Una giornata di peripezie

di mikybiky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Iniziamo bene! ***
Capitolo 2: *** Tornare a casa, che dilemma! ***
Capitolo 3: *** A pranzo con Stefan... si salvi chi può! ***
Capitolo 4: *** Qualcuno peggiore di Stefan... ??? ***
Capitolo 5: *** Un piccolo, minuto, impercettibile senso di colpa ***
Capitolo 6: *** Alla fermata del pullman ***
Capitolo 7: *** Una reazione... alquanto inaspettata ***
Capitolo 8: *** Una ragazza un po' schizzata ***
Capitolo 9: *** Il negozio dei propri sogni ***
Capitolo 10: *** Finalmente ad Isso! ***
Capitolo 11: *** E chi me l'ha fatto mai fare?? ***
Capitolo 12: *** Aiuto che trivella! ***
Capitolo 13: *** Papà ***
Capitolo 14: *** Il tuo ricordo ***
Capitolo 15: *** Di nuovo assieme, che felicità! ***
Capitolo 16: *** Giù dalle scale! ***
Capitolo 17: *** Un posto un po' scomodo ***
Capitolo 18: *** Buoni i pettorali ma le calamite si respingono! ***
Capitolo 19: *** Elemosina ***
Capitolo 20: *** La verità ***
Capitolo 21: *** Knockin' on heaven's door ***
Capitolo 22: *** Gelosia? Mah... ***
Capitolo 23: *** Es tut mir leid ***



Capitolo 1
*** Iniziamo bene! ***


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Una giornata di peripezie by mikybiky is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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1. Iniziamo bene! 1. iniziamo bene!
Premetto che tutta la storia che segue è pura invenzione della mia fantasia. Luoghi e personaggi citati sono totalmente inventati da me.
Qualsiasi analogia con fatti e persone è puramente casuale.

QUALSIASI FRASE RIVOLTA AL PROTAGONISTA STEFAN NON E' INTESA COME INSULTO RAZZIALE, SIA CHIARO!!!
Anticipo, inoltre che non sono per niente brava in tedesco, e siccome nella storia (come leggerete) è necessario, se le frasi sono sbagliate non fateci caso! Per mantenere l’andamento continuo, le traduzioni sono fatte a fondo pagina, senza ricorrere ad asterischi o contrassegni.
Non conosco le linee dei pullman che circolano a Bergamo, quindi le ho sparate a caso, basandomi sulla cartina.
Buona lettura!


UNA GIORNATA DI PERIPEZIE



1. Iniziamo bene!


È tutto okay. È tutto estremamente okay. Non dare fuori di matto; la tua migliore amica ha semplicemente appena detto alla professoressa di matematica (nonché vicepreside) che ti sei scambiata dei bigliettini con quella stronza che sta dall’altra parte della classe; non è nulla di grave, no?
Okay, in realtà non era sua intenzione farlo sapere a tutta la classe, ha semplicemente urlato un po’ troppo ad alta voce “Cosa continui ad inviare bigliettini a Camilla?”. Non era sua intenzione farsi sentire dalla professoressa. È perdonabile, no?
- Valenti! Interrogata! -
Oddio. Questo non lo avevo previsto. Il vuoto dentro di me.
Mi alzo lentamente. Guardo Arianna arcigna, mentre lei mi lancia uno sguardo bastonato, come per scusarsi.
Mi dirigo alla lavagna a passi lenti, e finalmente la raggiungo.
- Valenti, è morto un Papa nell’attesa. -
Grazie.
Lancio uno sguardo assassino a Camilla, che mi sorride dall’alto del suo scranno: io e quella bastarda ci stavamo scambiando insulti a vicenda. Non ci siamo mai sopportate, ma lei l’ha sempre avuta vinta. Stronza, dopo gliela faccio vedere io!
Mentre volgo lo sguardo altrove, incrocio quello di un austriaco comodamente seduto su una sedia in fondo all’aula.
Piccola parentesi: in occasioni degli scambi culturali con l’Austria, la mia classe accoglierà oggi e domani sette ragazzi austriaci, fra cui quello.
Mi sta già antipatico. Dio, come mi sta antipatico! Continua a guardarmi con un mezzo sorrisetto che mi fa venire i nervi. “Ti sta bene” ce l’ha scritto in faccia in modo palese… ma se non sa neanche spiccicare una parola di italiano!
- Valenti! - torna a ripetermi la professoressa.
Con aria solenne, prendo in mano il gesso e aspetto che mi detti… quella cosa lì con le graffe!
- Si chiama sistema, Valenti - mi precisa la professoressa.
Ma che diamine, mi sa leggere anche nel pensiero, adesso?
- Ma sarò più clemente, ti farò fare i moduli -
I che cosa? Oddio… sono in panico.
- Scrivi - mi ordina la professoressa, austera. - Modulo di: tre x meno cinque, chiuso modulo, maggiore uguale di sette x. -

Forse dovrei specificare alla professoressa che non sono capace di comprendere l’arabo.
- Pst!-
Mi giro speranzosa verso Arianna, e vedo che mi fa dei gesti strani con la mano. Ah, ma certo! Ora ricordo, i moduli li abbiamo fatti ieri!
Quindi, da brava ragazza, mi impegno a scrivere quello che mi ha dettato la professoressa.

|3x - 5| > 7x

Avete visto che brava? Sono capace anche io!
Mi giro trionfante verso Camilla, ma noto di nuovo quell’antipatico dell’austriaco. Mi guarda come se fossi un’imbecille. Mammamia, che nervi!
- Forza, Valenti, ora che hai dimostrato anche tu di saper scrivere correttamente un modulo, perché non lo risolvi? A noi non darebbe fastidio. -
Stronza.
Mi giro verso la lavagna e rifletto. Qualcosa forse mi ricordo… ma certo!
- Non esiste x! - dico, allegra.
- Scrivi - mi dice la professoressa.
Mi crede così imbranata? Glielo dimostro io!

/x

Osservo la professoressa, soddisfatta di me stessa. Oddio, perché ha inarcato un sopracciglio? Ops, forse quello significa per ogni x… mi affretto a cancellare.
- Ferrari - dice, rivolta a Camilla - è giusto quello che ha detto la tua compagna? -
Camilla si siede composta, si butta all’indietro i capelli e dice:
- No, professoressa, in questo caso bisogna discutere il modulo. -
- Vieni fuori alla lavagna a risolverlo. -
Camilla si alza e mi raggiunge. Risolve il modulo senza fare una piega, e alla fine la professoressa annuisce, contenta.
Guardo l’austriaco: anche lui le sta sorridendo.
Avrò la mia rivincita, è una promessa.


Stizzita come non mai, esco a passi grandi dalla scuola. È mezzogiorno, e grazie al cielo il mercoledì noi del liceo scientifico usciamo sempre alle dodici. Non avrei sopportato un’altra ora di lezione. Credo che forse avrei preferito impiccarmi.
Ora rimane solo un altro problema: come dire alla mamma del quattro in matematica?
Ciao mamma, sai che oggi Camilla ha preso un altro otto in matematica? Che buffo, il doppio di me!
No, troppo banale.
Però… aspetta un momento! Oggi a casa non c’è nessuno! È vero, la mamma ha un convegno a Pavia, torna solo domani pomeriggio!
Contentissima, mi dirigo verso la fermata del pullman.
- Alice, aspetta! - qualcuno mi chiama.
Mi volto e vedo Arianna che corre verso di me.
- Alice! Aspettami! -
Io la guardo ma non mi fermo.
- Sei arrabbiata con me? - mi chiede, con aria infantile.
- No, da cosa l’hai capito? -
- Dal tuo atteggiamento: è dall’ora di matematica che non mi hai più rivolto la parola. -
Ma perché io ho un’amica così scema?
- Dai, Alice, non prendertela così tanto! È stata solo una stupida interrogazione di matematica! -
- Se era così stupida, allora perché io ho preso quattro? -
- Forse perché non hai studiato? -
- Vaffanculo -
Arianna arrossisce.
Tanto per la cronaca, io ho 17 anni e frequento la terza. Sì, sono stata bocciata l’anno scorso, e la trovata di Arianna non è stata delle migliori.
Vedo il pullman arrivare da lontano, e mi dirigo per andare a prenderlo. Spero che sia il diretto per… Ouch! Una fiumana di studenti mi ha appena investita.
D’accordo, credo che prenderò il prossimo pullman. Tanto passa fra… venti minuti, nulla di che, no?
Arianna mi guarda sconsolata.
- Ci vediamo domani - mi dice, e mentre si allontana mi fa un cenno con la mano. Forse ho esagerato.
Il pullman riparte, e io rimango sola ad aspettare il prossimo.
Che noia, ci vorrebbe proprio una bella compagnia…
- Ciao -
Oh, ma tu guarda! Parli del diavolo e spuntano le corna!
Mi giro e… l’austriaco?!? Che cosa ci fa qui?
Sbuffo; non è esattamente il tipo di compagnia che volevo.
- Ciao - rispondo, secca.
- Sehr fröhliche! -
Eh?
Non si può esattamente dire che io sia un asso in tedesco.
- Che vuoi? - dico, cercando di nascondere che non ho capito niente di ciò che ha detto.
- Io übernachten da Camilla -
Hai perso tutta la mia stima, austriaco.
- Ah - rispondo semplicemente.
- Che pullman prendo? -
Sa anche parlare italiano, sprecato.
- E lei? -
- Ha corso di danza -
Tipo, non so se conosci il significato della parola ‘articolo’. Ehm… mi correggo, il significato della parola ‘artikel’.
Io sto zitta.
- Che pullman prendo? - mi ripete lui.
- Il prossimo - dico io con noncuranza, mentre tiro fuori il cellulare.
In realtà, non so neanche dove abiti Camilla. Vabbé, al massimo l’austriaco si troverà un po’ spaesato. È Camilla la stupida che lascia andare il suo ospite da solo!
Mi ritraggo velocemente, mentre il pullman diretto a Milano si ferma e fa scendere dei tizi. Ehi, che bello! Se un giorno volessi scappare da Brescia e andare a Milano con il pullman potrei farlo!
No, un momento: perché l’austriaco sta salendo sul Milano? Oh no, il prossimo pullman!
- Ehi, fermo! - gli grido.
Non mi sente.
- Austriaco! - gli urlo.
Scuote i capelli neri, che sicuramente gli otturano le orecchie.
- DEUTSCHLAND! - (Non pretendete che io sappia come si dice austriaco).
Non mi degna di una virgola. Troppo sprecato.
Devo fare qualcosa. Non lo posso lasciare andare a Milano. E comunque, dev’essere tordo, oltre che antipatico, perché sta salendo dalla porta in fondo!
Devo decidere alla svelta: mi butto a capofitto sul pullman e lo afferro per un braccio.
- Ehi! - dice lui.
Non ho il tempo di spiegargli in tedesco che è sul pullman sbagliato. Ma credo che capisca, perché a momenti è più veloce di me a scendere. Improvvisamente, le porte mi si chiudono in faccia. Merda.
Che faccio adesso? Chiamare a casa? No, non c’è nessuno. Spero nella buona sorte, e premo il campanello. Non so neanche dove sia la prossima fermata.
Mi impianto davanti alla porta, mentre l’austriaco mi osserva come se fossi nel torto. E che vuole?
- Corsa diretta! -
Che roba? Chi ha parlato? L’autista. Sta parlando con me?
No, un momento: che cosa ha detto? Corsa diretta?

CORSA DIRETTA?? Spero che sia uno scherzo.
Credo che sia impallidita, perché l’austriaco mi mette una mano sulla spalla e mi chiede se sto bene.
- Corsa diretta - riesco a balbettare.
- Cosa significa? - mi chiede lui, ingenuo.
- Vuol dire che fino a metà Bergamo noi non possiamo scendere -
Non lo vedo in faccia, ma so che sulla sua testa in questo momento sta fluttuando un punto di domanda.
Non è mica colpa mia se conosce giusto tre parole di italiano!
Mi siedo su un sedile, e lui mi ricopia.
- Che problema? - mi domanda.
Tizio, impara a parlare italiano.
- Ehm - dico, cercando di esporre semplicemente l’argomento - noi… stiamo… andando… … a Milano -
Impallidisce.
- Milano? Die Stadt? -
Italiano no, eh?
- Wir fahren gerade nach Milano… - ripete.
Monotono.
Aspetta, forse ho la soluzione.
- Semplice! - esclamo - sono già stata a Milano molte volte. Ci basterà prendere la metro, arrivare in stazione e prendere il primo treno diretto a Brescia! -
L’austriaco mi guarda come se parlassi cirillico. Capirà.
- Don’t worry! - gli dico. Ops, però forse quello era inglese. - Ora - inizio a spiegargli (lentamente, come se fosse un handicappato. L’odio che provo verso Camilla lo sto riversando su di lui… eh eh) - andiamo a Milano. Prendiamo il treno e torniamo a Brescia. Okay? -
Lui mi guarda un po’ perplesso, però poi annuisce. Oh, ma che bravo! Ha dimostrato di conoscere il cirillico!
Mi sistemo comodamente sul sedile su cui sono seduta. Ce n’è di tempo fino a Milano. Forse potrei studiare storia per domani, visto che ho l’interrogazione. Allora estraggo il libro dalla cartella e lo apro a pagina 47: la peste bubbonica. Sembra di fare i Promessi Sposi.
Senza dire una parola, l’austriaco estrae il suo I-Pod dalla borsa e si infila le cuffie nelle orecchie. Sono curiosa, che musica starà ascoltando? Mi sporgo leggermente verso di lui e cerco di leggere la traccia o l’artista segnati sullo schermo. Ci sto quasi riuscendo: Tra… che canzoni potrebbero cominciare con “Tra”?
Tra palco e realtà di Ligabue? No. Travis? A Beautiful Tragedy? Space Travel degli Yellowcard? Tracce di te di Renga?
Mi sporgo meglio. Riesco a leggere… Track 05.
Perché io arrivo a complicarmi la vita fino a questo punto?
- Studia -
Mi riscuoto dai miei pensieri.
Come prego? Cosa si è permesso di dirmi l’austriaco? Studia? STUDIA? Adesso gliene canto quattro. E che sia cirillico per lui, così gliene canto anche di più.
- Senti, austriaco - dico, scortese - io e te non andiamo… -
- Stefan - mi interrompe lui.
- Cosa? - chiedo.
- Mi chiamo Stefan - ripete, un po’ offeso.
- Ah - dico.
Okay, l’ho sottovalutato. Anche lui ha un nome, prova sentimenti e… forse averlo chiamato “austriaco” ha fatto sembrare la frase un po’ razzista. Okay, vedrò di comportarmi meglio con lui d’ora in poi.
Proseguo il resto del viaggio in silenzio, facendo finta di studiare storia. In realtà sto cercando di indovinare le canzoni che sta ascoltando Stefan. Ma suppongo che siano austriache, perché non le riconosco.
Improvvisamente, dopo circa una cinquantina di minuti, il pullman si ferma e sale un omaccione in divisa. Ha un cartellino appeso sul petto, che lo fa risultare serio… non che non lo sia, intendiamoci.
Dio, ti prego fa che quello non sia…
- Biglietti! -
…il controllore.
- Stefan - dico.
- Eh? -
- Siamo finiti -









Sehr fröhliche!: molto allegra!
Übernachten: pernottare.
Deutschland: Germania.
Die Stadt?: la città?
Wir fahren gerade nach Milano: stiamo andando a Milano.
Don’t worry!: non preoccuparti!

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Capitolo 2
*** Tornare a casa, che dilemma! ***


<font size="3">2. Tornare a casa, che dilemma!
2. Tornare a casa, che dilemma!

Perfetto. Il controllore ci ha buttati giù dal pullman, perché siamo sprovvisti di biglietto.
Meraviglioso.
E ora cosa faccio?
Non so dove sono, non ho idea di come cavolo farò a tornare a casa, ho pochi soldi con me e per di più sono qui con un austriaco che sa giusto spiccicare tre parole di italiano! (Mi correggo, cirillico).
Mi guardo attorno: nulla che mi aiuti a capire dove sono.
La gente cammina indisturbata sul marciapiede.
I fast food rimangono immobili nella loro postazione.
I semafori lampeggiano e comandano il traffico.
Le macchine sfrecciano sulla strada.
E che diamine!
Mi siedo quindi sulla banchina e aspetto… che arrivi una carrozza a prendermi. Ma che cazzo sto facendo??
Okay, meditiamo: cosa posso fare?
Prendere il treno? Macché, qui non ce ne sono.
Chiamare la mamma? Sì, aspetta e spera che mi venga a prendere da Pavia.
Tornare a piedi? Ah ah, ma che spiritosa!
Ci sarà pur qualcosa che posso fare… ma certo! Come sono arrivata, tornerò anche. Prenderò un pullman per Brescia!
Alzo la testa, soddisfatta: io sì che sono un genio! Mi vedo già ritratta in una scultura, proprio su questo marciapiede, con tutta la gente che mi osserverà commossa e…
- Also? -
Stefan morirà.
Nessuno osa interrompermi mentre sogno ad occhi aperti. Chi lo fa merita la morte. Non vedo perché Stefan debba essere esulato da questa pena. Solo perché è austriaco? Ma non se ne parla neanche.
- Also? - torna a ripetermi.
Dio, com’è irritante.
- Senti, austriaco… - gli dico -… ehm, Stefan. Posso chiamarti Stef? -
Lui mi guarda come un arabo guarda un egizio che ha appena parlato.
- Non fa niente - mi affretto a dire.
Torno ad immaginare la mia immagine raffigurata in un monumento, 80 metri di altezza. Sarò la nuova Statua della Libertà…
A volte divago troppo con la mente.
- Also? -
Dio, se Stefan me lo chiede ancora una volta gli tiro un pugno in faccia.
- Senti, Giordi, o stai zitto o ti impicco. Con una corda d’oro. -
- Was? - mi chiede.
- Giordi. Non conosci la storia di Giordi? Dopo aver rubato sei cervi dal parco del re, fu impiccato (con una corda d’oro). Distraendomi, ti sei aggiudicato la stessa fine. -
Niente da fare. Stefan continua a guardarmi in cagnesco.
Allora parli lui. Io ho detto la mia.
- Die Zug? - wow, nel pensiero però mi sa leggere!
Aspetta un attimo, però… che cosa vuol dire Zug? Sugo? No, dev’essere qualcosa inerente alla giornata di oggi. L’aereo! Non si dice mica Zugzeug*?
Stefan apprende al volo la mia difficoltà a comprendere l’amazzone, e cortesemente si appresta a farmi da interprete di se stesso:
- Il treno? -
Ah, Zug non voleva dire aereo.
- Non siamo a Milano, bello mio. -
Senza che lui capisca, mi alzo dal marciapiede e decido di recarmi da un tabaccaio. Spero che il biglietto per Brescia non costi troppo; massì, al massimo ho qui una quindicina di euro!
- Ehm… -
- Che c’è, Stefan? -
- Wo liegt die Station? -
- Non siamo a Milano - stavolta scandisco meglio le parole perché lui ne apprenda tutto il significato.
Per un momento credo che Stefan sia stato stroncato da un ictus fulminante, perché non lo sento più respirare. Mi volto verso di lui: sta benone. Peccato.
- Woher sind wir? - mi chiede.
- Bella domanda! -.
In realtà non so neanche che cosa mi abbia chiesto.
- Wohin gehen wir gerade? -
Imbestialita, mi volto verso Stefan e mi ci piazzo davanti:
- Sentimi bene, Giordi - gli dico - se provi un’altra volta a parlarmi in tedesco, giuro che ti mozzo la lingua! - faccio una pausa minacciosa. - Hai capito bene? -
Evidentemente no.
- Non capisco! - mi dice infatti.
- Ignorante! -
L’ultima frase non la pensavo davvero, eh! Voglio dire, mi troverei nella sua stessa situazione se io andassi in Germania… ma non credo che lo farei se non capissi il tedesco.
 - Ignorante io?? -
Accidenti, quello l’ha capito.
- Ehm… -
- Tu sei… - inizia - tu sei… stupida! -
Come dice?
- Arrogante! -
Ah, però queste cose le sa!
- Banale! Noiosa! Insulsa! -
Ne sa un po’ tante…
- Imbecille! -
Sta esagerando.
- Citrulla! -
Come, come, come?
- Incompetente! -
Cosa c’entrava?
- Stolta! -
- Eh, eh, eh, vacci piano! -
- Idiota - conclude, soddisfatto.
- Ho capito che vuoi dimostrarmi di essere un secchione, ma se queste sono le uniche parole che sai dire allora è meglio che ti fai un esamino di coscienza! Sarò inetta in tedesco, ma se dovessi andare in Austria, non lo farei per dire ad una persona che è una perfetta nullità! Per non ripetere i termini chi mi hai appena sputato in faccia. -
Stefan mi guarda senza capire, ma lo fa con un’aria superba a tal punto che mi verrebbe voglia di sputargli in faccia.
- Muovi il culo e sta zitto - gli dico, per non ricorrere ad altri termini.
Non credo che Stefan abbia capito, ma è costretto comunque a seguirmi, se non si vuole perdere per… dov’è che siamo?
Cerco un tabacchino chiedendo informazioni. Non ne esiste uno nel raggio trecento metri! Non ho tutto il tempo a disposizione io!
Cammino velocemente sul marciapiede, e l’austriaco mi segue a fatica. Ha uno zaino pesante. Ecco la comodità di lasciare quasi tutti i libri a scuola!
Dopo aver percorso duecento metri circa, rallento un attimo, spaesata. Davanti a me c’è un’edicola, forse i biglietti per il pullman li vendono. Speranzosa, entro.
La signora che c’è al bancone abbassa il giornale e mi sorride.
- Salve - dico, sorridendo a mia volta.
- Dimmi cara. -
- C’è una corsa che da qui arriva a Brescia? -
- Brescia? È un po’ difficile che a Mozzanica passi un Brescia. Dovresti andare alla stazione dei pullman, di lì forse passano. -
Dov’è che siamo? A Mozza che?
Le sorrido.
- Allora prendo un biglietto per andare in stazione -
Mi sento improvvisamente stronza. È stato l’unico termine che Stefan si è dimenticato di rifilarmi. Con un leggero senso di colpa, dico:
- Faccia due -
Mi giro verso Stefan. Sono clemente al punto di prenderlo anche a lui, ma i soldi me li rida!
Un colpo al cuore: Stefan è sparito.
- Quattro euro - mi dice l’edicolante.
Io pago alla svelta ed esco dall’edicola, senza ascoltare quello che mi sta dicendo la signora.
Giuro che se ritrovo Stefan è l’ultima volta che vede la luce del giorno. E se non comprende il cirillico, afferrerà al volo il significato delle cinque dita rosse che gli rimarranno impresse sulla guancia per cinque giorni.
Volto lo sguardo a destra e a sinistra. Non lo vedo.
Ma in fondo, perché lo sto cercando? Non c’è mica scritto da nessuna parte che io lo devo ricondurre a casa. Di Camilla. E allora si arrangi.
Ma sono afferrata dai sensi di colpa.
Cazzo, Stefan, se ti trovo sei veramente finito!
E che cos’è tutta questa gente? Toglietevi di mezzo, sennò non vedo Stefan!
Aspetta, che cosa sta facendo quello stolto? Oh mio Dio, non è possibile, quel malintenzionato sta scippando la borsetta ad una nonnina!
- Eeehiiii!! - urlo, ma non mi aspetto proprio che mi senta, visto il traffico.
Sventolo le braccia, mentre corro verso di loro. Tutti mi prendono per scema, ma non posso permettere un borseggio davanti ai miei occhi.
Arrivo sul ciglio della strada e mi scaravento dalla parte opposta
Vedo troppo tardi la macchina che mi sta venendo addosso. L’ultima cosa che sento sono due forti braccia che mi afferrano, poi il buio.








Also?: Allora?
Was?: Cosa?
Die Zug: il treno.
Wo liegt die Station?: dove si trova la stazione?
Woher sind wir?: dove siamo?
Wohin gehen wir gerade?: Dove stiamo andando?

*Piccola precisazione: aereo si dice Flugzeug



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Ed ecco a voi il secondo capitolo! Non è tanto, ma non c'era molto da scrivere.
La storia non si è ancora del tutto articolata, ma prensto capirete il circolo vizioso in cui si cacceranno i due per tornare a casa!
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e Kokky e gaTzi_yaShi per avere aggiunto la storia ai preferiti!!

LaUrEtTa: grazie :D ci vorrà un po’ perché la storia si sviluppi completamente, anche se cinque capitoli sono già pronti :). Alla fine no, non ci vanno a Milano… vedrai cosa succederà :p

Kokky: grazieeee ;) ho postato abbastanza presto? :p e arriverà presto anche il terzo capitolo, visto che i primi cinque li ho già finiti ;)

ehi_Lyla: grazie, sono contenta di sapere che scrivo bene! Ad un autore fa sempre piacere sentirselo dire :). Puoi dirlo forte, i personaggi di questa storia hanno un innato talento a cacciarsi nei guai! E vedrai nei prossimi capitoli, ne capiteranno di bell’e ogni!
Camilla non può stare simpatica, è impossibile che una come lei risulti simpatica!
Stefan, invece, è un grande! Ma, per quanto simpatico, non può andare d’accordo con Alice, totalmente diversa, ma una grande anche lei!
Arianna l’ho citata solo in questo capitolo, e la citerò anche nell’ultimo. Per il resto, non se ne sentirà quasi mai parlare.

Jess: in realtà, è stata Alice a cacciare nei guai sia lei che Stefan XD nonostante attribuisca tutte le colpe a quel povero ragazzo!! È stata lei a dire a Stefan di prendere un pullman nonostante non sapesse quale, e l’ha fatto finire lei sul Milano! E così ora tocca ad entrambi ritrovarsi in un posto ignoto. Come ho detto a Kokky, ho aggiornato alla svelta? :)

Shio: sono contenta che ti piaccia e che secondo te è scritta bene! Ora hai scoperto che cosa è successo a Stefan e Alice… e gliene succederanno tante altre!!

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Capitolo 3
*** A pranzo con Stefan... si salvi chi può! ***


3. A pranzo con Stefan… si salvi chi può!


La prima cosa che vedo quando apro gli occhi è Stefan. Non è un bel risveglio.
Quando riprendo la cognizione dei cinque sensi, mi accorgo di essere distesa per terra… con Stefan completamente disteso sopra di me.
Che diamine è successo??
Pian piano, si rialza, e io lo ricopio. Un mucchio di gente ci sta attorniando.
L’ultima cosa che ricordo è lo scippo… che io volevo fermare!
Non so per quale assurdo motivo, ma Stefan mi è saltato addosso e mi ha buttata a terra. Di sicuro quel furfante è scappato con la borsetta della signora! Spero che l’austriaco abbia una scusa convincente da espormi (e il che lo trovo abbastanza difficile, visto che sa esprimersi solo in amazzone, a parte qualche insulto in cirillico) altrimenti giuro che questa volta è veramente finito. Non avrà neanche il tempo di scoprire che siamo a Mozzanica (come se sapesse dov’è - in realtà non lo so neanche io).
La gente ci guarda stupita, e ciò mi innervosisce fuor di misura. Cioè, anche io guarderei male un ragazzo che si è appena scaraventato su una ragazza per nessun motivo, buttandola a terra; infatti quello che mi innervosisce di più, è che Stefan mi abbia buttata a terra!
Okay. Riprendi la calma. Sforzati a fingere di credere che Stefan abbia avuto una buona causa. Magari ce l’ha. Anche se non è possibile, visto che lui è Stefan.
Mi ricompongo dignitosamente. La maglia che indosso è nuova, quindi spero per Stefan che non mi si sia sgualcita.
Ahia, che cos’ho al piede?
O.O (faccina, n.d.a.)
Mi è partita una scarpa!!
Odio Stefan, lo odio con tutto il mio cuore.
Gli conviene esibirmi all’istante la sua convincente giustificazione, o lo devasto.
Vedendo che stiamo bene, la gente, mano a mano, si dirada; rimane giusto qualche curioso a cui piace saperla lunga.
Non ho ancora rivolto la parola a Stefan, ma in compenso ho ritrovato la mia adorata scarpa (che ho già provveduto a rimettermela). Nessuno può toccare le mie Etnies. E se non la ritrovavo, maciullavo le Converse di Stefan. Immagino che ci tenga, no?
Alla fine, lui ha la compiacenza di articolare quelle tre parole di cirillico che conosce oltre ad “imbecille, idiota, incompetente” e via dicendo.
- Stai bene? -
- Sto bene? - dico, con sarcasmo. - Potrei stare bene secondo te? Ho rischiato di gualcirmi la maglia, ho perso una scarpa, ho (mi correggo, hai) permesso che un deficiente rubasse la borsa di una signora e tu mi vieni e chiedere se sto bene? -
Riprendo fiato.
Sto per dirgliene altre, ma mi blocco: ha un’aria sconvolta.
- Ehm… Stefan, stai bene? -
- Sto bene? - stavolta è lui che mi vorrebbe rinfacciare un po’ di cose, ma la sua poca conoscenza dell’italiano non glielo consente.
Per una volta mi sento in colpa.
E va bene, lo ammetto: so che mi sono quasi fatta tirare sotto da una macchina, ma sono troppo orgogliosa per riconoscerlo.
Odio, e dico odio confessarlo, ma se non fosse stato per Stefan (si, quello Stefan) credo che sarei stata investita.
Forse dovrei chiedergli grazie…
Eh?? Ma che dico? No, no, no! Non se ne parla neanche. In fondo è colpa sua se sono uscita così di fretta dal negozio. Se lui non fosse sparito all’improvviso, non sarebbe successo quello che è successo. Le mie scarpe non sarebbero state messe a rischio. Non avrei corso il pericolo di rompermi la maglia. E quel delinquente avrebbe comunque rubato la borsa alla signora, ma almeno io non me ne sarei accorta.
Sospiro.
Stefan ha ancora un’espressione poco ordinata sul viso, e si sta massaggiando il braccio. Eh, colpa sua se si è fatto male! Faceva a meno di saltarmi addosso! Tanto la macchina sarei riuscita a evitarla comunque (… ehm…).
Riordinandomi decentemente, lo guardo con aria immodesta e gli dico:
- Andiamo -
Stefan mi guarda sconsolato, poi mi segue.
- Ora dimmi dove ti eri cacciato - il mio tono diventa mano a mano più cattivo - perché non è possibile che io debba badare a te come ad un bambino piccolo! Solo con i marmocchi hai il timore che scappino non appena ti giri! -
Sto parlando con espressione talmente fiera, che neanche guardo dove sto andando (tanto stiamo camminando sulla banchina).
Stefan mi guarda con espressione noncurante (ormai mi ignora proprio, non fa neanche la fatica di capire che non comprende niente di ciò che dico). Ma man mano la sua espressione diventa - come dire - una smorfia ironica. Della serie “se ne accorgerà”. Cretino, l’ho ben capito che non mi capisci! Non sono mica stupida, ti sto solo prendendo per i fond… Oh…
Stefan mi ha afferrata per il braccio prima che facessi un bel capitombolo nella fontana che è davanti a me. Ma tu guarda che mascalzona! Mi ha tagliato la strada!
Come se non fosse successo niente, mi stiracchio la maglia con le mani e mi volto, con espressione solenne. Ma vado a sbattere contro una persona. Ops.
- Ehm, mi scusi - dico, con l’aria di chi sa che queste cose succedono sempre (non è mica la fine del mondo).
- Guarda che io sono sempre stato qui - dice il signore che ho “investito”.
- Ah… ehm… -
In effetti, è seduto su di una panchina. Eh vabbé, cose che succedono!
Stefan ridacchia. E che ha?? Gliela faccio vedere io a lui, neanche capisce quello che stiamo dicendo! Sfaccendato.
Lo fulmino con lo sguardo, poi lo intimo a seguirmi.
Insomma, un po’ di rispetto per le ragazze!
Proseguiamo per un bel pezzo, io con aria trionfale, lui con aria afflitta (chissà perché, poi. Non sta mica morendo!). Improvvisamente mi blocco.
Lui, disattento come al solito, mi viene addosso.
Eh, ma sta un po’ attento! Ma dimmi te con che razza di sbadato dovevo trovarmi per le vie di Mozzanica.
- Che cosa c’è? - mi chiede lui, con la voce che sembra quella di un malato terminale nel suo ultimo minuto di vita.
- Ehm - mi schiarisco la voce.
- Also?? -
Mi trattengo dal tirargli una sberla. Non gli avevo forse detto di smetterla di parlarmi in tedesco?
Comunque, riprendo la calma e, con i denti digrignati, dico:
- Non so… ehm - e qui divento piccola, piccola - in realtà non so dove stiamo andando. -
- Eh? -
Se Stefan non ha capito ciò che ho detto, è giustificato (quando mai): la mia voce si è infatti ridotta ad un sussurro. Mi schiarisco la voce.
- Dovremmo andare in stazione, in teoria - dico, anche se so che parlo per me stessa - ma non so dove si trovi… sì, stavo camminando a vuoto, non chiedermelo. Per una volta può succedere anche a me, no? -
Rifletto un attimo. Devo ancora riscuotere i miei non-mi-ricordo-quanti soldi del biglietto.
- Stefan - dico, frugando nella borsa.
- Sì? -
- Aspetta un attimo…  -
Appoggio la borsa a terra e cerco meglio. Uff, che diamine, non li trovo. Rovisto nelle tasche, ma niente.
Oh no… la signora dell’edicola mi stava dicendo qualcosa prima di uscire dal negozio. Ho dimenticato lì i biglietti! Oh, fantastico!
E, ovviamente, di chi è la colpa? Di Stefan!! È sempre colpa sua, ormai è un dato di fatto.
Sono capitata a Mozzanica per colpa di Stefan; non ho impedito un furto per colpa di Stefan (anche se qualcuno avrebbe qualcosa da ridire); e ora ho anche dimenticato i biglietti nell’edicola per colpa di Stefan!
- Was hat geschenen? -
Dio, quanto lo odio quando parla in tedesco!
- Ti odio, Stefan -
- Eh?? -
- Ehm… mi è uscita così, non è nulla di grave. -
Stefan mi guarda con aria torva. Eh vabbé, mi è uscita la frase di bocca, può succedere. Soprattutto quando si ha un insopportabile austriaco al proprio fianco che non fa altro che parlare in tedesco.
- Che cosa facciamo? -
Finalmente Stefan ha sillabato una frase sensata.
- Ehm… - rispondo.
Oddio. Che cosa facciamo? Non può succedere che la sottoscritta non sappia che cosa fare. Riflettiamo. Andremo ovviamente in stazione.
Mi giro verso un signore che sta passando.
- Mi scusi - gli chiedo - sa dirmi come posso raggiungere l’autostazione dei pullman? -
L’uomo mi guarda storto. E che ho detto adesso??
- A piedi? - mi domanda.
- Bé, sì -
Senza darmi alcuna risposta, si mette a ridere e poi se ne va. Che gentile!
Mi rivolgo a Stefan, chi mi sta guardando in attesa di una risposta.
- Andiamo al bar - gli butto lì.
- Al bar? - non è convinto.
- Sì - dico. - Non ho mangiato e ho fame. Ormai sono quasi le due. Ci sarà uno Spizzico o un McDonald’s qui da qualche parte, no? -


