Lost and Found

di Ehzra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il cinguettio degli uccellini annuncia il nuovo giorno all’ombra del grande olmo. La luce filtra dalle fronde e giunge soffusa alle imposte schiuse, la finestra a mezz’asta lascia scivolare all’interno della stanza una brezza leggera e calda che smuove le tende crema di una stoffa sottile. La camera è quella di una ragazzina come tante all’alba dei suoi diciotto anni, appena compiuti. Una carta da parati bianca a fiorellini rosa riveste le pareti ornate da poster di band musicali locali e internazionale. Tra questi spicca una gigantografia dei Beatles in effetto pop art. Il letto singolo è posto contro la parete di fianco alla finestra, colmo di peluche e cuscini di ogni dimensione e tipo e dalle fantasie più disparate, sempre in tinta con i toni della stanza. L’armadio a due ante, di quelli antichi che una mano esperta ha riportato al suo splendore natio, occupa una buona parte del muro rimasto. Lo specchio da terra riposto nell’angolino ha foto incastrate ai bordi di lei con le amiche a scuola o nei momenti liberi, alcune buffe, altri semplici scatti rubati che immortalano espressioni o sguardi. La libreria ingombra la parete di fondo , straripante di libri e libricini, dai volumi notevoli e dagli argomenti più disparati che spaziano dalla storia antica alle religioni pagane, passando per i fenomeni soprannaturali e le scienze occulte, senza scordare i manga e fumetti. La scrivania è subito di fianco ed è nascosta da una pila di quaderni abbandonati sul lato destro; il computer, al centro, è aperto e acceso su un sito di gossip con la lampada impreziosita da un decoupage di pietre e pietrine, semi nascosta dietro al monitor. Abiti abbandonati dovunque, da sotto al letto agli angoli più nascosti della stanza, ai cassetti stracolmi che non si chiudono più. Una domenica mattina come tante. Un fine settimana estivo accompagnato dal clima caldo e a tratti soffocante dell’Alaska Centrale, tra le campagne di Anderson, nella Contea di Denali. Un mugolio proviene da sotto le coperte, poi un mezzo ansito roco e infine un lieve frusciare anticipa il suo risveglio. Fili d’oro sono sparsi sul cuscino, accarezzati dal venticello estivo.  Sbatte le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco il soffitto bianco della stanza, ruota lo sguardo verso la finestra e un sorriso tinge il viso giovane e fresco della diciottenne. Si tende per stirare i muscoli e far sgranchire le ossa, una sensazione piacevole che le pervade il corpo e la fa sospirare di piacere. Un tipo di piacere comune a molti, benefico per lo spirito. Scende dal letto dopo qualche attimo, appoggia i piedi nudi sul legno caldo e con uno scricchiolio appena udibile la figura della ragazzina si riflette nello specchio. I capelli dorati scendono spettinati e spumosi a incorniciare un visetto tondo, dai lineamenti delicati e molto femminili, si posano sulle spalle e giù a sfiorare la schiena. Il corpo è acerbo ma dalle forme sinuose e invitanti. I seni piccoli e sodi s’intravedono sotto la canotta bianca di cotone dalle spalline larghe, molto sportiva, che fascia il costato e i fianchi morbidi appena pronunciati. Le culotte rosa mostrano la curva inferiore delle natiche lasciando scoperte le gambe affusolate e tornite. Gli occhi chiari percorrono per intero il fisico, si soffermano sulle curve della siluette e tornano a specchiarsi e rimirarsi. La mano destra accarezza le labbra piene in modo provocatorio, poi scoppia a ridere, un suono infantile e allegro che da luce ai lineamenti da bambolina.

{ Buongiorno Liv! Oggi sei finalmente una diciottenne! } Si saluta da sola con quella voce cristallina e il forte accento del sud a sporcarla. Gli occhi sono ridenti e vivaci, un richiamo all’allegria. Passa la mano tra i capelli. { Una bellissima diciottenne… Dyson cadrà ai tuoi piedi stasera. } Un occhiolino a quella figura quasi donna ma ancora bambina e poi si volta verso la porta con passo svelto e deciso. Canticchia una vecchia canzone dei Beatles a mezza bocca, abbastanza intonata per una che non ha mai studiato canto, e apre la porta che affaccia su un corridoio che si snoda fino a una rampa di scale che porta al piano inferiore. La luce illumina la casa avvolta nel silenzio, quasi eterea in quel candore mattutino e innaturale.
