La grande romanica famiglia di Giallo4ver (/viewuser.php?uid=87543)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questioni di pastori, lupe e gemelli. ***
Capitolo 2: *** Prime parole e risse di famiglia. ***
Capitolo 3: *** La strana coppia che scoppia. ***
Capitolo 4: *** Sette spose per sette fratelli (1) ***
Capitolo 1 *** Questioni di pastori, lupe e gemelli. ***
d
Palatino si aggirava stancamente lungo le sponde del Tevere.
Era stata una lunga giornata, tra lavori agricoli e brigantaggio
occasionale, il poverino non aveva avuto mai un attimo di pace.
Tra l’altro, con Etruria che cercava di espandersi da un lato, e
quel nevrotico di suo cugino Lazio che lo stressava dall’altro,
ogni giorno era un susseguirsi di scontri ed incontri infelici, e lui
non sapeva più che scuse inventare per trarsi fuori
d’impaccio e continuare a vivere la sua tranquilla esistenza di
piccolo villaggio di collina.
Il pastore (e sì, lui era anche un pastore), ripensando alla sua
scomoda posizione ed ai tempi difficili, sospirò stancamente e
fece per portarsi alla bocca il pezzo di carne che si era portato da
casa insieme al vino, quando una macchia nera gli si fiondò di
fianco, azzannò il pezzo di carne e corse via.
- Maledetta lupa!- sbraitò Faustolo, brandendo il suo lungo
bastone da pecoraio ed inseguendo l’animale.
Erano circa sei giorni che quella bestiaccia faceva razzia nei suoi
territori, ed i suoi sei fratelli minori lo stavano angustiando.
“Quando la catturi quella bestiaccia? Mi ha mangiato tre galline
stanotte!”
“Allora, la tira o no la cuoia questa cagna rognosa? Terrorizza i
miei abitanti!”
“E be’, dov’è la pelle di quell’animale
malefico? Quand’è che ti decidi a scuoiarlo per
bene?”
Ah! parlano bene, quei miserabili! E
mica m’aiutano ad incastrare ‘sta belva! Si
lamentò lui, mentre inseguiva l’animale che, ad un tratto,
s’infilò in una specie di grossa tana e lì si nascose.
- Ah- ah! beccata!- esultò il pastore, pronto a piombare
sull’animale in trappola e a rifilargli una bastonata in testa,
ma si bloccò giusto in tempo.
La lupa si era infatti fermata sulle quattro zampe e lo fissava per
nulla impaurita, quasi con aria di sfida, Faustolo stava per assestarle
una bastonata, quando due bambini erano sgusciati fuori dal retro buio
della piccola tana e si erano attaccati alle sue mammelle.
Il pastore rimase con la verga sospesa a mezz’aria e la bocca
aperta, la lupa lasciò cadere il pezzo di carne e si
leccò il muso.
I piccoli erano coperti da due straccetti sporchi di terra e
chissà che altro, ed uno dei due stava per addormentarsi mentre
succhiava il latte.
Faustolo, incredulo, poggiò a terra il bastone e si chinò
verso l’animale.
- Posso…?- mormorò, indicando i bambini, mentre guardava
negli occhi la lupa, che chinò la testa, come se avesse
acconsentito.
Palatino prese delicatamente i due piccini in braccio, che lo
guardavano l’uno mezzo addormentato e l’altro fin troppo
sveglio, e li portò a casa.
- Ragazzi!- tuonò, aprendo la porta della sua abitazione con un
calcio.- Abbiamo due nuovi fratelli!- disse allegro.
I suoi sei fratelli minori, seduti al tavolo della grande sala da
pranzo (che poi era anche la cucina), si voltarono contemporaneamente
tutti di scatto.
- Ah, altre bocche da sfamare?! Già moriamo d’inopia noi!-
sbottò Esquilino, guardandolo torvo.
- E chi sarebbero? C’è un ottavo colle qui intorno?-
domandò Quirinale, ignorando l’infelice ma veritiera
osservazione di Esquilino.
- No, loro sono un nuovo villaggio.- spiegò Palatino, entrando.-
Sai, tra l’isolotto sul Tevere ed il mio colle, c’è
un nuovo insediamento.-
- Ah, quindi li stavamo aspettando…- fece Celio, sorridendo.-
Dalli a me, ora faccio loro un bagno.- si offrì, tra i sette
sembrava il più affabile e gentile, anche se in
realtà era il più disonesto e doppiogiochista.
