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Ciao a tuttiiiiii! Scusate lo sclero
di prima ma ho appena
finito di scrivere questo capitolo al computer e dovevo sfogarmi!
Allora, comincio subito a rompere:
RINGRAZIOTANTISSIMOTUTTIQUELLICHEHANNORECENSITOFINOADORA
ECHEHANNOMESSOLASTORIANELLESEGUITE/ECC…EVIDICOCHEE’COLPA
VOSTRASESIAMOGIUNTIAQUESTOPUNTO,ADESSOSCOPRIRETECOSASUCCEDEADARMICORDA!
Comunque questo è il
penultimo capitolo, uuuuuuuuu, sabato
mattina metterò l’ultimo perché poi
parto per due settimane e dato che mancava
solo un capitolo mi dispiaceva aspettare tanto a pubblicarlo. Quindi mi merito
tanterrime recensioni
*vai con i messaggi subliminali!*
Adesso vi lascio in compagnia dei miei
nostri
fantastici protagonisti *si apre il sipario travolgendo
l’autrice*
Italia stava correndo alla rinfusa
passando per boschi,
laghi e quant’altro. Cercava di non andare nei centri abitati
altrimenti
avrebbe potuto incontrare qualcuno che lo avrebbe riconosciuto. Questa
era
l’unica cosa a cui riusciva a pensare con un minimo di
lucidità, per ogni altra
cosa stava semplicemente correndo alla rinfusa senza una meta precisa.
Pensava che se si fosse allontanato
abbastanza Germania
avrebbe capito che lui era solo uno stupido codardo e sarebbero tornati
semplici alleati, al massimo amici.
Dopo qualche ora di corsa
arrivò a casa del fratello che lo
accolse tra insulti di ogni tipo sul fatto che gli avesse svuotato la
dispensa
e lasciato privo di sensi con Spagna. Ma non appena vide
l’espressione sul
volto del minore e il fatto che fosse praticamente in mutande si
placò.
Lo lasciò entrare in casa
sistemandolo sul divano con una
coperta e una camomilla, Feliciano doveva apparire davvero sconvolto se
Romano
non si era messo ad imitare uno scaricatore di porto ubriaco.
Una volta che si fu calmato il
maggiore gli si sedette
difronte per capire cosa fosse successo quando gli passò un
dubbio per la mente
“Non è che quel mangia-patate con
l’intelletto di un wurstel ti ha fatto
qualcosa? Se solo ti ha toccato con un dito io gli spezzo quelle
fottutissime
braccia e, e…”
Ma non riuscì a continuare
quando Veneziano guardandolo
negli occhi ambrati gli disse soffocando un singhiozzo
“E’ colpa mia, lui non
ha fatto niente.”
“Guarda che non devi
difendere per forza quel lurido
bastardo.” Lo rassicurò Romano anche se aveva
capito benissimo che il suo
fratellino non stava mentendo ma non poteva lasciarsi scappare
l’occasione di
dare fastidio al crucco.
Voleva comunque sapere
perché Feliciano era in mutande nel
suo salotto però non se la sentiva ancora di chiederglielo
così gli si sedette
di fianco e si addormentarono.
Il giorno dopo i fratelli Vargas
furono svegliati dal suono
del telefono e Lovino ancora assonnato andò a rispondere
allegramente
“Maledetto bastardo Spagna se sei tu a quest’ora io
ti…”
“No, non sono
Spagna.” Lo interruppe la voce dall’altra
parte della cornetta.
“Maledetto bastardo
teutonico io ti stacco le palle per
quello che…”
Adesso fu Italia a interrompere il
castano cercando di
fargli segni convulsi sul fatto di non doveva dire a Germania che lui
era li. E
per quanto Romano volesse sbattere in faccia al biondo
l’intera situazione
anche se ancora non capiva molto si limitò a dirgli
“Ti strappo le palle per
quello che fai fare a Veneziano, non capisco cosa ci trova in
te!” E
riagganciò.
“Tu mi devi spiegare molte
cose.” E il fratello più piccolo
abbassando lo sguardo cominciò.
Feliciano raccontò tutto
nei minimi dettagli, non era capace
di mentire, figuriamoci al fratello e in una situazione simile. Non
tacque
neanche su quello che stava facendo poco prima di scappare. Temeva la
reazione
di Romano però aveva bisogno di sfogarsi.
Una volta finito si coprì
il viso per non vedere cosa stesse
facendo il maggiore che stranamente non si era messo ad urlare, si
limitò ad
andargli vicino e abbracciarlo.
