Grazie Del pensiero? Ma v*******o!

di ArashiHime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Esordisco dicendo:
I Tokio Hotel non mi appartengono, e nonostante la cosa sia ancora momentanea (ci sto lavorando eh ù_ù), qualcuno morirà per questa sfiga orribile...
(...) *Cof cof*
Dunque...questa fiction è scritta da me, Arashi Hime Alias Federica (reperibile a: arashihime@hotmail.it), pertanto una copiatura anche parziale del testo verrà punita con la rottura di tutte le dita del plagiatore, che verranno successivamente usate da ME per giocarci a shangai...
Questa Fiction è stata ispirata da uno dei miei soliti sogni trip...perciò non stupitevi delle cavolate, volgarità etc. Quella che parla sono io, non ci si può aspettare di meglio, no? X°°DDDD

Grazie del pensiero.

Lo sussurrai a bassa voce, a fior di labbra, prima di consegnare quel foglio al grande uomo vestito di nero...
Mpf.
Guarda e impara Tom.
Hai appena adocchiato l’unica donna che ti renderà l’esistenza impossibile...

Capitolo 1

Ero ferma davanti all’Alkatraz di Milano, avvolta nella mia mantellina nera a doppio strato di pizzo rosso: una di quelle che preferivo nel mio guardaroba invernale Gothic Lolita.
Ero lì ferma da più di venti minuti, e continuavo a domandarmi, irrequieta, il motivo che mi avesse spinto a svegliarmi alle quattro e mezza del mattino per trovarmi alle cinque davanti al grande palasport milanese. Mi ero rovinata due giorni di sonno, avevo speso una folle somma di denaro tra parrucchiere, manicure e ovviamente un’indecente quantità di vestiti nuovi, e come se non bastasse stavo congelando, ferma come un fuso davanti ai cancelli dell’immenso edificio che tra esattamente diciassette ore –pensarlo mi procurò un orribile mal di testa- avrebbe accolto milioni di ragazzine urlanti e sclerate all’unico nome di quella band di cui attendevo un live serio da anni: “TOKIO HOTEL”.
Sbiancai, allibita.
La cosa sconvolgente non era la venuta di un’orribile numero di fangirl alla loro prima cotta adolescenziale per quei due gemelli affascinanti…la cosa realmente inquietante è che, tra le fan che si erano fatte ore di treno dormendo su uno scomodo sedile accanto ad una corpulenta signora dal trucco vistoso e retrò, consumandosi i timpani per la musica ininterrotta e sparata al massimo volume, c’ero anch’io.
Soffocai un rantolo.
Non era da me.
Da Firenze a Milano solo per loro.
Da Firenze a Milano, meno ventidue ore di sonno, meno cinquecento euro in banca, meno una buona dose di serenità: solo per loro.
Mi misi le mani ai capelli flashati di rosso (l’avevo spuntata io, con mia madre, per quel taglio che mi lasciava passare inosservata ancora meno del solito) e sul mio volto si dipinse un’espressione di panico: Ero pazza.
Oh cielo. Ero davvero pazza.
« Amò! Eccomi! » Avrei riconosciuto quella voce tra mille, e molto lentamente mi voltai alla mia sinistra, da dove mi stava correndo incontro Caroline –la mia ancora di salvataggio per pernottare a Milano senza spendere un soldo- con due caffè bollenti in mano e un sacchetto colmo di brioches stretto tra i denti.
Nonostante avessi automaticamente arricciato il naso all’idea di quante calorie avessi preso con quei dolci (dannata dieta, avrei mai vinto contro di lei?), non potei fare a meno di sorridere: Caroline l’amavo, a dir poco.
Ci eravamo conosciute tramite internet due anni prima. Ricordo di come avevo commentato un post del suo blog che riguardava, appunto, i gemelli kaulitz.
La mia foga era incontenibile. “Ho trovato una persona a cui piacciono i Tokio Hotel!” avevo subito pensato, emozionata. Non perché fosse raro trovare una “fan” …quanto più per le parole che aveva digitato in quel blog virtuale. Era chiaro che per lei la musica, la LORO musica, non era una moda, un passatempo, un gioco divertente o altro…era una sensazione bollente che le scorreva nelle vene e che la istigava a parlarne al mondo, proprio perché accecata da un amore incontenibile: lo stesso che mi aveva indotto a commentarla, e successivamente a conoscerla.
« Guarda che ti ho portato! Brioches! » Le brillavano gli occhi, dicendomelo.
« Sono a dieta, Carrie. » Ringhiai io prendendo un caffè e gettando alle mie spalle la bustina dello zucchero soffocando un sospiro.
Perché dovevo essere nata sovrappeso?
« Finiscila cretina » Mi rimbeccò lei, sfilando dalla bustina di carta bianca una brioches e infilandomela in bocca. « Te e la tua dieta. Hai rotto. Mangia. »
Rimasi paralizzata mentre lo zucchero mi si scioglieva in bocca e furono solo una manciata di secondi quelli durante i quali decisi che, infondo, uno strappo alla regola si poteva anche fare. Dopotutto ero esausta, addormentata, e tra diciassette ore (scossi la testa, esasperata) avrei visto i Tokio Hotel con tutto ciò che esso poteva comportare: strilli, urli, e cali di pressione dai conseguenti e disastrosi svenimenti.
« Senti Carrie » Mormorai io mangiucchiando la mia pastina e alternandola ad un sorso di buon caffè. « Ma cosa facciamo durante queste…diciassette ore? » Dirlo mi costò uno sforzo notevole.
Caroline sembrò soprappensiero per un attimo, gli occhi che giravano attorno a sé soffermandosi di tanto in tanto sull’Alkatraz così vicina e, contemporaneamente, ancora così irraggiungibile…
« Bhe non so. » Rispose a bassa voce. « …Facciamo casino? » Chiese.
Non potevamo muoverci.
Forse eravamo le fan più idiote e folli. Le uniche due in tutta Italia ad essersi svegliate alle quattro e mezza ed essersi appostate al freddo polare di ottobre solo per vedere una band tedesca che sarebbe arrivata lì solo tra ore e ore, e ore di attesa.
« Ripassiamoci le canzoni. » Proposi io, e sorrisi.
Cantare era la mia passione.
« Ok » Ridacchiò Caroline, socchiudendo gli occhi. « Facciamo un po’ sentire a quelle fangirls di merda come si cantano le canzoni dei Tokio…! »



Venni scaraventata a terra con una forza tale che, cadendo, sbattei violentemente la fronte sul cemento.
Dio voleva che fossi nata con una struttura cranica a prova di rottura o frattura (la prima botta seria l’avevo avuta a un anno di vita, e le conseguenze erano ancora evidenti diciotto anni dopo), pertanto, oltre che ad un urlo agghiacciante e un’imprecazione quale: “stramaledetto bambi” (Nel mio ateismo, dovevo pur trovare qualcosa da offendere, no?) non incorsi in nessuna conseguenza grave.
« Di buon’ora » Mi sentii ringhiare nelle orecchie.
Assonnata e sconvolta, aprii gli occhi lentamente e venni ferita da accecanti luci bianche che roteavano impazzite su una folla di ragazzine urlanti alle mie spalle.
Una grande…grossa, orribile calca immane, che continuava a comprimermi e spingermi verso un’inferriata strillando il nome di “Bill Kaulitz” …
« …Bill che? » Sibilai io, sbattendo le palpebre e delineando la sagoma di Caroline, Roberta, e altre ragazze di cui non mi sovveniva il nome (nonostante fossi schifosamente sicura di conoscerle) poste davanti a me per proteggermi dalle mocciose assatanate che probabilmente mi avrebbero squarciato viva pur di arrivare un metro più avanti, al mio posto.
« Bill Kaulitz » Ripeté Roberta, offesa. « Sono le 20 e stanno per aprire i cancelli. Ti sei addormentata alle 9 e hai tirato avanti fino ad ora… »
« …E per inciso, hai dormito sopra la mia valigia » Ringhiò un’altra ragazza dai capelli ricci e meshati.
Rimasi un attimo ad osservarla, alzandomi in piedi e ingoiando un rantolo di terrore quando un peluche volò sopra la mia testa sotto l’urlo maniacale di una fangirl (sin troppo) emozionata.
Era Natalia, la mia migliore amica.
« …Nat? » Borbottai assonnata e sconvolta. « …E te che ci fai qui? » Domandai perplessa.
Ora cominciavo a ricordare: Milano, primo live italiano dei Tokio Hotel.
Natalia mi osservò per qualche istante, perplessa, e aggrottando le sopracciglia lanciò uno sguardo eloquente a Caroline e Giulia, che non poterono fare a meno di ricambiare.
« Lasciatela qui » Ordinò Natalia, decisa, e afferrando la valigia su cui mi ero appoggiata nell’alzarmi, si voltò il tanto che bastava perché una mocciosa (di dodici anni, c’avrei giurato) mi piombasse addosso con tanto di padre-armadio a seguito, schiacciandomi alle inferriate dell’alkatraz alle mie spalle.
Fu una lotta per la sopravvivenza.
La mocciosa cercò di arrampicarsi su di me per usarmi come una sorta di trampolino di lancio per gettarsi dall’altra parte del cancello…e fin qui, magari, potevo anche starci. Ma quando mi resi conto che anche il padre aveva intenzione di imitare la figlia, dovetti fare a pugni per uscire indenne da quel macello e avvinghiarmi addosso a Caroline come una cozza allo scoglio.
« Salvami! » Gridai terrorizzata, sicura che quell’esperienza sarebbe rimasta impressa nella mia mente per l’eternità.
« Aprono i cancelli! » Mi strillò di rimando Caroline non curandosi del panico dipinto sul mio volto, e scrollandosi di dosso la mia presa ferrea, mi afferrò per il colletto della mantellina gothic lolita ormai sgualcita, cominciando ad avanzare con passo sicuro e cadenzato ringhiando a destra e a manca insulti perché nessuno mi uccidesse nel vano tentativo di scavalcarmi.
Probabilmente, se arrivai viva dentro quel maledetto palasport, fu solo grazie a lei.
« Ma perché… » Gemetti io, sicura che nessuno sentisse le mie parole in quella confusione assordante. « …potevo vedermi il concerto su MTV… » E così dicendo sbattei la fronte contro lo stipite della porta a vetri che dava sull’entrata dell’alkatraz, imprecando ancora una volta.
Ma che idiozia…era tutta una grande, GRANDISSIMA, idiozia!



Prima che il concerto desse i primi cenni d’inizio ci volle un’altra ora. Ebbi così tutto il tempo di schiarirmi le idee e di ritornare in me stessa…proprio ciò che, forse, avrei dovuto evitare.
Ci misi esattamente due battiti di ciglia per terrorizzare un gruppetto di bambine del 93 alle mie spalle, con uno sguardo e un sorriso gelido. Non che mi dessero noia, poverine…oltre a togliermi venticinque decibel per orecchio a forza di strillare, e cercare di incendiarmi i pantaloni con un accendino così da subentrare al mio posto (la tanto agognata prima fila!) non facevano nulla di male. Preferii comunque mettere le cose in chiaro.
Quella che uccideva, lì, ero solo e solamente io.
Dopo essermi accertata che il panico dipinto sul loro volto non era pura finzione, tornai a contemplare il grande palco davanti a me, incantata all’idea che di lì a pochi minuti, su quella piattaforma, sarebbero saliti i miei idoli…
Sorrisi, e pur rendendomi conto che dovevo proprio sembrare una cretina, non smisi nemmeno un attimo di gongolare, tanto che Roberta –la quale mi affiancava alla sinistra- non poté che farmelo presente, forse spaventata da quella mia sorta di preoccupante paresi facciale.
« …Tutto ok? » Domandò, impaurita.
« Aah…ti immagini se mi saluta? » Mormorai io, in risposta; e l’aria sognante non era un caso.
Avevo fatto la pazzia di alzarmi presto. Di spendere troppo. E di rischiare la vita…non solo per vedere i Tokio Hotel dal vivo…ma anche per permettermi il lusso di sperare in un miracolo. Una di quelle cose impossibili che ti succedono una sola volta nella vita e che ricorderai per sempre…
Si. Quelle che scrivi sui tuoi blog, siti e forum. Nel diario segreto. Nel diario di scuola e sul muro di camera –per la gioia di tua madre. Una di quelle cose che ti tatueresti volentieri anche sulla fronte (ma a causa di una minaccia da parte di papino, ti vedi costretta a scriverlo con la penna biro sul braccio) …insomma, uno di quegli eventi memorabili che si raccontano ai nipoti, davanti ad un camino scoppiettante e una buona tazza di cioccolato caldo:
Il saluto riservato solo e solamente a te, da parte dell’idolo per cui stravedi.
Ipotizzai che fosse Bill a salutarmi, regalandomi un sorriso raggiante e riservato solo a me, oppure Gustav, uno dei batteristi che più adoravo…chiaramente, l’idea che quegli altri due avanzi di galera si degnassero di regalarmi un sogno, era pura follia, così mi sforzai di non fantasticarci nemmeno per un istante, nonostante le difficoltà.
Mi resi conto che tutto sarebbe stato molto più difficile nel momento in cui le luci si spensero e un accordo di chitarra irruppe violento in tutto il palasport, facendomi trasalire.
Gli urli si levarono automatici, e in modo tanto assordante che in pochi istanti sentii i timpani estraniarsi dalla realtà, e i suoni arrivare al mio udito da una certa distanza e in modo particolarmente ovattato…
…E io rimasi immobile.
Immobile persino quando i riflettori puntarono sul palco, andando ad illuminare Tom, George e Gustav già posizionati e in trepida attesa del loro frontman…Bill Kaulitz. Solo quando arrivò lui, correndo e salutando in un pessimo italiano tutte le fan che erano accorse solo per sentire la sua voce, l’alkatraz rischiò di crollare sotto gli strilli emozionati di milioni di ragazze…ma tra quelle, non c’ero io.
Il silenzio in cui calai, aveva forse dell’impossibile.
Non ero certo arrivata fin lì per rimanere ferma e silenziosa sotto al palco…avevo programmato di urlare –proprio come Roberta- o di piangere disperata come Caroline, che mi aveva afferrato una mano stringendola con tanta violenza da bloccarmi l’afflusso di sangue alla punta delle dita.
Io…avevo programmato davvero tante cose.
Eppure, quando quella chitarra laccata di nero aveva vibrato la prima nota, io non avevo potuto fare a meno di rinchiudermi in me stessa, in silenzio, forse timorosa di perdere una sola parola di Bill o un solo accordo di Tom e George… Sorrisi, e lì, ferma sotto il palco, lasciai che il ritmo della batteria di Gustav mi entrasse nelle vene, facendole tremare d’emozione…
Non feci altro. Forse, tutto quello, era persino inevitabile.
Il concerto durò quasi un’ora, e in tutto quel lasso di tempo io rimasi ferma e in silenzio ad assaporare il purpurì di emozioni che continuava ad investirmi senza ritegno. L’unica cosa che cambiò, dall’inizio del live, fu la posizione del mio sguardo; poiché se inizialmente i miei occhi erano solamente per Bill, poco ci volle perché la mia attenzione ripiegasse su Tom, fermo nell’estrema sinistra del palco, felice di poter arpeggiare la sua Gibson con espressione che avrei definito compiaciuta solamente per non cadere nel volgare.
Per lui, non sprecai nemmeno un sorriso.
Rimasi seria nel guardarlo, quasi severa avrei detto. Ferma al mio posto, con le spalle nude calde delle manate delle altre fan, e il bustino rosso appiccicato al corpo più dei pantaloni di pizzo o degli anfibi borchiati in ferro.
Rimasi ferma. Seria. Silenziosa.
Semplicemente troppo estasiata persino per parlare…
Tuttavia, mi resi presto conto che tutto il mio impegno per non fantasticare su quel chitarrista geniale, era solo un desiderio che non avrebbe trovato fondamento in un mio reale atteggiamento...
Nonostante mi fossi riuscita ad evitare un sorriso ebete stampato sul viso dall’inizio alla fine del concerto, e fossi stranamente scampata alla rituale perdita di voce post-live, nel momento stesso in cui Tom si voltò nella mia direzione, e i suoi occhi color nocciola si fissarono nei miei, le più degne intenzioni di lasciare la sua figura solo un sogno troppo alto per una del mio livello, crollarono.
Ero sicura che guardasse me. Per quel minuto. Per quel lungo minuto in cui non smise di arpeggiare la sua chitarra, lui guardava me. Me tra milioni di ragazze più belle, sensuali, e certamente più disponibili...La sua attenzione era mia.
Mia e solamente mia…almeno fino a quando le luci non si spensero, in attesa dell’ultima canzone che avrebbe poi decretato la fine del concerto.
« OMMIODIO! MA GUARDAVA DA QUESTA PARTE?! » Mi strillò Roberta nell’orecchio, sconvolta. E io avrei voluto annuire, sorridere e dirle: “si, guardava me” …ma le luci color del fuoco che si erano spente dopo l’ultimo accordo, avevano smesso di illuminare la mia immaginazione, e avevano portato via con sé anche la speranza infantile che continuavo a nutrire dentro di me.
Una speranza che, chiaramente, mi aveva portato alla follia vera.
« Non saprei » Risposi io, accennando ad un sorriso. « …davvero? »
« Ah fè, e va bene impazzire, ma ora stai dando i numeri!! Certo che guardava da questa parte! » Ribatté Roberta, stranita dalla mia pacatezza.
Socchiusi gli occhi, offesa da quella sua affermazione, ed ero già pronta a risponderle per le rime che un’ombra nera mi oscurò la visuale, costringendomi a voltarmi. Inutile dire che quando mi trovai a fronteggiare un imponente uomo-armadio vestito di nero davanti a me, ammutolii più di prima, aprendo la bocca.
« Ok. Calma. » Esordii immediatamente, pensando che forse avrei potuto rimediare a qualsiasi problema avessi mai combinato.
Forse guardare Tom per troppo tempo implicava una tortura fisica e mentale? …Oh cielo, non è che aveva il cophyright, vero?!
« Discutiamone » Proposi democraticamente, imprecando tra me e me di non poter fare nemmeno un passo senza pestare nessuno. « …la prego » Aggiunsi poi, supplicando l’omaccione che non poté fare a meno di ridacchiare, divertito.
« No no, non ti preoccupare » Mi urlò addosso, probabilmente pensando che avessi perso l’udito (e sicuramente in buona parte aveva ragione).
Come faccio a non preoccuparmi –pensai io guardando intimorita il mio improbabile interlocutore- ?
Deglutii, sicura che il mio colorito roseo di sempre andava cedendo il posto ad un pallore quasi sconcertante, e cercai di accennare un sorriso nonostante il ritmo incalzante dell’ultima canzone dei miei amati Tokio Hotel che cominciava a farsi sentire di sottofondo.
Ok. Avrei affrontato la tortura…ma dopo l’ultima canzone del loro primo live, va bene?
« Ascoltami bene » Mi urlò l’omaccione, afferrandomi per le braccia e sollevandomi da terra di una spanna « Devi venire nei backstage. Il signor Tom Kaulitz ti vuole conoscere. »
(…) Silenzio.
Per un attimo temetti di aver capito male. Pensai che probabilmente mi dovevo essere addormentata di nuovo (o che forse non mi ero proprio mai svegliata) o che, se al massimo quel che avevo sentito corrispondeva alla verità, dietro di me c’erano già le telecamere di “Candid Camera” pronte ad immortalare il mio sguardo smarrito.
« …Prego? » Esclamai io, alla fine, aggrappandomi automaticamente alle inferriate che bloccavano l’incedere della folla verso il palco.
Sentii Caroline urlare e afferrarmi le gambe, piangendo e urlando cose come: “Occazzo, è fantastico!” …felicemente accompagnata da Roberta e Natalia, e dagli urli o le imprecazioni di tutti quelli che ci circondavano, che chissà che avevano capito stesse succedendo.
« Ti vuole conoscere » Ripeté l’omaccione, tentando di tirarmi via, ma io mi aggrappai con più decisione al mio appiglio in ferro, decisa a non lasciare il mio posto.
« E chissenefrega, scusa?! » Ringhiai, arrabbiata…ma nel momento stesso in cui finii di dire quella frase mi maledissi.
Che cazzo significava “chissenefrega” ?
Forse tutto quel palasport milanese se ne stava fregando!
L’omaccione mi guardò un po’ disorientato, chiaramente non aspettandosi una risposta del genere, e prima che me ne rendessi conto mi lasciò andare, quasi facendomi cadere a terra.
Dio voleva che in tutto quel casino, anche volendo, si cadeva sempre in piedi.
« …E quindi? » Mi urlò in domanda, sconvolto.
L’ultima canzone era ormai iniziata.
« Quindi che!? » Ribattei io, più shockata di lui. E cercai vivamente di ignorare gli sguardi sconvolti delle mie tre amiche e del gruppetto del 93 che mi avrebbe più tardi scuoiato viva, ne ero sicura.
« Non vieni? » Mi sentii chiedere.
Ok, un attimo –pensai tra me e me, e se avessi potuto fermare il tempo come si faceva in quei cartoni animati sciocchi della loony toons, sarei stata veramente felice.
Tom Kaulitz mi voleva nei backstage. Se era o meno una cavolata non lo sapevo (Con il carattere che mi ritrovavo ad avere, lo scherzo era stata la prima cosa che avevo ipotizzato), ma quello era il miracolo.
IL MIRACOLO.
Anzi, quello era molto più del miracolo che avevo sperato di ricevere…ecco si, quello era l’evento che esigeva il tatuaggio sulla fronte!
…E io lo stavo mandando a puttane.
Aggrottai la fronte, perplessa, e mi ricordai all’istante di quell’articolo francese che avevo letto tempo a dietro su Dream’Up:
“Tom, il genio che corre dietro alle gonnelle, è solito far andare nei backstage le ragazze tra le prime file dei loro concerti che gli interessano! Si dice che, tra un interruzione di canzone e l’altra, faccia un cenno discreto ad una delle sue body guard che, ormai abituate ai suoi vizi da dongiovanni, si prendono la premura di prelevare dalla massa la fortunata prescelta!”
…Ricordai di quanto avevo riso nel leggere quelle righe.
“Cenno discreto?” Avevo urlato, ridendo come una stupida “Ah si, ce lo voglio proprio vedere Tom a fare il discreto!” …E giù altre risate.
Mi morsi la lingua, pentendomi. Dannazione, era davvero discreto…
« VIENI O NO!? » Mi urlò quella che doveva essere la body guard (troppo simile a man in black per i miei gusti, ma poco importava in quel momento) e io la guardai in silenzio per un altro istante. Solo uno.
« No » Risposi infine, decisa, e l’urlo che Caroline mi fischiò nel timpano sinistro mi stordì a tal punto da farmi girare la testa.
L’omaccione mi fissò un attimo, perplesso, ma alla fine sorrise e sembrava davvero divertito. « …Penso che il signor Kaulitz non ne sarà felice. » Ribatté, quasi soddisfatto.
Inarcai un sopracciglio, sbuffando a quell’affermazione. « Ah davvero? » Ringhiai irritata.
Ma per chi mi aveva preso quel chitarrista –pensai, scoprendo di avere una certa irritazione da riversare addosso a quel ragazzo che aveva più volte popolato i miei sogni- ?
Una bambina? Una bambola?
…Una cretina?
Avvampai all’idea che qualcuno (a prescindere dal fatto che quel qualcuno fosse Tom Kaulitz) mi avesse creduto una stupida mocciosa dalla facile apertura di gambe, e furono pochi i secondi nei quali mi abbarbicai all’inferriata davanti a me, slanciandomi in avanti il tanto che bastava per afferrare il pennarello dal taschino della body guard di fronte a me.
Incurante della faccia stupita dell’uomo e di chi ci guardava, sfilai dalla tasca dei miei pantaloni un vecchio biglietto da visita che non usavo da tempo, ma che portavo sempre dietro per sicurezza, e su cui troneggiava –in bella grafia- la mia presentazione abbozzata su due piedi in un momento di noia:

Arashi Hime ~
Scrittrice e modella.
Rikachan89@tiscali.it


Sorrisi divertita, e stappando il pennarello nero con la bocca mi appoggiai a Roberta per scrivere, dietro il cartoncino bianco, un bel: “Non vengo. Grazie del pensiero comunque” in un inglese perfetto di cui fui ben compiaciuta.
Lanciai un’occhiata divertita all’omaccione ancora fermo davanti a me, e guardandolo solo per un istante, gli porsi il foglio con il pennarello nel momento stesso in cui l’ultima canzone del concerto terminava sotto i piagnistei collettivi.
« E’ tutto » Dissi, e abbassai leggermente la testa in segno di rispetto. « Grazie! » Aggiunsi, e sorrisi con una dolce gentilezza quel tanto che bastava per rendere ancora più allarmato il mio interlocutore, il quale impiegò un certo lasso di tempo prima di voltarsi e dirigersi a grandi passi verso i backstage.

Mpf.
Si, guarda e impara Tom…non tutte le ragazze sono delle coglione. Hai appena incontrato quella che ti imbarazzerà.
Poco importa se ho mandato a puttane il sogno della mia vita…

Mi strinsi la testa tra le mani non appena la sagoma dell’uomo che avrebbe potuto regalarmi il sogno che speravo, svaniva.
Ma vaffanculo! Dannato orgoglio!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Capitolo 2

« …Pronto? » Bofonchiai con voce scocciata aprendo il mio cellulare in un gesto automatico.
« Fè? » Esclamò prontamente Roberta dall’altra parte del ricevitore, e immediatamente mi rimbeccò sul fatto che ero ancora a letto nonostante le dieci e venti passate del mattino.
Sbattei gli occhi, più che tentata di scaraventare fuori dalla finestra aperta il cellulare, godendomi il suono della voce della mia amica che andava sempre più affievolendosi fino a terminare in un botto finale…ma dopo essermi ricordata la minaccia di mio padre e di come sarebbe riuscito a farmi ricostruire il telefonino, pezzo per pezzo, solo con l’ausilio della lingua qualora mi fosse presa di nuovo la pazzia di gettarlo da qualche finestra, decisi di perdere di vista il mio unico gesto di salvezza, e mi limitai a sospirare, disperata.
« Ti avverto » Minacciai prontamente, stropicciandomi gli occhi. « Non sono pentita »
« A-ah! Dovresti esserlo invece! » Urlò immediatamente lei, e sperai che il botto che udii di sottofondo non fosse un’altra delle ante del suo armadio che si scardinavano per esser state chiuse troppo violentemente.
Suo padre, prima o poi, mi avrebbe chiesto i danni.
« E perché mai…? » Domandai io, pur conoscendo la risposta che sia lei che Caroline mi avevano propinato duemila volte da quella sera del mese scorso. La sera del concerto.
« Potevi conoscerlo! Te! Eri la privilegiata! E invece… »
Sospirai allontanando il cellulare dall’orecchio, e posandolo sulla mia scrivania mi alzai, dirigendomi velocemente in bagno dove mi lavai la faccia (giusto per cercar di trovare un perché al fatto che, di domenica mattina, mi fossi dovuta alzare così presto), prima di schizzare in cucina ad afferrare qualche fetta di pane -precedentemente tostato da quel buon cuore di mio fratello-, e una tazza di latte.
Quando tornai in camera e rimisi il telefonino all’orecchio, chiaramente, Roberta era ancora lì che blaterava cose senza senso.
« Si…si, hai ragione. » Dissi io, strappando un morso di pane, e l’urlo isterico che venne dall’altra parte dell’apparecchio mi fece alzare gli occhi al cielo.
Odiava essere assecondata in quel modo…ma dopo 120 telefonate identiche anche una fantasia brillante come la mia si trovava ai ferri corti.
« Rob, ascolta…ma ti pare normale? » Chiesi esasperata, avvicinandomi al pc e accendendolo con un calcio. Al solito: non avevo voglia di abbassarmi per pigiare il bottone di accensione.
« Direi di no. Te l’ho detto, te sei pazza. » Rispose prontamente lei.
« No…non quello » Ribattei io, esasperata. « Ti pare normale che, con questa, sono 121 telefonate che mi assilli? Ma lo sai quante sono? …a questi orari impensabili poi… » Mormorai acida.
« Sono le dieci e mezza del mattino non è un orario impensabile. E poi saranno anche 121 telefonate, ma sono diluite nell’arco di tutto un mese. »
Sapevo che avrebbe risposto così –pensai sospirando e sedendomi sulla poltrona in pelle nera davanti allo schermo del mio computer ormai acceso-, così non spesi nemmeno energie nel ribattere, e mi limitai a risentirla iniziare con le sue allucinanti e monotone accuse che mi vedevano protagonista della bestemmia più orribile dell’anno: aver rifiutato Tom Kaulitz.
Pensando quella frase, tuttavia (nonostante continuassi a non pentirmi del mio gesto), non potei far a meno di sbiancare.
“Aver rifiutato Tom Kaulitz”…
Porca puttana…forse ero l’unica donna a questo mondo ad averlo fatto. Ero l’unica ad avergli detto “No”. L’unica ad aver fatto retrocedere di un passo la sua fama di dongiovanni. L’unica ad averlo imbarazzato…
(…) Wow. Che gran figa che ero.
« FE! MI ASCOLTI!? » Urlò Roberta dall’altra parte del telefonino, e io annuii gravemente.
« Si. Mi pento. Mea Culpa. » Risposi finendo la seconda fetta di pane tostato, e non potei fare a meno di ridacchiare quando la mia interlocutrice mi sibilò dietro che, in verità, ormai l’argomento della discussione (meglio dire: monologo) era virato sul mio lavoro.
« Non è certo colpa mia » Mi discolpai, convinta. « E’ colpa tua che sei monotona »
« Si. Ok… » Sospirò Roberta, rassegnata. « Con il romanzo come va? »
Aprii l’home di Tiscali.it e digitando i miei dati personali entrai nel mio pannello di controllo, quasi sconvolta dal rendermi conto che dovevo ancora leggere 25 mail.
« Tutto bene, i diritti d’autore sono stati comprati e la prima stampa è a Marzo… » Annunciai orgogliosa.
Un anno di dura sofferenza, ma alla fine ero ad un passo dallo sfondare come mi ero ripromessa. Ero quasi arrivata a realizzare il mio sogno: diventare scrittrice.
« Che figo fè…oh ricordati che quando diventi famosa, io sono la tua assistente eh! » Strillò emozionata rob, e io decisi di abbandonare l’idea di riuscire ad arrivare alla vecchiaia con qualche decibel di riserva. Avrei fatto come il nonno: Un corno nell’orecchio, un continuo ripetersi di “che??” e un bel sorriso ebete in faccia.
Bah. Almeno sarei invecchiata ricca, felice e famosa.
« Ja ja, non ti preoccupare amò. » Risposi io, tranquillamente, e cancellai 20 delle email che avevo ricevuto: Tutta orribile pubblicità dalla dubbia provenienza.
Piuttosto sconcertata mi domandai per quale assurdo motivo continuassero a inviarmi proposte di sconti interessanti su confezioni di viagra e non, invece, su qualche bella bottiglietta di profumo…
(…) Ma si vedeva così tanto che ero repressa, o cosa?
Sospirata, ormai rassegnata di sentir urlare Roberta per le prossime cinque ore abbondanti, e più che sicura che non avrei comunque capito nulla di quello che diceva, mi misi a leggere le mail.
Natalia. Francesco. Nick da Londra. Hinata dal Giappone. TK.
Aggrottai le sopracciglia, perplessa: TK? …La nuova compagnia della BBS?
« Rob Rob. Wait. Che è TK? » Domandai, già pronta a cestinare quella mail che era sfuggita al mio occhio vigile di assassina di pubblicità virtuali.
« Un messaggio minatorio » Rispose lei.
« …Prego? »
« Ti Killo…se non mi ascolti »
« (…) Rob, te hai problemi. No davvero, fatti vedere da uno bravo eh. » Esclamai io, sconcertata.
Ottimo. A quel punto aprire quella mail poteva voler significare due cose: Morire o diventare famosa (finendo sulla rete della BBS ci si diventa per forza di cose!)
Sorrisi, compiaciuta…Interessante.
Annuii vivacemente alla richiesta di Rob se fossi o meno andata a casa sua la prossima settimana in vista di quel ponte scolastico che il grande Fioronicombinaminchiate (Mi inchinai rispettosamente) aveva annunciato per la gioia di ogni forcaiolo; e incurante dei suoi ennesimi discorsi, aprii la mail (forse inviatami da samara di the ring?) e rimasi perplessa di non trovarmi davanti la solita pubblicità di viagra o simili.
La schermata del mio computer segnalava solamente 5 righe, scritte in un comunissimo Arial e un inglese stentato, che ebbi difficoltà a tradurre…prima di ammutolire, sbiancando.
« Fè senti, ma possibile che non mi ascolti mai? » Ringhiò Roberta, probabilmente esasperata dal mio ennesimo silenzio non azzeccato; ma io, stavolta, non mi presi la premura di risponderle, tranquillizzandola e scusandomi.
Appoggiai il telefono sulla scrivania, e mi alzai molto lentamente, prendendo il dizionario di inglese che troneggiava nella libreria alle mie spalle, cominciando poi a cercare ogni parola, partendo da quel “You” iniziale e finendo con quel “Reply” finale.
Tradussi parola per parola.
Rilessi la mail 10 volte a intervalli regolari di 5 nanosecondi, e alla fine, non potei che sgranare la bocca. Shockata.
« …Rob? » Chiamai poi, sollevando il cellulare con mano instabile.
« Che vuoi? »
« Quanto può essere fattibile questa email? » Chiesi, e buttando giù il nodo che avevo stretto alla gola, iniziai a leggere traducendo simultaneamente in italiano, dall’inglese:

“Mi chiedo per quale stupido motivo tu non sia venuta.
Hai idea di che figura di merda ci ho fatto? Continuano a prendermi in giro.
Nessuna aveva mai rifiutato, lo sai? Lo sai che c’è gente che darebbe un braccio per avere la possibilità che te hai mandato a puttane?
…E poi cos’era quel biglietto da visita?
Grazie per il pensiero? Vaffanculo.

Spero per te che risponderai”


Rimasi un attimo in silenzio, rileggendo ancora e ancora, e pur rimanendo un pò traumatizzata da quegli errori ortografici che nemmeno il mio cane faceva ormai più (e il mio cane non parlava inglese. Anzi: Non parlava), ritenni che tutto quello che io stavo provando, era nulla in confronto a quello che aggredì la mia interlocutrice dall’altra parte della linea.
Un rantolo pazzesco. Un singulto e infine un urlo trattenuto a stento.
Ommiodio, avevo creato un mostro?
« Rob? » La chiamai, preoccupata. « …Sei viva? » Ma soprattutto: Sei ancora umana?
« …Ricordi quando andammo alla fontana della fortuna? » Mi chiese lei, incurante della mia domanda. E io impiegai qualche attimo per ricordare il posto, il giorno e il momento, ma infine annuii, incerta.
« …Te ci inzuppasti la testa dicendo “Così sono fortunatissima” …ricordi? »
« Eh. Sti cazzi. Il giorno dopo avevo 40 di febbre » Sibilai io, alzando gli occhi al cielo. Io e la mia dannata salute cagionevole!
« …Dio ti ama » Gemette lei, e per un istante temetti che si mettesse a piangere « …Lo sai chi è??? »
Mi ci volle un attimo per rielaborare la sua domanda in una risposta che fossi in grado di pronunciare senza sentirmi male. Rilessi nuovamente la mail, e infine il mittente.
Mi sentivo schifosamente stordita.
« …TK » Sussurrai con voce rotta.
« T – om… K – aulitz » Miagolò Roberta, e alla fine il tanto atteso urlo arrivò feroce a mangiarmi l’orecchio sinistro.
Stavolta non mi degnai nemmeno di allontanare il cellulare.
I miei occhi erano fissi sullo schermo. Ero ammutolita.
« Cazzo… » Sussurrai. « …Che nick schifoso » Dissi. E mi sorpresi di rendermi conto che Tom Kaulitz aveva davvero una pessima fantasia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Ho appena letto i commenti di chi sta leggendo questa fiction e… *__* …oooh, che bello! Il mio ego ne estremamente compiaciuto! Adesso la mia autostima da egocentrica DOC è salita a +5 XDDDDDDDDD ….

Grazie davvero, le vostre parole mi hanno fatto sinceramente piacere ^^ …purtroppo non posso andare avanti velocemente a causa degli impegni che ho in giornata, ma d’ora in avanti cercherò di scrivere tutte le sere appena tornata a casa *_* …XDDD a presto! Spero che il terzo capitolo vi piaccia ^^ ….

_____________


Attaccai il cellulare più per una supplica delle mie orecchie che per una mia esigenza personale, e dopo essermi chiusa a chiave in camera sventando le possibili interruzioni che avrei potuto avere in seguito grazie al solito cartellino “Attenti al cane” (Con tanto di mia foto che spiccava in bella vista al posto della testa mozzata di quel povero pastore tedesco) attaccata alla porta, ispirai a fondo e andai a sedermi davanti al pc.
Ok. Questa doveva essere davvero una botta di fortuna, effettivamente.
L’aver rovinato tutto una volta si poteva anche capire, perché infondo l’essere cretina non era colpa mia (ma bensì di quella famosa botta alla testa a un anno, che…), ma se avessi sciupato tutto anche stavolta…Beh si, in quel caso la lapidazione era la pena minore che avrei dovuto ricevere.
Mi strinsi nelle spalle, indecisa sul da farsi, ma dopo meno di cinque minuti di continue lotte contro la mia modestia (“No, non posso rispondere. Non sono degna. Non lo merito”), mi aggrappai alla tastiera del computer come un drogato fa con la sua dose giornaliera e iniziai a digitare la mia risposta senza nemmeno pensare. Ispirata dal momento.

“Mi chiedo per quale motivo scrivi come un analfabeta.
Mi chiedo per quale motivo hai poca fantasia.
Mi chiedo per quale motivo tu sia così volgare.
Mi chiedo per quale motivo sto rispondendo a questa email…
(…) Come vedi, tutti ci chiediamo molte cose.

Mi dispiace di aver ferito il tuo (discutibile) amor proprio, ma confido nel fatto tu possa rifarti con la prossima donzella che incontrerai nel tuo prossimo concerto! ^^
Sai…non ci tenevo a essere bruciata viva dalle tue altre fan per un privilegio che infondo non volevo nemmeno ricevere… ò_o
In ogni caso ho comunque voluto ringraziarti, perché tra le tante che potevi scegliere hai indicato me. Non era una presa di culo, era semplice educazione…qualcosa che te non conosci, ovviamente °_°” …

Vabbè. Mi dispiace di averti dato fastidio, davvero.
Scusa. E lo dico sinceramente.
La prossima volta, se capiterò ad un altro dei tuoi concerti, saprai di non dovermi più indicare ^^ …
Un bacio
Hime ~ ”


E cliccai quel bottoncino bianco con su scritto “send” prima di rileggere, per paura che potessi pentirmi di quelle parole che…agli effetti rispecchiavano ciò che provavo.
Rimasi in silenzio mentre la home di tiscali si apriva automaticamente sulla pagina della posta inviata, lì dove spiccava la mia ultima mail sendata a un certo signore dal nick discutibile…
Sorrisi, inspirando a fondo, e mi strinsi nelle spalle premendo le ginocchia al torace così da potermi pericolosamente dondolare avanti e indietro sui talloni pur non distogliendo lo sguardo dallo schermo del mio computer.
Inevitabilmente una verità più che ovvia salì alla mia mente: Ero una demente.
…No, non demente, ma arrogante sicuramente si.
Perché dovevo sempre esprimermi così male? Era…più forte di me.
Ero sempre stata abituata a difendermi da sola. A guardarmi le spalle e cavarmela in ogni situazione.
Oddio, pensato così sembravo una povera emo dalle manie pseudo-omicide causate da chissà quale dramma adolescenziale (forse un’unghia rotta?) …ma agli effetti…
Non mi era mai mancato l’affetto dei miei genitori. Divorziati in casa da anni, è vero, ma sempre disposti a offrirmi il massimo…Anche mio fratello mi aveva sempre voluto bene.
Avevo amici.
Andavo discretamente bene a scuola (nonostante continuassi a cambiarla ogni anno a causa dei più svariati motivi. Avrei mai trovato una classe per me?).
Ero abbastanza scaltra da affrontare qualsiasi problema senza difficoltà.
Eppure…eppure, anni e anni di porte chiuse in faccia, ipocrisia e cattiveria, mi avevano ridotto a questo sarcasmo pungente di cui, ormai, non potevo più fare a meno.
Sospirai, facendo spallucce, e ormai rassegnata all’idea che una volta morta avrei fatto incidere sulla mia lapide (proprio sotto la foto) un bel “che cazzo guardi?”, mi alzai, andando in cucina a reclamare il pasto caldo che mezzogiorno regalava per tradizione.
Avevo voglia di pasta al sugo.
Fanculo la dieta!


Dal mio sonnellino (???) pomeridiano mi svegliai alle 18.30 …Un orario ragionevole –pensai- soprattutto se considerato che al mattino mi ero dovuta svegliare alle 10.20
Mi stiracchiai nel letto, per poi raggomitolarmi nelle morbide coperte di piuma d’oca che riscaldavano da ore me…e i due ospiti abusivi che ingombravano il mio letto: Ice –il mio cane- e Loicher –il peluche mio e di Caroline.
Non avevo granché voglia di alzarmi, ma fui costretta a farlo dallo spiacevole ricordo di dover stampare una ricerca ad una mia amica priva di stampante. Mi issai sui gomiti, sospirando, e prendendo il telefono digitai il suo numero per chiederle se mi avesse già inviato o meno la mail con la sua ricerca.
“si si” mi rispose lei, allegramente “Me la porti domani, ricordatelo eh!” E prima ancora che avessi il tempo di dire alcunché aveva riattaccato.
Però. Gentile…
Per un istante pensai di non farle quel piacere, di rimettermi a dormire fino al giorno dopo così da poterle dire, al mattino: “Oh! Non l’ho ricordato…che sbadata!” …ma se l’essere arrogante era ormai una costante del mio carattere, il non saper chiudere la porta in faccia al prossimo lo era ancora di più. Nessuno più di me conosceva l’orribile sensazione di sentirsi rifiutati.
Colta allora da un improvviso slancio di altruismo, mi alzai, e dopo aver fatto un involtino di coperta il mio cane, zampettai al computer tremando di freddo. Un bel calcio assestato, e il pc si accese dal suo stand by in meno di un secondo.
Bravo aggeggio. Fido, fido aggeggio…
Mi raggomitolai sulla mia poltrona, infreddolita, e mi connessi velocemente ad internet per poi schizzare sulla familiare home di tiscali per stampare quella dannatissima ricerca di attualità francese.
Log In. Home. Posta in arrivo.
TK. Baby. Caroline. Manuel. Sara. 34 mail di viagra da comprare.
Rimasi un attimo in silenzio, sconvolta, e non potei fare a meno di scorrere con il mouse verso l’alto. Verso la prima di quella lunga serie di email di cui ignorai non solo le pubblicità discutibili, ma persino la mail di sara, la tipa a cui dovevo stampare quella robaccia.
…TK.
« Oddio » Esclamai, e stavolta il rantolo disumano uscì dalla mia bocca aperta, e non da quella di qualche mia amica.
Schizzai in piedi, e mi scoprii ad avere le gambe e la mani tremanti.
Mi aveva risposto! Di nuovo!
…ecco, era il miracolo davvero. Porca puttana quella fontana l’avrei consigliata a tutti, sarei diventata la sua sponsor ufficiale…Santo Cielo, ci avrei scritto un libro!
Inspirai a fondo, calmandomi, e mi risedetti compostamente come se mi aspettassi che da un momento all’altro Tom uscisse dallo schermo e mi ridesse in faccia nel vedermi seduta alla mia solita maniera impensabile: raggomitolata come una specie di gatto troppo grande (e decisamente non peloso).
…E io provai a lottare.
Provai a lottare contro la mia fantasia assurda per minuti interminabili in cui nulla si mosse se non il mio cuore emozionato. Provai disperatamente a impedire alla mia immaginazione di sperare che quella, infondo, potesse essere l’inizio di una bellissima storia d’amore…La MIA storia d’amore, con il chitarrista che adoravo da anni…
Mi portai le mani al viso, arrossendo della mia idiozia, e imponendomi di non fare come le solite mocciosine cretine che continuavano a strillare “TOM TI AMOOO” mi decisi a muovere lentamente il mouse verso il titolo della mail, così da poterla leggere…
Un click lento, quasi sofferto…ed ecco che la mail si aprì sotto i miei occhi speranzosi.
(…) una speranza, che poco impiegò per crollare…

“Vattene al diavolo”

Era tedesco. Non inglese. Ma capii ugualmente subito il messaggio.
Rilessi e rilessi ancora e ancora quell’unica frase, e quando alla fine mi costrinsi ad appoggiarmi al sostegno del dizionario di tedesco, che sicuramente mi garantiva una comprensione maggiore del mio male assortito repertorio di paroline…rimasi quasi stupita di rendermi conto che era così.
Era così davvero. C’era scritto sul serio “Vattene al diavolo”
…Evidentemente era uno di quegli imperativi tedeschi che capisci per una sorta di memoria babelica, quelle frasi fatte che si imparano subito…o forse un qualcosa che, semplicemente, mi immaginavo di sentirmi dire.
Sorrisi, e a quel punto non sapevo se ridere perché mi ero sputtanata l’occasione della mia vita o perché avevo capito al volo il tedesco, una lingua che stavo studiando da qualche giorno (non senza difficoltà).
Dopo un’accurata scelta, decisi di ripiegare su una terza opzione: Il rispondere a quell’email.
E perché no. Infondo ormai la speranza di essere in love-love con quell’elemento era svanita. Non l’avrei più manco mai visto (dubitavo di poter andare ad altri loro concerti a meno che non avessero fatto qualche altra data italiana) e quindi, a quel punto, avrei chiuso in bellezza, al solito. A ben pensarci forse si, ero pazza.
Guardai velocemente l’orario nel quale mi aveva inviato la mail, e trasalii nel rendermi conto che era stata sendata alle 19 …ovvero cinque minuti prima che io la leggessi.
Sbiancai, ed era davvero inevitabile.
Oh…forse era persino connesso –pensai ridendo- e immediatamente digitai la mia risposta.

“Okay. Avevo giusto freddo, qui da me si gela XD

Addio, è stato un piacere!"


E inviai, sconvolta della mia stessa deficienza per quella battuta trash e di pessimo gusto.
Era fatta.
Quella sera, a Roberta, avrei raccontato tutto…e poi magari avrei dovuto prendere il primo treno per andare a soccorrerla perché un attacco di cuore era il minimo. (…) No, anzi, forse era meglio se non mi fossi entrata nel suo raggio d’azione, o di quello “ciabatta, coltello, accetta” …
Sospirai, facendo spallucce, quando improvvisamente sentii mia madre chiamare per la cena…e immediatamente tutto il confuso evolversi di sentimenti svanì, cedendo il posto a due occhi brillanti e un brontolio addominale.
Schizzai in piedi, urlando, ma…mi ero appena girata verso la porta, che un “TRILL!” sonoro (maledette casse a tutto volume!) mi fece trasalire e poi bloccare.
Mi voltai lentamente allo schermo, cauta, e quando lessi “New Email For You!” …il mio cuore cedette.
Saltai addosso al computer, e poco me ne fregò delle casse acustiche che, per l’urto, si rovesciarono a terra dalla scrivania. Quasi spasmodicamente cliccai su “mail ricevute” e non appena scorsi velocemente il mittente…si, a quel punto mi sentii davvero male.
…Oddio, ma era davvero on line?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“Per quale stramaledetto motivo continui a rispondermi

Grazie per le recensioni positive! Mi fa piacere che la storia vi appassioni, sul serio! ^______^ ...Proprio per ricompensare la vostra gentilezza (*inchin*) ho scritto di fretta e furia adesso, prima di uscire, il quarto capitolo (sono in ritardo di 30 minuti con la mia migliore amica = Satana. Se morirò è colpa vostra X°°DD) ...spero vi piaccia! ^_______^ .......