Il maggiore gli passò i bambini e l’altro sparì
fuori casa, dato che era lì che avevano l’acqua per
lavarsi.
I sei fratelli, rimasti in sala, iniziarono a discutere sul nome da
dare ai due piccoletti, il loro nome di villaggio era Roma, ma non si
sapevano i loro nominativi umani.
Proprio mentre stavano per azzuffarsi sul nome da dare ai bambini,
Celio rientrò in casa, con un sorrisetto poco rassicurante e
divertito sul volto.
- Signori…- annunciò, richiamando l’attenzione di
tutti, diede uno dei due bambini a Palatino e sollevò
l’altro, quasi fosse stato un sacerdote che consacrava il pugnale
prima di immolare la vittima sacrificale.- …ecco a voi, la
nostra prima sorella!-
Nella stanza piombò il silenzio.
La bambina, o quello che era, li guardava inconsciamente divertita
dall’alto della presa salda delle mani di Celio, che attendeva
sogghignando una loro reazione.
- Non è possibile!- tuonò Viminale.- Guarda meglio!-
- Iniziano a venirmi dubbi esistenziali…cosa fa esattamente una
donna?- cadde dalle nuvole Campidoglio, guardando spaesato i fratelli,
ma vide il suo spaesamento riflesso in sei volti.
- Allora, di norma, una donna cucina e fa figli…e, se non erro,
cuce i vestiti…ma potrei sbagliarmi.- intervenne Quirinale,
pensoso.
- Sì, ma…voi conoscete nomi di donne?- cambiò
argomento Aventino.
- Ehm…Catilina?- azzardò Esquilino.
- Deficiente, Catilina è da maschio.- l’apostrofò
Viminale.
- Ma finisce per A…- ribatté lui, l’altro
sospirò, scuotendo la testa.
Iniziarono ad urlarsi contro su quale nome fosse da uomo e quale da
femmina, mentre Celio si mise a fare i versi ai due bambini, che
ridevano di gusto.
- Almeno qualcuno si diverte…- mormorò tra sé
Palatino, che stava osservando tutta la scena in disparte.
Gli altri cinque fratelli si stavano azzuffando, com’era loro
solito.
- E quindi si chiama Tiberio!- urlava Aventino.
- E da quando il mio nuovo fratello si chiama Tiberio perché
l’hai deciso tu?!- tuonava in risposta Campidoglio.
- Vuoi che ti pesti, eh?- ribatteva Aventino.
- Ah, sì, vediamo, non saresti buono neanche a togliermi la
suola ai calzari!- lo provocava Campidoglio.
- Cinna! Cinna è un nome da femmina!- strillava dall’altro
lato Esquilino.
- No, coglione, mica perché finiscono per A sono nomi da
femmina! Stai elencando tutti nomi maschili!- rimbrottava Viminale.
- E dai, basta, pure sui nomi da femmina ora!- si lamentava Quirinale.
- Allora chiamiamola Faustola!- insisteva Esquilino.
- Faustola non esiste! E se esistesse, sarebbe orribile!- gli urlava
spazientito Viminale.
- Allora Tiberia!- ci riprovava Esquilino.
- Se, va bene…a questo punto chiamiamola Lazia e facciamo
prima!- lo sfotté l’altro, mentre Quirinale faceva ancora
più chiasso cercando di calmarli.
- Basta! Silenzio, bestiacce!- tuonò Palatino, riportando
ordine.- Il bambino si chiamerà Tiberio, perché
è giusto che porti il nome del fiume che lo sfama e lo disseta.
La bambina si chiamerà Clelia*, perché per sopportare
sette bestie come noi le ci vorrà parecchio coraggio. Il loro
secondo nome sarà Remo per il maschio, e Romolo per la femmina,
sono diversi perché ci può essere una sola città,
una sola Roma, ed una sola rappresentanza può essere legata alla
città, il bambino sarà invece il regno di Roma, se gli
dèi hanno concesso a Roma due rappresentanze, vuol dire che quel
villaggio è destinato alla grandezza.- prese un respiro
profondo.- Lamentele? Se ce ne sono, parlate uno per volta.-
I cinque si guardarono, mentre Celio era alle prese coi due marmocchi
che gli si erano attaccati chi ai capelli e chi alla tunica, e
gorgheggiavano parole incomprensibili, cercando di mordergli con le
gengive qualunque parte del suo corpo (mani, braccia, naso) che
capitasse loro a tiro.
