Burning Fire di EllieMarsRose (/viewuser.php?uid=120979)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1: Lo Zippo ***
Capitolo 2: *** Quando il whisky salva la vita ***
Capitolo 3: *** Una Scoperta Scioccante ***
Capitolo 4: *** Fred, L'Angelo Dell'Inferno ***
Capitolo 5: *** Una Margarita Alla Fragola ***
Capitolo 6: *** Mighty Wings ***
Capitolo 7: *** Spoons And Needles ***
Capitolo 8: *** Un Pomeriggio Con Amy ***
Capitolo 9: *** Nobody's Fool ***
Capitolo 10: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 11: *** La Festa Di Compleanno ***
Capitolo 12: *** Pensieri Speculari ***
Capitolo 13: *** Xmas In Hell ***
Capitolo 14: *** Minaccia All'Orizzonte ***
Capitolo 15: *** Just Another Psycho ***
Capitolo 16: *** Madness, Heart And Love = Wild Side ***
Capitolo 17: *** Chi La Fa, L'Aspetti ***
Capitolo 18: *** Sure Feels Right ***
Capitolo 19: *** Sleeping In The Fire ***
Capitolo 20: *** Pistoni Caramellati ***
Capitolo 21: *** Cold Turkey ***
Capitolo 22: *** Through The Fire... To the Unexpected ***
Capitolo 23: *** The Crüe Wants You ***
Capitolo 1 *** #1: Lo Zippo ***
01
L'aria
fresca le sfiorava il volto inumidito dalle lacrime che, timidamente,
le solcavano la pelle liscia; guardava verso occidente, verso la
luce. Los Angeles giaceva ai suoi piedi come un tappeto intessuto di
pietre preziose di ogni tipo: i topazi delle finestre degli edifici e
delle case dove la gente ormai stava già cenando; i rubini delle
punte dei grattacieli; i diamanti dei fari anabbaglianti delle
macchine in corsa sul Sunset Boulevard; le insegne al neon di zaffiri
e ametisti. La vista di Rea si appannò, batté le palpebre e nuove
lacrime le rigarono il volto; con un nodo che le chiudeva la gola,
l'unica parola che riuscì a sibilare fu: «Nonno...»; la pietra più
preziosa di tutta la città, di tutto lo stato della California, suo
nonno, si era irrimediabilmente sgretolata quella stessa mattina per
colpa di un cancro. Solamente due giorni prima lei aveva festeggiato
con lui il suo ventesimo compleanno; un compleanno strano...
Il nonno
ormai era a letto infermo per colpa di un tumore al lobo frontale del
cervello; inizialmente si era manifestato solo come un leggero ma
continuo mal di testa. Poi, con il passare del tempo, aveva perso la
capacità di potersi muovere e, alla fine, si era ritrovato
immobilizzato a letto in preda alla confusione più completa. Rea
vegliava giorno e notte per potergli dare il massimo delle cure,
perfino quando i medici avevano detto che non c'era più nulla da
fare. Quel dolce omino con la testa sferica delirava, ma niente,
nemmeno il tumore, era riuscito a fargli dimenticare che il 17 aprile
era il compleanno della sua cara “nipotina”.
Giovedì
17 aprile 1986, ore 1 pm
Oggi il
nonno mi ha davvero stupita; mi ha fatto il regalo più assurdo che
mi potessi aspettare. Stamattina, come di consueto, mi sono recata
nella sua stanza con la colazione e lui era lì, sul letto, che mi
aspettava giulivo; rideva, smetteva per un attimo, e poi
ricominciava. Ero davvero stupita di questo suo comportamento,
pensavo avesse combinato qualche guaio; invece, come gli ho
appoggiato il vassoio della colazione sul comodino, lui mi ha preso
la mano e mi ha detto: «Buon compleanno bambina mia». Aveva un
sorriso stupendo nonostante la malattia l'abbia debilitato parecchio.
L'ho ringraziato ma lui mi ha stretto la mano più forte e ha
aggiunto: «Fiamma mia, aspetta un attimo... ho un regalino per te»
«Un
regalo? Ma nonno, non è possibile! Non puoi nemmeno alzarti dal
letto, come puoi avermi comprato qualcosa?».
Il nonno
ha sorriso e ha tirato fuori qualcosa avvolto in un fazzoletto; dopo
un attimo di esitazione me l'ha messo in mano. Sempre più sbigottita
ho aperto il “pacchettino” e... «Il tuo Zippo?»
«Sì
cara!»
«Ma
nonno, lo sai che non fumo! Perchè mi hai regalato il tuo
accendino?»
«Rea,
quello non è un accendino! Quello è il sacro fuoco portatile!».
Ero
sbigottita; “Sta delirando” pensai. Ma dovetti ricredermi:
«Tesoro mio, io fra qualche tempo non ci sarò più e tu dovrai
vivere la tua vita; non potrai sempre stare in casa, passerai
sicuramente più tempo all'università. Quel piccolo fuoco portatile
ti aiuterà quando non sarai qui nel momento in cui avrai bisogno di
un consiglio».
Mi sono
commossa a quelle parole; non stava delirando, in quel momento era la
persona più lucida di tutto il pianeta. Lo abbracciai forte e lo
ringraziai dal profondo del cuore.
«Grazie
nonno... grazie davvero»
«Di
nulla cara... ora, però, vai a prendermi le chiavi del carrarmato».
Il senno che sembrava aver recuperato era durato solo due minuti;
ecco che era di nuovo subentrato il caos. Ho chinato il capo
tristemente e, dopo aver annuito, mi sono infilata lo Zippo nella
tasca dei jeans.
Il
timido vento che spirava dal Pacifico le rubò due lacrime che
stavano per caderle sulle guance. Rea sospirò: “Mi sento così
sola... ho quasi vissuto come un'eremita per quest'ultimo anno. Ero
sempre in compagnia del nonno. Ho frequentato a fatica l'università
e ho visto sempre meno le mie care amiche, anche se mai mi hanno
abbandonata; a turno venivano da me ad aiutarmi con il nonno.
Specialmente Amy e Bunny. Ho telefonato ad entrambe oggi e ho
riferito loro del triste evento; sono subito venute da me e mi hanno
consolata tutto il giorno. Poco dopo sono state raggiunte da Morea e
Marta che erano impegnate con lo studio. Ma mi manca tanto il
nonno... era come mio padre”. Padre... proprio non ce la
faceva a chiamarlo papà, era più forte di lei. Strinse il pugno
pensando a quella persona che mai le era stata vicina: “Il mio vero
padre mi dà solo i soldi per vivere... non è mai stato capace di
donarmi l'affetto che mi ha dato il nonno”. Chiuse gli occhi e
digrignò i denti per frenare un singhiozzo; mise la mano in tasca in
cerca di un fazzoletto con cui asciugarsi le lacrime quando le dita
accarezzarono qualcosa di freddo e metallico. Lo Zippo. Lo estrasse
dalla tasca e lo aprì; ricordandosi delle parole del nonno accese la
fiamma e pregò: “Sacro fuoco, dammi la forza, dammi lucidità;
indicami la via per poter continuare”. Come Rea finì di recitare
questa frase nei suoi pensieri, la fiamma dello Zippo si ingrandì e
divenne più vivida; incredula, sgranò gli occhi. «No... non ci
posso credere» le lacrime avevano smesso di cadere sul terreno
polveroso; fissava la fiamma con la bocca aperta. «Nonno, sei tu?»
lo sguardo era fisso sull'accendino, bisognoso di spiegazioni
«Fiamma
mia, ma che fai? Piangi per me? Rea, non devi!» il nonno le parlava
attraverso il fuoco. Rea fece per ribattere, ma l'omino dalla testa
rotonda la bloccò: «Hai già passato parte della tua vita a
soffrire insieme a me; non voglio che tu continui a farlo. Promettimi
che da domani ti dedicherai allo studio, alle tue amiche e al tuo
sogno più grande. Sei nella città giusta, è da stupidi non
approfittarne!». Il nonno aveva sempre incoraggiato Rea, sia per le
piccole cose, che per i suoi sogni più grandi. Il nonno sapeva che
lei voleva fare la cantante e Los Angeles era la città giusta per
coronare quel sogno.
«Sì
nonno, lo prometto» Rea si fece più vicina alla fiamma, quasi
volesse sussurrarglielo all'orecchio
«Sei
una cara ragazza... abbi cura di te». La fiamma si spense. Rea era
ancora incredula; “Non è possibile... eppure ho parlato con il
nonno. Farò come mi dice” e senza che se ne accorgesse un piccolo
sorriso le riportò la luce sul viso. Ormai la sera era calata sul
Pacifico. Rea fece un respiro profondo e si diresse verso casa più
serena. Il nonno non l'aveva abbandonata, sarebbe stato sempre con
lei; in quel sacro fuoco portatile. Si diresse verso casa, a Bel Air,
e prese una decisione: “Le ragazze vivono tutte in affitto negli
appartamentini dell'università... la mia casa è grande e sono sola.
Chiederò a tutte se hanno voglia di venire a vivere da me”. Appena
entrata in casa, prese in mano il telefono e chiamò il loro numero;
rispose Bunny: «Rea, come stai?»
«Sembra
strano da dire, ma sto meglio... comunque, mi piacerebbe che voi
tutte veniste a cena da me questa sera»
«Ma
certo, aspettaci. Arriviamo in un batter d'occhio».
*
* *
La
cena di Morea era semplicemente divina; frequentare la scuola di arte
culinaria di Bel Air aveva affinato ancora di più le sue ricette.
Anche se non frequentava l'università con il resto del gruppo, le
ragazze non l'avevano mai persa di vista perchè il suo istituto era
adiacente al complesso della UCLA dove Bunny, Amy, Rea e Marta
seguivano i loro corsi; Amy era iscritta a medicina, Bunny e Marta a
sociologia ed infine Rea ad arte e architettura. Ogni piatto di Morea
era una poesia, anche se le torte continuavano ad essere il suo
cavallo di battaglia. Le ragazze mangiarono volentieri ogni cosa e
durante la cena e spettegolarono su quel ragazzo e sull'altro
ragazzo, anche se Bunny sosteneva fermamente che nessuno dei ragazzi
che conoscevano era paragonabile a Marzio, nemmeno il tanto gettonato
Seiya, il cantante dei Three Lights, la band più popolare di tutta
la UCLA. Seiya piaceva moltissimo a Marta ma, purtroppo, la cosa non
era corrisposta; tuttavia, la bionda più tenace di tutta LA non
demordeva: era convinta che, un giorno o l'altro, avrebbe conquistato
il suo cuore. Amy era invece interessata a Taiki; era colpita dal suo
acume, diceva che nessun ragazzo era in grado di ragionare come lui.
Infine Morea aveva un debole per Yaten ma l'uomo che davvero le
faceva vedere le stelle era Moran, il ragazzo della caffetteria
proprio di fronte al suo istituto. Dopo aver terminato la cena a base
di pesce, Rea chiese l'attenzione di tutte le sue amiche; tutte la
guardarono con curiosità. Sentendosi inizialmente in imbarazzo per
la domanda che stava per porre, divenne tutta rossa; Bunny
intervenne: «Non è che ci stai dicendo che ti sei trovata il
ragazzo vero?»
«No,
no...» l'imbarazzo di Rea continuava a crescere
«Guarda
che non sarebbe una cosa brutta, tutt'altro!» aggiunse Amy
«No,
aspettate...»
«Beh
Rea, da quando ti sei lasciata con Yuri, non hai mai più avuto un
ragazzo» le fece notare Morea e Marta concluse ridacchiando:
«Sarebbe anche ora che tu iniziassi a guardarti intorno, sai, tutti
pensano che tu te la tiri un po' troppo... o dicono anche che ti
piacciono le ragazze»
«PER
FAVORE!» la conversazione stava diventando ingestibile. Calò il
silenzio nella sala da pranzo, si udiva solo il colare della cera
delle candele messe sul tavolo; dopo pochi secondi Rea riprese
schiarendosi la voce: «I ragazzi non centrano nulla con quello che
sto per chiedervi... solo che mi sento un po' in difficoltà. Per
farla breve... la mia casa è grande e voi tutte vivete in
quell'appartamentino schiacciate come sardine. Io ormai sono sola e
sapete che a me non bastano la radio o Nina Blackwood per tenermi
compagnia; dunque volevo chiedervi se vi sarebbe piaciuto venire a
vivere qui con me...»
Bunny
non le fece terminare la frase: «Fiamma, tu non puoi andare in crisi
per farci una proposta simile! Sai che noi per la nostra amica Rea
siamo disposte a fare tutto!»
«Sul
serio?» gli occhi di Rea brillavano come acquamarina
«Ma
certo! Gli amici si vedono nel momento del bisogno e non solo!» Amy
le rivolse uno dei suoi sorrisi più dolci
«Tranquilla,
tempo di sbrigare due pratiche con l'ufficio e firmare un paio di
documenti e saremo qui da te» le disse Marta con un sorriso. Rea
fece per ringraziarle ma non riuscì a dire nulla; solo due lacrime
di felicità le brillarono sulle ciglia per poi scivolarle lungo le
guance. Morea l'abbracciò seguita da tutte le altre; Rea si asciugò
le lacrime col dorso della mano e disse sotto voce: «Grazie amiche
mie, siete insostituibili»
«Ma
ti pare!» esclamò Bunny, carica di energia «Da domani si
cominciano a fare gli scatoloni!»
Domenica
20 aprile 1986, ore 2 am
Sono
sola... in questa grande casa. Guardo fuori dalla finestra e vedo
tutte le luci delle insegne dei locali del Sunset Strip... come mi
piacerebbe andare in uno di quei locali! In quest'anno di reclusione
non sono mai uscita la sera. È forse anche questo il motivo per cui
non ho un ragazzo... come mi piacerebbe avere qualcuno qui con me
adesso... lo ammetto, ho paura. Ho paura che possa entrare qualcuno
senza che io me ne accorga e che mi faccia male. Ho paura che torni
Yuri. Già... forse è anche colpa sua se io ho paura di affrontare
nuovamente una storia con un ragazzo. La mia fronte si corruga e i
miei occhi si chiudono per non rivedere le immagini che la mia mente
mi propone di lui; mai avrei pensato che sarebbe andata a finire
così. Ancora ora mi si irrigidiscono le gambe e sudo freddo; ricordo
nitidamente quel dolore. Non si può confondere con altri. Dolore
fisico e dolore dell'anima. Sono diventata donna senza volerlo; non
ho mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Troppa vergogna. Come
vorrei che le mie amiche si fossero fermate qui anche per dormire.
Rea
posò la penna e chiuse il suo quaderno. L'unica luce che entrava
nella casa era quella che proveniva da fuori; lunghe ombre si
stagliavano lungo il parquet del salotto. Il cuore le batteva forte
per la paura; le pareva di sentire scricchiolii e cigolii in ogni
angolo della casa. In quel momento si ricordò dello Zippo; si
avvicinò al camino del salotto, mise dentro della legna e prese un
paio di pagine dell'LA Times per fare sì che il fuoco bruciasse
meglio. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno la stesse per
cogliere di sorpresa alle spalle ed aprì il coperchio di metallo
dell'accendino; con il pollice bagnato dalla paura, premette sulla
levetta e la fiamma si accese. “Sacro fuoco, dei, spiriti, vegliate
su di me e portatemi consiglio”. Con la mano destra avvicinò lo
Zippo ad una pagina di giornale e in un attimo la camera si
rischiarò; Rea si mise in ginocchio e cominciò a pregare perchè
potesse passare una notte tranquilla. Ma al termine della preghiera
successe qualcosa di inaspettato; quando Rea aprì gli occhi dopo
aver terminato il suo momento di meditazione, uno dei legni scoppiò
ed un'immagine si creò poco al di sotto dell'imbocco della canna
fumaria. La ragazza aggrottò le sopracciglia: era un viso maschile.
Aveva i capelli neri cotonati, una frangia lunghissima che quasi gli
copriva gli occhi ed un sorriso beffardo. Il suo cuore riprese a
battere più velocemente; ma non per paura. “Quel ragazzo emana una
strana energia...” respirò profondamente annusando il profumo dei
tizzoni ardenti “... un'energia piacevole”.
25
gennaio 2011: Questa è la mia prima fan fiction; sicuramente si
noterà che sono parecchio inesperta, dunque aspetto tutte le vostre
critiche costruttive al fine di poter migliorare il mio racconto. Vi
anticipo che sarà una ff molto particolare perchè mischierà
personaggi di Sailor Moon con persone reali quali musicisti e tutto
il mondo che vi ruota intorno. Ho preso questa decisione perchè mi
piaceva l'idea di combinare insieme due elementi che amo
particolarmente: Sailor Moon appunto e la scena glam metal degli anni
80 di Los Angeles. Spero di riuscire nel mio intento. Grazie per la
vostra attenzione e a presto .
25
gennaio 2012: Rileggere a distanza di un anno questo primo capitolo
fa veramente un effetto stranissimo; ammetto che il mio stile sia
cambiato (mi auguro di essere migliorata) e che avrei voluto
riscrivere completamente delle parti. Ma è anche vero che avrei
perso una certa “ingenuità” che avrebbe dovuto trasparire da
questo mio primo esperimento serio di scrittura. Ad ogni modo, ne
approfitto per ringraziare tutti voi che in un anno avete letto
questo mio delirio; so che la storia è ormai ferma da mesi ma:
abbiate fiducia; terminata la tesi tornerò a scriverla e spero anche
di riprendere il ritmo che tenevo i primi tempi (pubblicare un
capitolo alla settimana). Grazie a tutti quelli che hanno letto e
recensito, grazie a chi l'ha messa nei preferiti, nelle ricordate o
nelle seguite. Grazie per tutti i vostri consigli e grazie anche per
i like alla pagina di Facebook. Se, dopo un anno, il fuoco brucia
ancora è solamente merito vostro :)
Ellie
|
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Capitolo 2 *** Quando il whisky salva la vita ***
02
Rea fu
svegliata alle undici della mattina seguente dal campanello che
suonava; ancora insonnolita si avviò verso la porta d'ingresso. «Chi
è?» chiese con voce cavernosa
«Sono
Bunny! Aprimi per favore!». Sbadigliando Rea girò la maniglia e si
trovò davanti la sua amica dai chilometrici codini biondi con in
mano uno scatolone. «Ti ho portato il primo carico della mia roba»
disse sorridendo
«Maledizione
Bunny! Mi hai svegliata!» si imbestialì Rea
«Oh,
andiamo, non prendertela! Tanto tra poco arriveranno anche le
altre... ti avremo svegliata lo stesso». Rea sospirò scuotendo la
testa e richiuse l'uscio; si avviò in cucina per cercare qualcosa
con cui fare colazione. Nel frattempo Bunny appoggiò lo scatolone
vicino al divano nel salotto: «Ma hai dormito sul tappeto stanotte?»
le chiese; Rea annuì con la bocca piena di cereali. In quel momento
si ricordò della visione che le aveva dato il fuoco; fu così
piacevolmente traumatico rivedere il viso di quel ragazzo misterioso
che le andò a finire tutto di traverso. Iniziò a tossire
violentemente; «Oh no, Rea!» urlò Bunny «Ti prego... non morire!»
ed iniziò a fare la cosa che sapeva fare meglio di chiunque altra:
piangere come una disperata. Rea, ansimando, riuscì a trovare
dell'acqua ed i cereali scesero dalla parte giusta; «Bunny?» la
chiamò dopo aver deglutito
«Rea,
resisti! Aspetta a soffocare, aspetta almeno che arrivino le altre!»
«Coniglietta,
bastava darmi un bicchiere d'acqua, per la miseria!» le sbraitò Rea
nell'orecchio; Bunny si calmò, tirò su col naso e si girò verso
l'amica che la stava guardando con la rassegnazione dipinta in viso.
«Stai meglio adesso?» le chiese preoccupata. Rea annuii e subito
Bunny riprese a piangere: «Come sono felice!». Rea sospirò e
iniziò a ridere: «Bunny, sei un caso perso».
Rea fece
appena in tempo a bere un bicchiere di latte che il campanello suonò
di nuovo; anche le altre erano arrivate con i loro primi scatoloni.
La padrona di casa indicò loro dove poggiarli ed insieme decisero di
sistemare il tutto nel pomeriggio; Morea preparò degli stuzzichini e
tutte si misero in ginocchio intorno al tavolino vicino al divano.
«Non mi hai ancora detto come mai hai dormito sul tappeto stanotte»
esordì Bunny sputacchiando in faccia a Marta le briciole del
tramezzino che stava letteralmente divorando. «Dannazione, attenta a
dove sputi! Il mio viso non deve essere minimamente deturpato!» la
sgridò Marta mentre si toglieva col dorso della mano il pan carrè
masticato. «Beh... ecco, stanotte ho meditato davanti al fuoco e mi
sono addormentata qui. Fine.» bofonchiò Rea mentre masticava dei
salatini. «C'è dell'altro?» le chiese Bunny aggrottando le
sopracciglia «Ti leggo come un libro aperto lo sai, vero?»
«Bunny!
Andiamo, non essere così invadente.» l'apostrofò Amy
«No, no...
Bunny ha ragione, c'è dell'altro» ammise Rea. Silenzio. Le ragazze
tennero il fiato sospeso e spalancarono gli occhi. Dopo un attimo di
esitazione, Rea riprese: «Ho avuto una visione. Ho visto nel
fuoco... un viso maschile»
«Chi è,
chi è?» domandò immediatamente Marta
«Diavolo,
come sei curiosa! Magari non ce lo vuole dire perchè vuole tenere un
segreto!» le disse Morea tirandole un orecchio
«No ti
prego Morea, non farle male!» le chiese Rea «La verità è che...
non so chi sia»
«COOOOSAAAAA???»
fu il coro generale che rimbombò per il soggiorno
«Sono
spiacente... non so chi sia» ripetè Rea
«Ma se è
apparso nel fuoco, significa che avrà un ruolo importante per te»
dedusse Amy
«Idea! Io
so come trovarlo!» esclamò Marta. Mise le mani nella borsa che
teneva accanto a sè e ne tirò fuori dei volantini stampati su carta
fucsia: «Stasera suonano i Guns'n'Roses al Whisky à
Go-Go, sicuramente il tuo uomo sarà lì!»
«Scusa, ma
come fai ad esserne sicura? Magari non frequenta nemmeno un locale
simile» le disse Morea allibita. Marta replicò: «Beh, che c'entra?
Tanto io andrò con Seiya al Whisky! Ci sarà mezzo mondo stasera in
quel locale! Dai, venite anche voi!». Era euforica; Rea scosse la
testa rassegnata. Bevve un sorso di succo d'arancia e poi disse:
«Ragazze, penso che non vi accompagnerò al Whisky stasera»
«No, Rea!»
le disse Bunny in tono supplichevole «E perchè?»
«Non...»
Rea fece una pausa durante la quale arrossì «non mi sembra il caso.
Insomma, il nonno è appena morto e mi sembra di mancargli di
rispetto». Tutte abbassarono la testa tristi; «Che peccato»
sospirò Bunny e Morea aggiunse: «Però se cambi idea diccelo». Rea
si sentì in colpa; non che avesse fatto qualcosa di male, ma ci
teneva davvero molto ad uscire con le sue amiche dopo tanto tempo.
Sapeva che, in qualche modo, stava rovinando loro la serata. I suoi
sensi di colpa vennero interrotti bruscamente da Marta che, dopo
essersi girata verso il camino disse: «E questo Zippo da che parte
spunta?»
«Rea!»
urlò inorridita Amy «Non avrai iniziato a fumare!»
«Per
carità, no!» esclamò Rea «Quello è solo l'ultimo regalo di
compleanno che mi ha fatto il nonno» e dicendo queste parole tolse
l'accendino dalle mani di Marta.
«E perchè
mai tuo nonno ti avrebbe regalato un accendino?» chiese sospettosa
Bunny
«Perchè...
perchè questo è il sacro fuoco portatile» rispose Rea con
titubanza. Amy prese in mano lo Zippo, se lo rigirò sul palmo e
constatò: «Mi sembra uno Zippo di serie»
«Cos'è,
non mi credete?» chiese Rea indispettita
«Beh Rea,
non è che non ti crediamo» esitò Morea «solo che tuo nonno
nell'ultimo periodo non c'era di testa dunque...». Rea non le fece
terminare la frase e si alzò irritata; aprì il coperchio dello
Zippo, strofinò la pietra focaia e la fiamma si accese. «Nonno?»
sussurrò Rea fissando la piccola fiammella «Riesci a sentirmi?».
In un attimo il piccolo fuoco magico si ingrandì e la voce del
vecchietto arrivò alle orecchie ancora incredule delle amiche che,
sedute intorno al tavolino, guardavano senza parole quel piccolo
accendino prodigioso. «Buongiorno tesoro mio! Hai un aspetto
migliore oggi sai?»
«Oddio, ma
è il nonno!» urlò Bunny schizzando in piedi e correndo verso Rea
«Ciao
Bunny» la salutò il nonno dalla fiamma «Allora Rea, cosa c'è che
ti turba?»
«Ecco
nonno, io ho un po' vergogna a chiedertelo ma...»; il vecchietto non
le fece terminare la frase: «Fiamma mia, se tu stasera vuoi uscire,
sappi che io sono solo felice per te. Hai patito così tanto insieme
a me, è giunto il momento che tu ti diverta un po'». A Rea si
illuminarono gli occhi: «Dici sul serio?»
«Ma certo
cara! Non voglio che tu stia in lutto per me. Tu sei già in lutto da
un anno a questa parte. Non mi importa che domani ci sarà il mio
funerale, perchè tu sai che per te sarò sempre vivo; dunque, ti
prego bambina mia, vai a divertirti stasera». Sul viso di Rea
apparve un largo sorriso, uno dei sorrisi più belli e sinceri;
«Grazie nonno» disse sottovoce. L'accendino si spense.
Domenica
20 aprile 1986, 4 pm
Stasera
tornerò al Whisky dopo un anno... sinceramente non vedo l'ora!
Chissà se è cambiato, chissà chi incontrerò! Fortunatamente Yuri
non lo frequenta, dunque posso stare tranquilla... ho tanta voglia di
uscire. Chissà se la previsione di Marta mi porterà fortuna;
inizialmente ero scettica, ma in fondo potrebbe avere ragione. Spero
davvero almeno di intravedere quel ragazzo che ho visto nel fuoco
sacro stanotte... mi batte forte il cuore e non riesco nemmeno a
capire il perchè. Non lo conosco nemmeno ma fremo all'idea di
poterlo incrociare; mi sto rimbambendo?
Il
pomeriggio scivolò via veloce; nonostante la disgrazia del giorno
prima, in quella grande casa a Bel Air aleggiava un clima sereno ed
euforico. Le ragazze disfarono gli scatoloni ed iniziarono a
sistemare le prime cose del trasloco; verso le cinque e mezzo tutti
gli oggetti erano stati riposti ordinatamente sugli scaffali. «Si
comincia con i preparativi allora!» esclamarono Bunny e Marta
euforiche alzando al cielo le mani. Tutte le ragazze urlarono
contente ed iniziarono a fare congetture sull'abbigliamento ed il
trucco che avrebbero indossato al locale. Amy decise che avrebbe
indossato il suo top azzurro perchè sapeva che era il preferito di
Taiki che, quella sera, avrebbe fatto coppia con lei al Whisky; Marta
indossò la gonna preferita da Seiya, Bunny il vestito rosa di pvc
che le aveva regalato Marzio e Morea la canotta che le aveva regalato
Moran al suo compleanno. Rea, intanto, era ancora imbambolata di
fronte al suo armadio. «Non sai cosa scegliere?» le disse Morea
avvicinandosi da dietro «Mettiti qualcosa che possa piacere a Yaten»
«Yaten?
Scusa, perchè proprio lui?» domandò Rea curiosa
«Io
stasera sono lì con Moran; Yaten è libero, dunque è tutto tuo
Fiamma»
«Ma
chi lo vuole!» esclamò Rea inorridendo «Preferisco che tu esca con
due uomini piuttosto che io con lui... bleah!». Il tipico ragazzo
che Rea odiava era incarnato perfettamente da Yaten: precisino,
impeccabile... insomma, il solito bravo ragazzo. "Sa che mi
piacciono i cosiddetti bad boys" pensò fra sè Rea. «Beh,
vorrà dire che questa sera ballerai da sola» le disse Morea con un
sorriso «a meno che non spunti dal nulla il ragazzo misterioso».
Rea guardò la sua immagine riflessa nell'anta dell'armadio; iniziò
a rimuginare: "A giudicare da come mi è apparso nel fuoco, di
sicuro è uno di quei rockettari seri che non guardano in faccia
nessuno. Mi serve qualcosa di estremo". Senza pensarci due volte
prese il suo top di pelle, gli hot pants zebrati e le calze a rete;
poi corse a prendere i suoi stivali alti fin sopra il ginocchio di
pelle nera con uno stiletto di tredici centimetri. Si chiuse in
bagno, si vestì, si truccò e poi prese la lacca e il pettine a
denti stretti: "Chissà se sono ancora capace di cotonarmi i
capelli" pensò fra sè. Dopo mezz'ora, Rea uscì dal bagno
accompagnata da una nuvoletta di lacca; le sue amiche, che fino ad un
attimo prima stavano litigando per i trucchi, si zittirono e si
fissarono su di lei. «Come vi sembro?» chiese Rea aspettandosi
degli atroci commenti
«Wow,
Rea!» esclamò Bunny «Era un anno che non ti vedevo vestita così!
Stai benissimo!»
«Sei
perfetta per stasera» le disse Amy con un sorriso
«La
divisa ti dona parecchio Fiamma» disse Marta
«Quei
capelli Rea, mi sembrano quelli di una rockstar» concluse Morea. Ci
fu una risata generale poi le ragazze finirono di prepararsi.
*
* *
L'atmosfera
dentro al Whisky era carica di elettricità; la potevi sentire, la
potevi respirare. Il sudore colava dalle pareti e nell'aria aleggiava
il profumo delle varie lacche. Teste dai capelli ingombranti
correvano verso il palco per riuscire a vedere meglio questa band
prodigio che aveva un cantante a dir poco esuberante ed un
chitarrista che se ne andava in giro con un cilindro in testa a
qualsiasi ora del giorno. I Guns'n'Roses erano belli e cattivi; erano
come un lupo seducente che, sculettando come una modella ad una
sfilata, inghiottivano Cappuccetto Rosso a ritmo di Glam
Metal. Il cantante, Axl Rose, ammiccava a qualsiasi ragazza
che, in preda all'eccitazione, si levava il reggiseno e lo lanciava
sul palco urlando come una pazza. «Marzio, non guardare» diceva
Bunny mettendo una mano davanti agli occhi del ragazzo ogni volta che
succedeva un episodio simile; il bel moro scoppiava a ridere e le
diceva con una dolcezza impregnata di sensualità: «Amore, ma sai
che io guardo solo te... poi con quel vestitino, sei proprio sexy».
Bunny rideva maliziosamente e lo baciava sulle labbra. Rea sorrideva
a vedere così tanta tenerezza ed affiatamento fra i due; "Sono
così belli insieme" pensava fra sè "come mi piacerebbe
avere un ragazzo così". E mentre questi pensieri le affollavano
la mente, i suoi occhi squadravano il locale in cerca del ragazzo del
fuoco; ma dopo un'ora di ricerche, Rea ci rinunciò. Provò una
stretta al cuore; sospirò: "Beh, nemmeno lo conoscevo, non
capisco perchè la cosa debba dispiacermi così tanto". Un boato
interruppe i suoi pensieri: i Guns avevano appena terminato il
concerto e stavano scendendo dal palco; contemporaneamente, il dj
iniziò a mettere su i dischi più forti del momento. «Questo ci è
arrivato dal Troubadour ed è un brano inedito di una band
emergente chiamata Poison, questa è "Talk Dirty To Me"!».
La chitarra ruggì prepotente dalle casse seguita da colpi secchi di
batteria; «Rea dai! Andiamo a ballare!» le urlò Marta all'orecchio
e Morea le trascinò in mezzo alla pista. "Al diavolo!"
pensò Rea ed iniziò a scatenarsi. Sentimenti quasi dimenticati
riaffiorarono alla sua mente: gioia, spensieratezza, forza e
divertimento; sensazioni andate in letargo e risvegliate in un solo
istante dalle sue amiche e dalla musica che più amava. Si lasciò
andare, si lasciò trasportare dal fiume in piena di quegli accordi;
chiuse gli occhi e lanciò un urlo liberatorio. Le sue amiche la
guardarono con un sorriso pensando che finalmente Rea poteva vivere
la sua vita di ragazza come tutte loro. Mentre ballavano Bret
Michaels cantava di lui, che non vedeva l'ora di sentire la voce
della sua ragazza che gli sussurrava piano all'orecchio frasi sconce.
Rea era completamente immersa nel fiume della musica quando una mano
le toccò la natica destra; si girò di scatto e si ritrovò faccia a
faccia con Axl Rose. «Bella mora» le disse poggiandosi pesantemente
a lei «vieni in bagno con me? Ho tanta voglia di sbatterti contro la
parete». Rea strabuzzò gli occhi sentendo la protuberanza dei suoi
genitali gonfi di ormoni premuti contro il suo bacino; Marta e Morea
erano ferme alle sue spalle incredule. Rea non sapeva cosa fare
quando improvvisamente la furia si impadronì della sue membra e
mollò un sonoro ceffone al cantante che cadde rovinosamente a terra.
«Senti un po' biondino, io non faccio la carità a nessuno, è
chiaro?» gli urlò Rea imbestialita; poi si girò verso le due
amiche e disse: «Me ne vado al Roxy». Uscì dal locale come
un tornado con le sopracciglia aggrottate per la rabbia; se c'era una
cosa che odiava erano i pervertiti. Con le orecchie che le
fischiavano leggermente si diresse verso ovest, verso il Roxy, quando
una mano l'afferrò brutalmente per la spalla destra facendole quasi
perdere l'equilibrio. «Dove credi di andare stronza?» era la voce
di Axl. Rea afferrò il polso del ragazzo ma lui era ben più forte e
la spinse con ferocia nel vicolo accanto al Whisky; Rea cadde per
terra e si rialzò tenendo la schiena poggiata ai bidoni della
spazzatura.
Lunedì
21 aprile 1986, 1 am
Axl
sembrava un avvoltoio; a me si gelava il sudore sulla nuca. In quel
momento mi sono pentita amaramente di essere uscita sola dal locale.
Avevo paura, molta paura; anzi terrore. Lo sguardo di Axl era
identico a quello di Yuri; non riuscivo nemmeno ad urlare per farmi
soccorrere. "Ecco, sta per succedere di nuovo" ho pensato
dentro di me "Mai saprò cosa vuol dire fare veramente l'amore".
«Nessuna,
mai, si rifiuta di scopare con me» disse Axl avvicinandosi
lentamente e pesantemente verso Rea «perchè io sono Axl Rose. E mi
sta sui coglioni che tu ti rifiuti di scopare con me». Rea era
terrorizzata; dalla paura quasi non riusciva a respirare, solo dei
sibili le uscivano dalla bocca. «Sei tanto figa quanto stronza» le
disse Axl avvicinandosi al suo viso «ma io ti insegnerò a non
esserlo più». Il suo alito sapeva di birra, troppa birra; era
ubriaco. Ma nonostante questo, Rea non riusciva a muoversi; Axl stava
per strapparle di dosso gli hot pants quando, improvvisamente,
qualcuno gli fracassò una bottiglia di vetro in testa. Il biondo
cadde a terra tenendosi la testa sanguinante fra le mani; Rea lo vide
accasciarsi e gemere per il dolore. "Cos'è successo?"
pensò smarrita quand'ecco che notò appena dietro Axl un'altra
figura maschile. Le si fermò il cuore; nella penombra del vicolo
c'era lui, il ragazzo del fuoco. Aveva i capelli neri cotonati ed
ingombranti, la frangia lunga che gli nascondeva gli occhi ed
indossava una giacca nera lucida; nella mano destra stringeva il
collo di una bottiglia di vetro rotta. Era stato lui a salvarla;
senza dirle nulla era arrivato e le aveva salvato la vita. I loro
sguardi si incrociarono per un secondo: «Tutto bene?» le chiese con
la sua voce baritonale; dalla bocca di Rea non uscì nessun suono,
riuscì a malapena ad annuire. Lui si chinò su Axl che si lamentava
per il dolore e gli disse: «Sei un figlio di puttana sai? Mi hai
appena fatto sbattere nel cesso una bottiglia di Jack... sei
una merda». In un attimo Rea riprese il possesso delle sue membra e,
colma di paura, scappò via, verso casa, lasciando i due ragazzi nel
vicolo.
NOTE:
Guns'n'Roses:
band di Los Angeles formatasi dalla fusione degli L.A. Guns e degli
Hollywood Rose nel 1985. Ai tempi (1986) Axl Rose ne era il cantante,
Slash il chitarrista solista, Izzy Stradlin il chitarrista ritmico,
Duff McKagan il bassista e Steven Adler il batterista.
Whisky
à Go Go: uno dei locali più importanti del Sunset Strip; ospita e
ospitava dei concerti importantissimi.
Divisa:
in questo caso si intende l'outfit tipico da rocker
Glam
Metal: sottogenere del Metal nato all'inizio degli anni 80 a Los
Angeles. In origine chiamato Teeth Metal, è caratterizzato da
melodie ritmate e di facile presa sul pubblico, molte volte intrise
di carattere blues. Grandi esponenti del genere furono band come i
Mötley Crüe, i Poison, Van Halen e i Cinderella.
Troubadour:
altro locale molto importante del Sunset Strip; nel 1985 i Poison
firmarono un contratto con quel locale per poter suonarci il più
frequentemente possibile.
Talk
Dirty To Me: brano contenuto nel disco di debutto dei Poison "Look
What The Cat Dragged In"
Bret
Michaels: cantante dei Poison
Roxy:
altro locale molto famoso del Sunset Strip non molto distante dal
Whisky à Go Go
Jack:
si intende Jack Daniel's
Dopo
qualche giorno di studio intenso, torno con il secondo capitolo di
"Burning Fire" sperando che sia di vostro gradimento. Non
mi aspettavo un'accoglienza così calorosa per mia fan fiction e devo
ringraziare tutte le persone che si sono fermate per leggere e
lasciare la loro recensione; in particolare:
grazie
a Demy84 per i suoi preziosi consigli sulla formattazione del testo e
per la sua preziosissima recensione.
Grazie
a SailorMercury84, alemagica88, star86, key17 e LadyMars per le loro
recensioni.
Grazie
di nuovo a key17 per aver inserito questa storia fra le preferite e
grazie ancora a SailorMercury84, Demy84 e star86 per aver inserito
"Burning Fire" fra le seguite.
Senza
il vostro supporto, di certo, non avrei continuato a scrivere; siete
state tutte preziosissime. So che questo capitolo è un po' lungo ma
è servito per introdurre il mondo reale; come avete visto, il
misterioso ragazzo è comparso ma, ancora, non si sa chi è.
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Capitolo 3 *** Una Scoperta Scioccante ***
03 Una Scoperta Scioccante
Lunedì 21 aprile 1986,
1 am
Ho corso
finchè sono riuscita, ma alla fine non ce l'ho più fatta;
l'importante era aver lasciato Axl con la testa rotta nel vicolo.
Sono riuscita a fermare al volo un taxi e a farmi riportare a casa;
le altre torneranno da un momento all'altro con la macchina di
Marzio. Sto ancora ripensando a lui... perchè l'ha fatto? Voglio
dire, nemmeno ci conosciamo. Forse ha un innato senso di giustizia;
qualità assai rara da ritrovare in un rocker così. Ma io sono stata
così stupida! Una persona normale gli avrebbe detto: «Grazie di
cuore per avermi tolto dai piedi quel porco, come posso sdebitarmi?».
Invece no, no! Io come una cretina che corro via a gambe levate. Non
l'ho nemmeno ringraziato; non so nemmeno come si chiama. Chi lo
rintraccia più adesso? Anche se, ripensando bene al suo viso, credo
di averlo già visto; dove non lo so... eppure poi così sconosciuto
quel ragazzo non è. Nella penombra del vicolo, quel viso quasi
famigliare mi ha fatto sentire protetta. Devo assolutamente trovarlo.
Quel
pomeriggio splendeva un tiepido sole primaverile; Rea indossava un
lungo vestito bianco mentre accompagnava il corpo del nonno verso il
suo letto eterno. Purtroppo le sue amiche non erano potute
intervenire a causa delle lezioni. Provava sensazioni miste in quel
momento: una grande tristezza ed insieme una segreta gioia. Sapeva
che il corpo del nonno non le sarebbe stato più accanto ma
continuava a sentire il suo cuore battere vicino al suo; la sua anima
aveva deciso di riposare accanto alla nipote nascondendosi in un
accendino. Mentre Rea stringeva a sè la borsetta in cuoio bianco che
conteneva lo Zippo vide suo padre avvicinarsi; erano mesi che non si
incontravano. La ragazza inorridì: "Da quando abita a Malibu
non fa altro che partecipare a feste dove scorrono fiumi di alcol".
Il suo fegato si era ingrossato a dismisura ed era ingrassato di
parecchi chili. «Salve Rea»
«Padre»
disse lei chinando il capo; dopo un attimo di silenzio lui le chiese:
«Hai ancora intenzione di studiare?»
«Certo,
voglio laurearmi in arte»
«Allora
vedi di darci dentro che per un anno quasi non hai fatto nulla»
«Avevo
i miei buoni motivi» gli rispose Rea cercando di nascondere
l'amarezza che provava nei confronti di quell'uomo. Lui, prima di
andarsene via, le disse che avrebbe comunque continuato a pagare le
spese della casa almeno finchè lei non avesse trovato un lavoro ben
retribuito; la salutò con freddezza e si diresse verso la sua
Corvette nera dove dentro lo aspettava una bionda. "Ogni mese ne
cambia una" sospirò Rea; disprezzava suo padre. Mai si era
preso davvero cura di lei, mai le aveva dedicato del tempo; si rese
conto, in quel momento, di avere bisogno di una figura maschile di
riferimento. Le tornò in mente il suo salvatore; aspettò che le
poche persone che erano intervenute al funerale si allontanassero
dalla tomba ed accese l'accendino. «Nonno, mi è successa una cosa
strana ieri sera» gli raccontò tutto, sia della vicenda che di ciò
che aveva provato in quel momento; quando finì, la fiammella le
rispose: «Tesoro mio, io più di tanto non posso fare... ma credo
che in università c'è qualcuno che ti può aiutare».
*
* *
Il
giorno dopo tornò in università; non era cambiato nulla, quasi come
se il tempo non fosse mai passato. Amy accompagnò Rea fino all'aula
dove era prevista la lezione di architettura: «Ci credi che mi sento
come un pesce fuor d'acqua? La gente fa fatica a salutarmi» confessò
Rea all'amica dai capelli blu; Amy le sorrise e le disse: «Ma no,
vedrai che è solo l'imbarazzo iniziale; è passato tanto tempo e la
gente magari fatica a riconoscerti e...». Purtroppo non fece in
tempo a finire la frase che arrivò Seiya e salutò Rea ad alta voce:
«Ma guarda un po' chi si rivede! Ragazzi, è tornata Rea!»
«Seiya,
ti prego...» imprecò Rea a denti stretti «stavo giusto dicendo che
mi sento quasi in imbarazzo e arrivi tu e fai tutto questo dannato
casino»
«Ma
sì, che male c'è!» le rispose mollandole una pacca sulla spalla
«Ti aspetto dentro, ti tengo il posto!». Rea ringhiò come un
pitbull: «Lo detesto! Solo perchè è il più popolare non significa
che debba comportarsi così!»
«Beh,
sappiamo tutti com'è fatto» disse Amy imboccando il corridoio «vado
alla lezione di anatomia, ci ritroviamo tutte insieme a pranzo
sull'erba vicino al campo di football!». Rea entrò nell'aula e andò
a sedersi vicino a Seiya; per fortuna, il pupillo di Marta non ebbe
occasione di fare domande perchè il docente iniziò la spiegazione.
Ma la ragazza dai capelli corvini aveva la testa da tutt'altra parte;
cercò un foglio bianco dentro la sua cartelletta, prese la sua HB
ed iniziò a disegnare il volto del ragazzo del fuoco. Seiya,
intanto, la guardava incuriosito: «Che fai?» le bisbigliò
all'orecchio destro
«Niente»
rispose Rea sottovoce nascondendo i tratti con la mano
«Stai
facendo un ritratto?»
«Seiya,
perchè non impari a farti i cazzi tuoi?». Il ragazzo dal fine
codino si ritirò abbassando lo sguardo: «Perdonami, è solo che...
mi sei mancata molto in questo periodo». Rea sospirò e scosse la
testa: "Con tutta la gente che c'è in questo campus, proprio
lui doveva prendersi una cotta per me? Se Marta lo sa, mi uccide".
Intanto che pensava queste cose, si accertò che Seiya stesse
prendendo appunti così da poter continuare il disegno in pace; i
tratti si susseguivano freneticamente, nessuna sbavatura, nessuna
cancellatura, era come se Rea avesse il ragazzo davanti ai suoi occhi
e gli stesse facendo un ritratto. Quando terminò, guardò il volto e
pensò: "Manca qualcosa"; poi, come se il suo cervello non
stesse controllando minimamente la sua mano, con la matita disegnò
due righe nere sugli zigomi. Diede una nuova occhiata al disegno ed
in quel momento realizzò chi era quel rocker che le aveva salvato la
vita; spalancò gli occhi e le si mozzò il fiato: "... Nikki
Sixx?".
Erano
tutte lì, che la fissavano esterefatte mentre analizzavano il
disegno; «Ne sei sicura?» le chiese Amy «Certe volte il cervello
gioca brutti scherzi»
«Amy,
ne sono certa. Al cento per cento»
«E
perchè non l'hai riconosciuto subito?» domandò Marta con tono
incredulo
«Allora:
era buio, ero impaurita e poi non aveva quelle dannate strisce nere
disegnate sugli zigomi! E' da quando esistono i Mötley Crüe
che se le disegna... o quasi. Quando sei abituata a vedere una
persona in un certo modo fai fatica a riconoscerla poi quando cambia
qualcosa!». Rea era ancora incredula, sbalordita che una persona
come Nikki Sixx avesse spaccato in testa ad un cantante la sua
bottiglia di Jack Daniel's per evitare che la violentasse; dopo una
breve pausa di silenzio intervenne Bunny: «E tu nemmeno l'hai
ringraziato? Sei un completo disastro!»
«Senti
chi parla!» incalzò Rea «Ha parlato quella che non sbaglia mai»
«Cosa
intendi dire?» ruggì Bunny. L'atmosfera si stava surriscaldando
quando arrivò Marzio, puntuale come un temporale estivo: «Ciao a
tutte, scusate il ritardo, oggi il docente di aerodinamica non
la smetteva più di parlare... cosa avete da litigare voi due?»
«Ha
cominciato lei tesoro mio» si difese Bunny attaccandosi al braccio
del suo ragazzo «è sempre così aggressiva con me!». Rea fece per
ribattere ma Marzio la precedette: «Cos'è quel foglio che hai in
mano?». La ragazza dai capelli corvini arrossì e gli porse il
disegno guardando l'erba in cui crescevano margherite; il bel moro
analizzò il ritratto e disse: «Complimenti, bel disegno Rea; non
capisco cosa tu abbia da vergognarti»
«Ma
Marzio!» urlò Marta alzandosi di colpo «Questo è il ragazzo che
ha salvato la vita a Rea!». Rea si mise le mani nei capelli sempre
più imbarazzata; Marzio fissò nuovamente il disegno e disse: «Ma
com'è possibile che uno stronzo colossale come questo qui ti abbia
salvato la vita!»
«Non
lo so, non so che dirti» disse Rea abbassando gli occhi; la fama che
circondava il personaggio di Nikki Sixx, di certo, non era delle
migliori. Era il classico musicista tutto sesso, droga e rock and
roll senza nessun rispetto per le persone e le cose che lo
circondavano; ma allora perchè aveva compiuto quel gesto? «Comunque
ora, la questione è un'altra» disse Rea «io voglio rintracciarlo
per ringraziarlo ma non so come fare»
«Sogna,
amica mia» la consolò Marta «la vedo grigia!»
«Grazie
per il tuo supporto» rispose in tono sarcastico Rea. In quel momento
suonarono le due del pomeriggio ed Amy e le altre dovettero scappare
per andare a frequentare gli ultimi corsi della giornata; Rea e
Marzio rimasero invece sul prato. Dopo una pausa di silenzio, Marzio
guardò Rea e disse: «Eppure, credo che ci sia un modo per
trovarlo». Gli occhi della ragazza si illuminarono: «Quale sarebbe
Marzio?». Il ragazzo si guardò intorno e le disse: «Vieni con me,
prima che Bunny ci veda uscire dal campus insieme» e prendendola per
un braccio, la trascinò in strada. Fecero qualche metro a piedi,
svoltarono l'angolo e si fermarono di fronte ad un officina: «Burning
Fire Choppers, assistenza e ricambi Harley Davidson» lesse Rea ad
alta voce; dopo una piccola pausa espresse tutto il suo disappunto:
«Dunque?»
«Vedi
Rea» le spiegò Marzio «questa è la mia officina di fiducia,
conosco molto bene il proprietario; è stato lui a vendermi la moto e
siamo buoni amici. Lui mi ha detto che quella è l'officina di
fiducia degli Hells Angels i quali, guarda caso, molto spesso
fanno i gorilla ai vari concerti»; fece una pausa per deglutire ma
Rea era così impaziente che gli disse: «Beh, allora? Continua!».
Marzio riprese: «Quindi il piano è questo: ti faccio assumere come
apprendista ed intanto spiego a William la situazione; conoscendolo,
di sicuro non mi farà storie e tu inizierai a lavorare nel mondo dei
motori. Un giorno, di sicuro, entrerà un Hells Angel che farà il
gorilla per i Mötley Crüe, tu gli farai un lavoro e lui in cambio
ti porterà nel backstage, così potrai ringraziare Nikki».
Martedì
22 aprile 1986, 6 pm
Non ci
posso credere, è troppo bello per essere vero! Mi auguro solo che
questo gorillone arrivi il più presto possibile in officina; prima
gli faccio il lavoro, e prima potrò incontrare di nuovo Nikki. Non
hai nemmeno idea di quanto sia felice in questo momento; il mondo è
più piccolo di quello che si pensa.
Rea
abbracciò Marzio: «Grazie, grazie mille! Sei un amico!» poi si
staccò imbarazzata da lui e diventò color peperone; pensò che se
Bunny l'avesse vista in quel momento avrebbe fabbricato in due
secondi un bazooka e l'avrebbe ammazzata. «Solo una cosa» disse Rea
guardando Marzio che rideva sotto i baffi nel vedere il suo
comportamento: «Io non ho mai smontato un motore in vita mia, come
farai a convincere il tuo amico?»
«Di
questo non ti devi preoccupare» rispose Marzio «è sempre pronto ad
accogliere apprendisti nel suo negozio. Andiamo che te lo faccio
conoscere». Attraversarono la strada ed entrarono nell'officina;
nell'aria aleggiava un puzzo di olio misto a benzina e vernice e
c'era un frastuono infernale. «William!» gridò Marzio mentre Rea
si tappava le orecchie per il troppo baccano; in un attimo il rumore
finì e da dietro un macchinario per tagliare il metallo comparve un
omino paffuto con in testa un berretto che indossava una tuta da
meccanico grigia. «Marzio! Che piacere rivederti, come stai?» lo
salutò William
«Bene
grazie» rispose il ragazzo con un sorriso; William si girò verso
Rea e bisbigliò nell'orecchio di Marzio: «Dov'è finita la ragazza
con i codini biondi?»
«Oh
no, tranquillo, lei è solo una mia cara amica, anzi, dovrei
chiederti un favore per lei». I due si allontanarono nel retro
dell'officina e Rea rimase sola al centro del piccolo capannone;
«Un'altra aspirante modella? O una nuova popstar?» chiese una voce
che arrivava dalla sua sinistra. Rea si girò di scatto e si trovò
di fronte una ragazza dai tratti molto mascolini con le mani ed il
viso sporchi di grasso: «William è troppo buono per questo genere
di cose. Ti assumerà sicuramente. Ma ti avverto, se lavorerai con me
dovrai sudare; perchè questo non è un lavoro da fighette, mettitelo
bene in testa»
«Beh,
se avessi voluto fare la soubrette, di certo non sarei venuta qui a
sporcarmi le mani; avrei fatto provini in giro per la città. E poi,
tu come fai a sapere che sono venuta qui in cerca di agganci con le
celebrità?» le domandò Rea alquanto infastidita. La ragazza dai
corti capelli biondi si pulì le mani in un panno e le rispose:
«Semplice, hai l'aria da artista. E gli artisti non lavorano in
officina». Rea stava per risponderle per le rime quando tornarono
Marzio e William dal retrobottega; il meccanico aveva accettato di
assumerla nella sua officina a patto che cominciasse a lavorare dal
giorno successivo e che fosse stata sempre disponibile dalle 2 del
pomeriggio alle 7 di sera. «Vedrai che prima o poi troverai la
persona che ti condurrà dal tuo amico» le disse con un sorriso; poi
si girò verso la ragazza bionda ed aggiunse: «Heles ti darà una
mano a capire come funzionano le motociclette; ti insegnerà a fare
lavoretti spiccioli da meccanico e, se sarai abbastanza brava, allora
potrai anche fare riparazioni e, perchè no, progettare dei piccoli
custom». Sul viso di Rea apparve un sorriso smagliante, quasi non
riusciva a credere alle sue orecchie; Heles, invece, arricciò il
naso e si allontanò dicendole: «Ci vediamo domani» in malomodo.
Martedì
22 aprile 1986, 6 pm
E' vero,
non ho mai smontato un motore in vita mia; e devo dire che quella
Heles non mi ispira per niente. Ma credo che se riuscirò a prenderla
per il verso giusto, riusciremo a collaborare come si deve. Devo
impegnarmi, devo dare il massimo di me stessa; così quando arriverà
il "mio" Hells Angel sarò in grado di fargli un lavoro più
che soddisfacente e così riuscirò ad incontrare Nikki... sospiro,
Nikki... è così piacevole pronunciare il suo nome.
NOTE:
Malibu:
piccola cittadina ad ovest di Los Angeles, famosa perchè vi vivono
molte celebrità
HB:
sigla per indicare la matita dalla mina semi morbida
Nikki
Sixx: bassista dei Mötley Crüe fin dalla fondazione del gruppo
(1980/1981); Rea non riesce a riconoscerlo immediatamente poichè, ai
tempi, era solito disegnarsi due strisce nere sugli zigomi (stile
giocatore di football). Le strisce nere iniziò a disegnarsele sul
viso poco dopo dall'uscita del primo disco dei Crüe "Too Fast
For Love" (1981) fino alla fine del tour di "Theater Of
Pain" (1985/1986, marzo). Personalità assolutamente poliedrica
ed emblematica; con l'avanzare della storia, si scoprirà che ha
diversi tratti in comune con la protagonista.
Mötley
Crüe: band esponente del genere Glam Metal fondata a Los Angeles
intorno al 1981 circa; oggi, come allora, è composta da Nikki Sixx
al basso, Vince Neil alla voce, Tommy Lee alla batteria e Mick Mars
alla chitarra.
Aerodinamica:
non avendo avuto modo di precisarlo prima, Marzio studia ingegneria
aerospaziale.
Hells
Angels: gang di motociclisti diffusa in tutto il mondo famosa per
avere diversi problemi con la legge in quanto anche intesa come
organizzazione a delinquere
Capitolo
di passaggio questo: a quanto pare la strada per raggiungere Nikki è
più tortuosa del previsto. Spero di non avervi annoiato con
discussioni varie su moto e motori; al contrario, mi auguro di aver
mantenuto viva in voi la voglia di voler continuare a saperne di più.
Mi scuso per le note chilometriche, ma vorrei evitare di non dare
nulla per scontato. Come sempre, ringrazio Demy84 e SailorMercury84
per i loro incoraggiamenti; grazie nuovamente a Demy84,
SailorMercury84, star86, LadyMars e key17 per le loro preziosissime
recensioni. Grazie per la terza volta a Demy84 per aver inserito
"Burning Fire" fra le storie preferite e grazie a LadyMars
e pianistadellaluna per aver inserito questa fan fiction fra le
seguite. Fatemi sapere se anche questo capitolo è stato di vostro
gradimento e non esitate a farmi notare errori, sviste o
semplicemente a dirmi che è scritto male. Grazie a tutti.
|
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Capitolo 4 *** Fred, L'Angelo Dell'Inferno ***
04 Fred L'Angelo Infernale
Mercoledì 18 giugno
1986, 9 pm
Sembrerà
strano da dire, ma mi sto divertendo un mondo a fare il meccanico.
Non pensavo che sporcarsi le mani di olio fosse così soddisfacente;
insomma, arrivano motociclette quasi distrutte ed io riesco a
rimetterle a nuovo! Cambio candele, fusibili, riparo i radiatori...
mi sento un po' come Alex di "Flashdance". E quando
il cliente viene a riprendersi il mezzo... devi vedere le facce! I
sorrisi più smaglianti che tu possa immaginare! Mi guardano e
dicono: «Hey grazie! Chi si aspettava che un meccanico novello
riuscisse a far rombare così bene la mia Harley!». Piano piano mi
sto facendo strada nel mondo dei motori. Perfino Heles, la mia
collega, è rimasta esterefatta da questa mia "innata"
capacità di mettere le mani su un motore e farlo ripartire; ci è
rimasta davvero di stucco. Tant'è vero che, dopo un paio di
settimane che lavoravo da William, ha iniziato a parlarmi e siamo
diventate buone amiche; lo sapevo che, in fondo, era una ragazza
d'oro. È pronta a spaccarsi in quattro per me, se ho dei problemi mi
dà una mano... insomma, fra di noi è nato un bel legame di
collaborazione. Per tre settimane ho fatto solo riparazioni, ma
Heles, vedendo come me la sto cavando, ha deciso di insegnarmi anche
a verniciare i pezzi di carrozzeria e ha detto, che se vado avanti
così, settimana prossima iniza a farmi usare la macchina per
tagliare le lamine di metallo così posso cominciare a fare qualche
piccola modifica alle moto che arrivano! La cosa brutta, però, è
che questo lavoro mi porta via parecchio tempo; con le altre riesco
ad uscire insieme solo il weekend. In settimana stacco alle sette e,
quando torno a casa, devo mettermi sotto a studiare; mi spiace che
stia diventando un fantasma per loro. Ho persino dato loro buca alla
prima di "Top Gun" il 16 maggio; Marzio aveva i biglietti
gratis ma io ho dovuto rifiutare. Dovevo ancora iniziare a preparare
la relazione di storia dell'arte moderna per il lunedì successivo;
Bunny mi ha guardata e mi ha detto: «Uffa Rea, non ci sei mai
però!». Ha ragione, mi sono sentita mortificata; poi lei ha
aggiunto subito con la sua dolcezza: «Però sappi che, anche se il
lavoro ti sta tenendo davvero occupata, io ed anche le altre siamo
contente per te; ti vediamo particolarmente serena in questo periodo.
Mi auguro che il tuo aggancio arrivi presto». Mi commossi a tali
parole, l'abbracciai e la ringraziai; Bunny è un'amica unica.
Era
un caldo pomeriggio di luglio e nell'officina si pativa ancora di più
a causa dei gas di scarico delle motociclette. «Dai gas Rea!» urlò
Heles ma come Rea girò la manopola il motore si ingolfò, fece un
rumore orribile e si spense. Heles sbuffò, si scostò i capelli
dalla fronte e guardando Rea le chiese: «Che ne pensi?»
«Penso
che questo idiota, quando ha fatto rifornimento l'ultima volta, era
talmente ubriaco che ha fatto il diesel invece della benzina!».
Scoppiarono a ridere entrambe e si scambiarono un vittorioso cinque.
Avevano individuato il problema, di nuovo. Ormai i motori per Rea non
avevano quasi più segreti grazie a Heles; inizialmente
inaccessibile, quella ragazza dai comportamenti maschili si aprì
lentamente a Rea notando la sua abilità a maneggiare gli attrezzi e
a individuare i problemi. Alla quinta Harley riparata da Rea, Heles
si recò da lei con un sorriso smagliante e le porse le sue più
umili scuse per come si era comportata con lei fino a quel momento;
Rea ricambiò la sua espressione, le mise una mano sulla spalla e le
disse: «Sapevo che, in fondo, eri una collega speciale» e da quella
frase era nata la loro amicizia. Certamente, non era paragonabile a
quella che Rea condivideva con le amiche che abitavano in casa con
lei, ma era pur sempre un rapporto splendido basato sul reciproco
rispetto e sulla collaborazione. Heles era forte e decisa ed era in
grado di tenere per le palle qualsiasi cliente troppo sfacciato e
rompi scatole che entrasse nell'officina; ma era anche capace di una
grande dolcezza. Rea, quando usciva dal lavoro, spesso notava che una
ragazza molto bella e particolarmente garbata negli atteggiamenti
aspettava Heles appoggiata al palo della luce davanti all'entrata;
quando la ragazza usciva dal capannone si avvicinava a quel gioiello
di giovane donna, le due si abbracciavano e si scambiavano un tenero
bacio sulle labbra. Rea sorrideva e pensava: "Devono davvero
provare un amore sincero... guardarle mi fa sentire un grande calore
all'interno dell'anima. È la stessa sensazione che provo quando vedo
insieme Bunny e Marzio; quanto mi piacerebbe provarla in prima
persona". E in quel momento la sua mente volava a Nikki; se lo
immaginava circondato da ragazze di ogni tipo, tutte disposte a
dividerselo in un unico letto matrimoniale, chi per una performance,
chi per un'altra. "Levatelo dalla testa!" pensava fra sè e
sè con tono di rimprovero "E' un dannato pervertito dedito al
sesso mercenario, come ti può venire in mente che possa provare
interesse per una ragazza comune come te?"; ma allora perchè
nel vicolo aveva compiuto quel gesto? Quella sera tornò a casa in
balia di questi pensieri; appena varcò la soglia, Marta le si
attaccò al collo: «Allora, come è andata la giornata?»
«Normale,
come al solito» rispose distrattamente Rea; in quel momento Bunny si
affacciò dalla cucina: «Cos'hai che non va, Fiamma?»
«Assolutamente
niente!» le rispose sgarbatamente la ragazza dai capelli corvini ma
Bunny incalzò: «Vorrei ricordarti che per me non hai segreti, cara,
ti leggo come un libro aperto!»
«Non
vorrei interrompere il vostro battibecco» si intromise Morea «ma la
cena è pronta! Stasera carne alla griglia!». Si sedettero al tavolo
e durante tutta la cena Rea non aprì bocca; Morea stava per portare
la torta al cioccolato quando Bunny andò a sedersi vicino alla sua
cara amica e le bisbigliò nell'orecchio: «Ancora niente?»
«Già...»
sospirò Rea
«Non
mi dirai che ti sei arresa!» le chiese in tono stupito Bunny; Rea
non le rispose, tenne solo il capo chino e decise di andare in camera
sua. Prima però, con voce grave, chiese a Morea di tenerle da parte
un pezzo di dolce per la colazione della mattina successiva e di
nasconderlo dalle grinfie di Bunny. Le ragazze al tavolo scoppiarono
a ridere ma Rea non si unì a loro; si girò e salì le scale. Chiuse
la porta della sua stanza e si abbandonò ad un pianto silenzioso e
solitario; per la prima volta nella sua vita aveva perso davvero le
speranze. E non aveva il coraggio di ammetterlo; più che altro, si
rifiutava di crederci. Si mise le mani in tasca ed estrasse lo Zippo;
un lieve baluginio ed ecco che l'omino dalla testa rotonda fece
irruzione nella stanza: «Tesoro, ma cosa sono quei lacrimoni che ti
scorrono sulle guance?» chiese il nonno con tono comprensivo vedendo
la nipote piangere
«Nonno,
sono triste... credo che non rivedrò mai più quel ragazzo» rispose
Rea frenando i singhiozzi che le chiudevano la gola
«Fiamma
mia, non piangere! Non hai motivo di essere triste; hai delle amiche
preziose intorno, hai ripreso a studiare e hai anche scoperto che ti
piace lavorare! E ti ricordi quello che ti dicevo sempre?»
«Sì
nonno» Rea si passò il dorso della mano sulle guance «chi lavora
sodo viene ricompensato prima o poi»
«Dunque
non avere paura, vedrai che molto prima di quanto te l'aspetti il tuo
aggancio arriverà. Devi solo avere fiducia»
«Ma
non è possibile che dopo tre mesi non sia ancora arrivato nessuno!»
protestò la ragazza ma il nonno le ripetè di avere fiducia. Rea
spense l'accendino; il nonno aveva ragione, era necessario avere
fiducia. Ma perchè in quel momento le risultava così difficile
averne? Aveva perfino paura che il nonno potesse sbagliarsi; si
sdraiò supina sul letto, abbracciò il suo orsetto di peluche e si
addormentò.
*
* *
Il
giorno successivo in officina c'erano solo lei ed Heles; William,
insieme con un altro ragazzo che lavorava con loro, era andato a San
Diego per recuperare dei pezzi di ricambio. Il pomeriggio stava
trascorrendo tranquillo, solo una riparazione da fare; intanto fuori
il sole era così caldo da far sciogliere le pietre. Rea sbuffò per
spostarsi una ciocca di capelli dagli occhi: "Chissà cosa
staranno facendo le mie amiche... di sicuro saranno in spiaggia a
prendere il sole. Come vorrei essere anch'io con loro, ridere,
scherzare, prendere in giro i surfisti e bere un tè freddo".
Heles le si avvicinò da dietro: «Ti vedo fiacca oggi, c'è qualcosa
che non va?». Rea arrossì: «Oh no, ma che dici! Sono solo
accaldata»
«Non
mi sembri al top della felicità oggi; hai litigato con qualcuno?».
Heles abbozzò un mezzo sorriso vedendo che Rea abbassava gli occhi.
«Litigato no, però vedi...». La frase di Rea fu interrotta da un
rombo di motocicletta assordante; un cliente era appena entrato in
officina. «William! Dove sei brutta testa di cazzo!» gridò una
voce maschile che subito dopo scoppiò in una fragorosa risata. Heles
afferrò Rea per un polso e la trascinò via dal retrobottega; appena
giunsero davanti al cliente, la ragazza dai capelli biondi sorrise e
subito salutò l'uomo: «Ma guarda chi si vede! Ciao Fred!»
«Ciao
Heles! Stavo proprio cercando te! Tutto bene?». I due iniziarono a
chiacchierare mentre Rea, da dietro le spalle di Heles, osservava
quel colosso: un uomo grande come un armadio a tre ante, con i
capelli castani lunghi fino alle spalle, la barba folta e le braccia
enormi completamente tatuate. Era così grosso che le faceva
impressione. Improvvisamente Fred spostò il suo sguardo su di lei e
disse a Heles: «Avete fatto nuovi acquisti? Che bel bocconcino che
avete preso!»
«Piano
Fred, questo non è uno strip club» gli disse Heles «lei è qui per
lavorare. Si chiama Rea»
«Tanto
piacere» le disse Fred porgendole la mano; Rea, imbarazzata, gli
porse la sua e lui gliela strinse così forte da farle male.
Giovedì
10 luglio 1986, 10 pm
Penso di
non aver mai visto un uomo così enorme; sembrava un orso grizzly.
Grosso e peloso uguale. Senza contare che mi ha distrutto la mano con
quella stretta, sembrava quasi che me la fossi chiusa in un cassetto
(mi fa ancora male adesso!). Questo Fred è entrato in officina e si
è messo a parlare con Heles di un progetto custom per la sua
Softail; niente di strano fin qui. Ma la cosa più inquietante
era che Heles continuava a guardarmi e a farmi l'occhiolino...
perchè?
«L'idea
è questa: ho solo bisogno che mi sistemi il parafango dietro; me lo
fai un po' più appuntito verso l'alto. Se necessario mi cambi anche
il fanalino dietro. Poi ecco, quello che mi interessa è che mi alzi
di cinque centimetri il manubrio, me lo fai un attimino di più stile
chopper. Per il resto la moto è ok, nel caso, guarda se ci sono
sfregature e ammaccature sulla carrozzeria, se ne trovi me le
ripari». Heles si appuntò tutto su un foglietto; poi chiese a Fred:
«Entro quando ce l'hai bisogno?»
«Io
il 26 luglio ho un raduno, quindi cerca di farmela trovare pronta
entro il giorno prima»
«Sarà
fatto» gli disse Heles con un sorriso «Nient'altro?». Fred scosse
la testa, poi salutò le due ragazze dicendo: «Heles, è tutto nelle
tue mani» ed uscì dall'officina. «Rea, vieni qui» disse Heles con
un sorriso; Rea si avvicinò titubante a lei che ancora teneva in
mano il foglietto su cui aveva scritto tutte le direttive di Fred.
«Questo lavoro è per te» le disse la ragazza bionda sventolandole
il blocchetto sotto il naso. Rea era incredula: «Mio? E perchè? Non
ho mai customizzato una moto! E se combino qualche casino? Poi scusa,
l'ha commissionato a te il lavoro». Heles rise: «Tranquilla, guarda
che è più facile di quello che sembra; nel caso, posso sempre darti
una mano» fece una breve pausa e poi aggiunse: «E soprattutto è
necessario che tu faccia questo lavoro»
«Necessario?
Cosa significa?» domandò Rea sempre più allibita. Heles non
rispose, si girò verso di lei e scoppiò a ridere; in un attimo,
tutto divenne più chiaro nella mente di Rea.
Giovedì
10 luglio 1986, 10 pm
Ma come
avevo fatto a non capirlo immediatamente? Heles non faceva altro che
sorridermi mentre Fred era in officina perchè era contenta per me;
finalmente è arrivato il mio dannato aggancio! Heles mi ha spiegato
che quel Fred Saunders è un ex Hells Angel che fa da guardia del
corpo ai Mötley Crüe; sarà lui che mi porterà da Nikki! Sono così
felice che quasi non ci credo! Il nonno aveva ragione, come ho potuto
dubitare delle sue parole? Ora, l'unica cosa che devo fare è
lavorare sodo in modo da soddisfare quell'energumeno e avere così
accesso a quel ragazzo irraggiungibile. Farò del mio meglio anche
se, per certe cose, avrò bisogno dei saggi consigli della mia
collega. Stasera, quando l'ho detto alle ragazze, c'è stata una
specie di esplosione e Marta ha voluto improvvisare una festicciola
per brindare all'avvenimento; mi hanno incoraggiata tutte ed Amy mi
ha detto che se ho qualche problema per quanto riguarda la fisica
della motocicletta posso chiedere a lei. Che carina!
*
* *
Era
il giorno della verità; Rea ed Heles erano in piedi davanti alla
Softail di Fred. «Noti qualche imprecisione?» chiese Rea
visibilmente tesa. La ragazza bionda girò intorno alla moto, si
allontanò e disse: «E' fantastica, hai lavorato davvero bene»
«Dici
sul serio? Oppure lo stai dicendo per tirarmi su il morale perchè
pensi che sia una schifezza?»
«Non
ti sopporto quando fai così!» la rimproverò Heles «Se ti dico che
è fatta bene, devi fidarti! Vedrai la faccia di Fred quando arriva a
prendersela. E poi, anche William ha detto che sembra che l'abbia
fatta io. Rilassati!»
«Fosse
facile» rispose Rea. Non era mai stata così tesa in vita sua,
nemmeno prima di un esame; le mancava l'aria e sudava freddo. Era
convinta di aver fatto un lavoro mediocre. Verso le cinque del
pomeriggio Fred entrò in officina: «Allora, è pronta la mia
bambina?» gridò mentre faceva il suo ingresso; Rea deglutì a
fatica e poi gli disse: «Venga con me signor Saunders». Lo condusse
davanti a Heles che stava in piedi davanti alla moto coperta da un
telo nero; la ragazza bionda lo scostò e la Softail apparve davanti
agli occhi di Fred in tutta la sua bellezza. «Porca vacca,
strabiliante!» esclamò l'omone con la voce intrisa di una gioia
indescrivibile; girava intorno alla moto e ne rimirava ogni minimo
particolare come un bimbo di fronte ad un nuovo giocattolo. «Gran
bel lavoro Heles, bravissima» si congratulò Fred ma la ragazza
bionda lo fermò: «Guarda che non sono stata io a farti il lavoro,
ma quella bella signorina dai capelli neri». Il viso di Fred cambiò
completamente espressione; spalancò gli occhi incredulo mentre si
girava verso Rea: «Tu hai fatto questo?» chiese in tono quasi
accusatorio. Rea, impaurita, annuii senza proferire parola; Fred
tornò a fissare Heles che gli disse: «Lavora bene eh?»
«Cazzo
se lavora bene! Si vede da chi ha preso!». L'ex angelo infernale si
diresse verso Rea, le prese la mano e ne baciò il dorso: «I miei
complimenti, gran bel lavoro». Rea si sentì sollevata a quelle
parole, arrossì e ringraziò timidamente l'uomo; era contentissima
che il lavoro gli fosse piaciuto. «Ora però Fred» intervenne Heles
«Rea ti dovrebbe chiedere una cosa»; Fred scoppiò a ridere:
«Sapevo che c'era sotto qualcosa, generalmente Heles è molto gelosa
dei suoi lavori, mi sembrava strano che avesse ceduto un tale
progetto a te; però, dato che hai fatto un lavoro a dir poco
strepitoso, sono a tua disposizione per qualsiasi richiesta». Heles
le fece l'occhiolino; Rea prese fiato e chiese: «Signor Saunders...»
«Ma
quale signor Saunders! Mi fa sentire vecchio, dammi del tu e chiamami
Fred, cara Rea» le disse l'uomo con un sorriso smagliante
«Ok
Fred» riprese Rea «volevo chiederti, se possibile, se potevi farmi
entrare nel backstage del prossimo concerto dei Mötley Crüe. Io
devo... devo restituire una cosa a Nikki Sixx». Ci fu qualche
secondo di silenzio durante il quale Rea temette il peggio, poi Fred
chiese: «Cosa di preciso?»; la ragazza dai capelli corvini
impallidì ed annaspando rispose: «Una cosa personale... mi spiace
non poter essere più chiara».
Venerdì
25 luglio 1986, 11 pm
Adesso mi
dice di no, adesso mi dice di no, adesso mi dice di no... stavo per
esplodere. Era la frase che il mio cervello continuava a ripropormi
in quel momento.
«Beh,
nessun problema! Era già più problematico se mi chiedevi se potevo
fartelo avere per una notte di sesso sfrenato; ma dato che devi
restituirgli qualcosa... non c'è alcun problema». Heles, da dietro
le spalle di Fred, alzò il pollice a Rea e sottovoce le disse: «Ce
l'hai fatta». Rea in un lampo si sentì più leggera, la felicità
si impadronì delle sue membra; si sentiva come una farfalla pronta
per spiccare il suo primo volo. Fred aggiunse: «Il prossimo concerto
del gruppo prima della pausa per il nuovo disco è il 22 agosto al
Roxy; quella sera passerò a prenderti io a casa verso le cinque.
Fatti trovare pronta, mi raccomando»
«Puoi
giurarci» gli rispose Rea facendogli l'occhiolino; poi prese un
foglietto e scrisse sopra il suo indirizzo. Fred lo prese e se lo
infilò nella tasca dei pantaloni in pelle: «Ci vediamo fra un mese
gioiello» e sparì nel traffico con la sua Softail.
NOTE:
Alex
di "Flashdance": la protagonista del film faceva il
saldatore, un lavoro "da uomini"; di certo, il meccanico
non si può definire come una professione tipicamente femminile.
Fred:
o meglio, Fred Saunders; ex Hells Angel, e capo della security
durante numerosi tour dei Mötley Crüe. Occasionalmente era anche il
pusher della band.
Custom:
termine per indicare le moto modificate.
Softail:
modello di Harley Davidson caratterizzato dalla sospensione della
ruota posteriore nascosta per dare l'impressione di un telaio rigido
simile a quello di un chopper (moto fortemente modificata, stile
copertina di "Easy Rider").
Rieccomi;
finalmente è comparso l'aggancio, questo motociclista allegro ed
enorme che fa il capo della security ai concerti. Siamo a un passo
dall'incontro vero e proprio che si svolgerà nel prossimo capitolo;
spero di avervi incuriosito a sufficienza e di non avervi annoiato
con questo capitolo. So che non è un capitolo particolarmente
avvincente, ma è necessario; come sempre, le vostre recensioni sono
ben gradite, sia che siano positive, sia che siano negative. Vorrei
ringraziare le mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercury84,
star86, LadyFire, alemagica88, key17, pianistadellaluna e anche i
membri del Sailor Moon Italian Forum (Miroku 88 e Kayla-XY); grazie
per il vostro tempo speso per leggere la mia storia e grazie infinite
per i vostri commenti e recensioni. Un abbraccio forte a tutti, Ellie
P.S.
Se dovesse mancare qualcosa nelle note, non esitate a chiedere
spiegazioni
|
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Capitolo 5 *** Una Margarita Alla Fragola ***
05 Una Margarita Alla Fragola
Venerdì 22
agosto 1986, All Star Jam al Roxy.
Rea
stringeva più forte che poteva Fred mentre il biker si divincolava
in mezzo al traffico di Sunset Boulevard; aveva dovuto indossare gli
occhiali da sole perchè l'aria gonfia di gas di scarico le faceva
piangere gli occhi neri e profondi. Fred strepitava e mandava
gentilmente a fanculo tutti quelli che osavano in qualche modo
intralciargli il cammino, pedoni o camionisti che fossero; più che
le strade di una grande città, quelle di Los Angeles sembrano
sentieri che si snodano all'interno di una giungla fatta di traffico,
clacson, pedoni incoscienti e pirati della strada. «Guarda dove
cazzo ti piazzi, brutto figlio di puttana! Chi cazzo te l'ha data la
patente?» urlava Fred in preda alla rabbia «Si può sapere per
quale cazzo di motivo alle sei di pomeriggio tutti i coglioni che
vivono a Los Angeles devono mettersi per strada e guidare, porca di
quella puttana!»; era livido. Tutto quel traffico li stava facendo
arrivare tardi; erano le sei e venticinque ed erano ancora a diversi
chilometri dal Roxy Theater e da lì a cinque minuti avrebbero aperto
le porte del backstage per fare entrare la security. Alle sei e
quaranta, dopo aver fuso il clacson della Softail, Fred e Rea
parcheggiarono la moto a pochi metri dalla porta posteriore del Roxy.
Rea smontò dal mezzo e provò una stretta allo stomaco nel vedere
davanti ai suoi occhi la porta con scritto "Personnel only";
era davvero a pochi metri da Nikki. Fred abbassò il cavalletto, si
tolse il casco e, tirando fuori una tessera plastificata con un
laccio dalla tasca della giacca in jeans, disse a Rea: «Ecco qui
tesoro, questo è il tuo pass; goditelo e, mi raccomando, non
perderlo». La ragazza se lo rigirò fra le mani; era uno di quei
pass che avrebbe fatto gola a chiunque ad un concerto perchè c'era
scritto a lettere cubitali fucsia: ACCESS: ALL AREAS. Rea se lo mise
al collo ed entrò insieme a Fred nel backstage.
Sabato 23
agosto 1986, 4 am
Varcare
la soglia del backstage è come entrare in un universo parallelo:
fumo di sigaretta (e non solo) aleggia nell'aria quasi come se fosse
nebbia. Ma soprattutto c'è un sacco di gente: chi corre con in mano
cavi, chi sorregge dei fogli e controlla con nervosismo l'orologio,
chi passa a bussare alle porte dei camerini urlando: "Siete i
primi a salire sul palco" oppure: "Fra dieci minuti tocca a
voi!". Frenesia totale. E in mezzo a questa frenesia trovi
ragazze che si atteggiano come se fossero le regine del mondo e
squittiscono fra loro: "Spero di essere la prima ad entrare,
così potrò godere al massimo dei suoi genitali"... schifoso.
Semplicemente da vomito. Alcuni guardano alle rockstar come dei
credendo che siano scesi dall'olimpo della musica per illuminarci con
il loro sapere e la loro ispirazione; ed io rientro fra questa
schiera di individui. Ma per tante altre persone, essi sono solo
carne e ossa pronte per essere mandate al macello, persone buone solo
per essere usate per scopi bassi; per loro il mondo è come il banco
di un macellaio: scegli il pezzo, lo strappi coi denti e poi lo
getti.
Fred
la teneva per mano per evitare che qualcuno prendesse dentro di lei e
la facesse cadere per terra; dopo aver tirato un paio di gomitate,
finalmente, arrivarono davanti ad una porta sulla quale c'era scritto
con un pennarello nero: "NIKKI SIXX". Alla vista di quelle
lettere indelebili il cuore di Rea iniziò a battere come un tamburo;
Fred si girò verso di lei, le mise le mani sulle spalle e disse:
«Lui è lì dietro, però, se posso darti un consiglio, è meglio
che vi vediate dopo il concerto. Prima tende ad essere sempre un po'
nervoso»; la ragazza annuì trattenendo il fiato. Le sembrava già
un sogno essere arrivata alla porta del suo camerino. Fred, dopo aver
deglutito, aggiunse: «Non che dopo lo spettacolo sia molto più
tranquillo, però cercherò di farti entrare e, soprattutto, farti
trattare come si deve». Detto questo scattò via, verso la porta con
scritto "Stage"; Rea rimase sola nel bel mezzo del
corridoio davanti alla soglia del camerino. Si sentiva magneticamente
attratta da quelle lettere ma doveva assolutamente resistere: "Fred
ha detto che mi farà passare davanti a tutti, dunque non devo
nemmeno preoccuparmi... sicuramente lo vedrò. Ma riuscirò a
parlargli? Cosa ci diremo? E, soprattutto, si ricorderà di me?".
Questi dubbi iniziarono ad affollarle la mente mentre sul palco
iniziò a suonare il primo gruppo; più i minuti scorrevano, più il
nervosismo cresceva in lei. Si mordeva le labbra, camminava avanti e
indietro, giocava con i suoi capelli neri e sentiva il suo cuore
esploderle nel petto. Ogni tanto fissava chi passava per quel
corridoio stretto dalle pareti bianche: tecnici del suono, manager,
groupies, batteristi che facevano girare le bacchette fra le
dita, ammiratrici impazzite e cantanti già ubriachi prima di salire
sul palco. Senza che nemmeno se ne accorgesse, passò davanti a lei
un uomo di piccola statura con indosso una t-shirt nera che portava
al collo delle cuffie; bussò violentemente sulla porta di Nikki
gridando: "Cinque minuti!". Rea sobbalzò, non si era
nemmeno resa conto che erano già passate due ore e mezza da quando
aveva varcato la porta del backstage insieme a Fred. L'omino si
allontanò dalla porta di Nikki. Dopo pochi secondi la maniglia di
abbassò e la porta di legno bianco iniziò ad aprirsi cigolando; Rea
si paralizzò e si attaccò al muro con gli occhi sgranati. Nikki
uscì a capo chino con la sua nerissima capigliatura enorme
stringendo nella mano destra il suo Thunderbird; come alzò la
testa ed i suoi occhi verdi si incrociarono con quelli color notte di
Rea si bloccò per un istante, quasi come se fosse spaventato.
Sabato 23
agosto 1986, 4 am
Giuro di
averlo visto: un lampo che gli passò per quelle iridi color
smeraldo. Quel lampo di consapevolezza che ti fa pensare: "Allora
vedi che si ricorda di me?". Solo che il tempo a disposizione
era veramente poco, anche solo per potersi scambiare un cenno;
infatti, come lui stava per immobilizarsi davanti a me, una voce lo
chiamò gridando: «Sixx, muovi il culo!». Forse era Tommy Lee;
e lui scappò, avvolto nel suo completo di lycra a righe bianche e
nere.
Rea
li vide sparire uno dopo l'altro dietro la porta che portava al
palco; dopo qualche secondo sentì la folla esplodere in un boato
paragonabile ad un terremoto. Era iniziato il concerto dei Crüe:
«Good evening Roxy!» urlò acidamente Vince scatenando un
putiferio indescrivibile tra la folla. Suonarono tutta la scaletta
del tour di "Theater Of Pain"; durante la durata
della performance, Rea dal backstage si immaginava il suo salvatore
che suonava il basso nel suo angolino di palco dimenando il capo e
saltellando nel suo completino aderente e scintillante. Stavano
suonando veramente bene, ma non vedeva l'ora che smettessero; mai
nella sua vita aveva desiderato così fortemente che un concerto
finisse. Voleva parlare con Nikki; esigeva scambiare due parole con
lui. D'altra parte, si era comportata come una stupida con lui e
adesso aveva la possibilità di riparare al suo errore. L'aprirsi
violento della porta del palco la riportò coi piedi per terra; la
band stava tornando ai camerini. Vince precedeva tutti sculettando
come una prostituta di Hollywood Boulevard fasciato in un paio di
fuseaux fucsia con sopra un reggicalze in pizzo bianco; dietro
quell'esserino biondo platino, ecco arrivare i tre mori del gruppo
tutti scortati da Fred. Il biker fece l'occhiolino a Rea che, di
riflesso, arrossì violentemente. Nikki le passò nuovamente di
fianco fissandola impaurito per qualche istante per poi rifugiarsi
nel suo stanzino. Fred si mise davanti alla porta e prese per mano
Rea mentre una fiumana di ragazze correva verso di lui urlando: «Dai,
facci entrare! Dobbiamo vedere Nikki!»
«Calma
dolcezze» disse il gorilla in modo carino ma anche autoritario
«Nikki sarà disponibile fra poco, abbiate pazienza. Fatelo
cambiare»; poi abbassò lo sguardo verso Rea e le sussurrò
aprendole la porta: «Vai, entra. Non avere paura». La ragazza varcò
a fatica la soglia con le gambe che le tremavano violentemente; Fred
la chiuse dentro. Il camerino era spoglio, con un armadietto di
metallo, un tavolino quadrato al centro e delle luci al neon; più
che il rifugio di una rockstar sembrava parte di una caserma
militare. Nikki era di spalle davanti al tavolo ancora con indosso i
costumi di scena; stava trafficando con qualcosa che sembrava un
cucchiaio. Rea prese fiato, si concentrò e disse: «Ciao Nikki»;
lui si girò con il trucco che gli colava dalla faccia. Aveva ancora
quell'espressione a metà fra il timore e la felicità; Rea proseguì:
«Non so se tu ti ricordi di me...». Lui la interruppe con la sua
voce baritonale: «Tu sei quella del vicolo. Quella che mi ha fatto
spaccare una bottiglia di Jack»
«Già»
sospirò Rea arrossendo dalla felicità «Sono io quella che è
scappata da quel vicolo senza nemmeno dirti grazie per...»; lui la
interruppe di nuovo: «Beh, ora l'hai fatto. C'è dell'altro?». Rea
rimase stupita dal modo scorbutico con cui Nikki pronunciò quelle
parole; timidamente scosse la testa. «Allora direi che te ne puoi
anche andare» disse lui girandosi verso il tavolo e continuando a
trafficare con il suo cucchiaio. Rea non riusciva a credere alle sue
orecchie: la stava cacciando via? Rimase incollata all'uscio senza
riuscire a dire nulla e senza riuscire a muovere un muscolo. Nikki
fece il giro del tavolo lasciando in bella vista una siringa e una
pipa di vetro; la guardò di nuovo con gli occhi iniettati di sangue
e le urlò puntandole addosso il cucchiaio: «Cos'è? Non capisci
quello che dico? Vattene fuori di qui!».
Sabato
23 agosto 1986, 4 am
«Vattene
fuori di qui!» mi ha ululato in faccia. Quel bastardo non se ne
faceva proprio niente delle mie scuse. Tutto l'affetto e
l'ammirazione che avevo provato per lui fino a quel momento si era
trasformato in un'ira cieca che mi fece urlare: «E tu vattene a
fanculo, brutto stronzo!» e sono uscita sbattendo violentemente la
porta del camerino. In quel momento ho pensato: "Quella fottuta
bottiglia di Jack, che se la spaccasse lui contro la testa, così
magari si rende conto che non esce nemmeno un po' di sangue perchè è
maledettamente vuota, porca troia!". Fred ha scosso la testa e
si è passato una mano fra i capelli, rassegnato: «Non è andata
bene...» l'ho sentito bisbigliare. Stavo per uscire dal backstage
quando una voce dietro di me ha iniziato a urlare...
«Aspetta, aspetta un attimo!» qualcuno l'afferrò per
il polso destro; Rea si girò con sguardo torvo e si ritrovò davanti
Nikki, ancora truccato. «Si può sapere che cazzo vuoi adesso?»
ruggì lei con tutta la rabbia che aveva in corpo; tutte le persone
che erano in corridoio si voltarono per assistere alla scena con gli
occhi sbarrati. Nikki abbassò il capo visibilmente imbarazzato e le
sussurrò: «Vorrei parlarti...» ma Rea lo interruppe nuovamente
urlando: «Oh, ora vuoi parlare eh?»
«Ti prego, non urlare» le disse lui e poi la trascinò
nuovamente nel suo camerino scatenando la gelosia di tutte le ragazze
che aspettavano impazienti davanti alla porta. Una volta dentro,
Nikki, continuando a guardarsi le punte dei mocassini a righe, le
disse: «Ora sono io che devo chiederti scusa, mi sono comportato
come un deficiente poco fa». Rea spalancò gli occhi; non credeva
alle sue orecchie. Conoscendo la personalità di Nikki era davvero
strano che una persona come lui si abbassasse a chiedere scusa; ma se
lo faceva, significava che davvero credeva nelle parole che stava
dicendo. Significava che era sincero. Rea si chinò per cercare di
guardarlo negli occhi e quello che vide fu una cosa inaspettata:
invece che lo sguardo di un uomo sicuro pronto a far svenire il mondo
ai propri piedi, vide quello di un ragazzo insicuro, in imbarazzo e
questo scatenò in lei un moto di tenerezza. Gli toccò il braccio
sinistro e gli disse in tono rassicurante: «Beh, anch'io non sono
esente da scuse. Ho urlato come una pazza in corridoio». Lui alzò
lo sguardo ed abbozzò un sorriso; poi, in un attimo, riacquistò
tutta la sicurezza. Si diresse verso il suo armadietto, lo aprì ed
iniziò a spogliarsi dicendole: «Voglio farmi perdonare, sono stato
uno stronzo e su questo non ci piove. Il minimo che posso fare è
offrirti qualcosa da bere» e, mentre pronunciava queste parole, si
calò i pantaloni e si tolse la casacca rimanendo in boxer. Rea
arrossì ed iniziò a fissare le piastrelle del pavimento; Nikki,
notando il suo imbarazzo, la prese in giro: «Non mi dire che non hai
mai visto un ragazzo nudo!». La ragazza, sentitasi punta sul vivo,
gli rispose un po' scocciata: «Ma certo che l'ho visto... solo che»
deglutì cercando di reprimere l'imbarazzo che l'aveva fatta
diventare rossa «mai nessuno si è spogliato così davanti i miei
occhi la prima volta che ho avuto a che farci». Lui scoppiò a
ridere: «Allora non sei una frequentatrice assidua di musicisti!
Adesso mi spiego perchè hai rifiutato Axl quella sera... sei una
personcina per bene». La carnagione di Rea da rossa diventò bianca
nel giro di pochi attimi: "Ma come diavolo ha fatto a capire
queste cose di me in modo così... spontaneo?". Nel frattempo
lui si era infilato una semplice t-shirt nera ed un paio di pantaloni
di pelle ed aveva iniziato a struccarsi: «Ti piace la margarita?»
le chiese passandosi lo struccante sul viso per togliersi le righe
nere dagli zigomi; Rea rispose timidamente: «A dire la verità, non
sono una ragazza che apprezza i cocktail, preferisco la birra».
Nikki si voltò verso di lei gettando a terra il batuffolo di cotone
intriso di struccante, si avvicinò e le sussurrò in pieno viso: «Da
stasera amplierò la tua visione dell'alcol. C'è un localino qua
vicino che fa delle margarita alla fragola spettacolari, vogliamo
andare?». Con la mano destra le indicò la porta del camerino e con
la sinistra la prese per il dito medio; Rea, quasi come se fosse
ipnotizzata, si fece guidare da quel ragazzo verso l'uscita del
backstage fino alla sua Corvette nera con i vetri oscurati.
* * *
Nikki diede un lungo sorso alla sua margarita dalla
cannuccia: «Queste
sono le fragole più buone di tutto il circondario!»
«Sicuro
che non sia sciroppo?» gli chiese Rea rigirandosi fra le mani il
bicchiere pieno di liquido rosso «E' un po' troppo poco denso per i
miei gusti»
«No, il
proprietario coltiva le fragole nella sua serra e poi le porta qui al
locale» Nikki diede un altro sorso alla bevanda «Spettacolare!».
Rea stava ancora fissando scettica il bicchiere, pieno fino all'orlo;
Nikki la esortò: «Dai, provala!». La ragazza avvicinò la bocca
alla cannuccia e prese una grossa boccata di margarita; deglutì a
fatica: «Oh cacchio, la tequila è terribile! Saranno anche buone le
fragole, che poi quelle che ho in giardino io sono ancora migliori,
ma la tequila la odio» e dicendo queste parole una lacrima le
scivolò lungo la guancia. Nikki scoppiò a ridere, fin troppo
divertito: «Dio mio, sembri un bambino a cui danno da assaggiare un
limone!»; diede un altro sorso al cocktail e poi disse: «Ma dove
vivi per avere in giardino degli arbusti con delle fragole?»
«Vivo in una casa a
Bel Air con le mie quattro amiche; a dire la verità non sono proprio
io che mi occupo degli arbusti ma la mia amica Morea che è anche
quella che si occupa della cucina. Credimi, se le curassi io
farebbero una bruttissima fine». Nikki annuì e poi aggiunse:
«Anch'io, tempo fa, ho avuto un'esperienza di condivisione
dell'appartamento con Vince e Tommy» trattenne una risata «Ma devo
ammettere che fu a dir poco disastrosa! La casa era conciata come una
discarica, era piena di scarafaggi e usavamo la lacca e gli accendini
per sterminarli... così facendo, una volta, ho dato fuoco al
tappeto». Scoppiarono a ridere di gusto entrambi, poi Nikki
continuò: «Noi siamo fuori a bere insieme, ma non ti ho ancora
chiesto cosa fai nella vita Rea, a parte non scopare con i musicisti
del Sunset Strip». La ragazza sorrise: «Studio arte e architettura
alla UCLA»
«Sul serio?»
sembrava stupito «E qual è la cosa che più di tutti ami
raffigurare?». Rea temporeggiò un attimo ma poi rispose: «Mi piace
tutto quello che vola, specialmente le aquile e le farfalle»; lui
sembrava sempre più interessato: «E perchè proprio quelle cose che
volano?»
«Hai mai sognato di
volare, Nikki?»; il ragazzo rimase fermo, a fissarla negli occhi,
quasi volesse sollecitarla a continuare a parlare. Rea proseguì:
«Deve essere fantastico volare; tutte le volte che ho sognato di
farlo mi sentivo libera dal peso di tutte le cose ti obbligano a
tenere i piedi per terra. Molli le tue zavorre e vai, su in alto,
leggero. Guardi sotto e... domini; il mondo è ai tuoi piedi. Tutta
la libertà che sogni è lassù, nell'aria... e l'unico modo che
abbiamo per alzarci davvero da terra è prendere un dannato aereo. Mi
chiedo perchè certe volte non ci abbiano creato con le ali». Nikki
la fissava, in silenzio, senza battere ciglio. «Ho detto per caso un
mare di stronzate?» chiese Rea, quasi come se volesse scusarsi ma
lui rispose: «No, affatto! È interessante questa tua...
"prospettiva". Quindi, dato che hai detto che l'unico modo
per alzarsi da terra è l'aereo, di sicuro avrai visto tutti i film
del genere»; a quell'affermazione Rea provò un senso di
colpevolezza. Si ricordò di non essere andata con le sue amiche alla
prima di "Top Gun" ed anche che Bunny ci era rimasta
parecchio male. «Proprio tutti no, mi manca l'ultimo» ammise con un
certo rammarico; poi aggiunse: «A te che film piacciono Nikki?»
«Mi piacciono i
film dell'orrore e tutto ciò che ha a che fare con la sfera più
oscura della mente umana, è affascinante come argomento...». Rea si
stupì di questa passione di Nikki per il lato oscuro dell'uomo;
davvero non si aspettava che una persona apparentemente così
superficiale e sessista potesse avere un lato profondamente
intellettuale. Lo ascoltava incantata mentre diceva di aver letto
diversi libri sull'argomento e che, proprio da questi, si lasciava
influenzare per scrivere alcuni testi. Quando terminò il discorso,
la ragazza, completamente ammalliata dal suo modo di parlare, gli
chiese: «Hai già in cantiere qualcosina per il nuovo album dei
Crüe, magari proprio su quest'argomento? Sai, mi piacerebbe leggere
in anteprima qualche testo». Lui, di tutta risposta, guardò il suo
orologio da polso e schizzò in piedi: «Cazzo, è tardissimo! Scusa
se ti lascio qui sola»; tirò fuori il portafogli di tasca e le
diede cinquanta dollari: «Tieni, pagati il taxi per tornare a casa
con questi, purtroppo non riesco ad accompagnarti... ecco, poi» con
una penna presa dalla tasca dei pantaloni scrisse qualcosa su un
tovagliolino di carta «questo è il mio numero di telefono, chiamami
quando vuoi, cercherò di risponderti sempre. Spero di rivederti
presto, ciao!» e scappò via, come una saetta. Rea rimase sola al
tavolo stringendo nella mano destra il tovagliolino: «Merda!».
Sabato
23 agosto 1986, 4 am
Mi
ha fatto davvero piacere che mi abbia lasciato il suo numero di
telefono, ma devo resistere... non devo chiamarlo! La migliore arma
per far sì che l'uomo si interessi ad una donna è farlo penare; se
davvero è interessato a me, troverà il modo di contattarmi come io
ho fatto con lui... sono curiosa di vedere cosa farà anche se, come
mi ha detto il nonno, non devo farmi troppe illusioni.
NOTE:
Groupie: ragazza che
segue una band precisa durante il suoi spostamenti e dona il suo
corpo ai membri del gruppo.
Thunderbird: basso
prodotto dalla Gibson, uno dei primi ad essere neck-through (un pezzo
unico da cui ricavare manico e corpo senza incollamenti o avvitamenti
lungo lo sviluppo del pezzo di legno).
Tommy Lee:
batterista dei Mötley Crüe; famoso anche per la sua tormentata
relazione con Pamela Anderson.
Vince Neil: cantante
dei Mötley Crüe.
Theater Of Pain:
terzo album dei Mötley Crüe pubblicato nel 1985; sulla copertina
compaiono due maschere che si rifanno alla commedia dell'arte.
I tre mori del
gruppo: a differenza di Vince Neil che porta i capelli biondo
platino, Nikki Sixx, Tommy Lee e Mick Mars hanno tutti i capelli
neri.
Eccomi
qui, dopo un piccolo periodo di assenza; questo è un capitolo
estramente denso e carico di avvenimenti. Finalmente i nostri due
personaggi hanno parlato e sono usciti insieme; ma perchè Nikki si
mostra dapprima ostile mentre poi è in imbarazzo, chiede scusa e la
invita ad uscire? E cosa se ne faceva di un cucchiaio? Ma,
soprattutto, si rivedranno i due? Queste cose le scoprirete tutte con
l'avanzare della storia, io ora vi lascio il beneficio del dubbio.
Come sempre, i più sentiti ringraziamenti a Demy84, SailorMercury84,
Lady Mars, alemagica88, star86, key17, Cri cri e tutti quelli del
Sailor Moon forum che seguono la mia fan fiction. Inutile dire che
sono ben accette tutte le recensioni, positive o negative che siano;
ringrazio tutti in anticipo, bacioni,
EllieMarsRose
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Capitolo 6 *** Mighty Wings ***
06 Mighty Wings
Il sabato
dopo l'All Star Jam splendeva su Los Angeles un sole meraviglioso e
caldo. Le ragazze avevano passato il pomeriggio sguazzando nella
piscina della grande casa con lo stereo del soggiorno alzato al
massimo; mentre la puntina del giradischi solcava "Panama"
dei Van Halen, Rea riemerse dall'acqua dopo aver tentato di
affogare Bunny per l'ennesima volta. La ragazza dai lunghi codini le
sputò in faccia tutta l'acqua che teneva in bocca. «Che schifo
Bunny!» si arrabbiò Rea
«Così
impari a tenermi sotto» le rispose l'amica facendole la linguaccia.
Nel frattempo a bordo piscina Marta prendeva il sole nascondendo il
suo bel viso dietro un paio di Wayfarer; Amy le passò di
fianco e, mentre si asciugava i capelli con un asciugamano, le
chiese: «Marta, ti sei messa la crema protettiva?»
«No
dottore, non l'ho messa» le rispose sbuffando
«Mettila,
maledizione! Io non ho intenzione di fare come il mese scorso che
dovuto passare due settimane a farti impacchi di crema per ustioni,
non ci penso nemmeno! Questa volta ti arrangi» la sgridò Amy
sistemandosi il bikini azzurro. Marta alzò gli occhiali da sole,
fece il broncio ed esclamò: «Uffa, che stress che sei!». L'unica
che non era a bordo piscina era Morea, intenta a raccogliere le
ultime fragole della stagione dagli arbusti del giardino; aveva
intenzione di preparare l'ultima crostata di fragole dell'anno. Nel
frattempo Rea uscì dalla piscina e, prendendo un asciugamano, disse
che sarebbe entrata in casa a fare la doccia.
Sabato 23
agosto 1986, 6 pm
Oggi sono
davvero felice; sarà che da ieri sera sono in brodo di giuggiole.
Finalmente, dopo tanto tempo, sono riuscita a fare due cose a cui
tenevo particolarmente: la prima era stare un pomeriggio intero a
divertirmi con le mie amiche e la seconda era parlare con Nikki. Sì,
perchè non mi bastava vederlo. Se penso a lui avverto come una fitta
allo stomaco... dire che me ne sono innamorata mi sembra davvero
eccessivo, però l'uscita di ieri sera è stata a dir poco
fantastica. Anche se alla fine mi ha lasciata sola al tavolo. Ho
nascosto il suo numero di telefono nella tasca della mia giacca in
pelle, così Bunny non potrà mai trovarlo (so che ama chiamare le
persone con cui esco... anche solo per metterci una buona parola, ma
non vorrei che combinasse qualche casino con Nikki). Appena sono
rientrata in casa per farmi la doccia, mi sono chiusa in bagno ed ho
acceso lo Zippo per parlare con il nonno. Lui mi ha detto che è
felice di vedermi così solare ed energica, ma di non farmi troppe
illusioni: «Sai, i rockettari sono quasi tutti dei villani di prima
categoria!» mi ha detto con il suo tono da predica ed ho dovuto
ammettere che non aveva tutti i torti. In quel momento mi è
ritornato in mente Yuri, di quanto io sia stata innamorata di lui ma
di quanto mi abbia fatto male ed anche tutta la sofferenza che ne è
seguita. Così, guardando la fiammella, ho chiesto al nonno se poteva
dirmi cosa mi aspetta in futuro con Nikki, se posso fidarmi di lui
oppure no; e lui mi ha risposto: «Io so già cosa succederà tesoro
mio, ma non voglio dirtelo. La vita è meravigliosa perchè è una
continua scoperta; sia che tu scopra cose belle o brutte. Non voglio
dirti cosa succederà perchè non gusteresti appieno le tue
esperienze, perchè sono proprio quelle che ti permettono di crescere
e maturare. Io mi sono letto il futuro per tutta la vita da quando mi
sono convertito allo shintoismo e non ho fatto altro che rovinarmi
tutto; la tua nascita e la morte di tua madre, perfino la mia
malattia. Ho vissuto nel terrore aspettando il giorno della mia morte
e non voglio che questo succeda anche a te. Ti prego Fiamma mia, vivi
come se ogni giorno fosse l'ultimo. Gustati appieno ogni secondo, sia
con le giuste esperienze che con i tuoi sbagli. Non fare il mio
stesso errore». Ho sorriso. «Sei saggio nonno» gli ho detto.
