Phoenix Song, or Hermione Granger and the HBP di grangerous (/viewuser.php?uid=428108)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Song of Healing ***
Capitolo 2: *** The Man with Two Masters ***
Capitolo 3: *** The First Lesson ***
Capitolo 4: *** The Agreement ***
Capitolo 5: *** Preparations ***
Capitolo 6: *** Happy Returns ***
Capitolo 7: *** Hermione's Helping Hand ***
Capitolo 8: *** Slytherin Politics ***
Capitolo 9: *** Birthday Surprises ***
Capitolo 10: *** Occlumency ***
Capitolo 11: *** Slytherin Conversations ***
Capitolo 12: *** Severus Saves ***
Capitolo 13: *** Canary Yellow ***
Capitolo 14: *** Defensive Mechanisms ***
Capitolo 15: *** Christmas Cheer ***
Capitolo 16: *** Viktor Victorious ***
Capitolo 17: *** Family and Friends ***
Capitolo 18: *** Reversal of Fortune ***
Capitolo 19: *** One is the Loneliest Number ***
Capitolo 20: *** Misery Loves Company ***
Capitolo 21: *** Knowledge = Power ***
Capitolo 22: *** Information Networks ***
Capitolo 23: *** Occam's Razor ***
Capitolo 24: *** Sectumsempra ***
Capitolo 25: *** Felix Felicis ***
Capitolo 1 *** Song of Healing ***
Capitolo 1
Nota
della traduttrice:
E'
la mia prima traduzione per il fandom di HP e spero
possa
incuriosirvi e interessarvi com'è accaduto a me. Trovate la storia
in originale qui.
Questa è la prima di una trilogia con protagonisti
Hermione e Snape, in un'alternativa versione degli ultimi due libri
della saga. L'autrice grangerous, di cui curo l'account su questo
sito, è stata molto gentile da acconsentire alla traduzione. Conosce
abbastanza bene la lingua italiana, quindi penso potrà
apprezzerare ogni vostro commento alla storia senza bisogno di
traduzione.
Alcune precisazioni:
-
ho deciso di non tradurre i nomi dei personaggi, mentre
tutto il resto lo troverete in italiano;
-
le frasi sottolineate sono prese pari pari dal testo
originale;
-
le
forme di rispetto sono qui espresse più o meno come nei libri: gli
studenti danno sempre del lei ai professori, mentre i prof danno del
tu agli studenti, ma antepongono le forme Signor e Signorina prima
del cognome (approfitto per ringraziare ThePortraitOfMrsBlack
per le precisazioni a riguardo).
Infine, il capitolo non sarebbe
leggibile senza il prezioso intervento della mia beta silviabella
che vi ha evitato errori ed orrori degni di un girone dell'inferno
dantesco.
Buona lettura,
Anne London
Capitolo
1
Song
of Healing
"Innerva."
La voce la rese improvvisamente
conscia del suo corpo, nell'improvvisa consapevolezza di dolore e
panico. Harry. La profezia. Si
sforzò di
alzarsi, strizzando gli occhi contro la luce intensa. Una mano fredda
sulla fronte la spinse gentilmente, ma fermamente, indietro nel
letto. Un letto?
Dove sono?
"Signorina Granger,"
conosceva quella voce: fredda come la mano sulla fronte, profonda e
molto rassicurante. “Sei ad Hogwarts, nell'infermeria per essere
precisi. Preferirei stessi sdraiata.”
“Do-dov'è Harry?” chiese, il
panico che pulsava nelle vene.
“Malgrado abbia trascinato cinque
dei suoi compagni in un'idiota tentativo di salvataggio studiato
male, né Harry Potter né altri studenti sono stati gravemente
feriti. Tu, invece, devi stare ferma.”
Gradualmente i suoi occhi si
assestavano all'illuminazione della corsia. Il Maestro di Pozioni
incombeva sul suo letto, i capelli scuri davanti al viso.
“Mi è sembrato di capire dal
signor Potter che sei stata colpita da Antonin Dolohov, mentre lui
stesso era affetto da un incantesimo tacitante. E' andata così? ”
La botta di adrenalina iniziale
ormai andava scemando e parlare diventava sempre più difficile. “Sì,
signore,” suonava più come
“Sissssore...”
“Né Potter né Longbottom sono
stati in grado di dirmi qualche maledizione ha usato Dolohov.” Il
tono di Snape implicava che una tale ignoranza era imperdonabile.
Sollevò un sopracciglio con aria interrogativa
in attesa di una risposta.
“Non lo so neanch'io,” riuscì a
rispondere. Snape appariva straordinariamente indifferente. “Mi
dispiace signore...”
Snape si raddrizzò e incrociò le
braccia sul petto. “Signorina Granger,” iniziò, scivolando in
automatico in modalità lezione. “Un incantesimo scagliato sotto
l'effetto tacitante si differenzia enormemente da un incantesimo
non-verbale dello stesso tipo. Le conseguenze possono essere
difficili da prevedere. In molti casi, tuttavia, l'incantesimo si
installa nel ricevente come potenziale magico, crescendo in intensità
fino all'esplosione di energia magica risultante. La situazione è
altamente pericolosa per il ricevente. Sono stato abbastanza chiaro?”
Gli occhi di Hermione si
spalancarono e iniziò a sentire un diverso tipo di panico crescerle
nel petto. “Vuol dire che la maledizione è bloccata dentro di me,
pronta ad esplodere da un momento all'altro.”
Snape la guardò negli occhi,
un'espressione seria in volto. “Corretto.”
“Cosa...” iniziò, ma lui alzò
un dito per interromperla.
“Senza conoscere la maledizione
usata non c'è niente che si possa fare.” S'interruppe, deglutendo
leggermente prima di continuare. “Ho bisogno che mi mostri il
ricordo dell'evento.”
"Legilimanzia?"
“Esatto.”
Hermione poteva sentire il cuore
batterle forte nel
petto. Devo farlo entrare nella mia mente? Non mi meraviglio che
il professor Snape sia qui al posto di Madama Pomfrey. Tutto
iniziava ad avere un senso, dalla presenza dell'uomo
al suo capezzale al terribile dolore che andava pulsando per tutto il
corpo. Hermione si morse il labbro inferiore per un breve momento.
“Cosa devo fare?” chiese.
“Il contatto con la pelle aumenta
la connessione,” replicò Snape. Sembrava quasi annoiato, un
leggero tocco di disgusto colorava la sua voce. “Altrimenti può
essere sufficiente mantenere un contatto visivo; cerca di rilassarti
il più possibile.”
Rilassarmi? Corro un pericolo
mortale per una maledizione inesplosa e il professor Snape sta per
rovistare nel mio cervello. Dovrebbe essere un gioco da ragazzi.
Lui si avvicinò al letto e le
prese il mento con la mano sinistra, alzandole il viso per guardarlo
direttamente. Con la mano destra posizionò la bacchetta contro la
tempia di lei. “Pronta?”
Hermione strinse le labbra e annuì
con determinazione. Il movimento era così leggero che, se la mano
del professore non fosse stata a
contatto con il suo mento, lui non l'avrebbe notato.
I
suoi occhi si strinsero. “Legilimens.”
Sentì allora la sua presenza, ai
margini della coscienza. Mentre si spingeva avanti il dolore nel suo
corpo cresceva schiacciandola da tutti i lati. Non riusciva a
resistere. Sopraffatta dal dolore rispose d'istinto. “NO!” Aveva
davvero urlato? Era tutto nella sua testa? In un disperato tentativo
di mantenere il controllo respinse il dolore, bloccandolo dentro
all'equivalente mentale di un grosso baule, non dissimile da quello
usato negli anni per trasportare i suoi vestiti e libri a Hogwarts.
“Signorina Granger,” La sua
voce, come il viso, manifestava shock. “Mi pare di capire che hai
studiato occlumanzia?”
“Io... no, certo che no.” Lo
guardò confusa, realizzando all'improvviso che anche la sua presenza
nella sua testa era andata scomparsa.
“Certo che no,” le fece eco,
deridendola. “Eppure sembrerebbe abbia approcciato l'argomento con
il tuo consueto entusiasmo.”
“Io...” Hermione contorse il
viso, incapace di articolare una frase
coerente. Il dolore era diminuito in qualche modo, ma si sentiva
esausta. “Stavo occludendo?”
“Sì.” Snape sospirò. “In
altre circostanze avrei spinto fino a smantellare le tue difese
mentali, ma vista la maledizione bloccata dentro il tuo corpo il
rischio è troppo alto. Ho bisogno che tu mi faccia entrare.” Esitò
un momento, “Sarebbe molto più semplice se ti fidassi di me,
almeno per la durata del procedimento.”
“Non è... è solo...” Persino
con il dolore che spingeva profondamente dentro di lei, respirare era
difficile e conversare quasi impossibile. Girò la testa a guardare
il soffitto sopra di lei, combattendo le lacrime che pizzicavano
pericolosamente. Respira Granger, pensò.
Dentro, fuori. Non vuoi che lui scopra quanto sei
spaventata. “Fa male,”
sussurrò finalmente, evitando il suo sguardo.
“Sì. Farà molto male.” In
qualche modo la sua onesta risposta alleviò la durezza delle sue
parole e la paura diminuì leggermente. “Vista la tua situazione
corrente, tuttavia, affrontare il dolore sarà inevitabile.” Lei
continuava a non far caso a lui, guardando fisso il soffitto. Ci
siamo, a breve nominerà il tanto celebrato coraggio da Grifondoro;
probabilmente è un brutto momento per confessare che non ne posseggo
neanche un po'. Con la coda
dell'occhio vedeva il suo viso, immobile, in attesa di una sua
risposta. I secondi passavano dolorosi. Non ha intenzione
di dire nulla? Finalmente si
azzardò a guardarlo in viso. Quando lei espirò, lui lasciò andare
il respiro che chiaramente tratteneva in
simpatia. “Allora,
signorina Granger?”
“Professore, ho fiducia in lei. Ma
non so come farla entrare.”
Snape la osservò ponderando.
“Hai spinto il dolore in un baule nel lato più profondo della
coscienza.”
Era un'affermazione, non una
domanda. “Hai solo bisogno di aprire il baule e invitarmi a
guardare dentro.”
Snape continuava a sostenere il suo
sguardo e Hermione sperò che non riuscisse a
leggere quanto disperatamente sopraffatta si sentisse. Forza,
Granger; Grifondoro, ricordi? Finalmente
lei annuì. Al suo cenno d'intesa le spalle di Snape si rilassarono
leggermente. Ancora una volta prese il suo mento fermamente con la
mano. “Legilimens.”
Il dolore iniziò a riecheggiare,
annebbiandole la vista, le membra doloranti. Combattendo per rimanere
calma, Hermione si focalizzò sugli occhi scuri e le lunghe ciglia
del suo professore di pozioni. Professor Snape, Professor Snape.
Il suo nome era un mantra che
offriva un filo di pensiero razionale lungo la rossa foschia che
minacciava di sommergerla. Sovrapposte alla visione dell'infermeria
riconobbe scene dei suoi ricordi, tutte rappresentanti l'uomo di
fronte a lei. Osservò il suo corpo incosciente attraversare il
tunnel della Stamberga Strillante con la testa che sbatteva e si
graffiava contro il muro; lei seduta in classe durante la prima
settimana ad Hogwarts elettrizzata dalla sua voce, “Io
posso insegnarvi a distillare la fama, imbottigliare la gloria e
perfino porre un fermo alla morte.”
Guardò mentre torreggiava sopra allo sfortunato professor Lockhart
all'unico incontro del Club dei Duellanti, la minaccia evidente in
ogni fibra del suo corpo; lo osservò sollevare la manica, in un
inutile tentativo di convincere Fudge che Lord Voldemort era
tornato...
“Signorina Granger,” la voce
reale di Snape attraversò gli strati di memoria. Riecheggiava in
modo strano, come se potesse sentirlo dentro e fuori la propria
testa. “Per quanto tu possa trovare piacevole abbandonarsi al
ricordo di ogni nostro incontro avuto durante gli scorsi cinque anni,
non ho né il tempo né il temperamento per godermi lo spettacolo. Ho
bisogno che mi mostri cos'è accaduto nell'Ufficio Misteri.”
Hermione sospirò con riluttanza,
lasciando andare l'ultima visione del professor Snape ritardare
l'inevitabile. L'ufficio della Umbridge si
delineò davanti a lei. Millicent Buldstrode teneva Hermione
premuta scomodamente contro il muro, mentre Snape rimaneva accigliato
sulla soglia. Prima che la scena svanisse, Hermione dovette rivivere
il fervente urlo di Harry. “Ha preso Padfoot! Ha preso Padfoot
dal luogo dov'era nascosto!” così come la ringhiante risposta
del professore, “Potter, quando vorrò che mi vengano urlate
contro delle sciocchezze ti darò una pozione Tartagliante...”
Secondi dopo, Hermione era
accovacciata sotto una scrivania, il panico martellante nelle vene.
Il ricordo era così vivido che la corsia dell'infermeria era
completamente sbiadita alla vista. A portata di mano sentì Harry
colpire uno dei due Mangiamorte vicini, a pochi metri da dove si
nascondeva. Il più vicino paio di gambe schivò il colpo
e la sua sfera d'attenzione si concentrò sulla bacchetta puntata
direttamente su di lei. Non riusciva a muoversi, non riusciva a
parlare. Come da una grande distanza sentì una voce.
"Avada...”
Solo quando il corpo di Harry sbatté
contro il ginocchio del Mangiamorte, buttandolo sul pavimento,
Hermione riprese il controllo delle sue membra riluttanti. Il suo
miglior amico ingaggiando una lotta sul pavimento con il Mangiamorte
che avrebbe potuto ucciderla, aveva evitato un colpo sicuro. Neville,
tuttavia, si lanciò ugualmente in avanti.
“EXPELLIARMUS!”
urlò, ansimando con orrore mentre sia la bacchetta di Harry che
quella del Mangiamorte volavano fuori dalla loro portata.
Hermione si lanciò in avanti e si precipitò dietro di loro. Neville
continuava ad urlare, riuscendo a lanciare un'altra maledizione, che
per fortuna finì lontano da entrambi gli uomini, finché Hermione,
finalmente, riuscì a colpire il
Mangiamorte. Richiamò la bacchetta di Harry e gliela restituì
prima di notare che il Mangiamorte era caduto contro e attraverso la
bizzarra campana di vetro che dominava la stanza. Orribilmente la sua
testa si contraeva sulle spalle, distorcendo i suoi lineamenti e
sostituendoli con quelli di un infante, malgrado il suo corpo fosse
rimasto uguale fuori dalla campana.
Mentre lo strano effetto procedeva
ora al contrario, Hermione capì cosa stava osservando. “È il
tempo,” sussurrò,
“Tempo...”
Delle urla dalla stanza adiacente la
riportarono con l'attenzione verso il grosso problema della fuga.
Allungò un braccio verso Harry, ma prima che potesse bloccarlo urlò
verso i suoi amici.
"RON? GINNY? LUNA?"
"Harry!" lo
rimproverò, nessuna speranza che la loro posizione
potesse passare inosservata. Harry la guardò, immediatamente
contrito, quindi alzò la bacchetta verso il Mangiamorte con la testa
da neonato che era riuscito a rimettersi in piedi. Sconvolta,
Hermione lo prese per un braccio. “Non puoi far del male ad un
bambino!” sibilò,
spingendolo verso la porta.
Per un secondo, Harry la guardò
come se fosse pazza. Sembrava pronto a ribattere, ma dei passi in
avvicinamento lo spinsero a muoversi “Avanti!” incoraggiò,
spingendo Hermione verso il salone delle porte e gesticolando
urgentemente verso Neville.
Mentre correvano,
altri due Mangiamorte apparvero nella stanza davanti a loro e Harry
schivò di lato, verso una piccola porta e dentro un ufficio
disordinato. Mentre Harry chiudeva la porta, Hermione cercava di
sigillarla.
"Collo..."
Iniziò troppo tardi. La porta venne spalancata e due Mangiamorte si
lanciarono dentro la stanza.
“IMPEDIMENTA!”
Urlarono entrambi i Mangiamorte. Hermione venne lanciata indietro
nella stanza, sbattendo dolorosamente contro uno scaffale.
Automaticamente alzò le braccia per proteggersi la testa, bloccando
diversi pesanti volumi che erano stati scagliati via dalle mensole
dalla forza dell'impatto. Harry e Neville erano stati scaraventati
per la stanza, Neville era scomparso
dietro ad una scrivania e Harry sembrava avesse perso conoscenza.
Carponi sulle ginocchia, Hermione alzò la sua bacchetta, il suo
primo pensiero quello di ammutolire il Mangiamorte vicino ad Harry,
che iniziava ad urlare agli altri il punto in
cui si trovavano.
"Silencio!"
urlò. Hermione quasi pianse di sollievo quando sentì la voce di
Harry dietro di lei.
"Petrificus
Totalus!"
disse e l'altro Mangiamorte cadde di lato.
Uno giù, uno muto. Hermione
non riuscì a trattenere un sorriso e si girò per congratularsi con
Harry. “Ben fatto,
Ha...”Ancora prima che
avesse finito di parlare, lo sguardo orripilato sul viso di Harry la
fece voltare indietro verso il Mangiamorte ammutolito. Con uno
sguardo vendicativo sul viso, frustò l'aria con la bacchetta verso
di lei, una striscia porpora la colpì sul petto e il dolore esplose
nel suo corpo. Un debole “Oh!”
le uscì con l'impatto e mentre la scena intorno a lei sbiadiva la
consapevolezza della propria stupidità la travolse. Perché
silencio? Perché non l'ho pietrificato quando ne avevo la
possibilità?
Ancora una volta il dolore stava
avendo la meglio, si sentiva affogare sotto le onde rosse, mentre
malediva la sua stupidità ancora e ancora. La voce di Snape la
riportò al presente, riecheggiando negli spazi interni ed esterni
che entrambi occupavano.
“Rimettilo
nel baule,
signorina Granger, ORA!” Debolmente all'inizio,
Hermione iniziò a respingere la sofferenza. Con sollievo si rese
conto che Snape la stava aiutando. Solo quando il baule si chiuse di
colpo i contorni e
i colori
dell'infermeria tornarono a fuoco, il viso del professor Snape a
pochi centimetri dal suo.
Raddrizzandosi,
lasciò andare il mento e passò rudemente la mano sul suo viso.
Appariva scosso, ma quando iniziò a parlare la sua voce era
regolare.
“Conosco la maledizione utilizzata
da Dolohov: una rara maledizione-frusta a cui pochi sanno come
contrastare. Fortunatamente sono a conoscenza
del contro incantesimo.” A quel punto abbassò leggermente la testa
e capelli gli scivolarono lungo il viso. Con gli occhi così celati
alla vista, continuò: “A questo punto ho bisogno di attivare la
maledizione. Il tuo petto si aprirà. Riuscirò a guarirlo
immediatamente, ma la procedura sarà ugualmente molto dolorosa.
Corri anche il rischio di una cicatrice permanente.”
Snape s'interruppe, aspettando forse
una risposta da Hermione. Ad un certo punto lei registrò il fatto
che avesse smesso di parlare e voltò lo sguardo assente verso di
lui, anche se non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse stata
stupida. Il suo continuo silenzio sembrò irritare il professore.
“Una cicatrice, signorina Granger.
Per quanto non dubiti che possa trovare l'idea rivoltante, non ho
bisogno di evidenziare il fatto che ogni altra azione aumenterebbe il
rischio di danni permanente al cervello.”
“Professore,
non m'importa della cicatrice.” La riteneva così superficiale da
pensare che potesse importarle di una cicatrice quando avrebbe
potuto quasi essere uccisa? Hermione si sentì improvvisamente male
per l'umiliazione. Il professor Snape aveva visto il suo errore e
chiaramente la pensava una vanesia, stupida ragazzina. “Non sta per
dirmi quanto sono stata stupida?” Il tono di voce era
inusualmente amaro mentre voltava il viso contro il cuscino.
Snape incrociò le braccia e
appoggiò un fianco contro il letto. Quando parlò la sua voce era
sarcastica come sempre, eppure in qualche modo più gentile di quanto
l'avesse mai sentita. “Una volta che questa vicenda sarà
terminata, signorina Granger, sarò deliziato dal dirti, con rigorosi
dettagli, precisamente quanto stupida sia stata l'intera iniziativa
dal momento in cui vi ho visti nell'ufficio della Umbridge. Per
adesso, tuttavia, il tempo è fondamentale. La tua vita rimane in
pericolo e ho bisogno che collabori per liberare la maledizione di
Dolohov. Sei pronta?”
Hermione aveva
chiuso gli occhi mentre parlava, ma li riaprì quasi
immediatamente in risposta alla sua domanda. Ancora una volta annuì.
Snape sembrò inspiegabilmente sollevato. “Bene,” replicò. Se un
sollevato professor Snape era una visione inusuale, lo sguardo
imbarazzato che ne seguì appariva ancora più strano sui suoi
lineamenti. “Nell'interesse dell'efficienza sarebbe meglio
rimuovere i tuoi vestiti prima di attivare la maledizione.”
Hermione ebbe appena
il tempo di sbattere le palpebre per la sorpresa. Snape si avvicinò
al letto e afferrò le lenzuola fermamente con la mano sinistra.
Vedendolo far questo, Hermione respirò
brusca, ma inaspettatamente Snape la coprì fino al mento. Muovendo
la bacchetta con un intricato movimento circolare mormorò un
incantesimo che Hermione non capì. La sensazione dei vestiti che si
contorcevano era bizzarra. Bottoni uscivano fuori dalle asole e
strati di vestiti si districavano sotto il peso del suo corpo.
Spuntarono da sotto il bordo delle lenzuola e si sollevarono verso
una sedia, dove rimasero quasi piegati in una pila. Hermione realizzò
con sollievo che, malgrado avesse perso mantello, maglione, maglietta
e reggiseno, manteneva ancora tutto dalla
vita in giù.
Snape fissò in modo determinato un
punto diversi centimetri a sinistra del suo orecchio e fece ricorso
al suo tono più sarcastico. “Puoi star certa che non rimuoverò le
lenzuola fino all'ultimo momento possibile.”
Dopo questo si voltò. Dopo aver
guardato i suoi stessi abiti per un lungo momento, rimosse il
mantello e la lunga giacca, sbottonando con attenzione e appendendo
entrambi sulla sedia. La rimozione della giacca rivelò un gilè nero
e una camicia bianca, la sua figura stranamente sottile senza i
voluminosi vestiti. Prima di girarsi verso il letto sollevò le
maniche con cura. Hermione riuscì a intravedere il marchio nero,
molto visibile sulla pelle pallida dell'avambraccio.
Quando si girò di nuovo verso di
lei il suo viso era calmo, l'evidenza del precedente imbarazzo
sapientemente acquietata.
Per la terza volta le prese il mento
con la mano e la guardò negli occhi. “Sei pronta, signorina
Granger?” chiese.
Hermione era estremamente
consapevole del lenzuolo sottile che parava il
suo corpo dalla
vista, insegnante e studentessa spogliati entrambi di diversi strati
dei loro abiti tipici. Le sue dita erano premute contro la guancia in
un gesto intimo e protettivo che contrastava con le sue precedenti
esperienze con lo strano e imprevedibile uomo. Il cuore le batteva
forte nel petto. Quando aprì la bocca per parlare, la gola era arida
e le parole suonarono strane e rauche.
“Sì, signore,” sussurrò.
"Legilimens."
Pochi secondi dopo l'immagine del
baule chiuso a chiave era di fronte ai suoi occhi. Sentì Snape
parlare nella strana voce dentro-fuori che accompagnava le incursioni
dentro la sua mente. “Al tre...”
All'uno la sua mano si staccò dal
mento e afferrò le lenzuola.
Al due spinse indietro le lenzuola
con un gesto armonioso, esponendo il suo corpo dalla vita in su.
Al tre il mondo di spaccò. Il suo
corpo si aprì dalla spalla alla vita, tagliando diagonalmente lungo
il suo petto. Aprendo la bocca per urlare riuscì solo ad articolare
un gemito. Nello sforzo di rimanere cosciente, Hermione vide Snape
trasalire quando il suo sangue gli schizzò sul viso e sui vestiti.
Tuttavia non interruppe il contatto visivo. Respirando profondamente
iniziò a cantare.
Hermione sentì il suo canto dentro
la testa e anche fuori, lo sentì nel midollo e in ogni fibra della
sua carne. Filtrava attraverso il corpo, cancellando il dolore e
ricucendo insieme i bordi lacerati della ferita. Con la sensazione di
sollievo che accompagnava il suo canto, Hermione ebbe una rivelazione
che sembrava talmente ovvia che si chiese come non lo avesse notato
prima.
Gli occhi di Snape erano fissi nei
suoi, mentre la bacchetta tracciava elaborate curve sopra la ferita
che andava sanando. Euforica per l'adeguatezza della sua scoperta,
Hermione sorrise al suo professore.
“È ovvio,” sussurrò, “Lei è
una fenice.”
Sempre sorridendo, Hermione vide i
suoi occhi spalancarsi per la sorpresa, anche se il suo cantare non
vacillò mai. Il suono creò un bozzolo caldo dentro cui si sistemò
grata, sentendosi al sicuro come mai prima.
Dopo tre o quattro minuti del canto
di Snape, il taglio profondo nel corpo di Hermione era completamente
sostituito da un fresca e all'apparenza
dolorosa cicatrice. La sua voce si calmò fino al silenzio e Hermione
sentì la sua presenza indietreggiare gentilmente dalla sua
coscienza. La mano che reggeva la bacchetta cadde sul letto e
diede un'occhiata al petto esposto per un velocissimo secondo, prima
di girare il volto e frettolosamente sollevare le lenzuola per
coprirla.
Hermione si sentiva come se stesse
galleggiando. Provò a parlare, ma nessuna parola ne uscì. Avrebbe
voluto dire grazie.
“Poppy?” chiamò Snape con voce
tranquilla. Sembrava esausto e le spalle erano curve per la
stanchezza. Hermione sentì l'avvicinarsi di rapidi passi e le tende
intorno al suo letto aprirsi per rivelare il viso preoccupato
dell'infermiera della scuola.
Pomfrey si avvicinò immediatamente
ad Hermione e tirò via le lenzuola. Snape si voltò, trovando da
fare con la sua giacca. Pomfrey passò leggermente la mano lungo la
brutta cicatrice rossa sul petto di Hermione. Provò diversi
incantesimi diagnostici prima di metter via la sua bacchetta nel
grembiule. “Oh, Severus,” sospirò. “Ben fatto.” Con mani
capaci rimise a posto le lenzuola intorno alle spalle di Hermione e
spostò una ciocca di capelli scomposta dalla fronte della giovane
donna. “Benderò la ferita a breve,” sussurrò ad Hermione.
“Andrà tutto bene.”
Snape schioccò le dita della mano
destra e sul tavolo vicino al letto apparve una penna con inchiostro
sospesa in aria. Malgrado rimanesse un po' lontano la penna iniziò a
elencare una lista di pozioni medicinali nella sua distinta scrittura
spigolosa. “Queste sono le pozioni che le servono.” commentò
dando ancora le spalle al letto.
Pomfrey si girò e prese la
pergamena, facendo scorrere un'esperta occhiata
lungo la lista con una certa preoccupazione. “Severus,” iniziò
incerta. “Abbiamo solo tre di queste nell'inventario.”
Snape quindi si voltò verso il
letto. Pomfrey rimase allibita nel vederlo. La sua faccia e i vestiti
erano abbondantemente schizzati con il sangue di Hermione e occhiaie
scure erano visibili sotto gli occhi. Aveva rimesso la giacca e il
mantello da insegnante, ma erano ancora sbottonati. Mentre si voltava
si strofinò con il dorso della mano lungo la fronte, spargendo le
gocce di sangue che vi erano, lasciando delle strisciate scure.
“Quali sono quelle già presenti?”
chiese, portando avanti l'altra mano verso la lista.
“Abbiamo la pozione
rimpolpasangue, la sonno senza sogni, ovviamente, e antidolorifici
basilari... ma Severus hai bisogno di riposare, non puoi
assolutamente fare le restanti nel tuo stato attuale!”
Snape alzò un sopracciglio. L'ombra
del suo abituale ghigno fece sollevare il bordo della sua bocca.
“Andiamo, Poppy,” la rimproverò. “Non c'è riposo per i
malvagi.” Si voltò allora, i suoi vestiti sbottonati che si
gonfiavano in teatralmente. Fece per andar via, ma la mano tesa di
Pomfrey lo agguantò per un gomito.
“Aspetta!” lo chiamò. Lui si
voltò lievemente verso di lei, ma senza parlare. Schioccando la
lingua contro i denti, Pomfrey tirò fuori la bacchetta. “Tergeo.
Ecco, ora va un po' meglio.” L'incantesimo asciugò il sangue dai
vestiti e dal volto di Snape, migliorando nettamente il suo aspetto.
In modo quasi affettuoso gli
diede un paio di colpetti sul suo
petto con la bacchetta. “Sei un brav'uomo, Severus Snape,”
disse.
Snape alzò gli occhi al cielo,
malgrado un piccolo
sorriso, che fece capolino all'angolo della bocca, tradisse il suo
piacere per il commento. “Se hai finito...” osservò con tono
esasperato. Scuotendo il braccio e liberandolo dalla presa, girò sui
tacchi e con lunghe falcate si allontanò dalla stanza.
Hermione stava ancora cercando di
ringraziarlo, ma senza successo. Solo un leggero sospiro uscì dalle
sue labbra. Il suono attirò comunque l'attenzione di Madama Pomfrey
che si voltò verso la sua paziente, le braccia incrociate sul petto.
“E
tu, giovane donna. Spero tu abbia capito quanto sei stata fortunata.
Tremo al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se il professor
Snape non fosse stato qui, disposto ad aiutarti!” Mentre
parlava rimosse diverse fiale dalle tasche spaziose del suo grembiule
e le allineò sul comodino di fianco al letto. Dopo averle stappate
le portò alle labbra di Hermione una per una, aiutandola ad
ingoiare. “Queste ti aiuteranno a dormire e diminuiranno il dolore.
Adesso dormire è la cosa migliore che tu possa fare.”
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Capitolo 2 *** The Man with Two Masters ***
Capitolo 2
Ecco qui il secondo capitolo. Salvo
problemi cercherò di aggiornare settimanalmente ogni venerdì.
Un ringraziamento particolare a
silviabella che betizza il testo e lo rende leggibile.
Anne London
Capitolo 2
The Man with Two
Masters
“Ah, Severus, sono
felice che tu sia riuscito a trovare il tempo di parlare con me,
oggi.” Malgrado il saluto fosse affabile, Snape capì
immediatamente quanto Dumbledore fosse furioso.
“Albus,” commentò
con tono evasivo, sedendosi al lato opposto della scrivania del
preside. Sapeva che l'anziano preside sarebbe arrivato dritto al
punto.
“Cosa devo fare,
Severus, per farti capire la gravità della tua situazione?”
“Della mia
situazione?” I suoi
occhi si fermarono su Fawkes. Fenice.
La parola gli riecheggiava
nella mente
dandogli
un
senso di bruciante fastidio allo stomaco.
“La
tua presenza è assolutamente vitale nella nostra lotta contro
Voldemort. Eppure ieri hai con noncuranza messo in pericolo la tua
vita.”
Gli occhi di Snape
scattarono verso Dumbledore. “Ieri, Albus, ho salvato una vita –
uno dei tuoi preziosi Grifondoro, nientemeno.” Snape sentì una
fredda ira risalire in risposta al rimprovero di Dumbledore.
Appoggiandosi allo schienale pose insolentemente una gamba sopra
l'altra e incrociò le braccia. La sua voce grondava sarcasmo. “Tieni
di più alla mia vita?”
“Sarebbe una tale
sorpresa se fosse così?” La risposta di Dumbledore fu repentina.
“Il tempo delle decisioni dettate
dai sentimentalismi è
finito. Siamo in guerra, ragazzo mio, e ho solo una spia ben
piazzata. Non puoi permetterti di correre un simile rischio.”
Per quanti anni Snape
aveva desiderato sentire l'uomo proclamare che la sua vita aveva un
valore e valeva la pena compiere qualche sacrificio per proteggerla?
Eppure adesso, di fronte ad una tale affermazione, il gesto risultò
inutile, una valutazione senza cuore sul suo valore per la causa. Le
parole di Dumbledore fecero
contrarre dolorosamente il suo stomaco.
Gli tornò alla mente il petto esposto, aperto e sanguinante della
signoria Granger mentre la maledizione esplodeva. Fu travolto
dall'ira.
“E se fosse stato
Potter? Hai sempre visto alcuni studenti più sacrificabili di
altri.” Mentre parlava, Snape si sporse in avanti, le mani
aggrappate ai braccioli della sedia.
“Io...”
Dumbledore s'interruppe con disagio, sembrando leggermente
imbarazzato per la prima volta durante la conversazione, e abbassò
gli occhi sulla scrivania. Una mano rimaneva chiusa lievemente a
pugno mentre Dumbledore la guardava. Le
rughe intorno alle nocche attirarono l'attenzione di Snape.
Dumbledore sembrava vecchio. La realizzazione era scioccante e
terrificante. Quando il preside parlò ancora, la sua voce era quasi
un sussurro. “Qui non stiamo parlando della tua infanzia, Severus,
ma delle tue azioni di ieri.”
Continuò Dumbledore, la voce ancora sotto controllo. “Sono
sollevato, ovvio, che la signorina Granger sia riuscita a
sopravvivere. E grato anche. Tuttavia, entrare nella sua mente mentre
tratteneva una simile maledizione è stata una sciocchezza eccessiva.
Se avesse perso il suo controllo mentale sareste morti entrambi o
avreste sofferto di irreparabili danni cerebrali.”
“La
tua logica è deplorevole, preside. Hermione Granger è vitale per il
risultato della guerra come lo sono io, se non di più. Abbiamo visto
entrambi i calcoli aritmantici: la ragazza è un elemento essenziale
per l'amicizia di quei tre. Purosangue, mezzosangue e nata babbana;
maschio e femmina: c'è una forte componente magica in questa
combinazione. Pensa, Albus! Cosa avrebbe potuto fare Harry Potter se
fosse stato responsabile per la morte della sua migliore amica? Quali
conseguenze avrebbe messo in moto questa situazione?”
“Il mio intervento
era necessario. Solo tu o io avremmo potuto gestire la Legilimanzia
richiesta e solo io so come curare il Sectumsempra. Non posso dire
che mi aspettassi la tua cieca gratitudine, Albus, ma confesso che
speravo in qualche parola di ringraziamento per aver salvato il
cervello del trio Grifondoro. Non so come la mia posizione di capro espiatorio
del Signore Oscuro possa
avere più benefici della sua continua presenza al fianco di
Potter.”
Snape era in piedi, le
mani sulla scrivania di Dumbledore e chinato in avanti, gli occhi
fissi su quelli del preside. Entrambi respiravano pesantemente.
“Severus?”
Dumbledore sembrava esitante. Si sporse in avanti e poggiò una mano
su quella di Snape. “Siediti, per favore. Ti devo delle scuse.”
Dopo diversi secondi
Snape sedette e, mentre lo faceva, tirò via la mano da sotto quella
di Dumbledore, incrociando le braccia sul petto.
“Grazie, Severus.”
Dumbledore si tolse gli occhiali e strinse tra le dita la radice del
naso. “Mi sbagliavo. Hai fatto la cosa giusta, quella onorevole.
Per la seconda volta in due giorni mi sono trovato nella stessa
posizione: in entrambi i casi ho riposto la salvezza di un giovane
uomo cui voglio bene al di sopra del bene comune. Sembra essere una
mia colpa ricorrente. Tu sei essenziale per la nostra causa, Severus,
ma ancora più importante, non potrei sopportare di perderti. Parlo
senza paura e spero che tu possa trovare nel tuo cuore la forza di
perdonarmi.”
Snape sentì
lo stomaco contorcersi involontariamente alle parole di
Dumbledore. Fin dall'incidente con la signorina Granger, il giorno
prima, le sue emozioni erano in costante tumulto. Non aveva
l'abitudine di entrare nella mente dei suoi studenti, al contrario.
Eppure, da esperto legilimante, la superficie dei pensieri ed
emozioni delle persone intorno a lui sfarfallavano
costantemente ai bordi della sua conoscenza – un brillante
caleidoscopio di intenzioni e desideri. Sapeva, per esempio, quando
qualcuno mentiva e reagiva senza possibilità di errore alla paura e
al disgusto che la sua presenza generava nella popolazione
studentesca in generale. Gli studenti della sua casa erano
un'eccezione, ovviamente, come lo erano diversi studenti degli ultimi
anni, in particolare quelli di Corvonero che riuscivano alla fine a
sostituire il loro iniziale terrore con un riluttante rispetto.
Eppure l'opinione di Hermione Granger lo aveva colpito. Aveva detto
di avere fiducia in lui e lo intendeva sul serio. La forza della sua
protezione occlumantica aveva soppresso quest'informazione lungo gli
anni della loro conoscenza, ma una volta dentro le sue difese, il
rispetto aveva colorato i suoi pensieri con un'intensità impossibile
da ignorare.
Ora, ecco Dumbledore
scusarsi e apertamente confessare la sua ammirazione. Le spesse
pareti delle difese emozionali di Snape erano inclini a resistere al
disprezzo e al sospetto, lasciando rispetto e preoccupazione
scivolare dentro delicati spazi interiori con una facilità che
trovava terrificante. Fissando il viso stanco di Dumbledore, Snape si
sentiva goffamente vulnerabile.
Il silenzio che seguì
le scuse di Dumbledore era carico e imbarazzante. Snape spinse in
avanti una mano in modo sia sprezzante che difensivo. “Basta.”
disse rauco, la gola arida. “I sentimentalismi non portano a
nulla.”
“Questo, ragazzo
mio,” rispose Dumbledore con un sorriso ironico, “è uno dei
pochi punti su cui dissentiamo.”
Snape
sbuffò
leggermente divertito. “Pochi?” chiese sarcastico, alzando un
sopracciglio.
Dumbledore rise
sollevato. Il leggero umorismo del loro scambio aveva fatto molto per
creare un certo
sollievo
tra i due. Dumbledore alzò la bacchetta e chiamò a sé una
bottiglia di firewhiskey con
due bicchieri di vetro da una credenza. Dopo aver versato due dosi
generose ne passò una a
Snape.
“Credo che entrambi
meritiamo una bevuta, non credi?”
Snape sollevò il suo
bicchiere in risposta e bevve avidamente. Dopodiché appoggiò il
bicchiere sul bracciolo della sedia e
osservò Dumbledore dall'altra parte del tavolo.
“Sarai felice di
sentire, Severus, che finalmente ho preso in considerazione il tuo
consiglio di parlare ad Harry della profezia”
“È un po' troppo
tardi, Albus.” Non c'era astio nella risposta di Snape, ma semplice
rassegnazione. “Se l'avessi fatto settimane fa, Sirius Black
sarebbe ancora vivo ed Hermione Granger non dovrebbe portare una
cicatrice per il resto della sua vita.”
Per un momento
Dumbledore non disse nulla, ma sollevò il bicchiere in segno di
brindisi “A Sirius Black, morto con lo stesso coraggio con cui è
vissuto.”
Snape proseguì. “A
Sirius Black,” gli fece eco, “l'ultimo della sua stirpe.” Bevve
una lunga sorsata, abbassando il suo bicchiere e notando che
Dumbledore osservava
con sguardo calcolatore.
“Severus, dimmi di
Hermione Granger.”
“Cosa c'è da dire? È
viva.”
“Sciocchezze. È
cambiato qualcosa. Anche se non posso dire di averti mai sentito
parlare di lei con lo stesso livello di vetriolo che Harry Potter
sembra ispirarti, ritenevo che non provassi per lei altro che
disprezzo.”
Snape trattenne il
respiro per qualche secondo, prima di rilasciarlo. Ancora una volta i
suoi occhi si spostarono di lato per osservare Fawkes. Mi ha
chiamato fenice. La parola
continuava a risuonare, ma non riuscì a ripeterla ad alta voce;
sembrava ridicolo. Era tentato di dire tutto
a Dumbledore e allo stesso
tempo di scagliare il bicchiere contro il muro e scappare via –
anche se sapeva che l'ultima opzione rinviava solo l'inevitabile.
Dumbledore avrebbe ottenuto da lui comunque una qualche versione
della storia, lo faceva sempre. Snape calcolò un'opzione sicura:
descrivere i concetti generali a Dumbledore, lasciando all'uomo più
anziano il
compito di
giungere alle proprie
conclusioni.
“Penso siamo
d'accordo che i miei tentativi d'insegnare l'Occlumanzia a Potter
siano stati un completo disastro.” Snape non poté fare a meno di
contrarre le labbra di fronte alla secca risata di Dumbledore. “Il
suo odio è stata una componente tossica per tutti i miei tentativi
dentro i suoi ricordi - e credevo che il sentimento fosse comune nei
suoi amici. Non avevo motivo di credere che la sua migliore amica
provasse qualcosa di diverso. Di
conseguenza, la mente della signorina Granger è stata una
completa sorpresa. Innanzitutto, la ragazza è un'occlumante
naturale. Se non lo fosse stata non credo sarebbe uscita viva
dall'Ufficio Misteri. Inoltre, non mi odia affatto. Sembra
addirittura che le piaccia l'ora di Pozioni.” Snape alzò le
spalle, fingendo nonchalance nella vana speranza d'ingannare un
preside così dotato nel leggere il linguaggio del corpo come se
leggesse la mente. Dietro le sue difese occlumantiche Snape urlava
silenzioso: ho scoperto la pelle perfetta del suo petto
e sono
stato ad osservare la sua tenera
carne che veniva
squarciata da una maledizione che il me stesso più
giovane, e immensamente più stupido, ha inventato. Dovrebbe odiarmi,
eppure avrebbe voluto ringraziarmi. Mi ha chiamato fenice.
“Ripensandoci,” continuò,
nessun segno visibile sul viso dei suoi reali pensieri, “è chiaro
che nei confronti di Harry Potter avrei dovuto utilizzare il solo
metodo pedagogico che sembra funzionare: avrei dovuto insegnare
direttamente alla signorina Granger e lasciare che lei passasse il
suo sapere e abilità attraverso un processo di educazione per
osmosi. Non ridere, Albus. Sono molto serio. Non hai avuto il dubbio
piacere di tentare di insegnare qualcosa a Potter e Weasley; è
Granger che apporta il cervello all'operazione. Al primo
anno è riuscita a risolvere il
mio puzzle
di logica... ”
“Vedo che brucia
ancora...”
“Lascia pure a me il
sarcasmo, Albus, non gli rendi giustizia. Al secondo anno Granger è
stata la prima a capire che quel mostro era un basilisco e si è
comportata con una perspicacia che ha salvato sia la sua vita che
quella di un altro studente, e sappiamo che ha sperimentato la
pozione polisucco all'inizio di quell'anno – incredibilmente
giovane. Dumbledore's Army è stata una sua idea e sono certo ci
fosse lei dietro qualunque scherzo abbiano giocato alla Umbridge.
Ogni volta Granger era presente per aiutare Potter; non sarebbe vivo
oggi se non ci fosse stata lei.”
“Ti sei scusato per
la spietata trascuratezza espressa per la sua vita oggi, ma cosa mi
dici del disprezzo che hai dimostrato negli ultimi cinque anni?”
Dumbledore
era chiaramente
offeso dalle parole di Snape. Sedeva rigido sulla sedia con la fronte
aggrottata.
Snape notò con sufficienza che aveva distratto con successo il
preside dall'indagare in profondità sull'incidente con Granger
e nel contempo si rese conto che
effettivamente aveva ottenuto una reazione allo specchio per le
allodole che aveva tirato fuori. Interruppe Dumbledore prima che
potesse protestare.
“Sto parlando della
classe di Difesa Contro le Arti Oscure. I ragazzi sono coinvolti in
una guerra mortale, Albus. Quale preparazione hanno? Cinque anni,
cinque insegnanti: uno più inetto del suo predecessore. Devi
assumere un candidato
qualificato quest'anno e se non lo fai insegnerò io stesso.”
Dumbledore sospirò.
“Hai ragione, Severus. Non sono preparati abbastanza, e non per
mancanza di voglia d'imparare. Eppure ci siamo trovati in questa
situazione così tante volte: la cattedra è maledetta e non posso
esporti ad un simile rischio.”
“Come ho ribadito
ogni volta, è stato il Signore Oscuro a lanciare la maledizione.
Incaricare il suo leale Mangiamorte è
il mezzo più sicuro per fare in modo che la maledizione venga
rimossa.”
“Forse.” Dumbledore
sospirò ancora, pesantemente. “Ti mancherà Pozioni, lo sai.”
Sorrise sbilenco all'uomo più giovane. La conversazione stava ormai
viaggiando verso percorsi sicuri e l'equilibrio era ristabilito.
“Lo so, anche se
pochi ti crederebbero.” Snape sentì le proprie labbra rilassarsi e
inarcò un sopracciglio. “Gli altri saranno più che altro convinti
della mia riluttanza a lasciare a qualcun altro il mio prezioso
laboratorio, piuttosto del piacere che traggo dall'argomento...”
“Parlando
d'insegnamento, Severus, credo di vedere un modo per salvare qualcosa
dalla nostra precedente discussione. Il prossimo anno dovrai dare
lezioni private alla signorina Granger.”
Severus fu colto
completamente alla sprovvista. “Potresti ripetere, Albus? Non puoi
essere serio.”
“Perché no?
Dopotutto è stato praticamente un tuo suggerimento. Potresti
iniziare col controllare che abbia il pieno controllo
dell'Occlumanzia e Legilimanzia e, da lì in poi, spostarti su
avanzate tecniche di difesa. Dal tuo racconto
è una studentessa sveglia e non ha obiezioni alla tua compagnia. Non
avendo più la responsabilità d'insegnare ad Harry durante la sera
avrai a disposizione molto tempo.”
Ancora una volta
Dumbledore era riuscito a mettere Snape all'angolo. Aprì la bocca
per protestare, ma la richiuse presto con la consapevolezza che
questa volta non gl'importava affatto. Scorrendo un dito sul labbro
inferiore si appoggiò allo schienale della sedia. Dall'altra parte,
il luccichio divertito negli occhi di Dumbledore. Riluttante a
capitolare così facilmente, Snape si voltò verso Fawkes per un
lungo momento. Era il suo turno di sospirare e lo fece nel modo più
drammatico possibile. “Molto bene, preside,” brontolò. “Ogni
tuo desiderio è un ordine.”
Poco dopo s'irrigidì
all'improvviso. La sua mano sinistra si contrasse e gli occhi si
spalancarono per il dolore.
“Voldemort?” chiede
con urgenza Dumbledore.
Snape annuì
bruscamente e si alzò.
“Posso abbassare le
difese della scuola nell'ufficio per farti andare direttamente...”
“No, non
preoccuparti. Devo prendere il mantello e la maschera.” Snape
sollevò il bicchiere di whiskey e lo finì tutto d'un fiato. Mentre
gettava una manciata di polvere volante nel camino, e si spostava nel
suo ufficio, sentì il saluto preoccupato di Dumbledore in
lontananza.
“Aspetterò il tuo
ritorno. Buona fortuna!”
Poco dopo Severus
usciva dai cancelli di Hogwarts. Alcuni
respiri
profondi furono
sufficienti per ripristinare la compostezza che lo aveva eluso
nell'ufficio di Dumbledore, prima di
toccare il marchio nero con la bacchetta
e svanire.
All'apparizione,
riconobbe il salone di Malfoy Manor. Non c'era bisogno della
maschera. La ripose in una tasca interna, sistemò il mantello e
camminò verso la sala. Il corridoio era stranamente vuoto e Severus
si mise a riflettere con inquietudine
sullo stato del suo precedente leader: le conseguenze
dell'incidente al ministero non potevano aver lasciato il Signore
Oscuro di buon umore. Mentre si avvicinava sentì un pietoso lamento
che risultò provenire dalla stessa stanza.
Narcissa Malfoy
piangeva curva ai piedi di Voldemort. All'arrivo di Snape si alzò in
piedi con imbarazzo.
“Va' via,” disse
Voldemort alla donna sconvolta, con evidente disprezzo. “Devo
parlare con il leale professore.”
Narcissa si spostò
verso Severus, oscillando leggermente. Si sporse in avanti e si
aggrappò alla sua manica. “Severus, ti prego...”
Una nota di assoluta
disperazione
marcava la sua voce. L'incarnato pallido del suo viso era macchiato
da una
sottile linea di
muco che le
segnava la guancia. Snape guardò la sua mano, dilatando leggermente
le narici.
“Ah, Narcissa,”
disse in modo strascicato, dando uno strattone con il braccio per
liberarsi dalla presa, “sempre
un'ospite così cortese.”
Il sarcasmo riuscì ad essere un ottimo sfogo per la sua irritazione.
Alle sue parole, il respiro di Narcissa divenne quasi un singhiozzo e
trasalì come se l'avesse colpita. Lanciando un ultima occhiata
terrorizzata verso Voldemort, scappò dalla stanza.
Solo con Voldemort,
Snape s'inchinò su un ginocchio, abbassando la testa. “Mio
signore,” disse.
“Mio caro ragazzo.”
L'ironia della scelta dei termini non sfuggì a Snape. “Alzati.
Vieni, siediti. Prendi da bere.”
Mormorando
un ringraziamento per un simile onore, Snape si alzò e si sedette
nella poltrona di fianco a Voldemort. Una tale convivialità era
rara. Forse il cerchio dei
Mangiamorte favoriti si è ridotto
dopo gli eventi al ministero e sono stato promosso dopo
un processo di eliminazione... oppure è una trappola. O entrambi.
“Sai, Severus, c'è
qualcuno fra i Mangiamorte che dubita della tua lealtà.”
Snape
sapeva di
aggirarsi su un
terreno pericoloso. “Lo
so.”
Voldemort rise, una
dura risata senza allegria. “Non sembri troppo preoccupato.”
Snape alzò le spalle.
“Nessuno può sperare d'ingannare il più grande legilimante del
mondo e sopravvivere.”
“Dici il vero, mia
cara spia.” Voldemort sembrava compiaciuto, gli occhi rossi
leggermente chiusi mentre la caricatura di un sorriso alterava i
tratti del suo viso piatto. “Quali novità mi porti?”
“Dumbledore non
ha convocato
alcun
incontro dell'Ordine
dal fiasco del ministero – sembra che sia stato troppo impegnato a
mandare dei
gufi a
Fudge. Il preside non sembra credere abbastanza nei burocrati tanto
da potersi fidare e Fudge è talmente
nel panico
da prender tempo finché Dumbledore non avrà di meglio da fare
altrove.”
“E Potter?”
“Il moccioso tiene il
broncio. E' incapace di apprezzare la fortuna di essere ancora vivo,
così come anche gli studenti che ha portato con sé, o l'ironia di
vedere l'uomo che è andato a salvare morire come conseguenza delle
sue azioni.”
“Severus, tu dipingi
un promettente scenario degli eventi che apparivano invece così
disastrosi.” Voldemort allungò una mano e accarezzò con un dito
la linea della guancia di Snape. Severus sentì il respiro bloccarsi
in gola e s'impose di rimanere calmo. Voldemort sibilò il nome di
Snape, il suono sibilante prolungato, come se avesse momentaneamente
perso il controllo della sua voce. “Ho sottovalutato il pericolo
che affronti giornalmente. Devi lasciare che ti ricompensi...
quest'estate Wormtail verrà a lavorare come tuo assistente.”
Una spia che spii la
spia? Snape non aveva
assolutamente nessun desiderio di passare
del tempo in compagnia di Wormtail, figuriamoci ospitarlo per dei
mesi. “Mio Signore, sei generoso.”
Voldemort sorrideva
ancora: era snervante. “Infatti, Severus, lo sono. Sai perché ti
ho invitato qui, stasera?
“No, Mio Signore.”
“Voglio condividere
con te alcuni dettagli di un piano estremamente confidenziale.”
“Mio Signore, ne sono
onorato.” I sensi di Snape erano alla massima allerta, sentiva un
imminente pericolo arrivare con palpabile forza.
“Sono rimasto molto
dispiaciuto di come sono andati gli eventi al ministero.” Il viso
di Voldemort s'incupì. “La profezia si è spaccata, i miei
Mangiamorte catturati e il mio ritorno al potere indiscutibilmente
chiaro – persino per quell'idiota di Fudge. Eppure ho deciso di
lasciare che la famiglia Malfoy abbia una possibilità di redimersi.”
La famiglia
Malfoy... Vuol dire Draco. Snape
studiò il suo viso per avere un'espressione interessata.
“Sì,” continuò
Voldemort, “il problema, come la vedo io, non è Harry Potter, ma
l'interferenza di Dumbledore.”
Non
pensarci adesso, avrai
abbastanza tempo dopo. Reagisci solo come un Mangiamorte. “Mio
Signore...,” Voldemort interruppe il suo commento con una mano
alzata.
“Esatto. Draco è
adeguatamente posizionato dentro la scuola e meno sospettabile
rispetto a te. Gli darò un anno. Se uccide Dumbledore sarà onorato
al di sopra di tutti gli altri.”
E se non riesce,
morirà. “Draco, Mio Signore?
Ma è molto giovane...”
“Ha sedici anni,
Severus. Sia tu che io abbiamo ucciso prima che il nostro
diciassettesimo anno fosse finito.”
“Mio Signore, perdona
la mia impertinenza, ma entrambi avevamo più talento di quanto ne
abbia Draco adesso. Ha qualche dote a livello accademico, certamente,
ma Dumbledore è un mago straordinariamente potente. Le possibilità
di successo di Draco sono insignificanti!”
Voldemort fece un
sorrisetto. “Ma è una possibilità, non di meno.” Si curvò
verso Snape, ancora una volta allungando una mano per toccare la sua
pelle. “Non agitarti, mia piccola spia. Se Draco dovesse fallire,
farò in modo che tu sia liberato in qualche altro modo: questo sarà
l'ultimo anno che passerai a rispondere agli ordini di Dumbledore.”
Snape represse un
brivido mentre le dita di Voldemort scorrevano lungo il suo mento.
Così la trappola è piazzata e l'avvertimento comunicato.
Voldemort
rise. “Un brindisi, Severus, a Draco!”
Snape non perse tempo
nel lasciare Malfoy Manor. Per un momento considerò una visita
veloce a Spinner's End, ma sapeva che gli obblighi della lunga serata
non erano ancora finiti. Il suo arrivo fuori dai cancelli di Hogwarts
fu accolto dal consueto osservatore: una gatta soriana
sedeva vicino al punto di smaterializzazione, la sua
coda piegata con cura intorno alle zampe.
Lui la guardò. “Sano
e salvo,” scattò. “Vattene via.”
La gatta sbadigliò e
si stirò prima di saltare nei cespugli con la coda sollevata che si
agitava. Quel comportamento era una dimostrazione impeccabile della
sua suprema noncuranza per l'arrivo improvviso dell'uomo e per il
tono da lui usato.
Dopo che la gatta se ne
fu andata verso il castello, Snape divenne arcigno. Lo sguardo di
piacere con cui Dumbledore accolse la sua seconda visita della serata
aggravò ancora di più il cipiglio. Il pensatoio era pronto sulla
scrivania. Snape iniziò a tirar fuori i ricordi della serata e a
riporli nel recipiente di pietra, senza
preoccuparsi di rispondere al saluto del preside. I fili argentati
vorticarono
e, per un momento, Severus immaginò che potessero essere altri
ricordi, qualcosa di bello e innocente, non un complotto per uccidere
una delle due persone presenti.
Fece un gesto arrogante
al pensatoio. “Dopo di te, preside.”
Dumbledore lo guardò
con apprensione. “Severus, tutto bene?”
Come
risposta, Snape indicò semplicemente ancora una volta il pensatoio.
Dumbledore rilasciò
un piccolo sbuffo dal naso
e si piegò in avanti, mettendo il viso dentro il liquido argenteo.
Poco dopo Snape fece lo stesso.
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Capitolo 3 *** The First Lesson ***
Capitolo 3
NdT: Eccoci
qua, capitolo 3. Come sempre, un grazie immenso a silviabella per la
beta.
Capitolo
3
The First Lesson
Eccolo di nuovo.
Hermione Granger avrebbe
riconosciuto il fruscio
delle
pagine
ovunque. Qualcuno nella stessa stanza stava leggendo e – quel suono
stridente sembrava proprio una penna
– prendendo nota,
anche. Non Ron, questo è certo. E certamente neanche la
Umbridge. Madama Pomfrey? Perché dovrebbe essere in piedi nel bel
mezzo della notte? Chiunque
fosse sedeva vicino. Hermione aprì gli occhi e si rese conto di un
soffice bagliore rosso arrivare da qualche parte di fianco a lei.
Socchiudendo le palpebre, per fingersi ancora addormentata, si
girò, mormorando come se stesse sognando, cogliendo
l'occasione per dare un'occhiata all'infermeria.
Il professor Snape!
Non c'era dubbio sul
caratteristico profilo seduto così vicino al letto. Con un libro
aperto in grembo e una penna in mano. La punta era
ferma sopra ad un'annotazione quasi finita che stava scrivendo
direttamente a margine della pagina. Sentendola
muoversi si era bloccato e i
suoi occhi scuri la osservavano
attraverso la cortina di capelli.
Hermione trattenne il
respiro. Esser beccata a spiare il professor Snape era piuttosto in
basso nella sua lista di priorità, anche se lui era seduto
accanto
al suo letto ad un'ora assurda del mattino. Dopo che sembrò
passare
un'interminabile lungo minuto, Snape riabbassò gli occhi sul suo
libro. Hermione cominciò a respirare di nuovo. Osservandolo
attraverso le palpebre socchiuse lo vide finire di scrivere il
commento interrotto precedentemente, prima di posare la penna lungo
il dorso del libro. Piegandolo lo tenne quasi chiuso con una mano, le
lunghe dita inserite in mezzo alle pagine, per tenere il segno.
Solo allora decise
di parlarle e farle capire che sapeva fosse sveglia.
“Signorina Granger,”
disse calmo, facendo un segno col capo verso il letto.
Hermione trattenne il
respiro involontariamente. “P-professore,” balbettò. Lo
sapeva fin dal principio, pensò
un po' risentita.
Non sembrava stesse per lanciarle una maledizione o togliere punti,
tuttavia, e quello contava pur qualcosa. Infatti con Harry assente, e
Ron addormentato lì vicino, poteva essere la sua unica opportunità di avere una conversazione civile:
un'opportunità che non intendeva perdere.
Prima
che potesse parlare, si sollevò su un gomito. “Professore,”
iniziò, “Vorrei ringraziarla per il suo intervento di venerdì, mi
ha salvato la vita-”
“Basta.” Sollevò
la mano libera per interromperla. “Non c'è bisogno che mi
ringrazi: stavo solo facendo il mio lavoro.”
“Non solo,”
insistette. “Madama Pomfrey mi ha detto del rischio che ha corso.
Se quella terribile maledizione fosse esplosa mentre era nella mia
mente, saremmo potuti morire entrambi-”
“Ho detto, basta.”
Il tono non ammetteva repliche ed Hermione si zittì, non senza un
leggero sbuffo d'impazienza. Il suo commento successivo, tuttavia, la
lasciò momentaneamente senza parole per la sorpresa. “A meno che
non tu sia capace di parlare di qualche argomento più interessante,
me ne andrò.”
La stava veramente
invitando a parlare con lui? Il tono di voce aveva come al solito una
punta di crudeltà, ma le parole erano quasi amichevoli.
“P-professore?” balbettò ancora. In risposta sogghignò
leggermente e la guardò sprezzante dall'alto in basso.
“Sicuramente
tu fra
tutti, signorina Granger, sarai
in grado di pensare ad un domanda, vero?”
Provocata dalla sua
solita scortesia, Hermione pose senza pensarci troppo la domanda che
aveva sulla punta della lingua.
“Ehm, perché è qui?”
“Persino Madama
Pomfrey merita ogni tanto una notte di sonno ininterrotto.” Snape
sembrava annoiato.
Lo scambio stranamente
tenero con Madama Pomfrey il giorno dell'incidente ritornò nella
mente di Hermione, suggerendo un'acida replica: “Scommetto che lei
non la considera malvagia, allora.*” Ops, pensò.
Invece di reagire, Snape ghignò.
“Mmm,” si accarezzo
il labbro inferiore con la sua mano libera. “Tra tutti i
miei colleghi sicuramente non ritengo Poppy Pomfrey malvagia...
Bellatrix Lestrange invece...” Lasciò la frase in sospeso.
Una
piccola risata sorpresa
sfuggì
dalle labbra
di Hermione. Questo è
surreale. Furtivamente si
diede un pizzico all'interno del braccio. Le fece male. Non
è un sogno, quindi. Anche
se la
sua mente rimuginava
sulla situazione in cui si trovava,
Hermione Granger non aveva intenzione di sprecare un'occasione
simile. “Veramente, professore, potrei farle una domanda?”
“Signorina Granger,
se ti dovessi mai trovare in una situazione in cui non hai niente da
chiedere, per favore informami.”
“Vuol dire che mi
risponderà?”
“Quello, signorina
Granger, dipende dalla domanda.”
Mi sta bene.
Hermione fece un profondo
respiro. “Com'è possibile che, al Ministero,
i Mangiamorte non ci abbiano semplicemente uccisi tutti?”
“E' una bella
domanda, alla quale ci sono diverse possibili risposte.” Snape
appoggiò il dorso del libro che teneva in mano contro il labbro
inferiore. “Primo, l'Anatema che Uccide, come le altre senza
perdono, ha bisogno di una gran quantità di energia magica. Il
processo diventa più facile con la pratica, ma durante un
combattimento la situazione può lasciare il mago in svantaggio;
l'energia abbassa i riflessi e la forza delle maledizioni
successive. Secondo, i Mangiamorte sono abituati a giocare col cibo.”
La bocca di Snape si contorse per il disgusto. “Stavano affrontando
sei avversari minorenni, semplici adolescenti.
Quasi certamente si sentivano adeguati alla situazione senza aver
bisogno dell'utilizzo di una potenza magica di quella portata. Terzo,
il Signore Oscuro,
nel caso che tu non l'abbia notato,
ha una certa malsana ossessione verso Harry Potter. Questo
ci porta alla
sporadica mancanza di logica. È
deciso nel voler uccidere il ragazzo, ma vuole farlo lui stesso. Fare
diversamente sarebbe nientemeno che un'ammissione della sua
fallibilità. Se fosse un Mangiamorte ad uccidere Potter, anche per
sbaglio, questo garantirebbe
la sua morte. Come conseguenza, la sua presenza vi ha dato un certo
livello di protezione; avreste corso il rischio dell'Avada Kedavra solo se non ci fosse stato pericolo di colpire
Potter per sbaglio .”
“Quindi,” la voce
di Hermione era un sussurro, “Quando ero sotto al tavolo, quando
Harry mi ha salvata,” non riusciva a dire il nome della
maledizione, “È stato perché il Mangiamorte aveva un colpo sicuro
e sapeva che non avrebbe colpito Harry?”
“Precisamente.”
Hermione deglutì
pesantemente. L'orrore di aver sfiorato la morte la travolse,
lasciando un sapore metallico in bocca. Il senso di sollievo fu
seguito da uno di vigliaccheria
e, ripensando a Sirius e Cedric, da senso di colpa.
“Ha
detto,” iniziò,
con la gola
arida. “Ha detto che mi avrebbe spiegato esattamente quanto siamo
stati stupidi. Credo che questo sia un buon momento.”
“Mi sembra che col
tuo attuale umore possa svolgere questo compito da sola in modo più
che adeguato.”
Vero. Per
un paio di minuti fra i due regnò
il silenzio. Hermione contemplava i bordi delle lenzuola, piegandole
distrattamente con le dita della mano destra. Ripensandoci, la visita
al Ministero
era stata
un disastro tattico dall'inizio alla fine.
Finalmente si decise a
parlare. “Vorrei avessimo avuto più di un solo incontro del club
dei duellanti.”
In risposta, Snape fece
un verso di disgusto quasi indistinguibile.
“Pensi che qualche lezione in più avrebbe fatto pendere l'ago
della bilancia a vostro favore?
”
“Avrebbe potuto
aiutarmi.” Hermione sussultò di fronte al disgusto nella voce
dell'uomo. La risposta di Hermione era più disperata che sprezzante.
“Sei studenti, tutti
minorenni, ognuno di loro ha sofferto dell'incompetente successione
di professori di Difesa contro le Arti Oscure. I Mangiamorte
avrebbero avuto più di un'occasione con ognuno di voi, non importa
la quantità di lezioni di duello sostenute. La morte di Black non ti
ha insegnato abbastanza?”
Hermione si appoggiò
un altro po' sui cuscini. La rabbia di Snape era palpabile. Eppure,
mormorò ancora, questa volta più a sé stessa che al professore,
“Avrebbe potuto aiutarmi.”
Lui
allora la guardò, gli occhi socchiusi mentre
rifletteva. “Avrebbe potuto. I
tuoi riflessi sono scarsi e i tuoi incantesimi di Difesa mancano di
forza.”
Hermione sapeva che le
critiche era meritate, ma le sue parole facevano male ugualmente. Le
lacrime minacciavano di scendere e sbatté le palpebre velocemente,
determinata a non farsi vedere da Snape.
“Se speri di
eguagliare i voti di Potter in Difesa contro le Arti Oscure,”
continuò, “ti suggerisco di lavorare sulla tecnica durante le
vacanze.”
“Lo farei se sapessi
come.” Hermione si maledì per apparire così petulante, anche se
almeno non piangeva.
“Pensa, signorina
Granger,” Snape aveva deciso di sfruttare il suo tono più
sarcastico. “Oltre gli esami di Difesa contro le Arti Oscure, cos'è
che Potter fa meglio di te?”
“Niente!” Petulante
senz'altro. Se non del tutto imbronciata. “Cioè,
niente eccetto il Quidditch.”
“Esattamente.”
“Non può essere
serio!” La sorpresa le fece abbandonare l'autocommiserazione
all'istante. “Harry è bravo in Difesa contro le Arti Oscure
perché è bravo a Quidditch? No, non può essere vero o anche Ron
dovrebbe essere più bravo di me!”
“Non è così
semplice, signorina Granger. Mentalmente sei abbastanza abile, ma la
tua forma fisica è al di sotto della media. È una combinazione di
forza mentale e fisica che conduce ogni incantesimo ad essere
scagliato con precisione e forza. Potter è fisicamente più forte di
te come, a dire il vero, lo è Ronald Weasley. Eppure, mentre Potter
sembra, con ogni intento e obiettivo, intellettualmente carente come
il signor Weasley, ha una testarda tenacia di fronte alla pratica di Difesa e nel lanciare incantesimi offensivi.”
Hermione era così
stupefatta che quasi non registrò l'insulto ai suoi amici. Il suo
cervello si agitava per le nuove informazioni. Si tirò su e si
sedette appoggiandosi alla testiera del letto. “Quindi,”
teorizzò, “non potrò mai essere all'altezza di Harry in Difesa
contro le Arti Oscure: lui è più alto di me e molto più forte. Non
potrò mai eguagliare nessuno dei ragazzi.”
“Sciocchezze,”
sbuffò Snape derisorio. “Hai perso la tua abilità nel ragionare
logicamente? Solo pochi minuti fa dicevi di poter fare meglio di
Ronald Weasley.”
“Oh. Allora...”
Hermione si bloccò. Allora cosa?
“Ginevra
Weasley è sicuramente un miglior esempio con cui confrontarti.”
“È
vero! Gioca a Quidditch,
è incredibilmente in forma
e le
sue maledizioni sono straordinariamente
potenti!”
L'entusiasmo
della scoperta elettrizzò tutto il corpo di Hermione e la
ragazza si
strinse le
braccia intorno alle ginocchia nel tentativo di controllare l'urgenza
di saltare di piacere.
“Causa ed effetto,”
rimarcò Snape. “La potenza comparativa e meno importante della
potenza complessiva. È sufficiente essere al massimo della
condizione.”
“Ma perché nessuno
me l'ha mai detto prima?”
Una smorfia passò
veloce sul volto di Snape. “È un'informazione che molti danno per
scontata.”
Hermione rimase
immobile, il suo entusiasmo del tutto sparito. “Intende dire che è
un'informazione che molti purosangue danno per scontata.” Disse in
tono neutro.
“Sì.”
Hermione fece un
profondo respiro e lo lasciò andare lentamente dal naso. “Bene,
adesso lo so, più o meno. E lei pensa che dovrò imparare a giocare
a Quidditch durante le vacanze?”
Snape alzò un
sopracciglio. “Non è necessario il Quidditch. “Avresti grosse
difficoltà ad imparare a volare bene nella casa dei tuoi genitori
senza infrangere le ragionevoli leggi restrittive per i maghi
minorenni e lo statuto internazionale di segretezza. Inoltre il
Quidditch è impossibile da imparare da soli. Suggerisco la corsa,
forse accompagnata dallo yoga. Nel tuo caso, la corsa ha l'evidente
vantaggio che, diversamente da altri sport, può essere imparata
adeguatamente da un libro.”
Ahi. Crudele, ma
esatto. Perché
far finta di poter imparare a
tenermi in buona forma fisica
in modo diverso
da tutto il resto? Almeno papà sarà contento. Suo
padre aveva sempre cercato di convincerla ad andare a correre, ad un
certo punto aveva anche partecipato ad alcune maratone. Ah.
Così forse non avrebbe dovuto
imparare da un libro dopotutto, ma questa era un'informazione che
Snape non aveva bisogno di sentire.
Professor Snape. Hermione
lo guardò di sottecchi e rivisitò
la strana, e curiosamente utile, conversazione avuta. Non era stata
esattamente piacevole, ma lui non si era neanche comportato nel suo
solito
modo. Di solito non rispondeva alle sue domande. Strano.
Pensò se poteva permettersene
ancora una.
“Professore?”
Snape alzò lo sguardo
e i suoi capelli si spostarono lungo la guancia, lasciando liberi gli
occhi, e sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Perché mi sta
dicendo queste cose?”
Snape sospirò piano
col naso. Chiuse il libro che era tornato a leggere, appoggiandolo
nel comodino vicino al letto. Alzandosi in piedi si avvicinò e
rimase in piedi così vicino al letto da poterlo toccare, incrociando
le braccia.
“Signorina Granger,
l'informazione che sto per darti non dev'essere riferita.” La
guardò dall'alto in basso. “Questo include anche i due imbecilli
che chiami amici.”
“Harry e Ron non sono
imbecilli!”
“Come?” Snape di
chinò leggermente, la figura minacciosa incombente
sul letto. L'incantesimo di luce con cui leggeva era alle
sue spalle e lanciava un'ombra
intimidatoria lungo il letto.
“Ehm... chiedo scusa,
signore.” Ops. E stava proprio per dirmi qualcosa d'importante.
Snape si raddrizzò e
alzò un sopracciglio. “Meglio.” Concesse.
Hermione sospirò di
sollievo. Forse non aveva rovinato tutto, ancora.
“Voglio la tua
parola, Miss Granger, che non rivelerai il contenuto della nostra
conversazione a nessuno.”
Ah. Bene, non
sarebbe la prima volta. Durante il terzo anno aveva tenuto la giratempo nascosta a tutti, Harry
e Ron inclusi.
“Ha
la mia parola, signore.”
“Molto bene.” Snape
si voltò e camminò diversi passi lontano dal letto prima di
voltarsi improvvisamente indietro verso di lei, il mantello
ondeggiante intorno alla sua forma sottile. Rimase lì, le braccia
strette e incrociate sul petto. “Il preside ha deciso che, durante
il prossimo anno, prenderai delle lezioni private con me.”
“Occlumanzia?” La
domanda lasciò la sua bocca prima che Hermione si rendesse conto e
si morse le labbra, inorridita per aver interrotto.
Snape alzò le spalle
sprezzante. “Tra le altre cose.”
Sapeva che la stava
guardando da vicino, sapeva che stava sogghignando verso di lei, ma
non riuscì a trattenere un sussulto di gioia, né una leggera
esclamazione di sorpresa. “Wow.”
“Per iniziare, ho
diversi libri per te da leggere durante le vacanze. Li lascerò sul
comodino, prima o poi, nei prossimi giorni. Non mostrarli a nessuno.
Contengono sia esercizi mentali che teorie e pratiche per
l'Occlumanzia. Voglio che tu faccia pratica di rilassamento e
tecniche di pulizia mentale ogni giorno. Lo saprò se non lo farai.
Sono stato chiaro?”
“Sì, signore.”
“Una volta avuto il
programma delle classi del sesto anno dovrai trovare un orario
durante la quale la tua assenza non sarà notata.”
Hermione sapeva già
quando le sarebbe stata garantita un po' di solitudine. “Signore,
prendendo per assunto che il divieto di giocare a Quidditch verrà
annullato, possiamo incontrarci durante le prove della squadra
Grifondoro. Harry e Ron saranno occupati.”
“Infatti, mi sembra
probabile.” Snape si spostò lontano dal letto e prese il libro dal
comodino. Guardò verso di lei. “Stenditi,” ordinò. Sentendosi
come un cane obbediente, Hermione si sistemò sotto le coperte. “Per
adesso hai bisogno di riposo.”
Snape si accomodò
nella sedia, la conversazione era chiaramente finita. Hermione chiuse gli
occhi, ma tese l'orecchio verso il suono delle pagine
voltate. Seppure convinta che il vorticare dei pensieri l'avrebbe
tenuta sveglia, Hermione fu presto profondamente addormentata.
*
*
*
*
Il riferimento è alla conversazione tra Poppy e
Snape nel capitolo 1: "Non c'è riposo per i malvagi". E' una
citazione dalla Bibbia (Isaia 57:20) e in inglese è No rest for the wicked, molto usato nel parlare quotidiano. Pignoleria mia, magari a
qualcuno può interessare (anche perchè in italiano non si
usa).
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Vorrei iniziare col ringraziarvi: la storia ha un certo seguito, anche se
per ora è più che altro silenzioso, ma fa piacere
comunque :).
Fink1987: ti ringrazio per i complimenti, la storia non è
semplicissima da tradurre (e per fortuna esistono quelle sante donne
delle Bete :)). Ho deciso sui nomi originali perché non ho mai
apprezzato questa mania di tradurre tutto. Su HP può in effetti
avere senso, visto che i nomi in inglese hanno un significato e il
prodotto è prevalentemente rivolto ai bambini/ragazzi, ma ormai
i piccoletti conoscono l'inglese meglio di noi... E poi, diciamolo,
"Piton" non si può proprio sentire! Ho invece lasciato tutto il
resto, tranne Dumbledore's Army per evidenti motivi, così da non
confondere troppo. Grazie per la
recensione :)).
Il prossimo aggiornamento, vista la brevità del capitolo 4,
sarà lunedì (spero apprezzerete il pensiero ;)).
Anne London
|
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Capitolo 4 *** The Agreement ***
Capitolo 4
NdT: capitolo
4, come promesso, pubblicato in anticipo. Dal prossimo si tornerà
alla pubblicazione di venerdì. I
dialoghi sottolineati sono presi dai romanzi originali.
Grazie, grazie, grazie a silviabella
per il betaggio. ^__^
Capitolo
4
The
Agreement
Finalmente
Severus si raddrizzò, dopo aver ispezionato le mensole pulite dove
si trovavano gli ingredienti per le pozioni sistemati con cura, con
un senso di conquista. La schiena protestò a causa del movimento
improvviso e lui si stirò indolente, sciogliendo i muscoli tesi.
Nelle trentasei ore dalla partenza dell'Espresso per l'estate, che
aveva svuotato la scuola dagli studenti, aveva pulito l'ufficio,
impacchettato i vestiti e una selezione di libri, riorganizzato il
sistema di archiviazione e fatto meticolosamente l'inventario della
credenza con le scorte. Aveva saltato la cena e perfino mandato via
Hooch quando era passata con l'intenzione di convincerlo ad andare ad
Hogsmeade per una bevuta di fine semestre. Lo stomaco brontolò e per
un momento si fermò indeciso: cena e letto o meglio andare subito a
Spinner's End quella notte stessa? Senza dubbio, il riguardo che gli
elfi domestici avevano per la colazione era sicuramente superiore a
qualunque cosa potesse cucinare Wormtail e quel pensiero da solo lo
fece decidere.
Attraversando
l'ufficio prese una manciata di polvere volante e la lanciò nel
caminetto, intenzionato ad andare nelle cucine. Mentre lo faceva, non
solo le fiamme divennero verdi, ma fece eco un forte bang
accompagnato da una lampo di luce. Istintivamente, Severus prese la
bacchetta e, anche se i suoi occhi si riadattarono pochi
secondi dopo, capì che non ce n'era motivo: Fawkes si librava
davanti a lui. Assalito da una forma di panico diversa, Severus si
fermò solo un attimo per chiamare a sé un'ordinaria borsa di pelle
nera appesa dietro alla porta dell'ufficio. Afferrò quindi
saldamente la coda piumata che la fenice gli offriva. Prima che
Fawkes lo trasportasse da un'altra parte con un rumoroso boato,
Severus ebbe il tempo solo per un attimo di pensare: Fa'
che Albus stia bene.
Severus
fece una panoramica dell'ufficio
di Dumbledore in pochi secondi: la spada, l'anello, Dumbledore
curvato sulla sua sedia, fiamme verdi che si estinguevano sulla mano
della bacchetta, la bacchetta stessa sul pavimento. Prima
le fiamme verdi. Severus
eseguì diversi incantesimi diagnostici con una mano, rovistando
nella sacca nera con l'altra. Tirò fuori una piccola bottiglia piena
di un denso liquido color oro, tolse il tappo e la mise sul tavolo.
“Fawkes,”
ordinò, indicando la bottiglietta. “Lacrime.” Obbediente, la
fenice volò sul tavolo e abbassò la testa così da poter versare le
lacrime direttamente dentro la bottiglietta.
Girando
intorno al tavolo, Snape iniziò a cantilenare un incantesimo di
raffreddamento modificato rispetto all'incantesimo tradizionale,
traducendo le parole in latino nell'equivalente Serpentese. Il
sollievo si diffuse in tutto il corpo quando le fiamme iniziarono a
diminuire ed estinguersi. Chiuse gli occhi per un lungo momento, poi
si girò verso Fawkes.
“Grazie,”
sussurrò, la gola arida. Prendendo la bottiglia, Severus mise il
pollice sull'apertura, agitandola meticolosamente, trasferendo il
contenuto in un calice vicino alla scrivania.
Con la mano della bacchetta afferrò la parte frontale dei vestiti di
Dumbledore, sollevandolo in posizione eretta. Allo stesso tempo,
Severus versò lentamente la pozione nella bocca di Dumbledore e
iniziò a cantare l'incantesimo sulla sua mano ferita. Con un po' di
fortuna (e la pozione ne apportò parecchia) avrebbe potuto contenere
la maledizione, ma con una magia oscura tanto potente le possibilità
di contenerla del tutto erano quasi nulle.
“Severusss...”
le sillabe prolungate
di
Albus, mentre tornava
cosciente, ricordarono a Snape, in modo nauseante, Voldemort e la
possibilità fin troppo reale della morte di Dumbledore. Per un altro
lungo momento, Dumbledore rimase in silenzio, poi le palpebre
sbatterono per sollevarsi e gli occhi misero a fuoco.
“Perché,
perché hai indossato
quell'anello?” Tutta
la preoccupazione di Snape si concentrò in rabbia. “Contiene
una maledizione, sicuramente te ne sarai accorto. Perché ti sei
azzardato anche solo a toccarlo?”
“Io...
sono stato uno stupido. Terribilmente tentato...”
La
debolezza nella voce di Dumbledore non fece niente per raffreddare
l'umore di Snape. “Tentato da cosa?” La domanda perentoria
non ottenne risposta. “È un miracolo che tu sia riuscito a
tornare qui!” Continuò. “L'anello contiene una
maledizione di straordinaria potenza, spero di essere riuscito a
contenerla. Ho fatto in modo di bloccare la maledizione ad una mano
sola per il momento-”
“Hai
fatto un ottimo lavoro, Severus. Quanto tempo credi mi resti?”
Dumbledore sembrava più forte. Una nota di tenue curiosità colorava
la sua voce e guardava la mano danneggiata con un'espressione
interessata.
“Non
saprei dirlo.” Snape lasciò andare un sospiro sconfitto.
“Forse un anno. Non c'è modo di bloccare un incantesimo del
genere per sempre. Alla fine si propagherà ed è quel tipo di
maledizioni che si rafforzano col tempo.”
“Sono
fortunato, estremamente fortunato, ad averti, Severus.”
Dannazione.
Deve sempre sembrare così nobile d'animo?
“Se solo mi avessi
chiamato un po' prima avrei potuto fare di più, far sì che ti
rimanesse più tempo! Pensavi che rompere l'anello avrebbe spezzato
la maledizione?”
“Qualcosa
del genere... deliravo, senza dubbio... Beh, allora, questo rende le
cose più semplici.” Dumbledore si sedette dritto sulla sedia e
abbassò la manica intorno al polso annerito. “Mi riferisco al
piano di Lord Voldemort che mi riguarda. Quello di far sì che il
povero giovane Malfoy mi uccida.”
Il
“povero giovane Malfoy” ha un nome e puoi usarlo. Snape
si accigliò e si sedette nella sedia dall'altro lato della
scrivania. “Il Signore
Oscuro non si aspetta che Draco abbia successo. È solo una punizione
per il recente fallimento di Lucius. Torturare lentamente i genitori
di Draco mentre lo osservano fallire e pagarne il prezzo.”
E torturare lentamente anche me mentre lo guardo soffrire e
contemplare anche la mia eventuale morte.
“In
breve, sul ragazzo pende una sentenza di morte sicura quanto la mia.”
No, sicura quanto la mia. “Ora,
credo di poter pensare che il naturale successore per il lavoro, una
volta che Draco avrà fallito, debba essere tu?”
“Credo
che questo sia il piano del Signore Oscure.”
E
ad un certo punto morirò anch'io – a meno che, ovviamente, non
diventi evidente in precedenza che l'ho tradito: in quel caso morirò
prima.
“Lord
Voldemort prevede un momento nel prossimo futuro in cui non avrà
bisogno di una spia ad Hogwarts?”
“Pensa
che la scuola cadrà presto nelle sue mani, sì.”
“E
se dovesse cadere nelle sue mani, ho la tua parola che farai ciò che
è in tuo potere per proteggere gli studenti di Hogwarts?”
Crede
davvero onestamente che sarò ancora vivo per poterlo fare? La
discussione avuta l'altra notte, dopo aver visto i ricordi nel
pensatoio, era stata più breve del previsto. Forse Dumbledore non
aveva ancora
afferrato le reali conseguenze della trappola in cui aveva guidato
Snape. Snape osservò
con sguardo assente l'uomo
più anziano che, dal canto suo, lo guardava indagatore. In ritardo,
Snape di rese conto che era attesa una sua risposta e annuì
meccanicamente.
“Bene.”