Dieci minuti dopo siamo seduti ad un comodo tavolo di un caldo McDonald’s. Io sto assaporando un tenero hamburger, rifocillandomi allo stesso tempo di patatine fritte e ketchup.
Stefan mi guarda come se stessi annegano i miei problemi nell’alcool. Che diamine ha?? Per me ha qualche disturbo mentale. Ma anche Camilla avrà contribuito.
Improvvisamente, mi viene da pensare a lei: una volta eravamo amiche. Non amiche inseparabili, ma ci sopportavamo. Non chiedetemelo, in fondo non è vero che non ci siamo mai sopportate. Solo che dopo un po’ lei ha iniziato ha diventare altezzosa e maliziosa fuor di misura. Non abbiamo mai litigato, però, essendo insopportabile, io ho cominciato a ribattere a ciò che diceva.
La cosa che mi fa più rabbia è che Camilla ha sempre avuto vinta ogni “causa” nata fra me e lei. In un anno e mezzo io non l’ho mai avuta vinta. E questa è la cosa che mi fa più rabbia. O per lo meno, io sono una ragazza veramente orgogliosa e non averla mai avuta vinta di certo non mi procura piacere.
Oddio, ma io perché sto facendo questo pensieri profondi?? No, no, è Stefan che mi fa brutti effetti.
Ad un certo punto mi viene una curiosità.
- Stefan - dico.
- Sì? -
- È simpatica Camilla? -
- Sì - lui è sempre troppo esauriente nelle risposte. Sprecato.
Per tutta risposta, sul mio volto si disegna una smorfia.
- Cosa ti ha spinto ha soggiornare da lei? -
- Eh? -
- Non fa niente. - Tentare di intraprendere una discussione seria con lui è impossibile. Dio, come farò a stare un pomeriggio intero con una persona che per capire mi costringe ha parlare a monosillabi?
- Credo… - Stefan si blocca. Dall’evidente sforzo che trapela dalla sua faccia (ovvero guardare il soffitto gustando un’insalata), è chiaro che sta tentando di formulare una frase compiuta (e che abbia, ovviamente, altro oltre al verbo e al soggetto). - Credo tu devi… - un’altra pausa.
Nel frattempo sbadiglio, mi prendo un cappuccino con brioche, schiaccio un pisolino, guardo la tivù, faccio merenda, ceno, studio…
- Credo tu devi essere… più aperta - oh, ce l’ha fatta!
Ora devo solo tradurre: credo che tu dovresti essere più aperta. Della serie, facciamole vedere che sono capace anche io di parlare l’italiano? La sua frase ha senso ma non si colloca in nessuna sequenza sensata del discorso. Adesso faccio la saputella.
- Stefan - dico infine - cosa ne sai tu di come sono io se da quando ci conosciamo (ovvero qualche ora) non hai fatto altro che costringermi a dire due parole in croce? Visto che non hai capito niente di quello che ho detto, te lo riassumo in due parole: stai zitto. -
Stefan mi guarda come se dovessi morire.
Bé, che non creda che io lo lasci iniziare una conversazione con me.
- Bene. Ora sbrigati a mangiare che ho voglia di tornare a casa. -






Also: allora, quindi.
Was hat geschehen?: cos’è successo?

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Ed ecco a voi il terzo capitolo! Spero vi piaccia. La storia non si è ancora del tutto sviluppata, ma dal prossimo capitolo cominciano le  “avventure”, ovvero cercare seriamente un modo per tornare a casa.
Voglio fare una piccola precisazione: fino a questo capitolo (ma anche nei prossimi) ho attribuito una forte dose di orgoglio e superbia ad Alice, forse tanta da risultare quasi antipatica. In realtà non ho nessuna intenzione di togliere alcunché a Stefan, né di farlo sembrare uno stolto, ma è nel carattere della protagonista essere orgoglia al tal punto da sminuire gli altri. Torno a ripetere che la provenienza di Stefan non influisce sul comportamento della ragazza, anche se può sembrare così.

Kokky: anche il terzo l'ho aggiornato alla sveltissima? ^^ Spero che sia carino anche questo capitolo... sono molto contenta che tu ti sia appassionata in modo irreversibile alla storia =D mi fa molto piacere. Eh già, Stefan, a parer mio, è il più simpatico di tutta la storia!! ;)

Jess: a detta (tua e) di Alice, sono capitati in un posto sconosciuto da Dio, ma in realtà non sono altro che a... xD se non lo sai lo scoprirai nel prossimo capitolo!! Eheh me crudele!!! Come hai visto, Alice sta bene, ed è stata salvata proprio da Stefan!

Shio: spero di non deludere le tue aspettative con i prossimi capitoli! Finché sono già pronti aggiornerò velocemente, ma finché la scuola mi impiccia purtroppo scriverò i prossimi lentamente :(

LaUrEtTa: sì, si cacciano sempre nei casini quei due! Certo, alla fine ne usciranno, o come farebbero altrimenti a tornare a casa? ^^ Per vedere come andrà a finire, dovrai aspetatre gli ultimi capitoli, che verrano fra un po' purtroppo....

ehy_Lyla: sì, sono stata veloce perchè questo capitolo era già pronto! Bé, come ho già anticipato, i primi capitoli sono più che altro introduttivi, ma dai prossimi comincerà la vera e propria storia. Grazie per continuare a dirmi che scrivo bene!
Nuu, povero Stefan!! Non è uno stupido xD semplicemente gli scoccia dover subire Alice in continuazione. Come ha i visto, Alice sta bene, ed è stato proprio Stefan a salvarla!!


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Capitolo 4
*** Qualcuno peggiore di Stefan... ??? ***


4. Qualcuno “peggiore” di Stefan… ???

Avete mai provato a cercare di esporre ad un austriaco come tornare a casa da un posto che non si conosce? Io sì.
- Biblioteca - dico disperata - mappa. Pullman. Casa. Hai capito? -
Stefan mi guarda sconcertato.
- Sì… cioè, no -
- Ah! Perché a me? Perché a me? -
Diciamo che da quando siamo usciti dal McDonald’s sto cercando di spiegargli che cosa ho intenzione di fare, ma più gli riassumo brevemente i miei propositi, meno capisce.
Non importa, tanto so che voi capirete, quindi mi rivolgo a voi: mentre assaporavo il mio bell’hamburger, ho avuto un’idea geniale. Ovvero, se noi siamo a Mozzanica, sicuramente ci ritroviamo in un luogo geografico segnato sulla cartina della Lombardia. Vuol dire che se io cercassi su internet la carta geografica scoverei anche Mozzanica, ed allora saprei con certezza dove mi trovo. Saprei anche che pullman prendere per tornare alla mia adorata Brescia. Avete visto che intelligente che sono? Modestamente.
Rimaneva solo un piccolo problema però: come reperire una cartina della regione? Risolto anche questo dilemma, andrò in biblioteca e stamperò ciò che mi serve.
L’unico vero problema - faccia scocciata - è cercare di farlo capire a Stefan.
Diamine, sfido chi ci riesce. Quel ragazzo è un manico del tedesco, primo; non capisce l’italiano (per lui cirillico), secondo; ed è mortalmente noioso, terzo. Non tolgo che sia però un po’ carino, quarto.
No, no, no!! Cancellate l’ultima frase, assolutamente! Volevo dire: non fa altro che massaggiarsi il braccio, quarto.
Prima di pagare il conto, ho chiesto informazioni su come raggiungere la biblioteca, e così ora vado a passo sicuro. Ma Stefan mi segue incerto. Ha un’espressione sconvolta. Inizio a sospettare che sia malato di aids!
- Dunque, Stefan - dico - io parlo. Tu ascolti. E se non capisci caz… - vengo improvvisamente bloccata da un ragazzo che mi strattona.
Cado a terra come un pesce lesso. Che cos’è successo?
Con la mano inevitabilmente posata sul suo braccio destro, Stefan mi guarda impassibile. O si toglie quell’espressione dalla faccia, o lo faccio fritto per cena. Sempre che torni a casa.
Improvvisamente sento la terra muoversi sotto di me. Non ho bevuto, vero?
Un terribile presentimento prende ad attanagliarmi: e se Stefan mi avesse avvelenata? So che la cosa è improbabile, ma mi sta così antipatico che potrei arrivare a pensare anche peggio di lui.
Insomma, come può stare simpatico un ragazzo come lui? Voglio dire, guarda quei suoi capelli corvini un po’ tutti disordinati (in modo artistico, lo ammetto)… e quelle All Star nere tutte consumate. Quei jeans delle Charartt che ti chiedi come facciano ad esistere in Austria.
Insomma, il fatto che indossi indumenti decenti non conta nulla, no? È l’aspetto interiore di una persona che vale di più, alla fine. E Stefan, l’ho detto prima, è noioso fuor di misura; oltre a non parlare in italiano, non parla neanche nella sua lingua!! (Ed è meglio, credetemi, se vuole mantenere intatta la Eastpack che tiene a tracolla.)
Osservo Stefan arcigna, più che convinta dell’imminente omicidio che sta per avvenire, ma la sua figura si allontana da me.
Seriamente, sono stata avvelenata?
Finalmente capisco: sono caduta su uno skate, il quale ha improvvisamente preso vita.
Vedo Stefan cercare di buttarsi a capofitto su di me per afferrarmi prima che lo skate-board prenda velocità, ma quell’ignobile oggetto (è sole per dire, lo so usare anche io) è più lesto: non ho neanche il tempo di dire bif che inizia a scivolare giù per una lieve discesa. Prende una velocità assurda, e io sono terrorizzata. E se finisco sotto ad una macchina??
- Stefaaaaaaaaan!!! - grido, ma non so perché.
In realtà, vorrei urlargli che se muoio voglio che sappia che l’ho odiato con tutto il mio cuore.
Poi sento lo skate cozzare contro qualcosa e vedo tutta la mia vita scorrermi davanti agli occhi in un lampo.


Quando Stefan mi raggiunge, credo di essere già morta. La sua vista mi fa pensare a due cose: o sono morta e lui è all’inferno con me, o io sono viva.
Inutile dire che confido nell’ultima opzione, ma solo per il fatto che io e Stefan all’inferno assieme potremmo non andare molto d’accordo. Sarebbe il mio incubo.
- Stai bene? - mi chiede un ragazzo, avvicinandosi a me e aiutandomi ad alzarmi.
Questo Stefan non l’ha fatto.
- Ehm… insomma - rispondo io, voltandomi a vedere contro cosa ha urtato lo skate-board. Un muro.
- Mi dispiace di averti fatto cadere, ma ho perso il controllo dello skate e ti sono venuto addosso -
Quando alzo finalmente gli occhi sul ragazzo che mi sta parlando rimango imbambolata: mai visto uno più bello. Neanche Brad Pitt.
Alto, i capelli neri raccolti in una cresta, un piercing al labbro… non so proprio cosa dire. La mia vita. Oltretutto, ha una maglia fantastica dei Rancid, assolutamente da non ignorare.
Apriamo una piccola parentesi: io amo i Rancid. A partire da “Rancid” e arrivando a “Indestructible”. In particolare amo Fall Back Down.
Improvvisamente, tutte le forze si presentano all’appello.
- Ehm… ciao - dico. Solo dopo mi accorgo che la mia frase suona stupida.
- Ti sei fatta male? - mi chiede lui.
Potrei dirgli che sto per morire: uno come lui avrebbe di sicuro la cortezza di raccogliermi fra le sue braccia e trasportarmi fino al prossimo ospedale.
Invece uno come Stefan (o Stefan stesso, perché come lui non ne esistono) se ne starebbe imperturbabile, fermo sul marciapiede a massaggiarsi il braccio. Ditemi voi con che razza di ragazzo mi sono trovata a dover condividere le strade di Mozzanica.
- Ti sei fatta male? - la voce del ragazzo mi riscuote dai miei pensieri.
- Ehm… no, non tanto - dai veloce, veloce, trova una scusa per non farlo andare via. - Però ti sarei grata se mi accompagnassi in biblioteca -
Lui mi guarda perplesso.
Oddio, gli ho spiaccicato in faccia la prima frase che mi è venuta in mente! Ed anche abbastanza bizzarra, per quanto può saperne lui: io potrei essere di Mozzanica.
Mi schiarisco la voce.
- Intendo dire - spiego - che non so dove si trovi la biblioteca, e, nonostante le spiegazioni fornite dai passanti, non riesco a trovarla. -
Allora lui mi sorride.
- Non è distante da qui, se vuoi ti accompagno. -
Ma va?
- Certo che voglio - dico con un sorriso smagliante.
Dopo circa tre secondi sono rossa come un peperone.
Certo che voglio?? Ma cosa diamine mi salta in mente di dire?
Il ragazzo, evidentemente a disagio, mi tende la mano.
- Comunque sono Matteo - mi dice.
- Alice - rispondo io. Lanciando un’occhiata sprezzante a Stefan, aggiungo - e lui è Stefan. Non è mio amico, non lo conosco neanche. Ma il destino vuole che sia capitato con me a Mozzanica. In realtà è colpa sua se siamo qui.-
- Perché? Di dove siete? -
- Io di Brescia, lui è austriaco. -
- Davvero? Ma che bello, l’Austria ha un suo particolare fascino. -
Lancio uno sguardo sferzante a Matteo.
- Non credere che ti capisca - dico - non conosce una sola parola di italiano. Per lui è come cirillico. Del resto, per me il tedesco è come l’amazzone. In ogni caso, Stefan non è di buona compagnia. È noioso in modo letale, suscettibile e offensivo. Giusto poco fa mi ha riversato addosso una caterva di insulti. -
- Oh - Matteo pare sorpreso - come mai? -
- Ehm… - devo anche rispondere? - diciamo che… va bé, gli ho detto che è ignorante, ma la mia affermazione era veritiera. Le sue no -
- Capisco - conclude Matteo, con espressione noncurante.
Segue un attimo di silenzio imbarazzante.
- Ehm - dico - allora, vedo che ti piacciono i Rancid… -
Lui lancia uno sguardo alla sua maglietta e sulla faccia gli si stampa un grosso sorriso.
Ho scelto proprio il ragazzo che fa al caso mio.
- Non li conosco neanche, in realtà -
Sento il vuoto sotto i miei piedi mentre cado dal fico.
- Ah - rispondo.
Mi è caduto un mito.
- Ehm… e perché porti la maglia? -
- Così, perché mi piaceva. -
- Ah -
Ci rimango ogni volta peggio.
Cerco di mantenere la calma. Non conosce i Rancid, ma questo non vuol dire che non conosca il resto.
- Conosci i Sex Pistols? - gli chiedo, speranzosa.
- Chi? - mi chiede lui, stando attento alla strada da attraversare.
- Ehm… i Sex Pistols. Sono un gruppo nato negli anni Settanta, più o meno con la nascita del punk… -
- Ah, mica me ne intendo io di quelle cose! - risponde lui evasivo.
Rimango di sasso.
- Bé, se vuoi posso aiutarti ad acculturarti sull’argomento, sai, è interessante… -
- No grazie - taglia corto - non ne ho bisogno. Ho già abbastanza da studiare! Sai, la scuola… -
- Certo - dico, lievemente sollevata che l’argomento abbia cambiato direzione. - La scuola è davvero molto difficile. Io l’anno scorso sono stata bocciata, purtroppo, ma quest’anno… -
Mi blocco di scatto: Matteo ha assunto una faccia schifata.
- Bocciata? - mi chiede - non vedo il motivo per cui la gente si riduca a questi livelli solo per non studiare! -
Come dice?? Non è gentile.
- Starai tanto sui libri, immagino… - gli dico.
- Io? Certo! Come me li guadagno altrimenti i dieci? -
Ridacchio.
- Dai, non esagerare! -
- Hai ragione - dice lui, un po’ mesto - vorrei tanto avere dei dieci, ma non riesco a raggiungerli. Ho solamente otto. -
Alla faccia!
- E cosa vuoi di più dalla vita?? -
- Un Lucano. -
Mi giro sconvolta verso Stefan: comprende il “cirillico”?
- Come scusa? -
- Niente, niente - dice - è pubblicità. -
- Questo lo so anch’io, imbecille! -
Matteo mi guarda sconvolta.
- Perché gli rispondi così, poverino? - mi chiede.
Io rimango un attimo contraddetta.
- Ehm… - cerco di trovare una risposta, ma l’unica che mi viene in mente è “perché è Stefan”. Non credo che sarebbe una bella risposta.
- Ha semplicemente fatto un’affermazione a fine se stessa. - continua Matteo.
- Una che roba? -
- Ma tu l’italiano lo comprendi? -
Rimango esterrefatta dall’affermazione di Matteo. Ora comincia a starmi più antipatico di Stefan.
Io l’ho sempre detto che le apparenze ingannano! (Tranne che con Stefan).
- Bé, è ovvio che lo comprendo! Non sono mica austriaca, io! È lui quello - e indico Stefan con un gesto della mano.
- Bé, l’avevo capito anche io - dice, con tono aspro. - Ma quella che non capisce quando si parla cirillico, temo sia tu, non il tuo amico! -
Sento il fuoco avvampare dentro di me. Come ha osato dire a me una cosa del genere! È Stefan l’ignorante, non io.
Mentre io e Matteo continuiamo a bisticciare, Stefan si blocca davanti ad un portone.
- Ehi - dice - bibbioteca. -
Effettivamente, davanti a lui c’è l’entrata della biblioteca. Sono tentata di far notare a Stefan che ha detto una parola che non esiste, ma preferisco finire con Matteo.
- Bé, grazie di averci accompagnati - dico, acida - soprattutto anche perché avremmo potuto arrangiarci da soli, visto che tu sei  passato oltre alla biblioteca e se n’è accorto il mio amico! -
- Quindi vedi di sottovalutarlo di meno, la prossima volta! - conclude lui.
Furiosa come una bestia, entro in biblioteca, trascino Stefan e sbatto il portone.
Credevo che peggio di lui non se ne trovassero, e invece Matteo ha dimostrato proprio il contrario. Forse però mi sbaglio: se Stefan parlasse italiano, non avremmo dei battibecchi del genere? Forse anche peggio.

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Ecco qui il quarto capitolo!
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma, purtroppo, abbiamo dovuto ripristinare un vecchio computer che ci si era rotto e di conseguenza, per problemi tecnici, questo (ovvero quello si cui è salvato il capitolo) è rimasto spento per qualche giorno senza la possibilità di accenderlo.
Come vedete, le avventure non finiscono mai! Ora quei due sono sulla retta via per tornare a casa (come Dante), o almeno per il momento...

Kokky: eh già, Alice è proprio meschina xD. Ma in fondo è una ragazza dolce, e presto avrà modo di dimostrarlo... ma non per forza con Stefan XDDD. E concordo su Stefan, è un ragazzo troppo dolce *.* (non a caso ho deciso di crearlo :p). Cercherò di non deluderti e di continuare sempre in questo modo, mi rende veramente contenta il fatto che ti piaccia molto la fanfic!!

Shio: sìsì, diciamo che Alice non è completamente ben predisposta nei confronti del nostro Stefan (che, poverino, non ha fatto nulla di male!). Ma del resto, chi si comporta amichevolmente con una persona che non si sopporta?? xD

Jess: Alice non è orgogliosa, di più!! Secondo lei Stefan ha sempre torto!! Ma del resto, è Alice, cos'altro ci si potrebbe aspettare da lei?? xD

ehy_Lyla: sì Alice non riconosce i suoi errori, e li scarica tutti su Stefan... ma farebbe così con chiunque altro! E poi non oserebbe mai chiedere grazie a Stefan, ormai si è convinta che lui sia uno stolto e non glielo leva dalla testa più nessuno!! E' una ragazza con la testa di ferro!! Non si può non provare simpatica per Stefan!! xD E' un mito!! Anche perché è così docile che subisce in silenzio senza reagire... poverino!!

LaUrEtTa: non ti preoccupare non è un problema!! :D come ho detto a tutte le altre, Alice sottovaluta Stefan, ma in fondo nn crede veramente a ciò che pensa... vedrai che questo capriccio andrà attenuandosi!!

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Capitolo 5
*** Un piccolo, minuto, impercettibile senso di colpa ***


5. Un piccolo, minuto, impercettibile senso di colpa.


Salgo lentamente le scale della biblioteca, sconcertata. L’ingresso è bellissimo: uno spazioso atrio, seguito da una scalinata con tappeto rosso. Ma non è ciò che mi interessa di più.
Sono rimasta un po’ sconvolta dal ragazzo che ho appena conosciuto. All’inizio sembrava l’uomo dei miei sogni: cresta, maglia dei Rancid, punkettaro… e alla fine invece si è dimostrato un disastro.
Innanzitutto, i Rancid neanche li conosce, e non è punkettaro. Mi devo ancora spiegare il motivo della cresta. Ma, a parte questo, è presuntuoso in una maniere impressionante!
Continuava a difendere Stefan come se fosse stato la sua mascotte. Voglio dire, se l’avesse conosciuto credo che avrebbe abbracciato a pieno la mia teoria: Stefan è uno stolto.
All’inizio ho addirittura pensato che fosse peggio, ma mi sono riveduta.
Continuo a salire le scale, cercando di dimenticare Matteo. È l’ultimo dei miei problemi, in questo momento sto cercando di trovare un modo per tornare a casa.
Quando arrivo in cima alla gradinata, rimango ad osservare delusa quello che ne segue: mi aspettavo di trovare chissà cosa, invece la mia biblioteca è più fornita.
Normali scaffali sono posti su normali pareti, con all’interno libri normali.
La bibliotecaria è seduta ad una scrivania che scartabella fra dei libri.
- Buon giorno - dico.
Lei alza la testa.
- Buon giorno - ripete.
Mi avvicino a lei, seguita a ruota da Stefan. Ma se anche si butta giù dalla finestra fa niente, eh.
- Dimmi - dice la bibliotecaria, sorridendomi.
- Ehm… - inizio il discorso. Non so cosa dire.
- Allora? - dice Stefan.
Io lo fulmino con uno sguardo.
- Ma… -
- Taci. -
Stefan rimane interdetto.
Mo volto verso la signora, che mi guarda sbigottita.
- Ehm - dico - potrei chiederle un favore? -
- Certo - mi risponde lei.
- Avrei bisogno di utilizzare internet… -
- Oh, certo - dice lei, alzandosi. - Siete abbonati? -
- Come? -
- Bisogna essere abbonati per poter utilizzare internet. -
- No, non sono abbonata, ma se pagassi adesso? -
- Certo, va comunque bene. -
Liberando la scrivania da ogni sorta di oggetto, la bibliotecaria mi fa sedere davanti al computer.
- Grazie - dico. E, sorridendo, lancio un’occhiata ostile a Stefan.
Si sta ancora massaggiando il gomito. Insomma, se si è fatto male è colpa sua!
Inizio a digitare Mozzanica nel motore di ricerca. Poi, accanto, scrivo “cartina”. Premo invio, ma non compare nessun risultato.
Scocciata, riprovo, ma niente.
Alla fine, mi rivolgo alla bibliotecaria e dico:
- Mi scusi, ma qui dov’è che siamo? -
- A Mozzanica -
- Sì, ma… precisamente? -
La donna si sistema gli occhiali, poi, come se fossi imbecille, mi risponde:
- A Bergamo -
A Bergamo??
Bé, diciamo che proprio non me l’aspettavo.
- Grazie - le dico.
Allora mi affretto a trovare le linee dei pullman e gli orari.
Quando le trovo, cerco disperatamente una linea che mi porti a Brescia.
Non ce ne sono.
Cosa potrei fare? Forse ho un’idea: prenderò un pullman che si avvicina alla città, poi cambierò e ne prenderò un altro. Ma certo! Questa sì che una buona idea!
- Mi scusi - dico, rivolta alla bibliotecaria - non è che potrei stampare delle pagine? -
Lei sembra scocciata.
- Sì - dice, secca - sono quindici centesimi l’una.
Quanto?? Alla faccia.
- D’accordo - dico, ed estraggo il borsellino.
Ho speso bensì dieci euro per il mio pranzo, mi sembra esagerato! Me ne rimangono solo cinque, quindi ci devo stare dentro.
Va bé, in realtà ho speso sette euro in totale (hamburger, patatine fritte e acqua), ma è comunque tanto.
Estraggo cinquanta centesimi dal portafogli e li porgo alla bibliotecaria. Poi mi accingo a cercare le pagine che mi servono: le linee dei pullman, una cartina della Lombardia e il numero verde dei pullman. Visto che mi avanza ancora una pagina, cerco “come sopravvivere ad una giornata con un austriaco”, ma non trovo neanche un risultato. Peccato. Allora scarico anche gli orari dei pullman.
Quando ho stampato tutto, mi alzo e ringrazio la signora della biblioteca.
Volgo lo sguardo verso Stefan, per comunicargli che non siamo troppo distanti da Brescia e che so come tornare a casa, ma rimango sconvolta: ha sollevato la manica, scoprendo il braccio che gli doleva, ed è ricoperto di sangue.
Reprimo a fatica un urlo, e gli balzo davanti.
- Che cosa hai fatto?? - gli grido.
Lui mi guarda con aria afflitta, poi si appresta a ricoprirsi la ferita.
- Fermo! - gli urlo, afferrandogli il braccio sano.
- Ehi! -
- Stefan, se non disinfetti subito quella ferita ti verrà un’infezione! -
Fino ad adesso ho scherzato, ma quando serve sapere veramente il tedesco rimpiango di non averlo mai studiato.
- Salbe! - dico. Non so come si dice disinfettante, ma cerco di avvicinarmi il più possibile alla parola, per farglielo capire in qualche modo. - Arznei! -
Stefan mi guarda come se fossi matta.
- Wasser! -
- No! - mi dice, ritraendosi.
- Stefan! Devi curare la ferita! -
- Laß mich! -
- Stefan! -
Lui si gira prontamente e si ricopre
Mi giro verso la bibliotecaria, che ci guarda stupita.
- Per cortesia mi aiuti! - dico - deve andare in pronto soccorso, si è ferito! -
- Ehm - mi dice lei - non so parlare il tedesco -
- Almeno ha qualcosa per medicare? Qualsiasi cosa! La prego! -
Non mi sono mai sentita così preoccupata per Stefan come in questo momento (non che lo sia mai stata, eh, a parte quando è sparito dall’edicola).
- No, mi spiace - mi risponde la signora.
- Stefan! -
Lui mi guarda, ma ha un’aria così afflitta che sembra che stia per morire.
- Du sollst… ehm… in… im… in der… ehm… Krankenhaus gehen! -
- Nein! - mi risponde lui.
Alla fine mi inalbero e urlo:
- Stefan, tu ora o mi segui e medichi quella ferita o, giuro, io ti faccio a pezzi! -
Stefan sostiene il mio sguardo.
Io giuro che quando sarà guarito lo maciullerò!
- Mi scusi, ha un bagno? - dico alla signora.
- Sì, da quella parte - mi risponde lei.
Prendo Stefan per il braccio illeso e lo trascino in bagno.
- Ferma! - mi dice lui - cosa fai?! -
- Dammi il braccio - gli ordino, e, senza aspettare risposta, lo prendo e lo metto sotto l’acqua corrente del rubinetto.
Stefan lancia un urlo che a momenti lo sentono anche per strada. Cerca di ritrarre il braccio, ma io lo trattengo.
- È per il tuo bene! - gli dico, ma tanto lui non capisce.
Quando, finalmente, tutto il sangue è stato sciacquato, posso chiaramente vedere la ferita: non è nulla di grave, ha solamente il braccio sbucciato. Però deve fare male.
Stefan ha le lacrime agli occhi. Sì, deve fare proprio male.
- Ehm… - dico. Mi schiarisco la voce e torno al mio tono normale. - Non perché tu mi voglia male, ma è meglio se andiamo in farmacia, così prendiamo una garza con cui fasciarti il braccio. -
Stefan non risponde e, con le lacrime che tentano di tutto per scivolargli flebili sulle guance, si asciuga il braccio con della carta igienica.
- Stefan - dico, riacquistando mano a mano il mio tono burbero. - Ora - scandisco bene le parole - andiamo… in… farmacia. Farmacia, capito? Apotheke. Wir gehen… -
- Ho capito! - mi blocca Stefan.
Eh, sta calmo! Non c’è bisogno di arrabbiarsi in quel modo!
Quando usciamo dal bagno, la bibliotecaria ci guarda furtivamente, ma appena ci vede si ricompone subito. Ci mostra un sorriso eloquente e ci dice:
- Tutto a posto? -
“No, per niente”, vorrei dirle.
- Sì, è tutto okay - rispondo, invece.
Prendo i miei fogli e, salutandola, esco.
Che giornata che mi si presenterà davanti! Temo già il peggio.
- Ora, Stefan - dico - prima di andare in farmacia devo fare una chiamata. -
- Come? -
Che balle, dopo due ore che è con me un po’ di italiano potrebbe capirlo!
- Io devo chiamare - sillabo. Poi mi avvicino ad una cabina telefonica poco distante.
Stefan mi aspetta fuori, e questa volta mi auguro che non crei casini!
Digito il numero verde, ma risulta occupato. Riprovo un po’ di volte, ma al momento tutti gli operatori sono occupati. Sbuffo ed esco dalla cabina telefonica.
Stefan mi guarda in cagnesco.
- Allora? - mi chiede.
- Togliti quell’espressione ebete dalla faccia - gli rispondo - andiamo in farmacia. -
Lo prendo e lo trascino per un braccio.
- Mi scusi - dico ad un passante - sa indicarmi dove posso trovare la farmacia? -
Lui mi sorride.
- Sempre dritto - mi risponde.
- La ringrazio. -
- Si figuri! -
Proseguo secondo le informazioni.
- Dunque, Stefan - comincio.
Ma lui, scettico, inarca le sopracciglia e si volta da un altro lato.
Enormemente infastidita, lo afferro per la manica della sua Broke* e lo volto verso di me.
- Non osare ignorarmi! - dico.
Non credo che Stefan abbia capito, ma non importa.
- Dunque, stavo dicendo: ho intenzione di farmi capire da te in questo momento: la situazione è critica. Brutta situazione. Sono quasi le due e mezza, e noi non siamo ancora saliti su un pullman che ci riporti a casa. Sono le due e mezza e noi siamo ancora a Bergamo. Considerando che io mi sono già quasi fatta investire, tu ti sei già fatto male, io ho già rischiato di uccidermi con uno skate, le probabilità che ci succedano altre cose spiacevoli mentre siamo qui sono alte. Ci sono già successe brutte cose e potrebbero succederne altre. Ora, ho qui gli orari del pullman, ma preferisco chiamare, non si sa mai. Cercheremo di tornare a casa il più presto possibile, dopodiché tu sparirai dalla mia vita, è tutto chiaro? -
Stefan contrae il volto in una smorfia, dopo, incerto, annuisce. È chiaro che ha capito metà discorso, ma ha cercato di aiutarsi con la logica. È la prima volta che la usa in tutto oggi.
Dopo un po’ che camminiamo, raggiungiamo finalmente la farmacia. Io entro, afferrando il polso a Stefan, per assicurarmi che non scappi.
- Salve - dico al farmacista - vorrei una garza e del disinfettante… -
- No! - urla Stefan, ritraendosi.
Io lo osservo confusa.
- Ehm… non si preoccupi, ha paura del bruciore. Comunque, l’ho già sciacquato sotto l’acqua, può bastare? -
Il farmacista si porta una mano sotto il mento e assume una faccia dissuadente.
- È sempre meglio curare la ferita. La posso vedere? - chiede.
- Oh, ma certo - rispondo, strattonando Stefan e obbligandolo a mostrare il braccio.
Dopo averla osservata, l’uomo si ritrae leggermente e dice:
- È un brutto graffio, ma per fortuna è superficiale. Va curato, non ci sono santi che tengano. -
Potrei stare zitta, ma qualcosa mi convince a fare da interprete.
- Stefan, devi essere curato - scandisco.
Lui scuote il capo.
- Sì! - gli ordino. Poi mi rivolgo verso il farmacista: - non è che lo potrebbe fare lei? Io non ho molta dimestichezza con queste cose. -
- Certo… se il suo amico si lascia curare. -
- Oh, no, no! Ha capito male, lui non è mio amico! È solo uno stolto che… -
L’uomo mi guarda torvo. D’accordo, forse non è rilevante.
- Certo - (e strattono di nuovo Stefan per il braccio) - che si lascerà curare. Vero Stefan? Prego, proceda. -
Lui annuisce.
- Laura, portami cotone, acqua ossigenata e una benda, per cortesia! -
Una ragazza sbuca da una porta che da nel retro farmacia.
- Ecco a te, Gabriele. - dice, porgendogli il materiale.
- Grazie. -
Laura scompare di nuovo nella porta dalla quale è uscita, lasciandoci soli.
- Dunque - dice Gabriele - vogliamo curare questa ferita? -
Stefan scuote la testa in segno di no. Sì, come se avesse capito il significato della frase. Il farmacista avrebbe potuto anche chiedergli se aveva intenzione di vivere per tutta la vita che Stefan avrebbe comunque scosso la testa. Quanto è stupido quel ragazzo.
- Stefan, taglia - dico io improvvisamente.
Non credete che l’abbia fatto per lui, semplicemente ho fretta di prendere il pullman.
Perdendo la pazienza, prendo l’austriaco per una manica e avvicino il suo braccio a Gabriele, che mi sorride.
Mentre gli cura il taglio, rimango di stucco: Stefan non fa neanche una piega. Non è giusto, quando gliel’ho passato io sotto l’acqua ha urlato di dolore!!
Finalmente vedo quel braccio a posto come si deve! O per lo meno, come potrebbe esserlo un braccio in quelle condizioni.
Una volta applicata la garza, ringrazio il signore ed esco dalla farmacia, arrabbiata, incavolata, infuriata con Stefan. Ora le prende.





