Daphne Duke e il sangue della pantera

di rossella93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il licantropo ***
Capitolo 2: *** Il rito ***
Capitolo 3: *** La fuga ***



Capitolo 1
*** Il licantropo ***


 
In una zona remota della Francia, non molto distante dai monti in cui morì la dolce Pirene, dove i rami degli alberi s'intrecciano tra loro come mani, viveva la sacra stirpe delle pantere.
Un tempo cara al grande Zeus, tanto da averla a corte come corpo di guardia, in seguito al tradimento della fiera e potente Unna, pantera avida di potere, la stirpe fu relegata nelle zone più remote della terra e resa mortale. Erano passati 6000 anni da quel tragico evento e ormai non ne restavano che pochi esemplari.
 

 
 
La giovane principessa Daphne vagava serena nei boschi con la sua serva fidata Lydia quando Apollo, ormai compiuto il suo lavoro, stava per cedere il posto a Ecate.
Non era sicuro per due pantere vagare da sole, poiché le tenebre erano complici dei lupi mannari, loro eterni nemici.
— Principessina, l’ora del coprifuoco si avvicina. Sarebbe più prudente se ritornassimo alla fortezza. — la voce della serva era carica di preoccupazione. Gestire la principessa non era un incarico semplice, il suo carattere ribelle la rendeva indomabile.
— No, voglio restare ancora. Abbiamo ancora qualche minuto a disposizione prima di ritornare in quella prigione deprimente e isolata. — affermò Daphne con cocciutaggine.
— Ma come potete parlare così della vostra casa! Non vi manca nulla.—
— Peccato che vi abiti mia madre che cerca di rendere la mia vita un inferno. Sempre lì pronta a dettare ordini.—
La regina Elisea era ricordata particolarmente per la sua rigidezza e per un rigoroso rispetto per le leggi della loro stirpe. Ovviamente il suo carattere non combaciava minimamente con quello della figlia.
Daphne era l’esatto opposto. Aveva una forte inclinazione alla ribellione. Essere rinchiusa per anni nella fortezza l’aveva resa desiderosa di provare emozioni, adrenalina, desiderosa di vivere.
Trascorreva le sue giornate correndo per i boschi e giocando con gli animali.
Una farfalla le passò davanti agli occhi e Daphne non perse tempo a trasformarsi e a rincorrerla.
— Principessina, ritornate qui, vi prego. — la serva le corse dietro cercando di fermarla — Il sole sta tramontando. Se la regina scoprisse che abbiamo oltrepassato i confini mi frusterebbe! —
Ma Daphne non ne voleva sapere di tornare e continuò la sua corsa.
Molto tempo dopo, la serva e la principessa ripresero la strada del ritorno.
Man mano che la luce diminuiva il loro passo aumentava, non prestando attenzione ai fiori che calpestavano.
A Daphne non sembrava di aver percorso tutto quel tragitto mentre era impegnata a seguire una piccola farfalla dai mille colori.
— Quanto pensi che manchi ancora prima di arrivare alla fortezza? — la voce della principessa era preoccupata.
— Non saprei, principessina. Ma ho l'impressione che stiamo andando nella direzione sbagliata. —
Daphne si fermò di colpo, Lydia aveva ragione, quella non era la giusta direzione.
Ma ormai era quasi buio e non avrebbero mai fatto in tempo a ritornare entro il coprifuoco.
— Così non riusciremo mai a tornare in tempo, dobbiamo farlo! — ordinò Daphne con sguardo deciso.
Alle pantere era concesso trasformarsi solo se strettamente necessario. Più nascondevano la loro vera identità maggior tempo sarebbe stata la loro stirpe al sicuro.
In passato erano state più volte prede di altre creature sovrannaturali, avide del loro sangue in grado di dare la forza. Di conseguenza furono sterminati centinaia di villaggi di questi ormai rari esemplari.
Anche se la serva era esitante non poteva che sottostare agli ordini della principessa.
In un attimo  mutarono il proprio corpo in una delle specie di felidi più belle che siano mai state create.
Il fresco fruscio degli alberi accarezzava dolcemente il loro manto e il mitico canto degli uccelli s'insinuava con energia nelle loro orecchie.
Daphne aveva avuto la necessità di trasformarsi solo tre volte nella sua vita e ognuna era stata indimenticabile. Ricordava come i colori fossero molto più nitidi, gli odori molto più intensi e qualsiasi essere nel bosco sembrava che prendesse vita.
Non appena anche Lydia fu pronta corsero quanto più veloce potevano.
Cercarono di captare l'odore delle altre pantere alla fortezza ma inutilmente, qualsiasi direzione prendessero sembrava di essere nuovamente al punto di partenza.
Intanto il buio iniziava a impadronirsi dei boschi e Daphne sperava che la madre non avesse ordinato alle guardie di cercarla, non voleva che pensasse ancora che fosse un'irresponsabile.
Fece gesto a Lydia di seguirla e ricominciarono nuovamente a correre, finchè uno strano odore colpì le sue narici.
Quella puzza le ricordava tanto quegli stupidi animali che non facevano altro che sbavare e scodinzolare, ma di cui non ricordava il nome.
Solo una volta la madre le aveva mostrato il mondo degli umani e ricordava perfettamente di questo strana creatura simile a un lupo ma molto più piccola. Ne era stata talmente spaventata che s'immobilizzò senza riuscire più a muoversi, fin quando la madre non riuscì ad allontanarla.
Si guardò attorno con sospetto ma tutto ciò che vedeva non erano altro che alberi.
Notò che anche Lydia era sull'allerta, ciò significava che davvero c'era qualcosa nascosto nel bosco che le stava spiando.
Entrambe spaventate ruggirono sperando che l'intruso fuggisse, tuttavia la puzza continuava a pervadere le loro narici.
Ripresero a correre più svelte che potevano ma dei passi veloci le seguivano.
Daphne sentiva il proprio stomaco rivoltarsi ogni volta che inspirava quel pessimo odore ma non aveva tempo per voltarsi e guardare di che razza di creatura si trattasse, doveva pensare solo a salvarsi.
Continuava a fuggire e il suo respiro aumentava sempre di più, aveva paura di non farcela.
D'improvviso il silenzio del bosco fu interrotto dal ruggito di Lydia.
La principessa si voltò e vide che la creatura aveva graffiato gran parte del manto della serva con i suoi lunghi artigli.
Si fermò poiché capì che fuggire era inutile, doveva affrontarla. D'altronde rappresentava una delle creature più forti del mondo sovrannaturale.
Si girò di scatto e come temeva scoprì con orrore di essere di fronte a un enorme lupo mannaro.
In vita sua ne aveva visto solo uno, e anche se era molto piccola ricordava perfettamente quanto fosse pericoloso.
Questo lupo le sembrava molto più grande di quello che aveva visto in passato. La sua pelliccia nera lo rendeva quasi invisibile tra le tenebre, i suoi occhi indemoniati la guardavano avidi di sangue e una bava copiosa continuava a uscire dalle sue fauci. Daphne era terrorizzata ma doveva agire o lei e Lydia sarebbero morte.
Il suo corpo esile scattò all'attacco e cercò di affondare le proprie zanne nella sua pelliccia ma questo, molto più agile e addestrato al combattimento, la scaraventò a terra con la sua enorme zampa.
Lydia, nonostante la ferita, cercò di proteggere la principessa e attaccò il lupo alle sue spalle mordendogli una zampa.
Il licantropo ululò dal dolore forte e nella rabbia colpì la serva con tanta violenza da scagliarla su un tronco lontano oltre dieci metri.
Ora guardava affamato Daphne e lentamente si avvicinava alla sua preda.
Il suo ringhio sinistro fece aumentare i battiti della principessa ormai incapace di muoversi, sapeva che era inutile combattere quella creatura, era molto più forte di entrambe e non le restava che abbandonarsi alla morte.
Ma il suo carattere forte si ribellò, doveva affrontarla. Doveva farlo per salvarsi dalla morte, ma soprattutto per salvare la propria stirpe dall'estinzione.
Pensò a ciò che la madre le aveva insegnato durante i suoi diciannove anni di vita.
Il suo compito era proteggere la sua razza e cercare di procrearsi il più possibile.
Se avesse permesso a quella bestia degli inferi di nutrirsi di lei e della sua devota serva avrebbe significato donare il proprio sangue sacro a un essere impuro.
Quindi si rialzò con fierezza e questa volta ruggì più forte, sperando di intimidirlo ma lo sguardo del lupo, unica cosa che rimandava alla sua vita umana, sembrava volesse burlarsi di lei, sapeva di essere lui il più forte.
Stava per attaccarla quando cinque pantere del corpo di guardia della regina saltarono su di lui, affondando le proprie fauci nella sua carne.
Daphne cercò di partecipare anche lei al combattimento ma una delle pantere l'allontanò con un ringhio feroce.
Poi vide Lydia, ancora stesa vicino all'albero, dove l'aveva scaraventata il lupo mentre cercava di salvarle la vita. Giaceva inerme nel suo corpo di umana, con gli occhi socchiusi e la schiena completamente ricoperta di sangue.
La principessa ritornò nella sua forma umana e corse dalla serva con le lacrime agli occhi.
— Lydia, Lydia. — urlò sperando che riuscisse a sentirla — Oh Lydia cara. Dieci vite non basterebbero per avere la mia riconoscenza. — ma la serva era troppo debole per reagire. Daphne le prese la mano sperando che riuscisse a sentire almeno quel contatto e la accarezzò. — Sono fiera di te, sei andata incontro alla morte per salvare la vita di un'incosciente come me. Te ne sarò sempre grata amica mia. — E le baciò la mano.
Ma quel gesto inopportuno per una principessa fece reagire la serva — Mia signora, cosa dite. — sussurrò debolmente — io ho solo fatto il mio dovere, il mio compito è quello di vegliare sulla vostra vita e in questo ho fallito. — s'interruppe per riprendere quel po' della forza che le rimaneva — la colpa è solo mia se è capitata questa tragedia. — Poi tossì e per un attimo Daphne ebbe il terrore che chiudesse gli occhi per sempre ma ella continuò — non avrei dovuto permettervi di allontanarvi. Sono stata una stupida ed è giusto che venga punita. — e chiuse gli occhi cadendo in uno stato incosciente.
Daphne sentì spezzarsi il cuore per quelle parole che rappresentavano una triste verità.
La regina l'avrebbe punita o addirittura condannata a morte per averle permesso di oltrepassare il confine, ma lei non doveva o meglio non poteva permetterlo, quella donna le aveva salvato la vita e ora lei doveva fare di tutto per salvare la sua.
Si ricordò del lupo e quando si girò non vide altro che il corpo di un umano ricoperto di sangue.
Lentamente si avvicinò per accertarsi che fosse morto. Aveva il viso barbuto e gli occhi spalancati dal terrore, tuttavia notò che il suo volto era leggermente sorpreso, quasi non fosse cosciente di ciò che stesse accadendo. Gli sentì il polso e con sollievo informò le altre pantere che era morto.
Vide una di loro sollevare il corpo esile e martoriato di Lydia e porgerlo sulla propria schiena.
Aspettarono che anche la principessa si mutasse per riprendere a correre dirette verso la fortezza.
 
