
massaggiandosi la schiena. «Fa male… ma grazie di
nuovo
per l’aiuto!»
«Figurati,» osservò il ragazzino alieno
con una certa ansia.
Anche le altre mew mew, pian piano, riemersero in superficie: erano un
po’ acciaccate, ma nel complesso stavano bene.
«Che cosa voleva dimostrare con questo?!»
balbettò dolorante Mew Ichigo.
«Ha dimostrato che è un burattino nelle mani di
quella
pazza,» le rispose Kisshu, tossendo a causa della
polvere sollevatasi.
«E’ questo il suo punto debole, non ha una sua
volontà.»
Mew Ichigo annuì. Kisshu aveva ragione, la più
grande
debolezza di Hiroyuki era il suo dipendere completamente
dagli ordini di Kassandra.
Era su questo che doveva concentrarsi. Non ci avevano mai pensato
sinora, ma se fossero riusciti a giocare bene le loro carte, avrebbero
potuto sfruttare questo fatto per renderlo inoffensivo senza
necessariamente sconfiggerlo.
Potevano farcela.
«Stavolta c'è mancato poco...» esalò
Mew Mint, togliendosi di dosso dei pezzi di segatura scura. Giaceva seduta
scompostamente in un angolo della navata
laterale perché, a differenza delle
sue amiche, era riuscita ad evitare di essere travolta gettandosi di
lato.
Occupata a riprendersi dallo shock, non si accorse del portalampade
appeso alla colonna alle sue spalle che, instabilizzato dal crollo,
cedette e minacciò di rovinarle addosso. Non era molto
grande,
ma era in metallo e la sua decorazione elaborata a foglie appuntite le
avrebbe fatto
davvero male… se la sua traiettoria di caduta non fosse
stata
prontamente deviata da un oggetto che ricadde tintinnando a
poca distanza da lei.
Mew Mint lo osservò incuriosita: era il kris di Ai.
Scattò in piedi come se avesse preso una scossa di
elettricità e si guardò intorno, appena in tempo
per
vedere l’alieno lanciarle un’occhiata indecifrabile
da
lontano e sparire in direzione di un punto imprecisato in fondo alla
chiesa.
Grazie al cielo, pensò la ragazza, le sue compagne erano a
qualche metro da lei e sembravano non essersi accorte di nulla.
Ma si rese conto di aver cantato vittoria troppo presto quando Mew
Zakuro le balzò
accanto e le disse in un sussurro: «Vai da lui.»
«N-Non dire sciocchezze!» esclamò lei
costernata,
mentre un velo di rossore del tutto inopportuno le colorava le guance.
«Non vi lascerei mai sole in una situazione del
genere!»
Mew Zakuro scosse la testa. «Dopo Hiroyuki e Kassandra
dovremo
occuparci anche di lui, e credo che abbia capito anche tu che
è
il tipo di avversario che preferirebbe morire piuttosto che arrendersi.
Se riuscissi a convincerlo a fermarsi, non saremo costrette a
ucciderlo,» le spiegò, atona. Poi
sospirò
piano e le rivolse un’occhiata appena più dolce.
«Minto, devo ammettere che forse mi ero sbagliata su di lui.
Vai e prova a parlargli. Qui ci pensiamo noi.»
Mew Mint sentì delle lacrime di commozione colmarle gli
occhi. «Ti
ringrazio,» disse alla sua amica. «Ti ringrazio
davvero, Zakuro.»
Lei le rivolse un cenno d’assenso e poi tornò
dalle altre.
Mew Mint, invece, si diresse verso il punto in cui Ai era scomparso.
Mentre si allontanava dal campo di battaglia le tornò in
mente
di quando, tempo addietro, si era ripromessa di salvare
quell’alieno da sé stesso.
Dopo gli ultimi eventi aveva una gran confusione nel suo cuore... ma
decise che avrebbe fatto di tutto per mantenere la sua promessa.
---
Seguendo il consiglio di Zakuro, Imago e Chris si erano rifugiate nel
sottotetto della chiesa.
Quel locale era stato realizzato da poco, per cui nessun visitatore vi
aveva mai messo piede. Non era molto ampio, ma era ben illuminato dalla
rete elettrica già attivata; il soffitto scendeva a
spiovente e
delle colonne in legno, collegate da piccoli archi, sorreggevano la
copertura a vista.
L’unica finestra presente era una grossa vetrata a blocchi
rettangolari disposta lì dove il soffitto raggiungeva la
massima
altezza: le lastre rosa e viola che la componevano davano un tocco di
colore all’ambiente, creando un’atmosfera quasi
mistica.
Chris, una volta entrata, aveva afferrato un libricino dalla pila che
qualcuno aveva
ammucchiato su una scrivania in mogano nuova di zecca e si era
accomodata su una panca con la seduta in velluto. Era rimasta
lì per tutto il tempo a leggere
tranquilla, incurante della battaglia che stava avvenendo proprio sotto
i suoi piedi.
Imago, invece, si era raggomitolata su una scomoda savonarola e aveva
trasalito ogni volta che il fragore di un attacco più forte
degli altri era giunto alle sue orecchie. Si era più volte
guardata la mano, aprendo e chiudendo debolmente il pugno con tristezza.
Le due ragazze aliene erano rimaste in silenzio per lungo
tempo.
«Questi terrestri sono così fantasiosi!»
esclamò però ad un certo punto Chris, sembrando
entusiasta. «Ima, non
puoi neanche immaginare come credono
che sarà la fine del mondo! Guarda: in questo libro che uno
di
loro ha scritto si parla di sigilli che saltano, flagelli, cavalieri
della distruzione, bestie immonde, vergini e…
dragoni…?!» Rise.
«Chris, come… come fai a restare così
calma in un
momento del genere?» le domandò Imago, stupita da
tutta quella leggerezza.
Lei sollevò appena le spalle. «Perché
dovrei essere
preoccupata? Il tuo amato
Kisshu e le ragazze terrestri hanno detto che ci avrebbero
pensato loro.»
L'aliena piu' giovane si rimise in piedi e prese un grosso respiro.
«Io credo che
dopotutto dovremmo andare ad aiutarli,» dichiarò.
«Forse potremmo…»
La risata divertita di Chris le fece morire il resto della frase sulle
labbra.
«Oh, Imago! Hai passato una vita intera a scappare e proprio
ora vuoi
combattere? Andiamo, lasciali giocare fra di loro! Se muoiono, muoiono.
Tutto muore, alla fine,» disse, «tranne te, a
quanto
pare,» soggiunse poi in un tono acido che a Imago non piacque
per niente.
«C-Che cosa...?» mormorò.
«Se ci pensi, la morte non è poi così
mostruosa,»
fu la risposta dell'altra. «Potrebbe essere la liberazione dal dolore che ti sta torturando, non
credi?»
«No,» replicò Imago, sentendosi a disagio. «E
comunque non capisco cosa vuoi dire.»
Chris richiuse il testo sacro che stava leggendo e lo mise via.
«Allora te lo mostrerò,»
dichiarò in tono
solenne.
Un attimo dopo Imago si ritrovò con le spalle premute contro
una
delle pareti del sottotetto: Chris l’aveva afferrata e
smaterializzata lì con una velocità tale che lei
non se
ne era neanche accorta; e fu solo a causa dell’improvvisa
mancanza d’aria che la ragazza si rese conto che la sua amica
le
aveva portato una mano alla gola e aveva iniziato a stringere,
impedendole di respirare.
Incapace di muoversi, incapace di parlare, Imago puntò
sconvolta gli occhi atterriti su di lei.
«Ti fa male?» le chiese Chris con disinvoltura,
affondando
le dita nella pelle delicata del suo collo. «Se ti fa male,
dovresti morire. In questo modo non sentirai più nulla,
no?»