Bunny
era uscita dalla piscina e si era diretta verso Morea per aiutarla a
raccogliere le fragole: «Guarda come sono invitanti! Meno male che
hai comprato una nuova piantina il mese scorso, così già da aprile
dell'anno prossimo potremo mangiare delle ottime macedonie» e così
dicendo allungò la mano verso il cesto che la bella mora teneva in
grembo; Morea, prontamente, le diede un buffetto: «Tieni giù quelle
zampacce Bunny, o non rimarranno fragole per la torta». La biondina
stava per sbuffare quando si udì il sopraggiungere di una
motocicletta; tutte le ragazze si voltarono curiose verso la strada e
videro fermarsi davanti al cancello, a cavallo di una Honda
Shadow, un ragazzo a petto nudo, con indosso un paio di jeans
aderenti, degli occhiali da sole enormi ed i capelli neri lunghi fino
alle spalle che si erano aperti come la criniera di un leone.
Rimasero tutte a bocca aperta. «Ma chi è?» bisbigliò Bunny
nell'orecchio di Morea
«Non
lo so» rispose l'amica imbambolata «ma assomiglia tantissimo al mio
ex ragazzo». Bunny aggottò le sopracciglia: «Ma perchè tutti
quelli che vedi assomigliano al tuo ragazzo?» le domandò con
disappunto
«Bunny,
che bel tatuaggio che ha sul pettorale destro, guarda!» le fece
notare Morea stringendo a sè il cesto delle fragole
«Mi
sa che hai preso un po' troppo sole» rispose Bunny sconcertata. Nel
frattempo il giovane era smontato dalla moto e si era avvicinato al
cancello: «Ehi tu con la coda di cavallo!» disse puntando il dito
contro Morea che diventò paonazza «Dimmi un po', Rea abita qui?».
«Hai
visto? Non gli interessi» sghignazzò Bunny e, di tutta risposta, si
prese una gomitata in pancia dall'amica che la fece rotolare
sull'erba. Morea si alzò e si avvicinò alla staccionata dicendo
imbarazzata: «Sì, questa... questa è casa sua»
«Lei
non c'è?» chiese il ragazzo guardandola fissa dietro le lenti scure
«Sta...
sta facendo la doccia» balbettò Morea. Il ragazzo si allontanò
leggermente dalla recinzione biascicando qualcosa a metà fra "cazzo"
e "merda"; poi prese dalla sua moto una busta e la porse a
Morea dicendole: «Io non posso fermarmi perchè non ho tempo. Dalle
tu questa cosa». La cuoca di casa si rigirò fra le mani l'involucro
di carta cercando di indovinare cosa contenesse; il biker fece per
andarsene quando, improvvisamente, si voltò nuovamente verso Morea e
chiese, indicando il cestino: «Quelle sono fragole?». La
sprovveduta non fece nemmeno in tempo a rispondere che lui, come un
fulmine, prese una manciata di frutti e se li mise in bocca; Morea
rimase a dir poco sbalordita. «Umpf... sono assolutamente deliziose,
sono davvero le più buone del circondario!» e, così dicendo, il
ragazzo rimise in moto il mezzo e sparì. Morea rimase immobile
davanti alla staccionata guardando il cesto. «Mi hai fatto male
sai?» disse Bunny sopraggiungendo da dietro; ma l'amica non rispose
alla sua domanda: «Ma... ma... quel cafone mi ha rubato le fragole!»
«Oh
no... addio crostata» sentenziò Bunny con un groppo alla gola ma
l'amica la rassicurò dicendole che la frutta che aveva ancora nel
cesto era abbastanza per il loro dolce. Nel frattempo Marta saltellò
verso le due ragazze chiedendo curiosa chi fosse quel fustacchione
che si era appena fermato. «E chi lo sa! Sta di fatto che è
maleducato» le disse Morea irritata «mi ha rubato le fragole»
«Cos'hai
in mano?» domandò Marta vedendo la busta nelle mani dell'amica mora
«E'
per Rea» rispose Morea facendo spallucce. Bunny, come un siluro, le
rubò la busta di mano: «Dato che sono la migliore amica di Rea è
compito mio aprirla!»
«Non
ci pensare nemmeno!» le urlarono le altre due che subito si
precipitarono su di lei; Bunny, per sfuggire alle loro grinfie, corse
dentro casa e raggiunse Amy nel corridoio davanti al bagno, proprio
mentre l'amica stava per salire a prendere le cose per farsi la
doccia. Il futuro medico, sentendole gridare e bisticciare, si voltò
e chiese: «Si può sapere cosa avete in ballo voi tre?»
«Amy!»
gridò Bunny «Morea e Marta non mi fanno aprire la busta di Rea!»
«Perchè
la devi aprire solo tu?» la rimproverò Marta
«Questo
lavoro possiamo farlo anche tutte insieme» aggiunse Morea con un
sorrisino diabolico. Ma Amy frenò tutte: «Non è corretto aprire la
posta altrui!» sentenziò «Sapete benissimo che Rea è gelosa delle
sue cose»
«Dai,
non fare la guastafeste come il tuo solito!» disse Bunny e, proprio
mentre stava per iniziare il discorso per convincere l'amica dai
capelli blu ad aprire la busta, Rea uscì dal bagno. Le quattro
ragazze si pietrificarono vedendola arrivare con l'asciugamano
avvolto in testa: «Cosa state tramando?» chiese fiutando il
complotto delle amiche
«Chiedilo
a Bunny» disse Amy indicandola con la mano sinistra
«Ma
dai!» esclamò la ragazza dai lunghi codini «Sei sempre la solita».
Rea si avvicinò a Bunny con le braccia incrociate e, porgendole la
mano destra, sentenziò: «Dammi». La biondina chinò il capo e le
diede la busta; Rea se la rigirò fra le mani incuriosita: era una
busta di dimensioni leggermente più grandi di quelle standard e
conteneva qualcosa di ingombrante e rettangolare e non aveva nè
timbri, nè francobolli e nemmeno un mittente. «Chi te l'ha data?»
domandò la bruna e Morea rispose: «Un maledetto cafone che si è
permesso di rubarmi le fragole... e si è pure allontantato dicendo
che erano le più buone del circondario». A quelle parole Rea
trasalì; strinse la busta al petto ed un sorriso incantevole le
spuntò in viso. «Ti senti bene?» le domandò Marta aggrottando le
sopracciglia; di tutta risposta Rea cacciò un urlo di trionfo e
disse: «Venite su tutte in camera con me, voglio aprirla insieme a
voi». Dopo pochi secondi erano tutte raccolte intorno alla scrivania
dove Rea armeggiava con un tagliacarte per aprire la busta; una volta
strappato il bordo, la ragazza tirò fuori una musicassetta ed un
bigliettino di modeste dimensioni. Con le mani che tremavano per
l'emozione, Rea lo aprì e lesse a voce alta quella calligrafia nera
ed ordinata:
"Fra
una settimana esatta passo a prenderti alle sei del pomeriggio. Ho
deciso di farti una sorpresa che, spero, non dimenticherai tanto
facilmente. Ho potuto noleggiare una sala cinematografica solo per
noi e ti porterò a vedere un film che, sono sicuro, ti piacerà
parecchio. Ci vediamo sabato prossimo, Nikki.
P.S. Su
quel nastro ho registrato una canzone della colonna sonora del film".
Un
boato di trionfo colmò l'aria della stanza dove si trovavano le
ragazze. «Che bello! Sono felicissima per te!» esclamò Bunny
rivolgendo all'amica un sorriso «Secondo me ti porterà a vedere una
commedia romantica. E proprio durante la scena clue, anche lui ti
stringerà e ti bacerà appassionatamente!»
«Oh
no, non è vero» le disse Rea arrossendo
«Invece
secondo me» si intromise Morea «ti porterà a vedere un film
comico. Dato che è la prima volta che uscite così in intimità, la
commedia romantica è troppo impegnativa»
«Balle
Morea!» gridò Marta picchiando il pugno sul tavolo «Rea, secondo
me, il tuo Nikki ti porterà a vedere un film dell'orrore. Vuole che
tu gli salti in braccio mentre il mostro divora la gente e ti
aggrappi a lui dicendo "Ho paura"». Rea ridacchiò
vergognosa; le congetture delle sue amiche erano divertenti ma si
sentiva leggermente imbarazzata a pensare a lei e Nikki seduti in una
sala di un cinema dove c'erano solo loro due. Ad interrompere questi
pensieri ci pensò Amy: «Ferme tutte, non avete considerato la
variante più ovvia»; le risa si interruppero in un millesimo di
secondo ed un silenzio quasi glaciale calò mentre le orecchie di
tutte attendevano il responso del futuro medico. Amy riprese:
«Secondo me non sarà di nessuno di questi generi il film che ti
porterà a vedere. Considera la sua persona Rea, e considera anche i
suoi comportamenti... ti porterà a vedere un porno». Dopo un attimo
di silenzio tombale Bunny scoppiò in una fragorosa risata: «Non
sono d'accordo Amy, secondo me il ragazzo sta mettendo la testa a
posto». Ascoltando le parole della sua migliore amica Rea sorrise,
ma dovette ammettere che anche quel genio di Amy non aveva tutti i
torti: "La verità starà nel nastro... dopo me lo ascolterò in
solitudine. E se fosse un indizio fuorviante? Oh, maledizione!".
Le sue amiche la lasciarono sola nella sua camera; Rea si tolse
l'accappatoio, si infilò la biancheria intima nera con le cuciture
rosse e prese la cassetta.
Sabato 23
agosto 1986, 6 pm
Anche il
nastro non ha etichette, esattamente come la lettera. Mi stavano
tremando le mani dall'emozione quando l'ho messa dentro nel piccolo
mangianastri che siamo solite portare in spiaggia (insomma, è il
primo regalo di Nikki!). Ho chiuso lo sportellino ed ho schiacciato
play; fruscii, rumorini di superficie vari... molto probabilmente
l'ha registrata da un vinile. Ho stretto i pugni sperando di non
sentire mugolii ed imprecazioni; Amy mi aveva impressionata anche fin
troppo con la storia del film porno. Poi, improvvisamente, due colpi
secchi di rullante e una chitarra ed una tastiera iniziano a suonare
un ritmo serrato ed una voce maschile famigliare inizia a cantare.
Durante il ritornello dice "Take me on your mighty wings"...
che tutte le mie amiche abbiano sbagliato le loro congetture?
* * *
«Rea,
spicciati! Sono quasi le sei!» le urlò Amy dal piano di sotto
«Lo
so, lo so!» rispose la ragazza dai capelli corvini in preda al
panico più totale mentre Bunny le svuotava l'armadio proponendole
qualsiasi abbinamento possibile; il letto era interamente ricoperto
di vestiti. «Allora, hai deciso o no?» sbottò Bunny guardando Rea
paralizzata davanti a tutti quei capi; spazientitasi, la biondina
lanciò all'amica un paio di jeans aderenti rossi ed un tubino nero
di lycra: «Mettiti questa roba e abbinaci i texani neri.
Svelta!». Rea eseguì come un robot: era talmente presa dall'idea
che Nikki l'avrebbe portata al cinema che non riusciva nemmeno a
pensare a cosa indossare. Meccanicamente si vestì, poi l'amica la
trascinò in bagno dove l'attendeva Marta che la pettinò e la truccò
in tempo record: «Stasera look abbastanza sobrio, niente cotone in
testa» le disse la bella bionda spazzolandole i lunghi capelli neri
lisci come la seta. Mentre le stava spruzzando il profumo, qualcuno
suonò il campanello; Morea, dal piano di sotto, sbraitò: «E' lui,
è arrivato!»
«Oddio,
e adesso che faccio?» chiese Rea stringendo i pugni
«Comportati
normalmente, vedrai che sarà fantastico» la rassicurò Bunny
mettendole una mano sulla spalla e porgendole la giacca in pelle
«Adesso
però sbrigati, non vorrai farlo aspettare!» le disse Amy
trascinandola giù per le scale. Rea salutò in fretta e furia le sue
amiche dopodichè Amy la spinse letteralmente sul vialetto e richiuse
rumorosamente la porta. La bruna alzò gli occhi: lui era lì, con la
sua criniera perfettamente cotonata, una camicia nera con un
cravattino texano, dei jeans aderentissimi che lasciavano poco spazio
all'immaginazione e degli stivali texani in pitone; l'aspettava,
braccia conserte, seduto sulla moto con una gamba a penzoloni. Il suo
viso era nascosto in gran parte dalla lunga frangia ma Rea vide che
stava sorridendo; la guardava e sorrideva. Quell'espressione sul viso
di lui le fece tremare l'anima, la scosse dall'interno come un
terremoto; le sembrava impossibile che lui, uno dei ragazzi più
desiderati del mondo, stesse uscendo con lei, una normalissima
universitaria. Il primo impulso fu quello di corrergli incontro e
buttargli le braccia al collo per poter dare una boccata del suo
profumo e fargli sentire quanto fosse felice; ma Rea decise di
avvicinarsi in modo più composto. Mai gli avrebbe fatto sospettare
che le faceva quell'effetto; aveva paura che lui avesse cambiato
opinione su di lei ed avrebbe iniziato a considerarla esattamente
come tutte le altre ragazze del Sunset Strip e non più come una
"personcina per bene". Rea attraversò il cancelletto e lo
richiuse dietro di sè: «Buonasera» lo salutò mentre il suo cuore
faceva una capriola «sei stato puntuale»
«E
non va bene?» le chiese lui facendole la linguaccia
«Va
benissimo. Anzi, sarò sincera, mi aspettavo un ritardo di un paio
d'ore da parte tua» gli rispose Rea fingendosi disinteressata. Lui
rise avvertendo nel suo tono di voce una forzatura: «Oh su, guarda
che lo so che mi aspettavi. Non mi piace fare tardi al primo
appuntamento» e mentre diceva queste parole prese la sua bandana e
la legò alla testa di Rea, bendandole gli occhi.
Domenica
31 agosto 1986, 3 am
Quando mi
ha bendata una secchiata di sentimenti mi ha investita facendomi
tremare violentemente le gambe; la mia mente già volava, il mio
cuore palpitava... pensavo che mi avrebbe baciata proprio davanti a
casa. Ma lui, invece, mi ha presa per mano e mi ha detto...
«Ho
dovuto litigare un pochino con il gestore del cinema sia per avere la
pellicola, sia per avere un'intera sala a nostra disposizione... ma
spero davvero che ti piaccia quello che ho organizzato».
L'accompagnò delicatamente facendola sedere sul sellino del
passeggero; poi montò anche lui e le disse: «Reggiti forte a me,
dobbiamo fare un bel po' di strada». Le prese i polsi e se li portò
ai suoi fianchi; poi accese la moto e partirono mentre il sole calava
sul Pacifico.
Domenica
31 agosto 1986, 3 am
Lo
stringevo per i fianchi, quasi riuscivo a sentire le ossa del suo
bacino sotto i miei palmi; in quel momento le mie mani erano gli
unici occhi che avevo. L'aria fresca della sera saliva dal mare e mi
annodava i capelli mentre Nikki attraversava gli incroci e si fermava
ai semafori; quell'aria mi portava alle narici l'odore del suo
dopobarba. Odore di uomo, odore di sicurezza; mi sarebbe piaciuto
avvolgerlo di più con le mie braccia, fargli sentire quanto gli
fossi grata cingendolo interamente, ma non volevo espormi. Dopo una
bella mezz'ora di tragitto, finalmente Nikki ha accostato e mi ha
aiutata a scendere dalla moto; poi mi ha sbendata e...
«PUSSYCAT THEATRE?» esclamò Rea sdegnata
vedendo l'insegna del cinema; "Per la miseria, Amy aveva
ragione... e la canzone era completamente fuorviante!". «Non è
come sembra...» tentò di difendersi Nikki ma Rea lo aggredì: «Tu
mi porti a vedere un film pornografico?»
«INSOMMA, MI VUOI ASCOLTARE?» le urlò Nikki; Rea capì
che lui le doveva delle spiegazioni. Il ragazzo proseguì: «E'
questo l'unico posto dove mi facevano affittare un'intera sala. E ti
garantisco che la pellicola che vedrai non è un porno»; detto
questo la prese per mano e la portò dentro, non prima però di
averle detto: «E se vuoi un consiglio, impara ad ascoltare la
gente». Rea si rese conto del grande sbaglio che aveva fatto e
pensò: "Vedrai, adesso mi lascia sola e lui se ne va"; ma
proprio mentre formulava questa frase nella sua mente, Nikki le prese
il mento e la fissò dritto negli occhi: «Non è niente, dai!
Anch'io sono come te». Sorrisero in modo complice ed entrarono in
sala.
Domenica
31 agosto 1986, 3 am
La
sala non era esageratamente grande, con le poltrone rosse disposte su
file rialzate come in un teatro greco. Un sipario di pesante tessuto
bordeaux circondava lo schermo e le luci erano soffuse e giallognole;
Nikki mi ha detto: «E' tutta tua, siediti dove vuoi». Così mi sono
accomodata su una poltroncina in terz'ultima fila in uno dei posti
centrali; Nikki mi ha seguita e prima di sedersi ha alzato il pollice
al proiezionista che ha provveduto a spegnere le luci e a far partire
la pellicola. Nikki si è seduto alla mia sinistra e il suo profumo,
di nuovo, mi ha inebriata ed ipnotizzata; mi sono incantata a
guardarlo, a fissare i suoi capelli, il suo profilo... Sentendosi
osservato, lui si è voltato verso di me e mi ha detto: «Guarda che
lo schermo è dall'altra parte» sempre con quel sorriso da demone
tatuato in volto. Come i miei occhi hanno incrociato il telo di
proiezione, è apparso il logo della Paramount accompagnato da una
musica di sottofondo fatta di colpi di cimbali, gong ed accordi di
tastiera; dopo una didascalia esplicativa è apparsa la schermata del
titolo. Nel vedere quelle lettere il cuore mi si è colmato di gioia:
"TOP GUN"; Nikki aveva colto il messaggio. Mi sono girata
nuovamente verso di lui per ringraziarlo e Nikki era lì, che mi
guardava divertito: «Ne va della tua arte Rea. So quanto ti piace
volare»; con quelle poche parole riuscì a commuovermi: «Grazie di
cuore»
«Figurati,
ora però guarda il film». E proprio quando lui finì quella frase,
Kenny Loggins iniziò a cantare "Highway To The Danger Zone".
Rea seguì tutto il film con gli occhi che brillavano;
un misto di emozioni si erano impossessate delle sue membra:
adrenalina e libertà da un lato e felicità e gratitudine
dall'altra. Vedere Maverick solcare i cieli con il suo aereo
la faceva sentire come un'aquila, un uccello dallo spirito libero,
con la differenza che Rea aveva il cuore pieno di affetto e
ammirazione per la persona che sedeva di fianco a lei. Durante la
scena d'amore guardò Nikki con la coda dell'occhio: lui fece una
smorfia di disgusto e bisbigliò: «Patetico»; Rea ridacchiò
sottovoce. La proiezione durò poco più di un'ora e mezza; la
ragazza era quasi dispiaciuta che il film fosse finito ma,
soprattutto, si stava chiedendo cosa centrava la canzone che Nikki le
aveva registrato sul nastro. Il suo dubbio fu immediatamente risolto
con l'iniziare dei titoli di coda. "It's just a a ball of
dust" Nikki si alzò in piedi "underneath my feet"
e, guardandola dall'altro del suo metro e ottantacinque, "It
rolls around the sun" le fece una domanda
tanto sensata quanto idiota “Doesn't
mean that much to me”: «Balliamo?».
“Take a chance on the edge of life”
Rea lo guardava con gli occhi sbarrati “Just
like all the rest”; «Allora?» la
incitò lui “I look inside and dig it
out” ed in quel momento la ragazza
capì che doveva davvero far spuntare le ali che nascondeva dentro
“Cause there's no points to second
best” e lasciarsi andare in quel
ballo all'interno del cinema.
There's
a raging fire in my heart tonight
Growing higher and higher in my
soul
There's a raging fire in the sky tonight
I want to ride on
the silver dove
Far into the night
Till I make you take me
On
your mighty wings
Make you take me
On your mighty wings across
the sky
Take me on your mighty wings
Take me on your mighty
wings tonight
Rea si alzò in piedi e lasciò
libere le sue emozioni, sentendosi libera come una farfalla su un
prato, come un'aquila che domina il canyon. E Nikki le ballava di
fronte, avvicinandosi e allontanandosi dal suo corpo, prendendola per
le mani e trascinandola verso il corridoio laterale della sala. La
faceva adagiare a sé, sensualmente, per poi scagliarla via,
facendola roteare come una fata intorno ad un fiore; Rea si ritrovò
a metà del corridoio mentre Nikki l'aspettava a braccia aperte alla
fine della piccola salita. “There's a
raging fire in the sky tonight” il
ragazzo la guardò e le urlò: «Corri Rea, corri! Posso farti
volare». Il suo cuore sobbalzò ed in quel momento capì che doveva
seguire l'istinto “Take me on your
mighty wings, take me on your mighty wings tonight!”. Rea
corse verso Nikki e spiccò il volo; lui la prese per i fianchi ed
iniziò a girare su se stesso. Le note dell'assolo riempivano la sala
donando energia alla loro danza. La ragazza sentiva i suoi capelli
liberi nell'aria mentre Nikki continuava a girare come un aereo in
caduta libera, finchè non cadde sul serio sulla moquette tirandosi
addosso Rea. I due si ritrovarono a pochi centimetri e potevano
sentire i loro respiri affaticati sulla pelle dei loro visi; Nikki
abbozzò un timido sorriso e si fece lievemente più vicino. Rea
sentì il suo cuore fermarsi; fremeva dal desiderio di poter toccare
le sue labbra dolcemente, per potergli trasmettere tutta la
gratitudine e l'alchimia che fra loro si era creata. Iniziò a
socchiudere le palpebre quando qualcuno tuonò dal fondo sala: «Che
ci fai ancora qui dentro? Esci immediatamente che ho un'altra
proiezione da fare!»; il proiezionista li squadrava con le braccia
flaccide appoggiate lungo i fianchi. Nikki prese Rea per la mano e,
come un razzo, corse fuori dalla sala; appena arrivato davanti alla
moto, iniziò a ridere con il fiato mozzato dallo sforzo. Rea si unì
a lui, per la prima volta guardandolo con occhi diversi; capì che,
davvero, quel ragazzo poteva donarle qualcosa di importante. Dopo la
proiezione andarono a cenare in un ristorante a Beverly Hills e
chiacchierarono piacevolmente del più e del meno; fra i due iniziava
a crearsi un legame davvero particolare. «Quando ci possiamo
rivedere adesso?» le chiese Nikki mangiando una cucchiaiata del
dessert
«Beh, io fra due giorni ricomincio
le lezioni in università e anche il lavoro in officina; non avrò
più molto tempo libero» rispose Rea triste
«Anch'io da lunedì sarò impegnato
con i ragazzi... dobbiamo iniziare a trovarci in sala per scrivere il
materiale per il nuovo disco. Credo che il tempo a nostra
disposizione scarseggerà» fece una pausa «ma se tu mi lascerai il
tuo numero di telefono cercherò di chiamarti tutte le sere». Il
viso di Rea si illuminò e gli scrisse il suo recapito su un
tovagliolino di carta: «Non perderlo, ok?» gli raccomandò
«Non preoccuparti» rispose lui
«anche perchè un giorno, quando avrai tempo, mi piacerebbe
invitarti da me. Ho appena comprato casa ed ho bisogno di alcuni
consigli per l'arredamento»
«Ed io verrò con piacere» gli
disse Rea sorridendo dolcemente.
NOTE:
Il titolo del capitolo “Mighty
Wings” è ripreso dal brano omonimo dei Cheap Trick.
Panama: brano dell'album “1984”
dei Van Halen.
Van Halen: gruppo californiano
fondato nel 1974 dai due fratelli Van Halen di origine olandese;
famosi per lo stile di chitarra molto innovativo di Eddie Van Halen e
per le doti canore di David Lee Roth.
Wayfarer: modello di occhiali della
Ray Ban.
Honda Shadow: motocicletta della
Honda realmente posseduta dall'individuo in questione (che a questo
punto non posso dirvi chi è perchè non si è ancora rivelato).
Texani: paio di stivali texani,
tipici dell'abbigliamento glam metal.
Pussycat Theatre: catena di sale
cinematografiche che fra gli anni 60 e la fine degli anni 80 erano
diffuse in America e proiettavano esclusivamente pellicole
pornografiche. Il suo logo era quello di una ragazza vestita da
gatta.
Highway to the danger zone: brano
della colonna sonora di “Top Gun”.
Maverick: nome di battaglia del
luogotenente Pete Mitchell, protagonista del film, interpretato da
Tom Cruise.
Il testo scritto in corsivo è quello
di “Mighty Wings” dei Cheap Trick.
E
rieccomi dopo aver scritto questo capitolo lunghissimo; è stato un
parto ma spero che possiate apprezzarlo appieno. Come sempre
ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la mia storia:
Demy84, SailorMercury84, Lady Mars, key17, star86, alemagica88, Cri
cri, Moon 91, Alison_95, kay89 e anche tutti gli interessati non
menzionati del Sailor Moon Italian Forum. Grazie anche ad ellephedre
per la recensione al primo capitolo di questa fan fiction. Inutile
dire che le vostre recensioni sono preziosissime, di qualunque natura
esse siano, e non esitate a contattarmi se manca qualcosa nelle note.
EllieMarsRose
|
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Capitolo 7 *** Spoons And Needles ***
07 Spoons And Needles
Venerdì 3 ottobre
1986, 9 pm
Nikki ha
mantenuto la parola e a sere alterne mi ha sempre telefonato, anche
se solo per due minuti. Siamo molto occupati entrambi: lui è in sala
prove con la band ed io mi divido fra l'università e l'officina. Le
nostre conversazioni telefoniche sono brevi, non abbiamo nemmeno
tanto tempo per poter scambiare due parole, giusto un «Come va?»
oppure «Incasinata la giornata?». Mi piacerebbe sapere cosa è
riuscito a comporre, come sta andando la preproduzione dell'album...
se è possibile avere un nastro in anteprima, cose simili. Ma il
tempo non è dalla nostra parte... esattamente come al cinema... ogni
tanto ci ripenso; ma credo che sia stato meglio così, che non sia
scappato nessun bacio. In questo momento starei soffrendo troppo se
lui l'avesse fatto; l'idea di non poterlo vedere per troppo tempo mi
avrebbe corrosa dall'interno come acido muriatico. Comunque, lui
continua a chiedermi se riesco ad andare a casa sua un sabato
pomeriggio per potergli dare qualche consiglio sull'arredamento; gli
ho detto che quello non è proprio il mio ambito, però ha
inisistito, dice che ha bisogno di qualche quadro o di qualche
piccola scultura. Solo che per tutto il mese di settembre sono stata
impegnata in officina tutti i weekend perchè c'erano diversi chopper
da preparare per un raduno a San Francisco, quindi io ed Heles
abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e lavorare sodo; morale della
storia, ho dovuto bidonarlo ogni volta a malincuore (a quanto pare,
però, non se l'è presa... anzi, sembra contento del mio lavoro). Ma
dal momento che, a partire da ottobre, il lavoro si dimezza (perchè
arriva l'inverno) ho deciso che domani andrò da lui. Mi sono fatta
dare l'indirizzo: abita sul Valley Vista Boulevard a
Van Nuys. Sono circa quindici o venti minuti in macchina da
qui; domani faccio benzina alla mia Ford e poi vado, sono quasi a
secco.
Quel
sabato il sole giocava a nascondino dietro le nuvole, apparendo per
qualche minuto e scomparendo successivamente per lunghi quarti d'ora;
nonostante questo, quella mattina Rea si svegliò con un sorriso
meraviglioso ed un'energia positiva che le fluiva per tutto il corpo.
Appena dopo pranzo iniziò a prepararsi cercando di scegliere dei
vestiti carini ma non troppo vistosi; d'altra parte non era un
incontro galante: "Vedila di più come una proposta lavorativa"
si diceva mentre si truccava guardando la sua immagine nello specchio
del bagno. Aveva optato per un maglioncino nero con i polsini rossi e
dei jeans normalissimi; trucco non pesante, giusto dell'eyeliner per
evidenziarle quegli occhi color ebano dalle sfumature indaco, un velo
di fard magenta ed un rossetto non invadente. Uscì di casa verso le
tre salutando le sue amiche e dicendo a Morea che, se non fosse
tornata per cena, l'avrebbe avvisata in tempo. «Evvai Rea!» le
disse Bunny alzando il pollice della mano destra «In bocca al lupo»
«Crepi»
rispose la ragazza dai capelli corvini con un sorriso «comunque
sappi che sarà una cosa molto tranquilla»
«Tranquilla?»
si intromise Marta con uno sguardo che lasciava presagire pensieri
maliziosi
«Sì
bella bionda, tranquilla... non farti strane idee!» le rispose Rea
prendendo le chiavi dell'auto e chiudendo la porta dietro di sè
mentre Amy la salutava facendole l'occhiolino. Si era dimostrata
tranquilla davanti agli sguardi delle amiche ma, in cuor suo, era più
agitata delle fiamme di un incendio che divorano la vegetazione
secca; si recò nel garage per prendere la macchina. Prima di
riuscire ad uscire dal cancello spense il motore per ben tre volte;
le gambe le tremavano talmente tanto che continuava a scapparle il
piede dalla frizione. "Diamine! Devo calmarmi" pensò la
ragazza; fece un respiro profondo cercando di frenare il tremore
delle sue membra e finalmente riuscì a portare fuori la macchina dal
cancello; si fermò a fare il pieno in Bellagio Road e poi imboccò
il Beverly Glen Boulevard in direzione nord, verso Van Nuys. Appena
svoltò in Valley Vista Boulevard rimase piacevolmente colpita dalla
simmetria delle palme che costeggiavano il lungo viale dove piccole e
numerose salite portavano ai cancelli di grandi e lussuose ville;
tutti i vip che non avevano trovato sistemazione a Beverly Hills
andavano a cercarsi la casa a Van Nuys. Rea posteggiò la sua Ford
vicino ad una salita dove, in cima, si scorgeva un cancello dalle
grate alte almeno due metri e mezzo; tutti i listelli d'acciaio
terminavano con punte accuminate ed i pilastri più grossi avevano
dei teschi incastonati sopra. Di sicuro, quella era casa sua; "Solo
un idiota come lui può farsi una recinzione così gotica" pensò
Rea con un sorriso chiudendo la macchina ed imboccando il vialetto.
Giunta davanti al cancello suonò il campanello ma, stranamente, non
ricevette nessuna risposta; "Strano, non può essere uscito"
rimuginò la ragazza fra sè "sapeva che dovevo venire qui".
Premette nuovamente il pulsante del citofono ma, ancora, nessuno le
rispose; la rabbia iniziava a ribollire dentro di lei quando,
appoggiandosi al cancello, notò che la porta era socchiusa. Alla
rabbia, immediatamente, subentrò la paura.
Sabato 4
ottobre 1986, 11 pm
Perchè
il cancelletto era aperto? Mi si è gelato il sangue quando l'ho
notato; ho avvertito una strana energia. Anzi, ad esser più precisi,
nel momento in cui ho toccato l'acciaio del cancelletto per aprirlo
ho sentito dell'energia negativa provenire dalla casa; in
quell'istante ho pregato con tutta me stessa di non trovare nè
ladri, nè assassini, nè tanto meno stupratori. Però quella forza
oscura mi attraeva a sè... era come se ne fossi ammaliata, come se
la sua sublime bruttezza mi attirasse facendola diventare
affascinante... e come un automa ho imboccato il vialetto augurandomi
di non trovare strisce di sangue per terra.
«Nikki?»
chiamò Rea dopo essersi chiusa dietro le spalle il cancello; lo
scattare della serratura le fece venire un brivido: se le sue
congetture erano esatte, quella sarebbe diventata una prigione e
sarebbe stata un'impresa uscirne. E mentre la sua mente pensava
queste cose, dal giardino ben curato non arrivò nessuna risposta;
silenzio, solo il frusciare delle foglie mosse dal leggero vento
autunnale. Quasi in punta di piedi la ragazza si avviò verso la
porta d'ingresso di quell'enorme casa dalle pareti esterne color
panna; si guardò di nuovo intorno con fare circospetto e suonò il
campanello. Nessuna risposta. "Ma che cosa sta sucedendo qui?"
si chiese mentre l'adrenalina iniziava a fluire copiosa nelle sue
vene "Avverto dell'energia negativa... perchè Nikki non
risponde?". Lo chiamò di nuovo per nome a gran voce ma la
risposta fu il silenzio dell'ambiente circostante.
Sabato 4
ottobre 1986, 11 pm
Mi sono
appoggiata alla porta d'ingresso sperando di avere fortuna come con
il cancello ma, purtroppo, era chiusa a chiave. Iniziavo a sentirmi
sempre più agitata; lui mi aveva promesso che sarebbe rimasto in
casa ad aspettarmi ma, ancora, non si era fatto vivo. Il cuore mi
batteva come un tamburo sia perchè avevo voglia di vederlo, sia
perchè tutto quell'insieme di cose e quella strana energia che
percepivo non mi piacevano per nulla. Quindi ho iniziato a girare
intorno alla casa sperando di trovare un punto in qualche finestra
per poter guardare dentro ed accertarmi che tutto fosse ok; ma tutte
le tende erano tirate e non c'era modo di sbirciare. Nel frattempo
guardavo anche a terra, augurandomi di non trovare macchie di sangue
o cose simili. Bussai alla porta sul retro ma, ancora, non arrivò
nessuna risposta dall'interno. A quel punto mi rassegnai.
Le
lacrime le inondarono gli occhi ma Rea le cacciò brutalmente
indietro; non voleva crederci che Nikki si fosse dimenticato di lei.
Inoltre, quel senso di oppressione e timore non accennava a diminuire
nel suo animo; prima di imboccare il vialetto per tornare alla sua
Ford (scavalcando la recinzione come una ladra per uscire), decise di
fare un ultimo tentativo. Tornò davanti alla porta d'ingresso, suonò
nuovamente il campanello ed attese. Dopo dieci secondi ancora nessuno
era venuto ad aprirle l'uscio; con un nodo alla gola chiamò Nikki
per nome più forte che potè sperando di ricevere un segno. Ed in
quell'istante uno dei vetri del piano terra della casa si ruppe in
mille pezzi con un fragoroso botto, probabilmente quello di un'arma
da fuoco; Rea si voltò di scatto e si buttò a terra davanti alla
porta d'ingresso. "Che cazzo sta succedendo qui?" pensò
ansimando dalla paura "Devo assolutamente chiamare la polizia";
«Nikki!» urlò dando sfogo al terrore che si era impossessato di
lei. Ci fu qualche breve attimo di quiete, dopodichè la serratura
scattò e la porta d'ingresso si aprì di qualche centimetro; Rea
seguì quel movimento con gli occhi sgranati e trattenendo il fiato,
non sapendo cosa aspettarsi. «Rea?» chiese una voce dall'interno
«Sei tu?»
«S-sì...»
sibilò lei con un filo di voce «Nikki, sei tu vero?». Una mano si
sporse da dietro la porta e le fece cenno di entrare. Rea si rialzò
lentamente e varcò la soglia. Dentro era buio e la poca luce che
entrava filtrava da tende in velluto color cremisi; tutto quello che
c'era dentro quella casa aveva dei profili inquietanti, oscuri, quasi
malati. Solo una cosa riuscì a distinguere nitidamente: un tappeto
persiano ricoperto da mozziconi di sigarette, aghi e cucchiai. La
porta si richiuse scattando sordamente dietro le sue spalle. Rea
avvertiva un accumulo di energia negativa proprio dietro di sè; si
voltò lentamente, sperando di non vedere spiriti maligni o entità
affini, ed il suo sguardo si fermò sulla persona che l'aveva fatta
entrare. Nikki era appoggiato alla porta, completamente nudo; teneva
in mano un fucile ed il suo avambraccio sinistro era solcato da un
rivolo di sangue quasi coagulato. Aveva i capelli spettinati e gli
occhi vuoti, spalancati, con le pupille completamente dilatate;
respirava affannosamente e tremava come se fosse scosso da un
terremoto interiore. Rea inorridì: «Oddio, ma che ti è successo?»
gli chiese con un filo di voce portandosi la mano destra alla bocca.
Lui non rispose, cadde semplicemente in ginocchio davanti a lei
seguito dal fucile; lui emise un grugnito e picchiò il pugno contro
il pavimento. Rea si chinò sul ragazzo, preoccupata; cercò di
articolare una frase ma dalla sua bocca non uscì nulla. Era
esterefatta, completamente senza parole. Nikki continuava a tremare
violentemente e a picchiare il pugno destro contro le piastrelle. Rea
tentò di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla, ma Nikki si
scostò violentemente scattando in piedi: «No, ti prego, non
guardarmi!»; si incamminò barcollando verso il divano di pelle nera
al centro del salotto. Guardandolo attraverso quella luce grigiastra
che filtrava dalle finestre chiuse, Rea lo vide come uno scheletro
intento a dirigersi verso la sua tomba; le si strinse il cuore a
quella visione: un morto che camminava. Riusciva a vedergli le ossa;
rispetto a quando lo aveva visto per la prima volta ad aprile, Nikki
era dimagrito paurosamente. Il ragazzo si accasciò sul divano e si
coprì le nudità con la mano sinistra mentre la destra nascondeva
qualcosa sull'avambraccio sinistro. Rea si alzò e andò verso di
lui, stando attenta a non pestare nessun ago o cucchiaio riverso sul
pavimento; lui continuava a tremare e ad evitare il suo sguardo. «Ti
porto qualcosa con cui coprirti?» gli chiese lei timidamente,
arrossendo di fronte alla sua pelle scoperta
«L'accappatoio,
nel bagno» rispose lui continuando a tenere il capo chino.
Sabato 4
ottobre 1986, 11 pm
La
camminata verso il bagno non era stata agevole; gargoyles spuntavano
da ogni dove: dalla libreria, dagli scaffali, erano perfino appesi ai
muri. In più, a terra, c'erano tonnellate di mozziconi e cucchiai
sporchi; mi sono chiesta cosa se ne faceva e perchè li abbandonasse
lì. Quando sono arrivata in bagno mi si è presentato davanti agli
occhi uno spettacolo raccapricciante: il pavimento era macchiato di
sangue. Ma non una semplice striscia, no... una macchia larga un paio
di dita partiva dall'armadietto dei medicinali e scendeva fino a
terra. Mi sono avvicinata alla cassetta del pronto soccorso per
vedere di cosa Nikki avesse bisogno; forse del paracetamolo, del
cortisone o dell'antidolorifico... ma quello che trovai fu molto più
di un antidolorifico. Appoggiata sullo scaffale più alto e
circondata da un set di siringhe ancora incartate c'erano diverse
once di eroina. In quel momento ho realizzato a cosa servissero tutti
quei cucchiai: quelli erano i suoi pentolini dove cuocere la droga
per poi iniettarsela direttamente in vena.
In
quel momento le emozioni più disparate vennero a galla nell'animo di
Rea: sgomento, rabbia, tristezza, panico. "Perchè lo fa?"
si chiese rimanendo immobilizzata davanti all'armadietto; strinse i
pugni per cercare di reprimere le amare lacrime della delusione che
volevano sgorgarle fuori dagli occhi. Non voleva crederci. Si voltò
per prendere l'accappatoio ed uscì dal bagno: "Pensavo che lui
fosse diverso, credevo che di queste cose non se ne faceva proprio
niente... invece..."; gli porse l'accappatoio con gli occhi
lucidi. Nikki continuò a non guardarla in volto mentre si infilava
l'indumento. Trascorsero alcuni istanti interminabili, attimi di
silenzio insostenibile dove l'unico suono che riecheggiava
nell'ambiente era il respiro affaticato del bassista; erano uno
davanti all'altra in piedi vicino al divano, l'uno con la testa china
pieno di vergogna, l'altra che stentava a trattenere le lacrime nel
vedere il ragazzo a cui si stava affezionando schiavo di una
diabolica mistress.
«Nikki»
lo chiamò Rea cercando di impostare la voce di modo che lui non
sentisse che il pianto le stava uccidendo le corde vocali. Il ragazzo
alzò la testa e disse: «Ce l'hai fatta alla fine... a vedere la
vera parte di me»; si sedette sul divano e si prese la testa fra le
mani: «Vieni vicino a me?» le chiese con voce supplichevole.
Lentamente Rea si sedette vicino a Nikki; ci fu silenzio per qualche
istante, dopodichè lui iniziò a parlarle: «Non volevo mostrarti
questa parte di me, credimi. Sei l'ultima persona dalla quale voglio
farmi vedere ridotto così». Ansimava violentemente e non riusciva a
rimanere fermo: «Non chiedermi perchè... so solo che tu non devi
vedermi così» cercò di deglutire ma aveva la bocca completamente
impastata «L'ho sempre saputo che tu non dovevi vedermi in compagnia
dell'eroina... fin da quando ti ho addocchiata al Whisky quella
sera». Rea rimase esterefatta: «Allora è per quello che hai
evitato che finissi nelle grinfie di Axl?» gli chiese debolmente
«Sì...
ed anche quando ti ho cacciata fuori dal camerino era perchè non
volevo farmi vedere che armeggiavo con tutto il mio arsenale. Non è
stato piacevole buttarti fuori così in malomodo; ma ho dovuto. L'ho
fatto perchè... perchè emani un'energia alla quale non sono
indifferente». Alzò gli occhi e la guardò, con le iridi verdi
appena visibili; poi serrò le palpebre ed appoggiò la sua testa
sulla spalla di Rea. «So che tu puoi aiutarmi» disse mentre le
convulsioni gli scuotevano i muscoli del corpo «sin da quando ti ho
vista, io so che tu hai il potere di liberarmi di lei... aiutami, ti
prego, aiutami». A quelle parole Rea non fu più capace di
trattenere le lacrime; non sapeva cosa dirgli, non aveva mai avuto a
che fare in vita sua con un tossicodipendente. Tutto quello che
poteva fare era trasmettergli il suo calore; sapeva che lui lo
voleva, le aveva detto proprio questo. Lo abbracciò, stringendo i
denti e strozzando i singhiozzi, per evitare di mostrargli la sua
debolezza; in quel momento Nikki aveva bisogno di un appiglio di
marmo e non di un gancino di ferro arrugginito. Lo cinse con le sue
braccia e poggiò la sua mano destra sul costato di lui; il cuore
stava per esplodergli ed il diaframma era sconquassato da movimenti
troppo veloci: «Calmati Nikki» gli disse Rea nell'orecchio mentre
una lacrima le scendeva lungo la guancia «ci sono qui io, la tua
Fiamma... sii forte». Il ragazzo cercò di controllare la sua
respirazione e, lentamente, riuscì a ritornare ad un ritmo più
normale; anche il suo cuore decelerò. «Stare con te mi fa bene» le
sussurrò Nikki «se tu sei con me io non voglio farmi... non voglio
che tu veda che animale sono. Perchè è proprio quello che divento».
Il ragazzo alzò la sua mano sinistra e le prese la mano destra,
quella che teneva poggiata sul suo petto; la strinse e giocò con le
sue dita per un momento. Poi si rimise a sedere e, guardandola negli
occhi, le disse: «Ho bisogno del tuo aiuto, della tua energia
positiva; solo tu puoi aiutarmi ad uscire dal tunnel... ti prego Rea,
vuoi diventare la mia ragazza?». Rea impallidì: «La tua cosa?»
gli chiese flebilmente passandosi il dorso della mano sinistra sul
volto per asciugarsi le lacrime; non poteva crederci. Era felicissima
ed impanicata allo stesso tempo. Nikki continuò: «Se diventi la mia
ragazza io avrò sempre meno motivazione... userò sempre meno
l'eroina e tutto quello che ci ruota intorno» fece una pausa di
silenzio «Io ti voglio bene Rea... e so che anche tu ne vuoi a me.
Altrimenti perchè stare qui e non scappare a gambe levate nel vedere
il mio fantasma con un fucile in mano?». Accennò un leggero sorriso
e tirò su col naso: «So che sarà una relazione atipica, ti ho a
malapena presa per mano...» ed in quel momento una lacrima scivolò
via dalle ciglia di Nikki «ma, ti scongiuro, stai con me. Ne ho
bisogno». Davanti agli occhi di Rea si era materializzata una
persona completamente diversa da quella che pensava di conoscere.
Sabato 4
ottobre 1986, 11 pm
Avevo di
fronte il vero Dottor Jekyll; Mister Hyde se ne sta in superfice, è
la sua maschera per la sopravvivenza. Ma Dottor Jekyll è tutto il
contrario: è fragile, sensibile, ma soprattutto bisognoso d'aiuto.
Ammetto di aver avuto paura quando Nikki mi ha chiesto di diventare
la sua ragazza; non sapevo cosa aspettarmi. Ma lui vuole che io lo
aiuti... ed io per lui farei di tutto; voglio tirarlo fuori da quella
nera spirale che lo sta risucchiando. Perchè ci tengo a lui...
perchè lo amo. Sì. Sarà da idioti, sarà da scemi, ma c'è
qualcosa in quel ragazzo che mi ha stregata... c'è qualcosa che ci
lega; ed io voglio aiutarlo a ritrovare se stesso.
Quello
che aveva davanti non era più il Nikki Sixx ribelle e cafone, il
classico rocker bello e dannato che faceva morire tutte le ragazze
che gli passavano di fianco; quello era Frank Carlton Serafino
Feranna, quell'identità che il ragazzo tanto aveva faticato per
cancellare e che, in qualche modo, riusciva sempre a ritornare a
galla in momenti delicati come quelli. Era la sua parte dolce ed
indifesa, quella di un bambino distrutto moralmente ma che ancora
crede di poter rivedere la luce. Tutta quell'improvvisa innocenza che
apparve sul volto di Nikki travolse Rea come una valanga; la ragazza
si lasciò trasportare dalle sue emozioni ed abbracciò il ragazzo...
il suo ragazzo. Lui ricambiò la sua coccola con un velo di
imbarazzo, quasi come se fosse la prima che riceveva in vita sua.
«Sono in difficoltà sai? Non riesco più a comporre, non ho buone
idee... in tutte queste settimane di sala prove ho combinato ben
poco» iniziò a sfogarsi Nikki «Prima per me, la musica era come se
fosse mia madre, tutto quello per cui potevo vivere. Ma anche lei mi
sta abbandonando ora; siamo solo io e quella calda coperta.
Anche con gli altri del gruppo non c'è più il legame di prima: Mick
è sempre sulle sue, Vince è sempre in bagno a scopare e
Tommy... beh, da quando c'è Heather, non è più
quello di prima. Ho paura Rea, paura che mi venga a mancare l'unica
famiglia stabile che abbia mai avuto in tutta la vita». La ragazza
dai lunghi capelli neri avrebbe voluto fargli tante domande per
capire meglio il motivo del suo malessere, ma aveva accumulato troppa
tensione in un arco di tempo veramente piccolo e l'unica cosa che
riusciva a fare era continuare a donargli il proprio calore,
stringendolo a sè. Nikki sospirò, prese la sua mano destra e se la
portò al cuore: «Ti supplico, fa' che non smetta mai di pulsare. Ho
paura di morire Rea... prega per me». La bruna annuì
silenziosamente; avrebbe pregato il fuoco ogni sera per fare in modo
che i sacri spiriti avrebbero vegliato su di lui e gli avrebbero
portato consiglio. Ed anche il nonno le avrebbe dato una mano. «E
per quanto riguarda l'arredamento» concluse Nikki «a quello
penseremo un'altra volta».
NOTE:
Il
titolo del capitolo si traduce come "Cucchiai ed aghi"
Valley
Vista Boulevard: strada di Los Angeles dove, in quel periodo, Nikki
Sixx aveva la sua casa.
Van
Nuys: distretto della regione di San Fernando Valley all'interno
della città di Los Angeles.
Tappeto persiano ricoperto da mozziconi di sigarette,
aghi e cucchiai: il tappeto in questione appare realmente nella casa
di Nikki; ne parla nel suo libro "The Heroin Diaries".
Frank Carlton Serafino Feranna: nome di battesimo di
Nikki Sixx; il nome viene poi cambiato il 7 novembre 1980 tramite
procedure burocratiche in Nikki Sixx (quindi non è solo il suo nome
d'arte, è anche quello che si ritrova nei documenti).
Calda coperta: con questo termine in "The Heroin
Diaries" Nikki Sixx intende l'eroina.
Mick Mars: chitarrista della band.
Vince Neil: cantante della band (noto per le sue
performance con le fan).
Tommy Lee: batterista della band legato a Nikki da una
profonda amicizia; Nikki afferma che Tommy è il fratello che non ha
mai avuto (da "The Heroin Diaries").
Heather Locklear: prima moglie di Tommy Lee.
Prega per me: riferimento alla canzone "Pray For
Me" dei Sixx:A.M.
Ammetto
che scrivere questo capitolo è stato davvero difficile; la
drammaticità della storia sta proprio nel fatto che si è di fronte
ad un tossicodipendente che ha delle serie difficoltà a rinunciare
alla sua droga ma vuole essere una persona migliore perchè quella
ragazza si sta impossessando della sua mente. Avete finalmente
scoperto a cosa serviva il cucchiaio del quinto capitolo ed avete
visto un Nikki Sixx debilitato, fuori di sè e chimicamente
sbilanciato. Ora, ce la farà Rea con il sacro fuoco ed il nonno ad
aiutare quello scapestrato di bassista a rimettersi in carreggiata?
Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni commento vostro è sempre bene
accetto, di qualunque sfumatura esso sia; personalmente, credo che
questo non sia di certo il capitolo migliore che ho scritto, quindi
non esitate a farmi notare errori o semplicemente a dirmi che è
dannatamente noioso. Grazie come sempre a Demy84, SailorMercury84,
alemagica88, Cri cri, key17, kay89, LadyMars, Moon 91, marziolina86,
Alison_95 e pianistadellaluna per il loro supporto; e grazie anche a
tutti coloro che spendono anche solo dieci minuti del loro tempo per
leggere la mia storia.
Ellie
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Capitolo 8 *** Un Pomeriggio Con Amy ***
08 Un Pomeriggio Con Amy
Quella sera
era ritornata a casa tardi; verso le sei aveva telefonato a Morea dal
cordless di Nikki dicendole di non calcolarla per cena. I due avevano
passato il pomeriggio quasi completamente in silenzio; avevano
comunicato con i loro corpi, con i loro occhi e con le loro mani,
perchè non c'erano parole per parlare della situazione in cui Nikki
aveva trascinato Rea. Il ragazzo era rimasto sdraiato sul divano, in
fissa sul parquet, avvolto nell'accappatoio che aveva indossato
all'arrivo della ragazza; lei cercava di occuparsi di lui nel modo
migliore. Aveva preparato dei panini con quel poco che aveva trovato
nel frigorifero ma Nikki si rifiutò di mangiare. «Fai uno sforzo»
lo supplicò Rea «sei a corto di energie»; lui si mise a sedere ma
tutto ciò che riuscì a mandar giù furono due morsi del sandwich e
nulla di più. Con grande fatica Rea lo portò in camera sua e lo
fece vestire; Nikki sentava a stare in piedi, continuava a perdere
l'equilibrio e ad aggrapparsi alla sua ragazza. Con uno sforzo immane
lei lo poggiò sul letto e gli rimboccò le coperte; Rea guardò la
sveglia sul comodino e vide che erano già le dieci di sera. «Vai...
vai a casa» biascicò Nikki in dormiveglia
«Non mi
sento tranquilla a lasciarti qui così» gli disse Rea preoccupata
scostandogli una ciocca di capelli dal viso
«Umpf...
sei la prima persona che si prende cura di me in questo modo» le
disse con un mezzo sorriso; tentò di alzarsi su un gomito ma scivolò
e ritornò a posare la testa sul cuscino «Prendi le chiavi che sono
nella tasca della mia giacca... te le affido, chiudi pure tu». Rea,
a malincuore, indossò la sua giacca in pelle; stava male al solo
pensiero che Nikki avrebbe trascorso la notte da solo ridotto in
quello stato. «Ti prego, domani telefonami quando ti svegli» lo
salutò Rea agitata; lui annuì con gli occhi chiusi.
* * *
Era
rincasata circa mezz'ora dopo; in macchina non aveva acceso lo
stereo, non aveva nemmeno canticchiato un po'. Era troppo assorta nei
suoi pensieri. Entrò senza far rumore e salì in camera sua dove
iniziò a girovagare senza meta per tutto il perimetro; aveva già
versato troppe lacrime in silenzio di spalle a Nikki quel pomeriggio.
Non voleva farsi vedere debole da lui; aveva bisogno di aiuto e lei
doveva fornirglielo. "Ma come, dio, come?". Camminava a
piedi nudi disegnando motivi concentrici sul pavimento mentre la
lampada da tavolo della scrivania illuminava l'ambiente circostante.
"C'è troppo silenzio" pensò nervosamente la ragazza,
quindi accese la radio a basso volume sui 95,5 fm, KLOS Southern
California's #1 Classic Rock Station. Il dj di turno spese due parole
e lanciò un singolo dal nuovo album dei Bon Jovi,
"You Give Love A Bad Name"
Sabato 4
ottobre 1986, 11 pm
Certe
volte ho un particolare feeling con gli elettrodomestici, con MTV o
con la radio... perchè mi mettono davanti all'evidenza.
"Shot
through the heart, and you're to blame, darling you give love a bad
name" Rea annuì in
silenzio dando un occhio alla spia rossa della radio; non poteva non
dare torto a Jon. "An angel's smile is what you sell,
you promise me heaven then put me through hell" niente
di più vero; il sorriso di Nikki poteva essere definito come quello
del ragazzo della porta accanto. Un sorriso dolce e piacevole per il
quale Rea aveva perso la testa; ed era finita all'inferno. "Chains
of love got a hold on me, when passion's a prison you can't break
free... oh, you're a loaded gun" altrochè!
Era più che una pistola carica quel ragazzo... era una dannata
ghigliottina. "Oh, there's nowhere to run, no one can
save me, the damage is done!"
non c'era modo di nascondersi, e Rea lo sapeva bene. Il danno era
fatto; ora tutto quello che c'era da fare era riparare. Ad un tratto
la ragazza di voltò di scatto verso la porta che aveva sentito
scricchiolare lievemente; Amy fece capolino: «Ciao Fiamma, che
faccina sconvolta che hai». In quel momento le si accese una
lampadina: «Amy, posso chiederti se hai del tempo per chiacchierare
un po'?»
«Ma
certo» sorrise la ragazza dai capelli blu «ho appena finito di
studiare biochimica, posso anche rimanere sveglia tutta la notte ad
ascoltarti». Chiuse la porta e Rea la invitò a sedersi sul letto di
fianco a lei: «C'è qualcosa che ti turba amica mia?» le domandò
Amy vedendo che Rea teneva gli occhi bassi. La ragazza dai capelli
corvini fece un lungo sospiro: «Si tratta di Nikki...»; le disse
tutto, le raccontò ogni cosa che era successa nel pomeriggio e di
come aveva vissuto quell'esperienza. Amy l'ascoltava con attenzione
sorreggendosi il mento con la mano destra chiusa a pugno; quando Rea
finì di parlare, Amy la prese per le mani e le disse: «Da come me
ne parli, la cosa sembra piuttosto grave» fece una pausa e poi
riprese: «Io non ho ancora le competenze necessarie, ma se tu riesci
a portarlo qui a casa quando non c'è nessuno, cercherò di farlo
parlare, di farmi dire perchè lo fa. Alla base dell'uso di droghe
c'è, generalmente, un malessere, fisico o psicologico che sia... se
lui me ne parla, magari riusciamo a scoprire qualcosa»
«E
magari anche a farlo smettere» aggiunse Rea
«Beh...»
esitò Amy «quella è la parte più difficile. Ora però vai a
dormire e vedrai che domani ti telefona»; un sorriso di conforto
apparve sulle sue labbra. Rea si sentì leggermente rincuorata e si
mise sotto le coperte; prima di addormentarsi, però, prese lo Zippo
e chiamò il nonno. «Fiamma mia, la preghiera può aiutare» le
disse il vecchietto «ma ricordati che anche la persona per cui
preghi deve collaborare. Manderò gli spiriti del fuoco a vegliare su
di lui»
«Grazie
nonno, di meglio non potevi fare» sorrise la ragazza
«Già...
nulla è più salutare per un sagittario che avere gli spiriti
del fuoco che vegliano su di lui. Stai pure tranquilla bambina mia;
ora dormi dolce fuoco mio». La mattina seguente si svegliò verso le
nove con il cuore in gola; tutta la notte aveva dormito un sonno
agitato per paura di non ricevere la telefonata di Nikki. Le sue
amiche cercavano di farle forza, dicendole che sicuramente in
giornata l'avrebbe chiamata, ma anche loro avevano dei seri dubbi;
finalmente all'una e un quarto il telefono squillò. Rea si precipitò
a rispondere: «Sono vivo» disse la voce di Nikki dall'altro capo
del filo; la ragazza tirò un sospiro di sollievo e si sentì leggera
come una piuma: «Come ti senti?»
«Come
al solito... una merda» e fece una risatina; sentirlo ridere era
bello, significava che stava bene in qualche modo. Le sue amiche,
intanto, si scambiavano cinque e Bunny e Marta improvvisavano danze
tribali per festeggiare la telefonata. Rea sorrise silenziosamente al
telefono: «Nikki, devo parlarti... posso passare da te questo
pomeriggio?»
«E'
una cosa bella o brutta quella che mi devi dire?» chiese sospettoso
il ragazzo
«Credo
che sia una cosa bella» lo rassicurò Rea «se arrivo fra un paio
d'ore va bene?». Il ragazzo le rispose affermativamente; poi si
salutarono. «Evvai!» urlò Bunny saltando sul divano «Morea, tira
fuori lo champagne che bisogna festeggiare!»; tutte esplosero in una
fragorosa risata liberatoria. Amy mise una mano sulla spalla a Rea e
le disse: «Fatti bella per lui e, mi raccomando, parlagli di quello
che ti ho detto stanotte... mi metto io d'accordo con le ragazze per
il giorno in cui avere la casa tutta per noi». Rea annuì e corse a
prepararsi.
Domenica
5 ottobre 1986, 10 pm
Quando
sono arrivata da lui l'ho trovato sul divano; stava leggendo un
libro. Mi sono avvicinata e gli ho sventolato le chiavi sotto il
naso; in quel momento ha sfornato uno dei sorrisi più belli che gli
abbia mai visto fare. Si è alzato dal divano, mi ha abbracciata per
un secondo ma è bastato a mandarmi l'animo in subbuglio; profumava
di bagnoschiuma al muschio... potente aroma maschile. «Tienile pure
le chiavi» mi ha detto quando mi ha guardata nuovamente in viso, poi
ha aggiunto «Allora, cosa mi devi dire di tanto importante?». Ci
siamo seduti sul divano ed ho iniziato a raccontargli cosa ho fatto
ieri sera quando sono tornata a casa, a partire dal momento in cui
sono salita in macchina fino alla chiacchierata con Amy. Ha
aggrottato le sopracciglia e mi ha detto: «Vuoi portarmi in clinica?
Col cazzo, non ci vengo»; ho provato a rassicurarlo, a spiegargli
che non doveva sentirsi minimamente obbligato a parlare con la mia
amica ma lui ha continuato: «So benissimo come si finisce in questi
casi: metadone. Che poi non serve nemmeno a un cazzo». Si è
alzato di botto dal divano ed è andato in cucina; l'ho seguito,
parlandogli, cercando di spiegargli che non volevo portarlo da
nessuna parte, volevo solo che scaricasse le sue tensioni su
qualcuno.
«La
tua amica crede di potermi curare con il transfert freudiano?
Stronzate!» e detto questo si attaccò alla bottiglia del Jack. Rea
stava iniziando ad innervosirsi: «La mia amica sta ancora studiando
medicina, non è un medico a tutti gli effetti. Credimi, è una
persona meravigliosa, senza pregiudizi e con un carattere speciale;
sono convinta che se ci parli puoi fare un passo avanti»
«Passo
avanti verso cosa? Verso una vita senza niente?» sbottò lui
appoggiando rumorosamente la bottiglia vuota vicino al lavandino. Rea
vide nero per un secondo; la sua mano partì, dritta e precisa, sulla
guancia sinistra di Nikki. Lui rimase esterefatto: «... ahi...»
«Io
sarei niente? Sono stata qui tutto il pomeriggio fino alle dieci di
sera a curarti e non sono niente? La tua ragazza non è niente?»
ruggì Rea in preda all'ira «Vaffanculo Sixx, e tieniti le tue cazzo
di chiavi!»; fece per andarsene ma lui la prese per il braccio:
«No... non andare»
«E
invece dovrei, pezzo di merda che non sei altro!». Rea era in
escandescenza; gli voleva un bene dell'anima, ma in quel momento
avrebbe voluto gonfiarlo di botte perchè non riusciva a capire che
lei si stava sbragando per dargli una mano. «Sei sicura che la cosa
possa funzionare?» le chiese Nikki con gli occhi bassi
«Se
tu lo vuoi funziona per forza» gli disse Rea liberandosi malamente
dalla sua presa; lui la cinse con le sue braccia: «Per favore...
rimani. Sono un coglione, dovevo ascoltarti fin da subito». La
strinse forte a sè abbracciandole il busto: «Mi sono comportato
come hai fatto tu con me al cinema... è una caratteristica che
abbiamo in comune»; lo sentì sorridere. L'aria uscì come un soffio
dai polmoni del ragazzo ed il suo battito accelerò leggermente; Rea
chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quel ritmo primordiale che
le giungeva dal petto di Nikki. Si sentiva al sicuro. Dopo qualche
istante l'abbraccio si sciolse; lei lo guardò negli occhi e lo
sollecitò: «Dunque?»
«Credo
che verrò a conoscere Amy».
*
* *
Domenica
19 ottobre 1986, 2 pm
Finalmente
oggi è il giorno della verità. Nikki è stato parecchio titubante,
ma alla fine si è fatto convincere a venire; gli ho detto di non
prenderla come una seduta medico-paziente, bensì come una
chiacchierata con davanti qualche biscotto. Settimana scorsa non
abbiamo potuto organizzare nulla perchè era impegnato in studio ed
il produttore gli ha detto che non poteva stare a casa a far niente;
ecco perchè è slittato tutto. Bunny, Marta e Morea hanno deciso di
andare a fare un giro a Beverly Hills e non saranno di ritorno fino
alle sette di questa sera. Morea è stata davvero carina, ha
preparato un sacco di biscotti e pasticcini per il nostro
pomeriggio... più che uno studio di un futuro medico, il salotto di
casa mia sembrerà una sala da tè!
Alle
tre in punto Nikki posteggiò la sua Corvette davanti alla casa della
sua ragazza; Rea lo stava aspettando alla finestra. Quando lo vide
scendere dall'auto gli andò incontro e lo abbracciò. Lui abbozzò
un sorriso da dietro la sua lunga frangia: «Mi sento un po' a
disagio»
«Non
ti preoccupare» lo rassicurò lei «vedrai, Amy ti piacerà». Rea
gli fece strada e lo fece entrare; Nikki poggiò la sua giacca
sull'appendiabiti all'ingresso, avanzò di qualche passò ed osservò:
«Non mi dire che mantieni da sola questa casa con lo stipendio
dell'officina»
«Con
lo stipendio dell'officina finanzio i miei sogni»
«Quali
sogni?» domandò lui passandosi una mano fra i capelli «La tua
arte?»
«Quella
e non solo» arrossì Rea «vorrei anche fare la cantante»
«Interessante»
bofonchiò Nikki «prima o poi dovrai farmi sentire qualcosa»; a
quelle parole il viso di Rea diventò porpora. «Comunque» riprese
il ragazzo «non mi hai ancora detto come fai ad avere una casa così
bella»
«L'unica
cosa buona che mi ha lasciato mio padre» disse Rea alzando le
spalle; a quelle parole, un lampo attraversò gli occhi di Nikki. La
ragazza notò questa cosa ma fece finta di nulla: «Vieni, Amy ci
starà aspettando». I due entrarono nel salotto dove Amy aveva già
disposto sul tavolino basso tre tazze da tè ed un vassoio pieno di
biscotti: «Ciao Nikki, vieni pure» lo incoraggiò Amy con un
sorriso «siediti e serviti pure, qui ci sono biscotti per un
reggimento». In quel momento il ragazzo decise di indossare la
maschera dello spavaldo: si stampò in viso il suo solito ghigno
diabolico, avanzò verso il tavolino e si mise in bocca un biscotto.
«Ti piacciono?» domandò Amy
«Cazzo,
buoni... dove li avete comprati?»
«Testa
di rapa, quelli li fa la mia amica, la ragazza con la coda di
cavallo» lo riprese Rea scuotendo la testa. Nikki si sedette su uno
dei grossi cuscini vicino al tavolino mentre Rea ed Amy si
accomodarono di fronte a lui; «Stiamo giocando all'inquisizione?
Vieni di qui Rea» le disse facendole segno con una mano mentre con
l'altra si infilava in bocca il quarto biscotto. Amy era colpita
dalla voracità con cui il ragazzo ingurgitava i dolci; a giudicare
dal suo aspetto fisico non aveva mangiato molto nell'ultimo periodo:
era sciupato in viso ed i vestiti che indossava gli stavano larghi.
"Gli si alzerà un sacco la glicemia" pensò il futuro
medico "però è sempre meglio che non rimanga a digiuno".
Rea versò il tè nelle tazze di tutti ed iniziò: «Come va in
studio?»
«Alla
grande» rispose Nikki sicuro di sè «le canzoni sono una bomba».
Era una bugia; nelle ultime settimane era entrato in conflitto sia
con il produttore Tom Werman
che con gli altri membri del gruppo perchè ciò che componeva
lasciava parecchio a desiderare. L'unico pezzo che era degno
di attenzione era "Girls, Girls, Girls".
Avrebbe voluto farlo sentire a Rea, ma provava quasi vergogna a
sottoporle il nastro a causa delle lyrics un po' troppo
spinte; nonostante questo, contava sul suo giudizio artistico, e
quella era una canzone che faceva crollare i muri. «Dovrai portarmi
qualcosa prima o poi» gli fece l'occhiolino Rea dando un morso al
suo biscotto al cioccolato
«Certo...»
sorrise falsamente Nikki mentre pensava: "Se solo sa che ho
tutto lo studio contro mi uccide". «Nikki, quanto tempo è che
non mangi un pasto per intero?» si intromise Amy; il ragazzo
aggrottò le sopracciglia, fagocitò un altro biscotto e rispose: «Di
preciso non me lo ricordo»
«Perchè
ti vedo sciupato... mi sembri dimagrito» disse Amy
«Sarà
che sono stato male parecchio di stomaco nelle ultime settimane» si
giustificò il rocker. Amy bevve un sorso di tè: «E' la droga che
non ti fa mangiare?». Scese il silenzio nel salotto; Rea guardava
Nikki sperando che non avesse uno scatto dei suoi. Avrebbe rovinato
tutto se avesse sbottato, lei ed Amy stavano cercando di aiutarlo e
se lui si fosse rifiutato sarebbe stato un casino. Invece lui ammise:
«Sì... l'eroina fa questo effetto»
«Cosa
succede quando ti fai?» chiese Rea con un filo di voce ricordando lo
stato in cui l'aveva trovato quel sabato di due settimane prima.
Nikki alzò le spalle: «La prima volta che provi l'eroina è
devastante. Come ti entra in circolo corri in bagno e vomiti tutto
quello che hai mangiato nei tre giorni precedenti. Una volta che hai
esaurito le tue riserve, ti trascini sui gomiti finchè non sbrocchi;
cadi a terra e non sei in grado di fare nulla perchè sei debilitato.
In quel momento pensi che sia la droga più stupida di sempre... poi
però provi una sensazione fantastica. È come se ogni parte del tuo
corpo avesse un orgasmo». Rea aveva gli occhi spalancati e rischiò
di far cadere la tazzina che teneva in mano; al contrario, Amy non si
scompose: «E quando finisce l'effetto?»
«Non
si può certo dire che sia confortevole... ma tanto posso avere tutta
la droga che voglio. Diciamo che il cocktail perfetto è, per
iniziare, una bella sniffata di coca; quando sto per arrivare al
degenero mi inietto la mia dose di eroina e mi calmo lentamente»
disse lui, quasi come se dovesse vantarsi. Amy sapeva che cocaina ed
eroina avevano effetti quasi opposti: la prima rendeva euforici e
portava al degenero, la seconda funzionava come analgesico e
calmante; la caratteristica che le accomunava era quella di dare una
forte dipendenza. «So che posso sembrare indiscreta» disse Amy
prendendo un biscotto «ma posso chiederti da quanto tempo usi
l'eroina?»
«Da
quando ho sfasciato la mia Porsche... dio, che incidente devastante!
Mi sono schiantato a 90 miglia all'ora su un palo del telefono!»
Nikki scoppiò a ridere; Rea gli mollò una gomitata: «C'è poco da
ridere, ringrazia il tuo dio, chiunque egli sia, del fatto che tu sia
ancora vivo»
«Sono
io il mio dio» la canzonò il ragazzo poi riprese: «ero a una festa
e volevo tornare a casa. Non riuscivo a trovare i vestiti così ho
scavalcato la recinzione completamente nudo; la sfiga ha voluto che
in quel momento due ragazze mi abbiano visto e hanno iniziato ad
inseguirmi sulla loro macchina. Io ho sgasato più che ho potuto e,
quando ho guardato il retrovisore per assicurarmi di averle seminate,
mi sono fracassato contro il palo. Il pilone si è piegato ed è
caduto sul sedile del passeggero ed io sono finito in ospedale
completamente nudo e con la spalla dislocata. Faceva un male fottuto
e così il medico ha deciso di darmi il Percodan per sedare il
dolore. Inutile dire che non faceva un cazzo... e così ho iniziato
ad automedicarmi fumando eroina. Come ho detto prima, può sembrare
la droga più stupida in assoluto, ma quando imapari ad amarla non
torni più indietro; la faccio in tutti i modi possibili: me la
inietto, me la sniffo, me la fumo...». Pareva soddifatto di ciò che
stava raccontando; Rea ed Amy erano fortemente allarmate da questo
suo comportamento. La ragazza dai capelli blu gli domandò: «Tutto
qui? È questo il motivo per cui tu trovi soddisfazione nella
droga?»; in un attimo dal viso di Nikki il sorriso diabolico sparì
e negli occhi ricomparve quel lampo che Rea aveva notato
all'ingresso. «Sì, basta»; le due ragazze capirono che il rocker
stava nascondendo qualcosa, un affare ben più profondo e complesso
dell'incidente. Rea stava per intervenire ma Amy fu più veloce: «Ok,
va bene così... senti Nikki, penso che tu sappia che non è una
buona cosa essere dipendenti da droghe, per tutta una serie di
motivi». Il ragazzo era in fissa su Amy, imbambolato a guardarle le
sopracciglia; lei continuò: «Tutto quello che posso dirti è che,
dalla mia analisi spicciola, ti trovo chimicamente
sbilanciato. Per cercare di riparare il danno, il metodo più
efficace è la somministrazione per via orale del metadone». Nikki
la fermò: «Ho già provato ma non è servito a nulla: è solo una
dipendenza da aggiungere ad altre dipendenze»; detto questo si alzò
e si diresse all'ingresso. Amy rimase abbattuta sul divano pensando
di aver fallito miseramente il suo tentativo di transfert; Rea,
invece, lo seguì fino all'ingresso dove il ragazzo stava riprendendo
la sua giacca. «Proprio non vuoi provarci?» gli chiese in tono
supplichevole la ragazza
«So
già come andrà a finire. Scusa se ti ho fatto perdere tempo» e,
mentre diceva queste parole, Nikki aprì la porta. Rea si appoggiò
pesantemente all'uscio richiudendolo: «Nikki ascoltami: hai detto
che volevi smettere... fatti la cura di metadone»
«Non
servirà a nulla» insistette lui cercando di girare la maniglia
«Ti
prego Nikki» gli occhi di Rea erano lucidi «mi hai detto che hai
paura di morire... io non voglio venire a portare fiori sulla tua
tomba. Ti prego...». Parlava con un filo di voce. Lui si guardò le
punte degli stivali e sospirò: «Va bene... lo faccio perchè tengo
a te e al rapporto che si sta creando fra di noi, anche se non sono
molto fiducioso». Rea sorrise, un sorriso che le partì dal profondo
dell'animo e sbocciò sulle sue labbra; lo abbracciò dolcemente per
non fargli male e gli sussurrò: «Ce la farai, vedrai». Ci fu un
attimo di titubanza, poi anche Nikki la cinse e le disse: «Grazie
per le tue preoccupazioni. Nessuno si è mai occupato di me così»;
poi la prese per mano e tornò con lei nel salotto dove Amy era
rimasta seduta sul divano amareggiata a guardare il fondo della sua
tazza di tè. Nikki la chiamò e le disse: «Ho deciso, mi iscriverò
ad un programma di recupero... tu riesci a mettermi in lista
dall'università? Sai, io sono molto impegnato in studio e non ho
molto tempo da perdere in faccende burocratiche...». Amy sorrise e
realizzò che, dopotutto, quel suo tentativo non era stato inutile.
Ormai erano quasi le sei, quindi Nikki decise di fare ritono a casa;
Rea lo accompagnò all'auto. «Sai» cominciò la ragazza «parlare
con Amy fa davvero bene»
«Sì,
è una persona che ispira fiducia» ammise lui
«Già»
sospirò Rea «sai quante volte io mi sono sfogata con lei! Specie
quando...» e lì si interruppe. Nikki rimase a guardarla: «Hai
perso la lingua? Non finisci la frase?». Rea si morse il labbro
nervosamente: «Non so se è il momento di raccontarti questo...»
Domenica
19 ottobre 1986, 9.30 pm
Nikki era
disposto ad ascoltarmi in quel momento, aspettava solo che io
cominciassi il discorso. E così sono partita: gli ho raccontato di
quel pomeriggio di tre anni fa; era luglio e faceva caldo. Ero andata
a casa di Yuri pensando solo di berci insieme qualcosa di fresco e
chiacchierarci un po'; invece la cosa aveva preso una piega del tutto
inaspettata. Lui aveva iniziato a diventare insistente con i suoi
baci, mi aveva tolto la maglia ed aveva iniziato a sfilarmi i
pantaloni; stava iniziando a diventare prepotente. Continuava a
ripetere: «Dio, che voglia che ho!»; io iniziavo ad avere paura.
Nonostante avessi avuto diciassette anni, proprio non volevo compiere
il grande passo; quella era una storiella senza impegno e non volevo
perdere la verginità con lui. Nel giro di dieci minuti mi ritrovai
completamente nuda sul suo divano mentre sui si sfilava i boxer; la
vista del suo membro eretto mi fece impallidire. «Yuri» gli dissi
con voce tremante «scusami, ma non mi sento pronta». Non avessi mai
aperto bocca; in un istante diventò un drago, una belva dalla furia
incontenibile. Iniziò a urlare: «Mi hai fatto spogliare pensando di
volermi, e adesso hai cambiato idea? Io non ci sto!» e violentemente
entrò dentro di me. Un dolore lancinante. Chiusi gli occhi e vidi
una striscia rossa attraversarmi la retina. Mi mancava il fiato.
Strizzai gli occhi e strinsi i denti per evitare di urlare mentre
grossi lacrimoni scivolavano sulle mie guance mentre lui,
menefreghista, imprecava e continuava a spingere sempre di più. Mi
aveva lacerata sia fisicamente che psicologicamente.
Rea
guardava il marciapiede rossa in viso, non sapendo se aveva fatto
bene o no a riferire quei fatti strettamente personali a Nikki.
Trascorsero alcuni attimi di completa immobilità, dopo i quali lui
le prese il mento e la guardò in volto: «Se lo trovo, lo sai che è
morto? Conosco certe persone che potrebbero mandarlo all'altro mondo
solo con uno sguardo». Erano parole cattive, velate di violenza, ma
servirono a Rea per sentirsi meglio: Nikki aveva capito la gravità
della cosa e, soprattutto, da come aveva risposto, si capiva che
teneva a lei. «Nikki, ho paura di non essere più in grado di fare
l'amore dopo questa esperienza» gli disse Rea sottovoce; lui
rispose: «Un giorno, quando lo vorrai succederà... e sarà con chi
vuoi tu. Con la persona che desideri». Le prese il viso e le baciò
la fronte. Poi se ne andò, con un sorriso; accese la Corvette e
tornò a Van Nuys.
NOTE:
Bon
Jovi: gruppo originario del New Jersey fondato nel 1983 e formato ai
tempi da Jon Bon Jovi (voce), Richie Sambora (chitarra), Tico Torres
(batteria), David Bryan (tastiera) e Alec John Such (basso); il
bassista è stato sostituito a partire dal 1994 da Hugh McDonald.
You
Give Love A Bad Name: primo singolo estratto dall'album dei Bon Jovi
"Slippery When Wet" del 1986.
Sagittario:
Nikki Sixx è nato l'11 dicembre 1958, dunque il suo segno zodiacale
è il sagittario, un segno di fuoco.
Metadone:
conosciuto anche come Dolophine, è usato in medicina come analgesico
e per il trattamento delle dipendenze da oppioidi.
Transfert
freudiano: terapia basata sulla "talking cure" mediante la
quale il paziente parla e si sfoga con il medico e trasferisce su di
lui tutti i suoi mali (perdonatemi per la spiegazione molto
grossolana... purtroppo non studio medicina).
Tom
Werman: produttore dell'album "Girls, Girls, Girls".
Girls,
Girls, Girls: titolo del quarto album di studio dei Mötley Crüe
edito nel 1987.
Percodan:
medicinale a base di acido acetilsalicilico (principio attivo
dell'aspirina) ed oxycodone (un oppiaceo).
Ho
dovuto interrompere questo capitolo perchè mi sono resa conto che
stava raggiungendo lunghezze insostenibili. Bisogna ammettere che
sono emerse tutta una serie di cose: andando in ordine, il fatto che
Nikki voglia e non voglia smettere di drogarsi; essendo chimicamente
sbilanciato sente il continuo bisogno della droga ma si rende conto
che non ne trae giovamento. Adesso verrà iscritto da Amy ad una
terapia a base di metadone e vedremo come andrà a finire; non voglio
smontare le vostre aspettative, però tenete presente che, da come
parla Nikki, lui non è molto propenso a sottoporsi ad una terapia
del genere, lo fa solo per fare un piacere alla sua ragazza. Non mi
ero di certo dimenticata della passione di Rea per il canto, tant'è
vero che la confessa a Nikki; questo sarà un elemento fondamentale
nella seconda parte della storia. È emerso che il gruppo è in
studio ed ha appena iniziato le registrazioni del quarto album; e,
finalmente, Rea è riuscita a raccontare cosa è successo fra lei e
Yuri di così brutto (so che alcune di voi volevano saperlo). Ma la
cosa più misteriosa è il fatto che l'espressione spavalda di Nikki
viene smontata per ben due volte... perchè? Vedrete, gli altarini si
scopriranno con l'avanzare della storia. Come sempre, ne approfitto
per ringraziare le mie fidatissime lettrici: Demy84, SailorMercuty84,
LadyMars, key17, marziolina86, alemagica88, Alison_95, Cri cri, Moon
91, pianistadellaluna e tutti quelli che leggono la mia fan fiction,
anche senza lasciare una recensione. Grazie anche a ellephedre per
aver recensito il secondo capitolo della mia storia; ed un
ringraziamento speciale va al mio ragazzo che si è preso la briga di
leggere questa storiella quasi senza dirmi nulla. Al prossimo
capitolo, sperando di non avervi deluse; come sempre, tutte le vostre
recensioni, di qualunque sfumatura esse siano, sono sempre molto bene
accette.
Ellie
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Capitolo 9 *** Nobody's Fool ***
09 Nobody's Fool
L'indomani
mattina Amy bussò alla porta del dottor McDwight, il docente della
UCLA che insegnava tossicologia clinica. Entrò lentamente ma
determinata e si diresse verso la scrivania dove il medico stava
sfogliando una rivista scientifica. «Come
mai qui signorina Anderson?»
chiese immergendo ancor di più il naso nelle pagine; Amy si schiarì
la voce: «Ho
bisogno che lei mi faccia un favore».
Finalmente il medico abbassò la rivista e la guardò con sguardo
interrogativo; Amy continuò: «Devo
iscrivere un mio amico ad un programma di disintossicazione da
oppiacei, lei può darmi una mano?».
Il professore si alzò lentamente spingendo all'indietro la sedia in
pelle nera, fece il giro della scrivania e si posizionò proprio di
fronte alla ragazza: «Anderson,
da quanto tempo è che lei frequenta gente del calibro dei drogati?»;
Amy ci rimase male a quella domanda: «Sto
solo facendo un piacere al ragazzo di una mia cara amica e poi»
si interruppe per un istante «non
mi sembra corretto da parte sua giudicare i pazienti, anche se non li
ha mai visti in faccia».
Erano parole forti, che scottavano come olio bollente; il dottor
McDwight sbuffò e disse: «Non
volevo esprimere nessun giudizio in quanto chi utilizza oppiacei è
drogato sempre e comunque, signorina Anderson, però devo ammettere
che il suo modo di ragionare mi piace parecchio».
Amy, che si era già preparata psicologicamente per ricevere un netto
rifiuto dopo ciò che gli aveva appena detto, rimase sbalordita; il
medico continuò: «Sa
qualcosa della persona in questione?».
Amy raccontò a grandi linee la conversazione del giorno precedente
avuta con Nikki; il professore annuì e disse: «Va
bene, lo metto in lista. Da domattina inizierà il trattamento:
trenta giorni, ogni giorno, tutte le mattine alle otto in punto al
Drug Detox Center su Santa Monica Boulevard; ogni giorno avrà la sua
dose di metadone»
«La
ringrazio professore»
disse compostamente Amy mentre dentro di sé avrebbe voluto fare
salti di gioia; il dottor McDwight sorrise di rimando. Amy stava per
uscire dal suo studio quando il medico richiamò la sua attenzione:
«Signorina
Anderson?»;
la ragazza si voltò incuriosita. Il docente continuò: «Ha
mai pensato di iscriversi ad un tirocinio di tossicologia? Mi sembra
molto portata»
«A
dire il vero, vorrei tanto fare neurologia io»
ammise Amy
«Beh,
nel caso dovesse ripensarci, sappia che la porta è sempre aperta».
*
* *
Il
mattino dopo Amy e Nikki si incontrarono fuori dal Drug Detox Center
alle otto spaccate; lui indossava un berretto con la visiera che
contribuiva insieme alla frangia lunghissima a coprirgli tre quarti
del viso. Barcollava e saliva le scale un gradino alla volta; appena
raggiunse la ragazza, Amy gli mise una mano sulla spalla e gli disse:
«Starò
con te finchè non tornerai a casa»
«Come
mai Rea non è potuta venire?»
chiese Nikki dispiaciuto
«Aveva
la relazione di storia dell'arte moderna da consegnare oggi... e così
ha deciso che dovessi essere io a farti compagnia».
Nikki alzò le sopracciglia e si fece guidare da Amy all'interno
dell'edificio; si mise in coda, ottenne la sua pastiglia di Dolophine
e la ingurgitò con un sorso d'acqua. Scosse il capo come se fosse un
cavallo e disse: «Grazie per il tuo sostegno morale, ora possiamo
andare»; Amy scosse il capo accennando una piccola risata: «Affatto,
c'è bisogno che tu rimanga qui un'oretta circa, per evitare che ti
succeda qualcosa»
«E
cosa mai dovrà succedermi?» domandò Nikki scocciato
«Non
è il momento di sbuffare Nikki, siediti qui con me» gli sorrise
Amy. Nikki si accomodò sulla sedia accanto alla ragazza di
malavoglia e chiese: «Vuoi dirmi o no cosa rischio?»
«Beh»
temporeggiò la ragazza dai capelli blu portandosi l'indice alle
labbra «tutta una serie di cose: nausea, vomito, secchezza delle
fauci...»
«Quelle
le ho già normalmente» le fece notare Nikki sistemandosi il
cappellino, ma Amy continuò imperterrita: «... disfunzione
urinaria, amnesia, anemia, dolore alle articolazioni...»
«Non
sono mica vecchio, eh!» puntualizzò Nikki. Ma Amy continuava a
sfornare effetti collaterali a raffica: «... orticaria, pallore,
ipotensione, allucinazioni, sincope, tremori, palpitazioni, coma,
arresto respiratorio e cardiaco...»
«BASTA!»
urlò Nikki toccandosi le palle per allontanare la sfiga; Amy si
fermò di botto, lo guardò in viso, poi fece scivolare gli occhi blu
sulle mani di Nikki che stringevano i suoi genitali e disse: «... e
anche disfunzione erettile. Ma penso che tu lo sappia». “Cazzo”
pensò lui stringendo i denti. «Avresti anche potuto evitare di
terrorizzarmi» le fece notare il rocker «se fra qualche minuto avrò
le palpitazioni sarà solamente colpa tua»; detto questo levò la
mano dai testicoli e si voltò dall'altra parte. «Scusa, mi sono
fatta prendere la mano» ammise Amy imbarazzata «è solo che volevo
metterti al corrente di tutti i rischi che corri». Fortunatamente
durante quell'ora non successe nulla di catastrofico, solo una
leggera nausea e male alle gambe. Verso le 9.05 i due uscirono dalla
clinica; Nikki ringraziò Amy per averlo accompagnato e la ragazza
gli raccomandò di chiamarla nel pomeriggio per dirle che andava
tutto ok; «Lo farò, ciao!» la salutò il ragazzo e partì a tutta
velocità sulla sua Corvette.
Martedì
21 ottobre 1986, 5 pm
Questa
mattina ero agitata, avrei tanto voluto accompagnare Nikki ma avevo
quella dannata relazione sulle serigrafie di Andy Wahrol da
consegnare... quindi ho chiesto gentilmente ad Amy se lo faceva al
mio posto. Il martedì sono quella che finisce prima di tutte, quindi
sono tornata a casa dall'università alle 2 pm circa e mi sono messa
a leggere; devo ammettere che, però, non ero sufficientemente
concentrata, continuavo a pensare a lui... finchè non è suonato il
telefono. Sono andata a rispondere: «Pronto?»
«Rea
che bello sentire la tua voce» ha sospirato Nikki dall'altro capo
del filo
«Cos'è
successo? Com'è andata stamattina?»
«Appunto»
ha deglutito «non voglio più andarci con Amy»
«Avete
litigato?» gli ho domandato continuando a non capire nulla
«No!
È solo che...»
«Che?»
l'ho esortato io
«Mi
mette ansia! Lei e i suoi cazzo di effetti collaterali!». Alla fine
ha sputato il rospo. Sono rimasta per un attimo con la cornetta in
mano, dopodichè sono scoppiata a ridere di gusto. «Non c'è un
cazzo da ridere! Fa spavento!» continuava a ripetere lui; io mi sono
immaginata la scena, con Amy che enumerava tutte le cose più
sgradevoli aiutandosi con le dita e Nikki che sprofondava sempre di
più nella sedia con le mani nelle balle. «Piantala di ridere!» mi
ha rimproverata lui
«Sì
sì, scusami» gli ho detto io riprendendo fiato e massaggiandomi gli
addominali dolenti
«Puoi
accompagnarmi tu gli altri giorni?» mi ha chiesto lui; come facevo a
non dirgli di no?
«Ma
certo! Stasera mi faccio dire la strada da Amy così domattina ci
troviamo davanti alla clinica»
«Grazie»
l'ho sentito sorridere; in quel momento ho sentito caldo, caldo in
viso, nel petto e anche un pochino più giù. «Ti voglio bene Nikki»
gli sussurrai con un tremito
«Anche
io, dolce fuoco, te ne voglio... a domani». Che carino... ma la cosa
che non mi spiego è il fatto di quel calore alle parti basse che ho
provato... non è possibile. Non me ne capacito ancora adesso; come è
possibile che nel mio cervello possa essere anche solo passato per un
momento il desiderio di voler fare l'amore con lui? Lui? Che può
avere tutte le ragazze del mondo! Perchè... perchè deve voler fare
l'amore con me? E, soprattutto, come posso io volerlo? Insomma... fa
male; ho paura. E allora perchè ho sentito caldo?
A
partire dalla mattina seguente Rea e Nikki si incontravano puntuali
alle otto davanti al Drug Detox Center, entravano chiacchierando, il
ragazzo prendeva la sua dose di metadone e rimanevano lì per l'ora
seguente, seduti sulle seggioline della sala d'aspetto a parlare di
qualcosa. Più il tempo passava, più Nikki iniziava ad accusare gli
effetti collaterali del medicinale: iniziava a sentire dolori da
tutte le parti, come se gli fosse passata sopra una mietitrebbia;
«Porca puttana» bisbigliò portandosi le mani al volto il venerdì
mattina «ci credi che in questo momento la parola “fragile”
non arriva a descrivere nemmeno lontanamente come mi sento
fisicamente? Mi fa male
ovunque». Rea gli scostò leggermente i capelli per potergli vedere
mezzo viso; Nikki aprì il medio e anulare per poterci guardare
attraverso con l'occhio sinistro. Vide la sua ragazza sorridere,
bella come una rosa appena colta; non potè fare a meno di ricambiare
e poi le sussurrò: «Rimetti i capelli com'erano adesso, non vorrei
mai che qualcuno mi riconoscesse». Rea gli fece la linguaccia e gli
risistemò la frangia. Poco dopo le nove uscirono dal centro di
disintossicazione: «Se non avessi avuto la macchina» disse Nikki
guardando la Ford di Rea parcheggiata un paio di posti davanti la sua
Corvette «ti avrei portata io in università»; fece una pausa
durante la quale guardò i suoi stivali, poi riprese timido: «Sai,
mi piacerebbe passare del tempo con te... senza fare nulla di
particolare, anche solo parlare come abbiamo fatto queste mattine».
A quelle parole Rea sentì di nuovo caldo all'interno di sé, caldo
al viso, caldo al cuore e anche più in basso; provò un velo di
vergogna quando avvertì l'ultimo “calore”. Nikki sorrise: «Come
sei bella quando diventi rossa»; Rea gli diede le spalle: «Se vai
avanti così divento viola». Un'altra fiamma l'avvolse quando lui le
si avvicinò da dietro e la cinse con le sue braccia da uomo proprio
all'altezza del seno; “Se si accorge di quanto forte mi sta
battendo il cuore sono fregata!” pensò Rea. Effettivamente Nikki
percepì il palpitare del cuore della ragazza e, segretamente, ne
gioì; nel profondo del suo animo, in qualche angolino nascosto, la
cosa gli procurò un immenso piacere. Mentre erano entrambi avvolti
in questo fuoco invisibile alle altre persone che passeggiavano su
quello stesso marciapiede, il ragazzo le sussurrò all'orecchio:
«Domani stiamo insieme tutto il giorno? Vieni da me, pranziamo
insieme, se vuoi porta delle videocassette...»
«Va
bene Sixx» rispose lei, liberandosi quasi malamente da quella
piacevole stretta. Nikki aprì leggermente la bocca per lo stupore.
Passarono alcuni attimi di silenzio completo fra i due poi lui le
disse: «A... a domani allora» e quasi a capo chino salì in
macchina e sparì nel traffico.
Venerdì
24 ottobre 1986, 10 pm
Ogni
volta che ci ripenso mi si stringe lo stomaco e ogni volta mi ripeto:
“Scema! Più asettica di così non potevi essere”. «Va bene
Sixx» gli ho detto... frase peggiore non poteva uscirmi di bocca:
fredda come il ghiaccio, come una bufera al Polo Nord. Ma vaffanculo!
Quando imparerò a lasciarmi andare un po' di più? Sempre questa
paura fottuta di esporsi e poi, puntualmente, me ne pento. In
occasioni come queste vorrei essere di più come Bunny: più
spontanea, anche più sincera in un certo senso... invece no, la
glaciale ragazza di fuoco. «Va bene Sixx»... l'ho chiamato per
cognome! Ma neanche fossi la sua professoressa di qualcosa... Rea,
sei idiota! E non poco (fra l'altro). L'hai fatto rimanere male...
lui che voleva calore e tu che bruciavi con lui... e gli hai detto:
«Va bene Sixx»??? IMBECILLE!
La
mattina dopo Morea l'accompagnò al Drug Detox Center: «Sicura che
posso tenere la macchina per oggi?»
«Ma
certo» la rassicurò Rea «oggi Nikki mi farà da tassista». Aveva
un sorriso raggiante che contrastava pienamente con quella giornata
uggiosa autunnale; il cielo minacciava pioggia e l'aria era umida.
«Allora buon divertimento e... non fare la furba!» la salutò
l'amica ingranando la prima; Rea arrossì violentemente: «Ma che
diavolo dici!». Morea le fece l'occhiolino e se ne andò; nel giro
di trenta secondi Nikki parcheggiò la Corvette facendo fischiare le
pastiglie dei freni. Scese dall'auto lamentandosi perchè gli faceva
male dappertutto: «Vuoi un bastone?» lo prese in giro la ragazza;
lui non disse nulla, semplicemente le fece la linguaccia e alzò il
dito medio. Entrarono, Nikki ingurgitò la sua compressa di Dolophine
e si sedette, sentendo tutte le ossa sbriciolarsi all'interno del suo
corpo: «Porca troia che male!»; faceva fatica a muoversi, sembrava
che fosse sopravvissuto ad una frana. Eppure c'era qualcosa che
faceva sorridere in tutto questo: non per scherzo, non per sfottere;
semplicemente guardando il suo viso si vedeva che stava meglio.
Sembravano cazzate apparentemente, ma cinque giorni senza eroina
facevano la differenza. Davvero. «Cosa vorresti fare oggi?» gli
chiese Rea
«Ti
dirò, nulla di impegnativo e faticoso» rispose Nikki facendo
scricchiolare le vertebre cervicali «mi sento veramente un
rottame... un relitto». La ragazza sorrise mettendogli una mano
sulla gamba per tranquillizzarlo: «Se vuoi oggi posso cucinare per
te... certo, non sono brava come la mia amica Morea, ma non posso
nemmeno dire di essere imbranata come Bunny; ti preparerò qualcosa
di goloso ma non troppo impegnativo. Poi, nel pomeriggio possiamo
fare quello che vuoi tu: uscire, bere qualcosa insieme...»
«E
se rimanessimo da me a chiacchierare davanti ad un buon libro e della
birra?» domandò Nikki. Rea gli rispose con un sorriso e, di nuovo,
si sentì avvolgere da quel fuoco che la bruciava dall'interno;
voleva passare la giornata con lui, assaporando ogni momento, ma
aveva paura che, trovandosi soli, Nikki avrebbe voluto “approfondire”
la conoscenza fra di loro e il tutto si sarebbe trasformato in un
incubo come a casa di Yuri. Cercò di scacciare quel pensiero andando
a recuperare con la memoria il giorno in cui le aveva chiesto di
diventare la sua ragazza: “So che sarà una relazione atipica, ti
ho a malapena presa per mano. Ma ti scongiuro, stai con me” le
aveva detto; “Forse, non ha nemmeno l'intenzione di volermi
baciare... si limita solo ad abbracciarmi. Ma come devo interpretare
questo segno? Un grande affetto e niente di più, oppure qualcosa di
ben celato ed in qualche modo frenato per motivi che mi sono
sconosciuti?”. «A cosa pensi?» con la sua domanda Nikki
interruppe il fluire dei pensieri di Rea
«Nulla,
tranquillo, ero solo un po' sovrappensiero, ripensavo a...» e lì si
bloccò; diventò paonazza e pensò: “E adesso che cazzo gli
dico?”. Lui in qualche modo intuì il suo disagio e chiese:
«Ripensavi a quando mi sono spogliato davanti a te nel camerino?».
Rea gli mollò un pizzicotto sulla mano: «No, egocentrico che non
sei altro, ripensavo alla relazione che ho consegnato martedì.
Volevo evitare di annoiarti con le mie paturnie universitarie».
Nikki si massaggiò il dorso della mano dolente: «Fai piano cazzo,
già mi sto sbriciolando come un biscotto, ci manchi solo tu che mi
spacchi le mani»; Rea gli prese la mano e se la portò alle labbra
sfiorandola delicatamente: «Passata la bua?»
«Shi
mamma» rispose lui assottigliando la voce e atteggiandosi come un
bambino. Scoppiarono entrambi a ridere, poi si alzarono e si
diressero verso l'uscita tenendosi per mano; appena usciti dallo
stabile Nikki disse: «Il mio frigorifero è praticamente vuoto,
bisogna andare da qualche parte a comprare qualcosina»
«Allora
cerchiamoci un supermarket dove fare rifornimento, possibilmente
vicino a casa tua, così se compriamo qualcosa di fresco lo mettiamo
subito in frigo» aggiunse la ragazza prendendo posto sul sedile del
passeggero. Nikki girò la chiave ed il motore si accese; si avvicinò
all'orecchio sinistro di Rea e le sussurrò: «Tieniti forte, adesso
ti faccio vedere come si guida in mezzo al traffico». La ragazza non
fece nemmeno in tempo a dirgli di non fare stronzate che lui premette
pesantemente sull'acceleratore e partì sgasando, lasciando buona
parte delle gomme sull'asfalto. Accese lo stereo e dalle casse la
voce di Blackie Lawless uscì dura e tagliente come la lama di
una sega circolare: “I'm a wild child, come and love me, I want
you! My heart's in exile, I need you to touch me, 'cause I want what
you do! I want you!”. «Fuck yeah!» urlò Nikki ingranando la
terza; Rea intanto era sprofondata nel suo sedile: «Guarda Nikki, ho
voglia di arrivare a casa tua intera non... MERDA!». Si coprì il
volto con entrambe le mani per non vedere il furgone che stava per
entrarle nella portiera. Nikki era in preda all'euforia: «Non ti
preoccupare, l'ho fatto un sacco di volte! Ah, a proposito, lo sai
che Wild Child l'ho scritta io? Era una delle prime canzoni dei Crüe,
ma Vince aveva difficoltà a cantarla, così l'ho regalata agli
W.A.S.P.. Io e Blackie siamo amici»
«Figo,
però... POTRESTI RALLENTARE? VORREI ARRIVARE VIVA A CASA TUA!» urlò
Rea notando che lui continuava a cantacchiare ignorando i suoi
scongiuri. Dopo venti minuti, Nikki aveva inchiodato davanti ad un
negozio di alimentari nei pressi di casa sua; aprì il portafogli e
diede a Rea la sua carta di credito: «Compra quello che ti serve,
non farti problemi. Scusami se non scendo, ma se mi beccano in un
posto simile potrei morire per un bagno di folla». La ragazza gli
fece l'occhiolino e scese dall'auto. Lui rimase solo nell'abitacolo,
con il volume dello stereo altissimo; girò quasi del tutto la
manopolina per abbassare i decibel delle casse e stette lì, solo e
in silenzio. Guardò Rea entrare nel negozio con la coda dell'occhio,
con i capelli che ondeggiavano in quel vento da pioggia e le gambe
avvolte in quegli splendidi fuseaux neri. “Se avesse i capelli
biondi potrei dire che è un angelo... che poi Sixx, chi cazzo te
l'ha detto che gli angeli sono biondi? Non sta scritto da nessuna
parte. Di nuovo con queste stronzate... con questi stereotipi di
merda. Proprio come quello che ti è uscito dalla bocca poco fa: «Ho
paura di fare il bagno di folla»; vai a cagare, coglione! Lo sai
benissimo che non hai voglia di relazionarti con la gente, punto e
basta. Stranamente lo stai facendo con lei, eh? Ti sei mai chiesto il
perchè? Ti piace vero?”. Nikki scosse la testa per smentire, come
se il suo cervello fosse una persona reale che stesse parlando con
lui e potesse vedere la sua reazione; ma quell'ammasso di neuroni
bruciati continuò: “Di' la verità! Quanto tempo è che non scopi?
C'è il tuo amico in mezzo alle gambe che è parecchio indolenzito...
da quando l'eroina è diventata la tua partner non te n'è più
fregato di scoparti le fan. Una sega ogni tanto non ti farebbe male
sai? Così, giusto per tenerlo in movimento... per liberare i figli
che non avrai mai. Perchè tu sei così incapace di intrattenere una
relazione con qualcuno... sei un casinista che, in tempo zero, manda
a puttane tutto quello che è stato capace di costruire. Se vai
avanti così non avrai mai nessuno. Rea ha un cuore grande e proprio
per questo te ne stai innamorando...”. COSA CAZZO AVEVA DETTO? “Hai
capito bene imbecille, innamorato... ma se non ti dai una svegliata e
non cambi abitudini la perdi, stanne certo. Si stancherà di te. E tu
non vuoi che questo accada, vero?”. A questo pensiero rabbrividì,
spalancò gli occhi ed urlò: «NO, NON VOGLIO!»
«Non
vuoi che cosa?» Rea aveva appena riaperto la portiera del passeggero
per chiedergli se le apriva il portellone del bagagliaio con la
levetta sotto il sedile. Nikki, sentendosi colto con le mani nel
sacco, mentì spudoratamente: «Non ho aperto bocca, sarà stato
qualche passante. Io stavo pensando ad un pezzo da scrivere». Rea
fece finta di nulla; pensò che fosse solo uno scatto dovuto alla
terapia al metadone. Finalmente arrivarono alla villa di Nikki verso
le undici del mattino; il ragazzo parcheggiò la macchina nel garage
e spense il motore. «Arrivati» disse levando le chiavi dalla toppa
d'accensione; Rea sorrise: «Finalmente una giornata tutta per noi...
se vuoi posso darti quei consigli d'arredamento che tanto volevi»
«Perchè
no? Magari dopo pranzo». Si fermò per un momento a guardarla e solo
in quel momento si accorse di quanto fosse bella. Esteriormente
l'aveva già notato la prima volta che l'aveva incrociata fuori dal
Whisky, ma in quel momento le guardò dentro gli occhi, quegli occhi
così neri e profondi dalle sfumature indaco: vide un sentimento
sincero che non era in grado di definire. Forse perchè nessuna
ragazza o nessuna donna si era mai dimostrata così nei suoi
confronti; era tutto così bello e nuovo che ne fu felice. Sentì
caldo dentro di sé: “Sixx, non fare in modo che debba prendere
l'estintore per spegnere i tuoi bollenti spiriti. È troppo preziosa,
non fare il cazzone. Stai buono e lavoratela. Lei è un'artista;
plasmala come se fosse argilla. Fai in modo che i vostri caratteri si
incastrino perfettamente... chissà mai che è la volta buona che
metti la testa a posto e sbatti nel cesso definitivamente l'eroina!”.