{ Mamma? } Trilla felice mentre raggiunge la scale e scende il primo gradino. Arriccia il nasino disturbata da un odore familiare che non riesce a catalogare subito. Non è il profumo della torta appena sfornata che sua mamma prepara ogni anno e nemmeno quello dei suoi biscotti preferiti. { Papà? } Tutto è immobile e al suo richiamo non c’è risposta eccetto quel silenzio pesante. Un altro gradino e la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato le si aggrappa addosso. { Melly?! } Altri gradini. L’odore che avverte è pressante, si attacca alla gola e al setto, nauseante e ferroso. Qualcosa la turba nel profondo e non è niente di piacevole. Una paura antica che non ha mai conosciuto e probabilmente non avrebbe dovuto conoscere si fa strada dalle sue viscere, pulsante e viva, fino al cervello che per un attimo smette di funzionare. La luce che bagna la stanza ha riflessi rosei sulla carta da parati spruzzata di rosso e sotto i suoi piedi qualcosa di denso e appiccicoso le bagna la pelle candida. Sposta lo sguardo tutt’attorno e come nei peggior film dell’orrore la scena che prende forma le mozza il respiro in gola. A qualche gradino da lei c’è qualcosa. Lo smalto rosso si confonde con il sangue cremisi in cui è adagiato un arto e la pelle è straziata in più punti come se un animale l’avesse usata per farsi le unghie. Dove un tempo c’era l’articolazione della spalla è rimasta solo carne a brandelli e l’osso lucido spicca in quel mare scuro con il suo candore perlaceo. Il busto, o ciò che ne resta, alla base della rampa sembra la macabra scultura di un folle. La schiena lacerata, smembrata e privata degli organi interni. Ecco quello che resta di sua madre: un mucchietto d’ossa e carne a brandelli. Non sente l’urlo che le esce dalla bocca ma solo il ronzio del sangue scorrere all’impazzata nella testa. Il mondo gira, perde consistenza e le gambe cedono sotto il peso del corpo, il piede destro scivola sul sangue, la presa viene meno e cade in quella pozza di follia. Trema come una foglia, al punto di non riuscire nemmeno a parlare e formulare l’unico nome che ha sulla lingua. { M… M… } Resta immobile per quelli che sembrano minuti eterni. Scalciando riesce a risalire i gradini ancorata al corrimano di legno e ripercorre il tragitto a ritroso lasciandosi dietro orme insanguinate anche lungo il muro contro cui struscia la spalla per sostenersi, ma non arriva alla camera da letto. Si ferma un paio di porte prima, davanti allo studio di suo padre. La porta è chiusa e non giunge un rumore dall’interno. La mano tremante si avvicina alla manopola, la ruota lentamente e con esitazione la apre. I resti sono sparsi per tutta la stanza in una poltiglia sanguinolenta di ossa e carne. Il sangue  brilla alla luce artificiale dei neon. Due occhi vitrei, un tempo azzurro cielo come i suoi, la fissano dalla scrivania con la bocca spalancata in quell’urlo che non ha nulla di umano, stravolto dal dolore e dall’efferatezza del gesto. Indietreggia, scossa dai suoi stessi singhiozzi, con le lacrime che offuscano i macabri risvolti di quel risveglio. Impatta contro il muro alle sue spalle e si abbandona a un urlo raccapricciante di puro orrore e disperazione. Cade a terra sulle natiche, sconvolta da quella visione. Si osserva inorridita i palmi delle mani cremisi, più scure nei punti in cui il sangue si è coagulato e con cui ha macchiato i vestiti nel raggomitolarsi e il viso nel tentativo di lavare via le lacrime. Il sangue risalta sulla pelle candida, se lo sente addosso, sul volto e sui vestiti: una visione macabra e sublime per gli occhi del suo carnefice, ma non per lei che sente la bile risalire. Guarda il muro davanti dove ha lasciato una scia rossa che va dall’angolo delle scale alla porta dello studio, poi il pavimento segnato dai suoi passi sanguigni e il suo pianto si fa disperato. Si piega di lato e libera lo stomaco in preda a un pianto isterico. Dei suoi genitori, le macchie che ha sulla pelle, è ciò che resta.