La sua presa era salda e spietata e non accennava ad allentarsi. Imago
si sentì soffocare quando pensò che fosse la
fine, si ritrovò di colpo di nuovo libera.
«Ops...
Scusami, ti ho
spaventata?» le domandò incerta Chris, muovendosi
indietro di un
paio di passi. «Non volevo. Sai, sono un po’ su di
giri
ultimamente; mi è difficile controllarmi.»
Lei
tentò di allontanarsi dalla parete
ma fu solo in grado di accasciarsi contro di essa. Tossì
più volte, respirando forte per
riempire i polmoni d’aria.
«Comunque
sia tu dici di voler combattere,»
proseguì Chris, «ma cosa farai quando
ti ritroverai sul
campo di battaglia, di fronte a tua sorella? Ricordo che eri molto
dispiaciuta quando ti dissi che era morta, ma poco fa sembravi davvero
spaventata da lei. Suppongo che fosse perché in passato ti
ha
fatto del male, giusto?»
Imago rimase immobile, ansimante e scioccata, ma non disse nulla. Chris
la prese come un risposta affermativa.
«Immaginavo. Quindi in passato tua sorella ti ha fatto del
male, ma nonostante tutto tu
non sei riuscita ad odiarla. Oh, è così da te, Imago! Sei
davvero buona…. Troppo, per essere reale. E mi dispiace
dirlo,
ma non lo sei.»
«Non… Non scherzare, Chris.»
«Non sto scherzando. So
tutto di te. Ti ho cercata per secoli, ma non sapevo sotto quale forma
ti saresti presentata di fronte ai miei occhi. Credimi, fra questo e le
insulse strategie di Shiroi è stato tutto molto, molto
frustrante.»
«...»
Chris
portò le mani
dietro la schiena e sorrise con dolcezza. «Se vuoi, per farmi
perdonare, ti spiegherò cosa sei realmente e
perché è diventato sempre piu' faticoso per te
usare i tuoi poteri.»
«Non so di cosa tu stia parlando,»
replicò Imago,
staccando dalla parete, «e io… non
voglio sapere nulla. Per favore, Chris. Mi stai facendo paura. Ti
prego, non…»
«Quel ciondolo,» disse l’assistente
scienziata, ignorandola e
indicando il suo polso sinistro. «E’ tutta colpa di
quel
ciondolo che ti porti sempre dietro. Non è un oggetto,
è
una parte di te. E ti sta uccidendo.»
Sentendo quelle parole, Imago rimase interdetta. «Cosa,
questo?» chiese sorpresa, mostrandole il gioiello che teneva
ben
allacciato al polso a mo’ di bracciale. «Non
è
possibile,» ammise. «Questo è solo un
ricordo dei
miei genitori. Me l’hanno regalato quando ero
piccola.»
«Davvero? E cosa è successo prima?»
La ragazza inclinò la testa di lato, ragionando su quella
strana
domanda. Finì per presto per realizzare che, in effetti, i
suoi
ricordi iniziavano dal momento in cui aveva ricevuto quel regalo.
Stranamente, però, la cosa non la sorprese. Si chiese il
perché.
«Tu non sei mai nata,» dichiarò Chris,
come
leggendole nel pensiero. «Tu e le tue sorelle siete state
create
artificialmente a partire da un’unica essenza. La tua anima
è finta: è composta da energia che si sta pian
piano
riversando nella pietra incastonata nel tuo ciondolo. Non appena il
processo sarà terminato, tu scomparirai.»
Imago deglutì e scosse forte la testa. Non capiva
perché
la sua amica stesse dicendo delle cose così cattive. Era un
altro dei suoi scherzi?
«Ti sbagli,» le disse ferita, portando le mani al
petto. «Io sono reale.»
«Ma certo che lo sei. Il tuo involucro fisico è
autentico.
Un’autentica
copia, programmata per essere il più
credibile possibile.»
«E perché qualcuno avrebbe dovuto farci una cosa
del genere?» domandò con voce tesa.
C’era una certa sfumatura di ilarità nella voce di
Chris che la stava facendo rabbrividire.
«E’
una storia complicata,» rispose quella con
un sospiro, tendendo
pigramente
il braccio destro in una direzione imprecisata. «Ma
onestamente non vedo l’utilità di
raccontartela, visto che sto per ucciderti.»
Imago si trovò a guardare con orrore l’arma che la
sua amica aveva appena evocato con quel semplice gesto.
Non le era mai passato per la testa di chiederle quale fosse la sua
arma, ma ora
era lì davanti ai suoi occhi: una lancia. Chris possedeva
una
lancia di metallo nero lunga almeno due metri.
Imago sentì il cuore prendere a batterle
all’impazzata nel
petto. Non capiva
cosa stava succedendo, ma era certa di una cosa: quello non era uno
scherzo. Se voleva sopravvivere doveva andare via da lì,
subito.
Ma, al momento, non aveva abbastanza forze per usare i
suoi
poteri, e anche se le avesse avute era certa che lei non le avrebbe
permesso di andare molto lontano.
Inerme
e paralizzata dalla paura, la ragazza chiuse gli occhi e li
strinse. “Non voglio morire,” si disse,
trattenendo a stento le lacrime. “Ti prego, non
voglio!”
Il suo ciondolo rispose a quella supplica silenziosa con un brillio
tenue.
«Oh, no che non lo farai!»
Prima che potesse succedere qualcosa, Chris agitò la lancia
nella sua direzione. Per evitarla, Imago si mosse di lato:
portò
una mano al viso per proteggersi, dando all'altra
aliena l’occasione di usare la punta tagliente della sua arma
per
imprimerle un lungo taglio sul braccio, che finì per
lacerare il
laccio del suo ciondolo.
Il gioiello si staccò e cadde a terra. Mentre Imago
indietreggiava, stringendosi il braccio ferito, Chris si
chinò a raccoglierlo.
La ragazza pensò che la sua mossa successiva
sarebbe stata infilzarla
con quella lancia, ma per sua sorpresa lei la fece sparire.
«In verità c’è ancora una
cosa che non ho
ancora capito, Ima,» le disse pensierosa,
rigirandosi la minuscola croce ansata fra le dita. «Stando
alle
mie ricerche, lo schema di programmazione di voi sorelle prevedeva che
l’energia di cui siete composte avrebbe dovuto, in un preciso
momento della vostra vita, lasciare il vostro
corpo per riversarsi nei rispettivi ciondoli, caricandoli; a causa di
questo, voi avreste dovuto indebolirvi fino a
spegnervi del tutto. Per Kassidiya è andata esattamente
così, però sia tu che Kassandra siete ancora
vive. Poco fa, mentre eravamo di sotto, ti ho vista cadere con i miei
occhi: avresti dovuto davvero morire in quel momento, eppure non
è successo. Perché, Imago? Che cosa avete
combinato tu e
tua sorella?»
Lei non seppe cosa risponderle. Tremava e desiderava solo andar via da
lì.
«PERCHE’?!» le gridò di colpo
Chris, perdendo
la pazienza. «Perché sei così attaccata
alla vita?!
C’è qualcosa che ti trattiene o sei solo molto
resistente?» Presa dalla rabbia, mentre le parlava la
afferrò per un polso e la scagliò a terra con
forza; lei batté il fianco sul pavimento e si
lasciò sfuggire un grido di sorpresa piu' che di dolore.
«Non sei un guerriero!» continuò
l'altra, dandole un
calcio forte nello stomaco. «Non sei neanche un essere
vivente.
Sei una stupida principessina.
Se non muori, non posso impossessarmi di
quest’energia!»
Chris continuò a colpirla.
Lei riusciva a malapena a muoversi ed era troppo debole per opporre
qualunque resistenza.
Si sentì impotente e sola.
Quando Chris si calmò, Imago aveva la mente offuscata dal
dolore ed ebbe
appena la forza per singhiozzare, «Chris, perché
lo
fai?»
Lei le rispose con una risatina amara. «Perché, mi
chiedi?