____________________

“Per quale stramaledetto motivo continui a rispondermi?!”

Lessi quella frase tutto di un fiato dopo aver annunciato, non senza una punta di disperazione (e uno sconvolgimento generale), che quella sera non avrei cenato.
Dovevo ammettere a me stessa che mi ero aspettata molto altro, che so, qualche bella frase ad effetto carica di insofferenza o rabbia repressa…quando perciò lessi quella riga striminzita, per la quale avevo persino rinunciato alla mia razione giornaliera di brodino di pollo, mi sentii quasi tradita.
Ma che cazzo di domanda era mai quella?
Aggrottai le sopracciglia, e per un istante fui tentata di rispondergli solo con qualche puntino, nella speranza che meditasse sulla sua idiozia…ma poi mi resi conto che forse, facendo il suo ultimo viaggio in Finlandia, aveva preso il raffreddore, e si era spappolato il cervello a forza di starnutire…
Povero. Povero piccolo stupido Tom…
Sospirai, facendo spallucce, e avvicinando lentamente la tastiera al bordo della scrivania iniziai a digitare la mia risposta come se facessi un piacere al destinatario della mail, e non a quella strana specie di curiosità che mi cominciava a divorare l’animo. Che donna altruista che ero, l’avevo sempre detto del resto:

“…Beh, penso che ti rispondo per lo stesso motivo per cui lo fai te: Perché mi diverto.
Ammettilo, Tom, in questo momento stai sorridendo. E’ inevitabile, non ti è mai capitato un elemento come la sottoscritta da tenere a bada.
Su…su forza, ammettilo che prima di conoscermi ritenevi la maggior parte delle donne solo un grande branco di barbie fatto con lo stampino della chicco e con l’insano difetto di fabbricazione di allargare le gambe senza dire pio.

Ammettilo, Tom: Io ti interesso


(Send).
…Mi sentii veramente compiaciuta della mia ennesima risposta, e nel leggere la copia inviata, non potei fare a meno di ridere, raggiante.
…Ero pazza! Avevo davvero qualche problema! Altro che botta in capo all’età di un anno…io dovevo aver battuto contro qualcosa quando ero ancora nell’accogliente liquido amniotico del ventre di mia madre! Era chiaro!
Avevo sempre avuto un certo reverenziale rispetto della mia intelligenza che mi aveva permesso di scampare ad ogni casino, ma arrivata a quel punto non potei fare a meno di credere vera la frase che mi era stata detta dal professore di fisica e aritmetica la settimana prima: “il passo dal genio alla follia è breve” …
Ci pensai qualche attimo, perplessa: Ero un genio pazzo, dunque. Come Einstein prima di me (ma poi, Einstein era pazzo?) …Non solo ero figa e simpatica, ero pure una genia (pazza).
Improvvisamente, mi sentii terribilmente e imparagonabilmente stupenda…o almeno fino a quando il mio cellulare non suonò, svegliandomi dal mio torpore con quell’orribile suoneria di salsa e merenghe che dopo mesi non avevo ancora capito come diavolo cambiare.
« …Oh? » Mormorai, aprendo il telefonino, ed ero già rassegnata non appena lessi sul display il nome di Caroline accanto ad un cuoricino e una stellina.
« Himeeeee! » Strillò immediatamente lei, raggiante. E via altri cinque decibel all’orecchio sinistro…A quel punto, aprire la home di google e digitare “Otorinolaringoiatra Firenze” mi venne più che automatico. « Ti devo raccontare una cosa sensazionale!!! » Mi urlò, ed era così emozionata che non potei fare a meno di ridere anch’io, ritrovandomi in meno di qualche istante a supplicarla di dirmi tutto quello che la stava rendendo così felice…Era proprio inevitabile, infondo: Io a quella ragazza l’amavo troppo, quanto Roberta e Natalia dopotutto.
Inutile dire che erano persone con le quali avevo sin da subito sentito un grande feeling. Persone con cui non avevo paura a fare promesse che si sarebbero potute esaudire solo a distanza di tempo…Persone che mi capivano, che con me condividevano tutto. Persone che amavo…Proprio in coscienza di questo ero sicura che il nostro rapporto, qualunque cosa fosse successa, non si sarebbe spezzato mai.
Si, forse non ci saremmo potute sentire per un po’. Sicuramente ci saremmo ritrovate a litigare, un giorno…Non ero così irrealista da non rendermi conto che ci sarebbero stati problemi e intoppi nella nostra amicizia, ostacoli che mi avrebbero allontanato da loro per mesi o anche per anni…ma ero comunque pronta a scommettere tutto ciò che era in mio possesso, che se e quando ciò fosse successo, noi ci saremmo ritrovate un giorno, presto o tardi…e a quel punto sarebbe stato tutto come prima.
Erano quelle classiche amicizie liceali che ti porti fin alla vecchiaia, insomma.
« Allora, preparati… » Rise Caroline, e io mi accomodai sulla poltrona, allungando le gambe sulla scrivania e cominciando a far girare tra le dita della mano destra un lungo bastoncino in legno che mi divertivo, di tanto in tanto, a far finta di fumare…come se fossi una specie di donna di malavita degli anni ‘50.
E così iniziò il racconto.
Caroline mi narrò per filo e per segno di quanto era stata figa a imbroccare un ragazzo affascinante vendendogli un paio di mutande con dumbo nel suo negozio dalla difficile definizione, e di come si fosse sentita carismatica nel convincere persino la mammina di lui a comprare un bustino leopardato nonostante l’ottantina, per questa tipa, avanzasse spietata verso i novanta.
E nel sentire sl'età dell'arzilla signora mi fu impossibile non chiedermi per quale scopo avrebbe usato, successivamente, quel bustino che nemmeno Pamela Anderson avrebbe mai indossato previa raccomandazione del medico (psichiatra)...
Ovviamente non appena anche solo una delle possibilità e/o ipotesi mi balenò nella mente, mi vidi costretta a pensare ad un’altra cosa.
(…) Qualunque altra cosa…
« …Mh ok, e detto questo… » Mi disse infine la mia Caroline, quando riuscì a calmare quelle risate che la stavano strozzando e portando ad una crisi molto simile a quelle epilettiche. « …Te invece che fai, amorino? »
« Mah… » Risposi io, facendo spallucce.
Non stavo facendo praticamente nulla se non parlando con lei. Avevo rinunciato al brodino di pollo, e dato che ormai erano le 20.50 non solo nessuno mi avrebbe più risposto per mail, ma io non mi sarei nemmeno potuta azzardare a mangiucchiare qualcosa…perché ero sicura che mio padre mi attendeva sull’uscio della cucina, vestito di nero per confondersi con l’oscurità della notte, ed era già pronto ad assalirmi qualora avessi fatto un passo oltre il battiscopa che separava il parquet dal marmo del pavimento della cucina.
Si. Esattamente: Odiava quando mangiavo fuori pasto.
« “Mah” lo devo interpretare come…? »
Sospirai, ormai rassegnata a raccontarle tutto quello che mi avrebbe comunque prima o poi cavato dalla bocca (con o senza bisturi), quando improvvisamente lo schermo del mio pc si illuminò, e in alto a sinistra il mio solito gattino nero miagolò un: “New email for you” con tanta potenza (E quella fu l’ultima volta, dato che subito dopo le casse del mio computer abbellivano l’albero di Natale che mia madre aveva già comprato nonostante fossero ancora i primi di Dicembre) che non potei fare a meno di trasalire, allarmata.
Con una velocità impressionante persino per Clark Kent mi fiondai ad afferrare il mouse e schizzai a cliccare, con mano tremante: “Mail Ricevute”.
Nonostante l’emozione, stavolta non mi stupii di leggere il mittente…
« …Fede mi spieghi che stai facendo?! » Esclamò Caroline nel momento stesso in cui mi degnavo di aprire la mail di Tom dopo averla contemplata solo per qualche attimo, e il sentire la sua voce così impaziente non riuscì a trattenermi dal dirle: « Sto chattando con Tom Kaulitz » per poi attaccare il cellulare, di cui scaraventai oltre l’armadio persino la batteria, timorosa che la mia amica, dopo essersi ripresa dal suo coma vigile, potesse ossessionarmi di chiamate di lì al giorno dopo.
Inspirai a fondo, e mettendo mano al mio dizionario di inglese, fedelmente fermo alla mia sinistra, cominciai a tradurre:

“…Lo sai che stai dicendo un sacco di stronzate, si? Ma cosa ti sei fatta, si può sapere?
Non so cosa ti stia passando per la testa, ma io ti sto rispondendo solo perché continui a farlo te. Tutto qua!!”


Lessi quella mail solo una volta, e non potei fare a meno di sorridere ironicamente di quelle parole, inarcando un sopracciglio.
« Ah davvero, Tom? » Domandai, quasi mi aspettassi che la sua risposta mi venisse sussurrata direttamente all’orecchio dall’interessato, e poco mi bastò per decidere la mia prossima mossa. Perché era di mosse che ormai si parlava: quella era una guerra. Una vera guerra tra egocentrici D.O.C.
Feci scivolare velocemente il mouse a evidenziare la mail, e un istante dopo avevo cliccato su “delate” eliminandola non solo dalla posta in arrivo, ma persino dal cestino.
Rispondeva solo perché rispondevo io? Ottimo, io non avrei più risposto allora.
Mi alzai, inspirando a fondo, e voltandomi verso la porta di camera mia l’aprii, sgattaiolando in cucina per mangiare almeno una mela; perché è vero che ad Auschwitz erano tutti magri…ma io non volevo sentir brontolare la mia pancia per tutta la notte.
(…) Chiaramente, l’accoglienza che ricevetti una volta entrata in cucina, avrebbe fatto avvampare di invidia anche Hitler e Mussolini…

Ma tu guarda…Io ho fame, dannazione!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il giorno dopo, presentarmi a scuola fu un dramma

Visto che domani sono occupata tutto il giorno e stasera ero ispirata...ecco il quinto capitolo tutto per voi (ma quanto me la tiro!? X°°°DDD) ...spero vi piaccia, fatemi sapere ^__^ ...

__________

Il giorno dopo, presentarmi a scuola fu un dramma.
Rimasi sveglia fino alle tre di notte sperando in un’inaspettata (???) mail di Tom che, ricevuta l’illuminazione, mi scriveva di essersi ormai reso conto di ammirarmi e adorarmi e che da quel giorno avrebbe quindi abbandonato il mondo della musica per intraprendere, al contrario, una via ascetica dedita solo alla contemplazione dell’immenso (ovvero io) …Ma ovviamente, tranne qualche pubblicità ambigua su improbabili reggiseni di ferro, chiodi e strani pennacchi in versione mille colori (e sarei stata pronta a giurare, anche mille usi), la mia casella di posta elettronica rimase vuota.
Inutile dire che, quando mi svegliai la mattina alle sei dopo meno di tre ore di sonno, mi ritrovai ad essere in uno stato comatoso molto simile a quello pre-morte e anche un’operazione semplice come l’indossare la divisa della mia scuola risultò un percorso ad ostacoli che mi costò quasi la vita quando –inciampando nella gonna ferma a terra- sbattei la fronte sul parquet.
…Addio poca lucidità mentale reduce dalla guerra del seggiolone di diciassette anni prima…
(…) Nonostante tutto, io, prode studentessa votata al massimo dei voti (e al picco del tre in latino), non mi arresi, e affrontai stoicamente la dura giornata di studio e lavoro post-scuola con un impegno robotico degno di Star Wars…
Chiaramente, non appena si fecero le sette e io mi resi conto di essere finalmente libera da tutti i miei impegni, non persi nemmeno il tempo di sfilarmi il grembiule da cameriera che usavo indossare nella pizzeria dove lavoravo, e infilandomi al volo il mio soprabito rosso, schizzai a casa correndo come un fulmine…per la gioia dei miei muscoli che, più forti che mai, si divertirono a cazzottare i miei chiletti di troppo.
« Sono a casa! » Strillai poi una volta varcato l’uscio d’entrata, lanciando qui e là borsa, soprabito, grembiule e scarpe…
« Non l’avrei mai detto » Replicò mio padre, centrato in pieno viso dal tacco del mio stivale di pelle che ebbe la più grande premura di far roteare per un laccio fuori in giardino. « …Ceni stasera? » Domandò poi, sarcastico, ma non fu abbastanza veloce. Io avevo già voltato l’angolo e mi ero chiusa in camera.
Avrei risposto più tardi, sicuramente. Più tardi…
Velocemente attivai il solito iter serale che ero solita avere da anni, partendo dal bel calcio assestato al bottone d’accensione e finendo per aprire la home di tiscali, inserendo i miei dati e andando rapidamente a visualizzare le mie mail.
45.
Perfetto –pensai, raggiante- ben dieci in più di quando mi ero addormentata sul computer quella notte, sbavando sulla tastiera bianca che sentivo ancora appiccicarsi sotto le mie dita (ma che diavolo avevo in bocca? Colla vinilica a presa rapida?). E senza attendere un attimo cominciai a scorrerle tutte velocemente, una per una.
(…)
Ancora una volta…
(…)
Ancora…
Alla terza volta, decisi di fermarmi un attimo e di accomodarmi maggiormente sulla poltrona. Inforcai bene i miei occhiali da vista neri e, avvicinando persino lo schermo al bordo della scrivania, presi a revisionare ogni mail, una per una…
...Niente.
Nessun TK. Nessuna mail dal titolo idiota e dal contenuto ancora più impensabile.
NULLA.
Sbarrai gli occhi, e incredibilmente –in meno di un secondo- sentii un nodo stringermisi alla gola.
Non poteva essere…aveva smesso davvero di rispondermi –pensai, sbiancando contro ogni mia previsione- ?
Era così davvero allora…? Continuava a rispondermi solo perché lo facevo io, provocandolo e stuzzicandolo?
…Per un attimo mi sembrò che un macigno terribilmente pesante, di quelli che si vedono nei cartoni animati, mi cascasse ripetutamente sulle dita con tanta forza da indurmi ad allontanare, dopo qualche istante, le mani dalla tastiera, stringendomele al petto, smarrita.
Dovevo capire. Dunque…Era finito il mio gioco?
Incredibilmente mi resi conto di star male…ma non male perché Tom Kaulitz non si era più degnato di scrivermi...perché quel chitarrista che apprezzavo da troppo tempo adesso mi doveva sicuramente considerare una stupida egocentrica e narcisista…quanto più perché io avevo perso uno dei pochi sogni che mi ero permessa di coltivare da anni.
Avevo perso il mio gioco. La mia boccata di aria fresca dal tran tran quotidiano che mi stava uccidendo…
Abbassai lo sguardo, sorridendo in un misto di rabbia e disperazione, ed ero sicura che sarei potuta rimanere ferma nella mia paresi per mesi e mesi...se non fosse stato per mio padre che, entrando in camera di botto, mi aveva caricato sulle spalle trascinandomi in cucina a mangiare delle schifosissime verdure scondite.
Ma...ma...che cavolo di abitudini vigevano in casa mia…? Nel pensarlo, non potei fare a meno di ridere.
Sarei sopravissuta. Già. Non era una gran perdita dopotutto…

·¨¤ººº¤¨·


I giorni passarono e dal due di Dicembre si arrivò al venti, data ormai considerata sacra e allo scoccare della quale io entravo finalmente in vacanza natalizia, potendomi quindi dedicare allo shopping più sfrenato con le mie amiche acquistando regali…che non avrei mai dato a nessuno se non a me stessa. Un pensierino per ogni personalità (ed essendo tante ogni anno il mio conto in banca segnava come minimo 300 euro in meno).
(...) Ogni giorno, tornata a casa dai miei pomeriggi (gelidamente utili a rassodare le mie gambe), andavo a controllare le mail solo e solamente per non far intasare la casella di posta elettronica…o meglio, questa era la versione ufficiale che avevo rifilato a tutti quelli che, vedendomi spasmodicamente dipendente da internet, si erano cominciati a spaventare seriamente e avevano già cominciato a informarsi su centri psichiatrici che prevedessero anche un lungo percorso di disintossicazione (Dannazione, non avrei mai dovuto mordere la mano a mio fratello mentre tentava di cancellarmi la posta elettronica per farmi un piacere…!).
...Tuttavia, nonostante ormai fossero passati diciotto giorni, di Tom non avevo più ricevuto notizie. Spesso mi ero sorpresa ad aprire una nuova mail da inviargli, quando alla sera mi mettevo davanti al pc dopo il mio solito giro di chiamate che, per quanto mi facesse piacere effettuare, non riuscivano a farmi elettrizzare per più di qualche minuto...
Purtroppo io ero fatta così. Sotto stress avevo bisogno di almeno qualcosa che mi “motivasse” e “distrasse” dagli impegni di tutti i giorni…
L’anno prima il mio svago l’avevo trovato nel torturare il mio vicino di casa, insegnando al suo pappagallo frasi equivoche che volevano auto-convincerlo ad essere un Gay affermato…e si sa, il sentirsi un pennuto gracchiarti tutta la notte nelle orecchie: “Mi piace Francesco della macelleria…mmh com’è eccitante con il suo grembiule sporco di sangue…ah si, sporcami anche a me!” o frasi simili, può avere il suo bell’effetto…
…infatti tre mesi dopo si erano messi insieme, e io ero pure stata invitata alla loro festa di fidanzamento ufficiale.
Quell’anno invece il mio passatempo era rappresentato da Tom Kaulitz, moccioso egocentrico e presuntuoso che per anni avevo venerato chiaramente a vuoto. Disgraziatamente lui era durato meno del pappagallo, e adesso io mi trovavo a piedi, senza nessuno su cui riversare le mie fantasie da trip inesauribili.
Sospirai, alzando gli occhi al cielo, e non appena mia madre mi chiamò perché l’aiutassi ad addobbare l’albero di natale (sotto le imprecazioni di mio padre che era si venuto a passare il natale con noi…ma che ancora non si capacitava del perché delle casse acustiche per computer fossero ben annodate al tronco dell’abete che troneggiava in salotto) fui ben lieta di alzarmi e di uscire da camera mia.
Da quel piccolo buco pieno di fili virtuali che non riuscivo a recidere…



« Fede! Fede! Fede che vuol dire questa parola? » Mi domandò improvvisamente mio fratello, strappandomi di mano un grazioso angioletto di pezza che avevo confezionato da bimba e che stavo per appendere ad un ramo libero dell’ormai gravato albero natalizio.
Mi mise un braccio attorno al collo, e abbassandomi leggermente mi mostrò un biglietto su cui aveva tracciato, nella sua solita calligrafia disordinata, la parola: “ScheiB”.
Rimasi un attimo in silenzio, perplessa, e dopo un istante di interrogativi sul perché mio fratello cercasse di capire il significato di una parola tedesca, risposi titubante: « …Cazzata credo… » E dopo averci pensato un altro po’, annuii convinta. Le parolacce erano la cosa che si impara prima in una lingua dopotutto.
« Ah grazie » Rispose educatamente lui, e mollandomi le spalle mi rimise in mano il mio vecchio pupazzino prima di schizzare via in un istante.
Aggrottai le sopracciglia, perplessa, e sperai (per lui) che non stesse razzolando tra i miei dizionari o libri perché altrimenti stavolta mi sarei divertita a sperimentare quella tortura particolare che avevo in mente già da un pò: Appenderlo a testa in giù nell’armadio, legato e imbavagliato, assieme al mio cane.
E tutti sanno che il mio cane ha gas nervino nella pancia.
Ghignai divertita e già pronta all’idea di dilettarmi un po’ con qualcosa di divertente quel pomeriggio, quando improvvisamente vidi mio fratello schizzarmi di nuovo davanti, sfilarmi dalla mano una pallina di natale in gomma che prontamente tirò sul divano dietro a me, e riprendermi per il colletto della camicia, abbassandomi.
« Sorellina, questa parola invece che significa? » Mi chiese, e stavolta sul fogliettino, proprio sotto la parola che aveva scritto prima, vi era stato segnato il termine “Trottel” che non potei far a meno di fissare, basita.
« …Nicco ascolta… » Esordii allora, pacata e gentile, atteggiandomi come la sorella maggiore che ero. « …Se vuoi imparare il Tedesco, ti consiglio di partire dall’alfabeto… » Consigliai gentilmente, ma lo sguardo offeso del moccioso che mi trovavo davanti mi fece immediatamente abbandonare il mio tentativo di diventare la nuova redentrice dell’intelletto giovanile italiano.
« …Coglione penso, intenso come persona stupida…ma non ne sono sicura. » Annunciai allora, facendo spallucce. « …Ma scusa, guardare sul dizionario no? » Proposi ancora, democraticamente.
Mio fratello alzò gli occhi al cielo, e nel rispondermi mi parve quasi scocciato. Sembrava quasi che parlasse con una deficiente dallo spessore intellettivo infimo a cui doveva spiegare tutto.
(…) Che brutto vedere tanto di me nel bimbo che era lui.
« Ma non posso! » Si lamentò immediatamente, sbuffando irritato. « Sto già usando il dizionario di inglese, e già è difficile capire perché ci sono un monte di errori idioti! Poi ogni tanto spunta una parola o una frase in tedesco…e babelfish non serve a nulla, perché mi fa capire ancora meno! »
Silenzio.
« …mi chiedo per quale motivo questo debba scrivere così! »
…Silenzio.
Lentamente lasciai ricadere le mie braccia lungo i fianchi, e mio fratello, che ancora mi teneva per il colletto della camicia, mi avvicinò ulteriormente a sé, credendo che quel mio gesto denotasse una specie di arresa nei confronti del capo branco.
« …Ah. Fede… » Mormorò allora, dopo essersi guardato attorno con aria circospetta. « …Natalia ti ha scritto che ha litigato con il suo ragazzo e che quando ha un attimo ti chiama perché vuole parlarti…di tenere il cellulare sempre acceso, perché cel’hai spento da un paio di giorni a questa parte… »
E certo, ancora non ero riuscita a recuperare la batteria –pensai allibita voltandomi ad osservare mio fratello in quegli occhi celesti che per eredità sarebbero spettati a me (ma Mendel era chiaramente una checca truffatrice e chissà cosa ci faceva con i suoi piselli, sicuramente tutto tranne che i suoi esperimenti di genetica).
« …Niccolò… » Dissi allora, improvvisamente, e la mia voce era strozzata « …Stai leggendo le mie email? » Domandai, cercando di mantenere il tono di voce calmo non appena mi ricordai di aver lasciato la home di tiscali aperta sulla casella di posta in arrivo.
Lui mi guardò, sorridendo, e sfoderando tutto il suo fascino da piccolo genio informatico, mi accarezzò una guancia.
« Certo sorellina » Disse allora, e avrei volentieri apprezzato il suo volto angelico in un altro momento e luogo.
A quella risposta, ero sicura che tutti i capelli del mio capo si fossero rizzati automaticamente, e dovetti impormi una certa calma prima di porre la mia seconda domanda.
« …E di chi è la mail che stavi traducendo, amore? » Chiesi ancora, cercando di far sfoggio di tutto il mio affetto fraterno.
A quel punto il mio piccolo interlocutore parve perplesso. Aggrottò le sopracciglia dubbioso e dopo un attimo fece spallucce.
« Non ci crederai... » Mi rispose a bassa voce, quasi sconvolto. « E’ un nickname schifoso... » Continuò, e già il mio cuore cominciò a vibrare. « …Un certo TK …Non so dove tu l’abbia conosciuto, ma digli di prendere lezioni di inglese perché ne sa meno di me… »

Urli che fecero rovesciare mio fratello all’indietro: 4
Nanosecondi che impiegai a schizzare, più veloce della luce e più potente di un tornado, verso camera mia: 2
Danni che causai con la mia foga al computer e tutto ciò che lo circondava nell’arco di un metro: 9
…Volte in cui rilessi quella mail: 3.200

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


“Sei una stronza

“Sei una stronza.
Sei solo una grandissima stronza.
Ora mi spieghi perché cazzo non mi rispondi più… Ti senti importante? Ti diverti? Pensi forse che non rispondendomi più mi tieni sulle spine, in trepida attesa di una tua risposta davanti al pc?

(…)
Vaffanculo, si.
Okay. Ho detto delle cazzate, mi dispiace va bene? (Stampati questa email perché non lo dirò mai più). Sono un coglione. Però anche te sei davvero una stronza. Mi chiedi se mi interessi. Beh, qui la prima ad interessarsi sei te, o sbaglio?

…Spero per te che risponderai”


Mi ero chiusa a chiave in camera e avevo sprangato la finestra prima di aver magistralmente intasato il mio terrazzo, temendo terribilmente che mio fratello e/o mio padre, spaventati dalla crisi schizofrenica che avevo avuto qualche minuto prima, tentassero di entrare dalla finestra non sentendomi rispondere da dentro la camera dove avevo sparato a palla la prima canzone che era capitata sotto l’indicatore del mio mouse.
Mi premette le mani al viso, con gli occhi al viso, e colta da un'improvvisa eletricità, risi emozionata.
« … “Mi dispiace” » Sussurrai, rileggendo ancora una volta quell’unica frase. Sembrava che di tutta la mail mi avesse colpito solo quella parte.
(…) In effetti era come se avessi vinto la guerra. Come se mi fossi aggiudicata il premio finale, il riconoscimento al merito, la parte più buona della torta…infondo la via dell’eremita non era poi così lontana per Tom!
Risi ancora, raggiante, e agguantando al volo il mio dizionario di inglese (giusto per essere sicura che quell’ultima frase che avevo appena tradotto da una sorta di strano connubio inglese/tedesco molto simile all’aramaico antico fosse corretta) iniziai a digitare la mia risposta, troppo emozionata persino per prendere un’oretta sabbatica di riflessione (alias per alimentare l’ansia del destinatario di quella letterina virtuale).
Inspirai a fondo, e iniziai.

“Senti, il deficiente qui sei solo e solamente…”

(...)

No.
Scossi la testa, e cancellai in una frazione di secondo quella mezza riga che avevo appena digitato con tanta foga.
No. Non così.
…Si era scusato, a modo suo (un modo molto discutibile effettivamente), ma si era scusato, e se avessi risposto sgarbatamente allora sarei stata io la cafona e non lui.
Perplessa sul da farsi, abbassai lo sguardo sulla tastiera bianca (e ancora appicicosina) del mio computer, che troneggiava immobile sul bordo della scrivania a pochi millimetri di distanza da me. Incredibilmente, e forse per la prima volta da quando era iniziata quella sorta di epopea da film, mi resi conto di non saper cosa scrivere…
Non avevo voglia di aggredirlo. Non in quel momento almeno, forse l’unico in cui aveva ammesso ad altri oltre il pokemon di suo fratello che era solo un grandissimo idiota.
Sospirai, alzando lo sguardo verso il soffitto su cui avevo dipinto pazientemente –anni addietro- tutte le mie costellazioni preferite, cercando di ricreare l’atmosfera astronomica che avevo amato sin da bimba…Impresa in cui, forse per autoconvinzione o forse per pura realtà, ero perfettamente riuscita.
Chiusi allora gli occhi, silenziosamente, e nonostante la melodia che il mio computer mi proponeva fosse sparata a tutto volume da quelle casse acustiche piene di aghi di pino, lasciai che i Goo Goo Dolls mi cullassero con la loro “Iris”.
Lasciai che ogni nota e ogni accordo mi penetrassero in ogni fibra muscolare sino ad arrivare al cuore che, impazzito, iniziò a vibrare con dolce armonia sulle intense parole e messaggi nascosti che quell’unica canzone era capace di trasmettere in meno di cinque minuti…
Inspirai a fondo, lasciando che le dita delle mie mani scivolassero dalla fronte al collo, e quando sentii le punte gelide sfiorarmi il piccolo neo che avevo qualche soffio più in alto del seno, aprii gli occhi d’impulso. Guardai lo schermo paziente del mio computer e, in una frazione di secondo, avvicinai maggiormente la tastiera a me…iniziando a scrivere.
A scrivere ciò che la musica mi ispirava. Che il mio cuore mi consigliava...

“…Scusami. (…) Qui l’unica che si deve dispiacere, temo di dover essere io. Ti ho trattato male, sin dalla prima volta sotto quel palco a Milano…e ho continuato imperterrita, nonostante tu abbia cercato un contatto, una parola…
Perciò scusami, davvero. Sono stata presuntuosa e sgarbata.
Non mi aspetto che adesso mi perdonerai così, anzi forse ti starai domandando perché tanta dolcezza improvvisa, ma è quello che in questo momento sento di provare, perciò te lo dico. Avrai capito che non sono una con peli sulla lingua °_° …

…Ringrazia i Goo Goo Dolls per queste parole (mi raccomando) e, ah si, mi dispiace ancora. Davvero. Ma…Non penso di interessarmi. Non come pensi te almeno.
Sai…ormai conosco te e il tuo gruppo da anni…Le vostre canzoni mi hanno sempre trasmesso tanto e mi hanno aiutato in momenti bui come il divorzio dei miei genitori o l’ennesimo cambio di scuola. A voi devo tanto (quanto voi dovete a me del resto: hai idea di quanti soldi abbia speso per colpa vostra?) e…e si, è vero, mi interesso a te. Non nego di amarti.
Amo te e la tua chitarra, amo i tuoi spartiti e il modo in cui riesci a interpretarli…Adoro sentire i tuoi pochi assoli e adoro sperare che un giorno, quando riuscirò a non slogarmi le dita, imparerò a suonare bene come te.

Si. Mi interesso, ma non penso in quel senso.
Di vero amore ne ho solo uno: la scrittura…e ti assicuro che nemmeno te riesci a sfiorare la sua prima posizione.

Ancora scusa.
Federica”


…E non volli rileggere quando la inviai, forse temendo di imbarazzarmi o di pentirmi, di cancellare o di ridere. La inviai e basta, semplicemente, e non appena la pagina delle mail inviate mi comparve davanti mettendo in risalto l’ultima lettera spedita, sospirai, accoccolandomi sulla sedia e adagiando la testa sulle braccia.
In quel momento, stranamente, avrei dato per scontato che mi avrebbe risposto. Era quasi strano da pensare, ma cominciavo a sentire mio quel susseguirsi di traduzioni disastrose e mail altrettanto incomprensibili. Stavo lentamente imparando ad attendere una risposta che sapevo essere sicura, e ad emozionarmi ad ogni nuovo click…convinta che ciò che avrei visto non mi avrebbe mai annoiato.
Sprofondai il viso tra le braccia e, inevitabilmente, ridacchiai.
Che grande cazzata. Forse ero l’unica donna sulla faccia del pianeta che vedeva rientrare nella norma il chattare con Tom Kaulitz. Scossi la testa, chiudendo gli occhi e abbassando con mano sapiente il volume di quella musica che a breve mi avrebbe davvero portato a girare con un corno piantato nelle orecchie, quando improvvisamente un “Trill” –stavolta appena sussurrato- mi portò ad alzare lo sguardo.
Natalia.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata, e lessi velocemente ciò aveva da dirmi nella sua ennesima mail. (…) Chiaramente doveva espormi le sue ennesime proteste su quanto fossi deficiente ad aver perso la batteria del cellulare, su quanto fossi inaffidabile come migliore amica e su quanti morsi mi avrebbe dato una volta tornata a Firenze…qualcosa di apocalittico a quanto sembrava, pensai sospirando e digitando velocemente le mie pluri scontate scuse, inviando senza nemmeno degnare di uno sguardo lo schermo che si apriva sulle mail inviate.
Che stress. La nat sapeva come esasperarmi...Tanto alla fine sarebbe caduta in tentazione e avrebbe cacciato in gola al suo ragazzo quella sua lingua da Orochimaru di Naruto, e allora tutto sarebbe tornato apposto. Al solito.
Ridacchiai, pensando che quel poveraccio non avrebbe mai avuto bisogno di una lavanda gastrica (a quella provvedeva natalia), e automaticamente abbassai nuovamente la testa sulle braccia, accoccolandomi tranquillamente, quasi tentata di appisolarmi per qualche ora…cosa in cui, chiaramente, non riuscii.
“New Email For You”.
Mi premetti le mani alle tempie, disperata da quell’insistenza maniacale (come se poi avessi potuto cambiare le cose. Non le covavo le batterie per motorola IO), e istericamente andai ad aprire la cartella della posta in arrivo. Natalia mel’avrebbe pagata una volta tornata, altro che. Ma quale morsi e morsi, le avrei sicuramente rotto tutte le…
...TK.
Sbiancai, colta quasi in contropiede per quella relativa velocità di risposta, ma non appena realizzai che era lì. Che la mia nuova mail era proprio lì…Non potei fare a meno di sorridere, gentile.
Feci lentamente scivolare il mouse sul legno di mogano della mia scrivania, e andai ad aprire quell’ennesima lettera.
(...) Ciò che mi si presentò agli occhi, credetti essere uno scherzo in un primo momento.

“…No no, calma. Non scusarti così tante volte, anch’io sono stato arrogante…diciamo che la colpa è un po’ mia e un po’ tua, okay? Fifty fifty e risolviamo…?
Se devo essere sincero non ho voglia di continuare a infamare una delle poche barbie della chicco munite di cyber programmazione mentale…perciò, se fosse possibile, concludiamo la battaglia qui.
Ho chiaramente vinto io. Scordati nel primo gradino del podio. Quella a fare i discorsi strappalacrime sei stata te (non sei infondo così diversa dalle altre donne) e non certo io.
Quindi accontentati del secondo posto…
…futura scrittrice.
Corretto? …Ti piace scrivere?
Avevo notato che le tue mail erano tutte molto ben curate dal punto di vista testuale, ma non credevo che avessi una simile aspirazione…Leggere le tue righe mi hanno davvero stupito.
Ti ringrazio di ciò che hai detto riguardo al gruppo, e a me soprattutto (Tanto lo so, tutti mi amano, è inevitabile). Sono lusingato dalle tue parole…tanto quanto ne sono dispiaciuto.
Da quel che leggo sembra che tu abbia avuto un po’ di problemi eh? Ecco perché sei isterica come il gatto della mia vicina (o come Bill, a te la scelta. Io ti consiglio il gatto comunque, quello spela ma non canta in ogni attimo del giorno…). Non me ne frega di sentire la cronologia della tua vita, perciò non ti chiedo che diavolo ti è successo…Tanto sono sicuro che mi assillerai ugualmente raccontandomelo, perciò ci rinuncio.
Fai quello che cazzo ti pare.

Tom”


…Sperai vivamente che il rossore che sentivo accalorarmi le guance fosse solo una conseguenza del riscaldamento sparato a palla e non della presa di coscienza di quella realtà che cominciavo a capire solo un po’, ancora troppo acerba da poter delineare totalmente…
Era forse una mia speranza e nulla più…ma sembrava quasi che quel chitarrista presuntuoso avesse cominciato a cercare, seppur grezzamente, a interpretare non solo il mio inglese perfetto…ma anche chi lo digitava, dall’altra parte dello schermo.
Sembrava quasi che volesse capirmi.

...Inspirando a fondo il dolce odore di biscotti caldi di mia madre proveniente dalla cucina…non potei fare a meno di sorridere.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


22 Dicembre 2007

Questo capitolo è un pò particolare, e non so se vi piacerà, proprio per questo motivo vi chiedo di darmi pareri e consigli ^^
Grazie!
Hime

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22 Dicembre 2007

Mittente: TK [Gruppo: Scartavetramento di palle = Tom Kaulitz]
Destinatario: Arashi Hime ~ Federica

E-Mail:

“…Senti penso proprio che sia inevitabile. I miei genitori non si vedono quasi più se non per delle ricorrenze importanti che riguardano me e mio fratello, e anche in quelle circostanze a malapena si salutano.
Lasciali stare, è ovvio che litighino, non puoi certo fare sempre te la portatrice di pace perché alla fine quella a essere oppressa sarai te. Sono persone adulte, lascia a loro i diverbi di questo genere e fai invece qualcosa di più utile…come per esempio rispondere a questa mail entro un tempo decente e non dopo ore o ADDIRITTURA giorni.

Ho letto la storia che mi hai mandato. Mi dispiace avertela fatta tradurre in inglese, ci credo che ti sei rotta…comincia a studiare anche il tedesco allora, almeno si parla meglio. Io l’italiano non lo studio di certo, a malapena leggo quel che dovrei figurati se faccio roba in più…ma te adori studiare, no?
Fammi questo piacere allora. Così mi evito persino di scrivere in inglese…

In ogni caso la storia mi è piaciuta molto, e ne ho parlato un po’ anche a mio fratello, spero che non ti dispiaccia…anzi tecnicamente non dovresti dato che gli è piaciuta parecchio e ha accennato a qualcosa circa una canzone nuova, non so. Quando smetterà di cantare e parlerà normalmente ti saprò dire.

…In ogni caso: promettimi che sorriderai di più, non incazzarti per nulla, non puoi salvare tutti. Conto di saperti e immaginarti con una delle tue solite risate sarcastiche stampate in viso eh.
Ti allego quella foto di George e Bill di cui ti avevo parlato. Ti sembrerà assurdo ma quello di cui dovrei condividere i geni (è scientificamente possibile?) non ha ancora capito nulla…povera checca.

Tom”

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25 Dicembre 2007
Mittente: Arashi Hime [Gruppo: Quella che se la tira da far schifo]
Destinatario: TK ~ Tom

E-Mail:

“…Ecco, ora non fare l’idiota eh. E’ colpa tua, e lui ha ragione di incazzarsi così tanto. Devi chiedere SCUSA.
Scusa, comprendi? Ma per quale ambiguo motivo ti riesce così difficile dirlo…?
Anch’io mi sarei irritata così tanto al posto di Bill…
Ascoltami…devi capire che il mondo non ruota attorno a te e i tuoi desideri. Comprendo che ti senta scocciato dal suo comportamento che, effettivamente, è stato un po’ infantile, ma comportarsi in questo modo non va bene.
Oggi è Natale e te sei fermo davanti allo schermo di un computer per non vedere in faccia tuo fratello. Questo tuo atteggiamento è decisamente più infantile del suo.
Va’ da lui.
Non dico di chiedergli scusa (tanto per il te il detto del pandoro: “A natale si è tutti più buoni” non vale…altro che zucchero a velo, te sei stato svezzato con pandoro al veleno per topi), ma di stare almeno lì si, anche perché tua madre, la nonna e gli altri non c’entrano proprio nulla.
Non fare il bambino e và da lui…
E…ah si. Io non do la preferenza proprio a nessuno, cerco solo di essere obiettiva. Se solo tu provassi anche solo a sorridergli, vedresti come lui ricambierebbe subito. Vi volete troppo bene per mandare tutto a puttane il giorno di Natale.
Bill smania dalla voglia di far pace, stanne sicuro.
…prova e poi sappimi dire…io terrò il computer acceso e correrò per risponderti quando mi dirai che è tutto tornato apposto.

Non ti preoccupare Tom, e sorridi.
Grazie per la canzone comunque. Buon Natale anche a te.

Chu.
Fede”


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4 Gennaio 2008
Mittente: TK [Gruppo: Scartavetramento di palle = Tom Kaulitz]
Destinatario: Arashi Hime ~ Federica

E-Mail:

“…Ti assicuro che sono senza parole. Ma che diavolo hai scritto? Non c’ho capito un cazzo, ho dovuto far leggere a mia madre che fa volontariato ai bimbi dislessici per capire la tua mail…no guarda, lascia stare.
Aspetto che arrivi il 20. Non scrivermi in tedesco finché non inizi il corso. (…)

In ogni caso…
Sai che ho seguito quel tuo consiglio? E’ andata incredibilmente alla grande (ammettilo, sei una chiaroveggente perché non esiste che tu c’abbia capito così tanto da dove ti trovi). E’ stato un successo, non me lo sarei mai aspettato…era una mossa talmente tanto…strana, per me, che pensavo nessuno avrebbe apprezzato.
Ti devo ringraziare…Anche per le foto che mi hai mandato.

…E’ stato esilarante! Quella in cui sei inciampata sopra la torta di natale l’ho persino stampata e appesa accanto al calendario di Pamela Anderson (Così mi ricordo di che elemento sei e quanta differenza c’è tra una con il baricentro spostato dal centro del corpo di almeno 4 metri, e la PERFEZIONE).
Ah si: Tuo fratello ha un’aria simpatica. Però te dovresti smetterla di infilargli le penne nel naso mentre dorme, poi si che si incazza…nemmeno io faccio di queste cose. Ormai ho anche smesso di sostituire la colla a presa rapida con il gel di Bill. Anche te dovresti finirla. Abbiamo 18 anni dopotutto…

(…)

Questo tentativo di sembrare un uomo maturo è andato a puttane. Vabbè ci ho provato. Come vedi tento sempre di seguire ciò che dici.

Un abbraccio,
Tom”



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30 Gennaio 2008
Mittente: Arashi Hime [Gruppo: Amici – Baricentro spostato]
Destinatario: TK ~ Tom

E-Mail:

“Ti ringrazio per ciò che mi hai detto. Ci credi che mi sono quasi commossa (e dico quasi perché se avessi evitato i “vaffanculo” o “porca puttana” magari sarebbe stato tutto più poetico) ?
Farò in modo di inviarti una copia del libro, la prima stampa è già in corso ma non metteranno in vendita nulla fino a Marzo. Una disgrazia, sono tesissima. Le librerie sono l’ultima prova per me, e quella decisamente più ardua…
…ho terribilmente paura di non farcela.
E se il mio libro morisse com’è nato? Se nessuno mi leggesse? Se io non riuscissi a realizzare questo mio sogno…?
Ho davvero paura, Tom.
Sono così tesa che non riesco nemmeno a programmare con la mia manager e lo staff i programmi di sponsorizzazione o pianificazione vendita. Di questo passo mi scaricheranno e cominceranno a decidere da soli…

Sono stupida. Non sono portata.
Forse era meglio se non facevo la scrittrice. Ma perché non mi sono limitata a fare la cassiera del supermercato o la bibliotecaria come milioni di altre persone come me?
Eh no. Io sogno di trasmettere qui e là. Sogno le luci della ribalta.
…Forse non riuscirò a pubblicare anche in Germania.
Non penso mi leggerai mai…”



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24 Febbraio 2008
Mittente: TK [Gruppo: Amici - Pamela Anderson Addicted]
Destinatario: Arashi Hime ~ Federica

E-Mail:

“MA POSSIBILE CHE VOGLIA SEMPRE AVERE RAGIONE LEI!?
Ma io mi domando perché. E’ proprio stupida. Vada a fanculo! E’ insopportabile. Io ci PROVO a sentirla, come dici te, ma è davvero una cretina…Mi fa perdere le staffe.
E sai Bill cosa mi ha detto?? “La Mamma ha ragione”

…Ha ragione?! HA RAGIONE DOVE?!
MA POSSIBILE CHE QUI NESSUNO SI DEGNI DI COMPRENDERMI!? MI SEMBRA ASSURDO! IO HO 18 ANNI E FACCIO QUEL CHE CAZZO MI PARE, SENTIRMI RIPRENDERE COME SE FOSSI UN BIMBO DI 5 ANNI MI FA SCHIFO! I TIPI COME ME NON PRENDONO ORDINI, NE’ TANTO MENO SI METTONO “IN PUNIZIONE” …

Vada al diavolo…
Mi sento stordito. Ho provato a fare quella cosa che mi avevi detto del profumo sul cuscino…effettivamente dormo meglio in questo periodo. Ho comprato quello che mi hai detto, lo Shanel numero 5…Lo sai vero che è un profumo da donna e c’ho fatto una figura di merda? Mah. Almeno funziona. Ecco perché te riposi sempre bene…
Che palle…
Dopo devo pure tornare a casa che abbiamo finito l’incisione qui ad Amburgo. CHE PALLE…
E’ solo che…qui sembra che tutti mi predino per il deficiente. E’ che sono un tipo alla mano e tutti, dopo un po’, si sentono in dovere di pensare che possono manipolarmi. Nessuno si sforza di capire un po’.
…mah. Meno male che posso parlarne con te, sennò davvero sarei una sorta di pentola a pressione.

Aspetto con trepidazione quella poesia di cui mi avevi parlato.
Tom”



·¨¤ººº¤¨·

28 Marzo 2008
Mittente: Arashi Hime [Gruppo: Federica – Piccola]
Destinatario: TK ~ Tom

E-Mail:

“CEL’HO FATTA! *_________* …
Il romanzo sta andando alla grande, ed è tutto merito tuo e del tuo sapermi sostenere! Non so come avrei fatto e come farei senza di te! E’ incredibile che solo per email tu riesca a sortire questo effetto su di me! *______*
Oh Tom, sono così emozionata! Domani ho il mio primissimo servizio fotografico!
Ho una paura cane!! Chissà se riuscirò a venire decentemente?? (Non azzardarti a ripetere che sono Samara di The Ring…perché sennò te lo faccio vedere io il pozzo…quello delle fogne però)

Che bello. CHE BELLO! Fare interviste è così…stupendo!
Ieri ho visto una ragazza che leggeva il mio libro al parco, e ogni tanto si fermava e diceva al suo ragazzo: “Oddio, senti che dice Alexandra! Ahaha! È pazzesco! Che genialità!” …

Sono così felice…mi sembra quasi un sogno…
…Ed è tutto merito tuo.
Grazie di esserci sempre e di avermi sopportato nel lungo periodo pre-pubblicazione…
Grazie davvero.
Ti voglio bene! ^__^

Fede

P.s: Visto come sono migliorata in tedesco? Ormai so scrivere ben due frasi senza sbagliare la grammatica. LOL.”


·¨¤ººº¤¨·


5 Aprile 2008
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~ Federica

E-Mail:

“…Hai proprio ragione. Certe volte lo penso anch’io e quasi mi spavento…Hai proprio una brutta influenza su di me, eh?

E comunque che cazzo dici. Tanto lo sai che sarò sempre qui se hai bisogno. E’ invitabile mi sa.
Qui, l’unico che dipende veramente dall’altro, sono io.

Scusa per l’ora di risposta, ma sono appena tornato da Zurigo e in aereo non mi facevano tenere internet. Ero così vicino al confine italiano…che per un attimo ho pensato: “Vado a trovarla” …
A questo punto, mi piacerebbe davvero incontrarti. Anche solo per tirarti i capelli (ricordi? Mpf) !

(…) Vabbè, vabbè. Buonanotte piccola (rompi palle).
A domani.

In un altro mondo e un’altra vita ti farò sapere che mi sono affezionato anch’io. Ma solo quando Bill intonerà Rihanna. Ovvero mai.

Tom”


…Rileggendo quell’ultima mail –Dopo ben quattro mesi di corrispondenza- in me cominciò a nascere un orribile sospetto che sperai su Dio non corrispondesse a realtà…perché se solo io avessi avuto ragione…
…tutto sarebbe finito molto male. E non per me.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Scusate se non ho aggiornato per tempo, ma sono andata a Roma e Milano e non ho avuto tempo di scrivere

Scusate se non ho aggiornato per tempo, ma sono andata a Roma e Milano e non ho avuto tempo di scrivere...poi l'ispirazione mancava, il romanzo mi sta succhiando la vita e...
...ecco il risultato.

Depressione time?
Fatemi sapere.