«Nikki, ti sei imbambolato?» gli chiese Rea sventolandogli la mano
destra davanti agli occhi; il ragazzo scosse il capo: «Scusa, mi
sono menato via un momento». Presero le buste ed entrarono in casa.
Come Nikki aprì la porta di servizio che permetteva di entrare in
cucina si bloccò: piatti e bicchieri scaraventati a terra e rotti in
mille pezzi, ante dei mobili aperte ed il vasetto della maionese
rovesciato sul tavolo. «Oh Cristo» bisbigliò Nikki poggiando la
busta sul lavandino e sentendo puzza di guai
«Ma...
è passato un uragano qui dentro?» chiese Rea allibita. In
quell'istante sulla soglia della cucina si materializzò una figura
femminile: aveva i capelli mori in disordine che le coprivano
parzialmente il viso; la sua carnagione era color caffè ed aveva gli
occhi iniettati di sangue. Le sopracciglia corrugate facevano intuire
che era arrabbiata. Molto. «Vanity, si può sapere perchè
cazzo sei venuta qui?» le domandò Nikki con calma ostentata e poi
aggiunse: «Maledetto il giorno in cui ti ho lasciato il doppione
delle chiavi di casa mia»
«Bastardo!»
strillò lei e gli si scagliò addosso graffiandolo sulle braccia
«Dov'eri? Dove diavolo eri?». Nikki la prese per i polsi cercando
di fermare la sua furia; la ragazza saltò e gli diede un bacio a
stampo sulle labbra. Il cuore di Rea perse un battito e le si gelò
il sangue. «Amore mio, dolce anima gemella, ma dov'eri andato?»
disse Vanity facendo le fusa «Ti stavo aspettando, ti ho portato
della roba sensazionale». A quelle parole Rea recuperò il senno;
appoggiò violentemente la busta che teneva in mano nel lavandino e
disse fermamente: «Della roba lui non se ne fa più niente, sta
smettendo; e soprattutto: tu chi cazzo sei?». Nikki era come
immobilizzato, quasi non riusciva a respirare; la puzza di guai che
aveva sentito entrando si stava tramutando in un tanfo
insopportabile. Vanity disse: «Tesoro, sono la sua ragazza. Io e
Nikki abbiamo tanto da condividere sai?». Scese il silenzio. Rea
rimase immobile vicino alla porta di servizio, incredula; Vanity
aveva un sorrisetto stronzo stampato in faccia e gioiva visibilmente
nel vederla così spiazzata. Nikki si rese conto in quel momento che
si trovava in un mare di merda; cercò di prendere la parola: «Rea,
ascoltami...»
«No»
lo interruppe lei freddamente portandosi l'indice della mano destra
alle labbra «non dire nulla. Dovevo immaginarlo che avessi un'altra
oltre a me. Beh, spero che...» un nodo alla gola le chiuse le corde
vocali; deglutì a fatica: «Spero che possiate stare bene insieme».
E con il capo chino uscì dalla casa di Nikki proprio mentre iniziava
a piovere.
Sabato
25 ottobre 1986, 11 pm
Come
ho fatto ad essere così cieca? Era così anormale che una rockstar
come lui avesse solo me come “compagna”. Sì, “compagna”
scritto fra virgolette perchè il nostro non era proprio un rapporto
di effusioni amorose; quindi non dovrei prendermela. Non avrei dovuto
prendermela. Ma io lo amo; e non accetto che lui abbia un altra. E
così l'ho lasciato lì, in cucina con la sua donna uragano...
Camminava
lentamente verso il cancello della grande casa per poter uscire
mentre la pioggia le picchiettava sulla testa; afferrò una delle
barre e lo aprì. Chiuse gli occhi pensando che quella sarebbe stata
l'ultima volta che avrebbe compiuto quell'azione, in quel posto; “I
count the falling tears, they fall before my eyes”.
Nikki
corse alla finestra e fece appena in tempo a vederla uscire, con la
testa bassa e gli occhi chiusi, quasi come se si fosse addormentata e
non volesse più svegliarsi da quel sogno che stavano iniziando a
vivere insieme; “Seems like a thousand years, since we broke the
ties”. In quel momento si accorse che l'aveva persa. Già
vedeva tutto quello che sarebbe successo più avanti: “I call
you on the phone, but never get a rise”.
Rea
sentiva freddo e non capiva se era il vento che aveva iniziato a
farsi più insistente, oppure se sentiva la mancanza di Nikki. Come
la sua mente le pronunciò quel nome, si accasciò vicino ad una
palma che costeggiava la strada, quasi come se avesse avuto un
mancamento: “So sit there all alone, it's time you realize I'm
not your fool”
Nobody's
fool, nobody's fool...
La
scema di nessuno. Si era fatta prendere in giro benissimo; ed aveva
pure avuto il coraggio di affezionarsi a Nikki. Un sentimento intriso
di rabbia e delusione si impadronì delle sue gambe e la fece
scattare via, il più lontano possibile da lui: “You take your
road, I'll take mine, the paths have both been beaten”.
Nikki
avrebbe voluto spaccare la testa a Vanity, aprirle il cranio in due e
vedere quanta demenza nascondesse all'interno. Quella stronza gli
aveva rovinato tutto. Tutto il bello che aveva avuto fino a quel
momento se n'era andato via con un battito d'ali quasi
impercettibile; la sua aquila aveva sciolto i lacci ed aveva preso il
volo. Aveva bisogno di lei, e lo sapeva. Aveva bisogno di riaddolcire
il loro rapporto: “Searching for a change of pace, love needs to
be sweetened”. In un secondo una furia cieca si sostituì al
senno: “I scream my heart out”; prese Vanity per i capelli
e la trascinò fuori di casa, mentre quella urlava e imprecava come
un'anima dannata all'inferno: “Just to make a dime”.
Ripensò a come l'aveva conosciuta: con un video su MTV. Era carina,
su questo non c'erano dubbi. Si era messo in contatto con lei e con i
suoi soldi aveva comprato il suo amore... soprattutto la droga con
cui si facevano: “And with that dime I bought your love, but now
I changed my mind, I'm not your fool”. «Fuori da casa mia
troia!» gridò lui dopo averle ripreso le chiavi che le erano cadute
dalla tasca a causa dell'impatto sul marciapiede «e non farti più
vedere!»
Nobody's
fool, nobody's fool...
Andò
nel giardino sul retro, mentre la pioggia gli abbassava i capelli
intrisi di lacca; pensò alla sua Fiamma, al suo dolce fuoco. Chissà
dov'era e cosa stava pensando. Inspirò profondamente ed uno strano
odore gli entrò nelle narici: “Sì Sixx, è proprio il tuo odore.
Puzzi di merda. Sei un fottuto stronzo”. Dolore. Dolore ovunque:
alle ossa, ai muscoli, alle dita, alle braccia, alle gambe. Al cuore.
Le gambe gli cedettero e Nikki cadde sul prato mentre la pioggia
aveva iniziato a bagnargli il viso insieme alle sue lacrime: “I
count the falling tears, they fall before my eyes, seems like a
thousand years, since we broke the ties”. Iniziò a
singhiozzare e ad abbracciare l'aria di fronte a sé; in quel momento
desiderò ardentemente di poterla stringere. Ma non era così sicuro
che, dopo quell'episodio, lei avrebbe tanto voluto ritornare fra le
sue braccia. “Siete di nuovo tu e lei Sixx... tu e la tua eroina”.
Eroina... eroina... EROINA. Quel nome riecheggiava nella mente ormai
vuota di Nikki. “Ora non ho più nulla a cui aggrapparmi... lei non
c'è più. Ho bisogno della mia coperta”. Entrò e si diresse verso
l'armadietto delle medicine, prese una stringa e se la strinse
intorno al braccio sinistro. Prese della droga, la diluì con del
succo di limone e la scaldò in uno dei tanti cucchiai che aveva
trovato riversi sul pavimento. Aspirò con lo stantuffo il liquido
giallo bruno che si era creato; in quel momento si ricordò dei versi
di una canzone che aveva scritto anni prima: “You
gotta stick to your guns, what's right for you ain't right for
everyone”.
Ma allora perchè continuava a piangere? E mentre due lacrime
gli rigavano gli zigomi fece entrare l'ago in vena.
NOTE:
Il
titolo è ripreso dalla canzone dei Cinderella “Nobody's Fool”;
all'interno del capitolo se ne ritrovano le lyrics spezzettate fra
un'azione e l'altra.
Anderson:
tutti si staranno chiedendo “Ma Amy di cognome non faceva Mizuno?”;
sì. Però nella versione americana dell'anime si chiama Amy Anderson
e dato che ci troviamo in un contesto pienamente americano (e
soprattutto anglofono) le nostre protagoniste non hanno gli occhietti
a mandorla, bensì sono di etnia caucasica.
Dolophine:
nome commerciale del metadone.
La parola “fragile”
non arriva a descrivere nemmeno lontanamente come mi sento
fisicamente?: battuta ripresa dalla canzone “Girl With Golden Eyes”
dei Sixx: A.M.
Blackie Lawless:
cantante e chitarrista (in un primo periodo cantante e bassista)
degli W.A.S.P.; le parole in inglese scritte in corsivo una riga più
in basso sono le lyrics del ritornello di “Wild Child”.
Vanity: ex ragazza
di Prince, in quel periodo era la donna di Nikki; ad essere sinceri,
più che la donna, era la sua compagna di droga.
You gotta stick to
your guns, what's right for you ain't right for everyone: ritornello
di “Stick To Your Guns”, una delle prime canzoni dei Mötley
Crüe.
E
il nostro amico ci è ricaduto di nuovo. Fortunatamente, a quanto
pare, Vanity non si farà più rivedere; ma quello che è peggio è
che Rea ora ce l'ha a morte con Nikki. Secondo voi si rimetteranno a
posto? Come faranno? Cosa succederà? Vi lascio ipotizzare, io
taccio...
Vorrei
ringraziare tantissimo le mie fidatissime lettrici: Demy84,
SailorMercury84, key 17, kay89, alemagica88, Cri cri, LadyMars,
marziolina86, Moon 91, Alison_95 e pianistadellaluna. Ringraziamenti
tutti speciali vanno a Lau_McKagan che si è presa la briga di
leggersi la mia storia e, grazie a lei, scrittrici della sezione
Mötley Crüe, Guns'n'Roses... (insomma, quelle zone lì) hanno letto
e addirittura Mars from the stars l'ha inserita fra le preferite!
Grazie davvero tanto. Ed un ultimo ringraziamento va al mio ragazzo
che continua a leggersi queste pagine di follia. Come sempre, tutti i
vostri commenti e recensioni sono ben accetti.
Ellie
|
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Capitolo 10 *** Fraintendimenti ***
10 Fraintendimenti
Nikki aveva
gli occhi socchiusi e guardava il fratello che non aveva mai avuto
seduto dalla parte opposta del tavolo del salotto mentre dava una
boccata dalla sua sigaretta; Tommy espirò il fumo e spense il
mozzicone in un angolino del posacenere stracolmo. «Va bene che
anch'io non sono il dio dell'ordine, ma devi davvero dare una
sistemata qui dentro bro» disse Tommy guardandosi in giro e
facendo saltare gli occhi da un angolo all'altro di quella casa
caotica. «Non mi rompere il cazzo T-Bone»
disse Nikki dopo aver cercato di deglutire anche se non aveva nemmeno
una goccia di saliva in bocca. «Ascoltami bene Sixx» disse
il batterista sporgendosi verso di lui facendo leva sui gomiti «sei
conciato una merda e non puoi andare avanti così. Abbiamo un cazzo
di disco da finire e se tu non componi siamo nella merda più totale.
Io posso darti una mano ma sai che quelle canzoni devono avere la tua
impronta sennò... non suonano Crüe, cazzo! In studio sei sempre
fottutamente sedato e stai portando dei pezzi orribili»
«Vaffanculo...»
cercò di ribattere Nikki
«Vaffanculo
un cazzo!» Tommy si alzò di scatto e picchiò violentemente il
pugno sul tavolo «datti una svegliata porca di quella puttana!
Abbiamo bisogno di te bro, non puoi sprofondare così!». Nikki non
aveva mai visto Tommy così incazzato, faceva paura; sembrava l'orco
cattivo delle favole che ti raccontano da bambino. I lunghi capelli
mossi gli scendevano ribelli sulle spalle e aveva le sopracciglia
aggrottate in un'espressione di disgusto; istintivamente Nikki si
ritrasse come le antennine di una chiocciola quando vengono toccate
da un dito dispettoso. Tommy si accorse di avere alzato un po' troppo
il tono di voce e, sentendosi un po' in colpa, fece il giro del
tavolo e si mise in piedi vicino all'amico: «Bro, scusa, non volevo
ferirti. Però sappi che siamo davvero nei guai; Werman è incazzato
da morire con te e non sa come farti lavorare». Nikki sbuffò e
lasciò cadere la testa sul tavolo: «Non sono ispirato Tommy, cosa
devo fare?»
«Fattelo
venire il lampo di genio, semplice!» cercò di semplificare la cosa
T-Bone e mentre pronunciava queste parole si accese un'altra
sigaretta. Diede la prima boccata, espirò il fumo e mise una mano
sulla spalla dell'amico: «Cosa c'è che ti turba? Tua madre? Tua
sorella Ceci? O magari tuo padre è rispuntato dal nulla...».
“Madre... sorella... Padre...” queste parole rimbombarono per un
attimo nella testa del ragazzo; «No... stavolta è una ragazza»
«Ma vai a
cagare, idiota!» lo schiaffeggiò Tommy prendendo una sedia per
sedersi vicino a lui «Ti fai tutte queste seghe mentali per una
ragazza quando puoi avere tutto il Sunset Strip ai tuoi piedi?».
Nikki rialzò la testa e guardò l'amico negli occhi: «No, Tommy...
con questa è diverso». Tommy rimase immobile, esterrefatto, con la
sigaretta sospesa a metà strada dalla bocca aperta: «Scusa?»
riuscì a dire dopo un momento di esitazione. «Lei... lei...» il
solo pensare a Rea gli mandava in tilt il cervello «lei è un angelo
Tommy. È fantastica e... sono due settimane che non la sento».
Nikki guardava nel vuoto, disegnando con la mente il profilo di Rea,
il movimento morbido e sinuoso dei suoi capelli corvini, i suoi occhi
svegli e neri, il suo naso fine, le sue labbra carnose, i suoi seni
naturalmente tondi, le sue mani affusolate che amava stringere nelle
sue, le sue gambe lunghe e slanciate; Tommy interruppe questo dipinto
immaginario: «E tu rintracciala, no? Se ti piace così tanto fai in
modo di metterti in contatto con lei»
«Tommy, ho
combinato un casino con quella ragazza! Sono due settimane che non la
sento semplicemente perchè non mi risponde al telefono» gli disse
Nikki rassegnato. «Allora è il momento di cercarsi un'altra
persona» cercò di esortarlo T-Bone, ma questa frase scatenò l'ira
del bassista: «No, Cristo, no! Io ho bisogno di lei! Voglio lei
perchè nessuna è in grado di sostituirla, come quando tu ti sei
trovato Heather!»
«Ahia»
sibilò Tommy «qua è grave... che cavolo hai combinato?»
«Vanity»
ammise Nikki prendendosi il viso fra le mani e nascondendosi per la
vergogna
«Bro, te
l'ho sempre detto che quel cioccolatino non valeva un cazzo. Però
dai, adesso almeno con lei hai troncato e di problemi non ce ne sono
più»
«Rea ora è
il mio problema» sentenziò il ragazzo da dietro i palmi
«Va bene,
ok bro...» disse Tommy scuotendo la testa «ma cos'ha di così
particolare questa Rea?». Nikki abbassò le mani chiudendole a pugno
sotto il suo mento; sospirò, chiuse per qualche secondo gli occhi
verdi e poi disse: «E' l'unica che davvero mi ha guardato dentro,
dietro la fottuta maschera da rocker che sono costretto a portare. È
stata l'unica che ha trovato del bello dentro di me e si è fatta in
quattro per rimettermi in pista; ed io l'ho allontanata come un
coglione facendole trovare involontariamente Vanity in casa... cazzo»
«Cazzo sì»
gli fece notare Tommy annuendo, poi aggiunse: «Sai, se fossi anch'io
la tua ragazza sarei incazzata nera con te»
«Se tu
fossi la mia ragazza ti prenderei a bottigliate tutto il tempo. Sei
insopportabile quando ti fissi su qualcosa» lo prese in giro Nikki.
I due risero sommessamente per cercare di sdrammatizzare, ma il
ragazzo sentiva che dentro la sua gola si stava formando un nodo:
«T-Bone...» chiamò il “fratello” con un filo di voce «se tu
fossi al mio posto, come ti comporteresti?»
«Beh bro,
se questa Rea davvero ti fa sentire bene devi chiamarla. Insisti e
vedrai che parlerà con te al telefono»; detto questo, Tommy si
alzò, andò al tavolino vicino al divano, prese il cordless e lo
pose all'amico con un sorriso: «Starò qui con te mentre la
chiami... e metti la cornetta in mezzo così posso sentire anch'io»
«Che
vecchietta zotica che sei...»
* * *
Rea sedeva
con le palpebre semi abbassate al tavolo della cucina e guardava gli
spaghetti alla carbonara che Morea le aveva preparato con tanto
amore; le sue amiche erano tutte in piedi di fronte a lei. «Assaggia,
sono favolosi!». Sì, era
vero, l'odore era buonissimo, eppure non aveva fame: «Non me la
sento di mangiare» gemette Rea scatenando l'ira di Amy: «Non ti
riconosco Rea, si può sapere che cavolo hai? Sono due settimane che
sei in stato quasi vegetativo, mangi poco, dormi sempre...»
«Lo
so, hai ragione... è solo che... mi manca» gli occhi le si velarono
di lacrime. Sbatté le palpebre per permetter loro di scorrerle sulle
guance; fissò gli spaghetti arricciati fra di loro, proprio come i
capelli cotonati di Nikki in disordine.
Sabato
8 novembre 1986, 2 pm
Ogni
cosa che guardo mi ricorda qualcosa di lui. Non riesco davvero a
levarmelo dalla testa. Devo esser scema, dopo quello che mi ha
fatto... la sua ragazza. Giuro, se la vedo in giro la uccido a mani
nude. Sono due settimane esatte che non faccio altro che piangere e
dormire; ininterrottamente. Non studio più, non ascolto più radio,
non vado in università... e tutto per colpa sua! O forse... forse un
pochino è anche colpa mia? Lui ha continuato a chiamarmi tutti i
giorni per cercare di parlarmi ma io non ce la faccio, non riesco a
sentire la sua voce senza scoppiare in lacrime. Merda, MERDA! La
prima telefonata che mi ha fatto la domenica successiva al casino è
stata devastante; ho risposto al telefono e, come ho sentito la sua
voce chiamarmi per nome, mi si sono velati gli occhi e grosse lacrime
mi hanno corroso le guance. Lui parlava da solo, io non gli
rispondevo; mi ha detto: «So che non vuoi sentirmi, ma ti prego,
credi alle parole che sto per dirti»
«Scusami
ma non ci riesco» ho sospirato ed ho messo giù. Da quel momento non
ho mai più risposto al telefono in queste due settimane; Nikki ha
continuato a chiamare tutti i giorni almeno due volte per cercare di
mettersi in contatto con me ma le altre gli hanno sempre detto che
stavo studiando oppure che non ero in casa. Ed io, chiusa nella mia
stanza, ascoltavo i loro commenti: “Che stronzo” dice sempre
Marta oppure Morea ha sfornato quello più cattivo: “Che puttaniere
del cazzo”. L'unica che non partecipa a questa “cerimonia” è
Bunny, l'unica che cerca di calarsi nella situazione e di trovare una
soluzione. Lei che cerca sempre di trovare del buono in tutti. Io non
so proprio che cosa fare: vorrei tanto rivederlo, fare finta che non
sia successo nulla e riprendere tutto da dove ci eravamo fermati. Ma
una cosa del genere non si può fare dopo due settimane di silenzio
forzato. Ho parlato moltissimo con il nonno in questi giorni e,
proprio poco fa, mi ha detto questo: «Rea, so che tu stai soffrendo
molto e so anche che lui è tutt'altro che un santo... ma perchè
devi essere sempre così orgogliosa? Perchè non vuoi mai cedere?
Certo, lui ha sbagliato, ma anche tu hai fatto un grosso errore. Sei
stata così impulsiva che non gli hai mai dato la possibilità di
parlarti e di spiegarti la situazione; non ti è mai venuto il dubbio
che possa essere solo un malinteso? Non hai mai ceduto in questi
giorni e mai gli hai telefonato per cercare di scambiarci due
parole... non credi che questa situazione sia dovuta anche ai tuoi
sbagli? So che fra odio e amore c'è una linea sottilissima... e so
anche che tu ci stai camminando sopra; però sei in bilico. Dovresti
contattarlo». Non so che fare, dovrò trovare il coraggio di
farlo... ma non so, boh! Ho paura di non riuscirci. E proprio mentre
ti sto scrivendo queste parole, in soggiorno sta squillando il
telefono.
Aveva
le mani sudate ed il fiato corto; T-Bone lo guardava agitarsi sul
divano mentre attendeva una risposta dall'altro capo del filo.
«Oh,
che palle! Sarà Nikki sicuramente» si lamentò Amy «chi risponde
dato che io l'ho già fatto ieri?». Marta stava per avventarsi sul
ricevitore ma Bunny fu più veloce di lei: «Pronto?». Marta scrollò
le spalle e se ne andò dal soggiorno, lasciando l'amica sola sul
divano. La solita voce sconsolata disse dall'altro capo del filo:
«Posso parlare con Rea, per favore?»; Bunny, che per due settimane
era stata al gioco, decise di dirgli la verità: «Nikki, sono
Bunny... ascolta, Rea non se la sente di parlare con te»; un gemito
di rassegnazione arrivò al suo orecchio ma lei si affrettò a dire:
«No, aspetta! Non riattaccare e ascoltami bene»
Nikki
e Tommy si guardarono per un istante mentre una flebile fiamma di
speranza si accendeva nel profondo del bassista: «Dimmi»
Bunny
abbassò il tono di voce di modo che le altre nella stanza adiacente
non fossero in grado di distinguere ciò che stava dicendo; si era
stancata di vedere Rea in quello stato “comatoso” e voleva
aiutarla a tutti i costi. Sapeva che stava andando contro quello che
le altre stavano cercando di inculcarle in testa, specie per quanto
riguardava il fatto che Nikki l'avesse sfruttata dandole l'illusione
di renderla davvero felice. Eppure Bunny non ne era convinta, sapeva
che sotto sotto c'era un malinteso che andava sistemato; insomma,
Nikki non si sarebbe mai preso la briga di portarla al cinema ed
uscire con lei per due mesi e mezzo se non si fosse interessato
veramente Rea. Bunny parlò per dieci minuti buoni, spiegando al
bassista come l'amica stava vivendo la situazione e di quanto avesse
bisogno di lui: «So che lei è estremamente orgogliosa, ma sappi che
le piacerebbe mettere le cose a posto. È solo che non vuole piegarsi
e venire a chiederti personalmente scusa; è un suo difetto».
Dall'altro capo del filo Nikki gioì in silenzio e chiese: «Devo
vederla il prima possibile, come posso fare?»
«Beh,
tu ricordati che lei il martedì stacca alle due in università...
potresti inventarti qualcosa e farle una sorpresa. Ti garantisco la
mia collaborazione Nikki, martedì la trascinerò in ateneo anche se
lei vorrà rimanere a letto tutto il giorno»
«Grazie
Bunny» disse Nikki sentendosi immensamente più leggero mentre
chiudeva la chiamata; dopo aver appoggiato il cordless sul tavolino
basso guardò Tommy e sentenziò: «Martedì pomeriggio niente prove»
«E
perchè mai?» domandò il batterista facendo finta di non capire. Il
silenzio di Nikki fu eloquente: «Eh no Sixx, no cazzo!» sbraitò
Tommy
«E
invece sì T-Bone, tu mi devi ancora un favore da quando ti ho
accompagnato al primo appuntamento con Heather perchè avevi la
macchina dal meccanico... questa è l'occasione giusta per ripagarmi»
«Scordatelo»
fu la secca risposta del batterista ma Nikki gli puntò il dito
contro: «Non osare obiettare. Martedì mezzogiorno pranziamo insieme
e poi ce ne andiamo alla UCLA». Tommy sbuffò rassegnato: quando
Sixx si metteva in testa una cosa, non c'era essere vivente in grado
di fargli cambiare idea.
*
* *
Aveva
una promessa da mantenere e sarebbe stata disposta a fare qualsiasi
cosa pur di rivedere l'amica sorridere; Bunny si alzò più
determinata che mai la mattina di martedì 11 novembre. Doveva fare
in modo di sistemare la situazione, quel giorno Rea e Nikki avrebbero
dovuto parlarsi a qualunque costo, fosse venuto il terremoto più
rovinoso di sempre in quel preciso istante. Aprì la porta della
camera da letto dell'amica e, con grande sorpresa, la trovò già
sveglia che si stava vestendo: «Rea?» la chiamò Bunny incredula;
la ragazza si girò. Ancora non sorrideva ma sul suo viso era
riapparsa una cosa che mancava da quasi tre settimane:
determinazione; la bella bruna le disse: «Oggi voglio cercare di
riprendere la mia vita normale»
«Oh,
che bello» sorrise Bunny sollevata «dunque verrai in università
con noi?». Rea le si avvicinò e le parlò all'orecchio: «Sì... e
dopo le lezioni devo fare una cosa molto importante»; la ragazza dai
lunghi codini si pietrificò per un secondo: se Nikki non fosse stato
puntuale oppure se Rea fosse uscita leggermente prima dall'ultima
lezione, l'incontro riparatore non sarebbe mai avvenuto. «Cosa
vorresti fare?» le domandò Bunny timorosa della risposta
«Voglio
andare a casa di Nikki e chiarire. Ho capito che sono sempre stata
eccessivamente orgogliosa e me ne pento; e se lui non vorrà
accettare le mie scuse... avrà tutte le sue buone ragioni per farlo.
Ma io devo cercare di farmi perdonare». Bunny si stupì di come
l'amica ed il suo ragazzo fossero in sintonia; sorrise e le mise le
mani sulle spalle: «Vedrai, andrà tutto bene... anzi, oggi quando
esci guardati bene intorno, non vorrei che lo incontrassi proprio lì
fuori»
«Non
credo, sai?» le confessò Rea dubbiosa. La ragazza dai chilometrici
capelli biondi uscì dalla stanza della sua migliore amica con
un'espressione vittoriosa. La giornata di Rea scivolò via come acqua
sulle rocce fra seminari di architettura e studio di opere
contemporanee; cercò di concentrarsi il più possibile sui corsi ma
il pensiero di Nikki le affollava prepotentemente il cervello. L'idea
che l'avrebbe rivisto in giornata anche solo per un secondo la
scuoteva dall'interno e l'agitava; era infastidita dal fatto che la
sua ragazza Vanity si fosse fatta trovare in casa da lui ma, in
quelle quasi tre settimane di distacco, mai aveva smesso di pensare a
lui, non aveva mai smesso di volergli bene e di amarlo. Era ben
decisa a mettere le cose in chiaro, anche a costo di rimetterci la
faccia; lui l'aveva stregata con il suo sguardo di smeraldo, con la
sua voce roca e profonda, con il suo calore e con la sua virilità. E
sapeva che anche lui, in qualche strano modo, era rimasto colpito da
lei.
All'una
e mezza spaccata Tommy parcheggiò l'auto proprio davanti
all'ingresso della facoltà di arte ed architettura; Nikki era seduto
sul sedile del passeggero visibilmente nervoso. “Sixx, calmo. Hai
ripassato il discorso un sacco di volte, non puoi sbagliare. Mi
raccomando, sii gentile e non precipitoso; ma soprattutto sii chiaro.
Vedrai che andrà tutto bene... te l'ha detto anche la sua amica”.
Ma il bassista non ne era per nulla convinto, non si fidava del suo
cervello; aveva paura di combinare qualche casino e perdere per
sempre il suo Fuoco. Forse incespicando con le parole, forse
gesticolando in modo sbagliato.
«Allora,
si può sapere quando cazzo esce?» domandò spazientito T-Bone «Non
ho voglia di perdere tutto il pomeriggio»; Nikki guardò l'orologio
dell'auto che segnava l'1.45 pm: «Manca un quarto d'ora esatto». Si
fermò per un secondo sentendo l'adrenalina scorrergli per le vene,
sospirò e poi disse: «T-Bone, hai della coca dietro?»
«Bro,
non fare il coglione. Sei già abbastanza agitato, ci manca solo la
coca»
«Non
fare l'egoista, tirala fuori e facciamoci una sniffata in compagnia
prima del momento della verità» lo esortò Nikki
«Io
me la faccio, ma tu proprio no» sentenziò Tommy «in questo momento
sei teso come il pene di Vince durante un'orgia». Ma il bassista non
gli diede ascolto e, in un lampo, prese la cocaina dalla tasca della
giacca dell'amico; poi tirò fuori dell'eroina dai suoi jeans ed in
pochi secondi si preparò uno speedball. «Ma sei pazzo? Non
puoi farti un cocktail così pericoloso in un momento come questo!»
gli urlò Tommy nell'orecchio, ma Nikki sembrava sordo; si fece la
sua striscia e... BAM! Eccola che entrava in circolo, eccola che si
insinuava nelle sue cellule; sentiva la pressione sanguigna aumentare
vertiginosamente mentre le tempie si irroravano di sangue ed il cuore
si dimenava sempre più velocemente. Ottanta... novanta...
centoventi... centrotrenta battiti al minuto; proprio in quel momento
Rea apparve sulla soglia dell'edificio. «Eccola... io vado» disse
Nikki fiondandosi fuori dall'auto
«Bro,
ma perchè ti sei fatto?» gli chiese inutilmente Tommy
dall'abitacolo mentre la portiera si richiudeva con un tonfo sordo;
le prime parole che passarono per la sua mente furono: “Prevedo una
tragedia”. Nikki andò come un siluro incontro a Rea sbattendo
contro tutti quelli che erano nel suo raggio d'azione; si muoveva
come le fiamme di un incendio, incurante di tutto ciò che gli stava
intorno. Rea, nel trovarselo dinanzi, si portò la mano davanti alla
bocca meravigliata: “Non posso crederci... è lui? Qui? Oddio,
Bunny aveva ragione” fu l'unica cosa che riuscì a pensare. «Ciao»
la salutò Nikki con un sorriso malato «ho bisogno di parlare con
te» disse andando subito al nocciolo
«Ad
essere sincera, anch'io vorrei parlarti» riuscì a balbettare la
ragazza dopo qualche istante di silenzio cercando di apparire il più
calma possibile; era felicissima nel vederlo davanti a sé ma non
doveva dargli l'idea che fosse al settimo cielo, aveva paura di farlo
arrabbiare dopo tutto quello che era successo fra di loro. «Ci
cerchiamo un posticino tranquillo?» lo esortò Rea; Nikki annuì in
preda agli effetti della cocaina. Quando la prese per mano, Rea smise
di respirare per un momento; non si aspettava un gesto del genere
dopo quasi tre settimane di distacco e silenzio. “Non mi sembra
vero... allora... allora le ragazze avevano torto... ci tiene
veramente a me”. Nikki incrociò le dita della sua mano sinistra
con quelle della mano destra di Rea per portarla verso la macchina
dove Tommy li aspettava, quando tutto iniziò a girare
vorticosamente; il bassista si portò una mano alla fronte per
cercare di frenare quel movimento, ma senza riuscirci.
Martedì
11 novembre 1986, 9 pm
Ero
così felice di averlo davanti a me, di poterlo toccare di nuovo, di
potergli parlare, di poter chiarire tutto il casino che si era
creato... e lui sviene. Cade a terra come un sacco vuoto e rimane lì,
sul marciapiede.
«Merda,
lo sapevo! Se scommettevo vincevo!» si disse Tommy precipitandosi
fuori dall'abitacolo; Rea intanto si era accovacciata di fianco a
Nikki che era svenuto come un coglione e cercava di risvegliarlo
schiaffeggiandolo. «Ma che cazzo hai, avanti, apri gli occhi!»
urlava la ragazza nervosamente. “Ancora non ha smesso di
drogarsi... ma perchè, diavolo, perchè!”; in quel momento
felicità e delusione animavano il cuore della ragazza.
«Bro,
dovrebbero darti la laurea ad honorem in “Idiozia e coglionaggine”»
lo rimproverò T-Bone chinandosi per prenderlo per le caviglie; poi
guardò Rea e le ordinò di prenderlo per le spalle perchè
l'avrebbero caricato in macchina. Nikki pesava tanto nonostante
avesse perso peso nell'ultimo periodo; almeno, per Rea era pesante, e
la cosa era aggravata dal fatto che non collaborava minimamente nel
farsi trasportare. Tommy caricò l'amico sul sedile posteriore della
sua auto e Rea si sedette dietro con lui; il batterista ingranò la
prima e partì sgasando rumorosamente. «Ma che cosa gli è
successo?» chiese Rea preoccupata
«Speedball»
rispose T-Bone zigzagando fra le auto
Martedì
11 novembre 1986, 9 pm
Speedball...
Nikki non si smentisce mai... e io che continuo a sperare ogni volta
che lo vedo che lui abbia smesso... niente da fare. La cosa è
davvero tragica. Che delusione...
Rea
scosse la testa sconsolata: «Portiamolo in ospedale prima che ci
rimanga secco»
«No»
sentenziò Tommy «Sixx non si farebbe curare, meglio portarlo a
casa»
«Ma...
è in overdose!» sbraitò la ragazza guardando gli occhi di Nikki
che fissavano inespressivi il tettuccio della macchina. Il batterista
ridacchiò: «Tu non hai minimamente idea di cosa sia un'overdose...
Sixx ha solo uno svarione, vero amico?». Rea guardò Nikki con il
cuore in gola, timorosa di non ricevere nessun segnale di vita;
fortunatamente il bassista grugnì: «Visto? Sta più o meno bene»
disse trionfante T-Bone.
Martedì
11 novembre 1986, 9 pm
Tommy
guidava in modo spericolato per i viali di L.A. rischiando ogni
quarto di miglio di fare un incidente. Ma io non ci facevo caso,
avevo lo sguardo puntato su Nikki che, nel frattempo, aveva chiuso
gli occhi; avevo troppa paura che mi rimanesse esanime sulle gambe.
Non volevo che succedesse, io e lui dovevamo parlare, dovevamo
mettere in chiaro tutti i nostri malintesi; e mai avrei sopportato
l'idea di vederlo morire sotto i miei occhi. Gli ho posato una mano
sul petto e ho sentito una gioia immensa pervadermi il corpo nel
percepire il lento movimento del suo diaframma: “Respira ancora...”
Dopo
un arco di tempo che sembrò interminabile, Tommy parcheggiò la
macchina davanti al cancello della casa di Nikki; Rea prese le chiavi
dalla tasca della giacca del bassista e scese per andare ad aprire.
Poi lei e T-Bone lo presero l'una per le spalle e l'altro per le
caviglie e lo portarono in casa faticando, sudando ed inciampando
diverse volte rischiando anche di farlo cadere. «Piano, piano»
sibilò Tommy a denti stretti poggiando l'amico sul letto
matrimoniale; poi sbuffò, si scostò la frangia che, per il sudore,
aveva aderito alla fronte, si girò verso Rea che ansimava per la
fatica e disse: «Comunque, tra parentesi, io sono Tommy Lee»
«Piacere,
sono Rea» gli rispose con fatica la ragazza. I due iniziarono a
sistemare Nikki per metterlo sotto le coperte; Tommy ruppe il
silenzio: «Sai, il mio bro mi ha parlato tanto di te». Rea rimase
esterrefatta a quelle parole, chissà cosa aveva detto Nikki sul suo
conto; il batterista proseguì: «Era distrutto in questi giorni...
non faceva altro che ripetermi che dovevate parlare, che doveva
mettere in chiaro delle cose...»
Martedì
11 novembre 1986, 9 pm
Un
vuoto allo stomaco, proprio come quello che ti viene quando inizi la
discesa sull'ottovolante, il diaframma che per un attimo si
immobilizza ed un tuffo al cuore. Quando Tommy ha detto quelle parole
non volevo credere alle mie orecchie... in un istante mi sono sentita
una merda. Ho capito che per tutte quelle settimane quella che aveva
sbagliato veramente ero io, e non lui; Vanity era stata solo un
brutto incidente di percorso e nulla più. Se solo gli avessi dato
modo di parlare subito non l'avrei ficcato (sì, perchè
essenzialmente la colpa è mia) in una situazione simile ed io avrei
potuto stare di più con lui ed aiutarlo a disintossicarsi. Io,
orgogliosa, ho pensato che la colpa fosse sua, che avesse fatto
“apposta” a farmi trovare un'altra ragazza in casa... ed invece
era solo un dannato malinteso. E lui che mai ha mollato, mai si è
scoraggiato, e tutti i giorni cercava di parlarmi per spiegarmelo. E
io che non gliene davo la possibilità... dopo questa esperienza,
credo di avere imparato la lezione.
«Già»
sospirò Rea ed i tratti del suo viso si indurirono. T-Bone avvertì
il suo disagio, fece il giro del letto e le si fermò davanti: «Fai
in modo di chiarire tutto, anche la stronzata più stronzata di
tutte; ti posso garantire che Nikki stravede per te, non si è mai
comportato così con nessuna delle donne che ha frequentato. Pensa
che mai lui chiede scusa per qualcosa! Lo stai proprio tirando
scemo». Rea sentì un altro vuoto allo stomaco; Tommy continuò: «Mi
ha detto che» piegò l'indice ed il medio di entrambe le mani per
simulare le virgolette «sei la sua “ragazza”, anche se non c'è
una vera e propria relazione fra di voi. Ti giuro, è la prima volta
che è fuori così per una pollastra... ops, scusa, ragazza». La
finezza non era il forte di T-Bone. Il batterista si bloccò sentendo
Nikki bofonchiare qualcosa dal letto; si stava riprendendo e quindi
decise di lasciare i due soli: «Vado in cucina a farmi una birra».
Uscì chiudendo dolcemente la porta. Nikki aprì un occhio e vide che
la ragazza gli si era seduta di fianco; tirò su la coperta fino a
coprirsi il viso: «Dimmelo»
«Cosa?»
domandò Rea dolcemente andando a scostargli il lenzuolo dal viso
«Che
sono un coglione» disse lui guardandola con le sue iridi verdi. Era
bella. No, bellissima. Era così bella che sembrava un'illusione;
soprattutto non poteva credere che lei fosse con lui nella sua
stanza, seduta sul suo letto e che gli rivolgeva la parola. «Potevo
evitare di svenire in quel momento» disse lui cercando di farla
ridere; la ragazza sorrise. Rea gli scostò un ciuffo ribelle dagli
occhi, poi lo prese per mano: «Come ti senti ora?»
«Umpf,
potrei stare meglio... però sono contentissimo di vederti» Nikki si
interruppe un attimo e poi aggiunse: «Ascoltami, io volevo chiederti
scusa...»
«No
Nikki» lo bloccò Rea «io devo chiederti scusa per il mio
comportamento. Ho sbagliato tutto fin dall'inizio; avrei dovuto darti
la possibilità di parlare, di spiegarmi la situazione e soprattutto
di chiarire chi fosse Vanity, ma come una sciocca precipitosa non
l'ho fatto»
«Non
devi preoccuparti per Vanity» la rassicurò Nikki stringendole la
mano «l'ho lasciata, fa parte del passato»
«Ma
quello che è peggio» si fermò un attimo sentendo il senso di colpa
gravare su di lei «è che sono stata così orgogliosa che, anche
quando ho capito di chi era veramente la colpa... cioè mia...
insomma, non mi sono nemmeno fatta avanti per chiederti scusa» una
grossa lacrima le scivolò sulla guancia destra «Sono io che devo
chiedere il tuo perdono». Nikki le sorrise e le accarezzò il viso
bagnandosi la mano dei suoi sensi di colpa; le disse: «Io avrei
dovuto scaricare Vanity appena ti ho conosciuta, anch'io ho fatto un
errore... spero tu possa scusarmi perchè io non voglio più stare
lontano da te». Il sole rispuntò sul viso di entrambi, un sorriso
scintillante illuminò i volti dei due ragazzi ed il grosso peso se
ne andò, permettendo loro di poter prendere di nuovo il volo. Nikki
tirò delicatamente Rea verso di sé e se la strinse al petto più
forte che poté; la ragazza sorrise di nuovo e gli buttò le braccia
intorno al collo. «Sei così bella quando sorridi» le sussurrò lui
all'orecchio e poi le diede un bacio sulla guancia. La strinse
ancora, continuò a stringerla per lungo tempo, respirando il profumo
dei suoi capelli e sentendo le sue mani morbide accarezzargli le
spalle. Dopo tanto tempo il fuoco si impossessò nuovamente di loro,
scaldando le loro membra ed i loro animi; l'abbraccio si dissolse per
un attimo ed i due si ritrovarono a pochi centimetri l'uno
dall'altra. I nasi si sfioravano, gli occhi di lui si perdevano in
quelli di lei; Nikki respirava sulla pelle di Rea, Rea respirava
sulla pelle di Nikki. Il battito del cuore di entrambi aumentò il
ritmo. Nikki aprì leggermente le labbra, avvicinandosi al viso di
lei; Rea chiuse gli occhi pronta a sentire il suo sapore sulla sua
lingua. Mentre entrambi stavano per chiudere le palpebre per guardare
l'uno all'interno del cuore dell'altro, la porta della camera si aprì
di botto: «Bro, dove cazzo hai messo l'apribottiglie? Non...» Tommy
si interruppe nel vedere la scena; dopo un attimo di smarrimento
esclamò: «Ah, ma qui si...» chiuse la mano destra a pugno e mosse
il braccio avanti e indietro. Rea diventò rossa come un peperone
mentre Nikki schizzò in piedi per rincorrere l'amico che nel
frattempo era scappato e rideva come una iena.
NOTE:
Tommy:
Tommy Lee, il batterista dei Mötley Crüe famoso per avere avuto una
tormentata relazione con Pamela Anderson.
Bro:
abbreviazione di brother; vocabolo molto usato da questa persona, in
particolare per rivolgersi a Nikki.
T-Bone:
soprannome dato da Nikki Sixx a Tommy Lee perchè è alto e magro.
Heather:
si intende Heather Locklear, la prima moglie di Tommy Lee.
Speedball:
cocktail di eroina e cocaina; è uno dei cocktail di droghe più
pericolo in quanto due droghe dall'effetto opposto vengono assunte
contemporaneamente. I rischi di overdose sono molto alti.
Capitolo
sudatissimo questo; l'ho trovato parecchio difficoltoso e, mi auguro
come sempre, che non deluda le vostre aspettative. Ho introdotto qui
un personaggio molto vicino a Nikki che è Tommy, il “fratello che
non ha mai avuto” (cit. da “The Heroin Diaries”); sarà molto
importante anche con l'avanzare della storia perchè, con il nostro
protagonista maschile, forma il duo chiamato “Terror Twins” (più
avanti capirete poi perchè). La coppia si è sistemata e, come era
già successo precedentemente al cinema, viene interrotta proprio
mentre stanno per baciarsi. Chissà, forse non si baceranno mai! Io
taccio e non vi anticipo nulla. Grazie alle mie fidatissime lettrici:
Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Cri cri, kay89,
key17, LadyMars, Mars From The Stars, marziolina86, Moon 91,
Alison_95 e pianistadellaluna; grazie anche a tutti quelli che
leggono senza recensire (il mio ragazzo compreso). Ovviamente, le
raccomandazioni sono sempre quelle: se il capitolo è scritto male o
non vi piace non abbiate paura di scrivermelo nelle recensioni e se
manca qualcosa nelle note non esitate a chiedere. Baci, Ellie
|
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Capitolo 11 *** La Festa Di Compleanno ***
11 La Festa Di Compleanno
Quando Rea
tornò a casa era l'ora di cena; entrò in cucina e, come sempre,
trovò Morea intenta a creare qualcosa ai fornelli e le altre tre che
apparecchiavano la tavola. La ragazza salutò le amiche un po' più
pimpante rispetto all'ultimo periodo; Bunny alzò gli occhi dalla
tovaglia e le rivolse un sorriso complice. La cuoca di casa, intanto,
aveva appena messo nei piatti il pesce alla griglia: «Rea, corri a
lavarti le mani che è pronta la cena!». La ragazza dai capelli
corvini non se lo fece dire due volte, il pomeriggio che aveva
passato a Van Nuys era stato particolarmente intenso ed aveva un gran
bisogno di ricaricarsi. Si sedette a tavola e si avventò come un
condor sul branzino: «Che buono!» disse Rea mettendo il pesce
masticato in un lato della bocca; le ragazze rimasero con le loro
forchette ed i loro coltelli sospesi sopra i piatti e fissavano
l'amica che divorava la pietanza. «Per la miseria Rea, ti è
ritornato l'appetito» disse Amy stupefatta
«Già,
sorprendente» la sostenne Marta, poi aggiunse: «Ti sei trovata un
altro ragazzo?». Rea sorrise con la bocca piena e scosse la testa; a
quel punto intervenne Bunny: «Hai fatto pace, vero amica mia?».
Morea fissò dapprima Bunny con gli occhi sgranati poi rivolse il suo
sguardo interrogativo verso Rea che, felice, annuiva mentre deglutiva
l'ultimo boccone di pesce: «Sì, abbiamo sistemato»
«SEI
PAZZA?» urlò Marta scattando in piedi «Quello ti ha presa in giro
per due settimane e tu hai il coraggio di fare pace con lui?». Amy
la tirò per la manica del maglione: «Non saltare a conclusioni
affrettate, siediti e mangia. Credo che Rea voglia raccontarci tutto»
e, mentre pronunciava questa frase, si girò verso la ragazza dai
capelli corvini e le fece l'occhiolino. Rea arrossì imbarazzata
sentendo tutti gli occhi puntati su di lei; Bunny la esortò con un
sorriso: «Avanti, racconta». La ragazza fece un respiro profondo e
spiegò: «Sapete, in questi giorni ho ripensato più e più volte
agli attimi in cui io e Nikki ci siamo divisi e devo dire che non mi
ero resa conto che gran parte della colpa era mia. Semplicemente
perchè non gli ho dato l'opportunità di fornirmi delle spiegazioni
su Vanity... insomma, sono stata troppo orgogliosa. Sono convinta che
se lui avesse parlato subito, tutto questo malinteso non si sarebbe
creato. Ecco perchè questa mattina, quando mi sono svegliata, ero
decisa ad andare da lui per mettere in chiaro le cose; volevo che
tutto fra noi fosse nitido e cristallino, anche se ero pronta a
ricevere un'accoglienza glaciale da parte sua... poi, ironia della
sorte, me lo sono ritrovato davanti all'ingresso della facoltà...»
«Cosa
cosa?» la bloccò Marta mettendosi la mano a coppa vicino
all'orecchio destro «Ho sentito bene?»
«Lui che si
presenta in università? SOLO PER TE?» esclamò Morea scandendo le
ultime parole
«Ciò
significa che...» Amy fece una pausa per ragionare «a giudicare dal
suo comportamento, lui ci tiene davvero a te! Mai avrei pensato che
un rocker cafone del suo calibro potesse compiere un atto simile!»
«Beh, Amy,
ricordati che lui ha fermato Axl Rose; se non fosse stato per Nikki,
Rea se la sarebbe vista brutta» precisò Bunny.
«Insomma,
alla fine abbiamo parlato per tutto il pomeriggio, ci siamo chiariti
e posso dire di essere...» Rea esitò «... quasi felice»
«Cosa
significa quasi felice? O si è felici oppure non lo si è!» disse
Bunny sbigottita; la ragazza dai capelli corvini stava per spiegare
il motivo della sua affermazione quando Amy si intromise dicendo:
«Non ha finito la terapia del metadone, vero?». Rea annuì in
silenzio; Marta scosse la testa: «Non ce n'è, queste rockstar sono
davvero delle teste di rapa! Persone da evitare come la peste!». A
queste parole scoppiò una fragorosa risata generale; la bionda
guardava le amiche quasi arrabbiata chiedendo: «Che cosa avete da
ridere?»
«Marta...»
disse Bunny cercando di frenare il moto convulso dei suoi addominali
«...tu eviteresti Seiya come la peste?»
«SEIYA E'
UN CASO A SE'!» urlò la ragazza sentendosi punta sul vivo; le
ragazze ridevano sempre più forte e Bunny rischiò addirittura di
cadere dalla sedia. Dopo circa due minuti Amy riuscì a riprendere il
controllo di se stessa e disse: «Sapevo che Nikki non ne era
convinto fin dall'inizio, però sai, la speranza è l'ultima a
morire. Secondo me, prima o poi lo farà, l'importante è che ora tu
rimanga al suo fianco il più possibile»
«Infatti»
aggiunse Morea «Nikki dice che, se tu sei con lui, non vuole farsi
perchè se ne vergogna»
Martedì
11 novembre 1986, 9 pm
Spero con
tutta me stessa che le mie amiche abbiano ragione. Voglio che Nikki
si senta motivato a smettere perchè io sono al suo fianco... però
non posso essere onnipresente; ci sarà un modo per mettergli sempre
“soggezione”...
Mercoledì
12 novembre 1986, 3.30 am
Il nonno
mi ha parlato nel sonno... mi ha detto di avere sempre un occhio su
di lui; come se fossi il Big Brother di “1984”. So cosa
fare.
*
* *
Quel
giorno, appena terminate le lezioni, Rea era andata dal suo fornitore
preferito ed aveva fatto una gran scorta di colori ad olio, medio
essiccante e pennelli lunghi ed aveva comprato una tela di cinquanta
per settanta centimetri. Le uniche due volte che era stata a casa di
Nikki aveva cercato di individuare degli spazi possibili sul muro per
poterci appendere delle stampe o dei quadri e l'area di quella tela
era perfetta per il pezzo di muro sopra il camino. Rincasò verso le
sei e subito si mise all'opera; prese tutto il suo arsenale di
tubetti e si recò nel suo studio, la stanza a nord della casa che
aveva una parete fatta di solo vetro dalla quale si poteva ammirare
il verde del giardino sul retro. Non era particolarmente calda, ma
era perfetta per dipingere; era tranquilla e aveva un che di mistico.
La ragazza preparò il cavalletto e si infilò il camice ormai non
più bianco ma macchiato delle più svariate sfumature di colore;
ogni volta che lo guardava, c'era sempre qualcosa che le ricordava le
sue amiche. Quella macchiolina a forma di pesciolino turchese non
poteva non essere che Amy... l'altra macchia verde di cadmio, un po'
più grande, a forma di foglia, le ricordava tanto Morea... poi uno
strano cuoricino arancio le faceva pensare a Marta e quello schizzo
rosa sul polsino che somigliava alla faccia di un coniglio altro non
era che Bunny. Poi c'era lei, sulla manica destra, una pennellata
irregolare scarlatta che correva giù dalla spalla fino al gomito;
era stato il nonno a farla sporcare quella volta. La sua mente volò
a circa due anni prima quando non era ancora immobilizzato a letto e
la malattia era ai primi stadi; lei stava dipingendo una natura morta
fatta di rose rosse e violini quando il nonno le fece prendere uno
spavento toccandole la schiena e cogliendola completamente alla
sprovvista. Il pennello le era scappato di mano e le aveva
accarezzato dolcemente il camice finendo poi per terra; lui era
scoppiato a ridere mentre lei, indispettita, l'aveva sgridato: «Sai
che non amo essere disturbata quando dipingo!». Rea sorrise quando
si ricordò di quell'episodio; era vero, il nonno non l'aveva mai
abbandonata, ma il fatto di non averlo più in giro per casa le
dispiaceva un sacco. Lui e le sue battutine, lui e i suoi ruzzoloni
per le scale, lui e i suoi saggi consigli... più che il nonno,
quell'uomo era stato suo padre. “Padre...” in un lampo, nella
mente di Rea, il sorriso del nonno fu rimpiazzato dall'espressione
cupa di suo padre, quell'uomo che mai le aveva dato le attenzioni
necessarie, quell'uomo che nemmeno era degno di portare
quell'appellativo. “Nessuno direbbe mai che mio padre è figlio di
mio nonno...” pensò digrignando i denti; strinse i pugni
istintivamente mentre una rabbia cieca si impossessava di lei, ma in
pochi secondi riprese il controllo di sé: “Devo fare quel
dipinto... per Nikki... per il suo compleanno. Per farlo smettere.
Avrò anche a disposizione un mese ma devo concentrarmi”. Prese lo
sgabello e si sedette a fissare la tela bianca: “Michelangelo
diceva che, quando scolpiva, dentro al blocco di marmo la statua
c'era già; lui doveva solo togliere il materiale in eccesso per
farla apparire...”; Rea focalizzò la tela, chiuse gli occhi per
qualche istante e poi li riaprì e, per un secondo, vide
materializzarsi sulla tela dei sottili tratti scuri. Eccolo: era un
dipinto caldo ed incandescente; un viso, il viso di Nikki, del quale
si vedevano solo gli occhi e la frangia, era nascosto da una fiamma
che il soggetto del quadro teneva fra le mani ed illuminava tutto lo
sfondo. “Ricorda: si dipinge con il cervello e non con le mani”.
Quel quadro doveva essere vivo, così vivo da suggestionare il suo
ragazzo; ogni colore doveva essere intriso di sentimento e passione,
in modo da trasmettergli tutto il calore e l'amore che lei provava
per lui. Quel quadro avrebbe dovuto motivare Nikki; doveva aiutarlo a
smettere di drogarsi. Prese la tavolozza ed aprì il tubetto del
giallo primario; lo mischiò con l'olio di lino e l'essiccante ed
iniziò a stendere le prime pennellate di colore. Erano pennellate
vorticose e decise, eppure erano diverse da quelle che
caratterizzavano i quadri di Van Gogh; era diverso il colore. Quello
di Rea era corposo ma non troppo denso, deciso ma non violento;
insomma, era terribilmente vero. Ogni giorno aggiungeva una sfumatura
diversa al quadro e l'immagine assumeva sempre più solidità e
forma; il fuoco vermiglione dall'essenza giallo-arancio pareva quasi
muoversi nelle mani di quel Nikki fotografato su tela. Ma la cosa più
sorprendente di quella fotografia dipinta erano gli occhi,
terribilmente fedeli alla realtà; avevano lo stesso verde smeraldo
delle iridi del ragazzo, con la differenza che erano più “accese”.
Non erano gli occhi di un tossicodipendente velati di qualche
schifezza chimica, erano occhi sani, gli occhi che Nikki avrebbe
dovuto avere se non si fosse fatto di eroina.
Mercoledì
10 dicembre 1986, 10 pm
Diciamo
che il quadro si è dipinto da solo; è stato come se il disegno
fosse già racchiuso nella tela. Dovevo solo farlo emergere e dargli
vita. Ogni giorno ho aggiunto un colore diverso e quel dipinto... ha
preso vita sempre più; in particolare gli occhi. Sono così veri che
fanno paura. Nel giro di dieci giorni ho ultimato la mia opera e,
soddisfatta, l'ho mostrata alle mie amiche che sono rimaste tutte
estremamente colpite. Mi hanno detto che è una delle opere, se non
l'opera migliore, che sia mai scaturita dal moto dei miei pennelli;
tutte mi hanno detto che Nikki è reale in una maniera quasi
sconcertante e quel fuoco che tiene fra le mani sono io. Sarò
sincera, non avevo mai pensato al fatto che quel fuoco potesse essere
una mia raffigurazione; io volevo solo infondere calore al quadro in
modo che Nikki, ogni volta che lo guarda, possa percepirlo ed
assorbirlo dentro sé. Dato che non posso essere sempre presente (e
sapendo che lui ha orari ben diversi dai miei in questo periodo di
composizione), desidero che lui possa sentire il bene che gli voglio
solo fissando quel quadro. Ripensando al fuoco... sì, è vero, sono
io; quel fuoco che brucia sono io. Oggi ho sentito Nikki per
telefono; mi ha detto che domani sera festeggerà a casa sua insieme
a tutti i suoi amici ed ha insistito sul fatto che dovessi esserci
anch'io. La cosa mi ha fatto abbastanza ridere: mi sono immaginata in
mezzo a celebrità del mondo del rock completamente spaesata, seduta
sul divano a sorseggiare un bicchiere di Budweiser; e soprattutto
l'imbarazzo che prende il sopravvento nel momento in cui il mio
ragazzo scarta il mio regalo. I commenti poco discreti che partono
dalla folla circostante... gli ho detto: «Nikki, non so se è una
buona idea. Insomma, c'entro come i cavoli a merenda» ma lui ha
insistito: «Guarda che se non vieni mi offendo, ci tengo davvero un
sacco. Devi esserci!»
«Ma non
si può fare un altro giorno, con calma, noi due soli...»
«Non
cercare scuse. Vieni domani» mi ha detto fermamente. Ho sospirato;
quando si inzucca su qualcosa, non c'è divinità o spirito che possa
persuaderlo nel cambiare idea: «Va bene, ci sarò... però prometti
che il mio regalo lo apri quando se ne saranno andati tutti»
«Perchè,
cosa mi hai comprato di così compromettente?»
«Non ho
comprato nulla... ho... prodotto»
«...
interessante...» ha detto con la sua voce baritonale. Il suo timbro
così profondo mi fa impazzire.
Marta
l'aveva aiutata ad incartare la tela ed aveva circondato il pacco di
carta rossa con un nastro di velluto nero. Marta era quella dei
fiocchi, ne aveva a centinaia e di ogni tipo e colore; mentre con
maestria faceva il nodo al nastro, disse a Rea: «Penso proprio che
questo abbinamento di colori sia il massimo per questo regalo».
Aveva sorriso incrociando le dita e stringendo l'asola, poi aveva
alzato lo sguardo ed aveva guardato l'amica dritta negli occhi neri:
«Sai, mi è spiaciuto per quello che ti ho detto la sera che sei
tornata a casa dopo che sei stata da Nikki tutto il pomeriggio... in
fondo, sono contenta per te. È così bello vederti felice... spero
che anch'io, un giorno, possa essere così felice con Seiya». Rea le
sorrise ed anche l'amica ricambiò il gesto; l'abbracciò e le
accarezzò i biondi capelli lisci respirandone il profumo di
camomilla. Marta amava curarsi e farsi bella, le piaceva vestirsi
bene e sistemarsi nel modo migliore possibile; era una ragazza
splendida, una Venere, con i suoi capelli color oro ed i suoi occhi
azzurri. Ma la vera bellezza della ragazza stava all'interno, era una
persona molto sensibile e generosa, nonostante fosse precipitosa e
talvolta pasticciona. «Non ti preoccupare, sono sicura che un giorno
sarete inseparabili» le sussurrò Rea all'orecchio; poi prese la
tela, la caricò in macchina e si diresse verso casa del suo ragazzo.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Quando
sono scesa dall'auto dopo aver parcheggiato, ho trovato casa di Nikki
fin troppo tranquilla... ho pensato che, essendo un personaggio
famoso, si sia dovuto contenere con i festeggiamenti per evitare di
attirare l'attenzione del vicinato e anche dei giornalisti (maledetti
avvoltoi). Ho aperto con il mazzo di chiavi che mi aveva lasciato lui
ed ho trovato la casa incredibilmente silenziosa; l'unico rumore
arrivava dallo stereo, stava ascoltando “Personality Crisis”
dei New York Dolls, uno dei suoi gruppi preferiti, a basso
volume. Non c'era nessuno e così ho pensato di essere arrivata fin
troppo in anticipo; l'ho chiamato e lui è sbucato dalla cucina.
Aveva una pipa di vetro in bocca. La mia voglia di saltargli in
braccio per fargli gli auguri si è tramutata in un istante in un'ira
cieca. Ho lasciato il pacchetto sul divano in pelle e gli ho urlato
in faccia:
«FREEBASE?
Vuoi morire il giorno del tuo compleanno?» parole taglienti e
scottanti. Come un fulmine, Rea si avventò su Nikki, gli levò di
bocca la pipa e la scaraventò per terra riducendola in minuscoli
pezzettini; il ragazzo rimase imbambolato a guardarla con la bocca
aperta. Rea sbottò: «Hai idea di quanto diavolo è pericolosa
quella schifezza? Sai che rischi di saltare in aria mentre la
prepari? Possibile che tu proprio non possa farne a meno, eh?
Possibile che tu voglia sempre finire col farti del male? Se avevi
intenzione di festeggiare insieme a tutti noi invitati fatto come un
idiota, beh, ti sei sbagliato di grosso!». Nikki abbassò gli occhi
e guardò tristemente la sua pipa di vetro ormai rotta, poi tornò a
fissare la sua ragazza e le sbatté in faccia la realtà: «Non verrà
nessuno stasera»; la ragazza era sbalordita: «Come sarebbe a dire
nessuno?»
«Pensavi
che qualcuno volesse venire alla festa di un... un...» Nikki non
trovava la parola per definirsi; proseguì: «Beh, comunque, Tommy
non viene perchè è con la sua Heather» e mentre pronunciava il
nome della moglie del batterista fece una smorfia di disgusto «che
devono fare gli acquisti di Natale. Vince non avevo voglia di
invitarlo, avremmo concluso la serata con un litigio o, peggio, con
una rissa. Mick si fa sempre i cazzi suoi... altra gente...». Rea lo
interruppe bruscamente: «Ma allora perchè mi hai mentito? Perchè
mi hai fatto credere che casa tua sarebbe stata un delirio
disumano?». Rea era fuori di sé per ben due motivi: uno era che
Nikki, nell'ultimo periodo, si stava facendo sempre di più ed il
secondo era che lui le aveva raccontato una bugia; continuò, sempre
più arrabbiata: «A questo punto nemmeno ti meriteresti il regalo
che ti ho fatto». A questa affermazione, anche Nikki perse il
controllo: «E tu per una bugia simile non vuoi darmi il regalo?»
«NON
E' SOLO PER LA BUGIA, MALEDIZIONE!» gli ruggì in faccia Rea. Il
disco finì, la puntina tornò al suo posto e nel salotto di quella
casa tenebrosa calò il silenzio; la ragazza sospirò e riprese a
parlare con un tono di voce più normale: «Io sono preoccupata per
te, tu continui a drogarti come prima se non peggio... sai che,
davvero, non mi stupirei del fatto di trovarti stecchito sul divano
una mattina di queste?»
«Beh,
avresti un problema in meno...» disse Nikki alzando le spalle
«No,
brutto idiota, avrei un problema in più, peraltro irrisolvibile»
Rea si interruppe un attimo per prenderlo per mano «Nessuno sarebbe
in grado di restituirmi il mio ragazzo». Nikki alzò le sopracciglia
nell'udire quelle parole premurose; nessuno gli aveva mai parlato
così nell'arco di ventotto anni, nessun essere umano gli aveva mai
dato così tante attenzioni. In quel momento avvertì una strana
sensazione: “Sixx, oh no, cazzo Sixx, per Dio, non puoi farlo, non
te lo puoi permettere, trattieniti, TRATTIENITI!” gli urlò il suo
cervello, ma era troppo tardi; le sue guance si velarono di rosso.
“Bravo coglione, hai fatto la figura del bambino troppo cresciuto!”
lo applaudì sarcasticamente il suo ammasso di neuroni bruciati; ma
Rea reagì diversamente. Gli sorrise e gli accarezzò con una mano
una delle guance calde e leggermente velate di barba: «Sei
sorprendente sai? Vuoi apparire duro, brutto e cattivo e invece
guardati... sei di una tenerezza infinita». Nikki si girò di scatto
sempre più vergognoso di quello che gli era appena successo e disse
a voce bassa: «Sei tu che tiri fuori questa parte nascosta di me»
«Ed
è un male?» domandò la ragazza posando la sua mano sinistra
sull'incavo del gomito del braccio sinistro di lui. «Se sono solo
con te no... ma non mi posso permettere certi atteggiamenti più
“normali” in situazioni come lo studio di registrazione o i party
post-concerto. Ne va della mia immagine» ammise lui guardandosi le
punte dei piedi. Lei lo fece voltare e lo fece sedere sul divano,
proprio di fianco al suo regalo: «Avanti, aprilo! Mi sono impegnata
un sacco per farti un dono simile, spero che ti piaccia». Nikki fece
un piccolo sorriso, poi slegò il nastro e strappò la carta.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
E'
rimasto per non so quanto tempo a fissare impietrito il quadro. In
quel momento aveva gli stessi occhi che gli avevo dipinto.
Dopo
circa un minuto di mutismo, Nikki riuscì ad articolare una frase:
«Ma... l'hai fatto tu?»
«Solo
per te» gli sorrise Rea; voleva concludere la frase con “amore
mio” ma non le sembrava davvero il caso. Si sarebbe imbarazzata
troppo e magari lui ci sarebbe pure rimasto male. Nikki alzò gli
occhi dalla tela, posò il quadro sul divano ed andò ad
abbracciarla: «Non mi aspettavo un regalo simile... un mio
ritratto». La strinse forte a sé, quasi lasciandola senza fiato,
sentendo il suo animo colmarsi di emozioni mai provate; erano così
belle ed ignote che non sapeva nemmeno come si chiamavano. Sapeva
solo che, in quel momento, voleva stringere Rea, voleva intrappolarla
nelle sue braccia e poggiarla al suo petto per farle percepire quanto
forte gli stava facendo battere il cuore. “Sixx, questa è meglio
di una dose di coca, di un'iniezione di eroina... questa ragazza è
la droga migliore che ti sia mai capitata; ed è esclusivamente tua.
Senti come ti manda in botta, senti come ti fa bruciare... questa ti
farebbe sballare per giorni interi senza effetti collaterali”. Rea,
intanto, si era immersa in quell'abbraccio sperando di non
riemergerne; quegli attimi di stretto contatto erano meravigliosi.
“Come vorrei fermare il tempo” fu l'unica cosa che riuscì a
pensare mentre cingeva la vita del suo ragazzo. Poi, così come tutto
era iniziato senza preavviso, terminò bruscamente; Nikki si staccò
dall'abbraccio, prese il quadro e chiese entusiasta: «Dove lo
appendo?»
«Io
l'ho immaginato sopra il tuo camino, secondo me quello è il posto
ideale» gli sorrise la ragazza. Il bassista appoggiò
provvisoriamente la tela sulla mensola vuota che sporgeva dalla canna
fumaria e si fermò di nuovo a guardarsi: «Non credevo di avere
degli occhi così... magnetici» commentò. Rea gli si avvicinò e
gli disse sottovoce: «Quello è lo sguardo che hai quando non sei
sotto; è il tuo sguardo sano. È quello che hai in questo momento...
sai, quando ho dipinto il tuo ritratto, volevo darti qualcosa che ti
invogliasse a smettere di drogarti. Per quello ti ho regalato i tuoi
occhi vispi e veri... e quel fuoco che stringi in mano». Sulle
ultime parole, il viso di Rea diventò color peperone; l'idea di
essere il suo regalo di compleanno la faceva gioire in maniera
smisurata. Nikki si girò a guardarla: «Posso anche immaginare chi è
il fuoco» le disse facendole l'occhiolino; poi la fece accomodare
sul divano e lui andò in cucina a prendere qualcosa da bere. Stappò
le due Budweiser sul tavolino basso del salotto e si sedette poco
distante da lei; fece tintinnare il collo della sua bottiglia contro
quello della bottiglia della sua ragazza, bevve un lungo sorso e poi
disse serio: «Comunque, ritornando al discorso del “Ho paura di
trovarti stecchito sul divano”... sai che io sono già morto una
volta?»
«Morto?
Ma che cavolo stai dicendo?» lo prese in giro Rea, ma Nikki
insistette: «Sul serio, sono già morto una volta».
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Il suo
tono di voce era stabile. Non stava mentendo. Ero frastornata: com'è
possibile che una persona possa tornare dal regno dei morti? E lui,
avvertendo i miei dubbi, ha iniziato a raccontare.
«E'
successo alla fine del tour europeo di quest'anno, quando noi eravamo
di supporto ai Cheap Trick. Mi ero appena reso conto di essere
un eroinomane e la cosa mi faceva e mi fa ancora incazzare parecchio;
eppure, non potevo e non posso fare a meno di quella robaccia. Il
giorno di San Valentino abbiamo concluso il tour all'Hammersmith di
Londra ed i ragazzi degli Hanoi Rocks erano venuti a vedersi
il concerto; però io ero davvero intrattabile quella sera, avevo
fottutamente bisogno di una dose e non sapevo dove andare a
prenderla. Così ho preso Andy per un braccio e l'ho
trascinato in un taxi chiedendo di essere portato nei bassifondi in
cerca di droga. Per fortuna, poco lontano dal luogo della gig,
il tassista ci ha indicato uno spacciatore che, stando a ciò che ci
ha detto, vendeva “roba esagerata”. Ci siamo avvicinati a questo
ragazzo che sembrava o indiano o pakistano e gli ho chiesto se aveva
dell'eroina; lui ha sorriso. Era davvero raccapricciante, aveva il
viso pieno di cicatrici ed i denti marci; mi ha detto: “Amico,
questa roba è potente”
“Tranquillo,
sono un professionista, la sopporto bene” gli ho risposto io
fremendo. Tu nemmeno puoi immaginare come bramavo quella roba in
quell'istante. Lo spacciatore mi ha guardato e mi ha detto: “Sei
conciato una schifezza bello, vuoi che te la faccia io la dose?”
“Va
bene” gli ho risposto io tutto contento. Lui me l'ha iniettata e,
come questa è entrata in circolo, mi sono reso conto di aver fatto
la cazzata del secolo, ho pensato: “Merda, me ne sto andando... ma,
non è il momento giusto, avevo così tante cose da fare ancora...
cosa di preciso poi non so... beh, fanculo!”. Poi il buio. Quando
ho riaperto gli occhi vedevo il mondo alla rovescia; ho pensato:
“Bella merda che è l'aldilà... il mondo dell'aldiquà ribaltato.
Il creatore ha avuto davvero poca fantasia”. Poi invece ho
realizzato che non ero trasmigrato nell'altra dimensione perchè
qualcuno mi stava portando in spalla e stava per gettarmi nel
cassonetto dell'immondizia; in più mi faceva male dappertutto e non
capivo perchè. Come il mefitico odore della carne in putrefazione mi
è arrivato al naso, mi sono girato di lato cadendo dalla schiena
dello spacciatore e gli ho vomitato sulle scarpe. Ero ancora vivo. In
pratica lo spacciatore, vedendomi crollare a terra, si è allarmato
ed ha usato una mazza da baseball per cercare di rianimarmi mentre il
povero Andy si strappava i capelli dalla disperazione; ma, non
essendo riuscito nel suo intento, stava cercando di liberarsi di me
gettandomi nella spazzatura. Sai, non è per nulla confortevole avere
una rockstar morta fra i piedi. Ed io proprio in quel momento ho
riaperto gli occhi». Rea rimase stupefatta; era quasi comico quello
che Nikki aveva descritto, eppure non c'era nulla da ridere. Quel
ragazzo si era ritrovato faccia a faccia con la morte ed era riuscito
a sfuggirle; la notizia sapeva di incredibile ma era più vera della
vita stessa. La ragazza era scossa, quasi non sapeva come commentare
ciò che il bassista le aveva appena raccontato; si limitò a dire:
«Chissà che spavento che si saranno preso i tuoi genitori». Nikki
non rispose, rimase in silenzio a fissare il vuoto davanti a sé
stringendo il collo della bottiglia; la ragazza lo guardò con
sguardo interrogativo: «Nikki, hai sentito quello che ti ho detto?».
La sua risposta fu tagliente come la lama di una spada; il ragazzo
strinse ancora di più la bottiglia facendosi diventare le nocche
bianche: «Io non ho genitori». La risposta arrivò come una ventata
di aria gelida; il ragazzo pronunciò quelle parole con freddezza
estrema, quasi come se non fosse minimamente toccato dalla cosa. Il
cuore di Rea si strinse e la sua mente volò alla madre che mai aveva
conosciuto, morta nel darla alla luce; provò una profonda empatia
nei confronti di Nikki. Un velo di lacrime le coprì le iridi scure:
«Sono morti?» gli chiese con un filo di voce cercando di
controllare i propri sentimenti. Lei lo guardava, aspettandosi da un
momento all'altro una forte reazione emotiva da parte del ragazzo: un
pianto isterico, un pugno sul tavolino basso, il lancio della
bottiglia contro il muro seguito dal lungo racconto della storia dal
finale tragico; invece Nikki rimase impassibile. Alzò le spalle e
disse apatico: «Purtroppo no... forse sarei più tranquillo se
fossero morti entrambi». Rea spalancò la bocca attonita; il
bassista proseguì: «Una volta avevo una famiglia... i Crüe erano
la mia famiglia; da quando ho lasciato la casa dei nonni, che si sono
presi cura di me quando ero piccolo, Tommy, Vince e Mick sono stati
la mia famiglia. Facevamo tutto insieme...» sospirò malinconico «ma
da quando è successo il casino con Razzle, tutto si è
disgregato. Ognuno ha iniziato ad andare per la propria strada ed io
mi sono visto mettere in secondo piano perfino da Tommy, il mio quasi
fratello». Quell'ultima frase la pronunciò con astio: Nikki odiava
Heather, era geloso di lei e non la sopportava perchè gli aveva
portato via l'unica persona con cui aveva un vero rapporto
d'amicizia. Rea stava per fermarlo per dargli dei consigli ma Nikki
continuò a vomitare incessantemente parole: «E come se non
bastasse, faccio perfino fatica a comporre nell'ultimo periodo. La
musica, che per anni è stata la mia amante, la mia musa ispiratrice,
mi sta abbandonando, lasciandomi completamente allo sbaraglio». Lui
si mise le mani nei capelli, disperato; la ragazza cercò di
consolarlo: «Beh, non è proprio vero. Hai detto che in studio sta
andando bene». Lui la guardò con gli occhi quasi lucidi, sentendosi
dannatamente colpevole: «Ti ho detto una bugia... ma ti prego, per
questa non avercela con me». Rea si sentì amareggiata ma, memore
dell'episodio di Vanity, lasciò parlare Nikki; probabilmente avrebbe
potuto trattarsi di una bugia a fin di bene. Il bassista confessò:
«Non volevo allarmarti troppo. So che non è giusto mentire, ma so
anche che tu hai già mille pensieri per la testa. La verità è che
il gruppo è alla deriva, abbiamo perso la nostra alchimia ed è
difficoltoso comporre in un clima simile... e come se non bastasse si
è aggiunta anche l'eroina»
«Se
tu smettessi, riusciresti a comporre di nuovo dei grandi pezzi» lo
ammonì sottovoce Rea, sperando di smuovere così l'animo del
bassista. Nikki chinò il capo e si appallottolò su se stesso,
sentendosi sempre più colpevole ed impotente: «Lo so ma... non ci
riesco. Proprio non ci riesco. Odio l'eroina... ma la amo ancor di
più». Disse queste parole più piano che potè, quasi come se non
volesse far trapelare il suo segreto al di fuori delle mura della
casa.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Quando ha
detto: “La odio, ma la amo ancor di più” ho capito che
io, da sola, non posso fare molto. Non ho la possibilità di curarlo
davvero con dei medicinali; l'unica cosa che posso fare per aiutarlo
è cercare di distogliere la sua attenzione da quell'universo e farlo
concentrare su altre cose.
Rea
era allarmata da quelle parole; sapeva che non poteva nulla contro il
mostro Eroina e questo la disarmava. Doveva trovare un modo per far
distrarre Nikki, un modo per tenerlo vivo senza che lui ricadesse nel
baratro; doveva fare in modo che componesse qualcosa, così avrebbe
migliorato leggermente i rapporti con i suoi compagni di gruppo e la
cosa l'avrebbe tirato su un po' di morale. “Forse non è proprio il
massimo, ma devo provarci” pensò fra sé; gli prese la mano
sinistra e la strinse: «Scrivi una canzone sulla tua morte». Il
ragazzò la guardò, quasi incapace di credere alle sue parole:
«Pensi che possa essere interessante?»
«Spetta
a te renderla tale» gli fece l'occhiolino Rea «tutte le tue canzoni
hanno un tocco magico; e dovrà averlo anche questa». Nikki ritornò
a sedersi composto, prese entrambe le mani della sua ragazza e le
strinse nelle sue; poi si avvicinò al suo viso e le disse: «Va
bene, lo faccio... ma tu mi darai una mano»
«Io?»
la ragazza era incredula; il bassista continuò: «Avevi detto che
volevi fare la cantante, questa è l'occasione buona per dimostrarmi
quanto vali».
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Panico
più totale. “Non vorrà mica che gli canti qualcosa proprio
adesso?” mi sono chiesta “Non ce la posso fare...”
«Cantami
qualcosa» le disse Nikki. “Ecco, lo sapevo” pensò Rea: «Non so
se è una buona idea» gli disse cercando di girare intorno
all'ostacolo che lui le aveva messo davanti; ma Nikki insistette:
«Dai, siamo qui da soli, ci sono solo io... cantami quello che
vuoi». Rea deglutì a fatica mentre mentalmente passava in rassegna
tutto il repertorio di canzoni che conosceva; poi, senza che nemmeno
si accorgesse, intonò questa strofa:
“You
say our love it's like dynamite
Open
your eyes, it's like fire and ice
Well
you're killing me, your love's a guilliotine
Why
don't you just set me free”
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Come ho
concluso il sustain dell'ultima vocale, mi sono tappata la
bocca con le mani. Scelta meno azzeccata non potevo fare; va bene che
è un pezzo dei Crüe, va bene anche che è il MIO pezzo preferito
dei Crüe, ma proprio “Too Young To Fall In Love” dovevo
cantargli?
Quando
Rea finì la sua piccola esibizione, Nikki si portò la mano destra
sotto il mento: «Devo ammettere che hai una voce davvero
interessante... mi ricordi un po' Lita Ford»; si interruppe
un attimo e poi aggiunse: «Sinceramente, mi aspettavo un pezzo
diverso, “Home Sweet Home” ad esempio... come mai hai
scelto proprio “Too Young To Fall In Love”?». Rea esitò un
attimo a rispondere; si sentiva dannatamente in imbarazzo per la
scelta inconscia che aveva fatto. Rispose: «E' il pezzo del vostro
repertorio che amo di più»; Nikki tirò un sospiro di sollievo: «Oh
bene... pensavo fosse un messaggio rivolto a me»
«Oh
no, ma che dici!» lo rassicurò Rea sentendosi immensamente più
leggera: “Meno male, non se l'è presa”. Il ragazzo si alzò
pigramente dal divano e andò a prendere la chitarra; nelle due ore
successive improvvisò una miriade di riff finchè non trovò
quello più aggressivo e sporco. A quel punto, Rea iniziò ad
improvvisare mentre Nikki la seguiva facendo saltare il plettro da
una corda all'altra; ogni tanto si fermava per scrivere le lyrics su
un foglietto strappato da un vecchio quaderno ingiallito. Sul finale
la ragazza lasciò uscire tutto il sentimento che quella canzone le
generava, facendo volare la voce sulle note più alte; Nikki la
guardava impressionato: “Sixx, è sorprendente. Non ho mai visto
nessuna ragazza immergersi così in una canzone... mi è venuta
un'idea. Ma forse non è questo il momento per dirtela; aspetta
ancora qualche mese”. Si era creato un feeling unico fra i due, un
legame che li univa sia sentimentalmente che musicalmente; all'alba
delle due e mezza di notte, “Dancing On Glass” era stata
ultimata. Rea si sedette sul divano sfinita: «Vedrai che con questa
domani in studio farai faville»
«Secondo
me i ragazzi rimarranno a bocca aperta» disse Nikki soddisfatto
alzandosi dal divano per andare a riporre la chitarra sul cavalletto;
quando si voltò guardò Rea e sorrise. La ragazza era talmente
esausta che si era addormentata in pochissimo tempo sul suo divano;
delicatamente la prese in braccio e, senza far rumore, la portò fin
nella camera degli ospiti dove l'adagiò piano sul letto e la coprì
con il piumone.
NOTE:
Big
Brother di 1984: riferimento al Grande Fratello di Orwell del libro
“1984”.
Si
dipinge con il cervello e non con le mani: citazione di una frase di
Michelangelo.
Personality
Crisis: canzone dei New York Dolls contenuta nell'album omonimo di
debutto del 1973.
New
York Dolls: gruppo definito proto-punk o glam-punk nato a New York
nel 1971; la prima formazione comprendeva David Johansen (voce),
Johnny Thunders (chitarra solista), Sylvain Sylvain (chitarra
ritmica), Arthur “Killer” Kane (basso) e Jerry Nolan (batteria).
Freebase:
tecnica che permette di fumare la cocaina. La droga viene dapprima
disciolta in acqua e successivamente viene aggiunta dell'ammoniaca;
la soluzione così ottenuta non è però solubile in acqua quindi
viene disciolta in etere etilico. Dopo l'evaporazione dell'etere
etilico si ottiene così la freebase senza tagli pronta per essere
fumata. La preparazione della base è estremamente pericolosa poiché
si può incorrere in incendi o in esplosioni.
Cheap
Trick: gruppo hard rock dell'Illinois formatosi nel 1974; la
formazione originale prevedeva Robin Zander (voce), Rick Nielsen
(chitarra), Bun E. Carlos (batteria) e Tom Petersson (basso).
Hanoi
Rocks: band finlandese formatasi nel 1979; la formazione originale
prevedeva Michael Monroe (voce), Andy McCoy (chitarra solista), Nasty
Suicide (chitarra ritmica), Sam Yaffa (basso) e Gyp Casino
(batteria); a partire dall'album “Back To Mystery City”, Gyp
viene sostituito da Razzle Dingley.
Andy
McCoy: chitarrista degli Hanoi Rocks.
Gig:
(inglese) concerto.
Il
casino con Razzle: Nikki si riferisce all'incidente d'auto di Vince
Neil in seguito al quale Razzle è morto. Vince guidava in stato di
ebbrezza ed ha avuto uno scontro frontale con un mezzo che arrivava
dalla parte opposta della strada; Razzle ha subito dei danni
gravissimi ed è morto in ospedale qualche ora dopo (rif. “The
Dirt”).
La
odio ma la amo ancor di più: citazione da “The Heroin Diaries”.
Sustain:
in linguaggio musicale si usa questa espressione per indicare il
prolungamento ed il mantenimento di una nota dopo che questa è stata
prodotta.
Too
Young To Fall In Love: canzone dei Mötley
Crüe
contenuta nell'album “Shout At The Devil” (1983).
Lita
Ford: ex chitarrista delle Runaways che negli anni 80 intraprende la
carriera solista come cantante e chitarrista.
Home
Sweet Home: power ballad contenuta nell'album “Theater Of Pain”
dei Mötley
Crüe
del 1985.
Riff:
frase musicale che si ripete frequentemente all'interno di un brano e
generalmente è utilizzato come accompagnamento.
Dancing
On Glass: canzone contenuta nell'album “Girls, Girls, Girls” dei
Mötley
Crüe
(1987).
Mi
rendo conto che questo capitolo è veramente lunghissimo, ma dovevo
tirar fuori un po' di cose; innanzitutto l'amore per l'arte della
protagonista (e qui ringrazio tantissimo SailorMercury84 per le sue
consulenze sui colori ad olio, le procedure per dipingere e tutto il
resto che riguarda l'arte), poi il fatto che Nikki sia una persona
sola ed isolata. La sua solitudine è sia causa che effetto della sua
dipendenza da droghe. Si è visto che i rapporti con gli altri membri
della band non vanno proprio benissimo ed anche che il nostro amico
ha un rapporto a dir poco conflittuale con i suoi genitori; questa è
una cosa che ha in comune con Rea, perchè anche lei non ha un bel
rapporto con il padre. E per quanto riguarda la storia della morte...
è vera; Nikki ne parla sia in “The Dirt” che in “The Heroin
Diaries”. Spero di avervi messo le note e, se dovesse mancare
qualcosa, non esitate a chiedere. Come sempre, ringrazio tutti quelli
che mi seguono: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88,
Alison_95, Cri cri, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars,
marziolina86, Moon 91, pianistadellaluna e RocketQueen_. Ringrazio in
anticipo tutti quelli che lasceranno una recensione, di qualsiasi
sfumatura essa sia. A presto, Ellie.
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Capitolo 12 *** Pensieri Speculari ***
12 Pensieri Speculari
Nikki coprì
Rea con il piumone, poi si voltò, tirò fuori l'accendino dalla sua
tasca dei pantaloni ed accese il candelabro a cinque braccia che
c'era appoggiato sul comò della stanza; lo afferrò e si girò verso
la ragazza addormentata. Le fiamme ballavano creando ombre spettrali
sui muri e la luce fioca rendeva ancora più sinistro l'ambiente.
“Sixx, guardala... quanto è bella? Sembra quasi impossibile che
esista una ragazza così; secondo me non è umana... voglio dire, hai
conosciuto un sacco di donne in vita tua, ma nessuna si è mai
comportata come questa qui. Quelle ti prendevano, ti sbattevano per
benino e poi ti mollavano solo nel letto... con questa, ancora, non
ci hai fatto nulla... e guarda come ti ricopre di attenzioni”.
Niente di più vero. Tecnicamente stavano insieme, ma, stranamente,
ancora non si erano né baciati né, tanto meno, conosciuti
intimamente; solo strette di mano, sguardi complici e parole dolci.
“Non smielate Sixx, quello no... le smielate fanno venire le carie
e il diabete; lei non ti fa smielate. Semplicemente sa cosa dirti...
ecco perchè ti ha colpito”. Il ragazzo si inginocchiò di fianco
al letto e poggiò il candelabro sul comodino; i capelli di Rea erano
sparpagliati in ciocche lisce su tutto il cuscino. Nikki,
timidamente, le accarezzò il viso con il dorso della mano destra;
quel nuovo contatto con la sua pelle innescò qualcosa di imprevisto
dentro di lui: “Guardala Sixx... guarda la sua pelle chiara...
guarda le sue guance rosee... guarda il suo collo bianco...”. Quel
flusso di pensieri venne bruscamente interrotto dai rintocchi
dell'orologio a pendolo ottocentesco che arrivavano dal corridoio:
“Le tre... l'ora del diavolo. Ma... che cazzo dici Sixx! Tu non
credi in Dio, nemmeno credi nel diavolo, non dire stronzate. Vattene
a letto adesso”; ma lui non ce la faceva ad alzarsi. Il suo
cervello lo spronò nuovamente: “Vattene a dormire, domani sei in
sala”; niente da fare. Più guardava Rea e più sentiva che ne era
attratto; le guardava le labbra, perfettamente sagomate e carnose. Le
desiderava. Le voleva solo per lui. Poi il suo sguardo si spostò sul
collo candido di lei; le mani di Nikki si allungarono e delicatamente
scostarono il piumone scoprendo la ragazza. Il bassista iniziava a
percepire dentro di sé una sensazione che non provava più da un
sacco di tempo: un desiderio irrefrenabile. Il desiderio
irrefrenabile di possedere lei, quella bellissima donna dai capelli
corvini addormentata sul suo letto. “When you feel safe, when
you feel warm, that's when I rise, that's when I crawl”. Rea
nel sonno fu scossa da un leggero brivido; Nikki si mise a cavalcioni
su di lei e si chinò sul suo viso. “Gliding on mist,
hardly a sound, bring the kiss, evils abound”; le
leccò le labbra cercando di non svegliarla, poi premette la sua
bocca contro quella di Rea cercando quasi di toglierle il respiro e,
mentre si staccava, le mordicchiò il labbro inferiore. “In
the dead of night, love bites, love bites... in the dead of night,
love bites”. Nikki ritornò
con la schiena dritta e fissò la ragazza che giaceva addormentata
sotto di lui; voleva farla sua e solo sua, non avrebbe voluto
condividerla con nessuno. “Into your room, where in deep
sleep, there you lie still, to you I creep”.
Si chinò di nuovo, ancor più bramoso di prima e premette le labbra
contro quelle della ragazza, infilando la lingua nella bocca
semiaperta; il respiro di Nikki si faceva sempre più affannato, la
pressione del suo sangue stava crescendo. La baciò di nuovo poi,
disegnando una linea di saliva con la punta della lingua scese verso
il collo di Rea ed iniziò a baciarlo e morderlo. “Then I
descend, close to your lips, across you I bend, you smile as I sip”.
Stava diventando sua, ne era
certo; quando affondava delicatamente i denti nella pelle bianca del
collo sentiva il suo respiro mozzarsi, quasi come se lei nel sonno
stesse amando ciò che lui le stava facendo. Le mani di Nikki scesero
verso il bordo del maglione della ragazza; il bassista si sentì
percuotere da un brivido violento quando, con la punta delle dita,
sfiorò l'ombelico di lei e cercò di insinuarsi all'interno dei suoi
pantaloni. “Now you are mine, in my control, one taste of
your life and I own your soul”. La
ragazza gemette sottovoce nel sonno; il cuore di Nikki stava per
esplodere. Si sentiva come se stesse per rifare sesso per la prima
volta. “Softly you stir, gently you moan, lust's in the
air, wake as I groan... in the dead of night, love bites”.
Iniziò ad aprire i pantaloni di Rea, poi si sbottonò facilmente i
suoi; fin troppo facilmente. C'era qualcosa che non andava; abbassò
gli occhi e vide che il suo membro non era partecipe
dell'avvenimento. “Che diavolo ha sto coso!” pensò il ragazzo
allarmato “Cosa sta succedendo?”; richiuse i pantaloni di Rea e
la ricoprì in un lampo e corse in bagno. Si calò i boxer e guardò
le sue parti basse che parevano soccombere alla forza di gravità;
sempre più in panico, Nikki iniziò a lavorare di polso, ma tutto
quello che riuscì ad ottenere fu una timida erezione. “Oh, no!”
pensò sconfitto e si lasciò cadere pesantemente contro il muro.
*
* *
La
mattina dopo Rea fu svegliata dal telefono che squillava
incessantemente; aprì gli occhi a fatica e si guardò intorno:
“Ma... questa non è camera mia”. Impaurita si mise a sedere e
continuò a far rimbalzare gli occhi da un angolo all'altro della
stanza: “Dannazione, ieri sera mi sono addormentata sul divano e
Nikki deve avermi portata nella sua stanza; però lui non c'è”.
Intanto il telefono non aveva intenzione di smettere di squillare;
Rea si alzò e si diresse verso il salotto: «Nikki, il telefono!»
ma il ragazzo non rispose. “So che non è mio diritto, però
rispondo io” pensò lei esasperata; non vedeva l'ora di sentire un
po' di silenzio. Rispose al telefono e dall'altro capo del filo si
udì un urlo: «Ce ne hai messo di tempo per rispondere!»
«Amy?
Ma... dove hai trovato il numero di Nikki?» chiese Rea rintronata
«L'hai
segnato sull'agenda non te lo ricordi? Comunque, mi hai fatto
preoccupare un sacco, stamattina quando ci siamo alzate non eri da
nessuna parte. Poi, giustamente, Morea mi ha fatto notare che potevi
essere da Nikki e così ho chiamato»
«Grandioso»
sbadigliò la ragazza
«Beh,
ad ogni modo, sappi che per colpa tua oggi Bunny e le altre hanno
dovuto prendere i mezzi per andare in università» la rimproverò
Amy. Rea rimase per un attimo in silenzio: “Colpa mia?”; poi
domandò: «Scusa Amy, ma che ore sono?»
«Sono
le dieci e venti»
«OH,
NO! Che disastro!» si disperò la ragazza «Oggi avevo anche il
seminario sulla Casa Sulla Cascata di Wright, volevo andarci!»
«Ma
sì, non ti preoccupare, una volta ogni tanto saltare una lezione fa
anche bene, ti rilassi un po'. Ad esempio, potresti sfruttare la
giornata per gli acquisti di Natale»
«Ottima
idea!» esclamò Rea; poi si salutarono e riattaccarono. La ragazza
si diresse verso il frigorifero per cercare qualcosa con cui fare
colazione; nel frattempo, anche Nikki era stato svegliato dallo
squillare del telefono. Era ancora in bagno con le braghe abbassate:
“Merda, che mal di schiena”; inarcò la colonna vertebrale ed una
miriade di scricchiolii vibrarono nell'aria. “Che dolore... bravo
deficiente, ottima idea quella di addormentarsi sul pavimento del
bagno. Secondo me hai il culo a strisce, ti sarà rimasto il segno
delle piastrelle sulle chiappe”; iniziava a sentirsi strano. Aveva
bisogno di droga, era dalla sera prima che non si faceva di qualcosa:
“Dove ho messo la coca?” si chiese frugando nell'armadietto delle
medicine fin quando non trovò la bustina con la polverina bianca.
Iniziò a prepararsi la striscia sul bordo del lavandino quando sentì
qualcuno chiamarlo dalla cucina: «Nikki,
ma tu non mangi la mattina?».
“Cazzo, lei è ancora qui, non l'avevo considerato... fai in fretta
ad incipriarti il naso, veloce!”; sentiva i suoi piedi sul
pavimento del corridoio avvicinarsi sempre più. Si preparò una
striscia al volo e “Sniff... ah, molto meglio”; come pensò
quelle cose, Rea bussò alla porta del bagno: «Ehi,
sei lì dentro?».
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: «Sì,
sto per farmi una doccia»
«Allora
ti aspetto così facciamo colazione insieme».
Nikki si levò di dosso i vestiti ed iniziò a lavarsi: “Uuuh,
quanto tempo era che non ti facevi una doccia? Quattro giorni?
Cinque? Beh, poco importa... stamattina è così piacevole sentire
l'acqua calda bagnarti la testa. Ma soprattutto Sixx, cosa offrirai
alla tua ragazza per colazione? Un bicchiere di Jack e un po' di
cocaina? O forse è rimasto qualche biscotto nella dispensa...”.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Quando
è arrivato in cucina con indosso solo l'accappatoio ed i capelli
grondanti d'acqua sono rimasta a bocca aperta; dall'apertura si
vedeva il tatuaggio che ha sul pettorale destro (che sinceramente non
ho mai capito cos'è) ed era incredibilmente sexy. Ammetto di aver
deglutito a fatica. Per un momento l'ho immaginato nudo e mi sono
sentita avvolgere da un fuoco incandescente. Lui mi ha detto: «Scusa,
ma io non faccio colazione quasi mai... ho solo un po' di succo
d'arancia e qualche biscotto. Va bene lo stesso?»; gli ho sorriso e
gli ho detto che era perfetto. Mi sono avvicinata a lui e ci siamo
dati un bacio sulla guancia; non ti nascondo che vorrei baciarlo
sulle labbra ma ho una paura matta di rimanerci male per tutta una
serie di motivi: magari lui non vuole, magari lui fraintende, pensa
che io sono la solita fan sfegatata che vuole scopare con lui solo
perchè è Nikki Sixx quando invece io vorrei baciarlo perchè ho
conosciuto il vero Nikki, quello che c'è sotto la maschera. E Nikki
è una persona meravigliosa; deve solo sistemarsi con la droga
perchè, per il resto, è fantastico. Credo che, però, anche lui
provi qualcosa di molto simile... il fatto è che non ne abbiamo mai
parlato apertamente, dunque prima o poi dovrò cercare di intavolare
questo discorso.
Nikki
poggiò le sue labbra sulla guancia sinistra della ragazza ed il
ricordo del contatto della notte precedente ritornò alla sua mente
più vivido che mai. “Sai che sei in un mare di merda se lei si è
accorta che tu hai cercato di fare sesso con lei stanotte mentre
dormiva? Però se si comporta così, magari, non se n'è resa
conto... forse”; il ragazzo bloccò per un attimo Rea prendendola
per la vita e, guardandola negli occhi, le chiese: «Ma tu stanotte,
verso le tre circa, hai sentito qualcosa?»
«Perchè,
cosa avrei dovuto sentire?» domandò lei. Nell'udire quelle parole
Nikki si sentì infinitamente più leggero: «No perchè è scattato
per un attimo l'allarme dato che qualcuno ha cercato di entrare in
casa». “Scusa un po' traballante Sixx, però lei sembra averci
creduto”; la ragazza sorrise, poi andò a prendere la scatola dei
biscotti: «Oggi credo proprio che andrò a fare un po' di acquisti
di Natale, sono un po' indietro sulla tabella di marcia». “Sì
Sixx, non si è accorta” pensò di nuovo lui: «Forte. Hai già
deciso cosa prendere?»
«Ancora
no, però girando per negozi, di sicuro, qualche idea mi verrà»
sorrise Rea. “Che bel sorriso...” pensò Nikki; si sentiva così
indifeso di fronte a quegli occhi neri dalle venature indaco. Le
disse: «Io vado a vestirmi, tu mangia pure tutto quello che vuoi»;
poi si girò ed andò verso camera sua. “Allora Sixx, facciamo un
po' di ordine mentale... se è possibile (cosa di cui dubito). Lei ti
piace. Tanto. Così tanto che stanotte ti è pure venuta voglia di
fartela; ora, cosa aspetti a baciarla? Ma non un bacino da bambino
delle scuole elementari, un bacio serio, da adulto”; il suo
cervello aveva pienamente ragione. “Il fatto è che tu hai una
paura fottuta di perderla. La verità è che tu sai che se la baci,
di sicuro, lei non si rifiuta perchè vi piacete a vicenda; e magari
non vi fermate al bacio, andate ben oltre. Però, quando sarai in
tour, lei non sarà con te e sarai obbligato (perchè è il cliché)
a farti tutte le groupies che passano dal tuo camerino; ed è
doloroso. Sia per lei ma anche per te... perchè lo so che, in fondo,
vorresti qualcuno con cui condividere le tue giornate”. Vero. Per
questo invidiava T-Bone da morire; “Dovrete parlare di questa cosa
prima o poi... oppure ti inventi qualcosa”. Inventarsi qualcosa?
“Sì caro... ti ricordi che stanotte, prima che tu cercassi di
montarla, ti ho detto Mi è venuta un'idea ma te la dirò più
avanti? Ecco, quando sarà il momento te la dirò”. Nikki si
infilò i pantaloni in pelle ed una delle tante magliette nere che
aveva nel cassetto: “Adesso vado di là e le parlo; devo farlo”.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Ho
finito di bere il succo d'arancia e ho posato il bicchiere nel
lavandino; continuavo a pensare alla strana relazione che c'è fra di
noi. Insomma, è davvero intricata... e c'è bisogno di un
chiarimento. Ho lavato il bicchiere e mi sono detta: “Basta, adesso
prendo il coraggio a due mani e gliene parlo”. Mi sono girata per
andare verso la sua camera con il cuore in gola quando ho visto che
stava entrando in cucina.
«Nikki,
ascolta, vorrei parlarti un attimo» disse Rea cercando di apparire
impassibile
«Rea,
anch'io dovrei chiederti una cosa» ammise Nikki un po' meno deciso
«Dimmi
pure» sospirò Rea pronta ad incassare il colpo; “Adesso mi dice
che la situazione è insostenibile e che è meglio piantarla qui”.
“Mitico
Sixx, tocca a te parlare per primo... stai calmo, parla piano e sii
chiaro...” «Uhm...» esitò il ragazzo per un attimo «ecco...
senti, io... io non so cosa regalarti a Natale, cosa ti piacerebbe
ricevere?». Rea rimase di stucco per la domanda: “Forse non è il
momento di fare un discorso del genere. Tieni conto che è ancora
parecchio incasinato con la droga; prima è meglio togliere di mezzo
l'eroina e poi parlarne a mente lucida” pensò fra sé; poi gli
rispose: «Ma Nikki, non ha importanza. Puoi anche regalarmi una cosa
minuscola che tanto, per me, avrà un valore inestimabile». Nella
testa del bassista partirono gli insulti: “Coglione che non sei
altro, sei un fallimento unico! Possibile che tu non sia riuscito a
dirle nulla? E poi lei che dice quelle parole così... VERE E
DOLCI... guai a te se arrossisci di nuovo!”. Nikki riuscì a non
arrossire ma sulla faccia gli comparve un sorriso da ebete: «Vedrò
che posso fare». Alle undici e mezza i due uscirono insieme di casa,
Nikki diretto verso lo studio di registrazione e Rea verso le sue
“spese pazze”; «Pensi che “Dancing On Glass” piacerà ai
ragazzi?» chiese il bassista
«Vedrai,
farai un figurone con quella canzone!» gli sorrise la ragazza poi
aggiunse: «Fammi sapere come va, ok?»
«Certo,
ti chiamo appena ho un attimo libero»; detto questo, Nikki si chinò
su di lei per baciarla timidamente sulla guancia.
*
* *
Alle
quattro Rea rientrò a casa carica di borse; Amy, che era sul divano
a studiare fisica, nel vedere l'amica, le corse incontro e l'aiutò a
sistemare gli acquisti. «Wow! Ne hai comprata di roba»
«Sì»
sbuffò Rea tirandosi indietro i capelli «praticamente ho preso i
regali per tutti. O quasi»
«Non
dirmi nulla, sai che io sono curiosa!» esclamò l'amica tappandosi
le orecchie
«Tranquilla,
adesso nascondo tutto, così anche le altre non sapranno che ho già
preso il regalo anche a loro» la rassicurò Rea andando in camera
sua a nascondere i pacchetti. Quando ritornò in salotto, si sedette
sul divano di fianco ad Amy e la ragazza dai capelli blu le chiese:
«Cosa hai preso a tuo padre?»
«Una
cravatta, come al solito; sai che lui le colleziona» sospirò Rea;
pensare a suo padre le faceva sempre venire l'amaro in bocca.
Aggiunse: «Ne ho trovata una bellissima: è blu scuro con su
Topolino vestito da apprendista stregone»
«Deve
essere meravigliosa. Poi tuo padre non è patito di Topolino?» disse
Amy cercando di sollevare il morale dell'amica, ma Rea annuì
distaccata. Ogni Natale era sempre la solita storia fra di loro: un
asettico scambio di pacchetti, un ancor più sterile augurio di buon
Natale ed una giornata passata insieme cercando di sopportarsi il più
possibile a vicenda; “Il Natale che ogni figlia sogna di poter
trascorrere con l'unico genitore che le è rimasto”. Scosse la
testa rassegnata. Lo scricchiolare della porta d'ingresso interruppe
il suo flusso di pensieri; erano tornate anche le altre: «Ehi, ciao
Rea!» la salutò Bunny correndo ad abbracciarla
«Com'è
andata da Nikki?» le domandò Morea con un sorrisino velato di
malizia
«Bene»
rispose la ragazza dai capelli corvini che poi aggiunse: «Se ti stai
chiedendo se abbiamo combinato qualcosa insieme, la risposta è no;
però l'ho aiutato a comporre una canzone». Marta le fece la
linguaccia e l'occhiolino: «Quanto ci metterai ancora per far centro
amica mia?»