Non l’hai ancora capito? Ti darò un indizio:
l'obiettivo
dell'Ordine di Ra-Hu non è risvegliare il Messia. Vi ho
mentito, ed è stato così facile che ad
un certo punto è diventato persino noioso. Tu, in
particolare, sei sempre stata così buona da non aver
mai
dubitato di me. E’ il rovescio della medaglia
dell’essere il contenitore dell’energia
più pura che
esista, credo: sei tremendamente… ingenua.» Le
rivolse un’ultima occhiata. «Il mio piano era di
aspettare che il tuo ciondolo fosse completamente carico prima di
prenderlo, ma purtroppo non ho più tempo: fra
pochissimo il contatto planetario spalancherà le porte
dimensionali e per allora dovrà essere tutto pronto. Per
cui,
visto che non hai intenzione di morire, accelererò il
processo.
Pensaci tu, Neidr.»
Imago non capì la metà delle sue parole. Cercando
di
controllare il respiro, si puntellò debolmente sui gomiti
per
cercare di rialzarsi, ma tremava per il dolore ed era sicura che Chris
le avesse rotto qualcosa. D’un tratto, percepì una
presenza accanto a lei. Non riusciva a vederla, ma la sentiva
chiaramente mentre si avvicinava. Era viscida e fredda
e le dava i brividi. Avvertì una fitta sottile, come una
puntura. Ma non era nulla in confronto a quello che stava provando in
quel momento, per cui non se ne preoccupò.
Pochi secondi dopo, desiderò di essere morta.
Un dolore indicibile si impossessò del suo corpo in modo
così spietato che si ritrovò a urlare come mai
aveva
fatto in vita sua.
«Che cos’è, Chris?» le
gridò disperata,
contorcendosi in quella che sembrava pura agonia. «Che
cos’è?!»
«Chi, Neidr? Ah,
lui è il mio piccolo. Purtroppo, da quando quello scienziato
ha
massacrato il suo fratello maggiore, non è più lo
stesso.
Se avessimo avuto più tempo te l’avrei mostrato,
ma come
ti ho detto… vado di fretta.»
Si inginocchiò di fronte a Imago, che si agitava e
singhiozzava
per il dolore. «Non preoccuparti, sarà finita
subito,» la rassicurò, scostandole una ciocca di
capelli
sudati dagli occhi. «So come funziona il veleno di Neidr,
l’ho preparato io stessa. In questo momento la tua frequenza
cardiaca sta crollando, mentre il tuo sangue si sta raggrumando nelle
vene. Se non sverrai per lo shock fra qualche secondo, sentirai il tuo
cuore collassare e poi morirai.»
Imago gemette, pregando che fosse vero. La sensazione era lacerante ed
implacabile e lei non poteva far nulla per combatterla.
"Se ci pensi, la morte non
è poi così mostruosa. Potrebbe essere la liberazione dal dolore che ti sta torturando,"
le aveva detto Chris solo pochi minuti prima. Solo ora capiva il senso
malato di quella frase. Aveva pianificato questo sin dall'inizio, aveva
pianificato tutto. E lei... stava
morendo. Stava morendo davvero. Sarebbe morta in quel posto sconosciuto senza
essere riuscita ad aiutare nessuno.
Cosa sarebbe successo ai suoi amici?, si chiese in un ultimo barlume di
lucidità, trattenendo un grido
sommesso.
Cosa gli avrebbe fatto Chris? Non
poteva morire. Non poteva. Non poteva. Non poteva. Doveva avvertirli.
Doveva dirgli del pericolo che stavano correndo, ma non aveva neanche
la
forza di alzarsi in piedi.
Allora fece l’ultima cosa che le era rimasta.
Sollevò appena la mano davanti a sé, mentre il
dolore la
distruggeva. «K-Kisshu…»
esalò.
«Non verrà, principessina,»
cantilenò Chris.
«Ma non preoccuparti, ci sono io con te.»
Lei strinse i
denti, lottando con tutte le sue forze per restare
cosciente, tutto il corpo che tremava.
«…Kisshu,»
disse in un ultimo soffio disperato, «scappa.»
Subito dopo, mentre Imago ricadeva a terra senza vita, Chris
inarcò dubbiosa un sopracciglio.
Quando si girò indietro, nella direzione verso cui la
ragazza aveva
teso la mano, scorse la sagoma di Kisshu che, comparso nella stanza da
chissà quanto tempo, aveva assistito a tutta la scena.
+ + +
Note dell'autrice:
E mò
sono caz così,
questo è il capitolo 39. Nella prima versione
della fanfic, Chris rivelava la sua vera natura nel cap. 42, mentre tutte le
spiegazioni erano nei capp. 43 e 44.
Anche adesso pianifico di ficcare le spiegazioni lì. Ma,
revisionando, ho pensato di anticipare la questione di Chrissuccia e
anche
di iniziare a farle spiegare qualcosa - seppur in modo approssimativo "perché tanto,
Imago-chan, tu stai per morire ♥". D:
In generale voglio rassicurarvi sul fatto che presto avrete tutte le
risposte. D:
|
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Capitolo 42 *** La fine ***
26
20/01/2015:
“Avevo
grandi aspettative
per questo capitolo ma alla fine è andato tutto a puttane”
– un riassunto di 14 parole della carriera di
fanfiction-writer di JunJun.
- Capitolo 40: La fine -
Tutti i vetri della
chiesa vibrarono pericolosamente quando il rombo di un tuono caduto
lì vicino scosse l’edificio fino alle fondamenta.
Il pavimento stava ancora tremando quando Hiroyuki si
scagliò sul gruppo di guerriere con le armi sguainate, ma
loro lo anticiparono lanciandogli contro tutte insieme un attacco
combinato: la potenza del colpo sfondò il portone
d’ingresso alle spalle dell’alieno, aprendo un
grosso squarcio verso l’esterno di cui subito il vento freddo
e la pioggia approfittarono per entrare. Gocce d’acqua gelida
schizzarono addosso alle ragazze che ben presto si accorsero che il
loro avversario era scomparso dalla loro visuale.
Mew Ichigo si guardò più volte intorno nel
tentativo di individuarlo. «Dov’è
finito?» domandò tesa.
«Forse lo abbiamo disintegrato?» disse Mew Pudding
saltellandole accanto speranzosa.
«No, è lassù,» fece notare
loro Mew Lettuce, indicando un punto in alto sopra di loro:
lì vi era in piedi, galleggiando, Hiroyuki. Era illeso.
Mew Zakuro digrignò nervosamente i denti.
«E’ troppo veloce,» mugugnò.
Come le altre, al momento non aveva alcuna idea su come abbatterlo.
Mew Ichigo indietreggiò verso Kisshu e gli lanciò
un’occhiata quasi supplichevole. «Che si
fa?» gli domandò.
«Sto pensando,» borbottò lui in
risposta, tenendo gli occhi fissi sull’avversario. Si
distrasse quando un rumore distinto catturò la sua
attenzione: era un grido lontano ed ovattato, impossibile da percepire
da orecchie umane – ma lui non lo era, e non appena lo
udì sobbalzò perché avrebbe
riconosciuto la voce a cui apparteneva fra mille.
«I-Imago…?!» balbettò,
improvvisamente spaventato. Non ci pensò due volte:
abbandonò il fianco di Mew Ichigo e si
smaterializzò.
«Kisshu!» lo chiamò Taruto, anche lui
allertato da quel suono; ma il suo fratello adottivo era già
svanito.
--
Quando Kisshu raggiunse il sottotetto era ormai troppo tardi per Imago.
Lei era a terra e sembrava in preda a un dolore atroce. Kisshu la
guardò tendere debolmente una mano scossa da brividi verso
di lui e vide le sue labbra muoversi appena per sussurrare il suo nome
e dirgli qualcosa, ma non riuscì ad afferrare le sue ultime
parole perché di colpo tutto intorno a lui era diventato
molto silenzioso.