Non appena Daphne varcò la porta della grande sala, la madre si alzò dal proprio trono e le andò incontro.
Il suo sguardo smeraldino era furioso e la bocca, non abituata a ridere spesso, era stretta in una linea ancora più sottile del solito.
Raggiunta la figlia le diede uno schiaffo con una forza tale da farla cadere. — Brutta incosciente! — sbraitò con furia — come hai osato disobbedire ai miei ordini! Possibile che tu debba sempre deludermi. Mi chiedo quando ti deciderai a crescere ed essere più responsabile. — camminava avanti e indietro per la sala senza calmarsi — oggi hai messo in pericolo tutte noi, per poco quel lupo non si nutriva del tuo sangue. — continuò a sbraitare — non capisci che la nostra identità non deve conoscerla nessuno! —
Daphne era mortificata, sapeva di aver sbagliato. — Mi dispiace. — sussurrò con gli occhi rivolti verso il pavimento. — Io… — balbettò — Io non volevo. —
— Non volevi cosa? Cosa? Sai che non m'incanti con queste frasi vuote! Non è la prima volta che ci metti in pericolo piccola viziata! — urlò la regina — tu sei proprio come quello stupido umano di tuo padre. Una debole incapace di rispettare le regole. Ma questa volta le cose cambiano. Eh no signorina, cambieranno eccome! — concluse con sguardo altezzoso guardando la figlia come se fosse un essere spregevole.
— M — madre… — balbettò Daphne con sguardo spaventato. — volete esiliarmi? —
La regina la degnò di un ultimo, lungo sguardo. Osservò la sua lunga chioma castano scuro, i suoi occhi marroni leggermente a mandorla che il più delle volte la guardavano con disprezzo e la bocca, un piccolo cuore fatto per baciare. Rivedeva in lei il suo John, l'umano con cui l'aveva concepita.
Nonostante la loro legge impedisse d'innamorarsi di un umano ma di servirsene unicamente per procreare, lei non aveva resistito al suo fascino.
Era stata ammaliata dalla sua gentilezza e la dolcezza con cui la trattava, se avesse scoperto la sua sorte e il vero scopo per cui serviva probabilmente si sarebbe comportato diversamente.
Le paroline dolci che le sussurrava all'orecchio le facevano tremare le gambe. In tutta la sua vita era sempre stata trattata con freddezza e per lei quella era una cosa nuova e sorprendentemente piacevole.
Tuttavia sapeva che amarlo sarebbe stato inutile poiché presto l'avrebbe perso.
Il giorno del rito, dopo che l'accoppiamento ebbe luogo, fu martoriato proprio come tutti gli umani usati in precedenza da offrire al grande Zeus.
Ricordava ancora il suo sguardo prima che la morte lo portasse via con sé. Non era più gioioso ma la guardava con malinconia e delusione.
Per la regina Elisea fu straziante e i giorni che seguirono non ci furono che pianti.
Ma ben presto si pentì di quel suo comportamento, non poteva cadere nella trappola dell'amore come gli umani. Iniziò a odiare John per averla fatta arrivare così in basso e a odiare la figlia che con malcontento scoprì essere una miniatura del padre.
Crescendola l'aveva trattata con freddezza e severità, evitando di provare affetto per paura di soffrire come in precedenza e sapeva che se gli unici sguardi che la figlia le rivolgeva erano di odio era solo colpa sua. Daphne era completamente diversa da lei, ribelle e romantica, aveva ereditato parte del carattere del padre.
La regina riemerse dai suoi pensieri e guardò un'ultima volta la figlia prima di dare la sua sentenza.
Guardò il suo sguardo supplichevole e sentì stringersi il cuore, ma lei era la regina e doveva dare il giusto esempio e punire la figlia per aver disobbedito uno dei codici della legge
— No, non sarai esiliata. Ma presto dovrai sottoporti al rito. Forse diventare madre riuscirà a farti essere più matura. Riguardo alla tua serva non appena sarà guarita avrà le frustate che merita, così imparerà a essere meno negligente. — per lei era straziante vederla così, ma doveva pensare prima di tutto al bene del suo popolo. Se avesse agito diversamente Daphne le avrebbe messe nuovamente in pericolo.
Senza aspettare la sua risposta girò i tacchi e proseguì verso le sue stanze, lasciando la figlia in lacrime sul pavimento
 