Dumbledore gli sorrise. “Allora. La tua priorità sarà di
scoprire cosa sta facendo Draco. Un adolescente spaventato è un
pericolo per gli altri, così come per sé stesso. Offrigli il tuo
aiuto e guidalo, dovrebbe accettare, tu gli piaci-”
“-molto
meno da quando suo padre ha perso credito presso il Signore Oscuro.
Draco incolpa me, crede abbia usurpato la posizione di Lucius. ”
“In
ogni caso, prova. Sono meno preoccupato per me rispetto alle
accidentali vittime di qualunque piano possa pensare il ragazzo. In
sostanza, ovviamente, c'è solo una cosa che bisogna fare per
salvarlo dalla collera di Lord Voldemort.”
Snape
aveva tutte le intenzioni di provare. L'unica conclusione sensata a
cui era arrivato negli ultimi giorni riguardava la tremenda necessità
di salvare Draco e insegnare alla Granger il più possibile. Il
secondo compito sarebbe dovuto essere più semplice, ma aveva già
speso delle ore cercando di risolvere il primo e il casuale commento
di Dumbledore attirò improvvisamente la sua attenzione.
“Hai
intenzione di lasciare che ti uccida?” disse sardonico.
“Certamente
no. Tu devi
uccidermi.”
Per
un lungo momento, Severus non riuscì a replicare. Il sangue pompava
forte nelle sue orecchie, tanto da chiedersi se avrebbe mai più
sentito qualcosa. Molti colpi dopo riprese la sua compostezza,
insieme alla sua pesante ironia. “Vuoi che lo faccia subito? O
preferisci avere un po' più di tempo per comporre il tuo epitaffio?”
“Oh,
non ancora.” Dumbledore cercò di avere un tono di disinvolta
noncuranza. “Oserei dire che il momento si presenterà da solo a
tempo debito. Visto cos'è accaduto stasera, possiamo essere sicuri
che accadrà entro un anno.”
“Se
non t'importa di morire, perché non lasci che lo faccia Draco?”
Malgrado si sforzasse, Severus non riusciva a tenere l'amarezza
lontana dalla voce. Guardò la scrivania di fronte a lui, furioso per
le lacrime che minacciavano di scendere.
“L'anima
del ragazzo non è ancora danneggiata. Non voglio che si spezzi per
colpa mia.”
“E
la mia anima, Dumbledore? La mia?” Era quasi un sussurro e
rimase nell'aria tra i due mentre Snape continuava a guardare il
piano del tavolo.
“Tu
solo puoi sapere se l'aiutare un vecchio ad evitare il dolore e
l'umiliazione danneggerà la tua anima.”Dumbledore si sporse in
avanti e allungò la mano per stringere gentilmente il gomito di
Snape. “Ti chiedo questo come un grande favore, Severus, perché
la morte si avvicina per me, quanto è vero che i Cannoni di Chudley
finiranno ultimi nella classifica di quest'anno. Confesso che
preferirei una morte veloce, un'uscita indolore rispetto alla
prolungata e caotica operazione che ne risulterebbe se, per esempio,
Greyback fosse coinvolto. Ho sentito che Voldemort lo ha reclutato, è
vero? Oppure la cara Bellatrix, a cui piace giocare col cibo prima di
mangiarlo.”
La
testa di Snape vorticava. Un grande favore. Come se non gli avessi
dato tutto – tutto – durante
gli ultimi diciassette anni. E se potessi rifiutare ora, vorrebbe
dire la fine della mia vita... senza dubbio significherebbe la fine
di ogni parte della mia vita che vale la pena vivere. Avrebbe
potuto evitare di rispondere ancora un po', se non avesse guardato
Dumbledore nei suoi intensi occhi azzurri. Odiandosi, e odiando
Dumbledore per avergli chiesto una cosa del genere, annuì.
“Grazie,
Severus...”
Dumbledore
voleva discutere i dettagli per trovare un accordo ad un possibile
scenario post-omicidio, ma Severus non poteva sopportarne l'idea.
Invece minacciò di chiamare Poppy tramite metropolvere finché
Dumbledore si arrese e si ritirò per dormire, non prima di aver
ingoiato diverse pozioni di guarigione imposte da Severus, con la
promessa di una visita dall'infermiera come prima cosa al mattino.
Dopo
che Dumbledore se ne fu andato, Snape contemplò l'uso della
metropolvere, ma decise che una passeggiata verso i sotterranei gli
avrebbe fatto bene. Alla base delle scale che portavano all'ufficio
di Dumbledore, Snape si fermò per controllare l'orologio. Erano solo
le dieci e trenta. E pensare che solo un'ora e mezza fa evitavo di
pensare alla mia impellente morte con la veneranda pratica di
dedicarsi al lavoro per temporeggiare... e adesso il proseguimento
della mia miserabile esistenza è garantita dalla promessa di
uccidere l'unico che mi vede, e mi apprezza, per ciò che sono
realmente. Severus guardò
l'orologio una seconda volta: solo dieci e trenta. Sicuro come il
fatto che i Cannoni di Chudley sarebbero finiti all'ultimo posto in
classifica, sicuramente in quell'ora di tarda serata avrebbe trovato
Hooch giù al pub – forse insieme a Poppy e Minerva. Se mai Severus
Snape avesse avuto bisogno di una bevuta, questo era uno di quei
momenti. Senza
preoccuparsi di prendere il mantello, si mise in movimento verso
Hogsmeade e la sicura compagnia.
*
*
*
Questo capitolo è
prevalentemente canon e fa da collegamento con tutto quello che
succederà dal prossimo. Spero che la storia vi piaccia e che
continuate a seguirla come state facendo. :)
chi_lamed:
Il fatto che Snape ed Hermione siano molto fedeli è una delle cose
che mi è piaciuta di più. Poi, ovviamente è una fanfiction e
l'aiutrice ci ha messo del suo, ma devo dire che i leggeri
cambiamenti a me non hanno dato fastidio (spero non lo diano neanche
a voi). L'atmosfera respirata in questo capitolo la ritroveremo
spesso, anche se in modo diverso...e smetto di blaterare, prima che
mi scappi qualche spoiler ;).
Anne London
|
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Capitolo 5 *** Preparations ***
Capitolo 5
NdT: rieccoci con
l'aggiornamento di venerdì. Tutti in coro: grazie silviabella!!
Capitolo 5
Preparations
Hermione poté lasciare
l'infermeria tre giorni prima della fine della scuola. Non aveva
visto il professor Snape dalla chiacchierata notturna, ma diverse
volte si era svegliata con la sensazione di averlo mancato per poco
e, in un'occasione, si era trovata con una pila di libri sul
comodino, di fianco alle pozioni di guarigione. La cicatrice lungo il
petto era sbiadita in modo significativo. Madama Pomfrey le aveva
lasciato una crema da applicare tutte le mattine e una pozione da
prendere una volta a settimana, ma l'aveva anche avvertita che
difficilmente sarebbe sparita del tutto. Ad Hermione non importava.
Sentiva di averla scampata bella e aveva preso l'abitudine di
sfregare la nuova pelle vicino alla clavicola. Toccarla la faceva
sentire in qualche modo più forte, meno persa e più determinata.
Passò le prime due
settimane di vacanza a casa con i genitori. Sua madre aveva preso
delle ferie dal lavoro e persino suo padre era riuscito a passare
alcuni pomeriggi lontano dallo studio. Era entusiasta del suo nuovo
interesse per la corsa e non riusciva a smettere di parlarne. Le
aveva dato abbondanti informazioni sulle corse lunghe, sulle corse a
tempo, sulle corse leggere e sullo stretching; le diede diversi libri
e le mostrò un certo numero di siti web che rendevano semplice
calcolare gli allenamenti e gli obiettivi di velocità. Oltretutto
correva con lei, felice di modificare la sua velocità al suo passo
più lento e barcamenando la conversazione per entrambi quando lei si
trovava senza fiato (il che all'inizio succedeva spesso).
Hermione esitava
nell'informare i suoi genitori a proposito degli eventi dell'anno
precedente. Hogwarts aveva delle strane leggi riguardo i parenti
babbani e le ferite magiche. Giustamente, i Granger erano furiosi
alla fine del secondo anno di Hermione nello scoprire che aveva
passato parte dell'anno in coma, senza che loro ne sapessero nulla.
Avevano quindi minacciato di porre fine alla sua educazione magica e
solo un estenuante incontro con la professoressa McGonagall, pieno di
disastrose avvertenze sulle orribili conseguenze di vivere con una
strega inesperta, aveva fatto loro cambiare idea. Eppure avevano
bisogno di sapere del ritorno di Lord Voldemort, per la loro
incolumità così come quella di qualunque altro, ed era
particolarmente certa che sarebbero stati meno furiosi di sapere
della nuova cicatrice se l'avessero sentito da lei per prima. Alla
fine cambiò leggermente la storia: disse loro del confronto fra
Dumbledore e Voldemort al Ministero (lasciando fuori la sua
partecipazione insieme a quella di Harry e degli altri), e attribuì
la sua ferita ad un incidente durante una “pratica di duello”.
“Vista la guerra in arrivo, mamma, hanno preso l'autodifesa
particolarmente sul serio; il professor Snape mi ha curata subito
quindi non c'è niente di cui preoccuparsi...” La lasciò un po'
nauseata che i suoi genitori trovassero le sue bugie così
convincenti, ma semplicemente strofinò la cicatrice furtivamente e
tenne la bocca fermamente chiusa.
Una volta che la madre
fu tornata al lavoro Hermione iniziò a passare molto del suo tempo
alla Tana, tornando a casa solo nei weekend.
Diversi giorni prima il signor Weasley aveva collegato il caminetto
della camera da letto dei suoi genitori alla Metropolvere, cosa che
rese il viaggio di andata e ritorno molto semplice. Anche Harry era
alla Tana e l'affollata casa Weasley era molto più divertente del
correre intorno alle case a schiera di Londra da sola. Eppure era
spesso un po' sollevata quando si allontanava dal rumore e dal
trambusto nei fine settimana, e le lunghe corse che faceva con suo
padre durante la domenica mattina divennero sempre più preziose
nelle sue abitudini estive.
Hermione seguiva un
meticoloso programma di corsa. Il professor Snape aveva ragione: la
matematica e la logica che servivano per imparare la corsa
l'affascinavano. Poteva correre da sola e poteva imparare da un
libro. Il Quidditch era completamente un'altra cosa. Nonostante
stringesse i denti e giocasse due contro due con Harry, Ron e Ginny
ogni volta che lo proponevano, era comunque una giocatrice tremenda e
imparava lentamente. Il gioco sembrava andare troppo veloce e si
sentiva quasi umiliata alla fine di ogni partita. Anche quando
l'altezza era limitata dal giocare nel giardino posteriore della
Tana, il vuoto tra lei e il terreno la lasciava stordita per l'ansia.
Se non puoi essere coraggiosa, Granger, diceva
a sé stessa, sii testarda. Il professor Snape
probabilmente direbbe che non c'è differenza.
Praticava, inoltre, gli
esercizi mentali che Snape aveva stabilito. Prima di lasciare
Hogwarts aveva incantato le copertine dei libri che lui le aveva dato
in modo che sembrassero delle edizioni di Aritmanzia Oggi. Solo
Bill poteva provare interesse ad aprire un pubblicazione del genere
ed era così impegnato nel corteggiare Fleur da essere riuscita a
tenerli sottomano senza preoccuparsi, persino leggendoli diverse
volte nella cucina della Tana. In effetti aveva scoperto che
l'immagine di Hermione Granger immersa in un libro era, a tutti gli
effetti, invisibile. Se non si muoveva all'improvviso o guardava
verso di loro, gli adulti parlavano come se non ci fosse affatto,
regalando piccoli stralci d'informazioni riguardanti altri membri
dell'Ordine, o notizie di altri attacchi Mangiamorte. Il nome di
Snape, in particolare, attirava sempre la sua attenzione. Hermione
non aveva parlato con nessuno del suo ruolo avuto nella guarigione
della maledizione di Dolohov, o delle loro strane conversazioni
notturne. L'unica volta in cui avrebbe voluto parlarne fu quando
Harry menzionò le sue imminenti lezioni con Dumbledore, anche se era
certa che né Ron né Harry sarebbero stati entusiasti delle sue
lezioni col professor Snape quanto lo era lei. L'impegno di Snape di
aiutarla era un po' come la sua cicatrice – nuova, ruvida e
nascosta alla vista; continuava a toccarla come un talismano per
ricordarsene e l'idea la spaventava e la rassicurava; la prossima
volta avrebbe combattuto meglio, sarebbe stata più forte.
Il suo nome era
menzionato raramente e solo incidentalmente, “Snape sarà presente
all'incontro dell'Ordine di domani.” “Snape ha detto di esser
sicuri che Dumbledore parli con Minerva.” Sfortunatamente nessuno
degli incontri si teneva alla Tana ed Hermione era molto dispiaciuta
di non averlo potuto vedere.
Infatti, si
rimproverò aspramente la mattina dopo il compleanno di Harry, mentre
era sdraiata nel letto a pensare al suo professore assente, stai
sviluppando un'insana ossessione per quell'uomo! Scivolando
fuori dalle coperte afferrò la sua tenuta da corsa e sgattaiolò
fuori senza svegliare Ginny. Prima di lasciare la Tana lanciò su di
sé un incantesimo di Disillusione e attaccò la bacchetta alla
fascia per il sudore così che rimanesse distesa all'interno del
braccio. Corse per almeno sei chilometri e mezzo lungo le
coltivazioni fuori dal villaggio. Il cielo era sereno con una
piacevole brezza fresca; Hermione si sentiva meravigliosamente bene.
Solo nell'ultima settimana correre era diventato più semplice.
Nell'ultimo tratto verso casa andò più veloce, tornando dentro il
territorio della Tana con le gambe pesanti e senza fiato.
“Chi c'è?!” Harry
la spaventò allo stesso modo con cui lei aveva appena spaventato
lui. Si era bloccato in posizione da duello, la bacchetta puntata
direttamente verso di lei.
“Aspetta, Harry! Sono
io, Hermione.” In fretta annullò l'incantesimo di Disillusione e
sentì il calore del contro incantesimo che si scaricava lungo la
schiena.
“Maledizione, mi hai
fatto prendere un colpo,” replicò, passandosi la mano lungo i
capelli e lasciandosi andare seduto sul terreno.
“Sì, anche tu.”
Hermione si abbassò e appoggiò le mani sulle ginocchia. Si sforzò
di recuperare il fiato, combattendo l'effetto combinato
dell'adrenalina della corsa e di quella che l'apparizione improvvisa
di Harry aveva attivato.
Il sollievo sul viso di
Harry si era trasformato in irritazione. “Vorrei poter uscire
anch'io dal giardino,” disse con tono amaro.
Hermione ebbe la grazia
di apparire un po' in colpa. “Io, ehm, non ho esattamente chiesto
il permesso,” rispose e aggiunse debolmente, “Avevo la mia
bacchetta.” Non che sia autorizzata ad usarla!
Harry la guardò
sorpreso. “Non è esattamente il tuo modo di fare, 'Mione!”
commentò. “In effetti, anche l'esercizio fisico non
è esattamente nelle tue corde. Cosa stai combinando?”
Hermione
si prese un piede in mano e tese il quadricipite. “Beh, ho, ehm,
letto da qualche parte che migliorare la forma fisica aiuta la
propria forza magica. Credo di essere un po' delusa dai miei voti in
Difesa.” Sorrise ironica ad Harry e cambiò gamba per lo
stretching. “Il prossimo anno voglio fare di meglio. La prossima
volta che combatteremo i Mangiamorte voglia fare di meglio.”
A quelle parole Harry
si sedette un po' più dritto. L'espressione scontrosa che così
spesso era presente sul suo viso s'incrinò leggermente. “Sei
fantastica, Hermione.”
“Sciocchezze.” Si
sedette vicino a lui. “Mi hai salvato la vita al Ministero, Harry.
Se fossi stata più brava in Difesa avrei potuto mettere fuori uso
Dolohov, non renderlo muto. Avrei potuto non rimanere affatto
ferita.”
Il viso di Harry si
rabbuiò ancora. “È colpa mia se tutti voi eravate lì! L'hai
detto tu stessa che ho un debole per salvare la gente. Se non avessi
creduto a quello che Voldemort...”
“Harry! Voldemort ti
ha ingannato. Ti ha ingannato perché è malvagio e gli hai creduto
perché sei fondamentalmente buono. Non c'è niente di cui
vergognarsi! Se lasci che le sue azioni ti cambino, allora lo avrai
lasciato vincere.”
“Dio, Hermione,”
Harry aveva sollevato le ginocchia contro il petto e aveva nascosto
il viso fra le gambe. “Sembri Dumbledore.”
Hermione rese la sua
voce più profonda che poté. “Mio caro ragazzo,” replicò con
un'imitazione passabile del tono divertito del preside. “Ho sempre
avuto un certo dono con la Polisucco.”
La risata nasale con
cui Harry accolse il fiacco scherzo fece sentire Hermione
assurdamente contenta. Harry era stato fin troppo suscettibile dalla
morte di Sirius da dare la sua risata per scontata. “Andiamo,”
rise anche lei, alzandosi in piedi e porgendo una mano per
sollevarlo. “Scommetto che la colazione di Molly è quasi pronta.”
Quando prese la sua
mano, Harry si fermò per un secondo, gli occhi stretti mentre
guardava la generosa porzione di gamba rivelata dai calzoncini da
corsa. “Sai Hermione, direi che stai avendo qualche beneficio
secondario dall'intenso programma che stai seguendo!”
“Attento, Harry James
Potter, non accetto quel tipo di sfacciataggine da chiunque!”
Malgrado le parole polemiche, Hermione arrossì compiaciuta. Era
piacevole sapere che uno dei suoi migliori amici aveva notato che lei
era una ragazza, anche se avrebbe preferito fosse stato l'altro.
Dentro trovarono non
solo Molly a colazione, ma anche Ron, Ginny e le loro lettere da
Hogwarts. Hermione aprì la sua e scorse la lettera di
accompagnamento – congratulazioni per i tuoi GUFO, benvenuto nel
sesto anno, l'inizio dei MAGO, ancora prefetto, tante belle solite
cose – e guardò velocemente la lista dei libri. Wow, questi
libri di Aritmanzia sembrano eccellenti! Desiderava
una copia di Applicazioni Pratiche Avanzate dei Principi
dell'Aritmanzia da una vita.
Mentre gli occhi scorrevano fino alla fine della pagina, il suo cuore
fece un salto. Aggiunti alla fine della lista dei libri c'erano tre
titoli in più, scritti con la distintiva spigolosa grafia del suo
professore di Pozioni: Protezioni di Base, Difendere la
Mente e il Corpo e Attenzione
all'Esercizio Fisico: Migliorare i Riflessi Magici. Non può essere
vero, pensò. Il cuore batteva
forte e inconsciamente si toccò gentilmente la cicatrice.
Un grido da parte di
Harry interruppe le sue fantasticherie. Aveva la sua lettera aperta e
teneva in mano una spilla rosso e oro. Hermione la guardò
stupidamente per un secondo. È anche lui un prefetto? Harry
gliela mostrò più da vicino, un sorriso felice sul viso: Capitano
della squadra di Quidditch.
“Questo
ti dà gli stessi diritti dei prefetti!”
rimarcò Hermione con reale piacere, “Puoi
usare il nostro bagno speciale e tutto il resto!”
Durante i giorni
successivi Hermione cercò di non guardare la sua lista dei libri
troppo di frequente. Malgrado sbavare per i libri fosse un
atteggiamento normale per lei, non voleva neanche far sì che
qualcuno dei ragazzi notasse la grafia del professor Snape e
chiedesse qualcosa in proposito. Quando infine andarono a Diagon
Alley per le compere, tuttavia, non poté nascondere il suo
disappunto di fronte al suggerimento di Arthur di dividersi.
“Molly, non ha
senso andare tutti quanti da Madama McClan,” disse. “Perché
loro tre non vanno con Hagrid mentre noi andiamo al Ghirigoro e
prendiamo i libri per tutti?”
Hermione consegnò la
sua lista riluttante, con evidente divertimento di Ron.
“Andiamo, Hermione,”
rise, mettendole un braccio intorno alle spalle. “Puoi visitare la
libreria qualche altro giorno quando abbiamo meno da fare. D'altro
canto, fin troppo presto sarai di ritorno ad Hogwarts e potrai
passare tutto il tempo che desideri nella tua benedetta biblioteca.”
“Davvero, Ron?”
cercò di assumere il suo tono di voce più irritato, ma non riuscì
a trattenere una nota di divertimento. “Mi ci lascerai passare
tutto il tempo che voglio? E tu non cercherai mai di
farmi uscire?”
“Solo quando diventa
assolutamente necessario per la tua salute!” Protestò Ron, “Fa
più male a me che a te.”
“Puoi dirlo forte!”
Rise Hermione e lo colpì leggermente nelle costole.
In seguito Hermione
rifletté che il viaggio a Diagon Alley non fu meno colmo di eventi
rispetto a quello che una vita insieme ad Harry portava di solito.
Draco Malfoy stava certamente tramando qualcosa, il suo comportamento
da Magie Sinister era tutt'altro che innocente. Certamente non
dissentiva con Harry su quel punto. Non era entrata nel negozio per
cercare di scoprire qualcos'altro? Eppure, c'era qualcosa di
disturbante nell'ossessione che Harry aveva sviluppato. Persino Ron
l'aveva notato. Ad un certo punto, tre o quattro giorni dopo essere
andati a fare spese, i due amici si guardarono negli occhi nel bel
mezzo di una delle tirate di Harry e, più tardi quello stesso
giorno, Ron la bloccò da sola sulle scale.
“Ehi.” Ron la prese
per un gomito mentre passava.
“Ehi anche a te.”
Erano particolarmente vicini e lei poteva sentire il suo odore
leggero, dolce ed estivo, come di erba appena tagliata.
“Credi che Harry stia
bene?”
Si sentiva male a
parlare di Harry in sua assenza, ma c'era qualcosa di piacevole in
tutto ciò. Primo, Ron aveva un'adorabile espressione preoccupata sul
viso e, secondo, erano migliori amici: chi altri poteva avere il
diritto di essere preoccupato per lui?
“Intendi la cosa del
Prescelto o lo sguardo nei suoi occhi quando parla di Malfoy?”
Parlavano entrambi molto piano e si avvicinò un po' di più.
“Entrambe, in realtà.
Si sta comportando in modo strano con questa storia di Malfoy, è
sicuro. Come se fosse personale o stesse prendendo tutto in maniera
esagerata.”
“Oh, Ron. Sono
contenta che entrami l'abbiamo notato. Ha lo stesso sguardo anche
quando qualcuno nomina Sirius. Tutto chiuso in se stesso e
arrabbiato.” Hermione masticò brevemente il proprio labbro
inferiore. “Cosa pensi che dovremmo fare?”
“Dio, non lo so.
Cerchiamo solo di minimizzare tutta la faccenda Malfoy, non credo
dovremmo incoraggiarlo.”
“Ok.”
“Ok.”
Hermione si sentiva
riluttante a concludere la conversazione. C'era qualcosa di veramente
piacevole nello stare così vicina a Ron e parlare sottovoce.
“Bene, uhm, io, ehm,
credo che ci vedremo in giro.”
“Sì, lo credo
anch'io.”
Wow. Come fa una
conversazione a passare da piacevole a imbarazzante così
velocemente? Hermione arrossì
un po' e corse su per le scale verso la stanza che divideva con Ginny
più in fretta che poté. La più giovane degli Weasley era già lì.
Hermione si buttò nel letto e prese il libro più vicino, facendo
finta di leggere. Prima inizia questo semestre, pensava,
meglio sarà!
*
*
*
Anche
questo capitolo è un po' breve, ma serve comunque da raccordo con il
successivo. Settimana prossima si torna ad Hogwarts :).
Anastasia_Snape:
in realtà non è un spoiler. Mentre Snape cura la sua ferita,
Hermione, nel delirio del momento, paragona il suo canto a quello di
una Fenice e lo chiama tale. :)
Anne London
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Capitolo 6 *** Happy Returns ***
Capitolo 6
NdT: sono come sempre d'obbligo i
ringraziamenti alla fantastica beta silviabella.
Capitolo 6
Happy Returns
Poco
dopo che Narcissa e Bellatrix se ne furono andate, Wormtail
entrò furtivamente nel soggiorno, sfregando la mano argentata contro
il palmo dell'altra mano.
“Che gentili le
sorelle Black. Una semplice visita di cortesia, immagino.”
A quel punto Severus
aveva già addosso il suo mantello da viaggio.
“Porta via quei
bicchieri,” ordinò.
“Certo, certo. Ma
dove stai andando?”
Una sola parola di
risposta - “Fuori” - prima che Severus mettesse in pratica le
parole e sfrecciasse fuori di casa. Se Wormtail non fosse stato
presente sarebbe potuto uscire dal giardino posteriore, sparendo di
colpo nel buco della recinzione come ai bei vecchi tempi. Anche
usando la porta principale non gli ci volle molto per arrivare nel
viale dietro casa. Per circa un chilometro camminò per una strada
contorta che raramente lo costringeva a camminare fuori dall'ombra.
Si bloccò per guardarsi intorno. Gli sembrava di essere arrivato –
se il decrepito parco giochi per bambini dove si trovava poteva
essere classificato come destinazione. Alla fine Severus si avvicinò
ad un'altalena, uno dei pochi elementi
di gioco che rimaneva intatto. Grazie
al suo fisico asciutto riuscì a sedersi, con la
mano sinistra stretta forte intorno alla catena e la fronte
appoggiata alla mano.
Era tardi, era buio,
era freddo in modo anormale. Aveva 36 anni ed era seduto in un parco
per bambini. Aveva appena giurato con un Voto Infrangibile di
uccidere Albus Dumbledore nell'inevitabile circostanza che Draco
Malfoy fallisse nell'impresa.
Maledizione,
si disse, non fa nessuna differenza. Una
volta fallito Draco, la mia scelta sarebbe comunque stata quella di
essere coinvolto nella morte di Albus a mia volta. Ripensò
ai termini della promessa che aveva fatto.
“Vuoi
tu, Severus, vegliare su mio figlio Draco affinché riesca nel suo
tentativo di eseguire le richieste del Signore Oscuro?”
Fatto.
Severus e Lucius avevano passato
lunghe ore a
discutere
di tenere Draco fuori dalla diretta partecipazione alle battaglie del
Signore Oscuro. Il ragazzo era stato un bambino malaticcio, preceduto
da tre aborti spontanei, ed era amato da entrambi i genitori ad un
livello ossessivo. Lui da solo era considerato dai Malfoy molto più
importante di qualunque servile lealtà verso la causa di Lord
Voldemort.
“Vuoi
tu, al meglio delle tue possibilità, proteggerlo dal pericolo?”
Ancora,
niente che non avesse già avuto intenzione di fare.
“E
se si rivelasse necessario... se Draco dovesse fallire... porterai a
termine l'impresa che il Signore Oscuro ha ordinato a Draco di
compiere?”
Beh, era già sicuro
che Draco avrebbe fallito. E Severus aveva già promesso a Dumbledore
di completare l'impresa lui stesso. Perché allora si sentiva il
cuore così pesante?
Severus
si guardò intorno nel parco desolato e immaginò sé stesso da
ragazzino. Devo essere
sembrato
spaventoso. Aiutava,
comunque, essere lì nel parco dove, in un certo senso, era
cominciato tutto. Rimase lì seduto a lungo, lasciando che lo strano
freddo di luglio filtrasse nelle ossa, e pensò ai momenti della sua
vita in
cui avrebbe potuto fare una scelta diversa. Sapeva di stare per fare
qualcosa d'importante, con conseguenze personali devastanti. Questa
volta intendeva agire
con la piena consapevolezza delle possibili conseguenze.
Era quasi passata
un'ora quando finalmente si alzò. “Andiamo, Mocciosus,” disse a
voce alta. “Sai molto bene da che parte stai.”
Severus Snape camminò
fuori dal parco verso la parte più buia, dove sparì con un crack.
Quella sera non c'era
nessun gatto ad attenderlo al suo arrivo ad Hogwarts. Camminò verso
il castello senza incontrare un'anima. Salutò il gargoyle con un
lungo e sofferto sospiro. “Lecca lecca al limone”, mormorò.
Dumbledore era ancora sveglio e, dopo aver visto le memorie di Snape
nel Pensatoio, contento in modo ridicolo.
“Ben
fatto, Severus! Nessuno tranne te sarebbe riuscito a eseguire una
tale interpretazione. La gelosia rende Bellatrix un'avversario molto
più impegnativo dello stesso Voldemort, ma stanotte sei andato oltre
nella tua strada per convincerla!”
Dumbledore
versò ad entrambi da bere, sorridendo felice. Dall'altro lato della
scrivania, Snape era corrucciato. Cercò con tutte le forze di non
pensare all'uccisione del preside o di quanto spiacevole sarebbe
stata la sua vita una volta che il piano di Dumbledore si fosse
compiuto.
Era dai suoi primi anni
ad Hogwarts che Severus non era così contento di arrivare alla fine
delle vacanze. Lasciare Spinner's End era stato
un piacere e, a confronto con la continua, irritante presenza di
Wormtail, non vedeva positivamente l'ora di passare del tempo con i
suoi studenti.
Era in piedi ad un lato
delle grandi porte, guadando un gruppo di studenti in arrivo al
castello. Nascosto alla vista dalla luce che filtrava dall'entrata
principale, non era altro che una delle “misure di sicurezza
extra” attivate per quella sera. Vedendo Horace Slughorn strizzar
la sua corpulenta persona fuori da una delle carrozze, Severus si
ritirò istintivamente più in fondo nell'oscurità. Un senso di
risentimento minacciava il suo buon umore e dovette reprimere un
istinto infantile di maledire l'uomo mentre non guardava. Basta,
si disse, e mentre Slughorn
spariva dentro l'entrata, Severus riportò la sua attenzione sugli
studenti. Quando Hermione Granger e il più giovane dei ragazzi
Weasley emersero dalle scale senza Potter, discutendo furiosamente a
bassa voce, i suoi occhi si strinsero con sospetto. Quando passarono
davanti a lui, Severus decise di seguirli.
“Sono serio,
Hermione, non esiste che lo dica a Snape!”
“Ron! Primo, è il
professor Snape e, secondo,
se fossimo andati da lui l'anno scorso-”
A insaputa dei due
studenti, il professor Snape stava ascoltando ogni parola.
“Neanche morto! Harry
non ci ringrazierebbe per avergli mandato contro Snape, lo sai! ”
“Cresci, Ron! Non è
una cosa tra studenti contro insegnanti, non lo è mai stato! È
membri dell'Ordine contro Mangiamorte!”
Credo sia ora
d'intervenire. Severus si
avvicinò e prese Ron per il colletto. Abbassandosi gli sibilò in un
orecchio, “Perso qualcosa, signor Weasley? I vostri guai tendono ad
arrivare in tre.”
Lo sguardo scioccato
sul viso di Weasley era comico e intensamente soddisfacente. Granger,
invece, sembrava assurdamente sollevata di vederlo.
Idiota di una ragazza, potrebbe
vederci chiunque.
“Chiudi
la bocca, signorina Granger,” ringhiò, prima che lei potesse
parlare, “Non ho bisogno
delle tue chiacchiere qui più di quanto mi servano in classe.
Allora, signor Weasley, dov'è Potter? Lo hai abbandonato?”
“N-no,”
Weasley sembrava senza respiro e disperato. “È già andato
dentro.” La bugia era così evidente che non valeva la pena
richiamarlo.
“Lasciandovi indietro
a portare i suoi bagagli. Povero me, il famoso signor Potter diventa
più presuntuoso ogni anno che passa.”
“Professor-”
“Signorina Granger,
ti ho detto di tacere!” Non si preoccupò neanche di guardarla.
L'agitato senso di colpa e preoccupazione che emanava da Weasley era
così forte che non aveva bisogno di ulteriori dettagli di quello che
era successo: chiaramente Potter non aveva lasciato il treno. “Venti
punti in meno a Grifondoro, Weasley, per aver mentito ad un
insegnante.” Lasciò la presa sul colletto di Ron e si voltò
veloce, così che la toga da insegnante* fluttuò nell'aria,
avviandosi verso la stazione.
Era già avanti per
strada quando intercettò il Patronus di Tonks e, con la
consapevolezza che il bambino-che-è-sopravvissuto continuava a fare
precisamente quello, Severus rallentò un po' il passo. Mentre
camminava, Snape fece un sorrisetto: stava per godere dell'onore di
scortare Potter a cena. Hogwarts gli era veramente mancata.
Seduto al tavolo della
cena quella sera, Severus fu non poco soddisfatto di fronte alla
reazione degli studenti alla presentazione di Horace Slughorn.
Nessuno applaudì. Invece gli occhi si erano voltati verso di lui e
il suo cambio d'insegnamento causò una piccola scenata. Se soltanto
avesse potuto far girare la palle a Potter e rendere felici i suoi
Serpeverde ogni sera! E se solo il suo sostituto fosse stato qualcun
altro invece di Slughorn.
Hooch si era appoggiata
dietro Minerva e gli faceva l'occhiolino, “Ah, essere famosi,”
commentò.
Severus rispose con un
ghigno.
Pianificare le nuove
lezioni era stato interessante. Era un eccessivo carico di lavoro,
ovviamente, comporre il nuovo programma per tutti e sette gli anni,
ma era un piacevole cambiamento rispetto al re-insegnare Pozioni che
aveva perfezionato anni prima.
Una volta che gli
studenti furono mandati nelle sale comuni – ma chi è l'uomo che
effettivamente usa le parole “Hop
hop?” pensò Severus-
Dumbledore si girò verso gli insegnanti. “Immagino che tutti
sappiate della riunione di questa sera? Mi aspetto di vedervi tutti
nella sala insegnanti a breve.”
“Che bello,” esultò
Slughorn. “Potremmo farci un bicchierino e conoscerci un po'
meglio.”
Snape alzò gli occhi
al cielo e si alzò in piedi. “Albus,” disse, con un leggere
inchino, “Devo prima compiere i miei doveri di Capo Casa.”
“Fantastico,
Severus,” gli disse Dumbledore mentre andava via. “Possiamo
aspettarti.”
I prefetti Serpeverde
avevano fatto un ottimo lavoro nel condurre il primo anno verso la
sala comune e, mentre Severus oltrepassava la tavolata, i ritardatari
si alzarono in fretta. Il ritardo sarebbe stato evidente se fossero
arrivati dopo il professor Snape.
La sua entrata nella
sala comune fu accolta con un applauso. Diversi studenti si alzarono
in piedi e alcuni si avvicinarono per porgergli le congratulazioni.
“Basta,” disse
gentilmente, alzando una mano per ottenere silenzio. “Il nostro
primo dovere questa sera è di dare il benvenuto ai nuovi studenti.
Prego, fate un passo avanti.” Sette ragazzi del primo anno, molto
tesi, si misero al centro della stanza: quattro ragazze e tre
ragazzi. Severus colse l'occasione per esaminarli da vicino, avendo
perso lo Smistamento. Solo una sembrava malnutrita – e Hogwarts
avrebbe provveduto presto al problema. Lei e uno dei ragazzi avevano
l'aspetto bluastro ed emaciato della trascuratezza; avrebbe passato
più tempo con loro. Alcuni erano invece fratelli e sorelle minori di
studenti delle classi più avanti; non avrebbero avuto problemi ad
adattarsi.
“Benvenuti ad
Hogwarts,” disse, “e ancora più importante, benvenuti nella casa
Serpeverde. Per i prossimi sette anni, questa scuola sarà la vostra
casa e questi studenti la vostra famiglia. Non ho dubbi che alcuni di
voi abbiano sentito cose terribili sui Serpeverde – sulla magia
oscura e persone malvagie. Se è così, non pensateci. Questo tipo di
storie sono propagandate da degli stupidi ignoranti, che non sanno di
cosa stanno parlando.”
“C'è un bel po' di
animosità fra case in questa scuola, incoraggiata dal sistema dei
punti e dal campionato di Quidditch. Non prendetela sul personale.
Portate, comunque, orgoglio alla vostra casa. Guadagnate punti,
battete le altre squadre a Quidditch. Serpeverde è una nobile
istituzione. Siamo orgogliosi di avervi e voi sarete orgogliosi di
essere qui. Il Cappello Parlante vi ha scelto fra tutti i vostri
colleghi ed ognuno di voi è qui con egual diritto. Come Serpeverde,
resisterete o cadrete insieme. Ognuno dei vostri compagni Serpeverde
vi difenderà quando e ovunque sarà necessario. Vi comporterete con
rispetto e non ci saranno prepotenze o prese in giro con i vostri
compagni di casa, in nessuna forma. Sono stato abbastanza chiaro?”
I sette ragazzini di
fronte a lui annuirono obbedienti e un certo numero di ragazzi degli
anni successivi applaudirono e urlarono per incoraggiarli.
“La porta del mio
ufficio è sempre aperta. Se doveste avere bisogno di me – a ogni
ora – è sufficiente che parliate con il ritratto di Lady Florinda
de' Medici appeso qui di fianco alla porta.” Fece un gesto verso il
ritratto e Lady Florinda fece un gesto cortese con la testa. “Mi
verrà a cercare immediatamente.”
“Molto bene allora,”
continuò, voltandosi verso il resto della sala. Serpeverde, vi
presento i vostri nuovi compagni.” Fece una pausa per l'esplosione
degli applausi. “Adesso, voi del primo anno avete avuto una lunga e
sorprendete giornata. Gli studenti del secondo anno vi mostreranno le
vostre stanze. Mi aspetto che le usiate. Per tutti gli altri, andrete
a letto prima di mezzanotte. Non voglio trovare nessuno sveglio al
mio ritorno in sala comune per quell'ora. Un'ultima cosa – Malfoy,
Bulstrode, Nott, Parkinson, Goyle, Crabbe, Daphne Greengrass, Baddock
e Lorrelie – vorrei scambiare due parole con voi nel mio ufficio,
adesso.”
Il suo ufficio era
affollato una volta entrati in massa. Draco prese l'unica sedia
disponibile (oltre alla sedia di Snape), e gli altri rimasero in
piedi a disagio. Severus si sedette, guardandoli in silenzio finché
il chiacchiericcio si fermò e Parkinson iniziò a sembrare
sospettosa.
Finalmente parlò. “Vi
ho chiamati qui questa sera perché ognuno di voi si è fatto
coinvolgere nella cosiddetta Squadra d'Inquisizione.” Diversi
studenti iniziarono ad avere sguardi tesi. Draco sembrava annoiato.
“Sono contrariato.”
“Ma professore,” -
fu Millicent Bulstrode che si azzardò a parlare - “l'anno scorso
ci ha detto che avremmo dovuto dimostrare la nostra lealtà al
Ministero.”
“Sbagliato.
L'anno scorso vi ho detto che sarebbe stato nel vostro interesse
sembrare leali
al Ministero. È anche nel vostro interesse sembrare fedeli a
Dumbledore. Dolores Umbridge è una folle. Una folle che è ora
inabile e forse non tornerà più al suo lavoro al Ministero. Voi –
tutti voi – avete
scelto la parte sbagliata. Un Serpeverde consumato è capace di
sembrare leale in ogni circostanza; la vostra lealtà primaria è
verso voi stessi e verso i vostri compagni di casa. Come membri della
Squadra d'Inquisizione vi siete abbassati a fare il lavoro sporco di
qualcun altro. Avrete bisogno di essere molto più cauti prima di
sovrapporre la supremazia alle vostre scelte e azioni. Sono stato
abbastanza chiaro?”
“Sì, signore.”
Molte delle risposte erano borbottate, ma diversi studenti apparivano
pensierosi. Draco, d'altra parte, lo guardava dall'alto in basso con
un'espressione indecifrabile sul viso.
“Siete liberi.
Draco-”
“Professore?” Il
tono freddo, unito allo sguardo assente sul viso, gli dava un aspetto
insolente. Un'ombra del calore che aveva caratterizzato i loro
rapporti negli anni precedenti.
“Voglio vederti
domani dopo la fine delle lezioni.”
Draco inclinò la testa
e seguì gli altri fuori.
Solo nel suo ufficio,
Severus si prese la radice del naso fra le dita brevemente e sospirò.
Per un momento sedette con gli occhi chiusi,
combattendo per recuperare quel senso di gioioso ritorno che aveva
sperimentato nelle ore precedenti. Giudicandola una causa persa,
lasciò stare e sospirò ancora prima di dirigersi verso la sala
professori.
Come prevedibile, fu
l'ultimo ad arrivare. Parlare con gli studenti più grandi lo aveva
fatto tardare persino più di Pomona, che passava più tempo degli
altri con i nuovi Tassorosso. L'incontro non era ancora iniziato e
gli altri professori vagavano per la stanza o sedevano in piccoli
gruppi, chiacchierando. Severus vide Slughorn in un angolo mentre
parlava con una confusa Sybil Trelawney e immediatamente si voltò
nella direzione opposta, dove Minerva McGonagall lo guardava con aria
divertita.
“Ecco, bevi questo,”
gli spinse una tazza in mano, “ne prenderò un'altra per me.”
La annusò: tè con
una generosa aggiunta di brandy. “Cosa diavolo ho fatto per
meritare gli scarti della tua bevanda?” chiese acidamente.
“Oh, sembri solo uno
che ne ha bisogno.”
Severus le lanciò
un'occhiataccia, ma lo sorseggiò ugualmente. Il tè caldo e il
calore del liquore bruciarono durante il passaggio, contribuendo a
sciogliere leggermente i muscoli.
Nel centro della
stanza, Dumbledore batté le mani e richiamò l'attenzione di tutti.
“Adesso che ci siamo tutti credo possiamo iniziare. Per favore
trovate una sedia e accomodatevi.” Solo quando furono tutti seduti
continuò. “Ancora una volta, vorrei dare il benvenuto al nuovo
membro del corpo insegnanti. Horace, ovviamente, non è un estraneo a
molti di voi avendo insegnato qui in precedenza, diversi anni fa.”
Ci fu un leggero applauso. “La presenza di Horace ha permesso a
Severus di dedicarsi alla difficile e stimolante impresa di insegnare
Difesa Contro le Arti Oscure, dispensando una serie di competenze che
non sono, forse, mai state così cruciali fino a questo momento.
Precisamente per questa ragione, sono felice di annunciare che –
contrariamente alle sue abitudini – Severus accetterà qualunque
studente abbia passato il suo GUFO per il livello di MAGO. ”
Severus fece un
sorrisetto di fronte ai diversi sguardi meravigliati che ricevette.
“Bene, queste sono
buone notizie!” esclamò Filius, “Pensavo avrei dovuto deludere
un certo numero di Corvonero domani che aveva sperato di continuare
con solo una E!”
“Il che mi ricorda,
Horace,” aggiunse Dumbledore, “per facilitare chi dovrà
preparare l'orario di domani, qual è il limite per entrare nella tua
classe di MAGO? ”
“Oh, Albus, sarei
felice di accettare qualunque studente con una O od una E, anche con
una A se sono pronti a lavorar duro.” Slughorn sorrise al gruppo
riunito in un modo che Snape poté solo giudicare come frivolo.
“Immagino che se non
puoi essere selettivo nella scelta dei libri di testo,” disse piano
Severus, “non c'è motivo per cui debba esserlo con gli studenti.”
“Severus!”
McGonagall sembrava indignata.
Hooch lo colpì di
nascosto alla gamba. “Attento,” sibilò.
Slughorn farfugliò,
“Co-cosa intendi, Snape?”
“Hai bisogno che lo
spieghi chiaramente?” Severus sembrava particolarmente aggressivo.
“Basta!” La voce di
Dumbledore interruppe il trambusto con tono di comando. “Severus!
Horace! Siete colleghi adesso e tratterete l'altro con rispetto.”
Severus controllò la
lingua. Slughorn mormorò, “Ma guarda un po',” sottovoce.
“Signori?” C'era
un'insistenza glaciale nel tono di Dumbledore.
“Va bene,
Preside.”Severus inclinò la testa verso Dumbledore e decise di
ignorare completamente Slughorn.
Dumbledore sbrigò
velocemente altre faccende amministrative e l'incontro si concluse
quarantacinque minuti dopo. Severus se ne andò immediatamente, ma fu
trattenuto da Hooch che lo prese per la toga.
“Ehi, non così in
fretta,” esclamò e abbassò la voce. “Perché non ti piace
Slughorn?”
“Hooch,” sogghignò,
guardando la toga trattenuta, “Non mi piace nessuno.”
Lei alzò gli occhi al
cielo, ma non lo lasciò andare. “Certo, hai ragione. Dimentica
quello che ho detto. Cosa rende la cosa così personale in questo
particolare caso, allora?”
“Slughorn,” esclamò
con furia, “è un insegnante terribile che non si preoccupa di
evidenziare gli errori disseminati nel libro di testo. Non riesce a
pensare a niente al di fuori del suo – limitato – circolo di
persone influenti e fa terribili favoritismi fra gli studenti.”
Minerva, che non si era
accorto stesse ascoltando, sbuffò forte con disapprovazione,
“Andiamo, Severus, anche tu fai dei terribili favoritismi!”
Severus si voltò di
colpo per guardarla, tirando via il braccio dalla morsa di Hooch. “I
miei favoriti, Minerva, sono stati scelti dal Cappello parlante! Sto
attento ai miei Serpeverde perché nessun altro lo fa!”
“Eppure,” replicò
Minerva imperterrita, “possiamo beneficiare tutti un po' di quel
tipo di cooperazione fra case che Horace tende ad incoraggiare!”
“Dillo ai tuoi
preziosi Grifondoro! Quanti Serpeverde hanno incluso nel loro gruppo
inter-case di vigilanti l'anno scorso? Nessuno!”
La
faccia di Minerva si ammorbidì e allungò una mano verso il braccio
di Severus. Lui trasalì e si tirò indietro. “Dimentica ciò
che ho detto,” ringhiò. “Se volete scusarmi, ho del lavoro da
fare.”
*
*
*
*
Probabilmente penserete che qui ci stava bene la parola mantello,
così com'è usato nelle traduzioni dei libri (o forse non ve ne
frega nulla...) Il fatto è che i docenti ad Hogwarts, così come gli
studenti, non hanno addosso dei mantelli, ma delle lunghe toghe nere
con le maniche, così come avete visto nei film. Il termine inglese è
proprio diverso e non vuol dire minimanente mantello. Scusate, ma la
mia pignoleria ha avuto la meglio sulle traduzioni ufficiali...
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Continuo
a ringraziarvi per il seguito prevalentemente silenzioso, state
diventando tanti :)
chi_lamed:
La questione dell'esercizio è molto interessante, un altro modo per
vedere le differenze tra Purosangue e Nati Babbani (se fossi una
strega temo che in questo periodo la mia magia sarebbe molto debole,
ehm...). Il rapporto Hermione-genitori è molto ben gestito, credo
apprezzerai anche più avanti (non penso sia uno spoiler troppo
grosso dire che torneranno).
Fink1987:
Devo dire che non sempre nelle fanfiction mi piace il modo in cui è
gestito Ron; questa è una di quelle dove lo apprezzo, soprattutto
quando riguarda anche i rapporti con il trio. Per Hermione, beh,
diciamo che non si può certo rimanere indifferenti di fronte ad uno
Snape chiaccherone e quasi socievole, ma hai visto da questo capitolo
che le cose si stanno assestando sulla normalità (o quasi...) :)
Anne London
|
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Capitolo 7 *** Hermione's Helping Hand ***
Capitolo 7
NdT: nuovo capitolo e nuovo grazie a
silviabella. :)
Capitolo 7
Hermione's Helping
Hand
Hermione
aveva sperato che una volta tornata ad Hogwarts le sue lezioni con il
professor Snape sarebbero iniziate subito, ma dopo averle sbraitato
di tenere la bocca chiusa, e averla
presa in
giro per sapere le risposte in classe, non aveva dato segni di essere
consapevole della sua esistenza. Tutti i tentativi di rimanere
indietro alla fine delle lezioni di Difesa erano vanificati dalla
presenza di Harry e Ron e, l'unica volta in cui lo aveva incontrato
in un corridoio senza i ragazzi al seguito, Snape era passato oltre
senza degnarla neanche
di uno
sguardo. Ogni tanto pensava addirittura
di aver sognato l'intera storia, sia la guarigione che la
conversazione notturna – poteva essere delirio, dopo tutto. Per
rassicurarsi, Hermione aveva preso a portarsi dietro la lista dei
libri in tasca, per controllare che la sua scrittura ci fosse ancora.
Aveva letto buona parte dei libri che lui le aveva dato diverse volte
ed era impaziente di discuterne con qualcuno. Protezioni
di Base,
in particolare, era un libro con un titolo veramente fuorviante: il
contenuto era tutt'altro che di base, addirittura
oltre il livello dei MAGO.
Nelle sue ore di
lezione c'era un po' di tutto. Snape era valido e terrificante in
Difesa Contro le Arti Oscure come lo era stato in Pozioni, anche se
il grado di favoritismo messo in atto da Slughorn era irritante e il
successo di Harry nell'usare le istruzioni del suo maledetto Principe
Mezzosangue la stava facendo diventare matta. Aritmanzia, invece, era
una gioia completa.
Difficilmente qualcuno
portava Aritmanzia ai MAGO e il sesto e settimo anno facevano lezione
insieme. Tra i
Grifondoro era l'unica, mentre c'erano diversi Corvonero e due
Serpeverde del suo anno, Blaise Zabini e Tracey Davis.
All'inizio della prima
lezione, la professoressa Vector aveva delineato il programma:
“Non ho bisogno di
dirvi quanto sia deliziata dal fatto che abbiate deciso di continuare
con l'Aritmanzia. Ora, visto che gli studenti del settimo anno questo
già lo sanno, spero perdoneranno il mio ripetermi. Per passare
Aritmanzia al livello di MAGO è necessario non solo imparare
l'aspetto teorico abbastanza bene da passare l'esame scritto, ma
anche completare un progetto indipendente di probabilità
aritmantiche. Di conseguenza, buona parte del nostro anno verrà
impiegato sui progetti personali. Durante il primo semestre, faremo
lezione come programmato. Durante questo periodo affronteremo le
nuove teorie numeriche e rivedremo le forme più complesse
d'immaginario e calcoli numerici magici, includendo matrici
multidimensionali. Spenderemo anche un po' di tempo studiando i
problemi generati dal cercare di adattare modelli teorici a
situazioni pratiche. Durante questo semestre mi aspetto che ogni
studente sviluppi una proposta di ricerca che dovrà essere pronta
prima delle vacanze natalizie. Dopo Natale, tuttavia, le lezioni
regolari saranno più rare. Farò sì che l'orario delle lezioni sia
trutturato in modo da avere incontri singoli in cui possiamo
concentrarci sui progetti indipendenti.”
“Ora, prima di andare
avanti, vorrei ricordarvi che tutte le applicazioni di Aritmanzia sul
gioco d'azzardo sono severamente proibite dalla legge del Ministero e
che nessun progetto inerente il Quidditch sarà accettato da me o
dagli esaminatori. Capito?”
La professoressa Vector
sorrise alla classe che rispose al sorriso. Il divieto delle
scommesse sul Quidditch, arrivati al livello di MAGO, non era nulla
di nuovo. Vector era sì obbligata dalla legge a ricordare il
divieto, ma tendeva a considerarlo come una sorta di scherzo
ricorrente.
Dal momento in cui la
professoressa Vector si lanciò in un complicato ripasso del
trasferimento grafico tra spazio-m e
spazio-i, Hermione
ebbe poche possibilità di pensare al suo progetto indipendente.
Alla fine della
lezione, la voce della professoressa Vector interruppe i pensieri di
Hermione mentre metteva via i suoi appunti. “Signorina Granger, se
volessi attendere un momento, vorrei parlare brevemente
con te.”
“Certamente,
professoressa.” Raccogliendo in fretta il resto delle sue cose,
Hermione si avvicinò alla scrivania della Vector.
La Vector fece segno ad
Hermione di sedersi nella sedia più vicina e fece il giro intorno
alla scrivania per sedersi sul bordo, vicino a dove stava Hermione.
Dimostrava circa sessant'anni, anche se Hermione sapeva come
invecchiavano le streghe, e poteva essere molto più vecchia. Era
piccola, non più alta di Hermione, asciutta e, esclusa la ciocca di
capelli vicino alla fronte che tendeva al grigio argento, i suoi
capelli erano neri. Li portava lunghi abbastanza per tenerli dietro
le orecchie e non più di così. I capelli erano abbastanza spessi da
far assumere alla testa una forma triangolare, se vista da certi
lati. Parlava inglese con una traccia di accento e, da quel che
Hermione poté capire, dormiva e lavorava ad orari assurdi,
sopravvivendo con un costante afflusso di caffè che beveva da una
tazzina senza manici. Sorrideva un
sacco.
“Allora, signorina
Granger, non vorrei partire con nessuna congettura, ma mi sembra
possibile pensare” – qualcosa
nel luccichio dei suoi occhi convinse Hermione che la professoressa
aveva già calcolato precisamente la possibilità –
“che il tuo progetto indipendente possa riguardare la guerra in corso. È corretto?”
“Oh,
infatti.” Hermione
deglutì. Realizzò – con un discreto shock – che non aveva mai
pensato alla rilevanza
dell'Aritmanzia per la sopravvivenza di Harry. Come posso
essere stata così idiota? Amava
l'Aritmanzia, era la sua passione, ma non aveva mai pensato di usare
l'elaborato lavoro di teoria al di fuori delle mura accademiche.
La Vector sorrise. “Come
sono certa tu abbia capito, è un argomento su cui ho lavorato
parecchio.”
Hermione non aveva
capito niente del genere, ma annuì lo stesso.
“Comunque,”
continuò la professoressa Vector, “non avrebbe alcun senso per te
rifare il lavoro che ho già fatto io. Suggerirei, invece, di
lavorare insieme. Sarei molto contenta di mettere a tua disposizione
i miei calcoli. Ti ci vorrà un po' di tempo per familiarizzare con
il lavoro della matrice che ho sviluppato, ma dopo quel punto sono
certa che riuscirai a sviluppare alcune modifiche, o calcoli
supplementari, che possono servire adeguatamente allo scopo di
valutazione.”
Gli occhi di Hermione
brillarono di contentezza e si sentiva vicina a saltare per la
felicità. “Grazie! Wow, io... voglio dire, wow.”
La professoressa Vector
alzò una mano di fronte al suo entusiasmo trattenuto. “Senza
volermi vantare,” aggiunse, “le equazioni completate sono al di
sopra del livello richiesto agli studenti dei MAGO. Infatti, è la
più complicata serie di calcoli a cui ho mai lavorato. Non ho dubbi,
tuttavia, che tu sia perfettamente capace di capire e lavorare sul
materiale.”
Hermione arrossì di
piacere.
“Ti suggerisco di
cogliere l'occasione di venire nel mio ufficio al più presto, anche
domani, se ti capita di avere un'ora libera, così puoi iniziare a
familiarizzare con i calcoli.” Un'espressione insolitamente seria
passò sul viso della Vector. “Sono sicura di non doverti avvertire
che l'esistenza di questi calcoli è altamente confidenziale.
Dovessero cadere nelle mani sbagliate sarebbe disastroso per la
nostra causa. Solo un selezionato numero di membri dell'Ordine ne è
a conoscenza e vorrei chiederti di non dirlo a nessuno, nemmeno ai
tuoi compagni di classe.”
“Oh,
certamente.” Hermione
arrossì al pensiero delle
possibili conseguenze. “Ha la mia parola, professoressa, non
lo dirò a nessuno.” Sembrava esserci un discreto numero di cose
nella sua vita che non poteva dire a nessuno. Le venne in mente un
improvviso pensiero. “Professoressa,” chiese, “anche dall'altra
parte hanno aritmanti?”
“Nessuno talentuoso
come me,” replicò la professoressa Vector, l'umorismo che le
addolciva i tratti del viso ancora una volta. Con una smorfia ironica
aggiunse, “Apparentemente, Tom Riddle potrebbe avere un ottimo
aritmante se non fosse così scettico sul valore della matematica
babbana. Sappiamo per certo che non si è preoccupato di progetti e
calcoli durante l'ultima guerra e le nostre informazioni suggeriscono
che non ne ha fatto uso neanche questa volta.”
Hermione pensò
all'informazione. “Ho due ore libere domani mattina
presto,” si azzardò, “Lei è
libera?”
“Di prima
mattina?” La Vector fece
una smorfia al pensiero.
Quando Hermione annuì
in segno di scuse, la professoressa Vector sospirò.
“Va bene allora, se
non ti dà fastidio l'odore del caffè, penso di potercela fare.”
Quando Hermione si
presentò nell'ufficio della Vector il mattino successivo, fu
meravigliata di vedere la professoressa vestita con quelli che
sembravano in modo sospetto dei pantaloni da ginnastica e un cardigan
fatto a maglia. La Vector si limitò a sorridere davanti al suo sguardo
di meraviglia.
“Non indosso mai la
tunica da insegnante prima di mezzogiorno, se posso evitarlo. Non
credo che tu beva caffè greco, vero?”
Hermione si morse la
lingua per impedirsi di commentare che evitare la tunica era una cosa
e indossare pantaloni da ginnastica era un'altra. “Uhm, non ho mai
bevuto caffè greco, però mi piace l'espresso. È molto diverso?”
“Abbastanza. È più
forte e leggermente granuloso. Si beve dolce. Provalo, sto per farne
un altro po' per me. Se non ti piace posso finirlo io.”
La Vector fece il caffè
come se fosse un rituale importante, mescolando il caffè, lo
zucchero e l'acqua in un pentolino che, come disse ad Hermione, si
chiamava briki. Lo mise sul fuoco a fiamma bassa, che si accese
magicamente, e prestò la massima attenzione alla preparazione,
lasciandolo bollire e stabilizzandolo diverse volte prima di
dichiararlo pronto per essere bevuto. Solo una volta avuta la tazza
in mano riportò la sua attenzione alle equazioni aritmantiche che
Hermione era andata a vedere.
Muovendo
la mano verso una parete spoglia, rivelò un'enorme lavagna coperta
di calcoli e formule. Sulla
parete opposta apparì una matrice incompleta.
“Può andare per
iniziare,” disse. “In sostanza, la matrice è laggiù.
Attualmente è distribuita su 18 dimensioni, cosa che rende
complicato vederla completa tutta insieme, ma se dovessi iniziare a
semplificarla perderemmo dettagli. D'altro canto, ho i calcoli
unificati e qui,” alzò la mano di nuovo, diversi pannelli della
lavagna scivolarono di lato lungo delle guide sul pavimento e uno di
essi, che era rimasto nascosto in precedenza, emerse da dietro al
muro. “Queste sono alcune delle formule incorporate. Puoi lavorare
lentamente su queste: ti risulterà più chiaro cos'ho fatto.”
Hermione si era
avvicinata e stava cercando di seguire la logica della matematica di
fronte a sé. Era la cosa più complicata che avesse mai visto. Prese
un sorso del caffè: strano, ma non disgustoso.
“Vieni qui, questo
potrebbe interessarti,” La Vector la chiamò da un punto vicino
all'angolo della lavagna. “Queste sono le probabili proiezioni sul
fatto che Harry Potter sopravviverà e Voldemort no.”
Hermione tracciò la
lunghezza dei calcoli con il dito. “51%.” Si fermò. “Non è
molto alta.”
“Molto meglio di
com'era prima, mia cara. Guarda questo, è affascinante. Controlla
questi due coefficienti runici: questo è Ronald Weasley e questo-”
“Sono io!”
“Esatto. Guarda cosa
succede se ti tolgo dall'equazione.”
La Vector prese un
cancellino e pulì la lavagna dal coefficiente che rappresentava
Hermione. La formula brillò per un secondo e ricalcolò la
probabilità.
“12%.” Hermione era
sbalordita. Solo la mia presenza aumenta le possibilità di Harry
del 39%? Il pensiero la
spaventava.
“Togli Ronald,” e
dicendolo Vector lo fece, “scende ancora, solo il 3%.”
Hermione era senza
parole.
“Rimetto te
all'interno,” continuò la Vector, battendo la bacchetta nella
lavagna, “e le probabilità di Harry salgono al 46%. Tu, mia cara,
sei il fattore cruciale per il suo successo. Solo con te e Ronald,
tuttavia, possiamo raggiungere un equilibrio oltre il 50%. Sembri
sorpresa,” La Vector strinse gli occhi preoccupata e prese una sedia
per Hermione. “Bevi un altro po' di caffè, fa miracoli. Credo che
ci voglia un po' ad abituarsi nel vedere le proprie azioni e quelle
dei tuoi amici ridotte a numeri.”
La Vector prese un'altra
sedia per sé e le due donne rimasero sedute a fissare i calcoli
insieme mentre bevevano caffè.
Alla fine della seconda
settimana il professor Snape non aveva ancora parlato con Hermione a
proposito delle lezioni private. Lei lavorò su diversi pannelli con
i calcoli della professoressa Vector, ma il processo era lento, e
decise di andare al campo da Quidditch per vedere le selezioni con
umore particolarmente scontroso. Quella puttanella di Lavender, che
guardava Ron con tanto di occhioni, non aiutava. Hermione avrebbe
voluto portarsi qualcosa da leggere, ma rifletté che il supporto
morale che era andata a dare sarebbe sembrato un po' attutito se
l'avesse fatto. Non che Ron sembri aver bisogno del mio supporto,
brontolò amaramente, sedendosi
nelle gradinate e guardando
intorno il
gran numero di studenti che era arrivato. Questi non
possono essere tutti Grifondoro, pensò
all'improvviso, avendo notato diversi ragazzi più giovani che
avrebbe giurato fossero di Corvonero. Hermione mise i piedi sopra lo
schienale del seggiolino di fronte a sé e sollevò la
toga così da poter sentire
il caldo del sole sulle gambe. Incrociando le braccia si appoggiò e
guardò in lontananza. Non durerà per sempre, rifletté.
La conversazione durante la colazione tra lei e i ragazzi le ritornò
alla mente e, per diversi minuti, i pensieri deviarono sulle
frequenti assenze di Dumbledore e valutò
se Snape stesse
solo aspettando l'inizio
degli allenamenti di
Quidditch
per cominciare.
Quello potrebbe avere senso.
Il
suo umore si risollevò leggermente e guardò verso Harry che aveva
iniziato ad urlare istruzioni.
Cormac
McLaggen camminava nella sua direzione, con uno sguardo bellicoso.
Consciamente lei abbassò la toga per coprire le gambe, non prima che
McLaggen riuscì a lanciarle un'occhiata, scorrendo dalle gambe fino
ai capelli. Hermione si sentì un po' a disagio. Strinse i denti e
sperò, intensamente, che andasse a sedersi da un'altra parte, ma non
ebbe tanta fortuna; si sedette solo un paio di posti di fianco e,
cosa peggiore, iniziòuna conversazione.
Malgrado le sue vaghe e
monosillabiche risposte, McLaggen iniziò a parlare incessantemente
durante le selezioni dei Cercatori e Battitori, gratificando Hermione
con lunghe e accurate opinioni sul talento e sulla tattica. Hermione
fece del suo meglio per ignorare gli inutili commenti – mordendosi
la lingua durante le affermazioni di McLaggen riguardo alle
prestazioni di Ron l'anno precedente – ma alla fine un commento su
Ginny portò la sua pazienza al limite.
“Beh,
ti fa pensare,” commentò lui,
“quale sia il talento che l'ha fatta entrare in squadra! Non
che mi lamenti, in ogni caso – non vedo l'ora di vederla nello
spogliatoio dopo le partite -”
“Come ti permetti!”
Lei fumava. “Ginny Weasley è un'eccellente
giocatrice di Quidditch e una mia cara amica! Lasciando da parte il
fatto che ha appena fatto diciassette centri, non riesco
a credere che tu possa fare un commento del genere su un tuo
potenziale compagno di squadra!”
McLaggen sembrava
impassibile di fronte al suo scatto. Infatti rise di lei e mise il
braccio dietro allo schienale dei seggiolini fra loro, facendo
pendere le dita pericolosamente vicino alla sua spalla. “Ooh, non
siamo gelosi, vero? Non preoccuparti, mi piacciono le ragazze che
fanno un po' di scintille. È un peccato che tu non provi ad entrare
in squadra.”
Hermione era
momentaneamente senza parole. “Ti assicuro, Cormac McLaggen, che
quello che fai o no con una ragazza non è assolutamente un mio
problema! E per tua informazione, Grifondoro ha già un Portiere
esemplare. Le tue possibilità di entrare nella squadra sono molto
basse.”
Fortunatamente
per entrambi, Harry aveva iniziato a chiamare per le selezioni da
Portiere e convocò McLaggen proprio in quel momento. McLaggen si
alzò con aria da spaccone, chiaramente ignaro del reale pericolo in
cui si era trovato, ed Hermione si maledì per non avergli fatto il
malocchio quando ne aveva l'opportunità.
Sedette,
fumante di rabbia,
per le prove dei primi candidati al
posto, soffermandosi su diversi scenari soddisfacenti che
coinvolgevano McLaggen in situazioni molto compromettenti e dolorose.
Non c'è possibilità che Harry
permetta ad una persona così orribile di entrare in squadra. Quando
McLaggen parò le prime battute, tuttavia, le
sue certezze iniziarono
a incrinarsi. Si voltò a guardare Ron: aveva un aspetto orribile.
Era così stressato da avere
il colorito
tendente al verde. Mentre McLaggen parava
il terzo tiro, la tensione di Hermione cominciò
a
montare. Se
Ron non entra in squadra non lo supererà mai! E non avrò mai
l'occasione di avere lezioni con il professor Snape. Hermione
non si fermò a pensare a quale soluzione potesse essere la peggiore.
McLaggen parò il quarto tiro ed Hermione colse l'espressione sul
viso di Ginny:
uno sguardo tetro e fisso. Quello la fece decidere. Non c'era
possibilità che Hermione lasciasse che quel verme desse un'occhiata
a Ginny nello spogliatoio. Di nascosto
fece
scivolare la bacchetta fuori dalla tasca, fino
in
mano.
“Confundus,”
sussurrò e sospirò di sollievo
quando McLaggen decise di buttarsi nella direzione sbagliata e mancò
il quinto tiro completamente.
Guardare la prova di
Ron fu snervante. Hermione trattenne il fiato e strinse i pugni così
forte che le unghie scavarono solchi nel palmo della mano. Il
sollievo che sentì quando lui parò tutti i tiri la lasciò
stordita. Con una risata quasi isterica di sollievo, saltò dalla
sedia e corse verso di lui, il precedente fastidio nei suoi confronti
dimenticato: confrontato con Cormac McLaggen, Ronald Weasley era un
principe.
“Sei
stato grande, Ron!” Urlò,
dandogli un veloce abbraccio. Ron sorrise e dopo il
discorso di Harry
sull'organizzazione della nuova squadra,
i tre amici si spostarono verso la casa di Hagrid. Era così bello
essere fuori sotto il sole, avere Ron ed Harry così contenti per il
Quidditch e sapere che McLaggen si meritava la punizione che gli
aveva dato, che quando Ron affermò ridendo che McLaggen
sembrava affetto dal Confundus, Hermione provò solo un leggero senso
di colpa.
*
*
*
----------------------------------------------------
Non so voi, ma l'uso dell'Aritmanzia è una delle cose che più apprezzo di questa storia :)
chi_lamed: Il capitolo
precedente è una presentazione di alcune location e di alcuni
rapporti che si svilupperanno nel corso della storia. Io ad esempio
ho adorato l'accoglienza nella sala comune dei Serpeverde. Il
comportamento con Slughorn diciamo che è spiegato anche nei libri
originali e qui è reso più palese avendo un punto di vista diretto
:). La storia sta iniziando ad entrare nel vivo, spero possa
continuare a piacerti :)
Anne London
|
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Capitolo 8 *** Slytherin Politics ***
Capitolo 8
NdT: forse non ve ne
rendete conto, ma non avete idea di quanto dovete a silviabella per
la leggibilità.
Capitolo 8
Slytherin Politics
Mentre
lo status di sangue dei nuovi Tassorosso era considerato irrilevante,
Severus la riteneva un'informazione cruciale quando si trattava dei
suoi Serpeverde e si occupò di verificarla il prima possibile.
Cinque Purosangue, un Mezzosangue e una Nata Babbana. Non lo sorprese
affatto scoprire che la malnutrita ragazzina e la strega Nata Babbana
erano la stessa persona. Come stabilito, Severus si prese il tempo di
incontrare tutti i nuovi studenti entro la prima settimana. Morris
Bletchley e Terrence Harper non avevano problemi. Entrambi avevano
dei fratelli a Hogwarts che li aiutavano. Raquel Garside e Milton
Hammerbright provenivano entrambi da famiglie Purosangue così ben
radicate da poter vantare legami famigliari con metà sala comune, e
probabilmente andavano in vacanza in Riviera con un certo numero di
loro. Pubert Cavendish, d'altro canto, era probabilmente imparentato
con altrettanti individui, ma veniva da una famiglia dove i soldi
erano un problema. I suoi vestiti erano ovviamente di seconda mano e
sembrava un po' spaesato. In passato, Severus lo avrebbe affidato
nelle capaci mani di Draco Malfoy – tipicamente pronto a
condividere i dolci e altre generosità mandategli da Narcissa ad
intervalli regolari – ma Draco non si era preoccupato di
presentarsi dal suo Capo Casa per parlare. Invece, Severus aveva
parlato con Blaise Zabini. Chelsea Gladstone, Mezzosangue, era
arrivata ben preparata da sua madre e non aveva problemi a
destreggiarsi fra gli elementi delle sue origini familiari per la
quale i suoi compagni potevano
guardarla dall'alto in basso. Severus l'aveva sentita informare con
disinvoltura una ragazza del terzo anno che suo
padre era immigrato dal Canada molti anni prima – convenientemente
spiegando così il suo cognome Babbano. Fece un appunto mentale di
parlare con Tracey Davis di tenerla d'occhio. Jocelyn Smith, invece,
era causa di preoccupazione.
Era arrivata al suo
appuntamento in perfetto orario e si sedette davanti alla scrivania
di Snape senza una parola. Le gambe sporgevano in modo strano, troppo
corte per raggiungere il pavimento. Le dimensioni della sedia la
facevano apparire più giovane di quello che era in realtà. Mentre
attendeva che Snape parlasse, teneva il corpo contratto, le mani
strette in grembo.
Snape la guardo
intensamente per un momento prima di parlare: la signorina Smith non
era una bella bambina. Era troppo magra e piccola per la sua età.
Tutto in lei aveva poco colore. I capelli erano di un biondo opaco e
arrivavano appena sotto le spalle. Le punte erano irregolari e
avevano un bisogno disperato di essere tagliate. Gli occhi erano di
un pallido blu sbiadito e sembravano troppo larghi per il suo viso
emaciato. L'ombra di un livido coloriva una guancia.
“Signorina Smith,”
iniziò. C'era qualcosa di leggermente snervante nel modo in cui la
ragazzina lo fissava, senza battere ciglio. “Avrai sentito che solo
i maghi e le streghe Purosangue possono entrare nella casa
Serpeverde.” La ragazza non replicò e lui andò avanti.
“Ovviamente, quest'affermazione non è vera, così come la maggior
parte delle asserzioni sulle inclinazioni magiche dei figli di
Babbani. Ci sono, per esempio, certe fazioni politiche nella casa
Serpeverde che continuano a declamare questo tipo di retorica.
Sarebbe per te opportuno astenerti dal discutere la tua genealogia.
Fortunatamente il cognome 'Smith' è comune nel mondo magico, così
come in quello Babbano-inglese.”
La ragazza non diceva
ancora nulla. Ha almeno sbattuto le palpebre?, pensò
Severus.
“Hai qualche
domanda?” chiese.
“No, signore,”
replicò con prontezza, con una voce chiara e acuta. Dopo una pausa
aggiunse, “E non ho assolutamente niente da dire a nessuno sulla
mia famiglia.” La voce era allo stesso tempo infantile e seria in
modo disturbante.
Per un momento la sua
risposta prese Severus alla sprovvista. Con un sobbalzo si accorse
che la neutralità della voce era estesa anche ai suoi pensieri: non
riusciva a sentirla affatto. La ragazza sta Occludendo e anche in
modo considerevole. La scoperta
lo lasciò sconcertato. Era già abbastanza sorprendente scoprire che
Hermione Granger, un'odiosamente precoce studentessa del quinto anno,
aveva sviluppato
un talento da Occlumante. Ma una matricola con nessuna esposizione
alla magia? Qualcosa non andava. La trattenne ancora per qualche
minuto. Lei diede risposte evasive ad alcune domande riguardanti il
primo giorno di lezione e decise di lasciarla andare. Mentre
raggiungeva la porta la richiamò.
“Signorina Smith?”
Lei si voltò subito. “Chi è venuto a visitare la tua famiglia e
portare la lettera di Hogwarts?”
“La professoressa
McGonagall, signore.”
“Molto bene, puoi
andare.”
Una volta che la porta
si fu chiusa dietro la ragazza, Snape controllò l'orologio. C'era
ancora un po' di tempo prima di cena. Se si sbrigava sarebbe riuscito
a trovare Minerva nel suo ufficio.
Decise di camminare,
piuttosto che usare la Metropolvere, cogliendo l'opportunità di
sgranchirsi le gambe. La porta della McGonagall era chiusa, ma
quando bussò, lei rispose facendolo entrare.
Alla vista di Snape
sulla porta, Minerva lo guardò con sguardo ironico, la discussione
di due sere prima ancora fresca nella mente.
“Accidenti,” lo
prese in giro. “Guarda un po' cos'ha portato il gatto.”
Snape le lanciò uno
sguardo pieno di disgusto. “Tu sei l'unico gatto qui in giro,
Minerva, e non desidero contemplare gli oggetti che porti.”
Minerva ridacchiò.
“Siediti e prendi un biscotto,” offrì, spingendo una barattolo
di frollini verso di lui.
Snape si sedette e
incrociò le braccia, ignorando i biscotti. “Sono qui per discutere
di una studentessa – una
delle mie.”
A questa affermazione,
Minerva gli lanciò uno sguardo interessato. “Per un momento ho
pensato che fossi venuto a lamentarti di uno dei miei Grifondoro.”
“No. È Jocelyn
Smith.”
“Ah.” Le labbra di
Minerva si contrassero in disapprovazione e scosse la testa. “Sono
rimasta molto stupita di vedere lei, fra tutti quanti, mandata a
Serpeverde. Ha bisogno di qualcuno che se ne occupi – non guardarmi
così Severus! É perfettamente chiaro che sei qui esattamente per la
stessa ragione, non stavo implicando che tu –”
“E perché ritieni
che Serpeverde non sia un posto adatto a lei?” La voce di Severus
era bassa e pericolosa.
“Oh, Severus! É una
Nata Babbana! Sarebbe stata meglio in un posto dove non ha bisogno di
nascondere la storia della sua famiglia.”
“Il Cappello Parlante
la pensava diversamente.”
“Calmati, Severus,
non ho intenzione di avere questa conversazione con te, di nuovo.”
Minerva si sporse in avanti e fece sbatacchiare la latta di biscotti
sulla scrivania. “Forza, prendi un biscotto.”
Severus sospirò
pesantemente. Con ostentata riluttanza, prese un biscotto e gli diede
un morso.
“Così va meglio.
Suppongo tu voglia sapere com'era la condizione della famiglia quando
sono andata a visitarla.”
“Sì,” disse
Severus tra un morso e l'altro del biscotto.
“Non buona, temo. La
madre è poco più che una ragazzina anche lei e il padre se n'è
andato da parecchio. Da quel che ho capito c'è un costante via vai
di persone tra l'appartamento e il letto di sua madre, pochi dei
quali tengono alla bambina. Il posto è una
casa popolare, sporca dal pavimento al soffitto. L'intera
visita è stata orrendamente deprimente. Jocelyn è qui con una borsa
di studio, ovviamente.” Minerva si fermò per un momento prima di
continuare. “Ho anche portato la ragazza a Diagon Alley per
comprare l'occorrente per la scuola. Non ha detto granché. Non
sembrava credere che stesse accadendo davvero. Dopo aver comprato i
libri mi ha chiesto 'Posso tenerli?', come se si aspettasse di
doverli restituire. È stato straziante.”
Severus sentì una
fitta di simpatia verso la sua piccola responsabilità. Per un lungo
momento guardò verso Minerva, senza proferir parola, un secondo
biscotto dimenticato in mano.
“Severus,” disse
lei gentilmente, “sono veramente sollevata che ci sia tu a
controllarla. Ora, andiamo di sotto per la cena, prima che mangi
tutti i miei frollini.”
Più tardi quella sera,
Severus si trovò seduto nel suo ufficio, lavorando apparentemente al
programma di lezioni per il terzo e quarto anno. In realtà era perso
nei suoi pensieri. La sua mente continuava a tornare alla situazione
di Jocelyn Smith e Hermione Granger: due streghe Nate Babbane,
entrambe Occlumanti naturali. L'abilità nell'Occlumanzia raramente
si sviluppava senza aiuto e per un bambino era necessario un
controllo mentale di incredibile difficoltà da padroneggiare. Era
solo una mera coincidenza? Le circostanze sembravano così diverse,
eppure il risultato era lo stesso. Severus sospirò di frustrazione.
Prima cosa, aveva perso
già abbastanza tempo pensando ad Hermione Granger. Fin dalle
conversazioni avute alla fine dell'anno, sembrava essere
continuamente nei suoi pensieri. Ora, da quando la scuola era
ricominciata, si accorgeva che la sua presenza saltava fuori
continuamente tra la folla di studenti, cercando la sua attenzione.
Se solo la dannata ragazza la smettesse di guardare verso di lui, e
cercare di parlargli, avrebbero potuto iniziare le lezioni, ma ancora
non era sicuro, né per lei, né per lui. Severus aveva appena
iniziato a riflettere su quanto tempo avrebbe avuto per insegnarle
prima che gli elementi più drastici del piano di Dumbledore si
mettessero in moto, quando il Marchio Nero iniziò a bruciare.
Trattenendo il respiro per la ferocia del dolore, mise da parte i
programmi delle lezioni e si mosse verso le sue stanze. Severus
richiamò il mantello e la maschera, mandò il suo Patronus ad
informare Dumbledore della sua partenza e s'incamminò fuori.
La
serata era piacevole. Il cielo era chiaro e le stelle splendevano
sopra di lui. Se il dolore al braccio non fosse stato tanto forte,
avrebbe apprezzato la passeggiata fino al punto di
Smaterializzazione. Mentre camminava disciplinò la mente, spingendo
via la seccante ansia causata dalla convocazione. Era chiamato
raramente durante il periodo di lezione: doveva
essere successo qualcosa d'importante. Nel momento in cui attraversò
le protezioni della scuola, la sua mente era lucida. Toccò il
Marchio Nero con la bacchetta e si Smaterializzò.
Ancora una volta si
ritrovò nell'atrio di Malfoy Manor. Questa volta sia Narcissa che
Bellatrix erano presenti ad accoglierlo. Narcissa corse verso di lui
non appena fu arrivato e lo prese per un braccio con entrambe le
mani.
“Severus,” ansimò.
“Mi dispiace tanto.”
Il suo sguardo si
spostò dalla sua faccia addolorata a Bellatrix, che non si era mossa
da dove stava, in piedi contro il muro. Anche lei aveva una leggero
sguardo di scuse.
“Cos'avete
fatto?” chiese. La voce riecheggiò duramente contro le superfici
piastrellate della stanza.
“È venuto a sapere
del Voto Infrangibile e... Oh, Severus, non è contento...”
I bordi della bocca di
Snape si abbassarono per la collera, enfatizzando le linee dure del
suo viso. Tirò via il braccio dalla morsa di Narcissa e si mosse
verso la porta. Mentre oltrepassava Bellatrix, si voltò verso di lei
senza rallentare il passo, “Ancora a crear problemi, Bellatrix?”
chiese, non fermandosi neanche per sentire la risposta.
Severus si prostrò
immediatamente dopo essere entrato nel salone.
“Ah, Severusss... mi
delizia che tu abbia trovato il tempo di venirmi a trovare. So quanto
tu sia terribilmente occupato in questo periodo dell'anno.”
Non per la prima volta
Severus si ritrovò a pensare alle somiglianze fra Dumbledore e il
Signore Oscuro. In qualche modo, con il viso schiacciato contro il
pavimento e certo della punizione futura, si sentiva meno preoccupato
rispetto a prima, quando contemplava la possibilità di un dolore
fisico.
Pochi secondi dopo fu
sollevato in aria.
“Mio caro ragazzo,
permettimi di aiutarti ad avvicinarti.” Voldemort aveva la
bacchetta puntata e fece lievitare Severus verso di lui. Quando il
suo corpo fluttuante fu abbastanza vicino a Voldemort da poterlo
toccare, venne fatto cadere senza tante cerimonie sul pavimento.
“Mio Signore,”
riuscì a dire, malgrado gli fosse mancato il respiro.
“Sembra che tu abbia
trascurato di dirmi qualcosa, Severus.”
“Infatti, mio
Signore. Chiedo scusa.”
“Non
è abbastanza, Severus. Vedi, se tu andassi in giro noncurante
a contrarre Voti con la gente, come
potrei essere sicuro che tu mi sia fedele?” Ci fu una lunga pausa.
“Severus? Guardami!”
Snape guardò gli occhi
rossi e la bacchetta puntata del Signore Oscuro. Voldemort si sporse
in avanti e gli sorrise in una nauseante parodia di amicizia.
“Legilimens,” sussurrò.
L'incursione di Lord
Voldemort nella mente degli altri includeva inevitabilmente una certa
quantità di dolore: provava grande piacere nello spingersi oltre i
limiti e far del male. Severus, comunque, sapeva cosa aspettarsi.
Si concentrò come si deve sul ricordo del Voto Infrangibile,
avvolgendo in una cortina fumogena le altre memorie più recenti,
così che Voldemort non potesse rendersi conto del controllo che
Severus manteneva. Pensò al momento in cui camminava con Potter su
per il castello e al discorso di benvenuto dei Serpeverde in sala
comune. Entrambi attirarono brevemente l'attenzione di Voldemort, ma
lui proseguì oltre, verso la scena di Spinner's End. Solo una volta
aver visto Narcissa e Bellatrix andarsene si ritirò dalla mente di
Severus. Mentre l'energia dell'incantesimo si estingueva, la testa di
Severus ricadde di nuovo sul tappeto. Quella parte del cervello che
non pulsava di dolore benedì Lucius per aver scartato l'idea di un
pavimento spoglio.
Severus non era sicuro
di quanto tempo fosse rimasto a terra, forse non più di qualche
minuto. A quel punto Voldemort infilò la punta della scarpa sotto la
sua spalla e lo fece girare a pancia in su. Guardando in alto,
Severus vide Voldemort chinato in avanti e notò, per la prima volta,
la presenza di Nagini.
“Bene, Severus,
confesso che hai dimostrato di essere più fedele di quel che
immaginavo.”
È
una tregua? Voldemort
sembrava impressionato dai ricordi appena visti, ma Severus non era
ancora convinto che l'immediato pericolo fosse passato. Pensava fosse
più sicuro non dire nulla. Voldemort faceva sbattere la bacchetta
contro la coscia con aria assente.