Poi Imago rovesciò gli occhi e le forze la abbandonarono:
batté la testa sul pavimento e per Kisshu fu come se il
mondo all’improvviso avesse perso ogni colore.
L’istante successivo fra le sue mani non c’erano
più i suoi tridenti ma il corpo della ragazza –
non si era neanche reso conto di averla raggiunta e presa tra le
braccia ma non importava, non importava più nulla ormai
perché per quanto lui continuasse a chiamare il suo nome lei
non si riprendeva.
Non era svenuta: il suo cuore aveva cessato di battere e non reagiva.
Kisshu non poteva credere che qualcosa del genere stesse accadendo
veramente. Cercò di scuoterla nel tentativo di farla
riprendere, ma era così irrigidito dallo sconcerto che non
riusciva neanche a respirare.
Si ricordò di colpo che dietro di lui c’era Chris.
«Cosa è successo?» domandò
quasi gemendo, sconvolto al di là di ogni immaginazione.
«Che cosa diavolo
le è successo?!» ripeté subito dopo in
tono più forte e malfermo.
«Si è sentita male di nuovo,» gli
rispose lei con cautela. «Mi dispiace.»
Kisshu non la stava guardando perché non riusciva a
distogliere lo sguardo da Imago.
«Avevi ragione,» continuò allora
l’aliena con voce dolce, «purtroppo era malata. Ma
credo che dopotutto abbia avuto fortuna: è riuscita a
vederti un’ultima volta prima di andarsene.»
Mentre gli parlava così, fece sparire la lancia che aveva
segretamente evocato quando Kisshu le aveva rivolto la parola.
Lui non le rispose neanche e Chris si convinse in modo definitivo che
era innocuo, per cui lo lasciò perdere. Gli diede le spalle
e si allontanò da lui, soffocando a stento una risatina
mentre richiudeva con delicatezza la porta del sottotetto.
--
Rimasto solo,
Kisshu si sforzò di concentrarsi sulle parole di Chris,
anche se non l’aveva ascoltata realmente. Aveva i sensi
alterati, ma la disperazione lo rendeva anche irrazionalmente lucido.
Sentita male? Non poteva crederci. Imago aveva un braccio ricoperto di
sangue e i vestiti rovinati; c’erano dei segni rossi sul
collo come se qualcuno avesse tentato di strangolarla e, soprattutto,
il ciondolo che portava al polso non c’era più.
Imago non se ne separava mai. Chi lo aveva preso? Cosa era successo in
quella stanza?
Kisshu si riscosse da quei pensieri confusi non appena gli
tornò alla mente che lui aveva ancora con sé
l’acqua cristallo. L’acqua cristallo, quella che
aveva recuperato insieme ad Imago sul suo pianeta. Quella sostanza
aveva restituito la vita a lui e ai suoi fratelli dopo lo scontro con
Profondo Blu, per cui forse… forse poteva fare lo stesso
anche con lei?
Senza pensarci oltre Kisshu prese fra le mani la sferetta trasparente e
la posò sul petto della ragazza. Non aveva idea di come
funzionasse quella roba, ma la supplicò con tutto
sé stesso di salvare Imago.
La reazione dell’acqua cristallo alle sue preghiere fu quasi
immediata: la sfera si sciolse come ghiaccio al sole e
penetrò nel corpo dell’aliena, guarendo in pochi
istanti ogni ferita e facendo sparire ogni traccia di sangue.
«Andiamo…» mormorò Kisshu in
tono febbrile mentre i lividi sul corpo della ragazza si riassorbivano.
«Andiamo…»
Non appena il processo di guarigione terminò
l’alone luminoso che si era formato intorno al corpo di Imago
svanì, ma lei non diede segni di vita. Kisshu
restò in attesa con gli occhi sgranati dal terrore e ogni
secondo che si dilatava a fino a sembrare
un’eternità; ma fu del tutto inutile.
Il cuore di Imago era fermo e il suo respiro era assente.
«No,» gemette infine l’alieno, sentendo
le speranze abbandonarlo.
--
Nonostante l’ordine di Kassandra, Hiroyuki non sembrava dare
accenno di voler combattere. Da quando era ricomparso sulla verticale
del portone d’ingresso non aveva fatto altro che restare
lì fermo con le spade sguainate come in attesa di qualcosa.
Ad un certo punto Mew Ichigo ne ebbe abbastanza: mentre la pioggia
sferzante le inzuppava il vestito e il vento le spettinava i capelli,
strinse con entrambe le mani la sua Strawberry Bell e si
preparò a lanciare di nuovo il suo colpo speciale contro di
lui. Schiuse le labbra per recitare la formula d’attacco ma
di colpo Hiroyuki svanì insieme alle sue compagne, alla
pioggia e all’intera chiesa.
Un battito di ciglia e la ragazza scoprì di ritrovarsi in un
altro luogo, una specie di stanza con il soffitto basso ed inclinato e
una grossa vetrata colorata in fondo: non sapeva come ci era finita e
si sentiva strana, come fuori dal mondo. I suoi pensieri erano pesanti
e confusi; le facevano dolere la testa.
Kisshu era davanti a lei. Mew Ichigo non l’aveva visto
subito. Le dava le spalle perché era chino su qualcosa e
sembrava non essersi accorto della sua presenza. La ragazza lo
chiamò ma lui parve non sentirla, per cui si
avvicinò a lui.
Quando gli fu piu’ vicina, Mew Ichigo scoprì che
Kisshu stava stringendo fra le braccia Imago. E lei… lei era
morta.
Quest’improvvisa consapevolezza la fece restare agghiacciata.
Vide che sul corpo dell'aliena aleggiava un’aura luminosa che
aveva già visto innumerevoli volte e comprese che era acqua
cristallo. Kisshu l’aveva usata su di lei? Ma allora
perché lei non si riprendeva? Doveva riprendersi,
no?
Mew Ichigo scorse la sua stessa confusione riflessa negli occhi di
Kisshu. Poi, lui nascose il viso nella spalla di Imago e
cominciò a piangere sommessamente, stringendola a
sé.
Quella visione era così penosa che la ragazza
sentì il suo cuore spezzarsi. Si portò le mani
alla bocca e soffocò un singhiozzo quando
l’immagine di Aoyama le si affacciò nella mente
facendole realizzare che, in quel momento, Kisshu stava provando lo
stesso dolore che aveva provato lei alla notizia della sua morte. Lo
stesso dolore che aveva cancellato tutti i suoi sogni come un colpo di
spugna, che aveva distrutto per sempre una parte di lei e che
l’aveva gettata in quell’abisso oscuro, da cui era
riuscita a risalire solo con uno sforzo immenso e grazie
all’aiuto dei suoi cari.
Mew Ichigo sentì le lacrime traboccare dai suoi occhi
rosati.
Non era giusto… non era giusto che anche Kisshu soffrisse
così. Aveva finalmente trovato qualcuno che lo amava. Le era
sembrato così felice.
Mew Ichigo sentì il bisogno di aiutarlo in qualche modo, ma
non sapeva come. Si avvicinò a lui e sollevò una
mano come per poggiarla sulla sua spalla, ma la ritrasse subito.
Lei… non ce la faceva.
Indietreggiò di un passo e la figura di Kisshu si dissolse
davanti ai suoi occhi. Si ritrovò di nuovo nella chiesa
insieme alle sue amiche e si rese conto che quella che aveva appena
vissuto era un'ennesima visione, molto più lunga, chiara e
sconvolgente di tutte le precedenti. Tremava ancora e non riusciva a
smettere di piangere.
«Ichigo…stai bene?» le
domandò con preoccupazione Mew Zakuro.
«Imago è morta,» rispose lei in un
sussurro. «L’acqua mew non è riuscita a
salvarla.»
