worthless, nameless, useless.

di ehyitsanerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** who's Faith? ***
Capitolo 2: *** Faith lives her day. ***
Capitolo 3: *** she's not smart enough. ***



Capitolo 1
*** who's Faith? ***


WHO'S FAITH?


"Perché sono così sbagliata? Perché non valgo nulla? Perché le persone mi costringono a non essere me stessa? Perché sono una delusione per tutti? Perché sono grassa? Perché non possiedo un nome agli occhi degli altri?"
Ecco che tutte queste domande ed i pensieri più sbagliati venivano a farmi compagnia. Ed io lì, accovacciata a terra, con le ginocchia alla stessa altezza degli occhi, la testa abbassata, gli occhi socchiusi, quasi in trans, mentre le lacrime bagnavano il mio corpo e il freddo dell'Inverno asciugava tutto con le sue folate di vento fredde e gelide come il cuore della gente.
Mi sentivo così impotente, incapace di far niente, senza forze, così sola.
"Questa volta ho davvero esagerato" pensavo mentre cercavo di rialzarmi da terra, non appena sentì la voce di mamma che pian piano si avvicinava alla porta del bagno.
"È tutto okay?" frase molto frequente, amava sentirsi dire bugie che credeva fossero verità.
"Sì, sì, è tutto okay... sto cercando di farmi una doccia, arrivo tra un quarto d'ora" risposi io, con una voce squillante, cercando di nascondere i singhiozzi ed il rumore del pianto.
"Vabbé, cerca di sbrigarti e scendi giù che devo raccontarti una cosa".
"Certo mammina" risposi, cercando di sembrare sempre più felice "un quarto d'ora e sono da te".
Ecco, la sento allontanarsi da me, ed improvvisamente la mia mente viene acconsentita, adesso può sfogarsi e piangere, continuare ancora per un quarto d'ora.
Lo specchio era davanti a me. Io davanti ad esso. Proprio come uno scontro ci guardavamo entrambi, senza staccarci gli occhi da dosso. Esso però sembrava molto più agguerrito di me, mi guardava con pregiudizi, quasi a volermi sconfiggere anche senza armi, con la prepotenza di un giudizio.
Io, molto vulnerabile e debole, decisi di abbassare lo sguardo. Ancora una volta ci era riuscito, era stato capace di farmi star male, come se non bastassero i miei compagni di classe.
Erano già passati 6 minuti, wow, me ne rimanevano ancora 9 per ripensarci.
Eggià, ripensarci. Pensare a quel pensiero, così maledettamente stupido agli occhi della società, ma così importante per me.
"Sei una nullità, non riesci a mantenere nemmeno una promessa" mi ripetevo mentre le lacrime sgorgavano dai miei occhi come un fiume in piena.
Ma, proprio non ci riuscivo. Non riuscivo a non pensarci, a non sfiorare l'idea di maneggiarla, toccare quella lametta ed incidere i miei peccati, i miei sbagli sotto forma di segni, di semplici righi sul braccio.
"Oh, no" mi lamentavo "non posso, gliel'ho promesso..." continuavo a ripetermi mentre il pensiero di prendere in mano la lametta si allontanava da me.
"Dai, allontanati, scappa via, corri, fuggi da quella tetra stanza" cercavo di persuadermi da sola.
Ecco, un altro monologo. Uno di quelli che facevo tanto tempo fa, ma che ora mi perseguitavano il pensiero. Mi obbligavano a pensarci.
"Okay, per oggi non lo faccio, penso a papà e a tutto il bene che gli voglio, l'ho deluso così tante volte che questo sarebbe stato solamente un altro momento da aggiungere al mio album di debolezze e delusioni".
Così, dopo aver abbandonato quel pensiero, almeno per quel momento e dopo aver nascosto quell'oggetto che fa star bene/soffrire alcune persone mi truccai per nascondere le macchie delle lacrime che rigavano il mio viso proprio come desideravo fare con il mio braccio, e scesi giù, con un sorriso che padroneggiava il mio volto quando mi sentivo troppo, troppo, troppo, troppo, troppo, troppo sbagliata.
