la prima mietitura

di alillina
(/viewuser.php?uid=434238)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** quel maledetto giorno ***
Capitolo 2: *** il giorno di Sieg ***
Capitolo 3: *** la lettera di Sieg ***
Capitolo 4: *** Le prove ***
Capitolo 5: *** La convalescenza di cato ***
Capitolo 6: *** una seconda opportunità ***



Capitolo 1
*** quel maledetto giorno ***


Ciao!! non sono quella persona dalla penna d'oro che ha scritto l'altra storia, diciamo che sono la sua “collega”. Perciò non aspettatevi che scriva delle cose così divine! In ogni modo, vi prego, recensite, anche se è solo per dire che la storia fa schifo, recensite!!!! ora vi lascio alla lettura di questo grande orrore. Baci -ale

Bruciano, le ferite sulla schiena. Sono dolorose, ma non mi è permesso lamentarmi. A dir la verità lo fanno quasi tutti, ma io no. Mi sono promesso di non farlo, né di mettermi a frignare. Voglio sembrare forte, bravo e in grado di resistere a qualsiasi cosa. Ho degli obbiettivi ben precisi in testa. Voglio prepararmi per il grande evento: la mietitura. Quasi sempre i bambini frignano al loro primo anno, ma non io. “Cato, questo sarà il nome di un futuro vincitore degli hunger games”. Tra qualche anno, infatti, mi offrirò volontario come tributo, andrò nell'arena e vincerò, anche a costo di fare da mentore assieme ad Enobaria, l'insegnante peggiore del mondo. Tanto prima di me dovrà vincere mio fratello, me lo ha giurato. Riesce a sollevare pesi enormi e a scaraventarli ad una distanza enorme dal blocco di lancio. Ha anche un ottimo uso della spada, la usa come un terzo braccio. A lui viene tutto facile, ma a me... Se non imparo in fretta ad usare qualche arma, rischio di non potermi mai offrire volontario. Quest'anno lo farà mio fratello Sieg e, se riesce a sopravvivere alla rissa annuale delle mietiture, vincerà di sicuro.

In tutti gli altri distretti, escluso l'uno, le mietiture sono una specie di condanna, soprattutto per il dodici, che in 68 edizioni ha avuto solo due vincitori, dei quali uno è morto di vecchiaia e nessuno si ricorda il nome, e l'altro, Haimitch, che è ubriaco per 24 ore su 24. Da noi, invece, questo giorno viene aspettato con desiderio e nell'arena non è mai andato un solo tributo di età inferiore ai 16 anni e non c'è rischio che ciò accada, visto che ogni anno i ragazzi che si offrono volontari sono decine e finiscono per azzuffarsi tutte le volte. Da noi è considerato un privilegio riuscire a combattere contro altri 23 tributi per due settimane. Forse è destino. Dalla fine dei giorni bui, siamo stati il distretto con maggior numero di vincitori. Essere i beniamini di Capitol City non è poi così male: appena compi 12 anni, puoi iniziare gli allenamenti specifici, anche se in teoria dovrebbe essere vietato: ci si reca in alcuni magazzini abbandonati che sono stati allestiti in modo che possano assomigliare in tutto e per tutto alla palestra della capitale in cui si allenano i tributi prima di entrare nell'arena. È qui che sono ora, costretto ad osservare i maestri che ci spiegano in quanti modi si può uccidere una persona con un coltello. Io non ascolto. Mi limito a far finta di osservare, immerso nel mio mondo. In questo sono uguale a mio fratello. Abbiamo la stessa capacità di isolarci, come se al mondo non ci fosse nessuno oltre a noi. Sieg dice sempre che lui sarebbe in grado di uccidere tutti gli insegnanti, se solo ne avesse voglia. Io però so che non è vero. Gli piace sentirsi dire che è il più bravo della sua annata, ne va fiero. Mi ha promesso che domenica, quando le lezioni sono sospese, mi porterà di nascosto nei magazzini ad esercitarmi e io non vedo l'ora, perché domenica è domani.

Il tizio che stava parlando si è alzato, tutti i miei compagni lo stanno seguendo ad un'altra postazione. Odio il sabato, non si fa mai niente, solo teoria, teoria e ancora teoria. Il primo sabato che sono entrato in questo magazzino, sono stato sgridato. Sono esagerati riguardo alle punizioni. Solo perché avevo detto che fare teoria non sarebbe stato meglio che fare pratica, hanno allungato il corso di un'ora. Così, per protestare, durante l'ora extra di teoria, mi addormentai, o meglio, feci finta di dormire. L'insegnante si arrabbiò tantissimo e, per punizione mi diede 3 colpi di frusta, per fortuna non tanto forti. È successo la settimana passata, mi bruciano ancora, ma devo sopportare.

Alzo gli occhi al muro: l'orologio dice che mancano due minuti alla fine della lezione, perciò mi giro e osservo la palestra vuota. Maledetta punizione, se non fosse per te, a quest'ora sarei già a casa! Passo il resto del tempo a girarmi i pollici. Solitamente, quando l'insegnante ci dice di andare, sono il primo ad alzarsi, ma stranamente questa volta vengo bloccato da una visione: per un attimo, mi è parso di vedere una sagoma dietro al pilastro. Distolgo subito il mio pensiero da quell'immagine vagamente nota e mi dirigo di corsa verso l'uscita: in velocità non mi batte nessuno, infatti supero tutti quelli che si erano alzati prima di me ed esco dalla porta con un secondo di anticipo su di loro.

Arrivato a casa trovo Sieg sdraiato sul divano. Non mi lascia neanche il tempo di dire “ciao” e inizia subito a parlare: “Ehi, Cato, sai chi ho visto oggi fuori dal magazzino? Clove. Le ho chiesto se aveva impegni per domani e ...”

l'hai invitata ad allenarsi con noi?”

uffa, non prendertela tanto.”

Tu mi dici di non prendermela? Hai proprio una bella faccia tosta! Se credi che io mi possa allenare con una come quella, beh, ti sbagli di grosso!” forse ho usato un tono troppo violento, ma Sieg si sbaglia se pensa che io posso allenarmi con Clove.

Senti Cato” ora si è alzato ed ha un'aria abbastanza minacciosa “quando sarò nell'arena, gli allenamenti continueranno e tu dovrai continuare ad allenarti anche di domenica. Non puoi allenarti da solo, nessuno avrà il coraggio di sfidare i pacificatori allenandosi un giorno in più. La mietitura è lunedì ed io devo trovare qualcuno disposto a correre il rischio”

Ma perché lei! Ha un anno in meno di me!”

Cato sta zitto! Io ho deciso così è così si farà!”ora sta urlando

Ma non sa neanche come si impugna un coltello!”sto urlando anche io

Questo lo vedremo!” e così dicendo si alza in piedi e si dirige verso la sua stanza, sbattendo rumorosamente la porta.

Io mi siedo a tavola e inizio a mangiare. Mia mamma ha assistito a tutta la scena in assoluto silenzio e, come sempre mi preparo a sentire anche la sua ramanzina, ma invece della solita solfa di ciò che dovevo e non dovevo fare, mi dice soltanto: “ Lui lo fa per te”.

Lo fa per me? Cosa fa per me? Invitare ai nostri allenamenti privati una bambina di appena 11 anni che probabilmente non sa neanche come si impugna in coltello? No, non può averlo fatto per me, per il mio bene. Tutto ad un tratto mi è passata la fame, così mi alzo da tavola e vado in camera mia lasciando tutto il cibo nel piatto. Prendo le freccette e mi metto davanti al mio bersaglio. Non riesco a fare centro neanche una volta, così mi metto nel luogo più isolato di tutta la stanza: il mio letto.

Mi ficco sotto le coperte, senza preoccuparmi di levarmi le scarpe. Rimango lì, immobile, senza dire una parola, pensando a quello che mi aveva fatto Sieg. Va bene, mi sta bene che qualcun altro si alleni con noi, ma non Clove. La odio, fin da quel giorno. Mi ricordo tutto benissimo, come se fosse ieri. Come tutte le mattine, ero andato a scuola. Erano arrivati quelli di prima. Tra loro c'era anche lei. Sembrava così innocua e calma. Mi fissava, con un sorriso raggiante, gli occhi innocui e un piccolo corpicino che non sarebbe stato in grado di compiere nessuna cattiveria, almeno così credevo. I suoi occhi fissi nei miei. Per tante volte durante quella settimana il mio sguardo ricadde su di lei. C'era qualcosa in quella bambina che non mi convinceva, e quel qualcosa c'è ancora adesso. Qualcosa di strano. Non riuscivo a pensare a nessun altro, quella faccia, quel sorriso, quel suo sguardo, era qualcosa di stupendo, indescrivibilmente splendido, ma allo stesso tempo, anche terribilmente strano. Era sempre sola, seduta in un angolino della stanza. Non doveva essere stato facile per lei fare amicizia con qualcuno. Magari le serviva solo un po' più di tempo rispetto agli altri. La osservavo sempre uscire da scuola, con quella sua coda che si muoveva a destra e a sinistra. Quelle gambette esili, tanto fragili, in continuo movimento. Era sempre felice, il sorriso non le si levava mai di dosso. E a me sembrava la cosa più bella che avessi mai visto. Non sapevo ancora il suo nome, ma quel sorriso, quegli occhi intensi, mi levavano le parole di bocca, tutte le volte che la guardavo. Facevo fatica a mantenere intatta la mia crudeltà, che già allora, era abbastanza evidente.

