sposerò harry styles

di Call_me_James
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piove, governo ladro! ***
Capitolo 2: *** Sotto casa ***
Capitolo 3: *** Yum, gelato! ***
Capitolo 4: *** Give me love ***



Capitolo 1
*** Piove, governo ladro! ***


Uscii dal pub sbattendo la porta. La classica pioggia di londra, sottile e incessante mi inzuppava i capelli, il cappottino azzuro e il viso, mescolandosi alle lacrime calde che mi rigavano le guance. Pensai a quel bastardo che avevo piantato nel locale: probabilmente avrebbe fatto spallucce e se ne sarebbe tornato a suonare il suo squallido piano bar. Ci eravamo conosciuti l'estate precedente e ci eravamo innamorati... O sarebbe più esatto dire che mi ero innamorata: probabilmente lui si era divertito con me per un annetto Adesso voleva solo dedicarsi alla carriera. Che andasse al diavolo. Continuai a camminare. Mi venne in mente una canzone di alcuni anni prima: Summer Love, dei One Direction; mi resi conto con orrore che negli ultimi tempi li avevo messi da parte, mi ero quasi dimenticata dei miei idoli, mi facevo schifo da sola. Mi sedetti su una panchina fradicia e mi presi il viso fra le mani, singhiozzando. Ero una stupida. Eppure fu proprio quel mio essere stupida a cambiarmi la vita. «Vuoi un fazzoletto?» esordì una voce maschile; alzai lo sguardo sulla figura in piedi davanti a me. Statura media, jeans e giacca, scarpe di marca... Salii ancora e tutto ciò che riuscii a pensare fu: "Merda non può essere!". Sorriso smagliante, occhi color della pioggia, ricci ribelli, fossette indescrivibili. Si sedette e mi offrì un pacchettino di fazzoletti. «Comunque io sono Harry» disse tendendo la mano «Pfffffff come se non lo sapessi!» dissi roteando gli occhi. E scoppiammo a ridere.

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Capitolo 2
*** Sotto casa ***


Mi svegliai assonnata. Come ogni mattina andai in cucina; la stanza era stranamente ordinata: di solito il mio appartamento faceva schifo. Presi la bottiglia di latte dal frigo e feci per versarne un po' nella tazza... Vuota. Mi fermai, la mano sospesa a mezz'aria: come potevo aver finito tutta la bottiglia? Mi venne in mente una scena della sera precedente, in cui versavo tutto il suo contenuto dentro ad un pentolino, per preparare la cioccolata calda, mentre dall'altro lato del tavolo... Harry Styles mi guardava sorridendo?! Mi sedetti e cercai di ricordarmi quello strano sogno (perchè non poteva che essere frutto della mia immaginazione): ero uscita dal pub, avevo incontrato Harry, che mi aveva riportato a casa e, una volta entrati ci eravamo preparati una cioccolata calda. Sapevo che avevo sognato tutto ciò eppure... La sua voce, le sue risate, persino il suo tocco lieve sul mio fianco quando mi aveva fatto salire in macchina... Sembrava tutto così reale e concreto. Sospirai: speravo di essermi lasciata alle spalle quelle fantasie da ragazzina. Pur rimanendo sovrappensiero mi preparai per andare a lavoro; avevo trovato un impiego come stilista presso un atelier di moda, non lontano dal centro di Londra. Impiegai più tempo del solito a vestirmi e truccarmi quella mattina: quel diamine di sorriso mi tornava alla mente in continuazione. Quando finalmente uscii di casa ero clamorosamente in ritardo. Dovevo fare tutto il tragitto a piedi, poichè non avevo la macchina: non sono mai riuscita ad abituarmi a guidare sul lato sinistro della strada, come fanno gli inglesi. In Italia si guida a destra ed è tutto il contrario. Sentivo i nervi a fior di pelle: un'altra giornata iniziata male. Voltai le spalle alla porta, inspirai profondamente e chiusi gli occhi. Quando li riaprii mi accorsi di una grande auto grigia parcheggiata in fondo al vialetto. Strizzai gli occhi per vedere chi fosse alla guida quando quel genio (chiunque fosse) suonò il clacson, facendomi sobbalzare e mi fece cenno di raggiungerlo. "E mo questo chi è?!" fu la mia elegante reazione. Tuttavia mi avvicinai e, non appena scorsi chi c'era alla guida ebbi la tentazione di chiamare subito uno psicologo ed entrare in terapia per minimo dieci anni: fossette, ricci ribelli, occhi di ghiaccio, sorriso provocante... Eh no, non di nuovo! Harry mi fece cenno di salire e adesso vi chiedo: "chi di voi se lo sarebbe fatto ripetere?" Io no di sicuro! E allora mi sedetti sul sedile e lo scrutai sospettosa. Lui mise in moto e io trovai il coraggio di chiedere: «che è successo ieri sera?» lui emise un suono buffo, una specie di risatina sommessa: «non credevo fosse possibile ubriacasi con la cioccolata, ma a quanto pare, tu puoi». Probabilmente notò il mio imbarazzo, perchè sorrise e continuò: «dopo la seconda tazza di cioccolata ti sei addormentata e ti ho portata a letto. Poi ho riordinato la cucina e me ne sono andato». Notai che mentre parlava mi lanciava occhiate fugaci, forse nel tentativo di comprendere la mia reazione. Io, molto semplicemente non sapevo cosa dire. Non era un sogno, allora. Eppure gli somigliava tanto. Sorrisi: ero la ragazza più felice del mondo. Lui se ne accorse e sorrise di rimando, prima di parcheggiare di fronte ad un alto edificio a vetri: la sede dell'atelier. Sganciai la cintura imbarazzata: non sapevo se scendere o aspettare; fosse stato per me non mi sarei mossa di un millimetro per i successivi venti anni. Fu Harold a rompere il silenzio: «Allooooora» esordì con un tono di voce che però tradiva la sua emozione «che ne dici se dopo ti passo a prendere e ti porto un po' in giro?».... Oh mio Dio! Questo rischiava decisamente di farmi andare in modalità fangirling. «O-Ok» fu tutto quello che riuscii a dire. Ma so che lui capì quanto ero felice... Insomma avevo un sorriso a centocinquanta denti! «Allora ci si becca dopo!» e detto questo partì, lasciandomi come una pera cotta lì sul marciapiede, con l'aria da cannata in estasi: Avevo un appuntamento con Harry Styles.