E mia madre era lì, che mi aspettava, poteva offrirmi tutto l'aiuto di cui avevo bisogno, solamente con un abbraccio. Ma io no, cercavo di non farla preoccupare. Se solo le avessi confidato uno dei miei problemi, l'avrebbe detto a mio padre, che a sua volta si sarebbe rattristato e avrebbe cercato di mandarmi da uno psichiatra.
Ancora con la vista abbagliata, ma il viso ben nascosto dalla cipria, mi sedetti, allora.
Mia madre assunse subito un'espressione seria, non era da lei... era sempre così sorridente. Il suon sorriso era una delle motivazioni che mi facevano svegliare al mattino.
Si sedette anche lei. Cominciammo a guardarci, ma si focalizzò sul colore della mia pelle, visibilmente coperta da quel prodotto orribile che usavo solo in casi d'emergenza come questo.
"Ehy, tesoro" così introdusse il dialogo.
Risposi semplicemente con un bacino sulla guancia sinistra.
"Come va? Perché mi hai mentita?"
"No" cercai di replicare. "Stavo per lavarmi, poi ci ho ripensato perché ho bisogno di studiare, e tu sai bene che non rinuncerei allo studio per nessun'altra cosa al mondo, e poi..." Mi interruppe con un altro dei suoi "ehy, tesoro".
Continuò poi, "se hai qualche problema, io sono qui, le mamme servono anche per questo..." "NO" questa volta la interruppi io "non ho bisogno di niente, sto bene! Posso andare a studiare adesso?"
"Ma, stai bene?" "Certo mammina, adesso vado sù, in camera mia, non aprire, rispetta i miei silenzi" dissi con tono umoristico.
"Vabbé hahaha", si lasció scappare una risatina più falsa dei miei sorrisi quotidiani, "dai vai che sono le 16:00".
Conclusi il dialogo con un occhiolino... non sapevo farli, per niente, ma a lei faceva ridere il fatto che ci provassi mentre mi inceppavo e chiudevo l'occhio sinistro, come se avessi un difetto all'occhio. A volte mi incolpavo anche di questo.
Salii le scale a chiocciola che amavo sin da quando ero bambina e, saltellando mi rinchiusi in camera. Subito tolsi quella maschera felice che mi permetteva di non far preoccupare mamma, mi affacciai alla finestra, un raggio di sole mi circondava il volto ed illuminava il mio cuscino, quasi ad invitarmi a dormire, ignorare tutti i miei problemi e risolverli così, facendoli intrecciare con i miei sogni. Ma no, amavo lo studio più di qualsiasi altra cosa al mondo. Quindi, cominciai a studiare, a ripetere, Latino, Greco, Inglese, Italiano, Matematica. Amavo studiare, sul serio. Forse scaricavo i miei problemi cimentandomi nell'apprendimento.
Adoravo anche la mia stanza, era tutta bianca. Metteva un senso di inquietudine ma tranquillità a chiunque vi entrasse. Infondo era come me, così contrastante sotto qualsiasi punto di vista. Aveva una scrivania, un laptop, un armadio con su appeso il poster del mio idolo, un letto ed una tenda azzurra.
"Faith, scendi, a mangiare", senza che me ne rendessi conto si era fatto tardi, erano le 21:00. La sveglia di mamma per andare a cenare rispettava quasi sempre l'orario di chiusura dei libri.
"Arrivo", balzai dalla sedia e raggiunsi le scale.
"Ops" pensai, ho dimenticato la mia maschera.
La misi, improvvisando allo specchio dei gesti buffi per sembrare divertente e raggiunsi mamma che mi guardava insospettita.
Per rompere il ghiaccio dissi:"mamma è intile, per quanto io mi ostini a non crederci, hai rispettato ancora una volta l'orario di chiusura dei libri, a volte ho l'impressione che mi spii" abbozzai un sorriso.