_________________

Mi alzai in fretta e furia, e ancora con gli occhi impastati dal sonno barcollai verso il mio computer accendendolo velocemente con il solito calcio alla chuck norris che mi sbilanciò a tal punto da farmi cadere all’indietro, sul parquet color mogano della mia cameretta.
Scossi la testa, esasperata, e stropicciandomi gli occhi cominciai a tastare alla cieca sia per terra che sulla scrivania alla ricerca dei miei occhiali rosa. Ovviamente trovai tutto (compreso l’osso di manzo che il mio cane doveva aver tentato di seppellire sotto il mio letto), ma dei miei occhiali nessuna traccia…così dovetti attendere che i miei tergicristalli naturali si attivassero, eliminando gli ultimi residui di sonno e permettendomi di mettere a fuoco giusto quel poco che mi serviva per connettermi ad internet e vedere le mie e-mail.
Era il 20 di Maggio e io, scrittrice in erba sull’onda del successo, continuavo ogni giorno ad alzarmi alle cinque del mattino per vedere se la mia casella di posta elettronica segnalava una o due mail in più…chiaramente per la gioia della mia manager che non sapeva più quale tipologia di cerone consigliare alla truccatrice in vista di un servizio fotografico, un’intervista o una sessione di autografi.
Non mi aspettavo che qualcuno mi capisse o accettasse quantomeno quella sorta di abitudine davvero discutibile, ero infondo la prima a rendermi conto che il dipendere in modo così spasmodico da una mail stupida e da quella frase finale –ormai un rito- del “Ti voglio bene piccolina” …era una vera idiozia. Tuttavia, per quanto io stessa desiderassi infrangere quella sorta di piacevole prigionia, ogni mattina il mio orologio biologico suonava e io mi alzavo…ogni volta stupendomi di come ero riuscita a correggere incredibilmente il mio sfasato tempismo interiore.
Era inevitabile, e lo sapevo io come lo sapeva colui a cui ogni giorno rispondevo con tanta pazienza…poiché era indubbio che a capire quella specie di ansia pre-lettura era solo e solamente lui…

Home – Log In – Posta in Arrivo – …Tk.

Mi accorsi di sorridere come una cogliona solamente quando i muscoli del mio viso mi segnalarono allarmati una paresi facciale ormai permanente; e io –al solito- non potei fare a meno di portarmi le mani al volto, cercando invano di calmare quella sorta di euforia idiota…un’euforia che, ne ero sicura, non mi avrebbe abbandonato sino al momento in cui non avrei inviato la mia ennesima risposta.
…Il punto non era che io stavo chattando con Tom Kaulitz, famoso chitarrista geniale dei Tokio Hotel –band tedesca di fama ormai mondiale; né tanto meno l’affetto ormai disarmante che lasciava dipendere tanto me da lui, quanto lui da me…
Il punto era proprio un altro: Io stavo parlando con un ragazzo che avevo imparato a scoprire nel corso del tempo. Un giovane uomo che, dopo i primi scontri d’egocentrismo iniziale, mi aveva cominciato a rendere partecipe della sua vita…della sua gioia e del suo dolore, delle sue vittorie e delle sue sconfitte…e lo aveva fatto in modo tanto umano e sensibile, in modo così delicato e bisognoso d’affetto…che io, senza nemmeno rendermene conto, ero arrivata a soffrire quanto se non più di lui per un litigio che lo teneva distante dal fratello o dalla madre; o a ridere come una babbea davanti allo schermo del computer nel leggere l’ironia con cui aveva conquistato ulteriormente i suoi fans tedeschi…
La mia euforia nasceva tutto da questa piccola scoperta. Da questa MIA piccola scoperta…
Inspirai a fondo, e con delicatezza –quasi temessi la mail potesse svanire davanti ai miei occhi- cliccai sul nickname del mio mittente, andando ad aprire la lettera virtuale che avevo atteso per tutta una notte.

20 Maggio 2007
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~

E-Mail:


“Buongiorno piccola, come stai oggi? Spero per te che, quando leggerai queste poche righe, non siano le cinque…ti ho già ripetuto che non ti voglio sentire stanca per causa mia.
Non farmi incazzare come sempre su.

Io sono all’aereoporto con gli altri, stiamo aspettando il privè per Nizza…ma stavolta l’ho vinta io con Bill (Che mi dice di rammentarti che ti odia e ti chiederà i risarcimenti di non so cosa) e sono riuscito a connettermi con il suo portatile. E’ ancora buio pesto e io ho un sonno del diavolo…perché ci hanno dovuto mettere quegli impegni alle otto del mattino?
Nel senso, può anche andar bene eh…ma allora perché non siamo partiti ieri per la Francia?
Io ho sonno.
Mi spieghi come fai te ad alzarti alle cinque, andare a scuola e riuscire contemporaneamente a sostenere la tua vita da giovane talento letterario? …Non dirmi che è quel profumo malefico ti prego. Ieri l’ho finito e infatti non ho chiuso occhio maledizione.

(…) Scusami se scrivo con periodi sconnessi, ma…ho già detto che sono stanco, si?
Non ce la faccio davvero più. E’ tutto un tour forzato, tra fans urlanti e isteriche, e impegni di portata sempre crescente. Certe volte mi domando se riuscirò a continuare a sorridere come sempre…ormai mi riesce difficile persino questo.
Bill mi ha detto che è la stanchezza, e che una volta finita l’ultima data una bella dormita di un paio di giorni mi farà tornare il solito di sempre, ma io non so…
…Te che ne pensi? …Cosa dovrei fare?
Beh in ogni caso manca poco ormai. Marsiglia è la penultima…poi il gran finale: Milano.

…Federica, te sai che io sarò su quel palco solo per vedere te, vero? Sai che ho fatto il diavolo a quattro per avere quest’ulteriore opportunità italiana solo per scorgerti tra il pubblico, no?
Ascoltami. So bene che ridi e mi dai del cretino quando ti scrivo queste cose, ma…ti prego, vieni.
Lo giuro su Dio: Non ti chiamerò.
Non ci saranno inviti né bigliettini di ringraziamenti stavolta, ma ti prego, vieni…
L’altra volta sono rimasto come un deficiente sopra il palco di TRL a cercarti tra il pubblico, e mi è veramente preso male nel capire che non eri venuta per davvero, che le tue parole non erano puttanate ma che veramente non volevi vedermi…
…ma stavolta ti prego, fammi questo piacere.
Ci conosciamo da cinque mesi, me lo merito un favore no?

Prima di rispondere, pensaci un po’.
Farò finta di non vederti…ma devo capacitarmi. Devo rendermi conto se sei finta o no.
Devo capire se questa sorta di miracolo che mi…ci sta capitando…è vero oppure no.

Ora vado. Tra un paio di istanti non rispondo più delle mie azioni.
Se Bill continua a tirarmi i dread giuro che gli do un buon motivo per piangere sulle sue unghie (e dita) spezzate…

Un bacio,
Tom”


…Ingoiai un rantolo sommesso, e prima ancora che potessi fare qualunque altra cosa mi trovai a cancellare il messaggio velocemente, indietreggiando poi dal pc come se questo fosse dotato di vita propria e minacciasse di uccidermi da un momento all’altro.

Che idiozia.
Che scemenza.
Che falsità.
Che…che…

Mi portai le mani tremanti dapprima alla testa e poi al torace, cercando di placare l’iperventilazione che non mi permetteva di respirare: Era un incubo.
Era sicuramente uno scherzo, o qualcosa del genere. Con tutte le volte che gli avevo ripetuto di non parlarmi in quel modo, non poteva essere che uno scherzo…
Deglutii forse troppo rumorosamente, ma dovetti comunque attendere qualche manciata di istanti prima di muovere i primi passi stabili verso la bottiglia d’acqua ferma sulla mia scrivania, cui mi attaccai come un assetato nel deserto. Meno di cinque minuti e avevo prosciugato un litro intero di acqua Levissima (sorgenti di alta quota).
…C’erano probabilmente miliardi di ragazze, in tutta la faccia del pianeta, che avrebbero dato via un rene per essere al mio posto.
C’erano probabilmente miliardi di ragazze, in tutta la faccia del pianeta, che pur di sentirsi coinvolte in un’esperienza simile alla mia, ingombravano il loro computer e i vari siti amatoriali di storielline stupide in cui loro e il loro amatissimo Tom convogliavano a nozze…
…ma io. Io che ero davvero la protagonista di una di quelle storielline stupide. Io che non avevo bisogno di dare via un rene per vivere un’esperienza del genere…
…di cosa avevo paura, precisamente?

Caroline si era messa a piangere come una deficiente quando le avevo raccontato tutto, troppo esausta dal tenermi dentro ogni cosa.
“Si sta innamorando!” mi aveva urlato con voce strozzata, e combattendo contro il mio coma vigile aveva cominciato a scuotermi “…Ti rendi conto?! Si sta innamorando!”

Mi rendo conto? …che domanda è?
Navigavo su internet da quando avevo 13 anni e ormai ne avevo viste e passate di tutti i colori. Le mie esperienze e il mio realismo mi avevano reso una ragazza attenta e scarsamente sognatrice. Sapevo quello che era possibile e quello che, invece, non lo era assolutamente.
Che Tom Kaulitz si innamorasse di me, o io di lui, era una di quelle cose che rientravano nella categoria “Impossibile”.
Non credevo nelle storie a distanza Firenze-Arezzo (15 minuti di treno dalla stazione principale del capoluogo toscano), figuriamoci Firenze-Amburgo…
…Quale storia d’amore sarebbe poi mai nata tra una scrittrice e un musicista?
Una storia venduta a rotocalchi famosi. Privaci inesistente. Panico ad ogni uscita. Foto scattate di nascosto…
…e ancora: Quale storia sarebbe potuta nascere tra due persone che non si erano mai conosciute di persona, che non si erano mai potuti scambiare nemmeno i numeri di telefono per sicurezza, e che avevano potuto sentire le rispettive voci solo in qualche intervista online?
Era una follia.
Una minchiata nella quale io non sarei stata coinvolta.
E va bene, ormai sembrava essere troppo tardi anche per me…perché infondo non potevo nasconderlo, aspettavo ogni sua email con una trepidazione tale da farmi paura, e le emozioni che riusciva a trasmettermi erano diventate indispensabili per me come il sangue che scorre nelle vene.
Ma ora basta.
Sarebbe finito tutto male…e non per me.
Mentre io ero sicura sarei potuta benissimo sopravvivere…lui ce l’avrebbe fatta?
Forse non dovevo issarmi su di un podio del genere. Forse non dovevo credermi tanto importante. Forse dovevo semplicemente finirla, io e il mio egocentrismo…
…ma se era vero ciò che mi aveva detto. Se era vero che a quelle tre persone indispensabili per lui se n’era aggiunta una quarta, e quella quarta ero davvero io…ce l’avrebbe fatta?
Chiusi gli occhi, e mi stupii di sentire l’orologio a pendolo del corridoio suonare nello stesso istante il rintocco delle sei del mattino. A breve si sarebbe alzato mio padre, e allora chi l’avrebbe più sentito? (…) Eccetto tutto il vicinato, chiaramente.
Mi avvicinai nuovamente alla tastiera del mio pc, e effettuai nuovamente l’accesso.
Aprii una nuova e-mail e digitai nello spazio del destinatario quella mail che ormai avevo imparato a memoria.
Stavolta non mi servii nemmeno del dizionario. Le parole erano facili e semplici.
…Le ricordavo tutte con nitidezza.

“Ascoltami te.
Non so cosa tu stia pensando o cosa ti stia passando per la testa, ma spero tu non abbia rimosso quelle parole che avevo digitato all’inizio di tutta questa epopea virtuale: E’ tutto un gioco.

Lo è ora come lo era prima, e come sicuramente lo sarebbe stato poi.
Disgraziatamente non esisterà un “poi”…

…Io non penso che vada sinceramente bene, Tom, davvero. Sono la prima a spaventarmi per gli urli che caccio quando mi arriva una tua mail e sono sempre io la prima a scoprirmi a fantasticare durante un set fotografico.
Tutto questo è decisamente assurdo, ne sei conscio, si?

Non verrò a Milano perché non ho voglia né tempo.
Non risponderò più alle tue mail perché si.
Non ci sarà più un “Non” da ora in poi.

Sei un ragazzo intelligente, hai capito come funziona.
Quando riuscirò a diventare famosa…
Quando riuscirò a incontrarti di persona. A parlarti come una tua pari. A…a non lo so, abbracciarti normalmente e non tramite fantasticheria virtuale?
Ecco, magari ci sarà un poi.
Ora direi di no.

See You,
Federica”


…e inviai la mail pensando solo agli strilli e I piagnistei di Caroline quando glielo avrei detto.
Se glielo avrei mai detto…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


La risposta arrivò un’ora dopo

La risposta arrivò un’ora dopo. Secca e concisa come l’avevo immaginata.

20 Maggio 2007
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~

E-Mail:


“…Di cos’hai paura, si può sapere?”

(Delete)

Inspirai a fondo, stringendo tra le mani strette a pugno la camicetta bianca con lo stemma della mia scuola, e munendomi di una forza che sull’attimo reputai sovraumana spensi il pc staccando direttamente la spina.
« …Non ho tempo » Sussurrai, nel tentativo di giustificare quella sorta di fuga infantile che non mi voleva dare il coraggio di rispondere a quella mail nonostante il grande anticipo scolastico.
« Non ho tempo » Ripetei come un automa, infilandomi velocemente la divisa senza perdere l’equilibrio nemmeno una volta. Ma per quanto cercassi di concentrarmi sui nastri tra i capelli o il trucco perfetto che ogni giorno preparavo accuratamente in vista di qualche appuntamento o impegno post-scuola, quella sola domanda continuava ad assillarmi e tamburellarmi nelle tempie con una veemenza tale da lasciarmi, in poco tempo, senza parole.

“Di cos’hai paura?”

Scossi leggermente la testa, lasciando ricadere lungo i fianchi le mani che stringevano la matita nera per gli occhi e l’ombretto rosso che ero solita usare la mattina per risaltare la capigliatura flashata, e in un gesto quasi involontario adagiai la fronte allo specchio che avevo di fronte, abbandonandomi ad esso nell’inutile speranza che potesse sorreggermi in qualche modo oltre quello.
…Ma perché?
Tutto quello aveva o meno senso?
Mi guardai allo specchio, arricciando il naso di fronte alla mia carnagione quasi cadaverica e talmente liscia e priva di imperfezioni da farmi sembrare una specie di vampiro dipinto su una tela di seta; e fu proprio in quel momento che la domanda che avevo cercato di non pormi per mesi e mesi, si fece largo nel mio torpore mentale, aggredendomi con tutta la sua forza: Perché io?
Non potevo definirmi una bellezza. Anzi non potevo nemmeno pensarlo.
Ero alta un metro e un citofono (i miei 65cm sembravano arrivare precisi all’ultimo campanello del condominio in cui abitavo per l’appunto) e persino cicciotella, nelle mie forme a clessidra ereditate dalla mamma meridionale. Non c’era nulla di speciale nella mia cascata di liscissimi capelli castani tinti di rosso, o negli occhi di un ipotetico nocciola tanto chiaro da sembrare ambra.
Le labbra scarlatte e le guanciotte perennemente rosee sembravano beffarsi del mio colorito pallido, e ogni giorno mi rammentavano di quanto sembrassi una bambina piuttosto che una diciottenne già fatta e finita.
Agli effetti la nomea di “bambola” che mi portavo dietro da quando ero piccola, era tutta meritata. In me non c’era nulla di ciò che si poteva definire “sexy” o peggio ancora “eccitante” …e va bene, la taglia di reggiseno agli effetti non mi mancava, ma quello poteva bastare per definirmi una donna?
Chiusi gli occhi, sospirando sullo specchio che si appannò immediatamente, e in una forma di ambiguo masochismo cominciai a battere la fronte sul tassello riflettente cui mi ero appoggiata.
Poco importava se la manager avesse perso uno o due anni di vita vedendomi di lì a poco con il viso arrossato.

…Mi sentivo presa in giro, in un certo senso.
“Si sta innamorando!”
“Ti voglio bene piccolina”
“Ci sarò sempre per te”
“…Voglio solo vederti” …vedere COSA?
Il fatto che fossi o meno una sorta di modella era tutto derivato dal successo che stavo riscotendo con il mio romanzo. Se non avessi mai pubblicato, mai nessun fotografo si sarebbe degnato di fare qualche scatto per me.
La mia storia con l’amore e con l’universo maschile era sempre stata complicata. Nella mia mente vigeva l’equivalenza secondo la quale io, essendo un cesso inguardabile, facevo meglio a non avere nessuno accanto e analogamente nessun ragazzo avrebbe mai dovuto avermi vicino. Non ci tenevo a sfigurare nessuno.
Che fosse pertanto proprio il famoso “SEXGOTT” a scrivermi parole e frasi strane dal facile fraintendimento, mi faceva accapponare la pelle.
Non c’era storia.
Se anche…che so, per qualche ragione fossi andata a quel concerto. Avessi comprato il biglietto e fossi andata sotto quel palco…
Se anche nessuno mi avesse detto nulla e io fossi riuscita a prendere tra le mie quelle mani grandi dalle dita affusolate e nerborute…Se anche avessi avuto l’occasione di sfiorare quei dread biondo scuro, e magari…
Scossi la testa, allontanandomi di scatto dallo specchio e riponendo i miei trucchi nell’astuccio rosso in cui ero solita conservali prima di voltarmi e uscire dal bagno con passo spedito, ormai conscia che erano le otto del mattino e che Nicole, la manager, era sicuramente fuori in macchina ad attendermi per portarmi a scuola.
…Non intendevo sfigurare nessuno. Io non volevo sfigurare per prima.
Non sarei mai stata il colorito spento su di un dipinto perfetto. Non io. Non con lui.

Afferrai al volo la mia sacca nera colma di libri e dopo aver preso il dizionario di latino per il compito in classe di quel mattino, schizzai fuori dal portone di quella mia casa ormai vuota…
Buona giornata Tom. Anche te inizi ora no?
In bocca al lupo per l’intervista…

E richiusi delicatamente la pesante porta alle mie spalle, rimanendo in ascolto del consueto “Clock” di sicurezza...


·¨¤ººº¤¨·

La decisione di cancellare la mia casella di posta elettronica la presi qualche settimana dopo, ormai assillata dal pensiero di non poter più nemmeno aprirla senza impazzire per tutte quelle mail che intasavano in numero eccessivo la sezione “posta in arrivo” …
Ogni sua mail, letta forse per auto-punirmi del mio rifiuto o forse semplicemente per curiosità, erano un colpo dritto alla testa, proprio come una freccia che mi trapassava da tempia a tempia, lasciandomi ad agonizzare per minuti se non ore…

30 Maggio 2007
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~

E-Mail:


“…Intendi davvero non rispondermi più?”

No. Assolutamente…

. . .


5 Giugno 2007
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~

E-Mail:


“Federica, il 30 ci sarà il concerto a Milano, conto davvero che tu ci sia…”

Mi spiace. I biglietti sono esauriti e io non ho il mio…

. . .


22 Giugno 2007
Mittente: TK [Gruppo: Tom – Semolino]
Destinatario: Arashi Hime ~

E-Mail:


“ALLORA…SO BENISSIMO CHE NON RISPONDERAI NEMMENO A QUESTA MAIL, MA DOPO BEN 50 TENTATIVI CHE FACCIO, PENSO CHE UN 51ESIMO CI STIA PROPRIO BENE.

Non intendo rinunciare a te.
Spaventati. Urla. Piangi. Cancella ancora una volta questa mail dalla casella di posta in arrivo e dalla tua mente, ma le cose non cambiano: Non ti lascio andare.
Sei una barbie della chicco strana, diversa dalle altre, te con tutte le tue fobie e i tuoi sogni malamente soppressi per il timore che non si avverino. Sei egocentrica e narcisista, testarda e orgogliosa, eccentrica ed esibizionista…sicuramente mi batti in molti di quei campi in cui ormai pensavo di tenere un primato, e proprio per questo mi affascini.
Ti lamenti degli occhiali a fondo di bottiglia, dei capelli troppo lisci, il sorriso sarcastico anche quando lo vorresti dolce, la taglia 40 che non riesci mai a raggiungere o l’altezza da puffo…e anche per questa tua insicurezza, per questa tua esigenza di porre tutto sul fattore “apparenza” per il terrore folle di non essere accettata, mi amali.
E poco importa se sei Italiana. Se sei una scrittrice famosa o una modella “mancata” come dici te…
Poco importa se per vederti dovrò infilarmi i vestiti di mio fratello per non farmi riconoscere, o tagliarmi tutti i dread per la gioia del mio parrucchiere.
Io voglio vederti.
(…) No no, non ti preoccupare. Nessuna dichiarazione.
Non ho mai detto “Ti amo” e non lo dirò sicuramente a te che continui a trattarmi con sufficienza dal giorno del nostro primo sguardo. Non sei te la donna della mia vita (come se ce ne fosse una poi), perciò non ti spaventare…
Niente matrimonio. Niente famiglia. Niente bambini. Niente relazioni stabili…
…perché è di questo che hai paura infondo, no?
Sei proprio come mio fratello, identica. Certe volte mi viene persino da ridere.
Forse se tutta questa corrispondenza l’avessi fatta con lui a quest’ora stringeresti il tuo biglietto tra le dita e attenderesti con trepidazione il 30 di Giugno, estasiata dalle fantasticherie mentali e dai progetti futuri con lui…
…ma ti è toccato parlare con me. Il bifolco. Lo stronzo. Il donnaiolo. Il sarcastico…come mi chiamano? SexGott?
Non so nemmeno che cazzo significa, non capisco un tubo di inglese. Posso solo immaginarlo.

Beh…io non so che fare, sarò sincero.
Non intendo lasciarti andare o dimenticarti, perché non mi è mai capitato di affezionarmi a qualcuno in questo modo e in così poco tempo, tanto meno via mail…però è anche vero che non sono uno predisposto all’attesa.
E io non ti aspetterò in eterno.
Se non intendi venire, ti devo lasciare andare.

Perciò questo è il mio ultimatum: Se al concerto ci sarai, alza un fazzoletto a scacchi bianco e nero. Proprio come quello che ci siamo comprati uguali.
Non importa se non sarai in prima fila. Io saprò che ci sei, e mi basterà questo.
…Ma se non vedrò nulla. Se te non sarai lì…Io chiudo qui.
Sono stanco.
Stanco di tutto.
Forse persino di te…

Tom”


Quella fu l’ultima goccia. Proprio quella che fa traboccare il vaso. Che ti fa mettere a piangere anche sul trucco impeccabile, e che, nel mio caso, mi lasciò cadere in una sorta di alienazione mentale molto simile allo stato comatoso pre-morte.
Quello che mi sconvolse orribilmente, non fu la concezione che ormai era tutto finito –e lo era davvero, perché io non avevo quel biglietto- …ma il fatto che io, agli effetti, non provassi nulla.
Non stavo né male né bene. Non volevo né ridere né piangere. Ero semplicemente ferma in una sorta di limbo che mi impediva di provare emozioni se non l’orribile senso di colpa che mi mangiava lentamente l’animo.

Stava male.
LUI stava male, e io lo sapevo. Lo sentivo.
…Finché a farlo sentire a disagio era suo fratello e i suoi imbarazzanti tentativi di passare dall’uscio della porta di casa senza rimanere incastrato, oppure la madre e le sue esigenze eccessive…
Finché a farlo incazzare erano Georg e Gustav, e le loro continue manie di perfezione assolutamente più allarmanti di quelle di Bill, oppure le chiamate senza risposte di Andreas…
…io potevo anche munirmi della dolcezza e della pazienza che mi toccavano come confidente, e aiutarlo a uscire dalla sua ansia, a ritrovare la serenità…
ma in quel caso, cosa potevo fare?
Ero IO la causa del suo malessere. E non c’erano cazzi: Stava male, perché se così non fosse stato non si sarebbe preso la briga di mandarmi mail ad intervalli regolari di tre ore l’una dall’altra.
E stava male perché…?
Perché ero una cogliona. Perché ero affetta da manie di persecuzione che a 18 anni avrei tecnicamente dovuto aver già sorpassato assieme all’adolescenza. Perché ero orgogliosa e insicura e perché, nonostante me lo avesse detto in tutti i modi che non era così, continuavo a covare il terrore che lui potesse non accettarmi…

Che idiozia. Ero un’egoista e una stronza. Niente storie…ero idiota.

Mi portai le mani alla testa, inspirando a vuoto nel tentativo di riafferrare in extremis l’ultimo slancio di vita che se ne andava…ma alla fine mi arresi, e abbassandomi sulla scrivania mi imposi da lì l’ultimo gesto di fine avventura.
Feci scorrere con una lentezza disarmante il mouse verso le opzioni interne del profilo di posta elettronica, e dopo aver cercato invano per più di dieci minuti l’opzione che desideravo, alla fine vi giunsi più per fortuna che per reale concezione.

“Cancella profilo e-mail”

…cancella?
Chiusi gli occhi, e mi ricordai di quel lontano 30 ottobre dell’anno prima, ferma davanti al palco, sulla parte sinistra dove suonava lui. Il vestito appariscente, il trucco eccentrico e il sorriso divertito ma spaventato nel scrivere quel biglietto “Grazie del pensiero” …che mi aveva regalato molto di più che un flirt di qualche ora…mi aveva regalato un sogno. Il mio sogno. Il nostro sogno.
Avevo imparato il tedesco per lui. Per lui avevo perduto due ore di sonno ogni giorno. E sempre per lui mi ero munita della caparbietà giusta per sfondare come scrittrice in italia e anche all’estero…
“Dove vorresti pubblicare oltre l’Italia?” Domanda di un giornalista curioso, affascinato forse dal dizionario di tedesco che spuntava dalla mia borsa nera di pizzo.
“Germania” Avevo risposto io.
“C’è un motivo particolare?” Mi aveva chiesto di rimando lui, e io a quell’ennesima domanda non avevo potuto far altro che sorridere.
“…E’ una sfida” Avevo sussurrato compiaciuta “…una sfida che mi appresto a vincere. Ripeto, guarda e impara…sto arrivando”
…E lo sguardo perplesso dell’uomo che avevo fermo davanti a me mi aveva fatto scoppiare a ridere...

Furono quelle stesse parole o forse quel click decisivo…
Furono quei ricordi già sbiaditi di un miracolo avariato e i rimpianti stupidi di una diciottenne cretina…
…a farmi piangere come una bimba. Ferma sulla mia scrivania, nel vedere la mia casella di posta elettronica esser cancellata dal data base di Tiscali proprio come era stata creata…piansi lentamente e silenziosamente. Niente gemiti nè singhiozzi.
Mi stupii nel rendermi conto che quello sfogo finale durò meno di qualche minuto...e tutto quello che venne dopo, fu solo un susseguirsi di irregolarità...


“E cenerentola non poté recarsi alla prova della scarpetta. Il principe l’attese invano, e lei alla fine –frustrata dalla disperazione- si accasciò nella sua solitudine, rimpiangendo i bei momenti cui non avrebbe mai più avuto accesso.
Mai più…”


La storia finisce male…ma non per me.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Allora

Allora. Esordisco ringraziando tutti per i commenti che mi lasciate, sono onorata e allo stesso tempo intimorita dall’entusiasmo che mi dimostrate non solo qui al sito, ma anche per email e msn. Sono davvero felice che questa storia vi piaccia.

Volendo rispondere alle critiche che sono state sferrate contro la mia protagonista, definita “sciocca” o “stressante” ribatto con un semplice: “cercate di guardare dai suoi occhi” …mi rendo conto che può risultare difficile, ma se vivete la storia come se Federica foste voi, è chiaro che certe volte vi verrebbe di sbattere il computer al muro xDDDDDDDDDDD …Dovete imparare a capire lei, la sua insicurezza e la sua paura folle di vivere alla giornata. Dovete cercare di comprendere CHI E’ ...

Detto questo rispondo anche alla gentilissima Shine. Ti ringrazio molto per il tuo commento e sono onorata dalle tue parole…purtroppo io non ho Yahoo, ma solo Msn (Disgraziatamente il mio è il pc della chicco e non supporta molti programmi xDDD) …perciò, a meno che io non pecchi di presunzione nel chiederti l’installazione di msn messenger...ci potremmo sempre sentire per mail. La mia è sempre la solita, la trovate tutti nella presentazione della storia. ^^

A tutti gli altri: Ancora grazie per l’entusiasmo.

Vi lascio al decimo capitolo…dove la nostra protagonista è proprio super emo eh X°°°DDDDDDDD

Un bacio ^^ …

Hime.

____________

« …Che cazzo ci fai qui, per curiosità? »
Lo domandai a bruciapelo, allibita e ferma davanti all’uscio del portone d’ingresso di casa mia da cui non riuscivo ad allontanarmi. Ero sicura che lo stupore che sentivo nella mia voce fosse solo la metà di quello che doveva colorarmi i lineamenti del viso pallido e stanco da ore e ore di lavoro ininterrotto, tuttavia non osai indietreggiare o aggiungere altro. Non sarei stata la prima a parlare. Non io.
« Che ingrata… » Mi sentii rispondere, e la voce era divertita. « …Dopo tutte le ore di viaggio che ho fatto mi tratti così!?»
« Ripeto: Che cazzo ci fai qui? » Domandai ancora una volta, con velocità sempre maggiore, e la mia voce era atona, quasi isterica. Cercavo di ricordare qualcosa che evidentemente mi sfuggiva: un perché, una data…qualcosa che avevo evidentemente rimosso dalla mente e che doveva dare una motivazione a quella visita sgradita.
« Che giorno è oggi? » Mi sentii domandare, e il non avere subito una risposta alla mia ansai non poté fare a meno che farmi arricciare il naso, stancamente.
« …Giugno…mmh, 28 mi sembra » Sussurrai incerta, ma dopo aver lanciato uno sguardo al calendario appeso alla porta della cucina annuii più convinta. « Si. 28 Giugno »
« …E te perché non sei a fare shopping sfrenato oppure a piangere stringendo il tuo biglietto? » Altra domanda assurda che mi venne posta. Altra domanda a cui faticai per porre una risposta.
« …forse perché io NON HO quello stramaledetto biglietto? » Replicai con voce impastata, cercando di accennare ad un sorriso paziente…misero tentativo che fallì immediatamente, dipingendo invece sul mio volto una smorfia colma di una rabbia che pensavo di aver ormai totalmente soppresso dal mio animo.
« Ecco. » La voce dell’ospite fermo fuori da casa mia sembrò improvvisamente rassegnata, quasi spazientita. « Lo immaginavo…quanto sei cogliona. »
Rimasi in silenzio, nonostante la presa delle mie dita si stringesse con maggior pressione sull’uscio di legno del portone d’ingresso, e tale rimasi sino a quando il mio inaspettato ospite non sospirò, facendo spallucce e lanciandomi uno sguardo eloquente, come per dirmi che se lo aspettava, che non poteva essere altrimenti…
« Quindi sfuma tutto. Lo stare sotto quel palco…vivere il nostro piccolo sogno insieme…sfuma tutto, è così? » E me lo disse ben conoscendo la risposta. Fu come una specie di piccolo tentativo finale, che chiaramente fallì.
Sorrisi, stavolta stranamente gentilmente, e retrocedendo di qualche passo annuii. « Così pare… » Risposi, per poi abbassare lo sguardo, incerta.
Seguì solo un attimo di silenzio, interrotto solo dal tic convulso delle mie dita sullo stipite della porta, e dal susseguirsi di sospiri colmi di disapprovazione di chi avevo di fronte. Poi, infine, un sospiro più lungo degli altri che lo avevano preceduto, segnò la fine di quell'atmosfera carica di ansia, e io venni destata dal mio stato di catalessi dalla voce del mio ospite.
« …Posso almeno entrare? » Mi sentii chiedere.
« …Mi chiedo dove passeresti la notte se non accettassi di farti sto favore… » Ribattei prontamente io, accennando ad un sorriso stanco.
« Già…sembro esser arrivata proprio a puntino eh? Hai una faccia stravolta Fè… »
« Zitta ed entra Rob. » Sibilai di rimando io, mettendola a tacere quasi offesa da quella sua palese constatazione, e scostandomi di qualche altro passo lasciai libero accesso in casa mia a Roberta e il suo grande trolley grigio…

·¨¤ººº¤¨·

Era una sorta di stranezza. Una specie di feeling ambiguo che mi univa a lei proprio come a Caroline o Natalia. Uno di quei rapporti strani, basati su uno scambio passivo di emozioni tanto intenso e travolgente da farti sapere se la tua amica stava male anche se si trovava a chilometri di distanza da te…
E così, come Roberta era partita con due giorni di anticipo da casa sua –A terni- solo perché sapeva che avevo bisogno di lei…Caroline sarebbe scesa a Firenze da Milano solo e solamente per me, una volta che il concerto avrebbe segnato la sua fine; mentre invece Natalia vi aveva persino rinunciato a quella data, perché sapeva di non potermi…di non volermi lasciare sola.
Quelle tre persone, sapevano. Sapevano di quanto io avessi bisogno di loro in quel momento, e pur non conoscendo i dettagli, pur non sapendo nulla, mi donavano il loro amore senza chiedere niente in cambio e persino non aspettandosi nulla da me…poichè tutte sapevamo di quanta incapacità avessi io, in quel periodo della mia vita, a donare qualcosa al prossimo…
« …Secondo me lavori troppo Fè. Hai gli occhi rossissimi! Ma che è, piangi? » Mi domandò Roberta da sotto la mia scrivania, e io, nel guardarla ciacciare in ogni punto della mia camera, non potei che alzare gli occhi al cielo sospirando.
Era una sua discutibile abitudine. Tutte le volte che veniva in casa mia doveva esplorare ogni antro della mia camera, come se si aspettasse di trovarvi chissà quale strana sorta di segreto non confessabile.
« Macché piangere, Rob. » Replicai io tirandole un calcio sulla caviglia destra e intimandole silenziosamente di uscire dai lanicci di polvere che il mio letto difendeva strenuamente con i denti. « Sempre a dir cazzate te, eh? »
…Ed effettivamente era vero. Era vero che non piangevo, che non stavo male.
Era vero, più che altro, che non stavo. Semplicemente.
Avevo pianto solo una volta, nel cancellare quella mia casella di posta elettronica colma di sogni e desideri…e quell’episodio che ormai non ricordavo quasi più, mi aveva forse privato di ogni sentimento e ogni lacrima. Non stavo male, ma non stavo nemmeno bene.
Continuavo a cullarmi nel mio limbo…il solito limbo colmo di un nulla che spesso mi spaventava.
« Beh. Rinunci al concerto dei Tokio. Vengo a trovarti e ti trovo in stato di coma vigile. Non sorridi… » Sussurrò, e levò lo sguardo verso di me prima di alzarsi in piedi e immobilizzarsi, dritta come un fuso e terribilmente splendida nel suo metro e 80 che invidiavo completamente da anni. Dal giorno del nostro primo incontro. « …Non sorridi più. Da quando sono arrivata non sorridi…perciò si: Io le cazzate cerco di dirle, ma è evidente che il problema è un po’ più grave…Se Miss Sorriso e Ottimismo sta ridotta in sto stato la minchiata che hai fatto stavolta deve essere bella grossa! »
Inarcai un sopracciglio, perplessa dalla sua sicurezza nell’attribuire la mia catalessi comatosa ad un mio errore, ma dopo aver sostenuto il suo sguardo per qualche minuto, alla fine dovetti abbandonare l’intenzione di metterla in crisi anche solo per qualche secondo, e abbassai gli occhi al pavimento, sforzandomi di sorridere.
« E si. Convincente più che altro… » Ironizzò Roberta, mettendosi le mani sui fianchi e passandomi accanto diretta alla libreria alle mie spalle su cui iniziò, ovviamente, a razzolare nell’immediato.
Sollevò tutti i dizionari, spulciò ogni singolo manga, esplorò i DVD e i CD di musica, scostò ogni più piccolo peluche…e quando arrivai all’esasperazione più totale, e mi voltai pronta a vomitarle addosso i peggiori insulti, lei mi guardò raggiante, sorridendo con la bellezza che avevo sempre ammirato.
« Che bello! » Strillò sventolandomi davanti agli occhi un fazzoletto a scacchi dalle punte arrotondate su cui, tempo addietro, avevo premurosamente ricamato sopra il mio nickname: Arashi Hime.
« E’ stracarino Fè! Oddio dove l’hai comprato!? »
Silenzio…
Ero sicura che se la mia visione del mondo, da quel famoso giorno, aveva cominciato a presentarsi alla mia mente con un ritardo spaventoso…in quell’esatto istante la mia concezione della realtà aveva cominciato a marciare all’incontrario. Indietro.
Indietro nel tempo…E io non potevo fare assolutamente nulla per fermare quella sorta di masochismo che era ormai divenuto un rituale per me.
Nulla…

Mittente: Arashi Hime ~ “Ho trovato questo fazzoletto, è carinissimo non trovi? Ti allego una foto!! Io lo adoro! *Love* ”

Mittente: TK ~ “…Fa schifo. Ma che sono, scacchi? Devo cancellare questa foto, ommiodio, potrei diventare cieco! …E’ inguardabile dai, sembra una di quelle bandiere che sventolano alla Formula 1 (…) …e io ODIO la Formula 1, come ben sai…”

Mittente: Arashi Hime ~ “Quanto sei cafone Tom…non lo vedi quanto è carino invece? E dai sforzati! Io vesto sempre a scacchi, li adoro! Lo userò come foulard al collo oppure nel taschino della mia giacca! Sarò carinissima!!”

Mittente: TK ~ “(…) E vabbè, dato che non posso darti ragione su ciò che hai detto altrimenti ti incazzi, mi devo rassegnare…Dovrò comprarmelo uguale. Uff…prima il profumo, ora questo…ti chiederò il risarcimento di tutti questi acquisti…”

Mittente: Arashi Hime ~ “(…) …ma io ci ricamerò sopra il mio nome d’arte, Tom…poi ti toccherà farlo pure a te allora…e io sinceramente non ti ci vedo con ago e filo in mano, sai…?”

Mittente: TK ~ “ECCO! ORA LA CAFONA SEI TE!!! Chi pensi che pulisca la casa e rammendi i calzini quando siamo ad Amburgo!? La domestica no di certo!! …Bill ha le manie di persecuzione e i suoi vestiti non li può toccare nessuno se non lui, io e la mamma…Non so di cosa abbia paura, qualche contaminazione marziana, boh…fatto sta che se gli si buca una camicia sono io quello che si rovina le dita a rammendare, non certo lui. (…) Si sciupa le french sta checca, ti rendi conto!? …”

Socchiusi la bocca, mentre il mio sguardo si perdeva nel vuoto.
“Sta checca” …al tempo, nel leggere quella mail, avevo riso come una sciocca per un abbondante quarto d’ora, ma in quel momento –ricordando solo confusamente quelle parole- in me nacque solo rabbia. Rabbia cieca e orribile. Impossibile da contenere.
« …Posalo… » Ringhiai con una voce che, sul momento, non riconobbi nemmeno come mia. E Roberta non fece in tempo a sussurrare un allibito “Eh?” che io avevo già preso a strillare come una pazza.
« POSALO HO DETTO. COS’E’ NON MI SENTI!? » Urlavo e battevo i piedi scalzi per terra sotto lo sconvolgimento più totale della mia interlocutrice che, quasi spaventata, scaraventò il fazzoletto sul primo ripiano della libreria.
Rabbia. Furia. Ira…
…ma non per il ricordo. Non per lui. Non per me…
Mi rendevo conto che quella sorta di follia nasceva solamente dalla consapevolezza di quanto, infondo, mi mancassero quei pomeriggi passati davanti al computer, tra il dizionario di tedesco e quello di inglese.
Mi mancavano le telefonate al mio maestro di Tedesco e i suoi suggerimenti per armonizzare maggiormente una frase o un periodo che mi lasciavano interdetta.
Mi mancavano le risate e persino i lacrimoni che nascevano nello scorrere velocemente quelle righe che mi venivano inviate ogni sacrosanto giorno. Mi mancava l’ansia pre-lettura. Mi mancava svegliarmi alle cinque. Mi mancava…
il sentirmi importante per qualcuno.
“Ne sono innamorata?” Me lo ero chiesto tante volte da quel giorno, scoprendomi a dondolarmi sui talloni sola in camera mia. Sola in quella casa che come ogni Giugno veniva abbandonata da ogni membro della famiglia eccetto me.
“…Mi piace?” …ma la risposta era sempre una: No.
Non lo amavo. Non mi piaceva.
…Però gli ero affezionata. Ero affezionata al suo affetto. Ero affezionata alla sua disponibilità seppur telematica. Ero affezionata al sentimento dolcissimo che riusciva a trasmettermi, quello secondo il quale io ero davvero importante per qualcuno, un qualcuno che non erano quelle mie tre amiche fidate. Un sentimento che andava ben oltre l’isteria di mia madre, gli impegni di mio padre, o l’imbarazzo adolescenziale di mio fratello…di quella famiglia che mi allontanava, non per orrore, ma semplicemente per abitudine. Nella mia famiglia ognuno viveva la sua vita senza rendere conto all’altro. Ognuno faceva ciò che voleva, quando dove e perché gli pareva…
…Il sapere di preoccupare qualcuno se mi alzavo prima la mattina, o mi sbucciavo un ginocchio. Il sentire l’amore e la premura in poche righe di pc…mi avevano reso dipendente.
Dipendente da lui.
Dipendente da qualcosa che non avrei mai più avuto.
Chiusi gli occhi, portandomi le mani alle tempie, e dopo qualche attimo di silenzio, inspirai a fondo.
« Anzi no… » Ripresi a parlare con ostentata calma, e mi sentii mortificata nel vedere Roberta trasalire nel sentir la mia voce. « …Prendilo. Te lo regalo. »
Se dovevo fare qualcosa. Era meglio farla per bene.
La mia amica mi guardò di sottecchi, esitando con la mano su quel fazzoletto a scacchi che tanto amavo, ma dopo qualche istante cedette alla tentazione, e afferrandolo se lo strinse al petto, sorridendo raggiante.
« …Okay grazie! » Esclamò, con ritrovata allegria « …Che dici, cena e poi nanna? » Lo propose in un sussurro, come se fosse qualcosa di illegale, e io non potei fare a meno che sorridere rassegnata.
« Accordato » Risposi con dolcezza uscendo dalla mia camera.
…Attesi che riponesse il mio fazzoletto nella sua valigia. Che la richiudesse e che si alzasse prima di voltarmi e camminare a passo spedito, con lo sguardo puntato al suolo, verso la cucina.

Se facevo qualcosa…era meglio farla bene.
Bene sul serio.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Se devo essere sincera questo capitolo non mi piace nemmeno un po’

Se devo essere sincera questo capitolo non mi piace nemmeno un po’. Purtroppo sono senza ispirazione (pensate che nn scrivo il mio romanzo da ben due settimane…sono disperata) e con il mal di testa allucinante che mi ha colto d’improvviso, non so nemmeno formulare una frase sensata.

Questo capitolo è scritto diversamente dagli altri –come avrete capito adoro sperimentare- perciò conto in recensioni eloquenti ^^ …

Scusatemi ancora per l’orribile chap. Spero di rifarmi nel prossimo.

Chu.

Hime ~

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Capitolo 11

Poche frasi…
« Fai buon viaggio Rob… »
« Sicuro…Ti racconto quando torno… »

Troppi sentimenti…
« …Certo. Divertiti mi raccomando… »
« Si, non ti preoccupare… »

Un’unica consapevolezza…
« …Riguardati » …E lo dissero insieme, proprio come se l’una leggesse nella mente dell’altra, lì ferme davanti all’uscio di quel portone color mogano ben lucidato, e dalla maniglia di impeccabile bronzo. E nonostante il silenzio che cadde dopo quell’unica raccomandazione –dettata dalla certezza di quanta poca libertà le ali di entrambe avrebbero potuto avere nei giorni seguenti- il tempo continuò a scivolare…

…Tra chi andava…Chi rimaneva…e chi, addirittura, ancora attendeva

·¨¤ººº¤¨·

« …Vaffanculo! »
La voce che infranse il silenzio impeccabile di una stanza color crema, arredata solo di qualche mobile dal legno scadente e dall’oggettistica discutibile, era baritonale e incredibilmente profonda. In quell’unica volgarità si leggeva ansia, disperazione, e un pizzico di rabbia malcelata che –benché il tentativo di placarla o quantomeno trattenerla si rivelò essere lodevole- non poté reprimere un isterico scatto d’ira.
Con un solo fluido gesto, un ragazzo alto –voltato di spalle e immobile se non per quel suo unico movimento repentino- e dai lunghi capelli biondo scuro intrecciati in ciò che sembravano essere rasta sin troppo curati; scaraventò un computer portatile di un brillante nero, sul pavimento color avorio della stanza in cui si trovava, perseverando nella sua ininterrotta serie di insulti e bestemmie.
« …Bene, grazie! » Ringhiò improvvisamente, ma la voce stavolta –e contro ogni aspettativa- sembrò essere colma di un tradito risentimento. « L’hai cancellata davvero eh…PER DAVVERO! » E così dicendo tirò un violento calcio al pc nero fermo davanti ai suoi piedi, che scivolò a sbattere contro il muro opposto della stanza, finendo la sua sana attività elettronica in uno spento “Bip”.
A quel punto cadde il silenzio. Silenzio cullato solo dal battito intermittente delle dita del ragazzo sopra il tavolo su cui, fino a poco prima, sostava il suo computer portatile.

{ Ma se volgi la prospettiva…puoi vedere. Vedere tutto. Vedere chi… }

Gli occhi nocciola dal taglio perfetto erano vuoti, colmi di sentimenti troppo intensi per essere descritti, e nonostante il ragazzo cercasse invano di trattenere un altro improvviso scatto d’ira mordicchiandosi il percing d’acciaio che gli trapassava il labbro sinistro, la sua frustrazione era sin troppo evidente. Tanto palese e tanto travolgente, che nessuno osò rimproverarlo per il suo gesto sconsiderato…nemmeno la figura nera che si delineò alle sue spalle e che rimase immobile sull’uscio della porta d’ingresso a quella stanza in cui lui si cullava solo e silenzioso…
« …Tom? » La voce che lo chiamò era più dolce, e decisamente meno profonda di quella che con tanta brutalità aveva infranto la serenità della camera poco prima.
« Cosa vuoi? »
« …Saki ha detto di chiamarti. Iniziamo tra venti minuti…sicuro di non volerti preparare un altro po’? » Ma a quella domanda non seguì una risposta, e il silenzio che andò a cadere come un sudario su quei due ragazzi immobili nei loro pensieri, creò un attimo di esitazione nell’animo dell’ultimo arrivato, il quale decise tuttavia –in un finale slancio di coraggio- si uscire dalle ombre che nascondevano il suo volto androgino e di una bellezza quasi inquietante, troppo perfetta per essere creduta vera. Si mostrò agli occhi di quell’interlocutore –ancora troppo intento a raccogliere i cocci di una sensibilità che stava scemando in follia- proprio come avrebbe fatto con il pubblico che avrebbe dovuto fronteggiare di lì a qualche minuto.
Sereno. Rilassato. Schifosamente perfetto…
Bill Kaulitz avanzò con passo lento, benché ritmato, verso il fratello gemello dritto come un fuso davanti a lui, e impiegò solo qualche breve falcata per essergli vicino; tuttavia, quando gli fu a un solo passo…quando sapeva di poter toccarlo solo con un lento gesto della mano, di poter apportare sollievo alla sua isteria…rimase immobile.
Nessun sorriso rassicurante comparve in quei lineamenti dolci. Nessuna mano si levò a calmare il fratello. E nessuna parola venne spesa per la sua consolazione. Niente...
« …Che fai, non vieni con noi? » Domandò gentilmente, aggiustandosi la scarpina bianca di seta che teneva al collo per salvaguardare quella sua voce splendida che ancora una volta avrebbe fatto scalpore in una Milano accesa solo per lui. « …al meno cinque ci troviamo tutti nella sala 3, come sempre. »
Era il loro rito. Cinque minuti prima di ogni concerto si trovavano tutti insieme in una stanza vuota e isolata, e in religioso silenzio raccoglievano la forza per affrontare un altro strepitoso successo.
« Ci sono sempre stato, non mancherò certo stavolta » Rispose prontamente l’altro ragazzo, mordendo con più forza del dovuto il suo labbro inferiore, tanto scarlatto, ormai, da sembrare insanguinato.
« Bene. » Rispose Bill educatamente, e senza aggiungere altro si voltò avviandosi verso l’uscio della porta…ma prima che vi arrivasse, prima che potesse varcare quel confine e sparire nei lunghi corridoi che il palasport Milanese aveva messo a disposizione dei famosissimi Tokio Hotel, quel ragazzo il cui nome avrebbe tanto voluto dimenticare –Tom. Tom Kaulitz- si voltò di scatto, richiamando il fratello con un rantolo strozzato.
…E Bill si fermò. Senza dire nulla si immobilizzò, attendendo quella domanda che sapeva gli sarebbe stata posta di lì a poco.
« …Non dici nulla? » Chiese Tom in un sussurro.
« Cosa vorresti che dicessi? » Replicò il fratello con gentilezza.
« Quello che brami dalla voglia di dirmi da mesi… » Ribatté il biondino, stringendo le lunghe dita nerborute alla maglietta con troppe X.
« Ah… » Sospirò Bill, e la sua voce apparve rassegnata, quasi ironica. « Beh si… » Aggiunse enigmatico prima di voltarsi e lanciare uno sguardo divertito al fratello fermo davanti a lui, a poca distanza. « …Te l’avevo detto. Idiota. »
…E così dicendo si voltò ancora una volta, per poi sparire agli occhi del gemello silenzioso, ma anch’esso cullato da un sorriso indecifrabile…

“E’ inutile che la lusinghi.
E’ inutili che la cerchi.

