Sulle tracce del passato

di Sghisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rewind ***
Capitolo 2: *** Giallo limone ***
Capitolo 3: *** solchi e insonnia ***
Capitolo 4: *** Uomini ***
Capitolo 5: *** Sparizione ***
Capitolo 6: *** Veronica, parte prima ***
Capitolo 7: *** Veronica parte seconda ***
Capitolo 8: *** Nuvole e aereoplanini ***
Capitolo 9: *** Disclaimer ***
Capitolo 10: *** Di sbarre e libertà ***
Capitolo 11: *** Galli nel pollaio ***
Capitolo 12: *** Logan, parte prima ***
Capitolo 13: *** Scontri ***
Capitolo 14: *** Obbligo o verità ***
Capitolo 15: *** Venere e Marte ***
Capitolo 16: *** Logan, parte seconda ***
Capitolo 17: *** Questione di Lilly e di fiducia ***
Capitolo 18: *** Una cena quasi perfetta ***
Capitolo 19: *** L'ora dei conti ***
Capitolo 20: *** Segreti svelati ***
Capitolo 21: *** Comode verità ***
Capitolo 22: *** Preparativi ***
Capitolo 23: *** Il primo giorno ***
Capitolo 24: *** Il ballo ***
Capitolo 25: *** Found raising ***
Capitolo 26: *** Eroi ***
Capitolo 27: *** L'onda perfetta ***
Capitolo 28: *** Piccoli grandi passi ***
Capitolo 29: *** Dejavù ***



Capitolo 1
*** Rewind ***


Rewind

Pochi tra coloro i quali la conoscevano da adolescente, avrebbero riconosciuto nell’avvenente ed elegante giovane donna seduta al bancone del Dressing Club di L.A. la loro compagna, amica, nemica: Veronica Mars. Certo aveva fatto strada, la sua vita era profondamente cambiata: non viveva più a Neptune, né si riconosceva nell’orfana detective che, pur di scoprire l’assassino della sua migliore amica, aveva messo in dubbio la lealtà di chi la circondava, le dava e chiedeva fiducia. Erano passati molti anni, anche se non troppi, rintracciabili nella postura elegante, nello sguardo maturo, nell’abbigliamento ricercato. Anzi, i più l’avrebbero scambiata magari per una giovane attrice, in cerca di fama e successo, disposta a tutto o quasi per compensare la scarsa abilità recitativa.
Il nero e succinto abito, dall’ampia scollatura sulla schiena, poteva trarre in inganno: chi si fosse seduto di fianco alla giovane donna dai sottili polsi delicatamente fasciati da un braccialetto d’oro bianco avrebbe creduto di trovarsi in compagnia di una viziata ragazza, in cerca di compagnia o di emozioni forti. Ma avrebbe sbagliato di grosso. Eppure era quella l’impressione che la minuta figura mandava. E poi quel drink, in un pesante bicchiere di vetro, colmo di ghiaccio e di un liquido dall’ambrato colore, che di sicuro, a chi l’avesse assaggiato, non sarebbe sembrato fresco succo di mela. Veronica Mars, la cui madre l’aveva tradita e abbandonata per una bottiglia di Vodka stava sorseggiando del buon Whisky, una bevanda non adatta a una signorina, ma a una donna disperata.
“Avevo promesso a me stessa di non finire mai in queste condizioni, eppure mi ci hai portata. Ma è possibile? Dopo tanti anni torni a tormentarmi, e a rovinarmi la vita… Certo, rivanghiamo i vecchi tempi, si ti devo indubbiamente un favore, comprendo quanto tu sia nei guai, ma questo è davvero troppo! Non te la perdonerò! Prima però portiamo a termine il compito, incassiamo la ricompensa, e poi vedrai!”.
Sbattendo il bicchiere mezzo pieno sul lucido bancone di marmo bianco, destando quindi l’attenzione degli avventori concentrati in superficiali conversazioni accompagnate da dolce musica Jazz, s’alzò, prese il soprabito ed uscì a passo spedito dal bar, per salire al piano superiore, dove l’attendeva il proprietario del locale. Sapeva dove andare, anche se non era mai stata in quel luogo. Ma tutto parlava di lui, e lei lo conosceva bene, molto bene. Imboccò le ampie scale, preferendole all’ascensore. Troppi ricordi. Il tappeto bordeaux attutiva il ticchettio dei suoi alti tacchi. Con ostentata sicurezza avanzava, ma in cuor suo tremava.
Arrivata alla porta del salottino privato, tentennò, e poi estrasse una busta bianca, bordata d’oro, e la porse allo scimmione muscoloso dai tratti indios che le si parava di fronte. A questi bastò un’occhiata per farsi da parte e far accomodare la giovane nella stanza privata del padrone.
“Ti stavo aspettando. Grazie di essere qua!”. Il cuore di lei fece un balzo al sentire quella voce calda e suadente. Già, era passato proprio tanto tempo, forse troppo.


Kieth Mars aspettava con ansia che la sua bambina lo chiamasse. Erano diversi giorni che le lasciava messaggi in segreteria e lei rispondeva con bervi sms nei quali gli assicurava che stava bene e che presto avrebbe chiamato. Ma ciò non accadeva. Stava seduto alla sua scrivania, fissando il telefono. La sua attenzione venne distolta da un movimento sulla soglia.
“Keith, ti stanno chiamando insistentemente sulla linea uno, potresti rispondere? Non vorrei perdere tutta la mia giornata nel farmi insultare dall’ennesima moglie insoddisfatta e diffidente!”.
“Scusa Leo, aspettavo una chiamata sulla linea privata e non mi sono accorto di quella maledetta luce rossa che lampeggiava. Rispondo subito”.
Il bel giovane sorrise, e si chiuse la porta alle spalle.
“So cosa tormenta Keith, ha tormentato tutti almeno una volta nella vita. Te sei suo padre, quindi lo farà finché ci sarai, vecchio mio!”. E con fare baldanzoso si sedette alla sua scrivania, compilando i vari moduli e facendo le solite telefonate di routine.
“Pronto, Keith Mars, in cosa posso esserle utile?”
“Ciao Keith, ne è passato di tempo eh? Penso che, nonostante io sia molto contrariata, dovrò chiederti aiuto. Solo te puoi muoverti con la dovuta discrezione e hai i contatti necessari per essermi utile.” Era una voce di donna seria e di classe, poco cordiale, ferma e decisa. Una voce nota, anche se da lungo tempo non udita.
“Già, sembra quasi una vita. In cosa posso esserti utile?”
“E’ inutile sottolineare quanto questa faccenda sia delicata. Sono certa tu possa comprendere. Devi trovare qualcuno per me, e non è un qualcuno qualsiasi. Ho poco tempo, o meglio tu hai poco tempo, dal momento che ti ho assunto. Tempo pieno, servizio gold, o come si chiama… i soldi non sono un problema, lo sai.”
Keith annuì.
“Immagino tu preferisca parlare faccia a  faccia. Potrebbe sempre esserci qualcuno che ascolta. Dimmi dove e quando. Ma sarò assunto solo se e quando lo deciderò io. Tienilo presente.”
“Vedo che non hai perso la tua grinta. Forse gli anni non passano allo stesso modo per tutti”
“Oh si che passano! Credimi!”
“Bene, tra un’ora al Java de Hut?”
Il responsabile uomo all’altro capo del telefono non fece in tempo a rispondere: ora il suo interlocutore era un monotono e ripetitivo “tuut tuut”.


Wallace Fennel stava tornando a casa in auto. La sua giornata si era rivelata assai fruttuosa: era riuscito ad ottenere che la marca produttrice delle divise della sua squadra devolvesse parte del ricavato in borse di studi per giovani africani. Il suo progetto era iniziato diversi anni prima, quell’estate in cui aveva conosciuto la vita aldilà dell’imbellettata e ricca California. In quell’estate di diversi anni prima aveva deciso che sarebbe diventato qualcuno, e che con i propri soldi avrebbe finanziato non carità o beneficenza, ma formazione e istruzione, investendo direttamente in progetti di sviluppo e non di pietà.
E ci era riuscito. Aveva coniugato le proprie passioni, ed era divenuto ricco, molto ricco. Ma non aveva tenuto i soldi solo per sé: li aveva reinvestiti in California, ma anche in questo progetto in Africa. Wallace Fennel capeggiava sia sui manifesti pubblicitari, sia nel campo dell’economia. Chi l’avrebbe mai detto?!? Di certo non i bulletti che al lice lo avevano deriso ed isolato. Neppure i professori che all’università lo avevano sottovalutato. Solo una persona avrebbe puntato tutto su di lui: Veronica Mars, la sua migliore amica, fisicamente svanita da un giorno all’altro qualche anno prima.
Spesso pensava a lei, a come finita la laurea avesse salutato tutti, con la promessa di una vita ricca di successo. E così era stato. Molti conoscevano il suo nome, ma pochi sapevano chi fosse. Aveva a lungo capeggiato sui titoli delle più famose testate del paese, per le sue incredibili doti, la bravura nel fare il suo mestiere, la capacità a scovare la verità, ovunque essa si celasse. Eppure non era più tornata a Neptune. Una volta era andato fino a L.A., dove la giovane aveva il suo ufficio, e aveva aspettato a lungo. Ma la segretaria aveva più volte sottolineato come la sua datrice di lavoro fosse “in missione” e non avesse dato informazioni sulla prevista data di ritorno. Con le mani in tasca Wallace aveva sollevato le sue atletiche chiappe dallo scomodo divanetto in sala d’attesa ed era tornato sui suoi passi. Si sentivano spesso, e la tecnologia li aiutava a restare in contatto ovunque si trovassero, ma quella lontananza forzata iniziava a infastidirlo. Sapeva a chi rivolgersi. Imbocco la prima strada sulla destra e si ritrovò di fronte ad una sontuosa villetta immersa nella quiete e nella natura, abbarbicata su una scogliera che, trecento metri più sotto, si gettava nell’agitato oceano pacifico.

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Capitolo 2
*** Giallo limone ***


Giallo limone

 

Keith Mars era seduto a uno dei tavolini dello Java de Hut, spazientito: aspettava già da mezz’ora. Mezz’ora di lavoro perso, mezz’ora in meno di guadagno. Certo, la gente ricca di Neptune era da sempre nota per lo scarso rispetto che portavano per chi stava su livelli inferiori della scala sociale, ma lui non era un giardiniere che si sottomette senza rispondere. Quella donna l’avrebbe scoperto presto. Era immerso in irosi pensieri, quando la sua attenzione fu attratta dall’ingresso della donna che aspettava. Solo qualche capello bianco in più la faceva sembrare più vecchia, ma il trench giallo e la camminata fluida e sicura di se tradivano la sua vera età. Avrebbe riconosciuto Celeste Kane anche cent’anni dopo: l’altezzosità e la superbia sono cose che non migliorano con l’età.

“Ciao Keith”

“Celeste… Accomodati. Posso ordinare qualcosa per te?”

“Un caffè, per cortesia.” Disse con disinvoltura la donna, mentre sfilava il soprabito e si accomodava di fronte all’ex sceriffo di Neptune. “Vedo che la storia è destinata a ripetersi. Ormai sono cinque anni che hai perso il tuo posto da sceriffo. Ma Vinnie non è paragonabile a Lamb. La vita a Neptune si è fatta davvero pericolosa. Non pensavo l’avrei mai detto, ma tu avresti dovuto vincere le elezioni. Concorrerai l’anno prossimo?”.

“Non penso di farlo. La città ha chiarito come io non sia adatto a rappresentarla. In effetti Vinnie ricorda più il modello del corruttibile e truffaldino difensore degli interessi propri e di chi lo paga, in linea con la gente di Neptune, non trovi?!?” ribadì Keith, in tono provocatorio.

“Lasciamo perdere i convenevoli. Non siamo qui per chiacchierare, e direi che ci siamo abbastanza punzecchiati a vicenda. Ti ho chiamato perché so che mi posso fidare.” Celeste era evidentemente poco interessata alla chiacchiera. Era chiaro che qualcosa la tormentava. Si girava e rigirava le mani in grembo, il suo sguardo vagava da un angolo all’altro del locale, come fosse in cerca di qualcosa, o di qualcuno. “Keith,” proseguì “una madre può sopportare tanto. Che la propria figlia venga uccisa, che il colpevole venga scagionato, che il proprio adorato erede metta in cinta la figlia dei puritani della città, che abbia una relazione con tua figlia, ma non può accettare di vivere il resto dei propri giorni senza sapere dove lui si trovi. Ho cercato di rintracciarlo, e Clarence è misteriosamente sparito assieme a lui. Sospetto che mio marito sappia qualcosa, ma voglia tenermelo nascosto. In fin dei conti su Duncan pesa ancora una denuncia per rapimento, nonché l’accusa di omicidio. Ma so che non è stato lui a uccidere Lilly, come so che sta crescendo la mia nipotina senza che io l’abbia mai vista. Per questo motivo ti chiedo di rintraccialo.”

Keith sospirò. Poteva immaginarsi tutto ciò. Molto vividamente. “Celeste, sai che se io lo trovassi e ciò fosse reso noto, tuo figlio dovrebbe rispondere di due gravissimi crimini? Se fosse all’estero, potrebbe addirittura essere presentata la richiesta d’estradizione. Non posso darti né la certezza di trovarlo, né quella di non essere rintracciato o pedinato da qualcuno. Però posso assicurarti che, se accetterò questo caso, farò il possibile per entrambe le questioni.”

“Apprezzo la tua franchezza. Forse è l’unica cosa che ho sempre apprezzato di te.” Rispose la donna abbozzando un sorriso. Keith rifletté che non la credeva capace di ciò. Con solennità disse: “Concedimi un paio di giorni per rifletterci su. E’ una questione molto delicata. A che numero posso rintracciarti?”. In quel mentre la loro conversazione fu interrotta dall’arrivo della cameriera con i caffè e i pasticcini.“Prego signori…”.

 

 

 

Guidare a quella velocità non era una buona idea, ma la mascolina voce della cantante dei Guano Apes faceva da catalizzatore per le emozioni provate nelle due ore precedenti. Ira, agitazione, ansia, gioia, stupore. E la bella Mustang rossa che guidava le dava la carica giusta. Veronica Mars era un fiume in piena, come se l’avessero svegliata mettendole la mano sui carboni ardenti; si sentiva offesa, usata, grata, appagata. Non sapeva nemmeno lei chi era in quel momento. Era tornata per brevi istanti la diciottenne innamorata di un tempo. Si era rivista l’anno della morte di Lilly, rifiutata e ignorata anche da chi, come lui, prima le era amico. Aveva indossato nuovamente i panni della giovane donna arrabbiata e vendicativa, per poi dismetterli e sentirsi l’anima affine del giovane uomo che le stava davanti. Quell’incontro l’aveva davvero scombussolata.

 Non riusciva a capire cosa le stesse rimescolando lo stomaco, e decise che non voleva saperlo. Per quanto ci provasse, sembrava che il passato non le si volesse scollare di dosso, anzi, che le fosse estremamente affezionato. Ma non si poteva dire altrettanto, o meglio, Veronica ricordava con affetto quei momenti, ma aveva anche deciso di voltare pagina, di andare avanti, perché guardarsi in dietro e ripercorrere le strade già note si era rivelato a dir poco fallimentare: con Logan era proprio finita male. Era arrivata a detestarlo. Anche per questo motivo, e per la terribile esperienza presso l’FBI, appena aveva potuto, fatti armi e bagagli, aveva lasciato Neptune.

Ma no, il suo passato doveva tornare ricorrente, rovinandole i piani. Ma come si fa a dire di no a una persona cui hai voluto tanto bene, si domandava? Una persona che forse hai amato, che ti ha offerto emozioni  forti e sentimenti sinceri? “Non si può! Si deve dire di sì…Va bene, hai vinto. Lo farò, e mi dedicherò solo a questo. Senza considerare chi sei e perché lo fai, ma… perché proprio lui??? Questa cosa mi manda fuori dai gangheri…”era immersa in questi pensieri, quando le squillò il telefono. Era un numero conosciuto, che le strappò un sorriso malizioso.

“Ciao Leo… avevo proprio voglia di sentirti!” in quel momento, in quel preciso momento, i cristallini occhi di Veronica brillarono nella buia notte di Los Angeles.

 

 

Wallace Fennel stava parcheggiando quando un’agitata figura bionda si sporse dalla finestra, mestolo in mano, gridando: “Wallace, ti fermi a cena? Dimmelo subito, ho giusto in mente un paio di piatti niente male. E poi, uno in più non può che rallegrare la serata! Dimmi di sì, ti prego!!!”.

Scendendo dalla macchina Wallace pensò: “Poveretto, non lo invidio proprio. Chi avrebbe detto che Dick Casablancas sarebbe finito in queste condizioni?”.

“Ciao Dick. Se proprio insisti…”continuò, con l’aria di chi si concede gentilmente alle suppliche. “Perfetto, allora dico a Margareth di apparecchiare per uno in più. Ti porto qualcosa da bere?”.

“Grazie Dick, quello che bevi te.” Rispose il ragazzo, e si avviò verso la porta d’ingresso. Ad aspettarlo c’erano due bellissimi bambini, che non appena lo videro, gli saltarono addosso. Avevano solo due anni, ma se la cavavano già bene con i placcaggi… Un maschietto dai capelli corvini, ed una piccola principessa bionda come il sole. Una voce femminile con tono di rimprovero precedette la bella figura della madre: “Kathleen, Jasse, mannaggia a voi… non potete aggredire le persone.” Poi rivolgendosi a Wallace, la giovane donna mora disse: “Ciao Wallace, qual buon vento? Problemi col PC?”. Mac non era cambiata: il suo sorriso era sempre aperto e sincero. E nemmeno l’aver messo al mondo due figli l’aveva cambiata: infatti, a occuparsene, era per lo più Dick, mentre sua moglie portava a casa il pane. Mac aveva, infatti, scalato i vertici della Kane Software, e, quando le proposero un ruolo di prestigio, pretese la propria liquidazione. Dopo la fusione di questa con il fondo di Dick, i due fondarono una ditta di progettazione software che, da quel giorno, fu la più detestata concorrente dei Kane. Il lavoro la portava molto in giro, ma essendone il co-presidente, poteva prendersi il tempo che voleva. Non aveva rinunciato a Neputne, anche se si era trasferita poco fuori: il contatto con la natura le ricordava la sua infanzia, che forse da adolescente aveva disprezzato, ma i cui ricordi ora custodiva con tenerezza. La LikVer inoltre collaborava con la ditta di Wallace, e finanziava progetti nei paesi in via di sviluppo. Certo, la commistione tra ingegneria dei trasporti, pallacanestro e informatica ai più inizialmente suonò strana, ma si dovettero ricredere. I ragazzi sapevano il fatto loro. E presto avevano cominciato a raccogliere i frutti, anche se il college era finito solo da un paio d’anni. La partecipazione di Max si era rivelata assai utile; anche quando Mac aveva rotto con lui, erano rimasti in buoni rapporti, e avevano fondato questa enorme impresa, della quale loro quattro erano tutti presidenti.

“E’ bello mettere piede in una casa dove a risponderti non è l’eco delle tue parole, credimi Mac” rispose il giovane in tono compassionevole. Wallace aveva avuto diverse relazioni, legate alla sua fama come imprenditore, progettista e dirigente di una delle migliori squadre di Basket del paese. Ma nessuna si era rivelata seria abbastanza da reggere più di sei mesi. Quindi il giovane, nonostante fosse bello, ricco e intelligente, viveva da solo in una villetta in centro a Neptune. Non amava ostentare la propria ricchezza. Preferiva spendere il proprio denaro in modo meno superficiale. E le ragazze le portava al Neptune Grand.

Raggiunto il salotto, i tre si sedettero sui divani, mentre i due vivaci bambini giocavano tra di loro.”Allora Wallace, come vanno gli affari?” chiese Dick, porgendo all’amico un aperitivo. “Alla grande fratello: ho ottenuto quel finanziamento, oltre alla firma del contratto per gli sponsor della prossima stagione! Va proprio alla grande!”. “E’ un notevole passo avanti, non c’è che dire. Anche con il nuovo programma stiamo vendendo bene, quindi se tutto va secondo le previsioni di Max, per l’autunno prossimo dovremmo avere i fondi per quelle borse di studio”, concluse Mac.

Dopo la cena, accompagnata da buon vino italiano e ottime chiacchiere, mandati a letto i bambini, i tre amici si ritrovarono a parlare di Veronica. Anche Mac, come del resto tutti, di recente aveva come sola interlocutrice la segreteria telefonica, che a dirla tutta non era proprio interattiva. Aveva lasciato decine di messaggi, ai quali nessuno aveva risposto. Stava iniziando a preoccuparsi.

“Ronnie se la sa cavare! Dai Cindy,” a sentir pronunciare il suo nome di battesimo, Mac assunse un’aria irritata e diede una possente gomitata tra le costole al marito. Ignorandola Dick andò avanti: “ la tua amica è peggio di un gatto. Sarà semplicemente invischiata in qualche pedinamento. Mogli tradite, frodi fiscali…magari peggio.” E rasserenò tutti con un malizioso sorriso.

“Era proprio per via di Veronica che sono venuta a trovarvi, ragazzi. Avete mica un paio di giorni liberi? Pensavo di andare a cercarla…” Wallace stupì tutti con queste parole. “Non ne posso più dei suoi silenzi: anche miss Mars deve rendere conto agli amici! Noi tutti le vogliamo bene, e siamo stufi che lei ci ignori.” Il tono era risoluto, e gli sguardi che incontrò furono sufficientemente confortanti. I tre giovani si scambiarono idee e progetti per tutta la notte. Di lì a pochi giorni sarebbero partiti.

 

 

Logan Echolls era spossato dalla dura giornata. Troppe emozioni. Aveva bisogno di staccare, di rilassarsi. Chiamò la cameriera e le chiese di portargli “il solito, ma questa volta in piscina, grazie”. Uscì dallo studio, si recò in guardaroba, dove abbandonò con svogliatezza i propri abiti su una sedia, indossò il costume e l’accappatoio, per poi recarsi in piscina, dove, poco dopo, la giovane Jen, la cameriera, gli portò uno Scotch ghiacciato, e lo lasciò ai suoi pensieri. “E il passato t’insegue, senza lasciarti mai tregua”, pensò sconsolato il bell’attore. Il tempo passava, ma le cose ciclicamente tornavano, come per prenderlo in giro. Era un pensiero triste, ma allo stesso tempo dolce come il miele. L’aveva atteso e temuto quel momento, ma era certo sarebbe arrivato, prima o poi. Semplicemente lo aspettava dietro l’angolo.

Molte cose erano cambiate nella sua vita in quei cinque anni. Dopo la tragica fine del primo anno di college, quello che era successo con Veronica, Parker e il Castello, aveva deciso di lasciare Neptune per dedicarsi alla carriera cinematografica. Aveva iniziato come produttore, mentre finiva gli studi, e poi si era lentamente avviato alla carriera d’attore. Aveva iniziato col teatro, per passione, o meglio per amore. Aveva conosciuto una bellissima e intelligentissima attrice di Los Angeles, Mary, che lo aveva introdotto al mondo del teatro. Finita la loro relazione, data la sua storia e il suo nome, Logan era stato invitato a fare l’attore. E aveva trovato la sua strada, che lo aveva reso ancora più ricco e famoso di prima. Aveva continuato a vivere con lo stesso stile, in una sontuosa villa, dove le feste abbondavano di champagne e belle ragazze.

E poi, proprio mentre pensava di essersi lasciato tutto dietro le spalle, ciò che era stato gli aveva assestato un bel dritto in pieno volto, svegliandolo dal torpore: il passato, col suo dolce profumo, lo perseguitava.

Si lasciò cullare sull’acqua, assorto nei suoi pensieri.

 

 Ringrazio chi ha già letto il primo capitolo e addirittura postato un commento. Pubblico il secondo perchè è bello pronto, i successivi arriveranno quanto prima!

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Capitolo 3
*** solchi e insonnia ***


Capitolo 3

Solchi e insonnia

Cindy McKenzie stava seduta alla sua scrivania. Nonostante fosse il capo, amava armeggiare tra schede madri e sistemi operativi: si sentiva ancora sé stessa in quelle occasioni, e non la dirigente di una delle rivali della Kane Software. In quel momento stava giusto lavorando al nuovo programma, che si prevedeva avrebbe dato filo da torcere a tutti gli altri sistemi operativi, in primis, poiché si presentava decisamente economico ed accessibile, e poi perché, come Linux, avrebbe permesso agli utenti stessi di elaborare programmi e migliorie, e di metterle in comune. Ma sarebbe stato dotato anche di un’interfaccia semplice e accattivante, quindi fruibile anche dai meno esperti. L’idea di unire funzionalità, facilità e creatività le era venuta mentre vedeva la sua dolce metà giocare con i bambini: Dick era un maestro nell’ottenere con il minimo sforzo il massimo del risultato.
 Mac supervisionava e revisionava metodicamente ogni prodotto della sua azienda. Solo previa la sua approvazione questi venivano lanciati sul mercato. I pochi anni che erano passati non l’avevano mutata più di tanto, ma dai movimenti sicuri e dai gesti eleganti si poteva riconoscere in lei una vera donna. Nonostante la gravidanza, aveva mantenuto l’aspetto della dolce e timida ragazza del liceo, solo che caratterialmente era divenuta meno timida e più agguerrita. In quel momento indossava un elegante completo viola, con camicia vinaccia, le cui maniche erano state arrotolate fin sopra i gomiti per facilitarla nei rapidi movimenti. Il volto concentrato e teso era pur sempre lo stesso, con qualche linea di trucco in più; a contornarlo due ciuffetti bianchi, che risaltavano sul castano dei capelli. Quello di tingersi era un vezzo al quale non aveva potuto rinunciare. Sullo schienale della sedia stava appoggiata la giacca, nel taschino della quale il cellulare vibrava incessantemente da buoni dieci minuti, ma lei non se ne accorse. Distolse lo sguardo dal computer di progettazione solo quando il palmare poggiato a fianco non segnalò l’arrivo di una mail.
Con poca voglia Mac staccò le dita dalla tastiera, e impugno l’infernale aggeggio che le impediva di essere sola con le sue creature, che si trattasse dei figli o dei programmi. Aprì la posta e le bastò leggere l’oggetto della mail per farsi sfuggire una smorfia di disappunto. Ma il peggio venne quando s’addentrò nella lettura del testo
“Cari ex studenti diplomati del 2006,
è con grande onore che vi invito al Party di raccolta fondi della Neptune High. In occasione del cinquantenario della fondazione di questo istituto, si terrà un ballo commemorativo il giorno 15 del mese prossimo al fine di raccogliere fondi per l’istituzione di borse di studio.
Il Preside Van Clemmons”
A ciò seguivano un invito formale con indicata l’ora e il luogo dell’evento, e come allegato la lista degli invitati, costantemente aggiornata con le conferme delle presenze o i gentili rifiuti. Già molti studenti avevano dato conferma della loro presenza, la maggior parte dei quali non era ritenuta una “piacevole compagnia” da Mac. “Guarda un po’!...”pensò, ma non fece in tempo a seguire il filo dei propri pensieri che il telefono sulla scrivania iniziò a suonare. Sapeva a chi apparteneva la voce all’altro capo del telefono ancora prima d’udirla, e, alzando la cornetta, sorrise.


Quando la serratura cinguettò provocando un lieve rumore metallico, il proprietario di casa era intento a preparare una valigia, e non se ne accorse subito. Non si aspettava visite, certamente non di quel tipo. Aveva appena acquistato un biglietto aereo per l’Australia, Sidney. Lì lo portava la pista che stava seguendo. O meglio, era sicuro si trattasse solo della prima di una lunga serie di tappe, che lo avrebbero portato a girare mezzo mondo per poi magari ritrovarsi ironicamente a Neptune… l’idea lo faceva sorridere, ma la trovava anche deprimente. Keith Mars da tempo si sentiva stanco: spiare gli altri per poi essere deluso dalla natura umana non gli aveva mai procurato piacere, ma ora tutto ciò somigliava più che altro a una tortura. La falsità, l’ipocrisia… come avrebbe voluto una volta trovare una moglie non traditrice, un commerciante che non fregasse i clienti con prodotti ingannevoli, un incidentato che lo fosse per davvero, e che non frodasse l’assicurazione. Il peso degli anni e della solitudine gli avevano incurvato lo spirito, anche se dal fisico non lo si sospettava: non era cambiato di una virgola!
Lianne non si era più fatta viva, per fortuna. Non avrebbe retto l’ennesimo tradimento da parte sua. Alicia si era sentita tradita dal suo comportamento, e lui non sel’era sentita di forzarla. In fin dei conti capiva come lei potesse sentirsi, e sapeva che la risolutezza della donna non sarebbe stata scalfita nemmeno da un migliaio di rose rosse. Per non parlare della fallimentare e discutibile relazione con Harmony. A volte si era guardato indietro, e aveva pensato di riprovarci, ma poi gli si parava di fronte il severo volto di Veronica. Veronica, sua figlia, troppo morale, troppo convinta, lo aveva fatto desistere, e ora anche quel treno era passato. Forse era l’unica cosa che le rimproverava: di non essere in grado di lasciarlo fare i propri sbagli in santa pace, di impicciarsi nella sua vita, come se ogni tanto i due ruoli s’invertissero: lui fosse l’adolescente e lei il genitore responsabile. Vedendola sotto quel punto di vista, Veronica gli aveva impedito per ben due volte di essere felice, con i suoi capricci da figlia unica. Spesso la notte rifletteva sulle rinunce fatte per la sua bambina, e soprattutto in questo periodo in cui lei non dava alcun segno di vita, si sentiva non ripagato! Sentiva la mancanza del periodo in cui lei gli riempiva la vita con la sua vivacità, a volte eccessiva, a volte pericolosa. Gli mancavano gli abbracci, le piccole cose quotidiane, il lavoro assieme… Si sentiva abbandonato. Eppure non poteva volergleine a male: Veronica voleva solo proteggerlo perché gli voleva bene e perché non avrebbe potuto sopportare di vederlo soffrire come prima. Inoltre Keith sospettava che sua figlia lo volesse in qualche modo tutto per sé. La sua bambina, pensava malinconicamente.
La sua bambina… avrebbe sempre avuto nove anni per lui.
Era immerso in pensieri nostalgici ma leggermente rancorosi quando venne riportato alla realtà da un leggero rumore di passi. Elimino ogni pensiero che potesse distrarlo, si nascose dietro lo stipite della porta ed estrasse la sua automatica, liberandola dalla sicura. Da qualche anno Neptune era diventata davvero pericolosa, e il caso che stava seguendo in quel periodo era “roba che scottava”. Troppe persone avrebbero voluto avere le informazioni in suo possesso, raggiungere il suo obiettivo e diventare ricchi sfondati. Gli vennero in mente almeno dieci individui dalla dubbia moralità stile Winnie Vanlowe e che avrebbero ucciso per la valigetta che stava ora ai suoi piedi, o meglio per le informazioni lì contenute. Iniziò a sudare freddo. Lo sconosciuto intanto avanzava verso di lui. Keith Mars si preparò a menare un colpo dall’alto, puntando a stordire l’avversario, nella speranza che non fosse troppo alto o troppo muscoloso. Attese il momento giusto e poi con rapidità sgusciò fuori dal suo nascondiglio, ma non fece in tempo ad agire che si ritrovò schiena a terra con la propria pistola puntata contro.


In una stanza da letto piuttosto curata ma non troppo vistosa, mentre il sole filtrava dalle veneziane socchiuse, due corpi si muovevano appassionatamente sotto le coperte. Il caldo del giorno stava lentamente lasciando spazio alla fresca brezza del mare, che dalla costa, come una coperta, si dispiegava su Neptune verso il tardo pomeriggio. I raggi filtravano sempre più obliqui, mentre i due corpi danzavano accompagnati dal frusciare delle lenzuola. In quel momento un cellulare squillò. Una, due, tre volte, finché un muscoloso e tatuato avambraccio non sbucò dalla coltre di cotone.
“Non rispondere”. La voce era calda e sensuale, inequivocabilmente femminile. “Devo, piccola! Sono disponibile” rispose l’uomo, in tono dolce ma dispiaciuto, allungandosi furi dal nido d’amore verso il comodino. “Anche io lo sono” replicò maliziosamente lei, allungando la gamba nuda fuori dal lenzuolo in modo che lui la potesse vedere. Era una lunga gamba ambrata. Quando lui, per evitare le tentazioni, si girò dall’altra, la giovane emerse in tutta la sua bellezza dalle candide lenzuola, si passò le sinuose dita tra i capelli biondi e sbuffò, allungandosi verso la maglietta che giaceva per terrà. La infilò e si alzo dal letto, facendo attenzione a passare, in provocanti culotte e maglietta, di fronte allo sfuggevole amante. Eli Navarro si maledisse. Odiava quei momenti, ma adorava il suo lavoro. Era tutto ciò che aveva: lo aveva tirato fuori dal brutto giro in cui era finito. O meglio, in cui era ri-cascato. Dopo il lavoro al college e il licenziamento a seguito della produzione di tesserini falsi aveva ricominciato a girare con un gruppo di delinquenti: piccoli spacciatori, criminali da quattro soldi. Poi, un giorno, un’incontro fortuito gli aveva fatto cambiare idea. Quel piccolo ragazzo di colore che stava sempre con Veronica lo aveva invitato ad una conferenza sull’Africa e sui medici che vi si recavano per istituire ospedali ed istruire la popolazione. O meglio, lo aveva trascinato E lì Weewil aveva avuto un’illuminazione sulla via di Damasco. I soldi per studiare medicina non li aveva, ma dopo che la morte gli aveva strappato alcune delle persone a lui più care, aveva deciso di cambiare il suo destino, di passare dall’altra parte della barricata, di salvare le persone. Dopo aver recuperato il tempo perso ottenendo il diploma, si era iscritto ad un corso di pronto soccorso, aveva preso la patente per le ambulanze, ed era diventato paramedico. Il suo compito ora era di essere più veloce della morte, e di portare in ospedale chi, anche se sconosciuto, stava per rimetterci la pelle. Ed era un compito che gli piaceva.
Per questo motivo doveva rispondere, perché salvare vite gli aveva permesso di salvare la sua. E anche perché sfrecciare per le strade a tutta birra senza essere fermato dalla polizia gli dava una grande soddisfazione. Ma guardando il display fu stupito nel vedere che non si trattava della centrale, eppure quello era il cellulare di servizio, e il numero lo avevano solo quelli del pronto soccorso. Ma, riconoscendo le cifre che componevano il numero di chi lo chiamava non si stupì. C’aveva perso l’abitudine, ma capì al volo che presto l’avrebbe ripresa. Si alzò, sorrise alla sua ragazzi imbronciata ed insoddisfatta, e rispose.
“Mi sembra di vedere la tua faccia in questo momento. Scommetto che ti serve un favore! Spero che sia davvero importante perché ero occupato, e se non stuzzicherai la mia curiosità a sufficienza tonerò alle mie faccende” concluse sporgendosi dallo stipite per vedere la sua splendida ragazza che provocantemente apriva il frigorifero e addentava una succosa fragola rossa.


Non era piacevole essere svegliati dal mal di testa, su questo non aveva dubbi. Quanto avrebbe voluto che quel lancinante dolore al capo svanisse insieme all’avvenente sconosciuta che giaceva accanto a lui. Perché doveva sempre finire così? Perché affogava i sui pensieri tra le braccia dell’alcol e di sconosciute poco interessanti ogni volta? Perché fuggiva dai suoi problemi in quel modo stupido? L’alcol lo traeva in inganno ogni volta, falsificava la realtà, gli faceva credere di poter essere felice, e alla fine, quando al mattino le osservava bene, tutte avevano qualcosa che gliela ricordava, però c’era sempre un particolare che stonava, una parola di troppo, un silenzio troppo lungo, la mancanza di nerbo, l’eccessiva volgarità, un tono troppo alto di voce, un biondo meno intenso, più finto, un corpo più abbondante, meno minuto, troppo accogliente, quasi soffocante. Eppure avrebbe dovuto capirlo da tempo che di Veronica Mars ce ne era una sola, e che, per quanto provasse, non riusciva a togliersela definitivamente dalla testa, anche se la sua vita era andata avanti. Ma capitava di guardarsi indietro. Soprattutto quando, come un pugnale, il passato torna a tutta velocità e ti colpisce tra le costole, come una cinghiata sulla schiena che arriva aspettata e temuta, e ti fa ingoiare tutto, ogni parola, ogni lamento, lasciandoti solo dolore, come il suono del ghiaccio in un liscio cristallo da Jin. Come una mail, che ti invita, in quanto ex studente, ad una festa, nella quale incontrerai gli spettri dei morti che non ci sono più, ma che hanno lasciato solchi profondi sotto la tua pelle; ma ti scontrerai anche con i vivi, che ti hanno deluso, o che tu hai deluso. E ancora peggio, quelli dei vivi che non ci saranno, perché vorranno evitare ogni ulteriore contatto. L’ultimo era stato formale e freddo. Peggio che iroso e definitivo.
Con un gesto di stizza Logan scostò le lenzuola e s’avviò verso il bagno, cercando di svegliare la sua ospite. Chiamò anche il maggiordomo perché le portasse la colazione, e trovasse un modo, educato o meno, per cacciarla da lì. Non voleva guardarla, per scoprire che non era la sua persona, ma solo uno squallido surrogato nemmeno tanto somigliante, dunque deludente.  Era lui che si deludeva ogni volta, perché non superava quello scoglio, ma nemmeno lo affrontava. Ci aveva provato, si era innamorato davvero, ma era stato lasciato in malo modo. Mary non lo poteva amare, perché non poteva aiutarlo a portare quel pesante fardello che ormai era parte integrante del suo io. Si era resa conto di non riuscirci, perché non era la persona giusta: non aveva provato tutto quel dolore, non ne era uscita con lui. I pezzi non combaciavano, anche se la figura che ne usciva non era male. Non le aveva dato colpe, Logan aveva capito e accettato, anche perché, proprio perché ne era innamorato, non voleva caricarla di tali responsabilità. Erano rimasti amici. Una volta al mese uscivano a cena, e lei lo ascoltava e consigliava. Finché non si era fidanzata con un altro: aveva trovato l’amore. E Logan aveva perso l’ennesimo pilastro. Si sentiva così solo.
Dopo una lunga doccia fredda si fece la barba, specchiandosi e rimirando nello specchio una figura che non riusciva a riconoscere appieno. Poteva contare le donne con cui era stato, tutti i suoi fallimenti: erano i solchi sul suo viso. Le notti insonni passate al lavoro per non finire di nuovo a letto con una bionda sconosciuta si leggevano nelle profonde occhiaie che cerchiavano quegli occhi sempre guizzanti. La fatica di vivere che provava ogni giorno era chiara nella smorfia che ormai aveva sostituito quel sorrisetto strafottente ma accattivante. Quanto avrebbe voluto tornare indietro ai suoi 15, ai suoi 16 o ai suoi 17 anni. Ma per fermarsi lì. Eppure non avrebbe voluto rivivere la morte di Lilly, quella di sua madre, l’arresto e il processo. Era altro che voleva. Si sciaquò il viso con acqua gelata, e sperò che tutti quei pensieri fossero il solito risultato della sbronza. Fu il dopo barba a dargli la scossa necessaria per reagire al nuovo giorno già arrivato.
Si trascinò di mala voglia fino all’altra ala della villa, dove era sicuro di non fare incontri indesiderati. Si sedette al tavolo e prese in mano il giornale. Quello che lesse in prima pagina lo lasciò senza parole. Per raggiungere il telefono rovesciò il caffè. Ma ciò non lo preoccupò, era troppo concentrato nel ricordarsi quello stramaledetto numero.


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Colgo l'occasione per ringraziare chi sta leggendo questo mio lavoro!

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Capitolo 4
*** Uomini ***


Capitolo 4

Uomini


Quella che gli si presentò davanti agli occhi era una piccola cittadina di provincia in cui tutti cercavano di apparire più di ciò che erano, inconsapevoli del vivere in un paradiso dorato di star e piccoli signorotti arricchitisi a scapito degli altri, ma un posto che in sostanza si rivelava nulla di chè. L’immagine patinata da copertina che si davano tutti era solo una maschera. Il mondo andava ben oltre i confini di quella scintillante contea, le cui vie principali pullulavano di bei negozi, grosse firme, macchine prestigiose e coiffeurs in divisa. II tutto contornato da ville piuttosto splendenti, ma comunque anonime e sciatte se comparate ad altre ben più prestigiose. Sicuramente queste dimore erano abitate da donne che, a prescindere dall’età, non toglievano mai i tacchi alti, ed indossavano abiti costosi, ma non troppo. Mentre le somiglianze con la splendente città degli angeli poco lontana da là si limitavano ai pochi quartieri residenziali, alle famiglie benestanti, ben più forte era l’odore di tequila e tortillas. Il Messico si trovava ad un tiro di schioppo da lì, e, dalla quantità di giovani ispanici a cavallo di aggressive moto, suggeriva che Neptune fosse più una città da arido deserto che da lustra e spassosa California. La prima apparenza, dunque, avrebbe tratto in inganno un osservatore non sufficientemente allenato ed esperto: il lusso di star decadute, piccoli industriali e modesti ereditieri poco poteva fare però contro lo suo sguardo indagatore dell’uomo in nero seduto sul sedile posteriore dell’auto scura che stava attraversando la contea di Neptune. La puzza di fogna non si poteva coprire, nemmeno con un costoso Chanel N°5.
“ Detesto questo genere di esperienze. Dovrò vedermela con buzzurri ignoranti che si credono chissàcchi solo perché qui, in questo luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, contano qualcosa, o sono l’oggetto dei pettegolezzi di qualche moglie inacidita e insoddisfatta.”
L’auto si fermò ad un incrocio per far attraversare un gruppo di ragazzini che uscivano dal liceo. “Il Neptune High… quante persone con cui avrò a che fare nei prossimi mesi lo hanno frequentato. Scoprirò ogni loro segreto…”
Era in questa direzione che stavano andando i pensieri dell’uomo mentre scendeva dalla macchina scura che lo aveva condotto lì, a svolgere un compito noioso: rivangare il passato della gente di quel posto. Chissà come e perchè, ma era già stufo di Neptune, California, poco distante dal confine col Messico.


La sua prima reazione fu di tentare di sollevarsi da terra. Non gli era mai piaciuto vedere le cose dal basso. Ma un forte capogiro lo rallentò, quel tanto perché potesse capire come mai la sua faccia fosse approssimativamente a pochi centimetri dal pavimento. Qualcuno era entrato in casa sua e lo aveva aggredito. Chiunque fosse avrebbe dovuto prestare attenzione: Keith Mars odiava stare sotto. Un leggero rumore di passi lo riportò alla realtà, distogliendolo da iracondi pensieri; non poteva restare in quella situazione a lungo, ma non aveva idea di quante persone fossero, della loro prestanza fisica, della armi in loro possesso, e soprattutto, delle loro intenzioni.  O meglio, poteva supporlo. Volevano i documenti contenuti nella valigetta, frutto delle sue ricerche. Cercavano una pista, una traccia, una meta, un indirizzo, qualunque cosa potesse portarli più avanti degli altri in questa caccia all’uomo.  Volevano sapere dove si trovasse Duncan Kane, il ricercato più famoso della California! Ma lui non l’avrebbe permesso. Erano tutti pescecani in cerca della ricompensa dei Manning. Non si sarebbero fatti scrupoli per aiutare un giovane padre che aveva salvato sua figlia da un destino infelice. Doveva agire in fretta, doveva coglierli di sorpresa. Raccolse i pensieri e le forze rimastegli, e prestò attenzione a ciò che gli accadeva attorno. Dal rumore dei passi intuì che si trattava di una persona sola, e che questa dovesse essere o estremamente agile, o piuttosto mingherlina. I passi felpati a malapena si udivano sul pavimento di legno della cucina. Poteva farcela. Doveva solo attendere il momento giusto, che gli si presentò poco dopo. L’aggressore si stava avvicinando a lui. Era pronto. Puntellò le mani sul pavimento e si costrinse ad uno sforzo decisamente superiore alle sue potenzialità, si voltò impugnando la pistola puntandola al torace dell’individuo che gli si trovava di fronte. La sua incredulità esplose in un’espressione quasi scioccata nel vedere due occhi azzurri che lui ben conosceva.


L’orologio da parete ticchettava nell’enorme sala, segnalando l’inesorabile e lento scorrere del tempo. Dick Casablancas era in trepida attesa del ritorno della moglie. Tutto era andato secondo i piani, o quasi, e voleva comunicarglielo quanto prima. Avrebbero preso due piccioni con una fava. O meglio, se tutto fosse andato come doveva, avrebbero ottenuto due ottimi risultati. Aveva già dato il via alla fase uno del piano: prendere contatto. Aveva infatti telefonato all’ufficio di cui avevano bisogno e chiesto del principale. Era una cosa urgente, aveva detto alla suadente voce che aveva risposto, e personale, aveva precisato. La notizia dell’assenza del superiore aveva già rischiato di mettere in crisi il piano di Dick, ma sapendo che avrebbero potuto contattarlo attraverso un indirizzo mail si era repentinamente rasserenato. Si era dunque messo al computer e aveva mandato una mail con le indicazioni di quanto quella persona avrebbe dovuto fare. Veronica avrebbe dovuto rintracciare Jackie e portarla a Neptune in tempo per il ballo di beneficenza. Lui e Mac erano certi che ci sarebbe riuscita. In questo modo avrebbero rivisto la loro fuggiasca amica bionda, e visto Wallace felice per qualcosa che non fosse il lavoro. Fino ad ora tutto era filato liscio. Nell’anonimato avevano ingaggiato la detective che, come si evinceva dai messaggi ricevuti, si era già messa in moto per ritrovare l’affascinante ex compagna di scuola. Aveva già sguinzagliato tutti i suoi collaboratori nella Grande Mela per scoprire dove Jackie si trovasse, e pareva ne avesse già trovato delle tracce.
Quando la Mini di Mac varcò il cancello, Dick le corse incontro. La aspettò sulla soglia di casa e la baciò appassionatamente. Quella ragazza non aveva idea di quello che era riuscita a fare per lui, di come lo avesse salvato. Il giorno del loro matrimonio, semplice ma particolare, oltre a sentirsi immensamente felice perché stava sposando colei che amava, si sentì redento, come se iniziasse una nuova esistenza, che cancellava quella passata. I suoi errori, la sua spocchia, il suo essere offensivo nei confronti dei diversi da lui, tutto ciò veniva gradualmente cancellato, un po’ ogni volta che il dolce ma severo sguardo di Mac si posava su di lui. Sentiva una fresca cascata d’acqua attraversarlo, i brividi lungo il corpo, e nascergli un sorriso dalla bocca dello stomaco; se non avesse sorriso gli sembrava che non avrebbe dato piena prova della propria esistenza. Ora quella donna fantastica era tra le sue braccia, e lui non avrebbe permesso che niente e nessuno li allontanasse. Lo aveva promesso ed era ciò che avrebbe fatto.
“Che succede, scellerato, cosa hai combinato perché io mi meriti tali coccole?” lo punzecchiò lei squadrandolo con aria scherzosa. “Ti ho sposata…”rispose lui, sorridendo di quel  sorriso che lo faceva sentire vivo. Mac si lascio scappare un risolino e ricambiò lo sguardo complice. Sapevano entrambi cosa li avrebbe aspettati più tardi. “Andiamo, la cena è pronta” proseguì, togliendole la borsa dalle mani e passandole un braccio attorno alle spalle mentre si avviavano all’interno della casa. “Ti amo” pensò, mentre guardava la luce dorata del sole riflettersi negli occhi di lei.


Non poteva credere che quell’invito fosse arrivato anche a lui. Mentre guidava l’ambulanza in direzione dell’ospedale ripensava alla busta arrivatagli quella mattina. Carta di finissima qualità bordata d’oro, l’indirizzo stampato su un’etichetta adesiva, nessun mittente. La busta era aperta, e al suo interno si trovava un foglio della stessa ottima carta. Vergate con una calligrafia elegante e leggibile c’erano le parole con le quali il preside Van Clemmons, ormai vicino alla pensione, lo informava che la sua presenza sarebbe stata gradita al ballo di beneficenza che si sarebbe tenuto qualche tempo dopo nella loro vecchia scuola. Quando la sua ragazza gliel’aveva consegnato, era rimasto di stucco. Non si aspettava di ricevere l’invito per il gran ballo di beneficenza. Certo, a pensarci bene, ora che aveva un lavoro poteva essere considerato degno d’attenzione da quella gente altolocata. Anzi, essendo lui ora un responsabile cittadino sarebbe stato disdicevole il contrario. Rifiutare un ex rifiuto? Eli Navarro ora valeva forse mezzo dollaro agli occhi di quei boriosi Zeronove! Non sapeva ancora se ci sarebbe andato, ma alla dolce avvocatessa con cui divideva il letto sarebbe piaciuto. Doveva meditare. Valeva la pena abbassarsi al loro livello? O forse era un modo per sentirsi finalmente accettato da quella gente? Da chi lo aveva disprezzato, deriso, trattato come un topo di fogna? Se fosse stato così, allora davvero si era sentito inferiore a loro. Ammettere ciò sarebbe come ammettere di non aver mai rubato. Gli veniva l’orticaria solo a pensarci.
E allora perché andarci? Quale motivo, oltre esaudire il desiderio della sua bella? Rivincita forse? Nemmeno, anche in questo caso avrebbe ammesso a se stesso di essere stato inferiore ai tanti figli di papà con cui andava a scuola. Gaudio? Cosa c’era di divertente in tutto ciò? Non le facce degli altri, sulle quali avrebbe letto disprezzo e intolleranza, né l’acquisto di uno smoking per l’occasione. Insomma, nulla. Pensandoci bene però una cosa c’era: per una volta entrare a testa alta dentro quell’edificio e non uscirne in manette. Ottima motivazione. “Sarebbe davvero soddisfacente uscire da quelle porte senza finire in gattabuia. Certo, era un periodo un po’ così, ma lei sa tutto, le ho raccontato chi ero. Non me ne vergogno, provo pena per il ragazzo che ero se mi guardo con gli occhi dell’uomo che sono. Però dovrò affrontare questa cosa prima o poi!”. Stava gongolando in pensieri di questo genere quando arrivò all’ospedale. Ora doveva pensare al lavoro, che gli avrebbe permesso di comprare alla sua donna quel collier che avevano visto in centro. L’avrebbe resa felice, e pur di farlo era ben disposto a fare qualche straordinario.


Logan Echolls guidava la sua rossa macchina sportiva lungo la strada che costeggiava l’oceano. Mentre guidava non perdeva d’occhio il telefono. Aspettava lo richiamassero. Aveva più volte cercato di contattare Veronica, ma la sua segretaria gli aveva detto che non era reperibile al momento, e che lo avrebbe richiamato. La stessa solfa tutte e 14 le volte che lui aveva cercato di rintracciarla. La notizia della riapertura del caso Kane-Manning da parte dell’FBI letta la mattina sul giornale lo aveva sconvolto. Il suo vecchio amico, il suo migliore amico era nuovamente in pericolo. Se lo trovavano aveva chiuso. Poteva dire addio a sua figlia e a tutto quello che aveva costruito in quegli anni. Non poteva permetterlo. Solo lei poteva rintracciare Duncan e risollevare le sorti della questione. Solo Veronica poteva metterlo in guardia e difenderlo dai federali. Lo sapeva bene. Come sapeva che Duncan non si era dimenticato di loro. Aveva scritto delle lettere a Logan, nelle quali gli chiedeva scusa, per come erano andate le cose, e lo ringraziava per essere un così buon amico. Inoltre gli aveva raccontato della sua fuga in Australia, sicuro che le acque si fossero calmate. Lettere e mail che avrebbero potuto rivelare informazioni preziose a chi cercava Duncan. Solo Veronica poteva risolvere tutto ciò. Ma siccome lei non si degnava, Logan sperava di poter contare su Keith Mars. Aveva ancora il suo vecchio studio, dove lavorava con Leo, col quale il giovane attore aveva parlato poche ore prima. Keith non c’era, ma ci sarebbe stato, gli aveva assicurato. Per questo motivo stava guidando verso Neptune, macinando chilometri uno dopo l’altro e facendo così guadagnare terreno ai ricordi e al passato.
“E’ strano come tutto torni...lì…in quel posto…a lei…Insomma, sono un uomo di successo, ricco, soddisfatto, eppure…appena c’è un qualcosa che non torna è da lei che mi rifugio. Come se fosse la risposta a tutti i miei problemi. Ai miei e a quelli di tutti coloro che gravitano attorno alla sua presenza. Come è possibile che sia Veronica l’unica risposta che troviamo, di qualunque portata sia la questione? Ogni tanto mi sembra di averla mitizzata, di esagerare. Eppure lei ha sempre un asso nella manica, come quella volta che giocammo a poker. Ci straccò. E lei lo ha sempre fatto. Quella partita a carte è la metafora del rapporto tra Veronica e il mondo. Noi siamo i topi, lei è il gatto. Ci tiene sempre in scacco…
Eppure…eppure…non prenderti in giro Logan, lo sia benissimo anche te. Non è questioni di mitizzare: non riesco a non amarla, a non desiderarla. Sono tutt’ora ammaliato da lei, e ogni suo gesto mi appartiene, o vorrei che mi appartenesse.”
In quel momento il telefono squillò. Ogni cellula del corpo di Logan fremette: non poteva che essere lei.


Leo d’Amato sedeva alla scrivania e non ne poteva più del telefono. Era tutto il giorno che squillava, incessante, senza pausa…era decisamente stufo. E dove diamine era finito Keith? Non rispondeva al cellulare e a casa stessa storia. Mah…aveva del lavoro da sbrigare. Infilò la porta mettendosi la giacca, pensando al dolce incontro che lo attendeva a poche ore di distanza.
Era ormai salito in macchina quando sul monitor del telefono comparve il numero di Keith. Lo stava finalmente chiamando.


Le pantofole e la vestaglia non si addicevano ad un uomo del suo calibro. Ma non aveva motivo per avere un abbigliamento diverso, né per non essere stravaccato in poltrona con una birra in mano e un panino che vomitava ketchup da tutti i lati a vedere la TV. La sua vita, fuori dal completo scuro e dalla posata eleganza che aveva nel realizzare affari di ogni genere, era vuota, stantia, priva di gioia. Wallace Fennel non si immaginava di trascorrere così le sue giornate.

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Volevo ringraziare per i commenti lasciati, e, se possibile lanciare una sfida. Se avete voglia, che ne dite di fare qualche supposizione su chi, cosa eccetera. Mi farebbe piacere  emi sarebbe utile...
Thnks a lot ancora, Sghisa

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Capitolo 5
*** Sparizione ***


Capitolo 5

Sparizione


Lo sceriffo Vinnie Vanlowe era profondamente seccato da quella telefonata. La voce allarmata di una donna di mezza età aveva chiamato la centrale dopo aver sentito rumori sospetti provenire dalla casa del vicino del piano di sotto. Sembrava ci fosse stata una colluttazione dopo la quale una doppia serie di passi si era affrettata giù per le scale portando qualcosa di molto pesante, seguita dalla partenza a tutto gas di una macchina. Intimorita, aveva chiamato il vicino, aveva paura ad uscire di casa: i rumori erano stati molto forti. Nessuna voce, solo un gran trambusto, poi il suono sordo di un corpo che cade. Aveva chiamato a lungo, sentendo il telefono squillare dalla porta lasciata aperta, ma nessuno aveva risposto. Nessun rumore di passi, nessun suono, al di fuori del ritmico squillare argentino proveniente dall’apparecchio telefonico. Da brava cittadina quale era, la vicina aveva subito chiamato il 991 e, immediatamente dopo, il dipartimento dello sceriffo. Lui odiava la brava gente. Vinnie non poteva sopportare queste buone azioni, non riusciva a capirne il senso. In primis la simpatica signora non avrebbe guadagnato nulla, né una ricompensa, né alcuna onorificenza. Al massimo una chiamata in più da pagare sulla bolletta successiva. Inoltre lo aveva interrotto. Lui si stava preparando a uno dei giorni più difficili della sua vita. Era davanti allo specchio a provare discorso e postura quando un suo sottoposto era entrato per portagli i dettagli sulla chiamata. Letto l’indirizzo, Vinnie non poté che sospirare, ricomporsi e salire in macchina. Lo odiava. Era il suo giorno e lui lo avevano rovinato.

“Don Lamb, Dio lo abbia in gloria, ma ancora di più Lucifero, c’era già passato, ed era stato umiliato” pensava lo sceriffo mentre si avvicinava a sirene spiegate all’indirizzo indicato dalla premurosa vicina.

“Umiliato”.  Lui non poteva permetterselo: mancava poco alle nuove elezioni, e quella poltrona girevole era troppo comoda per lasciarla. Non voleva fare la figura del fesso, anche perché non lo era. Non era un belloccio da quatto soldi che si era venduto al miglior offerente. Era uno furbo, che aveva scalato la piramide delle classi sociali grazie alle scoperte fatte durante il suo lavoro di investigatore privato, facendo favori ai potenti, prendendosi i suoi spazi. Non era da paragonare a quel bamboccio tutto muscoli di Lamb. Lui era un grande pianificatore. Inoltre lui, il grande Vinnie, aveva evitato di pestare i piedi a Keith Mars, ma soprattutto non lo aveva coinvolto in nessuno dei suoi casi. Poteva farcela da solo, non aveva bisogno del genio dell’investigazione. Inoltre la sua bionda figlia ficcanaso era presto sparita dalla circolazione, sollevandolo dall’ennesima preoccupazione. Non aveva idea di dove fosse sparita , e non la questione non lo riguardava.
Comunque sparire poco prima di quell’importantissimo appuntamento non gli permetteva di presentarsi bene. E tutto per una stupida chiamata di una stupida brava cittadina preoccupata per il vicino.
“Maledizione” imprecò tra sé e sé, salendo le scale esterne del modesto residence con la pistola in pugno, pronto a sparare, e notando la porta spalancata.
Peccato che quel vicino non fosse proprio una persona qualunque: qualcuno era entrato in casa Mars, e il suo principale abitante, Keith Mars, era sparito nel nulla. Il cellulare era spento, e dunque non rintracciabile. Era proprio un bel pasticcio, che non doveva capitare. O meglio sarebbe stato perfetto, ma non in quel momento, a poche ore dalla riapertura del caso “Kane-Manning”. Per quanto ci avesse provato, Kieth Mars era riuscito a mettergli i bastoni tra le ruote, e ora Vinnie rischiava di cadere rovinosamente a terra.

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Era tutto il giorno che stava in macchina a pedinare mariti infedeli e mogli spendaccione. Era stufo, stufo marcio. Leo D’Amato non ne poteva più. Quella giornata era stata davvero insoddisfacente sotto ogni punto. Si era svegliato di cattivo umore, con la metà del letto non occupata da lui vuota, come sempre. Detestava essere solo ogni giorno, e lo detestava soprattutto quando si svegliava. Aveva bisogno di colmare quel fastidioso vuoto con l’amore di una donna. Era un uomo passionale, non certo fatto per rimanere solo. Lui era un uomo mediterraneo, non un freddo nordico. Un mediterraneo che non poteva sopportare di essere solo, soprattutto se aveva finito il caffè. Svegliarsi solo e non avere di che riempire la moca era davvero frustrante. Per continuare, le sue chiamate a Veronica si erano concluse in un nulla di fatto. Lo aveva snobbato, come se lui nemmeno esistesse. Nemmeno un minimo di riconoscenza. Si era fatto in quattro per lei. Ma il loro rapporto era così: non pretendere che Veronica Mars dimostrasse riconoscenza a parole, sapeva lo avrebbe fatto, ma con i fatti. Lui non chiedeva spiegazioni né ringraziamenti, lei lo avrebbe ricompensato. Ma era stufo di aspettare i comodi di quella biondina. Per concludere, Keith era sparito nel nulla, lasciandogli una valanga di lavoro da far, senza dargli una spiegazione. Non rispondeva né al telefono di casa né a quello dell’ufficio, e il cellulare era staccato. Era davvero stanco. Avrebbe voluto sdraiarsi su una bella spiaggia , invece di essere in quella macchina a cuocere sotto il sole a scattare trite e ritrite ftografie.

Stava fumando l’ennesima sigaretta quando gli squillò il cellulare. Si affrettò a rispondere, convinto che fosse uno dei membri della famiglia Mars, pronto a fare a qualunque dei due una sfuriata degna di nota. La voce all’altro capo era conosciuta, ma non apparteneva a qualcuno che poteva considerare amico.
“Signor D’Amato?”
“Si?!?”
“La chiamo a causa di un’emergenza. Dovrebbe recarsi qui da noi quanto prima”
"Di che si tratta, sceriffo?"
"Non posso dirle altro. La aspetto in centrale..."
La chiamata terminò poco dopo, Leo allacciò la cintura e partì, diretto alla centrale. Era successo qualcosa di veramente grave: Keith era scomparso.

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Non era pronta a reagire a quell’eventualità. Non poteva crederlo vero. Come avrebbe fatto? Le tornò in mente quella terribile notte sul tetto del Neptun Grand, quando Cassidy le aveva confessato le sue colpe e poco dopo aveva fatto saltare in aria l’aereo dove si trovava Woody Goodman. Su quell’aereo dfoveva esserci anche suo padre. La persona più importante della sua vita. E lei credeva fosse morto. Per fortuna si sbagliava. In quel momento si sentiva esattamente come quella notte: distrutta dentro! L’avevano chiamata dalla centrale, dove ora si stava recando. Sperava di trovare almeno un volto amico tra quelle tristi mura, pronto a farla sentire meno peggio. Avrebbe retto di più. Veronica non poteva pensare di vivere senza suo padre.

Varcata la soglia dell’ufficio dello sceriffo si guardò intorno, in cerca di un volto familiare. Tra tutte quelle persone in divisa lo scorse, lui, gli scuri capelli che incorniciavano quello sguardo così accattivante. Gli corse incontro e lo abbracciò con trasporto.
“Ciao piccola guastafeste. Che ci fai già qui? L.A. non è proprio dietro l’angolo…”
“ Stavo venendo a Neptune. Lavoro…mi hanno chiamata in ufficio e la mia segretaria ha girato al telefonata sul cellulare…Dov’è mio padre Leo?” concluse la bionda, guardandolo con aria indifesa e disperata.
“Non ne ho idea, piccola…” Rispose lui, passandole una mano nei capelli e baciandole la fronte.

Certo che si era sempre sentita una bambina con lui. Non era poi tanto più vecchio, ma aveva sempre avuto un modo di fare comprensivo e protettivo nei suoi confronti. Era l’unico, ad eccezione di suo padre, al quale permetteva certe cose. Era strana l’evoluzione del rapporto tra di loro. Erano come fratelli, ma qualcosa gradualmente era cambiato…Leo era un uomo di cui si sarebbe potuta fidare. Forse…

In quel momento lo sceriffo uscì dal suo ufficio e li fece accomodare nella stanza degli interrogatori.
“Buongiorno ragazzi, vi ringrazio per essere arrivati così presto.”
“Basta con i convenevoli Vinnie, spiegami cosa diamine è successo…” gridò Veronica sbattendo i pugni sul tavolo e squadrando lo sceriffo con aria truce. Questi deglutì, conscio di non poter scherzare col fuoco. “ Signorina Mars, si dia una calmata, o dovrò riservarle una cella per questa notte. Se non ricordo male la numero due è la sua preferita.” Sogghignò l’uomo “Potremmo dividerla, che ne dici?” Rispose lei a tono. Leo si sentiva decisamente in imbarazzo. Non sapeva come fare. Mettersi tra Veronica e il suo nemico poteva rivelarsi assai pericoloso, soprattutto se quest’ultimo era il braccio armato della legge, che poteva sbatterli in gattabuia in un nanosecondo, impedendogli di indagare sulla scomparsa di Keith. Optò per calmare la ragazza. Le posò una mano sulla schiena. E la invitò con lo sguardo a sedersi. Questa gli diede retta e, seppur innervosita, si sedette e attese che l’eletto sceriffo le desse spiegazioni sull’accaduto.
“Siamo arrivati a casa del signor Mars e l’abbiamo trovata non solo aperta ed incustodita, ma anche in disordine. Chiari segni di colluttazione. Abbiamo provato a contattare Keith in tutti i modi,  a rintracciare il suo cellulare, abbiamo cercato tra i suoi infiltrati, colleghi e via dicendo. Nessuno sa nulla, ogni tentativo è stato vano. Crediamo sia stato rapito a causa di un caso seguito. Dall’appartamento sembra non mancare nulla, ma dovremo chiederti di confermarci questa teoria, Veronica, mentre a te Leo faremo delle domande sui casi che il vostro studio stava seguendo.”
“Farò quello che posso” rispose il giovane”Keith non m’informa di tutti i casi. Anzi, diciamo che per quanto riguarda quelli più importanti solitamente mi tiene all’oscuro. Ci dividiamo il lavoro. A me quello sporco, a lui quello pericoloso. Non mi ha mai trovato d’accordo su ciò, ma è lui il capo” Concluse Leo sotto uno sguardo amareggiato di Vinnie. Era davvero infastidito da tutto ciò. Sperava sarebbe stata una buona occasione per mettere le mani sull’ingente patrimonio di informazioni in possesso del suo acerrimo rivale. E invece, quel bamboccio del suo aiutante era all’oscuro di tutti i casi più spinosi.
“Anche io potrò fare poco per voi: non metto piede in quella casa da diversi anni. Conosco le abitudini di mio padre, ma non posso essere sicura di nulla.  Stavo venendo a Neptune per lavoro, ma non sono ancora stata a casa mia. Stavo facendo un giro in città, tanto per vedere se qualcosa era cambiato. Sono rimasta profondamente delusa dal perdurare di certe brutte abitudini, ad esempio la pessima scelta dei rappresentanti della legge. Purtroppo temo di esservi poco d’aiuto, sceriffo. Ma farò quanto possibile per venirvi incontro.” concluse Veronica in tono di sfottò.
Più della frecciatina a Vinnie aveva dato fastidio il fatto che quella ficcanaso si sarebbe rivelata quasi inutile, e che anzi avrebbe potuto manomettere le prove una volta entrata in casa. Ora doveva occuparsi di una cosa per volta. Stava per arrivare lui.

“Bene, allora domani in mattinata vi chiameremo per un interrogatorio ufficiale e un sopralluogo presso la dimora della persona scomparsa. Ora se permettete avrei un appuntamento importante.” Disse, alzandosi e indicando con la mano la porta.
“Col parrucchiere? Ti prego, cambia taglio, è fuori moda!” esclamò Veronica mentre usciva dalla porta. Era troppo intenta a provocare lo sceriffo che non s’accorse di andare a sbattere contro qualcuno.
Sollevando lo sguardo aprì bocca per scusarsi, ma le parole le morirono in gola quando si accorse contro chi aveva sbattuto. Non lui. Cosa diavolo ci faceva lui a Neptune? Perché la sfortuna la perseguitava?
“Ciao Veronica…quanto tempo! Ti sono mancato?”
“Ciao Dominik…dallo stage all’FBI direi…e…non mi sei decisamente mancato” Rispose lei in tono acido
“Non ci credo, scricciolo. Sei qui perché ti hanno arrestata?” E scoppiò in una volgare risata. Veronica raccolse la sua borsa da terra e si avviò chiusa in un rabbioso silenzio verso l’uscita. Leo non poteva credere ai suoi occhi. La grande Veronica Mars, la più battagliera ficcanaso di tutti i tempi era stata zittita. Certo, lui era un energumeno, ma non capiva perché. Ma lo avrebbe scoperto.
“A domani sceriffo” disse ad un ancora più stupito Vinnie Vanlowe imboccando la via d’uscita all’inseguimento della graziosa biondina.

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La notizia si era già diffusa. L’ex sceriffo, investigatore privato Keith Mars era sparito. Molte mani iniziarono a sudare, alcuni sguardi esultarono, altri cuori si fermarono per un secondo. L’ex sceriffo, l’investigatore Mars, colui che aveva messo in gattabuia l’assassino di Lilly Kane, che era riuscito ad arrestare Woody Goodmann, che aveva scoperto l’assassino del rettore O’Dell…ma che aveva perso le elezioni dopo una diffamatoria campagna ad opera dell’attuale sceriffo. E ora, quell’uomo strepitoso era scomparso.
La mano di Mac esplorava con rabbia l’interno della borsetta. Dove diamine era finito il suo telefono. Quando infine lo trovò lanciò uno sguardo torvo al marito che, allibito, la squadrava come se fosse pazza.
“Stavo solo cercando il telefono. Non mi sembra di aver fatto nulla di male.” Abbaiò la giovane in un tono che non ammetteva repliche. “ Lo so amore, non ti preoccupare” rispose lui. Lei compose un numero e si mise in attesa. Quando l’apparecchio dall’altro alto smise di suonare a vuoto, Mac udì una flebile vocina. “Veronica, come stai? Dove sei? Hai saputo di tuo padre? Che ne pensi di venire qua nostra ospite?”. Dopo un breve silenzio la bionda rispose “Ciao Mac. Sono già a Neptune, ora sono da Leo, che gentilemnete mi ha offerto il suo divano. Che ne dici se ci troviamo domani? Così ne parliamo. Comunque sto bene, non ti preoccupare. Ho Leo qui con me, non sono sola.” Mac rimase stupita dalla srenità della voce dell’amica Qualcosa non quadrava, ma non poteva certo scoprirlo adesso. “OK Veronica, ti auguro buona notte. “ Mac Concluse la telefonata e si avviò in camera.
“Amore cosa…?”
“Ti spiego a letto Dick. Ora voglio solo indossare la camicia da notte e sdraiarmi.”
Il giovane allibito la seguì a ruota.




Ringrazio chi mi segue. Sono leggermente bloccata con il sesto, mi spiace. E' per questo che ho pubblicato il quinto solo oggi. Preferisco avere sempre il capitolo successivo pronto, ma temo sarà difficile. Tra dieci giorni parto per il mare, dove non avrò un computer e, di conseguenza, nemmeno la possibilità di postare nuovi capitoli.  Spero quindi di riuscire a terminare il sesto e magari il settimo nei prossimi dieci giorni.
Grazie ancora!

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Capitolo 6
*** Veronica, parte prima ***


Capitolo 6

Veronica, parte prima.


Si svegliò in un letto non suo. La prima impressione fu di delicate lenzuola di seta in un’ampia stanza d’albergo, vista mare. Poi l’immagine da sfuocata si fece più nitida. L’accogliente eleganza venne lentamente sostituita da un ben più sobrio arredamento. La tappezzeria di qualità sopraffina lasciò il posto ad una carta da parati stinta. Le morbide e lucenti lenzuola a un più economico cotone bianco. Attorno non il silenzio di una suite, ma il rumore di macchine e il vociare di numerose persone all’esterno dell’abitazione. La luce filtrava dalle imposte, illuminando la polvere sollevata in aria. Il pulviscolo sembrava per incanto tramutato in una danza magica che colse la sua attenzione, finché dei rumori provenienti dall’altra stanza non interruppero quei pensieri vaganti. Si alzò, rendendosi improvvisamente conto di non aver addosso i vestiti. Coprì rapidamente le nudità col ruvido lenzuolo e, a tentoni, iniziò a cercare qualcosa con cui coprirsi. “Cosa diamine sto facendo qui in costume adamitico?” si domandò. In quell’istante la porta si aprì, il cono di luce che tagliò la penombra illuminò quella chiara pelle, presto nascosta sotto la coltre bianca delle lenzuola.

“Già sveglia? Buongiorno!” esclamò Leo, mentre entrava portando un vassoio contenente la colazione. Veronica sorrise, di un sorriso non sincero che presto nascose sotto la maglietta appena trovata e che rapidamente indossò. Si era appena resa conto di ciò che era successo. Di nuovo. Lui le si avvicinò e, poggiato il vassoio sul lato libero del letto, si sporse per baciarle dolcemente la fronte. “Mi sei mancata piccola…” sussurrò. Il corpo di Veronica fremette a quelle parole. Un brivido le corse lungo la schiena. Lui le sfiorò il volto e la baciò appassionatamente. Lei non rispose con pari enfasi, ma il giovane sembrò non accorgersene. Si avviò alla finestra ed aprì le imposte illuminando una piccola e squallida stanza. Veronica si ritrovò a sperare che l’aria fresca dell’oceano portasse via i ricordi della sera precedente che lentamente riaffioravano. Come era potuto succedere, o meglio accadere di nuovo. Se lo era ripromesso, mai più. Leo era un bravo ragazzo, ma lei non poteva…non se la sentiva…non voleva.

Si alzò e si diresse verso il bagno. “Penso di aver bisogno di una doccia.” Disse in tono lapidario. Lui le sorrise accattivante. “Fai pure, sai dove è. Fai come se fossi a casa tua. Anzi, mi farebbe piacere tu ti fermassi qui da me in questi giorni. Non mi va di saperti tutta sola…Neptune non è più la stessa!”. La bionda fece finta di non aver sentito nulla e chiuse la porta del bagno. Non aveva tempo per pensare a sciocche relazioni. Aveva ben altro a cui pensare. Suo padre era scomparso. E doveva assolutamente lavorare a quel caso. Era tornata apposta per questo no? S’infilò nella doccia e lasciò che l’acqua tiepida scivolasse sul suo corpo e portasse via tutti gli avvenimenti della sera precedente. Gli abbracci, lo sfliarsi, uno dopo l’altro, degli abiti, il frusciare di due corpi che, avvinghiati, si muovono sotto le leggere lenzuole, i baci e tutto il resto. “Sei stata una stupida, una sciocca ragazzina, immatura. Come se non avessi già abbastanza problemi. Dover reggere l’ennesimo gioco non può portarmi nulla di buono. Maledizione. Da quando sono diventata così imprudente? Da quando i miei sensi riescono ad offuscare la mia mente?” L’acqua intanto scorreva, portando via la bianca e soffice schiuma. Magari fosse riuscita a lavar via tutto il resto.