Era incredibile come una bambina così abbia potuto attirare tanta attenzione da parte mia. La sua faccia sorridente mi tornava in mente sempre. Non riuscivo ad isolarmi e questo mi faceva stare male, molto male. Così mi decisi: l'avrei aspettata fuori dalla scuola alla fine delle lezioni. Ma non come al solito, rifugiandomi in gruppetti dei quali magari non conoscevo nessuno e facendo finta di parlare con loro. L'avrei aspettata sulla soglia della scuola, le dovevo parlare. Così il giorno dopo, appena uscito, lasciai cadere la cartella per terra e mi appoggiai alla ringhiera. Era fredda, ma io, il freddo, non lo sentivo, non sentivo nulla, solo il mio cuore che continuava a battere forte, talmente forte che pensavo lo potesse sentire chiunque. Man mano che il tempo passava, le classi uscivano. E io lì, immobile, ad aspettare di parlare con una persona che neanche conoscevo, senza neanche sapere cosa dirle. Ma ero lì, e le dovevo parlare. Aspettai tanto, ma lei non arrivava. Proprio quando me ne stavo per andare, sentii dei rumori provenire da un'aula. Incuriosito, decisi di andare a vedere. In punta di piedi riaprii la porta d'ingresso. Il corridoio, così vuoto e così buio, mi faceva correre i brividi lungo la schiena. Lo scricchiolio di una porta rimasta aperta mi fece sobbalzare. Non dovevo essere lì, nessuno può entrare a scuola, se non per le lezioni. Dovevo stare attento, perchè se mi avessero visto, sarei finito in grossi guai. Strisciando contro il muro, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai lentamente alla porta della mia classe. Abbassai la maniglia. Il cuore che batteva ancora più forte di prima. Chi c'era? Che cosa stava facendo? Con il cuore in gola, contai fino a cinque, poi, con un colpo secco aprii la porta e la vidi. Quei suoi occhi, ancora una volta fissi nei miei, quegli occhi che fino ad allora mi avevano sempre fatto emozionare. E quel sorriso, ma non il solito sorriso, un ghigno, che faceva assomigliare la sua faccia a quella di un assassino, di qualcuno che ti vuol far soffrire. Lì, immobile, al centro della stanza, con in mano un pennarello viola. Lo teneva in mano come fosse un coltello che deve essere piantato nel tuo cuore. Poi mi accorsi di una cosa: era lo stesso viola che ricopriva le pareti di scritte. Ma non scritte comuni, scritte contro il nostro presidente, contro Capitol City, ma soprattutto, contro l'unica cosa che mi ero mai permesso di amare: gli hunger games! Rimasimo immobili, uno di fronte all'atra, i suoi occhi dritti nei miei. Perchè? Perchè lo aveva fatto? Poi il rumore dei passi dietro di me. Stava arrivando qualcuno, un adulto forse. Vidi Clove mentre si rannicchiava per terra, la testa fra le gambe. I suoi occhi si gonfiarono di lacrime. Ma il suo ghigno era ancora lì. Anche se qualche lacrima aveva iniziato a scendere, aveva mantenuto il suo sguardo maligno. In quel momento la porta si aprì ed entrò il preside. Non mi ero mosso di un solo centimetro, il mio sguardo era rimasto fisso su di lei. L'avevo osservata mentre, un secondo prima che la porta si aprisse, sostituiva il ghigno con un viso pieno di dolore. Lei iniziò a frignare. Disse che ero stato io, che l'avevo costretta, addirittura minacciata. Come si faceva a non credere ad una bambina apparentemente così innocua? Il preside cadde in pieno nella sua trappola. Se mi avesse conosciuto anchesolo un pochino, avrebbe subito dedotto che io non sarei mai stato in grado di scrivere cose conto gli hunger games, non io che esulto quando qualcuno muore a causa di uno squarcio nel ventre o quando viene decapitato da una spada. Così la colpa fu riversata su di me. Persi l'anno, ma non solo. Alcuni miei amici si distaccarono, non volevano più stare con me e, cosa peggiore, mi toccava vedere quel demonio tutti i giorni in classe con me. “Clove, questa te la farò pagare” fu l'nica frase che le dissi da quando ci fummo visti la prima volta, davanti a quel portone. Non mi ricordo neanche la sua voce. Sarà cambiata nel corso del tempo? Che mi importa, tanto, se la aprisse, la userebbe solo per incolparmi di nuovo. Meglio che tenga chiusa quella sua boccaccia. La odiai con tutto me stesso. Da allora, quegli occhi che prima mi sembriavano così angelici, ora erano quelli di un demonio, un diavolo, di una vipera velenosa e di qualcosa di talmente malvagio, da non esistere nemmeno.

Verso le undici la porta della mia stanza si apre e un'ombra si avvicina e si inginocchia vicino a me. Quando è a pochi centimetri di distanza da me, la riconosco, è mio fratello.

Ehi Cato, stai dormendo?”

No” rispondi io “che ci fai qui? Non eri arrabbiato con me?”

Non se vieni con me ora.”

in punta di piedi mi alzo dal letto e seguo mio fratello fin davanti al magazzino abbandonato. La prima cosa che noto è una luce accesa . Mi avvicino lentamente. Immagino già chi ci possa essere. Sieg avrà convinto Clove a venire per potermi parlare. Invece no. Quando mi avvicino alla finestra vedo una donna alta, bionda, un po' consumata dall'età. Non ci posso credere: è Enobaria. Rimango lì per qualche minuto, giusto il tempo per pormi qualche piccola domanda. Perché Enobaria è qui?che sta facendo? Poi osservo tutte le postazioni alle sue spalle. Ha fatto centro con l'arco, ha tagliato tutti i bracci dei manichini con la spada, la lancia si è conficcata nel cuore del manichino. Ed ora è lì, alla postazione lotta. Assieme a lei c'è un'altra persona, un po' più giovane. È un altro vincitore del nostro distretto, si chiama Brutus.

Mi volto verso Sieg. “Che significa? Perché mi hai portato qui?” Chiedo in tono perplesso.

hai visto? Sono bravi, ma perché? Perché hanno lavorato in coppia. Quando uno sbagliava, l'altro era lì, pronto a sostenerlo e ad incoraggiarlo. Ora dimmi: se fossero stati soli, chi li ritirava su? Chi li spronava ad andare avanti?

Ci penso un po'. Poi, con tono quasi stupito dico: “Nessuno.”

Bravo. Hai capito perché voglio che ti alleni con qualcuno?

sì, ma perché lei? Non sarà capace neanche di impugnare un coltello!”

L'hai mai vista allenarsi?”

No”

Sai perché ieri era vicino ai magazzini? Perché ascoltava le lezioni di teoria. Lei vuole combattere. Quando sarà grande vorrà andare nell'arena. È molto più brava di quello che pensi. Cato, promettimi che, quando sarò nell'arena, ti allenerai con lei. Giuramelo” non voglio parlare. So che mi pentirei se dicessi di si, ma non voglio dare un dispiacere a Sieg. “Cato, se non lo vuoi fare per te fallo per me, per lei!”

D'accordo, lo prometto. Ma ricorda: lo faccio per te, non per lei.”

Ho appena firmato la mia condanna a morte. Dovrò allenarmi con Clove. Maledetto me.

Sieg mi prende per mano e mi conduce fino a casa. Ed ora? Come farò?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** il giorno di Sieg ***