Lei stette al gioco e risposte con un:"Le mamme conoscono i propri figli"
Mi stetti zitta, assaggiai le bietole e la carne, era tutto così buono. Feci qualche battuta di suo gradimento sul cibo e dissi: "ho sonno, vado in camera"
"Hai bisogno della musica e del computer, vero?" Rispose subito lei, a conoscenza di ciò che facevo quando me ne uscivo con un "ho sonno".
"Mamma, tu sì che mi conosci bene" le diedi un bacino sempre sulla guancia sinistra e salii le scale.
Prima di entrare nella mia camera, passai nella stanza di mia sorella, mi mancava così tanto. Era davvero importante per me, ma era al collage, sarebbe dovuta ritornare tra 2 giorni, a Natale, come mio padre,
Decisi di telefonare a quest'ultimo, che lavorava a Milano sotto le vesti di direttore di un supermercato, gli raccontai la mia giornata e lui la sua. Le nostre telefonate avvenivano tutte a quell'ora della sera e avevano quasi tutte la stessa durata di mezz'ora. Conclusi il tutto con un "ti voglio bene, a domani". Lui amava quelle parole. Sia perché ogni giorno gli ero grata di tutto ciò che faceva per noi, sia perché, "a domani" era la più bella promessa che potessi mai fargli.
Staccai e mi sedetti sulla sedia, accesi il computer, collegai le cuffie e il mondo svanì.
La prima canzone a partire, dalla playlist era "When you're gone" di Avril Lavigne. Avevo cominciato ad ascoltarla da poco solo grazie ad un'amica speciale!
Amavo quella canzone. Riusciva a trasmettermi pace, voglia di andare avanti, ma allo stesso tempo dolcezza e costanza. Era tutto ciò di cui avevo bisogno quando ero triste, oltre che Selena.

ANGOLO AUTRICE
protrei avere tanti nomi , e tanti me ne affibbiano , non ho un volto, o meglio ce l'ho ma per voi un vero volto non esiste, non sono qui per dirvi il mio nome , quanto sono alta e che taglia di reggiseno porto ,sono semplicemente qui per farvi vedere cosa c'è oltra la maschera felice che tutti vedono :D

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Capitolo 2
*** Faith lives her day. ***


 "I never thought I'd need you there when I cry.", mi risuonava nella mente il motivetto della canzone di Avril, così pura e veritiera.
"Sembra quasi voglia cullarmi nel letto, insieme a tutti i pensieri che mi riempiono ogni spazio disponibile nella mia mente ogni qual volta ho bisogno di dormire" pensai. Mamma stava guardando un film in TV e fuori pioveva. "Il rumore della pioggia è così deciso, determinato... vorrei tanto potergli somigliare" aggiunsi.
La finestra risuonava il ticchettio di ogni singola goccia, e mentre trovavo una posizione corretta per addormentarmi, mi venne in mente il giorno che avrei dovuto affrontare nelle prossime ore, una volta mi sarei svegliata.
Il compito in classe, le mie amiche, i miei compagni di classe, i professori... tutto ciò mi rendeva davvero triste, ma non sapevo spiegarmene il motivo per il quale ciò accadeva; io amavo la scuola.
Controllai la sveglia posta accanto al mio letto, segnava le 22:15, "cavolo" pensai "è davvero tardi".
L'unico modo per riuscire a dormire e a scansare la visita di mamma delle 22:30 (sempre precisa e puntuale) era quella di indossare le cuffie, solo così avrei potuto dormire.
"Ci è riuscita, è riuscita a cullarmi, è riuscita a tranquillizzarmi" pensai la mattina seguente, non appena mi svegliai alle 6:30.
Come al solito avrei dovuto ascoltare il rumore della sveglia per abbandonare i miei sogni così come il mio cuscino, ma proprio non ci riuscivo.
Il pensiero della scuola era così forte che mi faceva svegliare sempre prima della suoneria di quell'aggeggio. Non so come, ma era così.