Con l'altra mano accarezzava la testa di Nagini.
Infine fu al serpente
che Voldemort parlò, cantilenando come ad un bambino, “Mi
dispiace, piccola mia, ma lo lascerò vivere per questa volta.”
Guardando Severus, il Signore Oscuro diede ancora un colpetto con la
scarpa. “Alzati,” ordinò.
Severus si sollevò
sulle mani e sulle ginocchia, premendo la fronte sul pavimento vicino
ai piedi di Voldemort. “Grazie, mio Signore,” disse.
Quando sollevò la
testa, Voldemort si era abbassato un'altra volta, riducendo la
distanza fra loro. “Perché non me l'hai detto?”
“Ero
arrabbiato con Bellatrix, mio Signore; ero furioso che venisse a
chiedere della mia lealtà verso di te. Immaginavo che ti avrei
annoiato con dei racconti d'insignificante gelosia.”
“Pensi che un Voto
Infrangibile sia una cosa da niente? Quanti altri ne hai fatti?”
“Nessuno, mio
Signore, lo giuro. Non ho promesso nulla che non avrei fatto
volentieri lo stesso.” Dopo un attimo aggiunse, “Tengo molto al
ragazzo.”
“Lo sai, Severus,
potresti essere il mio servitore più importante.” Voldemort lo
guardava con una curiosa espressione di valutazione.
“Mio Signore, tu mi
onori.”
“La prossima volta
che farai qualcosa di così stupido, Severus, fai in modo di dirmelo
tu stesso, così non sarò costretto a punirti.” Con questo
Voldemort alzò la mano e la posò momentaneamente sulla testa di
Severus, come in benedizione. Quindi, sollevando la bacchetta
oziosamente, rise, “Crucio.”
Più o meno un'ora
dopo, Severus tornò ad Hogwarts e, non appena si Materializzò nella
radura, cercò la gatta con lo sguardo. Incespicò leggermente
all'arrivo e la gatta balzò preoccupata verso di lui, strusciandosi
gentilmente contro le sue gambe nel momento in cui si raddrizzò.
Miagolò in tono
lagnoso.
“Sono stato peggio,”
replicò, iniziando la lunga camminata verso il castello con la gatta
di fianco.
Rivivere le esperienze
della serata fu singolarmente spiacevole. Prostrarsi davanti ad un
maniaco omicida era una cosa, vedere sé stessi farlo era un'altra.
Fortunatamente, Dumbledore era felice di scambiare solo poche parole
per sviscerare la conversazione e permise a Severus di andarsene poco
dopo mezzanotte.
Severus
scese le scale e lasciò che la camminata verso i sotterranei gli
schiarisse la mente. Il corpo gli doleva per gli effetti di una
prolungata sessione di Cruciatus. Camminare faceva male, ma
sapeva per esperienza che sarebbe stato molto peggio al mattino se
non avesse fatto stretching prima di andare a letto.
Incontrò la gatta
subito fuori dalle sue stanze. “Cosa vuoi?” chiese con la sua
consueta scortesia. La gatta si stirò in risposta e, quando lui
abbassò le protezioni delle stanze, lo seguì dentro. Severus si
tolse con noncuranza il mantello e lo appese dietro la porta.
Attraversando la stanza si sedette in una poltrona confortevole e si
tolse gli stivali. Quando rimase in
calzini sollevò i piedi sopra al tavolo da caffè, chiamò a sé una
bottiglia di Whisky Incendiario e un bicchiere dalla mensola e se ne
versò una generosa quantità. Con un leggero miagolio di
disapprovazione la gatta saltò sul bracciolo della poltrona e inarcò
la schiena. “Ridicolo,” mormorò Severus, guardandola torvo. Lei
miagolò ancora e lui con un sospiro
chiamò a sé un piattino che fece galleggiare nell'aria di fianco a
lei. Scuotendo la testa versò un po' del liquido ambrato. “Ti
rendi conto che tutto ciò è grottesco?”
chiese, mentre lei leccava felice. Severus appoggiò la
bottiglia per terra, chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale
della poltrona, stringendo il bicchiere sul petto.
La gatta finì di bere,
leccando il piattino finché non tornò pulito. Muovendosi con grazia
si spostò dal bracciolo nel grembo dell'uomo di fianco a lei. Mentre
iniziava a massaggiargli
le cosce, per prepararsi un giaciglio per dormire, lui fece una
smorfia. “Devi proprio essere così insopportabile?” brontolò.
Continuò a lamentarsi a intervalli regolari anche quando si fu
accomodata, ma un osservatore acuto avrebbe notato che una mano si
era sollevata per rimanere sulla testa della gatta e un lungo dito la
accarezzava lentamente dietro l'orecchio.
*
*
*
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Aregilla:
ben arrivata e grazie dei complimenti :)
chi_lamed:
a me piacerebbe molto capire di più la matematica, ma è fuori dalla
mia portata, così come lo sarebbe l'Aritmanzia, temo -.-
Anne London
|
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Capitolo 9 *** Birthday Surprises ***
Capitolo 9
NdT: sono via per diversi giorni senza
computer, alla pubblicazione ci pensa Mimì1317 (non vedrete quindi le mie inutili osservazioni ai commenti ;))
Grazie, come sempre, a silviabella per
la beta.
Anne London
Capitolo 9
Birthday Surprises
Il giovedì mattina,
Harry e Ron aspettarono Hermione nella sala comune per andare a
colazione. Quando arrivò, la colmarono
di attenzioni e la scortarono giù al tavolo come delle guardie, uno
per lato, tenendola per le braccia. Aprirono la strada con forti
urla, e le loro eroiche ed elaborate parodie di galanteria la fecero
ridere e arrossire di piacere. Fu difficile per lei accettare che
Harry avesse fissato il primo allenamento di Quidditch la sera del
suo diciassettesimo compleanno. Uno diventa maggiorenne una volta
sola,
ed Hermione non poté fare a meno di sentirsi un po' disturbata dal
fatto che Harry, Ron e Ginny avrebbero passato la serata da un'altra
parte.
Si erano comunque
ricordati, cosa che era sicuramente meglio di altri anni. Mentre Ron
aveva pensato fosse divertente presentarsi con La Guida sugli
Scacchi per Idioti, Harry le
aveva dato un generosissimo buono regalo per il Ghirigoro. Pensare a
cosa avrebbe potuto comprare con il buono di Harry era abbastanza
esaltante da aiutarla a riconoscere l'ironia dietro il regalo di Ron.
Ricevette una lettera dai suoi genitori, ovviamente – un biglietto,
una lettera e un altro buono regalo; in più sua madre le aveva
comprato un certo numero di capi di vestiario mentre era a casa. La
colazione quel giorno fu meravigliosa. Con una certa grazia, Hermione
riuscì ad apprezzarla piuttosto che stare seduta a pensare alle sue
prospettive di una serata
solitaria con i suoi libri.
Ron le promise che avrebbe masticato per l'intero pasto con la bocca
chiusa e quasi ci riuscì. Nel complesso fu piacevole, per una volta,
essere al centro dell'attenzione dei suoi compagni di casa, dei
componenti del DA delle altre case e di
diversi altri compagni di
classe arrivati per farle gli auguri.
Fu
con maggior riluttanza del solito che salutò i ragazzi per dirigersi
alla prima ora di lezione. Vicino alla porta della Sala Grande
venne bloccata da una ragazzina bionda con la cravatta Serpeverde.
“Sei tu Hermione
Granger?” chiese a bassa voce, ma chiaramente.
“Sì,” replicò
Hermione, abbassandosi all'altezza della ragazzina. “Ma temo di non
sapere il tuo nome.”
La ragazza, chiunque
fosse, ignorò la domanda. “Ho un messaggio per te dal professor
Snape. Dice di ricordarti la tua punizione di stasera, alle otto, e
che se arriverai in ritardo lo rimpiangerai.”
La bocca di Hermione si
aprì di botto in una silenziosa esclamazione di sorpresa. Si voltò
verso il tavolo degli insegnanti. Snape era lì e per un momento
incontrò il suo sguardo, prima di voltarsi con un cipiglio amaro.
Hermione si voltò per ringraziare la ragazza del disturbo, ma era
già andata via.
Ah, pensò
Hermione. La chiama punizione? Bene, aggiunse,
uscendo dalla
Sala con passo decisamente più energico, almeno non
passerò la serata da sola.
Hermione
era così contenta della sua prima lezione con Snape che era arrivata
nei sotterranei con quindici minuti d'anticipo. Per un lungo quarto
d'ora camminò su e giù per il vicino corridoio, riluttante ad
arrivare in anticipo e terrorizzata di essere in ritardo. Ogni venti
secondi circa controllava l'orologio finché
finalmente, alle otto precise, bussò alla porta.
“Avanti,”
disse lui.
“Buonasera,
professore,” disse Hermione educatamente, mentre andava a
sedersi davanti alla scrivania.
Snape non si preoccupò
di sollevare lo sguardo dai compiti che stava correggendo,
figuriamoci di rispondere. Per diversi minuti continuò a
scarabocchiare commenti sui compiti davanti a lui mentre Hermione
combatteva contro il bisogno urgente di porre le numerose domande che
aveva. Nervosamente si strofinò la cicatrice attraverso la divisa,
proprio nel punto in cui toccava la clavicola.
Alla fine Snape
sospirò, come infastidito, e poggiò la penna. Sistemò la pila di
pergamene di fronte a sé, squadrando i bordi e ponendole da parte.
“Cos'hai da dire sul
tuo comportamento?” chiese con tono di voce arrabbiato.
Gli
occhi di Hermione si allargarono leggermente di sorpresa e trattenne
un verso di stupore. È
una domanda trabocchetto? pensò,
cercando sul suo viso le tracce dell'uomo rilassato con cui aveva
parlato nell'infermeria.
“Ehm, questa non è
una vera punizione, vero?” Alla fine della domanda Hermione
sembrava incerta.
Snape sollevò un
sopracciglio. “Perché no?” chiese.
La trepidazione che
Hermione aveva avuto per tutto il giorno si dissolse in fretta,
lasciandole la gola arida e una sensazione sgradevole e densa alla
bocca dello stomaco. Si morse all'improvviso il labbro inferiore,
incerta su cosa rispondere.
“Hai Confuso qualcuno
ultimamente?” chiese Snape.
Hermione si bloccò.
Improvvisamente sentì il panico addosso. O mio Dio, come? Sono
davvero nei guai. Come fa a saperlo? “Io...”
iniziò
“Non sprecare il mio
tempo a negare, signorina Granger.” Si sporse in avanti sul tavolo.
“Ti ho vista.”
“Come?” la domanda
era più che altro un sussurro.
“Forse non te ne
sarai accorta, signorina Granger, ma c'è una guerra in corso. Pensi
che lasceremmo dei ragazzi fuori in giro, da soli, per delle ore?”
Hermione si sentiva
stordita. “Cosa...?” Sembrava incapace di pronunciare più di una
parola alla volta.
“Cosa sta per
succederti? Mmm... una domanda interessante.” Snape batté un dito
contro il labbro, facendo finta di pensarci. “In condizioni normali
saresti espulsa. Anche Potter – sai, ho sempre sperato di essere io
ad espellerlo.”
Hermione ritrovò la
voce, “Harry non ha niente a che fare con tutto ciò!”
“Davvero?” la voce
grondava scetticismo. “Quindi, Potter non ne sapeva niente? Sono
sicuro che la notizia sarà per lui una completa sorpresa.”
Hermione si morse
ancora il labbro inferiore. “Lui – oh, lo ha scoperto dopo, ma è
stata colpa mia!”
“Interessante. E
cos'ha fatto dopo aver scoperto che la sua migliore amica aveva
illegalmente interferito con il risultato di
una competizione sportiva? Niente, immagino. Che indicibile nobiltà.
Forse niente espulsione per il signor Potter, peccato. Non importa,
il suo divieto a vita di giocare a Quidditch mi consolerà, in un
certo senso.” Snape fece un sorriso sgradevole. “Immagino che il
divieto ricadrà anche sul signor Weasley.”
Hermione fu assalita
dalla nausea. “Non può – non deve coinvolgerli, professore,”
lo pregò. “Sono la sola responsabile delle mie azioni, sono
l'unica che dovrebbe essere punita.”
“Teoria
interessante,” rifletté Snape. “Tuttavia, una volta che questa
storia diventerà pubblica, nessuno crederà che
il-ragazzo-che-è-sopravvissuto-per-finire-in-prima-pagina non fosse
coinvolto. Potrebbe essere un colpo per la sua reputazione. Rita
Skeeter avrà una giornata campale.”
Hermione
non poteva sopportare altro. Chiuse gli occhi e si nascose il viso
fra le mani. Aveva fatto una cazzata, enorme.
Sto per essere espulsa. Tutti penseranno che Harry sia un baro.
Ron mi ucciderà.
“Sai cosa succederà
ora, signorina Granger?”
Scosse
la testa senza rispondere, il viso ancora nascosto fra le mani.
“Stai dritta,
signorina Granger”, la rimproverò. “Se ti faccio una domanda,
rispondimi!”
Si raddrizzò subito.
Il viso era pallido per lo shock e gli occhi risaltarono
improvvisamente contro il pallore della pelle. “Sì, signore,”
ansimò.
“Sai cosa succederà
ora, signorina Granger?” ripeté.
“No, signore.”
“Tu ed io stiamo per
andare a fare una visita dal preside e gli dirai esattamente cos'è
successo. Sono stato abbastanza chiaro?”
“Sì, signore.” Era
come se stesse osservando la scena da una grande altezza. Non
riusciva a sentire le sue membra. Pensò a come sarebbe potuta andare
nell'ufficio di Dumbledore senza collassare per terra
come un fantoccio.
Snape si era alzato e
si era spostato verso il caminetto. “Alzati,” scattò.
Lei si sforzò di
alzarsi in piedi. Con un verso d'irritazione, Snape si avvicinò e la
prese per l'avambraccio e l'attirò a sé. Allo stesso tempo afferrò
una manciata di polvere e la lanciò nel camino.
“Ufficio di
Dumbledore!” disse forte, e la spinse in mezzo alle fiamme verdi.
La sensazione del
vortice della Metropolvere durò solo pochi secondi, prima che
Hermione fosse espulsa, inciampando, verso la sua destinazione.
Non era mai stata
nell'ufficio del preside prima ed era surreale trovarsi in un
ambiente che Harry le aveva descritto diverse volte. Dumbledore era
seduto dietro la scrivania e alzò lo sguardo mentre usciva fuori dal
suo camino.
“Buonasera, signorina
Granger!” la salutò, sorridendo da dietro gli occhiali. “Ti
stavo aspettando. Vieni, siediti. Immagino che Severus ti abbia detto
perché sei qui.”
Il
professore era appena uscito dal focolare dietro di lei, distendendo
la sua figura allampanata con grazia e togliendo la fuliggine dalla
toga con
una mano elegante. Hermione gli lanciò uno sguardo spaventato.
“Sì,” rispose
nervosamente.
Esitante si sedette.
Dumbledore continuava a sorriderle, intensificando così il crampo
nervoso allo stomaco. Il professor Snape non si sedette. Rimase in
piedi proprio di fianco a lei, con le braccia conserte e una solenne
espressione.
“Albus,” disse, “la
signorina Granger ha qualcosa da dirti.”
Dumbledore la guardò
con leggera curiosità. “Procedi pure, mia cara,” le disse
incoraggiante. “Vuoi una caramella al limone? ”
“Ah, no, grazie,
signore.” Hermione non era pronta per vedere il piacevole contegno
del preside trasformarsi in rabbia e considerò brevemente di
scappare dalla stanza e buttarsi giù dalla finestra più vicina.
Grifondoro, ricordi? Si
rimproverò e un piccolo suono strozzato le sfuggì. Falla
finita – almeno fai capire bene che Harry non era coinvolto.
“Lo scorso sabato,”
iniziò, concentrando la sua attenzione verso un'anonima porzione di
scrivania di Dumbledore, “durante le selezioni della squadra di
Quidditch di Grifondoro mi sono trovata a sedermi di fianco a Cormac
McLaggen.” Guardò furtivamente il professor Snape. Fissava il muro
dietro Dumbledore, il viso privo di emozioni. “Mi stava dando
fastidio, come sempre, ma ho fatto di tutto per ignorarlo-”
“Perdona
la mia interruzione, signorina Granger,” si inserì Dumbledore
gentilmente, “ma cosa intendi per 'fastidio'?”
“Ehm,” arrossì,
l'umiliazione che si sovrapponeva alla paura e al nervosismo. “Mi
guardava e, uhm, diceva cose sgradevoli sui miei amici.” Cercare di
spiegare il comportamento
di McLaggen e i suoi effetti su di lei la faceva sentire una
stupida. “Ho cercato d'ignorarlo per un po', ma ad un certo punto
ha detto qualcosa di veramente inappropriato su Ginny e ho perso la
pazienza.”
Dumbledore interruppe
di nuovo, il viso serio, “Cos'ha detto, esattamente?”
“Ehm, ha detto, uhm,
che non vedeva l'ora di poterla osservare nello spogliatoio mentre si
cambiava.” Hermione avrebbe voluto nascondersi in un buco e morire.
Ripetere il commento di McLaggen ad alta voce la turbava ancora e la
fece sentire stupida per aver risposto ad un simile insulto. Guardò
Snape di sbieco, di nuovo. Non si era mosso.
“Ma davvero,” disse
Dumbledore con aria di rimprovero. “Cos'hai fatto in risposta?”
“Gli ho urlato
qualcosa e probabilmente gli avrei lanciato una maledizione, ma era
il suo turno di provare per entrare in squadra.” Hermione non
credeva di poter andare avanti con la storia e fece un lungo,
tremolante, respiro. Dumbledore evocò un bicchiere con dell'acqua e
lo spinse nella sua direzione. Bevve a lungo e cercò di continuare.
“Lui, ehm, McLaggen stava andando veramente bene. E ho fatto
qualcosa di molto stupido – non potevo sopportare di immaginarlo
nello spogliatoio con Ginny ed io,” s'interruppe per un secondo,
poi lo disse velocemente, “ho usato il Confundus. Sono
terribilmente dispiaciuta.”
Dumbledore sospirò. Si
tolse gli occhiali e si strinse la radice del naso. “Mia cara
ragazza,” iniziò, “dei commenti del genere sarebbero stati ben
più che sufficienti per ordinare la sua rimozione da qualunque
squadra. Perché non hai parlato con la tua Capo Casa?”
“Non ho pensato,
professore.” Calde lacrime le pizzicarono gli occhi e una scese
lungo la guancia. La asciugò via grossolanamente con il dorso della
mano. “Ho agito mentre ero arrabbiata, sono un'idiota.”
“Su su, signorina
Granger,” Dumbledore le offrì un fazzoletto. “Non c'è bisogno
di piangere.”
Prese il fazzoletto
offertole con gratitudine, mentre le lacrime iniziavano a scendere
sinceramente. “Ma c'è. Ora deve espellermi, e non voglio-”
“Perbacco, signorina
Granger!” Dumbledore sembrava stupito. “Non c'è bisogno di
espellerti, cosa ti ha dato questa idea?”
“Ma...” sollievo e
sorpresa si contendevano la supremazia, “ma ho usato il Confundus
su qualcuno durante un evento sportivo! È illegale!”
“Beh, sì, vero. Ma
viste le circostanze attenuanti... dopo tutto, la giustizia ha fatto
il suo dovere alla fine, anche se il metodo è stato poco ortodosso.”
La faccia di Hermione
aveva un'espressione vuota di stupore. “Ma dovrei essere punita-”
“Signorina Granger,”
la interruppe Dumbledore, lo scintillio divertito sparito dagli
occhi. “Vuoi essere espulsa?”
“No, certo che no,
ma-”
“Bene. Perché non
possiamo permetterci di espellerti. Statisticamente sarebbe un
disastro per il successo di Harry.”
Hermione fissò il
preside. 39%, pensò. Tutto
quello che aveva detto Dumbledore negli ultimi minuti aveva
perfettamente senso. L'avrebbe passata liscia. Non perché
lo meritasse, certamente non perché
aveva fatto la cosa giusta, ma perché
Harry era il Prescelto e Dumbledore non era pronto
a punirla col rischio di mettere a repentaglio la lotta contro
Voldemort. Le contorte implicazioni etiche della situazione la
lasciarono un po' nauseata.
Si voltò a guardare il
professor Snape. La stava osservando attentamente e, una volta
incontrato il suo sguardo, sollevò un sopracciglio. Dalla leggera
piega della bocca Hermione realizzò che lui capiva la sua complicata
reazione alla decisione di Dumbledore. Mise da parte il pensiero per
dopo.
Hermione tornò a
guardare Dumbledore. Il suo solito aspetto, con tanto di sguardo
scintillante, era tornato al suo posto. “Bene, ora che tutto è
sistemato, possiamo passare ad altre questioni.” Unì insieme le
mani e le sorrise. “Siediti, Severus. Non c'è bisogno d'incombere
su entrambi.”
Hermione
si aspettava
che rispondesse bruscamente al preside, invece prese una sedia
dall'aspetto molto confortevole e si accomodò. Dumbledore chiamò a
sé una bottiglia e alcuni bicchieri da un tavolo vicino e versò tre
dosi. Per la prima volta dal suo incerimonioso arrivo dal caminetto,
la mano annerita di Dumbledore era in piena vista. Hermione cercò di
non fissarla e, invece, colse l'occasione per dare un'occhiata alla
stanza. Osservò
attentamente Fawkes la fenice, i
numerosi libri e gli strani oggetti. Vagamente, capì perché si
trovava lì. I suoi pensieri vennero interrotti quando Dumbledore le
offrì un bicchiere con del liquido dorato. Lo prese e lo annusò
dubbiosa: era chiaramente Whiskey Incendiario.
“Ehm, signore,”
iniziò esitante.
“Oggi è il tuo
compleanno, non è vero?” chiese Dumbledore, sorridendo.
“Sì, lo è.”
Hermione non riusciva a trattenere la sorpresa nella voce.
“Bene, allora, come
un membro adulto del mondo magico, adesso puoi fare un sacco di cose.
Bere è fra queste. Normalmente bere a scuola non è permesso per gli
studenti di qualunque età, ma credo che possiamo fare un'eccezione
per stasera.” Dumbledore sollevò il bicchiere. “Mille di questi
giorni,” esclamò.
Il professor Snape fece
la stessa cosa ed Hermione fu stupita di trovarsi a far tintinnare
bicchieri con Snape e Dumbledore e fare un brindisi al suo
compleanno. Il primo sorso di Whiskey Incendiario le bruciò la gola
e la lasciò tossire
indecorosamente.
Dumbledore ridacchiò e le sembrò di aver colto di sfuggita del
divertimento negli occhi scuri di Snape.
“Ci vuole un po' di
tempo per abituarsi,” disse il preside gentilmente.
“Albus,” disse
lentamente Snape, “credo sia arrivato il momento di giungere al
punto.”
Hermione guardò
curiosamente prima uno e poi l'altro.
“Hai ragione, come
sempre, Severus,” approvò Dumbledore. “Bene,
signorina Granger, con il raggiungimento della maggiore eta, è con
grande piacere che ti invito ad entrare nell'Ordine della Fenice. Non
avendo tutori legali nel mondo magico, la decisione da prendere è
solo tua.”
Il cuore di Hermione
batteva quasi dolorosamente. “Oh – ma certo. Sì. Voglio dire,
certo che lo voglio,” replicò, incoerente per l'entusiasmo.
“Non così in fretta,
signorina Granger,” il professor Snape interruppe il suo balbettare
felice. “Devi fare un giuramento magico vincolante.
Richiede di porre i bisogni dell'Ordine al di sopra dei tuoi
desideri, di agire in accordo con le istruzioni – che ti piacciano
o meno. Sei pronta a impegnarti per l'Ordine, anche fino alla morte?”
Dumbledore annuiva
solennemente.
“Ma certo che lo
sono!” Guardò prima Dumbledore, poi Snape diverse volte. “Sono
pronta,” disse risoluta, inconsciamente toccandosi la cicatrice.
“Sono pronta a combattere contro Voldemort dal mio primo giorno ad
Hogwarts.”
Dumbledore le rivolse
un caldo sorriso. “Sono fiero di te,
signorina Granger. Non mi aspetto altro. Il compito che voglio
affidarti è, in un certo senso, molto difficile, ma forse niente che
tu non abbia già fatto: la tua missione è di tenere Harry vivo. Ci
sarà un tempo in cui dovrai contraddire gli altri membri
dell'Ordine. Ci saranno circostanze in cui la scelta giusta
non sarà facile da distinguere. Malgrado questo, comunque, voglio
che ricordi che la tua lealtà – come membro a tutti gli effetti
dell'Ordine e amica di Harry – è verso di lui e il compito che lo
attende.”
Hermione corrugò
leggermente la fronte a queste parole: Snape le aveva detto che
avrebbe dovuto mettere l'Ordine prima di Harry, mentre Dumbledore le
aveva detto l'opposto. “Ho tutte le intenzioni di stare di fianco
ad Harry, signore,” lanciò un'occhiata a Snape. “Sia di tenerlo
in vita, sia di seguirlo nella morte, se necessario.”
Dumbledore
prese la bacchetta e con un gesto le indicò di fare lo stesso. Si
allungò sulla scrivania e con la mano annerita
toccò la punta della bacchetta con la sua. Snape si alzò in piedi
con calma e abbassò la sua bacchetta verticalmente tra le loro,
finché la
punta non incontrò le altre due ad angolo retto.
“Ripeti dopo di me,”
indicò Snape. “Io, Hermione Jane Granger,” Hermione sbatté gli
occhi sorpresa che sapesse il suo secondo nome, “prometto la mia
lealtà all'Ordine della Fenice, sotto la guida di Albus Percival
Wulfric Brian Dumbledore.”
Dopo che Hermione ebbe
fatto eco alle parole del giuramento, la punta della sua bacchetta
brillò oro.
“Io, Percival Wulfric
Brian Dumbledore, accetto la tua fedeltà all'Ordine della Fenice e
do il benvenuto al tuo aiuto nella
lotta contro Voldemort.” A queste parole, anche la bacchetta
di Dumbledore s'illuminò e la luce si riflesse sulle facce dei
partecipanti.
“Io, Severus Tobias
Snape, testimone di questo giuramento, lo dichiaro effettivo in
questo giorno, giovedì 19 settembre, 1996.”
La
luce nella stanza divenne così intensa che Hermione dovette chiudere
gli occhi di fronte al bagliore dorato. Fawkes emise un'unica nota
rieccheggiante. Si diffuse in tutto il corpo di Hermione come
un fremito di piacere. Mentre la musica del suo canto diminuiva, così
fece la luce, e la stanza intorno a lei tornò visibile un'altra
volta.
Snape tornò alla sua
sedia e Dumbledore le sorrise mentre puliva gli occhiali con la lunga
manica della sua toga.
“Credo che questo
meriti un altro brindisi,” proclamò. “Al nuovo membro
dell'Ordine!”
Ancora una volta
Hermione fece tintinnare il bicchiere e bevve un altro sorso, anche
se questa volta l'assaggio di Whiskey
Incendiario fu molto più circospetto.
“Allora, signorina
Granger,” rimarcò Dumbledore. “Prima che tu vada tranquillamente
a letto, ci sono solo un altro paio di cose di cui discutere.”
Il calore del whiskey
si diffuse nello stomaco di Hermione. “Molto bene, signore,”
replicò obbediente, sedendo leggermente più dritta.
“Pur essendo il tuo
obiettivo come membro dell'Ordine la cosa più importante, penso che
non ci sia bisogno che esso occupi il tuo tempo quotidianamente,
almeno per il momento.” Le sorrise. “Vorrei, comunque, che
concentrassi i tuoi ammirabili poteri intellettuali su due progetti
specifici. Il primo è quello che riguarda i calcoli Aritmantici –
credo che la professoressa Vector ti abbia già parlato di questo
argomento.” Hermione annuì. “L'altro riguarda le tue lezioni con
il professor Snape. Ci sono diversi modi con cui entrambi questi
progetti potranno rivelarsi più importanti delle tue regolari
lezioni.” Hermione cercò di parlare, ma Dumbledore continuò prima
che potesse farlo. “Il tuo lavoro in questo caso ricade sotto la
categoria di membro dell'Ordine, e non come studente, quindi né la
professoressa Vector né il professor Snape potranno darti o
toglierti punti o infliggerti punizioni. Sono convinto che troverai
altre motivazioni per far bene.”
Hermione
non poté
impedirsi di lanciare un'occhiata al professor Snape. Lui
colse lo sguardo di lei e lo scatto verso l'alto delle sue labbra
quando Dumbledore menzionò i punti.
“Stai attenta,
signorina Granger,” sogghignò, “Posso sempre togliere punti in
qualunque altro momento.”
“Sì, signore.” Le
scappò una risata, a sottolineare la sua risposta, e cercò di
affogarla con un altro sorso di Whiskey. Il sapore
stava decisamente diventando piacevole.
“Sono sicuro che non
c'è nessun bisogno di ricordarti,” continuò Dumbledore, “che
questo incontro, così come tutti gli altri, deve rimanere
strettamente confidenziale. Non devi rivelare i contenuti degli
incontri con il professor Snape e la professoressa Vector a nessuno
al di fuori di questa stanza – nemmeno ad altri membri dell'Ordine.
Allo stesso modo, il tuo ingresso nell'Ordine verrò rivelato solo a
pochi membri. Sono certo di poter contare sulla tua discrezione.”
“Sì, signore,”
replicò, questa volta con completa sincerità.
Snape
finì il suo Whiskey con un lungo sorso e poggiò il bicchiere sulla
scrivania con un tonfo deciso.
“Signorina Granger,” riuscì a far risuonare il suo nome
come un comando, “se ti sbrighi riesci a tornare in tempo prima del
coprifuoco.”
Uno sguardo
all'orologio fu sufficiente per verificare la verità delle sue
parole. Con un “Oh” di sorpresa si alzò in piedi. “Professor
Dumbledore,” iniziò, “grazie.” Si voltò verso il professor
Snape. “Quando potremo avere il nostro primo-”
“Martedì,” la
interruppe. “Ora vai.”
Hermione diede
un'ultima occhiata veloce alla stanza, soffermandosi per un secondo
sulla figura di Fawkes, poi filò via. Poco dopo, mentre era a letto,
i suoi pensieri vagarono fra le varie svolte della serata.
Quest'anno, pensò proprio
mentre si stava per addormentare, il mio compleanno mi fa
veramente sentire più vecchia di prima.
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Capitolo 10 *** Occlumency ***
Capitolo 10
Rendiamo
insieme il dovuto tributo di ringraziamenti a silviabella.
Capitolo
10
Occlumency
Severus represse
un sospiro di frustrazione. La prima lezione di Occlumanzia di
Hermione Granger non stava andando così bene come aveva anticipato.
Si stava alzando dal pavimento per la quarta volta e non era ancora
riuscita a respingere i suoi attacchi. Anche Severus ne usciva
ammaccato dal flusso dei ricordi di Hermione. La sua infanzia non era
stata così miserabile com'era sembrata quella di Potter, eppure
Hermione era stata una bambina sola e isolata fino all'arrivo ad
Hogwarts, emarginata dalla crudeltà dei bambini per i risultati
ottenuti senza sforzo. In base ai ricordi che aveva appena visto, uno
poteva sentirsi giustificato a pensare che la sua vita fino a quel
momento si fosse svolta come una serie di esperienze violente e
terrificanti: l'aveva vista assalita da un Troll, pietrificata da un
Basilisco e trasformata in un gatto; l'aveva vista guardare con
orrore il gigantesco pezzo degli scacchi di Minerva far cadere Ronald
Weasley e renderlo incosciente e avevano rivissuto diverse volte la
battaglia all'Ufficio Misteri. Ora i suoi capelli sfuggivano al
controllo delle numerose forcine e il viso portava i segni della
stanchezza. Si muoveva cautamente in seguito alle numerose cadute e
la smorfia della sua bocca evidenziava che era frustrata quanto lui.
Di nuovo in
piedi, Hermione si strofinò gli occhi con il dorso delle mani. “Cosa
sto sbagliando?” chiese.
Severus le fece
cenno di sedersi. Lei lo fece con un sospiro.
“Dov'è che fai
i tuoi compiti?” chiese
“Chiedo scusa?”
L'apparente e improvviso cambio di argomento la spiazzò.
“Rispondi solo
alla domanda, signorina Granger.” Severus si sedette dietro la
propria scrivania.
“Oh, beh...
dipende. Qualche volta in biblioteca, qualche volta in sala comune.
Ogni tanto sul letto...” Arrossì leggermente ad accennare al
letto.
“La sala comune
non è particolarmente rumorosa?”
Hermione roteò
gli occhi. “Sempre,” confermò.
“Come fai a
concentrarti con tutto quel rumore?”
“Cerco
semplicemente di bloccarlo,” sollevò un sopracciglio, “Oh.”
Severus si girò
sulla sedia e guardò la libreria dietro di lui. Dopo averci pensato
un momento, si sporse e selezionò un tomo dal lungo titolo – Il
Serraglio della Polisucco: Approcci Teorici sulla Basilare Pozione di
Trasfigurazione Inter-Specie – e
lo passò ad Hermione con un ghigno.
Lei fece una
smorfia. “Non sapevo fossero peli di gatto! Non è che volessi
trasformarmi in un gatto!”
Snape la guardò
con gli occhi socchiusi. “Davvero? Di chi pensavi fossero i
capelli?”
Hermione gli
lanciò un'occhiata sospettosa. “Niente punti casa, ricorda?”
“Me lo
ricordo.”
Lei si agitò
leggermente imbarazzata sulla sedia. “Millicent Bulstrode.” Fece
una pausa e aggiunse sulla difensiva, “Ho fatto la pozione in modo
corretto, sa. Harry e Ron si sono trasformati perfettamente.”
“Ma davvero.”
Severus bruciava di curiosità, anche se non ne mostrava alcun segno
sul viso. “E dimmi, quali dei miei Serpeverde sono diventati?”
“Crabbe e
Goyle.” Le braccia di lei erano incrociate fermamente sul petto e
sembrava, allo stesso tempo, apprensiva e un po' fiera della sua
impresa. All'alzata di sopracciglio di lui, sospirò e offrì la
spiegazione desiderata. “Si sono intrufolati nella sala comune di
Serpeverde e hanno interrogato Malfoy sulla Camera dei Segreti, va
bene? È stata una mia idea.”
Era, Severus
doveva ammetterlo, un piano audace. E per quanto ne sapeva sui
tentativi di creare la Polisucco – la sua presenza in Infermeria,
completa di vibrisse e coda, era una prova adeguatamente esplicita –
non aveva realizzato che fosse riuscita a completare la pozione con
successo.
“Chi ha rubato
la pelle di Girilacco?”
Hermione fece una
smorfia. “Io.” Si strinse ancora di più con le braccia,
aspettandosi chiaramente una sfuriata.
Severus tenne il
tono deliberatamente noncurante. “Curioso. Ero convinto fosse stato
il signor Potter.”
“Beh,”
Hermione si rilassò leggermente, ma sembrava ancora sospettosa, “era
già in così tanti guai che ho pensato fosse meglio farlo io.”
Furba. “Leggi
il libro adesso,” la istruì, cambiando argomento all'improvviso
un'altra volta. Tenerla in una condizione di sbilanciamento
è divertente, notò mentre lei
obbedientemente apriva il libro, la confusione stampata sul viso.
Snape puntò la bacchetta al muro che separava il suo ufficio da
quello della sala comune di Serpeverde. Prima leggero, poi sempre più
forte, il rumore iniziò a filtrare nella stanza.
Hermione sollevò
lo sguardo con interesse. “Un incantesimo per origliare? Come ha
fatto?”
“C'è un motivo
se l'incantesimo è non-verbale, signorina Granger.” Il tono di
voce era secco. “Leggi il libro.”
Lei sorrise,
imbarazzata, e riabbassò la testa sul libro. Per diversi minuti la
osservò leggere. Una mano giocava distrattamente con una ciocca in
disordine mentre si mordeva il labbro inferiore. I suoi occhi si
muovevano rapidi e la fronte si aggrottava a tratti mentre registrava
le informazioni. Solo quando fu convinto che lei fosse completamente
immersa nella lettura la chiamò.
“Signorina
Granger,” - lei sollevò lo sguardo, leggermente assente -
“Legilimens.”
Per un breve
secondo sentì i bordi delle sue barriere occlumantiche prima che
collassassero. Vide che i suoi occhi si allargarono per un secondo
come se l'avesse percepito anche lei. Prima che potesse spingere
ancora nella sua mente, tuttavia, lei interruppe la connessione
completamente, spostando il suo sguardo da quello di lui.
“Aspetti!”
disse, stringendo gli occhi chiusi e premendosi le mani sulle tempie.
Il libro cadde, ignorato, sul pavimento. Qualche secondo dopo gli
occhi si aprirono di nuovo. “Provi di nuovo,” disse, le mani
ancora pressate sui lati della testa.
Questa volta
Severus la sentì alzare coscientemente le barriere. Mentre spingeva
contro di esse, lei le tenne intatte. Finalmente. Lui
sbatté
le palpebre e ruppe il contatto
“Ce l'ho
fatta!” Granger aveva stretto le mani a pugno in segno di trionfo e
sorrideva contenta.
Combattendo
l'impulso di ricambiare il sorriso, Severus invece reagì
bruscamente. “Se non ti dispiace, vorrei che frenassi l'entusiasmo
per il tempo necessario a raccogliere il mio libro dal pavimento.”
Velocemente,
Hermione si chinò e ritrovò il libro, passando una mano,
preoccupata, sulla copertina prima di poggiarlo sulla scrivania. Il
suo sorriso s'incrinò parecchio. “Possiamo provare di nuovo,
signore?” chiese.
“No.” Severus
prese una piccola fiala con una pozione dal cassetto della scrivania
e gliela porse. “Bevi questo,” ordinò, annullando l'incantesimo
per origliare con un gesto della bacchetta.
“Che cos'è?”
chiese, mentre stappava la fiala.
“Signorina
Granger!” lei si bloccò con la pozione vicina alle labbra, “Solo
un folle prenderebbe una pozione senza sapere qual è!”
“Ma
professore,” protestò, abbassando la fiala, “Mi ha appena detto
di berla!”
Lui sollevò gli
occhi al cielo. “Ti fidi di chiunque?”
“No.”
Lui sollevò un
sopracciglio.
“Beh, no. Se
avesse voluto avvelenarmi, signore, lo avrebbe fatto tempo fa.”
“Signorina
Granger, dimmi solo che pozione è.”
Hermione sospirò
esasperata. Sollevò la fiala alla luce, la fece roteare, quindi la
annusò. “È un rilassante muscolare,” concluse. “Come quella
che abbiamo fatto al terzo anno.” Improvvisamente gli sorrise.
“Grazie,” aggiunse.
“Il tuo
benessere non è la mia principale preoccupazione,” replicò
sprezzante. “Questi incontri non rimarrebbero segreti a lungo se tu
domani fossi rigida e dolorante. Ora, prendi la tua medicina e vai.”
Per un secondo
immaginò che stesse per replicare, ma bevve invece la pozione –
chiudendo gli occhi e inclinando la testa indietro, rivelando la
linea della gola. Severus si alzò all'improvviso e si voltò per
riporre il libro nel ripiano della libreria dietro la scrivania.
“Professore?”
“Cosa?”
replicò senza girarsi.
“Devo tornare
giovedì?” Sembrava speranzosa.
Lentamente si
girò verso di lei. Sembrava davvero speranzosa. “Molto bene,”
concesse. “Non arrivare tardi.”
Hermione sorrise
contenta e camminò verso la porta. “Buona notte, professore,”
disse, mentre chiudeva la porta.
Severus sprofondò
nella sedia e si passò una mano sul viso. Devi controllarti,
Severus, si rimproverò. Per un
momento aveva... No. Punti
casa o no, Hermione Granger era una studentessa e si sarebbe
comportato di conseguenza.
La lezione di
giovedì fu più semplice. Granger aveva capito come alzare le
barriere consciamente e non era più collassata sotto la leggera
pressione della Legilimanzia. Per un'ora lavorò sul resistere a
diversi tipi di attacco di varia potenza e a controllare la quantità
di energia che utilizzava per Occludere. Ad un certo punto, Severus
si fermò. Granger non era ancora stanca, ma non voleva spingerla
troppo verso uno sfinimento magico.
“Siediti,”
ordinò.
Hermione si
sedette. Dal modo in cui si mordeva il labbro inferiore sapeva che
una domanda era imminente. Pochi secondi dopo arrivò la conferma.
“Professore,”
chiese, “potrei farle una domanda?”
“Era questa?”
fu la secca risposta.
“Ehm, no.”
Controllò una risatina. “Non era la domanda che avevo in mente.”
“Dimmi quello
che intendevi, Granger,” - gli occhi di lei si spalancarono di
fronte all'omissione dell'onorifico, ma non sembrava dispiaciuta -
“in modo da non farmi perdere tempo.”
“Bene, penso
che quello che avevo in mente fosse: se pongo una domanda solo
marginalmente correlata con la pratica dell'Occlumanzia, mi
risponderà?”
Severus si passò
un dito sulle labbra mentre considerava la richiesta. “Dipende. Fai
la domanda, poi deciderò.”
“Bene,”
Hermione esitò un secondo. “Ho capito che ha dovuto imparare
l'Occlumazia perché Volde – cosa?” Il suo ringhio arrabbiato la
interruppe. “Ok, va bene. Non lo dirò, ma non esiste nemmeno che
lo chiami 'Signore Oscuro'. Quella è una prerogativa Serpeverde.”
Incrociò le braccia e gli lanciò uno sguardo corrucciato,
respirando profondamente dal naso prima di continuare. “Come stavo
dicendo, se Lei-Sa-Chi è un legilimante così potente, come ha fatto
a non sospettare qualcosa se non riesce ad accedere ai suoi
pensieri?”
“Se bloccassi
tutti i miei ricordi,” replicò Severus, “sospetterebbe qualcosa
immediatamente. L'Occlumanzia, nella sua forma più pura, è ideata
per difendere la mente contro gli attacchi, non per ingannare chi
attacca. ”
“Allora come-?”
“Pensa,
Granger.”
Si bloccò per un
secondo, stringendo il labbro inferiore dentro la bocca. “Lei gli
mostra alcuni dei suoi pensieri.”
“Corretto.”
Era davvero intelligente. Liberata dal peso di portarsi dietro i suoi
compagni di classe, la sua mente balzava avanti a grandi passi. “Il
Signore Oscuro non si è accorto che gli nascondo qualcosa. Se lo
fosse non sarei ancora vivo.”
“Ma sicuramente
dev'essere straordinariamente difficile nascondere i ricordi
incriminati da quelli innocui?”
“Non proprio,”
obiettò. “La maggior parte del mio tempo la passo in classe o
svolgendo lavori per Hogwarts e, quando ce n'è bisogno, ho diverso
materiale che coinvolge membri dell'Ordine e interazioni rivali col
signor Potter.”
Hermione lo
fissava con gli occhi sgranati, la bocca leggermente aperta. “Ma…
mmm.”
“Cosa?”
“Niente.”
Severus le lanciò
un'occhiata e ghignò. “Signorina Granger, ha davvero esaurito le
domande?”
“Sì,”
replicò, chiudendo la bocca in un'inusuale linea severa. “Per il
momento, sì.”
“Bene, allora,”
riuscì a controbattere, leggermente colto alla sprovvista. “Questo
conclude la lezione. Quando saranno i prossimi allenamenti di
Quidditch la settimana prossima?”
“Ancora martedì
e giovedì, ma,” - fece una smorfia - “il professor Slughorn ha
organizzato uno dei suoi incontri per martedì.” La sua faccia
s'illuminò leggermente. “Posso sempre rifiutare e venire qui,
invece!”
Curioso che
anche lei non sembri così affezionata a Slughorn, notò
Severus. “E diffondere la voce sulla tua presenza qui all'intera
scuola? Non essere idiota. Inoltre, se pensi che abbia il tempo o la
voglia di darti lezioni più di una volta a settimana, sei
tristemente in errore. Giovedì è più che sufficiente.”
Hermione si
adoperò in un valente tentativo per non sembrare delusa, ma con poco
successo. “Grazie, signore.” si arrischiò a dire. “Buonanotte.”
Mentre chiudeva
la porta dietro di sé, Severus lasciò andare un lungo respiro.
Anche se
tecnicamente non era più così diretto arrivare dal suo studio alla
classe di Difesa Contro le Arti Oscure, rispetto alla classe di
Pozioni, Severus assaporò la passeggiata che il cambio comportava.
Camminare lungo i corridoi gli faceva sentire l'umore della scuola –
insieme all'impareggiabile opportunità di togliere punti. Fu con
questo – meno altruistico – intento che decise di deviare verso
un corridoio poco utilizzato nei venerdì pomeriggio. Sentì delle
voci, caratterizzate da un'inconfondibile cadenza crudele, anche se
le parole diventarono chiare solo quando si avvicinò.
“Dai forza, fai
qualche magia!”
“Non può! È
una Magonò, ecco perché.”
“Ehi, Magonò!
Non meriti di essere qui.”
Un gruppo di
Corvonero del terzo e quarto anno aveva bloccato qualcuno contro il
muro. “Guarda un po',” disse lentamente. “Quale piacevole
sorpresa.” Solo quando gli aggressori si tirarono indietro
colpevoli, vide chi era il bersaglio dei loro insulti: Jocelyn Smith
era immobile, il corpo rigido. Teneva la bacchetta stretta con una
mano, gli occhi spalancati per la paura. Severus sentì la rabbia
attraversargli il corpo. Tirò fuori la sua bacchetta e si voltò
verso gli studenti di Corvonero. Alla vista della sua faccia, si
trassero indietro con terrore, inciampando in un disperato tentativo
di mettere qualcosa tra lui e loro – persino il corpo di un amico
andava bene. Con un enorme quantità di autocontrollo, Severus si
controllò, ergendosi in tutta la sua altezza e incombendo sopra ai
recalcitranti studenti invece di maledirli.
“Cinquanta
punti in meno a Corvonero, a testa,” ringhiò. “E punizione,
sabato. Ora sparite dalla mia vista!”
Non ebbero
bisogno di ulteriore incoraggiamento. Uno dei ragazzi singhiozzava
per la paura e una delle ragazze iperventilava.
Rimasto solo con
la Smith, Severus aprì la porta più vicina e fece un gesto verso la
classe vuota. “Qui,” ordinò. Lei si staccò dalla parete e si
mosse verso l'ingresso. Lui la seguì dentro e chiuse la porta.
“Sei ferita?”
Lei scosse la
testa.
“Qual è il
problema?”
Lei alzò le
spalle e voltò lo sguardo.
“Signorina
Smith – Jocelyn, guardami. Così va meglio. Quando ti faccio una
domanda mi aspetto che tu risponda. Qual è il problema?”
Quasi
impercettibilmente il suo labbro inferiore tremò. “Non riesco a
fare magie,” sussurrò.
Nella classe di
Difesa del primo anno si lavorava su un programma preparatorio di
esercizi di bilanciamento e consolidamento, mentre s'imparava a
identificare le caratteristiche di alcune creature oscure – Inferi,
Licantropi ecc... L'unica sessione pratica era avvenuta la prima
settimana quando Severus aveva introdotto l'Expelliarmus. Vero,
Jocelyn non era riuscita a padroneggiare l'incantesimo, ma così come
la metà della classe. Inoltre, non era inusuale per gli studenti
Nati Babbani aver bisogno di qualche settimana in più prima di
apprendere la magia volontaria. Non aveva pensato niente di diverso.
Ora, invece, stava cambiando idea.
“Quali magie
hai fatto da quando possiedi la bacchetta?” chiese.
“Nessuna,”
replicò lei, mortificata. “Non merito di essere qui.”
“Sciocchezze.”
Per prima cosa, i Magonò non possono Occludere.
“Vieni con me.”
Uscì dalla
stanza e si diresse verso l'Infermeria, rallentando il passo solo
quando, voltandosi indietro, notò Jocelyn costretta a correre per
stargli dietro.
“Poppy!”
chiamò mentre entravano.
“Arrivo!” fu
la risposta, e poco dopo Poppy emerse dall'ufficio.
“Poppy, questa
è Jocelyn Smith, della casa Serpeverde. Jocelyn, questa è Madama
Pomfrey, l'infermiera della scuola e assolutamente degna di fiducia.”
Si voltò verso Poppy. “La signorina Smith ha bisogno di un
controllo completo.”
Poppy sorrise
gentilmente alla giovane ragazza preoccupata. Iniziò ad occuparsi
della paziente dietro ad un separé, lasciando Severus a passeggiare
lungo la lunghezza dell'Infermeria. “Allora?” chiese, quando
Poppy emerse quindici minuti buoni dopo.
La faccia di
Poppy era cupa mentre lanciava un incantesimo di privacy prima di
rispondere.
“Severus,
perché quella bambina non è stata portata da me all'inizio
dell'anno?”
“Dammi solo i
dettagli, Poppy; lascia la predica a dopo.”
Lei sospirò e si
massaggiò la nuca con una mano. “D'accordo. Sta bloccando.”
“Quello è
ovvio, Poppy. Cos'altro?”
“Cos'altro?
Sei impossibile.” Poppy incrociò le braccia e lo guardò
furiosa. “È malnutrita ed è stata picchiata di continuo. I lividi
delle botte più recenti non sono ancora spariti e l'anno è iniziato
da tre settimane.”
“Quanto tempo
ci vorrà per guarire le ferite fisiche?”
“Severus,
non mi ascolti. Sta bloccando!
È un pericolo per sé stessa e per gli altri. Dobbiamo mandarla al
San Mungo.”
“No!”
“Severus,
ascolta -”
“No, Poppy, tu
ascolta,” si avvicinò a lei e la prese per le spalle, scuotendola
leggermente. Sembrava leggermente sovreccitato. “C'è un nuovo
metodo che è stato sviluppato negli Stati Uniti. È sperimentale, ma
ho letto il materiale che lo riguarda. Non è stato ancora introdotto
al San Mungo. Se la mandi lì, la rinchiuderanno.”
Poppy lo guardò
in faccia con un'espressione dubbiosa. “Quanto tempo?” chiese.
Sollevò le
spalle senza lasciare andare quelle di lei. “Non lo so. Un paio di
settimane? Per favore,
Poppy.”
Lei strinse le
labbra, valutando le opzioni. “Va bene, hai due settimane.”
“Non lo dire ad
Albus.”
“Due settimane
e non un minuto di più.”
Severus si curvò
in avanti con sollievo, appoggiando la fronte momentaneamente al
centro della testa. “Grazie.” sussurrò.
“Oh, Severus,”
sospirò, “le cose che faccio per te.” Lo allontanò con un suono
esasperato, ma lo sguardo sul suo viso era invece gentile. “Ascolta,
avrà bisogno di sciroppi multivitaminici, molti più di quelli che
ho – e se vuoi veramente fare qualcosa di utile dovresti modificare
un po' di Ossofast così che lei possa prenderlo come integratore di
calcio.”
“Visto che non
posso fidarmi dell'attuale professore di Pozioni per un lavoro
adeguato,” replicò lui, riprendendo un po' del suo solito
atteggiamento, “sarò felice di occuparmene.” Prima di lasciare
l'Infermeria, girò intorno al separé verso il letto di Jocelyn.
“Rimarrai qui,
stanotte,” le disse. “Madama Pomfrey ti darà diverse pozioni e
controllerà i risultati. Dopo colazione verrai da me. Ti aspetto nel
mio ufficio per le 9:30, non arrivare in ritardo.”
“Professor
Snape?” La sua voce chiara lo interruppe mentre si girava. “Cosa
c'è che non va in me?”
“Niente che non
si possa sistemare,” replicò. “Domani ti spiegherò quello che
posso.”
Mentre camminava,
sentì Poppy entrare nella modalità da infermiera che usava con i
pazienti: “Forza, mia cara, bevi questo. Lo ha fatto il professor
Snape, sai...”
Fortunatamente,
Severus era abituato ad andare avanti con pochissimo sonno. Aveva
passato diverse ore a fare pozioni – modificare la Ossofast era un
processo delicato, anche se veloce, mentre lo sciroppo
multivitaminico era una pozione semplice che doveva maturare a fuoco
lento per diversi giorni – e buona parte del resto della notte a
controllare gli scritti sulle condizioni in cui si trovava Jocelyn.
La ragazza, scoprì quando arrivò prontamente alle nove e mezza,
sembrava stare meglio dopo la notte in Infermeria. Malgrado fosse
ancora pallida, il suo colorito era migliorato e Poppy aveva tagliato
le punte rovinate dei capelli. Si sedette davanti a lui dall'altra
parte della scrivania, le mani intrecciate strette sul grembo.
“La genealogia
delle abilità magiche è creduta imprecisa,” iniziò, scivolando
senza sforzo in modalità lezione. “Di conseguenza, quando un
bambino nasce da genitori magici viene osservato da vicino per
qualunque segno di abilità magica, incoraggiandolo e festeggiando
quando la magia si manifesta. Quando un bambino magico nasce da
genitori non-magici, invece, la situazione è molto diversa.
Manifestazioni di natura magica possono sorprendere e, in alcuni
casi, spaventare i genitori. Messi di fronte alle circostanze, non
sono informati per capire e alcuni parenti Babbani fanno il grave
errore di punire il bambino.”
Mentre parlava
Jocelyn sedeva molto ferma, i suoi grandi occhi fissi sul suo viso.
“In breve
tempo, queste punizioni possono peggiorare il problema: il corpo ha
diversi meccanismi di autodifesa, la prima delle quali è allontanare
il bambino dal pericolo o impedire a qualcuno di fargli del male.
Immagina, se riesci, un ipotetico scenario dove una giovane strega è
schiaffeggiata o picchiata per un fenomeno magico su cui lei ha poco
controllo. Per autodifesa, la magia della bambina potrebbe
Smaterializzarla in un posto sicuro, un posto dove l'aggressore non
può arrivare o sbattere l'aggressore via lungo la stanza, lontano
dalla bambina.”
Severus controllò
il viso di Jocelyn per capire se lo scenario fosse a lei familiare,
ma il suo viso era imperscrutabile.
“Per esempio,
quando questo tipo di punizioni sono o sproporzionatamente severe o
inflitte di frequente, il corpo ricorre ad un meccanismo di difesa
più estremo, a cui ci si riferisce comunemente con 'blocco'.
Il cervello costruisce su sé stesso una barriera che lo protegge dal
resto del mondo. Nessuno può entrarci e nessuna magia può uscirne.
La barriera funziona per prevenire lo scoppio di magia per cui la
bambina era originariamente punita, ma impedisce anche alla bambina
l'utilizzo di qualunque magia a comando.” Si fermò un
attimo, poi continuò. “In più, se la barriera rimane in piedi per
un esteso periodo di tempo, può risultare pericolosa per la bambina.
Alla fine la forza magica all'interno cresce fino al punto di
esplodere, potenzialmente danneggiando la bambina o coloro intorno a
lei.”
Stranamente,
Severus non sapeva cos'altro dire e si sentì inspiegabilmente
sollevato quando Jocelyn interruppe il silenzio. Il piccolo mento si
sollevò leggermente e la tensione con cui tratteneva il suo corpo
era palpabile.
“Professore, ha
detto che possiamo sistemare tutto.” La frase era a metà fra
domanda e affermazione.
“Sì,”
concesse lui.
“Come?”
“Posso
insegnarti a controllare la barriera che sta bloccando la tua mente.”
“Lei può?”
chiese Jocelyn mettendo enfasi sulla seconda parola.
“Sì.” - Solo
leggermente, i muscoli intorno agli occhi di lei si rilassarono -
“Non sarà facile,” l'avvertì. “Devi ricordarti tutto e avrai
bisogno di lasciarmi entrare nella tua mente. Pensi di poterlo fare?”
Lei annuì
decisa. “Quando cominciamo?” chiese.
“Lunedì, dopo
le lezioni. Prima, tuttavia, voglio che tu faccia alcuni esercizi
preparatori...”
*
*
*
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chi_lamed: Io ho
adorato il capitolo 9. Il confronto fra i comportamenti di Snape e
Dumbledore mette molto in evidenza l'atteggiamento manipolatore di
quest'ultimo (non sono proprio una fan del preside...)
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Capitolo 11 *** Slytherin Conversations ***
Capitolo 11
Le risposte ai vostri commenti
arriveranno dall'autrice stessa, probabilmente aggiungendoli
successivamente al capitolo (o direttamente nel prossimo).
Io penso mi limiterò a
trovare nuovi modi per ringraziare silviabella (e temo metterla in
imbarazzo... santa donna ;))
Anne London
Capitolo 11
Slytherin
Conversations
Hermione stava passando
molto tempo nell'ufficio della professoressa Vector. Spesso e
volentieri ci andava nell'intervallo tra le lezioni e la cena, quando
era probabile trovarci la Vector – che girava con i suoi pantaloni
da ginnastica – anche se la professoressa aveva generosamente
modificato le difese della stanza così che Hermione potesse andarci
a qualunque ora.
In quel particolare
sabato mattina, Hermione si era alzata presto. Riluttante a perdere
tempo, uscì furtivamente dal castello, prima che qualche compagno
Grifondoro si svegliasse, e andò a fare una corsa. Per le otto aveva
fatto la doccia, colazione – un paio di toast con la Marmite* e una
mela – e si avviò verso il settimo piano. Una volta entrata, fu
sorpresa di trovare la Vector nel suo ufficio e si fermò, come per
scusarsi.
“Hermione,” esclamò
la Vector con un sorriso. “Entra pure.”
“Buon giorno,
professoressa, non mi aspettavo di trovarla qui a quest'ora.”
“Una supposizione
logica, mia cara. La verità è che non sono ancora andata a letto.”
La Vector aveva una tazza di caffè in mano e fece un gesto verso il
briki. “Posso fartene uno se vuoi,” offrì lei.
“Meglio dopo,”
replicò Hermione, sorridendo all'espressione amichevole della
Vector. Quella mattina la professoressa aveva un lungo ramoscello di
fiore di basilico attaccato all'asola del cardigan e il leggero
profumo di erbe era mischiato con il persistente odore di caffè.
Hermione pensò che solo Luna Lovegood avrebbe potuto copiare il suo
stile, eppure le due donne non avrebbero potuto essere più diverse.
“In realtà,” si azzardò, “se ha un momento avrei qualche
domanda.”
Lavorando ai calcoli
della Vector, Hermione si era imbattuta in diversi coefficienti
runici irregolari che non era stata in grado di decifrare. Hermione
tirò fuori alcuni rotoli di pergamena dalla borsa e cercò la lista
che stava cercando.
“Ecco,” Hermione
puntò il primo simbolo, “cavo all'interno? Che
cosa rappresenta? A volte ha una parte importante.”
La Vector ridacchiò.
“Ah, sì. Questo è il Ministero della Magia. Forse non la runa più
probabile, ma l'ho testata contro l'assioma di Mickelham e ha
dimostrato di essere sia efficiente sia stabile.”
Hermione vedeva la
pertinenza e l'umorismo nella scelta della Vector. “Un'appropriata
e deprimente riduzione runica,” replicò lei con una leggera
risata.
“Temo, Hermione, di
non amare molto i governi,” disse la Vector storcendo il naso per
enfatizzare il punto.
“Ha avuto uno scontro
con il Ministero?” chiese Hermione, curiosa, prima che l'educazione
avesse la meglio su di lei.
“Non esattamente il
Ministero... è una lunga storia.”
“Chiedo scusa,”
esclamò Hermione. “Non era mia intenzione ficcare il naso.”
“Sciocchezze!”
replicò la Vector. “Non scusarti mai per aver posto una domanda.”
Prese un altro sorso di caffè, guardando Hermione da sopra il bordo
della tazza con aria di valutazione. “Se ti siedi con me mentre
preparo un altro caffè,” aggiunse, “ti racconterò la versione
breve.”
Hermione fu stupita
dell'offerta e velocemente di sedette su una sedia.
Mentre la Vector
metteva il caffè e lo zucchero nel briki, iniziò a parlare. “Sai,
in Grecia prima della guerra – la Guerra Mondiale per intenderci –
le popolazioni Babbana e magica non erano separate così tanto come
lo sono oggi. Quando ero una ragazza ho studiato matematica – di
per sé non magica. Coloro che avevano talento studiavano Aritmanzia;
coloro che non lo avevano studiavano altre branche della matematica,
ma non c'era una così netta distinzione fra le due. Dopo il diploma,
ho lavorato come professoressa di matematica all'università di
Salonicco. Ho lavorato lì per molti anni. Alla fine mi sono
innamorata.” La Vector sorrise autoironica ad Hermione. “Era un
mio studente. Non essere così sorpresa, signorina!”
Hermione non riuscì a
controllarsi, “Ma...”
“Queste cose
succedono. Eravamo entrambi adulti. Per tua informazione, io avevo 46
anni e lui 23.”
Gli occhi di Hermione
erano spalancati dalla sorpresa. “Lui com'era?” chiese con
evidente curiosità.
“Era meraviglioso.
Pieno di energia, infiammato per la politica. Avrebbe potuto sedurre
chiunque, convincere tutti ad unirsi alla sua causa. Era molto dolce
e molto arrabbiato. Voleva cambiare il mondo intero, renderlo un
posto migliore e più giusto.” Sollevò un sopracciglio come una
che la sa lunga. “Il sesso era fantastico.”
Hermione arrossì. Si
morse il labbro inferiore e sollevò le ginocchia contro il petto.
“Sotto la sua
influenza sono diventata una comunista – lo sono ancora in realtà.
Per farla breve, siamo entrati nella resistenza durante la Seconda
Guerra Mondiale e abbiamo combattuto nella Guerra Civile che ne è
immediatamente seguita. Yanis è stato ucciso – dalle forze
governative – nel 1949.” Hermione si lasciò scappare un verso di
sorpresa, ma la Vector andò avanti dopo l'interruzione, con un
inusuale sguardo cupo. “Sono stata costretta a lasciare il paese. A
causa dei fascicoli su di me, e con anche la frontiera nord chiusa,
avevo poche opzioni. Ho deciso di cambiare nome e lasciarmi il mondo
Babbano completamente alle spalle. Come strega sono volata in
Inghilterra; sono qui da allora.”
Hermione aveva così
tante domande da non sapere da dove iniziare. “Professoressa, io...
non so cosa dire. Grazie per avermelo raccontato.”
La Vector aveva uno
sguardo lontano. “Prego, Hermione. È passato molto tempo
dall'ultima volta in cui ho pensato a queste cose.”
“Le manca?”
“Yanis? Mi è mancato
tutti i giorni, ma è stato molto tempo fa.” La Vector alzò le
spalle, con il suo solito sorriso che spuntava dagli angoli della
bocca. “Mi dispiace che sia morto, ovviamente, e mi dispiace che
non abbiamo vinto, ma non mi dispiace nient'altro. Se dovessi rifare
tutto da capo, anche conoscendo il risultato, combatterei lo stesso.”
La Vector versò due tazze di caffè e ne porse una ad Hermione.
“È stata la
maledizione che uccide?” chiese, mentre le dita si chiudevano
intorno alla tazza calda.
“Santo cielo, no. Gli
hanno sparato.”
Hermione corrugò la
fronte brevemente. “Era un Babbano?” chiese con una certa
sorpresa.
“Era un matematico
straordinario,” replicò la Vector con una risatina. “Ma è vero,
non aveva le grandi vibrazioni di un Aritmante. I suoi talenti erano
altrove.”
La testa di Hermione
vorticava mentre processava tutto quello che la Vector aveva detto.
Per un momento si sforzò di ricordare com'erano arrivate a
quell'argomento inaspettato. “Certamente pone la sua antipatia
verso il governo in prospettiva,” rimarcò.
“Ne sono sicura,
anche se non è il motivo per cui ti ho raccontato la storia.” La
Vector fece una smorfia. “A rischio di sembrare una stupida seguace
della psicologia new age, volevo che tu sapessi che ci sono diverse
ragioni per iniziare una guerra e l'amore è fra le più importanti –
amore e politica sono una combinazione feroce. Devi anche sapere che
il processo di guarigione può essere difficile. Tornare
ad essere una persona completamente integra
è un obbiettivo ammirevole e possibile.”
Hermione fece un
profondo respiro e lo lasciò andare lentamente. L'insegnante aveva
colpito una delle preoccupazioni che assillavano i suoi giorni.
“Grazie,” disse. “Penso siano cose importanti e che mi abbia
fatto bene sentirle.”
Ogni ulteriore commento
fu interrotto dal bussare alla porta. La Vector si sporse verso
Hermione e sussurrò in modo cospiratorio, “Ah, la ragione per cui
sono rimasta sveglia è appena arrivata.” Pigramente sollevò la
mano che non teneva il caffè e le lavagne coperte dai calcoli
dell'Ordine sparirono. Persino le cose scritte sulle pergamete di
Hermione svanirono. “Avanti,” disse.
La porta di aprì e
Tracey Davis (una dei Serpeverde della classe MAGO di Aritmanzia)
entrò nella stanza. Alla vista di Hermione Granger, s'irrigidì
visibilmente.
“Buongiorno,
Professoressa,” commentò a disagio. “Non sapevo fosse già
occupata.”
“Sciocchezze,
Tracey,” replicò la Vector. “Prendi una sedia. Immagino,
infatti, che Hermione sia molto interessata a conoscere il tuo
progetto indipendente.”
Tracey camminò verso
la scrivania, ovviamente riluttante. “Non vorrei annoiarti,
Granger,” mentì, il contrasto nella sua voce solo leggermente
velato.
Trenta secondi prima ad
Hermione non sarebbe importato nulla del progetto della Davis, eppure
adesso provava un velo di curiosità. “Mi piacerebbe sentirlo
infatti,” si entusiasmò, cercando (invano) di sembrare sincera,
“Sono sicura che non mi annoierai affatto.”
La Davis le rivolse un
sorriso che si fermò subito sotto agli occhi. “Beh, forse quando
sarà un po' più definito potremmo vederci e parlarne.”
“Sembra una magnifica
idea!” si inserì la Vector, sorridendo come se fosse ignara dei
sottintesi della conversazione. “Vedi, Hermione, Tracey sta
lavorando ad un tentativo per annullare la maledizione sulla cattedra
di Difesa Contro le Arti Oscure.”
Hermione sbatté le
palpebre più volte, sopraffatta da un moto di eccitazione. “È un
progetto meraviglioso!” Esclamò. Il suo entusiasmo a questo punto
era completamente genuino, anche se lo sguardo che Davis le lanciò
era aggressivo come sempre. “Mi piacerebbe dargli un'occhiata.”
“Beh, quando sarà
pronto,” replicò Davis, “farò un salto nella tua sala comune
per organizzare un incontro.”
L'assoluta enorme
falsità contenuta nella frase della Davis era così smisurata che
lasciò Hermione momentaneamente senza parole.
“Eccellente!” disse
la Vector serenamente, riempiendo il silenzio. “Grazie per essere
passata,” disse, girandosi verso Hermione. “Torna pure quando
vuoi.”
Mentre Hermione si
chiudeva la porta alle spalle, lanciò un'ultima occhiata a Tracey
Davis. Senza successo cercò di sopprimere un'improvvisa punta
d'invidia: Hermione realizzò che voleva che qualcuno salvasse il
professor Snape, solo che voleva essere lei.
Visto che ancora non
erano le dieci, Hermione di diresse verso la Sala Grande: le
probabilità che i ragazzi fossero lì a fare colazione erano alte.
Quando Harry e Ron sembrarono più difficili da localizzare del
previsto, tuttavia, sgraffignò un altro frutto e decise di non
andare in biblioteca, in favore del lago.
Da quando la mia
vita è diventata così complicata? si
chiese. Prima Snape, ora la Vector, poi l'Ordine. Da aggiungere c'era
anche la Profezia, con Harry marchiato come Prescelto. Tutti gli
elementi erano collegati, alcuni in modo così complicato che era
difficile metterli insieme e far sì che tutto avesse un senso.
Hermione sbriciolò la sua mela tra i denti soprappensiero.
I tempi in cui sistemare i
compiti per colore era
sufficiente per mettere tutto
al proprio posto erano finiti.
Quando
arrivò al vecchio albero di faggio si sedette, appoggiando la
schiena contro il tronco, distendendo le gambe. Dovrei
usare questo tempo per sistemare un po' di cose, decise.
Prendi il professor Snape: mi piace oppure no? Sapeva
che era una domanda stupida. Come membro dell'Ordine, la cosa
importante non doveva essere se le piaceva o meno, ma come potevano
battere Voldemort. Eppure, la domanda la preoccupava.
Aveva passato cinque anni ad essere così incessantemente cattivo che
la sua nuova disponibilità a rispondere alle domande era
intossicante. Non che ora sia particolarmente gentile nei
miei confronti. Aveva comunque
notato un certo senso dell'umorismo. E c'era stato quel glorioso
momento in cui l'aveva chiamata “Granger”. L'aveva fatta
sentire... notata.
Hermione finì l'ultimo
morso della mela e buttò via il torsolo nel lago per la Piovra
Gigante. Sollevando le ginocchia contro il petto, avvolse le braccia
intorno agli stinchi. Malgrado non ci fosse nessuno a vederla, fece
un'espressione sarcastica. Il pensiero di essere notata da Snape le
aveva portato alla mente la scena nell'ufficio di Dumbledore.
Hermione Granger non era estranea all'etica delle 'aree grigie' –
Cormac McLaggen, la pozione Polisucco, Dolores Umbridge, illegali
magie da minorenne durante le vacanze così da poter andare a correre
ecc – ma quel chiudere un occhio ben calcolato di Dumbledore
l'aveva lasciata stranamente sconcertata. Snape, d'altro canto, aveva
voluto farla agitare. Perché
poi? Forse pensava che lo meritassi? Forse voleva farmi
pensare a quello che avevo fatto? L'uomo
era un enigma, di quello ne era certa. E un enigma su cui
passo tanto tempo a pensare! Hermione
si diede uno scrollo mentale e decise di pensare a qualcos'altro. La
Vector, per esempio.
Persa nei suoi
pensieri, Hermione era ignara dei due ragazzi che si erano avvicinati
silenziosamente mentre fantasticava e ora si nascondevano dietro
all'albero dov'era seduta. Quando le saltarono addosso da direzioni
opposte, lei strillò. Cercò disperatamente un appiglio per alzarsi
in piedi e prendere la bacchetta, il cuore che batteva con genuina
paura. Poco dopo, riconobbe i suoi aspiranti aggressori e sospirò di
sollievo, sia scivolando, sia collassando sul terreno, con una mano
sul petto.
“Oh,
mio Dio! Non fatelo più!” protestò debolmente, sollevando un dito
indignato verso i visi sghignazzanti di Harry e Ron. “Sono seria!”
aggiunse, iniziando ad arrabbiarsi, “non avete idea-”
Le sue proteste sempre
più forti furono improvvisamente ammutolite da Ron che le chiuse la
bocca con una mano.
“Per le mutande di
Merlino, Harry! Pensavo avessimo sorpreso Hermione, ma temo possa
essere la professoressa McGonagall travestita!”
Harry sostituì il suo
sorrisetto con un'espressione finto-seria e scosse la testa
gravemente. “Penso ci sia una sola cosa da fare, Ron.”
“Ngmnh!” disse
Hermione attraverso la mano di Ron, iniziando a lottare.
“Solletico!” urlò
Ron, con evidente gusto, mentre i due amici si tuffavano su di lei.
Dieci minuti dopo
Harry, Ron e Hermione giacevano insieme sul terreno dopo essersi
solleticati, aver ridacchiato, urlato e riso fino ad essere
momentaneamente esausti. Voltando la testa, Hermione guardò da un
ragazzo all'altro e sentì il suo cuore gonfiarsi con una sensazione
quasi dolorosa di benessere. I suoi amici erano degli idioti, ma li
amava lo stesso. Amore – pensò,
improvvisamente colpita dal ricordo della conversazione con la Vector
– amore e politica sono una combinazione forte.
“Andiamo, buffoni,”
disse, sollevandosi da seduta. “Aiutatemi e andiamo a fare visita
ad Hagrid.”
Hermione sopravvisse
allo Slug Club malgrado l'assenza di Harry e Ginny. La sua coscienza
colpevole la obbligò a parlare brevemente con McLaggen – alla cena
precedente lo aveva dissuaso con il semplice espediente di incrociare
le braccia e fissarlo ogni volta che lui la guardava – ma riuscì a
tollerare la sua detestabile versione di conversazione soltanto per
pochi minuti, prima di scusarsi e giocare la ritirata tattica verso
il bagno delle ragazze. Anche Blaise Zabini comparve alla cena ed
Hermione colse l'occasione per indagare, curiosa, sul lavoro del
compagno di classe Serpeverde, chiedendogli del suo progetto
indipendente di Aritmanzia. Rimase delusa, tuttavia, dalla sua
risposta. Dopo averla fissata dall'alto in basso per un paio di
secondi, iniziò a parlare in modo monotono di proprietà di mercato,
sistemi finanziari, imposte internazionali di scambio e
capitalizzazione degli interessi composti. Stronzo, pensò
dopo, scommetto che l'unica cosa che gli interessa
del mondo Babbano è come sfruttarlo per far soldi. Hermione
scambiò chiacchiere da poco con diverse persone che conosceva
appena, riuscendo finalmente a usare come scusa il suo impegno per i
compiti impellenti di Antiche Rune. Slughorn non aveva bisogno di
sapere che aveva finito le traduzioni la settimana precedente –
così imparava a prodigarsi in così tante immeritate lodi per le
pozioni di
Harry.
Il
giovedì, Hermione si diresse alla
lezione di Occlumanzia con il consueto
mix di trepidazione e apprensione che le ispirava il suo sarcastico
professore. Per tutta la settimana lo aveva osservato ad ogni
occasione, analizzando attentamente ogni sua interazione. Era
scortese con tutti, tranne qualche volta con gli studenti Serpeverde.
Prevalentemente, il suo comportamento si scontrava con la
leggera esasperazione o con
la cortesia forzata, anche se
molti degli altri insegnanti sembravano non badarci per niente, e
diverse persone – Harry incluso – finivano per uscirne quasi
incoerentemente arrabbiati. Quanto di questa immagine
pubblica è un modo per offrire a Voldemort i ricordi che si aspetta
di vedere? pensò,
anche se l'idea che Snape potesse improvvisamente diventare cortese e
allegro, se il Signore Oscuro fosse caduto l'indomani, la fece
sghignazzare incontrollabilmente
“Non perder tempo a
sederti,” le disse non appena arrivò. “Iniziamo subito.”
Hermione fu in grado di
respingere i primi attacchi di Legilimanzia senza problemi.
“Professore,” chiese, “potrebbe insegnarmi a nascondere ricordi
specifici?”
Rimase stupita quando
lui accettò.
“La chiave,” la
informò, “sta nel fatto che le proiezioni Occlumantiche sono di
per sé prodotti della tua mente, molto simili ai ricordi. Per questa
ragione le stesse barriere si presentano – il baule che hai
immaginato in Infermeria, per esempio. Per nascondere un ricordo
specifico hai bisogno di metterlo dentro ad un oggetto con un altro
ricordo.”
“Con un altro
ricordo? Intende, seguendo l'analogia del baule, che dovrei prendere
un ricordo che include il mio baule di Hogwarts, tipo uno con me
seduta nel mio dormitorio, e nascondere gli altri ricordi lì?”
“Precisamente. Fai
attenzione che la proprietà dell'immagine porterà un ulteriore
peso, perciò sarebbe meglio scegliere un ricordo che si possa già
dare per scontato abbia una certa rilevanza.”
Hermione si morse il
labbro mentre ragionava sull'informazione. Mmm... un ricordo che
abbia già importanza dentro la quale posso nascondere altri
pensieri...
“Suggerisco di
provare prima che rovini il tuo labbro inferiore irreparabilmente,”
disse ironicamente.
Hermione arrossì.
“Certamente, signore. Cosa dovrei fare?”
“Vai nel corridoio e
chiudi la porta dietro di te. Quando sarai là, dì qualcosa ad alta
voce. Immagina te stessa riporre la memoria di quel commento dentro
un contenitore a tua scelta. Poi torna qui e vediamo quanto ci metto
a trovarlo.”
Hermione si diresse
obbediente in corridoio. Rimase lì per un lungo momento, la mente
vuota. Quando l'ispirazione la colpì, sorrise compiaciuta e incrociò
le braccia.
“Severus Tobias
Snape,” disse, “non dovresti vedere questa scena.”
Immaginò invece di
entrare in biblioteca. Prese un libro da un ripiano, piegò la
memoria della scena e la infilò all'interno. Chiuse il libro e lo
ripose sul ripiano. In realtà, tornò dentro all'ufficio di Snape.
“Sono pronta,”
disse.
Snape si alzò
fluidamente e girò intorno alla scrivania, la bacchetta in mano.
“Legilimens.”
Hermione resistette
all'impulso di alzare le sue difese Occlumantiche e rimase
leggermente spiazzata dallo scorrere dei suoi ricordi. Sforzandosi di
dare un senso all'afflusso di immagini, si rese conto improvvisamente
che ognuna di esse si svolgeva nei corridoi di Hogwarts – vide
ancora il Basilisco, osservò i suoi denti diventare enormi dopo
essere stata colpita da Malfoy con una maledizione e correre via da
Snape per la vergogna, e riconobbe sé stessa stretta in un abbraccio
fra Harry e Ron a diverse età. Alla fine, la biblioteca iniziò ad
apparire, l'immagine tremolante e a intermittenza tra i vari momenti
in corridoio. Nei minuti successivi le sue visioni coinvolsero la
biblioteca sempre più spesso finché, per un lungo periodo, non vide
altro che la sua testa china sui libri, con i ripiani che facevano da
sfondo immobile. Sentì la pressione mentale crescere e s'impose di
stare calma. Non devo pensare a quello che ho detto in corridoio,
ripeté
a sé stessa, non devo pensare a... La
pressione esplose verso l'esterno e l'immagine della biblioteca si
sbriciolò. “Severus Tobias Snape,” vide sé stessa dire, “non
dovresti vedere questa scena.”
L'ufficio di Snape
tornò alla vista ed Hermione sbatté le palpebre. Le gambe tremavano
e si sedette con attenzione nella sedia.
Snape si appoggiò al
bordo della scrivania e passò un dito lungo il labbro inferiore.
“Con un po' di pratica,” disse lentamente, “riuscirai a fare un
tentativo come si deve.”
Hermione alzò la testa
e notò la leggera tendenza verso l'alto della linea delle labbra ad
un lato della bocca. Arrivando da Snape quelle erano parole di
esuberante incoraggiamento e sorrise d'improvviso piacere.
“Signore,” chiese,
“com'è arrivato a vedere così tante immagini nel corridoio?”
“I ricordi sono
legati insieme da comuni fili emozionali: paura, nostalgia,
desiderio, ecc, o sistemati in modo contiguo da contenuti comuni: una
persona, un colore o un oggetto specifico. Un Legilimante o
Occlumante esperto può identificare e sfruttare questi fili. Sapevo
di dover cercare un'immagine successa in uno spazio come quello.”
Hermione aprì la bocca
per fare un'altra domanda, ma Snape l'anticipò.
“Per stasera basta
così,” concluse, staccandosi dalla scrivania e girandoci intorno
per sedersi al suo posto.
“Per la prossima
settimana,” iniziò Hermione, “Harry vuole fissare l'allenamento
di Quidditch così da poter saltare l'incontro con Slug Club, quindi
non sono ancora sicura-”
“Granger,” la
interruppe, “cosa fai domani dopo le lezioni?” La stava guardando
in modo strano.
“Niente di specifico.
Vado spesso a lavorare alle equazioni con la professoressa Vector.”
“Mmm.” Snape fece
scorrere il dito indice lungo il labbro inferiore. “Se riesci ad
abbandonare quell'orribile duo, di' loro che stai andando dalla
Vector, ma poi vieni qui.”
Il cuore di Hermione si
ravvivò. Vuole vedermi più di una volta a settimana?
“Certamente, signore.”
“Leggi il libro di
Cvetkovich al capitolo 'Occlumanzia per Auto-Difesa' prima di venire.
Per adesso, puoi andare.”
Hermione non aveva un
reale bisogno di rileggere il capitolo di Cvetkovich – il libro era
uno di quelli che le aveva prestato durante le vacanze – ma lo fece
ugualmente. L'istintiva risposta mentale è veramente
affascinante, pensò. Forse
il professor Snape vuole parlarmi di più della mia ferita
all'Ufficio Misteri. Lesse
ancora una volta della
maledizione Silencio e dei suoi particolari effetti secondari, giusto
per essere sicura.
Sgattaiolar
via da Ron ed Harry fu ridicolmente semplice. Erano ormai abituati
alle sue visite nell'ufficio della Vector, e così disinteressati
all'Aritmanzia che non venne loro neanche in mente di far domande.
Quindici minuti dopo la fine delle lezioni, quindi, stava bussando
alla porta del professor Snape.
“Avanti,” chiamò.
Quando aprì la porta
fu sorpresa di vedere che non era solo.
“Chiedo scusa,
signore,” disse velocemente. “Posso tornare dopo.”
“Non è necessario,
Granger,” replicò. “Siediti soltanto.”
Lei si sedette,
guardando di sbieco l'altra occupante della stanza. Riconoscendo la
giovane Serpeverde che le aveva consegnato il messaggio della sua
“punizione” di compleanno con Snape, Hermione mise da parte una
leggera fitta di gelosia. Che ironia, pensò.
La
scena tra lei, Tracey Davis e la Vector si sovrappose a questa nella
sua mente.
“Granger, lei è
Jocelyn Smith.” Snape eseguì una frettolosa presentazione.
“Jocelyn, lei è Hermione Granger.”
La precedente fitta di
gelosia tornò con raddoppiata energia. La chiama per nome? Lei
sorrise alla ragazzina nel modo più dolce che riuscì. “Ciao,
Jocelyn, abbiamo già parlato una volta.”
Jocelyn la guardò
brevemente, ma non disse nulla, riportando velocemente lo sguardo su
Snape. Hermione resistette all'urgenza di volgere gli occhi al cielo.
Cosa ci faccio qui? pensò.
O meglio, cosa ci fa lei qui?
Snape sospirò e si
prese la radice del naso fra pollice e indice. “Granger,” disse
all'improvviso, poi si fermò. “Ho sperato...” Snape si bloccò,
facendo un'altra pausa.
La curiosità ebbe la
meglio sul fastidio ed Hermione fissò il suo professore. Non lo
aveva mai visto così a corto di parole. Una mano era chiusa a pugno
sulla scrivania, tanto serrata che le nocche erano bianche. A
Severus Snape non piace chiedere aiuto, notò,
usando un tono compiaciuto al sicuro della sua testa.
Al terzo tentativo, lui
riuscì a pronunciare una frase per intero: “Speravo che tu potessi
essere disposta a descrivere la sensazione mentale dei tuoi recenti
esercizi di Bloccaggio usando metafore Babbane.”
Hermione guardò la
ragazza di fianco a lei sorpresa. “Metafore Babbane?” chiese.
“Ma-”
“Ma cosa, Granger?”