«Cosa…?!» trasalì
confusa la sua compagna, ma Mew Ichigo non aggiunse altro. Il suo
pensiero adesso stava correndo alle ultime gocce di acqua cristallo che
lei stessa aveva recuperato con così tanta fatica solo poche
settimane prima: le aveva affidate a Ryo e non aveva mai avuto il
coraggio di usarle perché lui le aveva confermato che erano
le ultime presenti sul pianeta.
Adesso, la ragazza si chiese se dopotutto le sue preoccupazioni fossero
state inutili.
La voce squillante di Mew Pudding la riportò alla
realtà. «Ehi, che cosa sta facendo adesso
quell’alieno?» aveva domandato.
Sollevando la testa verso di lui, Mew Ichigo notò che
Hiroyuki aveva chiuso gli occhi ed ora stava muovendo le labbra come
per scandire una preghiera silenziosa. Delle scintille iniziarono a
formarsi sulla punta delle sue sciabole, scintille che si trasformarono
rapidamente in sottili fasci guizzanti color blu elettrico.
«Cosa… cosa sono quelli…?!»
chiese spaventata Mew Lettuce, indietreggiando.
«Maledizione,» esclamò Mew Zakuro
impugnando la sua frusta completamente bagnata dall'acqua, mentre
iniziava a comprendere la gravità della situazione.
«Toglietevi da qui!»
D'un tratto, Hiroyuki riaprì gli occhi ed anche Mew Ichigo
capì: quei fasci luminosi che ronzavano intorno alle sue
lame come uno sciame di vespe non erano energia. Erano fulmini.
--
Chris poggiò la schiena sullo stipite della porta del
sottotetto e socchiuse gli occhi color ebano. «Capisci
quanto vale la tua vita solo quando ti sta lasciando,»
canticchiò sottovoce. «Per
cui non credi che sarebbe meglio morire sorridendo?»
[1]
«Uno a uno, Obadiah Shiroi,» soggiunse poi,
mettendo da parte il ciondolo di Imago. Sollevò quindi il
braccio destro, lasciando che la manica ampia del suo vestito le
ricadesse indietro e scoprisse l’avambraccio: attorcigliato
intorno alla pelle diafana dell'aliena vi era un qualcosa simile ad
uno strano bracciale. «Dovremmo occuparci della gemella
cattiva ora, Neidr?» sussurrò Chris, guardandolo.
In risposta alle sue parole, il bracciale si mosse e rivelò
una minuscola testolina squamata simile a quella di un serpente,
così piccola che a Chris bastò il dorso di due
dita per accarezzarla.
«No, lo farò da sola. Tu hai lavorato tanto oggi;
meriti un premio,» decise l’aliena dopo averci
pensato su. Si inginocchiò a terra e
vi poggiò sopra il palmo della mano aperta: le
spire in cui era avvolto il corpo di Neidr si svolsero dal suo braccio
mentre lui scivolava sul pavimento su cui mimetizzò
all’istante, diventando in un attimo completamente
invisibile. «Ti ho lasciato Kisshu per cena. Sangue reale,
Neidr! Sono sicura che ti piacerà,» gli
sussurrò allegra.
Sapeva che Neidr in quel momento era abbastanza piccolo per passare
nella fessura sotto la porta chiusa alle sue spalle e sapeva anche che
Kisshu, devastato com’era, non l’avrebbe nemmeno
sentito avvicinarsi; per questo motivo decise di non trattenersi oltre
in quel luogo.
Si rimise in piedi e mosse un passo verso le scale, ma aveva appena
posato il piede sul primo gradino quando Taruto le apparve di fronte.
«Chris!» esclamò ansioso il ragazzino
alieno, stendendo il braccio verso un punto in fondo alle scale,
«Dobbiamo aiutarle!»
Seguendo la direzione che Taruto le stava indicando, Chris si sporse
dalla ringhiera di ferro del ballatoio e si accorse con stupore che
lì in basso, a parecchi metri di distanza da loro, le
paladine terrestri stavano combattendo contro la guardia del corpo di
Kassandra. Le spade che l’alieno impugnava ora lanciavano
scariche di fulmini che guizzavano crepitando da una parte
all’altra della chiesa senza controllo e incenerivano tutto
ciò che sfioravano. Le mew mew non riuscivano a
contrattaccare in maniera efficace e sembravano in grave
difficoltà.
Chris distolse lo sguardo dalla battaglia e scosse la testa.
«Ho altro da fare adesso,» ammise.
Taruto si sentì tradito. «Ma… che cosa
dici?» protestò incredulo, galleggiandole davanti.
Impallidì quando, un attimo dopo, Chris gli prese il viso
fra le mani e gli sfiorò le labbra con le sue.
Lui si tirò indietro immediatamente.
«Ma che cosa…?!» esclamò
balbettando, troppo scioccato persino per arrossire.
Chris si lasciò andare ad una risatina amabile.
«Perdonami Taruto, è che tu mi sei sempre
piaciuto,» gli disse con sincerità, grattandosi
una guancia. «Sei così carino, e ingenuo, e puro!
Facciamo così: aiuterò quelle ragazze terrestri,
visto che ci tieni così tanto. In cambio, se non ti
dispiace, prenderò una cosa da te.»
Taruto aprì la bocca per rispondere, ma non
riuscì a pronunciare neanche una parola. Anche se Chris si
stava comportando in maniera assurda come al solito c’era
qualcosa di strano in lei, qualcosa di perverso; ma non
fece in tempo a completare quel pensiero che si ritrovò a
fissare il soffitto decorato del ballatoio.
La luce che rifletteva i mosaici colorati venne inghiottita dal rosso.
--
Kisshu fece scorrere piano le dita sul viso sempre più
freddo di Imago.
Non si sarebbe più risvegliata. La sua dolce, piccola Imago,
che gli aveva salvato la vita e che lo aveva amato incondizionatamente
anche se lui non aveva fatto altro che metterla in pericolo sin dal
giorno in cui l’aveva conosciuta.
Dopo averla presa fra le braccia, la sollevò da terra e poi
la ridistese sul velluto morbido di una panca lì vicino; si
costrinse a fatica ad allontanarsi da lei.
Ricacciando in gola un ultimo singhiozzo, Kisshu rimase fermo a
guardare il corpo della ragazza, la speranza di vederla riaprire gli
occhi che svaniva per lasciar spazio ad altri sentimenti molto
più laceranti della disperazione. Frustrazione. Senso di
impotenza. Rabbia.
Mentre il suono della pioggia che picchiava sulle tegole del tetto
riempiva la stanza, Kisshu iniziò a sentirsi colpevole.
Sapeva che quello non era il momento adatto per esserlo, ma non
riusciva a fare a meno di pensarci.
Lui avrebbe potuto fare
qualcosa per salvarla.
Ci aveva ragionato a lungo. Imago non era morta a causa di una
malattia, era stata uccisa – e ciò significava che
se solo non l’avesse lasciata sola, lei ora sarebbe ancora
viva. Kisshu strinse i pugni. Non era il momento di incolparsi. Non
aveva il tempo di incolparsi. Chris gli aveva mentito, e Kisshu non
aveva idea del perché lo avesse fatto o di chi avesse ucciso
la sua piccola, ma si sarebbe vendicato per questo. Chiunque fosse
stato il bastardo, lui l’avrebbe trovato e lo avrebbe
massacrato con le sue stesse mani.
Si mosse con l’idea di andare a cercare Chris, ma un sibilo
sottile catturò la sua attenzione. Kisshu si girò
verso il punto da cui era provenuto, ma non vide nulla.
Qualunque persona normale avrebbe pensato ad uno scherzo della propria
immaginazione, ma il suo istinto gli diceva che non era
così, e lui era stato salvato dal suo istinto troppe volte
per iniziare a dubitarne proprio adesso. Estrasse quindi i tridenti e
si guardò intorno con sospetto, cercando di discernere un
nuovo segnale di pericolo in mezzo allo scrosciare sordo della pioggia.