{ Buon compleanno Livy… } E’ un sussurro nella sua mente, una voce che non ha solidità ma il coro di mille voci, molteplici facce e nessuna. E’ un bisbiglio dall’inferno in cui è scesa. All’improvviso scatta in piedi, rapida e spaventata, con il cuore in tumulto, i polmoni che bruciano per l’irregolarità del respiro e la testa che pulsa. Corre verso la camera di fianco alla sua e si scontra contro la porta aprendola con una spallata dolorosa che le fa rintronare il cervello e la spina dorsale. Tutto è in ordine come Melly è solita tenere. I peluche sul letto rifatto alla perfezione, la scrivania sgombra da libri, eccetto il computer e la lampada a forma di cuore, i vestiti riposti nell’armadio. Si asciuga le lacrime con il dorso della mano, deglutisce e muove qualche passo. Stranamente non c’è sangue lì fatta eccezione per un’impronta insanguinata sulla testiera del letto che le strappa un gemito sofferente. Avanza con la testa che vortica leggera e gli occhi gonfi, sporcando la stanza con i propri passi. Il cuore martella più forte nel petto, come se volesse sfondare la gabbia toracica. Trema visibilmente scossa da brividi di freddo nonostante il caldo torrido dell’esterno. Lentamente si avvicina al letto terrorizzata da ciò che è sicura di trovare. Il respiro greve copre il cinguettio gioioso degli uccellini. Si ferma ai piedi del letto, allunga il collo per sbirciare oltre il bordo ma non c’è nulla, solo il pavimento pulito e quell’impronta lasciata lì, come un monito.

{ Ecco il mio regalo per te… } La voce torna a sussurrare nella sua mente, ringhiante e vibrante, più animale che umana. Indietreggia di nuovo ma non parla. La gola è riarsa e indolenzita. Si guarda nervosamente attorno, abbassa gli occhi alle impronte che si è lasciata dietro, poi di nuovo alla testiera e torna in camera sua di corsa. Si veste rapidamente con quello che trova in giro e senza nemmeno ripulirsi dal sangue e ,come la sera precedente, esce dalla finestra usando la grondaia e i rampicanti per scendere.



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Vorrei ringraziare tutti quelli che sceglieranno di seguire la mia storia, recensirla o metterla nei preferiti. E' solo l'inizio di un qualcosa che ho in testa e che spero vi piacerà =) Un pezzettino del mio cuore va a una persona carissima che ho ri-incontrato da poco e chi mi ha spinta a dare vita a tutto ciò. Lei sà <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Scende frenetica aiutandosi con i rami della pianta rampicante che si è impossessata di una piccola porzione di facciata, ma un giramento improvviso le fa lasciare la presa troppo presto. L’urto le mozza il fiato in gola e sebbene il manto erboso attutisca l’impatto, s’irrigidisce con un gemito e gira di lato sbuffando per il dolore. Ha gli occhi lucidi di lacrime, la parte posteriore del corpo indolenzito e ogni respiro è accompagnato da una fitta pungente e fastidiosa al torace. { Nhhh… } Ansima a mezza bocca dolorante. Non perde tempo a tastarsi per controllare se si sia rotta qualcosa. Fa forza sulle braccia e solleva il busto colta da un ennesimo giramento, punta le ginocchia a terra e poi raddrizza la schiena con un gemito di dolore. Alza il volto alla sua finestra, alle tendine che svolazzano e le sembra di percepire un movimento, un fruscìo che la fa scattare verso il terreno pianeggiante, spruzzato di margheritine e violette, a mettere quanta più distanza possibile tra lei e quell’ombra. Si è guardata indietro solo una volta per imprimere nella memoria quel posto. La brezza leggera porta con sé l’odore dei fiori e del bosco poco distante ed accarezza i ciuffi d’erba che si piegano delicatamente a quelle attenzioni. La casa occupa una minima porzione di quell’immenso spettacolo, come una vecchia stanca si adagia a ridosso della collina, circondata dalla boscaglia, con la sua tinta sbiadita dalle intemperie e una facciata lussureggiante, catturata da un rampicante che ne ha fatto la sua dimora. Il patio è seminascosto da un olmo secolare. La porta del fienile è socchiusa e cigola a ogni folata di vento, un lamento che ora ha aspetti sinistri e macabri. E’ una struttura antica, riportata al suo originario splendore, ma senza che ne sia stato alterato l’aspetto. Impiega qualche secondo per mettere a fuoco il tutto e abbracciare la maestosità di quel paesaggio, poi indietreggia di qualche passo, deglutisce dolorosamente e si volta riprendendo la sua fuga. Le sfumature del cielo mutano lentamente e accompagnano quella folle corsa verso la salvezza.