Il tono di Snape sembrava un avvertimento, che Hermione decise di
ignorare.
“Ma pensavo che
Serpeverde-”
“Pensavi male.” La
voce cambiò da tono di avvertimento a ringhio e colpì la scrivania
con il palmo della mano con enfasi.
Hermione incrociò
braccia e gambe simultaneamente e fissò un punto diversi centimetri
a sinistra dell'orecchio dell'uomo, con un'espressione testarda sul
viso. “Qualcuno dovrebbe avvertire Draco Malfoy,” mormorò.
Snape si sporse in
avanti minaccioso, una mano ancora premuta contro la superficie della
scrivania. Le sibilò minaccioso, “Ma non sarai tu, vero, Granger?”
Invece di guardarlo,
Hermione si girò verso la ragazzina seduta di fianco a lei. Durante
lo scambio aggressivo, Jocelyn non aveva detto nulla, seguendo ogni
scambio di battute con occhi sbarrati e spaventati. Di fronte alla
sua espressione apprensiva, la rabbia di Hermione si dissolse. Come
se volessi aumentare l'odio di Malfoy verso qualcun altro. Come
spesso accadeva, la sua rabbia fu presto sostituita da un
entusiastico apprezzamento per il ridicolo ed Hermione fu subito
tentata di lasciarsi andare ad una risposta sarcastica – Allora
forse, una volta che il Signore Oscuro sarà sconfitto, potrebbe
informare Malfoy al posto mio? Invece
contò silenziosamente fino a dieci e replicò con tutta la calma che
riuscì a trovare. “No, professore, non mi sognerei di farlo.”
Stava per chiedere a
Snape i motivi della sua richiesta, quando il suo cervello bloccò la
bocca. Se Jocelyn è una Nata Babbana e ha bisogno di conoscere
metafore Babbane per sapere come sbloccare allora dev'esserci una
ragione - “Stai Bloccando?”
chiese, rivolgendo la domanda a Jocelyn.
La ragazzina rivolse
un'occhiata di panico a Snape, prima di girarsi ancora verso
Hermione. Anche allora, non la guardò negli occhi, fissando invece
il suo ginocchio. Piuttosto che parlare, annuì.
Accidenti. Hermione
si passò una mano tra i capelli. Sarà stata maledetta?
Pensò brevemente, prima che le
letture della sera precedente rispondessero
da sole alla domanda. No: maltrattata.
Per la prima volta in
diversi minuti, si arrischiò a guardare verso Snape. Si era tirato
leggermente indietro rispetto alla posa ostile che aveva assunto
l'ultima volta che aveva parlato, ma si era mosso comunque a
malapena. Il corpo era rigido e gli occhi spalancati. “Farò del
mio meglio,” promise rassicurante.
La risposta alle sue
parole fu immediata. Snape si rilassò sulla sedia e si passò una
mano sul viso. “Vi lascio sole allora,” commentò. Alzandosi in
piedi, entrò nel laboratorio di Pozioni, lasciando Hermione e
Jocelyn alle loro discussioni private.
*
*
*
*
La Marmite è una crema spalmabile a base di estratto di
lievito, molto usata nel nord Europa.
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Capitolo 12 *** Severus Saves ***
Capitolo 12
E' di nuovo venerdì e siamo nella
seconda metà di luglio. E siamo praticamente a metà storia!
Prendiamo allegoricamente silviabella
in braccio e portiamola in trionfo per ringraziarla del betaggio.
Anne London
Capitolo 12
Severus Saves
Snape non sapeva cosa Granger aveva
detto a Jocelyn, ma sapeva che aveva aiutato. Quando lui e Jocelyn si
videro la volta successiva, il sabato mattina dopo colazione, lui
riuscì – per un breve momento – a passare oltre le sue barriere.
La sessione iniziò così come i
tentativi precedenti: si sedettero guardandosi da un lato all'altro
della scrivania, a contatto con la pelle – un palmo della mano
contro l'altro – e Jocelyn chiuse gli occhi per concentrarsi su un
ricordo felice o neutro, qualcosa che poteva pensare di condividere.
Quando fu pronta, aprì gli occhi e guardò in quelli di lui. Eppure
questa volta le sue barriere erano abbassate e lui sbirciò tra i
suoi ricordi. L'istante in cui toccò i bordi della sua mente,
l'istinto gliele fece rialzare e sommariamente buttarlo fuori.
Severus guardò la ragazza di fronte
a sé: sembrava stupita. Lasciò che un angolo della sua bocca si
curvasse verso l'alto. “Non male,” osservò.
Jocelyn si sedette più dritta sulla
sedia. Anche se non sorrise, i suoi occhi si spalancarono per un
momento.
“Vogliamo riprovare?” chiese.
Jocelyn, in risposta, annuì vigorosamente.
Eppure, nei venti minuti successivi,
malgrado i diversi tentativi, furono incapaci di ricreare
l'esperienza. Severus sentì la sua stessa frustrazione crescere e
Jocelyn sembrava sempre più depressa. Mancava una settimana alla
fine del tempo stabilito. Se il loro trattamento fosse fallito, e un
resoconto ufficiale delle sue condizioni fosse arrivato al San Mungo,
Jocelyn sarebbe stata certificata come pericolosa e quasi certamente
ammessa alla sezione 'Lesioni da Incantesimo'.
“Basta,” disse alla fine,
passandosi una mano sul viso. “Hai notato qualche differenza
rispetto a come ti sentivi la prima volta e durante gli altri
tentativi?”
Jocelyn aggrottò la fronte nel
tentativo di catalogare accuratamente le sensazioni. “Ero più...
rilassata al primo tentativo.”
Rilassata... Mmm. Tutto
quello che Severus aveva letto per curare il Blocco
insisteva
sull'importanza di usare voci rassicuranti, gesti amichevoli e
ambienti sicuri. Per fortuna, la sua piccola, perspicace Serpeverde
non si era lasciata
intimidire dalla sua personalità brusca e lui aveva accettato
il suo buon
senso senza pensarci due volte. Rilassata, però... doveva pensarci
un po'.
“La seconda volta ci sono quasi
riuscita; ma dopo io-” la voce esitò per un secondo prima di
continuare, “Mi sono spaventata.”
“Che cosa ti ha spaventata?”
Jocelyn passò l'unghia di un dito
lungo il bracciolo della sedia, osservando i suoi attenti progressi
piuttosto che guardarlo negli occhi. Passarono diversi istanti prima
che parlasse.
“Spaventata dal fatto che, una
volta viste le cose che sono successe, potrei non piacerle più.”
La breve pausa, prima che Snape
parlasse, era densa e pesante per l'ansia della ragazzina. “Jocelyn,"
disse immediatamente, “proviamo a farlo in un altro modo. Prendi la
bacchetta.”
Jocelyn prese la bacchetta con un
po' di riluttanza. “Perché? Non funziona.”
“Dammi la mano. Metti la punta
della tua bacchetta qui, sulla mia tempia.”
La piccola mano scivolò per
rimanere sul suo palmo più largo e la bacchetta urtò leggermente
contro le sopracciglia, prima di spostarsi verso il punto che lui le
aveva indicato. “Cosa stiamo facendo?” chiese lei.
“Voglio mostrarti alcuni miei
ricordi,” spiegò. “Tecnicamente è magia, ma la Legilimanzia è
così vicina all'Occlumanzia che stai già usando che forse potrebbe
funzionare. Inoltre,” aggiunse, notando il bagliore interessato nei
suoi occhi, “la tua innata curiosità potrebbe servire per
spingerti fuori dalla tua zona di sicurezza.”
“Cosa devo fare?” Non aveva mai
sentito la sua voce così eccitata.
“L'incantesimo è Legilimens,
ma ancora più importante, devi
voler guardare abbastanza a fondo nei miei occhi per vedere nella mia
testa. Devi pensare di entrare nella mia mente. Capito?”
Lei annuì, mormorando l'incantesimo
a sé stessa un paio di volte.
“Sei pronta?”
C'era un'espressione determinata sul
viso e una certa intensità nello sguardo. Respirò all'improvviso
dal naso e per alcuni secondi trattenne il fiato, il corpo pronto.
Quindi, con voce chiara e forte, lanciò l'incantesimo, “Legilimens!”
Il potere si riversò fuori dalla
sua bacchetta e la sua coscienza fece un capitombolo dentro la mente
di Severus. Lui aveva scelto i ricordi quasi a caso; ce n'erano così
tanti che sarebbero sicuramente bastati. La stanza che incontrò i
loro occhi era una cucina sudicia. Superfici beige che sarebbero
sembrate semplici negli anni '50, evidenziavano completamente la
povertà un decennio dopo. Un bambino di otto o nove anni sedeva ad
un malridotto tavolo laminato, mangiando una ciotola di cereali in
modo discontinuo. Il cucchiaio era tenuto in modo piuttosto strano
con una mano e il gomito era appoggiato al tavolo. Sia i vestiti che
i capelli avevano bisogno di essere lavati. Dietro ai fornelli, una
donna friggeva del bacon, la vestaglia piena di numerose macchie
d'unto. La somiglianza fra i due era troppo forte per essere una
coincidenza: avevano gli stessi capelli, scuri e lisci, la stessa
pelle troppo pallida. La doppia porta d'ingresso si aprì, quindi si
chiuse con un forte colpo che fece trasalire madre e figlio. Il
contenuto del cucchiaio del ragazzo cadde sul tavolo. Si bloccò.
“Cristo,” imprecò l'uomo appena
entrato. Si sporse in avanti e afferrò rudemente il colletto del
ragazzo, tirandolo su dalla sedia e premendo il suo naso prominente
nella piccola pozza di latte sulla superficie del tavolo. “Il
piccolo mostro non riesce nemmeno a mangiare la sua colazione senza
fare un disastro.”
Sullo sfondo la donna mise insieme
le uova e il bacon per servirli. Si mosse in fretta intorno alla
panca e maldestramente fece sbatte il piatto sul tavolo. “Toby,”
ansimò. “Colazione!” La sua voce era acuta per l'ansia mentre
cercava di distrarre il marito. “Com'è andato il turno di notte?
Hai parlato con-”
La sua frase venne bruscamente
interrotta quando Toby, senza lasciare andare il collo del ragazzo,
si sporse in avanti e con un lungo braccio la colpì all'improvviso
dietro la testa.
“Donna,” ringhiò, “non
interrompermi quando cerco di educare il ragazzo.” Con la mano
libera slacciò la fibbia e tirò fuori la cintura dai pantaloni.
Questi si abbassarono di qualche centimetro sui fianchi e allargò le
gambe per cercare di tenerli su. Tolse la sedia da sotto al ragazzo,
tenendo la faccia premuta sul tavolo per tutto il tempo.
Il ragazzo tremava e teneva gli
occhi chiusi. Mentre l'uomo, Toby, iniziò a colpire la schiena e le
cosce con la cintura di cuoio, il ragazzino iniziò a piangere.
“Basta,” disse Severus pochi
istanti dopo, senza insistenza, mentre interrompeva la connessione
tra Jocelyn e i suoi ricordi. L'ufficio tornò in vista e guardò la
ragazzina di fronte a lui con interesse. Aveva usato della magia –
una breccia seria nel suo Blocco – ma non era sicuro di cosa
potesse succedere dopo. Infatti, il suo corpo ondeggiava, vacillando
sul bordo della sedia.
“Oh,” sospirò. “Lei...” si
fermò e fissò la bacchetta. “Io...” con un suono soffocato si
lanciò verso di lui, avvolgendo le sue braccia magre intorno al
collo. Automaticamente, le braccia di Severus si chiusero intorno a
lei e girò la sua figura sottile abbastanza da sollevarla in grembo.
Oltre quindici anni come Capo Casa di Serpeverde lo avevano esposto a
più che il semplice piangere di ragazzini e aspettò pazientemente
che finisse. Ci vollero diversi minuti prima che i suoi singhiozzi si
quietassero, abbastanza perché diverse lacrime gocciolassero
scomodamente nel collo della sua toga. Una volta che lei ebbe finito,
la fece risedere sulla sua sedia e le passò un fazzoletto senza dire
niente. Lei lo prese tirando su piano col naso, soffiandolo forte e
pulendolo meticolosamente, prima di restituire lo sporco e
accartocciato pezzo di stoffa.
Severus osservò la ragazza e il
fazzoletto con un'occhiata di disgusto. Prima di accettare la
restituzione della sua proprietà prese la bacchetta ed effettuò un
incantesimo di pulizia. Jocelyn osservò il procedimento
attentamente, gli occhi che oscillavano avanti e indietro dalla
bacchetta di lui alla sua. L'eccitazione emanata dal suo corpo era
palpabile e, con un fremito per lo shock, Severus realizzò che
poteva sentire anche la sua eccitazione mentale: le sue barriere
erano abbassate. Lanciandogli un'occhiata veloce da sotto le ciglia,
Jocelyn puntò la sua bacchetta al fazzoletto di nuovo pulito con uno
sguardo di determinazione sul viso pallido.
“Wingardium Leviosa,”
esclamò, facendo lievitare il
fazzoletto nell'aria. Con un grido di piacere lo fece fluttuare per
la stanza.
Severus si alzò e girò intorno
alla scrivania. Un senso di sollievo si dipanò per tutto il corpo,
sciogliendo alcuni dei nodi che gli stringevano lo stomaco. Jocelyn
era in piedi, saltellando intorno alla sua sedia mentre faceva vagare
il fazzoletto in un secondo giro vittorioso nel suo ufficio. Il
sorriso sul viso le trasformava l'aspetto: la durezza dei lineamenti
si ammorbidì e le guance pallide si colorarono di rosso. Mentre il
fazzoletto faceva un capitombolo sulla sua testa, Severus lo prese
agilmente nell'aria, rimettendolo a posto nella tasca dove lo sentì
dimenarsi ancora, prima di fermarsi.
“Siediti,” comandò, indicando
la sedia.
Jocelyn si sedette immediatamente,
controllando una risatina.
“Quando andrai via da qui, dovrai
recarti da Madama Pomfrey. Lascia che ti faccia un controllo
completo.”
“Sì, signore.” Dopo aver
parlato strinse le labbra chiuse, ma Severus poteva vedere la domanda
inespressa fare capolino ai bordi della bocca e vibrare alla base
delle spalle. Che straordinario cambiamento. La
silenziosa bambina insolitamente troppo ferma, che aveva imparato a
conoscere come Jocelyn Smith era sparita. La ragazza al suo posto
traboccava di energia.
“Sebbene non ci sia più bisogno
di vederci tutti i giorni, suggerisco d'incontrarci una volta a
settimana per continuare con gli esercizi di Occlumanzia. Sarebbe
ideale che tu li abbia fermamente sotto controllo consciamente. Sono
stato chiaro?”
Lei annuì il suo assenso.
“Puoi andare,” disse lui
muovendo le dita in un gesto di commiato. Jocelyn scivolò obbediente
dalla sua sedia e si mosse verso la porta. “Signorina Smith,” la
chiamò all'ultimo minuto e lei si voltò a guardarlo da sopra le
spalle, con una mano sulla maniglia. “Se ti trovo a fare magie nei
corridoi dovrò toglierti dei punti.”
Il suo sorriso di risposta rimase
con lui, anche quando se ne fu andata.
Rimasto solo nel suo ufficio,
Severus si lasciò andare ad un sorrisetto di soddisfazione, per
nulla dispiaciuto di fronte alla sua poco ortodossa, ma fortemente
gratificante, soluzione al problema di Jocelyn. Avrebbe scritto ai
Medimaghi di Harvard che avevano sviluppato il trattamento originale;
senza dubbio sarebbero stati contenti di sentire del suo successo.
Per quanto, pensò,
durerà il suo primo bagliore di felicità? Non
per sempre.
Da quel che sapeva dalle sue letture. Ma per un po' l'afflusso di
magia, e il piacere di essere entrata in un nuovo mondo così lontano
dalla miseria della sua precedente esistenza, avrebbe consentito a
Jocelyn di vivere felicemente – forse per la prima volta. Ad un
certo punto, ovviamente,
avrebbe dovuto fare i conti
con i ricordi della sua vita precedente e trovare un
qualche modo per incorporarli
nella sua percezione di sé. La cosa più importante, forse l'unica,
che poteva fare per lei era continuare con le sue lezioni di
Occlumanzia.
Il pensiero delle lezioni riportò
la sua mente pensierosa al presente con una sgradita scossa. Trovare
il tempo per incontrarsi tutti i giorni con Jocelyn gli aveva fatto
mettere completamente da parte i compiti da correggere, lasciandolo
con delle ricerche da leggere di cinque classi di studenti. Con un
sospiro prese le due pile più vicine a sé e ponderò la scelta:
iniziare con un semplice, breve ed infinitamente noioso compito del
primo anno, o farsi strada nelle lunghe, più complesse ricerche
della classe MAGO? Mago,
decise, lasciando i compiti più facili per quando
avrò più difficoltà a concentrarmi.
Dopo aver scritto una larga “S”
nel quarto compito consecutivo, Severus smise di far finta che non
gli interessasse il compito della Granger e cercò in mezzo ai rotoli
davanti a lui, finché non lo trovò. Dispiegando la pergamena notò
i trenta centimetri in più, aggiunti da lei, rispetto a quanto lui
aveva previsto, e sogghignò malignamente. Questo, notò,
merita un nuovo barattolo d'inchiostro rosso. Un'ora
e un quarto dopo puntualizzò un aspro commento finale con un
autorevole punto e ricontrollò ciò che aveva scritto con
un'espressione compiaciuta. “O”, scrisse chiaramente in cima alla
pergamena. Disseminati intorno alla scrivania c'erano una mezza
dozzina di libri che aveva preso per controllare i riferimenti di
lei, o puntualizzare qualcosa che aveva dimenticato. Aveva
provato un piacere particolare ad
informarla che una delle ipotesi di ricerca ipotizzate
era stata, in effetti, risolta
una decina di anni prima – riferendosi ad un documento non
pubblicato che teneva nella sua collezione privata.
Severus si appoggiò alla sedia e
iniziò a tamburellare con un dito sul compito della Granger,
sorridendo furbescamente come il gatto con il proverbiale topo. I
margini erano pieni dei suoi scarabocchi, il rosso dell'inchiostro
incorniciava la sua grafia ordinata come un bordo decorativo. Aveva
selvaggiamente demolito ogni sua asserzione, rimproverandola per
diverse decisioni strutturali e un singolo apostrofo dimenticato
aveva scatenato un intero paragrafo sulla inadeguatezza della sua
grammatica.
Negli ultimi cinque anni, il botta e
risposta del loro impegno accademico si era intensificato fino alle
presenti – epiche – proporzioni. Sapeva che tipo d'impegno lei
metteva nel suo lavoro, ammettendo, a modo suo, la profondità e la
quantità delle sue riposte critiche. Diversamente dai suoi compagni
di classe, Granger era la sola a prendere a cuore i suoi commenti,
cambiando leggermente il suo stile di scrittura e rincorrendo gli
oscuri riferimenti che lui faceva. Per un lungo periodo, la sua
precocità lo aveva soltanto irritato – un'irritazione che si era
accresciuta di anno in anno. In classe era praticamente impossibile:
la prontezza con cui rispondeva a ciascuna domanda assicurava che
nessun altro studente si prendesse la briga di pensare ad una
risposta; le domande che lei poneva richiedevano invariabilmente una
spiegazione così avanti nella curva di apprendimento che gli altri
studenti smettevano completamente di ascoltare. All'inizio, il tono
battagliero delle note ai margini dei suoi compiti era un tentativo
di disciplinarla, uno sforzo volto ad umiliarla nella consapevolezza
della sua ignoranza e quindi assicurarsi il silenzio in classe.
Quanto a questo, non aveva avuto un particolare successo. Granger
accettava ogni critica, raddoppiando gli sforzi e risollevandosi da
ogni sfida.
L'anno precedente lo aveva fatto
infuriare. Si era immaginato a coglierla in fallo o dilettarsi nella
consapevolezza che gli stava facendo perdere tempo. Ma quest'anno le
loro interazioni erano cambiate completamente. Non che il cambiamento
fosse rispecchiato da una notevole differenza nel tono dei suoi
commenti – erano aspri come sempre. Ma la visita nella sua mente lo
aveva costretto a riconsiderare le sue motivazioni e che, a sua
volta, era necessaria una rivalutazione delle proprie.
Perciò Severus ammise, anche se
solo a sé stesso, che correggere i compiti della Granger era una
della poche gioie della settimana. Così come le loro lezioni
private. Liberata dall'inerzia intellettuale dell'ambiente
scolastico, Granger saltava da un'idea all'altra ad una velocità
esaltante. Liberata dalla struttura contestuale di un programma, che
aveva imparato a memoria tempo prima, Granger era meno la so-tutto-io
e più la curiosa, intuitiva allieva che era destinata a diventare.
Nascondere i propri pensieri in un libro in biblioteca, rifletté,
è stata una mossa ingenua. Questa settimana la inizierò
alla Legilimanzia. Severus non
aveva nessun desiderio di lasciare entrare qualcuno dentro ai suoi
ricordi, ma visto che doveva – ad un certo livello – controllarne
l'accesso sia da parte di
Dumbledore che del
Signore Oscuro,
era relativamente tranquillo con una studentessa del sesto anno di
Hogwarts, non importa quanto avanti potesse essere. Forse,
quando avrà imparato, potrei farle fare esercizio con Jocelyn.
Il pensiero di entrambe le
studentesse nello stesso istante lo colse come una lama dentellata
tra lo sterno e l'ombelico. Cosa ha detto ieri Granger a Jocelyn?
Fino all'ultimo momento non
aveva capito che la sua presenza poteva rendere le cose più
difficili per Granger; in effetti, non si era reso conto di non poter
sopportare il resoconto degli eventi di Granger. Cosa avrebbe fatto
se
la sua visione differiva notevolmente dalla propria?
E se le loro interazioni non avessero
significato niente per lei?
Aveva tentato invano di giustificare
a sé stesso la forza della sua reazione agli eventi nell'Infermeria,
l'anno prima. Vero: era stato gratificante essere trattato con così
tanto rispetto. Vero: la disponibilità con cui Dumbledore aveva
pensato di sacrificare la vita della Granger l'aveva di colpo fatta
balzare fuori dalla scatola pulita ed etichettata con “Grifondoro
preferiti, bisogna far abbassar loro la cresta” in cui l'aveva
precedentemente inserita. Vero: il fatto che nel suo delirio lei lo
avesse identificato con una fenice – una fenice – toccava
infallibilmente i suoi desideri da vigliacco delle sue notti più
buie. Aveva sontuosamente mandato a puttane la sua vita; cosa avrebbe
dato per bruciare fino a
diventare cenere e ricominciare da capo? Eppure ancora, ancora,
Granger – Ancora
Granger occupa troppo della mia attenzione, s'interruppe
con un sospiro, mettendo il compito di Draco Malfoy di fronte a sé.
Attenzione che dovrei occupare diversamente.
Sabato
pomeriggio, una settimana dopo, Severus si trovava in una posizione
simile: a
correggere
compiti, anche se in questo caso era
uno studente del terzo anno di Difesa Contro le Arti Oscure a
guadagnarsi
il frutto della sua inventiva. “Assicurati di avere effettivamente
un punto a cui vuoi arrivare prima di dilungarti inutilmente,”
scrisse ai margini. Fermandosi un attimo per considerare la
mostruosità di fronte a sé, strofinò la punta piumata della sua
penna contro
le labbra increspate. “T,” decise alla fine, intingendo bene la
penna nell'inchiostro rosso. Quando il fuoco del camino s'illuminò
di verde, si fermò, e una singola goccia d'inchiostro cadde sulla
superficie del foglio.
“Snape!”
La voce era quella di Hagrid. Era riuscito a far entrare solo la
sommità
della sua testa nel camino; rendeva la linea di comunicazione
attutita, ma il panico nella sua voce arrivava tuttavia chiaramente.
“Vieni,
presto!"
aggiunse, prima di sparire all'improvviso.
Severus
lasciò andare un sibilò di irritazione. Come
se non fosse sufficiente essere chiamato da un idiota che sbaglia la
grammatica, quello stupido ha dimenticato
di dirmi dove devo andare. Fortunatamente,
in meno tempo di quello necessario a Snape per alzarsi, far sparire
la macchia d'inchiostro e muoversi verso il caminetto, il fuoco
divenne di nuovo verde e la testa di Minerva apparve.
“Ah, Minerva,” disse piano,
“quale piacevole sorpresa.”
“Severus, non è il momento per
commenti scherzosi – una studentessa è stata maledetta gravemente.
C'è bisogno di te in Infermeria, adesso.” Non aspettando una
risposta, sparì anche lei.
In poco tempo, Severus aveva
chiamato a sé la sua borsa di medicinali ed era entrato nel
caminetto, distendendo il suo lungo corpo nell'ufficio di Poppy con
una disinvoltura che contrastava la velocità con cui si era mosso.
Hagrid era lì ad aspettarlo e lo prese per le spalle.
“Cos'aspettavi?” chiese,
oltrepassando la porta verso l'Infermeria ad una tale velocità che
Severus dovette fare diversi passi veloci per impedirsi di cadere.
“Hagrid,” sibilò, “mollami!”
Hagrid si fermò per un momento e guardò il viso furioso di Severus
Snape con un'espressione leggermente confusa.
“Vero, professore,” offrì con
la voce di uno che non aveva proprio capito cos'aveva fatto di
sbagliato, battendo benevolo la spalla che aveva tenuto stretta.
Severus sospirò e si allontanò con uno strano movimento della
testa. Essere scortese con Hagrid era come picchiare un cane.
Libero dalla stretta del suo troppo
entusiasta collega, Severus filò dritto dentro l'Infermeria. I suoi
occhi controllarono i letti vuoti e, senza esitazione, andò dritto
verso la zona con le tende vicina all'uscita. Aprendo le tende si
fece strada anche all'interno dell'Incantesimo di Silenzio che Poppy
aveva usato e le urla di Katie Bell assalirono le sue orecchie. La
povera ragazza si contorceva nel letto mentre Poppy cercava di
calmarla senza nessun effetto.
“Grazie Merlino,” esclamò Poppy
quando lo vide, tirandosi indietro immediatamente per lasciarlo
avvicinare.
“Diagnosi?”
“Niente che possa riconoscere.
Apparentemente ha toccato qualcosa, una specie di oggetto maledetto.”
Severus tirò fuori la sua bacchetta
e la sollevò verso il corpo che si contorceva della sua studentessa.
Forme scure e fumose si formarono sopra il suo corpo, serpeggiando
fino ad assumere forme runiche prima di dissolversi.
“Lo ha toccato?” chiese per
conferma. “Con la mano?”
“Non lo so.”
La Bell era ancora vestita per il
tempo orribile, completa di cappello, mantello e guanti. Una sciarpa
che probabilmente completava il completo giaceva sul comodino; nel
suo stato attuale avrebbe creato un pericolo di strangolamento. Le
sue braccia si agitavano selvaggiamente e Severus dovette usare un
incantesimo per rimuovere i guanti. Nel momento in cui lo fece il
punto di contatto divenne evidente: la pelle di un dito si era
gonfiata in modo allarmante. Riuscendo a bloccare il polso, e
premendolo contro il materasso, riuscì a dare un'occhiata
ravvicinata, malgrado la mano si contraesse violentemente. Poppy si
avvicinò a lui e chinò la testa grigia vicino a quella scura di
lui.
“Severus -” iniziò con tono
preoccupato.
“Finché non vedo l'oggetto
maledetto,” la interruppe, “non c'è altro che possa fare.”
Durante i minuti successivi Poppy
misurò a grandi passi l'Infermeria, torcendosi le mani mentre
camminava. Fare niente chiaramente faceva star male la Medimaga.
Severus chiamò a sé una sedia e sedette a guardare il corpo di
Katie Bell che si contorceva in modo disturbante. Una delle sue gambe
magre stava sopra l'altra, le mani intrecciate e gli indici premuti
contro le labbra. La sua immobilità contrastava nettamente con i
continui movimenti bruschi della Bell. Per fortuna fu solo poco dopo
che Filch arrivò, con un fagotto fatto con una sciarpa Grifondoro
tenuto lontano dal suo corpo.
Severus fece un gesto ad indicare la
cassettiera mentre si alzava in piedi. Filch mise giù la sciarpa con
cautela, tirandosi indietro per quanto umanamente possibile.
Trasportare qualcosa di così pericoloso lo aveva reso nervoso.
“Molto bene, professore,” ansimò
Filch. Cercava di ingraziarsi Snape. “Me ne vado adesso.”
Severus lo fece andar via senza una
seconda occhiata, portando la sua completa attenzione sul fagotto che
Filch si era lasciato dietro. Con la bacchetta spostò la sciarpa su
una sedia vicina, rivelando un pesante pendaglio di opale sulla quale
operò una serie di gesti complicati. Ancora una volta, forme fumose
si formarono vicino alla punta della sua bacchetta, muovendosi e
curvandosi nell'aria dell'Infermeria, scandendo informazioni in una
scritta runica arcaica. Severus mormorò tra sé, unendo insieme le
rune e formulando conclusioni. Quando si voltò verso Poppy e Katie
Bell aveva uno sguardo lugubre.
“Severus?” Poppy era apprensiva.
Quando era arrivata la collana aveva smesso di camminare e rimase in
piedi composta, pronta a ricevere istruzioni.
“Non posso curarla, ma potrei
essere in grado di stabilizzarla abbastanza a lungo da portarla al
San Mungo. Non possiamo muoverla in questo stato. Poppy, presta
attenzione,” fece una lista con una serie di pozioni - “qualunque
cosa non ci sia devi farla fare a Slughorn. Io sarò occupato qui.”
Poppy lo guardò con un sorriso
tirato e girò sui tacchi. Si diresse verso le provviste di
medicinali con tutto il suo controllo ritrovato. Armata di un preciso
compito si calmò all'istante. Severus si voltò verso il letto e
fece un lungo respiro preparatorio. Sarebbe stata una lunga notte.
Le striature dell'alba coloravano il
cielo di rosa nel momento in cui Severus uscì dall'Infermeria. La
spossatezza aveva reso più profonde le linee del suo viso, la voce
era roca e la gola dolorante. Katie Bell, tuttavia, era stabilizzata.
Severus era riuscito, cantando, a far uscire completamente una parte
della maledizione fuori dal suo corpo, anche se molto rimaneva ancora
nella ragazza che era entrata in coma. Sarebbero serviti gli sforzi
combinati di Spezzaincantesimi professionisti e un team di Medimaghi
per fare di meglio.
Mentre camminava, il rumore dei
tacchi degli stivali di Severus risuonava in modo sinistro. Dalle
finestre arrivava abbastanza luce, così che le torce erano spente,
anche se non era abbastanza forte da variegare la scena dalle diverse
tonalità di grigio. Ad una grande finestra ad angolo, Severus si
fermò e rimase fermo per un momento, fissando il terreno
sottostante. Il lago era sotto di lui come una pozzanghera scura e
gli alberi della Foresta Proibita si stagliavano contro l'orizzonte.
Severus appoggiò la fronte contro il vetro freddo e pensò con
desiderio al suo letto. Alla fine oggi è domenica, rifletté.
Con un respiro profondo si voltò e continuò a camminare: Dumbledore
è sempre l'ultimo ostacolo prima del letto.
Quando
Severus raggiunse l'ufficio del preside, Dumbledore era solo. Severus
si era più che aspettato di trovarci Minerva, a condividere la
veglia e a tenergli compagnia con una rigida alternanza di tè e
Whisky Incendiario. Infatti, un rapido conto dei bicchieri sporchi,
suggerì che sia lei che Hooch erano andate via. Pensò pigramente
che le aveva mancate di poco e quanto tempo sarebbe dovuto rimanere
come risultato. Se le altre fossero state lì avrebbe potuto riferire
delle condizioni della Bell e sparire in una veloce ritirata.
“Mio caro ragazzo, buongiorno.”
Albus, sembrava, si era immerso in alcuni calcoli della Vector, ma li
mise via all'arrivo di Severus.
“Albus.” Severus si adagiò
nella sedia dall'altro lato della scrivania di Dumbledore, stirando
le gambe e godendosi la sensazione di sedersi dopo così tante ore in
piedi.
“Com'è la paziente?”
Severus scrollò le spalle. “A
questo punto, fuori dalla mia portata.”
“Ho sentito da Poppy che è la
seconda volta che salvi la vita di una studentessa questa settimana.”
Dumbledore si chinò leggermente in avanti, pronunciando la frase sia
come lode che come domanda.
Il sospetto si districò in mezzo al
groviglio di pensieri di
Severus. “Poppy esagera. Ho affrontato la faccenda come Capo Casa
di Serpeverde; non c'è molto altro da dire.”
Dumbledore sospirò, “Una
Serpeverde?” fece eco. Severus sapeva che era una domanda retorica
e non disse nulla. Dumbledore si sollevò la manica sul braccio
annerito con fare melodrammatico. “Cos'è successo, Severus?”
chiese alla fine, la sua preoccupazione da nonno che irradiava il suo
viso.
Con il gomito sul bracciolo della
sedia, Severus unì leggermente le punte delle dita. In risposta,
sollevò un sopracciglio e lasciò che sul suo viso apparisse
un'espressione di educata incomprensione.
“Severus, se uno dei tuoi studenti
è in pericolo, mi aspetto di venirne a conoscenza. A prescindere
dalla casa a cui appartiene.”
“Ti suggerisco di parlare con
Poppy Pomfrey, Albus. È molto più qualificata per darti le
informazioni che desideri.”
Severus notò lo spasmo nella bocca
di Dumbledore mentre il preside combatteva per tenere la sua
irritazione al di sotto della superficie di cordialità. “Adesso,
tuttavia, lo sto chiedendo a te. Tenere dei segreti con me non fa
parte della definizione del tuo lavoro.”
Siamo arrivati a questo? “Devo
pensare, Albus, che la mia lealtà verso di te sia
in dubbio?”
“No! Severus, certo che no. Mi
fido di te – ti affiderei la mia vita.” Era una battuta scadente
e non riscontrò effetto. “Al contrario, sono preoccupato che tu
non ti fidi di me.”
Severus si esaminò le unghie della
mano destra prima di replicare. “Come ho già detto in passato,
Albus: alcuni studenti per te contano più di altri.”
Dumbledore prese il suo bicchiere di
whisky con la mano annerita, che tremava leggermente. Come
interpretazione di un orgoglio ferito, il suo comportamento era
magistrale. Severus controllò l'urgenza di alzare gli occhi al
cielo. Chiudendoli leggermente sentì tutta la stanchezza assalirlo.
Meglio finirla in fretta.
“Il suo nome,” sospirò Severus,
notando lo sguardo attento negli occhi di Dumbledore, e preparandosi
alla successiva predica sul mettere a rischio la popolazione
studentesca, “è Jocelyn Smith. È al primo anno. Era Bloccata e
l'ho curata.”
La conseguenza delle sue parole fu
molto più drammatica e molto meno polemica di quello che si era
aspettato. L'espressione di Dumbledore si sbriciolò e la mano ferita
volò sulla bocca in una quasi comica espressione di sorpresa.
“Bloccata?” La sua voce era poco più udibile di un sospiro.
Severus
aggrottò la fronte preoccupato. “Albus?” chiese. Quando
Dumbledore non diede risposta, eccetto alzare vagamente una mano,
Severus ripeté
il suo nome, più bruscamente.
“Io... oh... l'hai curata?” La
voce di Dumbledore era incerta e incredula.
Furtivamente, Severus tirò fuori la
bacchetta dalla manica e la prese in mano, tenendo il polso sotto la
scrivania e lontano dalla linea visiva. “Sì,” replicò. “Delle
nuove ricerche da Harvard mostrano promettenti usi dell'abilità
Occlumantica.” La reazione di Dumbledore lo preoccupava.
“Che cosa interessante.”
Visibilmente Dumbledore si riscosse e Severus vide le difese
dell'anziano uomo risollevarsi velocemente – sedeva dritto,
aggiustandosi gli occhiali e tornando di nuovo al suo atteggiamento
da nonno. In modo inaspettato, cambiò discorso. “Nessuna fortuna
con il ragazzo Malfoy, allora?”
“No.” Severus strinse gli occhi
guardando il preside. Qualcosa non torna. “Malgrado
i miei sforzi, Draco continua ad evitarmi: non posso forzarlo a
confidarsi.”
“Oh, bene,” replicò Dumbledore,
i suoi modi un po' troppo disinvolti. “Speriamo tu abbia successo
prima che commetta un altro goffo tentativo.”
Severus inclinò la testa in modo
rispettoso, ma tenne gli occhi sull'uomo davanti a sé.
“Devi riposarti, Severus.
Parleremo ancora più tardi.” Senza alcun dubbio, la conversazione
era finita.
Malgrado l'ora tarda, Severus
declinò l'offerta di usare la Metropolvere. Lo strano comportamento
del preside gli aveva lasciato molto su cui pensare e si avviò
attraverso gli ora luminosi corridoi, ripensando alla sequenza di
eventi nella sua mente.
*
*
*
-----------------------------------------
Vi tocca ancora leggervi
le mie risposte ai commenti, intanto grangerous ha quasi finito di
scrivere la terza parte della trilogia.
chi_lamed: inizio con te che hai il doppio commento. Io non sono mai
stata una fan di Silente, poi, soprattutto con l'andare avanti, ho
iniziato a vederlo come quello che tira le fila e gestisce le vite come
vuole, facendo l'occhiolino e mandando la gente a morire per la causa.
Jocelyn è uno dei miei personaggi preferiti di questa storia,
avrà ancora molto da dire :). Ho riso anch'io alla frase detta
nei corridoi e mi sono immaginata la faccia di Severus ;).
Amy R: il Blocco è riferito al fatto che Jocelyn sta
letteralmente bloccando la sua magia e quindi non riesce a fare
incantesimi. Questa cosa viene nominata nel settimo libro ed è
potenzialmente pericolosa sia per la persona Bloccata, sia per chi gli
sta intorno.
Nyx_94: ti ringrazio anche a nome di grangerous, ogni tanto torna da queste parti e facci sapere cosa ne pensi :)
Anne London
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Capitolo 13 *** Canary Yellow ***
Capitolo 13
NdT: siamo praticamente a metà
storia (di già??) Vi ricordo che i dialogi sottolineati sono presi
dai libri originali. Un “Hip Hip Urrà” a silviabella che come
sempre betizza da Dea.
Anne London
Capitolo 13
Canary Yellow
“Non è stato un attacco molto
scaltro, davvero, se ti fermi a pensarci un attimo” osservò
Ron, incoraggiando un ragazzino del primo anno a lasciare la sua
comoda poltrona con un gentile colpetto dietro la testa. “La
maledizione non è neanche entrata nel castello. Non proprio quello
che chiameresti un piano infallibile.”
Non era neanche possibile che
entrasse nel castello – i Sensori Segreti di Filch lo avrebbero
rilevato, pensò Hermione. “Hai
ragione,” disse ad alta
voce a Ron, colpendolo insistentemente in un ginocchio finché, con
una smorfia, non si arrese e
lasciò la poltrona al suo
occupante originario. “Non
è stato ben congegnato affatto.”
Dato che Ron era di nuovo senza
sedia, si lasciò cadere nel bracciolo della poltrona di Hermione. La
vicinanza del suo corpo la lasciò con una curiosa sensazione di
piacevole formicolio. Sicuramente non è come mi sento vicino ad
Harry. Se avesse
mosso la gamba appena
appena – lì – sarebbe
andata a premere leggermente
contro la coscia di Ron. Il calore che ne derivava era straordinario.
Harry stava ancora facendo la sua
tirata contro Malfoy ed Hermione lanciò un'occhiata verso Ron. Lui
colse il suo sguardo e alzò gli occhi al cielo in modo amichevole.
Hermione gli sorrise. Il calore generato dal contatto con la gamba di
Ron si diffuse sul suo viso e lei guardò subito da un'altra parte –
colpevolmente, sperando che nessuno avesse notato che era arrossita.
La lezione di Legilimanzia del professor Snape l'aveva lasciata con
un senso di disagio verso il suo amico dai capelli rossi.
“Ti capita mai di renderti
conto di sapere cosa qualcuno sta pensando?” le aveva chiesto il
professor Snape.
Hermione aveva considerato
attentamente la domanda. “Beh, spesso devo spiegare ad Harry e Ron
cosa pensano le ragazze, ma do sempre per scontato che sia perché
sono, beh...”
“Imbecilli?”
aveva suggerito lui
in modo mellifluo, con un sopracciglio sollevato.
“Ragazzi.”
Hermione gli aveva
lanciato uno sguardo di
disapprovazione.
Alla
fine della lezione fu chiaro che le intuizioni di Hermione, sui
pensieri delle altre persone,
erano da attribuire meno all'intuito femminile e più ad un basso
livello di Legilimanzia. Perciò sapeva,
nel suo
modo
confuso,
di piacere a Ron. E conosceva sé stessa abbastanza bene da capire
che certamente lei non era contraria all'idea. Ma sapere cosa lui
sentiva, senza che glielo avesse detto, era un po' come barare. Come
se avesse spiato qualcosa di personale. Spinse la sua coscia un po'
più contro quella di lui e lo guardò dal basso verso l'alto. Lui
era piegato in avanti, cercando di convincere Harry a fare una
partita a scacchi. Le maniche erano
sollevate e le vene del suo avambraccio risaltavano contro la
muscolatura. Sentendo la pressione sulla gamba, lui la guardò e le
fece l'occhiolino. Hermione sorrise tra
sé
e
prese i suoi compiti di Antiche Rune. Hermione Granger non era una da
guardarsi intorno in attesa che uno stupido ragazzo facesse la sua
mossa. Era perfettamente capace di prendere in mano gli eventi e la
festa di Natale di Slughorn offriva l'opportunità perfetta.
Durante la prima lezione di
Occlumanzia, Hermione si era trovata nella difficile situazione di
dover entrare nella mente del professor Snape. L'esperienza l'aveva
sopraffatta con una combinazione di terrore, nervosismo e intensa
curiosità. Non aveva bisogno di preoccuparsi veramente, perché
Snape era nel pieno controllo tutto il tempo. Le consentì di non
vedere altro che una serie di ricordi ambientati nella classe di
Pozioni – la maggior parte consisteva nella stessa Hermione, a
varie età, che aiutava Neville in un vasto numero di pozioni
disastrose.
Nelle lezioni seguenti Jocelyn Smith
era presente e le due streghe praticarono le loro abilità di
Occlumanzia e Legilimanzia in tandem. La rabbia iniziale con cui
Hermione aveva risposto alla giovane ragazza era scemata, dopo la
scoperta delle condizioni mediche di Jocelyn e la sua storia
personale, e la prima conversazione che avevano avuto fu sufficiente
a fornire le basi di una relazione molto amichevole. Hermione aveva
scoperto un enorme e sorprendente piacevole sollievo nel parlare con
qualcuno a cui piaceva il professor Snape quasi quanto a lei.
All'inizio, Snape insistette che le
lezioni si svolgessero in un'unica direzione, con Hermione che
cercava di entrare nella mente di Jocelyn a più riprese. Molti dei
ricordi che incontrò nel processo erano fortemente deprimenti –
ascoltare litigi fra la madre di Jocelyn e una sequela di uomini
sboccati e spesso violenti, assistere a percosse, cene miserabili e
solitari intermezzi in un appartamento sporco – ma Hermione sapeva
come avventurarsi nei pensieri di qualcun altro e, mentre Jocelyn
migliorava nel mettere via alcuni ricordi, fu anche testimone della
gioia della giovane ragazza nel ritrovato talento magico, e degli
amici che si era fatta ad Hogwarts. Quando Snape finalmente ordinò
loro d'invertire i ruoli, Hermione realizzò, con un malcelato
rossore di piacere, che lui riteneva le sue abilità Occlumantiche
adeguate a mantenere ogni menzione dell'Ordine, e della guerra contro
Voldemort, lontano dalla sottile intelligenza della sua giovane
amica.
Quella sera stessa, mentre Jocelyn
ed Hermione lasciavano l'ufficio di Snape, la ragazzina spostò la
sua borsa da una spalla all'altra e le pose una domanda inaspettata.
“Sei brava in Trasfigurazione come
dicono tutti?”
Hermione esitò, sorpresa. Dopo un
lungo secondo spostò lo sguardo dalle dure pietre del muro del
corridoio verso i chiari occhi azzurri di Jocelyn. Hermione scrollò
le spalle. “Sono abbastanza brava,” convenne, “anche se non so
quanto la gente pensa che io sia brava.”
“Apparentemente sei la migliore
studentessa che la scuola abbia mai visto.”
“Questo è palesemente falso,”
rispose Hermione automaticamente. La conversazione la stava mettendo
a disagio. Non può essere vero, pensò
un po' ansiosa. I Malandrini sono riusciti tutti a
trasformarsi in Animagi alla mia età, persino Pettigrew. La
professoressa McGonagall ha detto che non si sognerà di farmi
provare prima del prossimo anno. Hermione
si girò come per andar via.
“Aspetta!” La piccola mano di
Jocelyn si chiuse intorno al suo gomito. La ragazzina fece un
profondo respiro. “Pensavo che magari potresti aiutarmi con il mio
ripasso di Trasfigurazione. A differenza della altre materie non mi
sembra di riuscire a starci dietro dopo le settimane in cui non
potevo fare magie all'inizio dell'anno.”
L'orgoglio ferito di Hermione guarì
all'istante. “Ma certo! Ha perfettamente senso, sai, perché a
differenza della altre materie del primo anno, le abilità di
Trasfigurazione sono cumulative. Dobbiamo iniziare dal principio!”
Jocelyn sembrò sollevata. “Grazie,
Hermione. Lo apprezzo molto.”
“È un piacere! Cosa ne dici dopo
le lezioni domani? Chiederò alla professoressa McGonagall se
possiamo usare la sua aula.”
“Perfetto, grazie!” Jocelyn
sorrise e diede al gomito di Hermione una leggera stretta prima di
girarsi nella direzione della sala comune di Serpeverde e correre
via.
Potrà la mia agenda diventare
ancora più piena? pensò
Hermione disorientata, sorridendo tra
sé mentre si voltava
dall'altra parte verso la scalinata, per fare un salto in biblioteca
sulla strada per la torre di Grifondoro.
Più tempo Hermione spendeva sui
calcoli Aritmantici della Vector, più si convinceva del suo ruolo
negli eventi in arrivo: il suo compito era mantenere Harry vivo.
Quest'anno l'impresa sembrava sostanzialmente semplice, ma l'anno
successivo, promettevano le equazioni, le cose sarebbero state molto
più complicate. Hermione sospirò e si passò una mano tra i
capelli, intrecciando le dita tra i nodi dei riccioli, che
minacciavano di prendere residenza permanente. La Vector la guardò
da sopra il suo lavoro con un'espressione di compassione. La
professoressa stava scrivendo furiosamente con una mano, continuando
a muovere avanti e indietro le perline di una collana con l'altra,
con un ritmo costante e leggermente irregolare che, a dir la verità,
stava irritando Hermione.
“Problemi nel paradiso
Aritmantico?” chiese.
“No,” sospirò Hermione. “Vorrei
solo che le equazioni fossero molto più specifiche su ciò che devo
fare.”
La Vector le rivolse un sorriso
ironico. “Potrebbe aiutare lasciare perdere le equazioni che
riguardano il tuo futuro per un po' e concentrarti su qualcos'altro.
Perché non ricalcoli alcune delle probabili distribuzioni degli
eventi precedenti? Anche il più piccolo miglioramento potrebbe
incidere sull'indeterminatezza che t'infastidisce nell'ultima
formula.”
Era un buon consiglio. Hermione
aveva cominciato ad ossessionarsi un po' con i dettagli del
sottoinsieme che descriveva le interazioni con Harry e Ron. I
quaternioni in particolare l'avevano tenuta occupata per diverse
settimane e aveva passato diverse ore guardando le rappresentazioni
grafiche girare su sé stesse nei quattro spazi dimensionali. Aveva
trovato qualcosa di profondamente rassicurante nelle tre
raffigurazioni di loro stessi, particolarmente negli ultimi giorni,
quando Ron era stato inspiegabilmente intrecciato con lei. Con un
altro sospiro – questa volta diretto al suo assente ed irritante
amico piuttosto che alle equazioni – fece sparire il grafico che
pendeva di fronte a lei e arrotolò la pergamena su cui stava
scrivendo. Frugando nella sua borsa ritrovò i suoi appunti dei primi
calcoli e li stese di fronte a sé. Mmm.
“Professoressa?”
- La Vector la guardò subito, il suo sguardo incoraggiante
puntualizzato dallo sbatacchiare della collana di perline - “Ha
aggiunto l'incidente di Katie Bell al gruppo di eventi attuali?”
Il corpo della Vector si bloccò
completamente, con la collana che diede un ultimo, ritardato,
colpetto. “No. Pensi che possa far parte dello schema? Ammetto che
mi è sembrato un evento abbastanza casuale.”
“Non
nuoce inserirlo, giusto? Lo vedremo subito se è significativo oppure
no.”
“Giusto. Ci sono molte incognite –
il perché, il chi, l'obiettivo... Fallo. Hai ragione. Potrebbe
rivelarsi cruciale.”
Hermione sentì il calore della
frenesia intellettuale e si mise al lavoro con nuova energia. Portò
il suo abaco davanti a sé e prese una nuova pergamena pulita.
“Mi chiedo,” mormorò la Vector,
prima di tornare ai suoi calcoli, “mi chiedo perché Albus non
abbia già suggerito la cosa.”
Hermione si precipitò al campo di
Quidditch sentendosi in subbuglio. Come aveva potuto Harry? Felix
Felicis! Avrebbe potuto conservare la pozione per aiutarlo contro
Voldemort, ma oh no! L'aveva sprecata per una partita di Quidditch.
DOVREBBE sapere che è illegale. Come se la MIA
STUPIDITÀ nel Confondere
McLaggen fosse una SCUSA! Il
pensiero di aver toccato lievemente l'illegalità lei stessa, fece
contorcere un po' di più il nodo di colpa nel suo stomaco. Che
tipo di esempio sono io? Hermione
voleva piangere, deglutendo
con forza
nel futile tentativo di allontanare dalla sua bocca il sapore
metallico della colpa e della rabbia impotente. E
Dumbledore – la
sua mente ripensò al commenti di Dumbledore sulla sua indiscrezione:
“Vuoi essere
espulsa?... Bene. Perché
non possiamo permetterci di espellerti. Statisticamente sarebbe un
disastro...”
- Dumbledore non avrebbe fatto nulla, anche sapendo.
Raggiungendo le panche, Hermione
trovò un posto a sedere e s'immerse nella posta del mattino. Non
aveva nessun desiderio di chiacchierare con Neville. Aprendo la nuova
lettera ricevuta da Viktor, la fissò senza vederla veramente. Come
aveva potuto Harry essere così idiota? Come posso essere io così
idiota? Neville le diede un
colpetto col gomito, quando i giocatori emersero dagli spogliatoi, e
piegò la lettera ancora da leggere distrattamente, riponendola in
tasca. Strinse la sciarpa e
se la mise con fervore mentre
un'inconsueta
espressione accigliata faceva tendere verso il basso le linee della
bocca. La pressione contro la base del collo alleggerì il suo stress
solo in modo marginale.
“Stai
bene, Hermione?”
chiese
Neville preoccupato.
“Bene,” ringhiò.
Lui sollevò le sopracciglia
dubbioso, ma riportò l'attenzione allo svolgimento del gioco.
Ron parò tutto. Volava
brillantemente, le lunghe braccia e le mani esperte che allontanavano
via la Pluffa al sicuro dai cerchi, ad ogni opportunità. Il corpo di
muoveva con la sua grazia slanciata e una forza esplosiva che, in
altre circostanze, avrebbe mosso Hermione a profondi apprezzamenti.
Oggi la faceva sentir male.
Hermione non notò neanche quando
Harry catturò il Boccino perché non riusciva ad allontanare gli
occhi da Ron. Solo quando gli spettatori intorno a lei si alzarono in
piedi festeggiando, e la sua linea visiva fu interrotta, guardò
allora da un'altra parte. Mentre Ginny si scontrava contro il podio
dei commentatori, Hermione arrivò ad una spiacevole conclusione.
Harry e Ron non sarebbero stati contenti con lei, ma dovevano
discutere. Barare è barare, anche – o specialmente – quando
Grifondoro cerca di battere Serpeverde. Cercò
di mettere da parte ogni considerazione su ciò che questo poteva
fare al già labile
rapporto fra lei e Ron.
“Ci vediamo dopo, Neville,”
mormorò mentre iniziava a passare in mezzo agli altri spettatori,
facendosi strada fra le persone in movimento, e scendendo negli
spogliatoi. Quando arrivò, erano rimasti solo Harry e Ron.
Raccogliendo il suo coraggio
Grifondoro, con un profondo respiro, mise le metaforiche carte in
tavola, “Voglio parlare con te, Harry. Non avresti dovuto farlo.
Hai sentito Slughorn, è illegale.”
“Cos'hai intenzione di fare?”
intervenne Ron aggressivamente. “Denunciarci?”
“Di cosa stai parlando?”
Harry sembrava prendere la cosa come un grosso scherzo. È davvero
così tranquillo a infrangere le regole?
“Lo sai perfettamente di cosa
sto parlando!” Hermione sentì la voce alzarsi di tono e
silenziosamente maledisse la sua mancanza di controllo. “A
colazione hai corretto il succo di Ron con una pozione
della fortuna! La Felix Felicis!”
“No, non l'ho fatto.”
Barare
era già
abbastanza
brutto,
ma anche mentirle? Hermione serrò le mani, con le unghie che le
premevano nei palmi. “Sì,
lo hai fatto, Harry, ed è per questo che tutto è andato bene,
c'erano giocatori Serpeverde che
sembravano assenti e Ron ha parato tutto!”
“Non l'ho messo!” Harry
prese la bottiglietta con la pozione dorata dalla tasca, il sigillo
ancora evidentemente intatto. “Volevo che Ron pensasse che
l'avessi fatto, così ho fatto finta quando sapevo che stavi
guardando.”
Si voltò verso Ron e gli diede
un'amichevole pacca sull'avambraccio. “Hai parato tutto perché
ti sentivi fortunato. Hai fatto tutto da solo.”
Hermione fissò Harry, gli occhi
sbarrati per lo shock. Bastardo, pensò,
facendo sbollire la rabbia solo un po'.
Ron sembrava sbalordito, la bocca
rimase spalancata per diversi secondi prima che potesse dire
qualcosa. “Non c'era davvero nulla nel mio succo di zucca? Ma il
tempo era buono... e Vaisey non ha potuto giocare... davvero non mi
hai dato nessuna pozione della fortuna?”
Harry sorrise e diede un colpetto
alla tasca dove aveva fatto scivolare la fiala con la pozione.
Hermione vide il momento esatto in cui la furia si sostituì alla
sorpresa sul viso di Ron. Si girò verso di lei e imitò la sua voce
con un crudele falsetto, “Hai aggiunto la Felix
Felicis al succo di Ron stamattina, è per questo che ha parato
tutto! Visto! Posso
parare i tiri senza aiuto, Hermione!”
Bastardo, pensò
di nuovo, accusando l'altro suo migliore amico insieme al primo. La
conversazione stava deragliando in un modo che lei non riusciva a
prevedere. “Non ho mai
detto che non potevi – Ron,”
- lui se ne stava già andando, ma lo chiamò guardando
con disperazione la sua
figura che se ne andava - “Anche
tu pensavi che te l'avesse data!”
Rimasta sola con Harry, Hermione si
passò bruscamente la mano sugli occhi.
“Ehm,” Harry esitava, la
precedente sicurezza svanita di fronte alla reazione di Ron.
“Vogliamo... vogliamo andare alla festa, allora?”
“Vacci tu!” Hermione
diede uno strattone alla cuffia di lana e se l'abbassò sulle
orecchie. “Sono stanca di
Ron al momento, non so cos'avrei dovuto fare.” Lanciò
ad Harry un sorriso veloce che sperò apparisse maturo e paziente,
anche se temeva sembrasse solo penoso, e si affrettò fuori dal
campo. Una passeggiata lungo il lago sembrava improvvisamente davvero
una buona idea.
Arrivata sotto al faggio si sedette
e si sforzò di leggere la lettera di Viktor con l'attenzione che
meritava. Come richiesto da lei, lui fornì ulteriori informazioni
sulle ricerche avanzate di Trasfigurazione e i dettagli forniti
ebbero su di lei un notevole affetto calmante. Lui le aveva rinnovato
l'invito per andare a trovarlo ancora una volta in Bulgaria. Arrossì
al pensiero: sapeva esattamente come sarebbero andate le cose se
avesse accettato l'offerta. Beh, disse
con rabbia a sé stessa, magari dovrei. Almeno qualcuno
apprezza il mio fascino. Piegando
la lettera con decisione decise che il suo equilibrio adesso era
sufficiente per far sì che il ritorno in sala comune fosse una cosa
gestibile. Tra l'altro, iniziava a far freddo.
La vista della sala comune,
tuttavia, avrebbe turbato Hermione persino nelle migliori
circostanze. Ron era avvolto da Lavender in una grottesca parodia di
entusiasmo adolescenziale. Hermione girò i tacchi, mettendo una mano
nel quadro della Signora Grassa, prima che si chiudesse dietro di
lei, e si ributtò in corridoio. Doveva andar via.
Il
primo paio di porte erano chiuse e al terzo tentativo
mormorò, “Alohomora,” prima
di scivolar dentro con un singhiozzo di sollievo. Camminando al
centro della classe vuota ripensò ai
diversi esercizi mentali di Snape dentro la sua testa. Sono
calma, ripeté. Sono
calma. Si sedette alla scrivania,
colpendo la superficie con una mano. Sono
calma. Prese la sua bacchetta e
pensò alla lettera di Viktor. Gli
esperimenti che sta facendo con le Trasfigurazioni animali erano
veramente interessanti.
Evocò un canarino dal nulla e lo
mandò in circolo sopra la sua testa. Sono
calma. Evocò un secondo canarino.
Viktor è molto intelligente, un
giocatore internazionale di Quidditch. Inoltre vive in Bulgaria,
aggiunse con una voce interna più
cinica, ma la represse spietatamente. Sono
calma. Evocò un terzo canarino e lo
mandò in circolo con i suoi compagni. Era difficile che i suoi
genitori la mandassero in Bulgaria una seconda volta, ma ehi, poteva
sempre invece invitare lui
a farle visita. Decise di fare qualcosa quella sera stessa. Sono
calma. Venne creato un quarto
canarino che
si unì al piccolo stormo che svolazzava
in circolo. Certamente non m'importa
della vita amorosa di uno come Ronald Weasley, un mediocre giocatore
di Quidditch che, fosse
intrappolato in un sacchetto di carta,
non riuscirebbe
neanche a
Trasfigurarlo per liberarsi.
Quindici
canarini fecero la loro apparizione nello stesso momento in cui Harry
scivolava
nella
porta ed entrava
nella stanza.
“Ok, ciao Harry, stavo giusto
facendo pratica.” Hermione si concentrò nel mantenere la voce,
e persino i canarini in circolo, tranquilli. Sono calma.
“Sì... sono – ehm – venuti
proprio bene...”
Bel tentativo, Harry. Adorabile e
coerente. Hermione era
leggermente ammansita dal
fatto che il suo amico fosse
andato a cercarla. Ma avrebbe dovuto affrontare la ragione per cui
erano entrambi lì.
“Ron sembra apprezzare la
festa,” dichiarò. Hermione desiderò avere il controllo vocale
del professor Snape. Mellifluo e sarcastico era l'ideale a cui
aspirava, non lo squittio stridulo che lo stress inevitabilmente
scatenava.
“Ehm... davvero?”
Harry era sempre stato un
terribile bugiardo. “Non
far finta di non averlo visto. Non si stava esattamente nascondendo,
era-?”
Hermione s'interruppe quando la porta si aprì di nuovo. Alla vista
di Ron il suo cuore fece un balzo, solo per schiantarsi
di nuovo quando lui tirò Lavender attraverso la porta, ridendo un
po' istericamente. Puttana. La
voce nella testa di Hermione era stranamente fredda.
“Oh!”
disse Ron, dando un'occhiata
agli occupanti della stanza e bloccandosi di colpo.
“Oops!” rise Lavender,
tornando indietro con una mano premuta sulla bocca.
Mentre il silenzio imbarazzato
proseguiva, Hermione continuò a pensare al suo mantra ripetutamente:
Sono calma, sono calma. Ron
non la guardò neanche.
“Ciao Harry! Mi chiedevo
dov'eri andato!”
Bastardo. Ciao, Ron? Immagino tu
non abbia sprecato neanche un pensiero chiedendoti dov'ero andata
io?! Muovendosi attentamente e
più deliberatamente possibile, Hermione scese dalla cattedra e
camminò verso la porta, l'aureola di canarini che la seguiva nei
movimenti. Sono calma.
Mentre superava Ron, gli lanciò un
sorriso smielato. “Non dovresti lasciare Lavender ad aspettarti
fuori,” commentò, mentalmente encomiando sé stessa per il
livello di tono di voce. “Si chiederà dove sei finito.”
Lo sguardo di sollievo che passò sul viso di Ron al suo commento fu
quasi comico e il sorriso di lei cambiò da falsamente dolce a
compiaciuto. All'ultimo momento si girò verso di lui, la bacchetta
in mano. “Oppugno!” urlò,
lanciando i canarini in un fascio dorato di furia piumata
Sbatté la porta dietro di sé, interrompendo di colpo le urla di
fastidio.
Nella relativa sicurezza del
corridoio, Hermione si mise a correre. Indubbiamente Lavender era
tornata alla torre di Grifondoro ed Hermione non aveva nessun
desiderio di incrociarla di nuovo nella sala comune o nel dormitorio.
Si diresse, invece, verso l'ufficio della professoressa Vector –
l'unico posto dove nessuno dei suoi amici l'avrebbe seguita e dove
gli era garantito l'ingresso, non importa l'ora. I corridoi erano
deserti, per il sollievo di Hermione, perché le lacrime ora
scorrevano libere. Sebbene gli oscurassero la visione, la strada era
così familiare che poteva camminare anche solo per istinto. Solo ad
un paio di svolte dalla sua destinazione, tuttavia, fece una curva e
si scontrò con qualcuno. Sarebbe caduta se delle mani forti non
l'avessero afferrata per i gomiti e dondolò sui suoi piedi per
qualche secondo, il viso premuto contro la spessa lana nera della
toga da insegnante. Il cuore le saltò in gola. Una toga da
insegnante che profumava in modo distintamente familiare – uno
strano miscuglio di erbe e fumo che seguiva Snape dal laboratorio di
pozioni alla classe di Difesa Contro le Arti Oscure. Le scappò un
piccolo singhiozzo e si tirò indietro, determinata a correre via
ancora una volta, ma le mani sui gomiti la trattennero. La sua
umiliazione, realizzò, era ora completa.
“Signorina Granger, quando ti ho
detto di andare a correre non intendevo di esercitarti nei corridoi.”
Hermione fece un tremolante respiro
senza guardare in alto. “Mi dispiace signore, non succederà di
nuovo.”
Snape la allontanò dal suo corpo
senza lasciare la presa. Sentì l'intensità dal suo sguardo e fissò
determinata uno dei bottoni della sua toga. Era lavorato in rilievo
con una serpentina “S”. Respirando attraverso il naso più
profondamente che poté, lottò per ritrovare un certo autocontrollo.
Per ulteriore sicurezza, sollevo le sue difese Occlumantiche, anche
se non aveva incontrato il suo sguardo.
Quando Snape lasciò andare il suo
braccio, ondeggiò leggermente sui suoi piedi, sbalordita dal forte
senso di perdita che la avvolse. Con sua sorpresa, lui tirò fuori un
fazzoletto dalla tasca e glielo passò. Lei lo prese grata,
asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso accuratamente. Poi lo
ripiegò e lo restituì, guardandolo in faccia per la prima volta.
Lui stava fissando il fazzoletto offerto con uno sguardo di singolare
disgusto. Lei guardò verso le pieghe inzuppate stretto tra le sue
dita e i lineamenti del viso gonfi di lacrime si contorsero in un
sorriso beffardo.
“Posso pulirlo per lei,” offrì
in fretta.
Snape allargò le narici, come se
l'idea l'offendesse “Tienilo,” replicò, infondendo lo sdegno
nella voce. “Dimmi,” continuò prima che lei potesse
ringraziarlo, “avevi una destinazione in mente o stavi correndo per
il semplice piacere di fare movimento?”
“Ero diretta verso l'ufficio della
professoressa Vector.”
“Per regola dovrei rimandarti al
tuo dormitorio.”
Hermione sbiancò visibilmente. “Per
favore, signore, no.” La sua voce era all'improvviso tinta da un
accenno delle lacrime precedenti.
Snape sollevò un sopracciglio. “In
alternativa puoi avere una punizione con me.”
“Quello,” rispose Hermione con
convinzione, “sarebbe infinitamente preferibile.”
Snape sollevò un secondo
sopracciglio, che si unì al primo, e all'improvviso cambiò tattica.
“Cos'avresti fatto se avessi scoperto che la professoressa Vector
non è nel suo ufficio?”
“Mi ha permesso di superare le sue
difese all'ingresso, signore. Posso andare quando voglio.”
Hermione non riusciva a respirare.
L'avrebbe rimandata alla torre di Grifondoro? L'avrebbe fatta andare
nell'ufficio della Vector? Lui rimase a considerare le opzioni per un
lungo momento con un dito che sfregava il suo labbro inferiore.
“Vieni, Miss Granger,” ordinò,
girandosi sui tacchi. Lei lo seguì veloce, sollevata oltre misura
dal fatto che si stava dirigendo avanti, invece che indietro verso la
sala comune. Fuori dalla porta della Vector si fermò. “Non farti
trovare nei corridoi dopo il coprifuoco, signorina Granger, o ci sarà
una punizione.”
Hermione bussò gentilmente alla
porta per essere certa che fosse vuota, quindi l'aprì con un tocco
della bacchetta. Si guardò dietro le spalle mentre entrava. “Grazie,
professore,” disse. Snape non replicò, incoraggiandola meramente a
varcare la soglia con uno sprezzante gesto delle dita.
Una volta che la porta fu chiusa,
Hermione illuminò la stanza con un gesto della bacchetta. Il
professor Snape è stato incredibilmente gentile, notò
appoggiando il fazzoletto sul tavolo
da lavoro e lisciandolo con la mano sinistra. Avrei quasi
apprezzato una punizione. Fece
un profondo respiro e si stirò, le braccia distese sopra la testa,
la schiena arcuata. Visto che era lì, avrebbe fatto meglio a
lavorare un po'.
Risolutamente, tirò fuori i calcoli che riguardavano lei, Ron ed
Harry da un lato, e prese
le nuove equazioni che avevano a che fare con l'incidente di Katie
Bell. Nel
momento in cui si diresse verso
il dormitorio, la sua
escursione sarebbe stata considerata più
come “in
piedi presto” piuttosto
che “fuori dopo il coprifuoco,” ma fu sollevata di non incontrare
nessuno tranne la Dama Grigia, che le passò di fianco
distrattamente. Scivolò nella
sua stanza prima che qualcun
altro fosse sveglio e chiuse le tende con molta attenzione intorno al
suo letto. Grazie a Dio era domenica mattina e poteva dormire
tranquillamente per tutto il giorno.
*
*
*
---------------------------------
chi_lamed:
Tranquilla, posso capire che avendo letto i libri in italiano i nomi
siano più familiari nella nostra lingua :). Ho scoperto che è uscita
una nuova edizione dei romanzi con una traduzione rivista: molti nomi
sono rimasti in inglese, altri (tipo Piton e Silente) sono rimasti
tradotti e altri ancora hanno subito una variazione (tipo Tassorosso
in Tassofrasso :-O!!)
Anne
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Capitolo 14 *** Defensive Mechanisms ***
Capitolo 14
NdT: spero che questi aggiornamenti
stiano allietando le vostre vacanze, magari ve li leggete in spiaggia
(beati voi...) Intanto mandiamo, tutti insieme, un corale GRAZIE a
silviabella per la beta.
Anne London
Capitolo 14
Defensive Mechanisms
Severus stava insegnando alla
Granger le basi delle barriere di difesa. Lei aveva afferrato i
principi teorici velocemente e aveva replicato perfettamente i
complessi movimenti della bacchetta. Infatti stava riproducendo delle
sofisticate barriere magiche, ma non era ancora soddisfatto, perché
la ragazza non le stava lanciando con tutta la forza del suo corpo, e
le difese erano quindi deboli. Malgrado fossero abbastanza complicate
da richiedere tempo e impegno per disgregarle, annullarle
forzatamente era relativamente semplice.
Granger era in piedi al centro
dell'ufficio, bacchetta in mano, lanciando ancora una volta le
difese. Severus girava lungo il perimetro della stanza, distruggendo
qualunque tentativo e criticando le sue prestazioni.
“Andiamo, Granger,” le ringhiò
dopo aver demolito un'altra delle sue prove. “Questi non sono
incantesimi.”
Granger soffiò via una ciocca di
capelli dalla fronte, irritata. “Qual è la differenza?” chiese
scontrosa.
Lui smise di camminare ed esaminò
la giovane donna di fronte a sé. I segni della sua migliorata forma
fisica erano evidenti. Avrebbe dovuto far meglio di così. “Sii
specifica, Granger.”
Lei incrociò le braccia sotto al
petto, a disagio per essere stata fissata tanto a lungo. “La
differenza, signore, tra le barriere di difesa e gli incantesimi.
Cosa dovrei fare di diverso?”
Severus si appoggiò con un fianco
contro la superficie della scrivania e incrociò le braccia. “Il
grado di qualità e di complessità di un incantesimo,” rispose con
tono da lezione, “deriva dal movimento del polso: l'agitare e il
colpire. Usare la bacchetta per Difesa contro le Arti Oscure, invece,
necessita della forza dell'intero corpo.” Granger sembrava ancora
un po' imbronciata, ma il labbro inferiore era in mezzo ai denti e
Severus poteva vedere gli ingranaggi del suo cervello in funzione.
“Siediti,” le disse, girando intorno alla scrivania per mettersi
al suo posto.
Granger si sedette con un leggero
sospiro. Severus represse l'urgenza di darle una scrollata. Era
triste e irritabile dalla sera in cui si era scontrata con lui
correndo nei corridoi, accecata dalle lacrime. I posti a sedere
modificati durante i pasti rendevano abbastanza evidente il fatto che
aveva litigato con Ronald Weasley; Harry Potter faceva da arbitro fra
i due e non sembrava affatto felice della cosa. Weasley, così
sembrava, stava affogando il suo dolore per il litigio in una pozza
della saliva di Lavender Brown – né il metodo più sofisticato né
la più raffinata scelta di compagna, avrebbe aggiunto. Perché le
importa cosa pensa o fa un ragazzo idiota?
pensò. Come può far sì che questo influisca sul suo
rendimento scolastico? Era
quello il punto egoistico delle sue preoccupazioni. Gli mancava la
brillante scintilla che portava nelle sue lezioni. Gli mancavano gli
ironici scambi di battute. Gli mancava il suo sorriso.
“Granger,” disse brusco.
Lei, che contemplava il suo
ginocchio sinistro, lo guardò sorpresa. “Signore?”
“Parlami di Viktor Krum.”
Lei si bloccò, gli occhi sbarrati e
lo sguardo prudente. “Cosa vuole sapere?” chiese con voce
attentamente neutra.
Interessante. “Tutto,”
Severus sollevò una mano con un gesto onnicomprensivo. “Come vi
siete conosciuti, che persona è, cosa sta facendo adesso.”
“Perché?” L'atteggiamento del
suo corpo urlava la sua riluttanza.
Severus sollevò un sopracciglio di
fronte alla sua impertinenza, ma le lacrime erano troppo fresche
nella sua mente per spingerla oltre i limiti quella sera. “Perché,
signorina Granger, ho bisogno di sapere.”
Lei trasalì leggermente al suo uso
dell'onorifico. Interessante. Le
sue labbra erano strette in una linea sottile e il mento era
leggermente alzato. Cosa c'è di Victor Krum che non vuole
dirmi? Severus sospirò. Avrebbe
fatto meglio a dirle perché voleva saperlo.
“Durante la prima guerra, il
Signore Oscuro ha ricevuto un significativo supporto dalle famiglie
Purosangue dell'est europeo,” spiegò. “Karkaroff è stato
particolarmente utile nel processo di reclutamento, grazie ai suoi
contatti a Durmstrang. Karkaroff, come sai, è diventato un traditore
dopo la caduta del Signore Oscuro ed è recentemente stato ucciso.”
Granger sussultò. I suoi occhi erano fissi sul suo viso e stava
ascoltando attentamente. “Con Karkaroff fuori dai giochi, il
Signore Oscuro spera di riprendere i contatti e Krum è stato
suggerito come una probabile scelta. Vista la mia presenza ad
Hogwarts durante il torneo Tremaghi, il compito è ricaduto su di me.
“Lei!?” esplose Granger con
indignazione. “Lei vuole che le dia delle informazioni su un mio
amico così che possa reclutarlo come Mangiamorte?”
“Ho detto questo?” La voce di
Severus era fredda, il viso impassibile. Le sue parole facevano male.
“Pensaci bene prima di aprire bocca.”
Granger esitò, mordendosi il labbro
inferiore. Vide l'incertezza sul suo viso mentre scorreva la
conversazione di nuovo nella mente. Lui sollevò un sopracciglio.
“Allora?”
“No, signore. Non ha detto niente
del genere.”
Severus la guardò freddamente per
diversi secondi prima di continuare. “Scoprendo il piano del
Signore Oscuro, Dumbledore mi ha chiesto di sondare Krum con molta
attenzione. Può essere infatti possibile reclutarlo per l'Ordine.”
Mentre parlava, Granger diventò scarlatta, mortificata dalla sua
precedente uscita.
“Chiedo scusa, signore,” si
avventurò una volta che lui si fu fermato per respirare. “Sono
stata fuori luogo.”
Severus continuò come se lei non
avesse parlato, anche se si nutrì del suo evidente rimorso. “Le
tue informazioni sono cruciali. Il Signore Oscuro ha sentito i
dettagli della permanenza di Krum ad Hogwarts da me e da Draco
Malfoy. Il coinvolgimento” - Severus pronunciò la parola come se
fosse volgare - “di Krum con te ha fatto sollevare una bandiera di
allerta, anche se al momento il Signore Oscuro è portato a pensare
che fosse un modo per tenere sotto controllo Harry Potter.”
Hermione incrociò le braccia
strette al petto e le gambe, infastidita. La rabbia che aveva
trattenuto per giorni si palesò momentaneamente sulla superficie.
“Sembra,” commentò acidamente, “che il Signore Oscuro e Ronald
Weasley abbiano qualcosa in comune.”
Severus sogghignò. “Prendo atto
che hai una diversa opinione.”
Granger fece un profondo respiro e
solo per poco evitò un altro scatto rabbioso. Stringendo le labbra,
espirò dal naso prima di replicare. “Sì.”
Sollevò un sopracciglio
interrogativo.
“Cosa vuole sapere?” Non era il
suo normale tono entusiasta, ma per fortuna era passata da contraria
a rassegnata.
“Inizia dal principio.”
Granger prese qualche momento per
riordinare le idee. “Ci siamo conosciuti in biblioteca. All'inizio
trovavo la sua costante presenza fastidiosa, o almeno lo erano le
ragazze che gli stavano sempre intorno.” Sbuffò in
disapprovazione. “Era una cosa ridicola! Se non fosse stato una
star internazionale di Quidditch non sarebbe loro importato per
niente! Non è particolarmente bello, sa. Ha un grosso naso e capelli
sporchi ed è sempre corrucciato.” Entrambe le sopracciglia di
Severus scattarono verso l'altro, ma Granger non se ne accorse. Si
era immersa nel racconto, ignara della rassomiglianza fisica tra
l'uomo che stava descrivendo e l'uomo a cui lo stava descrivendo.
“Comunque, alla fine abbiamo parlato – principalmente di
Trasfigurazione. Sta facendo delle interessanti ricerche a dire il
vero.” Il suo viso s'illuminò e Severus fu sorpreso
dall'improvvisa fitta di gelosia che le sue parole avevano scatenato.
Non per Hermione Granger, si
affrettò a rassicurare sé stesso. No, non per una
studentessa, ma in generale per l'idea di interazioni romantiche in
una biblioteca. La relazione che
stava descrivendo sembrava... perfetta. “Sta lavorando alla
trasformazione in Animagus che possa comprendere diversi animali
piuttosto che una sola specie.”
Severus si sforzò di riportare
l'attenzione all'argomento attuale. “Ha avuto fortuna?”
“Oh, sì. Voglio dire, deve aver
visto la trasformazione in squalo che ha eseguito per salvarmi dai
Maridi.”
“Incompleta, ricordo.” Per
qualche ragione, lo sguardo brillante che accompagnò la menzione di
Granger sul salvataggio lo irritava.
“Beh, sì. Ma è quello il punto.
La forma da Animagus di Viktor è un'aquila – prevedibile in
realtà, dato il suo talento da cercatore: volo, buona vista, abilità
di individuare e prendere piccole prede. Per trasformarsi in uno
squalo – anche se parzialmente – serve grande abilità!”
Granger parlava ora animatamente, ma
la cosa non dava nessun conforto a Severus. Cambiò argomento
all'improvviso, dalle ricerche di Krum alla situazione in biblioteca.
“Quindi, parlavate di Trasfigurazione; cos'altro?”
“Fu solo quando m'invitò al ballo
che capii che gli piacevo in quel senso. Ero
lusingata, ovviamente, e siamo stati bene.” La sua voce ebbe
un leggero picco di trionfo. “Ha certamente sorpreso parecchia
gente. Comunque, poi mi ha salvata dal lago, come ho detto prima. E
poi mi ha invitata a fargli visita in Bulgaria.” Alla parola
“visita” il suo corpo si era irrigidito visibilmente. Il tono
colloquiale con cui aveva raccontato parte della sua storia era
evaporato completamente e la cautela che Severus aveva notato
all'inizio della discussione tornò con forza. “È tutto. Siamo
ancora amici e ci scriviamo lettere amichevoli di frequente.”
C'è qualcosa a proposito della
visita che non mi sta dicendo. “Sei
andata in Bulgaria per vederlo?”
Granger strinse le labbra. Rispose
alla domanda, ma lontana dal fornire dettagli. “Sì.”
Un pensiero potente s'insinuò nel
cervello di Severus. “Sei andata a letto con lui?”
Lei divenne rossa. “Non sono
affari che la riguardano,” scattò.
“Davvero, signorina Granger,”
sogghignò, “Non ho interessi pruriginosi nelle imprese sessuali
dei miei studenti.” Vide dal fiero sguardo di lei che non era
abbastanza e ricorse ad una subdola tattica alla Dumbledore: “È la
mia vita ad essere in gioco nell'incontro con Krum; chiedo
semplicemente informazioni.”
“Va bene.” Granger abbassò una
gamba e ci appoggiò sopra l'altra, contorcendo le spalle con
fastidio. “Sono andata a letto con lui, soddisfatto?”
Severus si sentì leggermente senza
respiro, ma non riusciva a dare un nome alla sua confessione.
Certamente non era soddisfatto.
Granger lo stava fissando, la sua
espressione così simile a quella di Minerva McGonagall che l'idea di
lei che andava a letto con qualcuno la trovava leggermente
terrificante. “Non l'ho mai detto a nessuno. Non ad anima viva. La
avverto, professor Snape,” alzò un dito in ammonimento, “che se
mai dovessi sentire qualcosa
da chiunque, saprò che è stato lei. La troverò e, professore o no,
gliela farò pagare. Non ho assolutamente nessun desiderio che le mie
imprese sessuali ” - sputò quasi la parola -
“diventino un argomento del gossip di Hogwarts! Sono stata
abbastanza chiara?”
Severus ammise a sé stesso di
sentirsi un po' scosso dalla forza della sua rabbia. L'energia magica
stava pulsando attraverso il suo corpo e lui fu sorpreso che non
avesse rotto nessuno dei contenitori di vetro allineati sulle mensole
del suo ufficio. Anni di allenamento gli fecero mantenere il viso
impassibile. “Ti assicuro, signorina Granger,” disse
sogghignando, “ho cose migliori da fare che indugiare in
pettegolezzi scurrili.”
“Meglio per lei,” mormorò
guardando da un'altra parte.
Mantenendo un fermo controllo sul
suo respiro, Severus tornò al suo interrogatorio. “Siete ancora
una coppia?”
“No. Non proprio. Siamo amici.”
Lui sollevo un sopracciglio
all'imprecisione di quella definizione. “Chi è stato a
interrompere la relazione?”
“Sono stata io.” Granger
continuava a non guardarlo e rispondeva alle sue domande fissando un
punto che si trovava diversi centimetri alla sua destra.
Le sue future interazione con Viktor
Krum non giustificavano veramente la profondità della sua curiosità,
ma Severus insistette lo stesso. “Sei andata a letto con lui, lo
hai lasciato ed eppure rimanete amici. Un considerevole risultato,
signorina Granger.”
Granger sospirò e sollevò gli
occhi al cielo. “Senta,” disse, tornando a guardarlo
direttamente. “Siamo andati a letto insieme dopo esserci lasciati;
è stata una mia idea, quindi non vada a pensare che sono stata
ingannata dalla storia della sua routine da star internazionale di
Quidditch. Una volta arrivata in Bulgaria è diventato chiaro che le
cose non stavano realmente funzionando, non nella lunga durata. La
purezza del sangue è ridicolmente importante in Bulgaria e Viktor è
una figura pubblica. Siamo stati inseguiti da reporter ovunque
andassimo. In più, l'intera cosa della lunga distanza non aiutava.
Abbiamo deciso, beh, io ho
deciso che era meglio che rimanessimo amici. Viktor è stato molto
gentile e comprensivo su tutta la questione. Una volta eliminata la
pressione, allora,” lei scrollò le spalle, “il sesso è
diventato improvvisamente una prospettiva molto più invitante. Mi è
piaciuto,” aggiunse sulla difensiva. “È stato divertente. Non lo
rimpiango per nulla.”
Andando contro il buon senso,
Severus pose un'altra domanda: “E cosa hanno pensato i tuoi
genitori?”
Hermione sbatté le palpebre.
“Quello, Severus Snape, non sono cose che la riguardano! Ma per sua
informazione,” lei si chinò in avanti e diede dei colpetti sul
ripiano della scrivania con un dito indignato, “i miei genitori
erano d'accordo. Prima di partire, mia madre mi ha dato un pacco di
preservativi e mi ha detto di fare attenzione.” Si
appoggiò allo schienale della sedia e incrociò di nuovo le braccia.
“Per l'amor del cielo, avevo quasi sedici anni.”
Severus fece un colossale tentativo
per riportare la conversazione nella giusta direzione. “Parlami
ancora della Bulgaria. Sembra possibile che il Signore Oscuro possa
mandarmi lì per Natale.”
“Per incontrarsi con Viktor?”
Granger chiaramente accolse bene il cambio di argomento.
“Sì.”
