ESAME D'AMORE

di Marmeladeboyy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHE VOTO DI MERDA ***
Capitolo 2: *** PERCHE' NATO SCEMO?! ***
Capitolo 3: *** Giornatina da venerdì 17 ***



Capitolo 1
*** CHE VOTO DI MERDA ***


“L’insegnante perché ero andata a scegliere il mestiere dell’insegnante. Non potevo avere avuto altre aspirazioni nella mia misera e patetica vita. La fornaia, potevo fare la fornaia, i dolci mi uscivano sempre bene. L’arredatrice di interni, tutti dicevano che avevo gusto. Avrei preferito fare di tutto, anche la scrostatrice di cessi negli autogrill, ma non la professoressa di filosofia.” Continuavo a ripetermi nella mia testa da complessata. E lo ero veramente, una cima delle complessate; tante volte mi ero chiesta come mi potesse essere aver voluto fare quel lavoro: cercare di risolvere i problemi degli altri quando io per prima non riuscivo a risolvere i miei di problemi . il primo tra tutti era l’ormai uomo che mi stavo ritrovando sull’entrata del mio ufficio.
gli chiesa in preda ad un attacco omicida.
aveva anche la faccia tosta di chiederlo!!
dissi io urlando sulle ultime due parole.
< sono stato appena stato trasferito e mi hanno mandato qui per conoscere la professoressa che mi aiuterà a realizzare la mia tesi universitaria ma quando mi hanno parlato di professoressa Scott, non pensavo fossi tu!>sputò con rabbia.
Perché dovevano capitare tutte a me: prima lo sfacelo che era stato il compito in classe a cui avevo sottoposto i miei alunni che avevo appena finito di correggere. Poteva capire che la filosofia era una materia complicata soprattutto per dei ragazzi che avevano la mente più ristrette di quello che usciva dalla mia lavatrice, però riuscire a confondere Socrate con Sofocle voleva dire che le mie lezione erano state come sbattere la testa contro il muro: un gran dolore che non ha portato nulla di buono. Ma adesso pure questa non potevo sopportarla. Lui non potevo sopportarlo. Erano anni che non lo vedevo, esattamente dal giorno del diploma in cui mi aveva detto per filo e per segno che cosa pensava di me.
.
dissi molto filosoficamente.
Eh no è non poteva uscirsene con frasi del genere.
dissi alzando un dito e prendendolo con l’altra mano.
< per te non sono più Angi dal diploma. Chiamami con il mio nome cioè Angelica>.
e un altro dito si alzò.
lo vidi aprire la bocca per ribattere ma la richiuse perforato dal mio sguardo omicida.
e un altro dito si aggiunse agli altri.
dissi quasi in preda alle lacrime al solo ricordo che ancora non mi abbandonava la notte, tormentandomi nei miei sogni.
mi disse spalancando gli occhi blu che mi avevano sempre compreso e confortato.
sputai incominciando a piangere come facevo tutte le volte che ripensavo a noi, a quello che eravamo stati.
< mi dispiace > sospirò
chiesi strozzata dai miei singhiozzi
< per tutto: per quel giorno, per tua madre, per tutte quelle volte in questi tre anni in cui hai pianto ripensando a noi> disse a testa bassa provando ad avvicinarsi a me.
.
< ok. Quando ti sentirai pronta ascolterai le ragioni del mio gesto?>.
< non credo sarò mai pronta?>. 
< ti faccio avere i primi capitoli della tesi martedì > disse infine sulla porta.
< va bene ora vai> dissi ancora scossa dai singhiozzi.
disse usando ancora il soprannome con cui mi chiamava ai tempi del college e mi fece ricominciare a piangere a dirotto.
 
Potrei mai perdonarlo? Ascoltare le ragioni del suo gesto?
 
Non lo so. Per la prima volta dai tempi dell’ultimo esame universitario quella che era sotto esame ero io e avrei lasciato il compito non riuscendo a rispondere a quelle semplici domande. Perché ogni singola parola avrebbe perforato qualcosa di vitale che avrebbe causato un immane dolore
 
Nome:
Angelica Scott
età:
22 anni
mestiere:
professoressa di filosofia
test:
1-riuscirai mai a perdonare il tuo migliore amico?
2-riuscirai mai ad ascoltare le ragioni del gesto che ai tempi del college ha condizionato per  sempre la tua vita?
 