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Il profumo del balsamo la seguiva ancora, una nuvola di vaniglia, decisamente non adatta a lei. Ma nella fretta aveva dovuto accontentarsi. E così, accompagnata da un odore non suo, Veronica Mars stava seduta ad un tavolino del Java de Hut, ad osservare le cameriere muoversi tra i tavoli. Le tornò in mente il suo ultimo anno di liceo, quando a sgambettare tra clienti e mobilia elegante c’era lei, pronta a servire con gentilezza, ma anche a rispondere a tono a chi la trattava con arroganza. Le tornò in mente il suo primo incontro-scontro con Jackie. Era tantissimo tempo che non aveva sue notizie. Chissà che fine aveva fatto la bella ex di Wallace. Probabilmente stava sfilando su qualche passerella newyorkese…

“Ciao Veronica, scusa il ritardo, ma come sempre c’è qualche magagna alla quale il capo deve porre rimedio.” La voce seria di Mac riportò veronica al presente. La sua amica non era cambiata troppo. “Ciao Mac! Figurati, stavo pensando a Jackie…non mi annoiavo proprio.” Mac esplose in una sonora risata “Sul serio pensavi a Jackie? Sai che io e Dick stiamo cercando di rintracciarla? Sei incredibile Vreonica, giuro!” e sempre ridendo si sedette di fronte all’amica. Ricomponendosi in fretta. “Come stai? Sul serio…tuo padre è scomparso. Io sono tua amica, e ti starò vicino.” Veronica sorrise, di un sorriso sereno e rassicurante. “Tranquilla Mac, ma grazie del tuo aiuto. Una cosa potresti fare per me: trovare una buona scusa perché io venga a stare da te”. Veronica le aveva fatto intuire di non essere pronta ad affrontare il tema “scomparsa”, dunque Mac decise di lasciar perdere per il momento. La cosa comunque non la convinceva. Mac squadrò l’amica, e, infine, notò un’increspatura nell’azzurro cristallino dei suoi occhi. “Di nuovo? Sei andata di nuovo a letto con Leo? Veronica…”esclamò Mac, in tono di rimprovero, ma con una vena d’ironia “Sei incorreggibile…” concluse, sogghignando sotto i baffi. “L’altra volta pensavo fosse quello giusto. Finita la storia con Piz volevo un vero uomo, e pensavo di averlo trovato. Ma non aveva funzionato. Non so perché sia capitato nuovamente…” ribattè con fare corrucciato la biondina. Mac sorrise “Forse perché sei una giovane e bella ragazza stufa di stare sola?!? Troveremo una scusa, ma tu devi deciderti. Quel ragazzo ti adora, e ti aspetta dai tempi del liceo. Devi prendere una decisione e smetterla di tirare la corda. Quello di ieri non è stato nulla, penso che anche lui se ne renda conto, eri sconvolta e quant’altro. Ma non puoi continuare così…non puoi illuderlo e poi fuggire tutte le volte.” Le due amiche rimasero a lungo a parlare degli ultimi anni passati lontane. Dei figli, del lavoro, della vita. E poi si diedero al loro sport preferito: l’indagine.

“Come ti ho già detto, voi investigatori potete accedere a siti che io non potrei mai crackare. Veronica, ho bisogno di te, io e Dick siamo disposti a pagarti…”* “Non se ne parla nemmeno”, concluse l’investigatrice con uno sguardo serio. “La troverò. Anche io ci tengo moltissimo a risolvere questo caso. Per una volta vorrei dedicarmi ad un caso che mi sta a cuore. Mi metterò subito al lavoro per le informazioni che vi mancano, ma purtroppo non ho tanto tempo da dedicarci. Sono sicura che, una volta raccolte tutte le informazioni base, saprete cavarvela benissimo da soli.” “Non ti preoccupare, io e Dick siamo un’ottima squadra. Allora, da questa sera sei mia ospite. Leo non ha il diritto di averti tutta per sé…” “E io non voglio esserlo” Pensò veronica. “Perfetto. Ora devo andare in centrale per un interrogatorio, poi devo fare un paio di cose per un caso che sto seguendo, e vi raggiungo per cena.” “Ottimo, dirò a Dick di preparare qualcosa di speciale. Pensavo di invitare anche Wallace. Distrarti ti farà bene…”

Veronica osservò l’amica. Era sempre lei, ma qualcosa era maturato. Lo sguardo forse, o la postura. Infine si rese conto: la sicurezza di sé. Mac non era più la timida liceale, né l’introversa universitaria. Era una donna, una madre, una moglie, il presidente di una delle industrie più importanti della zona. “Lo passo a prender io. Ah, Mac…sei una vera amica” concluse Veronica, sorridendo ed alzandosi. “Davvero una vera amica” pensò, mentre il suo sguardo incrociava quello fiero e sereno di Cindy MacKenzie Casablancas.

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Quel posto non era cambiato. Nonostante negli ultimi 15 anni si fossero succeduti tre diversi sceriffi, il dipartimento era sempre lo stesso. Stessa cupa mobilia, medesima giallognola carta da parati, anche i poster alle pareti sembravano sempre gli stessi. Infine c’era la targhetta commemorativa di Don Lamb, ex sceriffo, morto mentre faceva il suo dovere. Era una bella targhetta, sopra la quale spiccava una foto dell’avvenente ex tutore della legge. Passandoci davanti Veronica si ritrovò a pensare a come quella pomposa fotografia, con Lamb che tentava di fulminare l’obiettivo con lo sguardo, fingendosi un “duro”, rappresentasse in tutto e per tutto ciò che Lamb era stato. Un braccio armato della legge interessato a bicipiti e quadricipiti, un inetto, un perdente, un pallone gonfiato pieno di sé. Ma in fin dei conti un uomo semplice, che probabilmente credeva in ciò che faceva, che aveva un’altissima ammirazione per la giustizia, e un discreto senso civico. Insomma, un uomo comune, anche se indubbiamente un uomo non adatto a ricoprire la carica di sceriffo. In ogni caso un uomo migliore del bieco Winnie Vanlowe. Ex investigatore privato dalla dubbia moralità, privo di scrupoli. Interessato non al giusto ma al denaro. Due valori poco compatibili.

Ad accoglierla ci fu l’immancabile Saks, il quale le sorrise amichevolmente. Dall’altro lato dell’ufficio, una sempre più attempata Inga si sbracciò per darle il benvenuto. Tutti si ricordavano di lei, la figlia dello sceriffo, la rompi scatole, la ficca naso, l’ottima investigatrice. Chi nel bene e chi nel male, tutti a Neptune si ricordavano di lei. “Ciao Veronica!” “Ciao Saks, come stai?” “Tutto bene. Sei qui per l’interrogatorio? Seguimi. Le stanze riservate a questo genere di procedure sono sempre le stesse. Non è cambiato molto questo posto, ad eccezione dell’ufficio dello sceriffo. Nemmeno fosse il sindaco…” L’agente le mostrò fin da subito di non essere molto entusiasta del “nuovo” arrivato, e Veronica non poté che essere d’accordo con lui. “Speriamo che le imminenti elezioni portino dei cambiamenti. Peccato che non si sia ancora candidato nessuno”. “Ci credo” Pensò Veronica “Da quanto mi ha raccontato mio padre i Fitz Patrick sono in combutta con Vinnie. E’ quindi assai improbabile che ci sia qualcuno tanto folle da volersi mettere contro di loro. Staremo a vedere.

Saks la fece accomodare, pregandola di attendere l’arrivo dello sceriffo. Le portò un caffè e la lascò sola con i suoi pensieri. Passarono diversi minuti prima che l’uomo in divisa varcasse la soglia. Entrò con fare poco professionale mangiucchiando un panino “Si è ricordata la maionese tua madre questa volta?”* lo apostrofò Veronica, come per mettere in chiaro che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da lui. “Ti ho fatta venire per discutere del caso su tuo padre. Dopo ti farò accompagnare da Saks a casa di tuo padre. Cerca di fare mente locale e di fornirci più informazioni possibili.” Veronica strabuzzò gli occhi, sbuffò, e annuì, anche se con poca convinzione. Ma la tentazione di rispondergli a tono venne prontamente scalzata dall’irritazione causatale dallo stare nella stanza di Vinnie per così tanto tampo. “Abbiamo finito? Posso adare?”. Sul volto dello sceriffo comparve un ghigno derisorio “No, mia cara. Devi prima rispondere a qualche domanda!”

Sarebbe stata una lunga tortura, pensò Veronica, mentre si metteva comoda e cercava il modo di essere il più evasiva possibile senza farsi notare. Ma l’attenzione doveva rimanere su di lei.

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Dopo un lungo e fastidioso interrogatorio, ed un’invadente perquisizione della dimora Mars, Veronica fu costretta controvoglia a tornare al dipartimento per firmare delle carte. Backup la aspettava in macchina. L’integerrimo membro della famiglia Mars era stato ritrovato in casa, addormentato da una potente dose di sonniferi. Evidentemente i rapitori conoscevano bene Keith Mars e le sue abitudini. Ora, ancora frastornato, sonnecchiava sul sedile posteriore, in attesa che la sua padrona uscisse da quell’austero edificio. Di lì a poco Veronica lo avrebbe portato dal veterinario per un controllo. Era stata molto felice di vederlo, in primo luogo perché era ancora vivo, e poi perché le avrebbe fornito una buona scusa con Leo: il suo microscopico appartamento al quarto piano non era l’ideale per un cane di quelle dimensioni che era appena stato sedato. Inoltre nel palazzo dove viveva il giovane D’Amato non permettevano il possesso di animali domestici. Veronica era sicura che il grande giardino di Mac sarebbe stato fonte di gioia per l’ormai vecchiotto cane. Si sarebbe potuto rilassare all’ombra di qualche palma, mentre giocava con i figli di Mac e Dick. Non vedeva l’ora di uscire da quel posto e dedicarsi al proprio lavoro. Erano 4 ore che, in un modo o nell’altro, i dipendenti dell’ufficio dello sceriffo la tartassavano.

Firmate le carte rivolse un cordiale sorriso alla giovane segretaria che aveva sostituito Inga alla reception. Non si aspettava di vedere una sua vecchia conoscenza: la sua amica Mandy*, con la quale aveva scoperto dei casi di “riscatto” per riavere i propri cani. Le sarebbe tornata utile. Era una ragazza gentile anche se strana. Non avevano avuto molte altre occasioni per parlarsi, ma comunque erano restate legate da una complicità e una gratitudine reciproche. Da un lato Veronica aveva ritrovato Chester, ma Mindy le aveva fatto scorgere la possibilità che ci sia del buono negli uomini. Le sorrise amichevolmente e s’apprestò ad uscire dal dipartimento.

“Non così in fretta, signorina Mars…”

Avrebbe riconosciuto quella terribile voce ovunque. Le riportava alla mente spiacevoli ricordi. Quell’uomo le aveva rovinato la vita. Dominik Patterson aveva trasformato il suo stage all’FBI nella più grande umiliazione della sua vita. Lei gli era stata affidata come assistente, e lui, essendo non solo un maschilista, ma anche il giovane agente dell’FBI  sotto copertura Ben Kaczynski* cui la giovane aveva messo i bastoni tra le ruote, aveva fatto il possibile per renderle la vita difficile. Durante lo stage Patterson aveva fatto delle ricerche dalle quali era emerso che Veronica aveva avuto problemi con la legge in più di un occasione: la produzione di carte d’identità false, la scomparsa di Dunkan e non solo. Inoltre aveva fatto emergere la verità sulla scomparsa della macchina della signorina Sinclaire: era Veronica la committente, anche se il vero colpevole non era stato scoperto. Infine l’agente Patterson aveva indagato su un furto avvenuto in casa Kane, che aveva portato al nome di Veronica. Così facendo aveva fatto terra bruciata attorno alla giovane e promettente investigatrice. Dopo che Dominik aveva pubblicato il dossier e lo aveva distribuito ai colleghi, nessuno si fidava di Veronica. Infine era stata chiamata dai suoi superiori che le avevano caldamente consigliato di dedicarsi ad un futuro diverso, poiché una persona che, come lei, aveva avuto così tanti problemi con la legge non aveva possibilità di entrare all’FBI se non attraverso una scuola di polizia. Ma data la sua bassa statura non aveva chance. Veronica aveva così dovuto rinunciare al proprio sogno. Tornata a casa aveva tirato fuori il suo attestato di PI, aveva finito gli studi, e si era impegnata nel suo nuovo lavoro. In fin dei conti chi veramente c’aveva perso era stata l’FBI: un così bravo detective non era facile da trovare.

“Cosa vuoi, Dominik?”
“Mi hanno mandato qui a indagare sul caso Kane-Manning.”

Veronica ebbe un quasi impercettibile sussulto. Se avevano mandato uno squalo come lui, significava che la questione era seria, e dunque che doveva stare molto attenta. “Ma se hanno mandato te significa che avete tutte le informazioni, anche su dove si trovi. Altrimenti come farai a portare a termine la missione? Insomma, ti hanno degradato dal reparto artificieri a quello persone scomparse perché non sapevi afre il tuo lavoro senza prendere scorciatoie. Come ti senti a dover cercare un ragazzo viziato e la sua piccola bambina? E’ un lavoro da poppanti…sono sicura ci riuscirai. Magari seminando di caramelle la strada della prigione…”

Domink la prese per un braccio e la guardò con profondo disprezzo. “Da quasi dieci anni per colpa tua mi occupo di ricconi in fuga, e ne ho le tasche piene. Dovrai collaborare mia cara, o ti farò arrestare per intralcio alla legge e farò chiudere quel buco di ufficio che ti ritrovi. Ti rovinerò, Veronica. Aspetto da troppo tempo questo giorno”

La giovane non si fece intimorire “Sono forse minacce queste? Dopo aver alterato le prove tel’hanno fatta passare liscia, ma se mi metti le mani addosso senza motivo e mi minacci così non so quanto saranno clementi. Ma tranquillo, se perderai il posto ti posso sempre offrire un lavoro. Ho giusto bisogno di un ragazzo delle consegne” concluse con uno strafottente sorriso, si liberò facilmente dalla presa dell’uomo e si avviò all’uscita.

“Avrai presto mie notizie, Veronica. Sei la prima sulla mia lista, sappilo…”

“ Anche te sulla mia, mio caro” E uscì dall’edificio.

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Dopo aver poratto il cane dal veterinario che lo avrebbe tebuto in osservazione per le successive 3 ore, Veronica attivò il suo apparecchio magico. Rintracciato il cellulare desiderato si diresse verso il Neptune High. “Che strano”Pensò “Trovarlo qui. Chissà perché…”. Guidò ripercorrendo una strada di ricordi al ritmo dei Dropkicks Murphy. Si rivide da adolescente mentre con Lilly percorreva quella strada cantando a squarciagola sedute sul sedile posteriore dell’auto di Logan; poi sempre in quell’auto a scambiarsi baci segreti. Le tornò in mente Logan. Era stato più il tempo che avevano passato ad odiarsi o ad ignorarsi che quello trascorso assieme amandosi, eppure il termine “epica” descriveva bene la loro relazione. Immersa in questo genere di pensieri si ritrovò parcheggiata di fronte alla sua vecchia scuola.

Prese la borsa e uscì dall’auto, sicura sulla direzione da prendere. E infatti lo trovò lì, nella sala che aveva ospitato diversi balli studenteschi, primo fra tutti il “Total eclipse of the hearth”. Wallace Fennell era tra gli organizzatori dell’evento, e ora stava animatamente discutendo con il Preside Clemmons, il quale sembrava decisamente irritato dall’atteggiamento dell’ex-ellievo. “Non mi interessa, è un ballo di beneficienza, i soldi vanno raccolti e risparmiati, non sprecati in inutili statue di ghiaccio che si scioglieranno nel giro di poco tempo, allungando tra l’altro un già pessimo Punch. Sono contrario.”
“E la signorina Sinclaire è contraria alla realizzazione di una festa a suo dire sciatta e priva di stile. Si ricordi, signor Fennell, ambasciator non porta pena. Dovrete vedervela tra di voi. Per il momento le statue di ghiaccio sono state prenotate.” E si allontanò.

Sul momento non la riconobbe. “Signorina Mars, davvero una piacevole sorpresa. Come sta? E’ venuta a verificare che tutto sia in ordine? Come può vedere è tutto in regola.” L’ex-allieva sorrise all’attempato uomo prossimo alla pensione. “Con lei le cose non possono che andare bene! Sta bene signor Clemmons?” “Tutto in regola! La lascio alle sue cose, signorina. A presto.” E si avviò verso il suo ufficio. Lei invece si avvicinò silenziosamente all’amico di spalle.

“Non mi immaginavo di trovare il famoso Air-Fennell intento ad organizzare un ballo tutto lustrini e festoni!” esclamò. Il giovane si girò e l’abbracciò con trasporto.


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Note: * 1x11 Silence of the Lamb
          * 1x17 Kane and Abel's
          * 1x19 Hot Dogs
          * 1x18 Weapon of class destruction

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Premesse, penso che venerdì o sabato pubbòicherò il settimo capitolo, che sarà molto breve, ma dipanerà un pò di misteri. Poi per un paio di settimane mi attendono solo la spiaggia e dei buoni libri da leggere, ma spero di andare avanti con la storia.

Volevo ringraziarvi tutti per i commenti e per la pazienza che avete con me. Spero questa storia vi piaccia sul serio. Per Isilady, che entusiasmo, sono sinceramente felice per i tuoi commenti. Hai una bella testolina, lasciatelo dire (anche se, oddio, temo che la mia storia non sia un vero e proprio giallo alla Agatha Chriestie!). Spero di non averti delusa troppo con questo capitolo, o meglio con il suo incipit. Ma tranquilla, ci saranno sviluppi futuri!

Continuate a leggere e commentare, e...a fare supposizioni!

Sghisa

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Capitolo 7
*** Veronica parte seconda ***


Capitolo 7

Veronica Seconda parte

 

Erano stati migliori amici, quasi fratelli, come fratelli. Veronica e Wallace. Dal primo giorno. E lo erano ancora. Bastò loro guardarsi negli occhi per capire che l’affetto, l’intesa, l’istinto protettivo che avevano l’uno nei confronti dell’altra, emergessero. Ogni dubbio, ogni rancore, ogni rabbia scemò all’incrociarsi dei loro sguardi. Wallace si dimenticò dell’improvvisa sparizione dell’amica qualche anno prima, del suo essere svanita nel nulla, della sua assenza in quei periodi difficili, e subito pensò all’amore, alla cieca fiducia, al rispetto reciproco. Fu come se non si fossero mai separati, se ogni esperienza vissuta in quegli anni fosse stata esperita insieme. In uno sguardo furono di nuovo Veronica  e Wallace. Fennel e Mars.

“Ma guarda un po’ chi ci degna della sua presenza” esclamò il ragazzo liberandosi lentamente dal caldo abbraccio.  “Cosa porta la nostra bionda investigatrice in questo triste luogo?”. La frase, seppur detta in modo scherzoso, lasciava trapelare i sentimenti contrastanti del giovane. “Lasciami indovinare: LAVORO?” concluse, con tono irritato, vista la lunga pausa dell’amica. Si aspettava una risposta. Ma aveva imparato a conoscerla. Pausa più mani tormentate significano che la risposta è scontata, ma non vuole essere ufficiale. La bionda non poté far altro che fissarlo sentendosi in colpa. “E così non sei qua per gli amici, i vecchi tempi, tuo padre… sei qui per lavoro? Spero tu stia scherzando Veronica, perché altrimenti penso tu sia diventata una persona spregevole, quel genere di persona che nessuno di noi ha mai apprezzato e menchemeno  desiderato diventare.” Lei lo interruppe “Calmati Wallace…si è vero, sono qui anche per lavoro. E’ una questione molto delicata…” “…e non mi puoi dire nulla di più”, la interruppe il ragazzo, strappando un dolce e malinconico sorriso all’amica. “Ma sono tornata anche perché non ce la faccio più … il lavoro è importante, ma io mi sento sola comunque. In questi anni ho rielaborato i conflitti repressi che ho col mio passato, con mio padre, con questo posto, e ora mi sento in grado di tornare, di affrontare questa realtà e tutto ciò che ne comporta”.

Lui scoppiò a ridere “Insomma, questo bel ragazzo ti è mancato!” “Si”rispose lei “lo hai detto te che Veronica Mars è una tenerona…”, e lo ammonì con una gomitata.

 

 

Lasciato il liceo di Neptune, i due andarono per un po’ a passeggiare sulla spiaggia, per raccontarsi l’uno all’altro, per familiarizzare con ciò che rispettivamente erano diventati. Confrontandosi con l’amico, Veronica sentì l’amaro in bocca. Quanti momenti importanti si era persa: la nascita dei gemelli, la crescita dell’impero finanziario dei suoi migliori amici, i cambiamenti che li avevano sconvolti. Si sentì rattristata e allo stesso tempo invidiosa. Loro avevano potuto continuare a far parte della vita l’uno dell’altro, e lei si era persa tutto ciò. Dai momenti importanti a quelli insignificanti. Resasi conto di questo provò una profonda rabbia, verso sé stessa! Lei aveva deliberatamente deciso di abbandonare la sua vita precedente, buttandosi capofitto nel ruolo della stacanovista dedita al lavoro. Non si era creata una vita, si era trovata un posto nel quale credeva di rifugiarsi per fuggire a parte del suo passato, quella fatta di violenze, stupri, omicidi e tradimenti, di Madison e Aaron, e dedicarsi a una parte abbandonata tempo prima. O forse che la aveva abbandonata. E così aveva vissuto quei pochi anni, sola, senza la possibilità di trovarsi degli amici, costretta all’anonimato. Pesavano come macigni, sembravano secoli, quei pochi anni.

Ed ora era lì, sul bagnasciuga di Neptune, alla spiaggia dei cani, che giocava coi piedi immersi nella sabbia inumidita dalla fredda acqua del mare, mentre ascoltava il fiume di parole che sgorgava dalla bocca dell’amico, troppo entusiasta per rendersi conto che Veronica a malapena aveva spiccicato due parole. Non che non fosse contenta o grata di essere lì, era gradevole ascoltare il racconto di tutto ciò che si era persa, tutto quelle occasioni sfumate, tentando di riviverle attraverso la voce dell’amico, come un cieco che si facesse descrivere un tramonto dall’amico a fianco. Ma allo stesso tempo doleva nel petto una sferante malinconia.

“E in tutti questi anni chi ha scalfito l’impenetrabile cuore del leggendario Air-Fennel?”

Wallace abbassò lo sguardo, ed iniziò a tormentare la sabbia con un bastoncino. “Ti ho detto che mio fratello frequenta il Neptune High? Clemmons è ancora preside e…”

“Dunque nessuna è riuscita nell’ardua impresa? Biondina? Moretta? Eppure ho visto molte foto di te in dolce compagnia…” lo rimbecco Veronica in un tono a metà tra il serio e lo scherzoso.

“Nessuna… lo sai che nel mio cuore c’è posto solo per te e la mia mamma” scherzò lui, alzandosi come per comunicarle che l’argomento era chiuso. Per il momento pensò lei, solo per il momento, e lo lascò fare, raccogliendo le scarpe ed avviandosi con lui alla macchina.

 

 

Il sole stava tramontando sull’oceano pacifico mentre Veronica era intenta a ripulirsi i piedi prima di indossare le scarpe. Lì a Neptune il temo era sempre ottimo, tanto sole, poca pioggia, quella brezza giusta giusta per sentirsi vivi. Però mancava qualcosa. Il tempo era come congelato: questa eccessiva perfezione rendeva il tutto quasi irreale. Veronica aveva sempre riflettuto su questo aspetto. E ora, mentre la brezza marina le scompigliava i capelli e la sua candida pelle veniva baciata dagli ultimi raggi di sole, si sentiva a casa, in mezzo a tutta quella perfezione. “Sbrigati bionda, siamo in ritardo per la cena di Mac!” la destò Wallace. “Come in ritardo? Mannaggia, è quasi ora di cena. Quanto ci mettiamo da qui a casa di Mac?” “Venti minuti. Perché?” “Devo passare da casa di Leo a prendere le mie cose, e magari cambiarmi…” “E’ una cena tra amici, Mars, non hai bisogno di metterti in tiro.” Rispose Fennel, incitandola a salire in macchina e a muoversi. Di passare a recuperare il bagaglio se ne poteva anche parlare, ma per quanto riguardava il cambio d’abito… nemmeno a parlarne!

Veronica salì in macchina, chiuse la portiera, e i due partirono.

 

 

Doveva solo fare piano… non poteva farsi beccare così, a sgattaiolare come un topo. Ma non aveva altra possibilità, era una questione vitale. Un rumore di troppo e… bang…

Ma come diamine faceva a recuperare la maglietta sotto al cuscino di Leo? E soprattutto, come c’era finita lì? Si avvicinò e provò a strattonare il bianco cotone, ma al primo movimento vide Leo agitarsi. Evidentemente era esausto, sembrava stesse dormendo profondamente. Meglio non indagare. Sarebbe tornata nei giorni successivi a prendere la maglietta. Ora voleva solo scappare da quella stanza che trasudava ormoni.

Si voltò, e con passo felino si avviò alla porta. Lanciò un ultimo sguardo al bell’addormentato, lo salutò con un cenno della testa e se ne andò.

 

 

La strada seguiva la costa, insenatura dopo insenatura. L’aveva percorsa poche volte, anche perché portava a L.A. attraverso il nulla. Per spostarsi da una città all’altra era decisamente più comoda l’interstatale 5. Però l’ondeggiare del veicolo in mezzo alla natura, al frinire dei grilli, alla nebbia che lentamente risaliva la costa, molto alta in quel punto, le donava una profonda pace interiore. La musica accompagnava i suoi pensieri. I suoi viaggi col padre e la madre verso la spiaggia, verso San Diego, le gite con Dunkan, Lilly e Logan, le fughe romantiche, tutto a Neptune profumava di passato, di remoto, di lontano e perso. Nessuno di quegli eventi si sarebbe potuto ripetere. Le sembrava di lasciarsi alle spalle una scia di morte e distruzione… Per fortuna il parcheggiare la macchina la fece tornare alla realtà, la presente. Stava per rivedere Mac, vedere i suoi splendidi bambini, ammirare Dick… doveva essere tutto perfetto, doveva rasserenarsi, respirare profondamente e ricacciare quei tristi pensieri nel fondo della sua anima, da dove li aveva ripescati. Non poteva sprecare questa breve occasione di serenità.

Veronica si schiaffeggiò le guance, controllò di essere presentabile e si accorse che il sole le aveva già arrossato le guance. Era bello stare fuori dall’ufficio, o dalla macchina, o dall’archivio. Era bello sentire il vento e il sole sulla pelle, e sentirsi viva. Si sistemò alla meglio i capelli, ma che importava, non aveva un colloqui di lavoro. Le persone presenti la conoscevano, non avevano bisogno della sua maschera, anche se lei l’avrebbe indossata comunque. Ciò che le era rimasto dalla sua adolescenza era il fatto che non ti puoi fidare di nessuno se non di te stesso. Scese dalla macchina e si avvio con Wallace all’ingresso. Sarebbe stata una serata meravigliosa! Se lo sentiva. Bussò alla porta e attese!

Un ombra si mosse al di la del vetro smerigliato. Veronica era agitata. Non le capitava mai, non era una che se la faceva sotto, era una che reagiva, che rompeva le ossa ai criminali, che non indietreggiava di fronte a niente  e a nessuno. Ma c’era qualcosa che la inquietava. E quando vide il volto teso di Mac, il suo sospetto venne confermato. Istintivamente fece finta di nulla e la abbracciò “Mac, mi sei mancata!!!”. Il gesto stupì Wallace. Veronica e Mac non erano mai state tipe da abbracci. “Veronica anche te, ma…preparati ad una bella sorpresa… Temo non ti piacerà. Veronica non so come dirtelo…” “Non siete in pericolo vero?” Mac la guardò con aria interrogativa e poi capì “Assolutamente no, non ci sono rapitori in casa, solo io Dick, i bambini e…” una sagoma alle spalle di Mac attirò l’attenzione di Veronica, i suoi occhi si fecero di ghiaccio. Non poteva crederci: lui era qui. “E io. Ciao Veronica, sembra una vita eh…”

Logan Echolls era in piedi di fronte a lei. Il fisico statuario. Lo sguardo dannato. Veronica non seppe se svenire o andarsene. Decise di farsi forza e fece un passo avanti, entrando in casa. Cosa sarebbe successo non lo sapeva, ma aveva decisamente subito troppi scossoni negli ultimi due giorni. Doveva reagire. Era decisamente stufa.

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Chiedo venia per la lunga lunghissima assenza, spero di riuscire a scrivere con più continuità di qui in avanti!

Auguro a tutti voi buon anno!

Sghisa

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Capitolo 8
*** Nuvole e aereoplanini ***


 

Nuvole e aereoplanini.

 

Non  aveva mai amato le tragedie; non si riteneva una piccola Rossella Ohara californiana. Purtroppo però sembrava le discgrazie la perseguitassero. La sua adolescenza era stata costellata da morti e disastri di ogni genere, la sua vita le si era sfaldata tra le mani, disfacendosi pezzo dopo pezzo. L’evento scatenante fu la morte della sua migliore amica, Lily, Lily Kane. Chi in America non ne aveva sentito parlare? La splendida e impertinente figlia del più ricco che discreto Jake Kane. Uccisa dal suo amante, l’altrettanto famoso attore Aaron Echolls.

E da lì, come in un interminabile declivio, tutto era andato a rotoli. Sua madre aveva sfasciato la sua famiglia, andandosene e costringendola a scegliere. Scelta che l’aveva allontanata da tutti, dai suoi amici, dal suo già ex, Dunkan Kane, fratello di Lily. Aveva dovuto costruire un muro contro tutti, per difendere l’integrità sua e di suo padre. La Sua persona, colui che non l’aveva abbandonata, mai.  Che dolore aveva provato sul tetto del Neptune Grand, quando lo aveva temuto morto, quando si era accasciata tra le braccia di Logan. Logan, altro disastro. Lo era sempre stato, il loro rapporto. Non aveva mai funzionato, non poteva funzionare. Erano troppo diversi. Non perché lui fosse immorale, semplicemente avevano un concetto profondamente diverso di moralità. C’era attrazione  tra loro. Amore. Ma allo stesso tempo insofferenza e inconciliabilità, sfociati troppo spesso in un odio bruciante, vendicativo, crudele.

E ora, colui che come nessun’altro l’aveva ferita, era in piedi di fronte a lei, e Veronica non sapeva come gestire questa terribile situazione. Sì, non cercava le tragedie, ma forse le stavano dannatamente vicine.

 

 

Le posate tintinnavano nei piatti. Da quando i mocciosi erano stati accompagnati tra le braccia sicure di Morfeo, simbolo della loro ancor chiara innocenza, un’aria tetra si era abbattuta sulla sala da pranzo. Vecchi amici che non sapevano come affrontare il fatto di trovarsi sotto lo stesso tetto. Non si riconoscevano più negli adolescenti che furono, ma non avevano ancora costruito un “loro” adulto che gli permettesse di essere amici, di nuovo. Mac e Wallace, che non si erano persi di vista in quei pochi anni che li separavano da un così lontano passato, temevano il peggio. Dick, improvvisamente maturato nel suo ruolo di padre e marito, aveva cercato vanamente di uscire dai convenevoli, cercando di scherzare sul loro comune passato. Il ruolo di pagliaccio sembrava non funzionare più, per lo meno in quella imbarazzante situazione…

“Allora che ne dite di questo soufflé? “ Domando, cercando di stemperare la tensione. La buttade però non diede il risultato sperato. Qualche sopracciglio si inarcò, qualche colpo di tosse e fine.

Veronica imbarazzata non riusciva a sollevare gli occhi dal piatto, e allo stesso tempo non riusciva a mandar giù nemmeno un boccone. Era bloccata, a cinque anni prima. Quella sera che si era chiusa alle spalle la porta della suite e non solo quello.

 

……………………………………………………………………………………………………………..

 

“Questo Logan, questo è l’esatto momento. Sei fuori dalla mia vita!” Rabbia ceca, parole che escono con una furia da stupire pure lei. Ma la maschera di bronzo non cade, resta lì. Il gioco regge. La rabbia vince sull’amore. Le azioni sui sentimenti. Logan aveva esagerato, ed era ora di farglielo capire. In fin dei conti, però Veronica nascondeva l’intima speranza che avesse picchiato Piz perché ancora innamorato di lei. E la cosa la irritava ancora di più. Logan Echolls era un capitolo chiuso. O per lo meno doveva esserlo. Troppe lacrime, troppi cuori infranti, anni passati, continenti conquistati…decisamente troppi massacri…[1]

………………………………………………………………………………………………………………….

 

La situazione è davvero insostenibile. Come diceva mia nonna? Se la vita ti da i limoni, fai la limonata… e con l’improvvisa ricomparsa del tuo ex cosa ci fai? Andiamo Veronica, buttati, pensa a Mac wallace e Dick, anche se sono stati loro a  cacciarmi in questo pasticcio, non mi sembra giusto rovinare loro la serata in questo modo. Sii corretta Veronica, è la cosa che ti riesce meglio…

Proprio in quel momento i suoi pensieri vennero interrotti dalla musica. La voce di Mark Lanegan riempì la stanza. Una canzone triste ma piena di speranza distolse gli occhi dai piatti mezzi vuoi. Wheels, onde che abbracciarono i commensali imbarazzati, facendoli sorridere. In fin dei conti non erano soli. Si erano ritrovati. Dopo aver acceso la radio, Logan si sedette, sorridendo imbarazzato ai suoi vecchi compagni di scuola, mentre il sassofono cantava malinconico. E così la cena si avviò al suo termine, mentre Mac ringraziava col pensiero quello spilungone arrogante col quale aveva avuto poco a che fare, ma che si era a volte rivelato una discreta compagnia.

 

 

L’atmosfera si era notevolmente alleggerita. Si sentivano ancora degli spensierati ragazzini, con il permesso di bere però. Il vino riscaldava gli animi, e quella serata che era nata in tragedia si trasformò in una piacevole rimpatriata. Non gli sembrava vero di ritrovarsi attorno ad un tavolo, loro che si erano odiati, stuzzicati, amati e di nuovo odiati. Mac e Dick deliziarono e divertirono i loro amici raccontando dello sbocciare dell’amore tra loro. Era cominciato tutto quel pomeriggio sulla spiaggia, quando avevano fatto volare l’aereoplanino di Wallace. In quell’occasione Dick si era avvicinato a Mac per scusarsi con lei. Era un periodo carico di sensi di colpa. Pensava spesso a Beaver, suo fratello, che aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, saltando dal tetto del Neptune Grand. Dick aveva affrontato il suicidio del fratello in maniera leggera. Come affrontava tutto. Dalla scelta della ragazza con cui provarci, al come spendere la paghetta settimanale. Però qualcosa si era rotto, il meccanismo del “Passiamoci sopra” ad un certo punto si era inceppato. Forse alle parole di Logan “Non sei un tipo difficile, eh, Dick.” Eccome se lo era. Le gabbiette d’oro in cui vivevano i figliocci dei riccastri di Neptune erano terribili trappole di ipocrisia e falsità.

Ma lì su quella spiaggia aveva incontrato qualcuno che non nascondeva la propria fragilità, la propria insicurezza, ma anzi ne faceva un’arma letale. Già da quel gesto di stizzito rifiuto del suo bacio, Dick si era reso conto che quella morettina acida e insicura doveva essere sua. Iniziò a farle una vana corte spietata, cui lei non rispondeva. Mac e Veronica scherzavano su questa storia: lo sciupa femmine che si squagliava al sole per una non 09? Poteva esistere qualcosa di più divertente? Decisamente no. E così era andata avanti fino all’autunno. Al suo ritorno dallo stage in Virginia, Veronica aveva colto la sua migliore amica in flagrante, mentre si sbaciucchiava col biondino. Alla fine Dick ci era riuscito: aveva conquistato Mac. Una sera, durante una festa sulla spiaggia, lui e Mac avevano condiviso ricordi e segreti del passato, scoprendo di avere molto più in comune. E così nacque la loro relazione. Max non aveva potuto farci nulla: era stato scaricato per un cervello di gallina, uno dei suoi più fedeli clienti. Ma superò il trauma molto presto. I tre si misero in affari, suggellando una duratura e redditizia amicizia. Dick aveva dimostrato a se stesso e agli altri di essere più che un bell’imbusto. Lui aveva affrontato con Mac la morte di suo fratello. E ciò li aveva uniti.

 

 

All’improvviso squillò un telefonino. Veronica lo estrasse dalla tasca dei Jeans, per rimetterlo al suo posto, senza rispondere. Dopo poco smise di suonare. Per ricominciare a pochi istanti di distanza. La scena si ripeté diverse volte, finché Logan stremato non si lasciò trasportare dalla familiarità su cui si erano adagiati ed esclamò “Amante ferito? Miss Mars, rispondi al poveretto!” Non sapendo di aver centrato in pieno il bersaglio. Tra lui e lei la distanza si fece nuovamente chilometrica. Era bastata una stupida frase per perdere quanto era appena stato guadagnato. Complimenti, Logan, sei sempre così bravo a rovinare tutto. Questo è forse uno dei motivi che mi ha spinta a lasciarti.

“Ciao Leo…” disse Veronica alzandosi da tavola e allontanandosi anche fisicamente da Logan. “No..no…non sono fuggita. No, non sono con un altro uomo, Mac aveva… Leo, per piacere, Leo, no… non abbiamo una relazione. No Leo, non sto dicendo… ohh maledizione Leo. Devo andare.” E con la mia solita eleganza ho rovinato tutto. Mannaggia a me e alla mia indipendenza. E maledizione a tutti gli uomini!

E con ciò si sedette al tavolo, squadrando Logan come per dirgli che l’aveva fatta grossa e che la questione era chiusa lì.

 

 

Finita la cena Mac e Veronica andarono in terrazzo, mentre Dick Wallace e Logan ammiravano le rispettive autovetture. “Bella sorpresa Mac, grazie.” Veronica ruppe il silenzio che durava già da troppo. “Veronica, innanzitutto in era in programma, si è presentato qui senza dare spiegazioni. Un paio di volte all’anno ci veniva a trovare. E’ stato una specie di zio per i bambini. Non te ne ho mai parlato, perché non sapevo come avresti preso la piacevole notizia.” “Sai che sarebbe stato indifferente per me, Logan fa parte del passato, anzi del trapassato per quanto mi riguarda…”

Mac sorrise “E allora perché quella faccetta smarrita…” e concluse alzandosi, con uno sguardo che non ammetteva repliche. Lasciò la sdraio al bell’imbusto, fermo sulla soglia, che guardava le due amiche. “Vi lascio in pace. Vado a preparare la tua stanza, Veronica. Bentornata.” E abbandonò l’amica ad un infausto destino. Una chiacchierata a quattr’occhi con il suo ex.

Che tu sia maledetta Mac, dal più profondo del cuore. Le note di I don’t know salivano, mentre la suadente voce del cantante degli Starsailor li guidava al passato.

“Posso sedermi, o il trapassato non ha diritto di ammirare le stelle?” chiese il giovane uomo, ancora sulla soglia, sporgendosi verso la biondina. Veronica era irritata e sentenziò “Puoi dismettere quella faccia da povero ragazzo sfortunato, da cane bastonato, da vittima del destino. Ti sei meritato tutto questo, e se non te lo sei meritato te lo sei andato a cercare.” I pochi secondi di silenzio le permisero di sentirsi una vigliacca, che attacca prima ancora di vedere le intenzioni del nemico. Che offende gratuitamente chi non sempre se le è cercate. Ma lui non le diede tempo di ribattere. “Non ricordavo quest’indelicatezza. Comunque sono contento che il mio essere trapassato ti faccia arrabbiare ancora così tanto. Messi in chiaro questi punti penso che mi siederò qui con te, almeno per restituirti la cortesia.” E si sedette, fissando la ragazza con il suo tipico sguardo da schiaffi. Ma questo suo modo di agire si rivelava nuovo, e incoerente col vecchio Logan.

Non era più il ragazzino indifeso che si nascondeva dietro la maschera del figlio di papà irresponsabile e vittima. Questo nuovo lato del suo carattere, forgiato probabilmente dalle esperienze fatte sul set. Veronica si mise comoda, pronta a farsi stupide dalla persona sconosciuta che aveva davanti. “Dimmi Logan, ti ascolto. Questo non significa che le cose sono tornate a posto” “E chi ti dice che lo vorrei? Caspita, Mars, ancora convinta di essere il centro del mondo? Così tanto piena di sé, ma così piccola e fragile. Vuoi chiamare il papà? Ops…non c’è…” Veronica si sentì colpita nel vivo, ma non rispose. Alla soglia dei trent’anni era meglio dismettere glia biti e le abitudini liceali. “A parte i colpi bassi, Mac mi ha raccontato di tuo padre. Mi dispiace…” rimanendo in silenzio, come in attesa di un commento, che non arrivò. “Vedrai che andrà tutto a posto.” Lo scocciava il non poter scrutare attraverso l’oscurità, vedere il volto di lei, capirne i pensieri. Ma Veronica, cocciutamente voltata dall’altra parte, non gli concedeva nemmeno quella piccola soddisfazione. Come se gli stesse nascondendo qualcosa. Si tormentava le mani. Quanto avrebbe voluto guardarla negli occhi per leggervi i pensieri più nascosti. “Vedo che non hai voglia di chiacchierare. Comunque ti ho cercata per un motivo serio. Ho letto che il caso del rapimento della figlia di Mag Manning è stato riaperto. Dunkan è nuovamente ricercato. Volevo assumerti per ritrovarlo. Voglio proteggerlo. Il mio lavoro mi ha permesso di conoscere persone importanti… che contano. E mi devono dei favori. Ora ho i mezzi, anche politici, per aiutare un vecchio amico. Lo so” proseguì lui con aria amareggiata “che può sembrare tardi. Ma in questi anni ho avuto il tempo di riflettere sul mio egoismo, su quanto sono stato pieno di me, nell’ignorarlo, nel mettere una ragazza in mezzo alla nostra amicizia. E’ stato il mio migliore amico, e io me ne sono disinteressato. Come te, d’altronde. Però penso che aiutarlo in questo momento potrebbe essere la cosa giusta da fare…” Si interruppe senza concludere il discorso, stupito dal gesto della ragazza che, sorridente, lo fissava.

“Chi sei? Logan Echolls? Non credo proprio. Comunque, ho già un caso aperto, però poteri lavorarci nel tempo libero. Nulla di eccessivamente impegnativo. Va bene?” Lui proruppe in una risata aperta e di cuore “Certo! Ma ad un patto: voglio collaborare. Sborsare un bel po’ di soldi non mi aiuterà a sentirmi meno in colpa.” Veronica si alzò “Va bene, basta che tu non mi stia in mezzo ai piedi.” Anche perché forse Dunkan non vuole essere trovato, e io posso impedire che ciò accada, ma se mi starai troppo col fiato sul collo non potrò lavorare con la dovuta calma. “Domani devo andare da Celeste. Vuoi accompagniarmi?” domandò lei avvicinandosi alla portafinestra. “Mars? Non mi dirai che hai ancora paura di quella santa donna?” Veronica non lo degnò di risposta e si avviò in cucina lasciandolo ai suoi pensieri. Tutto ciò le semplificava le cose.



[1] 3x21 The bitch is back

Spazio dell'autrice: Volevo ringraziare Madrigal e Lovjero per i commenti, spero proprio di non deludervi! Continuate a commentare!

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Capitolo 9
*** Disclaimer ***


Ciao a tutti,

lo so sono una pessima scrittrice e non mi dilungherò in giustificazioni senza senso. Dirò solo che negli ultimi anni ho avuto davvero poco tempo e non ero in grado di proseguire con la storia.
Per questo motivo non farò promesse da marinaio, ma dirò solo che ho intenzione di rimettere mano a questa fan fiction, provare ad andare avanti e finirla.
Non so quanto ci metterò né quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma mi è proprio venuta voglia di scrivere e raccontare la mia storia.
Ringrazio per la pazienzae spero che qualcuno abbia ancora voglia di leggere.
Stay tuned!

Sghisa

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Capitolo 10
*** Di sbarre e libertà ***


Capitolo 9
Di sbarre e libertà


Era strano, soprattutto in quella stagione, che il cielo sopra Neptune si rannuvolasse così. Galoppavano le nuvole, accompagnate da una brezza che si faceva di minuto in minuto più intensa, coprendo le stelle che timidamente cominciavano a mostrarsi nel cielo della città. “It never rains in southern California”. Quel brano le girava in testa mentre osservava i lampi danzare nel buio al ritmo rombante e sempre più accelerato dei fragorosi tuoni. Adorava il silenzio carico di aspettative e di terrore che anticipava lo scatenarsi della tempesta. Quella commistione di paura e di coraggio le dava la carica. Veonica Mars non si faceva intimorire da un po’ di pioggia.
Seduta alla finestra guardava il temporale arrivare, e fremeva di quest’attesa. Veronica Mars adorava i temporali. Forse, di lì a poco, avrebbe cambiato idea: una buffera di dimensioni catastrofiche si stava abbattendo su di lei.

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In cuor suo sperava che i vetri leggeri, quasi inesistenti di quella squallida stanza reggessero l’impatto con qualche goccia d’acqua e le vibrazioni del temporale. Non poteva andarsene. Non poteva contattare nessuno. Era solo. E non aveva mai visto un temporale di quelle dimensioni sulla sua città.
Keith Mars sperava che sua figlia lo andasse a prendere presto.

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La tempesta aveva sradicato qualche albero, rotto qualche finestra. Di per sé nulla di che, ma per un soleggiato paesino della California tutto ciò rappresentava un’anomalia. Soprattutto nella zona industriale vi erano stati danni notevoli. Mentre con la macchina si avvicinava alla sede della Kane Software, Veronica cercava di ricordare l’ultima volta che aveva avuto a che fare con Clarence Widman e la famiglia Kane. Era il primo anno di college, e di sicuro intrufolarsi a casa del più importante uomo della città per sottrargli degli importanti documenti non era stata un’idea vincente. Anzi. Forse era stata una delle azioni più stupide che avesse compiuto. Aveva messo nei guai non solo se stessa ma anche tutte le persone a cui teneva. Suo padre aveva perso le elezioni, Logan aveva rischiato la vita, Piz si era lentamente allontanato da lei fino a scomparire, Mac aveva avuto il telefono sotto controllo per settimane. Tutto il suo mondo era andato in pezzi, e per una stupida questione d’orgoglio.
Era agitata. Si sentiva sempre più sotto esame ad ogni passo che, dal parcheggio, la conduceva all’asettico ingresso della Kane Software. Appena entrata, venne accolta dal formale sorriso di una ragazza giovane ed elegante. “Prego?”. Il sorriso non si affievolì nemmeno per un secondo.
“Veronica Mars. La signora Kane mi sta aspettando” rispose Veronica, con un sorriso altrettanto affettato e posticcio. Mentre la segretaria verificava, Veronica tamburellava con le unghie sul bancone di pietra. Più tempo passava lì e più le prudevano le mani. Decisamente insofferente, sbuffò. Proprio in quel momento la segretaria alzò lo sguardo è le disse “La stanno aspettando in fondo al corridoio”, per poi buttarsi nuovamente nel lavoro.
Senza nemmeno ringraziarla, Veronica si avviò verso l’ufficio in fondo al corridoio. Nella stanza, illuminata da una serie di faretti dai colori freddi, una lunga scrivania riservata probabilmente alle riunioni. All’altro capo della scrivania, seduta su una sedia girevole, Celeset Kane aspettava, mani intrecciate sotto il mento. “Veornica! Che piacere vederti. Accomodati!”. Veronica non si avvicinò troppo, si sedette a sei poltroncine di distanza e attese che la sua ospite ricominciasse a parlare. Celeste non era cambiata. Qualche ruga in più non la rendeva meno affascinante o meno gelida. Essere diventata nonna non sembrava averla intenerita. Forse non aver mai visto sua nipote e non avere notizie di suo figlio negli ultimi anni non deve aver aiutato a mitigare il carattere controllato di quella donna.
“Veronica, non ho intenzione di girarci intorno. Ti ho chiamata perché aveva affidato a tuo padre un caso, urgente ed importante. Come puoi immaginare, i soldi non sono mai stati un problema. Al contrario lo è il fatto che tuo padre sia sparito. Immagino la tua preoccupazione”. Mentre parlava guardava la giovane donna dritto negli occhi. Celeste non l’aveva mai sopportata. Era stata la prima ragazza di suo figlio. Il suo adorato figlio. Si era insinuata tra le pieghe della sua famiglia, ammorbandola. Per anni aveva temuto che quella indiscreta e indesiderata ragazzina fosse nata dall’amore illecito di suo marito per Lyenne Mars. Il primo e forse unico amore di suo marito: l'immagine di Jake e Lyenne re e reginetta del ballo era stata la sua tortura per anni. Dover avere a che fare con la figlia della propria nemesi era stato anche peggio. La giovane ragazza che passava intere giornate con i suoi figli era cambiata forse nell'aspetto, ma non nel carattere. Quell'arroganza di fondo, quella forza di volontà che caratterizzavano Veronica erano tutto patrimonio dei Mars. Keith, allora sceriffo, aveva fatto di tutto per arrestare l'assassino di Lilly Kane. Anche accusare uno per uno i Kane.
Mentre questi pensieri affollavano la mente di Celeste, Veronica la fissava senza esitazione. Non si era mai sentita in soggezione di fronte a Celeste, ma si era sempre guadata dal provocarla. Ora provava quasi compassione per quella donna consumata dall'invidia e dal dubbio, profondamente sola e infelice. Ma tutte le cattiverie, tutte le malignità non potevano svanire così facilmente. Veronica non apprezzava Celeste, certamente, ma almeno la capiva.
“Si signora Kane, sono molto preoccupata per lui. E essere qui con lei sta rubando tempo prezioso alle mie ricerche. Le dispiace arrivare al sodo? Cosa vuole da me?”, disse infine la giovane. Celeste si era irrigidita quasi impercettibilmente. “Pensavo, Veronica, ci dessimo del tu. Insomma, ho rischiato di diventare tua suocera...”. Senza volerlo Veronica l'aveva ferita.
“Scusami Celeste” disse, rilassandosi sulla sedia “non è facile per me gestire questa situazione”.
La donna riprese, accavallando le gambe e appoggiando le mani in grembo. “Qualche settimana fa avevo assunto tuo padre, sai, è rimasto l'unico investigatore in città. Inoltre non avrei chiesto a nessun altro di cercare... insomma, si tratta di una questione delicata.” Le mani torturavano il lembo della giacca, gli occhi erano infossati e cerchiati di scuro. Celeste trasmetteva una grande angoscia e una profonda insicurezza. E' un atteggiamento così poco da Celeste Kane, pensò Veronica, osservando quella donna che una volta era tutta d'un pezzo farsi all'improvviso fragile. “Ho chiesto a tuo padre di cercare Dunkan. Voglio che mio figlio torni da me, voglio conoscere la mia nipotina. Voglio che le cose si sistemino. Ho già perso una figlia, e lei non posso averla indietro. Ma Dunkan si, e tuo padre è l'unico che può trovarlo. Oltre a te”.
Le due si scambiarono un lungo sguardo, in silenzio. Poi Veronica abbassò gli occhi, aspettando che Celeste riprendesse il discorso. “I soldi non sono un problema, come ti ho già detto. Ma voglio che mio figlio torni a casa il prima possibile. Sento che non c'è più tempo” disse, con le lacrime agli occhi “Non so spiegarti perché ma sento che non avrò una seconda opportunità. Ti prego Veronica, riportalo da me. Da noi”.
Veronica Mars era stupita dalla richiesta, e non potendo prendere quella decisione su due piedi, si alzò di fretta. “Ora devo andare. Ho un impegno alla centrale di polizia: qualcuno non sta facendo il suo lavoro e qualcuno dovrebbe ricordare allo sceriffo in cosa consiste. Ci penserò su, Celeste. Posso intanto capire cosa aveva scoperto mio padre. Ma non ti prometto nulla. Come ben sai, ho altro per la testa al momento. E forse potrebbe essere proprio per colpa di questo incarico che mio padre è stato rapito.”
Si avviò verso l'uscita. Prima di oltrepassare la soglia guardò quella donna, una volta spaventosa e severa, forte e austera, farsi piccola piccola nella poltrona di pelle scura. E provò pena per lei.

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Tutto si aspettava, tranne che imbattersi in quell'uomo tutto d'un pezzo, sempre elegante ed impassibile. Eppure è semplice, Veronica, lui ha sempre lavorato qua. Clarence Widman è sempre stato al servizio dei Kane. Perché non dovrebbe esserlo più?!? Lo salutò con un accattivante sorriso alla Mars, “Buongiorno Clarence, quanto tempo. Sempre pronto a coprire qualche omicidio per i signori Kane?”.
“Veronica” rispose lui, inespressivo come sempre, “sempre pronta ad accusare qualcuno ingiustamente?”
Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, Veronica riprese la sua strada. “Lo so che ti sono mancata! A presto Clarence, a presto”, disse, prima di lasciare l'edificio.

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Finalmente seduta nella sua macchina Veronica poté riprendere fiato e riflettere su quello che era appena successo. Non ci voleva proprio, questa bella uscita di Celeste rischia di scombinare i miei piani. Avevo programmato tutto, doveva essere così semplice. Ma no, quella strega deve sempre mettermi i bastoni tra le ruote. Perché cercare Dunkan dopo tutto questo tempo? Cose le è saltato in mente? E soprattutto perché adesso? Cercò le chiavi nella borsa, e una volta trovate mise in moto la macchina. Voleva allontanarsi da lì al più presto. Vedere Celeste aveva fatto riaffiorare antichi ricordi. Lei e Lilly sul bordo della piscina, a prendere il sole. Veronica aveva dodici anni. Erano ancora delle bambine, ma Lilly mostrava già una certa malizia. Come si muoveva quando c'erano dei ragazzi attorno, come sorrideva agli amici di Dunkan, come amava essere guardata con desiderio. Eh sì, quegli sguardi immaturi e imbarazzati erano di desiderio, anche se i loro proprietari ancora non lo sapevano. E più la guardavano più a lei piaceva scivolare tra le sdraio verso l'acqua fresca della piscina, urtandoli passando, per poi immergersi lentamente nell'acqua trasparente, lanciando acuti gridolini per attirare l'attenzione. Celeste non poteva sopportarlo, e spesso interveniva sgridando sua figlia per il comportamento inappropriato. Odiava che Lilly fosse così Lilly.
Al contrario amava Dunkan e la sua perfezione, i suoi modi garbati, la sua educazione, la sua intelligenza e la sua obbedienza. Dunkan era sempre stato un bravo ragazzo, studioso, ordinato, pulito. Ma poi qualcosa era cambiato, e ora lui era diventato padre e fuggiasco. Si è sicuramente dovuta rivedere sul conto di suo figlio, la cara, cara Celeste. Come ha potuto ignorare la voglia di libertà che corrodeva suo figlio fin nel midollo. Come ha potuto ignorare le sue richieste d'aiuto? Dunkan non ha mai voluto essere il figlio perfetto, ma doveva esserlo per compensare in qualche modo la delusione che Lilly era per sua madre. Poi, assieme alla pubertà, è arrivato Logan. E le cose hanno cominciato a cambiare. Eccome se lo hanno fatto...per tutti noi.
Il trillo del telefono sembrò arrivare al momento giusto, interrompendo il filo dei suoi pensieri poco prima che la trascinasse in un baratro di ricordi e rimpianti. “Proprio con te volevo parlare”, disse la bionda rispondendo al telefono. “Perché mi stai chiamando? Potrebbe... mi sembrava di essere stata chiara” rispose spazientita ed irritata “ Lasciamo perdere, discutere con te è inutile. C'è stato un interessante cambiamento. Il vento forse sta girando a nostro favore!”.

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Appena parcheggiata la macchina, Veronica venne letteralmente assalita. Dallo sguardo accusatore di Logan. “Avevo detto chiaramente che non volevo essere lasciato in disparte in questa cosa. Quale parte del discorso non ti è stata chiara, Mars?”. Era bastata l'espressione di Logan per farle capire che l'aveva fatta grossa. Ribadire il concetto a parole era decisamente superfluo. Ma Veronica sapeva di meritarselo, quindi, in silenzio, scivolò fuori dalla macchina e si apprestò a dare una spiegazione.
“Da quando usiamo i cognomi, Echolls? Comunque non volevo tagliare fuori nessuno, Logan, ma non potevo coinvolgerti in questo momento. Celeste si aspettava me e solo me. E poi eri ancora ubriaco da ieri sera quando ho provato a svegliarti questa mattina.” Piccola bugia. Veronica aveva solo aperto la porta della camera di Logan, ma visto che lui dormiva, era sgattaiolata via senza avvertirlo. Mezza verità. La sera prima aveva lasciato il suo grande amore del liceo solo sul terrazzo in compagnia di una bottiglia di Jack Daniels. Bottiglia che al mattino era completamente vuota. “E comunque sarebbe stato imbarazzante per me venir ingaggiata per lo stesso caso in meno di ventiquattr'ore da due persone diverse.”
Logan rilassò la schiena e abbandonò l'espressione ferita per una più stupita. “Cosa vorresti dire? Che Celeste vuole rintracciare Dunkan? Anche lei?”. “A quanto pare si, e mi ha fatto un'interessante offerta economica. Ora non so proprio chi sarà il mio cliente!” ribattè lei, con tono malizioso. Si stavano rilassando, anche se a fatica. “Ma come, gli ex non hanno priorità? Vantaggi? Sconti?” Gli ex non hanno alcun diritto, Logan, solo ricordi e rimorsi, pensò Veronica, superandolo e andando in direzione della cucina. Caffè, ecco di cosa aveva bisogno in quel momento. E in cucina c'era una favolosa macchinetta italiana, con tanto di cialde e tazzine calde. “Le mie tariffe si sono alzate rispetto al liceo, sai?!? Sono una persona seria, io. Comunque... ora devo andare alla centrale di polizia. Sono stata convocata, ma in realtà voglio capire a che punto sono con le ricerche su mio padre. Mi potrebbe tornare utile una spalla. Ci stai? Potresti doverti sporcare le mani, Inga non è più così giovane, ma guarda il lato positivo: dalla sua ha l'esperienza!” Visto che Logan non sembrava entusiasta all'idea, decise di alzare la posta “Ok, hai vinto. Troverò Dunkan. Però pagherà Celeste. E posso fare qualcosa anche per la questione delle accuse fatte dai Manning. Sai, anche io ho il mio giro di conoscenze...”.
Gli allungò una tazzina di caffè e sorrise. Quel sorriso magico alla Veronica Mars cui nessuno poteva resistere. Soprattutto Logan Echolls.

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Erano passati anni dall'ultima volta che erano stati in macchina assieme. Era una situazione decisamente imbarazzante. Veronica accese la radio. Il silenzio si stava facendo pesante. Solo venti minuti la separavano dalla centrale di polizia eppure le sembravano davvero infiniti. “Sai, non sei cambiata per nulla.” Ed ecco che il silenzio viene interrotto da inutili parole. Si voltò e gli sorrise. “Cosa intendi, Logan? In cosa, oltre alla statura, non sarei cambiata? Sono passati così tanti anni...”. Puntò nuovamente gli occhi sulla strada. Le mani, sul volante, le sudavano. Come era difficile trovarsi lì con lui.
“Innanzitutto lo sguardo, sempre così serio e severo. Non ti sei mai arresa di fronte alle difficoltà, a meno che non riguardassero il tuo cuore. Da quelle sei sempre scappata. Sei sempre scappata da me. Per il resto, però, non ti sei mai arresa. Nemmeno adesso, che tuo padre è scomparso, muori dalla voglia di ritrovare sia lui che Dunkan. Ho sempre invidiato la tua forza d'animo, anche quando ero il la vittima sacrificale.” Le sue parole erano state dure, ma la avevano lusingata. “E' davvero così evidente? Se possibile, comunque, questi anni mi hanno resa ancora più combattiva e intransigente. Sai, è difficile confrontarsi ogni giorno con le infelicità delle persone. Tradimenti, violenze, ingiustizie. Ho la pelle dura, ma non così dura a quanto pare. Ogni tanto ho bisogno di uno sguardo meno cinico e severo. E allora chiamo Mac, che mi racconta dei suoi bambini e di Dick, o Wallace, che riesce sempre a dire la cosa giusta al momento giusto. O Piz, che mi consiglia della buona musica...” Logan si era irrigidito sul sedile, e aveva cominciato a tormentarsi un ciuffo di capelli. Perché ho tirato fuori quel nome? Non avrei dovuto. “Come sta Piz? Non ho sue notizie da anni...”, la sorprese Logan. “Bene, lavora per un'importante radio di New York. E scopre talenti. Sono contenta per lui, perché... perché è quello che ha sempre voluto.” “Incredibile, Veronica Mars che ha lasciato correre. Come hai potuto perdonarlo? Dopotutto forse sei cambiata davvero...” la interruppe Logan con tono critico e accusatorio, senza abbandonare un pizzico di ironia. “In che senso, scusa?” riprese lei, infastidita. “Ma come? Piz, il bravo ragazzo, lui che non avrebbe mai potuto farti del male e che invece ti ha tradita. Tradita, Veronica. E tu lo hai perdonato? L'avessi fatto io, in questo momento non mi troverei di sicuro a respirare la tua stessa aria.”
Certo che lo ho perdonato, perché è tutta colpa mia se è accaduto. E anche tua, stupido Logan. Se il nostro fosse veramente stato un capitolo chiuso, probabilmente avrei chiamato Piz molto più spesso dalla Virginia, non avrei aspettato che fosse lui a cercarmi. Se non fosse stato per quello stupido scambio di sguardi nella caffetteria, probabilmente non avrebbe messo in dubbio la mia sincerità. E non mi avrebbe messa alla prova. Io me ne sarei accorta. E non avrei fallito. Per questo lo ho perdonato per essere andato a letto con la sua collega della radio. In fin dei conti era tutta colpa mia, e tua. Avrebbe voluto rispondergli così, ma si limitò a fissare la strada mordendosi il labbro inferiore. Dopo alcuni minuti di silenzio riprese “Le persone cambiano, Logan. Io sono cambiata. Sono passati così tanti anni. Non mi conosci come io non conosco più te. Le mie decisioni non ti riguardano, come le tue non riguardano me. Siamo costretti a stare qui, assieme. Cerchiamo di tenere un comportamento civile, e non rivanghiamo il passato. Ormai è passato”.
Colpito e affondato. Logan inspirò profondamente. Guardò Veronica, il suo profilo. Non sei cambiata così tanto come credi, pensò, guardando fuori dal finestrino la costa frastagliata e le onde che bagnavano la spiaggia. Nessuno dei due parlò più fino alla stazione di polizia.

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Ma il passato non voleva saperne proprio di scivolare in un cassetto e lasciarvisi chiudere. Era tornata a Neptune, e tutto sapeva di vecchio e di conosciuto. Veronica aveva passato la sua infanzia e la sua adolescenza nell'ufficio dello sceriffo. Suo padre ci aveva lavorato da sempre, prima come vice sceriffo e poi come sceriffo. Quel posto era un luogo sicuro. Tutti la conoscevano, la salutavano, la coccolavano da piccola, la controllavano da adolescente. Poi Lilly era morta. E quel luogo sicuro era diventato di giorno in giorno sempre meno accogliente. Non lo era stato con Don Lamb, e non lo era di sicuro dopo tutti quegli anni durante i quali la stupidità e l'avidità di Vinnie l'avevano fatta da padrona. Varcare la soglia della centrale era per Veronica una vera e propria prova di forza. In più aveva una brutta sensazione su quello che la aspettava.
“Allora, adesso tu ti metti lì con Inga e cerchi di capire a che punto stanno con le ricerche di mio padre. Basta che la lasci parlare. A quanto ho capito, flirtare è ancora il tuo forte. Non mi deludere, tigrrrrrre!”, disse Veronica, con tono provocatorio e malizioso. Vederla arricciare le mani, mostrare le unghie, e sorridergli stupì Logan. No, decisamente non sei cambiata affatto, Veronica. Anche se tu non lo sai ancora. Pensò il giovane, ricambiando il sorriso e entrando nell'edificio della contea.

I suoi sensi non l'avevano ingannata nemmeno quella volta. Non era lo sceriffo che voleva parlare con lei, ma il suo vecchio amico. “Signorina Mars, l'abbiamo convocata in centrale per un'interrogatorio ufficiale. Se vuole, può contattare il suo avvocato, oppure possiamo assegnargliene uno d'ufficio”. L'agente Dominik Patterson era seduto di fronte a lei nella stanza degli interrogatori e la guardava, come suo solito, dall'alto in basso. “Guarda caso il mio avvocato è anche l'avvocato d'ufficio cui si rivolge lo sceriffo. Sono accusata di qualcosa? Sono in arresto?” attese qualche secondo, ma l'agente dell'FBI non ribattè. “Perfetto, allora farò il possibile per collaborare, ma non chiamerò il mio avvocato. Cosa vuoi da me Nick? È troppo difficile trovare un viziato ragazzino e la sua bambina? Ti serve il mio aiuto?”. Allungandosi verso di lui, Veronica mormorò “Penso che le mie tariffe siano un po' fuori dalla tua portata”.
Non era la mossa giusta. Nick le afferrò il polso e la tirò a sé. Veronica non riusciva a muoversi, mentre lui le girava l'avambraccio. “Ascoltami bene, biondina. Non ho nessuna intenzione di farmi mettere i piedi in testa da te. Ti ho fatta buttare fuori dall'FBI. Rovinarti la vita potrebbe diventare il mio nuovo hobby. Ora smettila di fare la spiritosa e ascoltami bene. So che tu sai dove si trova il giovane Kane. I Manning rivogliono la loro nipotina. Il tuo ex ha commesso un reato federale. E sono sicuro che tu lo hai aiutato. Come ora aiuterai me e gli Stati Uniti d'America a far rispettare la legge.” lasciò la presa, si alzò e accese una videocamera.
“Ora mi racconterai tutto quello che ti ricordi di quegli ultimi giorni con il tuo ricco fidanzatino. Ogni particolare. Vedi di non dimenticare nessun particolare. Perché lo sceriffo Van Lowe ci ha raccontato alcuni particolari dei quali non eravamo a conoscenza. E le vostre versioni non coincidono. Proprio per nulla.”
Veronica deglutì, ma non abbassò lo sguardo. “Penso proprio che mi avvarrò della facoltà di non rispondere. E, Nick, voglio il mio avvocato”.

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Veronica era dentro quell'ufficio da quasi due ore e Logan cominciava a spazientirsi. Non capiva perché la donna che aveva profondamente amato era stata convocata dallo sceriffo, ma lo sceriffo non era mai entrato nella stanza degli interrogatori. Al suo posto si era presentato un uomo, certamente un agente di qualche tipo. Gli ricordava qualcuno, ma Logan non riusciva a capire chi. Era una buona mezz'ora che cercava di collocare quel volto in un luogo del suo passato. Sapeva che c'era qualcosa che non quadrava in quell'uomo con la faccia da ragazzino. Gli puzzava di inganno.
È passato troppo tempo. Ora vado lì, sfondo quella maledetta porta e la trascino fuori di qua. Le cose non stanno andando per il verso giusto, qui. Penso proprio che dovrò intervenire. Stava per alzarsi dalla sedia, quando alla porta d'ingresso comparve Cliff Mc Cormak, avvocato d'ufficio e grande amico della famiglia Mars. Se lui era lì, le cose dovevano essersi fatte complicate. Logan gli si avvicinò con aria interrogativa. Ma non ebbe il tempo di rivolgergli la parola, perché l'avvocato, sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori, lo anticipò “Mr Echolls, che piacere vederla. Se ha bisogno del mio aiuto, temo che dovrà aspettare qualche tempo. Sono impegnato con il tirare fuori dai guai una nostra comune conoscenza al momento.” Logan deglutì e gli sorrise “Sono arrivato qui con Veronica e da due ore è chiusa dentro quella stanzetta con un perfetto sconosciuto. Stavo per andare a fondare quella porta...” “Pessima idea, Logan, pessima idea. Lascia che ci pensi io. Vattene a casa, qui temo si farà molto più lunga del previsto. Veronica è nei guai questa volta”. Sorridendo si avviò verso la stanza degli interrogatori, che lo inghiottì in pochi secondi.
Effettivamente Logan aveva fatto il suo dovere, chiacchierando prima con Inga e poi con Mindy. Aveva scoperto che lo sceriffo non sapeva nemmeno da dove cominciare le ricerche di Keith Mars. Non c'erano prove, non c'era un movente. Nulla di nulla. Né un impronta né un capello. Nulla di strano. C'erano solo prove della presenza di Keith e di Veronica in quella casa, il che di per sé non era una prova. Brancolavano nel buio. E poi l'arrivo dei federali e la riapertura del caso Manning prima che cadesse in prescrizione... insomma l'ordine e il rigore avevano lasciato spazio al disordine e alla confusione.
Aspettare Veronica o meno, questo si stava domandando Logan. Poi un leggero fastidio. Si sentiva osservato. Alzò lo sguardo e incontrò quello furente di una sua vecchia conoscenza. Leo D'Amato. Perché lo stava guardando così male? Logan fu colto da una sensazione di dejavù.


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Spazio autrice.
Avevo promesso che avrei aggiornato e così è stato. A presto nuovi capitoli, promesso!







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Capitolo 11
*** Galli nel pollaio ***


Galli nel pollaio

Veronica Mars si era spesso trovata in situazioni complicate, molto complicate. Aveva avuto a che fare con i federali non ancora maggiorenne, quando il suo fidanzato di allora Duncan Kane, aveva rapito la piccola Faith Manning, sua figlia, ed era scappato. In quell'occasione i federali non l'avevano presa sul serio, ma avevano dovuto ricredersi. Duncan era riuscito a farla franca e a scappare senza lasciare traccia proprio grazie a VeronicaCon un piccolo aiutino dal fondo fiduciario Kane, ovviamente.
Poi era stata a Quantico per uno stage estivo. Si era trovata per la prima e unica volta nella sua vita da quella parte della barricata, e le era piaciuto immensamente. Pensava di aver trovato la sua strada, di aver deciso per il proprio futuro. Ma le cose non erano andate come avrebbero dovuto, e da allora Veronica aveva avuto un rapporto piuttosto controverso con l'FBI.
Non che le piacesse commettere crimini, come intrufolarsi in casa di un sospettato alla ricerca di prove. Oppure sintonizzarsi sulle frequenze della polizia  per scoprire informazioni. O ancora sfruttare la sua avvenenza per rubare qualche segreto agli agenti meno preparati. O crackare il loro sistema di sicurezza. Forse un po' le piaceva, le dava quella scarica di adrenalina che le permetteva di sopportare il vuoto pneumatico che circondava la sua vita privata. Ma non era per questo che si era incontrata e scontrata con le forze dell'ordine abbastanza spesso da essere meritare un fascicolo tutto speciale. Era perché lei era dannatamente brava nel suo lavoro. Se c'era qualcosa da scoprire, un segreto da portare alla luce, un bugiardo da smascherare, si poteva stare certi che Veronica ci sarebbe riuscita. E questa sua abilità la portava spesso a pestare i piedi a persone dal grosso calibro.
Certo, lo storico scambio di grattatine tra forze dell'ordine e investigatori privati non era venuto meno con l'avvento dell'era Mars. Però erano più le volte in cui Veronica era un problema che non un vantaggio per i federali. E così si era trovata spesso dall'altro lato della scrivania, a sbadigliare annoiata di fronte alle domande dei federali cui non rispondeva. “Segretezza professionale” era la sua scusa. Valida, il più delle volte.
Ma non avrebbe potuto funzionare questa volta. E questa volta non poteva permettersi di finire dietro le sbarre. Aveva troppo per le mani, non poteva farsi fregare da quella mezza cartuccia di Dominik. Era troppo sveglia e troppo disperata.
“La mia cliente non ha nulla da dire in merito agli avvenimenti di quel lontano 2005. Collaborò quanto più poteva con gli agenti dell'FBI che l'hanno preceduta”. Dominik non mosse un solo muscolo del corpo, non lasciò trapelare alcuna emozione. “Non mi interessa quello che sta dicendo, avvocato. La sua cliente ha l'abitudine di mentire, e a quanto ho potuto dedurre dalla mia chiacchierata con lo sceriffo Van Lowe, questa abitudine è piuttosto radicata nel passato della signorina. Lei ha aiutato il signor Kane a scappare, lo sappiamo. Ora se la sua cliente non vuole vedersela brutta, le conviene raccontarci tutto quello che sa. E siccome scommetto che lo sa, deve dirci dove si trova oggi il signor Kane”.
Veronica cercò di rimanere impassibile. Era davvero nei guai.
“Ripeto, finché non la accuserete di qualcosa di concreto, possibilmente avendo per le mani qualche prova, e non solo la parola del nostro rigorosissimo sceriffo, le consiglio di non fare il passo più lungo della gamba, agente. Perché qui si parla di diffamazione” Cliff non aveva perso il suo smalto e soprattutto la sua faccia di bronzo. “La mia cliente non ha idea di dove sia andato il signor Kane dopo la sua fuga. Non ha fatto altro che consegnare al signor Van Lowe una busta, che non conteneva denaro. Probabilmente è il signor Van Lowe che dovrebbe trovarsi qui in questo momento, e non la mia cliente. Quindi, se vuole scusarci, noi ce ne andiamo.” Concluse Cliff, chiudendo la valigetta ed invitando Veronica ad alzarsi, poggiandole la mano sulla schiena. Un gesto protettivo. Perché Cliff avrebbe fatto di tutto per proteggere la figlia del suo più caro amico.
“Non finisce qui, Veronica. La prossima volta ci saranno manette e sbarre”.
“Ommioddio Nick, se volevi semplicemente uscire con me per una serata romantica, bastava un mazzo di fiori”, rispose Veronica. Questa volta non si sarebbe fatta azzittire. Domink Patterson rimase a bocca aperta, mentre Veronica usciva dalla stanza degli interrogatori.

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Erano passate diverse ore da quando era arrivata alla centrale, e la stupì non poco trovare non uno ma due dei suoi ex ad aspettarla fuori da quella angusta stanzetta dove avvenivano gli interrogatori. “Ma guarda un po', Veronica, due cavalieri pronti a scortarti verso un luogo sicuro. Direi che la mia presenza è di troppo. Ti chiamo questa sera. Abbiamo molto di cui parlare. Ho come la sensazione che quel Dominik non mollerà facilmente l'osso”, esclamò Cliff con tono divertito.
“Grazie Cliff” rispose Veronica abbracciandolo, un gesto strano per lei anche in una situazione difficile come quella. Senza che nessuno se ne accorgesse, fece scivolare un bigliettino di carta nella mano di Cliff, che, nonostante lo stupore, fece il possibile per non farsi notare. Infilò la mano in tasca e si scostò dalla giovane donna. “Sempre a disposizione. A questa sera Veronica”. E così dicendo uscì dall'ufficio dello sceriffo.
Ora Veronica aveva una nuova gatta da pelare. Anzi due. Leo e Logan non sembravano assolutamente in atteggiamento amichevole. Imbarazzata sorrise, cercando di stemperare la tensione. “Non mi hanno arrestata nemmeno questa volta. Chi ha voglia di festeggiare con una bella birra fresca?”. Nessuno dei due rispose con entusiasmo, ma entrambi si avviarono verso l'uscita. Guardandosi in cagnesco. Sì, quella che aveva davanti si prospettava proprio una lunga lunga giornata.