Lontano più di mille miglia, nei pressi del lago d'Averno, esisteva un luogo temuto da tutte le creature e completamente sconosciuto agli umani.
Lì giaceva Ade, fratello di Zeus, e dio degli Inferi, insieme alla sua bella sposa Persefone, dea della fertilità.
Non molto distante viveva l'umana Erminia, amante di Ade, che gli aveva donato un figlio, Andes, sperando così di convincerlo a renderla immortale.
Tuttavia erano trascorsi 13 anni dal loro primo incontro, ma il suo desiderio non si avverava.
Ade la raggiungeva ogniqualvolta la moglie lasciava gli inferi per portare la primavera sulla terra, circa sei mesi l'anno e lei tentava invano di farlo innamorare perdutamente così da indurlo a chiedere la sua mano e sostituire la moglie.
Intanto un giorno Persefone era intenta a far germogliare i frutti sulla terra quando vide il marito aggirarsi per le strade.
Nonostante fosse vestito da mendicante lo riconobbe e lo seguì, scoprendo quindi l'abitazione della sua amante e del figlioletto illegittimo.
Accecata dall'ira si armò di coltello e non appena calò la notte, si coprì con un mantello e si avviò presso il paesino in cui viveva la sua rivale.
Mentre s'incamminava a passo svelto per le piccole vie un ubriaco cercò di aggredirla. — ehi bellezza, fammi vedere che bel faccino cerchi di nascondere. — disse cercando di toglierle il mantello. Riusciva a stento a non strascicare le parole e il suo fiato puzzava tremendamente d'alcool.
La dea non tollerando di essere toccata da un essere inferiore scoprì il proprio volto e lo fissò con occhi rosso sangue.
Il malcapitato si spaventò a morte e fuggì a gambe levate urlando — Il demonio, ho visto il demonio! — Persefone proseguì la piccola via finché non si ritrovò dinanzi alla sua missione.
Era una piccola casa di pietra con accanto un orticello. Non aveva bisogno di bussare poiché le bastò semplicemente girare la maniglia e la porta fu aperta.
Fu colpita da una tremenda puzza di chiuso e non avendo che la luce lunare a disposizione non riusciva a orientarsi bene.
A fatica arrivò silenziosamente nella stanza da letto dove giaceva Erminia con il giovane figlio.
Stava per colpirla con il pugnale quando questa aprì gli occhi lentamente.
— Amore mio, sei tu? — chiese con voce roca.
A quelle parole Persefone fu presa dall'ira e iniziò a pugnalare ininterrottamente la sventurata.
— Brutta sgualdrina! — ripeteva tra una pugnalata e un'altra — non avrai mai mio marito! Lui ama me! Lui vuole me! Tu non sei nulla! — quando capì che ormai la donna era morta la sua ira si placò.
Ma restava ancora il ragazzino che era stato svegliato dalle urla strazianti della madre e spaventato si era nascosto in un angolo della stanza.
— Dove credi di andare piccolo mostriciattolo. Non ti lascerò fuggire, presto raggiungerai la tua mamma — sussurrò con un sorriso sardonico. Ora il cappuccio le era caduto sulle spalle e il ragazzo fissava immobile gli occhi di Persefone resi rossi dalla furia.
Non ebbe pietà per quell'umano che non aveva la benché minima colpa se non di essere nato da una relazione troppo pericolosa e lo pugnalò allo stomaco, lasciandolo morente nella pozza del suo stesso sangue.
— Che cosa hai fatto? — urlò una voce dietro di lei.
Quando si voltò vide la faccia stravolta dall'orrore del marito. Era scioccato dalla scena straziante che i suoi occhi erano costretti a vedere.
— Che cosa hai fatto? — urlò questa volta con furia tirando il collo del mantello di Persefone.
— Quello che era giusto. — rispose la dea con calma. Lo guardava con un sorriso demoniaco, fiera di ciò che aveva fatto. Tutti quegli anni trascorsi nell'oltretomba avevano indurito il suo cuore una volta tanto sensibile, non provava emozioni o rimpianto per aver appena ucciso. Ade la lasciò disgustato per ciò che era diventata.
— Ma guarda come sei caduta in basso. — sibilò il dio tra i denti — ti sei abbassata al loro stesso livello! Ti sei macchiata le mani del loro sangue sporco per un capriccio! — ora la voce di Ade era tuonante. Era incapace di credere che ciò che stava vedendo era accaduto davvero.
— E tu allora? Non ti sei vergognato di andare da lei ogni notte approfittando della mia assenza! — urlò a sua volta la moglie senza il minimo rimorso. — Hai lasciato che avesse un figlio da te e magari un giorno l'avresti sostituita a me! —
— Non essere ridicola, sai che ci lega un patto e che dovrai essere la mia sposa per sempre ma sì, mi sarebbe piaciuto! — ammise con franchezza — con gli anni sei diventata tremendamente fredda, hai perso la freschezza di quando ancora non conoscevi il mondo e in Erminia avevo trovato una persona che mi amasse, e che mi mostrasse un po' di dolcezza. — concluse con tristezza guardando il corpo dissanguato dell'amante.
— Se sono diventata gelida, se ho perso la capacità di provare emozioni è stata tutta colpa tua, Tu mi hai costretta a vivere in quel mondo cupo e straziante! Tu mi hai… — ma di colpo Persefone smise di parlare poiché il ragazzo che pensava giacesse morto accanto a loro iniziò a lamentarsi debolmente.
Anche Ade si voltò e la moglie poté leggere nel suo sguardo il sollievo.
— C-come è possibile. Gli ho procurato una ferita mortale. — balbettò incredula.
— Allora sei vivo figlio mio. — sussurrò Ade prendendogli una mano. — Lui è per metà un dio — disse poi rivolgendosi alla moglie — ha una resistenza maggiore, Ciò non toglie che la sua ferita è grave e non resisterà a lungo se non lo curiamo."
— E come vorresti guarirlo? — chiese sprezzante Persefone.
— Lui è il mi o unico figlio e non voglio perderlo, escogiterò qualcosa! —
 

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Capitolo 2
*** Il rito ***


Erano passate due settimane e Daphne non era mai uscita dalle sue stanze. Era ansiosa di sapere come stesse Lydia, ma se l'avesse chiesto alla madre si sarebbe nuovamente infuriata con lei poiché era una principessa, non era di suo interesse lo stato di salute di una delle serve, anche se aveva messo a rischio la sua vita per lei.
Andava avanti e indietro nella sua stanza tutto il giorno. Pensava alla volontà della regina di renderla madre per responsabilizzarla. Daphne era furiosa, considerava la legge del rito una barbaria.
Scegliere un povero umano e sottoporlo all'accoppiamento contro la sua volontà per poi martoriare il suo corpo e sacrificarlo a Zeus, sperando che un giorno le perdoni per il torto subito in passato.
Ma non c'era modo di evitarlo, doveva sottostare alla volontà della madre senza discutere. Aveva commesso un grave errore ed era giusto che rimediasse.
Finalmente si decise ad aprire la tenda e spalancò gli occhi per ciò che vide.
Le foglie degli alberi erano rinsecchite, i fiori appassiti e i sentieri innevati, eppure la primavera era arrivata già da molto.
Il canto degli uccelli era cessato e le temperature supponeva si fossero abbassate, anche se essendo la sua temperatura corporea alta non se ne era resa conto.
Daphne sapeva che la dea Persefone era sulla terra per circa sei mesi l'anno per far germogliare i suoi frutti e allora perché stava accadendo il processo inverso?
Vide quattro donne del corpo di guardia della regina guidare un carro con dietro una prigione di legno.
Daphne si spostò per poter guardare meglio e vide un uomo.
Aveva i capelli biondi un po' arruffati, gli occhi le sembravano chiari anche se non riusciva a capire di colore, ma l'abbigliamento fu quello che la colpì.
La piccola principessa non aveva idea di come dovesse vestirsi un uomo poiché la loro specie era di sole donne, ma era sicura che l'abbigliamento dello straniero non fosse del tutto usuale.
Portava dei pantaloni neri di pelle con una camicia rosso acceso, e un fazzoletto nero legato al collo.
Ogni tanto dalla gabbia urlava di voler uscire ma le guardie lo ignoravano.
Inaspettatamente alzò lo sguardo e guardò verso di lei, Daphne fu colta alla sprovvista e il suo cuore iniziò a battere all'impazzata, tuttavia non si mosse di un passo. Lo straniero fece una sorta di inchino come segno di rispetto ma lei non reagì, era paralizzata lì accanto alla tenda e seguì tutto il tragitto del carro fino alla grande entrata.
Chiuse le tende di colpo, aveva visto già troppo. Era meglio non affezionarsi a quell' umano visto che presto sarebbe morto.
Due giorni più tardi una serva venne a bussare alla sua porta.
— La regina vi attende nella sala grande mia signora —
Seguì la serva nella sala grande e vi trovò la regina intenta a consumare la colazione.
— Siediti — le ordinò continuando a consumare il suo pasto.
La principessa non se lo fece ripetere due volte. — Il tuo momento è arrivato, presto il rito avrà luogo e tu dovrai essere pronta. — la informò la regina. — Nel caso non ti ricordassi il codice — proseguì con leggera provocazione — per dieci giorni dovrai consumare carne ovina a ogni ora dei pasti, così potrai essere più fertile il giorno del concepimento. Tuttavia ti è severamente vietato vedere l'umano. —
— Quando sarà il giorno? — chiese Daphne ansiosa.
— Ho riunito il consiglio e abbiamo ritenuto il giorno 15 il più favorevole. — concluse la regina. Ora continuava a consumare la propria colazione senza degnarle più attenzione, segno che la conversazione era conclusa.
Daphne si diresse nuovamente verso le sue stanze con gli occhi lucidi, senza accorgersi dello sguardo preoccupato della regina che l'aveva seguita fin fuori la sala.
 