«Dai!»
le urlò Rea tirandole dietro uno dei cuscini del divano; la tenace
bionda si mise a ridere. Amy riprese la parola: «Quali regali ti
mancano ancora da comprare?»
«Solo
quello di Nikki» rispose la bruna alzando le spalle «il fatto è
che non ho veramente idee. Volevo comprargli qualcosa che possa
aiutarlo a tenersi impegnato con cose differenti dalla droga»
«Io
un'idea ce l'avrei» si intromise Marta mordendosi il labbro
inferiore «un bel marmocchietto»
«MA
LA VUOI FINIRE?» urlò Rea scattando in piedi pronta a saltare
addosso all'amica ma Amy riprese in mano la situazione: «Calma
ragazze! Regalare un bambino è impossibile per almeno tre motivi: il
primo è che lui e Rea non hanno ancora avuto rapporti sessuali, il
secondo è che, anche se li avessero avuti e Rea fosse incinta, per
Natale il bambino non sarebbe ancora pronto e terzo... sinceramente
non ce lo vedo Sixx che si prende cura di un pupo».
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Effettivamente
il pensiero di Nikki che culla un bambino mentre gli dà da mangiare
con il biberon fa ridere; ma fa ancora più ridere il pensiero di
lui, vestito con i suoi pantaloni in pelle e la sua maglietta mezza
ghepardata, che spinge la carrozzina dove il suo bambino dorme. Una
rockstar a passeggio che sponsorizza la miglior marca di passeggini
sul mercato.
Morea
prese la parola: «Un bambino no... però il concetto è quello»
«Infatti
Rea, perchè non gli compri un bel cagnolino?» le fece notare Bunny
«Se vuoi domani pomeriggio vengo con te al canile e ti do una mano a
sceglierlo»
*
* *
Il
pomeriggio successivo le due amiche varcarono la soglia del canile e
furono immediatamente investite da una zaffata di odori sgradevoli:
sporcizia, escrementi e cibo andato a male. Un uomo grassoccio e
pallido le salutò annoiato: «Cosa posso fare per voi?»
«Vorremo
comprare un cane» risposero in coro le ragazze. Il custode si alzò
controvoglia dalla sua sedia e le condusse nella zona delle gabbie:
«Tutti gli animali che abbiamo qui sono vaccinati e curati
regolarmente dai nostri veterinari; dovete solo scegliere quello che
vi piace di più» disse facendo girare l'anello delle chiavi intorno
al dito indice della mano destra. Le due amiche lo seguivano
lentamente soffermandosi a guardare oltre le grate di quelle gabbie
non così grandi; occhi di cuccioli indifesi, abbandonati e bastonati
le fissavano chiedendo loro di portarli via. «Santo cielo Bunny, io
me li porterei a casa tutti. Guarda che occhietti che hanno!»
sussurrò Rea nell'orecchio sinistro dell'amica
«Non
dirlo a me... sono tutti così teneri». L'indecisione tormentò le
due ragazze finchè non si trovarono di fronte ad una delle ultime
gabbie: dentro c'era un bastardino di dimensioni modeste, tutto
bianco ad eccezione delle orecchie che erano nere. Il cagnolino le
guardò e si avvicinò timidamente e con le orecchie basse alle
sbarre per farsi accarezzare; entrambe le ragazze si chinarono e Rea
allungò la mano destra. Come iniziò a coccolare il cane, questo
prese a scondinzolare e a saltellare felice: «Ma che carino sei!»
gli disse la ragazza dai capelli corvini grattandogli la pancia; il
cane pareva che ridesse. In quel momento Bunny richiamò l'attenzione
dell'amica: «Rea, guarda questo pastore tedesco che carino!»; la
ragazza si staccò dal bastardino per andare a vedere l'altro cane.
Come gli diede le spalle, il cucciolo iniziò a piangere
rumorosamente: «Iaiaaaaa! Iaiaaaaa!». Il custode chiese
spazientito: «Allora avete scelto?»; Rea era in difficoltà perchè
le interessavano entrambi gli animali, così si voltò verso Bunny
per chiederle consiglio: «Prendi quello che ti piace di più» le
disse l'amica. “Accidenti, adesso viene il difficile” pensò fra
sé la bruna. Fece correre lo sguardo da una gabbia all'altra,
fissando dapprima il bastardino che la guardava con occhi
supplichevoli e poi il pastore tedesco che pareva quasi indifferente;
alla fine si decise: «Voglio lui» disse indicando il bastardino.
«Evviva!» esultò il cagnolino e, come il custode aprì la
gabbia, l'animale si attaccò ai pantaloni di Rea: «Grazie bimba»
«Spank,
fai il bravo e non rompere troppo le scatole» lo ammonì il custode
«Spank
bravo, Spank felice» sorrise il cane mettendo in mostra due
denti enormi. Rea guardava il cucciolo: lo trovava estremamente
divertente; Bunny la toccò dentro con il gomito e le disse: «Sicura
che possa piacere a Nikki? Non mi sembra il classico cane da rocker»
«Vedrai
invece che gli piacerà» la rassicurò la ragazza «questo cagnolino
mi sembra davvero forte. Hai visto quando lo accarezzavo? Pareva
quasi che ridesse». Bunny guardò il cane allibita, cercando di
vedere le caratteristiche umane che Rea aveva captato in
quell'istante; Spank si girò verso la biondina e le sorrise: «Ciao».
*
* *
Mick
diede l'ultima pennata e poi fermò le corde appoggiandoci sopra la
mano destra aperta fra i due pick up humbucker della
sua Stratocaster: «Figo sto pezzo, mi piace»
«Sì
bro, spacca!» gli fece eco Tommy. Nikki si girò realizzato verso
Vince per raccogliere anche la sua impressione positiva; il cantante
lo guardò con sufficienza: «Sì, non c'è male Sixx». Il bassista
esplose: «Porca puttana Vince, possibile che non ti vada mai bene un
cazzo?»
«Testa
di cazzo» gli rispose a tono il cantante «non ho detto che non va
bene, semplicemente ci vorrebbero degli arrangiamenti in più»
«E
allora parla chiaro! Di' “Voglio qualche ricamo in più” invece
di “Non c'è male”» lo rimproverò Nikki. Vince andò verso di
lui e gli tirò uno spintone: «Bada a come parli, stronzo!»
«Buoni,
cazzo! State fermi!» si intromise T-Bone mettendosi fra i due ed
allontanandoli «Non è il momento di far rissa. Tu bro sbotti un po'
troppo facilmente e tu Vince dovresti imparare ad esprimerti meglio».
La voce di Nikki emerse da dietro le spalle del batterista: «E
comunque, anche io sono cosciente del fatto che mancano alcuni
“fronzoli” necessari all'abbellimento del pezzo. Secondo me una
conclusione con un pianoforte picchiettato e qualcuno che ci canta
sopra sarebbe il massimo»
«E
allora vedi di farlo al più presto!» gli urlò in faccia Vince; poi
prese la sua giacca ed uscì dallo studio dicendo che andava a
mangiare qualcosa. «Va bene, me ne vado in pausa anch'io» disse
Mick sedendosi su una delle tante poltroncine della sala ed iniziando
a tracannare vodka. «Ehi bro, vado a farmi una canna, vieni anche
tu?» lo invitò Tommy
«Vengo
fra dieci minuti, prima devo fare una telefonata» rispose Nikki; il
telefono privato era in una piccola stanza insonorizzata illuminata
da una luce al neon abbagliante. Il bassista entrò, chiuse la porta
dietro di sé e compose a memoria il numero di casa della sua
ragazza.
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Erano
le nove circa quando ho ricevuto la telefonata di Nikki. Le ragazze
stavano giocando tutte con Spank; devo ammettere che il cagnolino è
piaciuto molto a tutte, è troppo simpatico. Nel momento in cui il
telefono ha iniziato a squillare, abbiamo dovuto zittire Spank
riempiendogli la bocca di biscotti (sì, abbiamo scoperto che va
matto per i dolci); non vorrei che Nikki sapesse qual è il suo
regalo di Natale prima del tempo.
“Ma
quando la smetterai di agitarti? Le stai solo telefonando idiota,
devi solo dirle come sono andate le prove, non devi farle una
dichiarazione d'amore a distanza”; eppure Nikki faceva fatica a
deglutire e a respirare, però non era colpa della dose di eroina che
si era fatto nel bagno due ore prima. Era colpa di Rea se si sentiva
tutto un fremito; stava picchiettando nervosamente il tallone del
piede destro contro il muro quando la sua voce gli giunse
all'orecchio: «Pronto?». Ed ecco che lui si sentiva bruciare per
l'ennesima volta: «Ciao Fiamma»
Venerdì
12 dicembre 1986, 10 pm
Quando
mi ha chiamata Fiamma non potevo credere alle mie orecchie; mi si è
fermato il cuore.
«Ciao»
sorrise la ragazza dall'altro capo del filo «allora, come sono
andate le prove?»
«Fra
un paio d'ore finiamo... e “Dancing On Glass” è piaciuta!»
dichiarò il bassista alzando il pugno in segno di vittoria
«Sul
serio?» esclamò la ragazza
«Giuro.
A parte quella puttana di Vince che ha sempre qualcosa da ridire,
però il pezzo è piaciuto anche a lui. Adesso devo solo pensare agli
arrangiamenti, anche se quelli andranno fatti più in là» fece una
pausa «E credo che tu mi servirai»
«Servire
in che senso?» la curiosità di Rea stava iniziando a crescere
«Ti
ricordi quando ieri l'abbiamo improvvisata a casa mia? Ecco, quelle
belle cose che hai fatto con la voce sul finale vorrei inserirle
anche nella versione del disco». Ci furono degli istanti di
silenzio, poi Rea riuscì a dire: «Cioè, tu mi stai dicendo che
dovrò venire con te in studio di registrazione e...»
«Precisamente»
la interruppe il bassista
«Tu
non hai idea di quanto io sia felice! Se questo è il tuo regalo di
Natale, te ne sarò grata finchè campo» gli sussurrò Rea al
culmine della felicità. Nikki disse: «Beh, diciamo che quella è
solo la prima parte del tuo regalo di Natale... a proposito, cosa
facciamo io e te il venticinque?». La ragazza esitò un attimo; il
suo viso si rabbuiò e rispose: «Penso che il giorno di Natale non
potremo vederci perchè viene mio padre a casa mia ed anche i
genitori delle mie amiche festeggeranno insieme a noi. Non so, se
vuoi aggregarti anche tu...»
«Non
preoccuparti» la rassicurò il ragazzo «possiamo fare il giorno
dopo. È giusto passare il giorno di Natale in famiglia. Ci vedremo
il ventisei»
«Anche
tu starai con i tuoi il giorno di Natale?» chiese timidamente Rea;
Nikki rispose con un sospiro: «Questo proprio non lo so». I due si
salutarono e Nikki raggiunse Tommy sul piccolo terrazzo della sala
prove; quella sera l'aria non era troppo forte e tagliente e le luci
delle macchine in corsa sulla freeway sembravano addobbi di un
enorme albero di Natale che si accendevano ad intermittenza. T-Bone
diete una boccata alla canna: «Certo che è una figata. È dicembre
e ci sono dodici gradi... pensa se abitavamo a Oslo, bro. Meno venti
gradi costanti in inverno» fece una risatina «mi sarebbe scappata
la voglia di uscire a fumare». Tommy allungò la canna verso
l'amico; Nikki la prese, tirò una boccata e la restituì. Si mise le
mani nelle tasche dei pantaloni e si diresse verso la ringhiera del
terrazzo dove si appoggiò con i gomiti e si mise un pugno sotto il
mento; guardava nel vuoto, fissava la freeway, seguiva le auto che si
rincorrevano sui lunghi viali ai suoi piedi. Cercava di concentrarsi
su altro, perchè, se fosse stato per la sua mente, il suo pensiero
sarebbe volato all'incidente della notte precedente e lui non voleva
pensarci in alcun modo. Tommy spense il mozzicone e si avvicinò
all'amico: «Che hai Nikki? Sei troppo zitto stasera»
«Bah,
Tommy... sono come al solito» rispose il ragazzo voltandosi a
guardare in faccia l'amico. Il batterista, chiaramente, quella scusa
non l'aveva bevuta: «Tu non me la racconti giusta, bro. Sei rimasto
male per quello che ti ha detto Vince?»
«Ma
quella checca acida può anche andare a farsi fottere... tanto gli
piace» rispose indifferente Nikki
«Se
non è Vince, allora è Rea» incalzò l'amico. Il bassista abbassò
lo sguardo ed iniziò a raccontare: «T-Bone... stanotte ho cercato
di farci sesso»
«E
com'è andata?» domandò Tommy curioso; Nikki fece spallucce: «Beh,
diciamo che... non è andata. Ma non per colpa sua... T-Bone, ho
combinato un casino» e si mise le mani nei capelli. Si voltò dando
le spalle alla ringhiera ed al panorama ed incrociò le braccia al
petto; Tommy seguì i suoi movimenti con attenzione rimanendo in
silenzio. Il bassista continuò: «Per fartela breve: lei si è
addormentata sul mio divano, l'ho portata nella stanza degli ospiti e
lì, in quel frangente... mi è venuta voglia di possederla»
«Ma
bro, scusa, lei stava dormendo?» chiese confuso il batterista. Nikki
annuì in silenzio. Tommy lo riprese: «Ma queste cazzate non si
fanno! E se lei si fosse svegliata ed avesse scoperto che tu eri su
di lei? Sai che quello sarebbe stato uno stupro?»
«Lo
so» rispose Nikki portandosi le mani al viso «il fatto è che non
ho saputo resistere. Insomma, io vorrei farla mia... mi piace T-Bone,
mi piace un mondo quella ragazza»
«Ho
capito che ti piace bro, ma ciò non toglie che tu non debba fare
stronzate. Anche perchè ti è andata bene che lei non si accorta,
sennò addio Rea e chi la vede più? Altrochè poi “T-Bone,
andiamo in università da lei che le devo parlare”»
«Va
bene T-Bone, ho capito di aver fatto la cagata» rispose Nikki
«comunque c'è un altro problema. Ed è mio»; il ragazzo abbassò
lo sguardo verso le sue parti basse seguito da Tommy. Seguirono
istanti di puro imbarazzo dopo i quali il batterista riuscì a dire:
«Non si è alzato? Quindi non hai fatto nulla?»; il ragazzo scosse
la testa: «Secondo te com'è successo? Insomma, mi sento menomato;
io volevo farlo con lei e questo coso...»
«Bro,
sai perchè non ti si è alzato? Sei troppo sotto ultimamente» gli
disse Tommy mettendogli una mano sulla spalla.
NOTE:
Nella
prima parte del capitolo le frasi in corsivo sono i versi della
canzone “Love Bites” dei Judas Priest.
Spank:
il cagnolino della serie “Hello Spank”; l'ho scelto perchè
Nikki, in quel periodo, aveva un cane che aveva chiamato Whisky. Ho
pensato di sostituirlo con Spank per cercare di dare un risvolto un
po' più “leggero” a questa storia così intrisa di droga e
dispiaceri.
Pick
up: componente della chitarra elettrica o del basso elettrico; serve
per trasformare le vibrazioni delle corde in impulsi elettrici.
Essendo in ambito musicale, stiamo parlando di pick up magnetici.
Generalmente posizionati sulla cassa dello strumento, sono di forma
rettangolare e possono essere di due tipi: single coil oppure
humbucker.
Humbucker:
pick up in cui i fili di rame sono avvolti attorno a due bobine
invece che intorno ad una sola come accade con il single coil;
produce un ronzio minore rispetto al single coil. Questo tipo di pick
up è largamente utilizzato dalla casa produttrice Gibson.
Stratocaster:
modello di chitarra della Fender.
Freeway:
autostrada.
Rieccomi
con un capitolo a dir poco perfido. Abbiamo un Nikki “menomato” e
confuso che cerca di confessare i suoi sentimenti ma combina un
casino; ed anche Rea è più o meno sulla stessa lunghezza d'onda
perchè non riesce ad esternare ciò che prova. In più, si sta
avvicinando anche il Natale e si prevede una festa non proprio
“felice” sia per lui che per lei; però avete visto che è
comparso uno special guest, il mio adorato Spank, che porterà un po'
di comicità per i capitoli a venire. Ho anche cercato di fare un
piccolo spaccato sulla vita della sala prove mettendo in luce i
rapporti conflittuali che c'erano ai tempi fra i membri del gruppo.
Spero che questo capitolo non troppo movimentato vi sia piaciuto; se
per caso non fosse di vostro gradimento non esitate a dirmelo, sapete
che le vostre recensioni, per me, sono molto importanti. Un grazie di
proporzioni enormi va a Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan,
alemagica88, Alison_95, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars
from the stars, marziolina86, Deep Submerge85, Moon 91,
pianistadellaluna, RocketQueen_, Sailor Crystal e Cri cri; grazie
anche a tutti quelli che leggono e non recensiscono ed, infine,
grazie anche al mio ragazzo per il supporto che mi sta dando :)
A
presto, Ellie
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Capitolo 13 *** Xmas In Hell ***
13 Xmas In Hell
Quella
mattina la sveglia suonò per tutte alle sette e mezza; Morea scattò
in piedi, atletica come sempre, e corse giù a preparare una veloce
colazione. Marta e Bunny aprirono gli occhi nel medesimo istante,
uscirono dalle loro stanze che erano vicine, si fissarono l'una negli
occhi blu dell'altra e si urlarono «Buon Natale!» a vicenda; Amy si
mise seduta sul suo lettino, si stiracchiò e poi uscì in corridoio
andando ad abbracciare le sue amiche bionde. L'unica che non esultò
al trillo della sveglia fu Rea: “Oh no... non posso darmi malata?
Solo per oggi” pensò fra sé. Non aveva voglia di festeggiare,
soprattutto non aveva voglia di vedere suo padre; quella era la festa
che odiava più di tutte perchè già sapeva che, all'interno di
quella grande casa, sarebbe stata la sola persona che non avrebbe
percepito alcun legame con l'unico genitore che le era rimasto. Si
tirò su le coperte fino a scomparire completamente sotto il piumone:
“Come vorrei avere quaranta di febbre in questo momento... ma non
posso farla in barba ad Amy, lei si accorgerebbe subito che sto
fingendo”. Infatti, due secondi dopo che fece questo pensiero, la
porta si aprì e la ragazza dai capelli blu si sedette dolcemente sul
suo letto scostando il piumone: «Buon Natale Fiamma» le disse con
un sorriso
«Buon
Natale a te tesoro» rispose Rea girandosi lentamente verso l'amica;
Amy, intuendo il malessere della ragazza, le posò una mano sulla
fronte, poi le prese il polso e fissò per qualche secondo l'orologio
appeso alla parete. Le lasciò la mano sinistra sulle coperte e le
disse: «Mi spiace, ma anche quest'anno non hai febbre ed i tuoi
valori vitali sono nella norma»
«Magnifico»
disse sarcasticamente la ragazza dai capelli corvini
«Ma scusa,
non buttarti giù così!» la incoraggiò Bunny che era entrata nella
stanza saltellando «Ci siamo qui noi, non sei sola con tuo padre»
«Infatti,
non sei costretta a parlarci per forza» le disse Marta facendole
l'occhiolino da dietro la spalla destra di Bunny. Rea sorrise
commossa; era davvero fortunata ad avere delle amiche così speciali
con le quali aveva un legame più indissolubile dell'acciaio. Si alzò
e le strinse tutte in un grande abbraccio: «Buon Natale amiche mie,
siete voi il più bel regalo che possa desiderare»; tutte si
strinsero a vicenda e si baciarono le guance finchè Morea non urlò
dalla cucina: «Ragazze, correte! Spank ha di nuovo mangiato quasi
tutti i biscotti!». Le quattro amiche si precipitarono giù per le
scale e, appena entrarono in cucina, trovarono Morea che puntava un
dito contro il cagnolino che aveva ancora tutta la bocca sporca di
briciole: «Quelli non erano per te, ingordo che non sei altro!» ma
il cane non le prestò attenzione; come vide le altre quattro
materializzarsi sulla soglia del locale corse loro incontro
saltellando: «Bau, bau! Auguri, auguri!».
Scoppiarono tutte a ridere, poi fecero a turno gli auguri alla cuoca
di casa che era già all'opera, intenta a finire di preparare le cose
per il pranzo; Rea, intanto che sorseggiava la sua tazza di latte,
guardava Spank seduto vicino al forno che faceva il filo alle tartine
di pasta sfoglia ripiene: “Non si può essere tristi con in casa un
cane simile; mi dispiacerà un sacco portarlo da Nikki domani, in
questi giorni con le sue burle ci ha fatte divertire un mondo. Però,
sono convinta, che al mio ragazzo farà bene avere quella pallina di
pelo che gli scorrazza in giro per la villa; è una miniera di buon
umore. Spero tanto che lo aiuti con il suo problema”. Mentre
pensava quelle cose, il bastardino si girò verso la ragazza, le
sorrise e poi le corse incontro per farsi accarezzare: «Vieni con me
di sopra che mi dici come vestirmi?» gli disse Rea divertita
«Sì»
le fece segno Spank
«Così
la smetti di mangiare con gli occhi quello che c'è nel forno» gli
disse la ragazza facendogli la linguaccia
«Uffa»
il cagnolino mise il broncio. Morea guardava divertita la scena:
«Dai, Spank, non abbatterti! Se fai il bravo a pranzo ti do cinque
tartine solo per te»
«Sì,
sì! Pappa, pappa!» iniziò a scodinzolare il cucciolo; poi
seguì Rea che stava iniziando a salire le scale per andare a
prepararsi.
*
* *
I
primi ad arrivare furono i genitori di Bunny: entrarono con le borse
stracolme di regali e baciarono a turno tutte le ragazze. Erano una
coppia straordinaria, sempre in perfetta simbiosi. Bunny corse
incontro alla madre e l'abbracciò forte, poi ricoprì le guance del
padre di baci: «Vedi tesoro mio, tu dici che Marzio è l'amore della
tua vita ma, di' la verità: non lo baci con tutto questo impeto
quando lo vedi. In fondo, IO sono l'amore della tua vita» scherzò
il signor Adams facendo diventare la figlia rossa come gli
addobbi dell'albero di Natale. La signora Adams, nel frattempo, era
andata a posare i regali che aveva portato: «Ho preso qualcosa per
tutte voi»; tutte le ragazze la ringraziarono in coro, poi la donna
si avvicinò a Rea, le accarezzò il viso e le disse: «Sei una cara
ragazza, Rea. Sei sempre così carina con Bunny». La ragazza dai
capelli corvini ammirava Janet Adams: era sempre di una dolcezza
infinita con lei e si era dimostrata disponibile in qualsiasi
momento, perfino quando il nonno era in punto di morte; “Lei è la
madre che non ho mai avuto” pensò fra sé Rea con gli occhi
lucidi. Poco dopo giunsero anche i genitori di Amy: i signori
Theodore Anderson e Catherine Smith. La figlia saltò in braccio al
padre che faceva il pittore e poi diede un bacio alla madre medico;
nonostante fossero una coppia separata, erano comunque in buoni
rapporti e questo rallegrava tantissimo Amy che era attaccatissima ad
entrambi. I due augurarono buon Natale a tutti, poi il padre del
futuro medico andò a stringere Rea: «Auguri tesoro! Allora, come va
all'università?»
«Molto
bene, grazie» gli sorrise la ragazza
«Amy
mi ha detto che hai appena fatto un ritratto, sarei molto curioso di
vederlo! Sai, con ogni dipinto che realizzi migliori sempre di più»
le disse l'uomo poggiandole una mano sulla spalla
«Purtroppo
quel quadro non è più in casa perchè era un regalo, però Marta
gli ha fatto una foto, se vuole dopo gliela faccio vedere» gli disse
Rea piena di stima. Quell'uomo, al contrario di suo padre, si
interessava per quello che stava facendo all'università e non
perdeva occasione di lodarla; il papà di Amy era stato quello che,
più di tutti, l'aveva spinta a continuare a coltivare la sua
passione per la pittura. Circa dieci minuti dopo arrivarono insieme
la madre di Morea ed i genitori di Marta; la signora Leslie Fisher
faceva la cuoca su una nave da crociera ed erano veramente poche le
occasioni in cui poteva incontrarsi con la figlia. Morea corse ad
abbracciare la madre baciandole le guance paffute; la signora Fisher
strinse la figlia a sé e le disse: «Tesoro mio, sono curiosa di
vedere cos'hai preparato e se dovrò leccarmi i baffi come ogni anno»
«Ma
io non sarò mai brava come te mamma» le rispose la figlia cercando
di non toccarle i vestiti con le mani sporche di farina. Nel
frattempo il signore e la signora Murray coccolavano la loro figlia e
facevano gli auguri di Natale a tutti quelli che c'erano nel salotto;
«Ragazze, io e mio marito Philip abbiamo pensato bene di fare un
regalino a tutte voi; ho sistemato i pacchettini sotto l'albero, dopo
pranzo apriamo tutto» disse Nicole Murray con un sorriso identico a
quello della figlia Marta. Nella casa aleggiava l'allegria e dalla
cucina arrivavano dei profumi veramente invitanti; tutti sorridevano
e perfino Spank era partecipe di quell'atmosfera gioiosa. Il timer
del forno scattò: «Sono pronte le lasagne» disse Morea
«Oh,
che bello!» esultò Leslie «Tutti a tavola che si mangia!»; ma Rea
fu costretta ad interrompere quell'idillio natalizio: «Aspettate...
aspettate ancora dieci minuti. Mio padre arriverà a momenti». Disse
quella frase con voce grave e gli occhi bassi, quasi come se si
vergognasse del fatto che l'unico genitore che le era rimasto era in
ritardo, come tutti gli anni; “Se sta cercando di farsi odiare, ci
sta riuscendo benissimo” pensò fra sé la ragazza. Dopo cinque
minuti di attesa, finalmente, suonarono il campanello; nell'udire
quel trillo stridulo, Rea si portò una mano al petto. Iniziava a
sentire che le mancava l'aria ed i respiri che faceva erano sempre
più piccoli ed accompagnati da sibili spaventosi; Amy si rese subito
conto che l'amica era in difficoltà, quindi la portò in bagno
facendosi aiutare da sua madre. Intuendo la criticità della
situazione, Marta andò ad aprire la porta e si trovò davanti il
padre della sua amica vestito con un completo gessato e gli occhiali
da sole. Quell'uomo non piaceva a nessuno, né alle ragazze, né ai
genitori; si era sempre dimostrato fin troppo altezzoso e scorbutico
in tutte le occasioni che avevano trascorso insieme. “Non è
esattamente quello che si può definire come un tipo affabile”
pensò fra sé la bionda “però è Natale, cerchiamo di essere
buoni”; sfornò uno dei suoi migliori finti sorrisi e lo salutò
con enfasi: «Buon Natale signor Dickinson!»
«Auguri»
rispose lui in modo sterile varcando la soglia e lasciando la ragazza
attaccata alla maniglia della porta.
Giovedì
25 dicembre 1986, 11 pm
Pensavo
di resistere quest'anno, pensavo di essere più motivata a non farmi
schiacciare da lui... invece, come sempre, sono finita in bagno con
Amy e sua madre. La mia amica cercava di tranquillizzarmi a parole,
dicendomi che non ero sola, mentre la dottoressa Smith mi ha
somministrato il Lexotan; come ho deglutito quella medicina
dolciastra mi sono sentita meglio. Certo, non potevo dire che ero
pronta ad affrontare un esercito, ma mi sentivo leggermente più
serena; sono uscita dal bagno tenendo Amy per mano cercando di
barcollare il meno possibile.
Il
signor Dickinson era dritto davanti a lei, alto come un grattacielo;
Rea si sforzava di respirare nel modo più regolare possibile, non
voleva fargli notare che aveva paura di lui. Lasciò la mano di Amy e
si avvicinò al padre per abbracciarlo, come faceva tutti gli anni;
ma, come sempre, Steven Dickinson bloccò la figlia per le spalle:
«Dove diavolo eri?» le chiese con tono di rimprovero. La ragazza
esitò un attimo e poi rispose con un sorriso appena abbozzato: «In
bagno, mi stavo mettendo il profumo»; lo guardò, in quegli occhi
d'ebano come i suoi, profondi come un buco nero, cercando di scorgere
un piccolo barlume di luce senza trovarlo. Sentì una stretta allo
stomaco, ma si sforzò comunque di contagiarlo con un po' di
felicità: «Buon Natale papà»; aveva gli occhi lucidi ed il nodo
alla gola. Lui rimase in silenzio, continuando a stringerle malamente
le spalle; sul suo volto si disegnò un espressione di disgusto mista
a rassegnazione. Voleva dirle qualcosa ma tenne la bocca chiusa. In
un lampo la lasciò malamente ed andò a sedersi a capotavola dicendo
in tono dittatoriale: «Beh, cosa stiamo aspettando? Mangiamo o no?»
«Era
quello che stavo per dire» gli fece eco la madre di Morea con tono
giocoso cercando di risollevare la situazione «ci sono delle lasagne
favolose che ha appena finito di far cuocere mia figlia. Sono curiosa
di vedere come sono venute». Rea si avviò con la cuoca di casa
verso la cucina, non prima di aver sentito suo padre dirle alle
spalle: «Bella la vita, eh Rea? Basta sbolognare i propri doveri
alle altre persone che si vive meglio. Quando imparerai ad essere
autonoma?»; quelle parole le arrivarono dritte in viso come una
martellata sulle gengive. Morea la prese per mano e le sussurrò:
«Dai Fiamma, non fare caso a quello che dice... sai che io adoro
cucinare e lo faccio volentieri. Non ascoltarlo». Le due ragazze
furono raggiunte da Bunny, Amy e Marta ed insieme portarono a tavola
tutti i piatti da portata; mentre Morea serviva le lasagne, Rea
versava il vino nei calici. Si sedettero tutte e la madre di Bunny
alzò il suo bicchiere: «Un brindisi a tutti noi ed alle nostre
splendide figlie, buon Natale a tutti!»; Rea si sentì sollevata
nell'udire quelle parole e fece tintinnare il suo calice contro
quelli degli altri. L'unico che non ricambiò il brindisi con nessuno
fu suo padre che si scolò tutto d'un fiato il vino rosso. Per tutta
la durata del pranzo Steven Dickinson non aprì bocca se non per
mangiare, Rea invece cercava di essere partecipe il più possibile
delle conversazioni che il padre di Amy intavolava; ogni tanto dava
un'occhiata al posto dov'era seduto suo padre e pensava: “Perchè
deve essere sempre così indisponente? Insomma, non ne ha il
motivo... come vorrei che Nikki fosse qui a tenermi compagnia”.
Cercava di sorridere, provava a ridere insieme agli altri ma il fatto
che suo padre non volesse prendere parte alla festa le faceva male;
gli occhi le si riempivano di lacrime e l'unico modo per riassorbirle
era guardare Spank seduto davanti alla sua ciotola che ingurgitava
tutto quello che Morea gli metteva dentro. Il cagnolino si tuffava a
capofitto nel contenitore con tutto il muso e, quando si alzava,
aveva sempre il pelo bianco sporco di quello che aveva appena finito
di mangiare; Rea lo guardava sorridendo portandosi una mano alla
bocca ed il bastardino ricambiava quello sguardo amichevole
leccandosi i baffi: «Buona pappa».
«Allora,
chi vuole la torta?» domandò Morea con un sorriso dopo aver finito
di mangiare il contorno; tutti si voltarono a guardarla strabuzzando
gli occhi e mettendosi una mano sullo stomaco ed il padre di Marta
parlò per tutti: «Per l'amor di dio! Sono pieno!». La ragazza si
portò una mano alla bocca scoppiando a ridere: «Va bene, vi do il
tempo di digerire... però sappiate che il dolce è di là, quindi,
quando volete mangiarlo, non dovete fare altro che chiedere». Spank
si avvicinò alla bella mora e le tirò una gamba dei pantaloni:
«Bimba, io torta»
«No,
tu niente torta, hai già mangiato come un maialino. Poi ingrassi
troppo e diventi una palla e per spostarti dovremo prenderti a calci»
gli disse Morea scuotendo la testa. Il cagnolino abbassò le orecchie
triste destando le risate di tutte le persone sedute al tavolo,
eccetto il padre di Rea che disse con tono perentorio: «Mi auguro
che voi ragazze non vorrete tenere quella bestia in casa a lungo».
Spank, sentendosi chiamare così, si voltò e fissò con sguardo di
sfida il signor Dickinson: «Vuoi botte eh?»; Rea intervenne
per cercare di risollevare la situazione: «No papà, non
preoccuparti... quello è un regalo per...»
Giovedì
25 dicembre 1986, 11 pm
Non
potevo dirgli che sto uscendo con un musicista, mi avrebbe sfondato
la faccia a pugni; già era infastidito per i fatti suoi, ci mancava
solo che io gli dicessi “Papà, mi sto vedendo con un rocker,
drogato fra l'altro”. Per fortuna che Marta è venuta in mio aiuto.
«Mamma,
quello è il mio regalo di Natale per Seiya» intervenne prontamente
la bionda guardando i genitori con occhi estasiati
«Che
pensiero carino, tesoro!» le disse il signor Murray accarezzandole i
folti capelli biondi legati con un fiocco blu che ben si abbinava al
vestito che indossava.
«E
a proposito di regali, che ne dite di aprire i vostri?» intervenne
la signora Adams indicando i pacchetti ammucchiati sotto l'albero di
Natale
«Evviva!»
esclamò Bunny destando le risa di tutti
«Amore
mio, quando si tratta di aprire i regali sei peggio di una bambina»
disse il signor Adams portandosi una mano alla fronte e scuotendo il
capo. Le ragazze si avvicinarono all'albero, si inginocchiarono ed
iniziarono a scartare ognuna i propri regali; Rea ricevette dalle sue
amiche degli stivali nuovi, dai genitori di Bunny una lampada a forma
di stella rossa, i genitori di Amy le regalarono un nuovo set di
pennelli per i colori ad olio, la madre di Morea le donò un libro
sugli impressionisti ed i signori Murray le diedero un nuovo vestito
confezionato su misura per lei. La ragazza abbracciò tutti e li
ringraziò dal profondo del cuore; la madre di Bunny, dopo aver
ricambiato il suo abbraccio, le chiese: «Cosa ti ha regalato tuo
padre?». Rea arrossì, abbassò lo sguardo e poi iniziò a
balbettare: «Lui mi paga le spese della casa... tutto l'anno. Quindi
è... è giusto che non mi regali nulla; insomma, con tutto quello
che spende...»; Theodore Anderson la interruppe: «Beh, non mi
sembra una buona motivazione per non regalarti nulla» e poi si girò
a fissare il padre della ragazza «o no, Dickinson?». Steven rimase
impassibile, si accese una sigaretta e poi disse: «Ognuno fa ciò
che ritiene più giusto, no? Piuttosto Rea, hai qualcosa da darmi?».
La ragazza si sentì percorrere la schiena da un brivido, poi prese
il pacchetto con la carta blu metallizzata da sotto l'albero e lo
porse al padre con un sorriso appena abbozzato; calò il silenzio nel
salotto, gli occhi di tutti erano puntati su Steven Dickinson che
apriva il suo regalo senza lasciar trasparire il minimo entusiasmo.
Gettò la carta a terra e si rigirò fra le mani la cravatta di
Topolino. «Ti piace?» chiese la figlia dopo lunghi attimi
d'esitazione con voce flebile; il padre alzò gli occhi colmi di
disprezzo e gettò il dono a terra: «Un'altra cravatta? Dovresti
avere un po' più di fantasia quando mi fai un regalo!». Rea si
sentì completamente spiazzata; cercò di difendersi: «Pensavo ti
avrebbe fatto piacere... so che le collezioni»
«Lo
so anch'io che faccio la collezione! Ciò non implica che sia sempre
un piacere riceverne» tuonò Steven alzandosi in piedi e puntandole
l'indice contro. La ragazza si sentiva sempre più piccola di fronte
a quel monumento d'ira che le si avvicinava sempre di più con fare
minaccioso; era incapace di fare qualsiasi cosa, perfino di
ribattere. Il padre continuò: «Tu sei esattamente come tuo nonno,
prendi iniziativa senza chiedere niente a nessuno e poi finisci col
fare cagate!»
«Papà,
io...» due lacrime le rigarono le guance colorate con una leggera
pennellata di fard magenta; quelle parole erano state violente come
un coltello lanciato contro un bersaglio. Nell'aria si udì uno
schiocco sordo: la mano destra di Steven si appoggiò violentemente
sulla guancia sinistra della figlia; «Non ribattere, non ne hai il
diritto! Specie da quando hai deciso di cambiare il cognome... tu non
sei nemmeno più mia figlia». Un altro schiaffo, più violento del
precedente, e Rea finì a terra sul tappeto; Bunny ed Amy si
affrettarono a tirarla su mentre il resto degli invitati guardava la
scena pietrificato. Steven continuò a sparare a zero insulti: «Hai
voluto prendere lo stesso cognome di mio padre, quello che lui ha
deciso di adottare dopo la seconda guerra mondiale; come hai potuto
tradirmi, stronza!»
Giovedì
25 dicembre 1986, 11 pm
Aveva
superato ogni limite ed io non avevo più intenzione di tenere la
bocca chiusa. Se la regola fondamentale all'interno di una famiglia è
che ci sia rispetto fra genitori e figli... beh, mio padre l'ha
violata anche fin troppo oggi; sono stanca di continuare a mandar giù
rospi in continuazione.
Rea
strinse i denti sentendo le lacrime scivolarle lungo le guance calde
per l'impatto con le mani del padre e come un drago gli sputò
addosso tutto il fuoco che aveva in corpo: «Invece lo stronzo qui
sei tu, sei l'unico che non si è mai preso cura di me! Fin da quando
ero piccolina non hai fatto altro che lasciarmi con il nonno...
certo, il nonno era sensazionale, ma io ho sempre sperato che tu
tornassi prima o poi; era già abbastanza doloroso non avere la
mamma, figuriamoci non avere il papà sapendo però che non era
morto. Ecco perchè anch'io ho cambiato cognome... perchè ormai con
te non ho più nulla da spartire! Non voglio essere Rea Dickinson e
fare finta di essere tua figlia, voglio solo essere Rea Hino e
ricordare così il nonno... tuo padre». Si alzò di scatto e corse
su per le scale piangendo; Spank, percependo il malessere della
ragazza, le corse dietro. Tutti gli invitati rimasero in silenzio a
guardare Steven Dickinson che prendeva a calci la cravatta che aveva
gettato a terra; fu Theodore Anderson a rompere la quiete: «Fossi in
te uscirei da questa casa e non mi farei più vedere» gli disse
facendosi scoccare le falangi. Stewart Adams aggiunse: «Già,
concordo... altrimenti ti cacciamo fuori noi»; il signor Dickinson
non si fece pregare ulteriormente, prese la sua giacca ed uscì senza
salutare nessuno.
Giovedì
25 dicembre 1986, 11 pm
Mi sono
rintanata nella mia stanza. Ho chiuso la porta violentemente e poi mi
sono lasciata scivolare contro la parete adiacente sentendo le
lacrime che mi scorrevano nei solchi bollenti lasciati dalle mani di
mio padre; o meglio, di quell'uomo che biologicamente lo è ma che
umanamente non hai mai svolto quella professione. Non riuscivo a
piangere in silenzio, sentivo troppo male in me per poter tacere;
nemmeno sono stata capace di frenare i singhiozzi che uscivano senza
sosta dalle mie labbra. Mi sono coperta la bocca con le mani per
sopprimerli ma senza successo. Le immagini viste da quelle lenti
bagnate di lacrime erano offuscate, confuse e sovrapposte, macchiate
di mascara nero che colava come colore non asciutto dai bordi di una
tela ancora in verticale sul cavalletto e cadevano senza sosta
sull'orlo del vestito rosso. In preda alla rabbia ho tirato un pugno
allo stipite della porta ma il dolore dell'impatto non è servito a
farmi dimenticare quello che mi stava consumando dall'interno. “Last
Christmas, I gave you my heart, but the very next day, you gave it
away, this year, to save me from tears, I'll give it to someone
special”. George Michael cantava nella mia testa quelle parole come
faceva ormai da due anni il giorno di Natale; tutti gli anni me l'ero
ripromesso e fino a quel momento non avevo mantenuto. Tutti i Natale
precedenti avevo pensato che avrei definitivamente chiuso con mio
padre, ma quella cieca speranza di potermi riagganciare a lui mi
aveva fatto dimenticare quel proposito; peccato che ogni volta ne
rimanevo irrimediabilmente ustionata. Ma ho deciso fermamente adesso:
d'ora in poi basta, dopo tutto quello che mi ha detto io mi sono
stancata; non è stato capace di vedere tutto l'affetto che io gli ho
sempre dimostrato gratuitamente. Non ho più intenzione di parlarci e
di vederlo. Ancora singhiozzando ho preso lo Zippo e l'ho acceso:
«Amore mio, ma non puoi piangere anche durante il giorno di Natale!
Cos'è successo?» ha detto il nonno con un'espressione triste mentre
guardava il mascara disegnarmi delle righe nere sugli zigomi. Mi sono
passata il dorso della mano sinistra sul viso sbavando tutto il
trucco e facendomi diventare la parte superiore delle guance scura;
lui si è messo a ridere: «Mi sembri Nikki con la faccia così».
Gli ho sorriso; solo lui riesce a farmi sorridere in una situazione
simile. Gli ho raccontato la bella figura che ha fatto suo figlio
durante e dopo il pranzo e lui, dopo avermi ascoltata, mi ha detto:
«Non sentirti più vincolata a lui in alcun modo. Se hai bisogno di
consiglio chiedi a me ed alle tue amiche ma non a lui; perchè non sa
chi sei, non ti conosce. Non sa come sei fatta»
«Nonno,
ha insultato anche te» gli ho detto io tirando su con il naso. Lui è
stato per un attimo in silenzio, poi ha risposto: «Non c'è mai
stato un buon rapporto fra di noi. Da quando poi ho cambiato cognome,
lui dice che l'ho ripudiato e rifiutato. Ma secondo me il cognome non
è nulla perchè ho sempre cercato di stare vicino a tuo padre;
sicuramente anch'io avrò fatto i miei sbagli, i figli non nascono
con il libretto delle istruzioni. Ma mai l'ho trascurato come lui ha
fatto con te. Formalmente siamo dei Dickinson tutti e tre, cara Rea,
ma se io e te ci chiamiamo Hino adesso, significa che fra me e te c'è
un rapporto privilegiato; sii ciò che vuoi essere, Fuoco mio. Fallo
per te e fallo anche per il tuo nonnino». Mi fece l'occhiolino e la
linguaccia. Avrei voluto abbracciarlo... il mio nonnino. Come ho
spento l'accendino, la porta della camera si è aperta lentamente e
Spank ha fatto capolino; mi ha guardata con quegli occhietti tutti
speciali e mi si è avvicinato. Pensavo volesse le coccole, invece mi
ha allungato un fazzolettino per asciugarmi il viso: «To' iaia, non
piangere»; quel gesto così normale fatto da un cane mi ha fatta
sorridere. L'ho preso fra le mie braccia e l'ho stretto forte:
«Caiiiiiiiiiii»
«Vedrai,
piacerai un sacco a Nikki... sei come un bimbo, Spank». Ho finito di
asciugarmi le lacrime, poi abbiamo preso la scatola di Monopoli e
siamo scesi al piano di sotto; tutti hanno sorriso di sollievo quando
mi hanno vista ritornare: «Vi va di giocare a Monopoli? Squadre
miste... e Spank fa il banchiere».
* * *
Nikki
era come ipnotizzato mentre guardava ribollire l'eroina nel cucchiaio
riscaldata dalla fiamma dell'accendino. Aspirò con lo stantuffo il
liquido a metà fra il giallo ed il marrone e se lo iniettò in una
delle poche vene del braccio sinistro che ancora non avevano
collassato; in pochi secondi sentì un gran sollievo pervadergli le
membra e si accasciò con gli occhi ancora aperti ai piedi
dell'albero di Natale. Fissava il cucchiaio su cui aveva appoggiato
l'ago della siringa che aveva appena usato; il suo stesso sangue
gocciolava ad intervalli regolari da quel finissimo pezzetto di
metallo non più sterile e stava lentamente coagulandosi. “Guardati
Sixx... quella è la fine che farai: ti asciugherai sempre di più
con l'avanzare dei giorni finchè...”
«ZITTO!»
gridò Nikki per far tacere le voci nella sua testa. Sapeva dove
volevano andare a parare, ma non voleva sentirselo dire in quella
circostanza; non il giorno di Natale. Teoricamente è il giorno in
cui si è felici per forza, in cui si è in compagnia delle persone a
cui si tiene di più... ed invece lui era rimasto dannatamente solo
tutto il tempo. Ripensava al suo risveglio, solo nel letto
matrimoniale della sua stanza, alla giornata trascorsa a guardare
MTV, alla cena che aveva appena finito di consumare, ma non al tavolo
di casa sua; si era sforzato di uscire, si era costretto a farlo
dicendosi: “Vedrai, un po' d'aria natalizia ti farà bene”. Alla
fine, dopo tanto girovagare a vuoto a cavallo della sua Harley, era
finito in un McDonald's a mangiare delle schifezze preconfezionate
seduto ad un tavolino completamente solo; in un'altra occasione, quel
cheese burger sarebbe stato succulento, ma in quel frangente era
vomitevole. La solitudine che gli pervadeva l'anima rendeva tutto
quello che lo circondava una vera e propria merda. Aveva deglutito a
fatica l'ultimo boccone ed era tornato a Van Nuys con la testa bassa;
ed eccolo lì, di nuovo con l'eroina in circolo, sdraiato sotto
l'albero di Natale. “Devi essere fortemente coglione per continuare
con questa spazzatura... anzi, sai una cosa? Già lo sei”
«NON
C'E' BISOGNO CHE ME LO FAI PRESENTE!» sbottò contro se stesso il
ragazzo; eppure sentiva che doveva fare qualcosa per liberarsene.
Insomma, Rea si stava sbattendo per lui e lui, ancora, non aveva
fatto niente di decisivo, aveva solo subito passivamente tutte le
sue attenzioni; fece ballare le palle degli occhi finchè non
andarono a fermarsi su un blocco di fogli bianchi e la penna che
c'era appoggiata sopra. Si alzò barcollando, cadde in ginocchio e si
rialzò di nuovo; afferrò i fogli e si trascinò fino al tavolo
della cucina. Per tutta la durata del giorno non aveva né parlato
né fatto gli auguri a nessuno; nemmeno alla sua ragazza. “E' vero,
viene domani, posso dirle “Buon Natale” fra ventiquattro ore ma
sarei in ritardo... non hai nemmeno idea di quanto mi manchi” pensò
Nikki rivolto al suo cervello; tolse il tappo alla penna ed iniziò a
scrivere un nuovo diario. “Forse questo sarà l'ultimo capitolo
della mia vita, date le condizioni in cui mi ritrovo... ma,
perlomeno, potrò essere ricordato per quello che sono veramente: un
drogato senza speranze. In questo momento siamo solo io e te
diario... benvenuto nella mia vita”.
NOTE:
Adams:
cognome dato a Bunny ed alla sua famiglia da me; è stata una scelta
che ho dovuto intraprendere poiché, come esplicitato nel capitolo 8
nella nota relativa al cognome Anderson di Amy, siamo in un contesto
nord americano e le nostre ragazze sono tutte americane ed anglofone.
Il cognome in questione è stato scelto arbitrariamente perchè nella
versione americana e canadese dell'anime tutte, ad eccezione di Amy,
mantengono il cognome giapponese.
Dickinson:
il padre di Rea porta questo cognome eppure lei ed il nonno (che era
il papà di suo papà) fanno entrambi di cognome Hino, come nella
versione originale di manga ed anime. Nel corso del capitolo la
questione verrà spiegata parzialmente e, più avanti, ci sarà una
parte di un capitolo che chiarificherà pienamente questa diversità.
Lexotan:
medicinale a base di bromazepam usato per trattare gli stati d'ansia,
i disturbi emotivi e anche all'occorrenza gli attacchi di panico.
Siamo
solo io e te diario, benvenuto nella mia vita: frase con cui si
conclude la prima pagina di “The Heroin Diaries” di Nikki Sixx.
Nel
corso del capitolo c'è un rimando al ritornello di “Last
Christmas” degli Wham! Ed il titolo del capitolo è ripreso dalla
prima traccia del cd “The Heroin Diaries Soundtrack” dei
Sixx:A.M.
Finalmente
ce l'ho fatta a pubblicare questo sudatissimo tredicesimo capitolo; è
stato difficoltoso sia perchè tratta alcune tematiche un po'
“pesanti”, sia perchè ho avuto la febbre alta in questi giorni e
mettermi al computer era, a dir poco, impensabile. Però ce l'ho
fatta. Non ho idea di come ho scritto, quindi non ci rimarrei male a
trovare delle recensioni negative (e voi non abbiate paura di farmele
se ritenete che questo capitolo non sia scritto bene); come sempre,
mitici ringraziamenti a chi segue la mia storia come: Demy84,
SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95, Cri cri,
elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars,
marziolina86, Moon91, Deep Submerge_85, pianistadellaluna,
RocketQueen_, sailor crystal e diana89. Grazie anche a chi solo legge
senza recensire (e grazie al mio ragazzo che si legge questa mia
storia e inizia a darmi anche dei suggerimenti).
A
presto, Ellie
|
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Capitolo 14 *** Minaccia All'Orizzonte ***
14 Minaccia All'Orizzonte
Spank era
seduto sul sedile del passeggero della Ford di Rea intento a studiare
un modo per levarsi dal collo il fiocco rosso che Marta, con tanta
cura, gli aveva legato intorno; era uno dei fiocchi più belli che la
ragazza avesse nel suo portagioie: «Un
regalo carino come te deve avere una presentazione tutta speciale.
Questo è il mio fiocco più bello... mi raccomando, trattalo bene»
gli aveva detto la bionda chiudendo l'asola. Il cagnolino si era
guardato allo specchio soddisfatto: «Bello
io»
ma già dopo cinque minuti quell'affare aveva iniziato a dargli un
fastidio tremendo; gli prudeva da impazzire e voleva levarselo il
prima possibile. «Vuoi
star fermo con quelle zampe o ti devo legare?»
lo aveva sgridato Rea, esasperata dai versi di sforzo dell'animale
che si dimenava in macchina accanto a lei; ma Spank non l'ascoltava,
continuava a far leva con le zampe anteriori per cercare di
sfilarselo dal collo. La ragazza si portò una mano alla fronte:
«Cerca
di resistere, per la miseria! Siamo quasi arrivati, fra poco potrai
toglierti di dosso quell'affare, sei contento?»;
sentendo quelle parole il cane si tranquillizzò e si sedette
composto. Arrivarono davanti a casa di Nikki dopo circa venti minuti,
parcheggiarono e scesero dalla macchina; come la ragazza fece
scattare la serratura della sua auto, la sua attenzione fu attirata
da qualcosa di rosso intenso parcheggiato proprio all'imbocco del
vialetto di casa del suo ragazzo. La ragazza fece due passi in avanti
per mettere meglio a fuoco una Ferrari Testarossa appena uscita dalla
concessionaria. Il rosso era così fiammante che quasi abbagliava; la
ragazza si sporse per specchiarsi sul cofano: “Mio dio,
incredibile”; i vani dei fari erano chiusi impedendo così di
vedere le luci e la cappotta della macchina le arrivava alla vita
talmente era bassa. Rea passò furtivamente le dita sul profilo
sinistro dell'auto toccando lo specchietto posizionato a metà del
montante e guardò fugacemente l'interno: pelle dei sedili color
avorio e pomello del cambio nero; “Che bella” pensò fra sé la
ragazza completamente rapita. Si accovacciò per un attimo per
rimirare le prese d'aria per il motore posteriore e poi arrivò
dietro, dove vide i caratteristici quattro tubi di scappamento, due
per parte; era in estasi. “E' come vedere il più bel chopper che
si è riusciti a produrre” pensava Rea portandosi una mano alla
bocca e mordendosi il labbro inferiore: «Spank, guarda che forza
questa macchina» sussurrò la ragazza in modo da farsi sentire solo
dal cagnolino, ma quello non arrivò scodinzolando come al suo
solito. La bruna lo chiamò di nuovo e riprese a girare intorno
all'auto; lo trovò che stava facendo pipì sul cerchione anteriore
destro: «Ma sei uno stupido!» lo sgridò Rea prendendolo per un
orecchio e trascinandolo via
«Spank
no piace»
le fece intendere il bastardino guardando con sguardo torvo la
macchina
«Sai
che se il proprietario ci ha beccati siamo morti entrambi? Ti rendi
conto del casino che hai fatto?»
«Scusa,
dispiace me»
Spank la guardò con occhietti dolci
«La
cosa peggiore sarebbe venire a scoprire che questa è la macchina
nuova di Nikki e tu, il suo nuovo cane, ci hai appena pisciato sopra.
Ti immagini la sbottata del tuo nuovo padrone?». Il cane nascose la
faccia dietro le gambe di Rea ed iniziò a tremare; la ragazza gli
disse: «Spera solo che non sia sua... andiamo, dai» ed imboccò il
vialetto. Arrivarono davanti alla porta in silenzio, facendo appena
rumore sulle mattonelle del vialetto; Rea si chinò sul cagnolino,
gli sistemò il fiocco e poi gli sussurrò: «Nasconditi dietro
questo piccolo cespuglio, ti dico io quando uscire». Spank,
diligente, cercò di mimetizzarsi con il piccolo arbusto; Rea prese
fiato e, nervosa, suonò il campanello.
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Perchè
deve essere così devastante certe volte nella vita suonare un
campanello? Non stai di certo premendo il tasto dell'autodistruzione
oppure quello del seggiolino eiettabile su un aereo; però l'effetto
è quello, se non peggiore. Le mani che ti tremano tanto da faticare
a prendere la mira, il sudore ti imperla la fronte... e come ti
decidi a farlo ed il tuo indice pigia il pulsante, subito uno
scossone di adrenalina ti investe e tu rimani lì, cercando di stare
il più ferma possibile, con il cuore in gola ad aspettare che la
persona che tanto desideri appaia sull'uscio con un sorriso. Solo per
te. Poi l'uscio scricchiola, si apre lentamente e...
Nikki
fece capolino da dietro la porta; aveva una cera pessima: i capelli
gli ricadevano in disordine sulla fronte, gli occhi erano spenti ed
aveva un'espressione a metà fra l'insonnolito ed il malato. «Ciao»
la salutò con un filo di voce rimanendo attaccato all'infisso ed
alla maniglia, quasi avesse paura di cadere con la faccia sullo
zerbino
«Che
cavolo ti è successo?» furono le parole velate di disappunto che
uscirono dalla bocca di Rea. Nikki non rispose, si limitò ad alzare
le sopracciglia e a stropicciare le labbra, come se volesse dirle:
“Sai benissimo cos'è successo, non mi va di parlarne”; la
ragazza scosse la testa: «Beh, ad ogni modo, entriamo che fuori non
fa caldo». Cercò di varcare la soglia, ma il suo ragazzo la bloccò
sull'uscio: «Puoi aspettare un attimo prima di entrare?» le chiese
timidamente; la ragazza pensò che Nikki, dalla sua altezza, era
riuscito a vedere Spank nascosto dietro il cespuglio. «Non ti sfugge
proprio niente, eh?» disse Rea facendogli la linguaccia, poi fece
schioccare le dita ed il cagnolino arrivò sullo zerbino
scodinzolando; il ragazzo aggrottò le sopracciglia per mettere
meglio a fuoco quella pallina di pelo bianca con un enorme fiocco
rosso. «Nikki, questo è il tuo regalo di Natale» gli sorrise la
ragazza; lui si chinò verso il bastardino, lo scrutò e disse:
«Questo animale con la faccia da toast è il mio regalo?». Il cane
sentì come un masso cadergli sulla testa; Rea tirò un buffetto al
suo ragazzo: «Non ha la faccia da toast... e si chiama Spank».
Nikki poggiò le ginocchia a terra e giunse le mani; lui e il cane si
scrutavano cercando di capire quale atteggiamento dovevano assumere,
poi il ragazzo allungò titubante la mano destra verso il bastardino.
Spank si fece accarezzare e sorrise: «Sì,
bello»; Nikki scoppiò
a ridere, alzò gli occhi verso la sua ragazza e le domandò: «Ma
dove l'hai trovato?»
«Al
canile; tu pensa che ero indecisa fra lui ed un pastore tedesco»
rispose Rea sorridendo
«Meno
male che hai scelto lui. Sai, non ho un buon rapporto con i pastori
tedeschi» ammise il ragazzo; si rimise in piedi per avvicinarsi a
Rea e Spank approfittò dello spazio creatosi per precipitarsi in
casa. La ragazza lo seguì a ruota per andare a prenderlo per
contenere qualche eventuale disastro; Nikki, nel frattempo, chiuse
lentamente la porta ed iniziò a prepararsi psicologicamente al
putiferio che stava per cominciare. Il cane era corso in cucina,
probabilmente alla ricerca di qualche biscotto; Rea gli era stata
alle calcagna e, come aveva varcato la soglia del locale, aveva
notato un ragazzo magrissimo di spalle intento a trafficare con varie
buste piene di polverina bianca ed altre invece colme di granuli
marroncini. Quel fantasma si girò, mostrando il suo viso solcato da
occhiaie nere profondissime che circondavano gli occhi vacui; Rea
trattenne il fiato e, per qualche istante, nella stanza scese
l'immobilità più assoluta, perfino Spank smise di cercare i
biscotti. Poi, in una frazione di secondo, la mano destra della
ragazza corse ad afferrare un coltello dalla lama grossa poggiato al
lato del fornello, la sinistra invece afferrò lo sprovveduto per il
bavero e lo bloccò contro il muro. Lo scheletro maschile iniziò a
tremare violentemente di paura sentendo la fredda lama del coltello
poggiarsi contro il suo collo: «Ti prego... non farmi male» sibilò
il giovane con un alito che sapeva di trascuratezza; Rea premette
ancora di più la lama sulla pelle facendolo irrigidire ancor di più:
«Chi sei?»
«Mi...
mi chiamo Jason» sussurrò il ragazzo stringendo le palpebre
aspettandosi da un momento all'altro di sentire il calore riversarsi
sulla sua maglietta ed abbandonare il suo corpo
«Sei
uno spacciatore, vero?» incalzò Rea serrando ancora di più la mano
intorno al manico facendosi venire le nocche bianche. Jason non
rispose, si limitò ad annuire debolmente cercando di staccare il più
possibile il collo dalla lama senza riuscirci; a Rea tremava il polso
talmente tanta era la rabbia che le scorreva in corpo. I suoi occhi
scrutavano in lungo ed in largo il viso scavato e sciupato di Jason:
avrebbe potuto essere un bel ragazzo, con un bel fisico ed una bella
espressione, ma la droga lo stava corrodendo dall'interno; la ragazza
continuava a far correre gli occhi su quelle rughe premature finchè
non le cadde lo sguardo su un portachiavi cromato che faceva capolino
dalla tasca della giacca in pelle del ragazzo; Rea allungò la mano e
si ritrovò a stringere un cavallino rampante ancora nuovo di zecca.
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Non
ci voleva Einstein per collegare il tutto; la Ferrari era di Jason,
comprata con i soldi versati da Nikki a causa dei suoi “capricci da
rockstar drogata”. Ciò significa che, ogni giorno, il mio ragazzo,
è pronto a spendere anche migliaia di dollari pur di avere roba
fresca a disposizione. E questo è veramente preoccupante... ci vorrà
ben altro oltre alla mia buona volontà e a Spank per farlo smettere.
Mi sento affranta e delusa... ma non mi arrendo.
«Tu
adesso prendi quel cazzo di bolide e sparisci» gli intimò Rea con
un tono di voce così basso da essere appena udibile «Sparisci e non
ti fai più vedere». Jason fu più veloce di un fulmine: prese di
mano le chiavi dell'auto a Rea e si dileguò uscendo dalla porta di
servizio, lasciando sul tavolo tutta la mercanzia; dopo trenta
secondi, il rombo sordo di un motore ed una sonora sgommata furono il
segno che lo zombie se l'era squagliata del tutto. Rea, ritrovandosi
nel giro di pochi secondi a stringere aria con la mano sinistra,
gettò il coltello nel lavandino e sbuffò cercando di togliersi una
ciocca di capelli corvini che le ricadeva morbidamente sulla fronte.
Spank era rimasto con il naso all'insù, completamente pietrificato,
a fissare la scena; la ragazza si voltò verso di lui ed il cane
indicò timidamente la scatola dei biscotti: «Iaia, posso?»
«Uno
solo» rispose Rea quasi sovrappensiero. Uscì dalla cucina con le
braccia che le ricadevano stancamente lungo i fianchi, poi fece un
passo indietro, guardò Spank con la bocca sporca di briciole e gli
disse: «Sai una cosa? Hai fatto bene a fare pipì sul cerchione».
Nel frattempo Nikki era strisciato fino all'albero di Natale e si era
rannicchiato vicino ai pacchi rimasti intatti dal giorno prima:
“Fantastico. Che fantastica coincidenza... puntuale come il treno
di mezzogiorno. Lei che arriva giusto in tempo per beccare Jason che
traffica con la merda in cucina... se fosse arrivata anche solo
cinque minuti dopo, il casino che sta per succedere non accadrebbe.
Giusto? Solo che tu Sixx sei coglione, sei un idiota... ma perchè
cazzo non smetti? Perchè non ce la fai a smettere? Perchè fai in
modo che si creino queste fottute situazioni imbarazzanti? Lei che si
fa un culo così per tirarti fuori da questa spirale che ti sta
risucchiando sempre più e tu che nemmeno allunghi la mano. La tua
vita è diventata come i titoli di testa di “Vertigo” di
Hitchcock: una nera spirale; e tu ci stai precipitando dentro a testa
in giù. E non hai il paracadute. Quando toccherai il fondo ti farai
un gran male, forse ti si appiattirà la testa come succede ai
cartoni animati... diventerai una specie di Willy Il Coyote drogato
con la testa piatta; ti piace il tuo destino Sixx? Ti piace la fine
che farai, figlio di puttana che non sei altro?”. Nikki si coprì
le orecchie e chiuse nervosamente gli occhi per evitare di sentire la
filippica che la vocina del suo cervello gli stava facendo; poi una
nuova voce si sovrappose a quella dei suoi neuroni fulminati. Era
ferma e decisa: «Alzati in piedi»; Rea lo stava fissando con le
sopracciglia corrugate, segno che era livida, come sempre accadeva
quando lo beccava con la droga in giro. Nikki chiamò a raccolta le
poche energie che gli erano rimaste in circolo e con uno sforzo
sovrumano si alzò; il suo viso era a pochi centimetri da quello
della sua ragazza. Poteva odorarne il profumo, dolce e determinato,
che aveva solo lei; quello era l'aroma di Rea. Poteva perdersi nei
suoi occhi neri dalle venature indaco, molto più invitanti della
spirale in cui stava cadendo. Poteva guardare la sua carnagione così
perfetta, così liscia ed opaca, quasi fosse la buccia di una pesca
noce.
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Ce
l'avevo a pochi centimetri da me... è sempre così magnificamente
distruttivo guardarlo in quegli occhioni verdi; quegli occhi che
potrebbero essere i più belli del mondo ed invece sono dannatamente
devastati dall'eroina e dalla cocaina. Mi si stringe il cuore solo a
pensarci... mi sento avvampare quando ce l'ho così vicino, vorrei
prendere il suo viso fra le mie mani e baciarlo per trasmettergli
tutto l'amore che provo per lui. Ma in questo momento lui ha bisogno
di essere educato e controllato; qui non servono baci, serve pugno di
ferro ed atteggiamento da scuola militare (anche se è difficile da
mantenere... mi fa tanta tenerezza).
«Tu
mi devi delle spiegazioni» sentenziò la ragazza portandosi le mani
ai fianchi. Lui abbassò la testa perdendo il contatto con quelle due
perle nere; non aveva il coraggio di fissarle, si sentiva
tremendamente in colpa. Aprì la bocca cercando di far fuoriuscire un
qualsiasi suono, senza però riuscire nel suo intento; «Ebbene?» lo
sollecitò Rea alzando la voce
«Non
dirmi ebbene, non c'è nessun “ebbene”!» urlò Nikki
portandosi le mani alle tempie e strabuzzando gli occhi mettendo in
mostra i capillari rotti «Senti, sai meglio di me che non c'è
nessuna cazzo di scusa che tenga. Ho creato una fottuta situazione
incasinata come il mio solito e non ho scuse da presentare. Ti posso
solo dire che...» il ragazzo abbassò la voce di botto «non ne
posso fare davvero a meno». Cadde in ginocchio a pochi centimetri
dal tavolino basso, si aggrappò ad una delle gambe e si trascinò
fin sul divano in pelle nera, poco distante; Rea lo osservava
strisciare, spaventata ed inorridita allo stesso tempo: “Sembra un
lombrico, magro e spossato... un lombrico che esce dal prato e muore
sul marciapiede a qualche centimetro da casa sua”. Andò sul divano
a sedersi accanto a lui. Nikki si teneva la testa fra le mani ed
aveva i gomiti appoggiati alle ginocchia; guardava a terra, con gli
occhi spalancati ed i denti serrati e tremava: «Mi faccio schifo da
solo... ho bisogno di lei... so che è sbagliato, ma ne ho bisogno».
Rea fece per cingergli le spalle con il braccio sinistro ma si
bloccò: doveva mostrarsi fredda ed autoritaria; deglutì a fatica,
impostò la voce cercando di far trasparire il meno possibile la
dolcezza e disse: «Una terapia di disintossicazione? Troppo
difficile da intraprendere?»
«Non
sono dell'umore adatto in questo periodo» ammise Nikki affondando le
dita fra i capelli neri spettinati «Non sono motivato abbastanza».
Quelle parole arrivarono alle orecchie di Rea come un treno in corsa:
l'impatto fu violentissimo ed il male indescrivibile; la ragazza si
girò a guardare le punte dei suoi stivali nuovi: “Cosa sto
sbagliando?” fu la sola cosa che riuscì a pensare. Nikki, vedendo
con la coda dell'occhio il disappunto materializzarsi sul viso della
sua ragazza, si rese conto di essersi espresso male: “Coglione!
Così sembra che lei non si sta prendendo abbastanza cura di te... ma
la sai usare la tua lingua madre per comunicare oppure devi avvalerti
del linguaggio dei sordomuti per farti capire?”. Respirò
profondamente e la prese per mano; Rea fu colta alla sprovvista, non
si aspettava un contatto simile dopo una frase così spiacevole.
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Mi
sentivo fredda dentro, quasi come se fossi stata immersa nelle acque
dell'Antartide per ore, se non per giorni; con quella frase mi stava
facendo sentire tremendamente in colpa. Poi lui, inaspettatamente, mi
sfiora la mano con le dita e la stringe nella sua; io mi giro e lo
vedo quasi con gli occhi lucidi che mi dice con un filo di voce: «Mi
sono espresso male... non sei tu che non mi stai motivando, anzi. Tu
sei la sola persona che mi fa venire voglia di abbandonare la droga,
di lasciare questo mondo putrido... sei l'unica che si sta impegnando
per me. E tu non hai idea di quanto io ti sia grato... ma sono io che
devo ancora raccogliere tutte le forze necessarie per rimettermi in
discussione e smettere definitivamente. Ho bisogno dell'aiuto anche
di altre persone vicine per poter uscirne. Non volevo ferirti».
Ovviamente mi si è rotta la maschera da caporale maggiore: ho
sorriso sinceramente in quel momento.
Spank
era arrivato davanti al divano in silenzio, leccandosi i baffi per
assaporare fino in fondo anche le briciole più invisibili del
biscotto; aveva assistito alla scena, aveva visto Rea rabbuiarsi dopo
una frase di Nikki, lui che le prendeva la mano, le parlava e lei che
sorrideva di nuovo. Ma il bassista, invece, continuava ad avere
un'espressione cupa, proprio non ce la faceva a tirare in su gli
angoli della bocca; il cagnolino, deciso a fare felice il suo nuovo
padrone, gli si avvicinò e gli toccò con la zampina il braccio.
Nikki si voltò verso di lui con fare interrogativo; Spank sguainò
gli indici delle zampe anteriori e gli alzò gli angoli della bocca:
«Ecco, ora bimbo felice». Ci fu un attimo di silenzio,
dopodiché Nikki scoppiò a ridere sinceramente, prese in braccio il
cucciolo e gli disse: «Tu non sei un animale, tu sei come un
bambino!»; poi si voltò verso la sua ragazza e le sussurrò:
«Regalo più bello non potevi farmi... è come te». Rea gli fece
l'occhiolino, contenta che il suo regalo avesse colpito nel segno;
poi guardò l'albero di Natale e vide ancora tutti i pacchetti
intatti dal giorno precedente: «Non hai ancora aperto i regali?»
«No,
quelli... quelli sono pacchetti finti, puro arredamento natalizio»
ammise Nikki arrossendo, segno che nessuno era passato da lui anche
solo per fargli gli auguri. Il bassista si alzò a fatica dal divano,
andò verso l'albero di Natale ed afferrò un piccolo pacchettino
rettangolare: «Questo invece è vero ed è il mio regalo per te»
disse allungando l'oggetto avvolto nella carta da pacco verso Rea
«Oh
Nikki, non dovevi, sul serio» la ragazza sorrideva, leggermente
rossa in viso. Emozionata scartò il piccolo pacchettino: era un
nastro con sopra una piccola etichetta con scritto “GGG demo
tape”. Rea esplose di gioia: «Oddio, tu mi hai regalato la vostra
demo! Tu non sai quanto è importante per me un dono simile. Sei
fenomenale, grazie Nikki!» e ancora stringendo in una mano la carta
ormai stropicciata e nell'altra la cassetta corse ad abbracciare il
ragazzo che era rimasto in piedi al di là del tavolino basso. Fu un
abbraccio dolce, quasi timido, nessuno dei due osò guardare l'altro
negli occhi; Nikki ancora si sentiva in colpa per la storia di Jason,
mentre Rea cercava di mantenere un minimo di rigidità, anche se
controvoglia. Il bassista strinse la ragazza a sé premendosela sul
costato: «Lo ascoltiamo insieme?»; Rea si staccò da lui per
poterlo guardare meglio negli occhi. Annuì ed aprì la custodia in
plastica; dentro c'era un piccolo bigliettino con scritto:
Side
A
Track
#1: Girls, Girls, Girls
Track
#2: Dancing On Glass
Side
B
Track
#1: Sumthin' For Nuthin'
Track
#2: Rodeo
Porse
il nastro a Nikki con occhi sognanti, il quale si recò verso lo
stereo, accese le casse ed aprì il vano della piastra delle
cassette; intanto Rea era tornata a sedersi sul divano e lo fissava
felice. Il ragazzo, prima di premere play, la guardò negli occhi e
le disse, quasi come se volesse discolparsi: «Sai, è meglio che
alcune canzoni le ascolti dopo che io ti ho raccontato la loro genesi
perchè potrebbero sembrarti insensate. E forse anche volgari. Ad
esempio, il primo brano è la classica “canzone-cliché”; si
parla di strip clubs e di donne. Tante donne. So che questo potrebbe
infastidirti, dato che sei la mia ragazza... però fidati, ormai ho
smesso di frequentare posti simili. Però il pezzo è una bomba,
strumentalmente è il migliore che abbia mai composto, e confido
nella tua “cultura artistica” per poter comprendere la validità
della canzone». “Sembra l'arringa di un avvocato difensore”
pensò la ragazza perplessa “ma io ho ben presente di come si
comportava lui prima di isolarsi qui dentro, in questa casa degli
orrori”; annuì in silenzio e Nikki potè finalmente premere play.
Il nastro iniziava con un dialogo fra i componenti del gruppo; si
sentiva la voce di Vince che chiedeva contrariato: “Ma non è che
se tu porti il nastro fuori di qui, qualcuno ci può copiare i
pezzi?” e Nikki rispondeva: “Fidati, non succederà”. A quel
punto si intrometteva Tommy con tono euforico: “Bro, ma è per chi
so io?” e Mick e Vince chiedevano in coro: “Chi so io, chi?”;
Nikki perdeva la pazienza e sbottava: “Vogliamo iniziare? Il nastro
non è infinito!”. Un attimo di silenzio, quattro colpi secchi di
bacchette ed ecco che tutti gli strumenti iniziavano a suonare
insieme la prima canzone. Nikki aveva ragione, era un pezzo al
fulmicotone, una canzone che demoliva i coni delle casse; l'unico
problema era che il testo era alquanto irritante per Rea.
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Al
termine del pezzo Nikki ha messo il nastro in pausa e mi ha chiesto
cosa ne pensavo; ho sospirato, l'ho guardato negli occhi e sono stata
il più diretta possibile: «So che queste lyrics esprimono una tua
condizione passata e tipica della posizione che ricopri... però non
posso certo dire che mi abbia fatto piacere ascoltarle. Anzi, mi ha
dato fastidio. A livello strumentale non c'è davvero nulla da
dire... ma le lyrics mi hanno fatto venire l'orticaria». Lui si è
seduto di fianco a me sul divano, mi ha accarezzato la guancia e mi
ha detto con un piccolo sorriso: «Sapevo che avresti reagito così...
ma se io ti dicessi che, in questo momento, non mi interessa più
quello stile di vita? Che non me ne frega più nulla di andare al
Seventh Veil e sbattermi la prima pole dancer che mi capita a
tiro?». A sentire quelle parole ho sentito il viso diventarmi
bollente ed ho percepito caldo dentro di me... questo vuol dire che
gli interesso sul serio. Avrei voluto stringerlo a me, trasmettergli
tutto l'amore che provo ed invece, come al mio solito, sono stata
piuttosto distaccata... dannazione!
«Belle
parole le tue Nikki, mi fanno davvero piacere ma... possiamo andare
avanti con la cassetta?». Il ragazzo stette per un attimo a
guardarla, come paralizzato per quella finta freddezza uscita con
quelle parole dalla bocca di Rea; poi, in silenzio, si alzò per
andare allo stereo e far ripartire il nastro. “Dancing On Glass”
spaccava sul serio, anche se Nikki diceva che mancava qualcosa al
pezzo per essere davvero finito: «Stavo pensando» disse stoppando
il nastro e girando la cassetta «che forse tu dovresti rifare quelle
acrobazie con la voce che avevi fatto qui mentre componevamo la
canzone». Rea aggrottò le sopracciglia, incuriosita da quella
frase: «Cosa intendi?»
«Vuol
dire che verso la fine di febbraio o l'inizio di marzo, quando
rifiniremo tutti i pezzi prima di mandarli a New York per il master,
tu verrai in studio una sera ed inciderai quelle belle cose che hai
fatto quando io e te abbiamo ideato il pezzo». Sul viso della
ragazza si dipinse un'espressione incredula: «Io in sala di
registrazione?» fu solo capace di dire, puntandosi contro il dito
indice; Nikki le fece l'occhiolino: «Avevi detto che volevi fare la
cantante, questa è la tua occasione». A quel punto sbocciò sulla
faccia di Rea un sorriso bello e sincero come un fiore; non riuscì a
dire nulla, talmente era incontenibile la sua euforia, ma quella luce
sul viso della ragazza bastò a Nikki per sentirsi investito dalla
felicità. L'ascolto di “Sumthin' For Nuthin'” scivolò via senza
particolari osservazioni, poi Nikki mise in pausa il nastro prima
dell'ultima traccia: «“Rodeo” l'ho scritta durante il tour di
“Theatre Of Pain” circa un anno fa; non c'è molto da dire, solo
che è un po' come “Home Sweet Home”. Ti fa sentire quanto
è bello ed insieme quanto è brutto essere in giro per il mondo»
fece una pausa «Bello perchè fai il lavoro che hai sempre sognato,
brutto perchè... ti accorgi che sei circondato da fantasmi; sei
ricoperto di persone che sono solo spiriti per te».
Venerdì
26 dicembre 1986, 11 pm
Ogni
parola che aveva detto pungeva come un ago delle sue siringhe
sporche; un male atroce. Il tour... come avevo fatto a non pensarci
prima? È normale che, ad ogni incisione di un album, segua un tour;
questo significa che, verso maggio o giugno, lui partirà e per mesi
non ci vedremo. Io inchiodata qui a Los Angeles e lui in giro per gli
Stati Uniti, se non per il mondo intero. Mi sono sentita soffocare:
sarà ricoperto di donne, tutte che vorranno farselo e lui, volente o
nolente, dovrà accontentarle; non è possibile, non voglio
pensarci... ma come faccio a non pensare a quel momento in cui ci
staccheremo e non potremo più vederci per troppo tempo? Molti dicono
che la lontananza rafforza l'amore... penso che nel mio caso verrà
completamente distrutto, demolito da sesso, droga e rock'n'roll.
Quando lui tornerà, probabilmente non vorrà più sentire parlare di
me... ma perchè sono andata ad impantanarmi in questa storia? Perchè
lui deve essere il mio ragazzo? … e io lo amo... e non posso farci
niente.
Il
nastro ripartì e dalle casse fuoriuscirono le note di una power
ballad; trasudavano tristezza e solitudine, erano note dai colori
foschi. Vince cantava di strade che scorrono sotto i tuoi piedi, di
palchi diversi ogni sera, di letti mai tuoi condivisi con persone non
del tutto gradite oppure vuoti perchè non si riesce a trovare
l'amore, il richiamo dell'autostrada che si fa sentire prepotente e
tu, musicista, la devi imboccare per recarti alla prossima location,
svuotato completamente dei tuoi attributi umani, quasi fossi senza
cuore; “All that I know, is life on this road, long
way from home, in this rodeo... not my home”. Un
battito di ciglia ed un sospiro, le lacrime rigarono le guance di Rea
silenziosamente, solcando il fard magenta; faceva male quella
canzone, bruciava come un'ustione. Faceva male a Nikki che si sentiva
espropriato della sua umanità e faceva male a lei perchè già
percepiva la distanza che si sarebbe creata fra di loro. Il ragazzo
si accorse che lei stava piangendo, così le si avvicinò, si
sedette e la cinse con le braccia: «Cosa fai, piangi?» le disse
dolcemente all'orecchio; lei si asciugò frettolosamente quelle gocce
salate con la manica del maglione e si affrettò a scusarsi. «Guarda
che non è un reato perseguibile piangere quando si ascolta una
canzone... significa invece che ho fatto un buon lavoro» le disse
Nikki; Rea lo guardò negli occhi ed ammise: «Non voglio che tu vada
in tour». Il bassista la strinse in silenzio e le baciò i morbidi
capelli neri; con la mano destra le prese il capo e se lo portò sul
petto. La ragazza gli strinse i fianchi appena poté udire i battiti
del suo cuore, frettolosi ed irregolari: «Devo andarci, è il mio
lavoro» sussurrò lui «però... non ti libererai di me tanto
facilmente, credimi»
«Significa
che potrò venire con te?» domandò speranzosa la bruna
«Le
mogli e le fidanzate non possono accompagnare in tour i musicisti...
eppure ci sarà un modo per farti salire sul tour bus senza far
incazzare Doc» confessò Nikki. Rea si sentì leggermente
meglio e strinse ancor di più i fianchi magri del ragazzo. “Inizia
a pensarci già da ora a come portartela dietro Sixx... perchè sarà
come fare un puzzle: tutti i pezzi dovranno incastrarsi
perfettamente. Nessuno, a parte T-Bone, dovrà sapere che è la tua
ragazza, sennò non la fanno partire... pensa e vedrai che qualche
buona idea ti verrà”; la vocina aveva ragione. Nel frattempo Nikki
aveva sollevato la ragazza dal suo petto e con un sorriso sincero le
aveva chiesto: «Ti va di passare il Capodanno insieme?»
«Sì»
rispose Rea tirando su con il naso «a patto che adesso io e te
facciamo sparire tutta la droga che c'è in cucina». I due si
alzarono e mezz'ora dopo tutto quello che Jason aveva venduto a Nikki
era finito letteralmente nel cesso.
NOTE:
Non
dirmi ebbene, non c'è nessun ebbene: citazione dal film “About A
Boy”.
GGG:
abbreviazione di “Girls, Girls, Girls”.
Seventh
Veil: strip club di Los Angeles sul West Sunset Boulevard.
Home
Sweet Home: prima power ballad della storia del Glam Metal e grande
singolo di successo dei Mötley Crüe.
Power
ballad: pezzo lento suonato con strumenti tipici dell'hard rock
(chitarre elettriche, tastiere...).
All
that I know, is life on this road, long way from home, in this rodeo,
not my home: ritornello di “Rodeo”.
Doc
McGhee: manager dei Mötley Crüe.
Rieccomi,
con questo capitolo denso e pieno di avvenimenti; so di averci messo
un po' a scriverlo, però sono impegnata con lo studio e la
preparazione della tesi della laurea triennale... abbiate pietà.
Secondo voi, cosa si inventerà Nikki per riuscire a portarsi dietro
Rea in tour? Il banco delle scommesse è aperto, dunque fate la
vostra puntata. Come sempre, grazie infinite alle mie mitiche
lettrici: Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88,
Alison_95, elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars,
marziolina86, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna e
RocketQueen_; grazie anche a chi passa e legge senza lasciare una
recensione. E grazie infinite al mio ragazzo che per questo capitolo
è stato essenziale (forse l'avrete capito leggendo la descrizione
della Testarossa ad inizio capitolo). Come sempre, ogni vostra
recensione, di qualunque sfumatura sia, è veramente molto gradita :)
A
presto, Ellie
|
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Capitolo 15 *** Just Another Psycho ***
15 Just Another Psycho
Avviso:
purtroppo, a causa di eventi di forza maggiore quali: lavoro, studio,
esami e tesi da preparare, la pubblicazione dei capitoli di questa
storia subirà un rallentamento. Chiedo scusa a tutti quelli che
leggono e recensiscono... spero di liberarmi presto (anche se la vedo
grigia, dato che l'ultimo esame della sessione estiva è il 4
luglio).
EllieMarsRose
Si sentiva
semplicemente perfetta; il vestito rosso che i genitori di Marta le
avevano regalato a Natale era sensazionale, confezionato con seta
rossa pregiatissima. Aveva una spallina sola ed era molto aderente e
sensuale, senza paillettes e decorazioni assurde; era semplice,
proprio come piaceva a lei, era della sua tonalità di rosso
preferita e della lunghezza giusta, quella lunghezza che arriva a
metà coscia estremamente sexy. Quella sera voleva sentirsi così:
sexy; non sapeva il perchè e nemmeno se l'era domandato. Desiderava
ardentemente che Nikki avesse occhi solo per lei. Magari poi non
avrebbero combinato nulla, magari si sarebbero solo tenuti per mano e
sfiorati a malapena le guance, però voleva che lui la ricoprisse di
attenzioni. Era ben consapevole del fatto che la loro era una
relazione atipica, senza baci, senza sesso, eppure le dava una grande
soddisfazione; sapeva che c'era un sentimento nascosto e tacitamente
contraccambiato fra di loro che prima o poi sarebbe esploso. E per il
momento quello le bastava; sapeva che la priorità era un'altra in
quel periodo: Nikki doveva imparare di nuovo ad amare la vita e se
stesso. Doveva liberarsi dalla cocaina e specialmente dall'eroina che
lo tenevano costantemente imprigionato in una dimensione parallela
irreale e senza senso. Lei doveva liberarlo da quel giogo ed
educarlo, proprio come si fa come i bambini; educarlo nuovamente per
fargli apprezzare il profumo del caffè la mattina appena svegli, il
tamburellare della pioggia durante un temporale, lo spirare del vento
attraverso le persiane, un fiore che apre i suoi petali appena sorge
il sole, il sapore del cioccolato che ti si scioglie in bocca, il
suono di una chitarra distorta che ti attorciglia le viscere, l'odore
di salsedine che sale dall'oceano in estate. Nikki si stava perdendo
tutte queste cose apparentemente insignificanti che però sono capaci
di dare un senso anche alla giornata più storta di tutte. Rea si
lisciò il vestito lungo i fianchi e sorrise in silenzio: “Anno
nuovo, vita nuova... vedrai di quante belle cose ti farò innamorare
di nuovo”. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, quasi volesse
rendersi conto di essere carica di energia positiva; si sentiva
ardere di buone intenzioni, il tutto per quell'impiastro del suo
ragazzo. “Una persona qualsiasi ti avrebbe lasciato perdere dopo
poco tempo perchè sei davvero ingestibile; anche se sui tuoi
documenti c'è scritto che ti chiami Nikki Sixx. Ma non io; ti ho
guardato dentro, ho visto il tuo cuore sbriciolato, spaccato in mille
pezzettini per chissà quante ragioni diverse. Ed io voglio
ricomporlo, voglio che tu possa tornare a sorridere e a sentirti
felice; perchè è per questo che tu ti fai... sei solo e distrutto,
anche se tutti ti vogliono e penderebbero dalle tue labbra”. Si
infilò le scarpe ed il soprabito ed uscì per dirigersi a casa del
suo ragazzo. Quello sarebbe stato il primo capodanno festeggiato
senza la compagnia delle sue amiche; le avevano chiesto se avrebbe
voluto prendere parte alla festa privata che i Three Lights avevano
organizzato a casa loro. I tre cloni dei Duran Duran ci tenevano
molto alla sua presenza, ma Rea aveva rifiutato: «Vi
ringrazio moltissimo, ma vorrei tanto stare con il mio ragazzo»;
Nikki le aveva promesso che l'avrebbe portata fuori a cena e che
forse sarebbero andati a casa di Robbin
Crosby per stappare
insieme lo champagne allo scoccare della mezzanotte. Ci sarebbero
stati anche altri musicisti come Slash,
Stephen Pearcy
e forse anche Tommy.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Mi
sentivo tesa come una corda di violino; un miscuglio di sensazioni
scorrevano per le mie vene, mentre salivo in macchina per andare a
casa di Nikki, inondando il mio corpo di agitazione, felicità,
euforia ed anche un po' di timore. Ero davvero felice che il mio
ragazzo mi avesse chiesto di condividere con lui l'arrivo del nuovo
anno e non vedevo l'ora di abbracciarlo (già, per una sera non avrei
tenuto propriamente conto dell'atteggiamento militare che mi ero
precedentemente imposta); avremmo cenato insieme, chiacchierando di
tutto quello che ci passava per la testa e poi saremmo andati a casa
di Robbin. Lì sarebbero arrivati i “veri” problemi della serata:
essere la ragazza di Nikki Sixx in mezzo a quella fiumana di gente
famosa (Nikki mi ha menzionato solo due nomi, ma non credo proprio
che saremo lì in quattro gatti) non è impresa facile. Non sai come
comportarti nei suoi confronti, se essere particolarmente appiccicosa
(cosa che odio) oppure se fare quella snob e bere lo champagne per i
fatti propri seduta sul divano. La cosa più equilibrata da fare
sarebbe stata rimanere nel raggio d'azione di Nikki in modo da
tenerlo d'occhio e potergli rimanere accanto in maniera non troppo
invasiva. Un piano perfetto.
Il
traffico intasava il Beverly Glen Boulevard; le macchine erano
incolonnate a poca distanza l'una dall'altra e la sinfonia dei
clacson era così invadente che Rea non riusciva nemmeno ad ascoltare
la radio ad un volume spaccatimpani. Esasperata da quel concerto in
sol minore, girò la manopolina dello stereo spegnendolo e rimanendo
sola nell'abitacolo con tutte quelle trombe che le facevano
rimbalzare il cervello da una parte all'altra della scatola cranica.
Appoggiò il gomito sinistro al vetro e con la mano iniziò a
sorreggersi la testa; guardò l'orologio sul cruscotto che segnava le
tre e un quarto del pomeriggio: “Avanti di questo passo arriverò a
Van Nuys per le otto” pensò sbuffando. Era parecchio agitata, non
faceva altro che tamburellare con le dita in modo ossessivo sul
volante oppure sulla leva del freno a mano ed attorcigliarsi i
capelli intorno alle dita. La coda avanzava di pochi metri alla
volta, fermandosi in modo regolare; non c'era modo di ingranare la
seconda, la velocità di avanzata era pari a quella di una tartaruga
in catalessi. Dopo circa un'ora di coda il piede della frizione
cominciava a dolere insieme con il polpaccio della gamba sinistra:
“Già non è proprio confortevole guidare con questi tacchi... ci
mancavano solo trecentomila miglia di coda”. Approfittando di un
momento di stasi, Rea si tolse al volo le scarpe rosse rimanendo con
le collant color carne che si appoggiavano ai pedali della Ford
facendole sentire tutte le zigrinature sulla pianta del piede:
“Vediamo se così va un pelino meglio”. Sbuffò nuovamente,
spazientita dal lento moto del traffico; gli occhi le caddero
nuovamente sull'orologio: “Le quattro meno un quarto... che palle”.
In quel momento desiderò ardentemente di avere un F14 invece
di quella vecchia Ford Granada del 1980.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Ci
sono momenti nella vita in cui un bel paio di ali farebbero comodo:
ad esempio per poter vedere il tramonto sul Pacifico dall'alto, per
poter rimirare il perfetto reticolo delle strade di L.A., o anche
semplicemente per saltare le code sul Beverly Glen Boulevard...
Poi,
come se la divinità che governa l'intermittenza delle luci dei
semafori avesse percepito le imprecazioni di Rea, il traffico iniziò
a disciogliersi lentamente, divenendo sempre più fluido con
l'avanzare delle miglia; finalmente la ragazza poté ingranare con
soddisfazione la seconda, la terza ed anche la quarta e nel giro di
circa trenta minuti riuscì ad arrivare sul Valley Vista Boulevard
davanti a casa di Nikki. Girò la chiave per spegnere il motore
sospirando per scacciare la fatica, poi si massaggiò il polpaccio
sinistro che era rimasto leggermente indolenzito, si infilò
nuovamente le scarpe ed afferrò il suo soprabito mentre un sorriso
iniziava ad illuminarle il viso in quel pomeriggio leggermente
uggioso. Chiuse la Ford guardando il suo riflesso nel finestrino del
guidatore sentendo il cuore batterle sempre più forte per la
felicità; arrivò al cancello di Nikki e, mentre sentiva scattare la
serratura, si guardò per un attimo intorno fugacemente: “Se
qualcuno mi vede sorridere in questo modo penserà sicuramente che
sono pazza... chissà perchè la gente deve sempre azzardare giudizi
sugli altri quando hanno qualcosa che sfora leggermente dal solito
canone del comportamento o dell'estetica”. Camminò verso la porta
d'ingresso sicura di sé, sentendo i suoi tacchi a spillo ticchettare
ritmicamente contro le pietre grige e beige del vialetto.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
“Chissà
come reagirà quando mi vedrà... spero che il vestito gli piaccia.
Ma soprattutto, io come dovrò reagire quando mi perderò per
l'ennesima volta nei suoi occhi verdi?”; pensavo proprio questo
mentre mi avvicinavo sempre di più alla porta. Camminavo piano,
apposta per avere più tempo per rimuginare; il problema era il mio
comportamento: dopo svariati ragionamenti avvenuti all'incirca in una
frazione di secondo, avevo deciso di mischiare ed amalgamare per
benino dolcezza ed autorità. Sarei stata carina ma anche ferma e
decisa; Nikki ha bisogno di me, e se io non sono forte, lui non
smette.
Mentre
il cervello di Rea iniziava a pianificare la frase di saluto a pochi
centimetri dall'ingresso, Spank le corse incontro arrivando dal retro
della casa: «Ciao bello!»
lo salutò la ragazza chinandosi verso di lui; il cagnolino si fermò
ed iniziò a gesticolare tutto trafelato: «Bimba,
iaia... corri, corri!».
Il bastardino le indicava la grande villa cercando di farle capire
qualcosa: «Cosa c'è Spank? Vuoi giocare in casa?» gli chiese la
ragazza sorridendo
«No
gioco io... bimbo in casa, chiuso. Bimbo paura».
Rea captò dagli atteggiamenti di Spank che qualcosa non andava:
«Dov'è Nikki?» chiese semplicemente con una punta di rabbia mista
a terrore
«Bimbo
bagno... fucile, PUM! PUM!»
il cagnolino cercò di mimare in qualche modo il ragazzo che
stringeva la sua arma da fuoco
«Cazzo»
fu l'unico bisbiglio che uscì dalla bocca della ragazza; fece segno
con la mano a Spank di seguirla. Corse a perdifiato sentendo le
scarpe affondarle nel terriccio umido in direzione della porta sul
retro che aprì con il mazzo di chiavi che stringeva nella mano
destra; stava iniziando a sudare freddo e sentiva odore di guai
nell'aria. Si tolse malamente le scarpe rosse come il vestito,
appoggiandole con i tacchi sudici di terriccio contro il muro. La
cucina era stranamente in ordine, quasi come se fosse rimasta
inviolata per giorni; l'unica cosa fuori posto era la ciotola di
Spank, piena di croccantini. «Fortunatamente ti dà da mangiare»
biascicò Rea guardando fugacemente l'animaletto ed entrando correndo
nel soggiorno. La televisione era accesa su MTV, probabilmente stava
andando in onda “Dial MTV”, e sul divano era
appallottolata una coperta in lana; il telecomando era appoggiato sul
tavolino basso vicino ad una ciotola di pop corn alla cui ombra c'era
della finissima polverina bianca. Rea si avvicinò, sperando con
tutto il cuore che fossero dei granelli di sale; si inginocchiò e
pucciò il dito indice in quel pulviscolo. Guardò il polpastrello,
infarinato di quella roba che aveva veramente poco del cloruro di
sodio: “Non ci posso credere... non ci VOGLIO credere”; titubante
si portò il dito alle labbra e succhiò. Il tutto si risolse con
un'espressione schifata sul volto della ragazza.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Era
fottutamente amara. Sono corsa in cucina a sciacquarmi la bocca
immediatamente; non voglio e mai vorrei che quella merda inizi a
circolare anche nelle mie vene. Ho chiuso il rubinetto e mi sono
asciugata le labbra con un tovagliolo trovato per caso in uno dei
tanti mobili, cercando il meno possibile di far sbavare il rossetto.
Mi sono girata verso Spank che mi guardava con occhietti
supplichevoli, quasi come se mi stesse dicendo “Per favore, aiutalo
che è nei casini”. Sono stata solo capace di dirgli: «Portami da
lui».
Spank
camminava piano, quasi non volesse far rumore per evitare di
spaventare ancora di più il suo padrone; Rea lo seguiva in punta di
piedi, stringendo i pugni per i sentimenti che avevano preso forma
dentro di lei in meno di un secondo: un'ira cieca perchè Nikki aveva
ceduto nuovamente al suo viziaccio ed un terrore indescrivibile di
trovarlo esanime in qualche angolo di quella casa che sembrava una
cattedrale gotica ripiegata su se stessa. La paura di essere arrivata
troppo tardi e non aver potuto fare nulla per salvargli la vita
un'altra volta. La camminata lungo il corridoio sembrava infinita: il
cagnolino procedeva quanto più silenziosamente possibile e Rea si
ritrovava ogni cinquanta centimetri faccia a faccia con un gargoyle
che la guardava mostrandole i denti aguzzi e gli artigli acuminati;
quella casa trasudava malessere e solitudine e quelle statuette stile
Notre-Dame ne erano la dimostrazione. Quelle facce distorte, non
piacevoli, erano lo specchio dell'anima e dell'universo dove Nikki
era solito rinchiudersi. Spank entrò nella camera da letto e si
fermò proprio davanti alla porta del bagnetto privato: «Qui
bimba» abbassò le orecchie triste; Rea chiuse per un attimo gli
occhi e trasse un lungo sospiro, cercando di calmarsi il più
possibile. Bussò sulla porta di legno ed appoggiò l'orecchio destro
per cercare di sentire se Nikki respirava ancora; dall'interno dello
stanzino la voce baritonale del bassista si alzò potente: «Vattene,
chiunque tu sia!». La ragazza si sentì infinitamente più leggera:
era vivo e questo era bellissimo; un po' meno bello era il fatto che
lui si rifiutasse di aprire la porta. «Nikki, sono Rea, apri per
piacere» quelle parole le uscirono dalla bocca come fumo sottile
«Non
posso» tremò lui dall'interno dello stanzino
«Cosa
significa “non posso”?» la ragazza stava già perdendo la
pazienza. Trascorsero alcuni attimi di silenzio, poi finalmente Nikki
rispose: «Mi stanno cercando... se mi trovano mi portano chissà
dove... o, peggio, mi ammazzano»
«MA
CHI? CHI?» urlò Rea cercando di aprire la porta abbassando la
maniglia e spingendo con tutte le sue forze; era bloccata
dall'interno: «Nikki, se non apri immediatamente giuro che quando
esci ti gonfio come un rospo!». Dopo tre potenti spintoni la ragazza
riuscì ad entrare nel piccolo bagno e si trovò di fronte ad uno
spettacolo raccapricciante: Nikki le stava puntando addosso il
fucile, era completamente nudo, sporco e seduto a terra, circondato
da pozze di vomito verdastro.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Come
ho aperto la porta è uscito un odore nauseabondo da quello stanzino
di pochi metri quadrati; mi sono trattenuta a stento dal non
vomitare. Un conato mi ha percosso la gola, ma io l'ho rispedito
indietro, facendomi diventare gli occhi lucidi. Orripilata e schifata
ho guardato il mio ragazzo circondato dai suoi stessi liquidi
interni; mi stava puntando il fucile addosso. Ho cercato di
abbassarglielo ma, come ho cercato di fargli posare le canne a terra,
lui ha alzato il viso guardandomi negli occhi; mi sono spaventata per
ciò che ho visto.
Nikki
la guardava con il mascara che gli colava brutalmente dalle ciglia
disegnandogli occhiaie irregolari su quella pelle quasi cadaverica;
si era morso le labbra troppo violentemente dal momento in cui si era
chiuso nel suo rifugio: grondavano sangue da tagli orizzontali che
seguivano il contorno di quel lembo di pelle leggermente più scuro
della sua carnagione. Aveva pianto; era stato un pianto di terrore
puro e semplice, nero come l'asfalto appena gettato che sommerge e
schiaccia tutto ciò che c'era prima. Rea rimase pietrificata davanti
a quella visione apocalittica; se fosse stato un quadro l'avrebbe
chiamato “Pure Delirium”. Nikki strinse i denti ed urlò con
tutto il fiato che aveva in corpo: «TI SUPPLICO, CHIUDI!»; a
malincuore, Rea dovette recuperare la maschera d'acciaio: «No, tu
dentro questa merda non ci stai»
«MA
MI STANNO CERCANDO!» sbraitò Nikki abbracciandosi le ginocchia e
nascondendo la testa dietro di esse
«Chi
ti sta cercando?» domandò fermamente la ragazza cercando di
ottenere una risposta. Il bassista iniziò a tremare violentemente e
nuove lacrime gli scavarono le guance; cercò di ricomporsi ma gli
risultò difficile: “Vai Sixx, rendila partecipe del tuo inferno”
lo incoraggiarono le mille vocine che gli affollavano quei pochi
neuroni che gli erano rimasti intatti. Sussurrò: «So che ci sono...
ci sono dei messicani che si sono arrampicati sugli alberi che ci
sono in giardino e mi stanno spiando. Hanno chiamato una squadra
della SWAT e... sono fuori; si stanno preparando per assaltare la
casa. Fra poco entreranno e per me sarà la fine» un singhiozzo gli
mozzò il fiato «Entreranno come vapore, strisciando sotto le
fessure dei serramenti, mi ammanetteranno e mi porteranno in galera e
per me sarà la fine!». Pianse rumorosamente e singhiozzò
convulsamente, ripiegato su se stesso e nascondendo il viso per la
vergogna: “Tu sai che tutto questo è irreale... eppure c'è una
parte del tuo cervello che stenta a crederci. Ogni volta ci ricaschi.
Sei patetico e stupido, la cocaina ti rende patetico e stupido;
l'unica cosa per farti passare l'effetto della cocaina è... la tua
ragazza dagli occhi dorati”. DI NUOVO LEI? “Bravo scemo,
hai capito: ci vuole un po' di eroina”. L'eroina... l'unico modo
per levargli tutte le allucinazioni della cocaina; quel magico
sedativo che come entrava in circolo lo spediva in una dimensione
tranquilla e famigliare. Rea gli levò dalle mani con forza il
fucile, lanciandolo sul letto: «Forza, alzati»; il suo tono di voce
era quello di un generale che parla al suo battaglione: «E' ora di
farsi una bella doccia, puzzi come un animale». Nikki si ritrasse ed
iniziò a fissare una delle tante pozze verdi sul pavimento: «Dammi
dell'eroina... ti prego»; lo disse con un filo di voce. Sapeva che
era sbagliato, sapeva che era schifoso, eppure ne sentiva
l'impellente necessità.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Mi
aveva chiesto di dargli dell'eroina; anche poca, aveva aggiunto,
giusto per tirarlo fuori da quell'inferno in cui si era infilato.
Sarò sincera: il primo impulso è stato quello di guardare
l'armadietto dove tiene tutto l'arsenale per farsi e cercare con gli
occhi un pochino di quella merda; se quello schifo gli dà la
possibilità di ricomporsi, perchè non darglielo? Ma poi ho pensato
che non sarebbe stato minimamente coerente con quello che io sto
facendo per lui: insomma, mi sto spaccando in quattro per evitare che
lui si droghi e gli preparo la dose? No. Non mi abbasso a fare simili
stronzate. Così, con tutta la forza che avevo nelle membra, mi sono
chinata e gli ho mollato un sonoro ceffone sulla guancia sinistra;
come le nostre pelli si sono toccate, ho sentito il mio cuore
spaccarsi in due. Non volevo, giuro, non volevo picchiarlo... ma era
davvero fuori controllo.
Nikki
sbattè la testa contro il muro per la sberla ricevuta; Rea ritrasse
la mano con un groppo alla gola e si fissò il palmo arrossato per
l'impatto, sporco di nero proprio sotto l'indice. Strinse il pugno
ributtando indietro l'amarezza che le stava colmando gli occhi ed
afferrò il suo ragazzo per un polso; Nikki si alzò a rallentatore,
faticosamente, sopprimendo l'impulso di vomitare di nuovo. Rea non lo
guardava negli occhi, gli dava le spalle e lo trascinava lentamente
verso il grande bagno stringendolo in modo saldo. Il ragazzo cercava
di opporre resistenza senza molto successo: «Mollami, MOLLAMI! Se mi
vedono sono fottuto, ti prego, fammi tornare là dentro!»; le
lacrime gli colavano insieme al mascara dalle guance,
dipingendogliele di nero. Nikki cercava di liberarsi dalla morsa che
gli attanagliava il polso, ma Rea, più determinata, riuscì a
sbatterlo dentro al box doccia; il ragazzo cadde rovinosamente,
picchiando le ginocchia contro la ceramica della base. Si
appallottolò su se stesso, continuando a singhiozzare senza
controllo, nascondendosi la testa fra le mani; da lontano, Spank
osservava la scena preoccupato: il suo padrone sembrava un bimbo
smarrito che urlava nel tentativo di rintracciare qualcuno che
potesse aiutarlo e la sua ragazza, imbarazzata, si toglieva il
vestito rimanendo solo in biancheria intima ed entrava con lui nel
box.