Il mattino seguente mi dirigo verso i magazzini. Seguo Sieg, lo sguardo basso, penso a ciò che avevo giurato la sera precedente. Sieg si ferma, proprio sotto alla stessa finestra da cui avevo visto Enobaria lottare contro Brutus. Poi il rumore di un coltello che va a conficcarsi nel legno. Riesco a  vedere una persona che si muove velocissima tra i manichini nella posizione dei coltelli. È inconfondibile: corpo esile, non tanto alto, capelli castani, lunghi, raccolti in una coda alta. Faccia apparentemente innocua. Non ci sono dubbi: è Clove. Mi giro verso mio fratello con aria interrogativa. Sto per parlare, quando mi indica la fila di manichini. Aguzzo la vista più che posso, finché non mi rendo conto di una cosa: Clove ha infilzato tutti i manichini nei punti più letali. Il solo pensiero di allenarmi con una persona che potrebbe uccidermi con un coltello da un momento all'altro mi fa rabbrividire. Non posso credere che Clove, pur essendo così piccola, sia anche così brava, più brava di me. Seccato da questa situazione, mi giro dall'altra parte e mi rannicchio per terra. Sieg non si è nemmeno accorto che mi sono mosso. Sembra che preferisca Clove a me. E questo mi stressa. Così mi isolo a tal punto che ritorno alla realtà solo quando Sieg mi sta strattonando:”Cato, tutto bene?”. Annuisco. Sto per isolarmi un'altra volta, quando Sieg mi afferra per un braccio e inizia a parlarmi: “Senti Cato...”
“Senti cosa? Mi hai portato fin qui per umiliarmi? Per farmi vedere che anche lei è più brava di me?  Se pensi che questo mi possa aiutare, beh, ti sbagli di grosso! Io torno a casa.”
“Aspetta. Ricordati del patto. Prova ad entrare, scegli una postazione e prova a fare qualcosa. Ti prego, Cato.”
 con l'amarezza nel petto, mi dirigo verso l'entrata e, quando varco la soglia, mi ritrovo un coltello a pochi centimetri dal mio occhio “Scusa” dice subito Clove “Pensavo fossero i pacificatori.”
Mi guardo intorno. Il mio occhio ricade sui manichini che sono appena stati infilzati: “non è vero” poi sposto il mio sguardo su di lei ed incontro i suoi occhi: “Avresti potuto uccidermi, se avesti voluto, ma non volevi farlo” quei suoi occhi, così scurì, così profondo, così intensi... non sono cambiati per niente.
Scelgo velocemente una postazione. Le faccio scorrere tutte, finché non arrivo a quella delle lance. Con passo sicuro, mi dirigo verso di essa. Scelgo accuratamente la mia lancia, come se una fosse diversa dall'altra. Alla fine prendo quella al centro. Mi posiziono ad una cinquantina di metri di distanza, prendo la mira, faccio tre passi e lascio andare l'arma. La lama si conficca proprio nel cuore del manichino. Non ci posso credere. Ho fatto centro. Vorrei mettermi ad urlare dalla gioia, ma invece mi comporto come se fosse una cosa normale. Guardo Clove con aria sicura, ma non sono sicuro per niente. La sua faccia si riempie di stupore. “Finalmente ci sei riuscito a fare centro, come ci si sente a farlo per la prima volta?” Sieg, come al solito, ha rovinato tutto.
“Sei stato davvero bravo.” è il primo complimento che ricevo da Clove.
“Hai visto? Sono stato forte, vero Sieg?”
“Sì, ma non sei l'unico bravo qua dentro” Mi giro verso Clove. L mie gambe si muovono nella sua direzione: “Brava, ci sai fare con i coltelli”
“Grazie” risponde lei: “ Mi ha insegnato mio padre, prima che venisse trasferito.” Povera Clove. L'anno scorso, a suo padre, venne dato l'incarico di pacificatore e fu mandato nel distretto 8. Ora Clove non potrà più vederlo. Mai più. In parte la capisco. Anche mio padre è morto. In un incidente, qualche anno fa, perciò capisco alla perfezione cosa prova Clove.
Cominciamo ad allenarci. Sieg ci dice di arrangiarci. Domani è il gran giorno e vuole essere ben preparato per l'arrivo a Capitol City. Così, mentre lui si allena con la spada, io mostro a Clove come  impugnare la lama per un lancio migliore: diciamo che non è particolarmente portata. In cambio lei mi insegna qualche trucco con i coltelli. Non è poi così male allenarsi con lei, è una ragazzina in gamba. Poi ci spostiamo alla postazione dei pesi. Mi esercito per un'ora o due. Alla fine, stanco e sudato, mi siedo a terra e osservo le complicate mosse eseguite da mio fratello. Meno male che siamo parecchio lontani dal centro abitato, altrimenti non si riuscirebbe ad allenarsi senza essere scoperti, con tutto il rumore che facciamo. La voce di Clove mi fa sobbalzare: “Ehi Cato, sei stanco?”
“Un po'. Fermiamoci un attimo.” Clove si siede vicino a me. Passiamo qualche minuto in silenzio. Non posso evitare di girarmi a fissarla ogni tanto. Sarà pure antipatica, ma non è poi così brutta. Non è neanche bella. Diciamo che è carina. Poi penso a quante cose abbiamo in comune: nessuno dei due ha un padre. Lei tecnicamente ce l'ha, ma gli è stato vietato di tornare a casa, perciò è come se non lo avesse. Se poi quello che dice Sieg è vero, anche lei vuole offrirsi volontaria. Il ricordo di mio padre deve avermi pitturato il viso di dolore, perché lei si avvicina ancora un po', poi mi dice: “Cato, so cosa provi.”
cerco di sembrare stupito, ma non ci riesco: “In che senso?”
“Tuo padre, non fare finta di niente.”
come fa a saperlo? Non gliel'ho mai detto e sicuramente non avevo intenzione di dirglielo. Non pensavo che lo conoscesse.
“Me lo ha detto mio padre, poco prima di partire, ma mi ha fatto giurare di non dirlo a nessuno. Diceva che se lo avessi sentito nominare, saresti diventato più vulnerabile. Erano molto amici, sai?”
“non è vero, non sarei diventato più vulnerabile.! Io vincerò gli hunger games. Se una cosa del genere mi facesse diventare più vulnerabile, non potrei mai andare nell'arena!”
A Clove deve interessare qualcosa che ho detto, perché cambia subito discorso: “Senti, Cato, facciamo un patto: quando tu avrai 17 anni, ti offrirai volontario, io lo farò a 16 anni.”
“Ma così saremo nell'arena lo stesso anno.  Non avresti paura di uccidermi?” A dire la verità, sarei piuttosto felice di uccidere Clove, ma dopo quello che ho scoperto che sa fare con i coltello, non oso dirglielo.
“Lo farebbe qualcun altro prima di me” aggiunse lei
“Non ci contare, voglio vincerli io, i giochi.” poi un'idea scoppia nella mia mente: “Potremo restare alleati fino a quando non rimangano solo 5 persone e separarci allora. Ci stai?”
“No” risponde lei “Non riuscirei a non vederti più nel distretto”
“allora smettila di fare proposte sceme.”
“D'accordo”
sto per alzarmi, quando mi afferra per il braccio e mi trascina di nuovo per terra: “Cato, scusami per quella volta.”
“Oh, non ti preoccupare, ho solo perso metà dei miei amici, niente di grave!”
“Cato, perché certi tuoi amici non ti hanno abbandonato?”
ci penso un po', poi rispondo: “Perché mi hanno creduto”
“E gli altri? Perché ti hanno abbandonato?”
“Perché non mi hanno creduto, mi ritenevano un bugiardo.”
“E tu hai il coraggio di difenderli? Un vero amico non è forse una persona che si fida sempre di te? Pensaci bene, prima di definirli ancora amici” detto questo si alza e, presa la sua sacca, si dirige verso l'uscita. Non sapendo più cosa fare, mi rannicchio ed aspetto che Sieg finisca i suoi esercizi. Poi torniamo a casa insieme. Sono troppo stravolto per pensare a mettermi il pigiama. Così mi infilo sotto le coperte così come sono, solo che questa volta mi ricordo di levarmi le scarpe.
Il mio sonno è invaso da un incubo. Sogno di essere in un bosco, sto correndo, corro via da quelli che Clove ha ritenuto essere miei falsi amici. Poi una voce che mi chiama: è lei, li su di un ramo. Mi sta tendendo la mano. Io cerco di afferrarla, ma lei è troppo in alto. Poi inizia ad urlare il mio nome, tutto si fa buio. Arrivano degli artigli che mi strappano la pelle dal ventre, sangue, il mio sangue sparso sul prato. I miei falsi amici se ne sono andati. Clove è lì, vicino a me. Io le sussurro qualcosa nell'orecchio, qualcosa di incomprensibile. Poi prendo in mano un  coltello e. con un ultimo sforzo, glielo porgo. Lei capisce cosa voglio. Prende il coltello, lo alza sulla sua testa e poi, inizia a pugnalarmi. Mi sveglio durante la notte. Odio fare incubi. Specialmente questo tipo di incubi. Quelli che ti confondono le idee. Perché ora io ce le ho molto, molto confuse. Cosa devo pensare ora di Clove? Mi posso fidare o no di lei?
Un braccio mi trascina giù dal letto. È Sieg. Oggi è il suo gran giorno, vuole che faccia in fretta a prepararmi. Mi trascino fino nella doccia, spazzo via il sudore della sera prima. Mi vesto. Sieg vuole che sia elegante, perciò mi ha dato il suo primo vestito da mietitura. Lui ne ha uno identico. Sembro un pagliaccio vestito così, ma lo voglio rendere felice, perciò non obbietto: pantaloni neri, camicia bianca e giacca blu. Faccio proprio ridere. Sieg è vestito proprio come me. Se non fosse per l'altezza, saremmo due gocce d'acqua. Con passo deciso, ci dirigiamo verso la piazza. È già sovraffollata. I ragazzi vengono condotti fino alla propria area. I maschi a destra, le femmine a sinistra. I ragazzi vengono sistemati in sette quadrati a seconda dell'età. I dodicenni più vicini e, via via che l'età cresce, ci si allontana dal palco. Mio fratello ha 18 anni, perciò è nel quadrato più lontano. Passo vicino ad un banco, mi pungono il dito e lo stampano su di un pezzo di carta: bisogna farsi registrare. Mentre entro nel mio quadrato, scorgo Clove tra il pubblico in prima fila. È venuta a vedere me o Sieg?  In teoria, dopo quello che mi ha fatto, non mi dovrebbe interessare, ma il sogno di questa notte mi ha confuso le idee. Cerco di evitare il suo sguardo. Fisso dritto, davanti a  me. Scorgo quattro sedie, come al solito. Sono già tutte occupate. Una dal sindaco, due a Enobaria e Brutus, i mentori dei nostri futuri tributi, e la quarta, è occupata da Weise, la nostra accompagnatrice. È a dir poco strana. Quest'anno indossa un vestito lungo fino alle caviglie, tutto laccato in oro lucido. Lo strascico sarà lungo all'incirca  due o tre metri. Ha una parrucca a forma di cespuglio color neve sporca. I baffi dell'anno scorso sono stati sostituiti da un paio di ciglia finte lunghe almeno 10 centimetri. Si alza in piedi sui tacchi a spillo color argento che usa per camuffare la sua bassezza. La sua voce stridula risuona per tutta la piazza: “ Benvenuti, benvenuti, benvenuti. Felici hunger games e... possa la buona sorte essere sempre a vostro favore. Ora, prima del tanto atteso sorteggio, ecco un filmato proveniente direttamente da Capitol City. Ringraziamo la capitale e godiamoci questo video altamente istruttivo.”
Weise è fissata con l'istruzione, sembra che per lei, al mondo, non ci sia niente di più importante di questo. Faccio finta di guardare il video, non ne ho proprio voglia. Cerco di isolarmi, ma non ce la faccio, mi torna in mente il sogno di questa notte. Cosa significava? Ma dopotutto, ce lo aveva un significato? Non ci capisco più niente. Per fortuna il video è finito. Stavo per impazzire. Weise si avvicina al microfono: “Visto che i maschi sono cavalieri, prima la donne!” Odio queste sue frasi . Sono la cosa più odiosa del mondo. Chi le dice che i maschi non vogliono essere estratti per primi? Che stupida, la nostra accompagnatrice! Con il suo solito passo strano, si avvicina alla boccia delle ragazze. Infila la mano tra i bigliettini e ne tira fuori uno. Torna davanti al microfono, apre il bigliettino e legge il nome di una quattordicenne: “ Rosein Nusbaumm” La ragazzina attraversa la piazza fin sopra al palco. É bianca in volto. Pallida. Ha paura. Ma di che ti preoccupi, tanto c'è sempre qualcuno che si vuole offrire volontario. Odio le persone che si agitano per niente. Per un momento penso davvero che non ci sia nessuna femmina che si vuole offrire volontaria, poi dalla fila delle diciottenni si alza una voce: “Scendi di lì, sgorbio! Mi offro volontaria!” sembra scocciata, forse avrebbe preferito la rissa ma quest'anno gira voce che dai 16 anni in su siano tutte delle grandi fifone. Non sanno cosa si perdono. Un onore immenso: partecipare agli hunger games.
“vieni cara, vieni.” la voce di Weise mi fa sobbalzare: “Come ti chiami?”
“Lilie Zuineg”
“Facciamo un bell'applauso per Lilie Zuineg!” tutta la folla inizia a battere la mani. Lilie resta lì immobile a ricevere gli applausi. “Ed ora, i cavalieri!” la voce di Weise mi fa sobbalzare ancora una volta. Ora si dirige verso la boccia dei maschi. Infila la mano nel vetro e ne tira fuori un bigliettino. Lo legge ad alta voce: “Sieg Korper” Non ci credo! Ora non si potrà offrire! Chissà cosa si inventerà ora. Sento il suo passo, fermo e deciso. Sta salendo sul palco. Arriva vicino a Weise e le strappa il microfono dalle mani: “Sentitemi bene, mi sono allenato per sette anni, sono il più forte del corso e questa è la mia ultima mietitura, perciò se qualcuno di voi osa offrirsi volontario, lo avverto: dovranno scegliere un altro tributo da mandare nell'arena.” poi rimette il microfono tra le mani di Weise, che non si è mossa di un solo centimetro. “Questo non è per niente istruttivo.” Bofonchia Weise. Poi si schiarisce la voce e domanda: “Ci sono volontari?” Sieg deve averli spaventati per bene, perché nessuno si muove di un solo centimetro. “Bene! Facciamo un bell'applauso a Sieg Korper!” la folla applaude il doppio di prima, così Weise deve urlare per far zittire tutti: “Urlare non è per niente istruttivo” questa frase mi strappa di bocca un piccolo sorriso. Poi incrocio lo sguardo di Sieg. La sua bocca forma un'unica parola: Clove. É mostruosamente serio. Poi si volta verso Lilie e le stringe la mano. “Salutate il vostro distretto, tributi!” grida Weise. Poi si girano ed escono via dal retro. Mi reco subito da mia madre, dobbiamo sbrigarci, Sieg ci aspetta per l'ultimo saluto prima di partire per Capitol City.  Ma quando arriviamo al palazzo di giustizia, Clove ci sta aspettando. Si alza in piedi e  mi viene incontro. Poi mi tende delle lettere e mi dice: “Sono 3, per noi. Sieg me ne ha lasciata una anche a me.”
“Ma perché? Non possiamo andare a vederlo?”
Clove si avvicina ancora di un passo, poi mi prende le mani e le stringe forte fra le sue. “me le ha date Lilie, gliele ha date Sieg prima di arrivare qui, sapeva che io sarei andata a trovarla. Sono sua cugina, dopotutto e lui sapeva che era l'unica a volersi offrire volontaria quest'anno” poi lascia cadere lo sguardo nel vuoto. Fa un bel respiro profondo e ricomincia a parlare“Ha paura, paura di emozionarsi, di mettersi a piangere. Non vuole far vedere che dopo la mietitura ha pianto, risulterebbe debole”
“Non piangerà, ora andiamo da lui!”
“No, Cato.”
“Lasciami andare”
“Cato, ascoltami”. Un po' seccato e impaziente di andare da Sieg, mi giro verso di lei.
Clove mi guarda fisso negli occhi, pieni di dolore. Poi la sua bocca si apre“Cato, lui non ci vuole vedere.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** la lettera di Sieg ***