Corre a perdifiato con i capelli che svolazzano al vento, gli arti indolenziti, il respiro greve e i battiti a rimbombarle nella testa. Il sangue le martella nelle tempie, offusca tutti gli altri rumori, incluso quel colpo di clacson che si ripete un paio di volte. Proviene da un pick up blu mezzo scassato, dalla scocca di ferro bombata sul muso e leggermente ammaccata sulla portiera sinistra. Il pick up di Dyson.

{ LIVY! } Non riconosce subito la macchina, presa in quella folle fuga. { LIIIIIIVYYYYY! } La chiamano e ruota il viso. { EHY, LIVY! } Rallenta il passo. { SONO IO, FERMATI! } Si ferma all’appello di quella voce maschile, giovane e familiare, che urla il suo nome. Il furgoncino la raggiunge mentre lei, piegata sulle ginocchia, riprende fiato. E’ madida di sudore e la canotta, seminascosta da un giubbino nero, è umida e macchiata di sangue. I pantaloni sono strappati sulle ginocchia e sporchi di terra. Ha gli occhi gonfi e l’aria sconvolta. Trema visibilmente, sotto shock e fatica a mantenere l’equilibrio. Alza gli occhi al cielo, di un ceruleo mozzafiato, poi li riabbassa su di lui. Quanto ha corso? Sposta lo sguardo tutt’attorno. Le vallate rigogliose hanno lasciato il posto alla boscaglia fitta e sotto di lei c’è una distesa d’asfalto lunga chilometri. Ha graffi dovunque per lo sferzare dei rami al suo passaggio.


La memoria torna indietro di anni, alla prima volta che ha visto quel visetto tondo incorniciato da ricci dorati e quegli occhioni chiari, grandi e vivaci, dello stesso colore del cielo estivo privo di nuvole. Lei era appena arrivata in città con la sua famiglia, avrà avuto sei anni, forse sette. La neve imbiancava la grande piazza e l’albero di Natale che, come da tradizione troneggiava nel centro cittadino, gettava luci colorate tutt’attorno mentre dai negozi giungeva la classica Jingle Bell’s a rallegrare l’ambiente. Il freddo era pungente quell’anno e la temperatura sfiorava i meno venti. Il respiro si condensava in una nuvola grigiastra e l’odore dei dolci aleggiava nell’aria. La vide di sfuggita, dai sedili posteriori dell’utilitaria di suo padre, e non ha più scordato quel sorriso tenero e le fossette sulle guanciotte. Il ricordo sfuma e lascia il posto alla realtà.


