Beyond

di Stateira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Weird dream ***
Capitolo 2: *** What friends are for ***
Capitolo 3: *** Names ***
Capitolo 4: *** Me or not me? ***
Capitolo 5: *** Dice ***
Capitolo 6: *** Memories ***
Capitolo 7: *** Feelings ***
Capitolo 8: *** Lakeside ***
Capitolo 9: *** Salix ***
Capitolo 10: *** Pulcherrimus ***
Capitolo 11: *** Castra ***
Capitolo 12: *** Sleepless ***
Capitolo 13: *** Triumviratus ***
Capitolo 14: *** Duo milia ***
Capitolo 15: *** Dillon ***
Capitolo 16: *** Arceo! ***
Capitolo 17: *** Imber ***
Capitolo 18: *** Ignis ***
Capitolo 19: *** Caelum terraque ***
Capitolo 20: *** Trumphator ***
Capitolo 21: *** Alea iacta est ***
Capitolo 22: *** Veritas ***
Capitolo 23: *** Omnia amor vincit ***
Capitolo 24: *** Domus ***



Capitolo 1
*** Weird dream ***


PREMESSA

PREMESSA

 

La storia è ambientata in un ipotetico settimo anno, ma si slega dagli eventi della saga, perciò non contiene alcuno spoiler.

 

I personaggi che non siano Draco, Harry, i loro compagni e insegnanti, e tutto ciò che direttamente gravita attorno al mondo di HP, che appartengono agli aventi diritto, sono di mia esclusiva creazione, e non intendono riferirsi ad alcuna personalità realmente esistita.

Le ambientazioni e le vicende storiche sullo sfondo sono verosimili, ma non vogliono in alcun modo essere scrupolosamente attinenti a ciò che è la realtà storica, che viene piegata alle esigenze della finzione.

 

Ho scelto il rating arancione, per il momento, perché non ho ancora un’idea chiarissima su come risolverò alcune questioni. Perciò mi riservo di modificarlo in futuro, in caso di necessità e previo avvertimento.

 

Non saprei cos’altro aggiungere. Credo di non essere mai stata tanto coinvolta emotivamente in una fic come con questa. Forse soltanto in un altro caso. Quindi spero di riuscire a trasmettervi anche solo la metà delle emozioni che io ho provato scrivendola.

 

 

 

 

 

1. Weird dream

 

 

Harry sfilò gli occhiali e li ripiegò alla bene e meglio. Procedette a tentoni fino al comodino, e li appoggiò sopra alla pergamena che il giorno dopo avrebbe dovuto consegnare alla McGranitt.

 

- Oh no, la conclusione per la ricerca. – gemette appena avvertì la carta ruvida sotto le dita.

- Ci penserai domani. – borbottò Ron, voltandosi dall’altra parte. – Anzi, ci penseremo domani. -

 

Harry sbuffò e fece un mezzo sorrisetto.

 

- ‘notte Ron. -

- ‘notte Harry. -

 

La camera dei ragazzi piombò in buio rilassato, vellutato dal riverbero delle stelle che filtrava da dietro le finestre. Era una bella notte serena, probabilmente una delle ultime, prima che il freddo e le nuvole cominciassero ad assediare Hogwarts, come tutti gli inverni.

 

Harry chiuse gli occhi. Adorava la sensazione delle coperte che scacciano il primo freddo, e quei brividi piacevoli della pelle che si adatta al calore. Si addormentò prima di riuscire a rendersene conto. Il rientro fra le mura della scuola aveva da sempre un duplice effetto su di lui, rassicurante da un lato, e spossante dall’altro. Durante i primi giorni i professori si scatenavano, e questo era tristemente risaputo. Niente che lui non fosse preparato ad affrontare, o quantomeno a cercare di svincolare. Purché fosse rigorosamente in compagnia degli amici di sempre, specialmente quell’anno, che per loro aveva un sapore tutto particolare, un’ultima occasione da sfruttare fino in fondo.

 

Si addormentò in una buffa posizione un po’ accovacciata, con la mano sinistra ficcata sotto al cuscino e le ginocchia rannicchiate. Fluttuò per alcuni minuti in un piacevolissimo stato di stordimento, in equilibrio fra immagini, suoni ovattati, bozze di sogni e di ricordi, per poi finire accarezzato da una morbida sensazione di brezza.

 

Si risvegliò in quello che aveva tutta l’aria di essere una sconfinata distesa di prateria.

 

- Uhm, ma cos… - Harry si tirò su a sedere, strofinandosi la faccia per cercare di recuperare un po’ di lucidità.

 

Tastò il terreno circostante e i pantaloni, alla ricerca della sua bacchetta, ma niente, nessuna traccia.

 

- Ron? – chiamò, allarmato. – Ragazzi? -

 

Nulla.

 

Il sole batteva fortissimo, come se fosse stato pieno giorno. Harry si mise in piedi e, ammiccando, cercò di orientarsi.

 

- Ma dove diavolo sono finito. – mormorò girando e rigirando su sé stesso, alla ricerca di un qualche punto di riferimento.

 

Hogwarts non si vedeva. Anzi, non si vedeva nemmeno l’ombra delle montagne che circondavano la scuola, o dei boschi verde cupo che le facevano da cornice. Il paesaggio irreale in cui Harry si trovava immerso sembrava sconfinato.

Cominciò a camminare. Non c’era molto altro che potesse fare, visto che a quel punto l’unica speranza era quella di trovare qualcuno a cui chiedere delle indicazioni.

Si domandò come fosse potuto succedere. Non era possibile Smaterializzarsi fra le mura di Hogwarts, perciò era assurdo pensare che nel sonno avesse potuto farlo accidentalmente. Nemmeno da prendere in considerazione, o a Hermione sarebbe venuto un colpo.

Harry inciampò su un ciottolo, e digrignò i denti, saltellando come un pazzo per non perdere l’equilibrio.

 

Cominciava a sentire caldo. Possibile che fosse finito così tanto lontano che persino la temperatura era cambiata?

 

- Grandioso, e adesso che accidenti faccio. – ringhiò fra sé e sé, trafficando con le fibbie del mantello.

 

Quando finalmente lo ebbe slacciato, se lo fece passare sopra alla testa, per arrotolarlo attorno al braccio e liberarsi così dell’impaccio, ma riuscì a malapena a sgomberare lo sguardo dal tessuto nero, che per poco non venne travolto da un qualcosa che gli passò di fianco, fulmineo.

 

- Ma quello. – soffiò, allucinato. – Quello era un unicorno. -

 

Il cavallo nitrì in lontananza, scomparendo verso l’orizzonte soleggiato, ma pochi istanti dopo un altro nitrito gli fece eco.

Un altro cavallo, questa volta un comune cavallo, si materializzò dietro di lui, e gli passò di fianco, lanciato all’inseguimento dell’unicorno. Era marrone chiaro, snello, e si muoveva rapidissimo.

 

Harry rimase imbambolato a seguire con lo sguardo anche il secondo animale che si allontanava senza lasciare traccia.

 

- Non è possibile. – gemette. – Non può essere vero. Ma che razza di posto è questo? -

 

Il povero Harry cercò invano di individuare nuovamente i due animali, ma senza successo. Valutò fra sé la possibilità di incamminarsi verso la loro stessa direzione, sperando di incappare in una qualche presenza umana, e proprio allora si alzò un debole vento che scompigliò l’erba monocroma sotto ai suoi piedi.

 

- Riesci a sentirmi? -

 

Una voce maschile lo fece sobbalzare all’improvviso. Harry si voltò e si rivoltò in tutte le direzioni, ma non c’era nessuno, non una sola traccia.

 

- Chi sei? – chiese, agitato. – Dove sei? -

 

- Aiutami. – gli rispose la voce.

- Chi sei? -

- Devi aiutarmi. -

 

Harry cercò ancora di individuare la fonte di quella voce. Ma niente, sembrava provenire da ogni direzione indistintamente, come se fosse trasportata dal vento.

 

- Dove sei? Fatti vedere! -

- Aiutami. -

- Fatti vedere! -

 

Come obbedendo al suo comando, dal nulla apparve una figura avvolta in un mantello. Nonostante il sole abbacinante Harry non riuscì a scorgerne che i contorni sfocati dell’ombra. Era lontana ed indecisa, eppure aveva qualcosa di strano e di peculiare che Harry potè giurare di conoscere.

 

- Ti prego, aiutami. – disse di nuovo.

- Ma chi sei. –

 

Il giovane uomo tese una mano verso di lui, e facendolo uscì un poco dalla membrana di oscurità in cui sembrava essere avvolto. Harry ricambiò istintivamente il gesto, come se quel semplice cercarsi di mani potesse annullare la distanza indefinita che li separava.

 

E ad un tratto lo vide, come in un flash fugace: i capelli neri, le labbra sottili, le linee del viso squadrate.

 

- Papà. – soffiò,

- Aiutami, ti supplico. -

- Papà! -

 

La figura dell’uomo tornò ad essere inghiottita dal buio, e allora Harry si mise a correre, più veloce che potè, ma più i suoi piedi calpestavano il terreno coperto di erba, più la distanza fra loro si faceva incalcolabile.

 

- Aspetta! – ansimò inutilmente.

 

L’uomo si faceva sempre più lontano, e sempre più piccolo. Ad un tratto Harry mise il piede in fallo, e perse l’equilibrio, finendo con il cadere rovinosamente a terra. Riuscì a scorgere con la coda dell’occhio il frammento di legno su cui era scivolato, vi intravide qualcosa inciso sopra, alcune lettere tracciate a mano, ma quasi subito tornò a fissare l’orizzonte, alla ricerca dell’apparizione di poco prima.

 

Non c’era più nessuno, nessuna traccia dell’uomo con il mantello che gli somigliava così tanto, né di nessun’altra presenza.

Harry scalciò con rabbia il pezzo di legno che lo aveva fatto cadere, facendolo rotolare in là di qualche passo.

 

“OMNIA”, lesse sulla sua superficie scheggiata e irregolare, nel silenzio assoluto di quel luogo fuori dal mondo.

 

- Harry! – si sentì  chiamare all’improvviso.

- Harry! -

 

Scattò subito in piedi, esasperato.

 

- Harry! -

 

Il brandello di legno cominciò a vorticare furiosamente su sé stesso e, in breve tempo, attorno ad esso si scatenò una sorta di spirale.

- Harry! -

 

Harry si afferrò la testa fra le mani e trattenne un grido.

 

- Hey, Harry! Harry! -

 

Riaprì gli occhi seduto sul suo letto, e la prima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu la faccia preoccupata di Ron.

 

- Per l’amor del cielo, amico, che è successo? – lo sentì esclamare, e quasi nello stesso momento si sentì scrollare energicamente le spalle. Anche Seamus, Neville e Dean erano svegli, ed erano riuniti attorno al suo letto. Soltanto in quel momento, quando una luce tenue gli colpì gli occhi, si rese conto che doveva già essere mattina.

- Va tutto bene, Ron. – lo rassicurò. – Ho solo fatto un sogno. Un sogno assurdo. -

- Qualcosa che riguarda… insomma… Tu-sai-chi? – si allarmò immediatamente Neville. 

- No, direi di no. Non è stato spaventoso, è stato piuttosto. – Harry aggrottò la fronte, sforzandosi di trovare un termine adatto. – Strano. Sì, davvero strano. Credo di aver sognato mio padre. -

 

Ron e gli altri si scambiarono qualche occhiata. 

 

- Forza, adesso alzati. – lo incoraggiò Ron. – E’ quasi ora di scendere per la colazione, e se tardiamo Hermione andrà su tutte le furie. –

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Eccoci qui, con una nuova avventura. Mi sono presa un po’ di pausa dalla fine di TLC 2, per motivi tecnici di studio, ma soprattutto per avere il tempo di delineare per bene la  trama di questa nuova storia, e cominciare con una stesura corposa dei capitoli. Non vi nascondo di sentirmi davvero molto, molto emozionata, ho investito ed investirò tanto in questa storia, e spero di tutto cuore di non deludervi.

 

Grazie a tutti coloro che leggeranno, e che mi dedicheranno il tempo di una recensione, a presto con il prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** What friends are for ***


Cap 2: scene di vita a hogwarts con draco, (fine e consegna relazione) notte e di nuovo sogni

- Cavoli, cavoli, cavoli. – Ron rosicchiò la cima della sua piuma, e sputacchiò nervosamente qualche pelucco bianco rimasto impigliato fra i denti. – Harry ti prego, dammi una mano. –

 

Harry grugnì qualcosa che Ron prese come un invito a continuare.

 

- Senti un po’ qui. – sospirò. – “… Trasfigurare un boa costrittore in una cravatta è quindi scarsamente consigliabile, in quanto… “ in quanto cosa, Harry? Non è già dannatamente evidente, il perché? -

- Non lo so. – borbottò Harry.

Era da una decina di minuti che se ne stava con le braccia spalmate sul tavolo della Sala Grande, e con la faccia appoggiata su di esse, totalmente indifferenze al viavai delle pietanze della colazione.

- Va tutto bene? – si preoccupò Hermione, cercando di affacciarsi oltre i gomiti di Harry.

- Sì, sì. – sbuffò lui.

- Sei sicuro? Non hai toccato cibo. -

- Non ho molta fame. -

 

Harry si costrinse comunque ad allungare una mano per pescare una fetta di pane tostato. Hermione gli porse lestamente il vassoietto del burro, e lui ce ne buttò sopra una quantità a caso, spalmandolo in qualche modo. Mangiucchiò il pane un pezzetto alla volta, soltanto per non far preoccupare Hermione, visto che il suo stomaco sembrava deciso a tenere chiusi i battenti per il resto della giornata.

 

- Tu l’hai finita la tua relazione? -

- N-nh. La finirò dopo, durante la lezione di Storia della Magia. -

 

Stranamente Hermione non sfoderò la sua solita voce gracchiante per rimproverarlo. Si limitò ad uno sguardo pensieroso, ma poi lo lasciò in pace. E Harry gliene fu enormemente riconoscente.

 

Da quando si era alzato gli sembrava di non essere riuscito a scrollarsi di dosso una strana sensazione legata al suo sogno. Era rimasto in bagno per un sacco di tempo, si era lavato e rilavato la faccia con l’acqua gelida, ma niente, lo stordimento non accennava ad andarsene. Nonostante questo era sceso con Ron, aveva incontrato Hermione davanti al ritratto della Signora Grassa, e insieme si erano diretti verso la Sala Grande, come al solito. Per ben due volte aveva rischiato di capitombolare sui soliti, vecchi gradini malandati che conosceva come le sue tasche. Evidentemente saltarli non era una cosa che gli riuscisse automatica come aveva sperato, tuttavia non si era preoccupato di nulla finchè non si era seduto al suo posto, al tavolo Grifondoro.

 

Lì, appena piatti, piattini, caraffe e vassoi avevano fatto la loro trionfale comparsa, Harry si era reso conto che no, decisamente qualcosa non funzionava: non aveva fame, proprio per niente, e questo aveva dell’incredibile.

 

*          *          *

 

La lezione di Trasfigurazione era in comune con Serpeverde. E chissà come mai, ciò non contribuiva granché a risollevare l’umore di Harry.

Nemmeno notare quanto quella mattina Draco Malfoy fosse agitato gli fu di aiuto. Probabilmente l’idiota non aveva fatto la sua relazione, o non era riuscito a copiarla da qualche suo compagno, e adesso si ritrovava sulla stessa barca della stragrande maggioranza dei comuni mortali che popolavano l’aula bislunga, in trepidante attesa della McGranitt. Si dispiacque soltanto di non essere sufficientemente sveglio per godersi quel piccolo, involontario momento di trionfo.

 

Lui, la sua relazione l’aveva in qualche modo finita. Per fortuna gli mancavano solo una manciata di righe, che aveva riempito con considerazioni a caso, banalità di ogni sorta, e una frase finale che suonava come un rifiuto categorico di inventare alcunché di originale. Poco male, poteva contare su un discreto andamento generale e sulla speranza che, per una volta, la McGranitt avrebbe potuto chiudere un occhio sulla sua mancanza di fantasia. In fin dei conti era pur sempre l’inizio dell’anno, un po’ di pietà era d’obbligo.

 

Certo, se proprio la professoressa voleva un saggio di creatività, avrebbe sempre potuto scrivergli un bel riassunto del suo sogno. Harry era sempre stato parecchio estroso, quando si trattava di sogni, ma doveva ammettere che l’ultimo batteva tutta la concorrenza. Se ci ripensava, riusciva ancora a provare uno strano senso di malinconia per il modo in cui suo padre era apparso, e poi scomparso, davanti ai suoi occhi. Non gli era capitato molto spesso di sognarlo, e probabilmente mai di vederlo così bene in volto.

Quella volta di quattro anni prima, quando per la prima volta era riuscito ad evocare il suo Patronus, si era illuso di aver trovato un modo per riavere indietro suo padre, e ne era stato felice, incredibilmente felice. Si era sentito rassicurato e riscaldato, dopo così tanto tempo. Ma aver rivisto suo padre in sogno, aver constatato con i propri occhi la somiglianza pazzesca con lui, aver sentito la sua voce, pure quella identica, aveva cambiato completamente la prospettiva.

 

Probabilmente la questione era molto più semplice di ciò che appariva: l’Harry di quattro anni prima era troppo piccolo e fragile per poter affrontare un ricordo così dolce e doloroso, mentre l’Harry di adesso ne aveva passate abbastanza da essere pronto per poter conoscere, almeno in sogno, il padre che gli era sempre mancato.

Almeno, così gli piaceva credere. Era un bel pensiero, dopotutto.

 

Harry consegnò la sua relazione assieme a Ron, lasciandola distrattamente sul tavolo della McGranitt. La lezione era passata via velocemente, e adesso lo aspettava un pomeriggio di relativa tranquillità. Camminando a testa bassa, perso nelle sue elucubrazioni, nemmeno si rese conto di aver urtato qualcuno, finchè Ron non gli allungò una gomitata allarmata.

 

- Scusa. – borbottò a mezza bocca. 

- “Scusa”, Potter? -

La voce irritata di Malfoy gli strappò un sospiro.

- Sì, ho detto scusa. – ribadì, sorpassando il Serpeverde senza ulteriori indugi.

 

Dalla fine del corridoio, lo sentì ribollire come un calderone, e alla fine sbraitare un “Vai al diavolo, dannato Potter”.

 

Però, doveva essergli andata davvero male, con la relazione per la McGranitt.

 

*          *          *

 

- Aiutami. -

- Papà? -

- Ti prego. Aiutami. -

- Papà! Papà, aspetta! -

- Mi serve il tuo aiuto. -

- No, non andartene! -

 

Harry sbarrò gli occhi, e si ritrovò aggrappato al cuscino. Le coperte si erano scompaginate qua e là nel letto, lasciandolo al freddo. E lui in quel momento il freddo se lo sentiva fin dentro le ossa.

 

Ancora la stessa pianura sconfinata, con delle macchie di alberi all’orizzonte, ancora suo padre, avvolto in un manto che aveva qualcosa di regale, ancora la stessa, disperata richiesta di aiuto.

 

Harry si strinse le tempie fra le mani, sentendole pulsare. Soltanto una cosa era cambiata, o per meglio dire si era aggiunta a tutto il caos che già imperava: una sensazione di tristezza cosmica, e di nostalgia talmente potente da far salire le lacrime agli occhi senza nemmeno comprenderne il perché. Se n’era sentito schiacciato, quando aveva incrociato lo sguardo di suo padre.

 

- Harry. – biascicò all’improvviso Ron.

 

Harry si accigliò, e si decise a rimettersi sdraiato. – Scusami. – mormorò. – Non volevo svegliarti. -

- Fa niente. C’è qualcosa che non va? -

- No. Cioè, non lo so. Ho rifatto lo stesso sogno. -

- Vuoi dire lo stesso di ieri? -

- Già. -

 

Harry sentì Ron che litigava con le sue coperte per potersi rigirare.

 

- Hey Harry, allora credi che sia qualcosa si importante? – sussurrò Ron con prudenza.

- Vorrei saperti rispondere. Non lo so, ma mi sembra strano ripetere lo stesso sogno per due volte. -

- Magari allora potremmo dirlo ad Hermione. –

- Credi? -

- Beh, lei sa sempre cosa fare, no? -

Harry abbozzò ad un sorriso. – Vero. – concesse. – Non è ne abbiamo mai ricavato niente di buono, a tenerle nascosto qualcosa. –

 

Ron accese una candela sul suo comodino, irradiando la camera di un lumino tenue che, fortunatamente, non disturbò gli altri tre. – Hey, Harry. Stai bene davvero? Voglio dire, hai bisogno di qualcosa? –

Harry sorrise, e fece cenno di diniego. – Sto bene. – lo rassicurò. – Non ti preoccupare. -

- Uhm. D’accordo. – Ron spense la candela, e si rimise a letto.

- Però. – insistette, alzando involontariamente il tono della voce. – Però. – ripeté a voce più bassa. – Se ti servisse qualcosa, se avessi bisogno di una mano, insomma, non farti problemi, ok? Chiedi. -

- Ho capito. Grazie, Ron. -

- Di niente. -

 

Harry poté giurare che Ron si stesse sentendo fiero si sé, per avergli offerto il suo aiuto. Era davvero un ragazzo d’oro.

- Allora buonanotte. -

- Sì. Buonanotte. -

 

*          *          *

 

Hermione inarcò le sopracciglia fino a farle quasi sparire nella frangia che le copriva parte della fronte, e per un bel po’ si dimenticò completamente di masticare i suoi cereali.

 

Il momento della colazione stava diventando sempre più pregante per Harry, a quanto sembrava. Da almeno due mattine a quella parte non faceva che portare scompiglio. L’unica nota positiva della giornata era che Malfoy non era sceso per la colazione, liberando Harry dalla sua fastidiosa presenza, oltre che dal rischio che si mettesse ad origliare.

 

- Tuo padre? – scandì di nuovo Hermione, tanto per essere sicura.

- Credo di sì. Chi altri poteva essere, la somiglianza era incredibile. -

- Ma hai detto che è un ragazzo, no? Che aveva pressappoco la tua età. -

- Sì, e allora? -

 

Hermione puntò l’indice destro contro il mento, e lo tamburellò. – Com’è possibile che tu abbia visto tuo padre da giovane? –

- Non lo so. – ammise Harry. – Ma non mi pare qualcosa di così assurdo. Ho visto delle fotografie, e l’ho persino visto nel Pensatoio di Piton tempo fa, non ti ricordi? -

- Uhm, d’accordo. – concesse Hermione. – Ma ad ogni modo c’è qualcosa di strano. -

 

Aveva perfettamente ragione. Dopo essersi riaddormentato, Harry era piombato nuovamente nel medesimo sogno. Con lo stesso copione e gli stessi, deludenti risultati. Era inquietante il ripetersi ossessivo di quelle visioni, anche se due sole notti erano troppo poche per dichiararsi allarmati.

 

- Ogni volta che lo sogno, è più vicino. – considerò. – Ma se cerco di parlargli lui non mi risponde. Continua semplicemente a chiedermi di aiutarlo, ma come faccio, se non so nemmeno che cosa vuole? -

- Le persone morte non chiedono aiuto, Harry. – disse Hermione, con una sicurezza e una schiettezza che fecero rabbrividire i suoi amici.

 

Harry la vide quasi subito arrossire per il disagio, ma dentro di sé sapeva di non poterla contraddire. I morti non hanno bisogno di aiuto, questo era poco ma sicuro.

 

- Già. – le venne incontro, accordandole implicitamente il suo perdono per quella frase. – Ma allora che cosa credi che sia? -

- Non ne ho idea. – ammise lei. – Però non mi sembra una cosa da sottovalutare. Soprattutto visto che i tuoi sogni non ci hanno mai traditi. -

- Credi che sia qualcosa che ha a che fare con… con Voldemort? – azzardò Ron facendo una vocetta sottile sottile.

 

Hermione serrò le labbra, ma il suo silenzio non aveva bisogno di ulteriori considerazioni. Distolse lo sguardo, prima di riprendere a parlare.

 

- Ad ogni modo, è troppo presto per saltare a delle conclusioni. Forse ci stiamo allarmando per niente, però è meglio tenersi pronti ad ogni evenienza. -

- Che cosa significa “per ogni evenienza”? -

 

Di nuovo silenzio. Rotto dopo un sorso di succo d’arancia, da una frase che aveva un ché di stentoreo. – Per il momento non possiamo far altro che stare a vedere. -

 

*          *          *

 

La sera successiva, Harry andò a dormire con una consapevolezza inedita.

Tutto ciò che lui, Hermione e Ron avevano congetturato durante l’intera giornata appena trascorsa non li aveva portati da nessuna parte, ma per lo meno lo aveva reso certo che la questione non andasse presa sottogamba.

 

Non che lui avesse mai preso sottogamba i suoi sogni. Ma in passato, le cose stavano diversamente, e le sue visioni oniriche erano sempre stati degli indizi più o meno chiari, più o meno importanti, circa quella che lui, per anni interi, aveva considerato la sua grande missione.

 

Ora che però questa missione era stata compiuta, che Voldemort era stato sconfitto, e che tutto era tornato alla normalità, che senso aveva pensare che qualcosa, dentro la sua testa, mantenesse un legame con il passato? Con chi, poi? E perché mai suo padre avrebbe dovuto aver bisogno del suo aiuto?

 

Non una di queste domande aveva ancora uno straccio di risposta, ma se Ron ci aveva visto giusto, se veramente tutta questa faccenda aveva a che fare con Voldemort, allora bisognava tenersi pronti ad agire. A cominciare da quel momento, visto che l’unico che poteva sperare di venire a capo del mistero era lui, che per il momento poteva solo sforzarsi di chiudere gli occhi e sperare di addormentarsi in fretta, per ripiombare in quel sogno.

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Grazie infinite per l’accoglienza, sono veramente felice!

Innanzitutto, devo dirlo, perché oltre ai nomi che definire “soliti” mi riempie di gioia, perché sono quelli che leggo da tanto tempo, e che ogni volta mi stupisco e mi commuovo di rivedere, ho visto anche molti nomi nuovi. Che siate lettori nuovi di zecca, o che vi siate decisi a farvi avanti solo ora, vi ringrazio in ogni caso, mi fate davvero felice!

 

Scusate se non rispondo a ciascuno, ma le domande che mi avete posto per ora non possono avere risposta, mi spiace! Nemmeno quelle sulla durata della fic. Ho buttato giù un’ossatura dei capitoli, quindi una mezza idea ce l’ho, ma per ora non mi sbilancio a darvi notizie, perché sono ancora alle prese con numerosi punti interrogativi, e non vorrei deludervi sparando un numero troppo alto che poi sarebbe destinato a contrarsi.

Soprattutto considerando il fatto che la nascita e lo sviluppo di alcuni capitoli dipenderà in gran parte dalle reazioni che riceverò da voi. Essendo, come ho già detto, un lavoro a cui tengo moltissimo, non voglio renderlo pesante, perciò se vedrò che vi annoierete taglierò delle parti e andrò più spedita.

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Capitolo 3
*** Names ***


Cap 3: scopriamo il nome di Marzio, ma niente di più

La stessa pianura sconfinata, e, questa volta, la macchia di alberi più vicina, a pochi passi da lui. Il sole era irrealmente abbacinante, come se il cielo non fosse stato fatto d’aria, e non fosse stato in grado di filtrare la sua luce. Faceva sempre caldo, ed era sempre tutto perfettamente immobile.

 

Harry non perse nemmeno più tempo a stupirsi: le cose erano andate come lui aveva sperato, perciò si incamminò verso i bei faggi rigogliosi che costituivano la sola isola del paesaggio con passo deciso, e con tutta l’intenzione di sfruttare fino in fondo l’opportunità. Fra le foglie cadute degli alberi avrebbe potuto trovare delle tracce, indizi di qualsiasi tipo che potessero aiutarlo a vederci un po’ più chiaro in tutta quella faccenda.

 

Se quello era un sogno, e se quindi tutto ciò che vedeva era irreale, e creato dalla sua mente, non doveva far altro che desiderare di capire che cosa stesse succedendo. Animato da questa elementare considerazione, si mise ad aguzzare la vista fra i cumuli di fogliame colorato che giacevano a terra, e che si animavano e reagivano come fossero state vive, ad ogni suo passo.

All’improvviso, molte altre foglie cominciarono a cadere dalle cime degli alberi, formando una vera e propria pioggia di petali dorati e rossicci. Harry si dimenticò per un momento del resto. Era uno spettacolo bellissimo, perché ogni foglia che gli cadeva addosso era una carezza, e gli dava l’impressione che ognuna di esse stesse raccontando storie bellissime.

 

Si lasciò andare a quella pace avvolgente e silenziosissima. Si sedette a terra, poi si distese, sorridendo come uno sciocco. Allargò le braccia e le gambe, e si lasciò sprofondare nel tappeto morbido di foglie; sotto la sua schiena avvertiva la presenza del terreno friabile, e di una quantità di sassi, pezzi di legna, rami, e lo colse la netta impressione che ognuno di essi avesse un significato importante per lui.

 

Affondò la mano, e pescò qualcosa, un lembo di stoffa bianco, molto stropicciato. Se lo portò davanti agli occhi tenendoselo sospeso sul volto, e all’improvvisò inorridì.

 

Il brandello lungo di tessuto, lungo e stretto, e irregolare, forse una fascia improvvisata, era macchiato in più punti di sangue.

 

- Salute. - 

 

Harry sobbalzò e scattò su di soprassalto. Si rimise in ginocchio, e poi in piedi, sollevò lo sguardo e lui era lì, come se niente fosse.

 

Identico a lui, davvero identico, persino nel modo di sorridere. Era alto come lui, portava i capelli corti come lui; la sola cosa che gli mancava erano gli occhiali. E la cicatrice.

 

- Papà. – soffiò, lasciando scivolare via la mano dalla tasca del mantello che conteneva la sua bacchetta magica che, questa volta, lo aveva seguito nel sogno.

 

Il giovane uomo fece una strana espressione, a metà fra il divertito e il rassegnato, e avanzò verso di lui facendo crepitare le foglie sotto ai suoi piedi.

 

Harry gli si precipitò incontro non appena lo vide muoversi. – Perché non mi hai mai parlato fino ad ora? – gli riversò addosso come una cascata impazzita. – Perché hai continuato a sfuggirmi? E perché hai bisogno di… -

 

- Mi dispiace. – lo interruppe lui, con voce gentile. – Ma io non sono tuo padre. - 

 

Harry inghiottì le sue ultime domande, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito.

 

- Ma… ma come. -

- Mi dispiace davvero. – si scusò il ragazzo, con genuina sincerità.

 

Le sue parole semplici lo avevano lasciato lì così, frastornato, ad ascoltare il rombo del suo sangue che pulsava nelle orecchie.

Il castello di carte che lui e i suoi amici si erano impegnati a costruire era crollato ancora prima di essere completo. Harry avvertì una bruciante sensazione di delusione, perché nonostante tutto l’idea di avere la possibilità di rivedere suo padre nei suoi sogni gli era parsa fin dall’inizio come uno splendido regalo. Si vedeva già a correre in suo aiuto, qualsiasi fosse il motivo, e chissà che magari non sarebbe riuscito a riabbracciare anche la mamma, in un modo o nell’altro, o per lo meno a guadagnarsi la garanzia che quel loro piccolo angolo notturno sarebbe rimasto per sempre un’isola protetta.

Era difficile ammetterlo ora, dopo aver fatto tanto per dissimularlo, ma Harry era stato entusiasta dei suoi sogni, fin da subito, e come il peggiore dei poppanti aveva visto suo padre in quella figura perché aveva voluto vederlo, con tutte le sue forze.

 

- E’ perché ci assomigliamo, vero? – cercò di riprendere la conversazione l’altro, apparendo un filino imbarazzato.

 

Harry si rese allora conto di un piccolo, assurdo dettaglio: quel tipo gli somigliava davvero come una goccia d’acqua, perché aveva persino gli occhi verdi, proprio come lui. Occhi verdi che lui sapeva benissimo non poter essere di suo padre.

 

- Ma allora chi sei? -

 

Il ragazzo sembrò enormemente sollevato dalla domanda di Harry. Gli fece un sorriso grande, e persino un piccolo gesto di inchino con la testa.

 

- Mi chiamo Marzio Fabio Saverio. E tu? Puoi dirmi come ti chiami? -

- Harry. -

- Harry e basta? -

Harry aggrottò la fronte, un tantino confuso. – Beh, come altro dovrei chiamarmi? Harry James Potter, ecco. -

- Oh. – fece l’altro, con un certo rispetto. – E come vuoi che ti chiami? James? -

- James? Perché mai dovresti chiamarmi James, scusa ? Io mi chiamo Harry! -

Lo strano ragazzo diede un sorrisone francamente eccessivo. – Beh, allora se davvero mi permetti di chiamarti Harry, tu potrai chiamarmi Marzio. –

- Perché, come altro avrei dovuto… oh, senti, lasciamo perdere. Marzio ed Harry andranno benissimo, o qui finiremo con il buttare via una nottata per decidere i nomi. –

 

Il vento tirò un sospiro fra loro, portando alle loro narici l’odore delle foglie fresche da poco cadute, sapido e piacevole.

 

Harry incrociò le mani al petto con cipiglio serio. – Ho molte domande da farti. – esordì.

- Sì, immagino che sia comprensibile. -

 

– Tanto per cominciare: come diavolo fai ad essere identico a me? -

 

Marzio si strinse nelle spalle, sornione, e mentre Harry si prendeva un po’ di tempo per osservarlo, si rese conto che ciò che aveva appena detto non era del tutto esatto: Marzio era sì tale e quale a lui, ma era vestito in modo completamente diverso dal suo: portava delle scarpe strane, che sembravano fatte di cuoio, e indossava una tunica chiarissima, di quelle che Harry era certo di aver visto addosso a delle statue antiche, in qualche museo. Sopra portava un mantello, e quel dettaglio era l’unica cosa che Harry aveva sempre notato di lui.

 

- Chi sei, e perché compari nei miei sogni? -

L’espressione dell’altro si rabbuiò all’improvviso. – Perché ho disperatamente bisogno del tuo aiuto. -

– E perché ti serve il mio aiuto? -

- Perché sei l’unico che può farlo. -

- E perché proprio io? -

- Perché tu sei uguale a me. -

 

Harry ebbe l’impressione che la testa stesse per esplodergli. - … E allora? – gemette.

- E’ una storia lunga, Harry, davvero molto lunga. -

- Hey, non puoi pensare di cavartela così a buon mercato. Se davvero vuoi che ti aiuti il minimo che tu possa fare è spiegarmi la situazione, no? Ad esempio, perché ci hai messo così tanto a dirmi il tuo nome? Te l’ho chiesto un milione di volte, ma tu non mi hai mai risposto. -

- Perché era troppo presto. – rispose Marzio con semplicità.

- Troppo presto? -

- Già. -

- E questo che cosa significa, scusa? -

 

Marzio socchiuse la bocca, e gettò la testa all’indietro, perdendosi fra le nuvolette fumose che decoravano il cielo.

- Significa che ora tu devi svegliarti. -

- Hey, hey, aspetta. -

 

Marzio gli concesse un sorriso mite. – Ci rivedremo presto, Harry. – mormorò.

 

Un attimo dopo, Harry si risvegliò nel suo letto.

 

*          *          *

 

Né Seamus, né Dean, né Neville, e nemmeno Ron notarono nulla di strano in Harry, la mattina seguente. E Harry ne fu sollevato, perché si era impegnato con tutte le sue forze per non dare nell’occhio.

Visto lo strano evolversi della situazione, aveva deciso che la cosa più saggia da fare era cercare di tirare in mezzo il minor numero possibile di persone in quella faccenda; con Ron avrebbe parlato più tardi, assieme ad Hermione. Ma gli altri dovevano continuare a credere che fosse tutto risolto, e che l’incidente di due notti prima non fosse stato altro che un banale incubo. Un po’ gli dispiaceva di lasciare fuori dai giochi proprio tre fra le persone che gli erano state al fianco con più coraggio soltanto l’estate prima, durante la breve ma tremenda lotta contro i Mangiamorte. Ma era stata proprio la guerra ad insegnargli che coinvolgere significa mettere in pericolo, e su questi suoi nuovi sogni gravavano ancora troppi punti interrogativi.

Poteva essere tutta una trappola ordita da chissà chi, come poteva benissimo trattarsi del pazzesco frutto della sua fantasia.

Dentro di sé, Harry era costretto a lottare contro l’infantile desiderio di rimettersi a letto, chiudere gli occhi e cercare di incontrare di nuovo questo Marzio per tempestarlo di domande; ma la fretta non lo avrebbe portato a niente di buono.

 

Riassunse nella testa le cose più importanti che aveva sentito, quelle da non dimenticare assolutamente di riferire agli altri, e si impose di sorridere delle circostanza, ricacciando in fondo al cuore l’amarezza e la malinconia per il sentimento infantile che lo aveva accompagnato fino a poco prima, così duramente deluso.

 

*          *          *

 

Harry radunò Hermione e Ron nella Sala Comune di Grifondoro, durante la pausa subito dopo il pranzo. Aveva accennato loro qualcosa già durante la lezione di Incantesimi, ma Vitious aveva scelto proprio quel giorno per insegnare alla classe un incantesimo nuovo di zecca, e per di più particolarmente laborioso, ragione più che valida per decidere di rimandare ogni ulteriore discussione a più tardi.

 

- E così, non è tuo padre. – ragionò Hermione. – A sentire te, sembra che venga fuori dritto da un libro di storia. -

- E’ il suo abbigliamento che mi ha lasciato di stucco. Hai presente quelle statue greche e romane? Come quelle che ci sono al British Museum? -

- Che cos’è il British Museum? -

 

Il povero Ron venne zittito da un’occhiataccia congiunta degli altri due, e si chiuse a tartaruga fra le spalle.

- Discriminato perché sono un mago. – protestò flebilmente fra sé. – E dire che fino a quest’estate quelli perseguitati erano i Babbani. -

 

- Da come me l’hai descritto sembrerebbe più un Romano che un Greco. E anche il nome mi suonava latino, come hai detto che si chiama, scusa? -

- Non lo so. – borbottò Harry. - Si chiama Marzio… Fabio… Severo, Saverio Fabio, non ho capito un accidente. -

Hermione strinse le mani sui fianchi, e Ron, seduto di fianco a lei, ebbe un vago tremito di paura che gli fecero scordare in un baleno tutte le sue spinose questioni discriminatorie.

– Come sarebbe a dire che non lo sai, Harry? – lo riprese. – Per un uomo dell’antica Roma è fondamentale distinguere i propri nomi! -

- E perché, scusa? Di primo nome fa Marzio, che diamine vuoi che me ne importi degli altri nomi? -

Hermione alzò gli occhi al cielo. – Gli altri nomi, Harry. – cominciò con petulanza. – Sono importantissimi, per sapere chi sia questo tizio. Il primo nome è quello riservato alla cerchia familiare, o alle persone intime. Il secondo è quello della sua famiglia, un po’ come il nostro cognome, e il terzo è quello che conta, quello con cui tutti lo chiamano. –

- … Oh. – fece Harry. – Ecco perché era così stupito di potermi chiamare per nome. -

- Cielo, Harry, che confusione gli avrai fatto fare, poverino. -

- Poverino lui?!? – Harry non lesinò per niente sulla lunghezza del broncio. – E io, allora? Marzio di qua, Fabio di là, che si decida una buona volta! E poi al diavolo, mi spieghi cosa ci fa un Romano nella mia testa? -

- E che cosa vuoi che ne sappia io! -

- Ragazzi, io non ci ho capito un bel niente. – intervenne candidamente Ron. – Ma non mi pare il caso di stare qui a perdere tempo con discorsi del genere. Abbiamo il suo nome, no? E allora perché non cerchiamo qualche notizia? -

 

Hermione gli concesse un’occhiata sinceramente stupita ed ammirata che lo offese un po’.

 

- Hai ragione. – constatò. – Non ci resta che sperare che in biblioteca ci sia qualche risposta. -

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Annuncio, T Jill si è impegnata formalmente a passare tutte le pagine incriminate ai lettori minorenni, in caso di rating rosso, quindi gentili signori della polizia, le retate dovete farle a casa sua! Muahahaha!

 

Dai, scherzi a parte, grazie di cuore per tutte le recensioni, sono contentissima che la storia vi interessi! Rispondo un po’ ai vostri commenti, ovviamente per quello che posso dire. Vi ricordo che, per i disguidi occorsi al sito, le eventuali recensioni scritte il 17/02 sono andate perdute, perciò, se non trovate qui il vostro nome, è per questo motivo. Mi spiace,  cercherò di rispondervi la prossima volta!

 

Lake: grazie mille! Non ti posso dire niente, però hai ragione, mai nascondere nulla a Hermione!

Ginny W: grazie! Eh sì, Draco è sempre Draco…

The Fly: mia cara, non posso dire nulla di nulla, ma stai tranquilla che ogni cosa ha il suo perché!

Koorime: sì sì, mantieniti salda per gli esami! Tanto questo capitolo non ha risolto granché, ci vorrà ancora un po’ per avere tutto chiaro.

Chiara: sono contentissima che tu veda i tre simili a quelli originali, in effetti cerco di evitare, nel limite del possibile, di andare OOC, e in questa storia non ce ne sarà bisogno.

Dark: povera, mi è impazzita totalmente! >///<

Herm83: aiuto, come hai fatto a leggere tutto in una settimana? Sei un genio!

Smemorella: doppia recensione, rispostone unico! Aiuto, aiuto, non mi maltrattare! Ç__ç certo che con l’immagine dell’amputazione mi hai proprio fatto passare la voglia di tagliare pezzi, poi finirei con il sentirmi in colpa come fossi una macellaia! Il tuo riassunto non fa una piega, ma non mi strapperai una parola, no no! E non mettetevi in combutta fra di voi!

Tsubychan: grazie, come sono contenta!

T Jill: Ah, la nostra paladina di Star Trek… guarda che ti sei impegnata formalmente! Waaa, i temi di prima media, che nostalgia. Me ne ricordo uno fantastico sui Promessi Sposi in cui mi accanivo con tutta l’anima contro Lucia, con l’argomentazione schietta “più sfigata così non è fisiologicamente possibile”.

Puciu: hihi, nessuna risposta, ma grazie dei complimenti! Sì, in effetti mi cimento raramente con il mistero, un pochino in Haunters, ma qui le cose sono molto diverse e più complicate.

Little Star: la saggezza di Ron è insuperabile. Per il resto tesorino, sono zittissima!

Lady: oh, ma che bello, grazie mille! Non immagini come anche io mi stia gustando la stesura!

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Capitolo 4
*** Me or not me? ***


Cap 4: I ragazzi fanno ricerche senza risultati

In biblioteca, normalmente, le risposte si sprecavano. Il problema era riuscire ad individuarle. L’impressionante conoscenza di Hermione aveva permesso ai ragazzi di fare una buona scrematura di libri che certamente non sarebbero serviti, focalizzando così la loro attenzione su una dozzina di volumi che trattavano di storia romana, storia della magia antica, religioni classiche, civiltà magica antica, riti magici antichi e tutto ciò che poteva odorare di latino.

 

- Avete sentito la novità? – buttò lì Ron, occhieggiando svogliatamente al libro che gli era stato appena assegnato. – Malfoy è finito in infermeria per chissà quale gravissima malattia. -

- Te lo dico io che malattia ha, quello. – borbottò tetra Hermione. – La malattia del “papino non mi compra più bei voti”. Dai, rimettiamoci al lavoro. -

 

Harry ridacchiò da dietro il suo libro, sfogliato ormai quasi interamente senza uno straccio di risultato.

 

Le cose andarono per le lunghe, ma le ore diligentemente passate sui libri non dettero alcun frutto. Di Marzio la storia di Roma era piena, ma nessuno sembrava fare al caso loro. Tanto per cominciare, Harry non aveva idea se questo tizio fosse un mago, per non parlare di possibili indizi sulla sua vita. La sola cosa che aveva potuto assodare con disarmante certezza era che quel ragazzo gli somigliava come una goccia d’acqua. Ma a quanto pareva, la Roma di due millenni prima era sprovvista di macchine fotografiche, magiche o babbane che fossero.

 

- Niente. – sbuffò Hermione, palesemente contrariata. – Niente di niente. -

- Non siamo nemmeno certi che sia Romano, no? – rincarò Harry. – In fondo parlava inglese, potrebbe semplicemente avere un nome eccentrico. -

- E vestirsi a quel modo? -

Harry fece spallucce. – Il mondo è pieno di gente strana, no? -

Hermione alzò gli occhi al soffitto della biblioteca, percorso dalle dita sottili dell’oscurità che cominciava ad infiltrarsi nell’edificio, annunciando l’imminente avvicinarsi dell’ora di cena.

 

- Non siamo venuti a capo di niente. – appurò. – E nemmeno riusciremo a farlo, se prima non sappiamo qualcosa in più. Harry, devi parlare con questo tizio, e chiedergli chi è, da dove viene e cosa vuole. -

- E pensi che non ci abbia già provato? – ribatté Harry, piccato. – Quello lì ha la bocca più cucita di un Mangiamorte recidivo. -

- Ottimo, ci mancavano solo i Mangiamorte. –

- Hey, non intendevo dire che è un Mangiamorte. –

- Però potrebbe esserlo. –

 

Hermione non aveva affatto voglia di scherzare. La faccenda la preoccupava più di quanto dessero a vedere i suoi occhi brillanti. Si poteva intuire, se si prestava attenzione allo scattare nervoso delle sopracciglia oltre la frangia.

 

- Non lo so, non so davvero che dire. – si arrese Harry. – Questo tizio non dice nulla, e per quanto ne so potrebbe tranquillamente venire da un altro pianeta. –

- E’ un bel mistero. – gli fece eco Ron. – Cose del genere sarebbero terreno fertile per la Cooman. –

 

Hermione arricciò il naso. – Impossibile. – decretò con tono saputo. – Noi stiamo parlando di cose reali, mentre la Cooman si occupa soltanto di scempiaggini. –

- E dai, non arrabbiarti ogni volta che si parla di lei. A suo modo si è resa utile. –

- Oh sì. Anche Fuffy si è reso utile, allora. –

- A modo suo, sì! –

 

Harry si prese una pausa dai suoi pensieri, per osservare i suoi amici battibeccare. Vedere che nulla era cambiato, e che perciò c’erano buone possibilità che nulla cambiasse nemmeno in futuro, gli era di straordinario aiuto, soprattutto in un momento come quello, in cui sembrava che tutto quanto intorno a lui dovesse stravolgersi.

 

- Sentite ragazzi, ho riflettuto su una cosa. – disse con voce mite.

 

Hermione si interruppe nel bel mezzo di un “Rooon!” per dedicargli la sua attenzione. Harry abbassò la testa senza un motivo preciso. La luce polverosa che penetrava dai finestroni della biblioteca si infranse sui suoi occhiali, baluginando e nascondendo il suo sguardo.

 

- Ho pensato che potrebbe essere una questione più semplice di quanto sembri. Voglio dire, è un mio sogno, no? –

- Dove vuoi arrivare? – indagò Hermione.

- Beh, il punto è che questo Marzio potrei semplicemente essere io, no? Insomma, siamo identici, parliamo in modo identico, ci comportiamo in modo identico. –

- Ma allora perché dovrebbe avere un altro nome? – chiese innocentemente Ron.

- Mah, chi lo sa. Forse è un’immagine riflessa, un me stesso diverso. –

- Cos’è questa, psicanalisi? –

- Che cos’è la pisacalisi? –

 

Hermione assottigliò le labbra, e investì Ron con un gesto eloquente. Glielo.avrebbe.spiegato.dopo.

 

- Potrebbe essere, non credi? Potrei essere io a chiedere aiuto a me stesso. – continuò Harry.

- Sì, potrebbe. In ogni caso, il punto è che per scoprirlo non puoi fare altro che rivederlo e parlargli. –

- Fammi capire, perché diavolo dovresti chiedere aiuto a te stesso? – gemette Ron. – Voglio dire, non ha senso! Se hai un problema chiedi una mano agli altri, no? –

 

Harry fece un sorriso grande a quell’amico che si era conquistato un posto speciale nel suo cuore proprio con la sua generosità spontanea. – Beh, sì – lo accontentò. – Però non è sempre così semplice. –

- Ma dai, stupidaggini. – insistette Ron. – Secondo me devi soltanto riuscire a fargli sputare il rospo, a questo tipo. Forse è spaventato, e vuole prima cercare di capire se può fidarsi di te. -

- Spaventato lui? – si inalberò Harry. – Fidarsi lui? Hey, sono io quello che ha subito una violazione del suo spazio mentale! -

- Come la fai tragica, Harry. – ridacchiò Hermione. – Ti conosco abbastanza per poter essere certa che un po’ di avventura ti mancava. -

 

*          *          *

 

- Ci rivediamo. -

- Già, ci rivediamo. – petulò Harry. – E se provi a scapparmi anche stavolta mi arrabbio sul serio. -

 

Marzio sorrise, e fece un gesto di resa con le mani.

 

Era l’ora del tramonto. C’era una luce bellissima, che si irradiava come tanti fili argentati di ragnatela sulle loro teste. L’aria era talmente ricca di suggestioni da diffondere un profumo tutto suo, e le nuvole erano viola, e blu, e arancioni, come cristalli che giocavano a riflettersi l’uno nell’altro. La malinconia, che faceva sempre da quieto sottofondo ad ogni sogno, era declinata in una nota dolcissima. Un violino, si sarebbe detto.

 

- Marzio. – chiamò Harry per rompere il silenzio. – Io vorrei farti delle domande. –

- Lo capisco. È legittimo. –

- Ecco, ripenso spesso a questi sogni, in cui ti vedo. –

- Dici davvero? –

 

Harry inarcò le sopracciglia. – Certo. –

 

Marzio parve rasserenato. Anzi no, addirittura contento. Harry colse il barlume di un sorrisino sulla sua bocca nascosta dall’ombra del naso.

 

- Beh, dunque. – riprese. – Innanzitutto mi chiedevo chi tu fossi. Insomma, hai un aspetto strano, sembri uscito da un qualche film. –

- Io? Te l’ho detto, mi chiamo Marzio. –

- Non mi basta. –

 

Marzio gli rivolse uno sguardo carico di tanti sentimenti diversi. La vergogna era fra essi, non c’era dubbio.

 

- Non cercare di strafare, Harry. Il mio è un consiglio. -

- Sembra più una minaccia. -

- Una minaccia? – Marzio inarcò le sopracciglia, e si affrettò a negare con la testa. – Non lo farei mai. – protestò, tutto serio. – Non ho alcuna intenzione di minacciarti. Non ne ho motivo. –

- Non ne hai motivo perché sei me? – sputò fuori Harry senza rendersene conto.

Marzio rimase imbambolato, e l’imbarazzo ci mise poco ad insinuarsi fra loro.

- Non so come spiegarmi. Tu chi sei? Sei una parte di me? –

 

Il ragazzo alzò gli occhi chiari al cielo. – Credo di no. – disse mitemente.

- Credi? –

- Non ne sono sicuro. Non più. –

Harry sentì la quota della sua pazienza virare bruscamente verso il basso. – Maledizione, perché non cerchi di spiegarti meglio? -

- Beh, dunque. – fece Marzio, costernato. – Non so nemmeno io come fare. Io sono diverso da te, ma è altrettanto vero che soltanto tu puoi vedermi. –

- E perché proprio io? -

- Te l’ho già spiegato. Perché tu sei identico a me. -

- Sì, ma allora? -

 

- E allora. – Marzio si strinse nelle spalle. - Io non potrei mettermi in contatto con nessun altro. -

 

Già. Più chiaro di così non poteva essere.

 

- Fammi capire. – gemette Harry. – Tu mi puoi contattare perché mi somigli in modo impressionante. - Si mordicchiò un labbro, pensieroso. – Ma allora il mio ragionamento ha senso. Tu sei me.  –

Marzio si stropicciò il ciuffo nero della fronte. – No, direi di no. – bofonchiò, leggermente più convinto di prima.

- E allora sei un mio avo.  -

- Non credo. – Marzio roteò un dito in aria, meditabondo. – Io e te siamo più, come dire… delle specie di prima e dopo, ecco. -

- Come se fossimo la stessa persona. –

- Sì. Però no. –

- Cioè? Lo siamo, ma non lo siamo? – 

- Sì. Immagino di sì. Come dire. – Marzio tamburellò le dita sulla coscia, alla ricerca delle giuste parole. – Noi siamo come due raggi di una stessa ruota, capisci? –

- Due raggi della stessa ruota. – Harry si soffermò sull’immagine finché non la ebbe metabolizzata a sufficienza. Non era facile, ma doveva ammettere che il paragone era immediato.

- Ma tu chi sei? Un fantasma? Da dove vieni? -

- Oh no, non sono un fantasma. Se lo fossi potrebbe vedermi chiunque, e poi potrei apparirti in qualsiasi momento, non solo nei sogni. –

- Allora tu sei nella mia testa? -

Marzio ridacchiò. - No, no, sono anche fuori. Ma al di fuori dei tuoi sogni è come se non esistessi. -

 

Le sue ultime parole evocarono una tristezza assordante. Più lo ascoltava dargli quelle prime, confuse spiegazioni, più Harry sentiva che c’erano milioni di cose che ancora non sapeva e non riusciva a capire. Arricciò le labbra.

 

– E allora? Da dove vieni? -

- Beh… - Marzio socchiuse gli occhi, concentrato. – Io vengo da più di duemila anni fa. Da Roma. -

 

Harry strabuzzò gli occhi. Hermione aveva fatto centro, ma la cosa non poteva comunque non lasciarlo di sasso.

 

- Hai detto Roma. – ragionò. – Quindi vuol dire che sei una specie di imperatore? -

- Imperatore?!? – gemette Marzio, prendendo improvvisamente a giravoltarsi in ogni direzione. – Ma sei pazzo? A Roma non ci sono imperatori! -

- Come sarebbe a dire che non ci sono imperatori, io… -

- Shhh, taci, vuoi farti arrest… - Marzio rimase con un dito a mezz’aria, zittendosi nel pieno della frase. – Oh. – soffiò. – Oh, già. Giusto. Nessuno può più arrestarti, ormai. -

 

Il peso oberante di quella malinconia che già da prima fluttuava pericolosamente sulle loro teste schiacciò nuovamente Harry. Era spuntata all’improvviso, cavalcando le parole del Romano, e aveva sprigionato la sua potenza impressionante su di loro, arrivando a concretizzarsi nel colore dell’atmosfera che si faceva via via più opaco.

 

- Ma chi sei veramente? – quasi singhiozzò. – Perché adesso mi sento così? -

- Mi dispiace. – si scusò Marzio. –Credo di essere io a scaricarti addosso queste brutte sensazioni. -

- Cerca di non farlo, maledizione. -

- Non posso, non so come fare. Scusami tanto. -

 

Harry sospirò, e cercò con tutte le sue forze di pensare a qualcosa di bello, di allegro, invocò persino qualcosa di stupido che lo aiutasse a tirare fuori un sorriso. Una qualsiasi, maledetta sensazione piacevole. Gli ci volle Moody, e quell’idiota di Malfoy trasformato in furetto, per sentirsi un po’ meglio. Appena ebbe riacquistato la forza per risollevare lo sguardo, colse lo sguardo perplesso di Marzio.

 

- Lascia stare. – mormorò. – Vai avanti. -

- Sì. -

 

Marzio sembrò pensarci su. Quando pensava, piegava leggermente gli angoli della bocca, proprio come faceva lui. Probabilmente Harry non si sarebbe mai abituato ad una stranezza del genere.

 

- Beh, vedi, Harry. - Marzio si passò una mano fra i capelli, come Harry si era visto fare molte volte. – Io sto cercando una persona. È per questo che sono qui. -

 

Appena Marzio disse “qui”, il paesaggio attorno a loro prese ad oscillare. Era come vedere tutto attorno attraverso la lente di un occhiale sfocata, che deforma ogni cosa.

Soltanto un istante, e tutto tornò nuovamente alla normalità.

 

- Pazzesco. – soffiò Harry. -

- Sì, lo so. -

 

Proprio in quel momento, un robusto nitrito si alzò nell’aria. Harry e Marzio si voltarono nello stesso momento, e videro un unicorno correre loro incontro rapidissimo. Era lucente, e bellissimo, e anche da quella distanza Harry percepì il suo sguardo intenso e dolcissimo che gli colpiva il cuore. Subito dietro di lui, correva un cavallo marrone chiaro, con la bella criniera scura che ondeggiava nel vento. Era molto più grande, e fiero, rispetto all’unicorno, ma nonostante ciò sembrava che i due animali corressero esattamente alla stessa velocità.

 

- Ma quei cavalli… – soffiò Harry.

 

Finì la frase da solo, nel suo letto.

Ci mise qualche istante a mettere a fuoco la fioca luce del mattino che bussava alla spessa tenda che copriva la finestra della camera, e quindi realizzare di essere tornato alla realtà.

Era già mattino.

 

Di nuovo.

 

ANGOLINO!

 

Sono appena tornata, ma domattina sparisco di nuovo per il capodanno, quindi volevo approfittare di questo spazietto per augurare a tutti quanti buone feste! Vi ringrazio moltissimo per le mail che mi avete mandato, risponderò il prima possibile. Che vi siate abbuffati come allegri porcellini da ingrasso o no (e comunque, avete sempre il cenone per rimediare), la cosa davvero importante è DIVERTIRSI!

Sarò in trasferta a Venezia per una settimana circa, arrivederci a presto!

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Capitolo 5
*** Dice ***


4B passano i giorni, nuovi dettagli

Più passavano i giorni, più Harry aveva l’impressione  di giocare una partita a dadi con sé stesso. Stava a pensare per ore, finché la testa non gli faceva male da scoppiare, e allora se ne sgattaiolava via verso Hogsmeade, per cercarsi un angolino ai Tre Manici dove bere qualcosa di caldo e pensare, pensare ancora.

 

La sua vita sembrava indissolubilmente legata al passato: quando non era stato più il suo passato personale, a costringerlo ad una lotta tutta scritta in una cicatrice, era venuto il Passato, quello con la p maiuscola, che abita i libri polverosi della biblioteca. Anche quel passato era fatto di persone, Marzio ne era una prova. Con il senno di poi, Harry avrebbe voluto seguire con più attenzione le lezioni di Storia della Magia, e magari saperne un po’ di più su chi si nascondeva dietro ai nomi snocciolati con caratteri monotoni dalle pagine giallognole dei volumi. Nomi che erano stati vivi, un tempo, nomi che avevano fatto voltare persone, nomi che avevano chiamato occhi e voci.

 

Harry si sentiva parte di tutto questo; e temeva di esserne risucchiato. Era pericoloso desiderare sempre più fortemente di addormentarsi, era pericolosa l’empatia con Marzio, e tutto ciò che stava accadendo non era che un potenziale buco nero in cui lui si stava gettando ad occhi chiusi. Per un momento gli venne da sorridere. Straordinariamente prevedibile.

 

*          *          *

 

- Se tu fossi un fantasma, chiunque potrebbe vederti. –

- Esattamente. –

- Ma non sei un’illusione. Voglio dire… -

 

Harry si morse la punta della lingue, e Marzio gli sorrise. Il suo modo di comunicare che capiva i suoi dubbi era originale. Gentile, ma anche un pochino ilare. Doveva trovare buffo il suo spaesamento, almeno quanto lui trovava incomprensibile la situazione in cui si era andato a cacciare.

 

- Tieni, stringimi la mano. – lo incoraggiò tendendo la sua verso di lui. – Puoi anche afferrare i miei vestiti, o quello che più ti pare. Non sono uno spettro, puoi toccarmi. –

 

Harry gli strinse la mano con decisione, e provò un’inspiegabile sensazione di sollievo nel constatare che Marzio era solido e caldo, esattamente come lui. Era vero. Non è che avesse mai davvero sospettato il contrario. O per meglio dire, non aveva mai confidato a sé stesso quel sospetto, in quei giorni. Paura di perdere tempo dietro ad un sogno? Forse un po’. Harry aveva fatto la pelle dura a lottare per essere creduto, negli anni passati; ma allora lui era sempre stato convinto di ciò che diceva, e il non essere ascoltato era stata più una sfida che un motivo di dubbio. Le cose però si erano messe diversamente, ora. E il fatto che la mano di Marzio fosse una mano, una mano vera, era la prova che serviva a lui più che agli altri che no, non stava immaginando tutto. Ancora una volta.

 

- Però non riesco ancora a capire chi tu sia. –

- E’ difficile. – Marzio arricciò le labbra. – Credo di essere una sorta di spirito. Nessuno mi può vedere al di fuori di te, è un po’ come se fossi a metà fra un fantasma e un sogno. –

- Ma se tu non puoi comunicare con nessuno all’infuori di me. – ragionò Harry. - Questo significa che hai dovuto aspettare fino ad oggi, per poter chiedere aiuto? –

 

Harry terminò la sua frase appena prima che una cosa terribile accadesse. Una marea antica quanto può esserlo il disegno delle nuvole lo travolse, e gli fece a brandelli il petto. Marzio strinse le labbra fra i denti, ed Harry assistette ad una scena incredibile,  lo vide affrettarsi a richiamarla indietro, dentro ai suoi occhi.

 

- E’ così. Ho aspettato molto tempo. –

- Ma non ha senso. – gemette Harry sentendosi soffocare. – La tua è stata una condanna! –

- Forse sì. Ma né tu né io abbiamo il diritto di dirlo. – il sorriso di Marzio si aprì all’improvviso, facendo un po’ di luce fra le fronde indolenti dei giunchi e delle canne rigogliose che oscillavano accompagnando la corrente del fiume che i due stavano costeggiando.

– Posso solo essere felice di averti trovato, finalmente. –

 

*          *          *

 

Harry non aveva creduto nemmeno per un secondo che Marzio fosse felice. Lo strazio sordo e senza scampo che lo travolgeva di tanto in tanto, se solo lui accennava ad un’espressione triste, lasciandolo lì senza fiato, in ginocchio, vinto dalla voglia di piangere ed urlare tutto il dolore dell’universo, non era possibile che nascesse da una persona felice.

Non poteva esserci gioia in quegli occhi che sarebbero stati identici ai suoi, se non fossero stati ammantati di una dignità antica, che non aveva niente di polveroso, di un contegno imperscrutabile, e di orgoglio, tanto orgoglio. Soltanto un tempo lontanissimo aveva potuto generare un uomo come lui, ed Harry si vergognava di vedere così poco di quella nobiltà in sé.

 

- Non so nemmeno perché soffre così. – si lamentò. – Io vorrei fare qualcosa, ma se lui non si decide a parlare… -

- Io mi sono fatta un’idea. – lo interruppe gravemente Hermione. – Non posso averne la certezza, ma ciò che tu dici di provare mi ricorda terribilmente i Dissennatori. –

Ron sgranò gli occhi vivaci. – Oh no. – mormorò. – Tu pensi che…? –

- Non ne sono certa. – ribadì Hermione, cercando di mantenersi sul neutrale. – Ma forse questo ragazzo ha subito il Bacio. E il fatto che sia legato a te spiega perché tu sia partecipe del suo dolore. –

 

Partecipe del suo dolore. Più che altro, ne era vittima.

 

*          *          *

 

- Ma perché non mi porti da chi stai cercando? -

Marzio si strinse nelle spalle. – Non posso. Non sono io a decidere che cosa farti vedere. – con gli occhi verdi abbracciò pigramente l’orizzonte piatto. – Vedi, questo è il territorio dell’Icenia. Quella laggiù è la loro capitale, si chiama Venta. –

 

Harry aguzzò la vista e mise a fuoco un muro di cinta non troppo alto, che correva in mezzo al nulla della prateria formando una figura ellittica. Al di là di esso non si scorgevano i tetti delle case, solo alcune aste, probabilmente parti di recinti o di torri, ma la vita di quel luogo si manifestava salendo verso il cielo attraverso decine di colonnine di fumo che si sprigionavano da camini o da falò.

 

- Dove ci troviamo? –

Marzio si grattò una tempia. – Dunque, se non faccio confusione dovremmo essere nel Norfolk. Con il tempo, i signori del tuo Paese hanno modificato molto la geografia. Oggi Venta non esiste più, se tu andassi dove ci troviamo adesso, ci troveresti l’aperta campagna, campi, e qualche villaggio. –

 

- L’aperta campagna. – mormorò Harry, cercando di darsi ragione di come qualcosa possa venire schiacciato dal tempo senza lasciare di sé che un nome. Duemila anni che non sono niente, eppure sembrava di essere in un altro universo.

 

- Spiegami una cosa, Marzio. Come fai a parlare l’inglese? Non hai detto di essere un Romano? -

Marzio sorrise tristemente. Harry pregò soltanto di riuscire a sopravvivere ad un’altra scarica della sua stramaledettissima disperazione.

 

– Vago su queste terre da due millenni, Harry. Ho imparato tutte le lingue che sono passate per quest’isola. –

- Quindi credi che sia capitata la stessa cosa anche a chi stai cercando? -

Il sorriso del soldato si tinse di una nota più tenera, e ancora più malinconica. - Spero di sì. A volte era piuttosto complicato capirsi. -

Harry annuì. Niente di fatto, chissà perché niente di fatto. C’era quasi da restarci male.

– Andiamo a Venta, allora? –

- No. Adesso è tempo che tu ti svegli. -

 

*          *          *

 

“Adesso è tempo che tu ti svegli”.

Marzio sfuggiva così alle domande più insidiose. Se solo ci pensava, a Harry veniva una gran voglia di strozzarlo. Quella mattina non differiva dalle altre, nemmeno un po’. Si alzò dal letto parecchio scocciato, sgattaiolò in bagno e si diede una lavata di faccia prima che gli altri si svegliassero. Tanto, di rimettersi a dormire per altri dieci minuti non se ne parlava nemmeno. Scese di sotto, nella Sala Comune, e tirò fuori un libro dalla sua borsa, uno dei pochi che Hermione aveva ritenuto degni di un’analisi più approfondita. Si era fatto dei segnalini con qualche pezzetto di pergamena su quelli che potevano essere i passaggi più interessanti. Icenia, eh? Tanto per cominciare sarebbe stata buona cosa capire che cosa ci facesse in un posto così lontano da casa. Del nome di Marzio non c’era traccia da nessuna parte, ma va bene, la storia non ricorda i nomi di tutti, no? Non ci sono abbastanza pagine per tutti, e se si badasse a sottigliezze del genere, allora tutti avrebbero una storia da raccontare. E allora non esisterebbe più un mare in cui annegare, l’immensa fossa comune della storia.

 

“Adesso è tempo che tu ti svegli”.

Quanta tristezza illuminava i suoi occhi, quando lo diceva. Harry credeva sinceramente che Marzio volesse parlare, ma fosse costretto a tacere, chissà per quale motivo. Però hey, con la chiaroveggenza lui non c’era mai andato granché d’accordo.

 

Lo aspettava una giornatina di tutto rispetto: la mattinata sarebbe stata uno straziante susseguirsi di Pozioni e Incantesimi, e nel pomeriggio, gli allenamenti. Non poteva assolutamente mollare la squadra da sola, giù al campo. Punto primo, Ginny lo avrebbe ucciso, e con ogni probabilità lo avrebbe fatto in modo assurdamente crudele. Punto secondo, lui aveva voglia di andare a giocare. Davvero. Il fatto era che le circostanze sembravano decise a mettersi contro di lui. Quando devi pensare a come uscire vivo da una guerra contro il mago più pericoloso del pianeta, non è che ti rimanga molto tempo per meditare sugli schemi d’attacco più efficaci contro Corvonero.

E al momento Harry era pressoché punto e a capo. Decisamente, c’erano questioni più grosse che popolavano la sua testa e che reclamavano la sua attenzione. Lo aveva confidato ad Hermione, augurandosi di trovare una mano amica che gli indicasse una qualche direzione. Hermione aveva fatto di meglio, lo aveva affondato del tutto.

 

“ Stai crescendo, Harry”. Si era limitata a fargli notare. Riflettendoci su, Harry era rimasto impressionato dalla quantità di cose sottintese alle sue parole.

 

Era una conseguenza logica che avesse deciso di non perdere l’allenamento per dimostrare che poteva ancora essere una ragazzo come tutti gli altri, ancora per un po’.