Il giorno della vigilia del rito Daphne era irrequieta. Le batteva forte il cuore e non riusciva a stare ferma.
Mise da parte il suo orgoglio e uscì dal palazzo per respirare un po' d'aria.
Indossava un semplice abito bianco di cotone che le lasciava le braccia e le spalle scoperte, molto simili agli abiti che indossavano le donne greche dell'antichità. Nonostante il freddo pungente non sentiva il minimo bisogno di coprirsi.
Il bosco questa volta era addirittura innevato, ogni pianta o fiore del giardino era morto.
Era chiaro che era accaduto qualcosa di tanto grave da far ritornare la dea Persefone negli Inferi.
Tolse le scarpe e proseguì la propria passeggiata affondando i piedi nella neve. Era una sensazione fresca e rilassante.
Poi però notò delle tracce di piedi umani che la incuriosirono e le seguì. Finivano vicino al grande cancello di ferro dove delle tracce di zampe proseguivano fin dentro il bosco.
Non capiva perché mai una pantera doveva recarsi al di fuori del palazzo se non per cacciare.
Forse la regina aveva mandato qualcuno a procurare nuove provviste nel caso il freddo durasse a lungo.
Daphne decise che non era il caso di preoccuparsi e continuò la sua passeggiata nel giardino.
Dopo essersi rilassata abbastanza entrò nuovamente nel palazzo quando sentì la voce del prigioniero rinchiuso nelle celle sotterranee.
— Dannazione! Ci mancava solo che fossi imprigionato da un branco di svitate! Dietro a tutto questo ci sarà sicuramente quel bastardo di Red Jack! Dannazione, dannazione e ancora dannazione! — tuonò con rabbia.
La sua voce s'insinuò con forza nella sua mente, come se qualcuno le stesse urlando forte nei timpani. Si allontanò di corsa verso la sua stanza non sopportando un attimo di più quel frastuono.
— Mi chiedo come facciano le donne di guardia a sopportare le sue urla tutto il giorno — pensò ammirando quelle povere donne per la loro resistenza.
Si stese sul letto aspettando che il suo destino si compiesse, ormai era inutile sperare che il giorno seguente non arrivasse.
 
La notte la principessa dormì ben poco, facendo strani sogni di donne primitive che giravano attorno al fuoco invocando il loro dio.
La mattina non mangiò nulla a colazione e in men che non si dica le lancetta dell'orologio segnavano già le sedici pomeridiane.
Una serva la condusse nella stanza delle spose. Lì ogni pantera si preparava per il grande evento. In ogni angolo c'era una statua di Zeus con due pantere ai suoi piedi che ricordava a ogni sposa lo scopo per cui dovevano procrearsi.
La regina così come ogni pantera era convinta che il signore degli dei un giorno le avrebbe perdonate, che non tutto era perduto, dovevano continuare a procrearsi e aspettare il grande giorno.
— Venite, mia signora. Sedetevi qui e non vi muovete. Clara, Letty! Chiamò con un battito di mani — venite qui! La principessa deve essere pronta in meno di due ore. — ordinò con fermezza.
Le due serve iniziarono ad aggiustarle i capelli in lunghi boccoli che scendevano morbidi sulla schiena e a truccarle leggermente il viso.
— Permettetemi di dirvi mia signora che avete un viso incantevole — le disse Clara con tenerezza. Aveva più o meno la sua stessa età e anche lei l'anno prima si era sottoposta al rito.
Daphne la osservò e non notava tracce di infelicità sul suo volto. E allora perché a lei sembrava che la sua vita stesse finendo? Avrebbe voluto aspettare qualche anno in più per potersi divertire ancora senza avere la responsabilità di una figlia, non era ancora pronta a compiere quel grande passo.
Una lacrima scese lentamente sul suo viso rovinando il trucco appena applicato.
— Mia signora perché piangete? Capisco che per voi è un giorno importante ma non dovete preoccuparvi. — la consolò Clara sistemando il trucco sciolto — presto vi ritroverete una bella cucciolotta da accudire. —
A quelle parole Daphne pianse ancora facendo sciogliere nuovamente il trucco da poco aggiustato con tanta cura.
 
Intanto in una regione selvaggia della Croazia vi era un grande castello, che da oltre settecento anni era la sede dei licantropi più temuti al mondo.
Non sottostavano alle leggi della loro razza e per questo erano soprannominati i "I ribelli"
Erano temuti dai popoli confinanti ogni qualvolta vi era la luna piena poiché in quei giorni andavano a caccia per nutrirsi delle giovani vergini.
Gli altri licantropi li consideravano solo dei selvaggi e anni prima avevano anche dichiarato guerra, ma dopo decine e decine di morti decisero di battere ritirata.
Nessuno era mai riuscito a sconfiggerli e per questo Ade aveva deciso di assoldare proprio loro per la missione.
— Stasera i nostri attaccheranno, sire. — Igor era inginocchiato ai piedi del capo dei ribelli. — grazie a delle informazioni sicure siamo riusciti a scovare il luogo. —
— Molto bene Igor. — gli occhi del sire si illuminarono di una luce sinistra — una volta conclusa la missione il nostro piano si compierà e il mondo sarà nostro — concluse con un ghigno sardonico.
Igor rise anche lui come se qualcuno gli avesse appena raccontato una cosa divertente, nella sua stupidità non aveva ben capito il piano del sire ma sperava che i ribelli andati in missioni gli conservassero un po' di sangue.
 