Anche se non riusciva a vederlo, Kisshu percepiva la presenza
di qualcosa in quella stanza con lui, qualcosa che lo stava puntando.
«Chi sei?» domandò al vuoto. Per dei
lunghi secondi non udì altro che pioggia: era come se
ciò che lo stava minacciando fosse completamente
immobile… o
come se si stesse preparando ad attaccare.
Kisshu si gettò di lato appena in tempo per evitare un
assalto di quell’essere invisibile che, mancandolo,
finì su una bassa mensola ricolma di vecchi calici e pissidi
che era dietro Kisshu.
«Sei tu che hai ucciso Imago?» gli gridò
lui, mentre tutto il contenuto della mensola si rovesciava a terra.
Si chiese cosa diamine fosse quel mostro. Doveva scoprirlo
assolutamente se voleva avere una chance di contrastarlo.
Mentre il sibilo aumentava d’intensità man mano
che l’essere ricominciava ad avvicinarsi a lui, Kisshu
afferrò una tovaglia bianca da altare da una pila in cima ad
una scrivania e la svolse lanciandola davanti a lui; il mostro
finì intrappolato sotto la stoffa e si dimenò,
palesemente contrariato.
Basandosi sulla sagoma individuata dalla stoffa, Kisshu
realizzò che il suo avversario aveva le dimensioni e la
forma di un comunissimo serpente… ma man mano che strisciava
verso di lui, il suo corpo prese ad ingrandirsi in maniera spropositata
fino a che, quando gli fu a cinque passi di distanza, il mostro non si
sollevò fino a raggiungere la sua stessa altezza.
La sua testa, ancora coperta dalla tovaglia, adesso era grossa quanto
quella di una persona e appariva molto più larga del resto
del corpo.
Kisshu non aveva mai sentito parlare di una forma di vita del genere;
con il respiro accelerato per la tensione, esitò forse un
secondo di troppo fermo nella stessa posizione ma fu grazie a
ciò che, quando l’essere strappò con un
morso la tovaglia e si liberò, Kisshu riuscì a
vederlo per un secondo prima che sparisse di nuovo.
Aveva due occhi rossi senza pupilla e il corpo squamato di un nero
quasi metallico; l’interno roseo della sua bocca spalancata
era un orrore di denti aguzzi fra cui troneggiavano due canini lunghi ed
affilatissimi. Fu solo allora che Kisshu comprese di trovarsi di fronte
non ad un animale terrestre ma ad un chimero estremamente evoluto.
Evitò una sua nuova carica spostandosi di nuovo, ma fu
troppo lento e come conseguenza il dolore bruciante che
iniziò a provare all'altezza del bicipite gli fece capire
che quella bestia lo aveva quasi azzannato.
Trattenendo l’istinto di stringersi il punto colpito, Kisshu
approfittò della sua vicinanza con il chimero per conficcare
uno dei suoi tridenti davanti a sé, affondandolo
profondamente in quel corpo che non riusciva a vedere e muovendolo per
squarciare quanto più possibile. Il chimero
lanciò un sibilo acuto orribilmente simile ad uno strillo
che riempì le orecchie di Kisshu fin quasi a farlo star
male. Lui ritrasse il tridente e si allontanò da
lì, ma finì per accasciarsi contro i rettangoli
colorati della vetrata perché di colpo l’intero
braccio ferito aveva iniziato a dolergli in maniera spaventosa.
Lo consolava il fatto che nel frattempo il chimero, a giudicare dal
modo in cui continuava a gridare
e a dimenarsi, sembrava essere stato ferito in modo abbastanza grave.
Kisshu si morse le labbra nel disperato tentativo di non lasciarsi
sopraffare dal dolore e si concentrò sul capire che cosa
aveva intenzione di fare adesso quel mostro: fu la sua salvezza
perché si accorse presto che, nonostante fosse agonizzante,
aveva deciso di tentare un ultimo affondo contro di lui. Si
teletrasportò via appena in tempo per evitarlo, ma mentre
Neidr riduceva la vetrata in mille pezzi e ricadeva all'esterno, il
dolore prese il sopravvento in Kisshu e lui perse il controllo dei suoi
poteri.
Si rimaterializzò appena fuori dalla vetrata distrutta e
venne investito da una pioggia di acqua e frammenti di vetro;
sconvolto, scorse con la coda dell’occhio il parassita uscire
dal chimero morente e poi precipitò giù, battendo
con violenza la schiena sul terreno fradicio
d’acqua.
Le gocce di pioggia cadevano dal cielo in modo così fitto da
fargli male e gli impedivano quasi di respirare. Era come essere
immersi in una piscina d’acqua gelata e Kisshu non poteva
evitarlo in alcun modo perché lo shock della caduta lo aveva
paralizzato.
Iniziò a tremare, ma non era sicuro che i suoi fossero
brividi di freddo: provava un dolore immenso in tutto il corpo e se
solo avesse potuto si sarebbe strappato le vene a mani nude pur di
farlo finire. Quando infine avvertì una fitta più
forte all’altezza del cuore, il dolore iniziò a
scemare; Kisshu si sentì improvvisamente stanco, molto
stanco. «Mi dispiace, piccola,» disse, lasciandosi
andare. «Non sono riuscito a salvarti.»
L’ululato del vento assorbì la sua voce. Nessuno
lo sentì, né poté rispondergli.
+ + +
Note.
[1] Chris
sta canticchiando 'Hidden
Truth' di
Yousei Teikoku (il link diretto è nel capitolo).
[2] Neidr
era un chimero simile ad una vipera testa di lancia (o un trimeresurus). I
serpenti sono fra gli animali più antichi e sono sicura che
gli alieni
abbiano portato qualche loro antenato preistorico sul Pianeta Nero
durante la loro fuga.
Il
suo fratellone si chiamava Ilan e si è beccato una freccia
di Kell in
testa, povero piccolo.
Nessuno si è mai accorto di loro
perché Chris li teneva ben stretti a sé. Erano in
grado di celarsi e mutare la loro dimensione fino ad un massimo 2-3 metri di
lunghezza e 50-60 cm di diametro; Chris li aveva modificati rendendoli
velenosissimi.
Praticamente Kisshu si
è ritrovato davanti [qualcosa del genere]. (io son
costretta a cercare queste immagini per scrivere; voi se proprio volete
soffrire con me, prima di aprire il link preparatevi prima
psicologicamente lol)
PS. dell'una di
notte
M-Ma io man mano che aggiorno vedo le letture dei capitoli ancora da
revisionare crescere sempre di più e penso: “Noooo
vi prego, chiunque voi siate non leggete quelli, sono scritti malissimo
;____;!”
(non che quelli revisionati siano scritti meglio, ma se non altro
adesso dalla lettura traspare meno disagio adolescenziale)
(adesso in ciò che scrivo ci sono solo refusi e odio misto a
disillusione nei confronti dell’umanità)
|
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Capitolo 43 *** Frattura ***
26
16/01/2015: Ai NO
- Capitolo 41: Frattura -
Non
appena trovò la pagina che stava cercando, Ai
appoggiò la
schiena sul fusto spaccato di una colonna e socchiuse gli occhi.
«Essere o non
essere,» recitò a bassa voce,
«questo
è il problema.»
Il tetto di un vecchio tempio poco distante da lui crollò.
Gran
parte dei detriti rovinò sul pavimento trasparente ma altri,
senza
alcuna logica apparente, iniziarono a galleggiare nell’aria
verdastra che costituiva l’atmosfera di quella dimensione.
«…e tu? Tu che ne dici, Giulietta?»
gridò
l’alieno a Minto, che era appena apparsa in cima ad
un
largo basamento di pietra a una decina di metri distanza.