 

*          *          *

 

- Signor Malfoy. –

 

Draco Malfoy sollevò improvvisamente la testa all’indirizzo del professor Vitious, come se si fosse appena svegliato da chissà quale sogno ad occhi aperti.

 

- Le dispiacerebbe rispondermi, signor Malfoy. – trillò la voce decisamente irritata del professore.

- Ahm… Uhm… dunque. –

 

Non aveva la più pallida idea di quale fosse la domanda, eh? Si vedeva lontano un miglio. Benché Harry avesse sempre pensato che una situazione del genere lo avrebbe riempito di un’euforia incontenibile, fu costretto ad ammettere che un po’ gli dispiaceva per il Furetto. Per uno dei seguenti motivi, a scelta: o si stava lentamente ma inesorabilmente trasformando in un Grifondoro di quelli ortodossi, o il Furetto non sembrava più il Furetto di un tempo, perciò provare un po’ di pietà per questo nuovo Malfoy non era poi un peccato così grave.

 

- L’Incanto Florealis. – borbottò.

 

Se Malfoy l’avesse sentito, bene, altrimenti pazienza. Del resto, mica voleva aiutarlo. Il suo era più che altro un ripasso ad alta voce.

 

- L’Incanto Florealis. – sentì farfugliare a Malfoy. – Va eseguito… con un movimento molto lento del polso. Un errore comporta la trasformazione della pianta che si voleva far rifiorire in… magma. No, no, melma, melma. Nel migliore dei casi. –

 

Harry sorrise. Ora poteva dire di sentirsi un po’ come Hermione.

 

Vitious arricciò il naso facendo traballare i suoi occhialetti. – Va bene, signor Malfoy. – concesse. – Ma la prossima volta la prego di prestare più attenzione alla lezione. O almeno, si sforzi di fingere. –

 

Draco Malfoy annuì frettolosamente, tenendo gli occhi bassi sul suo banco. Appena l’attenzione di Vitious veleggiò verso altri lidi, si girò di scatto verso Harry, e gli scoccò una specie di occhiata allucinata. Harry non seppe bene come replicare. Guardarlo di traverso o fare qualcosa di antipatico, a quel punto, sarebbe suonato un tantino fuori luogo; ma non poteva nemmeno fargli un bel sorrisone complice, no? Si limitò ad una scrollatine di spalle, che nei suoi intenti voleva essere monito a lasciar perdere qualsiasi domanda. Era successo e basta.

 

Malfoy, grazie al cielo, si attenne scrupolosamente alle sue indicazioni immaginarie. Alla fine della lezione si alzò dal suo banco, aspettò che i due o tre della sua combriccola lo raggiungessero, e infilò la porta tenendo lo sguardo ostinatamente inchiodato su qualsiasi cosa non fosse Harry. Non sputacchiò nemmeno un po’ di veleno, però. Se era il suo personalissimo modo di dimostrarli la sua gratitudine, allora grazie tante, ad Harry andava più che bene.

 

- Andiamo giù al campo? – lo risvegliò Ron, con una voce che scoppiettava di entusiasmo.

- Ti seguo. -

 

*          *          *

 

Dio, ma da quanto tempo era che non si allenava? Harry aprì i rubinetti dell’acqua della doccia e aspettò che lo scroscio divenisse sufficientemente caldo per potersi dare una bella risciacquata. I muscoli della sua schiena tiravano come se fossero state corde tese, e anche il collo gli doleva tutto, per lo sforzo della posizione e per il freddo sempre più pungente dell’inverno che avanzava a passo di carica.

Ci aveva impiegato un po’ a prendere il Boccino. In linea di massima non poteva lamentarsi del suo lavoro, o di quello dei suoi compagni, ma c’era una discreta quantità di ruggine che andava assolutamente grattata via dalla squadra. Ron sembrava tornato indietro nel tempo, e ogni volta che la Pluffa arrivava dalle sue parti prendeva ad agitarsi come se si fosse improvvisamente dimenticato tutte le regole del Quidditch.

 

Si rivestì in fretta, per non prendersi un malanno. Ron si era inaspettatamente offerto di riportare Boccino e compagnia nel capanno dietro al campo da gioco, e Ginny doveva essere ancora sotto la doccia, e chissà per quante ore ancora ci sarebbe rimasta, perciò a Harry non restava che rifarsi la strada di ritorno al castello tutto da solo. Un po’ triste, ma non ne sarebbe morto.

Si incamminò scalpicciando i piedi lungo il sentierino lastricato solo a tratti. Dove la pietra non c’era, la terra mezza congelata crocchiava sotto le suole delle scarpe. A pensare a Marzio, gli venivano i brividi: come diavolo facevano, a quei tempi, a proteggersi dal freddo? D’accordo i mantelli, d’accordo le tuniche di lana, ma che diavolo, faceva freddo, e lui dubitava seriamente che quella gente fosse provvista di scarponi da montagna con la suola rinforzata. E di sicuro, non avevano i maglioni della signora Weasley, che potevano anche essere di gusto un po’ dubbio, ma quando si trattava di riparare dal gelo, erano il meglio sulla piazza. Chissà, magari all’epoca erano tutti maghi, e giravano avvolti da un incantesimo riscaldante, una specie di stufetta magica. Un po’ improbabile, eh?

 

E a proposito. A proposito.

 

- Non gliel’ho chiesto. – mormorò Harry fra sé, fulminato. – Che razza di idiota, non gliel’ho chiesto. –

 

Le sue imprecazioni a mezza voce scatenarono la reazione delle foglie secche cadute a terra. O meglio, di ciò che c’era sopra. Harry mise a fuoco il fagotto nero che giaceva abbandonato sotto ad uno dei grossi tronchi quasi spogli che sorgevano sparpagliati fra il castello di Hogwarts e i suoi immensi giardini. Se non si fosse mosso Harry non ci avrebbe  fatto caso, e con ogni probabilità lo avrebbe preso per un’ombra, o per un sacco lasciato lì da chissà chi. E invece.

 

- Ma… Malfoy?!?! –

 

Draco Malfoy, niente di meno che, sollevò a fatica il suo sguardo annacquato su di lui. Tremava come un disperato.

 

- Che diavolo vuoi. – farfugliò con voce impastata.

- Che diavolo ci fai qui fuori? –

- E a te cosa importa? –

 

Simpatico come sempre, non c’era che dire. Harry si odiò tantissimo per ciò che stava per dire.

 

- Hey, c’è qualcosa che non va? -

 

Stupida anima da Grifondoro.

 

- Certo che sì, Sfregiato. Ci sei tu. –

 

Ecco, appunto.

 

- Non avrai intenzioni suicide, vero Malfoy? –

 

Malfoy aggrottò le sopracciglia. Più che infastidito, sembrava perplesso.

 

- Ho sentito dire che sei stato malato. – buttò lì Harry, cercando di cacciare fuori un tono che lasciasse capire che lui credeva ben poco a quella notizia. – Vuoi darti il colpo di grazia? –

 

A sorpresa, Draco non reagì nel modo che Harry si sarebbe aspettato. Non sbraitò improperi, non sputacchiò niente di velenoso, non alzò nemmeno i pugni in segno di sfida.

 

- Senti, Potter. –quasi gemette il suo nome. Era strano da morire. – Lasciami dormire, ok? Lasciami solo dormire un po’. –

 

Harry si sentì in dovere di correggere il tiro. Più che altro, provava lo stesso senso di spiazzamento della mattina, quando lo aveva salvato dalla domanda di Vitious e lui non aveva praticamente reagito. Certo che fare gli avversari di Draco Malfoy era un lavoretto abbastanza semplice, ma cercare di andargli incontro era un’impresa degna di menzione.

 

Alzò le mani in segno di resa. – D’accordo. – mormorò con un tono un po’ più accondiscendente. – Guarda che non volevo disturbarti. È solo che se rimani qui congelerai. –

- Pazienza. – sentì bofonchiare al Serpeverde tutto raggomitolato su se stesso.

Arricciò il labbro inferiore, e si rassegnò ad incamminarsi verso la scuola. – Già. Pazienza. -

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Buon anno (che ritardo vergognoso)! Scusate per l’attesa, ma sono stata via per un po’, fra il Natale a Milano e il Capodanno a Venezia, e sono stata formalmente minacciata di morte, se mi fossi messa a scrivere anche solo la lista della spesa. A voi come sono andate le feste? Delirio di Capodanno?

 

Nota semi-demente al titolo del capitolo. Non è la voce del verbo dire, ma dadi, in inglese. XD

 

A proposito della fic, leggendo la recensione di Synoa volevo rassicurare tutti riguardo ad una cosa: questa storia è molto diversa da quasi tutti i miei lavori precedenti; è già scritta in buona parte, e ha uno sviluppo graduale. Non fatevi quindi nessun problema né scrupolo se al momento non vi convince, o vi lascia un po’ così. Sono perfettamente consapevole che darà il meglio di sé soltanto una volta conclusa, quando sarà possibile rileggerla nel suo insieme e sviscerare tutti quei meccanismi che la pubblicazione per capitoli tende a disperdere un po’. Mi premurerò di mettere qualche nota negli angolini, per aiutarvi a godervi meglio cose che possono sfuggire, così non impazzirete troppo!

 

Fra ro: ti ringrazio tanto, e scusa per il ritardo!

The fly: non sai quante domande affollano la mia! >///< per esempio: di che segno è Marzio? Qual è il suo colore preferito? È libero questa sera? Se me lo sposassi, che cognome prenderei? Ok basta, fine. Vado a fustigarmi.

Smemorella: grazie zia smemo!!! Ho bevuto poco, sono stata bravissima. Che invidia la Francia, anche se con sto freddo non so quanto mare ti sarai fatta. O non sarai una di quelle folli che si lanciano in acqua per capodanno? Lo sai che se l’hai fatto ti sei guadagnata la mia incondizionata adorazione, vero?

Puciu: Draco è arrivato, visto? Da adesso vedrai che la sua presenza sarà sempre più importante. Non preoccuparti, tutto verrà svelato! Nuuu, Topolino, sono secoli che non ne leggo uno!

Synoa: grazie mille, e auguri (in ritardo) anche a te! E non ti preoccupare per la storia, c’è tempo per farsi un’idea.

Tsubychan: sono sempre muta come un pesce, mi conosci! XD

T Jill: meglio se Kuro-tan non legge il tuo augurio, altrimenti si mette ad inseguirmi con uno scopettone in mano, e con intenzioni tutt’altro che affettuose! XD ma lo spumantone di capodanno non me l’ha levato proprio nessuno! Ma insomma, anche tu ti sei divertita, o corrompitrice di anime innocenti! Io adoro la montagna, non vedo l’ora di andare a consumare gli sci sulle piste il mese prossimo!

Rodelinda: ma grazie, grazie mille! Guarda, ti giuro sul mio onore che di Mary Sue ( o Gary Stu, trattandosi di nuovo personaggio maschile) non ne vedrai, qui. Non immagini quanto abbia in odio questo genere di stereotipo. Quasi quanto odio i violentatori della grammatica. Il tuo apprezzamento mi riempie davvero di gioia perché ce l’ho messa tutta per cercare di dare una buona caratterizzazione a tutti i personaggi.

Melisanna: grazie mille, e ricambio gli auguri! Hermione e Ron avranno una parte un po’ più corposa questa volta. Soprattutto nell’evitare che a Harry si fonda il cervello a furia di lambiccarsi.

Lady: hihihi, non ti preoccupare, il sono per la congettura libera! Adesso che Draco ha fatto la sua comparsa, vedremo che cosa c’entra in tutto questo casino.

Dark: ma no, duemilahot mi piace da morire! XD

Chiara: non scusarti per il ritardo, sono io che dovrei vergognarmi! XD Sono contentissima di suscitare la tua curiosità, e Marzio è più che contento di avere una fan. Sai com’è, i Romani si gasano, ma non credo che verrà mai a chiederti il numero di telefono. Secondo me con la tecnologia è al livello rasoterra di Ron.

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Capitolo 6
*** Memories ***


Cap 6: altri dettagli, si scopre il nome di Derevan, Harry vede marzio sulla riva di un fiume, che ne incide il nome su dei gi

Quella sera, Harry faticò parecchio a prendere sonno. C’era di che stupirsene, vista la giornataccia pazzesca appena trascorsa. I muscoli della sua schiena reclamavano un po’ di riposo, i muscoli delle braccia minacciavano di abbandonarlo al suo destino, ma le palpebre continuavano a scattare verso l’alto, in barba alle più elementari leggi della fisica – e al buonsenso.

 

- Dannazione. – spifferò contro il cuscino, come se schiacciarselo sulla faccia fino a soffocare potesse tornare di una qualche utilità.

- Che c’è? Non riesci a dormire? –

Lo squittio assonnato di Ron lo raggiunse senza svegliare nessuno. Neville ronfava leggermente, coprendo le loro due voci.

- Già. – soffiò. – Non capisco come mai. –

 

Un lumicino tenue fece la sua improvvisa comparsa sotto le coperte del letto di Ron. – Beh. – azzardò lui mettendosi a sedere con esasperata attenzione, per non far cigolare il materasso. – Magari è perché sei un po’ teso. –

- Teso? E per cosa? –

- Per il tizio di Roma. In fondo, addormentarsi significa doverlo incontrare, no? –

- Marzio? – Harry si strinse nelle spalle. – Ma io non ho paura di lui. -

- No, no, d’accordo. Ma magari la faccenda ti mette un po’ d’ansia. –

 

Harry poteva pure essere miope, ma Ron ci vedeva benissimo, e in quel momento sapeva di avere gli occhi di Harry puntati addosso.

 

- Io ti capirei, eh! – si affrettò ad aggiungere. – Figurati come mi sentirei io a trovarmi davanti uno come me, che viene da mille anni fa… -

- Un po’ di più. –

- Eh? –

Harry roteò gli occhi. – Se è un Romano, Ron, sono un po’ più di mille anni. Hermione ti ucciderebbe, se ti sentisse. –

- Ah. Oh. – Ron non parve per nulla rassicurato dalla prospettiva. – Beh, insomma, quello che voglio dirti è che non ti devi fare scrupoli a parlarne con me, sai? Nemmeno io mi sentirei troppo a mio agio, a parlare con uno pieno di lentiggini, vestito come una statua, e tutte quelle cose. –

Harry sorrise. – Grazie, Ron. –

Un fruscio leggero annunciò che Ron si stava maldestramente infilando nelle sue coperte. – Di nulla. – bofonchiò imbarazzato. – E se quello comincia a comportarsi in modo strano, tu dimmelo, che io vado a chiedere in prestito una mazza da uno dei nostri battitori, e poi gli faccio vedere io chi comanda, qui. –

- Sei un genio, Ron. – sghignazzò Harry. – Non so davvero come farei senza di me. –

 

Ron tacque. Probabilmente si stava gonfiando come un pesce palla. La lucina si spense e la stanza piombò di nuovo nel suo pacifico buio. Harry si rese conto di avere le palpebre un po’ più pesanti di prima, e lo doveva solo a Ron.

 

*          *          *

 

- Finalmente sei riuscito ad addormentarti. Avevo paura che non sarei riuscito ad incontrarti, questa notte. –

 

Harry si strinse nelle spalle a mò di scusa, e buttò lì un: - E’ stata una giornata dura. – che non era nemmeno una menzogna.

 

Marzio non si preoccupò molto delle scuse. Sembrava particolarmente teso, come se fosse in attesa di qualcosa di molto importante. Nemmeno il tempo di mettersi a suo agio nel sogno, che cominciò a camminare spedito, costringendo Harry a caracollargli dietro lungo la strada accidentata che discendeva nemmeno troppo gradualmente verso l’orizzonte, mosso dall’ondeggiare scintillante del mare.

 

- Dobbiamo sbrigarci, Harry. –

- Sbrigarci per che cosa? –

- Se siamo fortunati, riuscirò a farti vedere una cosa. –

 

Un rumore secco si levò all’improvviso, sembrava il battere insistente su qualcosa di secco. Era piuttosto flebile, si distingueva soltanto perché tutto ciò che li circondava era silenzioso, e persino il vento si limitava a sussurrare appena, fra le foglioline dei giunchi che crescevano vicino alla riva.

 

Marzio strinse i punti, e prese a correre all’improvviso. Il povero Harry rimase indietro di una decina di metri buoni, e nonostante gli sforzi non riusciva a risicare che pochi passi, su quella scheggia di romano che correva come se avesse avuto le ali ai piedi, indifferente allo svolazzare del suo mantello rosso.

 

Si fermarono entrambi, Harry con il fiato corto e Marzio con il cuore in gola, sul ciglio di un piccolo promontorio che si avvallava bruscamente verso il mare. Sotto di loro, la strisciolina di sabbia distava pochi passi, ma scendere già sarebbe stata un’impresa, scoscesa com’era la roccia.

 

- Laggiù. – indicò Marzio, tendendo tutto il braccio verso destra. C’era un piccolo cespuglio di giuncaglie e qualche altra pianta che si lasciava scuotere dall’arietta del mare, e accovacciato in mezzo ad esso stava una figura, tutta rannicchiata, intenta a lavorare qualcosa. –

- Ma… ma quello. –

 

Harry non poteva crederci. La figura non sembrava essersi accorta di loro, e questo non aiutava per niente. Proprio quando Harry pensava di aver trovato il bandolo della matassa, per orientarsi un po’ in quella pazzesca avventura, un altro pezzo di puzzle arrivava a scombinare ogni cosa.

 

- Quello sono io. –

- No, Harry. – mormorò Marzio. – Quello sono io. –

 

Harry risollevò a fatica lo sguardo su Marzio. – Ma che cosa signif… -

- Vieni. –

 

Senza nemmeno lasciarlo finito, e con gli occhi che brillavano di un verde intensissimo e pieno di decisione, Marzio lo afferrò per un polso e lo trascinò verso la spiaggia, balzando giù dalla roccia come un gatto.

 

Se Harry non si ruppe qualche osso, fu solo per puro miracolo, perché non ebbe il tempo di recuperare un po’ di stabilità sulle gambe, che fu di nuovo sballottato a passo di corsa. C’erano due ragazzi perfettamente identici, che si stavano scapicollando verso di lui; come diavolo faceva quella figura a non accorgersene?

 

Il secondo Marzio sembrava cieco, sordo e muto. Non si mosse in un millimetro nemmeno quando gli altri due gli furono dietro le spalle.

 

- Non può sentirci, né vederci. – spiegò Marzio, prevenendo le domande di Harry. – Questo sono io, esattamente com’ero mille e più anni fa. E’ il mio ricordo, finalmente. –

 

Harry sbattè le palpebre, sforzandosi di elaborare le parole di Marzio il più in fretta possibile. – Quindi. – concluse. – Questo sei tu che fai qualcosa che stavi facendo allora? –

- Esatto. È la mia memoria che si materializza davanti ai tuoi occhi. È per questo che non ci sente, né ci vede. –

- Ma che cosa stai facendo? –

 

Marzio indicò debolmente il tronchetto di legno che il suo ricordo si rigirava fra le mani.

 

- Guarda tu stesso. -

 

Harry obbedì. Un po’ riluttante, si sporse oltre le spalle del Marzio seduto a terra, e gli vide un coltellino tozzo e piuttosto rudimentale in mano, con cui aveva grattato la corteccia del legno e inciso alcune lettere spigolose. –

 

- Non riesco a leggere. – disse, contrariato. – De… Dep… -

 

Marzio soffiò via i trucioli e la polvere di legno dalla sua opera, e passò un dito sulla scritta. –

 

- Derevan. C’è scritto Derevan, mi pare. -

 

Harry si voltò bruscamente, appoggiandosi con le mani alle spalle del Marzio che non poteva vederlo.

 

- Hey, senti. – sbuffò. - Sono stufo di leggere parole su pezzi di le… -

 

Harry si voltò, ma Marzio non c’era più. Con il cuore in gola abbassò lo sguardo, e se lo trovò davanti in ginocchio, con le dita tutte intrecciate sul ventre. Distingueva soltanto la massa dei suoi capelli neri, da quella posizione, ma ci volle un attimo per intuire, e venire travolti e scaraventati a terra.

 

- No! – sentì di dover gridare. – Che… Che cosa succede!?! –

 

Marzio produsse solo un flebile: - Scusami. – ma non si riprese indietro il suo dolore. Non cambiò niente, l’aria nei polmoni continuava a bruciare.

 

I tre giovani perfettamente identici si ritrovarono ad essere tutti e tre a terra, a un passo di distanza l’uno dall’altro: uno impegnato a ritoccare il suo pezzo di legno, tutto orgoglioso; l’altro spezzato da un dolore zitto e velenoso, e l’ultimo schiacciato dalla confusione e dalle emozioni incontrollabili che gli si riversavano addosso da chissà dove.

 

All’improvviso, la terra prese a scuotersi con tale violenza, che sembrava dovesse collassate su sé stessa. L’unico dei tre che non si accorse di nulla fu il secondo Marzio, quello che rifletteva i suoi ricordi.

 

- Stiamo per andarcene. – si riscosse Marzio.

- Vuoi dire che mi sto svegliando? -

- No. Voglio dire che il ricordo sta svanendo, e che ora torneremo al punto di partenza. -

 

*          *          *

 

Per “punto di partenza”, Marzio intendeva il boschetto nel quale si erano incontrati per la prima volta. Le foglie erano sempre dello stesso arancione brillante, e nonostante il terreno ne fosse coperto per uno spessore notevole, le chiome non erano affatto spoglie, come se quell’isola di alberi fosse la commistione di due fotografie scattate in due momenti diversi.

Si sentiva molto meglio, tanto che non riusciva a credere di essere stato nel baratro della disperazione solo fino a pochi secondi prima. Tutte le sensazioni orrende erano svanite in una bolla di sapone.

 

- Marzio, ma che cos’è successo? – domandò, stordito.

 

Marzio gli stava dando le spalle, ed era intento a rassettarsi il mantello.

 

- Beh, vedi. – cominciò con leggerezza. – Esiste una regola a cui io sono costretto a sottostare. Non mi è permesso di rivelarti alcune cose, a meno che tu non le veda con i tuoi occhi. È per questo che appena mi sono reso conto di dove ci trovavamo, ti ho trascinato sulla spiaggia. -

- Ma scusa, tu come fai a sapere che c’è la possibilità di vedere una cosa del genere? -

Marzio fece spallucce. – Beh, non ne ho la certezza. Ma vedi, questo luogo in cui ci troviamo ora, è come uno spazio fuori dal mondo. Quando invece mi accorgo di trovarmi in un posto che conosco, significa che ci sono speranze di riuscire a farti vedere. -

Harry rifletté un momento su una domanda che gli nacque praticamente spontanea.

 

- Ma quindi. – chiese con una certa vergogna. – Senza di me, tu non puoi vedere i tuoi ricordi? -

 

Marzio formò un sorrisino sommesso. – No. Sospirò. – Senza di te, io posso solo ricordare, come tutti.

- Capisco. Senti, c’è una cosa che vorrei sapere di te. Ecco, ci penso da qualche giorno, ormai. – fece Harry, omettendo di specificare l’imbarazzante circostanza in cui si era ritrovato a rimuginare sulla questione. – Mi sono chiesto se tu sia un mago. Insomma, con tutte queste faccende dell’anima, del riuscire a parlarmi, significa che tu…? -

- Che sono un mago anch’io, sì. – rispose mitemente Marzio.

- Quindi tu facevi il mago, ai tuoi tempi? Ma di che cosa ti occupavi, scusa? -

 

Di incantare indumenti riscaldanti per i suoi compaesani, Harry lo dubitava fortemente. Dio, ma da dove gli era venuta fuori una domanda del genere?

 

Marzio strofinò un piede sul terreno, calpestando qualche foglia secche. – Non è una cosa semplice da spiegare. Io sono un militare al servizio della Repubblica di Roma. – cominciò con tono solenne. – Sono a capo della VIIII Legione, e comando personalmente il reparto di cavalleria magica del… -

- Hey frena, aspetta un momento. – lo interruppe Harry, allucinato. – Voi avevate dei reparti militari composti da maghi? A quei tempi? –

Marzio lo guardò un po’ in tralice. – Ovviamente sì. – rispose cercando di mantenersi naturale. – Come ti aspetti che potessimo combattere una popolazione celtica? -

- Non lo so, ma credevo… -

- E come credi che abbiamo preso la Grecia, o l’Egitto? – ridacchiò Marzio. – Da quelle parti ci sono fior di maghi che nemmeno immagini. I miei successori hanno fatto una fatica dannata per riuscire a tenerli a freno. –

 

Un mondo nuovo si spalancava agli occhi di Harry. Certo che, se cose del genere si fossero sapute, un sacco di bambini avrebbero studiato la storia con molto più entusiasmo.

 

- Ehm, ti ho interrotto. – si scusò. – Mi stavi dicendo del tuo ruolo. -

 

- Sì, certo. Dunque, per ordine del grande Gaio Giulio Cesare, che è dovuto rientrare a Roma per… Ehm… -

 

Marzio si zittì bruscamente. Sembrava piuttosto imbarazzato. Harry non potè fare altro che aggrottare la fronte, e aspettare che riprendesse il discorso. Certo che quel tipo era davvero molto strano.

 

- Per importanti motivi politici. – ne uscì il Romano, riprendendo colore, come se fosse appena sfuggito ad una tremenda insidia. – Io sono stato insignito del titolo di Legato di questa regione, e mi trovo di stanzia qui fino a nuovo ordine. -

- Oh, Legato. – fece Harry, impressionato. – Ti offendi se ti dico che non ho la minima idea di che cosa significhi? -

 

Marzio fece spallucce, poverino. – No, figurati. – sbottò. – il Legato è una sorta di comandante generale, il responsabile di un’intera legione. È un incarico di prestigio, sai. –

- Però. – Commentò Harry, stavolta impressionato davvero. – Allora eri un bel pezzo grosso, eh? –

- Beh. – gongolò Marzio. – Diciamo che me la cavavo bene. –

 

Che tipo. Harry non potè nascondere di provare un certo orgoglio, all’idea che qualcuno di così spaventosamente identico a lui fosse stato un’importante condottiero. Chissà se lo avrebbero smistato a Grifondoro, per il suo valore.

 

- Senti, posso fartela io una domanda, adesso? –

Harry scrollò le spalle, risvegliandosi all’istante dalle sue considerazioni. – Certo, fai pure. –

- Ecco, riguarda quelli. – disse Marzio additando i suoi occhiali. – Ho notato che da qualche tempo la gente li porta. Servono per vedere meglio, o mi sbaglio? –

 

Harry aggrottò le sopracciglia, piuttosto colpito dal brusco cambio di argomento. Che diamine, un secondo sei lì a discutere di cariche militari, e il secondo dopo di occhiali. – No, è giusto. – confermò.

- Uhm. –

Harry cominciava a capire dove volesse andare a parare. Ma con una puntina di crudeltà, si disse che non aveva nessuna intenzione andargli incontro.

- Ehm, senti… E’ che mi incuriosiscono. Insomma, sai, vedo un sacco di cose, ma non posso toccare niente. Non è che… -

- Che? –

- … Che. Me li faresti provare? –

 

Harry sbuffò una risatina. – Guarda che non vanno bene per tutti. – spiegò. – Se tu ci vedi già bene, con questi vedrai tutto deformato. –

- Beh, ma a me piacerebbe provarli. – si intestardì Marzio. – Non puoi proprio prestarmeli? –

- Come vuoi. – Concesse Harry. – Ma stai attento a non romperli, sono di vetro. -

 

Marzio agguantò gli occhiali di Harry con un sorriso idiota piantato sulla faccia, e il povero Grifondoro si ritrovò immerso in un mondo tutto sfocato. Si infilò gli occhiali reggendoli saldamente per le due asticelle, e appena li ebbe appoggiati sul naso diede un balzo all’indietro.

- Per le frecce di Diana! – esclamò, scuotendo la testa a tutta forza.

- Ti avevo avvisato. – sospirò Harry, sghignazzando impunemente sotto i baffi.

 

Era bella, l’atmosfera ilare che era venuta a crearsi. Le lacrime e il vuoto di qualche minuto prima sembravano degli incubi lontani, esorcizzati dal sole abbacinante e caldo che dava fuoco a tutta la prateria sconfinata che circondava la loro oasi alberata. Harry sperava con tutto il cuore di non spezzarla, ma tacere, per uno come lui, sarebbe stata solo un’ipocrisia.

 

- C’è un’ultima cosa che ti vorrei chiedere. Un’altra. – borbottò. Anche se dubito chi mi risponderai. –

- Tu provaci. –

Harry arricciò il naso. – Beh, è facile. Vorrei sapere chi è Derevan. –

 

Marzio si adombrò, ma meno di quanto Harry si sarebbe aspettato.

 

- Di questo non posso dirti molto. – mormorò. – Te l’ho detto, è la regola. Derevan è… beh… -

 

Le sue ultime parole furono sovrastate da un potente nitrito metallico. Marzio alzò gli occhi, mentre Harry si precipitò verso il brusco confine della macchia di alberi, dimentico della sua domanda. Dall’immensità della pianura, comparvero l’unicorno e lo stallone color nocciola che aveva visto già altre volte.

Galoppavano veloci come il vento, inseguendosi verso l’orizzonte, come se non si fossero dovuti fermare mai.

 

- Quei due animali, sono gli stessi di… -

- Ecco. – sussurrò Marzio. – Quello è Derevan. –

 

*          *          *

 

- Dobbiamo chiedere il parere di Silente. - 

 

Hermione sapeva tirare fuori la grinta, quando ce n’era bisogno. Di contro, però, il suo tono di voce tendeva a diventare terrificantemente stentoreo.

 

- Ma Hermione. – pigolò Harry. – Forse ti stai allarmando per nulla. -

- Non mi sto affatto allarmando. – lo fulminò lei. – Sto solo considerando la possibilità che ci siano dei rischi. E ad ogni modo, se c’è qualcuno che può darci una mano a vederci un po’ più chiaro, è solo Silente. -

 

- Non ha tutti i torti. – fece Ron, restando sul chi va là. – Se nemmeno Hermione è riuscita a trovare qualche libro utile, allora significa che quel libro non esiste. Non ci resta che provare a chiedere aiuto a Silente. È sempre meglio che affidarsi alla Cooman, no? -

- Puoi dirlo. – si arrese Harry, e anche Hermione annuì solennemente.

- Il massimo che ne caverebbe fuori è che si tratta di un presagio di sventura. -

- Dimentichi il fatto che morirò a breve. -

- Ma certo, e fra atroci sofferenze. -

 

I ragazzi sghignazzarono, guadagnandosi le occhiate perplesse dei loro compagni che occupavano la Sala Comune. Loro erano seduti sulla solita poltrona vicino al camino, immersi nel loro mondo. Ormai nessuno ci faceva più caso, eppure era rassicurante che alcune cose non cambiassero mai.

 

*          *          *

 

Harry era stato ricevuto assieme ai due amici. In verità Piton, che guarda caso faceva da mediatore per i ricevimenti straordinari degli studenti, aveva fatto il diavolo a quattro per far entrare solo Potter, ma Hermione aveva insistito così tanto che, alla fine, persino lui aveva dovuto capitolare.

 

- Non ti ha mentito, Harry. – disse quietamente Silente.

 

Ci era voluto un po’ per riassumere la situazione. Harry tendeva a fare una confusione della malora, e fu una vera fortuna che ci fossero stati lì Hermione a raddrizzare il tiro, o Ron, a tirare fuori certi dettagli che lui nemmeno si ricordava di aver raccontato. Il preside era stato ad ascoltarli, dapprima annuendo ad ogni frase; poi, con il proseguire del racconto, i suoi cenni si erano fatti sempre più radi, fino a scomparire del tutto.

 

– La sua situazione è molto particolare. –

- Potrebbe spiegarsi meglio, Preside? – lo pregò Hermione.

L’anziano uomo si richiuse leggermente nelle spalle ossute. Non c’era niente che potesse scalfire la sua maestosità, soprattutto quando si configurava come la sola possibile fonte di risposte; e di  risposte, ne aveva sempre una.

 

- Vedete, quando un’anima muore, se ne va per sempre, e non c’è nulla che si possa fare per riportarla indietro. – esordì con la sua consueta voce grave. – L’alternativa è che non sia pronta al trapasso, e in questo caso rimane qui, sottoforma di fantasma. E questo direi che lo sapete già. Lo sanno più o meno tutti, invero. Ciò che invece pochi sanno è che esiste un’ulteriore possibilità. –

- E’ quella in cui si trova Marzio, vero? –

Silente accennò con il capo. – E’ una cosa molto rara. Accade quando la persona che muore non riesce ad andarsene completamente. Resta prigioniera di questo mondo, non per paura, ma perché c’è qualcosa di molto importante la lega ad esso. Qualcosa che reputa più importante della sua stessa esistenza. –

Harry si grattò il mento con la punta dell’indice. - Dev’essere per forza la persona di cui mi ha parlato, Derevan. –

Silente non annuì né negò. – Le anime fanno un patto terribile, per poter restare in quella condizione di mezzo, Harry. –

- Sarebbe a dire? –

- Beh, vedi, esse accettano di sottostare alle leggi del caso. Rimangono in attesa per secoli, condannate a non poter essere viste né sentite, se non da una sorta di anima gemella che chissà quando e dove verrà al mondo. –

- E’ proprio quello che è successo ad Harry, no? – si animò Ron.

- E’ esatto. Ma vedete, ragazzi, le cose sono più complesse di quanto ci possa sembrare. Non ci sono certezze, quando si rimane nella condizione di mezzo. Derevan, ad esempio, potrebbe essere trapassato serenamente, e non trovarsi più qui. Ed anche ammettendo che non sia così, se egli non ha trovato la sua anima gemella, o se essa è troppo lontana per poterla incontrare, allora sarà tutto inutile. –

 

- Ma signore. – rifletté Harry. – Se per un’anima esiste questa scelta, allora significa che gli deve per forza essere concessa la possibilità di ritrovare ciò che cerca. Altrimenti tutto questo non avrebbe senso. –

 

Hermione annuì alle parole dell’amico, e si voltò di scatto verso il preside, gli occhi animati da quella luce attenta di chi cerca una conferma all’ovvio.

Silente se ne rimase immobile, avvolto nei suoi vestiti eccentrici. Per un attimo, parve una statua oracolare.

– Harry. – sospirò. I suoi occhialetti a mezzaluna specchiavano la luce pacata dei suoi occhi, pieni di un languore strano. – Purtroppo le cose non sono sempre così semplici. A queste anime non è dovuto nulla; rimanere qui è una loro scelta, e loro si fanno carico di tutti i rischi. –

- Ma allora perché Marzio avrebbe scelto una strada così assurda? –

- Ti mentirei, se ti dicessi che so cosa ci aspetta, dopo che abbiamo lasciato questa vita. – disse allora il preside, con un sorriso che da solo esprimeva un conforto e una saggezza indicibili. – Ma so per certo che ciò che c’è di là è pace. Se l’anima di un uomo la rifiuta, e decide di rimanere nel nostro mondo a soffrire una solitudine che dura per secoli, significa che essa è piena di una forza molto, molto più forte di qualunque altra cosa. Più forte della pace, della solitudine, della morte stessa. Marzio non potrà mai ritrovare la sua pace, perché questa pace non è racchiusa nella morte, ma in qualcosa che si trova ancora qui, e che lui ti sta chiedendo di aiutarlo a cercare. –

 

Harry annuì, con la testa china. Solo le ultime parole costituivano materiale da far scoppiare la testa per giorni, eppure lui sentiva, benché non fosse stato detto né fatto nulla di particolare, che era ora di andare.

 

- Signore, io… - aggiunse alla fine, a voce un po’ bassa, perché un po’ si vergognava. – Forse sono stato un po’ duro con lui, all’inizio. Ma ho sempre avuto intenzione di aiutarlo. Sempre. –

 

Silente non manifestò alcuna reazione. Sorrise in modo talmente lieve che la barba non si mosse, lasciando tutto nascosto.

– Sono certo che tutto si risolverà per il meglio. –

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ok, è un periodaccio. Nel senso che mi trovo in piena fase baka.

Scrivo cose baka.

Penso cose baka.

Dico, faccio, ascolto, leggo, mangio e bevo cose baka.

E chi è di Fire & Blade sa anche che cosa tutto ciò sta producendo.

E ho questa fic da pubblicare! Questa fic che tenta di darsi un tono, piena di cose carine e commoventi!

Manderò tutto in vacca, lo sento. Marzio e Harry si ubriacheranno di Scivolizia con a Tonio Cartonio, e assieme a tutta la loro combriccola istituiranno un mega trenino e balleranno con Deidara al ritmo della Caramelldansen (chi non sapesse cosa sia, voli all’istante su youtube e lo scopra. E assurga così ad un rango semidivino altrimenti impossibile da raggiungere).

Per la cronaca, il siparietto idiota degli occhiali di Harry è tutta colpa della vocina baka che imperversa in questo periodo nel mio cervello monolocale. Come. Volevasi. Dimostrare.

Divinità emo, ascoltate la mia supplica! Scendete su di me e deprimetemi all’inverosimile!

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Capitolo 7
*** Feelings ***


Cap 6: Derevan è Malfoy, Harry scopre ulteriori dettagli, e comincia a sospettare che l’insonnia di Draco dipenda da quello

- Mi sono sbagliata. – ammise Hermione, non senza una certa riluttanza. – Se avesse ricevuto il Bacio, non potrebbe ricordarsi di questo Derevan. –

- Il suo ricordo lo fa soffrire. – obiettò Harry.

- Solo perché probabilmente prova nostalgia. –

 

Harry e Ron annuirono, non avendo nulla con cui ribattere.

 

Ognuno aveva reagito a modo suo, all’evolversi della situazione: Hermione sembrava quella meno turbata. Subito dopo essere stati ricevuti da Silente, era tornata in biblioteca a fare delle ricerche su questo Derevan, ma come per Marzio, non era riuscita a trovare niente. L’aveva presa in modo professionale, però, e più che curarsi di Marzio, era chiaro che ciò che davvero le stava a cuore era Harry: non era poi così strano, visto che per lei Marzio restava nulla più che un sogno; anzi, meno di questo, un semplice racconto che usciva dalla bocca di Harry. Nulla per cui barattare il benessere di uno dei suoi amici più cari.

 

Ron, invece, la viveva un po’ più da vicino, visto che con Harry condivideva la stanza, ed anche il segreto dei suoi sogni, data la sua decisione di tenere tutto nascosto a Seamus e agli altri. Per lui, Marzio era un pochino più tangibile, e forse anche per questo si sentiva un po’ più coinvolto. Harry era certo che, senza nemmeno conoscerlo di persona, lo avesse preso in simpatia.

 

Harry, dal canto suo, non si era ancora fatto un’idea precisa di ciò che provava. Era difficile da spiegare, ma quando aveva letto e pronunciato il nome di Derevan per la prima volta, gli era sembrato qualcosa di naturale. Proprio come se lo avesse conosciuto anche lui da duemila anni.

 

- Ma perché non ti ha parlato prima di questo Derevan? –

- C’è qualcosa che gli impedisce di farlo, vero? – indovinò Hermione.

 

Harry annuì. I silenzi di Marzio lo avevano fatto infuriare spesso, in passato, e ripensandoci adesso si sentiva stupido. Come al solito, la sua impazienza lo aveva condotto sull’orlo di una brutta cantonata.

 

- E’ la regola. Me l’ha spiegato lui. –

- La regola? –

- Esiste una regola secondo la quale non può rivelarmi nulla che io non veda con i miei occhi, attraverso i suoi ricordi. –

- Wow. – fischiò Ron. – Così, per capirci qualcosa, ti trovi con altri due Harry attorno. Amico, io ci perderei la testa. –

 

Harry ridacchiò, e gli diede ragione. Era abbastanza paradossale, come situazione, ma raccontarla era molto più complicato che viverla con i propri occhi. Il Marzio con cui parlava era vivo, era tangibile, mentre quello che aveva visto incarnare i suoi ricordi era più distante, proprio come se Harry avesse rivisto sé stessi in un filmino girato tempo prima. Molto, molto tempo prima.

 

I tre Grifondoro finirono di pranzare, ed Hermione pensò bene di guastare l’ultimo boccone di dolce tirando fuori dalla sua borsa l’orario della giornata.

- Voi due avete lezione di Erbologia. – ponderò. – Io, invece, vado a seguire Rune Antiche. –

- Rune Antiche! – gemette Ron, strabuzzando gli occhi. – Ma si può sapere come fai a seguire una cosa così mortale? –

- E’ interessante. – ribatté Hermione, piccata.

- Sì, come no. Di sicuro, su di me avrebbe degli “interessanti” effetti soporiferi. –

- Farebbero invidia alle pozioni di Piton. – ghignò Harry.

 

*          *          *

 

La lezione di Erbologia con Tassorosso non stava andando malaccio. Harry doveva ammettere di nutrire una segreta passione per le performance di Neville, che aveva la singolare caratteristica di riuscire alla grande nelle estrazioni di pollini e linfe, se solo riusciva a non farsi mangiare dalla pianta.

 

Durante il giorno, cercava di distrarsi quanto più possibile da Marzio; sentiva di averne bisogno, per conservare un po’ di equilibrio. Ne aveva avuto abbastanza dei periodi bui, in cui si era lanciato a testa bassa in qualunque avventura lo avesse coinvolto, con il risultato di farsi prendere puntualmente per pazzo. Stavolta, aveva i suoi amici vicini, e Silente, e ciò era più che sufficiente. In più, doveva ottenere dei buoni voti, se voleva sperare d i essere accettato all’accademia per diventare Auror. E lui voleva, voleva eccome.

 

- Ahi, dannazione! – gridò Ron, ritirando di scatto il dito.

- Che è successo? –

- Quella maledetta pianta mi ho morso! –

 

- Faccia vedere qui. – impose la professoressa Sprite, allungando la mano paffuta per esaminare la mano del ragazzo.

Il dito indice sanguinava, anche se non troppo copiosamente. Ron, per un momento, la guardò pieno di speranza, ma il suo fu un passo fatale.

 

- Su, non mi dirà che vuole arrendersi per così poco, signor Weasley. – esclamò giovialmente la professoressa. – Ecco qui, una foglia di dittamo, e potrà tranquillamente andare a farsi medicare al termine della lezione. –

- Ma… Ma professoressa. – mugugnò Ron. – Mi fa davvero molto male, mi creda. –

- Ma certo che le credo, caro. – lo rassicurò lei. – Ma una T sul registro, per non essere riuscito a ricavare nemmeno un semino piccolo così dalla sua pianta mi pare molto più doloroso, non crede? -

 

- Strega. – sibilò Ron. – Altro che Tassorosso, quella farebbe le scarpe a Piton. –

- Ma dai, dillo, che ti stavi solo annoiando a morte. –

 

La lezione si concluse, fortunatamente, e a quel punto Ron non ebbe più scampo: si era lagnato talmente tanto con la professoressa Sprite, che fu obbligato ad andare in infermeria a farsi medicare, altrimenti tutto il palchetto sarebbe miseramente crollato. Harry si offrì di accompagnarlo, per evitare che fosse la prof in persona a farlo, e Ron non fece altro che masticare calorosi “ti devo la vita” per tutto il lungo, lunghissimo tragitto.

 

- Possiamo entrare, Madama Chips? –

 

Si sentirono i rintocchi dei tacchi tozzi dell’infermiera risuonare dietro il portone di legno, che un attimo dopo si aprì con un cigolio sostenuto.

 

- Vi serve qualcosa, cari? –

- Abbiamo un ferito. – sorrise Harry, guadagnandosi una gomitata dell’amico, e il ritiro immediato di tutte le promesse di gratitudine eterna.

 

Madama Chips analizzò con un’occhiatina fulminea il dito arrossato di Ron.

- Denterba, eh? – concluse.

- Maledetta sterpaglia. – brontolò Ron.

- Su, signor Weasley, non è il caso di prendersela, non è niente di grave. –

 

I tre percorsero il piccolo corridoio che introduceva all’infermeria, scivolando con le scarpe sul pavimento lustro. I letti occupati erano pochissimi, molto maggiore era il numero degli studenti che avevano rimediato qualche accidente curabile in un attimo, e che quindi se ne stavano appollaiati su panche e sedie, in attesa che la pozione di turno facesse effetto.

 

Su uno degli sparuti letti occupati, svettava una testa familiare. Harry se ne accorse prima di Ron, e si fermò bruscamente davanti alla figura seduta sul materasso, tutta rannicchiata su sé stessa.

 

- Hermione? – chiamò, accennando ad inchinarsi per controllare che fosse davvero lei.

 

Hermione sollevò piano la faccia, come se farlo le costasse una fatica tremenda.

 

Harry arricciò le labbra.

 

- Ma cosa ti è successo? – balbettò, gli occhi sgranati sul volto dell’amica, pieno di orribili segni. Sembrava che qualcosa le avesse bruciato tutte le guance, ora giallastre per l’impacco curante che Madama Chips le aveva applicato. Anche Ron li raggiunse, dimenticandosi completamente del suo dito morsicato; quando la vide, cacciò un gemito di dolore.

 

Hermione singhiozzò, e scosse la testa per non dover parlare.

 

- Hey, Hermione. – la incoraggiò Harry, osando posare con estrema delicatezza le mani sulle sue spalle. – Che cos’è stato? Un incidente? –

Di nuovo un forte segno di diniego.

- Eri a Rune Antiche, no? – fece Ron, concitato. – Non puoi esserti fatta quella roba lì, è impossibile! –

- Hermione, dicci chi o cosa è stato. –

 

La poverina tentò una terza volta di negare, ma le scappò un singulto sonoro.

 

- Ma… Malfoy. – disse con un filino di voce.

- Malfoy? – esclamò Harry. – Malfoy ti ha fatto questo? –

 

Stavolta, Hermione annuì, scuotendo i capelli riccioluti.

 

- Come osa, vigliacco di un furetto, io lo… -

 

- Io non lo so perché. – gemette Hermione di sua spontanea volontà, più per frenare la rabbia di Ron che per convinzione.  

 

- Ma ti ha aggredita? Ti ha detto qualcosa? Le andò incontro Harry.

- No. È stato per i fatti suoi per tutta la lezione, ma all’improvviso si è alzato, e mi ha puntato contro la bacchetta. Non fatto in tempo a difendermi. –

 

Harry la abbracciò per cercare di confortarla. La sentiva piangere discretamente, come se se ne vergognasse.

- Mi gridava addosso come un forsennato. – continuò Hermione. – Mi ha messo una paura tremenda. –

 

Harry non aveva idea di cosa dire. Conosceva Malfoy da anni e sapeva che era il tipo da tiri meschini, certo: ma aggredire Hermione nel bel mezzo di una lezione…

E, oltretutto, soltanto il giorno prima lo aveva trovato mezzo tramortito dal freddo sotto ad un albero.

 

- Hai notato niente di strano? Non lo so, ha detto qualcosa, fatto qualcosa? -

Lei scosse la testa. – Balbettava. – spiegò. – Continuava a ripetere “tu, tu, tu”, ma non capivo che cosa volesse da me. –

 

- Signor Weasley! – tuonò all’improvviso una voce, facendo sobbalzare i tre. Nemmeno il tempo di voltarsi, che Madama Chips aveva afferrato Ron per un braccio, e lo aveva messo in piedi a viva forza.

- Non stava morendo, qualche minuto fa? – domandò con aria minacciosa. – Se vuole essere medicato non può scomparire così. –

Ron si produsse in qualche scusa mortificata, e fu costretto ad abbandonare Harry ed Hermione per seguire l’agguerrita infermiera.

 

Harry si trattenne con Hermione finché gli fu concesso. Ormai si era fatto pomeriggio inoltrato, e l’avrebbero dimessa con ogni probabilità il giorno dopo, appena l’unguento avesse fatto effetto e le scottature fossero completamente  scomparse.

 

Quanto a Malfoy, Harry giurò che appena gli fosse capitato fra le mani, gli avrebbe cambiato i connotati a suon di pugni.

 

*          *          *

 

- Sei arrivato tardi anche questa notte. –

- Scusa. – borbottò Harry, svogliato. – E’ successa una cosa ad una cara amica, sono rimasto alzato fino a tardi. –

- Oh. Mi spiace. –

Harry scrollò le spalle. Non gli andava proprio di parlare di Hermione, specialmente con qualcuno che nemmeno sapeva chi fosse. – Ebbene? – borbottò per riportare la questione su un piano che potesse sviare l’attenzione di Marzio.

 

Marzio si buttò a sedere sul suo mantello rosso, stirando in avanti le gambe con fare apatico. – Che cosa c’è, ti annoi a stare qui? –

- Non fare l’offeso, non è che mi annoio. – sbuffò Harry. – E’ solo che mi sembra di stare sempre qui fermo, ad aspettare. –

- Tu ed io abbiamo un concetto molto diverso dell’attesa. – constatò mitemente Marzio. – Quelli che per te sono giorni, per me sono secoli. –

- Io non li ho i secoli. – disse precipitosamente Harry, finendo con il risultare brusco. – Mi dispiace. –

 

Il Romano si oscurò, e Harry si sentì tremendamente in colpa. Sapeva di aver detto esattamente ciò che pensava, ma che diamine, avrebbe potuto mordersi la lingua, prima di sputarlo in quel modo.

Cominciò a spirare un venticello lieve, che pure sapeva di linea di divisione fra loro, labile sì, ma presente, come labile ma vero era stato il loro accenno di litigio.

 

- Capisco. – disse infine Marzio, quando il silenzio cominciò a pesare un po’ troppo. – Se vuoi smetterò di… -

- Oh, dai. – lo interruppe infastidito Harry. – Ormai dovresti averlo capito che voglio aiutarti. È che non so che cosa fare. –

- Non c’è niente da fare. C’è solo da continuare ad aspettare. –

- Mi pare che tu sia un po’ troppo rassegnato a quest’attesa, eh? – lo rimproverò Harry, che si piantò davanti a lui con le braccia conserte, proiettando la sua ombra fin oltre il suo corpo. – Perché invece non infrangi un po’ di regole e non mi dici qualcosa? Perché non dai il modo di capire un po’ di più in che razza di pasticcio ti sei cacciato? –

 

Marzio tirò fuori un mezzo sorriso.

 

- Dai, coraggio! – rincarò Harry. – Fuori la voce! Parliamo di Derevan, parliamo dei cavalli di ieri, parliamo di come venire fuori da questo vicolo cieco! –

- Harry, ti prego. –

- Che c’è? Ho detto qualcosa che non va? –

 

Marzio fece ciondolare la testa. – Quel nome. – mormorò. – Non lo dire, per favore. –

- Perché? Altrimenti che succede? Derevan, Derevan, Derevan, Derevan, De… -

 

L’onda, questa volta, lo travolse sottoforma di una scossa elettrica. Harry rimase lì, impalato, a balbettare le ultime sillabe del nome, prima di crollare. Si afferrò la testa fra le mani, certo che se la sarebbe sentita scoppiare fra le mani, e improvvisamente la gola gli si serrò come se avesse avuto un cappio al collo.

 

- Ma chi è. – singhiozzò Harry. – Chi è Derevan. –

Marzio strappò violentemente dalla terra tutta l’erba che la sua mano riusciva a raccogliere. – Non posso. Non posso. –

- Maledizione, ti prego! Io devo vederlo, devo vederlo! Oddio, ti prego, fammelo vedere, soltanto… - 

- … Soltanto una volta. –

 

Harry sgranò gli occhi offuscati dalle lacrime, e guardò Marzio attraverso il velo di nebbia che gli si era formato davanti. Lo vide stringere forte i pugni, e anche la mandibola, e cercare con lo sguardo chissà cosa, nella terra rimasta nuda.

 

- Una volta ancora. –

- Tu… - spirò.

- Io… -

 

Un’altra onda, che rimescolò tutto quanto. Harry provò gioia, e sollievo, una stretta allo stomaco, e male dappertutto.

 

- Tu lo ami. Io riesco a sentirlo. –

Marzio gli concesse uno sguardo rassegnato. – Davvero ci riesci? – mormorò senza alcun entusiasmo.

- Sì. Sento ogni cosa. Tu… tu lo ami. Ami Derevan. -

- Più di qualunque altra cosa nell’universo. -

 

Harry rivide la sua conversazione con Silente, e all’improvviso ogni cosa andò al suo posto. Le regole disumane, il non trovare pace, l’accettare qualsiasi condizione per avere anche solo una speranza. Bastava che una minima parte del sentimento che ora gli riempiva il cuore fosse vera, per spiegare tutto.

 

Attorno a loro, il paesaggio cominciò ad oscillare violentemente. Era la stessa impressione di vedere attraverso una lente caleidoscopica che Harry aveva avuto tempo prima. Si accucciò e serrò gli occhi per non perdere l’equilibrio. Il suolo si squagliò sotto ai suoi piedi, si sentì scivolare giù, e poi più niente.

 

- Hey. –

 

Harry grugnì, e riaprì gli occhi soltanto quando alla voce che lo richiamava si aggiunge lo strattonare deciso di una mano. Lo sguardo mise a fuoco con una certa fatica l’ombra che lo sovrastava, e che aveva tutta l’aria di esser sveglia da parecchio tempo più di lui.

 

- Ma cos… Marzio? –

 

Harry si tirò su a sedere, frastornato. – Ma come? – indagò. – Siamo ancora dentro al sogno? –

- Certamente. – gli sorrise lui. – Credevi di esserti svegliato? –

- Uhm. – Harry si passò una mano fra i capelli, stropicciando alcuni ciuffi. – Sai com’è, ha cominciato a ballare tutto. –

 

Marzio gli assestò una pacca d’incoraggiamento piuttosto robusta, e si ritirò su in piedi.

- Vieni. – disse soltanto.

 

Harry era abbastanza certo di riconoscere quel posto. In realtà non era proprio lo stesso lido del sogno precedente, ma qualcosa gli diceva che dovesse trovarsi nelle immediate vicinanze. C’era lo stesso tipo di paesaggio, con le canne che lambivano l’acqua del mare, la spiaggia con la sabbia grossa e biancastra.

Imitò Marzio, che si era accucciato dietro ad un cespo fittissimo.

- E’ un tuo ricordo? – volle sapere.

Ricevette un deciso segno di assenso.

- Ma allora perché ce ne stiamo nascosti? Tanto non ci può vedere, no? –

- Shhh. –

 

Harry, finalmente, inquadrò una presenza sulla spiaggia. Dava loro le spalle, ma Harry fu sicuro che non si trattasse dell’altro Marzio. Portava i capelli lunghi fin sotto le orecchie, tutti scompigliati, e resi color bronzo dai riflessi del sole nascosto in buona parte dalla sua figura.

 

Pochi istanti dopo, il Marzio fittizio sbucò fuori da dietro le loro spalle, facendo mancare il respiro a Harry. Li superò senza accorgersi di loro, scattò verso il bagnasciuga, sorprendentemente rapido, e intrappolò con un poderoso abbraccio la figura voltata di spalle.

 

- Ti ho preso! – esultò. – Sei mio prigioniero, ora! –

Il ragazzo cominciò ad agitarsi come un pazzo, senza riuscire a liberarsi. – No, lascia, lascia! – gridava fra le risate, con uno strano accento che rimarcava e arrotondava molte consonanti.

 

- Mai. – mormorò Marzio.

- Cosa? –

- Mai. – replicò il Marzio del ricordo, facendosi serio. – Non ti lascerò mai andare. –

 

Finalmente allentò la presa, giusto per permettergli di rigirarsi nel suo abbraccio, e poi lo sollevò in alto.

- Tu sei mio! – gli disse, e Harry fu percorso da un violento brivido.

 

- Ma… ma quello è Malfoy! – esclamò, allucinato. – Che diamine ci fa Malfoy nel mio… -

 

Marzio si era irrigidito, accanto a lui, e teneva gli occhi sbarrati verso Draco, che non smetteva di ridere assieme alla sua memoria.

Chiaro. Tutto chiaro.

- E’ lui che cerchi. – soffiò, incredulo.

- Da duemila anni. – mormorò Marzio. – Sono duemila anni che non smetto di cercarlo. E se ora andassi da lui, non potrei nemmeno toccarlo. –

 

Harry continuò per un mezzo minuto buono a ciondolare la testa fra Marzio e Malfoy, fino a quando non gli venne la nausea. A quante migliaia di cose stava pensando, in quel momento? Marzio cercava Malfoy, Draco Maofy. O meglio, il suo equivalente, ma questo che cosa cambiava? Era pur sempre Malfoy.

In tutta la nebbia addensata nella sua testa, soltanto una domanda era davvero chiara. E, ironicamente, era anche quella che probabilmente sarebbe per sempre rimasta senza una risposta: com’era possibile? Come potevano essere lui, e Malfoy, e Marzio? Si chiama destino, questa roba?

 

- Tu… Malfoy… -

Come lo hai chiamato? -

- Malfoy. – biascicò Harry. – Si chiama Malfoy, Draco Malfoy. -

Marzio si voltò verso di lui talmente di scatto che lo fece sobbalzare all’indietro. – Lo conosci? – ansimò, con gli occhi che brillavano di luce propria.

- Beh… - prese tempo Harry, senza sapere come spiegarsi senza combinare un casino. – Lo conosco, però… Non è che io e lui andiamo molto d’accordo, in realtà. –

- Ma lo conosci! Tu lo conosci! –

- Sì, ma… -

 

Harry si rese conto che il paesaggio davanti a lui stava cominciando a perdere di consistenza. Una volta tanto, si sentì vigliaccamente sollevato dal fatto che fosse ora di svegliarsi, anche se il giorno che gli si prospettava davanti non era affatto allettante.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Uff, ma che capitoli lunghi che sto scrivendo.

Eccoci al giro di boa. Adesso che abbiamo confermato i nostri sospetti, siamo tutti felici e contenti, ma vi posso garantire che il bello comincia solo adesso.

 

Evviva, risposte!

 

La risposta pubblica di oggi è per Iul: grazie per avermi segnalato l’errore della frase ripetuta, ho provveduto a sistemare!

Per la questione nel numero VIIII, invece, magari può interessare a tutti: no, non è un errore.

Solitamente il 9 si scrive IX, ma quando si designavano le legioni, le regole erano diverse.

La VIIII legio Hispanica, quella a cui appartiene Marzio, si scrive proprio così, come anche la IIII legio; e lo stesso vale per i loro multipli. Le altre Legioni invece, se non ricordo male, sono individuate dai consueti numeri romani. Non sono certa del perché, ma penso possa trattarsi di una questione di comodità nel segnalarsi il numero di appartenenza in battaglia, dato che lo si faceva con le dita, e sollevare quattro dita, o fare V più quattro veniva più semplice.

 

Hokori: Ciao Chiara, bentornata! Mi sembrava un nick nuovo, questo, in effetti. Eh sì, queste regole poi verranno fuori pian piano, con il tempo, vedrai. Anche per la questione Cesare, tempo al tempo! E per le altre domande… bocca cucita!

Little Star: ma dai, sai che non avevo fatto caso alle iniziali uguali? Giuro che non è una cosa voluta! Anche perché se no avrei dovuto dare la stessa cosa per Harry, ma l’unico nome romano con la H che mi venga in mente al momento è Horatius. Direi di no -___-

Tsubychan: ma no, è un moraccione con gli occhi viola, cosa credi! ^__^

Herm: non preoccuparti, cara, è normale. Baka vuol dire stupido in giapponese, ed è più o meno il fulcro di ciò che sto producendo al momento: demenza allo stato puro!

The Fly: ma infatti, poveraccio! Beh ti dirò, per come l’ho concepito io, si sta bene nel boschetto! Va beh, magari è un attimino noioso…

Dark: ma come non ti piace la Caramelldansen! O_o è la seconda invenzione del millennio, dopo il cioccolato!

Mokona: applauso per il nick. Macchè scusarti, hai fatto un riassunto eccellente! Eh, le conoscenze storiche sono più che altro frutto di passione personale per tutto ciò che viene prima di Cristo; e non da ultimo, delle massacranti interrogazioni della mia prof del liceo, che al confronto quelle dell’università mi fanno ridere!

T Jill: o compostissima Vulcan, nonché corrompitrice di ex anime innocenti! Oh mio dio, le tue definizioni di baka sono fenomenali, giuro che mi hanno spezzata. No, niente Kamikaze, ma ammetto che mi sto dando da fare per fondare la tredicesima Casa dello Zodiaco(non mi permetterei mai di fregare la dimora a Mur), da cui sovrintendere all’accoppiamento degli altri dodici bei cavalieri. Ehm… comunque, Baka in giapponese significa stupido, matto, demenziale. Se per puro caso hai buttato un occhio a “because she said so” ti renderai conto che, nonostante mi dia un certo contegno, non sono proprio il paradigma della persona seria. Se poi parliamo di pigmei… lasciamo perdere, la mia altezza non esattamente grattacielica è un tasto dolente (sindrome di Edward Elric che si fa sentire)

Puciu:hihihi, ma dai, non ti deprimere! Anche con questo capitolo ti sentirai intelligentissima, scommetto. Vedi sopra, per la spiegazione di baka. E’ anche un modo di dire loro, che può spaziare ad un innocuo “scemo” a insulti ben più pesanti!

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Capitolo 8
*** Lakeside ***


Altri sogni, scene del passato Marzio/Derevan

Harry si ridestò con la testa che girava come se fosse appena sceso da un ottovolante.

Qualche secondo, e raccattò brandelli di ciò che era successo a sufficienza per fargli rizzare i capelli, e svegliarlo del tutto. Avvertì attorno a sé il frusciare di numerose lenzuola, sotto cui i suoi compagni di dormitorio si stavano stiracchiando, a mò di serpenti pigri. Prima di riuscire a rendersene ragionevolmente conto, era scattato in piedi, e si era precipitato verso il bagno, come se fosse stato un rifugio da tutti i mali del mondo.

 

*          *          *

 

Non posso dirlo a nessuno.

 

La filastrocca era cominciata proprio in bagno, mentre, sapone acqua fredda come alleati, Harry si era risvegliato del tutto.

Hermione, Ron. Difficilmente avrebbero capito. E al di là di tutto, diamine, era anche il fatto che lui faceva fatica a capire. Dentro al sogno, guardando Marzio, e quel Derevan, gli era sembrato di saperlo da sempre, ma alla luce del sole le cose tornavano ad essere complicate.

Alcune tessere del mosaico, certo, tornavano al loro posto: se Malfoy si comportava come un tarantolato, era perché probabilmente anche lui doveva avere delle visioni, e se tanto dava tanto, era Derevan ad occupare le sue notti.

 

Ripensando al modo assurdo in cui si era comportato, Harry realizzò quanto diversa era stata la loro reazione, ad un medesimo fatto. Lui aveva degli amici, con cui parlare e da cui sentirsi capito, e a prescindere da loro, non aveva mai preso la faccenda in modo negativo. Un po’ di tensione, certo, ma alla fine era stata quasi la forza dell’abitudine a dirgli che cosa fare.

 

Malfoy, invece, chissà se lo aveva detto a qualcuno. A voler rivedere l’episodio dell’albero con il senno di poi, ci si rendeva conto che nel suo atteggiamento, oltre che il fastidio e la stanchezza, c’era anche molta paura.

 

Derevan non era cattivo. Non gli era sembrato cattivo, per quel poco che aveva potuto vederlo. E allora, perché Malfoy avrebbe dovuto esserne terrorizzato?

 

Non ne aveva idea, ma a questo punto, una cosa era sicura: doveva parlare con lui. E vedere un po’ il da farsi. E, nel frattempo, non dire nulla a Ron e a Hermione.

Che mangiavano la loro colazione in tutta tranquillità, e sembravano non essersi accorti di niente.

 

- Allora, nessuna novità. –

- No, nessuna. –

Harry mentì, e si sentì pungere dal senso di colpa. Avrebbe voluto scusarsi per ciò che stava facendo, se solo non fosse risultato mostruosamente sospetto.

- Non c’è fretta. – disse Hermione, leggera. – Non c’è alcun bisogno di correre. Pian piano la situazione si sbroglierà da sé, no? –

- Già. –

 

Ron diede un’occhiata al piatto di Harry, e aggrottò le sopracciglia.

- Hey, non hai fame? – disse, limitandosi ad accennare con il mento al piatto praticamente vuoto dell’amico, dove troneggiava una solitaria, striminzita salsiccia, e una fetta di pan carrè svogliatamente rosicchiato.

 

- Come? O no, no, figurati. È solo che stavo pensando di…. Di cambiare, non mi vanno le salsicce. Mi passi un uovo sodo, per favore? –

Ron scrollò le spalle, e gli passò il suo uovo senza farci troppa attenzione.

Harry cominciò a farlo a brandelli con la forchetta, per fare volume nel piatto, e per dare allo stesso tempo l’idea di averne mangiato un po’, e mentre torturava con minuzia l’albume gelatinoso, nella più totale indifferenza, gli scappò uno sguardo verso il tavolo di Serpeverde.

Malfoy era seduto al suo posto, ed era intento a spiluccare un biscotto, o un pezzo di pane, difficile a dirsi. Nemmeno lui era troppo affamato, ma d’altra parte era talmente magrolino che probabilmente quella era una razione di cibo assolutamente generosa, per lui.

 

Non avrebbe mai trovato l’occasione giusta per parlargli. Che cavolo avrebbe dovuto dirgli? “Hey, vedi anche tu spiriti latini in pena? Benvenuto nel club!”.

Sì già, come no. E magari, il passo successivo sarebbe stato diventare amici per la vita. Divertente, prima o poi avrebbe dovuto raccontarla a Seamus, lo avrebbe fatto morire dalle risate.

 

*          *          *

 

Alla fine, Harry decise che la cosa più saggia da fare era sedersi sulla riva del fiume, ed aspettare. D’accordo è una cosa che si dovrebbe fare con gli avversari, e non con qualcuno a cui si dovrebbe parlare, ma Malfoy faceva caso a sé.

Il fatto era anche che Harry non aveva la più pallida idea di come affrontarlo.

Marzio aveva reagito prendendo praticamente fuoco, e diavolo, lui lo capiva, perché aveva provato sulla sua pelle che cosa significasse essere disperatamente innamorato di quel Derevan.

Che però, era Malfoy.

Cioè, no. Derevan stava a Malfoy come lui stava a Marzio, ma questo non serviva a rendere le cose più semplici.

 

- Harry, allora? Mi passi la carta delle costellazioni? –

- Ah. Sì, sì, tieni. –

- E’ un’ora che te la chiedo, ma dove hai la testa? –

- Sì, scusami Hermione. Mi ero distratto. –

- Guarda che se vuoi qualcosa da lui, è meglio che gliela chiedi in latino. – sghignazzò Ron.

- Perché in latino? –

- No, niente, Sam, niente. –

- Sai il latino, Harry? –

- Ma no, figurati. Torna a studiare. –

- Io lo so, il latino! Lupus in fabula! Alea iacta est! –

 

A Harry non venne per niente da ridere. Per un attimo ebbe la sensazione di trovarsi in un paese straniero, in cui la gente non facesse altro che snocciolare luoghi comuni.

 

- Hai sbagliato di nuovo, Ron. Non lo vedi che hai messo Venere dopo Marte? –

 

Magari avrebbe potuto tornare da Silente, e raccontare a lui tutto quanto.

Sì, come no. Si sarebbe fatto una risata, e gli avrebbe detto “ perché non vai a parlare con il signor Malfoy, mio caro ragazzo?”. E poi si sarebbe messo al balcone, per godersi lo spettacolo di lui che si arrovellava a trovare il modo di avvicinarlo senza far gridare al miracolo mezza Hogwarts.

Certo che innamorarsi di Malfoy…

Cioè, di Derevan.

Ci voleva un bel coraggio.

Ma Derevan era innamorato di Marzio?

 

Da quello che aveva potuto vedere, gran poco, e in controluce, si sarebbe detto di sì. Gli era sembrato illuminarsi di gioia, quando Marzio lo aveva abbracciato. Però Malfoy era un viscido serpente, e se lo era anche Derevan, allora avrebbe potuto fingere tutto quanto, per un qualche tornaconto personale.

Harry non se ne intendeva granché, ma aveva ben chiaro che Marzio fosse una personalità di tutto rispetto, e a chi non faceva comodo un amante così importante? Probabilmente era ricco, possedeva terre o chissà cos’altro, e a malincuore Harry dovette ammettere che, se era allocco la metà di quanto lo era lui, irretirlo non sarebbe stata poi un’impresa impossibile.