Il rito era iniziato, l'oscurità era calata e Daphne se ne stava seduta accanto alla regina nel suo abito bianco come la sua purezza, ad aspettare che l'umano fosse legato a terra sui tronchi di legno dove sarebbe avvenuto il concepimento.
Un fuoco era stato acceso al centro del grande cortile, i tamburi suonavano una lenta musica tribale e cinque pantere giravano lentamente attorno al fuoco.
Lanciò uno sguardo spaventato alla madre che per la prima volta non la fissava con severità.
— Non temere, sentirai un lieve dolore ma presto passerà. — la rassicurò con dolcezza prendendole la mano.
— Madre, io non sono sicura di essere capace di crescere una figlia. Non sono ancora pronta. — la voce di Daphne era terrorizzata.
La madre abbandonò la dolcezza di poco prima e ritornò a essere la regina gelida che lei conosceva fin troppo bene.
— Non dimenticare che quando avevo la tua età tu eri già nata. Anche io ero spaventata dall'idea di avere una figlia, non avevo una madre o qualcuno che mi aiutasse. Ho impiegato tutte le mie energie per crescerti a dovere e ora devi dimostrarmi che non ho fallito. — Questa volta la voce della madre era più una supplica che un ordine.
Daphne la fissò e per la prima volta la vedeva per quello che era realmente, una donna sola che aveva sofferto e che avevo deciso di mascherare le sue debolezze con la freddezza.
Non poteva deluderla, sentiva di provare ammirazione per quella grande donna, doveva dimostrarsi forte e fiera proprio come lei.
Si alzò dal trono sentendo l'impulso di abbracciarla.
La regina si sorprese di quel gesto e lo apprezzò. — Ora però siediti, questo non è il luogo adatto. — le sussurrò dolcemente all'orecchio ritirandosi dall'abbraccio.
I tamburi iniziarono a suonare più velocemente e una specie di zattera con sopra legato l'umano avanzava lentamente tra la fila di donne ormai tutte mutate in pantere.
— È solo un brutto sogno, è solo un brutto sogno, è solo un brutto sogno. — Daphne riusciva a sentire debolmente la voce dell'uomo al di sopra dei tamburi — presto arriverà Margot e mi dirà che devo alzarmi per sistemare il letto! — poi guardò stralunato le belve — Spero di non essere il loro pasto! —
L'umano fu delicatamente poggiato a terra e la principessa vide che guardava le pantere con aria terrorizzata.
— Gesù so di non essere stato un buon fedele, ma ti prego salvami! Non farmi sbranare da queste bestiacce. Giuro che diventerò un uomo rispettabile, che non barerò più e che troverò un lavoro onesto, ma ti prego salvami! — continuava a ripetere l'uomo, tuttavia Daphne non vedeva le sue labbra muoversi, probabilmente perché era troppo buio.
La regina, abbandonato il suo trono, avanzava lentamente con il suo passo regale verso il sacrificio.
— O Zeus, re di tutti gli dei, che risiedi in alto sull'Olimpo, ti preghiamo di ascoltarci e di accettare questo nostro sacrificio. — lo invocò a voce alta così che tutte potessero sentirla. — Dacci l'opportunità di sottostare ancora vicino ai tuoi candidi piedi e allevierai così la nostra pena. —
Al termine della preghiera tutte le pantere ruggirono e i tamburi si alternavano alle voci del coro.
La regina ora guardava la figlia avanzare anche lei verso l'uomo, ma qualcuno interruppe la procedura.
— Che povere illuse — una voce maschile irruppe nel cortile — credete davvero che uccidendo quel povero essere possiate tornare di nuovo dal vostro dio. Ah ah ah ah non ho mai visto nulla di più ridicolo in vita mia! —
— Chi sei tu? — urlò la regina. — Come sei arrivato qui? —
L'uomo continuava a sorridere beffardo e a camminare tra le pantere senza il minimo terrore, fino a porsi accanto a Sylas, la serva frustata l'anno prima per la sua impertinenza.
— Calmati mia regina, sono venuto a prendere la mia dolce colomba. — Si giustificò stringendo con un braccio la serva, come fosse sua proprietà.
La regina guardava con occhi interrogativi Sylas che a sua volta rispose — Sì, mia regina. Questa notte abbandonerò il branco per fuggire con lui, noi ci amiamo! — questa volta la serva non ebbe il minimo timore di guardarla negli occhi. Ancora ricordava delle 200 frustate sulla sua candida schiena per aver guardato con impertinenza la regina, anche se molte avevano ritenuto quel gesto estremo, poiché correva l'anno 1897 e durante i 6000 anni trascorsi i popoli erano andati sempre più civilizzandosi, ma la loro stirpe aveva preferito conservare le antiche tradizioni.
Questo era il momento giusto per vendicarsi.
"Vi sbranerò tutte, una a una." disse l'uomo, ma nessuno sembrava aver udito poiché ognuno non mosse un passo.
Daphne guardò perplessa la madre e a quanto pare anche lei sembrava far finta di non aver udito.
— Mi dispiace per te umano. Ma qui quelli della tua razza non sono ammessi, dobbiamo ucciderti! Riguardo a te Sylas sarai condannata a morte per aver rivelato a un umano il nostro nascondiglio — fu la sentenza della regina.
"Uccidere, uccidere. " "Mi nutrirò del loro sangue" "Prometto che verrò tutte le domeniche a messa!"
Tutte queste voci s'insinuarono nella testa di Daphne, senza capire da dove provenissero. Cercava di fermarle ma aumentavano sempre di più. "Il mondo sarà nostro!" "Quando dà il segnale quel babbeo" ma nessuno sembrava udirle. Forse l'emozione le giocava brutti scherzi.
— È qui che ti sbagli, sarai tu a morire questa volta! — proseguì l'uomo, con sguardo crudele.
"Uccidere, uccidere, uccidere!" "Diventerò il lupo più forte dopo aver bevuto il loro sangue!" "Prometto che non toccherò più una donna!"
— È un lupo, madre! — urlò la principessa ma era troppo tardi.
I licantropi uscirono dal loro nascondiglio e attaccarono le pantere.
Daphne era paralizzata, la scena davanti ai suoi occhi non le sembrava reale.
Molte pantere, essendo pacifiche e non abituate a combattere, morirono all'istante.
Uno dei lupi corse verso la sua direzione per attaccarla ma la regina, avvistato il pericolo, si lanciò per fare da scudo alla figlia, lasciando che il lupo affondasse le sue fauci nella sua gola.
La principessa fuggì in lacrime di fronte a quella scena straziante.
Si rinchiuse nel palazzo, non sapendo cosa fare quando si ricordò di Lydia. La serva, ancora debole, era stata rinchiusa nelle sue stanze finché il giorno della punizione non sarebbe arrivato.
Era arrivato il momento di estinguere il suo debito con lei, aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per salvarle la vita.
Corse per le scale non facendo caso agli oggetti che cadevano al suo passaggio. Quando aprì la porta della sua stanza la trovò tremante accanto alla finestra.
— M-mia signora, ma cosa è successo! C-come è possibile! — la sua voce era rotta dal pianto, anche lei era incredula per ciò che stava accadendo, nessuno se lo aspettava.
— Lydia ora non c'è tempo per le spiegazioni, dobbiamo trovare il modo di fuggire. Siamo state attaccate da un branco di lupi, non so come ci abbiano trovato ma suppongo ci sia lo zampino di Sylas. Sono assetati del nostro sangue. Dobbiamo trovare il modo di arrivare nella foresta senza che ci scoprano! —
Daphne era meravigliata dalla sua voce fredda e distaccata, ma doveva assolutamente fuggire da quel posto.
Ripensò alla madre che aveva sacrificato la sua vita per lei, di sicuro il più grande gesto d'amore che le aveva dimostrato.
Ora voleva che quel gesto non fosse stato inutile, doveva salvarsi al più presto, doveva farlo per lei.
Fuggirono verso l'entrata ma la porta fu spalancata da tre lupi. Daphne e Lydia si nascosero dietro una colonna sperando di non essere viste.
— Principessa — la chiamò una voce con fare cantilenante. — Principessa, è inutile che ti nascondi, sappiamo che sei qui. — proseguì con voce calma — Sento il tuo odore. — e fiutò l'aria così come gli altri due lupi ritornati umani.
"Dove diavolo è quella puttanella, se non la trovo lui si arrabbierà!" questa volta la voce penetrò violentemente nei timpani di Daphne, proprio come era successo il giorno prima con l'umano.
— Ehi capo, credo di averla trovata! —
Un uomo alto almeno due metri si parò davanti alle due pantere completamente nudo bloccando loro il passaggio. Era calvo con occhi spietati, i suoi denti d'argento erano ancora macchiati del sangue delle pantere che aveva ucciso e Daphne non stentava a credere che presto non avrebbe avuto pietà a uccidere anche loro.
"Ma che bel bocconcino, peccato che non possa mangiarla!" anche se Daphne aveva udito la sua voce le sue labbra non si erano mosse minimamente.
Pensava alla sua tribù perduta per sempre a causa di quegli animali e dentro di sé la rabbia aumentò sempre di più, fino a spingerla a mordere il braccio e dare un calcio nello stinco dell'uomo dai denti d'argento.
— Presto Lydia, scappiamo! —
Le due pantere approfittarono della distrazione dei lupi e scapparono verso l'uscita. Gli altri due uomini non appena le videro mutarono il loro aspetto e partirono al loro inseguimento.
La principessa e la sua serva bloccarono la porta d'entrata con un asse di legno, sperando di riuscire almeno a rallentare i loro nemici.
Corsero più veloce che potevano versi i cancelli, poiché una volta oltrepassati scappare nella foresta sarebbe stato molto più semplice.
— Aspetta! — gridò un uomo — Ti prego, aiutami! — continuò, poiché Daphne non accennava a fermarsi.
Questa volta riconobbe la voce dell'umano e si voltò a guardarlo. Lo vide sbucare da dietro un cespuglio, cercando di non essere visto dai licantropi.
La principessa alzò lo sguardo alle finestre della fortezza e dietro le tende scorse lo sguardo di tre lupi intenti a guardarli. Presto ruppero i vetri e uno alla volta si lanciarono nel vuoto per ucciderle.
— Sbrigati! — urlò Daphne ma sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerle, quindi corse verso di lui. — Quando mi sarò trasformata salta su di me e aggrappati forte! — gli intimò una volta raggiunto.
L'umano seguì le sue istruzioni e salì a cavalcioni su di lei, aggrappandosi alla sua schiena.
Un enorme lupo nero interruppe la loro fuga. Si scagliò su Lydia con l'intento di ucciderla ma con stupore di Daphne e l'umano, fu la serva a ferire il lupo.
Oltrepassarono i cancelli e fuggirono nel bosco. Una puzza di fumò le investì e le due pantere si voltarono giusto in tempo per vedere la loro fortezza andare a fuoco e sentire i licantropi ululare fieri della vittoria.
Continuarono a fuggire con la tristezza nel cuore, sperando di riuscire a trovare il modo di sopravvivere.
 
