The life in his heartbeat.

di breathrauhl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** sucide. ***
Capitolo 2: *** Life has his name. ***
Capitolo 3: *** Heartbeat. ***
Capitolo 4: *** A save place. ***
Capitolo 5: *** Home. ***
Capitolo 6: *** Up. ***
Capitolo 7: *** Hidden fears. ***
Capitolo 8: *** Give your heart a break. ***



Capitolo 1
*** sucide. ***


Alla fine un po’ tutti pensano alla morte come consolazione, come riposo eterno dal dolore,  tutti cercano le risposte alle loro sofferenze nella morte.

Il forte odore di medicinali mi pungeva il naso e il ticchettio fastidioso della macchina che controllava il cuore mi fece svegliare.
Ero in un letto d'ospedale.
Lenzuola bianche.
Camice azzurro.
Tipica paziente di dr. House, solo che quello non era un telefilm, era la mia vita.
Portai lo sguardo ai miei polsi, erano completamente fasciati.
Non riuscivo a muoverli, appena lo facevo il dolore mi percorreva il corpo e sentivo come se una lama stesse incidendo sulla mia carne.

"Hanna" urlò mia mamma con il fiato che le si fermava in gola.
"Hanna ti prego rispondimi, Bruce aiutami, qualcuno mi aiuti"
Non avevo neanche la forza di rispondere l'unica cosa che volevo era dormire.
Sentivo che ero stanca, stanca come non mai.
I miei occhi si stavano per chiudere quando l'unica cosa che vidi per ultimo fu il tentativo di mia madre di togliermi una lametta dalle mani, mentre le sue diventavano rosse toccando il sangue che mi sporcava l'intero braccio.
Scorreva sempre più.
Ogni goccia sporcava il pavimento.
Ogni goccia conteneva il mio dolore, il mio senso di vuoto, ogni mio fallimento, ogni goccia era una liberazione per me.

Tutto affiorò alla mia mente e in un istante e realizzai che quella notte avevo tentato il suicidio.
Mi alzai da quel letto così velocemente che tutto intorno a me divenne nero per qualche secondo.
Quel buio era lo stesso che vidi la notte prima, prima di chiudere gli occhi mentre le urla di mia madre diventavano sempre più lontane e il mio corpo meno stanco.
Aprii la porta della mia camera e probabilmente doveva essere notte perché nessun infermiere o dottore aggallava i corridoi.
Percorsi l'intero corridoio senza trovare nessuno.
Bella sicurezza,davvero.
Qualsiasi malato di mente sarebbe potuto entrare con una pistola e sparare all'impazzata.
Troppi telefilm.
Continuai la mia camminata finché non notai la una scritta che segnava un reparto.
"Psichiatria"
Sentì i polsi pulsarmi e la schiena piena di brividi.
Avevo tentato il suicidio la notte scorsa,non è una cosa normale né io lo ero.
Nessun dottore mi aveva dato la diagnosi di malata psicopatica quindi avevo ancora la mia dignità mentale o almeno lo speravo.
Cambiai direzione e proseguii per un altro corridoio.
Finalmente vidi qualcuno di familiare.
Mia madre.
Allungai il passo, ancora non riuscivo a correre e se ci provavo rischiavo di cadere a terra.
Vidi che entrò in una sala e la porta le fu aperta da un dottore che la invitava ad accomodarsi.
Mi avvicinai silenziosamente alla porta e spiai dalla tapparella che lasciva intravedere qualcosa.
Il dottore era un uomo di mezza età,sulla cinquantina.
Capelli brizzolati, un po’ lunghi occhi azzurri e tipico camice bianco.
"Joann ho letto la cartella clinica di tua figlia e dovrei darti la diagnosi è bene che tu l a sappia da me"
Come faceva quel l'uomo a sapere il nome di mia madre?
"Voglio sapere tutto Simon"
Bene, e come faceva mia madre a sapere il suo di nome?
Ho tentato il suicidio non sono stata in coma per anni.
Mi sfuggiva qualcosa.
"Sul corpo di tua figlia sono state ritrovate numerose lesioni sui polsi, gambe e alcune sul collo"
Si fermò d'un tratto e distolse lo sguardo dalla cartella clinica per dirigerlo su mia madre
"E.."
"Continua Simon"
Lo interruppe mia madre.
"Joann mi dispiace molto ma hanno cercato di violentare tua figlia, oltre a quelle lesioni ce ne sono altre, non causate da lei"
Avevo il corpo bloccato, il cuore che quasi non batteva più e il respiro che credo si fosse consumato del tutto.
"Simon cosa stai dicendo?  Hanna? non può essere"
Il dottore si alzò e si diresse verso mia madre che ormai si era alzata ed era in un angolo della stanza.
"Joann con una giusta terapia possiamo aiutarla"
Prese mia madre per un braccio e la tirò a se, lei si rifugiò tra le sue braccia.
Quelle braccia non erano di papà.
Vidi qualcosa che mi fece più male dei tagli ai polsi, qualcosa che mi fece rabbrividire ancora di più.
Mia madre stava baciando un uomo che non era mio padre.
Ero sconvolta.
Nel giro di tre minuti avevo scoperto che mi avevano violentata e che mia madre aveva una relazione con un altro uomo.
La mia vita mi sorprendeva ancora una volta.
"Signorina cosa sta facendo?"
Una voce mi fece quasi tremare dallo spavento che mi girai di scatto balbettando un "io?"
"Si proprio tu, andiamo l'accompagno in camera"
Non so cosa mi prese ma inizia a correre così veloce che non sentivo neanche un dolore.
"Signorina di fermi! Dove va? Signorina!"
La voce dell'infermiere era sempre più lontana.
Correvo, non sapevo dove.
C'erano miliardi di stanze,corridoi,ascensori.
Vidi alcuni infermieri che iniziarono a rincorrermi ma io aumentavo il passo.
Mi sentivo come se fossi uno di quei personaggi dei video game che scappano dai cattivi ma a poco a poco finivano le energie.
Ero troppo stanca.
Dovevo fermarmi.
Mi catapultai in una stanza.
Entrai e chiusi la porta dietro di me.
Grandioso la mia vita migliorava sempre più.
Ero finita in un obitorio.

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Capitolo 2
*** Life has his name. ***


La morte è un vicolo cieco.
Se la scegli non ci sono alternative.

L'obitorio.
Potevo capitare in qualche altro posto?
Tipo il reparto maternità?
Ma ovvio che no, l'obitorio dava un tocco di ancora più macabro a quest'ultima ora che ho passato.
Ricapitoliamo.
Mi sono svegliata in un letto d'ospedale con i polsi fasciati, ho scoperto che mia madre tradisce mio padre, sono stata violentata e ciliegina sulla torta sono in un obitorio.

Mi guardai un po’ intorno e per fortuna nessun cadavere era esposto,tutti nelle loro cassa.
Tirai un sospiro di sollievo anche se non era proprio adatto visto che quella gente era morta, ma se non avrei voluto fare la stessa fine beccandomi uno spavento ero più che felice di sospirare.
Feci alcuni passi nella stanza dalle luci basse.
Faceva abbastanza freddo,ma era normale visto che la temperatura doveva mantenere quei corpi intatti.
Camminai per la stanza fino a quando vidi una tenda che faceva ombra a qualcosa,o meglio a qualcuno.
Qualcuno steso su un tavolo.
Mi ghiacciai al pensiero di essere i compagnia di un morto.
Sentii aprire la porta della stanza e non sapevo che fare.
Feci la cosa più ovvia al mondo, nascondermi sotto il tavolo di metallo dove giaceva quel cadavere.
Dovevano essere due infermieri.
"Allora Alex che ne pensi della dottoressa Smith? Ha un culo che non puoi fare a meno di notarlo"
'Uomini' pensai
"Non è il mio tipo amico,ora dobbiamo muoversi e portare queste cose al dottore"
"Okay usciamo di qui,ho sempre i brividi ad entrarci"
"Andiamo"
"Non ditelo a me"
Dissi a bassa voce.
Uscii da lì sotto e mi ritrovai davanti al cadavere.
Era coperto da un velo bianco.
Non potevo credere all'idea che mi era passata per la mente: scoprire il velo bianco.
Avevo diciassette anni ma avevo in corpo la curiosità di un bimbo di quattro.
Poggiai la mano sul lenzuolo e con delicatezza,lentamente lo alzai.
Era un ragazzo.
Potava avere sui diciotto anni.
Capelli color oro,un po’ arruffati e rasati si lati, la pelle liscia,quasi perfetta,come la sua bocca delicata.
Doveva essere così morbida.
Il suo viso aveva dei lineamenti molto dolci.
Ogni centimetro della sua pelle,ogni angolo sembrava così perfetto che quel ragazzo sembrava una statua.
Era perfetto.
La sua espressione era serena,come se stesse dormendo beato.
Quel ragazzo era bellissimo.
Non poteva essere morto, era troppo giovane.
Chissà qual'era il suo nome.
Ad un tratto ricordai come nei telefilm che ogni cadavere aveva un braccialetto con segto il proprio nome.
Scoprii il lenzuolo all'altezza del bacino e cacciai la sua mano fuori.
Porca miseria anche le mani aveva perfette quel tipo.
Sentii una scossa.
Quando le sue mano sfiorarono le mie dita una scossa mi fece raddrizzare le spalle.
Non erano fredde le sue mani,strano,erano tiepide.
Girai l'etichetta del braccialetto per leggere.
"Justin Drew Bieber".