 

Si grattò la testa con la punta della piuma, fregandosene delle goccioline d’inchiostro che, tanto, non si sarebbero viste mai fra i suoi capelli.

 

Il fatto era che più cercava di convincersi che Derevan fosse una specie di mostro succhia sangue, più una fastidiosa sensazione dentro di lui gli diceva che si sbagliava di grosso.

Quello che aveva visto su quella spiaggia, era stata la fotografia senza tempo di una gioia di stare insieme che era vecchia come l’umanità.

 

Si può fingere così tanto bene? Se la risposta era sì, allora Harry odiava Derevan con tutto il cuore, lo odiava molto più di Malfoy, perché quella sì che era autentica perfidia. Ma se era no, c’erano un paio di cosette da rimettere in discussione.

 

- Ragazzi, avete idea di che ore siano? –

- Sì. – Hermione si chinò verso la borsa dei suoi libri, e ne tirò fuori il suo orologio da polso. Non indossava mai davanti agli altri, fin dal loro primo anno, ma che teneva sempre con sé, anche se, ogni volta che si sentiva dare della Mezzosangue, lo ricacciava sempre più in fondo.

 

- Sono le quattro e mezza precise. –

- Bene. –

 

Harry si alzò in piedi, e radunò con studiata calma i suoi libri e i suoi appunti.

 

- Dove te ne vai? – indagò Ron.

 

I Serpeverde dovevano stare terminando il loro allenamento proprio in quel momento, se la memoria non lo ingannava.

 

- Vado a fare un salto giù in biblioteca. – disse allegramente. – Se non sarò di ritorno prima, ci rivediamo giù per cena. –

- Ma Harry, perché vai…? -

 

Harry non diede ascolto alle proteste flebili dei suoi compagni. Infilò l’uscita, dileguandosi dietro al ritratto della Signora Grassa che, un momento dopo, si richiuse alle sue spalle.

Era ora di darsi una mossa.

 

*          *          *

 

Come aveva previsto, Malfoy si materializzò all’orizzonte, con il borsone del materiale da Quidditch che ciondolava dalla spalla destra. Beh, non che ci fosse voluto un genio di tattica militare: quello era l’unico sentiero che si potesse ragionevolmente percorrere per tornare dal campo alla scuola, e di Malfoy tutto si poteva dire, tranne che non fosse una persona pragmatica. Per suo enorme sollievo, vide che era da solo. Niente scimmioni stupidi con cui dover fare i conti preliminarmente.

 

- Hey, Malfoy. –

 

Malfoy incespicò sulla stradina ciottolosa, al sentirsi chiamare. Reclinò la testa da un lato, guardando Harry con aria piuttosto allucinata.

 

- Potter? –

Praticamente un chiedere conferma che fosse proprio chi pensava lui fosse.

 

Harry si diede una spintarella con le mani e staccò la schiena dal tronco dell’albero dove, volutissima ironia, aveva trovato Malfoy mezzo morto di freddo non più di qualche giorno prima.

 

- Senti, hai un minuto? –

- Ovviamente no. –

 

Harry alzò gli occhi al cielo, coperto da uno strato uniforme di nuvole che sembravano metallo.

 

- E’ per una cosa seria. – disse perentorio. – Mi dedicherai un minuto del tuo tempo, e poi potrai andartene al diavolo. –

- Ti ringrazio, Potter. –

 

Harry fece spallucce. – Chi sono io per fermarti? –

 

Harry non aveva un’idea precisa del perché si fosse incamminato verso il Lago Nero, con Malfoy al seguito. Voleva un posto dove potessero stare in santa pace, senza sguardi, e soprattutto orecchie, indiscreti, ma perché proprio il lago?

 

Quando il suo piede registrò il brusco cambiamento di appoggio fra il terriccio erboso e croccante per il ghiaccio, e la consistenza instabile, tutta ciottoli e sabbiolina della riva, si rese conto del perché, ed ebbe un brivido.

 

- Senti. – esordì, come se improvvisamente gli fosse venuta una fretta furiosa di andarsene via da lì il prima possibile. – Di recente, mi capita spesso di vedere una persona, nei miei sogni. Una persona identica a me, che chiede il mio aiuto. –

 

Malfoy sussultò, e Harry tirò segretamente un sospiro di sollievo. – Ne sai qualcosa anche tu? –

- Non è colpa mia. – sbottò il Serpeverde, piccato.

- Non sto dicendo che sia colpa tua. – sospirò Harry, sforzandosi di investire una buona quantità della sua pazienza in quella conversazione. – Quello che mi interessa sapere è se per caso sta capitando la stessa cosa anche a te. –

- No. –

 

Sì, invece, razza di bugiardo patologico.

 

- Malfoy. – tentò di forzarlo gentilmente. – Ti osservo da almeno una settimana, e in questo periodo non hai fatto altro che comportarti in modo sempre più strano. –

- Tu mi osservi? Ma come osi, razza di malato! –

 

Harry lo ignorò. Nonostante si stesse adoperando, piuttosto bene tra l’altro, per comportarsi come il solito Malfoy, dava un’impressione troppo forte di essere una specie di animale in gabbia.

 

- Malfoy, non mi va di scherzare. – troncò. – Tu sei strano, e ho ragione di credere che sia per lo stesso motivo che tormenta me. Non devi erigermi un monumento, devi soltanto dirmi se ho ragione o no. –

 

Draco corrucciò le sopracciglia chiare. Prese a mordicchiarsi la punta della lingua, considerando chissà che cosa in quella sua testa, mentre Harry gli teneva gli occhi addosso nella speranza sciocca che potessero essere un’arma in più per convincerlo a parlare.

 

- Sì. –

 

Praticamente uno sbuffo di vapore dalla bocca, che tagliò a malapena la tensione fra i due. Harry lo sapeva, se l’era aspettata quella risposta, ma in ogni caso l’impressione fu tanta.

Adesso c’era qualcosa di grande, di enorme, che lo univa a Draco Malfoy.

 

- Ok. –

- Ok? Non è ok, Potter. Forse lo sarà per te, che sei abituato alle stranezze. –

- Hey, sembra che questa cosa ti faccia una paura matta. –

 

Vide Draco ricacciarsi tutto dentro al suo mantello pesante, infagottandosi su come un bambino. Gli fece persino un po’ di tenerezza.

 

- Quindi lo vedi anche tu. – borbottò.

- Beh, non esattamente. –

 

Draco strabuzzò gli occhi, e lo guardò come se lo avesse appena tradito nella cosa più intima e importante che aveva. Harry rielaborò le proprie parole, e si affrettò a ritrattare.

- Cioè, non vedo il tipo che vedi tu. Si chiama Derevan, vero? –

- E tu come lo sai? –

 

Harry fece spallucce. – Io non vedo lui, ma vedo Marzio. –

- Marzio? –

- Già. –

- E chi sarebbe? –

 

Questa volta, fu il turno di Harry di strabuzzare gli occhi.

 

– Ma come… non sai chi è Marzio? –

Cenno di diniego.

- Perciò tu non sei riuscito a vedere. –

- Oh, la vuoi finire di parlare in modo così criptico? Mi hai preso per un Tassorosso o che altro? Che diamine significherebbe che non ho visto, eh? –

 

Harry fece per aprire la bocca, ma il ricordo di Marzio lo folgorò, e lo convinse a richiuderla di scatto. C’era quella regola. Normalmente, Harry si sarebbe fatto ben pochi scrupoli ad infrangerla, ma la sua disobbedienza avrebbe anche potuto significare qualcosa di molto grave, e a lui non andava di giocare con Marzio. E ancora di meno, di mettere a repentaglio l’incolumità di Malfoy, che poteva anche essere un furetto detestabile, ma era pur sempre un compagno.

 

- Senti, io credo che ci sia solo una cosa da fare. – mormorò, prendendo a calci qualche povero ciottolo con l’unica colpa di trovarsi sulla sua strada. – Dovresti parlare a Derevan, e io a Marzio. Devi farti spiegare tutto da lui, dirgli che io vedo Marzio, e chiedergli che cosa dobbiamo fare ora. –

- Hey, ma dico, sei impazzito? – sputò Draco, stringendosi ancora di più nel mantello, fino quasi a sparirci dentro. – Perché dovrei darti una mano con i tuoi assurdi problemi? –

- Perché questo assurdo problema è anche tuo, Malfoy. –

- E allora lo risolverò a modo mio. – fece lui, risoluto. – Mi rivolgerò a qualche bravo esorcista, andrò al San Mungo, se necessario, e farò sparire quella specie di brutta copia dalla mia testa.

- Non farlo. –

La voce di Harry suonò troppo perentoria persino alle sue stesse orecchie. Per un attimo gli era sembrato che fosse stato Marzio a parlare al posto suo.

- Malfoy, ascoltami, non farlo. È la scelta più sbagliata che tu possa fare. Vuoi davvero liberarti di lui? Bene, allora digli che conosci me, e che io vedo Marzio, e se ne andrà da solo. –

- Perché dovrei dirgli di questo Marzio? –

- Perché sì. –

 

Sarà stato per la foga, o per la confusione, o anche per la voglia di vedere la fine del tunnel. Harry si fermò tutto ad un tratto, e non seppe nemmeno lui perché, mise le mani sulle spalle di Malfoy e gliele strinse con forza.

 

- Fidati di me. – gli disse con un tono quasi ansioso. – Ti prego, fai come ti ho detto. –

 

Draco non si mosse. Aveva sussultato, prima, quando Harry gli aveva afferrato le spalle; ma adesso se ne stava immobile, come a volersi ergere contro di lui.

 

- Se lo farai, ti guadagnerai la mia gratitudine, e credimi, non solo la mia. Non devi avere paura di Derevan, devi soltanto parlare con lui, e stare a sentire cos’ha da dirti. Puoi farlo, non dire di no. –

- Già. E poi? –

- E poi non lo so, dovremo vedercela fra di noi. Domattina ci incontreremo, e vedremo cosa fare, per ora non saprei che altro proporti. –

 

La riva del lago svoltò bruscamente verso nord, ma i due ragazzi non la seguirono, imboccando invece la via verso il ritorno. Per un po’, camminarono nel silenzio, fingendo di ignorarsi o quasi, di sicuro storditi da tutte le parole che si erano detti, e del tutto intenzionati a non andare oltre. Quando la sagoma della scuola fu sufficientemente enorme da pretendere che i sue si dividessero, per non destare sospetti, Harry strinse le spalle fasciate nel mantello a mò di saluto, ma Draco lo fermò.

 

- Dimmi una cosa, Potter. – aggiunse solamente. – Questo Marzio… è uguale a te come Derevan è uguale a me? –

 

Una domanda del genere faceva un po’ effetto, considerando tutto. Harry annuì, e Malfoy gli fece eco, e si allontanò, frusciando fra gli altri studenti, diretto chissà dove.

Doveva sapere un bel po’ di cose meno di lui, evidentemente. Ma diavolo, se era sveglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO (sconfinato)!

 

PUBBLICAZIONE IN ANTICIPO PER FESTEGGIARE!!!

 

La prof di civiltà greca ha accettato di seguire la mia tesi (su Alessandro Magno, ovviamente). Ora, voi non potete capire, quella donna per me è DIO. Vi giuro, mi darei fuoco se me lo chiedesse. È il mio idolo. Presente le teen ager che si emozionano quando vedono i Tokio Hotel? Ecco, io mi emoziono quando vedo lei. Che non è molto sano, mi rendo conto, ma tant’è.

Mi sono prostrata e l’ho implorata via mail  e Ella mi ha accettata (per pietà, probabilmente) come umile tesista. Le pulirò casa per un anno, le luciderò le scarpe, le porterò a spasso il cane e le andrò a comprare le sigarette ogni giorno.

 

Ok, ok, ricomponiamoci. Mi ero ripromessa di fare un discorso saggio e lo farò, anche se al momento sono qui che trinco coca cola e cioccolato per festeggiare. Qualcuno mi insulti, per favore, ho bisogno di sgonfiarmi un po’.

 

Oggi salto le risposte, perché volevo spendere due parole a proposito del sondaggio promosso dal sito, e della situazione generale di EFP. Non me ne vogliate, e lasciatemi tante belle recensioni in questo capitolo, così al prossimo vi rispondo, promesso ^^.

 

Come autrice piuttosto (?!?!) attiva nel sito, mi sembra giusto tenermi informata su ciò che accade, anche se non ho direttamente a che fare con l’amministrazione. Ora, immagino che tutti quanti sappiate che è in corso un importante sondaggio, che terminerà il 29 gennaio. Serve per decidere se permettere le recensioni ai soli utenti loggati, o meno, e la questione mi pare piuttosto pregnante.

È nato un dibattito che ha assunto toni spiacevoli, e che ha portato alle dimissioni di tre validissimi amministratori, stanchi evidentemente di essere attaccati, e di non veder riconosciuto il loro lavoro.

Che è preziosissimo, e chiunque si permetta di negarlo se la vedrà personalmente con me.

Perché, infatti, si vuole far questo? Per una ragione fondamentale: stroncare le recensioni offensive o no-sense fatte da anonimi idioti con un senso dell’umorismo discutibile. E nel caso di persistenza, rendere i suddetti recensori facilmente rintracciabili e punibili dall’amministratore, oltre che dall’autore stesso. Per altro, il discorso può essere visto anche in modo meno drammatico: un recensore potrebbe aver lasciato una recensione poco chiara, o molto interessante, perciò l’autore vorrebbe poterlo contattare per approfondire, ma se l’autore è anonimo non è in alcun modo possibile.

 

La mia personale esperienza, in fatto di recensioni, è molto positiva: che siano state di recensori loggati o anonimi, ho sempre ricevuto messaggi rispettosi del regolamento, e anche nel momento della critica, corretti, con me innanzitutto. Ho avuto a che fare con pochissimi episodi di palese stupidità, e di questo ringrazio tutti voi, che vi siete dimostrati dal primo all’ultimo persone intelligenti e mature, e animate da una passione sincera quanto la mia, e dalla voglia di scambiarsi impressioni, emozioni, idee.

Vi ringrazio, davvero, perché contribuite a creare un ambiente sereno e proficuo per tutti, e auguro di cuore a tutti gli autori di EFP di avere dei lettori come voi.

 

Mi rendo conto che non tutti hanno questa fortuna, e che alcuni autori sono perseguitati da recensioni volgari, insulti pesanti, no-sense, spoiler gratuiti e quant’altro, tutte rigorosamente anonime, e trovo tutto ciò estremamente triste, perché davvero, se uno non ha nulla di meglio da fare che entrare in un sito e insultare senza motivo persone che nemmeno conosce, è meglio che si faccia una vita.

 

Tra l’altro, come autrice ho la simpatica abitudine, che credo sia condivisa anche da altri, di andare a curiosare nei profili dei miei recensori, specialmente se nuovi: le vostre presentazioni, le immagini che mettete, i test (vi odio quando li mettete, perché non resisto, e ci perdo le giornate finchè non riesco a far uscire il risultato che voglio io), le vostre fic e le vostre preferenze, per farmi un po’ un’idea di chi siete, e avvicinarmi il più possibile. Sfogliando un po’ fra le mie fic ho constatato che siete per la maggior parte loggati, e mi fa molto piacere.

 

Ad ogni modo, il messaggio che volevo passarvi, a seguito di tutte queste considerazioni è: VOTATE. Se non l’avete già fatto, leggetevi le news, fatevi una vostra idea, e votate. Per una volta che la decisione è lasciata a noi utenti tramite vero e proprio referendum, è importantissimo rispondere numerosi, e contribuire al miglioramento del sito.

 

Bene, adesso che ho fatto il mio siparietto politico-sociale e il mio ennesimo balletto di trionfo sono soddisfatta, e posso tornare a versare fiumi di lacrime sulla mia ultima Gin/Izuru. ç___ç

Mi sono lanciata a testa bassa nel fandom di Bleach e no, non credo che mi fermerò. Nonostante il mio stupido scatolone digitale si ostini a cercare di farmi scrivere Beach, che fa molto Di Caprio -___-.

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Capitolo 9
*** Salix ***


6B_Notte nel sogno di Draco, Derevan gli spiega che l’unico modo è dormire insieme, e lo implora di farlo

Draco scivolò su alcuni sassi sdrucciolevoli per la pioggia. Si rimise in piedi, imprecando a mezza voce per il ginocchio che gli bruciava come se fosse caduto su dei tizzoni ardenti, ma si decise ad andare avanti, almeno per quella volta.

 

- Hey, tu! – ringhiò, rivolgendosi al cielo livido e ferito dai tuoni.

 

Le gocce d’acqua continuarono ad abbatterglisi sulla faccia disordinatamente, senza fornirgli uno straccio di risposta. Ma pioveva maledettamente sempre, in quel posto?

 

Ridotto peggio di una spugna, e intirizzito da ogni fiato di vento che gli si accaniva addosso, Draco proseguì il suo breve cammino superando un muretto diroccato, e giungendo finalmente ad un dolce avvallamento del terreno da cui sorgeva, unico elemento di verticalità nello stendersi sconfinato della prateria, un grande salice piangente.

Era un luogo pacifico, eppure Draco era teso come una corda di violino, per nulla sedotto da quel senso di sicurezza fittizio. Sapeva che lo strano ragazzo identico a lui era sotto quell’albero. Lo aveva sempre trovato lì, a prendersi l’acqua come se niente fosse, senza provare nemmeno a sfruttare i rami cadenti per un po’ di riparo. Appena gli si fu avvicinato a sufficienza, lui ripiegò la testa e si affrettò a rialzarsi da terra. I suoi bizzarri vestiti grondavano fango, ma sembrava proprio che a lui non importasse un bel niente.

 

- Sei venuto a cercarmi? – domandò, a metà fra lo speranzoso e lo spaventato.

- Voglio sapere chi sei. – lo minacciò Draco.

Derevan si mordicchiò il labbro inferiore. – Ma io ho cercato di dirtelo. Solo che tu non mi hai mai voluto ascoltare. –

 

Draco si prese un respiro, perché ok, doveva stare calmo.

Vero, vero, non si poteva dire che fosse mai stato granché carino con lui. Ma andiamo, ti ritrovi catapultato in un sogno assurdo, e un tizio che pare il tuo riflesso viene a chiederti aiuto, farfugliando cose a proposito di millenni che se ne sono andati, di popoli di cui persino la storia si era dimenticata. Chi, a questo mondo, sarebbe mai stato carino?

Oh, maledizione, a parte Potter. Potter non fa testo.

 

- E va bene, parliamo con calma. – concesse. – Io ti starò a sentire se tu ti deciderai a spiegarmi perché sei nella mia testa, e chi mi ha trascinato in questo casino. –

- D’accordo, però, potresti fare una cosa, prima? – Derevan lo guardò in modo strano, come se fosse dispiaciuto per lui. – Potresti far smettere questa pioggia, per favore? –

 

Draco sgranò gli occhi. – Cheee? –

- Non riesco a comunicare con te, finché continui a rovesciarmi addosso montagne d’acqua. –

- Io non rovescio proprio un bel niente! –

- E invece sì. – insistette con pazienza Derevan. – Io mi accorgo che tu stai arrivando perché all’improvviso comincia a piovere, e quando ti risvegli, la pioggia cessa. Che cos’è che ti fa piovere? –

 

Draco arretrò di un passo, e lo fece perché le parole di quel tipo, il suo tono, il suo sguardo, lo avevano niente meno che terrorizzato.

 

- Senti, non fa nulla. – ritrattò Derevan. – Mi prendo la pioggia, non andare via. Mi diresti come ti chiami? –

- Uhm. Mi chiamo Draco. –

- Draco. Io mi chiamo Derevan. Te l’ho detto, no? –

Draco detestò il non riuscire a trovare alcun tono di rimprovero, nelle sue parole. Ma che cos’era, un diavolo di Tassorosso?

 

- Sì, sì, lo so. –

- Bene. Sono felice di poterti conoscere. –

- Io sarei felice di sapere che cosa vuoi da me. –

 

Derevan accarezzò delicatamente una treccia di foglie che cadevano dai rami del salice. – Vorrei che tu mi aiutassi a trovare una persona che mi è molto cara. – spiegò con semplicità.

 

Draco sussultò. Quello che gli aveva detto Potter era la verità, ma non era quello il problema principale. Non sussistevano ragioni valide per dubitare della sincerità di uno stupido Grifondoro come lui, ma adesso, lui cosa avrebbe dovuto fare? Dirgli che la pappa era già pronta, farlo patire un po’, scoprire cosa poteva venirgliene in cambio?

 

Oh, al diavolo.

 

La sua priorità assoluta era quella di levarsi il maledetto ragazzino impiccione dai piedi, no?

 

- D’accordo. D’accordo, stammi a sentire. – prese fiato, prima di affondare il colpo di grazia. – C’è una persona che conosco, e che mi ha parlato di te. Dice di conoscerti, e di conoscere un certo Marzio, ma io non ho capito quasi nulla di quello che mi ha detto, perché… -

- Marzio? – lo interruppe Derevan. – Hai detto Marzio? –

- Uhmpf. Non è lui quello che cerchi? –

 

Derevan gli rivolse uno sguardo talmente limpido che lo spaventò di nuovo. 

 

- Tu non dovresti vederlo. Non riesci a vederlo, vero? –

- No. Ma c’è questo… tizio, che ci riesce. Perciò mi ha chiesto di parlare con te, e di chiederti, non lo so, qualcosa. –

 

Nell’aria c’era l’odore forte di erba bagnata e di terriccio che si levava, sbalzato dal cadere delle gocce di pioggia.

 

- Riferirai a questa persona ciò che ti dico? –

- E’ ovvio, no? –

Derevan annuì. – Allora, potresti chiedergli di riferire a Marzio una cosa? Che l’ho aspettato. Sempre. Ecco, solo questo. –

 

Draco si sentì avvolgere da sentmenti che, strano a dirsi, sembrava avessero a che fare proprio con elementi come quelli. Improvvisamente quel ragazzo biondo gli parve meno pericoloso, e meno detestabile. C’era qualcosa di strano nel guardarlo, come se lui avesse avuto qualcosa che Draco non aveva, nonostante fossero così identici; qualcosa che Draco non gli invidiava, e non per cattiveria.

 

- Così, conosci l’aspetto di Marzio. –

- Beh, l’aspetto di Potter. –

- Come si chiama? –

Draco prese tempo.

- Harry Potter. – disse tutto d’un fiato. – E’ quello che vede Marzio. Se loro si assomigliano come noi, allora è come se l’avessi visto. –

 

Derevan annuì, e all’improvviso fece un sorriso furbetto. – Si assomigliano di sicuro. – asserì. – Ma dimmi un po’, non ti andrebbe di vedere il Marzio quello vero? –

 

Draco inarcò le sopracciglia, suo malgrado interessato. – Saresti capace di mostrarmelo? –

- Beh, solo se tu lo vuoi. –

 

E così dicendo, agitò un dito nell’aria piovosa, e subito tutto quanto prese ad ondeggiare, come se all’improvviso una gigantesca lente d’ingrandimento si fosse frapposta fra gli occhi di Draco e la realtà.

 

*          *          *

 

Come niente, si ritrovarono in una macchia boscosa. Draco barcollò un attimo, prima di ristabilire l’equilibrio e darsi un’occhiata intorno, nella speranza di orientarsi.

Fatica sprecata.

 

- Guarda laggiù. –

Derevan indicò l’orizzonte alla loro destra, dove oltre l’intrigo verdeggiante degli alberi, si scorgeva una sorta di mole scura.

- Quella è la città dove sono nato, Venta. È la città principale dell’Icenia. –

- Siamo in Icenia? –

Derevan inclinò la testa, sorpreso. – Conosci l’Icenia? –

- Conosco la storia della mia nazione. – protestò Draco. – So che I’icenia era abitata da popolazioni celtiche. –

- Oh. E sai anche che subì un’invasione, da parte di un potentissimo popolo che veniva dal continente? –

 

Draco rimase imbambolato. Non perché non lo sapesse, ma perché ora filava tutto. Decisamente, quel ragazzo si portava dentro una montagna di cose che lo rendevano ancora più senza tempo di quanto già non fosse. Eppure tutto se ne restava sotto quella pelle mite che sembrava non dovesse mutare mai.

 

- Quindi tu hai combattuto contro Marzio? –

 

Derevan gli fece un sorriso dolce. E non era possibile che qualcuno potesse sorridere di una domanda del genere.

– Seguimi. – gli disse, senza dargli una risposta.

 

Insieme, presero la via opposta a quella che li avrebbe portati a Venta, inoltrandosi nella vegetazione robusta. Non pioveva, in quel posto, anzi c’era un certo tepore piacevole che regalò un po’ di sollievo alle ossa del povero Draco.

Il Serpeverde giravoltò varie volte su sé stesso, ormai rassegnato a non riconoscere nulla di familiare, ma deciso ad andare quantomeno in fondo a tutta la faccenda. Non capitava tutti i giorni di godersi dal vivo un paesaggio morto da duemila anni.

Talmente occupato a imprimersi nella mente ogni dettaglio, finì per sbattere contro la schiena di Derevan, che gli si era fermato davanti bruscamente.

- Hey, ma che diavolo combini! –

- Shhh. –

 

Derevan fece un cenno con la testa, verso il tronco di un albero.

 

Ai piedi del quale stavano seduti… lui. E Potter.

 

- Un momento. –

- Non devi allarmarti. – lo prevenne Derevan. – Quelli siamo io e Marzio. Ti sto mostrando un mio ricordo, ora, Draco. –

- Eh? Come una specie di Pensatoio? –

- In qualche modo, sì. –

 

Draco tornò a concentrarsi sui due personaggi seduti. Lui – cioè, Derevan. – teneva in mano un coltellino, con cui stava riducendo in scaglie la corteccia di un albero, mentre l’altro, il Potter romano, lo stava ad osservare in silenzio.

 

- Sei un maestro con le pozioni. – disse improvvisamente Marzio.

- Questa non è una pozione. È un infuso contro la febbre. –

- La febbre? –

- Uhm. Alcuni bambini della mia città si sono malati. Uno è morto. Era piccolo, figlio di un bravo cacciatore. –

- Oh. Mi spiace. –

Derevan fece un rapido cenno di diniego. – Da quando camminare su questa terra non è più sicuro, non è facile andare a cercare erbe. E questo boschetto non potrà durare per sempre. –

 

Marzio si mise in ginocchio, e piantò i pugni per terra per potersi sporgere di più. – E’ colpa mia, vero? – mormorò.

Derevan smise di lavorare la corteccia. Posò la ciotola che aveva riempito ai suoi piedi, e si dedicò solo allora a rispondere all’impaziente romano, come se due azioni così importanti non si fossero potute svolgere nello stesso momento.

- Non ci sono colpe, gli uomini combattono per la terra e per il cielo. È così da sempre, e sempre sarà così. –

- Ma non è giusto. – protestò Marzio. – Non è giusto che bambini innocenti muoiano senza nemmeno sapere che cos’è la guerra. Noi non vogliamo farvi del male, Derevan, se tu convincessi la tua gente ad arrendersi… -

- Questo è escluso. – lo interruppe l’Iceno. – Il tuo popolo delle aquile non è il solo ad avere un orgoglio, uomo d’armi. –

 

Marzio si zittì.

 

Il rumore della corteccia che tornava a frantumarsi fra le dita esperte di Derevan faceva da accompagnamento al frusciare delle foglie, e al cinguettio allegro di qualche uccello appollaiato su uno dei tanti rami.

 

- Allora, ti procurerò io tutte le erbe che servono. – disse il Romano, risoluto. – Non sarai più costretto ad uscire, ti basterà chiedermi ciò che ti occorre, e io te ne farò avere dieci volte tanto. –

- Dieci volte. – sorrise mitemente Derevan.

- Cento volte. – ribadì Marzio. – Qualsiasi cosa, purché tu non debba rischiare la vita fuori dalla tua città. –

Derevan sospirò. – Sono capace di difendermi. –

- No, non è vero. Tu non avresti il cuore di uccidere un uomo. -

- Non è questo che… ah! –

 

Un gesto brusco, e la lama del coltellino si conficcò nel palmo di Derevan, che la estrasse frettolosamente dalla ferita, digrignando i denti.

 

- Fammi vedere. –

- Non è importante. Sto bene. –

 

Marzio fece una strana smorfia di rimprovero, e gli agguantò il braccio con un movimento sorprendentemente veloce.

 

- Stai sanguinando. – borbottò, come se avesse voluto farlo sentire in colpa. – Ecco, ci penso io. –

- Ma cosa fai, no! –

 

Troppo tardi. Marzio aveva appena strappato a viva forza un lembo considerevole di stoffa bianca dalla sua tunica.

- Ecco, avvolgi stretta la ferita, fermerà l’emorragia. –

Derevan lo osservò in silenzio, concentrato nella delicata operazione di bendaggio. Suo malgrado, arrossì.

 

- Ti preoccupi troppo. –

- Certo che mi preoccupo. – Marzio gli rivolse un sorriso ampio, e quasi divertito. – Lo sai che non c’è nulla al mondo di cui mi preoccupi di più, mea spes. –

Derevan si strinse fra le dita la fasciatura, macchiata del suo sangue che pian piano si rapprendeva, e si lasciò abbracciare.

 

- Sei spaventato? –

- No. Non ho mai paura di niente, quando ci sei tu. –

Marzio gli scompaginò delicatamente i capelli biondi, e ne baciò una ciocca. – Allora vorrei essere al tuo fianco sempre. –

- Potresti farmi prigioniero. –

Marzio inarcò un sopracciglio. – Di nuovo? –

- Sono stati giorni felici per me, quelli. Non può esistere prigionia più bella. –

- Se dici così, finirò con il rapirti davvero un’altra volta. E poi, ai miei soldati spiegherò che tu sei l’unico barbaro che riesca a scovare, fuori dalle mura di Venta. –

 

- Barbaro? –

 

Draco, che fino a quel momento non aveva praticamente respirato, riuscì a racimolare la forza solo per ripetere quella misera parola.

- Non lo dice con disprezzo. – lo giustificò Derevan. – Loro chiamano così chiunque non sia della loro terra. –

 

Proprio in quel momento, dopo alcune frasi che Draco si era perso, Marzio fece voltare Derevan, ancora nel suo abbraccio, e gli baciò le labbra, in silenzio, immobile.

 

Draco sbarrò gli occhi, e si ritrovò soltanto a chiedersi perché lo sapeva già. Perché era come se avesse sempre saputo che Derevan era innamorato di quel Marzio.

Gli tornò in mente la conversazione con Potter, e come si era sentito strano insieme a lui; e anche come aveva aggredito Hermione Granger, il giorno prima. Di quell’episodio sconnesso, ricordò soprattutto l’immensa, stupida voglia di piangere che lo aveva assalito.

 

Il familiare senso di nausea e di spaesamento di prima lo travolse tutto d’un tratto, ributtandolo quasi con violenza sotto al salice da cui erano partiti.

 

- Sei turbato? – indagò prudentemente Derevan.

 

E la sua era una gran bella domanda.

Perché no, non era turbato. Cioè sì, lo era, dannazione se lo era, ma non perché era Marzio. Quello era logico, era qualcosa di necessario, ma il fatto era che Marzio assomigliava a Potter un po’ troppo, per i suoi gusti, anche se non aveva quei suoi stupidi occhiali, e, insomma, quel suo aspetto sofferente.

 

- Quel tipo mi sembra più sveglio di Potter. – disse, tirando un po’ le somme.

- Però. – ridacchiò Derevan. – Sei uno che non le manda a dire tu, eh? Chissà questo povero Potter, quanta pazienza. –

- Bah, io detesto Potter. –

- Lo detesti? – si stupì Derevan. – Ma dai. È strano che le anime gemelle provino sentimenti opposti a noi. –

- Lo odieresti anche tu, se lo conoscessi. È sempre così pateticamente leale, e perfettino, e buono con tutti, e incorruttibile. Sembra che… -

- … Sembra che il suo senso della giustizia sia più solido di qualsiasi altra cosa. –

 

Draco boccheggiò, mentre Derevan lo osservava di sottecchi. – Ho ragione? –

 

Draco fece una specie di smorfia.

 

- Già. – si rispose da solo Derevan. – Lui era così. Era l’uomo della giustizia. Ascolta, Draco, mi rendo conto di chiederti molto. Ma lui mi manca più di quanto mi manchi tutta la mia vita, e io non potrei mai perdonarmi di perdere quest’occasione. –

- Che cosa vorresti dire? –

L’Iceno sollevò lentamente lo sguardo su di lui, timoroso. – Esiste un modo, per permettermi di rivedere Marzio. Mi aiuteresti? –

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Eccomi di ritorno dalla montagna, yahoo! Con la mia tuta nuova fiammante da perfetta shinigami (liberi di non crederci: pantaloni neri e giacca bianca, con tanto di stemma della Terza Compagnia appiccicato sulla schiena, Gin Ichimaru ruuuulez!), mi sono dedicata all’abbattimento indiscriminato di ignari snowboarder su e giù per le Dolomiti, con i Within Temptation a fare da colonna sonora. Mi sono giocata un ginocchio, e mezzo fratello, e ho scoperto perché la nera “muro” si chiama così, ma sono esperienze…

 

Ma torniamo a noi!

 

Allora, ce l’abbiamo? Chi di voi si è orientato, con il famoso pezzo di stoffa insanguinato che Harry ritrovò in occasione di uno dei primissimi incontri con Marzio?

Scommetto che siete in pochi, ma non vi preoccupate: è quello che vi dicevo sulla piena godibilità di questa storia.

 

Nota: Mea Spes significa “mia speranza”. È un’espressione che a noi può apparire singolare, ma che allora era molto dolce, un po’ come “amore mio”.

 

Subito le risposte, come promesso!

 

Crissunrise: wawawa, ma grazie! Non ti preoccupare, adesso Draco entrerà nel pieno ruolo di protagonista nella fic!

Isuzu: con questo capitolo ti si saranno chiarite un po’ le idee, spero!

Ginny W: ti ringrazio moltissimo, e anche per la recensione su NA!

Herm: eh, si sa che Draco è un po’ antipatico, ma per me si lascia andare…

Francesca Akira: mah, e chi lo sa… certo che povera Herm! XD

Hokori: in realtà Derevan ci riserverà delle strane sorprese, già da questo capitolo si intuisce che tipo è…

The fly: visto che ti ho accontentata subito?

Puciu: su su, coraggio neuroni, il mistero si risolverà presto! E anche sulle parti slash, qualcosa bolle in pentola, già da adesso…

Rodelinda: hihi, quoto in pieno. E ti ringrazio delle tue parole, mi riempiono di gioia.

Smemorella: ma certo che te la farò leggere. È una spassosissima tesi sul dionisismo in Alessandro Magno, che altro non è che un’infima scusa per parlare impunemente di orge gay. Che ti aspettavi da me! XD

Tsubychan: adesso verrà il turno di Harry, intanto spero che tu ti sia goduta questo Draco un po’ confusetto!

Little star: mah, sarà già innamorato? Lo dirà a Marzio? E gli elefanti volano? Quesiti complessi e misteriosi… ti dirò, Draco se non è un po’ acidello non ci piace, meno male che c’è Derevan, che è un tesorino…

Lady: mia cara, noi andremo d’accordo. Tanto per cominciare, fila a leggerti “Swords” prima che si saturi di capitoli, perché sto scrivendo miliardi di cose, perché quando si tratta di bei ragazzotti shinigami non mi ferma più nessuno. Secondo: dimmi che anche tu sei convinta che il komos di Persepoli nasconda un qualche rito dionisiaco di purificazione di Tebe! Prevedo di scriverci chilometri di pagine, e devo assolutamente convincere tutti i miei prof dell’importanza di tutto ciò per Alessandro!!! Ok, fine delirio. Uhm, guarda, sui nomi, sia di Marzio che di Derevan, ci saranno delle delucidazioni in corso d’opera. Comunque ti anticipo che il nome Marzio l’ho scelto senza un motivo pregnante, in realtà è uno di quelli che preferisco, volendo evitare Tibullo, Gallo, Arsio  compagnia.

Blaise: grazie grazie grazie (no, non si era capito proprio, ma nemmeno un po’ XD)

melisanna: uhm, trovi? Guarda, potrebbe benissimo essere, perché sto cercando, come dire, di raggiungere uno stadio un po’ più profondo della caratterizzazione dei personaggi, perciò è più che probabile che prenda qualche cantonata con il povero Harry. Ci farò più attenzione, e d’ora in poi, con l’entrata in scena più costante di Draco, spero che le cose si equilibrino meglio!

dark: hihihi, ci siamo intese alla perfezione allora!

Jill:wuhu, e vai con le tesi vergognose, propongo di fondare un’associazione!

Koorime:non ne parliamo, è il mio timore più grande, so già che non riuscirò a trattenermi!

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Capitolo 10
*** Pulcherrimus ***


Premessa: questo capitolo contiene riferimenti yaoi/slash più espliciti che in precedenza

Premessa: questo capitolo contiene riferimenti yaoi/slash più espliciti che in precedenza. Non ho ritenuto di dover alzare il rating per essi, ma se lo reputate opportuno, segnalatemelo.

 

 

Harry si agitava fra le coperte mezze sfatte del suo letto. Per fortuna, Ron aveva il sonno abbastanza pesante da non lasciarsi disturbare da quisquilie come un amico alle prese con i suoi strani sogni. La stellata, fuori dalla finestra del dormitorio, era fulgida, come quelle senza tempo immortalate in poesie e dipinti da quegli uomini che erano riusciti a staccare lo sguardo dalla terra. Harry però, con gli occhi chiusi e la faccia soffocata sul cuscino, non poteva vederla.

 

- Non va bene. – si preoccupò Marzio. – Se questo Malfoy non accetta Derevan, lui è completamente impotente. Non può fare nulla per imporre la sua presenza, è la regola. –

Harry si strinse nelle spalle, sentendosi un po’ inutile. – Posso solo sperare che mi abbia ascoltato, quando gli ho detto che deve fidarsi. Ma Malfoy è un testone. –

- Non ci voleva. –

- Mi è sembrato spaventato. – si sentì in dovere di difenderlo Harry. – Non è difficile da capire, non credi anche tu? –

- Sì, sì, d’accordo. – asserì Marzio, un po’ duramente.

- Senti, Derevan è un tipo aggressivo? No, perché se è solo la metà di Malfoy… –

- Derevan è il ragazzo più dolce di questo mondo! – si infervorò il Romano. – Tu nemmeno immagini quanto sia gentile e buono, non farebbe male ad una mosca. –

- Oh. – ritrattò Harry, alle prese con l’immaginare un Malfoy ineditamente innocuo. – Beh, allora… che cosa succede, se Malfoy si ostina a cacciarlo? –

Marzio si oscurò. – Succede che Derevan sarà costretto ad andarsene dai suoi sogni, e mettersi a cercare qualcun altro. Potrebbero volerci altri secoli prima che riesca a trovare un’altra anima gemella, e per allora potrei non trovarla io, e così la spirale non avrebbe più fine. –

 

Harry si mordicchiò il labbro inferiore, ciondolando lentamente la testa in segno di assenso. C’era da immaginarselo, che le cose sarebbero potute andare così, ma in cuor suo non ne voleva sapere di gettare la spugna in quel modo, dopo aver conosciuto un po’ Marzio. Malfoy o non Malfoy, oramai il desiderio che quei due potessero ricongiungersi era diventato anche il suo.

 

- Ok, senti. Parlerò con Malfoy, e lo convincerò a collaborare con noi. Deve pur avere uno straccio di cuore da qualche parte, e mi rifiuto di credere che sia così gelido da restare indifferente alla vostra situazione. –

- Se così fosse? –

- Se così fosse, lo riempirò di pugni finché non gli tirerò Derevan fuori dalla testa, e te lo servirò su un piatto d’argento. –

 

Marzio arricciò il naso, impressionato. – Dì un po’, non ti piace proprio questo Malfoy, eh? –

- Nemmeno un po’. – confermò bruscamente Harry. – E’ che si crede chissà chi, e invece è un rompiscatole spocchioso e arrogante, e non è capace di combinare altro che guai. –

- E magari ti straccia con le pozioni. –

- Puoi dirlo forte, lui e quel suo sorrisetto da “sono il dio dei calderoni”. –

- Senti, come siamo messi a Ippogrifi? –

- Oh, lascia perdere, credo che quelle bestie siano allergiche a Draco peggio che un gatto all’acqua. Perché me lo chiedi? –

Marzio ridacchiò e fece spallucce, limitandosi ad un: - No, niente. – che sapeva tanto di bugia.

 

Harry, comunque, non ebbe modo di indagare oltre.

 

- Oh oh, mi sa che ci siamo. – ghignò il romano, appena l’atmosfera cominciò ad addensarsi e a sfocarsi.

 

I due furono sbalzati nel bel mezzo di un prato sterminato del tutto simile a quello che circondava il bosco in cui Harry incontrava Marzio. L’erba era più scura, però, per via del sole al tramonto, e aguzzando un po’ la vista Harry si accorse che proprio monotono non era, perché poco lontano da loro sorgeva una sorta di capanna di legno che assomigliava vagamente ad un magazzino per gli attrezzi; e a non più di un chilometro di distanza, verso ovest, ben visibile nell’aria tersa, sorgeva una cinta alta e nera, fatta di grossi tronchi ben scortecciati.

- Quella è Venta? È la stessa città che abbiamo visto tempo fa? – provò ad indovinare Harry.

 

Ma Marzio non lo stava ascoltando. Il suo ghigno si era volatilizzato immediatamente giunti in quel luogo, e tutta la sua attenzione adesso era concentrata sulla casupola di legno.

 

- Hey, va tutto bene? –

 

Il Romano si riscosse, e si affrettò ad annuire, per altro senza nessuna convinzione. Quando si incamminò verso il capanno Harry lo seguì, ma lui si fermò subito, e lo guardò in modo strano.

- Forse è meglio che tu… - disse con voce rotta, interrompendosi quasi subito e riprendendo a camminare, come se improvvisamente non gli fosse importato più di niente.

 

Harry gli si rimise alle calcagna, confuso dal suo strano comportamento, e anche un po’ spaventato. Giunti a pochi passi dalla piccola costruzione, Harry scorse qualcosa muoversi oltre l’angolo formato dalle assi di legno che ne formavano le deboli pareti.

Si affacciò, e ci mancò poco che finisse con il sedere per terra dallo stupore e dallo sgomento.

 

Legati ad un ceppo piantato frettolosamente nel terriccio morbido, c’erano due cavalli, I due cavalli, quelli apparsi più volte nei suoi sogni, interrompendoli sul più bello.

 

- Ma questi… -

 

Marzio lo seguì con lo sguardo assorto. – Oh, eccoli. – mormorò.

Si fece avanti pigramente, mentre le due cavalcature non si accorgevano né di lui né di Harry.

 

- Questo è di Derevan. – spiegò, con una punta di tenerezza, accennando con il capo all’ unicorno dal manto di uno scintillante colore cangiante che pasceva tranquillo. – E’ un animale magnifico. Si chiama Shay, nella lingua di derevan significa “dono”. –

- Non sapevo che gli unicorni si potessero addomesticare. –

- Derevan è l’unica persona che io abbia mai conosciuto, a montare un unicorno. E Shay non si lasciava toccare da nessun altro all’infuori di lui. Con lui era dolcissimo e premuroso, tra loro c’era un’alchimia speciale, e se tutto ciò che si dice sugli unicorni risponde a verità, allora Derevan era sul serio un’anima baciata dagli dèi. –

 

Harry annuì. Lui non sapeva troppe cose sugli unicorni, ma si ricordava bene tutti quelli che aveva visto, anche di quello morto del primo anno, perché quello spettacolo gli aveva straziato il cuore come poche altre cose.

 

- Quindi questo è il tuo? – domandò indicando l’altro cavallo, messo quasi esattamente di profilo rispetto a loro.

- Esatto. È il mio splendido stallone. – rispose Marzio con un certo orgoglio nella voce. – Fulgor, il lampo. Ah, quante corse a perdifiato, su e giù per le colline fuori Roma. –

 

Appena pronunciato il suo nome, l’animale sollevò il muso e diede una decisa scossa al crine nero, come se fosse riuscito a sentire la voce del suo padrone. Per un momento, Marzio sembrò sul punto di commuoversi.

 

- Senti. – disse sottovoce. – Io vado dentro. –

- Vengo anch’io. –

 

Sul viso squadrato di Marzio apparve un’ombra preoccupata, ma il Romano non disse niente, limitandosi ad incamminarsi lentamente vero il lato opposto della capanna, dov’era la porta.

 

Raggiunsero insieme l’entrata, e la varcarono. Senza nemmeno sapere perché, Harry lo fece in punta di piedi, in una sorta di silenzio rispettoso di chissà che cosa.

 

Si trovò davanti un’unica stanza, e immediatamente superato l’uscio, c’erano dei gradini di legno, costruiti grossolanamente con delle assi inchiodate e legate fra loro. Si scendeva di pochi scalini, poi si apriva una sorta di lungo ballatoio che correva lungo le altre tre pareti della casupola, e di nuovo giù, per un’altra manciata di passi. Mentre, tutt’attorno al ballatoio, stavano appesi alle pareti delle corde, pale, e altri strumenti da lavoro, sul pavimento formato da assi irregolari c’erano sacchi pieni di paglia, alcune coperte e alcune ciotole di legno e di argilla.

E c’erano Marzio, e Derevan.

 

Harry deglutì rumorosamente.

 

Marzio stava spogliando lentamente l’Iceno, con gesti misurati e infinitamente attenti.

 

- Pulcherrimus es tu. – Mormorò, vagando con occhi persi sulla sua pelle cerulea, e lasciandosi investire dal suo profumo che saliva tenue ed inebriante dalle sue spalle, dal petto e dalle braccia.

 

Derevan respirava a fatica, incapace di pronunciare anche solo una parola. Improvvisamente, si voltò verso di lui e chiese le sue labbra, sfiorandole con le dita fino ad attirarle contro le sue, in un bacio che ingoiava lacrime che nessuno dei due riusciva a versare.

Non c’era tempo, ora, non era il momento. Scesero sulle ginocchia, stretti e tremanti entrambi.

Derevan si morse l’interno della guancia, mentre schiudeva le gambe esitando, e sentiva i fianchi dell’amante farsi spazio fra esse.

 

- Io non… -

- Lo so. Farò piano.

- Ho paura. –

 

Marzio gli accarezzò teneramente un ciuffo di capelli che gli scendeva quasi fino al mento, rapito dall’innocenza della sua sincerità. - Shhh, va tutto bene. – lo rassicurò.

 

- Non sei tu a farmi paura. – insistette Derevan. – E’ tutto ciò che ci circonda. –

- Non devi pensarci.  In questo momento solo queste pareti spoglie conoscono il nostro segreto. –

 

Marzio parlava ad occhi chiusi, strusciando il suo viso su quello di Derevan; ondeggiava delicatamente sopra di lui, lambendo ogni volta le sue labbra e baciandole piano, con una devozione inesplicabile.

 

Gli posò un bacio sulla guancia, prima che la sua bocca si contraesse in un sospiro. Derevan trattenne solo in parte una smorfia di dolore, ma la dissimulò premendo il volto sul suo torace. Marzio lo allontanò, e non c’erano dubbi che volesse vederlo in viso e sapere ogni cosa delle sue sensazioni. I suoi occhi erano resi acquosi dal piacere che il suo corpo provava, ma anche dolci dall’apprensione per il suo amante.

 

Si sistemò delicatamente in modo da poter controllare ogni movimento e renderlo il più delicato possibile. Derevan lo lasciò fare, e lo implorò di continuare.

Gli strinse le mani sul petto, incurvò il bacino, fremette, lo guardò; sembrava che non gli importasse nulla del dolore, lui voleva essere suo, voleva solo poterlo amare come il suo cuore gli chiedeva di farlo, così totalmente da far sparire ogni altra cosa e lasciarli soli, lì, nel bel mezzo del nulla.

 

Harry indietreggiò verso la scala. Non sapeva nemmeno cosa provare, se orrore, o paura, o disperazione. C’era qualcosa che gli pizzicava lo stomaco, si sentiva l’addome informicolito e, soprattutto, la testa gli girava come una trottola impazzita.

 

- Ti dispiace se rimango qui. – soffiò Marzio, senza nemmeno voltarsi verso di lui. – Soltanto per un momento. –

 

Harry non gli rispose. Risalì le scale correndo, proprio mente Marzio cominciava ad ansimare un po’ più forte.

Quando si fu richiuso la porticina di legno, continuò a correre verso l’aperta prateria, finchè non ebbe più fiato.

 

I sospiri e i gemiti dei due amanti gli rombavano ancora nelle orecchie e nonostante se ne fosse allontanato, era come se non riuscisse a mettere fra di loro una distanza sufficiente.

 

Capiva Marzio, davvero, e non lo giudicava, però non avrebbe retto oltre a quello spettacolo surreale, e spaventosamente, spaventosamente giusto.

 

Aveva provato qualcosa, guardando quei due fare…

Qualcosa di cui non voleva sapere niente.

 

Si era sentito voyeur di un momento estremamente intimo che non avrebbe dovuto riguardarlo, ma una voce in lui gli aveva dato il diritto di vedere e di sapere, e anche di provare quel qualcosa che aveva guastato. Era di nuovo l’amore di Marzio che lo invadeva, anche se adesso Derevan aveva una faccia, una faccia sbagliatissima, e così inedita e dolce con lui.

 

Camminò ancora un po’, passeggiando in tondo nelle vicinanze della casupola, senza poter fare altro che aspettare che Marzio uscisse di lì. Si rese conto che il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare Draco, parlare con lui. Rabbrividì, terrorizzato all’idea di non sapere che cosa gli avrebbe raccontato, con quelle immagini negli occhi.

 

Lui non era Marzio, e Malfoy non era Derevan, e ciò che era accaduto fra di loro non li riguardava. Però…

Però.

Dio, com’era diventato tutto complicato. Lui ci avrebbe anche provato, a dire a quel Romano che senti, le cose si stanno facendo decisamente troppo strane, ma si conosceva, non sarebbe mai riuscito a tirarsi indietro, dopo che lui gli aveva aperto tutto il suo mondo.

Però Malfoy aveva ragione, essere dei Grifondoro era più una grana che un vanto.

 

Girò attorno alla capanna per quella che doveva essere la quinta volta ormai, quando finalmente si decise a fermarsi sul retro, dove sostavano i due cavalli lasciati a pascolare nei dintorni. Si accorse di essersi sbagliato circa i paramenti dei due destrieri: quello di Marzio era legato, mentre l’unicorno di Derevan era libero. Non aveva sella né redini, e del resto c’era da chiedersi se un animale del genere avrebbe mai sopportato di essere imbrigliato e imbacuccato come un ronzino qualunque.

Il cavallo di Marzio, in confronto a Shay, era un vero gigante. Lui sì che era legato ad una corda, ma il nodo era talmente molle, e il palo piantato in modo così superficiale che sarebbe bastato uno strattone nemmeno troppo deciso per liberarsi.

Evidentemente, entrambi i cavalieri sapevano che le loro cavalcature non li avrebbero abbandonati. È sempre una bella cosa la fiducia, anche quando si tratta di cavalli.

 

Fulgor, o come diamine si chiamava, era un po’ più tranquillo del suo compagno. Shay di tanto in tanto batteva con forza lo zoccolo sul terreno, producendo un tonfo attutito contro il terriccio morbido. Fulgor lo guardava in modo straordinariamente vivido, come avrebbe fatto un essere umano. Era persino buffo il modo in cui sembrava volerlo rimproverare. Shay allora si innervosiva, piccato per quell’atteggiamento autoritario nei suoi confronti, e scalciava più forte, sbuffando per dispetto. Il cavallo si sollevava sulle zampe posteriori per far valere la sua stazza, e allora l’unicorno scuoteva pigramente la sua incredibile criniera, trapuntata di stelle anche in pieno giorno, e i due finivano con lo studiarsi ancora per un po’, per poi ignorarsi alcuni minuti, e ricominciare tutto daccapo.

 

Facevano un po’ ridere, in effetti.

 

- Harry. –

 

Per un momento, ebbe l’impressione che fosse stato l’unicorno a chiamarlo.

 

Marzio lo sorprese alle spalle. Aveva un aspetto piuttosto scosso, e se ne stava chiuso nel suo mantello rosso come se avesse avuto addosso tutto il freddo del mondo.

 

- Mi dispiace. – disse soltanto. Si stava scusando per tutto, per averlo lasciato entrare in quel posto in primis, e per essere rimasto dentro dopo, ritagliandosi qualche minuto di egoistica e disperata contemplazione della sua stessa memoria, dimentico di Harry per quel poco che poté.

- Non fa nulla. –

Marzio annuì fra sé, tenendo gli occhi bassi. – Mi sono comportato in modo infantile. – cercò di insistere, palesemente per tornare su un argomento che sapeva benissimo essere imbarazzante per Harry, ma di cui lui aveva bisogno di parlare, dopo secoli e secoli di silenzio. Anche per questo si era scusato, poco prima.

 

- Posso capirti. –

- Davvero? –

- Ma certo. Credo che mi comporterei così anche io, se potessi rivivere qualcosa di bello con chi amo, anche se… -

- Anche se è un’illusione. –

 

Harry reclinò la testa, osservando i due cavalli che si litigavano una zolla di terra che entrambi reputavano particolarmente appetitosa.

 

- Facevano sempre così? – indagò, giusto per cambiare discorso.

 

Marzio si strinse nelle spalle, con divertita rassegnazione. – Più o meno. Una volta, ricordo che Shay cercò di rubare delle mele a Fulgor, e Fulgor gli cacciò una musata che per poco non lo mandò a sbattere contro un albero. E quel piccolo demonio reagì caricandolo a testa bassa. Se Derevan non fosse intervenuto a separarli si sarebbero ammazzati di sicuro. –

- Derevan? –

- Già. Ha un ottimo ascendente sugli animali. Tranne che sugli Ippogrifi. –

- E perché? –

- Oh, non me lo chiedere. Non ho idea del perché, ma era terrorizzato dagli Ippogrifi. Se ne vedeva uno prendeva a strillare come un pazzo, e correva a nascondersi il più lontano possibile. –

- Ma non mi dire. – sghignazzò Harry.

 

In quel momento, Shay sollevò la testa, guardando dritto verso di loro. Harry arretrò di un passo, impressionato dalla forza dello sguardo dell’unicorno, e dalla sua limpidezza perfetta.

Fulgor lo imitò, un po’ meno convinto. Marzio si limitò a rimanersene lì fermo, consapevole più di Harry che i due destrieri potevano forse avvertirli nell’atmosfera, ma di certo non vederli.

 

- Shay è un animale molto intelligente. – aggiunse riprendendo il suo discorso. - Ma non è troppo gentile con chiunque non sia Derevan. E Fulgor è buono, ma è un tantino orgoglioso, e se perde la pazienza sono guai. Potrebbero essere buoni amici, e invece si fanno i dispetti come due monelli. –

- Tu e Derevan, invece? Non eravate diversi? –

 

Il Romano fece un gesto incomprensibile con la mano, come se avesse voluto scacciare via qualcosa. Si buttò a sedere sull’erba fresca con un tonfo, stiracchiandosi.

 

- Io e Derevan eravamo molto diversi. – spiegò a mezza voce. – Ma vedi, ci sono delle differenze che sono delle occasioni, e ti rendono più ricco. Derevan mi ha dato moltissimo proprio perché vedeva il mondo in una maniera completamente diversa da come lo vedevo io. –

- Ma questo non vi portava a scontrarvi? – volle sapere Harry, un po’ scettico.

- Qualche volta sì. – asserì Marzio. – Quando si trattava di orgoglio, nessuno dei due voleva mai cedere. Ma era bello così, io amavo vederlo infiammarsi per ciò in cui credeva, e darmi addosso perché secondo lui io non ero altro che un’aquila ottusa. –

 

Raccolse un filo d’erba verde brillante, e prese ad accarezzarne delicatamente lo stelo, sul recto e sul verso, facendoselo scorrere fra il pollice e l’indice.

 

- Comunque, Derevan era un ragazzo dolcissimo. Lui amava qualsiasi cosa abitasse questa terra, e non sapeva nemmeno che cosa significassero il tradimento, l’odio, e sentimenti del genere. Certe volte, quando potevamo dormire insieme, mi si rannicchiava fra le braccia e mi diceva che gli facevo paura, perché io conoscevo queste cose tremende. Diceva che per questo io ero più freddo, ma anche più saggio, perché un veleno lo si riconosce soltanto se lo si è assunto almeno una volta. –

- E tu? Ti sentivi più freddo, rispetto a lui? –

Marzio sorrise amaramente fino quasi a ridere, e fra accenni di singulti disse: - Io mi sentivo un mostro, rispetto a lui. Con le mie mani, avevo ucciso uomini, e fatto soffrire vedove e orfani condannandoli alla schiavitù. Lui, con le sue, curava le malattie e le ferite, e dava conforto a chiunque ne avesse avuto bisogno. Guarì anche me innumerevoli volte, e nonostante andassi a combattere la sua gente, mi aspettava con le lacrime agli occhi, e piangeva su ogni mia ferita come se fossero state sue. In quei momenti, lui metteva il suo cuore di cristallo fra le mie mani di fango, e io mi appellavo agli dèi perché purificassero il mio cuore e mi rendessero degno di lui. Non sono altro che un soldato, eppure lui mi ha dato tutto sé stesso, la sua anima di fanciullo e il suo corpo incantato, la sua pelle, e i suoi baci, e tante altre cose ancora. –

- Merlino, lo amavi come un… - Harry non seppe nemmeno come terminare la sua frase, tanto era difficile cercare una definizione adeguata.

- Come un pazzo, vero? – lo aiutò Marzio.

- Come un pazzo. –

- Già. –

 

Marzio si rimise in piedi di scatto, e quando Harry tentò di imitarlo, confuso, il paesaggio attorno a loro prese a vorticare.

 

- Harry, ho solo un modo per poterlo rivedere, uno soltanto. – disse, sovrastando a fatica uno strano vento irreale che mugghiava da ogni direzione verso di loro. – Ma mi occorre il tuo aiuto. –

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Uff, festeggiamo la fine della sessione di esami! Non ci crederete mai, ma l’ultimo l’ho passato discorrendo di fanfictions. Biblioteconomia, si parlava di plagio e copywrigth, e sapete come vanno queste cose, una frase tira l’altra…

Mi sono eroicamente astenuta dallo specificare al prof che scrivo storie yaoi. A un certo punto ci ho pure pensato, ma mi è sembrato più saggio evitare di dire qualcosa che avrebbe potuto usare contro di me al momento del voto.

 

Nota: Pulcherrimus es tu, significa “sei bellissimo” o “sei splendido”. Quel tu funziona un po’ come in italiano. Potrebbe essere omesso, e per questo la sua presenza rimarca la forza della frase. Tu, proprio tu, sei bellissimo.

 

Inoltre, ve ne siate accorti o meno, Marzio nei suoi discorsi salta continuamente dal tempo passato al presente. Non è un errore o una svista, è del tutto voluto, per cercare di sottolineare la confusione che lui stesso vive, fra ciò che era e ciò che è, fra il fatto che Derevan sia un ricordo, ma sia anche tangibile.

 

Dunque, oggi invece che rispondere a ciascuno ho deciso di dedicare questo spazio a delle delucidazioni generali su domande che sono ricorse. Spero che possa esservi utile!

 

Innanzitutto, la questione Draco/Derevan nel sogno. In realtà Derevan non gli mostra ciò che vuole, non può farlo. Come avrete avuto modo di capire, Marzio e Derevan “sentono” quando un ricordo sta per materializzarsi, ma nessuno dei due è in grado di prevedere quale sarà. Rileggendo il capitolo mi sono resa conto dell’ambiguità delle parole di Derevan. Non intendeva dire che se Draco vuole, lui gli mostrerà un ricordo preciso, ma che dipende dalla sua volontà il vedere un qualsiasi ricordo. Se Draco si chiude, come Marzio spiega in questo capitolo, Derevan non può fare nulla, incluso mostrargli i suoi ricordi. Tenete presente che più avanti, a queste considerazione si aggiungerà un altro tassello, che per ora non vi svelo.

 

Secondo, la benda insanguinata. Come mai viene data a Derevan per fasciare la ferita, ma poi compare nel sogno di Marzio? Non è perché lui l’abbia conservata, ma semplicemente perché un sogno è un sogno, un affastellarsi di ricordi e desideri, per cui la benda rappresenta Derevan, e il gesto premuroso che Marzio compì in quell’occasione. Inoltre, in questo modo si crea una rete di richiami fra i sogni di Draco e Harry. Prendete la storia degli Ippogrifi. Riguarda Derevan/Draco, ma solo Harry lo sa! È tutto un incastrarsi di elementi che, spiegati così, farebbero venire il mal di testa.

 

Poi, e qui vi volevo, però lo ha notato solo Dark: vi siete accorti che Draco, proprio l’arrogante Draco che discrimina chiunque non sia come lui, è rimasto allucinato per quel “barbaro” detto a Derevan? Per forza: Derevan è un po’ sé stesso, e si sa che chi discrimina non tollera di essere discriminato. Chissà che non gli serva di lezione…

 

Infine: il “mondo”, come ormai lo avete ribattezzato, dove Draco e Derevan, e Marzio e Harry si incontrano. È proprio come dice Synoa, è una sorta di terra franca nel sogno, dove Marzio e Derevan hanno alcuni poteri, come appunto quello di mostrare dei ricordi, ma dove Draco e Harry conservano la loro influenza, trattandosi pur sempre dei loro sogni. È un mondo ancora avvolto nel mistero, comunque, e tale rimarrà per un po’!

 

Ecco qui, spero di aver fatto un po’ di chiarezza su ciò che potevo chiarirvi. Grazie per tutte le vostre recensioni, e mi raccomando, se avete dubbi non esitate a chiedere. Se non ho risposto a qualcosa, naturalmente, è perché vi voglio male e desidero che continuiate a soffrire, perciò rassegnatevi! ^___^

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Capitolo 11
*** Castra ***


Cap 6c Draco ed Harry si raccontano alcune cose, facendo un po’ di chiarezza

Alle otto in punto, dietro la serra numero tre.

Vedi di non mancare.

 

D.M.

 

Harry quasi non ci poteva credere, che Malfoy si fosse scomodato a fare la prima mossa. L’unica lezione che avevano seguito insieme quel giorno era stata quella di Incantesimi, e appena il bigliettino, frettolosamente piegato a farfalla, si era posato sul suo banco, Harry aveva subito pensato ad un errore.

 

Non gli aveva risposto per iscritto. Aveva fatto un cenno di assenso guardandolo con la coda dell’occhio, e aveva visto che Malfoy si rimetteva tranquillo al lavoro sul suo bicchiere d’acqua da congelare.

 

- Iberno! – esclamò anche lui, imitando il resto della classe, e ottenendo una discreta crosticina superficiale che non era affatto male, come primo esito.

 

Spiò Draco, e vide che lui era riuscito a congelare quasi metà del bicchiere.

Accidenti.

Hermione aveva congelato alla perfezione il suo, ma non c’entrava niente. Prima di tutto, perché Hermione era Hermione, e nessuno con un po’ di sale in zucca si sarebbe mai messo in competizione con lei. Secondo, perché era una sfida fra lui e Draco. Marzio gli aveva detto che anche Derevan stracciava lui con le pozioni, perciò d’accordo, passi, ma questo non era un buon motivo per farsi pestare i piedi anche in tutte le altre materie.

 

- Iberno! -

 

Ottenne poco più di prima, mentre Draco era migliorato di almeno due dita. Ma quanto veloce imparava, quello?

 

- Iberno! -

 

Neville Paciock diede una specie di rantolo, e un momento dopo il suo bicchiere esplose per la pressione del ghiaccio, mandando schegge di vetro in ogni direzione.

 

Harry abbassò la testa d’istinto, e per poco con finì a sbattere contro quella di Ron, che lo aveva preceduto. Dall’improvvisato rifugio sotto al banco, vide Draco Malfoy, che era seduto esattamente nel posto parallelo a quello di Neville, sull’altra fila, vacillare, e poi cadere all’indietro con un gemito.

 

- Malfoy! – gridò, catapultandosi fuori dal suo posto per raggiungerlo. – Sei ferito, stai bene? -

 

Draco gli scoccò un’occhiata sconvolta, resa ancora più grottesca dal rigagnolo di sangue che gli colava giù dal sopracciglio destro. Nel silenzio che calò sull’aula, Harry si rese conto di cosa aveva fatto, e degli sguardi allucinati dei suoi compagni, tutti puntati su di lui.

- Che cosa stai facendo, Potter. – sibilò, ma nel farlo contrasse inavvertitamente la fronte, e un fiotto di sangue gli colò sull’occhio accecandolo.

- Sei ferito. – fu l’unica risposta che Harry riuscì a formulare.

 

Grazie al cielo, Vitious smosse l’aria, raggiungendo l’alunno ed esaminandolo rapidamente.

 

- Niente di grave, è solo un graffio. – constatò. – Vada in infermeria a farsi medicare. –

 

Draco obbedì. Ignorò Pansy Parkinson, che si era entusiasticamente offerta di accompagnarlo, e infilò la porta tenendo una mano premuta sul taglio.

Harry invece ritornò al suo posto, con ancora gli occhi di tutti addosso. Quello di Ron e Quello di Hermione, nella fattispecie.

 

- Wow, ma che ti salta in testa! –

- Stai zitto, Ron, ha soltanto aiutato un compagno che si era fatto male! -

- Ma è Malfoy! -

 

A quello, nemmeno Hermione ebbe nulla da controbattere. Cercò di interrogare Harry con lo sguardo, ma lui si sottrasse impacciatamente, sforzandosi di riprendere l’esercizio come nulla fosse. Per fortuna che aveva stracciato il biglietto di Malfoy e se l’era ficcato in tasca prima che qualcuno potesse vederlo.

 

*          *          *

 

Draco si presentò puntualissimo. Harry notò il cerotto applicato sulla fronte, che gli conferiva un aspetto ancora più immusonito del solito. Sorrise, però: tutto sommato, faceva tenerezza.

 

- Non ho intenzione di perdere troppo tempo qui. – puntualizzò. – Perciò sputa il rospo. -

Harry cacciò un sospiro, e si disse che Marzio era un uomo fortunato, ad avere a che fare con la versione gemello buono di Malfoy.

 

- Hai parlato con Derevan? -

- Certo che sì. -

- Ebbene? -

 

Draco arricciò il naso. – Aveva dei gusti pessimi. – fu la lapidaria risposta.

A Harry scappò una risatina, nonostante il commento di Malfoy fosse una palese frecciata in sua direzione. Se non altro, se Derevan gli aveva parlato di lui e Marzio, voleva dire che avevano raggiunto un livello sufficiente di confidenza. Era un notevole passo avanti, considerando che fino al giorno prima Draco voleva farsi ricoverare al San Mungo. Certo che bisognava essere seriamente disperati, per fare di Malfoy il proprio confidente.

 

- D’accordo, e oltre ad avere gusti pessimi? -

- Posso dirti una cosa, in tutta franchezza? –

 

Si informò Draco. Domanda retorica.

 

- Quel Derevan non  lo so. È che è mi sembra un po’ troppo perfettino. Credo che lo chiamerò San Derevan. –

- Non mi dire che ho un concorrente. –

- Sei nei guai fino al collo, Potter. Lo sapevi che è anche un geniaccio con le pozioni? –

- Beh, scommetto che è perché non aveva un insegnante come Piton. –

- E’ perché è più intelligente di te, Sfregiato. Del resto, se mi somiglia… -

- Ha ha. Com’è che hai appena finito di dire che è gentile e carino, allora? Tu non sei gentile e carino, Malfoy, nemmeno quando dormi. –

 

Draco strabuzzò gli occhi, come se la considerazione di Harry lo avesse ferito sul serio. I casi erano due, o il furetto era istericamente convinto di essere buono e dolce come una torta di fragole, o la sua era una tipica messinscena alla Malfoy, ma che più tipica non si poteva.

 

- Sto scherzando. -

- Guarda che non mi interessa un bel niente se stai scherzando o no! -

 

Harry fece roteare gli occhi.