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L'estate volgeva al termine, eppure il caldo californiano li investì con violenza quando uscirono dall'edificio della contea. In fretta Veronica recuperò gli occhiali dalla borsa. “Allora, Leo, sei tu l'esperto. Dove possiamo prendere qualcosa al volo per pranzo? Un posticino tranquillo, nulla di che.” Leo sembrò rilassarsi un po'. “Alla spiaggia dei cani hanno aperto un localino niente male. Messicano. Porzioni abbondanti e birra fresca. Salite che vi porto.”
Logan alzò un sopracciglio “Ehi amico, ci ricordiamo dove è. Ti seguiamo con la macchina di Veronica. Ci vediamo lì, ok?”. Il suo tono non ammetteva repliche. Veronica era già stufa che i due marcassero il territorio. Non c'è alcun territorio da marcare, stupidi. Non sono mai stata un premio e nessuno dei due vincerà la bambolina oggi. Perché devono essere sempre così competitivi gli uomini? La rabbia e il fastidio le montavano in corpo mentre si avviava alla macchina. Questo viaggio con macchine separate le avrebbe permesso di mettere le cose in chiaro con Logan, o almeno sperava che sarebbe potuta andare così.
Ma doveva saperlo, quando l'equazione comprendeva lei, Logan e uno spazio ristretto, il risultato era sempre disastroso. Questa volta non dovette neppure aprire bocca. Appena posizionò le mani sul volante, Logan si bloccò, fissandole il polso. Non se ne era accorta, ma Dominick era stato davvero violento quando l'aveva bloccata per i polsi poche ore prima. Un vistoso livido le cingeva il polso. Era ancora rosso, ma presto sarebbe diventato più scuro.
“Cosa ti è successo al polso?” domandò Logan, inspirando profondamente per controllarsi. Con non curanza, senza pensarci troppo, Veronica disse “Deve essere stato Nick prima alla centrale. Metterò anche questa sul suo conto. Manesco e stupido. È sempre stato...” “Chi è Dominick Veronica? E perché hai un livido di questo genere?” Non l'aveva previsto, quindi Veronica poté solo rispondere con sincerità. “Dominick? Un collega di quantico. In realtà lo hai conosciuto anche tu, al liceo. Aveva provato a incastrare Norris. È quell'agente che hai picchiato al Camelot quel giorno che...” si interruppe, perché Logan stava uscendo dalla macchina, con il suo solito fare da eroe.
Si affrettò a bloccarlo. Era allenata, forte e veloce. Non era facile sopraffarla, o sfuggire a una sua presa. “No Logan. Non ho proprio bisogno che uno dei tuoi irrazionali attacchi di rabbia mi cacci in guai ancora peggiori. E poi... so difendermi da sola. E anche se non ne fossi in grado, non è compito tuo difendermi. Non ho bisogno di un eroe, o di un principe azzurro.” Logan si bloccò, la guardò negli occhi. Un'espressione triste e rassegnata si dipinse sul suo volto. “Ho notato che ne hai in abbondanza di eroi e principi azzurri a tua disposizine. Messaggio ricevuto. Capisco quando sono di troppo”.
Ci mise qualche secondo a capire di cosa parlava, e accusò il colpo in silenzio. Veronica Mars era bravissima a capire molte cose, ma non era mai riuscita a capire il suo rapporto con Logan. Non era mai riuscita a distinguere i suoi momenti di follia psicotica, da quelli in cui era sincero e fragile. Non era mai stata capace di interpretare il suo umore, aveva sempre avuto bisogno di un traduttore. In quel momento, però, tutto le appariva chiaro. Come in un epifania. Ma comunque gli domandò “Di cosa stai parlando, Logan?”. Lui non sembrava voler rispondere. Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, la giovane detective mise in moto la macchina e imbocco il viale che conduceva alle spiagge. Aveva fame e aveva bisogno di bere. Dopo un po' Logan riprese “Tu e Leo. O meglio, Leo e te. Non sono cieco. È arrivato in centrale trafelato e preoccupato. E quando mi ha visto ha fatto una faccia... come se avesse voluto prendermi a pugni.” Ecco, hai chiesto Veronica? Ora hai la tua bella risposta sincera; risposta con la quale dovrai fare i conti. Si maledisse tra sé e sé la biondina.
“Logan... io non ho bisogno di te come non ho bisogno di Leo. So cavarmela da sola, di solito. Non sono mai stata una sognatrice, perlomeno non dopo la morte di Lilly. E tu lo sai bene. Più di una volta il sedere che ho preso a calci era proprio il tuo. Quindi, per cortesia, niente pazzie. Leo e la mia ipotetica vita sentimentale non sono affari che ti riguardino. E Dominick... beh a lui ci pensiamo io e Cliff. Non complicarmi la vita, chiaro. Altrimenti sei fuori”. Logan non rispose, non aveva intenzione di irritarla ancora di più. Nel suo silenzio Logan meditava e rimuginava sul passato. Avrei dovuto picchiarlo più forte quando ne avevo l'occasione, quell'idiota. Non avrebbe dovuto toccare Veronica. Ma come dice quel proverbio? Aspetta sulla riva del fiume e vedrai il cadavere del tuo nemico passare.

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Il resto del viaggio proseguì in silenzio. Nessuno dei due aveva voglia di discutere o litigare. Arrivati al tacos bar alla spiaggia dei cani, prima di scendere, Veronica si rivolse a Logan. “Tra noi è sempre stato così... complicato. Non solo quando stavamo assieme. Cerchiamo di far andare tutto bene questa volta, che ne dici? Questa volta c'è davvero molto in ballo.” e gli porse la mano, sorridendo. Logan sembrò stupito da quel gesto così amichevole. Dopo qualche istante le restituì la gentilezza. Toccarla però gli fece correre un brivido lungo la schiena... Quanto tempo era passato dall'ultima volta che si erano toccati. Non si ricordava nemmeno quando. Questa è la fregature delle rotture: non fai mai caso alle piccole cose e poi ti penti di non aver fermato quel ricordo, in modo da poterlo rivivere all'infinito... Ed eccolo lì, il momento era sfuggito di nuovo. Veronica aveva lasciato la sua mano e stava uscendo dalla macchina.
Leo li aspettava ad un tavolo in ombra. “Abbiamo molto di cui parlare noi tre” disse la bionda rivolgendosi ai due uomini “perché c'è molta carne al fuoco. E io devo tenere un profilo basso”. Si sedette al tavolo e prese in mano il menu. Decisamente il tipo di locale di cui aveva bisogno in quel momento: qualcosa di poco impegnativo, del cibo spazzatura e la brezza a rinfrescare la giornata. Cosa chiedere di meglio? Beh forse non avere a che fare con due suoi ex contemporaneamente avrebbe reso la pausa molto più gradevole. Bene, diamo il via alle danze, pensò, mentre ordinava una birra e una fajitas vegetariana. “Allora, ragazzi. La situazione è la seguente. Sto lavorando su tre casi. Tre. In contemporanea. E tutti e tre mi vedono coinvolta emotivamente, quindi sarà molto complicato. Come se non bastasse sono tenuta d'occhio dai federali, quindi soprattutto per quanto riguarda la ricerca di Duncan, non potrò fare molto. Ma voi si, potrete muovervi quasi inosservati. Tutti i riflettori sono puntati su di me, quindi io cercherò di tenerli impegnati e voi avrete campo libero. Insomma, per voi sarà un gioco da ragazzi!” E qui Veronica si fermò, in attesa della reazione dei due giovani uomini. Bevve un sorso di birra e si appoggiò allo schienale della sedia, rilassata. Volevate mettermi i bastoni tra le ruote, e io vi ho incastrati. Chissà se uno di voi vuole tirarsi indietro...
Leo fu il primo a rompere il silenzio “Ma certo Veronica, lo sai che puoi sempre contare su di me” rispose il giovane, stringendole la mano. Veronica si staccò da lui, abbassando lo sguardo. Era una situazione imbarazzante, soprattutto perché Logan li stava fissando con sguardo truce. Leo non ci fece caso e proseguì. “Dimmi su cosa devo concentrare le mie energie. Abbiamo già lavorato assieme in passato, e formiamo una bella sinergia, no?!?” Concluse con uno sguardo malizioso e provocante. A Veronica tornarono in mente i momenti passati con lui sotto le lenzuola. Poi si riprese. Cosa stai facendo, Veronica? Devi liberarti di lui, non invitarlo ad un tete a tete... Ricomponiti e rendi la tua vita più semplice.
“Dato che sei dell'ambiente e hai i mezzi e le conoscenze, vorrei che tu ti concentrassi su Duncan Kane. Io non posso nemmeno pronunciare il suo nome senza scatenare l'FBI, quindi dovrai occupartene tu. Chiedi a Cliff, ti darà il contatto di un mio ex collega dell'FBI che potrà darti qualche informazione legale. Dobbiamo costruire la difesa di Duncan prima di riportarlo a casa. Non può finire in galera. Il caso sta per andare in prescrizione e i Manning hanno poco tempo. Se però dovessero riuscire a riportarlo qui prima del tempo noi avremo posizionato tutti i materassi al posto giusto, e nessuno si farà male. Nessuno potrà separare Duncan e sua figlia.” Fece una pausa, guardando i due giovani uomini negli occhi. Era arrivato il loro pranzo. Iniziarono a consumarlo in silenzio, però Veronica sentiva lo sguardo accusatore di Logan. Ma non sarebbe stata lei a iniziare quella discussione, nossignore. Se Logan voleva litigare, prego. Lei nel frattempo aveva già affilato gli artigli.
Sapeva sarebbe arrivato, quindi non so stupì quando il suo ex, dopo essersi schiarito la voce e passato una mano tra i capelli, prese la parola. “E io cosa dovrei fare, in questo tuo favoloso piano infallibile, Miss Mars? Starmene in disparte a guardare? Mi sembrava di essere stato chiaro. DK è il mio migliore amico e non starò a guardare mentre lo incastrano e lo portano via da sua figlia.” L'aveva detto con tono calmo, rassegnato. Non c'era violenza nella sua voce, né rabbia. Solo una profonda amarezza. Veronica incassò in silenzio. Le faceva più male quel tono dimesso e mesto che non se lui l'avesse aggredita verbalmente come suo solito. Non c'era ironia né cinismo nella voce di Logan, e questo la stupì moltissimo. Raggruppò le idee e, dopo un profondo sospiro, gli rispose.
“Non sei fuori da nulla, Logan. Penso solo che tu non possa fare molto da solo. Potrai lavorare con Leo al caso di Duncan e Lilly, ma vorrei che le tue energie fossero spese meglio di così. Questo non è il tuo campo. Mentre saresti bravissimo a portare a termine l'incarico che ti vorrei assegnare. Saresti nel tuo elemento. E poi una persona alla quale voglio molto bene ha bisogno di me. E penso che anche tu gli debba molto...” Logan rise, di quella risata piena e forte che lo caratterizzava. “Per quanto io sia lusingato dalla tua proposta, non penso che a Keith Mars farebbe piacere essere trovato e salvato dal sottoscritto. Piuttosto penso... si farebbe appendere a testa in giù sopra un formicaio”.
Veronica sorrise. “Non era proprio questo che avevo in mente. A mio pader ci penso io. Tu dovrai occuparti di una cosa che ti è molto familiare: una bella donna”.
Detto questo, impugnò forchetta e coltello e si mise a mangiare. Per quanto la riguardava, la questione era chiusa.

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Eli Navarro stava riposandosi. La nottata in ambulanza era stata decisamente movimentata. Due donne in cinta, una mezza ustione e tre attacchi cardiaci. Le ore alla guida del furgoncino bianco erano volate, ma ora si stavano facendo sentire sulle sue spalle. E così, appena arrivato a csa, si era tuffato sul divano, dopo aver calciato lontano scarpe, divisa e zaino. Al turno successivo mancavano solo 6 ore, e lui voleva riposare, mangiare e magari vedere la sua donna.
Era ancora strano per lui avere una compagna fissa, una che lo amava ma che non si faceva mettere i piadi in testa. Mentre chiudeva gli occhi appoggiando la testa rasata sul cuscino, pensava al giorno in cui si erano conosciuti. Lui lavorava ancora come tuttofare alla Hearst, lei era una studentessa. Non si erano incontrati molto spesso, eppure il campus era piccolo e le conoscenze in comune molte. Forse troppe. Poi, un bel giorno, si erano incontrati. Si erano sorrisi. Si erano piaciuti.
Non avevano molto in comune. Lui veniva da Neptune, California. Era cresciuto in quella cittadina lussuosa, ma nei quartieri periferici. Era stato discriminato, rifiutato, arrestato. Lei era una brava ragazza nata ai bordi delle montagne, a Denver. Non aveva visto il mare prima dei sei anni, ed era cresciuta in un quartiere benestante. Lui era cresciuto a suon di cazzotti e spranghe, cavalcava un'aggressiva moto. Lei aveva sempre avuto la passione per i cavalli e andava sempre a messa. Lui non aveva nemmeno preso il diploma: Lamb lo aveva arrestato poco prima che quel maledetto pezzo di carta gli venisse dato. Lei era uscita dal liceo di Denver con il massimo di voti e una borsa di studio per la Hearst. Lui non aveva una storia seria da secoli. Da Lilly, per essere precisi. Lei, guardacaso, aveva appena rotto con l'ex di Lilly. Piccolo il mondo.
Eli Navarro non si aspettava che una ragazza tutta acqua e sapone e frivolezze come Parker Lee potesse diventare la sua luce di riferimento, e che lei si potesse innamorare di un ex delinquente come lui. Comuqnue, dopo una brevissima fase in cui Weevil le fece una corte spietata, Parker cedette e gli concesse un appuntamento. Che finì con loro due, sulla spiaggia, a parlare tutta la notte. Non gli era mai capitato di conoscere qualcuno così semsinile e attento. Si era innamorato. A Parker ci volle qualche giorno in più. Ma da allora non si erano mai separato.
Anche per questo doveva ringraziare Veronica che gli aveva dato appuntamento alla stanza di Parker, senza però presentarsi. Eli aveva poi scoperto perché: in quel momento era l'oggetto del contendere tra il famoso e brillante Logan Echolls, e uno molto vicino alla mafia russa, tal Gory Sorokin.
C'erano molte cose per le quali Eli avrebbe dovuto ringraziare Veronica Mars. Ma l'avergli fatto conoscere Parker era in cima all'elenco. Senza ombra di dubbio.
Stava giusto per addormentarsi mentre pensava alla pelle morbida della sua ragazza, immaginandosi di accarezzarla delicatamente, quando il telefono suonò. Era sempre così: quando il sonno sta per sopraggiungere, ecco che arriva anche qualcosa che lo interrompe, come lo squillo di quel maledetto telefonino. Allungò il braccio fino a raggiungere quel terribile apparecchio. Non guardò nemmeno chi fosse il rompi scatole. Non aveva importanza. Stava per ricoprire di insulti la persona dall'altro lato della cornetta, quando un dolce “Ciao” lo blocco. “Quando dici “ciao” in questa maniera, mi sembra di vederti mnetre inclini la testa di lato e ti prepari a chiedermi un piacere”.
Sorrise mentre il telefono gli restituiva una risata cristallina e sincera.

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Dopo aver lasciato Logan e Leo al tacos sulla spiaggia, Veronica si era allontanata da sola. Aveva bisogno di un po' di tempo tutto per sé. Era riuscita nel suo intento: sviare l'attenzione. Se Leo e Logan volevano giocare ai galli nel pollaio, tanto meglio. Non avrebbero fatto troppo caso a lei. Avrebbe potuto muoversi liberamente, senza sentire il fiato di uno dei due sul collo.
Avrebbe potuto sviare Dominik, portarlo su una falsa pista. Ora aveva un sacco di tempo per gestire la cosa a modo suo e portare l'FBI e i Manning esattamente dove voleva. In serata avrebbe pianificato tutto con Cliff. Mentre la brezza le scompigliava i capelli, Veronica Mars guidava sul lungomare di Neptune, sicura di sé. Nessuno avrebbe potuto fermarla!

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Un indirizzo. Su quel bigliettino di carta c'era solo un indirizzo. E lui ora si trovava di fronte ad uno squallido motel sulla Corona Freeway. Non sapeva cosa si sarebbe trovato di fronte, ma si era sempre fidato e l'avrebbe fatto anche questa volta. Con i Mars era così: mai chiedere, saranno loro a spiegarti il perché.




Spazio Autrice:

Come promesso sto cercando di tenere dei tempi decenti nella pubblicazione.
Spero nei prossimi 10 giorni di uscire con un nuovo capitolo.
Grazie per la pazienza!




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Capitolo 12
*** Logan, parte prima ***


Logan
parte prima


Era stata una giornata lunga e faticosa. La sdraio sul terrazzo di casa Casablancas-MacKenzie faceva proprio al caso suo. Il sole stava tramontando alle sue spalle, e davanti a lui si pariva l'oceano sconfinato. La bottiglia appoggiata sul tavolino di vetro aveva lasciato degli aloni e delle gocce d'acqua. Quando se ne accorse, Logan si sentì  un po' in colpa: qualcuno avrebbe dovuto pulire. E tutto per la sua pigrizia.


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Dopo aver salutato Veronica nel primo pomeriggio, lui e Leo si erano recati alla Mars Investigation.  Sembrava incredibile, ma quel posto era esattamente uguale a quando, seduta alla scrivania della reception, c'era Veronica.
Appena entrato gli era sembrato di vederla alzare lo sguardo dal suo lavoro con quell'aria quasi infastidita tipica di quando era lui a disturbarla. Eppure era proprio in quella stanza, dopo la morte di Lilly, che il loro rapporto si era consolidato, cambiando forma, maturando. Sul divano della Mars Investigation avevano ricominciato a parlare. Nei corridoi poco distanti si erano scambiati baci appassionati. E infine da dietro quella scrivania avevano litigato per l'ennesima volta, e Veronica lo aveva cacciato la sera in cui si era presentato da lei tutto ricoperto del sangue di Piz.

Pensandoci, Logan si rese conto che era stato quello il momeno in cui tutto si era rotto, proprio in quella stanza, con Keith dietro la porta a vetri e Veronica che urlava sussurrando per non farsi sentire dal padre. Era lì che il loro rapporto aveva fatto il giro di boa, non quando lei si era presentata al Grand per urlargli contro e dirgli che lui era fuori dalla sua vita per sempre. Ma in realtà era già accaduto: Logan era uscito dalla vita di Veronica nel momento in cui aveva varcato la soglia della Mars Investigations.
Quei ricordi svanirono quando lui e Leo si misero alla scrivania una volta occupata da Veronica; a quel punto il passato era scivolato fuori dalla porta, lasciando spazio al prorompente presente. Si misero al lavoro, spulciando tutto lo spulciabile in merito ai Manning. A Dominik Patterson. A Duncan Kane e alla sua famiglia. Niente. Poi il telefono sulla scrivania di Keith Mars aveva suonato. All'altro capo della linea c'era Cliff Mc Cormack. “Ciao Leo. Ho solo pochi minuti. Hai carta e penna?” Leo aprì un cassetto, ne estrasse un block notes e una penna e annuì. Poco dopo scrisse un numero di telefono e un nome. Agente Weiss. Leo ringraziò l'avvocato e mise giù il telefono. “Ok Logan, ora tocca ai grandi. Mentre telfono a questo agente Weiss, per piacere, fai il gioco del silenzio”, ammiccò, posando l'indice sulle sue labbra. Logan lo squadrò irritato. Non era sua intenzione farsi prendere in giro da quell'italiano arrogante. “E cosa dovrei fare, maestrino. Se mi dai carta e pastelli posso farti un disegno.” Disse, alzandosi dalla sedia e poggiandosi allo stipite della porta dell'ufficio con aria di sfida.
“Non mi fraintendere, Logan. Non è mia intenzione tagliarti fuori, ma, sai, giocare al gioco dell'FBI non è fare l'investigatore della domenica. Qui bisogna avere metodo. Il rischio è quello di farsi fregare, mentre noi dobbiamo farci aiutare” dicendo questo accese il computer e liberò la scrivania. “Che ne dici di lavorare all'altra questione? Io tra la'ltro non l'ho mai conosciuta lei, quindi forse potrebbe essere molto più semplice per te gestire la cosa. Che ne dici? Hai visto come funzionano i motori di ricerca  degli investigatori privati. Nel cassetto di sinistra della mia scrivania troverai la mia rubrica. Ci sono un po' di nomi di agenti e poliziotti che potresti contattare. Dì che lavori per Keith e che sei il nuovo socio.” E concluse la conversazione “Sono sicuro che per questa sera avrai trovato qualche informazione. Ora se tu potessi chiudere la porta e lasciarmi fare il mio dovere...”.
Logan aveva sorriso, e si era voltato verso quella che sarebbe stata la sua scrivania. Chiuse la porta e sorrise a Leo. Forse non era poi così male quel belloccio tutto capelli e sorrisi.


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Non si era mai reso conto di quanto fosse frustrante cercare qualcuno che non voleva farsi trovare. Eppure questa volta non era un fuggitivo con figlioletta al seguito, ma una bella ragazza che non aveva nulla da nascondere. Aveva cominciato dalla Grande Mela. A quanto sapeva, era lì che Jackie Coock era andata, o meglio tornata, dopo la fuga da Neptune. Era tornata alla sua vecchia vita, da sua madre ma soprattutto da suo figlio. Almeno questo era quello che Veronica gli aveva raccontato. Con Wallace non avevano mai parlato di Jackie. La ferita era evidentemente ancora fresca per lui.
Così Logan aveva cercato tutte le Jackie e i Coock di New York. Aveva scavato negli archivi universitari, nelle cartelle sanitarie, negli uffici di collocamento. Ma nulla da fare. In un primo momento il suo lavoro gli era sembrato inutile. Si sentiva lo stupido del villaggio, messo a fare qualcosa a caso pur di tenerlo fuori dai guai.
Poi all'improvviso l'illuminazione. Magari lei aveva cambiato nome, o aveva trovato lavoro subito. Ma un bambino deve essere registrato: fare i vaccini, iscriversi a scuola. E i bambini non si possono nascondere: neppure nella grande mela. Il figlio di jackie aveva due anni all'epoca del loro diploma,  e se Logan non si ricordava male, la piccola si chiamava Tessa. Quante Tessa possono essere nate nel 2004 a New York?
Dopo aver digitato i dati nel motore di ricerca, Logan rimase stupito. Ora doveva solo incrociare i dati e trovare la bella Jackie. Avevano ancora qualche giorno prima del grande ballo di beneficenza. E lui doveva rimediare ai suoi torti.

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Il tempo era volato: aveva esaminato appena un terzo delle Tessa dell'elenco quando Leo era emerso dall'ufficio di Keith con la fronte imperlata, l'aria stanca, ma uno splendente sorriso di soddisfazione ad illuminare il volto. “Perfetto, siamo coperti. O meglio, Duncan è coperto legalmente. Lui è il padre di sua figlia, e in almeno 15 stati della nostra confederazione ha diritto di farne quello che vuole. Per quanto agghiacciante questo possa suonare. Quindi, se rientra, basta che si trasferisca ad esempio in Texas, Idao, o Iowa. In questo modo potrebbe risparmiarsi qualche decennio in carcere.” Logan gli sorrise e si rimise al lavoro. Voleva avere un indirizzo o un numero di telefono entro il tramonto. Stremato il giovae detective si sdariò sul divano. “Certo che Angela è proprio un tipino...” Logan alzò lo sguardo “E chi sarebbe Angela? Sei stato al telefono con un agente dell'FBI o ti sei fermato alla centralinista dalla voce sensuale?” Leo rise di gusto, e passandosi una bano sulle guance ruvide della barba di due giorni. “A dire il vero si tratta dell'agente dell'FBI dotata non solo di una voce estremamente sensuale ma anche di un carattere tutto pepe. Angela Weiss. Quella donna mi incuriosisce. Vorrei proprio sapere dove e come lei e Veronica si sono conosciute”. Leo gli rispose con tono derisorio “Hey, Romeo, torna con i piedi per terra! I consigli dell'avvenente agente Weiss non risolvono tutti i nostri probelmi, mi pare. Non abbiamo anocra idea di dove si trovi Duncan, o sbaglio?”. Dopo averlo squadrato si rimise al lavoro. Leo si coprì il volto con un cuscino e si appisolò. Il silenzio conciliò il lavoro di Logan. Le ore passavano, ma la sua voglia di trovare la bella Jackie non si affievolì. Fino a quando la luce si fece sempre più fioca, segnalando l'avvicinarsi del tramonto.

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“Hey, se continui così mi sa che ti assumo come aiutante”. La voce di Leo distolse Logan dallo schermo del computer. Evidentemente si era svegliato. “Bensvegliato, bella addormentata!” sogghignò Logan da dietro lo schermo. “Angela e la sua voce ti hanno fatto compagnia?” le dita continuavano a navigare sulla tastiera e lo sguardo rimaneva fisso sullo schermo. Prese in mano una penna e annotò un numero di telefono sul block notes già pieno di informazioni. Leo rise di gusto e si alzò dal divano. Raggiunta la scrivania rubò il block notes dalle mani di Logan e lo studiò con attenzione. “Vedo che hai trovato qualche pista... non male per un novellino. Forse essere stato per tanti anni in stretto contatto con la famiglia Mars e tutti i suoi misteri ti ha influenzato.” Fece ricadere gli appunti di Logan sul tavolo e si stiracchiò. “Non so tu, ma io ora penso che me ne andrò a casa. Dato che il tuo passaggio ti ha mollato alla spiaggia dei cani, che facciamo? Ti riaccompagno io o ci salutiamo qui?” dicendo questo si stiracchiò. Ad essere sinceri quel divano era veramente scomodo, e lui ora aveva bisogno di una bella doccia e una vera dormita. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a Los Angeles, all'ufficio di Veronica, per recuperare un po' di documenti ed incontrarsi con Angela. Non sapeva quanto si sarebbe fermato nella città degli angeli, ma sperava abbastanza a lungo da conoscere meglio l'intrigante agente Weiss.
Logan spense il computer e si alzò dalla sedia. Solo allora si rese conto di quanto tempo era passato dal loro arrivo alla Mars Investigations. Aveva le ossa incriccate, quindi doveva essere rimasto su quella sedia almeno un paio d'ore senza muoversi. “Portami a casa, D'Amato. Penso di avere materiale a sufficenza. Mancano quattro giorni al ballo, domani tornerò qui e farò un po' di telefonate. Jackie non mi sfuggirà!” Leo chiuse i cassetti della scrivania di Keith, spense il computer e frugò infine in una scatola di latta che si trovava a fianco dell'acquario. Ne estrasse un mazzo di chiavi che lanciò ad uno stupito Logan “Io domani vado a fare una gita, e forse a consocere la futura signora D'Amato, quindi non posso proprio farti da balia, mio caro Mr. Echolls. Mi raccomando di chiudere tutto quando te ne vai! E ora, andiamo, ho davvero bisogno di una doccia, e la casa di Mac non è proprio dietro l'angolo”. Concluse Leo, prendendo giacca e valigetta. Logan gli sorrise, e i due uscirono dall'ufficio di Keith Mars.

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Il viaggio in macchina non era stato troppo imbarazzante, almeno nella prima parte. I due giovani uomini erano rimasti in silenzio, guardando la strada. Poi l'argomento era venuto fuori quasi per caso. Logan non aveva intenzione di parlare di lei, soprattutto con Leo. Era cominciato tutto con un'innocente domanda. “Allora, come è lavorare con Keith?” aveva chiesto Logan. “Beh, Logan” aveva risposto Leo “non so chi di noi lo conosca meglio, ma penso tu non abbia problemi ad immaginarti come sia lavorare con lui. Bisogna sempre essere attenti, precisi, professionali. Ma se sbagli l'unica cosa importante è tener presente che esiste sempre un margine di miglioramento. Keith è molto diverso da sua figlia: è disposto a perdonare e dimenticare. Non come Veronica...” Ed eccola lì, l'innominata ed innominabile, l'argomento proibito, il taboo; Leo aveva appena rotto l'incantesimo. “La vedi spesso?” questa domanda aveva ronzato nella testa di Logan per due giorni. Si era ripromesso che non l'avrebbe posta, che non avrebbe voluto sapere. Però c'era cascato comunque, e ora sapeva che quello che avrebbe sentito non gli sarebbe piaciuto. “Non quanto vorrei.” Rispose laconico l'ex agente. “Logan... io e Veronica... è complicato, è sempre stato complicato. Lei è meravigliosa, è scintillante, è incredibile. Però io non sono mai stato abbastanza... insomma ci sei sempre stato tu, anche quando non c'eri. Anche quando ero arrivato prima io.” “Cosa vorresti dire?” lo interruppe Logan, sulla difensiva. “Andiamo Logan” lo prese in giro Leo “non sei uno stupido. Quando io e Veronica abbiamo cominciato a frequentarci sei comparso tu, e lei mi ha dato il benservito. Poi, finalmente vi lasciate. Sembrava definitivo. Eppure quando si addormenta tra le mie braccia, era il tuo nome quello che pronuncia, non il mio. Non è durata molto: il mio orgoglio mi ha impedito di farmi trattare come un tappabuchi. Da allora sono passati un paio d'anni, ci siamo visti quando raramente veniva a trovare suo padre. Non è successo più nulla, fino all'altro giorno.” Un silenzio carico di rancore riempì l'abitacolo della macchina. “Si è gettata tra le mie braccia e io c'ho creduto. Nemmeno a farlo apposta, il giorno dopo sei comparso tu. Casualità? Maledizione? Non lo so. Fattostà che ci sei sempre tu a mettermi i bastoni tra le ruote.” Logan non ce la fece più a trattenersi “Ma cosa stai dicendo? Io non vedo Veronica da anni, da quando mi ha buttato fuori dalla sua vita. Non ci siamo più parlati, visti, e tu incolpi me?” Leo fece passare qualche secondo. Il caratteraccio di Logan non era certamente cambiato in tutti quegli anni, e rispondergli subito l'avrebbe messo solo nell'angolo, costringendolo a tirare fuori i denti. Dopo che il respiro del giovane rampollo si fu calmato, Leo riprese a parlare. “Sia chiaro che io non mi struggo per Veronica Mars, non l'ho mai fatto. So a che gioco gioca, e ho deciso di starci, pur sapendo che non avrei mai potuto vincere. Perchè? Perché dopo di te, Logan, non c'è mai stato spazio per nessuno nella sua vita. Solo tu.” Logan rimase stupito, non sapeva come interpretare quelle parole. Ma una domanda gli bruciava dentro. “Quello che dici non ha senso. Come mi spieghi Piz e Duncan?” Leo non si trattenne e scoppiò in una calda e fragorosa risata. “Ma come, non l'hai ancora capito?”.
Per il resto del viaggio non aprì più bocca. Ogni tanto, però, Logan lo beccava a ridere sotto i baffi.

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Mentre il ghiaccio si scioglieva nel bicchiere, Logan ripensava a quello che gli aveva detto Leo. E più ci pensava più assurdo gli sembrava. Veronica aveva avuto altre storie, ad esempio Troy, ma anche Leo e Piz. Ma se Logan avesse dovuto scegliere il cavallo vincente, avrebbe puntato tutto su Duncan. Per il giovane rampollo Kane, Veronica aveva versato lacrime, si era disperata, aveva sofferto e combattuto. Aveva addirittura mentito all'FBI, mettendo a repentaglio il suo futuro. Decisamente era Duncan il fortunato oggetto dell'eterno amore di Veronica. Il ragazzo perfetto, il principe azzurro fatto su misura per lei. Quello elegante, gentile, educato. Quello che non la metteva in imbarazzo e che la trattava come una regina. Quello al quale Veronica avrebbe detto “si”. Logan ne era sicuro.
Lui, al contrario era stato il ragazzaccio, quello che ne combina sempre una. Quello dalla famiglia ingombrante e dal passato di violenze. Quello il cui padre aveva ammazzato Lilly, e cercato di ammazzare Veronica. Logan era il ragazzo con i segni delle cinghiate sulla schiena e la fedina penale sporca. Quello che aveva fatto a botte con chiunque, che si era messo nei guai per ogni sciocchezza. Che aveva rischiato di morire. Quello di cui non ci si poteva fidare. Di cui Veronica non si poteva fidare, per quanto ci provasse. Era lui quello mancante, e per questo non aveva funzionato tra loro.
“Hey, straniero”. Era così immerso nei suoi pensieri che non si rese conto dell'arrivo di Mac. “Qualche problema?” si sfilò le scarpe e rubò il bicchiere dalla mano di Logan prima di lasciarsi scivolare su una sdraio. “Stavo pensando... al passato.” Rispose lui, distrattamente. “Ovvero a Veronica?!?” Lo rimbeccò la giovane, sorseggiando lo skotch. “E' possibile che non riusciate ad andare oltre, nessuno dei due. Sono passati quanti, quattro anni? Eppure siete ancora bloccati a quella notte al Grand quando avete litigato.”
Logan la squadrò con sorpresa. Inizialmente Mac non parve accorgersene, ma quando il silenzio di lui si fece troppo lungo si voltò. Lesse solo confusione negli occhi di Logan. “Perché mi squadri così? Cosa ho detto di sconvolgente? Mi sembra chiaro, come a tutti gli altri esseri di questo pianeta, che né tu né Veronica siate riusciti ad andare avanti, a lasciarvi reciprocamente alle spalle. Gli unici che non riescono a capirlo siete proprio voi due.” Detto questo, si scolò l'ultimo goccio di skotch e fece per alzarsi. Ma la mano di Logan la fermò. “Cosa intendi dire, Mac?” La ragazza sbuffò e si appoggiò di nuovo allo schienale della sdraio. Con tono impaziente domandò al giovane seduto di fianco a lei “Perché mi fai questa domanda, Logan. Non è abbastanza chiaro dopo quello che è successo ieri sera, tutta la tensione, gli sguardi glaciali, le provocazioni, che tu e Veronica non siete un capitolo chiuso? Forse dovreste togliervi i paraocchi e parlarvi, una buona volta. Ora vado a preparare la cena. Ti lascio ai tuoi pensieri.” Disse con un tono che non ammetteva repliche. Prima che la moretta uscisse dal suo campo visivo Logan esclamò “L'ho trovata. Ora devo solo convincerla.” Mac sorrise “E bravo il nostro detective”. Lo salutò scompigliandogli i capelli, come si fa con un ragazzino.
Rimasto solo sul terrazzo Logan ripensò alla giornata appena trascorsa, a ciò che aveva fatto, a quanto si era sentito importante. Si era sentito maturo. Non era più il ragazzino viziato che era stato  qualche anno prima, si era lasciato alle spalle i combattimenti clandestini e le spranghe. Ma non gli scandali e le belle donne. Probabilmente non l'avrebbe mai fatto. Però era ancora mancante, non si sentiva ancora un uomo. Dal giardino le risate dei gemelli e di Dick lo distolsero dai suoi pensieri. Pure Dick era cresciuto e diventato un uomo. Era padre e marito, su di lui facevano affidamento tre persone, le tre persone più importanti della sua vita. Chi l'avrebbe mai detto di uno scapestrato come Dick?!?
E di lui, chi si sarebbe mai potuto fidare?
Con immensa tristezza Logan si rese conto di una cosa: non gli veniva in mente nessuno.

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Spazio autrice: breve ma intenso. Avevo voglia di sviscerare qualcosa del nostro bello e dannato!

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Capitolo 13
*** Scontri ***


Scontri


Logan stava per versarsi un nuovo bicchiere di skotch quando il rumore di una macchina che imboccava il vialetto di casa Mac Kenzie- Casablancas attirò la sua attenzione. Ormai il sole era tramontato, e un blu man mano più intenso stava prendendo il posto dell'acceso arancione che fino a poco prima illuminava il cielo. Non poteva che essere lei, finalmente. Avevano molto di cui parlare: della telefonata con l'agente Weiss, di Jackie, di Leo. Ma anche di loro. Non aveva alcuna intenzione di farsi fuggire quest'occasione. Dovevano chiarirsi una volta per tutte, dal momento che avrebbero dovuto lavorare gomito a gomito.
Abbandono bottiglia e bicchiere sul tavolo, recuperò le sue scarpe da sotto la sdraio e, con aria combattiva e disposto a tutto pur di ottenere delle risposte, corse verso le scale e verso Veronica.

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Era stata una giornata estenuante. Era dovuta correre da una parte all'altra, e la sua scappatella a San Diego le era costata ore importanti. Ma non poteva rischiare di farsi vedere da qualcuno, la sua era una missione top secret. Aveva recuperato tutti i documenti dalla cassetta di sicurezza della banca, ma li aveva dovuti lasciare lì. Se per caso Dominik l'avesse seguita, e non dubitava che l'avesse fatto, non poteva certo farsi trovare con delle carte così scottanti per le mani. E così aveva rimesso i fogli nella cassetta di sicurezza, sperando che chi di dovere si fosse poi premurato di recuperarli quanto prima. Quella banca era sotto controllo, ormai. Meglio far sparire tutto quanto prima. Uscita dalla San Diego Bank, aveva comprato un cellulare usa e getta dietro l'angolo e aveva spedito il messaggio. “OK. E' tutto autografato.”. Aveva poi fatto il cellulare in mille pezzi, seminando i singoli componenti, sim esclusa, in diversi cestini e cassonetti della città. Nel frattempo aveva curiosato in numerosi negozi, comprato un gelato, si era fatta delle fototessere lungo la spiaggia. Insomma, aveva fatto il possibile per depistare i due agenti che la seguivano. Se non avesse avuto appuntamento con un focoso messicano, si sarebbe divertita molto di più: cinema, negozi di intimo, centri benessere. E perché no, un giro sulle montagne russe o nella casa degli specchi. Forse non era entrata nell'FBI, ma riusciva ad annusarli a distanza, e non aveva perso il suo tocco magico.
Però aveva davvero poco tempo e un impegno importante, quindi aveva dovuto arrangiarsi. Ma dopo circa un'ora era riuscita a liberarsi dei suoi eleganti compagni di viaggio. I due in giacca e cravatta l'avevano persa di vista quando era entrata in un negozio di vestiti per bambini. Piccola pausa che le aveva permesso di comprare un regalo per i gemelli. Poi era sgusciata fuori dalla porta laterale. Aveva recuperato la sua macchina e aveva fatto ritorno a Neptune; direzione: ospedale.
Aveva trovato ad aspettarla sul retro dell'ospedale, all'accesso del pronto soccorso notturno, che ovviamente era chiuso a quell'ora del pomeriggio, un sorridente Weevil, con un caffè nella mano destra, e un fascicolo di fogli nella mano sinistra.
“Tu sì sai come far felice una donna!” Esclamò Veronica scendendo dalla macchina. “Non sai quanto hai ragione, V, non ne hai la più pallida idea. Ma penso che Parker potrebbe aggiornarti su tutti i fronti” rispose lui sorridendo e porgendole il caffè. Tra loro non c'erano mai state moine o carinerie. Si erano abbracciati un paio di volte dopo quel famoso giorno sulla spiaggia in cui lei aveva salvato due scagnozzi della banda di Eli dalla galera. La prima volta era stato sotto il portico di casa Navarro, quando Veronica per la prima volta, aveva tirato fuori il pelato messicano dalla galera. E poi lui l'aveva abbracciata il giorno in cui lei aveva preso l'aereo per Quantico. Il loro rapporto era sempre stato particolare, molto particolare. Quantomeno ambiguo. Nessuno dei due si era mai fidato dell'altro, eppure entrambi avevano fatto affidamento l'uno sull'altro in più di un occasione. E anche questa volta Veronica  aveva fatto bene a chiedere aiuto al suo messicano preferito.
Gli strappò il caffè e il fascicolo dalle mani, e dopo aver gustato un bel sorso di caffè, nero con poco zucchero come piaceva a lei, domandò all'amico. “Hai preso tutto?”. Weevil si appoggiò al muro e con fare ammiccante ribatté “ti ho mai delusa, Veronica? Non mi sembra. Perché una buona volta non ti fidi?”. Veronica annusò il fascicolo e con tono e provocatorio esclamò “Profuma di promesse mantenute e fiducia!”. E poi proruppe in una sonora risata. “Grazie Eli, grazie mille. Questa volta è davvero importante.” Veronica stava sfogliando il contenuto del misterioso fascicolo quando Eli lo chiuse, attirando la sua attenzione. “C'è qualche possibilità che tu mi dica perché mi hai chiesto i fascicoli medici di quei due? Davvero Veronica, tu non riesci proprio ad andare oltre alle cose, a lasciarle perdere.” La bionda non rispose “Non che ci sperassi” riprese il giovane uomo “però, Veronica, quanti anni sono passati? Nove, dieci? Andiamo...” si voltò e andò in direzione dell'accesso di servizo. “Se vuoi un consiglio, Veronica, deciditi una buona volta”. Detto questo scomparve dietro un pesante porta bianca con la scritta VIETATO L'ACCESSO in rosso sangue.


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Dopo aver salutato Eli, Veronica era salita in macchina. Finalmente era ora di andare a casa di Mac, farsi una bella doccia e lasciarsi quella giornataccia alle spalle. Cliff non l'aveva richiamata, nonostante i numerosi messaggi che gli aveva lasciato in segreteria. Maledetto Cliff, doveva farmi sapere qualcosa. Avrà trovato il posto? Avrà consegnato il messaggio? Non lo sopporto quando mi tiene sulle spine. Mentre malediceva l'avvocato era già arrivata a casa di Mac. Imboccò il vialetto  con tutta l'intenzione di rilassarsi: era stata una giornata faticosa e pesante, e le mancava suo padre. Le mancava potersi confrontare con lui, avere un appoggio, una spalla sicura. Ma, anche se ci fosse  stato, non avrebbe certo potuto parlare con lui del grande caso che la stava impegnando giorno e notte, e che la costringeva, una volta per tutte, a fare i conti col proprio passato.

Mentre scendeva dalla macchina e recuperava i fascicoli abbandonati sul sedile e la penna dal porta oggetti, Veronica si trovò a riflettere su quanto si sentisse a casa lì da Mac e Dick. Le era bastata una notte per adattarsi al rumore dell'oceano, all'odore di pongo e plastilina, al ronzare dei walkie talkie con i quali Mac e Dick controllavano i gemelli mentre dormivano. Ai muffin e al succo d'arancia come colazione, alla spettacolare vista della quale godeva dalla sua stanza da letto, all'arredamento elegante ma moderno, alla terrazza sul mare. Tutto di quella casa le metteva serenità. Dei passi frettolosi che scendevano le scale la distolsero da quell'immagine bucolica e rassicurante. Quasi tutto. Certamente Logan Echolls non era da enumerare tra gli aspetti positivi del suo soggiorno a Neptune. Guardò la sua mano, forte e grande, ce scivolando sul lucido corrimano di mogano portava il suo ex sempre più vicino a lei. Qualcosa nei suoi passi la fece irrigidire: Veronica Mars si mise sulla difensiva. Non sapeva bene perché, ma sentiva che l'aspettava qualcosa di decisamente poco gradevole. Le spalle si contrassero, abbracciando i due fascicoli. Gli occhi si puntarono sul punto in cui, di lì a poco, sarebbero comparsi gli occhi di Logan. Doveva farsi trovare pronta, perché qualcosa le stava dicendo che era in arrivo una bella litigata alla Logan e Veronica, una di quelle epiche, che lasciano attorno solo macerie e distruzione.

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“Hey!”. Bastò quello a bloccarlo lì sulle scale, indeciso se proseguire o tornare indietro. E poi il suo sguardo, freddo e immobile. Perché mi stai guardando così, Veronica? Cosa ho fatto di male? O forse vuoi solo spaventarmi ed evitare qualunque contatto con me? Non questa volta... e riprese a scendere le scale, con passo più lento, senza staccare gli occhi da lei. “Hey a te!” esclamò, con un sorriso rassicurante che le fece rilassare un poco le spalle. Buon segno, pensò il giovane, passandosi una mano tra i capelli. Era agitato, un po' frustrato. E quel gesto fece capire a Veronica che lei aveva il coltello dalla parte del manico. Bene, buon per me. Posso cavarmela con due chiacchiere sul tempo e sgattaiolare in camera senza che lui insista troppo. Quando fa così significa che si sente colpevole e che posso farne quello che voglio di lui. Non sapeva quanto si sbagliava. “Sono stanca morta, vorrei farmi una doccia veloce. Come è andata la tua giornata?” Riprese, sicura di sé, cominciando a salire le scale in direzione della sua stanza e della sua favolosa doccia. Aveva abbassato completamente la guardia, convinta che Logan non sarebbe stato un problema per lei. Il ragazzo la seguì. “Bene, io e Leo abbiamo lavorato bene, penso. Lui ha sentito l'agente Weiss e pare che abbiano trovato una possibile scappatoia per far rientrare DK in America senza condannarlo a anni di prigione.” Erano arrivati alla camera di Veronica, che distrattamente aveva buttato i fascicoli sul letto, e, sempre voltando le spalle a Logan stava per aprire bocca e complimentarsi con lui per il lavoro fatto. Ma l'attenzione del giovane uomo era tutta per quei due plichi di fogli buttati sul copriletto rosso. Due nomi che lui ben conosceva erano scritti sui raccoglitori di cartone. Cercò di capire, di unire i puntini, ma quello che aveva appena letto non aveva senso, nessun senso... Veronica stava parlando, ma lui non ascoltava, non sentiva neppure. Avrebbe potuto essere nuda di fronte a lui, ma in quel momento il suo cervello era concentrato a capire il perché di quei due fascicoli. Con tono monocorde e rigido la interruppe. “Veronica, cosa ci vuoi fare con le cartelle mediche mie e di Duncan Kane.” E dicendo questo fece un passo entrando nella stanza della sua ex, e chiuse la porta alle sue spalle.
Veronica lo sentì in quel momento che aveva fatto male a distrarsi, ad abbassare la guardia. E capì che la doccia avrebbe dovuto aspettare.

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Mentre riponeva la giacca nell'armadio, Veronica si rese conto che, esclusa la fuga, avrebbe potuto applicare due differenti strategie a quella situazione. Poteva glissare, evitare la discussione, portare l'attenzione di Logan su altro. Oppure avrebbe potuto reagire attaccando. Non era in vena di litigare, quindi optò per la prima opzione. “Quindi la mia amica Angela vi è stata d'aiuto” disse voltandosi e offrendo a Logan uno dei suoi più bei sorrisi “Si Veronica, é stata fantastica. Così fantastica che il nostro bel Leo vuole farne la signora D'Amato. Domani s'incontreranno a L. A. e vedremo sa ne verrà fuori. Spero tu non ci sia rimasta male. Detto questo anche la mia giornata è andata bene, ho i contatti di Jackie e domani la chiamerò, per convincerla a venire per il ballo. Ora che abbiamo finito gli argomenti di conversazione, potresti rispondere alla mia domanda. Perché hai i fascicoli mio e di Duncan?” E detto questo, si mise davanti alla porta, a braccia incrociate e gambe larghe. Non le avrebbe offerto alcuna via di fuga, si rese conto la bionda. Forse avrebbe funzionato meglio se mi fossi spogliata, mentre cambiavo argomento. O forse no, il ragazzo è abituato a standard decisamente più alti ora... Si morsicò il labbro inferiore e abbassò lo sguardo. Non aveva voglia di litigare, ma l'opzione “raccontargli tutto” non era nemmeno lontanamente da prender in considerazione. Era troppo pericoloso, e inoltre era stata pregata di non coinvolgere nessuno in questo caso. “Veronica, non usciremo da questa stanza fino a quando non mi spiegherai che te ne fai delle informazioni su quante volte ho avuto l'influenza o sul numero di bruciature di sigaretta che hanno contato sul mio corpo. Quindi o ti sbrighi a trovare una buona scusa delle tue, una bugia alla Veronica, oppure mi racconti la verità. Altrimenti penso che salteremo la cena!”.
Era irremovibile. Poche volte lo aveva visto così sicuro di sé. La cosa la inquietava. Aveva sempre avuto gioco facile con lui, ma qualcosa era cambiato. Logan mostrava una sicurezza mai avuta in passato. Non sapeva come reagire a questa nuova persona  che vedeva di fronte a sé. Senza sapere perché, aprì bocca. Ne uscirono parole scoordinate dette in tono poco convincente. “Logan... direi che questi, si insomma, non sono affari tuoi su cosa sto lavorando.” Appena ebbe finito di pronunciare quella frase sconnessa, si rese conto che oltre ad essere poco convincente, probabilmente  aveva peggiorato la situazione. “Come scusa?” disse lui, sporgendosi in avanti verso di lei, senza però allontanarsi dalla porta “Come sarebbe a dire? Quello che hai appena buttato sul letto con noncuranza, mia cara detective, è il MIO fascicolo, quindi direi che sì, la cosa mi riguarda. Ritenta, so che sai fare di meglio.” Concluse con tono strafottente. Era veramente arrabbiato e confuso, ma riusciva a contenersi e a non perdere di vista il suo obbiettivo. Questo nuovo Logan era davvero una sorpresa.
“Te l'ho detto, Logan, è un caso. Anzi due. La cartella clinica di Duncan mi serve per trovarlo, magari qualche prescrizione medica. Di questo posso parlarti perché tu mi hai assunta per trovarlo. Ma il perché io abbia per le mani il tuo fascicolo con è cosa che ti riguardi”. Veronica stava ritrovando fermezza e convinzione, ma non era ancora efficace. Non sapeva proprio come uscire da quella brutta situazione.
Logan mise mano al portafogli “Se è solo questione di soldi, Miss Mars, ecco, bastano cinquecento dollari? Altrimenti ti firmo un assegno. Sai che  non è un problema. Ecco, tieni” E le porse le banconote “e ora dimmi a cosa diamine ti serve il mio fascicolo medico”. Veronica si sentì offesa da quel gesto. “Non sono in vendita, Logan, non lo sono mai stata.” E con una manata fece volare le banconote che lui le stava offrendo. “pensi davvero che io sia una persona così meschina? È questa l'opinione che hai di me? Vattene, non ho intenzione di avere a che fare con te se questo è quello che pensi di me” E fece per avviarsi verso il bagno. Avrebbe potuto chiudersi dentro. Tattica della fuga. Ma lui le prese il braccio, con fermezza ma senza stringere. Non le avrebbe offerto nemmeno la possibilità di appellarsi ai lividi che solo qualche ora prima Dominik le aveva lasciato sui polsi.
“Lasciami Logan, non costringermi a reagire. Sai che ho una preparazione fisica non da poco...” Mentre diceva questo, alzò lo sguardo fino a incontrare gli occhi del giovane. Occhi che la stupirono. Non vi lesse rabbia o aggressività, ma solo un profondo dolore. “Non ho mai pensato nulla di male di te, Veronica, dovresti saperlo. Ti ho temuta, ti ho odiata, ma ho sempre pensato che tu fossi una delle persone più forti e corrette sulla faccia di questa terra. Quindi non prendiamoci in giro e non cercare di scappare. Voglio solo avere una discussione civile con te, capire cosa stai facendo e perché stai indagando su di me. Non pensavo di essere un caso”, e le lasciò il braccio.
“Civile, Logan, vorresti una conversazione civile con me?!? Da quando il figlio di Aaron Echolls sarebbe diventato una persona civile? Perché a quanto ricordo sei sempre stato uno dal pugno facile.” Lui si avvicinò a lei, e quasi sussurrando ma trattenendo in quel sussurro tutta la rabbia che lo stava divorando in quel momento le disse “Non ho mai alzato una mano su di te, quindi non azzardarti a paragonarmi a quel mostro di mio padre. Non pensare nemmeno lontanamente che io e lui ci assomigliamo: lui ha ammazzato Lilly e ha cercato di ammazzare te e tuo padre. Io ho sempre combattuto a armi pari, e se non sbaglio un paio di volte l'ho fatto per te”. “Per me? Io non ti ho mai chiesto nulla. Non ti ho chiesto di litigare con Duncan per i corridoi della scuola, di minacciare Liam Fizpatrick, di ridurre Piz in quelle condizioni, o di umiliare Gory Sorokin di fronte all'intero campus. Non ti ho chiesto nulla di tutto ciò, non ho mai avuto bisogno di essere protetta. Sarebbe stato molto più utile se tu non mi avessi tradita.” Dicendo questo, lo spinse via, cercando nuovamente di raggiungere la porta del bagno.
“Non me l'avrai chiesto, Veronica, ma io ti amavo e avrei fatto qualunque cosa per te. E tu, cosa hai fatto per me? Per noi? Aspetta fammi pensare... mi hai buggato il telefono, hai tracciato la mia macchina, non ti sei mai fidata di me, mi hai costantemente messo alla prova. Non ero nemmeno degno di parlare con tuo padre in santa pace, di farmi conoscere per quello che sono, che ero. Però bisogna dartene atto, qualcosa hai costruito: un bel muro di menzogne attorno a te. Esiste qualcuno che può dire di conoscerti veramente? A quante persone hai raccontato di Beaver e dello stupro? Quanti sanno che Moe ti ha rasato una ciocca di capelli? Tuo padre sa per cosa ha perso le elezioni? Ha visto il video di te e Piz?” aprì la porta “Tu chiedi fiducia cieca, ma non dai nulla. Non mi interessa sapere cosa vuoi dalle mie cartelle cliniche, non più. Non mi interessa nulla di te e della tua vita. Trova Duncan e facciamola finita.” Varcò la soglia, ma prima di sparire si voltò e le disse “Per la cronaca, io non ti ho mai tradita. E per quella storia di Madison, beh, ti ho chiesto scusa anche troppe volte. Se non sei mai stata in grado di passarci oltre, significa che non ero così importante. Che non eravamo così importanti.”

Veronica si fece cadere sul pavimento. Finalmente sola lasciò che le lacrime cominciassero copiosamente a scendere.



Spazio autore: Buon (amaro) Natale!

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Capitolo 14
*** Obbligo o verità ***


Obbligo o verità

Un rumore di passi leggeri che si avvicinavano risvegliò Veronica dal suo stato di torpore. Era rannicchiata su se stessa, la schiena appoggiata alla parete del letto. Le mattonelle erano fredde, ma lei parve non essersene accorta. Nonostante le finestre aperte, da fuori non filtrava quasi nessuna luce dato che il sole era tramontato da un pezzo. Riusciva a mala pena a vedere il profilo della sedia di fronte a sé, ma riconobbe subito i piccoli piedi di Mac quando entrarono nel suo campo visivo. L'amica si chinò su di lei e l'abbraccio, proteggendola come una coperta. D'altro canto Mac era diventata una mamma, e le mamme proteggono.
Dopo qualche minuto di silenzio, la brunetta sciolse la tensione, e, accarezzando i capelli biondi dell'amica disse “Non stavo origliando, ma voi due avete urlato così tanto che ho dovuto mandare Dick a fare un giro con i bambini.” Tirando su con il naso, Veronica finalmente diede segni di vita “Mi dispiace, Mac. Tu mi sei vicina e mi ospiti, e io scateno un uragano in casa tua. Scusami tanto.” Si liberò dall'abbraccio dell'amica e continuò “casa di mio padre è vuota, quindi penso che farò i bagagli e me ne andrò a dormire nel mio vecchio letto. Ho causato già troppi problemi.”
Così dicendo, accese la luce e tirò fuori la valigia da sotto il letto. Mac si sedette sul letto e la guardò con tristezza e affetto. Quanto era fragile la sua migliore amica, in realtà? Quanto era facile ferirla? E soprattutto, perché a Logan riusciva così bene? Semplice, perché Veronica era maestra nel colpire lui sotto la cintura. Il loro rapporto era sempre stato così... intenso. Così teso. Se fino a qualche tempo prima Mac aveva invidiato la passione che, come una cascata, travolgeva le vite di Veronica e Logan, ora non era più così. La serenità che lei e Dick avevano raggiunto quasi subito permetteva loro di essere sicuri dell'appoggio incondizionato che potevano offrire l'un l'altro, senza però mai darsi per scontati. Non avrebbe fatto cambio con nessuno, per lei quell'equilibrio era impagabile!
Osservò la sua amica aprire i cassetti ed estrarne biancheria, calzini e magliette. Poi, senza alzarsi e puntando gli occhi sulla bionda le domandò impassibile “Cosa stai facendo, Veronica?”. Sentendo il suo nome pronunciato con tanta freddezza, la giovane donna si fermò e si voltò. Lo sguardo dell'amica mostrava fermezza e tenerezza. Ma soprattutto maturità. “Sto facendo i bagagli. Mi sembra...” stava per giustificarsi, ma non fece in tempo “Non cambierai mai, ha ragione Logan. Hai intenzione di scappare anche questa volta? Quando imparerai a non fuggire dai tuoi problemi? Non l'hai ancora capito che dando loro le spalle mostri solo il lato debole, e quando tornano possono farlo senza che tu nemmeno te ne accorga! Ti credevo più intelligente di così.” A quanto pareva la moretta non aveva intenzione di lasciar andare la questione, perché non si mosse dal bordo del letto, incrociò le braccia e fissò l'amica con aria tutt'altro che accomodante.
“Ascolta Mac” ricominciò Veronica chinando il capo e fissandosi le delicate mani che reggevano un paio di calzini multicolor “è stata una giornata pesante, ho già litigato con Logan e non ho proprio voglia di discutere anche con te. È l'ultima cosa di cui ho bisogno al momento! Al contrario ho bisogno del tuo appoggio e del tuo aiuto.”
Mac si alzò in piedi e l'abbracciò. “Hey, Bond, non ho nessuna intenzione di litigare con te, e sai che io sono sempre dalla tua parte. Però proprio perché sono tua amica mi sento in dovere di intervenire adesso e dirti che stai andando fuori rotta, che la strada che hai deciso di percorrere forse dovrebbe essere messa in discussione.” Si staccò dall'abbraccio e, tenendole le mani poggiate sulle spalle proseguì, impedendole di sfuggire con lo sguardo. “E poi, Veronica, non hai sempre ragione tu, e quando sei in errore dovresti abbassare la cresta ed ascoltare. Ho sentito quello che hai detto a Logan, che lo hai paragonato a suo padre. Come hai potuto farlo? Mioddio Veronica, come hai potuto farlo?” Lo sguardo di Mac era severo, e Veronica non poté fare a meno di sentirsi profondamente in colpa per quello che aveva fatto, per quello che aveva detto. Era decisamente stato un colpo basso, anche per lei. Come aveva potuto dire quelle cose orribili. “Ora io e te andiamo a farci un giro, usciamo da qui, e parliamo. Mi spieghi cosa ti sta accadendo e io ti tiro un po' le orecchie, va bene?”.
Veronica sorrise all'amica. “Mi ci vorrà qualcosa di forte come accompagnamento. E penso che ne avrai bisogno pure tu!”. Detto questo rilassò le spalle e la schiena, e abbracciò quella che, nonostante tutto, fin dal primo giorno era stata la sua migliore amica.

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Si sentivano due ragazzine in quel momento. L'avevano fatto molte volte, ma ora la cosa aveva un gusto tutto particolare, il gusto del proibito, dell'infrangere le regole, dello scavalcare un cancello chiuso. Si trattava del cancello del Neptune High, e ora le due giovani donne sedevano per terra nell'aula di giornalismo, sotto alla cattedra che era appartenuta a molte professoresse. E a quanto pare si stavano divertendo parecchio. Si passavano un sacchetto di carta contenente una bottiglia di tequila, e ridevano di gusto. “Ti ricordi quella volta che siamo entrate nell'ufficio di Clemmons per recuperare quei maledetti aggeggi che ti eri fatta sequestrare? Certo che portare degli intercettatori di telefoni a scuola... solo noi...” e le due ragazze si misero a ridere, rovesciando un po' di Tequila sul pavimento. Resasene conto, Mac scoppiò a ridere ancora più forte. “Avrei voluto ucciderti in quell'occasione, Veronica. Come diamine ti è saltato in mente di scambiare la scappatella nell'ufficio di Clemmons con il mio impegno nell'uscire con Vincent al ballo? È stata certamente un'esperienza interessante, però all'inizio ti avrei voluta strangolare con le mie mani.” Il silenzio scese brevemente tra le due, poi Mac riprese “In realtà non è stato così male come appuntamento, in fin dei conti Vince non è così male. Un po' strano però... nemmeno il peggiore dei miei accompagnatori!” Veronica le sorrise e ribatté “E poi vedere la faccia schifata che ha fatto Madison salita in ascensore valeva pur un pessimo appuntamento, no?” Mac la guardò con sguardo severo, ma non riuscì a trattenersi e scoppiò nuovamente a ridere. “Quella gallina spennacchiata. Sai che è già al suo secondo divorzio? Ogni tanto mi capita di incontrarla. Questa volta il dolce maritino aveva solo sessant'anni. E da questo divorzio lei guadagnerà una fortuna.” Dette queste parole lo sguardo di Mac si fece un po' triste. “Ogni tanto ci penso ancora al fatto che siamo state scambiate alla nascita, a quanto diverse sarebbero potute essere le nostre vite. A quanto migliore sarebbe stata la mia. Poi mi guardo indietro, osservo lei, e capisco che non ho nulla da invidiarle.” Veronica le appoggiò una mano sulla spalla, e con tono serio disse “Tu ti sei presa anche Dick, quindi direi proprio che hai vinto tu!” e così dicendo trattenne a stento un ridolino acuto. Mac sganasciandosi dalle risate diede ragione all'amica. Veronica calmò le risate e le domandò “Dimmi la verità Q, è solo per il sesso che ti sei messa con Dick, vero? Da quando vi siete messi assieme mi pongo questa domanda, e il sesso è l'unica spiegazione logica che riesco a trovare.” Mac la guardò stupita. “Veronica, e tu baci tuo padre con quelle labbra?” poi dopo uno scambio complice di sguardi, ricominciò “Che dire... il sesso non è affatto male con Mr. Casblancas, altrimenti non avremmo due stupendi bambini. Però non è stata la sua abilità sotto le lenzuola a conquistarmi, ma la sua semplicità, il suo modo fanciullesco di guardare al mondo. Però non è uno stupido, Veronica, non pensare male di lui. Lui è semplicemente incapace di guardare il mondo con occhio critico. Dick da sempre una seconda occasione, però non si fa fregare. E anche la sua semplicità nasconde una profondità di sentimenti che non ti aspetteresti mai da uno come lui. Dick mi ha conquistata il giorno in cui il guardarlo negli occhi mi ha permesso di superare Cassidy e lo scuolabus, il salto dal tetto e i vestiti spariti. Ed è stato il giorno in cui anche lui ha visto che poteva andare avanti.”
Mac si perse nei ricordi.

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Flashback

Era una giornata soleggiata, i corsi stavano per ricominciare. Mac stava portando i primi scatoloni verso la sua stanza. Parker sarebbe arrivata qualche ora dopo da Denver. Non si erano viste per tutta l'estate, ma avevano tenuto i contatti, e nessuna delle due aveva intenzione di cambiare coinquilina: si erano trovate davvero bene assieme l'anno prima, nonostante tutto il caso Echolls, e avevano deciso di dividere la stanza anche durante il secondo anno di college.
Parker era quel genere di amica che Mac non aveva mai avuto. L'amica vestita di rosa, che ti consola con i cioccolatini se il ragazzo ti molla, l'amica cui confidi la nuova cotta e alla quale racconti le avventure sotto le lenzuola della notte precedente. Quella, insomma, di fronte alla quale ammetti che stai uscendo con il ragazzo più sbagliato della terra, ma con la certezza che non verrai giudicata. Quel genere di amica che Veronica non avrebbe mai potuto essere, e che al contrario Parker interpretava alla perfezione.
Aveva molto da raccontare a Parker: quell'estate era stata strana. Lei e Max avevano rotto per una serie di motivi, non ultimo l'invadente presenza di un certo ricco e viziato biondino. Stava giusto pensando a lui, quando la voce di Dick la richiamò al presente. Stupita sobbalzò e fece cadere un paio di scatole. Dick si apprestò a correre da lei e ad aiutarla a raccogliere il contenuto che si era sparpagliato per terra. Matite, penne, quaderni. Dei libri. Una spazzola. Una cornice con una foto della famiglia di Mac. Anche la ragazza si accucciò per raccogliere gli oggetti che si erano sparsi. Lui la guardò e le sorrise, sfiorandole la mano. Poi il giovane abbassò lo sguardo, tornando a fare il suo dovere di cavaliere.
All'improvviso una cosa attirò la sua attenzione. Era una fotografia, stropicciata e rovinata. Però si poteva ancora capire cosa ritraeva: c'erano due ragazzi, una coppia giovane, abbracciati sulla spiaggia. Dick la prese in mano e la osservò con attenzione. Poi sollevò lo sguardo su Mac e riconobbe sul suo volto tristezza, malinconia e senso di colpa. La foto la ritraeva con Beaver alla spiaggia dei cani. Dick prese la mano della moretta, e la aiutò ad alzarsi. La portò vicino ad una colonna, senza staccare lo sguardo da lei, da quegli occhi così caldi e profondi, da quelle fossette così femminili e dolci, dai capelli scuri al punto giusto perché lui ci si potesse perdere. Arrivato alla colonna, le sorrise e fece cadere la fotografia di Cassidy nel cestino. Senza dire nulla, la abbracciò forte per alcuni minuti. Poi si staccò da lei e le regalò il più forte sorriso che Mac avesse mai visto, e finalmente parlò. “Che dici, Mackie, raccogliamo questo ciarpame e poi andiamo a farci un bel gelato?!?” Senza aspettare che lei rispondesse, si rimise al lavoro.
Fu proprio in quel momento che lei capì che avrebbe avuto davvero molto da raccontare alla sua amica. Ma non solo a quella tutta tulle e Colin Firth. Perché anche Veronica avrebbe dovuto accettare il fatto che Cindy Mackenzie si era innamorata di Richard Casablancas Jr. Irrimediabilmente innamorata.

Fine flash back.

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Tornare alla realtà fu come ricevere una secchiata d'acqua, perché Veronica, cercando di alzarsi, era caduta trascinando una sedia e facendo un gran baccano. Mac si apprestò a darle una mano, e avvicinandosi all'amica urtò la bottiglia che si erano portate da casa. La bottiglia di tequila era quasi vuota, ma a Mac non pareva di aver bevuto così tanto, né di essere ubriaca. Anzi, si sentiva allegra ma lucida. Questo voleva dire che gran parte del liquido ambrato se lo era ingollato la biondina. E a giudicare dalla goffaggine con la quale si muoveva, ben poca tequila era andata persa.
Mac fece sedere l'amica e le sorrise. “Hey V, sicura di stare bene?” Veronica restituì il sorriso “Certo Mac, mai stata meglio!” Ok, era ufficialmente ubriaca. Mac si rese conto che avrebbe potuto sfruttare la situazione a suo favore, ma non era da lei ingannare la sua migliore amica. Anche perché quello che Mac voleva fare era parlare con lei, non sentirla parlare. “Che ne dici se andiamo a rinfrescarci un po'?” e detto questo, la trascinò verso il bagno delle ragazze, senza dare a Veronica il tempo di rispondere. Le buttò un po' di acqua fresca e le diede il tempo di tornare in sé. Poi le due amiche tornarono nell'aula di giornalismo, al loro posto sotto la cattedra.
Veronica era ritornata in sé, ma abbastanza alticcia da essere fregata. “Che ne dici, Veronica, se facessimo un gioco. So che tu e Lilly lo facevate spesso, e che vi divertivate un sacco. Obbligo o verità. Ci stai? Visto che siamo tornate al liceo, perché non fare le liceali per un po'?” e trangugiò un bel sorso di tequila. Poi passò la bottiglia all'amica. “Perché no, comincio io” e bevve un sorso “Obbligo o verità?” Mac la guardò maliziosa “Verità”. Veronica la squadrò “Hai mai pensato di dire a Madison che stavate vivendo l'una la vita dell'altra?” Mac deglutì e sorrise. “Un paio d volte avrei voluto farlo. Al liceo, quando mi maltrattava, ma anche l'anno scorso quando è andata a letto con Logan facendovi rompere. Penso che rivelarle questa scomoda verità sarebbe per lei la peggiore delle punizioni, quindi diciamo che la sto salvando per una grande occasione. E poi, utilizzare questo anatema su Madison ferirebbe molte altre persone che non ho voglia di veder soffrire.” Dopo alcuni secondi di silenzio la moretta riprese “Mi fa davvero impressione sapere che io e lei condividiamo così tanto pur essendo due sconosciute!”.
Veronica rise e Mac ne fu contenta. Una Veronica rilassata è una Veronica distratta. “Tocca a me, incalzò. Vediamo un po' se per una volta la nostra P.I. preferita decide di mettersi un po' a nudo. Verità o obbligo?”. Veronica bevve un altro sorso di tequila. “Visto che siamo qui per questo, direi verità. Spara pure Q, non scanserò il proiettile.” Mac sorrise.
“Perché hai i fascicoli medici di Duncan e di Logan? A cosa ti servono?”.
La bionda squadrò l'amica “Non rispetti le regole, però. Sono tre domande!” il silenzio scese tra le due. Mac stava per aprire bocca e giustificarsi, quando Veronica la interruppe. “Forse non consoci bene il gioco, quindi per questa volta passi, ma la prossima volta attenta alla domanda che poni! Che dire... la cartella di Duncan mi serve per trovarlo: forse qualche informazione sulla sua epilessia, il nome di qualche farmaco. Ho bisogno di sapere tutto su di lui se voglio trovarlo e aiutarlo. Duncan è ricercato, di nuovo. I Manning non hanno intenzione di permettere che il reato di rapimento cada in prescrizione e che lui possa farla franca. Ma non posso permettere che ciò accada. I Manning sono degli psicopatici, l'ho visto con i miei occhi. Non sono solo dei bacchettoni, sono proprio malati. O almeno il padre di Mag lo è. Lilly non sarebbe al sicuro con loro.”
Il silenzio scese di nuovo.
“Per quanto riguarda Logan e la sua cartella, ti sembrerà strano, ma non so perché la ho dovuta recuperare”. Mac rimase bloccata a bocca aperta. “Non mi fraintendere” proseguì la bionda “non è che io sia sonnambula o cose simili. L'ho presa coscientemente. Solo che non so il vero motivo per cui ho dovuto sottrarla agli archivi dell'ospedale di Neptune. Una persona mi ha assunta, o meglio, mi ha chiesto un favore. O meglio, me ne ha chiesti due: di fare alcune indagini e di non fare domande. Ed eccomi qua, a ficcare il naso nella vita di Logan senza nemmeno sapere perché”. Mac era sconvolta. Veronica Mars che non fa domande? “Perché?” le domandò. Veronica fece girare la bottiglia, disegnando dei cerchi immaginari sul pavimento. “Bella domanda Mac, bella domanda. Non so nemmeno io perché sto al suo gioco, ma forse è solo perché gli devo molto... forse...” Mac restò in silenzio, fissando la mano dell'amica che giocava con la bottiglia, domandandosi che fosse questa misteriosa persona speciale per la quale Veronica era disposta a rinunciare a così tanto di sé. Sicuramente avrebbe potuto agire così per suo padre, ma che interesse avrebbe Keith Mars nell'appurare le condizioni di salute di Logan? In generale, a chi potrebbero interessare? A Mac non venne in mente nessuno. E soprattutto da quello che Veronica aveva appena detto, non si trattava solo delle sua condizioni di salute. Stava scandagliando tutte le possibilità, quando Veronica sollevò la bottiglia, ne bevve un sorso e proruppe in una risata “Questo gioco si sta facendo noioso... che ne dici di un altro giro per movimentare un po' la nostra serata?” e passò la bottiglia a Mac. Mentre la moretta beveva un bel sorso di tequila, Veronica le domandò “Obbligo o Verità?”. Mac stacco la bottiglia dalle labbra e disse “Verità! Voglio vedere cosa mi chiederai adesso, Miss. Detective. Immagino tu sappia tutto di me!”.
“Mi odi tanto per essere sparita?” No, questo gioco non era affatto divertente. Stava rischiando di diventare pericoloso. “Hai detto Verità, Mac, non puoi sfuggire...” lo disse con tono ironico e divertito, ma in realtà temeva la risposta dell'amica. “Non ti odio. Non adesso. Ti ho odiata all'inizio, quando ci siamo laureati e il giorno dopo sei sparita. Quando hai cambiato numero di cellulare. Quando mi chiamavi dalle cabine telefoniche o da telefonini usa e getta. Quando sapevo che eri a Neptune e non ti scomodavi nemmeno facendo un salto a trovarmi. Ho smesso di odiarti quando ti sei presentata al matrimonio, anche se sei rimasta poco. Avrei voluto che fossi tu la mia testimone, ho dovuto ripiegare su Parker. Ti ho odiata di nuovo quando ho scoperto di essere in cinta, e non potevo dirtelo perché non sapevo come contattarti. E poi ti ho perdonata per tutto questo e altro ancora oggi, anzi adesso, quando mi hai ricordato che anche tu hai un cuore, che anche tu sei fragile e umana. Ti ho perdonata anche se non ho mai saputo perché tu te ne sia andata.” Veronica si stava tormentando il labbro inferiore, segno che era in difficoltà. Sentirsi dire quelle cose era stato doloroso, tanto quanto lo era stato per Mac pronunciare parole così fredde. “Me ne sono andata perché era troppo doloroso per me restare a guardare tutti voi che andavate avanti, che vi costruivate una vita, che diventavate qualcuno, sapendo che per me restare a Neptune significava ibernarmi in una condizione d'attesa e di frustrazione. Sapevo che non sarei potuta crescere in questa città che mi oda e che io odio. Che mi ha esiliata e che io ho rifiutato. Questa città dove tante brutte cose sono capitate a me e alle persone che amo. Prendi ad esempio mio padre. Lui mi ha dato tutto, tutto. E io come ho ricambiato la sua generosità? Rovinando tutte le sue relazioni, da Rebecca, la nostra consulente scolastica, a Harmony. Per quanto pessima fosse la situazione, non era affare mio con chi uscisse mio padre e cosa ci facesse. E poi, diciamoci la verità, il nostro meraviglioso rapporto è sempre stato fondato sulla menzogna. Sai che lui ancora non è a conoscenza di quello che mi è successo alla festa di Shelly? Fammi pensare a cosa altro ho fatto per lui... ah, gli ho impedito di fare quello che gli riesce meglio, ovvero essere lo sceriffo di questo posto, pur di vendicarmi per cosa? Per uno stupido video che è stato sulla cresta dell'onda per quanto? Due secondi? Il mio egoismo è agghiacciante.”
Veronica bevve un altro sorso di tequila, che le scivolò calda fino allo stomaco, dandole quella sensazione di sicurezza e pace che solo l'alcol ultimamente riusciva a darle. Anche tu ti sentivi così, pensò, Leanne, mentre ti ubriacavi nei bar di mezza California?
“E mia madre? Sai che mi ha cercata? Voleva solo scusarsi, e io glielo ho impedito. Non ho mai risposto alle sue lettere, non l'ho mai richiamata. Mio padre mi ha detto che ora è in riabilitazione, e tutto questo grazie a Jake Kane. Dopo aver divorziato da Celeste ha deciso che il grande amore della sua vita era mia madre. A quanto pare le fa bene. Ora vivono da qualche parte in mezzo all'Oceano Paicfico. Io non ho mai avuto l'occasione di dirle che non ha più importanza, basta che lei stia bene. Ed è tutta colpa mia!
Ma la famiglia è una questione delicata, soprattutto la mia. E allora, vediamo se passo l'esame con le amicizie. Beh, che dire, la tua risposta di prima è stata più che esauriente, e penso che Wallace sottoscriverebbe ogni tua singola parola.
Che altri amici ho avuto io nella mia vita, fammi pensare... ah Meg! Come dimenticare la dolce dolcissima Meg. Lei l'ho proprio pugnalata alle spalle, prima rubandole il padre di sua figlia, e poi facendola salire su quel maledetto scuolabus!”
Mac non sapeva cosa dire per consolare la sua amica disperata, quindi si limitò a stringerle la mano. Veronica in realtà non aveva bisogno di consolazioni, doveva solo sfogarsi un po', in modo da chiarirsi le idee e poterle rimettere in ordine con calma.
“E Meg ci porta direttamente all'altro mio grande fallimento: le mie relazioni amorose. Che dire, sono sempre stata una frana in queste cose a quanto pare. Duncan, il mio primo grande amore. Mi ha lasciata perché era convinto che io fossi sua sorella, ma nonostante questo qualche mese dopo ci siamo ritrovati a fare le capriole sotto le lenzuola a casa di Shelly. Ma abbiamo continuato a non parlarci, finché non si è messo con Meg e l'ha messa in cinta. Poi l'ha lasciata, e io e lui siamo tornati assieme, tra un Logan e l'altro. Tutto andava bene finché lui non è dovuto scappare con la sua neo nata figlia. Duncan Kane, capitolo archiviato.
E degli altri? Ommioddio Mac, non farmici nemmeno pensare... tra Troy, Leo, Piz è sempre stato un disastro, ma mai come con Logan. Con lui abbiamo dato un nuovo senso alla frase “distruzione reciproca assicurata”...”
I minuti passarono e nessuna delle due ragazze aprì bocca. Mac accarezzava dolcemente il dorso della mano dell'amica, aspettando che si svegliasse dal suo momento di catalessi. Quando lo fece, Mac quasi sobbalzò. “Beh, ora tocca a te, Q. O meglio tocca a me” così dicendo si scolò l'ultimo goccio di tequila. “Dato che le mie condizioni mi impediscono di fare qualunque cosa che vada oltre lo stare ferma, direi che verità è la mia scelta.”
Mac la osservò. La sua amica aveva proprio bisogno di parlare con qualcuno di cui si fidasse. Con cui si potesse aprire. Dopo qualche secondo di silenzio le domandò “Veronica, sei ancora innamorata di Logan?”. Mac si stupì di aver pronunciato quelle parole nella stessa frase, e si aspettava che Veronica si rifiutasse di rispondere. Al contrario un dolce sorriso, un po' amaro, si aprì sul volto della bionda. Stava per parlare, quando le luci nella stanza si accesero, interrompendo la magia. “Bene bene, cosa abbiamo qui?” chiese Vinnie avvicinandosi alla cattedra “Signore, ho come la sensazione che siate in arresto!”.