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Capitolo 3
*** Heartbeat. ***


La felicità è solo un attimo dopodiché arriva la noia.
Avete presente quella sensazione di vivere in un film?
Beh era la mia in quel momento.
Io,una pazza suicida che si ritrova davanti ad un cadavere.
Tutto normale direi.
"Justin Bieber" dissi a bassa voce.
Era un nome carino.
Quel ragazzo aveva anche il nome che coincideva perfettamente con il suo cognome.
Tutto perfetto.
Hanna Winchester.
Ad esempio il mio nome non c'entrava un tubo con il cognome o forse per me suonava strano o quel ragazzo era così perfetto che iniziava a mandarmi in confusione.
"Chissà se frequentava la saint George" pensai di nuovo ad alta voce.
Ovvio che no.
Un tipo così veniva notato subito e di sicuro era attorniato dalle solite troiette senza cervello.
Illusa.
Poteva mica notare una come me?
Chi nota una pazza con i polsi tagliuzzati che tenta di suicidarsi?
Di certo non lui.
Lui sembrava diverso.
Non era il solito stronzo che si porta a letto la prima che si struscia addosso.
Lo vedevo diverso.
Forse per quella sua espressione sul viso.
Quell' espressione così serena senza nessuna aria di malizia,o per quelle mani da un accenno caldo che potevano stringerti forte e farti tranquillizzare.
Doveva essere un buon ascoltatore,sapeva come metterti il riso sulle labbra nei momenti cupi,lui sembrava il tipo a cui stringerti la notte dopo un brutto sogno,o con cui imparare a nuotare,lui sembrava il ragazzo che abitualmente ti ripeteva che eri bellissima anche se avevi la consapevolezza di non esserlo per niente,ma detto da lui,un po’ iniziavi a crederci.
Lui sembrava poter capire.
Potava capirmi.
Magari mi avrebbe fermato dall'uccidermi.
Magari mi avrebbe aiutata.
Magari lui,poteva salvarmi.
Che cazzo sto pensando?
È morto.
Sveglia Hanna è morto,deceduto.
Stavo davvero impazzendo mi sa.
Lo guardai per l'ultima volta,scrutai velocemente il suo viso prima di prendere il lenzuolo bianco per coprirlo e dirgli addio per sempre.
Addio.
Addio significa non rivedersi mai più,l'addio è il ricordo più brutto che qualcuno possa portare dentro, è come il tasto 'delate' sul cellulare.
Eppure io non conoscevo quel ragazzo ma qualcosa dentro di me non voleva dirgli addio.
Ancora non potevo crederci che un ragazzo così non avrebbe mai più riaperto gli occhi.
Chissà poi di che colore erano i suoi occhi,di sicuro combaciavano alla perfezione con tutto il resto del suo corpo.
Basta Hanna.
Disse una voce nella mia mente.
Era ora.
Iniziai a tirare lentamente il lenzuolo sul suo viso.
Volevo salutarlo.
Sapevo che non l'avrei mai più rivisto,ed era giusto poterlo salutare.
Speravo che sarebbe diventato l'angelo più bello dell'intero paradiso o una nuova stella nel cielo a cui avrei rivolto sempre lo sguardo.
Mi calai leggermente su di lui.
I miei capelli scivolarono sul suo collo,mi calai lentamente sulle sue labbra e premetti leggermente come se avessi paura di svegliarlo da un sonno profondo.
Le sue labbra erano tiepide e morbide.
Un liquido trasparente scappò dai miei occhi percorrendo tutta la mia guancia per poi terminare la sua corsa sulle sue labbra.
Una lacrima.
La mia tristezza,il mio vuoto,la mia solitudine ed il mio sconforto avevano bagnato le sue labbra.
Con il pollice ripulii il liquido dalla sua pelle.
Non volevo che sentisse il mio dispiacere attraverso quella lacrima,doveva riposare serenamente.
Finii quello che avevo iniziato.
"Ciao Justin-sussurrai-ci rivediamo in un'altra vita"
Magari ci rincontravamo nella prossima vita e chissà cosa sarebbe potuto accadere.
Dovevo andarmene dall'obitorio,avevo dimenticato che non c'era solo Justin lì dentro e al pensiero di altri morti rabbrividii.
Era come se avessi dimenticato degli altri cadaveri e c'eravamo solo io e lui li.
Prima di andarmene rivolsi un ultimo sguardo al suo cadavere.
Stupida.
Mica poteva muoversi?
Guardai attentamente il lenzuolo steso sul suo corpo.
Non poteva essere vero,o stavo impazzendo.
Era come se il lenzuolo si fosse leggermente rialzato come se qualcuno li sotto stesse cercando di respirare.
O mio dio.
Con scatto veloce alzai il lenzuolo e questa volta scoprii anche il suo petto.
Poggiai la mia mano sulla parte sinistra e poi il mio orecchio.
Ascoltai il suono più bello delle ultime quarantott'ore.
Un battito cardiaco.
Stavo ascoltando il rumore della vita.
Era come se in quel momento anche il mio cuore avesse ricominciato a battere.
In quel momento anch'io avevo ripreso a vivere,avevo ritrovato me stessa nel suo battito cardiaco.

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Capitolo 4
*** A save place. ***


Si dice che chi non piange si allaga dentro.
Beh allora stavo annegando nel mio oceano.
 
 
“Credo che dovremmo andarcene”.
“E dove vorresti andare? E’ pieno di infermieri qui e credo che saranno un po’ sorpresi di vedere un morto resuscitato da un obitorio”
Occhi miele sembrava assorto nei suoi pensieri tanto che la situazione sembrava diventare imbarazzante ed il silenzio iniziava ad accumularsi sulle mie spalle.
Odiavo il silenzio in una conversazione,mi irritava.
“Vieni”.
Mi prese la mano e la strinse come se non volesse che andassi da nessuna parte.
 
Justin point of view:
 
Sinceramente non sapevo ne dove mi trovavo,ne in che giorno e cosa che mi spaventava di più non sapevo chi ero.
Presi la mano di Hannah e la strinsi forte facendo attenzione a non farle troppo male.
La strinsi con la giusta forza.
Volevo farle capire che ora avevo solo lei e nessun’altro.
Aprii la porta dell’obitorio facendo molta attenzione a non farci scoprire qualcuno.
Tutte quelle luci bianche,le pareti,quell’odore di medicinali che mi faceva pizzicare il naso mi ricordava qualcosa.
Immagini sfocate e poco chiare comparvero nelle mia mente.
Mi sforzai a ricordare tutto ciò che potevo.
“Justin rispondimi ti prego Justin apri gli occhi non lasciarmi!”
“Trauma cranico,respirazione sotto la norma e il battito cardiaco lento subito portatelo in sala di rianimazione”
“Che state facendo? Justin! Dove lo portate?!”
“Uno due tre libera!”
“Ancora!”
“Lo stiamo perdendo”…
 
 
“Justin stai bene? Justin?”
Avevo ricordato qualcosa.
Era tutto così chiaro e abbagliante,che riuscii solamente ad udire alcuni voce.
Stavo morendo e qualcuno,non so chi, era straziato da quello che stava vedendo.
Chi era?
Perché avevo avuto un trauma cranico?
“Justin ritorniamo indietro per favore,non stai bene”
Hannah era davanti a me che mi supplicava di tornare indietro ma la mia mente riproduceva tutte quelle voci.
 
“Lo stiamo perdendo”.
 
“DIO!”esclamai a gran voce.
Avevo un fischio nel cervello,era come una lama che mi segava in due la testa,era insopportabile.
Portai le mani alle orecchie con lo stupido tentativo che quel fischio cessasse.
Guardavo Hannah che cercava di dirmi qualcosa ma il quel rumore era troppo per me e mi rendeva così stanco e senza forze.
Il mio corpo urtò contro il pavimento freddo e miei occhi si chiusero in cerca di pace.
“Justin no! Svegliati! Justin!”
Hannah era disperata ed io non riuscivo neanche ad aprire le palpebre,neanche a muovere un fottuto muscolo.
Sentii il mio corpo strusciare contro il pavimento,e man mano il gelo che mi intorpidiva i polpacci scoperti.
Aprii gli occhi per un istante ma non feci neanche in tempo a guardarmi intorno che il sonno si impossessò di me.
Non mi dispiaceva quella pace.
Quel fischio era l’inferno ed Hannah era il mio angelo tra i diavoli.
Non sapevo cosa era successo ma di sicuro Hannah mi stava portando al sicuro.
 
Quando riaprii gli occhi ritrovai Hannah in un angolo di una stanza stretta,dalle scope e dai secchi capii che era un ripostiglio.
Stava guardando i suoi polsi,aveva tolto le bende che erano appoggiate a terra,macchiate di sangue ormai già secco.
“Non trovi sia buffo?”
Mi guardò con quei suoi occhi verdi smarriti,come se avessero perso la strada di casa,quegli occhi stavano gridando un disperato aiuto.
“Il fatto che mi hai portato in salvo”.
“Che c’è di tanto strano?Non potevo mica lasciarti su uno squallido pavimento d’ospedale e fuggire via”.
“Trovo buffo il fatto che è la principessa a mettere in salvo il principe”
“Nessuno si salva da solo Justin”.
“E perché stai piangendo?”.
“Non sto piangendo”.
“Hai gli occhi di chi vorrebbe farlo”.
“Ti sbagli”.
“Vieni qui”.
“Dove?”
“Vieni qui e basta”.
Spostò le spalle dalla parete su cui era appoggiata ed io aprii le mie braccia.
Il suo corpo caldo mi riscaldò il gelo che avevo dentro da quando ero uscito dall’obitorio.
Non era un gelo corporeo.
Era quello nelle viscere.
Era come se fossi stato troppo a lungo solo,non sapevo per quanto tempo ero rimasto lì in quell’obitorio,per quanto avevo i piedi tra la vita e la morte,ma Hannah con quel calore,assomigliava tanto alla vita.
La strinsi sul mio petto quando mi accorsi che stava silenziosamente piangendo,ma le lacrime bagnavano la veste blu dell’ospedale.
La strinsi più forte.
Ora sul mio cuore.
Volevo che sapesse che se mai si sentisse smarrita in questo mondo,c’era il mio cuore a farle posto.