“Non mi disturberei. Verrà in
Inghilterra.” La sorpresa doveva essere evidente sul suo viso
perché lei si spiegò meglio. “Coglie l'occasione per incontrare
diversi manager di Quidditch. E,” lei esitò per un solo secondo,
“passerà qualche giorno a casa dei miei genitori.”
Qualunque risposta potesse avere
Severus fu anticipata da un bussare alla porta. Lui lanciò
un'occhiata ammonitrice a Granger mentre diceva al visitatore di
entrare. La porta si spalancò per rivelare la Hooch, che incrociò
le braccia e appoggiò una spalla con disinvoltura allo stipite della
porta.
“Severus,” disse come segno di
saluto.
“Cosa vuoi, Hooch?” rispose
seccamente.
“Vedere se hai voglia di una
bevuta,” replicò lei, per nulla scossa dalla sua scortesia.
“Come avrai senza dubbio notato,”
fece un sorrisetto compiaciuto, “Sono troppo occupato a controllare
la signorina Granger” - i suoi occhi si spostarono sprezzanti verso
di lei - “per la sua punizione.”
Con la schiena alle spalle del
visitatore, Granger alzò gli occhi al cielo. Hooch, tuttavia,
rifiutò il non troppo sottile invito ad andarsene.
“Sai, Severus,” disse
strascicata, “ho sentito che le tue punizioni erano brutte, ma non
avevo idea che tu costringessi gli studenti a chiacchierare con te.”
Touché. Severus
sentì un angolo della bocca contrarsi verso l'alto e guardò verso
gli occhi sorridenti della Hooch. “Hooch,” ringhiò, riconoscendo
la sconfitta. “Vattene!”
Lei rise. “Ci vediamo più tardi
allora? Viene anche Minerva. Il che vuol dire, ti avverto, sarà
meglio che tu sia pronto a discutere la partita Grifondoro-Serpeverde
con toni affettuosi!” Lei salutò con una mano e chiuse la porta
dietro di lei, divertendosi visibilmente al suo disagio. Quando la
pesante porta di quercia si chiuse con un tonfo, il suono della sua
risata fu interrotto all'improvviso.
Lui guardò Granger. Si era immersa
nella interazione fra lui e Hooch come una spugna e lo stava
guardando curiosamente. Ad essere sincero, le sue regolari inclusioni
fra le serate poker lesbiche mensili fra Hooch e Poppy lo
confondevano tanto quanto l'idea sembrava sorprendere Granger, ma non
aveva intenzione di dirglielo. Lascia che pensi quello che vuole.
Severus aggrottò la fronte e tornò
al più importate argomento su Viktor Krum. “Krum sta venendo per
stare da te? A Londra?”
Lei annuì. “Sì,” confermò.
Può risultare vantaggioso.
“Forse potresti organizzare un
incontro. Un caffè, un pomeriggio, da qualche parte nella Londra
Babbana?”
Lei annuì ancora. “Gli scriverò
per scoprire esattamente quali siano i suoi programmi.”
“Molto bene.” Per un lungo
momento valutò la donna di fronte a sé, gli occhi che si
socchiudevano un poco. “La prossima settimana c'incontreremo nella
Stanza delle Necessità. Se arrivi prima di me, aspetta fuori.
Indossa qualcosa di ampio e comodo. Vestiti sportivi.” Quello
attirò l'attenzione di lei e lui poté vedere la domanda formarlesi
nella mente. “Puoi andare,” disse lui, interrompendo ogni
commento da parte sua.
“Buona serata, signore,” replicò
lei. Raccogliendo le sue cose si diresse alla porta. Mentre la
chiudeva dietro di sé, lui colse il suo sguardo indagatore.
Severus si diresse verso
l'appartamento di Poppy e Hooch, poco dopo che Granger se ne fu
andata. Dopo aver bussato, Poppy aprì la porta.
“Severus,” esclamò lei con un
sorriso, “entra!”
Minerva e Hooch erano sedute intorno
al tavolo da caffè, con il Whisky Incendiario in mano.
“Severus!” Minerva stava
vigorosamente ridendo di gioia. Reggeva bene l'alcol, ma ne aveva
chiaramente consumato più che abbastanza per vantarsi della recente
partita di Quidditch con l'atteggiamento adeguato. “Ho due parole
per te: Ronald Weasley!”
Severus sollevò gli occhi al cielo
mentre si dirigeva verso il camino, chiamando a sé una sedia prima
di replicare. “Stupidaggini, Minerva,” grugnì, sistemando le sue
lunghe membra nella sedia, “Weasley è sembrato bravo solo perché
Vasey era assente. Se la tua squadra ha bisogno che i nostri migliori
giocatori non ci siano, per avere una speranza di vittoria, non c'è
molto da vantarsi al riguardo.”
“Veramente, Severus!” Protestò
Minerva. “Se Serpeverde avesse vinto saresti seduto qui a vantarti,
persino se la ragione fosse che Grifondoro avesse schierato in campo
delle matricole su delle scope, piuttosto che i nostri sette
regolari!”
Poppy mise un bicchiere di Whisky
Incendiario nelle sue mani e gli fece un sorriso amichevole.
“Ad essere sincero, Minerva, non
sono certo che avrei notato la differenza nelle loro abilità a
Quidditch.” Severus puntualizzò il sarcasmo con un elegante alzata
di sopracciglio e fece rilassare le spalle contro la spalliera.
Mentre parlava, Poppy si portò
dietro alla sedia di Hooch, passando una mano tra i soffici capelli
appuntiti alla base del collo dell'altra donna, prima di sedersi lei
stessa dall'altro capo del divano.
“Poker?” chiese la Hooch, sovrastando con la sua voce la sputacchiante replica di Minerva e
chiamando delle carte dalla mensola del camino, così che volassero
nell'aria verso di lei. Le prese senza sforzo con la mano sinistra e
iniziò a mescolarle, muovendo le carte nel vuoto in modo
impossibilmente complesso; ogni esperto giocatore di carte Babbano
avrebbe avuto un colpo vedendola.
Mentre Poppy richiamava anche le
fishes per il poker, Minerva riacquistò un po' del suo controllo,
commentando compiaciuta che Severus doveva già darle dieci Galeoni
per la loro scommessa sulla partita di Quidditch fra le loro Case.
Con un ghigno e un languido cenno della mano, lui mandò
l'equivalente in fishes da poker svolazzanti sul tavolo, per
aggiungersi alla pila di lei.
“Hai bisogno di molto più dei
miei Galeoni se speri di vincere questa sera,” osservò lui.
La McGonagall avrebbe puntato tutto
e lei e Severus mantenevano un conto aperto che nessuno dei due
intendeva riscuotere in denaro vero. In vari momenti della loro
lunga, competitiva amicizia, ognuno aveva avuto un debito astronomico
verso l'altro.
“Questo lo vedremo, giovanotto!”
replicò lei, prendendo le carte che Hooch le aveva dato e aprendole
a ventaglio con mano esperta.
A quel punto, Poppy abbassò la luce
nel soggiorno, con l'eccezione di una luminosa sfera leggermente
verde che stava sopra al tavolo, e il gioco iniziò seriamente. I
quattro amici erano combinati in modo uniforme, anche se forse
Severus poteva reclamare il vantaggio della “faccia da poker” e
battibeccarono e spettegolarono amichevolmente durante il gioco.
Severus sentiva un po' della tensione abbandonare il suo corpo,
cacciata via dal calore dell'alcol e della compagnia.
Al momento in cui arrivò Albus,
Severus aveva vinto una certa percentuale dei dieci Galeoni che aveva
ceduto a Minerva. Il preside sorrise allegro mentre usciva dalla
Metropolvere.
“Accidenti,” disse, “che
bell'esempio di unità fra case!”
Severus alzò gli occhi al cielo
alla ripetizione di una delle battute preferite di Albus, mentre
scartava due carte dalla mano e ne chiamava altre due dal mazzo con
un gesto delle dita. “Se per 'unità', Albus,” disse in modo
strascicato, “intendi uniti nel desiderio di battere gli altri, ti
basta guardare la Sala Grande.”
Hooch sorrise al commento. “O nel
campo da Quidditch.”
Minerva spostò la sedia di lato
così che Albus potesse inserirsi nel sempre più affollato spazio
intorno al tavolo basso.
“Sempre così allegro, Severus,”
lo derise Albus mentre prendeva una sedia.
“Se non ti piace questo
particolare modello di genialità Serpeverde, puoi sempre invitare
Slughorn al mio posto,” replicò Severus senza calore. Era stato
particolarmente sollevato che nessuno dei suoi amici avesse
apprezzato molto il ritorno del professore di Pozioni. Anche se le
tre donne erano perfettamente gentili di fronte a Slughorn, non lo
avevano invitato neanche una volta ai loro regolari incontri serali.
Dal momento che, con l'eccezione di Hooch, che al tempo giocava come
professionista a Quidditch, gli altri erano stati colleghi di
Slughorn mentre Severus stesso era suo studente, l'omissione non era
una cosa da dare per scontata.
“Parlando di Horace,” rimarcò
Dumbledore, appoggiandosi leggermente contro lo schienale della sua
sedia e rivolgendosi direttamente a Severus, “devo insistere perché
tu vada alla sua festa di Natale. Non guardarmi così, giovanotto!
Malgrado tu non dia molto credito a questo particolare genere
d'interazione fra case, potrebbe avere conseguenze positive. Molti
dei Serpeverde seguono la tua guida implicitamente e non vorrei
mancare di rispetto alla loro possibilità di fare conoscenza solo
perché tu lo fai. In pubblico, almeno, mi aspetto che tu ti comporti
verso Horace con garbo e decoro.”
Irrazionalmente, il buon senso della
proposta di Dumbledore irritava Severus ancor più dell'opinione in
sé. Lo frustrava che Dumbledore, che aveva fatto poco per includere
la casa Serpeverde all'interno del più vasto corpo scolastico,
potesse criticarlo ad un così basso livello. Fortunatamente, Minerva
iniziò a parlare, liberandolo dalla necessità di rispondere.
“Temo che io non ci sarò, Albus,”
commentò lei in modo mellifluo, “tocca a me controllare i corridoi
quella notte e, visto che Horace ha invitato diverse persone esterne,
la sicurezza dovrà essere più alta del solito.”
“Io ci sarò,” intervenne Hooch.
“Gwenog sarà presente e non la vedo da una vita. Mi chiedo se stia
ancora con Patty Parkin.”
“No!” esclamò eccitata Minerva.
“Non quella brunetta incredibilmente alta?”
E la ruota del gossip era partita e
in piena funzione. Severus sedette contro la spalliera e appoggiò il
whisky contro il petto, sentendosi al sicuro nella consapevolezza che
Albus aveva perso la sua opportunità di chiedergli qualcosa per
almeno i prossimi quarantacinque minuti.
*
*
*
---------------------------------
chi_lamed: in effetti Snape si è
rivelato molto comprensivo e tendenzialmente gentile. Per quanto
riguarda l'epilogo diciamo che per fortuna devono ancora succedere
tante tante cose, spero che rimarrete incollati tutti così come
state facendo (perchè i commenti sono pochi, ma la gente che segue
cresce ad ogni capitolo!) Grazie per essere così costante nel
lasciarci scritto cosa pensi della storia :)
Anne
|
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Capitolo 15 *** Christmas Cheer ***
Capitolo 15
NdT: cosa potrei mai inventarmi per
ringraziare in modo originale silviabella per il suo betaggio? Si
accettano suggerimenti :)
Intanto buone vacanze a chi è riuscito
a farle!
Anne London
Capitolo 15
Christmas Cheer
Una volta divenuto evidente che lei
e Ron non si sarebbero riconciliati prima della festa di Natale di
Slughorn, Hermione rivolse le sue impressionanti capacità
intellettuali al problema di chi avrebbe potuto portare per far
irritare Ron. Notando con rammarico che gl'incontri di Quidditch di
Viktor rendevano impossibile la sua presenza, concluse che il
fortunato doveva essere trovato tra i talenti locali di Hogwarts. Per
quasi un giorno intero aveva seriamente considerato Zacharias Smith,
fino ad una cena con lo Slug Club quando l'ispirazione la colpì:
Cormac McLaggen. Una punta ripetuta di rimpianto l'aveva spinta a
parlare brevemente con lui a molti incontri. Invariabilmente, lui la
guardava in modo lascivo o faceva qualche commento che la faceva
arrabbiare nei primi minuti. Quindi gli rispondeva bruscamente e se
ne andava infuriata. McLaggen, dal canto suo, sembrava interpretare i
suoi insulti come una forma poco evoluta di tentativo di seduzione e
non li trovava affatto sgradevoli.
Alla cena dello Slug Club in
questione, gli eventi andarono più o meno come al solito: “Sai,
Granger, se ti preoccupassi dei tuoi capelli e del trucco, saresti
splendida,” commentò, lasciando scorrere lo sguardo per tutta la
lunghezza del suo corpo.
Hermione si guardò apertamente
intorno. “Sfortunatamente, non riesco a vedere nessuno qui per cui
ne valga la pena.”
McLaggen rise. “Vuoi venire con me
alla festa di Natale del vecchio Sluggy, allora? Ti mostrerò che ne
valgo la pena.”
Hermione sbatté le palpebre
sorpresa. Stava per interromperlo con uno tra i commenti più cattivi
che riuscì a trovare quando lo scherno di Ron nella serra gli tornò
alla mente: “Perchè non cerchi di uscire con McLaggen,
Slughorn allora vi farà Re e Regina Lumaca*”
Hermione lasciò che il suo sguardo
vagasse sul corpo di McLaggen, considerando importante soffermarsi
per un momento a esaminare il sedere. Perché no?
Sembra un cavolo di edificio di mattoni, ma da una prospettiva
puramente oggettiva, non è brutto – cioè, se ti piacciono gli
uomini massicci e muscolosi, cosa che a me non piace. Ma
avrebbe definitivamente fatto girare le palle a Ron, nessun dubbio.
“Va bene,” acconsentì. Litigare
con McLaggen è quasi preferibile ai mortali convenevoli con Smith.
“Ci vediamo alle otto
all'entrata della sala. Non fare tardi.” Rivolgendogli un sorriso
tirato, lo lasciò a sogghignare per la sua buona fortuna e a dare
pacche sulle spalle ai suoi amici, con gioia.
Una volta che Jocelyn ebbe
ricominciato dalle regole basilari, le ci vollero solo un paio di
incontri per prendere la mano con Trasfigurazione ed Hermione trovò
piacevole insegnare. Jocelyn era intelligente, veloce e divertente da
avere intorno; in più apprezzava visibilmente passare il tempo con
Hermione.
“Sono sorpresa che tu non sia
stata messa a Corvonero!” la prese in giro Hermione alla fine del
loro secondo e ultimo incontro di ripasso.
Jocelyn riuscì a gestire un ghigno
degno di un Serpeverde per un paio di secondi, prima di rovinare
tutto sorridendo ampiamente.
“Ad essere onesta, il Cappello
Parlante ci ha pensato, anche se sono certa di aver fatto la scelta
giusta: adesso sarei morta o confinata da qualche parte se non fossi
stata a Serpeverde.”
Beh, questo mette certamente la
scelta del Cappello Parlante nella giusta prospettiva. “Ha
pensato a Corvonero anche per me,” commentò Hermione, il ricordo
delle sue prime settimane solitarie ad Hogwarts le passarono davanti.
Era convinta che il Cappello Parlante la ritenesse troppo stupida per
andare a Corvonero, lasciandola più determinata che mai ad eccellere
in ogni lezione. Quello, di conseguenza, aveva reso ancora più
difficile farsi degli amici.
“Lo immaginavo, Hermione,”
replicò Jocelyn. “Credo che il Cappello faccia un buon lavoro nel
mettere la gente dove ha bisogno che stia.”
“Pensi che il Cappello Parlante
sapesse che Harry aveva bisogno di me fin da allora?”
Jocelyn alzò gli occhi al cielo. “O
che tu avessi bisogno di lui. Non hai mai pensato a come sarebbe
stata la tua vita se fossi stata scelta per andare a Corvonero?”
Hermione non l'aveva fatto. Non
seriamente. Non da quando lei, Ron ed Harry erano diventati così
tanto amici.
“Ti saresti fatta degli amici,”
continuò Jocelyn, “ma non avresti avuto delle avventure. Saresti
sempre stata la prima del tuo anno, ovviamente, ma nessuno si sarebbe
sorpreso della cosa. Saresti stata una Corvonero nella norma.”
Hermione fissò la sua amica. Era il
tipo di commento che poteva fare Snape, ma lui l'avrebbe detto con
una voce così carica di sarcasmo che avrebbe potuto essere ricevuto
solo come un insulto. Jocelyn fece la sua stima con una voce normale,
piatta; Hermione non era proprio sicura di come prenderla.
Inaspettatamente, Jocelyn ridacchiò.
“Scommetto che avresti potuto essere la migliore amica di Marietta
Edgecombe!”
La colpa fece attorcigliare lo
stomaco di Hermione. “Tutto quello che può fare per sbarazzarsi di
quella maledizione è provare rimorso per la sua azione!” disse di
scatto, la sua coscienza infelice arpionata al tono della voce.
Jocelyn alzò un sopracciglio.
“Sicuramente quello può dipendere prima di tutto dalle sue
motivazioni per aver tradito il gruppo?” chiese.
“Mi rimangio quello che ho detto
prima,” replicò Hermione nel tono più piatto possibile, “tu sei
una perfetta Serpeverde.” Se c'è mai stata una casa che ha
imparato ad osservare e quindi stuzzicare i
punti sensibili di chiunque, brontolò
tra sé e sé,
quella è Serpeverde. La
domanda di Jocelyn aveva soltanto intensificato il suo senso di
colpa, ma, come Hermione sapeva bene, senza la pergamena originale,
non c'era niente che potesse fare in proposito – e chissà dov'era
finita una volta che la Squadra d'Inquisizione aveva finito con lei?
Jocelyn si limitò a sorridere
compiaciuta, chiaramente deliziata di essere ritenuta una perfetta
Serpeverde.
Mentre si dirigeva verso la Stanza
delle Necessità più tardi quella sera stessa, Hermione rifletté
sul suo progetto Aritmantico. Aveva aggiunto i calcoli che
descrivevano l'incidente di Katie ed erano definitivamente collegati
all'intera struttura. Mancava qualcosa, comunque, qualcosa di cui non
aveva i dati, qualcosa che avrebbe illuminato la logica dietro
l'attacco e dimostrato la precisa connessione tra quello e la più
vasta probabilità della matrice. Sembrava così casuale. Non aveva
senso e ad Hermione Granger non piaceva quando le cose non avevano
senso.
Mentre arrivava alla Stanza le
risultò ovvio che Snape fosse già arrivato: una porta dall'aria
anonima era visibile nel muro. Era molto simile alle comuni porte
interne della casa dei suoi genitori e sembrava inadatta nei muri di
pietra dei corridoi di Hogwarts. La maniglia si girò facilmente ed
entrò all'interno, trattenendo il respiro per la sorpresa quando la
piccola porta si aprì in una stanza molto più grande. Sembrava una
palestra. Il pavimento era coperto con un tappetino colorato e alle
pareti erano appese sbarre per arrampicarsi e funi. Alla vista di
Snape, i suoi occhi si spalancarono ancora di più. Era in ginocchio
di fronte alla porta, la toga da insegnante sparita. Era vestito con
un paio di vecchi pantaloni da ginnastica e una maglietta grigia
sbiadita. Vedendolo, il suo cuore prese a battere velocemente.
“Sbrigati,” la accolse
seccamente. “Togliti la toga e le scarpe; per adesso non hai
bisogno della bacchetta. Spero ti sia ricordata d'indossare qualcosa
di appropriato.”
Hermione si era sentita strana
all'inizio della serata, quando aveva indossato i suoi vestiti
sportivi sotto l'uniforme, ma adesso era sollevata. “Sì, signore,”
disse obbediente, girandosi per cercare un posto dove appendere le
sue cose. Dietro la porta da cui era entrata c'era una fila di ganci.
Lì era appesa la toga del professor Snape e si sbrigò ad aggiungere
la sua all'appendiabiti. Si tolse le scarpe e le pose in ordine
dietro a quelle di pelle di drago di lui. Mentre si voltava si sentì
stranamente esposta.
Nei brevi momenti che le erano
occorsi per togliersi l'uniforme, lui si era alzato e aveva
attraversato il tappetino avvicinandosi a lei. I piedi erano scalzi e
attiravano il suo sguardo, malgrado tentasse di non fissarli. Erano
lunghi e a punta, con una spruzzata di peli neri sulle nocche dei
piedi. Lentamente, seguì la linea del corpo più in alto. Sotto le
spaziose pieghe della toga e dei vestiti formali, il suo fisico era
più slanciato e robusto di quel che lei s'immaginava. Le curve dei
bicipiti bilanciavano i gomiti che altrimenti sarebbero risaltati su
delle braccia troppo sottili e le vene dell'avambraccio richiamavano
l'attenzione sui muscoli sottostanti. L'inchiostro del Marchio Nero
spiccava con scioccante contrasto sulla pelle pallida. Doveva sapere
che lo stava fissando perché aveva girato l'interno del braccio
verso di lei, in modo che potesse guardare quanto voleva. Il cuore di
Hermione batteva così forte che il rumore nelle orecchie la lasciò
leggermente stordita. Lentamente si sforzò di guardarlo negli occhi,
preparandosi all'ostilità che si aspettava avrebbe scatenato.
Quando i loro occhi s'incontrarono,
lui non disse nulla. La sua bocca era una linea stretta, stranamente
scavata ai bordi. Un sopracciglio era sollevato, ma il viso nel
complesso sembrava stranamente cupo. Con un improvviso afflusso di
comprensione, Hermione capì che non aspettava di urlarle contro, ma
piuttosto di assistere al suo disgusto – si attendeva di vederla
ritrarsi con orrore alla vista del Marchio Nero. Combattendo
un'improvvisa urgenza di piangere, Hermione di sforzò di comporre il
viso in un'espressione simile al suo sorriso di benvenuto.
“Buonasera, professore,” disse. “Sono pronta ad iniziare.”
Un'espressione indecifrabile passò
sul viso di lui prima che si voltasse. Fece un gesto verso i
tappetini. “Fammi vedere una capriola,” le disse.
“Ehm, ci provo.” Hermione fece
una smorfia. Si accucciò su un lato del tappetino e posizionò le
mani sul pavimento. Goffamente spinse con i piedi, ricordandosi di
tirar dentro la testa mentre si girava. Riuscì quasi a cadere in
piedi, ma dondolò di nuovo all'indietro ancora prima di riuscire a
riconquistare l'equilibrio, torcendosi di lato in modo da scattare in
posizione eretta.
“Non così.” Snape scosse la
testa lentamente, deridendola. “Così.” Dalla posizione eretta si
tuffò in avanti. Le braccia assorbirono il peso del corpo e le gambe
si piegarono senza sforzo contro il petto. Con un movimento
incredibilmente fluido, rotolò e si sollevò di nuovo in piedi.
Vedendola con la bocca spalancata per lo shock, ghignò.
“Non lo so fare.” Hermione
scosse la testa con un piatto diniego.
“Non lo sai fare, ancora.” Il
ghigno era ancora più pronunciato e lei sospettò che si stesse
divertendo davanti al suo disagio.
“No, non posso.” Hermione sentì
la sua voce diventare leggermente più alta per la disperazione e
cercò di controllarla. “Non ero una di quelle ragazze che facevano
ballo e ginnastica. Sono negata per questo genere di cose.”
“Signorina Granger,” - ormai
sapeva di essere nei guai quando lui aggiungeva di nuovo l'onorifico
davanti al nome - “sei una strega. Puoi farlo.” Sollevo la mano
con un imperioso gesto d'invito.
“Cosa c'entra essere una strega
con questo?” mormorò, quasi troppo piano per essere udita, anche
se si spostò avanti obbediente.
Snape la prese per le spalle e la
posizionò di fronte a sé.
“Gambe larghe,” ordinò,
scorrendo un piede tra i suoi e colpendo gentilmente con la pianta la
sua caviglia finché non ebbe posizionato i piedi dove voleva. “Ora,
piega leggermente le ginocchia.” Spinse con le dita dello stesso
piede dietro alle ginocchia, controllando che si piegassero al tocco.
Ovunque la toccasse, lei sentiva un
fremito. Chi sei tu? pensava
tra sé. E cosa ne hai fatto del professor Snape? Senza
la sua toga sembrava un estraneo e cercò invano di ricordare una
volta in cui lui l'avesse toccata volontariamente– quella volta in
cui si erano scontrati nei corridoi non contava.
“Le mani,” le girò intorno e
usò il suo piede per indicare un punto un metro davanti a lei,
“cadranno qui. Abbassa la tua testa verso l'interno,” enfatizzò
le parole spingendo la testa in avanti contro il petto con una mano
“accosta le ginocchia e rilassati. Lo slancio per il tuffo farà sì
che tu possa rotolare. Adesso prova.”
Hermione si concentrò intensamente
sul punto del pavimento che lui aveva indicato e si focalizzò sulla
leggera piega delle ginocchia. Ondeggiò avanti e indietro sugli
avampiedi. “Non posso,” sbottò e guardò verso di lui con
espressione supplichevole.
Lui roteò gli occhi. Da dove si
trovava, perpendicolare alla sua posizione e diagonalmente di fronte
a lei allungò le braccia e posizionò la mano più vicina sulla sua
vita, l'altra mano alla base del collo. “Fallo, Granger,”
ringhiò.
Facendo un profondo respiro,
Hermione si lanciò in avanti, ma si spaventò all'ultimo momento
prima di piegarsi e rotolare. Finì a quattro zampe, messa
maldestramente in una strana parodia di cane a testa in giù. Le mani
di lui erano ancora su di lei, la afferrò per la maglietta e,
sollevandola, la rimise dritta. “Prova ancora.”
La seconda volta, riuscì a farla.
Sentì le mani di lui spingere la testa al momento giusto e
assicurarsi che la schiena si curvasse correttamente. Era così
stupita di trovarsi in piedi ancora una volta che quasi cadde. “Oh!”
esclamò, girandosi verso di lui per registrare la sua reazione.
Lui sollevò un sopracciglio.
“Ancora, Granger.”
Snape fu un implacabile supervisore.
Alla fine della lezione, Hermione riusciva a fare la capriola senza
che lui l'accompagnasse e persino rotolando di lato, posandosi su un
avambraccio e piegandosi su una gamba per alzarsi.
“Ora,” disse Snape, quando lei
pensava che avessero finito. “Prendi la bacchetta.”
Hermione corse dove aveva lasciato
la toga e cercò nella tasca, quindi corse indietro per mettersi
davanti al suo professore.
“Chiudi gli occhi,” le disse.
“Ricorda attentamente la sensazione del tuo corpo nel pieno del
controllo. Pensa al momento alla fine della capriola, quando i tuoi
piedi sono sotto di te, senza sapere di preciso come ci sono finiti.
Concentrati sulla sensazione si spingere in alto le ginocchia che
sono già piegate in preparazione.” Fece un attimo di pausa. “Ora
lancia l'incantesimo scudo.”
“Cave inimicum!” urlò
Hermione e l'energia fuoriuscì dalla sua bacchetta. Mai, prima,
aveva lanciato un incantesimo con una tale potenza. Le barriere erano
visibili nell'aria mentre si formavano, luccicando come una calda
foschia tra di lei e il soffitto. “Wow,” sussurrò, vedendo
cos'aveva fatto.
“Questa,” replicò compiaciuto,
le braccia incrociate sul petto, “è la differenza tra lanciare un
incantesimo e l'usare le difese.
Con l'arrivo della fine del
semestre, il carico di lavoro di Hermione passò da semplicemente
pieno a frenetico. Per il suo progetto di ricerca di Aritmanzia,
aveva passato diverse ore in biblioteca ricopiando esempi storici di
precedenti battaglie, controinsurrezioni e guerriglie. In aggiunta al
resto del suo programma di lavoro scolastico, stava incontrando Snape
due volte a settimana – lui non l'aveva avvertita di essere troppo
occupato per vederla e certamente non aveva intenzione di
ricordarglielo. Hermione e Ron ancora non si parlavano, cosa che
rendeva il tempo che passava con Harry teso e imbarazzante malgrado
i tentativi di lui), e le lezioni con Snape erano diventate
inequivocabilmente il culmine della settimana.
Una volta a settimana stavano nella
Stanza delle Necessità, dove gli esercizi fisici a cui lui la
sottoponeva diventavano progressivamente più difficili. Le insegnò
a cadere, quindi a saltare, e la costrinse a ripetere faticosi scatti
di addestramento che lui affermava essere utili per migliorare la
spasmodica risposta muscolare. Durante una lezione, la fece
strisciare stile soldato avanti ed indietro per tutta la stanza.
Durante l'ultima lezione prima delle vacanze di Natale, lui mise su
un percorso ad ostacoli, facendola iniziare da una parte e mettendo
la sua bacchetta all'altro lato, quindi sfidandola a ritrovare la
bacchetta mentre lui stava da una parte della stanza a lanciarle
Schiantesimi.
Anche le lezioni che tenevano nel
suo ufficio erano diventate più orientate verso la magia di difesa.
Lavorarono su un gran numero di barriere – costruendole e
smantellandole. Lavorarono anche a diverse tecniche per migliorare i
riflessi. Qualche volta, significava che Snape poteva lanciarle
maledizioni a caso mentre parlava, costringendola a far apparire
incantesimi scudo oppure a deviarli; altre volte, lui diceva la
parola “bacchetta” in momenti inaspettati e lei doveva tirar
fuori la bacchetta più in fretta possibile. Si esercitavano ancora
occasionalmente sulla Legilimanzia e Occlumanzia, anche se raramente
e solo se anche Jocelyn era presente.
Hermione sentiva che, con la sua
reazione al Marchio Nero di Snape, aveva passato qualche forma di
test. Le ringhiava e sbraitava ancora contro e sogghignava e faceva
commenti sarcastici, ma mai con la brutale punta di malignità di cui
lo sapeva capace. Fuori dalle lezioni, Snape era sempre lo stesso e
persino durante le sessioni nel suo ufficio il suo comportamento era
vicino a quello solito, ma nella Stanza delle Necessità era
positivamente rilassato.
Hermione era arrivata a capire che
Snape provava grande piacere dall'uso e allenamento del proprio
corpo. Infatti, Hermione era sufficientemente conscia del fatto che
anche lei provava una certa quantità di piacere. Aveva avuto
abbastanza cotte per degli insegnanti da riconoscere i segni –
diamine, aveva avuto persino una cotta per la professoressa
McGonagall per un periodo, senza contare la farsa che era stato il
professor Lockhart. Primo, Snape era brillante. Stava imparando più
durante le sue lezioni che in tutte le altre classi messe insieme. E
secondo, aveva un bell'aspetto. Viktor Krum era la prova che Hermione
non aveva problemi con nasi grandi o espressioni corrucciate e Snape
si muoveva in un modo che si agganciava alla superficie della sua
consapevolezza e attirava la sua attenzione. Se le piatte linee del
suo corpo in mostra nella Stanza delle Necessità l'avevano
all'inizio reso innegabilmente apparente, lei lo apprezzava anche
per il modo in cui camminava nei corridoi e la classe, il modo in cui
la toga si stendeva e gonfiava in risposta ai movimenti del suo corpo
nascosto. È un peccato che non possa portare Snape alla festa di
Slughorn, rifletté, quello
avrebbe veramente fatto incazzare Ron. Il
solo pensiero la fece ridacchiare parecchio, guadagnandosi uno
sguardo di rimprovero da Madama Pince mentre cercava, senza
risultato, di smorzare le risate tra le pagine dei compiti di
Aritmanzia.
Hermione ricevette la conferma ai
piani di viaggio di Viktor l'ultimo giorno di lezione. Sarebbe
arrivato il 28, un sabato, e sarebbe rimasto con lei fino all'anno
nuovo. Malgrado sarebbe stato in Inghilterra fino al 12 di gennaio,
viaggiando per incontrare diversi manager di Quidditch, sarebbe
rimasto a casa sua solo per quattro notti. Viktor aveva accettato di
prendere un caffè con “una persona importante che vorrei davvero
che tu incontrassi” nel pomeriggio del suo arrivo – Hermione non
gli aveva detto chi fosse di preciso – lasciando a lei il compito
di confermare le ultime disposizioni con Snape. Era grata che la
lettera fosse arrivata prima che lasciasse Hogwarts.
Hermione non ebbe occasione di
parlare con Snape durante il giorno, ma con la festa di Slughorn
fissata per quella sera non era troppo preoccupata. Certamente non
intendeva passare troppo tempo appesa al braccio di Cormac McLaggen.
Come concordato, s'incontrò con
McLaggen nell'ingresso alle otto. Lui non valeva il tempo che
richiedeva l'usare la Pozione per capelli, così aveva semplicemente
bloccato le ciocche in modo allentato in cima alla testa. Indossava
un semplicissimo e disadorno vestito con uno scollo all'americana di
un intenso blu scuro. Era lungo abbastanza perché nessuno
realizzasse che si trattava di un acquisto Babbano, piuttosto che
un'autentica lunga veste, e il taglio del modello nascondeva la
cicatrice, eccetto per una parte. Quel paio di centimetri che
rimanevano visibili lungo la clavicola non la preoccupavano troppo.
McLaggen aveva fatto un notevole sforzo: indossava una lunga veste di
un rosso scuro, all'apparenza molto costosa, e le aveva portato un
piccolo bouquet. Aveva insistito per portare la sua mano nella piega
del braccio per la breve camminata dall'ingresso fino all'ufficio di
Slughorn e la tenne lì con una stretta risoluta che suggeriva che
scappare via da lui non sarebbe stato così facile come aveva
anticipato.
“Ti avevo detto che saresti stata
stupenda ed avevo ragione,” osservò McLaggen con l'aria di uno che
offriva un complimento esagerato.
Mamma mia, sarà una lunga
serata. “C'è una prima volta
per tutto,” rispose con un sorriso tirato. McLaggen passò allora
all'argomento Quidditch, chiaramente ritenendosi a posto con le
carinerie. Hermione sospirò dentro di sé. Era noioso, ma alla fine
aveva fatto una grande pratica nel perdere l'attenzione con le
conversazioni sul Quidditch.
Vennero accolti alla porta dal loro
ospite, il professor Slughorn, che aveva abbinato la giacca dello
smoking viola con un cappello munito di nappe. Stava chiaramente
puntando per un aspetto rilassato, ma riuscì a sembrare soltanto un
poggiapiedi troppo pieno. “Cormac! Hermione! Che bella coppia che
siete!” Pizzicò la guancia di Hermione con un imperdonabile gesto
di cordialità da zio. “Non dimenticate, è stato qui allo Slug
Club che per la prima volta avete imparato a conoscervi! È sempre un
piacere spianare la strada di un giovane amore.”
Parlare con lui è persino peggio
che parlare con McLaggen, pensò
Hermione mentre onorava Slughorn con una smorfia che sperava potesse
passare per un sorriso. “Andiamo, Cormac,” mormorò, tirandolo
dentro la stanza e disperatamente scrutando la folla per qualunque
segno di Ginny o Harry.
“Lo so a cosa stai giocando,
civetta!” McLaggen l'afferrò all'improvviso per la vita,
schiacciandola contro il petto.
“Cosa-?” Hermione si sforzò per
ritrovare il respiro e districarsi dall'abbraccio di McLaggen senza
fare una scenata. Non era soltanto enorme, ma anche massiccio.
Colpirlo al petto non aveva effetto.
“Vischio,” lui le fece un
sorrisetto, abbassando la bocca su quella di lei.
Il bacio fu terribile. Ad essere
sincera, aveva soltanto Viktor come riferimento, ma il paragone non
faceva onore a McLaggen. Le labbra erano calde in modo disturbante,
disgustosamente bagnate e un po' troppo molli. L'esperienza fu molto
sgradevole e andò avanti troppo a lungo. Per aggiungere insulto ad
ingiuria, McLaggen passò una mano sopra il collo e nei capelli,
spostando diverse forcine e distruggendo ogni speranza che potesse
tenere il caos delle ciocche sotto controllo.
Ci vollero diversi minuti prima che
la lasciasse andare. Tirandosi indietro con un sorrisetto
compiaciuto, si asciugò il lato della bocca con il polpastrello del
pollice. “Beh,” iniziò, sembrando
esageratamente fiero di sé.
“Ehm, devo incipriarmi il naso,”
ansimò Hermione, battendo in una veloce ritirata.
Dall'altro lato della stanza,
s'imbatté in Harry e s'immerse in una conversazione con lui e Luna
con un sospiro di sollievo. Non ci volle molto, tuttavia, prima che
Mclaggen andasse a cercarla e si affrettò via di nuovo.
Nascondendosi dietro la piega di un arazzo nel muro, Hermione fece il
punto della situazione. Individuò Snape, alla fine, solo per notare
l'irritazione con cui stava parlando con Harry – fra tutti quanti!
Doveva aspettare e parlare con lui dopo. McLaggen era vicino al
tavolo delle bibite a chiacchierare con un mago che non aveva mai
visto prima, probabilmente uno degli ospiti speciali di Slughorn.
Ginny, d'altro canto, non si vedeva da nessuna parte.
Cercando Snape, Hermione lo vide
scortare Malfoy fuori. Dannazione. Se
andava tutto bene sarebbe tornato presto – non era preparata ad
andare in giro tutta la sera e rischiare un altro incontro con
McLaggen e il vischio.
“Da cosa ti stai nascondendo?”
Ginny si materializzò fuori dalla folla.
Hermione lanciò alla rossa un gran
sorriso cospiratorio. “Evito il mio accompagnatore.”
“Non ti biasimo! Lo eviterei
anch'io. Visto che Ron non è qui a godersi lo spettacolo puoi
semplicemente sederti e lasciare che l'idea vada a fondo.”
Hermione sorrise. “Esattamente.”
“Avevo una mezza idea di evitare
anch'io il mio accompagnatore,” sospirò Ginny, appoggiando le
spalle contro il muro di fianco ad Hermione. “Non sollevare le
sopracciglia a quel modo, signorina! Sai bene che stiamo seguendo la
stessa strategia. Anche se credo che Dean sia una scelta più
semplice da affrontare rispetto a McLaggen. Ugh.” Rabbrividì in
modo drammatico ed Hermione rise. “Non t'invidio.”
“No,” concordò Hermione. “Ma
è solo per una sera.”
“Già, evita soltanto il vischio
in futuro, va bene?”
“Grazie, Ginny.” Hermione diede
all'altra ragazza un'amichevole colpetto con la spalla e Ginny si
staccò dal muro.
“Vado a cercare Dean.” La guardò
con sguardo ironico. “Non fare niente che io non farei.”
La testa rossa di Ginny sparì nella
stanza affollata mentre Hermione controllava se in vista c'era la
figura del professor Snape. Era tornato, notò, e stava parlando con
Slughorn non lontano dalla porta. Infatti, strinse gli occhi
riflettendo, sembrava stesse salutando. Se riusciva a muoversi lungo
i margini della stanza sarebbe stata in grado di uscire allo stesso
momento. Controllando velocemente che McLaggen fosse ancora al sicuro
dall'altro lato dell'ufficio, Hermione iniziò a muoversi. Si sbrigò,
si strizzò, si scusò, pestò senz'altro il piede di qualcuno e fu
semplicemente troppo tardi. Snape uscì mentre lei era ancora dei
buoni metri lontana dalla porta. Eppure aveva bisogno di parlare con
lui. Hermione aggirò un paio di Corvonero e fece un sorriso assente
ad un Grifondoro del quarto anno. Finalmente! Uscì
nel corridoio, l'aria fredda l'accolse con sollievo dopo l'atmosfera
soffocante dell'ufficio affollato.
Il professor Snape non si vedeva da
nessuna parte, ma indovinando che si stesse dirigendo verso i
sotterranei, girò a destra e corse agilmente giù per una scala
nascosta. Alla base della scala lo vide in lontananza, molto avanti.
“Professor Snape,” chiamò, ma
lui non sembrò notarla. Raccogliendo la gonna con una mano, e
ringraziando di non aver indossando delle scarpe ridicole, Hermione
corse dietro di lui. “Professor Snape,” lo chiamò ancora, una
volta che ebbe guadagnato un po' di terreno. Sicuramente deve
avermi sentita? Quando lo ebbe
quasi raggiunto lo chiamo ancora una volta, “Professore!” Lui
allora roteò verso di lei,
per la voce o per il rumore dei passi, non ne era sicura. Dovette
bloccarsi di colpo per evitare di piombargli addosso.
“Signorina Granger,” ringhiò.
Dal suo sguardo sembrava furioso.
Hermione fece un passo indietro.
“Professor Snape,” ansimò.
Lui coprì la breve distanza tra
loro con due falcate per incombere sopra di lei. Quando parlò ancora
la sua voce era pesantemente minacciosa, ogni parola nettamente
separata e distinta. “Che cosa vuoi?”
Ma Hermione non stava guardando lui.
I suoi occhi scivolarono dal suo viso e stava fissando, con gli occhi
sbarrati, qualcosa sopra la sua testa. Per diversi secondi nessuno
dei due si mosse, finché – quasi riluttante – Snape girò la
testa leggermente e guardò con la coda dell'occhio cos'aveva
attratto la sua attenzione.
“Vischio,” sussurrò lei con
voce soffocata.
Gli occhi di lui si voltarono verso
di lei, ma diversamente rimase immobile. Hermione non respirava, non
riusciva a pensare. Allora si mosse: con una lentezza infinita si
protese verso l'alto e in avanti. Una mano si appoggiò al petto di
lui. Le palpebre si chiusero e il cuore martellava. Poteva annusarlo,
un profumo pulito e intenso
andava a coprire l'odore fumoso dei sotterranei. Le sue labbra erano
così vicine. Pochi attimi ormai...
Bruscamente, Snape voltò la testa.
Le labbra di Hermione scivolarono sulla sua guancia, contro un ruvido
accenno di barba.
Spalancò gli occhi e trasalì.
Afferrandosi la mano la strinse contro il cuore che batteva forte.
Merda. Hermione sentì
crescere il panico e cercò di prepararsi all'esplosione d'ira che
sentiva imminente. Merda. Snape – SNAPE! - mi ucciderà.
Cosa diavolo stavo pensando?
“Signorina Granger,” la sua voce
era spaventosamente calma, il viso senza espressione, “ti
suggerisco di tornare nel tuo dormitorio, immediatamente.”
Ad
Hermione non serviva un ulteriore incoraggiamento. Si girò subito,
inciampando leggermente nella fretta di andar via più in fretta
possibile. Arrivata all'angolo si girò indietro, ma Snape era andato
via.
*
*
*
*Slug
vuol dire Lumaca (da qui Lumacorno in italiano). Mantenendo il nome
in inglese il gioco di parole non si coglie direttamente, scusate...
-----------------------
Fink1987:
bentornata :). Il rapporto tra i due diventerà sempre più
interessante, anche se non aggiunto altro per non spoilerare. Grazie
per i complimenti alla traduzione!
chi_lamed:
io ho adorato la partita a poker, così come adoro tutti i
coinvolgimenti del restante corpo insegnanti, li rende molto più
umani (cosa che ha un senso avendo il punto di vista di un loro
collega, invece che degli studenti). Hooch poi è veramente un mito
:).
Keira
Lestrange: ti ringrazio da parte di grangerous e benvenuta :).
Anch'io ho trovato molto interessante questo tipo di coinvolgimento
di Krum, secondo me è uno dei personaggi veramente sfruttati male in
originale, JKR potreva certamente trovargli più spazio...
Anne
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Capitolo 16 *** Viktor Victorious ***
Capitolo 16
NdT: Spero abbiate passato un buon ferragosto. In queso capitolo siamo durante le vacanze di Natale, rinfreschiamoci un po'. :)
Graziegraziegrazie a silviabella ^__^
Capitolo 16
Viktor Victorious
Severus osservò il suo riflesso con
un'espressione arcigna. Ogni speranza che non apparisse così male
come si sentiva fu immediatamente infranta. Lasciando scorrere
l'acqua calda, si strofinò il viso con una salvietta bagnata,
desiderando di togliere la sensazione granulosa dagli occhi e i
cerchi scuri che facevano mostra di sé al di sotto; il sonno si era
dimostrato uno sfuggente compagno. Ogni volta che chiudeva gli occhi
riviveva – con penosi dettagli – il suo incontro sotto il vischio
con Hermione Granger. Quando teneva gli occhi aperti, il suo cervello
si concentrava sul comportamento idiota di Draco, le inspiegabili
azioni di Dumbledore e le probabili conseguenze della promessa che
lui stesso aveva fatto ad entrambe le parti in guerra. La sua vita
stava andando in pezzi.
Perché Draco aveva scelto quello,
fra tutti gli anni, per rivendicare finalmente un po' d'indipendenza?
Perché non si fidava più del suo Capo Casa? Perché Draco non aveva
notato che il trattamento riservato dal Signore Oscuro a Malfoy
senior non prometteva bene per la sua stessa incolumità?
Severus chiuse il rubinetto e
nascose il viso in un asciugamano.
Il danno collaterale del piano di
Draco era stato solo in parte contenuto; Katie Bell era stata
fortunata. Soltanto Merlino sapeva quanti altri sarebbero stati messi
in pericolo dai continui tentativi di Draco di uccidere Albus
Dumbledore.
Dumbledore.
Severus sospirò e infilò
l'asciugamano al suo posto.
Dumbledore stava perdendo il
controllo. Non c'erano altre spiegazioni per la reazione alla notizia
su Jocelyn Smith. Malgrado il vecchio irritasse Severus oltre misura,
c'era un reale affetto nella loro relazione. Severus non poteva
sopportare di vederlo vacillare. Non tollerava l'idea che Dumbledore
stesse morendo. E Severus, assolutamente, decisamente, non voleva
essere colui che doveva ucciderlo. Non era giusto. Certamente la
scelta di fronte a sé non era giusta: uccidere Dumbledore, aiutare
Draco ad uccidere Dumbledore o morire.
Per gli dei, date le probabili
conseguenze del mantenere le doppie promesse che aveva fatto, morire
sembrava un'opzione piuttosto buona.
Tranne.
Eccolo lì il tranne. Non voleva
morire.
Da quando? pensò,
esaminando il suo riflesso stranamente. Quand'è cambiato?
La sua vita era stata in
pericolo per anni – il Signore Oscuro, gli Auror, membri
dell'Ordine sospettosi, frammenti appuntiti del calderone di
Longbottom – non gli era importato. Forse era la differenza tra
l'avere una scelta di sopravvivenza e una morte certa. Forse,
pensò all'improvviso,
abbassandosi verso il suo riflesso e aggrottando la fronte con
disgusto verso sé stesso, è Hermione Granger?
Non sapeva cos'era peggio: i
pensieri generati dal bacio mancato o quelli scatenati dal modo in
cui era trasalita dopo.
Severus gemette.
Per
Merlino, era stato tentato di lasciare che lo baciasse. I particolari
tornarono in fretta – il blu scuro del vestito, l'accenno di
cicatrice lungo la clavicola, il modo in cui i ricci cadevano
scomposti lungo il collo. La curva della spalla nuda, il labbro
inferiore leggermente sporto in avanti, le ciglia che sfioravano la
sua guancia. Il suo profumo.
Severus deglutì e afferrò
saldamente i bordi del lavandino. La calda ondata di eccitazione lo
lasciò leggermente nauseato. Non avrebbe mai immaginato di essere il
tipo d'uomo che desiderava i suoi studenti. Non voleva esserlo. Dei,
se Minerva lo avesse saputo gli avrebbe staccato le palle. Albus –
Albus avrebbe sorriso comprensivo e avrebbe suggerito che conoscere
simili desideri e resistere lo rendevano un uomo migliore. Ma per
Minerva il pensiero sarebbe stato un crimine. E Severus era incline
ad essere dalla parte di Minerva in questo caso.
Hermione non sembrava una
studentessa, ma la cosa non aiutava. Piuttosto il contrario. I suoi
vestiti avevano costretto Severus a riconoscere l'importante
differenza qualitativa tra far paura al corpo studentesco in generale
e vedere una bella donna ritrarsi impaurita da lui per paura fisica.
Risvegliava in lui un vecchio incubo.
Suo padre, Tobias Snape, era stato
uno zotico e un prepotente. Aveva paura della conoscenza dei libri e
delle cose che non riusciva a comprendere immediatamente, prima e
principalmente la magia. Suo figlio, Severus, aveva ereditato il suo
carattere insieme al naso. Eppure, mentre Severus non era affatto un
uomo gentile, aveva comunque imparato in fretta che l'infliggere
dolore fisico a quelli più piccoli e deboli di lui non gli dava
nessun piacere. Severus aveva canalizzato la sua vena crudele, la sua
infanzia infelice, il suo aspro senso dell'umorismo e un'intelligenza
tagliente, verso una strada totalmente opposta a quella di suo padre.
Aveva scelto la sua lingua come arma a doppio taglio; disprezzava chi
ricorreva alla forza bruta e sbandierava la sua superiorità
intellettuale. Provava poi un vendicativo piacere nell'essere
segretamente un uomo migliore delle cosiddette persone buone e
amichevoli intorno a sé.
Le fantasticherie di Severus furono
interrotte dal distinto suono di qualcuno che si schiariva la voce.
Sollevò la testa per guardare lo specchio.
“Mi scusi, signore,” commentò
lo specchio in segno di scusa, “ma Lady Florinda è arrivata nel
salotto e vorrebbe parlarle.”
Severus ringhiò in risposta, un
basso suono animalesco, ma si voltò sui talloni e lasciò il bagno.
Si diresse a grandi passi nel salotto e si avvicinò al ritratto
appeso al muro di fianco al caminetto.
“Lady Florinda,” disse con
un'imitazione passabile di cortesia e facendo un leggero inchino con
la testa.
“Buongiorno, signore,” la Lady
fece un inchino. “Alcuni studenti sono già partiti dalla sala
comune, stanno per arrivare nel suo ufficio.*
Severus guardò l'orologio. Era in
ritardo. La maggior parte degli studenti stava tornando a casa per
Natale e i Serpeverde avrebbero usato la Metropolvere del suo
ufficio. In pochi secondi aveva indossato la toga da insegnante.
Fermandosi per ringraziare Lady Florinda, e richiamato a sé il caffè
dalla colazione sistemata sul tavolo, lasciò la stanza. Di
conseguenza non vide la lettera di Hermione finché non la trovò nel
pomeriggio.
Quando la vide rimase immobile; la
famigliare grafia circolare era immediatamente riconoscibile. Si
sedette, facendo girare la pergamena tra pollice e indice per diversi
minuti prima di rompere il sigillo e srotolarla.
Caro professor Snape,
ho organizzato l'incontro con
Viktor alle 17 di sabato 28 dicembre in un caffè di Convent Garden
(l'indirizzo è sotto). Si aspetta d'incontrare qualcuno a me
importante. Per favore, mi faccia sapere se l'accordo non dovesse
andare bene.
Vorrei scusarmi per il malinteso
della notte scorsa e aspetto con impazienza di rivederla a Londra.
Le auguro un sincero Buon Natale,
Hermione Granger
The Drury Tea
& Coffee Co.
New Row, 3
Londra, WC2N 4LH
Severus
rilesse il messaggio diverse volte. Aveva l'impressione che Hermione
avesse scelto le sue parole con molta cura. Distrattamente passò la
punta di un dito sopra le parole “a
me importante.”
Cosa stava cercando di fare, offrirgli perdono?
“Sei
un'idiota, Severus Snape,” disse ad alta voce prima di arrotolare
la pergamena a metà e la infilò in una tasca sul petto. “Un
idiota,” aggiunse, spingendosi in piedi, “con del lavoro da
fare.”
Anche
se Severus aveva molti esami di fine semestre da correggere, decise
di passare diverse ore rifornendo invece le scorte dell'infermeria. A
volte l'astrazione contemplativa, e il piacere fisico di creare una
pozione, erano l'unica sana soluzione.
Severus passò da Spinner's End per
prendere degli appropriati vestiti Babbani, ma arrivò a Covent
Garden con largo anticipo. Anche Hermione era in anticipo e, da dove
era lui, Disilluso, fuori dalla finestra, la vide scegliere un tavolo
con una buona visione della stanza e togliersi il cappotto, cappello,
sciarpa e guanti. Londra non era fredda come Hogwarts, ma il tempo
era comunque brutto. Hermione sembrava nervosa. Giocherellava con le
bustine di zucchero che si trovavano sul tavolo e i suoi occhi
guizzavano tra i passanti fuori e gli occupanti del caffè. Quando
vide il suo viso illuminarsi di riconoscimento,
Severus si voltò. Un taxi si era appena fermato e il distinto
profilo di Viktor Krum era chiaramente visibile attraverso il vetro
posteriore. Hermione uscì dal caffè per accoglierlo. Vestita solo
con i jeans e il maglione, saltellava da un piede all'altro e
mettendo le mani sotto le ascelle per tenerle al caldo
mentre Krum pagava l'autista. Due borse sportive emersero dal taxi
prima di lui seguite da vicino, comunque, dallo stesso Krum.
“Herr-Mioni!” urlò, allargando
entrambe le braccia in un esuberante saluto.
“Viktor!” rise lei,
precipitandosi impaziente nel suo abbraccio.
Per il disgusto di Severus, Krum la
sollevò in aria e la fece girare. Decise che sarebbe stata una lunga
serata. Hermione afferrò la borsa più piccola di Krum ed entrambi
si affrettarono verso il caldo ed invitante interno del caffè.
Severus si tirò indietro all'ombra di una porta d'ingresso vicina e
rimosse l'incantesimo di Disillusione prima di seguirli dentro.
Hermione e Krum erano riusciti a
nascondere le borse dietro ad una delle sedie e prevalentemente fuori
dai piedi.
“Sei splendida,” diceva Krum ad
Hermione mentre Severus si avvicinava.
Hermione arrossì leggermente e
sembrava compiaciuta. Severus aggrottò la fronte.
“Professor Snape!” Hermione si
alzò dalla sedia che aveva appena occupato, il rossore sulle guance
– se possibile – s'intensificò. Krum si voltò a metà nel
togliersi il cappotto, con il viso che registrava un leggero cenno di
sorpresa. “Viktor, ti ricordi del professor Snape, vero?”
“Offiamente,” Krum replicò in
modo piatto, allungando la mano. “È un piacere federla di nuofo,
professore.”
Snape strinse la mano e inclinò la
testa con cortesia. “Granger,” commentò freddamente, come modo
per ricambiare il suo saluto. Lei gli rivolse un sorriso stretto ed
imbarazzato.
“Voi due sedetevi,” suggerì
lei, parlando troppo in fretta come conseguenza della sua ansia.
“Prendo del caffè. Voi cosa volete?”
“Forrei un cappuccino, lascia che
ti dia del denaro,” replicò Krum.
“Non c'è bisogno, ehm,
professore?”
“Un doppio espresso, grazie.”
Con questo si guadagnò un accenno
di sorriso più genuino. “Davvero?” chiese lei. Lui sollevò un
sopracciglio imperiosamente e si sistemò i capelli dietro un
orecchio. “Avrei dovuto capirlo,” commentò lei da sopra la
spalla mentre si dirigeva verso il bancone.
Severus riportò la sua attenzione
verso Krum. Indossava vestiti Babbani dall'aspetto costoso con
etichetta dello stilista. Si era tolto il cappotto per rivelare un
maglione di cashmere che indossava sopra ad una camicia. Severus, in
contrasto, tenne il cappotto di lana addosso, malgrado il caldo del
caffè. Gli strati protettivi di lana scura avevano la stessa
funzione della sua toga da insegnante e gli conferivano la
confortante illusione di autorità.
“Sono sorpreso di federla,
professore. Non afefo capito che fosse lei la persona che Hermione”
- storpiò la pronuncia solo leggermente - “foleva farmi
incontrare.”
Severus non aveva alcuna voglia di
convenevoli e lanciò un'occhiata ad Hermione che stava facendo le
ordinazioni, prima di rispondere. “Infatti,” replicò in modo
vago, metaforicamente calpestando diverse risposte sgarbate che gli
erano venute in mente e guardandosi intorno per dire qualcosa di
cortese. “Cosa ti porta in Inghilterra in questo periodo
dell'anno?”
Un sorrisetto anticipatore incurvò
i bordi della bocca di Krum. “Beh,” replicò con tono
cospiratorio, “principalmente è un'opportunità per vedere
Hermione. Sono stato abbastanza fortunato da organizzare alcuni
incontri di Quidditch e quindi le spese di fiaggio sono pagate.”
Nessun segno dell'ondata di gelosia
che Severus sentì fu registrata sul suo viso. “Infatti,” replicò
ancora una volta con lo stesso tono. Aveva senso. Hermione e Krum si
sarebbero anche ufficialmente lasciati, ma, tenendo conto del suo
resoconto degli eventi, il sesso in sé era iniziato solo a quel
punto. Non sarebbe stata una sorpresa se Krum avesse visto l'invito a
stare a casa sua come una proposta per riprendere quelle attività.
Più o meno per il minuto successivo
nessuno disse niente.
“Hermione defe afere un'alta
opinione di lei,” commentò Krum, interrompendo il silenzio. “Ha
insistito molto perché c'incontrassimo.”
Severus non poté fare a meno di
chiedersi se la sua opinione rimaneva alta come lo era stata prima
della festa di Slughorn. “Questo incontro è stata una mia idea.”
L'enfasi che aveva messo nelle parole implicava che l'opinione di
Hermione era irrilevante.
Krum sembrò preso alla sprovvista,
ma qualunque risposta fu interrotta dal ritorno di Hermione.
“Espresso, cappuccino, cioccolata
calda.” Declamò, trasferendo tutte le bevande dal vassoio che
teneva sul tavolo. Appoggiò il vassoio in un ripiano vicino e si
sedette, osservando Severus curiosamente.
Lui si fermò, la tazzina a metà
dalla bocca e le lanciò un'occhiata interrogativa.
“Niente zucchero?” chiese lei,
il luccichio malizioso negli occhi che smascherava la piatta
innocenza del tono.
Lui aspettò finché lei non sollevò
la sua bevanda verso la bocca prima di degnarsi di rispondere.
“Granger, penso scoprirai che sono già abbastanza dolce così.”
La risata sputacchiante fu una risposta sufficiente e Severus sentì
una piccola contorsione di felicità nel profondo dello stomaco.
Eppure il suo senso di responsabilità si riaffermò immediatamente.
Far ridere Hermione non è il punto cruciale di questo incontro,
ricordo a sé stesso
bruscamente. Ingoiando il suo caffè con una sorsata, ripose la
tazzina nel piattino e si voltò verso Krum. Usando il tavolo come
copertura, Severus fece scivolare furtivamente la bacchetta in mano e
lanciò un Muffliato non-verbale. Solo allora parlò.
“Cosa sai dell'attuale situazione
politica?” chiese.
Prima di rispondere Krum guardò
Hermione, che era tornata immediatamente seria. “Più di quanto lei
possa immaginare.” Scrollò le spalle. “Karkaroff mi ha detto
abbastanza sulla precedente guerra ed ero ad Hogwarts quando il
preside ha annunciato il ritorno di
Colui-Che-Non-Def'essere-Nominato. Da allora mi sono mantenuto su
efenti generali ed Hermione mi ha detto un bel po'. Ho sentito
dell'Ordine della Fenice.” Fece una pausa per un secondo, le
pesanti sopracciglia unite insieme. “Perché lo chiede?”
Severus osservò a lungo il giovane
uomo di fronte a sé prima di rispondere. “Sei al corrente che
Karkaroff era un membro dei Mangiamorte durante la prima guerra?”
“Sì.”
“Lo ero anch'io.”
Krum sembrava sospettoso dalla
svolta che la conversazione aveva preso, ma non sorpreso
dall'informazione. “Sì,” disse ancora.
“Lo sono ancora,” continuò
Severus. Questa informazione scioccò Krum. I suoi occhi di
allargarono leggermente e guizzarono verso Hermione. “Sono anche un
membro dell'Ordine della Fenice. Lavoro come spia.” Sollevò un
dito per bloccare la domanda che Krum stava per fare aprendo la
bocca. “Ti ho detto questo perché recentemente entrambi i miei
capi hanno espresso un interesse nei tuoi confronti.” - la bocca di
Krum si chiuse con uno schiocco udibile - “Non credo che tu sia in
un immediato pericolo. Il Signore Oscuro sta cercando contatti
nell'est Europa ed è stato fatto il tuo nome. Durante il torneo
Tremaghi hai fatto una notevole impressione sui figli delle famiglie
Mangiamorte. L'unico marchio contro di te è la storiella pubblica
portata avanti con una strega Nata Babbana. Per quanto riguarda il
Signore Oscuro, tuttavia, sa che la relazione è durata poco.”
Mentre Severus parlava, il colore di
Krum si era intensificato in modo allarmante e strinse entrambe la
mani a pugno. “Non difenterò mai un Mangiamorte!” Si precipitò
a dire, l'accento rafforzato dalla rabbia. “Può dire al suo
Signore Oscuro che trofo i suoi metodi orribili e che la propaganda
anti Babbani dei suoi seguaci ripugnante!”
Hermione allungò le braccia e fece
scivolare una mano sul grembo di Krum, stringendo gentilmente la sua
coscia. Gli lanciò un sorriso rassicurante, calmandolo leggermente.
L'ammirazione con cui lei rispose ai suoi commenti fece contorcere lo
stomaco di Severus.
“Non farò niente del genere,”
ringhiò. “Dirò al Signor Oscuro che sei lusingato di aver
attirato la sua attenzione, che ammiri la sua politica e che, benché
sei contrattualmente legato ad impegni di Quidditch in Bulgaria, e
non avendo la libertà di movimento che ti piacerebbe, speri di
essere tenuto informato degli eventi. Gli dirò che saresti felice di
offrire ogni aiuto possibile. Inoltre, Krum, mi aspetto che tu faccia
una considerevole donazione alla causa anti Babbani.”
I muscoli della mandibola di Krum
sussultarono e si sporse in avanti con rabbia. “Non mi sta
ascoltando, professore. Mio nonno fu ucciso da Grindelwald – lo sa
perché? Perché afefa sposato una strega Nata Babbana! Ecco perché!
La fita di lei fu salfata dalla resistenza e fu portata fia di
nascosto. Quelle persone sono eroi per me. Non potrei mai, mai unirmi
ad un gruppo come i Mangiamorte!”
“Sei un idiota,” sibilò
Severus. “Non ti sto chiedendo di unirti ai Mangiamorte.”
Gli occhi di Hermione guizzavano da
un uomo all'altro. La conversazione non stava andando bene e la sua
preoccupazione era evidente nella posa rigida che aveva assunto la
parte superiore del suo corpo. “Viktor,” mormorò lei, la mano
che rimaneva sempre sulla coscia. “Ascoltalo fino alla fine.”
“Cosa sta chiedendo allora,
professore?” Il tono e l'espressione erano belligeranti. Pose la
sua larga mano su quella più piccola di Hermione, tenendola contro
la sua gamba e intrecciando le dita con le sue.
Severus fece un profondo respiro ed
espirò dal naso. “È quasi certo che il Ministero della Magia
cadrà sotto il controllo del Signore Oscuro da qui a dodici mesi. Se
e quando accadrà ci aspettiamo la messa in atto di una brutale
legislazione anti-Babbana.” Fece una pausa. Krum lo guardava in
modo testardo, le sopracciglia scure unite in un cipiglio. Il ragazzo
non aveva ancora afferrato. “Alcuni Nati Babbani inglesi avranno
bisogno di una via di fuga,” continuò Severus col tono che si
potrebbe usare per spiegare le cose ad un idiota. “Idealmente,
dovrebbero poter avere un contatto che sia un mago straniero ben
inserito che possa viaggiare per l'Europa senza attirare
l'attenzione.”
Finalmente arrivò la comprensione.
Mentre l'espressione sul viso di Krum s'illuminava, Hermione gli
sorrise, sporgendosi in avanti con la mano libera per stringere
quella di lui fra le sue. Severus si alzò all'improvviso, spingendo
indietro la sedia mentre si alzava. “Vado a prendere un altro
caffè,” commentò verso la stretta fessura che separava i suoi due
compagni. Stando in piedi in fila mentre aspettava di ordinare,
guardò indietro verso il tavolo e vide Hermione sistemare una ciocca
di capelli dietro l'orecchio di Krum. Essendosi spostato oltre i
limiti dell'incantesimo di Silenzio non poteva sentire cosa stavano
dicendo, ma Severus era più che sicuro di capire il loro linguaggio
del corpo. La tensione sessuale, che era stata evidente dall'inizio,
ebbe un picco quando Hermione si sporse in avanti e premette le
labbra sulla sua guancia.
Severus registrò l'impatto di quel
bacio con un pugno. Per un momento, il mondo intorno a lui andò
fuori fuoco. Severus Snape non era un uomo di natura superstiziosa,
ma in quel momento ebbe un'inesorabile esperienza di premonizione
della sua morte. La sua vita si srotolava davanti a suoi occhi – al
contrario. Perché non aveva notato la somiglianza prima? Due streghe
Nate Babbane, Casa Grifondoro, prime della classe. Entrambe,
maledizione, di gran lunga amichevoli con Potter. Entrambe bruciate
dall'entusiasmo di fare la cosa giusta, entrambe troppo pronte a
balzare in difesa degli altri. Entrambe le donne avevano scelto
qualcun altro rispetto a lui. Però sì, questa volta era l'opposto:
Hermione aveva iniziato a pensare a lui come ad un Mangiamorte, al
principio aveva paura di lui. Poi, c'era stato un periodo in cui
l'interesse che lei aveva
nutrito per lui era stato soltanto utilitaristico
– le aveva insegnato cose che non poteva apprendere altrove. Allora
lui aveva appreso che la sua relazione con un altro era
sessuale, e lo era da un po'. Il bacio che non era stato veramente un
bacio era seguito e adesso lui stava guardando le sue interazioni con
il suo amante, distrutto dalla gelosia. Che cosa rimaneva? Severus
ripensò agli eventi dei suoi giorni a scuola, reinterpretandoli al
presente: una discussione, un'amicizia, un omicidio, un desiderio da
lontano. In quell'ordine. Aveva tutto un orribile senso.
“Ehi, signore, va tutto bene?”
L'interruzione del barista riportò Severus al presente con un balzo.
Dallo sguardo sul viso, non era la prima volta che gli faceva quella
domanda. “Salve, allora, adesso che è tornato nella terra dei
vivi, posso portarle da bere?”
“Un doppio espresso, ristretto.”
Severus tirò fuori una manciata di monete Babbane dalla tasca dei
jeans e prese l'ammontare esatto. Rischiò un'altra occhiata ad
Hermione e Krum. Erano l'uno nelle braccia dell'altro. Hermione aveva
la bocca vicino all'orecchio di Krum e gli stava dicendo qualcosa con
delle frasi rapide. Krum era leggermente rosso e cercava di sembrare
allo stesso tempo nobile e modesto. Severus sentì un afflusso di
rabbia verso il giovane uomo.
“Un ristretto doppio signore,
buona bevuta.” Ancora una volta il barista riportò Severus al
presente. Severus aveva un lavoro da svolgere e le sue emozioni
avevano poco o niente a che fare con quello. Sollevò il suo caffè
dal vassoio, notando con un certo orgoglio che la sua mano era
completamente ferma, e camminò indietro verso il tavolo.
Mentre entrava dentro ai confini
dell'incantesimo di Silenzio, Hermione lo accolse con un caldo
sorriso. Severus la fissò a sua volta con calma. La breve camminata
era stata più che sufficiente per attivare le vecchie abitudini
mentali di una vita, e le sue emozioni erano tornate nel pieno
controllo.
“Professore,” iniziò Krum, con
un tono un po' pomposo. “Forrei scusarmi per ciò che ho detto
prima. Sono stato fuori luogo.”
“Una persona può solo sforzarsi
per mantenere l'intelligenza allo stesso passo dell'altro.” Severus
sogghignò al giovane uomo.
Hermione allora parlò,
interrompendo con prontezza la risposta piccata di Krum. “Abbiamo
iniziato a parlare di alcuni dettagli-”
“Non voglio sapere nessun
dettaglio.” Severus sollevò un sopracciglio ammonitore. “Voglio
solo sapere come contattarti” - questo era diretto a Krum - “se
dovesse capitare la necessità.”
“Ma, perché non lo fuole sapere?”
“Perché,” spiegò Hermione, un
anno luce più veloce del suo compagno, “meno sa e più sicuro è
il piano.”
“Oh.” Krum aggrottò le
sopracciglia e guardò lentamente da Severus ad Hermione e ancora
indietro. “Ha detto di essere una spia.” Era più un'affermazione
che una domanda, ma Severus confermò la verità annuendo. “Come
facciamo a sapere da che parte sta feramente.”
Hermione aprì la bocca subito per
correre in difesa di Severus, ma lui la interruppe con una mano
sollevata.
“Quello, Krum, non è cosa che ti
riguardi.” Krum aveva uno sguardo ribelle, i muscoli della
mandibola contratti ancora una volta. “Ma ti dirò questo: a
prescindere dalla mia definitiva lealtà, non ho simpatia per i
pregiudizi di sangue. ”
Severus vide che Krum era tutt'altro
che placato dalla sua risposta, ma Hermione aveva riportato la mano
in modo rassicurante sulla sua coscia e lui visibilmente si rimangiò
qualunque risposta intendesse dare.
“Come può contattarti il
professor Snape?” disse subito in modo gentile.
“Tutte le lettere spedite a Viktor
Krum sono smistate da un gruppo di segretari.” Krum sembrava
riluttante a cambiare argomento sulla lealtà di Snape. “Loro
leggono tutta la posta dei fan e cercano eventuali maledizioni. Se
manda un gufo a Torvik Murk, invece, arriverà a me direttamente.”
“Bene.” Severus sollevò la
mano, il palmo verso l'alto. “Alcuni dei tuoi capelli, Krum,”
chiese.
Krum si adirò subito, ma Hermione
cercò di assecondarlo, stendendo le braccia e tirando tre capelli
dalla testa del giovane uomo con uno strappo netto.
“Ecco, professore,” commentò
mentre li lasciava nel palmo di Severus.
“Bene,” disse di nuovo Severus.
Prese l'espresso e bevve con una sola sorsata. Tirando fuori un paio
di guanti di pelle dalla tasca si alzò in piedi. “Granger, Krum,”
annuì ad entrambi. “Buonanotte.”
“Buonanotte, professore.” Si
allontanò senza voltarsi indietro.
Una volta uscito dal caffè,
comunque, s'infilò nella strada adiacente e si Disilluse. Quindi
tornò indietro alla finestra del caffè ed esaminò la coppia che
aveva appena lasciato. Pratiche standard di spionaggio, rassicurò
sé stesso mentre riponeva i capelli di Krum in una piccola fiala di
vetro per campionamento e la sistemava al sicuro in una tasca
interna. Ad un certo punto, lei fece un gesto oltre le sue spalle e,
pochi minuti dopo, i due iniziarono a vestirsi per l'esterno.
Mentre uscivano, la loro
conversazione divenne udibile.
“Ma come faccio con le mie
faligie?”
“Oh, non saranno un problema. Una
volta arrivati al teatro, userò un leggero incantesimo per non farle
notare e possiamo lasciarle nel guardaroba.”
“Non posso credere che stiamo
andando all'opera!”
“Ti dispiace?”
“Per niente, sono felice.”
Hermione prese Krum a braccetto,
sorridendogli. “Da questa parte, allora. Quaggiù c'è un
eccellente posticino dove cucinano la pasta, possiamo mangiare un
boccone prima dello spettacolo.”
Contro ogni convinzione, Severus li
seguì. Il locale era solo dietro l'angolo. Il ristorante era piccolo
e molto affollato, ma il maitre di sala li rassicurò che ci sarebbe
stato un tavolo pronto a breve, lasciandoli fuori ad aspettare sotto
il cerchio di calore emanato dai bracieri a gas. Severus era stato
pronto ad andarsene viste le dimensioni del ristorante, ma vedendoli
fermarsi vicino al braciere a sfregarsi le mani, si avvicinò.
“Herr-mioni,” disse Krum,
enfatizzando il nome con cui la chiamava, “Ho qualcosa per te.”
Mentre parlava tirò fuori una scatolina dalla tasca.
Gli occhi di Hermione si allargarono
vedendola e Severus si sentì leggermente male. Sicuramente no?
“Cos'è?” Hermione sembrò un
po' esitante.
“È
una piccola cosa su cui stafo laforando. Folefo darlo a te perché
sei stata tu ad afermi dato l'idea originale.” Hermione sembrò
incuriosita. “Ti ricordi quando sei fenuta nel
mio paese?”
“Certamente!”
“Beh, se mi ricordo, i tuoi
genitori erano un po' preoccupati. Soprattutto perché eri ancora
troppo giofane per usare la magia fuori dalla scuola. Mi ha fatto
pensare. Folefo fare qualcosa che potesse essere usata completamente
senza magia – da un bambino o persino da qualcuno senza bacchetta.”
Le porse la scatolina. “Afanti, aprila.”
Hermione prese la scatola dalla sua
mano. La aprì con uno scatto. Sembrò un po' confusa dal contenuto,
e osservò Krum curiosamente. Lui sorrise incoraggiante e allungò la
mano per tirar fuori un un bottone d'argento sottile, poco più
grande di due centimetri.
“Cos'è?”
“È una Passaporta personale,
attivabile con la voce.”
“È attiva sulla mia voce?”
“Non ancora, defi prima
impostarlo. Una folta attifo, la frase designata ti porterà a casa,
non importa quanto tu sia lontana o le barriere Anti-apparizione che
possono esserci.” Lui prese la Passaporta dalla sua mano e la girò
di lato. “Mettila in bocca con il lato piatto contro la parte
interna della guancia e questa parte sporgente-”
“L'occhiello.”
“-l'occhiello, tra i denti.” Lui
la aiutò a metterlo in bocca, le dita che sfioravano delicatamente
la linea della mandibola, due dita immerse dentro. “Ora di'
qualcosa – ma fai attenzione! Scegli una frase che sei sicura di
non poter dire per sbaglio.”
Hermione aggrottò la fronte
pensando per un secondo, quindi sorrise intorno al suo boccone di
metallo. “Nessun posto è bello come casa,” recitò. Krum annuì
serio. Chiaramente non conosceva Il Mago di Oz. Hermione sputò
la Passaporta nel palmo della mano e la guardò curiosamente.
“È studiata per essere cucita
all'interno dei tuoi festiti, ficino alla pelle. In questo modo non
hai bisogno di trofarla o ricordare di aferla con te, o afer paura di
toccarla. Quello che hai bisogno di fare è dire la frase per essere
trasportata a casa in salfo.”
“Viktor! È grandioso! Ci sarà
voluta una vita!”
Krum alzò le spalle modestamente.
“Un po', sì. È anche riutilizzabile. Può essere reimpostato un
qualsiasi numero di folte, completamente senza magia; in questo modo
ogni bambino può usarlo. Questo è studiato per portare sempre la
persona a casa, ma ne ho fatto altre che trasportano le persone in
altri posti.”
“Wow! Avrei voluto avere qualcosa
di simile lo scorso anno, quando siamo stati attaccati al
Ministero... Sai, Viktor, questo potrebbe rivelarsi davvero cruciale
nei nostri piani – quante persone sanno del progetto?”
La risposta di Krum fu interrotta
dall'uscita di alcune persone dal ristorante e la ricomparsa del
maitre. “Venite, il vostro tavolo è pronto.”
Hermione ringraziò copiosamente
l'uomo mentre entrava dentro, la Passaporta tenuta stretta in una
mano. Severus fu lasciato fuori da solo, il cuore pesante e la testa
che vorticava con le scoperte della serata. Girandosi sul posto, si
Smaterializzò via.
*
*
*
* In italiano nel testo
---------------------------------------
chi_lamed: la seduta in
palestra mi è piaciuta molto, soprattutto il fatto che non ci
siano forzature nell'atteggiamento di entrambi. Sì, Hermione si
rende conto di avere una cotta, ma non esagera nel metterlo in evidenza
e Snape è totalmente IC. Per la scena in corridoio io poi sarei
corsa a scavarmi una fossa e nascondermi fino alla fine del settimo
anno...ma io in effetti non sono una Grifondoro ;).
Fink1987: Jocelyn è un gran bel personaggio, è ben
delineata, si evolve in un modo che penso vi piacerà molto e
reagise a ciò che le succede da vera Serpeverde. S'inserisce
molto bene nel contesto delle storie di HP, potrebbe tranquillamente
passare per un personaggio originale!
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Capitolo 17 *** Family and Friends ***
Capitolo 17
NdT: un grandissimo grazie a
silviabella, alcune frasi non avrebbero senso senza di lei.
Capitolo 17
Family and Friends
Viktor Krum aveva fatto sentire
Hermione meravigliosa. Nonostante oggettivamente lui assomigliasse un
po' a McLaggen, lo sguardo di uno la faceva sentire attraente e
potente, quello dell'altro sporca e vergognosa. Amava il modo in cui
le sopracciglia di lui s'increspavano quando pensava. Amava la
differenza tra la sua strana camminata con i piedi trascinati e la
fluida e potente grazia dei suoi movimenti su una scopa. Amava il
modo in cui il suo parlato scorreva più rapido quando era eccitato
da un'idea; amava il modo in cui faceva scempio del suo nome. Dopo il
rifiuto sperimentato con Ron durante l'ultimo semestre, un po' di
tempo passato in compagnia di un'intelligente e ammirata star dello
sport era esattamente ciò di cui aveva bisogno; allo stesso tempo,
la sua presenza rendeva più semplice tenere la cotta per Snape sotto
controllo. Non che Hermione fosse troppo stupida per non notare la
somiglianza tra i due uomini, ma Snape era un suo insegnante. Non
importa quanto intelligente, muscoloso o minacciosamente divertente
fosse, lei doveva comportarsi in modo appropriato da quel momento in
poi. Le loro lezioni erano fin troppo importanti per lasciare che una
stupida cotta potesse interferire in quel modo. E se occasionalmente
lasciava che i suoi occhi si chiudessero e che le sue labbra
sfiorassero l'accenno di barba proprio ai lati della bocca di Krum,
quello era un suo problema.
Hermione era stata terribilmente
preoccupata al pensiero di vedere Snape per la prima volta dalla loro
imbarazzante scena sotto al vischio, ma con suo estremo sollievo lui
si era comportato come al solito. Infatti, rifletté,
diverse volte negli ultimi tempi ho pensato che si sarebbe
arrabbiato e ogni volta mi ha dimostrato che mi sbagliavo.
Lei sedeva all'Opera in un delizioso
annebbiamento di contenta attesa. Viktor teneva la sua mano nelle
sue, e la sua coscia era calda contro quelle di lei. La musica
cresceva e pulsava nell'aria intorno a lei. Fluendo intorno e
attraverso di lei, il suono attivava pensieri e risposte che erano
più collegate con gli eventi degli ultimi giorni, piuttosto che con
la storia che si svolgeva sul palco.
Alla fine dello spettacolo, Hermione
e Viktor uscirono di soppiatto nella notte e s'infilarono in una via
buia. Dietro ad un poco romantico cassonetto, Viktor avvolse le sue
braccia strette intorno a lei, le borse appese ad una spalla.
Hermione prese la Passaporta dalla sua tasca e la tenne contro la
guancia con due dita.
“Sei pronto?” chiese lei. Quando
Viktor sorrise, lei fece un profondo respiro e imitò Judy Garland
meglio che poté. “Nessun posto è bello come casa.”
Ebbe un'improvvisa sensazione di
essere strattonata dietro all'ombelico e la stradina puzzolente
sparì. Sentì il calore delle braccia di Viktor stringersi intorno a
lei e premette il viso contro il fermo supporto del suo petto. Poco
dopo erano nella sua camera da letto, vacillando leggermente per
mantenere l'equilibrio. Le luci erano spente e la stanza era
illuminata soltanto dal debole chiarore dei lampioni fuori dalla
finestra.
“Aspetta un minuto,” spiegò,
andando a tentoni verso l'interruttore della luce. In quei giorni
passava così poco tempo a casa dei suoi genitori che aveva imparato
a muoversi molto a caso. “Ecco.” L'improvvisa luce rivelò un
letto singolo, un generoso numero di scaffali carichi di qualunque
cosa, dai vecchi libri di storie illustrati ai suoi libri di scuola,
una scrivania bianca infilata nello spazio tra due armadi a muro, e
uno schema rosa che indicava una precedente fase della sua vita.
Viktor Krum e le sue borse sportive
sembravano quasi comicamente fuori posto. Hermione soffocò una
risatina mentre apriva la porta per sbirciare fuori nel corridoio. Le
luci erano spente e i suoi genitori sicuramente addormentati: non
erano il tipo di persone che stavano svegli a preoccuparsi. Viktor li
avrebbe salutati al mattino. Lei richiuse la porta e vi si appoggiò,
le mani premute contro il legno dietro la schiena. La piena
importanza della presenza di Viktor nella sua camera da letto premeva
insistentemente in prima linea nella sua testa e mandava piccole
scosse di piacere a strisciare fuori dal suo ventre. Hermione sentì
improvvisamente molto caldo e si tolse il cappello e i guanti,
sciogliendo la sciarpa e lanciandola sul comodino.
“I miei genitori hanno preparato
un letto in più per te, ma, ehm, sei il benvenuto qui se ti piace
l'idea.” Hermione si sentì improvvisamente nervosa.
Viktor aveva appoggiato le borse e
si sedette con attenzione sul bordo del letto. “Da una delle tue
lettere ho afuto l'impressione – perdonami se sbaglio – che forse
c'era qualcosa fra te e il tuo amico Ron.”
Hermione non cercò di nascondere
l'amarezza nella sua risposta. “Ha una ragazza.”
“Ah. Peggio per lui.” Viktor la
guardò con un sorrisetto quasi comprensivo.
“Uhm, tu hai una ragazza?” Visto
che stavano ponendo le domande e rispondendo in modo adeguato,
Hermione pensò fosse meglio essere scrupolosa, anche se dal modo in
cui lui le aveva tenuto la mano all'opera scommetteva su un 'no'.
Viktor alzò le spalle. “No. Dofe
c'è il Quidditch, tuttafia, ci sono sempre ragazze...” Sebbene si
fosse interrotto, Hermione non aveva problemi a capirne il senso.
“Non sono in cerca di una
relazione in quanto tale...” Hermione non aveva intenzione di
indurlo a letto con false pretese.
A questo, lui fece un gran sorriso,
trasformando completamente il suo viso serio. C'era un'intensità
nello sguardo che che le faceva contorcere le viscere e lei si staccò
dalla porta per dirigersi verso il letto. “Se abbiamo solo cinque
giorni, Herr-Mioni, sarà meglio che li sfruttiamo al massimo.” Si
sporse in avanti e sfiorò leggermente la sua guancia con il dorso
della mano, prima di avvolgere un ricciolo intorno al dito. “Sarebbe
un fero piacere per me dormire qui stanotte.”
“Bene,” sorrise Hermione,
esultante all'idea. Pose le mani fermamente sul petto di lui e lo
spinse indietro nel letto, salendo a cavalcioni. “Anche se devo
avvisarti, dormire non era esattamente la prima cosa che avevo in
mente.”