Le parole di Clove mi bloccano. L'ultima sua frase mi aveva reso immobile. Non è vero, non può averglielo detto a lei e non a me. Non ci posso credere: mio fratello si fida di una ragazzina che conosce appena e non di suo fratello. No, non può essere vero. E poi, anche se ci avesse visto prima di partire, non si sarebbe mai messo a piangere, perché lui è forte. Lui è il più forte. Non può averlo detto, mi rifiuto di crederlo: “ Bugiarda ” dico infine, perché è l'unica cosa che mi passa per la testa. “ E' tutta una bugia. Non è vero. ” i suoi occhi sono pieni di dolore, ma non sarei cascato nella sua trappola. No, io non sono il preside che qualche anno fa credette alla storia di quel piccolo mostro. Io sono Cato, futuro vincitore degli Hunger Games e mi rifiuto di credere ad una storia come questa.

Clove si sta avvicinando a me “ Cato, io.. ”

“ Tu cosa? Cosa vuoi? Che creda a questa storia? No, mi spiace, io non credo alle favole, soprattutto se le favole sono le tue. Io non sono tonto, non puoi farmi credere qualcosa che non sia la verità. Non mi prendi in giro! ” Clove si avvicina ancora di più a me. Mi prende le mani e me le stringe forte fra le sue. Poi mi guarda negli occhi e mi dice: “ Non te la prendere, lui ha fatto la sua scelta e noi dobbiamo rispettarla. ” levo bruscamente le mie mani dalla sua stretta e mi dirigo con passo svelto verso casa mia, mentre mia madre si avvicina a Clove e le sussurra qualcosa. Sicuramente si starà scusando da parte mia, le starà dicendo che non era mia intenzione, che l'avevo fatto solo perché ero accecato dalla rabbia e dal dolore, il che, in parte, è anche vero. Perché io la odio. Quando mio fratello tornerà dall'arena, dovrà ringraziarlo, perché non l'ho ancora strozzata solo per il patto che avevo fatto con Sieg. Non so dove andare: a casa no, perché arriverebbe mia madre e mi costringerebbe a parlare con Clove per ribadire le sue scuse. L'unica alternativa che mi viene in mente, sono i magazzini, ma escludo anche quelli, perché a quest'ora del giorno brulicheranno di pacificatori. Così mi infilo nel primo vicoletto che incontro. Dopo essermi accertato di essere solo, avvicino la mia schiena al muro. Non so più che fare. Spero solo che domenica non arrivi mai, perché mi toccherebbe allenarmi con Clove. La cosa che aspetto con ansia, invece, sono gli allenamenti pomeridiani del giorno dopo. Il martedì lo dedichiamo alla pratica e voglio mostrare a tutti il mio nuovo talento con le lance. L'unico problema è che dovrò aspettare una giornata intera. Così mi isolo e comincio a pensare.

In certi momenti qualsiasi cosa andrebbe bene, eccetto quei pensieri che ti confondono le idee. La mia testa è così furba che porta alla luce l'unico ricordo che non avrei mai voluto ricordare: il sogno.