- No, ci sta bene.- parlò a nome di tutti Campidoglio, che dopo
Palatino, era il più grande, e fu chiusa lì la questione
dei nominativi.
Angolo autrice:
*Il nome Clelia significa "coraggiosa".
Salve a tutti, come va?
Se ve lo stavate chiedendo, sì, è la mia solita storiella
random e disimpegnata, ed è nata più o meno così:
ero in macchina e guardavo fuori dal finestrino, ripensando al compito
imminente di letteratura latina, quando mi sono ricordata che Roma
sorge su sette colli, i quali colli, in epoca preromana erano abitati
da comunità di pastori/agricoltori e briganti d'occasione, in
prevalenza, erano tutti maschi (ecco perché poi si giunge al
famoso "Ratto delle Sabine").
Insomma, mi ricordo di queste sette villaggi e mi chiedo "E se Nonno
Roma avesse sette fratelli maggiori, oltre che una sorella gemella?"
A sera, espongo la mia idea ad alcune mie amihe, ed eccoci qui.
Ne sono venute fuori un sacco di scenette più o meno comiche,
quindi...anche se non sarà il massimo, spero che vi
piacerà.
E' solo un'idea, una sequela di storielle più o meno lunghe
sull'età arcaica romana.
Grazie per aver letto la prima.
Ah, sì, i fratelli sono tutti uomini, non ci sanno fare con le
donne, ecco perché i tanti complessi e dibattiti su Clelia, loro
prima ed unica sorellina.
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Capitolo 2 *** Prime parole e risse di famiglia. ***
ds
Celio era il più piccolo dei suoi fratelli, o almeno, lo
era stato fino a che Palatino non aveva portato a casa i due gemelli.
*Claudio (questo il suo nome umano) non era forte come gli altri sei,
era il più basso, il più smilzo e gracile, dai tratti del
viso più morbidi, non adatto al lavoro nei campi per via della
sua pelle troppo delicata, né buono a fare il brigante, era
troppo lento.
Eccelleva, il povero Celio, solo nel distinguere le erbe e nel
prepararci intrugli, molto spesso veleni.
I suoi fratelli maggiori, uomini piuttosto pratici ed energici, sempre
pronti a menare le mani in qualunque situazione, lo lasciavano
spessissimo a casa, a preparare pranzo e cena e, ora come ora, a fare
da balia ai due marmocchi, e poco contava che avessero stabilito dei
turni, alla fine, soltanto lui e Palatino si alternavano con frequenza
quasi precisa.
Celio sospirò sconsolato, di certo il lavoro da balia non lo
nobilitava agli occhi dei suoi fratelli maggiori.
Infatti i sei colli, a causa della poca forza e della poca resistenza
di Celio, dei suoi tratti delicati e del suo carattere lunatico e alle
volte isterico, avevano preso a considerarlo la donna di casa, lo
chiamavano spesso e volentieri “Claudia” e non esitavano a
fermare uomini a caso per le strade dei loro villaggi e a far finta di
offrire loro un’ipotetica dote per il matrimonio.
Era ovviamente uno scherzo, ma uno scherzo di pessimo gusto.
Anche quel giorno, i suoi fratelli mangiavano e lui correva dietro a
quelle due pesti in miniatura, che gattonavano ad una velocità
assurda per casa, e ridevano dei suoi tentativi vani di afferrarli.
- Vieni qui!- sibilò, afferrando Clelia in tempo affinché
non sgattaiolasse sotto uno dei pochi mobili della cucina.
La bambina gorgheggiò ridendo, protendendo le manine verso di
lui.
Per lei è tutto un
gioco…sbuffò tra sé Claudio, guardandola
accigliato.
- Non ci si nasconde sotto i mobili.- l’ammonì, poi prese
in braccio anche Tiberio, il quale, avendo visto sua sorella in
posizione “privilegiata” (ovvero tra le braccia di un
qualsiasi essere umano), aveva cominciato a mordergli, con i primi
dentini che aveva messo su da qualche giorno, una gamba.
- Ehi Celio, saresti una madre perfetta!- l’apostrofò
Viminale, ridendo.
- Sì…- continuò ridendo a sua volta Campidoglio.-
…quand’è che potrò essere zio?-
Risero tutti e sei, mentre Claudio prendeva un respiro profondo per non
massacrarli di insulti.
- Quando troverò una moglie.- rispose placidamente poi,
sorridendo forzatamente.
- Una moglie o un marito?- intervenne Quirinale, suscitando una nuova
ondata di derisione.