{ Ehy, Li… } I suoi occhi chiari la guardano, si soffermano sulle mani sporche di sangue coagulato e sui capelli dalle sfumature rosate. { Che ti è successo? } Il tono è greve e preoccupato. La portiera si apre con uno scatto e la figura del giovane si avvicina. Ruota il capo verso di lui, lo guarda dal basso, tremante nonostante il caldo torrido. Schiude le labbra per rispondergli, ma non ne esce niente se non un rantolo strozzato. { D… } I ricci biondi schiariti dal sole si tingono di mille riflessi, proprio come la barbetta rada. Ha spalle larghe da giocatore di rugby e il torace ampio, coperto da una t shirt grigia. Jeans al ginocchio si adagiano sui fianchi stretti e ostentano gambe lunghe e robuste. Ai piedi le classiche Nike da jogging. La supera in altezza di una ventina di centimetri, la studia e alla fine se la stringe al petto a quel suono spezzato e angosciato. Scioglie tutta la tensione nervosa in quell’abbraccio, scoppiando in un pianto silenzioso e penoso. Non ha idea di quanto tempo sia trascorso, se lui le abbia detto qualcosa, o semplicemente sia stato lì, in piedi, a tenerla stretta e accarezzarle la schiena senza parlare, ma lo allontana di qualche passo e alza il viso provato. { Aiutami… } Un bisbiglio rauco che dipinge una nota incerta sul volto del ragazzo. { Ti sei fatta male? } Scuote la testa in risposta a quella domanda e gli lascia prendere la mano destra, per esaminarla, in cerca di ferite evidenti. Il calore si sprigiona dal suo tocco. { Li… } Osserva il profilo di casa sua, oltre la spalla del ragazzetto e la boscaglia, poi torna al suo viso. { Li hanno uccisi tutti… Devo scappare Dy… } Lo sente irrigidirsi, spostare lo sguardo alla casa e di nuovo a lei, deglutisce rumorosamente e serra la mascella. { Sei… } Tentenna, non vorrebbe chiederglielo, ma deve. { Sei stata tu? } L’ha osservata bene, sporca di sangue e stremata. Tra tutte le domande che si aspettava, ha scelto la più dolorosa. Abbassa la testa e assottiglia le labbra in una smorfia delusa e disperata. Rialza lo sguardo sul viso del ragazzo. E’ bello, di una bellezza virile e mascolina. I tratti marcati sono sporcati da un sottile velo di barba bionda, come i capelli corti e ricci. Quel pensiero sfiora la sua mente, le strappa un mezzo sospiro e la mano per allontanarlo. E’ come il padre, lo Sceriffo Orson, fottutamente pragmatico. { Vaffanculo Dy.. } Un sibilo. Si libera dal suo tocco con uno strattone e arretra ancora di qualche passo. { VAFFANCULO! MI AMMAZZERA’, COME HA FATTO CON TUTTI LORO, TUTTI! } Abbaia e ringhia, gesticolando sconvolta e al tempo stesso esasperata da quella dannata calma che il suo interlocutore ostenta. { VAFFANCULO! } Cerca di riavvicinarla, senza parlare, di prendere il polso destro e attrarla al suo petto con una delicata fermezza. { Livy… } Sussurra appena, con decisione e dolcezza. Smania contro il suo petto, gli molla dei colpetti sul fianco con la mano libera e cerca di divincolarsi, poi come animale in gabbia si acqueta. Approfitta di quel momento per accarezzarle una guancia con il palmo della mano destra e girarle il viso così da deporre un casto bacio su quelle belle labbra. { Mi dispiace Livy… Andiamo da mio padre… } Un sussurro tiepido. Annuisce e basta, senza voce e la forza di reagire ridotta a zero. Gli lascia aprire lo sportello, sale sul Pick up e una volta che lui avrà fatto lo stesso, la macchina parte con un singhiozzo del vecchio motore, verso l’ufficio dello sceriffo Orson.