Salbe: pomata.
Arznei: medicinale.
Wasser: acqua
Laß mich!: lasciami!
Du sollst… ehm… in… im… in der… ehm… Krankenhaus gehen: un tentativo per dire “devi andare in pronto soccorso”.
Nein: no.
Apotheke: farmacia.
Wir gehen: noi andiamo.

*Marca di una linea di maglie.


____________________________________________________________________________________

Ed ecco a voi il quinto capitolo (sottolineamo che avevo scritto “canto”. Scusate ma fra scuola, Benigni e adesso anche i dvd io vedo la Divina Commedia ovunque!!).
Spero vi sia piaciuto. Per la prima volta Alice si è premurata di aiutare Stefan, ma non vi preoccupate, smentirà tutto xD!!
Non vi arrabierete, spero, se fino all'inizio della scuola non potrò più postare, ma parto fra due giorni. Vediamo se riesco a postare domani, ma ne dubito. Farò del mio meglio!
Tornando a noi, ringrazio Francy91 per avere aggiunto la storia ai preferiti!!

LaUrEtTa: Stefan, sì, è simpatico, ma di sicuro Alice non lo ammetterà! È fatta così :). E invece Matteo è insopportabile, e Alice non ha torto a dire che le sta antipatico. Ovviamente soprattutto per il fatto della maglia xD.

Shio: prima che Alice inizi a sottovalutare di meno Stefan cascherà il mondo!! sì, come vedi sono finalmente giunti in biblioteca, ma non farti ingannare dal fatto che stiano per prendere il pullman, miriadi di cose capiteranno prima che tornino a casa!!

ehy_Lyla: “un colpo di scemo” xD questa mi è piaciuta. O_O avere tutti dieci in pagella dev'essere un suicidio, e non invidio chi sta tutti i pomeriggi sui libri per guadagnarseli. O.o aiuto!

Jess: bé, le piaceva perché, come ha detto lei, “le apparenze ingannano” :p vedrai che dopo questa esperienza imparerà a giudicare diversamente le persone =)...

Francy91: wow una nuova lettrice =D. Sono molto contenta che la storia ti piaccia ;) fa sempre piacere saperlo. Stefan è mitico! È il mio personaggio preferito :). Ed ecco che abbiamo trovato la nostra Alice :p è sempre divertente quando un lettore si identifica in un personaggio ^^.

Kokky: spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo ^^ ci sto mettendo del mio meglio. Concordo, le persone che indossano indumenti di gruppi che non conoscono sono a dir poco odiose!! Matteo in particolare xD. Bè, l'unica persona in questa storia che non ha ragione su Stefan è Alice, perchè non si può non volere bene a Stefan, è così tenero!! XDXD

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Capitolo 6
*** Alla fermata del pullman ***


6. Alla fermata del pullman.


Quando usciamo dalla farmacia alcuni raggi di sole mi sfiorano il volto. Fa abbastanza freddo. Del resto, non è il massimo trovarsi in mezzo a Bergamo a metà dicembre.
Osservo Stefan: ha finalmente il braccio “messo bene”. Almeno non si vede più il sangue (credetemi, non ero preoccupata per lui: mi faceva solamente impressione).
- Ti ci voleva tanto?? - gli chiedo, incamminandomi.
Devo tornare alla cabina telefonica per chiamare il numero verde. È più comodo, ma anche perché guardare gli orari sul foglio che ho preso sarebbe troppo semplice. Io sono una che con le cose semplici non va molto d’accordo: ad esempio, sarebbe stato troppo semplice andare dall’autista del pullman e chiedergli se per cortesia si poteva fermare, visto che avevo preso il pullman sbagliato. Oppure, sarebbe troppo semplice mollare Stefan da qualche parte, svignandomela furtivamente senza che lui se ne accorga.
Però potrei comunque farci un pensierino…
Qualche minuto più tardi giungo davanti alla cabina telefonica, estraggo un po' di monete e compongo il numero per contattare il servizio che mi fornirà gli orari dei pullman.
Questa volta non devo attendere molto: risponde una signorina, che dà l'idea di essere una con la puzza sotto il naso.
Buon giorno, sono Barbara” dice, con voce altezzosa.
Allora io, con voce sprezzante, rispondo:
- E io sono Alice. -
Segue un attimo di silenzio.
In cosa la posso aiutare?” aggiunge lei.
Così sì che va bene.
- Ho bisogno di sapere gli orari dei pullman. - dico.
È ovvio” dice Barbara con voce secca “non starei qui altrimenti”.
- Per quanto mi riguarda, potrebbe anche andare a… Stefan!! -
Come se avesse intuito quello che stavo per dire, quello sciocco mi ha presa per un braccio e mi ha separata dalla cornetta. Okay, per una volta (ehm…) riconosco che ha ragione. Ma non lo darò a vedere.
- Togliti - gli dico. - Scusi, stavo dicendo… pronto? -
Quella scorbutica operatrice ha riagganciato. Potrei denunciarla!
Alcune monete cadono nello scatolino del resto, quindi le raccolgo e le caccio con foga nel telefono e digito nuovamente il numero.
Questa volta risponde un ragazzo più cortese.
Salve, sono Giulio, in cosa posso esserle utile?”
- Può dirmi se ci sono pullman che partono da Mozzanica o dintorni e arrivano fino a Brescia? -
Attenda un secondo che controllo.”
- Faccia pure. -
Dopo interminabili ore di attesa (in realtà è passato meno di un minuto) Giulio riprende la parola:
Mi spiace, non ce ne sono.”
- Non ho neanche la possibilità di cambiare pullman? -
Aspetti che controllo.”
Ci risiamo.
Più presto di quanto mi aspetti, mi dice:
Deve prendere il prossimo pullman che va ad Isso (passa fra mezz’ora da Mozzanica), cambiare dove le ho detto, aspetti… in poche parole da qui a Brescia deve cambiare ad Isso, Calcio, Rovato e poi Brescia.”
Rimango un attimo interdetta.
- Qualcosa di più semplice? - chiedo.
Aspetti che controllo.”
Dio santo, che argomento ridondante.
Sento Giulio digitare sulla tastiera dall’altra parte del telefono. Di sottofondo, si odono le voci degli altri operatori che gracchiano.
Poi la voce del mio mi riscuote.
Sto controllando…”
Fai pure con calma, eh, non ti preoccupare, io sto solamente aspettando al telefono! E nel frattempo io sto pagando la telefonata con i soldi che mi rimangono.
Dunque” dice finalmente Giulio “Se ha pazienza di aspettare fino alle cinque e mezza del pomeriggio, c’è un pullman che la porta fino ad Antegnate, dove cambierà. E dovrà cambiare ancora a…”
Altri dieci minuti ad aspettare la sua risposta.
A Chiari. Poi basta, arriverà a Brescia.”
- Ha detto che passa alle cinque e mezza questo pullman? -
Sì. E l’altro alle tre.”
- Considerando che con quello delle tre dovrò cambiare più volte, c’è la possibilità che, sia con l’uno che con l’altro, arrivi più o meno alla stessa ora? -
Direi proprio di no.”
- D’accordo la ringrazio. Arrivederci. -
Arrivederci e buon viaggio.”
Riaggancio il ricevitore e mi volto verso Stefan, rimanendo leggermente sconcertata: mi sta facendo una radiografia completa. E la sua espressione è di un ironico che non mi piace affatto.
- Vuoi il poster?? - gli dico, scansandolo.
Lui inarca un sopracciglio.
- Seguimi - gli ordino, poi mi incammino.
- Dove andiamo? - mi chiede.
- A prendere il pullman - rispondo io.
- Dove? -
- Ora lo chiedo… mi scusi - fermo un passante - sa per caso indicarmi dove si trova la fermata dei pullman? -
Il signore mi fa un vago sorriso.
- Sì, proprio davanti a te - mi dice.
- Oh… grazie. -
Effettivamente, a un metro da me c’è una pensilina. Ma perché io devo sempre fare queste figure?? È colpa di Stefan. È sempre colpa sua.
Mi siedo sulla panchina e aspetto che passi il pullman. In realtà l’operatore Giulio non mi ha detto qual è, ma io chiederò a tutti gli autisti dei pullman che si fermeranno se va ad Isso.
Qualche secondo dopo, Stefan si siede accanto a me. Estrae l’i-pod e si infila le cuffie nelle orecchie, appoggiando la testa alla pensilina.
Ecco, bravo Stefan, così non mi dai fastidio.
Però il suo lettore mi attira… diamine, se l’avessi qui anche io! Forse però… tramite il cellulare… se ho qui le cuffie…
- Tu piace Rancid? - mi chiede Stefan, rianimandosi. Poi si corregge - a te… piacciono i Rancid? -
Per aver studiato italiano ed essere venuto qui in occasione degli scambi culturali, dovrebbe anche sapermi chiedere “che sorta di musica ti piace?” (io in inglese lo so dire: “what kind of music do you like?”. Chiudiamo la parentesi del “so-tutto-io”). Però la domanda che ha fatto lo sdebita.
- Sì, molto - rispondo.
In realtà vorrei esultare, cantare le loro canzoni a squarcia gola, iniziare una pappardella su di loro, ma il fatto che Stefan non capisca niente mi costringe a parlare quasi a monosillabi.
- Li conosci? - gli chiedo, incrociando le dita che almeno la parola “conoscere” la comprenda.
- Sì - risponde lui.
Rimango stupita dalla sua risposta. Stefan conosce i Rancid??
Lesto, si toglie un auricolare e me lo porge. Curiosa lo prendo e ascolto. Non ci credo! Questa è una loro canzone! È bellissima!
Non so cosa dire: tutto ciò che vorrei esprimergli sono frasi “cirilliche”…
Allora sorrido. Ma non a lui, alla canzone.
- Bé… - dico - bene… i Rancid sono molto bravi. Altri gruppi? -
Dopo aver cercato di tradurre la frase, lui fa scorrere col pollice le tracce del suo i-pod, poi si blocca e preme play.
- Loro - mi dice.
Non mi pare di conoscerli.
- Mhm… non li conosco - dico.
- The Addicts - mi risponde.
No, non li conosco, però mi piacciono.
Bé, almeno su qualcosa Stefan si sta dimostrando un non stolto. O per lo meno, non quanto Matteo.
- Conosci… ehm… artisti italiani? - gli domando.
Lui mi guarda senza comprendere.
Okay, ritiro tutto quello che ho detto. È veramente una noia cercare di parlare di begli argomenti dovendoli ridurre all’osso per farli capire ad un’altra persona.
- Gruppi italiani? - ripeto, sillabando lettera per lettera.
- No - risponde secco.
Che permaloso! Io alcuni artisti tedeschi li conosco!
- No perché non li conosci o perché non ti piacciono? -
- Eh? -
- Non fa niente. -
Non tenterò mai più di aiutare un austriaco (o qualsiasi altra persona parli solo il tedesco) che sta per finire a Milano. Mai più. E ho detto tutto.
Sto per qualche minuto in silenzio, poi riprendo:
- Dai, non ci credo che non conosci gruppi come Punkreas, Derozer, Porno Riviste… anzi, in realtà ci credo, perché quasi neanche l’Italia li conosce, però ti perdi tutto il gusto della musica Italiana! -
Stefan si stiracchia, poi si rimette le cuffie nelle orecchie.
Bé, grazie per l’attenzione.
Allora rimango ferma a meditare.
Forse potrei estrarre il mio bellissimo block notes ed iniziare a buttare giù qualche schizzo. Bé, devo dire che nell’arte sono assolutamente portata (che modesta, eh eh).
Tutti mi dicono che sono sprecata per fare un liceo scientifico, mamma per prima, ed infatti l’anno scorso, quando sono stata bocciata, avevo una mezza idea di andare a fare la Scuola D’arte, ma mi sono fatta prendere dall’angoscia di non rivedere più Arianna e tutte le altre mie amiche. Bé, una stupidata. Tanto da grande andrò a fare l’Accademia.
Una volta impugnati foglio e matita, inizio a disegnare. Amo disegnare fumetti, e l’atmosfera di oggi mi ha ispirata.
I miei schizzi, infatti, riportano un pullman in corsa, un ragazzo dai capelli disordinati con un punto di domanda fluttuante sulla sua testa, un ragazzo sullo skate che va a sbattere contro ad un palo e una ragazza scocciata, con le mani sui fianchi e una goccia sulla guancia, stile cartoni animati. Inutile specificare che si tratta di me, Stefan e Matteo a Bergamo.
Devo dire che mi è uscito decisamente bene.
Stefan, dopo un po’, alza gli occhi e osserva il mio disegno.
- È bello - dice.
Bello? Solamente bello? Io direi che è magnifico, stupendo, ineffabile, di un talento inestimabile… va bé, forse sto esagerando.
- Lo so - rispondo, con fare altezzoso. È troppo divertente.
Negli auricolari di Stefan risuona senza dubbio una canzone dei Sistem Of A Down. Si assorderà, così, la sento addirittura io!!
Poco dopo, vediamo arrivare un pullman.
- Isso - dice Stefan, leggendo la scritta a caratteri cubitali.
- Molto bene - dico, alzandomi con un sorriso. Stringo ancora in mano il mio schizzo.
Però c’è qualcosa che non mi quadra. Il pullman… si sta fermando sul lato opposto della strada… Oh mio Dio! Siamo fermi alla fermata sbagliata!
Anche Stefan capisce la situazione, infatti si sta accingendo ad attraversare la strada, ed io mi appropinquo a lui, ma l’autobus riparte.
Siamo fregati.

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Ta da! Ho aggiornato velocemente?? =D Come promesso, sono riuscita ad aggiornare oggi, così mi faccio perdonare perché non aggiornerò più fino all’inizio della scuola.
Purtroppo ho un’altra notizia non bella: il sesto era l’ultimo capitolo già pronto contemporaneamente alla pubblicazione dei precedenti, perciò, a meno che io non abbia un computer laggiù con il quale portarmi avanti, i prossimi capitoli li dovrò scrivere man mano che li pubblico, e il che avverrà lentamente, poiché la scuola mi impedisce.
Comunque, adesso inizio a scrivere il settimo, e spero che nel giro di un paio di mesi riuscirò a postarli tutti!!

Kokky: :p nonostante la paura di deludervi sempre con i nuovi capitoli vedo che la fic ti piace sempre e comunque ^^ e mi fa molto piacere. In fondo Alice non è antipatica, solo che dovrebe essere più aperta, e alla fine vedrai che Stefan le starà simpatico, anche se sarà moooolto difficile ammetterlo eh eh... in fondo, un ragazzo come Stefan, come può stare antipatico??? xD

Shio: e spero che i prossimi capitoli saranno ancora meglio! =) Sì, Stefan si è fatto male, ma non è nulla di grave, guarirà presto... ho aggiornato abbastanza alla svelta per i tuoi gusti?? ^^

ehy_Lyla: bé sì, ormai è chiaro che i protagonisti non si muoveranno da Bergamo fino alla fine della storia :p e mi fa piacere che ti piaccia molto anche questo capitolo ;). Alice si è preoccupata per lui, ma si è già anche riveduta xD più orgogliose di lei non ne esistono!!

Francy91: e oggi ho aggiornato ancora più alla svelta =D. xD Alice è capace di combinarne di ogni, e alla fine affibbiare la colpa comunque a Stefan! Poveretto, lui non fa altro che subire in silenzio!! xD

Jess: Alice non sta massacrando Stefan, peggio! Lo sta abbattendo moralmente (e fisicamente, secondo me progetta un omicidio muhauhauhauha). No dai non è così perfida da pensare "si arrangi" in una situazione simile, ma che fosse colpa sua lo ha comunque pensato ih ih.

LaUrEtTa: nuuu povero Stefan!!! xD E' Alice che progetta la sua morte!! Lei non è una pazza isterica, è un'assassina psicopatica che ha steso un progetto dettagliato dell'omicido di Stefan!! XDXD

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Capitolo 7
*** Una reazione... alquanto inaspettata ***


7. Una reazione… alquanto inaspettata.

Accidenti! Abbiamo perso il pullman. Dio santo, sono una stupida! Il pullman è passato dalla parte opposta. Noi eravamo fermi sul lato sbagliato della strada. E indovinate, ormai ci potete arrivare: di chi è la colpa? Di Stefan! È sempre colpa sua, non chiedetemi come e perché, sappiate solo che è assolutamente colpa sua.
Bé, lo potevo anche lasciare a morire nella sua pozza di sangue, almeno non avrei perso il pullman. D’accordo, forse questa era esagerata.
- E ora? - Stefan mi riscuote dai miei pensieri.
- Cazzo, Stefan, abbiamo perso il pullman! Te ne rendi conto? E adesso come facciamo a tornare a casa? Quella era la nostra ultima possibilità! Siamo bloccati per sempre a Bergamo! Chiameranno la polizia per la nostra scomparsa! Non ci vedrà più nessuno sulla faccia della terra! Capisci?? -
- Eh? -
Confortante sapere che lui abbia prestato molta attenzione al mio discorso.
Ormai devo farci l’abitudine.
Mi volto, e noto con imbarazzo che la gente è ferma a osservarci. Forse il mio discorso melodrammatico era un po’ troppo iperbolico.
- Cosa… facciamo? - mi chiede Stefan. Dio, parla a monosillabi. Sembra uno che è appena stato attraversato da un bolide.
- Stefan - dico io - siamo spacciati. -
- Cosa? Non capisco. -
- Si dice “non ho capito” non “non capisco”. “Non capisco” è presente, tu devi parlare al passato. “Non ho capito”, si dice “non ho capito”. -
Mi blocco. Forse il mio discorso non è del tutto sensato.
- Cosa facciamo ora? - mi chiede nuovamente Stefan.
- Bé… direi di aspettare un altro pullman per Isso - rispondo io, e mi siedo di nuovo sulla panchina.
Stefan mi ricopia, e sta per infilarsi gli auricolari nelle orecchie, quando, con aria di chi la sa lunga, mi dice:
- Siamo… dalla parte… sbagliata. -
Diamine, è vero. Devo riconoscere che per un(’altra) volta ha ragione.
- Forza, andiamo - dico, per nascondere un po’ l’imbarazzo.
Con cautela attraversiamo la strada (ormai credo di avere imparato la lezione) e ci fermiamo alla fermata giusta. Siamo fortunati che si trovi proprio di fronte a quella sbagliata, o altrimenti non ce ne saremmo neanche accorti!
Rifletto: cosa possiamo fare? Non ho intenzione di aspettare fino alle cinque e mezza. Però, d’altronde, se non c’è altra alternativa…
Mi squilla il cellulare.
Sussultando, lo estraggo dalla tasca e leggo sul display:

MAMMA

Perfetto. Se mia mamma mi becca è la mia fine.
- Zitto - dico a Stefan, che sta tacendo inesorabilmente.
Devo mentire alla perfezione. Diciamo che ho ottime doti come attrice.
Mi schiarisco la voce e rispondo:
- Pronto? -
Ciao tesoro, sono io.”
- Ciao mamma! Come va lì a Pavia? -
Va tutto bene, il convegno è stato interessantissimo. Abbiamo appena finito adesso l’ultima conferenza della giornata.”
- Ah, molto bene. -
Che cos’è questo casino che sento? Sei all’aperto? Tu non dovevi rimanere a casa a studiare?”
- Ehm… oggi ho avuto i corsi extra-curriculari . Spagnolo. Abbiamo fatto spagnolo. -
E quando mi fatto firmare la circolare, scusa? Non mi hai parlato di nessun corso POF.”
- Ma sì, era fra una di quelle circolari che ti ho fatto vedere mercoledì mattina. -
Quelle che mi hai fatto firmare di tutta fretta?”
- Ehm… sì. -
Mhm… me lo potevi dire che avevi il corso di latino, oggi.”
- Spagnolo, mamma. Bé, me ne sono ricordata stamattina. -
E avevi con te i soldi per il cibo?”
- Al bar della scuola è tutto molto conveniente, avevo con me 1.50 €. -
E che cosa ti sei presa con 1.50 €?”
- La pizza e il the. -
D’accordo. Però quando finisci torna a casa.”
- Sì, ho finito giusto ora. Stavo salutando le mie amiche. -
Niente scuse, ora fila a casa. Devi studiare, ti ricordo che quest’anno non devi avere debiti. Perché non fai un po’ di esercizi di matematica? Hai preso cinque nella verifica, e un altro cinque è inammissibile!”
Ops. E ora che cosa le dico? “Mamma ho preso quattro”? No, mi ucciderebbe.
- Sì mamma, vado a casa a studiare. Ah, domani pomeriggio ho tiro con l’arco. -
Sì, di quello me ne ricordo. Comunque, io ti ho chiamata per dirti una cosa.”
- Cioè? -
Siccome le prossime conferenze non riguarderanno il mio campo, sarà a casa per sera.”
E io come farò a non dirle del quattro??
- Oh, davvero? - cerco di sembrare piacevolmente sorpresa - e per che ora sarai a casa, approssimativamente? -
Per le sei.”
Mi paralizzo. Per che ora?
- Ah… ehm, d’accordo, allora ci vediamo dopo. Ciao mamma. -
Ciao tesoro, ti voglio bene.”
Chiudo la telefonata e rimango per qualche secondo attonita a guardare la strada.
Rifletto sulla situazione: abbiamo appena perso il pullman che dovevamo prendere. Ci metteremo circa un ora ad arrivare a casa. Mia mamma tornerà fra tre ore, il prossimo pullman passerà fra due ore e mezza. La situazione non è un po’ critica?
È chiaro che non ci siano più soluzioni. Sono disperata, non so cosa fare. Anzi, so cosa fare: niente.
- Cosa… è successo? - mi chiede Stefan, avvicinandosi.
- Sono finita - mormoro.
- Cosa? -
- Stefan… oddio, questa è veramente la mia fine! - inizio a fare la disperata, ma non so perché. Demoralizzata, mi butto al collo di Stefan. - Stefan, sono morta, finita, per sempre! Mia mamma mi beccherà che non sono a casa e mi impedirà la fuga per l’intero anno scolastico! Addio divertimenti, amiche, uscite il pomeriggio e i sabato sera! Addio alla mia vita spensierata! Chiamerà subito a scuola per chiedere un colloquio con ogni professore, e scoprirà dei quattro in fisica, matematica e chimica che gli ho tenuto nascosti! Per non parlare del due in latino e del cinque in francese! Scoprirà che è dall’inizio dell’anno che non faccio una sola lezione di educazione fisica! E che di tutti i corsi POF a cui mi sono iscritta (tiro con l’arco, teatro, danza) non ne ho mai frequentato uno, ma erano solo scuse per uscire con le amiche! Insomma, Stefan, capisci, da questa sera la mia vita finirà! E questo perché? Prova ad indovinare? -
Mi rendo realmente conto di essere abbracciata a lui e mi stacco all’istante, con una nota di imbarazzo negli occhi.
La mia voce si fa cattiva.
- Indovina perché, Stefan? - dico, aspra - per colpa tua! -
Stefan mi guarda sconcertato. Non ha capito il mio discorso, ne sono sicura, ma ha appreso al volo che non era né un elogio, né un elogio rivolto a lui. Chissà perché, ha imparato ha distinguere quando sono incavolata realmente e quando lo faccio solo per scherzare (ed è divertente… sono sadica).
- Io… io cosa? - cerca di dire. È terrorizzato. O almeno così io credo.
- Tu - scandisco parola per parola - sei… uno… stolto… -
- Cosa vuol… cosa è… Wie heiḄt “stolto” auf deutsch? -
Io stringo i pugni e digrigno i denti, furiosa.
- Vuol dire… - dico - vuol dire… -
CIAF!
Ho tirato una sberla a Stefan.
- Ecco cosa vuol dire. E prima che tu me lo chieda, auf deutsch “schiaffo” significa che devi stare zitto, e non solo, se mai ti venisse in mente di dire qualcosa di sensato, fallo in italiano. Tutto chiaro? No? Bé, sai quanto me ne importa. Il significato del bruciore sulla tua guancia di sicuro lo comprenderai. E, se ti interessasse saperlo… -
Mi blocco di scatto. Per la prima volta in tutta la giornata (o meglio, in queste tre ore) noto sul volto di Stefan un’espressione arcigna. Avete presente prima, quando mi ha vomitato addosso quella caterva di insulti? Ecco, ora è peggio.
Per un momento penso che sia meglio far retro e fingere di non aver detto niente, però poi mi rivedo e mi vergogno di aver pensato ad una cosa simile.
Bene, se Stefan ha qualcosa da dire lo dica, io lo ascolto: sarà divertente prendersi beffe di lui, che tenterà di parlare, mentre non farà altro che mugugnare a unisillabi parole senza senso. Che cominci, allora.
Quello che ne segue mi lascia piuttosto sconcertata. Mi aspettavo un discorsetto ridicolo fatto di parole gettate a casaccio all’interno della frase; ed invece… bé, non ha neanche fatto qualcosa che somigliasse ad un discorso. O meglio, nulla che c’entrasse con il discorso. Nulla che implicasse l’uso della parola, solo quello dei gesti. Bé, è imbarazzante dirlo…
Stefan mi ha rifilato una sberla.





Wie heibt “stolto” auf deutsch?: cosa vuol dire “stolto” in tedesco?
Auf deutsch: in tedesco.
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Eccomi di nuovo qui, ragazze (perché mi pare che di ragazzi non ce ne siano xD)! Siete contente?? :D. Anche io sono felice di aver finalmente postato, soffrivo di nostalgia giù in Campania :p.
È tipo l'una di notte, e io mi sono impiantata qui a scrivere (perché, giustamente, prima ho finito di vedere Pinocchio “_”). Ed ho già anche iniziato a scrivere l'ottavo capitolo!! Che (si spera) arriverà a breve.
Ringranzio Little Jewel e Pinzyna per avermi aggiunta ai preferiti!! Fa sempre molto piacere ;p.


LaUrEtTa: Stefan e Alice hanno molto più di semplici gusti in comune!! Ma ancora non lo sanno, lo scopriranno col tempo... Più che altro è Alice che è molto scettica e non ha mai pazienza!!

Kokky: :p sissi, Stefan ascolta assolutamente i Rancid! Ed anche altro, sarà quando Alice verrà a saperlo che cercherà di non credere a ciò che il ragazzo le dice in fatti di musica xDD (pazza, vero??). Bè, presto la fic inizierà a diventare più “movimentata”, e quei due si cacceranno in casini a dir poco assurdi! Tipico di due ragazzi che a momenti non si possono neanche vedere ^^.