— Ehi, capo! Abbiamo trovato Gabor, è stato ferito dalle due pantere scappate! — urlò l'uomo calvo con i denti d'argento.
— Non preoccuparti Vlado, il bosco è grande e dubito che sopravvivranno per molto! — Goran, il licantropo più forte di tutti, pronunciò le sue parole con perfetta calma. Era proprio quello che più spaventava di lui, anche dinanzi al pericolo non mostrava il minimo accenno di preoccupazione.
— Se non troviamo un modo per curarlo, presto morirà. Ha perso troppo sangue! — continuò Vlado.
Lo sguardo spietato di Goran si spostò su Sylas, la pantera che aveva rivelato il nascondiglio ai lupi.
— Presto si riprenderà, ne sono certo. — le parole furono pronunciate quasi come un sussurro. I suoi occhi ora erano intenti a guardare la sua amata, ma non con fame come gli altri licantropi. No, era perfettamente in grado di gestirla. La guardava per la prima volta con crudeltà.
Sylas capì le sue intenzioni e iniziò a piangere e a urlare — No, ti prego. Non farlo, avevi promesso che non l'avresti fatto. Avevi promesso che sarei stata al tuo fianco! Ti prego, non uccidermi!"
Goran si avvicinò lentamente a lei e la fissò — Mia dolce colomba. — la zittì — non posso darti torto, avevo promesso che se mi avessi rivelato il luogo in cui si trovava la fortezza ti avrei risparmiata, è vero. Tuttavia — proseguì con il suo solito tono pacato — uno dei miei uomini sta morendo e il tuo sangue è l'unico che può salvarlo. — Sylas pianse più forte e Goran le accarezzò dolcemente il mento con la mano. — Mi dispiace mia dolce colomba, ma la vita dei miei uomini è molto più preziosa. Uccidetela. — Più che un ordine fu quasi un sospiro. Tolse la mano e non la degnò più di uno sguardo. Ignorando le sue urla isteriche, si diresse in cortile seguito da Vlado.
— Ehi capo. Però non ho ancora ben capito, se il sire vuole la principessa viva, dovremmo andare nel bosco e cercarla. Altrimenti morirà! —
Il licantropo si girò lentamente e per la prima volta nei suoi occhi apparve la furia, ma ben presto la fece sparire — Ti risulta che io abbia mai fallito? —
— N-no capo, certo che no! —

— Bene, il sire vuole la principessa? E allora la avrà! Dovessi cercarla in ogni luogo della terra! —

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Capitolo 3
*** La fuga ***


 
Dopo aver corso per chilometri, le due fanciulle si fermarono per riprendere fiato, non sapendo esattamente dove si stessero dirigendo, ma speravano di essersi allontanate abbastanza dalla fortezza.
La nebbia fitta e la scarsa luce lunare rendevano il bosco spettrale. Il respiro affannato delle pantere e il bubolare di un gufo appollaiato su un albero erano gli unici rumori che rompevano quel silenzio surreale.
Qualche centinaio di metri distante da loro due piccole luci si avvicinavano a gran velocità verso il trio.
Pian piano che le luci avanzavano delle strane forme iniziarono a delinearsi.
Le due pantere le guardarono spaventate, ma presto scorsero due magnifici unicorni dotati di luce propria correre verso di loro.
L'umano guardò avanzare le due creature con occhi increduli, quella sera aveva visto davvero troppo. Quando furono abbastanza vicine passarono accanto a loro non degnandoli della minima attenzione, continuando a correre.
Qualcosa di molto piccolo passò velocemente davanti agli occhi di Daphne. Grazie alla sua vista acuta notò che era una fata. All'occhio umano era impossibile poterle vedere data la loro piccola statura e il battito di ali veloce come un colibrì.
Sembrava volesse comunicarle qualcosa, tuttavia non riusciva a capire poiché il loro linguaggio le era sconosciuto.
Faceva dei piccoli gesti, indicando gli unicorni che chi allontanavano sempre di più e tutto fu più chiaro.
Daphne fece segno a Lydia di seguirla e ricominciarono nuovamente a correre con l'umano aggrappato alla sua schiena.
Ora la luce degli unicorni era nuovamente visibile, mostrando la via da seguire oscurata dalla nebbia.
— Ehi, potresti rallentare un po'. Con tutti questi rami la mia schiena è diventata un'opera d'arte! — si lamentò l'umano aggrappato alla sua schiena, ma Daphne non gli prestò attenzione e continuò a correre.
Dopo centinaia di rami finalmente gli unicorni si fermarono nei pressi di un luogo sconosciuto.
Qui la luce lunare splendeva in tutta la sua bellezza illuminando ogni particolare di quel luogo incantato, circondato da grandi alberi con foglie rosse che rendevano l'atmosfera ancora più magica.
Intanto le due creature si avvicinarono alla sorgente per poter rinfrescare le loro bocche assetate.
— Questo luogo è fantastico! — esclamò Daphne estasiata, ritornata ormai alla sua forma umana.
— Mi meraviglio di non esserci mai stata prima, probabilmente siamo molto lontane dalla fortezza. — I suoi occhi continuavano a guardare con ammirazione tutto ciò che le circondava.
— Sì, si ok. Tutto questo è fantastico. Mi duole però dover frenare il tuo entusiasmo e ricordarti che non molto lontano da qui ci sono dei lupi affamati che ci stanno cercando! — le ricordò l'uomo.
D'un tratto tutto l'entusiasmo di poco prima sparì dagli occhi della principessa e copiose lacrime iniziarono a scorrerle sul viso. Correre le aveva fatto dimenticare momentaneamente il pericolo e la morte della madre. La regina. Ogniqualvolta i suoi pensieri ritornavano al suo volto straziato prima che la morte la portasse via un dolore acuto le trafiggeva il cuore.
Lydia la prese con delicatezza tra le braccia cercando di consolarla.
— Principessina, su avanti non piangete. Perdere la propria madre è doloroso, ma dovete farvi forza. — la rassicurò accarezzandole dolcemente la testa. La principessa la guardava con grandi occhi sperduti proprio come una bambina.
— Ora avete una missione importante — continuò — dovete ricostruire la stirpe. Rifugiarvi nel passato non servirà ad affrontare il futuro. Comprendo che il vostro non è un compito semplice ma pensate alla regina, a ciò che farebbe lei. Era una gran donna e questo è il momento adatto per dimostrare che siete degna di essere sua figlia. Ormai siamo le uniche della nostra specie rimaste sulla terra e dobbiamo fare di tutto per sopravvivere —
Daphne si asciugò le lacrime con il dorso della mano e si ricompose — No Lydia, ti sbagli. La nostra tribù non era l'unica esistente al mondo. — si schiarì meglio la voce — Mia madre una volta mi accennò che in Grecia, non molto distante dalla Scizia, la regione delle amazzoni, vive un'altra tribù di pantere. — la serva sembrava non capire — so che non ne eri a conoscenza, nessuno della tribù lo era. Mia nonna raccontò di questa tribù a mia madre quando era piccola, proprio come lei fece con me. Fin dalla diaspora ci sono state delle guerre tra la tribù della Grecia e le tribù confinanti. Poiché vivono nella terra sacra ritengono che il loro sangue sia più puro delle altre pantere e che sia giusto che sopravvivano solo loro. Sono convinte che non sia una coincidenza se Zeus ha deciso di collocarle proprio nella sua terra, ma che l'abbia fatto perché loro sono le prescelte che un giorno, avuto il perdono, ritorneranno ad affiancarlo. —
"Ma di cosa stanno parlando queste due squilibrate? Appena si addormenteranno cercherò di svignarmela da questo luogo e ritornare in paese."
— Tu non andrai proprio da nessuna parte umano. — ordinò Daphne
L'uomo la guardò con sguardo interrogativo. — Come scusa? —
— Stanotte sarai con noi di guardia. —
— M-ma io non ho parlato! — l'umano la fissava con occhi spalancati "C — come diavolo ha fatto?"
— Fatto cosa? —
— Lo hai fatto ancora! — urlò l'uomo spaventato.
— Insomma il freddo ti ha gelato il cervello o cosa! Di cosa stai parlando. — Forse la madre aveva ragione a definire quegli esseri una razza stupida.
— M-mi hai letto nel pensiero. —
— Non essere idiota, tu hai parlato! — Daphne guardò Lydia per ricevere il suo appoggio, ma la serva preferì non proferire parola. — Lydia l'hai sentito anche tu vero? — insistette Daphne.
— N-non saprei mia signora, forse mi ero distratta. —
"La, la, la, la, la, la…"
— Insomma vuoi stare zitto! —
Sia la serva che l'umano la fissarono con sguardo interrogativo.
— È vero mia signora, questa volta sono certa che non abbia parlato. —
— Cosa ti dicevo, non sono un rimbambito. — dichiarò l'uomo ancora ferito dal commento poco lusinghiero sulla sua intelligenza.
— Ma è impossibile, insomma prima non era mai successo. — la sua voce era sconcertata, poiché non riusciva a dare una spiegazione logica a ciò che aveva appena scoperto.
— Cosa diavolo siete, streghe? E mi spiegate come riuscite a trasformarvi. Sono due settimane che sono vostro prigioniero e nessuno mi ha ancora dato una dannatissima spiegazione! —
 