Non c’è storia Tom.

(…) Non ti importa? Allora fa come vuoi, ma quando accadrà quel che ti ho detto…allora riderò. E io ci sarò. Avrò la soddisfazione che cerco.
…Sono disposto ad aspettare per ottenerla”


« Già… » e la voce sfumò nel silenzio…


·¨¤ººº¤¨·

Secondo la critica musicale italiana quel concerto avrebbe riscosso un successo incredibilmente più alto di quello che si era svolto a Ottobre sempre nella grande metropoli milanese. Ad accorrere da tutte le parti della penisola per vedere gli idoli del pop rock giovanile attuale erano più di 105.000 persone. Un numero esorbitante se si pensava ad altri eventi –di portanza culturale sicuramente maggiore- che non avevano accolto più di 50.000 persone in più e più giorni di festival.
I botteghini erano stati presi d’assalto da folle di ragazzine urlanti, e contro ogni aspettativa a richiedere il biglietto d’ingresso per il concerto dei Tokio Hotel –tour 2008- c’erano state anche madri di famiglia o impresari impegnati.
Era come se la bomba ad orologeria con cui i giornali di tutta Italia avevano identificato la band made in Germany fosse finalmente scoppiata, donando a quei quattro ragazzi poco più che diciannovenni un successo sin troppo travolgente…

« ...Abbiamo la prima fila » Ripeté con le lacrime agli occhi una ragazza alta e dai capelli castani raccolti in una coda di cavallo ben curata, che risaltava ogni lineamento scolpito e il colorito perlaceo di quegli occhi impeccabilmente truccati.
« Si, roberta, lo hai già detto. » Ribatté stancamente la compagna che le stava accanto, una ragazza di poco più bassa, ma incredibilmente splendida nei suoi lineamenti meridionali che le conferivano una bellezza tipica dell’isola siciliana da cui veniva. « …proprio perché siamo in prima fila, potevi vestirti meglio. »
« Senti chi parla! » Ringhiò prontamente Roberta –punta nell’orgoglio- scoccando un’occhiata fulminante alla sua interlocutrice. « Te che sembri un confetto! Da dove esce tutto sto rosso, eh Caroline!? »
« Ma il rosso è fashion » Disse convinta la ragazza una manciata di secondi più tardi, annuendo e chiudendo gli occhi come a voler sottolineare il suo disappunto per quella critica immotivata. « …molto meglio che i tuoi scacchi. Sembri…non lo so...Comunque sei allucinogena Roby…in discoteca faresti un certo scalpore. » E il suo sarcasmo pungente, come sempre, fece perdere le staffe a quella ragazza che dovette imporsi la calma per non metterle le mani al collo.
Era sempre così. Quando mancava una del quartetto scoppiava il caos…e se ciò accadeva nella normalità, quando qualcuna del gruppo presentava anche un leggero malessere, allora il panico era totale e permanente.
In quel caso, davvero sconvolgente.
« …come sta? » Chiese Roberta, riacquistata la calma, non appena vide Caroline estrarre per l’ennesima volta il cellulare dalla tasca dei jeans.
« Tutto ok » Rispose la mora, scorrendo velocemente l’sms che evidentemente le era arrivato. « …va a dormire ora con Natalia. Dice che è stanchissima…»
« Ma sono appena le 21 ! da quanto lei è stanca alle 21? » Esclamò sconvolta Roberta, portandosi entrambe le mani alla bocca.
« …Evidentemente da ora, non saprei (…) ma che cazzo di domande mi fai!? » Ringhiò in un improvviso scatto d’ansia che si riversò sulla sua interlocutrice sotto forma di immotivata rabbia.
…E subito riscattò la rissa. L’una che derideva l’altra. L’altra che infamava l’una.
Uno. Dieci. Venti minuti…poi, finalmente, le luci del palasport milanese si spensero, e poco ci volle perché un violento accordo di chitarra –quasi rabbioso, isterico, represso- colmò ogni singolo cuore, risvegliando dal torpore dell’attesa tutte le persone accalcate e ferme ad attendere quell’inizio che accolsero con urla agghiaccianti.
A quella chitarra si aggiunse presto un basso e una batteria, suonati entrambi con incantevole maestria, ma come sempre fu solo quando la voce magica di quel vocalist affascinante si fece udire dalle immense casse acustiche poste nei quattro lati che il luogo del concerto offriva, che si alzò il vero e proprio delirio.
Le luci si accesero, e Bill Kaulitz saltò sopra il palco dai retroscena abilmente mascherati. Bellissimo come sempre, misterioso come non mai.
Sogno impossibile di milioni di ragazze…
« ODDIO E’ BILL! ODDIO E’ BILL! ODDIO…»
« …E’ BILL! » Riprese Caroline agguantando involontariamente le mani di Roberta che continuava a strillare istericamente con le lacrime agli occhi da quando il suo amore –il suo idolo- aveva fatto la sua prima apparizione. E sembrava che quell’unico ragazzo fosse bastato per colmare l’incompatibilità che tra loro. Sembrava che bastasse solo la sua voce per riavvicinarle proprio come sempre…
Mille cori si erano alzati immediatamente non appena la prima canzone –La famosa “Monsoon” che aveva consacrato il gruppo al pubblico italiano- aveva preso ad essere intonata dal vocalist, e con essi miliardi di cartelloni e accendini. Troppi pianti o troppe risate.
Era tutto un grande connubio di gioia, euforia e impressione...
« ODDIO CAROLINE! » Strillò improvvisamente Roberta strattonando l’amica con forza, cercando di farsi sentire nonostante la confusione. Ma ovviamente l’altra dovette cimentarsi in una discutibile lettura delle labbra per capire le parole dell’interlocutrice. « CHIAMALO! CHIAMA BILL! EDDAI! »
« SI CERTO! » Urlò di rimando l’altra, tentando di trattenere a stento le lacrime che era solita versare ad ogni concerto. « PIU’ CHE ALTRO MI SENTE, EH! »
Ma il “cosa?!” (puramente interpretato) che Roberta le vomitò addosso, le fece perdere ogni speranza. Conosceva quella ragazza, lei e la sua testardaggine, lei e la sua venerazione spaventosa nei confronti di quel cantante suo coetaneo…e se aveva detto “Chiamalo Caroline” …la frase poteva essere benissimo letta in altra chiave, quale: “Chiamalo immediatamente o quando usciremo me la pagherai” …Come se per lei fosse più semplice attirare l’attenzione di quel ragazzo che continuava a ballare senza sosta, saltellando come un deficiente su un palco colmo di ogni sorta di pericolo.
« CAROLINEE! » Ululò rabbiosa Roberta, scoppiando in lacrime per l’ennesima volta, e lei –dal basso del suo altruismo portato agli estremi- non riuscì a voltare la testa dall’altra parte.
Doveva chiamarlo. Roberta, infondo, doveva pur dargli…
Lanciò un occhiata all’amica accanto a sé che, piangendo come una disperata, stringeva tra le mani una specie di cencino color sabbia che avrebbe dovuto spacciarsi per un successore di Teddy (oggetto d’antiquariato dell’infanzia Kaulitz tragicamente deceduto in un viaggio in Spagna).
Sospirò, conscia che tanto nessuno l’avrebbe mai sentita, e improvvisamente carica di una sorta di discutibile coraggio, strappò dalle mani di Roberta l’orsacchiottino reduce dalla guerra tra ago e filo, e cominciò a sventolarlo urlando il nome di Bill.
Chiaramente, tra 105.000 persone, il vocalist non la degnò nemmeno di uno sguardo…
« COSI’ CI RIUSCIVO PURE IO LO SAI!? » Urlò Roberta quasi sputando in faccia a quella povera disgraziata che per un attimo ebbe la tentazione di rimpinzare l’interlocutrice con il laniccio del suo orribile mostriciattolo di creazione casalinga.
« ZITTA IDIOTA! » Scoppiò dopo qualche istante, in un ultimo slanciò di bontà che le evitò di compiere il disastro. « NON E’ SEMPLICE SAI!? » …ma sapeva che nonostante tutto non si sarebbe arresa. Infondo ci teneva più di lei a sentirsi gli occhi di Bill addosso.
Scoccò un’occhiata disperata a Roberta, immobile e in lacrime, già senza voce per quelle continue urla che aveva protratto dall’inizio del concerto, e bastarono solo una manciata di secondi prima che il suo sguardo si soffermasse sulla cintura di lei: un foulard a scacchi che sarebbe stato graziosissimo se ben piegato e non raggrinzito a quel modo.
« DAMMI QUELLA! » Urlò allora Caroline, raggiante, e senza nemmeno aspettare il rituale “Eh?” dell’amica, allungò l’unica mano che poteva muovere liberamente in quella calca, afferrando il foulard e sfilandolo con un gesto secco e repentino dopo aver sciolto il nodo che lo bloccava in vita.
« MA CHE FAI CAROLINE!? » Sibilò l’altra, stupita dal vedersi portare via l’unico sostegno che impediva ai suoi pantaloncini tutti fasciati di non cadere, lasciandola in perizoma.
« CHIAMO BILL OVVIAMENTE! » Replicò l’altra in uno strillo, e stirando sull’inferriata davanti a sé il grande fazzoletto a scacchi, lo legò al collo dell’orsacchiotto color sabbia, che sollevò immediatamente verso l’alto, cominciando a scuoterlo come una matta.
…Era sicura che, in tutta quell’unica calca nera, quel fazzolettino bianco e nero avrebbe in qualche modo attirato l’attenzione…

“…Mi raccomando divertitevi. Io vado a dormire subito…Nat vede il concerto su MTV ma a me non va…lo registra però, così casomai lo guardo domani…conto di vedervi tra il pubblico eh…”

« COSA?! » Strillò Roberta, sbattendo gli occhi più e più volte, allibita.
« NEI BACKSTAGE! » Ripeté un uomo alto e incravattato, ben fasciato nel suo completo bianco e nero, e terribilmente inquietante con quell’auricolare di ferro che gli usciva dall’orecchio sinistro e su cui –come un tic- continuava a picchiettarci sopra un dito.
Roberta si voltò a Caroline, sconvolta, e prima ancora che l’amica avesse il tempo di esclamare qualsiasi cosa, la ragazza sorrise, iniziando nuovamente a piangere come una sciocca.
« Non so cosa avrebbe fatto lei… » Urlò con voce che andava via via spegnendosi. « …ma so cosa farò io! »
E afferrando le spalle della guardia vestita in nero, si fece sollevare dalla calca di gente assieme all’amica inebetita.
…Le guardie le portarono praticamente via in braccio…

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


ATTENZIONE

ATTENZIONE! NOTIZIA DI SERVIZIO!

…Mi dispiace ma purtroppo da domani devo cominciare a dedicarmi seriamente al mio romanzo, perché la manager mi sta assassinando di minacce, pertanto aggiornerò molto in ritardo. Per questo motivo ho scritto il nuovo capitolo, giusto per sentirmi con l'anima in pace X°D
E' cortissimo, me ne rendo conto, ma spero possa comunque piacervi.

Chu ^^

Hime

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Capitolo 12

Entrò in camera con una velocità e una foga tale che la porta, sbattendo contro il muro su cui era articolata, si richiuse velocemente sulla faccia di quel ragazzo che ancora impugnava la sua Gibson nera metallizzata tra le mani; e quell’imprevisto decisamente doloroso non poté impedire a Tom Kaulitz di urlare qualche bestemmia in tedesco, dando un forte pugno alla porta bianca, ormai scardinata, che pigolando si aprì lentamente, andando a mostrarlo in tutta la sua alta...idiozia.
« …Te lo immaginavi così deficiente te? » Domandò una Roberta allibita ad una Caroline ferma in coma vigile accanto a lei, e questa –cercando di placare la sua iperventilazione- scosse velocemente la testa a destra e a manca, nel vano tentativo di comunicare una frase di senso compiuto che Roberta si rassegnò ben presto a capire.
Lei –almeno lei- aveva ritrovato la calma durante la mezzora nella quale aveva aspettato la band nei backstage. Aveva avuto tutto il tempo di aggiustarsi il trucco, sistemarsi i pantaloni, il reggiseno, e assumere una dose letale di calmanti rubati alla nonna in ospizio (ospite lì per chissà quale motivo, o vizio…); quando perciò il chitarrista entrò nella stanza con il suo solito passo cadenzato e –contro ogni previsione- un'espressione quasi imbarazzata, non si abbandonò a nessun piagnisteo né urlo…al contrario di caroline, che pur mantenendo una certa compostezza, non faceva che darsi pizzicotti al braccio ormai livido, in un masochistico gesto di ricerca della calma.
« …Hallo. » Esordì dopo qualche istante, scoccando un’occhiata a quel Tom che non le aveva nemmeno degnate di uno sguardo e che continuava invece a guardarsi attorno, lanciando occhiate nei posti più impensabili, come si aspettasse che da un momento all’altro saltasse fuori qualcuno che con un urlo agghiacciante potesse togliergli l’ultimo respiro di vita post-concerto.
Sorrise, la ragazza, ascoltando la sua pronuncia tedesca di cui andava decisamente fiera, e con il cuore pieno di riconoscenza, ringraziò silenziosamente Federica e la sua innata capacità di farla appassionare a qualunque cosa: Persino ad un noiosissimo corso di tedesco che aveva iniziato improvvisamente qualche mese fa, per non si era ancora capito quale illuminazione divina.
Tom, nell'udire quel saluto cordiale, alzò lo sguardo, e i suoi occhi color nocciola così profondi e carichi d’attesa, si puntarono solo per qualche istante sul volto di Roberta.
Un sorriso stentato, un veloce gesto della mano –quasi di liquidazione- e poi il suo sguardo tornò a vagare per la stanza. Sembrava un'anima in pena.
Si voltò, e dopo un attimo di esitazione uscì sull’uscio della porta, guardando ai lati di questa con espressione imperturbabile. Non si vergognò neppure di controllare dietro il drappo di velluto rosso che celava l'entrata alla sala degli strumenti musicali, quasi la sua fosse una caccia al tesoro. Una sorta di spasmodica ricerca di un qualcosa che ancora tutti dovevano capire cosa fosse.
« …E’ pazzo. » Sussurrò Roberta, aprendo la bocca sconvolta. « Oppure si è fatto una pista. Non c’è verso. »
« Zitta cogliona! » La rimproverò immediatamente Caroline, pestandole un piede, ma quando l’amica si voltò verso di lei, già pronta a vomitarle in faccia gli insulti peggiori della regione laziale, gli occhioni colmi di lacrime che si ritrovò a fronteggiare le fecero morire in bocca ogni parola e intenzione.
« …Beh, non capisce l’italiano, perciò… » Replicò allora, tentando di abbozzare un sorriso tirato per sdrammatizzare, ma il risultato che ottenne fu molto peggiore. Caroline ebbe un fremito e poi un singulto, e immediatamente si aggrappò a Roberta con sguardo colmo di panico.
Lei non parlava un tubo di tedesco. E se l’inglese non era il forte del chitarrista…
Esasperata, la ragazza alzò gli occhi al cielo, e mettendosi le mani ai fianchi -com’era solita fare quando qualcosa cominciava a irritarla-, cominciò pazientemente ad aspettare che Tom Kaulitz facesse un movimento. Un gesto. Un qualcosa…non poteva certo aggredirlo, non lei che puntava (come ogni donna del resto) al fratello gemello.
…Ma Roberta non era famosa per la sua pazienza e disponibilità, e dopo ben cinque minuti trascorsi a osservare il chitarrista ringhiare frasi in tedesco di cui capiva solo vagamente il senso (maledetto dialetto!) a chiunque passasse di lì, sbatté violentemente un piede a terra, cercando di richiamare l’attenzione di quell’elemento che tecnicamente le aveva invitate nei backstage. Perchè era lui che le aveva chiamate. Che sapesse nessun'altro membro del gruppo era dedito alle sveltine post concerto...se non forse Georg, ma sperò vivamente di sbagliarsi.
« …Ehi » Esclamò spazientita, e il risentimento nella sua voce era più che ovvio.
Effettivamente non se lo immaginava così il famoso SEXGOTT …aveva pensato che, una volta aperta la porta, gli sarebbe direttamente saltato addosso, o avrebbe quantomeno usato chissà quale tecnica ninja per trasformare le mani in tentacoli lunghi e orribilmente eccitanti (ahimè) con cui avrebbe potuto giocare in mille e più modi...Ma vederlo lì immobile, sudato e stanco, con la sua chitarra elettrica stretta in una mano e l’altra intenta a impartire ordini al suo staff…
Beh. Non era come se lo immaginava.
« Ehi! » Ripeté con un tono di voce più alto di un’ottava, e cercando di sperimentare tutte le sue lezioni di tedesco, prese un forte respiro prima di iniziare a sciorinare le peggiori minacce che conosceva –sotto lo sconvolgimento di Caroline che, accecata dal panico, continuava a sfogliare istericamente il dizionario che si era portata in borsa per sicurezza (???).
« Sei tedesco e famoso, ma ciò non ti dà il privilegio di essere maleducato! » Ringhiò Roberta puntandogli un dito contro. « Visto che non intendi nemmeno farci l’autografo togliti dai piedi e fammi vedere tuo fratello Bill. E’ lui che mi interessa! »
E nel dire quella frase Caroline si voltò a fissarla inebetita. “Bill” l’aveva capito, almeno quello...!
Tom le scoccò un’occhiata in silenzio, e dopo essersi fermato per qualche attimo, non poté che sorridere. I suoi occhi nocciola si socchiusero a illuminargli i lineamenti dolci e perfetti, che non cedettero alla rassegnazione o all'abitudine nemmeno quando le due ragazze che si trovava davanti si strozzarono in simultanea con uno di quei rantoli tanto simili a quelli pre-morte...
Troppo affascinante. Troppo. Troppo, schifosamente, bello.
« Scusami… » La voce baritonale, profonda e carismatica, riempì la piccola stanza che ospitava le due fan con una gentilezza tale che Caroline e Roberta furono costrette a lasciarsi cullare solo per qualche istante dalle loro fantasticherie (molte delle quali a sfondo erotico, chiaramente) prima di riaprire gli occhi e dedicarsi completamente al chitarrista.
Ancora una volta, fu la castana tutto pepe a parlare. « …Nulla, nulla, non ti preoccupare...Ma bill? » Insistette nel chiedere.
Era nei backstage del concerto live dei Tokio Hotel, e in quel momento poteva essere sincera con se stessa al massimo: Tom non gli interessava.
Non che non lo trovasse bello, anzi, ma quel look urban e quella nomea che si portava dietro e che aveva troppe volte criticato, non le ispiravano nessuna fiducia.
Lei voleva Bill. Il gentile, il bellissimo, il talentuoso, il...
« Ah » Disse Tom, reclinando leggermente la testa di lato, quasi fosse pensieroso « …Bill è a cambiarsi penso » Non sembrava dispiaciuto della preferenza delle due ragazze, ma al contrario quasi sollevato.
Compì qualche passo in avanti, e benché sul suo volto fosse dipinto un sorriso entusiasta, nei suoi occhi si poteva leggere risentimento, rabbia…e un’indecente dose di disperazione.
« Volete l’autografo? » Si curava di parlare lentamente, scandendo bene ogni parola, così che Roberta fosse capace di capire e –all’occorenza- tradurre leggendo sul dizionario; quando perciò capì il senso della domanda, non poté che sorridere emozionata, annuendo e accennando a qualcosa circa il resto del gruppo.
Non aveva intenzione di demordere.
« Georg e Gustav ci metteranno un attimo » Rispose educatamente Tom « …per Bill ci vorrà più tempo invece. Deve curarsi, rifarsi le unghie… » Ma se quella frase era forse nata come un qualcosa di ironico, il tono deprimente con cui venne pronunciata non poté che lasciare basite le due amiche, le quali –in un gesto più forte di loro- si scambiarono un’occhiata eloquente.
« Io gli chiedo che ha » Sussurrò Caroline, godendo del fatto che tanto l’italiano, il suo discutibile interlocutore, non lo capiva.
« Si certo. Usa il tuo impeccabile Birmanico…sicuramente vi capirete » Replicò ironicamente Roberta, e sembrava che per loro due fosse la normalità sfottere uno dei più famosi chitarristi del momento, parlandogli davanti in una lingua che non poteva capire.
Tuttavia lui, incredibilmente, continuava a sorridere, e di tanto in tanto inarcava un sopracciglio, quasi divertito.
« Voglio Bill » Riprese Roberta dopo un attimo, mentre Tom si avvantaggiava nel firmarle il CD che si era portata dietro da casa, sperando in un miracolo che stranamente si era avverato.
« …Eh. » Sussurrò Caroline, e lanciandole un’occhiata abbassò improvvisamente lo sguardo al pavimento.
I suoi occhi dal taglio perfetto si socchiusero, e le mani andarono a stringersi attorno al grazioso abitino rosso che indossava, come se quello fosse un gesto per evitare le lacrime ormai imminenti. « …Io vorrei le altre… » Miagolò con voce rotta « E’ tutto così…stupendo…e loro mancano. »
Stava per piangere, era ovvio. Si rendeva conto che dire una cosa del genere davanti al chitarrista che adorava era una follia e una grandissima forma di maleducazione. Si sarebbe sicuramente potuta sforzare di parlare in inglese, e nonostante tutti sapessero quanto Tom non capisse nulla di quella lingua universale, almeno avrebbe fatto la bella figura di quella che si sforzava di farsi capire…ma le parole le uscivano di bocca senza controllo, come un fiume in piena senza argini a fermarne il corso sembrava un'impresa impossibile.
« …Natalia…mi manca… » Singhiozzò, e arrossì nel vedere quel ragazzo che aveva davanti scoccarle un’occhiata perplessa. « …E…e Hime chissà come sta… »
« Who? » Domandò Roberta, cercando di far fare LEI una figura decente all’amica.
Al solito, non si era mai abituata ai nomignoli che vigevano tra Caroline e la giovanissima scrittrice…Nomignoli nati da un affetto profondo, forse incomprensibile agli occhi delle altre due.
« Hime… » Ripeté Caroline, tirando su con il naso « …Federica… »

“…Ehi Carol, com’è?
La Fede già dorme, è qui accanto a me. Continua a mugolare nel sonno, è quasi inquietante…Voi quando partite? Domani? Io sono un po’ tanto preoccupata…
Siete già fuori il palasport? Com’è andato il concerto?

Fatemi uno squillo quando potete, devo aggiornarvi circa alcune cose…”


Il CD, accuratamente avvolto in una scatolina brillante e trasparente su cui già spiccava l’autografo di Tom, finì a terra; ma nessuno si curò dei pezzi che volarono da una parte all’altra della stanza, tutti troppo intenti a non farsi trascinare via dal corso degli eventi che sembravano impazzire.
Caroline cacciò un urlo incredibile quando le mani di Tom Kaulitz le afferrarono improvvisamente i polsi, e accecata da un panico improvviso forse dettato dall’imbarazzo o forse, semplicemente, dallo smarrimento; cercò invano di indietreggiare, sotto lo sguardo allibito dell’amica che, superato il primo momento di sconvolgimento, non ebbe remore ad afferrare le braccia del chitarrista, cercando di tirarlo indietro.
...Ma Dio voleva, purtroppo, che il ragazzo fosse molto più muscoloso di ciò che i vestiti maxi X permettevano di constatare…
« Cosa!? » Ringhiò improvvisamente, e se lo spiazzamento per quel gesto repentino era stato tanto, quando Tom fece sfoggio di un italiano quasi impeccabile –se non per la fortissima accentazione tedesca- le due ragazze non poterono che sgranare la bocca, ormai in balia dei pensieri più disparati.
« Cosa hai detto!? » Urlò ancora, mordendosi la lingua dopo aver sbagliato la pronuncia dell’ultima parola.
Caroline, bocca aperta e mani immobilizzate, continuava a fissare il chitarrista geniale fermo davanti a lei, e non le ci volle molto per capire che lui non avrebbe aspettato che lei uscisse dal suo torpore mentale per una risposta.
« ...Detto cosa?! » Esclamò allora prendendo poi a boccheggiare come se le mancasse l’ossigeno; ma chiaramente, quella non era la risposta che il suo interlocutore si aspettava.
Il biondo rimase immobile, continuando a stringere le mani ormai paonazze della sua grande Fan, e fu quando ormai Roberta aveva abbandonato l’idea di tirarlo via da lei –presa coscienza che non aveva brutte intenzioni, infondo...o che semplicemente non riusciva nemmeno a fargli il solletico- e stava già per tradurre tutto nel suo tedesco immaturo, sperando in una svolta della situazione; che Tom socchiuse gli occhi, quasi irritato.
« …Federica? » Ripeté quel nome con calma ostentata, scandendo ogni sillaba difficilmente, ma quando arrivò all’ultima “A” sul suo volto comparve un sorriso, e il suo sguardo si addolcì improvvisamente.
Silenzio.
I secondi che trascorsero da quel preciso istante furono effettivamente pochi, ma visti da troppi punti di vista per essere vissuti come tali…
E così, se da un lato vi era chi non capiva, e chi –nascosto dietro lo stipite di una porta che forse doveva essere chiusa- si abbandonava alla rabbia e alla gelosia, dall'altra i sentimenti che volevano regnare sovrani erano la consapevolezza e un’incredibile stupore.
La certezza che la vita è un cerchio, e che nulla accade per errore.
« …Federica » Disse ancora Caroline, e le lacrime ritornarono a colmarle gli occhi « …Arashi Hime »

“Non si ricorderà di me nemmeno per errore. Mira a portarmi a letto, sicuramente”
“...Ti dispiace Hime? Sei sempre stata te la prima a dire devo scoparmelo …o sbaglio?”
“Caroline…un conto è scoparselo nei tuoi sogni. Un conto è scoparselo per davvero!”
“(…) Si sta innamorando amò…e te non ci puoi fare nulla, perché sei messa peggio di lui. Rassegnati. Ti dà tutto così fastidio e ti sembra tutto così strano, solo perché lui si chiama Kaulitz…

…si ricorderebbe di te anche dopo un’amnesia totale e permanente”


« Si…Si…La mia principessa…dov’è? »

…Dietro lo stipite della porta, lui si voltò, e con passo spedito si allontanò lungo i corridoi del palasport milanese.
Le mani sulle orecchie, gli occhi chiusi, la rabbia cieca dipinta sul volto…

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Caroline impiegò qualche istante a destarsi dalla sua serie di esasperanti e incessanti mancamenti d’aria, ma quando vi riuscì

Caroline impiegò qualche istante a destarsi dalla sua serie di esasperanti e incessanti mancamenti d’aria, ma quando vi riuscì non poté che sorridere calorosamente e con una grandissima dolcezza al ragazzo fermo dinnanzi a lei, che dopo averle lasciato lentamente le mani, era retrocesso solo di un passo –come se volesse in un qualche modo rassicurare la sua interlocutrice circa lo scatto che aveva avuto poco prima e di cui, in un secondo momento, parve persino pentirsi.
« …Principessa » Ripeté Caroline, e sorrise di nuovo. Era effettivamente strano sentire qualcuno oltre lei, riuscire ad interpretare quel nome d’arte di origine giapponese che la sua amica aveva scelto con tanta cura anni e anni addietro:

Arashi ~ Come la tempesta che imperversava nei suoi occhi e nel suo animo. Come la donna travolgente e impossibile da abbattere o fermare che era…
Hime ~ Come la principessa che dimostrava di essere. Silenziosa e riservata, dolce e timida, ma ricca in se stessa di un fascino misterioso, a cui difficilmente si resisteva…

« …Ja » Sussurrò Tom, e abbassò leggermente la testa verso il basso, così che potesse incontrare gli occhi della ragazza con cui stava parlando…o almeno, cercando di farsi capire.
(…) Fu a quel punto, e proprio in quell’attimo, che la stanza smussò i suoi angoli in un cerchio perfetto e accogliente, al cui interno rientravano solamente un chitarrista geniale e una ragazza sognatrice. Non vi era traccia di nessun altro.
Lì dentro, a guardarsi e a condividere un unico pensiero e sentimento, c’erano solo loro due.
« …Non c’è… » Mormorò Caroline, abbassando lo sguardo e distogliendolo da quello del ragazzo che, nell’udire quelle uniche due parole semplici persino per il suo scarso vocabolario, rimase impietrito. « …Lei non c’è » Ripeté con voce strozzata nell’afferrare lo smarrimento del suo interlocutore, e sapeva che nei suoi lineamenti vi avrebbe letto la frustrazione se solo avesse osato alzare lo sguardo.
« Perché? » Chiese improvvisamente Tom, e lo disse tanto velocemente e con una tale rabbia, che il Tedesco fu la prima lingua a cui si appoggiò…
…ma per interpretare lo specchio di un animo stanco, non c’era bisogno di una laurea in lingue, ma solo di comprensione e sensibilità: E Caroline era amata ovunque proprio per quelle sue spiccate doti d’empatia…
« Stava male » Italiano.
« …Male? » Italiano mal compreso.
Tom scosse la testa, quasi perplesso, non riuscendo a capire o forse –semplicemente- non volendo riuscirci.
Caroline lo osservò per qualche istante, in silenzio, e nonostante la notizia che si stava apprestando a spiegare si rendeva conto racchiudere una certezza spiacevole, non poté fare a meno di sorridere davanti a quell’espressione spiazzata e ingenua che non si sarebbe mai aspettata di veder dipinta sul volto del famoso dongiovanni.
Sospirò, e in un gesto quasi involontario, alzò le mani al soffitto, per poi riabbassarle leggermente sulla testa…farle scivolare lungo il collo…e intrecciarle insieme sulla parte sinistra del torace, lì dove le dita vibrarono sotto il tamburellare del suo cuore che sperò con intensità, potesse richiamare a sé quello della talentuosa scrittrice…assopita in un sonno senza sogni.
Silenzio.
Il biondo guardò i gesti della sua interlocutrice senza dire una sola parola, ma quando le mani si fermarono sul cuore, intrecciandosi in una morsa indissolubile, non riuscì a trattenere una smorfia. Di disgusto, di irritazione…o forse solo di semplice preoccupazione.
« …Male » Ripeté allora, abbassando lo sguardo. « …Ah »
Non sapeva cosa dire. Forse, per lui, il solo rimanere lì fermo a parlare, quando aveva appena realizzato qualcosa che non avrebbe voluto nemmeno pensare possibile, era una tortura –pensò Caroline stringendosi lentamente nelle spalle, senza tuttavia distogliere lo sguardo da quello distante di Tom.
Distante, si… Lontano, ma non troppo.
« …Lei… » Riprese in un sussurro, ma subito si interruppe aggrottando le sopracciglia castane. Lo sguardo si levò ancora una volta su Caroline, e lei non poté che ricambiarlo, accennando ad un sorriso non appena capì il problema…
Già…maledetta incomprensione.
« …Roberta? » Chiamò allora, voltandosi, e la stanza tornò quadrata a raccogliere in sé anche quella terza anima sino a quel momento esclusa.
« Dimmi, Caroline » Rispose prontamente lei, e lo sguardo era serio. Come sempre succedeva, l’una capiva l’altra senza nemmeno parlare, ed entrambe –con un solo sguardo- avevano realizzato in cosa dovevano riuscire per sentire di nuovo la risata esagitata di quella testarda e orgogliosa mocciosa in quel momento tanto distante da loro…
Era una pretesa forse egoistica, o forse sin troppo altruistica, ma quando Roberta si voltò verso Tom –immobile ad osservarle- nessuno di questi pensieri affollava la sua mente.
Inspirò a fondo, pronta ad offrire il suo pessimo tedesco come vicolo tra i due ragazzi, ma nel momento stesso in cui aprì la bocca, Tom la interruppe, quasi estasiato da chissà quale ragionamento.
« …Roberta? » Disse, indicando la diretta interessata. « Caroline? » Esclamò poi, facendo altrettanto con la ragazza con cui aveva parlato fino ad un attimo prima, e nella sua voce era più che palese una nota di stupore.
« Si » Rispose l’ultima delle due, guardando il chitarrista quasi stranita « …Siamo noi »
« Oh » Sussurrò prontamente Tom, e sul suo volto sbocciò un sorriso radioso. Uno di quelli che non si vedevano nemmeno nelle foto più splendide, rare e ricercate, che internet metteva a disposizione del popolo virtuale.
« …Federica mi ha parlato molto di voi, nelle nostre email » Aggiunse dopo un attimo, cercando di impostare il timbro di voce e di scegliere accuratamente le parole da dire; ma i tempi vennero comunque sbagliati, e le congiunzioni lasciarono a desiderare…
Chissà da quanto studia l’italiano –Pensò Roberta sorridendo gentile davanti a quell’immaturo tentativo di comunicazione, e subito tese una mano al chitarrista che, prontamente, l’afferrò in una salda stretta di mano.
« Piacere! » E lo dissero in coro, lui in tedesco e lei in italiano, proprio come accade in quelle rare pubblicità contro il razzismo che la televisione offre a orari indecente. Proprio come succede tra tre ragazzi che, stretti in una causa comune, collaborano per la felicità di una sola persona. Una persona che valeva cento e mille di quei sorrisi…se non di tutti, almeno di colui che per tanto tempo sembrava averla attesa...
« Okay » Esclamò Roberta, quando anche Caroline si fu presentata come conveniva, e nel dirlo il suo sguardo si portò su Tom.
« Basta con i convenevoli, ora passiamo al piano d’attacco » Biascicò nel suo tedesco da quattro soldi, e se poco prima la comprensione e la pazienza erano state doti delle due italiane, stavolta fu il turno del chitarrista, il quale –davanti a quegli errori grammaticali da livello elementare- non poté che sorridere.
« …Raccontatemi tutto, per favore » Sussurrò nel suo italiano dalla forte impronta tedesca.
« Sicuramente… » Rispose pronta Caroline, e posando le mani sul divanetto che aveva dietro le spalle, prese un profondo respiro prima di dilungarsi nel racconto di come tutto era iniziato e come tutto, improvvisamente, era mutato.
...E le parole furono tante, forse troppe…
Tra un Italiano sillabato e mal enunciato, e un tedesco dalle incongruenze mediterranee…
Tra sospiri ed espressioni di panico…
Tra sorrisi, e tante aspettative…


·¨¤ººº¤¨·


« …Che stai facendo? » Quella voce dolce e modulata lo colse di sorpresa, facendolo trasalire; tuttavia, quando si voltò verso lo stipite della porta e su di questo vi vide il fratello Bill, fermo e immobile ad osservare ogni singolo movimento che non fosse quello isterico delle sue dita, si tranquillizzò immediatamente, e subito sorrise.
« Parto » Annunciò Tom Kaulitz con un sorriso raggiante dipinto sul viso, prima di voltarsi di nuovo verso la grande sacca da viaggio che teneva appoggiata e aperta sul tavolo davanti a lui.
Era una grande borsa da sport della Nike, colma di ogni sorta di magliette e pantaloni infilati a forza e appallottolati alla bene meglio nei buchi più impensabili. Dai taschini laterali spuntava il portafoglio e un I-pod bianco da chissà quanti giga, mentre proprio accanto alla sacca, accuratamente piegato e stirato, vi era un fazzoletto a scacchi dalle punte smussate e su cui –in un angolo- era stato cucito a mano il nome intero di Tom. Un oggetto importante, ma che non viaggiava solo: Accanto a lui ve ne era infatti un altro. Gli scacchi erano un po’ più piccoli e i colori decisamente più vivi nel loro bianco e nero, ma proprio come la sua copia di fabbricazione, anche quel foulard aveva ricamato un nome vicino la punta smussata nella sinistra.
Arashi. Arashi Hime
« Ah davvero? » Disse Bill, alzando le sopracciglia e fingendosi stupito, benché di stupore, nei suoi lineamenti, non vi fosse traccia. « E…dove vai, di grazia? » Domandò accennando ad un sorriso sin troppo tirato di cui il fratello, per un attimo, si sentì stranamente tradito.
« A Firenze » Rispose Tom, cercando di chiudere a forza la sua sacca da viaggio dopo avervi infilato dentro lo specchio in cui aveva osservato in silenzio i lineamenti stizziti dalla rabbia del gemello.
« …A fare cosa? » Domandò Bill ancora una volta, socchiudendo gli occhi in due fessure.
« Un viaggio » Mormorò di rimando il suo interlocutore, imprecando per quella maledetta zip che continuava a incepparsi tra un calzino e una maglietta duble X
« Con chi? »
« Da solo »
« …Hai una meta particolare? »
« No, assolutamente »
Fu troppo veloce lo scambio di battute tra i due, e troppo intensa l’elettricità che si venne a creare –un istante dopo- in quella stanza dalle pareti color senape e l’arredamento di un orribile mogano graffiato. Il silenzio cadde tra i due, e quell’ennesima manifestazione di incompatibilità non fece altro che preparare i due ad uno dei mille litigi in cui continuavano a cimentarsi –quasi per sport- da quando erano bambini. Fu probabilmente per quel motivo che Tom, non appena il fratello sbatté con violenza un pugno sulla porta prima di richiuderla con un tonfo sordo dietro di sé, non si stupì né si spaventò. Si limitò a voltarsi lentamente verso di lui, in attesa di una parola o di un gesto che potesse dargli il suo turno.
Come era sempre stato da anni…Tanto, in ogni caso, come sempre da anni, tutto si sarebbe risolto.
Risolto presto…
« Da quando mi menti?! » Urlò Bill avanzando come una serpe verso i gemello.
« E da quando te mi guardi in questo modo? » Ribatté Tom, scuro in volto.
« ...Da quando te passi le ore davanti a internet, preferisci rimanere a casa a leggere libri di filosofia piuttosto che venire alle feste, minacci di abbandonare la band se non si aggiunge una tappa al tour e parti senza dire nulla a nessuno…ecco da quando ti guardo così! »
« Bill… » La voce del fratello era quasi sconvolta, e nonostante agli effetti fosse quello il sentimento che terrorizzava l’animo del chitarrista, quando parlò, dalla sua bocca non uscì nè disappunto nè frustrazione, ma solo rabbia liquida e incontenibile.
Una rabbia di cui non si spiegò il motivo...A cui non volle pensare.
« …Ho 18 anni e come non prendo ordini da nostra madre non li prendo nemmeno da te » Ruggì più iracondo che mai per quella mano che si era improvvisamente alzata a spingerlo all’indietro, facendolo sbattere contro il tavolo su cui ancora sostava la sua sacca della Nike.
« …Ah si, povero cucciolo…il RIBELLE deve ancora dare sfoggio della sua grandezza… » Sibilò di rimando Bill, stringendo a pugno la mano sulla maglietta del fratello.
« Togliti di mezzo… » Ringhiò Tom, socchiudendo gli occhi prima di abbassarli lentamente sulle dita del gemello serrate sulla sua maglietta rossa. « …Togliti, mi stanno aspettando… »
« Chi? » Esclamò prontamente Bill, e sul suo volto –contro ogni previsione- nacque un sorriso divertito. « Non andavi da solo? » La voce di serpe, lo sguardo di lince…
« …Ho detto: Togliti . Di . Mezzo » E stavolta il chitarrista ebbe la premura di scandire ogni sillaba e ogni parola, con quel tipo di lentezza che si riserva solo ai diversamente abili o a chi, per le ragioni più varie, si rifiuta di ascoltare o guardare l’andamento del mondo. L’evolversi della vita.
...Ma Bill non si mosse, né si scostò. Stringendo con maggior forza la mano sulla maglietta del fratello, si avvicinò di scatto al suo orecchio sinistro e quando ebbe la sicurezza che le sue parole non si sarebbero disperse al vento, sussurrò una sola e unica frase…
« …Se anche mi togliessi, nessuno sarebbe ad aspettarti… »

Silenzio.

Tom rimase immobile e l'ammutolimento in cui cadde avrebbe quasi destato preoccupazioni tra chi lo conosceva e ne amava la parlantina allegra e inarrestabile…ma in quel caso, e solo in quel caso, probabilmente nessuno avrebbe mosso verso di lui frasi di rito o di disagio.
Nessuno.
« …Qualunque cosa accadrà… » Pronunciò quelle parole con voce spenta, quasi strozzata, mentre il fratello si allontanava da lui, gli lasciava la maglietta e retrocedeva di un solo passo. Come se non volesse perdersi nemmeno una della vasta gamma di stadi di Rabbia, Disperazione e poi Panico che si sarebbero dipinti di lì a pochi istanti sul volto del gemello. « …Dimmi, ti prego, che non l’hai fatto… »
« Saki le ha accompagnate alla stazione, e ha avuto la premura di… » Bill scoccò un’occhiata al suo interlocutore, ma solo quando ebbe la sicurezza che la sua attenzione fosse nuovamente viva, alzò verso di lui una mano in cui stringeva un cencino color sabbia che nemmeno con tanta immaginazione sarebbe mai assomigliato ad un orsacchiotto di pezza: Le zampine una più lunga dell’altra…la testa troppo sproporzionata rispetto al corpicino magro… « …farle salire sul primo –e ultimo, per oggi- treno… »

…Fu a quel punto che un ronzio assordante e orribilmente feroce cominciò a consumare i timpani e le tempie di Tom che, chiudendo per un attimo gli occhi, si portò le mani al volto, esasperato più da quel rumore –che sperò non essere la sua lucidità mentale andare in fiamme- che dal comportamento velenoso del fratello.
Non lo riconosceva più.
Non era possibile. Non era lui. NON POTEVA essere lui.
…Il fratello con cui aveva pianto e riso, che per primo aveva sentito i suoi lineamenti e sfiorato le sue mani…il primo a cui aveva rivelato la prima esperienza o il primo brutto voto.
Il primo. Unico. Insostituibile…fratello gemello.
« Bill… »
« Avremo altri viaggi. La mamma vuole vederti. Noi della band avevamo progettato da tempo il viaggio post-tour 2008 e…e te non puoi abbandonarci. Non puoi abbandonare loro…né me… » Una. Due. Mille giustificazioni
« …Bill… » …E la voce era sopraffatta da un sentimento indecifrabile…
« …Non ti riconosco più, Tom. Stai diventando un’altra persona, ormai guardandoti ho come l’impressione di non vedere più nulla di mio –di nostro- nei tuoi lineamenti e… »
« …Bill dimmi che non l’hai fatto… » Ti prego, dimmi di no…
« …Non intendo perderti per una manipolatrice, una scrittrice da quattro soldi che nessuno leggerà mai, né me, né tanto meno… »
…Ma quella frase non venne conclusa…
Bill venne scaraventato a terra con tanta violenza che quando quella sedia di legno -posta dove non doveva essere- schizzò via a contatto con la sua schiena, il chitarrista non si stupì né si spaventò. Osservò in silenzio il fratello sbattere contro il muro, e rimanere rintontito a scuotere la testa come un automa cercando di richiamare a raccolta quella poca lucidità mentale e quei pochi fasci muscolari che già non piangevano di dolore.
Neppure quando alzò i suoi occhi lucidi cerchiati di kajal nero verso di lui, Tom si scusò o andò in suo soccorso. La distanza tra i due venne azzerata, ma non per l’aiuto o l’amore.
Il chitarrista afferrò il bavero della maglietta scura del fratello, e riportandolo in piedi come se fosse una specie di bambolotto senz'anima, si servì dello stesso pugno di prima per colpire ancora una volta il viso di colui che aveva ormai in suo potere. E ancora. E ancora…
« Dimmi che non l’hai fatto » Ma stavolta la voce era accecata dalla rabbia « DIMMI . CHE . NON . L’HAI . FATTO! »
« Ti rendi conto…di ciò che stai facendo…? » Strisciò Bill, con la bocca impastata di sangue, e quando i suoi occhi nocciola si alzarono a incontrare quelli del fratello, seppe che la risposta era no.
No.
Non si rendeva conto. Non si rendeva conto più di nulla.
…L’amore può portare alla follia…?
« Ti uccido »
« …Si… » Gemette Bill, inspirando a fatica « …Si…può…può… » …E riuscì a dire solo quella frase stentata, a malapena comprensibile, prima di cominciare a tossire più e più volte…forse soffocato dalla mano del fratello sulla sua gola, o forse da quella sorta di orribile panico che cominciava ad aggredirlo con forza sempre crescente.
…Solo in quel momento Tom si allontanò.
Aprendo le dita nerborute, consolidate da anni di arpeggi e allenamenti, lasciò andare il fratello –che cadde a terra come una pezza senza vita né speranza- e senza dire una parola si voltò e compì solo qualche passo prima di fermarsi nuovamente davanti al piccolo divano singolo che la stanza dal pessimo arredamento offriva. Lì, strisciò la mano insanguinata, e si ripulì di quello scarlatto che avrebbe presto cancellato dai suoi ricordi. Dai suoi affetti. Da se stesso.
« …Io il suo libro l’ho letto, bastardo » Mormorò a denti stretti, afferrando la sua borsa e ritornando alla porta d’entrata che aprì con un calcio potente.
Dietro di quella, Gustav e Georg sostavano spaventati assieme a David –il manager.

…Un sorriso e un’indicazione.
Un pianto silenzioso e un muro color senape tinto di rosso…

« …Con tanto affetto dai gemelli Kaulitz »

Un’unica frase, colma di sarcasmo…
…e poi via.

Solo.
Si. Solo.
…Ma a quel punto, poco importava.

_____

Mi scuso con tutte le fan di Bill…disgraziatamente l’impressione che ho di lui è di un grandissimo stronzo ù_ù” …già lo pensavo prima, ma quando l’ho visto di persona allora la tendenza a considerarlo una persona viscida è stata intrattenibile ^^” ...

Spero che questo capitolo vi piaccia.

Io purtroppo con il mio romanzo sono ad un punto morto…sono due settimane che nn riesco ad andare avanti e sono nel panico più puro. Mi manca l’ispirazione.

…Se qualcuno sa e vuole consigliarmi qualche canzone bella, oppure un modo per riportare da me la musa d’apollo, sarò felice di leggere ^^

A presto.

Hime ~

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Chalve ^^

Chalve ^^

Scusate per il ritardo, ma sono impegnatissima in questo periodo! ...ho un sacco di problemi, parte dei quali con il lavoro al romanzo. Ho letto però tutti i vostri consigli, e uno per uno ho provato ad applicarli…proprio in veste di ciò, sono orgogliosa di annunciarvi che la musa sembra essere tornata. Un po’ azzoppata magari, ma c’è xDDDDDDDDDDDD

Perciò grazie ^^ …Grazie di cuore!
Vi farò sapere presto le notizie del libro, vedrete che ce la farò.

Rispondo inoltre a Muny: Cara, sono lusingata dall’attenzione che mi presti –te che sei un’altra giovane scrittrice in erba come me!- e non mi dispiacerebbe renderti partecipe, seppur a grandi linee, della trama del mio progetto di carta e china...però, beh, qui no XD ...a malapena ne parlo in chat (Shine ne è testimone, povera piccola la faccio sempre dannare ^^” ...Scusa!), su un sito aperto online proprio no >_< ...

Casomai mandami un’email. Tanto il mio indirizzo è sempre lo stesso! ^_^

Ringrazio ancora tutti voi. Grazie per la gentilezza e l’attenzione con cui mi seguite, spero che questo nuovo chap (scritto di fretta e con un sonno assurdo addosso) vi piaccia!

Un bacio.