Jess: bè, sono troppo tordi per rendersi conto di essere sul lato sbagliato della strada! Alla fine, tutto con loro è possibile! Sì, gli Adicts sono proprio quelli che cantano Viva La Revolution! XD Sì bè, diciamo che ovviamente per me che mi piace il punk la musica italiana è rappresentata da quei gruppi, poi è ovvio che ognuno abbia i suoi gusti! Io ho detto il mio parere :D (e quello di Alice xD)

Shio: spero di non averti fatto soffrire troppo con questa lunga attesa :p. Comunque, ora sono qui giusto per aggiornare! Sì, finalmente Stefan e Alice hanno “dialogato” (per così dire) fra di loro, ma comunque ora sono lì che si azzuffano O_o... bè, vedrai come andrà a finire questa zuffa!

Ehy_Lyla: sì, fai bene a dubitare che Alice diventi più gentile, hai visto come è andata a finire infatti! Bè, ne inventeranno di ogni per andare a casa (credimi, anche le più assurde, ma Alice è più che risoluta a fare ritorno prima che arrivi sua mamma!), perciò ci ritorneranno, vedrai!

Pinzyna: una nuova lettrice =D. Sono molto contenta!! Mi fa molto piacere che trovi questa storia divertente :D, anche perché sono partita con l'idea che fosse banale. Quindi Alice ti sta molto simpatica :p bene! Nuu, povero Stefan xD scorbutico ihih. Diciamo che Alice lo sottovaluta un po'... un po' tanto XD. Ma alla fine (fine fine) diventeranno entrambi più tranquilli l'uno con l'altra :p spero che il seguito della storia ti piacerà!

francy91: bene, bene, addirittura stupenda! =D. Davvero li conosci quei gruppi italiani?? Perché purtroppo al giorno d'oggi praticamente quasi nessuno in Italia li conosce... dopo, come ho detto a Jess, io ho espresso il mio parere sulla musica italiana, ognuno ha i suoi gusti! xDD


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Capitolo 8
*** Una ragazza un po' schizzata ***


Devo scusarmi con tutti voi: questo capitolo è stato completato sabato notte, ma io non sono riuscita a postarlo fino ad oggi per via di impegni scolastici e di un piccolo litigio con il mio gattino (sì, praticamente il mio pollice è andato ed era faticoso scrivere xD)

8. Una ragazza un po’ schizzata.



Sono impalata immobile davanti a Stefan, gli occhi sgranati.
Una profonda indignazione si impossessa del mio orgoglio, mentre un brivido mi percorre la schiena.
Non è possibile che sia successo.
Faccio un piccolo riepilogo: Stefan mi ha tirato uno schiaffo! Voglio dire… Stefan mi ha tirato uno schiaffo! STEFAN mi ha tirato uno schiaffo. Stefan.
Subitaneamente, mi ricompongo. Non mi lascerò sopraffare da quel verme neanche per sogno! Vuole la guerra? È guerra sia.
Ha dimostrato di sapermi tenere testa, ma voglio vedere come terrà testa alle mie vendette.
Tanto per cominciare, quando torneremo a casa (se ci torneremo) dirò a Camilla di tenersi pure il suo bamboccio, anzi, se me lo può prestare, visto che la cosa che sa fare meglio è sparlare di lei e del suo naso bitorzoluto (in realtà la cosa che sa fare meglio è parlare in tedesco, ma nel caso lui lo affermi, dirò a Camilla che l’ha insultata in tedesco. “ ‘Camilla ist dumm’, ha detto così, parola mia!”. E quando quella stronza mi sentirà parlare in quella lingua oscena penserà che è vero ciò che dico: non mi penserebbe mai all’altezza di formulare una frase di senso compiuto, nemmeno in Italiano.)
Come seconda cosa, domani a scuola chiederò di sicuro ad Arianna di aiutarmi: diremo in giro che è un bamboccione schifoso, che nel momento stesso in cui ha saputo che si trovava su una corsa diretta per Milano si è accasciato a terra e si è messo a strillare, anziché usare il cervello. Non avrà modo di ribattere, visto che non saprà neanche quello che si dice in giro di lui.
So che queste fantasticherie non le metterò mai in atto, ma è comunque divertente pensarle.
Con esse, la rabbia non è stata smaltita affatto.
Apro e chiudo più volte la bocca per linciare Stefan con qualche ingiurioso scherno, ma la cosa che mi riesce meglio è tirargli un altro schiaffo.
Certo, Stefan non mi ha fatto per niente male, pochi secondi fa; mi ha tirato più che altro una sorta di sberletta. Anzi, devo dire che… non fa niente, più avanti di sicuro lo scoprirete.
In ogni caso, la sua guancia sinistra è dolorante, mentre quella destra (l’ultima che ho colpito) è più color porpora di imbarazzo che un rosso intenso di bruciore.
La mia seconda manata ha fatto arrossire Stefan? Questa è simpatica, me la devo di sicuro segnare.
In ogni caso, non ho intenzione di compatirlo, quindi mi metterò a strillare.
- Tu mi hai… tu mi hai… picchiata! - cerco di fare la melodrammatica.
- Anche tu! - ribatte Stefan, indignato - due volte! Zwaimal! -
Cavolo, non lo facevo capace di dire tutte queste cose!
- Se tu, per una buona volta, la smettessi di parlare in tedesco, non ti avrei tirato quel ceffone! - gli dico, disgustata. - Anzi, smetti proprio di parlare! -
- Stai zitta! -
Come dice??
- Prego? - gli dico io, fingendo di non averlo sentito.
Di tutta risposta, lui si volta da un’altra parte e non mi guarda.
Sento la rabbia percorrermi tutta fino alla punta dei capelli.
Lo afferro per una spalla e lo giro verso di me.
- Tu - gli dico - non osare voltarmi le spalle! Ti sto parlando! Guardami! -
- Lascia me! - dice lui, liberandosi dalla presa.
- No! - la mia voce sta aumentando di tono.
Lo afferro per un braccio e lo costringo a guardarmi.
- Lab mich! LAb MICH! -
Sentendolo urlare, la gente si gira verso di me.
Io arrossisco leggermente.
Non lascerò per nessun motivo al mondo che Stefan mi metta i piedi in testa. Nessuno può farlo! Se la gente mi guarda, me ne frego.
Stefan si libera così furiosamente dalla presa, che le mie unghie gli raschiano la pelle. Poi, mi guarda in cagnesco, e io ricambio.
Almeno mi sta guardando (ed è il mio obbiettivo, perché che senso avrebbe infamarlo se non mi guardasse nemmeno?)
Ma prima che possa dire altro, si appoggia al muro ed estrae il suo lettore.
Vengo pervasa dalla rabbia e dalla collera. Se poi mi vengono a dire che sono una ragazza iraconda, che diano la colpa a Stefan! Poi ci penserà Dante a spedirmi nel quinto cerchio dell’inferno.
- Tu sei - inizio a dire - tu sei… - non mi vengono neanche le parole per esprimere che razza di essere inutile è!
- Tu sei un essere ignobile! - gli urlo - sei umile! Sei meschino! Sei uno stupido, Stefan! Uno stolto! Non hai nemmeno il coraggio di dirmi in faccia tutte le cose che pensi! Ops, scusa, forse volevo dire “capacità”. E questo perché sei un ignorante! Un verme sei, ecco che cosa sei! -
Mi passo una mano fra i capelli. Vorrei tanto tirargli un altro ceffone, poi prenderlo a scarpate. Lo vorrei uccidere!
Odio Stefan con tutto il mio cuore!
- Tu non servi a niente! - riprendo - solo a sputare insulti addosso alle persone! E sai cosa ti dico? Perché non te ne torni da quella stupida Camilla? Divertiti con lei! -
- Senti, tizia - dice una ragazza dai capelli rossi alle mie spalle.
Mi giro di scatto verso di lei, un po’ imbarazzata. Effettivamente, stavo sbraitando.
- È un vero peccato interromperti, ma non so se hai notato che il tuo ragazzo ha la musica nelle orecchie e non ti sta filando di striscio, perciò se anche eviteresti di urlare invano non infierirebbe. -
Adirata, osservo Stefan dall’alto in basso; ma, come diceva la ragazza, mi sta totalmente ignorando. Io quello lo distruggo.
M tranquillizzo un attimo, e sorrido alla ragazza.
- Scusa, non volevo disturbare. - dico.
Le sorrido appena.
Lei inarca un sopracciglio e mi dice:
- Levati quell’espressione falsa dalla faccia. -
Rimango leggermente interdetta.
- Come scusa? - le chiedo, perplessa.
- So che in realtà provi una rabbia tremenda, per via di quel tizio - e indica Stefan - quindi, so che è un sorriso sforzato il tuo, e che in realtà mi vorresti solo sbraitare addosso. -
Rimango amorfa per qualche minuto, poi mi riscuoto e dico:
- Io non ti voglio sbraitare addosso. -
- Ah, no? - mi chiede. Noto che è stupita. - Bé, ma non mi volevi neanche sorridere. -
Questa ha qualche rotella fuori posto.
Tu dille di sì, mi dico; sorridi, annuisci e soprattutto non fare domande.
- Lo so - continua la ragazza - perché so che quando si è in queste situazioni so che si vorrebbe urlare al mondo, so. -
Io so, tu sai e noi sappiamo. Ora sei contenta?
- Ehm - rispondo.
- Lo so, lo so - prosegue lei - ci sono passata anche io. Lo so. So che un tradimento, lo so, è la cosa peggiore. -
- Lo sai. - le dico, evasiva. - No, un momento - aggiungo poi - un tradimento di che? -
- Il tuo ragazzo ti ha fatto le corna. -
Come lo sa?? Questa ragazza è onnisciente?
Sì, ma cosa centra con Stefan? Voglio dire, quella storia risale ormai a tre mesi e mezzo fa! (Senza contare che poi sono uscita con un altro ragazzo.)
Mi schiarisco la voce e cerco di non mettermi a ridere. Quella ragazza mi fa troppo morire.
- Lo so, lo so - mi dice, con aria abbattuta - è difficile da accettare. Lo so. Scommetto, poi, che quella Camilla è una zoccola di prima categoria. -
- Camilla? -
- Sì, l’amichetta con cui è andato il tuo ragazzo. Oh, scusami, ex ragazzo. Lo so. -
Oddio. Sono scioccata. Come ha potuto pensare questa ragazza che Stefan fosse il mio ragazzo?? Sono allibita. Totalmente sconcertata.
- Dunque, dunque - mi dice la ragazza - io sono Elena, molto piacere. -
- Ciao Elena, io sono Alice. -
- Ah, sapevo, sapevo… in realtà, mi davi l’idea di una Gloria, o Gioia. O Gaia. Anche Alba, o Ambra. Oppure… -
- Va bene, va bene! - sospiro esasperata. - Tu invece mi davi l’idea di una svitata - aggiungo a bassa voce.
- Ma sai, lo so, io generalmente indovino i nomi della gente. - Elena continua il suo discorso imperturbabile. - Tipo il tuo amico, sì lo so… lui è uno… -
- Scemo. -
- Come? -
- Niente, niente. Continua pure. -
- Vediamo, vediamo. No, Michele non è. Lo so. Uhm… bella scelta. Gigi? Luigino? Gianni? -
- No! -
- Un nome un po’ più semplice? Dunque… non si chiama Andrea, vero? Neanche Alberto… -
Dio, ma quanto parla questa? Non è capace di stare zitta un momento? Mi verrebbe voglia di tapparle la bocca con un calzino.
Mi volto e vedo Stefan, sempre con l’i-pod nelle orecchie. D’accordo, posso continuare a parlare con Elena in eterno.
Almeno ho trovato qualcuno con cui ingannare il tempo nel frattempo che aspetto il prossimo pullman; scommetto che lei manco sì è accorta che è il tempo è volato via come una foglia. Osservo l’orologio curiosa e sono le… tre e dieci?? Oh mio Dio! Fatela tacere, vi prego!
- Stefano! - conclude finalmente.
Io non l’ho neanche ascoltata.
- Si chiama Alessandro o Stefano. - mi dice. - Nevvero? -
- No - rispondo io - ma ci sei andata vicina. -
- Oh. -
- Il nostro amico in realtà è un austriaco cleptomane. No, non è cleptomane. Camilla è cleptomane: ruba i ragazzi senza ritegno. -
- E per questo dovrebbe essere cleptomane? -
Rifletto un attimo.
- No, però ci stava. -
Elena mi guarda come se fossi scema. Forse dovrei volgerle la visuale su Stefan.
Però, dai, è simpatica.
- In ogni caso, Stefan è cleptomane. - dico, con aria sdegnosa. - No, scusa, volevo dire che Stefan è austriaco. Un pessimo austriaco, devo dire. -
Elena lo guarda con curiosità.
- Il mio cuore è in Süd Tiröl. E comunque Stefan è carino. -
- Non è carino! - ribatto - è… è… -
- Bello. -
- Io stavo per dire osceno. -
- Bello o brutto che sia - mi dice Elena - è comunque un bastardo. Ti ha messo le corna. -
Io taccio. Non so perché, ma è quasi divertente fingere che Stefan sia il mio ex. Sono sicura che così Elena lo odierà di più.
- Bé… sì, è uno stronzo bastardo! - dico.
Tento di avere le lacrime agli occhi, ma tutto quello che mi riesce è scoppiare a ridere, e fingo di starnutire, per mascherarmi.
- Avresti un fazzoletto? - dico, tenendomi le mani sul naso. Sono proprio un’ottima attrice, lo so.
- Oh, sì, aspetta. -
Elena mi porge un fazzoletto e io lo afferro, e mi volto verso la strada, fingendo di soffiarmi il naso. Poi mi blocco, le mani a mezz’aria: dall’altro lato della strada c’è un negozio che prima non avevo notato.
- Elena - dico - a che ora passa il prossimo pullman per Isso? -
- Oh, bé, passa alle tre e mezza. Perché? -
Penso per un attimo: di sicuro perderò quello che mi avrebbe portato a Calcio, ma non fa niente, in qualche modo mi arrangerò.
- Ehm… ho notato quella bella vetrina - dico, indicando il negozio. - Sembra… interessante. -
Elena sorride, e con uno sguardo eloquente mi dice:
- Vuoi andare a dare un’occhiata? Lo so. -
- Molto volentieri - rispondo.
Così, senza pensarci due volte, attraversiamo la strada, dimenticandoci qualcosa… o qualcuno.
Stefan.




Camilla ist dumm: Camilla è stupida.
Zwaimal: due volte.
Lab mich!: lasciami!


__________________________________________________________________________________________________________
Ciao, carissime lettrici!
Innanzitutto, non posso fare altro che scusarmi per l’enorme ritardo, ma la scuola mi impedisce.
Come seconda cosa, per questo capitolo avevo progettato un secondo finale non previsto (del tipo, Stefan viene investito da una macchina, e prima che muoia, Alice accorre da lui e, disperata, ammette di essere follemente innamorata, lui ricambia e si scambiano un dolcissimo bacio. Poi Stefan si spenge). Però ho pensato che fosse un po’ troppo a tinte forti, e comunque far morire uno dei protagonisti mi avrebbe scombussolato un po’ la storia, quindi ci ho ripensato. So che vi starete domandando se sono schizzata come Elena, ma questo sabato sera è andato a… e quindi io sono in vena di delirio assoluto.
Ringrazio momica per avere aggiunto la storia ai preferiti!


Nota fatta nel giorno della pubblicazione: ho appena finito di vedere Lolle, e il fatto che Dennis (o come altro si chiama) sia morto mi ha rattristata, stuzzicandomi a modificare questo finale in uno molto più drammatico di quello che vi ho descritto. Però avete un'autrice magnanima xD che ve l'ha risparmiato.


Kokky: xD sì Alice l'ha fatta grossa, e Stefan ha fatto bene a ritornarle la sberla, però con questa azione si è abbastanza inguaiato... Alice ce l'avrà con lui a morte!


Little jewel:
vedo che questa storia inizia a fare successo!! =D Grazie per i complimenti ;) ce la metto tutta per riuscire a farla apprezzare, sono contenta di quello che pensi!! Già, hai detto bene, Alice persiste proprio nella sua campagna anti-Stefan!! Sarà difficile per lei aprirsi e diventare un po' gentile... con il suo carattere non scoprirà mai quanto lei e Stefan abbiano in comune! Comunque purtroppo Stefan rimarrà lì solo pochi giorni, però la storia si concluderà quando riusciranno a tornare a casa , per cui quello che succederà dopo non si saprà xD


ehy_Lyla: sì, un evento degno di nota... Alice in fondo non ha reagito troppo male, però questa se l'è legata al dito... e il che non va mai troppo bene... muhauhauhauha!!

LaUrEtTa: sì, fra Alice e Stefan nascerà un odio così violento che supererà addirittuta quello fra me ed il professore di Italiano!! (E credimi, quello sì che è odio puro!!). Ma Vedrai che la feccenda si risolverà... mooooolto ma mooooolto regressivamente... ih ih! XD

Jess: hai indovinato, la sberla di Alice è stata almeno 10 volte più forte di quella di Stefan! E se poi ci aggiungiamo, come dici te, la mamma che rischia di trovare Alice fuori casa, il capitolo diventa un bel disastro!! Altro che finale melodrammatico!

Shio: bè, è giustamente tutto merito dell'arguzia di Stefan! O chissà quanti altri pullman avrebbero perso!

Pinzyna: Alice è perfida con Stefan? Nooo, di più!! Molto di più xD. Eh eh, ti piacerebbe sapere la fine?? Perchè succederà che.... xD no dai non sono così bastarda, però ti dico solo che, come si può notare se ci si fa caso, il comportamento ostile di Alice nei confronti di Stefan sta subendo una regressione... bè, altrimenti Stefan potrebbe direttamente impiccarsi!! :p

Dragon-fly: come ho detto a Little jewel, sono contenta che questa fic stia facendo successo!! :D. Bé, è un bene che la pensi diversamente dalla protagonista, ed in effetti Stefan, oltre ad essere troppo dolce *.*, è un ragazzo assolutamente innoquo, l'unico errore che ha commesso è stato quello di trovarsi su un pullman con Alice! xD

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Capitolo 9
*** Il negozio dei propri sogni ***


Premetto che il negozio in questione non esiste realmente, è solamente frutto della mia fantasia (purtroppo).

9. Il negozio dei propri sogni.


Questo negozio è uno dei più belli che io abbia mai visto.
Dire che è fantastico lo offenderebbe. È arcimeraviglioso! No, di più!
Di negozi del genere a Brescia ce ne sono pochi! Esistono Minoia e il negozio della E. in città, sul lago ci sono lo Stroke e il Bazar, poi al centro commerciale Il Leone c’è il 3s.* Ma io credo che tutti e cinque messi assieme non supererebbero comunque la grandezza di questo negozio!
Davanti a me si estende a perdita d’occhio un’esposizione di magliette da uomo. Ce n’è di tutti i tipi. Atticus, DC, Vans, Converse, Emerica, Etnies, Zero… e tante altre! È immenso!
- Allora - mi dice Elena, con un sorriso. - Ti piace? -
- È… - rispondo io - è… irreale! -
Elena scoppia a ridere.
- Lo so, lo so. Sì, sì, lo so. È impossibile da credere, lo so. Che cosa ne pensi? -
Io osservo la ragazza con gli occhi colmi di felicità.
- Che cosa ne penso? - chiedo - penso che non sia meraviglioso, di più! -
Sul volto di Elena compare un altro sorriso, sempre più ampio.
- Lo so! Lo so! - mi risponde, come se fosse tutto grazie a lei.
- Non ho mai visto niente di simile! -
- Già, lo so, ne dubito che qualcosa del genere possa esistere altrove. -
Sto per ribattere che prima di quella “gita” non sapevo neanche dell’esistenza di Mozzanica, ma mi trattengo, raggiungendo il reparto femminile.
- Qua trovi delle cose che non trovi da nessuna parte! - continua Elena, entusiasta.
Io annuisco, però poi mi rivedo.
- A Brescia io queste cose le trovo. Ma in minori quantità. -
- Lo so. Immagino. Eh eh! -
Osservando un po’ tutti i capi di abbigliamento, decido di provare una maglietta della Emily The Strange.
- Quanto costa? - chiedo, sperando che sia almeno la metà di quello che immagino…
- Uhm - mi risponde Elena - c’è scritto. Fa vedere… 43 € -
Guardo prima la maglia, poi la borsa dentro alla quale c’è il portafoglio.
- Eh eh. Bé… direi che ne ho abbastanza a casa. Non fa niente. -
Sarà anche il negozio di articoli punk più grande che abbia mai visto, ma di sicuro è anche il più costoso. A Brescia quella cifra non la spendo neanche per una felpa. A meno che non sia della Carhartt.
- Ma perché non ti provi lo stesso qualcosa? - mi dice Elena, afferrando due felpe, quattro magliette e un paio di pantaloni. - Indossare non costa. Ci sono appunto i camerini. -
- Ehm… d’accordo. -
Sono in un negozio fantastico, dove provare (come del resto negli altri negozi) non costa, ed è così grande che nessuno si accorgerà che ti provi dei capi solo per divertimento.
Quindi io ed Elena ci sbizzarriamo con tutta la nostra creatività.
È bellissimo. Il negozio ha un piano inferiore per le scarpe e gli accessori, ed uno superiore, dove, anche lì, ci sono altri vestiti.
Al primo turno, io mi porto nel camerino cinque o sei capi, fra felpe, maglie, magliette e pantaloni. Mi provo ogni cosa, combino abbinamenti assurdi, e ogni volta che finisco con un vestito, Elena me ne porta un altro.
Poi scendiamo di sotto e proviamo le scarpe. Ce ne sono di tutti i tipi. Dalle classiche Converse nere, alle Vans azzurre mix rosa, alle ballerine di Emily The Strange. Devo averne provato almeno metà negozio.
Alla fine, raggiungiamo esauste l’uscita.
- È stato meraviglioso - dico io, ridendo. - Se solo avessimo avuto più tempo per provare. -
Elena ride, fermandosi prima di uscire.
- Lo so - dice. - Però secondo me con quella berretta stavi da Dio. Dovresti comprarla. -
- È bellissima, veramente - rispondo io - ma non posso comprarla. Non ho i soldi con me. -
- Oh, avanti! - Elena mi da una spintarella - te la pago io! -
- Non se ne parla neanche! Costa anche tanto. Non è giusto che tu vada a spendere 20 € per una berretta! -
- Non sia mai! Per me è un piacere. Lo so. Secondo me la desideri. -
Detto questo, Elena retrocede e si avvicina alla cassa.
- Salve - dice al commesso - vorrei quella berretta nera della DC, quella con i ghirigori rossi. -
Do un pizzicotto a Elena e le dico:
- Non sono ghirigori! -
- Lo so! Ma cosa importa? -
Il commesso le porge la berretta.
- Sono 17 € - le dice.
Dopo aver pagato, usciamo finalmente dal negozio.
- Dai, provatela! - Elena è curiosa, e continua a mettere mano al sacchetto, anche se io lo sposto dalle sue grinfie.
- Un momento, aspetta! - dico, spostandomi e cercando di non farla saltare sulla mia schiena, piombare oltre di me e afferrare il sacchetto. Anche se neanche un cavallo sarebbe capace di fare una cosa del genere. - Adesso la provo! Sei hai pazienza di aspettare che la tiri fuori dal sacchetto. -
- Uff! -
Elena si scansa e mi lascia finalmente un po’ di pace, durante la quale io apro lentamente il sacchetto ed estraggo la berretta.
- Coraggio! - mi dice quella pazza scatenata. - Provatelo! -
- Prima però chiudi gli occhi! -
- Come i bambini piccoli? -
- Se guardi non la provo! -
Elena si gira scocciata verso la vetrina e chiude gli occhi.
- Gne gne gne - borbotta - i bambini di cinque anni fanno così. -
- Chi ti dice che io ne abbia di più… mentalmente? - dico seccata, infilandomi la berretta. - Allora, come sto? -
- Io ho ancora gli occhi chiusi - mi risponde la ragazza, canticchiando.
Simpatica.
Allora mi specchio nella vetrina, per constatare che… faccio proprio schifo.
Devo dire che però la vetrina ci distorce. Io da una parte, con la berretta addosso, Elena dall’altra, con gli occhi chiusi, e fra di noi c’è…
STEFAN!


Come ho potuto dimenticarmi Stefan alla fermata del pullman? No, dico… come ho fatto? Non che provi molta simpatia nei suoi confronti, ma voglio dire… per dimenticarmi di un ragazzo che è sempre stato fermo a meno di un metro da me ce ne vuole!
Ora quel povero essere ignobile è fermo davanti a me, con un’espressione cattiva sul volto, arrabbiatissimo come non lo è mai stato.
Quando ho visto il suo riflesso nella vetrina mi è venuto un colpo: pensavo di starlo immaginando; e io che immagino Stefan è una cosa inconcepibile.
Però ora ho altro a cui pensare. Ad esempio, cosa dirò a Stefan per giustificare il mio comportamento?
So che in genere io non mi dovrei mai giustificare con questo "coso", ma mi rendo conto che il mio modo di agire è stato abbastanza insolito.
- Cosa… hai…? Dove…? - inizia a farfugliare.
Comprendo la sua difficoltà a parlare e lo snobbo… no, va bé, in realtà avrei voluto farlo, ma comprendo che devo dargli delle giustificazioni.
Anche Elena ora ci sta guardando entrambi. Guarda me con espressione “non rammaricarti”, e lui con espressione “ti sta bene, figlio di…”
- Stefan… ehm… mi dispiace. -
- Eh?? - lui alza un sopracciglio. Non capisco se in senso di disapprovazione o perché non ha capito una mazza.
Ma per una volta passiamogliela.
- Ti dispiace? - dice Elena.
Stefan la guarda sorpreso. Non sa che cosa ha intenzione di fare, e nemmeno io.
- Alice… io (lo so) ti biasimo. Profondamente. -
Sono leggermente interdetta.
- Perché mi biasimi? - chiedo, curiosa.
- 'Sto stronzo ti ha messo le corna, e tu gli dici che ti dispiace? -
- Ma non… - mi blocco, rimanendo con la mandibola nella posizione della lettera da pronunciare.
- “Ma non” cosa? - domanda, scrutandomi.
Stavo per dire che non mi ha messo le corna, ma un lampo mi ha attraversato la testa. Anche per il fatto che lei pensa il contrario, ma soprattutto per il motivo che se persisto a non raccontarle la verità:
I) Stefan non lo saprà mai.
II) Elena lo detesterà di più.
III) Se pensassi che Stefan mi abbia veramente fatto le corna con Camilla, io da brava fidanzata lo perdonerei e la matterei in quel posto a Camilla.

Anche se…

Perché dovrei perdonare Stefan?
Anzi, se nella mia mente contorta decidessi di perdonarlo, vorrebbe dire che… diventerebbe il mio ragazzo. Ed è una cosa inconcepibile. Cioè, è una cosa ignobile usare una persona per… ma che mi importa? È Stefan, a lui si può fare di tutto, la cosa veramente ignobile sarebbe andare con lui!
Bleah! Mi viene da vomitare.
- StefanMiHaFattoRipetutamenteLeCornaConCamillaEAncheDiPeggioMaNonEntroNeiParticolariOraPerchéCiStoAncoraTroppoMale -
Elena, Stefan e i passanti mi guardano male.
- Alice (lo so) non ho capito niente di quello che hai detto. Per cortesia, ripeti il tutto molto più lentamente. -
Effettivamente, l’idea mi è venuta così di colpo che l’ho detta a raffica.
- Ho detto che - (riprendo fiato) - Stefan mi ha ripetutamente fatto le corna con Camilla, e anche di peggio, ma non entro troppo nei particolari ora, perché ci sto ancora troppo male. -
Elena sgrana gli occhi.
- Che cos’è chi ti ha fatto questo stronzo? - mi domanda, guardando Stefan acerba.
Lui invece la sta guardando intimorito.
- Lui mi ha… ehm… si, insomma. -
- Brutto… stronzo! - grida, e si avvicina a Stefan, tirandogli una sberla.
Bé, diciamo che oggi ha ricevuto un po’ di sberle. Cose che capitano, no?
Prima che lui abbia il tempo di ribattere, da lontano vedo arrivare il pullman.
- Elena! - dico, afferrandola per un braccio - il pullman! -
- Oh… cavolo, sono già le tre e mezza! - dice, accingendosi ad attraversare. - Dobbiamo fare alla svelta, o lo perderemo! -
Presa dal terrore di perdere il pullman, afferro Stefan per la mano e corriamo alla fermata. Con il fiato corto, mi scaravento verso le porte aperte del veicolo, ma Elena mi ferma.
- Questo non va ad Isso - mi dice, riprendendo fiato.
- Come scusa? - chiedo io, che sto per fare scintille.
- No. Mi sembrava strano che non fosse in ritardo, in effetti. -
Sto per urlarle qualcosa dietro, ma Stefan richiama la mia attenzione.
- Ehm… - è l’unica cosa che pronuncia.
Lo guardo con furore, ma mi accorgo che gli sto tenendo ancora la mano, e gliela sto tenendo come si fra normalmente fra ragazzi, amiche e bambini.
Mi sento avvampare. Mi stacco subito da lui e giro la testa.
- Io, ehm… fai finta di niente - dico, senza guardarlo.
La mia nuova amica mi guarda bieca.
- Già, non lo devi perdonare, ma usa un tono più austero! -
Io sono troppo imbarazzata per parlare.
- Non… non… non fa niente. - rispondo.
- Ah! Voi ragazzine! Lo so, lo so come siete! -
- Pe…Perché, tu cosa credi di essere, una ragazzona? -
- No, ma non ho più la tua età (suppongo). Io ormai ho vent’anni. -
- Ah. - è tutto ciò che mi riesce di dire. - Io diciassette. Stefan… non lo so, ma non mi importa saperlo. -
- Non sai quanti anni abbia il tuo ragazzo? -
- Non sono… suo ragazzo. -
Divento pallida. Ci manca solo che quello stolto le dica la verità, che sono fritta!
- Scusa. - si corregge Elena - volevo dire ex. -
- Ho diciotto anni. - la informa Stefan.
Oh, ma davvero? Io gliene davo tre.
- Bé, felice a sapersi - cerco di cambiare discorso alla svelta.
- Sai cosa credo dovresti fare? - dice ad un certo punto Elena, guardandomi - lo so, dovresti prendere un ragazzo qualsiasi che passa per strada e fartelo, per ingelosire Stefan. -
Io sgrano gli occhi. Come ha detto?
- No! - rispondo, secca - non mi sbaciucchio una persona qualsiasi che incontro per strada! Non mi chiamo mica Camilla! -
Stefan sbuffa e si mette per l’ennesima volta ad ascoltare la musica. Mi auguro vivamente che prima o poi gli si scarichi l’i-pod! (Non dieci minuti prima di arrivare a casa, però).
- Ma lui non lo parla l’italiano? - mi chiede Elena, indicando Stefan con un cenno del volto.
Io alzo le spalle.
- Mah - rispondo - direi di no. O per lo meno, lo parla pochissimo. -
- E tu come fai a stargli assieme comunque? -
Scuoto i miei capelli neri all’indietro, fingendo di vantarmi.
- Sono molto brava in tedesco - dico (sorvoliamo che nella prova d’ingresso non ho totalizzato nemmeno un punto).
- Ah, capisco. - mi risponde Elena scettica.
- Non ci credi? - le chiedo io - bene, allora ti darò una dimostrazione: “ich bin Alice, ich habe siebzig years old und ich gehe from Brescia”** -
La ragazza alza un sopracciglio.
- Oh, impressionata. - mi dice.
- Vuoi che ti dica qualcos’altro? -
- No, no grazie! Lo so. - sembra esacerbata e allo stesso tempo divertita. - Tanto per la cronaca - continua - la tua pronuncia assomiglia vagamente a quella di un cane. -
- Un cane? - chiedo, indignata. - Bé, la pronuncia non sarà il massimo, ma non è quella che conta! -
- Poi - mi interrompe lei - non hai fatto molti errori. Nei hai fatti infiniti. Per prima cosa, hai espresso l’età con haben, mentre in tedesco si esprime con sein. “Ich bin”… -
- Non m’importa! - esclamo. - Che maestrina che sei! Ho solo fatto qualche piccola imprecisione! -
- Qualche piccola imprecisione? - ripete Elena con voce ironica. - hai detto di avere settant’anni anziché diciassette! Dire siebzig al posto di siebzehn è una piccola imprecisione per te? -
- Lo è! -
- Esprime una cosa totalmente diversa! -
- Credo che la gente capisca bene dove sta l’errore! Non mi pare di dimostrare settant’anni! -
Io odio chi pretende di fare lezione fuori dalla scuola e soprattutto se non è un professore! Che bisogno ha?
- E comunque, - continua lei - tanto per la cronaca, hai mischiato l’inglese col tedesco! Years old al posto di Jahre alt, e from, che sarebbe comunque sbagliato. -
Io sto fissando intensamente la strada per evitare di dare fuori di matto. Ho più volte pensato di buttare Stefan sotto ad una macchina, ma con lei potrei fare di peggio! Anche la mia professoressa si è rassegnata ad insegnarmi il tedesco! Nessuno può farlo!
- Oltretutto - continua la voce di quella pazza psicopatica che non dice altro ce “lo so” - si dice ich komme non ich gehe. -
- Se dici altro ti assassino - dico alla fine, esasperata.
Elena sbuffa.
- D’accordo. - dice - non dico altro.
- Alleluia! -
- Ehi! - la voce di Stefan ci richiama. - la pullman! -
Mi astengo dal correggerlo per evitare che Elena finisca il suo discorso.
- Oh, questo sì che va ad Isso! - dice lei, sorridendo.
Così, senza fiatare, tutti e tre saliamo sull'autoveicolo.