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Capitolo 3
*** Yum, gelato! ***


Anche se di solito mi attardavo in studio, controllando e catalogando le varie creazioni e i vari modelli, quella sera varcai le porte di vetro scorrevoli dell'atelier alle sei in punto. Feci un gran respiro e uscii all'aria aperta; per un istante rimasi accecata dal bagliore del sole al tramonto e, quando riuscii a vedere la strada, il mio cuore accellerò i battiti. "Oh cavolo, è già qui!" sussurrò una flebile ed alquanto isterica vocina nella mia testa. Harry aveva il finestrino abbassato e stava parlando al telefono. Quandò mi vide sorrise, facendomi un cenno di saluto con il capo. Feci "ciao" con la manina, come la più scema delle bambine, e lo raggiunsi trotterellando. «Ahahaha dai piccola Heidi, sali, ti porto in un posto speciale!» Mi sedetti al posto del passeggero ed ebbi un attacco di panico: Harry Styles mi stava portando in un posto speciale ed io indossavo dei jeans strappati, un paio di nike bianche abbaglianti e una camicietta altrettanto candida, il tutto nascosto sotto al mio inseparabile cappotto azzurro. Gemetti e lo guardai terrorizzata. «Va tutto bene Angie?». Mi è sempre piaciuto il suo modo di abbreviare così il mio nome, mi ricorda il titolo di una canzone dei Rolling Stones. Mi calmai e sorrisi imbarazzata, spiegando la mia stupida reazione: «No, è che ho sempre sognato di uscire con te, ma immaginavo mi sarei vestita meglio...» Lui rise, mi lanciò una rapida occhiata e tornò serio. «Non essere sciocca, sei bella anche così» e poi proseguì, per non rendere l'atmosfera troppo smielata: «E poi guarda come sono conciato io!» esclamò, indicando con un solo gesto tutto il suo corpo: indossava anche lui jeans neri, un paio di converse e una maglietta a maniche corte, che lasciava intravedere il veliero tatuato sul braccio sinistro. Non feci nè critiche nè apprezzamenti sul suo abbigliamento; c'era una sola frase che mi ronzava in testa: "Dio quant'è bello!". Non so se Harry si è mai accorto degli sguardi sognanti che gli rivolgevo durante i nostri primi appuntamenti e che ho continuato a rivolgergli per tutta la vita. Se l'ha fatto, si è reso conto di quanto io l'ama ssi; se non l'ha fatto, avrebbe dovuto preoccuparsi seriamente di prendere un appuntamento da un bravo oculista. Passammo la serata a ridere e scherzare, camminando vicini lungo le scintillanti e affollate strade di Piccadilly. Stavo letteralmente morendo di fame, quando Harry si fermò di fronte ad una gelateria. «Harry, è ora di cena... E poi devi ancora farmi vedere questo "posto speciale"!» lui mi guardò sorpreso: «che c'è di più speciale di una gelateria?». Lo guardai sgomenta e, per tutta risposta, lui si fece spallucce giustificandosi: «Ok, lo ammetto: forse vivere con Niall ha influenzato un po' il mio rapporto con il cibo...» ed entrò ridendo. Sorrisi e lo seguii, scuotendo la testa divertita. Sarebbe stato l'appuntamento più stupido della mia vita.