 

- Senti, a proposito, Marzio mi ha detto una cosa. – disse, sperando di farsi perdonare con un baratto di notizie. – Mi ha spiegato come fare perché possano rivedersi. -

- Lo sai anche tu? – esclamò Draco, sembrando enormemente sollevato. – Te lo ha detto, il tuo? –

Harry rimase per un attimo imbambolato a guardarlo con una faccia strana, per il modo assurdo in cui Malfoy si era rivolto a loro. – Hey, guarda che non sono mica i nostri gatti domestici. – borbottò ridacchiando.

- Va beh, va beh. – tagliò corto il Serpeverde.

- Ok. Beh, allora, se lo sai… che facciamo? -

- Che facciamo, Potter? NON facciamo! -

 

Harry si aggiustò gli occhiali sul naso, ripetendosi mentalmente che con Malfoy ci voleva una vagonata di pazienza. Marzio avrebbe dovuto trovare il modo di ringraziarlo, altroché. 

 

- Malfoy. – sospirò. – Sei dentro a questa faccenda, ormai. Non puoi tirartene fuori come niente fosse. Non ce l’hai un cuore, accidenti? -

- Non voglio dormire con te! – strepitò Draco, inviperito. – E non vedo come il mio cuore possa c’entrare in tutto questo! -

- Dobbiamo solamente dormire insieme per una notte. Non significa mica sposarsi, mi pare. -

- Fammi capire, tu saresti disposto a farlo? -

- Sì, sarei disposto a farlo. Perché quelle due persone soffrono. Vorrebbero rivedersi ma non possono, e la loro unica possibilità siamo noi. Non me ne frega un accidente se tu sei talmente infantile da reputarlo disgustoso. Marzio ama  il tuo Derevan, e per quell’amore sono ancora qui dopo duemila anni. Duemila anni, lo capisci, Malfoy? –

 

Draco, suo malgrado, ammutolì del tutto.

 

- Perciò sì. – concluse Harry. – Sarei disposto a fare l’incommensurabile sacrificio di dormire con te senza comportarmi come un moccioso. E dimmi pure che sono un Grifondoro della malora, ma mi piacerebbe tanto sapere come fai a restare indifferente a tutto questo. -

- Non ho detto che sono indifferente. – brontolò, sulla difensiva.

 

Harry reclinò la testa per osservarlo attentamente. Borbottò un: - Non volevo aggredirti. – e scrollò le spalle quando Draco le scrollò a sua volta.

 

Nel silenzio calato fra i due ragazzi, si contavano le folate di vento gelato che sgusciava fra le foglie degli alberi tutt’intorno a loro, e le faceva frinire. Il cielo era di un bellissimo buio suggestivo, per nulla soffocante. C’erano le stelle, la luna quasi piena e le nuvole agili che passavano sopra di loro sembravano cicatrici profonde nella volta celeste. Harry si domandò quanto Marzio dovesse essere debitore a spettacoli come quelli, per il suo amore. Ammiccò furtivamente verso Draco, rannicchiato vicino a lui, con tutte le luci della notte riflesse sul viso.

 

- Stai tremando. – mormorò dolcemente. – Vuoi il mio mantello? -

- Al diavolo, sto benissimo con il mio. -

 

Harry si alzò in piedi. Draco non lo calcolò finché non sentì che aveva smesso di trafficare, perché una specie di cortina nera gli oscurò gli occhi.

 

- Sicuro? – insistette il Grifondoro, sventolandogli davanti il suo mantello. – Draco ne avvertì il tepore, a pochi centimetri di distanza da lui.

- Sei sordo? – sbottò. – Ho detto che non mi serve. -

- E va bene, come vuoi tu. -

 

Harry si avvolse il mantello attorno alle spalle e lo riallacciò, con uno strano sorrisetto saputo stampato sulla faccia.

 

- La sai una cosa? – aggiunse mentre si rimetteva a sedere. – Più che a Derevan, tu assomigli al suo cavallo. -

 

*          *          *

 

D’accordo, il paragone con il cavallo era stata un’idea infelice. Malfoy lo aveva preso a calci fino all’imbocco delle scale per i sotterranei, e a niente era valso il penoso tentativo di specificare che era un unicorno, e quindi a ben vedere il suo era stato un complimento.

 

- Ahia. – borbottò il povero Harry, buttandosi sul letto senza scaricare il peso sul suo fondoschiena maltrattato.

- Uhm? Che succede? -

- Niente, niente. -

 

Ron si tirò su a sedere sul letto. Dopo qualche brusio confuso, si accese una candela sul suo comodino.

- Ma sei tornato adesso? -

- Sì. Scusa, non volevo svegliarti. -

- Vorrai dire svegliarci. – irruppe la voce di Seamus.

- Dove ti eri andato a cacciare? -

 

Harry ebbe un brivido freddo, al ritrovarsi circondato da tutti i suoi compagni, svegli e attivi come non mai.

 

- Niente di importante, stavo facendo qualche ricerca. – buttò lì, pregando che avessero tutti troppo sonno per mettersi a smascherare le sue bugie.

- Ah sì? Non è che incontravi qualche bella ragazza? -

 

Harry arrossì, e con lo sguardo implorò l’aiuto di Ron. Che non si fece pregare, e inventò su due piedi una ipotetica ricerca sulle conseguenze dei boa costrittori/cravatta sulla salute che la McGranitt aveva affidato loro. Harry si sentì piuttosto in colpa, per approfittare così di lui: il povero Ron dava per scontato che lui si fosse dato da fare per qualcosa che riguardava Marzio e i suoi sogni, ma non poteva nemmeno immaginare in cosa fosse consistita esattamente la sua ricerca.

 

Si ripromise di dirgli tutto, a lui e ad Hermione. Una volta che con Malfoy le cose si fossero stabilizzate.

 

*          *          *

 

- Allora? -

- Credo che si stia più o meno convincendo a collaborare. Domani andremo a parlare con il nostro preside, insieme, e decideremo cosa fare. -

- Ma non potete semplicemente sdraiarvi su un letto e dormire? -

 

Harry sorrise, anche se un po’ tristemente.

– Capisco la tua fretta, però credo che sia molto meglio andarci con calma. Tu non conosci Malfoy, non hai idea di quanto sia lunatico. E poi è meglio che il professor Silente sia aggiornato. Ti assicuro che può soltanto esserci di aiuto. –

 

Marzio sbuffò, ma sembrò essersi convinto. O almeno rassegnato.

 

- Questo preside è molto potente, vero? -

- Sì. Ma tu come fai a saperlo? -

- Uhm. Lo sento. -

Harry trattenne il fiato. – Ma come. – balbettò. – Mi leggi nel pensiero? -

Marzio lo guardò un po’ in tralice, prima di mettersi a ridere. – Ma no, intendevo dire che l’ho avvertito dal tuo tono di voce. Ne parli con grande rispetto. Perché hai paura che ti legga nel pensiero? –

 

Harry sbarrò gli occhi, colto in fallo.

 

- Mi nascondi qualcosa? -

 

Si affrettò a negare con forza.

 

Marzio assunse un’espressione sorniona.

- Ehm, perché non cerchi di evocare qualche ricordo? -

- Hai tutta questa fretta? -

- No, però… -

 

Il terreno sotto ai piedi di Harry si sdoppiò, provocandogli una forte vertigine, e Marzio scrollò le spalle, come a dire che era stato molto fortunato.

 

Si ritrovarono in uno scenario completamente nuovo per Harry. Un fitto canneto ondeggiava su quella che aveva l’aria di essere una palude. Ormeggiate quasi a perdita d’occhio lungo la riva fangosa, c’erano delle minuscole imbarcazioni bislunghe che assomigliavano vagamente a delle canoe, e che ad occhio non potevano contenere più di un paio di persone. Altre invece erano decisamente più grandi e robuste, e avevano dei fianchi ben alti, quasi dei parapetti. Altre ancora, infine, avevano l’aspetto di piccole chiatte.

 

- Oh, bene. – esclamò Marzio. – Sbrighiamoci, siamo proprio vicini. -

 

Vicini a che cosa, Harry non fece in tempo a domandarglielo, perché quel diavolo di Romano era già partito a tutta velocità verso l’entroterra, praticamente correndo incontro al sole ben alto nel cielo terso. Superarono una collinetta gibbosa, e si ritrovarono inaspettatamente davanti ad un’enorme recinzione fortificata, con tanto di guardie e portoni d’ingresso.

 

- Ma dove siamo? -

- Al mio castra. – annunciò Marzio, gonfiandosi come un pavone. – È stata la nostra base per moltissimo tempo, durante la conquista di questa zona. In linea d’aria, Venta è laggiù. – disse, indicando il nord. – Non dista più di un’ora a cavallo. -

 

- E’ un punto strategico. – osservò Harry. – Siete sulla costa, ma la collina vi ripara. -

- Già, e sull’altro lato, la spianata non permette attacchi a sorpresa. È un ottimo posto. Pensa che lo scelse Il nobile Cesare in persona, prima di lasciare a me il comando per tornare a Roma. -

- Oh. Tornò a Roma per proclamarsi imperatore, gius… -

- Zitto! -

 

Marzio schizzò indietro come un gatto a cui era appena stata tirata la coda. Il povero Harry lo guardò senza capire, mentre si ricomponeva in fretta e furia, e si schiariva la voce, facendo finta di niente.

- Ho detto qualcosa di sbagliato? -

- Uhm, facciamo una cosa, lasciamo perdere l’argomento Cesare, eh? -

 

Harry fece spallucce. A meno di non venire a sapere di improbabili parentele fra lui e Marzio, ne aveva già abbastanza di lui, Derevan e cavalli connessi, senza bisogno che si mettesse in mezzo anche un tizio con il nasone.  

 

- Dai vieni, entriamo. -

 

Superarono le sentinelle di guardia senza che nessuno si accorgesse di loro, e del resto era normale che fosse così. Però era la prima volta che si ritrovavano in mezzo a tante persone, e non si poteva negare che il fatto che tutti continuassero a parlare fra loro come nulla fosse facesse un certo effetto.

 

Una volta dentro, Harry rimase a bocca aperta: all’interno delle palizzate di protezione, c’erano centinaia di tende, disposte in fila con una precisione impressionante. Tutte identiche, stessi colori e stesse dimensioni, sembravano un enorme campo di testuggini. Alcune avevano delle insegne o delle lance piantate fuori, ma nessun altro elemento permetteva di distinguerle. Se i soldati vivevano lì, dovevano aver escogitato il modo per ritrovare la via di casa ogni giorno, altrimenti sarebbe stato il putiferio. E dire che lui si lamentava del percorso labirintico per raggiungere il suo dormitorio.

Più in là, si innalzavano delle costruzioni in legno che potevano essere stalle, ma anche alloggi, chi lo sa.

 

- Quello è il tuo esercito? – esclamò, ammirato.

 

- La mia Legione, sì. – annuì Marzio con un certo orgoglio. – Quegli uomini che vedi là davanti sono i nostri arcieri che si esercitano. – disse puntando il dito verso un gruppo di una ventina di uomini, tutti raggruppati assieme e rivolti verso una balla di fieno. – Le macchine da guerra sono sistemate laggiù, dietro a quell’edificio. E poi ci sono le scuderie, e le armerie, tutte là, sulla sinistra. –

 

- Ma… - Harry aggrottò le sopracciglia, un tantino confuso. – Non mi hai detto di essere un mago? -

- Certo. Lo sono, infatti. -

- E allora non usavate la magia, per combattere? –

Marzio sorrise, reclinando un po’ la testa. – Che cosa conosci di più, dell’esercito romano, Harry? Le falangi o le bacchette?–

- Beh, direi le falangi. -

- E ti sei mai chiesto perché? -

 

Harry sbattè le palpebre, confuso.

 

– Allora c’erano molti meno maghi di oggi. – spiegò Marzio, stropicciandosi distrattamente un lembo della tunica. – Con noi ci sono degli ottimi pozionisti, e dei veggenti, che si occupano di tenerci in forza e di propiziare la battaglia. E comunque, usare la magia sarebbe inutile. Il popolo di Derevan è molto più potente del nostro; i nostri pochi maghi non avrebbero possibilità contro di loro. Derevan stesso è infinitamente più potente di me. –

- Oh, capisco. –

Harry ebbe un brivido, alla prospettiva che Malfoy potesse essere più forte di lui. Aveva già combinato guai a sufficienza con le sue capacità attuali, non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe potuto combinare un Draco in versione potenziata.

- Draco è più potente di te, Harry? -

 

Ecco, appunto. Esattamente la domanda che Harry si stava augurando Marzio non gli facesse.

 

- Beh… - fece, poco convinto. – Draco è piuttosto in gamba, ma  io credo di essere migliore. Lui però sa volare bene, ed è bravo con le pozioni. -

- Ma è potente? – Lo interruppe Marzio. – Lascia perdere se è più o meno bravo di te. È più potente? -

Harry inarcò un sopracciglio. – Come sarebbe, se è bravo o potente? Non è la stessa cosa? –

- Oh, no! – Marzio rise di cuore, come se Harry avesse appena fatto una grossolana figuraccia. – No, certo che no, sono cose molto diverse! -

Harry non era per niente convinto, ma con una certa stizza non poté far altro che aspettare che il Romano smettesse di ridere, per poter sperare in una qualche spiegazione.

- C’è una bella differenza. – riprese Marzio, ridacchiando. – Un mago può essere incredibilmente potente, eppure essere un disastro con la bacchetta, oppure essere mediocremente dotato, ma riuscire a sfruttare al massimo il suo potere, e sembrare il miglior mago del mondo. Non te le insegnano queste cose, a scuola? –

Harry grugnì. – No. –

 

Ecco un’altra cosa che lui non sapeva, scoperta nel modo meno probabile.

 

- Oh, ma guarda un po’, si parla di potenze. -

 

Derevan comparve all’improvviso da dietro un angolo, facendo fare un balzo a Harry. Era equipaggiato di un’enorme anfora che aveva tutta l’aria di pesare come una dannata.

- Dove vai? – indagò Marzio, spuntando anch’egli alle spalle dei due, e stendendo definitivamente Harry.

 

Derevan tirò un lungo respiro. Lo fissò con aria molto seria, prendendosi il suo tempo per concentrarsi, prima di parlare.

- Vado a prendere l’acqua, nel pozzo. – rispose, scandendo per bene le parole.

- Al pozzo. – ridacchiò Marzio. – Preferirei che tu non ci finissi dentro. –

- Oh. Al pozzo. Vado a prendere l’acqua, al pozzo. –

- Impari in fretta. –

- La tua lingua non è difficile. – constatò Derevan. – Ma non capisco perché la parte più importante la teniate sempre in fondo. –

Marzio si strinse nelle spalle. – Nescio. – rispose laconico. – Però quando hai finito fila subito al mio alloggio. Non mi piace che tu te ne vada in giro nel castra. -

- Me ne vado in giro nel castra. – ripeté Derevan, mostrandogli la punta della lingua con un ché di malandrino. – Non capisco! –

- Non fare il furbo, lo so che mi hai capito benissimo. –

- Non capisco, non capisco! -

 

l’Iceno se ne sparì saltellando da dov’era venuto, in barba all’anfora mastodontica che si portava in braccio, e che a rigor di logica avrebbe dovuto piegare a metà un qualsiasi uomo della sua stazza.

- Hey, ma ti prende in giro! – protestò Harry.

 

- E così, ti lasci prendere in giro da un ragazzino, eh? –

 

Harry si zittì. Marzio, di fianco a lui, era rigido ed attentissimo.

 

Dalla stessa direzione da cui era provenuto Marzio, cioè dalle loro spalle, arrivò uno strano tipo smilzo, dagli zigomi spigolosi e dal sorriso mordace. Portava un curioso pizzetto sottile solo sulla punta del mento, e i capelli, che dovevano essere riccioli, parecchio corti.

 

- Non è affatto dignitoso, Legato. -

 

Marzio alzò gli occhi al cielo, e si voltò verso di lui.

 

- Anacore. – scandì. – Perché ti diverti tanto a spiarmi come un segugio, invece che occuparti delle tue faccende? -

- Perché sono greco, ovviamente. Pensavi davvero che me ne sarei rimasto a compilare annali per tutto il pomeriggio, invece che dilettarmi a farmi gli affari tuoi? -

- No, non ci ho sperato nemmeno per un momento. –

 

Il nuovo arrivato ridacchiò. – Se negli annali potessi riportare anche chiacchiere e aneddoti, sarei ben contento di fare il mio lavoro. Ma voi Romani siete tremendamente noiosi, quando si tratta di queste cose. –

 

Calò un silenzio disteso. Per qualche istante, i due uomini guardarono verso lo stesso punto, dove Derevan si era dileguato poco prima. Harry provò una sensazione appagante di complicità che lo fece sorridere esattamente come sorrideva il Marzio del ricordo, con le labbra piegate verso destra e le palpebre socchiuse.

 

- E comunque. – Anacore si corrucciò. – Lo sai che Tito aspetta solo che tu faccia un passo falso, amico mio. –

Marzio scrollò brevemente le spalle. – Sì, lo so. – Rispose, laconico.

- Allora  saprai anche che dovesti lasciar libero il ragazzo. È meglio per te se lo dimentichi in fretta, e lo restituisci alla sua gente. Con un po’ di fortuna, sopravvivrà alle battaglie e se ne resterà a vivere tranquillo in queste terre insopportabilmente erbose. -

- Non credo di poterlo fare. È il mio cuore che non vuole liberarsi di lui. -

- Ma così finirai in grossi guai. -

- Lo so bene. Bah, Azio Tito Quinto. – rifletté, rigirandosi quel nome nella bocca. – Nulla mi leva dalla testa che qualcuno lo abbia spedito qui con il solo scopo di farmi sparire. –

 

- Chi è Azio Tito non so cosa? – sibilò Harry.

Marzio fissava il vuoto con sguardo assente. – Tito è uno dei prefetti del castra. – recitò.

- E non era tuo amico? –

- Non troppo. Non credo abbia mai digerito il fatto di dover prendere ordini da uno più giovane di lui. –

- E quindi… -

- Già. Se avesse scoperto di me e di Derevan, avrebbe avuto l’occasione perfetta per calpestarmi. –

- Ma cosa ci faceva Derevan nel tuo accampamento? -

 

Per un attimo, il sorriso di Marzio si animò di uno scintillio malizioso.

 

- Era un prigioniero. -

- Un prigioniero? -

- Un ostaggio. Non era niente di inconsueto allora, e per me era una scusa più che perfetta per averlo con me. -

- Ma allora Derevan rimase con te? Rimase anche quando tornaste a Roma? -

 

Marzio si oscurò, e sfuggì verso il sole con lo sguardo.

 

- No. – rispose. – Tito cominciava a sospettare troppo, e allora io lo lasciai libero, perché temevo che potesse cercare di ucciderlo. -

- Vuoi dire che vi siete perduti così? -

- No, certo che no. Continuai ad andare da lui, non avrei mai sopportato di perderlo. Ci incontravamo di nascosto, ma un giorno cademmo in un’imboscata. -

- E… come… -

- Vuoi sapere com’è finita? -

Harry annuì debolmente, a disagio.

- Ci uccisero tutti e due. – disse semplicemente Marzio. – Lui fu ucciso perché era un barbaro, ed io fui giustiziato per alto tradimento. -

 

Harry si morse un labbro.

Non si era sbagliato, allora, sul suo presentimento. Quel presentimento che si era trascinato dietro fin dall’inizio, fra alti e bassi, che ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato che aleggiava nell’aria. Eppure, sembrava così perfetto: il loro amore sincero, quei sorrisi, l’allegria di Derevan. Sembrava che non dovesse finire mai.

 

Tutto ciò che gli riuscì di dire fu un mesto e inutile: – Mi dispiace. –

Marzio scosse dolcemente la testa.

– Sono passati più di duemila anni, eppure non riesco ancora a dimenticare quel momento. Lo massacrarono lì, davanti ai miei occhi, ed io non potei fare niente per salvarlo. Poi giustiziarono me, mi pugnalarono alle spalle. –

- Cani. -

- Ti sbagli. – Marzio abbozzò un sorriso amaro. – I miei compagni lo fecero per pietà. Avrei dovuto attendere l’alba seguente, per la mia condanna, e invece mi uccisero subito. Quando videro com’ero ridotto decisero di risparmiarmi una notte di sofferenza. Essere colpiti alle spalle è il disonore che tocca ai traditori, ma loro mi fecero inginocchiare davanti a Derevan, così potei morire sul suo corpo ancora caldo. Molti di loro piangevano, mentre mi uccidevano. –

- Che… che mostruosità! – strepitò Harry, sdegnato. – La legge del tuo popolo era ingiusta e disgustosa! -

- Ah sì? – Marzio lo guardò, con occhi spenti, e voce piatta. – E tu chi sei, per dirlo? -

- Beh… - Harry si sentì improvvisamente meno sicuro di sé, con lo sguardo di Marzio addosso. – Una legge che uccide chi si ama è crudele. -

- Il tuo popolo, oggi, ha leggi che l’amore lo discriminano. Non è altrettanto crudele? -

- Ma… -

- Non sono stato giustiziato perché amavo un altro uomo, Harry. Sono stato giustiziato perché amandolo ho tradito Roma. -

- Ma non è vero! Tu non hai tradito nessuno, hai solo amato qualcuno che per te era importante! -

- Tu non puoi capire. È passato troppo tempo, e sono cambiate troppe cose, perché tu possa capire. Io ho combattuto, per quella legge che mi ha ucciso, e quando ho sentito per la prima volta il mio cuore battere per lui, sapevo già a cosa sarei andato incontro. -

 

Harry si paralizzò, con un dito a mezz’aria che ancora pretendevano di essere ascoltate. – Ma allora perché lo hai fatto? – gemette, senza capire. - Perché non sei rimasto con il tuo esercito? -

- Perché me ne sarei pentito per sempre. Perché avrei vissuto nel rimpianto, e perché sarei morto comunque, senza di lui. Sono duemila anni che aspetto qui, Harry, e credimi, sono stanco, sono disperato, sono consumato dalla nostalgia. Ma non sono pentito. Non mi sono mai pentito, in questi duemila anni, mai, nemmeno per un istante. Derevan vale altri duemila anni di attesa, per me, e duemila anni ancora. –

 

Harry si accorse di stare singhiozzando soltanto quando la vista gli si appannò. Non era d’accordo e provava una rabbia furiosa verso Marzio, verso un pazzo che era stato chiamato a scegliere fra l’amore e la sua stessa vita, e aveva scelto l’amore senza nemmeno pensarci un secondo. Persone così dovevano esistere soltanto nelle stupide favole che si raccontano ai bambini per convincerli che il mondo è bello, prima che si rendano conto con i loro occhi di quanto immense siano le bugie che contengono.

 

Le ultime cose che registrò furono il sorriso pacato di Marzio, la voce allegra di Anacore che discorreva di gioco d’azzardo, e il rimbombo insopportabile del suo stesso sangue nelle orecchie.

 

Si risvegliò nel suo letto, madido di sudore. Era ancora presto, l’alba non era che un accenno di luce dietro all’orizzonte. Richiuse gli occhi, e provò la sensazione di un soffio freddo sugli occhi che glieli fece riaprire. Una grossa lacrima si staccò dalle ciglia e cadde su una macchia scura del cuscino, su cui, prima di lei, dovevano esserne scivolate molte altre.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Sì va beh, ma quando finisce sto capitolo? Oddio, mi viene da piangere, a pensare a quante altre cose ci sono ancora da scoprire e da raccontare. Questa storia non finirà mai, yay!

 

NOTE:  Nescio significa “non lo so”, mentre il castra è l’accampamento militare romano. Da cui fra l’altro derivano tutti i nomi di città inglesi che terminano in –chester. Manchester, tanto per nominare la più famosa.

Inoltre, non stupitevi della reazione di Marzio davanti alle incaute parole di Harry. Giulio Cesare non è mai stato imperatore, e questo lo sappiamo tutti, no? Il primo imperatore riconosciuto come tale fu il suo gran figliolo Ottaviano Augusto. Ed all’epoca inneggiare, o quanto meno insinuare, che Giulio Cesare fosse imperatore significava implicitamente negare il potere del Senato, e quindi farsi buttare dritti in un’arena, nella migliore delle ipotesi.

 

Ho appena guardato il musical di Bleach, quindi sto malissimo, mal di pancia da eccesso di risate. Se rispondo cose sconclusionate non ve la prendete con me!

 

Francesca Akira: beh, noi ci siamo divertiti a fare i voyeur del voyeur, ma lui poveretto a momenti ci restava!

Little Star: mia cara, certo che è voluta, ma più che una veggente sono contorta! XD. Hihi, lo hai notato eh, i due cavalli rischiano di diventare i miei prossimi personaggi preferiti!

Ginny W: addirittura troppo emozionata, ma dai che mi lusinghi!

The fly: lo abbiamo già scoperto, visto? Non volevo farvi penare, ma ho l’impressione la faccenda sarà piuttosto dura, da adesso in avanti! Hihi, guarda che l’ippogrifite si trasmette attraverso tempo e spazio!

Smemorella: dunque, dunque, dunque. Ti ringrazio. Lo so che lo faccio ogni benedetta lo volta, e che palle, sempre le stesse cose, ma non ci posso fare niente. Sai quanto sia felice che qualcosa che esce fuori dalle mie dita faccia emozionare qualcuno, e insomma, non ti racconto quanto mi emoziono io quando mi isolo dal pianeta Terra per scrivere questa storia, capitolo dopo capitolo. Non sbagli, qui è tutto un chiasmo, tutto un intreccio di mille fili che, piaccia o no, legano persone e tempi diversi. Ma in effetti, ci sono poi così tante diversità? Se un amore ti spacca il cuore, non ha grande importanza quando, come e dove tu sia vissuto.

Fann: ma ciao tesoro! È tantissimo che non ci si sente, sono proprio contenta di vederti sbucare fuori, e sapere che segui anche questa, ma quanta pazienza hai? Fra l’altro, che poi non si dica che mi distraggo, ho visto che la tua sezione Yaoi su Scanduzioni va a gonfie vele, e non nascondo che prego ogni sera perché appaia fra i progetti qualcosa su Bleach, magari una Gin/Izuru che mi faccia fluttuare in giro per casa in stato catalettico per qualche oretta *blush*

Melisanna: che bello, mi fa molto piacere sapere di aver raddrizzato un po’ il tiro! Le memorie di Adriano, libro su cui ahimè non sono ancora riuscita a mettere le manacce. Ed è il colmo, per una yaoifan scatenata come me. Sarà una sorta di reverenza per qualcosa che è esistito veramente, che mi fa dire che dovrò aspettare il momento giusto per addentrarmi in esso. Magari quando avrò finito questa fic.

Herm83: hihihi, hai ragione tu, in realtà c’è stato un errore di prospettiva, d’ora in poi scopriremo che i veri protagonisti sono Fulgor e Shay! XD

Dark: Evviva il poliglottismo! (O_o) su, su, non dirmi così che poi mi preoccupo per te! Ma scherzi, sono più che felice di averti fatto questo regalino, te lo dedico di tutto cuore!

Lady: sono alle prese con l’amico Plutarco al momento, insomma, va avanti a gonfie vele. E se ti consola, Ale è Ale per tutta la famiglia, ormai. E Efestione è Barbie Regina dei Macedoni, secondo mio fratello -__-‘. Mah, qui i casi sono due, o Draco è una dolcezza in incognito, oppure la sua vera anima gemella è Shay, ne verrà fuori un improbabile triangolo Draco/Marzio/Shay, o qualcosa di altrettanto assurdo, e si scoprirà che questa fic è in realtà una demenziale/trash, e che io ho un senso dell’umorismo davvero pessimo!

Synoa:già risolto, visto? Ah, quanto sono buona, dovrei ricevere un premio in cioccolata.

Puciu: hihi, recensisci i capitoli pari! Guarda, “ti elogio” mi piace veramente un sacco, sei autorizzata ad usarlo! È un po’ come “stolto”, che secondo me è una parola fenomenale, che userei sempre, per come suona. Peccato che la gente normalmente non apprezzi, ma va beh, sto divagando. Gianni e Franco, levatemi una curiosità: ma voi due siete una coppia yaoi? No così, giusto per sapere, deformazione professionale. Ok, adesso la pianto sul serio. Commossa che anche questa fic abbia funzionato come anti-drug, ci sto investendo energie e, ahimè, sofferenze, e non posso che gioire di ogni gocciolina di sentimento che trasuda dallo schermo. Ok è veramente la giornata dei paragoni idioti, vado a nascondermi prima che sia troppo tardi.

Rodelinda: mia cara, piangiamo insieme la grammatica perduta. Pensa che giusto ieri sera ho assestato un sano calcio nello stinco al mio povero ragazzo che mi ha sbagliato clamorosamente un congiuntivo. Un po’ drastico come sistema, ma il fatto che si sia messo a gridare “potessi, potessi, volevo dire potessi!” mi ha convinta che è questo il metodo giusto, yeah! Inutile specificare che l’immaginare una tastiera a ranocchia mi ha fatta svenire per l’invidia. Ora ne desidero ardentemente una a forma di maialino, e voglio tassativamente il tasto di Invio arricciato sul codino.

Blaise: kukuku, certo che l’ho fatto *assume posa trionfante*. Lo scorso capitolo aveva quasi fatto piangere anche me, e questo ci è riuscito ancora meglio, ti consola? Hihi, Derevan e Draco si somigliano più di quanto sembri, non sarà che uno dei due è più dolce di quanto ci vuol far credere? Oppure è Derevan che in realtà è acido -__-

Far:oh mio dio ecco che mi emoziono. Guarda, quella frase devo dire che è uscita proprio spontanea. Non sono stata lì più di tanto a pensarci su, mi è venuto naturale scriverlo. Il chè la dice lunga su come la pensi sul loro rapporto.

Hokori:hihihi, figurati, è quello che dico sempre anche io all’autista del bus quando vado in università ^^’. Un’altra fan dei cavalli, qui finirò con il deviare il fuoco della storia su di loro! Per il resto taaaanti grazie, anche perché la lime velata è un ritorno dopo secoli di lemon pesanti a tutto spiano, ci ho dovuto lavorare su!

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Capitolo 12
*** Sleepless ***


Cap 7: draco e Harry da Silente

Draco e Harry si scambiarono un’occhiata esitante, prima di prendere posto sulle due poltroncine che Silente aveva indicato loro con un sorriso. Il Grifondoro era stato in quell’ufficio un numero infinitamente maggiore di volte rispetto al compagno, o non faceva nemmeno più caso agli sguardi indiscreti dei vecchi presidi, che occhieggiavano dalla parete alle spalle di Silente e si scambiavano sussurri.

Draco era parecchio nervoso, e un po’ gli dispiaceva. Riusciva a capirlo dal modo in cui accavallava e scavalcava continuamente le gambe, e anche dalla forza con cui teneva le braccia incrociate al petto, come se si fosse ritrovato delle spade puntate contro.

 

- Prendete pure, ma siate svelti a masticare. – esordì Silente, sospingendo nel frattempo verso i due la ciotola di liquirizie che teneva sempre sul tavolo. – Allora, dovete parlarmi di qualcosa? -

Harry cercò di nuovo lo sguardo di Draco, per valutare come cominciare, ma trovandolo ringhioso e anche parecchio smarrito, decise di andargli incontro.

- Riguardo alla faccenda del ragazzo romano che vedo in sogno, signore. – cominciò per entrambi. – Ho parlato con lui, durante le ultime notti, e mi ha raccontato parecchie cose di lui, e di Derevan. -

Si mantenne volutamente sul vago. Non aveva detto a Draco della loro morte, né tanto meno dell’episodio precedente nella capanna. Non aveva la minima idea se Malfoy sapesse qualcosa, ma per niente al mondo si sarebbe arrischiato a fare il primo passo e raccontargliele.

- Inoltre, la cosa più importante che abbiamo scoperto, è che Derevan è in contatto con Draco. Perciò, a proposito di quello che mi ha detto l’ultima volta, ce la possiamo fare, possiamo fare in modo che si incontrino. –

 

Silente rivolse uno sguardo buono e vagamente divertito a Draco, che non ricambiò. – Bene, signor Malfoy. Posso sperare che quindi lei abbia ritrovato un sonno tranquillo? -

- Proprio per niente. -

- Suvvia, se si sforzasse di essere più amichevole con chi le chiede aiuto, sono certo che anche lei troverebbe divertente questa storia. -

 

Harry osservò il breve scambio di battute rimanendosene in silenzio. Parola dopo parola, alcuni ingranaggi cominciarono a funzionare, sortendo un risultato che era allo stesso tempo ovvio e sconcertante.

 

- Ma allora, lei sapeva già tutto. – congetturò. – Quando io venni a raccontarle di Marzio, Draco era già stato in infermeria. Deve per forza averle detto che cosa lo faceva star male, perciò lei sapeva. –

 

Silente sorrise sornione. – In realtà, Harry, il signor Malfoy mi disse soltanto che la sua camera era infestata da uno spettro che entrava nei suoi sogni, e non lo lasciava dormire. Una scusa del genere la si usa solo quando si desidera a tutti i costi cambiare compagni di stanza, non trovi? –

- Oh, ma per favore, vorrebbe farmi credere che lei non aveva capito tutto? –

- Perché mi sopravvaluti così tanto, ragazzo? Vuoi lusingarmi? –

- Nessuno vuole lusingare nessuno. – si intromise burberamente Draco. – Se sono arrivato fin qui è soltanto perché voglio che questa storia finisca il prima possibile. Voglio tornarmene alla mia vita ed essere lasciato in pace da spiriti e spettri in pena. -

- E’ proprio sicuro di voler essere lasciato in pace? -

 

Malfoy avvampò all’improvviso. Un po’ perché era stato punto sul vivo, e un po’ perché la domanda che Silente gli aveva sottoposto non era per niente ovvia come sembrava.

 

- Calmati, dai. – lo pregò Harry. – Litigando non ne verremo fuori. Sappiamo già che cosa dobbiamo fare, no? -

- I due spiriti vi hanno parlato di questo? -

Harry annuì con forza. – Hanno detto che dobbiamo dormire insieme. Così facendo, i nostri sogni si fonderanno, e loro potranno incontrarsi. O almeno, questo è quello che ho capito. -

- Quel Derevan mi ha detto che è necessario che dormiamo vicini. – aggiunse Draco, quasi impossibile da capire, per quanto borbottava. – Non basta che siamo in una stessa stanza, dovremo addirittura dividere il letto. -

- Capisco. Sì, in effetti è molto probabile che sia proprio così. -

- Però non capisco, professo Silente. Se dobbiamo far entrare in comunione i nostri sogni, perché è necessaria una vicinanza fisica? Voglio dire, perché non ci riusciamo già dormendo normalmente nei nostri letti? -

- Perché quello in cui vi trovate, quando incontrate Derevan e Marzio, non è propriamente un sogno. -

- Cioè, è una realtà parallela? -

- Uhm, direi più di una specie di sogno oltre il sogno. Un limbo, se vogliamo. Vedete, il fatto che voi siate le anime gemelle di questi due spiriti, fa sì che vi leghi una sorta di filo rosso. E più questo filo si accorcia, più forte diviene il legame. Capite? –

- Sì, è chiaro? -

 

Chiaro? Ma come diavolo faceva Potter ad essere così rilassato, mentre il preside delirava di fili rossi e assurdità di ogni genere. Sospirò, sconfitto: tanto, fra i tre, quello che sarebbe stato zittito era lui.

 

- E’ per questo che dovete dormire vicini, in modo che la fusione fra i vostri sogni possa avvenire e rimanere stabile. -

- Ma allora, come dovremmo fare? Ci servirebbe un dormitorio, o un posto dove dormire. -

- La Stanza delle Necessità. – propose Harry. – Basterà desiderare che diventi una stanza di dormitorio. –

- Preferirei di no. – lo contraddisse Silente. – La Stanza delle Necessità non è un parco giochi. È un luogo pregno di una magia molto potente, che nel peggiore dei casi potrebbe interferire con i vostri sogni e provocare danni irreversibili. No, è meglio che vi accontentiate di una camera come tutte le altre. -

- Ma non possiamo restare nei dormitori. – osservò Harry. – Voglio dire, non posso dormire con Malfoy assieme a Ron e agli altri. E se io provassi a entrare nel dormitorio di Serpeverde, finirei Schiantato prima di aver varcato la soglia. –

- Questo è ovvio, Potter. – sbuffò Draco. – Non ti vorrei nel mio dormitorio nemmeno fra diecimila anni. –

 

Silente si divertì ad osservare i due ragazzi che si pungolavano senza tregua. Afferrò una caramella alla liquirizia e la masticò rapidamente, prima di inghiottirla.

 

- Oh, ma in effetti ci sarebbe una soluzione. – disse con noncuranza. – In fondo, anche gli insegnanti hanno i loro alloggi.

 

*          *          *

 

“ Anche gli insegnanti hanno i loro alloggi”.

Già, nonostante ci si trovasse spesso nella condizione di pensare il contrario, i professori non dormivano nelle loro aule, in qualche pertugio nascosto sotto la cattedra, e quelli che non erano capocasa, e che quindi non alloggiavano nei quattro dormitori, avevano delle stanze sparse qua e là nell’immenso castello. Stanze che, a sentire il preside, superavano sempre di numero i docenti, per evitare che qualcuno dovesse dormire sotto le stelle.

 

- Non voglio dormire di fianco alla Cooman! – gemette Draco, e Harry non se la sentì di contraddirlo.

 

Nella torre in cui si trovava l’aula di Divinazione, c’erano appunto due di questi alloggi per i docenti, uno dei quali era occupato dalla delirante professoressa mentre l’altro era, guarda caso, vuoto.

 

- Su, la cara Sibilla non vi darà nessun fastidio, se ignorerete i grugniti notturni. -

- Gru… gniti notturni? -

 

Draco per poco non perse l’equilibrio, mentre Harry ridacchiò, oltrepassando la porta nascosta nel muro che Silente aveva aperto.

 

La camera aveva un aspetto migliore di quelle dei dormitori, e c’era da giurarci: innanzitutto era molto più spaziosa, e conteneva appena due letti, uno singolo ed uno matrimoniale. Inoltre aveva un bagno privato, da cui si accedeva attraverso una porticina scura. Essendo ubicata nella torre, godeva di una luce corposa pur disponendo di una finestra nemmeno troppo grande. Harry se ne sentì rassicurato, mentre Draco non sembrava per niente entusiasta all’idea, abituato com’era al suo sotterraneo maleodorante e buio.

 

Purtroppo, l’armadio era uno solo, e Harry immaginò che dividerlo con Malfoy sarebbe stata una vera lotta. Beh, o il serpeverde si rassegnava  a vedere i suoi preziosi mantelli affiancati a camicie e maglioni, o peggio per lui.

 

- Eccovi una copia di chiavi per ciascuno. Mi raccomando di non far entrare qui nessun altro oltre voi due. È pur sempre un alloggio destinato ad un insegnante. -

- Per quanto dovremo restare in questa prigione? – volle sapere Malfoy.

- Questo sarete voi a dirlo. Quando tutto si sarà sistemato, tornerete ai vostri dormitori, e riprenderete la vita di sempre. -

Harry diede un sospiro sconsolato, mentre Draco masticò acidamente un – Grandioso. –

 

*          *          *

 

- Harry, dove stai andando con quel baule? -

 

Harry trovò Hermione e Ron esattamente dove si aspettava di trovarli, ovvero seduti sul loro divano storico davanti al camino, in Sala Comune.

Posò il suo bagaglio, quasi servisse a raccogliere le forze che gli servivano per affrontare il discorso con loro.

 

- Che cosa?!?! – esalò Hermione.

- Il tizio che Marzio cerca è Malfoy?!? – le fece eco Ron.

 

Harry scosse la testa sconsolato.

 

- Non Malfoy. – disse con il tono di chi doveva averlo già ripetuto milioni di volte. - Ma Derevan, che è in contatto con Malfoy. -

- Che importa! È comunque una tragedia! -

- Non ci posso credere. – ragionò Hermione. – Harry, perché non ce lo hai detto subito? -

- Perché… - esitò Harry. – Beh, perché immaginavo quale sarebbe stata la vostra reazione. Insomma, prima di dirvelo ho provato a sistemare tutto da solo, o almeno di vedere come si metteva con Malfoy. Ma direi che le cose hanno preso una piega inaspettata. -

 

Hermione scosse la testa come una maestria. – Non essere sciocco. Noi siamo tuoi amici, e ti sosterremo in qualunque caso. Giusto Ron? -

- … -

- Ho detto, giusto Ron? -

- Sì, sì. Però hey, questo non vuol mica dire che dobbiamo diventare amici di Malfoy, spero. -

 

Hermione si arrese, lasciando per un po’ Ron a sobbollire nel suo brodo.

- Sono amareggiata. – sottolineò. – Credevo che non ci fosse più bisogno di ripetertelo ormai. -

- Mi dispiace. -

- Sì, ti dispiace. Lo dici sempre, tutte le volte che ci nascondi qualcosa. -

Harry piegò le labbra in un broncio mortificato. Non lo faceva per ottenere il perdono, gli dispiaceva sul serio di essere stato zitto. Era proprio vero che non si ricava mai niente di buono, a nascondere le cose agli amici.

 

Dopo alcuni secondi di silenzio, Hermione decise che era abbastanza. Si spogliò dell’espressione severa, per vestire i più rassicuranti panni di sempre.

- Ascolta. – riprese, professionale. – Quante possibilità ci sono che la cosa vada in porto? -

- Non ne ho la più pallida idea. Nemmeno Silente ha potuto fare pronostici. -

- Uhm. E quante ce ne sono che Malfoy ti giochi qualche brutto tiro? -

- Direi poche. Al momento non mi sembra in vena di scherzare. L’ha presa molto peggio di me, e gli piaccia o no io sono l’unico che può aiutarlo. Potrei sbagliarmi, ma ho la vaga impressione che a modo suo si fidi di me. -

- Sì, capisco. Deve essere spaventato e confuso. – immaginò Hermione.

- Hey! – saltò su Ron, agitando un dito in direzione dei due amici. – Ma vi sentite? Parlate di quella belva di Malfoy come se fosse una tenera Puffola Pigmea! - 

- Ma Ron, Malfoy è una Puffola Pigmea, te lo garantisco io. – ghignò Harry.

Il povero Ron perse colore. – E tu come fai a saperlo. – esalò.

- Smettila, vuoi per caso ucciderlo? – lo rimproverò Hermione. – Ron, Harry sta scherzando. Ma quello che adesso è importante è cercare di stare uniti anche se c’è di mezzo Malfoy. Non che possiamo fare molto per aiutarvi, vista la situazione. -

- Già, a parte montare di guardia fuori dalla porta ed essere pronto a salvarti se il Furetto prova ad ucciderti. -

 

Occhiataccia di Hermione, e tornò il silenzio.

 

- Ragazzi, non dovete preoccuparvi, è una storia che posso risolvere con le mie forze. – li rassicurò Harry.

- Ne sei certo? -

- Ma sì. Te l’ho detto, se Silente ci permette di provare a farli entrare in contatto, vuol dire che non corriamo pericoli. E Marzio è una brava persona, mi fido di lui. Una volta tanto, sono contento di non dovervi trascinare nei miei guai. -

 

Hermione annuì, anche se non dava l‘impressione di essere molto convinta.

 

- Continuerò a fare qualche ricerca. – si offrì. – A questo punto, abbiamo capito che concentrarsi sui nomi non serve. Proverò a scoprire qualcosa di più su questo tipo di sogni, soprattutto se non comportino dei rischi. -

- Sì, mi sembra un’ottima idea. –

- E io che cosa faccio? -

- Tu, Ron, potresti dare una mano a Harry a portare il baule di sopra, no? -

 

*          *          *

 

Harry e Draco poterono fingere che la loro nuova camera non esistesse per il resto del pomeriggio. Il Grifondoro salì la torre e sistemò le sue cose alla bene e meglio, senza che ci fosse traccia di Draco, che vi trasferì i suoi bagagli un’oretta più tardi, ritrovandosi già, con somma irritazione, l’armadio mezzo pieno. Sistemato tutto, comunque, entrambi decisero di tornarsene nei rispettivi dormitori d’origine, come niente fosse.

Malfoy si limitò a comunicare ai suoi compagni che era stato trasferito in un’altra camera per proteggerlo dal fantasma persecutore, Harry rimase in sala comune con Ron ed Hermione, a raccontare loro gli ultimi sogni. Riferì ciò che Marzio gli aveva raccontato a proposito della morte sua e di Derevan, ma omise anche con loro l’episodio del capanno. Non che non sapessero che quei due si amavano: lo sapevano tutti, persino Draco, e non ci voleva molto ad immaginare che esistesse anche una dimensione fisica, nel loro rapporto.

Era una cosa sua, ecco tutto.

 

Cenarono ignorandosi reciprocamente, ognuno circondato dalla propria compagnia, che mai come in quel momento aveva significato un intero mondo. Ma il tempo, piaccia o meno, trascorre, perciò dopo appena un’ora da quando i dessert avevano fatto la loro apparizione sulle tavole, eccoli lì, in quella stessa camera che non avevano voluto calcolare per tutto il giorno, a evitare di guardarsi perché non si aveva niente da dire.

 

- Beh, speriamo che vada tutto bene. – azzardò Harry.

- Vai al diavolo, è solo colpa tua se mi ritrovo in questa situazione. -

- Hey, non cominciare,

 

Draco sibilò contrariato, e si ficcò sotto le coperte come se si fosse dovuto sdraiare in una bara. Si fece più piccolo che potè, nell’angolo sinistro del letto. Anche Harry se ne rimase per conto suo dalla sua parte, di modo che in mezzo a loro venisse a crearsi uno spazio di un’intera piazza, che avrebbe ospitato comodamente altre due persone, magari meno schizzinose di loro.

 

- Spengo la luce? -

- Certo che spegni la luce. Altrimenti come faccio a dormire, secondo te? -

- Mmh, ma quanto sei indisponente. Buona notte, Malfoy. -

- Buona notte, Potter. -

 

La luce fu spenta, ma nulla cambiò. Per Draco, il respiro di Harry nel silenzio era come una raffica di vento assordante, e Harry dal canto suo si sentiva prigioniero delle lenzuola. Provò a muoversi, ma Draco gli ringhiò subito - Stai fermo, maledizione. - e allora niente, si torna al punto di partenza.

Dopo una mezz’ora buona a fissare il soffitto e sentirsi inutili, Harry provò di nuovo a stendere una gamba, ma niente, di nuovo improperi.

- Non stavi dormendo? -

- Ovvio che no, come pensi che faccia a dormire, in una condizione del genere? -

- Dovresti provare a rilassarti. -

- Ma senti da che pulpito! -

- Beh magari è troppo presto per avere sonno. -

- Oh, non dirmi, facciamo il gioco della verità finchè non ci addormentiamo per la noia. -

 

Con uno sbuffo, Harry scalciò via le coperte e si tirò su a sedere.

 

- Hey, stammi a sentire. – protestò, voltato verso una qualche parte che sperava fosse Malfoy. – Nemmeno io mi diverto, chiaro? -

- Ma se tu sei nato per questo genere di avventure, San Potter! -

- Dio, adesso non cominciare. -

- Non cominciare? Guarda che io vivevo tranquillo e sereno la mia vita, prima che tu e quel tuo Romano veniste a tirarmi in mezzo a questo casino. -

- Nessuno ti ha tirato in mezzo a nulla, smetti di accusarmi di colpe che non ho. Ci sei finito in mezzo perché sì, perché doveva andare così, e soltanto ieri anche tu eri d’accordo nell’andare avanti. –

- Ieri era diverso! –

- Ah sì? Beh, mi dispiace che tu sia imbarazzato, ragazzina isterica. –

- Hai dato della ragazzina a me? –

 

Stavolta fu il turno di Draco a tirarsi su a sedere. – Ripetilo! -

- E dai, piantala, rimettiamoci giù e cerchiamo di dormire. -

 

Sì, già, magari. Dovevano essere ormai le due del mattino, quando l’ennesimo sbadiglio di Draco convince Harry a girarsi.

 

- Stai cascando dal sonno. – osservò.

- Complimenti, genio, ottimo spirito di osservazione. -

- Se ti mettessi l’anima in pace, riusciresti a dormire, e faresti dormire anche me. -

- Non provare a farmi passare per un molestatore, adesso. -

- Uff, ma che razza di vittima. -

- Al diavolo. -

- Sì, sì, buonanotte Malfoy. -

 

Passata una mezz’ora, Harry sentì il respiro del Serpeverde farsi più regolare e profondo.

- Furetto? – provò a chiamare.

 

Malfoy non gli rispose, e lui tirò un sospiro. Almeno lui si era addormentato, dei due, mentre per sé stesso prevedeva poche speranze. Osservandolo nella semi oscurità, gli prese un nodo alla gola. Il pensiero di quel sogno nel capanno gli franò nella testa, facendogli esplodere il cuore. Marzio doveva aver passato un’infinità di notti coricato di fianco al suo Derevan, e se in quel momento poteva sentirlo, sicuramente scalpitava perché lui si addormentasse.

E invece non ci riusciva.

Si sentiva in colpa, e turbato. Pensieri, ricordi e sensazioni si mescolavano e si infrangevano sul suo cuore come flutti. Faceva freddo, e Malfoy era mezzo scoperto. Erano le reminescenze di Marzio, che lo facevano preoccupare per lui? Erano le sue mani o quelle del Romano, che afferravano le coperte per risistemargliele addosso?

 

- Uhm. -

 

Un occhio grigio e lucido puntato su di lui, e un’altra domanda. Era il suo volto, o quello di Marzio, ad avvampare?

 

- Scusa, non volevo svegliarti. -

- Non stavo dormendo. -

 

Harry sospirò. – D’accordo. Allora buonanotte. -

- E’ la terza volta che lo dici, ma non mi sembra proprio una buonanotte. -

- Che cosa vuoi, Malfoy, le coccole? -

- Le favole. -

Harry sogghignò. – Che idiota. Allora te ne racconto una bella su un Romano e un Iceno. -

- Wow, questa sì che è un’idea, Potter. È talmente noiosa che mi addormenterò come un sasso. -

- E’ noiosa per te che non hai un cuore. -

- Impossibile. Sono vivo. -

- Sì, sì, sarai alimentato da una qualche pompa pneumatica. -

- Hey che cos’era, un insulto? -

- Certo che sì. I Babbani non fanno che andare in giro a dare della pompa pneumatica alle persone che non sopportano. Allora, c’era una volta un Romano, che un bel giorno incontrò un Iceno e ne se innamorò. -

- Hai scordato di specificare che l’Iceno era bellissimo. -

- No Malfoy, l’Iceno era sopportabile. La gente si accontenta di poco a volte, sai? -

- Tu ti accontenti di poco, Grifondoro. -

- Uffa. Insomma, ci sono questi due che si amano, e che vogliono stare insieme. Ma c’è un problema, i loro popoli sono in guerra, e il destino è contro di loro. -

- Sì, sì, bla bla bla e fine. -

- Tu sai come va a finire? -

 

Draco diede una scrollata di spalle da sotto le coperte. – Ma sì, come vuoi che finisca, vivranno felici e contenti, e continueranno a cercarsi anche da morti, e schifezze nauseanti del genere. -

 

- Sei un idiota. -

 

Draco si tirò su a sedere di colpo.

 

- Che cos’hai detto? -

- Che sei un idiota. – ringhiò di nuovo Harry. – E che non hai capito niente. -

- Ma che vuoi? Come diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo?- 

- Chiudi quella bocca, Malfoy. Il giorno in cui perderai l’abitudine di parlare a sproposito sarò felice. -

- Come osi! Hey sono io quello che è stato messo in mezzo! -

- Oh finiscila con questa storia, una buona volta. Non riesco a credere che tu sia così cinico da lavartene le mani. Scusami, se ho pensato che anche tu avessi dei sentimenti. -

- Non ti rare in ballo i miei sentimenti, adesso. Che cosa c’entrano, eh? -

 

Le quattro del mattino, e ancora non si vedeva via d’uscita.

 

- Si può sapere perché non me l’hai detto?!?! – strepitò Malfoy.

Harry non potè negare di sentirsi in parte in colpa. – Beh, che vuoi che ti dica, pensavo che potesse ferirti. Invece noto con piacere che non potrebbe importartene di meno. -

- Certo che non me ne importa, se si sono fatti ammazzare è un problema loro! Ma tu non avevi il diritto di tenertelo per te! -

- Hey, guarda che ha fatto soffrire anche me. Ci ho messo un po’ a metabolizzarlo. -

- Metabolizzarlo? Potter animo, sono spiriti, è ovvio che fossero morti! -

- C’è modo e modo di morire. -

- Appunto per questo dovevi dirmelo, invece che stare zitto. Tzk, e poi parli di collaborare. -

- Oh, come se fosse facile collaborare con te,vero? Non sei stato granché disponibile in questi giorni, mi pare. -

- No che non lo sono stato. Mi spieghi come si fa ad essere disponibile con qualcuno che non ti dice niente? Se non te ne fossi accorto, Potter, mi hai fatto sentire come uno stupido aggeggio da sfruttare per raggiungere il tuo nobile scopo. Beh grazie tante, non lo sono. -

- Non eri tu quello che volevi liberarti dallo spettro maligno? -

- Divertente. Ridi, ridi pure finché non ti sarai strozzato. Almeno io ho la decenza di dire che questa storia non mi piace, e non mi piace perché non è un gioco. -

- Non ho mai detto che fosse un gioco. -

- Ma ti comporti come se lo fosse, mi sbaglio? L’hai presa per una grande giostra in cui poter esibire la tua magnanimità, mentre non sei che un pallone gonfiato che non sa nemmeno quello che sta facendo. -

- Sono in buona compagnia, di un moccioso egoista e vigliacco, che ha paura di affrontare persino i suoi sogni, per rendersi utile una volta tanto, mentre le due persone che si trova davanti sono morte per ciò in cui credevano. -

- Ma io non sono Derevan! – si sfogò Malfoy, scalciando via le coperte. – E tu non sei Marzio, perciò smettila di comportarti come un eroe e svegliati! -

 

Harry si irrigidì, inebetito dall’ultimo attacco di Draco. Lentamente, si rimise giù, afferrò un lembo della coperta e se la tirò fino al mento.

 

- Vai al diavolo, Malfoy. – sillabò. – Sul serio, vai al diavolo. –

 

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Capitolo 13
*** Triumviratus ***


Cap 8: Il giorno dopo, però, parlano a lungo, instaurando un minimo di rapporto di fiducia

- Beh, e allora? -

 

Hermione mise fine a minuti e minuti di inutile attesa sbottando contro un Harry più che mai assorbito dalla sua colazione. Lui fece finta ancora per alcuni secondi di essere impegnatissimo a spalmare la marmellata di fragole sul pane tostato senza sprecarne un filo, e conferendogli pure una certa forma artistica. Ma Hermione non era certo tipo da farsi incantare con così poco, e ci si era messo anche Ron che, di fianco a lei, aveva incrociato le braccia con il suo solito fare corrucciato.  Ok, basta marmellata artistica.

 

- Mmh, niente. – borbottò con la bocca mezza piena e gli occhi rigorosamente puntati da qualche altra parte.

- Che cosa vuol dire niente? Non ci siete riusciti? -

- Già. Malfoy non è molto collaborativo. -

 

Hermione lo analizzò dal bordo del vetro del suo bicchiere mezzo riempito di zucca. – Beh, che ti aspettavi. – disse con cipiglio saccente. – E’ Malfoy, no? Credevo che lo conoscessi. -

 

Già, lo credeva anche lui. Harry diede una scrollata di spalle che sperò essere significativa, ed evitò di rispondere. Non gli andava di beccarsi del bambino solo perché da quando aveva instaurato una specie di rapporto con Draco, si era convinto di essersi sempre sbagliato sul suo conto.

Oddio, non del tutto. Malfoy gli aveva ampiamente confermato di essere un viziato damerino testardo, ma anche di essere sveglio, e a modo suo umano. Gli dava un fastidio pazzesco pensare di essersi fatto fregare.

 

- Penso che riproveremo. – buttò lì, senza nemmeno impegnarsi a farcire le sue parole di convinzione.

- Qualcosa è andato storto, allora? -

- Non abbiamo dormito, semplicemente. -

- Cosa?!? -

 

Hermione sembrò aver messo a fuoco solo in quel momento le occhiaie tremende, a fatica nascoste dagli occhiali, che appesantivano lo sguardo dell’amico. Si mordicchiò il labbro inferiore, a disagio per essere stata così dura e per non avere una soluzione brillante pronta sulla punta della lingua. Tentò di essere incoraggiante.

- Beh, è normale. Forse dovreste parlare un po’ e cercare di entrare più in confidenza. -

- Ci abbiamo già provato. E per poco non venivamo alle mani. – Harry fece un grugno infastidito, e si cacciò in bocca l’ultimo rimasuglio di pane e marmellata artistica. – E’ che Malfoy è… non lo so. – si sfogò. – La persona più strozzabile dell’universo. Con quel suo modo di fare, come se avesse capito tutto lui, e come se ne esce con i suoi discorsi assurdi, e poi non gli va mai bene niente, uno cerca di dormire ma non c’è pericolo… -

- Mandalo al diavolo, Harry. – se ne venne fuori Ron.

 

Harry lo guardò in modo strano, a metà fra il tentato e l’offeso.

 

Ron se ne rimase immobile, apparentemente tranquillo, e animato da uno sguardo insolitamente penetrante, a cui l’amico cedette il passo, dopo una breve quanto inutile lotta.

 

- No. – sospirò. – Non posso tradire Marzio proprio adesso, non perché Malfoy fa i capricci. -

- Dovresti proprio chiedere a quel Marzio che cosa ci abbia trovato in Derevan. Se è antipatico la metà di Malfoy, io gli sarei girata alla larga. -

- Già. -

- Ha toccato qualche brutto tasto, eh? -

- Uhm? -

- Dai. Lo vedo dalla faccia che hai. Sembri reduce da un funerale. Tu sei arrabbiato nero con Malfoy, perché quell’idiota avrà messo il dito in qualche piaga. -

- Non avrà osato prendere in giro i tuoi genitori, vero? – si infervorò Ron.

- No. Non sarebbe vivo, altrimenti. -

- Dovresti parlargli. Però non alla tua solita maniera. – sentenziò Hermione, alzando persino il dito indice. – Se due testoni come voi cercano di superarsi a vicenda, ci credo che ne viene fuori una litigata. Prova a starlo a sentire, e convincilo ad ascoltare te. Quello che dovete fare è troppo importante, per mollare tutto. Lo hai detto anche tu. -

 

*          *          *

 

Niente di più vero. Forte di quell’unica convinzione, Harry infilò il corridoio che portava al piano superiore, e si nascose in uno dei pertugi che ospitavano la lunga fila di finestrelle strettissime che facevano da cornice all’intero perimetro. Draco aveva Storia della Magia, ne era arcisicuro, e quindi doveva passare per forza da lì.

Non si fece attendere, in effetti: fu uno dei primi studenti a arrivare al piano ancora semideserto, e evidentemente era troppo nero per aver voglia di compagnia, dato che era tutto solo. Harry ringraziò la circostanza: la sola idea di dover improvvisare un palchetto per portarselo via sotto il naso del suoi compagni gli dava la nausea, per quanto stupidi potessero essere.

 

- Fermati. Devo parlarti. -

Il Serpeverde si voltò di scatto e gli cacciò uno sguardo velenifero.

- Sparisci all’istante. -

- Ho detto che devo parlarti. -

- Sto andando a lezione. -

- Datti malato e seguimi. -

 

Alla fine, Draco non ebbe il tempo per darsi malato. Harry lo afferrò per un braccio e lo trascinò di sotto, fra lo stupore dei pochi studenti che si avventuravano per le loro stesse strade. Imboccò un corridoio tozzo, e si infilò dentro ad un’aula deserta con la sicurezza che poteva avere solo qualcuno che aveva già controllato in precedenza che la via fosse libera.

Si buttò a sedere su un banco vuoto, e incrociò rapidamente le braccia al petto.

- Fuori fa freddo. – borbottò a mo di giustificazione.

- Non ho tutta la vita, Potter. – ringhiò Draco per tutta risposta, restandosene prudentemente nei paraggi della porta.

- Beh, allora sarò breve. Penso di doverti delle scuse, per ieri notte. Perciò, scusa. -

- “perciò scusa”?!?! -

- Volevi che fossi rapido e conciso, no? -

- D’accordo, ma così mi sembra un po’ troppo. -

 

Harry inarcò le sopracciglia e sbuffò. – Dai, volevo solo scherzare. Senti, ho sbagliato a mandarti al diavolo. Eravamo tutti e due nervosi, e ci siamo aggrediti. -

 

Draco si fissò le mani, palesemente indeciso. Trascorse qualche secondo di silenzio, che nonostante tutto non era troppo carico di tensione. Si trattava pur sempre di due ragazzi, due persone ragionevoli, che con un po’ di fatica cercavano di confrontarsi. Si poteva anche fare. Forse.

 

- D’accordo. – disse con una certa esitazione. Sembrava molto stanco, e non solo per via del sonno perduto.

- Mi spiace che tu ti sia sentito usato. Dico davvero. Non era assolutamente mia intenzione. –

- Lo spero bene. -

 

Harry formò un mezzo sorriso, e buttò lì un: – Non sei molto a tuo agio con questa storia, eh? – che voleva essere gentile.

- No, per niente. -

- Già. Senti, io ti capisco. Forse abbiamo solo sbagliato approccio. Dovremmo provare a parlare un po’ noi due, invece che focalizzarci sempre su Marzio e Derevan. Hai ragione tu, noi non siamo loro. – rispose, sorvolando sul tono forzato delle ultime parole che, per qualche maledetta ragione, non gli era piaciuto pronunciare.

- Io non vorrei mai essere Derevan. – rimbrottò Draco. – Quello è troppo carino e gentile. Con te soprattutto. Cioè, con Marzio. -

- Ci credo, Marzio è un tipo affascinante! -

 

Draco cercò di fulminare Harry con un’occhiataccia, ma questi rise, smorzando del tutto la pesantezza dell’atmosfera.

 

- Senti, da me a te. – riprese il Grifondoro. – Siamo finiti dentro ad una storia surreale, però io sono convinto di voler andare avanti, ed aiutare questi due. E scusami se ho dato per scontato che lo fossi anche tu, hai il diritto di volerci pensare sopra. -

- Non è che ci devo pensare sopra. Derevan non mi darà mai tregua se non lo aiuto, e io voglio ritornare al mio quieto vivere il prima possibile. -

- Sì, però se non desideri aiutarli davvero, io credo che non ne verremo fuori. Sai come la penso, e io so che la mia idea serve solo a far di me il Grifondoro più Grifondoro dell’universo. Ma il fatto è che senza di te ho le mani legate, e per quanto Marzio possa aver bisogno di noi, sei tu che vivi nel presente, ed è te che continuerò ad avere sotto il naso per il resto dell’anno, anche quando questa storia sarà finita. -

- Quindi scarichi su di me tutte le responsabilità? -

- Scemo. Sto solo cercando di dire che già che ci siamo potremmo anche parlare un po’. Così tu potrai ficcarti in quella testa dura che ti puoi fidare di me, e che non perderai l’onore a fare una buona azione. -

- Non sei spiritoso. Non mi sembra di aver mai detto che non voglio farlo. Solo che ci sono troppe cose che non mi quadrano, e vorrei vederci più chiaro. -

- Ti capisco. Però penso che Marzio e Derevan siano persone di cui possiamo fidarci. Avrebbero già avuto molte occasioni per farci del male, se avessero voluto. -

- Uhm. Beh, sei tu quello che se ne intende di eroi. -

- Ti adoro quando fai così. – sghignazzò Harry. – Avresti del talento come comico, se solo fossi un po’ meno acido. Vedi, è per questo che sarei contento di poterti conoscere meglio. Sono quasi certo che tu non sia poi tanto male. -

- Lusingato, Potty. – borbottò Draco. – E dimmi, vuoi conoscere il mio segno zodiacale, per sapere tutto di me? -

- Non credo. Magari alla Cooman interesserebbe, ma io preferirei il vecchio metodo della chiacchierata.  -

- Grandioso. Qual è il tuo colore preferito? -

- Il rosso, è ovvio. Meglio se abbinato all’oro. -

 

Draco alzò gli occhi al cielo. – Buona risposta, Sfregiato. – si complimentò.

- Lo dici perché di solito mi sottovaluti. -

- E’ una bella sfida non sottovalutarti. Se magari ti impegnassi ad essere un po’ meno paladino della giustizia, forse non mi daresti così sui nervi. -

- Gelosone. Dillo, che mi volevi a Serpeverde. -

 

Draco strabuzzò gli occhi. – Brrr. – esclamò. – Non riesco ad immaginare niente di più terrorizzante di te che te ne vai in giro a rovinare il buon nome di Salazar! -

- Almeno Piton mi avrebbe visto più di buon occhio. -

- Oh, non credo proprio. Sai, il professor Piton soffre di un’antipatia cutanea per gli inetti. E, mi dispiace dirtelo Potty, ma nessuna uniforme ti avrebbe salvato dalla tua sconcertante incapacità. -

- Ma sentilo, Mister Paiolo di tutti i tempi. Sai Furetto, se fossi stato assegnato a Serpeverde, a quest’ora potresti essere la mia riserva, anziché farti fregare il Boccino da sotto il naso ad ogni partita. -

 

Punto sul vivo, Draco assunse un colore paonazzo, e avanzò di un paio di lunghe falcate.

- Tu saresti la riserva! – tuonò. – E non avresti nemmeno la speranza di poter giocare, con uno come me davanti! -

 

Harry ridacchiò sotto ai baffi della furia di Draco, e scrollò le spalle, come a voler chiudere la conversazione.

 

- Almeno saremmo abituati a dormire assieme, e non avremmo di questi problemi. -

- Non sarei così ottimista, fossi in te. Ho il forte sospetto che tu russi. -

- Cosa? Hey, io non russo! -

- Mah, staremo a vedere. -

- Ma senti un po’ il principino dal sonno dolce. Secondo me tu ti agiti come un forsennato. -

- Questo lo dici tu, mio caro Potter. E se così fosse, tanto meglio, almeno potrei prenderti a calci, e tu non potresti replicare. -

- Certo che replicherei. -

- Oh, io dico di no. Sei troppo Grifondoro per svegliarmi nel cuore della notte, solo per dirmi di stare fermo. -

 

Harry mugugnò, guadagnandosi un’occhiatina trionfale da parte di Draco. Proprio in quel momento, il corridoio si animò dello scalpiccio degli altri studenti, e delle loro voci che si mescolavano e si scavalcavano le une con le altre. Harry controllò l’orologio che portava al polso, per avere la superflua conferma che l’ora di lezione fosse terminata.

 

- Allora, acqua passata? -

Draco lo guardò in tralice. – Che razza di espressioni sono? -

- … -

- Acqua passata, acqua passata. -

- Ok. Bene. Allora, ci vediamo questa sera? -

- Non me lo ricordare. -

- Che cosa ti tocca, adesso? -

- Divinazione. -

- Uhm, che invidia. Io invece filo giù alla Foresta. Lezione di Cura. -

- Non so chi debba invidiare chi, sai, Potter? -

- Ma finiscila. Hagrid è un bravo insegnante, e se per caso vedo un Ippogrifo, te lo saluto! -

 

Harry balzò giù dal banco, e infilò rapido la porta, perdendosi gli ultimi improperi di Draco che andarono a confondersi con i rumori della folla. Si sentiva incredibilmente leggero.

 

*          *          *

 

Draco fece caso ad una cosa, quando quella sera Harry si coricò vicino a lui, un attimo prima di spegnere la luce. Senza gli occhiali, la sua somiglianza con Marzio era qualcosa di sconcertante.

Non che ciò lo sfiorasse in qualche modo, ovviamente.

 

Quando chiuse gli occhi, e li riaprì su una radura soleggiata, capì che qualcosa non funzionava. O meglio, che qualcosa aveva funzionato. Si guardò attorno, cercando di nascondere a sé stesso la sua trepidazione: il posto era alo stesso tempo identico e diverso da quello in cui aveva incontrato Derevan.

Tanto per cominciare, lì non pioveva, con somma gioia delle sue ossa. Inoltre non vedeva salici all’orizzonte, ma solo un piccolo bosco che sorgeva nel bel mezzo del nulla. Bosco che gli suonava stranamente familiare.