Giovedì
1 gennaio 1987, 8 pm
Ho
chiuso il vetro ed ho aperto il rubinetto; il contatto con l'acqua
dapprima gelata ha fatto sobbalzare Nikki, facendogli cacciar fuori
un urlo acuto e tagliente. Poi, lentamente, l'acqua ha raggiunto la
temperatura giusta; ma lui non era intenzionato ad uscire dal suo
guscio. È giusto essere autoritari in questi momenti, è necessario
fare capire certe cose, ma la vista di quell'essere umano così
magro, dalla carnagione pallida, scosso da un pianto isterico mi ha
provocato una tenerezza infinita. Mi sono chinata anch'io, bagnandomi
tutti i capelli, e l'ho abbracciato da dietro sussurrandogli: «Basta
piangere... è finito, non c'è niente Nikki... stai tranquillo»; ed
in quel momento ho fatto una cosa che mai mi sarei aspettata di fare:
l'ho baciato sul collo. Non so perchè l'ho fatto, semplicemente
avevo voglia; voglia di sentire l'odore della sua pelle entrarmi
prepotentemente nelle narici. Quel contatto un po' intimo l'ha fatto
rilassare: ha alzato la testa e si è voltato; aveva gli occhi
arrossati e gonfi ed un piccolo rivoletto di sangue gli scendeva dal
labbro inferiore. Nessuna parola, nessun verso, nessun sospiro:
bastava guardarlo in quegli smeraldi preziosi per capire di cosa
avesse bisogno, così ho afferrato una spugna e, delicatamente, gli
ho lavato via il trucco ed il sangue dal viso, mentre lui teneva le
palpebre abbassate e lasciava che l'acqua gli scorresse lungo tutto
il corpo, lavando via ogni scoria che la cocaina gli aveva impiantato
dentro e fuori dal cuore. Quando ho allontanato la spugna dalla sua
faccia ha aperto gli occhi, guardandomi quasi con l'innocenza tipica
dei bambini; ecco la faccia di Nikki che nessuno riesce a vedere,
quella fragile, quella ancora un po' infantile, quella che crede che
tutto ciò che lo circonda sia buono. Si è avvicinato a me, al mio
viso. Ho trattenuto il fiato, ho tremato, ho sentito il cuore
esplodermi, ho sentito il fuoco avvampare su ogni centimetro della
mia pelle senza che l'acqua della doccia fosse in grado di spegnerlo;
ho chiuso gli occhi per assaporare meglio quell'istante. Sentire il
suo naso che sfiorava la mia guancia, sentire le sue labbra bagnate
poggiarsi sul mio zigomo e risucchiare lentamente un piccolo
pezzettino di pelle; poi la sua guancia contro la mia e la sua voce
che mi sussurrava: «Grazie» all'orecchio. Un abbraccio, sincero,
semplice, primordiale; sembrava fosse la prima esperienza per
entrambi. Un abbraccio casto ma stretto fra due persone tra cui vige
un tacito “amore”.
L'acqua
continuava a scorrere sulle chiome nere dei due; Nikki continuava a
tenere la testa poggiata alla guancia di Rea: «Sai, è stato Robbin
a portarmela... in questi giorni sono riuscito a farmi solo una volta
al giorno; per me è stato un grande traguardo. Ma ritrovarmi oggi lì
davanti ad una montonata così grande di cocaina... non ho saputo
resistere. Lui era venuto qui per parlarmi di questa sera, ed invece
ci siamo fatti entrambi; poi lui se n'è andato ed io sono rimasto
solo. Così ho iniziato a delirare». La ragazza capì che da sola
non avrebbe potuto fare nulla per lui, ci voleva l'aiuto di un suo
amico per convincerlo a non farsi più sul serio. Ma non Tommy; era
sporco anche lui, sarebbe stato inutile farlo parlare con il
bassista. Usciti dalla doccia, Nikki le disse che non se la sentiva
di andare fuori a cena, preferiva starsene in casa con lei a guardare
un film oppure a discutere di qualsiasi cosa; non avrebbe voluto
farsi vedere in quello stato da nessuno. Mentre diceva queste cose,
Rea adocchiò la rubrica sistemata vicino al caricabatterie del
telefono cordless; così, intanto che Nikki era in cucina a preparare
lo champagne e qualche salatino, lei iniziò a sfogliarla sperando di
trovare un nome potenzialmente utile. Dopo circa venti pagine vide il
nome dell'uomo che faceva al caso suo: David Lee Roth.
*
* *
Lunedì
12 gennaio 1987, 10 pm
Diamond
Dave è riuscito a convincere Nikki; da oggi è di nuovo sotto
metadone. È andato a parlargli venerdì sera (quando anch'io mi
trovavo a casa con lui) e gli ha dato una bella lavata di testa: gli
ha detto che non può andare avanti così, che ha un album da
scrivere quindi non può avere il cervello infestato da qualsiasi
tipo di droga e che se non la smette ha seri dubbi che ce la faccia
ad andare in tour; mi auguro che quei dubbi si riferiscano alla
debilitazione fisica e non a qualcosa di peggio. Quando è entrato
dalla porta con la sua massa di capelli lunghi, biondi e mossi al
vento e quell'espressione inconfondibile da rocker cafone mi sono
ritornati in mente i pomeriggi passati con le mie amiche davanti a
MTV a sbavare sui video di “You Really Got Me”, “Jump”,
“Panama” e “Hot For Teacher”; indimenticabili i commenti
di Marta: «Se quell'uomo sculetta così bene in un video, mi
immagino a letto cosa combina!» e tutte noi che ridevamo mentre Amy
urlava: «Marta! Ma che cavolo, tieni a freno gli ormoni!». Ad ogni
modo, Nikki teneva la testa bassa come fa Spank quando non può
mangiare i biscotti, ma alla fine si è deciso; trenta giorni di
terapia e poi potrà darci dentro sul serio. Speriamo che duri...
NOTE:
Robbin
Crosby: ex chitarrista dei RATT, morto per un'overdose di eroina nel
2002.
Slash:
ex chitarrista dei Guns'n'Roses, attualmente milita nei Velvet
Revolver.
Stephen
Pearcy: cantante dei RATT.
Grumman
F14 Tomcraft: aereo da combattimento supersonico bimotore a getto,
biposto e con ala a geometria variabile, attivo nell'esercito
statunitense a partire dal 1974 fino al 2006 (fonte Wikipedia).
Dial
MTV: programma di MTV che mandava in onda la top 5 o la top 10 dei
video più richiesti per telefono dagli spettatori (da qui il nome
dial).
Ragazza
dagli occhi dorati: riferimento al titolo della canzone “Girl With
Golden Eyes” con cui si intende l'eroina.
David
Lee Roth: detto anche Diamond Dave, cantante della formazione storica
dei Van Halen. È lui che spinge in questo periodo Nikki ad iniziare
la terapia al metadone.
“You Really Got
Me”, “Jump”, “Panama” e “Hot For Teacher”: singoli di
Van Halen.
Il titolo del
capitolo è ripreso dalla canzone dei Mötley Crüe “Just Another
Psycho” contenuta nell'album “Saints Of Los Angeles” del 2008.
Perdonatemi
per l'assenza prolungata, ma in questo periodo sto affogando nei miei
impegni; il capitolo è stato scritto a singhiozzo, nelle pause fra
una lezione e l'altra ma soprattutto anche nei tragitti
casa-università sul mitico bus z301 (grazie infinite all'ATM). Per
questo penso che la qualità di questa produzione sia scarsina,
frettolosa ed assemblata in qualche modo; non abbiate paura di
farmelo notare, sappiate che le vostre recensioni sono estremamente
importanti, di qualunque sfumatura esse siano. Volevo lasciarvi un
piccolo regalino per Pasqua (dato che da domani parto e me ne vado in
trasferta per qualche giorno), quindi prendete questo capitolo come
una specie di uovo di cioccolato. Come sempre, grazie alle mitiche
seguaci Demy84, SailorMercury84, Lau_McKagan, alemagica88, Alison_95,
elliehudson, kay89, key17, LadyMars, Mars from the stars,
marziolina86, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna e
RocketQueen_; grazie anche a chi si ferma a leggere 10 minuti quello
che scrivo. Spero di non avervi deluso troppo, a presto (spero, se
non muoio prima per il troppo studio),
Ellie
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Capitolo 16 *** Madness, Heart And Love = Wild Side ***
16 Madness, Heart And Love = Wild Side
“Allora
Sixx, il piano è questo: la mattina metadone e il tardo pomeriggio
una piccola dose di eroina; piccola, non esagerata come quelle che ti
sei fatto finora”; il cervello di Nikki macchinava questo mentre il
Dolophine gli scendeva giù per l'esofago. Non si fidava minimamente
dei medici che lo guardavano in quel momento: lui, nascosto dietro i
suoi occhiali scuri ed il berretto in lana nero e loro, davanti a lui
in fila come soldatini, con le braccia conserte che lo fissavano
scuotendo il capo. “Metadone uguale a un'altra dipendenza che si
aggiunge ad altre dipendenze. Tanto vale ingegnarsi in altro modo per
uscirne; meglio convivere con la solita vecchia mistress in
microscopiche dosi piuttosto che con un altro coso che tanto fa
poco”. Al momento dell'iscrizione al programma di disintossicazione
avevano tanto insistito perchè si sottoponesse ad una visita
generale e completa; ovviamente, Nikki aveva rifiutato molto
elegantemente: «Dammi la mia pastiglietta e risparmiami le tue
analisi, medico del cazzo». Dal canto suo, il medico aveva
aggrottato le sopracciglia, scritto qualcosa in maniera illeggibile
sulla sua cartella, si era alzato e messo davanti a lui: «Lei è
cosciente che il suo apparato cardiocircolatorio potrebbe essere
seriamente compromesso a causa delle continue assunzioni di un
eccitante e di un rilassante molto potente?»
«Finora ho
sempre scopato e non ho mai avuto problemi del genere, non mi sono
mai sentito esplodere le coronarie» aveva risposto Nikki altezzoso
accavallando le gambe e tenendo le dita delle mani incrociate sul
ginocchio sinistro. “Bugia Sixx, bugia. Sono millenni che non
penetri una donna e l'unica volta che hai tentato di farlo hai fatto
una cilecca da Guinness dei Primati; forse è meglio sottoporsi ad un
test. Uno solo, così, tanto per far vedere che si è collaborativi”.
«Guardi che
non è questione di sentirsi esplodere le coronarie, molte volte si
va incontro a problemi di altro genere; se non si fa attenzione,
queste sono spie silenziose che possono portare alla morte» aveva
detto il medico calcando sulle ultime parole; Nikki si era toccato le
palle: «Va bene, va bene, mi sottoporrò ad uno dei vostri dannati
test, ma sia chiaro: uno solo e non di più, e se questo uno solo è
una visita dall'andrologo scappo a gambe levate». L'idea di farsi
infilare un dito su per il retto non era bella; avrebbe sopportato
tutto, ma non quell'umiliazione. Fortunatamente il tutto si risolse
con una puntigliosa visita cardiologica, che diede come esito
un'elevata contrattilità del
ventricolo sinistro del bassista: «Spero che questo la induca
ancor di più a smettere» disse il medico poggiando lo stetoscopio
sulla scrivania; Nikki non rispose, ma mentre si rivestiva pensò:
“Tranquillo, smetterò di certo, ma non grazie ai tuoi metodi”.
Appena rincasò, contattò Jason che arrivò con la sua Ferrari, non
prima di essersi assicurato che la ragazza di Nikki non fosse nel
raggio di cinquanta chilometri; i due prepararono trenta dosi, ognuna
accompagnata da un ago pulito: la prima dose era quella più
abbondante e man mano si andava diminuendo fino a quella del
trentesimo giorno, quasi inesistente. «Ok, mi raccomando, cerca di
rispettare tutte le dosi che abbiamo preparato, altrimenti sarà
inutile» disse Jason lavandosi le mani nel lavandino della cucina «E
dal trentunesimo giorno in avanti, dosi rare e scarse»
«Vedrai, ce
la farò» rispose Nikki dando una boccata dalla sua sigaretta;
guardò il fumo sgorgargli fuori dalla bocca, si inumidì le labbra
ed aggiunse: «Oggi i medici hanno voluto farmi una visita prima di
mettermi sotto metadone; mi hanno detto che ho un'elevata
contrattilità al ventricolo sinistro. Tu hai la minima idea di che
cazzo voglia dire?». Lo spacciatore si voltò a guardarlo con le
sopracciglia aggrottate: «Non avrai paura delle stronzate che dicono
i dottori, vero?»; Nikki si bloccò per un momento con la sigaretta
stretta fra l'indice ed il medio della mano destra: “Risposta vera:
beh, sì; insomma, se quell'involtino che ho nel petto si ferma sono
cazzi amari, sai com'è! Risposta falsa: ma per chi mi hai preso?
Volevo solo avere qualche informazione in più”. Ripetè a voce
alta la risposta falsa; ci mancava solo che si faceva vedere pauroso
da Jason. Lo spacciatore, dal canto suo, alzò le spalle e se ne
andò, lasciandolo solo in quella sua casa spettrale. Strisciando
silenziosamente le sue Chuck Taylor High Top nere sul parquet dopo
aver chiuso l'ingresso, Nikki si ritrovò in piedi, davanti allo
specchio incorniciato di ottone dell'anticamera; si guardò, si
osservò con occhio quasi clinico: i capelli spenti, rovinati dalle
cotonature e dalle tonnellate di lacca che non aveva mai lavato via
del tutto; il viso scavato, con quella carnagione cadaverica; gli
occhi verdi e vacui; la barba di due giorni; le braccia magre
costellate di lividi e con le vene collassate e le mani quasi
scheletriche. “Elevata contrattilità del ventricolo sinistro”;
quelle parole continuavano a rimbombargli fra i neuroni. Era
preoccupante, non poteva essere cardiopatico a ventotto anni; quella
era roba per la gente anziana. “Nona...” per un attimo rivide il
viso della donna che l'aveva cresciuto, la sua nonna, sentendo un
grande vuoto dentro di sé: “Quel giorno ero talmente fatto che non
ho avuto nemmeno il coraggio di venire a salutarti per l'ultima
volta. Tutto quello che ho potuto fare è stato lasciarmi cadere sul
divano con una chitarra in mano e fare in modo che fosse il mio cuore
di nipote a parlare... un arpeggio e poche parole. Mi sono sentito
come una mela fatta solo di buccia, come un uovo senza pulcino
dentro... vuoto”. Si poggiò alla parete e si fece scivolare
lentamente verso il pavimento; chiuse gli occhi, continuando a vedere
sulle sue palpebre il viso di Nona che gli sorrideva, e si portò la
mano destra al cuore. Lo sentiva battere sotto il suo palmo mentre i
suoi polmoni si dilatavano e restringevano lentamente; erano
pulsazioni regolari, una per ogni spostamento della lancetta dei
secondi del suo orologio da polso. “Elevata contrattilità del
ventricolo sinistro... ma vaffanculo” pensò il ragazzo mettendosi
supino e continuando a tenere la mano sul petto “voi medici siete
solo capaci di fermarvi alla superficie. Ma se tu oggi, uomo laureato
con indosso un camice bianco, avessi auscultato i miei sentimenti
invece che le mie valvole, quello che ti sarebbe rimbombato nei
timpani sarebbe stato il suono di un cuore spezzato. Ed invece che
darmi metadone, mi avresti fatto un'iniezione d'amore e affetto”.
Si sentiva un debole mentre si raccontava quelle cose che tentava il
più possibile di segregare dentro di sé, ma in quel momento la sua
voce interiore era diventata potente e voleva farsi sentire a tutti i
costi: “Chissà perchè all'uomo piace sentirsi vivo, percepire
questa pallina di settecento grammi che rimbalza incontrollata nel
petto... c'è qualcosa, o meglio, qualcuno che può farti questo
effetto, buttarti in ginocchio e disarmarti completamente”. Lei,
Rea. Aprì gli occhi sentendo il diaframma contrarsi ed il suo
stomaco annodarsi; si guardò nello specchio, rosso in viso. “Per
fortuna sono solo... non posso farmi vedere così da nessuno; ho una
reputazione da salvaguardare”. Si girò sul lato sinistro,
poggiando entrambe le mani a pugno sul pavimento; chiuse le palpebre
e la sognò con il suo sorriso incorniciato da quella folta chioma
corvina, quelle perle nere dai riflessi indaco e... tutto. La sua
voce, il suo corpo, tutto di lei. La immaginò al suo fianco, stesa
con gli occhi aperti, che allungava una mano sulla sua guancia; lui
la prendeva e ne baciava il dorso. Poi, con un sorriso, si avvicinava
al suo viso: un timido contatto con le sue labbra; poi un altro più
passionale ed un altro ancor più focoso e le sue mani che scorrevano
sulla pelle liscia della ragazza. Le lingue che si cercavano, che
scorrevano avidamente leccando ogni centimetro di pelle scoperta; poi
l'abbandono più completo e sincero: lei sotto di lui, chiusa fra le
sue braccia, che gli cingeva il collo inarcando la schiena premendo
contro di lui i suoi seni e che gli sussurrava all'orecchio quanto ci
tenesse a lui e che voleva sentirlo completamente dentro di sé. E
lui, sempre più ritmicamente, le faceva sentire che c'era, che era
lì solo per lei, baciandole e mordendole le labbra e facendola
sospirare e gemere; poi le contrazioni ritmiche e spasmodiche degli
adduttori li facevano gemere più forte, nello stesso istante. Infine
la quiete. La stringeva a sé e le baciava teneramente le labbra
mentre lei sorrideva ansimando; sempre tenendola legata al suo corpo,
lui si metteva supino e le carezzava il capo facendoglielo posare
proprio lì, dove lui aveva tenuto la mano fino a pochi istanti
prima. Ripensò a ciò che lei gli aveva detto tempo addietro, del
fatto che, dopo lo stupro, non si sentiva in grado di fare l'amore
con nessuno; lui voleva farle cambiare idea, lui voleva essere quello
giusto. Sorrise segretamente, continuando a tenere le iridi smeraldo
nascoste; sentiva il suo cuore corrergli nel petto. Non era la
cocaina però a farlo impazzire; era Rea che lo faceva sentire così
vivo: “Dio santo Sixx, quanto sei smielato!” lo ammonì una delle
sue vocine “Mi hai fatto alzare la glicemia”
«Mi sarò
anche fatto alzare la glicemia... ma, a quanto pare, si è alzato
anche qualcos'altro» rispose il bassista aprendo gli occhi e
guardandosi soddisfatto il membro che faticava a stargli dentro i
pantaloni. “Allora, forse, questo metadone non è poi così
malvagio... insomma, si è alzato! Altro che disfunzione erettile
come mi aveva detto Amy! Continuerò per trenta giorni con il
Dolophine la mattina ed una sola dose al giorno di eroina... e poi mi
farò il meno possibile. Così sarà facile smettere, ritornerò ad
essere normale e non più un pazzo furioso. Ce la farò. Per me, ed
anche per lei”. Sospirò, cercando di far decelerare il cuore e far
abbassare il suo amico; in quel momento sentì il gran bisogno di
telefonarle, per chiederle se avesse voluto passare da lui, anche
solo per bere un bicchierino di whisky: “Ma non il Jack, Sixx...
quello non le piace, dice che sa di benzina. Preferisce whisky più
vecchi come l'Oban; dai quattordici anni in su”. Compose il numero
con i polpastrelli leggermente sudati ed aspettò, tremando per
l'eccitazione.
Martedì
13 gennaio 1987, 9 pm
Ieri,
verso mezzogiorno, Nikki ha telefonato qui a casa; ha risposto Amy
che mi ha portato il cordless nello studio, dato che stavo
dipingendo. Gli ho chiesto come era andata la terapia e lui mi ha
risposto che si sentiva bene; la sua voce aveva una nuova venatura,
assente fino a quel momento. Sembrava felice, sul serio. Mi ha
chiesto se volevo andare da lui, ma purtroppo ho dovuto rifiutare: ho
troppi esami da dare in questo periodo, finirò il 28 di questo mese;
così gli ho promesso che il 29 andrò da lui. Mi spiace un mondo non
essere così presente in questo suo momento importante di passaggio,
ma gli ho promesso che lo chiamerò tutti i giorni; l'ho sentito
sorridere sinceramente in quel momento: «Non vedo l'ora di vederti»
mi ha detto. Anch'io non vedo l'ora di incontrarlo di nuovo... quando
non c'è impazzisco; la mia arte ormai è influenzata dalla sua
presenza, in qualsiasi cosa faccio, lui deve esserci, sempre. Nikki,
sei come una malattia: ogni giorno, ti impossessi di un nuovo
pezzettino della mia anima; mi togli il fiato e mi fai girare la
testa. Strano come certe persone possano insaporirti così la vita.
Il
ragazzo riattaccò soddisfatto, anche se era leggermente dispiaciuto
dal fatto che lei non potesse passare subito: “Beh dai, ti troverai
da fare in questi giorni: leggere, comporre, guardare MTV e terapia
di riassestamento; ricordati: alle sette spaccate, prima dose
diminuita”. Sorrise fiducioso, sicuro che quella volta ce l'avrebbe
fatta a lasciare l'inferno.
*
* *
Mancavano
pochi minuti alle tre e Nikki era seduto su una seggiolina in legno
nel giardino sul retro ad aspettare di udire il rombo del motore
dell'auto della sua ragazza; era seriamente agitato quel giorno, era
una miriade di tempo che non si sentiva così teso prima di
incontrare una persona di sesso femminile che gli interessava.
“Quando sarà stata l'ultima volta che ti sei sentito così Sixx? A
Seattle quando ancora vivevi con tua madre?”; ma la risposta non
era importante in quel momento, quello che davvero contava era il
fatto che c'era qualcuno che lo faceva sentire bene. In quei giorni
ce la stava mettendo tutta: Dolophine al mattino, colazione, pranzo,
merenda, piccola dose di eroina (giusto per non andare in astinenza),
cena, e nanna; sembrava che Sikki fosse sparito e che Nikki
avesse il monopolio completo della sua psiche. Stava comportandosi
così per se stesso ma soprattutto per Rea. Il sole splendeva in quel
pomeriggio di fine gennaio e Nikki ne stava assorbendo il più
possibile il calore per fare il pieno di energie; poi il rombo del
suo motore arrivò sommesso alle sue orecchie e lo stomaco gli si
annodò. Spank arrivò saltellando vicino alla sedia: «Bimbo, è
arrivata iaia!»; il ragazzo gli fece l'occhiolino e gli disse di
seguirlo dentro casa per andare insieme ad aprire la porta a Rea.
Lisciandosi le maniche del maglione nero, il bassista iniziò a fare
training autogeno: “Ok, Sixx cerca di stare il più rilassato
possibile; non saltarle addosso, non fare gesti avventati, non
atterrarla, non trombarla... insomma, non fare niente che possa farla
incazzare ed allontanarla da te. Sii solo... gentile, disponibile,
dolce, carino”; GENTILE? DOLCE? Quanto tempo era che non si
ricopriva di quegli attributi? “Da quando avevi dieci anni... ma,
dopotutto, non è difficile. Basta sorridere e guardarla negli
occhi”. Ce la poteva fare, doveva riuscirci. Ormai era davanti alla
porta d'ingresso ed aspettava con ansia che lei facesse scattare la
serratura: “Tranquillo Sixx, stai tranquillo... ripeti insieme a
me: il mio respiro è calmo e regolare, il mio respiro è calmo
e...”; lo scatto che arrivò dalla porta lo fece sobbalzare
vistosamente. Spank lo guardò con sguardo interrogativo: «Stai
bene?»; il ragazzo sospirò pesantemente e strinse i pugni:
“Perchè non riesco a tranquillizzarmi? Niente panico Sixx”.
Rea fece capolino dalla porta d'ingresso, avvolta nel suo chiodo di
pelle nera ed i suoi fuseaux zebrati: “Ok Sixx, panico!”;
il viso gli diventò incandescente.
Giovedì
29 gennaio 1987, 10 pm
Appena ho
aperto la porta, mi sono vista di fronte Nikki e Spank, immobili come
due statue; li ho salutati entrambi con un sorriso ed il cagnolino,
subito, mi è saltato in braccio per farmi le coccole. Nikki, invece,
ha continuato a rimanere lì impalato, con gli occhi spalancati e la
bocca semiaperta; ho rimesso Spank a terra e mi sono avvicinata a
lui: «Ehi, ci sei?» gli ho chiesto sventolandogli davanti agli
occhi la mano. Ha battuto le palpebre ed ha aperto le braccia per
stringermi a lui; mai avuta un'accoglienza così calorosa da parte di
Nikki. Per un attimo sono rimasta sbigottita, poi ho sentito il fuoco
avvamparmi sulla pelle: mi sono fatta inebriare dal suo profumo così
maschile ed anch'io gli ho stretto la vita. Ho sorriso in silenzio,
assaporando ogni nota di quell'abbraccio, con lui che mi teneva il
capo sul suo petto e mi accarezzava i capelli: «Ciao» mi ha detto
semplicemente, ed io mi sono sciolta come un gelato il mese di
luglio.
Un
tonfo sordo li divise, accompagnato da un ululato di dolore che
arrivava dalla cucina: «Che bottaaaaaaa!»
«Che
palle» sbuffò il ragazzo «Spank si sarà tirato addosso di nuovo
la scatola dei biscotti; meno male che è di alluminio. Mi stupisco
che con tutti i biscotti che mangia non sia ancora diventato un
dirigibile»; Nikki fece per dirigersi verso il luogo del delitto, ma
Rea lo bloccò per un braccio: «Aspettami sul divano. Sarai debole,
ci penso io ai disastri di Spank». Detto questo, la ragazza poggiò
sul divano sia la sua giacca che la sua borsa e corse in cucina;
Nikki si sedette vicino alle sue cose, guardando curioso quegli
oggetti femminili: “Allora, regola numero uno per fare colpo su una
ragazza: intavolare un discorso interessante”; ma come poteva
sapere cos'era interessante per Rea? “Le piace la pittura... sì,
però non ci sono mostre di quadri al momento da vedere...” mentre
iniziava a sfogliare tutte le possibilità mentalmente, fece un
movimento impercettibile ma comunque capace di far cadere la borsa
della sua ragazza sul tappeto, riversandoci sopra ogni cosa che
conteneva. «Merda!» esclamò il ragazzo sottovoce, chinandosi il
più veloce che potè per iniziare a mettere a posto il casino che
aveva creato: “Regola numero due per fare colpo su una ragazza: mai
metterle le mani nella borsa. Ok Sixx, hai perso, hai combinato
un'altra cagata. Vedo già sullo schermo del NIKKI SIXX ARCADE
VIDEOGAME la scritta GAME OVER; come sputtanare tutto nel giro di
cinque secondi”. Prese la borsa ed iniziò ad infilare dentro tutto
alla rinfusa: rossetti, chiavi della macchina e di casa, un pacchetto
di gomme da masticare, un pettine, assorbenti ed il portafogli. «Ma
che diavolo hai combinato?» chiese la voce di Rea da dietro il
divano; Nikki si girò verso di lei mentre stringeva fra le mani un
assorbente: “Ecco che arriva la catastrofe!” «E'... è caduta».
La ragazza sospirò scuotendo la testa: «Lascia stare, faccio io»
si inginocchiò davanti a lui e cominciò a riordinare il contenuto
della borsa; Nikki le passava le cose tenendo il capo chino,
imbarazzatissimo, quando notò che le era scivolata fuori dal
portafogli la carta d'identità: «Stai più attenta o perderai i
documenti, signorina Rea...» battè le palpebre un paio di volte per
mettere meglio a fuoco il cognome, convinto di aver letto male «...
Hino?»
«Sì,
Hino» gli fece eco lei in tono velatamente scocciato togliendogli da
sotto gli occhi il documento; ogni volta che qualcuno leggeva il suo
cognome partivano commenti di ogni genere e voleva evitare che anche
Nikki lo facesse. Nel frattempo che lei posava la borsa sul tavolino
basso, il ragazzo la guardava sospettoso: “Mi nasconde qualcosa; ha
cambiato cognome come me, ci dev'essere sotto qualcosa di brutto.
Devo riuscire a scoprirlo”; la sua bocca si aprì senza che nemmeno
se ne accorgesse: «Hai voglia di un latte con il cioccolato?»
“Bella mossa Sixx... forse proprio game over non era. Forse era più
INSERT COIN” si complimentò con lui il suo cervello
«Sì,
volentieri» sorrise lei seguendolo in cucina
«Bimbo,
bimbo... Spank anche latte» il cagnolino fissava insistentemente
il contenitore in tetrapack che il ragazzo aveva estratto dal frigo
«No
Spank, diventi un botolo se continui a mangiare così. E poi il
cioccolato ti fa male, ti fa venire la sciolta; vai in giardino a
giocare con i legnetti» sentenziò Nikki. Triste, Spank uscì in
giardino e si mise nella cuccia dove si addormentò. Dopo poco il
bassista poggiò sul tavolo in noce della cucina i due bicchieri
colmi di latte; mentre si sedeva sullo sgabello, Rea diede la prima
sorsata, poi con un sorriso gli disse: «Ti trovo meglio sai?». Il
ragazzo non rispose subito, poi timidamente disse: «Voglio
smetterla; ho cose più belle e più importanti a cui dedicarmi».
Giovedì
29 gennaio 1987, 10 pm
Quando ha
confessato di voler smettere per dedicarsi a cose più belle ed
importanti il mio cuore è esploso di gioia; “Questa è la volta
buona!” ho pensato speranzosa fra me e me.
«Allora
qui bisogna brindare» sussurrò Rea facendo tintinnare l'orlo del
suo bicchiere contro quello del bassista «Alla tua Nikki»; bevvero
entrambi un gran sorso di quella bevanda dolce, poi posarono i
bicchieri sul tavolo con un gran tonfo. Si guardarono intensamente
negli occhi, poi Rea, improvvisamente, si mise a ridere; il ragazzo
aggrottò le sopracciglia: «Che c'è?»
«Ti
è rimasta la schiuma sul labbro» continuò a ridacchiare Rea «sei
sporco come i bambini». Nikki arrossì violentemente e si affrettò
a pulirsi con il dorso della mano, facendo ridere ancor di più la
sua ragazza: “Un fuoco gioioso... dio, come sei bella” «La
finisci di prendermi in giro?» si finse irritato il bassista
«Oh,
ma come siamo permalosi oggi!» lo sbeffeggiò Rea
«Ripetilo
se ne hai il coraggio... Rea Hino» sussurrò Nikki poggiando i
gomiti sul tavolo e sporgendosi pericolosamente verso di lei; di
tutta risposta, la ragazza gli puntò il dito sulla punta del naso
schiacciandola: «Ti ho già detto di non chiamarmi con il mio
cognome, chiaro?». Ci fu un attimo di stasi in cui il dito di Rea
rimase appiccicato alla punta del naso di Nikki, poi il ragazzo
domandò: «Scusa,
ma i tuoi di dove sono?»;
la ragazza si ritrasse come se avesse visto qualcosa di spiacevole.
“Cazzo... forse ho azzardato troppo...” pensò Nikki fra sé
aspettandosi da un momento all'altro che Rea gli staccasse la testa a
morsi per averle fatto una domanda che non riteneva opportuna; invece
lei rispose con la voce velata di tristezza: «Sia mio padre che mia
madre sono nati qui a L.A.» fece una pausa per evitare che le
emozioni prendessero il sopravvento «Quello era il cognome di mio
nonno paterno»
«Beh,
quindi quello di tuo padre» dedusse Nikki. Il volto di Rea si oscurò
come il sole durante un'eclissi: «N-no... del nonno; aveva cambiato
cognome dopo la seconda guerra mondiale, quando mio padre era già
nato»
«Oh...»
Nikki aggrottò le sopracciglia pensieroso «ma prima come si
chiamava? Insomma, qual è il tuo vecchio cognome?». Rea deglutì a
fatica; non voleva pronunciare quell'insieme di lettere, le faceva
male ed aveva un sapore schifoso, ma non poteva nemmeno non
rispondere al suo ragazzo. Fece un respiro profondo e deglutì a
fatica come se stesse mandando giù una medicina indigesta (più
fanno schifo, più fanno bene all'organismo diceva sempre Amy):
«Finchè non ho compiuto diciotto anni mi chiamavo Rea Dickinson».
Abbassò lo sguardo ed iniziò a fissare le punte dei suoi texani;
Nikki, dal canto suo, si fece scappare una piccola pernacchia, segno
che stava trattenendo una risata travolgente. La ragazza alzò gli
occhi irritata: «Lo trovi divertente?»; Nikki si alzò, la prese
per mano e la portò sul divano dicendole: «Dai Fiamma, sai che non
mi piace quando ti spegni... adesso ti spiego perchè mi è venuto da
ridere per il tuo vecchio cognome sperando di contagiarti un po'».
Rea si mise in ginocchio di fianco a lui con un gomito appoggiato
allo schienale mentre Nikki si schiariva la voce ed iniziava a
raccontare: «Era il 1984, verso agosto, ed era la prima volta che
facevamo un concerto in Europa e più precisamente in Inghilterra...
puoi immaginarti l'euforia, soprattutto da parte mia, che andavo a
suonare nel paese da cui arrivavano le mie band preferite. Dovevamo
fare alcune date al Monsters Of Rock quindi eravamo tutti su
di giri; beh, arriviamo in questo albergo dalle parti di Nottingham
la sera verso le otto, mi chiudo in camera, mi scaravento sul letto
ed accendo la TV immergendomi in quell'accento così musicale. Ad un
certo punto inizio a sentire che stanno bussando contro il vetro
della finestra del bagno, però avendo la stanza al secondo piano ho
pensato che me lo stessi immaginando; invece quel picchiettare
diventa più insistente, così mi alzo e vado a vedere cosa c'è,
pensando che fosse un picchio a fare tutto quel casino. E cosa trovo?
Una ragazza, nemmeno brutta fra l'altro: “Ciao amore” mi dice
questa; io rimango lì un attimo e poi la saluto anch'io. Lei mi
dice: “Ti dispiace se entro?”; ero senza parole e mi domandavo:
“Chi cazzo è questa qui?”. Entra, si volta e con una
disinvoltura disarmante mi chiede: “Ti dispiace se mi tolgo le
culottes?”»
Rea
lo interruppe per un secondo: «Che? Questa nemmeno ti conosce, ti
entra in camera come una ladra dalla finestra e ti chiede se può
togliersi le mutande?»
Giovedì
29 gennaio 1987, 10 pm
Dovrò
iniziare a prepararmi psicologicamente per situazioni come questa
quando sarà in tour, anche se ha detto che si ingegnerà per
portarmi con sé. Andrei in escandescenza se lo vedessi con un'altra,
anche se lui non ricambia. Quando mi ha raccontato di questa perfetta
sconosciuta che gli è balzata in camera dalla finestra mi sono
sentita male e mi è salita una rabbia allucinante; ho pensato:
“Pensa che questa cosa sia divertente? Vorrebbe farmi ridere così”.
Invece non voleva farmi ridere con quell'amplesso di cinque minuti ma
con le sue conseguenze...
«Aspetta!
So che per te questa parte non è piacevole da sentire, cercherò di
renderla il più breve possibile. Comunque, la guardo e le dico: “Vai
tranquilla!”. Se le leva, fa quello che deve fare con me e,
terminato il tutto, si tira su le braghe e mi dice: “Grazie, è
stato un onore” e si cala giù dalla finestra. Il giorno dopo siamo
nel backstage della prima tappa del minitour del Monsters Of Rock che
ci stiamo preparando per salire sul palco quando Doc bussa alla mia
porta dicendomi: “Nikki, c'è qui Bruce Dickinson che
vorrebbe parlare con te”; gli dico di entrare e Bruce mi dice:
“Saremo molto onorati se voi voleste farci da spalla durante il
tour europeo”. Ero al settimo cielo: “Sì, perfetto!”. Gli Iron
Maiden non sono mai stati il mio gruppo preferito, però sono
molto bravi; poi, improvvisamente, una biondina entra nel mio
camerino fiondandosi addosso al cantante. La guardo bene e penso:
“Oddio, è quella di ieri sera”; Bruce, dato che è un gentleman,
le sorride, l'abbraccia e mi dice: “Nikki, lei è mia moglie”. In
quel momento i miei testicoli hanno sentito la forza di gravità
trascinarli a terra. Ogni volta che ricordo questo episodio mi viene
da ridere, ecco perchè prima l'ho fatto; non volevo prenderti in
giro, fuoco mio». Allungò la mano per accarezzarle la guancia
sinistra; Rea vi si appoggiò e chiuse gli occhi per un istante
sentendo le loro pelli scaldarsi a quel contatto. Il ragazzo disse:
«Però ancora non mi è chiaro perchè hai cambiato cognome... puoi
anche non rispondere, se non ti va»
«No»
Rea scosse la testa «non preoccuparti. Diciamo che ho cambiato
cognome per il tuo stesso motivo: volevo chiudere con il passato.
Chiudere con mio padre e legarmi ad un'altra persona che per me è
sempre stata più presente ed importante». A Nikki si gelò il
sangue: “Incredibile... insomma, siete uguali! Lei cambia cognome
per slegarsi dal padre come hai fatto tu e si lega ad un'altra
persona; la differenza con te è che tu ti sei inventato il cognome,
quindi non sei legato a nessuno”. La ragazza continuò a
raccontare: «Mio padre è nato nel 1940, quando ancora mio nonno
faceva Dickinson di cognome; poi è iniziata la guerra ed è stato
fatto prigioniero dai giapponesi. Diciamo che la cosa non è stata
del tutto negativa poiché il nonno è riuscito ad entrare in
contatto con una cultura che lo ha affascinato fin nel profondo
dell'animo ed ha deciso di mettere in pratica gli insegnamenti dello
shintoismo, in particolare di venerare i kami del fuoco che, per lui,
è sempre stato l'elemento naturale in cui si rispecchiava di più.
Quando è tornato a casa si è affrettato a cambiare il cognome in
Hino, che significa “di fuoco”. Nel momento in cui mio padre è
cresciuto ed è venuto a conoscenza di questo cambio ci è rimasto
male; dice che si sente ripudiato. Poi sono nata io e sono rimasta
sola con mio padre perchè mia madre è morta di parto; purtroppo,
con il lavoro che si ritrova a fare, mio padre non ha tempo per
prendersi cura di me, quindi mi ha lasciata nelle mani del nonno. Lui
mi ha educata e cresciuta... ecco perchè a diciotto anni ho cambiato
cognome: sono più legata a lui che al mio vero padre. Vedevo papà
solo la domenica quando mi trascinava a messa in quella chiesa
battista» le scappò una risatina «Ci pensi? Durante la settimana
pregavo gli spiriti del fuoco con il nonno mentre la domenica mi
ritrovavo a recitare meccanicamente il padre nostro». Nikki aggrottò
le sopracciglia grattandosi il mento: «Ma quindi, alla fine, tu in
cosa credi?». Scese il silenzio nel salotto; era difficile trovare
la risposta ad una domanda simile. Rea disse: «Non so se è per
questioni psicologiche o altro, ma io non venero il dio cristiano;
provo maggior conforto nell'interrogare il fuoco... lo sento più
vicino a me. Poi, non so, mi pare troppo eccessivo questo continuo
piangersi addosso nel cristianesimo dicendo: “Continuo a fare
peccati, dio perdonami”. Perchè si deve sempre piangere, Nikki?»
«Chi
lo sa... forse è un modo come un altro di fare soldi» il ragazzo
fece spallucce
«O
forse... è anche un modo per tenere la gente sottomessa. Fai credere
alla massa che sono dei peccatori e verranno da te pastore
strisciando per chiedere perdono; tu che sei l'unico intermediario
diretto con dio» le pupille di Rea si dilatarono a dismisura
«Ecco
come fanno a manipolare il cervello della gente» Nikki annuì con un
sorrisino diabolico che gli percorreva il viso; si alzò di scatto e
corse verso la libreria. Fece scivolare le dita sulle copertine di
alcuni volumi impolverati finchè non trovò quello che stava
cercando: la Bibbia. Un'oscura risatina gli uscì dalle labbra mentre
apriva il librone sul tavolino basso davanti al divano; Rea lo
guardava incuriosita mentre sfogliava freneticamente quella carta
così sottile. «Vediamo se mi ricordo ancora dov'è...» biascicò
Nikki mentre spostava blocchi interi di pagine finchè non urlò
trionfante: «Trovata!». Girò il volume verso la sua ragazza
dicendo: «Vangelo di Matteo, il discorso della montagna»; Rea fece
scorrere gli occhi su quelle parole scritte così in piccolo finchè
vide quello che Nikki le stava indicando. Lo lesse ad alta voce:
Our
father, which art in heaven
hallowed
be thy name;
thy
kingdom come;
thy will
be done
in earth
as it is in heaven.
Give us
this day our daily bread
and
forgive us our trespasses,
as we
forgive them that trespass against us.
And lead
us not into temptation;
but
deliver us from evil.
«Non
trovi che l'uomo si sia discostato troppo, tramite la religione,
dall'essenza primaria del cristianesimo?» domandò Nikki
«Scusa?»
Rea era allibita: “Se inizia a scendere così nel filosofico,
significa che il metadone gli sta facendo bene”
«Voglio
dire che l'uomo, in quanto manipolatore, ci ha ricamato sopra troppo;
se lasciavamo tutto com'era stato concepito inizialmente, sarebbe
stato figo. Adesso capisci perchè sono io il mio dio?»
«Io
aggiungerei che tu sei il tuo dio perchè talvolta hai un ego
smisurato» disse la ragazza scuotendo il capo; si guardò l'orologio
che portava al polso e scattò in piedi: «Cacchio, sono già le
cinque e mezza! È tardissimo, devo tornare a casa... avevo promesso
a Morea che l'avrei aiutata a cucinare stasera». La ragazza raccolse
in fretta e furia le sue cose e salutò il bassista con un fugace
bacio sulla guancia: «Mi sarei trattenuta ancora, ma devo andare...
è stato piacevole parlare con te oggi. Dovremo farlo più spesso»;
Nikki la prese fra le sue braccia e la strinse forte: «E' stato
bello oggi... grazie della tua compagnia» anche lui le baciò la
guancia leggermente arrossata dall'emozione. La guardò correre per
il vialetto con i capelli che vibravano nel vento freddo e pensò:
“Sono stato forte oggi... ho fatto dei passi avanti con lei; non
devo avere fretta di farla mia subito o rovinerò tutto quello che ho
fatto fino ad ora. Sei speciale Fiamma... mi sento ardere quando ci
sei”. I suoi occhi caddero sull'acustica poggiata nell'angolo: «Mi
è venuta un'idea geniale» sussurrò ghignando e ripensando alla
conversazione che aveva appena concluso con lei; l'afferrò per il
manico, prese carta e penna ed iniziò a comporre. Quella sera si
dimenticò dell'eroina.
Sabato 31
gennaio 1987, 3 pm
Verso
mezzogiorno Marta è tornata dal suo giro mattutino di shopping e mi
ha detto che nella cassetta della posta c'era qualcosa per me; sono
andata a vedere ed era un nastro. “Qui c'è lo zampino di Nikki”
ho pensato con un sorriso; sono entrata in casa ed ho aperto la
custodia dove dentro, su un piccolo foglietto bianco, c'era scritto
con dell'inchiostro nero: “Se sono riuscito a scrivere un pezzo
così bello e potente è solo merito tuo. La conversazione dell'altro
giorno mi ha fatto capire che fra me e te c'è un feeling tutto
particolare... è una canzone forte, irriverente, forse blasfema. Ma
l'ho scritta perchè tu mi hai rimesso in moto il cervello; penso che
rischierò la scomunica, ma l'ho fatto per una buona causa. Grazie
per avermi ascoltato e grazie per avermi stimolato. Nessuno, mai,
nella mia vita, mi ha dato così tanta spinta per scrivere un pezzo.
Questa “Wild Side” è per te.
P.S. Ti
porterò in studio all'inizio di marzo per registrare quegli
arrangiamenti vocali su “Dancing On Glass”... sei contenta?
P.P.S. Mi
è dispiaciuto un sacco non consegnartelo di persona questo nastro,
ma quando sono passato davanti a casa tua erano le quattro del
mattino ed ho immaginato che stessi dormendo. Ti voglio bene”. Ho
sorriso come un'ebete guardando la cassetta sentendo il cuore salirmi
in gola per l'emozione. Poi l'ho messa nello stereo, ho alzato la
manopola del volume al massimo ed ho premuto play. Sì Nikki, quella
canzone è uno dei pezzi più riusciti che tu abbia mai scritto.
NOTE:
Sikki: Nikki dice che la sua personalità, ai tempi, era
formata da due entità: una è appunto Nikki (quello più sano) e
l'altra è Sikki, malato e fuori di testa (ripreso dalla parola
sick).
Niente panico Sixx […] Ok Sixx, panico: citazione
rielaborata e ripresa dal film “L'aereo più pazzo del mondo”.
Monsters Of Rock: festival nato in Inghilterra
(successivamente diffusosi anche in altri paesi europei) che si è
tenuto al circuito di Donington dal 1980 al 1996.
Bruce Dickinson: cantante degli Iron Maiden dal 1982 al
1993 e dal 1999 fino ad oggi.
Iron Maiden: heavy metal band inglese fondata nel 1975
dal bassista Steve Harris; ai tempi (1984) la line-up era così
composta: Bruce Dickinson alla voce, Steve Harris al basso, Dave
Murray ed Adrian Smith alle chitarre e Nicko McBrain alla batteria.
Wild Side: canzone che apre l'album “Girls, Girls,
Girls” ispirata dal padre nostro menzionato precedentemente nel
corso del capitolo; per ulteriori chiarimenti, cercate le lyrics in
google.
Eccomi
qui, dopo una pausa un po' più lunga del solito; questo capitolo è
quello più lungo che abbia mai scritto fino ad ora, quindi mi auguro
che non risulti troppo pesante e troppo noioso. Mi sono resa conto di
aver trattato degli argomenti un po' particolari, fra cui anche la
religione; con questo capitolo non intendo offendere la sensibilità
di nessun credente cristiano. Se l'ho fatto, per favore, avvisatemi.
La canzone “Wild Side” nasce proprio, come viene descritto in
“The Heroin Diaries”, dopo aver “analizzato” The Lord's
Prayer. Spero di non avere turbato nessuno. Come sempre vi faccio la
solita raccomandazione: se doveste notare che il capitolo non è
scritto bene, fatemelo notare ;) E, come sempre, grazie a tutti
quelli che leggono, recensiscono o anche solo che si fermano per dare
un'occhiata. Grazie alle mie lettrici fedelissime... aspetto di
sapere i vostri pareri. Un bacio e a presto, Ellie
P.S. non chiedetemi perchè ogni tanto sto coso cambia carattere che mi passa dall'Arial al Times New Roman... boh
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Capitolo 17 *** Chi La Fa, L'Aspetti ***
17 Chi La Fa, L'Aspetti
Sabato 28 febbraio
1987, 11 pm
Sono
accadute troppe cose in questo mese che non ho avuto nemmeno il tempo
di scrivere un pochino qui dentro nel mio diario; o meglio, ho
occupato il tempo in modo decisamente diverso rispetto a prima (ma,
devo dire, che sono veramente soddisfatta di questa mia nuova
organizzazione). All'inizio del mese, verso il 4 circa, Nikki mi ha
confermato che per l'inizio di marzo mi avrebbe portata in studio per
scrivere e registrare insieme a me gli ultimi arrangiamenti per
“Girls, Girls, Girls”; inutile dire che ero al venticinquesimo
cielo, perchè quello significava registrare i cori su “Dancing On
Glass” più altro da mettere a punto. Quando l'ho detto alle
ragazze ho letto nei loro occhi una grande felicità ma anche un
pizzichino d'invidia, specialmente negli occhi blu di Marta; mi ha
detto: «Sei fortunata Rea, potrai apparire nei crediti del disco...
eh, piacerebbe tanto anche a me. Con tutti i provini che faccio
ancora non mi ha chiamata nessuno e tu, con l'aggancio giusto, ti
ritrovi ad incidere un pizzico della tua voce su un cd»; anche lei
vorrebbe tanto farsi conoscere dal grande pubblico, però la mia
amica preferirebbe fare la showgirl piuttosto che la cantante. Da
parte mia, cerco di non farmi troppe illusioni; è vero, apparirò
sui crediti di un disco dei Mötley Crüe, ma non è certo detto che
qualcuno mi noti. Ad ogni modo, sono felicissima che Nikki abbia
preso questa decisione; per tutti i tempi morti che mi si sono
presentati durante queste giornate, ho fatto esercizi per la voce,
canticchiato se c'erano in casa le altre e cantato con tutta la
potenza che ho in corpo se ero sola in casa (sì, sono vergognosa,
non voglio che le mie amiche mi sentano cantare). Voglio essere al
top della forma quando entrerò in sala per registrare, voglio essere
soddisfatta di ciò che finirà sul nastro. Ho visto Nikki circa un
paio di volte ogni settimana: migliora a vista d'occhio e sta
ricominciando a prendere un po' di peso; ma soprattutto è
estremamente produttivo e stimolato. Un sabato di circa due settimane
fa siamo andati insieme in un negozio di antiquariato per sbirciare
fra le cianfrusaglie; siamo usciti dal negozio io con in mano una
statuina di ferro battuto raffigurante un corvo e lui con dei libri
vecchi ed impolverati ed uno di quei volumi gli ha ispirato una nuova
canzone chiamata “Five Years Dead”. Dice che ha delle idee ben
chiare riguardo gli arrangiamenti e, secondo lui, questo sarà il
primo disco dei Crüe che finirà in vetta alle classifiche; glielo
auguro con tutta me stessa, si sta impegnando e sarebbe veramente un
premio meritato.
Le aveva telefonato all'inizio della settimana; era
stata una chiacchierata breve perchè stava aiutando Mick a
registrare le sue parti di chitarra, quindi era stato chiaro e
diretto: «Ricordati bene: sabato 7 marzo 1987, alle nove di sera
fuori dal numero 5100 su Melrose Avenue. Sono i Conway Recording
Studios. Io sarò già su in sala. Scenderò a prenderti sul
marciapiede e poi saliremo insieme; niente Vince, niente Mick, forse
Tommy. Di sicuro ci saremo io, te e Werman». Rea prese velocemente
appunti sul blocchetto di Bunny decorato con cuoricini e coniglietti;
dopo aver scritto l'ultima lettera chiese: «E' proprio necessario
che ci sia il produttore? Insomma... mi vergogno»
«Deve» rispose sbrigativo Nikki «tutto quello che
finirà in quel dannato disco deve passare sotto la sua supervisione.
Fiamma, io ora me ne devo tornare di là, ci sentiamo in settimana».
Riattaccò senza che lei potesse almeno salutarlo, ma Nikki in studio
era così: concentrato sul lavoro della band. Della sua band. L'aveva
fondata lui dopo aver lasciato i London all'inizio del 1981 e
ci aveva messo anima e corpo pur di portarla avanti egregiamente;
tirava fuori le unghie e diventava una belva impazzita quando si
trattava dei Crüe. Erano sopravvissuti a tutti gli alti e bassi che
erano capitati: dalla gavetta nei club di L.A., alla fuga del primo
manager, dalle risse, all'accusa di omicidio di Vince dopo
l'incidente in cui Razzle aveva perso la vita. I Crüe erano
la famiglia di Nikki e niente avrebbe potuto strappargliela dalle
mani; dopo tanta fatica, il minimo che si meritava era che il nuovo
album arrivasse in vetta a Billboard e facesse almeno disco
d'oro. “Nel mio piccolo gli darò una mano... così potrà dire di
essere pienamente soddisfatto del suo lavoro”.
* * *
Cena sbrigativa e veloce quella sera; Rea aveva
raccomandato a Morea di non mettere aglio o cipolle in quello che
stava cucinando e di non preparare cose troppo impegnative. Si sa,
quando si canta il diaframma massaggia lo stomaco e, certe volte,
invece che far uscire un vocalizzo ben riuscito, si rischia di
ruttare pesantemente nel microfono; Rea arrossì al solo pensiero che
una cosa del genere avrebbe potuto capitarle. Morea le preparò la
cena e la mise in un piccolo cestino; la ragazza dai capelli corvini
aveva intenzione di mangiare in macchina lungo la strada verso
Melrose Avenue. Aveva preso la Ford verso le sette di sera e se n'era
andata dicendo: «Non so quando torno» ed era sparita, sotto quella
pioggia battente che cadeva ormai da ore da quel cielo plumbeo.
“Pioggia a Los Angeles = strade intasate” pensava Rea mentre
scendeva per Carcassonne Road; a intervalli regolari la pioggia sul
parabrezza veniva scostata dai tergicristalli, permettendole così di
vedere gli stop delle macchine incolonnate davanti a lei. Sospirò
scuotendo il capo: “Va bene, vediamo di impiegare il tempo in modo
costruttivo”; rovistò con le mani nel pacchettino della cena, ne
estrasse un panino con salsa di funghi e prosciutto crudo e ci
affondò i denti. Avanzava a non più di diciotto miglia orarie,
quindi non le fu difficile mangiare: con la sinistra stringeva quella
delizia preparata con cura dalla sua amica e con la destra teneva il
volante e, se necessario, cambiava le marce. Riuscì a parcheggiare
davanti al 5100 di Melrose Avenue dieci minuti prima dell'orario
fissato con Nikki; scese dalla macchina stringendo il suo ombrello e
scostando con la mano tutte le briciole che le erano rimaste
incagliate nelle fibre dei jeans rossi e si diresse davanti
all'entrata degli studios, aspettando che il suo ragazzo scendesse.
La tensione iniziava a salirle addosso, come se migliaia di ragni le
stessero camminando sulla pelle. Il pensiero che avrebbe dovuto
cantare davanti ad un musicista esperto ed un produttore la
intimoriva parecchio: “Non preoccuparti” cercava di rassicurarsi
“è normale essere agitate in una situazione simile... ma vedrai
che andrà tutto alla grande”; cercò di concentrarsi su altro per
distendere i nervi. Incantata ed ammaliata dal concerto di luci che
scorrevano sul grande viale davanti a lei, Rea non si accorse che
qualcuno le si stava avvicinando da dietro; solo quando questa figura
la chiamò per nome, lei si voltò rimanendo sconvolta.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Ho
sentito che qualcuno mi ha chiamata per nome alle spalle. Ma non era
la voce di Nikki... eppure era famigliare; non ho ricollegato subito
di chi era, non mi sono accorta di quella cadenza slava, altrimenti
non mi sarei girata. Invece, quasi ignara del pericolo che mi
attendeva, ho voltato la testa ed ecco apparire nei suoi capelli
crespi e la sua barba incolta Yuri. Mi sono paralizzata. In quel
frangente ho rivissuto l'incubo di quattro anni prima.
Si aggrappò all'ombrello, quasi fosse la sua unica
ancora di salvezza; si sentì la schiena gelida e le gambe
pietrificate. Non riusciva a muoversi. Yuri sorrise mentre la frangia
castana gli scendeva disordinata sugli occhi: «E' passato un sacco
di tempo dall'ultima volta che ci siamo visti»
“Fortunatamente” pensò Rea; deglutì come se stesse
per mandare giù un pezzo di gelatina viscida e schifosa: «Già» si
limitò a dire. Abbassò gli occhi e vide le sue Chuck Taylor High
Top nere come quelle di Nikki avvicinarsi sempre più pericolosamente
a lei; il terrore più puro si stava impadronendo della ragazza:
“Perchè quelle non sono le scarpe del mio ragazzo?”. Fece per
indietreggiare, ma dopo soli pochi centimetri si ritrovò con la
schiena appoggiata ad un palo della luce che con la sua lampadina
giallastra illuminava la sagoma di Yuri conferendogli un'aura
malsana; oltretutto l'ombrello stesso era poggiato al pilastro e la
pioggia le stava inumidendo tutta la schiena. «Come stai?» domandò
Yuri con una dolcezza allarmante
“Non me l'ha mai chiesto per tutto il periodo che
siamo stati insieme, ma che gli prende?” «Bene... sì, bene».
Ormai le punte dei capelli erano fradice. Yuri incalzò: «Come mai
da queste parti?»
“Adesso sta davvero esagerando”; Rea prese il
coraggio a due mani e gli rispose freddamente: «Queste non sono cose
che ti riguardano»
«Oh, sul serio? E allora come mai sei davanti al mio
posto di lavoro?». La ragazza sgranò gli occhi e l'ombrello le si
inclinò, bagnandole metà testa; non riusciva a credere alle sue
orecchie: «Hai... hai detto “posto di lavoro”?». Stava
balbettando; aveva paura. Staccò la mano sinistra dal manico
dell'ombrello e strinse lo Zippo nella tasca dei pantaloni: “Nonno,
aiutami”; si sentiva tremare dentro il chiodo, sentiva i peli delle
braccia premerle contro le maniche del maglioncino nero che tanto le
piaceva. Si morse la lingua per soffocare un urlo pronto a sgorgarle
fuori dalla bocca come acqua da una sorgente sotterranea; Yuri si
faceva sempre più vicino e minaccioso: «Sono il tecnico delle
chitarre qui in studio». Quello che probabilmente voleva essere un
sorriso si allargò su quel viso di venticinquenne infestato dalla
barba incolta di un paio di settimane; assomigliava terribilmente a
James Hetfield ma aveva un che di sporco e terribile. Rea
cercò di indietreggiare di nuovo sentendosi immediatamente sconfitta
nell'avvertire il palo della luce che le tagliava la ritirata;
strinse ancor più saldamente quella scatoletta metallica nel palmo
per trarne il maggior conforto possibile mentre i suoi occhi vagavano
dietro la capigliatura crespa del suo ex ragazzo alla ricerca di
Nikki. «Sei sempre più bella» ormai Yuri era riuscito ad
appoggiarsi a lei «e sempre più appetitosa»; la ragazza cercò di
scappare da quella morsa in cui lui la stava stringendo, ma il
ragazzo la prese per le spalle bloccandola. “E' la fine” pensò
Rea con gli occhi che le si velavano di fobia mentre ogni muscolo del
suo corpo si irrigidiva: “Nonno... Nikki... aiuto” urlò dentro
di sé. L'avvoltoio non aveva intenzione di mollare: «Dopo vieni a
casa mia e ci facciamo un...»; l'accendino diventò improvvisamente
incandescente e si udì un colpo secco. Yuri finì con la schiena a
terra sul marciapiede bagnato mentre incominciava a tossire
violentemente; Nikki lo sovrastava con lo sguardo di un cane
rabbioso. Gli sputò addosso colpendolo in pieno viso e poi con lo
stivale destro iniziò a schiacciargli la trachea: «Bene, figlio di
troia, che intenzioni hai?» disse fermo e deciso; Yuri prese a
fatica una boccata di aria mista a pioggia: «Cosa cazzo vuoi,
montato di merda? L'ho vista prima io»
«Tu, lei, non la tocchi, hai capito?» sentenziò Nikki
pigiando ancora più a fondo con lo stivale e facendo annaspare Yuri:
«Per... perchè?» riuscì a biascicare fra un sibilo e l'altro
«E' la mia ragazza, stronzo!». Il bassista gli tirò
un calcio nelle costole e subito dopo si affrettò a prendere Rea per
mano e a portarla dentro, lasciando Yuri riverso sul marciapiede
intento a riprendere fiato fra un vaffanculo e l'altro.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Nikki
mi ha trascinata dentro negli Studios come un uragano forza dieci e
mi ha quasi scaraventata all'interno dell'ascensore; senza dire una
parola ha schiacciato il pulsante per il quarto piano, ha aspettato
cinque secondi e poi l'ha bloccato. Io ho alzato gli occhi che avevo
tenuto fissi sull'ombrello fino a pochi secondi prima e l'ho visto
esplodere: «Cosa cazzo voleva Mihailov da te, si può sapere?». Il
cognome di Yuri mi rimbalzò nella testa ormai vuota; quell'essere
aveva quell'effetto su di me: privarmi della ragione, annichilirmi
completamente, rendermi un manichino facendo leva sul fatto che lui
sapeva che io avevo terrore della sua presenza. Mi sono
appallottolata ancor di più nel mio angolino incassando la testa
nelle spalle; Nikki, furibondo, ha rincarato la dose: «Ah... vi
conoscete quindi. E questo tuo silenzio mi fa pensare che tu e lui
avete fatto chissà che cosa insieme, vero Rea?» ha iniziato a
sbraitare «Dubito di sbagliarmi!».
Il bassista si avvicinò minaccioso alla ragazza che,
portata allo stremo da così tante forti emozioni provate nel giro di
poco tempo, si accasciò sulla moquette dell'ascensore ed iniziò a
singhiozzare mentre con le unghie tentava di grattare via quel
rivestimento in tessuto. Rea chiuse gli occhi per evitare di vedersi
negli specchi di quella cabina mobile, per evitare di vedere la sua
faccia deformata dalla fobia che Yuri le scaraventava addosso; grosse
lacrime nere le scorrevano sulle guance velate di trucco mentre
stringeva i denti così violentemente da consumarli lentamente,
millimetro per millimetro. Il cuore di Nikki si strinse, quasi come
volesse impiccarsi: “Che orso bruno che sei, avresti potuto porre
la domanda diversamente invece di saltarle addosso, imbecille che non
sei altro!”; il ragazzo si chinò lentamente verso Rea prendendole
il viso fra le mani. Lei aprì gli occhi a quel contatto ma non lo
guardò in viso: “Ok Sixx, ora è il momento di dire la formula
magica: mi dispiace”; il bassista deglutì, aprì la bocca per un
secondo senza riuscire a dire nulla. Una delle sue mille vocine lo
aggredì: “Possibile che tu debba essere sempre così orgoglioso?
Ecco perchè poi le cose vanno a puttane, chiedi scusa per una
volta!”. Fece un respiro profondo e si concentrò: «Rea... io...
scusami»; la sua ragazza lo fissò con gli occhi bagnati di lacrime.
«Mi dispiace sul serio, non dovevo aggredirti in quel modo. È solo
che...» in un istante Nikki si sentì avvampare il viso “Avanti
Sixx, non sei un androide, sei un essere umano... ce li hai dei
sentimenti, esternali!” «che... insomma, non voglio che altre
persone tocchino la mia Fiamma».
“Ecco, l'ho detto... posso andare a sotterrarmi da
qualche parte ora?” domandò Nikki al suo cervello che prontamente
rispose: “No scemo, hai fatto una delle azioni migliori della tua
vita. Se non LA migliore”.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Possono
sembrare parole insignificanti, però sapere che sono così
importante per lui, tanto da non volere che nessun altro mi tocchi...
non ho davvero parole per descrivere questa sensazione.
Rea sorrise ed accarezzò le mani del suo ragazzo che le
contornavano il viso: «Io volevo che tu arrivassi, ti ho desiderato
tanto in quel momento...»; uno scossone fece sobbalzare i due:
l'ascensore aveva ripreso a muoversi. Nel giro di pochi secondi un
campanellino segnalò l'arrivo al quarto piano dove Tommy attendeva
impaziente l'amico giocherellando con le bacchette: «Bro! Ma dove
cazzo eri finito? Pensavo che...»
«Un tè» lo bloccò Nikki alzando una mano
«Cosa?» chiese il batterista sbigottito, pensando di
non aver recepito la richiesta; Nikki fece segno con il capo
all'amico per indicare Rea che aveva ancora le guance rigate di nero.
Tommy si limitò ad annuire e si diresse verso l'angolo bar mentre il
suo gemello portava la ragazza in sala tenendola delicatamente
per mano. Lo studio di registrazione era un'enorme stanza quadrata
con le pareti ricoperte di pannelli di sughero e gommapiuma nera
illuminata da luci al neon; niente finestre, solo un enorme doppio
vetro che divideva quel piccolo luogo mistico dalla sala del mixer.
Nella stanza non c'erano amplificatori o batteria, solo un microfono
per le incisioni ed un pianoforte a coda laccato di nero. Mentre Rea
si faceva sfilare da Nikki il chiodo ancora bagnato di pioggia,
inspirò profondamente inebriandosi di quell'odore così unico che
solo le sale prove avevano; era piacevole, sapeva di legno, sapeva di
pelli trattate, sapeva di elettricità, sapeva di musica. Quell'aroma
riuscì a distenderle un po' i nervi; Nikki prese due sgabelli ed
invitò la ragazza a sedersi di fianco a lui: «Sicura di riuscire a
cantare stasera?» sussurrò prendendo un fazzolettino per sistemarle
il trucco
«Sì... dammi un po' di tempo, ho solo... bisogno di
riprendermi un attimo» disse Rea sistemandosi i capelli. Il ragazzo
annuì, poi riprese: «So che forse non è il momento adatto per
farti una domanda del genere ma... come fai a conoscere Mihailov?».
La ragazza sospirò debolmente, facendo uscire la paura dal suo
corpo: «Ricordi quando ti ho parlato di quello Yuri, diverso tempo
fa, che mi aveva fatta sua senza che io lo volessi?»; Nikki annuì
in silenzio trattenendo il fiato. La verità gli arrivò in faccia
con la violenza di una granata: «È lui. Yuri Sergeevič
Mihailov». Nikki sgranò gli occhi incredulo e stava per replicare,
quand'ecco che la porta dello studio si aprì e Tommy entrò con in
mano una tazza di tè fumante: «Ecco qui Rea, vai piano che scotta»
«Ti ringrazio» gli
sorrise lei
«T-Bone, al mixer»
ordinò Nikki scattando in piedi
«Werman è appena
uscito... ha detto che se ne stava per un'ora in pausa» cercò di
replicare il batterista ma il gemello
lo tirò per una manica della felpa: «Ti ho detto andiamo al mixer,
ho bisogno di parlarti» sibilò fra gli incisivi
«Va bene bro,
tranquillo» Tommy entrò nella stanza adiacente, seguito poco dopo
da Nikki che, prima di lasciare sola la ragazza a finire il suo tè,
l'aveva guardata e le aveva lasciato un bacio sulla guancia seguito
dalle parole: “Non piangere più, me lo prometti?”.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Come
ho sentito scattare il meccanismo di chiusura della porta, mi sono
messa in un angolo della sala dove non fossi visibile dal vetro; ho
acceso il mio Zippo ed ho chiamato il nonno: «Ho rivisto Yuri» sono
stata capace di dirgli solo questo. Lui mi ha sorriso: «Però non ti
ha fatto nulla, Fiamma mia; visto come ha reagito Nikki? Visto come
tiene alla mia nipotina?». Le sue parole mi hanno scaldato il cuore,
mi hanno fatto capire quanto, in tutto questo tempo, siamo riusciti a
legarci e ad affezionarci l'un l'altro; «Tienitelo stretto tesoro
mio, non fare in modo che si rovini con le sue mani; quello è un
ragazzo che va seguito» mi ha raccomandato; poi, dopo una breve
pausa di silenzio, ha aggiunto: «E digli anche di non fare cazzate
stanotte». Stavo per chiedere informazioni in più ma il piccolo
fuoco si è spento.
Tommy si sedette sulla poltrona girevole davanti al
mixer, incrociò le braccia al petto e disse: «Non ho voglia di
giocare al paziente e all'analista in questo momento bro, ma tu mi
devi spiegare perchè, le uniche due volte che ho visto la tua
ragazza, l'ho sempre vista con le lacrime agli occhi. Ma è mai
possibile che tu sia così imbranato?»
«Non è colpa mia se lei stava piangendo!» gli
sbraitò in faccia il bassista che aveva ancora i nervi a fior di
pelle, ma Tommy, che ben conosceva l'amico, scosse la testa: «Tu non
me la racconti giusta»
«Ok» sospirò Nikki passandosi una mano fra i capelli
cotonati «ha pianto anche perchè io ho pensato male... per fartela
breve, ti ricordi di quando ti avevo raccontato che lei era stata
violentata? Beh, quando sono sceso a prenderla ho visto che Mihalov
la stava schiacciando contro un palo e...»
«Aspetta un secondo» lo bloccò il batterista
incredulo «Mihalov, il tecnico delle chitarre? Quel bruttone russo?»
«Sì. La stava schiacciando contro un palo ed io ho
pensato a chissà cosa... invece, dopo aver fatto la figura del
coglione ed averla fatta piangere, lei mi ha detto che...» fece un
respiro profondo per far sbollire il sangue «è stato Mihalov a
segnarla». Un freddo polare sembrò calare nella stanza dopo quelle
parole così scottanti; Tommy aveva gli occhi spalancati per la
sorpresa e Nikki la frangia calata sugli occhi, a nascondergli quei
preziosi smeraldi iniettati di sangue. Dopo un silenzio che parve
interminabile, il bassista parlò con voce profonda e decisa: «Ho
bisogno del numero di Fred... tu ce l'hai, vero Tommy?»
«Quello di Fred Saunders? Certo, ce l'ho a casa»
«Anch'io l'ho segnato sulla rubrica a casa. Non lo
ricordi a memoria?» strinse i denti il bassista mentre aggrottava le
sopracciglia. Tommy scosse la testa aspettandosi che Nikki perdesse
il controllo da un momento all'altro; al contrario, il bassista
disse: «Senti, non mi va di lasciarla andare a casa da sola, quel
fottuto avvoltoio potrebbe seguirla e fare di nuovo casino; direi che
non è il caso. La porto a Van Nuys da me e la faccio dormire lì,
così chiameremo Fred dal mio telefono»
«E il pezzo che stavamo terminando?» cercò di
replicare Tommy, ma Nikki rispose: «A casa mia il piano c'è, quindi
non avremo problemi di nessun tipo. Sarà Mihalov ad avere qualche
problema». Ghignò malamente; era l'espressione che gli riusciva
meglio in assoluto: alzare solo un angolo della bocca e socchiudere
gli occhi mentre emetteva una risata spezzata e roca. Mentre si
immaginava il destino della brutta copia del frontman dei Metallica,
Rea bussò sul vetro dicendo: «Sono pronta». Tommy rientrò in sala
lasciando Nikki solo dietro al mixer: «Ok» si udì dall'interfono
«anche se Werman non c'è, possiamo iniziare ugualmente a
registrare. Mettetevi le cuffie»; Rea si mise dietro il microfono
mentre Tommy si sedette al pianoforte. La voce del suo ragazzo le
arrivava dolce da dentro quelle conchiglie di plastica: «Ricordi la
canzone vero?»
«Certo» disse lei facendogli l'occhiolino
«E allora lasciati andare» sussurrò lui da dietro il
vetro premendo play.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Appena
il nastro è partito ho chiuso gli occhi e sono entrata in un
universo parallelo: mi sentivo bruciare dentro, era come se fossi una
stella in mezzo allo spazio gelido ed avessi il compito di riscaldare
tutto quello che mi stava intorno. Ho lasciato fuoriuscire il calore
tutto insieme, ho iniziato a cantare quasi senza accorgermene; mi
sentivo leggera e ardevo insieme. Ero una fenice che risorgeva dalle
proprie ceneri. Qualcuno aveva provato a mettermi fuori
combattimento, ci era quasi riuscito; ma con l'aiuto di una persona
speciale e della sua musica, sono risorta, più forte di prima. La
musica mi avvolgeva come un manto caldo ed io tenevo le mani sulle
cuffie schiacciandomele contro il capo per immergermi dentro
quell'armonia così graffiante come se dovessi tuffarmi nell'oceano,
come se dovessi trapassare una nuvola da parte a parte. Cantavo come
mai avevo cantato in vita mia; cantavo senza pensare che lo stavo
facendo. Cantavo con l'anima e quasi non me ne accorgevo. La mia voce
librava nell'aria come una farfalla che, agile, salta di fiore in
fiore; ma allo stesso tempo era forte, piena come quella di una
sirena. Cantavo con gli occhi chiusi, il mondo intorno non esisteva;
c'era solo la mia anima che volteggiava nell'aria riempiendo lo
studio.
Il pezzo finì; Rea aprì gli occhi lentamente lasciando
che le pupille si adeguassero nuovamente alla luce e Tommy si tirò
indietro la chioma ondulata che, a furia di picchiettare sul
pianoforte, gli era finita tutta davanti al viso. Entrambi guardavano
in direzione di Nikki che, trionfante e con un sorriso a trentadue
denti, applaudiva da dietro il vetro senza che nessuno lo potesse
sentire e alzava il pollice. La ragazza adagiò le cuffie mentre
Tommy esclamava: «Dio, ma dove hai imparato a fare queste cose?»
«Sono andata bene?» chiese lei mentre la felicità le
illuminava il viso. Il batterista si alzò dallo sgabello senza dire
nulla per andare ad abbracciarla, cogliendola completamente di
sorpresa; Nikki, vedendo che l'amico si era leggermente allargato,
entrò in sala dicendo: «Ma che cavolo fai?». Di tutta risposta,
Tommy, felice come una Pasqua, alzò la ragazza e la lanciò contro
il gemello facendo cadere entrambi rovinosamente per terra:
«Bro, non sei nemmeno capace di prendere le persone al volo. Ma una
cosa è certa: la tua donna canta da dio!»; era contento come un
bambino che ha ricevuto da Babbo Natale ciò che desiderava di più.
Nel frattempo Nikki stringeva i denti, dolorante per la botta che il
suo fondo schiena aveva appena dovuto sopportare: «Tua madre non ti
ha mai detto che non si lancia la gente? Lei non è mica una palla!»
sbraitò all'amico prima ancora di essersi reso conto che la sua
ragazza gli era completamente sopra, dolorante almeno quanto lui. Rea
gli si aggrappò alle spalle cercando di sedersi ma un dolore molto
forte al ginocchio destro la bloccò; fu allora Nikki che la strinse
fra le sue braccia e la fece sedere insieme a lui: «Fiamma, ti ha
fatto male?»
«Il ginocchio... faccio fatica a piegarlo»
«Fammi vedere...» si preoccupò lui che subito dopo
urlò: «T-Bone, brutta testa di cazzo, prendi del ghiaccio,
veloce!». Nikki cercò di arrotolare in su i jeans della sua
ragazza, senza purtroppo riuscire nell'impresa dato che erano troppo
aderenti; scosse la testa rassegnato: «Mi spiace, volevo vedere se
era tanto grave»
«Ma no» cercò di rassicurarlo lei allungando la mano
per accarezzargli il polso «vedrai che sarà solo una botta». Nikki
girò leggermente la testa verso di lei, con il viso che gli
avvampava; cercò di nascondere le guance rosse dietro la frangia
corvina anche se non era lunga abbastanza. Ogni contatto, anche
leggerissimo, con la sua pelle lo faceva saltare in aria: era come se
lui fosse fatto di erba secca e lei, con ogni piccolo sfioramento,
era come se gli gettasse addosso un fiammifero che innescava un
incendio nel suo cuore. Sentiva tutto il calore che lei gli donava e
lui stesso voleva donare calore a lei, alla sua Rea; si avvicinò e
la strinse al petto più forte che potè, chiudendo gli occhi e
sentendo che tremava sempre più mentre il suo profumo forte ed
inebriante gli penetrava nel corpo fino ad ipnotizzarlo. Non si
credeva ancora capace di provare sensazioni simili, si sentiva
catapultato indietro nel tempo, ai tempi della sua prima cotta; solo
che fra le sue braccia non c'era la sorella di uno dei suoi amici,
c'era quell'angelo dai capelli color della notte che aveva il potere
di farlo sentire vivo. Non voleva smettere di respirarla, non voleva
che il suo cuore rallentasse; desiderava solo che il tempo si
fermasse per tenerla stretta a sé sempre, per baciarla senza
conseguenze. “Sei la persona più preziosa che ho, non sopporterei
mai l'idea che tu possa allontanarti da me. Io ti voglio, senza di te
sono morto. Ecco perchè ho paura di donarmi a te; sarà da codardi,
forse anche un po' da stronzi, ma l'idea che forse ci allontaneremo
per mesi, oppure che tu sia in tour con me e dovrò farmi qualche
groupie, ti giuro, mi spezza il cuore (almeno, ora come ora penso di
averlo un cuore; tu me l'hai fatto scoprire). Eppure io ti guardo
mentre ridi, mentre osservi ciò che ti circonda, mentre mi
rimproveri o mentre piangi ed ogni volta, ogni momento vorrei fare la
stessa cosa: chiuderti quelle labbra con un bacio. Voglio sentire il
sapore della tua pelle, voglio che il sapore di Rea mi si attacchi
alla lingua e diventi il mio nutrimento preferito. Eppure non ti
bacio, soffrirei troppo. Ti farei soffrire troppo”.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Vorrei
averlo per me, vorrei che fosse solo mio. Però so che non devo
cedere a quel desiderio che, ogni giorno che passa, diventa sempre
più forte; non posso baciarlo, non devo baciarlo. Se, in un primo
momento, potevo avere il dubbio che lui stesse solo giocando con me,
ora sono sicura che fra di noi c'è qualcosa di davvero unico e
speciale; eppure non voglio baciarlo, non voglio che lui mi baci. Il
tour, le groupies, la droga... troppe cose da sistemare, troppi
fantasmi da cancellare. Ma solo io penso di sapere come sono su di
giri quando lui mi stringe a sé e riesco a sentire il suo cuore
palpitare.
Nikki allentò la presa nel sentire la porta della sala
aprirsi e nel vedere l'amico entrare con un secchiello per il
ghiaccio: «Dove hai la bua, Rea?» chiese il batterista con voce
quasi infantile; il bassista gli levò di mano il contenitore e lo
rimproverò sonoramente: «Era proprio necessario scaraventarla
addosso a me? Che poi... che cazzo ce ne facciamo di un secchiello
per il ghiaccio se non abbiamo nemmeno una merda di tovagliolo dove
mettere i cubetti?»
«Stai calmo bro, porca puttana! Sembri mia madre in
menopausa!» gli rispose Tommy che subito riprese con tono più
basso: «Lo riporto indietro al bar?»
«Ovvio che sì, andiamo da me adesso» sentenziò il
bassista
«Io dovrei tornare a casa...» cercò di ribattere Rea
ma Nikki la interruppe: «Non mi fido a mandarti a casa da sola
sapendo che Mihalov è in agguato. Lui sa ancora dove abiti e
potrebbe venire a cercarti. È meglio che passi la notte da me»
«E come facciamo con Werman?» domandò la ragazza
stringendo i denti dopo essersi massaggiata il ginocchio
«Gli lasciamo un bigliettino sul mixer dicendogli di
ascoltarsi la traccia finita» disse Nikki facendo spallucce. Il
ragazzo l'aiutò ad alzarsi da terra mentre lei mugolava per il
dolore ed iniziarono a dirigersi verso l'ascensore; nel frattempo
Tommy, che aveva riportato indietro il secchiello del ghiaccio, era
riuscito ad estorcere al barista l'indirizzo di casa di Yuri. Mentre
saltellava giù per i gradini per andare a prendere la moto, T-Bone
bofonchiò fra sé: «Chissà cosa starà frullando nel cervello di
Nikki».
* * *
Rea era crollata sul divano non appena Nikki l'aveva
posata; era esausta. Troppe emozioni forti in un arco di tempo
ristretto. Il bassista era poggiato alla coda del pianoforte che
aveva nell'ampio salotto ed osservava da lontano la sua ragazza, il
cui viso era flebilmente illuminato da una candela che aveva lasciato
sul tavolino basso. Tommy, nel frattempo, aveva preso in mano il
telefono e l'aveva allungato all'amico: «Avanti bro, hai tutto il
mio sostegno». Senza proferire parola, il bassista compose il numero
di Fred Saunders continuando a tenere lo sguardo fisso su Rea; in
macchina, sulla strada del ritorno, lui le aveva detto che Yuri
doveva pagare per la sua enorme cazzata. Lei non disse né sì né
no, gli disse solo: «Ti prego Nikki, non fare stronzate». Ma quella
non era una stronzata. Quella era una fottuta vendetta perchè
nessuna ragazza, tanto meno Rea, doveva subire ciò che quel giorno
le aveva fatto Mihalov. “Chi la fa l'aspetti, faccia di merda”
pensò il bassista mentre premeva nervosamente i tasti; due squilli
suonarono a vuoto, al terzo Fred rispose: «Chiunque tu sia, spero tu
abbia una valida ragione per chiamarmi a mezzanotte passata»
«Fred, sono Sixx» disse grave il ragazzo
«Ehi! Come va, amico?» il tono di voce del
motociclista cambiò radicalmente
«Devi farmi un favore» continuò Nikki non rispondendo
alla domanda. Fred si zittì per un momento, poi sussurrò qualcosa
tipo: «Dolcezza, torno subito», fece qualche passo e disse: «Di
che si tratta?»
«Devi distruggere le rotule di una persona». Fred non
reagì immediatamente alla richiesta, tant'è che Nikki pensò che
fosse caduta la linea: «Fred ci sei?»
«Ma che è successo?» chiese il gorilla sommerso dai
dubbi
«Te lo spiegherò domani o appena ci vediamo. Comunque
questa persona rientra a casa verso le due, abita al 3225 sul South
Beverly Glen Boulevard. Assomiglia a James Hetfield. Vai lì anche
con qualche amico e, fammi un favore: massacratelo»
«Va bene, chiamo Hector e parto subito» ora anche la
voce di Fred era grave. Nikki concluse con: «E digli, prima di
iniziare a dargliele, che Nikki Sixx gli dice di dare un bacio
d'addio alle sue ginocchia»
«Tranquillo, ci penso io». Riattaccò e di nuovo quel
ghigno che tanto gli riusciva bene gli si dipinse in viso; poggiò il
telefono e Tommy gli disse: «Suoniamo con la sordina, così non la
svegliamo». Nikki annuì; l'amico riprese: «Come mai vuoi guardarla
mentre componi?»
«Mi ispira». Si avvicinò a lei e le carezzò il viso
sussurrandole all'orecchio: «E' finita, Mihalov la paga stanotte.
Puoi smettere di soffrire, fuoco mio»; posò le labbra rabbrividendo
sulla tempia sinistra di Rea. Si alzò, guardò T-Bone e disse:
«Riscriviamo le lyrics dall'inizio»
«Perchè scusa?» domandò l'amico sbalordito
«Perchè ho un'idea migliore». Il batterista poggiò
le lunghe dita sulla tastiera del pianoforte e suonò di nuovo la
melodia che era nata quel pomeriggio in studio e che aveva continuato
a suonare fino a quel momento; Nikki si sedette a terra con un blocco
di fogli in mano ed iniziò a scrivere versi a raffica. La rabbia gli
stava dettando il testo parola per parola; pensava a Mihalov che
aveva stuprato Rea, pensava a lui che immaginava che lei lo avesse
tradito (giustamente, come si fa a stare con una persona che è più
simile ad un animale?) e che, in preda all'ira più cieca, la
uccideva. Pensava che Mihalov aveva ucciso la sua ragazza due volte:
la prima con quell'inutile violenza, la seconda metaforicamente nel
testo della sua canzone: “Grazie a Dio, non potrai ucciderla la
seconda volta, figlio di puttana che non sei altro”. E mentre
“You're All I Need” veniva fermata su carta e canticchiata a
bassa voce in quel salotto a Van Nuys dai due ragazzi, un'ambulanza
percorreva a sirene spiegate il Sunset Boulevard in direzione
dell'ospedale più vicino.
NOTE:
London: band in cui militava Nikki Sixx prima che
fondasse i Mötley Crüe.
Razzle: ex batterista degli Hanoi Rocks che perse la
vita in un incidente automobilistico per colpa di Vince Neil che
guidava in stato d'ebbrezza.
Billboard: rivista americana che fornisce la classifica
di dischi più dettagliata in assoluto.
James Hetfield: cantante e chitarrista ritmico dei
Metallica.
Eccomi
di ritorno con questo capitolo un po' violento: Yuri fa una breve
comparsa che lo fa entrare subito nelle antipatie di Nikki che gliela
fa pagare cara e salata; ovviamente, chi meglio del nostro Fred
Saunders poteva prestarsi come esecutore di questo lavoro sporco? Poi
siamo riusciti a scoprire perchè i due vorrebbero baciarsi ma non lo
fanno... il dubbio è sempre quello: Rea andrà o no in tour con il
suo ragazzo? Spero di non aver deluso nessuno di voi con questo
capitolo che è stato scritto fra tre esami; aspetto le vostre
recensioni, di qualunque sfumatura esse siano ;) Grazie mille a tutte
le ragazze che mi seguono assiduamente: Demy84, SailorMercury84,
Lau_McKagan, Mars from the stars, alemagica88, Alison_95, Cri cri, dudy,
elliehudson, Kate_88, kay89, key17, LadyMars, marziolina86, sailor
crystal, Moon 91, lulu85, pianistadellaluna, RocketQueen_ e
Mipufstar. Grazie al mio ragazzo che sta leggendo la storia e grazie
anche a chi si sofferma a leggere questo mio delirio. A presto
(spero, esami permettendo), Ellie
P.S.
Ho appena aperto su Facebok la mia pagina autore; chiunque voglia
farci un salto, segua questo link
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Capitolo 18 *** Sure Feels Right ***
18 Sure Feels Right
Un timido
raggio di sole filtrò da una fessura fra le pesanti tende di velluto
cremisi ed andò ad accarezzare le palpebre di Rea; istintivamente la
ragazza aggrottò le sopracciglia ed iniziò a svelare gli occhi
scuri. Battè le palpebre ripetutamente mentre la stanza intorno a
lei prendeva forma: un tavolino basso, un persiano, un blocco di
fogli con una penna sopra; Nikki l'aveva adagiata sul divano con una
coperta di lana e l'aveva lasciata lì a dormire. Si stiracchiò, poi
scese dal divano dirigendosi verso la finestra aprendola leggermente;
una sferzata di aria fresca ed ancora umida dalla notte precedente le
accarezzò il viso mentre guardava Spank che giocherellava nel prato,
intento probabilmente a fare amicizia con qualche lombrico. Sorrise
nel vedere il cagnolino che, con le zampine sporche di fango, cercava
di sollevare il “nuovo amico” da terra senza riuscirci; Spank,
sconsolato, abbassava le orecchie tutte le volte che l'animaletto gli
scivolava via: «Uffa». Rise
sottovoce richiudendo le imposte ed iniziando a vagare con gli occhi
per la stanza alla ricerca del suo ragazzo senza trovarlo; scostò
così le tende per far entrare più luce nel locale e si diresse in
cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. L'orologio
di plastica nera vicino al frigorifero segnava le nove e mezza del
mattino: “Chissà se ha qualcosa da mangiare... o almeno una
bustina di tè” rimuginava Rea aprendo le ante dei mobili, quasi
tutti vuoti e con gli scaffali impolverati “Si vede proprio che in
questa casa manca un tocco più... femminile”. A quel pensiero si
bloccò per un momento mentre un'immagine tanto nitida quanto fugace
le attraversava la mente come un flash: lei e Nikki nello stesso
letto la mattina, in quella grande villa a Van Nuys; scosse la testa
velocemente e si strofinò gli occhi quasi come se volesse cancellare
quella fotografia mentale: “Oh, ti prego” si disse “ma che ti
viene in mente...” anche se, in fondo, era cosciente del fatto che
non le sarebbe dispiaciuto affatto. Anzi, forse, in quel momento, era
il suo desiderio più grande. Alla fine trovò del succo d'arancia
che bevve insieme ai biscotti che Nikki aveva comprato a Spank;
paradossalmente, erano anche i biscotti preferiti di Rea, quelli al
burro e alla vaniglia. La cosa la fece sorridere: “Forse, siamo più
in sintonia di quanto pensiamo”; si sedette in solitudine al grande
tavolo e, fra un boccone ed un bicchiere di succo, iniziò a farsi
delle domande.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Forse
l'atteggiamento che sto mantenendo nei suoi confronti non è così
“giusto”. Voglio dire, siamo coscienti tutti e due del fatto che
fra di noi c'è un'intesa particolare; perchè, allora, continuiamo a
rincorrerci? Perchè tutta questa timidezza da parte di entrambi? Il
motivo c'è (parlo per me stessa): ho paura di ferirlo, paura che se
ci avvicinassimo, poi soffriremmo entrambi; lui in tour sarà
costretto a farsi almeno toccare da altre donne mentre io starò in
disparte a “godermi lo spettacolo” perchè non dovrà emergere
PER NESSUN MOTIVO che io e lui stiamo insieme. Hai presente il
putiferio che scoppierebbe? Non si possono portare mogli e compagne
in tour... La cosa non mi va giù; penso che non andrebbe giù a
chiunque. Ma già il fatto che lui mi ha detto che farà di tutto per
portarmi dietro significa che ci tiene, significa che, molto
probabilmente, prova lo stesso sentimento che provo io ed ha paura di
farmi del male. Ora il punto è: dobbiamo continuare su questa
lunghezza d'onda oppure è arrivato il momento di smuovere un po' le
acque?
Masticava
lentamente cercando inutilmente di trovare una risposta ai suoi
interrogativi, ma tutto appariva così dannatamente ingarbugliato;
sospirò pesantemente posando il bicchiere nel lavandino: “Va bene,
mettiamola così: devo smetterla di torturarmi il cervello...
cercherò di essere più come Bunny, mi farò guidare dall'istinto.
Speriamo di non combinare disastri”. Si diresse verso la camera di
Nikki strisciando i piedi sulle piastrelle per non infrangere il
silenzio che avvolgeva la villa. Trovò la stanza con la porta
socchiusa; un brivido le percorse la schiena facendola vibrare come
la corda di una chitarra. Spinse la porta come se avesse dovuto
spostare un macigno. Nella penombra della camera da letto, una figura
giaceva sul matrimoniale con le braccia e le gambe aperte producendo
suoni vibrati e profondi: Nikki si era addormentato supino con la
bocca aperta, in quella posizione che tanto ricordava una stella
marina; russava come un trattore. Rea si portò una mano alle labbra
ridendo sottovoce e scuotendo leggermente la testa: era buffo e,
nello stesso tempo, era anche bello e piacevole; i capelli spettinati
che si adagiavano sul guanciale abbinati a quella strana posizione lo
facevano sembrare quasi un cucciolo di qualche animale. Superata
questa prima fase di intenerimento, Rea guardò il ragazzo con occhi
diversi, gli occhi di una donna che osserva l'uomo che le interessa:
Nikki in quel momento di completo relax era così... unico. Nessuna
parola era in grado di spiegare cosa balenava per la testa di Rea in
quell'istante ma il corpo rispose incendiandosi, scaldando la pelle,
facendole mordere le labbra, annodandole lo stomaco. Si avvicinò in
punta di piedi al letto e si sedette sul bordo senza staccare gli
occhi dal viso del suo ragazzo; rimase per un attimo bloccata, in
preda all'indecisione. Con i palmi si aggrappò nervosamente al
materasso: “Dannazione, cosa faccio adesso?”. Strizzò le
palpebre cercando in qualche modo di scaricare la tensione ed il
dolce viso di Bunny le si dipinse su quella superficie scura: lei con
il suo sorriso splendente, con i suoi odango colore dell'oro, con i
suoi occhi colore del Pacifico, con la sua semplicità ed
immediatezza. Quella figura le fece l'occhiolino e questo bastò alla
bella bruna per farsi coraggio; fece un respiro profondo e decise di
agire come se fosse la sua migliore amica, liberandosi così della
rigidità che la contraddistingueva: allungò la sua mano destra ed
accarezzò dolcemente il viso di lui, sfiorando la barba appena
incolta con i polpastrelli. Nikki, da parte sua, russò più
violentemente di prima e si girò su un lato continuando a dormire;
la ragazza ritrasse la mano, come se avesse avuto paura: “Ma che
sto facendo? Non posso farmi intimorire così io...” un brivido le
scosse le membra ed il cuore le mancò un battito, quasi non poteva
credere a quello che stava ammettendo: “Io voglio accarezzarlo”.
La sua mano calò di nuovo sulla guancia leggermente ispida ed iniziò
a disegnare motivi contorti; quel contatto era meraviglioso, sentire
quei peletti duri sfregarle contro la sua pelle morbida la scuoteva
dall'interno. Era così devastante ed insieme così magnifico; quasi
le mancavano le forze, ma sentiva che, se avesse smesso di muovere le
sue dita su quella guancia, non se lo sarebbe mai perdonato. Non si
accorgeva, ma più carezzava quella pelle, più un sorriso
scintillante le si disegnava in volto; ma non era un sorriso largo e
forzato, era piccolo ma dannatamente intriso di emozione. Nikki
arricciò il naso ed aprì gli occhi; quasi come fosse stata colta in
flagrante a rubare la cioccolata, Rea levò subito la mano dal viso
del ragazzo sentendosi avvampare le guance. Il bassista si rimise
supino, sbadigliò e chiese con voce impastata: «Che ore sono?»
«Sono...»
Rea faceva fatica a respirare.
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Il fuoco
che mi avvolgeva in quel momento mi stava privando dell'ossigeno che
avevo bisogno per respirare; davanti a me non vedevo che fiamme. Non
c'era via di scampo. Eppure, sentirsi soffocare perchè Nikki era
davanti a me e mi stava guardando con i suoi occhi profondi e
percepire il cuore che correva nel petto perchè le scorte di gas
vitale si stavano esaurendo... beh, quella era la morte più dolce
che avessi potuto desiderare.
«Sono
le dieci» la ragazza sorrise di nuovo con il fiato corto; poi, fece
una cosa di cui lei stessa si stupì: la sua mano scivolò
furtivamente verso quella di Nikki e, per la prima volta, gliela
strinse mentre un sentimento particolare iniziava a farsi strada
dentro di lei. Non appena incontrò la sua pelle calda, il viso le
diventò del colore di una fragola, eppure, per la prima volta nella
sua vita, non si rimproverò per quel gesto che, altrimenti, avrebbe
ritenuto avventato o inutile; si sentiva bene, il contatto con lui la
faceva sentire bene. Ed andava bene così. Nikki accolse le dita di
Rea fra le sue, come se stesse aspettando quella sensazione da un
tempo infinito; non le strinse con violenza, le accarezzò piano e
con dolcezza, facendo scorrere i suoi polpastrelli callosi su quelle
mani da artista così affusolate e perfette. Senza che se ne rendesse
conto, si portò la mano della ragazza alle labbra per lasciarci
sopra un piccolo marchio invisibile quanto indelebile: “Hey,
Sixx...” lo chiamò una delle sue tante vocine, ma Nikki non
rispose “Base terra chiama Sixx, ripeto, base terra chiama Sixx,
rispondi cerebroleso di un cretino! Pronto? Ma che cazzo stai
combinando?”
“Zitto
e non rompere” rispose il bassista mettendo a tacere il suo
cervello. È vero, ciò che stava facendo non era da lui; ma non
gliene importava un cazzo. Quel piccolo gesto lo aveva fatto perchè
aveva voglia di farlo e non si era pentito. Ed andava bene così.
Dopo aver assaporato quella pelle così morbida e dolce, il ragazzo
disse con voce cavernosa: «Ho ancora sonno, vorrei dormire»
«A
che ora sei andato a letto?» domandò lei; il bassista inarcò le
labbra verso il basso ed alzò gli occhi: «Saranno state le quattro
circa»
«E
cosa hai fatto fino a quel momento?»
«Io
e Tommy abbiamo finito una canzone e...» Nikki fu interrotto dallo
squillare del telefono «Rispondi tu per favore? Se mi cercano di'
che sono uscito e che non sai quando torno» disse girandosi su un
lato e rimettendosi a dormire. Rea tornò nel salotto dove prese il
cordless; dall'altro capo del filo, la voce di Morea urlò: «Ah,
Fiamma, non crederai a quello che sto per dirti! Anzi, accendi la
tele sulla NBC»
«Ma
che diavolo sta succedendo?» domandò la ragazza aggrottando le
sopracciglia ed afferrando il telecomando
«Tu
fai veloce! Accendi e senti cosa stanno dicendo al notiziario». Le
immagini attraverso il tubo catodico diventarono sempre più nitide e
l'audio più comprensibile: “Scellerata aggressione nella notte
a Los Angeles nei pressi del Beverly Glen Boulevard ai danni di un
ragazzo di origine slava. Il poco più che venticinquenne è stato
aggredito con spranghe e mazze da baseball da due uomini di cui non
si conosce l'identità poiché avevano il viso coperto da un
passamontagna; il giovane, Yuri Mihailov, è ricoverato all'Hollywood
Community Hospital con entrambe le ginocchia gravemente lesionate”.
Rea rimase pietrificata; Morea, dall'altro capo del filo,
domandò: «Fiamma, sei ancora lì?»
«Qui,
qualcuno mi deve delle spiegazioni» sibilò la ragazza. Chiuse la
comunicazione e si fiondò nella stanza del bassista che aveva
ripreso a russare beatamente: «Nikki!» lo chiamò a gran voce
«Sicuro di essere rimasto qui ed aver composto tutta notte?». Il
ragazzo alzò un sopracciglio e sbirciò dalla palpebra semiaperta:
«Certo... perchè?»
«Come
perchè!» il tono della voce trasudava inquietudine «Ho appena
sentito al notiziario che Yuri stanotte è stato aggredito e che ora
è in ospedale con le gambe fracassate». Nel sentire quelle parole,
Nikki schizzò a sedere: «Oh...»
«Beh,
allora? Sicuro di essere stato qui con Tommy tutta la notte a
comporre? Oppure...»
«Diciamo
che...» esitò il ragazzo «... ho i miei collaboratori e Fred
Saunders, a cui tu hai rifatto la moto, è uno di quelli». Rea si
lasciò cadere sul letto facendo ondeggiare le lenzuola: «Tu hai
mandato delle persone a picchiare Yuri?»
«Certamente»
sentenziò Nikki. La ragazza lo fissò con quei grandi occhi neri
smarriti che esigevano spiegazioni; il bassista continuò: «Mi
sembrava il minimo. Ha fatto una cagata colossale ed è giusto che
abbia pagato; chi la fa, l'aspetti... non sei d'accordo?». Rea non
rispose immediatamente, si sdraiò sul materasso di fianco a lui e
sussurrò: «Nikki, io te l'avevo detto di non fare stronzate! Lui ha
sbagliato, ma non è con la violenza che si risolvono le cose... con
quel gesto rischi di passare tu dalla parte del torto». Nikki seguì
Rea sul materasso; ritrovarsi a pochi centimetri da quel viso lo
mandava in escandescenza. Lei era bella; dentro, fuori, ovunque.
Iniziò a sentirsi piacevolmente teso e con una strana sensazione di
claustrofobia; si tuffò dentro quel nero venato di indaco e disse,
quasi come se stesse recitando una poesia: «Hai ragione, con la
violenza non si risolve nulla, ma nemmeno con la passività si giunge
al rispetto. Hai visto ieri sera come ti ha trattata? Di come si è
permesso di approfittare di te? Bisognava fargli capire che non si
trattano le persone come stracci...» e lì si bloccò, con una frase
ancora ancorata alla punta della lingua. La ragazza era rimasta
incantata nell'ascoltare quelle parole e quell'improvvisa
interruzione le fece sbattere le palpebre velocemente un paio di
volte, come se volesse dirgli “Ti prego, continua”; Nikki mosse a
vuoto la mandibola per un secondo, poi con un filo di voce disse:
«... insomma, tu non sei uno straccio... e se anche lo fossi,
saresti... saresti uno straccio bellissimo». Resosi conto
dell'insensatezza di quell'ultima frase, il ragazzo abbassò gli
occhi ed iniziò a guardarsi i piedi mentre, dal suo cervello, il
coro di vocine che lo popolavano scoppiò in una fragorosa risata:
“Oddio, aspetta un po' Sixx, cos'è lei? UNO STRACCIO BELLISSIMO!
Ha! Proprio un bel paragone, ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire che
è un straccio... ottimo lavoro idiota!”. Proprio mentre
quell'ammasso di neuroni bruciati gli stava puntando contro il dito e
gli sghignazzava apertamente in faccia facendolo sentire una merda,
Rea iniziò a ridere sottovoce; Nikki la guardò con uno sguardo a
metà fra la vergogna e la supplica di avere pietà di lui e della
sua mente bacata. La ragazza disse: «Beh, non è esattamente la
frase che ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire però... capisco ciò
che vuoi dire e... insomma...» in un attimo diventò paonazza «sei
carino e dolce... grazie Nikki». Il ragazzo rimase senza parole e
con gli occhi verdi sgranati: “Io carino e dolce? Era da quando
avevo due anni che nessuno mi dice più queste cose... non so se è
un bene o un male. Insomma, per la posizione lavorativa che ricopro è
assolutamente un male! Sono un cazzone di prima categoria e non posso
permettermi di essere carino e dolce, ne va della mia immagine di
divoratore di donne. Che poi, sono mai stato divoratore di donne?
Forse, tempo fa, ancora prima che mi buttassi a capofitto nella
cocaina, lì sì che le ragazze me le sceglievo come dicevo io e
trombavo con chi davvero mi andava. Poi è arrivata la coca, con la
coca il delirio, con il delirio le feste, poi l'incidente, il dolore
che non se ne va e, alla fine, l'eroina. Le ragazze chi le cagava
più, era sempre meglio farsi una dose di coca, impazzire e poi
spararsi in vena l'eroina per calmarsi, piuttosto che farsi una
groupie indemoniata che non vede l'ora di infilarsi il tuo pistone in
bocca per bere quelli che, in fondo, potrebbero essere tuoi figli,
no? Le donne parlano; forse anche troppo. La coca no e nemmeno
l'eroina. La droga sta zitta. Meglio qualcuno che non crei problemi
con le parole. Poi arriva quest'angelo dai capelli neri e... chissà
perchè con lei non riesco a fare l'idiota. E non voglio nemmeno
farlo. Lei... è magia pura”. Il flusso di pensieri di Nikki fu
interrotto dalla voce di Rea che lo riportò alla realtà: «Allora,
se sei stato in casa tutta notte, perchè non mi fai sentire la
canzone?»; il ragazzo esitò: non voleva farle sentire il pezzo,
aveva paura che avesse frainteso. Temporeggiò un paio di secondi,
poi rispose: «S-sì, va bene, però prima... c'è bisogno di una
premessa». Nikki si alzò dal letto e si diresse spedito verso il
salotto dove andò a sedersi al piano; si passò nervoso le mani sul
viso e guardò Rea che, silenziosa, l'aveva seguito. Le fece cenno di
sedersi di fianco a lui su quello sgabello rettangolare laccato di
nero; come se la ritrovò di fianco si fece inebriare dal profumo
della sua pelle e dei suoi capelli, sentendo che le membra gli
tremavano, il cuore gli esplodeva e il suo amico non era più così
comodo nei boxer. “Controllati, cazzo, self-control! Prendi fiato e
vai”; inspirò profondamente, riempiendosi di quell'aroma femminile
così deciso ed unico, ed iniziò a dire, guardando il leggio su cui
era rimasto il foglio con la partitura e le lyrics: «Stanotte ero
incazzato nero. Quindi, alimentato dalla rabbia, ho scritto questo
pezzo immaginando il momento in cui Mihailov ti ha fatto del male e
che tu, arrabbiata con lui, abbia cercato un ragazzo con cui
tradirlo»
“Di'
la verità, scimmione: vorresti essere tu l'uomo con cui Rea tradisce
quel russo con la falce e il martello tatuati sul braccio?” si
intromise il suo cervello. Nikki scosse fulmineo il capo per
zittirlo; la ragazza arrossì alle ultime parole dette. Il bassista
si ricompose e continuò: «Quindi lui, alla fine impazzisce e... ti
uccide»
«Come
mi uccide?» Rea schizzò in piedi, pronta ad insultare e a prendere
a pugni il ragazzo
«Aspetta,
non fraintendere!» esclamò Nikki mettendosi le mani aperte davanti
al viso mentre guardava Rea in escandescenza «L'omicidio è metafora
dello stupro... lui con quello ti ha allontanata e tu, da quel
momento, puoi ritenerti libera. Questa è la canzone della tua
liberazione». La ragazza aggrottò le sopracciglia: «Temo di non
capire». Si sedette nuovamente di fianco a lui guardandolo
perplessa; il bassista si alzò e le fece segno di sedersi al centro
dello sgabello. Poi, dopo che lei si sistemò, lui si sedette dietro
di lei, appoggiando il suo busto contro la massa di capelli corvini
della ragazza ed allungò le mani verso la tastiera dello strumento
mentre con le braccia sfiorava il corpo di Rea. Un sussurro
all'orecchio destro bastò a creare l'atmosfera giusta: «Chiudi gli
occhi e ascolta».