Hime ~

Capitolo 14

Si rese conto di non saper dove andare nel momento stesso in cui l’aria fresca della serata Milanese gli baciò i lineamenti induriti dalla rabbia.
Non sapeva né come muoversi, né come comunicare dato che a stento era riuscito a farsi indicare l’uscita posteriore –sotto lo sconvolgimento delle guardie italiane che continuavano a lanciarsi strane occhiate dubbiose, come a domandarsi per quale motivo un membro della band più acclamata del momento uscisse da solo e di nascosto a tutti come un ratto.
Sospirò, abbassando lo sguardo e si strinse nella sua felpa dell’adidas nera a doppia X prima di guardarsi attorno quasi intimorito.
La stazione. Doveva andare là.
(...) Già, la stazione…ma da che parte? E quanto distava da dove si trovava (nemmeno ricordava come si chiamava il palasport, realizzò un attimo dopo tra un’imprecazione e l’altra) …?
Quella, maledettamente, non era a New York, e non c’erano taxi che si fermavano se alzavi la mano. Nemmeno era la Germania, dove gli sarebbe bastato urlare una qualunque parola per avere schiere di persone pronte a offrirgli i migliori comfort e servizi…
…era l'Italia. L'Italia dei quadri e delle foto. L'Italia del bel paese, pastasciutta e pizza...
...e lui la stava vivendo, per la prima volta, da solo.
Solo.
Solo di notte, esposto a qualunque tipo di aggressione, di pericolo…
Solo senza suo fratello. Solo senza i suoi amici.
Solo senza…
« …Ma vaffanculo » Ringhiò improvvisamente il chitarrista dai capelli biondi roteando gli occhi al cielo e cominciando a mordicchiarsi il percing d’acciaio che gli perforava il labbro inferiore sinistro.
Una, due, cento, mille volte…fino a quando il labbro stesso non protestò, tra minute scariche di dolore e un pessimo sapore di fiele e metallo in bocca…
Male. Molto male Tom. Quando ti riduci così è proprio un brutto segno, eh?
Il ragazzo scosse la testa, sbattendosi una mano sulla fronte imperlata da quel sudore che preannunciava un’estate torrida, e sospirando compì un piccolo passo in avanti –quasi timoroso di ciò in cui si sarebbe potuto imbattere, come se dietro ogni angolo o in ogni sprazzo d’oscurità si nascondesse un orribile mostro pronto a ucciderlo…
(…) Beh si. Effettivamente era un pensiero molto idiota -realizzò, e comprese di star impazzendo.
Stava impazzendo, e non poteva farci nulla.
Gli mancava la sua dose. La sua dose giornaliera, quella che un tempo assumeva tutti i giorni e per la quale aveva riso, si era commosso, si era addirittura...
« Oddio… » Sussurrò improvvisamente Tom, e chiuse gli occhi esasperati dinnanzi quel gatto randagio bianco che schizzava via da un cassonetto aperto –disturbato durante il suo pasto serale.
Infondo, lui era proprio come quel gatto. Aveva sempre amato la compagnia, le belle donne e le feste...poi, improvvisamente, per lui si era aperta una porta.
Una porta bianca. Una porta bellissima.
...e lui non aveva più dovuto rifocillarsi in un cassonetto aperto per pura fortuna.
Era da quella porta che aveva cominciato a trarre sostentamento. Gioia. Dipendenza...
...Ma poi la porta si era chiusa, improvvisamente, brutalmente...troppo velocemente perchè lui si preparasse, o tentasse -probabilmente invano- di abituarsi...
Si era chiusa.
Gli era stato portato via tutto.
...E lui stava impazzendo. Impazzendo. Impazzendo...!
« Mah… » Mormorò, e si sistemò meglio sulla spalla sinistra la tracolla della borsa della Nike colma di una vita in fuga.
Della sua vita in fuga.
« Sai che ti dico…? » Tedesco ovviamente. « …Spero che anche te stia così male. Non mi andrebbe giù di essere il solo… » Brontolò quasi esasperato, e stando attento a mantenersi su una strada affollata –che gli evitasse spiacevoli incontri- cominciò a nascondersi tra i gruppi di imprenditori ubriachi accompagnati dalle prostitute con cui sembravano accompagnarsi quella sera, pur di avanzare.
Pur di avanzare verso la stanzione. Verso il treno. Il treno...
...e mentre camminava, prego in Dio che venisse aspettato.
Che venisse accolto.
Che, infondo, venisse accettato...

·¨¤ººº¤¨·

L' amore è l' origine,
la causa e lo scopo di tutto quanto è grande,
nobile e bello.
Si crede che la bellezza sia la madre dell'amore,
invece è l'amore che crea la bellezza,
è l'amore che dà espressione allo sguardo,
grazia al corpo,
fascino allo spirito,
vibrazione alla voce;
l'amore è il sole che fa sbocciare i fiori dell'anima;
l'amore produce le nobili ambizioni,
l'amore produce il genio.

·¨¤ººº¤¨·

Mi svegliai di soprassalto, strillando come una matta e come raramente mi accadeva di fare; ma non appena i miei occhi si aprirono –e vennero feriti dalla forte luce mattiniera che filtrava dalla finestra accanto al mio letto- mi resi improvvisamente conto di non avere voce. Non ne avevo, non più. Quella poca che filtrava dalle mie corde vocali, e si intonava attorno a me, era rauca, fredda e stonata…una sorta di rantolo, di quelli simili al pre-morte. Di quelli che avevo sentito cacciare solo alle vittime di Samara di The Ring oppure ai prigionieri di The Saw…
…Insomma, qualcosa di decisamente disumano.
Deglutii, ma anche quella –mi resi presto conto- era un’impresa. Sembrava quasi che ogni fibra del mio corpo mi avesse voltato le spalle e, ridendomi in faccia, mi avesse annunciato uno sciopero improvviso e permanente.
Probabilmente, se avessi comandato al mio cervello di comandare ai miei muscoli di comandare alle mie gambe di scendere dal letto, non ci sarebbe riuscito.
(…)
Ommiodio, ma quante diavolo di ripetizioni avevo…
« …AMORE! »
Trasalii, strillando ancora una volta, e non feci in tempo a finire l’analisi grammaticale, logica e sintattica dell’orribile frase che avevo (fortunatamente solo) pensato, che due braccia celate da una camicetta di seta bianca mi cinsero delicatamente, per poi stringermi contro un corpo morbido e profumato: Era uno di quei profumi fortissimi, che non si sentono molto spesso a giro, e che una volta provati puoi amarli oppure odiarli…perché non ci sono vie di mezzo, soprattutto nell’amore e nell’odio.
Sono due di quei sentimenti che ti porti dentro da quando nasci.
Quei sentimenti che rimangono sopiti dentro il tuo animo, -dolcemente racchiusi in uno scrigno d’argento e legno d’ebano-, e che si librano ad estasiarti e stordirti per la prima volta quando meno te lo aspetti. Spesso nei momenti più inopportuni, o peggio ancora quando desideri con tutte le tue forze che quel che hai duramente costruito con il sudore della fatica, non scemi tutto in una grande, unica, irrimediabile follia…
Inspirai a fondo, pur avendo già riconosciuto quella voce e quel caratteristico accento che tanto amavo, e prima ancora di rendermene conto, mi riscoprii a sorridere.
Muschio bianco.
Tipico. Tipico profumo di…
« …Caroline… » Lo sussurrai con voce impastata, e lo sguardo stralunato che aprii sul volto apprensivo e rassicurante della mia sorellona non era un caso. La guardavo come se avessi appena visto la Madonna: Era così bella. Così brillante e materna, così…stranamente, sfocata.
« Hai la congiuntivite amore? » Osservò Caroline, girandosi di scatto e prendendo dalla mia scrivania –distante una tensione di braccio dal mio letto- un fazzoletto della scottex con cui mi asciugò gli occhietti.
(…) E beh si. A quel punto era effettivamente tutto più a fuoco –constatai quasi compiaciuta, come se il merito della scoperta e della risoluzione del problema fosse mio.
« Che ci fai qui? » Miagolai dopo un attimo –cercando di impostare la mia voce troppo simile a un richiamo dell’oltretomba-, osservando ammirata la ragazza seduta al capezzale del mio letto, ma ero sicura di non voler subito una risposta. e lo dissi osservando la ragazza seduta al capezzale del mio letto, ma non mi curai di avere subito una risposta. Probabilmente era il post sveglia a farmi ragionare all’inverso (??), ma avevo come il terrore che una volta che Caroline mi avesse spiegato il motivo della sua visita, si sarebbe immediatamente alzata per andarsene, lasciandomi di nuovo sola…
No, uffa. Non volevo…
« Caroline… » Esordii improvvisamente, già pronta a ringhiarle contro le peggiori minacce per costringerla a rimanere almeno uno o due giorni; ma lei alzò prontamente un braccio verso di me, e prima ancora che avessi il tempo di aggiungere alcunché, mi sollevò la mogliettina del pigiama bianco che indossavo, sfilandomi da sotto l’ascella un termometro della chicco che aveva trovato, chissà dove, nei meandri della cassetta del pronto soccorso di casa mia.
Ero allibita –ed ero sicura che il mio sguardo non potesse che rendere palese ciò che provavo.
…Ma quando diavolo mi aveva messo quel termometro!?
« Ah grazie a Dio…37 gradi…ti è scesa » Sospirò Caroline portandosi una mano al seno e sorridendo sollevata, per poi accarezzarmi dolcemente i capelli.
« …Avevo la febbre? » Domandai di rimando io, ma riuscii a rispondermi da sola un immediato istante dopo, osservando la preoccupazione dipinta sul suo volto sciogliersi in una tranquillità ricercata con la forza.
Si. L’avevo avuta, e anche alta probabilmente…
Abbassai lo sguardo, smarrita, nemmeno ricordandomi quando avevo accusato i primi sintomi di quella che doveva essere un’influenza fuori stagione, quando improvvisamente il mio sguardo cadde su una valigia aperta malamente per terra accanto ad una coperta sgualcita e a un cuscino: un letto mal costruito sul pavimento. A pochi passi dal mio, di letto. Un letto vero. Comodo…
« (…) Oddio… » Soffiai sconvolta, realizzando subito ciò che era avvenuto mentre ero nel mio stato vegetativo. « …oddio, scusami! » E lo dissi urlando, strozzandomi per la troppa aria ingoiata.
Scossi la testa, sconvolta e mortificata, e stavo già provando ad alzarsi quando Caroline mi fermò, adagiandomi una mano sulla testa e costringendomi ancora sotto il mio lenzuolo stellato.
Mi sorrideva come se niente fosse stato, con quella sua pazienza che ormai reputavo santa…e io non potei che lasciarmi coccolare, proprio come una bambina malata fa con la sorella maggiore.
« …Non ti preoccupare, abbiamo fatto dei turni » Mi sussurrò lei, ridacchiando « …anche perché il letto era proprio simbolico. Continuavi a parlare nel sonno, e per chi ti vegliava era impossibile addormentarsi! »
« “Abbiamo” …? » Ripetei io, inarcando un sopracciglio dubbiosa.
« Io e Roberta » Mi rispose Caroline, accennando ad un sorriso « Natalia è stata trascinata via di forza da sua madre, dopo due notti che passava sveglia a farti impacchi sulla fronte. E’ in montagna ora, mi ha detto di avvertirti che non tornerà fino alla fine del mese…Si scusa. »
Beh. C’era poco da scusarsi. La mamma di Natalia era così, non ci si poteva opporre. Io dicevo sempre: Hitler era tedesco, ma Mussolini italiano…e i geni, da qualche parte, dovevano pur esser andati a finire!
« Ah si… » Bofonchiai io, fingendomi offesa « …E…Rob? Dov’è? » Chiesi quasi preoccupata, osservandomi intorno come se mi aspettassi di vedere la mia amica spuntare da sotto il letto strillandomi chissà quale frase incomprensibile (come di solito faceva) per togliermi qualche altro annetto di vita.
« Alla stazione » Rispose Caroline, alzandosi e cominciando a fare ordine tra le stoviglie abbandonate sulla mia scrivania: Piattini di riso non finiti, mele mal sbucciate…
« Alla stazione a fare cosa? » Ribattei io, perplessa. « Sta per partire? » Ed ero già pronta ad alzarmi, vestirmi e correre a salutare la mia Roberta, la mia lovely…
…Ma Caroline non rispose, si girò verso di me, e dopo avermi osservato per qualche istante sorrise quasi mortificata…Un’espressione che non mi piacque. Che non mi era mai piaciuta…E che in me lasciò, inesorabilmente, un orribile senso di smarrimento.
« …Caroline? » Sussurrai, deglutendo lentamente.
« Siamo qui da due giorni, amò…sarà a guardare i treni, non so… » Era vaga. Forse troppo.
« …Quando siete arrivate? Che giorno è oggi? »
« …Oggi siamo il tre di luglio » E nel dirlo abbassò lo sguardo su un cucchiaio incrostato di parmigiano reggiano. Quello che amavo, e di cui saturavo la pasta e le minestrine…
…A quel punto, mi sentii schifosamente tagliata fuori.
Ero certa che qualcosa mi stesse sfuggendo, ma non avrei saputo dire cosa. Ero sicura che c’era qualcosa –che mi riguardava, era più che ovvio- che era successa durante il mio stato di coma vigile, e…e probabilmente, anzi sicuramente, era una cosa brutta. Molto brutta.
« …Cosa diavolo è successo. » Sibilai, e il tono strozzato post febbre che avevo, non fece che partecipare attivamente al clima di minaccia che volevo creare. Ne fui quasi compiaciuta, soprattutto quando vidi Caroline alzare il suo sguardo colmo di panico verso di me, prima di abbassarlo al pavimento, rincorrendo ogni oggetto che gli passava davanti agli occhi: I trucchi sparsi sulla toiletta, i libri di letteratura classica buttati a terra…il dizionario di tedesco, e un piccolo pacchetto di fogli accuratamente racchiusi da una clip trasparente.
Distolsi subito lo sguardo, smettendo immediatamente di seguire quello della mia interlocutrice, ma lo feci troppo lentamente…troppo lentamente per non vedere quella scritta che, settimane addietro, avevo premurosamente dipinto con cura e minuziosità.
Tommino e Hime: Corrispondenza
« cos’è successo » Lo ripetei più per distrarmi che per altro, e gioii in cuor mio di sapere che Caroline non riusciva a mentire. Non lei. Non ne era capace, e nessuno di noi aveva ancora capito se questo era o meno un pregio nella società attuale… « Cos’è… »
« Non è venuto » Lo disse tutto di un fiato, con voce strozzata e lo sguardo smarrito. Non riusciva a guardarmi negli occhi, e dal modo in cui si torturava le dita e muoveva istericamente i piedi, capii immediatamente di chi stava parlando.
Già…Come avrei potuto non capirlo?
« …Lo aspettiamo da due giorni, ma non è venuto…Roberta va tutte le mattine alle sette alla stazione, e ci rimane fino alle nove…ma nulla. » Nonostante il mio sguardo fosse ormai concentrato sulla contemplazione dei rilievi che i miei piedi creavano da sotto il mio lenzuolo blu, la sentii deglutire, e quel solo suono non poté che farmi ridere: Era probabilmente lei la più disperata…la più tesa…
A me, infondo, non interessava. Giusto?
« Caroline » Esordii, pronta a dilungarmi in una delle mie solite arringhe degne di una laureanda in giurisprudenza, ma lei mi interruppe con un movimento lesto della mano. Allarmata.
« No ferma, non è come pensi! » Lo disse quasi urlando « …Lui voleva venire, ne sono sicura! »
« Caroline… » …Non voglio sentire.
« …Ma Bill ci ha mandate via. Ci ha fatte praticamente portare via di peso da Saki e… »
« CAROLINE… » …Mi dava fastidio anche il solo sentire con quale familiarità pronunciava i nomi di quelle persone che io avevo solo ripetuto in sogno o davanti allo schermo di un computer…
« Federica, io sono sicura che Tom… »

Silenzio.

Bill.
Saki.
Gustav.
Georg.
…Te li posso permettere. Te li posso passare. Ma no.
Lui no.
« Zitta… » Lo sibilai con così tanta rabbia che la voce mi vibrò pericolosamente, quasi strozzandomi. « Zitta o…o… »
...Una minaccia. Presto, mi serviva una minaccia. (…) Dannazione ero sempre stata brava a trovare delle torture e…e delle…
« Amò… » La voce mi giunse da lontano, e dal tono che era stato usato pensai subito al peggio.
Alzai immediatamente le mani sul mio volto, e non potei fare a meno di lanciare un sospiro di sollievo non appena le mie dita risultarono asciutte: Non stavo piangendo.
Meno male…
« …Dovresti… » Esordì la mia amica, ma questa volta fui io a interromperla.
« Sono io che ho chiuso i contatti… » Mormorai « Non mi ritengo né egoista né infantile. Lui non verrà, come del resto non sarebbe mai venuto…O forse si. Forse per una scopata...?
Forse due?
Carmen, guardiamo in faccia la realtà: Non c’è storia.
Il mio nome d’arte è Arashi Hime…lo uso perché ho paura di divulgare il mio nome vero, temo che qualcuno possa riconoscermi per strada e screditarmi o deridermi per il sogno che coltivo…
Lui si chiama Tom Kaulitz, e si vanta di questo. Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo, e stai pur sicura che una sua parola è vangelo per parte della popolazione globale…
La mia parola, al massimo, può valere come… »
« Amò » Mi sussurrò Caroline, e le sue braccia mi cinsero di nuovo in un abbraccio. « …Puoi piangere… »
Rimasi un attimo in silenzio, ma ero più che decisa a non sciogliermi. Non io. Non per lui.
« Magari più tardi… » Mormorai con voce spenta e gli occhi vuoti.
« …Fa male eh… » Mi sentii dire, e non era una domanda. « …Benvenuta nel club… »
...Fu forse in quell’istante che cominciò a bruciarmi il naso e gli occhi mi si colmarono di lacrime…Lacrime che, tuttavia, non osai lasciar scivolare giù.
Le lasciai morire sulle mie ciglia, proprio come erano morte le parole che avrei voluto dire a lui.
Al mio lui.
Perché sarebbe stato mio. Mio e mio solamente.
Come lo era stato ieri…come lo era in quel momento…e come, probabilmente, lo sarebbe stato sempre.

Mio


« …Spero che tu stia male quanto sto male io Tom…perché non mi va di essere l’unica idiota della situazione… » E lo dissi a fior di labbra, prima di stringere a me la mia sorellina, la mia amica, la mia confidente.

Vaffanculo.
Vaffanculo mondo…almeno fino a domani.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Ho scritto questo capitolo senza avere una precisa ispirazione, perciò mi dispiace che sia venuto in modo pessimo…

Ho scritto questo capitolo senza avere una precisa ispirazione, perciò mi dispiace che sia venuto in modo pessimo…

Mi scuso anche per il ritardo con cui ho postato, ma gli studi mi stanno assassinando, il 25 era anche il mio compleanno (perciò casa mia è improvvisamente diventato un ricettacolo di disturbatori xDDD) e il mio amico romanzo non ne vuole sapere di uscire è__è …vuole far dannare la sua anima di carne, questo capriccioso bambino di carta e china! X°°DDDD

In ogni caso, ringrazio tutti per i commenti, sono davvero onorata delle vostre parole, mail e i mille modi in cui mi sostenete (Però gli mp minatori non mandatemeli, che mi spavento! X°°°°°DDDDDDDDDDDDDDD) ...sono orgogliosa di avervi come lettori.

Grazie di cuore.

Grazie di tutto ^^ …

Hime ~

Capitolo 15

…Lo svegliarmi di notte e accendere il computer era stata un’abitudine per me, tempo addietro…ma il motivo per cui lo feci quella notte…mentre Caroline e Roberta ancora dormivano nei loro letti disfatti…rimase per me sempre un grande enigma.

“…Questa è la mia nuova e-mail” …e lo scrissi in Tahoma. Carattere 10, piccolo e compatto. Lo scrissi in grassetto, così che lo potesse leggere meglio, e usai il tedesco in modo tale da non creargli problemi di traduzione…

…quando però, dopo ben due giorni, non ricevetti nessuna risposta…
Dovetti convincermi che non mi sentivo ASSOLUTAMENTE male, altrimenti sarei probabilmente impazzita.

Il dolore è ben altro –pensai sorridendo.
Come per esempio, sapere…che non lo incontrerai mai.

·¨¤ººº¤¨·

« …Amore allora noi andiamo » Mi disse Caroline, stringendomi a sé con una forza tale che per un attimo rimasi a boccheggiare, incapace di ribattere alcunché.
Mi accarezzava la schiena con energia, come se volesse infondermi la forza di quel sorriso radioso che sembrava essersi spento come un fuoco privo d’ossigeno, ma nonostante quella mia personalissima interpretazione mi logorasse l’animo –conscio più che mai della preoccupazione che arrecavo alle persone che mi amavano- cercai comunque di non manifestare nessuna delle espressioni che la mia vasta gamma di apatia mi dispensava; e abbozzai un sorriso tirato.
« Si, Caroline, non devi preoccuparti di niente… » Dissi, ma c’era poca convinzione nella mia voce. Entrambe sapevamo, guardandoci, che invece c’era tutto di cui preoccuparsi.
« …Ah Fè » Fu Roberta a interrompermi, prima che aggiungessi qualsiasi altra cosa alla mia ipocrita rassicurazione; e parlandomi, mi strinse le mani in una morsa d’acciaio.
Una di quelle che solo lei aveva e che, sin dal nostro primo incontro, mi aveva infuso un grandissimo coraggio e sicurezza. « …Una telefonata e siamo da te, chiaro? Non tapparti in casa ora che non ci siamo…esci, è solo luglio. Hai due bellissimi mesi di vacanze davanti a te, non sprecarli… » Mi ammonì severamente, ma come sempre accadeva, quella sua cadenza laziale di cui ero innamorata non poté che farmi ridacchiare, e il risultato che quell’atteggiamento sortì nella mia interlocutrice, non fu chiaramente dei migliori.
Roberta odiava essere presa in giro, soprattutto da me. Quando perciò scoppiai a riderle in faccia, facendole eco ad ogni parola, ci mise meno di cinque nanosecondi a mandarmi al diavolo, voltarsi, e avviarsi a grandi falcate al suo binario…ovviamente per la gioia della sanità mentale di Caroline, che non sapeva se dover seguire lei, o rimanere qualche altro attimo a coccolare me.
Infondo –come fece timidamente presente mentre si slogava il collo per cercare di guardare cosa stesse prendendo a calci Roberta-, i loro treni erano differenti.
« Va da lei » Suggerii io dopo un attimo, stanca di sentirla gemere d’indecisione. « Voglio andare a riposare… » Aggiunsi per sembrare meno scortese. Per cercare di addolcire il tono di quell’imperativo non voluto.
…Ma lei, come sempre santa per la sua pazienza e la sua devozione, non disse nulla. Come sempre sopportò i miei comportamenti infantili ed egoistici, e con quella sua gentilezza unica mi sorrise, avvicinandosi a me con piccoli passi misurati.
« …Ti voglio bene » Mormorò appoggiando la sua fronte alla mia, e stavolta toccò a me sorridere.
« Anche io » Risposi prontamente, chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni il suo profumo di muschio bianco che saturava ormai ogni stanza di casa mia. « …Ci vediamo presto » Aggiunsi poi, quando sentii Roberta strillare dal fondo della Stazione di Santa Maria Novella che lei la telecamera non cel’aveva per riprendere, e che quindi avremmo fatto meglio a finirla subito, altrimenti si sarebbe messa a piangere come in "Via col vento"...
« …A presto amò » Mi fece eco Caroline, allontanandosi e scuotendo la testa, rassegnata.
…Poi si voltò, afferrando il suo trolley nero che avevamo faticato a chiudere meno di un’ora prima, a casa mia; e regalandomi un ultimo sorriso, si incamminò verso i binari...

(...) Come avevo previsto, guardare le sue spalle allontanarsi, mi portò le lacrime agli occhi e un orribile senso di vuoto nell’animo; tuttavia ebbi la premura e la maturità di voltarmi prima che fosse lei a farlo.
Mi girai, e con il mio solito passo spedito schizzai attraverso la calca di persone che affollavano la stazione domenicale, più che intenzionata a non tornare a casa a poltrire leggendo un qualche libro, o a fare zapping alla televisione mentre fuori brillava il sole estivo.
Non intendevo rimanere sola. Non intendevo lasciarmi morire.
No. Non io, e non in quel modo.
Evitai abilmente un gruppo di ragazzi che mi venivano incontro, e ignorai completamente i loro volti che da sornioni e rilassati che erano, si tiravano in delle maschere di stupore e sgomento vedendomi passare al loro fianco.
Evitai di prestare attenzione all’urlo di uno dei ragazzi della compagnia, e al gemito strozzato di quella che doveva essere la sua ragazza. Evitai di incrociare lo sguardo delle altre persone che mi guardavano colpite, con gli occhi sgranati nel sentir nominare semplicemente “Arashi Hime” …e, calcandomi sugli occhi il basco nero ricco di spille che portavo, saltai sul primo autobus che aprì le sue porte davanti a me.
Entrai silenziosamente, cercando di confondermi in un anonimato che evidentemente non mi apparteneva più, e ringraziai la velocità con cui il mezzo partì, portandomi lontano dagli urli emozionati che ancora sentivo dietro di me.
Era un incubo –pensai adagiando la fronte sulle porte a vetri del tram, e a nulla valsero i miei tentativi di distrazione, poiché alla fin fine, i miei pensieri, finirono sempre su quell’unico punto: L’essere famosa.
Amavo la mia popolarità, avevo fatto di tutto per ottenerla…ma era veramente triste capire di non poter essere una delle tante, quando senti il bisogno vitale di confonderti tra la folla.
Non capivo nemmeno per quale motivo una scrittrice fosse tanto famosa. E’ vero, non erano rare le volte in cui posavo come modella, ma avevo sempre creduto che l’essere riconosciuti per strada o essere assillati da fan impazziti in ogni ora del giorno e della notte, non fosse l'esclusiva di uno scrittore adolescente, ma bensì di musicisti di fama internazionale…

(…) ...Già. Esclusiva dei musicisti

“Linea 14. Capolinea: Piazzale Michelangiolo”

Trasalii, colta di sorpresa dalla voce elettrica offerta dall’autobus ATAF che annunciava la sua destinazione ultima, (forse per rendere più confortevole il viaggio dei suoi passeggeri, o forse semplicemente per evidenziare la loro idiozia e incapacità di orientamento), e nonostante avessi cercato di scattare prontamente all’indietro, l’aprirsi improvviso delle porte a vetri a cui mi ero spalmata in cerca di un po’ di refrigerio, non mi evitò una disastrosa caduta a faccia in avanti sul marciapiede su cui si era fermato il tram.
Caddi come un peso morto, e quando arrivai a terra non riuscii a non cacciare un ringhio irritato e una maledizione contro il mio equilibrio decisamente deplorevole, tanto che persino il ragazzo che mi aiutò ad alzarmi non poté che ridere divertito. Mi tese la mano, e gentilmente mi aiutò ad alzarmi per poi raccogliere da terra le penne, i taccuini e i fogliettini che si erano distribuiti in ordine sparso con l’apertura della mia sacca eastpak. Poco mi importò che poi, riconoscendomi, mi chiese l’autografo e una stretta di mano.
Mi disse che era un mio accanito lettore, e che seguiva i miei scatti fotografici su internet, sin dai miei esordi. Mi raccontò che era iscritto al fanclub ufficiale, ma che aveva persino creato un suo forum sul collegamento di “Community&Free” …e io, dal canto mio, non potei che sorridere quando mi chiese se conoscevo o meno quel server di forum online.
Che domanda imbarazzante -pensai arrossendo divertita- ...Era lì che avevo cominciato a farmi conoscere con le mie storie, poesie e fanfiction…
Era da lì che avevo cominciato ad ottenere popolarità.
« …Mi raccomando, voglio presto il tuo secondo libro » Esclamò infine, salutandomi esitante quando gli dissi che dovevo proprio scappare; ma il guardarlo allontanarsi stringendo tra le mani tremanti un foglio bianco riempito di quei miei scarabocchi che ancora avevo il coraggio di spacciare per dediche, mi fece sorridere.
...Era proprio per quei motivi che continuavo a scrivere. Proprio per quei motivi che non odiavo la mia popolarità, o i fan impazziti…
Io scrivevo per regalare sogni. Per veder nascere sorrisi o espressioni incantate su volti stanchi.
Io scrivevo per placare il dolore di un animo vuoto, o per incrementare la gioia del più felice degli uomini.
…E a darmi la forza di superare il blocco da pagina bianca, o la demotivazione dettata dallo stress incalzante, erano proprio i commenti entusiasti o le aspre critiche dei miei lettori.
A darmi la forza era semplicemente la loro presenza nella mia vita.
Ecco per amavo essere una scrittrice…
…perché dopo anni in cui non ero stata nessuno, in cui nessuno si era mai fidato e appoggiato a me, e in cui non potevo fare a meno di darmi della fallita…finalmente ero diventata qualcuno.

Finalmente, ero diventata una dispensatrice di sogni.

(...) Sorrisi, compiaciuta e tranquillizzata da quella mia certezza e convinzione, ed estraendo dalla borsa sporca il mio taccuino degli appunti, mi accomodai maggiormente sul muretto bianco di piazzale Michelangiolo su cui –non sapevo nemmeno perché- ero andata a sedermi.
Era uno di quei muretti di pietra che racchiudevano la piazza in un semicerchio perfetto, e nonostante il mio sguardo fosse tutto incentrato sul grande e bellissimo panorama che Firenze mi offriva, il sentire il sole cocente di Luglio battermi sulla schiena non mi evitò di cadere vittima di uno dei miei soliti spietati attacchi di emicrania.
Il piazzale era affollatissimo di turisti stranieri, e di studenti finalmente liberi dal circuito scolastico, che nonostante il caldo soffocante si erano riuniti tutti all’ombra della famosa riproduzione del David per rinfrescarsi con una granita all’anice e scattare qualche foto ricordo destinata a durare nel tempo.
Io, probabilmente, ero l’unica persona che in quel momento era da sola.
Abbassai il mio sguardo sul taccuino dalle pagine bianche che avevo fermo sulle ginocchia e su cui speravo di abbozzare qualche nuova idea per il secondo romanzo che avevo già cominciato a battere a computer, ma dopo qualche minuto trascorso in balia dei flutti pacati di un’ispirazione che non arrivava, decisi di rinunciare.
Alzai lo sguardo sul panorama brillante della mia città, e decisi di perdere la mente e le mie ansie in quel tripudio di colori e arte immortale. Decisi di concentrarmi solo lì, e di lasciarmi accecare solo dalla luminosità del cielo estivo, anziché dalle lacrime cocenti che nacquero inaspettatamente nei miei occhi…
Neppure quando uno dei mille turisti si accasciò accanto a me sul muretto, imprecando in chissà quale lingua, mi distrassi dalla mia contemplazione. Mi limitai a chiudere gli occhi, e a ispirare l’aria satura di umidità che Firenze mi offriva, mordicchiandomi delicatamente il labbro inferiore.
Mi limitai a lasciar ricadere le mie braccia lungo i fianchi, e ad alzare il volto verso il sole che mi baciò con dolcezza, infondendomi una serenità che non pensavo di poter provare ancora.

…Semplicemente, mi limitai a morire d’improvviso, quando il mio cuore mancò un battito, e non seppe più recuperarlo…

« …Grazie del pensiero? » La voce era baritonale, forse troppo per i miei gusti, e il tono con cui quel tedesco quasi privo di inflessioni dialettali venne pronunciato al mio fianco, mi scaricò un brivido elettrico lungo la spina dorsale.
Sentii improvvisamente tutti i fasci muscolari del mio corpo divenire un tutt’uno, e i miei occhi socchiudersi in una maschera di sconvolgimento che, per quanto fossi brava nella scrittura, ero più che sicura non sarei mai stata capace di descrivere alla perfezione. Per un attimo, ancora accecata dai raggi solari che mi battevano sul viso e dai quali non riuscivo ad allontanarmi, pensai persino di esser caduta in una sorta di coma che mi induceva a sentire voci ricostruite dalla disperazione…tuttavia, quando un’ennesima imprecazione mi risuonò nelle orecchie in quella tipica intonazione per cui più volte mi ero riscoperta a ridere davanti allo schermo di un computer…capii che, forse, la mia non era follia.
Forse.La.Mia.Non.Era.Follia.
era il mondo che stava impazzendo, attorno a me.
« …Ma vaffanculo stronza…mi hai fatto tutto questo, e poi sparisci… » Il cuore mancò un colpo. « …non pensi a me…? » Due colpi. « …che fottuta egoista, che sei… »

Il terzo, non arrivò mai.

Abbassai lentamente lo sguardo, e ancor più lentamente lasciai scivolare le mie iridi d’ambra sulla figura stanca e ansimante che poco prima si era accasciata di fianco a me, sul muretto color crema sopra il quale ero seduta in un equilibrio che non sapevo neppure da dove nascesse.
Con una lentezza e una calma quasi spiazzanti, portai i miei occhi su una felpa doppia X di cotone leggero e di un colore che, un tempo, doveva essere stato beige.
Portai i miei occhi su una fascia per capelli nera che fermavano una cascata di dreadlocks color del miele, e andava poi a incorniciare i lineamenti di un volto stanco e segnato da ore di sonno mancate…
…E quelli che osservai per secondi che mi parvero interminabili, erano lineamenti delicati e regolari, affascinanti persino sotto la lucidità di una fronte imperlata dal sudore e un pallore quasi cadaverico.
Ciò che vidi davanti a me, fu semplicemente quella perfezione da cui ero scappata invano per dei mesi.
Ciò che vidi, non fu il frutto di un miraggio dovuto al caldo, o all’acqua non potabile che Roberta mi aveva costretto a bere al mcdonald della stazione.
Ciò che vidi davanti a me fu un incubo.
Una maledizione.
Un sogno che avevo pregato -in tutta la mia folle contradizione- non si avverasse mai.
Ciò che vidi, fu semplicemente…

« …Federica… »

Trasalii, colta alla sprovvista dal sentir pronunciare il mio nome con quell’enfasi disperata ma, incredibilmente, per niente rassegnata; e quando i miei occhi si soffermarono su quelle labbra lucide, perforate da un percing d’acciaio brillante e su quelle grandi mani dalle dita lunghe e nerborute che per anni avevo amato…non potei fare a meno di gemere disperata, voltandomi di scatto in direzione opposta a quella del mio incubo.

Era lì.
Era lì. Era lì. Era lì.
Era lì, e non mi aveva visto. Non mi aveva riconosciuto. Non mi aveva sentito.
…Era lì fermo su quello stramaledetto muretto, con la nostra corrispondenza virtuale stretta tra le mani. Era lì fermo a pronunciare il mio nome con il suo tedesco che avevo sempre invidiato, e benché la matematica non fosse mai stata la mia vita, ipotizzai che ci fossero meno dell’1% delle possibilità per le quali Tom Kaulitz –reduce da non so quale avventura amazzonica (viste le sue condizioni tanto simili a quelle di un barbone)- si fosse dovuto appoggiare allo stesso muretto, dello stesso piazzale, su cui ero seduta io.
Nello stesso giorno, mese e ora. Con lo stesso stato d’animo e probabilmente lo stesso desiderio nel cuore.
Ipotizzai –e infine approvai- che tutta quella situazione, se non aveva dell’assurdo, era sicuramente degna di un futuro best seller.
…perché era decisamente impossibile, che di tutti gli antri Fiorentini, quel moccioso tedesco facesse capolino nel mio piazzale preferito, sorprendendomi con la sua voce profonda e affascinante.
Era decisamente impossibile.
Quella era follia…!
Mi voltai leggermente in sua direzione, ancora una volta, e cercai di convincermi che lo stessi facendo per assicurarmi che quello per il quale avevo smesso di respirare, fosse effettivamente Tom Kaulitz e non un suo clone bellissimo e perfetto; tuttavia, quando i miei occhi si posarono nuovamente sul suo volto, il susseguirsi di idiozie che avevo continuato a proporre al mio animo annebbiato nel corso di quei giorni da incubo, mi apparvero per ciò che erano realmente: i tentativi di una bambina impaurita, di scappare dal desiderio di stringere a sé una persona di cui temeva di non poter accogliere la perfezione…
« Dannazione… » Lo disse improvvisamente, e con un tono di voce tanto basso che faticai a sentire quell’unica parola. « …Dannazione » Ripeté poi, dopo qualche attimo, e lo disse ancora e ancora, mentre la sua voce si saturava di una rabbia che il suo volto, per qualche strano motivo, sembrava non riuscire ad esprimere…
Era come una bambola rotta –pensai quasi d’istinto, e quella mia unica interpretazione mi bastò per lasciarmi aggredire dall’ansia.
Era come una bambola perfetta, a cui qualcuno aveva tolto la capacità di interpretare i propri sentimenti. Era come una bambola che, accecata dall’ira, aveva perduto la facoltà di parlare…perché, agli effetti, fu questo ciò che accadde.
Smise di parlare così come aveva iniziato, e mentre le sue mani affusolate si stiravano sulla pietra color crema, la sua bocca si arricciava in un’espressione enigmatica che, solo per un attimo, mi fece temere il suo eterno mutismo.
Per un attimo, e solo per un attimo, temetti di non poter più sentire la sua voce.
Di non poter più vedere un suo sorriso…
« …parla ancora » Supplicai prima ancora di rendermene conto, ma non lo feci per idiozia o pura follia, mi resi subito conto che quella mia preghiera racchiudeva in sé un bisogno vitale a cui mai, probabilmente, avrei sopperito.
Perché lo era.
Era la mia capacità di mantenermi viva il sentire la sua voce e guardare il suo volto.
E poco importava se era solo in foto, o tramite video su internet!
L’immaginare la mia esistenza senza l’incubo di alzarmi la mattina e combattere contro il desiderio folle di incontrarlo, abbracciarlo e amarlo; e il sentimento di terrore, panico e paura che –al contrario- si opponeva a quel sogno…era una cosa decisamente impossibile, per me.
Decisamente…folle.
« …Come, prego? » Mormorò Tom, alzando lo sguardo su di me; e quando sentii quell’italiano dalla forte impronta tedesca, galoppare sino alle mie orecchie, mi fu impossibile non trattenere un moto di sconvolgimento e un rantolo sgomento.
Sgranai gli occhi, forse allibita da quella conoscenza che non sapevo possedesse, o forse terrorizzata all’idea che –se mi avesse visto- avrebbe probabilmente capito chi ero.
Avrebbe osservato le mie fattezze, chiamato il mio nome, toccato la mia mano…

(…)

NO.
NON IO. NON IO!
…IO NON AVREI MAI E POI MAI POTUTO SOSTENERE IL SUO…

(…)

« …SIGNORINA! »
…Un urlo improvviso, e un panorama che dalla cupola del Duomo passava velocemente al cielo terso e infine nel buio più totale. Sentii un dolore atroce atrofizzarmi entrambe le gambe e il gomito sinistro, e quando due bollenti lacrime mi bruciarono spietatamente gli occhi sbarrati, scivolando poi lungo le guance rosee, capii ancora una volta che era vero ciò che si diceva.
Che era vero che il mio equilibrio era pari a zero, e il baricentro del mio corpo distante quattro metri da me.
Era vero. Era tutto vero…
« …Spero che non si sia fatta troppo male… »
Una voce calda e dolcemente preoccupata…
Due braccia solide che mi tenevano stretta, e una mano grande che mi scostava i capelli lisci dal volto arrossato…
…Un silenzio che avrei desiderato non sentire, e infine un sospiro malcelato…
« …perché penso che avrai dei buoni motivi per cui piangere sul serio, tra qualche minuto... »

Silenzio.

…Pepe nero,
e vaniglia speziata.
Ricami d’argento,
e fantasia esasperata.
Apri le mani,
chiudi i tuoi occhi,
Dipingi queste ali
Con i tuoi sogni appena sorti…


« …Hallo Tom… »
« …Hallo Federica… »


…e a quel punto, non capii se continuavo a piangere per il gomito scorticato o il suo volto sorridente che mi guardava così da vicino…

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Scusate il ritardo ^^

Scusate il ritardo ^^""" ...Ecco qua il nuovo chap della storia.
Vi prego di comprendere i motivi per i quali aggiorno con un ritardo tanto inquietante (Sono sempre i soliti maledetti >__<) e di avere tanta pazienza.
Anche questo capitolo è uscito male, e me ne dispiaccio. Spero tuttavia che saprete trovarvi qualcosa di positivo ^^ ....

Dedico questo chap in particolare alla mia Caroline, mia accanita lettrice e amica da sempre; e colgo ancora l'occasione per ringraziare tutti voi, non solo per i complimenti e gli incoraggiamenti, ma anche per la pazienza di cui ogni volta vi vestite! ^______^

Un bacio
Hime ~

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Capitolo 16

Nell’aria c’era una tale tensione sessuale che per un attimo il motto della pubblicità delle patatine (“Noi siamo per l’ormone libero!”) che avevo visto in televisione, mi apparve tanto veritiero da indurmi a pensare che, forse, se anche avessi fatto una qualsiasi follia nessuno mi avrebbe mai biasimato…ma poi, la parte razionale di me –quella che parlava sempre quando non doveva, e che nei momenti cruciali della mia esistenza (come il compito di matematica di fine anno) taceva d’improvviso- mi trattenne seduta al mio posto, con le mani incollate sul tavolo di marmo nero e gli occhi sbarrati davanti a me. Immobile.
Devo solo guardare il muro alle sue spalle –pensavo decisa-, e tutto andrà bene.
Rimarrò pura fino alla fine delle vacanze estive, è una promessa.
(…) Già. Peccato che guardare il muro bianco a cui Tom Kaulitz in persona dava le spalle, poteva essere inserito nell’albo delle torture mentali (e soprattutto fisiche) più orribili dell’epoca contemporanea.
No. Non ce l’avrei mai fatta
« Sai… » Esordì improvvisamente lui facendomi trasalire, e il rendermi conto che stava parlando dall’altro capo del tavolo, seduto compostamente nella cucina di casa mia, mi fece venire un orribile capogiro. « …Non sei tanto diversa dalle altre mie fan, infondo. » Mormorò, e sembrava compiaciuto. « Sei una donna normale allora… »
« Ah si? » Ribattei prontamente io, squadrandolo irritata. « Perché quest’affermazione di punto in bianco? » Sibilai, pensando che invece ero probabilmente la prima (e l’ultima) ragazza che trovandoselo davanti riusciva ancora a formulare frasi di senso compiuto e a impedire alle proprie mani di scivolare sul suo corpo.
« Perché sei lì immobile come un’idiota da venti minuti, e mi guardi come se avessi appena visto la Madonna » Replicò Tom sfoderando uno di quei suoi sorrisi che avevo da sempre definito “arrapanti” …ma che vista la mia posizione del momento, ritenni più opportuno inquadrare come “piacevoli”.
Inspirai a fondo, cercando di calmarmi, e solo dopo qualche attimo riuscii a rispondere a quel sorriso con uno dei miei soliti ghigni divertiti.
« …Tom, ti prego...Prova a metterti nei miei panni un attimo » Mormorai, e compresi che i lunghissimi istanti di lotte interiori finalizzate a mantenere il controllo della mia persona, non era poi stati così "controproducenti". « Sei piombato nella mia vita così di punto in bianco…mi sembra il minimo osservarti stranita. » Blaterai, e cercai di ostentare una calma di cui avrei tanto voluto essere padrona; ma dopo che i miei occhi incrociarono di nuovo i suoi, e sui suoi lineamenti perfetti vidi sbocciare un altro sorriso sarcastico; capii che –a quel punto- tutto sarebbe stato inutile
Tutto. Sia in quel momento, che in un prossimo e ipotetico futuro.
« ...E poi parlami con educazione! » Urlai allora esasperata, portandomi le mani alla testa, sconvolta da quella mia repentina e più che veritiera rivelazione interiore « Di chi credi che sia il merito se sei ancora vivo? »
« Se SIAMO ancora vivi… » Puntualizzò prontamente Tom, sghignazzando…
…eh si, perché in effetti –era assurdo da dirsi o addirittura pensarsi- quella che aveva rischiato la vita a Piazzale Michelangiolo ero io, e non lui. E non perché il mio baricentro spostato aveva di nuovo colpito, facendomi cadere all’indietro da quello stramaledetto muretto, ma più che altro perché quella situazione anormale aveva attirato l’attenzione della maggior parte delle persone presente in piazza…
...E io –nemmeno in tutta la mia modesta presunzione- non sapevo di avere tutti quegli stramaledetti fan…
« Tom… » Sussurrai, portandomi una mano al volto nel vano tentativo di rimuovere dalla mia mente la lunga arringa in prosa sugli antichi egizi (???) che avevo montato su due piedi per fuggire alle attenzioni di tutti quei ragazzi che mi avevano aggredito immediatamente -nel riconoscermi-, tra chi mi chiedeva un autografo e chi una foto. « …precisamente: Per quale motivo sei qui? » Chiesi, e mi stupii della facilità con cui gli posi quella domanda che mi bruciava le tempie dal momento in cui l’avevo visto per la prima volta, appoggiato sul muretto al mio fianco; fermo nella sua angoscia e nella sua eterna attesa.
...Era forse una domanda idiota, e decisamente opponibile a tutti le favolette sdolcinate che avevo letto –e che avevano come protagonisti improbabili principi che attraversavano il mondo pur di vedere la loro principessa amata-, ma il rendermi conto di averlo davanti a me in carne e ossa. Vero e tangibile. Bello e perfetto. Unico e…e…unico, ecco; mi metteva un’ansia addosso che non avrei saputo ben delineare e che, maledizione...non riuscivo a controllare!
« …Per lo stesso motivo per il quale tu arrossisci guardandomi » Replicò gentilmente il chitarrista, e nel dirlo abbassò leggermente la testa verso il tavolo in marmo, così che i nostri occhi potessero incontrarsi e io –ancora una volta- potessi perdermi in nozioni superflue e inappropriate al momento, come le formule di analisi matematica che ero solita dimenticare alle interrogazioni, o l’ultima lezione di francese a cui avevo preso nove…
…perché era come se, guardandolo negli occhi, la realtà si deformasse e non riuscisse più ad acquisire quei connotati razionali che io ricercavo sempre in tutto, con spasmodica insicurezza.
Nonostante questo, capivo che non potevo abbandonarmi in quel modo indecente ad un qualcosa più grande di me; ad un qualcosa con cui avevo lottato strenuamente per mesi, anni…
Un qualcosa dinnanzi al quale non avrei perduto la mia sfida.
Schiusi allora la bocca, pronta a ribattere a quelle parole che mi avevano punto sul vivo con spietata realtà; pronta a porre in mia difesa costruzioni di menzogne e speranze che –ero sicura- non sarebbero mai rimaste in piedi di fronte a quel vento profumato che danzava tra me e lui…tuttavia, quando vidi le sue dita chiudersi a pugno e il suo volto attendere quella frase che entrambi sapevamo avrei detto –per testardaggine o paura non avrei saputo dirlo- …ogni mia intenzione svanì, e io non potei che continuare a contemplare i suoi lineamenti dolci, i lunghi dreadlocks color del miele e il percing d’acciaio che brillava alla luce del sole che filtrava dalla finestra, e che lo baciava con una dolcezza che forse neppure io sarei stata in grado di riproddurre...
In quel momento, guardarlo e inspirare a fondo l’aria satura del mio profumo fruttato e del suo sudore che in altro luogo e momento avrei odiato, era l’unica cosa che potevo (e quasi sicuramente: volevo) fare.
Nulla di più.
Solo questo.
Solo questo ora, dopo, dopo ancora, e ancora dopo quell'ancora...
...Sempre.
« …principessa? » Trasalii, colta alla sprovvista da quell’italiano che dovevo ancora imparare a immedesimare nella sua persona; e solo in quel momento mi resi conto di essere immobile a stringere tra le mani il mio basco nero pieno di spille, come se quella fosse l’unica valvola di sfogo a cui potevo appellarmi in quel momento. Esasperata.
« Si? » risposi io disorientata, cercando di non guardarlo negli occhi, per quanto mi fosse possibile.
Sapevo che, se avessi alzato lo sguardo, tutte le mie buone intenzioni sarebbero crollate come un castello di carte. E io non volevo che questo accadesse.
...Anche se ero l'eterna figlia della contradizione, anche se probabilmente io stessa non capivo ciò che volevo...Dovevo resistere.
Resistere a tutto, più forte di una roccia...
Già.
« …Guardami, ti prego » Mormorò Tom, dopo un attimo di silenzio colmo di una tensione che era già mutata, e che nulla più aveva della sua predecessora...e lo disse con un tono tale di voce che io mi chiesi come fosse possibile, almeno per me, oppormi a quella sua richiesta.
Mi chiesi come fosse possibile sfruttare a mio vantaggio quell’egocentrismo e quella testardaggine che da sempre mi caratterizzavano e che, in quel momento, non mi apparivano altro che come sfumature inutili di una personalità infantile.
Avevo trascorso mesi a sorridere davanti allo schermo di un computer vedendo quelle labbra rosate incresparsi in una risata, o a stringermi le spalle nel vedere quelle mani lunghe arpeggiare le corde di quella bellissima gibson nera…come potevo, in quel momento, andare contro a tutto?
(...) Si. Ero incomprensibile. Incomprensibile persino a me stessa...
« …cosa c’è » Sussurrai con voce strozzata, alzando il mio sguardo tremante verso di lui; e nel momento stesso in cui lo feci sapevo già a cosa andavo incontro: Mi guardava in silenzio, con i suoi occhi nocciola leggermente oscurati dalla fascia per capelli neri che gli gravava sul volto, e nell’istante in cui i nostri sguardi si incrociarono, mi stupii di scoprirmi a sorridere nel suo stesso attimo...
Era come se tra noi vigesse un’alchimia perfetta da cui, entrambi, non potevamo che dipendere disperatamente…
Un qualcosa che, in ovvio, era più grande di noi.
« …posso rimanere? » …chissà a quante ragazze aveva detto la stessa cosa.
Chissà quante persone aveva manipolato con quel suo sguardo ammaliatore.
Chissà quante volte ancora io sarei dipesa da un suo gesto o un suo sospiro. Chissà quante volte ancora…
« Si » Risposi in un soffio, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo « …puoi rimanere… » e pregai Dio di non aver appena fatto una follia…