Si mise a correre verso quella direzione, augurandosi che Potter fosse laggiù, perché cominciava ad averne abbastanza di quel prato agorafobico.

 

Vi giunse più in fretta di quanto aveva pronosticato. Si appoggiò al primo albero disponibile per riprendere fiato, e con le orecchie assordate dal rimbombo del suo sangue non sentì il fruscio di fogli secche che venivano calpestate.

 

Due ombre gli si pararono all’improvviso davanti, facendolo sussultare.

 

- Hey, Potter? Sei tu? -

Harry si ficcò le mani in tasca e annuì. - Sei davvero Malfoy, o ti sto sognando? –

- Sono davvero io. -

- Come faccio ad esserne certo? Dimostramelo, dimmi qualcosa che non posso sapere di te. -

- Dio, non ti sopporto. -

- A ha. Ho detto qualcosa che non so. -

Draco si arrese, alzando gli occhi al cielo. – E va bene! Ho un neo vicino all’ombelico, in basso a sinistra. Contento? -

- Direi di sì. Credo che solo l’originale Malfoy si sarebbe infuriato per una cosa del genere. Domattina posso controllare se ce l’hai davvero? -

- Miseria, Potter, certo che no! -

 

- Dov’è Derevan? – domandò impaziente Marzio.

 

Draco lo guardò, mettendolo a fuoco per la prima volta. Era esattamente come lo aveva visto, ma gli faceva uno strano effetto che ora lo guardasse negli occhi, abituato com’era ad essere trapassato dal simulacro dei ricordi di Derevan. Gli restituì uno sguardo strano e confuso.

– Non lo so. – ammise. – Credevo fosse qui con voi. -

 

Per un istante, sembrò che tutto si fosse gelato. Harry rivolse a Marzio un’occhiata ansiosa, terrorizzato all’idea di sentirsi franare addosso una di quelle orrende sensazioni di baratro. Il Romano, stranamente, se ne stava fermo, come se si fosse estraniato dal mondo. Che cosa diavolo stava succedendo, perché Derevan non era lì?

 

- Capisco. – mormorò dopo un po’, con voce assolutamente calma.

- Io invece no. – protestò Draco. – Perché Derevan non c’è? -

- Perché probabilmente qualcosa è andato storto. Sei certo di essere addormentato? -

- Che razza di domande fai, non vedi che sono qui? -

 

Harry lo fulminò con lo sguardo, mentre Marzio non parve far troppo caso alla sua arroganza.

 

- Allora siete sicuri di essere abbastanza vicini? -

- Siamo sullo stesso letto. – confermò Harry. – A meno che Malfoy non sia caduto giù. -

- Tu sarai caduto giù, brutto Grifondoro dei miei stivali. – protestò Draco.

 

Marzio diede un sospiro grave, che costrinse gli altri due al silenzio. Si sforzava in modo evidente di nascondere la propria delusione per non far sentire in colpa gli altri due, ma era troppo anche per lui.

 

- Mi dispiace. – gli disse Harry, terribilmente accorato.

- Non fa niente. Posso aspettare fino a domani. -

- Potremmo provare a svegliarci per controllare che cosa non va, no? – propose Draco.

- Sarebbe inutile. Il risveglio viene da solo, né voi né io possiamo decidere di farvi svegliare. E poi c’è sempre il rischio che non vi riaddormentiate più. -

- Credevo che fossi in grado di farlo. – accusò Harry.

- Mi sopravvaluti. Io sento che ti stai svegliando, ma non posso né volerlo né impedirlo. Anche questo fa parte delle regole. -

- Uhm. A proposito, dimmi una cosa. -

 

Harry scoccò un’occhiata a Draco, che per il momento sembrava assorbito da un minuzioso esame di Marzio, dalla testa ai piedi. Da quando gliene aveva accennato, la notte precedente, ci aveva pensato su molto, ma non era riuscito ad approdare a nessuna risposta plausibile.

 

- Riguardo la faccenda dell’imboscata, e il resto. – disse fra i denti, cercando di non far notare le sue parole a Draco. – Hai infranto le regole, vero? Me ne hai parlato senza che io vedessi. -

 

Marzio subito si irrigidì, come se fosse stato colto il flagrante. Anche Draco si irrigidì, ma solo per imitazione. Era talmente concentrato sul Romano che gli era saltato il cuore in gola all’unisono con lui. Effettivamente, Marzio era proprio identico a Harry: le uniche differenze, oltre agli occhiali e ai vestiti, erano la costituzione, leggermente più muscolosa, e la cicatrice.

Marzio non era uno Sfregiato, già. Nel partecipare ai ricordi di Derevan non se n’era mai reso conto, perché semplicemente aveva dato la cicatrice per scontata. E invece non c’era. E dire che lui aveva sempre connessa in modo automatico alla faccia di Harry.

 

- L’ho infranta a metà. – confessò Marzio. – E’ vero che te ne ho parlato senza che tu abbia visto nulla, ma non avrei potuto farlo, se tu non lo avessi già saputo. -

- Già saputo? Ma come facevo a saperlo? -

 

Marzio reclinò la testa, e con un solo sguardo gli entrò letteralmente nella testa. – Guarda dentro il tuo cuore. – lo invitò. – E’ una sensazione che già conoscevi, qualcosa che sentivi come inevitabile, no? -

 

Harry capì cosa voleva dire. I lunghi istanti di strazio che aveva provato senza un preciso motivo, quella sensazione di sbagliato a cui aveva dato un nome soltanto con le parole di Marzio, tutto assumeva un senso, e molti tasselli andavano al loro posto. Provò di nuovo una fitta di dolore, e una gran voglia di piangere, ma stavolta era tutto più ovattato, come quando un incubo ti viene spiegato, ed improvvisamente fa meno paura.

Come se la morte non fosse poi una cosa così terribile, non per chi ha un’anima troppo carica di sentimenti per potersene andare. Che cos’è, in fondo? Buio, silenzio, un’oasi di alberi nel nulla? Allora vale di meno di un sorriso, è ben poca cosa, paragonata al bagaglio di ricordi intoccabili che la vita lascia, e se Derevan era stato questo, e molto di più, tutto diventa più semplice: la morte spaventa solo chi non ha vissuto. E Marzio, lui poteva dirlo, rarissimo fra tutte le anime degli uomini, di essersi bagnato il volto con la pioggia di ogni suo giorno, passato con Derevan.

 

Era questo, era tutto questo. Era enorme.

 

- Potter? – Draco occhieggiò con diffidenza ai due ragazzi identici che aveva davanti a sé, protestando con lo sguardo per essere stato escluso dalla conversazione. – Ti spiacerebbe spiegare anche a me di cosa state farneticando? -

Marzio sorrise, pieno di tenerezza. – Sei proprio come lui. – mormorò. – Identico. Dèi, come aggrottava le sopracciglia, quando non capiva qualcosa. –

 

Tese una mano verso Draco, ed Harry si ritrovò a fissarla con occhi rapaci.

 

- Vorrei toccarti. Ti prego, mi permetterai di toccarti il volto, sono una volta? -

Harry sentì una morsa allo stomaco, e la voglia improvvisa di prendere a pugni Marzio. Lui era lì per il suo Derevan, ma quello non era Derevan. Era Draco, e lui Draco non poteva toccarlo. Non doveva toccarlo, diamine.

- No. – si sorprese a dire.

Marzio si arrestò bruscamente, con la mano a mezz’aria.

- Voglio dire… lui non è… - borbottò Harry, confuso.

- Potter, ma che dici? -

Marzio sorrise, e si limitò a ritrarre la mano senza fiatare.

Draco cercava ancora di orientarsi in tutta la situazione, il sangue che gli ribolliva per la rabbia, nel vedere come fra Marzio ed Harry esistessero delle dinamiche e delle chimiche che fra lui e Derevan non c’erano.

Un po’ era colpa sua? Beh, forse, ma una cosa era certa: il giorno dopo, anzi, la sera, avrebbe dato una bella strigliata a quell’Iceno.

 

Harry riaprì gli occhi. Non si era reso conto di essere scivolato fuori dal sogno, e nemmeno che fosse l’alba. Si stropicciò gli occhi, che si abituarono in fretta alla luce fioca che esitava ad innalzarsi oltre l’orizzonte montagnoso, e per prima cosa si girò su un fianco.

 

E sospirò.

 

- Idiota. – mugugnò ad un Draco beatamente addormentato, nonostante l’assurda posizione in cui si trovava: un braccio buttato all’indietro, l’altro che sporgeva dal letto, una gamba del tutto crollata giù e tutto il busto storto; per non parlare della faccia, girata verso destra, e del fatto che fosse completamente scoperto.

 

- Lo dicevo io, che ti agiti come una furia. -

 

E così, l’incontro era andato a monte per colpa di quello squilibrato di Malfoy, e delle sue manie circensi.

 

Harry si grattò la testa e stirò in avanti le braccia. Com’era carino, messo così. Se avesse potuto, gli avrebbe scattato una fotografia. E poi, per tutte le scope e i boccini del mondo, ne avrebbe affisse delle copie in tutta la scuola, rigorosamente in formato gigante. E che poi non si dicesse che la sua destinazione di vocazione non era Serpeverde.

 

Per il momento, si accontentò di tirare su il groviglio di coperte che Draco aveva divelto, e rimboccargliele per bene fino al collo. Perché alla fine dei giochi, restava pur sempre un Grifondoro.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Perfetto. Da questo capitolo in poi, piangerò ininterrottamente fino alla fine. Perché va beh, è così, quando mi faccio prendere troppo da una storia finisce sempre male. Sopportatemi.

 

Nota: Il titolo si riferisce al triumvirato, forma politica in uso a Roma, basata appunto su tre uomini con uguali poteri, che in linea di principio dovevano collaborare. Ovvio l’ironico riferimento all’incontro dei nostri tre protagonisti.

 

 

Koorime: porta pazienza, in questo periodo sono molto di corsa! Grazie per tutto, e sì, la sensazione di spaesamento è comprensibile… direi che con questo capitolo qualche passetto avanti lo abbiamo fatto.

 

Fra ro: grazie!

 

Little star: ma no, la Cooman è nella stanza attigua, per fortuna! Se no sai che tragedia!

 

Puciu: accidenti, spero che Franco riesca a mettere una toppa alla situazione… grazie di tutto, soprattutto per la tua sincerità, mi rende doppiamente felice! Sì i titoli sono una cosa voluta; in realtà non c’è un motivo preciso, è una mezza sfida con me stessa.

 

Hokori: dai, che qualcosa si è mosso in questo cap… già, anche troppo, accidenti a Draco -__- huhuhu, certo che mordono, e forte anche!

 

Tsuby: ottima idea… ma per la salute dei nostri eroi, meglio che del sonnifero si occupi Hermione…

 

The fly: beh, farli cominciare buoni e pacifici sarebbe stato non da loro… evviva le botte!

 

Smemorella: aiuto! *scappa* *anzi no, ritorna per dire una cosa* io ti ooooodio, per quel quiz sui cartoni!!! Mi ci sto spaccando la testa sopra da giorni, e sono solo a quota 25!!! Quelle faccine che mi guardano, e io le conosco, ma non mi ricordo il titolo, aaargh!

 

Dark: hihih, poveretto, sempre a farci ste figure…

 

Blaise: che ci vuoi fare, non potevamo aspettarci niente di diverso da questi fenomeni da baraccone. Meno male che adesso cominciamo a ragionare.

 

far: oddio, i tuoi collage sono insuperabili… mi si sono sovrapposte le immagini di Ron sbiancato, e Harry che sistema le coperte a una muffola pigmea grigio/verde… aiuto.

 

Rodelinda: certo che ce l’hai solo tu, ma prossimamente mi metterò anche io alla caccia di qualcosa di baka per il mio pc. Huhuhu, l’economia della storia in fin dei conti procede da sola. Il capitolo è stato doveroso per questa riappacificazione, anche perché Harry e Draco che dormono felici e contenti come niente fosse la prima notte sarebbe stato totalmente OOC e improbabile.

 

Lady: hai fatto centro su tutta la linea, mia cara! Ha, come amo i lettori attenti. Oltre al titolo, ci hai anche preso su quella sibillina frase di Malfoy, e sulla sua importanza capitale…

 

T Jill: mia cara, non ti preoccupare, le indigestioni sono sempre gradite in questo campo! Piuttosto, sai che io mi aspetto una tua partecipazione al concorso, veeero?

 

Layla84: ti ringrazio tantissimo! Hihi, poveri, loro non sono così contenti invece!

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Capitolo 14
*** Duo milia ***


Cap 8b- primo incontro

- Che cos’hai sognato? -

- E’ stato stranissimo. – rifletté Draco. – Non sono riuscito a trovare Derevan. Ero da solo, e pioveva a dirotto. -

 

Forse era perché era sabato mattina, e il pomeriggio riservava ai ragazzi una capatina a Hogsmeade che prometteva un po’ di distrazione; forse era il fatto che il sole fuori dalla finestra, gelido ma luminosissimo, stridesse con le parole di Malfoy. Ad ogni modo, sembrava più che mai intenzionato a lasciarsi un po’ andare, e andava bene così. Harry se ne rimase accucciato fra le coperte ad ascoltarlo parlare del piccolo grande niente in cui aveva trascorso le ore di sonno rimaste, dopo l’incontro con Marzio.

 

Lui non si era più riaddormentato. Un po’ perché Draco occupava una bella porzione del suo posto con la sua gamba, costringendolo a starsene rintuzzato in un maledetto angolino senza piumone, e un po’ anche perché semplicemente, guardarlo dormire gli aveva tolto il sonno.

Non c’entrava nulla con Marzio, anzi: non era Derevan che aveva visto. Per un attimo aveva sentito il bisogno di un confidente a cui affidare tutto quello che stava provando, e chissà come mai gli era subito venuto in mente il Romano. Aveva provato un doloroso senso di colpa nei riguardi di Hermione e di Ron, perché sempre di più quella faccenda andava assumendo contorni latini, incomprensibili per chiunque non la avesse conosciuta sulla sua pelle. Ovvero Draco. 

 

Ma Draco, in quel momento, era quanto di più nebuloso si fosse mai ritrovato fra le mani.

Era talmente mutevole da fargli venire il mal di testa, con i suoi repentini cambi d’umore scatenati da un nonnulla, che buttavano a mare ore di conversazione con una persona di un’intelligenza stupefacente, di cui ci si poteva soltanto innamorare.

 

Chi era davvero Draco? E chi era Derevan? Harry rimuginava anche su questa apparente dicotomia che conviveva in un medesimo corpo, adattando lo stesso sorriso, gli stessi occhi, le stesse espressioni a gratuità odiosità o alla dolcezza più soave in modo disarmante.

 

Se Derevan aveva finto, allora Marzio si era fatto prendere in giro per duemila anni. Se invece era Draco a nascondersi, stupido lui, ed egoista, a negarsi al mondo. Ma conoscendo Derevan per quel poco che gli era stato permesso di vedere, e tornando ad analizzare Malfoy, dopo il sommario quanto capitale giudizio che un bambino di undici anni aveva formulato verso un coetaneo troppo lontano dal suo mondo, ci si rendeva conto che nessuna delle due ipotesi era plausibile.

 

Draco era, doveva essere, entrambe le cose. Entrambe le sfumature di sorriso avevano senso sulle sue labbra, anche, e soprattutto, quando comparivano a sproposito. Viveva tenendo ben custodito dentro di sé quell’anima umana così vergognosamente fragile per i suoi gusti, ma doveva essere anche dispotico e antipatico, e polemico a non finire.

 

Era necessario. Altrimenti, sarebbe stato Derevan, non Draco.

 

Un paio d’ore dopo, Harry incespicava nella neve con un gruppo di amici, ma i pensieri erano più o meno gli stessi. La decisione di passare i pomeriggi separati era stata in pratica obbligata, nonostante Harry avesse avuto non poca difficoltà a nascondere la sua delusione.

Con Draco ci stava solo la sera e la notte, e la cosa aveva dello squallido. Malfoy, da parte sua, non aveva reagito in modo particolare: si era stretto nelle spalle, limitandosi a borbottare qualche imprecazione contro il freddo che ci sarebbe stato. Si era sbottonato soltanto per un attimo, facendo magistralmente finta di niente.

 

- Passi da Mielandia? -

- Mah, credo di sì. -

- Uhm. Perché io ci vado. -

 

Harry si era guardato bene dal commentare. Non voleva mica finire scaraventato fuori dalla porta a calci, o qualcosa del genere.

 

- Harry, mi stai ascoltando? -

- Sì, sì. Va meglio. -

- Non ti stava ascoltando. – chiosò Ron, ridendosela sotto ai baffi.

- E’ una cosa importante. – lo rimproverò Hermione. – Siamo all’ultimo anno, e manca poco ai M.A.G.O. Devi pensare anche a quelli, non ti puoi permettere di dimenticarti dello studio. Per una volta che non è in gioco la tua vita, puoi pure farli aspettare, no? -

 

Wow, sembrava parecchio inacidita.

 

- Tu lo studio non te lo dimentichi mai invece, eh? – borbottò Ron. Pessima mossa.

- Non ti preoccupare. – la rassicurò Harry, cercando di correre in aiuto dell’amico minacciato da una di quelle occhiate che non perdonano. – Non sto trascurando niente. È che non credo che si possa aspettare. -

- Ma che dici? Sono rimasti in attesa per duemila anni, un mesetto o due non farà differenza. -

- Hey, è ancora gennaio! – protestò Ron, colorandosi di una lieve sfumatura di panico.

- Già, ma una volta finiti gli esami, ognuno se ne va per la sua strada. Mi spieghi come faccio con Malfoy? -

 

Lo chiese più a sé stesso che a Hermione.

 

Dopo quello che stava succedendo…

Dopo tutto quello che stava succedendo.

Insomma, una volta che si fosse risolto, basta? Sarebbe finito tutto così? Lui e Draco si sarebbero ignorati per la strade di Diagon Alley, come se mai qualcosa di immenso li avesse tenuti uniti a viva forza per un po’?

 

Pensarlo gli mise addosso un umore nero.

Se due persone si erano spinte fino ai confini del continente per incontrarsi, e nonostante le difficoltà inimmaginabili che si erano trovate ad affrontare, non si erano mai più perdute, allora lui non avrebbe perso Draco, non a causa di una stupida ipocrisia, o dell’indolenza che addormenta i sentimenti e riduce le persone a numeri su un’agenda che non si sfoglia mai.

 

Gli si attorcigliava lo stomaco soltanto all’idea.

 

*          *          *

 

- Hey. -

 

Sentì un rimescolio di coperte che annunciavano il tentativo di Draco di girarsi verso di lui. Aveva inquadrato una cosa, in quelle sere: era freddoloso a livelli da non credere. Salvo poi scoprirsi perché nel sonno si agitava come una scimmia, ma questa è un’altra storia.

 

- Sto morendo di sonno. – disse, un po’ come monito e un po’ come rassicurazione.

- Sì, ti lascio dormire. Solo una cosa, tu come pensi che finirà questa storia? -

- Non lo so. Vivranno tutti felici e contenti. Anzi, trapasseranno felici e contenti, o qualcosa del genere. -

- Sì, sì, d’accordo. Ma intendo dire… noi? Cioè, dopo… che facciamo? -

 

Draco inarcò un sopracciglio abbastanza da far intravedere il movimento nella semioscurità. – Che facciamo dopo? – si interrogò. – E cosa vuoi che ne sappia. Ci troveremo un lavoro, e diventeremo due vecchi rompiscatole, come tutti. E magari ogni tanto tireremo fuori il discorso, davanti ad un tè. Non so tu, ma io sono sicuro che mi sentirò patetico al massimo. -

 

Harry si fece una risatina contro il cuscino. Perché già immaginare Malfoy da vecchio era qualcosa di allucinante in sé, ma soprattutto perché Draco lo aveva in qualche modo incluso nel suo futuro. A lui andava benissimo rivangare vecchie avventure davanti ad un tè caldo, insieme a lui.

 

- Allora… partenza? -

- Evviva. -

- E dai, dovresti cercare di goderti il lato divertente. -

- Sì, come no. Notte. -

- Buonanotte. -

- … Senti, Harry. Posso, vero? -

- Certo che puoi. -

- Uhm. Beh, senti, visto che te ne intendi, non è pericoloso, vero? -

 

Malfoy doveva avere paura che, una volta riunitisi quei due, sarebbe scoppiato il finimondo, o sarebbero finiti travolti da un mare di scintille, o giù di lì. Vagamente infantile, eh?

 

- No. Rilassati, andrà tutto bene. -

- Hey, però tu non mi mollare, quando siamo di là. Ok? -

 

Non un ombra di acidità nella sua voce; soltanto la sincerità di chi sottopone un timore comprensibile. Per l’ennesima volta.

Harry sorrise, e nel farlo emise un soffio che scompigliò un ciuffo di capelli di Draco.

 

- Non ti mollo. – lo rassicurò. – Non voglio trovarmi a fare il terzo incomodo. -

- Che diavolo, avranno un po’ di ritegno, no? -

- Io non ne sarei così sicuro. Dopo tutto quel tempo, saranno arcistufi di aspettare. -

 

Il povero Malfoy rabbrividì, e Harry si augurò di non avergli guastato il sonno. 

 

Cosa che, fortunatamente, non avvenne.

 

Harry era appena approdato nel boschetto dove Marzio lo aspettava. Lo sorprese concentrato a scuotere il suo mantello rosso e a lisciarlo con cura, ma per non metterlo in imbarazzo, si annunciò facendo un po’ di rumore con le foglie e i ramoscelli caduti. Dopotutto, era pur sempre un uomo innamorato.

 

- Credo che si sia addormentato. – gli assicurò.

- Lo faccio addormentare io, se fallisce anche stavolta. -

 

Harry sorrise bonariamente.

- Mi sembri teso. -

- Lo sono. Aspetto questo momento da duemila anni, e per la lancia di Minerva, sembra che non debba arrivare mai. -

- Arriverà. -

 

Marzio annuì, con la vista offuscata dall’emozione.

 

- Se dovesse scoppiarmi il cuore, tienimi su tu. – mormorò in uno strano modo serio.

- Sarà emozionato anche lui. -

- Ma lui è bellissimo, con le lacrime agli occhi. Mentre io sembro uno stupido. –

- Tanto per te è sempre perfetto, vero? –

Marzio sorrise, e non negò.

– Tutti gli uomini innamorati sono vanitosi, e credono di aver donato il loro cuore alla persona migliore di tutto il mondo. E io sono ancora convinto di questo. –

 

Due figure bionde apparvero, come se si fossero Materializzate, ad una decina di metri da loro. Si guardarono l’un l’altro e cominciarono ad avanzare verso di loro, in silenzio, attraversando la luce intensissima del sole.

Harry sentì Marzio trattenere il fiato, e si scoprì emozionato a sua volta, per lui.

 

All’ultimo momento, una delle due figure si staccò e si mise a correre.

Marzio spalancò le braccia e lo prese al volo, rischiando di caracollare all’indietro. Taceva, e anche il vento, e tutto quanto.  Attorno a loro si era creato un silenzio perfetto che zittiva anche gli ultimi passi di Draco, i respiri e i battiti del cuore, per racchiudere quel momento in uno scrigno geloso.

 

Come una qualche arcana clessidra che, finalmente, aveva finito la sua sabbia, e si era fermata.

 

E così, questo era Derevan. Quel Derevan che era valso una vita, e poi i duemila anni seguenti, a sentire Marzio.

Dio, ora che gli era vicino, Harry si rendeva conto di quanto fosse straordinariamente identico a Draco.

Però, loro due non erano due specchi, come lui e Marzio: Derevan sembrava una sorta di versione più autentica di Draco. C’erano un’infinità di minuscole differenze fra di loro: i capelli scomposti, più naturali, il volto rilassato, raddolcito da un bel sorriso, la pelle un poco più arrossata sulle guance.

 

Eppure, era Draco. Era così tanto Draco.

 

- Duemila anni. – mormorò Marzio, con un filo di voce.

- Sì. – Derevan tese la mano per accarezzargli il volto. Aveva la stessa voce di Draco, ma declinata in un tono più gentile. – Abbiamo aspettato tanto. -

- Potter… -

- Shhh. -

Harry si defilò e prese Draco per un braccio, portandolo in disparte. Draco gli scoccò un’occhiatina infastidita, ma si rassegnò a tacere, per una qualche forma di rispetto verso gli altri due.

 

- Mea spes. - mormorò Marzio, le mani affondate nei suoi capelli biondi, gli stessi di duemila anni prima.

- Io sono sempre stato qui. Sempre. -

- Lo so. Anche io. Ho pregato tutti gli dèi ogni giorno, per poterti rivedere ancora. -

- E io ho pregato i miei. Allora, forse ci hanno ascoltati. -

 

Derevan sorrise fra le lacrime, e a tutti lì, a Harry e a Marzio, e forse anche a Draco, mancò il fiato, perché era veramente bello oltre ogni dire.

 

- Avrei voluto gridartelo, quando ti ho visto arrivare. È solo colpa mia, mi dispiace. –

- Non dirlo. Era la strada che dovevamo percorrere, Derevan. Lo sapevo anch’io. –

- Ho provato a dirti che ti amavo, ma non ce l’ho fatta. Mi è mancata l’aria. –

- Io ti ho sentito, dentro al mio cuore. Dolce sole, ci sono tante cose che avrei voluto dirti, perdonami se la lingua mi si è fatta di pietra, vedendoti cadere. –

 

Si parlavano a bassa voce, labbra contro labbra. Derevan singhiozzava di tanto in tanto, e Marzio tratteneva i suoi a fatica, più per orgoglio che per altro. Veniva voglia di prenderlo a schiaffi: se non era quella l’occasione giusta per piangere, stupido testone che non era altro…

 

Derevan guardò furtivamente attorno a sé, ai suoi piedi, aggirando Marzio.

 

- Sei sempre stato in questo luogo? È buffo. Io invece sono rimasto ad aspettarti sotto al salix. –

- Il salix? –

- Me l’avevi detto tu, che mi avrebbe protetto. –

 

Marzio se lo strinse forte al petto. Derevan divenne improvvisamente piccolissimo, circondato dal suo ampio mantello rosso sangue, i suoi capelli gettati all’indietro, come tanti raggi di sole.

 

- Non ho mai smesso nemmeno per un momento di pensare a te. Ti ho cercato senza sosta fra queste foglie cadute, e nella forma delle nuvole, finché la mia mente offuscata non mi ha concesso di rifugiarmi in qualche illusione. E adesso eccoti qui, e io ti devo delle scuse. Non ti ricordavo così bello. –

- Riesci ancora a toccarmi con ogni tua parola. Dèi di tutta la terra, sei tu. Sei davvero tu. –

 

Derevan reclinò di lato la testa, e si lasciò zittire dal bacio di una bocca che non aveva mai scordato. Ora lo sapevano, se mai ci fosse stato qualche dubbio, che tutti quegli anni erano valsi. Ogni secondo di quel dolore, ogni notte passata abbracciandosi le ginocchia, nella solitudine sconfinata della loro mezza morte. Era valsa anche solo per quel bacio.

 

- Tzk. E adesso che facciamo? Contiamo le foglie? -

 

Fino a quel momento, Harry aveva sentito tutto il suo corpo galleggiare nel senso di vittoria e di sollievo. Ma se ci si mette Draco, il tonfo a terra è assicurato.

 

- Diavolo, Malfoy, non riesci ad essere nemmeno un po’ felice, per loro? –

 

Draco piantò lì un broncio furibondo, schizzando un’occhiatina infima agli altri due. Non ebbe cuore di fingere con sé stesso che ciò che stava accadendo non lo sfiorava nemmeno un po’. Ma, naturalmente, si guardò bene dall’ammetterlo con Potter.

 

- Se vuoi ripassiamo Trasfigurazioni. Ne so una davvero bella sui boa costrittori. -

- Ma piantala. – gracchiò Draco. – Piuttosto, il tuo clone è un vero disastro come baciatore. -

- Li stai guardando?!?! – Harry non sapeva se essere divertito o scandalizzato. – Draco!?!? -

 

Draco scrollò le spalle, e continuò imperterrito a fissare qualcosa oltre la spalla di Harry.

 

- Beh, che c’è? Non faccio niente di male. -

- Ma fai il ficcanaso! -

- La tua è solo invidia. Vuoi che ti faccia la telecronaca? -

- No, voglio che guardi me, e smetti di guardare loro! -

 

Harry gli prese le guance fra le mani e lo voltò bruscamente verso di sé. Pessima mossa, visto che si ritrovò ad affrontare gli occhi di Draco senza essersi minimamente preparato. Sbatté le palpebre, in crisi nera su cosa fare adesso che lo aveva così vicino; si chiese che cosa diavolo gli passasse per la testa, o perché sentisse che il sangue gli stava fluendo via dalle mani facendolo raggelare.

 

- Spione. -

 

Lo esalò, lasciandolo andare esausto, e pregando soltanto che Malfoy non dicesse né facesse nulla.

 

In effetti, non accadde. E lui si sorprese ad essere deluso. Avrebbe tanto voluto sapere che cosa stava accadendo.

 

Derevan e Marzio si erano seduti. Il Romano gli carezzava i capelli facendoci glissare piano le dita, come se non riuscisse a credere di poterli toccare, mentre l’Iceno si era accoccolato fra le sue gambe, tenendosi stretto ad un suo braccio.

 

- Aspetterei altri due millenni, per poterti baciare di nuovo. – proruppe Marzio.

- Io farei la stessa cosa. –

- Lo so, e mi chiedo se la nostra non sia soltanto follia. Ma adesso non voglio pensarci. Non voglio perderti mai più. –

 

Derevan gli strinse gentilmente il braccio, e si allungò per raggiungere il suo orecchio, e sussurrare qualcosa. Marzio arrossì e lo guardò per un attimo come se fosse appena caduto da un albero. L’Iceno reclinò la testa, e si sospinse via, gattonando di qualche passo in avanti.

 

- Draco? – chiamò. – Siete ancora lì? –

 

Draco si sporse dal tronco robusto di un albero, a  qualche metro da loro.

 

- Scusateci, se vi abbiamo esclusi. –

- Lascia stare. – disse Harry, prima che Malfoy avesse il tempo di dire qualcosa di assolutamente acido.

Derevan batté con una mano il terreno coperto di foglie. - Perché non venite qui? –

 

Draco sbarrò gli occhi e, ritirandosi dietro alla corteccia, scosse vigorosamente la testa.

 

- Ma dai, non fare l’antipatico, adesso. –

- Hey, non voglio mica stare a guardarli mentre fanno i fidanzatini. –

- Bah, cammina, stupido. –

 

Harry si trascinò dietro Draco esattamente come lo aveva portato via, con il Serpeverde che opponeva una passiva e rassegnata resistenza.

 

- Scusa. – borbottò Marzio, imbarazzato.

- Non dirlo nemmeno, vi capiamo benissimo. Se volete stare da soli, ce ne andiamo a fare una passeggiata. –

- Hey, io non voglio perdermi in questo posto, Potter! –

- Ha ragione Draco. – asserì Marzio. – E poi rischiate di imbattervi di nuovo in Shay e Fulgor che si rincorrono. –

- Shay?!? – esclamò Derevan.

- Non lo vedevi, tu? – si stupì Marzio. – A me ogni tanto passavano davanti, Fulgor e il tuo puledro. –

Derevan imbronciò le labbra. – Sai che Shay odia essere chiamato puledro. – disse, tutto serio.

- Shay odia moltissime cose. –

- Perché è un unicorno. È una creatura gentile, se ci si sforza di capirla. –

- Tu riuscivi a capirlo. – borbottò Marzio, puntandogli contro l’indice. – Perché tu sei speciale, e lui è il tuo dono da parte degli dèi. A me non avrebbe mai dato retta. –

- Se quell’unicorno si fosse chiamato Draco, sarebbe stato perfetto. – commentò Harry, sornione.

 

Lui e Marzio si scambiarono un’occhiata complice, mentre Derevan rimase lì, perplesso. Draco non aveva idea di che cosa stessero dicendo, ma per andare sul sicuro, piantò una gomitata offesa nelle costole del Grifondoro.

 

- Ahio, ma sei matto? –

- Non azzardarti a parlare male di me, o il prossimo è un pugno. –

- Non stavo parlando male di te! Insomma, non del tutto. –

 

I due nemici storici si squadrarono per qualche istante ancora, prima di voltarsi reciprocamente le spalle, ostentando di ignorarsi l’un l’altro.

 

- Begli alberi. – borbottò Harry. –

- Invece no, sono spogli e vecchi. –

- Io dico che sono belli. –

- Io dico di no. –

- Sì!-

- No!-

- Sì!!! –

 

Draco arricciò le labbra per rispondere, ma qualcosa lo fermò con il soffio della parola già in bocca.

- Hey, ma… questo posto io lo conosco. –

Harry lo guardò un po’ perplesso, mentre Derevan produsse un sorriso mite.

- Te ne sei accorto? –

 

Draco si alzò in piedi, muovendo alcuni passi qui e là, senza una precisa direzione. Accarezzò alcuni tronchi con concentrazione, cercando in essi una qualche conferma al suo sospetto.

 

- E’ il bosco dove mi hai portato tu. – disse, rivolgendosi implicitamente a Derevan. – Quello in cui ti sei ferito la mano.

 

Fu il turno di Harry di sentirsi escluso, mentre Derevan annuiva felice, Marzio si chiudeva un po’ in sé stesso, e gli uccelli continuavano a cinguettare sopra di loro, fra i rami protettivi di quegli alberi immortali.

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ma guarda, il sospirato incontro proprio al capitolo quattordici, il mio numero fortunato. Ah, la Somma tutto vede e tutto può.

 

Nota: Il titolo significa semplicemente duemila. E poi, questa è veramente una pignoleria. Perché Derevan invoca gli dèi della terra? Principalmente, perché la religione celtica tributava grande importanza alle divinità legate alla terra, piuttosto che a quelle celesti. Forse avete presente le rappresentazioni di querce, o foglie di querce, abbastanza comuni in quella civiltà, perché la quercia era l’albero più sacro. Anche se in assoluto, i numi più importanti erano quelle guerrieri (la terribile Morrigan). Ma decisamente, non erano appropriate in questo contesto.

 

Chiedo venia se nemmeno in questo capitolo potrò rispondervi. Purtroppo, per tutta una serie di problemi, sono rimasta molto indietro con il lavoro, e devo correre subito a completare anche i capitoli di Swords, di Elements e di Because she said so.

Scusatemi, spero di recuperare in fretta, in modo da potervi dedicare più spazio la prossima volta.

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Capitolo 15
*** Dillon ***


8b: Secondo incontro

La giornata seguente trascorse nella più catatonica confusione.

 

Per quanto riguardava Harry, se il mondo fosse finito la sera prima, sarebbe stato perfetto: con Marzio e Derevan allacciati ai piedi di un albero, Draco e la sua smorfia diffidente, e lui in preda ad un’ubriachezza sconosciuta.

 

Andava bene così, no? C’erano un sacco di cose fuori posto, ma andava bene così.

 

Draco andava sempre più conquistandosi posizioni inaspettate. Gli faceva male che in quel preciso momento non fosse lì con lui, e sempre di più, cresceva la sensazione che salutarlo la mattina, scambiare qualche parola durante gli intervalli delle lezioni, trattarsi bene, ridere, scoprire di andare d’accordo, non gli bastasse più.

 

Ma andava bene così, davvero.

 

Voleva bene a Draco. Bene da morire. Solo la sera prima, lui gli aveva chiesto implicitamente aiuto di fronte ad un immaginario pericolo, e Harry fu fulminato dalla consapevolezza che gliel’avrebbe dato. Avrebbe spaccato teste, per lui, senza remore.

Era la stessa cosa che Marzio aveva fatto per Derevan?

 

Che domanda stupida.

 

Ad ogni modo, Harry cominciava a dare un nome alle sue nebulose sensazioni, un nome che non suonava per niente rassicurante, e che sono a pensarci lo faceva rabbrividire.

 

Le cose si facevano sempre più difficili man mano che si chiarivano; i suoi amici non sapevano niente, Draco con ogni probabilità non sospettava nemmeno lontanamente ciò che gli passava per la testa, ma il lato positivo di quella situazione è che c’erano migliaia di scuse per poter rimandare, ed aspettare ancora, e ancora.

 

La sera, all’ora di rientro in camera, si accorse subito che Draco era strano.

 

Durante la cena aveva cercato spessissimo il suo sguardo, arrivando a farsi rimproverare da Hermione, ma non lo aveva mai incrociato. E adesso che lo osservava placidamente uscire dal bagno, con il viso lavato e il pigiama addosso, pronto per la notte, avrebbe voluto fermare tutto per chiedergli che cosa non andasse.

Ma si sarebbe potuto permettere una tale confidenza?

 

- Draco… -

- Ho molto sonno. – lo prevenne lui, quasi gli avesse letto nel pensiero. – Buonanotte. –

 

Spense con un gesto stizzito la lucina della sua candela, costringendo Harry a fare altrettanto.

 

Maledizione. Moriva davvero dalla voglia di avere sotto gli occhi la coppia più affiatata del pianeta, interpretata sarcasticamente dalla faccia sua e di Draco, mentre loro due si sarebbero guardati attorno, e tutt’al più avrebbero scambiato qualche mortificante parola di circostanza.

 

Prima di chiudere gli occhi, si morse la lingua, per la cattiveria del suo ultimo pensiero. Non era da lui, e sapeva perfettamente di non pensarlo davvero. Ciò che aveva mosso quell’idea scintillata fuori all’improvviso era stato qualcosa di diverso dalla malizia o dal fastidio. Harry aveva la netta impressione che si trattasse di una forma di invidia.

 

Ed era ironico, no? Draco gli aveva sputato addosso litri di veleno per tutti quegli anni, perché lo invidiava. Harry non era mai riuscito, in tutta sincerità, a comprendere come fosse possibile invidiare proprio lui. Invidiare la sua cicatrice, invidiare tutti quegli sguardi puntati su di lui, che si aspettavano sempre qualcosa di enorme.

Ed ora, era lui che si ritrovava ad invidiare qualcuno, perché, maledizione, erano così felici, insieme, loro due.

Pazzesco.

 

L’invidia è una malattia molto diffusa e facilmente trasmissibile, a quanto sembrava.

 

Con questi pensieri per compagni, faticò non poco a prendere sonno, e così, quando riaprì gli occhi sull’ormai familiare radura, si ritrovò di fronte un Draco a braccia conserte e dallo sguardo furibondo, e un Derevan a dir poco terrorizzato.

 

- Che fine avevi fatto, si può sapere? – abbaiò Malfoy, avanzando con aria minacciosa verso di lui.

- Draco, non occorre… - gemette il povero Derevan, invano.

 

Fu una vera fortuna che Marzio apparve proprio in quel momento a salvare un Harry ancora tramortito dall’ira di Draco, facendo capolino da dietro un albero.

 

- Meno male. – sospirò. – Temevo che non saresti più riuscito ad addormentarti. –

 

Derevan gli corse subito incontro, il viso illuminato da una gioia indicibile, mentre Harry tratteneva a stento i gorgoglii del suo stomaco vedendoli che si abbracciavano, vedendo come faticassero ad allentare la stretta delle braccia per lasciarsi andare anche sono di un poco.

Non ebbe il coraggio di guardare Draco, comunque.

 

- Ma no. – borbottò. – Stavo soltanto… pensando ad alcune cose. Non credevo fosse passato così tanto tempo. –

- Ma fammi il piacere. – insistette Draco, impietoso. – Noi siamo qui che ti aspettiamo da secoli, e tu che fai? Ti metti a pensare? Andiamo, non lo hai fatto per una vita, ti sembra il momento per cominciare? –

 

Harry strabuzzò gli occhi, basito.

Ma che gli era preso a Malfoy, tutto d’un tratto?

 

- Insomma, mi dispiace. – farfugliò, confuso.

- Va tutto bene, sono arrivati. Ti prego, non arrabbiarti. – cercò di incoraggiarlo Derevan.

 

Draco persistette nel tenere Harry sotto scacco con uno sguardo che definire rancoroso era poco. All’improvviso, lo distolse, e borbottò un: - Avevi promesso che non mi avresti mollato da solo. – che fece correre un lungo brivido lungo la schiena del Grifondoro.

 

Marzio sbarrò gli occhi, e prese a guardare sgomento ora Derevan, ora Draco. Il suo Iceno replicò con un sorrisino dei suoi, appena accennato e pieno di allusioni.

 

Harry, dal canto suo, sentì le ginocchia tremare. Era solo una frase detta così, e perfettamente degna di Malfoy, ma se l’impressione che nel dirla fosse arrossito fosse stata vera, se Draco avesse voluto sottintendere qualcosa, una cosa qualsiasi, avrebbe dato un senso ed un colore a molte cose, e lui ne sarebbe stato felice. Felice come, ne era sicuro, non si era mai sentito in vita sua.

 

In quel momento, Marzio si sollevò dal tronco a cui era rimasto appoggiato. Si avvicinò a Derevan e gli afferrò una mano prepotentemente, come se avesse avvertito una qualche minaccia avvicinarsi.

Lui ricambiò la stretta, smarrito.

 

- Dove andiamo? – domandò il Romano.

- Non lo so. –

 

Harry non fece nemmeno in tempo a chiedere di che cosa stessero parlando, che l’atmosfera si dilatò improvvisamente ed assunse i contorni sfocati e distorti di quando il materializzarsi di una memoria era imminente.

 

Tutto tornò alla normalità in pochi istanti, e in tutt’altro luogo.

I quattro si rimisero in piedi, intontiti: si trovavano nell’esatta corrispondenza di una foce ad estuario di un fiumiciattolo limpido, che creava una suggestiva elle scorrendo verso la sua meta. Alla loro destra sia apriva il mare, cristallizzato dalla miriade di riflessi del sole che brillava su di loro.

Immediatamente dietro di loro, un pigro nitrito segnalò la presenza di due inattesi ospiti.

 

Derevan si girò, illuminandosi.

 

- Shay! –

 

Fece per correre incontro al suo amatissimo unicorno, ma Marzio gli afferrò il polso con forza, strattonandolo leggermente.

 

- Non può vederti. – lo avvertì con voce inaspettatamente dura. – Né sentirti. –

 

Ma, come a volerlo contraddire, Shay scrollò improvvisamente la criniera, e fece alcuni passi nervosi attorno a Fulgor, che da parte sua si sforzava di ignorarlo e di continuare a brucare l’erba in santa pace.

 

- Oh. Sì. – mormorò Derevan, affranto.

 

Draco strinse violentemente il pungo, fino a far impallidire le nocche; Harry scorse il suo gesto, ma decise che non era il caso di intervenire. La situazione era già sufficientemente tesa.

 

- Questo non è altro che un ricordo. – sbraitò infatti il Serpeverde. – Me lo hai detto tu, no? E’ logico che non può accorgersi di te. Svegliati! –

- Draco! –

- No, non fa niente. – lo zittì Derevan con un cenno. – Ha ragione. Mi sono fatto prendere dall’emozione, scusatemi tanto. –

- Oh, per gli dèi, vieni qui. – quasi ringhiò Marzio, afferrandolo per una spalla e stringendoselo al petto.

- Che cosa stai cercando di fare, eh? Di tenerti dentro il tuo dolore? –

- Se voglio, ne sono capace anche io. –

- Sciocco. I tuoi occhi ti hanno sempre tradito. Riesco a vedere le tue lacrime mai nate fin da qui. –

- Mi dispiace. È solo che… mi dispiace tanto. -

- Ti prego. Sono stato troppo duro, non ne avevo il diritto. Se potessi, dolce sole, ti farei riabbracciare il tuo Shay, lo sai. –

 

Derevan scosse la testa, strofinando la fronte contro la tunica bianca di Marzio.

 

Per la prima volta in vita sua, Draco avrebbe voluto sotterrarsi per il senso di colpa. Il modo in cui aveva attaccato Derevan era stato eccessivo persino per i suoi standard, ma dannazione, non aveva davvero potuto trattenersi.

Vedere il gesto infantile dell’Iceno, sentire le sue parole remissive di scuse e diventare una furia era stato un tutt’uno. Ancora più che dalla sua rabbia, era tormentato dalla sua incapacità di comprendere come Derevan potesse essere così… così tutto.

Così buono, così gentile, così innamorato del mondo, e di quel maledetto Romano che sembrava non aver altro scopo nella vita che lui. Lui non avrebbe mai e poi mai agito in quel modo, anzi; se Potter si fosse permesso di afferrargli un polso, glielo avrebbe come minimo staccato.

Già.

Se Potter si fosse preoccupato per lui, o roba simile, gli sarebbe venuta la nausea, ecco cosa.

Lui non era Derevan, tutto il contrario: era quanto di più lontano si potesse pensare. Non era così patetico e sentimentale, e nemmeno fragile, e non aveva bisogno di buttarsi fra le braccia di Potter, o di un sostituto, per sentirsi meglio.

E ciò nonostante, non era stata sua intenzione attaccarlo in quel modo.

 

- Sapete. – riprese Derevan, senza lasciare la presa sulla veste del suo compagno. – Shay, nella mia lingua, significa… -

- Significa dono. – lo prevenne Harry.

 

Derevan strabuzzò gli occhi, stupito. – Come fai a sapere… gliel’hai detto tu? –

 

Marzio tergiversò, grattandosi distrattamente il mento per darsi un tono. – E’ possibile. –

- Come sarebbe a dire che è possibile? O glielo hai detto tu, oppure Harry conosce il dialetto celtico. E non mi sembra probabile. –

- Beh, non sottovalutarlo, è un ragazzo in gamba! –

- Sei uno spione, accidenti, mi hai rovinato la sorpresa. – protestò Derevan.

 

Harry sogghignò alla buffa scenetta, soprattutto perché, nello stesso istante, Shay pensò bene di caricare maldestramente Fulgor, dandogli una musata offesa sul fianco, a cui il cavallo reagì respingendolo e battendo con forza uno zoccolo a pochi centimetri dalle sue zampe, a monito.

 

- Poveri noi. – considerò. – In mezzo a due coppie di litiganti. –

- Beh, io preferisco occuparmi di questi. Sistemali tu i cavalli, Potter. –

- Andiamo, sono cavalli, mica Ippogrifi. –

- Stai cercando di insinuare qualcosa? –

- Assolutamente sì. –

- Ecco, buon per … Hey, che cos’hai detto? –

 

Prima che le coppie di litiganti divenissero tre, Derevan scoppiò in una risata limpida quanto improvvisa.

 

- E così. – sghignazzò, rivolgendosi implicitamente ad Harry. – Ti ha detto tutto sui nomi dei cavalli, ma nulla sui nostri? –

 

Harry avrebbe voluto replicare che la situazione in cui si era trovato a rivelarglieli non era stata delle più facili. Ma faceva ancora fatica a perdonarsi l’intrusione di quella notte, nel loro giaciglio segreto, perciò desistette, stemperando il tutto in una scrollata di spalle.

 

- Il nome Derevan significa “colui che scrive poesie”. – affermò Marzio con un certo, commosso orgoglio. – Mentre il mio è molto più umile. Deriva dal nome del nostro dio della guerra, Marte. Di buon auspicio, per un uomo d’armi. –

- Per la mia gente, il nome di una persona è molto importante. – spiegò Derevan. – Esso custodisce parte della nostra anima, e ci accompagna per sempre. Ecco perché ho scelto questo, per il mio unicorno. –

- Bah, stupidaggini. – ribatté Draco. – Non credo a queste cose, il mio nome l’hanno scelto i miei genitori, e non ha niente a che fare con me. –

- No, se tu non lo permetti. Ho detto che un nome custodisce parte dell’anima di una persona. Ma non la rivelerà mai, se questa persona non lo vorrà. Ti ricordi di Dillon? Il suo nome significa “fedele”. Non ti sembra perfetto? –

 

Draco strinse i denti, facendosi improvvisamente scuro. – Sarebbe stato molto meglio “infame”. –

- Di cosa parlate? – si intromise Harry, confuso.

 

In effetti, anche Marzio non sembrava seguire il filo del discorso. Reclinò la testa verso Derevan, con le labbra imbronciate in un moto meditabondo.

- Dillon non era quella ragazza che era al tuo fianco quando… - 

 

Derevan si limitò ad annuire, chiaramente intenzionato a troncare lì la frase di Marzio.

 

- E’ stato il primo ed unico ricordo che sono riuscito a mostrare a Draco, prima che voi vi parlaste. – spiegò. – E purtroppo non è stato piacevole. L’ho forzato a vedere, ma le conseguenze sono state orribili. – Chinò il capo, sconsolato. – Mi dispiace moltissimo. Ti ho fatto stare male soltanto perché volevo che ti fidassi di me. -

- Lo hai fatto perché volevi rivedere Marzio. Il tuo gesto è comprensibile. – gli andò incontro Harry, non prima di essersi assicurato che quel testone di Draco collaborasse.

- Ma rimane una grave infrazione. Se i ricordi sono spiacevoli, almeno si è preparati al peggio, ma così, costringendolo, non ho fatto che spaventarlo. –

- Ma cos’è accaduto? -

 

l’Iceno provò ad intercettare lo sguardo del suo gemello, ma dovette arrendersi al suo broncio ostinato, e proseguire lui il racconto.

 

- Una notte. – cominciò, reclinandosi contro Marzio come se il ricordare lo stancasse molto. – Dillon mi sorprese mentre uscivo di nascosto da Venta. Sapeva che sarei venuto ad incontrare te, e cercò in ogni modo di trattenermi, e di convincermi a dimenticarti. Disse cose orribili su di te e sul tuo popolo, ma dovete capirla, povera sorella mia, era solo spaventata dalla guerra, e temeva che potesse accadermi qualcosa. Purtroppo, i miei sentimenti si sono riversati su Draco, e quando lei mi ha afferrato per le vesti, disposta a lottare con me pur di fermarmi, lui si è sentito male, e il sogno è svanito. -

- Non credevo fosse tua sorella. -

- Non lo è, di sangue. Ma siamo cresciuti insieme, e per me lo è sempre stata. Purtroppo Draco ha dovuto assistere a quella scena a causa mia, non avrei mai voluto che capitasse. -

- Povero cerbiatto, non ti è mai riuscito di trattare male le persone. – lo canzonò Marzio, soffiandogli sulla nuca. – Proprio mai. -

 

Derevan gli rivolse uno sguardo brusco e addolorato, ma Harry non vi prestò molta attenzione, occupato com’era a mettere a posto alcuni tasselli del suo personale mosaico.

 

- Una ragazza che voleva fermare Derevan. – ragionò. – E tu hai provato i suoi sentimenti, come io sentivo quelli di Marzio. Perciò il tuo istinto è stato quello di reagire. -

 

Finalmente annuì, guardandolo risolutamente negli occhi.

- Hermione. -

 

Draco schizzò via precipitosamente da quel contatto visivo così indagatore. Arrossì violentemente, ma cercò in ogni modo di non curarsene, preferendo dedicarsi all’erba, alle nuvole, ai cavalli, a qualsiasi cosa che non fosse Harry.

 

- Hai aggredito Hermione senza motivo, quella mattina. Lo hai fatto per questo, vero? Perché questa Dillon è Hermione. -

- Harry. – cercò di intervenire Marzio, per soffocare sul nascere un tono di voce che minacciava di incrinarsi sempre più ad ogni sillaba.

- E’ così? – insistette lui. – Tu hai fatto del male a Hermione perché non sei riuscito a distinguere il sogno dalla realtà? -

- Oh, falla finita! – esplose Draco, nero di rabbia. – Che diavolo ne sai, tu, eh? Che diavolo ne sai! -

- Ne so quanto te, idiota. Credi che non abbia provato anche io quello che hai provato tu? Chi ti ha dato il diritto di puntare la bacchetta contro di lei, soltanto per una somiglianza, brutto incosciente! -

- Harry, non arrabbiarti. – disse Derevan, accorato. – È stata tutta colpa mia, sono davvero mortificato. Ti prego, non prendertela con lui. -

- Lo ha fatto in preda a sentimenti che non conosceva. – aggiunse Marzio. – Li hai provati anche tu, lo sai cosa vuol dire. -

- Io non ho mai aggredito nessuno, però.  – ringhiò Harry.

- Perché non ne hai avuto l’occasione. -

 

Tre contro uno. Harry si sentì incredibilmente amareggiato dal tradimento di Marzio. Draco aveva agito istintivamente, furioso per i sentimenti terribili che il sogno gli aveva suscitato.

E allora?

Non era una giustificazione plausibile, quella. Altrimenti, lui avrebbe già dovuto baciarlo da un pezzo, con la scusa di essere mosso dai sentimenti di Marzio. Perché l’unico che doveva soffocare ciò che sentiva era lui?

 

- E va bene. – acconsentì. – Ho capito, lasciamo perdere. -

- Dite a Dillon… cioè, alla vostra amica, che mi scuso tanto. – li pregò Derevan, con quella sua sincerità disarmante che, se l’amore possiede un motivo, doveva per forza essere il primo dell’amore di Marzio.

- La Granger non è mia amica. – sputacchiò Draco.

- No, ma mia sì. – ribatté Harry. – Non ti preoccupare, le spiegherò tutto io. Ma vorrei comunque che Draco le facesse le sue scuse. Pretendo che lo faccia. -

- Te lo puoi scordare. -

- Draco. – gemette Derevan, esausto, mentre Marzio se la rideva di nascosto. – Non potresti fare uno sforzo? -

- Non con la Granger. Vacci tu a scusarti. -

- Lo farei, ma non mi è possibile. Non lo faresti tu, in mia vece? -

- Nemmeno morto. -

 

Dal ridacchiare, Marzio passò ad una risata a singulti. – Somiglia in modo impressionante al tuo puledro. – esclamò, per nulla toccato dall’importanza della discussione. – Per Giove saettatore, non mi stupirei se gli spuntasse un corno sulla fronte proprio davanti ai miei occhi. -

- Shay non è un puledro. E l’ostinazione non è un difetto, ma un pregio. Se la si modera un poco. -

- Lo dici solo perché i destrieri assomigliano ai padroni. -

 

Marzio si avvicinò cautamente all’Iceno, e gli premette un dito sul naso. – Non è vero, piccolo mulo? -

 

Proprio in quel momento, un vociare allegro li sorprese alle spalle.

 

Marzio e Derevan stavano tornando dalla riva del mare rincorrendosi, madidi d’acqua, e avvolti alla bene e meglio dai vestiti indossati frettolosamente.

 

- Non prendi me, non prendi me! -

- Vieni qui, impertinente! -

 

Shay si animò, rivedendo il suo padrone. Cominciò a trottare impaziente tutt’attorno a Fulgor, che invece aspettava pacifico il ritorno di Marzio. Ad un tratto, la sua lunga coda nera frusciò con forza, finendo dritta in faccia all’unicorno che si ostinava a correre qua e là. Nessuno ci avrebbe mai creduto, ma quel gesto era stato così palesemente volontario, da farli sembrare umani. Shay diede un nitrito furibondo, e come a volersi vendicare gli si parò di fronte e scrollò la sua criniera cangiante.

 

Mentre i due destrieri si scrutavano biechi, i loro padroni arrivarono a pochi passi di distanza da loro, investendoli dell’odore frizzante e particolare della salsedine. Si lasciarono cadere sull’erba fresca, ansimando per la corsa, e sorridendo al sole, che li illuminava e li asciugava assieme ai soffi di vento. Marzio fu subito sopra Derevan, per torturarlo con baci e morsi che non lasciavano segni sulla sua pelle chiara, arrossata dall’acqua e dalla luce pura dell’estate.

 

– Ho aspettato per sempre di rivedere quel tuo sorriso, vivendo di ricordi come questi. – mormorò Marzio. – Quel modo che hai tu, che ti brillano gli occhi, e tutta l’aria attorno a te. –

- Era bello. – annuì Derevan, emozionato. – In quei momenti non c’eravamo che noi. Avrei tanto voluto restare su quel prato per sempre. -

- Il tuo desiderio è stato esaudito, allora, perché siamo ancora qui. -

- Lo abbiamo esaudito insieme. Però… - Derevan si voltò verso il suo amante all’improvviso, serio. – Ci è costato molto. In tutti questi anni ho tanto desiderato poter sapere se… -

- Non parlare. Non chiederlo nemmeno. Se tu svanissi in questo stesso istante dalle mie braccia, io aspetterei altri duemila anni, per poterti stringere di nuovo, anche solo una volta. E così sempre, per l’eternità, vivrei per quell’unico momento da trascorrere insieme. E non avrei un solo dubbio. –

Derevan si acquietò, protetto dal suo abbraccio saldo. – In tutto questo tempo, la mia più grande paura è stata quella di non ritrovarti. Temevo che tu potessi aver scelto la pace, invece dell’attesa. –

- Quale pace? – rispose Marzio, animoso. – Quale pace, senza di te? Ridotto per sempre ad un’ombra solitaria nell’Averno, quale pace avrei potuto trovare? Fossero stati anche i Campi Elisi, avrei vagato per sempre fra le distese sconfinate dei loro giardini senza mai trovare il mio posto. No, Derevan, non ho pensato nemmeno per un istante di andarmene senza di te. Sarebbe stato come morire una seconda volta. -

- Lo so. Perdonami, per la mia paura. Ho atteso così tanto che anche io ho creduto di morire molte altre volte, ma adesso che sei qui mi sembra sia stata solo una lunghissima notte di incubi. Nient’altro che uno scherzo della luna. -

- Sei un ingenuo. Il tuo sorriso è uno scherzo della luna. -

 

Il Derevan sdraiato a terra sorrise, in un gioco di specchi mozzafiato.

 

- Mea spes. Ut ego caelum, astraque. –

- Io… non… -

- Non capisci, vero? –

- No. –

- Res nullius momenti. Non ha importanza. -  

 

*          *          *

 

Harry aprì gli occhi che il sole era già alto. Stiracchiando le braccia, urtò inavvertitamente qualcosa che subito lo fece ritirare.

- Scusa. – biascicò a quello che, dopo un’analisi più attenta, si rivelò essere un cuscino.

 

Un tantinello stordito, si tirò su a sedere, e finalmente mise a fuoco lo sciabordio dell’acqua che scorreva, una porta più in là.

 

Draco doveva essersi alzato prima, e lo aveva preceduto nella doccia. E ciò equivaleva ad arrivare con un ritardo micidiale a colazione.

 

Strano, comunque. Che sua maestà Draco Malfoy si fosse svegliato prima di lui.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Comincio subito con lo scusarmi per il ritardo.

 

Sono un po’ in difficoltà con gli aggiornamenti, principalmente perché questo non è proprio un momento d’oro, ma vorrei comunque riuscire a mantenere un livello di resa decente per la storia.

 

Intanto, abbiamo finalmente compreso il perché Draco abbia aggredito Hermione. Particolare che, direi, rivela molto circa il suo stato d’animo. Ci tenevo inoltre a dedicare qualche riga alla spiegazione dei nomi di Marzio e Derevan. Lo so che non è importante ai fini della storia in sé, ma mi sembrava bello farlo. Inoltre, abbiamo aggiunto un altro piccolo tassello al meccanismo dei ricordi: in teoria, ed infrangendo le regole, è possibile forzare, ma come avete visto, non è stata un’idea felice, considerando la reazione di Draco.

 

Nota: “Mea spes. Caelum, astraque ut ego” significa: mia speranza/amore mio, per me sei il cielo, e le stelle.  La frase seguente, invece, è una locuzione, letteralmente sarebbe “è una cosa di nessuna importanza”.

 

Detto questo, passiamo alle risposte, che è troppo che mi tocca trascurarle, ma questa volta non ci sono scuse!

 

Risposta pubblica per Hokori: tesoro, ti sono immensamente grata per tutti complimenti e le osservazioni che hai fatto, tutte azzeccatissime. Rispondo alla domanda riguardo l’ambientazione: perché si incontrano nella macchia boschiva che ospita Marzio? Beh, in realtà, in fase di progettazione, mi sono detta che avrei dovuto creare un terzo ambiente, diverso dal bosco e dal salice, per l’incontro. Ma poi ho pensato che la storia è già abbastanza complessa per sé, senza gravarvi con la descrizione di un nuovo luogo dove ambientarsi. E ho scelto il bosco perché più evocativo, perché è il luogo dove Marzio ha curato la mano di Derevan, e dove è rimasto ad aspettarlo per sempre. Tutto qui, quindi, è stata una scelta estranea ai meccanismi della trama.

 

 

Little Star: hihihi, mi piace l’idea del libro. Vedrai che per la legge del contrappasso… Ehm, Draco ha un lato dolce? Esattamente, dove? No, no, ok, non voglio saperlo… lo lascio scoprire a Harry. ^^

 

Francesca Akira: ehm, non ho colto la similitudine… Adesso mi do da fare con Google per venire a capo del mistero! Oh mamma, tante parole complicate ç__ç

 

Ginny W: hehe, ci vuole un po’ di pazienza. Sai com’è, quando si ha a che fare con due tali ottusi…

 

The Fly: che ci vuoi fare, Harry è portato per questi filmini mentali sul futuro. Meno male che Draco non si smentisce mai!

 

Dark: ma guarda te questa che si dà al latino! D’ora in poi, marzio dirà oh cribbius (che secondo me, al vocativo fa proprio cribbio), ad ogni piè sospinto. Beh consolati, se tu vedi cuoricini, io vedo avatar yaoi ovunque…

 

Puciu: ma nooo, non ti angosciare! Che poi buaaah, mi sento in colpa, mi faccio mille problemi, e non ne veniamo più fuori! Tanto poi fai la modesta, ma scrivi delle recensioni da lacrime, accidenti! Guarda, non hai tutti i torti riguardo alla situazione da dilemma: io l’ho risolta con un paio di regole base, ovvero aderenza ai due caratteri che avevo creato, e evitare barocchismi e eccessive fanfare. Io penso che due che si trovano in una situazione del genere, alla fine rimangano a guardarsi lì, attoniti, senza dire niente per ore, troppo sconvolti dall’essersi ritrovati. Ehm, visto che questa via non era percorribile, ho optato per una via di mezzo, dolce ma sobria. Waaa, neuroni teneri, un giorno scriverò una storia su di voi. E per il seguito beh… non ti sei persa nulla, ancora tutto è avvolto nell’ombra…

 

Koorime: tesoro, ho investito volentieri mezz’ora della mia vita per leggere la recensione! XD dai scherzi a parte, sono queste le cose che mi piacciono, quando uno mi costringe a tornare ai punti della fic per seguire i suoi ragionamenti e le sue considerazioni. Partiamo subito da Hermione: diciamo che mi sono attenuta all’Hermione dei primi anni, e soprattutto ad una semplice regola che avevo deciso fin dall’inizio: lei non ha nulla contro Marzio, ma Harry è Harry, è lui il suo amico, perciò lui la priorità. Comunque, la cosa avrà modo di evolversi, vedrai. Harry, come dire, galleggia attorno a Draco in modo piuttosto confuso, questo lo abbiamo capito. Marzio invece è una patata lessa, e ci piace così XD. Dunque, alle tue domande si troverà qualche risposta in seguito. Per il momento, rispondo con un’altra domanda: tu cosa diresti nell’orecchio all’uomo che ami, e che non vedi da duemila anni? XD

 

Smemo: tesoro, non dirlo nemmeno. Figurati se sono offesa o arrabbiata, non mi devi alcun tipo di scuse! Schiettamente, qui i casi sono due: o non hai apprezzato la mia scelta di assoluta sobrietà, perciò la scena ti è sembrata un po’ spoglia, oppure, semplicemente, potevo fare meglio. E in entrambi i casi non sei tu a doverti scusare, ma io. Se c’entri in qualche modo la faccenda di NA, ovviamente non lo so. Posso dirti che ha lasciato sconcertata anche me. Do piena ragione alle amministratrici, è evidente, ma in generale si è esagerato. Per me, la storia andrebbe cancellata, e l’autrice contattata, e aiutata a scriverne una migliore, sempre ammesso che non sia un flame. Le urla, le polemiche, le parolacce, sono di troppo, anche se comprensibili come moto di rabbia. Sarà che anche io sono una mozzarella, e se devo criticare ti coccolo da morire, cercando il più possibile di dare dei consigli e di incoraggiare.

 

T Jill: grazie tesoro! Anche io non vedevo l’ora di scrivere di questo momento. Non sono del tutto soddisfatta, perché un momento del genere meriterebbe Dante, altro che Stat.

 

Draco Malfoy: hihi, auguri che quei due si capiscano, ottusi come sono…

 

Layla: hihihi, piuttosto inquietante come immagine, eh? Abbiamo già fatto dei progressi, dai, ma Draco è duro di comprendonio, perciò attendiamo speranzosi.

 

Blaise: grazie mille! Sono contenta che ti sia commossa, ma mi raccomando non allagare la tastiera, che poi sono guai!

 

Rodelinda: figurati, anche io sono di una lentezza folgorante. Mi trovo d’accordo con ciò che dici, ma ti dirò, in qualche modo credo che delle persone del genere possano esistere. Sono pochissime, probabilmente due in tutto il mondo, però ho talmente tanta fiducia nella forza dell’essere umano, e probabilmente sono suggestionata dal mio stesso racconto, che mi dico “però, forse è una cosa meno astratta di quanto sembri”. Lo so, lo so, sono una bambina! XD

 

Far: Ehm,. Ok, tutto chiaro! Ho afferrato in pieno cosa volevi dirmi, posso dire che sei una “tagliaincollatrice” terribilmente efficace? PS ho visto che ti sei iscritta a F&B, benvenuta!

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Capitolo 16
*** Arceo! ***


Cap 9: Draco appare turbato e nervoso, Harry cerca di parlare con lui ma viene respinto

- E’ libero. –

 

Un tono distaccato.

Harry arricciò il naso fin quasi a far scivolare giù il ponte degli occhiali.

 

Sì, Malfoy era proprio strano. Solo un paio di ore prima gli aveva fatto una scenata pazzesca perché lo aveva lasciato da solo, mentre adesso si comportava come se fosse il loro primo giorno di convivenza. Per non parlare, poi, di tutti gli sbalzi d’umore precedenti, roba da farsi venire il mal di testa.

 

Raccattò i suoi vestiti dalla sedia su cui li aveva lasciati, ma sulla soglia del bagno si bloccò, fulminato.

 

– Senti… - cominciò senza voltarsi, vagamente imbarazzato. – L’altro giorno non te l’ho chiesto, visto che le cose non erano andate alla perfezione. E’ vero che hai quel neo vicino all’ombelico? –

- Ti sembra il momento di pensare ai nei?!? – esplose Draco, peggio che se Harry avesse toccato un argomento cruciale.

- Scusa, non te la prendere. –

- Me la prendo eccome. Sono in ritardo, muoio di fame, e non ho alcuna intenzione di aspettare te, idiota! –

 

E a quelle parole, uscì, schiantandosi la porta alle spalle.

 

Harry sbatté le palpebre, stordito. Un’occhiata all’orologio, e un sospiro: - No, non sei in ritardo. –

 

Che cosa gli era preso, così all’improvviso?

 

Naturalmente, Harry non sapeva dirlo, ma in compenso sapeva come poter chiamare la sensazione di vuoto allo stomaco che lo aveva preso in quel momento: si chiamava delusione.

 

Delusione per aver sperato in qualcosa che, evidentemente, non esisteva che nella sua mente. Delusione anche per essersi ingannato con le sue stesse mani, credendo in un rapporto complicato ma unico. Tutte quelle cose che gli pareva di aver costruito assieme a Draco, mattone su mattone, erano bastate pochissime sue parole per sgretolarle.

 

Harry ricordò, quello era il Draco a cui era stato abituato per anni: cielo, ma come aveva fatto a vivere tanto bene con il suo odio sulla pelle?

 

Una risposta c’era: semplicemente Draco, un anno prima, non era il Draco che era diventato adesso, per lui. Ripensò alle parole di Marzio, a quando gli aveva detto che aveva rinunciato a tutto per Derevan, perché dimenticarlo e andarsene sarebbe stato come morire.

Spaventosamente, ricalcavano la sua stessa situazione. Gli piacesse o meno, ormai aveva conosciuto Draco, era entrato dentro Draco, anche solo di poche dita sotto al sua pelle, e lo sapeva, non sarebbe tornato indietro.

Non si poteva.

Ciò che provava lo faceva sentire pieno di forza, e al contempo smarrito in una confusione che Draco non faceva che alimentare con il suo comportamento lunatico.