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Spazio Autrice: che dire, sto stranamente mantenendo gli impegni! Grazie a chi mi segue, e buon anno!

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Capitolo 15
*** Venere e Marte ***


Venere e Marte


Quello era proprio il suo ideale di serata tra uomini. Divano, play station, patatine, due birre e soprattutto solo lui e Logan Echolls. Erano passati anni da quando il convergere di tutti questi elementi in un logo e in un tempo ben precisi era accaduto, una cosa tipo l'allineamento dei pianeti che sta a preannunciare la fine del mondo. Dick Casablancas si sentiva proprio così, elettrizzato come se stesse per andare alla festa del secolo. Come erano cambiati i tempi... una volta solo la combinazione birra, ragazze e musica l'avrebbe fatto sentire così... carico. Oggi bastava una serata col suo più caro amico a giocare a videogiochi e bere birra.
Erano seduti lì da un po', avevano anche rivisitato alcuni dei loro classici: beach volley, golf, Quake. Ora stavano riprendendo un vecchissimo GTA. Mentre la play caricava il cd, vecchio di anni, entrambi si domandavano se ce l'avrebbe fatta ad aprire la partita... Logan fissava lo schermo con aria annoiata: non erano nemmeno al 40%. Dick si voltò e lo fissò a lungo prima di aprire bocca. “Hey amico, certo che tu e Ronnie c'avete dato dentro prima...”. Il suo tono era monocorde. Non rise, né scherzò. Era serio, aveva solo bisogno di tirare fuori l'argomento, e provocare Logan sapeva sarebbe stata la strada più veloce per arrivare al punto. Logan s'irrigidì sul divano “Lascia perdere Dick, non ne voglio parlare. Ronnie è un capitolo chiuso, una volta per tutte. Torniamo a giocare e ad essere i soliti vecchi Logan e Dick: perché complicarsi la vita?” e bevve un lungo sorso di birra. Ma Dick non gli staccò gli occhi di dosso. Era stufo di essere l'amico scemo, il buffone. Aveva qualcosa di serio da dire questa volta, e l'avrebbe detto. Eccome se l'avrebbe detto.
“Sai amico, non ho mai capito una cosa di voi due. Perché le permetti di trattarti così. Di farti sentire sempre inadeguato e impreparato. Cero Ronnie fa sentire tutti noi un po'... stupidi alle volte. Però, maledizione, tu non sei mai stato un debole, eppure appena compare lei, basta: Logan Echolls scompare e lascia il posto ad una mezza cartuccia senza coraggio e polso.” Logan si voltò e lo squadrò con rabbia. “Dick, ti ho già detto che non voglio parlarne, noi non abbiamo mai parlato di queste cose, siamo sempre stati... amici. Quel genere di amici che fanno surf, giocano ai videogiochi e si divertono assieme. Tutto qua. Limitiamoci a questo, dato che ci è sempre venuto molto bene!” sorrise e alzò la mano, richiedendo un bell'high five al biondo. Che però parve non prendere troppo bene le parole dell'amico. “Logan, sai che a volte sei veramente superficiale? Io penso innanzitutto che tu mi stia trattando con sufficienza. Non sono stupido, anche se mi comporto  in maniera idiota alle volte. Pensavo lo sapessi. In secondo luogo, diamine, penso che dovresti imparare a parlare di ciò che ti crea problemi, in modo da poterli affrontare. E Ronnie è un problema per te, lo è sempre stato. Quindi, ora, vorrei che tu mi raccontassi cosa ha fatto per ridurti in questo stato. Per una volta, non fuggire dai tuoi problemi ma affrontali. E dato che lei è qui, forse potresti riuscire a superarli una volta per tutte.”
Logan lo fissò per un po', l'aria stupita. Poi si mise a fissare lo schermo per qualche minuto. Infine aprì bocca. “Lei in me vede solo il figlio psicopatico di Aaron Echolls, l'uomo che ha ucciso la sua migliore amica, e ha tentato di uccidere lei e suo padre”. Dick non riusciva a credere a quelle parole. Veronica Mars era una vera strega, senza cuore e cinica, ma non era né stupida né cieca. Ed era stata innamorata di Logan per tanto troppo tempo, quindi qualcosa non quadrava. “Logan, ma sei ammattito? Pensi davvero che questa sia l'opinione che Veronica ha di te? Allora sei più fesso di quanto pensassi caro Logan”. Il gioco aveva cominciato a girare, e Dick non distolse lo sguardo dallo schermo mentre si rivolgeva ad un sempre più sbigottito Logan. “L'ho capito io come è fatta la nostra detective, e tu sei ancora alla pagina delle istruzioni? E a quanto pare hai alcune difficoltà... Veronica si è trovata in un angolo, nell'angolo in cui l'hai cacciata tu. E come a reagito? Attaccando dove sarebbe stata certa di fare più danni.” rimase in silenzio per alcuni secondi prima di riprendere “Non mi fraintendere: con questo non la giustifico, ma la capisco. E dovresti farlo anche tu. Non per lei, ma per te. Per non ridurti ad uno straccio ogni volta che la vedi, per poterla superare una volta per tutte.”
Voleva proseguire, aveva ancora molto da dire al suo più caro e vecchio amico. Però fu interrotto dal suono del telefono di casa. Scavalcò lo schienale del divano di pelle e recuperò il cordless dal tavolino. “Ciao tesoro... si si, siamo a casa. Abbiamo mangiato e i bambini sono a letto, tutto in regola. Avevi dubbi?... Si lo so sono il migliore... Si è ancora qua... ok va bene, si tesoro, sono sul divano con Logan che giochiamo a GTA... ehehe, bei vecchi tempi! Si, ce la stiamo proprio spassando!” e proruppe in una fragorosa risata, interrotta brutalmente “Dove... dove sei? Puoi ripetere? Cosa? Arrivo subito, porto i tuoi dai bambini... i bambini dai tuoi e arrivo.” Scaraventò il cellulare sul tavolino e si precipitò, seppur silenziosamente, su per le scale. Logan gli urlò “Cosa diavolo è successo?” ma Dick parve non accorgersene. Fece marcia indietro e sbucò sulle scale. “Sono in prigione” Logan parve non capire e gli domandò “Chi?”. Dick sbuffò spazientito. “Come chi? Mac e Veronica...”.


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Era una sensazione che aveva già provato almeno un paio di volte in passato, alcune delle quali si erano rivelate molto divertenti e proficue. Aveva scoperto politici invischiati, clienti altolocati, poliziotti corrotti, e tutto grazie ad un paio d'ore in cella con delle prostitute. Aveva condiviso i segreti di galeotti e segretari speciali, scoprendo conti segreti, password e residenze nascoste. Ma essere nuovamente lì, in quella cella che aveva ospitato alcune delle persone cui era più legata, le dava una strana sensazione. E non era tutta colpa della tequila.
Aveva un gran mal di testa ed era rosa dal senso di colpa: era a causa sua se Mac era finita dietro le sbarre, se Logan la detestava, se suo padre era scomparso e soprattutto se ogni cosa attorno a lei sembrava non volersi fermare. Questa volta non sarebbero bastati dei tatuaggi finti e una capigliatura particolare per risolvere la situazione e farla sentire meno in colpa. No, decisamente non sarebbe bastato soprattutto dopo il piacevole incontro di poco prima.


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“Non pensavo che sarebbe bastato così poco per farmi felice: Veronica Mars dietro le sbarre. E per una vera e propria scemenza. Ma come ti è venuto in mente di intrufolarti nella tua vecchia scuola, scassinare una finestra e ubriacarti nella vecchia aula di giornalismo? Ti credevo più furba!” La testa le doleva, e la presenza di Dominick non alleviava certamente le sue sofferenze. Anzi le peggiorava. “Nick, per cortesia, non fare tutto questo rumore. Il tuo squittire è a dir poco insopportabile. Torna a rosicchiare il formaggio...” ma il suo cinismo non funzionò. Questa volta non sarebbe bastato a difenderla: aveva proprio bisogno di un principe, o della sua armatura. “Vedi, Veronica, ora che tu sei qui, sotto il mio controllo, io posso frugare a casa tua, nel tuo computer, nel tuo telefono. Posso scavare nella tua vita privata e professionale, e scovare tutto il torbido che di sicuro hai nascosto. E poi incastrarti per bene.” Veronica non si trattenne “Incastrarmi come hai provato ad incastrare Norris più di dieci anni fa? Mettendo delle false prove?” “Se non ne troverò, sì, sarò costretto a farlo. Così tu e il tuo fidanzatino, il signor Kane, sarete fregati una volta per tutte. E io potrò tornare a fare il mio lavoro di federale. E mettere in prigione tutti i criminali” disse compiaciuto. Ma Veronica non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta “Allora dovresti cominciare arrestando te stesso... faresti decisamente un favore all'umanità!”
Aveva esagerato, e bastò lo sguardo di fuoco di Dominick a farglielo capire. Erano soli, lui era atletico e preparato, lei era ubriaca. Sostanzialmente era nei guai. L'agente federale fece il giro del tavolo e le si precipitò addosso. Rovesciò la sedia e con essa Veronica. Poi la sollevò da terra tenendola stretta per i polsi già doloranti. Veronica non provò nemmeno a reagire, non ci sarebbe riuscita. Per fortuna il frastuono aveva attirato l'attenzione dello sceriffo, che si catapultò nella stanza degli interrogatorie assestò un bel pugno in faccia all'agente Patterson, che rimase interdetto per un attimo prima di restituirgli il favore. Lo sceriffo si massaggiò lo zigomo dolorante. Era la seconda volta che lo colpivano quella sera, e la cosa iniziava ad infastidirlo. Estrasse la pistola e la puntò contro l'agente federale. “Grosso errore Patterson. Grosso errore” Dominik sanguinava copiosamente dal naso “Per prima cosa, qui a Neptune il prepotente lo posso fare solo io. Seconda cosa, non si toccano le ragazze”. Si avvicinò e gli assestò un calcio in pieno volto mandandolo bocconi sul pavimento. “Saks, porta questo deficiente in cella.” E poi porse a Veronica la mano “Vieni Veronica, che ne dici di un'aspirina e un po' di ghiaccio?”.


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La giovane donna era ora riversa sulla panca, a pancia in su, una mano poggiata sugli occhi a impedire alla fievole ma fastidiosa luce che filtrava dalla finestra di darle il tormento. Mac era appoggiata con la schiena alle sbarre, le braccia che le cingevano le gambe e la fronte appoggiata alle ginocchia. Anche il suo mal di testa doveva essere piuttosto fastidioso, a giudicare dalla sua reazione all'avvicinarsi di passi frettolosi; la brunetta si premette le mani sulle orecchie. Fece capolino una testa bionda, seguita da un uomo giovane molto agitato. Seguito da uno sceriffo alquanto arrabbiato “Mr Casablancas” urlò Vinnie, subito zittito dalle due prigioniere e dal loro fragoroso “Shhhhhhhh”. Dick approfittò del momento di disorientamento dello sceriffo per abbracciare sua moglie e baciarle la nuca tra le sbarre. Le sussurrò poi all'orecchio “Piccola, a casa ho preparato le manette!”. Poi si alzò e con aria alquanto irritata si rivolse allo sceriffo in carica. “Sceriffo, vorrei sapere di cosa è accusata mia moglie, e per quale motivo si trovi in qui in questo momento. Dietro alle sbarre della sua prigione. Cosa avrà mai commesso di così grave?” Mac nel frattempo si era voltata e gli stringeva la mano. La testa le pulsava ancora, ma la presenza del marito la rasserenava e tranquillizzava. Si sentiva già più sicura. Al contrario Veronica si sentiva sempre più esposta e sola. Per lei non era accorso nessuno, ma la cosa non avrebbe dovuto stupirla. “Mr. Casablancas, la lista delle infrazioni commesse da sua moglie e dalla signorina Mars è piuttosto lunga. Partiamo dal consumo di alcolici all'interno di un edificio scolastico, edificio nel quale sono entrate illegalmente, mentre era chiuso. Hanno addirittura parcheggiato nel parcheggio riservato al preside, se volessimo essere pignoli. E poi c'è stata la resistenza a pubblico ufficiale” concluse, massaggiandosi lo zigomo sinistro, arrossato dopo il pugno ricevuto da Veronica. “Dubito che mia moglie si sia ribellata a lei. Il resto sono solo piccole infrazioni. Sta arrivando il nostro avvocato e dubito che lei troverà motivi sufficienti per trattenere mia moglie qui dopo la vostra chiacchierata.” Dicendo ci strinse ancora più forte la mano della moglie. Poco dopo un volto noto fece capolino. Completo elegante, capelli in perfetta piega. Nulla di strabiliante, visto che era appena entrato Casey Gant. Come se i tuffi nel passato non fossero stati abbastanza in quei giorni.
Casey sorrise a tutti e si bloccò per qualche secondo quando si accorse che la compagna di cella di Mac era proprio Veronica. Erano anni che non la vedeva, dal diploma. Lei era un anno indietro, ma le loro strade si sarebbero divise comunque. Casey era infatti andato a Yale, dove aveva conseguito la laurea in legge in tempo zero. Aveva lavorato per uno studio di New York per un paio d'anni, e poi aveva aperto il suo studio a Neptune. Luogo ideale: poca concorrenza e tanti criminali. Era diventato ricco, più ricco di quanto non fosse, in men che non si dica. A lui si rivolgeva la Neptune per bene, ma non solo. I sui clienti non erano solo 09. Molto spesso seguiva delle cause pro bono, tanto le parcelle che rifilava ai riccastri glielo permettevano!
“Sceriffo, a quanto ho sentito lei non ha nessun motivo valido per trattenere la mia cliente, la signora MacKenzie Casablancas. Quindi, se fosse così gentile da rilasciarla potremmo occuparci delle formalità. Di quanto è la multa? E cosa possiamo fare perché quanto accaduto non compaia nella fedina penale della mia cliente?” Vinnie non parve stupito. “possiamo indubbiamente trovare un accordo. A molti zeri!” aprì la cella e fece segno a Mac di uscire. La ragazza si alzò e chiamò Veronica. Ma subito lo sceriffo la zittì. “Mi dispiace mia cara, l'offerta è valida solo per te. Temo che la signorina Mars dovrà chiamare il suo avvocato.” Mac sembrò esitare. Voleva fuggire da lì, andarsene, recuperare i suoi bambini e stringerli forti, ma non voleva neppure abbandonare la sua migliore amica. “Mac, vai” la incitò Veronica sollevando appena la testa “io starò bene. Mi farò passare la sbornia e poi domani mattina vedrò di uscire da qui. Starmene un po' per conto mio non mi farà di certo male.” Si alzò e la spinse fuori dalla cella. Cella che lo sceriffo si affrettò a chiudere alle spalle della moretta. “Veronica io...” ma non fece in tempo a finire. Perché Dick e Veronica si erano scambiati uno sguardo complice. “Portala dai suoi bambini, Dick. Buona notte Mac.” E con quel commiato il discorso era chiuso.
Veronica si distese nuovamente sul lettino rigido della cella, pronta a passare una notte tutt'altro che confortevole. Mac guardò l'amica con aria triste e mormorò un delicato “Scusa” prima di andarsene con Dick. Casey aspettò che tutti fossero usciti prima di rivolgersi a Veronica. “Ehy, se vuoi posso occuparmi anche di te. Insomma, ti devo molto e Mac e Dick sono tra i miei migliori amici. Non mi costa nulla tirare fuori anche te...” Senza alzarsi dal suo giaciglio, Veronica si voltò e gli sorrise. “Grazie Casey, ma penso che mi farebbe davvero bene stare un po' per conto mio, riflettere, pensare. E poi sto aspettando Cliff, immagino tu lo conosca. Se non si farà vivo o non riuscirà nella missione farò conto su di te. Ripassa di qua domani mattina e ne riparleremo, ok? Ora, ti prego, lasciami dormire.” Il giovane uomo sospirò e uscì salutandola. “Casey, grazie. Eh... buona notte!”.
Il silenzio s'impadronì della cella, e Veronica rimase sola con i suoi pensieri e il suo mal di testa.


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Stava dormendo profondamente e non si accorse che qualcuno era entrato nella cella. Né il cigolare della porta né i passi mascolini erano riusciti a destarla dal suo torpore. Non si accorse degli occhi pieni di tristezza che le esaminarono i polsi e le abrasioni provocate dai recenti scontri con l'agente Patterson; non reagì al tocco leggero e familiare della mano forte e protettiva che le carezzava la guancia. Percepì appena le labbra calde e amorevoli che le baciarono la fronte. Forse perché era distrutta, forse perché conosceva quelle labbra fin troppo bene non ci fece troppo caso e continuò a dormire.
I passi si allontanarono e Logan Echolls uscì dalla prigione di Neptune.


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Non poteva certo urlare, perché i gemelli dormivano sui seggiolini dietro di loro. Però non poteva trattenersi. “Non dovevo lasciarlo lì, maledizione a me” Dick era sconvolto e infuriato. Sconvolto perché sua moglie era stata arrestata. Infuriato con quella stramaledetta della sua migliore amica. Veronica Mars non aveva fatto altro che creargli guai. Certo, non quando Lilly era viva. Allora era tutto diverso. Veronica era solo una ragazzina ingenua e gioviale, tutta pizzi e colori pastello. Magari fosse rimasta così... No. Purtroppo le cose erano cambiate drasticamente il giorno in cui avevano trovato il cadavere di Lilly Kane sul bordo della piscina di casa sua. Nulla era stato più lo stesso. Duncan si era fatto sempre più cupo, Logan aveva accentuato i suoi comportamenti auto distruttivi, Veronica era diventata una strega, la loro compagnia, il loro mondo, si era sgretolato sotto i loro occhi. E Dick aveva cominciato a perdere i suoi più cari amici, anche per colpa di Veronica. Lei e le sue stupide indagini. Giocando a fare la detective aveva messo nei guai più di un paio di 09, esponendoli al pubblico ludibrio, all'umiliazione collettiva. E poi aveva scatenato la sua stupida vendetta, indagando su quanto successo alla festa di Shelly. Era ubriaca e aveva fatto la sgualdrina in giro. Che male c'è? Tutte l'avevano fatto. Non poteva semplicemente accettare il fatto e passarci sopra? No, Veronica Mars affermava che la colpa non fosse sua, e stava cercando un capro espiatorio.
Guarda caso era toccato a Dick rimetterci: la sua tavola nuova da surf e gran parte della sua serenità. E poi tutti quei tira e molla tra Logan e DK... maledizione, erano migliori amici una volta, ma per colpa di quella biondina tutto pepe la situazione era precipitata e i due avevano smesso di parlarsi e di conseguenza di dare feste assieme. In fin dei conti Dick non chiedeva molto: degli amici, un po' di birra, una scusa per spassarsela e qualche ragazza. Perché Veronica Mars aveva dovuto rovinare tutto?
E poi? L'anno dopo, tutte quelle scene, quelle storie. E come al solito doveva essere in mezzo come il prezzemolo. Chi c'era infatti sul tetto del Neptune Grande quando suo fratello Cassidy si era buttato giù dal tetto? Ovviamente Veronica. Cero Beav non era uno stinco di santo: era certamente colpevole. Ma Dick non riusciva a darsi pace: non gli era ancora chiaro cosa fosse successo lassù, su quel tetto, e sia Logan che Veronica erano sempre stati piuttosto vaghi.
Insomma, se condividere gli anni del liceo con quella maledetta nanerottola era stato tutt'altro che una passeggiata, l'università si era rivelata un vero e proprio inferno. Non avendo più Logan come capro espiatorio, il primo anno al college Veronica sembrava aver concentrato tutte le sue energie nel rovinare la vita di Dick. Aveva accusato lui e la sua confraternita, la sua unica casa, di essere degli stupratori. Li aveva perseguitati. Li aveva braccati. Secondo Dick era tutta colpa di Logan: avrebbe dovuto tenerla più occupata di così. Logan, povera anima in pena. Più lei lo maltrattava, più lui le correva dietro. Dick non era mai riuscito a capire cosa ci trovasse il suo migliore amico in una ficcanaso intransigente come lei. E continuava a non capirlo.
“Avrei dovuto trascinarlo con noi, riportarlo a casa. Maledetta Veronica” in quel momento Mac s voltò, irritata “Ti ricordo che stai parlando della mia migliore amica.” Ma Dick non aveva intenzione di darle ascolto. “E che migliore amica. Per colpa di chi sei finita in galera questa sera? Devi solo ringraziare Casey se nulla di tutto ciò uscirà da questo abitacolo.” Mac sospirò. Era stata una serata difficile, ma la discussione che stava per avvenire non poteva aspettare oltre. Dick non aveva la più pallida idea di chi fosse Veronica, ed era il momento di spiegarglielo. “Amore, Veronica non è il diavolo in gonnella. É una persona che ha dei difetti, come tutti. Ma ha anche molti pregi. E soprattutto è una persona che ne ha passate tante, troppe.” Dick guardava avanti. La strada verso casa era ancora lunga, e lo aspettava una brutta conversazione, una di quelle in cui gli conveniva ascoltare e poi, solo dopo aver riflettuto a lungo, avrebbe potuto parlare. Durante quella conversazione, più un monologo della donna che amava ogni giorno di più, capì tante cose. E imparò a guardare a Veronica come ciò che realmente era: una donna fragile e sola.

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Era ormai l'alba. Il cielo si stava schiarendo, quando un taxi giallo entrò nel giardino di casa Casablancas. Dick dal terrazzo lo osservò avvicinarsi. Quando Logan scese dal veicolo, gli fece segno di raggiungerlo. Poco dopo i due giovani uomini sedevano sulle sdraio con una birra fresca in mano.
Restarono a lungo in silenzio a contemplare il cielo oceanico. Poi Dick prese la parola.
“Certo che le nostre donne non ci danno mai un attimo di tregua, eh?!”. Fece tintinnare le due birre e sorrise all'amico. Al suo migliore amico.




Spazio autrice: Lo so, è un po' breve questo capitolo, però avevo bisogno di suddividere così la storia. Dal prossimo meno introspezione e più azione! Manca poco al ballo dei dieci anni dal diploma e ci sono ancora moltissime cose da chiarire!
Grazie della costanza!

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Capitolo 16
*** Logan, parte seconda ***


Logan - parte seconda


Aveva dormito solo due ore quella mattina, tra le sette e le nove. Lui e Dick erano stati in silenzio per un bel po', prima che uno dei due cedesse. Sembrava una prova di forza. Poi Logan era crollato. Aveva augurato la buona notte all'amico e si era trascinato fino in camera lasciandosi letteralmente cadere sul letto senza nemmeno togliersi le scarpe. Nonostante il poco sonno e le emozioni forti del giorno prima, si era svegliato di buon umore, intenzionato a fare di quella che stava per cominciare una giornata proficua. Aveva molto da fare e voleva farlo per bene.
Si levò di dosso i vestiti del giorno prima, e con essi tutte le energie negative accumulate, e si buttò sotto la doccia rinvigorente. Mentre l'acqua calda gli scorreva lungo il torso, si osservò le braccia. Alcune cicatrici si vedevano ancora. Il suo produttore gli aveva consigliato di sottoporsi ad una piccola operazione di chirurgia plastica per rimuoverle, o almeno nasconderle. Del resto era un attore. Se nella vita privata poteva indossare camice e maglie a maniche lunghe, altrettanto non si poteva dire dei momenti in cui il copione imponeva scene a petto nudo. Ma lui non aveva nemmeno preso in considerazione quell'ipotesi, voleva ricordarsi ogni giorno di chi fosse suo padre. Per non diventare come lui. Sorrise e chiuse l'acqua. Sarebbe stata una splendida giornata.
Dopo essersi vestito, scese le scale. Trovò due assonnati genitori, alle prese con la colazione dei gemelli. A quanto pare stavano vincendo i due piccolini, perché cereali e succo erano ovunque fuorché nelle loro pancine. La cucina sembrava più che altro un campo di battaglia. Logan rise, tra sé e sé, osservando Mac e le sue occhiaie e l'insofferenza di Dick per le grida dei bambini. Decise di prendere in mano la situazione.
“Hey, voi due, perché non vi prendete un paio d'ore di riposo in più, vi infilate a letto e ci vediamo per pranzo? Ai piccolini posso pensare io!” Di fronte allo scetticismo muto dei due genitori riprese “Spesso mi occupo dei figli del mio agente di L.A., non temete, erano e sono sempre 3 stupendi bambini dotati di tutti gli arti con i quali sono venuti al mondo. E si sono sempre divertiti un sacco con lo zio Logan.” Le rassicurazioni sembrarono bastare, perché sia Mac che Dick sorrisero, la moretta l'abbracciò e poi entrambi scomparvero senza nemmeno aprire bocca. Ora era solo, con due creature sveglie e affamate. Ci sarebbe stato da divertirsi. Logan si rimboccò le maniche e, rivolgendosi ai due gemelli, disse “Allora, il macello qui l'avete combinato voi. Chi lo sistemerà?! Ci pensa lo zio Logan!!” e i piccoli scoppiarono a ridere.

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Dopo la colazione e la pulizia della cucina, Logan prese i bambini, e li sistemò per terra, costruendo una specie di parco giochi sicuro con i cuscini dei divani. Recuperò i loro giochi dal cesto e glieli mise a disposizione. Poi si armò di telefono e, mentre i piccoli litigavano per un bruco di peluches, si mise al lavoro. Per prima cosa telefonò a Leo. Doveva essere in viaggio, ormai, se non addirittura già arrivato. Compose il numero mentre distrattamente sottraeva il bruco dalle grinfie dei gemelli. Non avrebbero litigato per quel peluches almeno per un pò. Il telefono di Leo squillò un paio di volte prima che il giovane rispondesse “Hey amico, allora questo agente Weiss vale tutta quella strada?” Leo rise all'altro capo del telefono. “Eccome! Ti racconto più tardi. Per ora ti basti sapere che l'FBI sta lavorando per noi. E che anche Veronica ha fatto la sua parte. Angela ha tra le mani un rapporto scritto di suo pugno da Don Lamb ma mai ufficializzato in merito al signor Manning e a sua figlia minore. Potrebbe succedere il finimondo qui, a quanto ho capito.” Logan sorrise, pensando a come Veronica li stesse manipolando tutti, a come avesse pianificato praticamente tutto. Beh tranne l'arresto della sera precedente, forse quello non l'aveva deciso lei. Logan sorrise tra sé e sé e riprese “Perfetto, quindi tra la prescrizione del crimine, la legalità in alcuni stati e queste cose sui Manning, DK potrebbe cavarsela senza perdere figlia e libertà?” “Esatto. Ora stiamo ridefinendo i piani con Angela, perché comunque bisogna trovare Duncan. Sai a che punto sta Veronica con le ricerche?” Logan non voleva mentire a Leo, ma neppure coinvolgerlo in questa situazione. Sarebbe stato molto più complicato se il bel giovane fosse intervenuto con la sua armatura lucente. Logan aveva un piano, e non voleva bastoni tra le ruote. Starò sul vago, decise. “V ha avuto una serataccia a base di tequila e questa mattina non l'ho ancora vista. Appena sarà di nuovo tra noi le chiederò delucidazioni e ti farò sapere, ok?” Speriamo si accontenti, e speriamo che Angela lo riesca a distrarre. “Perfetto amico, salutala anche da parte di Angela. Io forse rientro questa sera, forse domani. Qui abbiamo molto da fare! A più tardi” e così si concluse la prima di una lunga serie di telefonate. Forse finalmente qualcosa si stava muovendo. In tutti i sensi.
Recuperò il computer dal tavolo della cucina senza perdere di vista i gemelli, che ora bisticciando per un sonaglino di legno: non c'era nessuna possibilità che quei due non litigassero, alla fine era il gioco delle parti.
Questo gioco avrebbe permesso loro di misurarsi con il mondo e con gli altri. Essendo gemelli probabilmente avrebbero avuto maggiori difficoltà perché profondamente legati l'uno all'altro: per loro sarebbe stato difficile rapportarsi individualmente con il resto del mondo. Però allo stesso tempo avrebbero avuto qualcuno su cui contare. Sempre. Per Logan quella persona, dopo che la sua famiglia si era trasferita dalla chiacchierona Los Angeles alla più mite Neptune, era stata incarnata dal rampollo di casa Kane. Ogni volta che qualcosa a casa sua andava storto, che suo padre esagerava, che sua madre scopriva tracce di rossetto sulla camicia del marito, che Trina spariva con la carta platino di Lynn, che Logan si ritrovava la schiena dolorante per le troppe frustate; ogni volta che questo accadeva sapeva che avrebbe potuto trovare rifugio nella stanza del suo migliore amico. Tutto era quasi perfetto allora. La sua vita andava così bene che non faceva più caso alla sua famiglia e alla miriade di problemi che essere un Echolls trascinava con sé. Poi Lilly era morta, Veronica si era fatta largo nel suo cuore... l'amicizia tra lui e DK si era sfaldata. E non aveva retto il colpo finale: la fuga di Duncan.
E' dall'ultimo anno di liceo che non ho sue notizie... chissà come sta il mio migliore amico. Chissà che signorina è diventata sua figlia. Chissà se assomigliava a Lilly... Lilly... cosa diresti di tutti noi, adesso? Beh sicuramente qualcosa del tipo “Logan Echolls? Tu saresti il mio ex ragazzo? Ma se sei solo la patetica ombra della persona che io amavo? Andiamo, tirati fuori dal torpore. Vai a comprarti una nuova camicia, magari allegra e vivace. Non sei in vacanza? Se vuoi un consiglio, il giallo ti ha sempre donato un sacco! Eh, Logan, se vuoi riconquistarla, e lo so che lo vuoi, sii uomo!”
Un pianto disperato lo risvegliò dal tuffo nel passato! Jess aveva appena colpito Mat con il sonaglino; o viceversa. Un bel colpo sulla testa. E così il ferito stava piangendo a dismisura. Loga lo prese in braccio e guardò il fratello vincitore con aria di rimprovero. “Dovrete imparare a comportarvi bene, voi due.” Poi, carezzando lo sconfitto gli domandò in tono ironico “Non ci casco, anche tu l'avresti fatto al posto suo. Quindi ricaccia indietro lacrime e moccolo che io non me la bevo.” Sbigottito, il biondino smise di piangere e lo fissò intensamente. No, allo zio Logan non la si faceva tanto facilmente.
Rimise giù il piccolino e accese il computer. Appena il broswere si aprì, digitò “American Airlines” nel motore di ricerca. Poco dopo aveva comprato due biglietti di sola andata per Neptune. Da New York. Ora non restava che informare i titolari dei posti a sedere in prima classe che il giorno dopo avrebbero dovuto prendere un aereo.
I piccoli ora stavano giocando pacificamente, senza mettersi le mani addosso. L'occasione giusta per fare quella telefonata. Compose il numero e attese qualche secondo prima che una delicata ma decisa voce femminile esordisse con un “Pronto?” Erano sempre dieci anni quelli che lo separavano dall'ultima volta che aveva sentito quella voce. Era il ballo alternativo, nella sua suite. I proprietari del Grand non erano stati troppo entusiasti di quella festa, ma la somma a molti zeri li aveva fatti ritornare sulla loro opinione. Al punto da concedere ai diplomandi del Neptune High di tenere lì la loro festa di diploma qualche giorno dopo. Pessima idea. Lei era stupenda, elegante, delicata con quel suo vestito bianco e scollatissimo. L'aveva vista l'ultima volta mentre spariva assieme a Wallace, lasciando Veronica tutta sola. Cosa aveva detto? “Vorremmo restare, ma sai, io non riesco proprio a controllarmi!”. L'aveva rivista la mattina dopo, mentre lei e Wallace sgattaiolavano fuori dall'hotel. Erano le quattro del mattino, e lui era sceso al bar per recuperare un paio di bottiglie di Champagne. Kendall non si faceva mancare nulla. Logan si sforzò di tornare al presente, di portare a termine la sua missione.
“Ciao Jakie. Come stai?” dall'altro capo del telefono il silenzio si fece pesante. Logan proseguì “Forse non ti ricordi di me...” “Certo che mi ricordo di te. La tua voce è sempre la stessa, e la tua presenza in TV, beh ecco non passi proprio inosservato, Logan Echolls. A cosa devo l'onore di questa telefonata?” Era sulla difensiva, e Logan doveva giocarsi bene le sue carte. “Sono io ad essere onorato per il fatto che non mi hai ancora chiuso in faccia il telefono, Jackie. Quindi andrò dritto al sodo, perché non vorrei tirare troppo la corda. Domani tu e Tessa avete un aereo da prendere. Ore 10, JFK. Non mi chiedere perché, lo sai perché. Non proverò nemmeno a convincerti, dato che sai anche perché dovresti proprio prendere quell'aereo. E so che farai la cosa giusta. Perché sei una brava persona.” “No Logan, non lo sono.” lo interruppe lei. Ignorandola Logan proseguì “Hai ancora quel magnifico abito bianco dell'Alt-Prom? Potrebbe essere una buona idea metterlo in valigia. Al resto ho pensato tutto io.” Lei lo interruppe nuovamente “Non a tutto... avresti dovuto prenotare tre posti sull'aereo di domani”.

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Logan doveva ancora metabolizzare l'accaduto. Era una cosa che non aveva previsto. Che nessuno di loro aveva previsto. O anche solo immaginato. Però il mio dovere l'ho fatto: Jackie verrà a Neptune. Quello che accadrà poi non è certo mia responsabilità. O colpa mia. O colpa di nessuno, a dire il vero. Lei e Wallace si confronteranno, parleranno, si chiariranno. Finalmente. E finalmente le sofferenze di Wallace avranno fine. In un modo o nell'altro. Era questo che volevano tutti, no? Che Wallace avesse finalmente la possibilità di andare avanti, una volta per tutte.
Ora non restava che cambiare la prenotazione del volo e chiamare il Neptune Grand per aggiungere un posto letto. Gli bastarono pochi minuti. Poi si avviò verso la cucina. I bambini ora stavano guardando un po' di televisione, concedendogli un del tempo libero. Non che potesse distogliere del tutto l'attenzione, ma almeno aveva la possibilità di preparare il pranzo. Dalla cucina riusciva a vedere bene le due testoline bionde senza perderle mai di vista. Aprì il frigorifero e ne esaminò il contenuto. Bene, c'è tutto quello che mi serve per fare un fenomenale sugo alla Logan per l'allegra famigliola qui, e un paio di panini per me e la mia amica!
E così dicendo si mise ad affettare cipolla, salsiccia e pomodori freschi.
Quel sugo la faceva impazzire. Veronica adorava gli spaghetti fatti così. Saporiti, piccanti, energici. E li preferiva fatti “all'italiana”: la pasta cotta al dente, mica stracotta come la cucinano di solito gli americani. La memoria gli corse all'ultima volta che avevano mangiato gli spaghetti alla salsiccia.

Era una buona giornata. Una di quelle in cui il loro essere due ragazzi cresciuti in mezzo alla violenza non si sentiva nemmeno. Era uno di quei giorni in cui la brezza marina aveva tirato fuori il lato migliore di entrambi. Erano stati al mare, presto. Logan aveva fatto surf da solo, mentre Veronica fotografava lui, le onde, il riflesso dei gabbiani, le ombre sulla sabbia. Non c'era verso di farla salire su una tavola. Anni addietro lui DK e Lilly c'avevano provato. Il risultato era stato pessimo: Veronica era uscita dall'acqua con una vistosa botta sulla fronte. Non era andata a scuola per tre giorni da quanto si vergognava. Da allora lei e le tavole si erano sempre tenuti alla larga. Però quella mattina aveva voglia di stare con lui, di condividere quel momento della giornata per lui tanto importante. Logan si era sentito lusingato da quel gesto. E così erano andati a Crescent Cove, una piccola baia a mezza luna, ci andavano in pochi, e per questo era molto intima. Dopo un paio d'ore di magia sulle onde, Logan era uscito dall'acqua. Era novembre, ormai non faceva più così caldo. Indossava la muta integrale, e il fiato si condensava in dense nuvolette bianche. Veronica si alzò da terra e raccolse la coperta sulla quale era seduta fino a poco prima. Si preparò a riceverlo in un caldo abbraccio. Era così minuta, eppure aveva sempre un atteggiamento protettivo nei confronti delle persone cui voleva bene. Anche se erano molto più alte e forti di lei. Quando la raggiunse, Loan le si buttò letteralmente addosso e si rotolò a terra con lei, tra le sue risate cristalline e le minacce urlate. Veronica era umidiccia e ricoperta di sabbia, come Logan. La baciò appassionatamente. Era così bella. Erano così felici. Lo sarebbero sempre stati. O così sperava. Mangiarono sulla spiaggia, la pasta cotta sul fornelletto da campeggio, sorridenti e felici. Non parlarono del passato quel giorno, e nemmeno del presente. Parlarono del futuro. Veronica confessò che avrebbe voluto fare un internato presso l'FBI quell'estate, che sarebbe stato l'inizio di una scintillante carriera. Logan disse che non sapeva ancora cosa avrebbe fatto da grande, come diceva lui. Però gli piaceva scrivere. Stava seguendo il corso di letteratura e quello di scrittura creativa, e il docente aveva più volte elogiato le sue qualità di scrittore. Una cosa sapeva, che non avrebbe fatto l'attore, per nulla al mondo. Quando lo disse, lui e Veronica si scambiarono uno sguardo complice. Lei sembrava così fiera di lui. Sembrava che non sarebbe finita mai.

Come si sbagliavano, su tutta la linea. Meno di dieci anni dopo non stavano assieme, non erano felici e nessuno dei due era riuscito a diventare ciò che avrebbe voluto diventare.
Ormai era tutto pronto. Logan impacchettò i panini e preparò una pentola d'acqua. Poi recuperò il telefono. Il numero era in memoria da sempre. Dopo due squilli all'altro capo della cornetta, con tono quasi infastidito ma pur sempre divertito, Cliff rispose “Mr Echolls, cosa posso fare per lei oggi?” Logan sorrise. Quell'uomo gli era sempre piaciuto. “Ciao Cliff, sei già stato da Veronica?” Interdetto l'avvocato rispose “Perché dovrei essere andato da Veronica?” Evidentemente la bionda o dormiva ancora, oppure non aveva nessuna voglia che il migliore amico di suo padre sapesse che era stata arrestata. Cavoli, mi sa che ho fatto il mio solito casino. Ormai siamo in ballo... “Cliff, Veronica è stata arrestata ieri sera. Lei e Mac sono entrate al liceo, e sono state beccate armate di una bottiglia di tequila...” Cliff digrignò i denti “...e Veronica, diciamo... non ha apprezzato le manette. Potrebbe aver colpito lo sceriffo.” Dopo alcuni secondi Cliff rispose “Ci vediamo in centrale tra un ora. Ho un appuntamento che non posso rimandare. Riesci ad essere lì prima di me?” “Stavo giusto per andare a vedere come se la cava. Ci vediamo in centrale tra un po'!”
Bene, ne aveva combinata una delle sue. Ma non aveva senso che Veronica non avesse chiamato Cliff per farsi tirare fuori di galera. Sospirò. Non mi lascerò abbattere da questa scemenza. Fino ad ora è andato tutto bene. Questa sarà una buona gornata.
Erano le undici e mezza. Recuperò i gemelli “Bambini, andiamo a svegliare mamma e papà? Che ne dite?” I due urlarono entusiasti! “Si zio Logan, si!!!!”. Li portò su per le scale e aprì la porta della camera da letto dei suoi due amici. I piccoli corsero sul letto e cominciarono a saltare ridendo e gridando. Logan li osservò dalla porta per alcuni secondi, prima di scomparire giù dalle scale. Recuperò le sue cose e uscendo di casa fu accompagnato dalle risate della famiglia Casablancas MacKenzies.

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Scese dall'auto. Le mani gli sudavano. Era teso. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, però una cosa sapeva con certezza. Era ora di voltare pagina, o di provarci, almeno un ultima volta. Se poi le cose non fossero andate come sperava, beh, si sarebbe voltato e se ne sarebbe andato. Avrebbe lasciato in pace il passato una volta per tutte. Avrebbe chiuso quel capitolo e avrebbe guardato solo avanti. Era da un po' che riceveva proposte dall'Europa, e quel continente carico di storia gli era sempre piaciuto. Trasferirsi lì per un po' non sarebbe stata una cattiva idea. Insomma, aveva il suo piano di riserva, ma per ora voleva solo far funzionare il piano A.
Chiuse la portiera della macchina e si avviò verso la centrale dello sceriffo.



Non si aspettava certo di trovarla ancora in branda, ma quello cui andò incontro appena varcata la soglia della centrale lo lasciò a dir poco sbigottito. Veronica era in piedi, lo sguardo glaciale e le manette ai polsi. Fissava con aria di sfida lo sceriffo che, imbarazzato e tentennante, non sapeva bene come comportarsi. Alle sue spalle, l'agente Patterson e il suo occhio nero fissavano la scena con rabbia. Veronica finalmente ruppe il silenzio “Mi potreste gentilmente riportare in cella? Non ho intenzione di condividere la stessa aria di quest'uomo. Sceriffo, allora?” Non aveva nessun senso quello che stava succedendo. Perché Veronica vuole tornare in cella? Perché Patterson non è ammanettato? E perché lo sceriffo sembra così in imbarazzo? Una voce nota interruppe il filo dei pensieri di Logan. Era Casey. “Veronica, ragiona, lo sceriffo vuole capire quali siano le tue intenzioni...” “Casey, grazie, ma non ho bisogno del tuo aiuto. So quali sono i miei diritti e non mancherò di esercitarli, solo non adesso. Voglio vedere quel viscido cuocere lentamente sulla brace, domandarsi cosa ne sarà della sua carriera, o meglio, cosa ne farò io della sua carriera. Per il momento i tuoi servizi in quanto avvocato non sono richiesti, sei libero di andartene.” E si sedette “Veronica...” “Casey, se Cliff non si farà vivo entro questa sera, ti chiamo io domai, ok? Adesso però vattene. Fidati di me.” Il giovane recuperò la valigetta e si avviò all'uscita. Veronica lo seguì con lo sguardo fino ad incontrare gli occhi di Logan. Si fissarono brevemente, poi lei abbassò lo sguardo arrossendo al ricordo delle carezze e dei baci della sera precedente. Non le erano dispiaciuti anzi. L'avevano solo colta impreparata. Si sentiva una ragazzina!
A quel punto Logan non sapeva proprio come interpretare quanto era accaduto: Veronica che restava in prigione, che lo guardava con quei suoi occhi languidi e profondi. Era davvero disorientato da quella situazione al limite del reale. Spostò lo sguardo su ognuna delle parti in carica. Patterson sembrava quasi terrorizzato dopo l'ultima sparata di Veronica. Evidentemente la biondina aveva in mano qualcosa di concreto e pericoloso. Distruzione reciproca assicurata, uno dei classici della giovane detective. Nick aveva esagerato e ora avrebbe pagato, lo sapeva. Vinnie al contrario aveva l'aria del bambino stupido e sconvolto. Quello che stava accadendo non aveva alcun senso per lui, perché avveniva ad un livello per lui incomprensibile. Era un gioco al quale non avrebbe potuto giocare. Poi lo sguardo di Logan tornò su Veronica. Gli ricordò la Veronica della quale si era innamorato. Quella Veronica forte e fragile, delicata e adamantina. Guardava i due uomini con un'espressione di soddisfazione e scherno. Aveva vinto lei. Li aveva in pugno. Poi si volse verso Logan. L'imbarazzo dello scambio di sguardi di poco prima era svanito, dietro alla solita maschera. Però negli occhi di Veronica Logan lesse anche il bisogno di aiuto. Lei non distolse lo sguardo e lui all'improvviso capì quello che lei gli stava chiedendo. A loro bastava davvero poco per capirsi.
Decise quindi di intervenire. Indossò il suo sorriso migliore e alzando il sacchetto con il pranzo per lui e Veronica esclamò a voce alta: “Sceriffo buongiorno!” Tutti si voltarono, ad eccezione di Veronica che lo fissava già da un po'. “Mr. Echolls, buongiorno a lei!” Rispose Vinnie “A cosa devo la sua visita?” Logan si avvicinò allo sceriffo e gli strinse la mano. Poi si spostò dietro veronica e le poggiò la mano sulla spalla. “Avrei portato il pranzo alla nostra galeotta. Posso farle compagnia mentre mangia?” Vinnie parve interdetto. Ci pensò un po' e poi acconsentì. Saks controllò il sacchetto e non trovando nulla di pericoloso aprì la stanza degli interrogatori. Veronica, prima di entrare, gli sorrise e gli porse i polsi. Saks si guardò intorno alla ricerca del suo superiore che annuì. Veronica avrebbe potuto mangiare con le mani libere. Prima che entrassero lo sceriffo si raccomandò “Fate i bravi, ragazzi...” e chiuse la porta alle loro spalle.



Non aspettò nemmeno di sedersi “Non pensavo che ti avrei rivisto così presto dopo tutto quello che ci siamo detti... ieri...”. Non lo stava guardando. Veronica sembrava preferire la punta delle proprie scarpe. “Quello che ci siamo detti... ieri... non ha molta importanza rispetto a questo. Tu in galera? Troppo bello per essere vero! Ho sempre apprezzato l'eleganza con la quale riesci a indossare le manette!” e detto questo, Logan smorzò definitivamente la tensione tra loro. “Ti ho portato il pranzo, immagino che i poliziotti non ti stiano nutrendo a dovere.” Ed estrasse due panini farciti all'inverosimile. Veronica si fiondò sul più vicino che Logan teneva ancora in mano. Quando la bionda fu a portata, il giova sollevò il braccio, come fanno i bambini. Veronica lo squadrò, tra l'arrabbiato e lo stupito. “Io ti do il panino e tu mi dai qualche minima spiegazione. OK?” Lei sbuffò “Affare fatto. Hai vinto solo perché sei alto e io sono piccola... me la pagherai Logan.” Ma non era veramente arrabbiata.
Consumarono il pasto in silenzio, sorseggiando un po' di coca-cola da una lattina. Poco dopo sul tavolo erano rimaste solo le briciole dei due abbondanti panini. Veronica allungò le gambe e si stiracchiò. Logan la fissava sorridendo ma con risoluzione. “Va bene” disse la ragazza “Ora tocca a me. Risponderò alle tue domande al meglio che posso. Ciò che non ti dirò non dipende da me, quindi ti sarei grata se lo potessi accettare.” “Va bene, mi sembra equo” rispose lui. Dopo alcuni secondi di silenzio pose la prima domanda “Perché sei tornata a Neptune proprio adesso?” “Lavoro, Logan. Lavoro. Dovevo fare delle indagini.” “E le hai fatte?” “Si, anche se non so ancora perché le sto facendo.” Lui annuì. La risposta era vaga, ma aveva deciso che si sarebbe accontentato. “Posso chiederti per chi stai lavorando?” “Si, puoi chiedermelo, ma io non ti risponderò. Non posso farlo.” La delusione comparve sul volto del giovane. OK, passiamo alla prossima e speriamo in qualche delucidazione in più pensò il giovane uomo.
“A che punto sei con le ricerche di Duncan e di sua figlia?” Veronica sorrise amichevolmente “Diciamo che sono ferma a dove ero quando ho cominciato."Dopo un lungo momento di silenzio riprese. "Sai come l'ha chiamata? Lilly...” Il suo sguardo era tenero, ma mascherava sentimenti profondi e contrastanti. Gli stava nascondendo qualcosa, ne era certo. “Mi puoi dire altro su Duncan?” “No. Perché non c'è altro da dire.” Rimasero a lungo in silenzio.
Silenzio che Logan interruppe. “Perché sei ancora qui?” Veronica parve non capire, così Logan spiegò “Qui in prigione, intendo. Avresti potuto essere già uscita, soprattutto dopo quello che ha fatto quell'idiota di Nick.” “Perché è qui che voglio essere, a smuovere le acque e concentrare l'attenzione su di me. Voglio che pensino solo a me e al perché sono qui invece che fuori, voglio che si domandino se ho rubato delle prove, carpito delle informazioni. Voglio che il loro cervellino bacato si concentri così tanto da impedirgli di guardare oltre il loro naso.”
“Ma allora era parte de tuo piano finire in galera?” Veronica rise, di una risata amara e un po' triste. “No, ma è stato un ottimo spunto. Devo restare qui il più a lungo possibile a litigare con Vinnie e Patterson. Per questo non voglio un avvocato. Per questo ho mandato via Casey...” Logan abbassò lo sguardo. “Su questo punto del tuo piano potresti avere delle difficoltà. Scusa Veronica, ho chiamato Cliff.” La ragazza rimase a bocca aperta. “Tu hai fatto cosa? Maledizione Logan... Cliff non deve venire qua, ha altri impegni...” si stava scaldando. Logan la rimbeccò “Se tu ogni tanto parlassi con gli altri invece di tenerli all'oscuro” I toni si stavano facendo roventi. Erano i toni che erano soliti utilizzare. Logan si calmò, alzò le mani in segno di pace e riprese. “Scusa Veronica, non sapevo. Adesso lo chiamo...” Lei rimase davvero stupita da Logan e dal suo comportamento. Era così calmo, razionale. Così maturo. “Scusa tu, sono e rimango un'individualista. Non importa, avere Cliff qui può non essere così negativo. Quello che doveva fare lo può fare anche qualcun altro. Anzi... Potresti farlo tu. Cliff ti dirà tutto, qui io non posso.” tacque per un po'. “Altre domande?” “Ne avrei ancora molte, ma dubito che mi risponderesti.” In quel momento entrò Cliff. Li guardò con aria di rimprovero. Poi si rivolse a Logan “Grazie Logan, per tutto. Da adesso però ci penso io. OK?”
Logan si alzò. “Aspetto una tua chiamata più tardi, ok Cliff? Veronica... stai bene. A domani?”
Lei gli sorrise. “Grazie Logan. A domani.” E il giovane uscì dalla stanza degli interrogatori lasciando Veronica nelle esperte mani di Cliff.

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Uscito dalla centrale andò al bar che si trovava dall'altro lato della piazza. Ordinò un caffè ed estrasse il cellulare dalla tasca. Compose il numero di Wallace. "Ciao amico" rispose il giocatore di basket "Come va?" "Bene" rispose Logan. Non aveva intenzione di distrarre Wallace da ciò che stava per accadere con la notizia dell'arresto di Veronica. Il loro comune amico avrebbe avuto ben altre gatte da pelare nelle ore successive. "Ti chiamo per chiederti un favore. Domani mattina sarei dovuto andare all'aereoporto di San Diego a prendere la mia accompagnatrice per il ballo. Purtroppo ho un impegno improvviso con il mio produttore. Irrevocabile. Parliamo di numeri a otto cifre. Non è che..." "Ma certo, dimmi a che ora devo essere lì" "Alle 11. L'aereo arriva da New York. Grazie amico, spero di poter ricambiare." "Ma figurati!" Rispose Wallace.
Meno uno. Ancora due telefonate. Poi spiaggia, surf, relax per il resto della giornata. Il pensiero lo fece sentire meglio.

Il telefono suonò a vuoto. Per un bel pò. Poi partì la segreteria. "Qui Leo, lasciate un messaggio" Banale, pensò Logan, memore dei suoi messaggi in segreteria. "Leo, V non si è scucita. Ma sa qualcosa. Chiamami!"
E meno due.

Compose il numero. Una cornetta si alzò. Voci di bambini. "Hey amico, favoloso il sugo. E grazie per l'aiuto!" "Figurati Dick, questo ed altro per un amico. Surf? Crescent Cove tra mezz'ora?" "Non mancherò", rispose il biondo con entusiasmo.

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Era appena salito in macchina quando ricevette un messaggio. Era di Cliff. “Sunset Cliffs Apartments, appartamento 101, ore 19. Procura la cena per tre”. I suoi piani sarebbero dovuti cambiare un pò.
Una cosa non capiva. Perché Cliff lo facesse andare a casa di Veronica?


Spazio autrice: A breve distanza. Ero ispirata!
Buona lettura





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Capitolo 17
*** Questione di Lilly e di fiducia ***


Questione di Lilly e di fiducia


Eli Navarro aveva passato gran parte della sua vita a impartire ordini. Era stato capo di una banda di motociclisti, che diamine. Aveva fatto grandi cose con loro. Era stato un grande capo. Pendevano tutti dalle sue labbra, e lui era fiero di sé e del suo ruolo. Nessuno aveva mai osato mettergli i piedi in testa. Almeno fino al giorno in cui una famosa biondina aveva mostrato al mondo intero che anche il capo dei PCHeras poteva essere messo sotto torchio. Tutto per uno stupido scambio. Da allora il suo potere aveva cominciato a vacillare sempre di più.
Ogni volta che lei inclinava la testa, lui perdeva un po' del controllo sulla sua banda. Poi un giorno si rese conto di averlo perso del tutto. Era accaduto dopo la morte di Felix: a causa del calcio di Logan, per il quale il rampollo degli Echolls non avrebbe mai pagato abbastanza, Weevil non era stato presente su quel ponte durante il pestaggio, e i suoi cominciarono ad escluderlo dalle loro vite e dalle loro azioni. Thumper si era gradualmente sostituito a Weevil e alla fine l'aveva escluso, facendo affondare la sua moto nel canale. Eli aveva quindi scoperto un mondo nuovo, nel quale lui non comandava nessuno e doveva guadagnarsi i suoi spazi con le proprie azioni e le proprie scelte. L'ingresso di quell'intrigante biondina nella sua vita l'aveva profondamente cambiato, costringendolo a una nuova presa di coscienza. Le responsabilità non sono opzionali, nel bene e nel male.
Però, nonostante avesse dismesso la giacca di pelle e gli anfibi da biker, non aveva perso il vizio. Con la storia delle tessere studentesche aveva racimolato un bel gruzzoletto, abbastanza cospicuo da permettergli di iscriversi alle scuole serali e ottenere finalmente il tanto ambito diploma. Insomma, aveva cercato di redimersi, anche se con soldi sporchi. E poi aveva dato una svolta reale alla sua vita quando aveva conosciuto Parker. Quella ragazza aveva compiuto il miracolo. La sua fresca ingenuità, il suo essere così solare e entusiasta della vita, il guardare sempre al alto positivo... Eli non era mai stato così, eppure lei riusciva a fargli vedere il mondo attraverso nuovi occhi. Quelli di una ragazza che viene da Denver e vuole una vita entusiasmante e carica di aspettative. E da quel giorno anche l'ex capo di una delle peggiori bande di Neptune non aveva smesso di vedere il mondo attraverso dei vistosi occhiali rosa!
Comunque l'incontro più importante della sua vita era stato senza ombra di dubbio quello con Veronica Mars. Fino al giorno in cui Eli e i PCHeras avevano legato un impaurito Wallace al pennone della scuola, Eli non aveva fatto troppo caso a quella biondina scialba e sempliciotta. A lui interessavano prede di altro calibro, perché accontentarsi degli scarti quando poteva avere Lilly Kane, la più ambita e desiderata studentessa del Neptune High?
La loro storia non era mai stata ufficiale. Nessuno aveva mai saputo, ad eccezione di Veronica. Forse Logan sapeva, forse no. Era cominciato tutto per caso.
Lilly aveva beccato Weevil quando, durante la lezione di letteratura, la scrutava di sottecchi. Lo sguardo languido e provocatorio di Lilly l'aveva quasi fatto arrossire, poi l'uomo che era in lui era emerso prepotentemente e le aveva fatto l'occhiolino. Lilly non aveva abbassato lo sguardo: aveva continuato a fissarlo, e a fine lezione l'aveva aspettato. Gli aveva sorriso e se ne era andata con fare provocatorio. Era cominciato tutto così. Lilly era così. Da quel giorno avevano cominciato a vedersi di nascosto. Lui si era spesso intrufolato a casa Kane, la sera tardi. Si era infilato in camera di Lilly, dove lei lo aspettava sveglia e ben poco vestita. Lei gli aveva inviato messaggi segreti, invitandolo ad appuntamenti impossibili. Avevano fatto l'amore la prima volta nel garage dello zio di Eli, una sera afosa di fine maggio, sul retro di una Biuik pronta per la demolizione. Con una come Lilly per le mani come avrebbe potuto accorgersi dell'apparentemente insignificante Veronica Mars, così precisa, controllata, perfetta? Una il cui unico aspetto interessante era essere la figlia dello sceriffo? Infatti non aveva mai fatto caso a lei fino alle vacanze di natale dopo la morte di Lilly.
Le voci che circondarono l'insulsa biondina dopo la festa di Shelly Pomroy attirarono l'attenzione di molti, ed Eli era tra quelli che si domandavano quanto di vero ci fosse in quei racconti. Al ritorno dalle vacanze Veronica si era presentata a scuola in una nuova veste. I suoi lunghi capelli avevano lasciato posto ad un taglio corto e aggressivo; i vestiti di pizzo a jeans e felpe deformi; le delicate ballerine a mascolini anfibi. Ma soprattutto c'era qualcosa nello sguardo della nuova Veronica che li aveva lasciati tutti spiazzati. Era qualcosa di indecifrabile, di impalpabile, di così distante dalla ragazzina che era stata, che molti non riuscivano a interpretarla. Weevil l'aveva capito dopo molti anni: era la rabbia di un animale ferito, era la sicurezza del predatore, era la voglia di rivincita e vendetta. Pochi si sarebbero salvati, poco ma sicuro. E così era stato.
Piano piano quella biondina si era fatta strada nella vita di Eli, e i due avevano sviluppato un rapporto simile all'amicizia, anche se molto diverso. Si scambiavano favori, certo, si aiutavano... ma la componente sincerità non faceva parte di questo loro strano legame. Se dovevano si mentivano e si ingannavano reciprocamente, e in realtà nessuno dei due si fidava completamente dell'altro. Però si erano dati tanto in termine di affetto, stima e insegnamenti. Veronica aveva imparato a gestire chi era abituato a comandare avendo a che fare con lui; Eli aveva imparato a non essere sempre “quello che sta sopra”. E la lezione gli era servita un sacco, soprattutto nel suo lavoro. Rispettare le gerarchie, gli ordini, non mettere in dubbio chi ne sa più di te erano stati i suoi punti di forza in ospedale e sulle ambulanze. Altrettanto lo erano il suo essere deciso e risoluto, il suo saper prendere decisioni in fretta e soprattutto la sua capacità di autista, cose che aveva imparato nella sua vita precedente, quella da capo di una banda locale di motociclisti.
Insomma, il suo era stato un percorso irregolare e travagliato, con continui e ripetuti cambi di rotta. Ma ora tutto sembrava filare liscio, essere a posto. Era felice: aveva un lavoro, aveva una donna, aveva una casa. Stava pensando di chiedere a Parker di sposarlo, e lei magari avrebbe detto di si. Insomma, la sua vita sembrava aver trovato la rotta giusta.
Poi un bel giorno il telefono squilla, e dell'altra parte c'è lei. Sentirla gli provoca una certa emozione, come sempre, al confine tra fastidio e gioia.

“Hey”. È la bionda all'altro capo del telefono a parlare “Hey a te”. Silenzio. Nessuno dei due ha intenzione di fare la prima mossa. Nessuno dei due vuole mostrare il fianco. Eli è roso dalla curiosità, ma non ha intenzione di cedere. Per un po' ascolta le interferenze e il respiro sommesso e tranquillo della sua ex compagna di scuola. “Come stai Eli?” È di nuovo lei a rompere il silenzio. Perché? “Bene, grazie. E tu, Veronica?” Convenevoli “Bene grazie. Parker?” “Sempre la solita. All'asilo è la maestra preferita da tutti i bambini...” parlare della sua donna lo fa sentire più sereno, più tranquillo. Poi ritorna in sé e sprofonda nuovamente in un silenzio muto ma carico di aspettative. Dopo alcuni istanti è di nuovo l'investigatrice a parlare. “Ti ricordi che mi devi un favore?” “Non eravamo pari?” risponde lui, accigliato ma divertito. Gli è sempre piaciuto giocare al ribasso con Veronica. Peccato fosse quasi sempre lei a vincere. “Nemmeno lontanamente. Mi dovrai favori per tutta la vita: è solo grazie a me se stai con Parker. In primo luogo perché ero io a conoscerla, e poi perché lei e Logan si sono lasciati a causa mia. Quindi direi che non saremo mai... pari...” Ecco. Anche questa volta aveva vinto lei. “Cosa vuoi Veronica?” rispose l'ispanico sbuffando “Non essere così scorbutico, Eli, sai che ti preferisco quando sorridi” Aveva capito di aver il coltello dalla parte del manico, quindi ora la sua voce era rilassata e sicura. Probabilmente aveva appena messo i piedi sulla scrivania. Weevil poteva immaginarsela. “Ho bisogno di una mano, di una grossa mano. Devo venire a Neptune e ho bisogno di un amico fidato ma con un po' di polso e le giuste conoscenze.” “Veronica, sai che io sono uscito da certi giri. Non passo nemmeno più a trovare mio zio all'auto rimessa. Temo di non essere io quella persona.” lei rise all'altro capo del telefono. “Non ho dimenticato che ora sei lindo come il culetto di un bambino, ma tu sai come muoverti... con discrezione. Ho bisogno che tu faccia due cose per me, e tu sei la persona giusta in primo luogo perché posso fidarmi di te. Io non potrò farle perché avrò gli occhi di tutti puntati su di me. Nessuno si accorgerà di te, anche perché ormai sei un cittadino modello. E poi avrai le spalle coperte dall'FBI. Angela Weiss, una mia carissima amica ha le carte giuste da giocare e farà la sua parte. Le sue parti. Saremo noi tre, solo noi tre a conoscere il piano. Gli altri? Semplici pedine che serviranno allo scopo. È importante che nemmeno Parker sia a conoscenza di quello che stai facendo, ma sarà facile distrarla con il ballo in arrivo...” “Hey, vacci piano V, non starai dicendo che la mia ragazza è superficiale?” “No, Eli, sto dicendo che se farai quello che ti chiedo potrai comprare un bel diamante da metterle alla mano sinistra proprio per il grande ballo al Neptune High...”


L'aveva già convinto all' “hey”, ma quel piccolo incentivo non aveva fatto male.
Weevil stava ripensando a quella strana telefonata mentre guidava verso la stazione dei treni di San Clemente. Era una giornata calda e soleggiata. Era già stato a San Clemente, assieme a Parker, un paio d'anni prima. Avevano fatto il bagno in una spiaggia molto intima lungo la costa settentrionale. Gli sarebbe piaciuto sposarla in spiaggia. Sua nonna sarebbe stata fiera di lui. Con l'immagine di Parker, il profumo della sua pelle, il suono della sua voce in mente, Ely guidava verso l'ultima parte della sua missione. Una volta tornato a Neptune sarebbe andato alla gioielleria in centro. Aveva già trovato l'anello di fidanzamento giusto. Lilly l'avrebbe trovato troppo semplice, ma appena vi aveva posato gli occhi sopra Eli Navarro si era reso conto che era l'anello perfetto per la donna della sua vita, per Parker.


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Mac era appena uscita dalla doccia. Si era finalmente ripresa, ormai era pomeriggio inoltrato. Aveva appena ricevuto una telefonata da Veronica. Aveva bisogno che Mac le portasse un po' di cose: i suoi documenti, un cambio d'abiti, delle scarpe comode. Mac si era buttata sotto la doccia in fretta e furia: voleva essere presente per la sua amica. Insomma, aveva un'avversaria temibile contro cui combattere. Anche se era morta.
Insomma, il leggendario quartetto composto dai Kane, da Veronica e da Logan era qualcosa di epico, e Lilly e Veronica erano l'immagine perfetta delle amiche ideali. Sempre assieme, inseparabili, viziate e ricche, stupende. Tutti le invidiavano. Tutti volevano essere come loro. Al tempo dei fab four Mac e Veronica nemmeno si conoscevano, vivevano su piani diversi. Mac vedeva le due bionde camminare lungo i corridoi, le osservava vivere la loro vita perfetta in un mondo perfetto. Come poteva lei sostituire Lilly Kane tra gli affetti di Veronica? Se lo era domandato tante volte nei primi anni della loro amicizia. Poi un giorno si erano confrontate e Mac aveva capito.


“Veronica, come è stare dall'altra parte? Insomma, me lo sono chiesta molte volte, dal momento che avrei potuto essere la figlia dei Sinclaire, vivere in una bella villa, avere tutto... sempre...” Era l'estate del diploma. Mac era in cura da un analista che le aveva suggerito di affrontare i suoi problemi e confrontarsi con le sue paure. Essere stata scambiata con Madison Sinclaire alla nascita era uno dei suoi incubi ricorrenti. “Insomma, mi sono sempre chiesta... sarei stata anche io così... cattiva? Insomma, i soldi e la ricchezza avrebbero potuto corrompere pure me?”
Veronica l'aveva squadrata. “Tu? Saresti stata perfetta come sei adesso a prescindere dalla famiglia nella quale saresti cresciuta. Madison è Madison... prendi ad esempio me. Quando io ero una di loro, insomma, ero molto più ingenua e candida di ora! Insomma, in realtà è più una questione di persone e caratteri. Lilly era una regina, se fosse nata in un'altra epoca il ruolo di nobildonna sarebbe stato suo! Così civettuola, capricciosa... ogni tanto mi domando se saremmo amiche oggi. Se io e lei riusciremmo ad andare d'accordo nonostante le... differenze. Di sicuro non potrei più fidarmi di lei dopo tutto quello che è successo. Cioè... lei e Aaron... io ero la sua migliore amica e non ne sapevo nulla. Come è possibile? Mi sono sempre chiesta se me l'avrebbe mai detto, della loro relazione intendo. E la risposta che mi sono sempre data è no. La nostra era una grande amicizia, epica la definirebbe Logan, ma per le persone che eravamo allora, non per ciò che sono diventata.” Mac non capiva perché Veronica stesse dicendo quelle cose a lei. “Sai, Mac, Lilly era incostante, lunatica, viziata, capricciosa. Era una persona sulla quale non si poteva contare. Non come te. Di te so che potrò sempre fidarmi.”

Nonostante quelle parole Mac si era sempre sentita a disagio. Il confronto con Lilly la spaventava. Però una cosa le era chiara: Veronica era molto arrabbiata con Lilly. Era arrabbiata perchè l'aveva lasciata sola, perché le aveva nascosto la verità. Forse la incolpava anche di tutto quello che le era successo: l'esclusione, la solitudine, forse anche lo stupro. Lilly sapeva che Veronica era forse figlia di Jake Kane, eppure non aveva condiviso questo segreto con lei. Lilly stava con Aaron e con Eli e non l'aveva confessato alla sua migliore amica. Ma soprattutto Lilly era morta per una cosa stupida, e questo Veronica sembrava non averlo ancora perdonato all'amica. Mac si domandò se dopo tanti anni Veronica avesse fatto pace con il proprio passato o meno.
Mac recuperò le cose di Veronica e salì in macchina, diretta alla centrale.


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Era una vera seccatura, trovarsi lì assieme a Madison e a Gia. Con loro aveva scambiato poche parole durante il liceo, e adesso si trovava a lavorare con loro gomito a gomito da un mese. Maledetto Clemmons che l'aveva convinto a fare da presidente del comitato organizzativo del ballo di beneficenza. Non l'avrebbe mai fatto se avesse saputo chi erano gli altri membri del consiglio. In un primo momento si era sentito onorato dell'incarico assegnatogli. Clemmons l'aveva lusingato “Sarebbe bene che una personalità del suo calibro e del suo infallibile gusto fosse presente all'organizzazione”, aveva aggiunto che era importante “non dimenticare la componente maschile”. Dopo che Wallace aveva accettato però il discorso era cambiato. Le parole più ricorrenti nel vocabolario del preside erano “dirimere”, “mediare”, “pazienza”. Fu allora che aveva capito di essere stato incastrato. Wallace si era trovato tra due fuochi. E che fuochi.
Tra le due c'era stato attrito fin dal liceo. Gia aveva avuto un mezzo flirt con Dick, che Madison aveva sempre considerato sua proprietà. D'altro canto, Gia, che veniva dalla grande metropoli e da una vita scintillante e grandiosa, aveva trovato lo snobbismo di Madison non solo di cattivo gusto, ma molto provinciale.
Ora Madison era una pluri divorziata con un conto in banca a molti zeri e l'aspetto e l'atteggiamento di una quarantenne. Gia Goodman era tornata alla bella vita mondana della sua prima adolescenza. Si era trasferita a New York dove aveva studiato moda. Era stata indossatrice prima e stilista poi. Il suo conto in banca non aveva nulla da invidiare a quello di Madison. Però Gia l'aveva riempito con il suo lavoro, non con alimenti e clausole prematrimoniali. Per questi ed altri motivi le due non potevano sopportarsi. E Wallace Fennel non poteva sopportare nessuna delle due. Non vedeva l'ora che venerdì arrivasse per poter chiudere questo triste capitolo della sua vita. Mancavano all'incirca una trentina di ore alla fine di questa tortura.
Un grido acuto lo risvegliò dai suoi pensieri. Si trovava nella sua vecchia palestra, seduto sulle gradinate. Il pavimento era ricoperto da un tappeto protettivo di gomma, i tecnici stavano montando le luci e provando l'impianto stereo. Le due donne si trovavano dall'altro lato della palestra, ma si stavano avvicinando. Entrambe con le labbra serrate e i pugni chiusi. Le lunghe gambe di Gia le permisero di raggiungere le gradinate prima dell'avversaria. “Wallace, non devi dare retta a questa pazza. Come può pensare che il rosa sia il colore giusto per lo sfondo delle fotografie di coppia? Già l'arco con i glicini è pacchiano, ma il rosa confetto? Il rischio è di rendere tutto troppo... zuccherino! Diglielo anche tu” Nel frattempo anche Madison era arrivata. Imbronciata e pronta alla guerra. Wallace le guardò con attenzione e ripensò a chi avesse dato ragione la volta precedente. Non c'erano dubbi, era il turno di darla vinta a Gia. “Penso che un colore scuro, magari marmorizzato o sfumato potrebbe salvare il tutto dal risultare troppo... kitch?!?” e squadrò Mirs Sinclaire Cole Watson con uno sguardo tutt'altro che accondiscendente. Solo 30 ore, pensò Wallace disperato.
“E va bene, ma non voglio che si pensi che l'ho data vinta a questa sciacquetta incapace di trovarsi un marito.” Gia stava per ribattere, ma Wallace la interruppe. “Pensate che sia il caso di fare un discorso o qualcosa su Lilly e Duncan? Del resto lui avrebbe dovuto diplomarsi con noi e lei era... insomma... Lilly...” Gia lo squadrò imbarazzata. “Io non ho praticamente conosciuto nessuno dei due. Lei era già... morta quando sono arrivata. E Duncan è scappato poco dopo... Non me la sento di esprimere una posizione...”
Madison alzò gli occhi al cielo e irritata prese la parola. “Quei due hanno avuto abbastanza attenzione nella loro vita, non hanno certo bisogno che noi li ricordiamo anche domani sera. Se entrambi si fossero tenuti addosso i pantaloni sarebbero qui a festeggiare con noi...” E detto questo chiuse la questione. Wallace era scioccato. Quella donna poteva essere davvero senza cuore.
Si allontanò dalla palestra, cercando rifugio all'esterno della scuola. Si ritrovò davanti alla fontana dedicata a Lilly. Non aveva mai avuto l'occasione di conoscerla, e si era spesso domandato come fosse la migliore amica di Veronica, la ragazza che aveva rivoltato al vita di tutti loro, la detentrice dello scettro sociale del Neptune High, la reginetta del ballo, la ribelle erede della più importante famiglia della città.
Veronica non gli aveva mai parlato a lungo della sua amica, ad eccezione di qualche mese prima. Era il 3 ottobre del 2013. Veronica si era presentata a Neptune senza avvisare nessuno. Aveva bussato alla porta di Wallace e gli aveva chiesto di accompagnarla al cimitero.