·¨¤ººº¤¨·

Era assurdo da dire, ma superato il primo giorno di impaccio generale, durante il quale avevo difficoltà persino a passargli accanto, mentre lui non riusciva a chiedermi neppure dove avrebbe dormito (o per quale motivo, poi, dovesse coprirsi con i lenzuoli di winnie the pooh); avevamo cominciato a convivere serenamente, come se fosse la normalità dividere la casa con il ragazzo che compariva su MTV ogni 20 minuti, e con la tipa le cui interviste continuavano ad essere trasmesse ad ogni “special” televisivo…
Ridacchiai, scuotendo la testa e bevendo l’ultimo sorso di tè freddo al limone mentre mi stiracchiavo sulla poltrona di pelle blu del salotto (sicura che le sudate che mi facevo su quei divani –in estate- non erano minimamente paragonabili nemmeno alle più costose delle terme), e quasi involontariamente mi sporsi verso l’uscio sbarrato della cucina.
La televisione trasmetteva in quel momento il vecchio video degli “smash mouth” e io non capivo se quella canzone presagisse o meno un evento catastrofico per la mia –e la sua, probabilmente- incolumità.
Era chiuso in cucina da più di due ore, e nonostante avessi più volte cercato di farvi irruzione sia dalla porta che dalla finestra (spesso rischiando la vita dato che, come avevo avuto modo di capire, non ero l’erede dei superpoteri di Spiderman), lui era sempre riuscito a respingermi, blaterando in un italiano di cui non era ancora completamente padrone che “avrebbe preparato la cena lui” …
…il che, se dovevo essere sincera, era una prospettiva che mi inquietava non poco.
Era da due giorni –attuale periodo di permanenza in casa mia, di Herr Kaulitz- che non facevo la spesa, e nel frigorifero non era rimasto assolutamente nulla se non un pollo confezionato, qualche carota e una scorta di yogurt da far invidia alla Danone. Se poi pensavo che la pasta era per giunta finita, e che mancava un qualsiasi tipo di contorno…il pallore sul mio viso diventava cadaverico, e io non potevo che abbandonarmi alle peggiori fantasie di cosa “Tom-il-piccolo-cuoco” mi avrebbe cucinato…
« Tom… » chiamai dal salotto, e in un primo momento rimasi quasi colpita dal sentire con quanta familiarità pronunciassi il suo nome. Era quasi come se fossi abituata da anni a farlo, come se il suono di quell’unica parola vibrasse melodiosamente sia nella mia mente che sulle mie labbra…
« TOM » Ripetei dopo qualche attimo, con più enfasi, ma non sentendo nessuna risposta nemmeno stavolta mi vidi costretta a posare per terra il bicchiere vuoto di tè, e a dirigermi con passo felpato fino alla porta della cucina, la quale –ovviamente- era chiusa con doppia mandata di chiave.
Mi chiesi cosa stessa facendo lì dentro, ermeticamente sbarrato come il peggiore dei criminali (e non era detto che non stesse facendo un disastro bello e buono effettivamente), e per quale motivo non mi permettesse l’entrata nella MIA cucina…domande a cui, chiaramente, non avrei mai potuto porre una risposta.
Aggrottai le sopracciglia, perplessa, e dopo qualche attimo di domande strettamente personali (Quali: “Quanto spendo per riparare la porta se l’abbatto, o se infilo nel buco della serratura il canarino del vicino provando ad usarlo o come chiave o come spia aerea?”) decisi che, se non potevo chiedere il permesso di entrata, avrei potuto in un qualche modo cercare di indovinare quali fossero i piani diabolici del signorino Kaulitz.
Adagiai allora entrambi i palmi delle mani alla porta in legno di fronte alla quale sostavo, e dopo un attimo di esitazione, posai anche il mio orecchio sinistro sulla superficie lignea, trattenendo il respiro per udire anche il minimo rumore proveniente dalla stanza…
…e di rumori, come constatai, cen’erano tanti, ma nessuno di questi “minimi” …
« Allora ascoltami bene… » La voce che sentii giungere fino ai miei timpani era senza dubbio quella baritonale di Tom, e benché quella consapevolezza mi fece sbocciare sul volto un sorriso che cercai di cancellare immediatamente –arrossendo come una sciocca- la perplessità che già da prima attanagliava ogni neurone della mia mente, non poté che accentuarsi sino alla follia.
Con chi diavolo stava parlando…?
« …Tu sei il pollo, e io sono il padrone di casa. E’ indubbio che qui, quello che comanda, sono io… »
Sgranai leggermente gli occhi, basita, e dopo essermi allontanata e aver osservato la porta per qualche attimo, riportai l’orecchio sulla superficie lignea. Se dovevo essere sincera, in quel momento, non sapevo cosa avrei o meno dovuto pensare…
(...) Probabilmente, era meglio se non pensavo.
« …Messa in chiaro questa basilare realtà, adesso fammi un favore… » Parlava con voce scura, quasi irritata, in un tedesco che trasudava serietà da ogni parola.
Una serietà reale, grave, dura...decisamente insensata.
« …Gira in senso orario, senza finire addosso alle patate, e cerca di cuocerti alla svelta, perché è tardi e io… » Silenzio per qualche istante « …lei, ha fame. E noi non vogliamo farla aspettare vero? »
…Ci fu poi un veloce scambio di battute, troppo lesto perché io capissi distintamente ogni parola, ma che non mi vietò tuttavia di comprendere il significato finale: Il pollo (pensarlo non poté che farmi rimanere shockata ancora una volta) doveva aver perso il confronto.
Aggrottai la fronte, allibita da quella realtà che avevo improvvisamente compreso (o che probabilmente ero riuscita ad accettare, dopo averla concepita già molto prima), e il solo rendermi conto che Tom Kaulitz stava realmente parlando con un pollo confezionato (Sperai che il “girare” fosse inteso come “Gira nella teglia del forno”, e che quelle patate non si rivelassero essere chissà quale sorta di vegetale/oggetto reperito in chissà quale antro di casa) mi lasciò addosso un indicibile senso di vuoto.
Era così…idiota.
Com’era possibile? O meglio: Era possibile?
…Eppure sembrava così brillante, sarcastico e piacevole nelle interviste televisive o nella nostra corrispondenza…
Sembrava così...ideale.
Aprii lentamente la bocca, smarrita, e in un gesto involontario portai entrambe le mani ai capelli, mentre quell'orribile consapevolezza che avevo messo a tacere con la forza, si feceva nuovamente e prepotentemente largo in me:
Ommiodio, cosa diavolo avevo portato in casa mia? L’erede di San Francesco…?
« …Tom » Lo chiamai più per disperazione che, a quel punto, per una mia reale esigenza. Se dovevo essere sincera mi era persino passata la fame, e la voglia di rivedere il suo volto e quei suoi lineamenti perfetti, ormai si era ridotta ad una percentuale piuttosto misera.
« Tom ti prego… » Ripetei, temendo il peggio…e quando, dalla cucina, sentii un forte botto subito seguito da una delle più fini imprecazioni che avessi mai avuto la gioia di udire, mi resi immediatamente conto che il peggio…
Beh. Il peggio era nulla. Quello che pensavo io, non era che una paradisiaca e caramellosa visione dell’orrore culinario, sociale, politico, economico e antropologico…

(...)
La porta si aprì con una tale velocità che io, per un attimo, temetti di cadere a faccia in avanti; tuttavia –in un ultimo lampo di lucidità- la schifosa idea di finire ai suoi piedi mi donò un inaspettato equilibrio che, grazie anche alla presa ferra con cui mi aggrappai allo stipite del portone di legno massello, mi evitò di far mostra ancora una volta della mia (inesistente) concezione spaziale.
« …Tom! » Ringhiai alzando lo sguardo, ma se la mia intenzione iniziale era quella di sgridarlo e saltargli al collo prima ancora di sapere quali orribili notizie mi sarebbero piovute addosso di lì a qualche istante; quando me lo ritrovai davanti sporco in volto di quella che avrei detto cenere, e con indosso il completo da cucina di mia nonna, non potei che abbandonarmi all’inevitabile senso di capovolgimento planetario che mi aggredì feroce. Nonostante avessi dovuto ammettere che quella fantasia rosea e la scritta a caratteri cubitali “Mamma Oca” che spiccava sul grembiule che mi ritrovavo a pochi centimetri dal naso, donasse molto ai dreads color del miele e alle dita lunghe protette da due grandi guantoni da baseball (???) …mi fu decisamente impossibile non sgranare la bocca e inarcare le sopracciglia, palesemente shockata.
Moda Estate 2008...?
...La cucina non è solo al femminile!
« …Friè » Sussurrò Tom, abbassando lo sguardo e fissandomi in silenzio per qualche attimo, probabilmente cercando di nascondere ai miei occhi il panico più che visibile in ogni suo lineamento; e io, nell’udire quella sorta di strano vezzeggiativo tanto simile al nome di un formaggio stagionato, che avevamo deciso insieme il primo giorno (poichè Federica era un nome troppo lungo da pronunciare; e sia io che Tom ci eravamo trovati d’accordo sul fatto che se mi fossi trovata in pericolo di vita, prima che lui potesse avvertirmi urlando il mio nome, io sarei probabilmente morta) venni scossa da un gelido, ma piacevole brivido.
« …Si…? » Cercai di rispondere a mezza voce, tenendo le mie iridi color dell’ambra concentrate nelle sue nocciola. « Tom, cosa… » …succede?

Una fiammata.

Fu talmente veloce che quasi non la vidi, ma il fumo nero che cominciò a saturare la cucina di casa mia non lasciava alla mia mente che la possibilità di ipotizzare un’unica grande, grandissima, tragedia…
« …Abbiamo un problema » Esclamò Tom, sgranando gli occhi e irrigidendo ogni suo muscolo nel vedere le pareti bianche della stanza dentro cui sostava, illuminarsi di rosso e poi di nero...E io non sapevo cosa fare.
Continuavo a fissarlo allibita, incapace di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse il costo catastrofico che avrei dovuto sottrarre ai miei prossimi diritti d’autore per riparare la cucina per la quale mia madre mi avrebbe probabilmente lapidato, e qualunque altra cosa -a confronto di quell'orribile cifra a quattro zeri- era NULLA.
« Dimmi che non è il mio forno quello che sta bruciando... » Gemetti improvvisamente, incapace di aggiungere altro.
« Abbiamo un problema » Ripeté Tom, abbassandosi lentamente anche lui, probabilmente stordito dal fumo che ormai rendeva l’aria irrespirabile; e quando me lo ritrovai di fronte, aggrappato anche lui allo stipite della porta, con i nostri volti a così poca distanza l’uno dall’altro…compresi che si, era vero, l’aria stava proprio venendo a mancare…e che forse era il caso di fare qualcosa, era il caso di uscire da quella sorta di stasi, perché altrimenti sarei morta lì, in quel momento…
…e morire, equivaleva a non vederlo più.
Mai più.
...Sarebbe stata come una morte nella morte, insomma…
Che cosa pietosa.
« …Tom » Sussurrai il suo nome a fior di labbra, forse timorosa che se lo avessi pronunciato più forte lui si sarebbe allontanato, infastidito. « …propongo di cantare… »
« …Come? » Mormorò il chitarrista, inarcando un sopracciglio e osservandomi perplesso.
« Cantiamo » Insistetti, mentre un ennesima lingua di fuoco usciva dal forno posseduto da belzebù.
« Ok » Gemette Tom, abbassandosi ancora un po’, bianco in volto e madido di sudore. « …Cosa intoniamo? » Chiese poi, dopo qualche attimo, cercando di abbozzare un sorriso.
Quell'unica domanda bastò a far nascere sul mio viso un sorriso divertito.
Mi alzai improvvisamente, forte della consapevolezza che ero io a gestire il gioco in quel momento, e ferma in piedi di fronte a lui, lo guardai dall’alto verso il basso, proprio come avevo sognato di fare da anni nelle mie incontrollate manie di superiorità.
Attesi solo che sul suo volto comparisse il più totale dello smarrimento, prima di rispondere.
« Scream » Risposi, e lo dissi come se fosse una cosa schifosamente scontata. Ovvia. « …Mi sembra chiaro, no? »

(....)

…Quella sera mangiammo una carota a testa, e brindammo con acqua e limone passando tutta la nottata a ripulire la cucina che –miracolosamente- era scampata alla carbonizzazione…

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Perdonate l'attesa e il capitolo corto

Perdonate l'attesa e il capitolo corto...entro domani saprò darvi il nuovo chap, almeno spero.
Grazie per seguirmi nonostante tutto...

Scusate, non è un periodo molto positivo per me...lol "

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Capitolo 17

"...cantiamo"
Lo sussurravo a fior di labbra, socchiudendo gli occhi in un timido accenno di sorriso che subito svaniva quando le sue iridi incontravano le mie, e io -colta di sorpresa da un imbarazzo tanto intenso da lasciarmi senza fiato- abbassavo lo sguardo, arrossendo violentemente.
Era una di quelle sensazioni difficili da definire per me, una di quelle dinnanzi alle quali non potevo che ridere, conscia che la gioia che sentivo sbocciare dentro il mio animo non era che una logica conseguenza alle sue attenzioni nei miei riguardi, una sorta di tacita promessa che mi univa a lui in un rapporto in superficie tanto scontato, ma in profondità carico di una costellazione di problematiche e aspettative dalla difficile delineazione.
Era un rapporto particolare -unico avrei osato dire- ...
Era il MIO rapporto. Il nostro rapporto...
"Si..." Sussurro melodico, dolce e incantevole "...cosa vuoi cantare?"
...E benché la domanda mi fosse stata posta con gentilezza, io non potei che cadere in un silenzio dibattuto, tesa nel cercare una risposta che potesse accontentare sia chi la pronunciava che chi l'ascoltava. Inarcai allora le sopracciglia, titubante, ma quando alzai lo sguardo verso il cielo -alla ricerca di una seppur vaga ispirazione- i riverberi di quella luna che gravava su di me come una spietata falce, mi ferirono gli occhi, e io fui costretta a riabbassarli nell'oscurità che mi circondava e che mi riaccolse come una madre con il proprio bimbo.
Mi trovavo in una di quelle foreste bellissime, quelle che si vedevano solamente nelle fotografie e che con i suoi milioni di folti pini e con la sua nebbia bassa e color del cristallo, mi cullava in un tepore quasi fantasioso. Persino l'aria satura, la staticità quasi inquietante e il terreno cedevole e oscuro su cui sostavo immobile -avvinghiata per le caviglie da due mani lunghe e nodose- mi sembravano un rifugio accogliente...
"Hilf mir Fliegen"
Lo annunciai tutto di un fiato dopo un silenzio che mi era sembrato eterno, e quando le mie parole infransero la misticità del luogo, e sul volto del mio interlocutore vidi nascere un sorriso, fu facile convincermi che l'insistenza di quelle mani che tentavano di farmi cadere a terra fosse solo immaginaria...
Infondo, per me, in quel momento esisteva solo lui. Lui e il suo sorriso. Lui e la sua splendida voce.
Volevo cantare, e solo con lui.
"...Va bene" sembrava entusiasta quella voce che amavo... "...ma sei sicura?" ...eppure così distante.
Aggrottai la fronte, colta di sorpresa da quel quesito, e dopo un attimo di esitazione non potei che domandare un bisbigliato "Sicura di cosa?" che subito si perdette nel silenzio della foresta, e si confuse con la risata divertita di lui.
"...che sia la canzone giusta" Aggiunse, pensando forse che quel suo ennesimo enigma potesse essermi d'aiuto nella comprensione del precedente.
"Non dovrebbe esserlo?" Ribattevo io, e a quel punto l'ansia mi aggrediva e la presa di quelle dita lunghe cominciava rapidamente a salire.
Scivolava viscida lungo le mie gambe, mi solleticava l'ombelico, danzava sulle mie braccia e infine sostava sulla gola...che avvinghiava rabbiosamente, con una tale forza da privarmi del respiro...

Aiutami a volare
Sono qui da qualche parte
Se non so più dire chi sono
Perdi il ricordo
Le immagini rendono senso
Portami via
Portami dove vivo
non posso stare solo qui fuori


"...possiamo cantarla se vuoi" Mi sussurrava lui mentre il mio volto si tingeva di un pallore cadaverico e io lottavo strenuamente contro la mia stessa fiacchezza, per cercare di non cadere su quel terreno sopra il quale sarei sicuramente rimasta per sempre. "...ma sei sicura che sia adatta a te? ...a voi?"

Silenzio.

Tentavo di ribattere, ma ogni volta che aprivo bocca dalle mie labbra violacee non uscivano che frasi inutili e assurde come: "Non abbandonarmi!" , "Non lo fare!" oppure un semplice "Dove vai...?" davanti al quale quegli occhi dal taglio perfetto -cerchiati di un kajal sin troppo costoso- non potevano che socchiudersi accompagnando la bocca ben disegnata in un sorriso più che compiaciuto. Un sorriso che, ad ogni giro, mi feriva sempre di più.
"...E' la canzone giusta?" Mi sentivo domandare ancora una volta, e ancora una volta io non ero capace di rispondere.
L'aria mancava, le gambe tremavano...e per quanto io mi opponessi alla loro instabilità, non riuscii a non cadere in ginocchio a terra, su quel soffice terreno bagnato,e nel quale strisciavano -solo allora mi resi conto- sin troppi vermi...
"Sai...ti dico io perchè pensi che questa canzone sia la più adatta..." Lo sussurrò come se fosse un gioco, e fu solo in quell'istante che un guizzo di rabbia si dipinse sul mio volto -privato dell'amore e dell'aspettative di poco prima-, che prontamente alzai ad incrociare il suo. Quasi ammutolii quando dinnanzi ai miei occhi si delineò nitida la sagoma di Bill Kaulitz, vestito di una semplice camicia bianca il cui pallore si rispecchiava nella luna color del nulla, mentre i capelli corvini scendevano sfilacciati poco sopra le spalle ben strutturate, a cui mi avrei voluto aggrapparmi per sostenermi, per alzarmi da quel terreno di morte che insisteva a mangiarmi l'animo e il corpo esausto...
Aiutami -avrei voluto dire- Aiutami ti prego...
"...hai scelto proprio questa canzone perchè sai che non durerà" Parole forti, troppo taglienti per le mie orecchie "...perchè lo sai com'è, sai cosa ama e cosa odia...sai che il suo animo è legato all'infinità di viaggi verso cui la sua vita lo conduce...una vita di cui te non puoi e non devi far parte...
Perchè lo sai. Lo sai troppo bene..."
Silenzio.
"...quel che succederà..."
Taci idiota.
"...quando incontrerà qualcuna..."
Smettila...
"...che lo interesserà più di te... (...)
Finirà. Tutto com'è iniziato..." Cercavo di non ascoltare, ma per me era impossibile. Impossibile come il cercare di non urlare quando -portandomi le dita alle orecchie- non mi accorgevo che da esse sgorgava del sangue forse causato da quelle parole o forse da quelle dita che sembravano trapassarmi sempre più...che sembravano fondersi con il mio corpo, e distruggermi da dentro.
Andando a stringere, come primo e privilegiato, il mio cuore.
"Resisterò" Lo dicevo trattenendo violentemente le lacrime, ma la mia voce non era convinta...nè alla mia percezione, nè alla sua.
Sorrideva.
Sorrideva.
Sorrideva.
...E iniziava a cantare, piano piano, quasi con divertimento. Iniziava a cantare, e ad ogni verso sembrava volermi spiegare i miei timori e dare significato alle mie lacrime...
Cantava, e io, non potevo fare a meno di ascoltare....di accompagnare...

"Aiutami a Volare..." Se ne andrà. Lo sai.

"Sono qui da qualche parte" ...ripetevo io, accasciandomi lentamente a terra.

"Se non so più dire chi sono..." Non lo riconosco più. Quello non è più lui. No.

"Perdi il ricordo" ...ma avrei mai dimenticato...?

"Le immagini rendono senso..." Sussurrò, e il terreno si aprì su di me, inghiottendomi lentamente come se fosse affamato del mio corpo e della mia stanchezza.

"Portami via" ...Supplicavo tra le lacrime, rabbiosa, distrutta e incredibilmente rassegnata...

"Portami dove vivo..." Lontano da te. Lontano dalla tua gabbia.

"Non posso stare solo qui fuori"

...E persino l'ultimo riverbero della luna svanì...

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Come promesso ecco il capitolo 18

Come promesso ecco il capitolo 18 ....scusatemi per il chap orribile di ieri, ma non ho proprio ispirazione. Mi sto trascinando il capitolo del mio libro per le lunghe, la cosa mi stressa, sono piena di impegni e non ho quasi più tempo di scrivere perciò mi irrito pure e...sommiamoci che ho il terrore di non poter andare in Germania quest'estate (si, penso in lungo) perciò mi girano anche le scatole. Doppiamente!!! X°DDDDDDDDDDDDDDDDDDD

Bah. Spero che questo vi piaccia.
Manuale: Come abbattere le difese di una scrittrice testarda
X°°°DD


Capitolo 18

Mi svegliai di soprassalto, ingoiando a stento l'urlo di disperazione che stava per infrangersi sulle pareti pulite della cucina entro la quale ancora mi trovavo, e quando aprii gli occhi, l'accecante luce estiva che filtrava dalle tende bianche delle finestre, mi ferì gli occhi tanto da costringermi a richiuderli.
Il che, capii subito dopo, fu decisamente un qualcosa di positivo...
Mi resi conto immediatamente, infatti, di trovarmi distesa sul pavimento di marmo bianco della mia cucina -dove avevo sicuramente dormito quella notte; tuttavia se quella concezione mi appariva tanto ovvia, non altrettanto scontata -o forse semplicemente facile da accettare- era la risposta al perché, nonostante mi trovassi lì, non avvertissi nè freddo nè tanto meno scomodità.
La mia testa era dolcemente accoccolata in un tepore gentile, al quale ero avidamente aggrappata sia con le mani che con le gambe, proprio come un bambino con la madre in una gelida notte d'inverno, e se in un primo momento -ancora ottenebrata dal sonno- mi chiesi cosa attutisse le mie esigenze, non appena l'incavo nel quale la mia testa era adagiata si sollevò in un sospiro profondo, la risposta mi parve tanto ovvia quanto orribile.
"Non aprire gli occhi" pensai, irrigendomi all'istante, conscia che se mai avessi compiuto quell'imperdonabile gesto, mi sarei trovata a fronteggiare il suo volto a poca distanza dal mio...magari con gli occhi aperti e un sorriso irritante ad illuminarne i bellissimi lineamenti. Magari fermo a intrecciare le sua dita tra i miei capelli. Magari dolcemente intento a scrutare ogni mio profilo nel sonno...
...Magari pronto a sussurrarmi parole d'amore, pronto a sfiorarmi con delicatezza...pronto a tutto. Solo per me.
« ...Tom » Gracchiai immediatamente non appena mi sentii avvampare di imbarazzo per quei pensieri decisamente assurdi, e nel dirlo scollai automaticamente le mie dita dal suo torace, allontanando contemporaneamente le gambe dalle sue quasi fossi schifata da quel contatto che tutto provocava in me tranne che ribrezzo.
« T O M » Urlai nuovamente con tutta la voce che avevo in gola, esasperata da quelle sue dita lunghe che continuavano a stringermi al suo corpo in un gesto probabilmente involontario e dettato dal suo sonno profondo…
…perché in verità lui non era sveglio, nè pronto come il più classico dei principi azzurri.
Era lì, incollato a me, dormendo tanto beatamente che se non avessi rischiato la follia per quella vicinanza che inebriava e stordiva ogni mio senso, probabilmente mi sarei persino rifiutata di svegliarlo.
Era lì. Lì accanto a me. Stretti l'uno all'altra. Uniti.
Solo io e lui...
« TOM, E PER DIO! » Ebbi la premura di strillarglielo nelle orecchie stavolta –mentre un brivido impossibile da definire mi scivolava lungo la schiena-, e superato il primo senso di colpa, mi resi conto che il risultato che ottenni fu più che soddisfacente. Il giovane schizzò in aria con una tale velocità che persino io sobbalzai a mia volta, aggrappandomi automaticamente al mobilino di legno a poca distanza dalla mia schiena e al quale mi tenni con una forza disumana dettata in gran parte dal sollievo.
Salva -pensai infatti, inspirando a fondo l'aria fresca della verginità- Sono salva...
Sorrisi, appagata da quella constatazione, e incurante del mio ospite che continuava a passarsi le mani sul viso stravolto, fissandomi di sottecchi, cominciai a stiracchiarmi lentamente, solo allora rendendomi conto di essere –effettivamente- un solo fascio di muscoli…
Scossi la testa, sbadigliando sonoramente, e nel portare la mano davanti alla bocca cominciai a spaziare con lo sguardo l’intera cucina –ben attenta a lasciare un buco nero dove era accovacciato Tom (a cui non avevo, trall’altro, ancora porto le mie scuse). Riordinare le idee, per me, era in quel momento di primaria importanza, perché ero sicura di dover motivare anche nel più assurdo dei modi quell’imbarazzo che mi legava come una bambola e che mi impediva di guardare in sua direzione, e soprattutto un’intera notte trascorsa in sua presenza –deglutii- …a pulire la cucina…o almeno era quello che speravo.
Abbassai automaticamente lo sguardo sulle mie gambe, e quando mi resi conto di essere in pantaloncini da casa e con indosso solo una t-shirt bucata e sporca, reduce da chissà quale combattimento, mi sentii sbiancare.
Oddio no –pensai battendomi le mani sulla pancia- tutto ma…no.
No. No. NO PER DIO.
« …oh no » La voce di Tom suonò alle mie orecchie come un rantolo di disperazione, e quando alzai lo sguardo verso di lui, il mio pensiero non poté che trovar conferma nel suo sguardo inorridito. « Oh no…ti prego non dirmelo… » Mormorò con voce strozzata, e la sua bocca si dischiuse in una smorfia di disperato orrore.
« Dirti cosa…? » Sussurrai di rimando io, biascicando a stento quel tedesco che improvvisamente non riuscivo più a digerire.
« …Cosa… » Si interruppe qualche istante, la voce tremante e le mani irrigidite sulle gambe già tese e pronte a schizzare in piedi. « …abbiamo fatto? » Concluse dopo un attimo di silenzio teso, deglutendo troppo rumorosamente…e quella domanda non poté che lasciarmi senza parole.
Sembrava sconvolto. Toccato. Schifato quasi, da quell’ipotesi di cui dovevamo ancora prendere conferma…
Era palesemente allarmato…

Se ne andrà. Lo sai.

« Beh…! » Esclamai immediatamente, arrossendo di un qualcosa che sicuramente non era imbarazzo…ma rabbia, avrei detto. « …ti fa particolarmente schifo l’idea, noto! » E quella sorta di tacita accusa l’urlai con tutta la voce che avevo in gola, mentre gli occhi si socchiudevano nel tentativo di non inumidirsi per quel nodo che mi serrava il collo, e io sbagliavo inesorabilmente la costruzione della frase che –alle orecchie del mio interlocutore- dovette apparire insensata e sgrammaticata tanto da costringerlo a una rielaborazione che gli costò qualche attimo.

Quando troverà qualcuna che lo interesserà più di te.

« …ma che vai dicendo? » Bofonchiò Tom inarcando un sopracciglio, non appena riuscì a codificare il mio scatto rabbioso, e nel dire quelle parole tentò di tirarsi in un sorriso plastico sin troppo falso. Troppo. Troppo falso.
« …pensavo ti piacessero tutte le femmine » Sibilai come una serpe, alzandomi lentamente senza nemmeno rendermene conto. Le mani rigide lungo i fianchi, le gambe scoperte tremanti, un deficentissimo sorriso di sfida stampato sul viso imbrociato da bambina piccola…
« Stai vaneggiando » Replicò Tom, alzandosi a sua volta e sostenendo il mio sguardo con una sorta di irritazione mista a compiacimento dipinta sul volto perfetto e bellissimo.
« Ah si!? » Gracchiai io, cercando di deglutire per inumidire la gola secca. « Lo hai detto te in un’intervista! »
...Che patetica.
« Sul serio…? » Sussurrò allora il ragazzo, infine sorridendo palesemente compiaciuto, e con una lentezza calcolata, compì un passo in mia direzione, dinnanzi al quale mi forzai di rimanere immobile. « …beh allora temo che in quell’intervista o avevo sonno, oppure ero decisamente fuori di testa… » Aggiunse avvicinandosi ancora, ma a quel punto persino la mia testardaggine venne sconfitta dal panico, e io retrocedetti di un passo, spiaccicandomi al mobile di legno alle mie spalle, e che maledissi in tutte le lingue che conoscevo (il vantaggio di averne studiate cinque!)
« Te sei sempre… » Esordii prontamente, ma lesta mi interruppi. Che ribattuta scontata.
« …Si? » Sussurrò Tom, e mi resi conto che ormai a separarci c’erano solo un paio di passi.
« …fuori di testa » Balbettai disperata, premendo i palmi contro il legno del mobile e alzando il mento leggermente verso l’alto, in un gesto di sfida che dovevo io per prima capire.
« …Scontato » Ridacchiò Tom, ormai tanto vicino a me che potevo intravedere il suo fisico asciutto e scolpito sotto quella maglietta troppo grande e incollata al corpo per il troppo caldo e sudore.
« Lo so » Gemetti io di rimando, irritata da quella constatazione e in apatia per quella forzata vicinanza.
Lo so.
…E fu allora che lui alzò la mano destra verso di me. Lentamente. Dolcemente…e io non feci nulla per fermarlo. Lasciai che le sue dita si intrecciassero tra i miei capelli, riuscendo persino a perdonare quel suo sorriso schifosamente compiaciuto che nacque non appena vibrai sotto il contatto delicato delle sue dita.
Gli perdonai tutto, probabilmente senza nemmeno rendermene conto…infondo, al principe delle fiabe, non si possono fare colpe eterne. O no?
« …C’è una bella differenza tra “femmina” e… » Si avvicinò ulteriormente a me. Il suo volto ormai a poca distanza dal mio…sentivo distintamente il suo respiro regolare infrangersi sul mio volto, e il suo profumo strano avvolgermi ottenebrandomi la ragione. « … “donna” » Disse infine, concludendo, dopo un attimo di stasi che avevo pregato perché finisse presto; e nel dire quell’unica parola si avvicinò ancora e ancora, fino a quando le nostre labbra non furono tanto vicine da sfiorarsi.
Sfiorarsi.
Solo quello.
Sfiorarsi leggermente…delicatamente…
…e poi via. Di nuovo lontani. Separati.

« Il telefono » Sussurrammo entrambi –quasi schifati-, distogliendo contemporaneamente lo sguardo l’uno dall’altra, e io non persi un attimo per allungare la mano proprio dietro di me, afferrando il mio cordless color cobalto e argento, che accesi con rabbia violenta.
“Mamma”
C’era scritto così nel display celeste, e io –nel leggere quelle parole- non potei che alzare gli occhi al cielo, esasperata.
Io e lei eravamo sempre state grandi amiche. Un po’ come nel telefilm che davano su mediaste la sera, e di cui non riuscivo proprio a ricordare il nome… “Girmore e qualcosa”
...Eravamo evidentemente così amiche, che ci sentivamo in dovere di rompere le palle l’una all’altra quando proprio non era il caso di farlo. Evidentemente, già.
« Pronto? »
“Amore!” Esclamò mia madre dall’altro capo della cornetta, cercando di coprire gli schiamazzi di mio fratello e di qualche suo nuovo amico che sentivo in sottofondo. “Amore!” Ripeté, contemporaneamente intimando il silenzio ai bimbi “…Come va?”
« Come vuoi che vada? » Sibilai di rimando io, perché effettivamente quella era una bella domanda cretina.
Se n’era andata in Croazia con il mio fratellino, per una vacanza a due, lasciandomi ferma a Firenze nel caldo madornale estivo, troppo presa dal mio romanzo, il successo e la manager per muovermi…e mi chiedeva come stavo?
Se fosse stata una buona madre, e fosse rimasta a soffrire con me, magari non mi sarei irritatata tanto nel sentirmi porre quella domanda.
…sempre messo che l’irritazione derivasse da quello, chiaro.
“Bene, è ovvio” Rispose per me mia madre, ridendo come un’oca, e io non potei che ridacchiare a mia volta…di isteria però.
« Te come va? » Chiesi più per educazione che per altro, mentre il mio sguardo scivolava lentamente sul ragazzo fermo dinnanzi a me, che sorrideva sarcastico di ogni mia parola.
“Secondo te?”
« Mamma, erano i Celti quelli che rispondevano ad una domanda con un’altra domanda. Sei celta? » Esclamai improvvisamente io, in un rantolo, mentre la mano di Tom si protendeva nuovamente verso di me, accarezzandomi dolcemente una guancia.
Addio effetto sarcastico. Grazie tante Tommino!
“Benissimo, amore, benissimo!” Rispose tuttavia mia madre, probabilmente non rendendosi conto di quella sorta di urlo strozzato tanto simile a quelli pre-morte che avevo appena emesso “Giochiamo dalla mattina alla sera!” Mi annunciò, come se potessi trovarci qualcosa di divertente nel saperli al fresco e all’allegria mentre io…io…
…io ero sudata, mezza nuda e incollata ad un mobile di legno grezzo, mentre Tom Kaulitz mi solleticava il mento e la pancia.
« Che bello…! » Esclamai con voce strozzata, cercando di allontanare quelle lunghe dita nerborute dal mio collo. « E cosa fate? Racconta dai! » …Cambiamento d’umore decisamente troppo repentino per essere credibile, ma in qualche stramaledetto modo dovevo farla parlare. Se avesse avvertito anche solo un sospiro in più a quelli miei, mi sarei aspettata di vederla comparire sull’uscio di casa la sera stessa!
“Beh allora…” Esordì lei, pronta a dilungarsi in una lunghissima narrazione, e per una volta ringraziai Dio del suo essere logorroica (e soprattutto dei soldi per la carta di telefonate internazionali). “…Partiamo dal primo giorno…”
« Si » Esclamai io, improvvisamente raggiante, pronta a tirare una ginocchiata nel basso ventre al mio disgraziato coinquilino. « Direi che è il caso! » Aggiunsi cercando di mimare entusiasmo, e contemporaneamente alzai lo sguardo in quello di Tom, socchiudendolo subito dopo e sibilando tra le labbra un irritatissimo “Sparisci” …che non capii come interpretò, dato che furono solo pochi i secondi che lo tennero ancora lontano da me.
Allungò entrambe le mani sul mio volto, adagiando le sue dita lunghe sulle mie guance color porpora, guardandomi come se fossi una bambina…una bambina che non ero.
« Allontanati… » Sibilai, scuotendo la testa e alzando un piede pronta per pestarne uno scalzo suo.
“Come?” Gracchiò mia madre dall’altra parte della cornetta, infastidita per l’essere stata interrotta proprio quando stava raccontando di come aveva sedotto l’avvocato tedesco conosciuto al villaggio turistico.
« Allontanati dalla confusione » Esclamai di rimando io, come se la mia fosse una puntualizzazione. « Non sento un cavolo » Aggiunsi per essere più credibile, e quelle mie parole sembrarono riscuotere grande scalpore non solo dalla parte di mia madre, che cercò (invano) un posto più tranquillo nel quale parlare…ma anche da parte del chitarrista, che non riuscì a trattenere una risatina di scherno, abbassando lentamente le sue mani dapprima sul mio collo…poi sulle mie spalle…e poi…
« Tu… » Lo sussurrai tanto flebilmente che fui sicura che il mio interlocutore dovette leggermi le labbra, infatti nemmeno l’udito da catwoman di mia madre percepì alcunché, lasciandole quindi via libera in quel racconto di cui avevo perduto il filo già da molto tempo.
« …Io? » Mormorò Tom, avvicinando le labbra nell’incavo del mio collo, mentre le mani scivolavano veloci ed esperte vicino al seno.
« …morirai » Ringhiai io, pestandogli il piede con tutta la mia forza e sorridendo subito dopo, compiaciuta di vederlo mordersi un labbro per non emettere nessun tipo di urlo di dolore.
Dovevo almeno riconoscergli di essere altruista…
“Chi morirà?” Gemette improvvisamente mia madre, e sembrava allarmata nel dirlo “Federica, mi sembra prematuro pensare a chissà cosa…”
« Chiaro mamma » Dissi velocemente io, sistemandomi meglio il telefono sudato all’orecchio « Non provare a portarmi a casa un tedesco » Aggiunsi poi in un ringhio, minacciandola irritata.
“Oh Federica…” Esordì prontamente mia madre “…Tu non sai…”
« No, mamma » La interruppi immediatamente, gli occhi ancora socchiusi in un sorriso divertito nel sostenere lo sguardo arrogante e iracondo di Tom fermo e muto dinnanzi a me « …Davvero. Non portarmi un tedesco a casa. Sei TE che non sai nulla di un uomo made in Deutschland… » E sghignazzai divertita nel dirlo, mentre gli occhi di quella che era ormai la mia preda, guizzavano iracondi.
« Nemmeno te sai nulla di un uomo made in Deutschland… » Puntualizzò Tom, alzando leggermente la voce così da poter prendersi la sua rivincita nel vedermi sbiancare come un cencio. Ma fortunatamente mia madre –troppo presa dalla descrizione del fascinoso avvocato- non sentì null’altro che la sua voce, e continuò serenamente a mettermi al corrente della bellezza tipica tedesca…come se io, povera idiota, ne fossi decisamente estranea.
« Taci » Ordinai prontamente, a bassissima voce, non appena il chitarrista fu nuovamente vicino a me…troppo vicino, decisamente. « Taci e allontanati » Mi corressi prontamente, reclinando leggermente la testa all’indietro nel vano tentativo di non incrociare lo sguardo o il volto di lui.
« …e perché? » Sussurrò Tom, sorridendo compiaciuto e divertito, lasciando scivolare le sue labbra lungo il mio collo.
“Non guardare” cercai di pensare, esitante e disperata “Possibilmente non sentire nemmeno…” Aggiunsi in preda al panico, cercando di ricordarmi gli svariati esercizi di Yoga che avevo letto su un libro buddista qualche tempo addietro. Uno di quegli esercizi che ti insegnavano a trasmigrare l’anima fuori dal corpo, che automaticamente diventava insensibile ad ogni sorta di provocazione, dolore o gioia terrena…
…oh si. Io sono buddista. Io sono tutto, purché riesca ad arrivare sana e salva a stasera!
« Perché c’è mia madre al telefono » Risposi, parlandogli come se quella fosse una delle cose più scontate e sciocche del mondo.
« C’è un tedesco a tenerla a bada… » Replicò Tom, alzando gli occhi verso di me, dal basso del mio collo, e io incontrando quello sguardo che appariva tanto fanciullesco, ma che –mi rendevo conto- di infantile non aveva nulla, mi sentii scuotere da un brivido. « …Vedrai che non ci sono problemi »

Silenzio.
…E lentamente, dal collo, prese a salire…lento, calcolato, schifosamente provocatorio, orribilmente emozionante…
Scivolò sul mio mento, seguì i lineamenti del volto, soffiò delicatamente tra le ciocche della frangetta spettinata…e poi scese dolcemente, delicatamente, lungo il naso…
…fino alle labbra.

« Ti prego… » Non vidi altra soluzione che quella, a quel punto. Supplicarlo. « Sto telefonando » Tedesco inesistente, ma non avrei saputo come altro esprimermi in quel momento.
Sono al telefono. Sto telefonando…
Telefono.
Filo.
Linea…
« Dimmi che ti piaccio » Sorrise Tom, e ogni sua parola si infranse sul mio volto con un’arroganza tale da contribuire silenziosamente alla confusione che ormai imperava nella mia testa e nel mio animo.
« No » Risposi, in un ultimo slancio di lucidità.
“…Niente souvenir?” Sentii ribattere a mia madre dall’altro capo della cornetta. Insensato discorso. Universo parallelo.
« No, niente souvenir » Risposi io, mentre le labbra di Tom si adagiavano lentamente sulle mie…ma io, testarda, mi ribellavo e continuavo a parlare, a muovere la bocca nel vano tentativo di non far combaciare le mie labbra con le sue.
Assurda. Assurda bambina.
« Dimmelo » Ordinò Tom…e quell’imposizione, per un attimo, mi sembrò quasi assurda.
« Perché vuoi che te lo dica? » Sussurrai, movendo le mie labbra sulle sue.
« …Perché voglio sentirtelo dire »
…Ma lui sapeva già la risposta. Era solo egocentrismo il suo. Solo follia. Solo…
“Vuoi che rimanga ancora qui?” Domandò improvvisamente mia madre, mentre contemporaneamente sentivo danzarmi sulle labbra la domanda « Ti piaccio? » pronunciata con un sarcasmo che, per un istante, mi sembrò mascherare una vera e propria esigenza…

…E a quel punto, ferma in quella situazione, incastrata in una linea diretta con la Croazia, stanca di tenere il braccio alzato verso l’orecchio…decisi che era l’ora di concludere tutto. Di finire e cominciare un nuovo capitolo. Già, di finire. Decisamente.