*Questi negozi esistono realmente a Brescia e provincia. Ovviamente ne esistono numerosi altri, ma purtroppo io non li conosco e quindi non li ho citati. La “E.” sarebbe il nome della negoziante, però io preferisco non citarlo per intero.
**Il discorso è pieno di errori.


Ich bin Alice, ich habe siebzig years old und ich gehe from Brescia: mi chiamo Alice, ho settant’anni e vado da Brescia.
Haben: avere.
Sein: essere.
Ich bin: io sono.
Siebzig: settanta.
Siebzehn: diciassette.
Ich komme: io vengo.
Ich gehe: io vado.


______________________________________________________________________________________________
Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo!! Questa volta non succede niente di particolare, ma finalmente Stefan e Alice compiono i primi passi per tornare a casa! Il problema è: cosa succederà dopo?

Kokky: sììì un finale drammatico!! Muhauhauhauha!! -PerfidaMe!- Stefan poverino non ha combinato niente, sono quelle due che combinano tutto!! Poi volevo dirti, credo di avere combinato un piccolo pasticcio (come mio solito). Volevo scriverti una mail ma temo di avere sbagliato il mio indirizzo (… ehm…). Comunque, per sicurezza, sul mio profilo c’è l’indirizzo giusto… scusa ancora l’inconveniente ._.

Jess: ah ah! Questi sì che sono i misteri della vita! Grazie al cielo Stefan è più perspicacie di quanto si pensi =)

Little Jewel: tutto quello che fa Alice lascia da pensare, anche se lei lo stesso lo pensa di Stefan XD. Elena è una grande! Un po’ psicopatica, ma mitica! Non si sa mai che sia lei che quel giorno hai incontrato in stazione!
-FBIoperazioneScopriIdentitàRagazzaCoiCapelliRossi(CheSecondoMeÈAnnaDaiCapelliRossi)- Il vero motivo per cui Alice si è scordata di Stefan è perché lo detesta talmente tanto che a momenti non si ricorda della sua esistenza!! E Stefan, concordo, è troppo magnanimo! Diciamo che non osa dire niente in contrario anche per il fatto che lei lo prenderebbe a pugni o perché a sbagliato a parlare o perché ha parlato in tedesco! XD

Shio: sì, Elena è una grande! XD no, credimi, Alice è in grado di combinare una cosa del genere da sola!

Ehy_Lyla: Alice non è fusa, di più! Solo lei poteva dimenticarsi Stefan alla fermata del pullman!

LaUrEtTa: Stefan da solo alla fermata del pullman può essere preoccupante, ma grazie al cielo ha ritrovato Alice!! =D

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Capitolo 10
*** Finalmente ad Isso! ***


7

10. Finalmente ad Isso!


Le porte del pullman mi si chiudono alle spalle ed io e gli altri ci dirigiamo per il lungo corridoio fino a quattro posti vicini (due di fronte agli altri due). Quando mi siedo, tiro un sospiro di sollievo. Siamo finalmente sul pullman giusto, il primo che ci conduce sul cammino per casa. Finalmente ritornerò a Brescia!
Le ultime parole famose.
Elena si siede accanto a me, e Stefan di fronte a noi. Come suo solito, si mette ad ascoltare la musica. Sembra che non esista altro per lui.
Io, invece, guardo fuori dal finestrino. L’autobus sta sfrecciando veloce sulla strada e le macchine che gli corrono accanto assomigliano vagamente a delle macchie di colore.
Sorrido. Sono così contenta di stare tornando a casa che avrei voglia di mettermi a saltare per la strada e come sottofondo avere le note di una bella canzone. Potrei sempre chiedere a Stefan di prestarmi il suo i-pod e attaccarlo a degli amplificatori. L’idea sarebbe carina, ma credo che non riuscirei mai a far capire a Stefan che cosa gli sto chiedendo. E poi non saprei a che presa attaccare gli amplificatori. Piccoli particolari.
Mi volgo verso Elena: sarebbe bello continuare tutto il viaggio con lei, ma dovrà andare da qualche altra parte. Chissà dove. Bé, in ogni caso è stata di gradevole compagnia, a parte la piccola lezione di tedesco che ha tentato di impartirmi. Dettagli.
Ha detto che il suo cuore è in Süd Tiröl, chissà, magari è nata lì.
Ah bé, questi sì che sono i dilemmi della vita.
Mi sistemo comoda sul sedile sul quale sono seduta e mi stiracchio. Da questa mattina, è il momento migliore della giornata.
Mi viene da pensare alla piccola litigata avuta con Arianna. Forse dovrei chiederle scusa. Anche se non sono io a dovermi scusare. Certo, lei mi ha già chiesto scusa, ma io questa mattina ero molto arrabbiata. Forse dovrei chiamarla. Ma non ora, prima preferisco assicurarmi di arrivare a casa.
- Lo so - dice Elena.
- Come? - le chiedo, voltandomi verso di lei.
Lei mi guarda con aria persa.
- Eh? - risponde - no, scusa, parlavo tra me. -
Io sorrido e volgo lo sguardo altrove. Sono troppo forti lei e il suo “lo so”. Sembra che non conosca altre frasi. Sì, sarà un vero peccato dividerci.
All’improvviso, mi viene un’idea.
- Elena, perché non mi dai il tuo numero di telefono? - le chiedo.
- Il mio numero? Come mai? -
- Così, per rimanere in contatto. Sei simpatica. -
Lei sorride.
- Volentieri - mi risponde.
Mi detta il numero e anche il suo contatto MSN Messenger. Così possiamo rimanere in legame.
- Allora - mi dice poi. - Cosa farai una volta scesa dal pullman? -
Io mi stringo nelle spalle. Misteri della vita.
- Credo che aspetterò un pullman per Antegnate. Dopo, da lì, ne passa uno per Chiari. -
- Dov’è Chiari? -
- A Brescia. -
- Lo so. -
Io la guardo perplessa.
- Ah - dico - e perché me l’hai chiesto allora? -
Lei arrossisce appena.
- Scusa, non ci badare, io sono fissata con quella frase - risponde, imbarazzata.
- Non me n’ero accorta - affermo, sarcastica.
Elena diventa rossa come un peperone.
Stefan, invece, è fermo con lo sguardo fisso per terra. Anzi, sulle mie bellissime ed inconfondibilissime ed inafferbilissime Etnies. Che nessuno mi tocchi le scarpe. Potrebbe rischiare la morte. O peggio. Nel caso di Stefan, potrebbe perdere tutti i suoi capelli neri “frastagliati” (sembrano quelli di un personaggio di Dragon Ball), vedere le sue All Star nere finire nell’inceneritore, o ritrovarsi con una cintura di borchie senza borchie. Le opzioni sono tante.
Conclusione: leva lo sguardo dalle mie scarpe, citrullo!
Sbadatamente, accavallo le gambe e colpisco Stefan al polpaccio. Oooops, ma che sbadata!
Lui mi lancia uno sguardo tagliente e io sorrido, con la faccia di chi ha appena scaraventato lo scorbutico professore di francese giù dalle scale senza farlo apposta.
- Allora - mi dice Elena - manca poco. Sei contenta? -
- Di già? - domando io, curiosa. - Ma se siamo appena saliti. -
- Lo so, ma non è molta la distanza. Lo so. Allora, che mi dici? -
- Scenderò all’istante dal pullman e senza alcun rimorso forò in modo che Stefan ci rimanga. -
- Come sei crudele! -
- Io? Mi devo pur vendicare in qualche modo, no? -
Elena sorride.
- Già… purché sia per una buona causa. - mi dice, scoccandomi un’occhiata losca.
- Che cosa intendi dire? - ribatto, offesa. Non starà insinuando che io le abbia raccontato una bugia? In effetti, le ho raccontato una bugia, ma lei questo non deve saperlo.
Di tutta risposta alza un sopracciglio.
- Pensaci bene prima di snobbarlo come se avesse la lebbra - mi consiglia, guardandolo.
- Stefan non ha la lebbra. Ha la peste. - replico.
Elena ride.
- Già, e prima che ti contagi credo che sarà dura. Anche se so che comunque, presto o tardi, della sua stessa malattia ne sarai affetta anche te. -
Resto un attimo perplessa.
- In che senso? - le chiedo.
- Nel senso - mi risponde lei - che tu lo credi distante e bisbetico, ma, per quel poco che ho appreso di lui, non siete tanto distanti. -
È chiaro che Elena ha capito il mio imbroglio, ma non è rilevante. Sto pensando a quello che mi ha appena detto: non siamo tanto distanti? Ha ragione, siamo seduti l’uno a mezzo metro dall’altra.
- Che cosa sei riuscita ad apprendere di lui in poco più di mezz’ora? - le domando, curiosa di sapere di più.
- Come lui non esistono tanti ragazzi: un’altra persona al suo posto ti avrebbe già conciata per le feste. Tu gli metti i piedi in testa senza che lui osi contestare. E per quel poco che ribatte, è comunque paziente e preferisce sorvolare anziché controbattere. E questo (prima che, lo so, tu possa commentare) non è perché non ha le palle, ma perché è un ragazzo dolce e onesto, e merita la tua stima, non la tua disapprovazione. -
Rimango con la bocca semichiusa, ma non oso replicare. Elena ha detto una cosa bellissima di Stefan. Io… non ci avevo mai riflettuto.
Merita la tua stima, non la tua disapprovazione.
Allora forse è così, Stefan è leale nei miei confronti e io ne approfitto, trattandolo ogni volta peggio. Mi faccio schifo. D’accordo, non capisce l’italiano (inammissibile), ma è pur sempre un essere umano, una persona che dovrei trattare come gli altri.
- Non ci hai mai pensato? - continua Elena, prenotando la fermata.
- In effetti… no - rispondo io.
- Allora meditaci. È una cosa importante il rispetto per le altre persone. -
- Ma io rispetto Stefan! - ribatto, contrariata.
Elena inarca un sopracciglio.
- A me non è sembrato. -
Come i capricciosi, incrocio le braccia e guardo da un’altra parte.
- Chi si odia si ama - sussurra la ragazza, e io mi volto a squadrarla.
- Stai forse insinuando che io sia innamorata di Stefan?? -
Lei scoppia a ridere.
- Alla tua età? - mi risponde - ma va! Hai solo diciassette anni! -
- L’età non conta, ma comunque io non sono mai stata innamorata, men che meno di Stefan! -
- Lo stai rifacendo. Lo sottovaluti. -
La squadro.
- Togliti dalla testa quella stupidaggine che ti è balenata. -
- Già… forse lui preferisce Camilla. -
Sgrano gli occhi. Sta forse giocando con me?
- Camilla esiste! - replico, offesa. - Ed è anche una mia compagna di classe! È lei che ospita Stefan in questi cinque giorni. -
- Ah, quindi Stefan non lo conosci neanche? -
- Certo che lo conosco, non sarei qui con lui, altrimenti! -
Elena ci riflette un attimo.
- Mhm… forse hai ragione - dice.
- Infatti! -
- Bene. Allora, Stefan ti piace, vero? -
- Tu sei matta. -
- Se non ti piacesse reagiresti in un altro modo. -
- Stefan mi fa schifo! -
- Visto? Lo guardi dall’alto in basso! -
Il pullman inizia a rallentare.
- Ecco, ci siete! - afferma Elena, facendomi alzare.
Io do un colpetto a Stefan e indico con un cenno del capo le porte. Lui spegne quel benedetto lettore, lo ripone nello zaino e si alza.
Poco prima che si aprano le porte, chiedo ad Elena:
- Sei nata in Süd Tiröl? -
- Ci vive mia zia - mi risponde lei - io ci passo le vacanze. Ti consiglio di andarci, è meraviglioso! -
Io le strizzo l’occhio.
- Ci sentiamo Elena, grazie della compagnia! -
Lei mi sorride.
- Grazie a voi, ragazzi! Ehi, ci si sente su internet, vero? -
- Oh, certo, se sarò ancora viva! -
Lei ride, poi le porte si aprono e io scendo dal pullman.
Le lancio un ultimo sguardo, prima che l’autoveicolo riparta, e dal finestrino la vedo sillabare le parole “lo so”. Non ho mai conosciuto una ragazza così stravagante! Forse solo me stessa. (Modestamente).
Quando il bus riparte, rimango una terza volta a riflettere sulla frase di Elena.
Merita la tua stima, non la tua disapprovazione.
D’accordo, forse un atto di misericordia lo posso anche compiere. Ma solo uno. Devo solo trovare le parole giuste per parlargli.
Quando le ho in mente, le soppeso con cura e mi schiarisco la voce.
- Stefan - dico.
- Pipì. -
- Come, scusa? -
Stefan e la sua affermazione mi hanno lasciata sconcertata. D’accordo, farò finta di niente. Questo non è un atto di misericordia? Uffa, ma perché non possono essere così semplici??
- Ti devo dire una cosa - continuo, ignorandolo. - Mi accorgo di… -
- Alice - mi interrompe - pipì. -
Di nuovo? Devo insegnargli a lasciare che una persona termini un discorso prima che lui la interrompa.
- Tu… devi andare in bagno o è un altro insulto alla mia perfezione? - gli domando, sperando che almeno una parola l’abbia capita.
- Bagno - mi risponde, alleviando le mie preoccupazioni: una parola l’ha capita.
No, aspetta: come deve andare in bagno? Ma se siamo stati poco fa al McDonald’s! Non poteva andarci prima? Ora se la terrà.
- Mi dispiace, dobbiamo aspettare il pullman. - gli ripeto, appoggiandomi al muro.
- Alice… - ripete lui, guardandomi negli occhi supplichevole.
Oh, che diamine, perché quando stai facendo una cosa giustissima ti ritorna alla mente quell’atto di misericordia hai ti sei ripromessa di compiere? Al diavolo!
- Alice! -
Più Stefan alza il tono, più cerco di controllarmi e pensare alla frase di Elena. Se non vuoi farlo per te, mi dico, (ed è ovvio che non vuoi farlo neanche per Stefan), almeno fallo per Elena.
- D’accordo - gli dico. - Ma qui la zona mi sembra “vuotina”. Seguimi, cercheremo un bar degno di essere chiamato tale. -
- Eh?- mi dice. Lui non capisce mai niente.
- Vieni - sillabo alla fine, e lo afferro per una manica.
Giriamo per Isso alla ricerca di un bar.
- So che non mi capisci affatto - gli espongo, mentre camminiamo sul marciapiede - per cui tu dovrai solo dire di sì. Visto che sei tu che devi andare al bagno, sarai tu a pagare qualche stupidata da mangiare, ma ovviamente sarò io a doverla mangiare! Quindi mi pagherai un pacchetto ci Cipster e un cappuccino. -
Stefan mi guarda come se fossi scema, ma ormai sorride, annuisce e soprattutto non fa domande. Quindi a me sta bene.
Attraversiamo la strada e continuiamo a camminare. Non c’è niente nei dintorni che abbia la forma di un bar.
Devo dire che nel caso di Stefan sarei entrata nel panico.
Una volta, quando ero piccolina, avevo fatto una vacanza con i miei genitori ed eravamo appena scesi dal treno. A me scappava tanto la pipì, ma continuavamo a camminare imperterriti. Io chiesi ai miei di fermarci, ma loro mi dissero che presto saremmo arrivati all’albergo. Però li sentii parlare:
Mia madre diceva: - Fra quanto arriveremo, in realtà? -
E mio papà rispondeva: - Forse una mezz’oretta. Manca ancora tanto. -
Nei dintorni non c’erano bar, solo macchine che intasavano il traffico. Allora, in preda al panico, feci una cosa di cui ora mi pento amaramente: mi misi in un angolo e tentai di sfilarmi la gonna, ma i miei mi presero al volo. Mio papà mi prese in braccio, mentre mia mamma mi sgridava. Io mi misi a piangere e me la feci in braghe, in braccio a mio papà.
Fu una cosa che non scordai mai. Insomma, è vero che avevo solo quattro anni, ma mio papà me lo ha rinfacciato finché c’è stato, ed è difficile dimenticarlo. Sì, lo so che vi starete chiedendo che razza di persona è mio padre, ma… bé, ora proprio non mi va di parlarne. C’è una cosa che appartiene al passato ormai, ed è una cicatrice troppo dolorosa.
- Alice, quello! - dice Stefan, indicandomi un posto.
- Dietro al cespuglio? Non avrai mai studiato erbologia, suppongo: quella è orticaria. -
Camminiamo ancora per qualche minuto, poi Stefan indica un altro posto.
- È una pasticceria, non una bar. -
Andando dritti per la stessa strada incontriamo un cinema.
- Devi pagare il biglietto per entrare. A meno che tu preferisca vedere un film anziché tornartene a casa - rispondo, prima che si fiondi nello stabile.
- No Stefan, quello è un fotografo. Lì sviluppano le foto. -
- Per entrare in una gioielleria devi suonare. -
- Se entrassi dall’estetista credo che ti butterebbero fuori a calci. -
- Giusto, vai a fare pipì in una boutique, magari in vetrina. Ti scambierebbero proprio per un manichino, sai? -
- Stefan, vieni via da quell’angolo! Non costringermi a fare come con i bambini piccoli! -
- No, Stefan, non puoi suonare ad un campanello! -
Alla fine, mi butto su una panchina che trovo e osservo Stefan, che a sua volta mi guarda sconsolato. Cosa ci posso fare se non esiste praticamente neanche un bar?!
- Continuiamo - mi dice, prendendomi per mano e alzandomi.
Io ripenso a quanto mi ha detto prima Elena (“chi si odia si ama”) e ritraggo velocemente la mano, arrossendo.
Lui si volta a guardarmi e arrossisce anch’egli.
Che imbarazzo, ragazzi! Rimaniamo fermi un attimo a guardarci, poi io distolgo lo sguardo.
- Ehm, proseguiamo - dico, avanzando.
Sono quasi le quattro, ma non c’è traccia di bar. Sto pensando seriamente di comprare un bicchierino a Stefan. Non sarebbe un atto di misericordia, questo?
Più cammino, più mi accorgo di una massa di gente che si accalca in fondo alla via. Non sarà un incidente, vero? Per sicurezza, mi avvicino.
Quando sono a una trentina di metri da loro, noto che qualcuno sta sbraitando. Oddio, non saranno malintenzionati, vero?
- Ehy, Alice! - mi dice Stefan, fermandosi.
- Ho visto - rispondo io, osservandoli curiosa.
Ma Stefan non sta guardando loro.
- Guarda! - mi dice, strattonandomi.
Mi volto e noto che sta indicando dei bagni chimici. È impazzito? Quelli sono una schifezza! Piuttosto nell’orticaria.
- Io vado - afferma, facendo un passo avanti.
- No! - dico io - non i bagni chimici. Ehm… c’è un bar più avanti. - non è vero, ma lui non lo sa e non ha neanche capito che cosa ho detto.
- Io vado! - ripete.
- No, vieni con me - rispondo.
Mi avvicino alla massa di gente. Devo cercare di capire di che cosa si tratta.
Ora noto distintamente: è una manifestazione. Che bello! Però non capisco contro cosa stiano manifestando. Urlano parole incomprensibili. Sorridendo, mi unisco a loro. Devo proprio scoprire di che si tratta.

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Ciao gente!! Dunque, scusate se posto solo oggi, ma questa settimana ho avuto: l'altro ieri l'interrogazione di tedesco, ieri quella di scienze sociali/filosofia, oggi la verifica di filosofia e domani l'interrogazione di letteratura. Basta scuolaaa!! Chi concorda con me alzi la mano. Comunque, credo che mi capirete appieno se posto solo oggi, quindi =).


LaUrEtTa: xD Elena è stata cattiva con Stefan, ma il discorso che ha fatto è stato dei migliori! E neanche Alice sa il vero motivo per cui ha mentito ^^

ehy_Lyla: sì, sul pullman ci sono finalmente saliti, ma poi ne accadranno di casini prima che possano arrivare a casa!

Shio: già, come se non litigassero mai!! buhauhauha!! Ehhh nel prossimo capitolo vedrai che cosa succederà!!

Jess: in effetti, anche Alice ha avuto istinti assassini per qualche minuto... xD

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Capitolo 11
*** E chi me l'ha fatto mai fare?? ***


11. E chi me l’ha fatto mai fare??


Sono all’interno di una manifestazione di rockettari impazziti. Aiuto.
Cioè, mi spiego: io e Stefan stavamo cercando un bagno, ma non ce n’era neanche l’ombra. O meglio, ad un certo punto Stefan ha scorto dei bagni chimici, ma, a parer mio, non sono igienici (voglio dire, non c’è neanche l’acqua che scorre!), per cui non l’ho lasciato andare. Mi sono voluta a tutti i costi inserire in questa manifestazione, ed eccone i risultati: non ho capito bene che cosa sia successo, ma ci sono molti ragazzi che stanno protestando contro qualcosa a me ignoto. A vederli da vicino, sembrano tutti pericolosi. Gulp! Un ragazzo con una cresta colossale e una decina di piercing sul volto mi viene addosso, facendomi oscillare.
Mio dio, aiutatemi, voglio uscire di qui!
- Ehy, ragazzetta, stai attenta! - mi sbraita contro.
Lo guardo negli occhi (per quello che posso) e noto che gli ha rossissimi e sopra alle nuvole: è chiaro, questo ragazzo è fatto.
Mi perdo qualche secondo nei meandri della mia fantasia a pensare che drogarsi sia una stupidata, ma torno immediatamente alla realtà: un ragazzo che si è appena fatto uno spinello mi sta berciando addosso. E io adesso cosa faccio?
Okay, niente panico, è tutto sotto controllo. Posso farcela.
Non farti mettere i piedi in testa, mi dico.
Faccio un respiro profondo e torno a guardare il ragazzo. Questo mi fa troppa paura!
D’accordo, rifletti: io e delle mie amiche avevamo scritto un libretto di sopravvivenza nel caso ci fossimo trovate di fronte ad un ragazzo che si fosse appena fatto uno spinello, una pera o che avesse appena sniffato.
Regola numero uno: non dargli nessun motivo al mondo per credere che tu abbia paura.
D’accordo. Posso farcela. Dopotutto è solo una manifestazione, no?
Mi faccio forza e dico:
- Scusa tanto, sei stato tu a venirmi addosso! -
Sto dando il meglio di me!
Bravissima Alice, continua così! Sei grande!
Contro ogni mia previsione, da dietro di lui sbuca una ragazza, tutta muscoli e tatuaggi. E piercing. I
rasta le ricadono minacciosi sugli occhi, rossi anche i suoi. Si è appena fatta anche lei.
- Hai qualcosa da dire piccoletta? - mi dice, minacciosa.
Cazzo, è meglio che mi tolga dai guai! Tento di fare dietrofront, ma lei mi blocca.
- Ti ho fatto una domanda! -
Deglutisco e cerco di trovare una risposta.
- No - rispondo semplicemente.
Tento di nuovo di andare via, ma ormai sono penetrata nel tumulto, e c’è talmente tanta gente che non ne riesco ad uscire!
E adesso cosa faccio? Ormai mi sono arrecata un’occhiataccia ostile dai due ragazzi, che non scollano lo sguardo da me.
Ma che cosa ho fatto di male? Perché non ho accompagnato Stefan in quel bagno? Ora me ne pento. Me ne pento amaramente.
Tento di nuovo di uscire, ma la gente si accalca contro di me. Aiuto!!
- Ehi, che cosa ci fa questa bambinetta qui? -
Oddio. Non staranno parlando di me, vero?
- Ah! Guardatela! -
- Avrà sì e no quindici anni. -
- Guardatela, fa proprio ridere! -
Oh mio Dio. Sto stramazzando dalla paura! Perché mi sono cacciata in questo casino? E soprattutto, perché se la prendono solo con me e non anche con Stefan? Scommetto che il suo cespuglio nero (ovvero i capelli) lo stanno nascondendo da tutto e da tutti.
- Piccoletta, gira a largo! -
Non mi sono mai sentita così umiliata e allo stesso tempo terrorizzata.
Una caterva di fischi mi piomba addosso. La gente inizia ad urlare qualcosa che non capisco.
- Forza, facci vedere di che cosa sei capace! -
- Sempre che una stupidina come te sia in grado di fare qualcosa! -
Lo ammetto: sto per mettermi a piangere. Mi volto, alla disperata ricerca di un aiuto da parte di Stefan. Ma scommetto che non ha neanche capito che la gente sta per farmi fuori.
La gente riprende a sbraitare contro di me.
Vi scongiuro, aiutatemi!
Improvvisamente cala il silenzio.
Oh, lassù qualcuno mi ascolta.
Tento di nuovo di uscire, ma mi blocco, colpita da uno strano vociare.
Ora capisco perfettamente: non è un vociare, è una ragazzina che sta parlando.
- Se vi credete così superiori, allora girate alla larga, non è posto per voi! -
Un’altra moltitudine di fischi e insulti.
Ora comprendo: non stavano umiliando me, ma quella ragazzina! Poverina, che cos’ha fatto di male?
- Non siamo qui per dire alla gente che cosa deve fare! - continua - siamo qui per selezionare la gente, sapete che è così, quindi evitate di manifestare, è inutile che vi sprechiate! -
Selezionare la gente. Questa è sicuramente la cosa più assurda che io abbia mai sentito. Come si può selezionare la gente? Siamo tutti uguali, dalla persona in tailleur alla persona piena di tatuaggi. Che differenza c’è?
- Ma nasconditi, ragazzina! - urla di nuovo la folla - tu non sei niente! -
D’accordo, non voglio c’entrare in questa manifestazione. Io me ne vado. Addio.
Mi volto per recuperare Stefan e sparire per sempre da quell’incubo.

Senso di vuoto.

Mi crolla il pavimento sotto ai piedi.

Stefan dov’è??
Mi volto prima a destra, poi a sinistra. Nulla che me lo ricordi.
Sono morta. E adesso?
Non so che fare. Aiutatemi, vi prego!
Mi faccio spazio fra la folla (chissà perché, ma ad andare avanti ci riesco, ad uscire per niente!). Urlo il suo nome, ma, con questo casino, non mi sento neppure io.
Sono disperata, non so che fare.
All’improvviso, un fulmine mi colpisce: Stefan non è nella manifestazione. Si è di sicuro dileguato quando ha visto la confusione nella quale volevo addentrarmi. E nella quale mi sono addentrata. Senza di lui.
Un’altra ipotesi mi balena: e se ci fossimo divisi quando lui ha visto i bagni chimici e io la manifestazione?
A questo punto, invasa dal panico, spintono la gente, nel tentativo di uscire. Mi sembra di soffocare.
- Ehi, ragazzina, non spingere! - mi dice un tizio, tirandomi indietro.
- Per cortesia, mi lasci! - grido io, agitandomi. - Devo uscire di qui! -
- Stai calma! - mi dice un altro, girandomi verso la ragazza contro la quale la gente si sta coalizzando.
Devo ammettere che in realtà ho un po’ paura. Non ho mai temuto un rockettaro prima.
La folla continua a lanciare insulti e umiliazioni contro la povera ragazza, ma lei tiene testa a tutto. Chissà perché poi stanno manifestando contro di lei. Una ragazzina che avrà si e no una quindicina d’anni cosa può aver mai fatto a tutti questi ragazzi?
Bé, non lo so e francamente non lo voglio sapere. Ora me ne vado. Devo anche cercare Stefan.
Ma il ragazzo di prima mi blocca, dicendomi:
- Non vorrai andartene sul più bello, spero! -
Io deglutisco.
- In effetti… -
Lui agita il dito in segno di no.
- Non se ne parla neanche, ragazzina. -
Sgrano gli occhi.
- Mi dispiace, ma… -
- Vediamo come te la cavi faccia a faccia con la ragazzetta del locale! -
Che locale? Non capisco proprio. Insomma, la così detta “ragazzetta del locale” dev’essere per forza la ragazzina magrolina che tutti stanno insultando.
- No grazie - rispondo io - non ne ho bisogno. -
Ma, come se non mi ascoltasse, il ragazzo mi spinge in avanti, facendosi largo fra la ressa. Tutti mi acclamano, e finalmente io giugno di fronte alla ragazza in questione.
Ora la guardo in faccia: drogata forse più degli altri, un’espressione arcigna in volto, mi squadra in cagnesco, come se volesse assassinarmi.
E io ci sono davanti.

______________________________________________________________________________________________

Eccomi qui con un nuovo capitolo! Dai, questa volta ho aggiornato abbastanza velocemente, no? =). mi dispiace se il capitolo è molto corto e abbastanza deludente, ma (seguendo la trama che ho scritto) anche i prossimi due o tre non saranno pienamente esaurienti. Dopo, il tutto ritornerà com'era!
Ringrazio Kyah per avere aggiunto la storia ai preferiti!

Little Jewel: sì, Elena è una ragazza che (come dici tu) non ha le fette di prosciutto sugli occhi :). Ed ha fatto finalmente ragionare Alice, anche se lei non riuscirà mai a sovrastare la sua forte decisione di sentirsi superiore al povero Stefan! Elena ha capito del piccolo “imbroglio” di Alice perché lui non sa parlare italiano e lei non sa parlare tedesco (sì lo so, non è chiaro, scusa), ma anche perché è una ragazza arguta. E diciamo che Stefan non è che sia tornato di buon umore, solo che (come Elena ha detto ad Alice) è un ragazzo paziente :p. La ricerca del water perduto xD questa è bella! Eh eh, vedrai che cosa succederà poi!!

Jess: sì, purtroppo sono cose che succedono!! xD non sai quante volte io mi son ritrovata in città con il bisogno di andare in bagno! E soprattutto, Stefan, pur di farla, entrerebbe anche in oreficeria!