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Capitolo 5
*** Home. ***


Justin’s Point Of View:
 
Si era addormentata tra le mie braccia.
Leggevo sul suo volto una certa serenità,i miei occhi si spostarono di nuovo sui suoi tagli, il camice lasciava intravedere che sul suo collo c’erano dei lividi.
Chi l’ha ridotta così?
Quale pezzo di merda le aveva fatto questo?
Sentii delle voce provenire al di fuori dello stanzino in cui eravamo,dovevano essere medici che iniziavano il loro turno di visite.
Merda.
Sarebbero entrati,dovevano cambiarsi e posare i loro vestiti qui.
Merda.
“Hanna svegliati”
Cercai di non farla agitare ma quando sentì anche lei le voci dei medici iniziò di nuovo quella tensione che le copriva il volto.
“Justin che facciamo?”
Okay,ero decisamente in panico.
La maniglia della porta stava per aprirsi e qualcuno ci avrebbe scoperto,i guai erano assicurati.
Imprecai un ultima volta perché come si suol dire non c’è due senza tre.
Hanna stava iniziando a tremare e la strinsi ancor di più a me,non potevo nascondere neanch’io la mia paura.
“John accidenti ho dimenticato la cartella clinica sul tavolo del bar merda! Meglio che vado a riprenderla”
“Sei il solito sbadato ci si vede più tardi”
Qualcuno da lassù stava vedendo tutta questa scena e ha deciso di aiutarci,non potevo essere più che sollevato.
“Per un pelo!”
“Justin dobbiamo uscire di qui,ora”
“Dove vuoi andare? Nasconderti in qualche altro stanzino? Travestirti da infermiere? Hanna non sappiamo dove andare”
“Andremo via dall’ospedale”
“Che stai dicendo? Tu non hai familiari qui? Ti staranno cercando”
“Credimi,preferirei  che credessero che fossi morta ora”
Non feci domande,né obbiettai su quello che aveva detto,mi limitai semplicemente a guardarla.
Aveva gli occhi di chi aveva pianto affogando le lacrime nel cuscino, di chi non ha più voce per cercare aiuto.
Ma nonostante tutto aveva la sua bellezza.
I suoi occhi verdi lasciavano il segno.
Quegli occhi non erano sconfitti come i suoi occhi.
“Andiamo” dissi deciso.
Uscimmo da quello stanzino e sembrava che ancora una volta la fortuna stesse dalla nostra parte.
I corridoi erano deserti,probabilmente l’orario di vista era terminato o era notte.
Era notte.
Un finestrone dalle tende verdi lasciava intravedere la luna dietro i grandi palazzi a specchio e il buio della notte che era illuminato dalle luci delle insegne e cartelloni pubblicitari.
Non sapevo dove mi trovavo ,né dove stessi andando,né il perché di quello che stavo facendo.
Come al solito Hanna aveva una certa abilità a distogliermi dai miei pensieri  infatti mi aveva quasi strattonato un braccio.
“Terra chiama Justin”
Disse agitando le mani in aria.
“Si ci sono,ci sono, e non urlare che qualcuno potrebbe sentirci”
“Okay okay, siamo arrivati alla hall dell’ospedale”
“Quindi?”
Sospirò mettendosi una mano in fronte.
“Vuoi restare qui o andartene? Sveglia occhi miele!”
Tutto questo sembrava una fiction di azione dove due furfanti cercano di farla franca,assurdo.
“Vedi quella signora di mezza età col camice a fiori che sembra imbrattata di borotalco da cima a fondo?”
Mi scappò una sana risata, e credevo di averne bisogno dopo tutta quella tensione.
Annuii trattenendomi dal  non ridere.
“Dobbiamo distrarla,tipo qualcosa da film come mission impossible o qualcosa con quel figo di Tom Cruise”
“Chi è Tom Cruise?”
La sua espressione ritornò quella di prima,perplessa, e mi guardò come se fossi un marziano.
“Non importa,ora dobbiamo trovare un modo per uscire di qui”
Restammo alcuni minuti in silenzio ognuno pensando ad un espediente.
 
Hanna’s Point Of View:
 
Eravamo lì,nascosti dietro una pianta dalle foglie finte come due rapinatori o assassini,esilarante penserebbe qualcuno.
Per niente.
Stavo iniziando ad innervosirmi e non riuscivo a pensare a niente.
Justin aveva sentito la mia tensione infatti mi aveva messo una mano sulla spalla per tranquillizzarmi.
Un’idea azzardata mi passò per il cervello ma ovviamente il mio karma mi avrebbe fatto pentire di quello che sarebbe successo.
Ne avevo fatte di cazzate nella mia vita,ho marinato la scuola,provato a fumare e si,suicidarmi,questa poteva solamente decorare la mia lista della cose da fare prima di morire.
Strinsi la mano di Justin e ingoiai la saliva che si era fermata in gola e decisi di farlo.
“Al mio tre corri”
“Come al tuo tre? Hanna che vuoi fare?”
“Uno,due..TRE”
Presi tutto il fiato che avevo in corpo e strinsi la mano di Justin così tanto che a entrambi iniziarono a sudare i palmi.
Corremmo per tutta la sala della hall diretti verso l’uscita delle porte di vetro.
Giuro che se avessi visto questa scena da esterna sarei morta dal ridere.
Due pazzi in camicia d’ospedale che corrono come se fossero alle olimpiadi.
Il mio cuore sembrava che se avesse fatto un altro battito sarebbe schizzato via come un razzo.
Ero troppo impegnata a respirare che le urla della tipa imbrattata di borotalco erano coperte dai battiti accelerati del mio cuore.
Eravamo fuori.
Le nostre gambe non si fermarono e corremmo ancora per qualche metro.
“Hanna fermati!Rischio un infarto così!”
Dovevo riprendere fiato e far calmare il mio cuore.
“Sei completamente fuori di te”
“Lo so Justin,non c’è bisogno che me lo ricordi”
Presi di nuovo fiato mettendo le mani sulle ginocchia,poi ripresi una posizione decente e mi guardai intorno.
Dovevamo essere a St.Rose street ,riconobbi la panetteria dove mia mamma era solita comprare il pane,quindi casa mia era ad un isolato da qui.
Justin guardava stranito ogni cosa.
Sembrava fosse di un altro pianeta.
“Come stai?” gli chiesi preoccupata di aver fatto qualche danno.
“Come dovrei sarei secondo te?”
“Non lo so,te lo sto chiedendo”
Okay,tralasciando  il modo in cui mi aveva risposto mi trattenni dal non rispondergli male,il pensiero che casa mia era vicina mi consolava.
“Senti non ho tempo da perdere con te e le tue risposte del cazzo quindi se vuoi seguirmi”
Gli feci segno con la mano.
“Dove andiamo?”
“A casa mia”
“Casa tua?”
“Dio sembri peggio di un pappagallo,sta zitto e cammina”
Avevo quest’atteggiamento scontroso ogni volta che mi innervosivo e che ero stanca,e in quel momento ero entrambe le cose.
Per tutto il cammino nessuno dei due spiccicò parola.
Justin intento ad osservare le strade e le case sperando di ricordare qualcosa.
Era notte e iniziava a far decisamente freddo.
Portai le mani sui gomiti e un leggero brivido mi attraversò la schiena.
Eravamo arrivati.
“Questa è casa mia”
Non era una villa,ma non mi lamentavo. Due piani e un giardino.
Attraversammo il vialetto,sulla porta di casa mi calai per rovesciare lo zerbino e prendere le chiavi che papà era solito nascondere lì sotto in caso di emergenza.
L’ultima volta che avevo sentito mio padre era nel North Carolina.
Non c’era nessuno in casa.
Di sicuro mia madre era in ospedale disperata a cercarmi o a trombarsi il dottore.
Scrollai le spalle all’immagine di mia madre ed il dottore.
Entrammo e  il pavimento di parquet come al solito cigolò.
Accesi le luci e in quel momento quel velo di preoccupazione,ansia e tensione svanì.
Ero a casa.
Justin si era avvicinato alle foto di famiglia e le osservava attento una ad una.
“Eri buffa da piccola”
“Dovrei prenderlo come un complimento?”
Sorrise.
Di nuovo il mio cuore si contasse e un formicolio scese lungo i miei polpacci.
“Non lo so,eri buffa e cicciottella” sta volta ridacchiò ed io ero lì ferma davanti a lui ad osservarlo.
“Posso utilizzare il bagno? Sempre se per te non è un problema”
Esitai prima di rispondere poi feci un cenno con la testa e lui mi seguì lungo le scale.
“Puoi farti una doccia o quello che ti pare,posso darti dei pantaloni da tutta di mio padre e una t-shirt”
“Va bene,grazie”
Chiuse la porta dietro di me e io caddi in un profondo respiro.
Ricordo che l’ultima notte che avevo trascorso a casa avevo tentato il suicidio e velocemente la mia vista fu offuscata da macchie di sangue,proprio come quella notte.
Scossi la testa qua e la cercando di mandar via quel ricordo e me ne andai in camera.
Tolsi il camice che avevo di dosso che scivolò lungo le caviglie e mi guardai allo specchio.
Un cadavere.
Quei lividi erano ancora lì,i graffi ancora sui polsi che pizzicavano e facevano male.
“Che schifo” pensai,tutto quel corpo putrido di ferite mi faceva solamente voltare lo stomaco.
Con gesto veloce conficcai le unghie lungo il collo scendendo giù.
Bruciava.
Ormai mi ero abituata a quel dolore.
Avrei dovuto farla finita quel giorno per risparmiarmi tutto questo,avrei dovuto solo essere più brava con quella lametta.
Mi guardai allo specchio,ma come al solito non mi riconobbi.
Punivo me stessa ,mi ferivo per combattere i mostri che avevo dentro,era come se meritassi tutto quel dolore e facendo ciò credevo che sarebbe andato tutto bene,ma invece mi sbagliavo.
Portai le mani al viso e le lacrime scesero senza freni,l’unica cosa che volevo in quell’istante era terminare ciò che avevo fatto la notte scorsa.
Mi diressi verso il comodino e frugai tra i vestiti.
Eccola.
La soluzione a tutto il dolore che avevo in corpo.
All’improvviso sobbalzai quando qualcuno mi toccò la spalla.
Feci cadere la lametta a terra e presa dal panico,dalla paura,dal dolore e lo sconforto iniziai ad urlare.
Mi dimenai verso chi mi aveva toccato.
Era Justin.
Era lì,che mi teneva fermi i polsi mentre cercavo di liberarmi.
Mi guardava con quei suoi occhi miele,con quella luce che si faceva spazio tra il buio dei miei occhi.
Mi fece appoggiare sul suo petto nudo.
La mia pelle sfiorò la sua facendo spazio ai brividi,il suo calore mi riscaldava il freddo delle ossa.
Mi racchiuse in un abbraccio,mentre il mio viso era sprofondato sul suo petto non feci in tempo a trattenere le lacrime.
Justin mi stringeva così forte che avrei potuto entragli dentro e toccargli il cuore,ma se questo significava sentirmi al sicuro,giuro l’avrei fatto.
Non disse nulla,si limitò a stringermi e accarezzarmi la testa.
Riuscivo a sentire il suo respiro e il suo petto alzarsi ed abbassarsi,sembrava che tutto quello riuscisse a tranquillizzarmi,era come un antidolorifico. 