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Capitolo 4
*** Give me love ***


Qualcuno bussò piano alla porta del bagno. Ero talmente concentrata che anche quel lieve rumore mi fece sobbalzare: lo scovolino del mascara mi finì nell'occhio, costringendomi a sbattere forte le ciglia, che si tatuarono sullo zigomo destro. Sbuffando rumorosamente presi a smacchiarmi con una salviettina. «Angie, posso entrare?» chiese una voce da dietro la porta; «Mhmh» risposi in segno di assenso e quest'ultima si aprì un poco. Una figura alta e snella scivolò dentro e la richiuse piano. Ammirai il suo riflesso nello specchio: aveva i capelli in disordine come sempre, gli innumerevoli tatuaggi in mostra sulle braccia scoperte e un sorriso furbo sulle labbra. Si appoggiò alla parete e rimase a guardarmi. Poichè non sembrava avere l'intenzione di dire qualcosa decisi di stare al gioco e continuai a truccarmi, ignorandolo. Afferai il tubetto dell'eye-liner e lo stappai, passondomene un filo sottile sulle palpebre. Poi presi la matita e la distesi sulla parte inferiore dell'occhio. Eppure lui era lì che continuava a fissarmi, con la sua aria furbetta. «Oh, si può sapere che c'è?!» sbottai esasperata, alla fine. Lui ridacchiò e mi si avvicinò. Lo vidi venirmi dietro, riflesso nello specchio, e cingermi la vita con le mani. Era spaventoso come i nostri corpi combaciassero alla perfezione, come il suo volto si adagiasse così naturalmente sulla mia spalla... "Your hand fits in mine like it's made just for me". Continuò ad abbracciarmi e mi baciò sulla guancia; uscivamo insieme da circa due settimane, e ancora non ci eravamo baciati. «Che ne dici se stasera non uscissimo?». Lo guardai, fingendomi infastidita: «Mi hai fatto truccare per niente?!» esclamai prima di prorompere in una risatina divertita. Non mi importava affatto uscire o non uscire, mi bastava stare con lui. Mi prese una mano e mi guidò fuori dal bagno. La casa di Harry era enorme: al pian terreno, appena entrati c'era un grande atrio, sul quale si affacciavano due rampe di scale, una a destra e una a sinistra, inframezzate da una porta a vetri che dava sul giardino. Sempre a destra si apriva una porta che dava sulla cucina, mentre dalla parte opposta un'altra si apriva su un piccolo salottino con tanto di caminetto, TV al plasma e scrivania. Salendo una delle due rampe di scale ci si ritrovava al piano superiore, precisamente in un immenso soggiorno munito di tre poltroncine, un divano, TV (sempre al plasma) e un tavolino basso; una parete della stanza era occupata da un'altra porta a vetri, stavolta affacciata su una sterminata terrazza con tanto di piante dei più svariati tipi adagiate ai lati, un tavolo nel mezzo e un dondolo in un angolo. Sul salotto si aprivano due porte: una portava ad una grande camera da letto, dove dormiva Harry, con tanto di bagno a fianco, dall'altra si accedeva ad un lungo corridoio, con una porta in fondo -quella del bagno dove ero a truccarmi appunto- e altre due sul lato destro che portavano rispettivamente ad una camera meno ampia e ad una piccola loggia con tanto di divanetti in vimini, tavolino di vetro e magnifica vista su Londra. Una volta raggiunto il salotto Harry si abbassò e mi cinse l'incavo delle ginocchia con un braccio, sollevandomi e prendendomi in collo. Gli passai un braccio intorno alle spalle e mi rannicchiai contro il suo petto; amavo il suo profumo, così familiare ormai, così inebriante e dolce. Per me era l'odore dell'amore. Mi portò in terrazza, dove