« …Si… »

Lo dissi in un sussurro, sorridendo come una sciocca…ma quando quelle labbra scarlatte si posarono sulle mie, e si abbandonarono al bacio che desideravo da istanti interminabili…
...Capii chiaramente di non aver sbagliato risposta.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ok

Ok. Scusate orribilmente per il ritardo, non mi dilungherò nei soliti bla bla bla privi di senso anche x'è non ho voglia di scrivere.
Vi voglio bene.
Addio dall'aspirante suicida XDDDDDD

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Capitolo 19

« Sta fermo »
Sibilai arrossata in volto, e completamente sudata mentre cercavo di togliermi quelle lunghe dita nodose che dal collo serpeggiavano veloci lungo il corpo, e il girarmi vedendolo imbacuccato con i suoi grandi occhiali da sole neri e la fascia sulla fronte sotto il cappuccio della felpa senza maniche che indossava, mi fece venire un ennesimo capogiro.
Dovevo capirlo. Capirlo altrimenti sarei morta probabilmente: Come diavolo faceva, con quel caldo, a uscire vestito come se fosse pronto a farsi una bella sciata?
« Fermo…? » Lo sentii rispondere a mezza voce, ridacchiando divertito, e mi stupii che non si sciogliesse quando un ennesimo raggio di sole –sfuggendo all’ombra dei grandi palazzi in cemento- lo schiaffeggiavano arrogantemente. « …Scusami, mi è impossibile non toccarti quando ti vedo…così… » Sussurrò quasi strozzandosi, e ritirando immediatamente la mano per portarsela alla bocca che si apriva allibita, mi sorrise in faccia sarcastico.
« Così come scusa? » Strillai prontamente io, balzando automaticamente ad uno o due passi di distanza (di sicurezza) da lui che, per tutta risposta, scoppiò in una risata tanto fragorosa e inquinante che una vecchia signora di mezza età dall’altra parte della strada, trasalendo allarmata, si fermò a guardarci stranita. Ovviamente fu la mia prontezza di riflessi (e il mio buonsenso) a sbattergli una mano sulla bocca nel momento stesso in cui la nonna si voltò in nostra direzione, e dopo aver elargito alla tipa in questione uno dei miei più splendidi e carismatici sorrisi, non mi feci scrupoli nell’afferrare il chitarrista per il collo e sbatterlo velocemente al primo muro dell’angolo che stavamo proprio in quel momento oltrepassando. Tanto veloce e spietatamente fulminea, che il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di trasalire…
« …I D I O T A » Ringhiai inferocita, premunendomi di scandire ogni lettera in modo che capisse anche il mio siciliano furibondo, e nel trovarmelo lì davanti –alto e schifosamente bello- sperai che l’immediato mettergli le mani al collo e tentare di allungarglielo come era usanza negli antichi masai, fosse solo una conseguente reazione al suo sguardo sarcastico e schifosamente snervante, e non la dimostrazione che la mia lucidità svaniva sempre più cedendo il posto ad una sorta di furia omicida incontenibile...
…Anche se nessuno mi avrebbe mai potuto biasimare, se eventualmente quell’ultima opzione avesse rappresentato una triste realtà. Infondo convivere con uno dei Kaulitz era una di quelle imprese ciclopiche difficilmente comprensibili dalla blanda mentalità umana. Già.
« No dai…non qui… » Sussurrò Tom, lasciandosi scivolare gli occhiali da sole sul naso e inchiodandomi prontamente con le sue cupe iridi nocciola « …aspettiamo almeno di arrivare a casa… »
Altro che casa –mi ritrovai a pensare, subito dopo sconvolta- …fosse per me ti scoperei pure qui.
Scossi la testa, impaurita dai miei stessi pulsi sessuali, e supplicando le mie mani di smettere di tremare, e alla mia bocca di abbozzarla di annaspare; mi tirai in un più che divertito sorriso di sfida, di cui fui segretamente e completamente (quanto immotivatamente) compiaciuta.
« Quanto sei stupido » Commentai inarcando un sopracciglio, e allontanando lentamente le mie mani dal suo collo « …Devi finirla di urlare in strada…la gente ti riconosce, CI riconosce…e poi chi la fa la spesa…? »
« Ah già. La spesa » Ribatté prontamente Tom, ricambiando irritato il mio sorriso di scherno « …se non compriamo il gelato alla fragola, giustamente, poi con cosa facciamo i nostri giochetti erotici? » Sghignazzò mentre io mi soffocavo con la mia stessa saliva, e cominciavo a tossire, piegandomi in avanti per tentare di placare i conati di sconvolgimento…
…pessima mossa. PESSIMA.
Lo capii immediatamente quando il chitarrista si sporse assieme a me, ma in senso inverso, per poter ammirare dapprima il mio santificato culo, e poi la famosa e generosa scollatura, da sempre il mio più grande vanto, che la maglietta di seta nera metteva più che in risalto anche a causa del sudore increscioso che mi brillava sulla pelle.
Oddio…No dai. Ma…
« …Io amo l’Italia » Mormorò Tom sfilandosi del tutto gli occhiali da sole, e sorridendo più che raggiante mentre io mi raddrizzavo, gemendo d’imbarazzo e di chissà quale altro incontenibile sentimento più che terreno. « Davvero tanto… »
« TOM » Urlai subito, voltandomi un attimo dopo aver compreso la mia orribile posizione e con la mia solita furia cieca tentai di colpirlo con un pugno ben assestato all’addome…che data la tremarella delle mie mani, le orribili visioni mistiche di cui ero preda, e la differenza di altezza; fallì miseramente. « …Abbozzala » Esclamai in un rantolo nel momento stesso in cui la mia mano veniva automaticamente afferrata da quella grandissima di lui, che lasciando serpeggiare le dita sul polso mi immobilizzò.
« … “Abbozzala” …? » Ripeté lui, avvicinandosi lentamente a guardarmi da vicino (mentre l’altra sua mano bloccava la mia libera che tentava di colpirlo a tradimento sui reni) « …non capisco… »
…E come poteva capire! Era dialetto –pensai reclinando leggermente la testa all’indietro per allontanarmi il più possibile da lui e il suo sudore…che, non capivo come fosse possibile, lo rendeva ancora più arrapate.
« E’ così che si trattano gli amici!? » Strillai allora io, incapace di cimentarmi anche nelle più semplici spiegazioni grammaticali italiane, ma fu un attimo il rendermi conto che la speranza che quella mia retorica domanda potesse allontanarlo, era solo un’utopia. Solo una stramaledettissima utopia.
« …Ah. Siamo amici…? » Mormorò Tom mettendosi silenziosamente a ridere, mentre avvicinava la sua bocca al mio collo sudato e mi spingeva contro il muro dove poco prima io avevo sbattuto lui. « …mi è sfuggito il momento preciso nel quale lo siamo diventati… » Sussurrò, addentandomi leggermente il mento verso cui era scivolato e che sperai non causasse in me un orribile istinto animalesco.
« …certo che siamo amici » Annaspai io, gemendo più che udibilmente quando vidi il chitarrista continuare a mordicchiarmi e stuzzicarmi fino alle labbra, con cui prese amabilmente a giocare avvalendosi della mia paraplegica immobilità. Ovviamente, i piedi, rientravano nella categoria di arti già distrutti dalla spietata paresi, e il riuscire a obbligarle a muoversi per contribuire alla mia liberazione, era decisamente impossibile.
« …A-ah… » Mormorò Tom costringendomi (eh si, fu un’orribile e ardua prova di persuasione la sua) a reclinare la testa all’indietro così che potesse lasciar scivolare le sue labbra esperte lungo tutto il mio collo fino all’incavo del seno « …Già. Siamo amici…intimi direi… » E nel dirlo ridacchiò, mentre io –dal canto mio- cercavo di accordare silenziosamente le due parti opposte di me che litigavano furiosamente da istanti interminabili: La prostituta dantesca, e la monaca di monza manzoniana
…la quale un tempo era una semplice suora, ma a causa della stretta vicinanza del demonio era precipitata sulla via della corruzione; e da pura e casta era diventata una degna avversaria della prostituta dantesca, che –forte del nonnismo che vigeva nella mia mente- rivendicava i suoi primi diritti sul chitarrista.
Il problema, insomma, non era se dovevo o meno scoparmelo. Il problema era: Me lo scopo prima in modo delicato, o parto subito dal piatto forte?
« …La spesa » Mugolai, cercando di ribellarmi a quella sorta di tortura assurda (proprio della serie: Io non parlo se non sotto tortura…o sotto Kaulitz), e quando cominciai quasi a piagnucolare –terrorizzata anche all’idea che qualcuno potesse girare proprio quell’angolo dietro il tabaccaio di casa mia e, vedendomi, andasse poi a vomitare a tutto il quartiere la notizia sensazionale di cui mia madre sarebbe venuta a conoscenza pure dalla Croazia- Tom non poté che sospirare, fare spallucce, e lasciarmi andare; guardandomi male mentre riuscivo finalmente a rendere mio il respiro regolare a calmare la mia ormai cronica tachicardia.
« …E’ inutile che cerchi di riprenderti » Sibilò irritato, infilandosi le mani in quella felpa nera strappata che un tempo era stata di mio fratello, e che per gli standard kaulitziani era sin troppo piccola nonostante la XL abbondante. « …Io ottengo sempre quello che voglio, non è mai stato il contrario, e…ora io voglio te. Perciò non gioire, non hai ancora vinto » Aggiunse sorridendo compiaciuto, e voltandosi uscì dal vicolino in cui l’avevo cacciato a forza poco prima, cominciando a camminare lungo la strada che portava alla beneamata CONAD di seconda mano che avevo a poca distanza da casa e che, visto il periodo estivo, veniva tenuta aperta solo per merito della pluri-centenaria proprietaria, che non poteva decisamente vivere senza il suo gambo di sedano mattutino o i pettegolezzi di “Grazia” che smerciava gratuitamente alle sue amiche durante la spesa giornaliera.
Inspirai a fondo, alzando gli occhi al cielo e ringraziando ancora una volta Gesù lodatissimo per avermi dato la capacità di preservare ancora per un po’ la mia verginità; e quando riportai lo sguardo sulla strada, dovetti per di più affrettarmi a correre dietro il chitarrista stupido…
…che stava finendo dentro un negozio di accessori ecclesiastici invece che al supermarket.
Che idiota.
Bruttissimo idiota.


·¨¤ººº¤¨·

Fare la spesa con Herr Kaulitz al fianco fu un’esperienza traumatizzante, e durante quella tortura di più di un’ora e un quarto mi riscoprii più volte a chiedermi per quale motivo, prima di incontrarlo, non avessi fatto qualche acquisto di sopravvivenza…possibile che quando ero sola preferivo vivere di Danone e frutta? Che vita sregolata la mia –pensavo mentre stringevo le mie manine attorno a quelle di Tom (che aveva insistito per portare i tre sacchetti della spesa tutto da solo), e sebbene il primo contatto con le sue dita provocò forse ad entrambi un brivido troppo gelido, il sorriso che lui mi dispensò mentre inciampavo sui miei stessi piedi, quasi rischiando di cadere sotto il peso di confezioni di uova e pacchi di pizza o frutta che non ero abituata a portare, ero sicura mi ricompensasse di tutto. Decisamente tutto.
…Perché infondo lui era un ragazzo così.
Era strano, incomprensibile spesso, ma intrigante sempre. Lui con la sua voglia di sorprendere, il suo egocentrismo tirato agli estremi…e quel suo timido impaccio nel creare le più piccole manifestazioni d’affetto di cui sembrava essere privo e alla costante ricerca. Lui con il suo spasmodico tic di stringersi la maglietta larga con la mano destra quando si sentiva a disagio o era imbarazzato. Lui e il suo sorriso dolce che rivelava a pochi, o quello malizioso che elargiva gratuitamente e ormai quasi volgarmente.
Lui e le sue maschere. Le sue insicurezze e i suoi punti di forza. Lui e i suoi capelli. Le dita. Gli occhi. La bocca…
tutto.
Tutto. Tutto.
Non c’era nulla, ormai, che di lui non…adorassi?
Socchiusi gli occhi, osservando il profilo del suo volto leggermente abbassato verso il marciapiede mentre entrambi ci riposavamo sul ciglio della strada, stremati dal sole cocente dell’una del pomeriggio…e il vederlo immobile, con il cappuccio calcato sulla testa per nascondere i dread color del miele, e quegli occhiali da sole che sembravano quasi schermare il suo sguardo ricco di emozioni che non era in grado di esprimere…mi colpì. Tanto. Mi colpì a tal punto, che mi fu praticamente impossibile non allungare una mano verso il suo mento, invitandolo a girarsi totalmente in mia direzione.
Lasciai che i suoi occhi si voltassero in mia direzione, e quasi con spasmodico bisogno attesi il suo sorriso interrogativo, per nulla irritato dal mio gesto senza senso e come sempre carico di una bellezza che mi mozzò il fiato. Attesi pazientemente, e non appena seppi che ogni sua espressione in quel momento era per me…mi vennero quasi le lacrime agli occhi.
Perché era impossibile. Impossibile da trattenere la voglia di abbracciarlo, di slanciarmi verso di lui e di tenermi aggrappata al suo torace con tanta forza da privarlo della luce del respiro…Impossibile.
« …Cosa c’è principessa? » Mi domandò lui a mezza voce, socchiudendo gli occhi in un ennesimo sorriso…e io, a quelle parole, non potei fare a meno che scuotere la testa sorridendo impacciata.
« Nulla… » Mentii prontamente, trattenendo l’istinto di avvicinarmi e baciarlo con dolcezza, tenerezza, delicatezza…amore. « …Grazie comunque »
« Prego » Rispose prontamente lui, quasi stranito dal mio improvviso volta faccia; e quando ci rialzammo entrambi –nuovamente protagonisti di quella sorta di commedia tragicomica che era il portare la spesa a casa- l’unica cosa che turbò la quiete che si era utopicamente venuta a creare…fu una minigonna forse troppo corta. Un top ben in vista. Un fisico da fotomodella e una lunga chioma bionda, cornice di due bellissimi occhi color della tenebra.
L’unica cosa che turbò la quiete che si era venuta utopicamente a creare fu la classica bellezza mediterranea. Perfetta. Formosa. Alta. Snella…
…irresistibile.

Fino a quando non troverà qualcuna che lo interesserà più di te.

« …Tom! » Gemetti immediatamente -non appena la ragazza ci fu alle spalle-, quasi lasciando andare le borse di plastica che stavo aiutandolo a portare; e non mi stupii di sentire la mia voce come una maschera di panico…troppo orribilmente terrorizzata da quello sguardo che si era voltato e aveva seguito l’ondeggiare provocatorio di quel paio di gambe scoperte e di quel seno generoso. Quello sguardo, in quel momento, così spietatamente eloquente… « Tom… » Ripetei in un sussurro strozzato, mentre i suoi occhi tornavano a portarsi molto lentamente sulla strada davanti a loro, e lui mi mormorava un quasi spazientito “Dimmi” che per un attimo mi lasciò senza parole.
« Tom… » Continuai a chiamarlo più per una sorta di torpore mentale che per altro, ma al mio quinto richiamo, un suo irritato sospiro mi portò immediatamente a tacere.
Che sciocca.
In cosa ancora speravo…?
Era Tom Kaulitz. Non era Bill. Non era Gustav. Non era santoiddiononsochi.
Era Tom…cosa mi volevo aspettare, amore eterno?
L’eternità non esiste. L’amore poi, tanto meno.

Fino a quando non troverà qualcuna che lo interesserà più di te…

« Principessa, mi vuoi dire che c’è? » Sbottò improvvisamente Tom, facendo roteare gli occhi al cielo e sospirando spazientito, e io –come colta alla sprovvista- mi ritrovai persino a trasalire, per la perplessità del mio interlocutore che non riuscì a non guardarmi di sbieco, silenziosamente.
« …Carina » Sussurrai allora, dopo qualche attimo durante il quale la mia mente chissà che flusso di pensieri psicotico aveva partorito. « …Assomiglia un po’ a Pamela Anderson » Osservai, ed infondo era la verità. C’era tutta, la tipa.
« Già » Replicò immediatamente Tom, sorridendo divertito mentre continuavamo a camminare l’uno accanto all’altra.
« Ti piaceva? » Domandai di rimando io, senza nemmeno pensare a quale patetico effetto avrei potuto suscitare in chi mi ascoltava.
« …Beh » Rispose dopo un attimo il chitarrista, facendosi quasi malizioso nel parlare « …non era brutta, dai »
No. Effettivamente non lo era, anzi –pensai sorridendo automaticamente per il mio stesso orribile sconvolgimento.
« Già…un po’ la tipa giusta, insomma »
Che pazza. Folle. Idiota.
Ommiodio i geni dell’idiozia si trasmettevano? I bacilli della stupidità di Tom Kaulitz erano giunti a contaminare le lande intoccate della mente sin troppo intelligente?
…Cosa andavo a dire? Follia. Pura follia la mia.
« Dici? » Replicò Tom, scoccandomi un’occhiata stupita « …Io avevo pensato solo a sbattermela uno o due volte se devo essere sincero. »
Ah si, sei sincero questo è indubbio. Fu talmente tanto sincero che il sorriso che poco prima mi illuminava sinistramente il viso, si tramutò in una smorfia orripilata dinnanzi alla quale il mio interlocutore scoppiò a ridere in una fragorosa risata che ancora una volta dovetti stoppare con un calcio ben mirato negli stinchi.
« Idiota zitto » Ringhiai esasperata, minacciandolo di lasciar cadere tutta la spesa a terra « …zitto, fermo e vattene a scopartela se devi. Ti aspetto a casa » …ora mi mettevo anche a vaneggiare. Perfect.
« No grazie. A casa mi aspetta di meglio » Ribatté Tom sghignazzando divertito, e io mi sentii scorrere lungo la schiena un brivido che ipotizzai non essere di sudore « …non c’è cosa migliore di una mora succosa che riesci a strappare via dal suo roveto e a leccare affamato, no? » …E sperai che tutte quelle allusioni fossero solo un collegamento della mia mente malata e co-gestita da due puttane di alto borgo.
Chiusi gli occhi, inspirando a fondo, e dopo un attimo di stasi che mi sembrò durare un’eternità -e che nel frattempo portò me, lui, e la nostra piccola zavorra davanti a casa- abbandonai la presa sui sacchetti, voltandomi completamente a lui che rimasi a contemplare in silenzio per un qualche istante prima di iniziare a parlare.
« Tom » Esordii, quasi titubando, già priva di ogni certezza « …Ascolta, non è nel mio stile, okay? » Dissi immediatamente a bruciapelo, quasi senza senso. « Non è nel mio stile una scopata e via. Non rientra nel mio stile nemmeno farmi un rapporto a distanza e…devo essere sincera? Non è nel mio stile nemmeno sperare che tu possa cambiare le tue abitudini per me. Non siamo in televisione e nemmeno in una storiellina sdolcinata e amatoriale. Te non sei il principe, io non sono la principessa, te –meno di me- non sei lavorativamente disimpegnato per poter essere sempre al mio fianco come… » …come io vorrei « …una scopata, vista dal mio punto di vista, poi richiederebbe. Insomma, no… » Mi interruppi un attimo, guardando il ragazzo osservarmi in silenzio, e riuscii a proseguire solo quando fu lui a sospingermi a farlo, con un leggero cenno della testa.
Inspirai a fondo, chiusi gli occhi, e conclusi in poche frasi quel discorso forse privo di senso o forse folle…ma liberatorio e, ne ero sicura, stranamente ben accolto. « Preferisco aspettarti a casa. Tu va pure a farti la tipa, trovala, se non trovi lei trovane un’altra, è indifferente…ma lascia stare me. Ti prego…io non cerco ciò che cerchi te. Io non sono Pamela Anderson, e non posso darti ciò che ti darebbe lei. » …Dissi questo in un sussurro, quasi con rammarico, e nel momento stesso in cui conclusi il discorso chiusi gli occhi, come se fossi timorosa della reazione del mio interlocutore. Quasi timorosa di poter leggere sul suo volto troppa comprensione (o compassione), troppa rabbia o chissà quale altro sentimento che sicuramente mi avrebbe ucciso a sangue freddo come il peggiore degli assassini…
…quando perciò sentii Tom abbassarsi davanti a me, posarmi le mani sul volto e ordinarmi invelenito di aprire gli occhi, rimasi quasi smarrita da quel comportamento stranamente colmo di un connubio strano tra acido e dolce.
Una sorta di agro che mi invitò ad aprire dapprima un occhio –titubante- e poi anche l’altro…così da poter vedere, a poca distanza da me, il suo volto serio.
Serio e silenzioso. Maturo. Attento.
Così da poter vedere, a poca distanza da me, un vero uomo.
« …Io… » Sussurrò improvvisamente, e nonostante continuasse a guardarmi dritto negli occhi, avvertii da parte sua una sorta di malcelata titubanza che si sciolse solo qualche istante dopo, con un profondo sospiro liberatorio colmo d’ansia. « …vorrei una donna che mi facesse ridere.
Una donna che mi aiutasse a mantenere la calma quando ho voglia di spaccare la chitarra in faccia a qualcuno.
Una donna che mi supportasse nelle decisioni della vita. Che mi coadiuvasse nelle mie imprese con la sua intelligenza…
…ed è vero, dire che la bellezza non importa è una cazzata, perché sono il primo a girarmi per un bel culo o paio di tette…e sarei falso a dire “basta il carattere”
…però, mi sento sincero nel dire anche che la bellezza è un metro effimero e soggettivo, capace di variare drasticamente da persona a persona. Ciò che può affascinare me, può far ribrezzo a te, e…Oh per dio… » Ringhiò imprecando tra sé e sé, e chiudendo gli occhi si avvicinò lentamente a me, appoggiando la sua testa alla mia pancia per qualche istante mentre le braccia ricadevano lungo i fianchi. E io –dinnanzi a quell’implicito gesto di smarrimento- rimasi in silenzio. Immobile. Terrorizzata forse all’idea del finale di quel discorso lasciato in sospeso o forse dalla voglia intrattenibile di stringerlo a me. Un bisogno talmente tanto marcato che…si, era davvero capace di spaventare. Davvero tanto…
« …Federica.
Io vorrei una donna che sappia stupirmi ogni giorno…e che, ogni giorno, mi sappia far innamorare di lei…
Una donna che ogni giorno, nel vederla, mi faccia pensare “Ti amo” …con la stessa enfasi e emozione della prima volta…
Vorrei una donna così.

…Pensi che Pamela Anderson sarebbe donarmi questo…? »

…E a quella domanda, abbassai lo sguardo.
Allungai le mani.
Cinsi il suo torace abbassandomi verso di lui…
…e mentre le sue dita si intrecciavano sulla mia schiena, io mi slanciavo finalmente in quell’abbracciavo che volevo da troppo tempo…

…era una conclusione scontata, chiaramente…
ma a quel punto, poco me ne importava.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Come promesso ecco qua il ventesimo capitolo (Ragazzi non so come fate a sopportarmi ancora)

Come promesso ecco qua il ventesimo capitolo (Ragazzi non so come fate a sopportarmi ancora).
Dunque: Ringrazio moltissimo tutti voi miei lettori, che continuate a sostenermi nel bene e nel male anche quando ho manie auto-suicide perchè il lavoro va tutto a rilento....
Ringrazio voi tutti che mi sostenete e che sapete ascoltare la mia voce di carta e china.
Ringrazio voi tutti che ancora siete qui.

Stanchezza mode on.

Spero che questo capitolo vi piaccia. Mi raccomando, cercate anche di farmi commenti critici se servono eh. Ho sempre il terrore di essere monotona e stressante T__T ...
Dedico questo capitolo a Erika, che mi ha ispirato per il dentifricio qualche tempo fa...Grazie stellina!

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Capitolo 20

Bussò più di una volta, ma io chiaramente –per motivi che non gli avrei mai rivelato- non solo non gli diedi il permesso di entrare, ma gli strillai dietro tutte le minacce possibili e inimmaginabili per allontanarlo e non fargli nemmeno tentare di spiare dal buco della serratura della porta (che avevo accuratamente tappato con la carta igienica). Quando perciò –dopo un lasso di tempo compreso tra i quattro e i cinque minuti durante i quali visse il più religioso silenzio- vidi la porta aprirsi sotto un calcio orribilmente forte che ne scardinò la serratura della chicco (…non per finta. La serratura era davvero della chicco: Mia madre non aveva ancora tolto quella di quando avevo tre mesi…), non potei fare a meno di trasalire prima di cercare di correre ai ripari, colta di sorpresa e innocente come un bimbo…
…ovviamente, i miei tentativi fallirono miseramente, e io –fissandolo con tanto sconvolgimento quanto lui- cercai di accennare ad un sorriso, forse per sdrammatizzare la situazione o forse perché, effettivamente, non avevo idea di cosa poter fare/dire.
« …cosa stai facendo…? » Sussurrò Tom con voce strozzata, osservandomi dall’alto al basso con gli occhi socchiusi e le dita delle mani che andavano lentamente a puntarsi sul muro alle sue spalle; e la sua voce, tanto allucinata quanto incredibilmente ironica, mi fece perdere il lume della ragione.
(…) No. In verità era già da qualche giorno che anche solo il sentire il suono della sua voce mi faceva perdere la testa, ma a questo piccolo dettaglio cercai di non pensare...
« …Mi curo » Risposi io a mezza voce, incapace di definire la mia operazione un po’ per vanità e un po’ per imbarazzo.
« …Con il dentifricio? » Ribatté il ragazzo osservandomi allarmato, e assistendo allo sconvolgimento dipinto sul suo volto, non potei fare a meno che voltare il mio verso lo specchio alla mia sinistra, dove il mio viso pieno di dentifricio colgate si rifletté fino a quando –persino io- non mi dichiarai spaventata.
Effettivamente la mia orribile maschera informe di bellezza “rimedio della nonna” aveva un che di inquietante...
« …Con il dentifricio vanno via i brufoli » Sussurrai abbassando leggermente lo sguardo e osservando il chitarrista basito di sottecchi.
« Ah capisco » Convenne lui, annuendo gravemente « …E presumo che le praline alla menta per profumare l’alito diano morbidezza all’epidermide, sbaglio? » Disse seriamente, mettendosi a braccia conserte e assumendo uno sguardo di sfida che dopo qualche istante di silenzioso shock, mi mandò in bestia.
« Demente » Sibilai prontamente, punta nell’orgoglio da quel suo commento sarcastico su un mio grave problema esistenziale; e nel dirlo mi alzai dalla sedia, già pronta a correre via come nelle più vecchie telenovelas spagnole dove la protagonista, schiaffeggiata moralmente dall’antagonista, andava a cercare ristoro sotto un albero di…prugne? Non ricordavo.
« No demente te » Ribatté prontamente Tom, facendo roteare gli occhi al cielo e sospirando sconsolato. « Sei ancora fissata con quel brufolo M I N U S C O L O ? » Domandò lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi in un gesto di arrendevolezza che mi fece perdere la pazienza sempre di più.
« Non è minuscolo » Ringhiai io portandomi la mano vicino al naso, dove la tanto peccaminosa impurità era sbocciata. « …si vede troppo »
« Ah beh…chiaramente se ci metti sopra un chilo di dentifricio, inosservato quel coso non passa… » Brontolò Tom, ma immediatamente si interruppe, socchiudendo gli occhi e portandosi una mano al mento. Pensoso. « …o forse si… » Sussurrò in aggiunta qualche attimo dopo « …si, forse si. Credo che ad apparire maggiormente sia te, piuttosto che lui. Già… » Disse a fior di labbra, prima di mettersi a sghignazzare con così tanto divertimento che, a quel punto, il mio stoico autocontrollo –ormai un relitto di guerra- andò del tutto perdendosi, abbandonato al vento della disperazione…e permettendo quindi alla mia nobile persona di cadere in uno dei consueti stadi di imbarazzata isteria che troppe volte, in quegli ultimi periodi, mi avevano colto impreparata.
« ZITTO » Urlai immediatamente, battendo un piede a terra, e Tom davanti a quella manifestazione di rabbia sembrò non far altro che voler testare il mio livello di sopportazione, fingendo di trasalire e retrocedendo di qualche passo, come se davanti ai suoi occhi vi fosse un mostro assassino pronto a mangiarlo. « CHE NE SAI TE DELLE FATICHE CHE SI FANNO PER ESSERE BELLI!? » Piagnucolai come una bambina, cercando di evitarmi lo scuotere la testa da una parte all'altra per paura che i capelli potessero appiccicarmisi alla maschera di bellezza dalla dubbia origine.
« Molto più di quel che non credi te » Replicò prontamente il chitarrista, alzando il mento in tono di sfida come un cavaliere medievale davanti ad un drago sputa fuoco. « Stupida bamboccia » Aggiunse un attimo dopo, quasi senza motivo.
« Stupido bamboccio te » Boccheggiai io, esasperata e desiderosa di metterlo a tacere quanto prima: Infondo, avevo ragione io. Io e BASTA. Era chiaro.
Elementi belli come lui, col cazzo che capivano le difficoltà di una dieta, delle maschere di bellezza, delle palestre e delle mille diavolerie moderne per apparire perfetti davanti ad una telecamera...
« Perchè ho come l'impressione che tu mi creda tanto perfetto...? » Mormorò Tom, socchiudendo gli occhi e squadrandomi ora quasi irritato.
« Ah non è così? » Ribattei io, sarcastica, alludendo forse al suo volto stupendo o a quella...dannata maglietta appiccicata al torace bagnato dell'acqua insaponata usata per i piatti del pranzo.
« Beh » Esordì il chitarrista dopo un attimo di silenzio perplesso, annuendo convinto « Effettivamente io sono nato perfetto, questo si... »
« ...Brutto... » Sibilai io, sgranando gli occhi allibita e già pronta a rovesciargli a dosso una cascata di parolacce e imprecazioni delle più disparate lingue globali; ma il ragazzo mi fermò con un gesto della mano, chiudendo gli occhi e sorridendo spensierato prima di aggiungere un allegro "...Ma lui no" ...che, senza che io me ne accorgessi sull'istante, fece perdere alla voce del chitarrista almeno due ottave, prima di spengersi nel silenzio.
E quello era un silenzio strano. Un silenzio teso, fiabesco avrei detto...Isterico avrei giurato.
Era uno di quei silenzi carichi di una sorta di tensione che non puoi non avvertire, che non puoi tralasciare e abbandonare dietro di te.
Un silenzio folle.
« ...Lui? » Ripetei io, a mezza voce, deglutendo per la paura di essere un peso eccessivo in quella religiosità maledetta; e nel dirlo reclinai leggermente la testa di lato, osservando il volto di Tom che, teso in una contrazione di rabbia, persisteva a fissare il parquet di legno di mogano lucido e brillante ai suoi piedi.
Sembrava colmo di un'agitazione e di una perversa cattiveria che, per un attimo, persino mi spaventarono. Gli occhi color nocciola, socchiusi in una smorfia irritata, sembravano rivangare episodi passati che non avrei mai conosciuto, e le dita nerborute strette alla maglietta bagnata bianca, volevano forse trattenere quella poca lucidità ancora rimasta e terribilmente vogliosa di evadere da quel corpo stoicamente controllato...
...Per un attimo, che sperai essere breve, mi fece paura.
Tanta. Troppa.
Sembrava...distante. Orribilmente distante.
...E io sapevo benissimo, per qualche assurda certezza, che quella distanza non l'avrei mai potuta colmare...
« Lui » Mormorò infine Tom, voltandosi lentamente a me e sorridendomi con una gentilezza forzata che, automaticamente, fece sorridere plasticamente anche me.
« ...Lui, ok » Bofonchiai io, incapace di capire di chi stesse parlando e contemporaneamente restia a chiedergli delucidazioni. Incapace di capire, già...
...oppure no?
« ...Bill? » Lo dissi in un sussurro, arrossendo nel pronunciare quel nome che avevo continuato a leggere di nascosto sui giornali o a sentire alla televisione proprio mentre il fratello del diretto interessato dormicchiava sul divano con la testa sulle mie gambe, o puliva la cucina stando ben lontano da qualsiasi cosa di auto-combustibile.
Lo dissi sorridendo, quasi emozionata di poter toccare un simile tasto con l'altra metà di quel cantante eccezionale che -nonostante le mie idee forse sbagliate sul suo conto- io adoravo.
Lo dissi con semplicità, quasi con allegria...ma quando vidi sul volto del mio interlocutore, il sorriso già contratto di poco prima svanire nel nulla...io, di rimando, tacqui istantaneamente, colta in contropiede da quel mutamento di espressioni che continuava a...spaventarmi.
« Si. Lui. » Disse Tom ponendo un forte punto dopo ogni parola, e io, dinnanzi a quell'esplicita voglia di non parlare, non potei che abbassare lo sguardo, tesa.
« Scusa » Mormorai con voce strozzata senza nemmeno rendermene conto. In un gesto quasi involontario.
« Nulla » Rispose secco il ragazzo di fronte a me, e dopo quell'unica parola calò di nuovo il silenzio.
Mi sentivo quasi una statua di cera a rimanere lì ferma, con le mani congiunte l'una nell'altra e il viso plasticamente incollato ad una cartolina scocciata sul muro al mio fianco. Mi sentivo idiota a non provare a infrangere quell'attimo di stasi, e mi sentivo egualmente inutile nel capire che...lui stava...male?
Male. Male e io...io non sapevo come aiutarlo. No. Non lo sapevo.
Parlargli?
Sorridergli?
Prendergli la mano?
Abbracciarlo?
Cosa avrei dovuto fare per farlo stare meglio, per sciogliere con il caldo suono della mia voce quella maschera di inferocita rabbia che gli vedevo tendere i lineamenti? Cosa potevo fare per sentire le sue mani stringere le mie e il suo sorriso ricambiare quello infantile del mio tentativo di scalfire il suo dolore?
Cosa avrei potuto fare...se non rimanere in silenzio a pentirmi della mia inutilità?
« ...Ehi »
Trasalii, colta alla sprovvista da quella voce baritonale ancora spasmodicamente tesa in una smorfia irritata, e retrocedendo di un passo non potei fare a meno che ingoiare un rantolo sommesso, alzando velocemente i miei occhi su Tom e sul suo sguardo ora quasi sconvolto per quel mio comportamento...che dopo un attimo di silenzio, riprese a parlare. Lentamente. In un sussurro.
« Senti... » Esordì a mezza voce, abbassando la faccia quasi per nascondersi « ...Scusami. Non volevo aggredirti »
Fine.
« ...No » Risposi io, distogliendo automaticamente il viso da cui avevo cominciato lentamente a raschiare via il dentifricio con le unghie, incurante dei segni rossi e quasi sanguinanti che lasciavo sulla mia candida perle di porcellana. « E' colpa mia. Sono stata invadente... »
Fine.
« No, davvero » Riprese Tom, alzando gli occhi su di me e rimanendo ad osservare i movimenti duri delle mie dita sulla carnagione bianca « ...No » Sussurrò ancora, e nel dirlo stavolta compì un passo in avanti, verso di me. « No » Ripeté, aggrottando la fronte e socchiudendo gli occhi in una rinnovata umanità « ...che fai? ti stai facendo male al viso. Smettila. » Mi ordinò, avvicinandosi un passo dopo l'altro a me, e bloccandomi i polsi con le mani.
« Si lo so » Ribattei io. Bambina. « So quel che faccio. Non sono idiota... »
Il ragazzo rimase in silenzio, e non replicò al mio dire. Si limitò a guardarmi. A guardarmi la pelle arrossata e il dentifricio indurito cadere a terra come una maschera di vetro infranta. Rimase in silenzio, forse allibito o forse quasi intenerito da quel mio essere piccola e grande contemporaneamente, in uno strano connubio di assurda dolcezza...
« Anche lui me lo disse quando lo ritrovai con la piastra in mano, sai? » Sussurrò allora, infine, guardandomi quasi forzatamente. Ancora quasi con isteria.
« ...Con la piastra? » Mormorai io dopo un attimo di silenzio, decisa a farlo parlare. Non sapevo cos'altro fare, e...a quel punto, ero sicura che qualunque cosa avessi mai fatto, non sarebbe bastata. Forse, se avesse parlato di un argomento che non c'entrava con la sua rabbia impazzita, si sarebbe calmato.
Pensavo questo mentre lo osservavo silenziosamente, sorridendo con gentilezza e attendendo pazientemente una sua risposta che giunse alle mie orecchie tardivamente...dopo forse un minuto di sospiri e ricordi sbiaditi riportati ad una mente stanca e incapace di ricordare...
« Avevamo sedici anni » Esordì Tom, come se quello fosse un racconto. Una fiaba. « ...e avevamo un'importante manifestazione a cui partecipare. Come sempre lui si svegliò prima di noi per potersi preparare (sai, lui ci mette sempre tanto tempo. Solo per scegliere la collana ci mette un'ora spesso e volentieri!), e...beh, quella mattina mi volli svegliare presto anche io. Sapevo quanto ci teneva a quella manifestazione e...volevo essergli vicino in qualche modo. » Sospirò nel dirlo, poi riprese « ...Entrai in bagno senza nemmeno bussare, come nostro solito, ma ciò che mi trovai di fronte fu una visione inquietante..infatti sono trascorsi due anni, e ancora me la ricordo come se fosse ieri. Lui era seduto sul cesso, con una piastra rosa in mano e andava lisciandosi i suoi capelli neri misteriosamente pieni di riccioli.
A quel punto l'ho fissato, sconvolto, e ricordo che lui fece altrettanto. "Che, non si bussa più?" mi disse arricciando il naso, e io non sapevo nemmeno come ribattere...!
"Che diavolo stai facendo?" Gli dissi, e lui rispose esattamente come hai detto te... "Mi curo"
"Con la piastra di barbie hippie anni ottanta?" Ho ribattuto io, e lui mi ha guardato male. Lui mi guarda sempre male quando lo prendo in giro sulla sua maniacale voglia di curarsi...e allora lui mi disse che aveva letto su una rivista che arricciare i capelli, rende questi più brillanti di un normale capello liscio...Ovviamente però, lui in giro con i capelli ricci non poteva andarci, allora prima se li arricciava e poi se li lisciava...per averli più brillanti, capito?
"Ma lo sai quello che fai?" Gli ho chiesto allora io, allibito...e lui mi ha detto...
"Certo. Io so che quel che faccio. Non sono idiota come te" ...Lui ha detto proprio così e... »
« Tom... »
Non potevo andare avanti. Non potevo sentire ancora...
...L'effetto sarcastico che avrebbe voluto dare con quel tentativo di rivangare un passato divertente era ormai svanito (o forse mai iniziato), e quei suoi continui sospiri e singulti non poterono che farmi apprendere quella triste realtà che, nella mia idiozia, io non avevo capito.
La triste realtà del perchè di quella rabbia. Di quella sorta di incontrollabile disperazione.
La causa della sua sofferenza. Una. Una sola causa.
E io, avevo capito qual'era.
« ...da quando non chiami più per nome tuo fratello...? » Domandai in un sussurro smorzato, abbassando le braccia ancora immobilizzate dalle sue dita lungo i fianchi.
Da quando soffri in silenzio?
Da quando non vuoi parlare agli altri dei tuoi tentativi di "essere forte per tutti" ...?
Da quando?
Mi avvicinai, un passo dopo l'altro, e non mi interessò di sentirlo singultare e tentare di allontanarsi da me. Mi avvicinai, e adagiai lentamente il mio volto -ormai libero da quella sorta di maschera con cui l'avevo precedentemente ricoperto- sul suo torace, socchiudendo poi gli occhi nel sentirne i profondi sospiri e il regolare alzarsi e abbassarsi che per un attimo mi incantarono e fecero sorridere...
...perchè ormai per me era una sorta di certezza: Non c'era nulla che non avrei potuto amare di lui.
Non c'era nulla che ci avrebbe allontanato. No. Non ora...

« ...Ti devo parlare di una cosa »

...ed era quello che pensavo. E ne ero sicura.
Mi vantavo della mia voglia di vivere. Di vivere con lui.
Mi vantavo della mia popolarità. Della popolarità pari alla sua.
Mi vantavo del mio talento. Del talento folgorante come quello di lui.
Mi vantavo di essere sua pari. Di essere degna di lui e delle sue aspettative tanto quanto lui lo era delle mie...
...ma quando l'immagine di quel vocalist amato mi veniva descritta davanti al tavolo della seconda sala del concerto di Milano, con il microfono ancora stretto tra le dita e un sorriso sarcastico dipinto sul volto nel dire "Non c'è nessuno che ti aspetta"
Quando nella mia mente comparve la sua espressione di paura, e il sangue che gli scivolava lungo il viso fino al pavimento.
Quando nel mio cuore si delineava, nitido e violento, il suono della sua gelosia e della sua rabbia nei miei confronti...
Io...
Io forse...


« ...Telefonagli subito... »

...E iniziò la mia caduta. Perchè ero sicura che si trattasse di una caduta...
...dalla quale non mi sarei mai più alzata.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Fanciulle, ecco qua il capitolo 21

Fanciulle, ecco qua il capitolo 21.
Non voglio dire nulla, e mi dispiace di non poter fare una presentazione adeguata...ma sono stanca.
...Tutto qua.
Ringrazio gli Evanescence, la cui "My Immortal" mi ha ispirato, e che consiglio per la lettura.
Se vi sono degli errori perdonatemi. Sono talmente stravolta che non ho riletto.
Chu.

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Capitolo 21

« …Si. Sono io…ciao… »

…Vederlo fermo alla fine del corridoio di casa mia, con la mancina stretta sul cellulare ultima moda nero brillante, e l’altra mano avvinghiata alla maglietta lunga di un tenue blu marine, mi lasciò cadere in uno stato di torpore strano e dalla difficile definizione: fiabesco avrei detto, ma non ne ero sicura…
…Perché era raro vederlo senza cappellino, con solo quella fascia nera di spugna a ripiegarsi sulla fronte corrugata in una smorfia di malcelata preoccupazione e timido sollievo, ed era altrettanto raro poter sentire la sua voce lottare così fortemente contro l’impeto di strillare di gioia ogni qualvolta il nome “Bill” veniva dolcemente pronunciato a fior di labbra, quasi in un sussurro per paura che il diritto interessato –molestato dal timbro di voce troppo alto- potesse allontanarsi ancora...

« …Sto bene…si…e…te? »

Sorrisi, e fu quasi spontaneo abbandonarsi ad un sospiro impercettibile quando il ragazzo che avevo a meno di tre metri di distanza, si voltò leggermente verso destra –dandomi il fianco- sorridendo raggiante nel venire a conoscenza di una sin troppo scontata risposta dall’altro capo della cornetta...
Già.
…Perché se era raro vedere Tom Kaulitz passarsi una mano sotto al naso nel vano tentativo di non cedere ad una crisi di patetica commozione…era altrettanto raro vedere Arashi Hime piangere come una bambina, ferma alla fine di un corridoio di legno di mogano, con un pigiama di seta bianca che nulla aveva a combaciare con il colorito spento del suo animo ormai morto.
Nulla.
Ne in quel momento, ne mai più.

« …Si lo so…sono felice di sentirti… »

Abbassai lo sguardo, sorridendo, e trovai quasi irreale il cadere delle lacrime cristalline sul parquet ai miei piedi. A dire il vero, trovai piuttosto irreale anche solo il fatto che io piangessi.
Da quanto non piangevo…?
Giorni.
Mesi.
Anni…?
…Eppure mi ero ridotta così, a piangere senza motivo sui miei piedi nudi che spuntavano infantilmente dai pizzi delicati del mio abito da notte…
Era come se la mia vita avesse perso aggettivi e ricchezza.
Era tutto diventato un flusso di pensieri sintetico.
…Mi mancavano le descrizioni. I colori. La poesia che ogni giorno da sempre aveva costellato la mia esistenza.
Era strano.
Irreale, appunto…

« Si stupido…anche te…mi manchi un po’ si… »

…sembrava una di quelle fiabe in bianco e nero sui libri per bambini, che vanno colorate con i pennarelli ad acqua. Una di quelle fiabe stupende, con la principessa orgogliosa il cui animo solo e malato viene guarito da un egocentrico e narcisista principe dai capelli color del grano.
Una di quelle fiabe colorate un soffio dopo l’altro, tra un sospiro e un sorriso. Un desiderio e un bacio delicato.
…Una di quelle fiabe che improvvisamente un bicchiere d’acqua sbadato finisce per cancellare…

« …Lo so… »

Lo so anch’io.
Lo vidi voltarsi velocemente verso di me, e osservarmi da quella breve distanza che sembrava ormai incolmabile, e per un attimo soltanto gioii in cuor mio della grande finestra aperta alle mie spalle su un accecante sole del mattino che impediva al mio unico lui di vedere le lacrime scorrere rapide sulle mie guance di porcellana, nonostante l’orgoglio e la rabbia immotivatamente crescenti cercassero invano di frenarle.

Fu uno scambio quasi inesistente di sguardi. Sorrisi. E infine consensi.
Inesistente.

« …Si. Non ti preoccupare… »

…Mi voltai lentamente, le piccole mani candide e ben curate intrecciate in grembo, e la lunga cascata di capelli brillanti che scivolava sulle spalle e sul volto come un funereo sudario.
Mi voltai…non degnando di uno sguardo le spalle ben marcate di lui…

« …Ok…Torno domani… »

…Mi voltai, e silenziosamente, mi rifugiai in camera mia…
Ove rifugio era una pallida metafora di inferno.


·¨¤ººº¤¨·

La telefonata durò ancora qualche minuto durante il quale ebbi tutto il tempo di scivolare nella mia piccola cameretta stando ben attenta a non inciampare sul mio stesso vestito o ad impigliarmi in qualche spigolo nascosto.
Entrai quasi saltando, con i piedini arcuati come una ballerina classica e la braccia bianche e scoperte adagiate allo stipite di quella porta di legno su cui sostai per una manciata di secondi che reputai eterni…mentre davanti ai miei occhi correvano gli ologrammi passati di una me stessa ridente, aggrappata alla maglietta di un ragazzo a cui avrei preferito non legarmi tanto.
Ero io con la mia risata acuta risalente a poche lune addietro, i capelli lisci sciolti sulle spalle nude e il viso proteso verso quell’espressione divertita e quelle dita nerborute che mi sospingevano all’indietro in un contraddittorio gesto di autocontrollo.

Ero io. Io com’ero stata. Con lui. In quella camera. Giocando come una bambina a lotte di cuscini ben mirati sul viso.
Ero stata quella ragazza.

Scossi la testa, barcollando come un’ubriaca o come un’attrice drammatica di un teatro di seconda mano, e compiendo qualche instabile passo verso la mia sin troppo ampia libreria, allungai le mani ad afferrare il primo interminabile pacco di riviste sciocche che –ormai un mese addietro- avevo ripiegato e nascosto accuratamente, per evitare che quel dannato sarcastico le vedesse e ne facesse un divertente oggetto di derisione.
Le afferrai con mani quasi tremanti e gli occhi annebbiati dalle lacrime in eccesso, e benché continuassi a sentirmi una pessima attrice che recitava per dovere la sua parte odiata, non potei fare a meno di singhiozzare nello stringermi al seno gli orribili “Top Girl” o “Kiss Me” nelle cui copertine spiccavano i volti perfetti dei gemelli kaulitz o della band al completo dei quattro ragazzi tedeschi…e neppure quando mi voltai verso le spoglie mura della mia camera da letto, riuscii a trovare in quella continuità di colore una serena pace o consolazione interiore…
Ricordai di quando portai per la prima volta Tom a casa mia. Delle difficoltà che avevo di guardarlo in viso, dei salti che compivo sfiorandolo per errore, o delle mosse innocentemente seducenti che spesso mi riscoprivo a tentar di fare quasi per compiacerlo.
Ricordai con distinzione la crisi isterica che ebbi quando tentò di entrare per la prima volta in camera mia, dove il tempo mi aveva fatto attaccare sin troppi poster suoi e dei suoi compagni ai muri ormai straripanti di sogni e progetti.
Ricordai di come mi affrettai, chiudendolo a chiave in bagno, a togliere tutto, quasi strappando via i grandi pezzi di carta ritagliati da giornali su cui consumavo i miei risparmi; e di come –infilando tutto sotto le lenzuola leggere del mio letto- avessi poi giustificato il disordine solo con un sorriso imbarazzato…su cui lui non chiese mai delucidazioni.

Quella volta si limitò solamente a socchiudere gli occhi e a sussurrarmi un emozionante “mi spiegherai” …che però non tirò mai più in ballo.

{Strich}

…Primo poster attaccato in bella vista sul muro.
Era un grandissimo foglio 40x50 su intense tonalità bordeaux che raffigurava il gruppo al completo: Il vocalist era al centro, con le mani congiunte e un espressione severa dipinta su quel suo volto da bambino, mentre alla sinistra compariva l’immagine del bassista e del batterista, anch’essi seri e quasi sdegnati da quello scatto che forse non avrebbero mai voluto fare…solo sulla destra, persino in secondo piano, compariva il suo volto sorridente e sarcastico.
L’unico tra tutti.
Sembrava divertito –emozionato avrei detto- da quell’ennesimo elogio alla sua bellezza e alla sua popolarità; e lo dimostrava in tutto, sia dalla sua posa che dalla sua più che compiaciuta espressione…
…lui aveva sempre amato i servizi fotografici.

{Strich}

Secondo poster.
Solo suo stavolta.
…Ed era il mio poster preferito. Grande. Grandissimo.
Era una splendida foto scattata in Norvegia nei suoi più che scoccati 18 anni, con il grande oceano alle spalle e la spuma marina che quasi solleticava quello sguardo profondo e carismatico, soffiando artisticamente sulla bocca increspata in un sorriso a malapena celato dall’indice che invitava al silenzio…
Silenzio.
…Perché solo lui parlava. Lui, l’incantatore.
Lui con la sua bellezza. La sua dolcezza. La sua bravura.
Lui che ti osservava, e ti rendeva spoglia di ogni convinzione e certezza solo per quella sua spiccata propensione all’infinità…
Lui che sembrava quasi sussurrarti, attraverso quella foto e a fior di labbra, un delicato…

« …che stai facendo? »

Trasalii, ma cercai di non darlo a vedere appoggiando le mani al muro dinnanzi al quale sostavo quasi imbambolata, e voltando velocemente lo sguardo in sua direzione.
Era ferma sull’uscio della porta di camera mia, una spalla appoggiata al lucido legno e la solita mano destra stretta attorno alla maglietta che continuava a torturare in un gesto forse involontario. Mi osservava, proprio come nel poster, ma a differenza della malizia che in esso avrei letto, l’uomo reale che distava pochi passi da me sembrava assorto…preoccupato addirittura.
« Attacco poster » Risposi io con una secca gentilezza, sin troppo ricca di una dolcezza spenta e destinata a precipitare in un altro piagnisteo infantile.
« …Miei? » Domandò insensatamente Tom, osservando il suo poster al muro chiaro come se non si capacitasse di essere lui stesso il soggetto immortalato in quella foto meravigliosa; e dinnanzi a quel quesito sin troppo inutile, mi ritrovai a sorridere come una sciocca, e ad annuire flebilmente –forse incapace di parlare, o forse troppo incantata dalla mia splendida padronanza emozionale (o semplicemente dal suo volto?).
« Ah… » Sussurrò automaticamente il chitarrista, e benché il silenzio che seguì a quell’unico soffio fu lungo e teso, il ragazzo sorrise. Un sorriso gentile, imbarazzato, ma completamente proteso alla sdrammatizzazione del momento…o almeno, così mi sembrò. « …E che te ne fai di un poster, quando hai l’originale scusa? » Disse infatti, un attimo dopo, compiendo un passo titubante in mia direzione.
In direzione di una statua di cera. Di un’attrice ormai calzata nella sua parte che recitava perfettamente, con il suo sorriso di scena falsamente sereno e l’ipocrisia che si confà ad un talento del suo calibro.
…Ma come tutte le maschere di cristallo, anche quella più perfetta e più bella prima o poi si infrange…così, benché fossi riuscita a trattenere il flusso indomabile della mia vita in bianco e nero fino a quando lui era solo fermo e appoggiato allo stipite della porta, quando la distanza che ci separava fu solo di un sospiro, non potei che retrocedere. Terrorizzata.
« …Friè… » Mormorò Tom abbassando lo sguardo sui miei piedi scalzi che fuggivano velocemente dai suoi. « …che fai? » Sussurrò debolmente, come se fosse l’unica domanda che in quel momento la sua mente riuscisse a concepire, e la sua bocca di riprodurre.
Me lo disse alzando lo sguardo dapprima sulle mie mani strette alla seta del mio abito, e infine sul mio volto inquieto che supplicava sin troppo esplicitamente una venia inesistente. Me lo disse guardandomi, mentre io stessa –guardando lui- chiedevo silenziosamente di poter andarmene.
Andarmene. Veloce.
« …L’originale non rimarrà »
Patetica.
Non avrei saputo come altro definirmi.
L’irrealtà e la mancanza di bellezza e di poesia mi avevano privato del mio assortito e invidiabile dizionario. Mi avevano privato della mia capacità di donare colore anche ad una tela bianca…
Mi avevano privato di me stessa.
E ciò che era rimasto, era solo un ego molto patetico.
« …Il poster invece si »

Silenzio.