“Perché l'hai chiesto a me e non a Mac o a tuo padre, V” Wallace stava guidando, veronica fissava il panorama. “Perché tu non l'hai mai conosciuta. Perché tu sei immune al potere che Lilly ha sempre avuto su tutti coloro i quali posavano lo sguardo su di lei. Perché l'unica idea che hai di lei è quella che ti sei fatto sentendoci parlare. Perché tu sei il mio migliore amico.” Il silenzio era nuovamente calato tra loro. “Perché mi fido di te e so che rispetterai ogni mia decisione”.
Erano arrivati. Scesero dalla macchina. “Accompagnami, ti prego” gli disse la bionda. “Vuoi sapere chi era Lilly?” Gli domandò, mentre procedevano tra le lapidi grige. Era una giornata tiepida e soleggiata. Non era una giornata da cimitero e lacrime. “Molti di diranno che Lilly era meravigliosa, stupenda, vivace, divertente, estroversa... una vera dea, una regina. Sfavillante, energica, simpatica, divertente. Ma sai la verità? Lilly era questo, indubbiamente, ma vedi esistevano alcuni aspetti di Lilly che sono come svaniti nel nulla, che tutti hanno deciso di ignorare perché è morta. E dei morti non si può parlare male.” Erano arrivati alla tomba. Veronica non aveva dei fiori né candele, solo se stessa e tutto l'affetto che provava per quella che era stata la sua più cara e intima amica. Sorrise alla fotografia che i suoi genitori avevano scelto. Non la rappresentava nemmeno lontanamente. Lilly indossava una camicia accollata, un girocollo di perle e aveva i capelli raccolti. Per fortuna altri avevano pensat di ricrdarla per quello che era. La lapide era costellata di fotografie di Lilly in costume, che faceva le boccacce, che mostrava le gambe. C'era anche una foto di loro quattro, i fab four, al ballo. Veronica raccolse la fotografia, la osservò per un lungo momento poi la ripose da dove l'aveva presa. "Sai Wallace, Lilly era la più grande egoista che sia mai apparsa sulla faccia della terra. Voleva e doveva essere la protagonista indiscussa in ogni situazione. Splendente, eccome. Ma nessuno doveva eclissare il suo splendore. Chi alzava troppo il tiro doveva essere rimesso in riga. La gerarchia? Rigida e indiscutibile. E ad assegnare i ruoli ovviamente era Lilly... prendi Madison. Ha osato pestare i piedi a Miss Kane e... puff è sprofondata nell'oblio per mesi. E sai cosa aveva fatto? Aveva osato contraddirla in pubblico.”
Fissarono in silenzio la lapide. C'erano dei mazzi di fiori, delle corone. Era ormai pomeriggio inoltrato, evidentemente in molti erano passati di lì. C'era una corona di gigli bianchi accompagnati da un nastro dorato. Recitava “Alla nostra adorata figlia”. Evidentemente i Kane erano stati sulla tomba della figlia. Un mazzo di rose rosse, chiaramente un dono di Logan. Una rosa rosa ed una fotografia, dono di Weevil. E poi molti altri fiori, mazzi, bigliettini. C'erano decine di candele, fotografie, pupazzetti, lettere. Mezza Neptune era passata di lì e aveva lasciato doni in memoria della bella e giovane Kane. Persne che le avevano voluto bene, persone che l'avevano invidiata, persone che l'avevano odiata.
“Lilly ci ha presi tutti in giro, ci ha manipolati. Era lei a decidere chi stava con chi, chi usciva con chi, chi era accettato nel gruppo degli 09 e chi non lo era. Lei però non doveva rispettare nessuna regola. Lei stava con Logan, e con Ely e con Aaron." Le gaunce le si rigaroni di lacrime scure: le si stava sciogliendo il trucco, cosa che le diede un'aria fragile e indifesa. Wallace le passò un braccio sulle spalle. Era chiaro che Veronica era lì per fare i conti col proprio passato. Per perdonare e chiedere scusa. E per farlo aveva bisogno di un testimone, ma soprattutto di un amico.
"Però lei aveva un grande enorme pregio. Lilly... riempiva la vita di tutti noi e per questo motivo mancherà a tutti quelli che l'hanno consociuta. Per questo mi manca. E questa mancanza lega indissolubilmente noi che l'abbiamo amata. Io, Logan, Duncan... non saremo mai soli, perché l'affetto che abbiamo provato per lei ci unirà per sempre.” Accarezzò le rose di Logan e lo sguardo le si posò su una ninfea bianca, quasi nascosta da tutti gli altri fiori.. Solo una persona l'avrebbe potuta lasciare lì... sotto il fiore, un bigliettino. Era per lei, ne era sicura. Lo aprì e sgranò gli occhi. Wallace la guardò con aria sorpresa e le domandò “Cos'è?” Veornica lo guardò con gli occhi lucidi “Sei sicuro di volerlo sapere?” “Si, Veronica, la tua faccia mi dice che è qualcosa di grosso.” “Posso fidarmi di te... Wallace...” Non era una domanda. “È di Duncan... è un biglietto di Duncan”.

Wallace era sbigottito. “Cosa c'è scritto?” “Non lo so, è in codice. Ma so come decifrarlo...”

Non avevano più parlato dell'accaduto. Wallace non aveva chiesto e Veronica non aveva proferito parola. Fino alla scorsa settimana. L'aveva chiamato e aveva chiesto informazioni sul ballo. Voleva sapere se avevano in programma qualcosa in ricordo di Duncan e Lilly. Era strano, sembrava distratta e distante. Aveva la sensazione che ne avrebbero viste delle belle di lì alle successive 24 ore.


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Il passaggio della California del sud correva veloce fuori dal finestrino. Era da più di un anno che non metteva piede a Neptune, e questa volta non era solo. Aveva paura, le cose potevano mettersi male per lui. Doveva fare attenzione. Ripensò al suo ultimo viaggio. Andare al cimitero sulla tomba di Lilly era stato molto rischioso, ma doveva farlo. Le doveva quell'omaggio. Lilly era Lilly e non poteva essere dimenticata. Non doveva essere dimenticata.
Mentre si avvicinava la fine del suo viaggio, gli fu chiaro che non poteva più tornare in dietro. Era tutto organizzato. Era certo che sarebbe filato tutto liscio, del resto ad occuparsi della questione era Veronica Mars, la persona che non l'aveva mai deluso né tradito. L'unica persona della quale si sarebbe sempre fidato.



Spazio autrice: Abbiamo fatto qualche passo in avanti, il cerchio si sta chiudendo. A presto per una cena scoppiettante! Grazie a chi mi segue e commenta, fa piacere che il proprio lavoro piaccia!






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Capitolo 18
*** Una cena quasi perfetta ***


Una cena quasi perfetta


Non aveva mai amato quell'appartamento. C'era entrato poche volte, e i ricordi che aveva di casa Mars erano tutti legati ad avvenimenti decisamente poco piacevoli del suo passato. Era andato a casa di Veronica il giorno che aveva scoperto che lei era stata violentata durante la festa di Shelly. L'aveva trovata fredda e insensibile. Ricordava ancora i suoi occhi di ghiaccio, le labbra tese, la mandibola serrata. Come si era sentito in colpa in quel momento. Per quello che le era accaduto e per il fatto di non essere riuscito ad aiutarla, a starle vicino. Quella volta se ne era andato, con la coda tra le gambe. La volta successiva, dopo quanto accaduto sul Coronado Bridge, era andato da Veronica in cerca di aiuto. Era uscito da casa di lei ammanettato e accompagnato da Leo D'Amato. Poi le cose sembravano essersi messe in ordine, e lui e Veronica avevano passato una romantica estate assieme. L'incantesimo si era rotto proprio lì, nel salotto di Keith. Per quasi un anno era stato lontano da Veronica e di conseguenza da casa sua. Vi era tornato dopo la notte passata assieme a lei e a Beaver sul tetto del Neptune Grand. Gli sembrava di poterla sentire mentre piangeva tra le sue braccia: tutta la sua fragilità era esplosa in un pianto viscerale e costante. Era indifesa, docile, stordita, come la notte in cui l'avevano drogata alla Hearst. Sempre su quel divano si erano consumate le lacrime di Veronica, tra le braccia di Logan.
Insomma, la casa di Veronica non era mai stata un luogo in cui erano accadute cose piacevoli e positive. Aveva varcato la soglia dell'appartamento una buona mezz'ora prima, ma da allora non era stato in grado di muovere un solo passo. Aveva richiuso la porta alle sue spalle ed era rimasto in piedi in silenzio ad osservare il salotto. Non era cambiato molto da allora. C'erano ancora le stesse poltrone dal rivestimento a righe azzurre e bianche, i medesimi quadri alle pareti. La vecchia e ingombrante TV con il suo tubo catodico era rimasta al suo posto. Ovunque regnava un ordine impeccabile: nonostante l'assenza della figlia, Keith aveva mantenuto le vecchie abitudini, e l'assenza di una donna in casa a stento si percepiva. Dall'altro capo della stanza, nemmeno la cucina era cambiata. Tutto pulito e ordinato. Erano sparite però le scatole di cereali, evidentemente Keith non ne andava matto. Anche la tazza di Veronica era rimasta al suo posto, come se in realtà lei non se ne fosse mai andata.
Quando era arrivato il sole era ancora piuttosto alto, e tutto all'interno dell'appartamento di Veronica era illuminato dall'intensa luce del pomeriggio californiano. Il riflesso dei raggi solari sull'acqua della piscina creava un gioco di luci azzurrognole, dando alla stanza principale un'atmosfera quasi asettica. A Logan sembrò che il tempo non si fosse mai fermato, tutto sembrava bloccato a 9 anni prima, all'ultima volta che era entrato in quella casa. Lui e Parker avevano rotto. Veronica era sulla bocca di tutti a causa del video. Veronica l'aveva appena cacciato dalla sua vita, e lui cos'aveva fatto? Aveva picchiato un pazzo mafioso di fronte a tutti gli studenti dello Hearst College per difendere il suo onore. Non poteva lasciar correre, non poteva farla scappare. Soprattutto dopo quello sguardo... epico.

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Era impaziente e gli sudavano le mani. Aveva appena bussato alla porta dell'interno 101, ma non riusciva ad aspettare. Perché ci mettevano così tanto ad aprirgli? Poi una voce all'improvviso “Arrivo!” No, non era la voce di Veronica. Stava pensando di scappare in fretta, prima che Keith arrivasse ad aprire la porta, ma non fece in tempo. Gli occhi dell'ex sceriffo lo squadravano con aria interrogativa. “Logan?” era in accappatoio e pantofole. Della schiuma gli covala lungo il collo massiccio. Goccioline d'acqua gli imperlavano il volto. Era chiaro che stava facendo la doccia, rituale di pulizia che Logan aveva interrotto. Il giovane si passò la mano tra i capelli corti, fino a massaggiarsi la base del collo. “Mi dispiace Keith, cercavo Veronica, ma evidentemente non c'è. Tornerò più tardi...” e si voltò per andarsene. “Lo vuoi un caffé, amico?” l'apostrofò Keith. Logan sollevò lo sguardo fino ad incontrare quello dell'uomo in piedi di fronte a lui. Keith stava sorridendo, e Logan ricambiò il sorriso. Fece dietrofront ed entrò in casa.
Keith si scusò “Ti dispiace se vado a vestirmi? Tu intanto prepara due tazze, sai dove trovare il necessario” e scomparve in camera sua per riapparire pochi istanti dopo. Logan nel frattempo aveva preparato il caffè. Nero e bollente come piaceva allo sceriffo Mars. Si sedettero ai due capi della penisola di pietra lucida.
“Come va, Logan?” Keith non era masi stato particolarmente felice che sua figlia frequentasse una testa calda come Logan, ma meglio lui di molti altri. Sotto lo strato di boria e aggressività, quel ragazzo celava fragilità e onestà. Non aveva mai mentito sul suo legame con Veronica, solo era spesso stato fuori controllo nel dimostrarlo. Fin da bambini erano stati molto legati, e il loro scontro dopo la morte di Lilly li aveva scombussolati entrambi. Avevano faticato per ritrovare un equilibrio, e ci erano riusciti, per brevi ed intensi periodi.
“Bene... mi dispiace per le elezioni” Era sincero. Era sempre stato sincero quel ragazzo vittima di abusi, vittima del destino, circondato dalla morte delle persone cui voleva più bene, tradito dalla propria famiglia. Si, Keith sapeva, anche se non ne aveva mai parlato con Veronica. Sapeva delle bruciature di sigaretta, sapeva delle cinghiate. Lo sapeva dai referti medici, lo sapeva dal volto di Lynn. Gli occhi di una madre non mentono mai. “Cosa vuoi farci, Vinnie farà del suo meglio, spero.” Sorseggiarono in silenzio il caffè. “Cosa ci fai qui Logan?” “Volevo parlare con sua figlia signor Mars... sono successe tante cose in questi giorni e io credo che... che lei abbia bisogno di me. Come io ho bisogno di lei...” Gli ci volle tutto il coraggio di cui disponeva per far uscire quelle poche balbettate parole dalla sua bocca di fronte al padre di Veronica. Keith lo guardò con una dolcezza della quale Logan non lo credeva capace. Lo guardava come un padre guarda il proprio figlio. Lo stupì che uno sguardo del genere fosse rivolto a lui: pensava di non essere mai piaciuto all'ex sceriffo. “Logan, quando la smetterete voi due con questo tira e molla? Da quanto vi siete lasciati? 4 mesi? E siamo di nuovo da capo. Ma se vi ributtate nella vostra storia senza risolvere i problemi che avete, senza mettere a posto le questioni irrisolte, senza affrontare ciò che non avete intenzione di affrontare, come pensi che possiate arrivare all'anno prossimo?” Non c'era rabbia nella sua voce, né irritazione. Solo dispiacere.
“Non lo so, Keith, non so dove potremmo essere. Non so nemmeno se voglio tornare indietro, se lo vuole lei. So solo che in questo momento ho bisogno di lei e lei ha bisogno di me. So che dovremo superare molti ostacoli però...” Keith sorseggiò il suo caffè, lo finì, e mise la tazza nel lavandino. Recuperò la tazza di Logan e si avvicinò al mobile che stava affianco alla TV. Ne tirò fuori due bicchieri dal fondo spesso e una bottiglia di skotch. Versò il liquido ambrato nei due bicchieri e indicò a Logan il divano. “Ragazzo mio” disse, porgendogli il suo bicchiere “lasci che ti spieghi una cosa sulle donne. Per quanto possano essere arrabbiate, severe, decise, le donne quando sono innamorate commettono un sacco di errori. Prendi mia moglie, la mia ex moglie. Lei è sempre stata innamorata di un uomo che la ricambiava ma con il quale non poteva stare. E così ha commesso il suo primo grande errore. Ha sposato me. Non mi fraintendere, siamo stati bene assieme, felici. Abbiamo avuto una figlia meravigliosa, per la quale ringrazierò Lianne per il resto della mia vita. Ma la felicità di cui vivevamo ogni giorno era una bugia. Una piccola bugia all'inizio, ma man mano che il tempo passava diventava sempre più grande. Lei e Jake però non smisero mai di frequentarsi, avevano una relazione. Non so quando sia ricominciata, so solo che Lianne non era sicura che io fossi il padre di Veronica. Secondo errore, perché per quanto ne sapeva lei e Duncan erano fratellastri e quando si misero assieme lei avrebbe dovuto fermarli. Ecco servito un altro trauma alla nostra bambina. Come se non bastasse, appena ne ha avuto l'occasione, Lianne è scappata, lasciandomi solo con Veronica. Ecco il terzo errore di Lianne: non ci si può perdonare per aver abbandonato il proprio figlio. E Lianne l'ha fatto per ben due volte... Ma non voglio annoiarti. Insomma, Veronica è innamorata di te, e per questo motivo potrebbe commettere un grave errore: passare sopra a tutte le vostre difficoltà, le vostre differenze. Cosa otterreste a quel punto? Di scoppiare per una delle solite ragioni di qui a qualche mese? Di litigare furiosamente?” aveva finito il suo drink e fissava Logan.
“Io non so... ma ha importanza? Sono sicuro che io e lei potremmo risolvere tutto assieme!” Keith si alzò e si versò un secondo drink, offrendone un altro po' al giovane che accettò porgendo il suo bicchiere. “Io penso che prima tu e Veronica dobbiate risolvere i vostri problemi, le vostre questioni. Siete entrambi troppo feriti e troppo giovani per farvi dell'altro male a vicenda. Perché non vi prendete un po' di tempo e non provate a rielaborare tutto ciò a mente fresca?”
Tra i due calò un lungo silenzio. Bevvero il loro skotch con calma. Poi fu nuovamente Keith a interrompere il silenzio. “Non immaginavo che ti avrei mai detto queste parole, però, ragazzo, tu mi piaci. E penso che tu farai sempre parte della vita della mia bambina. Ma non adesso, non con tutta la rabbia che vi portate dietro. Non prima di aver risolto le vostre lotte interiori. Solo allora potrete combattere la vostra battaglia per stare assieme. Rifletti sulle mie parole e prendi la tua decisione. Non mi intrometterò in nessun caso, sappilo. E avrai il mio appoggio, e la mia amicizia.” Si alzò dal divano “Ora penso che tu debba andare. Veronica rientrerà a momenti e non penso che sarebbe contenta di trovarci a metà pomeriggio seduti sul divano a sorseggiare superalcolici!” gli sorrise e gli porse la mano. Logan strinse la mano di Keith e uscendo lo ringraziò.

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Mentre Logan riviveva quel momento fugace in cui lui e Keith avevano parlato e si erano capiti per la prima volta in vita loro, il sole era calato, proiettando lunghe ombre nel salotto di casa Mars. Logan si avvicinò alla parete di fondo per accendere la luce. Lo sguardo però vagò fino alla porta di camera di Veronica, stanza nella quale era entrato una sola volta. Era la notte dei diplomi. Beaver si era appena buttato dal tetto del Neptune. Veronica era convinta che suo padre fosse morto. Dopo aver accompagnato Mac a casa e aver risposto alle domande di Don Lamb lei era crollata tra le sue braccia. L'aveva portata a casa ed era stato a lungo seduto sul divano, con lei tra le braccia, sfinita e  fragile. Dopo un po' l'aveva sollevata e portata in camera sua. L'aveva adagiata sul letto, le aveva baciato la fronte. Poi l'aveva lasciata sola per tornare sul divano.
Ora era lì davanti alla stanza di Veronica e l'unica cosa che voleva fare era dare una sbirciatina, vedere se fosse cambiato qualcosa. Aprì la porta e la presenza di lei si fece fortissima. Sembrava che vivesse ancora lì. Le fotografie, i fascicoli, i cd, i quadri appesi, perfino il copriletto... tutto urlava “Veronica Mars”!Non entrò però nella stanza, si sentiva di violare un luogo nel quale lui non era ammesso. Richiuse la porta e si mise all'opera. Cena per tre.
Tirò fuori l'elenco del telefono ed estrasse tre numeri di telefono. Ristorante cinese, pizza a domicilio e ristorante argentino. Telefonò e ordinò da mangiare. Non sapeva con chi avrebbe cenato, ma questo non lo giustificava nel farsi trovare impreparato.
Dopo le tre telefonate apparecchiò la tavola e accese la TV. Erano le 7, mancava poco perché questo mistero gli venisse svelato.

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Logan era seduto sul divano che guardava il TG locale. Pare che un agente dell'FBI fosse stato arrestato per abuso di potere nella contea di Balboa. Un campanellino suonò nella mente di Logan, ma non riusciva ancora a capire perché quella notizia fosse tanto importante. Stava cercando una spiegazione per la sua reazione quando bussarono alla porta. Logan spense la TV e si alzò dalla poltrona di Keith. Era agitato. Chissà chi c'è dietro questa porta. É tutto il pomeriggio che me lo domando. Beh ora avrò la mia risposta. Aprì la porta di casa Mars e il suo stupore scemò improvvisamente per lasciare posto ad una faccia divertita. “E così saresti tu il mio appuntamento per la serata?” esclamò con tono ironico. In piedi davanti a lui stava un quantomeno irritato Eli Navarro. “Ceeeerto Mr. Echolls. La nostra comune amica ha fatto una serie di pazzie improponibili, tra le quali quella di farsi arrestare, per concederci una serata intima. Io, tu, la fiamma tremolante di una candela. Per buttarci il passato alle spalle e costruire un felice futuro assieme.” Dicendo questo si appoggiò allo stipite della porta e provocò Logan facendogli gli occhi dolci. Il giovane attore sembrava davvero divertito da tutta quella situazione. La presenza di Eli se non altro aveva sciolto la tensione. L'ispanico gli diede qualche secondo prima di riprendere a parlare. “Non ho mai pensato che tu fossi particolarmente intelligente, però questa volta hai battuto ogni previsione. É ovvio che non sono io il tuo “appuntamento”, e credimi non è un appuntamento, anche se cenerai in compagnia di una graziosa biondina!” Si voltò e si sporse dalla balconata fece segno di salire a due figure in ombra sotto il ballatoio.
“Mi raccomando, Echolls, acqua in bocca. Questa volta non stiamo giocando, ci sono in ballo delle vite. Però se Veronica ha deciso che tu potevi gestire la situazione... non mi resta che fidarmi di lei.”
Le due figure si stavano avvicinando. Eli sussurrò a Logan una minaccia ben poco velata “Ti tengo d'occhio!” e fece spazio ai due affinché entrassero nel piccolo appartamento. Anche Logan si fece da parte, lasciando libero lo specchio della porta.
I due erano incappucciati, i volti nascosti. Due figure scure, che si muovevano rapidamente e silenziosamente. Una era alta, piuttosto massiccia. Con fare protettivo stringeva la mano alla seconda persona, minuta e gracile. Sembrava più piccola di Veronica ed era sicuramente una donna. L'altra figura, mascolina, era familiare a Logan, molto familiare. La camminata, il ritmo dei passi, la posizione delle spalle. Appena varcarono la soglia, Eli si gettò dentro l'appartamento e richiuse la porta alle loro spalle. Poi la più alta delle due persone appena entrate si abbassò il cappuccio della giacca. Lo stupore di Logan esplose sul suo volto, presto sostituito dalla rabbia. La persona che stava in piedi davanti a lui e gli sorrideva era Duncan Kane.

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Non aveva sentito Veronica da giorni, quindi per lui fu una vera sorpresa, una volta sceso dal treno alla stazione di San Clemente, essere accolto da Eli Navarro e non dalla bella bionda. Era tutto organizzato: lui e la piccola Lilly dovevano arrivare il giovedì pomeriggio a bordo di quell'anonimo e lentissimo treno regionale che da Los Angeles arrivava al confine col Messico. Avevano diviso lo scompartimento con un'anziana coppia di messicani che avevano fatto visita ai parenti a San Francisco. Non avevano parlato molto con loro, la parola chiave era "basso profilo". Lui e la bambina erano partiti il giorno prima da Las Vegas, città nella quale, con gli pseudonimi di Richard e Martha Appelgate, si erano trasferiti tre anni prima. Duncan aveva comprato un casinò, facendolo diventare uno dei posti più in della città che non dorme mai. Lilly era cresciuta sapendo che erano in fuga e che doveva stare attenta a ciò che diceva e faceva. Lei era Martha, figlia di Richard Appelgate, ricco ereditiero australiano che aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti più per capriccio che per necessità. Avevano comunque vissuto nell'anonimato: niente scandali, niente fotografie, niente scoop. Nessuno sapeva che faccia avesse il signor Appelgate, ma a Las Vegas tutti sapevano a quanto ammontava il suo patrimonio. E Mrs. Appelgate? Non era dato sapere.
Passare dallo sfarzo della sua villa ai bordi del deserto a quel treno maleodorante era stato uno sforzo non da poco per la viziata bambina bionda che aveva da poco compiuto dieci anni. Era nata il primo gennaio, e per questo motivo si sentiva molto speciale. Come era speciale per lei quel viaggio: suo padre le aveva parlato così tanto di Veronica, di Logan, di Neptune, che non vedeva l'ora di conoscere quelle persone, di vedere i posti dove suo padre e sua madre erano cresciuti. Duncan non le aveva mai nascosto nulla: sapeva che sua madre era morta, sapeva che Veronica Mars li aveva aiutati a scappare, sapeva che poteva fidarsi di loro. Come sapeva che non averbbe potuto fidarsi dei suoi nonni: il papà l'aveva avvisata e lei aveva capito. Era una bambina molto sveglia.
Duncan era stato un ottimo padre. Scappando si era portato dietro un bel po' di soldi, quindi nel primo periodo non avevano avuto problemi. Poi era dovuto ricorrere al conto segreto che Clarence aveva aperto e amministrato a suo nome. Non avevano mai avuto problemi economici. Si, è vero, ho costretto mia figlia a vivere come una fuggiasca, a non affezionarsi alle persone, ad avere solo me. Però le cose possono cambiare adesso. Devono cambiare. Voglio che la mia bambina, qualunque cosa accada, abbia una vita normale. Smetta di scappare. Abbia una famiglia, vera. E tutto grazie a Veronica... Duncan si era spesso tormentato con pensieri di questo genere. E non vedeva l'ora di poter riabbracciare colei che lo aveva salvato in passato e che lo avrebbe slavato anche questa volta.
Eli accolse Duncan con una stretta di mano, che si trasformò quasi subito in un abbraccio. “Non pensavo che ti avrei rivisto da queste parti, Mr. Kane...” Duncan si districò dall'abbraccio e mise una mano sulla spalla della figlia. “Eli Navarro, ti presento Lilly Kane. Lilly, saluta Il signor Eli”. Due occhi scuri e profondi si fissarono in quelli dell'ex motociclista. Mag... pensò Eli. La bambina aveva molto della madre, ma anche molto dei Kane. C'era qualcosa in lei che gli ricordava incredibilmente Lilly... la sua Lilly, la Lilly che in realtà non era mai stata sua. Le strinse la mano e li condusse alla macchina: avevano ancora un po' di strada da fare.

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Logan e Duncan stavano in piedi, l'uno di fronte all'altro. E si fissavano in silenzio. Nessuno dei due mosse un muscolo per un bel po' di tempo. Era così strano trovarsi dopo dieci anni di nuovo assieme nella stessa stanza. Duncan osservò Logan e i suoi cambiamenti: era più muscoloso, più robusto, più forte. La barba sfatta e gli occhi tristi gli davano quell'aria tormentata che, secondo Duncan, aveva sempre affascinato le ragazze. Lo aveva visto spesso sulle copertine dei magazine scandalistici circondato da belle ragazze, era anche andato al cinema per vedere un paio dei suoi film. Era un attore decisamente migliore di suo padre. Ma averlo in carne ed ossa davanti a sé era tutta un'altra storia. Eli l'aveva avvisato che Veronica non ci sarebbe stata al loro arrivo, e che al suo posto avrebbe trovato Logan Echolls ad accoglierlo, però comunque era sorpreso dalla persona che il suo migliore amico era diventato. Fece un passo nella sua direzione e l'abbracciò, mentre calde lacrime gli rigavano le guance.
Logan in un primo momento non reagì e lasciò che le braccia gli penzolassero lungo i fianchi. Poi iniziò a singhiozzare e, mentre piangeva, abbracciò l'amico con forza. “Diamine, DK...” “Lo so, lo so amico. Scusa”. Eli e la piccola Lilly restarono in silenzio a guardare i due amici che si ritrovavano dopo dieci anni.
Dopo un lasso di tempo che parve lunghissimo, i due uomini si separarono. E Logan posò finalmente gli occhi sulla giovane Kane. “Tu devi essere Lilly... io mi chiamo Logan e...” “La piccola esplose in un sorriso “Echolls, si so benissimo chi sei. Sei il migliore amico di papà. Posso chiamarti zio?” La dolcezza con cui lo chiese non ammetteva obiezioni. “Certo, Lilly. Sai che sei proprio come ti ho sempre immaginata? Bella come la tua mamma! Spero anche altrettanto intelligente” si era già innamorato di lei. Aveva i colori di Mag e la sua dolcezza, ma lo sguardo, i movimenti, i gesti... era tutta uguale a sua zia Lilly. Lui e Weevil si scambiarono uno sguardo carico di sottintesi: entrambi avevano visto quanto di Lilly ci fosse nella piccola figlia di Duncan.
“Vado a prendere i vostri bagagli e poi vi lascio...” disse Eli uscendo. “Perché non ti fermi con noi?” “Perché ho fatto abbastanza, e perché la mia donna mi aspetta.”

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Logan, Duncan e Lilly mangiarono la pizza, il piatto preferito della piccola che non la smise di parlare per tutta la durata della cena. Raccontò a Logan tutto della propria vita: chi fosse la sua migliore amica; della volta che la sua gattina era rimasta bloccata su un albero; del suo compleanno di tre anni prima, quando lei e il papà erano andati alle Hawaii. Poi mangiarono il dessert. Duncan poi preparò il letto per sé e sua figlia. Cliff gli aveva detto che avrebbero potuto dormire nella camera di Keith, e che avrebbero trovato le lenzuola nell'armadio dello stanzino. Poi accompagnò la bambina in camera, dove la aspettavano i suoi giochi e la TV. “Puoi guardare un po' di TV, ma alle 10 ti voglio sotto le coperte, intesi?” “Va bene papà!” Diede un bacio a Logan “A domani mattina, zio” e scomparve nella stanza del padrone di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Logan nel frattempo aveva sparecchiato e lavato i piatti. Ora stava in piedi, le mani appoggiate alla penisola, e fissava il suo migliore amico. Era davvero cambiato. Era cresciuto in altezza, almeno cinque centimetri. Si era fatto crescere la barba e i baffi, come quando era scappato a Cuba. Aveva un'aria matura e vissuta. Era sempre stato un tipo piuttosto serio e responsabile, ma il peso della paternità e le fatiche della fuga lo avevano temprato moltissimo. Non era più un ragazzino, era un uomo, un padre, e i segni sul suo volto, la postura, ogni cosa in Duncan Kane raccontava la sua storia. I due ragazzi presero due sedie, quello che avanzava di una bottiglia di skotch vecchia di dieci anni e due bicchieri, e si misero in veranda. Nessuno avrebbe fatto caso a loro in quel posto dove tutti si facevano gli affari loro.
“Allora, DK, ai ritorni!” suggerì Logan, invitando l'amico a fare un brindisi. “Ai ritorni!” e sorseggiarono il drink “Cosa ti porta da queste parti, vecchio mio?” “Affari! E tu?” Logan sorrise “Ah, che domande il grande ballo del liceo. Come potrei vivere senza quei favolosi anni passati assieme tra le mura della scuola? Non mancherai, spero.” “Se tutto va come previsto da Veronica, entro domani sera potrei mostrare la mia brutta faccia in giro senza rischiare di essere arrestato. Quindi, si, penso che verrò!”
Restarono un po' in silenzio. “A proposito della nostra comune amica... non mi aveva detto niente... come vi è venuto in mente di nascondermi tutto questo? Insomma, lo so che vi è sempre piaciuto tenermi all'oscuro delle cose, però insomma, forse questa cosa avreste potuto dirmela prima... no?” “Logan, hai perfettamente ragione ad essere infuriato, ma lascia che ti spieghi. Sono stato io a volere che la cosa non si sapesse troppo in giro, e Veronica era d'accordo. Meno persone sapevano, meno persone rischiavano di finire in galera nel caso le cose si fossero messe male. E, credimi, il rischio c'era. E ancora pende su di noi come la spada di Damocle: fino a che Veronica non mi darà l'OK non posso essere tranquillo.” era sincero, e Logan lo capì.
“Sai, adesso sono padre, ho delle responsabilità, ho dei doveri. E non posso giocare con la sua vita. Lilly è la persona più importante della mia vita, ed è mio compito proteggerla a costo della vita. In questi dieci anni non poter contare su nessuno al di fuori di Clarence e di Veronica non è stato sempre facile. I primi anni non ho nemmeno provato a farmi degli amici, ci spostavamo in continuazione: abbiamo girato tutta l'Australia finché non sono finiti i soldi. Poi ci siamo dovuti fermare, io mi sono trovato un lavoro, ho preso in affitto una casa e ho iscritto Lilly all'asilo. Poi un bel giorno qualcuno ha iniziato a fare domande e siamo dovuti scappare di nuovo.” Logan lo osservò e poi gli rispose “Non posso nemmeno immaginare cosa significhi vivere così... nell'anonimato, senza affetti. Ah no! Quello so benissimo cosa significa.”
Il silenzio calò sui due uomini. “Io e Veronica ci siamo sentiti molto raramente. Una volta l'anno, nell'anniversario della morte di Lilly, l'ho sempre contattata. Non ci siamo mai detti molto, era solo il nostro momento, quello in cui ricordavamo l'un l'altro che una volta eravamo amici, che una volta eravamo vicini, che una volta ci volevamo bene. Per non dimenticare. Ma non abbiamo mai provato ad oltrepassare quel silenzioso confine che ci eravamo imposti: sessanta secondi a testa ogni anno. Pensa, non sapevo nemmeno che foste tornati assieme, e men che meno che vi foste poi lasciati. L'ho scoperto dai tabloid. Cos'era? All'uscita del tuo primo film? Che hai avuto quel flirt con la co protagonista? Non male la biondina. Beh... un settimanale scandalistico australiano la paragonava alla tua ex, e c'era una foto di voi due assieme. Ma Veronica aveva i capelli molto lunghi e ricci, quindi doveva essere una fotografia scattata dopo la mia partenza... Ricordo di averti odiato in quel momento, perché lei era così bella e sembrava così felice...” bevve un lungo sorso di skotch, e prima di riprendere a parlare si versò il secondo bicchiere. “Mi stupisci, sai Logan!” “Perché?” “Mi aspettavo una scenata, uno scoppio d'ira, almeno un cazzotto...” “ Oh... credimi quando ti dico che l'avrei tanto voluto fare. Ma non davanti a tua figlia. E ora... beh ora voglio sentire cosa hai da dire prima di ridurti a uno straccio. Diritto alla difesa, no?”
Duncan alzò il bicchiere “Grazie. Beh, che dire. A ottobre di due anni fa sono venuto a Neptune, avevo un anniversario da commemorare. Ho lasciato Lilly con la sua migliore amica. Quando sono arrivato in città sono passato davanti a casa di Veronica e l'ho vista. Sapevo che il giorno dopo sarebbe andata al cimitero, così le ho lasciato un biglietto con il mio numero di casa. Abbiamo rotto il nostro patto silenzioso e da allora in un modo o nell'altro ogni mese Veronica mi chiamava da un telefono pubblico e abbiamo riallacciato i rapporti. Per quanto fosse possibile. Abbiamo deciso che io dovevo poter tornare a casa, poter essere libero, dare a mia figlia la vita che si merita, la famiglia che si merita. E così abbiamo elaborato un piano. Questo è stato solo il momento adatto per metterlo in atto, nulla di più. I Manning non potranno nuocere a me o a mia figlia, di questo sono sicuro. Se ne è occupata Veronica e sono certo che entro domani mattina sarà tutto a posto. Bene, ho detto quanto dovevo dire, tocca a te, vecchio mio.”
“Sei stato tu a chiedere a Veronica di indagare su di me?” domandò Logan diretto.
“Si”
“Perché?”
“Perché volevo essere sicuro di potermi fidare di te. Non ci vediamo da dieci anni e per quanto ne sapevo potevi essere un tipo... pericoloso. Ho una figlia da proteggere...” sapeva che non stava raccontando tutto al suo più caro amico, ma non era ancora il momento giusto.
“Mi sembra che tu fossi molto informato su di me, o almeno sulla mia vita sentimentale...”
“È stato solo un caso...”
“Anche che si trattasse di Veronica e me?”
“Logan... possiamo seppellire questa maledetta ascia di guerra?”
“Forse. Veronica sapeva perché stava indagando su di me?”
“No, non lo sapeva. Non lo sa ancora, se è per questo.”
“La questione dell'arresto era pianificata?”
“No, è stato un caso, immagino. Il piano è che ad accogliere me e Lilly ci fosse Veronica oggi. Ma non la sentivo da settimane. Avevamo pianificato tutto da tempo. L'avevo fatta venire a Las Vegas per parlarle e pianificare tutto faccia a faccia. Elaborato il piano siamo rimasti che non ci saremmo sentiti: il caso sul rapimento stava per essere riaperto e lei avrebbe avuto  riflettori puntati su di sé. Troppo rischioso.”
“E Keith?”
“Keith?” per la prima volta in tutta la serata Duncan sembrò perdere la propria sicurezza “Cosa diamine è successo al papà di Veronica?”
“Non lo sai? È stato rapito, è sparito e da giorni non si hanno sue notizie...”
Duncan rimase in silenzio per alcuni istanti poi si alzò. “Vado a controllare che mia figlia dorma e non stia facendo la furbetta come suo solito...”. Lasciò Logan solo con i suoi pensieri.
E così quei due sono rimasti in contatto? Perché Veronica non mi ha detto nulla. Che domande... perché DK è DK. Il suo primo amore, il suo vero amore... che sciocco che sono stato. Per tutto questo tempo ce l'hanno fatta sotto il naso e nessuno se ne è accorto. La bella famiglia felice... chissà perché la cosa non mi stupisce. Duncan... Veronica... un'equzione perfetta. Come ho fatto a non pensarci prima? Ecco il perché di tutti quei segreti, ecco il perché di tutti questi misteri. Oltre al danno la beffa! E io che stavo pensando... che idiota, Logan, non impari mai!
Gettò la testa indietro e scoppiò in una sommessa risata. Avrebbe voluto urlare, ma non poteva. Duncan era a pochi metri di distanza, tutti dormivano e non era proprio il caso di attirare l'attenzione su di sé! E così rimase qualche istante con gli occhi chiusi. Quando li riaprì gli occhi glaciali di Veronica lo fissavano da in cima alle scale. “Ma vi siete ammattiti? Ma dico io, state scherzando spero?” Era arrabbiata, molto arrabbiata. “Cioé, spiegatemi bene, io mi faccio una notte in galera, denuncio un agente dell'FBI, faccio partire un'operazione di polizia come non se ne vedono da decenni qui a Neptune, e voi ve ne state in terrazzo a bere e scherzare?” Ormai era arrivata alla sua altezza. “Parlo anche con te, Mr. Kane!” Il suo sguardo si posò sul giovane rampollo in fuga. Strappò il bicchiere dalle mani di Logan e trangugiò in un solo sorso ciò che restava del drink. “Io ora mi faccio una doccia, voi abbassate la cresta e tornate dentro. Poi vediamo!” Posò il bicchiere in mano a un quantomeno stupito Logan, abbracciò Duncan dicendoogli “Sono contenta che tu sia tornato! Ma adesso tornate dentro.” E così dicendo entrò in casa, iniziando a spogliarsi mentre si dirigeva verso la sua stanza. I due si scambiarono uno sguardo d'intesa ed entrarono lentamente in salotto.



Spazio autrice: E finalmente aggiorno! E svelo molti dei misteri! Grazie a tutti!

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Capitolo 19
*** L'ora dei conti ***


L'ora dei conti


Veronica uscì dalla sua stanza indossando una tuta. I capelli le gocciolavano ancora, così li raccolse nell'asciugamano e, piegata la testa di lato, iniziò a sfregarli energicamente. Delle scure occhiaie le cerchiavano gli occhi chiari: erano state delle giornate lunghe e faticose e lei aveva bisogno di rilassarsi e di bere qualcosa. Però aveva come la sensazione che le sorprese e le fatiche non fossero finite lì.
“Ed eccoci qua! Chi l'avrebbe mai detto!?” esclamò, gettandosi sul divano. I due la osservavano trascinare le sue stanche membra per la sala di casa Mars: aspettavano che lei scatenasse l'inferno. Logan era appoggiato al bancone di granito, rigido e a disagio. Si sentiva di troppo, ma voleva delle spiegazioni: quei due avevano cospirato contro di lui, gli avevano nascosto la verità, gli avevano mentito spudoratamente. E lui ora voleva delle risposte. Non si sarebbe mosso da quella stanza finché non si fosse ritenuto soddisfatto.
Duncan al contrario sembrava quasi spaventato. Tamburellava le dita, si grattava i capelli, guardava l'orologio. Logan non riusciva a capire perché il suo amico fosse così in soggezione: era tornato a casa, aveva salvato se stesso e la sua bambina, e come se non bastasse stava per avere Veronica tutta per se. Cosa poteva mai turbarlo? Logan si staccò dal bancone e raggiunse il minibar. “Cosa prendete?” Veronica si rilassò sul divano, i capelli raccolti nell'asciugamano “Fai tu, conosci i miei gusti!” “Fin troppo bene...” rispose Logan. Duncan rimase interdetto, ma poi si riprese: “Vodka... mi sa che lo skotch l'abbiamo finito!” e andò a prendere del ghiaccio dal frigorifero. La sua voce era incerta e tremolante. Logan si domandò se anche Veronica se ne fosse accorta. La squadrò di sottecchi e la vide aggrottare le sopracciglia; evidentemente anche secondo lei qualcosa non quadrava. Il tremolio di Duncan si diffuse dalla sua voce alla sua andatura a tal punto che stava per cadere a terra. Fortunatamente Logan si trovava poco distante e riuscì ad acchiapparlo al volo. “Pessima idea mischiare un mese di notti in bianco e un sacco di alcol. Grazie amico!” esclamò il giovane fuggiasco, regalando a Logan un sorriso rassicurante.
Veronica era già scattata in piedi, e l'asciugamano le era caduto in terra. Si chinò per raccoglierlo, fulminando Duncan con lo sguardo. Logan era convinto che quel gesto fosse un silenzioso rimprovero per l'eccessivo bere: quante volte era stato rivolto a lui? Non se lo ricordava nemmeno. Aiutò l'amico di una vita a rialzarsi e cercò di smorzare la tensione “Non ti ricordi più come si beve, DK?” e i due scoppiarono a ridere assieme. Ma nella risata di Duncan c'era un tono amaro e poco divertito.
I tre giovani si versarono da bere e si accomodarono attorno al tavolino, dove Logan appoggiò le bottiglie di Vodka e di Tequila. “Tequila due volte in poche ore?” Domandò Veronica “Pessima idea, Logan, potrei non rispondere delle mie azioni!”, e facendogli l'occhiolino sollevò il bicchiere “Agli amici ritrovati!” suggerì. Fecero tintinnare i bicchieri e bevvero tutto d'un fiato. Logan era stufo di aspettare e finito il suo drink prese la parola. “Per quanto mi piaccia l'idea di essere di nuovo assieme a voi attorno a un tavolo, e per di più in piacevole compagnia” e indicò i liquori sul tavolo con il capo “vorrei tanto sapere cosa vi è passato per la testa?!?” Lo disse con tono quasi indifferente, ma in realtà ribolliva. Veronica e Duncan si scambiarono un lungo e silenzioso sguardo, poi fu lei a parlare “Logan, io sono stata assunta da Duncan, punto. Non c'è molto altro da dire: lui mi ha chiesto di mantenere il riserbo e così ho fatto. Tra l'altro non era proprio il caso di informare nessuno di questo inaspettato ritorno...” “Capisco”.
La biondina riprese “Io e Duncan ci sentivamo una volta all'anno, ma anche questo doveva essere un nostro segreto. Ogni persona in più che sapeva di Duncan e del suo ritorno su suolo americano era una possibilità in più che ci fosse una fuga di notizie. In realtà non sapevo nemmeno dove fosse, sapevo che era tornato nel continente americano, ma per quanto ne sapevo io poteva trovarsi in Canada come in Brasile. Non ho mai provato a cercarlo, era troppo pericoloso!” Fece una lunga pausa. “Avevamo rinunciato a davvero tanto per permettergli di  scappare e mettere in salvo sua figlia; e poi io lo avevo promesso a Meg e non potevo venire meno alla mia parola. Meg era morta da meno di un mese e io avevo messo in gioco la mia vita e i miei affetti per lei. Perché rischiare che trovassero Duncan e gli portassero via la bambina anche se erano passati anni? No, non avrei mai potuto rischiare...” Fece una lunga pausa e bevve un lungo sorso di tequila. Aveva svuotato il bicchiere, così allungò il braccio per versarsi ancora da bere. Poi si rimise comoda sul divano e guardò i due uomini che si erano litigati il suo cuore. Come erano cambiati. Non erano più i due ragazzini con i quali aveva condiviso pomeriggi prima e nottate insonni poi. Erano due uomini adulti e responsabili adesso; si erano trasformati intimamente e ora erano di fronte a lei, nella stessa stanza. Non le sembrava vero e lei era combattuta tra il desiderio di vivere quel momento pienamente e con spensieratezza, e il desiderio di fuggire da quella situazione piuttosto tesa e imbarazzante quanto prima. Logan non le staccava gli occhi di dosso, ed era chiaro che da lei voleva solo chiarimenti, una volta per tutte. Inspirò profondamente, osservò Duncan, che dal canto suo pareva seduto su un trono di spine da quanto era agitato. Non riusciva a capire perché lui fosse il più agitato nella stanza, dal momento che era lei ad essere sotto esame.
“Da oltre un anno non avevo notizie di Duncan. Eravamo già all'università, finché” riprese con un sospiro “un giorno Clarence Widman si è presentato fuori dalla porta del dormitorio di Mac. Era chiaro che mi stava seguendo da un po' e cercava l'occasione giusta per parlarmi. Ci eravamo rivisti nel salotto di Jake in occasione del caso “Castle”, ma a quanto pare non era il momento giusto per parlarmi di Duncan. Evidentemente Jake non sapeva nulla. Quando si è presentato alla mia porta per riprendersi gli hard disk, mi ha lasciato un numero di telefono." Bevve un lungo sorso di tequila.
"Io e te ci eravamo lasciati da un po' Logan, avevamo litigato, tu avevi picchiato a sangue Piz... e in ogni caso non te lo avrei potuto raccontare.” Era il suo modo di chiedere scusa, e Logan lo sapeva, ma non gli bastava. Non questa volta. “Vai avanti, sono curioso!” Il suo tono era sempre più stizzito. “Avrei voluto dirtelo, ma non potevo. Dopo la prima breve chiamata che gli ho fatto quel giorno da una cabina del campus io e Duncan siamo rimasti in contatto, rispettando l'accordo di sentirsi solo una volta l'anno. In quell'occasione ci aggiornavamo sulle nostre vite, senza scendere troppo nei particolari. Più che altro volevo farmi raccontare di Lilly: sapere che lei era viva e felice con il suo papà, che poteva crescere con qualcuno che le voleva veramente bene, e non passare da una famiglia affidataria ad un altra... beh questo era tutto ciò che mi bastava sapere. Così potevo essere sicura della correttezza delle mie azioni, dell'aver fatto la cosa giusta. E così è andata avanti fino al giorno in cui Duncan mi ha chiesto di raggiungerlo a Las Vegas perché doveva chiedermi un favore." Lei e Duncan si scambiarono uno sguardo complice che piacque poco a Logan; aveva sempre di più la sensazione che lo stessero prendendo in giro.
"Poi così, come per magia... anche tu ricompari nella mia vita a pochi giorni di distanza. E guarda caso dovevo indagare su di te, o meglio questo era quello che Duncan mi aveva chiesto di fare. Avrei tanto voluto dirtelo, avrei voluto dirti che Duncan era vivo, che stava bene, che ci sarebbe stato anche lui alla riunione. Che stavamo risolvendo il suo problema con la legge e che probabilmente avrebbe potuto smettere di fuggire e nascondersi. Avrei voluto ma non potevo...”

“Se non potevi, perché non te ne sei semplicemente stata zitta? Perché mi hai chiesto di aiutarti nelle indagini? Per prendermi in giro?” Veronica arrossì e abbassò lo sguardo “No, Logan, per distrarti”. Anche se erano in tre in quella stanza, era chiaro che Logan voleva sentire parlare lei. “Per distrarmi? Stai scherzando? Il mio migliore amico torna dopo dieci anni e tu non hai avuto la decenza di informarmi? Peggio: negli ultimi anni il mio migliore amico ha vissuto a poche centinaia di chilometri da qui e tu, pur sapendolo, hai deciso di non mettermi a conoscenza di questo cambiamento? Ho visto la piccola Lilly per la prima volta nella mia vita questa sera, ho potuto riabbracciare Duncan solo oggi e tu sapevi tutto... da quanto? Da quanti anni?” Era arrabbiato, frustrato, si sentiva tradito da lei, ma anche da Duncan. Ma era lei che avrebbe potuto fare qualcosa per cambiare quella situazione, era da lei che Logan si aspettava rispetto e sincerità, dato che era quello che lei pretendeva dagli altri.
“Logan” interruppe Duncan “lei non ha colpe... lei non sapeva...” “Piantala DK, piantala di fare il principe azzurro. Non occorre nemmeno che ti sforzi per poterla riconquistare, sai? Quindi lascia che me la prenda con lei in santa pace per un'ultima volta!” Il tono di Logan non ammetteva repliche, e Duncan rimase a bocca aperta. Veronica, dal canto suo, osservava la scena con occhi sgranati... “Logan” lo interruppe, ma lui non la lasciò finire “Non provare nemmeno a scusarti o a giustificarti. Non so come ho fatto ad essere così cieco: era ovvio che ci fosse qualcosa sotto, avrei dovuto capirlo nel momento in cui mi hai chiesto di collaborare. Veronica Mars che apprezza la mia compagnia? Impossibile, in realtà vuole solo tenermi lontano dalla verità. E quale sconvolgente verità, poi? Lei e Duncan che complottano e bisbigliano!” “Logan, sei paranoico e ti stai solo rendendo ridicolo. Io e Duncan non abbiamo complottato contro di te...” ma la cascata di Logan non sembrava volersi fermare “Andiamo Veronica, per forza sono ridicolo: ci sei tu di mezzo, e farmi sembrare un deficiente ti è sempre riuscito piuttosto bene. E io che pensavo... Mi sono sempre illuso! É tutta la vita che mi illudo che tu mi guardi, quando in realtà i tuoi occhi vedono solo la superficie di me perché sono troppo impegnati a cercare Duncan... Il tuo primo amore, il tuo grande amore... Io sono solo stato un rimpiazzo come tutti gli altri, sono stato solo una perdita di tempo, un tappabuchi in attesa che lui facesse la sua comparsa! Sai, la prima volta che ti ho vista davvero... non ha nessuna importanza ormai perché tanto...” ma fu interrotto bruscamente. Veronica si era alzata e gli aveva rifilato uno schiaffo da guinnes dei primati. Ora lacrime le rigavano il volto. “Tu non hai mai capito niente Logan Echolls. Mai!” Detto questo lasciò la stanza e si rifugiò nella sua camera da letto. La giornata era veramente finita. O almeno così Veronica sperava.


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Duncan assistette alla scena in allibito silenzio. Non riusciva a capire cosa fosse appena accaduto, qualcosa gli sfuggiva. Veronica non si era mai comportata così, non era mai stata così emotiva e fragile. Certo, gli ultimi giorni erano stati molto stressanti per lei, era anche finita dietro le sbarre, però nonostante tutto Duncan Kane non riusciva proprio a capire la sua più cara amica. E non riusciva nemmeno a capire Logan e il suo comportamento aggressivo. Come se non bastasse, quei due stavano complicando e ritardando la sua missione, il vero motivo per cui si trovava lì, e ciò non era ammissibile! No, no e po no. Lui aveva bisogno che quei due mettessero la testa a posto, ragionassero e iniziassero ad andare d'accordo. Dovevano farlo, per lui ma soprattutto per Lilly. Non era ammissibile che si comportassero ancora come due ragazzini. Così si alzò e senza nemmeno bussare spalancò la porta della camera di Veronica. “Io ho bisogno di voi. Ho bisogno che smettiate di comportarvi come due stupidi. Avete quasi trent'anni, per l'amor di Dio, volete smetterla di giocare ai ragazzini?” Veronica era sconvolta da quelle parole.
Duncan uscì in fretta, prese il suo amico Logan per un braccio e lo trascinò dentro la stanza. “Ora voi due vi chiarite una volta per tutte, senza urlare, magari, e poi venite in salotto. Devo parlarvi di una cosa e non ho molto tempo. Se non potete farlo per voi, fatelo per me. Anzi, fatelo per Lilly!” Si chiuse la porta dietro le spalle e li lasciò soli al loro destino.


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Veronica stava seduta sul letto, mentre cercava di ricacciare indietro le lacrime. Stringeva forte l'asciugamano che fino a pochi minuti prima le serviva da copricapo. Logan la fissava in silenzio. “Vorrei che al posto dell'asciugamano ci fosse il tuo collo!” lo fulminò. “Sei davvero un cretino, Logan, non hai mai capito niente di me. Non capisco perché mi stupiscano ancora i tuoi comportamenti idioti...” “Senti chi parla!” Lei rimase a bocca aperta per alcuni secondi prima di riprendere a parlare “Non andiamo da nessuna parte così, Logan. Che ne dici se ripartissimo da capo? Come se nulla di tutto ciò fosse accaduto, ok. Scusami sono una stupida, ti ho nascosto un sacco di cose e ora pretendo che tu ti fidi di me.” Si alzò e si avvicinò a lui. Lo prese per mano e ripeté “Scusa!”. Questa volta fu il turno di Logan di rimanere esterrefatto: si potevano contare sulle dita di una mano le volte in cui Veronica Mars si era scusata con qualcuno. Forse su due mani. “Scuse accettate solo se tu accetti le mie!” Il sorriso di Veronica fece finalmente capolino sotto i capelli arruffati e le occhiaie scure. Ma Logan la trovava fantastica anche così. Lo sguardo di lui doveva averle suggerito qualcosa, perché si stacco da lui e cercò di sistemarsi i capelli “Devo essere un vero disastro... maledizione ho passato delle giornate tremende, e bisogna dire che tu non mi hai di certo aiutata...”
Finalmente la tensione era scemata. Veronica si sedette nuovamente sul letto, mentre Logan si accomodò per terra, di fronte a lei, la schiena appoggiata alla scrivania. “Dovremmo smetterla di farci del male” disse non appena si fu seduto “lo so che è la cosa che ci riesce meglio!” “No” rispose lei “la cosa che ci riesce meglio e soffrire in silenzio e non affrontare i nostri problemi. Secondo te cosa nasconde Duncan?”
“Vorresti farmi credere che non lo sai? Che l'infallibile Veronica Mars non ha la più pallida idea di quello che sta capitando?” “Ebbene si, questa volta anche io brancolo nel buio. Ho provato a scavare nel passato di Duncan, ma come puoi immaginare non è facile scoprire qualcosa su qualcuno che da anni vive in incognito. Non ho trovato nulla al di fuori di ciò che sapevo già ai tempi del liceo.” “Vorresti farmi credere che non sei neanche un po' curiosa?” “Un po'? Ma se non sto nella pelle! Allora, adesso abbiamo due possibilità per scoprirlo, e sono sicura che anche tu vuoi far luce su questo mistero. Possiamo fingere di esserci chiariti, oppure farlo veramente..” “Per quanto trovi allettante la prima opzione... beh sai che amo le sfide!” “Va bene, comincio io. Non ti ho detto la verità su Duncan perché non potevo, per lui ma anche per te. Essere a conoscenza di dove si trovi un ricercato federale e non condividere quest'informazione con le autorità è un reato serio. Inoltre fino a qualche giorno fa non avevo idea di come mettermi in contatto con te. A dire il vero non volevo farlo. Il mio orgoglio me lo impediva. Ero arrabbiata con te e avrei continuato ad esserlo, questa era la mia posizione e tale sarebbe rimasta. Per quanto riguarda gli ultimi sviluppi... beh avevo promesso che non ti avrei detto nulla, fine.” “E non ti sei mai sentita in colpa per non avermelo detto?” “Credimi, ogni giorno. Avrei tanto voluto avere la forza... di andare oltre la mia testardaggine. Io e te avevamo già rotto definitivamente, e soprattutto malamente. La ferita sanguinava ancora quando Clarence si è fatto vivo, e mentre i mesi prima e gli anni poi passavano, il dolore si attenuava, ma per me diventava sempre più difficile parlarti e soprattutto ammettere di averti nascosto una cosa così importante per così tanto tempo. Con che coraggio avrei potuto presentarmi alla tua porta e... cosa avrei potuto dire? Ciao Logan, sai, sono anni che ti nascondo una cosa: ti ricordi il tuo migliore amico, Duncan, beh ci sentiamo spesso e volentieri! Se vuoi, la prossima volta che lo sento, ti chiamo! Come avresti reagito?” “Non bene, ma non ci sarei rimasto male come nel saperlo quasi dieci anni dopo, no? Tu come avresti reagito?” “Non lo so Logan, era tutto estremamente complicato, è ancora tutto così complicato tra noi...” “Finché tu e Duncan mi nasconderete le vostre tresche clandestine...” “Come scusa?” Veronica era allibita. Poi una lucetta si accese nella sua testa.
“Secondo te io Duncan... ommioddio... Logan, ma sei impazzito? Io e Duncan siamo... storia antica, superata. Gli voglio bene e gliene vorrò per sempre, però non sono più innamorata di lui, non lo sono più da anni, dalla morte di Lilly direi. Ho pensato di essere stata ancora innamorata di lui durante l'ultimo anno di liceo ma mi sbagliavo. Me ne sono accorta nel momento in cui l'ho dovuto salutare e mi sono resa conto che in realtà per me non era così penoso e doloroso separarmi di lui. È stato sì triste, ma nel momento in cui ho capito che io e lui avremmo potuto non rivederci più... ho provato tristezza ma non senso di vuoto e abbandono. Nulla a che vedere con quando...” lo osservò e la voce le morì in gola “... lasciamo perdere. Insomma, non ti ho nascosto nulla in merito a me e lui e a un eventuale relazione amorosa tra me e lui. Era tutto finito all'epoca della morte di Lilly... abbiamo solo creduto che fosse possibile tornare indietro, ma non è così. Non si può mai tornare indietro, bisogna andare avanti e mi dispiace non averlo capito prima.” Rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi Logan rise e parlò per la prima volta da giorni con l'intento di farsi ascoltare, dopo aver per la prima volta da giorni ascoltato. “Se l'avessi capito, allora probabilmente anche noi avremmo evitato alcuni... errori, se così vogliamo chiamarli. Ci saremmo risparmiati un sacco d sofferenze, no?!” Veronica, che fino a quel momento se ne stava rannicchiata sul letto, la fronte appoggiata alle ginocchia, alzò lo sguardo e fissò gli occhi in quelli stanchi e tristi di Logan per quello che parve ad entrambi un tempo lunghissimo. Per due volte aprì la bocca, ma nulla uscì dalle sue labbra. Poi finalmente riuscì a buttare fuori tutto. “Ma di cosa stai parlando, Logan, la mia storia con Duncan e la mia storia con te non sono nemmeno paragonabili... non...” ma lui la interruppe “Ti prego, non infierire... lo so che quello che c'è stato tra di noi non è nemmeno lontanamente vicino al magico amore da favola che avete avuto tu e lui, ma ti prego, lasciami credere che abbia avuto almeno un minimo di importanza nella tua vita”. Il suo tono era struggente, e mentre pronunciava quelle parole si passò la mano nei capelli, tormentandosi la testa. Veronica balzò giù dal letto e gli si avvicinò, fissandolo negli occhi. Pochi centimetri li separavano, lei poteva sentire il respiro di lui, pesante di skotch, accarezzarle le labbra e lui poteva sentire i capelli di lei sfiorargli le guance. Non erano stati così vicini da anni...da prima prima che venisse fuori la storia di Madison...
Veronica si sentiva come quella volta fuori dal Camelot: appena uscita dalla stanza del motel aveva guardato Logan negli occhi e l'unica cosa che per lei aveva senso in quel momento era sporgersi sulle punte e baciarlo. Per quanto fosse sbagliato, per quanto fosse folle, null'altro in quel momento poteva avere senso. Anche in quel momento le mani le sudavano, il cuore le batteva a mille, la gola le si era seccata. Erano passati undici anni, eppure la vicinanza a Logan le faceva ancora quell'effetto. Tornava improvvisamente adolescente, le ginocchia le tremavano. Chissà se anche per lui era lo stesso? Ne dubitava, ma un po' ci sperava. “Logan, so che tu e Duncan siete sempre stati in competizione, ma, giusto per la cronaca, quello che ho provato per lui era un'amore adolescenziale, infantile, immaturo, fatto di trine, pizzi e sogni. Nulla di ciò che abbiamo vissuto assieme è stato genuino, maturo. Era tutto perfetto, perché non era reale. Io e te, invece, tutta un'altra storia... come ci hai definiti una volta? Epici, giusto? Beh.. siamo stati epici anche se autodistruttivi e folli!” Gli accarezzò una guancia. “Direi che questa sfida l'hai vinta tu, no?!?” e finalmente gli sorrise. Maliziosa e sincera come solo lei sapeva essere, ma anche un po' spaventata. Logan sapeva che quei sorrisi erano tutti per lui, lo erano sempre stati fina dalla prima volta fuori dal motel Camelot quando, dopo quel breve e fugace primo bacio, si era voltata sorridendogli. Ecco, quella era stata la prima volta che lei gli aveva regalato quel sorriso complice, malizioso, fragile, insicuro... la prima di una lunga serie.
Senza nemmeno accorgersene, ripetendo un gesto che aveva compiuto migliaia di volte nella sua vita, fissandola negli occhi le prese il volto tra le mani e la baciò. Un bacio breve e fugace come quel primo bacio che lei gli aveva regalato fuori dal motel Camelot. Un bacio che lo colse di sorpresa non meno di quanto avesse colto di sorpresa Veronica.
Si separarono lentamente. Veronica rimase ancora qualche istante con gli occhi chiusi, mentre lui la scrutava aspettando la sua reazione. Quando finalmente lei li riaprì non c'era rabbia nel suo sguardo, ma stupore e... gioia. Sorrise e si morse il labbro. Come era sensuale quando lo faceva! “Beh... penso che questo dovrai spiegarmelo, Logan...” “Spiegartelo? Veronica, credevo che una delle prerogative del tuo mestiere fosse quella di essere intelligenti, acuti, svegli... E poi mi sembrava di avertelo già detto: io ho il cuore spezzato!” E senza darle tempo di ribattere la baciò di nuovo. Ma questa volta non fuggì via per paura di aver sbagliato: si soffermò sulle labbra di lei per tutto il tempo necessario ad assaporarle di nuovo, a riconoscerle, a riconquistarle.


Spazio autrice: aggiorno al volo! Finalmente! Buona notte!


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Capitolo 20
*** Segreti svelati ***


Segreti svelati


Sto perdendo il controllo, ecco cosa sta succedendo. Sto perdendo il controllo, oppure mi trovo in un sogno. Non c'è altra spiegazione. L'odore di Logan, misto all'alcol e al profumo fruttato del bagnoschiuma le stavano dando alla testa. Era tutto vero? Beh, i suoi sensi, seppur appannati, le dicevano di si, anzi lo urlavano! Se apriva gli occhi, li poteva fissare in quelli di lui, profondi e tormentati, e perdersi in essi. Mentre le mani forti e grandi di Logan le sfioravano la pelle, le si infilavano tra la felpa sformata e la schiena, il respiro di lui copriva ogni altro suono. Il sapore della sua bocca e l'odore della sua pelle le dicevano “bentornata!”.
Poi all'improvviso la razionalità fece una breccia nella solida muraglia che i suoi sensi avevano rapidamente costruito, e lei si rese conto che non andava affatto bene. Che come al solito stavano facendo il passo più lungo della gamba, saltando alcuni passaggi fondamentali. Ma chissà per che non le importava: tutto ciò che contava, in quel momento, era abbandonarsi alle braccia di lui, ai suoi tocchi, ai suoi baci. Veronica fece scivolare le mani lungo le spalle larghe di Logan, per poi farle scendere lungo il suo muscoloso petto, fino ad arrivare alla fine della maglietta, dove si soffermò brevemente, prima di sollevarne il lembo inferiore. Aveva deciso che si sarebbe lasciata andare: perché combattere contro qualcosa che le riusciva così bene e che la accendeva con tale passione? Non ne valeva davvero la pena!

Aveva appena preso questa decisione, spinta dal calore che il corpo di Logan emanava, e che, dai palmi delle mani di lui le entrava fin nelle ossa; ma si era dimenticata che le cose si fanno in due. Logan, senza staccare le sue labbra da quelle di lei, sfilò le mani di Veronica da sotto la maglietta. Solo allora si staccò da lei, senza lasciarle le mani. “Veronica” lei finalmente rallentò il respiro e lo fissò, decisamente stupita da quella reazione “Lo sai che di solito non è da me tirarmi indietro. Soprattutto se ho per le mani una bella bionda come te...” le sorrise, ma lei continuava ad essere allibita: effettivamente Logan non si era mai tirato indietro di fronte ad un'occasione come quella!
“Sei stato tu a cominciare!” disse in tono capriccioso ma sensuale. Oh no, non gli avrebbe permesso di lasciarla a bocca asciutta.
Si fece più vicina e gli posò una mano sulla gamba. Logan abbassò lo sguardo, per rialzarlo subito dopo. Le regalò una delle espressioni più divertite che lei avesse mai visto. “Sono onorato, Veronica, e credimi se fossimo soli in questo momento non avrei un istante di esitazione. Anzi, penso che adesso come adesso avresti ben poca stoffa addosso!” Il discorso si stava facendo interessante alle orecchie di Veronica, che languida si sporse verso di lui , con poco successo “Ah-ha” fece lui, mettendo le mani avanti “devo ricordarti che lì fuori c'è un certo Mr. Kane pronto a rivelarci il suo grande segreto? Ti facevo più attenta, Ronnie, molto più attenta di così! E soprattutto molto più curiosa!” e sorrise malizioso prima di prenderle nuovamente il volto tra le mani e baciarla dolcemente sulle labbra. “Ma non ti preoccupare, perché il nostro randevù è solo rimandato!” Veronica dovette accettare la sua argomentazione e, di malavoglia, alzarsi dal letto per tornare in salotto e affrontare, una volta per tute, Duncan Kane e il suo segreto.



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Duncan era seduto sul divano, si tormentava i corti capelli. Era combattuto tra l'ansia di dover dire loro tutta la verità e la voglia di fuggire. Non vedeva l'ora che arrivasse quel momento e allo stesso tempo ne era terrorizzato; non sapeva se liberarsi la coscienza valesse ciò che lo aspettava anche perché non sapeva ciò che lo aspettava. Erano i suoi migliori amici, di questo era certo, nonostante gli anni di lontananza; quello di cui non era certo, era come avrebbero reagito alla notizia, e alla sua richiesta. Si sarebbero arrabbiati? Poco ma sicuro. Ma avrebbero capito perché lo chiedeva proprio a loro? Di questo non aveva certezza, come non sapeva se avrebbero accettato.
Doveva essere convincente, mettere da parte orgoglio e paure, se non altro per la sua bambina. Doveva mettere da parte il passato, superare una volta per tutte quelle che c'era stato tra di loro, quello che li aveva separati, ma anche quello che una volta li aveva uniti.
Da quando aveva ricordi, la dolce e delicata Veronica aveva sempre fatto parte della vita sua e di sua sorella: le due avevano fondato un'associazione a delinquere fin dalle scuole elementari. Tutte chiacchiere e segreti, avevano condiviso ogni momento della loro vita. In realtà non sapeva nemmeno come avevano fatto a conoscersi... ricordava che la madre di Veronica era stata un tempo la segretaria di suo padre. Forse era cominciato tutto lì. Magari un giorno Veronica e Lilly erano arrivate assieme alla Kane Software e la scintilla era scoccata nella sala d'attesa. O forse far conoscere e socializzare le due bambine era una scusa per continuare a frequentarsi... insomma Jake e Lianne erano stati re e reginetta del ballo al liceo e ora, a oltre vent'anni di distanza, stavano finalmente consumando la loro storia d'amore. O almeno questo era quello che gli ha riferito Clarence.

Lui e Logan, beh erano destinati ad essere migliori amici. Le loro madri avevano seguito lo stesso esclusivo corso pre-parto ad Oceanside. Aaron stava girando un film, e Lynn non ne poteva più di stare da sola a Los Angeles, così si era rifugiata a sud, presso una clinica estremamente costosa e altrettanto di classe. Era lì che, mangiando uva e sorseggiando succo di aloe arricchito di vitamine, lei e Celeste erano diventate grandi amiche. Era naturale che i due maschietti che stavano per nascere avrebbero condiviso un legame altrettanto forte e forse più sincero. Fin da dentro la culla, Duncan e Logan avevano condiviso spazi, momenti, vizi e regali. Poco dpo il parto Lynn era tornata a Los Angeles, ma le due famiglie si incontravano spesso e volentieri, rafforzando un legame che già esisteva. Era a casa di Duncan che finalmente, quando gli Echolls si erano trasferiti a Neptune, che i fab-four erano diventati una cosa unica, si erano conosciuti, fusi e non si erano più separati... beh quasi.
Ora Duncan sapeva che stava per mettere a dura prova la loro amicizia, e aveva paura di quello che sarebbe successo. Tremava come una foglia, ma dove smetterla: la voce doveva essere forte, il tono risoluto. Non doveva dare loro la sensazione che avrebbero potuto dirgli di no.

La maniglia della porta della camera di Veronica si abbassò, e i due, testa bassa e sguardo colpevole, uscirono finalmente. Lui li squadrò “Sono di fronte a due persone adulte con le quali parlare una buona volta, o no?” “Si” rispose Logan, dopo aver scambiato uno sguardo complice con Veronica. I due si sedettero sul divano, vicini ma non troppo, tesi l'uno verso l'altro ma in direzioni opposte. La cosa insospettì Duncan, che però non aveva tempo di approfondire la sua riflessione: se non l'avesse fatto ora, sapeva che non ci sarebbe riuscito mai.
“Devo chiedervi una cosa, e voglio che mi promettiate due cose prima che io cominci a spiegarvi il tutto. La prima è che mi ascolterete fino in fondo, senza commentare né giudicare. La seconda promessa sarà per voi molto più difficile da mantenere, ma non voglio che, nel rispondere alla mia richiesta, voi vi facciate guidare dall'affetto o dai sensi di colpa, ma solo dal raziocinio e dalla logica. Se non mi prometterete questo, io prenderò Lilly e uscirò dalle vostre vite per sempre.”
I due lo fissarono esterrefatti. Veronica non amava i paletti, e sapeva benissimo che nel momento in cui gliene avessero imposti... beh, quello era il momento in cui lei, tranquilla tranquilla, li scavalcava. Duncan lo sapeva, e quindi se le poneva dei limiti significava che per lui era necessario che lei li accettasse. Lo osservò, e lesse nei suo occhi, non solo paura, ma anche panico. Gli sfiorò la mano e gli sorrise. “Hai la mia parola. Niente interruzioni, niente intromissioni. E quando mi avrai chiesto ciò che devi, beh, ci penserò attentamente e non mi farò guidare dall'impulso!” Logan si limitò ad annuire, facendogli l'occhiolino.

Duncan non aveva mai detto a nessuno quello che stava per riferire ai suoi più cari amici, ma a qualcuno doveva pur dirlo, anche per liberarsi di quel peso opprimente che gli schiacciava il petto da mesi ormai. Gli costò davvero una fatica immensa tornare a quel giorno di qualche mese prima, raccogliere ricordi e pensieri, quei pochi che aveva.


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Finalmente aprì gli occhi. Aveva l'impressione di aver dormito per secoli, che avrebbe dovuto essere sveglio e cosciente, ma chissà perché era accaduto qualcosa e non si ricordava né che giorno fosse, né cosa ci facesse a casa. La luce filtrava dalla finestra, quindi era giorno. Perché non era al lavoro? Perché c'era silenzio in casa? Perché gli doleva così tanto la testa? Alzò il braccio per toccarsi la nuca, che pulsava come un martello pneumatico, ma non ci riuscì. Si guardo allora le mani e si rese conto di essere legato al suo letto da spesse catene. Era disteso, una flebo gli pendeva dal braccio sinistro, in casa solo un leggero brusio di voci. Non capiva cosa fosse successo, la testa non gli dava tregua, e mentre il cervello sembrava sbattere contro le pareti del cranio, dei flash, delle immagini, gli riempivano gli occhi ogni volta che li chiudeva. Vasi infranti, finestre in frantumi, una sedia, le grida di sua figlia, le mani forti della sua guardia del corpo, Don, che lo afferrano. Si sente la gola in fiamme, deve aver urlato. Gli fanno male le mani, deve aver tirato dei pugni. Intontito si domanda se sua figlia stia bene, se qualcuno li abbia trovati. La paranoia è una costante nella sua vita. Non possono trovarli, devono scappare. Pensieri sconnessi si susseguono nella sua mente: il sorriso di Meg l'ultima volta che l'ha vista viva; le notti in bianco a cullare Lilly; Lilly, sua sorella, che balla in piscina assieme a Logan e Veronica; suo padre e sua madre, la delusione dipinta sui loro volti nel momento in cui ha detto loro che stavano per diventare nonni; la prima volta che aveva picchiato qualcuno: i corridoi del Neptune High, lui e Logan; Veronica alla festa di Shelly, fuori di sé, che lo trascina nel letto della stanza degli ospiti, la loro prima volta; la fuga dal Messico; Clarence che lo informa che Aaron è morto e che sua sorella è stata finalmente vendicata; lui e Lilly da bambini; il primo compleanno di sua figlia... Non è pronto a dover ricacciare tutto dentro un compartimento stagno, fuggire e dimenticare nuovamente. Non possono...
All'improvviso si domanda cosa sia successo a sua figlia. La sua bambina. Prova ad urlare, ma dalla sua bocca non esce nulla. La testa pulsa più forte. Perché è legato? Li hanno rapiti? Ma allora perché si trova nella sua camera da letto? Sente avvicinarsi dei passi, percepisce delle voci. Sua figlia! É viva! Ma allora...
Poi capisce: un'altra crisi.