Cerco di scacciare quella visione dalla mia mente, ma non ha la minima intenzione di andarsene. Quegli artigli, quella mano tesa verso il basso, io che cerco di afferrarla. È poi i miei “falsi amici” che mi strappano la pelle di dosso, che mi lacerano la carne. Il dolore è talmente forte, che mi sembra di sentirlo ora sul mio corpo. Rifugio la mia testa fra le gambe e tento ancora una volta di scacciare il pensiero. Ci sono quasi riuscito, quando una voce rompe il silenzio. È facile indovinare chi sia: “ Che fai? Ti torturi mentalmente? ” chiede Clove con un briciolo di ironia

“ E a te che importa? ”

“ Scusa, mister che te ne frega. Ero venuta solo per darti la lettera di Sieg. ”

“ Non mi interessa. Vattene via. ”

“ Almeno leggila ”

“ No. E ora vattene, se non vuoi fare una brutta fine ”

“ Non lo faresti mai, Sieg mi ha detto del patto. “

“ Hai finito di fare la sapientona? ”

“ Scusa se tuo fratello mi ha detto qualcosa, ora me ne vado, stai tranquillo! ”

“ Bene ”

“ Bene ” conclude lei. Non è capace a fingere, si vedeva subito che non era arrabbiata con me. Aspetto un attimo. Poi, quando penso che Clove si sia allontanata abbastanza, mi alzo in piedi e solo allora scorgo la lettera per terra: deve averla lasciata lì Clove prima di andarsene. La prendo e me la infilo in tasca.

Raggiungo casa in un batter d'occhio. Non c'è nessuno. Mia mamma si deve essere fermata a parlare da qualche parte, come al solito. Così faccio il giro della casa, fino a quando non raggiungo una piccola tettoia. Mi arrampico su di essa e da lì, entro dalla finestra della camera di Sieg. Sul letto ci sono ancora i vestiti di ieri sera, probabilmente neanche lui se li deve essere levati per la notte. Sul comodino c'è una foto in cui io sono sulle sue spalle. L'avevamo scattata all'inizio di quest'anno, il primo giorno in cui andai ad allenarmi ai magazzini. Quella fu l'unica foto in cui sorridevo di mia spontanea volontà. La prendo tra le mani e mi dirigo verso la mia camera. Mi chiudo dentro a chiave, poso la foto sul mio letto e inizio a rigirarmi la lettera tra le mani. Cosa devo fare? La apro o la lascio chiusa? Sono molto tentato, ma alla fine la poso sul comodino e ci metto sopra la foto. Mi sdraio sul letto e, senza neanche rendermene conto, mi sono già addormentato. Mi risveglio verso mezzanotte. Dovevo avere tanto sonno, perché ho dormito un pomeriggio intero. Mi alzo lentamente e mi siedo sul letto. È talmente buio che mi ci vuole un po' prima di riuscire ad abituarmici. Dubito che riuscirò a dormire ancora, perciò mi avvicino alla finestra. Non è tanto lontana dal suolo. Uno, massimo due metri. Mi cambio velocemente e mi metto le prime cose che mi capitano: tutto è più comodo di quello stupido abito da mietitura. Poi mi siedo sul davanzale e salto giù dalla finestra. Non ero mai uscito da casa di notte. È fantastico. Mi dirigo verso il confine del distretto. Non è tanto lontano da casa mia, dunque ci arrivo abbastanza in fretta. Una volta arrivato, mi sdraio sul prato verde e rivolgo la mia attenzione alle stelle: non le avevo mai osservate, almeno non così attentamente. Sembrano tante lucciole rimaste impigliate in un gigantesco telo blu. Da qualche parte, scommetto che anche Sieg le sta osservando. Penso a lui, che è finalmente riuscito ad incoronare il suo sogno. Ora che ci penso, abbiamo lo stesso sogno. Poter uccidere altre 23 persone in sole due settimane... ah! Che bello! Non vedo l'ora di compiere diciassette anni, così potrò finalmente essere pronto per offrirmi volontario. Non vedo l'ora! Se poi Clove si offrisse volontaria il mio stesso anno, potrei ucciderla io, lentamente e in modo molto sofferente. Sarebbe stupendo non vederla più girare per il distretto.

“ Sei ancora arrabbiato o posso sedermi? ” la voce di Clove mi coglie alla sprovvista, facendomi sobbalzare. È odioso il fatto che riesca ad incontrarla ovunque vada. Sembra quasi che mi segua!

“ Perché? A te cosa interessa se sono ancora arrabbiato o no? ”

“ Scusa, volevo solo sapere se non rischio qualcosa a sedermi vicino a te. ” e così dicendo si sdraia di fianco a me: “ Anche tu guardi le stelle? ”

“ Qualcosa del genere. Perché sei qua? ”

“ Ehi, guarda che io qui ci vengo tutte le sere! Semmai dovrei chiedertelo io. ”

Non voglio risponderle. Parlare con lei mi mette ansia. Neanche lei ricomincia a parlare.

Mi sta fissando, la vedo con la coda dell'occhio. Di solito quasi tutte le mie compagne mi fissano, ma rimango indifferente. Essere fissato da Clove mi mette ansia. Probabilmente perché è un piccolo demonio e non voglio avere nulla a che fare con lei. Qualunque sia la ragione della mia ansia, non dico nulla e lascio che mi osservi. Poi la sento mentre trascina la mano sull'erba, fino a giungere alla mia. La scosto subito. Lei fa lo stesso.

Poi Clove interrompe il silenzio: “ Perché sei così freddo? ”

“ Perché è il mio carattere. E poi cosa te ne importa? ”

“ Scusa, ho solo chiesto. ”
Il silenzio piomba di nuovo tra noi due. Poi ho un sobbalzo: “ Le mietiture! ”

“ Le hai viste anche te? ”

“ No! Me ne sono dimenticato! ”

“ Aspetta, te le racconto. Distretto 1: due volontari, come sempre. La femmina è una 17enne. Ha l'aria abbastanza furba. Si chiama Wird. È anche abbastanza carina. Il maschio ha 18 anni. Si chiama Morgen. Sembra cattivo, crudele, ma secondo me è solo un pallone gonfiato.

Distretto 3: non hanno speranze. La femmina ha 14 anni, si chiama Abend. Il maschio ha 16 anni e si chiama Raven.

Distretto 4: sembrano svegli, ma mai quanto Lilie e Sieg. Lei si è offerta. Ha 17 anni e si chiama Adler. Lui, invece, quando è stato estratto tremava come una foglia. Si chiama Grund e ha 13 anni.

Distretto 5: di sicuro moriranno nel bagno di sangue. Lei si chiama Himmel e ha 12 anni. Lui Luft e ha 15 anni.

Distretto 6: non li darei così per spacciati, se non ci fossero quelli del'1 e del 2. lei si chiama Wind ed ha 17 anni. Quando è salita sul palco, non era per niente spaventata. Lui lo era un po' di più, ma non così tanto. Ha 15 anni e si chiama Haufen.

Distretto 7: spacciati. Hanno tutti e due 16 anni. Lei si chiama Kind e lui Mock.

Distretto 8: lei ha 13 anni e si chiama Geist. Per me muore dopo un giorno o due. Lui sembra un po' più sveglio: si chiama Airbeit. Potrebbe resistere qualche giorno in più della sua compagna. Distretto 9: potrebbero arrivare tra gli ultimi 8. Lui si chiama Brot. 16 anni. Non sembra messo così male per quanto riguarda la corporatura. Lei e un po' patita, ma sembra abbastanza furba. Ha 17 anni e si chiama Sprae.

Dal 10 in poi non resisteranno al bagno di sangue. Distretto 10: lei ha 14 anni e si chiama Weir, lui ha 17 anni e si chiama Swarz.

Distretto 11: lei ha 12 anni e si chiama Zeniz. Lui ha 15 anni e.. come si chiama? Ah si, ora ricordo. Si chiama Erin.

Distretto 12 : lei ha 15 anni e si chiama Kassie. Lui si chiama Lein ed ha 13 anni. Tutto chiaro? ”

“ Primo: chi te lo ha chiesto. Secondo: quanti sono i 17enni? ”

“ Vedi che ho fatto bene a dirtelo? ”

“ Si si va bene. Quanti sono i 17enni? ”
“ 5 in tutto. ” rimaniamo in silenzio per un po' di tempo. Poi mi alzo e mi dirigo verso casa.

“ Ciao. A domani ” dice Clove. Non capisco perché abbia detto “a domani”. Domani non c'è scuola. Probabilmente se ne sarà dimenticata. Senza neanche salutarla, continuo a camminare verso casa.

Prima di rientrare in camera mia, osservo un'ultima volta le stelle e sussurro: “Ah, Sieg. Se solo fossi qui con me!”