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Capitolo 6
*** Up. ***


We don’t know where to go, so i'll just get lost again
We'll never fall apart, cause we fit together right
 
Passai la notte con Justin nel mio letto,col profumo di cocco del mio bagnoschiuma sulla sua pelle  e il suo braccio sulla mia pancia che si abbassava e alzava a ritmo del mio respiro.
Non aveva fatto domande su quello che aveva visto ne tanto meno io avrei voluto rispondere.
Mi aveva portato a letto e aveva aspettato che mi addormentassi, ma era stato il contrario. Era cascato nel sonno più profondo come un bambino dopo aver giocato a pallone mentre io invece faticavo a dormire e la mia mente aveva la strana inclinazione ad aprire il cassetto dei pensieri che mi logoravano l'anima.
 
La mia vita faceva schifo.
 
Non avevo mai detto un cosa del genere,anche se solitamente gli adolescenti della mia età tendono a dire che la loro vita fa schifo anche quando non ottengono l'ultimo modello di cellulare in vendita o l'ultimo paio di occhiali Gucci.
No,io non ero così.
Non avevo mai detto che la mia vita era una merda anche quando tutto faceva veramente schifo.
 
Ormai avevo imparato a farmi forza da sola.
Sorridevo al cielo,con quel sorriso falso che ingannava anche me stessa facendomi credere che andasse tutto bene,ma non era così.
Avevo tentato di suicidarmi più di una volta,avevo pensato di uccidermi nei modi più possibili che Hitchcock avrebbe vinto un premi nobel se mi avesse fatto lavorare come sua assistente regista.
 
 
 
Aveva la stessa espressione che avevo visto quando era all'obitorio.
Era sereno,come se quella virgola di tensione,preoccupazione sul suo viso non esisteva più quando si addormentava.
Come dargli torto,tutto è più bello quando dormiamo.
Sogniamo la realtà che vogliamo,senza intoppi,un po’ come il paese delle meraviglie.
Ma la cosa brutta dei sogni  è che dobbiamo svegliarci,mettere i piedi a terra ed è da lì che parte il "oh cazzo e ora?" Si,ora come ogni giorno dobbiamo affrontare la nostra realtà.
 
Avevo tentato di suicidarmi a tredici anni quando mio zio mi disse "Hanna vieni con me,facciamo un gioco".
Da lì la mia vita cambiò.
Eravamo nella sua stanza,lui chiuse la porta dietro di sé ed io non capivo cosa stesse succedendo.
Si avvicinò e mi disse di sedermi sul letto.
Lui si sedette vicino a me,ricordo ancora l'odore del suo dopobarba che se ci penso ora mi da il voltastomaco.
Capii che non voleva giocare o fare qualcosa del genere.
Tenevo strette le mani sul letto quando lui mi diede un bacio sulla fronte,mi sorrise con i suoi occhi da orco.
Mise le sue mani nei miei pantaloni e iniziò a massaggiarmi proprio lì.
Non feci nulla.
Ero li sul letto con le lacrime che riempivano i miei occhi sperando che tutto quello finisse al più presto,anzi speravo che tutto quello fosse solo un brutto sogno.
Aveva le mani nelle mie mutande e spingeva sempre più forte facendomi male,ma non urlai,non avevo manco il fiato per farlo,avevo i polmoni secchi,come se le lacrime li avessero prosciugati.
Pregai Dio che si fermasse a quello perché non osai neanche lontanamente pensare a cosa sarebbe successo dopo,sapevo solo che quello che stava accadendo mi avrebbe segnato per sempre e nessuna gomma da cancellare di barbie o la sirenetta m'avrebbe aiutato.
 
Scossi la testa nel cuscino come a mandar via quel pensiero ,fortunatamente riuscendoci.
Guardai fuori dalla finestra e vidi che era ancora notte,Justin si era spostato su un lato del letto e dormiva ancora profondamente.
Decisi di fare lo stesso.
 
Aprii gli occhi all'improvviso come se qualcosa mi dicesse che dovevo svegliarmi.
Sesto senso del cazzo.
Erano appena le sei e mezza.
Inutile riprovare a dormire.
Guardai Justin che era di fianco a me,ed io ero sul suo cuscino con la faccia che sfiorava la sua.
Sentivo il suo respiro dal naso che mi sfiorava la pelle,era caldo e piacevole.
Era così bello.
Aveva le labbra che sembravano così morbide e quel buchino che si formava quando le chiudeva che le rendevano ancora più belle.
Poggiai il mio indice sul suo labbro inferiore facendolo scivolare su quello superiore rifacendo il giro una seconda volta.
Si,erano morbide.
Lasciai che il mio sguardo percorresse il suo corpo fino ad arrivare alle mani,magre e grandi con qualche vena che si ramificava su di esse.
Dopo aver finito la mia esplorazione mi alzai diretta verso il bagno e mi infilai sotto la doccia.
Lasciai che l'acqua mi accarezzasse il corpo.
Dio quanto mi era mancata quella sensazione di piacere sulla pelle,dell'acqua tiepida che scivolava sulla mia pelle.
A malincuore dovetti uscire da quel piccolo paradiso perché il mio stomaco aveva deciso di imitare un gatto in calore.
Come dargli torto,non mangiavo da un pezzo.
Mi asciugai e tornai in camera per decidere che mettere.
Justin era ancora lì che dormiva.
Cercai di non far rumore ma lo scricchiolio dell'anta dell'armadio aveva deciso di farmi i dispetti.
Presi un jeans stretto e una maglia a maniche lunghe per coprire quei tagli.
Non avevo voglia di vederli e non volevo che nessun'altro vedesse quel cimitero di croci sul mio polso.
Mi vestii velocemente approfittando che Justin stesse dormendo,infilai le converse nere e scesi giù in cucina.
Non c'era ombra di mia madre né di nessun'altro essere umano di cui conoscessi l'esistenza.
Entrai in cucina e aprii il frigo,mi versai una tazza di latte e ci buttai una manciata di cereali.
Mi sedetti sul marmo della cucina e gustai la mia colazione.
Vidi dalla finestra di fronte a me una Mercedes grigia che aveva parcheggiato nel vialetto.
Mamma.
Sentii la maniglia della porta d'ingresso aprirsi,il rumore di chiavi poggiarsi su una mensola e un ticchettio di tacchi sempre più forte che si avvicinava.
Mia madre entrò in cucina e mi vide seduta sul marmo.
Alla visione di sua figlia davanti a sé i suoi occhi si riempirono di un velo di lacrime,portò le mani alla bocca e restò in piedi davanti a me a piangere.
Non capii se era per dispiacere o felicità d'avermi lì.
Scesi da dove ero seduta ed il mio sedere era completamente ghiacciato.
Mi avvicinai e le toccai un braccio.
"Mamma"dissi con un filo di voce.
Pianse ancora di più.
"Hanna bambina mia" finì la frase straziata dalle lacrime e mi abbracciò.
Il suo abbraccio caldo provocò un fiume di lacrime sul mio viso.
 
Ricordo quando avevo otto anni e ci eravamo appena trasferiti,dovevo iniziare la scuola e non conoscevo nessuno.
Chi avrebbe fatto amicizia con la nuova bambina dalle treccine e l'orsacchiotto sotto braccio,un po’ troppo cresciuta per portarsi un pupazzo appresso.
Era l'ora della mensa.
Riempii il mio vassoio e mi guardai attorno per trovare un posto per sedermi.
Tutti avevano un compagno o un gruppo in cui stare,tranne me.
Decisi di farmi coraggio e mi diressi verso un tavolo di bambine.
Con voce tremante che a malapena poteva sentirsi chiesi di sedermi.
La mia risposta fu accolta con una fragorosa risata e un "no tu sei strana,non ti vogliamo".
Lasciai cadere il vassoio e corsi verso il bagno chiudendomi lì dentro,a piangere e stringere il mio unico amico,Teddy il mio orsetto di peluche con un orecchio mancante e un fiocco rosso al collo.
Era con me sin da quando ero stata in ospedale per una frattura al braccio sinistro,dovuta ad una caduta in bicicletta,perché mio padre ebbe la brillante idea di togliermi le rotelle a quattro anni pur sapendo che non ero pronta.
Rimasi lì seduta per ore tanto che la maestra dovette chiamare mia madre per farmi uscire.
Mamma mi ritrovò  con la testa fra le ginocchia e gli occhi rossi.
Alzai lo sguardo al rumore della porta che si apriva ed era  lì che mi sorrideva,si inginocchiò e mi avvolse nel suo abbraccio.
Profumava di menta,amavo quel profumo perché in qualche modo riusciva a rassicurarmi.
 
Ed era proprio così che mi sentivo in quell'abbraccio,rassicurata.
 