Come anticipato, i genitori di
Hermione rimasero impassibili di fronte alla scoperta delle sue
disposizioni per dormire. Erano entrambi ex hippy e sua madre aveva
preso una sorta di perversa gioia nei metodi permissivi genitoriali,
deliziata dai momenti in cui riusciva a sconvolgere la relativamente
convenzionale figlia. Infatti, al terzo giorno dall'arrivo di Viktor,
sua madre intercettò sua figlia in cucina mentre Viktor e suo padre
erano impegnati in una discussione piuttosto tediosa sull'apporto
nutritivo degli atleti professionisti.
“Come vanno le cose fra te e il
tuo ragazzo bulgaro?” chiese con interesse, il bagliore nei suoi
occhi che rivelava la sete per i dettagli.
“Mamma, non è il mio ragazzo.”
“Va bene. Il tuo trombamico,
allora.”
“Mamma!” L'esclamazione di
Hermione era mezza di esasperazione, mezza di risate impotenti. “Dove
hai imparato quel termine?”
“Da Liza, in realtà, che mi
ricorda che lei, Carla e il piccolo Thom arriveranno domani. Il tuo
bulgaro andrà d'accordo con il concetto di
famiglia-felice-con-due-madri?”
“Sono sicura di sì.” Hermione
si morse il labbro inferiore per un secondo. “Glielo accennerò
stasera. Basta sia preparato e andrà bene.”
“Non hai risposto alla mia
domanda, signorina, non pensare che lo abbia dimenticato.”
Hermione alzò gli occhi al cielo
vedendo che sua madre aveva appoggiato i fianchi contro il banco
della cucina ed era chiaramente pronta per una profonda chiacchierata
madre-figlia. “Siamo solo amici.”
“Amici che scopano.”
“Sì, amici che scopano. Hermione
lanciò un'occhiata alla spalle verso il soggiorno dove Viktor e suo
padre stavano ancora parlando. Tirando fuori la bacchetta lanciò un
incantesimo di silenzio. Di fronte allo sguardo interrogativo di sua
madre, lei spiegò l'incantesimo. Sua madre lo prese come
un'indicazione che Hermione stesse per sputare il proverbiale rospo e
si avvicinò. “Viktor è un ragazzo fantastico,” spiegò
Hermione. “È brillante, è sexy, è grande a letto.” Sua madre
fece un sorrisetto. “Gli piaccio davvero per quello che sono. Gli
piace il mio aspetto, adora la mia intelligenza, non è
assolutamente, neanche un pochino, intimidito da me, ma allo stesso
tempo mi rispetta.”
Sua madre ascoltava avidamente.
“Ma?” chiese. “Sento che c'è un enorme 'ma' in ballo.”
Hermione sospirò. “Hai ragione.
Ma, prende tutto troppo seriamente. Sul lungo periodo ho bisogno di
qualcuno che mi faccia ridere e capisca le mie battute. Voglio dire,
forse è solo una questione di linguaggio, ma non credo. In più, non
litiga mai con me. Ho bisogno di qualcuno che non sia d'accordo su
tutto così facilmente. Non fraintendermi, mi piace veramente e mi
sto divertendo. Gli ho chiesto di venire a trovarmi e mi piace averlo
qui.”
La madre di Hermione allungò una
mano intorno alle spalle di Hermione, tenendola vicina. “Capisco.
Davvero. E sono d'accordo con la tua stima della situazione. Voglio
solo essere sicura di capire la cosa giusta e essere certa che tu
stia bene. Sei stata attenta, vero?”
Hermione rimase toccata, anche se
alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. “Mamma! Uso tutti
gli incantesimi e
usiamo preservativi. Non c'è
pericolo che possa prendermi qualcosa o rimanere incinta. Quello è
qualcosa di cui non devi preoccuparti.”
La dottoressa Granger diede un pacca
rassicurante sulla spalla della figlia. “Stavo solo controllando
Hermione. Mi fido di te, lo sai.”
Hermione rise. Lo sapeva. Avvolse le
braccia intorno alla vita della madre e le diede una stretta. Non
passava tanto tempo con i suoi genitori, ma le erano incredibilmente
cari. E più invecchiava, più riconosceva un po' dei suoi genitori
nella sua personalità. “Andiamo mamma, salviamo il povero Viktor
dall'infaticabile interesse di papà.”
Hermione fu felicissima di vedere
sua cugina Liza e la sua famigliola. Preavvisato, Viktor reagì in
modo ammirevole con la questione delle genitrici lesbiche, anche se
era chiaro che l'omosessualità così dichiarata non era
un'occorrenza comune nei suoi circoli sociali. Eppure, mentre Liza
aveva svelato il suo segreto, Hermione non poteva dire lo stesso di se stessa e la visita fu l'unico vero momento teso
nella permanenza di Viktor. Parlando con Carla e facendo ballare
sulle ginocchia il piccolo Thom di tredici mesi sul grembo, Hermione
sentì per caso la conversazione con Viktor con crescente
trepidazione.
“Quindi, Viktor, che cosa fai?”
chiese Liza.
“Gioco a calcio.” Hermione sentì
lo stomaco fare un balzo. Anche Liza giocava, per una squadra
amatoriale femminile, ed era quasi certa che avrebbe spinto sulla
bugia oltre il punto in cui poteva essere credibile.
“Da professionista?”
“Sarebbe il goal della vita.”
Krum sembrava beatamente ignaro sia del brutto gioco di parole appena
fatto, sia del pericolo cui stava andando incontro.
“Wow! Ho un pallone in macchina;
potremmo fare un paio di tiri dopo pranzo! Cosa ne dici?”
“Mi piacerebbe.”
Con grande sollievo di Hermione
saltò fuori che Viktor era bravo con un pallone ai piedi quasi
quanto lo era con una scopa in mezzo alle gambe. Trotterellò nel
piccolo cortile sul retro della casa dei Granger come se la palla
fosse attaccata ai suoi piedi con un elastico. Liza riuscì a
convincere Carla ed entrambi i genitori di Hermione a giocare per i
primi dieci minuti o poco più – Hermione si scusò promettendo di
controllare Thom – ma nel momento in cui fu chiaro che Liza e
Viktor erano gli unici in grado di fare qualcosa con la palla, gli
altri si ritirarono in fretta dietro ai loro bicchieri di vino,
lasciando Viktor e Liza a destreggiare la palla tra di loro. Hermione
riconsegnò il piccolo bambino alla madre e si divertì ad osservare
Viktor dimostrare un completamente inaspettato, anche se visivamente
appagante, talento fisico.
Meno di una settimana dopo, Hermione
tornò con la Metropolvere a scuola attraverso il camino della camera
da letto dei genitori. Entrando nell'ufficio della professoressa
McGonagall fu sorpresa di trovare il preside seduto in un angolo.
“Buon pomeriggio, Hermione. Sono
sicura che non hai bisogno che ti ricordi l'incantesimo per pulirti
dalla cenere, vero?”
Hermione colse il suggerimento e
prese la sua bacchetta per usare l'incantesimo persino prima che la
McGonagall finisse il suo benvenuto.
“Buon pomeriggio professoressa
McGonagall, preside.”
“Tra parentesi, Hermione, c'è una
nuova parola d'ordine; Astinenza.” La McGonagall strinse le labbra
leggermente. “La ragione del cambiamento ti apparirà chiara quando
vedrai la Signora Grassa.”
“Grazie professoressa.” Hermione
fece lievitare le sue borse e si diresse verso la porta.
“Ah, signorina Granger, una parola
se non le spiace.” Dumbledore si alzò con agilità, aprendo la
porta per lei con la mano sana e facendo un gesto verso il corridoio.
Hermione lo seguì obbediente, il sopracciglio sollevato come unico
indice della sua curiosità. Una volta che furono a diversi metri
dalla porta della McGonagall, Dumbledore parlò. “Ho sentito che il
professor Snape e Viktor Krum sono stati in grado alla fine di
arrivare ad un accordo.”
Un gorgoglio di risate scappò ad
Hermione. “Sì. Si sono guardati nel modo sbagliato.”
“Bisogna congratularsi con te, mia
cara. Poche persone possono vantare di essersi occupati di entrambi
gli uomini con tale riguardo, eppure sei riuscita a portare a termine
la questione molto facilmente.”
Hermione arrossì leggermente di
piacere. Poteva pensare che l'etica del preside lasciasse molto a
desiderare, eppure i suoi complimenti erano rari e benvenuti.
“Ah, signorina Granger, prima che
tu vada ho bisogno di chiederti di portare un messaggio per me.”
Dumbledore tirò fuori una pergamena indirizzata ad Harry.
“Certamente, signore.” Hermione
prese la lettera e se la mise in tasca.
“La mia prossima lezione con Harry
è fissata per domani sera. So che anche il professor Snape sarà
disponibile per quell'ora se volessi fare lezione. ”
“Grazie, sarebbe fantastico.”
Hermione s'illuminò alla prospettiva di una lezione con Snape.
“Lo informerò.” Il preside fece
un formale inchino e si voltò per andarsene.
“Uhm, professore?” si avventurò
all'improvviso, sorprendendo persino sé stessa con la domanda.
Dumbledore si voltò indietro subito. “Lei, er, le è capitato di
sapere che fine ha fatto la lista dei membri del Dumbledore's Army,
per caso?” Sapeva di aver fatto la domanda in modo imbarazzante e
sussultò tra sé e sé.
“Mi è capitato, infatti.”
Dumbledore le sorrise. “L'ho tenuta al sicuro supponendo che
avresti voluto alla fine liberare la povera signorina Edgecombe dal
visibile ricordo delle sue azioni.” Fece volteggiare la bacchetta
con la mano annerita, richiamando la pergamena, che si inclinò
gentilmente verso Hermione finché non la prese in mano.
Osservando la lista di firme si
sentì stranamente malinconica. “Grazie, signore,” rispose
educatamente. “Lo farò.”
Dumbledore le rivolse uno sguardo
luccicante attraverso gli occhiali. “È tutto, signorina Granger?”
chiese.
“Lei lo sa perché ci ha traditi
con la Umbridge?” rispose, incapace di trattenere la domanda.
“Sua madre lavora al Ministero,”
spiegò Dumbledore cortesemente, “capisco che è stata una
questione di scelta fra amici e famiglia.”
Hermione deglutì pesantemente,
disgustata con sé stessa per non aver rimosso la maledizione prima.
“Grazie, signore,” replicò meccanicamente, prima di girarsi e
dirigersi verso la sala comune di Grifondoro, il bagaglio che
fluttuava dietro di sé. Solo una volta raggiunta la torre si trovò
a pensare al perché Dumbledore non avesse rimosso il malocchio lui
stesso; era più che capace di farlo.
Harry, Ron e Ginny arrivarono dalla
Tana un paio di ore dopo ed Hermione corse loro incontro sulla strada
di ritorno dalla biblioteca. Sostenuta dal ricordo di Viktor Krum,
che le riscaldava il cuore, ignorò completamente Ron e persino la
sua entusiasta riunione con Lavender non interferì con la sua
serenità.
Harry esplodeva di notizie e non
perse tempo nel prenderla da parte per informarla: la visita a
sorpresa di Rufus Scrimgeour a Natale, il periodo sotto copertura con
il branco di Fenrir Greyback e, molto più importante, la
conversazione origliata tra Draco Malfoy e il professor Snape.
Hermione rivoltò la nuova
informazione nel suo cervello, cercando di dare un senso alla cosa.
Malfoy stava decisamente tramando qualcosa: non poteva negarlo ancora
a lungo, anche se era ancora disturbata dalla rabbia vendicativa che
si era attivata in Harry, e fece del suo meglio per puntualizzare le
mancanze di logica nelle affermazioni di Harry sulla situazione.
Questo, comunque, inevitabilmente le portò alla mente un particolare
pomeriggio estivo quando lei e Ron aveva deciso di attuare un piano
per minimizzare il ruolo di Malfoy. Un'improvvisa fitta di tristezza
minacciò il suo buon umore. Perché Harry ce l'ha così a male
con Malfoy e il professor Snape? pensò,
insistendo nel distrarsi. Almeno l'ultima volta era stato facile
difendere Snape. Il professor Snape stava ovviamente
cercando di scoprire cosa voleva fare Malfoy – ed è
anche una buona cosa. Dando per scontato che Malfoy sia dietro alla
ferita di Katie... ma, un Voto Infrangibile? Sono così pericolosi.
Pensò vagamente se c'era un
qualunque modo per chiedere a Snape senza rivelare che Harry era lì
ad origliare.
Questo comportamento era veramente
sospetto da parte di Malfoy, persino se il suo “padrone” non si
rivelava essere Voldemort. Le dita di Hermione prudevano per la
voglia di aggiungere questi eventi alla matrice Aritmantica. Poteva
essere abbastanza per dare un senso alla relazione tra Katie Bell con
tutto il resto. Mmm. Avrebbe
dovuto farlo senza l'aiuto della Vector comunque, perché le attività
poco giustificabili di Harry sarebbero
state sicuramente implicate. Con nuove equazioni da aggiungere, con
la lezione di Snape del giorno dopo all'orizzonte, questo semestre
prometteva di essere altrettanto pieno quanto
l'ultimo.
*
*
*
----------------------------
chi_lamed:
E' abbastanza confuso, povero Snape... L'arrivo di Krum ci ricorda
che in effetti c'è una guerra in corso e i figli di Babbani vanno
salvati (in molte fanfiction questo aspetto della guerra passa in
secondo piano, rispetto alle storie dei personaggi).
BeaSnape:
Benvenuta nel club allora, sono contenta che grangerous abbia
contribuito alla tua conversione ^_^
Spotless_Mind:
Snape che non vuole più morire è bellissimo, finalmente ha qualcosa
per cui vivere, invece di immolarsi ad agnello sacrificale (non ho
ancora perdonato alla Rowling la sua morte, soprattutto il modo è_é).
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Capitolo 18 *** Reversal of Fortune ***
Capitolo 18
NdT: vi ricordo che i dialoghi
sottotitolati si riferiscono direttamente ai romanzi originali. E un
bel grazie a silviabella non ce lo mettiamo??
Anne London
Capitolo 18
Reversal of Fortune
Severus non aveva niente nella sua
biblioteca personale di Spinner's End che potesse dargli
delucidazioni sul suo presentimento, così tornò ad Hogwarts quello
stesso giorno. Jocelyn, fra tutti, fu contentissima. Era
perfettamente felice di condividere il suo tavolo in biblioteca,
impassibile di fronte al comando di mantenere la bocca chiusa o al
suo cipiglio. E il cipiglio c'era. Persino con le risorse della
biblioteca di Hogwarts a sua disposizione, la ricerca non stava
andando bene. Divinazione era una scienza così imprecisa e vaga che
Severus trovò molto di quello che leggeva intensamente frustrante.
C'erano numerosi studi sulle esperienze di pre o quasi morte, della
vita che scorre davanti agli occhi e infinite esplorazioni sui déjà
vu, ma niente che in modo
specifico si applicasse alla sua esperienza di rivivere momenti
fondamentali della sua lontana adolescenza al contrario.
Albus Dumbledore fu altrettanto
felice del ritorno anticipato del suo insegnante di Difesa Contro le
Arti Oscure. Insistette su diverse sedute di pianificazione fino a
tarda notte, alimentate da un regolare afflusso di Whisky
Incendiario, in apparenza ignaro della distrazione di Severus. La
notte del trenta risultò essere la peggiore fra tutte. Dumbledore
aveva consumato una significativa quantità di alcol, anche se
manteneva un totale contegno persino nel parlare. Discuteva e vagava
lungo il perimetro dell'ufficio mentre Severus sedeva nella sua
solita sedia fissando in modo assente il vorticoso liquido ambrato
del suo bicchiere.
“Harry non deve saperlo, non
prima dell'ultimo momento, non prima che sia necessario, altrimenti
come potrebbe avere la forza di fare quello che dev'essere fatto?”
Le parole ultime di Dumbledore perforarono la nebbia di
autocommiserazione che occupava la mente di Severus.
Potter? Fino
ad un momento prima Dumbledore era stato completamente impegnato con
la necessità che Severus proteggesse gli studenti una volta che lui
fosse morto. “Ma cosa
deve fare?” Severus
tossì e si schiarì la gola. Dovevano essere passati almeno trenta
minuti dall'ultima volta che aveva parlato.
“Questo è una cosa fra me ed
Harry. Ora ascolta attentamente, Severus. Arriverà un momento –
dopo la mia morte – non discutere e non interrompermi! Arriverà un
momento in cui Lord Voldemort sembrerà aver paura per la vita del
suo serpente.”
“Per
Nagini?” Era questa un'ulteriore evidenza
dell'incombente senilità di Dumbledore? Sembrava veramente perso.
Severus sentì una fitta di pietà verso l'uomo di fronte a lui.
“Precisamente. Se arriva un
tempo in cui Lord Voldemort smette di mandare il serpente in avanti
per suo ordine, ma lo tiene al sicuro indietro e sotto la sua
protezione magica, allora credo sia il momento di dirlo ad Harry.”
“Dirgli che cosa?”
Severus sapeva che l'irritazione era evidente nella sua voce.
Dumbledore non sembrava parlare in modo sensato e il modo in cui ora
stava in piedi, con una mano a coprirsi gli occhi, sembrava più
disperato e vulnerabile che mai.
“Digli che la notte in cui Lord
Voldemort cercò di ucciderlo, quando Lily ha usato la sua stessa
vita come scudo,” - Severus sentì lo stomaco contorcersi alla
superficiale invocazione del suo sacrificio - “l'Anatema che
Uccide gli è rimbalzata addosso, un frammento dell'anima di
Voldemort è stata separata dall'insieme e si è aggrappata all'unica
anima viva rimasta nell'edificio che collassava. Parte dell'anima di
Lord Voldemort vive dentro Harry, è ciò che gli dà il potere di
parlare con i serpenti e il legame con la mente di Lord Voldemort che
non ha mai capito. E mentre un frammento dell'anima persa da
Voldemort rimane attaccata e protetta da Harry, Lord Voldemort non
può morire.”
Severus sentì come se si fosse
tuffato dentro a dell'acqua ghiacciata. Il ragazzo è un Horcrux.
Le parole di Dumbledore avevano
finalmente iniziato ad avere senso e Severus desiderò in ritardo che
il vecchio stesse in effetti delirando, perché fin troppo in fretta
comprese le implicazioni di questa informazione. “Quindi
il ragazzo... il ragazzo deve morire?”
chiese, la voce completamente priva delle complicate ondate di
emozioni che gli si rimestavano all'interno.
“E Voldemort stesso dovrà
farlo, Severus. È fondamentale.”
Severus sentì un'ondata di collera
verso il suo mentore e si sforzò per mantenere la voce sotto
controllo. Il passato e il presente che crollavano su sé stessi
nella sua mente “Credevo... dopo tutti questi anni... che
dovessimo proteggerlo per lei. Per Lily.” Per Lily... e per
Hermione. È anche il suo lavoro tenerlo in vita.
“Lo
abbiamo protetto perché era essenziale insegnargli, crescerlo,
lasciare che trovasse la sua forza. Intanto la connessione tra loro
cresce sempre più forte, una crescita parassitica.”
Severus fissò Dumbledore sbalordito, desiderando che il vecchio
aprisse gli occhi; l'orrore della situazione era in qualche modo
intensificata dalla sua incapacità di guardare Severus mentre
parlava. “Qualche volta
penso che lo sospetti lui stesso. Se lo conosco bene farà in modo
che quando si prefiggerà d'incontrare la morte significherà
veramente la fine per Voldemort.”
Severus cercò di riordinare i fatti
in modo coerente. Potter è un Horcrux e una volta che il Signore
Oscuro proteggerà Nagini dovrò dirgli – questo non è un piano, è
una completa farsa! Una volta che Albus sarà morto sarà difficile
per me avvicinarmi abbastanza al Ragazzo delle Meraviglie
per dirgli ciao, figuriamoci convincerlo che deve
sacrificare la sua stessa vita... Quale ragione avrebbe Potter di
credermi? Seguì un altro
pensiero: Hermione potrebbe. Il
“potrebbe” fu un duro colpo: se lo avesse detto subito gli
avrebbe creduto senza esitazione, ma una volta assassinato Albus
avrebbe avuto paura di lui così come chiunque altro – e quella era
un'idea che non poteva sopportare. E ad Hermione
importerebbe della morte di Potter, molto. La
sua probabile reazione lo colpì come uno schiaffo sul viso: ne
sarebbe devastata. Lily sarebbe devastata. Sarebbe stata devastata.
Quando parlò ad Albus la sua stessa voce sembrò arrivare da molto
lontano. “Lo hai tenuto
in vita così che potesse morire al momento opportuno?”
Di
colpo Dumbledore si scoprì il viso e guardò Severus negli occhi.
“Non
essere sconvolto, Severus. Quanti uomini e donne hai visto morire?”
Ah, Albus. Hai sempre un dono
speciale col senso di colpa. “Ultimamente
solo coloro che non ho potuto salvare.”
Severus si alzò in piedi. “Mi
hai usato.” Ed
hai usato Hermione.
“Cosa significa?”
“Ho spiato per te, ho mentito
per te, mi sono messo in pericolo mortale per te. Sembrava tutto
predisposto per mantenere il figlio di Lily Potter al sicuro. Ora mi
dici che lo hai allevato come una bestia da macello,
-” Strano, rifletté
dopo che le parole lasciarono la sua bocca, non avevo mai
pensato a lei come Lily Potter prima. È sempre stata Lily Evans per
me.
“Ma questo è toccante,
Severus,” s'inserì Dumbledore, la curiosità che si affacciava
negli occhi. “Hai finito per affezionarti al ragazzo,
dopotutto?”
“A lui?”
No. A lei. A Lily,
ad Hermione. Malgrado i suoi
migliori sforzi le due iniziavano a diventare progressivamente più
confuse nella sua mente. “Expecto Patronum!”
urlò.
Severus guardò il suo Patronus
balzare fuori dalla bacchetta in una divampante luce argentata.
Aggraziata in modo straziante, saltò per tutto l'ufficio prima di
uscire dalla finestra verso la Foresta Proibita. Lui abbassò il
braccio, la rabbia trasformatasi in tristezza. Si voltò verso
Dumbledore, che lo stava fissando, gli occhi colmi di lacrime.
“Dopo tutto questo tempo?”
chiese Albus gentilmente, la voce leggermente spezzata.
“Sempre,” replicò
Severus, anche se i suoi occhi scivolavano verso Fawkes mentre
parlava. Non era più sicuro a quale delle due donne Grifondoro si
riferisse con la sua risposta, nemmeno se le due avrebbero mai potuto
essere separate.
Prevedibilmente il Signore Oscuro
convocò Severus il giorno di Capodanno. Fu una strana assemblea. Con
quasi metà dei Mangiamorte ancora imprigionati ad Azkaban, incluso
il teorico “padrone di casa” della festa, Lucius Malfoy, i
festeggiamenti erano alquanto controllati. Narcissa sembrava ancora
disperata, nessuna sorpresa al riguardo, e Draco sembrava imbarazzato
nel suo tentativo di fare l'uomo di casa di fronte a una dozzina di
Mangiamorte più anziani e del Signore Oscuro in persona. L'unica
cosa buona della serata, dal punto di vista di Severus, fu la natura
pubblica del suo arrivo: era stato in grado di riferire di Viktor
Krum al gruppo intero e fu risparmiato dall'oltraggio della
Legilimanzia dal Signore Oscuro. Usando i capelli di Krum e della
Pozione Polisucco lui e Dumbledore avevano costruito dei finti
ricordi in previsione di una tale eventualità, ma Severus fu
sollevato di non doverli mettere alla prova. Nel suo attuale stato
mentale non voleva tentare troppo la fortuna.
Thorfinn Rowle aveva trovato due
donne Babbane ubriache da qualche parte e le aveva convinte a
seguirlo ad una “festa in maschera”. Una di loro sembrava vivere
il momento più importante della sua vita; l'altra guardava Nagini in
modo apprensivo. Severus deglutì la pietà che gli ispirava e portò
la sua attenzione altrove. Draco si nascondeva vicino a Bellatrix e
sembrava irritabile. Quando Severus incontrò il suo sguardo, Draco
gli lanciò uno sguardo particolarmente imbronciato. Quindi pensa
di aver bisogno di Bellatrix per proteggersi – da me. L'ironia
della cosa non passò inosservata a Severus.
Stava riflettendo su chi fosse la
persona meno irritante con cui parlare quando Pettigrew gli strisciò
furtivamente accanto per informarlo che il Signore Oscuro desiderava
parlare con lui. Severus si voltò subito. Voldermort occupava una
sedia con i braccioli alati vicino al fuoco , posizionata in modo da
avere una visione dell'intera stanza senza impedimenti. Nagini era
avvolta ad un braccio sopra alla sua spalla, con la testa nascosta
sotto il mento di lui in un disturbante gesto intimo di affetto
animalesco. Severus attraversò la stanza velocemente e s'inchinò su
un ginocchio, abbassando la testa.
“Severuss, mio caro ragazzo.”
“Mio Signore.”
Voldemort fece ruotare la bacchetta
e richiamò un piccolo cuscino che mise di fianco ai piedi. Fece un
gesto magnanimo verso di lui. “Sssssiediti, Severuss.”
Senza una parola di protesta Severus
si voltò e piegò la sua figura allampanata in modo servizievole, le
lunghe gambe incrociate sulle caviglie, gli avambracci appoggiati
sulle ginocchia. Era una posizione infantile ed imbarazzante; allo
stesso tempo un'indicazione dell'attuale considerazione di Voldemort
e un segnale verso Severus per come comportarsi. Da dove sedeva,
guardando la stanza, poté vedere la reazione dei suoi compagni
Mangiamorte. Bellatrix sembrava furibonda.
“Sai, Severus, ci sono delle voci
tra i miei Mangiamorte.”
“Il mio compito è di sentire le
voci tra i membri dell'Ordine della Fenice, mio Signore. Mi prendo la
libertà d'ignorare quelle fra i miei compagni Mangiamorte.”
Il Signore Oscuro rise. “Mi sei
mancato, Severus.” Sporgendosi in avanti con un dito sistemò i
capelli di Severus dietro l'orecchio. Il dito era freddo dove aveva
sfiorato la pelle. Il gesto era possessivo, ma anche calcolato per
esporre il viso di Severus allo sguardo di Voldemort. “Queste voci”
- Voldemort tornò in tema - “riguardano Harry Potter e la
profezia.” Severus tenne la sua mente vuota. “Sembra che alcuni
miei Mangiamorte, alcuni dei miei più cari amici, credano che Potter
sia destinato a sconfiggermi. Sono curioso di sentire la tua opinione
sull'argomento, Severus.”
Una risposta onesta era sempre la
miglior linea e questa era rafforzata dall'intensità della
conversazione della sera precedente con Dumbledore. “Credo che una
volta che Dumbledore sarà rimosso troverai sorprendentemente facile
uccidere il moccioso, mio Signore. Infatti bisogna solo sperare che
nessuno lo uccida per sbaglio. Solo per mano tua potrà trovare una
fine adeguata.”
“Ah, sì, Dumbledore. Quindi
approvi il mio attuale piano?”
“Il piano ha i suoi meriti, mio
Signore, ma sembra che Draco non sia in grado di portarlo a termine.
Il suo ultimo tentativo è stato deplorevole.”
“Sono d'accordo, è stato goffo.”
Il Signore Oscuro sospirò. “Gli ho dato un anno. Forse dovrei
ripensarci?”
Severus lasciò che il suo sguardo
si soffermasse su Draco prima di rispondere, una parola sbagliata
avrebbe fatto condannare il ragazzo. “Dice di avere un piano.”
Severus alzò le spalle. “Sarebbe... sportivo lasciarlo tentare.”
“Sei un tale puntiglioso verso le
regole, Severus.” Severus non era sicuro se il tono di voce di
Voldemort comportasse approvazione o meno. “E visto che hai fatto
Voto di aiutare...” Il Signore Oscuro s'interruppe mentre
appoggiava la mano dietro al collo di Severus. Il pollice e il medio
strinsero un po' troppo per essere ritenuto un tocco piacevole e
Severus sapeva che, se avesse deciso in tal senso, Voldemort avrebbe
potuto strangolarlo all'istante. “Visto che hai fatto Voto di
aiutare,” ripeté, “non ho niente da perdere dall'aspettare Draco
ancora un po'.”
Nei suoi momenti più razionali
Severus non aveva difficoltà ad analizzare la situazione attuale:
aveva sviluppato dei sentimenti inappropriati verso la signorina
Granger e lo stress della sua doppia vita stava reclamando il suo
tributo. Era totalmente possibile che la prima istanza fosse sintomo
della seconda. Aveva anche cercato di sviluppare diverse strategie
nel tentativo di contenere il problema. Primo, era tornato a
Spinner's End dopo aver riferito dell'incontro di Capodanno a
Dumbledore e aveva passato diversi giorni facendo il meno possibile –
nessuna lunga discussione con Dumbledore o Voldemort; nessun compito
da correggere, nessun piano per le lezioni, nessuna interazione con
gli studenti o con gli altri insegnanti; nessuna ricerca privata,
niente. Secondo, aveva deciso di chiamare la signorina Granger con
niente che non fosse il suo appellativo formale. Nessun uso informale
di “Granger” e certamente mai più “Hermione”, nemmeno al
sicuro nella sua testa. Terzo, l'avrebbe scoraggiata da qualunque
approccio amichevole: avrebbe imposto la regola d'incontrarsi solo
una volta a settimana e avrebbe colto ogni opportunità per
sminuirla. Severus Snape aveva un talento particolare per i commenti
taglienti e avrebbe esercitato la cosa nel pieno delle sue capacità.
Il tempo passato a Spinner's End gli
aveva dato un'ampia opportunità per riflettere sulle sue
“premonizioni.” Mentre a tarda notte stanco, ubriaco o entrambi –
la sera nell'ufficio di Dumbledore si ergeva come primo esempio del
secondo – dava per scontato uno stressante e convincente senso
dell'inevitabile, la logica luce della giornata permetteva una
benvenuta distanza critica. La somiglianza tra Hermione e Lily
rimaneva vera, ma era, prevalentemente, affermata da un'analogia
abbastanza superficiale. Le loro personalità, per esempio, erano
quasi diametralmente opposte. Mentre Lily era disponibile e alla
mano, popolare senza sforzo, Hermione era autoritaria e permalosa.
Esclusi Potter e Weasley non aveva dei veri amici. Anche fisicamente
erano molto diverse. Lily, semmai, mostrava una fin troppo forte
somiglianza con Ginevra Weasley, piuttosto che con Hermione Granger.
E il fatto che entrambe Lily ed Hermione risultassero essere
straordinariamente intelligenti era solo una piccola osservazione a
proposito del gusto di Severus Snape per le donne, non un'indicazione
che le due erano la stessa persona.
Inoltre, razionalizzò, aveva
creduto per lungo tempo nella sua imminente morte. Presto o tardi una
fazione della guerra lo avrebbe creduto un traditore. Non si era mai
aspettato di assistere alla caduta di Voldemort. E quindi, se la sua
vita stesse volando verso la fine? Non era una sorpresa per lui. La
cosa importante era tener duro – e così rimanere vivo il più a
lungo possibile.
Durante quei pochi giorni di
solitudine si era reso conto che il riguardo e il rispetto della
signorina Granger significavano per lui molto più di quello che
avrebbero dovuto. E il breve interludio sotto al vischio aveva
sollecitato ore di riflessioni su ciò che esattamente lei avrebbe
potuto intendere con quel gesto. Una ragione in più per dissipare
qualunque nozione positiva lei potesse avere su di lui e la sua
persona, immediatamente al suo ritorno a scuola. In questo modo i
suoi ridicoli sentimenti non avevano opportunità d'interferire con i
suoi doveri. Uccidere Albus sarebbe stato già di per sé abbastanza
difficile senza doversi preoccupare dell'effetto che avrebbe potuto
avere sulla sua relazione con un certo prefetto Grifondoro. Il
successo del piano di Dumbledore giocava sui cardini del non far
sapere a nessuno dove stava la sua lealtà e, visto che stava per
vivere la terribile, solitaria esistenza necessaria a quella farsa,
avrebbe fatto meglio a indurire il suo cuore e iniziare i
preparativi. La signorina Granger sarebbe stata la giusta prova per
impostare il suo futuro.
Severus tornò ad Hogwarts con un
obiettivo ben chiaro: Materializzarsi ai cancelli della scuola giusto
in tempo per mollare il bagaglio nelle sue stanze e dirigersi
all'incontro con gli altri insegnati per l'inizio del semestre. Fu
uno degli ultimi ad arrivare, anche se non c'erano ancora né
Dumbledore né Flitwick. Ansioso di evitare discussioni
insignificanti, Severus scivolò verso la sua sedia preferita ed
esibì sul viso un cipiglio intimidatorio. Non avrebbe tenuto lontane
Minerva o Hooch se avessero deciso di parlargli, ma la maggior parte
degli altri si sarebbe fidato nel mantenere le distanze.
Sfortunatamente, un cipiglio non era sufficiente per soffocare lo
stupido chiacchiericcio di coloro intorno a lui. Slughorn era il
peggiore. A quanto pare aveva lasciato la Gran Bretagna per due
intere settimane di ferie e stava intrattenendo Pomona con i dettagli
della sua vacanza in spiaggia alle Barbados. L'immagine mentale di
Slughorn disteso col costume da bagno era lontano dall'essere
piacevole.
“...e delle bevande così
deliziose, servite dentro ad una noce di cocco! Lo avresti adorato!
Ma,” il tono cambiò leggermente, “ciao Minerva! Come hai passato
il Natale? Mi è dispiaciuto non vederti alla mia piccola festa!”
Severus iniziò a ripetere gli ingredienti della Pozione Rilassante
nel tentativo d'ignorare la conversazione intorno a lui, ma la voce
di Slughorn era particolarmente irritante. “La tua Hermione era lì,
ovviamente – è un membro regolare degli incontri del mio Slug
Club!” Severus digrignò i denti alla menzione della signorina
Granger. Gli altri insegnanti potevano anche fare libero uso del suo
nome proprio, e persino tirar fuori pronomi personali, non era un suo
problema. “Lei e McLaggen fanno certamente una bella coppia!”
“McLaggen?” chiese Poppy. “Non
quell'idiota che ha mangiato delle uova di Doxy per una scommessa?”
“Stupidaggini, Horace,” replicò
Minerva compiacente, “Hermione Granger ha cose molto più
importanti per la testa che cercarsi un ragazzo!” Minerva
persisteva nella ridicola convinzione che tutte le ragazze brillanti
fossero lesbiche e Severus resistette all'urgenza di volgere gli
occhi al cielo.
“Oh no, ti assicuro che è vero!
Si sono messi in mostra in modo entusiasta sotto al vischio in un
modo che non vedevo da anni!”
Gelosia e rabbia si accesero
all'istante. Solo il tipo di controllo perfezionato da anni di
spionaggio prevenne Severus dal lanciarsi dalla sedia e maledire
Slughorn fino a farlo cadere nell'oblio. Ovviamente non era proprio
colpa di Slughorn, ma a Severus non era mai piaciuto lo stesso.
L'arrivo di Dumbledore impedì a
Minerva qualunque replica, che nascose dietro ad uno sbuffo
indignato, e gli altri membri dello staff iniziarono a sistemarsi
sulle sedie. Severus fu lasciato con la chiara realizzazione che le
sue emozioni riguardo alla signorina Granger non erano così sotto
controllo come aveva sperato.
Severus aveva avuto un moderato
successo nell'ignorare la signorina Granger nella classe di DCAO -
eccola lì, un viso in mezzo ad un mare di studenti – ma quando lei
andò nel suo ufficio il lunedì sera per la prima lezione del
semestre fu totalmente un'altra questione.
“Avanti,” disse, quando lei
bussò alla porta precisamente alle otto. Lui non alzò la testa dai
compiti che stava correggendo.
“Buonasera, professore.” La
signorina Granger lo salutò allegra e camminò verso la sua solita
sedia di fronte alla scrivania. Aveva uno scatto nel passo che non
c'era alla fine del semestre precedente. “Spero si sia goduto le
sue vacanze.”
“Tu sembravi certamente pronta a
goderti le tue.” Pronunciò la parola “goderti” così che
l'implicazione sessuale del commento fosse evidente.
Le sopracciglia di lei scattarono
verso l'alto per la sorpresa, ma tenne il viso impassibile e la sua
replica era chiara, “Chiedo scusa, signore?”
“Mi chiedevo,” rifletté,
atteggiandosi ad un'aria di profonda contemplazione, “ti aggiri
sotto al vischio per molestare ogni maschio di tua conoscenza?”
Severus sentì l'ondata di rabbia come una vecchia amica. Dopo le
emozioni e il subbuglio psicologico dell'ultima settimana, la
normalità della rabbia maligna era un sollievo. In parte per la
collera dovuta alla gelosa, in parte per la tristezza delle
manipolazioni di Dumbledore, in parte l'assoluto terrore ispirato sia
dalla prospettiva della sua morte impellente, sia dal continuare a
vivere come assassino di Dumbledore, l'intero caos delle sue emozioni
si canalizzò nella figura della giovane donna di fronte a sé. Come
si permetteva di sorridere quando lui era così disperato? Come si
permetteva di baciare McLaggen e poi cercare di baciare lui?
Sogghignò.
Il viso di lei si rabbuiò
all'istante. Il sorriso di benvenuto svanì per essere sostituito da
un'espressione vuota. “Professore, trovo questo tipo di domande
inappropriate. Dando per scontato che abbia una lezione per stasera,
questo sarebbe un buon momento per iniziare.”
“Signorina Granger,” ringhiò,
notando la leggera contrazione che provocava, “questo è il mio
ufficio e tu sconfini nel mio tempo a disposizione. Ci sono molte
lezione che tu -” diede un'enfasi individuale ad ognuna delle
parole, rivolgendo uno sguardo di disprezzo lungo tutto il corpo
mentre parlava - “hai bisogno d'imparare, deciderò io dove e
quando. Sono stato chiaro?”
La signorina Granger aveva stretto
la mani a pugno; il viso era molto pallido e la bocca stretta in una
linea sottile. “Non sono qui come studentessa, professor Snape, ma
come membro dell'Ordine della Fenice. E merito di essere trattata con
rispetto.” Il picco della sua voce aveva raggiunto un livello più
alto del normale.
“Davvero,” ghignò, “non ho
mai notato molto rispetto agli incontri dell'Ordine.”
“L'ho sempre trattata-”
“Silenzio!” Severus si alzò
dalla sedia e si chinò in avanti, entrambe le mani appoggiate contro
la superficie di legno della scrivania. “Se è il rispetto che stai
cercando ti sconsiglio di cercare farti strada andando a letto con
tutti.”
“Come si permette?” La signorina
Granger si sporse anche lei sulla sedia, il mento sollevato in una
posa aggressiva.
“Ti senti più rispettata? O
meno,” pressò in modo sgradevole, “dopo una scopata di
consolazione da parte di Viktor Krum?”
La signorina Granger rimase senza
fiato. La mano destra tremava dove l'aveva appoggiata nella tasca
della bacchetta. Per un secondo lo fissò, senza parole, poi afferrò
la borsa a tracolla e si alzò in piedi. “Non sono costretta a star
qui ad ascoltarla,” commentò, con solo un leggero tremito nella
voce. Teneva il mento alto e lottò per mantenere il volto
impassibile. Severus colse un cenno del precario equilibrio delle
lacrime lungo la palpebra inferiore. Senza un'altra parola, e senza
voltarsi, lei uscì dalla stanza.
La porta si chiuse dietro di lei con
un colpo deciso. Con un ringhio degno di un animale ferito Severus
lanciò il contenuto della scrivania sul pavimento. Si diresse
dall'ufficio verso il soggiorno e richiamò in silenzio la bottiglia
di Whisky Incendiario. Far arrabbiare la signorina Granger non aveva
migliorato il suo umore, per niente.
*
*
*
-----------------------------------
silviabella: penso non sarei stata
in grado di descrivere meglio di così il capitolo 17, ne hai colto in
pieno l'essenza. E la giostra continua, come hai potuto vedere da
questo capitolo, e non si fermerà fino alla fine dell'ultimo (fino alla fine della trilogia, se devo essere sincera...)
^___^
chi_lamed: spero che la mancanza di
Severus dello scorso capitolo sia stata compensata da questo in cui
torna in pieno “fool mood”. Lo scopo di grangerous è in effetti
trovare delle soluzioni ai buchi del canone. Devo dire che ci riesce
discretamente bene :))
|
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Capitolo 19 *** One is the Loneliest Number ***
Capitolo 19
NdT: col capitolo 19 vi ricordo sia
i ringraziamenti dovuti a silviabella, sia che i dialoghi
sottolineati si riferiscono ai romanzi originali.
Anne London
Capitolo 19
One is the Loneliest
Number
Hermione si mise a correre l'istante
dopo in cui la porta dell'ufficio di Snape si fu chiusa dietro di
lei. Aveva bisogno di mettere quanta più distanza possibile tra sé
e le sue parole crudeli. Una volta che fu emersa dai sotterranei,
tuttavia, rallentò fino ad una irrequieta camminata. Non erano
ancora le nove di sera e c'era ancora un certo numero di persone in
giro; non aveva nessun desiderio di coronare la sua orribile serata
con una punizione per aver corso nei corridoi. Non aveva neanche
alcun desiderio di essere vista in lacrime, e con determinazione
sbatté le palpebre per scacciare quelle che minacciavano di cadere,
mentre cominciava a salire verso il settimo piano verso l'ufficio
della professoressa Vector. Per una volta, le scale si mossero nella
sua direzione e, dopo solo una breve deviazione per evitare McLaggen,
accolse la familiare vista della porta della Vector con un sospiro di
sollievo. Bussò, quindi entrò, senza aspettare il permesso.
“Hermione,” il sorriso di
benvenuto della Vector scivolò immediatamente verso un'espressione
preoccupata e zittì all'istante le perline della collana mentre le
appoggiava sulla scrivania. Prendendo la bacchetta, la Vector
richiamò a sé una sedia confortevole. “Siediti, subito. Ti
preparo una tazza di caffè.”
Hermione tirò forte col naso e
sentì la prima di molte lacrime scivolarle lungo la gola. “Suppongo
-” tirò su col naso, “- che non abbia del tè?” chiese con
voce spezzata.
“Una bevanda molto inferiore,”
sottolineò la Vector, “ma viste le circostante...” Toccò il
briki con la bacchetta, trasformandolo in un bollitore e ponendolo
sulla fiamma per farlo scaldare. Frugando nel cassetto della
scrivania trovò un po' di tè e una scatola colorata di biscotti con
una sdolcinata scena di Hogsmeade nel periodo di Natale.
Hermione stava ora piangendo con
tutta se stessa. Appoggiò i gomiti sulla scrivania e si coprì la
testa con le mani. “Mi dispiace,” singhiozzò.
“Non essere ridicola, Hermione.
Non voglio sentire le tue scuse. Ti sentirai meglio se butterai fuori
tutto.”
Vector fece bollire l'acqua ad un
ritmo regolare e prese del tempo per scaldare la teiera prima di
mettere le foglie in infusione. Nel momento in cui le due tazze di tè
furono pronte, il peggio delle lacrime di Hermione era passato.
Hermione prese la tazza offerta e si appoggiò indietro contro lo
schienale, cullandosi col calore della sua bevanda sul petto e
accettando volentieri un biscotto al cioccolato.
“Penserà che sono un'idiota,”
osservò, sorridendo piuttosto tristemente alla professoressa.
Vector le lanciò uno sguardo
derisorio poco impressionato. “Nessuno crede un'idiota Hermione
Granger,” replicò.
Hermione espirò dal naso in un
gesto che era per metà una risata e per metà un sospiro. Inghiottì
il resto del biscotto e si sporse a prenderne un altro. Il cioccolato
era senz'altro terapeutico.
“Perché le persone devono essere
così difficili?” chiese, non aspettandosi realmente una risposta.
“Credo ti stia riferendo ad una
persona in particolare, non alle persone in generale.” La Vector
inzuppò un biscotto nel suo tè e morse la parte molle.
“Beh, due persone in particolare,
se devo dire la verità,” sospirò Hermione.
“Ragazzi?”
Hermione assentì con qualcosa di
simile ad una gorgoglio di risate. Era vero, in un certo senso, ma
pensare a Snape come ad un “ragazzo” era un'esagerazione. “Non
Harry,” aggiunse, non volendolo mettere in mezzo – insieme a Ron
era uno dei due ovvi “ragazzi” della sua vita.
“Posso?” Vector chiese il
permesso come se non volesse ficcare il naso.
Hermione annuì mentre stringeva il
labbro inferiore fra i denti.
“Il tuo litigio con Ronald Weasley
è evidente da settimane.” Hermione fece alla Vector un sorriso
sarcastico di conferma. “E l'altro, immagino, sia Severus Snape.”
Gli occhi di Hermione si
spalancarono. “Come lo sa?”
La Vector eseguì una complicato
disegno con la bacchetta, su di uno scarto di pergamena lì vicino, e
l'intera matrice apparve nella sua complicata rappresentazione
grafica. Muovendo la bacchetta come un direttore d'orchestra la
Vector la fece ruotare, manipolando e allargando la particolare
sezione in cui Hermione riconobbe la sua situazione attuale. Quindi
la Vector la rovesciò lungo il terzo asse temporale ed eliminò
molte delle linee visibili. Le due rimanenti erano intrecciate in una
complicata relazione, inarcandosi in cerchio e una sopra l'altra,
tirando e piegandosi fuori forma dalla forza delle loro interazioni.
“Oh.” Hermione la fissò e
piuttosto fiaccamente aggiunse, “Abbiamo avuto una discussione.”
“Non ne sono sorpresa,” la
Vector sembrava divertita. “Severus è una persona molto polemica.”
“Lei... e il professor Snape...
siete amici?” Ponendo la domanda Hermione si rese conto di essere
cresciuta parecchio nell'ultimo anno. Pensare ai suoi insegnanti come
a delle persone con delle vite, amicizie, e un aspetto che non era
proprio quello che mostravano ai loro studenti era una sensazione
strana
La Vector considerò la domanda
attentamente prima di rispondere. “Severus è una persona molto
riservata. Posso contare sulle dita di una mano coloro che considera
suoi amici: Albus, Minerva, Hooch, Poppy.” Si fermò per un
secondo, fissando la lavagna piena di calcoli con un'espressione
pensosa e la sua testa s'inclinò su un lato. “E Lucius Malfoy,”
concluse. “Una volta al mese Minerva o Hooch organizzano un'uscita
amichevole, giocano a poker, bevono un po', parlano di altre cose
rispetto al lavoro scolastico.” Sospirò, il suo viso normalmente
allegro ora serio, e fece un gesto verso l'equazione sul muro dietro
di sé. “In circostanze normali, Hermione, non sarebbe etico usare
dei calcoli Aritmantici così dettagliati sui propri colleghi.”
Hermione fece un brusco sospiro di comprensione e guardò la sua
professoressa con simpatia. “È difficile sapendo così tanto su di
loro. Il fatto che, per la maggior parte, non sappiano che io so non
allevia molto la mia coscienza.” Fece un'espressione ironica. “È
anche pericoloso. Non devono sapere che io so o quello che so. La mia
conoscenza dei piani di Dumbledore è un rischio calcolato.”
Sorrise alla sua stessa battuta. “Devo sapere parecchio su ciò che
hanno in mente molte persone, più di quanto il preside sia a proprio
agio nel sapere. Non so tutto, ovviamente, ma tenerlo per me diventa
più facile per lui e, ultimamente, più facile per me.”
Dev'essere una cosa solitaria,
pensò Hermione, come essere una spia. Il
suo stomaco si contrasse al marginale riferimento a Snape. Dumbledore
vuole limitare le possibilità di tradimento. Hermione
fissò la matrice generale, persa nei propri pensieri. Ma
questo lascia l'Aritmante come l'anello debole – no, si
corresse bruscamente con un'occhiata verso la Vector, l'Aritmante
è l'anello di congiunzione, non necessariamente debole. Non
c'era niente di debole nella
Vector. Dumbledore, Vector, probabilmente Snape... ed io.
Hermione non era solo un membro
dell'Ordine della Fenice, ma uno di coloro con la conoscenza per
tradirli tutti. Era un'immensa e terribile responsabilità.
“Se è di qualche consolazione,”
aggiunse la Vector, interrompendo i suoi ragionamenti, “penso sia
molto probabile che tu possa rimediare alla tua amicizia con entrambi
gli uomini, forse persino rafforzando il legame creato dalla
temporanea incomprensione.”
“Hmph.” Con Ron forse, ma non
credo di sapere cos'ho fatto di sbagliato col professor Snape.
“Come esattamente?”
Vector sorrise enigmatica. “Non
possiamo necessariamente cambiare gli eventi della nostra vita,
Hermione, ma possiamo cambiare le nostre reazioni a loro.”
Hermione si chiese, non per la prima
volta, se la Vector fosse perspicace perché era una brava Aritmante
o il contrario. Entrambe le cose probabilmente,
decise, contenta dell'eleganza
Aritmantica della sua risposta: una soluzione non invalida
necessariamente le altre soluzioni.
“Sai, Hermione,” continuò la
Vector, “sono particolarmente dispiaciuta di vederti così turbata
questa sera, perché oggi in classe sembravi più felice del solito.”
Hermione sbatté le palpebre e cercò
senza riuscirci quelle sensazioni di benessere e sicurezza che aveva
provato al suo ritorno a scuola. Malgrado la conversazione e la tazza
di tè con la Vector l'avessero calmata, la bolla di contentezza era
bella che scoppiata. “Ha ragione, professoressa. Ho avuto delle
vacanze piacevoli.” Hermione si diede una scrollata mentale. “Ho
incontrato un vecchio amico. In effetti, stavo per aggiungerlo alla
matrice. Abbiamo formulato un piano che, nel caso il Ministero
dovesse cadere, farà in modo di far uscire di nascosto i Nati
Babbani dal paese.”
Dall'improvvisa immobilità del
corpo della Vector, Hermione capì che aveva detto qualcosa
d'importante. La sua professoressa la guardava con un'espressione
strana. “Quello, Hermione, è un calcolo che mi interesserebbe
molto sentire.” In qualche modo sollevata dall'essersi allontanata
dall'argomento Severus Snape, o dalla vita solitaria di uno stratega
Aritmante, Hermione spiegò i dettagli salienti del piano suo e di
Viktor. In pochi minuti, lei e la Vector avevano iniziato ad
abbozzare l'inizio delle equazioni rilevanti, un compito che le
avrebbe tenute occupate per le ore successive.
Durante la pausa pranzo, la mattina
successiva, Harry portò Hermione fuori all'aria fredda del cortile.
La intrattenne con i dettagli riguardanti la sua lezione con
Dumbledore e il compito assegnatogli nel completare la domanda di
Voldemort nei ricordi di Slughorn.
“Dev'essere deciso a nascondere
ciò che realmente è accaduto se Dumbledore non è riuscito a
tirarglielo fuori,” rifletté. Dopotutto avrebbe potuto
usare la Legilimanzia abbastanza facilmente. “Horcrux...
Horcrux... non
avevo mai sentito parlare di loro...”
Un'altra cosa da aggiungere alla lista di cose da fare,
quindi. Almeno aveva più che
abbastanza lavoro per tenersi occupata.
“Davvero?” La fiducia
cieca che Harry aveva delle sue abilità di spiegare ogni cosa era
quasi toccante.
“Dev'essere davvero Magia
Oscura avanzata o altrimenti perché Voldemort avrebbe voluto sapere
qualcosa su di loro? Penso che sarà difficile trovare
quell'informazione, Harry, dovrai essere molto cauto nel tuo
approccio con Slughorn, pensare ad una strategia...”
“Ron crede che dovrei solo
aspettare dopo Pozioni questo pomeriggio...”
Hermione sentì la collera
stringerle la gola, toccando il tono della voce. “Oh, beh, se
Ron-Ron pensa
così dovresti
farlo. Dopotutto, quando mai il giudizio di Ron-Ron
è mai stato imperfetto?”
“Hermione, non potresti-?”
“No!”
Girò
i tacchi e tornò dentro, portando
con sé le fiamme azzurre. Se Harry
pensava che fosse lei quella che doveva scusarsi poteva anche
dannatamente starsene fuori al freddo da solo.
Rimanevano ancora quindici minuti
buoni d'intervallo ed Hermione s'infilò in una delle nicchie studio
che circondavano il cortile, per riprendere fiato e ricomporsi prima
delle lezioni. In questo modo poteva anche evitare di parlare con
chiunque altro. Se la nicchia fosse stata vuota sarebbe stato un buon
piano, ma sfortunatamente Hermione si ritrovò faccia a faccia con
Tracey Davis, i cui calcoli Aritmantici erano aperti di fronte a sé
in un certo disordine. La Davis non sembrava molto contenta e
l'improvvisa intrusione di Hermione non fece nulla per migliorare il
suo umore.
“Cosa vuoi Granger?” ringhiò.
Già turbata dal suo quasi litigio
con Harry e dal pensiero di Ron, la vista della Davis e del suo
lavoro Aritmantico erano uno sgradito promemoria della situazione con
Snape. La vista della ragazza Serpeverde attivò un'improvvisa fitta
di gelosia, seguita da vicino dalla rabbia verso sé stessa per aver
avuto una reazione così cruda, quindi rabbia verso Snape per il suo
orribile comportamento.
“Qualche progresso con il tuo
progetto?” chiese Hermione in risposta, impostando la voce col tono
più falsamente dolce che riuscì a trovare.
La Davis mise il suo lavoro di
fronte a sé in modo protettivo. “'Vaffanculo, Granger,” rispose
scortesemente. “Saresti felice come tutti gli altri piccoli
Grifondoro se la maledizione andasse a buon fine – non sforzarti a
negarlo.”
“Lo prendo come un no,” rispose
Hermione, girando sui tacchi e scappando letteralmente.
Se Hermione aveva trovato Hogwarts
solitaria prima di Natale, il secondo semestre fu ben peggiore. Ora
doveva evitare McLaggen, insieme a Ron e Lavender, il che poneva la
sala comune di Grifondoro proibita, eccetto che per alcune ore molto
presto al mattino, ed era sempre ancora impossibile intrattenersi nel
suo dormitorio. Vide Harry alternativamente solo durante i pasti o in
biblioteca dove, malgrado i suoi migliori tentativi, non era stata in
grado di scoprire nulla a proposito degli Horcrux. Le mancavano le
sue lezioni private con il professor Snape, più di quanto fosse
ragionevole, specialmente visto che durante DCAO era riuscito ad
aumentare il suo livello di generale cattiveria oltre ogni
immaginabile limite.
Un paio d'ore d'intenso lavoro
avevano liberato Marietta Edgecombe dalla maledizione, anche se ci
vollero un paio di settimane perché le macchie iniziassero a sparire
completamente. Hermione tenne traccia dei suoi progressi con delle
occhiate furtive durante i pasti, ma anche se le macchie stavano
sparendo, le occhiate di Marietta erano furiose come sempre. L'intera
catena di eventi portò Hermione a sentirsi sempre più depressa.
L'unico posto in cui si sentiva sinceramente felice era il rifugio
nell'ufficio della Vector e, di conseguenza, Hermione passò lì
più tempo possibile.
I calcoli stavano procedendo bene.
Con il prezioso ed esperto aiuto della Vector, aggiungere Viktor era
stato piuttosto immediato. Prendendo per assunto che il Ministero
sarebbe caduto, la sua presenza nella matrice dimostrava una
significativa riduzione del numero di potenziali incidenti.
Aggiungere Malfoy era stato
oggettivamente più difficile, e non solo perché lei non poteva
rivelare la sua partecipazione alla Vector. Hermione, tuttavia, alla
fine aveva risolto l'equazione con sua soddisfazione. La sua formula
era definitivamente collegata a quella di Katie Bell e le probabilità
che fosse in effetti un Mangiamorte iniziavano ad apparire
straordinariamente alte.
Non lo aveva ancora detto ad Harry –
o a nessun altro se è per questo. Eticamente era bloccata. I suoi
calcoli la portavano a domandarsi in modo pressante che cosa avrebbe
fatto successivamente Malfoy, ma allo stesso tempo era forte
l'evidenza che Dumbledore, o almeno Snape, avesse già una chiara
idea su chi fosse responsabile dell'incidente originale. E se avesse
parlato a qualcuno dei suoi risultati avrebbe dovuto rivelare che
Harry aveva origliato. In modo simile, non aveva la libertà di dire
ad Harry niente a proposito dei calcoli di Aritmanzia, anche se in
questo caso la sua forzata segretezza arrivò come un sollievo. Per
essere completamente onesti, l'enorme “Te l'avevo detto” non era
qualcosa che al momento aveva la capacità emozionale di sopportare.
Con l'equazione di Malfoy
stabilizzata, il suo passo successivo fu quello di ricalcolare le
probabilità variabili per tutto l'anno accademico. Fiduciosamente,
la sua aggiunta alla matrice sarebbe stata sufficiente per
quantificare alcune delle esistenti imprecisioni.
Rigirando ancora le strutture
matematiche nella sua testa, Hermione attraversò il castello
dall'ufficio della Vector verso la torre di Grifondoro. C'era ancora
un'ora circa prima del coprifuoco e aveva calcolato, speranzosa, il
tempo per poter anticipare i giocatori di Quidditch di ritorno
dall'allenamento. In questo modo Lavender sarebbe stata di sotto
nella sala comune in attesa di Ron, ed Hermione poteva prepararsi per
andare a letto, senza dover assistere allo spettacolo del suo
ritorno.
“Buonasera, signorina Granger,”
l'improvvisa apparizione di Dumbledore sorprese alquanto Hermione;
non era usuale imbattersi nel preside lungo i corridoi.
“Buonasera, professore.”
“Che cosa opportuna che ci siamo
incontrati in questo modo. Perché non vieni nel mio ufficio per una
tazza di tè?”
Non era il tipo d'invito che poteva
essere facilmente rifiutato ed Hermione si ritrovò a seguire la scia
di Dumbledore. Un iniziale velo di curiosità fu seguito da un
martellante panico che qualcosa di terribile potesse essere accaduto
– forse ai suoi genitori?
Dumbledore non fece nessuna menzione
del motivo della visita finché non furono entrambi sistemati
nell'ufficio, con in mano delle fumanti tazze di tè. Lui sorrise
gentilmente, agitandosi dietro a latte e zucchero ed offrendole una
certa varietà di biscotti.
“Bene, mia cara, come procede lo
studio?”
Un po' della tensione di Hermione si
dissipò: i suoi genitori stavano bene. Ciò che rimaneva si
solidificò in una fredda massa da qualche parte vicina all'ombelico.
Si trattava del professor Snape.
“Il mio lavoro sulle equazioni
Aritmantiche sta procedendo molto bene.” Ecco, era la verità.
“Meraviglioso!
E come procede l'Occlumanzia?”
“L'Occlumanzia non mi da più
problemi, signore.” Hermione sollevò leggermente il mento e fissò
Dumbledore direttamente negli occhi, sfidandolo quasi, a prenderla in
parola. Notò un tremolio di qualcosa simile ad irritazione nel
contrarsi della bocca. Pensava che del tè, biscotti e il tran tran
del vecchio-gentile avrebbero potuto farla sfogare al suo orecchio
comprensivo? Non era certo che volesse Dumbledore come confidente.
Dumbledore si appoggiò indietro
sulla sedia e la fissò valutandola. Con il tè appoggiato contro il
petto, tese avanti la sua mano annerita e usò un dito per girare il
piattino sul posto. Il gesto mise particolarmente in evidenza la sua
ferita. Semmai appariva peggio di come le era sembrata mesi prima: il
nero era completamente avanzato lungo il suo braccio e ora spariva
sotto alla manica. Hermione si ritrovò a fissare i suoi movimenti
con un'orribile attrazione e spostò bruscamente gli occhi verso i
suoi. Lui sospirò e cambiò drammaticamente tattica.
“Mi è giunta voce che tu e il
professor Snape avete avuto un diverbio.”
Hermione sollevò un sopracciglio.
Non c'era nessuna possibilità che potesse discutere i dettagli con
Dumbledore. “Davvero? Credo sia un argomento che dovrebbe discutere
con il professor Snape, signore.”
I bordi degli occhi di Dumbledore si
piegarono nel suo primo e genuino sorriso della serata. “L'ho
fatto,” replicò. “Non è stato la conversazione più... ah,
conviviale.” Ponendo la tazza sul suo piattino sollevò entrambe le
mani con i palmi sollevati in un gesto di diniego. “Ascolta,
signorina Granger, non ho intenzione di indagare sulle specifiche del
diverbio.” Fece una pausa. “Conosco Severus da molto tempo.
Abbastanza a lungo da considerarlo un buon amico.” Dumbledore alzò
le spalle con aria di disapprovazione. “Gli affiderei la mia vita.
Eppure Severus è, nel migliore dei casi, permaloso. Non so cosa ci
sia stato fra voi due, ma so che lo ha sconvolto.”
Hermione non disse niente e mantenne
il viso impassibile. Dio, è un vecchio bastardo
manipolatore. Immagino che Dumbledore pensi che riprendere le nostre
lezioni sia importante per la “causa”.
“Sono
un uomo anziano, signorina Granger, e ho chiesto a Severus di portare
a termine
un incarico difficile. Spero non sia troppo duro per lui.”
Hermione sentì una fredda rabbia.
Non avrebbe voluto niente di meglio che perdonare il professor Snape,
ma se Dumbledore pensava fosse suo compito fare ammenda si sbagliava.
Oh, sapeva che Snape non era il tipo da chiedere scusa – diamine,
non pensava neanche che Ron le avrebbe chiesto scusa direttamente –
ma lei aveva bisogno di qualche indicazione, qualche gesto che fosse
meno aspro del solito, che per Snape potesse contare. “C'è altro,
professore?” Hermione era consapevole che il suo comportamento
sconfinava nella mancanza di rispetto, ma non le importava.
Dumbledore sospirò ancora una
volta. “No, signorina Granger, puoi andare.”
Mentre si alzava per andarsene,
Hermione guardò a lungo Fawkes. Lui la guardò di rimando con la
testa piegata su un lato in un modo che le ricordava la professoressa
Vector. “Buonanotte professore, grazie per il tè.”
Dumbledore accettò i suoi
ringraziamenti con un cenno e sollevò la mano per salutarla con la
mano rovinata. La lunga manica della tunica scivolò con il
movimento, mettendo in evidenza la pelle fino al gomito. Hermione si
sentì un po' male, rendendosi conto che doveva essere nero fino in
basso.
Hermione guardò il suo orologio
mentre scendeva la scala a chiocciola. Doveva muoversi se voleva
arrivare prima del coprifuoco. Ha ragione Dumbledore? si
chiese, camminando verso la torre di Grifondoro senza fare attenzione
al percorso. Il professor Snape è turbato quanto lo sono
io?
Le
mani che la afferrarono erano ruvide e forti e la tirarono verso la
nicchia buia prima che potesse reagire. Fu voltata verso il muro con
un tonfo; i libri che stava trasportando caddero rumorosamente sul
pavimento. Una mano le coprì la bocca mentre con
l'altra le
teneva il polso, quello
con
cui usava la bacchetta, stringendolo saldamente. I suoi sforzi erano
inutili. La mano sul suo viso le spingeva la testa indietro e, mentre
si girava, le pietre le graffiarono la guancia e la ferirono alla
testa. Cercò di colpire il suo aggressore, ma con una risata bassa
l'ampio corpo si pressò contro di lei, di fatto intrappolandola.
“Tu ed io, Granger,” disse la
voce di un uomo, leggermente ansimante. “Abbiamo una questione in
sospeso.”
Merda. Aveva
riconosciuto quella voce. Merda.
*
*
*
----------------------------------------
Spotless_mind:
capitolo denso con Hermione che s'inserisce benissimo nel contesto.
Certo che quando Snape diceva che avrebbe tenuto le distanze non mi
aspettavo una simile reazione, ma almeno ha ottenuto quello che
voleva...in modo un po' drastico, uhm...
Anne
|
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Capitolo 20 *** Misery Loves Company ***
Capitolo 20
NdT: Certo che al ventesimo capitolo
inventarmi qualcosa per ringraziare quella santa di silviabella è un
po' difficile...
Capitolo 20
Misery Loves Company
Arrivato ad un certo punto Severus
non poté sopportare di rimanere nel suo ufficio. Grifondoro aveva
riservato il campo da Quidditch, eppure lei non era ancora arrivata.
Invece prese a controllare i corridoi, facendo calare il silenzio tra
i gruppi di studenti che parlottavano, mentre li superava e toglieva
punti per le più piccole infrazioni. Con il coprifuoco che si
avvicinava, Severus deviò verso la torre di Grifondoro. C'era sempre
qualche studente che riteneva che cinque minuti di ritardo fossero
comunque presto.
Al suono di passi in avvicinamento,
si nascose dietro ad un'armatura a portata di mano e si Disilluse con
un incantesimo non verbale. Nella sua vasta esperienza nel
terrorizzare studenti, il saltar fuori e sorprenderli da dietro era
risultato essere il metodo più soddisfacente. Controllò l'orologio
proprio mentre il polso spariva alla vista. Chiunque fosse aveva
trenta secondi di ritardo.
Eppure, mentre Hermione Granger
passeggiava oltre il punto in cui era nascosto, si bloccò. Sembrava
pensierosa. Il suo sguardo era sfocato e, mentre si mordeva il lato
di un pollice, diversi libri di Aritmanzia erano mantenuti
delicatamente contro il petto con l'altra mano. Senza veramente
volerlo, Severus iniziò a seguirla, rimanendo ben indietro così che
i suoi passi non potessero essere uditi. Quando lei voltò l'angolo
di fronte, lui accelerò il passo, riluttante nel perderla di vista
per secondo più del necessario. Ma, svoltato l'angolo, lei non si
vedeva da nessuna parte. Gli occhi di Severus si restrinsero per la
costernazione. Tenendo il passo leggero, continuò ad andare avanti,
gli occhi che controllavano le mura su entrambi i lati, i sensi
allerta per qualunque suono o traccia che potesse suggerire la
presenza di Potter e il suo dannato mantello dell'invisibilità.
Tutto ciò mentre sentì il suono di qualcuno che lottava e una voce
di uomo, bassa e minacciosa:
“Tu ed io Granger abbiamo una
questione in sospeso.”
Senza fermarsi a pensare ad un piano
d'attacco, Severus si fermò vicino alla nicchia adiacente, allo
stesso tempo facendo terminare il suo incantesimo di Disillusione e
riempiendo lo spazio di luce. Valutò la scena di fronte a sé in un
istante: McLaggen teneva Hermione bloccata contro il muro. Di fronte
all'improvvisa luce intensa, McLaggen si voltò leggermente dando ad
Hermione abbastanza spazio per dargli una ginocchiata nella parte
alta del torso e liberare la mano della bacchetta. Strattonando la
testa all'indietro e quindi velocemente in avanti, colpì con forza
la sua fronte contro la radice del naso di lui: l'impatto fece un
disgustoso scricchiolio. Pochi secondi dopo, McLaggen fu colpito da
un potente Controincantesimo per il Malocchio, lanciato da Severus.
Ci fu un flash di luce cremisi e il giovanotto ben piazzato fu
lanciato attraverso la nicchia andando a schiantarsi contro il muro
più lontano. Hermione non perse tempo, estrasse la sua stessa
bacchetta e McLaggen aprì gli occhi alla vista di due punte di
bacchetta, entrambe dirette risolutamente al cuore.
Severus notò l'aspetto della
signorina Granger. C'era del sangue ai lati della faccia: era stata
ovviamente scossa e ammaccata in diversi punti. Avrebbe voluto
prenderla tra le braccia; voleva uccidere McLaggen. McLaggen.
“Battibecco
tra innamorati?” chiese,
grondando sarcasmo.
“No, signore.” La voce della
signorina Granger era dura come l'acciaio, la sua attenzione
focalizzata sul giovane uomo disteso davanti a lei.
Lui riportò l'attenzione verso il
suo aggressore e la bile gli salì in gola. “Cento punti in meno a
Grifondoro, McLaggen,” disse seccamente. “Lascerò che sia la
professoressa McGonagall ad ideare una punizione adatta: ti avverto,
ha poca simpatia per gli uomini violenti.”
McLaggen lo fissò stordito. Il naso
era chiaramente rotto e il sangue colava da una narice, scorrendo in
rivoli lungo il mento.
Severus si chinò in avanti e lo
afferrò per la tunica. Con un brusco strattone sollevò McLaggen in
piedi. “Presentati al suo ufficio domani mattina prima di
colazione. Sono stato abbastanza chiaro?”
McLaggen annuì in maniera
disperata, con la paura che iniziava a penetrare nel suo stato
scioccato. Quando Severus lo tirò via dalla nicchia, il suo senso di
autopreservazione si riaffermò immediatamente e prima ancora che
Severus lo stimolasse con un “Infermeria, subito!” lui si stava
già muovendo nella direzione. Severus si voltò verso la signorina
Granger. Aveva rimesso via la bacchetta ed era occupata a raccogliere
i libri che aveva fatto cadere.
“Vieni qui.” La sua voce era
inutilmente dura. Lei vacillò per un secondo con le dita intorno
all'ultimo libro, prima di voltarsi verso di lui, i libri tenuti come
uno scudo di fronte a sé. “Rimani ferma.” Con la bacchetta tesa
Severus lanciò un semplice incantesimo diagnostico. Lividi e un
taglio sul viso. Senza un
unguento non poteva fare niente per i lividi, ma si avvicinò e
appoggiò la bacchetta sul taglio, tenendo il suo corpo rigido.
Hermione sussultò solo leggermente al tocco della bacchetta, con il
viso impassibile. Una volta
guarita, lui si tirò indietro e le fece segno
verso l'uscita. Lei lo precedette fuori.
Nel corridoio lui passò avanti,
conducendola verso l'ingresso della torre di Grifondoro. Nessuno dei
due parlò, ma sentì i passi di lei dietro di sé. Di fronte al
ritratto della Signora Grassa si fermò.
“Se ti ritrovo fuori dopo il
coprifuoco, signorina Granger, perderai dei punti casa.” Lui le
fece un gesto poco aggraziato verso il ritratto.
Hermione fece un profondo respiro.
“Professore,” iniziò.
“Silenzio!”
“Ho solo-”
“Dieci punti in meno a
Grifondoro,” ringhiò, schioccando le dita in maniera imperiosa
verso la Signora Grassa, che lo degnò di uno sguardo di ribellione
prima di aprirsi. “Dentro, adesso!”
Hermione contrasse la bocca per il
fastidio. Senza un ulteriore sguardo entrò dentro al buco del
ritratto, lasciando solo la Signora Grassa a notare l'espressione
desolata sul viso di Snape e i suoi pugni stretti con fervore.
“Prego, professore!” disse la
Signora Grassa sarcasticamente verso la sua figura che si
allontanava, ma il professore non replicò.
La sua prima destinazione fu
l'ufficio della McGonagall dove spalancò la porta come se fosse la
sua aula di Pozioni. Minerva alzò lo sguardo, sorpresa di fronte al
suo arrivo improvviso.
“Severus! Cosa significa tutto
ciò?”
“Risparmiami le scene, Minerva.
Domani mattina prima di colazione Cormac McLaggen verrà da te per
una punizione. Dovresti davvero tenere i tuoi studenti sotto un
migliore controllo, sai.”
“McLaggen? Cos'ha fatto adesso?”
Severus rispose sarcastico.
“Apparentemente si è appena evoluto da
comportamento-auto-distruttivo ad abuso-domestico.”
“Per carità Severus! Smettila
d'incombere così, siediti e dimmi cos'è successo.”
Severus decise di ignorare le sue
istruzioni. Invece di sedersi si chinò sulla sua scrivania verso di
lei, le mani appoggiate sulla superficie di legno. “L'ho beccato in
una nicchia vicino alla torre di Grifondoro intento nell'atto di
sbattere la testa della signorina Granger contro il muro.” Minerva
rimase senza fiato e si premette una mano sul cuore. “Visto che sei
ovviamente incapace di controllare il suo atteggiamento, Minerva,
spero possa fidarmi di te per punirlo.” Con questo, Severus si
voltò ed uscì, lasciando Minerva a boccheggiare da sola.
Una volta arrivato nel suo ufficio,
gli ci vollero solo pochi secondi per trovare l'unguento per i
lividi. Chiamato un elfo domestico, gli diede istruzioni per farlo
recapitare alla signorina Granger immediatamente. Fatto questo, tornò
nei corridoi dove tracciò una solitaria e peripatetica via, mentre
le ore passavano piacevolmente, e dove il sonno non sarebbe
probabilmente arrivato.
I giorni successivi videro pochi
miglioramenti nell'umore di Severus. Dormiva poco e litigava con
chiunque si avvicinasse abbastanza per iniziare una conversazione.
Rifiutò di andare a volare con la Hooch, anche se lei glielo aveva
chiesto diverse volte, e fu persino scortese con Minerva nella sua
forma di Animagus, scacciandola per allontanarla da lui con una
pioggia di scintille verdi.
Il sabato sera, dopo aver sistemato
il suo pasto intorno al piatto per il tempo necessario da
considerarlo presente a cena, Severus si alzò per andarsene. Fu
trattenuto dalla mano di Dumbledore sul suo braccio.
“Mio caro ragazzo, speravo
potessimo fare una passeggiata serale insieme.”
Severus si risedette riluttante. Il
preside aveva un talento per avanzare inviti da cui era impossibile
sfuggire. “Va bene, Albus, anche se non riesco ad immaginare quali
benefici si possano guadagnare per la salute dall'aria di febbraio in
Scozia.”
Dumbledore sorrise benigno e gli
diede un colpetto sul braccio in modo distratto. “Prendi del
pudding al cioccolato prima di andare,” suggerì. Severus incrociò
le braccia e si accigliò.
Una volta che ebbero iniziato la
passeggiata, Dumbledore sembrò stranamente riluttante ad iniziare
una conversazione ed erano ben lontani dalle mura del castello quando
si decise.
“Sono grato, Severus, per il tuo
pronto intervento nei confronti della signorina Granger questa
settimana.”
Severus s'irrigidì e le sue mani si
strinsero di riflesso. “Non ho alcun desiderio di parlare della
signorina Granger, Albus.”
“Ah, mi pare di capire che non hai
ancora ricominciato le tue lezioni.”
Severus decise di cambiare
argomento, piuttosto che rispondere all'implicita domanda. “Cosa
stai facendo con Potter durante tutte le sere in cui
siete richiusi insieme?”
Dumbledore sospirò. “Perché?
Non stai cercando di dargli altre
punizioni, Severus? Quel ragazzo passerà presto più tempo in
punizione che fuori.”
“È
suo padre in tutto e per tutto-”
“Nell'aspetto forse, ma la sua
natura più profonda è più simile a quella di
sua madre. Ho passato del tempo con Harry perché
ho delle cose da discutere con lui, informazioni che devo dargli
prima che sia troppo tardi.”
Severus sentì la critica
sottintesa. C'erano cose che doveva insegnare ad Hermione Granger, ma
per quello era già troppo tardi. Un'ondata di disperazione minacciò
di sopraffarlo. No. Prendendo
una pagina dal proprio libro
della Granger ripiegò ogni
ricordo
che aveva di lei degli
ultimi tre anni e lo nascose dietro la biblioteca
della sua mente. Era una spia. Aveva un lavoro da fare. Si
soffermò sui commenti di
Dumbledore con attenzione, ripensando allo stesso modo anche a quelli
delle altre sere. “Informazioni che devo dargli,” …
“Se
lo conosco bene farà in modo che quando si prefiggerà d'incontrare
la morte significherà veramente la fine per Voldemort.”
“Informazioni. Credi in lui...
ma non ti fidi di me.”
“Non è una questione di
fiducia. Come entrambi sappiamo, ho un tempo limitato. È essenziale
che io dia al ragazzo abbastanza informazioni per fare ciò
che è necessario che faccia.”
“E perché io non
ho le stesse informazioni?” Dovrei dire a Potter quando deve
morire, senza sapere ulteriori dettagli dell'essenziale piano segreto
che deve compiere prima. Sono veramente in grado di determinare il
momento corretto dal comportamento del Signore Oscuro nei confronti
di Nagini? Il piano era zeppo di
buchi, abbastanza larghi da
farci passare
l'Hogwarts Express.
“Preferisco non affidare
tutti i miei segreti ad una sola persona, soprattutto
non ad una che passa così tanto tempo a
ciondolare tra le braccia di Lord Voldemort.”
“Cosa che faccio per tuo
ordine!”
“E lo fai estremamente bene.
Non pensare che sottovaluti il pericolo costante a cui
ti esponi, Severus. Passare a Voldemort quelle che sembrano
informazioni di valore mentre nascondi l'essenziale è un lavoro che
non affiderei a nessuno se non a te.”
“Eppure ti fidi molto più di
un ragazzo che è incapace di usare l'Occlumanzia, la
cui magia è mediocre, e che ha una connessione diretta con la mente
del Signore Oscuro!”
“Voldemort teme quella
connessione. Non troppo tempo fa ha avuto un piccolo assaggio di ciò
che veramente significa condividere la mente di Harry con la sua. È
un dolore che non ha mai sperimentato. Non cercherà di possedere di
nuovo Harry, ne sono sicuro. Non in quel modo.”
“Non capisco.” Severus
sapeva di sembrare petulante e la cosa lo faceva sentire più
irritabile.
“L'anima di Lord Voldemort,
menomata così com'è, non può tollerare un contatto stretto con
un'anima come quella di Harry. Come una lingua sull'acciaio
ghiacciato, come la carne sul fuoco-”
“Anime?” Severus sputò
la parola all'uomo anziano. “Stiamo parlando di menti!”
“Nel caso di Harry e Lord
Voldemort, parlare di una è come parlare dell'altra.”
Dumbledore controllò l'ambiente intorno a loro attentamente e
continuò con un sospiro. “Dopo che mi avrai ucciso, Severus-”
“Ti rifiuti di dirmi tutto,
eppure ti aspetti da me questo piccolo favore!” Con
Dumbledore morto nessuno saprà l'intera storia, nessuno sarà lì
per assicurarsi che tutto vada perfettamente bene alla
fine – Dio, chi piomberà addosso con
abbastanza punti per mostrare a Potter come portare a casa la
metaforica Coppa? “Dai
un sacco di cose per scontate, Dumbledore! Forse ho cambiato idea!”
“Mi hai dato la tua parola,
Severus. E visto che stiamo parlando dei favori che mi
devi, pensavo avessi acconsentito nel tenere d'occhio il nostro
giovane amico Serpeverde?” Dumbledore sospirò alla rabbia nuda
sul viso sottile di fronte a sé. “Vieni nel mio ufficio
stasera, Severus, alle undici e non ti lamenterai che non ho
abbastanza fiducia in te...”
Secondo Dumbledore la conversazione
era finita. Severus incrociò le braccia in modo ribelle, ma si voltò
indietro verso il castello senza un'ulteriore parola.
Le undici di sera si rivelarono
essere un incontro con la Vector a proposito dei calcoli Aritmantici.
Dumbledore era particolarmente emozionato dai cambiamenti che
l'inserimento di Krum aveva portato alla matrice, controllando
ripetutamente le probabili conseguenze per i maghi e le streghe Nati
Babbani. Severus capiva che la sua presenza nella stanza implicava un
gesto di fiducia. Le speranze e i piani dell'intero Ordine erano
aperte davanti a lui ed espresse in formule. Se qualunque
informazione avesse raggiunto l'attenzione di Voldemort, le
conseguenze non sarebbero state meno che mostruose. Eppure, non era
felice di essere lì.
La Vector metteva sempre Severus a
disagio. Non gli piaceva il fatto che la donna sapesse così tanto su
di lui: non poteva sopportare il suo sorriso perenne. Non aveva alcun
dubbio che avesse tracciato ed estratto la sua precedente carriera da
Mangiamorte con Aritmantica accuratezza, persino quando sedeva nella
sua classe da imbronciato adolescente. Non aveva visto lui stesso le
equazioni fino all'anno prima che Potter iniziasse Hogwarts, ma anche
adesso la presenza della Vector gli ricordava la nauseante sensazione
di vedere la cruda iscrizione della sua vita e le motivazioni in
forma numerica. Lo lasciava esposto e permaloso come se dietro quel
sorridere la donna inscrutabile vedesse dietro ai crudi margini della
sua anima.
Con i ricordi di Hermione Granger
riposti via al sicuro, la frequente menzione del suo nome non era
altro che un'irritazione minima, nemmeno i numerosi riferimenti a
Krum poterono attraversare i limiti dei suoi nervi sovreccitati.
Anche se dopo... Spinse quel
pensiero da una parte e si concentrò sulla conversazione.
“Il suo lavoro è straordinario,
come sempre,” osservò la Vector. “Severus,” continuò lei,
“Avevo intenzione di chiederti se hai dato un'occhiata al progetto
di Aritmanzia di Tracey Davis.”
“Essere il Direttore della Casa
Serpeverde non comprende aiutare i miei studenti a fare i compiti.”
Non gl'importava mantenere il sogghigno nella voce, ma la Vector gli
sorrise in ogni caso.
“Se dovesse capitarti, dovresti
dargli un'occhiata. Penso che lo troverai interessante. Non credo che
risolverà il problema in cui si è infilata, ma è un encomiabile
tentativo comunque.” La Vector aveva iniziato a raccogliere i vari
fogli di pergamena coperti di equazioni che erano sparpagliati lungo
la scrivania di Dumbledore. Sembrava che quell'interminabile serata
stesse finalmente arrivando ad una fine.
“Sicuramente. Se non c'è più
bisogno della mia presenza...” Severus si voltò verso Albus, un
sopracciglio sollevato.
Dumbledore sollevò un polso molle
in un gesto ben intenzionato di congedo. “Vai pure, Severus.
Buonanotte.”
Severus annuì freddamente ad
entrambi, Vector e Dumbledore, e con gratitudine uscì dal suo
ufficio, giù dalle scale mobili e verso il corridoio. Incontrò
Peeves solo dopo pochi momenti, ma il poltergeist aveva avuto il buon
senso di scappare alla vista della sua bacchetta sguainata. La gatta,
Minerva, gli soffiò da un angolo buio, ma vista la violenza del loro
ultimo incontro c'erano poche possibilità che potesse approcciarlo:
tornò nel suo appartamento senza ostacoli. Una volta dentro, chiuse
la porta con attenzione e aggiunse ulteriori protezioni al già
paranoico livello che era sempre in piedi. Sgusciò via dalla toga da
insegnante e dagli stivali e si sedette di fronte al fuoco.
Dalla sua esperienza nel nascondere
i ricordi di Lily da Lord Voldemort, sapeva che per disfare ciò che
aveva nascosto era necessario riviverli. Bisognava rivivere ogni
ricordo nella strana e simultanea temporalità di raccolta, un super
saturo afflusso d'intensità accartocciata. Squisitamente doloroso,
insopportabilmente reale. Serviva per mantenere il senso di colpa che
sentiva per la perdita dell'amicizia con Lily, e la sua morte
seguente bruciava intensamente malgrado il tempo passato. Ora doveva
fare lo stesso con i ricordi di Hermione, e più li lasciava peggio
sarebbe stato. Non vedeva proprio l'ora di passare il resto nella
notte.