Rimasero così per alcuni
minuti tanto che Veneziano stava
cominciando seriamente a preoccuparsi, aveva paura che se Lovino non
avesse
cominciato a scaldarsi come il suo solito sarebbe esploso.
“Senti Felì, io
ti ho visto quando hai appreso la notizia
che Sacro Romano Impero era morto.” Lovino stava cominciando
uno dei discorsi
più difficili che avesse mai fatto.
“Non ti riconoscevo
più, avevi la tristezza che ti seguiva
ovunque. Avevi smesso di disegnare. Non scrivevi più poesie
e la produzione
teatrale di Goldoni* ha avuto un crollo.” Si sedette meglio e
lo abbracciò per
fargli coraggio.
“Poi hai cominciato a
sentirti meglio, ci siamo unificati
dopo secoli di lontananza e hai ripreso a sorridere spensierato, ti ho
sempre
invidiato quel tuo buon umore, la tua capacità di sorridere
sempre e comunque.
Poi hai conosciuto quel crucco.” Si fermò un
attimo e prese un grande respiro,
quello che stava per dire non lo ammetteva neanche a sé
stesso.
“Quello stupido
mangia-crauti ti fa stare bene come pochi, è
per questo che non lo sopporto. Ti ha portato via da me e riesce con
poco a
tirarti su il morale. Che lui sia o no Sacro Romano Impero quel
coglione ti fa
visibilmente stare meglio e non puoi dire di non volere più
soffrire. E’ da
codardi!” Adesso stava urlando.
Aveva il fiato grosso e stringeva
convulsamente la spalla
del fratello.
Il più piccolo si
guardò i piedi ancora nudi e sentì montare
la collera dentro “Come ti permetti?” Lo sguardo
irato “Come osi TU dirmi una
cosa simile?”
Romano era confuso, suo fratello che
si arrabbiava con lui
dopo la splendida paternale che gli aveva fatto?
“Cosa..?” Riuscì a balbettare.
“Io sto dicendo che non
puoi dirmi una cosa del genere
quando fai esattamente la stessa cosa con Spagna!” Rispose
Feliciano che ora
era in piedi davanti al maggiore con le spalle che si alzavano e
abbassavano scompostamente e
le lacrime agli occhi.
“Tu che hai vissuto per
anni a casa sua e lo hai sempre
trattato male per orgoglio. Lui ti ha sempre seguito, mai una volta ti
ha
abbandonato anche quando tu gli urlavi contro di tutto!”
A Romano passò velocemente
un pensiero per la testa, se se ne
era accorto anche Felì allora era davvero messo male. Un
sorriso stanco gli si
dipinse sulle labbra.
“Non mi puoi dire queste
cose, non puoi capire cosa ho
provato quando suo fratello è tornato da me con quella
notizia.” Adesso aveva
cominciato a piangere.
“Non puoi sapere come mi
sono sentito dopo quella scoperta.
Non poter più vedere il suo sguardo o sentire la sua voce
mentre tu vivevi con
Antonio che nonostante tutto ci sarà sempre per
te.” Tirò su con il naso.
“E quel tuo orgoglio che ti
impedisce di accorgerti quanto
soffre per il tuo stupido comportamento egoista!” Aveva le
gote arrossate dalla
collera e non controllava già da un po’ le
lacrime, singhiozzava e il suo tono
di voce era alle stelle.
Abbassandolo continuò
“Mi si è completamente spezzato il
cuore sapendo che non sarebbe mai potuto essere mio e che non avremmo
avuto uno
di quei finali da ‘e vissero tutti felici e
contenti’. Non ho più intenzione di
legarmi in quel modo a qualcun altro, non posso più
soffrire, non reggerei un
peso simile di nuovo.”
Si era ritrovato in ginocchio ai
piedi di Romano quasi a
supplicarlo, quando questi si abbassò al suo livello per
abbracciarlo “Lo so.”
Disse semplicemente e se ne andò lasciandolo solo.
Veneziano ormai singhiozzava senza
sosta e continuò così
fino ad addormentarsi con gli occhi rossi e le guance in fiamme.
Si svegliò la mattina dopo
sdraiato sul divano con una
coperta addosso. Si tirò su e vide sul tavolo al centro del
salotto dei vestiti
e un biglietto. Si cambiò velocemente, per fortuna lui e il
fratello avevano
più o meno la stessa taglia, e lesse il messaggio:
‘Hai
fottutamente ragione, vado a rimediare alle mie stronzate.