NOTE DELL'AUTRICE
hi there!! scusate se vi ho fatto aspettare un po', ma con la scuola e cose varie, non sono riuscita ad aggiornare. ho scritto questo capitolo tutto in una sera, infatti è un po' più corto degli altri. 
Grazie a tutti quelli che hanno recensito e che mi hanno segnalato gli errori. 
-Ale

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Le prove ***


La sveglia sta suonando. È mattina. Mi butto giù dal letto in fretta e furia, mi infilo la tuta da addestramento, indosso le scarpe e mi dirigo verso i magazzini. Oggi mi devo impegnare veramente tanto. Ci sono le prove. Per vedere cosa abbiamo imparato durante l'anno. Praticamente ci rechiamo tutti ai magazzini, dove ci suddividono in categorie a seconda dell'età, un po' come la mietitura. Partendo dai 12enni, estraggono prima un nome e poi una categoria. La persona scelta deve recarsi alla categoria estratta e deve far vedere agli istruttori quello che ha imparato.

Mi dirigo con passo deciso verso i magazzini. Le finestre delle case sono ancora sbarrate. Le strade vuote. Non c'è da stupirsene. Oggi nessuno va a lavorare, è festa. Questo pomeriggio, infatti, ci sarà la festa per onorare i tributi del nostro distretto che si sono offerti volontari e... Accidenti! Il discorso!Me n'ero completamente dimenticato! In qualità di fratello di Sieg, dovrò leggere un discorso e mi sono dimenticato di prepararlo! Ed ora? Che cosa mi invento?

Una piccola vocina interrompe i miei pensieri:“Ripeti il discorso?” è mai possibile che riesca ad incontrarla ovunque vada? Non mi sembra che il distretto sia poi così piccolo!

Che ci fai qua?” chiedo con aria seccata.

Scommetto che ti sei dimenticato di scriverlo” ma non ascolta mai questa ragazza?

Ripeto: che ci fai qua?”

Allenamenti. Ieri ho compiuto dodici anni e mia madre mi ha costretto a...”
“Non me ne frega niente di cosa ti ha costretto a fare tua madre, ok?”

...mi ha costretto a venirvi a vedere!” conclude lei.

Quanto la odio. Si può essere più dementi di così?

Io ti ho risposto, ora tocca a te. Hai scritto il discorso?”

Non rompere, vai a sederti e vedi di non fare baccano, intesi?”

Dimmelo! O ti pianto un coltello in gola!”

Si, come se ce ne avessi uno dietro ora.”

Io non ce l'ho, ma qualcun altro si” e così dicendo mi fa notare la postazione dei coltelli.

Poi ti dirò, ora vatti a sedere e vedi di non rompere, hai capito?”
“Che noia però.”

Perché? Perché? Perché mi deve rovinare ogni singolo giorno? Perché esiste? Perché ho fatto quello stupido patto? In parte è anche colpa mia, non dovevo accettare. Sono stato un idiota.

Ehi guardo un po' chi c'è?”Anche lui, cosa ho fatto di male per meritarmi questo?

Verlas.”

Alla fine ti sei fatto vivo. Non hai paura di essere picchiato ora che il tuo fratellino non è qui a proteggerti?”

Certo, come se avessi mai avuto paura. Picchiami se vuoi. Cosa c'è, non hai coraggio? Oh poverino, quanto mi dispiace.”

Prima voglio vedere come te la cavi, poi si vedrà cosa fare.”

Allora a dopo, fifone.” è così dicendo mi dirigo verso la postazione dei 12enni.

Verlas, capelli marroni e corti, occhi azzurri e sguardo da pesce bollito. Ha un anno in più di me. Quanto lo odio. È la tipica persona che si crede capace di sollevare il mondo con un dito. Pensa di saper fare tutto. È odioso.

Qualche anno fa eravamo amici. Ci vedevamo quasi tutti i giorni. Non c'erano segreti tra di noi, ci dicevamo tutto. Poi, con la storia delle scritte, abbiamo iniziato a distaccarci, ma restammo comunque amici. Lui, però, non si fidava più di me. Avevamo smesso di raccontarci i segreti e non ci frequentavamo più così spesso. 2 o 3 mesi dopo si fidanzò con Son, una bella ragazza dai lunghi capelli dorati e i tipici occhi azzurri del nostro distretto. Verlas diceva che era intelligente, spontanea e molto simpatica. A me sembrava solo una gallina arrogante che non sa fare altro che lamentarsi. Lo usava come uno schiavo: portami questo, fai quello, prepara di là, aggiusta di qua... non so proprio come facesse a starci assieme. Furono fidanzati per qualche settimana. Poi lei gli confidò che non lo aveva mai amato e che lo aveva utilizzato solo per avvicinarsi un po' di più alla persona che le piaceva:io.

Così Verlas iniziò a dirmi di tutto e, alla fine, ci picchiammo. Da quel giorno non ci siamo mai più parlati, se non per insultarci a vicenda. È la seconda persona che odio di più al mondo. La prima, penso si sappia chi è.

La voce dell'addestratore mi riporta alla realtà “Cato Korper”

Mi alzo e con passo trionfale mi dirigo verso la boccia delle postazioni. Infilo la mano nella vaschetta di vetro e ne tiro fuori un bigliettino tutto accartocciato. Lo apro e leggo ad alta voce: “Spada.” Non era proprio quello che speravo, ma va bene lo stesso: me la cavo con un 8.

Aspetto con ansia il turno di Verlas. Quando viene sorteggiato, estrae anche lui il bigliettino delle spade e ottiene anche lui un 8. questa gliela rinfaccerò per sempre. A 13 anni fare lo stesso risultato di uno di 12. Per lui dev'essere veramente imbarazzante, soprattutto se il 12enne sono io.

Aspetto la fine delle nostre categorie. Poi mi alzo ed esco dai magazzini. Appena uscito, mi ritrovo di fronte Clove che scoppia subito in un applauso: “Bravo, complimenti! 8 è un ottimo risultato per una persona di 12 anni.”

Grazie, ma ora ti prego vattene a casa.”

Ok, ci vediamo oggi in piazza. A dopo”

Non le rispondo. Continuo ad odiarla, non la sopporto.

Mi sono allontanato qualche centinaio di metri dai magazzini, quando qualcuno mi salta addosso e mi scaraventa per terra e mi stringe le mani alla gola.

Come hai fatto! Non puoi veramente aver avuto il mio stesso punteggio! Cato! Dimmi come hai fatto!”

Sei un'incapace, ecco come ho fatto!” la stretta sul mio collo aumenta sempre di più.

Ora ti insegno io a prendermi in giro!”

Mi sento mancare l'aria, non riesco più a respirare. Sto soffocando.

Una voce fa rilassare le mani di Verlas: “Lascialo stare.” ancora lei. Avrei preferito morire soffocato piuttosto di essere salvato da una come lei. “Prenditela con me piuttosto.” e così dicendo tira fuori dalla tasca un coltello.

“Uh, ma che paura! Una marmocchia con un coltello. Vattene via! Non ti intromettere!”

“Lascia Cato e io me ne vado.” Perché deve fare l'eroina?

“Hai sentito Cato, ti sei conquistato una nuova ammiratrice. Perchè non andate a fare una passeggiata mano nella mano? Sareste tenerissimi, te lo assicuro.”

“Falla tu se vuoi la passeggiata mano nella mano, magari con Son. Oh aspetta, tu non le sei mai piaciuto forse, Quanto mi dispiac...” la stretta sul mio collo aumenta nuovamente, togliendomi un'altra volta il respiro. Chiudo gli occhi dal dolore.

“Che c'è? Stai soffrendo? Beh, non mi dispiace per niente!”

Più il tempo passa, più la stretta aumenta. Sto quasi per soffoare, quando Clove sbatte a terra Verlas e gli punta un coltello alla gola: “Non toccare mai più Cato, hai capito?”

Poi Verlas le tira un calcio nello stomaco e lei ricade all'indietro barcollando.

“E perchè mai dovrei dare ascolto ad una come te?” e così dicendo le sputa addosso.

So che odio Clove con tutto il cuore, ma in certi momenti questo odio viene superato da quello per Verlas, così mi fiondo addosso a lui senza neanche pensarci. Lo sbatto a terra e questa volta sono io che sputo in faccia a lui: “Ma che razza di persona sei? Te la prendi con una ragazzina? Verme!”

“E tu invece? Non sei capace di difenderti da solo?”

“Non vale la pena di prendersela con te. Clove vattene a casa!”

“Ma Cato...”

“Ho detto vattene a casa! “

Quando Clove si è allontanata abbastanza, lascio andare Verlas. “Verme” gli dico. Poi mi giro e me ne vado verso casa.

Perché è arrivata Clove? Ora sarò lo zimbello di tutto il corso. Stupido Verlas! Lo odio. Se c'è una cosa che non sopporto è quando qualcuno se la prende con i più deboli. E non importa se la vittima è Clove o se è mia madre: non fa nessuna differenza. Con questo non voglio dire che non odio più Clove, la odio ancora, con tutto me stesso. “Cato... Cato...” la voce di Clove mi fa scattare. Sembra allarmata. Poi ricordo: quando Verlas se n'è andato, è andato nella stessa direzione di Clove. Inizio a correre. La sua voce è sempre più vicina. È lì, davanti a me. Rannicchiata con la mano stretta sul fianco. Mi avvicino. Sangue. “Hai visto cosa faccio a chi si mette contro di me?”