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Con Immenso ritardo, ma ecco qui il secondo capitolo =) Meno splatter del primo! Spero vi piaccia e scusatemi ancora per il ritardo y.y

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Per tutto il viaggio si è sentita osservata, seguita da occhi invisibili che non l’hanno lasciata sola un attimo, nulla di tangibile, solo una sensazione fugace e fastidiosa. Sposta lo sguardo dal paesaggio immutato, file di alberi che si susseguono e tengono lontana la luce che si affievolisce a poco a poco, al volto concentrato di Dyson. { Dy… } Lo chiama con un sussurro, quasi avesse paura ad alzare la voce, rannicchiata al posto del passeggero ad abbracciarsi le gambe indolenzite. Non si è pulita, sebbene la sensazione del sangue addosso sia fastidiosa. { Dimmi. }  Il timbro nervoso è sporcato da un ringhio basso, forse rabbia o frustrazione, per quella situazione. { Dove siamo? } Lo vede inarcare un sopracciglio e abbandonare la strada in suo favore. { Siamo per strada, Livy… Andiamo a Healy…  } La strada è lunga da Anderson una cittadina di appena trecento anime, la metà delle quali quasi centenarie. { Ah… } L’adrenalina sta scemando e lascia il posto a una stanchezza irreale e tentatrice. Gli arti sono indolenziti per la lunga corsa e la milza fa male a ogni respiro, come il petto. Ha mani e ginocchia sbucciate a causa di qualche caduta e di cui non si è resa conto. E’ solo scappata lontano da quell’inferno. { Ti ricordi il nostro primo incontro? } Una domanda che rimbomba nell’abitacolo silenzioso. Inclina la testolina, s’imbroncia e annuisce. { Raccontamelo.  La guarda qualche istante, poi riporta gli occhi sull’asfalto e allunga l’indice al frontalino della radio che accende a volume basso. La musica riempie l’ambiente, scalda l’aria gelida e la sensazione sgradevole che si porta dietro da quando sono partiti. La mano cerca quella del quarterback per un contatto, intreccia le dita alle sue; palmo contro dorso. { E’ stato dopo Natale. } Inizia a raccontare con voce bassa e rauca, lo sguardo che si sposta da lui alla strada davanti a loro, stranamente deserta. { Il mio primo giorno di scuola alla Anderson. Tu eri al penultimo banco della terza fila e avevi una felpa nera con lo smile, il simbolino dei Nirvana, giallo. Non mi hai tolto gli occhi di dosso e ricordo che ho pensato: “ Cavolo! Devo avere qualcosa che non va! “ } L’ombra di un mezzo sorriso passa sul volto pallido. { No, ero imbambolato dalle fossette. } Tenta di smorzare l’aria. { In realtà quella è la prima volta in cui tu hai visto me. } Le scocca un occhiata significativa. { Che è successo Livy? } Stringe più forte la sua mano. { Chi vuole ucciderti? } Lo sguardo resta ancora qualche attimo su di lei, a scavare nei suoi occhi azzurri, poi lo riporta sulla strada. Ancora una volta è il silenzio a rispondere a quella domanda. Stringe le labbra, volta il viso verso il finestrino e tenta di liberare la mano dalla sua stretta senza riuscirci. { Sono stati uccisi. } La voce trema impercettibilmente. { Li hanno macellati, Dy… } Si morde il labbro inferiore per bloccare il tremore e la stretta sulla mano si fa più ferrea. Alza gli occhi in quelli del ragazzo nuovamente voltato verso di lei. { C’è sangue ovunque…  Perfino sul soffitto. } Un gemito basso esce dalle labbra schiuse. { Non c’è traccia di Melly… } Cerca rassicurazione in lui. { O almeno non mi pare di averla riconosciuta… Tra i corpi smembrati… } La gola si chiude e la voce si strozza in un gesto inarticolato. Trema visibilmente, non solo per il freddo che sente e quello sguardo addosso, anche per il calo adrenalinico. Scuote la testa per allontanare le visioni dell’incubo e si stringe nelle spalle. Sospira e si abbandona contro il poggiatesta della vecchia auto a occhi socchiusi. { Che ore sono? } La voce ridotta a un filo. { Le sei. } Inclina la testa ma non dice più nulla. Ha le palpebre pesanti e la testa vuota, leggera come l’aria, e si assopisce perdendosi il sorriso che incurva le labbra di Dyson, dolce e affettuoso. Allontana la mano dal volante e gli posa una lieve carezza sul volto sporco e sfinito. Quel momento di tenerezza ha un costo come tutto in questa vita. Qualcosa urta la scocca della macchina che con uno scossone la fa svegliare di soprassalto e crepa il parabrezza con un rumore sordo di ossa che si spezzano. { DYSON! } Urla frenetica con gli occhi del ragazzo che si alternano tra lei e la strada, sgranati per la paura e la sorpresa. Liv si volta verso il posteriore della macchina in cerca di un corpo, che sia animale o umano, senza trovarne con l’adrenalina che risale di botto insieme a una fitta dolorosa al petto. { CHE CAZZO … } La macchina ha una prima sbandata e il contraccolpo le fa sbattere la testa contro il finestrino, incrinando il vetro, con una smorfia a metà tra il dolore e il sorpreso. Qualcosa di caldo cola sulla pelle prima che il buio avvolga tutto. L’urto sbalza il ragazzo in avanti, faccia allo sterzo, stordito dalla botta e dal sangue che sente scorrere sul viso, preme di riflesso il pedale del freno e le gomme stridono sull’asfalto.  { LIV! } Cerca di toccarla con la mano destra, di scuoterla,  mentre la sinistra tenta di riportare l’auto in carreggiata che perde stabilità e con un clangore metallico si ribalta da una corsia all’altra. Al contatto  tra l’asfalto e la scocca scintille prendono vita, pezzi di lamiera volano lungo il tragitto. La corsa termina al limitare della strada, bloccata da alberi centenari contro i quali si schianta il pick up con un rumore sordo che rimbomba nel silenzio della vegetazione, tra i singhiozzi del motore e l’odore di bruciato.