Il martedì sera trovò Severus solo
nel suo ufficio, ancora una volta. Gli ultimi due compiti di Hermione
Granger giacevano di fronte a sé e li stava fissando afflitto. Aveva
misurato la lunghezza di entrambi con la bacchetta, lo sapeva, come
lo sapeva ad una prima occhiata, che entrambi i compiti erano
precisamente della lunghezza assegnata e non un centimetro di più.
Avendoli letti completamente, sapeva che avevano a che fare soltanto
e coscientemente con il soggetto trattato. Le informazioni
all'interno era limitate a ciò che diceva il libro. Non c'erano
riferimenti alle ricerche recenti o agli interessanti sviluppi nel
campo, non trasversali informazioni di altre discipline, nessuna
ipotesi sulla direzione che il lavoro avrebbe preso in futuro. Non
c'era modo di scappare: il compito era blando e Severus si sentì
derubato.
Guardò l'orologio nel muro: tre
minuti alle otto. La sua mano sinistra era stretta in un pugno, a
disagio e consciamente si rilassò, scuotendo la parte bassa del
braccio gentilmente. Dal programma nella sala insegnanti sapeva che
la squadra di Grifondoro aveva occupato il campo da Quidditch.
Risolutamente, riportò la sua attenzione alle carte di fronte a sé,
intingendo la sua penna nel barattolo d'inchiostro rosso. Con la
punta della sua penna, sospesa sopra ai fogli esitò, insicuro su
cosa scrivere. I secondi si prolungarono mentre una goccia
d'inchiostro sporgeva, si stirava e alla fine cadeva sul foglio, la
macchia come una sgradevole ferita contro la pergamena color crema.
Severus ringhiò per l'irritazione e tirò fuori la sua bacchetta,
asciugando la chiazza d'inchiostro. Guardò ancora l'orologio: un
minuto alle otto. La mano sinistra era stretta a pugno ancora una
volta e la tensione lungo il dorso del collo era quasi
insopportabile.
Quando sentì bussare alla porta si
bloccò. Speranza, disperazione e furia lottavano per avere il
predominio. Chi osava interromperlo in quel particolare momento? Solo
tardivamente si ricordò di parlare: “Entra.”
“Buonasera, professore,” disse
Hermione Granger, il mento sollevato leggermente sotto la forza del
suo sguardo. Lei attraversò la stanza quasi immediatamente e si
sistemò nella sedia all'opposto della scrivania.
“Che cosa stai facendo?” Ringhiò
la domanda, lo stomaco contratto per l'ansia.
Hermione perse diversi secondi a
sistemare lo zaino sulla sedia prima di rispondere. “Dopo molte
riflessioni,” disse con voce chiara, “ho deciso di perdonarla.”
Severus sbatté le palpebre. Non
sta succedendo. “Davvero,”
riuscì a dire alla fine con entrambe le sopracciglia alzate.
“Sì.” Hermione fece una pausa,
le labbra premute insieme in una sottile linea che gli ricordava
inesorabilmente Minerva. “Vorrei continuare le nostre lezioni. C'è
ancora tanto che ho bisogno d'imparare.”
Severus afferrò il bordo della
scrivania, forte. Alle sue parole la stanza s'inclinò sotto di lui,
si sentiva come se stesse cadendo. Non disse nulla.
Notando il suo silenzio, Hermione
insistette. “Dopo aver parlato con il professor Dumbledore l'altra
sera...”
Dumbledore. Improvvisamente
la chiarezza solidificò l'ambiente intorno a sé con un tonfo.
Ingoiò nel tentativo di rimuovere il cattivo sapore dalla sua bocca.
“Ah, sì, al preside piace interferire. Ha fatto appello al tuo
buon carattere? Ha messo in evidenza le tue responsabilità con
Potter? Tutti hanno uno sgradevole compito in questa guerra e io sono
il tuo.” Il tono maligno era familiare e una rassicurante difesa.
“Lei certamente sa come rendersi
sgradevole,” rispose Hermione, la rabbia che divampava negli occhi,
“ma il preside non ha detto niente del genere. Ho scelto di venire
qui stasera perché volevo farlo.” Vacillò leggermente, la rabbia
che velocemente andava via. “Sono venuta perché mi mancava questo,
mi mancava lei.” Sollevò le mani in alto. “Dio solo sa perché.”
“Bugiarda,” sussurrò.
Lei si sporse in avanti, le braccia
incrociate e il viso duro. “Sa che non sto mentendo.” Si appoggiò
di nuovo alla sedia e incrociò una gamba sopra l'altra in modo
deciso. “Come stavo dicendo,” continuò con uno sbuffo
d'irritazione, “dopo aver parlato col professor Dumbledore l'altra
sera, ho capito che non valeva la pena aspettare delle scuse.”
“Stavi aspettando delle scuse?”
Non era da Severus chiedere chiarificazioni e lei lo guardò
curiosamente.
“Sì.” Si portò una mano fra i
capelli. “Penso di meritarmele.” Guardando brevemente
l'espressione stordita di lui continuò. “L'avrei perdonata subito
se solo si fosse limitato all'insulto standard da Serpeverde,
'Sanguesporco'-”
Lui a quel punto ritrovò la voce.
“Non usare quella parola! Non avrei mai-”
“Perché no?” Hermione alzò le
spalle, un'espressione amaro sul viso. “Lo sono. Anche se sembra
che solo i miei nemici mi chiamino 'Sanguesporco.' I miei amici,” -
il viso le si contrasse - “sembrano favorire 'puttana'.”
Severus non sapeva se credere alle
sue orecchie. Avrebbe perdonato 'Sanguesporco'? Le era mancato?
Voleva delle scuse? Con
un movimento fluido si alzò dalla sedia. Girò intorno alla
scrivania e si fermò in piedi davanti a lei, estraendo la bacchetta
e tenendola in alto come una daga, la punta verso il basso.
“Io, Severus Tobias Snape, ti
chiedo scusa per le mie parole e le mie azioni-”
Hermione si alzò in piedi, lo
sgomento visibile. “No!” Esclamò lei, ma Severus ignorò
l'interruzione.
“Per il male che ho fatto a te,
Hermione Jane Granger, farò ammenda offrendo me stesso e il mio
talento finché l'onore non sarà soddisfatto.” Anche se non aveva
mai detto quelle parole, la formula cerimoniale uscì dalla sua bocca
come una poesia e la sua bacchetta s'illuminò con un'intensa luce
bianca che era doloroso guardare.
Hermione sembrava scossa, ma afferrò
stretta la sua bacchetta proprio sotto la mano di lui e parlò con
voce ferma. “Io, Hermione Jane Granger, ti assolvo dalla tua colpa,
dalla vergogna delle tue parole e dall'umiliazione delle tue azioni.
Da questo giorno in avanti, sarai un uomo assolto. Vai in pace.”
Mentre parlava la luce emanata dalla bacchetta di lui divenne
gradualmente argentata finché tutto nella stanza non brillò di
argento vivo. Mentre dava la benedizione finale, la luce si estinse,
lasciando Severus ed Hermione a fissarsi l'uno nella faccia
dell'altra, i corpi uniti dal tocco delle mani sulla bacchetta di lui
e la traccia di magia che poteva ancora essere percepita nel
formicolio della pelle.
Hermione stava ansimando leggermente
e Severus si rese conto del rapido su e giù del suo stesso petto.
“Per che cos'era questo?” chiese
con voce leggermente stridula. “Pensava che la volessi legato a me
da una costrizione magica?”
Lui sollevò le spalle, leggermente
imbarazzato. “Volevi delle scuse.”
“'Scusa' sarebbe stato
perfettamente adeguato.” Lasciò andare la bacchetta di lui,
improvvisamente in imbarazzo dalla prossimità dei loro corpi. Lui
sistemò la sua bacchetta dentro la manica e tornò dietro alla
scrivania, facendole il gesto di sedersi mentre lo faceva anche lui.
“Signorina Granger,” disse
gravemente. La difficoltà della situazione lo assalì. Se Hermione
non lo avesse assolto così prontamente, le conseguenze delle sue
impulsive scuse sarebbero state disastrose. Con Voldemort e
Dumbledore non poteva permettersi un altro padrone.
“Professore?” Lei interruppe il
suo silenzio con esitazione. “Io, er, mi piacerebbe molto se mi
chiamasse Granger.” Fece una pausa e il fantasma di un sorriso
sollevò i bordi della bocca. “Forse avrei dovuto chiederglielo
prima di assolverla?”
Il sollievo passò davanti al
sorriso sul suo viso. “Molto bene, Granger.” Lui le lanciò uno
sguardo di valutazione. “Mi pare di capire che tu voglia continuare
le tue lezioni.”
“Sì, signore.” Si sedette un
po' più dritta in attesa.
“Vieni con me, allora,” disse
con un'improvvisa convinzione. Severus si alzò e aprì una porta
nascosta tra gli scaffali dietro la scrivania. Abbozzò un finto
inchino e le indicò di entrare. Lo sguardo che lei gli rivolse
mentre passava era solo leggermente apprensivo.
“Oh,” sospirò, fissando dentro
al laboratorio con aperta curiosità.
“Il professor Slughorn è rimasto
leggermente deluso quando ha saputo che non avrebbe ri-ereditato il
laboratorio del Maestro di Pozioni, anche se mi è parso di capire
che la grandezza del suo attuale appartamento ha avuto in qualche
modo la meglio sulla sua delusione.” Severus fece un sorrisetto al
sorriso di ammirazione della Granger. “Penso sia il momento
d'iniziare a fare qualche pozione. Inizieremo con la Polisucco.”
Il piacere sul suo viso scivolò
leggermente. “Ma signore, non sarebbe meglio se facessi qualcosa
che non ho mai fatto prima?”
Sollevò un sopracciglio, deridendo
la sua impertinenza. Lei ebbe la grazia di arrossire e si morse il
labbro inferiore, anche se non abbassò lo sguardo. “Questo,”
disse lui, toccando la lavagna su di un muro con la bacchetta così
che le lettere argentate scandissero gli ingredienti e le
indicazioni, “è una ricetta che ho modificato io stesso.”
“Oh.” Le sopracciglia della
Granger si incresparono mentre controllava le informazioni sulla
lavagna. “Signore?” chiese “Come mai le indicazioni nel libro
di Pozioni sono sbagliate?”
“Non sono sbagliate,” rispose,
tirando giù un calderone della misura giusta dallo scaffale.
“Forniscono le informazioni minime per fare le pozioni. Sta al
pozionista adattare e modificare la pozione a seconda del suo gusto e
specifiche. Mi piace controllare che gli studenti imparino le
modifiche più efficienti ed efficaci. Slughorn tuttavia,” storse
il naso in modo un po' derisorio, “segue il libro alla lettera.”
“Ah.” Poteva praticamente
sentire gl'ingranaggi che giravano nella testa della Granger mentre
processava questa informazione. “Com'è che nessuno me l'ha mai
detto prima?” continuò.
“Granger!” Severus concentrò
nella parola l'equivalente di sei anni di esasperazione. “Ti ho
detto di smetterla di ripetere a pappagallo il libro di testo e usare
la testa dal giorno in cui sei arrivata ad Hogwarts!” La bocca di
lei formò un piccolo, silenzioso 'oh' di sorpresa e lui scosse la
testa per la disperazione, non del tutto simulata. “Nella porta più
lontana troverai l'armadietto con le provviste. Vai e prendi
abbastanza ingredienti per una doppia pozione.”
Stava camminando verso l'armadietto,
le dita che vagavano contro il telaio quando lui la sentì mormorare
la sua riposta, “Pensavo che lei fosse stato soltanto crudele.”
Severus fu felice che lei non fosse
lì per notare il modo con cui era trasalito in risposta alle sue
parole. Doveva calmarsi.
Poiché quando la pozione raggiunse
lo stato in cui doveva cuocere a fuoco lento era passato da molto il
coprifuoco, Severus insistette per accompagnare Granger verso la
torre di Grifondoro. Anche se nessuno dei due aveva parlato mentre
camminavano lungo i corridoi, Severus si meravigliò della differenza
tra questa camminata e quella del giovedì precedente. Vedendo la
Signora Grassa, lui si fermò. “Sono sicuro che troverai la strada
da qui in poi,” disse in modo strascicato.
Granger lo onorò con un largo
sorriso. “Grazie professore,” disse. Per un momento si voltò il
corpo che pendeva barcollando verso di lui come se volesse
abbracciarlo. Quindi gli prese la mano. Severus la prese, la larga
mano stretta intorno a quella più piccola di lei, ogni nervo
consapevole del calore del suo palmo contro quello di lui e la
stretta ferma delle sue dita contro la pelle. “Grazie,” disse lei
di nuovo.
“Non hai niente di cui
ringraziarmi,” replicò, la sua voce leggermente più severa di
quello che intendeva. “Ora vai a letto... prima che ti tolga dei
punti.”
Lei sorrise e si voltò indietro,
finendo per correre nell'ultimo tratto e affrettandosi dentro al
quadro.
“Non si corre nei corridoi!” le
disse lui, accigliandosi per nascondere il piacere che ribolliva
nelle vene. Lei fece un cenno con la mano prima di sparire dietro la
Signora Grassa, che lanciò a Severus uno sguardo che era chiaramente
di disapprovazione, persino da un centinaio di metri.
Mentre ritornava sui suoi passi, un
soffiare aggressivo nel corridoio del terzo piano lo avvisò della
presenza del gatto soriano. Severus si fermò e si accucciò con una
mano tesa verso il suono furioso, anche se lo stesso gatto era
nascosto nell'ombra e impossibile da vedere. “Ti devo delle scuse,”
disse dolcemente verso l'oscurità.
Ci volle un impossibile lungo
momento, ma alla fine lei uscì fuori, la coda tenuta alta e rigida
lontano dal corpo. Severus rimase completamente immobile mentre lei
lo considerava con prudenza, a debita distanza. “Mrraaawwhh,”
miagolò lei, inclinando la testa di lato. Lui mosse le dita tese in
risposta. Camminando delicatamente, la gatta arrivò sotto alla mano,
sollevando la schiena mentre passava per massaggiarsi contro di lui.
Lei si arrotolò intorno alle sue gambe, quindi scivolò via.
“Buonanotte, Minerva,” disse
verso la sua forma che si ritirava. Mentre continuava verso il suo
ufficio, un piccolo sorriso tirò i bordi della bocca.
I compiti della Granger erano ancora
sulla scrivania dove li aveva lasciati. Fece un sorrisetto quando li
vide e richiamò a sé il vasetto d'inchiostro senza preoccuparsi di
sedersi. Intingendo la penna fermamente dentro all'inchiostro rosso,
si appoggiò contro la scrivania. Nella sua distintiva scrittura
appuntita, scrisse risolutamente alla fine della pergamena: “Questo
compito è di molto inferiore ai tuoi standard usuali e vale a
malapena lo sforzo che ci vuole per commentarlo. Ti suggerisco di
impegnarti di più con il prossimo. A.”
*
*
*
----------------------------------
Spotless_Mind: in effetti la fine
del capitolo scorso è un po' crudele e chi altri poteva essere il
misterioso aggressore?? McLaggen non mi è mai stato simpatico
neanche nei romanzi... Questo capitolo rimette in moto le interazioni
Snape-Hermione, decisamente si andrà ad un gran bel ritmo nei
prossimi :)
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Capitolo 21 *** Knowledge = Power ***
Capitolo 21
NdT: capitolo particolarmente
difficile, abbiate quindi pietà di me e silviabella (che mi ha
salvata in diversi passaggi...)
Anne London
Capitolo 21
Knowledge = Power
La vita divenne molto più piacevole
per Hermione una volta riprese di nuovo le lezioni con il professor
Snape. Passavano almeno una sera a settimana nel suo laboratorio
privato, distillando alcune varietà di pozioni curative, mentre la
seconda sessione la passavano nel suo ufficio ad imparare incantesimi
curativi di base e diversi incantesimi di barriera straordinariamente
complicati. Come la Vector aveva suggerito, la discussione e le scuse
che erano seguite sembravano aver fortificato il suo rapporto con il
professor Snape. Lui rimaneva brusco e provocatorio come sempre, ma
lei notò una nuova attenzione alle sue idee e occasionalmente, i
commenti ai suoi compiti, erano al limite del complimento.
Non poteva, tuttavia, insegnarle
l'incantesimo cantato usato per guarirla dalle ferite dopo la
battaglia all'Ufficio Misteri, anche se lei non lo aveva chiesto
direttamente.
“Signore?” aveva chiesto durante
la terza lezione sugli incantesimi di guarigione. “Mi insegnerà il
'Canto della Fenice'?”
Insolitamente, Snape fece quasi
cadere in modo maldestro la fiala che reggeva, eppure riuscì a
prenderla facilmente prima che toccasse il tavolo. “Di cosa stai
parlando, Granger?” chiese irritato.
“La canzone che ha usato per
guarirmi dalla maledizione di Dolohov,” spiegò. “Me la
insegnerà?”
“No.” Il labbro superiore
s'incurvò in modo derisorio. “Oltretutto sono le lacrime di fenice
che guariscono, non il canto.”
Il piatto rifiuto sorprese Hermione
e guardò il suo professore con curiosità. C'era qualcosa di strano
nella sua espressione: la bocca era leggermente più tirata del
solito e le narici erano dilatate. “A sentire Harry parlare di
Fawkes nella Camera dei Segreti,” disse in tono neutro, “si
potrebbe pensare che il canto guarisca il cuore, mentre le lacrime
guariscono il corpo.”
Snape voltò la testa, impegnato ad
etichettare la pozione che aveva in mano. I capelli scivolarono in
avanti sugli occhi. “Se ricordo, Granger, era il tuo corpo e non il
tuo cuore che richiedeva attenzione. La tua descrizione del
contro-incantesimo è ridicola.”
Non proprio sicura del perché lo
sfidasse, Hermione spinse ulteriormente sull'argomento. “Stavo
delirando, ovviamente,” alzò le spalle, “ma credo ci fosse
qualcosa nell'osservazione.” Il professor Snape non si era mosso. I
muscoli della mandibola, notò lei, erano contratti sotto la pelle.
“C'è molto della fenice in lei.”
Lui allora alzò la testa con una
luce amara negli occhi. “Ovviamente,” rispose derisorio, con un
gesto piuttosto violento verso la sua toga nera da insegnante, “è
stato il mio sfolgorante piumaggio rosso e oro che mi ha fatto
scoprire? O la mia abilità a sopravvivere alla morte? Il mio talento
nello Smaterializzarmi attraverso le barriere Anti-smaterializzazione
in un'esplosione di fiamme, forse? O semplicemente il mio affetto
per i Grifondoro?” Ad ogni domanda retorica, la rabbia di Snape
cresceva sempre di più e alla fine lui torreggiava su di lei,
praticamente sputando per la rabbia.
“No,” interruppe lei con calma
la sua invettiva, sollevando entrambe le sopracciglia verso di lui.
Anche se le stava urlando addosso, lei si sentiva quasi certa che la
sua rabbia fosse diretta altrove. “Stavo pensando alla sua lealtà,
al coraggio, all'abilità di portare oneri straordinariamente pesanti
e al suo talento per la guarigione.” Ci
fu una lunga pausa mentre entrambi aspettavano che l'altro abbassasse
lo sguardo. “Anche se,” aggiunse lei, con un accenno di risata
che faceva capolino nella sua voce, “se dovessi vederla in rosso e
oro, sarà bene che io sia equipaggiata per fare una chiamata.”
La tensione evaporò dalla posa di
Snape. Piegò la testa all'indietro e fissò il soffitto, come a
cercare un intervento divino. Quindi si spostò verso la porta e la
tenne spalancata.
“Fuori Granger,” ordinò. “Hai
messo fin troppo alla prova la mia pazienza oggi. Torna la prossima
volta.”
Era quasi una vittoria, decise
Hermione. Raccolse le sue cose senza lamentarsi e lasciò l'ufficio.
Anche se non era sicura di cosa comportasse la “quasi vittoria”,
sentiva che era davvero molto importante.
In ogni momento libero Hermione
lavorava con insistenza ai calcoli Aritmantici. L'aggiunta di Draco
Malfoy aveva influito molto sulle domande riguardanti l'immediato
futuro ed era determinata a stabilire le alterazioni prima possibile.
Aiutavano inoltre a riempire
gl'intervalli solitari del suo programma di lezioni, che avrebbe
altrimenti dovuto passare con Harry e Ron. Harry, fosse benedetto,
aveva ancora rigorosamente diviso il suo tempo tra i due amici, ma
erano le interazioni bilanciate fra i tre che ad Hermione mancavano
di più. Senza Ron c'era qualcosa che mancava nella sua amicizia con
Harry – una stupidotta, disinvolta compagnia che era tutta capelli
rossi, lentiggini e risate contagiose. Le mancava come un arto
fantasma: anche nella sua assenza c'era dolore e un brusco ovvio
vuoto.
Eppure, anche nei confronti di Ron
si sentiva più speranzosa. Comunque determinata a non usare il suo
vantaggio di Legilimante, era ovvio dal solo linguaggio dei corpi che
le cose tra Ron e Lavender erano un po' difficoltose. Ogni broncio
petulante che attraversava il viso di Lavender era un balsamo per
Hermione e l'aiutava a tenere la testa alta.
C'erano comunque dei limiti e la
mattina in cui Ron diventava maggiorenne fu uno di quelli. Hermione
gli aveva preso un regalo molto prima del loro litigio e aveva covato
la speranza che sarebbero potuti essere di nuovo amici al momento, il
loro allontanamento nient'altro che acqua sotto ai ponti e alimento
per riferimenti scherzosi. Visto che non era così, si alzò presto,
determinata ad evitare lo sdolcinato spettegolio del mattino tra
Lavender e Parvati, e strisciò verso l'ufficio della Vector prima
che qualcun altro fosse in piedi. Come aveva sperato, l'ufficio della
professoressa di Aritmanzia era vuoto ed Hermione riuscì a sfruttare
una buona ora e mezza di lavoro ininterrotto prima che il borbottio
del suo stomaco la costringesse ad andare in Sala Grande per la
colazione. Prima di entrare si preparò e fu sorpresa di non trovare
né Ron né Harry presenti. Lavender e Parvati sedevano con le teste
vicine, sussurrando dietro ad un regalo incartato in modo elaborato.
La presenza del pacco suggeriva che la ragazza non aveva ancora avuto
l'opportunità di offrire a Ron i suoi auguri. Forse, se mangio in
fretta, posso andarmene senza dover assistere. Hermione
scivolò su di una sedia e avvicinò un piatto di uova verso di sé.
“Lui dov'è?”
Hermione alzò la testa con la
forchetta a metà strada dalla sua bocca per vedere il viso striato
dalle lacrime di Lavender Brown. “Scusa?” chiese con voce fredda.
“Dov'è allora? Perché non è
qui?” Lavender suonava disperata.
Hermione alzò un sopracciglio nella
sua migliore interpretazione di Snape. “Non ne ho idea,” disse in
modo strascicato. “Sapere dove si trova Ronald Weasley non è una
mia preoccupazione.”
Messa da parte la messinscena,
Hermione sentì una punta di inquietudine mentre Lavender balzava
esageratamente indietro da Parvati. Guardò verso il tavolo degli
insegnanti, notando l'assenza della McGonagall, della Pomfrey, di
Snape e di Slughorn; non c'erano neanche la Vector e la Trelawney, ma
quello c'era da aspettarselo. È forse successo qualcosa di
terribile? Meccanicamente
Hermione masticò un altro boccone di cibo.
Quando Snape spuntò dall'ingresso
degli insegnanti e prese posto al tavolo, lei guardò verso di lui.
Lui guardò gli studenti che facevano colazione, controllando la
stanza da una parte all'altra. Quando i loro occhi s'incontrarono, il
suo solito ghigno s'intensificò, anche se Hermione lo ignorò.
Ancora più importante, sentì la pressione della sua mente contro la
propria. Abbassò le difese Occlumantiche per trovarsi a guardare nei
suoi ricordi.
Snape e la McGonagall erano in piedi
nella sala insegnanti. La sua Capo Casa sembrava esausta e il suo
accento scozzese sembrava accentuato dallo stress.
“...ah, dopo una settimana o poco
più in infermeria il ragazzo starà bene – Potter ha fatto
qualcosa con un bezoar – ma mi chiedo, chi avvelena qualcuno per il
suo compleanno?”
Snape sbatté le ciglia e guardò da
un'altra parte, interrompendo la connessione. Le uova diventarono
come cenere nella bocca di Hermione. Fu con una certa difficoltà che
inghiottì. La vista del suo piatto la nauseò leggermente. Spingendo
la sua sedia si alzò. Ron. Avvelenato. La
stanza intorno a lei sembrava irreale e inconsistente. Devo
andare in infermeria. Ignara
della gente intorno a lei e del saluto di Neville quando
s'incrociarono in corridoio, Hermione andrò dritta verso
l'infermeria.
Harry era lì quando arrivò e
camminava nei corridoi di fronte alla grande doppia porta. Nel
momento in cui la vide, afferrò Hermione per entrambe le spalle e
iniziò a blaterale in modo quasi incoerente.
“Era l'idromele! Grazie a Dio mi
sono ricordato del bezoar! E Slughorn, ma ovviamente se non fosse
stato per la pozione d'amore...”
Hermione soffocò l'urgenza di
schiaffeggiarlo e afferrò invece la sua toga, scuotendolo un po'.
“Calmati Harry. Inizia dal principio.”
Harry fece un profondo respiro e
iniziò a riguardo, stavolta iniziando dai regali di compleanno,
passando per la pozione d'amore e finendo col bezoar. Aveva appena
finito quando Ginny arrivò e dovette raccontare la storia da capo.
Hermione non disse nulla, ingoiando il suo schiacciante senso di
colpa. La sua mente correva per una serie infinita di recriminazioni.
Avrei dovuto parlare con Dumbledore a proposito di Malfoy e dei
calcoli Aritmantici... Se solo avessi finito più formule avrei
potuto prevederlo... Se avessi chiesto aiuto alla professoressa
Vector lei avrebbe potuto risolvere questa parte dell'equazione... Se
avessi ascoltato prima Harry avrei potuto aggiungere Malfoy molto
tempo fa. La sua testa vorticava
piena di possibilità assurde e, malgrado l'eco del ricordo delle
parole della McGonagall che Ron sarebbe stato bene, il suo stomaco
era contratto con la paura dei e-se: E se si fosse
sbagliata? E se Ron fosse morto? E se non dovessi parlargli mai più?
Quando arrivò l'ora di pranzo,
Ginny mandò Harry a prendere dei panini, ma Hermione non poteva
permettersi di mangiare. La ragazza più giovane
cercò di costringerla alzando anche la voce, ma quando Hermione non
fece altro che guardare distrattamente in lontananza, Ginny tornò
alla sua intensiva e ripetitiva conversazione con Harry a proposito
di chi aveva avvelenato Ron e perché.
Solo
alle otto di sera Madam Pomfrey finalmente li lasciò entrare e
sedersi di fianco al letto di Ron, pochi minuti prima che arrivassero
Fred e George per unirsi a loro. Ron sembrava pallido e malato. Il
lenzuolo era stretto intorno al suo corpo innaturalmente fermo, con
solo il leggero su e giù del suo petto a mostrare che era vivo.
Vederlo in quello stato, con la scintilla vitale della Ron-nità
assente, non servì ad acquietare l'ansia nel petto di Hermione. La
conversazione degli altri le scivolava addosso e solo quando si
parlava di chi potesse essere l'obiettivo, l'argomento tagliava la
nebbia della sua distrazione. Ginny stava suggerendo Dumbledore.
“Allora l'avvelenatore non
conosceva Slughorn molto bene,” disse Hermione indistintamente,
“chiunque conoscesse Slughorn avrebbe saputo che c'erano buone
possibilità che tenesse qualcosa di così buono per sé.”
“Er-mo-ne,” mormorò Ron
al suono della sua voce. La sua gola divenne asciutta, un lampo di
sollievo bilanciato dalla dolorosa pressione nel cuore. Dopo pochi
incomprensibili mormorii, Ron iniziò a russare, il familiare suono
come un benvenuto contrasto al suo precedente silenzio.
L'improvviso ingresso di Hagrid
riaccese la conversazione e i suoi ridicoli suggerimenti che qualcuno
stesse cercando di far fuori la squadra di Quidditch di Grifondoro
spinsero Hermione ad unirsi alla conversazione ancora una volta.
“Beh, non penso che sia il
Quidditch,” disse Hermione cupamente, “ma penso che ci sia una
connessione fra gli attacchi.”
“Che cosa te lo fa pensare?”
chiese Fred.
“Beh, intanto avrebbero potuto
essere entrambi fatali e non lo sono stati, anche se è stato per
pura fortuna.” Hermione iniziò a contare sulle dita. “E
poi né il veleno né la collana sembrano aver raggiunto la persona
che avrebbero dovuto uccidere. Ovviamente questo rende ancora più
pericolosa la persona che sta dietro tutto ciò, perché non sembra
preoccuparsi di quante persone possa far fuori prima di raggiungere
effettivamente la sua vittima.”
I tre Weasley, Harry ed Hagrid la
fissarono come se fosse l'oracolo della sventura e il difficile
silenzio fu spezzato solo dall'arrivo del signore e della signora
Weasley. Hermione, Harry ed Hagrid lo presero come il segnale per
andarsene, squagliandosela il più in fretta possibile per dare alla
famiglia un po' di tempo in privato ed evitare la collera di Madam
Pomfrey, anche se Harry non riuscì ad evitare un abbraccio lacrimoso
da parte di Molly.
Hermione si sentiva esausta. Non
aveva mangiato per tutto il giorno e la testa le pulsava. Ed
ovviamente c'era Hagrid che si lasciava sfuggire notizie a proposito di
Snape e Dumbledore che discutevano nella Foresta Proibita. Sicuro,
era un'informazione interessante, ma una serata con Harry che
farneticava sul malvagio-Snape era così in basso nella lista delle
attività di Hermione che scivolò a letto non appena arrivati alla
torre. Cadde addormentata quasi immediatamente, anche se la notte fu
lunga e turbata da strani incubi dove Ron moriva e il suo fantasma
tornava a dirle che era stata tutta colpa sua.
La cosa migliore che derivò
dall'orribile incidente di Ron fu che li riportò a far sì che si
parlassero di nuovo. Lui sembrava così felice di vederla, quando fu
cosciente la volta successiva, che il suo cuore si sciolse. Entrambi
sorvolarono sul precedente allontanamento senza commenti, troppo
sollevati dal ripristino della loro amicizia per rispolverare le
ragioni delle divergenze originali. Hermione prese a passare un paio
di ore tra le lezioni e la cena al suo capezzale. Lui mugugnò in
modo amichevole quando gli portò i compiti della giornata e
pasticciò abbastanza a caso un po' del suo lavoro, mentre lei si
occupava della matrice Aritmantica. Visto che né Ron né Harry
potevano comprendere le più semplici conoscenze Aritmantiche, poteva
tranquillamente lavorare al materiale su Malfoy proprio sotto al loro
naso.
L'incidente di Ron aveva raddoppiato
gli sforzi di Hermione con i calcoli. Aveva appena codificato lo
stesso incidente, e inserito dentro al sottoinsieme di equazioni
relative a Katie Bell e Draco Malfoy, determinata a risolvere la
matematica e mostrare i risultati a Dumbledore il più presto
possibile.
Il mercoledì sera tardi Hermione
arrivò ad una svolta. Si era ritirata per andare a letto presto, ma,
incapace di dormire, aveva tirato le tende un po' più strette
intorno al materasso e aveva ripescato le sue note dallo zaino.
Armata di una matita (le piume erano un incubo combinate con le
lenzuola), si mise al lavoro. Quando si rese conto di cosa stava
guardando dovette sforzarsi per respirare. Hermione rifece le sezioni
vitali dei calcoli. Il risultato non fece niente per alleviare il
panico crescente che le artigliò la bocca dello stomaco. Brancolando
in cerca dell'orologio controllò l'ora. Era passato il coprifuoco,
ma in circostanze tali, decise, il bisogno era più importante.
Doveva verificare con la professoressa Vector.
Hermione usò un incantesimo di
Silenzio ed uscì di soppiatto dal letto, coprendo il pigiama con la
sua uniforme e raccogliendo i calcoli al buio. Non poteva permettere
che Lavender o Parvati la vedessero andar via. Sgattaiolò giù per
la scala, scarpe in mano, e si mosse attraverso la Sala Comune solo
con i calzini. Per un lungo momento la Signora Grassa si rifiutò di
aprirsi.
“È importante,” sussurrò,
improvvisando una storia. “Devo andare in infermeria
immediatamente.”
“Stai attenta, signorina,”
brontolò il ritratto mentre finalmente si apriva. “Non aspettarti
di sentire una difesa da parte mia.”
“Grazie,” sussurrò Hermione il
più educatamente possibile, l'oscurità che nascondeva la faccia
scortese che assunse allo stesso tempo.
Una volta raggiunto il corridoio, si
mise le scarpe. Faceva fin troppo freddo per camminare senza e doveva
rischiare il rumore che poteva provocare. Non essere stupida! si
rimproverò. La differenza è puramente psicologica! Usò
un ulteriore incantesimo di Silenzio sulle scarpe per sicurezza.
Mettendo da parte tutti i pensieri invidiosi sul mantello e la mappa
di Harry, pensò a quanto fosse strano sgattaiolare per il castello
di notte senza i suoi migliori amici. Per qualche scherzo del destino
raggiunse l'ufficio della Vector senza incontrare nessuno se non un
irriconoscibile fantasma del castello, che le passò di fianco senza
emettere un suono – Hermione non fu mai così grata che l'ufficio
della Vector e l'entrata della Sala Comune di Grifondoro fossero
entrambe al settimo piano.
Bussò gentilmente alla porta,
sospirando di sollievo quando sentì la voce della Vector da dentro.
Mentre entrava, la donna più anziana sorrise.
“Hermione, che piacere!” La
Vector non era una da commentare l'ora tarda per la visita.
“Salve, professoressa.” Hermione
non si fermò per i sui convenevoli, stava già tirando fuori i
calcoli dallo zaino. “Ho aggiunto altre informazioni alla matrice
presente e sono quasi sicura di aver scoperto una piega
d'improbabilità.”
“Mostrami.” La Vector fu
immediatamente efficiente.
Le bastò dare un'occhiata al lavoro
di Hermione per capire le implicazioni e mormorare imprecazioni
sottovoce in una lingua che Hermione non poté capire. “Dobbiamo
portarlo ad Albus,” decise, alzandosi in piedi rapidamente e
muovendosi verso il caminetto. Gettando una manciata di Polvere, si
inginocchiò e mise la testa nel fuoco. Hermione fu incapace di
sentire la conversazione che seguì, ma in pochi secondi la Vector
tornò, invitandola avanti.
“Ufficio di Dumbledore,” disse
la Vector con voce ben chiara, spingendola fermamente dentro alle
fiamme. Solo dopo pochi secondi di inquietante sensazione roteante
dovuti alla Metropolvere, Hermione incespicò nel camino di
Dumbledore.
“Buona sera, signorina Granger.”
Dumbledore la accolse civile, come se non fosse passata da un po' la
mezzanotte e non fosse improvvisamente caduta dentro al suo studio –
nel bel mezzo di una riunione. La professoressa McGonagall e Snape si
erano voltati sulle loro sedie per vedere il suo arrivo. La
McGonagall sembrava leggermente presa in contropiede, ma Snape era
imperturbabile come sempre, un sopracciglio leggermente alzato.
“Buonasera, professor Dumbledore,
professor Snape, professoressa McGonagall.” Nel momento in cui
aveva finito quel lungo saluto, la professoressa Vector era uscita
dalla Metropolvere dietro di lei.
“Minerva, Severus, Albus,” disse
la Vector. “Ci dispiace interrompervi, ma abbiamo un'emergenza
Aritmantica.”
Dumbledore richiamò due sedie con
un gesto della bacchetta. “Sedetevi, entrambe.” Si voltò verso
Hermione ed aggiunse apertamente, “Nella presente compagnia
sentitevi libere di esprimervi senza esitazione.”
Mentre Hermione e la Vector si
sedevano, la McGonagall parlò. “Cosa significa, Albus?”
Lui le rivolse il suo sorriso-jolly
da vecchio signore. “Non ne ho assolutamente idea! Forse le nostre
ospiti saranno felici di illuminarci?”
Hermione guardò la professoressa
Vector con aspettativa, ma lei semplicemente sorrise di rimando e
fece un gesto verso Hermione per farla parlare. “Beh,” iniziò,
srotolando la manciata di pergamene che aveva tenuto strette fino a
quel momento. “Stavo lavorando all'attuale arco della matrice e
sono abbastanza sicura di aver scoperto una piega d'improbabilità...”
Vacillò e diede un'occhiata ai quattro visi dei venerabili
professori. “Riuscite a seguire le equazioni Aritmantiche, vero?”
“Non studio Aritmanzia dal 1944,”
replicò la McGonagall acida. “Io, innanzitutto, apprezzerei le
occasionali chiarificazioni.”
“Giusto, va bene...” Hermione
fece un profondo respiro e guardo la Vector in cerca di
rassicurazione. La Vector sorrise incoraggiante. “Beh, suppongo che
tutti qui siamo a conoscenza del lavoro che la professoressa Vector
sta facendo?” Sequenza di cenni affermativi. “La premessa base è
di massimizzare la probabilità che Harry sconfigga Voldemort.”
Altri cenni. “Bene, i calcoli finali sono accurati solo al livello
di ogni calcolo precedente e, per accertare il livello dei calcoli
successivi, si basa sulla congettura che ogni cosa fino a quel punto
sia andata bene come ci si aspettava. Cioè," chiarificò,
cercando si dare specificità ad una spiegazione piuttosto astratta,
“i calcoli del confronto finale assumono che quest'anno tutto andrà
secondo i piani.”
“Sembra di capire che hai scoperto
un problema riguardante quest'anno?” chiese Dumbledore, un bagliore
della sua personalità evidentemente vacillava nel porre la domanda.
“Sì e no,” replicò Hermione
cupamente. “Non è il piano ad essere il problema, ma la possibile
reazione ad esso. Guardate,” toccò la carta di fronte a sé con la
bacchetta, mettendo la matrice nello spazio tridimensionale ed
estrapolò la sezione che voleva. Non era così aggraziata o veloce
come la Vector, ma era migliore di qualunque suo compagno di classe.
“Questa matrice, così com'è: stiamo prendendo il piano di
quest'anno come un'unità integrata. La probabilità che tutto vada
bene gira intorno al 72%-”
“Non è buono?” chiese la
McGonagall.
“Apparentemente sì,” replicò
Hermione, “ma se aggiungiamo la reazione al piano,” toccò la
carta con un complicato movimento e il grafico cambiò sensibilmente,
“possiamo vedere che le probabilità che il piano vada bene
rimangono le stesse, ma le possibilità di reazione ad esso sono
terribili – vicine al 12%.” Si fermò per un momento, poi
aggiunse, “L'evento improbabile era nascosto in mezzo al primo, da
qui il nome.”
Dumbledore ruppe il silenzio.
“Quindi cosa vuol dire esattamente, signorina Granger?” C'era
qualcosa di strano nella sua voce che catturò la sua attenzione,
anche se non riuscì a capire bene perché.
“Beh, dipende. E preside, lei
potrebbe essere la sola persona con abbastanza informazioni da
saperlo per certo.” La McGonagall sembrava un po' confusa ed
Hermione si sbrigò a spiegare meglio. “Ci sono un paio di
possibilità, ma né la professoressa Vector né io abbiamo
sufficienti dettagli dei piani dell'Ordine per sapere quale siano le
migliori. Facciamo affidamento sui coefficienti runici e il loro
collegamento con ogni membro per prevedere un tale comportamento
attraverso lo spazio-m. In
sostanza è molto probabile che sia una delle due cose: o l'Ordine ha
un piano in corso che, una volta completato, ci apparirà così
orribile che molte persone perderanno fiducia e andranno in panico;
oppure,” Hermione fece un profondo respiro, i suoi sensi
perfettamente consapevoli della presenza del professor Snape e della
sua possibile reazione a ciò che stava per dire, “una delle
persone codificate nella matrice è un traditore e il successo di
quel particolare piano segnerà la rovina del nostro.”
Gli occhi della McGonagall si
allargarono durante l'ultima spiegazione di Hermione e, una volta
finito, la donna annaspò per lo shock, le mani premute sul cuore.
Snape guardava Hermione in modo imperscrutabile, mentre Dumbledore
stringeva le labbra, con le sopracciglia aggrottate per la
concentrazione. Mentre Hermione guardava una faccia dopo l'altra,
controllando attraverso il tavolo, qualcosa scattò come un fatto
certo: Dumbledore e Snape sapevano di cosa si stava parlando, mentre
la McGonagall no. Curioso.
“Come possiamo sistemarlo?”
chiese Dumbledore, con la stessa sfumatura nella voce che aveva
colpito la sua attenzione in precedenza.
Hermione si portò le mani tra i
capelli. Non poteva+ ammettere che non lo sapeva. “Ho bisogno di
altre informazioni,” sospirò.
Snape stava guardando i calcoli, la
punta delle dita che tracciavano una parte della formula che lei
aveva usato per dimostrare le alterazioni della matrice. “Intendi
dire,” chiese, parlando per la prima volta da quando era arrivata,
“che hai bisogno di più informazioni per calcolare la risposta a
quella domanda o è quella la risposta?”
“Vorrei che-”
“Aspetta!” Vector si sporse
oltre la spalla di Snape ed esaminò l'equazione che lui aveva in
mano. “Potrebbe esserci qualcosa, Severus. Hermione, cosa succede
se redistribuiamo i coefficienti certi?” La Vector richiamò
diversi pezzi di carta, un paio di piume e ne spinse una verso
Hermione. “Tu usa Kreisler ed Helpmann, io Pinkerton e Fradenburg.”
Per un po' di tempo nessuno disse
niente, mentre Hermione e la Vector scrivevano furiosamente sulla
pergamena davanti a loro. Hermione cercò di non sentirsi troppo
consapevole sotto lo sguardo dei suoi professori, ma senza
particolare successo. Essere qui come un adulto e non una
studentessa è un lavoro duro, rifletté.
Mentre era a metà della distribuzione della Helpmann capì di aver
trovato qualcosa.
“Professoressa?” Hermione
allungò una mano sul braccio della Vector. Lei alzò subito la
testa. “Penso che potrebbe essere...” La Vector si sporse e
scorse il suo lavoro.
“Molto bene, Hermione.” La
Vector scribacchiò alcune cifre mentre controllava due volte i
calcoli di Hermione. “Bene, quindi,” la Vector strinse le labbra
mentre traduceva la formula di nuovo in circostanze reali. “Tu,
Albus,” puntò la punta della penna verso di lui, “hai altre
informazioni da dare a Severus.” La sua penna si mosse lungo il
tavolo con un largo arco. “E tu, Severus, devi dare alcune
informazioni ad Hermione.” La penna oscillò di nuovo e la Vector
inclinò la testa su un lato pensosa. “No, credo sia la stessa
informazione. E ultimo, ma non meno importante, c'è un pezzo
specifico d'informazione che non dev'essere data ad Harry Potter in
nessuna circostanza fino all'ultimo minuto. Mmm. Ha qualche senso?”
Hermione guardò con attenzione le
reazioni a quest'informazione. Il professor Snape non ne mostrava
nessuna, Dumbledore sembrava sospettoso, la McGonagall spostava la
sua attenzione in ogni dove nel tentativo di gestire i fatti nuovi.
La McGonagall, pensò
Hermione, è l'unica dei tre che non sa cosa stia
succedendo. Pensò anche a quale
informazione avrebbe avuto bisogno di darle Snape.
“E?” chiese Dumbledore, “quali
differenze comporta per la totale probabilità di predizione?”
“61.80339887%, arrotondato
all'ottavo posto decimale,” rispose la Vector compiaciuta.
“Ma,” obiettò la McGonagall, “è
un 10 per cento in meno del precedente!”
“No-” iniziò Hermione, nello
stesso momento in cui la Vector diceva, “Veramente-” prima che
entrambe si fermassero per permettere all'altra di continuare.
“È il Giusto Mezzo,” osservò
Snape seccamente.
“Esatto,” disse Hermione. “Il
Giusto Mezzo ha una tale importanza nella carica magica,” elaborò
lei, “che una predizione di probabilità così precisa come
l'ottavo posto decimale è molto più apprezzabile di una percentuale
più alta, ma meno magica.”
Dumbledore sembrò sollevato, anche
se rivolse un'espressione curiosamente contemplativa su entrambi
Snape ed Hermione. “Bene, signorina Granger, sembra che le dobbiamo
un grande favore. Le sue capacità Aritmantiche sono risultate
esemplari.”
Hermione arrossì leggermente,
guardando verso Snape e quindi la Vector per giudicare le loro
reazioni. Snape sollevò un sopracciglio sardonico, mentre la Vector
sorrise.
“Tutti i migliori Aritmanti sono
Nati-Babbani,” puntualizzò la Vector.
Dumbledore ridacchiò, “Così
dici, Ana, e devo convenire che l'evidenza va fortemente a tuo
favore.”
Ana? Hermione
guardò la Vector con improvvisa curiosità. Dev'essere il
suo vero nome. Wow. Un'ondata di
stanchezza l'assalì e girò il polso in modo impercettibile per dare
un'occhiata all'orologio. Erano quasi le due. Quando tutti gli
occupanti dell'ufficio si girarono per guardarla, Hermione capì che
il gesto non era stato poi così sottile come aveva sperato.
“Santo cielo!” Esclamò Minerva.
“Questa povera bambina ha lezione fra poche ore! Signorina
Granger-”
“È ben più che una bambina,
Minerva.” Snape la interruppe calmo. Un
piccolo fiore di gratitudine sbocciò nel petto di Hermione.
“Molto vero, Severus,” convenne
Dumbledore. “Ma anche Minerva ha ragione. É ora che andiamo tutti
a letto. Signorina Granger, ha bisogno di tornare alla torre di
Grifondoro: non è il caso che vada in giro per i corridoi a
quest'ora.”
Automaticamente, Hermione guardò
Snape, quasi anticipando che potesse accompagnarla lui verso la
Signora Grassa, ma il battito d'occhi serio che lui le mandò era più
che sufficiente come reazione per informarla che aveva commesso un
qualche errore idiota. Oops. La professoressa McGonagall è la mia
Capo Casa. Dovrebbe essere il suo lavoro. Si
voltò verso la McGonagall, sollevata di notare che la donna più
anziana era andata verso il camino e non poteva aver visto cos'era
appena successo. La Vector sì, ne era sicura, ma non importava –
la Vector, con le sue equazioni, sapeva tutto.
“Vieni allora, signorina Granger.”
La McGonagall sembrava leggermente irritata ed Hermione si accorse
improvvisamente che la professoressa aveva una manciata di Polvere
pronta.
“Solo un momento, professoressa.”
Hermione riempì in fretta lo zaino con le pergamene, offrendo la
piuma alla Vector, che le fece segno di tenerla. “Buonanotte,
professor Dumbledore, professoressa Vector, professor Snape.” Lei
si voltò verso il fuoco e si avvicinò. “Buonanotte, professoressa
McGonagall.”
La McGonagall le sorrise stancamente
e buttò la polvere nelle fiamme. “Sala comune di Grifondoro!”
esclamò, guidando Hermione attraverso il camino. Hermione trattenne
il respiro, mentre il mondo diventava verde intorno a lei, prima di
rotolare con gratitudine nello spazio familiare della torre di
Grifondoro. Raramente il suo letto le era sembrato così invitante.
*
*
*
--------------------------------------------
Fink1987:
Ti ringrazio, sei sempre gentilissima :) Forse
in effetti è meglio leggere tutto accumulato, ti puoi fare
un'immersione completa!
Mitsuki91:
Mi spiace che la storia ti abbia portata via il
sonno, ma spero ne sia valsa la pena :). Poi, per quanto riguarda le
tue critiche, non credo verranno accolte male, penso sia sempre
meglio avere dei pareri sinceri, piuttosto che degli apprezzamenti
anche quando non sono sentiti. :)
wild_spirit:
Grazie per i complimenti e per quanto riguarda Silente mi trovi
pienamente d'accordo (sono felice che finalmente non venga più solo
visto come il simpatico omino con i luccichini agli occhi che fa robe
strane...)
EryVeg:
Grazie anche a te :). Le sfumature tra i due in effetti sono tante,
diciamo che non ci si annoia mai in nessun capitolo (soprattutto in
quest'ultimo dove
non c'è stato modo di distrarsi neanche nella traduzione :))
Eva7:
In effetti Snape è bello sfacciato nel fare certe domande, ma
diciamo che è divertente vedere le
interazioni fra
i due :-D.
Grazie anche a te e, per quanto riguarda la scelta delle parole, sto
trovando la cosa divertente, con silviabella ci stiamo facendo una
cultura su certe cose (e ogni tanto si riscopre anche la grammatica,
ehm...)
Anne
|
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Capitolo 22 *** Information Networks ***
Capitolo 22
NdT: oggi più che mai ringraziamo
silviabella!!
Anne
Capitolo 22
Information Networks
Ci vollero diverse settimane prima
che Dumbledore chiamasse Severus nel suo ufficio, molto tempo quindi
per pensare a che cosa l'anziano preside volesse rivelargli. Molto
tempo anche per Severus per ragionare su cosa avrebbe dovuto dire
alla Granger. L'informazione più ovvia era anche la più pericolosa
– non solo perché forse avrebbe messo in pericolo la sua posizione
con il Signore Oscuro, ma anche perché aveva l'egoistico desiderio
di mantenere il regolare equilibrio delle sue attuali interazioni con
la stessa Granger. Era folle pretendere che il loro tentativo di
amicizia sarebbe sopravvissuto alla scoperta, da parte di lei, che
intendeva assassinare il preside. Così Severus, un po' come
Dumbledore, evitava il momento della rivelazione.
La Granger, con sua grande sorpresa,
non aveva chiesto. Non lo tempestava affatto con domande incessanti,
sembrava che la ragazza avesse finalmente imparato ad essere
paziente. Lei lo osservava, comunque, quando pensava che lui non
potesse notarlo, con uno sguardo pensoso sul viso.
Non appena lei ebbe padroneggiato i
trucchi della Materializzazione, lui spostò una delle lezioni della
settimana completamente fuori dal castello. “Il prossimo giovedì
indossa vestiti sportivi sotto la toga”, le diede istruzioni, “e
vieni qui alla solita ora.”
La Granger, come sempre, arrivò
puntuale alle otto. Le scarpe da tennis bianche sembravano fuori
posto contrapposte alla lana scura della sua uniforme. “Seguimi,”
le disse, precedendola verso il laboratorio di pozioni e verso il suo
soggiorno. Gli occhi di lei si spalancarono quando capì dov'erano e
la sua attenzione si rivolse immediatamente alla libreria. “Continua
a muoverti, Granger,” la rimproverò, aprendo un'altra porta
dall'altra parte della stanza. Lei andò avanti obbediente, con solo
una persistente occhiata al divano e alle comode sedie di fronte al
fuoco, con il tavolo da caffè coperto di libri e giornali e le sue
bianche, bianche mura. Severus fece un sorrisetto. Si aspettava
senza dubbio che fossero nere.
La porta si apriva direttamente
sull'esterno, l'apertura nascosta nella parete proprio dietro
l'angolo delle serre. Da dove
passavano, vicino all'orto, tagliando verso la Foresta Proibita senza
andare troppo a nord, non potevano essere scorti dalla capanna
di Hagrid. Sotto alle cime degli alberi, Severus si fermò.
“Così andrà bene per il
momento,” osservò, togliendosi la toga da insegnante e facendo
apparire un appendiabiti su cui attaccarlo. La scosse per bene, così
che potesse rimanere appesa senza incresparsi, e tolse il paio di
scarpe da corsa dalla tasca. Erano nere. La Granger aveva seguito il
suo esempio e si era tolta l'uniforme, rivelando i leggins da corsa e
una felpa con la zip. Severus le fece cenno di appendere la toga,
quindi si tolse gli stivali e si sedette su un vicino tronco per
mettersi le scarpe da ginnastica.
“Da questa parte,” fece un gesto
una volta pronto, muovendosi verso un vicino gruppo di alberi ed
emergendo su un sentiero ben illuminato. “Tieni sempre la bacchetta
pronta.” La Granger sembrava un po' preoccupata, ma comunque calma.
“Correremo. Lascerò impostare il passo a te.”
Iniziarono con un'andatura rapida
che impostarono subito come ritmo. La fioca luce delle loro bacchette
si muoveva a scatti lungo il percorso. Granger correva più lenta di
quanto non facesse lui normalmente, ma si muoveva bene e Severus
apprezzò l'inconsueto piacere di correre in compagnia. La strada
serpeggiava per la foresta per circa tre chilometri. In verità,
raramente si allontanava dal suo
limitare, ma all'interno
era profonda abbastanza e la notte era sufficientemente buia da
sembrare che
potessero essere ovunque. Il soffice tonfo dei loro passi era
assorbito nella foresta circostante, con i suoni dell'esterno di gufi
e piccoli animali a fare da sottofondo alla loro conversazione. La
Granger fu inizialmente presa alla sprovvista quando lui iniziò a
interrogarla sugli aspetti tecnici della preparazione della Polisucco
e sulle teorie sui cui si basavano le barriere che avevano studiato.
“Lei è cattivo come mio padre!
Correre è già abbastanza difficile senza dover parlare allo stesso
tempo!” esclamò.
“Non all'altezza del compito,
Granger?” chiese, sogghignando allo sbuffo di fastidio. Lui rifece
la domanda. Questa volta, lei rispose senza lamentarsi.
Il percorso finì proprio di fronte
ai cancelli di Hogwarts.
“Oh!” esclamò la Granger. “Mi
chiedevo dove fossimo esattamente.”
“Vieni,” disse lui, aprendo i
cancelli abbastanza da far sì che potessero passarci attraverso.
Andando avanti, la condusse al punto di Materializzazione. “Sai
dove siamo adesso?” chiese.
“Suppongo sia il punto ufficiale
di Materializzazione di Hogwarts?”
Lui annuì. “Dai un'occhiata
attenta in giro, sarà bene che tu ricordi il posto abbastanza bene
da riuscire a Materializzarti qui in ogni momento del giorno."
Subito La Granger lo guardò brevemente e tornò alla sua ispezione
attenta del posto, uno sguardo fiero di concentrazione sul viso.
L'apparente intensità con cui eseguiva le istruzioni fece sollevare
un angolo della bocca di lui, bocca che era acutamente tentata di
darle diverse e ridicole istruzioni, per vedere quante poteva
portarne a termine prima di scoppiare a ridere. “Sembra che tu sia
finalmente riuscita a gestire i semplici processi della
Materializzazione.” L'oltraggiosa occhiata che lei gli lanciò fece
increspare le labbra di lui ulteriormente: lei era una dei pochi
studenti ad essere riuscita a Materializzarsi con successo ed
entrambi lo sapevano. “Vediamo come te la cavi con la
Materializzazione Congiunta.”
Lei sbatté le palpebre. “Ma,
signore, non ho la licenza.”
“Io sì,” replicò blandamente.
“E a meno che tu non riesca a Spaccarci, nessuno ne verrà al
corrente.”
Lo sguardo sul suo viso gli ricordò
in modo irresistibile il loro primo incontro nella Stanza delle
Necessità, quando lui le aveva fatto fare una capriola, ma evitò di
prenderla in giro ulteriormente. Invece si avvicinò a lei.
“Porgimi il braccio,” le disse,
afferrandola dall'avambraccio mentre lei lo faceva. “E tieniti
stretta a me.” Lui si concentrò attentamente per non fare troppo
caso a quanto vicini fossero, o alla sensazione del suo braccio sotto
al suo. Lui sollevò un sopracciglio e la guardò dall'alto in basso.
“Materializzaci trenta metri a sinistra, Granger,” fece una pausa
per creare enfasi, “e cerca di non Spaccarci.”
La Granger deglutì, ma alzò
leggermente il mento e lui capì che era pronta. La sua presa
s'intensificò e vorticarono nel nulla, per riapparire pochi secondi
dopo dall'altro lato della radura, entrambi – con evidente sollievo
della Granger – completamente intatti.
“Mmm,” disse lui con tono che
suggeriva che non andava affatto bene. “Prova di nuovo. Questa
volta Materializzaci dov'eravamo prima.”
Nel corso della serata si spostarono
progressivamente sempre più lontano dalla radura,
rimaterializzanodosi poi al punto di partenza. “Impieghi troppo
tempo nella fase preparatoria,” disse lui alla fine. “In
definitiva devi essere capace di Materializzarti senza precedente
avviso, sotto ogni circostanza.” Lui fece una pausa. “Hai fiducia
in me?” chiese, porgendole il braccio.
“Certo che sì,” disse lei, come
se fosse una domanda stupida, afferrando il suo avambraccio senza
esitazione.
Severus sbatté le palpebre e si
Smaterializzò prima che avesse la possibilità di chiedersi il
perché di quella sensazione spinosa dietro la gola. Riapparvero in
cima ad una collina, dove il terreno scendeva marcatamente sulla loro
sinistra. Il vento soffiava attraverso i loro leggeri vestiti
sportivi e i capelli della Granger si sollevavano sopra il suo viso
in un groviglio selvaggio. Ad un certo punto nelle loro infinite
Materializzazioni aveva perso l'elastico. Girando il viso verso il
vento, lottò per togliere i ciuffi dalla faccia, guardandolo con
aspettativa una volta che i capelli furono temporaneamente sotto
controllo.
“Io e te stiamo per saltare da
questa scogliera,” la informò lui, urlando nel vento. “Prima che
tocchiamo il fondo, ci Materializzerò in salvo.”
Con le mani ancora immerse nei
capelli lei guardò verso la scogliera e quindi verso di lui, con
l'apprensione largamente stampata sul viso. Lei fece una smorfia, ma
annuì determinata.
“Prendiamo una rincorsa,” le
disse. “Stringimi la mano.”
Andarono indietro un centinaio di
metri e la Granger gli afferrò con forza la mano sinistra: le sue
dita erano fredde per colpa del vento e deglutì alla stretta delle
sue lunghe dita. I capelli si gonfiavano dietro di lei e una ciocca
era volata davanti agli occhi.
“Sei pronta?” chiese.
“Sì.” Il viso di lei aveva i
chiari segni della determinazione.
Entrambi iniziarono a correre verso
la scogliera. Mentre si avvicinavano al bordo, accelerarono il passo
e saltarono. Per un secondo sembrò loro di rimanere fermi, come se
fossero senza peso, prima di precipitare in basso con il vento e la
gravità a spingere e premere i loro corpi. Severus strinse la mano
della Granger e sparirono nel nulla.
Tornarono al punto di
Materializzazione vicino Hogwarts, atterrando così agevolmente che
inciamparono appena. Non appena arrivarono, Granger tirò via le mani
dalle sue, si girò lontano da lui e cadde sulle mani e sulle
ginocchia. Vomitò subito. Momentaneamente preso alla sprovvista,
Severus si ricompose velocemente e le sollevò i capelli dal viso.
“Scusi,” disse debolmente, non
appena riuscì a riprendere a parlare. “Non mi piacciono le
altezze.”
Eppure è saltata da una
scogliera perché le ho detto io di farlo. Pensò
per un momento di non
riuscire a respirare.
“La prossima settimana,”
promise, “ti insegnerò a farlo. Una volta che sarai in grado di
Materializzarti in salvo, sarai anche in grado di controllare la
paura.”
Severus entrò a grandi passi nella
sala comune in cerca di Jocelyn Smith. La trovò quasi
immediatamente. Era seduta in un angolo dove due divani erano stati
spinti così vicini che non c'era quasi spazio per stringersi tra
loro, in un energico gruppo con altre tre ragazze del primo anno e
uno dei ragazzi. Jocelyn era chiaramente il centro dell'attenzione
mentre raccontava una qualche storia che gli altri trovavano
spassosa. Si fermò per un momento per contemplare il cambiamento che
l'anno aveva portato al suo comportamento, quindi piombò loro
addosso con un cipiglio plastificato sul viso.
“Signorina Smith,” sussurrò
minaccioso.
Jocelyn schizzò subito in piedi.
Aveva subito aderito alla regola Serpeverde di rispetto verso il loro
Capo Casa. Tutti gli studenti si rivolgevano a lui con puntigliosa
educazione in pubblico, facendo tesoro degli atteggiamenti rilassati
che occasionalmente permetteva in privato come eccezione alla regola.
“Buona sera, signore,” rispose.
“Prego, spiegami perché ti sei
guadagnata una punizione in un momento in cui avresti dovuto
incontrarti con me.”
Lei ebbe la decenza di sforzarsi di
mostrare uno sguardo contrito, ma una fossetta maliziosa rovinò in
qualche modo l'effetto. “Mi dispiace, signore, ma non potevo
evitare di lanciare quella maledizione a Gregory-”
La interruppe con un languido gesto
della mano. “Signorina Smith, non m'interessa quanti Grifondoro hai
maledetto o perché; m'interessa dover rivedere i miei programmi.”
Il suo secondo tentativo di apparire
contrita era più convincete. Forse perché abbassò leggermente la
testa. “Mi dispiace, signore,” disse di nuovo.
“Se non vuoi continuare basta che
me lo dici. Preferisco se non mi fai perdere tempo.”
“No!” La testa scattò su, il
rimorso evidentemente genuino adesso.
“Chiedo scusa?”
“No, signore. Non voglio che
interrompiamo le lezioni.”
“Molto bene. Ci vedremo sabato
mattina – prima di colazione. Sette e mezza e non più tardi.”
Severus si girò senza preoccuparsi di ascoltare i calorosi
ringraziamenti di Jocelyn. Era quasi sulla porta quando vide Tracey
Davis con la fronte corrucciata sui suoi compiti di Aritmanzia.
“Signorina Davis,” disse colto
da un impulso. “Un parola nel mio ufficio se non ti dispiace. Porta
il tuo lavoro con te.”
La Davis raccolse le sue cose in
fretta e lo seguì fuori dalla sala comune e nel suo ufficio, dove le
fece cenno di sedersi.
“Dimmi, signorina Davis,”
chiese, “per quale ragione la professoressa Vector ha pensato che
il tuo progetto di Aritmanzia potesse interessarmi?”
La Davis sembrò un po' spaventata e
maneggiò in modo maldestro la cinghia della sua borsa. Deglutì
rigida. “Ho la mia proposta di ricerca qui, signore, se vuole darle
un'occhiata.”
Severus tese la mano imperioso. La
Davis cercò a tentoni tra le sue carte finché trovò quella giusta.
La pergamena era soffice per il prolungato utilizzo e si appiattì
facilmente.
Progetto Indipendente di
Aritmanzia (MAGO) – Tracey Davis
Obiettivo: Identificare ed
abolire la maledizione sulla cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure
ad Hogwarts.
La
bocca di Severus divenne asciutta. Sollevò gli occhi lentamente e
guardò la giovane donna di fronte a sé. Si stava agitando con la
cinghia della borsa, la sua apprensione palpabile. “Grazie,”
disse alla fine. La Davis le diede un sorriso teso in risposta, ma
sembrava non meno agitata. Dopo una breve pausa aggiunse, non in modo
sgarbato, “Lo sai che è stato il Signore Oscuro a lanciare la
maledizione?”
Lei
annuì, il viso serio. La Davis non era tra quelli che avevano fatto
parte della Squadra d'Inquisizione l'anno prima, si ricordò
all'improvviso.
“Molto bene, allora. Se dovesse
esserci una qualunque informazione con cui posso aiutarti, non
esitare a chiedere.” Lui diede un'occhiata alla proposta di ricerca
e la restituì. Era stata molto scrupolosa.
“Grazie, signore.”
“Puoi andare.”
“Grazie, signore.” disse di
nuovo, ficcando le carte dentro alla borsa e andando via il più in
fretta possibile.
Severus sedette per un lungo
momento. La Vector aveva perfettamente ragione: il progetto della
Davis lo interessava molto.
Alla fine della lezione di sabato,
Jocelyn si fermò nell'atto di raccogliere le sue cose.
“Signore?” chiese esitante.
Severus alzò la testa dalla
contemplazione della serie di compiti che avrebbe dovuto correggere
per primi e alzò un sopracciglio.
“Mi chiedevo,” Jocelyn esitò di
nuovo. Era chiaramente una domanda di una certa importanza. “Mi
chiedevo cos'era successo a suo padre.”
Per diversi secondi Severus rimase
completamente immobile. Quindi sistemò i capelli dietro un orecchio.
“L'ho ucciso,” replicò con il volto impassibile.
Jocelyn ritrovò la sua compostezza
quasi immediatamente, ma non prima che lui potesse cogliere la sua
reazione scioccata. Severus sentì una poco caratteristica urgenza di
spiegarsi. “È stato un incidente,” la informò. “La più
devastante conseguenza per mio padre e una che si è dimostrata
nociva per la mia stessa carriera. Non è un approccio che
consiglierei.”
Lui la osservò mentre annuiva,
assorbendo silenziosamente le sue parole, e spingeva le sue ultime
cose nella borsa.
“Grazie signore,” mormorò
mentre usciva, l'orrore per la sua risposta visibile per l'assenza
del suo usuale entusiasmo.
Non c'era bisogno di descriverle gli
umilianti dettagli del suo processo di fronte al Wizengamot: Poppy
Pomfrey testimoniò in sua difesa con con un esaustivo sermone sulle
ferite e percosse che aveva ricevuto, mentre Slughorn si rifiutò di
fare altrettanto; Lucius – quando era ancora il ragazzo d'oro del
Ministero, prima che il nome della sua famiglia fosse macchiato dalla
sua associazione con Voldemort – parlò a suo favore nel ruolo di
testimone caratteriale per il suo giovane compagno di casa; le
lacrime di sua madre e il costante perverso amore per l'uomo che
aveva abusato di lei e suo figlio.
Due cose lo avevano tenuto fuori da
Azkaban: era minorenne e non aveva usato la magia.
Severus non sapeva ancora perché
quella particolare sera, una fra tutte le sere, aveva deciso di
reagire. Era nel bel mezzo delle vacanze, quella terribile estate in
cui aveva litigato con Lily. Era ubriaco, come lo era stato per molte
notti. Ed aveva colpito suo padre. Solo una volta, ma per un qualche
pazzesco destino lo aveva colpito esattamente nel punto giusto per
spezzargli il collo. Fatale. Omicidio colposo. Legittima difesa.
Severus aveva avuto diciotto mesi di liberà vigilata. Diciotto mesi
di “buona condotta.” Diciotto mesi in cui un numero sempre minore
di persone trovava delle parole gentili per il tetro, permaloso e
triste ragazzo che aveva ucciso il suo stesso padre.
Ai Mangiamorte, al contrario, non
era importato affatto.
"Severus, mio caro ragazzo,
sono felice che tu abbia potuto fare un salto questa sera. Vuoi
qualcosa da bere?” Dumbledore richiamò una bottiglia di Whisky
Incendiario prima che Severus potesse avere l'opportunità di
replicare. L'improvviso picco di giovialità nel suo tono fece capire
a Severus quanto l'uomo più anziano fosse nervoso.
Severus si sistemò di fronte al
preside e prese il bicchiere offerto con buon garbo.
“Come procedono le lezioni con la
signorina Granger?”
“Bene come ci si aspettava.”
Severus fece una pausa per passare il dito lungo il labbro inferiore
prima di cedere e rispondere alla domanda nascosta nella richiesta di
Dumbledore. “Non le ho ancora detto niente di non collegato con le
sue lezioni.”
Dumbledore sembrò sollevato. “Hai
deciso che cosa dirle?” chiese.
Severus sollevò un sopracciglio.
“Un fatto sembra la scelta ovvia.”
“Non sono certo che sia così
semplice,” rispose Dumbledore, piegandosi leggermente in avanti. “È
nella sua natura prendere le parti degli individui calunniati e
maltrattati – pensa alla sua campagna mal studiata per i diritti
degli elfi domestici. Una volta che mi avrai ucciso, il tuo nome sarà
come fango tra i membri dell'Ordine. Non possiamo correre il rischio
che possa ergersi in tua difesa.”
Una pesante sensazione nello stomaco
di Severus lo lasciò leggermente stordito e buttò giù una sorsata
di Whisky Incendiario con meno grazia di quello che pensava. Lo
spietato riferimento di Dumbledore ad un futuro in cui Severus
perdeva i pochi amici e il poco rispetto che si era guadagnato
penetrò come un coltello. Non per la prima volta considerò che la
morte per Voto Infrangibile fosse una fine preferibile. “Albus,”
riuscì a dire con voce dura, “è molto più probabile che la
Granger si alzi in tua difesa piuttosto che per la mia.”
Dumbledore strinse le labbra e
sorrise indulgente al suo collega. “Credo che sottovaluti il suo
rispetto per te, Severus.”
Rispetto che sarà ben presto
perduto. Severus mandò giù
un'altra sorsata di whisky, il bruciore che scorreva lungo la gola
che risaltava
solo leggermente contro il tormento scatenato dalla conversazione.
“Anche quello sarebbe un
disastro!” continuò Dumbledore, come se il mondo di Severus non
stesse girando vertiginosamente sul suo asse. “Non possiamo certo
permetterci una situazione dove cerca di fermarti. Sul serio, credo
sia meglio non dirlo a nessuno. Sicuramente i calcoli potrebbero
riferirsi a qualcosa di completamente diverso, no?”
Cosa sarebbe peggio, pensò
distrattamente Severus, vedere il suo rispetto sbriciolarsi
davanti
ai suoi occhi
o lasciare che mi ritenga un
traditore insieme a tutti gli altri? Mettendo
da parte il pensiero, così che non dovesse confrontarsi con la
complicata domanda del perché la
considerazione della Granger significasse
molto più per lui che quella
di Minerva o Hooch, cambiò discorso all'improvviso.
“Mi hai sicuramente chiamato qui
stasera per discutere di qualcos'altro oltre che della signorina
Granger, Albus.”
“Corretto come sempre, Severus.
Volevo parlare dell'arte delle bacchette.”
Arte delle bacchette? “Davvero.”
Severus incrociò una gamba sull'altra, allo stesso tempo irritato e
sollevato dal cambio di un tale argomento a caso.
“Sei al corrente, immagino, delle
conseguenze del duellare e della proprietà della bacchetta. ”
Si accese la luce della
comprensione. “Ovviamente. Ti garantisco, Albus, che sono
perfettamente soddisfatto della mia bacchetta e non ho alcuna
intenzione di usare la tua.”
“Quello, mio caro ragazzo, è
precisamente quello che speravo.” Dumbledore gli sorrise attraverso
gli occhiali, quindi abbassò gli occhi sul suo bicchiere di Whisky
Incendiario. Fece un profondo respiro, il sorriso sparito. “Che
cosa sai della Stecca della Morte, o la cosiddetta Bacchetta del
Destino?”
“Tanto quanto ogni mago con
un'educazione ragionevole... Ci sono diverse voci a proposito
dell'esistenza della bacchetta, ma nessuna che sia stata provata.
Nella storia recente, Gregorovitch una volta si è vantato di averla
in suo possesso: ha dichiarato di usarla come modello per le sue
creazioni, presumibilmente per supportare la sua stessa reputazione.
Ancora, non ci sono prove certe. Perché?”
“Si da il caso,” iniziò
Dumbledore con un tono nervoso nella voce, “che io abbia delle
prove certe.” Prese la sua bacchetta e la mise cautamente sulla
scrivania tra loro.
Severus la guardò, la guardò
veramente, per la prima volta. Sambuco.
“Gregorovitch aveva davvero la
bacchetta in suo possesso,” disse Dumbledore. “Gli è stata
rubata da Gellert Grindelwald e io l'ho presa da Grindelwald stesso
nel 1945.”
Ci fu una lunga pausa finché
finalmente Severus parlò. “E quindi quando ti avrò ucciso...”
s'interruppe. La sua mente mulinava tra le possibilità e
responsabilità.
“Sì.” Dumbledore sembrava
prostrato. “Non volevo dirtelo. In realtà intendevo portarmi il
segreto nella tomba. Sicuramente,” la sua voce vacillò,
“sicuramente comprendi quanto sia importante che Voldemort non lo
venga a sapere e che né lui, né alcun Mangiamorte, entri in
possesso della bacchetta.”
“Se il Signore Oscuro mai lo
sospetterà,” commentò Severus, la voce completamente priva di
emozione, “mi ucciderà.”
“Sì,” confermò Dumbledore
profondamente. “È un rischio.”
Per un lungo momento nessuno dei due
uomini parlò.
“Severus?”
Severus sollevò gli occhi dal
liquido ambrato che turbinava nel suo bicchiere e incontrò lo
sguardo di Dumbledore.
“Nella Bacchetta di Sambuco c'è
un potente incantesimo: non può essere rotta, non può essere
bruciata. Se potessi distruggerla lo farei.”
Severus annuì la sua comprensione.
Non aveva mai sentito Dumbledore così triste. Vuotò il bicchiere e
lo appoggiò senza nessun suono sulla scrivania. “Ribadisco ciò
che ho detto prima, Albus,” puntualizzò. “Sono perfettamente
soddisfatto della mia bacchetta, non userò la tua.”
“Grazie, Severus,” sussurrò
Dumbledore, gli occhi fissi sulla Bacchetta di Sambuco che ancora
giaceva sulla scrivania fra loro.
Mentre Severus si alzava e si
dirigeva verso la porta, Fawkes emise un basso, grido musicale.
Severus rabbrividì, ma non si fermò. Avrebbe camminato nei corridoi
per ore prima di riuscire ad andare a dormire.
*
*
*
----------------------------------------------
Vanny_Winchester: sono contenta che
questa storia ti abbia portata a recensire, è successa la stessa
cosa anche a me su ff.net :).
Eva7: ci ho messo un po' a decidere
sulla “Ronnità” di Ron, ma in originale suonava così bene che
ho cercato di trovare un termine adeguato. Temo che anch'io non sarei
stata in grado di seguire l'aritmanzia, neanche per sogno...
Spotless_Mind: purtroppo ho avuto
anch'io la visione di Snape piumato rosso-oro e ho cercato di
levarmelo dalla testa il più in fretta possibile XD
Anne
|
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Capitolo 23 *** Occam's Razor ***
Capitolo 23
Ultimamente
trovo che il venerdì arrivi veramente in fretta. È già passata una
settimana e a me sembrano un paio di giorni.
Al ventitreesimo grazie
a silviabella non so più cosa inventarmi...
Anne
London
Capitolo 23
Occam's Razor
Hermione
fu felice quella mattina che Harry avesse accettato di usare la Felix
Felicis. Un pochino di fortuna, pensò, era giusto quello di cui
aveva bisogno per convincere Slughorn a dargli i ricordi sugli
Horcrux. Dal momento in cui ebbe ingoiato il liquido dorato,
tuttavia, Hermione cominciò a nutrire dei dubbi. Invece di andare
verso l'ufficio di Slughorn, Harry prese l'improvvisa decisione di
far visita ad Hagrid e presiedere al funerale di Aragog – e non ci
fu niente che lei o Ron potessero dire per convincerlo altrimenti.
Mentre Harry spariva sotto al mantello, e avanzava lentamente giù
dalle scale del dormitorio dei ragazzi, Hermione guardò Ron e fece
una comica espressione di disperazione.
“Andiamo,”
mormorò Ron, replicando con una smorfia, “Andiamo con lui.”
In cima
alle scale, tuttavia, ogni pensiero di star dietro ad Harry, prima
che lasciasse la sala comune, svanì.
“Cosa
stavi facendo lassù con lei?”
strillò Lavender.
“Cosa
stai-,” farfugliò Ron bloccandosi, mentre il cervello s'inceppava
con la bocca, e si rendeva conto all'improvviso che non poteva
chiamare Harry in sua difesa. “Hermione è mia amica, Lav-”
Il suo
secondo tentativo di formulare un discorso coerente venne interrotto
da Lavender che ripartiva all'attacco.
“Sì,
certo, Ronald Weasley! Le amiche
non diventano gelose e non
smettono di parlarti solo perché hai trovato una ragazza che ti
apprezza veramente! Le amiche non
spariscono con te nel dormitorio dei ragazzi: aspettano nella sala
comune dove tutti possono vedere cosa sta succedendo! Le amiche
non appaiono così dannatamente
compiaciute mentre la tua ragazza sta urlando contro di te!”
Tempo
di andare, pensò Hermione, il
suo senso di autoconservazione che vinceva sull'urgenza di rimanere e
urlare di rimando a Lavender.
“D'accordo,
Ron,” disse allegramente, “vado in biblioteca. Raggiungimi dopo
se vuoi.”
Per
quanto riguardava Lavender, il disperato tentativo di Ron di
afferrare il braccio di Hermione fu la goccia che fece traboccare il
vaso. Hermione sentì i suoi strilli intensificarsi ancora di più
mentre scivolava nel corridoio. Bene,
pensò compiaciuta esattamente quanto Lavender aveva suggerito,
questa è un po'
di fortuna!
Ron la
raggiunse dopo venti minuti, sembrava esasperato, ma più che altro
sollevato. “Ci siamo lasciati,” spiegò fiaccamente, in risposta
al suo sopracciglio inquisitorio. “Immagino che non darai
un'occhiata ai miei compiti di Trasfigurazione, vero?”
Hermione
sospirò in modo melodrammatico, ma accettò il compito che porgeva
con esitazione. Le cose promettevano bene.
Il
giorno dopo Hermione si trovò davanti Ginny sulle scale che
portavano al dormitorio delle ragazze.
“Hey,
Hermione,” disse Ginny con un sorriso tetro.
“Hey,
che succede?” Hermione si fermò guardando la ragazza più giovane
che era in piedi più in alto rispetto a lei.
“Oh,
niente. Solo Dean che si comporta da perfetto idiota dopo esserci
lasciati ieri.”
“Lasciarci
è una cosa difficile?*” Scherzò Hermione, ma la citazione Babbana
non venne colta da Ginny.
“Puoi
dirlo forte.”
“Se ti
è di consolazione,” offrì Hermione, pensando all'espressione
attentamente disinvolta di Harry quella mattina quando aveva sentito
la notizia, “credo che la tua relazione con Dean sia servita allo
scopo.”
Ginny
s'illuminò immediatamente. “Davvero?” Chiese, gli occhi che
brillavano con un'improvvisa (e leggermente spaventosa) intensità.
“Davvero.”
“Hey,
grazie Hermione!” Ginny rovesciò i capelli dietro le spalle e
praticamente danzò dietro Hermione nella strada verso la sala
comune.
Hermione
sorrise tra sé e continuò a salire; se solo tutti i suoi problemi
fossero stati così facilmente risolvibili. Con suo grande sollievo,
né Lavender né Parvati erano in camera; si tolse le scarpe e
gattonò sul letto, chiudendo le tende con attenzione intorno a sé.
Hermione aveva un ora e mezza prima di cena e alcuni ragionamenti
seri da fare. Tirando fuori la bacchetta, lanciò diverse barriere
protettive che aveva imparato da Snape: Questo dovrebbe andar bene
contro le interruzioni.
Quella
mattina, durante Incantesimi, Harry aveva raccontato l'intera storia
della sua avventura la sera prima: dal funerale di Aragog al processo
di prendere i ricordi da Slughorn, passando per la visione dei
ricordi e gli orribili dettagli su cos'è un Horcrux, fino alla
promessa di Dumbledore di portare Harry con sé nella successiva
missione alla ricerca del prossimo. Gli Horcrux. Hermione
rabbrividì al pensiero di suddividere l'anima una volta sola,
figuriamoci sette volte – No, si
corresse, la logica che si riaffermava sull'orrore, sei
volte. Sei divisioni sono sette pezzi. Due
di queste erano già distrutte. Contò i rimanenti Horcrux: il
ciondolo, la coppa, qualcosa di Corvonero o Grifondoro e sicuramente
il serpente.
E
come, pensò,
sono collegati gli
Horcrux con l'apparentemente devastante piano messo in atto
quest'anno? E che cosa hanno a che fare, semmai, con l'informazione
che il professor Snape dovrebbe darmi? Si
circondò le ginocchia con le braccia e le strinse contro il petto.
Probabilmente
niente, decise.
Dovevo già
scoprire degli Horcrux da Harry: l'informazione del professor Snape
deve avere a che fare con qualcos'altro.
Hermione
sospirò. Non poteva tenere tutto direttamente nella sua testa.
Sporgendosi avanti, afferrò le cinghie della borsa e la tirò sulle
coperte davanti a lei. Rovistando dentro, trovò la matita e un pezzo
di pergamena. Era tempo di fare una lista.
Piano
1 – Uccidere Voldemort
Metodo:
Eliminare gli Horcrux (6), così Harry può combattere Voldemort
Progressi:
Già distrutti (2), Diario, Anello
Rimanenti
Horcrux (4): Ciondolo (S), Coppa (T), Qualcosa di G o R/C,
Serpente(?)
NB:
Anche se chiunque, in teoria, può distruggere gli Horcrux, la
segretezza è cruciale (Se V dovesse scoprirlo potrebbe semplicemente
farne altri), perciò in pratica devono farlo Dumbledore, Harry, Ron
o Hermione.
Hermione
si sentì un po' stupida a mettere giù il suo nome come potenziale
cacciatrice di Horcrux, ma le piaceva essere scrupolosa. Il piano 1
era abbastanza inequivocabile. Il piano 2 era molto più difficile da
riassumere perché Hermione non aveva chiaro quale fosse veramente il
piano. Arrivò a:
Piano
2 - ?
Metodo:
?
Progressi:
?
prima
di decidere che aveva bisogno di procedere per una via diversa, forse
scrivendo tutto quello che sapeva e chi era coinvolto e a quale
stadio. Iniziò con un nuovo pezzo di pergamena.
Piano
con apparenti devastanti conseguenze.
Persone
che conoscono i dettagli: Dumbledore, Snape.
Persone
che non lo conoscono: McGonagall, Vector, Hermione, tutti gli altri
(inc. Harry).
A
quel punto Hermione era sdraiata sulla pancia, con le gambe che si
muovevano nell'aria e una ciocca avvolta intorno all'indice della
mano sinistra. Lasciò uno spazio e continuò a scrivere in basso
nella carta.
Draco
Malfoy. Mangiamorte (?) cerca di uccidere qualcuno ad Hogwarts, non
gl'importa di chi ferisce nel tentativo (Katie Bell, Ron)
Potenziali
obiettivi:
Harry
(Improbabile – perché KB poteva semplicemente dargli il ciondolo
ad Hogsmeade)
Slughorn
(l'idromele era nel suo ufficio)
Dumbledore
(idromele - Natale)
Una
persona completamente diversa
Hermione
esitò, mordendosi il labbro inferiore, quindi aggiunse:
NB:
Snape ha promesso di aiutare/proteggere Draco (Voto Infrangibile –
Narcissa Malfoy).
Fece
un'altra pausa prima di finire il pensiero:
Quindi
Dumbledore sa/Snape mantiene la copertura.