— Umano la vuoi smettere di urlare, vuoi che i lupi ci trovino e ci sbranino tutti, compreso te? — sibilò Daphne tra i denti.
— E poi perché continuate a chiamarmi umano. Voi cosa diavolo sareste? —
— E come dovrei chiamarti? — chiese Daphne con tono stizzito.
" Non sopporto il suo tono saccente!" pensò l'uomo, ma notando la furia di Daphne si ricordò della sua capacità di leggergli il pensiero, quindi si schiarì la gola — Sono il duca Stuart Nelson — rispose — Ma potete chiamarmi Duke — concluse con aria altezzosa.
— Duke? Devo ammettere che hai fantasia! —
— Ehy sono un nobile quindi devi portarmi rispetto! — nessuno aveva mai avuto da ridire sul suo nome, inoltre era anche un ottimo metodo per conquistare le donne. Non appena scoprivano che fosse davvero un duca gli si gettavano tra le braccia.
— Ah sì? Dal tuo aspetto non si direbbe — I loro occhi si guardarono con sfida.
— Tu piuttosto chi sei? — quella ragazzina stava iniziando a fargli perdere la pazienza.
— Daphne. — rispose brevemente la principessa — Allora dobbiamo organizzarci per la notte. — continuò cercando di cambiare argomento.
— Solo Daphne? — Duke aveva compreso che lei non aveva intenzione di rivelargli chi fosse.
— Solo Daphne. — la principessa accentuò la prima parola lasciandogli intendere che non gli avrebbe rivelato di più.
— Bene solo Daphne. — L'uomo si sedette su un tronco accavallando le gambe, proprio come un vero nobile. Si accese una sigaretta che fortunatamente durante le due settimane di prigionia era ancora nella tasca — ancora non mi hai detto come fate tu e l'altra ragazzina a cambiare aspetto. —
— Lei si chiama Lydia! —
— Attendo una risposta! — continuò Duke aspirando la sigaretta.
Le due fanciulle si guardarono per un attimo, non sapendo se rivelare la loro identità sarebbe stato rischioso, tuttavia Daphne non conoscendo bene quell'uomo non sapeva se fidarsi.
Poi ricordò che qualche tempo prima Duke aveva accennato a un certo Red Jack. Doveva aver commesso qualcosa di grave se pensava che fosse stato lui a imprigionarlo, quindi decise di usare una strategia.
— Ti dirò chi siamo solo se tu dirai chi è Red Jack. —
Appena sentì quel nome Duke scattò in piedi all'istante. Prese Daphne per la gola e la spinse verso un tronco.
— Come conosci il suo nome? È stato lui a ordinarvi di rapirmi?! — la sua voce piena di rabbia iniziava a spaventare Daphne.
— L-lasciami — sussurrò la principessa con ancora la mano di Duke stretta alla sua gola.
— Parla! —
— N-non posso, mi s-stai soffocando! —
Duke si rese conto di aver accentuato troppo la stretta e la lasciò all'istante. Daphne cadde in ginocchio tossendo e massaggiando il punto in cui le mani avevano stretto la sua gola delicata.
— Non so chi sia questo Red Jack — sussurrò con voce ancora debole — ricordo che lo nominasti qualche giorno fa. — la furia iniziò a sparire dagli occhi di Duke. — Inoltre — continuò Daphne — non ti chiederò perché mai quest'uomo è sulle tue tracce a patto che tu non chiederai mai più informazioni su di noi! —
— Va bene — accettò Duke con fare guardingo — posso chiedere almeno come usciremo da qui? —
— Non lo so, non sono mai stata in questo luogo. Per adesso è certo che siamo al sicuro. Se ci fosse stato qualche lupo in giro gli unicorni avrebbero avvertito il pericolo. Per questa notte una di noi starà di guardia. Se cerchi di fuggire ti sbraneremo all'istante è chiaro? — il tono di Daphne divenne minaccioso, sperava di spaventare Duke a tal punto che non sarebbe andato in giro a raccontare ciò che aveva visto quella notte.
— Non sono così stupido! —
— A voi umani non si sa mai cosa passa per la testa! —
— E scommetto che per te non deve essere molto difficile scoprirlo. — affermò Duke con sarcasmo.
Daphne lo guardò in cagnesco — Ora basta parlare e seguimi. Trascorreremo la notte sotto quell'albero. Tu Lydia starai di guardia. —
— Sì, mia signora. —
— Non appena avverti segni di stanchezza non esitare a svegliarmi. Dobbiamo essere vigili! —
Daphne prese Duke per il braccio e lo trascinò verso il tronco dove avrebbero trascorso la notte.
— Ehi, fai piano. Ho le braccia doloranti. E ho freddo. —
— Insomma vuoi smetterla di lagnarti. —
— Lagnarmi?! Ci saranno almeno cinque gradi e io non ho che dei pantaloni per coprirmi grazie alle tue amichette. Sarà un miracolo se domani riuscirò a essere ancora vivo. E poi non potresti coprirti anche tu. Forse non lo sai ma siamo nel 1897 e hanno creato una cosa che si chiama vestito. —
— Io non ho freddo. —
— E io sono un uomo. —
— E allora? Non hai mai visto una donna nuda? —
— Aah lascia perdere, piuttosto perché non accendiamo un fuoco? —
— Così tutti sapranno che siamo qui! —
— Beh allora perché non dormiamo avvinghiati baby. Il tuo corpo è così muy caliente. — sussurrò con voce sensuale.
— Oh Duke, non penserai mica che sono tanto crudele da lasciar morire il tuo bel corpo esile qui al freddo. Sarà un onore per me poterti riscaldare — sussurrò Daphne a sua volta, con lo stesso tono sensuale che lui aveva usato poco prima.
— D-davvero? — Duke la fissava con sguardo inebetito e prima che potesse riprendere la parola Daphne fece un ultimo sorrisino e si mutò in pantera, accoccolandosi accanto all'albero.
— Ehy, così non vale. Io non intendevo questo. Aah maledette donne! — ringhiò tra i denti. Si sdraiò accanto a lei, ma con sua sorpresa la principessa avvolse una zampa attorno al suo collo per poterlo riscaldare.
— Mmm che bel calduccio, un riposino è proprio l'ideale. — sussurrò Duke con la testa appoggiata sulla sua pancia. — La tua pancia è peggio di una sinfonia di Beethoven. Non è che durante la notte mangi me dalla fame? —
Daphne ruggì debolmente per zittirlo. Ben presto entrambi si addormentarono sotto la luce lunare con Lydia accanto a loro a sorvegliare.
 