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Ecco qui un terzo capitolo =) sto cercando di accelerare i tempi così da non lasciarvi a bocca asciutta XD In questo capitolo ho voluto approfondire un attimino il rapporto tra i due, rifacendomi al ricordo del secondo capitolo. Come mi è stato consigliato ho accorciato di parecchio, tentato di smorzare le descrizioni infinite ( sono pignola ç_ç ) e ingrandito il font <3 Spero che vi piaccia e attendo altri consigli. Un bacio a tutti <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Si sveglia di soprassalto, matita di sudore e il fiato corto, come ogni dannata notte che Lui manda sulla terra. Stropiccia gli occhi svuotando i polmoni con un sospiro teso e stanco, sfibrata ancora prima che la sua giornata abbia inizio. Ruota il viso, incontra l’altra metà del letto vuota in completo disordine, poi lo rialza e per qualche minuto osserva le luci dell’esterno colorare il soffitto della stanza, rimbalzare sullo specchio appeso alla parete e illuminare l’angolo tra l’armadio e la cassettiera. Assonnata si alza con l’ennesimo sbuffo per raggiungere la cucina. La casa è piccola. Un monolocale che si abbraccia con lo sguardo diviso da una parete che chiude la zona notte, alle porte di Toronto, Canada. Ormai è quasi un anno che fa sempre lo stesso sogno e si sveglia con il tanfo di morte in gola e il sapore di quell’ultimo bacio sulle labbra. { Dy… } Rigira quel nomignolo in bocca, come fosse una gustosa caramella, senza trovare un significato al quadro generale. I suoi sono morti per colpa di un pirata della strada che non si è fermato allo stop. Sua sorella si è suicidata per il dolore e non ha mai vissuto in Alaska. Il parquet scricchiola appena sotto il suo peso, gemendo piano, risvegliando un mal di testa insensato. { Accidenti… } Si lamenta, intanto che massaggia la tempia destra con una lieve pressione dei polpastrelli e un movimento circolare della mano. Appoggia il fianco al pianale da lavoro della cucina e recupera un bicchiere. { Devo andare da uno strizzacervelli... } Sbuffa, apre il rubinetto per far scorrere l’acqua e un flash back offusca la sua vista: mani insanguinate che il getto della doccia lava via. E’ un attimo che destabilizza il suo equilibrio, costringendola ad arpionarsi al lavello con la destra, intanto che il bicchiere si riempie e il suo cuore accelera i battiti. { E smetterla di vedere quelle cagate prima di andare a letto… } Sibila a se stessa, poco convinta di questa possibile scusante, chiude l’acqua e rinuncia anche al suo sorso ristoratore per tornare in camera, stordita. Stropiccia il viso ancora una volta e la coda dell’occhio registra un movimento oltre la soglia della porta, tra il saloncino e la cucina. { Mh? } Si allerta, il cuore che prende a martellare più velocemente. Suggestione? Forse. { Chi c’è? } Alza un pò la voce, ma non ottiene risposta. Si muove verso la porta semi nascosta dal muro, osservando nella penombra una casa spoglia con gli scatoloni sparsi qui e lì, come se fosse in procinto di andarsene altrove. { C’è qualcuno?  } Un frusciare d’abiti alle sue spalle la fa voltare con un balzo spaventato. A una prima occhiata non scorge nulla. { Merda… } Socchiude gli occhi, sfiatando un sospiro di sollievo, poi tra le ombre qualcosa si muove. Si irrigidisce e assottiglia lo sguardo senza capire cos’è quella cosa strisciante che anima il buio. { Che…? } Indietreggia verso la cucina, impatta contro il porta riviste che sbilancia il peso indietro e cade rovinosamente a terra di sedere. L’Oscurità, come animata da vita propria, si tende verso di lei e un paio di occhi fiammeggianti fissano i suoi. Braccia d’ombra fredde e dense, forse anche viscide, offuscano tutte le luci provenienti dall’esterno chiudendola in quella pozza tenebrosa che si allarga lentamente. { Ti ho cercata a lungo bambina… } Quella voce è la stessa del sogno: cavernosa, cupa quasi ringhiante e affamata. Sgrana gli occhi terrorizzata. Il cuore le balza in gole, le sue vene pulsano disperatamente. { Paura… Ha un sapore meraviglioso. } La voce ride e Liv indietreggia scoordinata, aiutandosi con i palmi e spingendo con i talloni finché non sente qualcosa bloccarle la fuga. { Ch--- } Rantola, strozzandosi con la sua stessa saliva. Si appiglia alla prima cosa che trova per tirarsi su sebbene le gambe cedono e le braccia sembrano di cartone per quanto faticano a reggere il peso del suo esile corpo. Il grido è bloccato in gola serrata dalla paura che le sgrana gli occhi. { Finalmente ti ho trovata… } E’ un cavernoso sospiro nella sua mente che la fa scattare verso la porta di casa. { Non puoi scappare piccola Livy… } Sembra ridere della sua paura, canzonarla per quell’essere così umanamente spaventata da lui e dai suoi giochi d’ombra che si allungano più rapidamente verso la sua figura. L’oscurità le sfiora i capelli, la pelle che si macchia di piccole chiazze scure, quasi necrotiche. Vuole rallentarla, giocare con lei come ha già fatto in passato, distruggerle la vita e la mente. L’Ombra le afferra una caviglia e un urlo irrompe dalle sue labbra. E’ come se il corpo le stesse prendendo fuoco dall’interno. Ossa, muscoli e carne si fondono in quel tocco freddo, viscido che risucchia la vita. Non riesce a raggiungere il divano, unico ostacolo tra lei e la porta, perché cade a terra di peso. { Tic… Tac… } Ironizza l’Ombra e stavolta non è nella sua testa, no. Le unghie graffiano il pavimento di legno, si spezzano e sanguinano, Liv scalcia, tenta di liberarsi ma ogni movimento aumenta il dolore e la chiazza nera si allarga strappandole urla strazianti. Tiene lo sguardo basso allo spiraglio inferiore della porta da cui intravede del movimento. Ombre che si fermano davanti all’entrata di casa sua. Ha un tuffo al cuore. Tenta di opporre resistenza e aggrapparsi più saldamente alla gamba del tavolo, oltre che alla speranza, gridando come una disperata. { AIUTO! AIUTATEMI VI PREGO! } L’Ombra ride e la sua risata sembra echeggiare tra le pareti { Non ti sente nessuno piccole fiore… Stai appassendo… }. Un frastuono riempie la casa, schegge di legno volano dovunque e qualcosa fende l’aria.

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Perdonate l'attesa, ma non ero sicura del finale di questo capito. Non vi preoccupate per lo sbalzo temporale, il racconto è lo stesso =) Più avanti capirete tutto, I promise <3
Un grazie a chi segue la storia, chi l'ha messa tra i preferiti e da ricordare. Grazie anche a tutti quelli che hanno recensito fin'ora. Spero che continuerete a farlo perché i vostri consigli sono preziosi.
Un saluto <3

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