Prima o poi gl’infilo il veleno
nella minestra…complottò, sospirando irritato il
più piccolo.
- Mamma!- squittì d’improvviso una vocina, ammutolendo le
risate dei sei fratelli.
- Che…- sibilò Celio, fissando Clelia.
- Mamma!- fece lei, sorridendogli ed aggrappandosi alle sue vesti, come
per abbracciarlo.
Palatino sghignazzò, incredulo.
- No, non sono “mamma”.- puntualizzò Claudio, sempre
più nervoso.
- Mamma!- ripeté Clelia, imperterrita.
- No, no, no…- scosse la testa, disperato.- …fratello.-
le sillabò.
- Semmai sorella…- ridacchiò Esquilino.
- Sorella!- esultò d’un tratto un’altra vocina.
Il più piccolo dei sette fratelli guardò Tiberio, sconvolto.
- Fratello!- ripeté Celio, mentre gli altri colli sghignazzavano
e sogghignavano.
- Sorella!- ripropose Tiberio, battendo le manine.
- Ma perché…- si lagnò esasperato il
poveretto.-…sono vostro fratello.- asserì convinto,
rivolto ai due bambini.
- Mamma!- insistette Clelia.
- Sorella!- rise Tiberio.
La lupa, che era rimasta in disparte, si avvicinò scodinzolando,
iniziando a strusciarsi contro le gambe di Celio.
- E tu che vuoi, cane pulcioso?- sbottò lui, fissandola con
astio.
- La cena.- rispose Palatino.- Non l’hai ancora fatta
mangiare…-
- No, Celio, male!- lo riprese sardonicamente Viminale.- Una buona
donna di casa pensa anche al cane!- esclamò alzandosi in piedi,
per enfatizzare la situazione.
Tutti scoppiarono a ridere fragorosamente.
Celio posò a terra i bambini e saltò addosso a suo
fratello Viminale.
Come risultato, si ebbe una rissa di famiglia, durante la quale la lupa
mangiò il pranzo di tutti e sette i fratelli ed i due bambini
risero di gusto guardandoli e continuarono ad urlare le uniche parole
che conoscevano.
Alla fine Claudio aveva pestato tutti e sei i suoi fratelli maggiori,
dando libero sfogo ad anni ed anni di ira repressa, era calato poi il
silenzio.
I sette fratelli, dopo la rissa, se ne stavano seduti a terra, senza
dire una parola o scambiarsi uno sguardo.
Avvertirono, nell’immobilità della stanza, un paio di
risatine allegre e videro i due piccoli gattonare fin da loro.
I gemelli si aggrapparono alla tunica di Celio, strattonandola.
- Fratello!- risero in coro, cristallini, nella loro candida
ingenuità da bambini.
Il ragazzo sorrise, scompigliando loro delicatamente i capelli.
- Oh, adesso va bene.- sghignazzò soddisfatto.
Da quel momento in poi, nessuno dei suoi fratelli maggiori si
azzardò più a dargli della donna.
Se per ottenere questo risultato,
dovevo pestarli a sangue, a saperlo, li avrei pestati molto tempo
fa…pensò tra sé Claudio, sospirando
gravemente.
Angolo autrice:
*Il nome di Celio riprende quello della gens Claudia, una delle
più antiche e potenti di Roma.
E' esperto nei veleni perché, come ricorderete, probabilmente
l'imperatore Claudio fu avvelenato da sua moglie, quindi ho fuso un po'
di roba storica, anche l'instabilità caratteriale è
ripresa dalla dinastia imperiale giulio- claudia (Caligola).
Salve, che dire? Ecco a voi il terzo "capitolo".
Ovviamente le nazioni non crescono come i comuni mortali, ecco
perché i due bambini crescono in pochi giorni ed hanno
già i denti.
Ringrazio come al solito chi ha inserito la storia nelle seguite e chi
ha commentato e spero continui a commentare. :)
Vi ringrazio per aver letto, spero che questa "raccolta" vi stia
piacendo.
Alla prossima,
Giallo4ver.
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Capitolo 3 *** La strana coppia che scoppia. ***
d
Erano tre giorni che Faustolo aveva portato con sé i due
gemelli; sfortunatamente, erano tre giorni che la lupa, che li aveva
assurdamente nutriti per chissà quanto tempo, si aggirava per
casa sua come un’ombra assassina.
Sì, la dannata lupa viveva da qualche giorno in casa sua, e non
c'era verso di sbarazzarsene.