Voto:
 
NON CLASSIFICABILE
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE
salve a tutti. Mi presento sono la squinternata di nome Alice che quando non ha un cacchio da fare si mette a fantasticare e a scrivere queste " cose " che dovrebbero essere, o almeno provare a essere, delle storie.
abbiamo conosciuto i nostri protagonisti Simon e Angelica che sono stati, in un passato recente diciamo, migliori amici am che dopo il diploma si sono divisi per una imperdonabile boiata che ha fatto il nostro amico Simon.
essendo questa storia fresca di pacca come si dice qui a bologna non so con precisione quando pubblicherò il prossimo capitolo ma conoscendo quellla altrettanto squinternata della mia amica Marina abbastanza presto spero quanto meno. Mi piacerebbe molto che recensiste giusto per farmi sapere quanto vi abbia fato schifo, o anche piaciuto si spera il mio inizio anche perchè la sola recensione di Marina e di mia madre non sono molto efficaci visto che sono di parte.
penso di non essermi mai prolungata così tanto a parlare al termine di un racconto sarò diventata logorroica... comunque ritornando seri vi faccio i miei saluti e blablabla è stato bello conoscervi blablabla eccetera eccetera ora vado a stringere il mio cervello tra una morsa per poter tirare fuori un altro pezzo di storia CIAOOOOOOO
ALLA NON TANTO PROSSIMA VOLTA
ALICE 

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Capitolo 2
*** PERCHE' NATO SCEMO?! ***


Perché sono io? Perché devo essere nato andicappato? Ma di una andicappaggine pesante. Prima o poi dovrò chiedere a mia madre che genere di sostanze stupefacenti solide o liquide avesse assunto durante la gravidanza ma doveva essere roba molto forte per aver creato il così alto tasso di merda che contiene il mio cervello.
Mi sta bene, me le sono meritate le sue parole. Mi merito il suo odio, non mi darà mai il suo perdono. Mi sono comportato da stronzo. Tutti i giorni ripenso a quella notte che è stata la notte più bella e più brutta della mia vita allo stesso tempo. Sento ancora il suo dolce sapore nella mia bocca, l’odore della sua pelle, dei suoi capelli il modo morboso con cui mi toccava i capelli, le sue vellutate dita che con timidezza percorrevano il profilo del mio corpo, della mia mascella, dita che disegnavano col loro delicato tocco il contorno delle mie labbra prima di baciarle con l’indecisione e la paura di commettere un passo falso, ma che poi si lasciavano andare in un bacio passionale esplorando ogni piccolo angolo della mia bocca . un bacio smanioso di conoscere ogni piccolo centimetro della mia lingua senza mai abbandonare la dolcezza e la tensione per quel gesto che mai avevamo avuto in 7 anni di amicizia. Me ne ero andato dopo aver violato quel giovane e bel corpo che da troppo tempo desideravo avere. E fu proprio quel desiderio ad avermi impaurito. Io non la meritavo, non potevo averla, non era mia di diritto e questo non potevo sopportarlo, la mia folle gelosia per lei l’avrebbe fatta stare male. Per questo avevo preso la tangente, l’avevo fatta mia poi ero scappato via dicendole quelle cose orribili che neanche pensavo anzi che non mi erano neanche mai passate per l’anticamera del cervello, solo in quel modo sarei riuscito ad allontanarla da me. Erano tre anni che alla mattina mi svegliavo ansimando e piangendo prendendo il telefono e facendo il suo numero perchè sapevo che mi avrebbe ascoltato e tranquillizzato però solo dopo il primo squillo mettevo giù ricordando tutto. L’avevo obbligata ad odiarmi sapendo che se avessi fatto altrimenti mi avrebbe cercato e sarebbe stato più doloroso doverla lasciare andare per la sua strada.
Ora, davanti allo schermo del mio pc con la mail già scritta che necessita solo di essere inviata, un piccolo click sul mouse e primi capitoli della tesi sarebbero arrivati a lei. Ma doveva aggiungerle qualcosa all’allegato doveva farle capire, adesso che l’avevo ritrovata quanto mi ero maledetto in quegli anni. Ma non sapevo cosa scriverle sicuramente mi avrebbe insultato perché la facevo soffrire ancora, ma non era mia intenzione se avessi saputo tutto ciò che le sarebbe successo in quei tre anni non avrei esitato un attimo a tornare in quella stanza per starle vicino. Invece no aveva perso me, poi sua madre a cui era sempre stata molto legata, era rimasta sola al mondo visto che del padre non si era mai saputo niente. Presi il coraggio tra le mani e iniziai a scriverle.
CIAO ANGI, SCUSA, ANGELICA TI STO MANDANDO I PRIMI CAPITOLI DELLA MIA TESI. PERÒ VOLEVO ANCHE SCRIVERTI UNA COSA. VOLEVO DIRTI CHE MI DISPIACE PER QUEL GIORNO E SPERO CHE TU POTRAI MAI PERDONARMI MA HO AVUTO I MIEI MOTIVI PER FARE QUEL CHE HO FATTO E SE VORRAI ASCOLTARE BASTA CJE MI CHIAMI IL MIO NUMERO È SEMPRE QUELLO MA VISTO CHE L’AVRAI SICURAMENTE CANCELLATO TE LO SCRIVO NUOVAMENTE 555-68453 CHIAMAMI PICCOLA TI PREGO E ASCOLTAMI IO TI VOGLIO BENE CIAO SIMON ( IL TUO SIMON) :-*
Invio.
No fermate tutto. Annulla invio, annulla invio, annulla invio. Ti prego, ti prego no. Troppo tardi dannata tecnologia. Perché ero così scemo? Con quelle dieci parole ero riuscito a buttare nel cesso il duro lavoro di tre anni. CAZZO!! Scemmunito, cretino, deficiente…. E via con l’autocommiserazione!!!
Scemmunito, cretino, deficiente…
Una nuova mail…scemmunito. Indirizzo estraneo…cretino. Doppio click…deficiente. Apertura mail…stronzo. Quello lo avevo saltato, ad essere sincero non ci avevo nemmeno pensato solo quella parola a riempire lo schermi bianco del computer che me la suggeriva
STRONZO!!!!!!!!! ( LA “TUA” ANGI)
Perfetto.. farmi ascoltare sarebbe stato più difficile del previsto.