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“Saranno anche passati gli anni, saremo cresciti, ma alcune cose non sono cambiate” dopo quasi cinque minuti di silenzio, finalmente Duncan aveva deciso di aprire bocca e raccontare la sua storia, svelare il suo segreto. Veronica e Logan, in perfetto silenzio, avevano aspettato e ora, in perfetto silenzio, avrebbero ascoltato.
“Andrò subito al punto, senza girarci troppo intorno: sarebbe solo una perdita di tempo, e io non ne ho molto. Lo sapete tutti e due di cosa soffro, quale malattia mi tormenta da sempre. Logan ha anche assistito a una mia performance. Non male, vero? Beh, come potete immaginare, l'epilessia non passa da sola! Ha delle fasi acute e delle fasi dormienti, connesse allo stress, all'ansia, ma anche a fattori assolutamente imprevedibili. In questi anni ho avuto pochissime crisi epilettiche, quasi nessuna. I farmaci che prendevo hanno sempre fatto effetto, e quindi per me è sempre stato relativamente semplice gestire la mia malattia.” sospirò, prendendo tempo. Raccontare quelle cose era per lui estremamente penoso. “Ma ero terrorizzato da quello che avrei potuto fare a mia figlia. Nei primi anni di fuga, mosso dalla paura di non poterla proteggere da me e dalla mia follia, prendevo doppia dose di farmaci. Pessima idea: il mio sistema nervoso si è lentamente assuefatto, e così il farmaco ha smesso di fare effetto e di controllare i miei momenti bui. Tutto ciò è accaduto gradualmente, ma nell'ultimo anno e mezzo le cose hanno cominciato a complicarsi. Ho iniziato a maturare una rabbia che all'inizio ho confuso per legittima e reale: ero costretto a vivere sotto falso nome per colpa dei Manning. I miei genitori erano due traditori. Il mio migliore amico era ripetutamente stato con colei che ritenevo l'amore della mia vita. Lei era lontana e a quanto pareva voleva rimanerci: non era voluta fuggire con me anche se avrebbe potuto.” Fece una pausa, e poi, fissando Veronica riprese a parlare. “Sai, mi sono sempre chiesto perché non sei fuggita via con me quella volta. Non avevi poi molto da perdere... ma a quanto pare mi sbagliavo!” e fulminò Logan con lo sguardo. La situazione si stava facendo imbarazzante: poco prima lei e Logan stavano per esibirsi in costume adamitico dopo anni, e adesso Duncan li stava rimproverando per essere stati assieme anni prima. Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo di quanto stava accadendo pochi minuti prima... Però aveva promesso che non avrebbe interrotto e così fece.
Abbassò lo sguardo e lo piantò per qualche istante sulle grandi mani di Logan. Qualcosa le si mosse dentro. Fatti una doccia fredda, Veronica, e frena i bollenti spiriti: non è decisamente il momento adatto per pensare a certe cose... Dopo essersi mentalmente rimproverata, decise che avrebbe posato lo sguardo solo su Duncan per il resto della serata. Il contatto visivo con Logan o con una qualunque delle sue parti del corpo era decisamente fuori discussione.
Duncan riprese la parola “Beh ecco, insieme alla rabbia sono comparsi momenti di defiance: a volte mi mancavano dei pezzi della mia giornata, alle volte non sapevo perché mi trovavo in un posto. Ho scoperto che erano messaggi che il mio corpo mi stava mandando, ma li ho letti troppo tardi. Poi sono cominciate le crisi di panico, la paranoia, l'insonnia... attribuivo tutto ciò allo stress e al fatto che non ce la facevo più a vivere come un criminale, come un fuggiasco. E la mia soluzione? Aumentare il dosaggio di tranquillanti. Il mio sistema nervoso non ce l'ha più fatta: un bel giorno sono ricominciati gli attacchi. Prima brevi e rari, poi sempre più lunghi e frequenti. Per fortuna Don, la mia guardia del corpo, non mi lascia solo un attimo. È il cugino di Clarence, qualcuno di cui posso fidarmi!” Guardò i suoi amici e, sorridendo, esclamò “Si, se ve lo state domandando, mi sta tenendo d'occhi anche adesso. Diciamo che sa essere molto... discreto!” “Potrebbe tornarmi utile!” disse Veronica, per smorzare la tensione. Sapere di essere osservati e spiati non era affatto rassicurante per una abituata a spiare e osservare...
“È solo grazie a lui che non ho ucciso mia figlia.” L'aveva detto. Finalmente. Ma l'aveva detto con una pacatezza, una freddezza che spaventarono Veronica. Sapeva che Duncan non avrebbe mai fatto del male a sua figlia, per questo era per lei sconvolgente sentire quelle parole. “Un giorno ho avuto un crisi...vera. Una crisi seria, di quelle che non mi capitavano dalla morte di Lilly, come quelle che avevo quasi tutti i giorni in quel periodo, e nel periodo in cui ci eravamo lasciati” proseguì, indicando Veronica “So che lo sai, Veronica, quindi non fare la faccia stupita: sappiamo benissimo entrambi di cosa sto parlando, quindi non facciamo finta che non sia così. Dicevo... ah si. Era una domenica di qualche mese fa ed eravamo tutti a casa. La domenica mattina io leggo il giornale mentre preparo la colazione a Lilly, perché quello è il giorno dedicato a me e lei, al bene che ci vogliamo, ai nostri capricci reciproci. Magari prendiamo e andiamo sulle Montagne Rocciose a sciare, o alle Hawaii a fare un bagno... insomma. La domenica è il nostro giorno. Ma è anche il giorno in cui io leggo i giornali californiani per tenermi aggiornato. Sei giorni alla settimana il mio passato non esiste, ma la domenica è per il ricordo e la memoria dela mia vita passata e delle persone che ho amato. Beh stavo leggendo il Neptune Tribune quando ho avuto una crisi violenta. Don mi ha raccontato che ho praticamente distrutto la cucina, e che si è dovuto lanciare addosso a me per evitare che raggiungessi Lilly...” Era freddo, gelido, come se quello che stava raccontando non lo riguardasse... “Per fortuna che c'era Don... mi sono svegliato 8 ore dopo come se nulla fosse. Non sapevo cosa fosse successo, ma ero terrorizzato. Non capivo, non ricordavo. Ero disteso su un letto, avevo paura per la vita mia e per quella di Lilly. Ho pensato che ci avessero trovati e aggrediti, che ci avessero rapiti, che ci stessero ingannando... Poi ho visto la mia bambina e ho capito che dovevo cacciare via quella maledetta paura e finalmente reagire. Una settimana dopo sono andato da uno specialista a Seattle. Mi ha visitato e le notizie non sono buone. Devono operarmi, quanto prima. Devono recidere il corpo calloso, separare i due emisferi per rompere le sinapsi difettate. E sperare che basti questo a far cessare gli attacchi.”
Veronica stava per aprire bocca, ma lui la interruppe “No, Veronica. So che se mi fermo non riuscirò più a ricominciare. Fammi finire e poi risponderò a tutte le tue domande.” La giovane donna annuì, e poi appoggiò la schiena ai cuscini del divano, cercando di rilassarsi. “L'intervento è di routine, ma ha anche una serie di punti critici connessi al mio caso specifico, ma anche al fatto che ti devono dividere in due il cervello. Come potete immaginare, nel peggiore dei casi ci rimetto la pelle, ma potrei anche perdere l'uso della parola, la memoria, la capacità di distinguere realtà e immaginazione. Per questo motivo devo mettere le mani avanti e assicurare a mia figlia un futuro, una vita, con o senza di me. Ho riflettuto a lungo e sono giunto a questa conclusione. Se dovessi morire o non essere più in grado di badare a mia figlia, non posso permettere che finisca in affidamento, quindi devo designare dei tutori che s'impegneranno a darle tutto l'affetto di cui ha bisogno, ma che siano anche in grado di prendere le decisioni giuste per lei e che sappiano amministrare il piccolo capitale che è di mia figlia per diritto. Non voglio che i Manning mettano le mani su di lei, ma per questo Veronica ha già fatto molto. Dovremmo avere notizie a breve, giusto?” lei annuì.
“I miei genitori non sono stati in grado di crescere decentemente né me né mia sorella. Nulla mi fa pensare che potrebbero riuscirci con mia figlia. Per di più si sono separati, e la bambina rischierebbe di diventare merce di ricatto. No grazie, voglio per lei un mondo d'amore e affetto, non di odio e mistificazioni. Insomma... mi rendo conto che forse parlare di amore e affetto è eccessivo, ma sono sicuro che... beh... voi sareste i tutori migliori del mondo per mia figlia. Siete le persone a me più care, siete le due persone più forti che conosca, ma anche le più fragili. So che assieme siete una coppia potenzialmente esplosiva, ma essere tutori non implica necessariamente lo stare assieme, anzi.” Era quasi entusiasta mentre pronunciava quelle parole. “Vorrei che ci rifletteste, ma sarei veramente felice se, in qualche modo, voleste far parte della nostra famiglia.” Veronica e Logan rimasero a bocca aperta. Nessuno dei due si aspettava una richiesta del genere.


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Erano ore che Veronica, Logan e Duncan alternavano spiegazioni a silenzi, dubbi a domande. Veronica stava crollando, erano state delle giornate molto pesanti e lei non ce la faceva più fisicamente. Sbadigliando pronunciò la frase con la quale l'argomento si sarebbe chiuso per un po'. “Devo parlare con mio padre prima di prendere una decisione” Logan la squadrò dall'altro capo del divano “Veronica, temo che prima dovremo trovarlo!” “Mhh... scommettiamo che posso rintracciarlo ora?” “Scommettere con te Mars è sempre un rischio... che sono disposto a correre! Cosa ci giochiamo?” Logan sapeva che avrebbe perso, ma gli era sempre piaciuto veder sorgere negli occhi di Veronica quella scintilla particolare di quando sapeva di aver vinto. “Chi perde domani esaudirà ogni desiderio dell'altro per quanto riguarda il ballo?!” Logan annuì, ben disposto a pagare pegno se si trattava di vedere Veronica in abito lungo, tacchi alti, e magari ringalluzzita da qualche bottiglia di champagne! “Fatta! Vediamo, le 6 del mattino... non dovrei disturbarlo. Non troppo per lo meno...” si alzò ed estrasse un telefono cellulare usa e getta dalla scrivania. Compose il numero e mise in viva voce. “Tesoro... sono le sei del mattino... a meno che tu non sia in pericolo di vita, sappi che potrei essere molto arrabbiato...” la voce era proprio quella dell'ex sceriffo. “Scusa papà, saluta Logan e Duncan. Volevano essere sicuri che tu stessi bene.” “Ciao ragazzi. Stavo meglio cinque minuti fa, tesoro, e starò meglio tra cinque minuti quando riprenderò il mio bellissimo sogno. A presto!” La linea suonò a vuoto. Veronica posò il telefono e si voltò verso i suoi interlocutori. Il sorriso carico di soddisfazione le morì sulle labbra. “Ops!” esclamò viste le facce truci dei due uomini “Mi sa che tocca a me darvi qualche spiegazione... beh mio padre non è stato rapito. È in un motel al sicuro: nessuno a parte me e Cliff sa dove si trova. Per rispondere alla vostra domanda... beh è stata una mia idea. Tua madre Duncan l'aveva ingaggiato per ritrovarti, e ci sarebbe riuscito, ne sono sicura. Non potevo permettere che ciò accadesse. Dato che non sarebbe stato credibile che lui abbandonasse il caso ho pensato che inscenare un rapimento sarebbe stata la soluzione ideale. Inoltre è stato un ottimo diversivo per focalizzare l'attenzione delle autorità! Così Leo ha potuto lavorare con Angela senza correre il rischio di essere beccato. Tra poche ore il signor Manning verrà arrestato, e sua moglie ritirerà la denuncia contro Duncan. È il padre di Lilly e ha il diritto di portarla ovunque voglia, se non c'è nessuna denuncia di rapimento. Quindi... sì, la sparizione di mio padre, seppur improvvisata, rientrava perfettamente nei piani.” Sbadigliò vistosamente.
“Che ne dite se andiamo a dormire? Qualche ora di sonno ci aiuterà a rinfrescarci le idee. E poi domani Logan è impegnato!” “A fare cosa?” “Come? Devo comprare abito e scarpe per il ballo!” E detto questo si avviò verso camera sua. “Buona notte signori! A tra poco!”
Si era infilata a letto, e aveva sentito la porta della camera di suo padre chiudersi; evidentemente anche Duncan era crollato. Probabilmente Logan si era sistemato sul divano. Stava giusto per addormentarsi quando la porta cigolò e Logan varcò la soglia. Con la sua solita aria da cane bastonato, chinandosi le sussurrò all'orecchio “Posso dormire qui con te? Il divano è troppo piccolo!”
Come se il letto di Veronica fosse stato molto grande.


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Era quasi ora di pranzo quando il telefono di Logan cominciò a suonare. Ci misero qualche secondo prima di svegliarsi e rendersi conto che quel suono fastidioso proveniva dal pavimento. Logan allungò la mano e cercò a tastoni il cellulare. Lo portò all'orecchio e biascicò un poco convinto “Pronto?” all'altro capo del telefono Wallace gli regalò una favolosa e cristallina risata “Amico, sei riuscito a trovare una tua fan anche qui a Neptune? Nottata di bagordi, eh?!?” Logan arrossì: Wallace non sapeva che tra le braccia del giovane attore non c'era una fan qualunque, ma la sua migliore amica. Chissà cosa avrebbe pensato, o meglio, come avrebbe reagito se avesse sentito la voce di Veronica. Si portò l'indice alle labbra, intimandola di stare zitta. “Wallace, è mattina. Non per fare l'antipatico ma... che cosa diamine vuoi? Io sarei tipo ancora in fase rem...” “Volevo solo chiederti conferma dell'orario per la tua accompagnatrice del ballo di questa sera... il suo volo arriva alle due di pomeriggio, vero?” Logan balzò quasi in piedi, lasciando Veronica allibita e svegliandola all'improvviso. Pessima mossa! Se prima non voleva che lei sentisse la telefonata, ora aveva tutta la sua attenzione.
“Hem... si arriva alle due... Si amico, grazie... no non dirle che ero in compagnia di un'altra... davvero ti devo un favore!” Veronica era imbestialita. Gettò il braccio oltre il bordo del letto e recuperò i suoi pantaloni. Il resto lo indossava ancora, lo aveva sempre indossato. Qualche ora prima, quando si erano finalmente ritrovati in posizione orizzontale, si erano semplicemente addormentati. Abbracciati.
In quel momento ringraziò la stanchezza. Se Logan aveva un'altra, come sembrava dalla telefonata che si erano appena scambiati lui e Wallace, sarebbe stato troppo umiliante per lei essere stata a letto con Logan poche ore prima dell'arrivo di questa famigerata accompagnatrice...

Non fece in tempo ad immaginarsi tutti gli scenari possibili che lui le prese il volto tra le mani e, con aria sicura e tranquilla le disse “Nessuna accompagnatrice, Veronica. Ferma il tuo cervellino e ascoltami. Senza saperlo Wallace sta per andare a prendere Jackie”.


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L'aereo era in perfetto orario. Wallace aspettava all'uscita dei voli domestici, appoggiato alla sbarra. Durante il viaggio verso l'aeroporto si era domandato che aspetto avesse il “più uno” di Logan Echolls per la festa del decennale dal diploma. Si immaginava che il ragazzo non si sarebbe smentito: sarebbe stata una ragazza copertina, tutta gambe e curve, dal sorriso smagliante, i capelli perfetti, un abito da sogno. Tutte le loro ex compagne di scuola sarebbero morte d'invidia, e qualcuno di sua conoscenza sarebbe stato roso dalla gelosia. Anche perché Veronica sarebbe stata senza accompagnatore. Situazione che vedeva coinvolto anche Wallace. Probabilmente sarebbero andati assieme, avrebbero potuto fingere di essere una coppia per apparire un po' meno falliti.
Falliti, insomma, tutto è relativo. Entrambi avevano una carriera di successo, erano ancora giovani e si divertivano. Di cosa avrebbero dovuto vergognarsi? Di non essersi ancora omologati? Di non aver fatto il grande passo? Ma ne valeva la pena? Non senza la persona giusta, e Wallace era sicuro di non averla ancora trovata. O meglio di averla persa.

Era così immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse che la gente cominciava ad uscire dalle porte a vetri, e neppure delle tre figure che si stavano avvicinando a lui. Si rese conto che qualcuno lo stava fissando quando ormai gli occhi di lei erano a pochi metri di distanza. Cosa ci faceva Jackie Coock all'aeroporto? Non aveva ancora realizzato che fosse in compagnia. La osservò avvicinarsi in silenzio. Poi lei sorrise e aprì bocca. Miele ne uscì. Il suo tono era titubante, e a stento mascherava l'emozione. “Non pensavo che saresti venuto a prendermi tu” Gli occhi le luccicavano. “Wallace, vorrei presentarti i miei bambini: lei è Tessa” Una splendida ragazzina di circa dodici anni si fece avanti e porse la mano a Wallace. Era stupenda, tutta sua madre. Wallace le strinse delicatamente la mano. “Ciao Tessa. É un piacere conoscerti, ho sentito tanto parlare di te!” la ragazzina gli restituì un sorriso carico di felicità. “E lui è Michael, come Michael Jordan”. Mani in tasca, capelli ribelli, la faccia di uno che voleva solo proteggere le sue donne. Fece un passo avanti, ma non si mosse. Wallace era sconvolto. Jackie aveva avuto un secondo figlio. Con chi? “Ha dieci anni, ed è un'appassionato di basket. Tutto suo padre!” lo disse come se la cosa non avesse importanza, ma invece ne aveva un sacco, e Wallace lo capì al volo. Jackie lo abbracciò e gli sussurrò all'orecchio “Mi sei mancato Wallace... ci sei mancato!”
Si separarono dall'abbraccio e Wallace prese le valige. Logan Echolls, pensò Wallace mentre intontito li accompagnava alla macchina, non sai in che guaio ti sei cacciato.




Spazio autrice: e qualche nodo è venuto al pettine! A presto!


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Capitolo 21
*** Comode verità ***


Comode verità


“Logan, stai scherzando, vero?” Veronica stava urlando ma a bassa voce. Era infuriata, e Logan era sicuro di non averla mai vista così. Va bene, le aveva tenuto nascosto qualcosa che avrebbe dovuto dirle, del resto si trattava del suo migliore amico. Però Logan era sicuro che lei sarebbe corsa da Wallace a dirgli tutto, cosa che Logan non avrebbe permesso. Aveva fatto una promessa a Jackie e avrebbe fatto di tutto per mantenerla.
“Veronica, per piacere... ho mal di testa e ho dormito due ore. Potresti non azzannarmi alla giugulare di prima mattina?” Disse Logan, passandosi la mano sulla fronte. Non aveva voglia di discutere con lei, e men che meno di chiedere scusa. La sua era stata la scelta corretta: tra le due donne non era mai corso buon sangue, vuoi perché Veronica si sentiva sempre attaccata, vuoi perché Jackie non si era mai risparmiata nel criticare la bionda. L'ultima cosa di cui aveva bisogno Wallace in quel momento è che Veronica si intromettesse in una questione così delicata.
“Azzannarti? Dovrei sbranarti, maledizione. Ma come ti è saltato in mente di non dirmi che Wallace ha un figlio che nemmeno conosce?”


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“Grazie per averci accompagnati all'albergo, Wallace” disse Jackie sorridendogli. “Bambini, io accompagno Wallace alla macchina. Fate i bravi e disfate i bagagli. Vado a cercare anche una baby sitter per questa sera, potrebbe volerci un po'. Se volete accendete pure la TV. Torno subito!” Li baciò sulla fronte e si chiuse la porta dietro le spalle. Lei e Wallace si avviarono verso l'ascensore senza parlare.
Wallace non sapeva cosa dire, non aveva molto da dire per essere precisi. Non sapeva se aveva capito bene, e non sapeva cosa Jackie si aspettasse da lui. Era come ubriaco: troppe emozioni, troppi pensieri, troppi ricordi che non riusciva a gestire. Aspettarono l'ascensore senza nemmeno guardarsi negli occhi. L'ultima volta che erano stati lì, il loro futuro era carico di aspettative, il loro presente colmo di amore. Avevano appena passato la notte assieme, e stavano lasciando il Neptune Grand. Non la smettevano di baciarsi, sfiorarsi, abbracciarsi. Non potevano farne a meno, come ora non potevano fare a meno di tenere una certa distanza. Come erano cambiate le cose. Dieci anni li separavano, ma allo stesso tempo un figlio li univa.

“È tuo figlio” esclamò Jackie non appena fu salita in ascensore “L'avevo capito” rispose laconico Wallace “Non sono così stupido, sai?” Era arrabbiato ma felice, triste e su di giri. Era padre, Jackie era lì con lui... cosa voleva di più dalla vita.
“Grazie per avermelo detto!” “Wallace io... non volevo costringerti a rinunciare alla tua vita per me, dopo che ti avevo esplicitamente chiesto di non farlo solo un paio di mesi prima. Non potevo farlo. Per me crescere due figli invece che uno da sola con mia madre non sarebbe stato più complicato: comunque la mia vita tornata a New York sarebbe cambiata... Non potevo in cuore mio importi la mia decisione.” “Non hai pensato che forse avrei avuto qualcosa da dire in proposito? Capisco che a portarlo in grembo per nove mesi sei stata tu, ma metà del suo patrimonio genetico è come il mio. Questo mi da dei diritti, non credi? E anche dei doveri, non solo economici ma anche affettivi, ai quali non ho potuto adempiere negli ultimi dieci anni!” fermò l'ascensore. Jackie impallidì, la scossa era stata piuttosto forte, e lei non si aspettava una reazione così aggressiva da parte di Wallace. “Sarei potuto essere un ottimo padre!” “Non puoi saperlo, Wallace. Quel che è certo è che non saresti arrivato dove sei ora. E l'avresti rimpianto...” “Questo è qualcosa che tu non puoi sapere Jackie. Non puoi sapere cosa ne sarebbe stato di me, né se avrei rimpianto la mia decisione. Cavoli, so cosa significa vivere senza il proprio padre, e guarda cosa mi hai imposto: non essere presente nei primi dieci anni di vita di mio figlio. Come hai potuto farmi questo?” le lacrime iniziarono a scendere copiose sulle sue guance “Io ti ho amata dal primo momento che ti ho visto, avrei dato la vita per te, non sono mai riuscito a cancellarti dalla mia vita, e tu come mi ripaghi? Nascondendomi l'esistenza di mio figlio? Ma lo hai un cuore, Jackie? Lo hai mai avuto?” La giovane donna, appoggiata alla parete, singhiozzava rumorosamente. Tremava e piangeva, non riusciva a proferire parola. Come poteva spiegargli quanto fosse stata difficile per lei quella scelta? Con che coraggio ammettere che aveva pensato a lui ogni giorno da quando si erano lasciati all'aeroporto JFK? Come ammettere di aver commesso il più grande errore della sua vita quel giorno? Come...

Alzò la testa e puntò gli occhi in quelli di lui. “No, Wallace, non ho più un cuore. É andato in frantumi il giorno in cui ho dovuto dirti addio.”


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Veronica uscì dalla stanza quasi correndo, dimentica della presenza di altre persone nell'appartamento. E così quando, entrata in cucina, si trovò davanti ad una ragazzina bionda dai profondi occhi scuri che le ricordava immensamente Meg e Lilly contemporaneamente, rimase spiazzata per un secondo. Scosse la testa, confusa e frastornata. Poi la ragazzina aprì bocca: “Zio Logan buongiorno!” sorrise all'uomo che era sbucato dalla camera di Veronica. La voce della piccola Lilly ebbe l'effetto di una secchiata d'acqua fredda sulla giovane donna. “Lilly?” domandò, mentre gli occhi le pizzicavano. No non stava piangendo. O forse si.
Veronica fece un passo verso la ragazzina, e cadde in ginocchio. Non la toccò, non si mosse, rimase ferma, gli occhi puntati sulla figlia di Duncan e Meg, mentre le lacrime  sgorgavano copiose lungo le sue guance. Non capiva perché: non era sua figlia, avevano passato assieme pochissimi giorni, quindi non poteva avere un rapporto privilegiato con lei. Eppure vederla, viva, felice, quasi una donna... l'emozione che provava in quel momento era indescrivibile!
“Sei... bellissima, Lilly!” “Grazie Veronica. Anche tu sei bellissima, come mi ha sempre detto papà!” e saltò al collo della bionda investigatrice. Abbraccio che Veronica, dopo un momento di spaesamento, le restituì!
Logan, appoggiato allo stipite della porta, le osservò sorridendo. In quel momento comparve anche Duncan, dalla stanza di Keith. Fece cenno al suo migliore amico, e restarono tutti fermi, come in una fotografia per alcuni istanti. Poi Logan decise che era il momento di interrompere quella scenetta, per quanto commovente fosse. “Che ne dite di mettere qualcosa sotto i denti? Io ho una fame...” Lilly si staccò da Veronica e, saltellando per la stanza si mise ad urlare “Pancake, pancake!” “Sciroppo d'acero, fragole e panna?” la provocò Logan “Sì!” “Sono proprio la mia specialità! Mi dai una mano?” “Siiiiiii!” era evidente che il fascino di Logan aveva colpito un'altra volta!
Duncan si avvicinò a Veronica e le posò una mano sulla spalla. “Non è meravigliosa?” “No Duncan, è molto più che meravigliosa: è magnifica! Hai fatto un lavoro splendido con lei. Sei un padre fantastico. Nessuno potrà mai accusarti di non aver offerto il meglio alla tua bellissima figlia!!” Si era alzata in piedi e guardava Duncan fiera di lui. “Hai pensato alla mia proposta?” Le domandò Duncan. “Ci sto ancora pensando. Ho bisogno di un po' di tempo, devo riflettere bene e soprattutto confrontarmi con mio padre. Dammi un po' di tempo...” e si avviò verso la cucina. Il discorso era chiuso, almeno per il momento.
Logan e Lilly stavano per servire la colazione, così Veronica accese la TV. Erano due giorni che non riceveva notizie dal mondo esterno. Lo speaker stava parlando di un arresto avvenuto da poche ore nella contea di Bilboa. Veronica alzò il volume e attirò l'attenzione di tutti. Sullo schermo il volto di una giovane agente dell'FBI, autrice dell'arresto. La donna era proprio bella, di origine sudamericana: la pelle olivastra, i capelli scuri e mossi. Dietro di lei un volto noto, quello di Leo D'Amato. I due uomini si voltarono verso Veronica che, soddisfatta, sorrideva al televisore. “Opera tua?” “Opera mia. Lei è Angela Weiss, e direi che è riuscita perfettamente nel suo compito.” “Vuoi dire...” “Si, DK, sei libero. Il Signor Manning è appena stato arrestato per maltrattamento di minori. Per tenere la potestà sulla figlia più piccola ancora minorenne, la signora Manning ha promesso di ritirare la denuncia. Così fa l'FBI! Bentornato a Neptune Mr Kane!”
Duncan fissò il televisore per un lungo momento, mentre le immagini del signor Manning in manette si alternavano alle interviste all'agente Weiss e alle immagini della città di Neptune. Poi, cercando di non farsi notare da sua figlia, in silenzio, lasciò che la tensione accumulata negli ultimi mesi fluisse dalle sue lacrime, mentre Veronica e Logan distraevano la piccola Lilly, mettendo nei piatti i pancake appena fatti e ricoprendoli di panna e fragole.
La sensazione di libertà che Duncan provò in quel momento lo travolse per alcuni minuti, poi si ricompose e si rivolse a sua figlia. “Ho come la sensazione che dovremo cercarci una casa. Come la preferiresti, tesoro? Sulla spiaggia o con un bel giardino e la piscina?” “Ovunque ci sia tu, e ovunque tu sia felice, papà!” Esclamò la bambina, mentre lo sciroppo le colava lungo il mento. Duncan non era stato così felice da fin troppo tempo!


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Si stava preparando per uscire. Aveva appuntamento con Mac per un caffè e quattro chiacchiere. Erano capitate un sacco di cose dall'ultima volta che si erano viste, non da ultima i quattro o cinque minuti in paradiso con Logan.
Ah, e come dimenticare la folle richiesta si Duncan? Come se la mia vita non fosse già abbastanza incasinata di per sé? Sono tutti ammattiti a 'sto mondo? Maledizione... come se non bastasse tutto l'alcol che ho ingerito nelle ultime ore mi si sta rivoltando contro e la mia testa non la smette di pulsare... l'avevo detto io che era meglio stare lontana dai guai, da Neptune, da Logan... maledizione, maledizione, maledizione...
Stava cercando una maglietta da indossare che non gridasse “liceale ribelle”, ma non riusciva proprio a trovarne. Del resto il suo guardaroba si era trasferito con lei a L.A., e ciò che era tornato con lei a Neptune era nell'armadio a casa di Mac e Dick. Si ripromise di passare da loro a recuperare le sue cose nel pomeriggio. Ripescò una T-shirt bianca e una felpa rosa, un paio di jeans piuttosto lisi e delle Convers che avevano almeno otto anni.
Si stava vestendo quando Logan entrò nella stanza. “Hey!” esclamò lei, infilandosi la maglietta. Non la imbarazzava farsi vedere in biancheria da Logan. Non era mai stato imbarazzante, e questa abitudine le era rimasta. “Hey!” rispose lui “Stai uscendo?” “Si, girl talk, come si suol dire. Ho un po' di cose delle quali parlare con Mac, un po' di cose in sospeso e un po' di segreti da svelare...” “Immagino anche qualche consiglio da chiedere, no?” lo domandò con fare divertito, come per prenderla in giro. Veronica lo squadrò con aria scocciata. Con il dito indice disegno il contorno del suo viso “Mi conosci... la mia faccia ti dice che preferire...” e lasciò la frase in sospeso. Logan rise di gusto “Fare speleologia?” “No... passare una settimana con Madison Sinclaire su un isola deserta!” Poi sorrise “No, non lo preferirei, forse. No io e Mac non parliamo di certe cose, non siamo così girl talk! Ma non ti preoccupare, non mi sono dimenticata di te e del nostro appuntamento. Io e Mac prendiamo un caffè e poi andiamo dalla parrucchiera e dall'estetista: unghie e acconciatura per la serata. Poi io e te penseremo a vestito e scarpe!” Logan sorrise. Non era cambiata, in fondo!

“Veronica... volevo parlarti di una cosa.” Lei era in bagno, che cercava di pettinare i capelli tutti arruffati. “Dimmi” esclamò, guardando l'immagine di lui riflessa nello specchio. “Io pensavo... quello che ha detto Duncan mi ha fatto riflettere. Lui... non è che è ancora innamorato di te? Cioè, alcuni suoi discorsi mi sono sembrati molto connessi al passato. Sembra che lui non si sia mai mosso oltre il giorno in cui vi siete dovuti salutare. Tu non hai avuto questa sensazione?” Veronica finalmente uscì dal bagno. Non voleva affrontare quel discorso che era per lei estremamente doloroso. “Logan... non lo so. Penso che se fuggi e ti lascio tutto alle spalle, ma allo stesso tempo non puoi costruire nulla nel tuo futuro... beh forse aggrapparti con le unghie e con i denti al passato, a ciò che ti rendeva felice come salvagente per la tua felicità presente... Magari è l'unico modo. Ma non credo che lui sia innamorato di me, della Veronica che sono diventata, della Veronica che sono stata  dal giorno della morte di Lilly. Non mi ha mai capita, non è mai andato oltre l'immagine fittizia che si era costruito di me, di noi. Penso che se le cose stanno così, presto si renderà conto che io non sono ciò che vuole e potrà finalmente andare oltre. Duncan non mi ama, e quello che conta è che io non amo lui. Non lo penso da anni...”
Logan sembrava essere molto più rilassato. Chissà perché, ma aveva bisogno di costanti conferme. Veronica sarebbe stata più che contenta di dimostrargli quanto fosse legata a lui, al loro passato, alla loro storia... quanto l desiderasse e quanto lo avesse segretamente desiderato negli ultimi dieci anni. Dieci anni di struggenti ricordi. Sapeva benissimo come ci si sente a vivere con il passato come proprio futuro.
“Mettiamo che sia effettivamente così” riprese Logan “Beh... visto che non ne abbiamo ancora parlato e non abbiamo né il tempo né la forza di parlarne adesso, che ne dici se tenessimo un basso profilo e, qualunque cosa sia quella che stiamo facendo, tenessimo per noi... questo?” Lo disse baciandola “E questo” e la baciò con crescente entusiasmo “E questo” finalmente lei lo ricambiò. Era un sì alla sua richiesta: avrebbero mantenuto il loro piccolo segreto, per qualche tempo almeno.


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Mac la stava aspettando con due caffè in mano davanti alla sua estetista preferita: tutte le dipendenti erano asiatiche e nessuna di loro amava parlare con le clienti. Servizio veloce e preciso, e non era necessario intrattenersi con loro. Cosa chiedere di più?
Quando vide la bionda arrivare, si abbassò gli occhiali sul naso e la fissò avvicinarsi con fare malizioso. “Allora, Bond? Come ci si sente ad essere una donna libera?” “Come potrei esprimere la mia immensa gioia se non attraverso un imbarazzante abbraccio?” e così saltò al collo dell'amica, che allargò le braccia per salvare i caffè e si lasciò trascinare dall'enfasi dell'amica. “Vacci piano V la mia vita dipende dall'esistenza di questo caffè!” e porse uno dei due bicchieri di carta all'amica che lo accolse con estrema gratitudine. “Mac, se tu non fossi già impegnata e se nello storico stato della California fosse permesso ti chiederei di sposarmi!” “Allora come è andata nelle ultime ore? In quali altri guai ti sei cacciata?” la sua era una battuta, ma il volto di Veronica le fece capire che, per l'ennesima volta, c'aveva azzeccato: Veronica tanto per cambiare si era infilata in guai seri.
“Ok, sai cosa facciamo adesso? Entriamo in questo posto dove tutti sono estremamente discreti e mi racconti il raccontabile. E intanto ci facciamo coccolare un poco in previsione della grande serata che ci aspetta!”
“Mac, leggo emozione nella tua voce? Come è possibile. Rituffarsi nel passato... il liceo... le umiliazioni... davvero? Non ti facevo così sentimentale!” “Oh, Veronica, non hai idea di quanti sentimenti repressi io abbia bisogno di sfogare!” La prese sotto braccio e la trascinò nel salone di bellezza.
Salone dal quale uscirono due ore dopo: manicure perfetta, mesa in piega di classe e un sacco di pensieri nella testa. Veronica aveva parlato tutto il tempo e ora toccava a Mac dire la sua. “Beh, innanzitutto mia cara devo dire che non ti facevo così brava nel mantenere i segreti. Anche se forse la cosa non dovrebbe stupirmi così tanto...sei pur sempre Veronica Mars... Che dire, sono molto contenta che tuo padre stia bene e che quindi non gli sia capitato nulla di male. Ma... era proprio necessario fingere un rapimento?” “Necessario no, ma è stato estremamente utile e anche un po' divertente!” “Ovvio, se non ci metti tutti nel sacco non sei contenta... comunque. Non abbiamo molto tempo, a quanto mi dici per cui andrò dritto al sodo: tu e Logan? Che novità. Mi sarei stupita del contrario. Come potete ogni volta cascare nello stesso errore senza aver prima affrontato una volta per tutte le questioni che da quasi dieci anni tenete in sospeso?” Le due donne stavano camminando lungo il marciapiede “Insomma, lui ti ha ferita più di una volta. Ti sei dimenticata di come ti ha trattata dopo la morte di Lilly? Era proprio un bastardo. Ti ha nascosto dei segreti, ti ha  mentito, ti ha infilata nella faida tra 09 e PCHers, si è fatto trovare a letto con Kendall poche ore dopo averti dichiarato amore epico, che tra parentesi suona molto meglio di eterno, è andato a letto con Madison... Beh non che tu sia una santa. L'hai accusato ripetutamente di omicidio, hai tradito la sua fiducia, l'hai sempre trattato come manchevole e bugiardo, come se non si meritasse di stare con te... Insomma Veronica, queste sono cose pesanti. Non si lavano via con un colpo di spugna, non si dimenticano come se niente fosse. E voi non avete mai affrontato questi argomenti.”
La delusione sul volto dell'amica le fece capire di dover addolcire la pillola. “Non sto dicendo che tu e Logan non dovete stare assieme, sia chiaro. Non sono io a doverlo decidere. Inoltre voi due siete veramente epici... ti ha salvato la vita, ti ha protetta, tu non l'hai abbandonato quando tutto il mondo gli urlava contro e gli hai dato fiducia quando alla fine hai capito. Quello che penso è che prima o poi dovrete sedervi attorno a un tavolo, possibilmente con tutti i vestiti addosso, e parlare. Parlare di voi, arrabbiarvi, chiedere scusa, ma soprattutto ascoltare quello che l'altro ha da dire. E poi decidere se potete o non potete stare assieme.” Si sedettero ad un caffè e ordinarono due spremute d'arancia e due sandwich. Era ora di pranzo ormai.
“Io l'ho perdonato. Gli ho perdonato tutto un sacco di tempo fa. Non provo rancore verso di lui e...” Non fece in tempo a finire la frase “L'hai perdonato o ci sei passata sopra? No perché la litigata dell'altra sera mi fa pensare che almeno lui non ti abbia ancora perdonata!” Dire quelle cose faceva a Mac tanto male quanto il dolore che provava Veronica nel sentirle. “Veronica” disse, stringendole la mano “A maggior ragione dopo quello che vi è stato chiesto ieri sera dovreste prendere le cose sul serio, riflettere bene e capire se potete farcela. Non fatevi trascinare dai sentimenti e dall'attrazione. Metteteci un po' di testa questa volta. Se accettate di diventare tutori della bambina, non ci saranno solo le vostre vite in ballo, ma anche la sua. Sua madre è morta, suo padre è... un fuggiasco. Se anche i suoi punti di riferimento la abbandonano come crescerà?” Veronica non aveva ancora assaggiato il suo sandwich. Un vago senso di nausea la permeava, la testa le girava e le sudavano le mani. Rispondere a Mac sarebbe stato rendere reale la sua decisione, che fino a quel momento era stata una questione intima e personale.
“Mac, io non voglio essere il tutore legale di Lilly. Non posso esserlo!”


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Duncan e Logan erano a casa, con la piccola Lilly che disegnava sul tavolo della cucina. La televisione andava, ma nessuno dei due vi prestava attenzione. Stavano parlando degli ultimi dieci anni, di come erano cambiate le loro vite. Duncan sorrise all'amico, prima di coglierlo alla sprovvista. “Certo abitudini, però, non cambiano mai?” “Di cosa stai parlando?” domandò Logan, anche se aveva come la sensazione di sapere dove i suo vecchio amico stesse andando a parare. “Come essere più chiaro...” Duncan sembrava sia divertito che irritato da ciò che stava per dire “Tu e Veronica. Può accadere di tutto e voi due, chissà perché, vi ritrovate sempre l'uno tra le braccia dell'altro. Ma non vi ricordate dei disastri che combinate, ogni volta che siete assieme? Siete una bomba a orologeria...”
Logan scoppiò in una risata nervosa, quasi isterica. “Ma di cosa stai parlando DK? Io e V? Spero tu stia scherzando, insomma, non è che ci siamo frequentati spesso negli ultimi dieci anni. Anzi, ci siamo sapientemente evitati. Dopo che mi ha chiuso la porta in faccia dopo l'affare Piz, ci siamo visti solo in occasione del matrimonio di Mac e Dick. Ma visti è il termine adatto: abbiamo condiviso lo spazio visivo solo in quanto testimoni, ma a mala pena ci siamo rivolti la parola. Dopo i brindisi lei è evaporata! Non c'è più stato nulla tra di noi...” “Fino a ieri sera, no? Dai Logan non trattarmi come se fossi un imbecille. Conosco i segnali: tu e lei che vi stuzzicate meno aggressivamente del solito, la tensione è palpabile. E poi, ricordati, gli sguardi che oggi lancia a te una volta erano rivolti a me! Anche se non erano così... passionali. Penso che la maturità le stia facendo bene, almeno da quel punto di vista. Siete stati silenziosi la scorsa notte...”
“Non so cosa pensi di aver visto, Duncan, ma io e Veronica non siamo stati assieme la scorsa notte, né una notte qualunque degli ultimi anni. Si, ho passato la notte in camera sua, ma non è successo nulla tra di noi: te lo giuro!” “Logan, non so cosa sia successo, ma so cosa succederà: tu è Veronica è matematico, si tratta di chimica e fisica, non può che essere così. Lo sanno tutti quelli che vi hanno conosciuti e visti assieme, tutti tranne voi.”
“Io non posso... io non so... DK... ci siamo rivisti dopo dieci anni e tu vuoi tirare fuori questo argomento subito?” “Si Logan, perché voglio mettere in chiaro una volta per tutte che Veronica per me è una delle persone a cui sono più legato e a cui voglio più bene. Se fossi rimasto a Neptune magari le cose sarebbero andate diversamente, ma dieci anni di distanza, una figlia illegittima e la mia fuga hanno diciamo offuscato i miei sentimenti. L'immagine di Veronica che ho portato via con me non ha molto a che spartire con la Veronica in carne ed ossa che entrambi conosciamo. È molto vicina alla Veronica delicata e sensibile, candida e innocente della quale mi sono innamorato anni fa. La Veronica con la quale abbiamo a che fare oggi è invece molto simile a quella di cui ti sei innamorato tu. Ed era anche quella che ti ha ricambiato fin dal primo momento. Non incondizionatamente, ma Veronica ti ha amato moltissimo: almeno quanto tu hai amato lei.” Duncan tacque brevemente. “ Ti sto dando la mia benedizione Logan, per quanto valga. Io non penso più a Veronica in quel modo da anni. Ho avuto mia figlia e la nostra fuga a riempirmi la testa da quando ho lasciato Neptune, e ben poco tempo per rimpiangere il passato. Ma mi sono reso conto che non desideravo più Veronica, e soprattutto che lei non desiderava più me, nel momento in cui ha risposto al telefono la prima volta che ci siamo sentiti. C'era affetto, forse un po' di nostalgia nel suo tono; ma di sicuro non c'era struggimento. Come d'altronde non c'era nel mio di tono.”
Logan sorrise al suo vecchio amico. Non sapeva ancora cosa sarebbe successo, non aveva fatto piani e non aveva intenzione di farne. Voleva fare un passo alla volta, cercando di godere di ogni momento quanto più possibile senza però dimenticare i loro problemi o passare sopra alle questioni lasciate in sospeso. Voleva confrontarsi con Veronica, capire cosa desiderava lei, scoprire se almeno uno dei riusciva ad immaginarsi una vita assieme e fosse quindi disposto a combattere per riuscirci. Avere il benestare di Duncan era per lui fondamentale. Stava per alzarsi ad abbracciarlo quando le immagini alla TV attirarono la loro attenzione. Lo sceriffo stava ammanettando accompagnando la signora Manning e le due figlie in centrale. Logan alzò il volume. La giovane e avvenente speaker stava raccontando l'accaduto “Pare che le tre donne siano state convocate presso l'ufficio dello sceriffo della contea di Balboa all'interno del processo che vede coinvolto Derek Manning, arrestato ufficialment poco fa. Le autorità federali stanno prendendo in mano il caso. Da Darline Connor è tutto, a voi la linea.”
“Beh, a quanto pare sei un uomo libero, amico mio! Questa sera avremmo un sacco da festeggiare!”


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Era seduto al bar con lei da almeno una ventina di minuti ed era già al terzo whisky. Non le aveva ancora permesso di aprire bocca, ma sapeva che prima della fine del quarto whisky avrebbe dovuto permetterle di parlare. Prese in mano il bicchiere, la guardò fissa negli occhi, poi, prima di avvicinare il vetro alle labbra finalmente le parlò. “Hai cinque minuti per dirmi quello che hai da dire. Poi vedremo...” e iniziò a sorseggiare il suo drink.
“Wallace, che dire, come scusarmi o giustificarmi? Nulla. Ti posso solo raccontare come è andata. Ci siamo lasciati al JFK. Io sono tornata alla mia routine, rimpiangendo il fatto di averti lasciato andare, di non averti seguito. Ma avevo una figlia da crescere, una bambina che mi aveva vista per pochi mesi... avrei rinunciato comunque a qualcosa. Ho optato per lasciarti andare via: mia figlia non poteva crescere senza di me, tu senza di me saresti stato libero. Sono passati due mesi. Io avevo il mio tran tran. Stavo cercando di portare avanti la mia vita: studiavo per iscrivermi all'università, lavoravo alla tavola calda con mia madre e finalmente facevo il mio dovere, facevo la mamma. Avevo detto a Tessa che ero io la sua mamma. Poi le nausee sono cominciate. L'avevo passata da poco, il mio ricordo della maternità era così fresco che ho capito al volo cosa fosse successo. Le prime settimane sono state un incubo, perché non sapevo proprio cosa fare. Chiamarti e dirtelo? Cosa avrei ottenuto? Le opzioni erano due: che tu corressi da me e rinunciassi alla tua vita, e io mi sarei sentita in colpa per tutta la vita. Oppure avresti potuto ignorarmi."
Poi proseguì.
"Non ero preparata a dirtelo, a sconvolgerti la vita e a subirne le conseguenze. Non volevo ferirti, non volevo costringerti... e non volevo anche questa responsabilità. Ne avevo già abbastanza di crescere due figli. Gestire anche il padre di uno dei due che magari mi avrebbe odiata o addirittura avrebbe voluto portarlo via da me...” Tacque per un lungo momento, cercando di leggere qualcosa negli occhi quasi inespressivi di lui. Dato lo scarso risultato riprese a parlare.
“Sono stata profondamente egoista, lo so, e mi sono sempre detta di averlo fatto per te. Anche per pulirmi la coscienza. Ma ti ho sempre pensato, non sai quante volte ho pensato, provato, tentato di contattarti per dirti tutto, ma più il tempo passava più per me era difficile dirti la verità, informarti che eri diventato padre, farti conoscere tuo figlio. Ero sicura che non mi avresti mai perdonata e volevo posticipare il più possibile il momento in cui tu mi avresti detto che mi odiavi. Ero certa che sarebbe stato il momento più difficile della mia vita e volevo solo rimandarlo...”
“Ma io non ti odio!” l'aveva interrotta all'improvviso. Finalmente aveva parlato e ciò che aveva detto non si avvicinava nemmeno lontanamente a ciò che Jackie si aspettava da lasciarla esterrefatta. “Non mi odi? Nonostante quello che è successo?” “No Jackie. Trovo ingiusto quello che hai fatto, e sarà difficile buttare giù questo boccone amaro. Ci vorrà del tempo, ma è qualcosa su cui dovremo lavorare. Non ho intenzione di odiare la madre di mio figlio, la prima donna che ho amato, la donna che non ho mai dimenticato. Dovremo lavorare per sistemare questa cosa, ma prima di tutto vorrei conoscere mio figlio, riconoscerlo e occuparmi di lui. Fare tutto quello che posso per lui ma anche per te.”
Wallace parlò ancora a lungo, ma l'unica cosa che Jackie aveva registrato era che lui non l'aveva dimenticata. Forse era valsa la pena aspettarlo.


Spazio autrice: Promessa mantenuta! Manca poco alla fine! Grazie a chi segue!



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Capitolo 22
*** Preparativi ***


Preparativi


Ne aveva abbastanza di confidenze e segreti, e idem valeva per Mac: non erano mai state due classiche ragazze che passano il tempo a colorarsi le unghie e parlare di ragazzi. Avevano sempre ridotto al minimo i momenti femminili, scambiandosi le informazioni solo quando necessario. Mac non aveva mai chiesto consigli a Veronica su come vestirsi, con chi uscire e via dicendo. Veronica si era confidata con Mac solo per quanto riguardava l'essenziale, senza scendere troppo nel particolare nonostante Mac fosse la sua più cara e intima amica. Mac sapeva che qualcosa era successo alla festa di Shelly Pomroy, ma non sapeva cosa. Veronica non aveva mai voluto sapere cosa fosse successo a Mac la sera con Beaver, nulla oltre a ciò che l'amica aveva deciso di raccontarle. Aveva deciso che avrebbe rispettato il desiderio di intimità della sua amica e così era stato.
Insomma, avevano fatto il pieno per i prossimi sei mesi al salone di bellezza e stavano per salutarsi quando il telefono di Veronica suonò: la sua segreteria telefonica aveva raccolto la voce di qualcuno. Era un messaggio di Wallace. Mac era già salita in macchina e stava per mettere in moto quando Veronica le si lanciò praticamente sul cofano. “Abbiamo un'emergenza, Mac... che ne dici se andassimo assieme a comprare il vestito per questa sera in compagnia anche di un atletico e stupendo uomo?”
Mac abbassò gli occhiali da sole e annuì. Le erano sempre piaciute le sorprese.
Estrasse le chiavi dal pannello di accensione. “Ma non avevi un appuntamento importante con qualcuno di molto importante?” Veronica sbiancò. Si era dimenticata della promessa fatta a Logan qualche ora prima nel momento in cui aveva sentito la voce disperata di Wallace. Recuperò il telefono dalla tasca e si preparò a una dolorosa telefonata.


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Era in ritardo. Lei non era mai in ritardo, mai. Poteva significare solo due cose: o era successo qualcosa o si stava tirando indietro. Entrambe le opzioni lo mettevano in agitazione. Quel tizio dell'FBI sembrava non aver dimenticato lo sgarro che Veronica gli aveva fatto più di dieci anni fa, e sembrava più che disposto a fargliela pagare. La presenza dell'agente Patterson lo preoccupava non poco: Veronica aveva sempre avuto la magica capacità di ficcarsi nei guai senza volerlo e soprattutto senza accorgersene. Sperava che non fosse così, che Veronica non si fosse messa contro uno più grosso e cattivo di lei.
Per quanto si augurasse che Veronica stesse bene, dall'altra non poteva che interpretare il suo comportamento come un rifiuto. L'alcol, la stanchezza, lo stress. Forse ci stava ripensando e non voleva più avere a che fare con lui... era confuso e preoccupato. Avrebbe voluto chiamarla, ma allo stesso tempo non voleva chiamarla, non voleva metterla sotto pressione e costringerla a rispondergli, a decidere.
Mentre si tormentava, faceva passare il telefono cellulare da una mano all'altra. Chiamarla o non chiamarla? Proprio in quel momento il cellulare squillò: era Veronica, finalmente.
“Hey, iniziavo a temere che mi volessi dare buca senza nemmeno una chiamata!” “Hey! Sai che chiamo sempre per darti buca!” Ok, non è arrabbiata, ma c'è qualcosa che non va, pensò Logan, dopo che la biondina ebbe risposto. “Non verrai...” provò. “Avresti dovuto aspettartelo, Logan: Jackie che torna con un pacco sorpresa per Wallace e secondo te io non vengo coinvolta?” non erano delle scuse... “Scusa Logan...” il tono di Veronica era veramente dispiaciuto “Avevo proprio voglia di passare un paio di ore con te. Però se vuoi posso mettere sul tuo conto gli acquisti miei e di Mac! Insomma, potrai far felici due donne!” Logan scoppiò a ridere “Ti prego, Veronica, spendete tutto quello che volete, purché siate meravigliose. Ci vediamo questa sera, ok? Saluta Mac e chiedi scusa a Wallace da parte mia!”
Era più tranquillo ora, anche se gli dispiaceva molto non poterla accompagnare. Ma almeno si sarebbe goduto la sorpresa.


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Wallace le raggiunse alla boutique che Mac gli aveva indicato. Le due stavano già provando la prima mise. Mac indossava un abito lungo mono spalla di un bel verde acceso. Le curve della giovane donna si erano arrotondate dopo la gravidanza, e il vestito le metteva in evidenza. Forse un po' troppo. Certo, il colore le donava, ma forse l'abito era un po' troppo formale per l'occasione. Veronica, seduta su un divanetto, sorseggiava un aperitivo analcolico mentre osservava l'amica che camminava su e giù per il camerino. “Non so, Veronica, non stiamo andando alla serata degli Oscar... e poi mi toccherebbe mettere delle scarpe troppo alte...” Non si era accorta dell'arrivo del giovane uomo che, ridendo, attirò la loro attenzione “Già, Veronica, tu che sei così femminile, cosa ne pensi?” Veronica, che indossava una vestaglia di seta si alzò e gli girò attorno. “Beh, mi sembra che l'esperto potresti essere proprio tu! Sto ancora cercando di capire quale delle ragazze Gilmore tu sia!” e gli sfilò la giacca. “Ti dispiace se, mentre ci racconti cosa è successo, io e Mac diamo fondo alla carta di credito di Logan Echolls? Questa sera abbiamo tutti un appuntamento importante, no?” Wallace annuì e si accomodò sul divanetto  occupato fino a poco prima dalla sua migliore amica. Era troppo agitato per rendersi conto di ciò che la sua migliore amica aveva appena detto: lei stava spendendo i soldi di Logan Echolls.
Dopo un profondo sospiro Wallace cominciò a parlare. La sua voce era leggermente tesa. “Che dire... sono papà di un bellissimo bambino di dieci anni. È sveglio, simpatico, in salute. A quanto mi ha detto Jackie è intelligente, va bene a scuola, è bravo negli sport e ha un sacco di amici. È un bambino sereno e felice che però è stato costretto a crescere senza un padre, tutto per colpa di Jackie, delle sue paure e del suo egoismo.” Veronica a e Mac lo fissavano senza aprire bocca. Aveva bisogno di sfogarsi, non di sentire le due donne criticare o giustificare Jackie. Era lui che doveva trovare un equilibrio e in qualche modo fare pace con lei e il suo passato.
“Però in fondo la capisco” continuò, mentre Veronica sguisciava in camerino per provare un vestito senza maniche, lungo fino alle caviglie di un acceso blu elettrico. Mac nel frattempo stava adocchiando un abito corto, a tunichetta viola con delle trasparenze sulla scollatura. Era elegante e classico, sensuale ma non eccessivo. A Dick sarebbe piaciuto moltissimo.
“Vedete ragazze, non me la sento di accusarla e basta. Non so io come avrei agito, al posto suo. Insomma, già la sua vita era rovinata, perché rischiare di rovinare anche la mia? L'ha fatto per me. O almeno questo è quello che dice. Dovrei crederle secondo voi?” Veronica sbucò da dietro la tenda e guardò la giovane madre negli occhi. Cosa fare adesso? Mac prese la parola. “Le credi o no? Insomma Wallace, tu la consoci, tu l'hai amata e non sei mai riuscito ad andare oltre... crederle o meno non può dipendere da noi!” Veronica sorrise: Mac aveva trovato la soluzione giusta e soprattutto l'aveva fatto senza tirarla in ballo.
“Già Wallace, è una domanda che devi porre a te stesso. Ma secondo me la prima cosa che devi chiarire a te stesso e a Jackie è se vuoi entrare a far parte della vita di tuo figlio, e quindi, anche di quella di Jackie...” “Io voglio... cavoli, è mio figlio. Ha diritto di avere un padre e io ho il diritto di stare con lui. Jackie non avrà voce in capitolo. Se non mi vuole vedere... beh sono affari suoi. Ma non può impedirmi di crescere mio figlio!”

“Quindi tu vuoi stare vicino a tuo figlio con o senza Jackie?” domandò Veronica mentre mostrava all'amica l'abito appena indossato. Mac scosse la testa. “Troppo lungo e formale. Che ne dici di questo? E le allungò un vestito senza maniche, di raso rosso, lungo solo fin sopra le ginocchia. Veronica ebbe un sussulto. Lei era da raso rosso senza maniche? Forse, ma non in quell'occasione. Quel vestito le ricordava una giovane donna molto arrabbiata nella quale lei non si riconosceva. Fece cenno all'amica che avrebbe fatto un giro alla ricerca di qualcosa di più divertente. Dopo poco si bloccò di fronte a un espositore. Forse aveva trovato quello che cercava. Era rosso e senza spalline, ma la sottoveste in raso scuro era coperta da un leggero strato di tulle trasparente, rosso e tempestato di lustrini. Una fascia sotto il seno faceva partire l'ampia gonna che arrivava poco sopra il ginocchio. Era il suo vestito: scarpe col tacco nere, capelli legati, trucco discreto. Niente collana, solo gli orecchini e il braccialetto che Logan le aveva regalato per il suo compleanno tanti, troppi anni prima. Perfetto!
Wallace non aveva proferito parola per un po', pensieroso. Poi finalmente ricominciò a parlare. “Sarebbe molto meglio se ci fosse anche lei nella mia vita... io non l'ho mai dimenticata e dubito di poterci riuscire. A maggior ragione ora che so che è la madre di mio figlio. Come posso solo immaginare di avere un'altra donna nella mia vita, ora che io e lei dividiamo non solo un passato assieme, ma anche il nostro futuro? Non so se lei pensi ancora a me, sta di fatto che non ha avuto altri uomini nella sua vita. Forse perché non aveva tempo... probabilmente è per questo... però...” ammutolì all'improvviso, quando le due ragazze uscirono dai loro camerini, indossando due abiti perfetti ed elegantissimi. Erano gli abiti che facevano per loro! Mentre le guardava compiaciuto non poté non pensare a quanto bella fosse Jackie la sera del ballo alternativo... la sua pelle così morbida, il colore così caldo fatto risaltare dal bianco candido dell'abito che indossava quella sera; i capelli di lei, lisci, che gli solleticavano il volto... “Ragazze, e se io provassi a riconquistarla? Sarei folle a riprovarci con lei?” le due si guardarono con fare complice. “Ditemi la verità! Siate sincere! Come reagireste se... beh se il vostro ragazzo del liceo vi chiedesse di sposarlo dopo dieci anni che non vi vedete?”
Veronica era davvero in imbarazzo. Lei e il matrimonio non erano due concetti in grado di convivere dopo tutti i tradimenti cui aveva assistito e dopo quello che era accaduto alla sua famiglia. Inoltre il suo non amore per Jackie le impediva di essere obbiettiva in merito all'idea di Wallace. Lasciò quindi che fosse Mac, felicemente sposata con Dick Casablancas, a dire la sua.
“Sarebbe un gesto... quasi eccessivo. Insomma, potrebbe essere frainteso e a dire il vero non è chiaro nemmeno a me perché tu voglia chiedere a Jackie Cook di diventare tua moglie. Non mi fraintendere però... scopri di essere padre e dopo nemmeno ventiquattr'ore chiedi alla madre di tuo figlio di sposarti dopo anni di lontananza... sarebbe legittimo domandarsi se lo fai perché sei ancora innamorato di lei, lo sei sempre stato e lo sarai per sempre, oppure se lo fai perché ti senti in dovere di prenderti cura di lei e dei suoi figli...” Mac tacque, rimirandosi nello specchio mentre Veronica provava  due diverse paia di scarpe e Wallace si tormentava le mani.
“Se è per questo secondo motivo, beh, basta che tu riconosca la paternità e decida di non far mancare loro nulla. Non devi rimediare a nulla, Wallace, non devi sposarla per mantenere un impegno che nemmeno hai preso. Se invece sei ancora legato a lei, e non solo perché avete un figlio assieme, beh allora hai tutto il mio appoggio, Wallace. Il vero amore capita forse solo una volta nella vita, e quando lo si trova è bene non lasciarselo sfuggire. Se ami Jackie e l'hai sempre amata, beh... sai cosa devi fare.” Detto questo si diresse al reparto accessori: lei e Veronica dovevano trovare due copri spalle, e scarpe e borse in coordinato. Mancava veramente poco alla loro grande serata.


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Le mani di Weevil sudavano... era una serata molto molto importante per lui, molto delicata. Parker si stava truccando in bagno. Lui indossava uno smoking preso a prestito, grigio; la camicia era nera, la cravatta rosa. Era elegante. Tanto elegante quanto teso.
“Tesoro, dimmi un po'... da chi devo tenermi alla larga questa sera? Non mi va di passare il mio tempo in mezzo a spocchiosi e noiosi californiani pieni di sé... ho a che fare con loro tutti i giorni... genitori terribili che viziano i loro figli. È l'unica cosa che sono in grado di fare... e come crescono questi ragazzini? Diventano dei moderni Logan Echolls o Dick Casablancas... mioddio. Ma sai a cosa mi tocca assistere ogni giorno? Però hai ragione tu, non devo sputare nel piatto in cui mangio. Insomma, sono questi ricconi sfacciati che mi pagano lo stipendio. Sono stata fortunata a conoscere te, Eli, sono stata così fortunata. Tu sei un uomo meraviglioso. Però sono contenta, sai, questa sera rivedrò Veronica dopo un sacco di tempo. Non pensavo che l'avrei mai detto, ma mi è mancata la ragazza! Serata tra ragazze: io, lei e Cindy! Non capitava dal college! E poi ci sarai tu. Vedrò la tua scuola, i tuoi amici di un tempo. Mi presenterai anche quelli della tua gang vero? Sono così emozionata... e curiosa... e felice. Sono così felice con te Eli! Ma sai che il giorno in cui ci siamo conosciuti io sarei già dovuta essere a Denver? Il caso... che strani giochi che fa!” Poteva andare avanti così per delle ore. Weevil lo sapeva. E lui poteva stare ad ascoltarla per ore. Adorava la sua voce, fresca e squillante; gli dava serenità. Era uno dei motivi per cui la stava aspettando in camera da letto, in ginocchio, con una scatoletta di velluto aperta, e qualcosa di luccicante dentro.
Il fiume di parole di Parker continuava ininterrotto. La voce si stava avvicinando e le mani di Eli Navarro sudavano sempre di più. “... e allora le ho detto...” si ammutolì all'improvviso, portando le mani alla bocca. Eli rimase in silenzio per un brevissimo istante, ammirando la sua bellezza. Indossava un abito di pizzo nero, con una sottoveste rosa. Era corto, e metteva in mostra le lunghe ed abbronzate gambe della sua ragazza. Lunghezza esasperata dalle scarpe col tacco, munite di zeppa. I capelli sciolti le cadevano sulle spalle. Era meravigliosa.
Eli deglutì e poi finalmente parlò. “Parker Lee, sei troppo bella per essere vera... per essere qui. Non ho mai osato sognare che una ragazza come te prendesse in considerazione uno come me. Eppure è successo. E allora oggi voglio osare ancora di più... vuoi sposarmi?”
Parker rimase immobile, la sua figura si stagliava nello specchio della porta per un tempo che a Eli sembrò pressoché infinito. Poi Parker crollo sulle ginocchia, piangendo. “Potevi chiedermelo cinque minuti fa, così non mi rovinavo il trucco?” Eli sorrise, estrasse dalla scatoletta l'anello e le prese la mano. Singhiozzando lei sorrise “Si Eli, è un si. Voglio sposarti, voglio diventare la signora Navarro...” Solo a quel punto le infilò l'anello al dito. “Se non altro avrete qualcosa di cui parlare, voi tre!”


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Logan e Duncan erano pronti, aspettavano che arrivasse la baby sitter. Logan aveva anche chiamato Jackie, che era stata entusiasta della proposta. In fin dei conti i bambini avevano la stessa età, si sarebbero potuti conoscere e fare amicizia. Jackie stava arrivando lì con i bambini, Wallace li stava portando a casa Mars. La speranza di tutti era che Keith sarebbe rientrato prima e si fosse preso cura lui dei bambini, ma secondo Cliff era meglio tenere un profilo basso, e quindi Keith si era preso un paio di giorni di vacanza. Non aveva detto a nessuno dove sarebbe andato, ma lui e Cliff avevano deciso di sparire un po' dalla circolazione. Forse erano andati a pesca, forse a Las Vegas, per giocarsi tutti i loro risparmi. Non aveva importanza. L'assenza di Keith aveva permesso a Duncan e prole di rimanere in casa Mars, senza doversi far vedere.
Per Duncan era stato abbastanza umiliante dover andare all'ufficio della contea. Aveva passato lì tutto il pomeriggio, a rispondere alle domande fastidiose dello sceriffo Van Lowe, uomo che a suo tempo lo aveva aiutato a scappare. Era stato imbarazzante dovergli spiegare come aveva fatto a scappare, e perché lo avesse fatto. Dove fosse andato e via dicendo. Aveva anche incrociato Dominick Patterson che lo aveva fulminato con lo sguardo. Subito lo sceriffo era intervenuto, allontanando l'agente dell'FBI dalla stanza degli interrogatori. Quando, quattro ore dopo, era uscito dall'ufficio dello sceriffo, Duncan era a dir poco sfinito. Arrivato a casa di Veronica aveva lasciato sua figlia a Logan e si era buttato sotto la doccia. Voleva buttarsi quel pomeriggio dietro le spalle. Dimenticare lo sguardo derisorio con cui lo sceriffo lo aveva fissato, le parole taglienti con le quali aveva tentato di ferirlo. Di lì a due giorni l'FBI avrebbe aperto una commissione d'inchiesta per accertare i fatti. Per fortuna a capo di tutto c'era Angela, che desiderava per Duncan solo la serenità. Avrebbe fatto di tutto per archiviare la questione.
Ma il momento più difficile della giornata era stato quando, uscendo dalla centrale, aveva incontrato la mamma di Meg. I suoi occhi non erano carichi di odio e astio, ma di infelicità e rimorso. L'aveva guardato mentre trascinava con sé la sua nipotina. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quella questione, mettere tutte le carte in tavola e decidere cosa fare con i Manning. Avevano diritto di conoscere la loro nipotina, ma lui voleva concederglielo?
Non era quello il momento di pensare a cose così tristi, si disse, mentre annodava il farfallino. Ora mi aspetta un bel tuffo nel passato: vediamo di godercelo fino in fondo! Era tutto a posto. Finalmente.
“Papà, sei stu-pen-do! Non ti ho mai visto così elegante in vita mia! Ti prego facciamo una foto assieme!” Gridò Lilly, correndogli in contro ed estraendo il cellulare dalla tasca. Come dirle di no? Lui, dal canto suo, non c'era mai riuscito! La abbracciò forte e sorrise alla videocamera. La baciò sulla guancia e le raccomandò di fare la brava con la baby sitter e con gli altri bambini.
In quel momento bussarono alla porta. Logan diede il benvenuto a Heather con la quale da anni manteneva un'amicizia sui generis. La ragazzina era estremamente intelligente, tanto da essere due classi avanti rispetto alla sua età. Aveva quindici anni e si stava preparando all'ultimo anno di scuola. Poi college, probabilmente Harvard, anche se l'MIT aveva richiesto un colloquio con la giovane studentessa. I due stavano ridendo amabilmente in salotto, mentre Logan collegava l'X-Box e tirava fuori un po' di giochi da una scatola. “Sono un po' datati, ma di sicuro troverete qualcosa con cui divertirvi. Non faremo troppo tardi, spero!” “Oh, io spero proprio di si!” disse Heather, con fare malizioso. “Allora questa è la casa di Veronica... interessante” “Oh no, lei non ci vive più da anni” rispose Logan, tirandosi in piedi.
“E questo è Duncan Kane, con sua figlia Lilly. Duncan, lei è Heather, la ragazzina più intelligente che conosco. Probabilmente l'unica persona al mondo in grado di mettere nel sacco anche la nostra amica Veronica!” Duncan era stupito. Con poche persone Logan si dimostrava così aperto, solare... spontaneo. Quella ragazzina aveva un potere su di lui non indifferente. “Signor Kane, mi occuperò io di sua figlia. Non si preoccupi, ho seguito un corso di primo soccorso e ho una reputazione da mantenere. Facendo la baby sitter mi sto pagando il college, quindi non si preoccupi, sua figlia è in buone mani!” e poi si diresse verso la camera di Keith, per conoscere Lilly Kane.
“Chi è quella forza della natura?” domandò Duncan non appena la ragazzina scomparve dietro lo stipite della porta.
“Te l'ho detto, DK, l'unica persona al mondo in grado di farla sotto al naso di Veronica Mars!” e dicendo questo si sistemò il bavero della giacca. Indossava un doppio petto con gilet di raso a fantasia floreale, come quello che era stato di suo padre e che aveva indossato al limo-party con Veronica Duncan e Lilly. Ma questa volta il panciotto era rosso, per indicare continuità e rottura con il passato, il suo passato, quello di Duncan e di Veronica. Quella sera per Logan rappresentava un nuovo inizio, una svolta. Tutto doveva essere perfetto.
Bussarono alla porta: era Wallace, accompagnato da una sempre stupenda Jackie e dai due figli di lei. Jackie era come sempre elegantissima: negli ultimi anni avrà anche fatto la barista e la cameriera, ma il suo era come sempre un portamento da modella. Aveva i capelli raccolti in uno chignon morbido dal quale alcuni boccoli sfuggivano. La figura magra e affusolata era messa in risalto da un abito da sera estremamente elegante: pizzo marrone chiaro, quasi grigio, impreziosito da dettagli oro su una sottoveste morbida. Nonostante le due gravidanza Jackie non era cambiata di una virgola, e Wallace sembrava non riuscire a staccale gli occhi di dosso.
“La limousine è già sotto che aspetta!” disse uno sconvolto Wallace, cappello a cilindro e smoking... sembrava di tornare indietro nel tempo. L'attenzione dei bambini era tutta per Heather, i giochi in scatola e Lilly. Heather li accolse con un sorriso e invitò gli adulti ad andare “Farete tardi. Da qua ci penso io, ok? Divertitevi e non pensate troppo a noi... ce la caveremo!” Jackie baciò i suoi bambini, Duncan raccomandò alla figlia di fare la brava e Logan fece l'occhiolino alla ragazza responsabile e matura che si sarebbe presa cura dei bambini. Recuperati i portafogli e gli inviti, gli ex compagni di classe uscirono da casa Mars. La serata stava per cominciare. Sarebbero andati direttamente alla scuola, Mac Dick e Veronica li avrebbero raggiunti lì. Logan non stava nella pelle... Veronica gli aveva mandato una fotografia, un particolare dell'abito che avrebbe indossato. Non vedeva l'ora di ammirare il resto.


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Veronica stava sistemando il trucco. Nulla di eccezionale, non voleva essere troppo appariscente. Già il vestito lasciava ben poco all'immaginazione, non voleva certo passare per un'esibizionista.
“Veronicaaaaa” urlò Mac dal piano di sotto “a che punto sei?”
“Quasi finito, Q, e tu?”
“Sono pronta, ma altrettanto non si può dire di mio marito... lui e mio padre si sono messi a giocare con i bambini quando glieli ha portati... non so chi è più infantile tra i due. Abbiamo ancora dieci minuti prima che arrivi, quindi tranquilla. Se vuoi ti aspetto sul terrazzo per un aperitivo. Bellini?”
“Non hai qualcosa di più forte... chennesò... glicerina! Mac, stiamo per tornare nel luogo die nostri tormenti...”
“E bellini sia! Ti aspetto!”
E con un rumore di tacchi Mac si diresse verso la cucina.
In quel momento il telefono di Veronica suonò.
“Papà! Dove sei? Come stai? Riusciamo a vederci prima di questa serata terribile che mi aspetta?”
“Tesoro! Sto bene, grazie. Io e Cliff siamo in viaggio...”
“In viaggio?” rispose veronica, stupita. “Si tesoro, tornare oggi potrebbe sembrare un po' sospetto, non ti pare? Le accuse contro Mister Kane crollano, lui torna e io, che dovevo indagare su di lui, ricompaio. Tutto questo in meno di ventiquattr'ore potrebbe far accendere una lampadina anche in quella zucca vuota che è Vinnie... E poi ho proprio bisogno di un paio di giorni di vacanza. Ti dispiace? Torno domani o dopo domani! Adesso ho solo voglia di starmene con Cliff seduto in riva ad un laghetto, in silenzio, canna da pesca in una mano e birra nell'altra...”
“Ma certo papà... rilassati e riposati. La questione di Duncan la posso gestire io senza problemi, quindi prenditi una pausa. Saluta Cliff da parte mia e ringrazialo. Buona serata papà...” disse infine, sorridendo al telefono come se suo padre fosse lì con lei. “In bocca al lupo tesoro! Eh... vedi di non metterti qualcosa di troppo corto, va bene? So che Logan Echolls è in città!” Veronica arrossì. Forse è molto meglio che lui non sia qui in questo momento. Chissà cosa penserebbe di me e Logan che... cosa stiamo facendo di preciso? Non ha importanza... “Ciao papà!” “Ciao tesoro, fai la brava.”
La linea dava di nuovo libero.
Veronica provò a infilare il telefono in borsetta. Maledette pochette, non ci sta nulla. Beh, papà l'ho sentito ora, il cellulare non mi servirà proprio questa sera... quasi quasi lo lascio qui! Pensò, infilandosi le scarpe e recuperando il copri spalle. Mah si, niente stress questa sera! Solo un rilassante tuffo nel passato. Rilassante... insomma... forza Veronica, inspira ed espira. Andrà tutto bene. Appoggiò il telefono sul comò e uscì dalla stanza. “Allora questi Bellini?” gridò all'amica che la aspettava sulla terrazza.


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“Non ti vergogni, Keith?” domandò l'avvocato, fissando la strada.
“Di cosa, Cliff? Di viaggiare con te? No, in fin dei conti non sei così male per essere un avvocato. Direi che sei quasi un tipo onesto...” rispose Keith, riponendo il cellulare in tasca. “No, so di essere una buona compagnia per te... parlavo di quello che hai appena fatto...” Keith rise “Di cosa stai parlando?” era nervoso.
“Del gesto estremamente educativo che hai appena compiuto. Hai mentito a tua figlia non solo sulla tua meta, ma anche sul perché ci stai andando. E sul perché io mi trovi con te in questo momento...”
“Eddai Cliff, ho appena detto che sei una persona simpatica. Non costringermi a cambiare idea.” Si mosse sul sedile, chiaramente a disagio. “Innanzitutto Veronica non si è mai fatta troppi problemi a mentirmi: il nostro rapporto è sempre stato così, fiducia cieca. E poi... le sto mentendo per il suo bene. Non è il momento di schiaffarle in faccia una cosa di queste dimensioni...”
Cliff tacque brevemente. Poi riprese a parlare “Ha il diritto di saperlo, Keith... non far sì che sia troppo tardi. Ascoltami... Veronica merita di sapere.” “Lo saprà, Cliff, lo saprà, ma prima voglio sistemare la cosa, e voglio farlo assieme a te. Mia figlia ha sofferto abbastanza, non si merita altro dolore!”