- Questa bestiaccia perde pelo ovunque, perché non la cacciamo
fuori, eh?!- sbraitò isterico Viminale, non appena vide
l’animale serpeggiare in cucina, rubargli la colazione ed andare
ad accucciarsi vicino alla piccola culla dei bambini.
- Perché no, dai Viminale, guardala…- fece Palatino,
pazientemente, indicando l’animale che giocava con i bambini come
se fossero stati suoi cuccioli.-…è come una madre, per
loro.- spiegò, bevendo un po’ d’acqua per
sciacquarsi la bocca ancora impastata di sonno.
- Ah, certo…- borbottò il fratello.- …tanto non
sei tu quello a cui ruba la colazione.-
- E non sei tu quello che si becca i vestiti pieni di pelo!-
sbottò d’improvviso Celio, entrando in cucina.- La tua
dannata cagna rognosa dorme sopra ad i miei vestiti!- lo
informò, guardandolo torvo, mentre la lupa gli ringhiava dietro.
- Si chiama Acca Larenzia* e…- cominciò Palatino,
ma venne bruscamente interrotto da Campidoglio.
- Ah! E così ha pure un nome…un nome le hai dato, a
quella belva selvatica!- tuonò il secondo dei sette fratelli.-
Che Arcidemone degli Inferi ti salta in testa, a te?! I lupi stanno
nelle selve, gli uomini nelle case, ergo…che diavolo ci fa un
lupo in casa mia?! Mi prendi per il culo dandogli un nome?! Mi sono
sparite due galline ieri! E la tua cagnaccia ne sputa ancora le piume!-
continuò alterato, ma prima che Faustolo potesse rispondergli,
la lupa si fiondò tra i due fratelli, puntò le zampe,
tirò fuori gli artigli, sguainò i denti e si mise a
ringhiare ferocemente contro Campidoglio, drizzando il pelo nero e
folto.
- Ehi, sta’ buona…- intervenne Palatino, chinandosi su di
lei ed accarezzandola.- …sta’ buona.- ripeté.
La lupa parve tranquillizzarsi, si leccò il muso, rimise a posto
gli artigli e, come se fosse stata stizzita, si voltò e
tornò dai bambini.
- Mah…- sibilò incredulo Campidoglio.- Io è meglio
che vado a lavarmi ed esco a lavorare.- borbottò, mentre gli
altri due annuivano.
Durante il pomeriggio, Palatino era rimasto solo a casa, con i due
bambini.
I sei fratelli facevano a turno per badare ai piccoli, ed ora era
toccato a lui.
Con lui c’era Larenzia, che accucciata in un angolo, seguiva ogni
suo movimento con occhi vispi e attenti.
La presenza dell’animale non gli dava fastidio, Larenzia non gli
faceva nulla di eccessivamente fastidioso.
Faustolo la fissò negli occhi.
- Non ti stanno simpatici i miei fratelli, eh?- sghignazzò, e
gli parve che gli occhi dell’animale sorridessero complici.-
Be’, cerca di limitare i dispetti, non voglio fare tutto quel
chiasso ogni mattina, d’accordo?- disse, poggiando un bacio sulla
fronte di Clelia, che non perse occasione e gli agguantò il
naso, mentre Tiberio iniziò a tirargli schiaffetti su una
guancia.
Palatino si divincolò un po’ bruscamente, non era abituato
ai bambini.
Clelia non si scompose più di tanto, guardandolo
interrogativamente e protendendo le manine verso il suo volto, mente
Tiberio ritrasse subito le piccole braccia verso di sé, come per
proteggersi, gli divennero lucidi gli occhietti e il suo labbro
superiore tremò leggermente, poco dopo scoppiò in
lacrime, quasi si fosse risentito del trattamento riservatogli dal
fratello maggiore.
- Ah, non piangere, Tiberio.- cercò di consolarlo il fratello,
provò a baciarlo, ma il piccolo iniziò a dimenarsi e a
piangere con più insistenza.- Scusami piccoletto, dai…non
fare così…- piagnucolò Palatino, disperato.
A quel punto la lupa si alzò dal suo cantuccio e gli si
avvicinò, era abbastanza grande da arrivare all’altezza
del pastore, che era seduto su una specie di sgabello e teneva i
piccoli più o meno poggiati sulle gambe.
L’animale accostò il muso a Tiberio, che si quietò
non appena le sue manine iniziarono a giocare con il pelo di Larenzia.
Clelia si sporse verso la lupa, iniziando a sua volta ad intrecciare le
piccole mani nel pelo lucido e nero, ridendo divertita.