Kokky: sì sì, Elena è proprio una ragazza in grado di ragionare =D. E Alice l'ha più o meno capito! E sempre grazie per i complimenti ^^

LaUrEtTa: sì, Elena ha fatto la sua parte, ma stai attenta ad Alice: è in grado di cambiare parere di poco in poco! E così hai visto metà della manifestazione, aspettati l'altra metà!

ehy_Lyla: eh eh, chissà se ce l'ha fatta!! Ah ah! Nel prossimo capitolo lo scoprirai!

Shio: no tranqui, sono io che non mi sono espressa bene: Elena ha arguito che Stefan non è l'ex di Alice perché né l'uno né l'altra sa parlare la lingua di quello che doveva essere l'ex fidanzato! Intelligente, no?

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Capitolo 12
*** Aiuto che trivella! ***


Nota: questo capitolo tornerà indietro nel tempo di qualche minuto, nell’esatto momento in cui Stefan e Alice si sono divisi.
Non essendo a conoscenza degli eventi che vive Stefan, Alice verrà esonerata dal narrare le vicende del ragazzo per pochi capitoli; verrà introdotto un narratore esterno.
Tutti i pensieri e le frasi di Stefan verranno tradotti dal tedesco all’italiano.

12. Aiuto che trivella!


Stefan indica ad Alice dei bagni chimici, ma lei sembra non prestarci nemmeno attenzione.
- Ehi, Alice! - dice, additandoli.
- Ho visto - risponde lei, con aria curiosa, osservando una folla di ragazzi imbestialiti.
Quando si gira, nota che Stefan indica i bagni, e assume una smorfia di disgusto.
- No! Non i bagni chimici. - dice. Sembra che abbia fretta di andare a vedere che cosa sta succedendo. - Ehm… c’è un bar più avanti. -
È ovvio che sta mentendo, perché ha assunto una faccia così persa che pure un maiale se ne sarebbe accorto.
Ma Stefan non la trattiene più. Ha la vescica che gli scoppia, e se non ci fossero quei bagni chimici a qualche metro di distanza, la farebbe lì!
- Io vado - dice, deciso.
Allunga un piede in direzione della “sua salvezza”, ma Alice lo blocca.
- No, vieni con me - dice.
Senza che Stefan possa replicare, la ragazza si avvia verso la folla.
Lui fa di tutto per richiamare la sua attenzione.
- Alice! - urla, ma lei non lo sente. - Alice! - urla di nuovo. - Io vado! -
Ma Alice ormai si è addentrata nel casino.
Bene, e ora? Stefan è incerto, seguire il bisogno (essere) o seguire Alice (non essere)? Questo è il problema. (Decisamente troppe lezioni di filosofia.)
In dubbio, muove qualche passo in obliquo. Alla fine, quando la vescica preme di nuovo, compie uno scatto felino verso la “salvezza”.
Ma, una volta di fronte ai bagni, un omone gli si piazza davanti.
Oh merda!
Il bisogno è immenso. Se quell’omone non si toglie, Stefan gli tira un bel calcio in mezzo ai… ehm, negli stinchi.
- Mi scusi - dice, scansandolo.
- Scusa ragazzino, ma i bagni sono riservati agli operai. -
Stefan sta ancora tentando di entrare, ma quando l’uomo gli indica verso destra, lui volta lo sguardo e nota di essere su un cantiere.
Sì, quei cantieri dove ad esempio allargano un parcheggio e agli operai viene data la disponibilità di un bagno chimico. Proprio quelli. E Stefan c’è sopra.
Osp.
- Ehm… io… scusi… io… vado… - Stefan farfuglia qualcosa, ma il bisogno preme di nuovo. E Stefan sta scoppiando.
- Io lavoro. - dice tutto d’un tratto.
L’uomo lo guarda da capo a piedi.
- Vestito così? -
- Sì. Cioè… io. -
Non riesce neanche a terminare una frase che la vescica preme sempre di più.
- Sì. - dice alla fine.
- Bene, allora prendi pure il trivellatore e datti da fare - dice l’uomo, scansandosi.
- Scusi? - chiede Stefan, perplesso, osservando degli operai che si mangiano un panino.
- Devi rompere l’asfalto, vedi? - risponde il signore - devi usare la trivella. -
L’uomo indica un arnese appoggiato assieme agli altri ai lati del cantiere.
- Ehm… - farfuglia.
- Sbrigati - riprende l’uomo, prendendolo e dandoglielo in mano.
Stefan lo osserva, titubante. E ora? A cosa serve quell’aggeggio? E che cosa deve fare?
Prima, però, ha un’incessante bisogno di fare pipì. Appoggia la trivella e si dirige di nuovo verso i bagni.
- Ehi, ragazzo, prima di andare ai servizi fa almeno qualcosa! - dice il tizio, osservandolo di sottecchi.
Stefan, sorpreso, si gira di soprassalto, spaventato. Quell’omone ha una voce cavernosa.
- Eh? Io? - dice.
- Lavora, non è posto per gli incontinenti, questo. Questo è un lavoro no-stop. -
Stefan annuisce sistematicamente, prendendo in mano il trivellatore, poi si gira furtivamente verso il gabinetto.
- Ma che fai? - gli urla di nuovo il tizio.
Stefan salta dalla paura.
- Non vedi - riprende - che lì l’asfalto non è da rompere? È qui, sciocco, che devi continuare il lavoro! -
Stefan guarda il suo “datore di lavoro” con terrore.
Annuisce senza sapere cosa deve fare, e finge di eseguire il suo lavoro.
Quando l’uomo si volta da un’altra parte, Stefan abbandona l’attrezzo e si dirige verso il bagno chimico. Tenta di aprirlo, ma è chiuso.
- Occupato - dice una persona, dal dentro.
Perfetto! A questo punto direi che può benissimo farsela in braghe!
Okay, Stefan ha superato il limite della sopportazione.
Dalla folla dentro la quale Alice si è addentrata si odono degli schiamazzi, il silenzio assoluto, e poi ancora degli schiamazzi.
Chi se ne frega di Alice, Stefan sta per farsela in braghe.
10...
Stefan tenta di trattenerla, ma è alquanto difficile.
9...
Si volta a guardare se l’uomo lo sta osservando,
8...
ma è impegnato nel suo lavoro.
7...
Si piazza davanti al bagno, ma ormai è impossibile resistere.
6... 5...
Non resiste più.
4... 3... 2...
Si piega dal mal di pancia.
1...
Finalmente la porta si apre.
Quasi investendo il ragazzo che è uscito, Stefan si precipita al bagno e finalmente…
Quando esce, si sente liberato come non lo è mai stato. Ha un sorriso stampato in faccia che fa pensare che sia stato in quel bagno con una ragazza.
Senza pensarci, prende in mano la trivella e l’appoggia sull’asfalto. C’è un’aria così fredda e sferzante che rabbrividisce nella giacca, ma sta davvero bene.
Inizia a canticchiare Blitzkrieg Bop dei Ramones, con il vento negli occhi.
- Ragazzo. -
- Hey ho, let’s go… -
- Ragazzo… -
- The kids are losing their minds… -
- Ragazzo! -
- The Blitzkrieg Bop… -
- RAGAZZO! -
- Eh? - Stefan smette immediatamente di canticchiare e guarda l’omone.
- Cosa stai facendo con quell’attrezzo? - gli chiede, squadrandolo.
- Eh? - domanda Stefan, in tutta risposta.
- Ah! Lascia perdere! Voi ragazzini. Da qua, te lo accendo. -
Detto questo, l’uomo si avvicina a Stefan e preme una tasto sulla trivella, accendendola.
Bé… peccato che Alice non stia assistendo a questa scena. In poche parole: il ragazzo non ha tenuto l’attrezzo fermo sull’asfalto, e questo a preso a dimenarsi come un bambino capriccioso che scalcia. E Stefan, ovviamente, è rimasto con le mani incollate al manico, seguendo tutti i movimenti del trivellatore. Ora, mentre il congegno si sta divincolando, Stefan sta strisciando a terra.
Alice non proverebbe un minimo di compassione, ma l’uomo si scaraventa sul ragazzo e lo salva, prima che ci rimetta una mano.
- Tutto a posto, ragazzo? - gli chiede, spengendo l’utensile.
Stefan ha le lacrime agli occhi.
- Ahi - dice, levandosi la giacca e sollevando una manica della sua maglia. La fasciatura fatta in precedenza è ancora candida, e non da segni di ulteriore graffiatura.
- Ma tu sei matto! - dice l’uomo, portandosi le mani davanti alla bocca. - Vieni su un cantiere con il braccio fasciato? È da pazzi! -
Stefan osserva imperterrito il suo braccio, con le lacrime che ormai gli scendono sulle guance. Improvvisamente, gli viene in mente circa un’ora prima, quando Alice l’ha forzato a sciacquarsi la ferita e poi a medicarla.
Socchiude gli occhi e pensa a che cosa starà facendo nella folla. Ora c’è silenzio e non si sente più nulla. Teme per lei.
Bé, strano a dirlo, ma prova simpatia per quella ragazza, nonostante la sua caparbietà e l’ostinazione ad odiarlo. In fondo sa che non è così… lui lo sa, ma lei non finirà mai di stupirlo con le cose di lei che non sa.
- Ehm… io… io vado - dice Stefan, asciugandosi le lacrime.
- Sei sicuro di farcela? - gli domanda l’operaio, mentre lui si rialza.
Il ragazzo ricambia con uno sguardo perso, poi se ne va.
Ha ancora in mente Alice. Non vorrebbe pensarci, ma il fatto è che lei in realtà un po’ gli piace. È vero che si comporta molto male con lui e che lo tratta come uno schiavo, ma in fondo (molto in fondo, circa all’ultimo girone dell’inferno) è simpatica. È nel suo carattere, alla fine, essere scorbutica e sentirsi superiore agli altri, trattare chiunque come una merdina, farlo sentire insignificante e non ascoltarlo neanche se sta dicendo la cosa più ovvia di tutto l’universo. Insomma, le piace.
Bé, se a Stefan va bene così… contento lui, contenti tutti… io mi astengo dal fare commenti.
Comunque, Stefan continua a camminare senza meta. Ha perso Alice, ormai, e non sa cosa fare. Si sente tanto uno stupido…
Più che altro, si sente perso. In realtà, si è perso. A Bergamo. In un posto a lui sconosciuto. Senza Alice.
E ora?
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Ciao ragazzi! Eccomi qui con il nuovo capitolo! Cerco di aggiornare sempre alla svelta, ma purtroppo non mi è possibile fare più dei salti mortali.
Anche questo capitolo è abbastanza deludente. Mi scuso e prometto che questi capitoli “separati” dureranno ancora per poco!
Ringrazio Mirkodancer per avere aggiunto la storia ai  preferiti!

Mirkodancer: grazie! Sono contenta che trovi la storia molto carina! =D Sei riuscito a leggere gli altri capitoli? E che cosa ne pensi?

Shio:
sì Stefan si è perso a causa della maledizione dei bagni chimici!


Little Jewel: sì, diciamo che non è che fosse molto chiaro il motivo che ha spinto Elena a scoprire la verità ^^. In ogni caso, se c’è qualcosa che non ti è chiaro o hai qualche critica da fare, ben venga! Almeno migliorerò il mio modo di scrivere =) quindi non ti preoccupare! Il motivo della manifestazione lo scoprirai nel prossimo capitolo :p perché adesso non lo conosce nemmeno Alice! XD

Kokky: ah ah! Proprio ad Alice lo dici di farsi forza e combattere XD. Credimi, finché si tratta di sentirsi superiore a Stefan è pronta a tutto, ma mettila davanti ad un ragazza drogata e lei è subito pronta a darsela a gambe! Per quanto riguarda Stefan, visto dov’è finito? :p

ehy_Lyla: Stefan è proprio rimasto fermo dov’era :p. E quello che succederà ad Alice lo vedrai nel prossimo capitolo ^^.

LaUrEtTa: io credo che Stefan, anche se non lo ammette, è più contento di non essere con Alice! E nel prossimo capitolo scoprirai anche come andrà avanti la manifestazione!

Jess: massì dai, non gli succederà niente di grave XD a parte qualche piccola “trivellazione” XDD.


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Capitolo 13
*** Papà ***


Non conosco le distanze che intercorrono fra Isso ed Antegnate, quindi gli assegno io una distanza immaginaria che permette ad Alice di fare ciò che succederà nell’ultima parte del capitolo.


13. Papà.


Sono terrorizzata. Anzi, no. Dire che sono terrorizzata è dire poco. Sono paurosamente attanagliata dallo sgomento. E non ho espresso tutta l’inquietudine che provo. È a dir poco… ineffabile. E non in senso buono.
D’accordo, fai un respiro profondo. Molto profondo. Ancora più profondo. Ora soffocati. Molto bene, brava, ora saluti a tutti quelli che ho conosciuto, addio alla mamma, che Stefan si arrangi, arrivederci a tutti quanti, io riposerò per sempre nella tomba con tranquillità.

ALICE R.I.P.

D’accordo, forse sto esagerando. Ma ho troppa paura.


So che voi siete dei bravi ragazzi e ricorderete tutto, ma faccio comunque il punto della situazione: per casualità del fato (e, in questo caso, il fato prende proprio il nome di Stefan) mi sono ritrovata nel bel mezzo di Bergamo, e ora sta a me trovare il modo per andare a casa. Casualmente ho avuto un casino di intralci. Del tipo, stavo per essere investita da un’auto e “il fato” mi ha scaraventata a terra massacrandosi il braccio, così ho dovuto rimediare io, anche se prima stavo per essere uccisa da uno skate impazzito. Quando finalmente sono riuscita a trovare il modo per andare a casa, abbiamo perso il pullman. Per fortuna, ho almeno conosciuto Elena. Qualcosa di positivo in questa giornata. Sì, perché gli avvenimenti non sono finiti. Quando codesta fanciulla ci ha caricati sull’autobus corretto e ci ha fatti scendere alla fermata giusta, Stefan ha avuto un tremendo bisogno di mingere, e così, dopo avermi fatto girare mezzo mondo alla ricerca di un bagno (che non esisteva, tanto per la cronaca) si è dileguato, abbandonandomi nel cuore di una manifestazione, dove dei tizi drogati si sono coalizzati contro una ragazza ancora più drogata di loro.
Ed ora, come voi sapete, io mi trovo davanti a questa ragazza.


Stefan cammina solitario sulla strada principale. È talmente desolata… fa tristezza. Si sente in colpa per avere intrapreso quel cammino e non avere neanche pensato di raggiungere Alice nella manifestazione. È che un po’ lo angustiava. In realtà, lo angustiava un po’ tanto. “Molto” tanto.
In verità, non aveva alcuna voglia di cacciarsi nei casini, come aveva fatto quella squinternata di Alice. Però, ora che ci pensa, avrebbe potuto comunque aspettarla fuori dalla folla. Macché, il suo odio per lui è tale che forse a quest’ora non si è ancora accorta di averlo perso. O magari spera che sia rimasto chiuso nei bagni chimici.
Oh, al diavolo. Cosa stia pensando Alice ormai non è affar suo. Lui cercherà semplicemente di raggiungere Brescia, con o senza Alice. Deve tornare… da Camilla.
Un crampo allo stomaco lo prende. Si sente in colpa. Quando Stefan esporrà alla ragazza il motivo del suo ritardo, lei riderà di gusto nell’apprendere che cosa è capitato ad Alice. E magari si siederà sul divano e seguirà tutto il telegiornale aspettando che passi la notizia:

RAGAZZA DICIASSETTENNE DEL LAGO DI GARDA RIMASTA VITTIMA DI UNA MANIFESTAZIONE NEL BERGAMASCO.

Stefan rabbrividisce a queste stupide supposizioni, e si ferma. No, non può lasciare Alice da sola, e soprattutto non può tornare a casa senza di lei. Fruga nella sua Eastpak e alla fine estrae una cartina. Alice l’aveva consegnata a lui senza pensarci quando aveva chiamato il numero verde, e lui l’aveva riposta nella sua amata tracolla. Con quella, qualcosa farà.


Sbatto più volte le palpebre, cercando di convincermi che quella che mi trovo davanti non è altro che una dolce ragazzina dai lineamenti candidi e bonari.
Ma mi ritrovo di fronte ad una ragazzaccia (più piccola di me, peraltro), squadrata, muscolosa, gli occhi rossi (postumi della cocaina o quant’altro), lo sguardo cattivo e feroce e che mi osserva con sguardo assassino. È bassa, tozza e tarchiata, ha i capelli castani a caschetto arruffati e gli occhi di un verde che si distingue a malapena. Ma, soprattutto, è massiccia. Ha veramente uno sguardo sgraziato. Credo che se la piantasse di drogarsi e si tenesse meglio diventerebbe una ragazza molto carina.
Va bé, a parte queste mie riflessioni, ora cosa faccio? Potrei pensare di darmela a gambe, ma ho già provato a scappare e non ci riesco. Mi guardo attorno e tutti mi osservano con sguardo di ammirazione.
Io non ho la più pallida idea di che cosa dire! E a dirla tutta, non so neanche quale sia la causa della manifestazione.
- Allora, picciotta, cazzo vuoi? - dice molto sgarbatamente la ragazza.
Mi riscuoto dalle mie paure e la osservo terrorizzata. Mi ha rivolto la parola. A me. Ovvero, adesso se l’è presa con me! Qualsiasi cosa io faccia potrebbe comportare un trasporto d’urgenza all’ospedale. Cosa fare in questi casi? Io alzo la bandiera bianca e me ne vado!
Prima che possa reagire una caterva di insulti si riversa sulla ragazza. Meglio.
Lei reagisce linciando i “miei compagni” con lo sguardo. In questo momento vorrei essere con tutto il mio cuore davanti a Stefan ad ascoltarlo parlare “l’amazzone”. Davvero.
Quando le acque si calmano, tutti gli sguardi si concentrano di nuovo su di me. Alice inventati qualcosa ora!
- Ehm… - inizio.
Tutti urlano, acclamandomi. Cioè, ho detto solo “ehm”. Ora immagino che si aspettino altro da me. Bene, so cosa dire.
Mi faccio forza, alzo la voce e urlo:
- La discriminazione è un pregiudizio razziale! -
Qualche grido di qua e di là di innalza, ma svanisce subito. Ah… Forse la frase non era di loro gradimento?
- È scontato - ribatte secca la tipa.
- Bé, non è una cosa giusta - replico.
- Ci vuole ardore! - grida qualcuno dal dietro.
Semplice. È una parola.
- La gente non va selezionata! - urlo, con quanta più forza ho in me.
Uno sciame di urla e di grida di approvazione si eleva alle mie spalle.
- Giusto! - urla qualcuno.
- La gente non va selezionata! - grida qualcun altro.
- Ritiratevi! Sparite! Lasciateci passare! -
Mi sento soddisfatta.
Quando c’è un minimo di silenzio un ragazzo accanto a me si fa avanti.
- Ci cacciate via perché dite che non siamo della risma giusta. Ma esiste forse un certo genere di persone adatte a fare parte della società? -
- Questa non è società! - contesta la ragazza.
Ora che la sento bene, noto che ha un accento straniero. Ma almeno, al contrario di Stefan, l’italiano lo sa parlare.
Trovo la voce e il coraggio per parlare e dico:
- Se “questa” non è società, lo è ciò che la contiene! -
C’è un attimo di silenzio misto a stupore, poi la ragazzina mi afferra per il colletto della maglia e mi strattona.
- Vuoi finire male, picciotta? - mi urla contro, sputacchiando.
Non ho paura, di più. Prima che io abbia il tempo di dire qualcosa, una marea di ragazzi e ragazze si scaraventa contro di lei e mi libera. Io finisco a terra, stordita. C’è un fracasso infernale, ma l’unica cosa che riesco a vedere sono delle persone davanti a me che si muovono avanti e indietro. Non capisco che cosa stia succedendo, ma mi manca l’aria.
Poi, un ragazzo si piega e mi aiuta a rialzarmi.
- Grazie - dico, sorridendo.
Lui risponde con un sorriso. È lo stesso ragazzo che ha parlato prima, quello che ha detto qualcosa riguardo la società. Guardandolo negli occhi si capisce che non è drogato, e non sembra neanche pericoloso.
Mi giro verso la ragazza e noto con orrore che è scoppiata una rissa. Tutti contro una. Devo fare qualcosa, la colluttazione è avvenuta per colpa mia.
- Oh mio Dio! - dico, portandomi le mani alla bocca.
- Non fare niente - dice il ragazzo, tirandomi indietro - sono pericolosi. -
- Ma la ragazzina è sotto a tutti loro! - replico, tentando di avvicinarmi.
- No! - mi dice lui - c’è gente che è uscita in suo aiuto, e sono più numerosi di quelli che l’anno aggredita. -
- Allora chiamiamo la polizia! - dico, disperata.
Tentando di scorgere qualcosa, noto che della gente si sta riversando a fiotti fuori da una porta, la stessa, suppongo, dalla quale è sbucata la ragazzetta.
- La polizia arriverà qui nel giro di pochi minuti. - mi informa il giovane - era prevista una cosa del genere. -
- Ma non puoi startene lì fermo immobile! I tuoi amici si stanno azzuffando! -
- Loro non sono miei amici! - contesta secco lui - ma li conosceva mio fratello. -
Li conosceva”. Ora non li conosce più. Mi volto verso di lui e noto che ha gli occhi lucidi. Ma non sta piangendo.
- Non è che fossimo stati molto legati. - mi spiega. - Lui era un tossico e io sono sempre stato contro la droga. Lui e gli altri si radunavano nel locale qui accanto e si facevano. Era veramente triste. Qua è morta molta gente per overdose, ma quando l’ambulanza arrivava i corpi erano sempre stati trasportati fuori dal pub. Nessuno, fuorché i tossici, ci è mai entrato. Serve un “pass” per entrare. Evidentemente si spaccia, là dentro, e la polizia non ci può entrare, senza un mandato. -
- Ma di chi è il locale, e chi è quella ragazza? - chiedo, impaurita.
- Per quanto ne so, quella è Jasmin. È portoghese. Suo padre, Pedro, era un pusher, ed è morto per overdose un anno fa. Ora è la figlia ad occuparsi del locale. Ha solo sedici anni e già si droga. Con un padre come il suo è anche normale. -
- E qual è il perché della manifestazione? -
Il giovane abbassa la testa.
- Tutti questi ragazzi sono stati allontanati dal locale la settimana scorsa. Fra loro c’era anche mio fratello. Al contrario di loro, Mattia era troppo debole e non ha resistito più di qualche giorno. Senza quel pub non aveva i soldi per procurarsi la roba, prima era Jasmin che gliela assicurava. Dopo una serie di crisi d’astinenza, si è tolto la vita. -
Il giovane china la testa ancora di più, con qualche lacrima che gli riga il volto. Sono combattuta, non so se dirgli che mi dispiace o stare zitta. Non è una bella cosa quella che è successa, ma so che quando muore un caro così vicino si detesta sentirsi dire “mi dispiace”. Lo so fin troppo bene…
- Comunque sono Michele - dice, alzando il volto e rischiarandosi.
Non so cosa vuol dire perdere un fratello, purtroppo il mio mi rompe ancora l’animo, però… non fa niente. C’è una cosa che appartiene al passato ormai, ed è una cicatrice troppo dolorosa.
Sorrido a Michele e rispondo:
- Io sono Alice. -
Improvvisamente, si sente un rumore sommesso e la rissa si blocca. Un silenzio indescrivibile cala sulla mischia, e io mi volto.
- Che cos’è? - chiedo.
- È arrivata la polizia - mi risponde Michele, tentando di farmi allontanare. - È meglio se ce ne andiamo di qua, non è un bel posto. -
- Guarda! - esclamo, additando un furgoncino bianco ed arancione. - C’è anche un’ambulanza! Che cosa è successo? -
Mano a mano la gente si dirada (rientrando nella porta da cui è uscita, rifugiandosi nel pub) e fa spazio a qualcosa… una ragazza! È distesa a terra e del sangue le circonda la testa.
Io grido, piena di orrore.
- Le hanno sparato! - prorompe Michele, e mi afferra per un braccio per portarmi via.
Ma io non mi muovo. Sono terrorizzata. Ho gli occhi sbarrati dal terrore. Quella ragazza era innocente. O fino ad un certo punto.
Jasmin la osserva sconvolta.
- Cristina… - balbetta, poi si gira verso di me.
- È morta! - mi sussurra Michele. - Andiamocene o finiremo nei guai! -
Ma, prima che io abbia tempo di muovere un muscolo, la ragazzetta mi storta un braccio e mi fa cadere. Alza un pugno su di me e sbraita:
- È colpa tua, brutta tr**a! -
- Sta zitta, puttana! - interviene un ragazzo, afferrandola per i capelli. Una marea di persone dalla parte di Jasmin assalgono il mio “salvatore” e nasce un’altra lite. La polizia, nel frattempo, corre verso di noi.
Poi sento come se il mio cuore si fermasse. È partito un altro colpo di pistola. Mi volto sgomentata e vedo il ragazzo a terra, privo di sensi.
Una ragazza si butta su di lui, disperata.
- No! - urla - l’avete ucciso! No! Alessandro! No! -
Vorrei fare qualcosa, ma sento una mano che mi afferra il braccio e mi alza sgarbatamente. Prima ho paura che sia Jasmin, ma la stanno arrestando di fronte a me, poi penso che sia Michele, ma noto che è un poliziotto che mi sta scostando per accorrere dai due ragazzi ormai senza vita.
- Alice! - mi urla Michele, mentre un altro agente sta per ammanettarmi. - Corri! - incita. Mi si avvicina mi afferra e corre via.
Io lancio un grido, spaventata da tutto ciò.
- Stanno scappando! - urla un agente, e tutti si lanciano addosso a noi.
Oh mio Dio. Oh mio Dio!
Sono nella merda più completa. Sono inseguita dalla polizia!
- Che facciamo? - urlo disperata a Michele.
- Scappa! - mi grida lui di rimando.
Io inizio a correre con quanto più fiato ho in me. La polizia mi sta alle calcagna. Ripercorro tutta la strada che ho fatto per entrare nella manifestazione, evitando di scontrarmi con qualcuno. Michele mi sta dietro, zigzagando fra la persone.
C’è chi sta venendo arrestato, chi sta piangendo i compagni morti, e chi, invece, si sta dileguando, come noi.
Questa volta ho proprio toccato il fondo, e giustamente è colpa di Stefan, ma ora non ho il coraggio di pensarlo.
- Non capisco che cosa diavolo sei venuto a fare in questa manifestazione se sei contro la droga! - urlo a Michele, mentre svolto a sinistra.
Lancio una fuggevole occhiata ai bagni chimici ma Stefan non c’è. Bastardo.
- Pensa al lato positivo della cosa - mi risponde Michele - se non ci fossi stato io forse ora avresti fatto la stessa fine dei due ragazzi che sono morti, oppure saresti già in questura. -
Rallentando per non andare a sbattere contro ad un lampione, lo supero e riprendo la corsa sfrenata. La polizia ci sta alle costole.
- Sì - riprendo - ma hai detto a Jasmin che non esisteva gente di un determinato genere per fare parte della società e quindi voi avreste dovuto passare. -
Michele ha il fiato corto, e rallenta appena.
- Parlavo per conto di mio fratello. So che non è una cosa giusta drogarsi, ma lui si è tolto la vita perché è stato scartato, e non volevo che succedesse anche ad altre persone. -
- Se ti può consolare, mio fratello è in carcere. - dico, mentre una fitta mi attraversa il cuore. Non riesco ancora ad accettare che… non importa.
- Per quale motivo? - mi chiede Michele.
Continuando a correre, gli rispondo:
- Omicidio… colposo. - O doloso… ma era legittima difesa.
Mi volto a guardare la polizia e vedo che li stiamo staccando. Ma ormai ho il fiato corto, non ce la faccio più.
- Non dobbiamo smettere di correre - dico, col fiatone.
Davanti a me c’è un cantiere che ci blocca la strada. Devo trovare una strategia.
- Ho un’idea, seguimi. - dico a Michele.
Corro ancora per qualche metro, verso un muretto in costruzione. Prendo la mira e lo salto, rischiando di ammazzarmi.
- Sei matta! - mi urla Michele, intuendo ciò che voglio fare.
Scavalca il muretto e mi segue. C’è una buca scavata a meno di una decina di metri da me, è bassa e ho intenzione di saltarla, anche perché è il modo più veloce per passare dall’altro lato della strada. Gli agenti aggireranno il cantiere e a quel punto noi saremo già lontani.
- Sei pronto? - chiedo a Michele, e lui fa cenno di sì con la testa.
Allora ci buttiamo, ma io inciampo in una trivella lasciata lì a terra e scivolo dentro alla fossa, trascinandomi dietro qualcosa che era rimasto impigliato nell’arnese. Ma dico, che diamine ci fa una trivella abbandonata in mezzo al cantiere?? [Sapessi! NdA]. Raccolgo l’oggetto che è scivolato assieme a me e lo osservo. Gesù! Io so che cos’è questo! È una catena, la stessa che Stefan teneva attaccata ai pantaloni! Questo vuol dire che lui è stato qui!
- Alice! -
Alzo la testa di scatto e guardo Michele. Lui è riuscito a raggiungere l’altro bordo della buca e ora mi osserva preoccupato.
- Tutto bene? - mi chiede.
- È tutto okay! - rispondo io.
- Riesci a risalire? - mi domanda.
- Forse… sono inciampata in uno stupido trivellatore lasciato in mezzo al cantiere! Dico io, insomma! In compenso… il mio compagno è stato qui, ho trovato questa - e gli mostro la catena.
- Bene, ora dammi la mano, ti aiuto a risalire. -
Io gli porgo la mano, ma sento della urla.
- Sono lì! - dicono - prendeteli! -
- Oddio! La polizia! -
- Alice, dammi la mano, svelta! -
- No, scappa, se ti prendono mi riterrò colpevole a vita! -
- Se prendono me, prendono anche te, perciò dammi la mano! -
Michele è teso, e continua a pormi la mano. Io tento di afferrarla, ma ogni volta che provo a risalire il terreno sotto di me si smuove e io rimango ferma dove sono.
- Forza, raggiungiamoli! - grida la polizia.
Ormai è vicinissima (suppongo, visto che non li vedo).
Michele si volta sgomentato, e alla fine si cala nella buca.
- Ma sei matto? - gli chiedo, guardandolo con occhi sgranati. - Ora sei spacciato anche tu! Ci prenderanno entrambi! Dovevi scappare finché eri in tempo! -
- Non ti avrei lasciata qua da sola! - ribatte lui, prendendomi per la vita e sollevandomi.
- Non farlo! - urlo, disperata - o ti prenderanno! -
Ma ormai Michele mi sta sollevando verso l’orlo della buca e mi spinge fuori. Io mi aggrappo all’erba e mi trascino sul terreno, poi tento di allungargli una mano, ma è troppo pensante per me e non posso tirarlo su.
- Tu corri, intanto! - mi grida - io ce la faccio da solo! -
Io mi alzo e mi scosto, ma non posso correre via senza di lui.
- Se ti prendono sarò colpevole della tua cattura! - grido, poi sento le urla della polizia e mi si rizzano i capelli.
Alcuni sono fermi davanti alle reti arancione del cantiere e stanno cercando di romperle, altri stanno facendo il giro del cantiere, ma sono ancora lontani (il cantiere è molto ampio).
- Raggiungiamoli! - continuano a gridare gli agenti.
Stanno per lacerare la rete arancione.
- Sbrigati! - urlo a Michele.
- Avviati, intanto! - replica lui, e io gli do ascolto.
Mi muovo all’indietro, e mentre lui sta raggiungendo il bordo la polizia riesce ad irrompere nel cantiere.
- Sbrigati, Michele! - urlo.
- Vai! - mi grida lui.
Non appena è fuori dalla buca io mi volto e corro, come mi ha detto. Cona la coda dell’occhio lo vedo alzarsi, con la polizia alle calcagna.
- Corri! - continua a gridarmi. E io non mi fermo.
Anche lui inizia a correre, allora sono più sicura e inizio a correre più forte. Ma sono troppo stanca. Ho bisogno di qualcosa che mi trasporti. Io non posso più farcela. Potrei salire su una macchina, se solo sapessi guidarla.
Corro sempre più veloce, ma mi blocco di scatto: gli agenti che stavano aggirando il cantiere mi stanno venendo incontro. Devo deviare assolutamente. Inizio a correre dalla parte opposta e giro la testa verso di loro. Non sto guardando avanti a me, così mi sento sbattere contro a qualcosa (che dolore!).
- Ahia! - mi lamento.
Vorrei continuare a correre, ma mi accorgo che l’oggetto contro al quale ho cozzato è una bicicletta. Potrei scappare a bordo di quella!
- Michele, di qui! C’è u… -
No, non è possibile… Michele è stato preso!
- Michele! - urlo - no! -
Ma so che le mie grida non serviranno a niente.
- Scappa! - mi urla lui, di rimando - vattene finché sei in tempo! -
- No! Non ti lascio! È colpa mia! È stata tutta colpa mia! -
Michele mi lancia un ultimo sguardo desolato, poi viene portato via.
Rimango ferma per qualche secondo, stremata e disperata. Vorrei sedermi e piangere, ma le urla della polizia che mi sta raggiungendo mi sprona ad andarmene. Monto in sella alla bicicletta ed inizio a pedalare. La bici non è mai stata la mia passione, ma ora non devo fare altro che trasformarmi in Coppi e Bartali insieme (prendi due, paghi uno…esaurimento nervoso, o fisico, a seconda).
Sento che mi corrono dietro come dei pazzi frenetici, e la mia bicicletta sta andando piano, molto piano… forza Alice, metticela tutta!
In un certo senso mi sento in colpa per avere rubato la bici, ma è la parte minore. Sto cercando di salvarmi dalla polizia che mi insegue e che ha già arrestato Michele (per colpa mia). Non so dove sto andando, ma ormai non ce la faccio più. E ho perso Stefan. Ormai le possibilità di ritrovarlo sono minime, ma io sono talmente sfortunata che beccherò proprio quelle.
La bicicletta ora sfreccia veloce sul marciapiede. Non c’è quasi nessuno. Tutta la gente che incontro si scansa, impaurita.
- Ma guarda quella! - c’è chi grida.
Continuo a pedalare a ore dodici, ma i pedoni mi intralciano il passaggio e rallentano la corsa. Per evitare di investirli, giro il manubrio e finisco sulla strada; è pericolosissimo, lo so, ma almeno non sto andando contromano.
Ad un certo punto passo in pieno su un tombino e la bici fa un piccolo capitombolo. Mi ritrovo a terra, e le macchine sterzano. Qualcuno accorre in mio aiuto.
- È tutto okay? - mi chiedono.
- Sto bene, sto bene - rispondo io in fretta, poi mi rialzo e continuo a pedalare.
La ripresa è dura, ma devo continuare a correre. Non posso cedere proprio ora, o il sacrificio di Michele risulterà vano.
Pedalo per qualche chilometro, poi, sicura di averli seminati, rallento. Sto per svenire. Ho bisogno d’acqua. Quasi senza accorgermene, la bicicletta si ferma e io barcollo. La gente che mi passa accanto mi guarda stranita, ma io non ci faccio caso.
Mi appoggio ad un muro, ancora in groppa al biciclo. Mi viene in mente un ricordo: quando ero piccola, d’estate, al mare, noleggiavamo sempre un tandem. Io andavo in tandem con il papà, e mia mamma andava su una bicicletta normale, portando mio fratello nel seggiolino. Ci divertivamo un mondo, ma, verso la fine, io iniziavo a stancarmi, così pedalavo sempre di meno, lasciando che fosse mio padre a continuare. Quando se ne accorgeva, si fermava e si arrabbiava. Ma io ero solo una bambina piccola! Tutti quei momenti li ho sempre vissuti con frustrazione, finché… non importa.
Scuoto la testa e caccio via quei pensieri. Sono sempre molto stanca, e vorrei distendermi a terra per riposare.
Improvvisamente, sento il suono di una volante echeggiare sulla strada. Impaurita, mi riprendo subito e ricomincio a pedalare. Questa volta più forte di prima, più forte che mai. Vedo le cose sfrecciare veloci attorno a me, non sento più niente, mi sembra di essere in una campana di vetro. Non so verso cosa sto andando, vedo tutto bianco e i suoni che mi circondano sono scomparsi del tutto. Mi sento svenire.
Mano a mano le immagini e i rumori ritornano, e io rallento. La polizia potrebbe essere ovunque, ma se io non mi fermo schiatto. Comunque, non sento più le sirene suonare.
Proseguendo a rallentatore, scorgo una fermata del pullman.
Non ho la più pallida idea di dove io sia finita, ma penso che salire sul prossimo pullman anziché continuare ad andare alla cieca sia un’opzione alquanto allettante.
Abbandono la bicicletta sul marciapiede mi dirigo verso la pensilina. Sono stremata, non riesco più neanche a stare in piedi. Barcollo, tutto attorno a me rimbomba. Alla fine cedo e mi appoggio al muro e lentamente scivolo a terra; sto svenendo.
Poi sento due mani calde che mi afferrano mi spostano delicatamente su delle ginocchia. Mi sembra di essere in paradiso. Vedo un ragazzo dai capelli neri che mi sorride, preoccupato.
- Alice - mi dice.
Io sbatto le palpebre.
- Papà? -
La domenica mattina, quando non volevo alzarmi, lui mi raggiungeva sempre al capezzale e mi chiamava per nome, accarezzandomi i capelli.
- Papà… - ripeto.
Ma quando poi non mi alzavo lui si arrabbiava tantissimo. Proprio come successe quella mattina…
- Papà… voglio dormire ancora un po’. -
Chiudo gli occhi e quello che ne segue è un buio totale.
Papà.