Allora, mi alzai, feci colazione con latte e biscotti, mi andai a lavare, mi vestii in fretta, senza badare a ciò che indossavo e senza nemmeno guardare lo specchio, non gliel'avrei data vinta ancora una volta.
Mi girai ed erano le 7:25, quindi decisi di preparare la cartella e di incamminarmi verso la fermata del pullman, dopo aver dato un bacino sulla guancia a mia mamma.
"Buona giornata, tesoro".
"Ciao mamma, anche a te" dissi mentre chiudevo la porta.
La giornata era soleggiata, la pioggia della sera precedente aveva schiarito il cielo e la polvere sull'asfalto sembrava inesistente.
"Oh, cazzo" mi nascosi nel cespuglio della piccola campagna che mi portava al pullman.
Eccolo lì, con aria spensierata, un sorriso impertinente e gli occhi di chi la sa lunga.
Ero cotta di quel dannato ragazzo sin dalle medie, ma non mi aveva mai notata... infondo, come biasimarlo? Lo scopo della mia vita era essere invisibile a tutti.
Si passò una mano tra i capelli, quasi a liberare la profumata fragranza ch'essi nascondevano e mi guardò negli occhi proprio mentre mi alzai da terra per prendere il pullman.
Il mondo si fermò per pochi secondi, tutt'attorno a noi si creò un'alone di luce bianca e i suoi amici sparirono così come tutte le preoccupazioni. Cosa potevo pretendere, però? I momenti di felicità, con me, sono inesistenti o durano pochissimo. Questo, difatti, durò al massimo dieci secondi, finché egli fece un cenno con la testa per salutarmi ed io ricambiai il saluto con un semplice sorriso accompagnato dalla mano che, senza che la comandassi, involontariamente, gli salutò. Mi pentii subito di averlo fatto, gli avevo dato fin troppa importanza.
Entrai nel pullman, il tratto tra casa-scuola era abbastanza lontano, ecco perché, impiegavo quel tempo per ripetere!
Arrivai a destinazione dopo un bel po' di tempo e, prendendo del coraggio ed impadronendomi di esso, scesi dal pullman. Tante maschere mi circondavano, sembrava quasi di stare in un film. Vi erano così tanti schifosi, freddi, luridi, tetri, insignificanti e falsi sorrisi che mi veniva da vomitare.
M'incamminai verso le mie amiche: Clara, Devonne e Sofia.
Queste ultime le maschere le indossavano, ma non con me... ogni volta che mi vedevano arrivare, come per magia, le facevano cadere per terra, le calpestavano ed i sorrisi che mi regalavano erano veri proprio come quelli che padroneggiavano il mio volto in loro compagnia.
Clara, come al solito, non si perdeva di coraggio per il compito in classe, anche se non nascondeva la sua preoccupazione.
Me ne accorsi dal modo in cui si toccava i suoi ricci, così dannatamente perfetti, sembravano fatti con le mani di uno dei parrucchieri più prestigiosi al mondo.
Adorava farmi star bene, ecco perché cercava di farmi ridere non appena la salutavo. Non si rendeva mai conto di quanto fosse bella, ma infondo, quale ragazza non si fa scrupoli sul proprio aspetto?
Era di una bellezza mediterranea, aveva le curve al punto giusto, occhi e capelli color cioccolata, uno dei suoi cibi preferiti, labbra carnose ma rosee. Carnagione olivastra che rifletteva ogni singolo raggio di sole che cadesse su quest'ultima.
Devonne invece era la più orgogliosa del gruppo. Non osava né chiederti un abbraccio, né negartelo... semplicemente era testarda e cocciuta. Adorava creare situazioni imbarazzanti. Era follemente innamorata di una band e di un attore dell'epoca, rispettivamente i One Directione e Johnny Depp. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a capire alcuni dei suoi aspetti malinconici che semplicemente amava nascondere, ma che regalavano mille e più sorprese quando meno te lo aspettavi. Adoravo la sua inquietudine ed il suo mistero interiore perché la rendevano sempre più interessante ai miei occhi. Era la ragazza perfetta che si trovava fuori luogo ovunque tranne che nella sua stanza. Anch'essa aveva i lineamenti meridionali, simili a quelli di Clara. Ma una cosa forse la distingueva: amava sottolineare la parte bassa dell'occhio con la matita nera. Questo suo dettaglio mi ricordava molto una ragazza di un noto video musicale che ella stessa m'invio tramite un social network.