Hermione
sospirò e rivolse lo sguardo alla lista dei possibili obiettivi.
Faceva ridere pensare a Draco che uccideva Dumbledore, Dumbledore
è praticamente invinci – il
pensiero del suo braccio nero interruppe di colpo il pensiero. Malfoy
non può, ma...
Deglutì.
Le parole sulla pagina davanti a sé sembravano vorticare fuori
fuoco. Stava per vomitare.
Hermione
scivolò giù dal letto e goffamente si fece strada fuori dalle
tende, inciampando nel bagno stordita. Ci mancò poco, ma riuscì a
non perdere il pranzo. Nel tentativo di ristabilire il suo
equilibrio, si sforzò di fare diversi respiri profondi e si bagnò
ampiamente la faccia con acqua fredda. Ok,
Granger, si
disse. Torna
in te.
Mentre
apriva la porta del bagno si bloccò, così come Parvati e Lavender.
Tutte e tre le ragazze si guardarono cautamente.
“Ciao,
Hermione,” dissero in coro, con voce falsamente dolce.
“Ciao.”
La sua risposta fu brusca.
“Uhm,”
gli occhi di Parvati si spostarono mentre parlava, “cos'è successo
al tuo letto?”
Hermione
si guardò intorno, fissando, sorpresa, il luogo in cui il suo letto
avrebbe dovuto essere, ma non c'era niente. Ci vollero diversi
secondi al suo cervello per riprendersi e farle chiudere la
bocca, ma alla fine capì che le barriere che aveva usato erano così
potenti che il letto stesso era stato nascosto alla vista. Soffocò
l'urgenza di ridacchiare istericamente.
“Faccio
solo pratica con il mio progetto extra di Incantesimi,” mentì,
lanciando un sorriso tirato a Parvati e Lavender a turno. Quindi
attraversò la stanza senza esitazioni. Mentre entrava nelle
barriere, sentì il formicolio sulla pelle e allo stesso tempo il
letto riapparve. Si voltò. Dall'espressione sul viso di Lavender e
Parvati era appena sparita. Cercò di non sentirsi compiaciuta, ma
non ci riuscì.
La
sensazione non durò a lungo. Una volta dietro le tende del suo
letto, fu obbligata a confrontarsi ancora una volta con la sua lista
– e le implicazioni dell'informazione che conteneva. Si sforzò di
pensarci con calma. Non escludere niente, per ora, ricordò
a sé stessa. Non
tutto è necessariamente quello che sembra.
Afferrò
la matita con mano ferma. Non è altro che un esercizio di logica.
Lo disse a voce alta per
renderlo più reale. “È soltanto un esercizio di logica.”
Supposizione:
Malfoy sta cercando di uccidere Dumbledore.
Fatto:
Snape ha promesso di aiutare.
Di
conseguenza: Se Malfoy fallisce Snape ucciderà Dumbledore
o
Supposizione:
Malfoy sta cercando di uccidere Dumbledore.
Fatto:
Snape ha promesso di aiutare, ma non lo intende davvero.
Di
conseguenza: Quando Malfoy fallirà Snape morirà (Voto
Infrangibile).
Hermione
non si preoccupò di considerare la possibilità che Malfoy potesse
riuscire. Istintivamente sentiva che la prima opzione fosse la
migliore per descrivere il “piano con in apparenza devastanti
conseguenze”, ma non poteva ancora spiegare perché poteva essere
il più probabile.
Se
Snape vive, scrisse
dopo, Dumbledore
muore. Se Dumbledore muore, Snape vive.
Spia
o Genio?
Hermione
fissò le parole davanti a sé per così tanto tempo che non
sembravano più avere senso, sembravano scarabocchi neri sulla
pergamena bianca. Quindi scrisse altre quattro parole,
puntualizzandole con un punto di domanda:
Dumbledore
sta già morendo?
Alla
fine, Hermione scese a cena. Non c'era molto altro che potesse fare.
I ragazzi salutarono il suo arrivo in ritardo con un certo sollievo.
“Sci
chieevamo dov'ei,” commentò Ron con la bocca piena di purè.
“Studiavo,”
replicò distrattamente, servendosi una generosa porzione della
verdura più vicina (fagiolini in questo caso).
La Sala
Grange non era il posto per
conversazioni personali di qualunque tipo e, con Ron ed Harry già
immersi in una profonda conversazione in cui discutevano se il
docente di Materializzazione, Wilkie Twycross, fosse in qualche modo
imparentato con il giocatore di Quidditch con lo stesso cognome,
Hermione riuscì ad arrivare alla fine del pasto senza prestare
troppa attenzione all'ambiente circostante. Invece si fissò sulle
scoperte e supposizioni delle ultime ore. Se Snape uccide
Dumbledore, verrà emarginato, dovrà darsi alla fuga, la sua vita
sarebbe in terribile pericolo. D'altro canto cementerebbe la sua
posizione nel circolo di Voldemort, metterebbe la sua reputazione di
Mangiamorte oltre ogni sospetto.
Supponendo
che fosse il più sicuro fra tutti i posti possibili – barriere o
non barriere – Hermione aveva nascosto le note nel reggiseno e,
ogni volta che si muoveva durante la cena, sentiva i bordi della
carta grattare contro i bordi irregolari della sua cicatrice. Aveva
considerato solo brevemente la possibilità che Snape potesse essere
un traditore. Forse
Dumbledore si sbaglia a fidarsi di Snape? Harry certamente la pensa
così. Ma
le stesse parole di Dumbledore le riecheggiavano nella mente, “Gli
affiderei la mia vita.” Dumbledore
era troppo intelligente – e troppo manipolatore – per usare una
frase del genere alla leggera.
Molto
prima che il pasto fosse finito, Hermione seppe di dover
parlare con il professor Snape. A causa di conflitti di calendario,
la squadra di Grifondoro si allenava solo una volta quella settimana,
di giovedì, ma Hermione non sapeva se poteva aspettare altre 48 ore
per affrontare l'argomento. Doveva essere quella sera.
Quando
Snape si alzò dal tavolo della cena lo fece anche Hermione. Il dolce
era appena arrivato e Harry la guardò con sorpresa.
“Dove
stai andando?” chiese.
“In
biblioteca, scusa, ho un sacco di cose da fare.” La bugia più
generica era in genere la migliore.
“'Mione,”
disse Ron con aria di rimprovero, “hai mangiato appena! Dovresti
rimanere qualche altro minuto e assaggiare un po' di crostata di
melassa.”
La sua
preoccupazione la colpì al cuore. Il suo affetto per entrambi i
ragazzi la avvolse di colpo, seguito subito da una fitta di panico.
Non aveva tempo per queste cose.
“Non
tutti hanno bisogno mangiare la stessa quantità del proprio peso
solo per poter passare la serata, Ronald Weasley. Ci vediamo dopo.”
Hermione scappò via, arrivando nell'ingresso giusto in tempo per
vedere Snape sparire nelle scale che portavano ai sotterranei. Gli
corse dietro.
Snape si
fermo a metà del corridoio per parlare con un gruppo di ragazzi del
secondo anno di Serpeverde. Un ragazzo, posizionato al sicuro dalla
linea visiva di Snape, notò Hermione mentre arrivava e fece una
smorfia. La sua scortesia colpì Hermione con un lampo d'ispirazione.
Tirando fuori la sua bacchetta dalla tasca la puntò all'insolente
ragazzino. La smorfia sparì immediatamente e disse qualcosa
spaventato, nascondendosi dietro al compagno più vicino. Per la
confusione, Snape si voltò, solo per trovarsi faccia a faccia con
Hermione e la bacchetta sollevata con rabbia.
“Cosa
significa tutto questo, signorina Granger?” Ringhiò mentre
camminava verso di lei, la furia che enfatizzava le linee del suo
viso.
“Pluralitas
non est ponenda sine necessitate**,”
replicò lei. Hermione respirava pesantemente, sperando che lui
comprendesse.
I suoi
occhi si strinsero. “Punizione,” sbraitò. “Adesso.”
Lei
si voltò all'istante e si diresse verso il suo ufficio. Snape
camminò dietro di lei, una presenza minacciosa ed arrabbiata. I
Serpeverde si sparpagliarono mentre passavano, i sussurri scioccati
facevano da staccato sincopato con il suono rintoccato dei tacchi
degli stivali di Snape, sulla pietra del pavimento.
Chiuse
le porta dietro di lei subito dopo essere entrati nell'ufficio.
“Sarà
meglio che tu abbia una buona spiegazione per il tuo comportamento
Granger, o strofinerai calderoni senza magia per le prossime quattro
ore.”
“Avevo
bisogno di parlare con lei, signore.”
“Siediti,”
ordinò, girando a grandi passi intorno alla scrivania per andare a
sedersi.
Accomodatasi
nella sua solita sedia, con Snape accigliato dall'altra parte del
tavolo, Hermione non sapeva da dove iniziare. Strofinò una mano
contro la cicatrice, le spiegazzature della pergamena sotto le dita
contribuirono ad intensificare il senso di urgenza che provava, ma
ancora non sapeva esattamente che cosa dire.
Alla
fine, Snape sospirò con irritazione. “Avessi saputo che provavi un
tale desiderio di fissarmi, Granger, ti avrei spedita in Infermeria,
invece di darti una punizione. Hai o no qualcosa da dire per cui
valga la pena interrompere i miei piani per la serata?”
“Io...
sì, signore.” Hermione fece un profondo respiro. “È vero,”
chiese, “che il professor Dumbledore sta morendo?”
Snape le
lanciò una lunga occhiata. “Da dove ti viene questa idea,
Granger?”
“Osservazione.
Non ha risposto alla domanda.”
“No,
infatti.”
Così
non si andava da nessuna parte. “Non ha fatto nulla per nascondere
la mano annerita e sta peggiorando. Ci sono alcune maledizioni...”
s'interruppe.
La bocca
di Snape s'indurì. Era come se una saracinesca fosse calata sul suo
viso, più rigido e terrificante dell'insegnate con cui di solito
interagiva. “Molto astuta, signorina Granger. Ma ti assicuro, la
maledizione sarebbe insufficiente per uccidere Albus Dumbledore.”
Hermione
armeggiò nervosamente con i bordi della scrivania. Suo malgrado fu
impressionata dalla sua abilità di aggirare la verità. Si schiarì
la gola, il momento per la franchezza Grifondoro era arrivato.
“Immagino che Draco Malfoy si dimostrerà similarmente
insufficiente.”
Snape
sedeva perfettamente immobile. Quando parlò, la sua voce era
completamente piatta e quasi colloquiale nella sua cortesia. “Cosa
stai insinuando signorina Granger?”
Hermione
strinse le mani a pugno, le unghie che scavavano dolorosamente nei
palmi. “Sto insinuando, signore, che lei e il professor Dumbledore
avete escogitato un piano dove lei ucciderà Dumbledore al posto di
Malfoy. Gli altri Mangiamorte non avrebbero nessuna ragione per
dubitare della sua lealtà allora.”
Snape
sollevò un sopracciglio. “Davvero?” Chiese con tono di cordiale
incredulità. “E quale ragione, se posso chiedere, avrebbe Draco
per cercare di uccidere il preside, in primo luogo?”
“Perché,
signore, è un Mangiamorte, o sta cercando di diventarlo, per
prendere il posto di suo padre.” La voce di Hermione tremò un po'.
Era snervante affrontare il freddo e disinteressato Snape quando si
era aspettata invettiva e furia.
“Un
mago minorenne? Incaricato di uccidere il più potente mago oggi
vivente? Non sembra molto probabile.” Cambiò leggermente posizione
sulla sedia e i capelli neri si mossero in avanti a incorniciare il
viso. “Come sei arrivata ad una tale improbabile conclusione,
signorina Granger?”
Hermione
esitò solo un secondo, poi recuperò la pergamena da dentro alla
maglietta. Separò con attenzione i due fogli, piegò quella
contenente le note sulla ricerca degli Horcrux di Harry e la mise al
sicuro in tasca. Svolse invece l'altra. “Rasoio di Occam,”
replicò, porgendola a Snape.
Lesse
tutto il foglio, due volte, prima di parlare. “Come esercizio
logico, signorina Granger, questo lavoro è imperfetto in modo
significativo.” Lasciò che la pergamena cadesse sul tavolo tra
loro.
Lei
desiderò che la smettesse di chiamarla signorina Granger e tornasse
al suo solito sé stesso. “Quale errore ho fatto signore?”
“La
soluzione che proponi non è la più logica.” Prese una penna e
aggiunse una linea di testo tra le due scritte da lei, poi spinse il
foglio verso di lei. Ora, vicino alla fine della pagina, leggeva:
Supposizione:
Malfoy sta cercando di uccidere Dumbledore.
Fatti:
Snape ha promessi di aiutare.
Di
conseguenza: Se Malfoy dovesse fallire, Snape ucciderà Dumbledore.
Conclusione:
Snape è fedele al Signore Oscuro come lo è sempre stato.
Il
cuore di Hermione batteva forte. “Troppo semplicistico, signore.”
Replicò. “Non si addice in modo adeguato a tutte le informazioni.
So, per esempio, che lei è leale a Dumbledore.”
“Non
ne hai le prove.” La voce era dura.
Il
mento di Hermione si alzò leggermente e c'era una luce fiera negli
occhi. “Non ho bisogno di avere prove, signore,” disse nel modo
più chiaro e fiducioso possibile.
Snape
ringhiò, un suono gutturale e rabbioso che arrivava dal profondo
della sua gola. “Allora sei un'idiota. Chi pensi che ti crederà,
Granger, se dovessi veramente uccidere il preside come da te
suggerito?”
All'uso
del suo nome da solo uno dei nodi allo stomaco si sciolse. “Nessuno
probabilmente.” Esitò per un secondo, mordendosi il labbro
inferiore. “Immagino stia andando incontro a tempi piuttosto duri,
signore.” Qualcosa guizzò nel viso di lui, troppo velocemente
perché Hermione fosse sicura di quello che aveva visto. “Pensavo,”
continuò, “che questa potesse essere l'informazione che avevo
bisogno di ricevere da lei. Con Dumbledore morto, Harry potrebbe
perdere tutto. Chi lo sa che cosa ne farà il Ministero della scuola?
Harry ha... un lavoro da fare, potremmo dover fuggire. È mio compito
mantenere Harry vivo. Ho bisogno di prepararmi.”
“Granger-”
si lamentò Snape. “Stai farneticando.”
“Scusi,
signore.”
Lui si
portò rudemente una mano sul viso. Sembrava... fragile. Hermione
fu assalita da un senso d'ingiustizia. Come può Dumbledore
chiedergli questo? È inumano. Si
morse il labbro inferiore, respingendo l'urgenza di discutere a lungo
quanto tutto fosse ingiusto. Non farneticare Granger,
ricordò a sé stessa.
Per un
lungo momento né Hermione né Snape parlarono. Alla fine lui sollevò
la pergamena coperta di note e lesse di nuovo. “Come sai che ho
stretto un Voto Infrangibile?” Chiese con solo un tocco
d'irritazione nella voce.
“Uhm,
temo di non poterglielo dire, signore.”
“Non
puoi o non vuoi?” Sogghignò. “Lasciami indovinare, coinvolge una
certa canaglia e il suo mantello dell'invisibilità?”
Hermione
alzò le spalle e tenne la bocca chiusa. Snape sospirò e buttò il
foglio di nuovo sulla scrivania. “Fai in modo di disfartene
saggiamente,” si raccomandò, facendo cenno alla pergamena.
Obbediente, Hermione la fece sollevare e la spedì verso il fuoco.
Per un secondo entrambi la osservarono bruciare.
“In
quanti credi che possano arrivare alla stessa conclusione?” Chiese
lui.
“Nessuno
signore. Primo, nessuno ha tutte le informazioni. E...” Esitò.
“E?”
“Ha
avuto troppo successo nel camminare sul filo del rasoio, signore.
Molte persone saranno pronte a credere il peggio di lei.”
Snape
aprì la bocca come per parlare e la chiuse di colpo. Per un istante
Hermione pensò che potesse piangere, ma tornò in sé molto in
fretta.
“Molto
bene, Granger,” disse. “Torna giovedì: pianificheremo la tua
vita in fuga.”
“Signore?”
“Puoi
andare, Granger. Vai ora o avrai davvero una punizione.”
Riluttante,
Hermione si alzò. Snape sembrava spaventoso ed era restia ad
andarsene. Voleva – impensabile – abbracciarlo, voleva inveire
contro la difficoltà della sua posizione, voleva rassicurarlo,
dirgli che era eutanasia e non omicidio, ma non poteva. Anche se non
aveva né esplicitamente confermato né negato la sua teoria, e anche
se la lasciava senza nessun dubbio sulla sua veridicità, certamente
non avevano avuto una conversazione su quello. Andò verso la porta,
esitando con la mano sulla maniglia.
“Ora,
Granger,” sbraitò prima che potesse voltarsi.
“Buonanotte,
signore,” replicò in fretta mentre usciva in corridoio.
Hermione
si fermò a fissare la porta chiusa di Snape finché non si preoccupò
che lui, o qualche altro Serpeverde, potesse trovarla lì. Non poteva
neanche tornare alla sala comune. La sua testa ronzava e non era in
grado di sostenere una conversazione normale. Invece girò i tacchi
verso l'ufficio della Vector. Era quel tipo di energia nervosa che
solo i calcoli Aritmantici potevano avere qualche speranza di
dissipare. Ed Hermione aveva un sacco di nuove informazioni da
codificare nella matrice.
*
*
*
*“Breaking
up is hard to do” in originale. Mi par di capire che sia il titolo
di una canzone, ma spero che grangerous possa far luce sulla cosa
(sono curiosa, eh...)
**
“Non considerare la pluralità se non è necessario”
fa parte della formula di risoluzione di un problema relativa al
Rasoio di Occam.
---------------------------------
Spotless_Mind:
adesso Hermione sa e trovo questo capitolo come trai miei preferiti.
Quello precedente è veramente molto ricco e non so se preferire la
scogliera o il modo in cui Snape parla dell'omicidio di suo padre,
molto IC (un modo che mi fa anche venire i brividi, pensandoci, ma è
veramente ben scritto).
Anne
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Capitolo 24 *** Sectumsempra ***
Capitolo 24
NdT: siamo quasi alla fine. Grazie come
sempre a silviabella per essere arrivata con me fin qui :)
Anne
Capitolo 24
Sectumsempra
Dopo che Hermione Granger lasciò il
suo ufficio, quella sera, Severus era appena entrato nella solitudine
delle sue stanze quando si lasciò andare. Si raggomitolò sul
pavimento proprio all'interno della porta e pianse: pesanti,
moccicose,
ridicole lacrime. Pianse per dover uccidere Albus. Pianse per essersi
unito ai Mangiamorte. Pianse per le atrocità a cui aveva assistito e
quelle che aveva compiuto. Pianse immaginando Hooch, Minerva e Poppy
che lo pensavano un traditore. Pianse per l'infelice spreco della sua
infanzia e la terribile ansia negli anni tra le guerre. Pianse per il
modo in cui il Signore Oscuro lo desiderava e pianse per essersi
innamorato di una sua studentessa. Quando finì era esausto.
Troppo stanco per alzarsi rimase
sdraiato sul pavimento a fissare il soffitto. Granger non finiva mai
di sorprenderlo.
Severus si era arreso nel compararla
a Lily nel momento in cui lei lo aveva perdonato per la sua ridicola
sfuriata su Krum. Non c'era paragone: Granger era più brillante,
tenace e infinitamente più generosa. Granger, rifletté, aveva
combattuto una battaglia da adulti nel suo primo anno ad Hogwarts;
Lily, d'altro canto, aveva condotto una vita incantata – fino al
momento del tradimento di Pettigrew, cioè – riso di fronte al
pericolo, giocato a combattere, prendendo alla leggera il fatto di
riuscire a cavarsela per un pelo. Severus non poteva immaginare
Granger rimanere incinta e farsi una famiglia nel bel mezzo di una
guerra. Grugnì all'idea. Anche se lo facesse, farebbe in modo di
controllare in qualche modo tutto, proteggere chiunque e, allo stesso
tempo, fare a maglia un paio di
scarpine di lana per ogni giorno della settimana. In
nessuna circostanza si ritirerebbe ad una vita di “moglie e
madre”,lasciando ogni decisione a chiunque avesse provveduto allo
sperma; nessuno potrebbe mettere da parte Granger per la sua stessa
sicurezza.
Ora che aveva
compreso i dettagli del piano di Dumbledore, Hermione lo aveva
sorpreso ancora una volta. Primo, era stupefatto da come aveva messo
insieme i pezzi. Pluralitas non est
ponenda sine necessitate
per davvero. Secondo, e più importante, Severus era sopraffatto
dalla sua reazione. Non era sembrata disgustata, o nauseata, o
ripugnata. Al contrario, era sembrata... comprensiva, preoccupata per
lui. E non aveva avuto dubbi sulle sue intenzioni. Non una volta.
Sebbene la piega d'improbabilità che aveva scoperto, e il puzzle di
logica che aveva risolto, puntassero
entrambi verso due possibili risultati, Granger aveva infallibilmente
scelto “spia” invece di “traditore”.
Era innervosito. In qualche modo,
fin dalla prima seduta di Legilimanzia nell'Infermeria solo nove mesi
e mezzo prima, lei lo aveva cambiato. Mentre prima Severus si sentiva
compiaciuto della sua morale superiorità verso coloro intorno a lui,
ora era preoccupato di non essere all'altezza delle aspettative di
una particolare donna.
Nonostante Dumbledore avesse fiducia
in lui, il vecchio era un bastardo manipolatore. Severus gli voleva
bene, ma sapeva che il senso di colpa era attentamente calcolato, i
sotterfugi deliberati. Sapeva che Dumbledore avrebbe sempre fatto lo
stesso errore: alcuni ragazzi erano più importanti di altri e quasi
sempre più importanti delle donne di qualunque età. Granger,
invece, lasciava da parte ogni pretesa di manipolazione e
semplicemente lo guardava. Lo guardava come se lui fosse reale. Come
se fosse una persona reale, in una difficile situazione, che stava
per fare la scelta giusta. “Innervosito” era un eufemismo.
Precisamente alle otto del giovedì
sera, Hermione Granger bussò alla sua porta.
“Avanti,” disse.
Riconobbe subito la smorfia testarda
della sua bocca: aveva una domanda e non aveva intenzione di lasciar
correre. “Forza, Granger,” le disse con un sospiro rassegnato.
“Cosa?” Chiese lei cautamente.
“Poni la tua domanda, mi sembra tu
stia per scoppiare.”
“Oh,” disse, presa alla
sprovvista dal suo incoraggiamento. “Va bene, allora. C'è un modo
per modificare la memoria di qualcuno e invertire il processo
successivamente?”
Lui sollevò un sopracciglio.
“Dovrai essere un po' più specifica.”
“Beh, so che un Oblivion rimuove
un ricordo specifico, o un gruppo di ricordi, ma se si volesse
convincere qualcuno di essere totalmente qualcun altro per uno
specifico periodo di tempo?”
“Per quanto tempo?”
“Un anno, forse due.”
“Lo sai che quello che proponi è
completamente illegale?”
Lei annuì, ansiosa. “Sto cercando
qualcosa che possa far tornare la persona completamente sé stessa
dopo.”
Severus sbatté le palpebre. Granger
sembrava stanca. C'erano cerchi scuri sotto gli occhi e il viso era
teso. Dove ci porta tutto ciò? “Prima
di rispondere alla tua domanda, Granger, ho bisogno di sapere i
ricordi di chi intendi modificare.”
Lo sguardo si spostò di lato prima
di rispondere, non come se stesse mentendo, ma come se la risposta la
facesse sentire a disagio. “I miei genitori,” disse alla fine.
Severus sembrava sorpreso. “Perché?”
Granger lasciò andare il respiro
che stava trattenendo con un sospiro di preoccupazione. “Da martedì
sera lavoro ai calcoli. Molti elementi sono chiarificanti in virtù
delle nuove informazioni, ma aggiungono anche nuove sezioni. Una
delle cose che ho aggiunto era un'equazione per i miei genitori e il
loro futuro non sembrava particolarmente buono. Mi sono trastullata
con diverse opzioni senza troppa fortuna, finché – quasi per
disperazione – ho codificato per modificare i loro ricordi e
mandarli in Australia. É stata l'unica cosa che ha dato veramente
una buona proiezione. Preferirei non condannarli ad una vita che non
hanno scelto, e ignorare la loro precedente esistenza, ma se diventa
una scelta tra quello e morte certa, allora lo farò.”
Severus assorbì l'accenno di triste
determinazione che c'era sotto le sue parole. “Cosa ne pensi del
mandarli con Krum?”
“Ho fatto dei calcoli per quello,
ovviamente. Non sembravano molto promettenti.”
“Mostrami i calcoli,” chiese,
porgendo in avanti la mano. Granger li prese prontamente dalla borsa
e li passò a lui. “Quali supposizioni hai fatto?”
“La morte di Dumbledore, la caduta
del Ministero e io in fuga con Harry e Ron.”
Le cifre erano devastanti. Se
Granger non faceva nulla c'era un 98.9% di possibilità di morte; se
li mandava da Krum 76%; se li mandava in Australia con i ricordi
modificati, 1.4%. Aveva provato un esagerato numero di altre opzioni
– andare in Australia così com'erano, modificare la memoria e
rimanere in Gran Bretagna, andare in Europa ecc – ma senza avere
con nessuna lo stesso risultato. Severus si passò un dito lungo il
labbro inferiore, considerando le opzioni.
“C'è un modo,” disse alla fine,
“ma non hai le capacità per farlo.” La speranza che le era
sbocciata sul viso s'incrinò. “Richiede tecniche di Legilimanzia
molto più complesse di quelle che abbiamo studiato e anche solo
insegnartele sarebbe illegale.”
L'espressione di Granger era vuota,
le sue emozioni nascoste. “Ma lei sa come farlo?” Chiese con voce
neutrale.
“Sì,” confermò.
Le labbra di lei diventarono sottili
mentre le stringeva l'una contro l'altra, prima che Granger
abbassasse lo sguardo verso il grembo. Sapeva che non avrebbe
chiesto.
Severus sentì la sua stessa voce
come se arrivasse da lontano. “Posso farlo per te, se vuoi.” La
gratitudine sul suo viso, mentre guardava verso di lui, era come un
amo piantato nel petto che inesorabilmente lo portava nei piani di
lei. “Avrò bisogno del tuo aiuto. La procedura è estremamente
complessa: serve un Legilimante per nascondere la memoria originale,
da qualche parte nel cervello del soggetto, e un altro per inventare
una nuova storia per coprire le crepe. La memoria nascosta può
essere attivata con un segnale – una frase o situazione – che la
rilascerà dal luogo in cui è nascosta.”
Granger gli sorrise. “Grazie!”
Oh, professor Snape, grazie tante!” Si morse il labbro inferiore
brevemente. “Dovremmo darci un appuntamento? Pensavo, magari il
primo fine settimana delle vacanze estive?”
“In teoria dovrebbe andar bene.
Non posso essere certo dei miei movimenti una volta che l'anno
scolastico sarà finito.” Non aveva bisogno di spiegarle perché.
“Mmm.” Sembrava pensierosa.
“Cosa dovremmo fare allora?”
“Facciamo alle 11 del mattino del
primo sabato.”
“E se non dovesse farcela per
qualche ragione?” Chiese Granger.
“La stessa ora il giorno dopo.”
“Grazie signore,” disse Granger,
abbastanza sicura e sorridendogli. La gola di lui si strinse e gli
sembrò di non poter parlare. Quindi annuì.
Dopo che... succederà quella
cosa, pensò, quante
persone potrebbero esserci a fidarsi di me, per non parlare di
chiedermi di modificare la memoria dei loro genitori? Non
poteva sopportare di pensarci.
“Bene,” disse con voce
leggermente stridula, “se hai finito forse potremmo passare alla
lezione di oggi?”
Granger fece un largo sorriso. “Sì
signore,” disse obbediente.
Con la finale della partita di
Quidditch che si avvicinava, Severus tenne alla Granger tante lezioni
quante le volte che la squadra di Grifondoro faceva allenamento. Una
volta che la stagione fosse finita sarebbe diventato molto più
difficile organizzarsi senza attirare l'attenzione dei suoi amici
idioti.
Lei prese l'impegno di pianificare
l'anno in fuga seriamente, come faceva con ogni altro progetto,
compilando liste e immaginando possibili scenari. Visto che i suoi
compiti non avevano sofferto come conseguenza, Severus sapeva che
doveva lavorarci per un'infinità di ore.
Con ogni nervo che finiva per essere
sull'attenti in sua presenza, o alla semplice menzione del suo nome,
Granger sembrava comparire come una virtuale costante nei
pettegolezzi della sala insegnanti, ognuno dei docenti che
regolarmente si profondeva in panegirici sui suoi risultati e
intelligenza. Non Severus, ovviamente, lui teneva la bocca chiusa,
anche se in più di un'occasione era stato tentato di menzionare la
profondità e la genialità dei suoi compiti di DCAO e l'impegno che
ci metteva lui nel commentarli adeguatamente.
Era tentato di dirlo alla Vector:
era stranamente affascinato da lei dalla notte in cui l'aveva vista
lavorare insieme alla Granger. Nelle poche occasioni in cui si faceva
vedere nella sala insegnanti osservava lei e il suo perenne sorriso.
Lei e la Granger erano così a loro agio insieme. Ricordava il modo
in cui la Granger la toccava, una mano sul braccio, e come le aveva
sorriso. La Vector faceva libero e frequente uso del nome della
Granger; non che per lei ci fosse bisogno di tenere la ragazza a
dovuta distanza, di rifiutare persino di pensare al suo nome nella
solitudine della sua testa. Severus era geloso, ma anche affascinato.
Un martedì pomeriggio, la settimana
prima della partita Grifondoro-Corvonero, la Vector fece una delle
sue rare apparizioni nella sala insegnanti. Severus era seduto vicino
al fuoco, bevendo del tè. Con sua sorpresa, la Vector camminò
direttamente verso di lui e si sedette in un'altra poltrona.
“Buon pomeriggio, Severus,” lo
salutò lei allegramente.
“Septima,” replicò lui.
La Vector fece un'espressione
sarcastica. “Non è veramente il mio nome, sai,” commentò lei,
“puoi chiamarmi Ana o anche Anastasia – non sembri il tipo a cui
piacciono i diminutivi.”
Severus sogghignò, quasi
d'abitudine. “Bene, Anastasia, a cosa devo l'insolito piacere della
tua compagnia?”
La Vector sorrise e si sporse in
avanti in modo cospiratorio. “Ho sempre pensato che tu fossi
qualcosa come uno scontroso bastardo, con cui non valeva la pena
approfondire l'amicizia. Ma poi arriva Hermione Granger che pensa
molto bene di te e io penso molto bene di lei. Mi fa pensare che
forse dovrei ripensarci.”
“Mi perdonerai se tengo le mie
lacrime di gioia per quando sarò da solo, vero?”
Gli occhi della Vector
s'incresparono in risposta al suo amaro sarcasmo. “Ah, sì, ha
fatto cenno al fatto che il tuo senso dell'umorismo è ben
sviluppato.”
“Spettegoli abitualmente sugli
altri insegnanti con gli studenti?” Chiese freddamente lui.
“Non più di quanto gl'insegnanti
spettegolino sugli studenti, Severus.” Il suo sguardo si spostò
sulla sinistra. “Filius, come stai?”
“Ana! Che piacere vederti! Cosa ti
porta nella sala insegnanti?” Squittì Flitwick da dietro di lui.
“Niente di particolare, discutevo
solo della signorina Granger qui con Severus.”
“Ah, l'incomparabile signorina
Granger! Ma guarda, proprio oggi mi ha presentato il più
meraviglioso incantesimo
impercettibile prolungato: non è neanche nel programma fino al
prossimo anno! Non so dove trovi il tempo!”
Severus pose tazza e piattino nel
tavolino basso e si alzò con agilità in piedi. Fece ai suoi
compagni un inchino rigido e scappò dalla conversazione. C'era solo
un'altra mezz'ora prima di cena – tempo che poteva essere
produttivamente trascorso a controllare i corridoi e togliere punti
casa, tempo che non aveva bisogno di passare pensando a cosa la
Vector stava combinando o riflettendo infruttuosamente su Hermione
Granger.
Perciò fu così che Severus non si
trovò lontano dalla scena quando sentì le inconfondibili urla del
deprimente giovane fantasma Corvonero, Mirtilla, riecheggiare dal
bagno dei ragazzi del sesto piano.
“ASSASSINIO!
ASSASSINIO NEL BAGNO! ASSASSINIO!”
La vista di Draco, con il petto
attraversato da una lunga e netta ferita, e che rapidamente moriva
dissanguato, gli fece sentire il cuore in gola e inizialmente, la
presenza di Harry Potter, venne registrata in modo solo marginale.
Severus aveva la sua bacchetta pronta prima di aver pensato di
prenderla, cantando il contro incantesimo tre volte prima di far
guarire la ferita completamente, asciugando il peggio del sangue di
Draco dal suo viso. Dov'è che Potter ha imparato il Sectumsempra?
Rifletté
nel momento in cui fu capace di pensare coerentemente.
“Devi andare in infermeria,”
disse a Draco, aiutando il ragazzo ad alzarsi in piedi e avvolgendo
un braccio intorno al corpo per tenerlo dritto. “Potrebbero
esserci delle cicatrici, ma se prendi subito del dittamo potremmo
riuscire ad evitarlo...Vieni...”
Potter era ancora accovacciato sul
pavimento nel punto in cui Severus lo aveva spinto nella fretta di
raggiungere Draco. Era coperto di sangue e acqua, il viso pallido
quasi quanto quello di Draco. Idiota di un ragazzo,
pensò Severus, il sollievo per la ripresa di Draco che cedeva alla
rabbia. Prima di accompagnare
Draco fuori dalla porta si voltò verso Potter. “E
tu, Potter,” sbraitò
furioso. “Tu mi aspetti
qui.” Il ragazzo
annuì obbediente, troppo sconvolto dalle conseguenze delle sue
azioni persino per discutere.
Imparerà mai a pensare prima di
agire?
Ci vollero solo pochi minuti per
semi-trasportare, semi-scortare Draco in Infermeria e, con sollievo
di Severus, Poppy emerse dal suo ufficio nel momento in cui
arrivarono.
“Dittamo,”
disse,
portando Draco verso il letto più vicino. Poppy chiamò a sé
immediatamente una fiala e diede una dose al ragazzo prima di
metterlo a letto. Severus sospirò di sollievo.
“Tornerò,” disse, indirizzando
il commento ad entrambi, Draco e Poppy. “Adesso ho da fare con il
colpevole.” Girò sui tacchi con il viso lugubre e si diresse verso
il bagno.
Severus rimase senza parole quando
scoprì che Potter aveva il suo libro di pozioni del sesto anno,
anche se la rivelazione spiegava molto: le calorose lodi di Slughorn
sul talento dell'idiota per la materia, la domanda della Granger sul
perché i libri erano sbagliati, dove Potter aveva imparato la
maledizione nota solo ad una manciata di Mangiamorte. Potter lo aveva
nascosto da qualche parte piuttosto che mostrarglielo, ovviamente, ma
a Severus non importava di forzare una spiegazione. Una serie di
punizioni di sabato sarebbero state sufficienti. Il pensiero
dell'avvicinarsi della partita di Quidditch e l'incombente disappunto
di Minerva portarono un ghigno sul volto di Severus. Che serva a
Potter di lezione. E
come si permette di usare le mie stesse maledizioni contro Draco?
Severus strinse gli occhi al
pensiero mentre pianificava un'adeguata punizione per quella
zucca vuota.
Quella
sera tardi, Severus tornò al capezzale di Draco. Il viso normalmente
pallido del ragazzo sembrava quasi spettrale contro il bianco delle
lenzuola. Poppy si agitava intorno a lui quando Severus arrivò e lei
lo accolse con un sorriso.
“Bene, guarda chi c'è,” disse
allegramente a Draco, “il tuo salvatore in persona. Sono sicura di
poterti lasciare in mani più che capaci.” Con una pacca sul
braccio mentre passava, Poppy sparì nel suo ufficio.
Draco, tuttavia, non sembrava
affatto felice di vederlo, con il viso risolutamente voltato verso la
direzione opposta, mentre Severus si sedeva nella sedia di fianco al
letto. “Non ho niente da dirti,” puntualizzò con voce petulante.
“Tuo padre ti ha insegnato a
mostrare delle maniere migliori di così, Draco,” replicò Severus
con voce pacata.
“Beh, mio padre non è qui, no?”
Severus alzò gli occhi al cielo in
una silenziosa preghiera per richiamare la pazienza. “Draco, sto
cercando di aiutarti. Oggi ti ho salvato la vita. Il minimo che tu
possa fare è ripagarmi con un po' di fiducia. Perché non parli con
me? Perché non mi dici i tuoi piani?”
“Non ho bisogno di aiuto. Solo,
va' via e lasciami in pace.”
“Molto bene.” Severus si alzò
di nuovo in piedi. “Se cambiassi idea, sai dove trovarmi.”
Verso la fine di maggio, Granger
riuscì a sgattaiolar via dalle sue ombre usando il gruppo di studio
di Aritmanzia come scusa. Dal modo in cui il mento sporgeva, mentre
sedeva dall'altra parte della scrivania rispetto a lui, sapeva che
era pronta a fare un'altra domanda.
“Signore,” iniziò con un
profondo respiro.
“Vai avanti, Granger,” sospirò
in modo melodrammatico e si sistemò i capelli dietro le orecchie.
“Sapevo che l'assenza di domande era troppo bella per durare.”
“Il fatto è che stavo pensando
all'informazione che lei dovrebbe darmi.”
“Pensavo avessimo sviscerato
abbastanza la faccenda,” disse con un sopracciglio alzato.
“Bene, il fatto è che in pratica
ho capito quell'informazione da sola. Non mi ha realmente detto
niente. Non ne abbiamo realmente discusso. Mi fa pensare che ci sia
qualcos'altro che ha bisogno di farmi sapere.” Fece una pausa e
aggiunse in modo sinistro, “Prima che sia troppo tardi.”
Severus sollevò il secondo
sopracciglio. Poteva esserci qualcosa sotto. “Hai qualcosa di
specifico in mente?” Chiese.
Dallo sguardo sapeva che l'aveva.
“So che è ridondante,” disse in imbarazzo, “perché non lo
direbbe a nessuno, ma mi promette che la cosa non uscirà da qui?”
Severus arricciò il labbro
superiore magistralmente, ma prese la bacchetta senza protestare.
Sollevandola disse, “Hai la mia parola.” La bacchetta s'illuminò
di oro.
“La sua parola da sola era
sufficiente, sa.” Lo criticò aspramente anche se sembrava
sollevata. “Non so perché si senta sempre obbligato a fare un
giuramento alla minima occasione.” Si morse il labbro e sembrò un
po' nel panico non appena ebbe finito di parlare, chiaramente
realizzando quanto fosse andata vicina a rimproverarlo per essere
diventato in primo luogo un Mangiamorte.
Era una giusta domanda. Ogni volta
che pensava di aver superato l'urgenza di fare giuramenti
infrangibili si trovava impulsivamente a farlo di nuovo.
Hermione fece un profondo respiro
prima di continuare. “Mi chiedo che cosa potrebbe dirmi a proposito
degli Horcrux, signore.”
Gli Horcrux. Potter. Gli Horcrux.
Plurale. Le parole di Dumbledore
gli tornarono alla mente: “Se
lo conosco bene, farà in modo che quando si prefiggerà d'incontrare
la morte significherà veramente la fine per Voldemort.”
“È sicuro presumere che sei
interessata a distruggerli, Granger, e non a farne uno?”
“Assolutamente.”
Severus
sembrava valutare la giovane donna di fronte a sé, l'impaziente
linea del suo corpo e il determinato atteggiamento della sua bocca.
“Ho dei libri che potrebbero aiutare,” disse. “Non qui, ma a
casa, a Spinner's End. Te li porterò,” aggiunse, “prima che sia
troppo tardi.”
Il
grazie della Granger era evidente nella larghezza del suo sorriso.
*
*
*
-----------------------------------------
Mitsuki91: Bentornata :). In effetti
forse un abbraccio in questo momento sarebbe stato un po' troppo
presto, mi sa che anche Severus non l'avrebbe presa troppo bene ;).
Vanny_Winchester: grazie per i
complimenti da parte di tutte, spero che anche questo venerdì sia
stato di tuo gradimento :)
Fink1987: anche a me piace molto la
parte tra Snape ed Hermione, soprattutto ho apprezzato l'analisi
razionale di lei, cosa che avrei proprio voluto leggere un po' di più
nei romanzi originali.
chi_lamed: leggendo il sesto libro
avevo capito che il principe fosse Severus, così come non ho mai
avuto dubbi sul fatto che lui e Dumbledore fossero d'accordo, ma in
effetti leggerlo spiegato così bene fa un altro effetto (soprattutto
con qualcuno che finalmente si rende conto di cosa succede).
Spotless_Mind: Puoi cambiare idea
quando vuoi :-D. Io l'ho sempre detto che Dumbledore era un vecchio
bastardo manipolatore, fa una cosa veramente orribile...ogni volta
che penso a come finisce tutta la storia originale mi viene il
nervoso ò_ò!
Anne
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Capitolo 25 *** Felix Felicis ***
Capitolo 25
Io e silviabella siamo liete di
presentarvi l'ultimo capitolo tradotto. Assicuratevi di leggere la
nota di fine storia, mi raccomando!
Anne London
Capitolo 25
Felix Felicis
Hermione sapeva di non essere
particolarmente cortese, ma non riuscì a trattenersi dal dire “Te
l'avevo detto” ad Harry, a proposito del Principe Mezzosangue. Il
suo comportamento la stava facendo molto arrabbiare. Nonostante la
serie apparentemente infinita di punizioni, non era particolarmente
provato dal rimorso e certamente, una volta che Grifondoro ebbe vinto
la partita e lui e Ginny si furono messi insieme, Harry passò la
maggior parte del suo tempo in un felice stordimento.
Disturbava Hermione più di quanto
le piacesse ammettere, quanto era arrivato vicino ad uccidere Malfoy.
Certo, Malfoy era sicuramente un Mangiamorte, ma non era come se lui
ed Harry si fossero incontrati in un cimitero deserto e avessero
duellato per le loro vite. Erano ad Hogwarts, in un bagno, e una
stupida rivalità tra ragazzi era quasi costata ad uno di loro il
prezzo più alto.
La preoccupava che Harry potesse
comportarsi come se le rapide azioni di Snape, nel cancellare i segni
sul corpo di Malfoy, avessero guarito anche la sua coscienza. Non ci
arrivava? Nessuno di loro ci arrivava? Hermione aveva riconosciuto il
contro incantesimo che Harry aveva descritto: era il “Canto della
Fenice” con cui Snape aveva guarito le sue stesse ferite
dell'Ufficio Misteri un anno prima. Ciò significava che Harry e il
Mangiamorte avevano usato lo stesso incantesimo. Le circostanze erano
spaventosamente simili alla situazione col vecchio capo di Percy, il
signor Crouch, durante l'ultima guerra: sarebbe realmente stata una
vittoria morale del bene sul male se entrambe le parti si fossero
ridotte a mezzi simili per raggiungere i loro scopi?
L'indignazione morale di Hermione
alimentò diverse ore di ricerca in biblioteca. Aveva sperato di
scoprire qualcosa che potesse far cambiare idea ad Harry sulla sua
dipendenza da pericolosi scarabocchi scritti da una fonte
sconosciuta, ma l'unica traccia che scoprì fu un articolo su Eileen
Prince. La ragazza, decisamente poco attraente, era andata a scuola
nel periodo giusto, anche se il breve dibattito sui tornei di
Gobbiglie tra scuole che accompagnava la sua foto non faceva cenno a
Pozioni. Certamente non era abbastanza per convincere Harry: il quasi
litigio lasciò Hermione fumante di rabbia e decise di fare una
veloce passeggiata nei corridoi prima di studiare un po'.
Solo pochi minuti dopo, Ron arrivò
precipitandosi verso di lei.
“Hermione!” Chiamò, “Hermione!”
“Cosa, Ron?” Era ancora
irritabile.
“È Harry.” Ron si fermò di
fianco a lei, annaspando pesantemente. “Ha ricevuto un messaggio da
Dumbledore. Deve andare nel suo ufficio subito – penso che stiano
per andare a trovarne uno!”
Non c'era bisogno che lui
specificasse a cosa si riferisse quel'“uno”.
“O mio Dio!” Hermione si coprì
la bocca con entrambe le mani, tutta l'irritazione dimenticata.
“Andiamo, aspettiamolo nella sala comune.”
Trovarono da sedersi lontano da
chiunque altro con una buona vista della porta. La tensione vibrava
nei loro corpi nel punto in cui si toccavano. Prima di quanto
anticipato, Harry era di ritorno.
“Cosa voleva?” Chiese
Hermione, e notando l'espressione tirata sul suo viso aggiunse
ansiosamente, “Harry, stai bene?”
“Sto bene,” replicò.
Senza fermarsi a parlare, corse su per le scale del dormitorio dei
ragazzi. Hermione scambiò uno sguardo significativo con Ron e
stavano per seguirlo di sopra quando lui tornò indietro di corsa.
“Devo fare in fretta,” ansimò, senza fiato per le scale. “Dumbledore pensa che stia
prendendo il Mantello dell'Invisibilità. Ascoltate,”
Harry si guardò intorno velocemente ed usò il
Muffliato. “Dumbledore ha trovato un altro Horcrux e mi
sta portando con sé per prenderlo. Il fatto è che
sulla strada verso il suo ufficio mi sono imbattuto nella Trelawney e
lei -” Harry s'interruppe
per un secondo, un'espressione strana che gli torceva il viso. “Aveva
appena cercato di entrare nella Stanza delle Necessità. Aveva
sentito la voce di un ragazzo urlare di gioia e, quando ha
cercato di scoprire chi fosse, lui l'ha lanciata
fuori dalla stanza.”
Ad Hermione si
mozzò il fiato.
“Cosa... intendi Malfoy?” Chiese
Ron.
“Chi altri?” Replicò Harry con
il viso cupo. “Capite che cosa vuol dire? Silente non sarà qui
stanotte, quindi Malfoy avrà un'ottima possibilità di tentare
qualunque cosa abbia in mente.”
“Harry,” iniziò Hermione
sapendo bene che con Dumbledore assente Malfoy non poteva portare a
termine il suo piano, ma Harry la interruppe.
“No, ascoltatemi! So
che era Malfoy a festeggiare nella Stanza delle Necessità. Ecco-”
Harry mise la Mappa del Malandrino nelle mani di Hermione. “Dovete
controllarlo, e anche Snape. Usate chiunque riusciate a mettere
insieme del DA; Hermione, quei Galeoni per
contattare funzionano
ancora, vero? Dumbledore dice che ha messo
sulla scuola delle
protezioni extra, ma se Snape è coinvolto saprà
qual è la protezione
di Dumbledore e come aggirarla – ma non si aspetterà che voi
stiate di guardia, no?”
“Harry-” disse lei,
questa volta in modo più insistente.
“Non ho tempo di discutere,”
replicò lui, girandosi verso Ron. “Prendi anche questo-”
“Grazie,” disse Ron,
afferrando obbediente l'oggetto offerto. “Ehm – perché avrei
bisogno di un paio di calzini?”
“Hai bisogno di quello che c'è
avvolto, è la Felix Felicis. Dividetela anche con Ginny. Salutatela
per me. È meglio che vada, Dumbledore sta aspettando-”
“No!” Hermione cercò di
afferrare il braccio di Harry, ma lui la scrollò via. “Non
vogliamo,” disse disperatamente. “Prendila tu, chi lo sa
cosa dovrai affrontare?”
“Starò bene, sarò con
Dumbledore,” le sue parole non erano così rassicuranti per
Hermione quanto lui chiaramente intendeva che lo fossero. “Voglio
sapere che tutti starete bene... Non guardarmi così,
Hermione, ci vediamo dopo...”
Harry era lontano e di nuovo di
corsa prima che Ron ed Hermione potessero dire niente. Hermione si
voltò verso Ron. Sembrava nervoso, ma quando lui incontrò il suo
sguardo, raddrizzò la schiena e sorrise rassicurante.
“Tutto bene?” Chiese,
sporgendosi in avanti e afferrandole le spalle.
“Sì,” replicò lei. “Prendo
il Galeone da sopra. Aspetta qui.”
Hermione salì le scale due per
volta. Il Galeone del DA era in
una ciotola
ornamentale sul comodino, insieme alla personale Passaporta che
Viktor le aveva dato, una manciata di piccole monete e un
bottone che era recentemente caduto dalla toga. Afferrò subito la
moneta finta e si precipitò di sotto. Sulle scale infilò la testa
nella stanza di Ginny, sollevata di trovare la ragazza più giovane
seduta sul letto circondata dagli appunti di Trasfigurazione.
“GUFO,” spiegò Ginny con un
sorriso distratto.
“Ginny,” Hermione fece una
pausa. “Uhm, non ho proprio il tempo per spiegartelo, ma sembra che
dei Mangiamorte stiano per irrompere nel castello.”
Ginny scattò in piedi
immediatamente, afferrando le sue scarpe e indossandole. “Dov'è
Harry?” Chiese.
“Te lo spiegherò quando saremo il
numero più alto possibile di persone del DA, andiamo.”
Hermione scese le scale
rumorosamente con Ginny alle calcagna. Ron stava aspettando dove lo
aveva lasciato con Neville al suo fianco.
“Andiamo,” disse a tutti loro,
indicando il buco nel ritratto. “Non possiamo parlare qui.”
I quattro passarono in gruppo in
corridoio e lei li portò nella prima classe vuota, aprendo la porta
con un Alohomora e chiudendola a chiave dietro di loro. La prima cosa
che fece fu attivare il Galeone, anche se Hermione pensava fosse
difficile che qualcuno oltre Luna potesse notarlo. Visto che la
stessa moneta di Hermione era stata lasciata di fianco al letto, non
riusciva ad immaginare quanti altri si fossero premurati di portarla
con sé per un intero anno dopo che il DA aveva smesso d'incontrarsi
regolarmente. Mentre Ron aggiornava Ginny e Neville con i concetti
essenziali, glissando sulle ragioni della partenza di Harry e
Dumbledore senza menzionare gli Horcrux, Hermione attivò la Mappa
del Malandrino e la controllò, cercando Snape e Malfoy. Snape fu
facilmente localizzato, immobile nel suo ufficio, ma Malfoy non si
vedeva da nessuna parte.
Luna arrivò proprio mentre Ron
finiva le sue spiegazioni.
“Ciao a tutti,” disse. “Stiamo
per andare di nuovo al Ministero?”
“No,” replicò Ron con il volto
serio. “Al contrario, stiamo aspettando che arrivino dei
Mangiamorte qui stasera.”
“Mi sembra giusto.” Luna era
calma come sempre.
“Ascoltate,” interruppe
Hermione. “Malfoy è nella Stanza delle Necessità, Snape nel suo
ufficio. Dovremo dividerci. Ron: tu, Ginny e Neville tenete d'occhio
Malfoy. Portate la mappa con voi. Luna ed io controlleremo Snape –
ti metterò al corrente mentre aspettiamo, Luna.” Guardò i visi
intorno a sé. Tutti annuirono.
“Ok, ”disse Ron. “Rimane solo
questo.” Districò la Felix Felicis dalla tasca e tenne la piccola
fiala sollevata davanti agli occhi. “Credo che ce ne sia abbastanza
per una sola sorsata a testa.” Offrì la bottiglia ad Hermione.
“Dopo di te,” disse, toccata dal
suo gesto cortese.
Con infinita cura Ron sollevò il
tappo. Esitante la sollevò verso le labbra e fece una pausa. “Alla
sconfitta di Lord Voldemort,” intonò, tenendo la fiala come per un
brindisi. Bevve un sorso attentamente e la passò a Ginny.
“Wow,” sottolineò lui, “questa
roba è incredibile mentre va giù.”
“Alla sconfitta di Lord
Voldemort,” fece eco Ginny e ingoiò la sua parte della pozione
fortunata. Mentre la piccola bottiglia di Felix Felicis faceva il suo
giro in circolo, ognuno di loro faceva un brindisi alla vittoria con
solennità. Hermione fu l'ultima. Quando fu finalmente il suo turno
avvolse le mani intorno alla fiala, tenendola sollevata mentre
declamava il brindisi e la portava alla bocca. Ma non la ingerì.
Hermione tenne le labbra fermamente chiuse e velocemente abbassò la
pozione al suo fianco. Di nascosto prese il tappo dal tavolo, sigillò
la bottiglia e la fece scivolare nella tasca. C'è un sacco di
tempo per usarla dopo, ragionò.
“Va bene,” disse imitando il
tono sicuro di qualcuno che ha appena bevuto fortuna liquida.
“Andiamo.”
“Avessi saputo che sarei stata
fortunata stasera avrei indossato delle mutande più carine,”
scherzò Ginny mentre lasciavano la stanza, facendo ridacchiare
Neville nervosamente. Si separarono in due gruppi alla scalinata, con
Neville, Ron e Ginny che continuavano verso la Stanza delle Necessità
ed Hermione e Luna che puntavano di sotto verso i sotterranei.
Hermione e Luna stazionarono fuori
dall'ufficio di Snape per ore. Hermione aveva avuto molto tempo per
spiegare la situazione a Luna e un sacco di tempo aveva avuto Luna
per intrattenere Hermione con storie evidentemente false, per gentile
concessione di suo padre. Fu quasi a mezzanotte che sentirono la voce
acuta di Flitwick urlare a proposito dei Mangiamorte, mentre correva
verso l'ufficio di Snape. Hermione afferrò la toga di Luna e camminò
nell'ombra della vicina porta d'ingresso. Flitwick passò davanti a
loro senza notarle.
“SEVERUS! Ci sono dei Mangiamorte
nel castello: devi venire subito! Sono nella Torre di Astronomia!”
Squittì Flitwick mentre entrava dalla porta di Snape senza bussare.
“Adesso dovresti prendere la Felix
Felicis,” sussurrò Luna nell'orecchio di Hermione.
Prima che Hermione potesse avere la
possibilità di rispondere, ci fu un distinto schianto dall'ufficio
di Snape e lo stesso Snape saltò fuori in corridoio, con la
bacchetta in mano. Hermione incespicò in avanti sulla sua strada,
portando Luna con sé. Snape si fermò di botto, gli occhi che
guizzavano da una ragazza all'altra.
“Il professor Flitwick non sta
bene,” disse in modo strascicato. “Sembra essere collassato e
dovete prendervi cura di lui. Sono richiesto altrove: come avete
senza dubbio sentito, ci sono dei Mangiamorte nel castello.”
Luna sussultò. “Professor
Flitwick!” Urlò, correndo verso l'ufficio di Snape senza altro
rumore. Non appena la schiena di Luna si fu voltata, entrambi Snape
ed Hermione fecero un gesto per attirare l'attenzione dell'altro.
“Professore,” disse con un
urgente sussurro mentre lui diceva, “Granger,” con voce bassa.
Lui continuò velocemente. “Ci
sono alcuni libri per te nel secondo cassetto. Ne avrai bisogno più
avanti, le barriere sono state alterate per permetterti di entrare.
Tienili con te.”
Si mosse come per andarsene, ma lei
afferrò il braccio per trattenerlo. Con l'altra mano sfilò la fiala
di Felix Felicis dalla sua tasca e la premette nel suo palmo.
“Questa è per lei,” mormorò,
guardando velocemente indietro per controllare che Luna non fosse a
portata di udito e fece un passo lontano dal professore.
Snape diede un'occhiata alla
bottiglia nella sua mano, le sopracciglia che si univano per la
sorpresa. “Felix Felicis?” Chiese. “Dove l'hai presa?”
“È di Harry... è una lunga
storia. Ce la siamo divisi stasera.”
“Questa è la tua parte,” disse
Snape.
“No,” replicò Hermione in modo
poco convincente. Fece una smorfia, sapendo che il linguaggio del suo
corpo rendeva palese la bugia.
Snape spinse la fiala indietro verso
di lei, ma Hermione scosse la testa e mise le mani dietro la schiena,
rifiutandosi di prenderla.
“Ne ha bisogno più di me,
signore,” disse con urgenza.
Snape guardò verso di lei e poi
alla pozione: prese una veloce decisione. Togliendo il tappo dalla
bottiglia la sollevò alle labbra e svuotò il contenuto nella sua
bocca. Notando che la bottiglia era effettivamente vuota, Hermione
sorrise felice. Stava ancora sorridendo quando Snape colpì.
Muovendosi più veloce di quanto
Hermione avesse ritenuto possibile, Snape spostò la bottiglia vuota
dalla mano sinistra alla mano della bacchetta e stese la mano per
afferrarle il mento con lunghe dita ossute. Faceva male. Le dita
spinsero nelle guance, forzandola ad aprire la bocca e separare i
denti. Quindi la baciò. Schiacciò la bocca contro la sua e aprì le
labbra. Il fuoco liquido della Felix Felicis scivolò dalla bocca di
lui in quella di lei.
Hermione lottò per non ingoiare, ma
la sua testa era piegata verso l'alto ad una tale angolatura da aver
poche possibilità. Si artigliò disperatamente alla mano di lui,
lottando con le unghie per togliere le dita dalla sua faccia e
ondeggiando leggermente quando si sbilanciò. Sentiva le ginocchia
deboli. Mentre tossiva, e controvoglia ingoiava, la bocca e la presa
di Snape si ingentilirono. Si tirò indietro abbastanza perché le
loro labbra si separassero, lentamente, quasi riluttanti. Il cuore di
Hermione faceva un rumore sordo nel suo petto con le infinite,
formicolanti possibilità che la fortuna liquida diffondeva nel suo
corpo come una canzone. Lei e Snape si fissarono l'un l'altro, i loro
visi a malapena ad un centimetro di distanza. Poteva sentire il
respiro di lui contro le sue labbra, poteva sentire il caratteristico
odore di fumo. Le mani di lui tremarono contro le guance di lei e
scivolarono per la breve distanza per fermarsi contro la sua gola,
con le dita che gentilmente accarezzavano la linea della mandibola.
Voleva baciarlo ancora.
“Hermione!” Luna la chiamò
all'improvviso dall'ufficio, con voce piena di panico e urgenza.
“Vieni, presto!”
L'intero incontro era durato meno di
un minuto, anche se sembrava che fosse durato molto di più. Snape
sbatté le palpebre e quindi se ne andò, correndo verso le scale con
lunghe falcate. Hermione passò le dita di una mano lungo la bocca,
stupefatta. Poteva ancora sentire il calore della sua bocca su di
lei, le labbra che brillavano per la carezza violentemente generosa.
Con la Felix che scorreva nelle vene, la sua preoccupazione per lui
si assopì. Si sentiva certa che Snape sarebbe stato bene, che tutto
sarebbe andato nel modo in cui doveva. Con un piccolo sorriso privato
si voltò verso l'ufficio di Snape. Luna aveva bisogno di aiuto.
Flitwick aveva battuto la testa in
modo piuttosto forte per la caduta e né Luna né Hermione erano
pronte a farlo rinvenire senza curare prima la ferita alla testa.
Hermione fece apparire una barella e insieme le due giovani donne
fecero sollevare la minuscola figura del loro professore
d'Incantesimi sopra di essa. Hermione passò diversi minuti
indaffarata finché il corpo non fu sul fianco, la testa leggermente
piegata indietro e le vie aree libere – vecchi ricordi del corso di
primo soccorso e la droga che le scorreva nelle vene accentuò la
sicurezza che stesse facendo la cosa giusta.
“Dobbiamo lasciarlo in Infermeria
sulla strada verso la Torre di Astronomia,” decise Hermione. “Farò
levitare la barella, puoi aprire la porta? ”
Luna eseguì di corsa e le due
uscirono in corridoio, col passo rallentato dalla barella che andava
su e giù davanti a loro. Una volta portato Flitwick alle cure di
Madama Pomfrey – e finalmente districatesi dalla sua vista acuta –
Hermione e Luna si misero a correre. Mentre si avvicinavano alla
torre riuscirono a sentire il suono della battaglia davanti a loro,
Hermione pensò persino di sentire la voce di Snape urlare qualcosa
in mezzo alla mischia. Eppure, quando finalmente voltarono l'ultimo
angolo, con le bacchette pronte a combattere, la caotica scena
davanti a loro era sprovvista di Mangiamorte.
Hermione si guardò intorno con una
certa confusione. “Cosa sta succedendo?” ansimò col respiro
irregolare per i diversi piani di scale che aveva appena
polverizzato.
“Sono andati via,” replicò
Lupin affermando l'ovvio. “Credo che siano per strada verso
l'uscita dal castello.”
“Bill!” Il panico nella voce di
Tonks catturò l'attenzione di tutti ed Hermione si voltò verso il
suono. “È ancora vivo! Presto! Dobbiamo portarlo in Infermeria!”
Hermione corse dove Tonks era
inginocchiata sopra alla figura sdraiata di Bill. C'era una
considerevole quantità di sangue sul pavimento, sui suoi vestiti e
sul macello di carne che avrebbe dovuto essere il suo viso. La Felix
Felicis arrivò in soccorso di Hermione, spostando l'attenzione
dall'orrore di quello che stava vedendo verso ciò che bisognava
fare. La pozione dorata stava ancora cantando nelle sue vene e
formicolava con il senso di ciò che doveva essere fatto. Fece
apparire un'altra barella prima che il suo cervello avesse il tempo
di processare la situazione. Tonks stava piangendo, troppo turbata
per puntare la bacchetta sul suo amico ferito.
“Spostatevi,” ordinò Hermione
facendo levitare Bill sulla barella, mentre Ron spingeva Tonks di
lato e, spaventato, afferrava una manciata dei vestiti di suo
fratello.
“Cos'ha che non va?” Chiese con
voce acuta e piena d'ansia.
Il controllo di Hermione sembrò
smuovere Lupin all'azione. Mise una mano sulla spalla di Hermione e
le diede una breve stretta, anche se parlò a Ron.
“È stato morso da Greyback. Tu ed
Hermione portatelo immediatamente in Infermeria. Io mi occuperò
degli altri.”
“Andiamo Ron,” disse Hermione
gentilmente, sollevando la barella nell'aria. Ron si alzò in piedi
senza lasciare andare suo fratello, inciampando insieme di fianco
alla barella, mentre Hermione manovrava lontano dal capannello di
membri dell'Ordine preoccupati. Mentre se ne andava Hermione sentì
Lupin che faceva apparire un'altra barella e dava degli ordini agli
altri in proposito. Pensò a chi altri fosse ferito. La Felix Felicis
le stava impedendo di essere preoccupata mentre sapeva che avrebbe
dovuto esserlo e la cosa la infastidiva.
“Ma non era un licantropo,”
mormorò Ron distrattamente, “o anche Lupin avrebbe dovuto esserlo.
È il periodo sbagliato del mese.”
Persino attraverso il nebuloso
calore della Felix Felicis, il cuore di Hermione soffrì di fronte
all'evidente angoscia dell'amico.
Avevano appena percorso un terzo
della strada verso l'Infermeria quando Ginny arrivò correndo dietro
di loro, finendo per camminare di fianco alla barella e, come Ron,
afferrando la parte più vicina del corpo del fratello ferito, come
se il contatto fisico potesse restituirgli coscienza e salute.
“Qualcuno di voi ha visto dov'è
andato Harry?” Chiese.
“È tornato?” Chiese Hermione in
risposta, con il panico che passava attraverso la calma indotta dalla
droga per un breve secondo. Il fermo controllo della barella levitata
vacillò, ma si riprese dopo il breve ondeggiare. “Dov'è
Dumbledore?”
“Non lo so,” rispose Ginny. “Non
l'ho visto. Harry è andato a correr dietro ai Mangiamorte mentre si
davano alla fuga.”
La preoccupazione per Harry e Snape
attraversò il corpo di Hermione. Dumbledore, vuol dire che
Snape...interruppe quella linea
di pensiero di colpo. Lo avrebbe scoperto abbastanza in fretta. Per
adesso doveva occuparsi di
Bill.
Madama Pomfrey si prese carico della
situazione dall'istante in cui attraversarono la soglia, spostando
Bill in un letto e usando diversi incantesimi diagnostici sul suo
viso. Con espressione seria iniziò a pulire le ferite; Hermione
spostò la sua attenzione sui due Weasley più giovani. La loro dose
di Felix Felicis era chiaramente finita ed erano entrambi
visibilmente sconvolti. Incoraggiata dalla droga che ancora scorreva
libera prese la mano di Ginny e, con la mano libera, massaggiò con
piccoli cerchi la base della schiena di Ron . Ginny la guardò con
gratitudine, mentre Ron sembrava inconsapevole e mormorava sottovoce,
muovendo gli occhi lontano dal viso del fratello.
Quando gli altri arrivarono, Madama
Pomfrey si affaccendò per visitare Neville, anche se tornò dopo
pochi minuti. Notando chi era arrivato e chi no, Ginny assunse
un'aria lugubre.
“Devo andare a cercare Harry,”
annunciò, tirando via la mano da quella di Hermione e uscendo a
grandi passi dalla porta. Ron non si mosse. Hermione era combattuta,
ma decise di restare. Si sentiva certa che Harry potesse arrivare in
Infermeria al più presto: niente poteva tenerlo lontano dai suoi
amici feriti.
Mentre Lupin, Tonks e Luna
raggiunsero Hermione e Ron di fianco al letto di Ron, Madama Pomfrey
finiva di pulire i numerosi tagli e abrasioni che rovinavano il viso
normalmente allegro e piacevole di Bill e iniziò a cospargerlo con
un unguento verde e dall'odore acre.
Hermione lanciò uno sguardo
indagatore verso Lupin. “Neville starà bene,” rispose
rassicurante.
“Neville?” Fece eco Ron,
l'informazione che qualcun altro fosse ferito che penetrava il
bozzolo della sua preoccupazione per il fratello. Hermione gli diede
una pacca sul braccio e lui la onorò con un sorriso stanco. “Grazie
Hermione,” sussurrò.
Harry e Ginny arrivarono subito
dopo, riducendo una delle preoccupazioni pressanti di Hermione. Lui,
subito, raccontò i fatti e le circostanze che circondavano la morte
di Dumbledore. Povero Snape, pensava
Hermione, sapendo quanto poco vedesse l'ora per quell'incarico.
“Shh! Ascoltate!” Esclamò
Ginny all'improvviso, parlando sopra alle lacrime di Madama Pomfrey e
interrompendo i pensieri di Hermione.
Hermione riconobbe il suono, anche
se in realtà non lo aveva mai sentito: il canto della fenice. Fuori
sul campo, Fawkes stava cantando, una dolorosa elegia per la morte di
Dumbledore. Come la sua preoccupazione per Snape ed Harry, il canto
della fenice sembrava penetrare senza sforzo l'umida nebbia della
Felix Felicis. La musica era sia dentro che fuori Hermione e vibrava
nella sua stessa carne, colpendo il suo cuore come se la avvolgesse
in un involucro di suoni. La sensazione era straordinariamente
familiare e la cicatrice sul suo petto fece male in simpatia. Per
Hermione il canto e la sua esperienza risuonarono nella
consapevolezza come il ricordo di Snape. Lacrime spontanee scorsero
sulle sue guance, mentre piangeva per l'uomo che Dumbledore aveva
lasciato indietro. Si chiese dove fosse andato e cosa stesse facendo:
pensò a quanto solo dovesse essere in conseguenza di ciò.
Il canto di Fawkes era una splendida
agonia. Voleva che il suono durasse per sempre, non voleva perdere
mai la sensazione che le pulsava nelle vene.
Non era chiaro quanto tempo rimasero
in piedi ad ascoltare, anche se l'incantesimo fu spezzato
all'improvviso quando la McGonagall entrò nella stanza, con la
pesante porta che si chiudeva dietro di lei. L'aspetto normalmente
impeccabile della McGonagall era venuto meno: i capelli erano
arruffati, i vestiti lacerati e macchiati. Anche lei era stata
informata del ruolo di Snape nella morte di Dumbledore e collassò su
una sedia dopo la spiegazione di Harry.
Hermione trovò la velocità con cui
i membri dell'Ordine intorno a lei cambiavano la loro opinione sul
professor Snape come una non gradita lezione sui limiti della
fiducia. Bruciava dalla voglia di difenderlo, anche se farlo avrebbe
invalidato la drastica distanza che Dumbledore e Snape avevano messo
per mantenere la sanguinaria apparenza. Anche lei aveva il suo ruolo
da giocare e, ancora una volta, la Felix Felicis arrivò in suo
soccorso, spingendola a nascondere il viso tra le mani mentre
collegava la massiccia versione redatta degli eventi fuori
dall'ufficio di Snape. In un certo strano modo, mentire ai suoi amici
più cari, era reso più facile dalla presenza degli altri e
dall'orribile spettacolo del volto devastato di Bill.
Una volta che la professoressa
McGonagall ebbe preso Harry da parte per parlargli in privato,
Hermione fece le sue scuse e lasciò gli Weasley soli con Bill. I
rappresentanti del Ministero stavano arrivando ed Hermione sapeva che
sarebbe stata la sua ultima speranza per recuperare i libri che Snape
le aveva lasciato. Fortunatamente, i corridoi erano deserti e scese
nei sotterranei senza incontrare nessuno. Si sentiva strana mentre
arrivava alla porta dell'ufficio di Snape, quasi aspettandosi di
vedere la sua toga scura o di sentire la sua voce. L'urgenza di
bussare fu quasi dominante. Invece posò il palmo contro il legno e
spinse. La porta si aprì facilmente. Chiudendola con fermezza dietro
di sé, Hermione attraversò la stanza velocemente, muovendosi dietro
alla scrivania di Snape, e aprì il secondo cassetto. C'erano dei
libri dentro. Il più grosso, Segreti delle arti più oscure, era
rilegato in pelle nera e aveva una pergamena piegata nascosta dentro
alla copertina. Hermione la tirò fuori con
impazienza e la aprì per
rivelare una singola parola all'interno: Polisucco.
Ovviamente.
Ficcati i tre libri dentro la toga,
Hermione si voltò verso la porta che conduceva al laboratorio
segreto di Snape. Anche quello si aprì al suo tocco. La Polisucco
che avevano creato insieme era imbottigliata, etichettata e giaceva
in una fila ordinata sul piano di lavoro. C'erano anche altre fiale
di Dittamo e alcune pozioni base di guarigione. Hermione si guardò
intorno in cerca di qualcosa in cui metterle, scoprendo un rotolo
nero di feltro con delle piccole tasche, appeso dietro alla porta.
Infilò le fiale nelle varie tasche e lo coprì attentamente,
infilandolo nella toga di fianco ai libri. Con un'ultima occhiata in
giro, chiuse la porta del laboratorio dietro di sé e rientrò
nell'ufficio. Non aveva molto tempo.
Come
se quel
pensiero avesse richiamato gli Auror, Hermione sentì dei passi nel
corridoio fuori: sembrava che la fortuna ispirata dalla Felix Felicis
fosse appena finita.
“Accidenti, per queste barriere ci
vorrà un po'. Non ci ha trafficato, vero?” La voce dell'uomo era
leggermente attutita dalla porta ed Hermione sentì una distinta voce
femminile rispondere. I suoi occhi si spalancarono per il panico e si
guardò intorno nella stanza. Con sollievo lo sguardo le cadde sul
camino e si affrettò. Prendendo una manciata di Polvere la lanciò
nelle fiamme. “Sala comune di Grifondoro,” disse con voce bassa,
ma chiara. Il fuoco divenne verde e lei sparì tra le fiamme con un
evidente sospiro di sollievo.
Hermione incespicò dentro la sala
comune, fermandosi solo brevemente per controllare che nessuno fosse
in giro prima di affrettarsi per le scale e dentro la camera da
letto. Togliendosi le scarpe, salì sul letto e tirò le tende,
chiudendole perfettamente. Quindi lanciò tutte le barriere
protettive che Snape le aveva insegnato, prima di prendere i tre
libri dalla toga e dar loro un'occhiata più da vicino.
Fu solo perché cercò nello
specifico che notò il nome scritto nella parte frontale di Segreti
delle arti più oscure. Un
incantesimo vedo-non-vedo,
intelligente e sottile, lo
rendeva altrimenti difficile da trovare. Ciò che vi lesse sorprese
Hermione più che, quasi, l'orribile contenuto dei volumi:
“Questo libro appartiene ad Eileen Prince.”
Hermione riferì ad Harry
l'informazione che Eileen Snape era la madre di Snape – e che
quindi Snape era il Principe Mezzosangue – la notte prima del
funerale di Dumbledore. Lui la prese meglio di quanto si aspettasse,
ma non senza diversi commenti malevoli su Snape. Lei intervenne senza
pensare quando Harry fece un paragone tra Snape e lo stesso
Voldemort. “Malvagio è una parola pesante,” disse
fermamente, quasi desiderando subito di non aver pronunciato quelle
parole nel momento in cui vennero verbalizzate. Sei un membro
dell'Ordine della Fenice e hai un importante ruolo da giocare, si
rimproverò. Ci sono delle cose che Harry non deve sapere.
Harry e Ron andarono a letto subito
dopo ed Hermione valutò l'opportunità di scivolare fuori dal buco
nel ritratto. Era quasi l'ora del coprifuoco, ma ad Hermione non
importava più. Muovendosi velocemente si fece strada per il castello
verso l'ufficio della Vector e bussò alla porta. La Vector c'era e
le disse di entrare.
“Hermione, buona sera,” il
sorriso della Vector era più teso del solito, ma sempre di
benvenuto. Avendo riconosciuto la sua visitatrice, inarcò le
sopracciglia verso il muro e mormorò qualcosa, facendo scintillare
di nuovo alla vista la matrice delle equazioni. La Vector era in
piedi vicino alla lavagna, con una tazza di caffè greco in mano e
una pezzo di gesso nell'altra. Era chiaro che fosse seriamente al
lavoro. Fece un gesto verso i calcoli con la tazza di caffè. “Stavo
cercando di capire perché non riuscivo a predire la nostra attuale
situazione,” disse con voce sfumata di professionale e personale
disappunto.
“Io l'ho fatto,” replicò
Hermione con tono di scusa.
“L'hai fatto?” Disse la Vector
con sorpresa. “Siediti,” ordinò, puntando verso la sua scrivania
e muovendosi verso la sua sedia.
“Avevo delle informazioni da una
fonte dubbia, mi dispiace di non averle condivise con lei, ma non ero
sicura...” Hermione prese una copia della sua versione delle
equazioni dalla tasca mentre parlava e la porse alla professoressa.
La Vector sollevò il suo caffè in
segno di perdono. Aveva tirato una piccola lavagna portatile verso di
lei e stava scrivendo furiosamente, controllando il lavoro di
Hermione con il suo. “E riesci a vedere una soluzione?” Chiese
senza fare una pausa dai calcoli.
“Sì.”
Hermione aspettò pazientemente che
la Vector risolvesse l'equazione. Dopo qualche altro minuto la donna
alzò la testa e sorrise. Mise la ciocca bianca dei suoi capelli neri
al sicuro dietro un orecchio . “Per quanto ne sai, Hermione, c'è
ancora speranza.” Prendendo la sua bacchetta dalla tasca la Vector
colpì il bordo della piccola lavagna, duplicando i calcoli in un
pezzo di pergamena. “Questa è per te,” disse porgendo la copia
ad Hermione. “È la curva d'alterazione noumenica attraverso la
quale possiamo filtrare i dati esistenti per riflettere l'attuale
stato degli eventi – lascia Albus come l'origine dell'intero piano,
ma altera gli attori principali e i possessori delle informazioni.”
Hermione era impressionata. “Questa
è matematica complicata in modo fenomenale!” Protestò.
“Grazie,” rispose la Vector, con
un po' della sua solita scintilla. “Dovrai solo aggiornarla con le
nuove informazioni, ovviamente, o le equazioni vegeteranno.” Piegò
la pergamena che Hermione le aveva dato e la mise al sicuro nella sua
toga.
“Hermione,” continuò la Vector
con un tono più serio, “questi calcoli potrebbero dimostrarsi
molto importanti per te nel prossimo anno – e sono abbastanza
sicura che sarà un anno. Qualunque cosa tu non abbia già dovresti
copiarla stanotte. Distruggerò ogni testimonianza dopo il funerale.”
“Ma-”
La Vector fece tacere Hermione con
un dito sollevato. “Severus ha visto la matrice, ovviamente, ma
visto che cambia costantemente, e visto che lui conosceva già molte
delle informazioni, non credo faccia molta differenza. Il fatto è,
tuttavia, che con Albus morto il Ministero cadrà molto in fretta.”
La Vector finì il suo caffè e mise la tazza sul tavolo. Cercò
nella tasca per un secondo, poi tirò fuori un oggetto d'argento
dall'aspetto famigliare. “Il tuo amico Viktor mi ha mandato
questo.”
“Una Passaporta?” Hermione era
senza parole, la conversazione aveva preso una piega molto
inaspettata.
“Per i registri del Ministero,
Septima Vector è una Nata Babbana.” La Vector alzò le spalle.
“Come in realtà anche Anastasia Papavasilopolous era una Nata
Babbana. Una volta che il Ministero sarà caduto, la vita diventerà
molto difficile per tutti noi, ma per una strega straniera Nata
Babbana, vivere sotto una falsa identità messa in piedi in fretta,
le cose potrebbero muoversi in modo fin troppo veloce. Pensavo che
una via di fuga fosse il caso.”
“Oh,” disse Hermione con sguardo
assente. “Infatti.”
La Vector sorrise e toccò con un
dito un vicino foglio di calcoli. “Vedo che anche tu sarai assente
da Hogwarts il prossimo anno.”
“Sì,” replicò debolmente.
“Hai i mezzi per diventare una
straordinaria Aritmante, Hermione. Se tutto va per il meglio sarebbe
per me un piacere lavorare di nuovo con te in futuro.” La Vector
allungò una mano verso Hermione lungo il tavolo, e quando Hermione
la prese, la strinse fermamente. “Abbi cura di te,” aggiunse
portando la sorprendente conversazione alla fine.
Sulla strada di ritorno verso la
torre di Grifondoro, Hermione fece una deviazione oltre l'arazzo di
Barnaba il Pazzo e i suoi troll ballerini. Armata della dettagliata
descrizione di Harry, fu relativamente semplice entrare nella Stanza
delle Necessità e trovare il vecchio libro di pozioni di Snape.
Sentendosi un po' in colpa, Hermione lo mise nella sua toga. Non
andava bene lasciarlo indietro.
Il funerale fu tanto orribile quanto
Hermione aveva supposto. L'elogio, in particolare, fu avvilente –
Dumbledore era un uomo incredibile e il piccolo celebrante non
incluse niente nel suo lungo discorso che arrivasse almeno vicino a
rendere straordinaria la sua intelligenza o generosità, né tanto
meno gli intrighi da machiavellico genio maipolatore.
L'unica cosa peggiore del discorso
fu la vista del viso contratto di Jocelyn Smith. Hermione colse un
lampo della esile, giovane ragazza in mezzo gli altri studenti
Serpeverde, il loro gruppo emarginato dal resto della scolaresca,
marchiata dal supposto tradimento di Snape. La faccia triste di
Jocelyn tormentava Hermione con tutto il peso della conoscenza del
suo segreto, il pensiero delle conseguenze che sarebbero ricadute su
chi conosceva Snape e, ancora più importante, su Snape stesso.
Hermione ricordò la breve lista dei suoi amici, così come l'aveva
enumerata in precedenza la professoressa Vector quell'anno. Degli
scarsi cinque nomi, ora rimaneva solo Lucius Malfoy – e lui era ad
Azkaban. Chi altri, pensò,
ha fatto tanti sacrifici per sconfiggere Voldemort?
Era per
Snape, e non per Dumbledore, che piangeva disperatamente contro
l'ampia e confortante spalla di Ron: il suo amichevole e rassicurante
abbraccio era sia un'ancora che un promemoria su quanto fosse
orribile perdere un amico.
Lei
e Ron incontrarono Harry poco dopo che Rufus Scrimgeour lo ebbe
lasciato e si sedettero sotto il loro faggio preferito, felici di
essere lontani dalla folla. Era strano sedere in un posto così
famigliare e discutere la terribile impresa che era stata lasciata ad
Harry dopo la morte di Dumbledore.
“Una volta ci hai detto,”
disse fermamente Hermione di fronte alle sue proteste d'indipendenza,
“che c'era tutto il tempo per noi di tornare
indietro se lo volevamo. Ne abbiamo avuto il tempo,
no?”
“Resteremo con te
qualunque cosa succeda,” confermò Ron. “Però amico, devi
venire a casa dei miei genitori prima di fare qualunque altra cosa,
persino prima di Godric's Hollow.”
“Perché?” Harry era
genuinamente confuso, la tremolante comprensione della sincerità dei
suoi amici era ancora visibile sul suo viso.
“Il matrimonio di Bill e Fleur,
ricordi?” Suggerì Ron.
“Sì,” disse Harry dopo
un breve, sbalordito, silenzio. “Non dovremmo perdercelo.”
Hermione girò la testa a guardare
dall'uno all'altro dei suoi migliori amici. Amore e politica,
ricordò a sé stessa, sono
una forte combinazione. Sporgendosi
in avanti con entrambe le braccia appese un braccio sulle spalle di
Harry e l'altro intorno a Ron, strizzandoli contro di lei in un
abbraccio goffo. Lei e Ron erano cruciali per il successo di Harry,
lo sapeva questo: aveva visto la matematica. Finché restavano
insieme c'era molta speranza. E lei, Hermione Granger, aveva un
lavoro da fare. Doveva mantenere Harry vivo.
Guardando verso il lago, Hermione si
lasciò andare a pensare dove fosse Snape e cosa stesse facendo. Si
aggrappò al ricordo che le stava a cuore della sua promessa di
aiutarla a modificare la memoria dei suoi genitori. Sarebbe venuto,
lo sapeva, non importa quanto difficile per lui sarebbe stato
partire: Severus Snape era un uomo di parola.
*
*
*
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NdT: Siamo arrivati alla fine! A me
sembra ancora incredibile aver completato una traduzione :). Il
seguito, Phoenix Tears, or Hermione Granger and the DH arriverà
fra due settimane, ovvero venerdì 1 novembre (siate buone, abbiamo
bisogno di portarci avanti con la traduzione e non ritrovarci
all'ultimo momento con i capitoli da correggere).
Ci
rileggiamo fra due settimane ^___^
Vanny_Winchester:
ora è davvero finita, ma abbiamo altri due capitoli in arrivo :))
Eva7:
Severus che piange in privato perlomeno è accettabile, si fosse
messo a piangere davanti ad Hermione sarebbe stato molto più strano.
Festeggiamo per l'addio a Lily, alziamo i calici!!
xX__Eli_Sev__Xx:
Benvenuta e grazie per i
complimenti! :).
EmaSnape:
Grazie, io e silviabella cerchiamo di non lasciare orrori in giro per
i capitoli (che ad una prima traduzione saltano fuori) ;))
Anne
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