_________________________________________________________________________________________________________

Ecco il fatidico tredicesimo capitolo! Sapete, questo capitolo ho desiderato scriverlo fin dal primo momento in cui ho stilato la trama. Anche perché l’ho pensata proprio come una cosa improbabile che succede su ranghi normali. Un misto di fantasia, insomma.
Lo so che una cosa del genere non è normale, ma è pur sempre una storia.
Giusto per togliere il dubbio :p la trivella in cui inciampa Alice è proprio quella che ha tentato di massacrare Stefan.

Kokky: mia cara! Eh eh eh no no a Stefan Alice proprio non dispiace… purtroppo per noi ç__ç (ormai dipende tutto da Alice >.<). :p Il tuo stesso amore incondizionato per il nostro Stefan missà che ha preso quasi tutte ^^. Ecco il nostro nuovo feticcio *__*

ehy_Lyla: eh sì, qui ci rimette il braccino! (e qualcos’altro) XD Povero Stefan! Ma credimi, fa più danni Alice.

Shio: io non ce lo vedo proprio a l’operaio, poi che sia incontinente, pooooverooo!!

LaUrEtTa: shi, a lui Alice piace! :p e ora quindi hai visto che è successo?? ^^

Jess: O_O sì, Alice ci ha quasi rimesso le penne :| però dai alla fine tutto a posto! E chissà se mai ricambierà… eh eh!

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Capitolo 14
*** Il tuo ricordo ***


Prima di iniziare la storia, lasciate che renda omaggio a Kokky per avere fatto un disegno su questa storia!



Non è bellissimo??


14. Il tuo ricordo.


La domenica mattina poltrisco sempre fino a mezzogiorno inoltrato. Nessuno mi dice mai niente. La mamma è ai fornelli a cucinare e Alessio gioca indisturbato alla Play Station. Strano, però, perché ora il suo ricordo mi sembra così vago e lontano… Alessio… è come se fossero anni che non lo vedo.
Mah, sarà perché sto ancora dormendo.
Il papà non c’è. Ovvio, altrimenti sarei già chiusa in bagno a piangere. È stato come l’ultima volta che l’ho visto. Anche quel giorno era domenica. E quel giorno Alessio c’era. Il suo ricordo era nitido proprio come lo è quello della mamma.
Io sono la cocca del papà, mi tratta sempre come se fossi il suo angioletto. Ma il papà ha un difetto: si arrabbia sempre troppo per le cose più inutili. Il papà è un tipo irascibile. Il papà si arrabbia sempre con la mamma, ma le vuole bene. Il papà mi tratta sempre con affetto però poi si stizzisce e si arrabbia. Però il papà non degna di una virgola Alessio.
Alessio ha un anno in meno di me, Alessio ha solo quattordici anni. Come quando l’ho visto l’ultima volta. E quel giorno il papà c’era.
Il papà ha un brutto carattere, ma non l’ho mai ammesso di fronte a lui. Alessio l’ha sempre fatto, e il papà ora non gli parla più come una volta.
Quando siamo a tavola il papà parla sempre con me e la mamma, ma Alessio non gli rivolge più la parola. Se deve dirgli “ciao” glielo dice. Se deve dirgli “come stai?” glielo dice. Se deve dirgli qualcosa glielo dice. Ma non scherzano mai loro due. Una cosa che Ale e il papà fanno spesso è litigare. Se il papà si arrabbia con me, Alessio mi difende; se il papà si arrabbia con la mamma, Alessio mi difende. Se il papà si arrabbia con Alessio, scoppia un putiferio.
Il papà si arrabbia spesso, ma quando succede sembra che ci sia il terremoto. Io voglio bene al papà, però ho un brutto ricordo di lui.
L’ultimo che ho risale a quella mattina. Il papà c’era. La mamma c’era. Alessio c’era. Io c’ero. Ora non c’è più nessuno.


Credo di avere fatto un brutto sogno. La parola “papà” insisteva perennemente, e anche il nome “Alessio”. Che incubo, eh?
Alessio è mio fratello, e da due anni non lo vedo. È passata una vita… ha un anno in meno di me, eppure ha una forza di volontà incredibile. È un ragazzo in gamba, e tutto sommato gli voglio bene, nonostante… insomma, gli voglio bene.
La mamma è una madre buona ma severa. Insomma, non è la madre perfetta per eccellenza, ma le voglio molto bene. È l’ultima persona che mi rimane, oltre alla nonna, che sta in un ricovero.
Il papà è morto. Era un padre rabbioso, iracondo, collerico, cattivo. Però solo quando si arrabbiava. Era un padre come tutti gli altri, e come ogni altra persona si arrabbiava. Però quando lui s’inalbera era la cosa peggiore. Iniziava ad urlare, sembrava che stessero uccidendo qualcuno. Urlava parole incomprensibili, a volte insulti, anche se leggeri (ad esempio, “sei una stupida”, “non sei brava in niente”, “vai a pulire i piatti che è la cosa che sai fare meglio”). Una volta, come vi ho già raccontato, mi ero fatta la pipì addosso, e lui, oltre ad avere urlato in mezzo alla strada, ha continuato a chiamarmi “pisciona” ogni volta che mi scappava la pipì. È per questo che mi ricordo quell’avvenimento molto bene. Quando portavo a casa brutti voti la mamma non glielo diceva mai, onde evitare cattive ripercussioni. Per fortuna, nell’ultimo periodo stava fuori casa per lavoro spesso, così si arrabbiava poche volte. Io volevo bene al papà, la collera era solo un difetto da accettare.
Il giorno in cui morì era domenica. Quando passavano le dieci, lui entrava in camera mia, si sedeva accanto al letto e sussurrava:
- Alice. -
Mi accarezzava i capelli, e io sorridevo. Mi diceva di alzarmi, ma se io non mi alzavo lui iniziava a stizzirsi, diceva che lo scherzo è bello finché è corto, poi si inalberava ed iniziava ad urlare come un matto.
Allora io mi alzavo e mi chiudevo in bagno a piangere. Poi Alessio veniva a consolarmi. Alessio non ha mai sopportato la cattiveria del papà, e ogni volta ribatteva.
Quando sono diventata grande, il papà ha smesso di sedersi accanto al letto e di accarezzarmi i capelli, però entrava in camera e, dolcemente, mi chiamava.
Come quel giorno…


- Alice - dice - lo sai che ore sono. -
Sorrido.
- Lo so papà, adesso mi alzo. -
Esce dalla stanza con passo felpato. Oggi è a casa e sono contenta. Sono circa quattro settimane che la domenica è fuori per lavoro.
In questo periodo sono abbattuta: la scuola sta andando veramente male, e la mamma è tesissima. Ripone la sua fiducia in Alessio, lui è un ragazzo studioso.
Mi alzo e infilo le pantofole nei piedi.
E poi, l’urlo che cambiò tutta la mia vita…
- ALICE! SVEGLIATI IMMEDIATAMENTE! VIENI DI QUA, ORA! -
E dopo quell’urlo, la mente si offusca, non ricordo quasi più niente. Se non che… se non che non voglio ricordare. Fu l’ultima volta che vidi mio padre…
Eppure ora è seduto accanto a me. Io lo sento. Sono distesa sulle sue ginocchia. Mi accarezza i capelli e mi dice:
- Alice, svegliati. -


- Alice, svegliati. -
Ma io so che sei morto, non puoi essere tu.
- Papà… -
- No, Alice. -
Apro gli occhi. Sono per strada, non nel mio letto. Mi gira la testa, e delle persone sono sedute accanto a me.
Ora ricordo, sono svenuta. Ho percorso parecchi chilometri in bicicletta, veloce come una matta. Mi ha nociuto un po’.
- Stai bene? - mi chiede una donna.
- Ehm… sì. È tutto okay. È stata solo la paura mista alla fiacchezza. -
Ho le mani che mi tremano. Sono ancora terrorizzata. Non so come abbia fatto a sopportare tutto questo. La manifestazione, la rissa, i ragazzi morti, la fuga, l’arresto di Michele, l’inseguimento, la corsa in bicicletta… e tutto ciò nel giro di pochissimo tempo.
Ho lo stomaco chiuso in una morsa. Ho bisogno di zuccheri. Il ragazzo che mi tiene mi aiuta ad alzarmi, io mi volto e… Stefan??
- Stefan? - dico, incredula.
Lui mi sorride.
- Tutto bene? - mi chiede, tenendomi per un braccio.
Io chino la testa e la scuoto in segno di no.
- Ho… ho bisogno di zuccheri. Mi sento debole… - dico.
- Come? -
- A…andiamo al bar. -
Stefan fa un cenno in segno di sì e mi aiuta a raggiungere un bar. Mi fa sedere e io ordino una cioccolata calda.
Tengo la testa china sul tavolino, ma non ho la minima voglia di muovere un solo muscolo. Ho ancora troppa paura. Mi sono ripresa dalla corsa sfrenata, ma gli avvenimenti accaduti dalla manifestazione in poi mi attanagliano come se li stessi rivivendo tutti in quest’istante.
- Ecco a te - mi dice il barista, appoggiandomi di fronte la tazza di cioccolata.
Io accenno ad un piccolo sorriso, poi la osservo. Sospirando, prendo il cucchiaino e tento di assaggiarne un po’, ma ho lo stomaco chiuso.
Stefan mi guarda con aria indulgente, poi mi posa una mano sulla mia. Come prima reazione mi blocco, imbarazzata, però poi la stringo.
- È… tutto bene? - mi chiede, inciampando un po’ nella grammatica.
Io scuoto la testa. Tento di trattenermi, ma alla fine scoppio a piangere.
- È… è stato orribile! - dico. - Ho avuto paura di lasciarci le penne. Quelli mi hanno minacciata! E poi hanno ucciso due ragazzi… -
Stefan mi si avvicina e mi prende la testa fra le mani, stringendomi a sé. Sono sicura che non capisce niente di ciò che sto dicendo, ma ho bisogno di sfogarmi e mi serve un sostegno.
Alla fine, in lacrime, gli racconto tutta la storia. Gli spiego di come sono finita nella manifestazione e di Jasmin.
- Quella mi voleva spaccare la faccia! - dico, singhiozzando. - Ha tentato di farmi male per quello che le avevo detto, e tutti i ragazzi si sono riversati contro di lei. Poi ne sono arrivati degli altri ed è scoppiata una rissa!-
Continuo a singhiozzare. Stefan mi porge un fazzolettino di carta e io mi soffio il naso.
Io mi accuccio sulle poltroncine dove siamo seduti e mi rannicchio accanto a lui, fra le sue braccia.
- Due ragazzi sono stati uccisi, e non erano molto più grandi di me! - sussurro, quasi per non permettermi di sentire. - E la polizia voleva arrestare me! L’unica persona che in tutto ciò c’entrava di meno! -
Mi soffio di nuovo il naso e narro a Stefan della fuga.
- Michele è stato arrestato! Oddio! È stata tutta colpa mia! -
Ho un’altra crisi di pianto.
Stefan non dice niente, ma sono sicura che non ha capito neanche niente. Tipico.
Poi, ricordano la caduta nella buca, cerco impulsivamente qualcosa… in mano, nelle tasche, in borsa: eccola!
- Stefan - dico, afferrando la catena - è… è tua? -
Stefan la guarda con stupore.
- Sì - risponde - dove… dove era presa? -
Mi asciugo le lacrime, poi gliela porgo.
- Era nel cantiere. Quello dove ci sono i bagni chimici. -
Stefan indugia un po’ sulla frase, poi, incerto, annuisce. Credo che dovrò dargli lezioni di italiano. Parlo seriamente.
- Tieni… tienila te - mi dice, dopo un po’.
Io lo guardo perplessa, ingoiando le ultime lacrime.
- Perché? - gli domando.
- Perché… ehm… è… insomma… voglio che… ehm… -
Oddio. Basta, basta, per carità del cielo. Non pensavo di creargli così tanti problemi! Santo cielo, sono più brava io a parlare il tedesco!
- Voglio che… ehm… tu, ecco… ehm… tu tieni. Capito? -
Lo guardo dritto negli occhi.
- No - gli rispondo.
- Ich will dass, du… -
- No, no, no! - dico - d’accordo. Non fa niente. -
Stefan mi guarda con aria interrogativa.
- Das ist für dich - mi dice - è per tu. -
- “Te”. -
- Come? -
- Niente. - sto zitta un attimo, poi lo guardo. - Per me? - ripeto - perché? -
Lui sorride.
- Perché tu… ehm… perché tu… ehm… -
- Non fa niente - lo blocco. Poi sorrido: - grazie. -
Infilo la catena in borsa, poi mi soffio il naso. Okay, mi sono abbastanza ripresa. Ora che “non ho più bisogno di una spalla su cui piangere” mi ritiro artisticamente da Stefan.
- Dove siamo? - gli chiedo.
- Ante… gate. - risponde lui.
- Antegnate? - dico, stupita. - Sono riuscita ad arrivare fin qui? Tu come ci sei arrivato? - scandisco bene l’ultima frase, di modo che la capisca.
- Ho preso il pullman. - fruga in borsa ed estrae qualcosa. Una cartina.
Rifletto un attimo. Stefan ha seguito quello che ho detto, l’ha capito ed è riuscito ad arrivare fino ad Antegnate? È un genio. (Si fa per dire).







Ich will dass, du…: io voglio che tu…
Das ist für dich: è per te.


____________________________________________________________________________________________________

Scusate il ritardo, innanzitutto, ma è arrivata la pagella, e… potete immaginare il resto. Comunque, purtroppo vi devo avvisare che d’ora in poi potrò dedicarmi alla storia soltanto la sera (ovvero quando riesco a mettermi a computer, dopo ore di faticoso studio ;|) :(, per cui aggiornerò lentamente. Mi dispiace, farò del mio meglio!
Ringrazio bychan per avere aggiunto la storia ai preferiti!

Chiedo scusa, ma non ho più il tempo di rispondere ai vostri commenti, perciò ringrazio:
Little Jewel;
LaUrEtTa;
Jess;
Kokky.

Mi spiace, niente più link agli autori ma qualcosa non va e me li cancella!


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Capitolo 15
*** Di nuovo assieme, che felicità! ***


A TUTTI COLORO CHE PASSERANNO SU QUESTA PAGINA DAL 25 FEBBRAIO 2008 IN POI: HO AGGIUNTO UNA MODIFICA, MI SONO RESA CONTO DI AVERE CONFUSO DUE NOMI, OVVERO HO SITUATO DUBLINO IN GERMANIA. CHISSA', FORSE VOLEVO SCRIVERE BERLINO. ORA NON MI RICORDO, COMUNQUE HO APPENA SOTITUITO DUBLINO CON MONACO. GRAZIE DELL'ATTENZIONE.

5. Di nuovo assieme, felicità!


Mi sono del tutto ripresa. Ora non ho più bisogno della spalla di Stefan. Né, suppongo, lui ha più bisogno di stringermi a sé. Ha preso visione del fatto che ci sono, e chiusa qui la storia.
Finisco la mia cioccolata di tutta fretta e la pago con i pochi soldi che mi sono rimasti. Ho sprecato inutilmente dei soldi per due biglietti dimenticati in cartolibreria, circa quattro ore fa. A proposito di ore, che ore saranno?
Estraggo il cellulare dalla tasca e trovo una chiamata senza risposta.
- Arianna! - esclamo.
- Come? - mi dice Stefan, osservandomi senza capire.
- Niente, niente - sbuffo, tentando di richiamarla.
Siamo spiacenti, dice l’odiosa voce registrata delle solite ragazze, ma il suo credito è esaurito. Magnifico, dispersa a Bergamo senza soldi né in tasca né sul cellulare.
- Bene - dico, riponendo il cellulare in tasca ed uscendo dal bar - spero solo che mia mamma non arrivi a casa prima di me. Anche se so che è impossibile. -
Sbattendo la porta, mi dirigo a passo deciso verso… ehm, non lo so.
Mi blocco di scatto, e Stefan mi viene addosso.
- Ehi - mi dice - attenta… -
Lo guardo in cagnesco, come se mi avesse appena fatto un torto.
- Attento tu, vorrai dire - gli rispondo. Poi proseguo. - È bensì la seconda volta oggi che mi vieni addosso mentre cammino. Non lo tollero. -
- Come? -
- Stefan, nonostante il mio momento di debolezza, ora sono tornata in me. Pienamente in me. Quindi vedi di non dire scemenze, di non compiere mosse azzardate, e soprattutto di non parlare in tedesco. Ti è chiaro questo ultimo punto? - gli domando - nel caso tu non l’avessi capito, non devi in alcun modo parlare il tedesco. Capito? -
- No - mi risponde lui, imperturbabile.
Ci risiamo. Mi scuoto e gli dico:
- Tu. Non. Devi… -
- Ho capito! - urla alla fine, esasperato.
- Allora perché hai detto di no? - gli chiedo, scorbutica.
- No perché… io parlo… lo tedesco… come tu lo italiano. -
Osservo Stefan negli occhi per qualche istante, con sguardo assassino. Se prima mi è sembrato dolce e comprensivo, addirittura quasi umano, ora (che sono tornata alla normalità) ha riacquistato quel suo fare odioso.
- Senti, anche se non mi capisci, afferra il concetto:
Se a parlare in tedesco continuerai,
la lingua più non avrai.
E se questo non ti va bene
dell’inferno subirai le pene.
E con quel fare da bambini esultanti
Ora taci e vai avanti. -
Stefan mi osserva come se fossi la creatura più scema su questa terra. Quasi a voler anticipare il suo fastidioso “eh?”, gli dico:
- In poche parole, stai zitto e prosegui. -
Imbronciato, mi guarda negli occhi. Crede di riuscire a tenermi testa?
- Ob du Italienisch sprachen… -
- No! No! Zitto! - urlo, con le mani nei capelli.
Non posso sopportare una sola altra parola in tedesco!
- Senti, Stefan… -
- Perché tu così tanto il tedesco odiare? -
Mi blocco. Per un momento, osservo Stefan negli occhi, titubante.
- Eh… eh… io… -
- Alice? -
Non posso rispondere a questa domanda.
- Proseguiamo. - dico di scatto, voltandomi e continuando a camminare.
Stefan mi corre dietro.
- Alice, perché tu il tedesco odi? Perché tu a me non dici? -
Chiudo gli occhi, poi li riapro con veemenza, aumento l’andatura e cerco di staccarlo.
- Alice! -
- Non me lo ricordo - dico di getto.
Stefan rallenta, fino quasi a fermarsi. Appena raggiungo la pensilina della fermata del pullman, mi fermo anche io, e lui, con passo lento, riguadagna il distacco.
Forse la mia è una risposta troppo evasiva, o forse non è proprio una risposta. Tant’è che Stefan prima mi squadra, poi decide di non darmi retta ed infine opta per il suo maledettissmo i-pod. Diamine.
Il punto è che in realtà non voglio sapere perché odio il tedesco, o forse vorrei poter dire come chiunque altro che è una materia troppo difficile. E allora perché non mi limito a spiegarlo? La Germania non mi ha mai fatto nulla di male, e l’Austria men che meno. È solo Stefan che è un grandissimo rompiscatole.
Mi ricordo che quando ero bambina, eravamo stati a Monaco. Eravamo io, la mamma e il papà. Alessio non c’era, veniva raramente. Lui non amava viaggiare. Io avevo all’incirca sette o otto anni, e non sapevo parlare neanche l’inglese, figuriamoci il tedesco! Però Monaco era una città splendida, e io me ne ero “innamorata”.
Passando davanti ad una vetrina, mi ero incantata a vedere dei giocattoli che mi piacevano molto. Mio papà mi si era avvicinato e mi aveva detto:
- Vuoi entrare? -
- Sì - gli avevo risposto io.
Una volta dentro, rimasi incantata davanti a quel giocattolo per ore e ore, ma i miei non avevano intenzione di comprarmelo (costava troppo, secondo il loro parere). Ad un certo punto mi accorsi che accanto al gingillo era fermo un ragazzino che mi osservava. Io lo fissai con stupore, finché lui non disse:
- Hallo! -
Io non avevo risposto; ero rimasta incantata dai suoi occhi glauco. Non ho capito niente di quello che mi aveva detto in seguito, però ad un certo punto ho sentito la mano di mio papà afferrarmi il braccio.
- Allora hai finito di stare a guardare quello stupido giocattolo? -
- Ma papà, solo un attimo! -
Arrabbiato come al solito, si era messo ad urlare in mezzo al negozio.
Scuoto la testa. Possibile che ogni ricordo che riguardi mio papà finisce sempre male?
- Alice, cosa facciamo? -
La voce di Stefan mi riscuote dai miei pensieri.
- Eh? - gli dico.
- Il pullman - risponde lui.
Io volto la testa e noto che un pullman è fermo davanti a noi e sta facendo scendere della gente, mentre dell’altra sale a bordo.
- Sinceramente non so cosa fare - rispondo - ma di sicuro non prendiamo questo pullman. Però… devo arrivare a casa prima che arrivi mia mamma. -
Estraggo il telefonino ed osservo l’ora. Manca venti alle cinque. Di sicuro, non ce la farò mai. Ho perso troppo tempo nella manifestazione.
- Stefan - dico, ad un certo punto.
- Eh? -
- Perché sei venuto fino ad Antegnate? -
- Perché tu hai detto che venivi qui; e io ho te aspettato. -
Penso un attimo. In effetti, è stato gentile. O furbo, dipende dai punti di vista. Io l’avrei aiutato a ritornare a casa.
- Grazie - dico semplicemente, voltandomi dall’altra parte.
Rimaniamo in silenzio per un po’, poi io estraggo dalla cartella un foglio che è rimasto stranamente intatto. Lo osservo e sorrido: siamo raffigurati io, Stefan e Matteo. Credo che debba essere completato. Prendo una matita e scarabocchio una ragazza dai capelli immaginariamente rossi, la quale dice “lo so”. Poi tento di riprodurre Michele, ma mi blocco. Che cosa ne sarà adesso di lui? Non mi sento in vena di riprodurlo. Non posso farlo non so come disegnarlo.
Forse dovrei disegnare un volto sorridente e basta. Sì, farò così. E poi disegnerò una figura sgraziata, che rappresenterà Jasmin!
Mentre sto disegnando, mi accordo che Stefan mi guarda.
- Cosa c’è gli chiedo? -
Lui inarca un sopracciglio. Ops, credo che abbia visto il suo disegno con il punto di domanda sopra la testa. Dettagli.
Lo copro subito con una mano e guardo quell’essere inutile con noncuranza. È un ottimo modo per far finta di niente.
Lui scuote la testa e si volta da un’altra parte.
Un altro minuto di silenzio.
- Stefan - dico, ad un certo punto.
- Sì? - mi risponde lui.
- Non so più che fare. -
- Cioè? -
- Ci siamo persi. -
- Uno pullman passerà. Vedrai. -
Abbasso lo sguardo. Vorrei tanto che fosse così, e in effetti sarà così, ma non passerà mai in tempo: mia madre arriverà prima di me e la mia vita sarà finita.
- Spero. - rispondo.
Ora ho lo stomaco stretto in una morsa. Per pensare ad altro, torno a concentrarmi sul mio disegno, dal quale estrarrò qualche “novella” di sicuro, appena sarò a casa.
Mentre sono concentrata nel mio lavoro, uno sconosciuto si siede accanto a me, osservando per bene ciò che sto facendo. Ma io non me ne accorgo.
Stefan, invece, sembra accorgersene subito, ed è anche abbastanza seccato.
Prendendomi per un braccio, mi alza e mi dice:
- So cosa fare. -
Poi mi trascina via, ed è allora che vedo il volto dell’uomo sotto al cappellino: nascosto in modo da non poterlo riconoscere, osserva me, la mia borsa, la mia berretta (della Carhartt) e tutto ciò che ho indosso.
Quell’uomo non mi piace.








Ob du Italienisch sprachen…: se tu parli italiano…
Hallo!: ciao!

___________________________________________________________________________________
Eccomi qui! Ho terminato il quindicesimo capitolo, e mi stupisco di esserci riuscita! Ho veramente troppi impegni in questi giorni.
Come al solito, non posso più rispondere ai vostri commenti, quindi ringrazio:
Kokky;
Cissy (una nuova lettrice!);
Shio;
Jess;
LaUrEtTa;
Bychan (grazie per avere recensito!);
ehy_Lyla.
Grazie mille per il vostro sostegno!