- Ah, allora è per questo che non fate altro che tirare capelli
e qualunque altra cosa vi capiti a tiro, eh…- comprese Faustolo,
ridacchiando.
Provò ad alzarsi e a metterli nella culla, per farli
addormentare, ma i due iniziarono a strepitare non appena si videro
lontani da Larenzia.
Palatino capì allora che i bambini si rilassavano carezzandole
il pelo, così prese un suo vecchio indumento di lana, lo stese a
terra e ci mise i bambini sopra.
La lupa si accovacciò di fianco a loro, ed i piccoli,
utilizzando il suo ventre come fosse stato un cuscino, si
addormentarono velocemente.
Faustolo sorrise tra sé, sedendosi a gambe incrociate vicino
Larenzia, che poggiò la testa sulle sue cosce, lui iniziò
a carezzarle la testa e a grattarle dietro le orecchie.
Alla fine si addormentarono tutti e quattro.
I sei colli tornarono a casa poco prima del tramonto.
Campidoglio intimò agli altri di fare silenzio ed indicò
con l’indice un angolo della cucina- sala da pranzo.
Si radunarono tutti e sei, compatti e silenziosi, davanti a quella
specie di strano quadretto familiare assopito.
- Madre…- fece Esquilino, additando la
lupa.-…padre…- additò Faustolo.-…e figli.-
indicò i due bambini.
- Shh!- sibilò Viminale.- Se quelle due pesti si svegliano, chi
le fa addormentare più!- si lamentò, riferito ai bambini.
- Già…- annuì Celio, sudando freddo.
Di norma era a lui che scaricavano sempre mansioni di quel tipo.
“Somigli ad una donna ed i
bambini con te piangono di meno.” dicevano sempre i suoi
fratelli quando lui si lamentava di essere quello che più di
tutti era costretto a stare con i due marmocchi.
- Tutti a dormire, tanto abbiamo mangiato prima.- sussurrò
Campidoglio, indicando la camera da letto che condividevano tutti e
sette, si diressero lì cercando di ovattare i passi.
- La strana coppia che scoppia…- sghignazzò tra sé
Quirinale, scompigliando i capelli del fratello addormentato, che per
quella notte rimase a riposare in cucina.
Angolo autrice:
*Acca Larenzia: c'è un bell'articolo illuminante su Wikipedia,
vi prego, non mi va di copia-incollarlo, se siete interessati/e a
comprendere il collegamento, scrivete su Wikipedia "Acca Larenzia", e
vi sarà tutto chiaro.
Grazie.
(Anche perché è un po' lunghetto da postare qui...)
Comunque, grazie per aver letto anche questo capitolo, spero che vi sia
piaciuto.
Ringrazio coloro che hanno messo la storia tra le seguite, ed un
ulteriore ringraziamento a quanti hanno commentato e (spero)
commenteranno.
Alla prossima.
Giallo4ver.
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Capitolo 4 *** Sette spose per sette fratelli (1) ***
d
Erano passate tre olimpiadi* (per dirla alla greca) dalla comparsa
dei due piccoli gemelli.
I piccini erano cresciuti velocemente, ed ora sembravano avere sei anni
a testa.
I sette colli si compiacevano dei loro due piccoli nuovi fratelli.
Tiberio era molto agile e la sua pigrizia gli aguzzava l’ingegno,
lui svolgeva poche mansioni, ma le svolgeva sempre in modo veloce ed
efficace, questa sua caratteristica non stupiva i suoi fratelli
maggiori, infatti l’inerzia e l’arguzia erano un comun
denominatore che li identificava come parte di un’unica grande
famiglia.
Clelia, invece, destava qualche preoccupazione: era silenziosissima, ma
i suoi rari commenti, lapidari e velenosi, erano letali, era capace di
metterli tutti in riga con un semplice sguardo, i suoi occhi da aquila
non lasciavano scampo.
La bambina si comportava da adulta, o meglio, da adulto.
I suoi atteggiamenti, i suoi interessi, il suo modo di
pensare…erano quasi più mascolini di quelli di Tiberio.
La personalità di Clelia era forte, sembrava fatta di quei
metalli infrangibili lavorati dagli Etruschi, Romana era decisa e
precisa, colpiva sempre nel segno e guai se s’impuntava su
qualcosa, doveva ottenerla assolutamente, o non si dava pace, per lei
era una questione di orgoglio, un orgoglio più di stampo
maschile, che femminile.