"Hanna come hai fatto a tornare a casa?I medici ti hanno cercata per tutto l'ospedale.
Ho passato l'intera notte sveglia sperando che non ti fosse successo nulla,dio Hanna credo di essere morta di paura non vedendoti in quel letto,pensavo che..."
"Che avevo provato di nuovo a suicidarmi?" Finii la frase rompendo l'abbraccio.
Leggevo negli occhi di mia madre che era sollevata di avermi davanti a sé ma non appena stava per rispondermi calò lo sguardo impedendomi di decifrare le sue emozioni.
"Si..Hanna tu hai bisogno di aiuto,dobbiamo ritornare in quell'ospedale"
"No mamma io non ci torno li,non ci torno ad essere guardata come la pazza di turno o quant'altro,voglio restare qui a casa mia cercando di mettere a posto tutto,da sola come ho sempre fatto"
Non avevo intenzione di passare dei mesi in una clinica imbottita di sedativi e psicologi logorroici.
"Hanna ascoltami"
Mi prese un braccio con il tentativo di convincermi ma nessuno mi avrebbe costretto ad andare in quella clinica.
"No!Io resto qui che ti piaccia o no avrai una figlia che tenterà di curarsi da sola senza pillole o altre porcate!"
"Hanna è per il tuo bene!"
"Oh era per il mio bene anche iscrivermi a danza e capire che tua figlia non era raffinata ed elegante come le altre?eh mamma?
Questa volta decido io,è la mia vita è metto apposto io,che ti piaccia o no"
Dissi ogni parola con determinazione e coraggio come non mai,per la prima volta ero sicura di me.
Mamma aveva la testa calata assorta nelle mie parole.
Passarono un paio di minuti prima che mi rispondesse.
"So che molte scelte nella tua vita sono state fatte da me credendo che fossero giuste,ma sai,i genitori cercano in tutti modi  di non far commettere ai figli gli stessi errori commessi da loro in passato e non ci accorgiamo che è questo che è sbagliato. Voi dovete vivere la vostra vita con gli errori e senza,con le vostre forze e le vostre scelte,noi beh,noi saremo gli spettatori della vostra vita.
Un po’ come i quiz in TV dove il giocatore sceglie di chiamare a casa e di chiedere aiuto,noi saremo quell'aiuto.
Quindi Hanna,d'ora in poi io ti aiuterò a superare questo momento accettando le tue scelte"
Sapevo che quelle parole venivano dal suo cuore,ma sapevo anche che le costava molto,ma io di certo non volevo deluderla.
"Quindi se non vuoi ritornare in quell'ospedale,per me è okay"
"Grazie mamma,questo è molto importante per me"
"Un genitore vuole sempre il meglio per il figlio" sorrise con gli occhi ancora pieni di lacrime,posò la borsa sul tavolo e poi continuò "Ma Hanna,promettimi una cosa"
Diventò seria all'improvviso.
"Non farlo mai più ti prego"
"Cosa?"
Sapevo benissimo cosa voleva dirmi.
"Quello che fai a te stessa,promettimelo"
"Io lo prometto"
Non ero sicura se sarebbe capitato di nuovo ma avrei cercato con tutta me stessa di controllarmi dal farlo di nuovo.
"Bene,ora perdonami amore,ma vado a stendermi sul letto sono davvero stanca"
"Va bene riposa ci vediamo più tardi"
Merda.
Justin era in camera mia.
L'avevo completamente dimenticato.
Non volevo creare altri problemi,non che Justin lo fosse ma cosa avrei detto a mia madre?
'Mamma lui è Justin,l'ho trovato in un obitorio ed era morto poi é resuscitato e ora non sa chi è'
Ottimo.
Mentre mamma disfava la roba dalla sua borsa ed io pensavo un modo per nascondere Justin decisi di trovare in camera mia e vedere come sistemare le cose.
Entrai in camera e vidi che Justin era in piedi vicino la finestra che guardava fuori.
Chiusi la porta dietro di me e cercai di avvicinarmi.
"Sta volta quando mi sono risvegliato non c'eri,di solito nelle ultime ventiquattro ore mi ero abituato a ritrovarti accanto a me"
"Oh,beh scusa sai com'è non riuscivo a dormire e mi sono alzata"
"Tranquilla"
Di nuovo il silenzio invase la camera portando Justin nel mondo dei suoi pensieri.
"Justin stai bene?"
Chiesi avvicinandomi a lui.
"È da quando mi hai trovato che me lo chiedi,ma non so che risponderti,se per bene intendi che ogni volta che mi addormento faccio degli incubi su di me che faccio un incidente in auto e mi risveglio chiedendomi cosa succederà,perché ormai non so più niente di me allora,non sto bene"
"Senti io voglio aiutarti,voglio.."
"Hanna non voglio che perdi tempo con me, non voglio essere di intralcio nella tua vita, non mi conosci nemmeno"
"Ma tu conosci me"
"Già,conosco una ragazza che mi ha ritrovato in un obitorio e che mi ha portato in vita,conosco una ragazza che aiuta me anziché aiutare se stessa"
Mi prese le mani e mi guardò con i suoi occhi miele che avevano la luce dentro,una luce di quelle che non acceca,una di quelle che ti avvolge e ti fa sentire in pace,era come la luce del paradiso.
"Io credo che i migliori sono coloro che vivono ogni giorno con i loro problemi senza farseli pesare,tu sei una di quelle persone Hanna,i tuoi polsi mi lasciano leggere alcune righe della tua storia e da quello che ho capito tu ti rialzi ogni volta con le tue forze e io ti ammiro"
Senza che potessi rispondere mi fece sprofondare nel suo petto avvolgendomi in un abbraccio,di quelli riassicuratori,quelli che non ti permettono di piangere.
"Non voglio essere un peso per te"
"Non lo sei Justin,sarei felice di aiutarti"
"Davvero?"
"Davvero"
"Grazie"
Mi strinse ancora più forte e ricambiai la stretta.
Sta volta volevo che lui si sentisse al sicuro con me.
"Posso farmi una doccia?Vorrei rilassarmi  un po’,se per te non é un problema"
"Ahm,no certo che no"
Pregai che mia madre si fosse addormentata al più presto e uscii dalla camera con Justin dietro di me.
Justin entrò in bagno e subito dopo sentii il rumore dell'acqua che scorreva.
Tirai un sospiro di sollievo.
Ma ovviamente il karma voleva punirmi.
Vidi mia madre salire le scale e a breve mi avrebbe visto fuori la porta del bagno con la doccia che scorreva.
Grandioso.
E ora?
Di scatto entrai in bagno non sapendo che fare.
Mica la mia vita poteva essere liscia come l'olio? Certo che no,era una montagna russa di intoppi e imprevisti.
"Hanna sei in bagno?"
Merda era fuori la porta del bagno.
Mi portai una mano sul viso cercando di trovare una soluzione veloce ma la maniglia del bagno che girava non mi aiutava.
Entrai nella doccia.
Justin sorpreso non ebbe neanche il tempo di dire una parola che gli misi una mano sulla bocca.
"Hanna tutto bene?"
"Oh si mamma benissimo!Avevo voglia di una doccia sai com'è.."
"Va bene amore,se ti serve qualcosa sono in camera"
Sospirai di nuovo portando gli occhi al cielo.
I miei occhi caddero sugli addominali di Justin che brillavano grazie alle goccioline d'acqua che scorrevano sulla sua pelle.
I miei occhi arrivarono al suo membro scoperto e riuscii a sentire le mie guancia inondate dal calore.
Non era messo per niente male.
Riportai i miei occhi sul suo viso in quanto era imbarazzante tutta quella situazione.
Mi tolse la mano dalla sua bocca e finalmente riuscì a parlare.
"Volevi dirmi che c'era tua madre anziché piombare nella doccia e guardarmi l'uccello?"
Le mie guancia avvamparono.
"Io non ti guardo l'uccello"
"Si che l'hai fatto"
"Idiota,comunque avrei pensato di dirtelo"
"Quando?Ad un'altra doccia insieme ?"
Cazzo aveva l'acqua che gli scorreva sulla bocca,delimitandone perfettamente i contorni per poi scendere sul suo petto accarezzando anche quello.
"Terra chiama Hanna"
Lo schioccare delle dita di Justin mi riportò alla realtà.
"Senti te lo avrei detto,ora continua la tua doccia e io sistemo le cose"
Uscii, presi una asciugamano e la passai sul viso.
Aperti gli occhi vidi Justin che usciva dalla doccia e avvolgeva un asciugamano alla vita.
Non feci a meno di notare che aveva una cicatrice sul petto,ora più chiara perché l'acqua della doccia mi impediva di vederla.
Era a forma di croce,abbastanza grande.
Mi alzai e mi avvicinai.
Si stava asciugando i capelli con un asciugamano ed io lo fissai.
"Che c'é?"
"Cos'è questa?"
Indicai la cicatrice e lui calò il volto per guardarla.
"Non lo so,al dire il vero solo ora so della sua esistenza"
Portai una mano sul suo petto facendo il contorno della cicatrice.
"Ti fa male?"
"No"
Continuai a farne il contorno,poi poggiai la bocca in quel punto e diedi un bacio sulla sua pelle.
Non potevo fargli ritornare la memoria ma volevo riuscire a guarire le sue ferite sulla sua pelle e quelle che gli portavano dolore sul cuore.
Volevo solamente aiutarlo,come lui mi aveva salvato la notte scorsa.

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Capitolo 7
*** Hidden fears. ***


And I try to fix you.
 
 “Dovrei rivestirmi..”
Disse mentre aveva la testa calata e guardava il mio indice toccare la ferita sul suo petto nudo.
“Oh scusami” avevo l’imbarazzo che si leggeva in faccia ma ero abile nel nasconderlo e fui subito pronta ad aprire un nuovo discorso.
 “Okay ti lascio vestire quando hai fatto mi trovi in camera”
Annuì.
Io ritornai in camera e mi buttai sul letto sprofondando tra un sospiro e l’altro.
Chiusi gli occhi.
Attimi di pace che furono interrotti dalla voce di mia madre.
“Hanna cosa vuoi per cena?”
Dio buono Justin era ancora in bagno.
Mi catapultai dal letto e andai in corridoio,mia madre stava per aprire la porta del bagno e avrebbe scoperto Justin,il mio cuore iniziò una corsa velocissima che stava per traforarmi il petto.
“NO” urlai senza contenermi.
 Mia madre mi guardò preoccupata e la sua faccia si era trasformata in un enorme punto interrogativo.
“No che non voglio che tu cucini”
“Hanna devi mangiare”
Mi presi due secondi per rispondere visto che il mio cuore aveva partecipato ad una maratona estiva e stava per esplodere,ripresi fiato e risposi.
“Okay va bene”
 “Vuoi qualcosa in particolare?”
“Ahm,non saprei..”
 “Ho capito,vedo io che fare”
Mi diede un bacio sulla fronte e scese le scale,probabilmente per andare in cucina.
“Credo che tra una mezz’ora sarà pronto tutto okay?”
“Okay mamma”
Sentii la porta del bagno aprirsi e scorgere il suo ciuffo biondo per far capolino ai suoi occhi miele.
Tirai un sospiro di sollievo,ormai Justin era un po’ quello,un ‘meno male’ tirato tra un sospiro e un sorriso.
“Posso uscire?”
 Poveretto,sembrava un cagnolino tenuto nel recinto del giardino.
“Scusa io..”
 “Ehi tranquilla”
Si avvicinò e mi tirò per i fianchi facendomi toccare la sua vita.
Di nuovo il mio cuore si ricordò di essere ad una maratona e pompò più sangue che poteva per correre più in fretta e arrivare al traguardo.
Eravamo vicinissimi e non potei evitare di notare,ancora,i suoi addominali e l’asciugamano che gli avvolgeva la vita e che lasciava tutto alla mia immaginazione. Le sue mani mi tenevano la vita e il suo viso accennava un tiepido sorriso ma che per le mie guance equivalevano alla temperatura del deserto del Shara.
Avevo sete.
 La bocca era asciutta e la gola necessitava di acqua,sembrava davvero di essere nel deserto con quaranta gradi all’ombra.
“Ahm..vedo se riesco a trovare qualcosa da metterti addosso”
“Ho il camice dell’ospedale”
“Non se ne parla che ti metti quella robaccia addosso”
Sorrise.
Le sue mani erano ancora sui miei fianchi e quando sentii che stavano stringendo di più,ruppi quella specie di ‘incastro’ che s’era creato e indietreggiai.
 “Ho fatto qualcosa di male?”
“No,scusa io..io vado a vedere qualcosa da farti mettere addosso”
Mi diressi in camera di mia madre e aprii un cassetto.
Fissai i vestiti dentro senza più ricordarmi cosa dovevo fare.
La mia mente ritornò a Justin che mi teneva i fianchi e i brividi mi percorse la schiena.
Sta volta non era piacere.
 