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Uno. Cento. Mille poster.
Due. Folli. Istanti. Di. Silenzio.

« …Federica, sapevi anche te che sarei dovuto tornare a casa. Prima o poi ci sarei tornato. Se non ora quando sarebbe tornata la tua famiglia. Lo sapevi. »

Si lo so. Certo. Decisamente.

« Non fare la bambina. Ti comporti come se andassi a morire. Come se tu morissi. Come se tutto morisse…dannazione! »

…Ma tutto è GIA’ morto.
Non lo capisci?

« …E smettila di fare così! …dannazione… »

(…) No. Forse no…

« …E…e…DANNAZIONE, ASCOLTAMI! »

…No.
Non capisci.


Mi afferrò la spalla destra con una tale brutalità, che quando mi voltò e mi sbatté violentemente al muro alle mie spalle, non potei fare a meno che gemere di dolore; e quando perciò iniziai a singhiozzare –di lì a qualche istante-, non diedi molto peso alla mia apparente debolezza poiché ricondussi quel pianto quasi isterico al bruciore che ancora mi infiammava la schiena e il braccio…la mano e il viso…il cuore e le gambe…
…Perché era semplice.
C’erano più di tremila motivi per i quali avrei potuto essermi messa a piangere in quel momento.
Per esempio: In quel preciso istante, non c’era una sola parte di me –fisica o extracorporea- che non soffrisse in modo quasi indegno.
Indegno di vita.
« …smettila di piangere » Ordinò Tom, allontanando velocemente le mani dalla mia spalla che poi, alzando verso l’alto in un gesto quasi minaccioso, si compresse sul volto isterico…mentre, lentamente, andava ad accucciarsi a terra.
Lentamente. Silenziosamente.
« Smettila di piangere… » Ripeté con più enfasi, scuotendo la testa e inspirando a intervalli irregolari, continuando a premersi con sempre maggior forza le mani sul viso segnato. « Ti prego… »



…Ma non disse nulla nel sentire i miei singhiozzi continuare a scuotere come convulsioni il mio corpo stanco. Si limitò a rimanere abbassato verso il pavimento, in silenzio, fino a quando non mi fui calmata…e a quel punto –solo a quel punto- si alzò e mi guardò.
“Parto domani” avrebbe voluto dirmi…ma lo sapevo già.
“Non piangere” …ma sarebbe stato inutile dirlo.
“……Buonanotte”

…E si diresse silenziosamente verso la sua camera da letto. Quella in cui per un lunghissimo mese, aveva riposato durante tutte le calde giornate estive…

Anche quella sera dormimmo separati.
Ma fu la prima –e l’ultima volta- che piansi anche per non averlo accanto a me.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Grazie a tutte

Grazie a tutte...
...beh vorrei dire qualcosa di più, ma sembra che ormai non ci sia più tempo. Non c'è più tempo di nulla.
Ho scritto questo capitolo proprio pensando alla clessidra di sabbia che scocca spietata i suoi granuli eterni, e che non perdona e non attende.
Ho scritto ascoltando sempre My Immortal, pertanto ciò che le mie dita avranno creato è ciò che speravo i personaggi non mi avrebbero indotto a descrivere mai.

Tutto questo è la mia storia.
Spero che vi piacerà...

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Capitolo 22

Durante tutto il tragitto che ci condusse da casa mia all’unico grande aereoporto fiorentino –il giorno dopo- io e lui parlammo solamente italiano. Sinceramente non capii mai se per Tom quello fu solo un modo come un altro per non farsi capire dal ben famoso Saki –alla guida della grande automobile nera dai finestrini oscurati che ci venne a prendere sotto il portone del mio appartamento-, oppure una sorta di ultima stranissima voglia “all’italiana” ...Ciò di cui tuttavia mi sarei ricordata per sempre, ne ero sicura, era la sua voce baritonale stranamente addolcita nella pronuncia della mia lingua, e quell’inconfondibile profumo di tabacco dolce mischiato al dopobarba che ogni mattina era solito mettere dopo le sue più che irritanti ore di toiletta.
Un vizio che –anche di questo ero sicura- avrei sentito orribilmente la mancanza...
« ...Federica... » Sussurrò il mio nome come se quella, in quell’unico istante, suonasse come la sua unica verità e forma assoluta di alta poesia, e io –dal canto mio- quasi ispirata dalla sua voce di cui avevo cominciato a sentirmi irrazionalmente gelosa, non potei che voltarmi istantaneamente a lui, stringendo tra le dita piccole e bianche la mia borsetta rosso valentino che si sposava più che perfettamente con l’abito di pizzo nero e la mia nivea carnagione. « ...Ti invierò delle e-mail. Potrò? »
Che domanda sciocca –pensai tra me e me sorridendo quasi intenerita da quella forma di infantile dolcezza. La risposta era talmente ovvia, talmente scontata, che per un attimo sperai che lui la potesse leggere nei miei occhi, nella mia espressione...
...ma quel ragazzo che sedeva a pochi palmi di distanza da me non si voltò in mia direzione. Preferì continuare a guardare fuori dal finestrino dinnanzi al quale la nostra realtà svaniva in un susseguirsi di intense strisce cromatiche: Il volto sul palmo della mano. Il viso serio spento in un’espressione annoiata...
« Si » Risposi allora io, distogliendo lo sguardo che concentrai sulla mia scura visione del futuro. « Ti risponderò stavolta... » Aggiunsi un attimo dopo, quasi per ironizzare, sperando di poter veder nascere sul suo volto –almeno in ultimo- uno dei suoi soliti sorrisi al quale non sapevo proprio resistere...ma tutto ciò che ottenni fu solo una smorfia falsamente allegra e tirata artificialmente, e i suoi occhi nocciola puntati nei miei per un attimo che reputai eterno e durante il quale riuscimmo a dirci tutto quello che avremmo voluto, ma non potuto, in quella macchina nera e veloce...
Tutto.
« ...Grazie allora. » Disse in un sussurro strozzato, abbassando lo sguardo sulle mie mani rigide prima di riportarlo al finestrino alla sua sinistra.
« Prego » Risposi io apatica...e per la seconda volta in due giorni, mi riscoprii a definirmi orribilmente patetica…

…E la macchina continuò ad accelerare…


·¨¤ººº¤¨·


Vedere l’aeroporto completamente vuoto, ad eccezione delle guardie di polizia poste rigidamente ad ogni entrata ed uscita, mi lasciò addosso un’orribile senso di inadeguatezza a causa del quale non potei fare a meno che inchiodarmi al centro della grande sala d’entrata. Ferma.
Alzando gli occhi al cielo, cominciai ad osservare quasi affascinata ogni tabellone spento degli orari, degli arrivi e delle partenze, e nonostante non era sicuramente la prima volta che mettevo piede in quel posto, il sentire il forte profumo di fumo e fiori che saturava l’aria, mi provocò un capogiro a cui resistetti solo aggrappandomi alla mano di Tom, protesa verso di me…
…perché lui era lì. Gli occhi persi nei miei. Le mani in mia direzione a stringere le mie dita immobili, e un’espressione indecifrabile dipinta sul volto da adulto che ormai possedeva.
Stringendo le sue mani calde nelle mie, cominciai ad accarezzarne dolcemente il dorso, lasciando scivolare i miei polpastrelli lungo i nervi e i tendini in rilievo che avevo sempre amato e che da sempre mi avevano provocato forse insensati, ma irripetibili batticuore…tuttavia, quella volta, nel seguire il contorno delle sue dita, tutto ciò che ottenni fu solo un leggero brivido e una sensazione di soffocamento che reputai addirittura fastidiosa. Nulla di più.
Una sensazione vuota. Priva ancora una volta di quella poesia di cui sentivo disperatamente la mancanza, e che avrei fatto di tutto per riottenere...
« …tutto bene principessa? » Mi domandò accennando ad un sorriso, e stavolta si rivolse a me con un tono di voce pacato e tranquillo, abituale persino in quel pizzico di ironia di cui non faceva mai a meno.
« Si, grazie » Risposi prontamente io, ricambiando gentilmente il sorriso offertami…e anche il mio timbro di voce era tornato quello di sempre. Allegro. Spensierato.
Sia in me che in lui sembrava di punto in bianco non esserci più nessuna traccia di quell’oppressione che aveva mangiato costantemente il nostro animo in macchina, durante il viaggio che ci aveva condotti lì. Entrambi avevamo cominciato improvvisamente a scherzare e giocherellare come avevamo sempre fatto durante quel lunghissimo mese estivo, tra pizzicotti delicati e piccole provocazioni maliziose. Sorrisi e linguacce…
…ma probabilmente, dovevamo ancora comprendere entrambi cosa ci avesse spinto ad acquistare quelle prese di posizione, e per quale motivo nel nostro animo vigesse la più pacata delle maree.
Entrambi dovevamo capire…ma guardandoci l’un l’altra –solo per un brevissimo istante- comprendemmo che…no. Forse era assurdo…
Nessuno di noi avrebbe mai ottenuto un responso a quell’enigma sentimentale dalle troppe domande.
Nessuno.
Tanto meno io

« …Tom »


…Silenzio…

Il motivo per il quale, come nato dal nulla, nella mia mente comparve il testo di una melodrammatica poesia, ero sicura fossi destinata a non capirlo mai…eppure, quando sentii distintamente la voce di Bill Kaulitz baciarmi le orecchie con soffusa bellezza, le parole di quella cruda e incalzante poesia furono le uniche a placare istantaneamente il mio animo, lasciandomi la possibilità di vestire ancora una volta quella lucidità di cui –in quel momento più che mai- avevo terribilmente bisogno.

« oh… »

…Disse solo quello, e io in un primo istante –incantata dallo splendore di due metà separate l’una di fronte all’altra- mi riscoprii persino a sorridere…commossa o forse dolcemente rassegnata a quella mancanza di originalità che, se gli inizi di quella fiaba mi avevano inorridito, con il tempo avevo imparato ad amare.
Infondo Tom non era un ragazzo particolarmente esagitato. Non amava slanciarsi in manifestazioni strepitosamente sensazionali o in esibizioni uniche e mozzafiato. Ciò che voleva esprimere lo trasmetteva con un sorriso dolce e uno sguardo pacato…
…non era il tipo da mettersi a urlare per il solo fatto di ritrovarsi dinnanzi al gemello amato, a solo qualche metro di distanza. Non era il tipo da lasciare tutto e slanciarsi ad abbracciare quell’unica persona di cui aveva sentito decisamente troppo la mancanza. Non era il tipo da ridere o arrabbiarsi senza motivo, accecato da una cascata di emozioni che non sapeva distinguere e interpretare…
…Era piuttosto il tipo dal sorriso gentile –quasi imbarazzato. Era il tipo che dopo aver innocentemente alzato una mano in segno di saluto, compiva i primi incerti passi con lo sguardo puntato sulle mattonelle grigie del pavimento –pentito, sofferente- fin quando non era proprio quell’unico fratello a richiamarlo, a protendere verso di lui una mano, a sorridere con gentilezza –senza remore o rimpianti…
…E allora si. Era quello il momento.
Era quello l’unico istante che lo spingeva ad avvicinarsi con passo sempre più spedito e con un sorriso sempre più caldo. Ad afferrare quella mano con gioia incontenibile, stringendola con egual nostalgia…ed era sempre quello che –solo dopo aver guardato quei lineamenti così simili ai suoi e di cui dipendeva così ingentemente- lo sospingeva a protendersi in un abbraccio.
Un abbraccio impacciato. Duro ma dolce. Acerbo ma maturo.
Un abbraccio da uomini.

…E io, di fronte a quell’amore, mi sarei voluta abbracciare da sola; anche solo per colmare silenziosamente il dolore che sentivo nascere dentro, e a cui sapevo non sarei resistita mai.
« Bill… » Pronunciò quel nome con un sorriso, quasi assaporandone il suono che davvero per troppo non aveva sentito.
« Tom » Ripeté l’altro, chiudendo gli occhi e stringendo le spalle del gemello « …Sei tornato » Mormorò con voce spenta un attimo dopo, mentre un sorriso disperato gli si dipingeva sul volto…un sorriso che accolse un silenzio di solo qualche attimo. Un solo battito di ciglia…
…poi fu il chitarrista stresso a stringere a sé il fratello, in un gesto di spontaneo affetto.
« Si » Mormorò Tom, a fior di labbra. La voce tirata, le mani calde posate sulla schiena. « Sono tornato…scusami » …e immaginai che fosse solo una mia impressione vederlo così teso.
Del resto, come potevo capirlo, vedendolo solo di spalle?
« …scusami, sono tornato. Scusami. Scusami… »
…E lo ripeté ancora tante e tante volte.
E ogni volta, io lo ripetevo con lui.
“Scusami Bill” …scusami, davvero, ma...
“Scusami, non andrò mai più via da te” …ti prego, ti supplico…
“Ti voglio bene sopra chiunque altro” …non me lo portare via…
…No…
…Ti prego…ti prego…
« …Ti supplico… » Sussurrai improvvisamente con voce rotta, senza nemmeno rendermene conto. Non mi ero neppure accorta di tenere le mani orribilmente avvinghiate al petto, e le ginocchia premute le une contro le altre –come se quel gesto potesse darmi l’equilibrio che temevo mi avrebbe presto abbandonato-
…proprio come un orribile film anni 50 dalla pellicola sbiadita e rovinata. Uno di quei cortometraggi a scatti, dove la bella donzella protagonista veniva abbandonata dall’amore della sua vita che partiva per chissà quale guerra senza ritorno.
Una di quelle pellicole brutte dove non c’è mai un lieto fine, ma un solo sfocato “END” a caratteri cubitali che slitta sotto gli altri fotogrammi alla conclusione del bagno di lacrime.
Già. Proprio come un film così…uno di quelli che odiavo da sempre, e che da sempre mi ero rifiutata di vedere.
Osservai le mie scarpe per qualche attimo, sicura di star affogando in una vasca di sensazioni che non comprendevo e di cui avevo schifosamente paura…e quando finalmente mi decisi ad alzare lo sguardo –intimorita forse dall’idea che lui potesse scomparire prima ancora che avessi il tempo di salutarlo- trasalii nel rendermi conto che quegli occhi nocciola cerchiati di nero erano immobili su di me.
Bill Kaulitz, ancora avvinghiato al fratello, mi osservava silenziosamente dalle spalle della sua altra metà.
Lo sguardo tagliente. Il sorriso da lince. L’espressione viva di una soddisfazione che io, stordita, non compresi…
…e poi un sussurro.
Lento. Puramente interpretato.

“Me lo riprendo”

(.........)

…Non ho capito. Io non devo aver capito –pensai questo mentre Bill si allontanava e guardava in volto il gemello, sorridendo raggiante prima di indicargli l’altro capo dell’aeroporto dove solo in quel momento riconobbi le sagome di Gustav, Georg e David, il loro manager.

Me lo riprendo?
Era a tal punto arrivata la gelosia…?
Ero a tal punto arrivata...io?

Scossi la testa, portandomi entrambe le mani al ventre mentre vedevo la figura alta di Tom seguire Bill lontano da me; e fu quando abbassai la testa che mille domande –come cadute dal cielo- mi offuscarono la mente e stordirono i sensi:
Cosa avevo fatto? Perché avevo tolto l’unica cosa importante a Bill? Perché ero arrivata di punto in bianco? Perché era successo tutto quello? Perché io parlavo di loro come se li conoscessi da sempre? Cosa mi istigava ad amarli come parte di me?

…Chi ero io?

Silenzio.
Mille domande. Troppe risposte.
Incoerenza mentale. Follia momentanea.

« Federica… »


…La sua voce giunse alle mie orecchie improvvisamente, quasi insensatamente, ovattata com’era dalla disperazione che ormai mi aveva condotta sul lastrico della morte…tuttavia mi fu impossibile non alzare immediatamente lo sguardo, e ritrovare in un solo istante i suoi occhi e la sua bocca. Il suo volto.
« Federica » Ripeté Tom, distante da me di qualche metro. Le mani strette alla maglietta. Lo sguardo colmo di quello che avrei definito terrore. Disperazione. Rabbia. Gioia
…un caleidoscopio di emozioni a cui non avrei saputo far fronte, mai.
« Tom… » Mormorai io di rimando, e pregai che quelle che sentii bruciarmi gli occhi non fossero lacrime…
…Ma quante possibilità avevo di non piangere in quella circostanza?
Quante possibilità? Quale percentuale? Quale minuscola parte di me voleva mantenersi lucida a sorridere sarcastica e a dire “Addio” con una strafottenza irritante…?
Quale?
« …Principessa… » Mi accorsi che la sua voce era leggermente strozzata solo quando me lo ritrovai a pochi passi di distanza, e quell’unica constatazione bastò per terrorizzarmi. Ferirmi.
« Stai male? » Chiesi all’istante come accecata da una disperazione più ampia delle altre…e ovviamente non potei non sorridere quando mi interruppi, sovrastata dalla sua voce baritonale che –slanciata dal timore- mi chiedeva la stessa identica cosa.
Mi guardò in silenzio, sorridendo anch’egli per la medesima presa di coscienza; proprio quella che ci bloccava entrambi l’uno di fronte all’altra, troppo abbracciati nel nostro rispettivo sentimento da rimanere storditi da quell’insistente profumo d’arancia e vaniglia…troppo disperati dell’idea di non sentire più il calore dell’uno o dell’altro…troppo soli alla sicurezza che sarebbe passato tanto o forse troppo prima che qualcun altro avrebbe fatto accesso –bussando educatamente- nella bolla d’aria che ci avvolgeva e dolcemente vegliava…
troppo tutto. Perché non si potevano porre dei limiti alla confusione di sentimenti che in quel momento albergava in noi, come un cassetto disordinato dal quale si estrae frettolosamente i capi del mattino.
« …Allora io vado… » Mormorio sconnesso. Desiderio infranto.
« Si… » Nulla di più. Nulla di meno. Che altro? « …Fa buon viaggio… »
« Ti invierò una mail! » Speranza vuota. Realtà cruda.
« Ti risponderò » Libro aperto su un futuro non disegnato.
« Sempre? » …si?
« Sempre » …si.
…Mi riscoprii a domandarmi perché nei film o nei libri, nei racconti o nelle poesie, nelle canzoni o nei quadri…proprio in un momento del genere la protagonista o il protagonista trovano sempre qualcosa d’effetto da dire con il sorriso sulle labbra e un bagaglio di sogni da far invidia a chiunque.
Mi domandai perché nei film si, e in quel momento no? …cosa avevo che non andava?
…Perché proprio in quell’istante non sapevo cosa dire…?
Alzai lo sguardo, annaspando e affogando nel mio vuoto mentre le spalle di Tom mi venivano rivolte e quel ragazzo troppo alto e snello si allontanava da me a grandi e precise falcate, come se ormai fosse disgustato o troppo disperato all’idea di trascorrere un qualsiasi altro istante in quel luogo. Con me.
Perché doveva finire in quel modo? …perché doveva finire?
Cosa c’era che proprio malediva il mio essere e la mia vita? I miei gesti e il mio amore?

…il mio amore?
Cosa c’era.
Il mio amore.
Cosa c’era che non andava.
Perché.
Era lui.
E nessuno più.
Solo lui.
Era lui. Il mio amore.
IL MIO UNICO AMORE.

« TOM! » Strillai con tutto il fiato che avevo in gola, e me ne fregai delle lacrime che cominciarono a strozzarmi la gola o ad offuscarmi la vista. Me ne fregai delle gambe tremanti o delle mani disperatamente protese nel vuoto. Dello sguardo livido o degli urli strazianti…
…corsi solo verso di lui, più veloce della dea del vento. Corsi come non avevo mai fatto, come forse non avrei fatto mai più. Corsi. Corsi.
Riuscii solo a correre…
« TOM! » Urlai di nuovo, piangendo ancora di più quando vidi lui voltarsi di scatto e allargare le braccia pronto a prendermi. « TOM! TOM! TOM!! » …E lo ripetei una. Cento. Mille. Duemila. Infinite volte.
Gli saltai al collo, stringendolo a me, piangendo disperata, urlando il suo nome. Lo strinsi più forte che mai, incurante che avrei o meno potuto togliergli il fiato. Incurante del morto imbarazzo. Incurante di tutto.
« TOM! » Strillai ancora, quasi istericamente, e lui mi strinse tra le braccia –come una bambina capricciosa che non vuole posare il suo giocattolo preferito.
Mi strinse a sé con una forza inaudita, sprofondando il suo volto contratto tra i miei capelli color del miele, soffiando in essi come se quell’unico gesto gli proibisse di urlare a sua volta, di spezzarmi o farmi del male…
« TOM! TI PREGO! » Singhiozzai come una mocciosa in cerca di certezze che ero sicura non avrei avuto, e quando il ragazzo si alzò e i miei piedini a malapena toccarono il suolo…non potei fare a meno che stringermi con maggior enfasi a quelle spalle e quella schiena, come se quella fosse la mia unica sponda di sopravvivenza. La mia unica vita.
« Chiedimi di non partire » Lo sentii supplicare con il viso profondo tra i miei capelli setosi. La voce rotta. Disperata.
« NON PARTIRE » Urlai immediatamente io, singhiozzando e stringendolo sempre con più forza…sentivo ormai le braccia sciogliersi e il fiato mancare. Sentivo i miei muscoli gemere e la mia mente vacillare…
…ma poco importava. Perché quel momento non sarebbe mai più tornato e dovevo e volevo viverlo.
Non sarebbe più tornato.
Mai più.
« …Non posso lasciarti » Gemette Tom, alzandomi di qualche altro millimetro da terra.
« Non devi farlo » Piansi io, quasi rimproverandolo di un gesto che sapevo prima o poi sarebbe sarebbe avvenuto.
« …Non posso » …ma devo, vero?
« Devo dirti una cosa » Esclamai immediatamente, senza lasciarlo andare, piangendo come una piccola idiota senza cervello né anima.
« Anche io » Scattò improvvisamente Tom, e ogni suo soffio era uno schiaffo addolorato. Una sofferenza che cresceva…
…ma era inevitabile, ed entrambi lo sapevamo.
Entrambi sapevamo che quella scena di seconda mano sarebbe presto finita. Con tutte le conseguenze del caso. Tutte.
Non ci sarebbe stato un “poi” né un “mai” …ci sarebbe solo stato un “niente” …
…perché è quello ciò in cui saremmo caduti entrambi.
Quando le nostre spalle si sarebbero voltate le une alle altre, e i nostri fili del destino sarebbero stati recisi con un paio di forbici affilate…
…sarebbe stato solo il “nero”, solo la “fine” …
nulla di più.
« …Prima te » Singhiozzai io, tentando di trattenere quelle convulsioni vergognose.
« No » Protestò Tom, trovando ancora da qualche parte la voglia di ribattere. Di giocare come un tempo. « Mi vergogno »
« …Demente » Piansi io di rimando. Gli occhi lividi e gonfi da un rivolo di dolore che non sembrava placarsi.
Un rivolo di sangue che non si sarebbe mai fermato.
Che mai avrebbe sanato la ferita ormai aperta e dolorante.
Per sempre.
« …Insieme » Propose dopo un attimo di silenzio il chitarrista, stringendomi senza sosta. Incurante degli occhi forse allucinati o forse addolorati di chi ancora lo attendeva.
« Insieme » Accordai io, cercando di raccimulare in una manciata di istanti quella dose di coraggio o quel pizzico di lucidità, di calma e serenità che sapevo di dover ancora avere.
…ma era inutile. Davvero. Lo era.
Perché era quasi follia ripetere quell’unica parola che sapevamo non si sarebbe avverata mai. Sapevamo che dirla non avrebbe provocato che altro immenso dolore, eppure contemporaneamente, non potevamo fare a meno di sperare in un miracolo. In una sorta di sogno senza fondamenta, destinato a crollare come una casa di paglia e aria…
…non potevamo, però, farne a meno. Realmente. Non potevamo.
« Al mio tre » Sussurrò Tom, con voce spenta e tremante.
« Al tuo tre » Ripetei io come un automa, conficcando quasi le unghie nella sua schiena. Inspirando con tutta la mia forza il suo profumo pungente. Il suo amore profondo. Il suo essere unico…

« Uno »
…sorrisi e ricordi…
« Due… »
…origine e conclusione…
« TRE »
…unica, indispensabile, manciata di verità e poesia…

« TI AMO »


…E lo dicemmo insieme, io piangendo, lui quasi ringhiando. Lo dicemmo con una semplicità infantile. Con il sorriso sulle labbra e le lacrime masticate assieme alla dolcezza della comprensione.

…Lo dicemmo così.
In due sole parole.
Come il più classico dei film…

…e quella fu decisamente la fine…

…Perché quando infine lui se ne andò, e io vidi quell’aereo perdersi nell’immensità del cielo…
Quando i miei occhi videro il mio corpo scivolare a terra, e la mia anima cadere assieme ad esso...
Piangere silenziosamente e desiderare la morte…
…fu la più perenne e dovuta delle speranze...

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Stavo per lasciarla

Stavo per lasciarla. Lei non parlava,
ma io capivo dal suo languore
che avrebbe desiderato trattenermi.

Più volte avevo creduto di indovinare
La supplica delle sue mani, sebbene ne fossi incosciente.
Le sue braccia esitanti avrebbero potuto diventare
Una ghirlanda di giovinezza attorno al mio collo...

Tanti gesti impauriti ritornano alla mia memoria
E mi rivelano cose segrete trattenute finora...

·¨¤ººº¤¨·

{2007}

{2008}


·¨¤ººº¤¨·

… « Mi dispiace. Sono stanca di aspettarti. »

Anche le favole più belle hanno una fine, miei giovani lettori…

« ...Io non ti attenderò più, Tom... »


…nessuno ne ha una colpa né un rammarico.
E’ la vita.
Le persone crescono.
Gli amori mutano.
Le ambizioni evolvono.

Nulla è statico.

·¨¤ººº¤¨·

Mi fermerò, senza dubbio stupito,
se mai ci ritroveremo in una vita futura,
nel cammino e alla luce d’un altro mondo lontano.

Capirò che i tuoi occhi, simili alle stelle dell’alba,
sono appartenuti a questo cielo notturno, e dimenticato,
d’una vita passata.

Si, comprenderò che la magia del tuo viso
È pronta ancora al balenare appassionato del mio sguardo
In un incontro immemorabile,
e che al mio amore tu devi un mistero
di cui non conosci più l’origine…

·¨¤ººº¤¨·

{2009}

{2010}

{2011}


_____________

Capitolo 23

Era una di quelle giornate che avrei rimpianto moltissimo durante i mesi invernali che ormai si stavano affacciando alle porte, ne ero più che sicuro.
Posando il viso sul palmo aperto della mia mano, guardai fuori dalla finestra con fare svogliato, incantandomi di fronte alla danza delle foglie autunnali che –sospinte dal vento- sembravano invitarmi ad uscire e, come un bambino, correre per strada allargando le braccia per cercare di fare mie quelle piccole stelle a cinque punte…
…Ma, chiaramente, tutto quello mi era impossibile.
Sospirai, alzando gli occhi al soffitto nell’udire un’ennesima domanda di quel giornalista alle prime armi che tolleravo già da un’ora e un quarto, e accomodandomi meglio sulla grande poltrona bordeaux su cui ero bellamente sbracato senza nessun ritegno o accenno di educazione, non potei che lanciare uno sguardo supplicante a chi mi sedeva accanto, e che –incurante della nevrosi collettiva- parlava a macchinetta, rispondendo più che egocentricamente alle domande postagli, fregandosene altamente di tutto il resto.
Mah. Se non altro di una cosa ero sicuro: Quella checca di mio fratello sarebbe per sempre stato un perfetto frontman, e mai avrebbe deluso le aspettative della sua band, e delle sue fan…

…Sorrisi, e di quel pensiero non potei che farne una tela elaborata.
Mi fu praticamente impossibile non rincorrere con la memoria il volto della prima fra tutte le fan che, ultima e sola, era riuscita a dividerci…
“Impensabile!” Avrei urlato un tempo, ridendo divertito “Nessuna donna ci separerà mai!”
…ma come lei mi aveva insegnato, il mondo non è una fiaba perfetta e impeccabile, e spesso anche le più solide convinzioni e certezze, sono destinate a crollare e a perdersi nel vento come i petali di un bocciolo in fiore.
Già…

« Avete ormai 22 anni, ma la vostra fama non accenna a crollare. Continuate a domare i palchi di tutto il mondo con un entusiasmo intrattenibile…nonostante tutto, avete qualche desiderio nel cassetto? »

…Il motivo per il quale, nell’udire quella domanda, mi ritornò nuovamente alla memoria il passato in quel momento ancora una volta tangibile, non riuscii a capirlo…eppure, benché il rammentare quel lontano 2007 e quel più che passato primo concerto italiano mi provocò un’orribile nostalgia, mi riscoprii nuovamente a sorridere, abbassando il volto quasi per nascondere a tutti il leggero velo di sentimento che non riuscivo a reprimere sui miei lineamenti.
Ricordai nitidamente quella sera.
Quelle urla.
Lei.
Era in prima fila…con un bustino rosso che riprendeva con strafottenza il colore dei capelli tinti di nascosto, e quello sguardo tranquillo che fu la prima cosa che mi colpì di lei…
…perché ancora mi domandavo cosa le facesse mantenere tanto la calma, compressa e assordata com’era da milioni di fan che come lei erano accorse da ogni antro d’Italia solamente per vederci in Live.
Ricordai con un sospiro il sorriso che mi sbocciò sul viso pensando “Però…carina!” …e persino il sospiro profondo che Sebastian –il mio fedele compagno di peripezie- aveva fatto quando l’avevo indicata, al calare delle luci dopo la più che conosciuta “Monsoon”.
Ricordai non senza una punta di vergogna quando mi fu annunciato che non aveva accettato di venire, e l’arrabbiatura folle che mi era montata nel petto leggendo quel biglietto da visita dalla calligrafia perfetta e invidiabile.

Grazie del pensiero?” Avevo urlato, imbestialito, rovesciando con un calcio una sedia sotto lo sconvolgimento generale “ME NE FOTTO DEI TUOI RINGRAZIAMENTI, TROIA!”

…Ma di troia aveva poco. Molto meno di tutte le altre che assieme a lei ci avevano ascoltato per quasi due ore. E quando lo capii, non potei che mordermi un labbro. Pentito.
(…) Era egocentrica. Sarcastica. Spesso velenosa e altrettanto superba…o almeno, così mi era sembrato all’inizio.
Eppure, più il tempo passava, più mi rendevo conto che in realtà non era che una bambina.
Una bambina insicura. Impaurita. Follemente emotiva.
Una bimba che aveva paura dell’amore.

…Che dolcezza –pensai inspirando silenziosamente l’aria carica di profumo di cannella- …
Avevo sempre amato quel suo carattere contorto per necessità, ma troppo ingenuo per natura.
Lo avevo sempre amato.
Forse fin dalla nostra prima e-mail…

« …Sicuramente è quello che penso » Sentii improvvisamente concludere Bill, seduto accanto a me, mentre tutti si mettevano a ridere, divertiti da chissà quale sua battutina. E io, nonostante non avessi capito né seguito il discorso, ridacchiai accompagnando gli altri presenti. Perso in tutt’altro pensiero.
…Com’era cambiato, mio fratello.
Mi fu impossibile non pensarlo quando i miei occhi andarono a incrociare i suoi, e sul suo viso maturo e adulto vidi comparire un sorriso interrogativo, perplesso: Aveva capito che non stavo ascoltando, molto probabilmente.
Sospirai, scuotendo la testa, e congiungendo le mani in grembo chiusi gli occhi.
Improvvisamente, come incalzati dalla più solitaria delle muse, mi tornarono in mente i nostri primi screzi.
La nostra prima litigata, da bambini, per quella giacca color terra che entrambi volevamo, ma di cui rimaneva solo un capo.
Sorrisi rammentando la sua prima cotta. La mia prima esperienza. Il nostro primo pessimo voto.
E mi fu altrettanto impossibile non scuotere la testa, divertito, nel ricordare la nostra prima rissa. I pugni. La rabbia. La folle gelosia…Il terrore di perdersi di vista. Di non essere più “Il mio Tom” e “Il mio Bill”. Di non essere più “Noi”.

Quanta incomprensione. Quanta paura. Quanti fraintendimenti

« Domanda ad effetto! » Esclamò d’un tratto il giovane giornalista, facendomi quasi trasalire. « Il vostro ricordo più bello! »
« …Bella domanda di merda » Sussurrai di rimando io alzando gli occhi al cielo, esasperato per quella milionesima domanda idiota, e divertito da quella fortuita serie di coincidenze dalla cadenza ritmica e precisa, che sembravano volermi torturare con l’amore del passato. Ma immediatamente mi arrivò una gomitata nei reni, e io –accecato dal dolore- repressi a stento un ringhio, accennando automaticamente ad un sorriso non appena il ragazzetto lentigginoso di fronte a me si girò a fissarmi, perplesso.
« E’ una bella domanda » Rispose allora Bill, prontamente sospirando e salvandomi ancora una volta la reputazione. « Abbiamo così tanti bei ricordi… » Aggiunse ridendo. Ed effettivamente era vero. « …Il più bello…? » Disse poi, mentre io lo guardavo assorto, cercando di indovinare cosa avrebbe detto di lì ad un istante…eppure, mi resi conto che avevo sbagliato tutte le mie ipotesi, proprio quando si voltò a guardarmi, sorridendomi con dolcezza, comprensione, e un pizzico di ironia.
(…) Che pazzo.
Che pazzo fratello.
« …Il primo concerto made in Italy probabilmente » Disse infatti un attimo dopo, rivolgendosi ancora una volta al giornalista incuriosito da quello scambio di sguardi silenziosi. « …tanta pasta e pizza di prima qualità!! » Aggiunse poi prontamente, rispondendo anticipatamente alle mille domande che il bambino ci avrebbe sicuramente proposto di lì a un attimo, cercando di scavare nell’antro segreto dei nostri cuori.

…Ma non fu abbastanza –lo capimmo tutti subito-
Il bambino giornalista, forse, non era poi così moccioso.

« …E’ davvero solo questo il motivo? » Esclamò prontamente, carico di energie e curiosità, sistemando meglio sul tavolo di legno che ci separava il suo registratore nero della Sony.
« Chiaramente » Intervenni allora io, improvvisamente concitato, mentre lo guardavo di sbieco quasi a intimargli di tacere. Di smetterla.
Errore. Madornale errore…
« Ah si. Certo certo, capisco… » Rispose automaticamente lui, e sul suo viso nacque un sorriso raggiante –vittorioso avrei detto- mentre il suo sguardo si spostava lentamente alla mia destra, oltrepassando me.
Oltrepassando Bill.
Oltrepassando il registratore…
« …Presumo allora che mi sarà concesso di porre una domanda a lei, se tutto ciò non le arreca disturbo » Sussurrò un attimo dopo che i suoi occhi da ragazzo si erano fermati, e sul suo volto puerile andava a nascere un sorriso misto tra l’imbarazzo e il più che evidente apprezzamento. « …Le dispiace? » Domandò ancora, gentilmente, e dal tono garbato che si sforzava di usare avrei giurato filtrasse una più che evidente sfida nei miei confronti.
Una sfida che –come le risate a malapena trattenute dei miei compagni annunciavano- era destinato a perdere.


« Ma certo, non si preoccupi »


Io desidero te, solo te.
Il mio cuore lo ripete infinitamente.
Sono false e vuote
Le esigenze che di continuo
Mi distolgono da te.

Come la notte nel buio
Nasconde il desiderio della luce,
così al culmine della mia incoscienza
risuona questo grido:
« Io desidero te, solo te! »

Come il monsone che vuole finire
Nella calma, anche se la sua lotta
È furiosa, così la mia ribellione
S’oppone al tuo amore anche se grida:
« Io desidero te, solo te »


…La prima volta che riuscii a vederla da vicino, a sfiorarle quasi per errore un braccio e a sentirne il dolcissimo profumo, fu durante quell’estate di cinque anni prima.
La ricordo distintamente come la più bella delle fate. Seduta su quel muretto in pietra bianca con lo sguardo perso all’orizzonte, e il sole della giornata che ne baciava i lineamenti bamboleschi e i capelli color del miele sospinti dal vento.
Ricordo le sue manine piccole e bianche strette quasi spasmodicamente al suo blocchetto degli appunti immacolato, e la sua espressione…
…una maschera di disperata bellezza.
“Chissà a cosa sta pensando” Mi riscoprii a domandarmi mentre la mia sacca da viaggio cadeva a terra, poco distante da lei, e il mio volto stanco non si pienava dell’incanto che lei riusciva a creare…
Quanto l’avevo attesa.
Quanto l’avevo incosciamente amata.
Quanto l’avevo cercata
…perché infondo, non avevo nessuna intenzione di infrangere le sue convinzioni di un incontro tessuto dal fato. Non mi andava di vederla arrabbiarsi e preoccuparsi, men che meno sentirle chiedere perdono.
Mai le avrei detto che nessun destino aveva collaborato al nostro incontro.
Mai le avrei confessato che solo la mia follia mi aveva spinto a trascorrere ogni giorno dal mio arrivo, ad aspettarla nascosto in quella piazza.
In sua attesa.
Solo in sua attesa.
…Ero un bambino a quel tempo. Temevo di perderla. Di non vederla.
“Mi accontento anche solo di osservarla di nascosto” Ecco cosa mi dicevo mentre la mattina presto mi recavo in quella che sapevo per certo essere la sua piazza preferita.
In tutta Firenze, sapevo che lei andava sempre lì quando si sentiva sovrastata dai suoi sentimenti…
…E nonostante non avevo nessuna certezza che in quel preciso momento della sua vita lei avrebbe scelto proprio quel posto per sfogare, scrivendo, ciò che sentiva…
…Avevo semplicemente deciso di giocarmi il tutto e per tutto.
Sicuramente.
Per lei. Il tutto e per tutto.

« …La prego, mi dica… » Mormorò il giornalista, accomodandosi maggiormente sulla poltrona e protendendosi leggermente in avanti mentre io –di rimando- arricciavo il naso e distoglievo lo sguardo, disgustato da quella forma di apprezzamento così volgarmente evidente. « …Non è difficile seguire il tour di una band di una tale popolarità, accompagnando i membri in ogni estenuante impegno lavorativo? » …E per un istante mi sembrò quasi che la sua domanda ne celasse un’altra.
Chissà perché –pensai socchiudendo gli occhi e cercando di riportare alla memoria quel documentario sul fitness orientale…e sulla facilità di comprimere le vie respiratorie nell’assumere le varie posizioni.
Ma soprattutto: Chissà QUALE altra domanda.
« Mmh… » Mormorò l’anima dall’altro capo del tavolo.
Una mano delicata e affusolata che si alzava ad adagiarsi sulle labbra scarlatte e lucide.
Un sorriso che andava a nascere sul volto, gentile e posato.
…Un bellissimo paio di occhi color dell’ambra che si socchiudevano, quasi divertiti.
« …No, direi di no. Non sono estranea alla realtà del grande pubblico, e trovo decisamente emozionante poter sperimentare un simile entusiasmo mondiale. Senza contare che l’opportunità di viaggiare molto mi aiuta, e sono davvero felice di poter sfruttare pienamente questa mia occasione… »
« Capisco…con i suoi romanzi, immagino che visitare posti nuovi possa essere stimolante » Sembrava quasi rattristato da quella risposta.
« Decisamente » Sentii rispondere, e in quell’istante, finalmente, riuscii a vederla.

Si chinò leggermente in avanti, verso il tavolo ligneo di mogano lucido che la separava dal ragazzino riccio che continuava a mangiarla con lo sguardo, e quel solo gesto bastò per lasciar pervadere la stanza del suo profumo dolcissimo, e far calare i presenti nel più totale silenzio, mentre quei lunghissimi e liscissimi capelli color del miele non ricadevano setosi ad oscurarle il viso sorridente…
…proprio quel viso che, in anni e anni, era cambiato. Tanto. Forse troppo.
Perché adesso di bambina non aveva proprio più nulla. La mia bambina non esisteva più.
Esisteva solo lei.
Il talento mondiale.
Esisteva lei. La donna adulta. La modella.
Lei con i suoi libri dal successo intrattenibile. Lei con i suoi incarichi pubblici. Lei con le sue sfilate.
Lei con la sua dolcezza. I servizi fotografici.

…Lei che ogni notte si intrufolava nel nostro lettone, arrivando dal fondo e spuntando con il visino arrossato e ridente sui cuscini della testata, dove sprofondava sospirando. Stanca della sua giornata. Felice della sua vita.

Era lei.
…Lei…
Non avrei saputo, sinceramente, come altro definirla.

« …Un’altra domanda » Instette il giornalista, passandosi una mano sul viso, e allontanandosi quasi con disperazione mentre cercava di ritornare a respirare per la mia più che disgustosa irritazione. « …Circolano voci ormai persino accertate, di una sua presunta relazione con… » Si interruppe, e automaticamente mi lanciò uno sguardo toccato.
Squadrò senza ritegno i miei dread, e il mio fedele cappellino.
Quasi arricciò in naso, sconcertato, posando gli occhi sul mio abbigliamento Urban rivisto e corretto nel corso degli anni.
Sul mio portamento strafottente.
Sul mio sorriso compiaciuto. Di sfida.
Pienamente conscio delle proprie possibilità.

Avanti moccioso. Fammi sentire. Vediamo fin dove riesci ad arrivare…
se arriverai.
Idiota.

« …il qui presente, signor Tom Kaulitz…Lei smentisce? » Pronunciò il mio nome con veloce irritazione prima di riportare il suo sguardo su di lei, e la sua sola vista fece addolcire ogni suo lineamento, ogni suo velo di rabbia e gelosia…
…evento che, per un attimo, fece nascere in me la tentazione di alzarmi e spaccargli il viso.
Si. Sentiamo.
Perché no?
Perché non avrei potuto farlo?
Cosa c’era che me lo impediva?
Lo ammazzo se solo si riazzarda a…
…ma la mano di mio fratello mi frenò, e la risata di lei mi tranquillizzò, istantaneamente. Follemente. Come una magia dal quale sarei stato per sempre lontano dal capirne i segreti.

« E’ una domanda divertente » La sentii rispondere. Tranquilla. « Non è il primo che me la pone. Ma io, come a lei e come a tutti, la invito a leggere delle poesie. »
Che sciocca.
Per quanto ancora si sarebbe divertita in questo modo infantile?
« Poesie? » Replicò il giornalista, spiazzato da quella risposta. Dovevo ancora concepire come lei faceva a deridere tutti, facendo in modo che mai nessuno lo capisse e pensasse, addirittura, di essere stato lui stesso a raggirare il prossimo.
Dovevo davvero capirlo.
« Si. Una in particolare le potrà essere d’aiuto… » Sussurrò. La voce dolce, le braccia lunghe e bianche che, delicate, andavano a spostare il registratore rivolgendolo verso di lei…
…piccola egocentrica.
« Ascolti attentamente, la prego…

Che io abbia un segreto,
come la pioggia non sparsa in una nuvola d’estate,
un segreto avvolto di silenzio,
col quale poter perdere tempo

Che io abbia qualcuno a cui mormorare
parole d’amore, là dove le onde oziose
si distendono sotto gli alberi insonnoliti.

Quest’ora sembra attendere un evento,
voi mi chiedete la causa delle mie lacrime. Delle mie parole.
Non posso dirvelo: e’ un segreto non ancora rivelato… »

…E mentre sentivo mio fratello abbassare lo sguardo e sorridere, gentile…
…mentre vedevo lei reclinare la testa di lato, lasciando che i lunghi capelli le scoprissero il collo candido…
…io non potei fare a meno di ridere, divertito...

Tutto quello, era quasi assurdo.
Quasi.

·¨¤ººº¤¨·

« Ehi Federica, smettila di sfottere i nostri giornalisti » Esclamò Bill, afferrandola per i capelli e tirandola delicatamente indietro il tanto che bastava per osservarla in viso; e io -dinnanzi a quell'ennesima manifestazione di intolleranza, non potei che sospirare alzando gli occhi al cielo-
Per quanto si sforzava, ancora non la digeriva. Non lei.
Non Arashi Hime.
« Si scusa scopino » Replicò di rimando la scrittrice, acida, scoccandogli un’occhiata divertita senza dare il minimo accenno di scacciare la mano dell'interlocutore dalla sua testa. « La prossima volta sfotterò te: perché non passi da casa mia a spolverare? Non trovo più lo swiffer » Ringhiò girando leggermente su se stessa e passando velocemente la mano sulla cesta di capelli gellati del mio gemello, per il mio più che diviso sconvolgimento.
Anche lei, però...potrebbe minimamente...
« …Attenta a quel che dici, mi ci vuole poco a narcotizzarti e venderti al mercato nero » Sibilò Bill, socchiudendo gli occhi irritato, sicuramente indeciso se strapparle via una ciocca di capelli o sputarle in un occhio. « Famosa e ricercata come sei, ci faccio un affare… »
« ...Ne dubito » Ribatté prontamente Georg, passandoci avanti –seguito a ruota da Gustav (il più divertito di tutti i presenti)- mentre continuava a sfogliare una rivista dalla dubbiosissima origine. « La riporterebbero indietro dopo cinque minuti… »
« Chiaro » Replicò Federica stessa, ghignando sarcastica prima di lanciare uno sguardo a chi ancora la teneva ferma. « Finché non scoprono la verità, nessuno avrà il coraggio di uccidermi » Blaterò riprendendo a camminare con testardaggine, fingendo che le lacrime di dolore nei suoi occhi brillanti fossero dettate dalla noia, e non dal dolore. « …vero Billosky? » Aggiunse un attimo dopo, soffermando infine il suo sguardo su mio fratello. Bellissima...
...E le bastò un sorriso perché il mio gemello le lasciasse i capelli e voltasse il viso in mia direzione -prima di averlo accuratamente ripulito da ogni imbarazzo momentaneo.

Uccidila –mi supplicava a gesti. Disperato.
Uccidila se mi vuoi bene.

« No Bill » Replicai di rimando io, passandogli davanti con gli occhi chiusi e le braccia conserte. « …Ci incrementa le vendite. »

.......... ??????????

·¨¤ººº¤¨·

Nel tuo sonno, al limite dei sogni,
aspetto guardando in silenzio il tuo viso,
come la stella del mattino che appare per prima
alla tua finestra.
Con i miei occhi berrò il primo sorriso
Che, come un germoglio, sboccerà
Sulle tue labbra semiaperte.
Il mio desiderio è solo questo.

·¨¤ººº¤¨·

1
2
3
4
5
....
…E se vi state ancora chiedendo come siamo arrivati a tutto questo.
Se quest’ultimo capitolo vi sembra strano.
Incomprensibile.
Inutile.
Affrettato…mi dispiace, miei cari lettori. Con il prossimo romanzo saprò farvi maggiormente emozionare.
C’è solo una morale che vorrei che capiate tutti voi:

Ad una fine segue sempre un inizio.
Ad una morte vi è sempre una rinascita.

…E per quanto scontato tutto ciò vi potrà sembrare…credetemi, quelle poche parole:

« ...Io non ti attenderò più, Tom... »

…Hanno sempre un futuro, davanti.
Perchè nulla è statico.
Nulla è apparenza.

« …Perché da oggi mi trasferisco con te. »

…Infondo, chi pensate che io sia? Una bambina? Una bambola? Una cretina…?

Io sono Federica.
Arashi Hime. Scrittrice e modella.
Io sono il prodotto dei miei sogni e delle mie scelte.

Grazie del pensiero
…sono sicura che ne avete da dispensarmi ormai.




“Grazie del pensiero"
Quarta ristampa.
Edizione 2008/2009



E il libro si è concluso.

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