Un giorno Palatino, allarmato per i comportamenti tirannici e dispotici
della sua unica sorellina, che da quando aveva preso a dettar legge,
aveva trasformato quella casa in un accampamento militare, cercò
di parlarle per capire cosa la spingesse a comportarsi in quel modo.
Dopo un accorato discorso sui compiti dell’uomo e della donna, si
sentì rispondere dalla bambina che, essendo il villaggio una
famiglia, ed essendo dovere della donna curarsi della famiglia, lei
aveva, in quanto "donna", il compito di sbrigare le questioni del
villaggio, che era poi la sua famiglia, ed aveva tutto il diritto di
legiferare tanto quanto un uomo, perché l’uomo senza una
donna ed una famiglia su cui dettar legge avrebbe governato sul
perfetto nulla, in sintesi, la piccola fece intendere al fratello che
l’uomo era inutile senza una moglie e tutto quello che conseguiva
dall’avere una consorte.
Palatino si rese conto in quel momento, come se fosse stato
fulminato da quel pensiero, che nel suo villaggio,
così come in quelli dei suoi fratelli, le donne scarseggiavano e
che le uniche cose che facevano gli uomini erano lavorare i campi ed
azzuffarsi tra loro per la bella signora di turno.
Solo Quirinale aveva qualche donna in più, che ovviamente non si
degnava di condividere con gli altri fratelli, orgoglioso com’era
della sua alleanza con Sabino, che sul Quirinale c’haveva fondato
persino un villaggio, e lo proteggeva a gladio sguainato.
- Signori miei, la situazione è tragica, e me ne sono reso conto
solo ora.- aveva esordito Faustolo a cena, qualche giorno dopo la
conversazione con Clelia.
- Punto primo, ma di che parli? Punto secondo, manca Quirinale, se
è importante, deve esserci anche lui…- era intervenuto
Equilino, in tono annoiato.
- Esquilino, fratello mio, tu sai che Quirinale fa il doppiogiochista,
una volta aiuta noi, un’altra volta aiuta i Sabini…oggi,
per esempio, è a cena da Sabino, ed è il momento giusto
per parlarvi del nostro inaspettato ed assurdo problema.- aveva
risposto il maggiore dei colli, sorridendo maligno.
- Va bene, parla allora, ti ascoltiamo.- fece Campidoglio, secondo
fratello in linea di successione.
- Bene, esattamente, quante donne ci sono nei vostri villaggi?-
continuò Faustolo, intrecciando le dita lunghe ed affusolate
delle mani e poggiandoci sopra il mento.
- Poche…- risposero all’unisono i cinque, scoccandosi
occhiate interrogative.
- Bene, ed esattamente…cosa credete che succederà ai
vostri villaggi una volta che i vostri uomini moriranno senza erede?-
Palatino sorseggiò un po’ di vino, fissando con occhi
assenti il contenuto del bicchiere.
- Per Giove…sarebbe terribile! Morirei!- sussultò
Viminale, portandosi una mano davanti alla bocca e sgranando gli occhi,
irrigidendosi.
- Questa sì che è una secchiata d’acqua
ghiacciata…- mormorò Celio, mordicchiandosi le labbra
screpolate dall’afa e dal sole.
- E tu che proponi, onde evitare l’estinzione?- chiese
allarmato Aventino.
- Qualche giorno fa sono andato da Sabino e dai suoi 'amichetti'* per
chiedere loro di allearsi con noi, per suggellare l’alleanza,
avevo proposto di far sposare le loro donne con i nostri
uomini…- raccontò l’uomo, in tono calmo.
- E loro?- volle sapere Campidoglio, che immaginava già la
risposta della rappresentanza dei Sabini e dei suoi alleati.
- Hanno detto di no.- finì la storiella l’altro,
candidamente, fissando negli occhi Campidoglio e sorridendo.
- E lo dici così?!- sbottò Celio quasi isterico, battendo
un pugno sul tavolo e facendo rovesciare due o tre bicchieri.
- Facciamo loro guerra e prendiamo con la forza le loro dannate donne,
poi vediamo se hanno ancora il coraggio di rifiutare un’alleanza
con noi.- tuonò Viminale, riprendendosi dallo shock.