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Capitolo 3
*** Giornatina da venerdì 17 ***


GIORNATINA DA VENERDI’ 17
 
Stronzo… era uno stronzo. Solo quella parola meritava in risposta un bel diretto, dolce e amorevole STRONZO!!!
Come si permetteva, dopo tre anni che non mi chiamava, che non mi scriveva e che avevo passato a piangere disperata. Lo odiavo tanto, ma allora perché mi ero subito salvata il suo numero sul cellulare? Aveva ragione su una cosa, però, il numero l’avevo cancellato, perché troppe volte, in momenti di disperazione, avevo inoltrato una chiamata mettendo giù al primo squillo rimettendomi a piangere disperata, sola nel mio freddo letto.
Perché sentivo definirsi “il mio Simon” mi aveva commossa, perché stavo sorridendo come una cretina mentre le lacrime mi rigavano il viso?
Non potevo provare ancora qualcosa per lui, non potevo permettermi ancora anche solo amicizia per quell’uomo. Non potevo permettermi di soffrire di nuovo, perché ero certa che non ne sarei uscita. Mi sarei buttata sul lavoro, non parlandoci, non guardandolo, nemmeno pensandolo.
Ma lo sapevo, avevo già trovato la risposta a tutte le mie domande: dovevo recuperare quei non classificabile, in fono rimaneva ancora l’orale.  Ci avrei parlato guardandolo in faccia, dritto in quei pozzi blu che sempre avevo amato; perché non potevo vivere senza guardarlo, parlargli e pensare a lui.
Non potevo permettermi di smettere di vivere.
Quindi era deciso, ci avrei parlato, presi il telefono per poi ributtarlo con decisione sul divano. Abbandonata da ogni briciola di coraggio, con calma avrei chiamato più tardi. Sì, come no, il problema era uno solo: la paura che mi bloccava sul divano.
Però quel rumore lo avevo sentito. Il vetro della porta che dava sul giardinò andò in frantumi. Era ormai notte e avevo paura visto che in quel paesino erano frequenti i furti.
Il ladri?! Mi alzai in piedi e afferrando il telefono corsi in camera dove mi chiusi nell’armadio. Ero in preda al panico. Immobile nel buio dell’armadio non riuscii più  a ragionare, tremando presi il telefono e chiamai l’unico numero che mi venne in mente.
Uno squillo, due squilli.
Rispondi, mi dicevo mentalmente.
- Vedo che non hai atteso molto. Come avevo immaginato dopo quello “stronzo” che mi hai scritto – la sua voce suonava sarcastica in quell’apparecchio infernale.
- Simon, ti prego – dissi a bassa voce per non farmi sentire mentre piangevo.
- Angie, scusa non volevo fare lo stronzo – ripose.
- Simon, ti prego aiutami, ho paura – dissi con un gran singhiozzo.
- Angie, stai bene? – chiese preoccupato.
-  No! Ti prego. Vieni. Ho bisogno di te, non abbandonarmi, non di nuovo – riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro.
-Angie, calmati. Mi puoi dire che succede?! -  disse preoccupato.
- I ladri. Simon, aiutami. Ho paura – riuscii a dire quasi strozzandomi.
- Cazzo, ok. Dove sei adesso?! – biascicò.
- Sono… sono chiusa nell’armadio. Ti prego, salvami, non voglio… -.
- Non succederà niente, ora tranquillizzati. Sto arrivando. Rimani chiusa lì dentro. Abiti sempre lì? -.
- Sì, per favore fai in fretta – balbettai.
- Sto arrivando, tranquilla, piccola mia. Non permetterò che ti succeda niente – e sentii una porta sbattere dall’altra parte della cornetta, probabilmente lo sportello di una macchina.
- Ora metto giù,, cucciola – e mise giù.
Perché aveva usato quei nomiglioli? Per rassicurarmi? Forse. Ma la poca tranquillità che ero riuscita a ristabilire scomparve quando sentii la voce di qualcuno che saliva le scale. La tensione era tana, così sentii piano piano la lucidità abbandonarmi, sentivo sempre più forte il cuore battere, l’odore di naftalina impregnarmi le narici, il buio soffocarmi e il silenzio invadermi. Così caddi nel beneficio del sonno perdendo definitivamente i sensi.