“Sei solo un verme” e così dicendo mi getto su di lui.

Lottiamo per un po', poi lui mi stende a terra e mi blocca braccia e gambe.

L'ultima cosa che vidi fu un sasso sollevarsi e scagliarsi sulla mia testa.


Ciao a tutti!!!!!
Scusate per l'enorme ritardo, spero che non succeda più! Il fatto è che non ho avuto molto tempo in questi giorni( anche se le vacanze sono già iniziate).
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e vi prego di continuare a farlo. Bacioni a tutti
-Ale

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La convalescenza di cato ***


“Cato, alzati. É mattina.” mi sussurra una voce. Non mi voglio alzare. Sto bene lì dove sono. È così morbido e delicato. “

“Cato! Ti prego, svegliati! Svegliati!” apro gli occhi all'improvviso e... dove sono? Faccio per alzarmi, ma vengo subito bloccato da un forte dolore alla testa. Mi sdraio sul letto.

“O tesoro mio, finalmente ti sei svegliato. Mi hai fatto stare in pensiero, sai?”

Mia mamma è china sul letto, con il volto rigato dalle lacrime.

“Cosa è successo? Perché mi trovo qui?”

“Cato, non ricordi? Hai salvato Clove due giorni fa!”

Sto per mettermi a ridere al solo pensiero, quando nella mia mente si fa strada l'immagine del taglio sullo stomaco di Clove e così soffoco dentro di me la risata.

Due giorni? Sono stato in convalescenza per due giorni? Roba da non credere! Due giorni senza fare niente? Senza allenarmi? No, mi rifiuto di crederci! Non può essere possibile.

“Niente di grave, vero?

“Insomma, fai un po' te. Ti hanno scagliato una pietra sulla testa, per fortuna non troppo forte!”

Ci credo che non era forte, l'ha scagliata Verlas! Quella pappamolla non riuscirebbe a schiacciare neanche una formica.

“Quando potrò tornare ad allenarmi?”

“Non ne ho idea, di sicuro dovrai saltare qualche giorno.”

Sto per iniziare a lamentarmi, quando la porta si apre provocando uno scricchiolio fastidioso.

Clove.

Mia mamma si gira e, vedendola, esce dalla stanza, lasciandoci soli.

Clove si avvicina lentamente e si siede sulla prima sedia che trova.

Ci fissiamo. È la prima volta che la guardo e che non mi viene voglia di strozzarla. Mi stupisco di me.

“Come stai?” chiede lei con voce dolce.

“Mai stato meglio. E te?”

Lei si scopre la pancia e vedo una fasciatura che gliela copre interamente.

“Grazie.” dice poi lei tirando giù la maglietta.

“Non l'ho fatto per te” le dico schietto “E' solo che odio Verlas a tal punto che, pur di fargli del male, accetto anche di difenderti.”

“Solo che è stato lui a fare del male a te”

“Gliel'ho lasciato fare.”

Poi mi viene in mente che anche lei mi ha salvato quando Verlas mi stava per strozzare. Così glielo dico talmente piano che non penso abbia sentito, perché per me è un umiliazione dire grazie a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è Clove.

“Cos'hai detto?”

“Niente...” rispondo nella speranza che non abbia sentito. “Pensavo...”

“Se lo dici tu” dice lei, in un modo non troppo convinto.

Stiamo fermi a fissarci per qualche minuto. Poi la mia bocca le porge una domanda, senza neanche che io me ne renda conto.

“Perchè lo hai fatto?”

“A cosa ti riferisci?”

In realtà mi riferirei un po' a tutto: perchè si vuole allenare con me, perchè qualche anno fa aveva scritto quelle cose, ma l'unica domanda che riesco a dire è: “Perchè mi hai difeso da Verlas?”

“Se avessi avuto una lancia o una spada non ci sarebbe stato bisogno di aiutarti. Ma Verlas aveva un coltello, io l'ho visto, mi ha ferita con quello, ed ero certa che non lo sapeva usare. Così ho deciso di aiutarti. E tu invece? Perchè quando ti ho chiamato sei corso subito indietro senza alcuna esitazione?”

“A volte sei proprio stupida. Ti ho detto che odio Verlas più di te, quante volte te lo devo ripetere?”

“Se lo dici te mi fido.”

A dire la verità non ci ho proprio pensato al fatto che la voce che mi aveva chiesto aiuto quella sera era quella di Clove. Ero subito partito. Non mi ero fatto problemi. Mi pare quasi di aver pensato, per un solo istante, che Clove abbia avuto importanza per me. Ma scaccio subito l'idea. È troppo surreale. Come poteva Clove essere importane per me se l'avevo sempre odiata? Beh, ora che ci penso, non penso più a Clove come un mostriciattolo già da un po' di tempo: mi stupisco di me.

Il rumore della porta che si apre scaccia i miei pensieri. Mia mamma entra, e chiede in modo gentile a Clove di uscire perchè mi doveva parlare.

“Allora ci vediamo dopo?”

“Perchè?”

“Passo ancora a trovarti, più tardi”

“Contenta te...”

La porta si richiude e mia mamma si siede nello stesso posto di prima.

“Cato, ho buone notizie.”

“Posso uscire?”

“Oggi no, ti toccherà passare la notte in ospedale. Ma per fortuna non è grave. Domani mattina torniamo a casa.”

“Meno male, non ne posso più di stare imbamolato a letto mentre dovrei essere ad allenarmi per gli Hunger Games.” Questo particolare mi fa tornare in mente gli Hunger Games, quelli di quest'anno, a cui partecipa mio fratello. Sono iniziati ieri: mi sono perso il bagno di sangue e le interviste. Accidenti. “Mamma, come proseguono gli Hunger Games?”

“Bene, per ora. Dovevi vedere tuo fratello alla sfilata dei carri.Era magnifico, in tutta la sua possenza, sembrava un dio. Con quel vestito dorato e quella corona, era a dir poco fantastico! Sembrava un re.”

“E alle interviste?”

“Non lo so. Eri in ospedale e ho visto solo la sfilata dei carri. Se vuoi richiamo Clove, lei ha visto tutto.”

A malincuore e con la faccia imbronciata le faccio segno di chiamarla.

“Cato, cosa c'è?”

“Premetto che ti ho chiamata solo per sapere di mio fratello. Tu hai visto tutte le puntate, giusto?”

“Si”

“Bene. Dimmi, cosa ha detto alle interviste?”

“Cosa vuoi che abbia detto, le cose che dicono tutti. Caesar gli ha chiesto il perchè della sua reazione quando è stato estratto. Lui ha detto che aveva promesso a suo fratello che gli avrebbe fatto vedere come si comportava un vero campione, perchè lui era il campione, il più forte di tutti...Vincerò per te, Cato, e quando tornerò, vedrai il campione”

“Cosa?”

“E' quelo che ha detto lui, me lo ricordo ancora”

“E quanto ha ottenuto alle sessioni private?”

“11. Caesar gli ha chiesto anche di quello.”

“Si poteva immaginare che prendeva un voto alto.”

“Hai ragione.”

“Parlami del bagno di sangue.”

“Beh sono morte un bel po' di persone, 10 per l'esattezza. I due del 12, la femmina dell'11, tutti e due quelli del 10 e quello del 9. Il maschio del 4, la femmina del 6 e tutti e due quelli del 7. I favoriti sono ancora vivi”

“Che affermazioni sceme che fai, certo che sono vivi! Comunque, com'è l'arena?”

“E' Metà foresta e metà deserto, piena di ibridi.”

“Bene, Sieg vincerà di sicuro.”

“Lo spero.”

“Fidati, succederà.”

Terzo minuto di silenzio della giornata. Quanti dovrò ancora sopportarne? Poi se li passo con Clove sono ancora più odiosi.

Questa volta è Clove ad interromperlo: “Grazie ancora Cato.”

“Tu mi hai salvato ed io ti ho ricambiat il favore. E poi, quante volte dovrò ancora ripetertelo che odio Verlas più di quanto odio te?”

“Va bene.”

“Ora esci che devo dormire”

“Ok, ciao Cato. E buonanotte.”

“Ti auguro di fare i peggiori incubi.” sussurro a voce bassa. Poi mi giro dall'altra parte e chiudo gli occhi. Mi addormento quasi subito.

È tutto buio, sto correndo, il fiato è pesante, faccio sempre più fatica a camminare, non ce la faccio più. I miei falsi amici che mi inseguono. Una voce mi chiama da sopra a un albero: è Clove. Mi sta tendendo la mano. È troppo in alto, non ci arrivo. I miei falsi amici mi hanno ormai riggiunto. Si stanno trasformando in lupi, bestie feroci, assetate di sangue. Il buio. Gli artigli. Le zanne. La voce di Clove. Il sangue, il mio sangue. MI sveglio di botto, tutto sudato. Ancora quel sogno. Due volte lo stesso sogno. Significa qualcosa, e io devo sapere cosa. Ora più che mai. Questo incubo mi tormenta. Di sicuro c'entra Clove. E so cosa fare.