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Più tardi quella sera

Il telefono di Veronica suonò a vuoto. Angela Weiss era disperata. sarà stata la ventesima volta che provava a rintracciarla. Perché Veronica non risponde? Non è da lei... che le sia capitato qualcosa? Che l'abbia già trovata? Il probelma di Angela era che non sapeva come rintracciarla. O meglio, come rintracciarla velocemente senza mobilitare l'FBI e i suoi tecnici...
Poi l'illuminazione. Leo D'Amato, quel bel fustacchione di sicuro sapeva come aiutarla!




Spazio autrice: ci siamo quasi!
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, avviso a tutti: sarà breve e non aspettatevi troppi passi in avanti nella storia. Sarà molto introspettivo!




Per chi è curioso, ecco gli abiti che ho “scelto” per le nostre dame (non voglio fare pubblicità ho solo preso spunto da alcuni abiti veri, mi era più facile non essendo io una gran esperta di vestiti e moda!):
Mac: http://www.zalando.it/coast-sylvia-vestito-elegante-malva-c9821c01d-404.html
Parker: http://www.zalando.it/even-odd-vestito-di-maglina-rosa-ev421c044-854.html
Jackie: http://www.zalando.it/manoukian-kelly-vestito-lungo-marrone-m6721c05s-702.html
Veronica: (stessa forma ma di colore rosso) http://www.zalando.it/vila-topside-vestito-elegante-nero-v1021c05n-802.html

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Capitolo 23
*** Il primo giorno ***


Il primo giorno


Per lui non era stata affatto una buona giornata. Decisamente. Ma non lo sarebbe stata per nessuno se si fosse trovato, beh, in quella situazione. Che, ad essere veramente onesti e sinceri, era una situazione davvero delicata. E imbarazzante.
Il peggior incubo del 90% delle persone coinvolge nudità o liceo. Beh, lui si trovava nel peggior incubo che si potesse immaginare. Non solo era al liceo, periodo difficile per tutti, ma si era appena trasferito e quella per lui era la prima settimana in quella cittadina così strana e contraddittoria. Non solo le sue nudità erano in bella mostra nel piazzale della scuola, coperte solo da un po' di nastro adesivo. Il peggio era che non si trattava di un incubo ma della nuda e cruda realtà. Quella realtà che ti sorprende e ti atterra, ti lascia a bocca aperta e senza ossigeno nei polmoni. Quella realtà che gli stava dicendo “Wallace Fennell, lo vedi, questo è il giorno peggiore della tua vita! Ricordatelo bene! Ne avrai pochi di così terribili davanti a te!”
Era lì, legato ad un palo, lo skotch che gli bruciava la pelle, ma la cosa che gli bruciava di più era l'essere diventato in poche ore la fotografia più scattata dai suoi compagni di scuola. Se la ridevano, loro, mentre lui faceva di tutto per non pensarci. Provava a ignorarli, ma era difficile quando il clic delle macchine fotografiche, le risate, le battute erano tutte rivolte a lui. E poi era comparso lui. Aveva la classica aria da snob viziato, sfondato di soldi, figlio di papà: a lui tutto era permesso, tutto era perdonato. “Bene bene bene, cosa abbiamo qui? Cosa sei, un eroe o un martire? A chi hai pestato i piedi bello mio?” Wallace aveva alzato gli occhi al cielo. Era proprio irritante quel tipo che, di lì a poco avrebbe scoperto essere Logan Echolls, figlio di una star del cinema a molti zeri. Multimilionario e famoso. Insomma, c'aveva azzeccato.
Logan si mise a fianco di Wallace e, estratto il cellulare, scattò una fotografia. “Se non sbaglio questo è lo stile dei PCHears... direi che sei nei guai, amico!” e dopo avergli dato un buffetto sulla spalla lo salutò“Beh, in bocca al lupo!” e, abbracciata una bionda filiforme vestita come una Barbie sparì in mezzo alla falla. Mentre lo seguiva con lo sguardo, Wallace incontrò gli occhi glaciali di un ragazzo ben vestito ma dall'aria quasi spaventata. I suoi occhi erano profondamente tristi e Wallace vi lesse comprensione e dispiacere, ma anche impotenza. La faccia di Duncan Kane gli era nota, almeno quanto la sua storia. Provò quasi pena per lui, anche se quello appeso al palo non era certo l'erede della più grande industria di software della California.
E così i minuti passarono lenti, lunghi come ore. I suoi compagni di scuola che fino a quel momento lo avevano ignorato, non avevano occhi che per lui. Era diventato il nero legato al palo, quello che aveva fatto l'errore di disturbare la banda di motociclisti che dettava legge – o meglio la non legge – a Neptune, quello che ora stava per morire dalla vergogna. E così aspettava che tutto finisse, che finalmente qualcuno si avvicinasse e lo tirasse giù. La statistica non era certo dalla sua parte: stava a Neptune da poco tempo e non era certo ricco o famoso. Le probabilità che qualcuno lo tirasse giù di lì erano veramente basse. Restavano solo i professori.
E così non gli restava che aspettare che succedesse qualcosa, che la campanella suonasse, che qualcuno intervenisse... e poi, eccola lì, la sua salvezza. Inaspettatamente era arrivata sotto forma di una lei e piccola, bionda. Non sembrava certo una che... no, dovette contraddirsi Wallace, era una che si portava dietro un coltello a serramanico, e che sembrava decisamente intenta ad utilizzarlo. Si era arrampicata sul blocco di cemento e lo aveva liberato.

Ecco come era cominciata. Ed ecco come Wallace Fennell ricordava il suo primo giorno al Neptune High a oltre dieci anni di distanza.


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Non poteva dimenticare quanto era stato imbarazzante per lui quando, il suo primo giorno di scuola superiore, varcata la porta si era trovato travolto da sua sorella. Lilly doveva aver deciso di rovinargli la reputazione: maledetta. Aveva sperato di passare inosservato alla bionda sorella, almeno per i primi giorni. Ma perché, si domandava, mentre sua sorella lo abbracciava e gli urlava nell'orecchio, perché doveva sempre fare così. Più volte nelle settimane che avevano preceduto l'inizio della scuola, Duncan si era trovato a sperare che sua madre mettesse in atto la minaccia di spedirla in collegio, ma a nulla erano valsi i tentativi di irritarla, provocarla e infastidirla messi in atto da Lilly. Per quanto si rifiutasse di seguire le regole, per lei nessun collegio svizzero, solo l'assolata e vivace California.
Però, a pensarci bene, per Duncan la vita non sarebbe stata così divertente se sua sorella fosse stata effettivamente spedita tra le alpi. Con lei ogni giorno era una sorpresa, anche perché Lilly faceva tutta una serie di cose che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in pratica: rubare i liquori dal mobile di papà, invitare a cena la figlia della domestica, portare a casa un cane... Lilly era così ribelle, vivace, entusiasta che riusciva a compensare la compostezza, l'educazione, la misura che caratterizzavano il più giovane dei Kane.
E poi, se veramente Lilly fosse finita in collegio, Duncan avrebbe rischiato di perdere il suo contatto con Veronica. Veronica... come gli piaceva Veronica, anche se lei ancora non lo sapeva. E forse non l'avrebbe mai saputo. Duncan era un ragazzino timido, insicuro, e sua madre gli aveva insegnato che avrebbe sempre dovuto mirare in alto. Veronica era abbastanza in alto? Ne dubitava... Fattostà che lui non riusciva a pensare ad altro. A Veronica e a quanto lei gli piacesse. Se ne era accorto quell'estate, un pomeriggio. Lui e Logan erano in piscina e poi all'improvviso erano arrivate loro due. Veronica indossava la divisa da calcio, Lilly quella delle Cheer Leader. Lilly stava decantando la bellezza del liceo, delle possibilità che offriva, del gusto dolce della popolarità. Se anche Veronica avesse deciso di abbandonare la palla da calcio per i pon-pon  l'avrebbe sperimentata. Ma Veronica non sembrava interessata a un'attività extrascolastica così femminile, nonostante tutto di lei parlasse di candore e delicatezza. I capelli lunghi e setosi, raccolti in due trecce un po' spettinate, la pelle delicata, le labbra rosee, le gote arrossate per il gran caldo ma soprattutto gli occhi, così gentili, quasi fragili. Duncan si era soffermato a lungo su quegli occhi, e quando finalmente li aveva lasciati aveva preso la sua decisione. Veronica Mars era la ragazza giusta per lui. E lui l'avrebbe conquistata, protetta e difesa. Lilly se ne era accorta subito e, a suo dire, approvava, anche perché così il loro quartetto sarebbe divenuto indissolubile. Lei e Logan, che avevano cominciato a frequentarsi da un po', e Duncan e Veronica... uniti... come una famiglia... per sempre.
Questi erano i piani di Lilly e Duncan, mentre sul sedile posteriore della macchina di Jake lei lo accompagnava al suo primo giorno di scuola.

Piani che non si sarebbero mai realizzati, pensava Duncan, mentre, seduto nel retro della Limousine si apprestava nuovamente ad entrare in quell'edificio.


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Ok, era tutto come se lo era immaginato: sarebbe stata ignorata! Trasparente per la maggior parte dei suoi compagni di scuola. Ma lo aveva messo in conto e soprattutto... non è che lei fosse un tipo da feste esclusive e uscite in limousine. Non la interessava affatto quel genere di cose: Si riteneva più un tipo curioso e pratico. Lei leggeva libri, immaginava viaggi, studiava. E nel tempo libero hackerava i computer della scola, giusto per prenderci la mano. Aveva sviluppato questa passione per i computer fin da bambina, e ricordava con entusiasmo la prima volta che era riuscita ad accedere a internet. Era stato emozionante superare tutte le password e i blocchi che i genitori avevano messo al computer di casa. Aveva dieci anni all'epoca.
Ora ne aveva quattordici e si apprestava a fare il suo ingresso nel mondo degli adolescenti. Lei era preparata: aveva il suo bagaglio di armi da difesa a portata di mano. Non che temesse di venir importunata, no di certo. Lei era solo un'anonima moretta con il computer nello zaino e dei ciuffi colorati tra i capelli. Non era famosa né ricca, né lo erano i suoi genitori. Lei era solo Cindy Mac Mac Kanzie, figlia di un impiegato della Kane Software e di una segretaria. Sorella maggiore. Fissata con i computer e la musica celtica. Non era una ragazza alla moda come le sue compagne di scuola. Non aveva l'ultima borsetta firmata e non aveva l'autista. Insomma, non era come Madison Sinclaire, bionda finta dei quartieri bene. La conosceva dal corso di danza cui la madre l'aveva iscritta in prima elementare. Per fortuna ad un certo punto le suppliche di Mac avevano trovato terreno fertile e tutto d'un tratto sua madre l'aveva ritirata dal corso. E pensare che lei e Madison stavano quasi per fare amicizia all'epoca. Si erano ritrovate in classe assieme in quarta, e Madison lì era tutta un'altra persona: l'aveva ignorata fina dal primo momento. Frequentava invece la signorina Kane, di un anno più vecchia, e le altre ragazzine ricche della scuola.
Insomma, la sua dose di invisibilità Mac l'aveva già avuta, e sapeva come fronteggiarla. Era preparata al liceo, si diceva, mentre smontava dalla macchina del padre. Lo era. Si dovette ricredere poco dopo. Un ragazzo biondo, abbronzato, un po' goffo le era appena andato a sbattere contro. Dopo essersi scusato e averla aiutata a raccogliere i libri, però si era alzato e non l'aveva più guardata. Ecco, essere trasparente a uno come lui era una cosa a cui Mac non era preparata.

E pensare che a oltre dieci anni di distanza, quel ragazza, quel giovane uomo in smoking e papillon non aveva occhi che per lei... L'edificio del Neptune High era sempre più vicino. Mac si domandò, in quel momento, se Dick si ricordasse della prima volta che si erano visti.


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L'ultima volta che era uscito dalla porta del Neptune High non rappresentava certo uno dei migliori ricordi per lui. Aveva le manette ai polsi e non era riuscito ad ottenere il diploma. Maledetto Don Lamb... Al contrario la prima volta che ci era entrato era stato per lui un giorno epico. Già durante l'estate si era unito al gruppo dei PCHeras, rubacchiando qua e là con alcuni di loro. Ma il liceo, e soprattutto quel liceo, era per Eli Navarro l'occasione giusta per stringere amicizie con persone giuste e cominciare, piano piano, a risalire la scala gerarchica della banda.
Tutti lo avevano sempre trattato come un buono a nulla, un incompetente, un incapace. Ma questa cosa gli riusciva bene, gli era sempre riuscita bene. Già alle medie si era organizzato con alcuni compagni di scuola per rastrellare le tasche gonfie di soldi dei ragazzini più ricchi, e così si era comprato la sua prima bicicletta. Insomma, lui era fatto per essere un capo. Ma non era nato con la camicia, no signore, bensì con il chiodo di pelle.
E così, anfibi e giubbotto neri, si apprestava a varcare la soglia di quella che sarebbe stata la sua scuola, ma soprattutto il luogo della sua rivincita.

Rivincita che, anni dopo, voleva tradurre in un altro modo: lui non era più il ladruncolo, il capo della banda, il criminale. Era un onesto cittadino che aveva appena chiesto alla sua donna di sposarlo. Gliel'avrebbe fatta vedere lui!


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Jackie Cook aveva sempre amato i cambiamenti. O meglio, aveva sempre amato essere al centro dei cambiamenti, meglio ancora se era proprio lei il cambiamento, la novità. A New York era lei a dettare la moda, trovando il nuovo taglio, il nuovo smalto, le nuove scarpe. E tutti, dopo averla adeguatamente ammirata, la seguivano, la imitavano. Era Jackie a dettare legge in quanto all'ultima tendenza in fatto di locali e di drink. Era lei che veniva invitata all'apertura, era su di lei che i gestori puntavano per far funzionare bene il locale. E quindi consumazioni gratis, servizio speciale, sconti extra.
Quella volta però Jackie Coock non aveva nessuna voglia di essere al centro dell'attenzione, di trovarsi in un nuovo stato, in una nuova città, in una nuova scuola. Non aveva voglia di essere scansionata, osservata, squadrata, apostrofata come “quella nuova”. Lei voleva essere la novità. Ma suo padre era stato irremovibile: doveva andare a scuola, conoscere i suoi amici, stringere amicizia e soprattutto, una buona volta, fare la brava. Non le era mai riuscito di fare la brava bambina, e la prospettiva di irritare e indispettire suo padre in qualche modo la tentava. Però forse non era il caso...
In realtà la cosa che meno le piaceva di quella situazione era il fatto di trovarsi a diverse centinaia di miglia da casa sua... da sua madre... ma soprattutto da sua figlia. Era costretta a vivere con un padre che a stento conosceva, una leggenda non solo nel mondo del baseball ma anche nella sua vita. Era costretta a limiti con i quali non si era mai dovuta confrontare: il coprifuoco, i compiti, la paghetta ridotta. L'aveva combinata grossa, e ora doveva rigare dritto. Non poteva nemmeno divertirsi un po': niente alcol nella vita di Jackie, almeno per un altro po'. Queste erano state le condizioni.
Eppure i suoi genitori lo facevano per lei, lo sapeva, anche se ciò non rendeva la prigionia più sopportabile. Sua madre si era sacrificata per lei tutta la vita, e avrebbe continuato a farlo. Non poteva essere ingrata. Doveva alzarsi da quel letto, mettere addosso qualcosa di carino e affrontare quel mondo nuovo. Lo doveva a sua madre, lo doveva a sua figlia.
E poi chissà, magari dietro l'angolo ci sarebbe stato un ragazzo carino! Mai dubitare!

Quanto si era rivelato giusto quel pensiero... del suo primo giorno di scuola. E ora quell'affascinante ragazzo era seduto accanto a lei ed era pure padre di suo figlio. Si domandava se sarebbe riuscita a riconquistarlo...


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Dick Casablancas non era certo un tipo complesso. O almeno così gli era sempre stato detto. Che non fosse un genio era stato chiaro fin da subito: aveva quattro anni e suo fratello Cassidy  di un anno più piccolo non solo lo batteva nello spelling, lo stracciava. Cassidy sapeva fare di conto quando Dick ancora provava a scrivere in corsivo. Cassidy aveva vinto le olimpiadi di Matematica e Dick era stato rimandato in grammatica... insomma è naturale che la tua vita sia così se tuo fratello è un genio.
E così per Dick era meraviglioso il momento in cui, per un anno, le loro strade si separavano. E ciò accadeva ogni volta che Dick passava a un diverso livello dell'istruzione scolastica. Era anche il motivo per cui aveva sempre evitato di farsi bocciare: sarebbe stato beffato due volte! Non che qualcuno evidenziasse in qualche modo la superiorità scolastica di Cassidy. Il secondo genito restava sempre e comunque il secondo genito, soprattutto se socialmente non aveva troppo successo. Dick, al contrario, era Richard Casablancas Junior per più di un motivo: era un vincente, era simpatico ed era soprattutto il favorito di suo padre. Quindi no, non erano l'opinione che gli altri avevano, né i confronti che facevano a mettere in crisi Dick: nessuno, mai, aveva decantato le doti di Cassidy; nessuno aveva, mai, fatto confronti.
Insomma, la persona che metteva in dubbio il valore di Dick Casablancas era Dick Casablancas stesso. E liberarsi per qualche mese dell'opprimente presenza del fratello non poteva che renderlo felice.
Con questo spirito si stava recando a scuola. Avrebbe incontrato i suoi amici, che lo preferivano a Cassidy, avrebbe conquistato nuove ragazze, cosa che Cassidy nemmeno immaginava di poter fare, sarebbe stato tra i più popolari, caratteristica che sicuramente mancava a suo fratello. E così, mentre attraversava il piazzale, non faceva troppo caso alle persone. Non aveva fatto caso alla goffa moretta contro cui era andato a sbattere. Era carina, aveva l'aria intelligente. L'aria di una che, se ne avesse avuto l'occasione, avrebbe di sicuro messo in luce tutti i difetti e le mancanze di Dick. Una che avrebbe preferito Cassidy.
Per questo, quasi spaventato, dopo averla aiutata era sparito, cercando di evitare il suo sguardo indagatore.

In qualche modo Dick c'aveva visto giusto. Mac era stata con suo fratello e loro due lo avevano umiliato. Ma da un altro punto di vista era stato Cassidy a unirli, lui e Mac; Cassidy con la sua follia, Cassidy con le sue debolezze. Li aveva travolti, investiti, e stavano leccandosi le ferite in solitudine quando avevano capito che avrebbero potuto curarsi a vicenda. E così era stato, e sarebbe stato per sempre, pensò Richrad Casablancas Junior, stringendo la mano di sua moglie mentre si recavano al loro primo ballo scolastico assieme.


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Oh si, gli sembrava ieri quando si stava preparando al primo giorno di scuola superiore. Aveva deciso di festeggiare per bene la sera precedente, rubando un paio di bottiglie di birra... beh forse più di un paio. Lui, Duncan, Dick e alcuni altri 09 si erano trovati sulla spiaggia per celebrare il loro ultimo giorno di libertà. Libertà... quando mai si era sentito veramente libero? Logan sorridi di qua, Logan abbraccia tua madre di là, Logan avvicinati a tua sorella, Logan fatti fare una fotografia, Logan indossa questo, Logan mangia quello... essere figlio di un affascinante e ricchissima star del grande schermo aveva certamente dei lati positivi, molti a dire il vero. Però esisteva allo stesso tempo un'etichetta, una serie di regole da rispettare, una legge non scritta... ma che andava rispettata, che lo riguardava anche se non era lui la star del cinema. Lui... era solo il figlio, ma in quanto figlio doveva dare un'immagine di suo padre che rispecchiasse quella pubblica. Quella dell'uomo buono, onesto, corretto, del padre e marito modello, della star senza macchia.
Senza macchia... certo! Candido come la neve. Chi avrebbe mai potuto affermare il contrario. L'immagine pubblica era... stupenda... accecante. Come il dolore che Logan provava a ogni cinghiata, a ogni pugno, a ogni sigaretta spenta sul braccio. Non lo sapeva nessuno... beh nessuno... una parola grossa. Sua madre, per quanto facesse finta di nulla, lo sapeva. Doveva saperlo. Era stata lei ad accompagnarlo in ospedale con il braccio rotto o l'occhio nero. Sono ragazzate, diceva, stava giocando... mio figlio è così distratto... così maldestro... stavamo andando a cavallo... l'avevo detto alla domestica di asciugare bene per terra... dovevo farlo sistemare quel gradino... in lacrime, aveva sempre una scusa pronta. E tutti le credevano. Trina, al contrario, non sapeva nulla. Non c'era mai e quando c'era era troppo concentrata su se stessa e sulla sua carriera di attricetta da strapazzo.
E poi c'era stato lui, quel paramedico. Era la quarta volta in un mese che si incrociavano nei corridoi dell'ospedale. E non perché Logan fosse sotto osservazione. La prima volta? Una bruciatura. L'ultima un braccio rotto... E così quel giovanotto si era insospettito. Aveva seguito Logan nella stanza e aveva cercato di parlare con lui. Due settimane dopo si erano trasferiti a Neptune. Avevano lasciato Los Angeles all'improvviso.
E così il suo primo giorno di scuola Logan non poteva certo smentirsi e venire meno al suo carattere. E allora, la sera prima, si era ubriacato. E appena tornato a casa a nulla era valsa la sua discrezione. Era appena arrivato alla cucina quando il pugno di suo padre si era scontrato con il suo zigomo sinistro. Non sarebbe stata una serata facile. Non sarebbe stata una vita facile, se Logan non avesse cambiato atteggiamento.
Il giorno dopo, a scuola, entrava ridendo e scherzando, evitando lo sguardo indagatore dell'unica persona che, a quanto pare, riusciva ad andare oltre alle scuse... sono caduto... ieri sera ero proprio sbronzo... certo che è tutta colpa tua Dick... Quella persona non era la sua esuberante ragazza, Lilly, troppo concentrata su se stessa e troppo impegnata a vivere per accorgersi dei problemi degli altri. Non il suo migliore amico, Duncan, spaventato all'inverosimile dal concetto di verità, di problema: lui viveva nel mondo perfetto delle favole. Non i suoi compagni di bevute: con loro solo scherzi e battute. No, lo specchio della verità, della sua terribile verità, del suo incubo era negli occhi di Veronica Mars.

Ora doveva affrontare altri demoni, vivi e morti. Erano passati un sacco di anni. Sentiva le cicatrici grattargli sulla schiena. Sentiva la puzza di carne bruciata. Sentiva l'indifferenza e la paura delle persone che lo circondava. Ma sapeva, aveva sempre saputo fin da quel pomeriggio estivo in cui si erano conosciuti, che lei non avrebbe mai abbassato lo sguardo o voltato la testa dall'altra. E quella persona era quella che lui voleva affianco a se per il resto della sua vita.


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Non era più la stessa persona. Non lo era stata dopo poco, pochissimo tempo. Il liceo all'inizio le sembrava la sua grande occasione: sembrava tutto scintillante, tutto perfetto. Un futuro radioso che la vedeva fidanzata con un tipo sportivo, elegante, benestante. O almeno così prevedeva Lilly. Sarebbe diventata una cheer leader, sarebbe diventata amica di alcune delle più popolari ragazze di Neptune, sarebbe sostanzialmente stata felice. Sua madre le avrebbe pettinato i capelli, suo padre l'avrebbe controllata. Tutto sarebbe stato perfetto.
Eppure, non appena aveva varcato la soglia di quell'edificio le era stato chiaro fin da subito che le cose non sarebbero andate così. Quella scuola aveva un'aria strana. Le persone si ignoravano, si stuzzicavano, si provocavano. C'era chi ti guardava dall'alto in basso, come quella gallina di Madison Sinclaire e le sua amiche. C'era chi, invece di guardare te valutava il tuo orologio e le dimensioni del tuo portafoglio, come quella banda di messicani in sella alle loro motociclette. C'era chi era troppo impegnato a sfuggire dai propri demoni, come Dick Casablancas, per accorgersi di non essere l'unico ad averne. C'erano gli emarginati, gli invisibili, come quella ragazza dai capelli scuri sempre al computer o con le cuffie nelle orecchie. C'erano quelli che nessuno poteva ignorare, ma che avrebbero molto volentieri essere ignorati, come il suo amico Logan. E c'erano quelli come Duncan, con la tristezza negli occhi.
Per fortuna c'erano poi le persone come Lilly... che era la sua persona, che lo sarebbe sempre stata. Lilly le dava la forza di entrare attraverso quelle porte a vetri e affrontare una nuova giornata tra le mura della scuola. Perché c'era un'ombra su di loro, su tutti loro. C'era qualcosa che non funzionava, c'era qualcosa che stonava in tutto quel luccicare, quella perfezione, quel lusso. Prima o poi l'immagine si sarebbe incrinata. Restava solo da aspettare che accadesse.

E l'immagine si era incrinata, una volta per tutte. Quando Lilly era morta, quando aveva scoperto che Aaron era l'assassino, quando i Kane avevano ammesso di aver coperto le tracce dell'omicidio, quando Logan era stato accusato d'omicidio, quando le tensioni tra ricchi e meno ricchi erano arrivate al limite. E poi quando il bus era uscito di strada, quando Meg era morta, quando Duncan era scappato, quando Cassidy si era buttato dal Neptune Grande.
Tutti erano crollati. Ma poi si erano rimessi in piedi, chi prima chi dopo, chi da solo e chi con l'aiuto di qualcun altro. Ora toccava a lei rimettersi definitivamente in piedi, ricostruire le sue certezze e finalmente ripartire. Era pronta a farlo, doveva farlo.
Veronica Mars era finalmente pronta.




Spazio autrice: Ed ecco il capitolo introspettivo. Ho fatto fatica a scrivere entro la domenica, probabilmente il prossimo aggiornamento arriverà tra due settimane. Scusatemi, ma tra lavoro e quel poco di vita sociale che mi rimane ho davvero poco tempo per scrivere!
IN ogni caso, grazie! :)



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Capitolo 24
*** Il ballo ***


Il ballo



E così era giunto il momento. Era lì, in piedi di fronte alla porta d'ingresso della sua vecchia scuola. Macchine arrivavano da tutte le parti, voci che si avvicinavano, la superavano e si perdevano nella musica. Lei era lì, ferma, mentre il mondo andava avanti, le persone le ronzavano attorno, la sfioravano senza quasi accorgersi di lei. Qualcuno si era fermato, forse per salutarla, ma era andato oltre. Veronica Mars in fondo non era cambiata tanto: aveva sempre avuto l'abitudine di bloccarsi in un punto, e perdersi nei suoi pensieri, osservando il mondo che scorreva tutto intorno. In quel momento il suo sguardo era fisso sulle luci che provenivano dalla palestra. Voci note, la cui memoria affiorava appena, per poi sfuggire nuovamente in qualche angolo sepolto della sua mente.
Poi qualcuno finalmente la risvegliò dal torpore in cui era piombata. Una sagoma si era frapposta tra lei e la porta, controluce, impedendole quindi di distinguere i tratti dal volto, la sua espressione. Le spalle larghe si stagliavano sullo sfondo luminoso, la postura rilassata, le mani in tasca. Quando aprì bocca, il suono della sua voce era dolce e piccante allo stesso tempo. L'avrebbe riconosciuto comunque, l'aveva riconosciuto fin dal primo istante, come la volta che era andato a casa sua dopo quella terribile e interminabile notte tra il Coronado Bridge, l'ospedale e casa Kane. Ma solo quando lui aveva parlato era divenuto tutto vero. Era vero che erano lì, loro, Logan e Veronica, e che lo sarebbero sempre stati.
“Veronica, sei meravigliosa!” disse lui, e lei ripiombò sulla terra, ma senza farsi male: la caduta era stata rallentata dal tono dolce della sua voce. Veronica sorrise “Dici? Eppure è solo una cosetta... nemmeno il tuo profilo è così male!” rispose lei, spostandosi di lato. Voleva vederlo, guardarlo, assaporare la luce che illuminava il taglio perfetto dei suoi occhi, perdersi sulle sue labbra morbide che si increspavano finalmente nel suo classico sorriso ironico, accarezzare con lo sguardo la sua guancia ben rasata e illuminata dalla luce calda che proveniva dai corridoi della scuola.
“Non siamo mai andati al ballo assieme io e te, Logan, ci hai mai pensato? Siamo stati assieme per così tanto tempo eppure non abbiamo mai condiviso un momento così importante come quello del ballo scolastico. Importante per ogni adolescente americano medio, non mi fraintendere... la cosa non vale certo per me e per te! Noi abbiamo sempre preferito rituali a base di rapimenti, ricatti e armi da fuoco, no? Non era una festa se mancava lo sceriffo!” Si stava difendendo con l'ironia e il sarcasmo, ma era chiaro il fatto che lei fosse preoccupata e tesa. Non sapeva bene cosa aspettarsi da quella serata.

“In realtà una festa non era una festa finché tu non mi accusavi di qualcosa, a scelta: tradimento, rapina, omicidio... cosa manca alla lista? Ah si, penso di aver vinto un paio di volte il premio come peggior fidanzato della storia!” Rise fragorosamente, avvicinandosi a lei e prendendole la mano. “Per fortuna che ora non hai più accuse da formalizzare a mio carico!” Poi avvicinandosi a lei le sussurrò “Che ne dici, V, vogliamo affrontare assieme questo mostro sacro della nostra adolescenza? Entriamo, dai!” e la guidò verso l'entrata.
Lei inspirò profondamente e lo seguì lentamente verso quell'edificio, sede di tanti ricordi, dolci e amari.


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Era ovvio che sarebbe andata così. Non poteva che andare così: la prima persona in cui si sarebbe imbattuta varcata quella soglia non poteva essere qualcuno che era stato solo un'incontro occasionale nella sua vita scolastica. Oppure qualcuno che le era stato simpatico, almeno una volta, qualcuno che non l'avesse solo guardata dall'alto in basso. No, lei era entrata a scuola, e come catapultata indietro nel tempo, nei panni di una ragazza arrabbiata e infelice, si era scontrata con Madison Sinclaire.
La sua nemesi, la sua rovina, la sua peggior nemica. Ogni volta che i loro sentieri si erano incrociati si erano viste le scintille e qualcuno si era fatto del male. Il più delle volte  si trattava di Dick o di Logan, ma spesso le scornate se le erano scambiate a vicenda. Alle volte era stata Veronica a leccarsi le ferite, altre volte Madison aveva subito le conseguenze del loro incontro.
Seppur colta alla sprovvista, Veronica decise che non avrebbe permesso a Madison di rovinarle la serata: non le avrebbe dato nessuna soddisfazione. E così, si distanziò dalla bionda e la osservò brevemente prima di aprire bocca. I capelli di Madison erano biondissimi, platinati e raccolti in un'arzigigolata acconciatura. Il trucco, pesante e estremamente ricercato, la invecchiava. E parecchio. Il corpo, perfetto dotato di curve decisamente più abbondanti e ufficialmente troppo sode, era fasciato da un mini abito rosa ricoperto si strass. Le scarpe, dorate, alte la facevano muovere goffamente. Non era a suo agio e sgranò gli occhi quando riconobbe Veronica.
Perché si concia così? Sembra una quarant'enne frustrata. Sii carina Veronica, sii carina.
“Madison! Come sei... in forma. Tutto bene?”
“Veronica” rispose Madison con tono irritato, quasi schifato. “io sto bene. Mi sto riprendendo dall'organizzazione di questa festa... è stato quasi delirante. Ho passato così tanto tempo qui dentro che a momenti prendevo il domicilio. L'avrei preso se i bagni non fossero così... squallidi!” e taque, attendendo che Veronica le ponesse un'altra domanda.
“Che lavoro! Hai preso alcuni giorni liberi dal lavoro? Che generoso da parte tua!”
“Lavoro? Tesoro, ho fatto di tutto per non dover lavorare... quando tuo marito è proprietario di una fabbrica di Yatch, non ho bisogno di lavorare!” e mostrò l'anello di matrimonio. Un solitario grande come una noce.
Veronica sgranò gli occhi. “Beh, congratulazioni! Incontreremo tuo marito più tardi, immagino...” “Oh, si, forse. Lavorava...” e la tristezza le velò gli occhi. Fu un breve, brevissimo secondo, durante il quale Veronica provò quasi pena per quella ragazza infelice che si comportava come una donna soddisfatta. Poi quell'aria affranta svanì, e la vecchia Madison riemerse. “A proposito di cambiamenti... vedo che voi due siete ancora fermi al liceo. Ma non vi siete ancora stufati di tenervi per mano tra i corridoi della scuola? Oh che sbadata sono: no, Veronica, tu e Logan non vi siete mai fatti vedere in giro molto. Se non sbaglio la tua mano era stretta per lo più a quella di Duncan a quei tempi” e sorrise, ma in maniera cattiva.
Poi, rivolta a Logan “A proposito, l'ho visto poco fa nella sala da ballo. Avete intenzione di fare a botte per questa scialba biondina? No perché se mi rovinate la festa giuro che vi faccio a fettine...” lo minacciò. E poi se ne andò, senza nemmeno degnarli di un saluto.

Nessuno dei due l'aveva amata, anche se qualcuno aveva condiviso con lei momenti piacevoli o supposti tali, quindi che finalmente se ne fosse andata fu un sollievo per entrambi. Eppure Veronica provò quasi pena per lei, per quella donna che le aveva rovinato la vita, quella donna che l'aveva inconsapevolmente drogata e gettata tra le braccia di uno stupratore, quella donna che l'aveva portata a lasciare Logan...
Logan la osservò, e la costrinse a incrociare il suo sguardo. “Veronica, tutto ok... io... Madison...” lei lo interruppe con la mano. “Logan, passato. Possiamo chiudere questa porta una volta per tutte. Non ha più importanza e non doveva avere così tanta importanza allora. Basta distribuirci le colpe. Questa sera non pensiamo al passato. Divertiamoci!” e lo trascinò dentro la sala da ballo, dove un gruppo rock intratteneva già molti dei loro ex compagni di classe.


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Non era ancora completamente a suo agio al fianco di Logan, non c'aveva ancora fatto l'abitudine... insomma, lui era la super star, lei era abituata a vivere nell'ombra, a non farsi notare, a rimanere un po' defilata. Facevano due mestieri così diversi... non che la cosa la stupisse: erano sempre stati profondamente diversi. Lei amava l'arte e la lettura, lui il surf e le feste. Lei non sopportava la carne cruda e le meringhe, lui le verdure cotte e il cioccolato piccante. Lei adorava la musica introspettiva, lui era più un tipo da discoteca. Insomma, erano sempre stati agli antipodi sotto molti, moltissimi punti di vista.
Eppure esisteva un filo esile che li aveva sempre legati, tenuti vicini anche quando si erano profondamente odiati. A volte Veronica aveva pensato che fosse il filo di chi ha subito lo stesso destino di sofferenze, tristezze e tradimenti. Di chi aveva visto morire o scappare alcune delle persone a loro più care. Di chi non aveva mai sentito di avere un posto nell'universo. Poi un giorno aveva capito. Il loro non era il destino di chi è stato spezzato, rovinato, distrutto. Il loro filo comune era senza ombra di dubbio l'essere ancora in piedi, l'essere forti e resistenti, delle rocce. Di chi non ha bisogno dell'aiuto degli altri per andare avanti, ma che in fondo in fondo non disprezza il sorriso di un amico,  un aiuto da parte di chi ti vuole bene. Perché la cosa che li aveva sempre accomunati era il fatto di non essersi mai arresi, di aver sempre lottato, di aver resistito.
Erano appena entrati nella palestra adibita a sala da ballo. Un lungo tavolo, ricoperto di fiori e statue di ghiaccio, vassoi elaborati e bicchieri di cristallo, seguiva la parete di destra. Sul fondo, dove una spesso Veronica aveva visto Wallace saltare verso il canestro, avevano organizzato un palco sul quale una band si stava esibendo. Tra la porta e il palco, illuminata da luci intermittenti e colorate, una folla danzante festeggiava. Non erano tantissimi, eppure a Veronica sembrò che, appena lei e Logan furono entrati nella sala, tutti si fossero voltati a guardarli. E tutti si stavano domandando perché, uno famoso ricco e bello come Logan Echolls fosse venuto al ballo della scuola con l'altrettanto famosa ma non altrettanto amata Veronica Mars.
In quel momento, quando tutti gli occhi si erano posati su di loro, si era sentita come quella sera in cui la loro storia d'amore, ancora agli inizi, era stata sorprendentemente rivelata da un ignaro Aaron Echolls. E quella sensazione non la faceva sentire a proprio agio: non sapeva se essere la donna al braccio del bell'attore di Hollywood le pesasse o meno. Ma in realtà non aveva importanza. Non aveva nemmeno importanza che loro non avessero ancora risolto i loro problemi, o che non avessero preso una decisione definitiva su quale sarebbe stato il loro futuro. Voleva solo passare una bella serata con lui, fare come se nulla fosse mai accaduto. Poteva permetterselo, no? E così, incurante degli sguardi che la trafiggevano, entrò nella sala assieme a quello che forse avrebbe potuto considerare l'amore della sua vita.


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La sala era gremita, la musica forte, la gente ballava. Veronica era quasi frastornata: facce che non vedeva da secoli le si paravano davanti, la intrattenevano per alcuni secondi chiedendo al suo cervello di fare uno sforzo notevole nel cercare di dare un nome a quel volto. Persone che erano cambiate moltissimo. Casey l'aveva visto solo qualche giorno prima, ma c'erano alcuni compagni di classe di cui a malapena si ricordava. Ad esempio l'allora bellissima e superficiale Caitlin Ford ora, dopo cinque gravidanze, aveva perso le sue forme spigolose e lasciato spazio a rotondità fino ad allora inimmaginabili su una quasi modella come lei. Non vestiva elegantemente, e i suoi capelli erano raccolti in una semplice coda di cavallo. La sua scelta di allora aveva avuto ricadute non da poco sulla sua vita sociale, e soprattutto aveva avuto ricadute a lungo termine. Veronica aveva scoperto che si era sposata con un impiegato di Pasadina e che faceva la mamma a tempo pieno nella loro modesta casetta, munita comunque di giardino e barbeque. Sembrava felice e serena.
Ed ecco Sean, con la sua faccia antipatica. Si avvicina, scambia qualche convenevole con Logan e poi si rivolge a lei. Le lancia un paio di frecciatine, cui Veronica risponde a tono. Non ha mai avuto paura di personaggi di questo genere. Sean ora si destreggia tra un lavoretto e l'altro, cercando di conquistare quel prestigio negato a suo padre. È e rimarrà un infelice, pensò Veronica, allontanandosi da lui e stringendo più forte la mano di Logan.
Stavano andando verso il tavolo, per servirsi qualcosa da bere quando si fece loro incontro una coppia alquanto sui generis: una bionda abbracciata a un messicano. Eli e Parker si avvicinarono e non appena li vide, la ragazza di Denver lanciò un urlo che fece convergere gli occhi di moltissimi su di loro. “Veronicaaaaaaaaaa! Logaaaaaaaaaan! Ommioddio che bello vedervi!” e si lanciò letteralmente addosso alla minuta biondina, travolgendola. Insomma, anche senza tacchi Parker superava Veronica di buoni quindici centimetri. Tra zeppe e tacchi la distanziava di testa e collo. “Parker” esclamò Veronica, un po' a disagio “devo dire la verità, ma non ho la più pallida idea di quanto tempo sia passato ma... sembra davvero una vita. Quasi due! Ma come stai, cosa combini e... cos'è quel luccichio che vedo alla tua mano sinistra?” con fare malizioso rivolse uno sguardo complice a Weevil che intanto si era avvicinato e stava ponderando il da farsi con Logan.
Perché, diciamocelo, non è che loro due fossero mai stati grandi amici, per intendersi. Anzi, il più delle volte i loro incontri si erano trasformati in scontri, e anche abbastanza violenti. Bagni, parcheggi, spiagge... nessun posto era al sicuro se la serata era quella giusta. E così, ora, i due uomini stavano fermi, uno di fronte all'altro, entrambi in attesa che fosse l'altro a fare la prima mossa. Eli rimase quasi stupito quando il ghigno sarcastico e divertito che segnava il volto di Logan Echolls si trasformò in un sorriso sincero. E ancora di più quando le parole che pronunciò furono “Weevil, vecchio mio! Sono contento che tu sia venuto questa sera: una riunione al Neptune High senza di te non avrebbe avuto lo stesso piacevole sapore!!” e lo abbracciò, stringendogli la mano. “Hey hey hey, vacci piano” esclamò il messicano “mi sgualcisci il vestito!” e scoppiarono a ridere. “Vedo che alla fine te lo sei aggiudicato tu il premio Parker Lee...” esclamò Logan, indicando con la testa la bionda spilungona “non ti sei stufato dei miei avanzi?” “Oh, Logan, potrà suonare strano per te, ma sei tu lo scarto, non lei. Lei è meravigliosa, stupenda, unica. E sono contento che tu sia stato un idiota di proporzioni epiche: ti ha scaricato e poi sono arrivato io, a curarle le ferite!” e i due si diedero di gomito.

Veronica nel frattempo aveva preso la mano di Parker e con gesti vistosi stava esaltando le dimensioni e la brillantezza del diamante che portava al dito “E così il buon Eli ha deciso che sarebbe stato veramente stupido a lasciarti andare?” “Eh già” rispose divertita Parker “ma sai, non gliel'avrei permesso! Veronica non sai quanto sono felice” in quel momento Mac e Dick li raggiunsero. Mac e Parker si abbracciarono mentre Dick raggiungeva “i ragazzi”. “Signorine, cosa vi portiamo?” domandò Logan, contento di allontanarsi per un po' da anelli, fidanzamenti e storie d'amore.
Ricevute le ordinazioni i tre uomini si avviarono al tavolo dove, ordinati elegantemente, stavano i bicchieri e le bottiglie di Champagne nei vasi intagliati nel ghiaccio. Versarono due bicchieri a testa, ma decisero di fermarsi a parlare un po' di sport e politica, lasciando le tre donne alle loro chiacchiere. Nemmeno a farlo apposta in quel momento si presentò al tavolo delle bevande il signor Clemmons, che li squadrò dalla testa ai piedi prima di aprire bocca. “Signori” disse infine, con un cenno del capo “che piacere vedervi qui questa sera. Spero non abbiate intenzione di rovinare tutto con una delle vostre solite bravate!” e, senza attendere risposta li lasciò. I tre rimasero interdetti per un lungo momento, prima di scoppiare a ridere. Brindarono ai bei tempi andati e riempirono nuovamente i loro bicchieri.

Quando tornarono al terzetto si era aggiunto Duncan, elegantissimo in doppiopetto e cravattino giallo. Logan era già al quarto bicchiere di champagne e porse a Veronica il suo. Poi salutò Duncan con un fragoroso colpo sulla spalla. “DK, bentornato! Sei venuto a prenderti il diploma?” e gli passò l'ultimo bicchiere rimastogli. “Vado a fare il pieno e torno!” Veronica gli sorrise, ma c'era qualcosa di strano in lei. Non l'aveva lasciata così tesa. Si, insomma, non era nemmeno rilassata, però era come se la presenza di Duncan la mettesse a disagio. Appena avrò un minuto cercherò di capire cosa le passa per la testa. Saranno anni che non ci vediamo, non lo nego, ma la conosco ancora come le mie tasche. E so quando qualcosa non quadra.
Ma non fece in tempo a portare a termine la sua piccola indagine privata: mentre stava tornando verso i suoi amici, la musica sfumò e sul palco apparvero Madison, scintillante nel suo vestitino di strass, Gia, elegante in un vestito nero di pizzo, e un ancor più elegante Wallace. Smoking, cilindro e bastone. Madison prese il microfono in mano “Diplomati del 2006, benvenuti! Grazie per essere accorsi così numerosi a questo evento mondano. Sono sicura che tutti vi ricordate chi sono e spero di riuscire a salutarvi a uno a uno. Ma se così non fosse, benvenuti e buon divertimento!” e passò il microfono a Gia, che la guardava con aria annoiata.
“Cosa posso aggiungere che la mia meravigliosa ex-compagna nonché collaboratrice nell'organizzare questa festa non abbia già detto? Ah... forse che la vostra quota di partecipazione, oltre a coprire le spese, andrà a formare una borsa di studio promossa dal nostro sensibilissimo compagno, Wallace Fennell. Questa borsa permetterà a un ragazzo o a una ragazza proveniente da un paese africano devastato dalla guerra di venire a studiare in America, qui al Neptune High. Un applauso al nostro unico e insostituibile Wallace Fennell!”
La sala proruppe in un fragoroso applauso. Wallace arrossì e si tolse il cappello.
Poi chiese il permesso di parlare. Gia si fece da parte e gli passò il microfono.
“Grazie, grazie a tutti voi, per essere qui. Grazie al nostro preside, Wan Clemmons, che si è offerto di ospitare noi e la nostra iniziativa. Perché, grazie alle vostre sempre e comunque gradite donazioni, anche se più generose sono più saremo contenti, potremo offrire a un giovane ragazzo africano non solo un'adolescenza libera da sofferenze e ingiustizie, ma anche una formazione tale da permettergli di tornare poi nel suo paese e cambiarlo. Costruire qualcosa. Il nostro obbiettivo, per il momento, è quello di trovare una famiglia disponibile ad ospitare il fortunato e pagare per lui e le sue spese. L'iscrizione al liceo di Neptune, grazie al preside Clemmons, sarà ridotta. E poi, se le donazioni saranno sufficienti, possiamo pensare di iscriverlo al college.
Per ora è un tentativo, un'esperimento, ma con il vostro aiuto vorrei provarci. Vorremmo provare ad offrire ad un giovane o ad una giovane un futuro che forse non si era nemmeno immaginato. Diventare medico, economo, infermiere, maestro, ingegnere e tornare nel suo paese per fondare un'azienda, costruire una scuola, privatizzare un ospedale. Quindi, detto questo, invito i signori qui presenti a posare la mano sul vostro cuore... poi infilatela sotto la giacca ed estraete il portafogli o il libretto degli assegni dal taschino interno e fate del bene! Voi signore, aprite la pochette! Grazie!” Tutti risero e un fragoroso applauso riempì la sala.
Ma Wallace non aveva intenzione di scendere dal palco e lasciare il microfono al cantante. Era lì, tentennava, e Veronica e Mac si scambiarono uno sguardo complice nel momento in cui Dick domandò a gran voce “Perché Wallace non scende?”. Veronica si guardò attorno, finché non individuò una chioma riccia poco distante. Veloce come un fulmine la raggiunse seguita a ruota da Mac. Con tutta la delicatezza possibile le prese il braccio “Ciao Jackie, bentornata!” la mora rimase interdetta. Veronica non era mai stata troppo gentile con lei, e quel gesto era decisamente fuori luogo. Poi vide, dietro di lei una sorridente Mac. Non capiva, non sapeva cosa dire. Quel momento di silenzio le costò il tempismo, perché dal palco Wallace si schiarì la voce e riprese a parlare.
“Tutto quello che vi ho detto è importante pur una lunga, lunghissima serie di ragioni, che non starò qui a elencarvi. Ma c'è un motivo per cui è cruciale offrire un futuro a qualcuno... perché possa costruirselo. Essere nati in un determinato ambiente non può limitare il nostro destino, mai. Questo non vale solo per i bambini nati in africa: vale per tutti noi.
Pendete me, essere nato nel mondo occidentale con le capacità per diventare un giocatore di basket professionista non significa che io sia solo questo. Io voglio essere anche molto altro: voglio essere qualcuno che fa del bene, voglio essere qualcuno di cui mia madre possa dirsi fiera, le cui orme mio fratello voglia seguire. Voglio anche poter essere padre di mio figlio, voglio questo onore e diritto, voglio seguirlo mentre fa i compiti, voglio insegnargli a giocare a basket ma anche a baseball se preferisce, voglio sgridarlo quando si comporta male, voglio esserci quando andrà alle medie, quando avrà la sua prima ragazza, quando appena presa la patente mi righerà la macchina. Voglio esserci e voglio esserci assieme a te, Jackie Cook...” e lasciata la frase in sospeso si infilò la mano nel taschino interno e si inginocchiò.
Nel frattempo attorno a Jackie si era fatto il vuoto. Solo Veronica e Mac le stringevano ancora il braccio, delicatamente. Jackie si portò la mano libera alla bocca.
“Jackie Cook, vuoi sposarmi?” domandò la voce calma e rassicurante di Wallace che usciva dagli altoparlanti, mentre lui non le toglieva gli occhi di dosso.
Veronica in quel momento sussurrò piano alla donna impietrita “Jackie, non lo fa perché deve, lo fa perché vuole...”. Solo allora la giovane donna si staccò dalle due ex compagne di classe e, piangendo per l'emozione si avvicinò al palco. Prima impercettibile, poi sempre più visibilmente annuì ripetutamente con la testa, incapace di parlare. “Sarebbe un si?” domandò Wallace. “Si...” rispose lei con un filo di voce. Solo allora il giovane uomo lasciò il microfono sul palco, saltò giù e corse da lei, baciandola.
E, come in un film, tutti applaudirono e urlarono.
Veronica non pianse, e nemmeno Mac, ma erano entrambe molto felici per il loro amico. Poco dopo il resto del gruppo le raggiunse. “Cavoli, ragazzi, chi l'avrebbe mai detto!” esclamò Dick. Logan scoppiò a ridere e indicò le due ragazze. “A quanto pare loro!”
Poi la musica riprese, con Wallace e Jackie che ballavano al centro della sala.
Logan porse la mano a Veronica e le chiese “Balli con me?” “Volentieri!”  e le mani di lui le cinsero i fianchi. Furono seguiti a ruota dalle due coppie di amici, e infine da Duncan che chiese a Gia di fargli compagnia. Lei fu ben lieta di accontentarlo.
Poi la canzone cambiò all'improvviso. Chitarra, batteria e piano si destreggiavano in un giro che alle orecchie di Veronica e Logan suonò improvvisamente familiare. Sway. Come la prima volta che avevano condiviso la pista da ballo. “Questa canzone...” parlò finalmente lui “... non ti facevo così romantico signor Echolls!” esclamò lei, con fare canzonatorio. “Non hai mai voluto vedere questo mio lato!” e lei posò il capo sul petto ampio e forte di lui fino alla fine della canzone.


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Furono interrotti da Duncan che chiese il cambio. “Hey amico, posso rubartela per un giro?” “Cero... Gia? Beviamo qualcosa e mi racconti cosa hai combinato nel corso degli ultimi dieci anni?” propose Logan allontanandosi e facendo l'occhiolino a Veronica.
“Allora... che serata!” disse infine Duncan non appena furono soli. “Eh già...” rispose fredda lei.
“Veronica... che succede... non potresti essere più fredda e distante di così con me. Ti conosco, qualcosa non va. Hai voglia di parlarmene?” lei si staccò e gli propose di bere qualcosa. Duncan accettò, evidentemente era qualcosa di importante e delicato. Recuperarono due bicchieri di champagne e uscirono dalla sala, diretti al cortile interno. Si sedettero ad uno dei tavoli da pranzo. Era buio da un po' e il metallo freddo fece rabbrividire Veronica quando si sedette: la gonna era piuttosto corta e la pelle toccava la seduta della panchina.
“Duncan io... hai presente mia madre... tuo padre... insomma. Non ho avuto gran modelli materni. Mio padre è sempre stato un genitore favoloso: non mi ha mai fatto mancare nulla, soprattutto l'affetto. Peccato che altrettanto non si possa dire per mia madre.” Duncan la interruppe “Veronica se vogliamo parlare dei nostri genitori ben venga, ma non capisco proprio dove tu voglia andare a parare...” “Oh, Duncan, fammi finire. Stavo dicendo... ah si mia madre. Beh, l'alcolismo è una malattia di cui mia madre ha sofferto e, per quanto ne so, soffre ancora. Questo genere di dipendenza è... deleterio. Non solo per l'individuo ma anche per chi vive assieme a quella persona. Mia madre mi ha rubato il futuro due volte: avevo speso tutti i miei soldi del college per pagarle una  clinica di riabilitazione e lei nemmeno c'è andata. Poi, non contenta, la notte in cui l'ho cacciata si è portata via l'assegno di tua madre. Chissà come sarebbe la mia vita a questo punto... comunque sto divagando.” e bevve un lungo sorso di champagne. Poi sollevò il bicchiere e lo indicò a Duncan.
“Vedi Duncan questo genere di dipendenza è... recidivo e ereditario. Non geneticamente ma psicologicamente. Io ho il 50% di probabilità di diventare un'alcolista come mia madre, di essere dunque una donna pessima sotto molti, troppi punti di vista. E visto quanto ho bevuto negli ultimi giorni... beh sto iniziando a dubitare di essere nel 50% vincente.” posò il bicchiere sul tavolo e lo fissò lungamente.
“Io... se non posso essere una donna decente, come pensi che possa essere buona madre? A maggior ragione, se c'è questa possibilità non posso... non me la sento di mettere in pericolo la vita e l'esistenza di una creatura che non è mia? Una creatura per la quale tutti noi hanno rinunciato a molto, forse troppo? Come posso dirti serenamente che mi prenderò cura di tua figlia quando a stento sono in grado di prendermi cura di me?” finalmente alzò lo sguardo e Duncan vide che stava piangendo.
“Veronica tu sei solo spaventata...” cercò di rassicurarla, ottenendo però l'effetto contrario.
“Certo che sono spaventata!” urlò lei “Sono terrorizzata! Io... potrei essere una bomba a orologeria. Che ne sappiamo che tra sei mesi non sarò in qualche centro di disintossicazione? E se accade tra due anni, tra tre, tra dieci? Come posso assicurare a una bambina che ne ha già vissute tante, troppe, un'infanzia serena? Quello che diceva Wallace prima... che futuro posso offrire a tua figlia nel momento in cui tu... e poi tu non morirai. No. Non esiste! Non hai bisogno di me, non ci sarà nessun tutore... Duncan...”
“Veronica” provò a calmarla lui “è solo una forma preventiva... un'assicurazione. Mia figlia...”
“Tua figlia sarà più sicura con tua madre che con me. Io ho un passato che non mi permette di costruire serenamente il futuro, mio o degli altri. Io fuggo dalle responsabilità Duncan, soprattutto se sono responsabilità che non posso affrontare...” piangeva e gridava.
Duncan non ce la fece più e sbottò “Sei solo un'egoista. Una maledetta egoista! Ma vuoi capirlo che non mi posso fidare di nessuno a parte di te e Logan e Clarence. Ma Clarence non può tradire i miei e io penso che mia figlia abbia bisogno di una maledetta figura femminile, che la aiuti le insegni...”
“Hai detto bene, una figura femminile ma sana, non corrotta come la mia. Io... Lilly è morta, Meg è morta, mia madre è fuggita, tu sei scappato, Logan mi ha sempre destabilizzata...”
“Lilly è morta per tutti noi, non solo per te. Tutti noi le volevamo bene e abbiamo sofferto, io forse più di tutti. Era mia sorella, Veronica, ma io ho deciso di andare avanti di combattere contro questo fantasma. E tu cosa fai? Ti crogioli ancora in questo dolore dopo più di dieci anni? Non credo che tu stia facendo questo... penso che tu sia così egoista da usare mia sorella e la sua morte come una scusa!” si alzò, arrabbiato. “Me ne vado, prima di arrabbiarmi davvero e perdere la pazienza. Da te non me l'aspettavo. Non pensavo che mi avresti abbandonato... forse... forse si, sei cambiata. E non mi piace questa nuova Veronica! Penso però che tu abbia ragione: mia figlia non dovrebbe crescere con una persona orribile come te...” e scagliando il bicchiere mezzo pieno a terra la lasciò sola ai suoi pensieri e alle sue torture interiori.


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Mac e Dick stavano ballando, avvinghiati come due fidanzatini al loro primo appuntamento. “Sai che mi sento un po' in colpa...” disse lui ad un certo punto. “Perché?” domandò incuriosita sua moglie.
“Perché la mia proposta di matrimonio non è stata nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Wallace...” Mac scoppiò a ridere “Sei incorreggibile! La tua proposta in volo appeso ad un paracadute è stata favolosa!” e lo baciò appassionatamente.
Un risolino isterico li interruppe. Davanti a loro Madison sembrava molto divertita dalla scena.
“Oh, scusate, non volevo interrompere. Vi prego, andate avanti! È solo che mi piacciono le scene grottesche!” Mac digrignò i denti. Poi, esibendo il sorriso più posticcio possibile “Ciao Madison, come stai? E tuo marito? I reumatismo gli hanno impedito di venire al ballo oppure è impegnato con l'amante?”
Madison incassò senza una piega il colpo basso. “Beh, se non altro io non rubo dall'immondizia degli altri” e indicò Dick “sei stata carina a rimettere assieme i pezzi che io avevo rotto! Solo... un po' patetica!”
Mac fece per andarsene, quando la voce di Dick la fermò. Quel tono l'aveva sentito solo quando parlava con i suoi genitori, pessimi esempi di amore genitoriale. Lui era fuggito con i soldi, lei li aveva abbandonati per il lavoro. “Tu, invidiosa e acida megera. Devi portare rispetto per Mac, non perché sia mia moglie, ma semplicemente perché è una persona decisamente migliore di te. Siete inconfrontabili, tu non hai idea di quanto per me sia stato fortunato il giorno in cui mi hai scaricato. Lei... se tu sapessi quello che sa lei l'avresti già trascinata nelle fogne con te. Non hai idea di quanto le costi tenere questo segreto, di quanto dolore le provochi il vederti, il sentirti parlare, il solo pensare che tu esista” “Dick, ti prego, lascia perdere... questi sono affari privati... non qui, non ora... avevamo detto... mai. Ti prego!” Esclamò Mac, prendendolo per la manica della giacca.
Ma lui parve non averla udita. “Madison tu sie una persona così fortunata e nemmeno te ne rendi conto. Ti comporti come la regina del mondo e invece dovresti essere solo la figlia di un impiegato e di una segretaria, non la figlia di due dei più illustri cittadini di Neptune. Quel posto spetterebbe a mia moglie!”
Lo aveva urlato così forte che le persone più vicine a loro avevano udito tutto, e ora fissavano a turno lo sguardo su Madison Sinclaire e su Cindy Mackenzie in attesa della loro reazione.


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La scena era stata a dir poco imprevista e quasi esilarante. O per lo meno lo era stato il mutamento dell'espressione di Madison: da soddisfatta a stupita a scioccata. Infine disperata. Le due donne, accompagnate dalla signora James, allora consulente scolastica, erano uscite dalla sala. Mac era impietrita, Madison in lacrime.
Logan stava osservando la scena a poca distanza, assieme a Eli. “Tu ne sapevi qualcosa?” domandò l'ispanico. “No di certo, ma conosco qualcuno che di sicuro è informato sui fatti... a proposito dove è finta Veronica?” “L'ho vista uscire in giardino con Duncan” rispose Wallace, mentre lasciava la pista da ballo abbracciato alla sua fidanzata. “Ragazzi, vi presento la futura signora Fennell” “Congratulazioni ragazzi!” esclamò Parker, che stava tornando con due piattini carichi di stuzzichini. “Vado a recuperare una bottiglia e dei bicchieri così appena tornano Mac, Duncan e Veronica facciamo un bel brindisi!” esclamò Dick, di ritorno. In realtà sapeva di averla combinata grossa, e aveva bisogno di tenersi occupato. Poi, rivolgendosi a Logan gli chiese di accompagnarlo.
“Sei proprio nei guai, amico” esclamò Logan, battendo un colpo secco sulla schiena dell'amico. “Eh già... beh almeno potrò dire di aver vissuto pienamente la mia vita. Ricordami biondo, ubiraco e felice nel discorso commemorativo, ti prego. E niente statue, solo la foto di me e Mac in viaggio di nozze, quella in cui le slaccio il costume...!” Beh, se non altro l'ha presa bene, pensò Logan.
Con la cosa dell'occhio Logan vide Duncan entrare dalla porta. “Scusa Dick, ti raggiungo subito...” e corse in contro all'erede Kane, che aveva l'aria tutt'altro che felice. Cosa diamine era succeso? E dove era Veronica?
“Hey, DK” Duncan si voltò “Tu lo sapevi?” Lo attaccò Duncan. “Cosa?” domandò Logan, colto alla sprovvista da quella reazione. Duncan era agitato, e Logan non voleva certo peggiorare la situazione. “Che la tua ragazza ha deciso di piantarmi in asso, di abbandonarmi proprio ora che ho bisogno di lei. Pensavo che avreste accettato. Sei d'accordo con lei? Ti vuoi tirare indietro? No perché se è così io non so proprio cosa fare...” la rabbia si era tramutata in lacrime. Duncan era disperato. “Mi vuoi spiegare di cosa stai parlando?” domandò Logan posando una mano sulla spalla dell'amico.
“Veronica non vuole accettare di essere la tutrice di Lilly. Ha paura di non essere una brava madre...” disse infine Duncan fissando il suo più caro amico negli occhi.
“Dove è lei?” chiese Logan, mentre terrore e rabbia si facevano spazio dentro di lui.


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Era a pezzi. Doveva essere una bella serata, doveva divertirsi, stare con gli amici, non rintanata in giardino, al freddo, a tormentarsi. Perché doveva andare sempre tutto storto? Perché la sua vita non poteva essere... normale? Perché non poteva tornare tutto come prima...
Ma prima quando? Prima che Lilly morisse, prima che sia madre la abbandonasse, prima che suo padre perdesse il lavoro... o prima che Duncan mettesse in cinta Meg, prima che Cassidy facesse saltare in aria lo scuola bus... o ancora prima, prima che Woody Goodman approfittasse dei ragazzini più deboli. Ma forse la rottura era avvenuta dopo, e quindi bastava tornare a quella volta che non ha risposto alla chiamata di Logan, oppure a quella volta che aveva incontrato Maidson, o al momento in cui aveva deciso di intrufolarsi a casa di Jake Kane, facendo perdere le elezioni a suo padre. Tornare alla normalità. Quando era stata l'ultima volta che tutto era stato normale?
Un brivido freddo le corse lungo la schiena, come se qualcuno la stesse osservando. Poi la canna della pistola si era appoggiata alla sua nuca, rovinandole l'acconciatura.
“Veronica, che piacere vederti. Se non sbaglio è qui che ci siamo conosciuti... che tutto è cominciato!” Quella voce... “Nick... che ci fai qui? Se non sbaglio tu non ti sei mai diplomato al Neptune High, devo aver sbagliato a mandarti l'invito!” Lui premette la pistola più forte, e Veronica iniziò a tremare.
“Scherza poco, ragazzina. Qui è cominciato tutto, il declino della mia carriera. Per colpa tua mi hanno revocato il distintivo e la pistola d'ordinanza. Per colpa tua sono fuori dall'FBI... ma ora salderai il conto. Che ne dici di farci un bel giretto?”
Veronica si rese conto che non poteva che ubbidire, e lo seguì verso il parcheggio.


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Non c'era. Strano, che fosse rientrata senza che lui se ne accorgesse? Rientrando incrociò Corny. “Hey, hai visto Veronica?” “Sempre a seguire le sue gonne, eh, Echolls? Come darti torto! Beh, no, almeno non nell'ultima mezz'ora. Ci becchiamo!” e lasciò Logan alla sua ricerca.
Tornando dagli amici chiese un po' in giro, ma sembrava che nessuno l'avesse vista dopo che era uscita con Duncan.
Quando arrivò da Eli e dagli altri non aveva ancora avuto sue notizie. Decise di andare a controllare il parcheggio. Proprio in quel momento andò a sbattere contro una sua vecchia conoscenza. Leo. Cosa ci faceva lì? E chi era quella bella donna... ah Angela, l'agente dell'FBI. “Leo... che sorpresa!” “Logan cercavamo proprio te:" lo interruppe il bell'investigatore.” Poi Angela prese la parola “Logan, Logan Echolls... dove è Veronica?”
“Non lo so. La stavo giusto cercando. È successo qualcosa?” rispose allarmato Logan.
“Dominick Patterson... l'abbiamo arrestato per abuso di potere. Abbiamo trovato dei diari perquisendo la sua stanza d'albergo. É ossessionato da Veronica. E c'è sfuggito!”



Spazio autice: non pensavo di riuscirci e invece ecco a voi il capitolo 23! Per il 24 temo che dovrete davvero aspettare, il prossimo WE sono a Roma a vedere l'Italia che gioca contro l'Irlanda! Mi raccomando fate il tifo! :P
Enjoy!




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Capitolo 25
*** Found raising ***


No, non è un nuovo capitolo, e mi scuso per questo.

Volevo solo fare un appello a tutti i fans di Veronica Mars.
Kristen Belle e Rob Thomas non hanno mai perso la speranza in questi lunghi anni. La WB, che ha comprato i diritti, non li ha mai voluit cedere, anche di fronte a una convintissima Kristen Bell che si proponeva di finanziare interamente un eventuale film. Ma niente. Rob Thomas è andato più volte alla WB ma senza successo.
Poi, l'illuminazione. Perché non coinvolgere i fans?
Nel 2007 le risorse web erano limitate e infatti la campagna di inviare barrette mars alla WB non ha riscosso molto successo.
Ma oggi il web è cresciuto e esistono molti modi per mobilitare l'opinione publlica.

E così per prima cosa attraverso il suo account twitter una incintissima Kristen ha chiesto ai suoi fan di spedire una mail alla WB chiedendo di liberare i diritti per un film.


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Io l'ho fatto, come molti altri fan del telefilm.
Il risultato? La WB ha dato una unica possibilità a Bell e Thomas. Ora mancavano i soldi.

Come trovarli? Ma attraverso un motore di found raising: Kickstarter!
Aperta la pagina, in meno di 12 ore il budget ( per il più grande progetto di foud raising della rete fino ad ora) di 2 milioni di dollari è stato ampiamente raggiunto e superato.
Quindi la buona notizia è che il film di Veronica Mars si farà!
Le riprese cominceranno non appena Kristen sfornerà il bambino. Data d'uscita prevista? Febbraio 2014 nelle sale americane. Il DVD un mese dopo.

Ma vorrei spiegarvi anche che più soldi raccoglieranno migliore sarà il risultato del film.
Io per il momento ho versato 10 dollari, ma ne verserò di più se i gadget (DVD del film compreso) potranno essere spediti anche in Europa. Pare che stiano lavorando per questo (probabilmente non si aspettavano un pubblico così vasto da oltreoceano).

Questa è la pagina

http://www.kickstarter.com/projects/559914737/the-veronica-mars-movie-project

Ma ora altre buone notizie. Chi ci sarà?

Beh, Veronica ovviamente, Ryan/ Dick, Enrico/Keith e Logan.
A proposito, questo è quello che Kristen ha postato un paio di giorni fa... LoVe shippers sarete (come me) accontentati!

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Per concludere vi lascio un altro paio di link e vi saluto.
Non perdetevi il bellissimo video che hanno girato (un anno fa!) per il found raising!



http://insidetv.ew.com/2013/03/13/veronica-mars-movie-kristen-bell-kickstarter/
http://www.serialmente.com/2013/03/13/il-film-di-veronica-mars/
http://www.guardian.co.uk/tv-and-radio/tvandradioblog/2013/mar/14/veronica-mars-fans-fund-movie-kickstarter


Io ho donato e voi? Pensateci!

A presto

Sghisa

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Capitolo 26
*** Eroi ***


Eroi

Furono gli applausi a ridestarla dal momento di distrazione. Si ritrovò inconsapevolmente circondata da tante, troppe persone in una sala illuminata da luci accese. L'aria era stantia, odore di alcol e di sudore. Corpi che le sbattevano contro, facendola traballare sui tacchi alti. Stava per cadere quando un braccio robusto le si insinuò dietro la schiena, reggendo il suo leggero peso. "Sei già ubriaca, tesoro?" le domandò Logan, sorridendole con aria sorniona e provocante. Poi la baciò sulla fronte. "E così sono passati dieci anni… l'avresti mai detto? Io e te, sempre insieme, come al liceo." Si mise davanti a lei, le cinse la vita e cominciò a ondeggiare, guidandola a ritmo della musica. Lei lo abbracciò, ricambiando il sorriso dell'uomo che amava.
Erano nel pieno della festa. Un urlo attirò la sua attenzione. Dick Casablancas stava dando spettacolo, come suo solito. Alzò il bicchiere di cristallo e la bottiglia di Christal e incitò i loro ex compagni di classe a brindare.
"Un brindisi speciale per il mio migliore amico, Logan Echolls, e per suo padre che si è generosamente offerto di pagarci questa serata di festeggiamenti e ubriacature! A Aaron Echolls, l'uomo più generoso che conosco!" e trangugiò il contenuto schiumoso del bicchiere in un solo sorso. Poi saltò giù dal tavolo che aveva fatto da podio al suo profondo discorso e si incollò al seno rifatto della sua epocale ex, Madison Sinclaire, che però on sembrava interessata. "Perdente!" gli urlò, prima di allontanarsi nel suo mini abito.
"Certe cose non cambiano mai, vero?" domandò una voce femminile alle spalle di Veronica. Lei si girò e incontrò lo sguardo severo di una moretta tutta pepe che faticava a riconoscere. Come si chiamava? Cindy qualcosa… non riusciva proprio a ricordarselo. Indossava pantaloni svasati e una camicetta blu elettrico come i ciuffi che portava nei capelli. Al liceo non avevano mai fatto amicizia, eppure Veronica percepì in quel momento che avrebbero potuto esserlo. Se non ricordava male, lei e il fratello di Dick, Beaver o meglio Cassidy si erano fidanzati qualche mese prima. Lo aveva saputo da Logan, che con la famiglia Casablancas aveva ancora rapporti piuttosto stretti.
Beaver, un altro dimenticato del liceo di Neptune, era sempre vissuto all'ombra del fratello e sempre l'avrebbe fatto. Per Veronica non era certo una persona interessante, e si era sempre limitata al minimo contatto indispensabile. Sorrise alla moretta e concentrò nuovamente l'attenzione sul bellissimo uomo che le stava davanti. Su suo marito. L'uomo della sua vita, o almeno l'uomo della sua vita quando non passava la notte fuori con chissà chi. Ma Veronica aveva deciso di ignorare le lunghe e ingiustificate assenze del marito, perché anche se la tradiva, comunque le offriva la migliore vita possibile. E poi c'era Mary. A casa la loro piccolina li aspettava, accudita dai nonni Mars per l'occasione. La piccola Mary aveva appena compiuto tre anni, e era la gioia di mamma e di papà.
"Beviamo qualcosa?" propose Veronica, stanca di ballare. Mentre si avvicinavano ai divanetti sulla parete di fondo osservò il suo vestito. Bianco candido, di pizzo con ricami dorati, le maniche di tulle a sbuffo. Teneva i capelli raccolti a mostrare il collier di diamanti e gli orecchini in pandan che Logan le aveva regalato al loro quinto anniversario di matrimonio. Sulla parete di fondo un poster ricordava chi non era potuto venire alla festa per i dieci anni del diploma. C'era chi mancava perché si trovava in galera, come quel tale, messicano, era stato il capo dei PCHears fino a un anno prima, quando Don Lamb l'aveva arrestato per l'omicidio del suo rivale, Felix Thumbs. E poi c'erano i loro illustri ex-concittadini, come Wallace Fennell. Assolutamente sottovalutato durante il liceo, ora era un professionista del Basket e viveva a New York. Aveva mandato dei laconici saluti, che comprendevano anche una serie di irripetibili insulti ai suoi compagni di scuola. Per lui il liceo era stato un vero e proprio inferno, e voleva comunicarlo a tutti.
Mentre si avvicinavano al tavolo dello champagne si imbatterono in Duncan e Meg. Meg la abbracciò con trasporto e Veronica ricambiò sorridendo a Duncan. "Veronica, tesoro, come stai? Non ti ho vista questa settimana al circolo… io e le ragazze eravamo in pensiero. Pensa che ci è addirittura toccato far sedere al nostro tavolo quella odiosa di Madison, lei e il suo linguaggio volgare. Non farlo più di abbandonarmi in una situazione come quella, ok?" Meg era un'adorabile moglie modello. Lei e Duncan si erano sposati subito dopo il diploma, e lei non aveva mai dovuto lavorare un solo giorno, solo badare alla piccola Faith, finché non era nato Nathan, e poi Joline. Ora avevano deciso di fermarsi e dedicarsi un po' a loro stessi. Duncan si era candidato come governatore dello stato della California e Meg aveva dovuto affrontare con lui una a dir poco estenuante campagna elettorale. Le possibilità c'erano, insomma era pur sempre l'erede dell'impero Kane, si era laureato in legge a Stanford e era un conservatore. La California aveva bisogno di un Repubblicano. E lo voleva. Duncan avrebbe anche potuto vincere.
Se non fosse per quella macchia sul curriculum. No, non la figlia nata prima del matrimonio, ma sua sorella. Lilly Kane era letteralmente sulla bocca di tutti. Era cominciato tutto con un filmino a luci rosse di lei e due star del cinema, fratelli. Poi un matrimonio a Las Vegas con un cantante rock, fallito nel giro di pochi giorni. Era stata vista ovunque e con le persone meno raccomandabili a fare le cose più folli e indicibili. Duncan, che l'aveva sempre difesa, iniziò ad allontanarla. Voleva fare il politico, diventare presidente. Non poteva permettere che il suo nome fosse associato a quello di sua sorella, che entrava e usciva dai centri di riabilitazione. Veronica non era riuscita a starle dietro, l'aveva persa e rimpiangeva moltissimo i tempi in cui loro due erano grandi amiche e tutto filava liscio. Ma era così che le cose dovevano andare, pensò sorseggiando del delicato champagne.
Si fermò e fissò il bicchiere con disappunto.
Qualcosa non andava, lo champagne non aveva quel retrogusto di ferro.