Percorrevo un corridoio buio trovandovi alla fine solo un’inutile porta bianca. Dove mi trovavo? Stavo sognando? Sicuramente, ma cos’era quella porta? Era stranamente familiare… Dove l’avevo già vista?
Poi nel momento esatto in cui la sfiorai , quella porta si aprì facendo quello strano rumore che era rimasto ancorato in un angolino della mia memoria. Quando la porta si spalancò, sentii tutti i ricordi che ero sapientemente riuscita a chiudervi dentro per la mia sanità mentale. Quello che ne uscì fuori fu più doloroso di quel che pensavo. Trafitta da un lancinante colpo al cuore sillabai a stento il suo nome.
- Simon -.
- Angie – disse lui guardandomi negli occhi.
- Sei arrivato. Ti prego, aiutami – dissi iniziando a piangere nuovamente.
Non mi era mai piaciuto mostrarmi debole davanti a lui e adesso ancora di più. Mi infastidiva, non so perché.
- Tranquilla, va tutto bene. Ci sono qui io adesso – diceva ancora sull’uscio della camera che ci aveva fatti separare, quella del mio college, l’ultimo posto in cui ero stata con lui.
Di getto mi buttai tra le sue braccia iniziando a piangere più forte. D’istinto mi strinse a sé accarezzandomi la schiena per farmi rilassare.
- Tranquilla, ora, Angie, svegliati, ti prego. Fallo per me – lo sentii chiamare. Perché voleva che mi svegliassi, non stavo dormendo o forse sì?
Continuava a chiamarmi, ma ora la sua voce era lontana e non ce l’avevo più tra le mie braccia.
- Piccola mia. Svegliati ti prego – ancora quella voce, ma chi era? Cosa voleva da me? Perché mi chiamava piccola? E soprattutto dov’era finito Simon?
- Simon! Simon! – iniziai a chiamarlo urlando guardandomi intorno, non riuscendo a vederlo da nessuna parte nel buio.
- Te ne sai andato di nuovo codardo! – urlai sperando che dovunque si trovasse in quel momento lo sentisse. Sentisse il mio disprezzo nei suoi confronti.
- No, cucciola. Sono qui. Riprenditi. Apri quei bei occhioni blu, fammeli vedere di nuovo, ti prego – diceva e qualcosa di bagnato scendeva sul mio viso. Erano lacrime, ma non mie. I miei occhi erano asciutti, almeno per quel momento. Sentivo la sua voce, ma non riuscivo a vederlo. Volevo vederlo così seguii il suono della sua voce e oltrepassai quella porta colpita ancora dai ricordi. Faceva paura, ma sapevo che anche se non lo vedevo lui era lì, accanto a me.
- Ti prego non andare verso la luce – disse ritornando il solito Simon ironico e scemo.
- Idiota – dissi ritornandolo a guardare nelle bellissime pozze d’acqua blu che aveva al posto degli occhi.
- Oh, ti sei ripresa finalmente cucciolotta. Mi hai fatto preoccupare molto. Non ti svegliavi più. Continuavi a chiamarmi e a piangere. Che è successo? – disse facendomi una leggera carezza sulla guancia ancora bagnata da lacrime che presumevo fossero sue.
- Infatti ti ho sognato. Ero nel mio armadio e poi buum, mi sono ritrovata in un corridoio buio, poi ad un tratto ho visto la porta bianca, quella porta Simon. E poi tu sei uscito da lì e ho ricordato tutto… Il college… Tu… Io… Ti sei messo a parlarmi e mi hai fatto piangere, poi sei scomparso così… Io… C’è, non lo so, mi sono… Ho… Pensato che fossi fuggito via, come un codardo anch… - dissi tutto d’un fiato riprendendo a piangere confusa, ma non riuscii a finire la frase perché mi interruppe posandomi le dita sulle labbra.
- Ehi, calmati. Ho capito. Ora tranquilla. Come puoi vedere io ora sono qui e… Non ti abbandonerò di nuovo. Non lo avrei mai voluto fare, nemmeno allora, ma… Dovevo – disse fermandosi davanti a me tendendomi le mai strette intorno alle guance e accarezzandole e pulendole dalle lacrime che mi accorsi solo in quel momento che stavo ancora versando. Lo vedevo avvicinarsi furtivamente a me.
- L’ho fatto per il tuo bene -.