 

Decise di farsi il favore di non pensarci su troppo. Se le lezioni, la giornata da trascorrere fra aule, Sala Grande e Sala Comune gli fosse parsa, come ormai era, quasi del tutto vuota, si sarebbe rifugiato in ricordi altrui, piuttosto che in fantasie sue.

 

*          *          *

 

- C’è una cosa che non riesco a capire. –

 

Harry sentì a malapena la voce di Hermione, che parlava rimuginando fra sé. – Marzio e Derevan si sono ritrovati grazie al vostro aiuto, no? –

Un pigro cenno del capo, a sottolineare qualcosa di ovvio.

- Ma allora, perché non se ne vanno? –

 

Harry si fece improvvisamente più attento. Hermione dovette scambiare quel repentino drizzare la testa per un gesto infastidito, perché si affrettò a ritrattare le sue parole.

 

- Intendo dire, non che io voglia che voi li cacciate. Solo, non capisco perché non possano trovare la pace, ora che hanno ottenuto ciò per cui erano rimasti qui. –

 

Davvero una bella domanda, la sua. Oltre che sensata, peraltro, era anche ovvia, perché diavolo non ci aveva pensato fino a quel momento?

 

- Magari non è davvero quello il loro obiettivo. – azzardò Ron.

- Lo escludo. Quando Marzio mi ha spiegato perché fosse qui, mi ha detto chiaro e tondo che aveva scelto di restare per sperare di incontrare Derevan. Me lo ricordo bene. –

- Ma allora hai ragione tu, Hermione, non ha senso. -

 

Tutti e tre si strinsero nelle spalle, dubbiosi.

 

- Bisognerebbe cercare di capire che significato ha il fatto che siano ancora qui. –

- L’unico significato che ci vedo io è che Harry è costretto a dormire in camera con quel disgustoso furetto di Malfoy. – osservò Ron, infarcendo ogni sua parola di solidarietà fraterna. – E non lo invidio per niente. –

 

Harry ridacchiò, e si limitò ad annuire. Se soltanto Ron avesse immaginato l’effetto che passare le sue notti con Draco gli stava facendo, tutta la sua spremuta d’arancia gli sarebbe andata per traverso, uccidendolo sul colpo.

 

Spiò con la coda dell’occhio il tavolo Serpeverde, scorrendo fino ad individuare in un attimo il posto di Malfoy. Si stupì di quanto fosse andato a colpo sicuro, come se si fosse trattato di cercare il vecchio posto di un vecchio amico.

 

Stava rosicchiando di malavoglia una fetta di pane tostato senza nulla spalmato sopra, forzandosi in modo evidente di mettere qualcosa nello stomaco. Non parlava con nessuno, anzi, se uno dei suoi compagni lo chiamava per chiedergli qualcosa, anche solo di passargli il vassoio delle salsicce, gli scoccava uno sguardo talmente caustico da zittirlo all’istante, e persino farlo allontanare precipitosamente.

 

Da un certo punto di vista, era un sollievo, vedere che quella mattina ce l’aveva con il mondo, e non solo con lui.

 

*          *          *

 

C’era un letto in più, nella camera che Silente aveva provvisoriamente assegnato loro.

Harry ricordava di averlo registrato distrattamente al loro ingresso, preoccupato al momento di ben altre questioni. Nei giorni che erano seguiti, si era trasformato nell’appendiabiti di Draco, che ci stendeva sopra la sua uniforme e il suo mantello con cura meticolosa, assicurandosi che non si spiegazzassero. Harry aveva imparato ad innamorarsi della cravatta verdeargento posata sul piccolo mucchio di vestiti neri, come un serpente acciambellato elegantemente a guardia al suo tesoro.

 

In quel momento, invece, i vestiti non erano più lì, spostati sul comodino, in barba alla fobia per la piega, e la coperta ancora vergine era gonfiata dal corpo rannicchiato di Draco, voltato contro il muro.

 

Non aveva voluto saperne di dormire con lui, quella notte. Harry era tornato in camera e lo aveva visto armeggiare con il nuovo letto, ma non aveva fatto in tempo a chiedergli che cosa succedesse, che era stato investito da una scarica di improperi, sarcasticamente chiusi da un “buonanotte”.

 

A quel punto, che fare? Una cosa soltanto, augurarsi che i sogni potessero fondersi in ogni caso, per permettere almeno a Marzio e Derevan di rivedersi, mentre lui sarebbe rimasto a fare i conti con l’incomprensibilità della situazione.

 

Harry si addentrò nel suo sogno certo che Draco dormisse già da un pezzo. Perciò, quando raggiunse i primi tronchi d’albero, e vide soltanto Marzio andargli incontro, capì che non era andata come si era augurato, e una fitta di amarezza gli prese lo stomaco, facendolo gorgogliare.

 

- Mi dispiace. – si scusò e si riscusò, accorato. – Draco non ne ha voluto sapere di dormire con me, ma giuro che lo farò ragionare, te lo prometto. –

 

Marzio ascoltò le sue parole con un sorriso paziente, senza apparire particolarmente turbato.

 

- Vieni. – lo invitò. – Visto che siamo qui, ti porto a vedere una cosa. –

- Sta per materializzarsi un ricordo? –

 

Marzio sorrise. – Ci siamo già dentro. –

 

Attraversarono l’oasi boschiva, giungendo ad un avvallamento che dava verso l’aperto entroterra, disseminato qua e là di arbusti, sentierini sterrati e bordati da ciottoli chiari, che correvano tutti verso un profilo indistinto, segnato da rigagnoli di fumo che salivano verso il cielo.

 

- Non mi sono reso conto del cambiamento. –

- Nemmeno io so cosa sia successo. Quando sei arrivato, eravamo già all’interno del ricordo. –

- E’ perché ci stavi pensando, eh? –

 

Altro sorriso, stavolta più discreto. – Sì. Forse ci stavo pensando. –

 

Marzio lo portò oltre l’avvallamento, che reclinando per la seconda volta formava una specie di conca a mezza ellisse, un po’ come quelle dei teatri. Il sole concentrava tutta la sua intensità proprio lì, perciò la prima cosa che Harry riuscì ad individuare fu il riflesso platinato dei capelli di Derevan, che giocavano con la luce.

 

Arrossì di botto, ma seguì Marzio, che trotterellò giù dal declivio, avvicinandosi con noncuranza a sé stesso e a Derevan, intenti a parlare a bassa voce.

 

- Nella mia lingua esiste un detto. – stava dicendo il Marzio sdraiato a terra, gravato del corpo di Derevan per metà accomodato sul suo petto. L’Iceno impugnava tre ramoscelli verdi, flessibili, che intrecciava con sapienza sotto gli occhi attenti del Romano.

– “Omnia amor vincit”. Sai cosa significa? –

Derevan scosse lentamente la testa, rivolgendo all’indietro il suo sguardo azzurro e concentrato.

- Significa – spiegò allora il Romano, pescando con mite monotonia ciocche di capelli del suo amante, che si lasciava scivolare fra le dita finché tutti i capelli non gli sfuggivano, per poi ricominciare. – Significa due cose al tempo stesso: che l’amore vince tutto, ma anche che tutto vince l’amore. È un gioco di parole beffardo, ma molto saggio. –

- Come può essere saggio, qualcosa che si contraddice? –

- Si contraddice perché vuole insegnarti che sei tu a decidere del tuo destino. Sei tu, che devi scegliere se il tuo amore vincerà su tutto, o se si lascerà sopraffare dalle difficoltà. –

- E il nostro amore, vincerà su tutto? –

 

Marzio produsse una risata a lievi singulti, che fece vibrare il suo torace. Passò l’indice sulla torque sottile ed elegante che ornava il collo di Derevan, prendendosi tempo per rispondere.

 

- Lo sanno gli dèi, amor mio. Però io lotterò con tutte le mie forze, perché il fato ci permetta di restare insieme. Non mi arrenderò a questa guerra, Derevan. –

- Non lo farà nemmeno la tua gente. E così la mia. Ho sempre più paura che presto o tardi saremo chiamati a scegliere fra la nostra felicità e il legame con i nostri popoli. –

- Io non ne sarò capace. Roma mi ha dato la vita, tu me l’hai presa. Le saette di Giove si abbatteranno su di me, che non ho avuto il coraggio di decidere che cosa amassi di più. –

Derevan fece un sorriso da brividi, più bello di un’aurora. – Un padre, un fratello, un figlio, li si ama tutti, ma in modo molto diverso. Io amo te, e amo Venta e tutti i suoi abitanti, e nessuno ruba posto all’altro, nel mio cuore. Lasciare questa terra per seguirti nell’enorme campo militare che tu chiami capitale mi ucciderebbe, così come rimanere in questo posto lontano dal tuo mondo ucciderebbe te. –

- Troveremo un compromesso, allora. – lo rassicurò Marzio. – Una città che sia piccola e tranquilla, e circondata da colline erbose dove tu potrai andare in cerca di erbe, coltivarne quante ne vorrai. Ce ne sono tante, di queste città, nel territorio di Roma. –

- Ce ne sono molte anche qui in Britannia. –

 

Harry avvertì un disagio non suo impadronirsi della sua gola. La loro discussione era senza via d’uscita, questo era evidente, eppure la conducevano con toni pacati, sempre cercandosi l’un l’altro con carezze, anche solo annodandosi su un dito un lembo di mantello. Avrebbe voluto, chissà, offrire loro la sua casa, pur di non vederli così, dolcissimi e intimamente disperati.

 

Marzio affondò la bocca fra i capelli dorati di Derevan, e le mani nei suoi vestiti, facendolo rabbrividire.

 

- Vinceremo noi, alla fine, vedrai. – lo rassicurò, ponendo implicitamente fine al discorso. – In un modo o nell’altro, deve esistere una strada anche per noi. –

- Spero di trovarla in fretta, allora, per percorrerla correndo finchè il fiato non verrà a mancarmi. -

- E sia. Sono sicuro che la nostra strada porti al mare, e noi la seguiremo guardando il sole sorgere e tramontare tante volte quante non arriveremo mai a contare. –

 

Derevan annuì, e sorrise. Con quale forza ci riuscisse, per Harry era un mistero, ma dovevano essere cose come queste a rendere certe persone, pochissime, migliori e diverse, al di sopra dei normali limiti oltre i quali chiunque avrebbe detto no.

 

- Gli hai mentito. – borbottò a mo di rimprovero. – Tu saresti rimasto lì a Venta, se te lo avesse chiesto. Ho ragione? –

- Diciamo che avrebbe dovuto insistere molto. –

- C’è qualcosa al mondo che non faresti, per lui? – 

 

Il Romano si strinse nelle spalle con quella semplicità nobile che era sua e soltanto sua. – Lui era l’unica cosa che facesse sorgere il sole, per me. Tu ce l’hai qualcosa che faccia sorgere il sole? –

Harry abbassò istintivamente gli occhi. – Beh, ho i miei amici. – rispose, sapendo perfettamente che non era questa la risposta giusta.

 

Marzio non ribatté. Gli fece un sorriso amichevole, ma Harry capì che gli mancava qualcosa quando lo guardò negli occhi e li vide brillare in un modo che lui era piuttosto certo di non aver mai visto nei propri.

 

Non era Marzio, quello alla ricerca di qualcosa, fra loro due.

 

*          *          *

 

- Indietro, indietro! –

- Fanteria, riparare! Testudo! –

- Sagittarii, incoccare! –

 

Draco scivolò sull’erba e scosse la testa, tramortito dal chiasso insopportabile che lo circondava.

 

- Tutto bene? – si preoccupò Derevan, agguantandolo per un braccio e rimettendolo in piedi con sorprendente forza. – Vieni, dobbiamo allontanarci da qui. –

 

- Ma che cosa sta succedendo, si può sapere? –

 

Derevan non smise di correre, né allentò la presa sul braccio di Draco.

- Sta succedendo la guerra. – disse soltanto.

 

Sempre più confuso, Draco si lasciò trascinare fino al limitare della radura su cui si stava consumando la battaglia. Soltanto dopo aver aguzzato gli occhi, Draco riuscì a scorgere sé stesso, cioè, Derevan, ritto davanti alla cinta che si apriva sull’ampio portale d’ingresso per Venta. Teneva stretto nella mano destra un lungo bastone di quercia, apparentemente spoglio e grezzo, con l’estremità superiore abbruttita da noduli e rigonfiamenti informi.

Sparpagliati attorno a lui, c’erano molti altri uomini vestiti come lui, e anche qualche donna,  quasi tutti dotati di bastoni simili.

E c’era anche quella Dillon.

Shay invece, non si vedeva da nessuna parte, e questo particolare inquietò Draco più di quanto si sarebbe mai aspettato.

 

Attraversò tutto il campo con lo sguardo, fino ad intercettare Fulgor. Non poteva sbagliarsi, era proprio Marzio, quello che lo spronava di continuo, avanti e indietro, percorrendo le fila di cavalieri romani schierate in perfetto ordine.

Erano in impressionante vantaggio numerico, se paragonati agli Iceni, un vero muro umano contro pochi, sparuti individui, che insistevano nella loro immobilità impenetrabile.

 

- Devi combattere contro Marzio. – considerò.

- E’ il nostro dovere. – spiegò mitemente Derevan. – Lui è pur sempre l’uomo più importante fra i suoi uomini, e io devo proteggere la mia gente, come capo druido è mia precisa responsabilità. –

 

Draco strabuzzò gli occhi. – T-tu!?!? – sputacchiò. – Tu eri un capo druido?!? –

Derevan si strinse nelle spalle. – Da quando avevo dodici anni. –

- Ma sei un mostro! –

- Già. Alle volte arrivo a pensarlo anch’io. –

 

- Furio! –

 

Il grido angosciato di Marzio riportò entrambi sulla scena della battaglia. Un cavaliere, distaccatosi dal gruppo, era lanciato al galoppo proprio verso Venta. Incurante dell’ordine ricevuto, spronò il suo cavallo e si lanciò di corsa contro Derevan, immobile davanti al gruppo dei suoi compagni.

 

- Torna subito indietro! –

- Perché, comandante! – gridò di rimando il soldato, a malapena udibile nel frastuono. – Abbattiamo i barbari, per la gloria di Roma! –

- Furio, non farlo! –

 

Troppo tardi.

 

Marzio imprecò a voce troppo bassa perché Draco potesse sentirlo, poi voltò bruscamente Fulgor, e alzò un braccio.

 

- Cavalieri, prima linea, attaccare! –

 

La prima linea si distaccò con precisione impressionante dagli altri compagni, come degli altleti sulla linea del via. Lui stesso, assieme ad Anacore, in groppa ad un robusto destriero nero, di mise in coda ai suoi uomini, ma la sua espressione non era quella di un vincitore che si prepara a dare il colpo di grazia alla sua vittima.

 

Il galoppo dei cavalli produceva un suono impressionante, una specie di ruggito furibondo che si nutriva delle grida di guerra dei soldati, e del clangore del metallo delle loro armi, che ad ogni passo cozzavano l’una sull’altra dando l’impressione che fossero un unico, compatto mostro di ferro che avanzava, inarrestabile.

 

Derevan sbarrò gli occhi. Sollevò con esasperante lentezza il suo bastone fino all’altezza del viso, sotto gli occhi impassibili dei suoi conterranei e, mentre i Romani si avvicinavano sempre di più, pronunciò, scandendole chiaramente, alcune incomprensibili parole nella sua lingua.

 

Marzio e Anacore si fermarono bruscamente, scambiandosi alla svelta uno sguardo di puro terrore.

 

- Uomini, ritirata! – ordinò Marzio, ma quasi nessuno lo sentì.

 

Un boato.

 

Un boato spaventoso si levò dal sottosuolo, come se la terra stessa stesse urlando, e ridusse ogni altro rumore a poco più di un sospiro.

Tutto d’un tratto, il terreno erboso sotto agli zoccoli dei destrieri divenne instabile.

 

I cavalli rimasti nelle seconde linee nitrirono fortissimo, e presero a battere con forza gli zoccoli, mentre quelli che stavano galoppando verso gli Iceni si imbizzarrirono e scalciarono, disarcionando i loro cavalieri.

Fulgor si sollevò anch’esso, agitando le zampe anteriori contro un nemico invisibile.

 

Dalla terra, fra lo sconcerto di tutti, emersero dei sottili tentacoli di legno e di edere, che come segugi si misero sulle tracce di qualsiasi individuo trovassero sulla loro strada. I cavalli fuggirono, terrorizzati, mentre i soldati, rimasti sparpagliati ed atterriti, sguainarono le spade, pronti a tranciare quei rami malefici.

 

Chi fra loro possedeva una bacchetta, la sfoderò, e prese ad evocare incantesimi di ogni tipo, ma niente, nemmeno il fuoco poteva qualcosa contro quelle piante che sembravano essere invulnerabili a tutto.

 

- Arceo! – gridò Marzio, puntando la sua bacchetta stranamente tozza e lunga contro il suolo, ma tutto ciò che ottenne fu di paralizzare per una manciata di secondi i tentacoli protesi verso di lui.

 

- E’ magia elementale. – disse Anacore, pietrificato. – Quel ragazzo padroneggia la magia elementale. –

- Non ho mai visto niente del genere. – ansimò Marzio.

- Presso il mio popolo, è poco più che una leggenda. Non posso credere che ci sia qualcuno in grado di usarla, e così giovane, per giunta. Possiede un potere sconfinato. –

- Lo so. E devo fermarlo, o sarà la fine per tutti, qui. Anacore, tu torna subito nelle retroguardie, e cerca di portare via più uomini che puoi. –

- Non hanno possibilità di fuggire, a piedi sono troppo lenti. –

 

Marzio si avvolse le briglie di Fulgor attorno alle mani, concentrato. – Usa tutto il tuo potere per salvarli. Sollevali da terra, se necessario. –

 

Partì al galoppo, lasciando Anacore da solo, ancora immobilizzato dalla paura. A fatica, il Greco impugnò la sua strana bacchetta bislunga, tutta ornata di lamine di bronzo a forma di luna, di sole e di edera.

 

- Exanistemi. –

 

Riuscì a sollevare in aria una ventina di uomini, ma non ebbe nemmeno il tempo di voltare il cavallo e spronarlo, che altrettanti tentacoli si drizzarono verso l’alto e, attorcigliandosi attorno alle caviglie dei malcapitati, sciolsero l’incantesimo come fosse nulla, e li schiantarono violentemente a terra. 

 

Non erano che corpi che andavano ad aggiungersi a corpi, sparpagliati ovunque e grottescamente integri, come una distesa di dormienti.

 

Gli uomini toccati dai tentacoli, infatti, crollavano a terra, come fulminati.

 

Draco pensò che quelle piante magiche dovessero possedere lo stesso, spaventoso potere dell’Anatema mortale, o non ci sarebbe stato altro modo per spiegare quel fenomeno.

 

- L’edera risucchia le loro anime. – mormorò Derevan, prevenendo la sua domanda. – E’ una morte fulminea e completamente indolore. Il corpo non viene intaccato, non ce n’è bisogno. –

- Pazzesco. –

- Le forze della natura sanno essere crudeli, se glielo si chiede. –

 

- Fulvio! – gridò di nuovo Marzio.

Il suo compagno, a poche falcate da lui, lottava disperatamente contro uno di quei rami mostruosi.

- Comandante Saverio! –

Ne arrivò un altro che lo prese alle spalle, e anche lui si accasciò.

 

- Maledizione! – imprecò, incitando Fulgor a correre più veloce.

 

- Vieni. – disse Derevan, perentorio.

Il povero Draco aveva lo stomaco distrutto dalla nausea, per l’eccesso di sensazioni, la vista di tutti quei corpi, la paura e la confusione. Insieme, lasciarono il posto sicuro da cui avevano assistito alla battaglia, per lanciarsi in una corsa a perdifiato verso Venta, tagliando il percorso del Romano che, nel frattempo, si era fermato presso un soldato a terra.

 

- Lucio Prospero Basso, comandante. – gli sentì dire di sfuggita Draco.

- Lucio. Sali, e reggiti forte. –

- Grazie, comandante. –

 

Giunsero appena un istante prima che Fulgor arrestasse la sua corsa, nitrendo. Marzio balzò giù, incurante del manipolo di Iceni che si erano parati davanti al loro capo.

- Derevan! Fermati! – ordinò duramente.

 

Derevan sembrava posseduto da se stesso. Il bastone tremava violentemente nella sua mano tesa in avanti, senza controllo.

 

- Derevan, ascoltami! – lo chiamò a voce alta. – Devi fermarti! –

- Ma… Marzio. –

- Sono io, sono qui. Adesso fermati. –

 

Draco si accorse in quel momento della torque al collo di Derevan, che diede un bagliore prima di spegnersi del tutto.

Derevan sbatté le palpebre, e i tentacoli di edera cessarono all’istante di muoversi, cadendo inanimati sul suolo. Respirando a singulti, rivolse lo sguardo al campo di battaglia che si estendeva davanti a lui, disseminato di silenziosa morte.

 

- Sono stato io. Guarda. –

- Adesso basta. Basta. – ansimò Marzio, tremando quanto lui.

- Guarda! – disse con voce strozzata. – Anche io so uccidere! –

 

E dopo quelle poche parole, si lasciò cadere a terra, con la testa fra le mani.

 

- Derevan. –

- Anche io so uccidere, come voi! –

- Non fare così, vieni, alzati. –

- No, non mi toccare. Sono diventato un assassino, non è vero? –

 

Dillon si parò davanti a Derevan, risoluta. In realtà, tremava per la paura, e aveva gli occhi umidi di lacrime, ma la sua intenzione di apparire forte davanti al nemico era più che evidente.

 

- Vai via. – ringhiò. – Tutto è colpa tua. –

- Lasciami parlare con lui. – si oppose Marzio.

- Lui deve riposare. Non servi tu. –

- E invece sì. –

 

Marzio le rivolse uno sguardo furibondo, e, ben lontano dall’ascoltarla, si girò all’indirizzo del soldato che aveva salvato.

- Tu, torna al campo con il mio cavallo, e fai rapporto sulle perdite. Io vi raggiungerò fra poco. –

- Ma comandante, restare qui, da solo? –

- Obbedisci. –

 

Il povero Lucio era troppo giovane e spaventato per osare controbattere. Una volta eclissatosi, Marzio ritornò al suo obiettivo. Scansò Dillon, ignorando con alterigia il bastone che lei gli puntava contro.

 

La poverina cercava di mettergli paura e di allontanarlo da Derevan, senza capire che entrambi erano lì per lo stesso motivo, quello di salvarlo dalle sue stesse azioni.

Non voleva farle del male: il suo coraggio e la sua devozione erano da ammirare, non da punire.

 

- Alzati. –

- Non posso. –

- Certo che puoi. –

- No. Puoi riuscirci tu, che con la tua spada falci gli uomini come fossero frutti maturi, ma non io. - 

- Non dire così, non è vero. Anche per me è difficile, ogni Iceno che uccido, sei tu. -

- E allora come fai? – gridò Derevan. – Dimmi come fai! -

 

Marzio si inchinò lentamente, stringendosi forte al petto quel corpicino fragile e travolto dal dolore.

 

- Come fai. – singhiozzò Derevan. – A non sentirti le loro anime nel sangue. –

- Non fare mai più niente di simile. Tu non sei fatto per uccidere. Io lo so. –

 

- Sarei impazzito, senza il suo sostegno. – mormorò Derevan a Draco, come se avesse tenerezza di sé stesso. Si voltò verso di lui, insistendo con lo sguardo finché non lo ebbe costretto a guardarlo.

- Uccidere è una cosa tremenda. – disse gravemente, facendo sobbalzare il Serpeverde. – E’ qualcosa che non si riesce a spiegare, ma che rimane conficcata dentro al cuore per sempre. È come un marchio che incide sulla tua pelle il nome della tua vittima, e ti costringe a farci i conti in ogni momento, mattina e sera, senza mai una tregua. Non farlo mai, Draco: nemmeno tu sei fatto per uccidere. –

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ed eccoci ad un capitolo ricchissimo di riferimenti. Primo fra tutti, “omnia”. Ce lo ricordiamo, quel frammento di legno che fece inciampare Harry nel primo capitolo?

E poi un altro, meno evidente: il primo sogno di Draco, ricordate? Marzio dice a Derevan che lui non riuscirebbe mai ad uccidere, ma Derevan qui gli dimostra il contrario, anche se sembra che gli costi molto. È una parentesi che squarcia il velo oltre al loro idillio: appartengono pur sempre a due popoli in guerra.

 

Nota: la torque è il monile simbolo dei celti. Si tratta di un girocollo rigido, di metallo, spesso finemente lavorato, che si incrocia sul davanti senza toccarsi, un po’ come le dita di due mani. Solitamente era un pezzo unico, ma ne esistevano anche a più incroci. Era indossato da entrambi i sessi, aveva un grande valore sacrale, e i druidi usavano benedirlo per infondergli potere magico e protettivo. Ne esistevano molti “modelli”: alcuni indossati dai guerrieri, altri dai curatori, altri dagli sposi, altri dai bambini e così via.

Ho cercato qualche immagine in rete, così da darvi un’idea. Ciccate sui link!

 

Questa è una classica torque singola

 

http://www.trigallia.com/montefortino/foto/torque.JPG

 

 

Questa è più elaborata.

 

http://www.mysteriousworld.com/Content/Images/Journal/2003/Winter/Giants/Torque.jpg

 

 

Questo è un modello molto diverso

 

http://www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_47.100.16.jpg

 

Questa invece è doppia

 

http://www.jewellery-scottish.com/august8072/aug07torque.jpg

 

Per la parte sulla battaglia, inizialmente avevo pensato di rendere gli ordini gridati dai generali completamente in latino, ma siccome sono buona, oltre che pigra, ho deciso di lasciare in latino solo alcune parole significative:

Testudo è la testuggine, la famosa ed impenetrabile formazione di difesa di scudi uniti. Quando il comandante chiamava “testudo!”, immediatamente si levava una piastra compatta di scudi identici, e per i nemici erano cazzi. Aaah, mi esalto solo a pensarci!

I sagittarii sì, sono semplicemente gli arcieri. Dite la verità, vi eravate fatti mille filmini mentali di strani individui mezzi cavalli, eh? Scommetto che qualcuno ha fatto di peggio, vedendosi Aiolios di Sagitter irrompere sulla scena, e trasformare il tutto in uno stupido crossover baka. XD

Arceo significa “allontano”, “respingo”

Exanistemi è una parola greca che vuol dire insieme “sollevare” e “allontanare”. Perché Anacore non è mica scemo.

 

Infine, una specificazione doverosa sul termine “ Britannia”. Mi sono lungamente documentata, ma ho capito che fra gli studiosi ci sono molti dubbi e molte ipotesi su come i celti inglesi chiamassero la loro terra. Britannia deriva da Britanni, che è uno dei popoli più importanti del territorio, e i Romani la chiamavano così; perciò è verosimile che fosse un nome diffuso, e a questo mi sono attenuta.

 

E adesso, se siete ancora qui e non vi siete rotte per questa lezione extra di storia, rispostine!

 

 

 

 

 

 

 

Dark: ehm, già io non mi capacito del fatto che non si vergognino di Draco e Harry, figurati ad avere altri ospiti! ^^

 

The fly: speriamo di no, altrimenti sono guai! Però ci hai preso, per il momento Draco non sembra proprio disposto a far pace con se stesso, incurante dei sentimenti delle altre parti coinvolte.

 

Far: hihihi, eccola che parte con la selezione. Sembra tipo le classifiche in cui ti fanno sentire i pezzettini delle canzoni mentre le enumerano!

 

Herm: ecco, visto? Non stare via due settimane! Hihihi, Fulgor e Shay sono i protagonisti assoluti, loro sì che hanno capito come gira il mondo!

 

Little Star: ecco, gli Him in questi casi sono davvero delle pessime scelte. Anche io ho studiato una colonna sonora ad hoc, all’insegna dell’angoscia, con il risultato che non la sento mai, perché o scrivo o mi dispero! E non parliamo di criminali, se io sono riuscita a scovare un lato dolce in gente come Trevor, o Sasori, o Ichimaru, mi sa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda!

 

Ginny: Eh, chissà come mai è così nervoso, mah ;)… buona pasqua anche a te!

 

Smemorella: nghaaa, non farmi tornare in mente il giochino malefico! Sì, è tutto a posto, un attimo di casini vari, ecco tutto! Ehm, tempeste ormonali? Io in primavera al massimo starnutisco, decisamente non sono toccata da questo genere di problema! A proposito, mi sa che la tua proposta sulla reazione di Draco è più aggressiva della mia! Almeno, Harry ha ancora le rotule intatte… Beh, la loro funzione è quella… di tutti i cavalli. Che poi potrebbe essere sottinteso qualcosa di più, trallallero trallallà…

 

Anatrante: guarda, mi dispiace, ma non ti posso rivelare proprio niente di niente, voglio che tutto si scopra cammin facendo.

 

Koorime: tesoro del cielo, ho dedicato con Somma gioia otto ore della mia esistenza alla tua recensione! Ora, dove posso trovare un ferramenta che installi una trappola per topi a scadenza di battiture sulla tua tastiera? XD Ok, la pianto, tanto lo sai che ti sono enormemente grata e che mi prendo malissimo a leggere ogni tua recensione. Insomma, Derevan è Derevan, e farli imboscare dietro al primo cespuglio non sarebbe stato carino >.< Oltretutto, finchè Draco è tordo come una biscia e non si rende conto di quanto di troppo sia, stiamo freschi. Poi, mi diverto un mondo sulle tue analisi, perché ci prendi sempre, e allora parte il filmino mentale corredato da colonna sonora “ooooh Detective Conan”. E finiamola qui, va. La questione dell’invidia di Draco è un punto molto importante, e che avrà modo di emergere, anche se già lo fa, fra le parole e nei gesti, per quanto Draco ce la metta tutta per fare il ghiacciolo. Già, quoto in pieno la questione stacca-lingua, Harry sarà pure innamorato e confuso, ma fesso del tutto no, e Draco, diciamocelo, fa una certa paura. L’analisi di Draco prima o poi ci sarà, perché è doverosa. Per il momento, mi diverto a nascondere i suoi stati d’animo dietro a quel suo broncio mutevole, e in fondo non così inespugnabile…

 

Lady: eh, sua maestà Draco Malfoy a volte si meriterebbe una scudisciata sul sederino, altroché! Ma siccome non posso trasformare questa fic in una faccenda sadomaso, mi sa che Harry dovrà beccarselo così com’è. Certamente, giusta osservazione: Marzio e Harry sono diversi, prima di tutto perché Harry è molto più impulsivo del suo corrispettivo, anche se il fatto che in questo cap Marzio si sia lanciato verso Derevan, ignorando il pericolo mortale, la dice lunga. Sicuramente hanno più punti in comune, e una maggiore disponibilità ad aprirsi, rispetto a Draco. Ma diciamocelo, anche un guscio di noce è più aperto di Draco… -__-

 

Draco Malfoy: Vedremo più avanti, se Dillon avrà a che fare con Hermione o meno. Per quanto riguarda l’altra domanda, invece, no, i ricordi sono “a senso unico”, e riguardano solo Marzio e Derevan. Non è possibile, per loro, farsi gli affari di Harry e Draco! XD

 

Blaise: grazie mille, stella! Yes, sono contenta anche io di dipanare qualche mistero qua  là, e mi diverto un mondo a rivelare Draco non attraverso i suoi pensieri, ma attraverso le azioni.

 

Jill: hihihi, e fu così che mandammo alle ortiche la trama, perché Harry fece un’incursione nella doccia, in preda a erotomania… E così, Virgilio! Ti supplico, dimmi che Dante era un tipo carino, e fra voi c’è stato del tenero…

 

Layla: grazie infinite! Beh, sono molto contenta che tu, e un po’ tutti comunque, abbiate recepito il passaggio chiave del muso di Draco per essere stato abbandonato. Come già spiegavo, mi piace molto di più analizzarlo attraverso le sue azioni, che non in modo classico. Per quanto riguarda le incursioni nei primi sogni di Draco, è probabile che ci siano ancora degli spunti per parlarne, un po’ come è successo qui, con Dillon.

 

 

 

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Capitolo 17
*** Imber ***


- Singolare

- Singolare. –

 

Harry provò un vago ed indefinito senso di fastidio.

Avrebbe trovato molte parole per definire la sua situazione, se glielo avessero chiesto, ma “singolare” aveva un suono troppo ironico, persino canzonatorio. E, di certo, la voce che l’aveva pronunciata non aveva fatto nulla per nasconderlo.

 

- Professor Silente, ci dica che cosa dobbiamo fare. – insistette Hermione, accorata.

- Beh, lo farei molto volentieri, ragazzi miei, ma temo di saperne quanto voi. –

- Ma insomma. – squittì Ron. – E’ mai possibile che si finisca sempre in questi guai? –

- Via, via, non perdiamoci d’animo, signor Weasley. Un problema esiste perché esiste una soluzione, no? –

- Sì, d’accordo… però… -

- Ho l’impressione che Harry possa essere in pericolo. – si preoccupò Hermione. – Se queste due anime non svaniscono, ora che il loro desiderio è esaudito, non sarà perché qualcosa impedisce loro di farlo? –

- Esiste questa possibilità. Ma, come Harry non è da solo ad affrontare la faccenda, visto che c’è anche il signor Malfoy… -

Hermione si morse il labbro inferiore, incassando il tacito rimprovero. – Sì, certamente. – mormorò. – Anche Malfoy. –

- … Io credo che, per ora, la sola cosa ragionevole da fare sia sforzarsi di stare uniti, e cercare insieme di capire che cosa non va. –

 

Harry reclinò la testa, decidendosi infine ad intervenire in quella discussione che tanto direttamente lo riguardava.

– Dovremo parlarne con Marzio e Derevan? –

- E’ una soluzione, no? –

- Non lo so, Ron. Non ti ricordi che Marzio, una volta, parlò ad Harry di regole da rispettare? Forse non può dirgli niente. –

- E’ possibile. Ma è ancora più probabile che nemmeno loro sappiano perché si trovino ancora qui. Dopotutto, si sono ritrovati, perciò questo è già il loro paradiso. –

- Sta dicendo che non hanno interesse ad andarsene? – ansimò Harry, colpito.

 

Draco, che fino a quel momento se n’era rimasto rintanato dietro al suo broncio spaventoso, appollaiato sulla sedia alla sinistra di Harry, quella più isolata di tutte, scattò in avanti.

 

- Che se lo scordino. – tuonò. – Ne ho piene le tasche di sogni, di Iceni, di cavalli e che altro so io. –

 

Harry evitò saggiamente ogni replica.

 

Considerando l’andamento delle ultime ventiquattro - trentasei ore, contraddire Malfoy sarebbe stato quanto di più controproducente si potesse fare.

Peccato non potergli rinfacciare che non sempre le cose dipendevano dalla sua volontà, e il fatto che lui ci tenesse tanto a sbarazzarsi di Marzio e Derevan non significava affatto che loro se ne sarebbero andati.

Né tanto meno, che lui volesse qualcosa del genere.

Perché anche lui era coinvolto, no? Dio, c’era anche lui dentro a questa storia, aveva pur diritto di parola tanto quanto Malfoy.

Dannazione a lui, e a quel suo modo di fare che, chissà come e chissà perché, ti metteva nel sacco prima ancora di avere il tempo di realizzare.

 

- Sia ragionevole, signor Malfoy. È tardi per tirarsi indietro, ed è evidentemente troppo presto per concludere. Con un po’ di pazienza, sono sicuro che verremo a capo del mistero. –

- Un po’ di pazienza? Quantifichiamo quell’”un po’”, signor Preside, perché io ho come l’impressione che qui le  settimane passino senza che niente cambi. –

 

Hermione lo fulminò, inorridita per l’arroganza del suo tono. Silente, da parte sua, non si scompose per l’atteggiamento, quanto piuttosto per ciò che aveva detto.

A malincuore, dovette ammettere che non c’era risposta ad una simile domanda.

Giorni, settimane, mesi. Anni.

 

Harry sentì il proprio cuore accelerare improvvisamente.

 

- Ma signore, la scuola finirà fra tre mesi. – farfugliò. – E’ impossibile, come facciamo a mantenere un contatto? –

- Suvvia Harry, non essere ingenuo. Potete benissimo mantenerlo. –

- Oh, certo che possiamo mantenerlo. – ringhiò Draco. – Che ci vuole, basta vivere appiccicati come sanguisughe. Magari dovremo persino cercarci casa insieme, così da poter passare tutte le maledette notti della nostra vita a dormire insieme, eh? –

 

Lo sguardo gelido di Draco, per un momento, fiammeggiò. – Sarò molto chiaro, con lei, signor Preside, e con tutti voi, patetici illusi: preferisco finire fra le zanne di un drago rabbioso, piuttosto che in una casa con Potter. Almeno, la prima opzione è rapida. –

 

Colpito e affondato.

 

- Io ti spacco la faccia, maledetto. – giurò Ron, brandendo i pugni chiusi a sottolineare la minaccia.

 

Il cenno fermo di Silente bastò a fermare Ron, ma non Draco, che non aprì ulteriormente bocca, trincerandosi nella sua posizione e limitandosi ad uscire dall’ufficio in modo composto e rigido.

 

Nessuno stupore, quindi, al momento del rientro in camera, nel constatare che di Draco non erano rimasti che pochi vestiti di seconda scelta, che con ogni probabilità sarebbe venuto a riprendersi con calma il giorno dopo.

 

Hermione si buttò a sedere sul letto singolo, senza accorgersi dello sguardo rapace che Harry involontariamente le rivolse, al vederla toccare il piumone ancora sfatto.

 

- Che cosa farai? – domandò, diretta.

 

L’amico si strinse nelle spalle. Fece scivolare svogliatamente le dita sul bordo del cuscino, saggiandone la consistenza e cercando in essa una qualche forma di sostegno.

 

- Credo che resterò qui ancora per un po’. – mormorò. – Nel caso Draco decida di tornare. –

- Ma sei matto? – saltò su Ron. – Dico, lo hai sentito come ti ha trattato? Quel furetto disgustoso meriterebbe solo un pugno nello stomaco, altroché! –

- Nemmeno secondo me è una buona idea restare qui, Harry. A questo punto, torna al dormitorio. Una qualche soluzione si troverà per forza. –

- Non esiste soluzione, senza Draco. –

- Ma certo che esiste, e noi la troveremo. –

 

Harry si massaggiò le tempie, esasperato. – Vi dico. – scandì, sforzandosi in ogni modo di mantenere la calma. – Che non è così. Vi sono grato per il vostro aiuto, ma voi non potete capire. –

- Non cominciare a fare l’eroe, adesso. – sbuffò Ron.

- Non mi diverto a farlo. –

- Datevi una calmata, tutti e due. Quello che Ron vuole dire è che è vero che non possiamo essere partecipi, ma ci preoccupiamo comunque per te. Ti rendi conto che questa storia ti sta portando un po’ troppo lontano? –

 

A Harry venne quasi da ridere: non voleva pensarci, a quanto lontano stesse andando, ma di sicuro c’era che i suoi amici erano i primi a non averne un’idea nemmeno vaga.

 

- Resterò qui. – insistette.

- Commetti uno sbaglio. –

- Ne ho commessi tanti. Uno in più non farà differenza. –

 

Hermione sbuffò.

 

- Questa volta non sei da solo a decidere. Se Malfoy non tornerà indietro, tu non potrai fare nulla. –

- Di questo non ti devi preoccupare. Tornerà indietro, deve farlo. –

- No, non deve. Non ha senso dell’onore, e al contrario di te, lui non si sente legato al dovere di aiutare Marzio e Derevan. –

- Maledizione! – Harry schiantò un pugno sul materasso, facendo sobbalzare Hermione. – Perché non volete darmi ascolto? Draco tornerà, non può non tornare, non dopo tutto ciò che abbiamo visto e sentito insieme! –

 

Gradualmente, sotto lo sguardo esterrefatto dei due amici, il volto di Harry tornò del colore originale, da rosso fuoco che era diventato.

 

- Tornerà. – ripeté per la centesima volta. – E’ soltanto spaventato dalla situazione, nient’altro. Gli passerà e tornerà, e io lo aspetterò qui. –

- Harry… -

- E risolveremo questa storia, insieme. –

 

Il discorso era chiuso. Ron ribolliva per la rabbia, e probabilmente, più tardi, l’avrebbe presa da parte e le avrebbe fatto una sfuriata con i fiocchi. Ma a quello ci avrebbe pensato dopo.

 

- E’ ora di cena. – constatò Hermione, cercando di salvare il salvabile.

 

*          *          *

 

- Non hai voluto dormire con Harry, un’altra volta. –

 

Non c’era risentimento, in Derevan. Non una maledetta traccia di rancore.

 

Draco digrignò i denti, perché se almeno si fosse arrabbiato con lui, avrebbe avuto una buona scusa per aggredirlo e cercare di sfogare, finalmente, tutto il magma che gli opprimeva lo stomaco.

 

- Mi dispiace per te. –

- E a me dispiace per te. –

 

Draco strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista.

 

- Ti dispiace per cosa? –

 

Derevan sorrise a metà, con un’aria che aveva del rassegnato. – Draco. – proclamò solennemente. – Non ti accorgi di quanto sta piovendo? –

 

Scrollò le spalle.

Sì che se n’era accorto, che razza di domande, con tutta l’acqua che stava venendo. Ma era sempre stato così, in quel luogo; aveva dato per scontato che la pioggia fosse parte integrante del suo sogno.

 

- Non ti accorgi che quando lui ti è vicino, in cielo non c’è una nuvola? –

 

No.

 

Di questo non si era mai accorto.

Anzi, era meglio dire che aveva dato anche quel fenomeno per scontato. La pioggia gli apparteneva, quanto il sole apparteneva ad Harry, perciò non era possibile che, dove ci fosse lui, ci fossero nuvole.

 

Non poteva piovere, se c’era lui. Non c’era niente da capire, era semplicemente così.

 

- Attento a come parli. – lo minacciò. – Se stai cercando di insinuare qualcosa, io… -

 

Il quell’esatto momento, lo scroscio della pioggia aumentò a dismisura, peggio che se dal cielo fossero precipitate cascate d’acqua.

Il poco tessuto ancora non bagnato del suoi vestiti si infradiciò del tutto, intirizzendolo e facendogli colare il naso.

 

- Ma non c’è un maledetto posto dove andare a ripararsi? – sbraitò.

- No, non c’è. Non per questa pioggia. –

- Maledizione, invece che stare qui a fare il saputello, fai qualcosa per farla finire, o qui anneghiamo! –

 

Derevan sorrise, in un modo o nell’altro divertito dalla scena. – Te l’ho spiegato, non posso fare niente, io. Questa è la tua pioggia. –

- E allora spiegami come farla finire, una buona volta. –

- Ascoltala. –

 

Il naso di Draco si arricciò tutto. – Cosa? –

 

- Ma sì. – aggiunse Derevan, come fosse la cosa più naturale del mondo. – Se ascolti ciò che ha da dirti, lei se ne andrà. Il cuore è come un tesoro, non lo sai? Tenerlo rinchiuso nel petto servirà a proteggerlo, ma in questo modo non potrà mai brillare, e prima o poi verrà dimenticato. Se invece ti sforzi di ascoltare questa pioggia che è dentro di te, se ne senti la voce oltre lo scroscio, e presti attenzione alle sue parole, ci sono tante cose che potresti capire, di te. Io la sento da quando sei nato, la voce di questa pioggia. Quando eri piccolo, chiamava la tua mamma e il tuo papà così forte da assordarmi. –

 

Draco ebbe un singulto violento.

 

La pioggia divenne gelida, per qualche istante, talmente tanto da fare male alla pelle già intirizzita.

 

- Ma poi è cambiato qualcosa. – proseguì Derevan. – Da quando sei giunto qui, in questa scuola, le voci si sono moltiplicate, contraddette, e alla fine un grido ha coperto tutti gli altri. Hai davvero bisogno di ascoltare quella voce, Draco. Lui potrebbe salvarti da te stesso. –

 

Come se le parole di Derevan non fossero state già abbastanza, un improvviso tremore scosse la terra, concretizzando davanti ai suoi occhi ciò che vorticava nella sua testa senza sosta.

 

Si riprese solo per accorgersi di non essersi praticamente mosso. Il luogo dove si trovava era precisamente nei pressi del salice, a buon dire una decina di passi dal punto di partenza.

 

L’albero, però, era l’unica cosa rimasta identica a sé stessa: per il resto, era pieno giorno, il sole brillava impetuoso sulle loro teste, e Derevan, l’altro Derevan, stava addossato al fragile tronco della pianta.

 

Attorno a lui, c’erano quattro grossi lupi.

 

Lo avevano circondato, e ora ringhiavano insistentemente, battendo le code gonfie sulla terra. 

 

Draco lo sentiva parlare loro dolcemente, nella sua lingua, ma le bestie non lo ascoltavano. Terrorizzato, l’Iceno piantò davanti a sé il suo bastone, cercando invano di costituire un confine oltre il quale i lupi non osassero spingersi.

 

Quello che sembrava il capo branco, scoprì ancora di più la dentatura acuminata, e raspò il terreno con le zampe, proprio in corrispondenza con il bastone.

 

- Ma sei pazzo! – gemette Draco. – Perché non li cacci via, vuoi finire divorato? –

- Non mi davano ascolto. – spiegò Derevan. Poteva giurarlo su quanto aveva di più caro al mondo, non gli aveva mai visto in volto un’espressione così triste, fino ad allora. – Non riuscivo a capire perché. –

- Al diavolo, a quel punto spediscili all’altro mondo, prima che loro lo facciano con te, no? –

- Non posso. La loro vita vale quanto la mia, non ho alcun diritto di ucciderli. –

 

La situazione stava precipitando rapidamente. Derevan non dava in effetti segno di voler reagire all’aggressione, mentre i quattro lupi lo stringevano sempre più, arrivando a lambirgli le gambe con le fauci digrignate.

Tese una mano, tentando di accarezzarli, ma la ritrasse in fretta, sfuggendo per un soffio ad un morso letale.

 

Draco continuò a tenere lo sguardo fisso su di essi, inclinando la testa di quel poco che occorreva per poter parlare.

 

- Lui ti salverà, vero? – chiese, anche se il suo sembrò più un proclama. – Arriverà a momenti, e ti salverà. È così, vero? –

 

Derevan si morse il labbro inferiore.

 

Proprio in quell’istante, infatti, un fragoroso nitrito li colse alle spalle, e Marzio si materializzò dalla stessa direzione da cui erano arrivati loro, scavalcandoli senza accorgersi di nulla.

 

- Derevan! – gridò. – Cosa fai, vieni via da lì! –

- Non posso! – gemette l’Iceno. – Non mi lasciano passare! –

 

- Bene. – soffiò Draco. Insisteva nel parlare, da solo più che con Derevan. – Ora sfodererà la spada e caccerà via quelle bestiacce. Le ammazzerà, se necessario. –

- Draco… -

- Lo farà. Perché ti ama, e se ti ama, deve farlo. –

 

Derevan non sapeva se sorridere, o rattristarsi. Annuì, rinunciando ad aggiungere altro.

 

Marzio smontò in fretta e furia da Fulgor, che si ritrasse nervosamente. Sguainò la spada e la puntò contro il primo lupo, vibrando d’ira.

 

- Non ucciderli, ti prego. –

- Perché ti puntano? Non riesci ad allontanarli? –

- Ci ho provato, ma non mi danno ascolto. Non riesco a capire. –

 

Marzio si morse la punta della lingua e, tenendo sempre la lama davanti a sé, riuscì a far scansare due lupi e a raggiungere l’Iceno.

 

- Shay? –

- Si è agitato molto appena sono arrivati. Così gli ho detto di scappare. –

- Sì è agitato? –

 

Derevan scosse vigorosamente la testa, provocando la violenta reazione del capobranco, che azzannò e cercò di strattonare la spada di Marzio.

 

- D’accordo. – mormorò il Romano. – Stringiti a me, e cerchiamo di allontanarci da qui. Ma ti avverto, se ci attaccheranno, li ucciderò. –

- Solo se ci attaccheranno. –

- Promesso. –

 

Marzio colpì con forza il poderoso collo di uno degli animali, usando il piatto della spada. Il lupo si ritrasse uggiolando, protetto da uno dei suoi compagni, che abbaiò furiosamente contro i due. Marzio non si lasciò intimidire, anzi, fece roteare ancora la sua daga per tenerli lontani, mentre, un passo alla volta, arretrava verso Fulgor, che sbuffava minaccioso.

 

- Ma bene, bene, bene. –

 

Una voce rapace colse all’improvviso tutti i presenti, Draco incluso. Dalla macchia d’alberi opposta alla loro posizione, e coperta dall’ombra del sole, uscì fuori un uomo molto alto, a cavallo, bardato in un mantello rosso identico a quello di Marzio.

 

- Comandante Marzio Saverio. – scandì con un’espressione di grottesca ilarità. – A che deplorevole scena mi tocca assistere. –

- Che stai farneticando, Tito. – ringhiò Marzio, livido più di rabbia che di sorpresa per la sua comparsa. – Aiutami a mandare via queste belve. –

- Belve? – le sopracciglia rossastre e spigolose del nuovo venuto si rizzarono sotto il suo mezzo elmo. – Io non vedo nessuna belva, qui. –

 

Marzio fece per aprir bocca e sotterrarlo sotto un diluvio di ingiurie, ma le parole gli morirono in bocca. Davanti a lui, infatti, non c’erano più quattro lupi, ma quattro uomini, suoi soldati.

 

- Comandante Marzio Saverio. – cantilenò Tito, oramai apertamente canzonatorio. – Stai puntando la spada contro dei soldati di Roma, per proteggere un barbaro? Davvero un comportamento poco adatto ad un Legato. –

 

- Animagus. – gemette Draco. – Ma come… -

- Allora non esistevano forme di controllo, come ci sono adesso. – mormorò Derevan. – Credo che lui non lo sapesse. –

- Ecco perché non ti davano ascolto. –

- Esatto. Le mie parole funzionano sugli animali, non sugli uomini. –

 

Marzio strinse più saldamente a sé un Derevan paralizzato dalla paura, e invece che foderare la spada, la puntò minacciosamente contro Tito.

 

- Tu! – soffiò. – Tu, maledetto vigliacco! –

 

- Modera i termini, generale. – lo derise Tito. – Io, Azio Tito Quinto, prefetto della VIIII Legio, dichiaro te, Marzio Saverio Fabio, Generale Legato, in arresto per alto tradimento, in nomine senati populique Romani. Soldati! –

 

I quattro uomini furono subito addosso ad un Marzio che, stupefatto, non oppose la minima resistenza.

 

- Ah, naturalmente legate anche il ragazzo. Di lui vedremo cosa farne più tardi. –

 

- Fai qualcosa! – gridò Draco. – Diavolo, perché ve ne state lì fermi? –

- Che cosa avremmo dovuto fare? – lo scoraggiò Derevan. – Se ci fossimo ribellati, avremmo dovuto uccidere quegli uomini, e darci alla fuga. –

- Ma perché lui non fa niente! Perché non ti protegge?!? –

 

Derevan indicò con il mento un Marzio che, furibondo, si agitava come una belva, a stento trattenuto da sue soldati, mentre Tito si caricava personalmente Derevan sul suo cavallo, tenendolo malamente per i capelli.

 

- Lascialo immediatamente andare, ti ho detto! –

- Perché dovrei, è complice di questo crimine. –

- Oh, chiudi quella lurida bocca. È me che vuoi, di lui non ti importa niente, liberalo subito! –

 

Tito ridacchiò, tirando le redini del suo cavallo.

 

- Chissà, magari anche il ragazzo potrebbe interessarmi… -

 

Le iridi chiare di Marzio fiammeggiarono.

 

- Maledetto! – ruggì. – Non osare toccarlo o me la pagherai cara! –

- Continua a urlare, comandante Saverio! Ci sarà di che raccontare in giro, di un prigioniero che minaccia i suoi carcerieri! –

 

- Derevan. – chiamò Draco, con un filo di voce. – Dove vi stanno portando. –

- Al castra, al loro accampamento. –

- Riuscirete a sistemare tutto, vero? Voglio dire, Marzio si farà scagionare, ammazzerà di pugni quel bastardo, e… -

- Draco. –

- Lo farà, vero? –

- No, Draco. Non può farlo. –

- Perché no! –

 

Draco avvertì il prurito leggero di una lacrima sfuggita via dall’occhio, ma non gli diede alcun peso, non finchè si sentiva ancora in grado di trattenere i singhiozzi.

 

- Dovresti già saperlo. –

- No, non voglio! Lui ti deve salvare, deve farlo! Che amore è, altrimenti, eh? Dimmelo, che amore è! –

- Draco, ciò che non si è potuto salvare allora, si può salvare oggi. –

- Non mi importa niente! Che senso ha, se tu sei morto per colpa sua! –

- Ti sbagli. Io vedo solo vittime, qui. –

 

Draco si svegliò di soprassalto, trovandosi prigioniero delle lenzuola bollenti e tutte aggrovigliate. Registrò un gorgoglio sommesso, proveniente da chissà quale suo compagno di stanza, e, immediatamente dopo, il gelo.

 

Tirò su con il naso, scoprendosi le guance bagnate fino al mento, e tutto l’addome teso in uno spasmo dolorosissimo che cercava di soffocargli il respiro.

 

Ancora a denti digrignati, si alzò di scatto, agguantò il suo mantello abbandonato sulla seggiola, e corse fuori, a piedi nudi.

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Questo capitolo e il prossimo erano originariamente nati come un unicum.

Scrivendoli, però, mi sono accorta che non solo il tutto diventava mostruosamente lungo, ma che, soprattutto, si riempiva di una quantità eccessiva di avvenimenti, che avrebbe finito con il creare confusione.

 

Ora, visto che considerato che ho giurato su tutti gli dèi dell’Olimpo che con questa fic avrei fatto un lavoro di immersione totale, senza accelerare i tempi nemmeno di una virgola, ho ritenuto decisamente opportuno tagliarlo in due.

 

E poi, detesto dire cose del genere, ma questo e il prossimo sono due fra i capitoli più emozionanti, parlo per me che li scrivo, perciò tagliare pezzi per tenerli a tutti i costi uniti sarebbe stato un delitto.

 

In questo, la buona notizia, se vogliamo, è che i 15 capitoli che avevo stimato all’inizio (che illusa che sono, eh?) stanno diventando un bel po’ di più. Me miserrima, miserevole e miseranda.

 

NOTA: lo avrete intuito. “In nomine senati populique romani” significa “nel nome del senato e del popolo romano”, ed era una formula utilizzata ampiamente. Per gli amanti della grammatica (esistono?) è giusto sottolineare che “senatus” presenta un genitivo polimorfo, perciò, oltre a “senati”, esistono le forme “senatui” e “senatus”. Ho scelto senati semplicemente per accordo con populi, e perché detesto infangarmi nelle eccezioni, per una volta tanto che si può mantenere la forma regolare!

 

Scappo, perdonatemi se non vi rispondo anche se siete in pochi, ma ho in ballo delle altre cosucce da pubblicare, e il tempo stringe!

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Capitolo 18
*** Ignis ***


Notte consogno di Harry, arrivo di Draco e chiarimento

Al primo, violentissimo colpo di bastone, Harry distolse lo sguardo.

 

Derevan non fiatò. Dando prova di una fierezza impressionante, strinse forte i denti, e raccolse tutte le forze che aveva sulle sue labbra, dando vita ad un sorriso indescrivibile.

 

- No. – gemette Harry. – No, no, non possono farlo. -

- No! – gli fece orribilmente eco Marzio, inginocchiato a terra, fra i suoi commilitoni, mentre si dibatteva come un leone, invano, per cercare di raggiungere Derevan, di fargli da scudo.

 

- Mi dispiace. – soffiò lui, quasi esanime. – Mi dispiace tanto. -

- Derevan! Fermatevi! –

 

Il corpo del giovane Iceno era segnato un po’ dovunque da lividi già nerastri, segno che dovessero avere almeno due giorni o tre. Erano piccoli, infidi, nascosti sulle giunture ed in altri punti delicati, procurati con ogni probabilità  con l’impugnatura di un coltello. Dovevano fare un male indicibile.

 

Eppure Derevan non dava segno di volersi lasciare andare. Resisteva, con il capo appena chino, gli occhi limpidissimi e privi di lacrime.

 

- Avanti! – ordinò Tito. – Non siete nemmeno capaci di ammazzare un ragazzino barbaro? -

 

Grandinarono bastonate su bastonate, che si infrangevano assassine, una dopo l’altra, sul corpo indifeso di Derevan, sempre più ripiegato su sé stesso. Ad ogni colpo inferto in silenzio dai soldati, il gemito straziato di Marzio era il solo, sconvolto suono che accompagnasse l’impatto sulla carne e sulle ossa del biondo Iceno.

 

Harry scosse la testa ancora, e ancora, come qualcuno che cerca di risvegliarsi da un incubo. – Basta! – ansimò. – Basta, fermali! -

- Non posso farlo. -

- Ma lo uccideranno! -

- Lo so. -

 

In quel momento, gli aguzzini si diedero il cambio, la prima fila con la seconda, e Derevan si aggrappò all’ultimo alito di vita che gli restava per sollevarsi sulle braccia.

 

- Vale, Marzio. – sussurrò. – Addio. –

- No! -

 

Un colpo si abbatté, impietoso, sul collo di Derevan, che si accasciò a terra, vinto. Una manciata di soldati lo accerchiarono, impedendo a Marzio di vederlo.

 

Harry, però, e l’altro Marzio, loro potevano. Li videro colpire con forza la schiena, il collo e la nuca di Derevan, ridotto ormai ad un esanime fagotto sanguinante. Il suo corpo distrutto dalla brutalità dell’esecuzione emanava una incorruttibile forza, nel suo mantenersi tutto intero, ed ancora dignitoso nonostante le molteplici ferite.

Le labbra spaccate, lo zigomo destro sbrecciato, non c’era nulla che potesse soffocare la sua maestosa bellezza.

 

E non erano i soli a sentirlo. I soldati lo colpivano con sempre meno convinzione, con timore, addirittura, come se improvvisamente si fossero tutti resi conto di stare uccidendo qualcosa di incommensurabile.

 

Tito Quinto stava velocemente perdendo il sorriso tagliente che fino a quel momento era rimasto annidato sulle sue labbra. Forse una morte che si faceva troppo attendere lo annoiava, o forse nemmeno lui riusciva a provare gusto, guardando quello spettacolo straziante.

 

- Finitelo in fretta. – ordinò, ritirandosi verso l’interno del castra ad ampie falcate nervose, scortato soltanto da due uomini. Diede un’impressione strana, il suo ritirarsi fin troppo rapido: che stesse scappando, da chissà quale cosa nascosta fra i granelli di terra secca e polverosa dello spiazzo.

 

Non appena il Prefetto se ne fu andato, smisero tutti di infierire sul corpo di Derevan.

 

Come un penoso sipario, si fecero da parte, lasciando passare Marzio, per l’ultimo atto della loro tragedia.

 

Il generale, l’ombra dell’uomo che, l’espressione degli occhi ancora lo testimoniava, era stato fino a poco prima, si accovacciò in ginocchio accanto al suo dolce sole, all’amore solo e grande di tutta la sua vita.

Pieno di tenerezza, lo prese fra le braccia, senza smettere un attimo di accarezzargli i capelli incrostati di sangue.

 

- Derevan. – chiamò con un filo di voce.

 

Ma Derevan non gli rispose.

 

- Mea spes. Mea una lux. -

 

Era troppo tardi.

 

- Derevan. –

 

Per dirgli parole dette mai abbastanza volte, per quell’ultima carezza sui lividi e sul sangue, per cercare di estinguere i rimpianti di ogni istante passato senza tenergli le mani fra le sue.

Era troppo tardi, ormai. Per tutto.

 

- Signore… -

- Comandante Saverio, dobbiamo portarti via. -

 

Anacore fu il primo a fare un passo verso Marzio, immobilmente assorto nelle sue vane cure.

 

- Marzio, fratello mio. -

- Se hai pietà. –

 

Marzio alzò su di lui i suoi occhi ciechi, dove il verde smeraldo campeggiava sul rosso intenso delle lacrime scese a rigargli le guance sporche. – Se hai un po’ di pietà per questo sventurato, se sono tuo fratello, allora uccidimi. Abbi compassione di me, non lasciarmi vivo. -

- Ma comandante… -

- Non sono più il vostro comandante. – Marzio sfiorò con devozione una gota tumefatta del suo compagno morto. – Non sono più niente. Non sono più nemmeno un uomo. -

 

- Uccidiamolo. – gemette un soldato, dalla seconda fila.

 

- Non si può. Bisogna attendere il sorgere del prossimo sole. -

- Ma così è peggio della morte! -

- Marzio. – Anacore si inchinò di fianco a lui. Anche il suo viso spigoloso e singolare, in quel momento, riusciva ad emanare un dolore composto e nobile. – Dobbiamo obbedire alla legge, lo sai. Ti spetta la condanna dei traditori. -

- Lo so. – parlò Marzio, con un filo di voce.

- Bene. – Anacore si alzò a fatica, cercando di tenere una mano sulla testa dell’amico. – Uomini, ascoltatemi. L’esecuzione del comandante Legato avverrà ora stesso. -

- Ma signore! – esclamarono uno sparuto pugno di soldati.

- Questi sono gli ordini. – li liquidò Anacore. – In assenza di Tito, qui comando io. Prima fila, avanzare. Sguainate le spade. –

Marzio fu preso per le spalle da alcuni uomini, e fu fatto inginocchiare in modo più composto.

- Signore, io non voglio che tu muoia. – singhiozzò un giovane centurione.

 

Marzio lo guardò senza realmente vederlo. Era quel giovane, quel soldato che aveva salvato una volta, tanto, tantissimo tempo prima, dalla furia di Derevan. Chissà, però, se lo riconobbe.

 

I suoi uomini gli si fecero attorno in silenzio, formando una semiellisse che lasciava libero il lato dove giaceva Derevan. Libero, perché il loro comandante potesse crollare su di lui, morendo.

 

- Al mio ordine. – disse Anacore con voce spezzata.

- Derevan. – mormorò Marzio, accarezzando con devozione i capelli disordinati dell’Iceno. – Non ti lascio solo, anima mia, sto arrivando da te. Aspettami, ti prego. Aspettami solo un altro istante. -

 

- Nunc. –

 

Marzio sentì la schiena squarciarsi sotto il ferro tagliente dei suoi stessi soldati. Non fiatò, non diede un gemito, il respiro bloccato nei polmoni, il corpo irrigidito nel dolore e nell’ultimo anelito di orgoglio.

Nel silenzio irreale, si coglievano soltanto i singhiozzi distrutti di alcuni uomini. Il pianto dei soldati che per lui erano stati come fratelli, e che ora lo stavano uccidendo.

 

- Erroso, Marzio, fratello. – mormorò Anacore, spento.

- Vale, comandante Saverio. -

- Sei stato il miglior generale che io abbia mai avuto l’onore di servire, comandante Saverio. –

- Vale Saverio. -

 

Marzio non aveva parole da regalare a nessuno di loro. I suoi occhi andavano annebbiandosi sempre di più, le sue mani e le sue gambe si intorpidivano, e lui, già morto nello spirito, stava lasciando morire il proprio corpo su quello di Derevan.

 

Harry colse il gesto fulmineo di Marzio, che accanto a lui si irrigidì, portandosi una mano allo stomaco.

- Che cos’hai? – gracchiò, maledicendosi per non avere nient’altro da dire.

- La nausea. – spiegò Marzio. – Morire fa provare un forte senso di nausea. -

- E’ stato…? -

- Doloroso? No, non credo. È una sensazione sgradevole, che ti stritola lo stomaco, ma niente di più. Il dolore smetti di sentirlo quasi subito. -

 

Harry non faticò a credergli, per una volta. Il corpo che si era accasciato senza più vita nella polvere del campo fuori dal castra era un corpo che non mostrava alcun segno di patimento, né di gioia, come se le ferite sanguinanti appartenessero ad un altro.

Sempre annuendo a chissà che cosa, si lasciò andare al pianto, come fecero tutti gli uomini che aveva davanti, stretti l’uno all’altro come una famiglia che si stringe attorno ad un fratello. Nonostante il bisogno prorompente di farlo, non si sentì in diritto di piangere, anzi, aveva la sensazione che avrebbe dovuto dare qualsiasi altra cosa che non fosse quella.

 

L’immobilità dei corpi di Marzio e Derevan bastava, sola, a scatenare un inferno di dolore, di rabbia e di incredulità.

 

- Ti hanno ucciso come se fossi un animale. – gemette.

- E’ ciò che mi spettava. Per la mia legge, ero un traditore. -

- Non è così. -

- So che può sembrarti ingiusto. -

 

Anacore impartì alcuni ordini secchi, e immediatamente quattro soldati si disposero a coppie, e raccolsero i due giustiziati, per dirigersi, con gli altri compagni, verso l’accesso del castra.

 

- Tutto ciò che è accaduto dopo la mia morte non potrei mostrartelo nemmeno se volessi. – spiegò Marzio. – Posso solamente raccontartelo. -

 

Ma ad Harry non importava niente, di nessun racconto. Dopo ciò che aveva visto, non voleva, non poteva sentire altro.

 

- Tu. – ringhiò fra i singhiozzi. – Tu hai combattuto per tutto questo! Hai combattuto! -

 

Marzio rimase in silenzio, a capo chino, di fronte alle accuse di Harry.

 

- Perché!?! -

- E’ la mia legge, Harry. -

- No! Non è possibile! Non può essere vero! -

- Harry… -

- Derevan è morto! – gli ringhiò in faccia Harry, rosso di rabbia. – Lo hanno ucciso davanti a te come se non fosse un essere umano, e tu hai difeso, questa legge che te lo ha portato via! –

- Lo so. Ma ho perdonato. -

- Come diavolo fai a dire che hai perdonato?!? Se facessero una cosa del genere a Draco io- -

 

Harry si interruppe bruscamente.

 

- Lo proteggeresti? – domandò Marzio, serio al limite dell’inespressività.

- Certo che lo proteggerei. Farei qualsiasi cosa per proteggerlo. -

- E pensi che io non l’abbia fatto? -

- No, no che non lo hai fatto. Lo hai guardato morire senza muovere un dito, come se non te ne importasse niente. -

 

Una dolorosa ruga d’espressione apparve fra le sopracciglia del Romano.

 

- Harry. – riprese dopo qualche momento. – Te l’ho già spiegato, no? Non sono in grado di decidere che cosa mostrarti di ciò che accadde. Ma se hai un po’ di fiducia in me, posso giurarti sul mio onore che ho cercato con tutte le mie forze di salvarlo. -

- Non ci sei riuscito. – lo accusò Harry.

Si sentiva un verme a parlare così davanti ad un dolore così grande, ma la rabbia che mugghiava dentro al suo stomaco non gli dava tregua, e se appena provava a ricordarsi che Marzio non era altro che una vittima, ecco che lei tornava a caricare, a urlare che no, una cosa del genere non sarebbe dovuta succedere mai, mai, per nessuna ragione al mondo.

 

Marzio si morse con forza le labbra. – Lo so. – mormorò. – Ma ci sono forze contro cui non si può lottare, Harry. Sembra stupido dirlo, ma tu sei giovane, molto più giovane di me, e sei anche molto coraggioso, e di gran cuore. Ma a volte la forza di volontà non basta. Non basta desiderare qualcosa con tutto te stesso, perché questa si avveri. Non basta, nemmeno se cerchi di strapparti l’anima dal cuore per darla in pegno, non serve a niente, le cose accadono lo stesso, le persone muoiono lo stesso, e tu ti ritrovi lì a tendere inutilmente i brandelli del tuo cuore verso il cielo, chiedendo che te lo ridiano indietro. –

- Marzio. -

- …Che te lo ridiano indietro. – Marzio smise di mordersi le labbra, arrendendosi infine anche lui ai singhiozzi.

 

E Harry si sentì male, per essere stato così spietato.

 

Era un uomo che aveva perduto la persona più importante sotto ai suoi occhi.

Lo aveva visto morire.

Lo aveva guardato morire.

Aveva assistito all’inesorabile sgretolarsi di quella vita.