petali di rose multicolori erano sparsi ovunque, mentre la dolce fragranza sprigionata dai fiori e dalle candele color pastello, posizionate sul tavolino apparecchiato, si diffondeva nell'aria tiepida di inizio estate. «È bellissimo...» sussurrai emozionata. Harry arrossì un po' e poi mi mise giù, prima di accendere un piccolo stereo nascosto in un angolo, che emise le prime note de "La nuova stella di broadway" di Cremonini. Ci sedemmo e mangiammo, mentre il sole ci inondava del suo calore arancio e oro. Passavo gran parte del nostro tempo a guardarlo: era la perfezione fatta persona. Quando finimmo di mangiare lui si alzò per sparecchiare ed insistette perchè rimanessi seduta e comoda. Mi alzai ugualmente e mi incamminai verso la ringhiera in ferro battuto, fitta di convolvoli rosa, bianchi e viola in fiore. Il profilo di Londra, luccicante e moderna contrastava con la quiete incantata di quella casa; percepii una mano raggiungermi la schiena e risalirla, spostando i capelli, per poi cingermi le spalle con tutto il resto del braccio. In quel momento lo stereo emise le note di una delle canzoni più struggenti che abbia mai conosciuto: "Caruso" di Lucio Dalla. Mi vennero le lacrime agli occhi e mi girai verso Harry. Lui sostenne il mio sguardo e poi estrasse qualcosa dalla tasca, sventolandomi un foglio sotto il naso: la traduzione della canzone, molto approssimata, ma sufficiente a fargliene capire il senso. Mi abbracciò forte. Di nuovo quel profumo... Chiusi gli occhi. Lo amavo. Da morire. Da vivere. Da resuscitare. Le ultime note sfumarono nell'aria raffrescata. Il cielo andava riempiendosi di stelle e le candele creavano un'atmosfera romantica, gettando ombre incerte e tremolanti e colorando tutto di una soffusa luce dorata. Harry si sciolse dall'abbraccio e mi guardò con un sorriso compiaciuto, che si allargò a dismisura quando lo stereo attaccò le note di una canzone piuttosto vivace... "When the moon hits your eye like a big piazza pie..." «That's ammorreee» concluse Harry. Scoppiai a ridere. «Ti amo» riuscii a dire alzando gli occhi al cielo, con un gesto teatrale, come se ormai avessi dovuto accettare una scomoda verità. Lui sorrise e fece un inchino, tendendomi la mano. Io la presi e cominciammo a volteggiare come due ubriachi sulle piastrelle color mattone della terrazza. E intanto ridevamo, ridevamo felici e spensierati. Alla fine della canzone ci sedemmo sul dondolo, l'uno a fianco dell'altra, la mia testa sulla sua spalla, il suo braccio attorno al mio fianco. Passò un altro paio di canzoni, ma quando lo stereo ci d liziò con i primi accordi di "Give me love" Harry si alzò di nuovo, prendendomi le mani e alzandomi di peso. Sempre tenedole piano se le appoggiò sulle spalle e poi mi cinse i fianchi lievemente. Prendemmo a dondolare piano sul posto, sorridendoci a vicenda e improvvisando, ogni tanto, qualche passo di danza. Rimanemmo stretti in quel soffice abbraccio finchè la voce di Ed non intonò per l'ultima volta il ritornello. A quel punto ci guardammo: il mio mento si alzò lievemente, la sua testa si inclinò verso destra. La sua stretta sui miei fianchi si fece più solida, arrivando a cingermi tutta la schiena; lo spazio tra i nostri corpi si ridusse in un fruscìo di pelle e abiti che si sfiorano impercettibilmente. Abbassai le palpebre, mentre la voce di Ed svaniva, salendo verso il cielo stellato della notte più bella della mia vita "oh my my oh my my...Give me loooveee..."

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