- Per il mio bene? Eri tu il mio bene Simon e te ne sei andato… Pensando al mio bene? – sbuffai tornando a piangere abbassando lo sguardo per non farmi vedere, col guscio abbassato pronta a soffrire ancora e più di prima se possibile. Ma non me lo permise, mi portò con le sue possenti mani a guardarlo negli occhi.
- Lo so. Sono stato un egoista pensando solo a me stesso, però non pensare che questi tre anni siano stati rose e fiori per me. Non sai quante volte ho avviato la chiamata per parlarti, ma poi rimettevo giù subito dopo il primo squillo. Non sai quante volte ho pianto pensando a te, ai tuoi occhi, alla tua voce. Quante volte mi sono maledetto trovandomi nel letto di qualche donna occasionale per sfogarmi quando invece mi ritrovavo te davanti e invece che puro sesso mi ritrovavo a fare l’amore pensando di avere te fra le braccia e non una lurida sgualdrina. Volevo te. Ma ti avevo perso. Non sai quanto ne sono dispiaciuto, farei di tutto per te, di tutto per il tuo perdono. Perchè non posso vivere così. Sapendo che tu mi odi nel profondo, dopo oggi potrai anche non volermi vedere più, al diavolo la tesi. Però il tuo perdono… ti chiedo solo quello. Perché ti amo. Vivere senza la donna che si ama è possibile, ma vivere con la consapevolezza che lei ti odia no. Perdonami – disse con le lacrime che uscivano dai suoi occhi. Non lo avevo mai visto piangere. Simon lo conoscevo come il sorridente, stupido, cretino Simon, non come l’uomo depresso, triste e piangente. Avevo ascoltato ogni singola lettera di ogni sua singola parola. Ero rimasta estasiata dalla sincerità di cui straripavano i suoi occhi pieni di lacrime. E mi accorsi di una cosa, mi resi conto che io Simon l’avevo già perdonato, l’avevo perdonato nel momento esatto in cui era uscito da quella porta, ma non volevo farmene una ragione. Volevo troppo bene a quel ragazzo anche solo da non riuscire neanche a farmi sfiorare dall’idea di odiarlo.
- Simon. Io ti avevo già perdonato nel momento esatto in cui uscisti da quella porta. Perché io… Ti voglio… No, balla… Perché ti amo troppo per poterti odiare, per questo ho sofferto tanto in questi anni – dissi sorridendo appena per avergli appena confessato tutto ciò che pensavo e che avevo rinchiuso dentro la porta del mio sogno, che evidentemente avevo lasciato spalancata creando una corrente di ricordi che tornavano alla luce. Lo vidi sorridere avvicinandosi sempre di più a me. Chiusi istintivamente gli occhi desiderando più del dovuto quel contatto tra le nostre labbra. Che però non arrivò perché fummo interrotti da qualcuno che si raschiò volutamente la gola per attirare l’attenzione. Così quel rumore mi riportò alla realtà. Mi riportò nell’armadio dove ancora ero seduta. Mi riportò nella mia casa, ai ladri. Oh cacchiolina, i ladri!
- Oddio, i ladri! Aiutami, Simon – dissi saltandogli in grembo nascondendomi nell’incavo del suo collo. Sentii qualcuno ridere.
- Guarda ragazzina che se ci fossero ancora i ladri in questa casa, dopo la vostra smielata dichiarazione, sarebbero uno corsi via a vomitare, due non saresti più qui, tre non ci sarei io qui a pararti il culo, come sempre oserei dire, quindi riminchiati e separati dal tuo Romeo e vieni con me. Che poi me la paghi questa, sai! -.
Oh porca vacca. Ricollegai i tasselli del puzzle. Agente. Ragazzina. Rimichiati. Poi me la paghi. Pararti il culo.
- Oh cazzo -.
- Hai detto bene. Mia caruccia Angie -.
Oh porca vacca, manco fosse stato venerdì diciassette, una sfiga così non l’avevo mai avuta. Mi separai velocemente dal petto di Simon che era ancora rimasto scioccato dal nostro colloquio.
- Angie, ma cosa?! – disse confuso alzandosi in piedi e prendendomi per mano.
- Non è il momento Simon. Jason posso spiegarti tutto! -.
- Non vedo l’ora – disse con quel sorrisino che ormai conoscevo da cinque mesi
 