Aveva percepito la sua presenza nello stesso momento in cui
lei aveva varcato il portale dimensionale che aveva lasciato aperto in
quella chiesa. Si concesse qualche secondo per osservarla da lontano,
ma alla fine
abbassò nuovamente la testa sul libro come se nulla fosse.
Dal canto suo Minto, sentendosi chiamare in quel modo,
corrugò
la fronte. Incerta e vagamente intimorita, la ragazza rimase ferma
vicino al portale per
qualche secondo ma, alla fine, scese i gradini del
basamento e si inoltrò nella dimensione aliena.
Minto era già stata lì in passato insieme alle
sue
compagne [1] e ricordava bene quel cielo
marcio come un oceano in decomposizione e lo spazio occupato dalle rovine
decrepite di chissà quale antica civiltà. Ciò
che non
ricordava, o che forse era una novità, erano le preoccupanti
crepe che si stagliavano all'orizzonte e la variazione
altalenante dell'intensità della luce naturale, che
somigliava a quella di una lampadina che sta per
esaurirsi.
Ma per quanto una visione del genere fosse
disturbante, attualmente il problema maggiore di Minto era cercare
di capire come camminare:
si sentiva stranamente leggera
ed aveva l’impressione che, se non avesse distribuito in
maniera
ottimale il suo peso a terra ad ogni passo, avrebbe cominciato a
galleggiare nel vuoto prima ancora di rendersene conto.
«Ma che cos’è questo posto?»
mormorò
fra sé e sé la ballerina, tesa per la
concentrazione.
L’udito sviluppato di Ai captò quella domanda.
«Credo che sia il residuo di una dimensione creata in passato
da
quel Profondo Blu,» le rispose ad alta voce con indifferenza,
sfogliando
un’altra pagina. «L’ho scoperta per caso
qualche
tempo fa, ma ormai sta collassando su sé stessa. Fossi in
te, me
ne andrei subito.»
Minto, ovviamente, ignorò quel suggerimento. Si
sforzò di
camminare in linea retta e quando si rese conto di essere riuscita ad
arrivare a due metri da Ai senza aver fatto movimenti troppo goffi gli
lanciò un’occhiata ricolma di soddisfazione
personale.
Ma l’alieno era immerso nella lettura e non le stava
prestando alcuna attenzione. Minto trovò decisamente
scortese
quel suo atteggiamento anche perché, in un certo senso, era
stato lui ad invitarla lì.
Alla fine, visto che lui non sembrava intenzionato ad iniziare un
discorso, decise di farlo lei.
Si schiarì dunque la voce. « Quindi,»
esordì in tono
neutrale, fingendo di sistemarsi una piega della gonna finita fuori
posto,
«sul vostro pianeta leggete Shakespeare?»
Quella domanda così fuori luogo distrasse Ai dal suo libro.
Alzò gli occhi cerulei su Minto come per cercare
di capire se lo stava prendendo in giro – ma lei sembrava
sinceramente curiosa.
Distolse subito lo sguardo. «Non abbiamo tempo di leggere sul
nostro pianeta,» le rispose tetro.
«Le
persone soffrono per la fame e la sete e sono disperate. Se hai
avuto la sfortuna di nascere povero, puoi scegliere se trascorrere la
vita estraendo minerali in qualche cava o imparare a
combattere…
sperando di non essere tu la prossima recluta che non sopravvive al
programma di addestramento.»
Nel sentire quelle parole Minto si accigliò, ma decise di
non replicare.
«Quelli come me non sanno neanche cosa significa
leggere,»
continuò allora Ai. «La capacità di
farlo mi
è stata trasmessa da un qualche programma automatico che era
nella nostra astronave, insieme ad altre conoscenze di base del vostro
pianeta.»
Aveva appena finito di parlare che un piccolo tempio lì
vicino
si frantumò in mille pezzi senza alcun motivo apparente,
facendo
trasalire Minto.
Ai, perfettamente calmo, chiuse il libro e si staccò dalla
colonna. «Ma non perdiamo altro tempo,»
esclamò, rivolgendo alla ragazza la sua completa attenzione.
«E’ evidente che se sei
qui è perché vuoi morire, per cui ti accontento
subito.»
Lei colse un certo guizzo malizioso nelle iridi azzurre
dell’alieno e il suo cuore perse un battito. «Non
sono qui
per combattere,» si affrettò a dirgli.
«E allora cosa posso fare per te, mia amata?»
le domandò lui in modo fastidiosamente sarcastico.
«Tanto per iniziare potresti spiegarmi perché ti
sei
finto un umano,» rispose lei, seria per contrasto.
«Voglio
dire, davvero non sapevi… chi fossi in
realtà?»
«Se lo avessi saputo non saremmo qui in questo momento. O
meglio, io sarei qui – tu, invece, saresti andata
già da
parecchio tempo. Come ai vecchi tempi, Minto. Ricordi quel giorno in
cui ti ho pugnalata allo stomaco? Era tutto così semplice
allora!»
«In effetti, neanche io avrei mai pensato che tu fossi
Will,» ribatté la ballerina, incapace di resistere
oltre a
quelle provocazioni. «Lui era così ingenuo e
romantico,
mentre tu… oh, non eri quello che si vantava di essere
senza
sentimenti?»
Ai prese quel sarcasmo decisamente male. Minto lo vide incupirsi e
digrignare i denti e si pentì di essere stata
così
sfacciata, anche se era stato lui a cercarsela.
Ci fu un silenzio lungo alcuni secondi. «Ero convinto di non
avere più sentimenti,» le rispose infine
l’alieno in
un tono che lei non riuscì bene a decifrare. «Ci
speravo, forse. I sentimenti non mi hanno mai aiutato a sopravvivere,
anzi, mi hanno solo peggiorato l’esistenza. Nel tuo caso, mi
hanno annebbiato la mente al punto tale da impedirmi di riconoscere che
eri il mio nemico. Ma avrei dovuto capire che eri tu. Kass aveva
ragione su di te: tu spiccavi fra quelle tue compagne come spicca una
nivea colomba in mezzo ad uno stormo di cornacchie.»
Minto sbatté le palpebre. «Stai offendendo le mie
amiche,» commentò.
Ai scrollò le spalle. «E’
Shakespeare,»
replicò, «ed è stata tutta colpa
sua,» ammise
poi, gettando via il suo libro in un moto di nervosismo.
«Che cosa intendi dire?» gli chiese
Minto, restando immobile.
«Intendo dire che a me non è mai importato molto
del mio
popolo o di voi terrestri,» le rispose sprezzante
l’alieno, allontanandosi di qualche passo.
«Ho trascorso la vita ad eseguire gli ordini dei miei
superiori. Combattere ed eseguire ordini – è
l’unica
cosa che so fare. Quando sono arrivato su questo pianeta, non avevo
nessun ordine da eseguire. C’era solo quella principessa
fuori di
testa e questo posto assurdo, e io non avevo idea di cosa fare.
E’ stato a quel punto che ho scoperto i vostri libri: quelle
pagine scritte erano così… precise e convincenti
che ho
creduto di poterle usare per capire qual’era il modo
più
giusto di comportarmi.»
Minto inclinò appena la testa, stupita. «Credevi
davvero
che la logica dei libri si potesse applicare nella
realtà?»
«Sì, ma è stato un errore. In una
pagina scritta, ciò
che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se
viene chiamato con un altro nome, continua a serbare pur sempre lo
stesso dolce profumo,» recitò a
memoria l’alieno.
«Ma nel mondo reale non è così,
perché ora
che ho scoperto che sei l’essere che ho odiato per
così
tanto tempo, Minto, l’unica cosa che desidero è
piantare il mio
pugnale in quel tuo bel corpo leggiadro finché non
sarò
sicuro che sei davvero morta.»
«Puoi provare a farlo, se lo
desideri,» rispose lei, ignorando l'occhiata obliqua che lui
le stava lanciando, «ma ormai non c’è
più
alcun motivo per cui dobbiamo continuare ad essere nemici.»