“Hanna facciamo un gioco vieni”
 
Strizzai gli occhi più che potevo per non far uscire le lacrime.
Da quando quel bastardo mi aveva messo le mani addosso le cose con i ragazzi erano complicate. Ricordo ancora quando Jimmy al primo anno di liceo aveva tentato di baciarmi ed io ero scappata via.
Le mani di Justin sui miei fianchi.
Iniziai a rovistare nervosamente tra i cassetti,feci scivolare le ginocchia a terra e guardai quello che avevo combinato.
Vestiti per terra,tutto in disordine.
Oltre ai libri e i vestiti che avevo in disordine,la cosa più disordinata di tutte ero proprio io.
Scossi la testa qua e là e mi concentrai su quello che dovevo fare.
Ripiegai tutto e misi apposto.
Aprii l’armadio di mio padre.
Papà,dov’eri?
 Non ti vedevo da un pezzo.
 Le mie mani accarezzarono tutte le sue camicie tirandone una fuori.
Quella che mise per il mio sedicesimo compleanno.
La strinsi a me e aveva ancora il suo profumo addosso.
Dovevo cercare qualcosa per Justin.
Mi ricordai di una tuta che papà non metteva più perché si era ristretta in lavatrice e non aveva mai dato via.
Rovistai in qualche cassetto e poi finalmente la trovai.
Presi una la tuta blu dell’adidas con le strisce bianche ai lati,una t-shirt bianca e un paio di boxer sperando che gli entrassero.
Tornai in camera e Justin era seduto sul letto.
“Ecco,ho trovato qualcosa che potrebbe starti”
Poggia tutto accanto a lui.
Guardò tutto e riportò lo sguardo verso di me.
“Beh? Cambiati”
Mi voltai e andai a chiudere la porta restando in piedi davanti ad essa.
“Purtroppo siamo ristretti,c’è mia mamma in casa e dobbiamo fare attenzione”
A volte era così silenzioso.
Aspettai qualche minuto prima di riaprire bocca ma mi precedette.
“Grazie”
“Posso voltarmi?”
“Si”
“Senti Justin non puoi restare in camera mia”
“Non so dove andare”
I suoi occhi divennero così innocenti e smarriti alle mie parole che furono un tuffo al cuore.
“Non voglio mandarti via,solo che dovrai stare da un’altra parte”
“E dove?”
“Vieni ti faccio vedere”
Uscii dal corridoio e salii un’altra rampa di scale che portava in soffitta.
Una volta arrivata aprii la porta davanti a me che mi mostrò tutto quello che c’era dentro.
Una piccola finestra al lato della stanza lasciava che la luce illuminasse gli scatoloni di cartone messi uno sul l’altro e i mobili coperti da un telo bianco.
Entrammo e il parquet scricchiolò non appena sentì il mio peso e quello di Justin su di esso.
“Rovere” disse Justin all’improvviso “E’ parquet di Rovere”
“Come fai a saperlo?”
“Non lo so,lo so e basta”
Tornò a scrutare tutto quello che c’era nella stanza come suo solito.
“Lo so che non è un albergo a cinque stella ma è meglio di un ponte bagnato e umido”
“Mi piace”
“Cosa?”
“L’odore del rovere,il pavimento,quella finestra che lascia entrare la luce e combatte per illuminare la stanza dal buio,mi piace”
“Almeno”
Si avvicinò verso un telo che a copriva un mobile abbastanza grande,ma guardai meglio e capii che era un pianoforte.
Justin alzò il telo e scoprì i tasti bianchi e neri del piano. Fece scivolare le sue dita su un tasto ne suonò uno,poi l’altro e un altro ancora.
Era così preso da quella melodia che sembrava sotto l’effetto di un ipnosi.
“Tu suoni?” da quello che sembrava credevo che sapesse come mettere le mani su un pianoforte.
“Non lo so,voglio dire almeno credo di si,è come se qualcosa mi dicesse che già ho toccato questi tasti,so già quali sinfonie hanno,quali sono dolci e quali acuti,si credo che suono,o meglio suonavo”
Potevo capire che era stato felice di ricordare di saper suonare,non smetteva di guardare il pianoforte, moriva dalla voglia di sedersi lì e dare vita alla musica che aveva nelle mani.
“Ti prometto che presto lo suonerai”
“Davvero?”
Gli occhi miele si illuminarono come se mi fossi presentata con un pezzo di torta davanti la porta di un bambino di cinque anni .
“Certo,appena avremo casa libera potrai suonare quanto vuoi”
Sorrise e coprì il piano con il telo.
Mi ero ricordata che in soffitta c’era un vecchio materasso,quello che i miei avevano cambiato perché secondo loro era troppo duro.
Feci un giro tra gli le scatole e vidi il materasso che cercavo.
Mi abbassai per tirarlo ma era al quanto pesante.
Tirai di più,ma con mio dispiacere si mosse solo di qualche centimetro.
“Serve un mano?”
“Si grazie”
Io e Justin tirammo il materasso verso il centro della stanza.
Tolsi il telo che lo copriva e per fortuna non era macchiato o rotto.
“Posso metterlo vicino la finestra? Vorrei vedere la luna prima di andare a dormire”
“Come vuoi”
Tirò il materasso verso la finestra e si sedette tutto soddisfatto di quello che aveva fatto.
“E’ comodo”
Si stese e aprì le braccia e le gambe come se stesse facendo l’angelo nella neve.
“Vieni dai”
Il mio stomaco si chiuse in un pugno.
“Devo scendere per la cena”
Tornò il silenzio a farci compagnia e rendere pesante la stanza più di quanto potessero già fare gli scatoloni e i mobili.
“Ahm,metterò in ordine la soffitta per renderla vivibile e dopo ti porterò delle lenzuola”
“Hanna sto bene così non preoccuparti è già tanto quello che stai facendo”
“Non posso tenerti a pane e acqua,sei mio ospite solo che non sei nella camera degli ospiti”
Scoppiammo a ridere e quella pesantezza si ruppe.
“Ora vado,ritorno appena ho finito di mangiare”
Lasciai Justin sul suo materasso e lentamente chiusi la porta dietro di me.
Scesi le scale e prima di entrare in cucina sentii mi madre parlare con qualcuno.
La voce era familiare e decisi di entrare.
“Hanna!”
Non potevo credere ai miei occhi era Yesica.
“Dio non sai quanto mi sei mancata!”
Ci abbracciamo così forte che dovemmo staccarci perché non riuscivamo più a respirare,ma era la sensazione più bella di tutte,sentire l’amore di una persona attraverso un abbraccio.
 
Yesica mi aveva salvato l’estate scorsa,al campo estivo.
Stavo tentando tagliarmi quando si catapultò verso di me,prese la lametta e la buttò a terra.
“Non hai bisogno di questo per stare bene”
Mi strinse a sè, e il suo abbraccio mi inondò di rassicurazione e speranza per la prima volta.
Yesica era speranza,era credere in se stessi.
Quella ragazza era pura ispirazione.
Era così determinata in tutto quello che faceva che era da invidiare.
Numerose università chiedevano di lei e per poco non facevano a pugni per chi avrebbe avuto l’onore di accoglierla.
Voleva diventare neurochirurgo e son sicura che in futuro ci sarebbe riuscita,di vita ne aveva già salvata una,la mia.
Suo padre era un militare,sfortunatamente era morto durante una sparatoria al Cairo un anno fa.
La determinazione era di famiglia in casa O’Connel,il padre di Yesica le aveva insegnato che ogni errore è fonte di esperienza,ogni caduta fonte di forza. Lei aveva il dono di essere forte più di tutti,ma a volte lo dimenticava,anche se sembrava un sorgente di ferro anche lei la notte si abbandonava alle lacrime,ma sapeva come rialzarsi sapeva come insegnare a farlo,con me ci stava riuscendo.
 
“Resti per cena vero?Mamma può restare?”
Le stringevo la mano mentre non le smettevo di sorridere,ero così felice,avevo dimenticato come ci si sentisse ad essere pieni di gioia.
“Certo che può,ma solo ad un patto”
“Quale?”
“Che mi aiutate a preparare la tavola”
“Ma certo”
Rispondemmo in coro e subito ci demmo da fare,Yesica aveva portato la felicità nel mio cuore.
 
Passammo la serata a ridere e scherzare,riprendendo le vecchie foto di quand’ero piccola e mia madre che annegava nei ricordi.
C’era una certa serenità nell’aria e tutto questo era grazie a Yesica.
 