 

In fin dei conti, non aveva fatto anche lui lo stesso errore? Non aveva visto suo padre in lui, perché aveva voluto vederlo? Non aveva chiesto a chissà quale dio del cielo, da bambino, che gli restituisse la sua mamma e il suo papà?

 

E Cedric? E Sirius?

 

Non era rimasto a guardare, maledizione, non era rimasto lì, fermo, a guardarli morire?

 

Proprio come lui?

 

- Marzio, io… -

- Perdonami. -

 

Marzio si ricompose immediatamente, raddrizzando le spalle che solo un attimo prima erano sembrate soverchiate dal peso del suo mantello. Harry pensò che quel giovane uomo possedesse una forza sovrumana nel suo corpo.

 

- Vuoi raccontarmi cosa accadde dopo? – disse cercando di essere più delicato possibile.

 

Marzio a sorpresa formò un piccolo, fragilissimo sorriso.

 

- I miei compagni. – cominciò con voce insolitamente profonda. – Iniziarono i preparativi per il rito funebre. Chiesero a gran voce che mi si seppellisse con l’onore di un comandante, nonostante tutto, e Tito Quinto fu costretto ad accettare. Ma non potendo accanirsi su di me, lo fece su Derevan. Diede l’ordine di gettare il corpo del barbaro nel fiume, senza onori. Ma i miei compagni erano degli uomini straordinari. -

 

Harry provò una sensazione di sollievo. Strano a dirsi, vista la situazione, ma era come se avesse saputo dietro le parole di Marzio si celava qualcosa di autenticamente bello.

 

- Fabbricarono un manichino con della paglia e della legna. Alcuni dei nostri maghi riuscirono a trasfigurarlo, dandogli un aspetto simile a quello di Derevan, e lo gettarono nel fiume. Anacore, invece, nascose il vero corpo, lo ripulì e lo vestì. Il giorno dopo furono celebrati i miei funerali, dove venni cremato sulla pira, secondo le nostre usanze. Quinto rimase solo per l’accensione del fuoco. –

 

Le labbra sottili di Marzio assunsero una piegolina amara. – Credo che volesse accertarsi che il mio corpo bruciasse davvero, e che io mi levassi dai piedi una volta per tutte. –

Harry imitò la sua stessa espressione senza rendersene conto. Riusciva a sentire il dolore di Marzio fin dentro alle ossa, e non c’era nulla che potesse fare per opporvisi.

 

- E così, portarono lì Derevan di nascosto, e lo posarono sulla pira, lasciando che i nostri corpi bruciassero insieme, che le nostre ceneri salissero unite verso il cielo. Io, per mia parte, assistetti a tutto, ma Derevan non c’era, senza un intermediario non ero in grado di vederlo. -

 

Dentro alle ultime parole del Romano era racchiusa un’immensa gratitudine, rivolta a lui, evidentemente. Harry si sentì importante, e come mai prima, pieno di forza.

 

- Fu… - commentò, inspirando a fondo. – Fu bello, da parte dei tuoi compagni. -

 

- Fu un gesto meraviglioso. – assentì Marzio. – Anacore e gli altri rischiarono moltissimo, ma lo fecero per rispetto verso di me, e verso Derevan. Perché, nonostante mi avessero condannato, loro avevano capito. -

 

All’improvviso, il cielo prese a tuonare violentemente, facendo sobbalzare Harry per lo spavento.

 

- Quel giorno non venne a piovere. – rifletté Marzio.

- E allora, che significa? Mi sto svegliando? -

- Sì, credo proprio di sì. -

 

Harry annuì, vago. – D’accordo. Allora… -

- Non ti preoccupare per me. -

- Resterai qui? -

- No. Dopo che tu te ne sarai andato, tornerò al bosco. -

- Ho capito. Senti, Marzio… -

 

Harry non fece in tempo a concludere la sua frase, che si ritrovò sveglio, nel letto ampio della sua camera provvisoria, avvolto dall’oscurità quasi totale della notte.

 

Il silenzio, però, quello non era totale: un rumore concitato e sordo di passi si fece strada nella sua testa ancora frastornata, proveniente da chissà dove.

 

La porta della camera si spalancò rapida abbastanza da non emettere neppure un cigolio.

 

- Harry? – chiamò una voce snaturata da una nota di panico.

 

Poteva essere il sonno, certo. In piena notte, al buio, e dopo tutto quello che aveva visto, per giunta.

 

Però.

 

Però, poteva anche essere lui.

 

- Draco? -

 

L’ombra stagliata contro l’uscio aperto si distaccò da esso, facendosi sempre più netta man mano che gli si avvicinava.

Adesso che si trovava lì, non sapeva nemmeno che cosa ci fosse andato a fare.

 

- Ho visto… E’ stato… - farfugliò. -

- Hey, va tutto bene? -

- No. Direi di no. -

 

Se lo sentì, che ciò che turbava Draco era probabilmente la stessa cosa che turbava lui. Che diamine, vedere Malfoy sulla soglia delle lacrime non era mica cosa da tutti i giorni.

 

- Vieni qui. – lo invitò, battendo con il palmo della mano sul materasso.

Draco esitò un momento, prima di assecondarlo, e andare a sedersi su quello che era stato il suo lato del letto per alcuni giorni. Raccolse subito le gambe, infreddolite dalla lunga corsa a piedi nudi.

 

- Non mordermi. – si sentì dire, mentre un braccio andava ad avvolgergli le spalle con discrezione, sorprendentemente caldo e rassicurante. Dio, aveva un bisogno disperato, di quel braccio.

 

Senza che Harry dicesse nulla, cominciò a snocciolare il racconto di ciò che aveva visto e sentito. Dapprima esitando e rimangiandosi le parole, poi sempre più precipitosamente, confessò fra i denti la rabbia che aveva provato nei confronti di Marzio, per non essere riuscito a trarre in salvo Derevan dal pericolo.

 

Harry capì molte cose, circa la famosa imboscata di cui Marzio gli aveva accennato, e anche circa quelle parole a cui non aveva voluto credere, sul suo tentativo di salvarlo.

 

Chissà quanti giorni erano trascorsi, fra la cattura e il momento dell’esecuzione.

Chissà che cosa non aveva tentato, per strappare Derevan a ciò che li attendeva impietosamente.

Chissà, se avrebbe dovuto raccontare a Draco il suo sogno, come lui stava facendo.

 

Riusciva quasi a vederselo davanti, strepitare furioso, se non gli avesse detto nulla. Ma in quel momento, se lo vedeva davanti scosso, che tentava di mantenersi saldo e di non perdere per strada nemmeno una lacrima piccola piccola.

 

. Quel salice, io l’ho riconosciuto. -

- Lo conosci? -

 

Draco annuì lievemente. – E’ l’albero sotto cui ho incontrato Derevan. Credo che sia sempre rimasto là sotto, ad aspettare. -

- Sì, capisco. -

- Sempre lì, fermo. Voglio dire, duemila anni. Duemila anni sono un mucchio di tempo. E lui è rimasto lì, ad aspettare sotto il salice. -

 

Harry espirò lentamente attraverso le narici. Fuori, il cielo era ancora blu violaceo, punterellato di un’infinità di candidi astri.

Era ancora notte, e Draco era tutto intero: il tempo per dirgli tutto ciò che avrebbe dovuto, lo aveva. Si sentì fortunato, oltre ogni dire.

 

- Dammi il mantello, lo butto sulla sedia. – mormorò.

Dopo che Draco si fu accoccolato sul cuscino, tirò su le coperte, allungandogliele fin dietro la schiena.

 

Il Serpeverde sospirò di piacere, al contatto con il morbido tepore del piumotto, dopo tanto freddo. Si acquattò più vicino che potè ad Harry, cercando in tutti i modi di non dare nell’occhio.

 

Non ci riuscì, naturalmente, perché Harry se ne accorse, ma si guardò bene dal reagire.

 

Sì, era tutto intero, e vivo; respirava a piccoli sbuffi, scandendo la pace della stanza, ed era incredibile, era salvifico, era magnifico. Per quel poco di notte che rimaneva, lo avrebbe lasciato riposare tranquillo, senza altri brutti sogni con cui dover fare i conti. 

 

C’era sempre il giorno dopo.

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ho semplificato un po’ il rituale funebre romano, che in realtà era più elaborato, e prevedeva una processione e un tot di altre cose. Ma non sono state solo esigenze di copione: siamo in un campo militare, non a Roma, e Marzio è pur sempre un traditore, quindi un funerale solenne ma sobrio mi sembrava più adatto ed in linea con la trama.

 

Inoltre, il titolo di questo capitolo fa coppia con quello precedente. Ignis e imber, il fuoco e l’acquazzone.

 

Nota: Erroso è una parola greca, significa “addio”. Nunc, invece, è latino, e significa “adesso”.

 

Mi scuso di cuore per non potervi rispondere nemmeno questa volta. In realtà non voglio darvi garanzie su quando potrò tornare a farlo, perché al momento un paio di gravi problemi di carattere personale tengono le mie mani e la mia testa lontane da questa tastiera.

 

Per questo, è possibile che il prossimo capitolo tardi un po’ ad arrivare, perciò non allarmatevi.

Tutto ciò che vi chiedo sono tante belle recensioni sul capitolo, nel senso che vi prego di non tener conto e di questa faccenda, che mi sembrava giusto segnalarvi come causa della mia negligenza nel vostri confronti, ma che con la storia non ha nulla a che vedere. Anche se so che sarebbe in buonissima fece, non trasformate lo spazio pubblico delle recensioni in una pioggia di domande sul genere “come stai, cos’è successo”, ecco. Non è il luogo adatto.

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Capitolo 19
*** Caelum terraque ***


CAP 11: si chiariscono e notte dedicata a Marzio e Derevan insieme

A colazione, Harry comunicò asciuttamente agli amici che Draco era tornato.

 

Lo aveva fatto con un tono che, più che riportare il rientro nei ranghi di un recalcitrante ragazzino Serpeverde qualsiasi, sarebbe stato più consono alla cronaca del ritorno in patria di un eroe.

 

Hermione si limitò ad alzare gli occhi al cielo, celando un sorrisetto vago dietro alla tazza bianca ricolma di tè. A Ron per poco non andò di traverso tutto il pasto, ma poco importava.

 

Per la verità, Harry non era nemmeno sicuro che il ritorno di Draco fosse effettivo. Si erano svegliati un po’ di fretta quel mattino, scambiando poche battute sul genere “la mia cravatta è un disastro”, o “perché questo mantello non vuole collaborare”.

Nulla che riguardasse la notte appena trascorsa, e, di conseguenza, quelle a venire.

 

Ma ci sperava, ecco. Era stato indescrivibile averlo lì, infagottato su sé stesso e tutto tremolante, che nonostante ciò dormiva beato, sollevato almeno per un po’ dal peso della storia in cui si era ritrovato coinvolto, e che sempre più si faceva opprimente.

 

Più tardi, Piton attendeva i Grifondoro per due allegre ore di lezione in cui, c’era da giurarlo, non si sarebbe spiccicata una parola.

Un sollievo, sotto un certo punto di vista.

 

Giusto avviandosi verso i sotterranei, Harry intercettò Malfoy, che procedeva a passo spedito verso l’uscita, diretto alle serre, alla Foresta Proibita o giù di lì.

 

Non si azzardò a salutarlo: circondato com’era dai suoi scagnozzi, avrebbe ottenuto al massimo un’occhiataccia, e avrebbe messo nei casini entrambi. Perciò, meglio far finta di niente, come se anche loro due fossero appartenuti a due popoli in guerra.

 

Un tantino eccessivo, forse, come paragone, ma figlio di quella che ormai si poteva chiamare abitudine.

 

Riuscì a vederlo soltanto nel tardo pomeriggio.

Era tornato in camera per darsi una ripulita, finito l’allenamento del dopo pranzo, quando un trambusto disordinato lo aveva spaventato, e fatto scattare fuori dalla doccia.

 

La scena che gli si era presentata davanti agli occhi era di quelle che non si dimenticano per tutta la vita: Draco, armato di un baule dall’aspetto pesantissimo, con un’espressione di autentico terrore dipinta sul volto, e dietro di lui, niente meno che Sibilla Cooman in persona, a dargli il giusto sostegno morale.

 

- Ho sentito. – esordì solennemente la donna, perfettamente incurante dell’ansimare distrutto del povero Draco, e dell’asciugamano attorno alla vita di Harry. – Che siete stati mandati qui dal Preside perché siete posseduti. -

 

- Ehm, non esattamente posseduti, professoressa. – balbettò Harry, mentre il suo compagno di stanza si accasciava sul letto, miagolando lamentele insensate circa il peso del baule, la bruttezza della Cooman e l’ingiustizia della vita.

- Ma certo, certo, caro, dicono tutti così. – lo rassicurò l’insegnante, annuendo con fare simpatetico. – Non avete nulla da temere, è mio preciso dovere proteggere le vostre giovani vite – o meglio, quello che ancora vi resta da vivere – liberandovi dai maligni spiriti che vi infestano. -

 

Harry fu certo di aver colto un deciso fruscio di stoffa, altezza cavallo dei pantaloni, provenire dal letto dietro di sé. Sospirò, rassegnandosi alla battaglia.

 

- Ma professoressa Cooman, ci stiamo già occupando di, ehm, estirpare il male che è in noi. Il professor Silente ci ha spiegato come fare, e… -

- Mio caro, moribondo ragazzo. – lo interruppe lei, afflitta. – Il professor Silente è una così cara persona, ma temo non sia molto dotato nel campo della veggenza e dell’esorcistica. -

- Chissà come mai. – borbottò Draco, fortunatamente a voce bassa.

- Su, su, raccontatemi tutto, così potrò liberarvi dal Maligno. -

 

Harry si voltò di sfuggita, interrogando tacitamente Draco, che altrettanto tacitamente fornì una risposta inequivocabile: “non provare a coinvolgermi in alcun modo, sei tu quello buono, qui.”

 

Si grattò la nuca, e decise per una via di mezzo, ovvero il raccontare qualche, e solo qualche, accenno della vicenda alla professoressa Cooman, evitando accuratamente i dettagli.

 

- … E quindi questi spiriti desiderano potersi incontrare, e, beh, è tutto. -

- E’ tutto? – la Cooman roteò teatralmente la testa, tintinnante di ciondolini e fermacapelli. – Sei sicuro che sia tutto? Niente fenomeni particolari, niente draghi sputafuoco, nessuno specchio rotto? -

- Altroché se sono sicuro. Niente di tutto ciò. -

 

Per qualche strana ragione, sembrava delusa. Il ché poteva essere soltanto positivo per i due ragazzi: delusione della Cooman significa scampato pericolo di morte immediata. Era un’equazione comprovata, oramai.

 

- Oh, beh. – borbottò. – Allora sbrigatevi. -

- Sbrigarci? Sbrigarci a fare cosa? -

- A liberarvi di loro, no? -

- E come? -

- Ve l’ho detto, sbrigandovi. -

 

Draco sentì che se avesse continuato a darle corda, non sarebbe uscito vivo dalla discussione. Diede un gemito da mal di pancia a cui Harry fece vagamente eco.

 

- Ci sbrigheremo, professoressa. – promise Harry, cominciando ad occhieggiare con una certa insistenza alla porta. – Ora, se vuole scusarci, vorrei tornare a fare la doccia, e Draco deve sistemare i bagagli… -

- Bagagli che potrebbero contenere ostacoli di ogni genere al vostro compito. Ma siete fortunati, ho giusto un po’ di tempo libero da dedicare all’esorcismo di tutti gli abiti. -

 

Draco inspirò con il naso molto, molto a fondo. - Professoressa, non avverte anche lei una voce cavernosa provenire dal fondo delle scale? – disse, serafico.

 

La professoressa si attivò immediatamente, rizzando le orecchie all’indirizzo della porta.

- Una voce, mio caro? -

- Ma sì, ne sono certo. Non sente? Oooh, mi sembra che stia chiamando proprio lei! -

- Andrò a controllare. – propose lei, risoluta. – Se qualche spirito in pena chiede il mio aiuto, interverrò. Chissà che non sia la nonna di quel povero signor Paciock. -

 

Draco si chiuse la porta alle spalle con un gemito liberatorio.

 

- Sei un genio del male, lo sai? – lo riprese Harry.

- Il fine giustifica i mezzi. Ce ne siamo liberati, no? -

- Già. Così potrò finire la mia doccia in santa pace, sto congelando. -

- Già. Hey, senti. -

- Uhm? -

 

Draco assestò un paio di leggeri calcetti alla parete più corta del suo baule.

 

- Credo che tornerò  dormire qui. – borbottò ad occhi bassi.

- … Ok. -

- E’ che non ho dormito bene, la scorsa notte. Voglio dire, quando… -

- Sì, lo so. Ne parliamo con calma appena finisco. -

- Va bene. -

 

La doccia di Harry fu la più rilassante, ma anche la più breve, che il Grifondoro ricordasse. Non si prese nemmeno la briga di asciugarsi i capelli, nonostante in clima ancora poco generoso.

 

Ritrovò Draco seduto sul letto, intento ad osservare le proprie gambe ciondolare avanti e indietro, ritmicamente. E decise di dirgli tutto.

Non c’era un motivo preciso, semplicemente si mise seduto a sua volta, e con tutta la delicatezza che poté, gli raccontò che cosa aveva visto.

 

Il commento di Draco fu simile al suo.

 

- Oh. Adesso sì che si chiariscono molte cose. -

 

Sul volto aveva dipinta una brutta espressione rassegnata, che ad Harry non piacque per niente.

 

- Hey. Noi possiamo aiutarli. -

- Forse. -

- No, non forse. Di sicuro. -

- E allora perché non ci siamo già riusciti? -

- Non lo so, ma lo scopriremo. -

 

Draco corrugò le sopracciglia, se non altro passando dal triste al sorpreso.

 

- Wow, San Potter non si ferma davanti a niente, eh? -

- Certo che no. Sei tu il furetto fifone, qui. -

- Hey, rimangiatelo all’istante! -

- Non credo che lo farò. -

- Giuro sul cappello di Merlino che stanotte ti prendo a calci negli stinchi finché non te li avrò consumati. -

- Ha ha, e io giuro che ti lego i piedi come un salame, e voglio vedere se riesci a muoverti. -

- E io lo dico al professor Piton! -

- E io alla McGranitt! -

 

Harry ridacchiò fra sé. – Così poi potremo assistere ad uno scontro fra titani. -

- Mio dio, ci pensi? -

- La McGranitt vincerebbe sicuramente. -

- Oh, non credo proprio. -

 

- Miei cari! -

 

Harry e Draco tacquero all’istante e si voltarono entrambi, inorriditi, verso la parete vuota che fiancheggiava l’ingresso del bagno, da dove proveniva la voce ovattata della Cooman.

 

Scossero entrambi la testa, accordandosi per una strategia vecchia come il mondo, ma sempre efficace: fingere di non esistere.

 

- Volevo solo dirvi. – proseguì la Cooman. – Che lo spettro non c’era, perciò state tranquilli. E quando vi deciderete ad assecondare le sinistre presenze che albergano nei vostri sogni, per favore fatelo in silenzio. Ma sbrigatevi! -

 

- Assecondare? Sbrigarci? -

 

Draco si lasciò cadere all’indietro, rimbalzando sul materasso. – Devo finirla di ascoltare quella vecchia carampana, se non voglio fare la sua stessa fine. –

Harry fece un gesto non curante all’indirizzo del muro. – Io l’ho sentita dire un paio di cose sensate, qualche volta. – commentò. – Chissà, magari con qualche ciondolo e una sfera di cristallo riusciremo a capire che diavolo vuole dire. –

- Per me vuole solo esorcizzarci. -

- Beh, dovrà riuscire a prendermi, prima. -

 

*          *          *

 

- Io sarei uno spirito maligno? –

Il povero Derevan corrugò le sopracciglia biondissime a formare un’espressione affranta.

– Ma-ma io… -

- Lascia perdere. – lo rimbrottò Draco. – Non lo hai ancora capito, che quella è suonata come uno gnomo di palude? -

- Nessuno dà dello spirito maligno a Derevan. – masticò Marzio. – Nemmeno uno gnomo di palude. -

- Perché non trovi il modo di manifestarti a lei? – ridacchiò Harry. – Chissà che finalmente non abbia un’apparizione come si deve. –

- Oh, sai quante ne avrei da dirgliene? Per la corona di Giunone, le faccio rimangiare tutto a fil di spada. -

- Marzio. -

 

Derevan sorrise in modo indulgente ed anche un po’ divertito.

Aveva il sovrumano potere di zittire Marzio con un niente, di fermare la sua corsa con meno di una parola, di placarlo, come fa un buon domatore con un leone nervoso.

 

- Draco è stato grandioso. – si sentì in dovere di dire Harry. – L’ha abbindolata a dovere. - 

- Ho fatto il mio dovere di Serpeverde. – si schernì Draco.

- Oh, Draco, l’hai ingannata? – si dispiacque Derevan.

- E che altro avrei dovuto fare, invitarla a bere il tè? Vorrei vedere te al mio posto che avresti fatto. -

- Le avrei spiegato che non ci sono spiriti maligni. -

- Bravo, la fai facile, tu. -

- Ha ragione Draco. – sbottò Marzio. – Spirito maligno sarà lei. -

 

Beh, Harry poteva dire tutto, tranne che non si stesse divertendo.

In quel momento, non poteva pensare che Marzio e Derevan fossero morti.

Erano lì con lui, che ridevano e parlavano, reali quanto lo era lui, e poco importava che i loro corpi fossero polvere da duemila anni, perché le loro anime riuscivano ad abbracciarsi ancora più forte di prima.

 

Proprio in quel momento, un fruscio di vento annunciò quella distorsione caleidoscopica dell’atmosfera ormai diventata un’abitudine. Sarebbero approdati chissà dove e chissà quando, ma questa volta sarebbero stati tutti e quattro.

 

Sentì una mano aggrapparsi saldamente al suo avambraccio, nel trambusto: Derevan gli offrì un sorriso di velluto che gli paralizzò completamente lo stomaco, incendiandogli le guance.

 

- Pronto a partire? -

 

La sola cosa che Harry riuscì a pensare, soverchiato dall’intensità della sua presenza, fu che se Derevan non gli avesse lasciato subito il braccio, il suo cuore si sarebbe riempito di lui fino a perdersi per sempre.

 

Approdarono ad una riva giuncosa piuttosto simile a quella già incontrata tempo prima, ma molto più fitta di canne che assiepavano la striscia d’acqua dolce che per un buon tratto costeggiava il mare, probabilmente emergendo direttamente dal sottosuolo.

 

- Guarda. – sussurrò Marzio, non rivolto ad Harry, ma a Derevan.

- Sì. -

- E’ meraviglioso essere qui. -

- Hey, guardate un po’ laggiù, c’è qualcuno! -

 

Draco si lanciò saltellando verso un cespuglio di giunchi che si agitava in dissonanza con gli altri, mosso da qualcosa che si celava oltre la sua ombra.

Stava per scostare le canne con entrambe le mani, quando qualcosa gli fu addosso, scaraventandolo a terra.

 

- Attento! – gridò Marzio, coprendolo con il proprio corpo e trascinandolo con sé lontano nella caduta.

Draco registrò gli steli su cui pochi secondi prima si erano posate le sue mani cadere a terra, falciati di netto, e un attimo dopo, un secondo Marzio emergere dal passaggio venutosi a creare, spada in mano.

- Uff, ma guarda tu che faticaccia. –

 

- Tutto a posto? -

 

Era la voce di Marzio, ad un centimetro dal suo orecchio.

Draco sbarrò gli occhi e si irrigidì completamente mentre Marzio, ignaro della sua reazione, cercava di tirarsi su sulle braccia.

 

- Stai bene? – domandò di nuovo. – Scusami per averti buttato a terra a quel modo. -

 

Cominciò a battergli con gentilezza le spalle e le braccia, per ripulirgli l’uniforme dalla polvere. Troppo vicino.

 

- Sto bene! – gracchiò Draco, scattando a sedere come se qualcosa gli avesse punto la schiena.

- Meno male. Non sapevo se quel colpo ti avrebbe ferito o solo trapassato, ma ho preferito continuare a non saperlo. -

- Gra-grazie. -

- Non è niente. -

 

Marzio lo sovrastava, intento a scrollare i propri vestiti alla bene e meglio, mentre lui, ancora seduto, non faceva altro che fissarlo imbambolato.

- Dammi la mano. – lo invitò. – Ti tiro su. Hop! -

 

Di nuovo troppo vicino.

La mano di Marzio era sorprendentemente solida, e più grande della sua, molto più di quando avrebbe pensato. Era la mano di un guerriero, ma era gentile, per nulla rigida, come se il Romano avesse il pieno ed assoluto controllo sulla forza di ogni suo singolo muscolo.

 

- Siete tutti interi? – si preoccupò Derevan, raggiungendoli assieme ad Harry appena l’altro  Marzio fu passato loro davanti. – Oh dèi del mare, che sollievo. -

 

Draco rivolse loro un’incomprensibile espressione allarmata, oltre che violacea. Si allontanò precipitosamente da Marzio, ma finendo quasi di fianco ad Harry, incespicò ancora più in là, praticamente finendo dietro Derevan.

 

- Sei sicuro che vada tutto bene? -

 

Annuì impercettibilmente. Per un po’ non sarebbe riuscito a spiccicare parola, ne era sicuro.

 

- Chi va là? – tuonò la voce di Marzio.

 

Tutti e quattro si girarono di scatto.

- Andiamo. – li incitò Marzio, scattando alla volta di un sé stesso particolarmente teso.

 

- Fatti vedere! So che ci sei. Vieni fuori! -

 

Non ottenendo risposte, Marzio avanzò arrancando nella vegetazione fitta e diversificata, la spada sempre dinnanzi. – Ti troverò. – minacciò. – E’ inutile che ti nascondi. -

 

I quattro ragazzi ebbero non poche difficoltà a seguirlo cercando di costruirsi un percorso alternativo che aggirasse il suo. Erano quasi riusciti a raggiungerlo, quando Derevan comparve da dietro un mazzo di canne impenetrabile dietro cui era rimasto acquattato fino a quel momento.

 

Senza fiatare, tese in avanti il suo bastone, ma non puntandolo contro Marzio, bensì tenendolo in posizione orizzontale, a voler costituire una barriera, più che un’arma di offesa.

 

Marzio si immobilizzò, gli occhi sbarrati per la sorpresa.

 

Per qualche istante, i due non fecero che fronteggiarsi in silenzio, del tutto immobili fra il frusciare molle e ritmico delle piante agitate dal vento.

Marzio sembrava non essere in grado di recuperare il controllo sul suo corpo paralizzato, mentre Derevan, ad uno sguardo più attento, rivelava un tremore lieve ma significativo di tutto il suo corpo. Le labbra, in particolare, fremevano debolmente, come scosse dal freddo.

Vestiva un lungo abito bianco, sporcato in più punti del bruno della terra e di tanti verdi e gialli diversi, i succhi dei vegetali che lo circondavano, e null’altro che la sua incredibile bellezza.

 

- Che cosa… sei. – soffiò Marzio.

 

In cambio ebbe alcune incomprensibili parole pronunciate con un tono che esitava troppo, per riuscire a risultare minaccioso.

 

- Sei di questa terra? Non riesci a capire la mia lingua? – provò di nuovo, ma fu inutile, il giovane di fronte a lui brandì con maggiore determinazione il suo strano bastone bitorzoluto.

- No. – cercò di fermarlo. – Aspetta, non farlo. -

 

Allargò lentamente le braccia, e con infinita cautela fece in gesto di posare a terra la sua spada. Lo sguardo dello straniero mutò istantaneamente in un’indecisa sorpresa.

 

- Non voglio farti del male. – scandì. – Capisci? Non voglio farti del male. –

 

Marzio avanzò con infinita prudenza verso di lui, mostrandogli le mani aperte e disarmate. Il giovane si ritrasse, allarmato, ma allo stesso tempo ritirò anche lui il suo bastone, portandoselo sul fianco.

 

Il Romano azzardò un lieve sorriso. – Così va bene. – sussurrò. – Non avere paura, non ti faccio niente. -

 

Riuscì ad avvicinarsi a lui fino ad averlo a poco più di un braccio di distanza. Il poverino tradiva di tanto in tanto dei brividi violenti di paura, ma Marzio non era che un uomo disarmato, davanti a quegli occhi grandi, di un azzurro raro, opacizzato e prezioso come quello di una perla.

 

- Io mi chiamo Marzio. – pronunciò, battendosi leggermente il petto con le dita. – Marzio. -

- Marzio. – cercò di ripetere una voce vagamente roca. Il ragazzo imitò il suo gesto, toccandosi il cuore.

- Derevan. -

- Derevan. Chi ti ha mandato qui? Sei un messaggero degli dèi? -

 

Derevan scosse il capo, interrogativo.

 

- Non riesci a capirmi, vero? – sospirò Marzio.

– Tu. – spiegò, indicandolo con prudenza. – Vieni da lassù? – concluse, puntando l’indice verso l’alto.

 

Il povero Derevan volse anch’egli il suo sguardo verso il cielo, ma non sembrò aver capito molto più di prima. Scosse la testa, e con un sorriso incoraggiante gli indicò la terra.

 

Marzio rinunciò a spiegarsi. Forse lo aveva compreso, forse no, non lo avrebbe mai saputo. La dolcezza inenarrabile del suo sguardo lo metteva in soggezione, proprio come se fosse stato di fronte ad un prodigio.

 

- Si dice. – mormorò fra sé. – Che gli dèi siano perfetti, e per quanto tentino di prendere sembianze umane per mescolarsi ai mortali, la loro natura incorruttibile traspaia, tradendoli. -

 

Derevan sbatté le palpebre, del tutto smarrito. Di fronte al comportamento gentile di quello straniero, però, prese un po’ di coraggio, e con pochi passi rapidi lo superò, sorprendendolo.

Andò a raccogliere la sua spada, maneggiandola un po’ maldestramente per il suo peso, e tornò indietro a riconsegnargliela. Appena gliel’ebbe lasciata fra le mani, osservò con sottile apprensione l’operazione di rifodero dell’arma, ma nonostante tutto non si volle ritrarre.

 

Marzio attese pazientemente che Derevan si sentisse nuovamente al sicuro, libero di muoversi. Lo osservò mentre tornava al punto dove si era nascosto, e ne usciva con una cesta piuttosto grande di vinchi verdi fra le mani, ricolma di ogni genere di fiore, radice e arbusto.

 

- Stavi difendendo il tuo tesoro. – gli disse sorridendo.

 

Derevan posò meticolosamente il tutto a terra, mostrando con un certo orgoglio le sue mani vuote, una volta rialzatosi.

Marzio non trovò altro da fare che imitare il suo gesto, rassicurandolo una volta di più sulle sue intenzioni.

Ma questa volta, se le sentì afferrare gentilmente da due più piccole, straordinariamente morbide e calde nonostante il lavoro.

Meravigliato, scrutò il sorriso pieno di luce che gli si stava schiudendo davanti agli occhi, finendo diventandone vittima. Per Derevan pareva estremamente importante, quel gesto semplice solo in apparenza di tenersi le mani intrecciate, proprio come le cannule del suo canestro.

 

Lo lasciò andare all’improvviso, ma senza essere brusco.

 

Un nitrito particolare, armonioso ed argentino, si levò dietro di loro, a cui Derevan reagì come al richiamo di un amico.

 

Impugnato il suo bastone, e abbracciata la sua cesta, formò un sorrisetto indeciso all’indirizzo del Romano, che comprese così l’imminenza della separazione.

 

- No, aspetta. – lo implorò, correndo verso le sue guance con un gesto di entrambe le mani suo malgrado eccessivo, che morì in una carezza accennata appena.

- Aspetta, ti prego. Potrò mai rivederti? Dove vai, dove devo cercarti? -

 

Con la mano non occupata dalla sua preziosa corba Derevan rispose alla carezza, mantenendo gli occhi fermi in quelli sempre più incantati dell’interlocutore del loro muto dialogo.

 

- Marzio. – ripeté, con un sorriso pieno di gioia, di sole, e di chissà cos’altro di inafferrabile e lontano da ogni comprensione umana.

 

Corse via verso la fonte del nitrito di poco prima, mentre Marzio se ne restava inerte a guardarlo andare via. 

 

Lo vide salire in groppa a quello che, non poteva essere, sembrava a tutti gli effetti un unicorno. Un animale piccolo e pieno di grazia, che risplendeva come una stella in pieno giorno.

Anch’esso un’apparizione, come il suo cavaliere?

 

- Derevan. -

 

No.

 

- Non posso seguirti fin sull’Olimpo. -

 

Le apparizioni non hanno un nome.

 

Terminò tutto senza interruzione, e i quattro compagni furono ritraspostati al punto di partenza, sotto l’ombra brulicante delle innumerevoli foglie che costituivano la variopinta macchia di bosco in cui riposava Marzio.

 

Per un po’, regnò un silenzio assorto fra di loro, ché nessuno sentiva di avere qualcosa di sufficientemente importante da dire.

Derevan andò a sedersi fra le gambe di Marzio, che lo attirò sulla sua spalle, cingendogli la vita con entrambe le braccia.

 

Si erano semplicemente dimenticati di tutto il resto.

 

Marzio diceva qualche parola in latino, Derevan gli sorrideva, gli rispondeva nel suo dialetto, e poi di nuovo un bacio, uno dietro l’altro, come gocce d’acqua, le prime, dopo aver attraversato il lungo deserto dei secoli.

 

Ogni tanto si sussurravano qualcosa in inglese, ma starli a sentire sarebbe parso ad Harry come un intollerabile atto di invadenza. Più li guardava, però, più si chiedeva come fosse possibile che fossero riusciti ad amarsi per tutto quel tempo. Per secoli,  miseria, secoli e secoli passati a nutrirsi delle proprie memorie.

Gli venne la pelle d’oca al solo pensare che due persone del genere, due anime così candidamente gemelle, fossero state tenute lontane. Non era stata vita la loro, fino a quel momento, e non importava nulla il fatto che fossero degli spettri: probabilmente erano stati molto più vivi nel momento della loro morte, vicini, stretti, che in qualunque altro momento.

 

Aveva sempre, inconsciamente pensato che, comunque si fossero conosciuti, da quell’istante in poi non si fossero più lasciati, e invece un altro tassello andava al suo posto, rivelandogli come anche il loro incontro si fosse svolto sul filo di un precipizio.

Sapevano a malapena i loro nomi, non si comprendevano se non con pochi, timidi gesti.

Chissà cosa li aveva fatti ritrovare, quale coincidenza che, se non si fosse avverata, avrebbe portato entrambi a scordarsi l’uno dell’altro, a credersi semplicemente un sogno.

 

Lo sguardo gli sfuggì verso Draco, seduto su un masso piatto, con le gambe incrociate e le dita intrecciate sotto al mento a preghiera.

 

Un altro brivido lo percorse.

Draco, e anche tutte le altre persone che amava, Hermione, Ron, tutti quanti, era tutto così labile, così facile preda del destino.

 

- Draco. – gracchiò, con la voce irruvidita dal lungo silenzio.

 

Lui che lo aveva lì, che aveva la fortuna di dividere con lui il suo tempo, che non avrebbe avuto nessuna difficoltà a trovarlo sempre, ovunque fosse andato, che possedeva scope, camini, gufi, qualsiasi cosa, non possedeva giustificazioni.

 

Soltanto per inerzia si sarebbe rassegnato a vederlo sparire dalla sua vita, rimediando una ben misera figura al cospetto di tanto invincibile amore.

 

Draco si riscosse, e fece un cenno con la testa per segnalare che lo ascoltava.

 

Non che Harry sapesse con precisione cosa avrebbe voluto dirgli. Probabilmente solo una cosa, bambina ed egoista.

 

- Non posso perderti. -

 

Draco tremò.

 

-Che cosa dici. – mormorò senza spostare i pugni chiusi da sotto il mento.

 

- Ego a… ama… amas. -

- Shhh. Non sei mai stato troppo bravo con i verbi. -

- Ho sbagliato? Vero? -

Marzio sorrise glissando con le labbra sulla tempia di Derevan. – Un pochino. Ma adesso non ha importanza. -

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

 

Nota: contenutistica, più che storica. Marzio impugna una spada, Derevan un cesto di erbe, e qui il parallelo fino ad ora abbastanza velato si palesa. La spada di Godric, le pozioni che a Draco riescono così bene, l’impossibilità di comunicare che è metafora di due modi del tutto diversi di vedere la vita.

Derevan e Marzio decidono di posare le loro armi e di stringersi le mani, venendosi incontro, scambiandosi pochi gesti dal valore universale. Torniamo alle considerazioni di Marzio, circa il fatto che Derevan gli avesse insegnato un modo nuovo di pensare, e ci rendiamo conto che ciò che ancora li distingue da Harry e Draco è che loro due, anche Harry, badate bene, non si sono ancora del tutto disarmati.

Mi occorreva un’immagine di grande impatto “fotografico”, e non troppo facile da decifrare, per affrontare questo nodo chiave, perciò mi sembrava corretto aggiungere questa breve spiegazione.

Le due dita che indicano cielo e terra, poi, di evidente sapore raffaellesco, me le dovete perdonare.

 

E adesso, una nota di carattere assolutamente personale.

 

Voglio ringraziare con tutto il cuore ognuno di voi, per avermi compresa, e per l’attesa paziente. Ho sospeso quasi tutto, nelle ultime settimane, pubblicando solo ciò che era già pronto, come vi avevo anticipato. Da adesso in poi, con un attimo di calma, tornerà tutto alla normalità.

 

Uff, il mondo pesa decisamente di meno, adesso.

 

Mio padre è uscito dall’ospedale, e sta bene. Il mio ragazzo è sparito e non tornerà, naturalmente, ma a che servono gli uomini, se non a tirarsi indietro esattamente nel momento in cui hai bisogno di loro?

 

Ah, ragazze mie, meglio che continuiamo a sognare, va’. A pensarci bene, anche Harry è sparito con una scusa idiota, al sesto anno. Oddio, chiunque desidererebbe sparire davanti alla Piattola, ma questo dimostra che nemmeno lui è perfetto!

 

Ma ciancio alle bande, passiamo a un po’ di risposte, va, che ve le meritate!

 

 

 

Draco Malfoy: ci ho pensato molto su prima di scrivere quella scena cruenta, ma era necessaria. Innanzitutto, perché è rispettosa dei metodi usati all’epoca, e poi perché doveva scuotere gli animi di Draco ed Harry.

 

Sakura Ashe: ti ringrazio, e sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!

 

Koorime: ed ecco svelato il segreto del mistero, in realtà la tua antenata si nascondeva dietro Tito giurando vendetta. Cornovo era solo una svista, non ti sto a raccontare, studi su studi, anzi grazie di avermela fatta notare! Mentre il discorso del temporale è un malinteso, forse non mi sono spiegata bene: significa semplicemente che Harry si sta svegliando, e non è un temporale, ma semplicemente rumore di tuoni. Ho saltato la parte del risveglio strictu sensu perché ero stufa di ripeterlo, tanto sapete come funziona, no? Per il resto, tesoro mio, grazie mille. Mi riferisco al regalino, ovvio (*ç*), ma anche alle tue recensioni, un po’ folli, un po’ serie, un po’ acute, un po’ infinite, sempre e comunque graditissime, grazie di tutto cuore!

 

Somylit: ma guarda un po’, un funghetto che spunta dal sottobosco ^^. Come autrice dovrei farti la paternale, “ nooo, recensisci, agli autori fa piacere, è un giusto prezzo” ecc. Come lettrice, ammetto di capirti un po’, tante volte non lo si fa per pura indolenza, altre perché sinceramente non si sa cosa dire, nel bene o nel male, altre perché si vuole aspettare di avere in mano più elementi, e si finisce con il dimenticarsi. Del resto, il divario fra letture e recensioni è talmente pazzesco che sarebbe bello poter fare un sondaggio del tipo “alzi la mano chi segue la storia” e vedere quante manine si alzano! Comunque, pongo fine ai miei deliri e ti ringrazio per aver fatto lo sforzo di farmi sapere cosa ne pensi, non solo di Beyond, ma anche delle altre. Mi fa moltissimo piacere che ci sia gente che segue anche altri fandom e che apprezza le mie spericolatezze, vedi Naruto e Bleach su tutti.

Quanto all’unione coatta fra Roma e Hogwarts, non sai quanto hai ragione! Ho penato molto nello stendere la traccia generale, proprio perché il mio cruccio era far funzionare questa improbabile miscela di lingue, culture, ambienti.

 

T Jill: Facciamo a gara di chi ha letto più fic? Una cosa è certa, però, nell’ambito astronavi e alieni sexy mi stracci alla grande, sto cominciando giusto adesso a muovere qualche passetto, grazie alla più spumeggiante traduttrice in circolazione!

Waa, prometto che mi farò ringraziare prossimamente anche per qualcosa di più tenero! Da un lato sono davvero felice di essere riuscita a rendere bene lo strazio della morte di Derevan e Marzio, dall’altra però mi sento talmente tanto in colpa che adesso ho quasi paura di distribuire troppa melassa in giro, per riscattarmi…

 

Dark: la parte finale ci voleva, eh? Pensa che non sapevo se tagliare subito alla fine del sogno e cominciare questo cap con l’incontro con Draco, ma alla fine mi sono detta che il solo sogno di Harry era troppo straziante per finire lì, ci voleva un minimo lumicino di speranza, per non indurre nessuno al suicidio!

 

Kumiko Shirogane: oddio, Draco che si attacca ad Harry fa molto sanguisuga *_*. Bella domanda, staremo a vedere cosa ne sarà dei nostri quadrupedi del cuore, e anche per quel che riguarda Harry e Draco ci sono molte incognite. Ma non temere, a tuto c’è risposta! Sempai? No, dai, che mi sento vecchia, dimostro già mille anni? Ç__ç

 

Cornelia84: ti ringrazio moltissimo, anche se riferiti ad una scena così drammatica, i complimenti sono sempre bene accetti! ^^

 

VavvyMalfoy: grazie mille! Buono studio del buon Giovanni, dai che in fondo è divertente, è pieno di ovvi riferimenti homo…

 

Blaise: sì, anche io amo i nostri adorabili legionari! Anacore è un tesoro, un vero eroe, come tutti quelli che non si sono dimenticati di avere un cuore.

 

Fann: oh, tesoro! Sei la solita esagerata. Anche io ti devo un grazie, per aver accettato quel mio malato progetto su cui attualmente mi sto spezzando la schiena… Evviva la soul’s appearance!

 

Little star: definire il capitolo vivo è un bell’azzardo XD. Ma ho capito perfettamente che cosa intendi dire, e ti ringrazio moltissimo. Nuuu, non conosco Host Club, ma mi fido, in fondo lo stile manga prima o poi frega tutti, volenti e nolenti! E grazie infinite per gli auguri!

 

The Fly: no, Draco ha sognato il momento in cui Derevan e Marzio venivano catturati con l’inganno da Tito, ti ricordi? Sicuramente, davanti a certe tragedie, anche i nostri eroi troveranno un po’ di forza per smettere di barricarsi…

 

Far: eh beh, ma se qualcuno non le versava, quelle lacrime, per Draco era peggio! Ti ringrazio veramente di cuore, sei sempre dolcissima e piena di bellissime parole, impagabile!

 

Friz: ti ringrazio molto per il complimento! ^^ E non ti abbattere, sono più che certa che puoi scrivere delle recensioni bellissime!

 

Rodelinda: Tu mi commuovi. Sì, scegliere di non dire, nel senso di non affrontare i sentimenti di Marzio, limitandomi ad una descrizione volutamente meccanica di azioni e parole, è qualcosa di assolutamente voluto. Non certo perché temessi la sfida, ma più che altro per una forma di rispetto. La sola cosa che umanamente si può pensare di fare, in un simile momento, è chiudersi in un sordo “cosa devo fare, cosa devo fare” che nemmeno la pretende, una vera risposta. Per questo, ho lasciato che il silenzio restasse tale, possibilmente che si intravedesse, anche per non rischiare di buttare tutto sul patetico.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Trumphator ***


CAP 12: Harry decide di dirlo anche ad Hermione, che gli consiglia di parlare con Draco, per cercare di chiarire le cose fra d

Si sarebbe volentieri preso a pugni con le sue stesse mani.

 

Nonostante Draco fosse cambiato radicalmente nei suoi confronti, dopo la brutta avventura della notte precedente, e nonostante tutto ciò che aveva visto, e le discussioni con Marzio, ancora non ci riusciva.

 

Non riusciva a fare un singolo passo verso Draco senza tremare da capo a piedi.

Se solo avesse potuto anche lui avvicinarlo, prendergli le mani e chiedergli se fosse un angelo mandato da un dio.

Un qualche dio dispettoso, magari, uno di quelli antipatici, che non ti verrebbe mai in mente di pregare.

 

La sua presenza si era fatta sempre più opprimentemente essenziale.

 

E nonostante ciò, niente da fare, buio assoluto, lingua impastata.

 

Grifondoro un bel niente, ecco cosa.

 

- Guarda un po’ qua. -

 

Draco gli piazzò sotto il naso una pergamena fitta di una calligrafia sottile, e un sassetto grigiastro. Serio serio, puntò il dito indice contro una riga.

 

- Qui dice che per trasfigurarlo in un rubino, devo pronunciare “ruber” e far roteare due volte la bacchetta. Ma non funziona. -

 

Harry si sforzò a prestare più attenzione alle parole tracciate sulla pergamena, che al dito che vi sostava sopra.

 

- Facciamo una prova. – propose.

 

Seguì le istruzioni, e subito il sasso si mutò in una pietra luccicante.

Draco arricciò il naso.

 

- Come hai fatto? -

- Ehm, come c’è scritto. -

- Impossibile. -

 

Con un movimento stizzito, fece tornare il sasso alla forma originaria.

 

- Riprova, più piano. – comandò.

- Provaci tu, invece. – ribatté Harry, suo malgrado divertito.

 

Con la scusa di non volersi far vedere dai suoi compagni in compagnia di un Grifondoro – del Grifondoro, che diamine – , Draco si rintanava a studiare soltanto in camera, se si eccettuava qualche sparuta spedizione in biblioteca, per motivi assolutamente fondamentali.

 

Così, Harry aveva adottato quasi senza accorgersene la stessa abitudine.

Quasi, perché in realtà la scelta era diventata necessaria, dopo che le ultime verifiche che aveva preparato con gli altri, lo sguardo più sull’orologio che sui libri, erano state un disastro, nonostante la presenza di Hermione.

 

Riuscire a placare la sua ansia di Draco era un toccasana per il suo rendimento. E poi, Draco sapeva il fatto suo in molte materie; guarda caso, quelle complementari alle sue.

 

Infatti, in Trasfigurazioni tendeva ad essere un disastro sconfortante.

Però ce la metteva tutta.

 

Harry si era abituato in fretta a questa inedita versione di Draco-secchioncello, che aggrottava impercettibilmente le sopracciglia prima di una qualsiasi operazione, che rileggeva diligentemente gli appunti, e solo alla luce di essi valutava il da farsi, e che quando si trovava di fronte ad un ostacolo, si incaponiva all’inverosimile finchè non riusciva a spuntarla, più per caparbietà che per zelo.

Proprio come…

Già.

Proprio come un piccolo mulo.

 

- Hai visto? – ringhiò, contrariato. – Ho fatto esattamente quello che hai fatto tu, ma lo stupido sasso non collabora! -

- E’ perché disegni il secondo cerchio un po’ più piccolo del primo. – osservò Harry. – Devi riuscire a roteare il polso per due volte in modo identico. -

- Impossibile. -

- Che stupido. Dai, riprova. -

 

Draco imprigionò la punta delle lingua fra i denti, mordicchiandola appena allo scattare della prima rotazione.

 

- Niente di niente! – esplose, indignato. – Maledizione! -

- Qui. -

Harry si tese all’indietro per permettere a Draco di sedersi sulle sue ginocchia. Gli afferrò il polso con decisione, agitandolo prudentemente. Quando fu certo di avervi preso confidenza, lo guidò affinché puntasse la bacchetta contro il sassolino.

 

- Avanti, pronuncia la formula. – lo invitò.

 

E appena Draco prese a scandirla, gli fece roteare la mano per due volte, mantenendola più ferma possibile.

 

Il sasso brillò, e subito dopo si trasformò in un rubino perfetto.

 

Draco sbattè le palpebre, allibito.

 

- Ce l’ho fatta. -

- Hai visto? -

- Oh, al diavolo, ce l’ho fatta, ce l’ho fatta! -

 

Si girò di scatto, brandendo ancora la bacchetta. Cacciò fuori un sorriso da brividi, monello e pienamente soddisfatto. E luminosissimo, molto più dello stupido rubino.

 

Harry trasalì. Improvvisamente, le ginocchia su cui Draco stava accomodato presero a bruciare, e così la mano con cui lo aveva tenuto.

Doveva esserglisi incendiata anche la faccia, a giudicare dall’espressione stupita, e subito dopo imbarazzata, di Draco. Che nonostante tutto non si rimise in piedi, non subito.

 

- Aehm, Harry, ti ringra… -

- Non serve, non serve. – disse precipitosamente il Grifondoro. – L’ho fatto volentieri. Sono contento che la trasfigurazione ti sia riuscita. -

- Sì. Sì, la trasfigurazione. Voglio dire… -

- E’ proprio perfetta. La pietra, sai… -

- Già. Beh, allora grazie. Per avermi aiutato. -

- Ma no. È stato un piacere. Cioè, se ti serve ancora una mano… -

- Sì, sì. -

 

Draco cominciò ad agitarsi. Decise di alzarsi, ma non si spostò dalla scrivania.

 

- Senti. – borbottò. – Tieni. -

 

Harry si vide porgere il rubino neonato da una mano un po’ esitante.

 

- Visto che mi hai aiutato. Insomma, adesso che ho capito, riuscirò a farne un altro. Perciò questo tienilo tu. Puoi spacciarlo per il tuo compito. -

 

Oh, Draco.

 

- E’ per ringraziarti. – puntualizzò nuovamente il Serpeverde.

- D’accordo. Come siamo gentili, signor Malfoy. -

- Hey, io non sono affatto gentile. Solo, ricambio i favori. -

- D’accordo. Allora, come sovrapprezzo mi lascerai fare la doccia per primo. -

- Ok… Hey! -

- A ha, hai detto ok! -

 

*          *          *

 

In effetti, era stato un motivo preciso quello che aveva spinto Harry a voler essere pronto per la notte per primo. Quello che Draco era lentissimo a fare la doccia, e che quindi, con ogni probabilità, lui si sarebbe già bello che addormentato, nel frattempo.

Voleva stare un minuto con Marzio. Un minuto soltanto.

 

- E così. – Marzio aveva una faccia né ilare né seria, ma che al contempo era entrambe. – Ti sei deciso, eh? -

- Non prendermi in giro. – borbottò Harry. – Non è affatto divertente. -

- Oh no che non lo è. – solidarizzò il Romano. – Ma devi affrontarlo. -

 

Harry gli scoccò uno sguardo bieco.

 

- La fai facile. Bah, avrei dovuto parlarne con Hermione. -

- Oh no che non avresti dovuto. Dovevi proprio parlarne con me, invece. Draco è qualcosa che riguarda noi. -

- Non riguarda affatto te. Riguarda me e basta. -

 

Marzio non trattenne troppo la mezza risata che tanta veemenza gli fece nascere spontanea.

 

- Va bene, va bene. Ma cerca di non voler strafare da solo, o saranno solo guai. Ricordati che mi stai offrendo la possibilità di sdebitarmi per ciò che stai facendo per me. -

 

Harry alzò gli occhi al cielo.

 

- Sentiamo, allora, hai qualche idea, grande stratega? Che dovrei fare? -

- Dirgli che lo ami. -

- Ma dico, sei impazzito?!? -

- Perché, non è forse la verità? -

 

Harry masticò rabbiosamente l’interno della guancia. – Certo che lo è. Ma secondo te posso andare a dirgli una cosa del genere? -

- Chissà. Magari sta solo aspettando questo. -

- Tu non conosci Draco. -

 

Marzio inarcò entrambe le sopracciglia, e Harry si mandò a quel paese da solo.

 

- E va bene, lo conosci, ma non… non così! Tu conosci Derevan, che è una persona totalmente diversa. -

- Io e te non siamo molto diversi. -

- E allora? -

 

Marzio fece spallucce.

 

- Ascoltami, lo so che non è semplice, ma non puoi fare altro che andare da lui e dirgli che lo ami. Né più, né meno. -

- Perché. – protestò Harry. – Ti pare che possa esistere qualcosa di più? -

 

Sul volto del Romano apparve un fugace sorriso, che da solo servì a raddolcire la sua espressione austera.

 

- Non lo so. – rispose vagamente, senza tentare di nascondere il suo divertimento. – Forse il vostro è un amore come tanti altri. O forse no. –

- Tzk. Parli proprio tu. -

- Oh Harry, non mi sopravvalutare. Io ho vissuto, e ho lottato, per un amore come ce ne saranno migliaia al mondo. -

 

Amareggiato, Harry stava per replicare che beh, per lui le cose non sarebbero affatto andate così. Lo prevenne Marzio, che torturando con il piede due foglioline incollate dall’umidità, le fece staccare.

 

- In verità, il nostro amore non sarebbe mai dovuto esistere. – mormorò. – E non so se questo sia stata la nostra condanna, o la nostra forza. Tutte le volte che ho provato a lasciarlo andare, mi sono sentito mancare il fiato, eppure avrei dovuto saperlo che lo facevo solo per il suo bene. No? -

 

Harry non rispose. Tanto, la domanda non era rivolta a lui.

 

- Ma l’amore rende egoisti. Ti spinge a voler restare accanto a quella persona ogni singolo istante della tua vita, a stringerla più forte, sempre più, fino a renderla parte di te stesso. Per sentirti più sicuro, per ripeterti che non la lascerai andare mai. Forse eravamo troppo giovani entrambi, forse questo nostro amore ci è piovuto addosso come una tempesta inarrestabile, come… -

 

Marzio sollevò una mano a mezz’aria, accogliendo nel palmo una foglia di un curioso arancione vivace. – Come queste foglie. Arrivano. -

 

Derevan si materializzò alle loro spalle, e subito corse a buttarsi nell’abbraccio di Marzio.

Al diavolo, Harry valutò che ci voleva una bella faccia tosta, a dire che il loro amore era come tanti altri.

 

Rifletté sul fatto che, se avesse dovuto dare un giudizio così, su due piedi, schietto, avrebbe decretato che Derevan era più bello di Draco.

Pur essendo minime, le differenze fisiche fra di loro, giusto quel dito di statura, quella pelle un po’ più arrossata e i capelli tagliati in maniera differente, Derevan possedeva una bellezza più…

Più ricca, ecco.

 

Stupidamente, però, Harry sapeva anche che, se avesse dovuto scegliere, avrebbe scelto Draco senza pensarci un secondo.

Avrebbe scelto il gemello cattivo, fra i due, quello più complicato, più ingarbugliato. Avrebbe preferito il boccio, al fiore già sbocciato.

 

- Miles meo! -

 

Marzio se lo abbracciò, sorridendo.

 

- Addirittura? – commentò. – Sei diventato un vero esperto! -

- Sai, mentre ti aspettavo ho cercato di imparare meglio il latino, ascoltando i tuoi compagni. – spiegò Derevan, annuendo vigorosamente. – Pensavo che quella sarebbe diventata la lingua di tutta l’isola, e credevo che così ti avrei trovato più facilmente, però… -

 

Marzio gli avvolse teneramente un braccio attorno alle spalle. – Non ci sei riuscito? -

 

- Non molto. Tu eri così bravo ad insegnarmi le parole. Ti ricordi? Quando non ti capivo, tu prendevi la tua bacchetta, e facevi apparire a mezz’aria l’oggetto. E poi mi ripetevi la parola, finchè non riuscivo a pronunciarla. -

- Sì, certo che me lo ricordo. -

- Com’ era quella parola complicatissima? Quella che non riuscivo mai a ripetere? -

- Quale parola complicata? -

 

Derevan si morse il labbro inferiore, e cercò di concentrarsi. – Quella strana. –

- Oh. Tryumphator. -

- Proprio quella! Tirun… -

- Non ci pensare. Ormai sono suoni di nessuna importanza. –

 

Derevan fece ciondolare leggermente la testa, indeciso. – Ricordo che fu l’unica parola che non riuscisti a spiegarmi. Mi dicesti che non potevi farla apparire con la tua bacchetta, che non sapevi come farmene comprendere il significato. Mi sentii molto sciocco, perché sentivo che ne parlavi come se fosse qualcosa di ovvio, di semplicissimo. Eppure, per me era un concetto lontanissimo. -

 

- Ti sei addormentato senza aspettarmi. – borbottò Draco, immusonito.

Harry si schernì dietro ad un sorrisetto colpevole.

- Scusa. Sono crollato senza nemmeno accorgermene. – mentì.

- Tzk. Il solito scansafatiche. -

- Hey, sei tu che ci impieghi anni a farti una doccia. -

- Perché la doccia me la faccio, io! -

 

Un rimpallo di linguacce concluse degnamente il breve battibecco.

Appena in tempo, per altro. Nemmeno riuscirono a mandarsi all’inferno, che furono tutti e quattro catapultati via.

 

Anzi, no.

 

Rimasero esattamente lì dov’erano, sotto gli alberi snelli della piccola macchia boschiva. Solo che Derevan e Marzio si erano sdoppiati, e una delle due coppie non sembrava particolarmente felice.

 

- E cosa possiamo fare? Andare avanti così? – stava borbottando amaramente Derevan. – Tu che non ti decidi a dare l’ordine di distruggerci, e io che non riesco a chiedere alla mia gente di arrendersi. -

- Vorrei lasciarvi in pace. Tu lo sai che è vero. – fu l’accorata risposta. – Darei la mia spada, per far ritirare i  miei uomini e lasciarvi vivere in pace. -

- Ma non puoi farlo. Marzio, il mio popolo appartiene ad un tempo che non è più, siete voi il futuro. Presto o tardi noi soccomberemo, così come voi soccomberete, un giorno, a qualche forza più grande di voi. È la legge del mondo. -

- Oh tu che parli di queste leggi arcane che conosci, dimmi che cosa dovrei fare, allora. Io non voglio perderti. -

- Non lo so. – rispose Derevan, con un sorriso che esprimeva una tristezza immensa. – Non so risponderti. Credo di essere cieco del tuo stesso amore, perciò non riesco a vedere niente di ciò che si estende oltre il tuo mantello. - 

 

Draco si fece più vicino a Harry.

Non tentò nemmeno di dissimulare il suo gesto.

Probabilmente, era spaventato, da ciò che stava sentendo.

 

- Il tuo popolo redige grandi libri di memorie. Me lo ricordo, me li mostrò Anacore. Se tu mi dimenticassi, il tuo nome entrerebbe fra quelle pagine eterne. Perciò liberati di me, e vivi per sempre, vivi nella gloria che ti spetta. -

- Non mi importa niente di vivere per sempre. -  Marzio quasi gridò sulle labbra dell’amante. -  Non mi importa più della gloria, dell’onore, oh Derevan, non voglio niente di tutto questo. Non voglio vivere in eterno, non voglio vivere nemmeno un giorno senza di te. -

 

Sapere quanto fossero vuote quelle parole, di fronte ad un destino che si sarebbe compiuto comunque, faceva mancare la terra sotto i piedi. Nessuna pagina eterna per nessuno dei due, Harry poteva ben dirlo, memore di tutte le ricerche fatte per venire a capo del mistero.

La storia li aveva spinti l’uno verso l’altro, ma poi li aveva dimenticati.

 

Esistono grandi opere, scritte da grandi uomini, che raccontano di grandi amori.

 

Un vero peccato, che nessuna di esse riporti nulla di reale. Che nessuno si ricordi di due amanti immensi e sfortunati, che non hanno lottato contro draghi, né contro pozioni magiche, ma che sono caduti di fronte ad una realtà inattaccabile, quella di un tempo, di un luogo, di tutto l’universo che li teneva, che li pretendeva separati.

Perché, alla fine di tutto, è questo, no?

In qualunque epoca, in qualsiasi posto del mondo, ci sono persone che si incontrano per non lasciarsi mai più. Alcune sono favorite dalla sorte, e vivono felici la loro vita; altre affrontano ogni giorno tanti piccoli grandi problemi, e vanno avanti, con il sorriso sulle labbra; altre ancora, invece, si perdono, spesso senza rendersi conto che si stanno buttando via, volenti o nolenti che siano.

Si lasciano perché così non può andare, perché talvolta troppo sole che illumina un sentiero fa più paura del buio.

 

- Noi ci amiamo! È mostruoso, questo? Dimmelo, è mostruoso? -

Derevan si ritrasse, digrignando i denti. – No. - gemette con una mano sulla bocca. - Ma fa tanto, tanto male. -

- Lo so, piccolo sole. Un amore come il nostro fa male, a volte. Questo è il suo enorme potere>>

 

Una legge, poco più di un’usanza, era stata loro fatale. Una legge per la quale Marzio aveva tante volte brandito la spada con orgoglio, lo aveva ammesso lui stesso, e per la quale, con lo stesso orgoglio, moriva, Romano fra i Romani.

 

Chissà per quale motivo, a Harry tornò in mente il ricordo di quel giorno maledetto, e la sensazione precisa di come Marzio non temesse né rifuggisse la morte, anzi. Semplicemente, non avrebbe voluto portare Derevan con sé, avrebbe preferito vederlo vivere tutti gli anni che gli sarebbero spettati, anche a costo di dover vegliare per sempre su di lui come un invisibile spettro.

 

- Ogni momento che riesco a rubare al mondo, per poter stare con te, è vitale. È più prezioso di qualunque tesoro, perché è precario. Quando ci incontriamo, ogni volta che ci baciamo, è come se salissi in equilibrio su una passerella sospesa sul vuoto. Corriamo un pericolo tanto grande che sarebbe follia per chiunque altro. Ma non per noi. -

- Forse perché siamo folli. -

- Sì, luz mea una, lo siamo, probabilmente. Però chiedimi di soffrire per te, e lo farò, chiedimi di ridere, quando ti vedo ridere, chiedimi di fare qualunque follia. Ma non chiedermi mai di pentirmi, o di provare vergogna. Non ci riesco. Da una parte, la colpa mi trafigge, ma dall’altra, io so di non poter rinunciare a te. Mi sento un uomo colpevole, sì, ma non un uomo spregevole. Con te, io vivo sempre nell’onore di una promessa. –

Derevan chinò il capo ed osò sfiorare il braccio del Romano. - Hai detto che avremmo dovuto aspettare. – disse, esitando. – Allora aspettiamo, ti prego, aspettiamo che qualcosa accada, che qualche dio venga a salvarci. Non c’è nulla che tu, né io, possiamo fare, non serve dibattersi in questa rete di spine. -

 

Marzio gli voltò le spalle, e per qualche secondo si aggirò su sé stesso come una bestia in gabbia. – Io non so che fare. – confessò. – Vorrei proteggerti da tutto questo, ma prima dovrei proteggerti da me. L’amore che mi porti non può condurti alla disgrazia. Se potrò salvare almeno te, sappi che lo farò. -

- Tu sei testardo, uomo di spada. – sorrise dolcemente Derevan. – Ma io verrò con te. Se questo è scritto nel mio destino, di lasciare la mia bella terra per un paese straniero, lo farò. Se sarà di morire, morirò, non ho paura. Seguirò l’ombra del tuo mantello, ovunque essa mi condurrà. -

- Anche se dovesse condurti al nulla? -

- Non puoi chiedermelo. Non lo so, cosa sarà di noi, del nostro misero amore. -

- Forse non resterà altro che polvere. Null’altro che polvere. -

 

Faceva fatica a crederci.

Che lo stava baciando.

Impacciatamente, con gli occhi socchiusi e le labbra tese.

Tutta colpa della polvere.

 

Della paura che anche Draco finisse in polvere, dio, dovevano arrivare due anime disperate per aprirgli gli occhi su ciò che rischiava di perdere?

 

Draco era, se possibile, ancora più rigido di lui. Ma per Harry non esisteva niente al mondo di più morbido di quella bocca sottile, sicuramente sorpresa.

 

Non aveva idea se Marzio lo stesse vedendo, non gliene importava nemmeno molto. Avrebbe tuttalpiù voluto gridargli “hai visto?”, ma in quel momento poteva anche lasciar perdere.

Lasciar perdere tutto.

 

*          *          *

 

- Come fai a non odiarlo. – domandò Draco a bruciapelo. – E’ colpa sua se ti hanno ucciso. Saresti potuto scappare, e salvarti, perché non lo hai fatto? -

l’Iceno afferrò uno dei rami del salice, giocherellandovi delicatamente. - Perché l’ombra del suo manto indicava un’altra direzione. – rispose. – Non lo odio, Draco, non potrei mai. Lui mi ha dato la morte, ma prima ancora mi ha dato la vita. –

 

Draco aprì la bocca per replicare, invano. Derevan lo afferrò per il polso, opponendosi all’aria sferzante.

 

- Sei pronto? – domandò, allegro. – Li raggiungiamo. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

L’ultimo pezzetto è, spero sia chiaro, un minuscolo dialogo che Derevan e Draco hanno avuto, prima di comparire nel boschetto di Marzio, quando il Romano annuncia ad Harry “arrivano”. Volevo inserirlo nella corretta sequenza cronologica, ma poi ho pensato che sarebbe stato più bello distaccarlo e lasciarlo in fondo, come un pezzettino di puzzle capriccioso.

 

Per il resto, eccoci. Abbiamo aspettato molto, eh? Mi picchiate se vi dico che comunque, secondo me, non è stato troppo? Una volta tanto non è stato un colpo di fulmine, il loro, ma un qualcosa che è maturato lentamente, giorno dopo giorno, fino ad esplodere, quello sì, in un colpo di testa figlio anche, se vogliamo, di un po’ di paura.

 

NOTA linguistica: a noi la parola triumphator può suonare tutto sommato familiare. Ma, al di là del suo significato nel contesto della storia, si tratta di un lemma effettivamente ostico.

Innanzitutto, considerate che la pronuncia dovrebbe somigliare a “Tryvumpfàtor”, perché ph non va letto propriamente “f”, e la i, come la u, assumevano un suono “y” simile a quello greco. 

Secondo step, mettetevi un attimo nei panni non di noi che parliamo un lingua neolatina, ma di un disgraziato Iceno che parla un dialetto celtico ^^

 

 

 

 

Cornelia: ti ringrazio moltissimo. Ahimè sì, è stata veramente una scena complicata da organizzaree da gestire, ci tenevo molto a renderla al meglio.

 

Draco Malfoy: eh sì, il capitombolo di Draco è stato piuttosto illuminante, non trovi? Alla fine, eccoti accontentata!

 

Lily 4 ever: complimenti per il recupero di tutti questi capitoli! ^^ Ti ringrazio molto,sono felice che la storia ti piaccia, spero continuerai a seguirla!

 

T Jill: diciamo che ci mancava solo che mi cadesse una tegola in testa, ed ero a posto! ^^ Hihihi, toglimi una curiosità, la tutina blu è utile alla traduzione, o te ne stai comoda in braghette corte? E per finire… viva la melassa!

 

Puciu: sei una gioia, grazie infinite per le tue parole, per le tue considerazioni, per la tua pubblicità e anche per il canto celebrativo. Visto che è stato d’aiuto? Non preoccuparti, ho intuito chi fosse Clara dal fatto che parlavi al plurale…

 

Dark: sììì, sono meravigliosi! Ma il merito non è mio, lo giuro, io non faccio proprio un bel piffero! Hihihi, certo, ciancio alle bande è un po’ il mio motto XD

 

Kumiko Shirogane: eeeeh, mia cara, la Cooman non sai mai come prenderla! È una saggia o una squinternata? O entrambe?!? Quel che c’è di sicuro è che ora non si permetterà più di dare dello spirito maligno al povero Derevan, o Marzio la taglia a metà. E anche Harry, mi sa!

Yes, vai con Stateira-neesama, non mi fa più sentire vecchia, e poi ha una certa assonanza con Byakuya-neesama *__*. Guarda, se ti interessa, io ho trovato quella fra setta di promo nella fic di qualcuno, onestamente non ricordo chi, dove c’era scritto che la si può copiare e mettere anche nei propri lavori. Perciò puoi farlo anche tu!