Domenica
8 marzo 1987, 4 pm
Avevo il
suo viso appoggiato al mio e lui che mi ha detto di chiudere gli
occhi ed ascoltare; ha aggiunto che non è un dio al pianoforte, che
forse farà pure degli errori mentre suonerà, però vuole che io lo
senta con tutta me stessa. Ed io, che in quel frangente non riuscivo
nemmeno a reagire, talmente ero emozionata, talmente mi sentivo
tremare dall'emozione e le mie arterie pulsavano al ritmo di un
metronomo impazzito, ho chiuso gli occhi. C'è stato silenzio per un
attimo, sentivo solamente lui respirarmi sulla guancia mentre si
attaccava sempre di più con il suo corpo alla mia schiena, poi ha
calato le dita sui tasti in avorio suonando il primo accordo della
canzone. Suonava lentamente per evitare di sbagliare melodia e
cantava nel mio orecchio con la sua voce così scura e profonda... da
brivido.
Suonò
fino alla fine del secondo ritornello, prima dell'assolo previsto che
Mick doveva ancora scrivere; di nuovo ci fu silenzio mentre Nikki
ritraeva le mani dalla tastiera ma, invece di portarsele ai fianchi,
le poggiò entrambe sulle mani di Rea facendola sobbalzare
leggermente: «Che ne pensi?» domandò con un filo di voce. La
ragazza aprì gli occhi, si girò di poco per poter affondare il viso
nell'incavo del collo del suo ragazzo e per potergli cingere il corpo
con le braccia: «E' la ballad più crudele che abbia mai ascoltato
in vita mia... però... solo ora ho capito che significato volevi
darle. E ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me». Nikki
rimase di nuovo a bocca aperta: “Cos'ha detto? Ti ringrazio?
Incredibile, impossibile! Nessuno, mai, mi ha mai detto grazie... ma
come fa lei ad apprezzarmi? Io...”
«Vuoi
portarla in sala agli altri?» Rea lo riportò alla realtà
«Credo
proprio che apprezzeranno» rispose Nikki meccanicamente; in quel
momento voleva solo stare in silenzio ed ascoltare Rea che, senza
parlare, gli trasmetteva tutto il calore che aveva dentro la sua
anima. Anche lui l'abbracciò premendosela contro il petto, non
vergognandosi di farle ascoltare il cuore che rimbalzava nel suo
petto di rocker inflessibile come la pallina di un flipper. E così
rimasero, immobili per alcuni minuti, su quello sgabello per
pianoforte, mentre fuori Spank giocava con i lombrichi ed abbaiava
felice al sole che stava asciugando il terreno.
*
* *
Lunedì
23 marzo 1987, 7 pm
Domani
parte... va via per più di una settimana. Va a New York. Mi manca
già ora che sto scrivendo queste parole. Il disco ormai è finito,
bisogna solamente farne il master e poi è pronto per essere lanciato
sul mercato; ecco perchè va a New York insieme a Tommy, vuole
seguire puntigliosamente la fase finale di quello che, secondo lui, è
il miglior album dei Crüe. Il lunedì dopo quella domenica in cui mi
ha suonato “You're All I Need”, è andato in sala ed ha proposto
il pezzo; i ragazzi ne sono rimasti entusiasti e subito sono iniziate
le registrazioni delle diverse piste del pezzo. Il venerdì il pezzo
era ultimato e gli arrangiamenti sono stati aggiunti durante il
weekend ed il lunedì successivo. Martedì sono iniziate le
discussioni perchè il gruppo si è ritrovato con due ballad fra le
mani: «Sono troppe per un nostro album» mi ha detto Nikki al
telefono che in questi giorni non sto vedendo a causa di impegni
universitari «una è sufficiente»; così “Rodeo” è stata
sacrificata per lasciare spazio a “You're All I Need”. Nikki ha
detto che è meglio che sia andata così, forse quella ballad che
parla di smarrimento e di ripetitività del lavoro della rockstar è
un po' sconveniente; meglio un pezzo “cruento” ma di cui solo io
e lui conosciamo il significato intrinseco. Ad ogni modo, le bobine
con le registrazioni sono pronte per essere portate nella Grande Mela
e lui partirà con loro; l'idea non mi entusiasma, a New York succede
di tutto (non che Los Angeles sia una città esente da peccati o cose
simili) e non vorrei mai che... beh, puoi immaginare. Lo studio, il
Masterdisk, è a sud di Central Park, nel bel mezzo di Manhattan;
ottima zona per trovare locali di ogni genere, specie strip clubs.
Però al tempo stesso sono contenta per lui, in questo periodo si è
ripreso di molto ed anche la sua creatività si è risollevata alla
grande; quindi è meglio che parta e che porti a compimento il suo
nuovo disco. Spero solo di non scoppiare in lacrime domani quando
accompagnerò lui e T-Bone all'aeroporto... che figura ci farei?
Come
previsto, Rea parcheggiò la sua Ford Granada davanti a casa di Nikki
alle sette spaccate; spense il motore e sospirò cercando di
scaricare la tensione che si stava accumulando sempre di più ogni
secondo che passava. Non poteva farsi vedere in quello stato,
specialmente da Tommy; chissà cosa avrebbe pensato. Magari, con la
sua peculiare delicatezza, avrebbe sfornato una delle sue
esclamazioni come: “Ehi, tesoro, guarda che il mio bro non parte
mica per il Vietnam! Quando tornerà a casa fra dieci giorni potrai
scopartelo quante volte vorrai”. Strizzò gli occhi e digrignò i
denti immaginandosi la situazione: T-Bone, ormai, aveva capito tutto;
sapeva che lei era persa per lui ma sapeva anche che la cosa era
reciproca, quindi cercava di spingerli l'uno verso l'altra
improvvisandosi cupido. Di certo non aveva cattive intenzioni, si
vedeva lontano un miglio che lui teneva da morire al suo cosiddetto
“bro”; il problema del batterista, però, era il modo di
comunicare, particolarmente scarno e rozzo, dunque capace di mettere
in imbarazzo in situazioni delicate come quella. “Ma non si può
dire che sia una cattiva persona” rimuginò fra sé Rea; poi, tutto
ad un tratto, la sua attenzione fu attirata da due voci che
discutevano animatamente fra loro. Guardò attraverso il finestrino
del passeggero e vide i due amici uscire dalla grande villa con le
loro valigie che si tiravano sberle a vicenda; Rea scosse la testa e
scese dalla macchina per aprir loro il bagagliaio: «Possibile che
voi due dobbiate essere guardati a vista, altrimenti vi picchiate
come due bambini dell'asilo nido?»
«Ha
cominciato lui!» esclamarono i due in coro indicandosi a vicenda
«Non
me ne frega di chi è stato ad iniziare, caricate i bagagli e salite,
sennò arriverete tardi per il check-in e addio volo». I due
abbassarono le orecchie, caricarono in silenzio i loro trolley e
salirono in auto; Nikki stava per puntare il sedile di dietro quando
fu placato da T-Bone: «Dove credi di andare? Il sedile grande lo
voglio tutto per me, tu vai davanti»
«E
perchè mai?» domandò il ragazzo fissando l'amico da dietro la
frangia nera che gli copriva lo sguardo
«Perchè
tu soffri l'auto e alla prima curva diventi un idrante! E poi scusa,
sali sulla macchina della tua ragazza e vai dietro? Fai il bravo e
mettiti sul sedile del passeggero» il batterista spinse
nell'abitacolo l'amico facendogli sbattere il sedere sulla leva del
freno a mano e si affrettò a chiudere la portiera. «Sei un fottuto
bastardo, T-Bone! Sei uno stronzo!» ululò Nikki mentre l'amico si
accomodava sul sedile posteriore con un sorrisino idiota stampato in
volto; Rea esplose: «Smettila di urlare, che cavolo! Legati che
dobbiamo partire». Il bassista chinò il capo e corrugò le
sopracciglia, mugugnò qualcosa a metà fra «Uffa» e «Che cazzo»
e fece scattare la cintura di sicurezza. Rea girò la chiave, alzò
leggermente il piede dalla frizione ma la gamba sinistra le tremava
talmente tanto che la scarpa le scivolò del tutto e spense il motore
facendo sobbalzare tutti verso il parabrezza. «Merda» sbuffò; era
troppo nervosa. «Tutto bene?» chiese T-Bone aggrappandosi al
poggiatesta del guidatore; la ragazza annuì in silenzio con gli
occhi chiusi, cercando di ritrovare la concentrazione necessaria. La
voce di Nikki le giunse alle orecchie come una melodia armoniosa:
«Vuoi che guidi io?»; la ragazza respirò appieno quelle parole,
prendendo tutta la dolcezza di cui erano cariche e facendone tesoro.
Quella semplice frase era bastata a distenderle i nervi; sorrise,
leggermente rossa sugli zigomi, e guardandolo in quegli smeraldi
profondi, sussurrò: «Non ti preoccupare... grazie». Il motore
rombò deciso e la macchina iniziò la sua strada verso LAX.
Mentre percorrevano la I-405 S, il sole stava nascendo, colorando le
piccole nuvole a batuffolo di un rosa intenso; Tommy premette la
fronte contro il finestrino per guardare attentamente lo spettacolo:
«Che figata! Certo che, certe volte, la natura è davvero
meravigliosa»
«Ed
io aggiungerei che certe volte la 405 è impraticabile e sembra di
essere a San Francisco, talmente non si riesce a mettere a fuoco a
più di pochi metri, guarda che schifo!» gli rispose Rea. Nikki se
ne stava in silenzio, con le braccia incrociate al petto, guardando
davanti a sé: “Lo smog qui è talmente fitto che sembra una tela
grigia... per guardarci attraverso bisognerebbe squarciarlo con un
coltello”; d'un tratto, dei versi si materializzarono nitidi nella
mente del bassista:
“The
traffic's backed up on the 405,
And the smog's so thick you can
cut it with a knife,
But it gives me time,
To think about my
life”
Rea
continuava dritta per la sua strada, concentrata sui cartelli che si
susseguivano nel traffico, mentre faceva scivolare la mano destra
sullo stereo per trovare la frequenza di KLOS; Nikki si perse
completamente nel rimirare quelle mani perfette, capaci di disegni
incredibili, per poi risalire lungo il braccio ed arrivare a
guardarle segretamente il viso, serio ed impassibile, intento a
studiare le traiettorie delle macchine di fronte a lei.
“I take
the 10 to the 5 to the 101,
I got a song sitting here on the tip
of my tongue,
And the more I drive,
The more I feel alive.”
Si
sentiva strano, ma non voleva nemmeno che la sensazione gli sparisse
di dosso tutto ad un tratto. Forse era l'insieme delle cose:
quell'alba così perfetta che colorava di sfumature pastello quel
cielo che era sempre grigiastro, la soddisfazione di aver finito un
nuovo disco e lei, seduta accanto a lui, che lo stava portando in
aeroporto, che sempre gli era stata vicino nei momenti di difficoltà.
Si ritrovò con un sorriso sincero tatuato in volto mentre T-Bone era
intento a guardare le nuvole e la sua ragazza fissava dritta davanti
a sé:
“Well I
don't know what you're doing to me,
But it sure feels right,
Well I don't know what you're doing to me,
But let's do it
all night,
When the sunlight breaks through the LA sky,
For
some damn reason it makes me smile,
And I don't know what you're
doing to me,
But it sure feels right.”
I Sex
Pistols riempirono le casse di quella macchina un po' sgangherata con
il loro punk scarno e tagliente; Rea fece una smorfia continuando a
tenere le sue perle nere fisse sulla strada. Non le piacevano, voleva
togliere l'audio per pochi minuti, aspettare che la canzone finisse
per poi alzare nuovamente i decibel ed ascoltare qualcosa di meglio;
allungò le unghie lucide verso la manopolina del volume, quando le
dita di Nikki si incrociarono con le sue. Un brivido le percorse la
schiena mentre girava leggermente il capo verso il suo ragazzo che
stava lì, di fianco a lei, con uno dei suoi sorrisi migliori: «Non
cambiare... a me piacciono». C'era qualcosa di nuovo in quel tono di
voce ed anche nei suoi occhi verdi quella mattina; sembravano più
splendenti, più sinceri. Il cuore di entrambi si fermò per un
attimo a quel contatto così piccolo. Rea si limitò a sorridere, non
avendo parole capaci di esprimere quello che le stava alimentando il
fuoco che sempre di più bruciava alto dentro le sue membra. Tornò a
fissare la strada; ormai erano quasi arrivati al terminal. Pochi
minuti dopo, scesero dall'auto in silenzio, cercando di passare il
più inosservati possibile, e si diressero tutti insieme verso il
banco del check-in; i due ragazzi si calarono gli occhiali scuri sul
volto per evitare di essere riconosciuti e si legarono i capelli in
una coda di cavallo: «Queste sono le precauzioni per evitare
l'assalto dei paparazzi» spiegò Nikki a Rea che lo guardava con
interesse raccogliersi quel cespuglio di capelli tinti di nero
«Fottute
sanguisughe» gli fece eco Tommy. Eppure, in quel momento, i
fotografi erano l'ultimo pensiero nel cervello di Nikki: “Forse in
questo momento sto così bene che non me ne frega davvero un cazzo se
mi fotografassero e schiaffassero il mio primo piano su una rivista
di gossip”; così afferrò l'elastico che gli legava i capelli e se
li sciolse. «Vuoi che ti rifaccia la coda?» domandò Rea incantata
dal moto di quei fili corvini che riprendevano la loro forma
«Tranquilla»
disse il bassista chinandosi leggermente verso di lei e stringendole
le spalle con un braccio «oggi non ce n'è bisogno». Tommy squadrò
l'amico dall'alto del suo metro e novanta e scosse la testa: «Però
dopo non venire a piangere da me se trovi una rivista con su il tuo
bel faccino»
«Bel
faccino lo dici a tua sorella, chiaro?» si indispettì il bassista
«E che
cazzo, come sei permaloso! Non ti si può dire mai niente! Ti va bene
che c'è qui lei, sennò ti avrei riempito di botte» lo canzonò
T-Bone. Nikki stava per mollargli uno spintone, quando l'amico gli
diede le spalle e disse: «Vado a prendere qualcosa da bere... va
bene Pepsi?»
«Per me Dr.
Pepper» disse il bassista alzando il dito medio; poi si girò verso
la sua ragazza che era lì e che lo fissava con quei grandi occhi
d'ebano. Nikki, per la prima volta in vita sua, si sentì davvero in
imbarazzo: non riusciva a sostenere lo sguardo di lei; le sue pupille
vagavano sui bordi delle piastrelle del pavimento. Un silenzio
imbarazzante scese fra i due; sia l'uno che l'altra pensavano a cosa
dirsi prima di congedarsi. Rea chiuse per un secondo gli occhi, fece
un respiro profondo, e si avvicinò a lui, alzandosi in punta di
piedi per schioccargli un bacio vicino all'angolo delle labbra: «Mi
mancherai» disse semplicemente mentre alcune lacrime iniziavano ad
offuscarle la vista. Il bassista, in quell'istante, riusciva solo a
sentire il cuore che gli martellava nel petto; non era in grado di
mettere insieme parole o fare qualsiasi tipo di gesto. Tommy tornò
come un fulmine con in mano due bottiglie di plastica da mezzo litro
ciascuna: «Bro, muoviamoci, hanno chiamato il volo, dobbiamo
andare». Nikki sbuffò vistosamente e fece una piccola smorfia; nel
frattempo Tommy si affrettò a salutare Rea dandole un veloce bacio
sulla guancia e dicendole: «Non temere per noi, faremo i bravi e
saremo di ritorno il 3 aprile»
«Va bene e,
vi prego, non fate stronzate» gli sorrise la ragazza cercando di non
dare a vedere le lacrime che le facevano scintillare le venature
indaco delle sue iridi; spostò di nuovo i suoi occhi su Nikki che
continuava a guardarsi le punte degli stivali. “Ti prego, guardami
prima che tu salga su quel dannato aereo” lo implorava Rea
mentalmente “potrei morire se tu non lo fai”; il ragazzo si
avvicinò goffamente a lei e l'abbracciò timidamente senza dire
nulla, poi prese T-Bone per la manica e lo trascinò verso l'imbarco.
“Stupido, idiota, folle, cazzone!” lo insultò il suo cervello.
Rea rimase pietrificata davanti alla freddezza del suo ragazzo;
deglutì a fatica sentendo un enorme nodo alla gola, ma si promise di
non piangere: “Forse è solo imbarazzato dalla presenza del suo
amico” si disse fra sé mentre guardava la sua massa di capelli
neri mischiarsi alle teste delle altre persone. Nel frattempo, Nikki
continuava a tenere gli occhi bassi vergognandosi di come si era
appena comportato; fu Tommy a fargli risollevare il capo: «Bro, ti
senti bene?». Nikki si schiarì la voce per mandare giù i
sentimenti che gli stavano comprimendo le corde vocali: «Sto bene»
«Allora
tira fuori il biglietto e il passaporto» gli disse Tommy
picchiandogli amichevolmente la mano sulla spalla, facendo finta di
non notare il suo malessere per avere lasciato la sua ragazza qualche
metro più indietro senza nemmeno un po' di calore. Nikki, mentre
allungava i documenti all'hostess, iniziò a pensare a raffica: “No,
cazzo, non va bene. Io voglio partire ma, allo stesso tempo, voglio
stare qui. Io voglio lei, la voglio cazzo, la voglio! Sixx, sembri un
bambino che piange perchè vuole la mamma... ma perchè per una buona
volta nella vita non ascolti i tuoi sentimenti di uomo e te la vai a
prendere?”. Chiamata per il volo diretto all'aeroporto centrale
di New York City. L'istinto si
impossessò del corpo di Nikki che iniziò a correre, prendendo a
gomitate tutti quelli che gli ostruivano il passaggio; «Dove cazzo
vai?» gli urlò Tommy vedendolo scattare come un ghepardo. Lui non
rispose, non aveva il tempo per farlo; doveva cercare lei, trovarla e
dirle che ci teneva, che non voleva perderla. Aveva paura che se ne
fosse già andata, amareggiata da quel suo comportamento così
impacciato che non gli aveva fatto spiccicare parola; invece era
ancora lì. Era rimasta nello stesso posto dove l'aveva lasciata,
immobile, a guardare la sua sagoma che si confondeva con quella di
tutta la gente che popolava l'aeroporto; la chiamò a gran voce per
nome per farle capire che lui c'era, che la voleva. Quando Rea lo
vide correrle incontro, le si accese una scintilla negli occhi ed il
sole spuntò sulle sue labbra. Nikki l'afferrò per la vita e la
strinse a sé, chiudendo gli occhi e poggiando le sue labbra su
quelle della sua ragazza. Un bacio improvviso, delicato ed impetuoso
allo stesso tempo. Rea lo strinse più forte che potè al suo seno,
premendo le sue dita contro la giacca in pelle di lui che le
accarezzava la schiena mentre le loro lingue giocavano senza
prepotenza. Respiravano la stessa aria e bruciavano insieme senza che
il mondo circostante se ne accorgesse; la staticità di un bacio
immersa nella frenesia di uno degli aeroporti più trafficati del
mondo. Le loro labbra non accennavano a dividersi, le loro mani
cercavano il contatto con il corpo dell'altro, i loro occhi chiusi
guardavano l'uno nel cuore dell'altro, scoprendo un sentimento
magnifico a lungo rimasto nascosto.
“Well I
don't know what you're doing to me,
But it sure feels right,
Well I don't know what you're doing to me,
But let's do it
all night,
When the sunlight breaks through the LA sky,
For
some damn reason it makes me smile,
And I don't know what you're
doing to me,
But it sure feels right.”
Era
la sensazione più bella del mondo per entrambi, e di certo andava
bene. Fu l'altoparlante che annunciava l'ultima chiamata per il volo
per New York a sciogliere il loro abbraccio; Nikki guardò negli
occhi Rea per l'ultima volta prima di ritornare dall'hostess: «Ne
riparliamo quando torno, Fiamma mia». Poi un ultimo bacio fugace e
la corsa verso Tommy che gli urlava: «Sixx, per dio, muovi il
culo!». Il cancello fu chiuso e, circa venti minuti dopo, quel volo
dell'American Airlines si innalzò come un albatro al di sopra della
testa di Rea per iniziare il suo viaggio verso est. Le lacrime erano
sparite dai suoi occhi e, più il sole sorgeva, più il suo viso era
luminoso. In un attimo si rese conto che la sua vita stava cambiando
e che poteva finalmente ricominciare a progettare il suo futuro in
compagnia di qualcuno; alzò per l'ultima volta le sue iridi nere
verso il cielo vedendo l'aereo farsi sempre più piccolo: «Ti
aspetto Nikki... torna presto».
NOTE:
Il
titolo del capitolo è ripreso dalla canzone omonima dei Sixx:A.M.;
parti del testo di “Sure Feels Right” possono essere ritrovate
scritte in corsivo nel corso del capitolo.
LAX:
sigla per l'aeroporto centrale internazionale di Los Angeles.
Lo
so, vi ha fatto aspettare tanto, però ammetto che è stato davvero
difficoltoso scrivere questo diciottesimo capitolo, essenzialmente
per un motivo: non me la cavo molto bene con le scene romantiche
(mettetemi a descrivere un'esecuzione alla ghigliottina, ma un bacio,
per me, è davvero un ostacolo quasi insormontabile). Mi aspetto
critiche aperte per questo capitolo e sono prontissima ad accettarle;
mi rendo conto che sono molto carente in questo settore quindi...
sotto con i consigli :p Ci tenevo a ringraziare, come sempre, tutte
quelle che leggono e recensiscono: Demy84, SailorMercury84,
Lau_McKagan, Mars From The Stars, alemagica88, Alison_95, dudy,
elliehudson, Kate_88, kay89, key17, LadyMars, lulu85, marziolina86,
Rei_Hino, sailor crystal, Moon 91, pianistadellaluna, RocketQueen_ e
MipufStar. Un ringraziamento particolare va a BrianneSixx che si è
sparata a cannone 17 capitoli; altro ringraziamento va al mio ragazzo
che, piano piano, si mette in pari con questo delirio. Grazie anche a
tutti i silent readers e a tutti quelli che, fino ad ora, hanno
joinato la mia pagina autore su Facebook.
Un
bacio,
Ellie
|
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Capitolo 19 *** Sleeping In The Fire ***
19 Sleeping In The Fire
Giovedì
2 aprile 1987, 3 pm
Da quando
è partito continuo a guardare il cielo, a seguire con gli occhi le
scie lasciate dagli aerei; mi manca, eppure sono felice. Ancora non
riesco a credere che... dio, sì, mi ha baciata cogliendomi
completamente alla sprovvista; forse è per quello che mi è piaciuto
così tanto. Ha cercato di chiamarmi sempre, nonostante il fuso
orario; cercava anche di farmi sentire qualcosa per telefono ma
l'acustica non era delle migliori. È dolce e gentile... non sembra
nemmeno il Nikki Sixx che ho conosciuto al Roxy alla fine dello
scorso agosto; fa tanto il duro e lo spaccone, ma è una delle
persone più sensibili che io abbia mai avuto modo di conoscere. Si è
aperto lentamente a me, eppure sono felice di conoscerlo per ciò che
realmente è... lui è bisognoso e desideroso di affetto e deve
essere rassicurato perchè è più incerto di quello che si crede. Mi
piace questa sua personalità demistificata dal ruolo della rockstar;
se non deve ricoprire quel ruolo, Nikki è di una dolcezza infinita e
non ha vergogna di mostrare il lato più debole e delicato del suo
carattere. Sembra un uomo di acciaio inossidabile, impossibile da
smontare... invece, scavando, ha un animo delicatissimo, un cuore da
coccolare e trattare con cura; quel cuore che lui dona
incondizionatamente alle persone di cui sa che può fidarsi e che lui
ti permette di toccare con le dita, per trasmetterti con quei battiti
convulsi l'amore che prova nei tuoi confronti. In questi giorni non
ho fatto altro che ascoltare i nastri che mi ha lasciato nella
casella della posta e fissavo con occhi sognanti i coni delle casse
immaginando il suo viso. Amy è stata la prima ad accorgersi del
fatto che ero su un altro pianeta; pensava che stessi male, che
avessi preso una botta in testa. Quando mi ha toccato la fronte per
vedere se avevo la febbre ci è rimasta male talmente ero in
escandescenza; continuavo a dirle che stavo bene, ma la mia amica ha
insistito perchè mi facessi vedere da lei: «Tu dici sempre che stai
bene anche quando hai la broncopolmonite e la febbre a quaranta» mi
ha sgridata portandomi su in camera ed infilandomi sotto le coperte.
Ha detto a Marta di correre a prendere la tinozza con l'acqua fredda
mentre lei iniziava a trafficare con i suoi aggeggi che tirava fuori
dalla piccola borsa in cuoio; come prima cosa mi ha infilato
prontamente il termometro sotto la lingua e mi ha afferrata con la
mano destra per il polso mentre agitava la mano sinistra per mettere
in sede l'orologio e poter calcolare la mia frequenza cardiaca. Ho
alzato gli occhi al soffitto e, con la mano libera, mi sono levata il
termometro di bocca ed ho scosso la testa ridacchiando: «Amy... non
credo proprio che sia un virus a causarmi questa “assenza”». I
suoi occhi blu mi hanno guardata increduli mentre allentava la
stretta dal mio polso; ho continuato: «Credo di essere nello stesso
stato di salute in cui ti ritrovi anche tu quando devi uscire con
Taiki». La mia amica è rimasta allibita per un attimo, poi mi si è
avvicinata e mi ha chiesto sottovoce: «Ma che è successo?». Non le
ho risposto subito, prima ho chiamato le altre e le ho fatte entrare
tutte nella stanza; mi sono messa a sedere, le ho guardate tutte
negli occhi e ho detto, mentre arrossivo in viso: «Io e Nikki ci
siamo baciati». C'è stato un attimo di immobilità, poi Marta è
esplosa, gettando in aria la tinozza piena di acqua gelida e bagnando
la povera Bunny che le stava accanto: «Che notizia meravigliosa!»
«Meraviglioso
un tubo, Marta! Mi hai bagnata tutta!» ha guaito la mia amica
toccandosi la manica del maglioncino rosa fradicia mentre gli occhi
le diventavano lucidi «Adesso mi verrà il raffreddore, poi non
potrò uscire con Marzio e non potrò nemmeno andare a vedere la
discussione della sua tesi di laurea all'inizio del mese prossimo».
Bunny è scoppiata a piangere stritolandosi gli odango per scaricare
la tensione; Morea le ha cinto le spalle e le ha detto con una
semplicità disarmante: «Ma perchè non vai a cambiarti il maglione?
Così possiamo scongiurare la possibilità di ammalarci». La
biondina ha smesso di piagnucolare all'istante e l'ha guardata come
se la bella mora avesse fondato una nuova legge scientifica: «E'
vero, hai ragione!» ha detto scuotendo il suo ditino davanti agli
occhi verdi di Morea. Tutte noi abbiamo scosso la testa rassegnate e
ridacchiato nel vedere Bunny saltellare verso la sua camera per
andare ad infilarsi una felpa asciutta; lo ammetto, certe volte è
infantile, ma ce ne sono altre in cui dimostra una maturità
incredibile. Bunny è unica, non ce ne sono di ragazze come lei.
Più
tardi, 11.30 pm
Ho appena
finito di parlare al telefono con Nikki. Il disco è finito, ora è
solo da distribuire; dire che era in brodo di giuggiole è riduttivo.
Mi ha detto che stava per uscire a cena con Tommy e gli altri per
festeggiare e che domani dovrebbe essere a casa qui ad L.A. per le
sei del pomeriggio circa... inizio a contare i minuti. Non vedo
l'ora. Vado a dormire, così il tempo passerà più in fretta.
L'orologio
digitale sul mobile del salotto bippò nel silenzio di quella casa di
Bel Air facendo voltare di scatto la testa a Rea: “Le sei precise”;
la ragazza si irrigidì in ginocchio davanti al fuoco e subito uno
stormo di farfalle le animò lo stomaco. Chiuse gli occhi immaginando
Nikki rientrare nella sua villa trascinandosi dietro una valigia
colma di vestiti piegati in qualche modo, con il viso nascosto dietro
dei grandi occhiali da sole dalle lenti scure. “E' figo fare questo
lavoro” le diceva sempre “ma è un po' meno figo non riuscire a
girare in pace per le vie di una città senza essere riconosciuto e
senza avere la gente incollata addosso che ti leva la carne dalle
ossa solo per avere un tuo autografo”; ecco perchè aveva sempre
con sé quegli occhialoni a maschera. Li aveva comprati un paio di
anni prima, giusto pochi giorni prima di girare il video di “Home
Sweet Home”; sapeva di avere una cera pessima in quel periodo,
quindi stava girando disperato per tutti i negozi di Los Angeles alla
ricerca di un paio di occhiali da sole con le lenti nere che gli
nascondessero il viso almeno fino agli zigomi. Alcuni commessi
l'avevano preso in giro dicendogli: «Occhiali di quel genere non ne
fanno più, fossi in te andrei a rubarli dalla tomba di Janis Joplin»
ma, proprio quando aveva perso le speranze entrando nel settimo
negozio, il proprietario aveva sguainato da sotto il banco una
custodia rigida in plastica bombata da cui era spuntata questa
“maschera salvavita”. Neri come il buio più profondo, composti
da una sola lente rettangolare sagomata per aderire meglio al naso
con delle bacchette spessissime; erano “i suoi”, era ciò che
stava cercando e da quel momento imparò a non separarsene. Occhiali
neri e frangia calata sul viso. Andava in giro come un barboncino
(così l'aveva definito Tommy), ma era il modo migliore per avere
meno gente possibile alle calcagna. Rea si portò le mani al viso
sentendo le sue gote roventi, non capendo se fosse colpa del fuoco o
merito di Nikki, poi le ricongiunse di nuovo celando quelle iridi
quasi indaco dietro le palpebre; voleva vederlo, voleva rivedere quel
viso angelico deturpato dal trucco e quegli occhi verdi come un
prato. Respirò profondamente l'aria che arrivava dal camino dove
stava ardendo il fuoco: “Aspetta, pazienta ancora Rea. Fra poco
chiamerà per dirti che è casa e che è tutto ok”. Cercò di
distogliere i suoi pensieri da lui con la tecnica di meditazione che
il nonno le aveva insegnato ma le era impossibile fare in modo che
l'immagine di Nikki non invadesse la sua mente; sospirò pesantemente
scuotendo la testa con un piccolo sorriso e l'occhio le cadde di
nuovo sull'orologio digitale: le sette meno un quarto. In un lampo si
sentì la schiena ghiacciata, come se qualcuno le avesse gettato
addosso una calotta dell'Antartide: “Come mai non ha ancora
telefonato?” si chiese sentendo la preoccupazione invadere il suo
petto. Cercò di tranquillizzarsi dicendosi che forse l'aereo aveva
fatto tardi o che magari sulla Freeway c'era più traffico del
solito, quindi era rimasto imbottigliato; eppure l'ansia non
diminuiva. Non poteva nemmeno scaricare la sua tensione su qualcuna
delle sue amiche, quella sera erano tutte fuori con i rispettivi
ragazzi. Rea si morse il labbro nervosamente, poi si alzò e puntò
dritta verso il telefono, decisa a chiamare Nikki; compose il numero
con i polpastrelli sudati per il nervosismo ed attese in linea, ma
dopo dieci squilli a vuoto fu costretta a riagganciare. “Sono le
sette e dieci” si disse passandosi nervosamente una mano lungo la
lunghezza dei capelli “deve essere a casa per forza... ma allora
perchè non risponde nessuno?”. Preoccupata si inginocchiò
nuovamente davanti al fuoco: “Vediamo se riesco a capire cosa sta
succedendo”. Chiuse gli occhi cercando di focalizzare tutta la sua
attenzione sul ragazzo: “Nikki, tesoro, dove sei?” e mentre
grosse gocce di sudore iniziavano ad imperlarle la fronte corrugata
per la concentrazione, iniziò a recitare le nove magiche sillabe
mentre intrecciava le dita fra loro ad una velocità impressionante:
«Ryn, pyo, to, sha, kai, jin, retsu, zai, zen!». Il fuoco si
spense improvvisamente come se qualcuno ci avesse gettato sopra una
secchiata d'acqua o come se una finestra si fosse spalancata
violentemente; ma Rea era in casa da sola e tutte le finestre erano
chiuse. La ragazza si ritrovò a fissare il fondo del camino annerito
dalla fuliggine con gli occhi sbarrati ed un espressione di terrore
dipinta in volto: «Il fuoco si è spento... sta succedendo qualcosa
di grave» sibilò con il fiato corto. Si alzò di scatto con la
fronte madida di sudore e si affrettò a ricomporre il numero di casa
del suo ragazzo; attese in linea per dieci secondi circa tremando
come una foglia, poi, al quarto squillo, si udì dall'altro capo del
filo una voce colma d'ira e nervosismo: «Chiunque tu sia, vai a
fanculo!». Rea guardò stranita il ricevitore, poi se lo riportò
lentamente all'orecchio: «Nikki?» chiese timidamente pensando di
aver digitato il numero sbagliato
«Oh...
Rea» rispose il ragazzo di rimando colmo d'imbarazzo
«Ti
sembra questa la maniera di rispondere al telefono?» lo sgridò la
bella mora alzando la voce
«N-no,
io... io... scusa, scusa» ansimò Nikki «è che...» si interruppe
lasciando la frase a metà
«Che
cosa Nikki? Cosa c'è?» incalzò Rea stringendo il cordless fra le
mani
«E'
che siamo partiti in ritardo, le nostre valigie sono arrivate per
ultime, poi c'è stato traffico... un inferno. Sono appena entrato in
casa» cercò di scusarsi il bassista
«Nikki,
ascolta» la voce della ragazza si ammorbidì «io ho voglia di
vederti. Posso passare da te?». Seguirono alcuni attimi di silenzio
assoluto; Rea riusciva a palpare la tensione che il ragazzo le stava
trasmettendo dal telefono: «Nikki? Sei ancora lì?» chiese lei con
un filo di dispiacere poiché la risposta che sperava di sentire non
era arrivata immediatamente
«Va
bene» rispose il ragazzo titubante «quando pensi di venire?»
«Beh,
ora»
«Allora...
a tra poco» il ragazzo riattaccò.
Venerdì
3 aprile 1987, 7,30 pm
Non è
lui... la persona con cui ho parlato al telefono non è lui. Ho un
brutto presentimento... ma spero solo di sbagliarmi. Non voglio
nemmeno pensarci... magari ha trovato un'altra e mi dirà che non ne
vuole più sapere di me. O peggio... è mai possibile che non sia
capace di stare lontano dai guai? Perchè deve sempre farmi soffrire
dopo avermi regalato un briciolo di felicità?
Rea
schizzò su per le scale per infilarsi i primi vestiti che trovò
sulla sedia in camera sua e poi corse nel garage per filare via con
la sua Ford. C'era qualcosa che non andava; Nikki stava decisamente
nascondendo qualcosa. Con il cuore che batteva all'impazzata per
l'agitazione, uscì sgommando dal cancello di casa per imboccare
Bellagio Road. Nel frattempo, a Van Nuys, il bassista era ancora in
piedi immobilizzato davanti al telefono con gli occhi fuori dalle
orbite: “Lei fra poco sarà qui... lei fra poco sarà qui...”
continuava a ripetersi “Che faccio?”; una delle sue vocine lo
spronò: “Amico, sai che c'è solo un modo per scendere più
velocemente... dovrebbe essere in una delle tasche laterali della tua
valigia”. Il ragazzo si precipitò in camera da letto ed iniziò a
tirare fuori alla rinfusa tutti i suoi abiti, finchè non trovò
quello che stava cercando: “Muoviti” lo ammonì la vocina “hai
solo venti minuti”.
*
* *
Stava
guidando da ritiro della patente e ne era consapevole, ma non gliene
fregava granchè; in quel momento si sentiva come Heles, la sua
collega, che quando era sulla strada schiacciava più che poteva
l'acceleratore perchè diceva di voler diventare un tutt'uno con il
vento. Rea però non voleva fondersi con l'aria, voleva solo arrivare
da Nikki il più in fretta possibile per scoprire cosa il ragazzo
stesse celando dentro di sé. Dopo aver attraversato diversi incroci
con il semaforo che minacciava di diventare rosso da un momento
all'altro, la ragazza inchiodò proprio sotto il vialetto che portava
alla grande villa spettrale; corse su per la stradina sentendo le
gambe pesanti e guardò fugacemente il prato alla ricerca di Spank.
Il cagnolino stava dormendo pacifico nella sua cuccia: “Mah, forse
mi sto facendo troppe paranoie per nulla”; infilò la chiave nel
cancello e la serratura scattò. Nello stesso istante, Nikki stava
osservando la scena avvolto in una delle tende del soggiorno; gli
occhi gli si stavano chiudendo e si sentiva come se avesse la testa
immersa in un acquario: i suoni dell'ambiente circostante erano
distanti ed ovattati. “Ti prego, cerca di comportarti normalmente”
gli raccomandò una delle sue vocine “tira via quella faccia da
pesce lesso che ti ritrovi e fai finta di essere arzillo e pimpante.
Sai che succederebbe se lei scoprisse che... insomma, hai capito, no?
Poi, io dico: ma era proprio necessario?”. Già, era proprio
necessario? Nikki non era in grado di rispondere a
quell'interrogativo: “Ad ogni modo, cerca di comportarti nel modo
più normale possibile” sospirò affranta una delle sue coscienze,
che si affrettò ad aggiungere: “Certo che però sei davvero idiota
Sixx”. Voleva sbattere la testa contro il muro per mettere a tacere
una volta per tutte il suo super-io, per non sentirlo più
sospirargli all'orecchio la cruda verità. Lo scattare della
serratura della porta d'ingresso lo fece sobbalzare e, sentendo il
ticchettare dei tacchi degli stivali della sua ragazza sul parquet,
si affrettò ad uscire dal suo nascondiglio; la massa di lunghi
capelli corvini fece capolino nel soggiorno e gli occhi dalle
venature indaco della ragazza si posarono sul viso di Nikki con
atteggiamento interrogativo. «Ciao Rea» sorrise il bassista alzando
solo un angolo della bocca e faticando a tenere le palpebre aperte
«come stai?»
«Io
sto bene» rispose lei cercando di mostrarsi calma mentre la paura le
divorava l'anima «tu invece come stai?». Nikki fece per rispondere
che si sentiva alla grande, quando uno strano malessere gli fece
portare una mano alla bocca dello stomaco: nausea. “Oh, merda! Ci
mancava giusto l'effettino collaterale” pensò fra sé insultandosi
per la stupidaggine che aveva appena commesso; deglutì faticosamente
un grumo di saliva, respirò profondamente per cercare di
ristabilirsi e poi disse: «Abbastanza bene»
«Lo
vedo» la voce di Rea si era abbassata accompagnata dal corrugarsi
delle sopracciglia. La ragazza si avvicinò lentamente al bassista
cercando di studiare attentamente l'espressione del suo viso; ad ogni
centimetro che avanzava, Nikki si sentiva sempre più a disagio. Non
sapeva come comportarsi ed in più si sentiva piacevolmente sedato;
era praticamente un orso imbalsamato. “Oh, per l'amor di dio Sixx,
apri quelle cazzo di braccia e stringila a te, coglione che non sei
altro! Sei freddo come un merluzzo nel banco frigo del supermercato”
sbraitò la solita vocina isterica; sfornando uno dei suoi sorrisi
peggiori, il bassista fece un passo avanti allargando le braccia
verso la sua ragazza, ma a pochi centimetri da lei, il suo corpo lo
tradì: si portò le mani alla bocca ed iniziò a correre
precipitosamente verso il bagno dove vomitò nella vasca tutto quello
che aveva mangiato a pranzo. Rea lo chiamò per nome vedendolo
scattare così, dopodiché lo raggiunse mentre ancora stava sputando
gli ultimi rimasugli dell'hamburger di mezzogiorno: «Ma che ti
succede?» sussurrò preoccupata chinandosi su di lui e scostandogli
i capelli dal viso sudato e bianco; il ragazzo si girò e si mise a
sedere ansimando, poggiando la schiena alla parete: «Credo proprio
di essermi preso un virus a New York» e, mentre pronunciava quelle
parole, si pulì malamente la bocca con la manica del maglioncino
nero che indossava. Quel semplice movimento lo tradì, poiché le
labbra rimasero appiccicate al tessuto svelando un pezzo di pelle del
polso su cui si vedeva chiaramente la ferita fresca inferta da un
ago.
Domenica
5 aprile 1987, 2 am
Dovevo
aspettarmelo... o meglio, non dovevo aspettarmelo perchè lui aveva
smesso, no? Ma, in un certo senso, avrei dovuto aspettarmelo
conoscendo le sue pessime abitudini; basta lasciarlo incustodito per
poco tempo ed ecco che combina i suoi soliti casini...
Alla
vista di quelle vene collassate, un'ondata di delusione investì il
cuore di Rea: quel bacio di una settimana prima sembrava lontano
millenni e la possibilità di poter portare avanti con Nikki qualcosa
di concreto si sbriciolò all'istante; un nodo grosso come una mela
le si formò in gola impedendole di parlare e le lacrime le
appannarono la vista. Ma non voleva mostrarsi debole, non doveva
farlo: era Nikki quello che aveva bisogno di aiuto e sostegno, e
piangere era l'ultima cosa da fare, senza contare che il pianto
avrebbe fatto intendere a Nikki che Rea era dispiaciuta; lei non
voleva dimostrarsi dispiaciuta in quel momento, l'aveva già fatto
fin troppe volte. Voleva essere furente. Voleva fargli capire che
quella volta aveva davvero oltrepassato ogni limite.
Domenica
5 aprile 1987, 2 am
Io lo
amo, non riesco a detestarlo anche dopo quest'ennesima cagata. Però
deve capire che non possiamo andare avanti così; che non può andare
avanti così. Si fa solo del male. Non posso vederlo in quello stato,
giuro, è come se avessi dentro un coltello che mi taglia in due lo
stomaco. Quindi devo mostrarmi irremovibile e senza nessun tipo di
ammorbidimento; non questa volta. Bisogna che si rimetta in pista al
più presto, deve ritornare in clinica; l'unico problema è che non
potrò seguirlo così da vicino come ho fatto precedentemente: la
facoltà mi ha programmato un tirocinio per le prossime tre settimane
e non posso tirarmi indietro.
«L'hai
fatto di nuovo» disse il più freddamente possibile la ragazza
fissando le piastrelle azzurrine del bagno
“Cazzo
Sixx... ti ha beccato”; Nikki cercò di allungare una mano verso il
suo braccio, ma lei lo prese malamente per il polso bloccandolo. I
loro occhi si incontrarono e Nikki quasi si spaventò nel vedere lo
sguardo di Rea iniettato di sangue: «RISPONDI!»
“Non
puoi negare l'evidenza, cazzone; lei ti legge come un libro aperto”.
Il mutismo del ragazzo e lo sguardo basso ed avvilito che ne seguì
furono prove sufficientemente eloquenti per Rea; la ragazza serrò le
palpebre cercando di dominare l'istinto di dargli una sberla sonora
ed urlargli in faccia tutta la rabbia che si stava impossessando di
lei. Lasciò andare il polso di Nikki, strinse i denti ed iniziò a
parlargli con tono basso e minaccioso: «Ti rendi conto della cazzata
che hai fatto? Ti rendi conto che ci sei ricaduto di nuovo? Io mi
impegno per farti sentire meglio, per tirarti fuori da quel tunnel ma
tu, nulla; vuoi continuare a rimanerci dentro»
«Io...
io, ecco... volevo solo fare una tirata» cercò di giustificarsi
lui, ma lei continuò inarrestabile: «Ah, solo una tirata? Che poi
diventano due, tre, dieci, cento... lo sai che non sei in grado di
resistere. Ti fai come un matto di cocaina e poi vai talmente fuori
di testa che ti fai delle dosi massicce di eroina per tentare di
ritornare normale il prima possibile. Ti rendi conto di quanto sia
assurda la situazione?». Nikki non rispose alla domanda. Rea
continuò a rincarare la dose alzando sempre di più la voce: «Ti
rendi conto del fatto che tu fra un paio di mesi vai in tour e non
puoi partire sbroccato? TI RENDI CONTO CHE IO ERO QUI A CASA AD
ASPETTARTI PER INIZIARE QUALCOSA DI BELLO INSIEME A TE ED INVECE MI
RITROVO CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO?». Quelle parole furono più
violente di qualsiasi pugno o di qualsiasi schiaffo; Nikki le prese
tutte in pieno viso, strizzando le palpebre per il dolore. Quando
riaprì gli occhi, due lacrime scesero silenziosamente per le sue
guance; il ragazzo allungò la mano verso il viso di Rea che era
rimasta con il fiato sospeso: «Aiutami» fu l'unico sibilo che uscì
da quelle labbra mentre tentava di sfiorarle le guance arrossate con
i polpastrelli. La bella bruna fece un respiro profondo per
concentrarsi al meglio, in modo da rendere le parole che stava
dicendo il meno dolorose possibile: «Lo farò... credimi. Ma questa
volta sarà diverso»; il ragazzo ritrasse la mano spaventato e
rimase a fissarla con la bocca semiaperta. Lei continuò: «Non potrò
seguirti come ho fatto con le terapie precedenti perchè... ho già
programmato altri impegni». Nikki strinse le mani a pugno mandando
giù l'amarezza che gli si stava formando in bocca: «E così... mi
abbandoni?» disse mentre copiose lacrime gli rigavano il volto
«Non
ho detto questo Nikki» Rea scosse la testa sconsolata ma come fece
per aggiungere spiegazioni, il bassista si infuriò ed iniziò ad
urlarle contro: «Non dire più nulla, basta, BASTA! Tu non mi vuoi
più, vai via, vattene! VATTENE!». La ragazza strinse i denti e
deglutì a fatica quelle parole che il suo ragazzo le stava lanciando
contro come pietre; represse l'impulso di insultarlo, di dirgli che
era un idiota e che avrebbe dovuto tapparsi la bocca per ascoltarla.
Tenne invece la voce bassa e cercò di scaldarla con le sue buone
intenzioni: «Nikki, non ho detto che ti lascio in balia di te
stesso; sto solo dicendo che ti aiuterò in modo diverso... non potrò
venire alle terapie con te tutti i giorni e...»
«Taci,
TACI!» tuonò lui tappandosi le orecchie «Tu mi stai lasciando solo
e non hai il coraggio di ammetterlo... vattene fuori di qui! Vederti
mi fa solo soffrire di più! Esci, ESCI!». Rea si alzò in piedi
fissando la chioma folta e nera di Nikki che lui si teneva disperato
fra le mani; fissò il pavimento in silenzio mentre la vista
diventava sempre più confusa e bagnata. Non doveva cedere, non in
quel momento; la voce del nonno risuonò nella sua testa: “Sii
forte, bambina mia”. Alzò lo sguardo e vide Nikki piangere a denti
stretti: «Se vuoi che me ne vada... bene, io me ne andrò» sussurrò
lei cercando di nascondere l'emozione «Voglio solo dirti che...
insomma... telefonami quando ti sarai ripulito completamente».
Domenica
5 aprile 1987, 2 am
E così
l'ho lasciato solo, credendo che un po' di silenzio avrebbe potuto
farlo rinsavire, facendogli dimenticare il suo delirio. Se solo
avessi saputo... non l'avrei mai lasciato incustodito.
Chiuse
la porta dietro di sé sentendo un grande freddo dentro il petto; era
come se il grande fuoco che portava con sé si fosse spento
all'improvviso, proprio come era successo al camino poche ore prima.
Amareggiata e delusa si incamminò verso la macchina che la stava
aspettando appena fuori la casa del suo ragazzo quando udì il rombo
di una Harley Davidson che aveva appena girato nel grande viale; alzò
gli occhi e vide Tommy posteggiare il suo bolide proprio davanti alla
sua auto: «Ehi, ciao Rea!» la salutò felice. Quel saluto gioioso
le fece riversare tutta la rabbia che aveva in corpo sul batterista
malcapitato: «Ciao Rea un cazzo! Togli quell'ammasso di bulloni da
lì che devo uscire con la macchina»
«Uououo,
baby, calma!» disse T-Bone facendole segno con le mani
«Calma?
Come faccio a stare calma? Con Nikki è appena successo un casino e
tu mi dici di stare calma? NON CE LA FACCIO!». Le lacrime le
inondarono il viso, ormai erano diventate troppe ed era impossibile
contenerle; abbassò la testa vergognosa ed iniziò a singhiozzare
mentre camminava verso la portiera del guidatore. Tommy la bloccò
per un braccio e la strinse a sé: «Cos'è successo?» le sussurrò
mentre le accarezzava la testa
«Perchè
non l'hai fermato in tempo?» disse lei fra un singhiozzo e l'altro
«Lui... è di nuovo sotto». Tommy abbassò la testa, cupo in viso:
«Fiamma, non sono di certo la sua babysitter, lui è grande
abbastanza per sapere quello che fa»
«Lo
so, però siete amici... cosa avete fatto a New York? Perchè lui è
finito con il drogarsi di nuovo?» domandò Rea smarrita immergendo
la testa nel giubbotto di pelle dell'amico. T-Bone chiuse gli occhi e
fece un respiro profondo, poi prese Rea per le spalle e guardandola
dritta negli occhi arrossati le domandò: «Hai tempo per una
birra?».
*
* *
Il
piccolo pub dove l'aveva portata Tommy era distante circa trecento
metri dalla casa di Nikki; non era un posto molto frequentato, quindi
era perfetto per poter scambiare due in tranquillità: musica blues
in sottofondo, insegne al neon variopinte sparse per tutte le pareti
in legno del locale e placche in metallo dipinte a mano che
pubblicizzavano le diverse marche di birra servite al bancone. T-Bone
fece segno a Rea di sedersi ad un tavolo isolato, lontano da orecchie
ed occhi indiscreti, mentre lui andava a prendere un paio di Miller;
il barista, un uomo stempiato sui cinquanta, lo servì senza nemmeno
rendersi conto che aveva davanti una rockstar ed il batterista pagò
il conto senza fare le solite scene per farsi riconoscere a tutti i
costi. Tommy poggiò le birre sul tavolo mentre Rea stava
sistemandosi il trucco: «Guarda che sei bella lo stesso, anche con
il mascara sbavato» le disse cercando di strapparle un sorriso. La
ragazza chiuse lo specchietto e lo guardò per un attimo negli occhi
abbozzando uno sberleffo, poi si aggrappò al boccale ed iniziò a
fissare le bollicine che salivano velocemente verso la schiuma
spessa: «Cos'è successo a Nikki?» chiese di nuovo in attesa di una
risposta «Mi ha sbattuta fuori di casa senza dirmi perchè ha
ricominciato... sta per caso nascondendo qualcosa? Magari... un'altra
donna». Le ultime parole le morirono sulle labbra e una lacrima le
scivolò furtiva sulla guancia macchiandola di nero. «Fiamma, posso
giurarti sulla mia vita che non c'è nessun'altra donna nella testa
di Nikki»
«E
allora perchè ha ripreso?» bisbigliò lei stringendo il bicchiere
così forte da farsi diventare le unghie bianche. T-Bone sospirò,
bevve alla goccia metà boccale ed iniziò a spiegarle cos'era
accaduto a New York: «E' cominciato tutto ieri sera, quando siamo
usciti a cena insieme. Il disco era venuto una meraviglia e quindi
era giusto uscire a festeggiare. Lui, durante tutta la settimana, non
ha fatto altro che parlare di te quando eravamo insieme... è
innamorato perso»
«Allora
perchè quel gesto sconsiderato?» lo interruppe la ragazza. Tommy
alzò la mano per fermarla e riprese a raccontare: «Come ti dicevo,
la situazione è degenerata ieri sera, quando siamo usciti a cena.
Siamo andati a mangiare in un piccolo ristorante cinese dalle parti
di Central Park e la serata era partita tranquilla; nessuno ci aveva
fermati per strada, nessun giornalista, nessun fotografo... insomma,
perfetto. Abbiamo parlato un po' del disco e poi Nikki ha parlato
ancora di te, dicendo che gli mancavi e non vedeva l'ora di
riabbracciarti; finchè una ragazza, chiaramente fatta come un
animale, si avvicina al nostro tavolo ed inizia a strusciarsi addosso
a Sixx». Rea ebbe un capogiro: «T-Bone, avevi detto che non aveva
un'altra»
«Infatti
è così» la rassicurò il batterista «la ragazza era una zoccola
del locale che voleva che Sixx andasse a tutti i costi con lei nel
bagno delle donne per farlo seduta sul lavandino. Nikki cercava di
scansarla dicendole cose tipo “No, guarda che sono impegnato, non
mi interessi, sei un cesso” e cose simili, ma questa non demordeva.
Ad un certo punto, mentre cercava di saltargli addosso, le è caduta
dalla tasca una bustina di coca; Sixx l'ha presa e le ha detto: “Se
la compro ti levi dai coglioni?”. Lei ha detto di sì, lui le ha
lasciato in mano mille dollari e l'ha buttata addosso a me: “T-Bone,
vado a farmi una tirata in bagno” mi ha detto, allora io l'ho
guardato e gli ho detto: “Bro, ma non avevi smesso?” così lui mi
ha risposto: “Sì, ma è solo un tiro, così mi schiodo di dosso
quella lì”. Si è alzato ed è andato in bagno e io sono rimasto
con la sanguisuga al tavolo. Questa mi guarda e mi dice: “Ti va se
scopiamo?” e io le faccio: “Perchè no?”»
«Ma...
Tommy» lo interruppe la bella bruna «ma tu sei sposato! Come puoi
andare insieme ad un'altra donna?»
«Attenta:
quello è solo sesso; con Heather invece è amore. Puoi trombare con
tutte le donne di questa terra ma dare il tuo cuore solamente ad una
di loro». Rea, sconsolata, si portò una mano alla fronte, non del
tutto pronta a sentire il resto del racconto. Tommy bevve un altro
sorso di birra e continuò: «Insomma, le dico che ci posso anche
stare alla sveltina e lei subito aggiunge: “Guarda che però ho il
ciclo in questi giorni”. Chi se ne frega! C'è sempre l'altro buco»
«Oddio,
sto per vomitare» bisbigliò Rea strabuzzando gli occhi e bevendo un
sorso di Miller. Tommy continuò inarrestabile: «Insomma, mi ha
trascinato nel bagno degli uomini, mi ha calato di botto i pantaloni,
lei si è tolta la gonna e gli slip, si è messa con i gomiti
appoggiati al lavandino, ha dato una sniffata al popper che
teneva in tasca ed io ne ho approfittato per iniziare. Questa urlava
come una pazza e io continuavo a dirle: “Cristo, chiudi la bocca”,
quand'ecco che Sixx è uscito dalla zona cesso completamente
svarionato e si è appoggiato alla parete mentre si stava pulendo il
naso. La pazza furiosa ha approfittato del momentaneo intorpidimento
di Nikki per calargli le braghe al volo e fargli un...»
«ZITTO!
Ho sentito abbastanza» esclamò Rea picchiando il pugno sul tavolo
in noce
«Comunque,
immagino che ti farà piacere sentire che Nikki, dopo dieci secondi
che questa si era appiccicata come una ventosa, le ha dato una sberla
che l'ha fatta finire per terra ed io e lui siamo usciti dal bagno
lasciandola riversa a terra con il tampax fuori sede». Tommy
ridacchiò al ricordo di quel piccolo trionfo, ma Rea rimase
impassibile davanti al boccale ancora quasi del tutto pieno; non le
era andato giù il fatto che qualcun'altra si fosse appropriata
dell'intimità del suo ragazzo, anche se questi non era d'accordo.
Voleva essere lei a prendersi cura di lui, anche se un velo di paura
ancora la bloccava, ma il pensiero che un'altra l'aveva toccato la
mandava in bestia. «Ehi Rea, tutto bene?» domandò T-Bone
riportandola alla realtà
«Non
ce l'hai la domanda di riserva?» controbatté lei
«Beh...
comunque, tornando al discorso di prima: dopo che siamo usciti dal
locale, il mio bro non ha più aperto bocca. Siamo tornati in camera
nostra e Sixx ha tirato fuori la coca che era avanzata dalla tasca
dei pantaloni, mi ha guardato e mi ha detto: “T-Bone io... mi sento
sporco. Mi sono fatto toccare da una che non è la mia ragazza ed ho
fatto una cosa che non avrei più dovuto fare... sono un coglione”.
Allora io gli ho risposto: “Sul fatto della sniffata hai
perfettamente ragione, ma non eri consenziente con la zoccolona...
dai bro, hai solo metà della colpa”. Lui si è spento in un
istante, ha aperto il bar e ha tirato fuori il Jack, ha versato due
bicchieri in silenzio e poi mi ha detto: “Vedi? Ne ho bisogno...
non riesco a farne a meno... sono un tossico di merda” e mentre lo
diceva ha preparato un'altra striscia e l'ha sniffata. “Basta bro,
smettila” gli ho detto ma lui non mi ascoltava; si è messo a
singhiozzare come un bambino e ha cominciato a dire: “Come farò a
tornare da lei ora? Con che coraggio le dico che ci sono ricascato
come un imbecille? Ovviamente lei lo scoprirà da sola e rimarrò di
nuovo solo... sono destinato a rimanere solo, rimarrò solo tutta la
vita... prima la mia famiglia, poi il gruppo e adesso lei... ma in
fondo me lo merito se faccio queste cazzate... vaffanculo”» la
voce di Tommy si alterò per un attimo, come se il pensare all'amico
l'avesse fatto emozionare. Il batterista finì la birra in un sorso
mentre Rea lo fissava frastornata con la fronte corrugata: «Nikki
solo?» furono le uniche parole che riuscì ad articolare
«Non
ti ha mai raccontato nulla lui?» esclamò incredulo T-Bone; la
ragazza fece un cenno negativo con il capo. Tommy allungò la sua
mano verso quella di lei e la strinse in una presa confortevole: «Non
spetta a me raccontarti perchè Nikki è di natura così instabile...
sarà lui a decidere quando parlartene in modo approfondito. Quello
che posso accennarti è che la droga per lui è la medicina contro
qualsiasi tipo di dolore, fisico o dell'anima che sia. Nikki arriva
da una famiglia disastrata e distrutta, con un padre inesistente ed
una madre assente la maggior parte del tempo. Nikki si è attaccato
molto a te perchè tu sei stata l'unica a dimostrargli affetto
sincero finora... o forse dovrei dire amore, ad ogni modo tu sei
stata capace di guardare dentro di lui ed apprezzarlo per ciò che è
in realtà. Non ti sei innamorata della sua immagine, ma di lui. Ecco
perchè ha paura di essere abbandonato».
Domenica
5 aprile 1987, 2 am
Quando
Tommy ha detto quelle parole mi si è gelato il sangue... ecco il
perchè della sua violenta reazione; ma soprattutto, si è fatto
largo in me l'orribile presentimento che gli stesse succedendo
qualcosa di davvero grave.
* * *
Solo.
Orribilmente e schifosamente solo. I passi che rimbombano per questo
corridoio così terribilmente vuoto. Io sono vuoto; io sono il vuoto.
Se butti un sasso dentro di me, sentirai un rimbombo sordo, talmente
sono vuoto. Lei mi ha portato via, lei mi ha estirpato della mia
anima; ecco perchè questi miei pensieri rimbombano dentro il mio
corpo. Sento i battiti del mio cuore echeggiare nella mia testa. In
me posseggo il nulla... ecco perchè ogni suono è amplificato. Che
motivo ha questo cuore di battere ancora? Che motivo ho per vivere io
ora? Sono solo... tanto vale mettere su della musica per cercare di
riempire il vuoto prima di partire per un lungo viaggio senza
ritorno; un biglietto di sola andata per la realizzazione di essere
preso realmente in considerazione. Lei...
lei,
l'unica che ha guardato dentro il mio cuore, che ha visto chi sono,
che mi ha preso in considerazione per ciò che sono sul serio... lei
non c'è più. Che motivo ha questo amore per ardere se lei non c'è
più?
“Touch,
touch in the flame's desires
Feeling the pain's denial,
And
your fingers in the fire”
Tanta. Ne
ho bisogno tanta. Più della molta roba che mi faccio di solito. Per
l'ultima volta la poserò sul cucchiaio, per l'ultima volta mi
scotterò le dita nell'accendere la candela con l'accendino, per
l'ultima volta riempirò la siringa di questo liquido ocra... poi
l'ago nel braccio, lo stantuffo che scende, l'eroina che si mischia
al sangue, il cuore che accelera e subito rallenta...
“Look,
look in the candle light
See in the flame of life
And my spell
is our lie”
E mentre
questa merdosa donna dagli occhi dorati scorre dentro me per portarmi
sotto quella calda coperta per soffocarmici, penso a te, mia dolce
Fiamma, ai tuoi occhi, ai tuoi capelli, alla tua voce, al tuo unico
modo di essere... e vorrei fare l'amore con te, invece di bucarmi le
poche vene che non sono ancora collassate.
“Taste
the love
The Lucifer's magic that makes you numb
The passion
and all the pain are one
You're sleeping in the fire
Taste the
love
The Lucifer's magic that makes you numb
You feel what it
does and you're drunk on love
You're sleeping in the fire”
Ed ecco
che la vista mi si annebbia, sento un sapore pessimo nella bocca e lo
sputo fuori; mi fa schifo. Vorrei gustare per un'ultima volta le tue
labbra, così dolci ed insieme calde... invece il sapore che mi
accompagnerà al cimitero sarà quello del mio stesso vomito... e
prima che si faccia buio intorno a me, lancio un'occhiata fugace alla
candela ancora accesa ed urlo il tuo nome, sperando che tu possa
sentirmi.
“I gaze
at the flame and fire burn
And cry out the name of which I yearn”
La
ragazza si alzò di scatto ed afferrò Tommy per la giacca: «Corriamo
da lui, presto»
«Eh?»
bofonchiò il batterista
«Muoviti
T-Bone, non abbiamo tempo da perdere!». I due uscirono a passo
spedito dal locale mentre il cielo fuori iniziava a mostrare le prime
stelle: «Si può sapere che c'è?» domandò curioso Tommy mentre
attraversavano il viale ed arrivavano davanti a casa del bassista.
Rea tirò fuori le chiavi dalla borsa e si affrettò ad aprire il
cancello: «Gli ho detto che non potevo stargli vicino come ho fatto
nelle terapie precedenti»
«Oh
cazzo!» urlò il batterista «Come l'ha presa?»
«Ovviamente
male, dato che mi ha cacciata via di casa... ma non mi ha dato modo
di spiegargli che è per impegni universitari, non per altri futili
motivi!» aggiunse lei nervosa. Aprì la porta d'ingresso ed iniziò
ad urlare il nome del suo ragazzo, sperando di ricevere una qualsiasi
risposta; «Ehi bro, dove sei?» le fece eco Tommy. Nikki non rispose
a quelle chiamate, ma l'attenzione dei due ragazzi fu attratta dal
guaire di Spank: «Bimbo? Bimbo? Perchè no risponde?»; i due
amici corsero a perdifiato verso il bagno della stanza da letto.
Quando giunsero dentro il piccolo stanzino, Rea cacciò un urlo
agghiacciante e cadde in ginocchio coprendosi gli occhi per l'orrore:
riverso supino sul pavimento c'era Nikki, con un ago ancora piantato
nel braccio sinistro e la faccia piegata verso destra con i capelli
immersi in una pozza del suo vomito. Aveva gli occhi spalancati ed
inespressivi e la bocca semiaperta. «Oh Gesù! SIXX! PORCA PUTTANA,
CI SEI?» urlò disperato Tommy gettandosi sull'amico che però
rimase immobile
«E'
incosciente...» bisbigliò Rea
«Oh,
merda, non respira, MERDA!» sbraitò il batterista «Io corro a
chiamare il 911, tu stai qui con lui!». T-Bone sparì in un lampo e
Rea si ritrovò sola con il suo ragazzo che aveva già un piede nella
fossa, se non entrambi; la paura l'aveva resa una statua e non
riusciva a muovere un muscolo, poi, improvvisamente, la voce di Amy
si fece largo nella sua testa: “Lezione numero uno di primo
soccorso: verificare che il paziente sia cosciente”
“Nikki
non lo è” si rispose angosciata
“Allora
chiamare subito un'ambulanza” sentenziò Amy “Lezione numero due,
eseguire la manovra GAS: verificare che il paziente respiri”
“T-Bone
dice che non lo fa”
“In
questo caso, verificare che ci sia battito”. Non c'era ulteriore
tempo da perdere, ogni dannato secondo era prezioso: posò la testa
sul petto del ragazzo e chiuse gli occhi; il cuore pulsava ancora, ma
era bradicardico. “Effetti da overdose di eroina, forte
depressivo delle funzioni vitali” disse Amy dentro la sua testa
“C'è bisogno della respirazione artificiale”. Rea guardò
fugacemente la faccia del suo ragazzo sporca dei suoi liquidi
interiori e per un attimo ebbe il forte impulso di vomitare, ma si
ammonì per questa sua reazione: “Coraggio, non c'è tempo da
perdere! Fregatene del vomito e dell'odore schifoso e comincia”.
Gli mise il capo dritto e lo reclinò all'indietro tenendogli la
bocca aperta: “Ricorda che la lingua è un muscolo bastardo: si
mette sempre nelle posizioni meno opportune” recitò Amy nella sua
testa; prese più aria che potè dentro la sua bocca, poi si calò
sul viso di lui, poggiando le labbra contro le sue ed insufflando
l'aria all'interno dei suoi polmoni. Con una mano poggiata alla
carotide e l'altra che gli tappava il naso, Rea cercava di mantenere
in vita Nikki facendo del suo meglio.
*
* *
Erano
seduti nell'asettica sala d'aspetto del reparto di rianimazione del
Valley Presbiterian Hospital, immersi nel silenzio dei loro pensieri;
l'arrivo dei paramedici era stato quasi immediato, dopo circa sette
minuti erano entrati nella villa e, date le critiche condizioni di
Nikki, gli avevano somministrato subito il Narcan. Rea
guardava le punte degli stivali mentre silenziose lacrime le
corrodevano le guance; tutto ad un tratto, la sua paura venne a galla
con una semplice frase: «T-Bone... è tutta colpa mia». Il ragazzo
alzò il capo con gli occhi velati di lacrime e la strinse a sé,
mentre lei iniziava a singhiozzare sempre più forte: «Non dirlo
nemmeno per scherzo... non è vero». Rea si aggrappò alla sua
giacca in pelle ed affondò il viso nell'incavo del collo del
ragazzo, macchiandolo di trucco; piangeva così forte che non
riusciva nemmeno a parlare. Nikki aveva rischiato di morire e lei se
ne sentiva responsabile. Tommy sibilò sottovoce accarezzandole la
chioma corvina: «Ssst... non piangere più ora. L'importante è che
lui sia ancora vivo»
«Sì,
ma è solo colpa mia se ha deciso di tentare il suicidio» disse lei
con la voce rotta dalle lacrime
«No
Fiamma, è lui il coglione che non fa finire di parlare la gente... e
che quindi fraintende tutto. E poi sbaglia medicina... pretende di
curarsi con le droghe»
«Signor
Lee, signorina Hino» li interruppe il primario che era appena
entrato nella stanza. Rea si staccò frettolosamente dall'amico e si
asciugò il viso alla bene meglio mentre Tommy si alzò lentamente in
piedi: «Dunque?» domandò impaziente
«Potete
stare tranquilli ora, il vostro amico è fuori pericolo. I paramedici
l'hanno preso per i capelli e gli hanno somministrato il Narcan in
tempo. Appena è arrivato in pronto soccorso gli abbiamo fatto una
dose di Vivitrol, così da poter iniziare a stabilizzarlo e
scongiurare gli effetti depressivi dell'eroina. In questo momento è
cosciente, ma pare essere in stato depressivo... sapete se sta
prendendo qualche farmaco particolare?». I due scossero la testa in
silenzio; il medico riprese: «Comunque, è stata un'overdose grave»
e guardando Rea negli occhi aggiunse in tono perentorio «Signorina,
fossi in lei lo spingerei ad iniziare una terapia di
disintossicazione». La ragazza strinse i pugni e sibilò, colma
d'ira nei confronti del medico: «Crede che non l'abbia già fatto,
mi crede così sprovveduta?»; T-Bone le posò una mano sulla spalla
nel tentativo di calmarla: «Stai tranquilla Fiamma, so che tu ci hai
già provato molte volte»
«Se
volete vederlo, potete farlo ora... ma si entra uno alla volta e con
indosso camice, cuffia e copriscarpe per evitare esposizione a
batteri e germi. Chi vuole essere il primo?». Rea stava per cedere
il passo a Tommy, quando il ragazzo la spinse verso il medico: «Vai
tu... credo che abbiate bisogno di parlarvi»; in silenzio Rea seguì
il medico, indossò gli indumenti necessari e, con il cuore che
batteva all'impazzata, varcò la soglia della stanza perfettamente
sterilizzata. Alla vista di Nikki sdraiato sul letto ricoperto di
cannule le si gelò il sangue: il bianco della carnagione era in
violento contrasto con i suoi capelli tinti di nero, aveva gli occhi
verdi socchiusi e vacui e tubicini gli entravano nel corpo dal naso e
dalle braccia mentre uno spettrale bip del macchinario per il
controllo dei valori vitali faceva da sottofondo a questo quadro
spaventoso. «Nikki?» lo chiamò timidamente Rea con la voce
appesantita da un nodo alla gola
«Che
ci fai qui?» domandò lui sorpreso «Avevi detto che non ti saresti
fatta più risentire»
«Sei
quasi morto... ho temuto per te» sussurrò lei arrossendo. Lo guardò
in viso sperando di vedere un piccolo sorriso, invece ci rimase male
nel notare che il bassista stava guardando fuori dalla finestra: «Non
voglio trattenerti ulteriormente... avrai i tuoi “impegni” da
sbrigare. Va' pure». Rea sentì dentro di sé un tonfo secco
all'altezza del petto; chiuse gli occhi cercando di imprigionare le
lacrime dietro le palpebre e, mentre stava per uscire dalla stanza,
gli disse: «Comunque Nikki... sappi che vorrei risentirti non appena
ti sarai ripulito».
Domenica
5 aprile 1987, 2 am
Mi ha
spezzato il cuore. Eppure non riesco ad odiarlo. Spero solo di
risentirlo presto per telefono... mi manca. Lo voglio. Lo amo. Sono
scappata via dall'ospedale senza nemmeno salutare Tommy. Troppa
vergogna di farmi vedere di nuovo con il viso umido di lacrime.
Dopo
pochi minuti che Rea aveva lasciato la stanza, il batterista fece il
suo ingresso in quella grande stanza dalle pareti verde acqua; Nikki
girò la testa svogliatamente e alla vista dell'amico gli si
illuminarono gli occhi: «Tommy!». Di tutta risposta, T-Bone gli si
avvicinò e gli mollò un sonoro ceffone in pieno volto: «Sei un
coglione»; Nikki si portò una mano alla guancia intorpidita e
rispose abbassando lo sguardo: «No, non lo sono»
«Invece
sì!» tuonò l'amico «Bro, tu sei un fottuto cerebroleso! Ti rendi
conto del macello che hai combinato? Stavi per mandare a puttane
tutto! Te stesso, i Crüe, la tua storia con Rea»
«Beh,
se fossi sparito dal mondo non sarebbe stata una grande perdita, se
fossi morto voi avreste trovato un bassista più bravo di me e
avreste continuato e lei... beh, lei ci avevo già pensato a New York
a mandarla a puttane» disse Nikki sconsolato
«No,
cazzone, vedi che non hai capito un cazzo di quello che ti sto
dicendo? Tu sei mio amico e mi sarebbero girati parecchio i coglioni
se ti avessi perso; i Crüe sono il tuo gruppo e noi, lo sai, non
possiamo andare avanti senza di te... e poi lei, cazzo, lei non ti ha
abbandonato, non ti vuole abbandonare, ficcatelo in quella zucca
vuota!»
«Ha
detto che non vuole seguirmi in terapia perchè ha già preso altri
impegni...»
«Sono
impegni universitari, stronzo! Deve fare il tirocinio! L'ha detto a
me poco fa! Vedi che sei un coglione! E sai perchè? PERCHE' TU NON
ASCOLTI LA GENTE!» disse Tommy tutto d'un fiato. Nikki spalancò gli
occhi incredulo: «Dunque vuoi dire che... che lei tiene ancora a me»
«Più
di quanto tu creda, cretino! È stata lei a tenerti in vita, lei ti
stava facendo la respirazione bocca a bocca; se non fosse stato per
Rea, tu ora saresti sotto piedi e piedi di terra!» tuonò T-Bone.
Nikki chiuse gli occhi espirando profondamente e portandosi la mano
destra alla tempia: «Merda... e adesso?»
«Non
lo so bro... davvero non lo so».
NOTE:
La canzone utilizzata all'interno del capitolo e che
dà anche il titolo è "Sleeping In The Fire" degli
W.A.S.P. di cui non ho i diritti.
Ryn, pyo, to, sha, kai, jin, retsu, zai, zen: nove
sillabe che vengono pronunciate da Rea nell'anime di Sailor Moon
quando si trova davanti al fuoco a pregare; sono sillabe yin
alternata a sillabe yang.
Popper: droga venduta spesso sottobanco nei sexy shop
che consiste in un liquido a base di nitriti alchlici di cui si
respirano i vapori; gli effetti sono di breve durata e consistono in
aumento del ritmo cardiaco e rilassamento della muscolatura anale.
Manovra GAS: Guardo Ascolto Sento; manovra utilizzata
nel primo soccorso per verificare che la vittima sia ancora in grado
di respirare autonomamente.
Bradicardia: dicesi di frequenza cardiaca inferiore ai
valori ritenuti normali (70/80 battiti al minuto).
Narcan: medicinale a base di Naloxone, utilizzato per
inibire immediatamente gli effetti di crisi respiratoria su chi ha
avuto overdose da oppiacei; ha effetti molto brevi.
Vivitrol: medicinale a base di Naltrexone, molecola
simile al Naloxone, dagli effetti analoghi ma di maggior durata.
Lo
so, vi ho fatto attendere, avete ragione, però come potete notare
questo capitolo è lunghissimo... spero di aver scritto bene e in
modo sensato. In caso contrario fatemelo sapere ;) Come sempre,
grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, grazie ai silent
readers e grazie anche ai 50 likers della mia pagina autore di
Facebook. :) Un bacio a tutti e grazie a chi leggerà,
Ellie
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Capitolo 20 *** Pistoni Caramellati ***
20 Pistoni Caramellati
La notte era
scesa su Los Angeles in silenzio, le sue luci si erano accese senza
dare nell'occhio e le auto sfrecciavano lungo i viali accompagnate
solo dal ronzio del motore che girava a basso regime; e proprio il
silenzio voleva farsi sentire in quel momento, in due case diverse,
distanti e nella mente di due persone così vicine e così lontane
allo stesso tempo.
Nikki vagava
a piedi nudi per il suo castello a luci spente, facendosi guidare dal
fioco bagliore delle poche stelle che riuscivano a fare capolino dal
cielo della metropoli; il problema di Los Angeles era che, anche
nelle ore più buie, non c'era verso di vedere più di un paio di
costellazioni. Il baluginio che arrivava dai grattacieli e dalle
mastodontiche insegne luminose della grande città colorava la parte
bassa del cielo di una striscia vermiglione che camuffava la maggior
parte degli astri. Strane ombre si stagliavano sulle pareti e sui
mobili velati dell'arancio del crepuscolo mentre il bassista
allungava le braccia per afferrare della carta, un bicchiere e la
solita bottiglia di Jack; aveva freddo, aveva bisogno di bere alcool.
Si sedette senza far rumore davanti al camino spento, poggiando la
carta davanti a sé e riempendosi il bicchiere quasi fino all'orlo di
quel liquido ambrato. “Alla goccia Sixx” gli ordinò una vocina,
e così fece. Ma la soddisfazione ed il calore del whisky non
arrivarono. “Avanti... perchè non lo ammetti? Perchè non lo fai?”
una vocina cercò di scuoterlo e metterlo di fronte all'evidenza;
stranamente non arrivava dal suo cervello malato, come di solito
accadeva. Nikki alzò gli occhi e vide se stesso, intrappolato su
quella tela che Lei aveva dipinto per il suo compleanno; il suo
ritratto stava parlando con lui: “Cosa stai aspettando? Avanti...
sai meglio di me che quella carta non l'hai presa per scrivere”.
Abbassò lo sguardo; sapeva che era vero, era inutile mentire a se
stessi. Preparò il camino con cura, prese il legno e la carta e li
dispose con ordine al di sotto della canna fumaria; poi, quasi a
rallentatore, si allungò per prendere i fiammiferi che teneva
poggiati a lato del camino. Strofinò la punta di uno di quei magici
bastoncini e poi lo gettò nel cumulo; in dieci secondi, il fuoco
divampò, incenerendo la carta ed illuminando il salotto. Nikki
incrociò le gambe e poggiò il mento sulla mano sinistra,
incantandosi a guardare quell'entità né solida, né liquida, né
gassosa che si ingrandiva sempre di più.
“Fuoco...
Rea... lei è il fuoco... fuoco che brucia...”
Rea era il
fuoco, Rea era la sua Fiamma, Rea era il calore di un abbraccio, la
passione di un bacio; lei era quella che lo scaldava dall'interno e,
adesso che si era allontanata, lui si sentiva gelido. “Frena Sixx”
lo interruppe una delle sue coscienze “non è andata esattamente
così”. Era vero. Lui l'aveva allontanata; aveva capito male, non
le aveva dato il tempo per dargli delle spiegazioni e così aveva
combinato quel maledetto casino. E perfino T-Bone, che cercava di
appoggiarlo in tutte le cazzate che faceva, gli aveva dato un sonoro
sberlone accompagnato dalla parola “coglione”. Sospirò
pesantemente, guardando l'ombra tremolante della bottiglia di Jack
disegnata sul tappeto su cui sedeva: “Tommy aveva ragione e ce l'ha
ancora. Dio, ma quando imparerò a tenere la bocca chiusa?”;
improvvisamente, un dolore lancinante alla parte sinistra del petto
gli fece strizzare gli occhi e contrarre la bocca in una smorfia di
dolore: “Di nuovo quel fottuto vuoto... è come se il sangue
sparisse improvvisamente dal cuore”
“E' ovvio,
deficiente!” lo ammonì una vocina “Stai sanguinando per una
ferita che ti sei fatto da solo e nemmeno te ne accorgi”. Aprì gli
occhi mentre una lacrima si aggrappava alle sue ciglia nel tentativo
disperato di non cadere a terra; se stava male era solo ed
esclusivamente colpa sua. Era stato lui a far iniziare quella
girandola di sfighe: la droga comprata a New York, la dose che non
doveva farsi e che aveva fatto arrabbiare lei... da morire; poi
sempre lei, che cercava di dirgli qualcosa, e la sua interruzione.
Le
lacrime nascoste di Rea... «Ti prego, chiamami quando ti sarai
ripulito»...
Nikki
picchiò violentemente il pugno a terra: “Sono stato un idiota... o
meglio, un coglione. Era chiaro che lei non voleva piantarmi, sennò
perchè mi avrebbe detto quelle parole? Come ho fatto a non afferrare
subito?” si passò nervosamente le dita nei capelli annodati
“Sembra un po' il casino che era successo con Vanity... ma questa
volta è peggio. Se quella volta avevo qualche possibilità in più
di riprenderla, adesso no... l'ho ferita, l'ho rifiutata per ben due
volte. Le ho fatto male, troppo male”. Il bassista alzò di nuovo
lo sguardo, ritrovandosi un'altra volta faccia a faccia con il fuoco;
per un secondo, in quel gioco di fiamme che si incrociavano e
dissolvevano, gli parve di rivedere il viso della sua ragazza. “O
forse è già ora di iniziare a chiamarla ex-ragazza?” puntualizzò
la solita vocina irritante; Nikki si irrigidì tutto d'un tratto:
“No... no ti prego, non dirlo nemmeno per scherzo”. Eppure,
c'erano tutti i requisiti perchè la loro storia potesse considerarsi
conclusa. Di nuovo la mano al petto, di nuovo quell'orrenda
sensazione di tuffo al cuore: «Merda» biascicò il ragazzo tenendo
i denti stretti; mentre stringeva le palpebre, rivide lei uscire da
casa sua trattenendo le lacrime e ostentando una finta durezza. Poi
rivide se stesso, nel suo nascondiglio, che cercava di farla finita;
un urlo di dolore gli uscì dalla bocca e rimbalzò sulle pareti di
quella grande villa vuota. Non voleva pensare al dopo, non voleva
rivedere se stesso rifiutarla così brutalmente all'ospedale; faceva
troppo male, si sentiva troppo stupido. Riaprì gli occhi, cercando
di fuggire da quelle memorie recenti che lo facevano stare da schifo,
e fissò di nuovo il fuoco, cercando di immaginare i suoi capelli
corvini, quegli occhi così profondi e scuri e quel sorriso che
rivolgeva solo a lui...
You tell
me that you're leaving, and I'm trying to understand
I had myself
believing I should take it like a man
But if you gotta go, then
you gotta know that it's killing me
And all the things I never
seem to show, I gotta make you see
Era
dal 4 aprile che Rea passava del tempo con le amiche solo durante i
pasti; il resto della giornata lo trascorreva barricata nel suo
studio, la stanza a nord, quella più buia e più fredda di tutta
quella splendida casa. Le belle giornate iniziavano ad arrivare, il
sole splendeva più a lungo e l'aria si stava scaldando, ma la voglia
di uscire da quel piccolo bunker con una parete fatta interamente di
vetro non l'aveva mai sfiorata; ogni invito rivoltole dalle amiche
era stato gentilmente declinato con un «No, grazie, preferisco
dipingere». La mattina del lunedì successivo, il 6 aprile, aveva
iniziato il suo tirocinio presso la mostra stagionale organizzata
dall'università e quello stesso pomeriggio aveva ripreso il suo
lavoro in officina; doveva sentirsi realizzata, voleva sentirsi
felice, invece c'era qualcosa che le impediva di sorridere. Forse era
meglio dire qualcuno; qualcuno che le aveva dato le spalle così
brutalmente e non le aveva dato nemmeno la possibilità di spiegare.
Anche quella sera era nello studio, le luci soffuse ed il camino
acceso; era inginocchiata davanti ad un grande pezzo di tela e, con
lo sguardo spento, fissava i pennelli ed i tubetti di tempera
acrilica. Ne aveva per ogni gradazione e colore ma, meccanicamente,
decise di ripiegare sui toni del blu; non era da lei, decisamente
quelle non erano le sfumature che riflettevano la sua personalità,
impetuosa e calda, ma in quel momento sentiva che il fuoco dentro di
lei era spento.
Blu... il
colore dell'acqua, l'elemento avverso al fuoco... il colore della
tristezza.
Rea
abbozzò un mezzo sorriso pensando ad Amy: “Lei ama così tanto
l'azzurro... e sorride, sempre”. Una lacrima scivolò furtiva lungo
la guancia vellutata della ragazza e lei si affrettò ad asciugarla
con il dorso della mano; anche lei voleva essere felice e fare
progetti come le sue amiche. Prese un supporto in legno da uno
scaffale e ci spruzzò sopra le tre tonalità di blu scelte, poi
allungò pigramente la mano verso un pennello ed iniziò a
distribuire il colore sulla tela; ormai il disegno era sempre quello,
da giorni nella sua mente non vedeva nessun'altra immagine.
Pennellate delicate e definite di blu fiordaliso per la pelle del
volto, due cerchi di pervinca per quelli che, in realtà, erano due
occhi meravigliosamente verdi e tratti più lunghi, tesi e densi di
blu scuro per i capelli; eccolo lì, era di nuovo davanti a lei. Rea
sentì la gola stringersi sempre di più e gli occhi prudere mentre
posava il pennello; sospirò cercando di prendere più fiato
possibile e sfregò con le dita le palpebre chiuse. Un brivido di
freddo le corse lungo la schiena mentre le lacrime iniziavano a
solcarle di nuovo il viso; guardò il fuoco cercando di trarne il
maggior beneficio possibile, senza nessun risultato. Era come se
quell'elemento non le appartenesse più.
Girl it's
been so long, (tell me) tell me how could it be
One of us knows
the two of us don't belong in each others company
It hurts so
much inside, your telling me goodbye, you wanna be free
And
knowin' that you're gone and leavin' me behind
I gotta make you
see, I gotta make you see, I gotta make you see
Si
abbracciò cercando di ricordare il calore che solo Nikki poteva
donarle con un abbraccio; era addirittura più caldo del fuoco.
“Perchè tutto non può tornare come prima? Perchè non mi hai
fatto spiegare? Hai frainteso tutto come sempre... dovrei detestarti
eppure non ci riesco”.
I still
love you, I still love you
I really, I really love you, I still
love you
Singhiozzi
sempre più difficili da reprimere uscivano dalle labbra di Rea al
ritmo di una triste ballata; teneva il mento il più possibile vicino
al collo mentre si stringeva sempre più forte le spalle. Desiderava
da impazzire quelle braccia forti, così virili, capaci di darle
conforto e sostenerla; le desiderava così tanto che riusciva a
sentire il profumo di Nikki aleggiare intorno a lei. Aprì gli occhi
nella speranza che tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento
fosse un terribile incubo ed invece la realtà la colpì in faccia
brutalmente con quella tela spiegata davanti al camino.
Martedì
7 aprile 1987, 12.05 am
Forse
avrei dovuto metterlo in conto, dovevo già saperlo dall'inizio; non
avrei dovuto imbarcarmi in una storia simile. Dovevo rinunciare già
dall'inizio, dovevo evitare di ringraziarlo quella sera dopo il
concerto al Roxy per quello che aveva fatto fuori dal Whisky; anzi,
quella sera non sarei dovuta nemmeno andare al Whisky, così non
l'avrei mai visto. Invece ho insistito, ho voluto rintracciarlo per
dirgli grazie per ciò che aveva fatto per me e guarda in che guaio
mi sono messa... me ne sono innamorata. Come ci si può innamorare di
una rockstar? Non è certo la relazione sicura che ogni ragazza
cerca; se poi lui ha pure grossi problemi con la droga...
Ma
andiamo, ma chi voglio prendere in giro? I mesi passati sono stati i
più belli di sempre. Posso dire con certezza per la prima volta
nella mia vita che mi sono innamorata sul serio, che ho provato
sensazioni sconosciute che nessuno mi aveva mai fatto sperimentare
prima. È vero, ci abbiamo messo un po' a baciarci, ma è stato il
bacio più straordinario che qualcuno mi abbia mai donato... forse è
stata anche l'attesa a renderlo così speciale. Credevo che lui
poteva mettere da parte la droga con il mio aiuto, credevo davvero di
poterlo convincere a smettere; è una persona bellissima quando non
ha in circolo le sue schifezze... ed invece non mi ha capita. Ho un
lavoro, ho un tirocinio da portare avanti, lo ammetto, ma mai e poi
mai lo lascerei solo durante una terapia; lui invece ha capito
tutt'altro...
People
tell me I should win at any cost
But now I see as the smoke
clears away, the battle has been lost
E così
mi ha cacciata fuori da casa sua, ha tentato di farla finita e
l'abbiamo ripreso per i capelli; il peggio, però, è stato che,
oltre a sentirmi terribilmente colpevole per ciò che è successo,
lui non mi ha nemmeno guardata in faccia quando sono entrata nella
sua stanza d'ospedale. Ha fatto finta che non ci fossi... ha fatto in
modo che sparissi dalla sua vita. Anche se non voglio crederci, lui
non ha mai detto frasi tipo “Rea, fra di noi è finita”. Non ci
voglio credere, no!
Rea
scosse la testa cercando di convincersi sempre di più che Nikki non
aveva mai detto una frase del genere; con le lacrime che scorrevano
sempre più copiose giù per gli zigomi, allungò la mano verso il
tubetto del bianco e lo spruzzò abbondantemente sulla sua tavolozza.
Intinse l'indice in quella poltiglia fredda e scrisse sulla tela in
caratteri eleganti “I still love you”, poi alzò gli occhi ormai
rossi per il pianto e continuò a fissare il fuoco nella speranza di
rivedere la sua immagine sotto la canna fumaria, proprio dove l'aveva
vista per la prima volta.
I see it
in your eyes, you never have to lie, I'm out of your life
Nikki
afferrò la bottiglia del Jack e la mise in posizione verticale sopra
il bicchiere, versandone dapprima il liquido dentro il contenitore
per poi vederlo uscire in piccoli rigagnoli ed inondare il persiano;
osservava la scena in modo assente, la sua mente era altrove. Stava
di nuovo facendo quella fantasia, quella che, per la prima volta,
aveva fatto nel corridoio di casa sua davanti allo specchio tempo
prima. Sognava, proprio come aveva fatto quando aveva chiuso gli
occhi ed ascoltato il suo cuore; “Tu che ascolti il cuore?”
gracchiò la solita vocina rompiscatole “Ma se non sai nemmeno se
ce l'hai o no, ha!”. Il ragazzo strinse nervosamente il collo della
bottiglia cercando mentalmente di zittire la parte scocciatrice della
sua coscienza: “Silenzio! Certo che ce l'ho un cuore, ovvio che ce
l'ho! Altrimenti non sarei qui ad ammazzarmi di seghe mentali e a
cercare un modo per riprenderla”; era sicuro di averlo, lo sentiva
in quel momento pulsare nel petto prepotentemente sia per la rabbia,
sia per il desiderio di riavere Rea. Era quello che desiderava di più
in quell'istante. Già immaginava la scena: lui che in qualche modo
la riavvicinava, lei che in un primo momento si rifiutava di
ascoltarlo e lui che non demordeva; la prendeva per mano, stringeva
quelle dita da artista in una presa forte e dolce allo stesso tempo,
avvicinava il suo corpo a quello di lei e la baciava
appassionatamente. Rea rispondeva con calore al suo amore e poi, non
si sa per quale strano scherzo del destino, si ritrovavano nella sua
camera inondata di petali di rose rosse, i vestiti ammucchiati ai
piedi del letto e loro, perfettamente incastrati l'uno nell'altra,
che ballavano la più bella danza del mondo.
Tonight
I'll dream away and you can still be mine
But I'm dreamin' a lie,
dreamin' a lie, makes me wanna die
Immaginava
sospiri, gemiti, piccole urla e dolci sussurri all'orecchio mentre le
faceva sentire che lui c'era, che era la sua metà esatta, che mai,
per nessun altro motivo al mondo, l'avrebbe più allontanata; si
vedeva mentre le accarezzava il viso leggermente sudato, mentre le
baciava quelle labbra naturalmente tendenti al rosso e mentre si
allungava verso il suo orecchio e spingendo ancor di più le svelava
il segreto più grande della sua vita: «Ti amo»
Cause I
still love you, I still love you
Baby, baby I love you, I still
love you
In
un momento di raptus, Nikki afferrò il bicchiere e lo gettò nel
camino, provocando una fiammata più alta delle altre accompagnata
dallo spaccarsi in mille pezzi del vetro. “Mi sono innamorato...
ormai è ufficiale, ho perso completamente la testa per lei. È così
strano ammetterlo... io, che dovrei avere un animo insensibile,
faccio fatica a respirare se lei non c'è. Sento che il cuore mi
esplode se lei non c'è... quante cose ancora ho da spiegarti, quante
cose ancora non ti ho raccontato della mia vita e quante cose ancora
tu mi devi dire...”
And when I
think of all the things you'll never know
There's so much left to
say
'Cos girl, now I see the price of losing you will be my half
to pay
My half to pay, each and every day, hear what I say
Doveva
assolutamente trovare un modo per rivederla e per parlarci; sarebbe
morto se non l'avesse fatto. Magari lei non gliene avrebbe dato la
possibilità, però almeno lui poteva dire di averci provato. Quella
notte Nikki rimase sveglio tutto il tempo a ciondolare per casa ad
escogitare un piano per rivedere il più presto possibile quegli
occhi dalle venature indaco che lo facevano impazzire: “Lo specchio
dell'anima più bello che si possa vedere”.
I still
love you, I still love you
I really, I really love you, I still
love you
Baby, baby, I love you, I love you, I really, I really
love you.
* * *
Quella
mattina avrebbe preferito non svegliarsi; se fosse stata in grado di
farlo, avrebbe dormito fino al mattino seguente onde evitare di
sentire quella orrenda sensazione che le opprimeva il petto. Ma Bunny
e le altre erano andate nella sua camera, Morea le aveva scostato le
tende ed aperto le finestre facendo entrare il sole tiepido e Marta
aveva iniziato a cantarle “Tanti auguri” con la sua voce da
usignolo; “Oh, no” era stato il suo primo pensiero mentre si
copriva il capo con il lenzuolo. Non aveva per nulla voglia di
festeggiare i suoi ventuno anni. «Pigrona» aveva detto dolcemente
Amy poggiandole una mano sulla testa «non vuoi aprire il tuo
regalo?».
Regalo...
Quella
parola le rimbombò nella testa per un tempo infinito; l'unico regalo
che desiderava avere in quel momento era Nikki, vestito con un paio
di jeans, una maglia tagliata, i capelli cotonati ed un enorme fiocco
rosso in testa. Faceva ridere, ma lo voleva indietro, tutto per sé.
La gola le si serrò in una morsa mozzafiato e la vista le si
annebbiò per le lacrime; Amy, in quel momento, scostò il lenzuolo e
vide due goccioloni scorrere sulle guance dell'amica. Rea represse un
singhiozzo, poi si voltò per guardare le sue quattro amiche e
chiese: «Non mi avete portato lui, vero?». Gli sguardi bassi che
seguirono parlarono da soli; Rea chiuse gli occhi e sospirò cercando
di sciogliere il nodo che le attanagliava la gola mentre nuove gocce
salate le rigavano il viso. Bunny si sedette sul letto vicino a lei e
l'abbracciò: «Coraggio Rea... non piangere; almeno oggi che è il
tuo compleanno. Cerca di non pensarci. Solo per oggi, ok? Non è
bello soffrire il giorno più bello di tutto l'anno insieme a
Natale»; le diede un piccolo bacio sulla guancia umida e poi la
sollecitò: «Allora, lo vuoi aprire il nostro regalo o no?».
Venerdì
17 aprile 1987, 7.30 am
Se ognuna
delle mie amiche fosse una stella, tutte sarebbero in grado di
rendermi cieca a vita, talmente sono splendenti. Ho delle amiche
meravigliose, anzi... forse meravigliose è troppo poco; mi hanno
fatto un regalo a dir poco strepitoso. Quando ho aperto la piccola
scatoletta di tessuto vellutato nero ed ho visto il ciondolo le ho
abbracciate tutte una ad una; Morea mi ha circondata con le sue
braccia forti e mi ha detto: «Tu non hai idea del casino che abbiamo
fatto con l'orefice per farti fare quel ciondolino... sono felice che
ti sia piaciuto». Marta mi ha aiutata a mettermelo al collo e,
giuro, non lo toglierò mai. Il kanji giapponese del fuoco in oro
rosso agganciato ad una sottile catenina in oro bianco. Il mio
elemento modellato in uno dei metalli più duraturi; è come avere
sempre addosso un pezzo delle mie stelle. Spero di trarre la forza
necessaria da questo piccolo oggettino per poter continuare ad andare
avanti nella mia vita; anche se... forse dovrei chiedere a qualcuno
di scrivermi il nome di Nikki in giapponese e farmi fare un
bracciale. Ma questa è una pazzia in piena regola.
* * *
Heles
continuava a fissare Rea, che stava sfumando un motore, mentre era
intenta ad avvitare i bulloni di un radiatore; quel giorno era
leggermente più felice del solito, ma le mancava ormai da circa due
settimane quella sua peculiare scintilla negli occhi. Non le piaceva
farsi gli affari degli altri, non era il tipo che amava “gossippare”,
però si era affezionata a quell'artista che ormai era diventata
bravissima a colorare i serbatoi e a modellare i parafanghi delle
Harley che entravano alla Burning Fire Choppers; se inizialmente
c'era stata diffidenza fra di loro, ora potevano contare su un
rapporto basato sulla complicità e sulla stima reciproca. Proprio
qualche giorno prima, durante la verniciatura di un motore, Heles, il
più discretamente possibile, aveva domandato alla bruna se era tutto
ok; Rea, dopo aver scosso il capo con un sorriso amaro sul volto,
aveva raccontato tutto con le lacrime agli occhi mentre la collega le
accarezzava la coda nera: «Non disperarti, è solo un deficiente...
tutti quelli come lui sono così» era stata la conclusione della
bionda. Rea l'aveva guardata ed aveva sussurrato: «Non lo so... non
credo» mentre due lacrimoni le scorrevano inesorabilmente sulle
guance morbide; Heles aveva sorriso e scosso il capo: «Fiamma, sei
ancora troppo innamorata di lui... quando si è innamorati si perdona
tutto. Ma questa volta l'ha combinata grossa». La bionda sbuffò
ripensando a quel viso tanto bello quanto trasandato che più volte
aveva visto su Rolling Stone: “E' un idiota. Non capisco
come lei abbia fatto ad innamorarsi di lui... magari quel Nikkia,
Nikki, come si chiama lui, insomma, la stava pure prendendo in giro;
però Rea, accecata dall'amore...”. L'acuto squillo del telefono la
fece sobbalzare facendole cadere la brugola di mano; William andò a
rispondere e, dopo aver mugolato qualche parola incomprensibile,
chiamò Heles dicendo: «Tesoro, ti vogliono... è un certo Mister
Black». La ragazza si alzò scattante infilandosi l'attrezzo nella
tuta da lavoro e corse verso il piccolo telefono a parete, totalmente
incurante del fatto che, dall'altro capo del filo, c'era la persona
che odiava di più in quel momento: «Parla Heles». Ci fu un attimo
di silenzio, poi qualcuno gracchiò: «Sei la collega di Rea?»
«Ma
chi è?» chiese la bionda, completamente spiazzata dalla domanda
precedente
«Sono...»
un sospiro «Nikki Sixx». Senza pensarci due volte, Heles riappese
mandando mentalmente a quel paese la rockstar che l'aveva interrotta
nel bel mezzo di un lavoro molto impegnativo; ma come diede le spalle
alla parete per tornare alla 883 che stava aggiustando, il
telefono suonò di nuovo: «Pronto?» rispose arrogante, sicura che
fosse Nikki a richiamare
«Senti
un po', con che coraggio metti giù il telefono ad un cliente?» le
urlò il bassista parecchio arrabbiato
«Cliente?
Tu cliente?» lo sbeffeggiò il meccanico «Apri le orecchie
deficiente, io sono qui a lavorare, non faccio come te che sei seduto
a bordo piscina a scolarti una tequila oppure sdraiato sul divano a
sniffare coca dal cuscino di fianco al tuo» poi abbassò di botto la
voce «e anche Rea non è qui a girarsi i pollici, quindi smettila di
chiamare e lasciaci in pace»
«No,
aspetta, non riattaccare!» strillò Nikki. Heles guardò stupefatta
il ricevitore, poi lo riavvicinò all'orecchio: «Cos'era quella voce
da checca isterica?». Nikki digrignò i denti e si morse un labbro:
voleva ruggire, se fosse stato capace avrebbe fatto uscire la sua
mano dalla cornetta per poter tappare la bocca ad Heles così da
poter parlare in pace; non la conosceva nemmeno di vista, ma la
odiava profondamente per i suoi atteggiamenti. Però si trattenne;
respirò profondamente e disse: «Senti, per quanto riguarda Rea...»
«Sta
male, lo sai?» l'interruppe la bionda
«Certo
che lo so» sbottò lui «ho telefonato perchè ho voglia di
risentirla... di rivederla»
«Ed
io devo crederti?» lo schernì per l'ennesima volta Heles
«Ho
qui il regalo del suo compleanno». Nel sentire quelle parole, la
bionda si pietrificò per un momento; quasi stentava a credere alle
sue orecchie: «Tu le hai fatto un regalo?» chiese con un filo di
voce
«Faccio
regali solo alle persone a cui tengo» rispose Nikki irritato per poi
aggiungere: «Tu non lo fai?». La bionda non aprì bocca, così
Nikki incalzò: «Il tuo silenzio mi sembra sufficientemente
eloquente. Adesso ascoltami bene... mi stai ascoltando?»
«Sì,
ti seguo» sbuffò Heles sgranando gli occhi
«Ok...
senti, oggi voglio darle il regalo, però sono impegnato; stasera
devo girare un video sullo Strip»
«Quindi?»
domandò la bionda sempre più confusa
«Quindi
ho bisogno di un parere da meccanico...»
«Tu
sei fuori di melone» Heles si lasciò sfuggire una mezza risata
«Vuoi
chiudere quella latrina e farmi parlare?» sbraitò Nikki ormai al
limite della pazienza «Tu mi devi solo dire un modo facile per
manomettere il motore della mia Harley! Durante alcune riprese
useremo le moto ed io devo trovare un modo perchè il mezzo smetta di
funzionare e mi si fermi in mezzo alla strada, ma non immediatamente!
HAI CAPITO?». Heles guardò la cornetta mentre nella sua mente si
accavallavano incredulità e pietà per “Mister Black”; scosse la
testa dopo aver deciso di assecondarlo: «Zucchero nel serbatoio»
«Solo?»
«Sostituire
dei pistoni caramellati non è uno scherzo... senti “Mister Black”,
mi sembra che tu sia sincero, è per questo che ti sto dando una
mano. Mi auguro di aver fatto la scelta giusta»
«Perfetto,
è facile» Nikki stava per riattaccare, quando la voce di Heles
richiamò la sua attenzione: «Lo zucchero, però, mettilo nel
serbatoio verso le fine delle riprese con la moto, entra in azione
piuttosto in fretta. Una volta che ti si ferma il mezzo chiama qui,
Will è sempre in negozio fino a dopo mezzanotte; chiedi che Rea ti
faccia il pronto intervento inventandoti la scusa che è stata lei
l'ultima volta a ripararti il mezzo e spara una cifra esorbitante
come compenso. Tanto tu te lo puoi permettere, no?»