Justin.
Cazzo Justin era in soffitta,dovevo portargli qualcosa da mangiare.
Mi odierà.
Fantastico.
“Hanna devo andare s’è fatto tardi”
“Di già?”
“Si..ma prometto che verrò spesso,sai ora ho la patente quindi potrò venire senza problemi di bus o metro”
“Non sai quanto mi fa piacere questo,davvero”
“Grazie di tutto signora Moteith”
“Oh Yesica puoi chiamarmi Joann”
“Educazione da padre militare,dovete scusarmi,grazie ancora”
Io e Yesica ci abbracciamo forte quasi come se non volessi farla andare via,l’accompagnai alla porta e ci promettemmo che ci saremmo riviste al più presto.
Abitava a Rosewood ed era un ora di macchina da qui.
“Sii prudente”
“Scrivimi”
“Certo”
La macchina di Yesica lasciò il vialetto e sparì sulla strada.
Già mi mancava.
 
Ritornai in casa e decisi di caricare la lavastoviglie così da mandar mia madre in camera a riposare.
Una volta che mamma salì in camera misi in un piatto la fetta di bistecca che avevo lasciato apposta per Justin,per la quale mamma si era lamentata che non avevo mangiato tutto e presi anche del pane con un barattolo di cioccolata.
Andiamo,il cioccolato piaceva a tutti penso anche a chi aveva perso la memoria,anzi credevo che con un bel cucchiaio di cioccolato qualche ricordo gli sarebbe riaffiorato alla mente.
Caricai la lavastoviglie e subito dopo andai in soffitta senza farmi scoprire da mia madre.
Sembravo un equilibrista con tutta quella roba nelle mani mentre salivo le scale.
Con qualche strana abilità nascosta aprii la porta senza far cadere niente.
Justin era accucciato vicino alla finestra e si teneva le gambe al petto.
Colpa mia.
Mi avvicinai a lui accompagnata dallo scricchiolio del parquet.
"Ehi"
"Ehi"
Non mi guardò,non si scompose neanche un p0’ e restò lì a fissare il vialetto che si vedeva dalla finestra. "Chi era?"
"Chi era chi?"
"La ragazza dalla jeep rossa"
"Una mia amica"
Non rispose.
Mi abbassai con le ginocchia a terra e poggia il sedere sui talloni.
Si voltò.
La luce della luna illuminava il suo viso così da poter ammirare i suoi occhi miele.
"Ti ho,ti ho portato qualcosa da mangiare"
Presi il piatto e glielo porsi.
Senza dire niente mangiò la bistecca in silenzio. Era triste, e dovevo rompere il ghiaccio in qualche modo. "Senti,so che c'è qualcosa che non va, puoi parlarmi se vuoi"
"No, sto bene"
"So che c'è qualcosa che non va, parlamene"
"Oh tu sai che c'è qualcosa che non va?grande, io non mi conosco e tu per quasi quarantotto ore che stai con me hai la presunzione di dirmi che c'é qualcosa che non va, beh vedi un po’ te. Non so chi sono, non so che fare,non so niente,ecco cosa non va"
Era incavolato,acido ed era..stronzo.
Non mi piacque per niente il modo in cui mi aveva risposto,chi si credeva di essere?
Beh, okay magari non lo sapeva neanche lui,ma poteva essere meno arrogante.
Mi alzai di scatto e mi diressi verso la porta.
Non solo lo stavo ospitando/nascondendo a casa mia e si permetteva di fare l'insolente con me?ma fanculo.
"Ora dove vai?"
"In camera mia"
Stavo per aprire la porta quando sentii la presenza di qualcuno dietro di me che mi portò a girarmi. "Hanna"
"Che vuoi?"
"Non rispondermi così"
"Tu non dovevi rispondermi in quel modo,insolente"
"Che cosa? Scusami se ho perso la memoria e non so un cazzo di me!"
"Non c'era bisogno di fare l'antipatico"
Tornò al suo stato primordiale,il silenzio.
"Senti,ci vediamo domani mattina"
Ormai ero davanti la porta e avevo deciso di andare in camera mia.
"Non lasciarmi solo"
Il mio stomaco si accartocciò.
"Puoi restare ancora un altro po’?"
"Come vuoi" rientrai in soffitta e mi sedetti di fronte a lui,vicino la finestra.
"Ti sei mai sentita diversa?"
Aspettai un po’ prima di rispondere e mi passò per la mente tutte le volte che mi avevano affibbiato il soprannome 'Hanna la strana'.
"Ogni giorno della mia vita..si,sono diversa e non sai quanto"
"Io mi sento così,mi sento un alieno,non so niente di niente,qualsiasi cosa io guardi non so se l'ho vista per la prima volta o se già l'ho conosciuta. Non so se ho una famiglia,se mi stanno cercando o se sono dispiaciuti della mia scomparsa non so se ho degli amici, non se ho qualcuno che mi ama"
Si alzò in piedi mettendo una mano tra i capelli tirando le punte,guardò fuori dalla finestra col suo sguardo smarrito ma sta volta i suoi occhi erano stati travolti dalla tristezza,erano scuri e profondi,profondi come un pozzo,per lui pieno di domande e di perché.
Voleva solo trovare la luce per uscire da quel tunnel buio che gli incatenava l'anima.
Con scatto veloce portò le mani alla testa accasciandosi a terra,il mio cuore sprofondò sul parquet di rovere ma non fece nessuno scricchiolio.
"Justin!"
Mi alzai dalla mia postazione con lo stomaco in subbuglio per lo spavento.
"Dio!Questo dolore alla testa ti prego fallo smettere" mi implorò con le lacrime agli occhi mentre stringeva le mani sul capo.
Feci appoggiare Justin sul mio petto e lasciai che le mie mani accarezzassero la sua testa.
"Tranquillo ora passa,sono qui"
Mi dondolai leggermente come se gli stessi intonando una ninna nanna.
Sentivo sulla sua pelle la tristezza e quel senso di vuoto che s'impadroniva di lui,mi sentii impotente. Inutile.
Ecco una delle mie qualità.
Che dire sono un capolavoro,ho tutti i difetti al posto giusto.
"Sono qui Justin calmati ti prego"
Cercai di farlo stendere sul materasso,non mi accorsi che gli tenevo stretta la mano.
Avevo le mie dita che occupavano i suoi spazi vuoti,almeno quelli non si sentivano soli.
Teneva gli occhi leggermente serrati e l'espressione cupa del suo volto iniziò a svanire.
"Hanna"
"Si?"
"Puoi stenderti qui vicino a me?"
Senza che rispondessi continuò con un 'per favore' supplichevole.
Ubbidii.
"Stanotte ho fatto un sogno"
Fece una pausa e aprì gli occhi,guardò il soffitto e continuò.
"Guidavo una macchina,accanto a me c'era una ragazza,capelli scuri,lunghi ma per quanto mi sforzo a ricordare il suo volto non ci riesco. Ad un certo punto la macchina sbanda e si capovolta. La testa mi scoppiava avevo il corpo pieno di dolori e non riuscivo a muovermi,la ragazza vicino a me era.."
"Era come?"
"Era morta"
"Justin sarà stato un brutto sogno"
Inconsciamente gli presi la mano come per tranquillizzarlo e lui si vinto verso di me.
"E se riguardasse il mio passato,voglio dire,la mia vita?"
Avevo letto,su qualche rivista che chi perde la memoria spesso fa dei sogni che riguardano il suo passato. "Non lo so,forse a poco a poco riacquisterai la memoria.."
Rimase in silenzio a guardare il soffitto. Era sempre così quando per la mente passano tanto pensieri,il soffitto diventa sempre interessante.
"È meglio se ti riposi ora"
Non appena finii la frase si voltò e si accucciò sul suo lato del materasso.
Non sapevo che fare,o cosa dire,ancora una volta.
Era meglio lasciarlo solo o restare li con lui ancora per un po’?
Non potevo rischiare di non farmi trovare in camera da mia madre,ma per quanto una parte di me volesse rimanere mi alzai dal materasso e mi diressi verso la porta.
"Buona notte"
La mia prima notte senza Justin.
 
Scesi le scale con la silenziosità che avevo acquistato nelle ultime quarantotto ore e andai in camera. Sospirai come se volessi liberarmi di quella tensione che avevo nei polmoni e ci riuscii.
Sfilai i jeans e li misi sulla sedia,tolsi la maglia e poggiai anche quella lì sopra.
Peccato che non potevo spogliarmi delle preoccupazioni,delle paure.
Portai le mani dietro al collo come per massaggiarlo,sentivo che la stanchezza si stava diramando sul mio corpo.
Chiusi gli occhi e rimasi in piedi nella mia camera.
Il silenzio.
Ricordo quelle volte in cui mi chiudevo in camera e piangevo,il silenzio diventava così assordante e le mie lacrime sempre più salate.
Sentii la mano di qualcuno poggiarsi sulla mia schiena.
Rabbrividii.
Qualcuno mi stava toccando,non mi piaceva.
Mi voltai di scatto.
Era lui.
"Scusa,ti ho fatto paura"
Aveva spostato le sue mani suoi miei fianchi e sentivo il suo calore ramificarsi sul mio corpo.
C'era contatto.
"Per favore non..toccarmi" J
ustin fece scivolare la sua mano via dai miei fianchi.
"Non volevo essere inopportuno,scusa"
Mi accorsi che ero in intimo e lui era davanti a me,ero svestita davanti ai suoi occhi.
"Ti prego esci dalla mia camera" J
ustin mi prese una mano,la mia tensione salì alle stelle.
"Non voglio farti niente,non riuscivo a dormire e sono venuto da te,calmati Hanna"
"Ti prego torna di sopra"
Cercai di prendere la maglia sulla sedia e di coprirmi.
Volevo solo che se ne andasse,ero 'disturbata' dal fatto che ero in intimo davanti a lui.
"Va fuori" dissi con tono duro e deciso.
Justin si voltò e vidi la sua figura scomparire dietro la porta.
Rimasi li a fissare il vuoto.
Si dice di affogare le paure,ma le mie avevano imparato a nuotare.