 

The fly: yes, il passo avanti c’è stato, per fortuna! Sono d’accordo, il primo incontro non poteva essere qualcosa di artificioso, sarebbe stato troppo forzato.

 

Fra ro: eccoti accontentata, e grazie della recensione!

 

Smemorella: hihihi, evviva, anche tu contagiata dal magico mondo dei manga! Guarda, se la tua indole è simile alla mia, ti proporrai di cominciare con calma, ma poi finirai con il divorare volumi su volumi, preda della curiosità! Hihi, carino il promo, eh? Non è mio, però, non posso vantarne la “maternità”! in ogni caso, hanno colto, hanno colto! E secondo me, è tutto merito della Cooman, e della sua imperscrutabile saggezza.

 

Far: ma dai, non sono tonti! Definiamoli, ehm, un po’ patatoni, ecco. E poi sai, le circostanze, il compito di Pozioni che incombe, i cereali un po’ possi di colazione, uno non può mica essere sempre lì attento a… ok, ok, sono tonti. -_-

 

Koorime: mi sento male. Ok, allora, mi immergo nella lettura! *torna tre ore dopo* Innanzitutto, Gai-sensei! Ç__ç idolo e modello di vita, illumina le nostre giovani vite! Ehm, ok, riprendiamoci. Yes, difendo Draco e il suo gesto scaramantico. Era necessario. Altrimenti la fic si chiudeva qui, con la sua tragica dipartita. Per il resto, guarda, è tutto un gran casino, che se solo ci penso mi viene da piangere. Perciò le spiegazioni sono rimandate a data da destinarsi! Hihi, sull’entrata in scena un po’ ci avevo pensato anche io. È che è una verità, in fondo Derevan è esibizionista tanto quanto Draco, ma in modo assolutamente ingenuo e naturale. Draco tende a sbatterti in faccia ciò che possiede, Derevan se ne va in giro come niente fosse con un unicorno al seguito, e una bellezza che traspare da ogni dettaglio della sua figura. La morale è che sono entrambi dei megalomani!

Per la domanda, sì, è senz’altro parte di quel nebuloso sistema di regole che dà anche un valore temporale agli incontri. Innanzitutto, bisogna raggiungere un sonno profondo, altrimenti ogni sonnellino sarebbe terreno di incontro. E poi, occorre un certo lasso di tempo, vedersi per dieci minuti non avrebbe senso.

 

Vampire Berry: ciao, piacere di conoscerti! Ricambio le felicitazioni per te e per Clara, certe brutte esperienze, quando sono superate, diventano un tesoro di insegnamenti, non ci sono dubbi. E Puciu è una ragazza d’oro, posso dirlo da quel pochino che ci si trasmette in questi momenti di dibattito/risposta; è sempre entusiasta, affettuosa, sensibile. Sì, se li merita proprio dei ringraziamenti! ^^ Benvenuta nel sito, e grazie dei complimenti!

 

Blaise: grazie infinite! Sì, ora che siamo in procinto di fare un bel po’ di passi avanti, ogni nodo viene al pettine, soprattutto per Draco, a quanto sembra! Ottimo a sapersi, che l’aiutino è servito, in effetti ogni volta che scrivo le note alla storia mi chiedo sempre se qualcuno le legge o no -__-

 

Sakura: sono sicuramente d’accordo. La scena di per sé vuole essere dolce, dolce come un primo incontro deve essere. Però, non possiamo dimenticarci come, irrimediabilmente, andrà a finire, e per questo, in ogni sorriso si vede un pochino di tristezza.

 

Herm83: sono felicissima per le tue parole. Come mi fa tanto piacere una recensione ricca e articolata, mi piace anche quando qualcuno ammette di non sapere cosa dire, è pur sempre un segno che si è riusciti a trasmettere un’emozione!

 

Little Star: hihihi, mi fai pubblicità a modo tuo, insomma! ^^ Ma dai, tu la spieghi benissimo, è proprio la storia in sé che è complicata, ci credo che queste poverette non si raccapezzano più!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Alea iacta est ***


Draco è silenzioso e distaccato

 

La luce ferì gli occhi di Harry che già era vivace.

 

Il Grifondoro ci mise un secondo o due, per decidersi ad aprire gli occhi. La testa vorticava furiosamente per il sonno e per la marea di sensazioni rimaste incastrate nei suoi sogni, che adesso minacciavano di riversarglisi tutte addosso, appena la nebbia dello stordimento si fosse dissipata.

La notte appena trascorsa, già.

Socchiuse finalmente le palpebre, trovandosi davanti il peggior buongiorno che potesse sperare di ricevere.

 

Niente Draco.

 

Provò ad aguzzare le orecchie, ma niente, non un singolo fruscio dal bagno. D’accordo, probabilmente era scandalosamente tardi, ma non svegliarlo nemmeno…

Si mise in piedi, decidendo che avrebbe almeno tentato di vestirsi in fretta, per non saltare la colazione. Inoltre, Draco doveva per forza essere nella Sala Grande. Controllò l’ora: aveva un quarto d’ora scarso per mettere sotto i denti qualcosa.

 

Si precipitò di sotto, ripetendosi che era abbastanza per mangiare e per intercettare Draco, ma, scioccamente, non fece i conti con il fatto che, per il suo stomaco, “Draco” e “colazione” non risultavano compatibili.

Lo vide lì, compostamente seduto al suo solito posto, che rosicchiava del pane tostato con un velo di miele e annuiva di tanto in tanto al fitto chiacchierare di Theodore Nott.

E gli passò l’appetito.

 

- Hey, va tutto bene, Harry? -

 

Figurarsi.

Era già sempre più difficile scindere il sogno dalla realtà. Che poi, non si trattava nemmeno di sogni. E, maledizione, un momento prima lo stava baciando, un momento dopo era come non conoscersi, era fingere, o forse no, e questo gli faceva paura.

Che cosa avrebbe dovuto fare?

Alzarsi, andare da lui, dirgli che per lui non faceva alcuna differenza, se erano quattro alberi o le mura vecchissime di Hogwarts a tenerli vicini?

… abbracciarlo?

 

Draco si ostinava a mantenersi illeggibile. I sorrisi che propinava a Nott, lui lo vedeva, erano finti. Ma che cosa celassero, questo non era ancora capace di interpretarlo.

Più che altro, aveva una paura atroce di fare un passo falso, di dire una parola sbagliata, e farsi sbattere in faccia quelle poche porte che era riuscito a farsi aprire. Soprattutto ora che ogni lucchetto era diventato così dannatamente importante.

Lo guardò con insistenza per tutto il tempo, tra un misero sorso di caffèlatte ormai tiepido e l’altro. Si stupiva di sé stesso, di come riuscisse a condurre una conversazione decente con gli altri senza farsi scoprire.

Draco sarebbe stato fiero di lui.

 

- Dai, muoviamoci, abbiamo la lezione di Hagrid adesso, ci rimarrà male se arriveremo in ritardo! -

 

Draco non si alzava. Anche se la tavolata del Serpeverde era ormai mezza svuotata, lui insisteva nel rimanersene seduto a sorseggiare qualcosa, conversando con i suoi compagni più vicini con assoluta naturalezza.

Non ci voleva molto, a capire che lo stesse facendo apposta. Non si sarebbe mosso da lì nemmeno se lo avessero cacciato via, non finché Harry non si fosse levato di torno.

 

Sconfitto, si rassegnò a seguire Hermione, sgambettando mestamente verso il limitare della Foresta.

 

Tanto, il povero Hagrid ci sarebbe rimasto male comunque, per la sua totale mancanza di attenzione. Si era dato ad un’appassionata spiegazione su una graziosa specie di farfalla, carnivora e velenosa come un cobra, ma Harry aveva altro a cui pensare.

E mentre le parole “antidoto”, “notturna” e “ali” si rincorrevano l’un l’altra nell’aria, lui si era immerso nella ricerca di una qualche spiegazione da poter dare al comportamento di Draco.

 

Era stata una mossa azzardata, la sua. Pochi dubbi a riguardo. Ma, a quel punto, si sarebbe aspettato un cazzotto sul naso, un paio di maledizioni da schivare, anche solo una scenata. Non il gelo, non il silenzio, non la precisa volontà di evitarlo. Questo non aveva senso.

Quella notte, tanto, si sarebbero dovuti rivedere per forza.

Perché, per quanto infantile potesse essere Draco, non se ne sarebbe andato, vero? Non un’altra volta, per lo meno, perché lui non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Si sarebbe scusato con lui, se si fosse reso necessario, ma non poteva giocare un tiro simile a Marzio e a Derevan, non adesso. Da tutto questo macello, doveva riuscire a salvare almeno loro.

 

- Harry. -

 

La lezione era terminata in un soffio, ed Hermione lo costrinse a guardarlo negli occhi, stanca delle ore di ottuso silenzio dell’amico. Sapeva come farlo sentire in colpa, se voleva, con quel suo sguardo limpido e indagatore.

 

- Scu…scusa, Hermione. Devo andare. -

- Che cosa sta succedendo? Me lo vuoi dire? -

- Niente, non succede niente. Devo andare a parlare con Draco. -

- Ci stai escludendo da questa storia. C’è qualche motivo, vero? -

- Ma no, cosa te lo fa pensare. Devo solamente dirgli che… niente di importante. -

- Harry. – Hermione inspirò a fondo, annunciando la sua intenzione di affondare il coltello in qualche brutta piaga. – E’ da questa mattina che non proferisci parola. Sei anche arrivato in ritardo, non hai mangiato, e non hai fatto altro che fissare a vuoto il tavolo di Malfoy. -

- Ma io… -

- Non mi interrompere. Credi che ti conosca così poco? Credi che non mi accorga di queste cose? Harry, tu hai qualcosa, e io sono preoccupata perché una volta tanto non riesco a capire come posso aiutarti a… -

 

Non terminò la frase.

Harry la abbracciò con foga, finendo con il viso immerso nella massa dei suoi capelli mossi.

 

- Grazie, Herm. – sussurrò con la voce incrinata. – Davvero. Grazie. -

- Oh, Harry. –

Finalmente, anche lei ricambiò la stretta, un po’ sorpresa, un po’ commossa, e un po’ imbarazzata.

- Voglio solo aiutarti. -

- Lo so. -

- Allora dimmi come fare. -

- Non posso. Non lo so nemmeno io, come aiutarmi. -

- Si tratta di Marzio e di Derevan, vero? Non siete ancora riusciti a liberarli? -

- No, non ancora. Abbiamo visto molte cose, insieme, abbiamo capito che cos’è successo, ma stiamo ancora aspettando. Marzio crede che il motivo sia che dobbiamo riuscire a vedere qualcosa di importante. –

- Ma allora è vero che potrebbero volerci anni. -

- Sì. Ho paura di sì. -

- Senti, non sta accadendo nulla di pericoloso, vero? -

Harry sorrise. Hermione era sempre Hermione.

- No, niente di pericoloso. Il peggio che mi potrà capitare è che mi si spezzi il cuore. Niente di più. -

 

Hermione sbarrò gli occhi, e allontanò precipitosamente da sé l’amico.

- Harry, tu… -

- Scusa. – replicò lui, con un debole sorriso. – Scusami, per averti fatta preoccupare. Ora sarà meglio che vada, o non riuscirò più a trovarlo. -

 

*          *          *

 

La memoria non lo aveva ingannato.

 

Draco usciva in quel momento dalla lezione di Divinazione, proprio con la cara, vecchia Cooman. Dalla sua espressione, si deduceva che nemmeno quella volta si era riusciti a ricavare qualcosa di sensato dal suo arzigogolato parlare.

 

- Aspetta. -

 

Draco se lo vide sbucare da dietro una nicchia. Allarmato, si guardò attorno, ma nessuna via di fuga si prospettava nelle vicinanza: Harry lo aveva incastrato. Dopotutto, era prevedibile.

 

- Draco, ho bisogno di parlarti. -

- Ehm. Devo andare a cercare un libro… -

- Lo cercherai dopo. -

- Ma è davvero molto importante. -

 

Harry lo fulminò con lo sguardo.

- Vieni con me. – ordinò, e a Draco non rimase altro da fare che seguirlo.

 

Finirono nel posto più inaspettatamente banale che Harry potesse immaginare.

 

Scagliò un ciottolo nell’immobilità del Lago Nero, che si infranse in tante piccole onde offese.

Come il giorno di mille anni prima, in cui avevano parlato per la prima volta. Ricordava Draco per come lo aveva visto allora, strano e fragile, diversissimo dalla persona che aveva davanti ora.

 

- Non voglio farla lunga. – annunciò. – Vorrei solo sapere perché da stamattina stai cercando di evitarmi. -

 

Draco, che si era accovacciato su un grosso masso, alcuni passi dietro di lui, non rispose subito. Si abbracciò le ginocchia, tenendo prudentemente lo sguardo sulle proprie scarpe. Stava elaborando una strategia, ma non aveva l’aria di chi avesse voglia di mentire.

 

- Sono un po’ sottosopra. -

- Lo sono anch’io. Draco, senti, per quel bacio… Sono stato avventato. Voglio dire, se ci vuoi pensare su io ti capisco benissimo. Solo, per favore, smettila di ignorarmi. -

 

Draco smise di guardarsi i piedi, per fissare la schiena del Grifondoro, ancora intento a distrarsi dalla tensione con i sassi della riva. Si stagliava sfumando nei colori tersi di quella tarda mattina con poche nuvole, coperta dal mantello scuro dell’uniforme e da qualcosa che non riusciva ad interpretare, una sorta di cortina opaca.

 

Si strofinò gli occhi, e capì: le dita erano bagnate.

 

- Io… - si sforzò di scandire. – Io non lo so. Ho sbagliato, avrei dovuto fermarti. -

- Non dire così, non è successo nulla di grave. -

 

Harry gli si fece vicino.

Maledizione, no.

Non in quel modo.

Non con quel modo di fare comprensivo, non con quel mezzo sorriso dolce.

Sentì che stava per scoppiare.

 

- Hey. Draco, che cos’hai. -

- Mi dispiace. –mormorò a fatica. – Mi dispiace. Io credo di essermi innamorato. -

- Draco… -

- Di Marzio. -

 

Harry sbarrò gli occhi.

Si sentì mancare il terreno sotto ai piedi, e lo stomaco rivoltarsi come se fosse stato preso a pugni, ma ne era certo, non era in un sogno.

Non poteva nemmeno sperarlo.

 

- Scusa. – soffiò Draco. – Ora sarà meglio che vada. -

- As-aspetta. -

 

Gli afferrò la manica con più forza del dovuto, bloccandolo a metà di un passo.

 

E non seppe cosa dirgli. Lo aveva fermato così, impulsivamente, senza avere nulla da aggiungere, senza sapere che parole usare.

Draco non cercò di liberarsi, ma la sua espressione mortificata lo fece inorridire.

 

Fino a pochi istanti prima avrebbe dato qualsiasi cosa per poter stare qualche secondo con Draco, mentre ora non desiderava altro che scappare via, oppure ancora meglio, tornare indietro fingere che non fosse mai successo niente.

Marzio.

Lo odiò con tutto se stesso.

 

- Dovresti parlargli. – gracchiò malamente, senza nemmeno guardarlo negli occhi.

 

Draco non se l’aspettava proprio, un’uscita simile.

 

- Non credo che… -

- Ma sì. – Harry si fece coraggio, e in qualche modo riuscì a mettere insieme un mezzo sorriso abbastanza convincente. – Se è questo ciò che provi, devi dirglielo. –

- Lo credi davvero? -

 

Annuì. In realtà, sperava soltanto che Marzio gli mandasse il cuore in frantumi, e questo era orribile da parte sua, ma non era giusto, lui aveva già Derevan, non aveva assolutamente il diritto di prendersi anche Draco.

 

La situazione di partenza, tutto d’un tratto, era ribaltata: adesso era Harry che si trovava ad avere paura di dover passare tutta la sua vita al fianco di Draco, ma soltanto per essere il veicolo attraverso cui permettergli di vedere colui che davvero desiderava.

Perché a quel punto, Marzio sarebbe rimasto con loro per sempre, e lui avrebbe finito con l’impazzire.

 

Si sentì un criminale. Avrebbe dovuto augurarsi con tutto il cuore la felicità di Draco, ma quelle sono solo belle favole, perché la verità è che se la felicità di Draco non poteva essere lui, non era la stessa cosa.

 

- Sì. Parlagli. -

 

Draco puntò un piede per terra, indeciso.

 

- Ok. -

- Stanotte stessa. -

 

Quella stessa notte, sì.

Dato che doveva mettere in gioco ogni cosa, tanto valeva farlo in fretta.

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Questa settimana non riesco a rispondervi, sorry! Ho gli imbianchini in casa, perciò sono costretta a scrivere le storie in altra sede, è già un miracolo che riesca a connettermi tre minuti per aggiornare, destreggiandomi fra pennelli e cellophane!

 

Per fortuna, da settimana prossima tutto dovrebbe tornare alla normalità. Inclusi i miei fumetti, che al momento giacciono in due scatoloni sigillati, in attesa che le mensole ritornino al loro posto  -___-

 

 

NOTA: naturalmente, il titolo del capitolo si riferisce alla celeberrima frase di Giulio Cesare, “il dado è tratto”. Harry ha giocato la sua carta, suggerendo a Draco cosa fare, perciò, nel bene o nel male, adesso non ci si può più tirare indietro.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Veritas ***


CAP 14: Marzio parla con Draco, aiutandolo a capire che non è di lui che si è innamorato

- Capisco. –

 

Marzio si passò nervosamente una mano fra i capelli corti della nuca, prendendo tempo.

 

- Draco, io credo che tu sia molto confuso. –

- Confuso? – Draco inarcò un sopracciglio, poco convinto. – Senti, la situazione è già abbastanza imbarazzante. Se devi mandarmi a quel paese, almeno non girarci intorno. –

- Nessuno vuole mandarti a quel paese. Sto solo cercando di capire ciò che provi davvero. –

- Ciò che provo davvero? Tzk, lo saprò io, no? –

 

Il Romano si lasciò scappare un sorriso, che si tramutò subito dopo in un’espressione colpevole. – No non credo. – rispose, tutto serio. – Ascolta, proviamo a ragionare. Mi conosci da quanto, un mese? Poco più? Harry invece da quanto lo conosci? –

- Non cercare di cambiare discorso. – lo interruppe Draco, nervoso. – Senti, ho capito come stanno le cose, sai? Tu non sei interessato a me, perché hai già Derevan. -

- Sì che sono interessato a te, invece. – protestò Marzio. – Tu sei un ragazzo in gamba, intelligente e pieno di energia. –

- Ma non sono come lui, vero? –

- Certo che no. -

 

Draco strabuzzò gli occhi.

L’aveva sempre saputo che Marzio era un soldato. Il numero uno dei soldati, ma pur sempre un soldato. Conoscendo Harry, poi, non si era mai aspettato da lui uscite da gran signore.

Però, Merlino, una mancanza di tatto del genere era inaccettabile! Ma qualcuno si era mai preso la briga di insegnare un po’ di educazione, a quello?

 

Marzio gli tese una mano, ma Draco rimase ottusamente sordo al suo invito. Si arrese con un sospiro.

 

- Lui è Derevan, e tu sei Draco. Non la capisci, questa differenza? –

- E’ ovvio che la capisco, che razza di domande. –

- Non ne sono sicuro. Altrimenti non credo che saresti qui a farti venire una congestione alle guance per colpa mia. –

 

In simpatia, le guance di Draco si infiammarono ancora di più. Proprio un bell’aiuto.

 

- Tu somigli a Derevan molto più di quanto non sembri a prima vista. Ma ciò che hai vissuto, le sfide a cui sei stato chiamato, l’ambiente, tutto quanto è diverso. E di conseguenza, anche tu sei diverso. Tu possiedi una freddezza che lui non conosce, sai farti valere, e sei mille volte meno leggibile. Perché la tua vita ti ha portato ad essere così. Perciò, io vorrei che ora tu ti facessi una domanda, Draco. Che ti chiedessi se è davvero me che vuoi, o se invece è ciò che hai visto fra me e Derevan, a suscitare in te tanta invidia. –

- Non è invidia, la mia. – ringhiò Draco, sentendosi improvvisamente con le spalle al muro. – Tu sei stato coraggioso, hai fatto di tutto per difendere ciò in cui credevi, e per questo… -

- Di eroi al mondo ce ne sono tanti, Draco. – lo interruppe Marzio, stringendosi nelle spalle. – Se vuoi saperlo, ce n’è uno proprio dietro a quell’angolo laggiù, che aspetta soltanto di potertelo dimostrare. –

 

Draco inghiottì a vuoto.

 

- Harry non… -

- Non è come me? –

 

Marzio rise di cuore.

 

- No, infatti, non è come me. e voi due non siete mai andati troppo d’accordo. –

- Per niente. –

- … Fino ad ora. Mi sbaglio? –

 

Il Serpeverde aggrottò severamente le sopracciglia.

Perché, onestamente, ci mancava soltanto che ora Marzio cominciasse fargli una tirata sul suo brutto rapporto con Harry, sul fatto che fosse tutto sbagliato, e che bla, bla, bla. Lo sapeva benissimo anche lui, di non riuscire a stare vicino ad Harry per più di un’ora senza che i nervi gli andassero a fuoco, perché qualsiasi cosa lui dicesse o facesse non riusciva ad andargli bene.

La faceva facile, lui, ma che ci provasse ad aprirsi un po’ con qualcuno che, appena cercavi di abbattere un muro per lui, te lo ritrovavi sempre troppo, troppo vicino.

Come si fa, a non innalzare barriere su barriere?

Ecco, Harry mancava di tatto come lui, nel suo essere sempre, spudoratamente lì a fare la cosa giusta, a dire la cosa giusta, a pensare la cosa giusta.

A pensarci bene, sai cosa c’è? Che Draco ce l’aveva un po’ anche con Marzio, per essere perfetto quasi quanto Harry, anche se lui aveva perlomeno la decenza di non far sentire Derevan sempre, cronicamente il numero due.

 

Perché fra di loro le cose erano molto diverse. Loro non si erano mandati al diavolo per anni, si erano semplicemente incontrati un bel giorno, e come niente fosse si erano innamorati.

 

Ecco, facile, liscio, indolore.

 

- Tu commetti un errore di prospettiva. Hai visto me e Derevan come un qualcosa di già fatto, di solido. E dentro di te hai pensato che sarebbe stato più semplice sostituire Derevan, piuttosto che dover costruire tutto dal niente. Ma Draco, la tua vita, il tuo destino, non sono in questo mondo di sogni. Sono laggiù a Hogwarts, a Londra, nella vita che hai sempre vissuto. –

- Ma io… –

- Lo so cosa stai per dire. E la risposta è sì. La tua vita è là, anche con tutti gli ostacoli e le difficoltà che dovrai affrontare. Non puoi scappare per sempre, lo sai? –

 

Draco si rannicchiò su sé stesso.

 

- Tu hai capito tutte queste cose? Perché non me ne stupisco? –

- Beh, diciamo che non sei del tutto impenetrabile. Ogni tanto, quando dai fuori di matto, si vedono lontano mille stadi. –

- Harry non le ha capite. –

- Ma non farmi ridere, Harry le ha capite eccome! –

 

Si sentì strattonare da una mano ampia e più che avvezza al comando, fino ad essere rimesso in piedi.

 

- Stammi a sentire, lui è la sola cosa che non puoi permetterti di perdere. Per Ares sterminatore, hai dato o no ascolto a tutta quella benedetta pioggia? –

 

Draco spalancò gli occhi fin quasi a farsi dolere i muscoli. – Tu come fai a… -

 

Marzio lo interruppe strizzando di sottecchi un occhio.

- Eh sì. Hai proprio combinato un bel pasticcio. –

 

 

 

Intanto, dietro quell’angolo che il Romano gli aveva indicato poco prima, si consumava un’altra, piccola tragedia.

 

- La notte in cui tu non riuscisti a raggiungerci, un po’ di tempo fa. – spiegò Harry a labbra strette. – Marzio cercò di toccare Draco. Fu perché vide te, immagino, ma se ci penso adesso, maledizione… -

- Non cercare prove di una colpevolezza che non c’è. – mormorò Derevan. – Perché le troverai sempre e comunque. Marzio non è innamorato di Draco. Anche se lo conosco abbastanza da poter dire che gli vuole un bene immenso. –

- Tu credi di esserne sicuro, ma cosa ti dice che Draco non… -

- Perché credi che tutte le persone al mondo vedano Draco nello stesso modo in cui lo vedi tu? –

 

Harry aprì la bocca per dire, un po’ alterato, che era ovvio, che Draco brillava di luce propria, che bisognava essere ciechi, sordi e pazzi, per non rendersene conto.

Per fortuna non ne ebbe il tempo.

 

- Draco è una persona speciale. – disse quietamente Derevan. – Lo è per te, per me, anche per Marzio. Ma ci sono persone che lo disprezzano, altre che lo hanno in odio, altre ancora a cui è indifferente, e infine qualcuno che lo considera un amico e nulla di più. Tu commetti lo stesso, buffo errore di Marzio, di credere che il mondo veda con i tuoi occhi. Ma se provi a pensarci, io avevo Dillon, che mi chiamava fratello. E Anacore, il compagno di Marzio, mi prendeva in giro, scherzava con me, mi trattava come fossi stato un suo scolaro. Alcuni soldati mi salutavano, altri no, Tito mi odiava con tutto sé stesso. Come vedi, nemmeno io ero mai lo stesso, agli occhi della gente. –

- Non posso essere l’unica persona al mondo ad amare Draco. Non ci credo. –

- Che male ci sarebbe? Così sarebbe il tuo piccolo segreto. –

 

Harry dondolò la testa con poca convinzione. Capiva il significato delle parole di Derevan, ma faceva una fatica pazzesca ad accettarle. Probabilmente sbagliava, a pretendere che Draco fosse il centro del mondo, quando ciò valeva con ogni evidenza solo per il suo, di mondo.

 

- Come fai a non essere teso? – chiese con un mezzo sorriso. – Non ci pensi? L’uomo che ami potrebbe sfuggirti dalle mani in questo momento. –

- Sì può lottare contro ogni difficoltà che il destino ti mette davanti. – spiegò Derevan, senza scomporsi. – Ma se la difficoltà viene dall’interno, allora non c’è nulla che si possa fare. Se Marzio scegliesse Draco, vorrebbe dire che non prova più per me l’amore che provava prima. E contro questo, non posso niente. –

- Dopo tutto quello che avete passato insieme? –

- Anche l’amore più grande è un fuoco, e in quanto tale non è mai immune all’acqua. Bisogna saper capire quando è il momento di arrendersi. –

- Bah. Tanto è ovvio che sceglierà te. E se da un lato questo mi consola, dall’altro non so più che cosa fare. –

- Perché ti tormenti così duramente? –

- Perché io non riuscirò mai ad essere come lui, Derevan. Voglio dire, lui è una persona eccezionale, chi al mondo non si innamorerebbe di lui? È un eroe, ha dato tutto per te, ha un cuore enorme e un sacco di altre qualità che se ci penso mi viene da piangere. –

- Mi sembra di aver sentito dire che anche tu sei un eroe. –

 

Harry non gli rispose subito.

 

- Beh, una specie. – ammise controvoglia.

- Ascolta, non credo che ti occorra che qualcuno vissuto duemila anni più di te venga a insegnarti certe cose. Non conta niente, che cosa sei, che cos’hai fatto o non hai fatto. Io conosco Draco. Oso dire che lo conosco meglio di chiunque altro. Conosco il suo cuore, che è lacerato dalle contraddizioni e dai dubbi, e so che ciò di cui ha più bisogno al mondo è qualcuno che si prenda cura di tutte queste ferite. E tu lo vuoi, vero? Non chiedi altro che poter sciogliere il ghiaccio che impedisce al suo cuore di battere. –

- Ho paura che non lo capirà mai. –

- Lo capirà. - Derevan ridacchiò, mordicchiandosi un labbro. – Lo capirà dopo che sarà passato attraverso la completa mancanza di tatto di Marzio. Se lo conosco bene, in questo momento starà dicendo “oh no, stai sbagliando tutto”, e gesticolerà a più non posso. –

- Lo ami veramente, eh? –

L’Iceno annuì con estrema semplicità. - Come non saprei spiegare. –

- Siete fortunati, voi due. –

 

Derevan incrociò il suo sguardo. Harry fu sicuro che in un lampo, tutta ciò che aveva condiviso con Marzio, dal primo all’ultimo dei loro giorni, gli fosse passato attraverso gli occhi limpidi.

 

- Sì lo so. – disse, e lo disse con sincerità. – Non cambierei un solo giorno della mia vita nemmeno con il paradiso. –

- Lo vedo. – Harry si mise un po’ più tranquillo, rassegnandosi persino a sedersi per terra. – Sai, un po’ mi fa arrabbiare, tutto questo. Tu mi piaci molto. Dio, in realtà credo che tu sia la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto. Ma innamorarmi di te mi sembra impossibile. Voglio dire, non ci riuscirei mai, perché in qualche modo… -

- In qualche modo è sempre Draco, no? –

 

Derevan formò un sorriso sottile.

 

In quel momento, lo scoccare delle foglie secche annunciò che Marzio e Draco stavano tornando.

 

Harry scattò in piedi, al diavolo il poco di calma che era riuscito a mettere insieme prima.

 

Appena lo vide muoversi, Draco si inchiodò lì dov’era, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Marzio.

- Ehm… - sospirò, al limite della tensione. – Dunque, io… -

 

- Non lo hai trattato male, vero? – si informò Derevan, sottoponendo Marzio ad uno sguardo mite, ma che non tollerava menzogne.

- No! – si difese lui. – Non ho fatto quasi niente, io. Quasi. –

- Marzio… -

- Gli ho solo dato una spintarella. Piccola piccola! Ma ci è arrivato tutto da solo, lo giuro! -

- D’accordo. Ti credo. Ma dunque? -

- Dunque… - Marzio sogghignò, vagamente sornione. – Dunque penso che potremmo andare a sdraiarci oltre quei cespugli laggiù, e lasciarli un po’ soli. –

 

Le sopracciglia di Derevan si inarcarono buffissimamente fin quasi a scomparire sotto la frangetta. Marzio ricambiò lo sguardo, un po’ colpevole e un po’ rosso per l’uscita a dir poco spontanea.

Derevan gli offrì la mano, tendendola in avanti fin quasi a toccare le pieghe della tunica all’altezza del petto.

 

- E-ecco, dunque… - Draco evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Harry, mentre faceva appello a tutte le sue forze per sputare fuori quelle poche parole che aveva da dire. – Ho parlato con Marzio, e insomma, lui mi ha detto… cioè, ho capito che… parlando con lui, ho capito che forse non è lui che… insomma, che non è lui che voglio davvero. –

 

Harry sentì le cento tonnellate del macigno che gli pesava sulle spalle dissolversi all’improvviso, facendogli quasi perdere l’equilibrio.

- Draco… -

- No, aspetta, non ho finito. – Draco si mise tutto impettito, ma mantenendo lo sguardo basso. – La questione si fa molto semplice, a questo punto. Se tu puoi perdonarmi, bene, altrimenti non ha importanza, posso capire. –

 

Disse il tutto ad una velocità impressionante, e ad ogni parola la sua voce scendeva, scendeva, finché non si ridusse ad un borbottio quasi incomprensibile.

- Scemo. –

 

Harry agganciò il mento di Draco fra il pollice e l’indice, e lo costrinse, aiutato dalla sorpresa, a sollevare lo sguardo.

 

- E’ ovvio che ti perdono. Non avresti nemmeno dovuto chiedermelo. -

 

Draco diventò rosso come il fuoco, meravigliosamente rosso, per gli occhi che lo guardavano, sorridendo sempre di più.

 

- Bene. A-allora io… -

 

Al diavolo, lasciò perdere anche lui, finalmente.

La sua frase inutile non la terminò mai, schiacciando tutto il volto contro il petto di Harry, in un abbraccio fortissimo, quasi violento, del tutto necessario.

 

C’erano due corpi, nella stanza impolverata dalla primissima luce dell’alba. Vicinissimi, tenuti insieme dalle lenzuola del letto. Una testa, biondissima, premeva su una spalla, inspirando ed espirando regolarmente sulla stoffa della maglietta. A quella stessa maglietta era aggrappato un pugno mollemente chiuso, mentre due braccia circondavano una vita, una gamba si era fratta strada fra due ginocchia, alcune ciocche di capelli si erano mescolate.

 

Un groviglio un po’ confuso, forse, ma inestricabile.

 

 

- Hey, posso chiederti una cosa? –

- Cosa? –

- Ehm, ecco, mi dici che cosa ti ha detto Marzio, per farti… Beh, per farti cambiare idea così? –

 

Draco si strinse nelle spalle.

- No, non lo saprai mai. –

 

Rispose in tutta, urticante semplicità.

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

È un po’ cortino questo capitolo, ma dato che avevo intenzione di incentrarlo soprattutto sul dialogo, allungarlo avrebbe significato renderlo ripetitivo.

 

Ecco, non credo ci sia nulla da segnalare, a parte il fatto che spero che Marzio si sia riguadagnato un po’ della vostra simpatia, poveretto *__*

 

Finalmente le risposte, ma non temete! La oserei dire violenta ripresa degli esami comporta che il tempo a mia disposizione si assottigli sempre più, perciò spero di riuscire a rispondervi anche prossimamente!

 

 

 

 

Draco Malfoy: ti ringrazio molto! In questo capitolo le cose si chiariscono. Come vedi non è stata una messinscena, sarebbe stato troppo crudele, persino per uno come Draco!

 

Little Star: ma dai, povero Marzio. Visto che non è poi malissimo? Insomma, è Draco che non ha esattamente ben chiaro che cosa voglia dalla vita, ma c’è un rimedio a tutto!

 

Cornelia84: grazie! Hai proprio ragione, una vera doccia gelata, ma siamo fortunati che la cosa si sia risolta in fretta!

 

Koorime: vedo con enorme piacere che gran parte delle tue supposizioni sono giuste. Draco ama Marzio perché, come dici tu, e come dice anche Harry, innamorarsi di uno come lui è quasi naturale, e perché, nonostante sia uno spirito, è, come dire, già pronto all’uso, senza che ci sia bisogno di quel complicato periodo iniziale. Cosa che, ovviamente, deriva dal fatto che senza nemmeno rendersene conto, lui si è identificato in Derevan. Non per nulla, a ben vedere, no sembra farsi problemi per Derevan. Non è che non sappia cosa aspettarsi da Harry, è proprio una questione di non sapere da dove cominciare, visti i loro trascorsi.

Per il resto, nuuu, perdonami, rimedio salutando subito gli orecchini (nu, gli imbianchini non erano affatto estetici…), il povero Nello (che da oggi diventerà Mello, e chi legge Death Note SA), fratello, cugini, zii, Freud, tutti quanti!

 

Rodelinda: No, come mai un momento di sconforto? Ma riguardo la fic? Guarda, credo sia abbastanza chiaro che non ho nessun interesse a venire a raccontarti cose che non penso. Reputo la tua fic una delle più buone del fandom LotR, che ahimè è spesso un po’ maltrattato. Se gli arzigogoli amorosi della nostra Glorfy, nonché del fratellino, mi fanno venire davvero voglia di ubriacarmi, un motivo ci sarà pure! Eh, povero Marzio, me lo vedo molto impopolare in questo momento, ma non è colpa sua si chiama guai su guai…

 

Layla: ti ringrazio moltissimo, e spero che il sospirato confronto fra i due ti sia piaciuto!

 

Herm: ahia, se ti sei immedesimata con Harry mi sa che non c’è da dormire tanto sereni in questi giorni. Per fortuna che le cose si sono un po’ aggiustate, va!

 

Lady: su, su, non avercela con Marzio ^_^. Poveretto, è quello che alla fine si ritrova nei pasticci senza volerlo, per colpa della furbizia di Draco.

 

Far: nuuuu, se mi tratti così soffro tantissimo! Ç__ç

 

T Jill: non ti ho fatto perdere la coincidenza, vero? No, che non mi rimani persa in mezzo alla galassia fino alla prossima navetta, per carità!

 

Synoa: tranquilla, la mia casa è tornata più o meno normale ( a parte la camera salmone -_-) e ti ringrazio moltissimo per aver recensito, mi ha fatto un sacco di piacere rivederti! *__*

 

 

Dark: ahia, i pali fanno male! *_* beh, ma almeno mi consola che non ci siano solo persone che attentano alla mia vita.

 

 

 

 

 

 

 

The Fly: dici bene, le cose si facevano parecchio complicate, ma per fortuna che il nostro eroico Marzio ha assestato al povero Draco una batosta decisiva…

 

CrisSunrise: *fugge dalle minacce* ehm, ecco, tutto sistemato per fortuna! Sai, sono troppo giovane per morire!

 

Lily4ever: no no, come hai visto non si è trattato di una menzogna, ma di, come possiamo definirla? Rimbambitaggine di Draco ^^

 

Puciu: *___* mi sento in colpa per Gianni e Franco. Però hai visto, tutto si è aggiustato in tempo, perciò non mi odi, vero? VEEEERO? *piange*. Per quanto riguarda le ipotesi di G&F (Grande & Fratello?!?), come hai visto la numero 1 non era azzeccata, mentre la 2 e la 3 sono una commistione di elementi giusti. Ah, un minimo di legnata bisognava pur dargliela, viva la mancanza di tatto di Marzio! E non ti nascondo che per un attimo ho accarezzato l’ipotesi di Derevan che dava fuoco a Draco, ma poi sarebbe stato un sentiero da cui difficilmente sarei venuta fuori in modo non baka/demenziale…

 

Tsuby: per fortuna che c’era Derevan a tenerlo su di morale, altrimenti avresti azzeccato in pieno la previsione sul suo stato d’animo. Draco potrebbe veramente scrivere un libro su come si attenta alle coronarie di un innamorato!

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Omnia amor vincit ***


Harry venne svegliato da uno spiffero di luce che filtrava dalla finestra, mal coperta dalla tenda

Harry venne svegliato da uno spiffero di luce che filtrava dalla finestra, mal coperta dalla tenda. Socchiuse gli occhi di malavoglia, e, grazie al cielo, Draco era ancora lì.

Dormiva a pancia in giù, con la testa rivolta verso di lui, le labbra leggermente aperte, da cui sbuffava. Aveva gli angoli degli occhi segnati dall’alone bianco tipico delle lacrime.

E questo aveva un significato immenso, per Harry.

Parolacce, litigi, calci e pugni?

Non gliene importava niente, avrebbe rifatto tutto quanto daccapo senza battere ciglio, ed era grottesco pensare che soltanto alcuni mesi prima aveva messo piede a Hogwarts per l’ultimo anno senza pensare a lui, senza nutrire che infastidita indifferenza per gli occhi di Draco, così terribilmente luminosi.

Avrebbe dovuto svegliarlo? Era ancora presto, non c’era fretta, ma esiste un momento migliore al mondo per parlare un po’, quando il sonno ancora ti avvolge e ti rende ubriaco, incapace di mentire?

 

Soffiò delicatamente nel suo orecchio. Sapeva già che quando avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe sentito mancare.

 

- … Uhm. –

- Buongiorno. –

 

Draco aprì prima un occhio solo, prudentemente. Assicuratosi che non ci fosse troppa luce, aprì l’altro, appena uno spiraglio.

 

- Come stai? –

- Be-bene. –

- Sì? –

 Davvero. Perché mi hai svegliato? –

 

Harry si strinse nelle spalle, e rispose semplicemente, candidamente: - Avevo voglia di rivederti. –

- Ma se fino a un minuto fa… -

- Di rivederti qui. –

 

Draco non ebbe niente da replicare. Aveva saputo fin da quando si era svegliato che ora, nel suo mondo c’era una bella novità.

Una di più ed una di meno, per dire meglio.

Gli veniva più semplice accettare Harry se lo vedeva immerso nella natura onirica del bosco che ospitava Marzio. Sinceramente, provava meno imbarazzo, per non parlare dell’atmosfera.

C’era una cosa, però, che faceva una differenza enorme da laggiù a lì.

Il pigiama di Harry. Gli occhiali inguardabili posati sul comodino. I suoi piedi nudi, e con ogni probabilità gelidi. Il cuscino con ancora impressa la forma della sua testa.

 

Era. Tutto. Reale.

 

Aveva una consistenza che il mantello di Marzio, il sole che brillava in quel mondo, i capelli di Derevan, nulla di tutto ciò aveva.

Credeva di aver compreso le parole del Romano. Diavolo, non c’era niente di difficile da capire.

E invece non era vero, l’ultimo tassello del puzzle andava al suo posto solo ora, proprio su quel cuscino.

 

Anche Marzio e Derevan, prima di loro, dovevano aver avuto un cuscino da condividere. Che li aveva resi concreti come non erano più, ma come erano loro, invece.

Come un filo rosso che aveva attraversato le epoche.

Piuttosto decadente, come pensiero, ma con il singolare potere di farlo sentire bene.

 

- Harry. –

 

Dolcemente, si lasciò cadere sulla spalla del Grifondoro, tenendosi strette le ginocchia al petto.

 

- Scusa. – non l’avrebbe ripetuto una seconda volta. Anzi, probabilmente non avrebbe mai più pronunciato quella parola nel corso della sua vita.

 

Harry lo abbracciò stretto, riuscendo a malapena a circondare schiena e ginocchia rannicchiate.

 

- Non fa niente. Adesso basta con questa storia. –

- Dici sul serio? –

- A ha. Però tu non scappare. D’accordo? –

- D’accordo. –

 

Harry ridacchiò, distante. – Sai, credo che sarà piuttosto strano, all’inizio. –

- Lo penso anch’io. –

- Se provi a chiamarmi Marzio, ti uccido. –

- Non lo farò.

 

Nessuna voglia di sciogliere l’abbraccio. La meraviglia di alzarsi presto.

 

- A proposito. Che cosa credi che succederà? –

- Chi può dirlo? Adesso però, c’è una cosa che dobbiamo fare. –

- Che cosa? –

- Te l’ho detto ieri. Non far finta di essertelo scordato. –

 

Già, ieri.

Un giorno piuttosto importante, diciamo, uno di quelli da segnare sul calendario con una bella X rossa.

 

Si erano svegliati, e per alcuni minuti fra loro era stato un silenzio imbarazzato a farla da padrone. Ma Harry se l’era cavata abbastanza bene a dire qualcosa di stupido che fece ridere Draco, e sciogliesse l’atmosfera.

 

Si erano lasciati per seguire le lezioni, e nel tardo pomeriggio, Harry aveva disputato la penultima partita di Quidditch della stagione, contro Corvonero. Draco era andato a vederla, e per la prima volta in vita sua aveva sorriso per la vittoria di qualcun altro. Per la vittoria di Grifondoro, nella fattispecie, vittoria sul filo di lana, con uno scarto di cinque, miseri punti. Non si sentiva più tanto inutile, per essersi fatto battere da Corvonero.

 

Poi l’aveva aspettato fuori dagli spogliatoi, accovacciato contro il muro, non prima di essersi dipinto sul volto una maschera che dissuadesse chiunque dal chiedergli che cosa ci facesse lì.

 

Ed erano arrivati tardi a cena, perché camminando senza una meta certa per lo sterminato parco della scuola, parlando, ridendo, qualche volta mandandosi al diavolo, avevano perso completamente la cognizione del tempo. Come quella passeggiata fosse l’abitudine di una vita intera, dimenticata in chissà quale cassetto e riemersa solo in quel momento, in occasione di uno stravolgimento importane dell’arredamento.

 

Harry si era guadagnato lo sguardo sospettoso di Hermione fisso su di lui per tutto il pasto. Anzi più che sospettoso, sembrava essere sicuro. Sicuro di ciò che aveva intuito.

Il fatto che lei, comunque, non accennasse a voler commentare, era positivo, nell’immediatezza. Certo, significava che prima o poi avrebbe dovuto presentarsi davanti a lei e a tutti gli altri, per fornire un’adeguata e prolissa giustificazione su tutto ciò che stava accadendo. Ma gli veniva concessa una deroga, per ora, intanto, per fare un po’ di ordine con sé stesso.

 

Dopo aver mangiato, Draco era andato in biblioteca, alla ricerca di un libro per un compito che non poteva più rimandare oltre. Harry lo aveva aspettato sveglio, supino sul letto, completamente assorto in chissà quali pensieri.

Draco si era coricato, e aveva azzardato a dargli un bacio di sua iniziativa.

Era cominciato così qualcosa che presto sarebbe sfuggito di mano ad entrambi.

Meraviglioso, strano, spaventoso, come un viaggio.

 

In tutto ciò, la raccomandazione di Harry approposito di quell’importantissima cosa che avrebbero dovuto fare l’indomani era passata del tutto in secondo piano, soffocata dall’ultimo bacio prima del sonno.

 

Chiudere gli occhi e risvegliarsi nuovamente in quel luogo di là del sogno aveva lasciato loro addosso un’inaspettata sensazione di libertà.

Il boschetto non si vedeva più. E nemmeno il sole, e non una singola nuvola.

Solo erba, a perdita d’occhio, erba verde chiaro, freschissima, uniforme, in ogni direzione. E sopra i loro, un cielo altrettanto brillante della sua statica monocromia.

 

- Ma che cosa… -

- Siete arrivati. –

 

Marzio e Derevan erano comparsi davanti a loro come dei miraggi. Entrambi in groppa a Fulgor, con Shay al loro fianco, docile, una volta tanto.

 

- Ce ne andiamo. – aveva detto Marzio, raggiante.

- Grazie per ogni cosa. – gli aveva fatto eco Derevan.

 

Harry e Draco non avevano capito subito.

 

- Ma come… ve ne andate? –

 

Se ne andarono davvero.

Marzio e Derevan, così all’improvviso. Dopo tutto il tempo passato a cercare di cacciarli via, e dopo essersi trovati, uniti, aver affrontato assieme un’avventura inenarrabile.

Se n’erano andati sul serio.

Marzio aveva spronato il suo cavallo, che era partito al galoppo, puntando verso di loro.

Nemmeno il tempo per spaventarsene, che erano già scomparsi oltre una sorta di muro invisibile, entrati in una dimensione nuova, sconosciuta, di sicuro il luogo più giusto per loro.

 

Draco era rimasto lì, impalato, a fissare il punto in cui si erano dissolti Derevan e Marzio.

 

- Ma… - esalò. – Non li ho nemmeno salutati. –

 

Harry era rimasto un passo dietro di lui, sapeva che era la cosa giusta da fare, e non voleva in alcun modo disturbarlo. Pur nella sua perfetta immobilità, con il capo ancora bel alzato, le braccia rilassate lungo il corpo, Draco stava piangendo.

 

Perciò, quella mattina Harry si era svegliato per primo, conscio di sentirsi un po’ più solo, ora che Marzio e Derevan non c’erano più. Era successo tutto troppo in fretta, perché potesse dire di aver elaborato ciò che provava, ma in fondo al cuore, almeno quello, era felice per loro.

 

- Forza, su. Andiamo? –

- Voglio prima fare colazione. –

- D’accordo. Però poi vieni con me. –

- Ma non posso saltare la lezione di Incantesimi. –

- Draco… -

- Sul serio! È veramente, veramente importante. –

 

Harry alzò gli occhi al soffitto, ridacchiando.

Tanto, gli piacesse o meno, lo avrebbe trascinato nell’ufficio di Silente assieme a lui, a viva forza.

 

*          *          *

 

Come in un film già visto.

Fu di nuovo Harry a parlare, quasi esclusivamente lui. Draco annuiva di tanto in tanto, ma non perché fosse stizzito, questa volta. Harry si era ripromesso di proteggerlo, per lasciare che sbollisse la tristezza in pace. Ogni volta che nominava Derevan, si irrigidiva e lo guardava intensamente.

Poverino.

E dire che aveva sprecato un sacco di tempo a dargli addosso. E ad avere una paura folle di lui, soprattutto. Avrebbe scommesso la sua bacchetta che Draco avrebbe continuato imperterrito a sostenere che tanto quello lì non gli piaceva nemmeno un po’, che finalmente e n’era liberato, e tutti gli altri mattoncini che costituivano la sua difesa.

Sarebbe bastato un soffio per distruggerle, ma era necessario prendere contromisure. Lo avrebbe lasciato sobbollire nel suo brodo, finché non avesse deciso di uscirne da solo. Se c’era una lezione d’oro che aveva imparato, era che forzare Draco era sempre e comunque una scelta sbagliata.

 

- Suppongo non occorra dirvi che avete fatto ciò che era più giusto, ragazzi. –

- Se ripenso a tutte le volte che ho sospettato di loro mi sento un verme. –

- Via, è normale. Signor Malfoy, la vedo piuttosto scosso. Si sente bene? –

- Sì. Si signore, sto bene. –

- Prenda una liquirizia. –

- No, grazie. –

- Non faccia complimenti, se vuole gliela stordisco io. –

 

Finalmente, Harry prese il coraggio a quattro mani, e provò ad esporre con le parole meno imbarazzanti che gli venissero in mente ciò che aveva da dire.

 

- Professor Silente, ecco, noi ci chiedevamo se… -

- Che cosa, ragazzo? –

- Se… Se fosse possibile restare nella stanza dove ci troviamo ora. Insomma, fino al termine dell’anno. Ehm, non è che non vogliamo tornare dai nostri compagni, ma sarebbe molto meglio, insomma, per noi. –

 

Silente sorrise ampiamente, facendo fremere la lunghissima barba bianca.

 

- No. – rispose, con la massima affabilità.

 

Draco strabuzzò gli occhi.

 

- … No?!?! –

- Se credete di essere più speciali dei vostri compagni, temo che dobbiate rivedere le vostre posizioni. Terminerete l’anno nei vostri rispettivi dormitori. – un ghigno, quasi invisibile. – Quel che vorrete fare poi, fuori da questa scuola, non sarà più affar mio. –

 

Harry capì, ovviamente. E gli venne da ridere.

Chissà perché, in quel momento mostruosamente imbarazzante, gli tornò in mente qualcosa di molto, molto remoto, che soltanto in quel momento assumeva il suo pieno significato, e si colorava, finalmente, della luce del sole.

 

“Omnia Amor Vincit”.

 

Era tutto finito. Marzio era con Derevan, finalmente, si erano ripresi la loro felicità, da qualche parte chissà dove. Mentre lui era alla presa con il momento più imbarazzante della sua vita.

 

Ora, aveva un motivo in più per ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO

 

 

Mi trovo costretta a devolvere questo angolino ad una questione importante, saltando le risposte. E vi assicuro che non mi piace per nulla.

Girovagando per la rete mi sono imbattuta in un forum, dove trovo un’utente di nome Stateira. , cioè il nome Stateira seguito da un punto.

Superfluo specificare che non sono io.

Ma non basta, clicco sul collegamento al suo blog, che si trova in basso a sinistra, e scopro che esso si intitola “La Pizia”. Che è il nome del mio blog.

 

Voglio lasciarvi il link al profilo, e anche al blog, per dimostrarvi che non invento nulla.

 

http://forum.fuoriditesta.it/utenti/stateira--793.html

 

http://blog.fuoriditesta.it/vanny/

 

che, ironia della sorte, fra gli ultimi post reca la citazione, ovviamente non autorizzata, di uno stralcio del capitolo 4 di “Insegnami ad amare”.

 

Questo non è un caso.

Non lo è, poco da discutere.

Stateira non è un nickname comune, come può essere un “Kikka”, un “Vale88”, o un “princess” che senza dubbio sono gettonati.

Oserei dire che è un nick molto singolare, che ha alle spalle tutta una storia, e a cui sono profondamente legata. Oltre  questo, a ulteriore riprova, il titolo del blog, sicuramente non banale, con annessa citazione. Tre indizi fanno una prova, come si suole dire.

 

Sono amareggiata. Lo vivo male, come un furto di identità in primis, e come un’indebita appropriazione di qualcosa che non si conosce.

Stateira sono io. Un puntolino in fondo al nome non cambia le cose.

Ed oltre all’amarezza, sono dispiaciuta, immensamente, che qualcuno si senta in diritto, o magari persino in bisogno, di appropriarsi del nome di qualcun altro.

È così bello essere sé stessi, che quando la gente non lo capisce mi sento triste per loro.

 

Stateira. , io ti invito qui, davanti a tutti, perché so che in questi lidi ti trovi, a farti viva.

Sono dell’opinione che ogni cosa si possa risolvere con un sereno confronto, ma a questo punto pretendo una spiegazione, una giustificazione, magari anche delle scuse, se non oso troppo.

 

E c’è un’altra cosa, che è una cavolata e che mi dispiace dover dire, ma ragazze, l’ANGOLINO! è un marchio di fabbrica, e non mi piace vederlo comparire a mò funghetto in mille altri posti. Non fatemici mettere il ™, vi prego, lo trovo molto triste. Inventate altri termini, che so, “L’autrice parla”, “Spazio dell’autore”, “extra”, qualsiasi cosa.

 

Se tutto questo possa essere frutto di ammirazione, non lo so e non mi interessa, perché non è questo il modo giusto di dimostrarmelo. Io vi ringrazio per ogni recensione che mi lasciate, vi ringrazio per inserirmi fra le vostre preferenze, sono felicissima che i miei racconti vi piacciano e gioisco di ogni vostra dimostrazione di stima, dalla recensione alla mail, con tutto il cuore.

 

Ma questo dev’essere, per il resto siate voi stessi, siate fieri delle vostre identità, spremetevi le meningi per trovare nick nuovi, per essere originali in coerenza con la vostra personalità.

 

Basta, finito, era giusto affrontare questo discorso una volta per tutte.

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Capitolo 24
*** Domus ***


Cap 15 epilogo: sono passati cinque anni

- Sono tornato! –

Harry sbatté inavvertitamente la porta di casa. Abbandonò il cappotto su sul divano, sospirando.

- Dio, sono stanco da morire. –

 

Draco fece capolino all’improvviso dalla porta affrontata all’ingresso.

- Ciao. – esclamò. – Ti precedo di dieci minuti al massimo. Ho appena finito di levarmi la cravatta. –

- Sì? Peccato. Pensavo di andare a mangiare fuori, stasera. –

- Mangiare fuori? Ma fa freddo. –

- Hey, guardami. Non ho la forza per mettermi a cucinare, non hai un po’ di pietà? –

 

Draco ghignò, un ghigno dei suoi, inconfondibile.

 

- E va bene. – sospirò, buttandosi a peso morto sul divano. – Però al diavolo, mi rivesto dopo. –

 

Harry si avviò verso il bagno scuotendo la testa.

Draco aveva un rapporto morboso con quel divano: dal momento in cui lo toccava, passavano tre minuti tondi prima che si addormentasse come un sasso.

Doveva darsi una mossa a risciacquarsi.

 

- Sono sveglio. – borbottò Draco, offeso come mai, quando Harry se lo abbracciò, la faccia ancora mezza bagnata.

- Non per molto, credo. –

- Al diavolo. Mi è venuto sonno. –

- E’ da cinque anni che questo maledetto divano ti fa venire sonno. Prima o poi lo cambio. –

- Non ti azzardare. –

 

Harry ridacchiò. Non l’avrebbe cambiato mai, ovviamente: quante altre occasioni avrebbe avuto di vedere Draco crollare placidamente addormentato fra le sue braccia, come nella più banale delle favole?

 

- Se ci addormentiamo salteremo la cena. –

- Ma va. È prestissimo e non ho fame. –

- Ti sveglierai con lo stomaco che ulula. –

- Sì, sì. Buonanotte. –

- Draco?!? –

- Oh, che vuoi che ti dica. Stai sveglio a fare la guardia, e quando è ora caricami a spalle e portami al ristorante. Svegliami solo quando arriva il primo piatto. –

 

Non accadde, naturalmente. Come capitava sempre, Harry finiva con l’appoggiare il mento sulla testa di Draco, e fissare il vuoto per un po’, finché il respiro regolare del bell’addormentato, il silenzio, e probabilmente anche il misterioso potere di quel malefico divano vincevano anche lui.

E meno male che aveva il sonnoleggero, altrimenti si sarebbero svegliati giusto in tempo per la colazione del giorno dopo, in un  trionfo di torcicollo, indolenzimento e formicolio.

 

Si assopì per pochi minuti, fortunatamente. Appena riaprì gli occhi, cercò immediatamente l’orologio da parete, provvidenzialmente appeso di fronte al divano.

Intuì subito che qualcosa non tornava quando il salotto di casa, tutto, sparì,  tramutandosi in un inquietante deja vu.

Ebbe appena il tempo di meravigliarsene, che si trovò affiancato da un Draco perfettamente sveglio, e più che mai spaesato.

Passarono alcuni secondi in silenzio, a guardarsi, con gli occhi sgranati.

 

- Dra-Draco? Sei tu? O ti sto sognando? –

- Sono io. Che diavolo sta succedendo? –

- Uhm. Spogliati. –

Draco strabuzzò gli occhi. – Che cosa?!? Ma ti sei bevuto il cervello? –

- D’accordo, sei proprio tu. Il Draco dei miei sogni si sarebbe spogliato senza protestare. –

- Se stai insinuando per caso che io… -

- Shhh. Fai silenzio. Lo senti anche tu? –

 

Draco rinunciò ad arrabbiarsi. La situazione lo pretendeva, perciò  lui si mise in ascolto. Appena abituato l’orecchio al silenzio, lo sentì anche lui, sì: un rumore tenue, lontanissimo e regolare. Come quello degli zoccoli di un cavallo.

 

- Non è possibile. – soffiò Harry.

Eppure, non sbagliava: su di un robusto cavallo color nocciola cavalcava una figura circondata da un ampio mantello rosso, mosso dall’aria.

- Derevan? E Marzio? –

 

Draco era pietrificato.

 

Dal giorno in cui il Romano e l’Iceno erano scomparsi, non erano tornati molto spesso sull’argomento.

Intenzionalmente, si capisce.

Draco l’aveva presa a modo suo, perciò per molte volte aveva insistito sul dormire insieme, persino a costo di andare a nascondersi negli spogliatoi attigui al campo di Quidditch. Cercava di far passare il tutto per abitudine, inventava qualsiasi scusa, pur di non dover confessare apertamente la sua amarezza e la sua speranza. Perché la prima lo avrebbe fatto apparire umano, la seconda, infantile.

 

E Draco Malfoy non cambia tanto facilmente.

 

- Harry! – Derevan quasi gridò. Era proprio lui, chi altri poteva essere, il giovane uomo in groppa ad un unicorno? Aveva gli occhi brillanti di stelle. – Draco! –

Agitò con forza una mano, facendo sbuffare Shay.

 

- Che gioia che ci siate! – esclamò, balzando giù dal destriero.

- Che… che gioia che ci siamo? –

 

Marzio poggiò entrambe le mani sulle spalle di Derevan, riuscendo a sedare il suo entusiasmo. L’Iceno si fece più piccolo, fra quelle mani. Difficile dire quanta felicità ci fosse, in quel suo impercettibile richiudersi.

 

- Sono trascorsi cinque anni, dal giorno in cui ci siamo incontrati. – intonò Marzio, solennemente.

 

Harry aggrottò la fronte, di sfuggita si rese conto che Draco aveva fatto lo stesso.

Marzio e Derevan

Dimenticarli, questo no, ma il giorno esatto è chiedere un po’ troppo.

 

- Quindi voi… -

- Non allarmatevi. Va tutto bene. –

 

Era così. Andava per davvero tutto bene.

Harry evitò di menzionare l’ultimo loro incontro, sapendo alla perfezione che Draco avrebbe anche potuto dare il peggio di sé; ma, prevedibilmente, fu Derevan stesso a scusarsi, a spiegare che qualcosa, all’improvviso, una forza irresistibile, era venuta a portarli via, e quanto duramente si erano opposti, soltanto per riuscire almeno a dir loro un addio.

Si commosse, mentre parlava: Marzio gli andò in aiuto a modo suo, militaresco, abbracciandolo stretto al petto; pareva che non conoscesse altri modi per calmarlo che il tentare di far scomparire le lacrime di Derevan dentro di sé.

Draco ingoiò il più doloroso nodo alla gola che avesse mai provato in vita sua, ma piuttosto che piangere come un pivello, piangere all’unisono con Derevan, che sì, sarebbe stata proprio bella, piuttosto si sarebbe cavato gli occhi.

 

- Perciò, ora, dove siete? –

- E chi lo sa. – Marzio quasi ridacchiò. – E’ un posto strano. È immenso, e c’è molto silenzio. Ma fintanto che lui è mio, per me è il paradiso. –

- E che cosa fate? Insomma, riuscite a vedere quaggiù, o non lo so… - domandò Draco, d’impeto. Sembrava che la questione lo preoccupasse non poco.

Derevan e Marzio si scambiarono un’occhiata enigmatica.

- No. – rispose il Romano. – Non vediamo niente. –

- Perciò non lo sapete? Voglio dire, che abbiamo preso casa a Londra. –

- Davvero? Che bella notizia. –

 

Harry aveva la netta impressione che Marzio non fosse sorpreso per niente. E finché Derevan, che era completamente incapace di mentire, se ne restava sulle sue, ciondolando la testa e distraendosi con i fili d’erba, il dubbio non sarebbe svanito.

Ad ogni modo, nulla scioglieva l’illusione di quattro vecchi amici che si rivedevano per caso, dopo tanto tempo, ritrovandosi con una quantità di cose da dire, da ricordare, da raccontare.

Marzio ringraziava Draco, Harry ringraziava Marzio, Derevan entrambi: difficile dire quanti debiti e quanti crediti potessero reclamare l’uno all’altro.

 

Il luogo che avevano descritto faceva paura: immerso in una dimensione immobile, agorofobica, di silenzi e fruscii. Ma loro ne parlavano come se fosse casa, dopo aver vissuto quello che avevano vissuto, e poi aspettato tanto, tantissimo. Tutto il tempo del mondo. Poteva essere strano risentire delle voci che non fossero le loro, o vedere un’interruzione, un’irregolarità nella traccia netta dell’orizzonte, un albero, qualunque cosa, ma anche non fosse stato, pazienza: quello doveva essere il paradiso degli amori veri, se l’essere soltanto loro due, sempre e solo loro due non li aveva fatti impazzire.

 

Erano entrambi identici all’ultima volta, e se Draco e Harry somigliavano loro un po’ di più, era perché godevano del privilegio del tempo. Loro invece, non avevano più niente, se non il dono che essi stessi si erano fatti, il frutto di ciò per cui avevano lottato.

 

- Siete liberi? –

- Sì. Adesso sì. Completamente liberi. –

- Bene. Bene, sono contento. Avete tutto il diritto di riscattarvi, dopo tutto quello che avete passato. Avrete un sacco di cose da mettere a posto. –

- Harry, abbiamo l’eternità per farlo. –

 

Derevan, nel frattempo, si era accucciato vicino a Draco. Cercò di appoggiare la testa sulle sue gambe, facendolo irrigidire come un bastone.

Lo guardò stupito, e un attimo dopo gli era addosso, abbracciandolo mentre ricadevano entrambi all’indietro.

- Non sei cambiato per niente! – esclamò come se la cosa lo rendesse indicibilmente felice.

 

Non era vero, comunque, povero Draco. In quegli anni ne aveva passate tante, dal lavoro, ai Babbani, a Harry, che se non era cambiato lui…

 

- Forza, è ora di andare. –

- Di già? –

 

Nonostante la lieve protesta, Derevan si alzò docilmente.

 

- Fareste bene a sbrigarvi anche voi. – continuò il Romano. – Su, non guardatemi in quel modo. Ci rivedremo presto. –

- … Ci rivedremo? Davvero? – osò chiedere Draco.

 

Derevan sorrise senza darlo troppo a vedere. Né lui né Marzio gli risposero, ma poteva starne sicuro, che in un modo o nell’altro…

 

- Avanti, l’ora è tarda. –

- Tarda per cosa? –

- Il ristorante, non vi ricordate? –

 

 

Si svegliarono entrambi si soprassalto.

Il divano, l’orologio da parete, era tutto al proprio posto.

Erano tornati a casa. Ed era decisamente ora di cena.

Harry stiracchiò le braccia in avanti, alla ricerca del corpo rannicchiato del suo  compagno.

Che si era accartocciato in modo innaturale su sé stesso.

 

- Hey. – gli sussurrò nell’orecchio. – E’ una lacrima, quella lì nell’angolo dell’occhio? -

 

Draco gli scoccò un’occhiataccia che voleva essere sdegnata.

Ma nel bel mezzo, tirò su con il naso.

 

- Dai, vieni qui. –

 

Per un buon numero di Minuti, Draco accettò la condizione di silenzio e di pace posta dall’abbraccio in cui si era immerso. I vestiti di Harry, che magari erano suoi, ma sapevano tantissimo di Harry, ne amplificavano il calore.

 

- Senti, Harry. – cercò di dire addosso alla sua camicia. – Io non mi sento per niente meglio. Voglio dire, il fatto di sapere che adesso sono felici da qualche parte non mi fa stare bene. Sono morti, in un modo orrendo, e niente potrà mai cambiare questo. –

- Perché hai dei pensieri simili proprio adesso? Non hai visto anche tu com’erano felici? –

- Potrebbe essere stato solo un sogno. –

- Draco. Lo sai che non è vero. –

 

Draco costrinse le labbra ad un movimento forzato.

- Se tu… se ti succedesse qualcosa, non me ne fregherebbe niente di sapere che sei sereno nell’aldilà o che so io. Non me ne fregherebbe proprio niente. –

- Oh. Capisco. Era a questo che volevi arrivare. –

- Non ho voglia di scherzare. Guarda che non me lo devi fare, un tiro del genere, hai capito? –

- E che cosa faresti, cercheresti di raggiungermi? –

- Ma stai scherzando? Non sono un Grifondoro, e non mi chiamo Derevan. Ho una fifa blu di morire, io. Però non ti perdonerei mai. Sul serio, non verrei nemmeno al tuo funerale. Venderei i tuoi libri ad un mercatino delle pulci, userei la tua bacchetta come legna per il camino, e la tua scopa, la darei in pasto ad un drago. –

 

Così mostruosamente diversi. Harry avrebbe voluto essere in grado di simulare la morte soltanto per vedere Draco che manteneva fede alla parola data. E invece sorrise pazientemente, e gli rubò un bacio sulla nuca.

 

- Ti amo. – mormorò.

- Ci mancherebbe altro. E, signor Potter, ristorante italiano, prendere o lasciare. –

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

È finita.

 

Ventiquattro come le ore, un buon numero, tutto sommato. Soprattutto considerando che, in origine, di capitoli dovevano essercene appena quindici.

 

 

Dedico quest’ultimo Angolino a ringraziarvi uno per uno, come mi sembra giusto fare. Chi è stato un lettore fedele, chi meno, chi si è fatto sentire una sola volta, chi ogni settimana, con cocciuta ostinazione.

 

Riguardo la cartella dove conservo tutti i capitoli, come si fa con una panoramica da un elicottero. Ogni capitolo un suo perché, magari anche astruso, o persino vezzoso, ma è lì.

Vi ricordo ciò che vi dissi quando l’avventura partì, rileggete tutto daccapo, insieme, facendo tesoro di ciò che già sapete per recuperare i pezzi di puzzle rimasti indietro.

 

Io da parte mia, non faccio che congedarmi da questa favola con un po’ di malinconia, e la consapevolezza di aver creato due stupidi testoni innamorati che dovevano essere solo delle marionette, e invece hanno fatto quello che hanno voluto alla faccia mia.

 

Cara Stateira., non ho ricevuto alcun segno di vita da parte tua, ma sono ancora qui ad aspettare, sai? Non vado da nessuna parte.

 

Grazie di cuore a:

 

Freehja

Summers84

The fly

Monte86

Pucui

Chiara

Ginnyw

Fedekikka

Dark011

Lady

Little star

T Jill

Koorime

Far

Smemorella

Viettasil

Tsubychan

Gosa

Lake

Herm83

Lady

Synoa

Fra ro

Little star

Sheraz

Melisanna

Rodelinda

Mokona89

Iul

Hokori

Xla

CrisSunrise

Blaise

Isuzu

Francesca akira

Zizela

Angelikaforever

Piccolaserpe

Fann1kaoriyuki

Draco malfoy

Layla84

Sakuraashe

Anatrante

Kumiko shirogane

Somylit

Cornelia84

Friz

Vavvymalfoy

Vampire berry

Lily for ever

Yaku

 

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