A malincuore, devo parlare con lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** una seconda opportunità ***


Ormai è pomeriggio e sto tornando a casa. Quegli incapaci degli infermieri hanno voluto farmi altre analisi prima di lasciarmi andare. Ma dico io, la mia gli sembra la faccia di un rammollito che si lascia atterrare da una pietra. Non lo so, gli sembro Verlas? Quando sono uscito mezz'ora fa mi sono trattenuto a stento dall'insultarli tutti.

C'è una cosa che più di tutte mi fa odiare quell'ospedale: il mio incubo. Anzi, per l'esattezza sono due, perché bisogna aggiungerci anche il fatto che ho dovuto dividere dei momenti con quell'odiosa e ingrata di Clove. Quanto poco la sopporto!

Finalmente arrivo a casa. Di nuovo. Il solito vecchio monotono posto. Entro in camera mia sbattendo la porta, mi sdraio sul letto e accendo la TV. Stanno trasmettendo gli Hunger Games. Da quel che posso capire questa notte hanno fatto fuori anche quello del distretto 11. Che idiota, aveva acceso un fuoco per scaldarsi e i favoriti lo hanno beccato. Una freccia dritta in pancia. Peccato che mi sono perso la prima azione del gruppo di Sieg. Mi sarebbe piaciuto vederla.

Giro la testa e scorgo la lettera di Sieg sotto alla nostra foto. Sembra quasi un paradosso: quella che potrebbe essere l'ultima lettera di io fratello sotto all'unico momento in cui è riuscito a farmi sorridere veramente. Ma cosa sto dicendo! Quella non è la sua ultima lettera, Sieg tornerà vincitore. Lui me lo ha promesso.

La lettera è ancora lì, intatta, proprio come l'avevo lasciata. La prendo e la rigiro tra le mani. Chissà cosa ci sarà scritto. Stento ancora a credere che quello che abbia detto Clove sia vero, che lui non mi abbia voluto vedere. Impossibile. In fondo, come si può credere a una persona del genere.

Sento bussare. È mia madre che mi dice che c'è qualcuno che mi vuole vedere. So per certo di chi si tratta perciò rispondo che sto dormendo. Inutile. La porta si apre con il suo solito scricchiolio e ne entra quella sottospecie di persona. Ma è mai possibile che sia già qua? Non saranno neanche 10 minuti che sono arrivato e lei è già qui ad assediarmi, a raccontarmi le sue storielle, a fare tanto la dolce bambina quando è solo una piccola stupida bamboccia che mi sta facendo vivere la peggiore vita che potessi vivere. Come si fa!

“Ciao Cato.”

“Giorno”

“Come stai? Finalmente a casa”

“Eh già, la solita vita di sempre”

“Senti, dovrei farti vedere una cosa. Te la senti di uscire e di andare fino ai magazzini? Ti prego, è importante”

“Per chi? Per te?” dico con un po' di rabbia nella voce. Quella lì sa pensare sono a sé stessa.

“No, per te. Più che importante, mi sento in obbligo”

“Si, come no”

“Dai ti prego. Se vieni non ti stresso più. Promesso” La proposta è talmente allettante che accetto e, seguito da Clove, mi dirigo verso i magazzini. Non dico niente a mia mamma perché sarebbe un divieto sicuro sicuro. Pensa che sia troppo debole per uscire di casa, dato che sono reduce dall'ospedale.

Per strada Clove mi continua a chiedere come sto, se ho giramenti di testa e cose varie. Ma le sembro un rottame? Tutti in questa città mi sottovalutano, tutti tranne Sieg, che in questo momento non fa neanche parte della città, dunque non lo conto.

Dopo circa 10 minuti inizio a intravvedere i magazzini, e con loro una folla enorme di persone tutte in cerchio attorno a qualcosa. Solo quando mi avvicino riesco a vedere che in realtà sono tutti attorno a Verlas. Lo vedo mentre si vanta di avermi tirato un sasso in testa. Assieme a lui c'è qualcuno con una faccia famigliare, una ragazza davvero molto bella. Capelli dorati e occhi azzurri, ma non so proprio chi sia, cioè, assomiglia a Son, la ragazza per cui io e Verlas avevamo perso la nostra amicizia, ma non può essere lei, mi rifiuto di crederci. Neanche lei sarebbe così stupida da stare con Verlas, non un'altra volta.

“Ohi ohi ohi! Guarda chi si rivede! Il vecchio, deboluccio, malconcio, molliccio Cato. Passata bene la convalescenza?”

“Mai fatta una convalescenza così piacevole. Sai, non mi avevi ridotto così male, i dottori hanno detto che chi ha lanciato la pietra doveva essere proprio uno senza forze, che sono finito là solo per la disattenzione” naturalmente non era vero, ma volevo solo mettere in chiaro chi fosse il più forte “Hai trovato la ragazza Verlas? Incredibile, chi l'avrebbe mai detto! E la povera sfortunata come si chiama?”

“Come, non ti ricordi più di lei? È Son, sai, dopo che ha saputo che eri finito in ospedale si è accorta di chi è il più forte e ha deciso di tornare da me.” non ci posso credere, è davvero lei! “

E tu come te la cavi con la piccola Clove? Ti ha fatto da dottoressa? Ah che dolci!” a queste parole non resisto e mi scaglio conto di lui, facendolo cadere a terra: “Senti mio caro, se hai intenzione di prendere in giro questa tua fidanzata, sempre se così si può definire, sei libero di farlo, ma se osi anche solo dire qualcosa a me, beh, considerati pure più di là che di qua” e per concludere gli tiro un pugno nello stomaco. Poi mi giro e mi dirigo verso casa, con Clove che mi segue come un cagnolino e Son che mi guarda con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.

“Bravo Cato, gli hai stesi!”

“Avevi dei dubbi?” dico con aria di rimprovero.

Clove si ferma. Mi giro a guardarla. È seria, cosa che per lei è alquanto insolito: “Perchè ce l'hai tanto con me Cato!”

“Perchè? Tu osi chiedermi il perché? Come se non lo sapessi! Devo farti l'elenco di tutto quello che mi hai fatto? Di tutto quello che ho dovuto sopportare?”

“Non capisco”

“Se ti dico scritte su Capitol City non ti viene in mente niente?” ora è lì immobile, come se avesse paura di dire qualcosa, come se non osasse parlare:“Io pensavo...”

“Pensavi cosa, che siccome sei tanto bella e carina, siccome fai gli occhi dolci tu abbia l'autorizzazione di rovinare così la vita di qualcuno? Beh, sappi che ti sbagli, sappi che io non ho mai dimenticato, sappi che io ora, in questi giorni, in queste ore che abbiamo passato assieme, mi sono trattenuto a stento dall'insultarti, dallo spedirti a casa, dal continuare a fare quello che tu mi dicevi di fare, come un idiota. Ma ora, o mi dai una spiegazione credibile, plausibile, per cui io dovrei perdonarti, o sappi che ti tratterò come tratto gli idioti come Verlas, anzi, ti tratterò peggio di lui, perché almeno con lui una volta ero amico, invece con te non sono mai stato niente e, nonostante tutto, tu hai avuto il coraggio di fare quello che hai fatto! Allora? Che mi dici? Aspetto una spiegazione, perché delle scuse non mi bastano, e sapi che, se non riuscirai a farti perdonare, ti tratterò peggio di come si tratta un cane. E ora ti ascolto”

restiamo immobili in silenzio a fissarci, io on sguardo severo, come si guarda una preda, lei con le lacrime agli occhi.

“Cato ti prego perdonami” una lacrima le sta scendendo sul viso. È pure capace a fare finta di piangere.

“Ma hai il cotone nelle orecchie o cosa? Ti ho detto che non voglio scuse, ma parole che spieghino i fatti, e possibilmente vere”

“Ti prego, dammi tempo fino a domani alle 4 e ti spiegherò tutto”

“Hai già avuto degli anni per spiegare, perchè dovrei darti ancora del tempo?”

“Ti prego, lo so che hai ragione, ma ti prego. Ti assicuro che non te ne pentirai”

“Mi sono già pentito una volta, e ti sto dando una seconda opportunità, non ti sembro già abbastanza bravo?” in realtà, se si conta il patto con mio fratello sarebbe addirittura la terza, ma preferisco tacere.

“Si ma la seconda opportunità vale sia quando è per un minuto che quando è per delle ore. Ti prego Cato ti scongiuro!”

“Cosa farei pur di sentirti tacere e andare a casa. Questa è già una serata troppo nera per continuare a discutere.”

“Allora mi lasci tempo?”

“Vorrei tanto sapere a cosa ti serve il tempo”

“Allora?”

Mi fermo qualche secondo per riflettere, poi decido di lasciarla fare, giusto per la curiosità di sentire quale bugia mi racconterà “Ok va bene. Ma se domani entro le 4 in punto io non saprò il motivo, sappi che il tuo trattamento si rivelerà peggiore di quello che ti ho descritto prima”

“Si va bene, tu fidati di me e vedrai che mi farò perdonare” e così dicendo, con il sorriso sotto alle lacrime,corre verso casa.

In che guaio mi sono messo? Già mi sono pentito di averla conosciuta, come andrà questa volta?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1845701