Ti ho lasciato la
colazione in cucina.
Dovresti farlo anche
tu.’
Romano L. Vargas
Un flebile sorriso gli si
disegnò in volto illuminandolo,
almeno qualcuno sarebbe stato felice.
Andò in cucina a mangiare.
Creapes al cioccolato. Erano
propriamente un’idea di Francia però i fratelli
italiani le cucinavano in modo
stupendo, Feliciano aveva imparato a Riccione e rimanevano uno dei suoi
dolci
preferiti.
Ne aveva mangiate solo cinque quando
suonò il telefono.
Timidamente si diresse alla cornetta, e se era lui cosa avrebbe fatto?
Rispose.
“Chi
è?” Chiese flebilmente.
“KESESESESESESESESE!”
Sentì dall’altra parte e tirò un
sospiro di sollievo.
“Ciao Prussia, come
stai?” Chiese allegro l’italiano
sollevato nel parlare con il fratello teutonico giusto.
“Ciao Ita-chan”
Da quanto tempo non lo chiamava così!
“Stanno succedendo delle cose strane ultimamente,
perché non vieni a casa mia a
parlarne?”
Veneziano esitava.
“Tranquillo! Il Magnifico
Me ha avuto un’idea geniale, mio
fratello ti sta cercando e la mia magnificenza ha pensato che qua non
verrebbe
mai!”
Il castano cedette
“D’accordo Prussia, fra poco sarò
lì!” E
riagganciò.
“Kesesesesese” .
. . “KESESESESESESE” Rise tra sé
l’albino.
“Piantala.” Gli
intimò il fratello.
“Perché?”
Chiese offeso quello, come osava un semplice
mortale dirgli di stare zitto?
“Ho bisogno di pensare,
perché Italia si comporta così?”
Il teutonico con gli occhi rossi
ingoiò a vuoto.
Feliciano era confuso,
perché aveva accettato se voleva solo
allontanarsi da quella realtà?
Forse perché in fondo
voleva capire come era possibile il
fatto che negli ultimi anni avesse dormito nel letto di Sacro Romano
Impero
chiamandolo Germania.
Finita la colazione si
incamminò velocemente verso la casa
del Prussiano, per sicurezza aveva fatto il giro lungo passando da casa
di
Ungheria che però non aveva trovato. Arrivato vide la porta
aperta ed entrò.
Non l’avesse mai fatto.
La porta si chiuse alle sue spalle
con un tonfo sordo, due
braccia forti lo afferrarono per le spalle e lo misero su una sedia,
poi
apparve il biondo.
Italia era già in lacrime.
“Perché?
Feliciano, perché sei scappato?” Chiese Germania.
Brutto segno, lo aveva chiamato con il suo nome umano, molto brutto
segno.
Prussia si sentiva il terzo incomodo
e quindi non se ne andò.
“Non posso
dirtelo.” Piagnucolò il castano.
“Non puoi o non
vuoi?” Chiese freddo il tedesco, non sapeva
cosa il ragazzino davanti a lui gli nascondesse ma avrebbe fatto di
tutto per
venirne a conoscenza.
“E’ troppo
doloroso.” Ripeté Veneziano più a
sé stesso che
agli altri stringendosi le gambe al petto.
“Perché?”
Chiese di nuovo Ludwig facendo un passo avanti.
L’italiano ci
pensò, ma in quel momento, davanti agli occhi
feriti dell’amico non aveva più pensieri. Tutti i
neuroni di solito impegnati a
mangiare piatti di pasta ora erano andati a farsi friggere tra i
capelli biondi
dell’altro.
Provò a parlare ma gli si
seccò la bocca “Non lo so…”
Le parole arrivarono alle orecchie di
Germania come lame
acuminate, forse avrebbe pianto.
*Carlo Goldoni pioniere del teatro
moderno vissuto circa nel
1700 se la memoria non mi inganna. Io lo stimo un casino.
eEeEeEeEeEeEeEeEeEeEeEeEeEeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeEeEeEeEeEeEeEeEeEeEeEe
ECCOMI DI NUOVO ALLA
FINE DI UN CAPITOLO!!!!
uUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUuUu
Tanto per dire qualcosa giusto
perché mi piace scrivere un
commento finale…
Non mi vengono idee, quindi vi lascio
con una domanda: Non
starebbe benissimo Prussia vestito da elefante rosa?
Rispondete numerosi e CIAO!
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