«Già...»
sospirò il bassista; riattaccò soddisfatto e poi corse in bagno per
prepararsi per le riprese del video di “Girls Girls Girls”.
*
* *
Sabato 18
aprile 1987, 12.30 am
Sono
contenta del regalo delle mie amiche, mi ha permesso di affrontare la
giornata più serenamente del solito. Oggi alla mostra è stata una
mattinata pressoché piatta ed in officina il pomeriggio è scivolato
via senza imprevisti strani: riparazioni spicciole ed un motore da
sfumare, nulla di più. Diciamo che questa quiete mi ha dato modo di
riflettere parecchio... mi è tornato in mente il nonno. È quasi un
anno che è morto, ma sembra che sia passato molto più tempo; sono
successe una valanga di cose in questi 365 giorni. Alti, bassi,
momenti divertenti e momenti di smarrimento... specie nell'ultimo
periodo. Quando penso a lui, a quell'omino sempre allegro che mi ha
cresciuta, mi viene sempre da sorridere; uscita dall'officina sono
tornata a casa e mi sono rintanata nel mio studio perchè avevo
voglia di parlare un po' con lui, di farmi dare qualche consiglio.
Seduta a gambe incrociate davanti al camino spento, ho acceso lo
Zippo e lui mi si è materializzato davanti con una trombetta in
bocca e, mentre batteva le mani, mi ha cantato “Tanti auguri”.
Anche da morto è un fuori di testa. «Buon compleanno fuoco mio!»
mi ha detto «ti abbraccerei ma non ci riesco... allora? Com'è
andata la giornata?». L'ho guardato di sottecchi, facendogli capire
che so che lui è al corrente di come mi stanno andando le cose
ultimamente, così il nonno ha sventolato il suo ditino tozzo sotto
il mio naso: «Non riesco proprio a nasconderti niente, eh? Tesoro, è
tutto merito mio se hai imparato ad affinare il tuo sesto senso». Mi
sono portata una mano alla fronte ed ho sospirato: «Non ce la fai
proprio a non pavoneggiarti, è più forte di te»
«Su,
Fiamma, l'ho fatto per farti ridere un po'! Ho provato a contare le
lacrime che hai versato in questi giorni, ma dopo essere arrivato a
duecento ho perso il conto; iniziavano a diventare troppe» il mio
nonnino ha arricciato le labbra «Raccontami un po' dal tuo punto di
vista che è successo».
Bunny
stava uscendo dal bagno quando aveva visto Rea fiondarsi nel suo
studio; stranamente non aveva chiuso del tutto la porta. Forse era
stata la fretta; o, perchè no, anche il fatto che non voleva più
chiudersi a riccio come aveva fatto nei giorni precedenti. L'amica le
aveva raccontato qualcosa di quello che era successo quel fatidico
giorno, ma Bunny aveva preferito non insistere con le domande: Rea
singhiozzava sempre più forte e vederla ridotta in quello stato le
straziava il cuore. Non era lei; semplicemente non lo era. “Tutti
stanno male, ma Rea non ha mai sofferto così tanto in vita sua. Di
solito è sempre quella che sa come, quanto e quando tirare fuori gli
artigli; ma questa volta sembra essere parecchio smarrita”. Si era
guardata in giro con fare circospetto e poi, in punta di piedi, si
era avvicinata alla porta in noce: Rea stava parlando con il nonno di
quello che era successo; gesticolava disegnando eleganti volute
davanti a sé, passandosi ogni tanto una mano nei folti capelli
corvini. Per la prima volta stava raccontando i suoi problemi senza
piangere. Bunny si accovacciò abbracciandosi le ginocchia e,
respirando il più piano possibile, ascoltò il racconto della sua
amica. Più Rea parlava, più la bocca della biondina faticava a
rimanere chiusa per lo stupore: erano successe troppe cose nell'arco
di troppo poco tempo, ecco perchè Rea aveva avuto quel... “Come lo
chiama Amy?” si domandò nervosamente mordicchiandosi le unghie
«Un
blocco psicologico?» le suggerì la voce del nonno da dentro la
stanza
“Ecco,
quel coso lì” pensò la ragazza disegnando intorno a sé un
semicerchio con il braccio e facendo schioccare le dita. Purtroppo,
quel movimento le fece perdere l'equilibrio e Bunny si ritrovò a
pancia in su dopo aver tirato una testata alla porta in noce,
aprendola completamente. La ragazza dai capelli corvini si girò di
scatto con gli occhi spalancati: «Ma... Bunny! Cosa stai facendo?»;
l'amica non le rispose immediatamente, si limitò a massaggiarsi il
capo con gli occhi lucidi: «Ahia, che male... è dura quella porta,
lo sai?». Rea corrugò le sopracciglia sempre più sorpresa, mentre
il nonno scoppiò in una fragorosa risata: «Ciao testina a
pasticcino! La porta sarà anche dura ma la tua testa lo è ancor di
più!»
«Nonno!»
cercò di rimproverarlo imbarazzata la nipote, ma il vecchietto non
la sentì nemmeno: «Siedi qui con noi, Bunny»
«Che
gentile, grazie» sorrise la biondina mettendosi in ginocchio di
fianco all'amica. Il nonno si schiarì la voce: «Dunque, immagino
che tu abbia sentito tutto, tesoruccio»
«Stavi
origliando?» il tono della voce di Rea era basso e minaccioso
«Beh,
io... veramente» gli occhi di Bunny iniziarono a saltellare da una
parete all'altra dello studio in cerca di un posto dove rifugiarsi
«Ouch!»
«Immagino
che la mamma ti abbia detto che è da maleducati origliare, vero
Coniglietto?» la bella bruna le premette un pugno sul capo
«SMETTILAAAA!»
Bunny iniziò a piangere «Ho già picchiato la testa contro la
porta, non mi dare pugni!»
«Te
lo do il pugno invece, così invece di due chignon in testa avrai due
bernoccoli!» sbraitò Rea; la voce del nonno interruppe il litigio:
«Adesso basta!». Le due ragazze fissarono quella testa tonda da cui
spuntavano due occhietti iniettati di sangue: «Io stavo per fare un
discorso serio! Comunque, vedo che già abbiamo trovato la soluzione»
«Eh?»
lo sbigottimento si dipinse sui visi delle due ragazze
«Insomma
Rea, hai superato la tua fase di scombussolamento emotivo. Tutto
grazie a Bunny». La bruna si girò a guardare l'amica che la fissava
con un sorriso a trentadue denti: «Visto?» ma subito si girò verso
il nonno chiedendo come fosse stato possibile. Il vecchietto sospirò
rassegnato ed iniziò a spiegare: «Il litigio è stato fondamentale
per ritemprare nuovamente il carattere di Rea. Lo scombussolamento
che c'era stato era perchè erano successi troppi avvenimenti di
carattere contrastante in pochissimo tempo: un bacio, una delusione,
un rifiuto, la paura, il sollievo ed infine un nuovo rifiuto. La
vicinanza di un'amica importante come te ed un evento come un litigio
ha potuto riequilibrare l'animo di mia nipote e farle capire come
deve comportarsi d'ora in poi... giusto Fiamma?». Rea rimase in
silenzio a fissare il nonno per qualche secondo, dopodiché chiese:
«Non ho capito, puoi ripetere?»
«E
meno male che quella stordita sono io!» esclamò Bunny tirando un
buffetto alla guancia dell'amica «Insomma, litigare ti ha fatto bene
perchè ti ha fatta ritornare in te, capisci? Proprio l'altro giorno,
ricordi che io avevo mangiato da sola un sacchetto di marshmallow?»
«HAI
MANGIATO LE MIE CARAMELLE?» ruggì la mora
«Ugh...»
Bunny deglutì a fatica «appunto, nemmeno te n'eri accorta»
«E
poi vieni a piagnucolare da me se ti vedi il pancino un po' più
rotondo» Rea sbuffò su un ciuffo per toglierselo dalla fronte «Ma
tu guarda...». Il nonno applaudì richiamando l'attenzione delle
ragazze: «Perfetto fuoco mio, così ti voglio!» poi abbassò la
voce e guardò teneramente la nipote «Voglio che tu sia tu, sempre e
comunque». La ragazza avrebbe voluto abbracciarlo ed accarezzare
quel capo tondo come ormai non faceva più da un anno a quella parte:
«Nonno, ti voglio bene» fu l'unica cosa che poté dire per
manifestare la sua gratitudine; il vecchietto le fece l'occhiolino e
poi sparì. Rea rimase a fissare lo Zippo che teneva in mano con un
lieve sorriso mentre Bunny le cinse le spalle con un braccio: «Come
ti senti ora?». Rea avrebbe voluto dirle mille parole: dirle che
sentiva nuovamente il fuoco dentro sé, dirle che si sentiva
rinvigorita, dirle anche che era merito suo se aveva recuperato
pienamente il controllo di sé; però solo due parole le scivolarono
sulle labbra: «Grazie Bunny». Gli occhioni azzurri dell'amica si
chiusero per un attimo mentre si portava gli indici alle guance
rosee; sorrideva come solo lei sapeva fare: «Ma ti pare!». Rea
stava per aggiungere qualcosa quando uno strano gorgoglio la bloccò;
Bunny scoppiò a ridere: «Oh, ho una fame incredibile! Che ne dici
se andiamo a prepararci qualcosa di là intanto che aspettiamo
Marta?»
«E'
vero, stasera tocca a me mettermi dietro i fornelli» si ricordò la
bruna
«Già...
Amy è da Taiki a studiare per l'esame di anatomia mentre Morea è a
cena da Moran. Cosa cuciniamo?» disse Bunny saltellando per il
corridoio. Proprio in quel momento, Marta rincasò con un'enorme
scatola fra le mani: «Ragazze, ho una super notizia da darvi!» e
mentre si toglieva la giacca raccontò alle amiche di essere stata
scelta per un provino. L'atmosfera sembrava essere tornata quella di
sempre, quando lo squillare del telefono interruppe per un attimo
l'euforia di Marta che si precipitò a rispondere: «Pronto, Seiya,
tesoro, ciao! Sai che... come? Oh...» sospirò allungando il
ricevitore verso Rea: «E' per te, un certo William». La bruna
aggrottò le sopracciglia con fare interrogativo: “Pensavo di non
avere dimenticato nulla in officina”
«Ciao
tesoro» la salutò il capo «senti... ti devo chiedere un favore»
«Che
succede?»; era troppo strano che la chiamasse dopo l'orario di
chiusura
«Ha
appena telefonato un cliente dicendo di avere urgente bisogno di una
tua riparazione» spiegò lui. Rea era perplessa: «Scusa, ma in
questi casi non dovrebbe uscire il carro attrezzi?»
«Tecnicamente
sì, però ha insistito dicendo che deve usare la moto per lavoro
stasera». La ragazza sbuffò spazientita; in quel momento aveva una
gran voglia di rimanere con le sue amiche. Stava per chiedere di
girare il lavoro ad Heles quando William l'anticipò: «Ha chiesto
espressamente che gli faccia tu il lavoro perchè con Heles si è
trovato male. E paga. Molto profumatamente»
«Quanto
profumatamente?» chiese Rea sottovoce coprendo il ricevitore con la
mano. La risposta le arrivò chiara e nitida all'orecchio:
«Cinquemila dollari»
«CHEEEE???»
era una cifra incredibilmente alta «Ma chi è questo? Uno sceicco
miliardario?»
«Non
credo, dice di chiamarsi Mister Black» rispose William dall'altra
parte del ricevitore «Comunque, prendi nota: ha detto di trovarsi al
Seventh Veil e di andare là il prima possibile»
«Ok»
sospirò Rea “Vado là solo per la lauta ricompensa, nulla di più”.
Riattaccò e si infilò in fretta la sua giacca in pelle; Bunny le
urlò dalla cucina: «Che succede? Dove vai?»
«Riparazione
urgente... mi spiace, dovete farvi da mangiare da sole e...» Rea le
fissò intensamente da dietro la porta «vedete di non dare fuoco
alla casa. Se torno e trovo il prato flambé siete morte. Tutte e
due». Bunny iniziò a mordicchiarsi le dita dalla preoccupazione ma
Marta le fece l'occhiolino e le alzò il pollice: «Vai tranquilla».
Corse in garage, afferrò la cassetta degli attrezzi che le aveva
dato in dotazione William su cui c'era il logo dell'officina e si
affrettò a raggiungere il Western Sunset Boulevard. Mentre i
lampioni le coloravano di giallo la pelle del viso, Rea cercava di
comporre mentalmente il viso ed il corpo di quel cliente così
generoso; alla fine giunse alla conclusione che solo un motociclista
sovrappeso, pelato, con indosso una bandana che raffigurava la
bandiera sudista, un lurido giubbino in jeans senza maniche e dei
pantaloni in pelle sformati e, quello che peggio, segaiolo da morire
poteva averle chiesto un favore del genere: “Mi auguro solo che non
faccia il pagliaccio quando mi presenterò davanti a lui”. Proprio
in quel momento, dovette rallentare ed accostare poiché la polizia
le sbarrò la strada: «Mi spiace, ma per questa sera questo tratto
dello Strip è chiuso al traffico». Rea aggrottò le sopracciglia in
cerca di spiegazioni: «Cosa vuol dire chiuso?»
«Stanno
girando un videoclip» il poliziotto sputò a terra «le consiglio di
fare inversione e...»
«Aspetti
un secondo» la ragazza stava già perdendo le staffe «sono stata
chiamata per andare a fare una riparazione urgente al Seventh Veil.
Io DEVO passare». I due agenti si guardarono perplessi: «Adesso non
prendono solo le ballerine, vogliono anche le donne che fanno le
riparazioni...»
«Insomma,
non sto scherzando!» sbottò la ragazza mettendo in mostra la
cassetta degli attrezzi «Mi fate passare oppure vi devo investire?».
Nel giro di pochi secondi era diventata una furia, paonazza in viso e
con le mani che tremavano, pronte anche a sferrare un pugno ad uno di
quei poliziotti; uno degli agenti spalancò gli occhi per la paura:
«Va bene, ti facciamo passare, però devi posteggiare qui l'auto. Ci
è stato espressamente detto di non fare transitare nessun veicolo».
Rea li prese in parola e spense il motore, lasciando la macchina
proprio davanti a loro ed iniziò a camminare con passo spedito verso
lo strip club: «Ehi, guarda che non puoi lasciarla esattamente in
questo punto! È in divieto di sosta, ti devo fare la multa!» urlò
uno dei due poliziotti, ma lei fece finta di non sentire. Camminava
veloce sul marciapiede illuminato dalle gigantesche insegne al neon
di vari colori su cui poteva leggere i nomi dei diversi night club;
era deserto, si sentiva solo il rumore dei suoi stivali sull'asfalto,
e già in lontananza scorgeva quattro moto parcheggiate davanti a
quello che, dall'esterno, sembrava essere un edificio
orientaleggiante reso scintillante da grosse lampadine che correvano
per i bordi dei muri esterni. Appena sotto, lesse l'insegna con un
forte senso di nausea: SEVENTH VEIL, STRIP SHOW, TOTALLY NUDE GIRLS.
Deglutì a fatica sentendo la bile salire; proprio in quel momento,
un uomo grosso come un treno merci, con dei capelli lunghi, biondi e
crespi ed una barba di sei settimane, le corse incontro con gli occhi
che gli brillavano: «Dimmi che sei il meccanico». La bruna
dischiuse leggermente la bocca per lo stupore ed annuì. Il biondone
fece un salto di gioia ed esclamò: «Che bellezza, sono Wayne
Isham, direttore di videoclip. Segui me... la moto di uno dei
ragazzi non funziona più»; la prese per il polso e la trascinò
davanti ad una Softail con i parafanghi vermiglione: «E' questa qui,
spero si riesca a fare qualcosa... DIECI MINUTI DI PAUSA PER TUTTI!».
Era euforico.
«Per
cortesia» Rea strinse i pugni chiamando a raccolta tutta la poca
pazienza che aveva in quel momento «può chiamarmi il proprietario,
così mi faccio dire da lui che problema c'è?». L'uomo si limitò
ad annuire freneticamente mentre correva all'interno del locale. La
ragazza posò a terra la cassetta degli attrezzi e si accovacciò
davanti al motore per studiarlo con una torcia: “Maledizione, con
questa poca luce e l'insegna al neon gialla avrò diversi problemi a
capire di che si tratta”. Sbuffò spazientita e si legò i capelli:
“Dove diavolo è quell'imbecille del proprietario? Quel Mister
Black. Se non viene con le chiavi ad accendermi il mezzo posso fare
ben poco...”.
Coca +
eroina = speedball; collaudato. Funziona che è una meraviglia.
Rea +
eroina fatta due ore fa = disastro. Dovrei essere tranquillo,
perfettamente a mio agio dentro questo involucro di pelle umana e
invece... è come se il mio spirito volesse uscire dai miei pori.
Quasi non ho il coraggio di varcare la soglia del locale. Sbuffo e
sospiro come un padre che aspetta di sentir dire dall'infermiera che
è nato suo figlio. Mi passo nervosamente le dita fra i capelli
perfettamente cotonati che se mi vedesse la ragazza del trucco mi
spaccherebbe le ossa, dato che ci ha messo tre quarti d'ora a farmi
la pettinatura. Sudo freddo. Faccio fatica a respirare. Il cuore mi
batte al ritmo di un pendolo impazzito; vuole uscirmi dal petto, devo
incrociare le braccia per impedirgli di farlo. Stupido muscolo del
cazzo. Senza di te, tutto sarebbe più semplice: nessun problema di
alcun tipo. Niente sofferenza, niente simpatia, niente amore. Però
che mondo di merda sarebbe? Allora forse è meglio che continui a
sentirti che scalpiti come un dannato sotto le mie costole mentre Lei
è di spalle che guarda la mia Harley. Mi fai male, e non capisco se
è per amore o perchè soffro; o per entrambe. Chiudo gli occhi
inspirando l'aria densa di fumo per cercare di attutire il suono di
questa musica interiore nelle mie orecchie, ma è inutile; hai deciso
di palpitare e non posso farci niente. Sei diventato immune a tutta
la merda che mi sparo in vena, ma non a lei. E forse è un bene.
Probabilmente è un modo per farmi capire che, in fondo, un motivo
per vivere ce l'ho ancora...
Nikki
infilò una mano tremante nella tasca interna della giacca dove
custodiva il suo piccolo tesoro per assicurarsi che fosse ancora lì:
“Cosa aspetti, la venuta del Messia? Vai!” lo esortò il suo
cervello. Si sistemò il colletto della maglia ed uscì con passo
felpato dal Seventh Veil. Più si avvicinava a lei e più poteva
sentire il suo unico profumo, ammirare i suoi capelli così lucidi e
lisci e quelle sue mani perfette che cercavano il problema del suo
mezzo. Due settimane senza quelle sensazioni erano state infernali.
Rea stava scrutando il motore con la sua piccola torcia quando
un'ombra le rubò quella fioca luce artificiale che arrivava
dall'insegna del night club; iniziò a voltarsi per vedere in faccia
l'idiota che le aveva tolto il neon giallo: «Per favore, si può
spos...» le si spalancarono gli occhi, la bocca si aprì leggermente
per lo stupore, il respiro si mozzò, il cuore mancò un battito
«Nikki?». Le venne a mancare tutto ad un tratto la voce, solo un
flebile sibilo uscì dalle sue labbra carnose. Si alzò in piedi
lentamente, puntandogli in faccia la luce della torcia per accertarsi
che ciò che aveva visto fosse vero. Il ragazzo scostò delicatamente
l'attrezzo afferrando per il polso la bruna; poi, fece un passo verso
di lei, per guardare di nuovo quelle magiche iridi che non vedeva da
più di due settimane: «Buon compleanno» disse semplicemente
sentendo il cuore esplodergli per l'emozione.
Sabato 18
aprile 1987, 12.30 am
Lo
ammetto, ero felicissima di vederlo; ma allo stesso tempo volevo
spaccargli la faccia. Pensava di salvarsi con un misero “buon
compleanno” dopo tutto quello che era successo. Il problema è che
ho sopportato troppe volte le sue lune ed i suoi ripensamenti,
quindi, a partire da adesso, inizierò a ripagarlo con la sua stessa
moneta. Dovrà darsi da fare per riconquistarmi e, soprattutto, dovrà
imparare a fare due cose: liberarsi della droga ed iniziare ad
ascoltarmi; se vuole costruire qualcosa di duraturo con me, queste
sono le misure che dovrà prendere. Non mi va di mostrarmi glaciale
con lui... però è l'unico modo per fargli capire che non lo perdono
tanto facilmente per quello che ha fatto.
Rimasero
entrambi immobili per qualche istante a fissarsi negli occhi, finché
Rea si liberò malamente della morbida stretta e gli mostrò un palmo
della mano: «Le chiavi»
«Co-cosa?»
Nikki aggrottò le sopracciglia incredulo
«Le
chiavi della moto» ribadì lei secca squadrandogli il viso.
Incredulo, il bassista estrasse dalla tasca un anellino con attaccate
due chiavi; lei lo prese quasi senza guardarlo in viso e si voltò
per accendere il mezzo. Nikki si grattò il capo: “Mi avrà
sentito?”; così ribadì ancora più dolcemente il suo messaggio:
«Tanti auguri Rea»
«Ho
capito, grazie» lei lo fissò con gli occhi carichi di ira. Girò la
chiave per accendere il mezzo, ma tutto quello che ottenne fu un
cigolio metallico spettrale: «Ma che cavolo hai fatto a questa
povera moto?»
“Povera
moto? Adesso è più interessata all'Harley che a te?” nella testa
di Nikki rimbombò un campanello d'allarme; la fantasia che aveva
fatto quella sera davanti al fuoco, sfumò in pochi secondi. A quanto
pare rifarla sua sarebbe stato più difficile del previsto. Strinse i
pugni raccogliendo tutta la determinazione che aveva e poi si portò
la mano al taschino interno della giacca; afferrò quel pacchettino
rosso con un fiocco nero che aveva confezionato lui stesso e lo
allungò verso di lei. Si schiarì la voce per attirare la sua
attenzione e le disse: «Spero che ti possa piacere... insomma, una
parte del regalo sono sicuro che ti piacerà, per l'altra spero di
avere azzeccato il colore e...»
«Non
lo voglio il tuo regalo» quelle parole taglienti come coltelli
uscirono dalla bocca di Rea ad una velocità incredibile; proprio una
di quelle lame andò ad infilzarsi nel petto di Sixx: “Non... lo
vuole?”. Rea gli rese le chiavi e con tono deciso gli disse: «Non
basta un regalo ed una frasettina carina preconfezionata per farmi
tornare da te. Dopo tutto quello che mi hai fatto, è già tanto se
ti sto ancora guardando negli occhi e parlando, sai?». Nikki si fece
scuro in viso; abbassò lo sguardo per incontrare la sua mano, ancora
tesa verso di lei, che stringeva il pacchetto. Stranamente, i
contorni dell'oggetto non erano ben definiti: “Ma come? Io da
vicino ci ho sempre visto bene... SVEGLIATI IMBECILLE! Non hai
bisogno di un paio di occhiali, tu hai bisogno di trattenere le
lacrime perchè altrimenti farai doppiamente la figura dell'idiota!”
lo ammonì una delle sue vocine. Si sentiva ferito; ma se lo
meritava. Era consapevole di averle spezzato il cuore, quindi un
simile atteggiamento da parte sua era più che comprensibile; però
il regalo voleva darlelo a tutti i costi. «Hai ragione ad essere
arrabbiata... anzi, livida. Però almeno questo prendilo» a stento
riusciva a tener ferma la voce; Rea gli strappò la sorpresa dalle
mani e la lasciò cadere nella cassetta degli attrezzi: «Sei
contento adesso? Sappi che, però, molto probabilmente quel pacchetto
finirà sul fondo del mio cassetto e non verrà mai aperto». La sua
voce era bassa e lugubre; Nikki ripensò per un attimo a quando il
suo timbro era caldo come il fuoco che custodiva dentro di lei. Ora,
invece, ogni sua parola era paragonabile ad una vangata di neve in
pieno viso. Rimase a guardarla impietrito, mentre ancora stentava a
credere alle sue orecchie; Rea si sciolse i capelli e sentenziò:
«Ottimo stratagemma quello di riempirsi il serbatoio di zucchero per
farmi uscire, caro Mister Black. Da sola non posso fare molto, quindi
chiama il carro attrezzi e fattela portare a riparare. E, per la
cronaca: i tuoi soldi non li voglio». Sempre più freddo. C'erano
venti gradi quella sera, ma Nikki ne percepiva tre: “Non può
finire così, non deve andare così”; allungò una mano verso di
lei e la prese per un braccio: «Senti Rea, io...» stentava a
controllare le sue emozioni. Una lacrima scintillante come vetro gli
rigò la guancia; alla vista di quella goccia di tristezza, Rea si
bloccò e trattenne il fiato. Non doveva cedere. Lui doveva capire.
«Smettila, o ti si rovinerà il trucco per il video» lo schernì la
ragazza. Nikki respirò profondamente e disse: «Ti rivoglio... ti
rivoglio per me». Un nodo iniziò a chiudere la gola della bella
bruna; Rea serrò le palpebre e sospirò: «Non finchè ci sarà
lei...»
«Lei
chi?» domandò il bassista confuso
«Devi
scegliere» la ragazza si morse un labbro per tentare di frenare il
fremito del suo mento «o me, o l'eroina. Non si possono avere due
donne contemporaneamente».
Sabato 18
aprile 1987, 12.30 am
Dopo
avergli detto quella frase sono corsa via ed ho potuto finalmente
sfogare tutte le emozioni che mi gonfiavano il petto: la felicità di
averlo rivisto, la rabbia nei suoi confronti per avermi trattata male
ed il dispiacere per essermi comportata così con lui. Non è giusto,
non è carino, ma è l'unico modo per fargli capire le cose. Non mi
piace questa strada che ho imboccato, però so che, se voglio
riabbracciarlo di nuovo ed averlo tutto per me, dovrò comportarmi
così. Perdonami Nikki; non credere che lo stia facendo con piacere.
Anzi, forse quella che soffre di più in questo momento sono io; odio
comportarmi così ed odio ferire te... però è l'unica maniera per
farti capire quanto male mi hai fatto. Appena arrivata a casa, ho
aperto il tuo regalo e non l'ho messo sul fondo del cassetto come,
invece, ti avevo detto; mi è piaciuto tanto. Il cd di “Girls,
Girls, Girls” autografato da voi quattro con il mio nome messo nei
crediti. E quel bellissimo rossetto... ma la parte più bella del
regalo è stato scoprire che, sul fondo della scatolina, c'era un tuo
piccolo bigliettino con scritto: “Spero un giorno di poter vedere
su quelle tue splendide labbra, questi petali di rose rosse; non
nascondo anche, che mi piacerebbe coglierle con un mio bacio, quelle
rose”. Conserverò con cura questo tuo regalo e lo userò solo
quando sarò sicura di vederti... sperando che tu capisca presto i
tuoi errori. Ti amo... ti prego, non deludermi.
Era
rimasto solo sul marciapiede, imbambolato a guardare la moto.
L'ultima frase che Rea gli aveva detto gli stava ancora echeggiando
nella mente: “Non si possono avere due donne contemporaneamente”;
si mise una mano in tasca e tirò fuori la solita bustina con dentro
la solita persiana. Fissò la plastica con gli occhi lucidi: “E
così... è giunto il momento di separarci”; si morse il labbro
mentre chiudeva gli occhi per far cadere due lacrime sull'asfalto:
“Ma stasera sanguino... ho tanto dolore dentro di me. Non posso
tornare dentro con questa faccia. Permettimi di darti un ultimo bacio
d'addio, così potrò dire che sono diventato capace di fare a meno
di te. La donna che voglio è un'altra”. Tirò fuori l'accendino ed
un tappino della Pepsi ed iniziò a prepararsi quella che avrebbe
dovuto essere l'ultima dose di eroina della sua vita.
NOTE:
Il
testo che compare all'inizio del capitolo è quello di “I Still
Love You” dei Kiss di cui non posseggo i diritti.
Il
colore della tristezza: Rea pronuncia questa frase in riferimento al
modo di dire inglese “I'm blue” che si dice quando si è tristi.
Rolling
Stone: rivista statunitense specializzata in ambito musicale.
883:
modello di Harley Davidson.
Strip:
si intende Sunset Strip, il nome con cui i losangelini chiamano il
Sunset Boulevard.
Seventh
Veil: strip club di Los Angeles in cui venne girato il video di
“Girls Girls Girls”.
Wayne
Isham: direttore di diversi videoclip.
Per
la serie: “A volte ritornano”, rieccomi dopo più di un mese con
il ventesimo capitolo di questa storia. Prima di tutto, vorrei
chiedere scusa a tutte quelle persone alle cui recensioni non ho
risposto; credetemi, sono impegnatissima con l'università ed è già
tanto se riesco a buttare giù due righe della mia storia. Prometto
che cercherò di rispondere il prima possibile a tutti i vostri
messaggi. Venendo al capitolo: Rea è esplosa; va bene essere
innamorati persi di qualcuno, ma quando è troppo è troppo. La
troppa sofferenza accumulata nel capitolo precedente l'ha sballata
completamente rendendola quasi un automa; per fortuna sono bastati il
consiglio del nonno e la vicinanza di un'amica preziosa per farla
ritornare in sé e farle capire come deve comportarsi con Nikki. Da
questo momento in poi, Rea si mostrerà di roccia con lui finchè non
noterà dei miglioramenti. Nikki stesso è scombussolato da ciò che
è successo: sembra quasi cedere troppo facilmente al pianto; c'è
comunque da tenere presente che, oltre al dolore per l'allontanamento
di Rea, lui ha sempre la sua dannata droga che gli rovina le
giornate. Cosa succederà poi? Non posso anticiparvi nulla, ma come
avrete intuito: di smancerie varie fra i due non ne vedremo per un
po' di tempo, anche se continueranno a stare vicini. I
ringraziamenti, come sempre, vanno a: Miss Demy, SailorMercury84,
Lau_McKagan, Mars from the stars, alemagica88, Alison_95, bunny 92,
Cri cri, dudy, elliehudson, Kate_88, kay89, key17, Lady Mars, lulu85,
marziolina86, Rei_Hino, sailor crystal, BrianneSixx, MipufStar e
RocketQueen_. Grazie anche a tutti i silent readers che perdono tempo
a leggere i miei deliri e grazie anche agli 81 likers su Facebook
(siete forti ragazzi). Come sempre, sapete che tutte le vostre
recensioni, belle o brutte che siano, sono sempre ben accette, quindi
non esitate a farmi notare errori o a darmi consigli; grazie a tutti.
Ellie
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Capitolo 21 *** Cold Turkey ***
21 Cold Turkey
PREMESSA:
questo capitolo sarà interamente dedicato a Nikki; di conseguenza,
poiché Rea non compare minimamente in questo contesto, a lei
dedicherò completamente il prossimo capitolo. Siete di fronte ad una
forte dose di sesso, droga e rock and roll; consumatela con calma e
cautela. Ci saranno dei passaggi piuttosto espliciti; siete avvisati.
Detto questo: welcome to Van Nuys.
La mattina
dopo, Nikki si svegliò con un mal di testa da Guinness dei Primati.
Stentava a tenere gli occhi aperti, si sentiva due macigni al posto
delle palpebre; in più, gli faceva male da morire il sedere, ma non
ricordava bene il perchè: “Dio santo, non mi sembra di aver girato
il video di Girls in sella ad un asino”. Ancora con gli occhi
chiusi, scese con la mano a massaggiarsi i glutei: “Porca boia, che
male”; grugnì nel sentirsi i muscoli indolenziti come se avesse
fatto per due ore esercizi mirati per rassodarsi il fondo schiena:
“Neanche fossi una top model”. Si stiracchiò lentamente,
sbadigliando flemmatico; proprio mentre allungava il braccio
sinistro, urtò qualcosa di duro e freddo di fianco a lui sul
materasso. Incuriosito da quell'impatto, aprì un occhio per vedere
di che cosa si trattasse: “Il fucile di nonno Tom?”; in quel
preciso istante, i ricordi della sera precedente tornarono a galla
come una miriade di cadaveri in uno stagno.
Dal
diario di Nikki. Sabato 18 aprile 1987
Ero
rimasto in fissa come un ebete sui suoi capelli che vibravano
nell'aria mentre lei correva via da me; una felicità microscopica mi
riempiva la mente ma il sentimento che la faceva da padrone era la
consapevolezza. “Dovrò farmi un mazzo così per riprendermela; c'è
qualcosa che mi fa capire che lei mi vuole ancora. Cosa di preciso
non so, ma c'è. Però sarà più difficile di quello che avevo
previsto”. Poi T-Bone mi aveva raggiunto correndo: «Bro, stiamo
ricominciando... allora, sta moto funziona o no?»
«Ma va!
Anzi, chiamo un carro attrezzi che la faccio portare in officina...»
«Ma che
cosa è successo?» gli occhi vispi di Tommy fissavano i miei, spenti
come due semafori su una strada non trafficata a mezzanotte. Dirgli
che mi ero messo lo zucchero nel serbatoio pur di vederla?
Assolutamente no, mi avrebbe ucciso e poi avrebbe spifferato tutto
agli altri; non avevo voglia di scornarmi con nessuno: «Il meccanico
dice che c'è stato un guasto all'impianto elettrico, che è partito
il fusibile sbagliato e si è bucato il radiatore»
“Certo
che scusa peggiore non potevi inventare” mi ha fatto notare una
delle mie amiche voci
«Cazzo,
che sfiga» è stato l'unico commento del mio amico. Meglio così;
non sarei stato in grado di sopportare un altra domanda e poi
l'eroina mi stava pure entrando prepotentemente in circolo. Ho finito
le riprese (non ce la facevo più a reggere le urla delle ballerine
che premevano tutte per fare una ripresa ballandomi intorno... beh,
purtroppo una ripresa simile con loro ho dovuto farla. Isham non
capisce proprio un cazzo) e poi T-Bone si è offerto di portarmi a
casa; ecco perchè ho un male del diavolo al culo: l'ammortizzatore
dietro della Harley di Tommy è rigido, quindi a ogni tombino erano
dolori. Quando sono arrivato gli ho chiesto se voleva farsi un paio
di sniffate (lo so, sono un coglione, però con T-Bone il
divertimento è coca + MTV); lui ha detto solo una. È entrato,
abbiamo fatto quello che dovevamo fare e poi lui è uscito in tempo
zero perchè doveva tornare a casa dalla sua adorabilmente fottuta
mogliettina; fanculo, Heather si permette di togliermi il mio
amico. Quella stronza è stata l'ultima persona ad entrare nella vita
di Tommy e lo manovra come cazzo pare a lei. Gli dice pure di non
vedermi perchè non si sente tranquilla e non sono un tipo
affidabile. Beh, allora lei che cazzo si è scelta a fare Tommy come
marito? Se non voleva impicci con il sottoscritto avrebbe dovuto
sposare un cazzo di dottore di sta minchia laureato all'università
di suo padre. Ero talmente furibondo con il mio amico (ma ancora di
più furibondo con sua moglie) che non ho resistito e mi sono fatto
un'altra sniffata (lo so, sono doppiamente coglione, ma è l'unico
modo per dimenticarsi della rabbia). Poi ho cercato di mettermi a
letto, giuro, ci ho provato, ma le voci nella mia testa si sono
moltiplicate a dismisura e di nuovo ho iniziato a vedere sagome
ovunque. Ero in trappola. Nella trappola che la mia testa mi stava
tendendo ed io ci stavo cadendo dentro in pieno, con la faccia
rivolta verso il fondo della fossa, verso il nero, verso il vuoto,
verso il niente. Odio quella schifosa sensazione di vertigine. E poi
rimbomba tutto in quel cazzo di tunnel, tutte le vocine si sdoppiano,
diventano venti, cento, mille; e non capisco più nulla. Volevo
silenzio, quiete, come quella che c'è nei boschi... perchè qui a
L.A. non c'è un cazzo di bosco? Se ci fosse, andrei a farmi
costruire una casa lì in mezzo, lontano da tutti e in pace con me
stesso. Così, in preda alla disperazione (se lo sa Rea mi uccide...
beh, diciamo che se io fossi lei mi prenderei a calci sulle gengive
finchè non mi cadono tutti i denti per la cazzata che ho fatto) mi
sono sparato in vena l'eroina. Lentamente mi sono calmato. Lentamente
le voci sono diminuite. Lentamente ho ripreso il volo verso il bordo
del precipizio in cui ero caduto. Ho imbracciato il fucile di Tom e
me ne sono andato a letto con quello, sperando di sentirmi più al
sicuro.
Seduto
sul letto a gambe incrociate, Nikki si rigirava fra le mani quel
fucile a pompa che, per anni, suo nonno aveva maneggiato tutte le
volte che aveva provato a portarlo a caccia con lui. Faceva un
frastuono infernale quando sparava; ti scuoteva dall'interno,
sembrava quasi che il proiettile, invece di andare verso la vittima
scelta, tornasse indietro e ti bucasse il torace. Tom gliel'aveva
regalato quando lui aveva deciso di abbandonare la casa dove i nonni
lo ospitavano in Idaho per partire per Los Angeles: «Mi raccomando,
vacci piano» era stata l'unica raccomandazione; era salito sul
Greyhound bus felice di andarsene da quel mondo ottuso e
contadino ed aveva infilato l'arma nella sua sacca da viaggio,
pensando di non averne mai bisogno in futuro. Invece... da quando la
droga era diventata la sua migliore amica, quel fucile era uno dei
pochissimi oggetti che potevano farlo sentire protetto quando
sopraggiungeva il delirio. In un istante sentì gravare sopra di sé
il peso della vergogna e, con un gesto rabbioso, Nikki gettò l'arma
dietro di sé. Si alzò barcollando dal letto e trascinò i piedi
fino ad arrivare nel piccolo bagnetto dove teneva tutto il suo
arsenale. Aprì l'armadietto e si riempì le mani di tutto quello che
c'era dentro, ma la roba era talmente tanta che occorsero più viaggi
per portare bustine di plastica, siringhe e altre idiozie sul tavolo
della cucina. Alla fine, guardò il mucchio che aveva creato: faceva
paura, talmente era alto; in quel momento, un piccolo capogiro fece
barcollare Nikki che si aggrappò alla maniglia del frigorifero per
non finire a terra. Era debole, doveva mettere qualcosa sotto i
denti. Si versò un bicchiere di latte freddo e tirò fuori dalla
dispensa i biscotti alla vaniglia che era solito comprare per Spank;
poggiò anche la colazione sul tavolo, proprio davanti alla
montagnetta di schifezza che doveva – e voleva – fare sparire al
più presto. Ridacchiò fra sé: “Se mi vedessero i giornalisti che
mi mangio latte e biscotti come i bambini a colazione sarei
rovinato”. Mentre addentava il primo biscotto, il cagnolino arrivò
di soppiatto in cucina: «Ciao amico»
«E
ti pareva se quell'ingordo del mio cane non doveva venire in cucina a
fregarmi i biscotti» Nikki scosse la testa sputacchiando qualche
briciola
«Spank
pappa quella»
«Guarda
che questi sono anche miei» il ragazzo gli sventolò davanti agli
occhi il sacchetto «fino a prova contraria te li compro io con i
miei soldi»
«Sì»
«Quindi
posso mangiarli anch'io» ecco che spuntava di nuovo quel sorriso
sghembo che proponeva sempre agli obbiettivi delle macchine
fotografiche
«No.
Quello mio» Spank lo guardò offeso e cercò di sporgersi per
portargli via il sacchetto
«Tieni»
il bassista gli lanciò due biscotti «mangia questi e lasciami
solo». Il bastardino guaì abbassando le orecchie e guardò la pappa
che teneva fra le zampine; tirò su con il naso mentre faceva il
broncio: «Tu cattivo...». Si mise in bocca il primo biscotto
ed iniziò a masticarlo mentre usciva in giardino; Nikki lo guardò
con la coda dell'occhio, esterrefatto per la reazione che aveva
avuto. Difficilmente Spank si comportava così; anzi, ad essere
sinceri, non si era mai comportato in quel modo. Era sempre pieno di
energie, scodinzolava e mangiava voracemente. In quel momento lo
guardava mentre strisciava le zampe e la coda verso la porta di
servizio; masticava lentamente la sua pappa con gli occhi bassi.
Prima di uscire in giardino, il cagnolino lanciò un'ultima occhiata
al padrone: «Spank vuole Iaia». Nikki sospirò e si girò a
guardare la droga ammontonata sul tavolo: «Sai Spank... anch'io
voglio Iaia». Posò il bicchiere vuoto nel lavandino e si accese una
sigaretta, per permettere al suo cervello di iniziare a cercare un
modo per sbarazzarsi di quella roba: “Water? No, è talmente tanta
che si ingolferebbe e poi devo chiamare l'idraulico... ti immagini la
situazione? Che cos'è tutta questa roba bianca? Detersivo che non si
è sciolto? Lasciamo perdere. Il camino? Uhm... troppo sospetto; non
fa più così freddo da accendere il fuoco, probabilmente i vicini si
accorgerebbero e chiamerebbero qualcuno. Allora un falò in
giardino... che idiozia!”. Prese l'ultima boccata di fumo e la
espirò disegnando dei cerchi davanti a sé; spense il mozzicone
rassegnato, tornando a sedersi al tavolo e stringendosi la testa fra
le mani. Tutta quella droga che giaceva sul tavolo poteva essere
sufficiente per un reggimento: “Spaccio? Nah, lasciamo stare. Ci
manca solo che mi mettano dentro per una cazzata simile e addio tour.
Eppure ci deve essere un modo per farla sparire... TUTTA”.
«Buon
sabato mezzogiorno Los Angeles! Sono le dodici e zero uno e con voi
ci sono sempre io, Cynthia Fox con In Tune At Noon, pronta a tenervi
compagnia per la prossima ora. Qui a KLOS il grande rock non manca
mai, quindi cominciamo alla grande con la mitica “Rock And Roll All
Nite” dei Kiss!». Nikki alzò la testa e fissò le casse dello
stereo con gli occhi spalancati: “Come ho fatto a non pensarci
prima?”
“I wanna
rock and roll all nite
and party
everyday!”
La
risposta gli era arrivata da Gene Simmons che cantava su quel
vecchio disco del 1975: una grande festa; con quella grande festa
avrebbe dovuto far sparire tutta la droga da casa sua e dalla sua
vita. Perfetto. Si alzò dal tavolo e si affrettò a prendere la sua
rubrica e un foglio con una penna. Il dito sinistro scorreva febbrile
lungo la carta mentre la mano destra digitava sulla tastiera del
cordless il numero di telefono della persona interessata; la
spiegazione ad ogni chiamata era sempre la stessa: “Ciao bello,
sono Nikki. Stavo pensando di organizzare, a partire da lunedì, una
grande festa a casa mia. Alcool a fiumi e droga a volontà
ovviamente. Si sta qui finchè non si finisce tutto. Che ne dici,
vieni? Mi raccomando, non portare gente invasata”. Stringato ma
convincente al massimo. Dopo qualche telefonata, sul foglio
l'inchiostro nero aveva scritto:
Slash
Steven
Adler
Pete
Duff
McKagan
Fred
Saunders
Ora
il suo dito si era bloccato sopra il nome del suo migliore amico;
sinceramente non sapeva che fare. “Lo chiamo o non lo chiamo?”;
sembrava la classica domanda che ci si pone se si deve spennare una
margherita. Tommy era sempre stato presente nei suoi party, era il
suo compagno di cazzate per eccellenza; eppure qualcosa, in quel
momento, lo stava frenando. Sapeva che il suo bro non avrebbe
condiviso la sua decisione. Se si fosse presentato alla festa gli
avrebbe rotto le palle tutto il tempo per la scelta che aveva deciso
di prendere e, contemporaneamente, si sarebbe scolato litri di Jack e
sniffato quantità incredibili di cocaina; nonsense. Gli avrebbe
fatto la predica dicendo che avrebbe dovuto lasciar perdere la droga
ed evitare feste simili se voleva riconquistarla, però lui, già
sposato, poteva concedersi il lusso di sniffare come un animale e
sbattersi la prima che capitava. E poi, quella doveva essere la sua
festa d'addio per l'eroina; voleva un congedo in grande stile, quindi
voleva sentirsi libero di farsi più che poteva. E Tommy non doveva
partecipare al suo personale delirio, o avrebbe cercato in tutti i
modi di mettergli dei paletti. Grandissima, enorme, macroscopica
scocciatura. Chiuse la rubrica e poggiò il cordless nel
caricabatterie. Non gli telefonò.
*
* *
Aveva
trascorso la giornata di lunedì a rendere la sua villa il più
presentabile possibile: aveva passato l'aspirapolvere, sbattuto i
tappeti ricoperti di mozziconi e riempito il frigorifero di tanto
cibo commestibile, liberandosi dei vecchi würst andati a male ormai
da settimane, così da scongiurare ogni attacco di fame chimica di
Steven: “Quello è peggio dell'orso Yoghi quando si mette a
fumare”. Aveva fatto una gran scorta di super alcolici di ogni
genere e aveva anche chiamato Jason per un piccolo rifornimento
d'emergenza. Intorno alle sette di sera era tutto pronto: il bar
traboccante di bevande dalla gradazione non inferiore al quaranta per
cento, il tavolo della sala da pranzo ricoperto di salatini e
schifezze varie e, ovviamente, tutta la droga nel mobiletto sopra il
lavandino in cucina. Nikki si sfregò le mani soddisfatto: «L'ultima
pazzia. Poi correrò da te, Rea, e metterò la testa a posto. Ce la
farò, da solo». Convinto ed irremovibile. Poco tempo dopo, il
campanello suonò per la prima volta: era Fred; l'omone abbracciò il
bassista e gli diede una sonora pacca sulla spalla. «Fai piano, che
cazzo!» si lamentò Nikki massaggiandosi
«Hai
ragione, scusa! Arriverà il giorno che...» il biker si immobilizzò
per un istante con gli occhi spalancati «Ma quanto cazzo sei
dimagrito?»
«Dici?»
fingere di cadere dal pero era la tattica migliore «Non mi sembra»
“Certo,
come no. Come puoi nascondere che, da quando non vedi più lei, i
pantaloni ti cascano, il tuo culo sente la forza di gravità, le
maglie ti stanno larghe e hai una faccia che sembra quella di un
cadavere, sia per il colore che per la carne che ci è attaccata? Te
ne sei accorto anche tu che ti stai degradando... solo che fai finta
di non vedere”.
«Sicuro
di sentirti bene?» Fred si fece scuro in viso
“Ovvio
che non mi sento bene”. Nikki si morse la lingua per evitare di
dire la verità: «Ma certo»
«E...
la ragazza, quella che ti avevo portato al concerto? Ti vedi ancora
con lei? Non ti dice niente per come sei combinato?». L'impulso di
rompere sulla testa di Fred una bottiglia di gin era diventato
irrefrenabile; fortunatamente, l'acuto suono del citofono frenò
appena in tempo il nervosismo di Nikki. Pete, il suo vicino di casa,
lo aspettava sulla porta in compagnia di due stangone bionde con i
seni rifatti: «Ehi amico! Ho pensato che per il tuo festone due
ballerine del Cathouse fossero indispensabili ad allietare
l'atmosfera». Aveva un sorriso smagliante e guardava estasiato il
corpo delle due ragazze non troppo vestite. “Questo si sta
ammalando della Vince-Neil's Syndrome! Inizia a non poter più fare a
meno del sesso”; Nikki lo salutò a denti stretti, non esattamente
contento che quelle due entrassero in casa sua. Pete spinse in avanti
le due ragazze: «Salutate il mio amico»
«Ciao
dolcezza» sospirò una delle due poggiando le sue tette in silicone
al petto del bassista «sono Melanie... che ne dici se dopo beviamo
qualcosina insieme?». Nikki non fece in tempo a risponderle che non
ne voleva sapere, quando l'altra bionda gli prese di forza il viso
fra le mani e gli leccò avidamente le labbra. “Ma che cazzo!”
con tutta la forza che aveva in corpo, spinse via schifato la ragazza
che andò a sbattere contro lo stipite della porta d'ingresso: «Tu
non mi rompere i coglioni, chiaro?» poi si girò a guardare l'altra
che era rimasta pietrificata «E tu pure. Stuprate il mio amico, non
me». Sputò a terra e si girò per andare verso il bar a prendere
qualcosa da bere per levarsi dalla bocca il sapore di quella perversa
lussuria, mentre le ragazze starnazzavano fra loro alle sue spalle
che quello era uno stronzo; ma, stranamente, non gliene fregava un
tubo di quei commenti. Fosse stato qualche anno prima avrebbe dato
loro molto più peso, ma la sua visione delle cose era cambiata con
il tempo; qualcuno, e sapeva benissimo chi, gli aveva fatto
apprezzare quant'era bello essere amati per quello che si è
realmente e non per il ruolo che si ricopre. Quel qualcuno gli aveva
fatto capire che, molte volte, valeva di più una carezza fatta con
la punta delle dita piuttosto che una palpata a mano aperta. Quel
qualcuno gli aveva anche fatto realizzare che un bacio si dà perchè
si vuole trasmettere amore; un bacio non va sprecato per fare
iniziare una scopata. È un contatto troppo intimo. Mentre era
intento a riempirsi un bicchiere con del Jack, Pete gli mise una mano
sulla spalla: «Ehi, che ti succede? C'è qualcosa che non va?»
«Cosa
te lo fa pensare?» Nikki si girò a fissarlo con occhi glaciali
stringendo il bicchiere fino a farsi diventare le unghie bianche
«Insomma...
ti ho portato due belle topolone... e le lasci completamente a me!
Normalmente, la prima botta spetta sempre a te e...»
«Senti,
non mi piacciono, ok?». Buttò giù tutto d'un fiato il whisky ed
uscì in giardino per fumarsi una sigaretta. Il cielo iniziava a
velarsi dei colori della notte, le nuvole erano rosa e la parte più
bassa stava divenendo arancione; si portò la sigaretta alle labbra
ed inspirò fino a riempirsi i polmoni di fumo. Poi chiuse gli occhi
cercando di isolarsi dal mondo esterno ed espirò lentamente aprendo
leggermente le labbra da cui uscì una nuvoletta grigia allungata.
Ripensò a quello che aveva letto pochi giorni prima su una rivista
riguardo “il rito della sigaretta”: l'atto di portare alle labbra
il filtro e succhiare letteralmente il fumo da esso revocava
pienamente la suzione dal seno materno. E, ironia della sorte, anche
il bacio aveva la stessa funzione. Scosse con il pollice il filtro
facendo cadere la cenere poco distante dai suoi piedi: “Dunque...
baciare Rea è come fumare la sigaretta? E il tutto riconduce a
quando io ciucciavo avidamente dalle tette di mia madre. Mia madre...
chissà come sta... porca vacca, basta! Ho già abbastanza cazzi per
la testa, ci manca solo lei”. Altra boccata ristoratrice di
anidride carbonica mista a catrame: “In pratica, tecnicamente,
fumare una sigaretta e baciare Rea dovrebbero portarmi allo stesso
grado di soddisfazione”; il bassista fissò dubbioso la carta
bruciare e la piccola bava grigia che si innalzava dritta come uno
spaghetto dalla sigaretta. Scosse la testa e spense il mozzicone nel
posacenere: “Che stronzata. Fumare una Marlboro è appagante come
baciare. Ma chi è che scrive queste cagate?”. Rientrò
nell'abitazione passando per la porta a vetri e fissò l'atmosfera
che si stava creando: Fred si era comodamente sistemato sullo
sgabello davanti al bar e stava sorseggiando lentamente del Martini,
mentre Pete e le due sventole erano sul divano a ridacchiare fra di
loro intanto che le mani dei tre scivolavano maliziosamente sui corpi
altrui. Nikki sghignazzò sottovoce; dopotutto era quello l'ambiente
che si doveva creare. Il campanello suonò di nuovo e sulla soglia
apparvero Slash e Duff: «Ciao fratellone Sixx!»; il mulatto lo
circondò con le sue braccia possenti mentre Nikki allungava la sua
mano destra per stringere quella del biondo ossigenato: «Siete solo
voi due?»
«Per
adesso sì» Duff si sfilò gli Aviator neri infilandoseli
nella tasca della camicia bianca che indossava sbottonata fino a metà
petto
«Steven
ha detto che ha avuto un mezzo casino» aggiunse Slash «comunque,
tranquillo che arriva». I tre si diressero verso il soggiorno dove
c'erano già gli altri ospiti; non appena entrarono nel locale, Slash
picchiò i tacchi dei suoi stivali texani contro il pavimento: «Dico,
amico: ma sei scemo?». Un silenzio agghiacciante calò nella stanza;
tutti si immobilizzarono e si voltarono a fissare il riccio che,
imbronciato, guardava il padrone di casa. Nikki inclinò la testa di
lato: «Scemo... per cosa?»
«Ma...
merda! Mi inviti a casa tua, dici che c'è un festone megagalattico,
arrivo e... manca l'ingrediente principale per la buona riuscita di
una festa del genere!». Duff guardava il compagno di band con la
fronte corrugata: «Saul... stai bene? Sai che, per quanto riguarda
la roba, non c'è da preoccuparsi»
«Lo
so!» Slash, disperato, immerse i polpastrelli nei suoi vaporosi
ricci «Ma... ma... Duff, dico, hai visto? Ci sono solo due donne...
QUI MANCA LA PATATA, DOV'E' LA PATATA?». Nikki deglutì
rumorosamente: “Bene, è ufficiale. Sono l'unico essere vivente qui
dentro che non è sessualmente attivo. La cosa più assurda è che,
però, non ne sento l'esigenza. Cioè, ne sentirei l'esigenza se
avessi una persona in particolare, ma... non avevo proprio pensato al
fatto che i miei ospiti avrebbero voluto sbizzarrirsi”
«Sixx,
il barboncino ha ragione» Fred poggiò rumorosamente il bicchiere
vuoto sul piano di legno «c'è bisogno di più donne»
«Ehi,
a chi hai detto barboncino, King Kong dei poveri?» Slash fece per
dirigersi minaccioso verso Fred ma Duff lo bloccò per la manica
della giacca in jeans. In quel momento, Melissa scattò in piedi e
squittì: «Nessun problema. Ora io e Kathy chiamiamo il Cathouse e
invitiamo qui altre nostre amiche» poi si girò verso Nikki e,
ancheggiando sensualmente, si avvicinò al suo orecchio per
sussurrarci: «Possiamo, vero?». Di nuovo il senso di repulsione si
impadronì delle membra del bassista; Melissa non era brutta,
tutt'altro. Era estremamente avvenente e sexy, eppure c'era qualcosa
che non andava in lei; era vuota. Nikki fece un cenno con il capo:
«Il telefono è là dietro» e poi si sbrigò ad allontanarsi da lei
«Ragazzi, chi vuole un po' di polverina magica?»
«Noi!»
le mani dei due musicisti dei Guns N'Roses si alzarono nello stesso
istante. Nikki sorrise; in quel momento preferiva di gran lunga la
compagnia di un amico e della droga piuttosto che la vicinanza di una
femmina. Fece per girarsi per entrare in cucina, quando la voce di
Slash richiamò la sua attenzione: «Però mi devi prestare la tua
carta di credito gold»
«E
perchè mai?» il bassista lo guardò di sottecchi
«Perchè
le strisce vengono meglio... e poi fa più figo tagliarla con una
tesserina dorata»
«Non
ascoltare le cazzate che dice» Duff tappò la bocca di Slash con una
mano «tira fuori la roba e basta. Che il delirio abbia inizio».
*
* *
La
droga era entrata in circolo in tempo record ed altrettanto in fretta
erano arrivati i “rinforzi” dal Cathouse; cinque pantere bionde
dai seni in silicone avevano varcato la soglia della grande villa e
si stavano dando da fare per risollevare gli animi e soddisfare gli
appetiti di quegli uomini che, ormai, erano talmente fatti ed
ubriachi da non saper distinguere la destra dalla sinistra. Slash, da
bravo furbone, si era preso quella con il davanzale più prosperoso
e, in tempo zero, si era buttato sul letto della stanza degli ospiti
insieme a lei; anche Fred non aveva perso troppo tempo andando a
rinchiudersi in un bagno con una spogliarellista che portava un
assurdo taglio di capelli. Diceva che il capello corto alla Billy
Idol su una donna gli faceva un sesso incredibile. Pete
continuava a intrattenersi con Melissa e Kathy in maniera piuttosto
spinta sul divano mentre Duff si era buttato a terra per farsi
massaggiare la schiena dalla ballerina più giovane. Nikki era
l'unico che era rimasto al tavolo, a fissare il piano ancora cosparso
di piccole nuvolette di cocaina; si sentiva dannatamente nervoso: “A
quante strisce siamo arrivati?” una vocina gli rimbombò nella
testa. Stringendo i pugni, il bassista cercò di fare mente locale:
“Dunque... una con Duff... la seconda con Slash... poi...” i
ricordi iniziavano ad accavallarsi paurosamente; inspirò
profondamente sentendo i muscoli tremare: “Dicevamo: la prima con
Duff, poi Slash... dopo...” buio. Un pugno secco sul piano di teak;
un porca puttana sibilato fra gli incisivi. “Duff, Slash... poi...
poi...”
«Ehi
amore» una mano gli accarezzò delicatamente il braccio; Nikki si
voltò verso la ragazza con gli occhi iniettati di sangue e i denti
stretti. La biondina arretrò di qualche centimetro impaurita:
«Vuoi... vuoi da bere?»
«Lasciami
stare». Diretto e chiaro. La ragazza nemmeno provò a ribattere; era
stato così brusco nei modi che era meglio stare a distanza di
sicurezza. Nikki si passò la mano destra nei capelli imbrattati di
lacca: “Ce n'è stata anche una terza... lo so” ma proprio non
riusciva a collegare la sniffata con il viso di qualcuno. E questo lo
innervosiva parecchio; la situazione gli stava scappando di mano e
non poteva davvero permetterselo. Forse era giunto il momento di
iniziare con l'eroina; aveva preso troppa coca ed era eccessivamente
su di giri. Si alzò barcollante ed afferrò una delle tante bustine
di persiana riverse sul tavolo e si diresse verso la candela che
troneggiava sul tavolo della sala da pranzo in mezzo alle ciotole di
salatini ormai completamente svuotate. Dalla tasca dei pantaloni tirò
fuori la solita siringa e il solito cucchiaio e si mise a trafficare
proprio sopra la fiamma; il polso gli tremava così forte che
sembrava avesse il Parkinson: “Porca puttana, sono veramente fuori
se non riesco nemmeno a governare i movimenti... se solo riuscissi a
ricordarmi con chi mi sono fatto la terza striscia...”. L'acuto
suono del campanello lo fece sobbalzare; il cucchiaio gli scivolò
dalle dita e finì sulla tovaglia, riversando il liquido ocra senza
che ci fosse possibilità di recuperarlo. Il bassista iniziò a
vedere rosso: «Fanculo, fanculo, FANCULO!»; diede una spinta al
tavolo verso il muro e si diresse verso la porta d'ingresso
picchiando i piedi ad ogni passo e aprì la porta incurante di chi ci
fosse lì ad aspettare: «Brutto stronzo, ti sembra il momento per
suonare? Mi stavo preparando la dose, cazzo... ED E' FINITA SULLA
TOVAGLIA!».
Steven
Adler rimase tramortito da quelle urla allucinanti: «Ehi... calma
amico» lo fissava con gli occhi fuori dalle orbite
«Maledetto
Popcorn!» Nikki gli diede le spalle per un momento passandosi
le mani sul viso sudato «Se avessi aspettato anche solo cinque
minuti a suonare quel cazzo di campanello...»
«Easy
Nikki, non ti preoccupare» il biondo gli fece l'occhiolino, poi gli
si avvicinò all'orecchio «posso fartene provare un po' della mia».
Sul viso del bassista comparve un sorriso ebete; stava per girarsi a
dare una pacca sulla spalla all'amico quando una voce acuta arrivò
dal fondo del vialetto che attraversava il giardino: «STEVEN! Vieni
subito qui, non ho ancora finito»
«Porco
cane... chiudi, chiudi!» il biondo si scaraventò sulla porta
scatenando un boato incredibile
«Ehi,
fai piano che mi distruggi la casa» Nikki era sbigottito. Nel
frattempo dall'esterno continuavano ad arrivare urla al limite
dell'isteria; Duff si avvicinò agli altri due strisciando i piedi:
«Lo sapevo che avresti combinato qualche casino». Guardava il
compagno di band con gli occhi carichi di disappunto.
«Non
voleva farmi uscire» fu l'unica spiegazione che Steven diede
«Ma
chi?» Nikki faticava a connettere
Apri,
stronzo, APRIIIIIIII! Alle urla
si erano anche aggiunti i pugni sulla porta. Duff arricciò le labbra
e scosse la testa: «Dai, deficiente di un Popcorn, falla entrare»
«Ma
chi?» ribadì Nikki che non riusciva a seguire il discorso
«La
mia ragazza Sixx, svegliati!» Adler gli rispose in malo modo, poi si
voltò per girare la maniglia. Come si creò un minuscolo spiraglio,
una furia platinata fece irruzione nella casa e prese il povero
batterista per i capelli, costringendolo a piegarsi in due: «Mi
avevi promesso che saresti uscito con me stasera, infame!»
«Ahia,
tesoro... lasciami. Posso spiegarti...» gli occhi di Steven
lacrimavano per il dolore
«E
allora, dai, sentiamo!» altro strattone della bionda.
“Ehi
Sixx... sbaglio o quella femmina ha un che di famigliare?” era
fatto come non mai, eppure non aveva avuto difficoltà a capire che
quello era un volto noto; assomigliava incredibilmente a qualcuno che
frequentava di solito. Mentre cercava di metterne a fuoco meglio i
lineamenti del viso, il suo cervello iniziò a passare in rassegna
tutte le persone che era solito vedere in quei giorni: la ragazza
della reception della sala prove... “no”
la
barista della caffetteria di fronte a casa sua... “no”
la
commessa del supermercato in fondo alla strada... “no”
«Il
fatto è che tu sei un approfittatore e preferisci passare del tempo
con i tuoi degni compari, ecco cosa!» la bionda alzò di scatto il
viso e si soffermò a bruciare Nikki con le pupille. In quel momento
capì: «Athena?» lo disse con il terrore che gli legava le viscere.
La
ragazza mollò istantaneamente la presa dai capelli di Steven:
«Nikki?».
Il
bassista si sentì come se avesse appena ricevuto una secchiata di
acqua gelida: “No, no, NO! Ecco a chi assomigliava, maledizione!
Hanno la stessa faccia, le stesse espressioni... io non invito T-Bone
qui a questa devastazione senza fine e chi mi si presenta alla porta?
La sorella... sono fottuto, fottuto!”.
«Sei
tu l'artefice di questa festa?» Athena Lee aveva le sopracciglia
leggermente aggrottate e aspettava impaziente una risposta. Al
bassista si impastò la bocca per il nervosismo: “Cerchiamo di
stare tranquilli, eh Sixx?”
«Sì...
sì, è casa mia e faccio la festa». Perfettamente logico.
Athena
annuì appena: «E... mio fratello?»
“Merda”.
Nikki stava iniziando a sudare freddo; le domande cominciavano a
farsi sempre più spinose. Ma proprio mentre stava per balbettare
qualcosa di insensato, il grido di una delle ballerine del Cathouse
attirò l'attenzione delle persone nell'ingresso: «Oh mio dio!
Poverino! Tesoro!». I tre ragazzi fecero capolino dal muro
dell'anticamera: Kathy aveva le mani nei capelli e osservava qualcosa
di bianco a terra.
«Spank!
Che cavolo hai combinato?» il bassista gridò isterico e corse verso
l'animale che giaceva a terra a pancia in su. Lo prese in braccio e
lo guardò tremante, un po' per lo spavento, un po' per la troppa
coca in circolo; aveva gli occhi fissi al soffitto e le fauci
spalancate. “Non sarà mica morto...”
«Che
cazzo gli hai fatto?» Nikki fissò Kathy con gli occhi iniettati di
sangue e le pupille troppo dilatate
«Niente,
giuro!» la ballerina si passò le mani sul viso sudato, visibilmente
preoccupata. In quel momento, il cervello del bassista continuava a
ripetere un solo pensiero: “Se è morto, Rea mi uccide”
«Allora»
la rabbia di Nikki aveva raggiunto livelli altissimi «mi volete dire
che cazzo è successo al mio cane?». Urlò le ultime due parole, per
enfatizzare ancor di più il concetto. Fu Fred a rispondere:
«Era
sul tavolo in cucina; leccava di gusto il piano. Credo che abbia
scambiato la cocaina per zucchero vanigliato»
“Zucchero
vanigliato?” il bassista si portò una mano alla fronte madida di
sudore “Che cane rimbecillito”. Proprio in quel momento Spank si
drizzò e diede una leccata al viso del padrone: «Bau! Bello
bimbo!»
«Me
l'hai fatta fare nei pantaloni, impiastro bianco!» Nikki, sempre più
nervoso, si asciugò la guancia impiastrata della bava del proprio
cane; era contento che Spank fosse vivo, però c'era qualcosa negli
occhi del suo amichetto peloso che non andava. Guardavano in giro in
modo troppo frenetico; poi qualcosa attirò l'attenzione del cane.
Spank scattò con la furia di un levriero verso il bar per fiondarsi
sopra alle due bottiglie di vodka ancora chiuse; ci sbattè contro ed
il liquido trasparente si sparse sul pavimento con uno schianto
incredibile. «Bau! Bau!» Spank continuava a correre intorno
al mobile con le zampe fradice di alcol, rimbalzando contro gli
sgabelli, quasi fosse una pallina di un flipper, abbaiando come non
aveva mai fatto. Nikki si tappò le orecchie: «Smettila, smettila!»
ma il cucciolo non lo stava ad ascoltare; fu Steven a salvare la
situazione, afferrando il cagnolino per la coda e legandolo alla sua
cuccia in giardino. Il bassista scosse la testa sbuffando: «Non
avrei dovuto lasciare la porta di servizio aperta»
«Ti
porto dell'acqua?» Melissa gli mise una mano sulla spalla mostrando
i suoi occhioni da cerbiatta
“Uau,
l'unica buona idea che questa Barbie ha avuto da quando è entrata in
casa tua” gli fece notare il cervello; «Sì, grazie». Si diresse
fiaccamente e con il capo chino verso il bar, incurante del fatto che
stava entrando con le suole degli stivali nella vodka e che avrebbe
poi avuto le scarpe appiccicose: “Capirai che disastro”; poggiò
il gomito destro al mobile e si sorresse il capo mentre abbassava
leggermente le palpebre. La stasi che si era creata dopo il casino di
Spank, lentamente, si dissolse; la gente riprese a muoversi per la
casa, a bere alcol e a corteggiare le ballerine. Vide Pete alzarsi
dal divano e barcollare in direzione dello stereo; il ragazzo si mise
a pasticciare un po' con le manopole finchè non trovò un emittente
che stava trasmettendo “Big In Japan” degli Alphaville.
Nikki lo fissò perplesso mentre il ragazzo cominciava a muoversi in
modo sincopato sul persiano ricoperto di mozziconi e Kathy si
aggrappava a lui, seguendo il ritmo della drum machine, quasi fosse
un palo per la pole dance; lo guardò in viso: sorrideva giulivo e
urlava: «Melissa! Vieni a sculettare un po' con noi»
“Melissa?
Ah... deve portarmi l'acqua” gli occhi verdi di Nikki passarono in
rassegna il locale, ma non c'era traccia della ballerina “Che
strano... non ci vuole poi tanto a riempire un bicchiere”
«Dove
cazzo è Steven?» la voce stridula di Athena lo distolse dai suoi
pensieri
«E'
fuori con il cane» ringhiò il bassista; non vedeva l'ora che la
sorella del suo batterista se ne andasse da casa sua
«Sì,
ma non ci vuole mezz'ora per portar fuori una palla da pelo e legarla
alla cuccia».
Athena
aveva tremendamente ragione; fu proprio in quel momento che Nikki
iniziò ad annusare nell'aria l'odore di un disastro imminente:
“Melissa non mi ha ancora portato l'acqua... Popcorn è sparito.
Popcorn, per portare fuori Spank, deve passare dalla cucina...
Melissa è andata a prendere l'acqua proprio in cucina. Popcorn
fatica a tenere l'uccello nei pantaloni... Melissa fatica a
nascondere la patata nelle mutande. Nove a dieci che quei due stanno
combinando qualcosa. Merda”. Il moro voltò il capo verso Athena
con l'intenzione di intavolarci un discorso per coprire il più
possibile l'amico, ma la bionda era già partita spedita in direzione
della cucina: “Ecco che inizia l'apocalisse”. Proprio mentre gli
Alphaville scemavano dalle casse dello stereo, Athena levò un acuto
che avrebbe potuto scheggiare un lampadario di cristallo: «Steven,
sei un PORCO!»
“Here
we go!” ecco che si accendeva il neurone del sarcasmo. Melissa
lanciava piccoli gridolini mentre Steven imprecava contro Athena
perchè gli stava tirando nuovamente i capelli; poco dopo la
spogliarellista uscì correndo dalla cucina sotto gli sguardi di
tutti gli invitati intanto che si sistemava il perizoma. Nel
frattempo, Athena assestò quello che sembrava uno schiaffo a mano
aperta sulla guancia di Popcorn: «Sei la persona più inaffidabile
dell'universo!»
«Finitela,
cazzo!» Nikki aveva superato il limite massimo di sopportazione;
tutti si voltarono a fissarlo con gli occhi sgranati mentre lui
cominciava a camminare a passo spedito verso il suo bagno personale
«Se fossimo rimasti noi uomini da soli, di certo, ci saremo
risparmiati queste rotture di coglioni. Slash! SLASH! Come cazzo ti è
venuto in mente di chiedere più figa? Vai a farti fottere,
stronzo!». Sbattè la porta del bagno con forza: “Così sanno che
non devono entrare qui dentro... non vedo l'ora di domani mattina,
quando se ne saranno andati tutti”. Stava diventando esageratamente
misantropo; tutta colpa della troppa cocaina, del troppo Jack, delle
spogliarelliste, di Slash, di Steven e, soprattutto, di Athena. Il
viso gli si deformò in una smorfia d'odio: amava tanto il suo amico
T-Bone quanto odiava la sorella; l'uno era mitico, l'altra era
insopportabile. Si appoggiò al bordo del lavandino e sfilò dalla
tasca l'eroina che gli era avanzata e il suo accendino, poi prese una
siringa nuova dal mobiletto con le ante a specchio ed un batuffolo di
cotone; trasse un respiro profondo ed iniziò a cuocere un po' di
china white: “Deve essere un addio in grande stile, no? Quindi ci
vuole la miglior qualità di merda”. Sembrava un gioco di parole
assurdo. L'eroina si sciolse in un batter d'occhio ed ancor più in
fretta Nikki l'aspirò con lo stantuffo: “Un decimo della fatica
che faccio di solito”. Sorrise fissando il liquido biancastro
all'interno dell'ampolla; bisognava solo cercare la vena giusta dove
inoculare il liquido dei desideri. Il bassista si guardò le braccia
sconcertato: non c'era una vena in condizioni decenti, la maggior
parte erano tutte collassate; sembrava che avesse la leucemia,
talmente tanti erano i lividi che gli decoravano gli avambracci.
“Nikki Sixx alla ricerca della vena perduta”; si guardò allo
specchio e per poco non si spaventò del proprio riflesso: uno zombie
sarebbe stato decisamente più affascinante di lui. Accese le piccole
lampadine che circondavano lo specchio e lo spettacolo diventò ancor
più raccapricciante: era bianco come un cadavere con delle profonde
occhiaie scure che gli circondavano gli occhi verdi spenti e
appannati; i capelli erano disordinati ed unti. “Quanto tempo è
che non mi faccio la doccia?” non se lo ricordava nemmeno; fece
spallucce al suo riflesso, inclinò il capo a sinistra e si iniettò
la droga in una delle vene del collo. Come finì di abbassare lo
stantuffo, tutto il corpo fu investito da un caldo terribile e la
testa iniziò a girargli più veloce di un uragano; fece appena in
tempo a voltarsi che vomitò tutto l'alcool che aveva trangugiato
fino a quel momento nella vasca. Fu una rimessa dolorosa che lo
costrinse ad urlare per il male allo stomaco; dopo tre conati aveva
riversato nella vasca tutto quello che aveva bevuto nelle ore
precedenti. Dopo aver guardato quella schifezza per alcuni secondi
senza nemmeno aprire il rubinetto per farla defluire nello scarico,
Nikki poggiò la fronte sul bordo della vasca sentendo tutto il corpo
che iniziava ad intorpidirsi. Ogni suono era ovattato e lontano: il
vociare delle persone nel soggiorno, Slash che scopava nella stanza
degli ospiti... la porta che, aprendosi, scricchiolava lievemente.
«Santo
cielo, che schifo!» una voce femminile arrivò a solleticargli le
orecchie da un'altra dimensione
«Nikki,
ma che cavolo hai combinato?» la ragazza gli aveva messo le mani
intorno al costato e stava cercando di tirarlo su. Lui fece per
ribattere, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una parola. «Tirati
su, collabora per la miseria» gli parlava quasi spazientita; il
bassista fece per alzare la testa, ma l'eroina era così forte che
l'unico movimento che riuscì a compiere fu una leggera rotazione del
capo, però fu sufficiente per vedere Athena che si sforzava per
rimetterlo in piedi, mentre lei si faceva passare il suo braccio
intorno al collo. La ragazza fece uno sforzo immane, al termine del
quale Nikki era attaccato precariamente alle sue spalle e barcollava
vistosamente; si scostò una ciocca bionda dalla fronte: «Vieni che
ti porto in camera»
“Camera?
No, io voglio stare qui, da solo”. Nikki cercò di riferire quel
pensiero, ma era così fatto che biascicava paurosamente; nel
frattempo, la sorella del suo batterista si impegnava per fargli
mettere un piede davanti all'altro evitando che finisse con la faccia
per terra. “Sono così fatto che non riesco nemmeno a opporre
resistenza... cavolo, quant'è forte sta roba...”
«A...
Athena...» parlava come se avesse avuto la bocca anestetizzata «p...
porfami...»
“Dillo!
Portami indietro, che cazzo! Non ci vuole una laurea!” ma era già
troppo tardi; ormai lei lo aveva già adagiato sul letto della sua
stanza e gli stava togliendo gli stivali. Mugugnò e scosse la testa
per disapprovare quello che la ragazza gli stava facendo, ma lei non
si accorse, un po' perchè le luci erano soffuse, un po' perchè era
intenta a fargli la predica: «Testa dura, era proprio necessario
combinare un casino del genere?». Voleva risponderle che: “Sì, è
necessario, perchè ho deciso di smettere. Perchè rivoglio indietro
la mia ragazza. Perchè voglio smetterla di comportarmi come un
bambino capriccioso. Per questo necessito di una festa d'addio in
grande stile” però era così sedato che tutto quello che gli uscì
di bocca fu: «Shi... voglio... ragassa». Fece per girarsi sul
fianco e mettersi a dormire “tanto conciato come sono non posso
fare un granché”, quando Athena si accomodò di fianco a lui
poggiando il gomito sul guanciale: «Vuoi una ragazza Nikki?»; lo
disse con tono suadente, velato di malizia. Il bassista bofonchiò
qualcosa di indecifrabile: “Questa proprio non ha capito una
mazza”, ma Athena si accoccolò ancora più stretta a lui: «Posso
essere io la tua ragazza stanotte». A Nikki vennero i brividi: “Per
carità, no! No! Ma chi ti vuole!”; con una mano si coprì il viso
cadaverico e cercò di girarsi dalla parte opposta. Athena, però, fu
più veloce di lui e lo bloccò, sedendosi a cavalcioni sul suo
bacino: «Tanto... a Steven non dispiacerà se io mi diverto con te»;
sorrise nella penombra facendogli l'occhiolino e poi si chinò per
iniziare a slegargli i lacci dei pantaloni in pelle con i denti. Se
fosse successo qualche anno prima, la cosa non gli sarebbe
dispiaciuta affatto, anzi, non ci avrebbe impiegato molto per avere
due orgasmi di fila, ma in quel momento non voleva farlo e tanto meno
con lei: “A Steven non dispiacerà che ti diverti con il mio
pisello, ma a me sì! E poi chi lo sente tuo fratello domani mattina?
Già mi immagino che mi chiama isterico alle dieci sbraitando come un
fagiano, incazzato come un puma, perchè tu sei stata a letto con me
e, soprattutto, perchè non gli ho detto che facevo una festa. Che
poi... i fagiani sbraitano? E i puma si incazzano?”. Non era quello
il momento di porsi domande esistenziali come quelle; in quel
frangente era più opportuno catapultare Athena giù dal letto e
cadere addormentati in un nanosecondo, onde evitare complicazioni
inutili. Ma, dal momento che l'eroina gli era entrata in circolo,
Nikki non aveva più nemmeno la forza di alzare un braccio per
cercare di spostarle la testa dal suo inguine: “Maledizione”. Nel
frattempo che il suo cervello si disperava perchè, in quell'istante,
la sua forza fisica era pari a quella di un canarino, Athena gli
aveva tolto i pantaloni ed abbassato i boxer ed aveva cominciato a
prendere in mano il suo membro cercando di renderlo il più turgido
possibile; purtroppo per lei, dopo cinque minuti abbondanti di
movimenti di polso e carezze con il labbro inferiore, quello era
ancora ripiegato su se stesso: «Nikki...» la sua voce era venata di
frustrazione «cos'hai?». Il bassista si sentiva come se avesse la
testa nell'oblò di una lavatrice; guardò la ragazza con gli occhi
leggermente incrociati e mugolò: «Uh?»
«Dico...
che problema c'è?»
«Vedi...
il problema...» il ragazzo deglutì facendo schioccare la lingua «è
che tutta questa carestia nell'Africa sub sahariana... la fame nel
mondo... insomma, io ci penso. E se ci penso... poi mi deprimo»
“Ma...
che diavolo hai detto imbecille? Certo che potevi dire la verità,
no? Non sarebbe stato più semplice?”.
Nell'udire
quelle sciocchezze, Athena si alzò indignata dal materasso ed uscì,
senza proferire parola, sbattendo la porta. Nikki abbozzò un mezzo
sorriso e si girò sul fianco per mettersi a dormire: “Nonostante
l'idiozia... bravo Sixx”.
*
* *
Quando
la mattina dopo aprì gli occhi, Nikki si sentiva come se un'enorme
mietitrebbia gli fosse passata addosso; ogni singolo muscolo gli
doleva e si sentiva le ossa sbriciolate. Ci impiegò circa cinque
minuti per mettersi seduto senza sentire conati di vomito scuotergli
il diaframma. Alla fine si prese la testa fra le mani e rimase
immobile, respirando lentamente e in modo regolare, concentrandosi su
quello che doveva fare, anche se la frase che continuava a frullargli
nel cervello era: “Da oggi basta”. In un lampo si alzò,
incurante del calo di pressione che tentò di trascinarlo verso il
pavimento, e si mosse più veloce che potè verso la porta della sua
stanza; l'aprì deciso e si incamminò per il corridoio, diretto
verso il soggiorno, dove la sera prima i suoi amici stavano
festeggiando con il suo alcool e la sua droga. Li trovò svenuti,
tutti accatastati l'uno sull'altro, alcuni completamente nudi, altri
con indosso solo i pantaloni o la maglietta; le ragazze del Cathouse,
invece, indossavano solo le autoreggenti: “E per fortuna, di Athena
nessuna traccia”. Il fatto che la sorella del suo batterista se ne
fosse andata subito dopo il suo rifiuto di fare sesso con lei lo
distendeva incredibilmente. Nikki fece lo slalom fra i corpi stando
attento a non schiacciare le dita delle mani a nessuno ed entrò in
cucina per constatare che la droga era finita; sorrise soddisfatto:
“Missione compiuta”. Si aprì la bottiglia del succo d'arancia e
sgranocchiò qualche biscotto fissando il piano del tavolo sporco dei
rimasugli della cocaina della sera prima: “Quella roba con un colpo
di spugna viene via”; si sentiva realizzato. Aveva realizzato il
proprio sogno: liberarsi completamente di quella mistress che lo
teneva soggiogato a sé; chiuse la bottiglia del succo e la ripose
nel frigorifero: “Ora sono pronto per Rea... tempo di sbattere
fuori tutti questi stronzi da casa mia e mettermi a posto... poi
corro da lei”. Avrebbe preso la sua Honda Shadow, sgasato sul
Beverly Glen Boulevard infischiandosene delle pattuglie della
stradale, pronte a fermarlo per l'eccesso di velocità, suonato il
campanello di quella villa di Stone Canyon Road e sperato che lei gli
avrebbe aperto almeno il cancello; se lei avesse rifiutato, sarebbe
stato disposto a tutto pur di rivederla di nuovo negli occhi e dirle
che, sul serio, aveva smesso e che era stato un idiota a trattarla
come aveva fatto fino a quel momento. Si figurava mentalmente la
scena nei minimi particolari, quasi come se fosse un film che aveva
visto un milione di volte; riusciva a vedere perfettamente le iridi
indaco di Rea, i suoi capelli neri che riflettevano il sole, le sue
guance, i cespugli di fragole del suo giardino... probabilmente in
quel periodo stavano spuntando i primi frutti. Sorrise quasi commosso
ricordando la prima sera che erano usciti insieme a bere quella
margarita alla fragola, ma i suoi neuroni lo riportarono
prepotentemente nella sua cucina: “Non è il momento di perdersi in
fantasie. Inizia a buttare fuori tutti queste persone da casa tua e
poi ne riparliamo”. Si sfregò i palmi fischiettando allegramente,
poi uscì un attimo nel giardino sul retro e rientrò stringendo fra
le mani un grosso secchio di plastica; ridacchiando con la sua voce
roca, lo riempì quasi fino all'orlo di acqua gelida e poi lo
rovesciò violentemente su quella montagna di corpi stesi sul
persiano del soggiorno. Urla acute e grugniti si levarono nell'aria;
le ragazze si affrettarono a coprirsi i seni nudi intanto che i loro
occhi vagavano per il salotto alla ricerca dei vestiti finiti chissà
dove mentre i ragazzi si toglievano l'acqua dalle palpebre senza
curarsi dei propri genitali scoperti. Fu Slash il primo a protestare:
«Che grazia! Ma che cazzo, ti pare il modo di svegliarci?»
«Infatti!
Io mi aspettavo un caffè, almeno» incalzò Fred tossicchiando; poi
si girò con le sopracciglia aggrottate e grondanti d'acqua verso il
mulatto: «Scusa, ma tu non eri nella camera degli ospiti?»
«Esatto,
ero» Slash fece la linguaccia e si appiattì i ricci sulla testa.
A
Nikki cadde il secchio di mano: «Non mi dire che l'hai fatto di
nuovo!»
«Cos'è
che hai fatto ancora?» chiese Duff con la bocca ancora impastata dal
sonno. Slash si fissò i palmi delle mani per qualche secondo poi,
sempre tenendo il capo chino, bofonchiò: «Sai che quando sono
ubriaco perso poi...»
Steven
lo interruppe nel bel mezzo della sua confessione scoppiando
fragorosamente a ridere: «Hai pisciato ancora nel suo letto! Oddio,
adesso dovremo andare a comprarti perfino i pannoloni» sghignazzava
così forte che gli lacrimavano gli occhi «Slash è incontinente!».
Il
chitarrista tentò di mollargli un pugno sulla testa, ma Nikki lo
prese per i capelli e lo alzò di peso, facendolo irrigidire: «Sei
una merda, Slash!»
«Dai
amico, non ho fatto appost... ahi!» un altro strattone gli fece
digrignare i denti
«Adesso
tu vai di là e mi cambi le lenzuola... e se necessario mi lavi anche
il materasso!»
«Ehi
amico, non sono la tua domestica! Potresti almeno...» il mulatto
cercò di contrattare un'attenuante della pena, ma lo sguardo
iniettato di sangue del padrone di casa lo zittì istantaneamente.
Abbassò la chioma riccioluta e strisciò i piedi fino alla stanza
degli ospiti dove iniziò a disfare il letto. Nikki lo seguì con lo
sguardo, per assicurarsi che quello non sgattaiolasse via pur di non
fare il suo dovere, poi fissò con gli occhi sgranati gli altri che,
ancora, sedevano a terra: «Fuori». Tutti rimasero a bocca aperta;
fu Pete il primo a trovare il coraggio di ribattere: «E la
colazione?»
«C'è
una pasticceria ad un miglio da qui» il tono di voce di Nikki era
ancor più glaciale dell'acqua che aveva versato su di loro. Fred
capì istantaneamente che non era il caso di ribattere; conosceva fin
troppo bene il bassista, ci aveva passato mesi interi in tour, e
sapeva benissimo che quando parlava in quel modo bisognava solo
eseguire. Con un cenno del capo fece segno a Duff, Pete e Steven di
seguirlo verso l'ingresso, dopo aver raccattato tutti i loro vestiti
in silenzio; lo salutarono con un “Ciao” corale al quale Nikki
nemmeno rispose, perchè era intento a fissare in cagnesco Melissa
che lo pregava di offrirle la colazione, dato che era uscita senza
portafoglio. Dopo cinque minuti di piagnistei, il bassista esasperato
allungò verso la ragazza una banconota da cinquanta dollari: «Senti,
sparisci da casa mia, ti ho già sopportata abbastanza... e, già che
ci sei, offri pure la colazione alle tue colleghe»; prese la ragazza
per le spalle e la spinse verso il vialetto del giardino, rischiando
di farla rotolare sulle mattonelle, poi chiuse la porta a chiave
sbuffando scocciato. Si passò le mani sul viso, sentendosi ancora
gli occhi impastati dal sonno: “Ora mi manca solo da buttar fuori
Slash. Mi auguro che non mi abbia bagnato anche il materasso, sennò
lo faccio giocare alla bella lavanderina”. Strisciò svogliatamente
i piedi sul pavimento fino ad arrivare nell'anticamera, esattamente
di fronte all'orologio a pendolo: “L'una e mezza del pomeriggio...
altro che colazione, quelli devono pranzare”; fece spallucce e poi
si appoggiò allo stipite della porta della stanza degli ospiti.
Slash stava trafficando con le sue lenzuola e si stava disperando
perchè aveva macchiato il materasso; Nikki si accese una sigaretta:
«Devo ricordarmi di mettere un telo di plastica su quel dannato
letto. O meglio, devo ricordarmi di farti dormire fuori ogni volta
che vieni a casa mia a bere».
Il
mulatto si voltò verso di lui, con il viso completamente coperto dai
ricci neri: «Vero che ce l'hai la candeggina?»
«No
che non ce l'ho, testa di cazzo» il bassista aspirò abbondantemente
dalla sua Marlboro «però puoi sempre uscire a comprarmela. C'è un
24/7 appena girato l'angolo». Slash uscì dalla stanza con il capo
chino e prese cinque dollari dalla tasca della sua giacca in pelle.
«Ma
che fai? Esci senza maglia?» domandò Nikki facendo cadere un po' di
cenere a terra
«Beh,
è fine aprile, si sta bene» bofonchiò di risposta il mulatto;
stava per uscire, quando fece capolino dall'ingresso: «Ovviamente
dopo mi dai la mancia. Insomma, non sono la tua domestica». Sixx,
con la sua peculiare nonchalance, gli alzò il dito medio.
«Ok,
niente mancia». Slash chiuse la porta.
*
* *
Il
chitarrista ci aveva messo un po' a procurarsi la candeggina,
fortunatamente però il lavaggio era stato piuttosto veloce; alle tre
e mezza Slash se n'era andato da Van Nuys e Nikki era finalmente
libero. Libero di prepararsi nel modo migliore. Libero di farsi una
bella doccia per lavarsi via tutto quello sporco che si trascinava
dietro da giorni. Libero di spazzolarsi quei capelli annodati. Libero
di correre dalla sua Rea; “Sempre che tu ancora possa definirla
'tua', eh?”. Quel pensiero gli fece attorcigliare lo stomaco e gli
mozzò il respiro; non era il momento di pensarci. Doveva solo
spicciarsi, prepararsi al meglio e poi volare da lei. Si chiuse nel
box doccia ed aprì il rubinetto dell'acqua calda che lo colpì
dolcemente sulle spalle; buttò la testa all'indietro, lasciando che
quei piccoli ruscelletti gli accarezzassero il viso, ancora
incrostato del trucco delle riprese del video. Cominciò ad
insaponarsi il più velocemente che potè, ma notò con disappunto
che i suoi arti rispondevano in modo piuttosto ritardato agli ordini
che impartiva; iniziò ad innervosirsi: “Proprio adesso che ho
fretta... dai, cazzo!”. Il nervosismo aumentava esponenzialmente di
minuto in minuto, anche perchè ai muscoli ritardati ed indolenziti
si era aggiunto il naso che colava incessantemente; chiuse il
rubinetto e si affrettò ad uscire dalla vasca per prendere un pezzo
di carta igienica per pulirsi: “Neanche avessi il raffreddore o
l'allergia...”. Proprio mentre pensava quello, un brivido di freddo
gli scosse prepotentemente i muscoli delle spalle e della schiena;
Nikki inarcò dubbioso un sopracciglio e si voltò a rallentatore
verso lo specchio. “Che brutta faccia... ma nemmeno così brutta da
pensare che mi sia preso l'influenza”; si avvicinò per spiare
meglio il suo riflesso e notò con un certo disappunto di avere le
pupille più dilatate del dovuto: “Ok... forse poi così bene non
sto” si soffiò nuovamente il naso “mi conviene prendere
un'aspirina”. Cercò di tamponarsi i capelli con l'asciugamano
arrabbiandosi oltre misura per quei muscoli così stranamente
indolenziti e poi si diresse debole e su tutte le furie verso
l'armadietto delle medicine alla ricerca della mitica compressa
effervescente che lo avrebbe fatto star meglio. Dopo due minuti di
ricerca e di barattoli scaraventati a terra per il nervoso, Nikki fu
costretto a ripiegare sul tylenol; ingoiò la compressa con
una sorsata di acqua del rubinetto, poi si incamminò verso la sua
camera per scegliere i vestiti migliori da indossare. Erano solo
pochi metri, ma gli sembrò di percorrere miglia, per di più in
salita; la testa stava iniziando a girargli ed aveva sempre più
freddo: “Che cavolo mi sta succedendo?”. Quando arrivò poco
distante dal letto, vi si sedette sopra e si prese la testa fra le
mani; cercò di rimanere immobile, ma il suo corpo era scosso da
brividi sempre più violenti. Qualcosa decisamente non andava. “Sixx,
Athena ti ha attaccato l'influenza?” scosse immediatamente la testa
“Nah, stava meglio di me”; uno spiacevole senso di nausea stava
cominciando a riempirgli le guance. Il bassista diede un pugno al
materasso: “Merda! Prima il naso che gocciola, poi i brividi di
freddo, adesso la nausea... tutto così riavvicinato”; espirò
pesantemente dal naso: “Questa non è influenza”. Un brivido più
violento dei precedenti gli scosse le gambe e gli fece tirare un
calcio alla cassettiera che aveva di fronte; Nikki strizzò le
palpebre per il dolore mentre sentiva sempre di più il desiderio di
vomitare. Kicking the habit. “Che coglione...”. Si sporse
in avanti e vomitò il tylenol mentre stentava a tener fermi i
muscoli, scossi da spasmi sempre più forti: “Questo è l'inizio
del cold turkey”. Non l'aveva messo in conto; eppure era
così ovvio che l'astinenza si sarebbe fatta sentire molto presto.
Guardò la pozza verdastra a terra e, d'istinto, vomitò di nuovo; si
sentiva l'addome contratto e dolorante e continuava a scalciare come
un idiota, per quanto cercasse di rimanere il più immobile
possibile. Si lasciò cadere di fianco al letto mentre strizzava le
palpebre sentendo il dolore e lo sconforto che si impossessavano
delle sue membra: “Avanti di questo passo può solo peggiorare”.
C'era un solo modo per farsela passare; non era l'aspirina e nemmeno
il tylenol. La soluzione sarebbe stata chiamare Jason e dirgli di
portare un po' di eroina, anche quella di qualità più scadente: “Un
bel buco e passa tutto”. Però aveva giurato a se stesso che non
l'avrebbe più fatto; voleva rivedere Rea e doveva liberarsi della
persiana. Non si possono avere due donne contemporaneamente.
Lui aveva deciso; Nikki voleva la sua Fiamma. Iniziò a strisciare
sui gomiti con l'intento di tornare in bagno e darsi una sistemata,
ma un nuovo spasmo al ginocchio gli fece tirare un calcio allo
spigolo del comò: «FANCULO!». Cercò di raggomitolarsi su se
stesso per prendersi in mano il piede e massaggiarsi le dita, ma il
cambio di posizione non fu una grande idea; il bassista constatò con
disappunto che, se si piegava, l'addome prendeva a dolergli ancora di
più. Tirò un pugno al pavimento in preda all'esasperazione:
“Dannazione, ma perchè deve fare così male?”. Distese
lentamente il piede e poi riprese a strisciare verso la porta della
camera che sembrava distante miglia; Nikki era pienamente cosciente
che la sua percezione dello spazio era alterata e che più si
muoveva, più il senso di nausea cresceva. “Non va bene, non va
bene!” scosse la testa sempre più nervoso, cercando di trovare un
modo per rimettersi in piedi; cercò di fare leva sulle proprie
braccia, ma quelle sembravano non reggere minimamente il peso del suo
esile corpo. Si accasciò nuovamente sul pavimento, con il fiato
corto ed il cuore che pulsava al ritmo di un martello pneumatico:
“Ok, innervosirsi non serve a un cazzo... cerchiamo di fare un po'
d'ordine mentale”. La nausea peggiorava di secondo in secondo e, se
solo provava a muoversi, un nuovo conato di vomito gli faceva
rigettare quel poco che gli era rimasto nello stomaco. Nikki decise
di stare fermo dov'era arrivato e chiuse gli occhi portando tutta la
sua attenzione sul suo diaframma che doveva cercare di far funzionare
ad un ritmo più regolare; ma dopo cinque minuti di inutili tentativi
decise di lasciare perdere: gli spasmi delle gambe lo distraevano e
la testa sembrava una bomba pronta ad esplodere. Di tornare in bagno
non se ne parlava, di presentarsi da Rea in quello stato meno che
meno. Si sentiva sfinito. Si sentiva dannatamente stupido. Con la
vista appannata guardò il suo comodino; il telefono sembrava lontano
anni luce dalla sua portata. Allungò una mano nel vano tentativo di
afferrare il ricevitore, ma tutto quello che toccò fu aria. Il
bassista lasciò cadere la mano a terra in preda allo sconforto più
puro mentre cominciava a singhiozzare: “Telefono... dai, cammina!
Vienimi incontro, ti prego!”. Ma quell'apparecchio bianco lo
fissava da lontano, continuando a starsene immobile, al suo posto.
Nikki si portò frustrato le mani al viso mentre grosse e tossiche
lacrime gli corrodevano le guance e gli spasmi iniziavano a
prendergli anche le braccia: “Devo chiamare qualcuno... se sto qui
così come un coglione muoio. Ne sono certo”. Chiamò a raccolta la
poca energia che gli era rimasta in corpo e cominciò a strisciare
lentamente verso il comodino, totalmente incurante delle pozze di
vomito che giacevano sul pavimento; non gli importava se era appena
uscito dalla doccia e si era già insudiciato con i propri liquidi
interni. Quello che gli fregava di più in quell'istante era avere
qualcuno al suo fianco che, sul serio, poteva capirlo. Con uno sforzo
sovrumano si mise a sedere contro il muro e, mentre ancora la testa
gli girava come un tornado, riuscì a prendere in mano il telefono;
chiuse gli occhi per non vedere il mondo esterno centrifugare e
compose a memoria il numero di casa di Tommy. Dopo soli due squilli
la voce di Heather gli giunse all'orecchio: “Ma che cazzo! Sempre
lei deve rispondere?”; cercò di sembrare il più calmo possibile:
«Passami Tommy»
«Senti,
se gli devi chiedere di venire da te per farvi come due tossici la
risposta è no» Heather fece per abbassare il ricevitore ma Nikki si
mise a strillare dall'altro capo del filo
«Passamelo
e basta! Ho bisogno di lui! Lui non è solo tuo, hai capito? LUI NON
E' SOLO TUO MARITO, E' ANCHE MIO AMICO!». Si sentirono fruscii e
brusii, poi la voce di Tommy gli arrivò all'orecchio: «Che diavolo
hai, bro?». Stava per aggiungere di non fargli perdere troppo tempo,
dato che aveva a casa i suoceri per fare una grigliata ma la voce gli
morì in gola; dall'altra parte della linea, Nikki stava piangendo
come un bambino. Tommy rimase per un attimo a fissare il ricevitore,
poi si ricompose: «Ehi bro, ma che succede?»
«Aiutami»
Nikki sibilava, quasi non aveva la forza per parlare. Il batterista
non capì cosa l'amico gli stesse dicendo, ma realizzò che aveva
disperatamente bisogno di aiuto: «Senti, dammi al massimo trenta
minuti e sono da te». Chiuse la comunicazione e si voltò verso
Heather, che lo fissava alquanto contrariata; Tommy si passò una
mano nei capelli mossi: «Devo correre da Nikki. È un'emergenza»
«Emergenza
eh? Da quand'è che correre dagli amici per fare gli idioti si chiama
emergenza?» lei non aveva creduto a nessuna delle sue parole. Tommy
si infilò in silenzio gli stivali, poi fissò la moglie negli occhi
azzurro cielo: «Sta male. Molto. E so anche perchè. Ha bisogno di
me»
«Tesoro,
tu non sei la sua babysitter!» Heather cercò di prenderlo per un
polso, ma T-Bone era già schizzato verso la porta: «E' vero, non
sono la sua babysitter... ma se non gli chiamo io un dottore, quello
preferisce morire».
*
* *
Al
suo arrivo a Van Nuys trenta minuti dopo, Tommy aveva trovato Nikki
riverso sul pavimento di camera sua in preda al delirio e a degli
spasmi muscolari incontrollabili; appena l'aveva visto, il bassista
si era aggrappato ai suoi polsi ed aveva preso a piangere più forte.
Dopo ripetuti e faticosi sforzi, il batterista era riuscito a mettere
a letto l'amico: «Ma che cazzo ti è saltato in mente, si può
sapere?».
Nikki
continuava a tremare, ma si sentiva leggermente meno teso da quando
il suo “gemello” l'aveva raggiunto; si asciugò una lacrima con
il dorso della mano: «Voglio smettere T-Bone... voglio smettere».
Tommy
strabuzzò gli occhi: «Smettere? Tu che smetti?»
«Ma
mi sa che...» Nikki affondò la faccia nel guanciale singhiozzando,
poi urlò qualcosa di indecifrabile contro l'imbottitura. Tommy
scosse la testa sconcertato: «Senti bro, io ti voglio bene e lo sai,
ma magari se parli in modo chiaro forse riesco anche ad aiutarti»;
allungò la mano sulla spalla dell'amico, cercando di infondergli
conforto. Il bassista si voltò verso di lui, con gli occhi arrossati
e i denti stretti per il nervosismo; disse solo due parole: «Dammene
ancora»
«Ancora?»
T-Bone era sconcertato «Ma se mi hai appena detto che vuoi
smettere!».
Nikki
si portò le mani al viso, cercando di nascondere invano il fiume in
piena che gli stava esondando dagli occhi, e cominciò a parlare da
dietro quella microscopica barriera: «Io voglio smettere, ok? Io lo
so che voglio smettere. Lei mi ha detto che non si possono avere due
donne contemporaneamente e ha ragione. Così io ho scelto Rea... ma
non pensavo che potessi sentire così tanto la mancanza dell'altra».
I singhiozzi bloccarono il suo discorso; Tommy gli toccò il braccio,
cercando di fargli capire che lui era lì per fare l'amico, per
ascoltarlo e per aiutarlo. Nikki continuò: «Ho paura di non farcela
Tommy... io non ce la faccio... non ce la faccio a rinunciare. Mi
manca troppo»; afferrò l'amico come se si stesse aggrappando ad una
rupe per non cadere nel vuoto e poi lanciò la sua richiesta di
aiuto: «Ti prego... chiama Jason. Digli di portarmi un po' di
eroina. Qualsiasi qualità, non me ne frega. Basta che sia eroina».
T-Bone fissò la mano dell'amico che affondava i propri polpastrelli
nella sua carne; aveva le unghie bianche, talmente stringeva forte.
Rimase per un momento immobile di fronte a quell'esigenza; da una
parte avrebbe voluto dirgli di no, che avrebbe fatto un'enorme
cazzata a bucarsi ancora perchè ci sarebbe ricascato e sarebbe stato
ancora più difficile uscirne. Dall'altra, però, gli faceva una pena
infinita; vederlo ridotto in quello stato gli faceva sanguinare il
cuore e forse l'eroina era l'unico modo per avere un Nikki ancora
presente per qualche momento. Tommy sospirò sconsolato: «Se è
questo che vuoi...»; prese il telefono e chiamò Jason chiedendogli
di portare “il solito”, raccomandandogli di fare il più in
fretta possibile. Quando chiuse la conversazione, tornò a fissare
l'amico con uno strano senso di colpa; forse non avrebbe dovuto
dargli corda, forse avrebbe dovuto impuntarsi e dirgli: “No, cazzo,
adesso te ne stai senza per davvero”. Ma quanto sarebbe stato
produttivo?
«Bro»
lo sussurrò dolcemente, togliendosi i capelli dalla fronte «ma sei
sicuro di voler smettere davvero?».
Nikki
si limitò ad annuire con gli occhi lucidi.
«E
allora sai che io non posso fare niente?»
«Voglio
solo che mi aiuti» il bassista parlò con un nodo gigantesco che gli
chiudeva la gola
«Sì,
ok bro... io ti sto vicino, però non posso fare nulla. Tu hai
bisogno di un fottuto dottore» T-Bone gli diede una leggera pacca
sulla spalla. Nikki si limitò a sbuffare; non gli andava per niente
a genio di mettersi sotto metadone per l'ennesima volta. Tommy parlò
come se gli avesse letto nel pensiero: «Guarda che è l'unico modo.
Però stavolta devi farti il ciclo fino in fondo, non solo tre o
quattro giorni come le volte precedenti»
«Sai
perchè smetto prima? Perchè non fa niente, questa è la verità!»
il bassista tentò di protestare, ma T-Bone lo zittì con un cenno
della mano: «La verità è che tu non dai a quella roba il tempo
materiale per agire. Guarda che non è una pozione magica, cazzo, non
siamo nel mondo delle favole. Ci vuole tempo».
Tempo.
Sempre lui. Il messaggio del suo bro era chiaro: doveva avere
pazienza.