- No, no, calmi tutti quanti, non vi agitate.- Faustolo si alzò
in piedi.- Ho un piano. Facciamo finta di non esserci risentiti per il
loro rifiuto, organizziamo una festa, li invitiamo tutti e mentre sono
distratti ci prendiamo le donne, possibilmente non sposate, si capisce.-
- Geniale.- approvò Campidoglio.- Ma poi Quirinale non si
arrabbierà?-
- Quirinale? Oh, sarà lui a determinare la riuscita del
piano…- sghignazzò il maggiore.- …mentre chiedevo
a Sabino l’alleanza, Quirinale non ha fatto niente per aiutarmi,
è ora che impari qual è il suo posto in famiglia.
È abituato ad usare gli altri a suo piacimento, adesso gli
darò un assaggio della sua stessa medicina. Gli dirò che
non intendiamo più fare patti con i Sabini ed i loro alleati, ma
che in segno di pace organizziamo questa festa a cui sono tutti
invitati, farò fare l’invito a Quirinale stesso, Sabino si
fida di lui, così sicuramente accetterà e non
sospetterà niente. Quirinale potrà arrabbiarsi quanto
vuole, ma a fatto compiuto perderà tutta la credibilità
che aveva presso i sabini e sarà costretto a tornare da noi.-
Palatino si guardò intorno.- Dove sono i bambini e Larenzia?-
domandò, accorgendosi della loro assenza.
- Ah, lo sai, durante la bella stagione quei tre dormono sotto le
stelle, non ho la più pallida idea di dove siano andati
stasera.- disse Celio, invidiando la loro vita spensierata.
- A Clelia serve assolutamente una madre, intendo, una madre vera.
Larenzia è un buon tutore, ma di certo non può insegnarle
qual è il posto di una donna in società…-
ponderò Faustolo, sospirando.
- Già, ti rendi conto? Spadroneggia in casa manco fosse un pater familias…e mi
rinfaccia sempre che se non fosse per lei il mio misero traffico
commerciale non esisterebbe. - si lamentò Aventino.
- Non
fa altro che assillarmi, dice che mi sveglio sempre per ultimo e che
sono, di conseguenza, l’ultimo ad andare a lavoro, ma alla fine
che differenza fa, ci vado lo stesso a zappare, no?- aggiunse
Campidoglio, sbuffando.
- Invece a me dice che sono sempre troppo burbero e facilmente
irritabile, e che devo migliorare il carattere se voglio trovarmi bene
in società.- raccontò Viminale.
- Continua a ripetere che non sembrerò mai davvero un uomo fino
a quando terrò lunghi i miei capelli ricci…sostiene
che siano troppo femminili…- biascicò Celio, fissando il
tavolo.
Palatino li guardò in silenzio.- Veramente…Clelia ha
ragione su tutta la linea…Aventino, è ovvio e lampante
che le devi molto, quindi davvero non devi lamentarti quando ti chiede
qualcosa; Campidoglio, risulterebbe banale e ripetitivo dirti che prima
inizi a lavorare e prima finisci, sei l’ultimo anche ad arrivare
a pranzo e a cena, noi dobbiamo sempre aspettarti, ed è davvero
sgradevole; Viminale, se evitassi di irritarti per qualunque cosa non
scoppierebbe una rissa al giorno; Celio…se ti tagliassi i
capelli, magari i tuoi stessi compaesani eviterebbero di scambiarti per
una bella ragazza quando sei girato di spalle.-
- E di te lei cosa critica?- assottigliò lo sguardo Viminale,
indispettito.
- Ah, a me? Dice che sono troppo permissivo nei vostri confronti.-
l’uomo si stiracchiò.- Andiamo a dormire adesso, i
prossimi giorni saranno ricchi di eventi.- ghignò ferino.- Ed
acqua in bocca con Quirinale.- intimò, poi precedette gli altri
nella spaziosa camera da letto in comune.
Angolo autrice:
*Tra un'olimpiade e l'altra intercorrevano più o meno quattro
anni.
*Ceninensi, Antemnati e Crustumini, di probabile origine sabina,
si racconta che dopo il ratto dichiararono guerra a Roma, ma vennero
sopraffatti velocemente da Romolo e dai suoi uomini, più
difficile fu la resa dei conti coi Sabini.
Bene, ecco il nuovo "capitolo", o meglio, la prima parte del
nuovo "capitolo".
Conto di dividere l'episodio del Ratto delle sabine in tre, massimo
quattro, episodi.
I protagonisti di questa "sessione" saranno ovviamente i sette fratelli
di Clelia e Tiberio, che compariranno sì, ma come
co-protagonisti, non come soggetti principali.
Ringrazio i recensori ed i lettori, spero che continuerete a seguirmi.
A presto (spero),
Giallo4ver.
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