Sofia, beh che dire, era semplicemente mozza fiato. La sua bellezza nasceva dalla ricchezza che proveniva dal cuore. Era sempre disposta ad aiutare gli altri proprio grazie alla sua saggezza.
Le persone la vedevano come quella "intelligente", ma oltre a questo primo aspetto, io ce ne vedevo molti altri. La sua voglia attiva e perenne di partecipare ad ogni tipo di conversazione, anche quella più banale la rendeva così speciale. Ella, però, a differenza di molte altre ragazze, era così timida ma estroversa al tempo giusto che proprio non mi capacitavo a capirla. Dio aveva saputo dosare bene le quantità di pregi e difetti nel suo corpo. Era una ragazza molto speciale, con rinomate qualità. Il suo sorriso era meglio del sole, sapeva farmi illuminare il cuore, oltre che riscaldare la pelle. E che dire delle sue guance morbide? Dei suoi occhi, talvolta spenti, talvolta tanto luminosi e radiosi da far invidia alle stelle, del suo idolo, Kristen, che le somigliava tantissimo? Il loro rapporto era qualcosa di sensazionale.
La gente che ci circondava amava chiamarci le Pirandelliane, perché avevamo una, nessuno e centomila facce a seconda delle situazioni che ci capitavano davanti.

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Capitolo 3
*** she's not smart enough. ***


C'incamminammo verso la classe, tremendamente vuota, sembrava quasi abbandonata a se stessa, come me.
Le mie ragazze, sì, amo chiamarle così, si erano sedute. Sofia, Clara e Devonne sembravano così felici ed io... come al solito ero depressa.
Cercavo di abbozzare qualche sorrisetto falso per non farle preoccupare, infondo... sarei stata solo un peso per loro.
Non volevo rovinare le loro giornate, così piene di sole e di chiacchiere, per una stupida depressione che non credevo importasse a qualcuno.
Come al solito arrivarono un gruppetto di ragazzi, proprio dopo un minuto che entrai in classe, e mi presero in giro... cominciarono a chiamarmi "grassa, stupida, cretina, brutta" e con mille altri nomignoli che non starò qui ad elencare, mi urterebbe ancora di più.
Le mie amiche non se ne accorsero, ma non potevo far loro una colpa, me la dovevo sbrigare da sola.
Così, dopo che mi derisero alle spalle e si allontanarono da me... ero finalmente libera di prendere il cellulare e collegarlo alle cuffie prima che sarebbe arrivata la professoressa della 1ª ora.
Così feci. La prima canzone che mi partì dalla mia playlist "depressa e monotona" come la chiamavano le persone che mi circondavano, era"don't forget".
Amavo quella canzone e per quanto potesse davvero farmi star bene, cercai di ascoltarne ogni singola parola, proprio come sto facendo ora mentre scrivo.
Ad ogni modo, ascoltai solo quella, perché l'inizio della successiva fu impedito dal "buongiorno" della professoressa che era appena arrivata. Era estremamente bella, alta, snella, carnagione olivastra e tratti meridionali. Aveva una proprietà di linguaggio davvero elevata. Era la seconda professoressa, dopo quella di Greco, che mi colpì non appena le vidi.
Erano belle ed intelligenti, e mi facevano star bene con i loro sorrisi, ma gli altri non lo capivano e mi prendevano in giro chiamandomi "lesbica" anche per questo.
Però, proprio non capivo. Come potevano chiamarmi così solo per cercare di somigliare a quelle donne così acculturate e sofisticate come loro? Tutti si prendevano gioco di me e no, non faccio la vittima... è così. La prima ora passò così velocemente proprio come tutte le altre finché non arrivai alla quinta.