Don't give
up, it takes a while
I have seen this look before
La
cosa non gli piaceva affatto; lui voleva avere tutto. E subito. Non
voleva sprecare minuti, ore e giorni preziosi a sorseggiare un
sostituto della sua mistress; non voleva buttare nel cesso un mese ad
abbeverarsi di quella schifezza senza vedere la sua Fiamma. Se fosse
stato per lui si sarebbe presentato sotto casa sua anche in quello
stato indecente, anche a costo di fare la figura dell'idiota davanti
a lei e farsi sbattere definitivamente la porta in faccia. Ma non
sarebbe stata una scelta saggia. Alzò lo sguardo e trovò gli occhi
color nocciola di Tommy che lo fissavano; avevano uno strano
luccichio, sembrava quasi che volesse piangere anche lui. Il bassista
allungò la sua mano e strinse quella dell'amico; non disse nulla, si
limitò ad abbozzare il miglior sorriso che poteva permettersi in
quel frangente.
And it's
alright
You're not alone
If you don't love this anymore
I
hear that you've slipped again
I'm here 'cause i know you'll need
a friend
Se
c'era Tommy le cose assumevano una luce diversa; certo, se avesse
affrontato la riabilitazione con Rea sarebbe stato diverso, però
anche avere un amico al proprio fianco aveva dei vantaggi. Sapeva che
con lui poteva parlare di qualsiasi cosa, sapeva che poteva chiamarlo
a qualsiasi ora del giorno che lui avrebbe fatto del suo meglio per
dargli un consiglio sensato. Non era la prima volta che commetteva un
errore così stupido, ma se c'era il suo migliore amico pronto a
supportarlo, forse sarebbe stato più facile saltare al di là
dell'ostacolo.
And you
know that accidents can happen
And it's okay,
We all fall off
the wagon sometimes
It's not your whole life
It's only one
day
You haven't thrown everything away.
Solo
aveva bisogno di un mese. Un mese per ricominciare a capire come
vivere senza la sua mistress. Un mese per realizzare cosa davvero
poteva fare per riavvicinarsi a Rea, spiegarle tutto e farsi
perdonare. Un mese per riscoprire cosa voleva dire sentirsi vivo.
Take some
time and learn to breathe
And remember what it means
To feel
alive
And to believe
Something more than what you see
Il
prezzo da pagare era il metadone e la straziante attesa di rivedere
quegli occhi dalle venature indaco. Ma se avesse superato quella
prova, avrebbe potuto godere di quella visione per lunghissimo tempo.
I know
there's a price for this
But some things in life you must resist
In
quel momento, qualcuno suonò il campanello; di sicuro era Jason in
compagnia di un po' di eroina. Tommy, senza dire una parola, si alzò
dal materasso per dirigersi verso l'ingresso, ma la voce di Nikki lo
fermò poco prima di uscire dalla stanza: «Ci sono aghi puliti
nell'armadietto del bagno».
T-Bone
annuì e poi sparì per qualche minuto. Quando tornò con tutta
l'attrezzatura per la dose, il bassista lo fissò per qualche secondo
prima di infilarsi l'ago in vena: «Sono un coglione, vero?»
Tommy
fece spallucce: «Forse per chi non ti conosce»
Nikki
sfornò il suo solito sorriso sghembo: «Ma non è una grande idea
bucarsi ora...».
T-Bone
guardò quel sottilissimo tubicino metallico infilarsi sotto la pelle
di Sixx; rabbrividì: «Domani ti porto in clinica». L'amico annuì
in silenzio mentre sentiva una piacevolissima sensazione
impossessarsi dei suoi sensi. «E se fai storie ti ammazzo».
Il
bassista rimase immobile per qualche secondo a studiare l'ago che
aveva appena tirato fuori dalla vena, poi alzò lo sguardo verso
l'amico e sussurrò: «Ti voglio bene»
«Sei
uno stronzo» Tommy scosse il capo con un timido sorriso sulle labbra
«No,
sul serio» Nikki si stese sul letto sentendo montare sempre più
dentro di sé il benessere che quella sostanza gli dava «io voglio
uscirne. E se domani faccio storie per andare in clinica prendimi a
calci in culo».
Il
batterista sorrise sinceramente, poi gli prese la mano fredda nella
sua: «Anche io ti voglio bene, coglione».
NOTE:
Heather:
si intende Heather Locklear, ai tempi moglie di Tommy Lee.
Greyhound
bus: la compagnia di bus interurbani più grande del Nord America.
Gene
Simmons: bassista dei Kiss.
Slash:
nome d'arte di Saul Hudson, chitarrista storico dei Guns N'Roses.
Steven
Adler: batterista storico dei Guns N'Roses.
Pete:
vicino di casa, ai tempi dell'uscita di Girls, Girls, Girls, di
Nikki.
Duff
McKagan: bassista storico dei Guns N'Roses.
Cathouse:
club losangelino, famoso per avere ospitato diverse band del
movimento glam, a partire dal 1986 fino al 1993.
Aviator:
modello di occhiali della Ray-Ban.
Billy
Idol: cantante dallo stile punk famoso negli anni ottanta; portava i
capelli platinati a spazzola.
Popcorn:
soprannome dato a Steven Adler che, ai tempi, era solito mangiare
tonnellate di popcorn.
Alphaville:
gruppo tedesco di genere synth pop/rock con incursioni nella Neue
Deutsche Welle, famosissimo negli anni 80.
Tylenol:
medicinale a base di paracetamolo.
Cold
turkey: letteralmente “tacchino freddo”, con questa espressione
idiomatica si intende l'astinenza.
La
canzone che compare a fine capitolo è “Accidents Can Happen” dei
Sixx: A. M. di cui non posseggo i diritti.
Ragazzi,
io vi chiedo in ginocchio perdono per tutto il tempo che vi ho fatto
aspettare. Ci sono stati diversi eventi che hanno rallentato da
morire la produzione e l'uscita di questo capitolo, dallo studio,
alla laurea imminente, fino al lavoro. Ammetto anche che il capitolo
è di una lunghezza spropositata, quindi leggetelo a piccole dosi
(come ho già raccomandato nella premessa) o vi tirerete un colpo.
Garantito. Penso, senza ombra di dubbio, che questo sia il peggior
capitolo che abbia mai scritto dall'inizio della storia; primo perchè
è eccessivamente lungo e poi perchè è stato scritto nell'arco di
troppo tempo e, probabilmente, ha perso di mordente ed intensità. È
anche vero che la tematica di questo #21 è estremamente ostica:
abbiamo a che fare con una crisi d'astinenza e i sentimenti
contrastanti che l'accompagnano; per poter dare un'idea di ciò che
questo comporta, mi sono letta pagine e pagine di testimonianze di
chi ci è passato sul serio. È stata un'esperienza piuttosto
angosciante e spero di aver trasmesso al meglio anche a voi
quest'idea. Per quanto riguarda Rea non preoccupatevi: il prossimo
capitolo sarà interamente dedicato a lei; se vi state chiedendo “Ma
si rivedranno mai quei due lì?” la risposta è “Sì, si
rivedranno... ma le cose cambieranno parecchio”. In che misura? Non
ve lo dico. Ringrazio come sempre tutti quelli che mi supportano, che
leggono, che recensiscono, che mi mettono i like alla pagina di
facebook :) siete geniali. Come sempre aspetto i vostri commenti per
questo capitolo e se avete dei consigli o delle critiche, mi
raccomando, fatemelo sapere.
Un
bacio, Ellie
P.S.
A brevissimo sarà pronta anche la one-shot per il centesimo liker
della pagina facebook. Stay tuned!
|
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Capitolo 22 *** Through The Fire... To the Unexpected ***
22 Through The Fire... To The Unexpected
Faceva un
gran caldo quel 22 maggio ed in quell'aula della UCLA gremita di
gente lo si pativa ancora di più. Marzio era fieramente in piedi
davanti alla commissione intento a spiegare la dinamica del volo
rovesciato; la sua voce ed il suo discorso avevano completamente
ammaliato i professori che seguivano deliziati la discussione della
sua tesi. Dietro di lui, Bunny lo fissava estasiata; pareva quasi che
i suoi occhi azzurri si fossero trasformati in pietre preziose,
talmente scintillavano. L'unica che non stava prestando attenzione ad
una sola parola del ragazzo era Rea, intenta a fissare apatica il
nulla davanti a sè. Amy, dopo averla scrutata a lungo, le sfiorò il
braccio con un dito: «Fiamma, tutto bene?»; la bruna si voltò con
un leggero sorriso in volto e le fece l'occhiolino. Amy si passò
sconsolata una mano fra i capelli blu: "E' incredibile quanto
riesca a sopportare il dolore". Stava in silenzio Rea, ma si
capiva lontano un miglio che il fuoco dentro di lei si era quasi
estinto. Lei, che adorava tutto ciò che era in grado di volare, non
riusciva nemmeno ad interessarsi a quella tesi sul MIG 29. La
sua mente era completamente concentrata su altro: "Dove sei?
Come stai?". Quelle erano le uniche domande che da più di un
mese continuavano a frullarle in testa; due domande che si riferivano
alla stessa persona. Aveva ancora nitida nella propria testa
l'immagine di lui che le porgeva quel pacchettino e la implorava di
tornare con lui... quei meravigliosi occhi verdi che minacciavano di
spegnersi del tutto da un momento all'altro. "Nikki..."
quanto tempo era che non pronunciava quel nome ad alta voce? Abbassò
gli occhi indaco sulle piastrelle socchiudendo le palpebre; aveva
ormai esaurito tutte le lacrime che aveva in corpo, le aveva spese
tutte per lui in quel mese ed in quel momento non ne aveva più a
disposizione. Sospirò come se dovesse cercare di togliersi un peso
enorme dallo stomaco: “Mi manchi...”; si sentiva scema a dire che
le mancava dopo il trattamento che le aveva riservato in ospedale e
dopo che lui aveva ammesso che ancora usava eroina. Però era la
verità. Aprì la bocca cercando di articolare per se stessa chissà
quale discorso, quando uno scroscio di applausi le fece alzare il
capo di colpo; Marzio stava stringendo la mano di tutti i membri
della commissione e Bunny si asciugava gli occhi commossa. Era
finita. Rea vide tutte le sue amiche alzarsi e dirigersi verso il
ragazzo per congratularsi con lui; le seguì per inerzia, come se ci
fosse un magnete che la teneva attaccata a loro. Vide Amy
abbracciarlo e mettergli una mano sulla spalla: «Il massimo dei
voti... sei stato bravissimo»; lui sorrise soddisfatto senza dire
una parola, poi si avvicinò a Rea seguito dai movimenti sinuosi
della toga scura: «Allora? Che ne dici?»
«Che ne
dico?» si sentì spiazzata a quella domanda, così cercò di montare
su due piedi una risposta sensata «Grandioso come sempre. I miei
complimenti». Allungò la mano destra verso di lui, mostrandogli il
miglior sorriso che poteva permettersi in quel momento.
Marzio
esitò: «Scommetto che non hai seguito nemmeno una parola».
Rea abbassò
lo sguardo sentendo le guance avvampare per la vergogna: «Io...
scusa». Il ragazzo ridacchiò e l'abbracciò: «Non preoccuparti. Se
vorrai, ti presterò il mio elaborato da leggere quando avrai la
mente un po' più libera». La bruna annuì in silenzio, poi si
distaccò da lui per poterlo guardare negli occhi, ma mentre la sua
bocca stava per aprirsi e dire “grazie”, Bunny arrivò con la
furia di un tifone: «Ehi, voi due! Cosa state facendo?»
«Ma niente
amore mio» cercò di rassicurarla Marzio. Bunny si agganciò al suo
braccio e guardò piuttosto storto l'amica; Rea strinse i pugni e
fulminò la biondina: «Come diavolo ti salta in mente?»
«Lui è
mio» l'amica le fece una pernacchia
«E chi lo
vuole» ribattè la bruna lapidariamente «tienitelo».
Morea fiutò
che l'atmosfera si stava surriscaldando, così intervenne cercando di
tenere a bada entrambe le ragazze: «Ehi, calma! Adesso ce ne andiamo
a casa e mangiamo. Ho preparato delle tartine che sono la fine del
mondo»
«Oh sì!»
Bunny fece un saltino rimanendo ancorata al braccio di Marzio «Ho
una fame che nemmeno vi immaginate»
«Beh,
allora cosa aspettiamo? Andiamo, la principessa ha fame» rispose di
rimando Rea facendo girare intorno all'indice le chiavi della
macchina; poi, senza aggiungere altro, diede le spalle a tutti e si
avviò verso l'uscita con un umore a cavallo fra la delusione, la
rabbia e l'amarezza.
* * *
Per casa
aleggiava un odore invitante e tutti discorrevano del più e del meno
facendo tintinnare ad intervalli regolari i bordi dei calici colmi di
Cristal. Solo Rea se ne stava sola, seduta a bordo piscina, intenta a
fissare la fiamma di una candela immersa nei suoi pensieri: “Come
ha potuto?”. Ci era rimasta davvero male; sapeva che Bunny era
estremamente gelosa di Marzio, ma l'amica sapeva anche che, dal
momento in cui lei aveva conosciuto Nikki, non aveva più avuto occhi
per nessun altro. Non che Marzio le interessasse, anzi. Si soffermò
a guardare le bollicine che salivano allegramente verso la superficie
dello champagne e strinse il flûte
più che potè, rischiando di mandarlo in frantumi; poi, di colpo,
gettò nervosamente lo champagne nell'erba. Non riusciva ad
articolare una parola; in quel momento era solo capace di stringere i
denti per la rabbia e di sentire il proprio stomaco piccolo come una
nocciolina, talmente tanto era il nervoso che aveva in corpo. Un
tintinnio più acuto degli altri le fece girare la testa verso il
tavolo dove le persone stavano mangiando tutte le leccornie preparate
da Morea; Marzio picchiava con una forchetta sul proprio bicchiere
chiedendo l'attenzione di tutti: «Scusate l'interruzione» parlava
con la voce un po' tremante «ma come prima cosa vorrei ringraziare
tutti voi per essere qui a festeggiare questo mio traguardo e un
grazie speciale va a Rea, che ci sta ospitando tutti in casa sua». I
presenti, battendo le mani, si voltarono tutti verso la piscina dove
sedeva la bruna; Rea, di rimando, fissò la folla con sguardo
indifferente e nemmeno si alzò. Marzio intese il disagio della
ragazza e non insistette nemmeno con la sua richiesta di avvicinarsi;
si schiarì la voce e continuò: «Ma ora ho bisogno della mia
principessa». Sorrise in direzione di Bunny che, avvolta nel suo
abitino rosa, si avvicinò a lui traballando sui tacchi. Rea da
lontano scosse la testa: “E' incredibile. Non ha ancora imparato a
camminare con quelle scarpe”. Intanto la biondina aveva raggiunto
il proprio ragazzo e si era attaccata al suo braccio, un po' per
amore, un po' per paura di prendere una storta; gli occhi blu oceano
di Marzio si persero in quelli azzurro cielo di Bunny per qualche
secondo, poi lui, alzando il suo bicchiere disse: «E' ormai tanto
che stiamo insieme e volevo ringraziarti per il sostegno che mi hai
sempre dimostrato».
Gli
occhi di Bunny iniziarono a luccicare: «Ti amo, lo sai?».
Lui
sorrise: «Proprio per questo volevo chiederti se ti piacerebbe
venire a vivere con me». Ci fu un attimo di immobilità, poi la
biondina saltò al collo del ragazzo piangendo lacrime di gioia: «Sì
che vengo Marzio. Vengo con te». La folla esplose in un boato di
felicità e, nel frastuono, si udì Marta urlare di gioia mentre
stappava lo champagne. Rea, dal canto suo, fissava la scena da
lontano, come se fra lei e tutto quel rumore ci fosse un vetro
infrangibile; si studiò per un secondo le unghie smaltate di rosso
ripetendosi, come se fosse una filastrocca, la frase “Bunny va
via”. Le dispiaceva sapere che, a partire dal giorno dopo, lei
avrebbe iniziato a fare gli scatoloni con dentro le sue cose, eppure
in quel frangente la rabbia serpeggiava per l'animo della ragazza
inibendo qualsiasi altro sentimento.
Dall'altra
parte del giardino, Bunny si accorse che Rea non stava prendendo
parte ai festeggiamenti; anzi, ad essere sinceri, non aveva fatto una
piega dopo la proposta di Marzio, così si tolse le décolleté e si
avventurò nell'erba, verso la piscina. Quando fu a pochi metri
dall'amica la chiamo con voce flebile: «Rea?».
La
bruna si girò e la squadrò con gli occhi che ardevano come due
braci: «Cosa vuoi?».
Bunny
si portò la mano alla bocca, sorpresa: «Qualcosa non va, amica
mia?»; lentamente avvicinò la sua mano alla spalla della bruna, ma
Rea si alzò di scatto e le scansò il braccio: «Risparmiati
l'appellativo “amica mia”».
La
biondina tremò nel sentire quel ruggito; Rea continuò: «Se tu
davvero mi reputassi tua amica, sapresti benissimo che a me, di
Marzio, non frega assolutamente nulla!».
Bunny
tentò di giustificarsi: «Ma... sai come sono, no?»
«Certo
che lo so come sei» l'indice di Rea puntava dritto contro il petto
della ragazza «sei infantile e stupida!».
Gli
occhi azzurri della biondina si colmarono di lacrime mentre tutti si
immobilizzavano: «No, non è vero...»
«Se
non fosse vero, allora perchè mi hai fatto l'ennesima ingiustificata
scenata di gelosia?»
«Non...»
la voce di Bunny tremava almeno quanto il suo mento
«Lo
sai benissimo che a me importa solo di Lui e di nessun altro!» Rea
urlò con tutta la forza che aveva in corpo mentre una lacrima le
scendeva furtiva sulla guancia. Bunny scosse il capo: «Ma Marzio è
solo mio... so che non gli faresti nulla, ma mi dà fastidio che lo
abbracci».
Rea
vide rosso per qualche secondo, poi la sua mano destra si schiantò
così forte sulla guancia della biondina che quest'ultima perse
l'equilibrio e cadde in acqua. «Ma quando crescerai? Quando la
smetterai di ragionare come un infante?» la bruna le diede le spalle
e fece due passi verso la casa, circondata dallo stupore e dal
silenzio degli invitati; poi si voltò nuovamente verso Bunny che,
con l'aiuto di Marzio, stava uscendo dall'acqua e disse in tono
perentorio: «Sinceramente... non vedo l'ora che tu te ne vada».
*
* *
Aveva
guidato per circa venti minuti senza aprire bocca, facendo in modo
che il silenzio fosse il suo unico compagno di viaggio. All'inizio,
appena aveva acceso il motore, non aveva la benchè minima idea di
dove andare; poi, senza che nemmeno se ne accorgesse, si era
ritrovata di fronte al palazzo dove abitava Heles. Salì a grandi
falcate le scale fino al terzo piano; proprio di fronte alle scale,
una porta con la targhetta Mystic Wind plays with Holy Water
l'attendeva a braccia aperte. Suonò il campanello tenendo la testa
china, con i capelli corvini che le nascondevano il viso. Attese
pochi secondi, poi la porta cigolò e da dietro la catenella apparve
un viso dai lineamenti eleganti, incorniciato da capelli setosi:
«Aspetta solo un attimo» fu la risposta, poi l'uscio si richiuse.
Trenta secondi dopo, Heles riaprì, vestita con una tuta da
ginnastica gialla e blu: «Ma cosa ci fai qui?»
«Scusami
già da ora se ti ho disturbata» Rea alzò il capo per guardare
negli occhi la collega.
La
bionda spalancò gli occhi incredula: «Cavolo, che faccia che hai»;
poi aggiunse: «Comunque stai tranquilla. Anzi, entra pure; Milena
sta preparando il tè». Rea fece il suo ingresso nell'appartamento
con la coda fra le gambe, quasi come se si fosse pentita di avere
suonato; Heles la fece accomodare sul piccolo divano in tessuto
azzurro intanto che Milena appoggiava il vassoio con sopra tre tazze
colme di tè bollente. Fu proprio quella ragazza dai lineamenti quasi
regali a rompere il silenzio: «Heles ha proprio ragione riguardo i
tuoi capelli, sono fantastici»; Rea la guardò, leggermente rossa in
volto, e la ringraziò.
Heles
si intromise nel discorso: «Non mi hai ancora detto perchè sei qui.
Insomma, non è da te piombare in casa della gente senza un minimo di
preavviso».
Rea
studiò la superficie del liquido ambrato: «Ho avuto un diverbio. Un
acceso diverbio con Bunny».
Heles
aggrottò le sopracciglia: «Beh, direi che è piuttosto normale per
voi»
«Non
questa volta» la bruna poggiò la tazza sul tavolino basso del
salotto: «Le ho detto cose non vere e...» si vergognava come una
ladra ad ammetterlo «le ho anche dato una sberla». Per qualche
secondo fra le tre ragazze scese il silenzio, con Rea che si guardava
le punte delle scarpe ed Heles che la fissava con gli occhi
spalancati; fu Milena ad interrompere l'immobilità: «Non che la
sberla non le abbia fatto male ma... le parole tagliano più della
lama di una spada appena affilata. Che genere di cose non vere le hai
detto?»
«A
dire la verità» Rea si infossava sempre di più nei cuscini del
divano «le ho detto solo una cosa non vera» e così cominciò a
raccontare dell'episodio che si era appena concluso, senza
tralasciare la premessa dell'aula universitaria.
Al
termine del resoconto, Heles espirò pesantemente: «Forse sei stata
un po' troppo dura»
«A
dirle che non vedo l'ora che se ne vada? Beh, direi proprio di sì.
Anche perchè...» la bruna deglutì a fatica, sentendo che in gola
stava iniziando a formarsi un grosso nodo «non è vero. Io le voglio
bene davvero, non voglio che vada via». Respirò profondamente e si
passo nervosa una mano fra i capelli.
«Non
solo» Milena prese tempo bevendo un sorso di tè, poi guardò la
bruna negli occhi con sguardo penetrante, quasi volesse leggerle
l'anima «Io avrei anche evitato di dirle che è stupida ed
infantile. Tu la conosci da tanti anni e, credimi, non è bello
sentirsi dare dalla propria amica appellativi del genere. Anche se
lei, in fondo, è un po' infantile, non è carino farlelo notare»
«In
sostanza» Heles fece tintinnare il bordo della propria tazza contro
quella della compagna «le devi chiedere scusa. Lei sa benissimo che
per te esiste solo Nikki e sa altrettanto bene che mai ci proveresti
con il suo ragazzo; è solo un tantino gelosa, ma senza cattiveria».
Rea si guardò la mano destra, quella che aveva vibrato con forza
sulla guancia di Bunny circa un'ora prima; si sentì infinitamente
stupida: “Con che coraggio le ho detto che è infantile se io
stessa ho fatto una cosa che solo una bambina capricciosa poteva
fare?”. Sorrise debolmente sentendo gli occhi divenire umidi e si
alzò in piedi, sentendo che era giunto il momento di smetterla di
intromettersi nella vita di quelle due ragazze: «Grazie per avermi
ascoltata; ora, però, è meglio che me ne vada». Sentiva il bisogno
impellente di correre a casa per chiedere scusa alla sua “coniglietta
preferita”; non le importava come l'amica avrebbe reagito, la cosa
più importante in quel frangente era dimostrare che le era
dispiaciuto infinitamente. In silenzio, si avviò verso l'ingresso;
appena prima di aprire la porta, però, si voltò verso le due
ragazze in cerca di consiglio: «Cosa dite? Secondo voi... lo rivedrò
mai?». Milena si alzò dal divano e le andò incontro prendendole la
mano: «Ricorda che, nella vita, tutto torna»; le sorrise, come se
fosse sua sorella maggiore, accarezzandole la guancia. Poi la spronò
dolcemente: «Ora, però, corri dalla tua amica». Senza farselo
ripetere due volte, corse giù per le scale, come se stesse fuggendo
da un incendio, e salì in macchina infilando le chiavi al volo nella
toppa; si rimise in carreggiata mandando il motore su di giri e
cominciò a percorrere la strada a ritroso. Ben presto, però, fu
costretta a fermarsi ad un semaforo che aveva deciso di diventare
rosso giusto qualche metro prima che lei arrivasse alla riga
segnaletica orizzontale. Sbuffò nervosamente fissando in cagnesco
quelle tre lampadine colorate sospese sopra la sua testa: “Sembra
che lo faccia apposta. Tutte le volte che sei di fretta...”
«Diventa
rosso. È normale».
Rea
voltò la testa di scatto: sul sedile del passeggero, il nonno la
stava fissando divertito.
«Spione,
non si legge nella mente delle persone!»
«Ho
solo commentato la situazione, nulla di più» il vecchietto le fece
l'occhiolino.
«Come
hai fatto ad arrivare?» domandò la ragazza sbalordita
«Lo
Zippo ti è rotolato fuori dalla borsa, così ho deciso di farti un
salutino». Parlava come se quello che stesse dicendo fosse
perfettamente normale.
«Allora
fammi un favore: legati, che se ci becca la stradale siamo nei guai
tutti e due»; scattò il verde e la ragazza ingranò la prima.
«L'unica
che può andare nei guai sei tu, perchè sembra che tu stia parlando
da sola. Mi vedi solo tu Fiamma... e le tue amiche. Appaio solo a
queste persone. A proposito di amiche» il sorriso sul volto del
vecchietto sparì in un secondo «che diavolo hai combinato?»
«Un
disastro, lo so.» Rea si tolse una ciocca corvina dal viso «Ma sto
correndo a casa per sistemare il tutto il prima possibile»
«Vedi
di non oltrepassare i limiti allora» il nonno puntò l'indice contro
il tachimetro «non è il momento giusto per farsi ritirare la
patente». Rea scosse la testa, come per riprendersi da una botta, ed
allentò la pressione sull'acceleratore. Il vecchietto sospirò:
«Senti, ho assistito alla scena; ho visto tutto. Hai esagerato». La
ragazza non disse nulla, si limitò ad abbassare il capo mortificata.
«Sarò sincero con te: sarà davvero dura farsi perdonare»
«Lo
so» biascicò Rea
«Non
solo per quello che hai fatto a Bunny, ma anche perchè hai rovinato
la festa di Marzio. Dovrai scusarti anche con lui».
Già,
Marzio; Rea l'aveva quasi scordato che il tutto era successo durante
la festa di laurea dell'amico. Ma, soprattutto, il tutto era partito
proprio per un abbraccio che si erano dati lei e lui. La bruna si
mordicchiò il labbro: “La situazione è molto più ostica di
quanto pensassi. E lui che mi aveva pure ringraziata per avergli
lasciato la casa”. Si sentì ancora più male dopo quella
considerazione; doveva davvero mettercela tutta per sistemare al
meglio le cose. Doveva accantonare il proprio orgoglio, lasciarlo in
macchina appallottolato nel portaoggetti, ed andare in casa incontro
alle proprie amiche, che l'avrebbero fissata con sguardo inquisitore,
con il capo chino ed il petto oppresso dal senso di colpa.
Soprattutto doveva trovare Bunny, prenderle il viso fra le mani ed
accarezzarle la guancia che aveva percosso fino a non farle sentire
più il dolore che le aveva provocato, aiutandosi anche con le
parole, dicendole che, davvero, avrebbe preferito che fosse rimasta
con lei in quella casa e che no, non era infantile e stupida. E
naturalmente chiedere perdono a Marzio in qualsiasi modo. Ma più si
avvicinava al cancello, più un tremendo presentimento che tutto
sarebbe andato per il verso sbagliato si faceva sempre più nitido.
Non rimise la macchina nel garage, la lasciò fuori a lato del
marciapiede e spense il motore con il cuore che le batteva
all'impazzata; guardò per l'ultima volta il nonno, cercando di
trovare un minimo di supporto. Il vecchietto, dal canto suo, si fissò
le mani per qualche istante e poi, giusto un attimo prima di
vaporizzarsi, le disse: «Hai intenzione di rimanere ancora qui per
molto? Guarda che certe cose si correggono solo in un momento
preciso. Sbrigati». Rea guardò oltre il parabrezza il cono che gli
anabbaglianti disegnavano sull'asfalto: “Non è il momento di farsi
prendere dal panico”. Decisa spense le luci e poi si diresse verso
l'ingresso, stringendo fra le mani le chiavi di casa; dopo aver
esitato per un momento davanti alla toppa, ci infilò dentro la
chiave più lunga ed aprì. Trovò l'ingresso sorprendentemente
vuoto: “I bicchieri sono ancora sul tavolo... e ci sono i salatini
in giro. Non deve essere molto che la gente se n'è andata”. Entrò
in punta di piedi, come se fosse convinta che tutte le sue amiche
stessero dormendo profondamente, e si appoggiò dolcemente con la
schiena alla porta d'ingresso per chiuderla; come la serratura
scattò, una voce arrivò da destra: «Ah, eccoti finalmente». Rea
si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con una Marta
dall'espressione inferocita; la bionda fece un passo verso di lei:
«Di Bunny, proprio, non te ne frega nulla». Rea sgranò gli occhi
perplessa; Marta continuò: «Ti sembra il modo di trattarla? Solo
perchè tu hai le tue lune del cazzo?»
«Alt,
ferma un secondo» la bruna mise le mani in avanti per fermare
l'avanzata dell'amica «posso spiegarti tutto...»
«Cosa
devi spiegarmi? Che sei invidiosa di Bunny perchè lei ha il
fidanzato e tu no? Beh, fatti un paio di domande, no? Dopotutto, se
agisci così, pensi davvero di meritartelo un ragazzo?»
«Non
ho agito così per invidia, te l'assicuro» Rea fece un passo
indietro
«Dove
sei stata?» la voce di Morea le arrivò dalle spalle; la bruna si
girò e trovò l'amica che riportava in casa dal giardino le
bottiglie vuote.
Marta,
sempre più irritata, incalzò: «Allora, se non era per invidia,
perchè quello schiaffo? Perchè quella scenata?».
Rea
fece un respiro profondo, chiamando a raccolta tutta la sua pazienza:
“Non è davvero il caso che sbotti di nuovo. Marta è fatta così,
quindi... cerchiamo di mantenere la calma”; si morse il labbro e
cercò di spiegare: «Ascolta, tutto è partito da...»
«Cosa?
Il fatto che Marzio abbia chiesto a Bunny di andare ad abitare con
lui? Dimmi se questa non è invidia! O peggio, forse è egoismo!
Egoismo perchè tu vuoi che lei rimanga sempre qui con te a
sopportare le tue paturnie da single?» la bionda era talmente
infuriata che urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Rea cercò
di aprire bocca, ma si ritrovò ad annaspare come un pesce rosso
fuori dall'acqua. Morea, da dietro le spalle dell'amica, scosse la
testa: «Marta, smettila. Non le stai dando nemmeno la possibilità
di spiegarsi»
«C'è
veramente poco da spiegare» la bionda si scostò nervosamente una
ciocca di capelli dal viso «e poi da come si è comportata non si
meriterebbe nemmeno di spiegare». Rea, nell'udire quelle parole, si
sentì come se avesse appena ricevuto un pugno alla bocca dello
stomaco; si appoggiò al muro e si lasciò scivolare sul pavimento.
«Sono
d'accordo con te nel pensare che abbia esagerato, ma non credi che se
è arrivata a tanto, forse, un motivo ci deve essere. E non il motivo
che pensi tu» Morea si mise davanti alla bruna, cercando di
difenderla dall'ira di Marta «Falla parlare, falle spiegare!».
«Cosa
sta succedendo?» Amy arrivò correndo in soggiorno, preoccupata che
anche Marta e Morea stessero per arrivare alle mani; quando vide Rea
ripiegata su se stessa, nascosta dietro le gambe della cuoca di casa,
corse verso di lei e la prese per le spalle: «Mi hai fatta
preoccupare, santo cielo! Dov'eri finita?».
Rea
parlò con un filo di voce: «A sbollire... dov'è Bunny?».
Amy
non rispose: «Non ti azzardare mai più a sparire così, chiaro? Ci
siamo preoccupate tutte quante» ed alzò gli occhi in direzione
della bionda «Marta compresa»
«Avrei
detto il contrario» la bruna abbassò lo sguardo sentendo gravare su
di se sempre più pesante il senso di colpa «Dimmi dov'è Bunny»
«Hai
intenzione di complicare ancora di più le cose?» la sbeffeggiò
Marta. Rea alzò gli occhi e si rimise in piedi, sempre tenendo le
pupille fisse negli occhi blu della ragazza: «Smettila di dare aria
alla bocca»; poi, sotto gli sguardi sbigottiti delle tre ragazze, si
diresse su per le scale verso la stanza dell'amica. Dalla porta
socchiusa sbucava un timido spiraglio di luce: “Deve avere acceso
la lampada del comodino”; con le mani che tremavano, fece ruotare
lentamente la porta sui cardini e fece capolino dallo stipite. Marzio
e Bunny, incuriositi dallo scricchiolare dell'infisso, si erano
voltati tutti e due a guardare nella sua direzione; Rea, presa dalla
vergogna, fece per tirarsi indietro ma nel vedere l'amica con gli
occhi gonfi per il pianto, prese il coraggio a due mani ed entrò
nella stanza. Si mise al centro, con il viso illuminato per metà
dalla lampada a forma di mezza luna e le gambe che volevano cedere da
un momento all'altro; guardò i due sentendo la colpa gravare su di
sé: «Ragazzi...» un nodo le chiuse la gola.
Marzio
si alzò in piedi: «Io esco. Penso che voi due abbiate parecchie
cose da dirvi»
«No»
Rea lo bloccò per il polso «per favore, resta. Ho bisogno anche di
te». Il ragazzo sgranò gli occhi e tornò a sedersi sul letto di
fianco a Bunny.
23
maggio 1987, 3 am
Per
venti secondi abbondanti c'è stato silenzio; un silenzio da
cimitero. Avevo una paura folle, paura di sbagliare a dire qualcosa e
complicare ulteriormente la situazione. L'unica cosa che faceva
rumore in quel momento era il mio cuore, che premeva per uscirmi dal
petto. Ho chiuso gli occhi, chiamando a raccolta tutte le mie forze e
la mia volontà ed ho iniziato a parlare: «Ragazzi, mi dispiace...»
«E
vorrei anche vedere» ha bisbigliato qualcuno alle mie spalle. Mi
sono girata di scatto, giusto in tempo per vedere Morea ed Amy che
tiravano un pizzicotto a Marta per quello che aveva appena detto. Non
sapevo se ridere per quell'intermezzo comico o se arrabbiarmi perchè
stavano origliando. Ad ogni modo, mi sono girata nuovamente verso
Bunny e Marzio e ho ripreso a parlare: «Sono... sono mortificata per
quello che è successo». Un nodo stava cominciando a chiudermi la
gola, ma non sarebbe stato di certo quello a fermarmi: «Bunny, ti ho
detto delle cose terribili. Cose che non pensavo. Non è vero che sei
stupida, non è vero che sei infantile. Soprattutto non è vero che
non vedo l'ora che tu te ne vada di casa».
A
quel punto, la mia amica si è alzata in piedi e mi è saltata al
collo: «Tu non sai come mi abbia risollevato questo» e ha iniziato
a bagnare la spallina del mio vestito con le sue lacrime. Mi è
scappata una risatina, poi anche a me le lacrime sono scappate fuori
dagli occhi; l'ho presa per le spalle e l'ho guardata in viso: «Non
volevo rovinare il tuo momento di felicità»
«No,
sono io che non dovevo comportarmi così. In fondo, hai ragione a
dirmi che faccio inutili scenate di gelosia... lo so che tu non sei
interessata a Marzio. E so anche che stai ancora aspettando Nikki».
Quando ha detto così ho abbassato gli occhi ed ho sentito il mio
stomaco rimpicciolirsi a dismisura; poi qualcuno mi ha messo una mano
sulla spalla. Ho girato la testa e mi sono stupita nel vedere Marzio
che mi sorrideva; mi sono passata una mano sotto gli occhi per
asciugarmi le lacrime: «Ho rovinato la tua festa».
Lui
mi ha fatto l'occhiolino: «C'è ancora tempo per festeggiare. Morea
ha preparato tanta di quella roba che si può sfamare l'intero
esercito». Mi parlavano come se non fosse successo niente e io non
potevo credere alle mie orecchie; così, senza sapere di preciso cosa
fare, li ho abbracciati tutti e due piangendo come una bambina.
Paradossalmente, è stata Bunny a consolarmi in quel momento: «Smetti
di piangere ora. Ci sono delle tartine favolose che tu non hai ancora
mangiato; e poi...» si è avvicinata al mio orecchio «finita la
festa, vorrei che mi aiutassi a preparare i miei scatoloni».
Le
ho fatto la pernacchia: «Puoi giurarci».
*
* *
Quel
lunedì primo giugno era stranamente tranquillo; o meglio, da quando,
due giorni prima, Bunny aveva preso tutte le sue cose e le aveva
portate nella sua nuova casa, la dimora sembrava decisamente più
quieta. Niente più bisticci, niente più corse su e giù per le
scale e niente più pacche sulle mani per le cose che sparivano dalla
dispensa. Le ragazze crogiolavano a bordo piscina, mentre Rea era
chiusa nel suo studio a preparare un esame, circondata dai visi
dipinti sulle tele che la fissavano, quasi volessero costringerla a
non alzare il capo dai fogli finchè non avesse finito. Verso le
quattro del pomeriggio, la bruna alzò gli occhi al soffitto e lasciò
cadere le braccia lungo i fianchi grugnendo: «Aiuto, non ce la
faccio più»; fissò la pila di fogli davanti a sé e si sentì
infinitamente frustrata: “Quanta roba... solo a pensare che l'esame
è il sedici e devo memorizzare ancora tutto quel malloppo... spero
solo di farcela”. Proprio in quell'istante, dalla finestra
leggermente aperta, entrò il rombo di una motocicletta: “Sembra
una Harley” subito il cuore le mancò un battito “chissà se è
la sua”; ma subito scosse la testa, pensando che, dopo tre ore di
studio intenso, la sua mente stesse iniziando a giocarle brutti tiri.
Strizzò le palpebre e si rimise composta, cercando di motivarsi nel
modo migliore possibile per finire al più presto quella “pappardella
di roba”, ma come riprese fra le mani la matita rossa per
sottolineare le nozioni più importanti, qualcuno bussò alla sua
porta; “Grazie al cielo, uno stacco di cinque minuti”. «Avanti».
Amy
fece capolino: «Posso disturbarti un secondo?»
«Non
hai idea del favore immenso che mi stai facendo» sorrise stancamente
la bruna. Amy aprì piano la porta e le allungò un foglio fucsia
senza dire una parola; Rea aggrottò le sopracciglia: «E' passato
qualcuno in moto?».
La
ragazza fece per annuire, quando Marta, con la furia di un uragano,
entrò nello studio: «Era lui, LUI! Ha lasciato quella roba per
te!».
Morea
la prese per la coda: «Sempre molto delicata nel dire le cose tu,
eh?». Rea guardò la stampa in tipico stile rock che addobbava il
foglio: “The Crüe wants you! We are looking for sexy
female
background singers. Join us next thursday at Conway
Recording Studios on Melrose Ave.!”. Veloce. Diretto. La bruna alzò
gli occhi, sentendo la testa girare a mille.
Amy
aggiunse: «Non è tutto. C'è anche qualcosa scarabocchiato sul
retro».
Rea si sentì
improvvisamente la mano tremante e madida di sudore; girò a
rallentatore il foglio e trovò in basso a destra un breve messaggio
scritto con dell'inchiostro nero: “Sono pulito. Nikki”. Pensando
di aver letto male, i suoi occhi indaco rianalizzarono la successione
di quelle lettere una seconda volta; “No, non mi ero sbagliata”.
Il cuore prese a martellarle nel petto mentre la mente le si
annebbiava ad una velocità impressionante, scaraventandola al limite
della realtà: “E' vivo, è vivo. Non ci credo. Perchè non si è
fatto sentire prima? Magari voleva farmi una sorpresa. Chissà se mi
ha pensata almeno quanto io ho pensato a lui in questo periodo...”
«Allora,
cos'hai intenzione di fare?» la voce di Morea la ripescò dal
vortice in cui stava cadendo. Rea scosse la testa, quasi volesse
cercare di riprendersi da quel trauma che quelle tre parole le
avevano causato.
«Se posso
permettermi» Amy parlò all'amica con voce grave «io non ci andrei.
Insomma, non vorrei che ti prendesse nuovamente in giro, non
sopporterei vederti soffrire così per altro tempo. Ma soprattutto
fra due settimane tu hai un esame importante e...»
«Oh, Amy!
Al diavolo l'esame!» Marta rubò dalle mani di Rea il leaflet e lo
sventolò sotto il naso del futuro medico «Qui stiamo parlando del
suo futuro! Oltre che del lavoro, stiamo parlando anche dell'amore!
Questa è un'occasione imperdibile e irripetibile» poi si voltò
verso la ragazza dai capelli corvini «e se anche non dovesse passare
le selezioni, sarebbe comunque l'occasione per rivederlo e parlarci».
Rea guardò
le due amiche che si scrutavano con aria di sfida; Amy che metteva lo
studio davanti a tutto e Marta che poneva in prima posizione i
sentimenti. Era divisa fra le due posizioni; se avesse ascoltato il
suo senso del dovere, di sicuro avrebbe studiato per l'esame e
sarebbe stata il più lontano possibile dagli studi (senza contare
che quelli erano gli studi di registrazione dove lavorava Yuri).
Eppure, in quel frangente, l'istinto premeva perchè lei, una buona
volta, accantonasse le dispense e corresse a fare le audizioni. Si
voltò verso Morea sperando di trovare un qualche genere di risposta,
ma tutto quello che ottenne fu una timida alzata di spalle: «Fai
quello che ritieni più giusto».
“Dannazione”;
aveva voglia di sbattere la testa contro il muro. Era davanti ad un
bivio e non aveva la benchè minima idea di che strada scegliere.
Guardò di nuovo le sue amiche in cerca di risposte: Morea arricciava
le labbra, segno che era ancora più indecisa di lei, Amy la fissava
con lo sguardo che sembrava dire: “Lo studio viene prima di tutto”,
ed infine Marta che pareva spingerla a prendere la macchina e correre
da lui. Sconsolata, Rea si prese la testa fra le mani: «Ragazze...
io non lo so!».
Lunedì 1
giugno 1987, 5 pm
Poi,
all'improvviso, il lampo di genio. Senza dire nulla, sono corsa verso
il telefono e ho digitato il numero di casa di Marzio; Bunny era
l'unica persona che non avevo ancora interpellato e, probabilmente,
l'unica che sarebbe stata in grado di darmi una risposta. Stringevo
fra le mani il ricevitore sperando con tutta me stessa che fosse in
casa; dopo tre squilli, la sua voce giocosa mi ha solleticato
l'orecchio. Le ho raccontato tutto d'un fiato quello che è successo
e le ho chiesto cosa lei avrebbe fatto al posto mio; lei è stata per
un po' in silenzio, poi mi ha detto: «Allora, conoscendomi, io
lascerei perdere lo studio per l'esame e mi precipiterei
immediatamente da lui senza pensarci due volte. Attenta però: io lo
farei non solo per vederlo; lo farei anche per evitare di studiare.
Sai benissimo che non sono una studentessa modello. Tu però non sei
così; tu non sei negligente. Ora, tutto quello che devi fare è
guardare dentro di te. Scruta, scava nel tuo cuore». D'istinto mi
sono guardata il petto, sperando di intravedere qualcosa; poi lei ha
aggiunto: «Anche se io... so già cosa farai». Ho riattaccato senza
proferire parola e sono rimasta seduta sul divano, a fissare il nulla
davanti a me. Dopo circa tre minuti di riflessione ho chiamato le
altre.
«Vado»
disse irremovibile. Sul viso di Amy comparve una smorfia di totale
disappunto. Rea continuò: «E' troppo che aspetto di rivederlo.
Voglio vedere come sta, voglio vedere com'è diventato. Per questa
volta l'esame può aspettare. Non mi interessa se soffrirò, se lui
non mi rivolgerà la parola o se nemmeno mi guarderà in faccia.
Voglio rischiare». Le ragazze rimasero sbalordite davanti a tanta
determinazione; era da un sacco di tempo che Rea non prendeva in mano
le redini della sua vita e si comportava in quel modo.
Marta
sorrise e fece un passo in avanti: «Ti accompagno io, se vuoi»
«Certo
che voglio»
«D'altra
parte, devo farmi perdonare per come ti ho aggredita la sera della
festa di laurea di Marzio» la bionda le fece una timida linguaccia.
Rea
le fece l'occhiolino: «Tranquilla, me n'ero già dimenticata».
Le
due si abbracciarono ed Amy mise una mano sulla spalla di Rea: «A
questo punto... posso solo dirti in bocca al lupo. Sono certa che
darai il meglio di te, come sempre del resto».
*
* *
Giovedì
4 giugno 1987, 1 am
Non
riesco a dormire. Nikki, le audizioni... la possibilità di un tour
con i Crüe... troppe cose insieme. Che poi... un tour con i Crüe. È
meglio che non mi monti la testa; molto probabilmente domani a quelle
selezioni ci saranno un sacco di ragazze molto più belle e capaci di
me che io potrei anche essere scartata all'ingresso. Ma questo non
deve assolutamente fermarmi; domani devo dare il meglio di me...
“I will
take it to the wire now”
L'ho
promesso ad Amy
“Until
every race is run”
L'ho
promesso anche a Bunny
“I'll go
straight into the fire now”
Perfino
Morea che era scettica crede in me
“Until
every day is done”
E poi c'è
Marta, che fin dall'inizio mi ha detto di andare, di non tirarmi
indietro per nessun motivo
“Voices
say -- break away”
E anche
se ho paura, vorrei che quel momento sia perfetto; vorrei che la mia
voce sia al top. Vorrei non sbagliare nulla.
“Live
each night as if each moment
Was the only one”
Soprattutto
vorrei che Nikki mi sorridesse; nulla di più.
“Through
the fire
To the wire
When the night out of control
Is
breaking your heart
Through the fire
To the wire
When the
flames are burning hot
They take you higher
Through the fire”
Anche se
ho come la sensazione che tutto quello che io sto sognando, sia solo
un immenso castello in aria; una bellissima fantasticheria di
mezzanotte. Non nascondo che non vorrei sognare tutte queste belle
cose...
“There's
a feeling that I can't ignore
Like a stranger at my door”
Eppure
non riesco a fermarmi. Queste fantasie alimentano il mio ottimismo;
mi permettono di sentirmi viva. Mi sembra quasi impossibile che, dopo
tutto il malessere, io sia ancora in grado di respirare... di sentire
il profumo dell'oceano che arriva in lontananza.
“So
revealing that I cannot hide
When you settle up the score
Voices
say -- night and day
Live your life as if each second
Was the
final one”
Sogno...
sogno te con in mano il tuo Thunderbird, nascosto dietro la tua
frangia folta, che mi spii dietro quella piccola barriera. Vorrei
avvicinarmi a te...
“I look
for signs that you are here tonight
When the passion calls the
pleasure to the flame”
Ti
chiederei come stai... poi ti porterei in una sala vuota. Ti
chiederei se ti sono mancata, se mi hai pensata. Prenderei la tua
mano fra le mie dita, ne bacerei i polpastrelli segnati dalle corde
del tuo basso... e ti chiederei se, sul serio, sei innamorato.
“Then I
ask you of the meaning when you talk of love
Would you take the
leap of faith?
Would you throw it all away?”.
Ma è
bene che mi fermi qui. Mi gira la testa così forte per tutto questo
accavallarsi di pensieri. Cercherò di accoccolarmi vicino al camino
e di addormentarmi lì, su quel tappeto... il posto dove per la prima
volta ho visto il tuo viso nel fuoco.
NOTE:
MIG29:
Mikoyan-Gurevich MiG-29,
il
caccia russo.
La
canzone che compare a fine capitolo è “Through The Fire” di
Larry Greene di cui non possiedo i diritti.
Dopo
ben 6 mesi di silenzio... ecco che rispunto dal dimenticatoio con
questo sudatissimo capitolo interamente incentrato sulla figura di
Rea (come vi avevo promesso). A quanto pare, però, nel prossimo
capitolo lei e Nikki si rivedranno dopo quasi due mesi; cosa
succederà, ovviamente, non ve lo dico. Aspettatevi di tutto.
Soprattutto: Rea passerà le selezioni? Saranno fondate le sue paure
di non riuscire nemmeno ad entrare negli studios?
Come
sempre, grazie a tutti voi che mi seguite, che mi leggete e che
lasciate una vostra recensione; naturalmente un grazie tutto speciale
va a Mars che mi assiste sempre nei miei deliri... thanx twin!
Da
domani mi dedicherò al nuovo capitolo del mio originale “I Love To
Hate You”; se ancora non avete letto nulla... magari dategli
un'occhiata ;)
Ricordatevi
che ogni vostro commento, positivo o negativo che sia, è sempre ben
accetto. Alla prossima ;)
Kisses,
Ellie
|
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Capitolo 23 *** The Crüe Wants You ***
23 The Crüe Wants You
Rea spense
il motore della Ford Granada e si guardò nello specchietto
retrovisore: «Ho un viso pessimo oggi. Non ho dormito niente
stanotte e ho un'espressione veramente sconvolta».
Sbuffò
alzandosi la frangia ed avvicinò i polpastrelli alle palpebre, ma
Marta la bloccò per il polso sbraitando: «NON TI AZZARDARE A
TOCCARTI GLI OCCHI!». La prese per il mento e la girò verso di sé:
«Sei così bella, non rovinarti il trucco... e, fra parentesi, non
hai il viso stanco». Rea la guardò scettica, ma l'amica le fece
l'occhiolino: «Giuro. Sei stupenda».
La bruna le
sorrise, più sicura, poi le fece un cenno con il capo ed entrambe
scesero dalla macchina per entrare negli studi.
Giovedì
4 giugno 1987, 7 pm
Salivo le
scale con le ginocchia che mi tremavano, fissando attentamente i
gradini per evitare di inciampare e sperando di non incrociare Yuri
sulle scale. Marta mi seguiva guardandosi intorno estasiata; non era
mai stata in uno studio di registrazione. Tutte le pareti del
corridoio erano tappezzate di gigantografie di quel leaflet che mi
aveva fatto avere Nikki tre giorni prima e si udiva un gran
vociferare provenire dalla porta in fondo all'edificio. Subito prima
c'era una un bancone con dietro un ragazzo obeso e sudaticcio; ci ha
guardate, studiandoci dalla testa ai piedi, e poi ci ha chiesto se
eravamo lì per le audizioni, ruminandoci in faccia la gomma senza
farsi troppi problemi. Abbiamo annuito entrambe, così ha preso i
nostri nomi, ci ha dato due numeri e ci ha fatto varcare la soglia.
Come
la porta tagliafuoco si aprì, subito una valanga di voci, capelli
gonfi di lacca e fragranze femminili si riversarono addosso alle due
ragazze, come un pentolone di olio bollente. Le due strizzarono le
palpebre per poi riaprirle lentamente; Rea guardò sbalordita quel
corridoio gremito di giovani donne: “Santo cielo, Barbie prodotte
in serie!”. Tutte le altre, Marta compresa, avevano i capelli
biondissimi, naturali od ossigenati che fossero, ed un davanzale più
che prosperoso, originale oppure manipolato da qualche chirurgo di
Beverly Hills; lei era l'unica con i capelli color carbone ed un seno
di terza misura. Si sentì squadrata da capo a piedi da
quell'esercito di bambole, mentre si appuntava il numero sull'orlo
della canotta a spalline larghe; per un istante fissò la porta e
provò l'impulso di darsela a gambe. Proprio in quel momento, Marta,
sorridendo, la prese per il polso, quasi volesse preventivamente
bloccarla: «Hai visto? A quanto pare qui dentro sei l'unica con un
briciolo di personalità propria». Rea rimase piacevolmente colpita
dalle parole dell'amica; a quello, proprio, non aveva pensato:
sfruttare appieno la sua diversità per spiccare ancora di più e
passare le selezioni. “Devo solo controllare le mie emozioni; se
riesco a tenerle per i capelli, la voce non mi tremerà di sicuro”.
Lei
e Marta si guardarono negli occhi e si scambiarono uno sguardo
complice: «Hai ragione»
«Brava,
così ti voglio. Combattiva come al tuo solito». Si sorrisero e si
scambiarono un fragoroso cinque, facendo praticamente voltare tutte
le ragazze che attendevano in fila di essere chiamate per entrare in
sala e provare al gruppo che erano all'altezza del ruolo. Rea si
appoggiò al muro e cominciò a fare esercizi di respirazione, mentre
fissava la porta della sala dove stava provando la band; ad
intervalli regolari, il maniglione antipanico si abbassava per far
uscire o entrare le aspiranti coriste. Alcune ragazze uscivano gasate
perchè pensavano di aver “spaccato”, altre se ne andavano a capo
chino, versando lacrime amare poiché non ce l'avevano fatta ad
aprire la bocca per l'emozione ed altre ancora che tornavano in
corridoio esaltate perchè Vince aveva “largamente apprezzato la
loro persona”. Rea si fissò le punte degli stivali: “Chissà se
Nikki vorrà degnarmi di una sguardo...”; il suo diaframma si
contrasse quasi dolorosamente nel ripensare a lui. Ormai aveva perso
il conto dei giorni che erano passati senza vederlo; ma, anche senza
contarli, erano decisamente troppi. Alzò nuovamente lo sguardo in
direzione della porta: “Una cosa è certa: se Vince fa l'idiota, si
prende uno sberlone sonoro”. D'improvviso si sentì chiamare per
nome da un omone muscoloso e dall'aria losca: «Trentaquattro. Hino,
dentro»; fu come essere bagnata da un getto di acqua gelida. Rea
avanzò per quel corridoio fatto da ragazze bionde, sentendosi gli
occhi di tutti puntati addosso come riflettori; per un attimo
inciampò sulla moquette: “Oh, andiamo! Ho sempre camminato bene
con questi stivali!”. Si voltò e fece in tempo a vedere una
ragazza con i capelli color platino e le labbra fucsia che
ridacchiava; strinse i denti ed abbassò lo sguardo vergognosa:
“Cacchio, che figura”. Ma in quell'istante sentì qualcuno
bisbigliare: «Ehi!»; subito guardò indietro e vide Marta che le
faceva l'occhiolino. Rea sorrise, più forte che mai, e riprese a
camminare decisa verso la porta imbottita di gommapiuma: “Devo
passare queste selezioni. A qualsiasi costo. Rimarranno sbalorditi”.
Si voltò un'ultima volta verso Marta per restituirle un sorriso, ma
la guardia del corpo brontolò: «Vogliamo darci una mossa? Sennò
chiamo qualcun'altra».
Rea
lo fissò con occhi infuocati; subito, quell'omone immenso si fece
piccolo piccolo di fronte a tanta decisione: «Entra, entra pure».
Con passo sicuro e i pugni stretti passò attraverso una piccola
anticamera con le pareti rivestite di gommapiuma grigia e poi entrò
nella sala vera e propria, dove il gruppo la stava attendendo.
Giovedì
4 giugno 1987, 7 pm
Mi
aspettavo che fosse uno stanzino soffocante e senza finestre, invece
le pareti effettivamente insonorizzate e rivestite di sughero e
gommapiuma erano solo due. Le rimanenti erano un'unica vetrata molto
spessa di un'ampia forma semicircolare, che dava direttamente sul
giardino interno degli studios. La luce del sole venata dal verde di
quelle piante tropicali illuminava la sala, dandole un'aria quasi
mistica e rilassante. Non ero pronta ad essere accolta da così tanto
sole; di riflesso mi sono coperta gli occhi con una mano, poi le
forme hanno iniziato a diventare più nitide.
La
prima persona che vide fu Mick, che se ne stava solo nel suo angolino
con il capo nero chino, le spalle curve appesantite dalla Kramer
ed il viso rivolto alle manopoline del Marshall; si muoveva a
rallentatore e teneva la bocca ermeticamente chiusa. Rea lo stava
ancora scrutando, cercando di intravedere il colore dei suoi occhi,
quando qualcuno la prese per mano: «Ciao dolcezza». La ragazza girò
di colpo la testa e si trovò faccia a faccia con Vince Neil. La
ragazza spalancò gli occhi, pietrificata dall'aspetto del cantante:
“E questo sarebbe lo stallone biondo?”; il ragazzo aveva i
capelli decolorati parecchio disordinati che gli cadevano scomposti
sulle spalle, la barba di tre giorni, il viso sudaticcio e due occhi
castani che parevano volerla divorare in un solo boccone. Il viso le
si deformò spontaneamente in una smorfia schifata quando lui si
portò il dorso della sua mano alle labbra inumidite di birra: «Che
bella pupa mora che abbiamo qui»
«Ehi»
Rea gli tolse lesta la mano dal viso e se la pulì sui pantaloni «non
sono qui per uscire con te».
Vince
rimase con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta a guardare
quella massa di capelli corvini che lo fissava con espressione
combattiva: “Sti cazzi, che peperino”; poi, nel silenzio della
sala, una risata trattenuta lo fece voltare verso la batteria con i
nervi a fior di pelle: «Cazzo ridi, stronzo!»
«Lascia
perdere Neil, quella è troppo tosta anche per te» Tommy sedeva
sullo sgabello con indosso una maglietta di Mighty Mouse e le
gambe aperte, mentre giocherellava con le bacchette e masticava
spensierato una gomma rosa confetto. Il viso di Rea si illuminò nel
rivedere quel volto amico: il sole gli accarezzava i boccoli morbidi,
disegnandogli strane volute ai lati del viso sorridente, mentre
quegli occhi vispi la salutavano con sincera felicità.
Nel
frattempo Vince aveva puntato il proprio indice contro il batterista,
quasi fosse un mitragliatore: «Cos'è? Pensi allora di potertela
scopare tu, signor “HoilPisellopiùlungodell'universo”?».
Di
tutta risposta, T-Bone fece spallucce: «Sono sposato, troione
ossigenato, te ne sei dimenticato?».
«Smettetela
voi due» sentenziò una voce oscura proveniente da dietro
l'amplificatore del basso; il cuore di Rea mancò un battito in
quell'istante: “Eccolo”. Nikki riemerse da dietro il cono,
accompagnato dalla sua immancabile chioma nerissima cotonata alla
perfezione. Istintivamente Rea si portò una mano alla bocca: “Non
ci posso credere”; i capelli erano più curati e lucenti, sembrava
molto meno emaciato dell'ultima volta che l'aveva incontrato e,
soprattutto, gli occhi verde smeraldo gli brillavano di luce propria.
Si era ripulito sul serio; stava meglio e si vedeva. Senza che
nemmeno avesse il tempo per accorgersi, gli occhi le si velarono di
lacrime di gioia. Aveva voglia di saltargli al collo, di dirgli che
era stato uno stupido, un pazzo, ma che, dopotutto, lo voleva ancora;
“Sai perchè? Perchè ti...”. Quell'idilliaco dipinto mentale fu
repentinamente squarciato proprio dal bassista, che la fissò con
fare gelido: «Ciao. Hai portato qualche pezzo?». Le lacrime le si
riassorbirono in un nanosecondo mentre le pupille le si dilatavano a
dismisura; era stato gelido ed asettico.
Giovedì
4 giugno 1987, 7 pm
Diciamo
che avrebbe parlato così con chiunque. Insomma, non poteva certo far
vedere che mi conosceva o chissà che cosa. Doveva fare quello
distaccato, quello professionale; è giusto così, dato che in quel
momento lui ricopriva il ruolo del mio “potenziale nuovo datore di
lavoro”. Però, nonostante sapessi tutte quelle cose, mi si è
gelato il sangue; quello era lo stesso tono di voce che aveva usato
con me per cacciarmi fuori dalla sua stanza d'ospedale. Non volevo si
comportasse di nuovo così con me, non volevo mi trattasse di nuovo
come aveva fatto in precedenza; quindi ho tirato fuori gli artigli.
L'aveva
riconosciuta dall'andatura, dall'appoggiarsi ritmico dei tacchi dei
suoi texani che aveva un suono inconfondibile; era stato come
riconoscere una Harley Davidson a chilometri di distanza. Ed
immediatamente gli era mancata la terra sotto i piedi. Si era
accovacciato dietro l'amplificatore del basso, con la scusa di dover
sistemare una valvola, per chiamare a raccolta tutte le sue forze ed
il suo autocontrollo; la verità era che doveva nascondere il più
velocemente possibile il rossore delle sue guance: “Sembri un
bambinello delle medie alle prese con la sua prima cotta”. Respirò
profondamente e girò il viso in direzione del condotto dell'aria
condizionata con l'intento di raffreddarlo: “Tranquillo, stai
tranquillo”; eppure sapeva che le cose non stavano così. Si prese
il collo fra le mani per far schioccare un paio di vertebre e percepì
la propria carotide pompare ad un ritmo spropositato; era
agitatissimo e non aveva la benchè minima idea di come comportarsi.
Poi sentì Vince salutarla con la sua solita voce suadente intrisa di
ormoni; istintivamente si morse il labbro inferiore ed espirò
violentemente: “Eh no, cazzo, NO! Se allunga le mani lo ammazzo”.
Fece per alzarsi inviperito, ma si ricordò che, assolutamente, non
doveva far sapere a nessuno che lei era speciale per lui; le cose si
stavano complicando in maniera esponenziale nel giro di millesimi di
secondo. Ma subito sentì Rea rifiutare Vince, Tommy scoppiare a
ridere e sbeffeggiare apertamente il biondo che cercava di far
dimenticare la sua figuraccia starnazzando come una gallina e potè
tirare un flebile sospiro di sollievo; la guardò, sentendo il suo
sguardo ammorbidirsi come burro che si scioglie sul fuoco lento ed il
respiro mozzarsi: “E' sempre più meravigliosa”. Poi, puntuale
come il treno di mezzogiorno, la solita vocina rompipalle emerse
dalla sua coscienza: “Ehi, rimbambito, fai attenzione; fai molta
attenzione. Tu la vuoi, vero? Vuoi che passi le selezioni e venga in
tour con te?”. Naturalmente, che domande. “E allora guai a te se
dai a vedere che la conosci, o peggio, che ti piace”; Nikki si
sentì come se avesse ricevuto una roccia in testa. “Vero che non
vuoi che lei venga scartata?” scosse la testa fra sé “E allora
comportati da stronzo! Tanto sei capace; senza contare che ti riesce
anche piuttosto bene”. E così aveva fatto; le aveva chiesto, con
fare tagliente, se avesse preparato qualche pezzo in particolare. Rea
lo aveva fissato dapprima smarrita, poi il suo sguardo si era
indurito ed aveva risposto con il suo identico tono: «Sono preparata
su qualsiasi brano».
Un
brivido corse lungo la schiena di Nikki; faceva quasi paura sentirla
parlare così, però in cuor suo sapeva che anche lei, in fondo, non
voleva nemmeno rivolgersi a lui con quel tono. Il bassista aggrottò
le sopracciglia e poi ghignò: “Fantastico, me l'ha servita su un
piatto d'argento”
«Benissimo,
quindi se ti chiedo “Dancing On Glass” non dovresti avere
problemi»
«Ehi
Sixx, quello è uno dei brani più difficili che abbiamo» Vince si
intromise nella conversazione, mentre si appesantiva sull'asta del
microfono e si scostava un ciuffo ribelle dal viso
«E
chi se ne fotte» rispose di rimando il bassista, fissando dritto
negli occhi Rea con aria di sfida «lei vuole essere messa in
difficoltà, quindi... questo è il pezzo ideale».
Giovedì
4 giugno 1987, 7 pm
Ho visto
una strana scintilla nei suoi occhi; il suo comportamento pareva
volermi mettere nelle peggiori acque, però mi aveva proposto la MIA
canzone. L'ho guardato stupita; voleva fare lo scostante pur
rimanendo tacitamente mio complice. E questo mi ha fatta diventare
ancor più sicura di me; nessuno, in quel frangente, avrebbe potuto
mettermi al tappeto.
Cantò
la canzone tutta d'un fiato, concentratissima e rilassata al tempo
stesso; la conosceva come il palmo della sua mano e non si soffermò
nemmeno troppo a pensare alle pause da rispettare ed alla quantità
di fiato da inspirare. Dopo quasi quattro minuti di esibizione
intensa, Vince la fissò con la bocca spalancata: «Porca puttana,
impressionante»
«Grazie»
Rea si ravvivò i capelli, contentissima della sua performance
«Bene»
sentenziò Nikki glaciale «puoi accomodarti fuori, nel pomeriggio
comunicheremo i risultati».
La
bruna si limitò ad annuire, salutò la band con un veloce cenno
della mano, mentre Tommy le faceva furtivo l'occhiolino, ed uscì
svelta dalla sala, sentendosi forte ed irrefrenabile.
*
* *
Marta
la raggiunse nella tavola calda poco distante dagli studi, appena
dopo l'una; si sedette trafelata al tavolino, mentre si sistemava
velocemente il fiocco rosso specchiandosi nella vetrina che dava su
Melrose Avenue. Le ragazze stettero per un attimo in silenzio, mentre
una cameriera serviva loro due Pepsi e lasciava sul tavolo le liste,
poi la bionda si appoggiò al tavolo con i gomiti e si protese verso
l'amica, parlando quasi sottovoce: «Allora?».
Rea
fece spallucce, attaccandosi alla cannuccia per sorseggiare un po' di
bibita: «Non saprei...»
«Oh,
su! Non fare la modesta» Marta scansò l'aria di fronte a sé,
abbassando leggermente le palpebre «Guarda che ti ho sentita da
fuori e sei stata spettacolare».
La
bruna sorrise: «Dici sul serio?»
«Dico,
dico!» Marta le fece l'occhiolino «Ci sono state delle ragazze che
si sono quasi spaventate; dovevi vedere le loro facce, per la serie:
“Siamo fregate, non ce la faremo mai”». Le due risero insieme,
poi Rea chiese a Marta com'era andato il suo provino; la bionda
guardò per qualche secondo le bollicine scalare allegramente la
superficie del bicchiere e sospirò: «Non benissimo. Appena entrata
mi sono fatta prendere dal panico; ti puoi immaginare come abbia
cantato». La bruna si sentì quasi in colpa per averle fatto quella
domanda, ma subito l'amica le strinse le mani: «Ma non importa.
Quella che deve passare sei tu, non io».
«Però
sarebbe stato bello andare insieme, non ti pare?» Rea sorrise e
bevve un sorso di Pepsi «E poi non è detto che passi. Magari adesso
è dentro in sala qualcuno di bravissimo e io mi sogno di partire».
Abbassò lo sguardo sull'hamburger che era appena stato servito al
tavolo, sentendo un peso crescente chiuderle lo stomaco; non aveva
quasi più voglia di mangiare. Un sacco di domande iniziarono ad
affollarle la mente: “Sarò stata sufficientemente convincente?
Avranno apprezzato tutti la mia esibizione? E se... e se ci fosse
qualcun'altra ancora più brava di me?”. D'improvviso gli occhi le
si velarono di lacrime; tutta la forza e la decisione che aveva avuto
fino a quel momento sembravano essere ormai un lontano ricordo. Marta
si accorse del suo repentino cambio d'umore ed aumentò la stretta
delle mani: «Ehi». Rea alzò timidamente lo sguardo, cercando di
nascondere quelle inutili lenti a contatto dietro la frangia. Marta
ridacchiò e le scostò i capelli dagli occhi: «Vedrai che andrà
tutto bene, ne sono sicura»
«Io
non lo sono per nulla» la bruna si mordicchiò il labbro inferiore
sentendo lentamente la gola chiudersi
«Invece
devi esserlo, altrimenti perchè mai ti avrebbe mandato quel leaflet
con dietro quel messaggio così personale?».
Era
vero, il ragionamento dell'amica non faceva una grinza; eppure Rea
non riusciva ad avere piena fiducia in Nikki: “Beh, sai com'è.
Dopo gli ultimi avvenimenti, mi risulta un po' difficile; spero solo
che possa riscattarsi presto”.
*
* *
Tommy
bevve alla goccia la mezza bottiglia di birra che ormai stringeva fra
le mani da circa dieci minuti: «Sono finite?»
«Per
fortuna sì» Vince si grattò la testa studiando le miriade di fogli
con sopra pinzate le foto di tutte le ragazze che si erano presentate
quella mattina per le audizioni sparpagliate sul tavolo della sala
uno dei Conway Studios.
«Bisogna
che si inizi a scegliere» Mick tirò una lunga boccata dalla sua
Marlboro seguito da un abbondante sorso di vodka pura «sono
tantissime»
«Sì»
Nikki allungò le mani e racimolò tutta la carta in una pila
ordinata, poi guardò con sguardo corrosivo il resto della band «e,
mi raccomando: scelta per doti canore, non di corpo e costituzione»
«Servono
anche corpo e costituzione, coglione» Vince si sedette pesantemente
sulla sedia di fronte al bassista «non voglio che dei cessi
ambulanti cantino al fianco di un bel faccino come il mio»
«Vaffanculo
“bel faccino”» in quell'istante il manager, Doc McGhee, un omone
tozzo ed inzaccherato di dopobarba, con la pelata abbronzata tirata a
lucido, si accomodò al tavolo con i ragazzi «impegnatevi a
scegliere queste due ragazze. Devono essere bravissime e anche
piacenti». Seguendo gli ordini del manager, le non idonee furono
eliminate nel giro di un quarto d'ora e le candidate, da circa
cinquanta che erano, si ridussero a sei.
«Dunque»
Doc prese i fogli e cominciò a rigirarseli fra i palmi «siamo
rimasti con: Emy Canyon, Tamara Kosovic, Donna McDaniel, Hannah
Taylor, Rea Hino e Sarah Dwight»
«Oh,
la mora resiste» constatò apatico Mick versandosi un altro
bicchiere di vodka
«Già»
Vince rubò malamente dalle mani di Doc il foglio con appiccicata la
foto della ragazza; la fissò quasi con disprezzo: non aveva per
nulla digerito che l'avesse rimbalzato così platealmente davanti al
resto della band. “Io sono il cantante. Io sono il figo del gruppo.
Io sono quello biondo. Io sono la sex machine e NESSUNA può osare
rimbalzarmi”; proprio per questa lunga serie di motivi “Quella
Hino” non meritava di passare le selezioni.
Intanto
Nikki lo fissava in cagnesco dal lato opposto del tavolo; si vedeva
lontano un chilometro che Rea non piaceva al biondo, ma sapeva anche
che, musicalmente, Vince non era minimamente stimato da nessun altro
componente del gruppo e tanto meno dal loro manager. “E poi sono
certo che Tommy mi sosterrà al cento per cento. Ora resta solo da
convincere Mick”. Doveva riuscire a tutti i costi a far passare la
sua Rea; certo, non sarebbe stato per nulla facile riallacciare i
rapporti con lei, ma il tour era l'occasione giusta per rimettersi in
gioco e dimostrarle che era migliorato sul serio. Fu proprio il
bassista a dare il via allo sfoltimento: «Sentite, Hannah non era
niente male a cantare, però non era capace di muoversi»
«Effettivamente
è vero» Tommy mise le gambe sul tavolo stiracchiandosi sulla sedia
«l'ho trovata piuttosto legnosa»
«Senza
contare che ha tirato una stecca non trascurabile» Mick parlò da
dentro il suo bicchiere colmo di vodka, scatenando l'ira di Vince.
«Smetti
di bere! Cazzo, dobbiamo prendere una decisione importante».
Il
chitarrista, dal canto suo, fece spallucce e continuò indisturbato a
sorseggiare il suo superalcolico: «Da che pulpito, sentilo il
forzato astemio».
Nel
sentire quelle parole, il cantante scattò in piedi, gonfiandosi come
un piccione in calore: «Vai a morire, Mars!».
Mick
fissò allibito il biondo per qualche secondo, poi sospirò: «Disse
l'uomo che uccise Razzle».
A
quel punto il manager si interpose fra i due, per scongiurare un
qualsiasi attacco violento da parte di Vince nei confronti del
chitarrista mingherlino; non era un bene che lo smontasse ancora
prima che iniziasse il tour, sarebbe stato un casino cercare un
turnista: «Piantatela, tutti e due. Tu, Mick, smetti di bere. E tu,
“Bel Faccino Come Il Culo”, stai tranquillo e concentrati sulle
tue partner vocali». Mars poggiò apatico il bicchiere sul tavolo,
mentre Neil sbuffò pesantemente alzando gli occhi al cielo e posando
malamente il proprio fondo schiena sulla sedia imbottita. Nikki lo
fissò con sguardo perforante, quasi volesse estorcergli la risposta
a lui più congeniale; alla fine il biondo cedette: «E va bene,
Hannah no. Poi?».
“YES!”
Il primo neurone del bassista alzò il pugno in segno di vittoria “E'
nelle mie mani come avevo previsto. Adesso devo solo guidarlo dritto
al bersaglio; devo disporgli le esche perfettamente allineate, così
finirà dritto nella mia trappola”. Sì, la trappola: farlo
lavorare per i successivi dodici mesi con Rea. Già si gustava le
scene prima ancora di averle viste: lei che riusciva a tener testa al
biondino e che lo comandava a bacchetta; per uno che si comportava da
primadonna non ci voleva altri che Fiamma. “Lei. E poi un'altra
corista; una a caso, non mi importa chi. La cosa importante è che
lei parta con me”.
Tommy
fece segno al manager di passargli i fogli che aveva in mano e, da
lì, estrasse il curriculum di Sarah Dwight; studiò la foto della
ragazza per diversi secondi, poi scosse la testa: «E' brutta»
«Tu
stai scherzando» Vince si alzò di scatto e gli strappò di mano la
fotografia «insomma, è biondissima, con due pere incredibili...»
«Sì
ma... Neil» Nikki cercò nuovamente di tirare acqua al proprio
mulino «guardala bene in viso: ha il naso grosso e storto»
«Appunto»
Tommy alzò il pollice al bassista; Nikki, da parte sua, gli fece
l'occhiolino: il batterista lo stava appoggiando tacitamente in tutto
e la cosa lo faceva sentire parecchio tranquillo.
Sfortunatamente
Vince si accorse di quello sguardo d'intesa; stette per un attimo in
silenzio a studiare chi sedeva con lui al tavolo: Mick che sembrava
essere su un altro pianeta, Doc che leggiucchiava i profili delle
ragazze e “quei due stronzi” che gli stavano nascondendo
qualcosa. Poggiò rumorosamente i gomiti, congiungendo le mani: «Voi
due state architettando qualcosa».
Tommy
lo guardò con indifferenza: «Perchè mai dovremmo?»
«Esatto»
gli fece eco Nikki, ma la voce gli uscì tremolante, come la fiamma
di una candela che lotta contro il vento per rimanere accesa.
Vince
realizzò cosa stava passando per il cervello dei due e puntò il suo
indice dritto contro di loro: «Potete anche scordarvelo».
“Porca
puttana, e ora?” Nikki si maledisse per quella debolezza
millimetrica; il piano stava lentamente compromettendosi: “Fanculo,
mi ha appena beccato con le mani nel sacco”. Chinò il capo e si
passò nervosamente le mani nei capelli appena tinti, espirando e
stringendo i denti: “Si scoprirà tutto prima ancora di partire.
Che coglione, coglione!”.
Tommy
guardò l'amico con la coda dell'occhio e decise di partire con il
contrattacco: «E c'è qualcosa di oggettivo che può farcelo
scordare?»
«Sì»
Vince ruggì come un leone rabbioso «mi ha trattato a pedate nel
culo».
Nell'udire
quelle parole, Nikki scoppiò in una risata isterica attirando su di
sé l'attenzione di tutti; il bassista picchiò il pugno sul tavolo
respirando a fatica: «E questo ti ha certamente tappato le orecchie
quando cantava»
«Quella
non ha cantato. Ha starnazzato come una gallina. Una fottuta gallina»
Vince era sempre più paonazzo in viso e stava stringendo i pugni
così forte che stava per tagliarsi i palmi delle mani con le poche
unghie che si ritrovava.
“Ecco,
ora è il momento giusto per scoprire le carte”; Nikki aggrottò le
sopracciglia mentre sul viso gli compariva un sorriso malefico: «E a
te pare che scegliamo una gallina starnazzante per farti fare i
controcanti su “Dancing On Glass”?».
Nella
stanza scese un silenzio agghiacciante; Mick smise di guardare il
fondo del bicchiere che teneva in mano, Doc alzò lo sguardo dalle
foto mentre Vince allargò le pupille all'inverosimile, dischiudendo
la bocca. “Non può essere lei, non è vero. Una stronza così non
PUO' e non DEVE avere una voce simile. Quella in tour non ce la
voglio!”.
«Ma
veramente quella è la voce femminile del disco? Quella ragazza che
non ho visto perchè quella sera ero a casa ammalato?» il manager
poggiò i fogli sul tavolo, incuriosito dalla notizia; aveva sempre
pensato che quella voce incredibile appartenesse ad una donna di
colore, forse anche un po' sovrappeso, invece a cantare era una bella
mora, con la pelle chiara e lo sguardo profondo. Riprese in mano la
sua foto e la studiò attentamente per qualche secondo, giungendo
alla conclusione che era davvero una splendida ragazza, una bella e
capace presenza che sul palco avrebbe dato un supporto eccezionale a
Vince; riguardò di sfuggita il nome: “Rea Hino” e subito prese
in mano il vinile di “Girls Girls Girls” che giaceva al centro
del tavolo e fece scorrere il dito sui crediti dell'album, ritrovando
il nome della ragazza. Sorrise soddisfatto, guardando di sottecchi
Nikki: “E' un cazzone, ma musicalmente è geniale”.
Tommy
notò con la coda dell'occhio che lui e Sixx erano riusciti a tirare
dalla loro parte il manager; ormai era fatta, erano tre contro due.
Il batterista ridacchiò, tamburellando le dita sul tavolo: «Allora
Neil? È ancora così incapace?».
Il
cantante, di tutta risposta, si alzò violentemente dalla sedia ed
andò ad alzare di peso il bassista per il bavero: «Apri bene le
orecchie, bastardo, io quella in tournée non ce la voglio, CHIARO?»
«Uh»
Nikki alzò per un secondo un angolo della bocca, fissando Vince con
gli occhi iniettati di sangue «qualcosa mi dice che hai perso,
brutta checca acida».
Il
biondo non ci vide più per un millesimo di secondo, poi il suo
destro si schiantò dritto contro lo zigomo del bassista con un tonfo
secco. Subito Tommy alzò di peso Vince, lasciandolo sospeso in aria,
a scalciare contro il nulla, mentre Doc si chinò a vedere come stava
il bassista, che si copriva la faccia, grugnendo frasi
incomprensibili nei confronti del cantante. Inaspettatamente, fu Mick
a prendere in mano le redini della situazione: «Secondo me non è
una buona idea portarla in tour. Insomma, magari i fan cercano
qualcosa di nuovo e portar loro la ragazza che ha inciso con noi il
disco come corista... forse non è la soluzione migliore. Meglio
portare nomi non noti»
«Mars»
Nikki stava urlando da dietro la mano con cui si premeva lo zigomo
dolorante «smetti di bere, così magari inizi a dire qualcosa di
sensato!»
«Sì,
sì! Mick ha fottutamente ragione».
Tommy
prese Vince per il mento, girandogli forzatamente la faccia verso di
lui, e lo guardò con occhi schifati: «Ma falla finita!» e detto
questo lo scaraventò a terra.
Doc
scosse il capo, sospirò e si rialzò, sollevando con sé Nikki: «E
allora sentiamo, cosa proponi?».
Mick
spulciò un paio di fogli, poi trovò quello che gli interessava; nel
silenzio della stanza si sentivano le sue dita scheletriche scorrere
lungo la carta, poi l'omino porse due fogli a Doc: «Queste. Bionde,
belle e brave».
Il
manager prese in mano i curricula: «Emi Canyon e Donna McDaniel»
sussurrò fra i denti, cercando invano di non farsi sentire.
«Grandissimo
Mars, vedi che ogni tanto quella testa vuota che ti ritrovi
funziona?» Vince si rialzò di scatto per correre incontro al
chitarrista per abbracciarlo, ma il batterista lo bloccò di nuovo e
lo incatenò ancora più forte a sé, impedendogli quasi di
respirare. Nikki fulminò con lo sguardo Mick, digrignando i denti:
“Ci mancavi giusto tu”; tolse malamente dalle mani di Doc i fogli
e guardò le facce delle due, cercando di ricordare come avevano
cantato. Ma più si sforzava, più il suo cervello assomigliava ad un
campo a maggese; zero spaccato.
“Eri
così concentrato su Rea che non hai nemmeno cagato di striscio tutte
le altre che sono entrate” i suoi neuroni scossero dissenzienti le
loro testoline “Va bene che ti interessava lei (e ha pure fatto un
ottimo lavoro), ma cerca di essere un po' più professionale, che
cazzo!”. La soluzione migliore era far finta di chiedere a Tommy
cosa ne pensava, così avrebbe semplicemente fatto la figura del
“dubbioso”, quando invece scaricava completamente sull'amico la
responsabilità della scelta della seconda corista, “Perchè la
prima deve essere per forza Rea”: «T-Bone, tu cosa dici?».
«A
me Emi è piaciuta molto»
«Sì,
anche a mmm.....» Vince cercò di intromettersi nel discorso, ma
Tommy lo schiacciò violentemente contro di se, mozzandogli il fiato
«Nessuno
ha ancora chiesto il tuo parere» il batterista lo mise a tacere, poi
riprese «si muove bene e ha una voce piuttosto potente. Per me è
ok».
Nikki
si limitò ad annuire, guardando negli occhi il manager e fidandosi
ciecamente dell'amico.
«Va
bene» Doc spuntò con un evidenziatore verde il curriculum «quindi
Emi Canyon è stata scelta all'unanimità».
In
quel preciso momento, Nikki sentì crescere la tensione dentro di sé:
il tempo stringeva e le possibilità di fare entrare Rea
nell'organico della band erano dimezzate. Doveva trovare
assolutamente il modo per mettere a tacere Vince e far cambiare idea
a quell'idiota di Mars, o si sarebbe ritrovato con il culo per terra
e il cuore spezzato; due grandi dolori che non era in grado di
sopportare contemporaneamente. Ma prima ancora che potesse cominciare
la sua arringa in difesa di Rea, Vince partì all'attacco: «A questo
punto, io prenderei la McDaniel. È bionda e bella. In questo modo si
raggiungerebbe l'equilibrio»
«Equilibrio?»
Tommy poggiò il cantante a terra e lo fissò stranito
«Certo:
tre cessi mori contro tre figoni biondi. Non c'è storia»
«Tu
devi proprio avere il cervello nel culo per dire una stronzata
simile!» la rabbia fuoriuscì dal corpo di Nikki con la violenza di
un'eruzione vulcanica «Non puoi basare la tua scelta sul colore dei
capelli»
«Colore
dei capelli?» T-Bone si portò una mano alla bocca, pensieroso.
«Beh,
il fatto è che le bionde piacciono sempre di più delle more» Vince
parlò con tono da sbeffeggio, quasi fosse un bambino dell'asilo che
prende in giro il proprio amichetto perchè “io ho le scarpe rosse
e tu no”.
«Ma
chi se ne fotte se le bionde piacciono di più delle more! Che poi è
sempre tutta da vedere; la verità è che a me la McDaniel non è
piaciuta e chi merita di venire con noi è chi ha cantato sul disco e
conosce già il nostro repertorio» il bassista parlava con gli occhi
iniettati di sangue. Se c'era qualcuna che veramente meritava di
passare era Rea: oltre ad avere la voce giusta, conosceva a menadito
tutti i brani della band, a differenza della maggior parte delle
ragazze che si erano presentate e che avevano candidamente ammesso di
essere lì solo per riuscire a diventare famose. E la McDaniel era
proprio stata una di quelle.
«A
me invece fotte di avere una bella figa di fianco» Vince ribaltò
una sedia, giusto per evidenziare il concetto «possibilmente, anzi,
sicuramente bionda»
«Bionda?»
il batterista era in preda alla confusione più totale; osservava la
discussione fra i suoi due compagni di band, senza però capire cosa
realmente stava succedendo. Era come se fosse stato rinchiuso in una
bolla di sapone e guardasse la scena dipinta con colori gioiosi e
zuccherosi. Forse aveva bevuto troppa birra durante le prove e stava
iniziando a pagarne le conseguenze.
«Adesso
mi hai proprio rotto le palle» Nikki, in preda alla rabbia più
nera, alzò il cantante di peso prendendolo per il bavero «questo
tuo ragionamento dimostra che non sai scegliere le colleghe. Si
prende Hino e basta! Lei sa i pezzi, lei ha cantato sul disco. E sono
requisiti più che soddisfacenti perchè diventi una nostra corista»
«Io
quella non la voglio!» Vince si aggrappò isterico alla chioma
corvina del bassista
«Solo
perchè ti ha rifiutato, non significa che non sia capace. Io la
trovo migliore di Donna»
«Una
stronza che mi rifiuta non merita di lavorare con noi, perchè non ha
capito nulla dell'essenza dei Mötley Crüe»
«Essenza?»
questa volta non era stato Tommy a ripetere come un ebete l'ultima
parola detta; era stato il tenebroso chitarrista ad aprire la bocca.
«Sì,
Mars» rispose quasi seccato il biondo, puntandosi l'indice al petto
«IO sono l'essenza dei Crüe».
Nell'udire
quella frase, Nikki si scaraventò letteralmente su Vince, mettendolo
a terra e alzando il pugno destro, pronto a calarlo sullo zigomo del
cantante. Per sua fortuna, fu il batterista a bloccare la rissa sul
nascere: «Ma piantala di dare aria alla bocca, Neil! Tu non metti
mai mano sulla musica perchè strimpelli a malapena la chitarra e
tanto meno sui testi perchè sei fottutamente dislessico. E a quanto
pare il tuo cervello è in putrefazione, dato che non capisci che Rea
è quella giusta»
«Il
tuo è in putrefazione, alcolizzato di merda» ragliò il biondo,
sotto il peso di Nikki, che immediatamente gli mollò un ceffone
sonoro.
A
quel punto, Doc si sentì in dovere di prendere in mano la
situazione, o la band non sarebbe mai andata in tour, causa “rissa
generale terminata con un plateale giro al pronto soccorso di tutto
lo staff”; urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: «SEDETEVI
TUTTI QUANTI AL TAVOLO E STATE ZITTI, CAZZO!». I ragazzi lo
fissarono impauriti, come se fossero stati sgridati dal proprio
padre; abbassarono tutti il capo e presero posto in silenzio,
mantenendo gli sguardi fissi sulle loro scarpe. Il manager attese che
fossero tutti composti, poi cominciò a parlare: «Vedo che la vostra
maturità è alle stelle. Siete le persone più allucinanti con cui
abbia avuto a che fare». Si rivolgeva a loro con tono schifato; così
schifato che faceva venire i brividi.
Nikki
nascose il proprio viso nei capelli gonfi, sentendo un terribile
senso di oppressione a livello dello sterno: “So già come va a
finire”.
«Dato
che non siete in grado di prendere civilmente una decisione
importante, mi vedo costretto a prendere in mano le redini della
situazione. Che vi piaccia o no».
Quelle
parole sembravano pugnali gelidi nella schiena del bassista: “Ho
fallito miseramente. Fallito. Niente Rea in tour, niente recupero,
niente spiegazioni. Niente di niente”. La stanza si fece
incredibilmente silenziosa; sarebbe stata una tomba, se non si fosse
sentito il regolare ticchettio del Rolex di Vince. Nikki respirò
profondamente, percependo sempre più imponente sulla propria testa
il peso di una spada immaginaria, pronta a trapassargli la materia
grigia; alzò gli occhi da dietro il suo nascondiglio nero quel poco
che bastava per scrutare gli altri e constatò che anche loro erano
più o meno nel suo stesso stato: “Tranne Mick. A lui basta avere
la sua bottiglia”.
«La
Canyon passa a pieni voti e su questo siamo d'accordo tutti» gli
occhi di Doc fissarono le teste dei quattro che, mute, annuivano
nervosamente «Rimane il dubbio ora fra McDaniel e Hino».
Nel
sentire quel cognome, Nikki ebbe un tuffo al cuore; senza farsi
notare, si fissò le ginocchia ed incrociò le dita. Vince alzò
timidamente la mano: «Se posso...»
«No»
la risposta fu secca «tu taci e basta. TUTTI tacete e basta».
Calò
nuovamente il silenzio. Il bassista chiuse gli occhi e cominciò a
ripetere mentalmente: “Scegli Rea, ti prego” come se fosse una
preghiera.
Il
manager si appesantì sul tavolo, facendo scricchiolare l'unica
robusta gamba centrale: «Ora, risponderete solo se interpellati».
“Sembra
di essere in caserma” Nikki strinse ancora più forte le dita.
«Vince»
Doc si rivolse al cantante con tono autoritario «ti ricordi quanto
era il cachet stabilito per entrambe le ragazze?»
«Dodicimila
dollari netti in due per ogni serata»; gli tremava la voce come
durante un'interrogazione.
«Bene.
Significherebbe seimila dollari netti a testa» fece una pausa
strategica, poi riprese «Ma nessuna delle ragazze sa che quella è
la propria retribuzione, confermate?».
Tutti
annuirono.
«Di
conseguenza, se noi facciamo scendere il compenso a quattromila
dollari netti pro capite, sono ugualmente contente. Quei soldi non li
vedrebbero nemmeno alla fine di un normale mese di lavoro e non
avrebbero nulla da ridire».
«Quattromila?»
Nikki bisbigliò a se stesso la cifra a bassa voce; non poteva
credere alle sue orecchie.
«Sì
Sixx» il manager gli tirò una sonora pacca sulla spalla
«quattromila è il nostro numero perfetto»
«Ehi
Doc» Tommy si sporse verso il pelato, tamburellando con le dita «ma
il numero perfetto non era tre?».
Doc
gli fece l'occhiolino: «Hai fatto centro, stangone. Le prendiamo
tutte e tre, così la finite di piagnucolare e bisticciare. Diciamo
che la Canyon e la McDaniel sono due belle bionde che fanno la loro
porca figura e non si muovono niente male, ma sarà Hino il nostro
asso nella manica».
“Asso
nella manica?” Nikki si sentiva come se stesse per prendere il
volo; aveva voglia di sorridere come un ebete, ma non poteva. Tutti
si sarebbero accorti che c'era qualcosa di strano, quindi era meglio
continuare ad avere quell'espressione imbronciata.
«La
Canyon e la McDaniel sono le nostre due Barbie» sul retro di uno dei
curricula scartati, Doc fece uno schizzo del palco «e le faremo
salire su due pedane laterali esattamente dietro Sixx e Mars. Ma
Hino, che è quella che conosce meglio il repertorio e ha cantato sul
disco, la mettiamo sulla pedana centrale». Alzò gli occhi e vide
Vince inorridire: «Proprio così biondino, Hino ti farà i cori su
quasi tutte le canzoni. La si fa entrare sul secondo pezzo, le si
garantisce un momento di stacco per un fulmineo cambio d'abito,
magari durante il solo di batteria, e ti sorreggerà fino a che non
stramazzi a terra bisognoso di ossigeno. Fattene una ragione».
Nel
sentire il discorso, Nikki slegò le dita e strinse i pugni sotto il
tavolo in segno di vittoria. Ce l'aveva fatta. Rea era stata notata
per il suo talento oggettivo ed era riuscita a passare le selezioni.
Si sentiva agitato, con il cuore che gli batteva a mille e lo stomaco
ribaltato; non vedeva l'ora di comunicarlo a lei, voleva vedere la
sua reazione. Ma ancor di più, non vedeva l'ora di stare con lei
tutto il giorno per i successivi undici mesi; voleva farsi perdonare
a tutti i costi. Sarebbe stato il cammino più arduo che aveva mai
intrapreso fino a quel momento nella propria vita, ma era ben
intenzionato a portarlo a termine.
*
* *
Dal
diario di Nikki. Giovedì 4 giugno 1987.
Ormai è
prassi, sono io quello che fa gli annunci. Quando sono uscito dalla
sala mi sono ritrovato di fronte ad una massa di teste bionde; la
cercavo impaurito, mi sentivo un po' come quando mi veniva a prendere
Nona fuori da scuola ed io non riuscivo a vederla. Tremavo come una
foglia. Poi l'ho vista: era quasi alla fine del corridoio, vicina ad
una ragazza con i capelli biondi ed un fiocco rosso. Il suo viso non
mi è del tutto nuovo, forse deve essere una di quelle che abita in
casa con lei. Per un istante i nostri sguardi si sono incrociati e mi
sono sentito rinvigorire; è incredibile l'effetto che quegli occhi
dalle venature indaco hanno su di me. Ho ringraziato tutte senza
troppi giri di parole e poi ho fatto l'annuncio: «Passano: la numero
3, Emi Canyon». Primo starnazzo da gallina; già la odio. «La
numero 15, Donna McDaniel». Secondo starnazzo da gallina; odio anche
lei. Ho preso fiato e ho detto senza fermarmi: «E la numero 34, Rea
Hino». Lei non ha starnazzato; è umile e non fa queste uscite. Ha
spalancato gli occhi incredula e si è puntata contro l'indice; mi ha
guardato e ha mimato: “Io?”. Non ho potuto fare altro che
annuire. Lei ha sorriso, il sorriso più bello che abbia mai visto.
Ha abbracciato la sua amica bionda e ha alzato il pugno; mi sono
venuti gli occhi lucidi, quasi non ci credevo nemmeno io. Poi Doc le
ha invitate ad entrare in sala con noi per spiegare loro il lavoro
che devono fare: tre prove con noi per stabilire le parti e poi
partenza il 16 giugno. Prima serata in Arizona, a Tucson, il 19
giugno; segue tour americano e poi in autunno si va in Giappone.
All'inizio del 1988 si comincia con l'Europa. «Sarà faticoso, ma vi
divertirete come matte» ha promesso; ho seri dubbi sul divertirsi.
Ha detto anche che avranno dei costumi molto sexy per andare in scena
e che le sarte prenderanno loro le misure nei minuti successivi. In
quel momento ho visto Vince avanzare di nuovo, pericolosamente, verso
Rea; le ha bisbigliato qualcosa all'orecchio, ma non sono riuscito a
leggere il labiale. Quello di sicuro vuole provarci di nuovo, non gli
è bastato il rifiuto di prima; così sono intervenuto: «Prima che
si proceda con la presa delle misure dei vestiti delle ragazze,
vorrei mettere in chiaro la regola fondamentale del tour».
Tutti
si voltarono verso il bassista con sguardo interrogativo. Nikki
rimase in silenzio per qualche secondo, convincendosi che quello che
stava facendo era per il bene non solo di Rea, ma di tutti, e poi
sentenziò: «Nessuno tromba con nessuno. Ragazzi, nessuno tocca le
coriste. E le coriste non si fanno toccare da nessuno, né da noi, né
dal manager, né dalla security e tanto meno dai roadie».
Emi
e Donna batterono le palpebre spaesate e biascicarono un “Ok”
appena comprensibile.
«Non
vi sta bene?» Nikki arricciò le labbra “Lo sapevo che queste due
erano venute solo per succhiarcelo”
«Nessun
problema». Tutti si voltarono verso Rea, che aveva parlato in modo
deciso. «Mi sembra più che corretto. Siamo colleghi ed è giusto
che, fra noi, ci si comporti così».
Nikki
le sorrise: «Questo è lo spirito giusto».
*
* *
Era
uscito dallo studio quasi correndo, subito dopo che la sarta si era
portata via le tre ragazze per prender loro le misure per
confezionare i vestiti di scena. Aveva chiesto a Tommy di coprirlo,
mettendo in giro la voce che se n'era andato a casa prima a causa di
un mal di testa perforante come un martello pneumatico, ed aveva
inforcato i suoi occhialoni neri. Era sceso per le scale rischiando
di scivolare innumerevoli volte per colpa delle suole lisce degli
stivali e lì l'aveva vista di sfuggita. Il problema era fermarla
senza dare troppo nell'occhio; si fissò per qualche istante nella
porta a vetri degli studios: “Gilet leopardato, niente sotto,
pantaloni di pelle e texani di pitone. Ti vedrebbe anche un cieco”.
Decise di fregarsene e di continuare a seguire a passo spedito quel
fiocco rosso; prima o poi l'avrebbe raggiunta sicuramente. Si accese
nervoso una sigaretta e ampliò il movimento delle proprie falcate;
fortunatamente la bionda camminava lentamente, guardando spensierata
il cielo. Quando le fu ad un paio di metri, la chiamò: «Scusa?».
Marta
si girò curiosa: «Ci conosciamo?».
Nikki
abbassò le lenti nere e fece un passo verso di lei: «Eri anche tu
alle audizioni. Sei amica di Rea, vero?».
La
ragazza rimase per un attimo spaesata, poi allungò verso di lui la
mano destra: «Sì... mi chiamo Marta, piacere».
Il
bassista non fece nemmeno caso al suo gesto: «Senti Marta, ti
dispiace se ti pago un taxi per tornare a casa?»
«Taxi?»
«Sei
venuta in macchina con Rea oggi, immagino» Nikki le fece
l'occhiolino e sorrise.
Marta
arrossì di colpo; congiunse le mani e se le portò al petto: «Senti,
io... io...».
“Questa
non ha capito proprio niente” il bassista le mise una mano sulla
spalla e cercò di tranquillizzarla: «Ascolta Marta, io non ti sto
chiedendo di uscire con me stasera o di trovarci da qualche parte. Ti
sto chiedendo molto gentilmente di lasciare soli me e la tua amica.
Devo parlarle assolutamente».
La
ragazza sospirò sentendosi meglio, prese le due banconote da
cinquanta dollari che Nikki le stava porgendo e salì sulla prima
Ford gialla che accostò. Il bassista guardò gli stop del taxi
mischiarsi al traffico del boulevard, poi fece cadere a terra il
mozzicone della sua Marlboro: “Quella Ford Granada... dev'essere
qui da qualche parte”.
Camminò
lungo il marciapiede per cinque minuti abbondanti, poi la scorse,
incastrata fra una Chevrolet e una Mustang sgangherata; sorrise,
soddisfatto della propria ricerca, e si accesa una seconda sigaretta.
Chiuse gli occhi ed aspirò più che potè dal filtro, riempendosi i
polmoni di quel denso fumo grigio, ma non fece in tempo ad espirare
che una voce gli arrivò da dietro le spalle: «Cosa fai qui?».
Nikki
si girò di scatto, iniziando a tossire per lo spavento; gli occhi
presero a lacrimargli e fu costretto a gettare sull'asfalto la
sigaretta appena iniziata.
Rea
incrociò le braccia al petto e scosse il capo: «Quando la smetterai
di fumare?»
“Eccola.
Lei e le sue ramanzine” il bassista sorrise, tossicchiando ed
asciugandosi il viso con il dorso della mano. La guardò negli occhi
e le sorrise; la mente gli si riempì in un istante di cose. Cose che
voleva dirle. Segreti che voleva confessarle. Gesti che voleva fare.
Ma tutto quello che riuscì ad articolare fu un timido: «Ciao».
«Ciao»
ripetè seccamente Rea. La ragazza lo guardò nella luce del
pomeriggio: non era mai stato così bello. Il primo impulso fu quello
di buttargli le braccia al collo e baciarlo con ardore; fece per
alzarsi in punta di piedi per arrivare meglio alle sue labbra ma
subito si bloccò: “No, ti prego. Trattieniti”. «Cosa ci fai
davanti alla mia macchina?».
Nikki
abbassò gli occhi, imbarazzato: “Avanti... non è difficile!
Chiedilelo! Di sicuro non ti saprà dire di no”.
«Ti
avverto, non ho tempo da perdere» la ragazza fece volteggiare
intorno all'indice le chiavi della vettura.
«Sarò
veloce» promise timidamente lui
«E
devo anche capire dov'è finita Marta»
«Le
ho pagato il taxi per tornare a casa».
Rea
rimase con la bocca semiaperta a fissare il bassista; benchè non
potesse esternare nessun sentimento nei suoi confronti, quel suo
essere timido ed impacciato e, nello stesso tempo, essere vestito
come una rockstar lo rendeva ai suoi occhi incredibilmente
irresistibile. Lo studiò mentre si passava nervoso la mano aperta
nei capelli neri e si sfilava del tutto gli occhiali da sole; uno
sciame di farfalle le riempì lo stomaco quando rivide quegli occhi
verdi così spettacolari.
«Senti
Rea» Nikki le sfiorò le dita della mano; la ragazza chiuse gli
occhi per concentrarsi su quel minimo contatto. Lui percepì il suo
desiderio e lo fece di nuovo, continuando a parlare: «Volevo
chiederti, dato che staremo via per parecchio tempo» e mentre le
diceva quelle parole le strinse l'indice nel suo palmo caldo «se
potevo lasciare a casa con le tue amiche Spank». Rea aprì gli occhi
e guardò Nikki, in cerca di spiegazioni; lui le sorrise e fece un
passo verso di lei, accorciando le distanze: «Non mi va di portarlo
al canile. Penso che starà meglio con persone che già conosce».
La
bruna annuì in silenzio, avvicinando il viso alla spalla di Nikki;
emanava un odore buono. Era caldo e virile; le dava i brividi. Ma
subito si scansò e riprese a parlare in modo distaccato: «Per Spank
nessun problema. Solo ti chiedo di non fare più queste cose; ormai
siamo colleghi, te ne sei già dimenticato? La regola l'hai imposta
tu».
“Già”
il bassista abbassò lo sguardo, vergognoso.
Rea
lo fissò per l'ultima volta con il cuore in gola, poi si avviò
veloce verso la portiera del guidatore: «Portami Spank alle prossime
prove, così non dovrai scomodarti per venire fino a casa mia» e
senza dargli il tempo di rispondere, accese il motore e scappò verso
casa, con la mente affollata dalla confusione e dalla felicità.
NOTE:
Kramer:
marca di chitarre.
Mighty
Mouse: cartone animato della Terrytoons; è uno dei cartoni preferiti
di Tommy Lee.
Forzato
astemio: Vince Neil, durante il tour di “Girls, Girls, Girls”, a
causa della sua condanna per l'omicidio di Razzle (batterista degli
Hanoi Rocks), dovuto a guida in stato di ebbrezza, non poteva
assolutamente toccare alcolici.
Dopo
un'eternità, finalmente, eccomi qui con questo nuovo papiro,
sperando che possa essere di vostro gradimento. Innanzitutto mi scuso
con voi per i tempi, ormai veramente dilatati, con cui riesco a
pubblicare; sfortunatamente il lavoro mi porta via un sacco di tempo
e non ho nemmeno abbastanza ritagli per poter scrivere ogni tanto.
Ringrazio come sempre tutte quelle che mi seguono e che mi lasciano
recensioni; prometto che, appena potrò, risponderò ad ognuna di
voi, come facevo i primi tempi. Ve lo devo, siete sempre molto
gentili con me. Come avete potuto vedere, tutto è andato secondo i
piani di Nikki; Rea partirà proprio il giorno dell'esame che aveva
fissato (chissà come la prenderà Amy, dato che le aveva detto che
lo studio era molto importante) ed inizierà una vita a dir poco
sfrenata e oltre ogni limite. Preparatevi alle situazioni più
assurde, questo tour sarà una cosa a dir poco sconvolgente; sono
previste gag, triangoli, quadrilateri e momenti molto
“heartbreaking”. Spero solo di non lasciar passare così tanto
tempo fra una pubblicazione e l'altra. Fatemi sapere quello che
pensate, sono sempre ben accette le vostre recensioni.
Un
bacio,
Ellie
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