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Capitolo 8
*** Give your heart a break. ***


'Summer's in the air baby,heaven is in your eyes'
 
Mi chiedo perché la pace possa essere trovata solo nella morte.
Forse era la risposta,forse era la cessazione di ogni turbine di dolori,di ogni respiro trattenuto tra le lacrime sperando che fosse stato l'ultimo.
Passiamo l'intera esistenza a creare la nostra vita,a programmarla nei dettagli,immaginiamo sin da piccoli cosa saremo diventati.
E poi cosa diventiamo realmente?
Mangime per vermi sottoterra.
Bella merda.
Dante dice che chi uccide o uccide se stesso,viene mandato all'inferno con la propria pena da scontare.
Sinceramente,se l'inferno fosse come quello descritto da Dante avrei preferito bruciare qui sulla terra.
Che poi, pensiamo alla parola 'togliere la vita' uno potrebbe regalare la propria vita a qualcuno che ne ha bisogno,non so,un malato terminale che ha la voglia di vivere tra i battiti del cuore e le vene pulsanti di aiuto e speranza.
Ecco,sarebbe un onore lasciare la propria vita a qualcuno che ne ha bisogno.
In quei momenti in cui ho provato ad uccidermi qualcuno avrebbe dovuto dirmi: "Ehy non vuoi più questa vita? non buttarla via così la daremo a chi ne ha bisogno".
 
Dopo le grandi riflessioni delle sette del mattino decisi di alzarmi e andare a fare colazione.
La mia attenzione fu attirata da un foglio bianco attaccato al frigo da una calamita.
'Emergenza a lavoro ci sentiamo appena posso,baci mamma'
D'altronde ero abituata a questi tipi di 'emergenza' in cui rimanevo sola a casa quando invece non era meglio lasciarmi in balia dei miei pensieri,poteva essere pericoloso.
Versai una tazza di latte per Justin e presi un pacco di oreo,misi tutto su un vassoio e salii in soffitta.
Facendo attenzione a non rovesciare tutto entrai e Justin era sul suo materasso su di un lato a dormire.
I raggi del sole che penetravano dalla finestra e si mescolavano tra i suoi capelli oro rendendoli ancora più lucenti.
Posai il vassoio a terra e alzandomi sulle punte e con cautela cercai di non svegliarlo,ma il parquet mi tradì.
Bastardo.
"Buongiorno"
La sua voce ancora rauca e assonnata invase la stanza.
Mi girai e lentamente si stava alzando dal materasso,si passò una mano sul viso e poi tra i capelli scompigliati.
"Ehy..ti ho portato la colazione"
Dissi in modo da fargli spostare l'attenzione sul vassoio.
Lo guardò e poi spostò lo sguardo su di me senza dire niente,si alzò e contemplò la vista fuori la finestra con il vialetto e qualche siepe.
"Non voglio farti del male Hanna"
Il mio stomaco si chiuse in un pugno.
Me lo ritrovai in piedi davanti a me,con i suoi occhi miele che fissavano i miei.
Odiavo quando la gente lo faceva,era come se scavassero in me stessa,in quello che sono realmente per trovare quello che nascondevo,era come scavare in una miniera e trovare uno scheletro sotto terra.
Mi prese le mani e il calore delle sue dita venne a contatto con le mie.
Iniziò a strofinarmi dolcemente le nocche tenendo il suo sguardo fisso sul mio.
"Riguardo a ieri"
"No, Justin per favore"
Lo stoppai prima che potesse aprire l'argomento.
Mi strinse le mani più forte.
"No Hanna,ieri mi sono sentito come se ti avessi spaventato,come non so,come se avessi messo del sale sulle tue ferite. L'ultima cosa che voglio è farti del male,non voglio spaventarti, anzi voglio tutt'altro. Voglio che ti fidi di me e che in qualche modo io possa aiutarti,se non posso aiutare me allora aiuto te"
Le ultime parole non furono sentite dalle mie orecchie ma dal mio cuore.
Justin continuava a tenermi le mani e il suo calore inondava anche i buchi freddi della mia anima.
Non riuscivo a tenere il suo sguardo,era più forte di me.
Di nuovo non sapevo che fare.
Optavo per:
A fuga a gambe levate
B sepoltura
C cambiare argomento.
Visto che ero sprovvista di una pala,decisi di optare per la C.
Mi liberai dalle sue mani e mi voltai verso la finestra.
“E’ una bella giornata e avevo pensato di portarti fuori”
“Cambi discorso di nuovo,Hanna io..”
Lo fermai prima che continuasse con la sua predica da buon samaritano.
“Ho detto che usciamo,quindi vado a prepararmi”
“E se non volessi uscire?”
“Casa mia,regole mie”
Alzò gli occhi al cielo,tirò un respiro profondo per mandare fuori la mia arroganza che lo aveva punzecchiato e poi rispose.
“Come desideri”
 
Ciò che amavo di Greenville erano i grandi viali con le foglie che facevano da coperta ai marciapiedi,le villette una vicina all’altra e i piccoli negozi dove potevi trovarci di tutto.
Io e Justin camminavamo a distanza facendo attenzione a non sfiorarci,come se uno dei due portasse la lebbra.
Justin si guardava intorno come un esploratore curioso che teneva per se tutte le domande ed io in silenzio a guardare la strada.
A Justin servivano dei vestiti non poteva marcire nella tuta di mio padre che a poco gli cadeva da dosso,così decisi di portarlo in un negozio.
“Entriamo qui”
Justin mi seguì a ruota.
Entrammo e subito si avvertì il fresco dei condizionatori che punzecchiava la pelle.
Le commesse come avvoltoi si dimenarono su di noi come se fossimo prede.
“Salve,possiamo esservi utili?”
Le liquidai con un “Faccio un giro e poi vi chiamo se ho bisogno”
Vidi Justin che guardava delle T-shirt e mi avvicinai.
“Provale”
“Non ho soldi”
“Provale su”
“Hanna come credi che possa pagare?”
Sbuffai.
Presi un paio di T-Shirt e lo spinsi nel camerino.
Mentre Justin provava le maglie feci un giro per trovare qualche pantalone,quando sentii la sua voce chiamarmi così che ritornai al camerino.
“Come mi sta?”
Lo guardai e indossava una T-Shirt turchese con delle scritte in bianco e non potevo nascondere che quel colore gli stava davvero bene.
Andiamo Hanna,era molto più che ‘carino’,ma non potevo scompormi.
“E’carina”
Si girò verso lo specchio e si diede un’altra occhiata.
“Tieni,misura anche questi jeans”
“Hanna non posso”
“Perché?Ho preso la taglia sbagliata?”
“No,non posso farti spendere tutti questi soldi”
“E’ un regalo” cercai di sorridere nel modo migliore cercando di non apparire come un tricheco in calore e riuscii a convincerlo.
 
Continuammo la nostra passeggiata mangiando un hot-dog per strada e ci fermammo in un parco che ospitava una piccola festa.
C’erano lanterne colorate che rendevano l’aria dolce e accogliente,potevo sentire l’odore dello zucchero filato e delle noccioline,c’erano bancarelle di tiro a segno,c’era chi leggeva il futuro,c’erano le marionette un po’ trasandate e consumate,c’erano i bambini felici con i loro palloncini ai polsi che mi trasmettevano quel filo di felicità.
“Guarda!”
Mi girai verso Justin che aveva in mano un enorme batuffolo di zucchero filato che gli copriva la faccia. “Justin?”
“Un Signore mi ha offerto lo zucchero filato,andiamo,mangia”
Mi porse uno spicchio rosa e lasciai che lo zucchero sporcasse le mie dita rendendole appiccicose.
Justin si fermava ad ogni bancarella curioso come un bimbo,non voleva perdersi nulla.
Provò il tiro con l’arco e vinse un peluche,guardò lo spettacolo delle marionette e batté le mani alla banda che suonava.
Era felice ed il suo sorriso contagiava le mie labbra spontaneamente a fare lo stesso.
Ecco a cos’era bravo Justin.
Mettere un sorriso sui cuori agitati.
“Andiamo lì?”
Justin indicò la ruota panoramica.
“Vuoi andarci davvero?”
“Non dirmi che hai paura”
“No,lo dicevo per te”
“Non vuoi salire perché te la fai sotto dalla paura”
“Oh quello che chiamerà la mammina una volta saliti sarai tu tesoro”
Facemmo il biglietto e salimmo sulle carrozze di ferro.
La giostra iniziò a muoversi lentamente salendo sempre più su,mi sporsi per guardare in basso e le persone sembravano tante formiche pronte per essere schiacciate.
“Non ti sporgere”
Justin si avvicinò e mise la sua mano intorno al mio fianco così da tenermi a se.
“Ecco,così non rischi di cadere”
Disse soddisfatto del suo gesto da eroe.
Continuai a guardare la vista senza dar peso alla mano di Justin sui miei fianchi,arrivammo in cima e potevamo vedere tutto il paese illuminato,era davvero bello.
Un colpo brusco fece fermare la giostra e la carrozza dov’eravamo seduti iniziò a muoversi bruscamente facendomi scivolare da un lato.
“Justin!” Ebbi il fiato di urlare e non so davvero come.
“Ti tengo Hanna tranquilla,ti tengo”
Mi mise tra le sue braccia e continuava a stringermi per tranquillizzarmi.
Una voce da un megafono diceva che c’era un piccolo guasto e a breve lo avrebbero riparato.
“Giostre del cazzo”
“Hai di meglio da fare?”
“No però mi hanno fatto prendere un colpo”
“Però ti ho preso”
“Lo so” dissi calando la voce.
Con due dita Justin prese il mio mento e portò la mia attenzione nei suoi occhi miele.
“Hai dei bei occhi sai?”
“Non credo”
“Fidati,credo siano i miei preferiti”
“Solo perché hai perso la memoria e non ne ricordi altri”
“Saranno sempre i miei preferiti,lo sono stati dal giorno in cui ho riaperto gli occhi,davvero,hai gli occhi belli che per me sono stati vita da quel giorno”
Sentivo il respiro di Justin sulle mie labbra ed il mio cuore che accelerava tanto che avrei potuto sostituirlo con il motore della giostra per farla funzionare.
Le sue mani mi tiravano a lui e il suo respiro stava per scomparire sulla mia bocca.
C’era qualcosa che bussava nel mio stomaco,se quelle erano farfalle,vi prego datemi un insetticida.
La giostra riprese a girare così da rompere quell’atmosfera imbarazzante e riportarmi con i piedi per terra,letteralmente.

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