Quel giorno dovevamo uscire alle 14:00, quindi mi restava ancora un'altra ora prima di poter tornare a casa, mangiare e studiare e... beh, piangere. L'ultima ora fu proprio la più dura... dopo aver fatto il compito di Storia alla quarta, credevo che avrei potuto riposarmi e ascoltare la spiegazione della professoressa, ma quest'ultima, anch'ella così accurata ed umile, decise di interrogarmi.
Beh, non andai proprio bene e non riuscii a prendere la sufficienza... non ci riuscivo mai con lei. Mi diceva che vedeva i miei sforzi, ma per quanto tentassi di non affogare, non riuscivo proprio a nuotare bene.
Tornai a posto, con la testa abbassata, gli sguardi stupiti dei miei compagni di classe e quelli tristi e dispiaciuti delle mie amiche che mi consumavano dentro. Mi mettevano un'ansia tremenda.
Saranno stati proprio quelli a farmi sudare freddo.
Non volendo più sopportare quella situazione, decisi di andare in bagno.
Mentre camminavo per i corridoi della scuola pensai al fatto che ultimamente la mia media era calata, soprattutto in quella materia. Il 4 e mezzo non me lo meritavo, io studiavo... e mi sembrava ingiusto. Inoltre tutti i sorrisi, le risate dei miei compagni che avevano preso almeno la sufficienza mi facevano capire quanto fossi sbagliata.
La scuola ed il mio rendimento scolastico erano le cose a cui tenevo di più... aspiravo a molto.
Appena entrai in bagno sentii una forte puzza di fumo; alcune ragazze stavano fumando. Le sentivo parlare dei loro problemi e del fatto che li superavano attraverso quell'aggeggio. Non ci pensavo minimamente a toccarla, ma poi... all'improvvisamente, decisi di ripensare alla promessa che feci con la mia amica.
Presi la prima cosa che mi capitò, e... il resto lo potete immaginare. Non voglio spiegare esattamente ogni singolo passaggio così minuziosamente da farvi immaginare che cosa feci... resta a voi capirlo. Mi sentivo, in un certo senso, soddisfatta della mia vita quando lo facevo. Un taglio e via, come se volessi dare per l'appunto uno "strappo" alla mia vita.
Abbassai le maniche della maglia fino ai polsi e tornai in classe con un grande sorriso, simile a quello di Demi. Nessuno si accorse di niente, a parte dei miei amici che si accorsero della carta igienica che si era attaccata alle punte delle scarpe da ginnastica e cominciarono a deridermi anche per quello finché non suonò la campanella.
Avrei voluto salutare le mie amiche ma ero arrabbiata e delusa, non per loro, ma per me stessa.
Così uscii dalla classe, sperando che almeno il compito fosse andato bene e mi diressi nel pullman.
Ero sola anche lì, nessuno si sedeva vicino a me... e quindi misi gli auricolari e continuai ad ascoltare delle canzoni di Demi.
Quando arrivai sotto casa mia, mangiai velocemente e mi misi sul letto a pensare a ciò che mi era successo mentre il rumore della pioggia fuori mi faceva vibrare il cuore e l'anima.
Mi addormentai piangendo e mi svegliai tre ore dopo, con le mani di mia madre e mio padre che mi accarezzavano il volto mentre sentivo discussioni del tipo:" cosa le sarà successo? Perché ha le labbra rosse e il viso pallido?"
Loro credevano che io dormissi, ma in realtà riuscivo ad ascoltare molte più cose di quanto facessi da sveglia.
Quando se ne andarono, accesi il tablet e controllai la posta. "NO MESSAGES". Mi sentivo morire dentro.
Nemmeno le mie amiche mi avevano scritto, mi sentivo così male.
Ma infondo non potevano crearsi una vita su di me, per compensare i miei fallimenti. Così me ne feci una ragione, mi girai a sinistra e, dopo aver fatto scorrere una lacrima sul cuscino, mi addormentai con la frase "our love is like a song, you can't forget it at all" della canzone di Demi.

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