A Daphne sembrava di essersi appena addormentata quando Lydia la svegliò premendole sul muso una zampa.
Aprì gli occhi lentamente e vide che nonostante il sole stesse sorgendo la serva era ancora lì vigile, senza mostrare il minimo segno di stanchezza.
Si guardò attorno e tutto era rimasto immutato. Gli uccellini avevano iniziato a cantare e la sorgente scorreva dolcemente.
Quel paradiso non era stato un sogno, ma era la realtà, così come lo erano le gambe ancora doloranti per la corsa della notte prima. Inoltre non riuscì a reprimere uno sbadiglio sul volto dell'umano ancora addormentato beatamente sulla sua pancia.
— Mmm se il buongiorno si vede dal mattino, prevedo una pessima giornata. — sussurrò Duke con voce ancora impastata — la freschezza del tuo alito non è il migliore dei risvegli dolcezza. —
Lydia richiamò di nuovo l'attenzione della principessa e con una zampa indicò un piccolo folletto che si abbeverava presso la sorgente poco distante da loro.
La principessa scattò in piedi e corse verso la sua direzione.
— Ma certo, chi se ne frega dello stupido umano. Non merita il nostro rispetto! — sbraitò Duke scaraventato sul prato. — Ah, ma prima o poi saprò come vendicarmi stupide ragazzine. — sibilò tra i denti con rabbia. — Mi supplicherete. Mi bacerete i piedi. Mi adorerete. Mi… —
— Ti sbraneremo se non la smetti di parlare. — Lydia era apparsa nuovamente in forma umana per zittire Duke. Non ricordava che gli uomini fossero così fastidiosi.
— Sapete solo minacciarmi. E sai che ti dico? Mangiami pure ragazzina, spero che la mia carne ti possa essere indigesta. —
La serva si trasformò nuovamente in pantera e con un ruggito che fece rizzare i capelli a Duke gli saltò addosso.
— Ehi, ehi s-scherzavo. Giù le zampe piccola. Giuro che sarò muto come un pesce! —
Lydia ruggì  un'ultima volta per dimostrare la sua superiorità e Duke capì che era meglio zittire.
Intanto Daphne era ritornata umana e aveva raggiunto il folletto. Al contrario di quel che si aspettava, egli alla sua vista non fuggì.
Doveva essere alto almeno 60 cm. Aveva orecchie simili ad ali di pipistrello, una folta barba bruna che si calava fino ai suoi piccoli piedi e un ampio sorriso sul volto.
— Buongiorno altezza. — salutò il folletto con voce cordiale. A dispetto dei suoi simili non aveva l'aria di essere dispettoso.
— Sai chi sono? — chiese Daphne con stupore.
— Qui tutti sanno chi siete. —
— Come è possibile? La nostra identità è stata segreta per millenni. —
— Questo è ciò che volevate credere voi, in realtà nel bosco ogni creatura è a conoscenza dell'ubicazione della vostra fortezza. — rivelò il folletto con tono non curante. — Oh, perdonate la mia maleducazione, il mio nome è Deep. — e fece un profondo inchino.
— Molto lieta Deep. — Daphne era turbata da ciò che gli era stato rivelato poco prima. Sapeva che i folletti non erano creature amichevoli, ma Deep sembrava essere socievole. Sperava che li aiutasse a raggiungere il paese.
— Forse non sai che la mia tribù questa notte è stata uccisa da un branco di lupi mannari e io e la mia serva siamo le uniche sopravvissute. Abbiamo bisogno urgentemente di raggiungere il paese e vorrei che mi mostrassi la via giusta da seguire. —
— Errore. Siamo perfettamente a conoscenza della strage di questa notte e sono addolorato, tuttavia noi folletti non siamo soliti aiutare le altre creature. — nonostante il tono serio sul suo volto continuava a esserci un enorme e inquietante sorriso.
— E come faremo a uscire da qui? Noi pantere non abbiamo mai oltrepassato il confine. —
— Mai? Ne siete sicura? —
— Oh, beh qualche volta so di aver disobbedito. Ma tu come lo sai? —
Ma il folletto la ignorò e accennò ad andarsene.
— Aspetta. — lo fermò Daphne prendendolo per un braccio. L'enorme sorriso scomparve dal volto di Deep e la principessa si pentì di quel gesto. I folletti erano creature suscettibili e bastava poco per scatenare la loro ira. Ma ben presto il sorriso tornò sul volto di Deep come se nulla fosse accaduto.
— Ho un disperato bisogno del tuo aiuto. — lo supplicò Daphne.
— Mmm, forse voi e la vostra serva potreste esserci di aiuto. —
— Tutto quello vuoi. — accettò Daphne. — Aspetta, come sarebbe esserci? Quanti ne siete? —
— Questo non ha importanza, seguitemi. —
Daphne attese che Lydia e Duke li raggiungesse e ben presto il trio affiancò quel buffo folletto che li guidava tranquillo nel bosco.
 
Quella mattina il treno fermo alla stazione di Ladern sur Lauquet era più affollato del solito e trovare dei posti liberi era impossibile.
Un gruppo di uomini giacevano in un angolo e discuteva sottovoce, d'altronde anche se avessero urlato nessuno dei passeggeri li avrebbe compresi poiché non capivano il croato.
— Il capo ci ha ordinato di riferire al sire che lui e quattro dei nostri uomini rimarranno qui a cercare la principessa. E che non sarebbe partito finché non l'avrebbe trovata. — affermò Vlado.
— E se dovesse fallire, insomma se non la trovasse? Bruceremmo tutti all'inferno. — intervenne Tamon. Il suo aspetto era molto più gracile dei compagni e il suo occhio di vetro non gli permetteva di avere una vista nitida come gli altri licantropi. I ribelli lo avevano accettato nel gruppo in segno di riconoscenza verso il fratello defunto, uno dei più valorosi guerrieri che loro abbiano mai avuto. Ma il suo carattere debole e pauroso stava ormai diventando un peso.
Vlado si avvicinò lentamente e lo prese per il collo della camicia, alzandolo di almeno 30 cm da terra.
— Un vero lupo non teme nulla. — affermò con voce minacciosa.
— Ok, ok calma amico. Mettimi giù che ci stanno osservando tutti. — la voce di Tamon tremava dallo spavento. Inoltre non aveva torto poiché molte persone si erano voltate a guardare quell'uomo di due metri dall'aria minacciosa.
Poiché il viaggio era lungo e voleva evitare fastidi Vlado lasciò cadere Tamon sulle sue ginocchia rese deboli dalla paura e si avviò con i suoi compagni in un altro vagone, lasciando che i passeggeri continuassero a fissarlo con timore.
 

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