SPAZIO AUTRICE
Cari ragazzi/ragazze è tornata la svalvolata, è tornata la svalvolata, cha, cha, cha su diamo questo gusto frizzo frizzo…
Cosa vi posso dire… Sono pazza. I miei scleri li possono sopportare solo tre persone:
- i miei;
- la svalvolata 2: Marina;
- Rossella e la cretina, e sottolineo cretina, Carlotta, vale a dire mia sorella che ha dovuto imparare a sopportarli.
Quindi non so quanti di voi, poveri cristiani, stiano leggendo questo mi sclero.
Miracolosamente sono riuscita a scrivere anche il terzo capitolo che mi sembra anche piuttosto denso, una settimana ero piuttosto su di giri e dopo il caffe sono riuscita a “partorirlo dopo ore e ore di faticoso travaglio”.
Ho deciso quindi di farvi un po’ respirare e ho deciso che da ora in poi ne pubblicherò uno a settimana, probabilmente sabato prossimoXD. Anche per creare suspense.
Parliamo del capitolo, cosa ne pensate? Ero abbastanza intensa? Chi sarà questo maledetto Jason per altro buon rompi quale (visto che i maroni non ce li ho) visto che li ha interrotti nel momento clou. Porca miseria.
La svalvolata ha finito di parlare quindi finisco questa chiacchiera se si può definire così.
Ah, un’ultima cosa, mi scuso se il mio linguaggio è un po’ volgare e  altamente incomprensibile anche nella vita normale parlo così, inventandomi parole che uso come insulto come rimichiati che sta per ripigiati.
Qui Alice conclude, passo e chiudo e al prossimo aggiornamento e recensite in tanti!!!! E in culo alla balena sperando sempre che non caghi!!

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