Ai rise con amarezza. «Le tue compagne non sono della tua
opinione.»
«Se aiuti quella pazza, noi siamo costrette a fermarti in
qualche
modo. Ma comunque, se davvero non ti importava delle sue smanie di
conquista, perché ci hai combattuto?»
«Te l’ho detto, è l’unica cosa
che so fare. Ma
devo ammettere che, in fondo, è stato divertente.»
Mentre Ai si sollevava in aria di un paio di metri, Minto si
soffermò a pensare alle sue parole.
«Sì, se fossi
stata al tuo posto, credo che sapere di avere dei nemici da combattere
mi sarebbe stato di una qualche consolazione,»
osservò.
«Ma questo non è quello che vuoi, Ai. Tu
non–»
«Come fai a sapere cosa voglio?» la interruppe
l’alieno bruscamente. «Sei davvero così
sicura di
sapere tutto di me, Minto?»
Lei sgranò appena gli occhi nocciola. Si era in qualche modo
aspettata una reazione del genere da lui – aveva notato da
tempo
che quell’argomento era il suo punto debole, per cui non si
lasciò intimidire e decise di continuare a grattare quella
superficie.
«Sì,» dichiarò, «e
se lo sono è
perché tu me l’hai mostrato, sia sotto forma di Ai
che di
Will.»
«Will era una menzogna,» sibilò Ai fra i
denti.
«Will eri tu.
E tu hai provato ad avvicinarti a me quando avresti
potuto prendermi e basta. Sul tuo pianeta puoi aver eseguito gli ordini
perché non potevi fare altro, ma se qui hai seguito
le
indicazioni di un copione è perché lo hai
voluto,»
ribatté Minto con decisione. «Un copione che tu hai
scelto, tra l’altro. Possibile che non te renda
conto? Se ne avessi scelto un altro, avresti potuto usare Will per fare
del
male a me o ad altri, ma non l’hai fatto.»
Un altro tempio crollò ed il suono echeggiò nello
spazio aperto. Le crepe nell’atmosfera si allargarono,
ricordando
a Minto che il tempo che aveva a disposizione stava per terminare.
«Io e le mie amiche non abbiamo motivo di
combatterti,»
riprese. «Tu non hai mai ucciso un innocente, ed anzi io
ti ho
visto salvare delle persone con i miei occhi. Hai salvato la vita a me,
e hai continuato a farlo anche se io non facevo altro che continuare a
respingerti!»
«Smettila, Minto,» esclamò Ai
dall’alto. «Stai mettendo alla prova la mia
pazienza.»
«Oh, non ho alcuna intenzione di smettere!»
replicò
lei con fervore. Si mosse in avanti di un paio di passi e poi
spiccò un salto: aveva in mente solo di avvicinarsi
all’alieno, ma
le leggi fisiche che governavano di quella dimensione decisero
che invece doveva finire addosso a lui. Facendo appello ai suoi poteri
Minto riuscì a limitare il danno, ma si ritrovò
ugualmente a schiacciare le mani sulla maglietta di Ai che, stupito da
quel suo gesto, rimase a bocca aperta nel ritrovarsela praticamente fra
le braccia.
Ignorando il calore che le stava colorando le guance, Minto strinse le
mani sulla stoffa e alzò la testa per guardare l'alieno in
faccia. «Tu sei il ragazzo che
si getta davanti a me e si prende uno sparo al mio
posto,» gli
disse. «E sei uno stupido
che non ha la minima idea di come ci si
comporti con una ragazza, che cita Shakespeare senza motivo e che non
sa neanche come abbottonarsi da solo una camicia. Ecco cosa sei. E non
sei neanche lontanamente normale
o perfetto,
ma… va bene
così, Ai. Puoi ricominciare da qui. Non ho idea di cosa ti
hanno fatto sul tuo pianeta, ma se solo smettessi di combatterci...
potresti rifarti una vita qui sul nostro.»
«Perché mi stai dicendo tutto questo?»
le chiese lui, confuso.
«Perché,» Minto fece una pausa prima di
continuare,
come cercando le parole esatte per rispondergli.
«Perché
in questo mondo non c’è solo la guerra. Esiste
anche il
perdono,» mormorò alla fine.
«E…»
Ai deglutì. «E…?»
Minto girò la testa di lato, imbronciata. «E..Ed ora,
per favore, potresti aiutarmi a tornare a terra?»
Interdetto, l’alieno passò una mano dietro la
schiena della
ragazza con
un gesto meccanico e la
teletrasportò con sé al livello del
pavimento senza colore. Non appena Minto rimise i piedi sul suolo
stabile decise che non avrebbe mai più provato a fare una
cosa
del genere.
«Grazie,» sospirò, ancora un
po’ rossa in viso. «Ora che ne dici di andar via da
questo posto?»
Ai si staccò da lei con fin troppa prontezza. «Non
posso.»
«Perché?»
«Minto, la fai sembrare così facile, ma io non
saprei da dove cominciare.»
«Questo non è un problema. Ti aiuterò
io.»
Lui sollevò lo sguardo su di lei, accennando un sorriso
afflitto. «Ti ispiro così tanta
pietà?»
«Non è pietà,»
sbottò Minto, nervosa
ben oltre il limite dell’imbarazzo. Perché diamine
non
capiva? Gli diede le spalle e incrociò le braccia al petto.
«E’ che… non mi piace l’idea
che qualcuno
così stupido finisca per essere ucciso.»
«Ho capito,» sospirò lui, passandosi una
mano fra i
capelli scuri. «Sei davvero la mia Giulietta.»
«Preferirei di no.»
«Uh?»
«Quella storia di Romeo e Giulietta mi fa innervosire. Quei
due muoiono entrambi alla fine. E in modo abbastanza sciocco, se
proprio devo
essere sincera.»
Anche se Minto non poteva vederlo, Ai le sorrise. «A noi due
non
accadrà, perché grazie a te ora cosa
fare,» disse.
L’istante successivo stringeva fra le mani il suo kris.
Allertata dal suo istinto, Minto si voltò appena in tempo
per
vedere Ai scagliarsi contro di lei. Grazie ai suoi riflessi si mosse
indietro a sufficienza per evitare il fendente che lui le
tirò,
ma venne ugualmente presa di striscio: sentì la lama fredda del lungo
pugnale dell'alieno sfiorarle la spalla destra
e, quando se la toccò, si accorse che la sua camicetta era
strappata e che stava sanguinando.
La ragazza guardò incredula il sangue color rosso brillante
che
le macchiava le dita e raggelò.
Non era un gioco, aveva davvero colpito con l’intenzione di
farle
del male. Che fine avrebbe fatto se non si fosse spostata in
tempo?
Fissò lo sguardo sull’alieno di fronte a lei. Non
riusciva a capire. Tutto questo non aveva alcun senso.
«Ai,» chiese con voce fievole,
«perché?»
«Le tue parole mi hanno aperto gli occhi,» le
rispose lui
con sincerità. «Hai ragione, Minto. Anche se non
avevo
nessun motivo di combattervi, ho continuato a farlo perché
era
ciò che tutti si aspettavano che avrei fatto. E anche quando
combattevo, non facevo altro che continuare a comportarmi come un
attore su un palco. Ma ora non sarà più
così. A
partire da oggi sarò solo me stesso,» disse,
«e per
dimostrarlo, distruggerò il copione che ho seguito
finora.»
Mentre l’alieno parlava, la mano di Minto corse frenetica
alla sua spilla per la trasformazione.
Ai sollevò la testa e la guardò.
«Sì,»
disse, «per dimostrare che sono libero, ucciderò
la mia
Giulietta.»
+ + +
Note.
[1] Le ragazze scesero nella dimensione aliena
nell’episodio in cui dovevano recuperare Mash.
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