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Sapore di ferro. Quella fu la prima cosa che percepì riprendendo coscienza. Sapore di ferro. Non riusciva proprio a spiegarselo. Come non riusciva a spiegarsi il cerchio alla testa. E il silenzio che la circondava: l'ultima cosa che ricordava era che si trovava alla festa, insieme ai suoi amici. Non che fosse una festa così divertente, soprattutto dopo la litigata con Duncan. Aveva litigato con Duncan...
Gli eventi della serata cominciarono a riordinarsi nella sua testa. La limousine, Mac e Dick, Wallace e la proposta a Jackie, Eli e Parker. Era stata una serata piacevole, lei e Logan erano riusciti a non bisticciare, anzi si stavano quasi divertendo. Poi Duncan… si ricordava di lui che le gridava contro, della tristezza che aveva provato nel deluderlo, della paura di essere tornata la vecchia Veronica, quella che scappa e che fa fuggire gli altri. Duncan l'aveva lasciata sola, era scappato da lei, lei l'aveva allontanato come sempre faceva con tutti. E Duncan l'aveva lasciata sola, seduta sulla panchina di ferro.
Sola, il freddo che passava attraverso la stoffa leggera del suo vestito.
E poi… poi cosa era successo? Perché attorno a lei c'era silenzio e buio? Non avrebbe dovuto trovarsi in mezzo a musica, suoni, luci e persone? Perché non si ricordava dove si trovava e come fosse arrivata in quel posto?
Poi un rumore, leggero. Una sedia che scricchiolava leggermente. Tese l'orecchio. Silenzio, solo silenzio attorno a lei. Era chiaro che si trovava in una stanza, sdraiata su un letto. Dalla finestra entrava una brezza leggera. La tenda si scostò rivelandole l'arredamento scadente.
La testa continuava a pulsare e il sapore di sangue, non ferro, non se ne era ancora andato. Non si mosse, non se la sentiva. Qualcuno doveva averla tramortita e portata lì. Chi e perché?
Provò a girarsi, e non appena si mosse una voce rauca ruppe il silenzio che fino a quel momento l'aveva circondata.
"Ben svegliata!"
E tutto le fu immediatamente chiaro. La botta in testa era tutta colpa di Nick, che l'aveva tramortita e portata chissà dove. Senza farsi notare, distese la mano. Il copriletto sotto di lei era ruvido e puzzava di stantio, il buio indicava che non era passato troppo tempo, e i rumori provenienti dalla strada che era ancora sera e non mattina. Non avevano lasciato l'area urbana di Neptune, questo era poco ma sicuro. E l'odore di birra marcia e di muffa le indicavano che si poteva trovare solo in un posto. E quel posto aveva senso: era il posto dove tutto era cominciato, il motel Camelot.
"Veronica, suvvia, non facciamo giochetti. So che sei sveglia e sono molto contento che tu sia qui con me. Pensavo di chiudere questa storia dove ha avuto inizio, in un senso poetico e circolare. Tu, io, questa stanza ad angolo…"
Veronica cercò di esplorare il letto, alla ricerca della borsetta, senza dare nell'occhio, ma evidentemente non ci riuscì.
"Ah-ha, cara mia" la interruppe Dominick, muovendosi sulla sedia e facendola scricchiolare "sono un agente dell'ABI, insomma, non uno stupido. La tua borsetta è rimasta alla scuola, dovessero provare a rintracciare il tuo telefono. Quindi sappi che siamo io e te da soli, in questa stanza. Questa volta farò le cose per bene, e non ti permetterò di mettermi più i bastoni tra le ruote. Mai più."
"Sospetteranno di te!" Esclamò Veronica, cercando di essere più minacciosa possibile mentre cercava di tirarsi seduta sul letto. "La tua carriera è finta, rovinata. Hai seminato una scia che porterà necessariamente a te…" "Non necessariamente" la interruppe lui "Ti ricordi del buon Duncan, immagino. Beh, è l'ultima persona con cui sei stata vista, e a quanto pare non ha preso bene il tuo riappacificarti con Logan Echolls. Mi sembra che entrambi siano sempre stati piuttosto gelosi e possessivi nei tuoi confronti. E poi Mr. Kane non ha una buona reputazione da noi a Quantico. Ha rapito la figlia ed è scappato. L'abbiamo cercato per anni, e ora salta fuori che ha ucciso la sua ex fidanzatina del liceo… insomma prigione a vita! O pena di morte… chissà in che stato verrà processato? Dipende da dove lo acciufferanno! Sai, mi sono premunito di raccogliere una serie di prove incriminanti e portarle in questa stanza. Capelli, oggetti utilizzati dal signor Kane, addirittura un coltello proveniente dalla sua cucina, con le sue impronte. verrà trovato a fianco della vasca da bagno, nella quale ti troveranno esangue… Ah mi immagino la scena: il volto sconvolto dello sceriffo, della tua amica Angela. Peccato non poter essere presente…"
"Come pensi di non venir tirato in ballo?" Domandò Veronica, cercando di alzarsi, ma ricadendo sul materasso a causa di un capogiro.
"Non esagerare, mia cara, non vorrei ti facessi male cadendo. Evidentemente ha già cominciato a fare effetto…"
"Cosa mi hai dato?" domandò lei, tenendosi la testa tra le mani. Non ci fu bisogno di risposta: quella sensazione non le era nuova… GHB… la nausea montò. "Non la passeri liscia!" urlò, ma le forze la stavano abbandonando.
Dominick si avvicinò al letto, e la aiutò a stendersi "Shhhh… vedrai, non te ne accorgerai nemmeno. Sarà come cadere in un sonno profondo…!"
Le poggiò la testa sul cuscino e andò verso il bagno. Veronica aveva percepito le mani guantate di lui toccarle la nuca, e un brivido le era corso lungo la schiena. Poco dopo Veronica sentì scrosciare d'acqua. Il vapore si condensò rapidamente, l'acqua doveva essere caldissima. In questo modo anche un piccolo taglio l'avrebbe fatta dissanguare in fretta. Riusciva a malapena a tenersi cosciente. Cosa fare? Non poteva finte così. Mentre calde lacrime le rigavano le guance Veronica ripensava a tutte le volte che se l'era cavata, che ce l'aveva fatta. Erano troppe? Aveva forse consumato la sua buona stella?
La cosa che però la stupì nel profondo fu che si ritrovò a pensare non a sé, ma alle persone cui voleva più bene. A suo padre, che le avrebbe perdonato tutto, tranne il fatto di abbandonarlo in questo mondo crudele e difficile. A Lilly, che l'aveva lasciata sola. A Logan, che non l'aveva mai lasciata andare. A Duncan che le aveva permesso di essere libera. A Mac che non aveva mai fatto domande e a Wallace che gliele aveva poste. A Meg che l'perdonata. A sua madre, che voleva perdonare con tutte le sue forze. A Dick, che aveva sottovalutato… sempre. E si augurò che ognuno di loro avrebbe avuto una buona esistenza, anche senza di lei. Le forze la stavano abbandonando, il mondo tornava  sfarzi confuso, non riusciva a distinguere realtà e immaginazione, sogno e verità.
Era di nuovo alla festa, assieme a Meg e Duncan, Logan e gli altri… poi veniva catapultata in una stanza d'albergo squallida e buia… aveva cinque anni e sua madre la stava portando alle giostre… poi ne aveva dodici e incontrava Logan a casa di Lilly per la prima volta… era il giorno del diploma e lei e Logan avevano fermato Cassidy dal gettarsi dal tetto… una porta sbatteva nell'oscurità… suo padre le baciava la fronte nella navata di una chiesa e lei aveva il velo tra i capelli… grida maschili e corpi che cadono… Lilly che le sorride mentre le racconta di avere un segreto, un bel segreto… una sedia che si rompe e va in mille pezzi… sua madre che abbraccia una bambina e le domanda se è sua nipote… silenzio, poi, all'improvviso, uno sparo nell'oscurità. Poi nulla.


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Non c'era stato nemmeno il tempo di pensare. Veronica era sparita, e lo era anche quel pazzo di Dominick Patterson. Ma questa volta non l'avrebbe passata liscia, no signore. Aveva già messo le mai addosso alla sua veronica fin troppe volte, e ora era proprio ora di chiedere la questione.
Leo e Angela si erano precipitati ad ispezionare la stanza d'albergo dell'agente Patterson, mentre lo sceriffo aveva diramato l'ordine d'arresto. Il confine con il Messico era stato allertato, pattuglie si muovevano in tutta Neptune.
Veronica era sparita da meno di un'ora, quindi non potevano essere troppo lontani! E lui aveva una mezza idea di dove fossero, ma questa volta avrebbe fatto a modo suo. Niente polizia, niente PI, niente di niente a impedirgli di spaccare qualche osso a quel folle. Una volta per tutte.
Era ancora a scuola, la musica era stata spenta da un po', e la gente se ne stava andando alla chetichella. Passando, Madison esclamò "Deve sempre rovinare tutto, quella bionda spennacchiata…". Lui si trovava in un capannello di persone che comprendeva gli amici più cari di Veronica, le persone che doveva distrarre se voleva via libera verso il motel Camelot. Alzò lo sguardo e incontrò quello di Parker. L'idea lo raggiunse come un fulmine. Avrebbe decisamente potuto sfruttare quella situazione a suo vantaggio. Madison era ancora a poca distanza, calcolò i tempi e poi aprì bocca.
"Madison sa essere davvero di cattivo gusto…"
Tutti lo fissarono, poi Parker, la donna tutto pepe che, seppur diversamente da Veronica, tendeva a proteggere le sue amiche, alzò lo sguardo più in fretta degli altri e scambiò uno sguardo al vetriolo con Mac. "In che senso?" proruppe la bionda.
"Non avete sentito? ha appena accusato Veronica di averci rovinato la festa…" rispose Logan con aria innocente.
Parker aggrottò le labbra e le sopracciglia. Porse la borsetta a Eli e, guardando Mac negli occhi, esclamò "Amore, mi reggi la borsetta? Devo dire un paio di cosette a quella strega!" e si avviò come una furia verso l'uscita principale, seguita a ruota da Mac e da Jackie. Dopo un secondo di spaesamento, Dick, Wallace e Eli si voltarono. Giusto in tempo per cogliere Parker mentre, con la velocità di un fulmine, afferrò i capelli di Madison e li tirò con tutta la sua forza. La scena colse alla sprovvista tutti i presenti, che si fermarono come immortalati dalla pellicola fotografica. "Cosa hai detto, brutta gallina? Chi ti credi di essere?" esclamò Parker, e tirò ancora più forte. Eli e gli altri si avvicinarono rapidamente al teatrino, mentre Logan, convinto di essere passato inosservato, lasciava la sala dalla porta di servizio. Un po' gli dispiaceva non assistere a quella stupenda scena, ma aveva una bionda minuta che profuma di speranze da salvare.


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Leo e Angela erano arrivati al Central Hotel, una decorosa via di mezzo tra lo squallido Camelot e il super lussuoso Grand. Lì Dominick Patterson aveva alloggiato nelle ultime settimane, e da Lì sarebbero cominciate le loro ricerche. In realtà non si aspettavano di trovarlo in albergo: sapeva di essere ricercato, e difficilmente si sarebbe fatto trovare nella sua stanza d'albergo. E così anticiparono lo sceriffo e si recarono alla recepito , dove una donna bruna li accolse con un sorriso annoiato. "In cosa posso esservi utile?"
Angela fece un passo in avanti, lasciando Leo indietro. "FBI" disse, mostrando il tesserino "stiamo cercando Dominick Patterson. E' ancora qui?"
"No" rispose la ragazza, fissando il tesserino di Angela. Non avrebbe distinto un originale da una copia, ma non voleva certo farlo capire. "Ha lasciato la stanza due ore fa. Ha pagato in contanti anche per questa notte e si è dileguato nella notte."
"immagino che la stanza sia già stata pulita e rassettata?" domandò lei, senza perdere la calma né quell'aria seria e professionale.
"No, non ancora. Il turno di Juanita inizia tra mezz'ora…" Senza farla finire Angela riprese "Allora non le dispiacerà certo se diamo un'occhiata. Non ci metteremo molto. Stanza…" "Stanza 137… ma…" non fece in tempo a finire, perché Angela e Leo si congedarono con un sorriso.
La stanza era vuota, e, ovviamente, non trovarono nulla di interessante. O utile.
"Veronica, dove sei? domandò Angela, guardando fuori dalla finestra.


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Non parcheggiò la macchina sotto le stanze del motel, ma si fermò qualche metro prima dell'ingresso al motel. Attraversò la strada e si diresse al Camelot. C'erano tre stanze illuminate, ma in quella che interessava a lui nessuna luce. Dal bagno, dotato di una microscopica finestra, filtrava della luce. Sapeva che era lì, che doveva essere lì. Approfittò di un gruppo di ragazzi ubriachi per correre su per le scale e portarsi davanti alla porta della stanza in angolo, la 227. Sentiva solo il rumore dell'acqua, ma nella camera ancora nessun rumore. Non una voce, non un suono. Posò la mano sulla maniglia, e provò ad aprirla, con poca speranza che non fosse chiusa a chiave. E invece il meccanismo non fece resistenza, l'uscio si dischiuse e lui si trovò dentro la stanza. Richiuse la porta alle sue spalle, lasciandola però accostata. Doveva lasciarsi una via d'uscita.
C'era odore di alcol, di stantio, ma anche di Veronica. Si guardò attorno e la intravide, sul letto, assopita sperava. Dominick doveva trovarsi in bagno. Fece per avvicinarsi a Veronica, al letto, ma una trave del pavimento scricchiolò, e lui capì di essere nei guai. Si preparò, e fece bene. Poco dopo L'agente dell'FBI spalancò la porta facendola sbattere fragorosamente e gli saltò addosso. Ma Logan, era, per l'appunto preparato. Piegò leggermente le ginocchia e quindi l'impatto divenne spinta. Dominick si ritrovò spinto indietro. Logan sorrise e prese la rincorsa, assestandogli un destro sullo zigomo. Dominick andò a sbattere contro la sedia e la ruppe in mille pezzi. Non fece a tempo di rialzarsi, perché Logan gli fu addosso e cominciò a colpirlo con pugni ben assestati. Ben presto il naso di Nick iniziò a sanguinare e il volto cominciò a gonfiarsi. Logan continuava a colpirlo.
Ma accadde qualcosa che Logan non si aspettava, che non aveva calcolato. Dominick Patterson estrasse una pistola e la puntò a fianco di Logan. Poi sparò un colpo. Logan sentì un dolore lancinante farsi largo nel suo fianco, sempre più a fondo nella sua carne. Il sangue cominciò subito a sgorgare, caldo, da sotto le sue costole. La camicia s'impregnò quasi subito di quel liquido denso e appiccicaticcio, che presto gocciò sul pavimento di moquette ispida. Logan sentiva le forse che lo abbandonavano lentamente, ma riuscì a strappare di mano da Nick la pistola. Lo colpì nuovamente, ma la mano scivolò, seguita dal corpo di Logan che si accasciava.
Era ancora cosciente, e si trascinò lentamente verso Veronica, nell'estremo tentativo di difenderla. Ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Poi si lasciò, quasi esanime, ai piedi del letto.
In quel momento la porta dell'ingresso si spalancò e una figura scura si stagliò sullo specchio della porta. Accese la luce. Era Duncan. Prima di svenire, Logan lo vide lanciarsi sulla pistola e puntarla contro Dominick. Poi nulla. Lontano, sentì delle voci, dei suoni indistinti di sirene e macchinari. Ma era tutto confuso e appannato. Quasi un sogno.



Spazio autrice: Lo so lo so, c'ho messo un sacco. Ma lavoro scrivendo al pc e faccio fatica a scrivere anche nel tempo libero. Breve ma (spero) intenso questo capitolo. Ancora uno, massimo due!
Grazie per la pazienza!













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Capitolo 27
*** L'onda perfetta ***


L'onda perfetta

Una calma quasi innaturale, la luce intensa di una giornata estiva, le onde sulla banchina che si infrangevano a ritmo, regolari, uno… due… uno… due. L'onda più grande, quella vera e propria, seguita dalla risacca. Era sempre così il mare di Neptune a quell'ora, se il vento del Pacifico non lo provocava: calmo e regolare, una certezza.
Le onde grandi, quelle tutt'altro che calme e regolari, non si facevano vive quando il sole era alto nel cielo, no di certo. Le onde grandi, quelle che ti facevano sognare sulla tavola, l'Oceano le regalava la mattina presto, quando il sole stava ancora sorgendo alle spalle della città, verso l'entro terra. A quell'ora, con il sole alto e la spiaggia piena non c'era da divertirsi per quelli come lui.
A quell'ora la muta era ad asciugare, appesa alla tavola, cosa che il proprietario faceva disteso a terra sull'asciugamano. La birra in una mano, l'altra a riparare gli occhi dalla luce intensa del sole, Logan Echolls stava sdraiato in spiaggia, la sabbia umida ancora appiccicata ai polpacci stanchi dopo una mattinata di surf. Quando andava a surfare da solo quello era senza ombra di dubbio il suo momento preferito, quando disteso in spiaggia lasciava che i pensieri volassero via assieme alla brezza marina. Nella sua mente solo lo sciabordare delle onde e il ricordo dello sforzo fisico appena compiuto.
O forse il momento che preferiva era quando, con il cielo ancora buio, infilava il primo piede nell'acqua ghiacciata. Un brivido freddo gli saliva lungo la caviglia, la gamba, il ginocchio. Invadeva la pancia, gli irrigidiva i muscoli e, risalendo lungo la colonna vertebrale, arrivava fino al cervello. Una scossa ghiacciata che lo costringeva a svegliarsi immediatamente, a prescindere da quanto poco avesse dormito la notte precedente. Una scossa fredda che lo preparava alla lotta contro il freddo, il mare e i suoi limiti. Una lotta che voleva combattere e vincere.
Altre volte aveva la sensazione che il momento più bello di una mattina di surf fosse quando prendeva l'onda perfetta, quella che rigira su sé stessa, che torna al punto d'origine. E che vorrebbe trascinare te e la tua tavola nelle profondità del mare. Quella che a volte aspetti invano. Quella che altre ti sorprende e ti travolge.
Ma a pensarci bene l'onda perfetta, quella che sogni di attraversare fin da bambino, quella che è un tunnel azzurro, di un azzurro così intenso che la luce fa fatica a filtrare e diventa quasi blu… quell'onda, quella che ha il colore degli occhi di Veronica, la stessa intensità e che ti costringe ad affrontare insidie non meno pericolose… beh quell'onda se sei fortunato la vedi una sola volta nella vita. E solo se sei fortunato, e bravo,  ma soprattutto se sei abbastanza sveglio da non fartela scivolare tra le dita della mano.
Perché il surf, come tutto ciò che conta nella vita, è questione di fortuna, di abilità e di tempismo. Se sei titubante, se hai paura, se ti fermi a pensare un secondo di troppo, può essere che ti lasci scappare la grande occasione della tua vita. O l'onda perfetta, dipende dai casi.
Logan Echolls aveva avuto la sua onda perfetta. se lo ricordava ancora. Era successo il giorno prima che sua madre si buttasse dal Coronado Bridge e lui si era svegliato alle 5 per andare da solo a fare surf. Lui, la sua tavola, i suoi lividi e i suoi pensieri. Suo padre l'aveva picchiato di nuovo, sempre con la cinghia. Ultimamente era il suo strumento di tortura preferito, una tortura lunga e logorante che comprendeva una parte psicologica, la scelta da parte di Logan della cintura del giorno, e una fisica, quando quella cinghia impattava violentemente con la schiena di Logan. Quando accadeva, il giorno dopo Logan scompariva dai radar per qualche ora, lasciando solo un messaggio ispirato per la segreteria. Quel giorno, prima di spegnere il telefono, aveva registrato una citazione di Scott Fizgerald "A volte è più difficile privarsi di un dolore che di un piacere.". Nonostante fossero passati così tanti anni se lo ricordava ancora. Dopo aver buttato il telefono spento sul sedile del passeggerro della sua X-terra, quella mattina di oltre dieci anni prima aveva indossato la muta, nonostante il dolore provato mentre la cerniera si chiudeva, premendo il tessuto rigido e pesante contro la pelle martoriata di Logan.
Era lì, nell'acqua gelida del Pacifico che cercava di stare in piedi quando l'ha vista arrivare. Perfetta, schiumosa, sinuosa e pericolosa. Non c'aveva pensato nemmeno un secondo, si era buttato. L'aveva raggiunta giusta in tempo. Si era insinuato in quel tubo azzurro e tutto era improvvisamente scomparso, inghiottito da quella luce così strana, dal rombo distante ma assieme così pericolosamente vicino del mare che divora sé stesso. I suoi pensieri, le sue preoccupazioni, la rabbia e perfino il dolore erano svaniti, inghiottiti da quel luogo non-luogo dove il tempo sembrava fermarsi. E così era stato. Saranno stati pochi secondi, una manciata di esistenza, quasi impercettibili. Eppure per lui avevano significato davvero tanto: si era pulito, lavato, purificato. E quando era emerso dall'onda, giusto in tempo prima che lo travolgesse, si era sentito libero. Libero dal peso della morte di Lilly. Libero dal peso che essere il figlio di suo padre comportava. Libero dal dolore per la debolezza di sua madre. Libero dalla nostalgia per Veronica, e anche dalla rabbia che provava per lei. Libero.
Quella sensazione era svanita presto. A scuola Eli e i suoi amici avevano attaccato le foto dei giornali scandalistici sul  suo armadietto. Aveva incontrato Veronica. Era passato davanti al punto in cui lui e Lilly si incontravano tutte le mattine. Suo padre era venuto a prenderlo infuriato. Sua madre l'aveva ignorato. Tutto era tornato come prima, eppure nell'animo di Logan era rimasta la sensazione che avrebbe potuto essere di nuovo libero, come quando era dentro l'onda perfetta. Libero…
Perché sì, il nostro destino è questione di fortuna e tempismo e abilità. Ma bisogna essere liberi per poterlo costruire. Se catene, gabbie, strade precostituite, obblighi, sensi di colpa ci guidano nelle nostre scelte non saremo mai in grado di costruire ciò che vogliamo essere. E se il destino di Logan si era compiuto era proprio grazie a quell'onda, e a quella sensazione di libertà, di possibilità, che lo stare in quell'onda seppur per pochi brevissimi secondi aveva "seminato" nell'animo di un ragazzino infelice e ribelle. Solo sapendo di essere libero di costruire il proprio futuro Logan non si era fatto scappare la cosa più bella della sua vita, la donna della sua vita. Colei con la quale aveva sempre lottato, litigato. Quella che l'aveva lasciato, che era stata lasciata, che l'aveva ingannato che lui aveva tradito. Colei che però, per quanto tentassero di allontanarsi vicendevolmente, costituiva per Logan Echolls un centro di gravità permanente… il suo asse di rotazione. Nonostante tutti gli anni passati, infatti, gli era bastato rivederla, sfiorarla, annusare il suo dolce profumo per ritrovare la direzione. E per capire che non ci sarebbe stata un'altra volta. Nessuna fuga, nessuna messa in fuga. Sarebbe stato al suo fianco una volta per tutte.
Aveva preso quella decisione e ora stava in spiaggia, sereno, a bere una birra e a pensare a lei. Alla sua bionda preferita. A quella che era stata davvero l'unica, che lo era stata probabilmente da sempre.
Una figura su stagliò sopra di lui, controluce. Per quanto ci provasse non riusciva a distinguere i tratti del volto, solo le spalle delicate, il corpo femminile nascosto da un largo vestito da spiaggia, ma soprattutto quei lunghi capelli biondi e morbidi. Lei si distese sulla sabbia, poggiando la testa sulla pancia di Logan che cominciò ad accarezzarle i capelli. Non se li ricordava così lunghi. Gli solleticavano il collo. Prese le punte tra l'indice e il pollice della mano libera e chiuse gli occhi. Il sole bruciava proprio a quell'ora, ma non aveva nessuna voglia di alzarsi per andare a recuperare gli occhiali da sole. Voleva godersi quel momento.
Restarono in silenzio per un lungo momento. I gabbiani in cielo gracchiavano quello strano suono che solo loro fanno: una via di mezzo tra un grido e un ghigno.
Poi Logan aprì la bocca.
"E' poco bello, qui? L'avresti mai detto che sarebbe potuto essere così bello, Veronica?"
"Veronica?" rispose la voce. Qualcosa non andava. Quella non era la voce della sua Veronica. Era una voce che conosceva bene e che non sentiva da oltre dieci anni. "Il sole deve averti proprio dato alla testa, Logan. Non riesci più a distinguere un'amante dall'altra?" gli domandò Lilly, mentre si alzava e si metteva a sedere al fianco di Logan. Logan rimase per un secondo interdetto a guardare la sua ex. La sua ex morta. La bellezza di Lilly Kane era quasi immutata; un piccolo particolare però stonava. Il suo volto, una volta perfetto, era sfigurata do un profondo solco di sangue raggrumato sul alto destro della fronte. Gli occhi di Logan si riempirono di lacrime.
Non aveva mai visto il cadavere di Lilly, nemmeno una fotografia. Si era rifiutato. La sua Lilly.
Si alzò a sedere, poi allungò una mano verso il volto sfigurato di lei.
"Lilly…" balbettò.
"Si, Logan sono io! Ti sono mancata?" domandò, sorridendo dolce e piccante come solo lei sapeva fare.
"Mancata? Non hai idea di quanto tu mi sia mancata. Ma… come fai ad essere qui? Sto sognando?"
"Diciamo così… diciamo che stai sognando. Che poi non si allontana così tanto dalla verità. Ma ci arriveremo tra poco. Come stai Logan? Mi sembra che le cose non vadano proprio al massimo…"
In quel momento il fianco di Logan fu straziato da un dolore lancinante. La felpa che indossava si macchiò di rosso. Rosso e umido. Sangue. Come era possibile? Si osservò le mani sporche di sangue. Lilly gli prese il mento tra le mani e lo fissò negli occhi. Logan era sconvolto e terrorizzato.
"Oh… tesoro, Come mi dispiace. Ma adesso devi concentrarti. Resta qui con me e ascolta le mie parole. So che non sono mai stata troppo affidabile, però questa volta devi fidarti di me. Ignora tutto il resto, guarda me, ascoltami e rispondi alle mie domande. Se farai così, andrà tutto bene."
Lui annuì, senza parole.
"Bene. Tanto per cominciare, scusa. E' anche colpa mia. Sono stata una stronza, davvero. Ma che ci potevo fare, ero così… piena di energie e di forza vitale. Tutto per me era una prigione… ma non divaghiamo: non siamo qui per parlare di me, bensì di te. Io sono stata una stronza, e appurato questo abbiamo già fatto un piccolo passo. Anche tua madre non è che sia stata proprio un modello di donna da seguire. Non mi fraintendere… una cara, cara signora. Anche una brava madre, a modo suo. E fino a un certo punto. Troppo debole e troppo ceca. Insomma, due donne tra le più importanti della tua vita sono state delle stronze…"
"La signora Navarro è sempre stata buona con me" scherzò lui. Si sentiva a suo agio con Lilly. Il dolore al fianco era sparito.
"Si la signora Navarro. e come l'hai ripagata? Dovrai chiedere scusa un giorno o l'altro, Logan… Comunque, torniamo al mio discorso, non vorrei si facesse tardi, capisci?"
Lui non capiva, ma gli sembrava brutto interrompere di nuovo, quindi si limitò ad annuire. Era anche molto stanco.
"Anche tua sorella non è che sia stata un grande modello di donna: volubile e viziata. Il denaro ha per lei avuto più importanza dell'affetto. Ma come darle torto, insomma, moltissimi bambini adottati hanno qualche squilibrio, soprattutto se crescono in un mondo come quello delle star di Hollywood. Insomma, nella tua vita non sei stato certo circondato da donne che ti hanno spinto a fidarti del genere femminile. Poi è arrivata Veronica. Angelica prima, diabolica poi. Ha trovato un equilibrio che ha destabilizzato te dopo la mia morte. E vi siete fatti la guerra. Ma non ho voglia di annoiarti con qualcosa che conosci già fin troppo bene. Comunque Veronica è certamente uscita da ogni modello tu avessi di donna, e questo suo essere così unica penso sia ciò che vi ha avvicinati prima e uniti poi."
Lilly sollevò un po' sabbia e la fece scivolare nel vento.
"Veronica è un'anomalia nel tuo sistema di riferimento. Non è forte, non è debole. Non è solo forte e non è solo debole. E è così anche grazie a te. Per quanto abbia provato ad allontanarti ripetutamente in questi molti anni che ci separano dalla mia morte, tu e Veronica, pur non sapendolo, vi siete costruiti e influenzati. Perché vi siete sempre compensati, come due pezzi di un oggetto rotto. Un oggetto che si è rotto quando sono morta io ma che aveva già delle crepe. Crepe provocate dai vostri genitori, dai loro segreti, dalle loro violenze, dalle loro forze e dalle loro debolezze. Crepe provocate da me, dal mio carattere instabile ma forte, dal mio trascinarvi come una tempesta."
Lilly prese la lattina di birra di Logan e la rigirò fino a rompeva sul lato. Poi prese un pugno di sabbia e cominciò a versarla nella lattina di birra. "Le tue crepe Veronica è riuscita a riempirle, come la sabbia sta facendo con la lattina, rinforzandola dall'interno." Fino a quel momento con la mano libera dalla sabbia Lilly stava tappando il buco nella lattina.
"Ma se non la tieni assieme, la sabbia esce dalle falde, e tutto collassa." Come tolse la mano, la sabbia iniziò a sgorgare dal foro, come una piccola cascata in miniatura. Il vento se la portava via. Lilly prese la mano di Logan e tappò il buco. La sabbia smise di uscire.
"Sei tu che devi contenerla, difenderla e proteggerla. Devi capire che questo è il tuo compito, se lo vuoi. Devi smetterla di creare nuove rotture, nuovi buchi. Devi diventare saldo, reggerti per reggerla, e permetterle così di reggere te." Lasciò la lattina tra le mani di Logan e continuò, pazientemente a riempire la lattina. Quando fu completamente piena si alzò. Si ripulì i vestiti dalla sabbia e poi si chinò su Logan. Gli baciò la fronte.
Gli sorrise e poi si voltò. Logan fece per alzarsi. Per riuscirci allentò la presa sulla lattina, che doveva tenere con due mani perché i buchi erano davvero molti. Come lo fece la sabbia ricominciò a uscire. "Merd…" esclamò lui.
Lilly si girò e con uno sguardo di fuoco lo rimproverò secca "Cosa ti ho appena detto? Basta distrazioni, basta guardarsi indietro. Dovrai aiutarla a farlo. Non a dimenticare, ma ad avere uno sguardo diverso, improntato sul presente e sul futuro. E se adesso ti alzi per seguirmi non lo potrai fare. Non lo potrai fare, come non potrai impedire a quella lattina di svuotarsi se non la terrai assieme, quindi, Logan, è il momento di fare una scelta, la scelta. Questa è la tua onda perfetta, ed è una volta nella vita!" lo ammonì.
Logan la guardò, gli occhi traboccanti di lacrime. "Lilly, non mi lasciare…"
"Logan, sei tu che devi lasciarmi andare. E dopo che l'avrai fatto insegna a Veronica a farlo. A perdonare, a dimenticare, a ricordare. Se non mi lasci andare ora perderai lei." e si incamminò. Dal mare si stava alzando la nebbia, una nebbia densa e calda. Decisamente anomala per quell'ora del giorno, ma decisamente non la cosa più strana che Logan avesse vissuto nelle ultime ore.
"Lilly…" urlò Logan, mentre i contorni di lei iniziavano a svanire in quella nebbia sempre più luminosa.
"Logan, non la senti? Non senti quello che ti sta chiedendo? Ascoltala e dalle un bacio da parte mia…"
Logan tese l'orecchio. Una voce in lontananza… man mano più distinta… e più si faceva distinta la voce, più la nebbia attorno a lui diventava solida. La sabbia sotto di lui sparì, non c'era nemmeno più il rumore del mare. I gabbiani non stridevano più nel cielo. Il ritmico alternarsi delle onde fu sostituito da un suono altrettanto ritmico ma molto meno armonioso. Era un "bip" regolare. Acuto e fastidioso.
Stringeva  ancora qualcosa tra le mani, era caldo, ma non aveva la forma di una lattina schiacciata e piena di sabbia del mare. Ma la cosa che percepiva meglio di tutto era una voce femminile, che adesso ricordava presente anche durante il "sogno". Una voce stanca e debole, ma che trasmetteva un desiderio forte e impellente. Una necessità, un bisogno. Una voce che ripeteva come un mantra cinque semplici parole:
"Non osare abbandonarmi, Logan Echolls…"
L'aria all'improvviso gli mancò, non riusciva a deglutire e qualcosa di fastidioso era infilato nella sua trachea. Un conato lo travolse e lo costrinse ad aprire gli occhi. Una testa bionda era appoggiata al suo fianco, la fronte a contatto con il suo braccio. Dalla posizione in cui si trovava Logan vedeva due piccole e delicate mani che stringevano le sue. Quando un secondo conato lo investì, il suo corpo fremette. La testa bionda si alzò. Due occhi stanchi ma combattivi si fissarono nei suoi. Due occhi azzurri come l'onda perfetta.
"Logan… sei vivo… Logan" E Veronica cominciò a piangere, in modo dignitoso, forte ma debole allo stesso tempo. Staccò una mano da quelle di Logan e suonò il campanello per chiamare il dottore. "Adesso arriva il dottore, Logan. Adesso che sei tornato andrà tutto bene!" esclamò lei, piangendo senza mai abbassare lo sguardo.


Spazio autrice: Ok, mi sono fatta prendere la mano. Questo capitolo doveva occupare un solo paragrafo e infatti non è lunghissimo. Ma nella mia testolina doveva essere molto più breve. Solo che le parole sono venute da sole! Bonus a sorpresa!
Non prometto nulla sui tempi dei prossimo 2 (?) capitoli, o forse tre... buona notte!

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Capitolo 28
*** Piccoli grandi passi ***


Documento senza titolo

Piccoli grandi passi

Erano state giornate molto dure per lei. Si era svegliata intontita in un letto di ospedale e non aveva la più pallida idea del perché si trovasse lì. Le lenzuola ruvide e l'odore di disinfettante. Quella era stata la sua prima sensazione, e quell'odore se lo era portato dietro per molti giorni, per settimane. Anche perché, nonostante l'avessero dimessa, non aveva lasciato l'ospedale di Neptune se non per fugaci visite a casa di suo padre, dove faceva una doccia veloce prima di tornare di corsa al reparto di terapia intensiva. Questo pellegrinaggio era durato giorni, ma lei non aveva mai mollato. A nulla erano valsi la stanchezza, i rimproveri del padre, i muscoli doloranti, le scuse delle infermiere, gli ordini dei medici. Anche lei era in fase di recupero: la quantità di GHB che Patterson le aveva somministrato in quella maledetta stanza d'hotel era massiccia, e le erano occorsi tre giorni prima che gli effetti passassero del tutto. Tre giorni in cui l'avevano bloccata a letto con la forza. Tre giorni di tormenti. Logan era a pochi passi da lì, ma lei non poteva andare da lui.
In tanti però erano andati da lei. Suo padre prima di tutti, ma anche Wallace con sua madre - Keith e Alicia si erano timidamente salutati nel corridoio - e poi Mac e Dick, che le avevano portato le poche notizie su Logan che erano riusciti a carpire a un'infermiera meno riservata delle altre.
"Come diceva sempre qualcuno, si devono baciare un po' di rospi…" aveva risposto vago Dick alla domanda di Veronica su come fosse riuscito a ottenere quelle informazioni segretissime. Segrete perché nessuno di loro era un parente del signor Echolls, e solo i parenti del signor Echolls sarebbero stati informati dal Dottor Evans, nessun'altra. Comunque Logan era stazionario. L'attività cerebrale c'era, ma non si era ancora svegliato dopo la lunga operazione. Sette ore in sala. La pallottola aveva perforato il fianco, attraversando l'intestino, risalendo verso lo sterno e scalfendo due dei tre strati dell'aorta. Logan respirava grazie a un macchinario e il suo corpo si nutriva attraverso una flebo. I medici l'avevano messo in coma farmacologico, aspettando che l'organismo si riprendesse. Non lo avevano ancora svegliato.
Nella stanza di Veronica si erano alternati molti amici, molti più di quelli che si ricordava. Eli e Parker, Jackie, Leo e Angela, ma anche Corny, il preside Clemmons, Trina tornata di fretta dalle Haway dove stava partecipando a un reality. E poi Duncan, colui che aveva salvato lei ma che soprattutto aveva slavato Logan. Come l'unico erede di casa Kane aveva varcato la porta, Veronica era scoppiata a piangere. Lui era rimasto interdetto per un breve momento sulla soglia, poi si era avvicinato al letto e le aveva sorriso.
"E' tutta colpa delle droghe, sappilo. Veronica Mars non piange mai!" e aveva continuato a singhiozzare sotto lo sguardo divertito del giovane rampollo.
Poi l'avevano dimessa, ma lei non aveva lasciato l'ospedale. Si era intrufolata nel reparto dove Logan occupava una stanza tutta per sé. Veronica era entrata, in silenzio, cercando di fare meno rumore possibile e non sapendo bene come comportarsi. Dietro una tendina Logan era sdraiato in un letto bianco, troppo bianco. E da quelle lenzuola immacolate sbucavano un sacco di fili e tubi. Alcuni entravano nel suo corpo, altri uscivano. Ma soprattutto, tutti facevano un gran rumore. Chi soffiava, chi bippava, chi gocciolava. E nel silenzio innaturale, quasi ovattato di quella stanza che puzzava di disinfettante e farmaci, per quanto delicati fossero tutti quei suoni si trasformavano in un baccano infernale. Come fa a non svegliarsi con tutto questo rumore? Come fa a non accorgersi di avere aghi, tubi, cerotti che gli martoriano la pelle, che penetrano nella sua carne? Logan, come fai a non provare fastidio, prurito, dolore? Poi gli guardò il volto e si rese conto che un tubo era infilato nella sua gola. Un macchinario pompava aria nei suoi polmoni, aria che serviva a Logan per sopravvivere, aria che Logan non riusciva a recuperare da solo. Senza esitare, senza riflettere, si avvicinò al letto e strinse la mano di Logan, lasciando libero il dito indice, da cui partiva un sondino per le pulsazioni cardiache. Al polso portava un braccialetto che indicava il suo codice di previdenza sociale, la data di ospedalizzazione, il reparto, il medico di riferimento. Non avrebbe permesso che Logan fosse ridotto a quel braccialetto. Lo decise in quel momento, e da allora non abbandonò quasi mai quella stanza, quella mano, quella persona.

 

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Era diventata una routine, per sette lunghi giorni l'aveva ripetuta. Si svegliava la mattina prima che iniziasse il primo turno della giornata delle infermiere, si vestiva e si fondava in ospedale. Lì, aspettava che cominciassero a uscire le prime che staccavano dal turno di notte. Stanche e annoiate facevano poco caso alle porte, e spesso si dimenticavano di chiuderle. Tanto c'avrebbe pensato qualcuno poco dopo. E così, approfittando della distrazione delle infermiere sgattaiolava nel reparto di terapia intensiva. Senza preoccuparsene raggiungeva la stanza di Logan, che lasciava solo quando arrivavano i medici per le visite. Quello era per lei il momento di lavarsi, nutrirsi, parlare con qualcuno che le potesse rispondere. La visita durava solitamente 45 minuti. 45 minuti nei quali Veronica tornava un essere umano, prima di ripiombare nell'oscurità e nella disperazione di chi aspetta il risveglio di qualcuno.
Era diventata così una routine che quando Logan si svegliò lei inizialmente non se ne accorse. Scambiò quel leggero tremito per un suo movimento involontario. Ma quando la coscienza riprese pieno possesso del corpo di Logan Echolls, e il tremito si fece decisamente troppo forte per essere ignorato, Veronica sussultò e reagì all'istante. Quando vide gli occhi di Logan aperti e imploranti di liberarlo da quel supplizio, seppur in lacrime, Veronica reagì. Chiamò il dottore e vide la fine del tunnel, non sapendo che ci sarebbe voluto ancora un po' prima di emergere nella luce calda e non artificiale del sole.
Furono settimane impegnative per tutti loro. Per altri due giorni Logan fu costretto a tenere il respiratore artificiale, perché i polmoni avevano subito danni non indifferenti. Per comunicare segnava le lettere su un foglio di carta plastificata. Era penoso per Veronica vedere quell'uomo così forte improvvisamente debole e fragile. Ma al contempo era felice, immensamente felice, perché quell'uomo era vivo. Il respiratore venne presto sostituito da una maschera ad ossigeno, che permetteva a Logan di parlare e di nutrirsi. Quello che non passò fu il terrore nei suoi occhi. I farmaci antidolorifici, specialmente la morfina, hanno una piccola controindicazione: agiscono sul sistema nervoso, provocando nelle persone in coma sogni vividi. A volte questi sogni sono piacevoli e divertenti, ma sulla psiche martoriata di Logan Echolls che era sopravvissuto all'omicidio della fidanzata, al suicidio della madre, ad un padre violento, non ebbero certo l'effetto calmante e rilassante che ci si poteva aspettare. Le sue paure ataviche erano tornate a fargli compagnia, e erano così vivide da sembrare vere. Aveva visto suo padre, si era buttato dal Coronado Bridge con sua madre, aveva assistito impotente all'omicidio di Lilly, aveva visto morire Veronica. per fortuna almeno quest'ultima cosa non era vera, e Veronica era con lui ogni giorno ad affrontare il lungo e difficile periodo di riabilitazione.
Presto lasciò il reparto, e fu trasferito in una clinica privata dove l'avevano rimesso in sesto. Due settimane di riabilitazione per recuperare la muscolatura andata persa nei dieci giorni di coma. E poi era arrivato il momento di tornare a casa. Fu in quel momento che si rese conto che non voleva tornare a Los Angeles da solo, in quella casa piena di scale e senza affetto. Non era ancora autonomo e non lo sarebbe stato per un bel po'.

 

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Era un pomeriggio di sole, e lui, Duncan e Dick stavano chiacchierando al sole, mentre Veronica e Mac erano andate con i bambini a prendere un gelato. Logan aveva fatto una lunga camminata, ed aveva ancora il fittone. Dick gli porse una bottiglia d'acqua. "Allora domani ti dimettono, eh, amico? Dobbiamo proprio festeggiare, che ne dici?"
"Prima che ne dici se mi riprendo? Non penso di essere pronto per una festa vera e propria. Una rampa di scale è per me come scalare l'Everest…"
"Dove andrai?" gli domandò Duncan, cogliendolo alla sprovvista.
"Non so… magari prendo una stanza al Grande… insomma, io e te DK abbiamo molto di cui parlare. Dieci anni da recuperare… e poi c'è Veronica. Non ho ancora capito cosa vuole fare. E non ho capito se il suo futuro mi coinvolga oppure no…"
"Perché non vieni a stare da me? Io ho preso in affitto un villino in riva al mare. Io e Lilly saremmo contenti di avere ospiti. E in dieci minuti di macchina Veronica potrebbe essere da te… che ne dici?"
La proposta arrivò così inaspettata che Logan parlò senza riflettere.
"Perché no?"
E così fu che Logan si trasferì a casa di Duncan Kane.

 

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Le giornate per Veronica trascorrevano serene. Logan si stava riprendendo in fretta, ma comunque lei si era presa una lunga pausa dal lavoro e passava le sue giornate a casa Kane con Logan, Lilly e Duncan. Come era strano… sembrava quasi che i fab-four fossero tornati. Si respirava un'aria diversa, di serenità, di spensieratezza. Spesso capitavano lì Dick e Mac con i bambini, e anche Wallace e Jackie. Quando erano tutti assieme per Veronica era come vivere in un sogno. Non riusciva a ricordare un momento così sereno nella sua vita. Dalla tragica morte di Lilly era stato un precipitare infinito e indeterminato verso lo socnforto, la rabbia e la solitudine. Anche gli ultimi anni, passati nella città degli angeli, erano stati cupi e freddi per lei. Si era sempre tenuta lontana dalle persone.
Ma lì, nella villa sulla spiaggia di Duncan, assieme ai suoi amici, con i bambini che gridavano e correvano alzando nuvoloni di sabbia… lì sentiva che poteva essere finalmente felice. Che poteva cominciare a fidarsi degli altri, una volta per tutte. Per questo non vide arrivare il colpo basso che la persona a lei più cara le stava tirando. E non fu preparata a riceverlo.
Era una domenica come le altre. Avevano fatto una grigliata sulla spiaggia dopo che Dick e Logan, quest'ultimo dalla spiaggia, avevano guidato i bambini sulle loro prime onde. Dick voleva che suo figlio diventasse un surfista di professione, e Mac gli lasciava credere che glielo avrebbe promesso. Dopo la grigliata erano finiti tutti sul bagnasciuga a costruire castelli di sabbia. Avevano improvvisato una gara a squadre, composta da due adulti e un bambino. Poi avrebbero decretato tutti assieme il vincitore.
Veronica e Wallace, assieme a Lilly, avevano deciso di costruire una foca. La piccola era appena andata a riempire il secchiello d'acqua per compattare la struttura, mentre Veronica e Wallace continuavano il lavoro.
"Allora V, quali sono le tue intenzioni? Pensi che ti fermerai qui a lungo?"
Veronica si fermò e lo guardò stupita.
"Perché?"
"Beh ora che tu e Mr. Logan…"
Veronica lo interruppe bruscamente.
"Alt alt alt, vecchio mio. Non c'è nessun Mr. Logan. Non c'è nulla e nessuno in grado di riportarmi in questo posto per un periodo di tempo medio-lungo. Nemmeno Mr. Logan, che, per la cronaca, è solo un amico."
Si, perché tra ospedali e riabilitazioni, Veronica e Logan non erano riusciti a chiarirsi. Forse perché nessuno dei due voleva fare il primo passo, voleva affrontare la questione. Perché una volta aperta, non si sapeva come sarebbe andata a finire.
"Piuttosto tu, Air Fennell, cosa avete deciso tu e Jackie?" gli domandò la bionda da dietro la spalla.
"Io e Jackie, mia cara, siamo ok. I preparativi fervono e io sto cercando casa. Una bella casa grande dove poter stare tutti assieme. Io qui ho un lavoro, Jackie suo padre. E poi lei è una PR, non avrà problemi a ambientarsi in California e a trovare un lavoro." rispose, gongolante. "E adesso che ti ho fregata, tocca a te darmi una qualunque forma di spiegazione. Veronica, cosa hai intenzione di fare? Quel ragazzo non può aspettarti per sempre".
"Aspettarmi?" rispose lei sdegnata "E' lui che è andato a letto con metà delle subrette della TV…"
"Si, ma non ha fatto altro che pensare a te tutti questi anni. Sai com'è, noi uomini abbiamo le nostre necessità… ma questo non vuol dire che non rimaniamo fedeli con il cuore e la mente a una persona. E tu sei quella persona. Non fingere di non saperlo, come io non fingerò di non sapere che anche tu hai pensato a Logan tutti questi anni, e che è il motivo per cui non sei mai riuscita a trovarti un uomo decente."
Lilly stava tornando.
"Dovrete prendere una decisione: dovrete capire se volete stare assieme o meno. E poi capire dove volete farlo." Si alzò "Se posso dire la mia, ti vorrei qui con me, con noi…" Si pulì le mani sul costume e concluse "Conosco un detective privato che avrebbe proprio bisogno di una mano. Se vuoi te lo faccio conoscere. Sta giusto giusto venendo da questa parte!" e andò in contro a Lilly con altri tre secchielli vuoti.
Veronica si voltò a guardare il suo migliore amico. "Comunque stavo pensando di fermarmi a Neptune ancora per un po'!" gli grodò contro. E continuò a fissare il suo migliore amico.

Suo padre. In spiaggia. Cosa ci faceva? Le scarpe in mano stava arrivando dal parcheggio. Non era vestito da spiaggia, niente asciugamano, niente giornale. Keith Mars la vide e la salutò con la mano. Quando fu abbastanza vicino le fece segno di rimanere a lavorare la sabbia, che sarebbe tornato subito. Poi le sorrise e si avviò verso Logan e Mac che stavano costruendo una sirena assieme a Tessa. I due uomini si salutarono, poi Keith tutto serio si rivolse a Logan che annuì. L'uomo più vecchio alzò il giovane ad alzarsi e poi i due si avviarono in direzione opposta rispetto a quella in cui si trovava Vreonica.
La tentazione di intromettersi era fortissima, ma lei sapeva benissimo che non avrebbe dovuto. Che non era giusto, che non aveva nessun diritto di impicciarsi degli affari degli altri. Però, insomma, due degli uomini più i portanti della sua vita stavano confabulando tra di loro tenendola all'oscuro. Non era ammissibile.
Si alzò, convinta che li avrebbe seguiti. Magari sarebbe anche riuscita ad avvicinarsi abbastanza. Poi li osservò, e vide una cosa che la sorprese: suo padre guardava Logan negli occhi con un rispetto che non cedeva possibile. Lo stava trattando come un suo pari, non come un ragazzino viziato, come un ribelle, un violento. E allora, sorridendo si sedette. Non aveva nessun diritto di interrompere quel momento magico.
E così ricominciò a fare la sua scultura di sabbia.

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Avevano finito la gara. Keith era stato nominato giudice. Aveva vinto il capolavoro di Parker, Duncan e uno dei gemelli, un guantone da baseball. Avevano giocato la carta della passione sportiva e avevano vinto. Era ora di merenda, Mac aveva portato il gelato per tutti e si stavano avviando verso la casa di Duncan, quando una voce che la chiamava fece girare Veronica.
"Tesoro, hai due minuti?" il volto teso, le mani in tasca. Keith Mars aveva qualcosa di veramente importante da chiederle. Camminarono in silenzio verso il portico. Sembravano tutti spariti, all'improvviso. Attorno a loro il silenzio che accompagna il tramonto e l'aria fresa dall'oceano. Si sedettero sulle scale di legno ruvido, levigato dal sale e dall'aria di mare. Keith inspirò profondamente e poi la guardò con tutta la dolcezza possibile. "Come stai, tesoro?"
"Bene" rispose lei, sincera. Perché stava veramente bene.
"Ne hai passate tante nell'ultimo periodo, lo so. E so che tu e Duncan avete ancora in ballo la questione dell'operazione…"
"Non più. Oggi, prima di andare in spiaggia gli ho comunicato la mia decisione. Siccome so che andrà tutto bene e che lui tornerà a occuparsi di sua figlia nel giro di pochi, pochissimi giorni… beh fare la babysitter momentanea non mi crea grossi problemi. Pensavo di fermarmi ancora un po' da queste parti, darti una mano con il lavoro, prendermi una pausa da Los Angeles e tutto quello che ne consegue. Traffico, stress, gente famosa a ogni angolo. Un po' di tempo fuori dalla metropoli non può farmi che bene!"
"E come l'hanno presa Duncan e Logan?"
"Erano stupiti, quais esterrefatti. Direi che non se l'aspettavano…"
Keith la fissò a lungo, poi l'abbracciò stretta.
"Forza papà, spara. Non può essere così brutta, e come puoi vedere io sono di ottimo umore. Cosa può essere di così tragico?"
Keith abbassò lo sguardo e poi le strinse la mano.
"Tesoro, devo chiederti un favore. Un favore immenso, ma sappi che lo faccio per te. Perché i fantasmi del proprio passato vanno affrontati prima o poi, meglio prima che diventino fantasmi veri e propri. Ne ho parlato con Logan ed è daccordo con me. E' un bravo ragazzo, Veornica, non prenderlo in giro questa volta."
Veronica lo fissò dubbiosa.
"Di cosa stai parlano?"
"Mi ha chiamata tua madre. Vorrebbe incontrarti. Vorrebbe il tuo perdono, e io penso sia ora per te di lasciarti alle spalle tutto questo rancore."
A bocca aperta, incapace di rispondere, Veornica non si accorse dello scalpiccio di piccoli piedi. Due paia di occhi curiosi la stavano squadrando. Poi una vocina.
"V'nica, 'io Kit, gelato!"
Si voltarono e la tensione fu smorzata dai gemelli, ricoperti di gelato dalla testa ai piedi.

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Due giorni dopo Veronica era in macchina. Da sola. Stava guidando verso sud, i finestrini abbassati. La sua meta era la villa dove sua madre e Jake Kane vivevano nel periodo estivo, a picco sulla scogliera a qualche chilometro dal confine con il Messico. Stava andando ad affrontare il suo fantasma personale, la sua grande delusione: sua madre.
Sapeva che Duncan e Lilly erano già lì, ma sapeva anche che non avrebbe passato un'allegra giornata al mare.
Suonò il campanello e il pesante cancello in ferro battuto si aprì automaticamente, silenzioso come sua madre quando l'aveva abbandonata. Era stata silenziosa tutte e due le volte. Parcheggiò la macchina sotto un albero grande e frondoso, ma ben curato. Non fece in tempo a scendere che Lyanne Kane le stava già venendo in contro. Era invecchiata, la pelle non più liscia, l'andatura più ingobbita e lenta. Ma rimaneva comunque una bella donna, lo era sempre stata del resto. Veronica sbattè la portiera e si sistemò gli occhiali da sole: nessuna emozione doveva trapelare. Però quando sua madre la abbracciò con trasporto, cogliendola di sorpresa e piangendo come una bambina, Veornica non riuscì a trattenere tutti i sentimenti repressi: la rabbia, la frustrazione, il dolore, ma soprattutto la nostalgia. Scoppiò a piangere, mestamente e dignitosamente, come solo Veronica Mars poteva fare.
Parlarono, a lungo, sedute per terra sotto l'albero frondoso. Si raccontarono quei dieci anni. Si arrabbiarono. Risero. Scherzarono. Piansero ancora. E Veronica, finalmente, cominciò a perdonare sua madre, le sue debolezze e le sue paure.

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Quando entrarono in casa le accolse l'odore di pane fatto in casa e di pizza cotta a legna.
Lilly corse tra le braccia di Veronica e cominciò a raccontarle della stupenda giornata che aveva passato del mare, dei cani, 4, che popolavano la villa. Della piscina e del campo da basket. "Papà e nonno stanno giocando. Anche se è più vecchio, il nonno vince sempre. Vuoi venire a fare il tifo per papà?" domandò la bambina, letteralmente trascinando Veronica per un braccio.
Quando uscirono, le tre ragazze, rimasero in silenzio a guardare gli uomini che si sfidavano.
"Temevo che saresti finita con lui. Per fortuna non è stato così…" disse Lyanne a un certo punto.
"Perché?" domandò Veronica.
"Perché tu meriti di meglio di un Kane…" sorrise la madre, prima di applaudire all'ennesimo canestro del marito.
Duncan osservò Veronica.
"Che te ne pare?" domandò.
"Di cosa stai parlando? Della tua scarsa abilità come giocatore di basket o dello sfoggio di testosterone? Ciao Jake…"
"Veronica." ripose lui in tono sereno mentre abbracciava la moglie.
"Ma no, sciocca, del campo da basket…" la richiamò Duncan
"E' un campo da basket…" rispose lei.
"E' un regalo…"
"E per chi?"
"Ma come" fece Duncan, asciugandosi il sudore dalla fronte "Per il matrimonio di Wallace!"

Spazio Autrice
Meno uno. Il prossimo sarà l'ultimo!
Grazie a tutti quelli che seguono e commentano :)
Good Night

 

P.S. Formattao il mac NVU non esiste per questa versione di OS quindi sperimento con Dreamweaver... il font non mi piace :(

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Capitolo 29
*** Dejavù ***


Documento senza titolo

Dejavù

Era una splendida giornata di sole, una di quelle tipiche giornate californiane, quelle che nell'immaginario collettivo illuminano San Francisco e Los Angeles. Nemmeno una nuvola in cielo, anche se ormai l'autunno si stava avvicinando. La brezza del mare faceva sollevare i teli candidi che ornavano l'altare in legno, mentre i gigli spargevano il loro aroma intenso e allo steso tempo delicato nell'aria circostante. Dietro l'altare si apriva l'oceano, leggermente mosso ma invitante e accogliente come sempre.
Per una volta qualcuno era riuscito a sorprendere Veronca Mars. Niente ricevimento sfarzoso all'interno di un palazzo elegante, né centinaia di invitati. Solo pochi, pochissimi intimi, scalzi sulla spiaggia. Duncan si era offerto di ospitare il ricevimento, e aveva dato una mano a disporre le semplici sedie di legno e i tavoli. Veronica Mac e Parker, aiutate dalla signora Fennell e dalla madre di Jackie, avevano disposto le pietanze sui tavoli, traballanti ma d'effetto con fiori sparsi su tutta la superficie. I bambini correvano dappertutto, sollevando nuvoloni di sabbia e sporcandosi i vestiti, ma nessuno sembrava farci caso. I responsabili degli alcolici erano, nemmeno a farlo apposta, Dick e Logan. Avevano comprato dell'ottimo Cartizzen e dello Champagne, più dolce e adatto alle signore. Insomma, quello che stava per avvenire era un matrimonio tutt'altro che convenzionale, ma tutti si sentivano a loro agio. Avrebbe potuto essere una qualunque giornata sulla spiaggia, e invece stava per tramutarsi in una delle giornate più importanti della vita di Wallace.
Veronica non aveva resistito: era sgusciata in casa, era salita al primo piano e aveva raggiunto la stanza degli ospiti, momentaneamente adibita a spogliatoio per lo sposo. Wallace non aveva molto con sé, solo una piccola borsa con i vestiti di ricambio e un piccolo beauty.
"Hey, V" esclamò vedendola entrare nella stanza.
"Air-fennell…" rispose lei. "Sei emozionato?" domandò, sedendosi sul letto.
"Un pochino…" "Anche io" rispose la bionda "ti meriti questa felicità e sono sicura che sarai un ottimo padre e un favoloso marito. Wallace Fennell, tu… quello che dirò in questa stanza rimarrà in questa stanza, chiaro?" e lo fulminò con lo sguardo. Wallace annuì divertito. "Bene" riprese la donna "Dicevo. Wallace Fennell, sei l'unica persona della quale io mi sia sempre fidata. Sei l'unica persona che non mi ha mai abbandonata o tradita, sei sempre riuscito a passare oltre, a non fare domande e a rispettare anche troppo la mia insana mente contorta. Quindi, Wallace Fennell, sappi che non sono mai stata così felice in vita mia, e che sono contenta di essere qui, anche se odio i matrimoni."
Wallace la guardò brevemente prima di aprire bocca. "Sto cercando di capire quale delle ragazze Gilmore tu sia…" esclamò infine, abbracciandola.
Lei rispose all'abbraccio, ma ci tenne a sottolineare una cosa. "Tutto ciò non è mai successo, chiaro?"


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Keith Mars era al settimo cielo. Doveva trovare sua figlia. Quella era davvero un'ottima notizia, davvero ottima. Insomma, Veronica aveva solo bisogno di una scusa per restare e lui stava giusto giusto offrendogliela. Il foglio di carta che aveva stampato pochi minuti prima in ufficio era la sua scusa, e lui lo stava tenendo stretto nella tasca del soprabito.
Era appena arrivato al ricevimento. Incontrò lo sguardo di Logan che, ancora zoppicante, gli si avvicinò. "Keith, buongiorno. Come stai?" "Bene, anzi, benissimo!" ed estrasse i foglio, sventolandolo sotto al naso del giovane uomo. "E tutto grazie a questo!" Logan prese il foglio e lo lesse. Sei sicuro che sia la mossa giusta, Keith? Insomma… Veronica non ama che gli altri decidano per lei… non penso che la prenderà troppo bene." Keith gli strappò il foglio di mano.
"Di chi è figlia? Sentiamo… tu sei solo… a proposito, cosa state combinando tu e Veronica? Vi state comportando bene?"
Logan sospirò e si avvicinò al tavolo dei drink. Si servì un bicchiere di succo d'ananas e squadrò l'uomo che stava davanti a lui con aria stupita, come per dire "di cosa stai parlando?".
"Andiamo Logan, non voglio sapere nulla di scabroso. Non mi permetterei mai… per quanto mi riguarda, e sia chiaro che sarà sempre così, tu di mia figlia hai toccato solo parti di corpo dotate di dita. Mi stavo solo chiedendo quali progetti aveste per il futuro a medio lungo termine. Vorrei solo che questa volta non commetteste sciocchezze."
Logan inarcò le sopracciglia, guardando Kith Mars dal basso verso l'alto e poi parlò. "Io non lo so Keith. C'è stato un'avvicinamento, un ritorno al dialogo, però non posso dire se Veronica voglia riprovarci o meno. Da parte mia non c'è nessun dubbio su questo: fosse per me le chiederei di riprovarci. Ma dopo quello che è successo al Camelot Veronica non si è sbilanciata. Quindi non so dirti… io prima o poi dovrò ricominciare a lavorare. Il mio agente sta decisamente pressando perché io partecipi almeno a qualche talk show, sai questa storia della sparatoria… il ragazzo orfano di padre violento e madre suicida ferito mentre tenta di salvare la sua ex del liceo… fa audience. Ho ricevuto proposte a diversi zeri… Penso che dovrò farmi vivo almeno una volta nelle prossime settimane. Los Angeles non perdona."
"Hai intenzione di fare qualcosa per convincerla?"
"No, Keith, ho passato fin troppo tempo a correre dietro a tua figlia. Se le non vuole, non forzerò la cosa: otterrei solo di allontanarla. E poi che senso avrebbe?"
Keith appoggiò una mano sulla spalla di Logan e gli sorrise. "Sei un bravo ragazzo… non pensavo che l'avrei mai detto, ma sei davvero un bravo ragazzo. Anzi un brav'uomo. Penso stia per cominciare. Prendiamo posto?" e aiuto Logan ad avvicinarsi alle sedie.
Veronica comparve dalla casa, e si sedette tra suo padre e Lilly. Sedendosi salutò tutti: Duncan, Parker, Eli, Mac e Dick. Poi incrociò lo sguardo di Logan e sorrise, a lungo, prima di sedersi.

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Jackie l'aveva colta alla sprovvista, presentandosi con una semplice tunica color avorio e i capelli sciolti. Era elegante e semplice allo stesso tempo. Unico gioiello, l'anello di fidanzamento.
Wallace non era da meno. Pantaloni di lino bianchi, camicia scura, gillet candido come le nuvole. La cerimonia fu breve e elegante, poi tutti furono liberi di alzarsi per complimentarsi con gli sposi.
Wallace e Jackie, circondati dai loro genitori, venivano salutati da tutti gli invitati. Keith si alzò e andò verso la coppia. Mentre baciava Jackie incrociò lo sguardo di Alicia. Si salutarono e si allontanarono assieme. "Come stai Kieth?" "Tra alti e bassi, non c'è male. Mi manca molto mia figlia, ma ho come la sensazione che si farà viva più spesso nel prossimo futuro. E tu, come ci si sente a diventare nonni?" "Bene e male… ci si sente vecchi!" "Vecchia, ma se sei stupenda come il giorno in cui ti ho conosciuta?"
Alicia arrossì, e i due si avviarono verso il tavolo delle vivande, continuando a chiacchierare.

"Che ci sia del tenero tra quei due?" domandò Veronica, dando una gomitata al suo migliore amico. "Eddai, è mia madre…" "Non abbiamo già avuto questa conversazione? Comunque… quello è mio padre. Ed è un gentiluomo…" i due scoppiarono a ridere. Poi Veronica abbracciò il suo migliore amico. "Congratulazioni, Wallace!" e poi fu il turno della giovane sposa "Anche a te Jackie, sei stupenda!" "Grazie Veronica. E grazie per essere venuta e per aver dato un paio di consigli a Logan… nulla sarebbe successo senza di lui. A proposito…" e si voltò verso lo zoppo.
Lo abbracciò stretto e gli sussurrò all'orecchio "Grazie". Wallace e Logan si scambiarono gesti molto virili: gli uomini non si abbracciano per davvero, ma si stringono le mani e si abbracciano a metà. "Vecchio mio, sei in trappola ora!" "Non hai idea di quanto sia bello" rispose Wallace, incrociando maliziosamente lo sguardo di Veronica.
"Manchi solo tu, Mr. Echolls, anche Weevil ha deciso di sistemarsi… tocca a te!"
"Oh, non è ancora giunta la mia ora! E mi sa che non giungerà mai!"
Wallace non aveva intenzione di mollare. "Nemmeno la nostra PI preferita potrà mai riuscire a incastrarti?"
Veronica, che aveva seguito in silenzio la scena, decise di salvare il povero Logan da quella situazione. Gli sfiorò il braccio e gli domandò dolcemente: "Balliamo?" e lo trascinò verso la pista da ballo, un semplice spiazzo in mezzo alla sabbia.

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"Dejavù" esclamò Logan guardandola intensamente negli occhi.
"Già" rispose lei, abbassando lo sguardo.
"Che succede Ronnie, non è da te fare la timida!"
"Non è il momento, Logan, siamo a una festa…"
"Beh se c'è una cosa che ti riesce bene, mia cara, è scegliere il momento meno adatto per spezzarmi il cuore, quindi… spara!"
Lei deglutì e si morse il labbro inferiore. "Logan io e te… verso dove stiamo andando?"
"Hey, Bobcat, non è che tutto questo romanticismo ti ha dato alla testa? Se vuoi propormi di sposarti dovrai almeno inginocchiarti!" e le spostò una ciocca di capelli dalla faccia. "E poi, non so, io sono uno che rispetta le tradizioni: grande chiesa, abito bianco, le damigelle le scelgo io!"
Lei sorrise, evidentemente divertita. Eppure non aveva alcuna intenzione di cedere all'ironia e lasciar sfuggire il discorso che aveva introdotto. "Logan, sii serio per una volta. Adesso dovremo prenderci cura di Lilly per un paio di settimane, mentre preparano Duncan per l'operazione e lo ricoverano. E poi? Tu hai una vita a Los Angeles e io pure, due vite così distanti e diverse… direi inconciliabili. Io sono un investigatore privato, tu una stella del cinema. Come la mettiamo? Io non voglio e non posso certo farmi notare in tua compagnia, comparire e apparire sui tabloid. E tu, come potresti adattarti a me e ai miei ritmi di vita: nessun orario, nessuna libertà… Los Angeles è un brutto brutto posto per chi vuole vivere nell'ombra…"
Logan sorrise e la strinse più forte. "V, innanzitutto stai mettendo troppa carne sul fuoco. Non abbiamo ancora parlato, discusso o deciso nulla. Prendiamoci tempo. Io devo ancora rimettermi in piedi, ma comincerò presto a lavorare. Qualche comparsata qui e lì. Però tornerò da te ogni volta che ci sarà bisogno, e anche quando non ce ne sarà! Non ci siamo visti per quanto? 9 anni… forse è il caso che facciamo un passo alla volta!"
Le prese il volto tra le mani e la fissò a lungo. Poi spostò lo sguardo sulla destra, oltre le spalle di Veronica. Penso che tuo padre voglia un ballo con te…" e si allontanò da lei.
La giovane restò qualche secondo interdetta, e poi si avviò verso il padre.
"Hey…" esclamò, cingendogli il collo con le braccia.
"Tesoro! Che onore poter ballare con te! Come stai?"
"Bene, sono molto contenta per Wallace."
"Tu e Logan, che vi siete detti?"
"Nulla… mi ha detto che vuole andare con calma, prendere tempo e non buttarsi in qualcosa che non è chiaro."
"Mi sembra un'ottima idea, che dici?"
"Centri tu con questo? Vi ho visti l'altro giorno sulla spiaggia…"
La musica continuava, e i due rimasero a ondeggiare a ritmo.
"Tesoro, innanzitutto non penso che siano affari tuoi. Però se proprio vuoi saperlo, io e Logan abbiamo parlato di cosa fare con tua madre. Lui ti conosce molto bene, e penso che sia la persona giusta cui chiedere consiglio quando si tratta di mia figlia e di questioni delicate che la riguardino. Sai, a volte tu per me sei un mistero. E' stata sua l'idea di parlartene subito e di lasciare a te la scelta, senza forzarti. E mi sembra che sia stata la scelta giusta…"
Veronica sorrise e inclinò la testa.
"E' un bravo ragazzo, tesoro, e tu devi rispettarlo. Perché ne ha passate tante, troppe, e tu non puoi giocarci come con un bambolotto."
"Mah" lo interruppe lei, indignata.
"E' inutile che tu faccia quella faccia. Sai benissimo che hai tirato la corda fin troppo con lui, l'hai sempre giudicato troppo severamente mentre ti sei sempre aspettata che lui ti accettasse per ciò che eri…"
"Papà, Logan non ti è mai piaciuto!"
"Questo non è vero. Solo pensavo che stare assieme vi facesse più male che bene. Ora avete quasi trent'anni ed è ora che ve la vediate per conto vostro. Comunque non è per questo che volevo parlarti. Estrai il foglio di giornale che sbuca dal mio taschino per favore."
Veronica estrasse il foglio e lo osservò.
"Che ne pensi?"
"Del posto di lavoro al commissariato? Io e Vinnie nello stesso edificio?" scherzò lei.
"No, tesoro. L'annuncio subito sotto. Appartamento in affitto a pochi minuti sia da casa mia che dall'ufficio. Io sto diventando vecchio e ho proprio bisogno di prendermela con comodo. Tu e Leo potreste dividervi il lavoro… che ne pensi? Io vorrei… mi piacerebbe che tu tornassi, che tu rimanessi. Già che devi fermarti per un po' visto che Duncan andrà in ospedale tra poco più di un mese e che ci sarà bisogno di te…"
"Papà… io ho il mio ufficio a Los Angeles. Lì ho la mia vita…" si fermò e pensò a quella che era la sua vita a Los Angeles. Lavoro, lavoro e lavoro. Un po' di solitudine serale e nei week end. Cosa aveva da perdere lì? E restando a Neptune cosa avrebbe guadagnato?
"Ci penserò, va bene?" e sorrise al padre, che ricambiò il gesto.
Veronica si fermò e poi trascinò Keith verso i tavoli. Senza dargli il tempo di reagire, si fiondò al tavolo de genitori degli sposi. "Alicia, io non ce la faccio più. Tacchi alti e mio padre che vuole rivivere i giorni d'oro non sono certo la combinazione ideale. Mi daresti il cambio?" E aiutò la donna ad alzarsi, senza dare a nessuno dei due il tempo aprire bocca per protestare.
"Se non sbaglio, tra l'altro, siete dei gran ballerini!" e scomparve tra la folla.

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La festa stava volgendo al termine. Jackie e Wallace, che ballavano ancora stretti stretti, sarebbero partiti la mattina successiva, lasciando i bambini a nonna Alicia per qualche giorno. Poi, tornati dalle Hawaii, avrebbero finito di preparare la casa e si sarebbero trasferiti.
Logan Dick e Mac continuavano a proporre brindisi e ridevano e scherzavano. Keith e Alicia, per la prima volta dopo anni, stavano chiacchierando amabilmente del più e del meno. Eli e Parker, i prossimi, stavano fissando i bambini che correvano da tutte le parti.
Veronica osservava tutto ciò e sorrideva. Le era mancato tutto ciò, le erano mancate le sue persone. Ora che aveva assaporato di nuovo il gusto degli affetti, della compagnia, e perché no dell'amore, temeva che non sarebbe riuscita a tornare indietro.
Mentre pensava a questo sfiorava con lo sguardo la nuca di Logan, le mani intrecciate di Eli e Parker, gli sguardi complici di Mac e Dick, suo padre e il sorriso che gli increspava le labbra, i piedi nudi di Jackiee Wallace che si muovevano a ritmo. E poi gli occhi azzurri di Duncan, che si accorse dello sguardi di Veronica e, dall'altro lato della pista da ballo, alzò il bicchiere in segno di brindare.
Poi Veronica sentì un rumore alle sue spalle. Una porta che sbatteva e passi che si precipitavano giù dal portico. Veronica si voltò e vide Leo, trafelato, che le correva incontro.
"Veronica, dove è Duncan?"
"Che succede?" domandò lei alzandosi in piedi.
"Veronica, stanno venendo a prenderlo. Mi ha telefonato Angela: hanno riaperto il caso Kane!"
"Ma come, i Manning hanno ritirato le accuse…"
"Non quel caso Kane: Duncan è accusato di aver ucciso sua sorella…"
Veronica rimase impietrita, poi la porta sbatté di nuovo. Rumore di passi, molti, concitati. Veronica calcolò che non sarebbe riuscita ad avvisare Duncan, che non sarebbe riuscito a scappare. Non c'era tempo. Cercò con lo sguardo la piccola Lilly. La vide e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. "Logan, porta Lilly lontano da qui!" lui non ebbe bisogno di fare domande. Agguantò la bambina che stava correndo verso di lui e sparì dietro la casa.
Veronica prese Leo per un braccio e lo trascinò verso il portico. "Dobbiamo fermarli…"
Ma era già troppo tardi: lo sceriffo scese i gradini.
"Duncan Kane…"
Veronica stava per frapporsi tra i due uomini, ma dietro a Vinnie comparse Angela, che scosse la testa. Veronica si fermò dove era. Suo padre le si avvicinò e le cinse le spalle.
Vinnie aveva raggiunto Duncan che rimase interdetto."…sei in arresto…" continuò lo sceriffo, estraendo le manette "… per l'omicidio di Lilly Kane" concluse chiudendo i braccialetti metallici attorno ai polsi del giovane. E poi lo trascinò verso la casa, accompagnato dalla formula di rito. Mentre veniva trascinato fuori, Duncan si girò verso Veronica e le lanciò una silenziosa supplica alla quale Veronica rispose con un lieve cenno della testa.
Quando la porta della veranda si richiuse dietro le spalle di un'ammutolita e triste Angela, veronica si voltò verso il padre e parlò. "Sai papà, penso proprio che mi fermerò da queste parti ancora per un po'. A quanto pare c'è del lavoro da fare…" e si avviò verso l'uscita. The batch is back.


Spazio autrice: E così finisce "Sulle tracce del passato". Tre anni ci sono voluti perché io riuscissi a partorire questa piccola storia. Se potessi, ringrazierei Rob Thomas e il suo team di autori per aver cerato Veronica Mars e il suo mondo. Ringrazierei Kristen e Jason, Enrico e tutti gli altri per aver interpretato a quel modo i loro personaggi. Personaggi che sono venuti talmente bene da essere entrati nel mio immaginario e non averlo più abbandonato.
Una cosa posso fare, ringraziare voi che avete pazientato fino alla fine, o che avete letto anche solo un capitolo. Voi che avete commentato e voi che avete aggiunto questa FF alle seguite.
Avevo cominciato questa storia perché non accettavo come il telefilm era finito e mi ero costruita un seguito che ho deciso di trascrivere. Ora che il film si farà (e spero che darà anche una degna fine alla storia di Veronica Mars) non sento l'urgenza di proseguire in quello che è il mio mondo marsiano. Tuttavia ho lasciato uno spiraglio, un'opzione. Il ritorno di Veronica a Neptune, il suo ripercorrere le tracce che si era lasciata dietro ricostruendo il suo passato ma gettando anche le basi per il suo futuro, finisce qui. Se dovessi riuscire a trovare il tempo e l'energia, la nostra PI preferita potrebbe tornare, per salvare Duncan.
Ora chiudo e vi saluto!
A presto

Sghisa

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