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Capitolo 16
*** Giù dalle scale! ***


QUESTA STORIA È LA PRIMA CHE VA OLTRE AL VI CAPITOLO! SO CHE NON HA MOLTO SENSO, MA IO TENGO CONTO DI TUTTI QUESTI PICCOLI PARTICOLARI :)

16. Giù dalle scale!


- Ahia, Stefan, mi stai facendo male! - dico, mentre lui mi trascina non so dove.
Annuisce, ma non credo neanche che mi abbia capito.
- Stefan, per cortesia! - ripeto, ma lui non mi da ascolto.
Continua, imperterrito, a camminare, sempre tenendomi salda per il braccio. Cioè, se si è innamorato di me lo dica. Non gli farei niente, a parte spingerlo casualmente per strada, mentre passa una macchina. Ops…
Dopo un po’, mi blocco, irritata.
- Stefan, si può sapere che cosa diamine ti salta in mente? - gli dico, scorbutica. - Dove diavolo mi stai portando? -
Come se non mi avesse sentito (o meglio, visto che non ha capito), si gira, mi riprende per il braccio e continua a camminare a passo veloce.
- Stefan, hai detto che sai cosa fare. Ebbene dimmi, che cosa hai intenzione di fare? Santo cielo, Stefan fermati! Stefan, ancora un passo e ti denuncio per sopruso. Stefan… Stefan! STEFAN! Aiuto! Aiuto! Aiutoooo! -
Stefan si è deciso a fermarsi. Finalmente, direi.
Mi intima di stare zitta, ma io lo ignoro del tutto.
- Fallo ancora una volta e sei morto! -
- Muoviti o sei morta - ribatte Stefan (e io mi chiedo come abbia fatto a comprendere il “cirillico” e a non parlare l’“amazzone”).
Lo guardo senza capire.
- Perché? - gli domando.
- Dai! - dice semplicemente lui.
Senza ascoltarlo, mi accuccio, per infilare il disegno nella cartella.
Stefan è abbastanza agitato.
- Vuoi stare un po’ fermo? - gli dico, scorbutica.
Mentre tento di richiudere la cartella, mi accorgo che l’uomo che era seduto alla panchina è fermo sul lato opposto della strada a leggere il giornale. Non sarà mica per quello che Stefan è preoccupato?
- Stefan - dico, - lascia che ti dica che sei paranoico. -
- Eh? -
- Non fa niente, Stefan. - ormai ci ho rinunciato a fargli capire qualcosa. - Su - dico, - torniamo alla fermata del pullman. -
Sconsolato, Stefan mi segue.
Frattanto che cammino, penso per l’ennesima volta a come “eludere la sorveglianza della mamma”. Credo che anche di questo dovrei farci un libretto.
Dunque, iniziamo a ragionare:
Tentativo numero uno:
Fingere di avere dimenticato un quaderno a scuola, così si è dovuti correre a riprenderlo, perché l’indomani c’è un’interrogazione.
Già fatto. Il giorno dopo la mamma mi ha chiesto come è andata, ha estratto il libretto delle assenze per vedere il voto e ha scoperto tante valutazioni negative che le avevo tenuto nascoste.
Tentativo numero due:
Dire di essersi scordati di avere fissato un appuntamento dall’estetista/parrucchiera/ottico eccetera.
Già tentato. Con che soldi hai pagato/dov’è il taglio nuovo/chi ha preso l’appuntamento?
Tentativo numero tre:
Sono andata da un’amica.
L’unica volta che ho tentato di dirglielo, mi ha preceduta dicendo che quel pomeriggio aveva visto quell’amica in città. Non ho più tentato.
Tentativo numero quattro:
Mi sono fermata in biblioteca a studiare.
Una volta è successo veramente, ma lei per testare il mio studio mi ha provato l’argomento. Grazie al cielo avevo studiato.
Tentativo numero cinque:
Dirle tutta la verità.
Già, sarebbe l’opzione più allettante, ma allo stesso tempo orripilante. Se le dicessi che per colpa di Stefan sono finita a Bergamo, mi crederebbe? Di fisso, ma mi domanderebbe anche perché non gliel’ho detto prima, e perché le ho mentito, affermando di trovarmi a scuola.
Gesù, questo sì che è un punto su cui discutere parecchio. Il problema è che ci “discuterò” con la mamma, a casa (sempre che riesca a tornarci).
Nel frattempo siamo tornati alla fermata del pullman, e io sto pensando di dare un’occhiata agli orari.
- Stefan - dico.
- Sì? -
- Passami il foglio su cui ho stampato gli orari del pullman. -
- Non ho capito. -
- Te pareva* -
Stefan mi osserva in cagnesco, mentre io lo snobbo come se niente fosse.
- Io lo italiano capisco no, als tu lo tedesco capisci no. -
Osservo Stefan negli occhi come se fosse un deficiente.
- Eh? -
Quello alza gli occhi al cielo.
- Senti, Stefan, se non parli italiano io non ti posso capire! Voglio dire, è scontato che non capisca il tedesco, ma il “cirillico” evita ancor più di parlarlo. Odio chi storpia la lingua italiana! -
Ora mi sta osservano come se fossi una maniaca schizofrenica che lo vuole linciare come Jack lo Squartatore. Potrei farci un pensierino.
Mi siedo, in attesa di una soluzione che cada dal cielo.
Stefan si siede accanto a me, con me la mani in mano. Non so che fare.
Ad un certo punto, un pullman si ferma davanti a noi e fa scendere delle persone. Io mi avvicino alla porta e chiedo all’autista:
- Mi scusi, questo va a verso Chiari? -
Lui mi guarda un attimo, pensando, poi risponde:
- No, mi dispiace, l’ultima fermata che fa sulla strada per Chiari è Calcio. -
- Può andare bene comunque. -
Mi volto verso Stefan e gli faccio segno di salire. Lui mi segue, e, sperando di non farci scovare senza biglietto, ci sistemiamo nei posti in fondo.
Mi aspetto che Stefan torni ad ascoltare le sue canzoni, ma, con mio enorme stupore, non ci pensa neanche. Tiene la sua tracolla stretta al petto, e guarda fuori dal finestrino con aria assente.
Io mi accoccolo sulla poltroncina e socchiudo gli occhi, tentando di riposarmi un attimo. Sono tanto stanca…
Chiudo gli occhi e tento di pensare a qualcosa.
E poi mi ritorna in mente quella mattina…


Saranno cinque o sei sabato sera consecutivi che la mamma mi tiene a casa. Sono in punizione per via della scuola. Tutte le materie sono insufficienti tranne una… non mi ricordo quale. Ieri sera abbiamo avuto l’ennesima litigata furibonda. Quando succede, Alessio mi consola. Io e lui siamo molto legati.
Questa mattina ho tanto sonno e tanta voglia di dormire, ma Alessio mi stuzzica da sotto le coperte. Mi tira i pizzicotti. Che fratello simpatico!
Mi da un bacio sulla guancia.
- Buon giorno! - dice, sollevandomi le coperte. Un’ondata di freddo mi sopraffa.
Mi volto e mi trascino il piumino fin sopra la punta dei capelli. Mugugno qualcosa che assomiglia vagamente ad un “Buona notte” e mi rimetto a dormire.
Scarmigliandomi i capelli (per quello che può), Alessio ridacchia e se ne va.
Io tento di dormire ancora un po’, ma dopo dieci minuti mio papà entra in camera e mi sveglia. Io ho sempre paura di farlo arrabbiare e accondiscendo i suoi desideri, ma qualcosa, evidentemente, non è andato per il verso giusto…
- ALICE! SVEGLIATI IMMEDIATAMENTE! VIENI DI QUA, ORA! -


- Alice. -
- Che cosa vuoi? -
Odio, detesto quando qualcuno mi interrompe mentre sto pensando. Soprattutto se quel qualcuno è Stefan.
- Siamo a Calcio. -
- Davvero? -
Mi chiedo come Stefan possa saperlo. Gesù, ha forse intenzione di sabotarmi? Ma certo, mi vuole mandare fuori rotta! Che pezzente!
- Ha detto signore di pullman. -
Ah. Come non detto. Effettivamente, l’autista mi sta guardando.
- Bene, scendiamo. - dico.
Stefan mi segue e una volta scesi dall’automezzo mi stiracchio. La corsa è stata velocissima.
- Bene - dico - ora non dobbiamo fare altro che aspettare che passi un altro pullman sulla strada per Brescia! -
Stefan, però, non mi sta ascoltando. Ha lo sguardo vigile. Trovo che sia paranoico. Cerco di seguire la sua veduta, e alla fine noto… lo stesso signore che abbiamo incontrato ad Antegnate, quello con il cappellino.
Stefan lo guarda di sottecchi, io lo guardo di sottecchi e lui guarda di sottecchi noi. Mi volto e inizio a camminare.
- Andiamocene, Stefan. -
Ce ne andiamo via veloci, ma l’uomo ci segue. Proprio quello che mi serviva, devo dire. Aumento l’andatura, e lui fa altrettanto. A questo punto mi metto a correre. Non ne posso veramente più. Credo che oggi quel che è successo basta e avanza.
Purtroppo, per la seconda volta, incomincia un inseguimento. Era meglio quando la polizia mi voleva arrestare. O forse no. Bé, ora sono qui con Stefan (era meglio con Michele), una sola persona ci sta inseguendo e per di più è anche lenta!
Stupidamente, vado ad infilarmi in un vicolo cieco, sperando in qualche modo di salvarmi. Sono fregata.
L’uomo si ferma davanti a noi, estrae un coltello (che ha la lama smussata, tanto per intenderci) e dice:
- Datemi tutti i soldi che avete! -
Devo dire che ha una grinta tale che mi metterei a ridere.
- E se noi non ne avessimo? - dico, ironicamente.
- Datemi tutti i cellulari che avete! -
- Non che ne abbiamo tanti. Stefan non so, ma a meno che non sia ricco sfondato… -
- Datemeli lo stesso! - dice con veemenza il tizio.
Io mi stringo nelle spalle.
- Se proprio insisti… -
- Non scherzare! O ti accoltello! -
- Che paura! -
L’uomo si mette le mani nei capelli ed inizia a tirare calci a destra e a manca, sbraitando.
- Non farebbe male ad una mosca - sussurro a Stefan. - È solo uno che bisogno di un po’ di soldi. Dai andiamocene. -
Mentre il tipo sta dando fuori di matto, io e Stefan ne approfittiamo, sgusciandogli accanto e scappando.
Quando lui se ne accorge, lancia il coltello, che colpisce il muro, e inizia a rincorrerci. Allora io e Stefan scappiamo veloci. Non ho alcuna paura in realtà, è solo che… AH! OH! AHIA! UH! #@*£ç$!
- ALICE! -
Se sono ancora viva non lo so.
Sono distesa per terra e dolorante. Devo avere fatto un capitombolo da paura. Che figuraccia!
- Alice! - la voce di Stefan mi raggiunge dall’alto dei cieli. In realtà, dev’essere distante da me. Alzo lo sguardo e in effetti mi accorgo di essere caduta dalle scale. Ci vuole tutta per non accorgersi delle scale!
Stefan mi raggiunge e mi aiuta a rialzarmi. Siamo finiti in un sotto passaggio, il quale, ovviamente, ha solo un’uscita. Ovvero, siamo bloccati qui sotto.
- Stai bene? - mi chiede Stefan.
- Io sì, la mia gamba no. -
- AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! -
Sussulto di paura. È ancora il malvivente. Quell’uomo dev’essere matto. Anzi, lui è matto!
- Stefan! - dico - svelto, le fogne! -
Lui mi guarda negli occhi ma non si scolla.
Allora io gli indico un tombino li accanto, che ha il coperchio leggermente sollevato.
- Le fogne! - gli ripeto.
- No - dice lui.
- Se preferisci essere derubato, fai pure - dico aspra, mentre sollevo il coperchio dello scarico. Mi calo dentro, e mentre sento le grida dell’uomo raggiungerci, Stefan si decide e mi ricopia.





*Scusate per l’espressione gergale, ma rendeva.

Als: come.

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Eccomi di nuovo qui! Lo so, il ritardo è madornale, ma sono più o meno in punizione (di nuovo) e posso stare a computer per poco tempo. Oltretutto sto partecipando a tre concorsi letterari, che devono essere conclusi entro marzo, quindi ho ancora meno tempo.
Passiamo al bello (o al brutto, per voi): domani parto con la mia scuola e vado a Berlino (tanto per cambiare). Tornerò solo domenica, per cui in questi cinque giorni non potrò scrivere. Quando tornerò farò i salti mortali, ve lo giuro!!
Se dovessi incontrare Stefan state certe che vi avviserò!
Ringrazio Mana_chan e Sakyo91 per avere aggiunto la storia ai preferiti!
E ringrazio per avere recensito:
Ari
Jess
ehy_Lyla
Shio
Kokky

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Capitolo 17
*** Un posto un po' scomodo ***


17. Un posto un po’ scomodo


Merda! Merda! Merda! Mi sono inzuppata le scarpe e cinque dita di pantaloni! L’ambiente è umido e puzza da morire. Non si vede un emerito niente!
- Stefan, sbrigati a chiudere quel tombino! -
- Come faccio?? -
- Non lo so, ma qualcosa fai! -
Sono nell’agitazione più completa, e come se non bastasse ho un dolore allucinante alla gamba destra. Dev’essere stata la caduta.
Stefan armeggia con il coperchio, ma non riesce a fare niente. Io mi guardo attorno. L’unica luce che c’è è quella che proviene proprio da fuori.
- Stefan! - ripeto.
- Un attimo! -
Sarà l’agitazione o le circostanze, ma Stefan per il momento non ha ancora fatto errori grammaticali e ha capito ciò che ho detto (o così si pensa). Incredibile ma vero. A volte i miracoli accadono.
- Stefan se non chiudi quel tombino lo chiudo io e ti mozzo le dita! -
Stefan non riesce a spostare il coperchio.
Nel frattempo le urla del tizio sono scemate, e questo mi ha tranquillizzata. Però qui c’è talmente tanto lezzo che mi viene quasi da svenire!
Credo che scendere nelle fogne sia stato l’errore più grosso che io abbia mai fatto. Diamine, non capisco proprio come io oggi riesca a cacciarmi in questi casini! Sto proprio esagerando.
- Stefan! - ripeto, ma lui non mi ascolta neanche.
Alla fine mi avvicino a lui e tento di aiutarlo, ma lui si ritrae subitaneamente, tirandomi indietro e cingendomi con le sue spalle. Per un momento temo che mi voglia molestare, però poi mi rivedo, lui è Stefan.
Mi allontana dall’apertura e noto che l’uomo ci ha raggiunti. Merda!
Ho paura e mi rannicchio fra la braccia di Stefan, sperando in bene. Però poi il tizio ci guarda bene e scoppia a ridere.
- Buona fortuna - ci dice, poi risale le scale.
Io e Stefan rimaniamo un attimo interdetti. Per me quel tipo ha qualche problema mentale serio. Quando siamo del tutto sicuri che il pericolo è scampato, osservo Stefan imbarazzata: mi sta ancora stringendo, e io non ho già tentato di divincolarmi prendendolo sbadatamente a calci e a pugni. E non lo sto facendo neanche adesso che ci sto pensando. Il problema è serio.
Ci fissiamo in silenzio per qualche minuto.
- Quel tizio è uno svitato - dico, tentando di cancellare il disagio.
Lui resta zitto; comprendo che evidentemente non ha appreso la mia frase. Torno in me e mi scrollo. Anche lui si riprende.
- Dobbiamo uscire - dico, fissando il tombino.
- Sì… sì - asserisce lui.
Mi aggrappo ai bordi del foro e con il suo l’aiuto esco, con molta difficoltà. Poi torna in superficie anche lui.
Improvvisamente, mi torna in mente Michele: lui non è riuscito ad uscire in tempo dalla buca ed è stato arrestato dalla polizia. È stata tutta colpa mia! Se mi fossi fatta gli affari miei e non mi fossi addentrata in quella manifestazione lui non si sarebbe cacciato nei casini, o almeno non per colpa mia. Sono sempre la solita guastafeste, lo sono sempre stata…


- Io… papà… -
- Tu cosa? TU COSA?? -
- Mi dispiace! -
- Ti dispiace? -
- Papà, per favore! -
- Stai zitta, GUSTAFESTE! -
- Papà! -
- STAI ZITTA!! -
- Ma papà… -
- Sei sempre la solita guastafeste, lo sei sempre stata! -
- Ma non ho fatto niente! -
- Hai anche il coraggio di dirlo? -


- Alice? -
Stefan mi riscuote dai miei pensieri. Io scuoto la testa.
- Tutto bene? -
- Sì, sì, è tutto okay. Forza andiamo. -
Stefan si rialza, ma il male alla gamba si fa risentire.
- Aspetta - dico - credo di essermi fatta male. -
Sollevo un lembo dei jeans, mentre Stefan si accuccia.
- Fatta male? - mi dice, inciampando nella pronuncia.
- Sì - rispondo io. - Cadendo dalle scale. -
Deve essere soltanto una botta, perché non perdo sangue. Meno male! Credo che di andare in farmacia, come ho fatto fare a Stefan, non ne abbia proprio voglia.
- Non è niente di grave - dico, tentando di alzarmi. Mi aggrappo a Stefan e, a fatica, tento di risalire i gradini.
La luce del sole mi coglie alla sprovvista, però poi mi riabituo. Mi chiedo come mai quell’uomo se ne sia realmente andato via. Cioè, eravamo in trappola.
Alzo le spalle e giudico che è meglio così, in fondo. Guardo l’orologio per sapere l’ora ma noto che si è fermato. Accidenti! Dev’essere stata la caduta.
Qualunque sia l’ora, la mamma sarà a casa fra poco, e io di certo non sarò ancora rincasata. E, come se non bastasse, credo di avere terminato tutte le risorse disponibili: non so più come tornare indietro. Mi sento perduta!
- Ora come noi facciamo? - chiede Stefan.
Mi gira la testa. Tanto.
- Alice? -
Devo avere preso proprio una brutta botta.
- Alice? -
Sono caduta dalle scale.
- Alice! -
Sono caduta dalle scale…
- Alice? -
e sono ancora viva…
- Alice? -
Papà…
- Stai bene? -
Sono caduta dalle scale…
- Ehy! -
anche io…
- Alice! Alice! -
come lui.


- Papà! - urlo, mentre lo osservo ruzzolare dalle scale.
- AH! - urla la mamma.
- Papà! -
Non si ferma più. Lo vedo cadere, cadere, cadere… e mi sento impotente.
- Oddio! - esclama Alessio, portandosi le mani alla bocca.
Finalmente il papà finisce la rampa e si ferma nell’ingresso. È immobile. Ci precipitiamo verso di lui. Ho il cuore in gola. E se si fosse rotto qualcosa?
- Papà? Papà? Papà? -
- Fate qualcosa! -
- Papà! -
- Non volevo… -
- Aiuto! -
- Papà! -
- Qualcuno ci aiuti! -


- Alice! Alice! Rispondimi! -
Stefan mi sta sventolando una mano davanti, ma io guardo oltre lui. Ho le lacrime agli occhi. Respirava… lui respirava. Lui era vivo. Sì era vivo. Ma allora… che cos’è successo?
- Alice! Sag etwas! -
Sbatto più volte gli occhi e poi ritorno alla realtà.
- Eh? - dico, guardandolo stupita.
- Ci sei? - mi domanda lui, seccato.
- Sì - rispondo io - perché? -
- Tu no parlavi. -
- Oh… ehm, scusa, stavo pensando. Bene, credo che ora possiamo anche andare. -
- Eh? -
- Andiamo, Stefan. -
Lui annuisce. Oh, qualcosa l’ha capito! Quell’essere inutile.
Mi volto per andare e lui mi segue.
- Dove? - mi domanda.
- Bho - rispondo io.
Dettagli.
- Eine Moment… -
Fulmino Stefan con lo sguardo.
- Un momento - lo correggo.
- Könnten noi in Taxi andare? -
Rifletto.
- Non credo di avere qui abbastanza soldi. -
- Io… ehm, - Stefan fruga nella sua tracolla ed estrae un portafoglio. - Nichts… -
- Siamo a posto - borbotto io.
- Come noi facciamo? -
- E lo domandi a me? - esclamo. - L’idea è stata tua. -
- Quanto tu hai? -
Controllo nel borsellino.
- Mah… sui cinque euro. -
- Vielleicht… habe ich… zwei euro hier - ed estrae una moneta da una piccola fessura del portafoglio. Poi infila una mano in tasca, fruga per bene e tira fuori dei centesimi. - fünfzig… zwanzig…zwanzig… zehn… ein euro hier. - Infila un mano nell’altra tasca ed cava dei fazzoletti, un po’ usati e un po’ puliti. Li ispeziona e alla fine trova anche lì qualche soldo. - Vierzig €cent hier… -
- Ancora qualcosa? - chiedo io, fra lo stupito o lo sconsolato.
- Ach ja - risponde lui.
Mi appoggio ad un lampione e guardo il cielo. Ogni momento di più conferma la mia ipotesi: Stefan è l’essere più stupido con il quale abbia mai condiviso un pomeriggio di peripezie. Dopo ne esistono di peggiori: prendete ad esempio Camilla.
- Zusammen machen sie… cinque euro e sessanta. -
Rifletto sulla somma che abbiamo messo insieme. Potrebbe bastarci?
- Con i miei circa cinque euro farebbero una decina di euro. -
Prima di dire qualcosa, Stefan tenta di capire quello che ho detto. Quando non ci riesce, dice:
- Andiamo? -
- Dove? - gli chiedo.
- A taxi. -
Scuoto la testa.
- Ma non abbiamo ancora deciso niente. -
- Bitte? -
Ecco che la rabbia che “da tempo” non si faceva sentire risale.
- Stefan - dico - non costringermi a prenderti a cazzotti! -
- Eh? -
Stringendo i pugni, dico:
- Parla-ita-liano. Ti è chiaro?? -
Inarcando un sopracciglio, raccoglie nel borsellino i soldi che ha e lo rimette via.
Sospiro.
- Senti - dico.
- Eh? -
- Hai presente quei numeri, tipo 89 24 24? Credo che ne chiamerò uno, sai, vorrei avere un po’ di informazioni riguardo al costo dei taxi. -
- Ehm… giusto. - Stefan annuisce.
Ormai lo conosco, è chiaro che non ha capito niente e che non ha alcuna intenzione di capirlo. Per quanto lo riguarda io lo devo solo riportare a casa, poi con lui avrò chiuso. Che simpatico che è, vero? Io lo aiuto più che posso e lui come ricambia? Mi sta solo usando! Oltretutto, riferirebbe tutto a Camilla. Sì, proprio quella stupida! Sempre che riescano a parlarsi. Ah, è vero che lei è una secchiona! Stronza!
- Alice -
- Eh? -
- Allora? -
Rifletto.
- Dammi qualche centesimo - dico.
- Perché? -
- D’accordo, che tirchio! -
Estraggo un paio di euro e cerco una cabina telefonica (che non è distante). Infilo i soldi e digito un numero. Quando la signorina risponde, le dico che vorrei avere il numero di un’agenzia di taxi e sapere la tariffa extraurbana.
Dopo qualche minuto ringrazio e riaggancio. Faccio qualche conto a mente e mi volto verso Stefan.
- Also? - mi dice.
- Vuoi veramente andare a casa in taxi? Bé, se hai un centinaio di euro puoi farlo. -
Stefan sgrana gli occhi.
- Aber das kostet eine Menge Geld! -
- Va’ a dirglielo a loro… -
Raggiungo una panchina e mi siedo. Ormai la mamma sarà quasi a casa. Se non mi trova si arrabbierà tantissimo. Se scopre dove sono le verrà un colpo… e io non voglio perdere anche lei. Ormai è l’unica persone che mi rimane… devo tornare a casa, adesso.
- Stefan! -
Quasi quel poverino (è un modo di dire) fa un salto dallo spavento.
- Noi troveremo i soldi! - esclamo.
- Come? - mi chiede lui.
Piccolo disappunto.
- Bé… - dico. Poi abbozzo un sorrisetto. - Elemosineremo. -






Sag etwas: di’ qualcosa.
Eine Moment: un momento.
Könnten …?: potremmo …?
Nichts: niente.
Vielleicht… habe ich… zwei euro hier: forse… ho… due euro qui.
Fünfzig… zwanzig…zwanzig… zehn… ein euro hier: cinquanta… venti… venti… dieci… un euro qui.
Vierzig €cent hier: quaranta centesimi qui.
Ach ja: sì.
Bitte?: prego?
Also?: allora?
Aber das kostet eine Menge Geld!: ma cosa un mucchio di soldi!

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Carissimi tutti i miei lettori e le mie lettrici preferite! Eccomi tornata da una gita fantastica a Berlino! In realtà è già un po’ che sono tornata, ma, come vi continuo a ripetere sono in punizione. Questa è solo una breccia nel mio castigo.
Dunque, visto che ormai solo coloro che sono registrati possono recensire non mi sentirò più in dovere di “linkare” voi miei carissimi sostenitori XD, e il che mi fa risparmiare tempo (credetemi, ogni link mi portava via venti minuti: non ne andava bene una!).
Dunque, ormai coloro che hanno aggiunto la storia hai preferiti sono bensì 17, di cui devo ringraziare gli ultimi: siete così tanti che se faccio delle ripetizioni chiedo scusa, ma mi confondo!
Quindi ringrazio: Shio, Piccola Dea, Mamey, Lely1441, alii, blackout.

Ringrazio per avere recensito:
Kokky;
blackout;
Piccola Dea;
Shio;
Lely1441.

Grazie mille a tutti quanti! E ancora scusa se non posso più rispondere ai vostri commenti!

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Capitolo 18
*** Buoni i pettorali ma le calamite si respingono! ***


18. Buoni i pettorali ma le calamite si respingono!


Sono tornata nel sottopassaggio e, con molte difficoltà, mi sto sfilando la maglia e i calzoni per indossare quelli di Stefan.
Voltato dall’altra parte, Stefan si sta mettendo i miei vestiti.
L’idea non era quella di fingere il sesso opposto; in verità io ho deciso di fare finta di fare la carità per racimolare un po’ di soldi, con i quali io e Stefan saremo liberi di prendere un taxi e tornare a casa. Finalmente.
Indosso i pantaloni, che mi stanno enormemente larghi, e la felpa, dentro alla quale posso tranquillamente dormire. Le scarpe non le scambio, perché:

PRIMO: A NESSUNO È CONCESSO DI INDOSSARE, TOCCARE O SOLAMENTE LAMBIRE LE MIE SPLENDIDE ETNIES.

Dichiaro di avere preso visione e di accettare le Condizioni per l’utilizzo delle Etnies di Alice.

Secondo: le All Star di Stefan sono di almeno un paio di numeri al quadrato più grandi delle mie scarpe.
Una volta vestita, guardo di sottecchi Stefan, per controllare che non mi stia spiando. No. Almeno ha il contegno di rispettarmi. Ehm… quello che forse non sto facendo io. Ma non riesco a scollarmi. Non ha ancora infilato la maglia e sto letteralmente sbavando dietro alla suo fisico scolpito e… eh?? No, no, no, cancellate ciò che ho detto. Avrà un bel fisico (suo malgrado, visto che è così magro), ma io non ci sto sbavando dietro, no, proprio no.
L’idiosincrasia che provo nei suoi confronti mi impedisce di fare qualsiasi commento carino rivolto a lui o a qualsiasi cosa lo riguardi. Oltre che, ovviamente, alle sue scarpe, ai suoi gusti in fatto di musica, al suo stile e al suo fisico. Ehm… no, il fisico no.
Oh, suvvia! Che cosa sono tutti questi stereotipi? Stefan è solo uno stolto, e quelle qualità non faranno di lui un ragazzo degno di me. Nossignore, per quanto mi riguarda potrebbe anche essere la persona più bella mai vista in tutto l’universo, ma se uno è uno sciocco, sciocco rimane. Solo Johnny Depp è esentato da questi pensieri.
Nello stesso momento in cui decido di scollare lo sguardo da Stefan, lui si gira e mi osserva. Ops. Che figura.
Vorrei voltarmi dall’altra parte e fare finta di niente, ma, sia io che lui, ci fissiamo per qualche secondo, imbarazzati.
Dio, Stefan ha proprio dei pettorali da paura! Ma non conta niente, tanto mi sta antipatico. Allora perché non la smetto di guardarlo?
Con la maglia in mano, sospesa a metà fra la testa e il petto, Stefan resta immobile, rossissimo in volto, e mi osserva come per dirmi di voltarmi.
Infine, si infila la mia maglietta di Jack di Nightmare Before Christmas e sopra la felpa di Emily The Strange e fa finta che niente sia successo.
Già, ottima cosa direi. Farò così anche io.
Finisco di sistemarmi i vestiti.
Quando siamo a posto, uno davanti all’altro, ci squadriamo.
- Tu sembri barbone. - mi dice Stefan.
- Tu sembri gay. - rispondo io.
Stefan rimane interdetto. Io scoppio a ridere: è vero quello che ho detto, con i miei vestiti sembra proprio gay. Dopo non si sa mai che lo sia veramente…
- Il mio era…ein Kompliment. -
Io sgrano gli occhi. Cos’è che ha detto?
- Vorresti dirmi che dire che assomiglio ad un barbone era un complimento? - dico, a raffica.
Stefan indietreggia, allarmato. Ormai quel ragazzo ha imparato a conoscermi.
- Stronzo! Gira alla larga! Un complimento! Figuriamoci, un complimento! Anche che tu sia gay è un complimento, proprio ti si addice! -
In realtà, io non ho nulla contro gli omosessuali, mi pento della frase che ho detto. Se quello stolto non li accetta, allora è ancora più stupido di quanto credessi.
- A-Alice… - balbetta Stefan.
- Sta zitto! - gli dico - complimento del cavolo! Sai cosa dirò a tutti domani? Che tu mi credi un barbone! E sai cosa ti dico? Che se sembro un barbone è perché indosso i tuoi vestiti. Se i tuoi vestiti mi fanno sembrare un barbone, vuol dire che tu sembri sempre un barbone! Te lo do io l’“ein Kompliment” del cavolo! Ma vaff… -
Stefan mi scuote per un braccio.
- Alice! - mi dice - basta! -
Io sono pronta per dirgliene su altre, però poi mi blocco. Mi accorgo di avere parlato talmente tanto e talmente tanto velocemente che neanche Stefan ha retto. E per dire che lui non ha retto ce ne vuole. A parte quando mi ha rifilato una sberla.
A proposito di quella sberla (che, nonostante siano passate solo poche ore, mi sembra un’eternità), c’era una cosa che… mi imbarazzava un po’.
Torno indietro con la mente di qualche ora…
Certo, Stefan non mi ha fatto per niente male, pochi secondi fa; mi ha tirato più che altro una sorta di sberletta. Anzi, devo dire che non fa niente, più avanti di sicuro lo scoprirete.*
Bé… quando Stefan mi ha colpita, sembrava quasi che l’avesse fatto, oltre che per ripicca, per volermi toccare (la guancia). E devo dire che la cosa mi ha lasciata piuttosto imbarazzata. Certo, se avessi visto prima i suoi addominali credo che… ehm… credo che l’avrei accoltellato all’addome. E poi avrei asportato i pettorali in un quadretto da appendere in camera mia.
Sì, non chiedetemelo, sono pervertita.
Chiudendo questa piccola parentesi, mi calmo e fisso il ragazzo con espressione arcigna.
- Io vado, Stefan - dico.
- Sì - mi risponde lui.
- Tu è meglio se resti qui. Sai… non vorrai fare la figura della donzella. -
Lasciando Stefan intento a decifrare il messaggio, inizio a salire le scale. I pantaloni mi cadono, avrei bisogno di una cintura. E poi c’è un freddo micidiale. Dicembre è di gran lunga il mese peggiore dell’anno. Ho preferito non mettere la giacca, avrei dato di meno l’impressione della poveretta.
Chissà se qualcuno mi darà qualcosa… anche solo un euro. Se mi dessero un euro a persona (per un totale di cento persone) a casa ci andrei difilata. Poi scoppio a ridere. Un euro a persona? Incrocerò sì e no una decina di persone, delle quale forse due o tre mi doneranno venti centesimi. Il mio ragionamento è proprio insulso.
Alla fine mi viene un’idea.
Ridiscendo le scale e prendo Stefan per un braccio.
- Vieni - gli dico.
Con aria interrogativa, lui, docile, mi segue.
- Tu farai parte del “film” - gli spiego. - Tutto ciò che dovrai fare sarà di passare davanti a me in un momento in cui c’è via vai e lasciarmi almeno tre euro. Funzionerà. -
- Ehm… giusto. Cosa? -
Non ci credo. Io non sopporterò più di un minuto ancora assieme a lui.
- Stefan - scandisco - tu DEVI dare a me tre euro quando c’è tanta gente. -
- Quando…? -
- Wenn - tento di parlare un po’ in tedesco. - gibt es… tanta gente. -
- Gente? -
- Gente. Mann und Frau. -
Lui annuisce.
- Okay - mi dice.
- Bravissimo, Stefan - mi complimento con lui. - Hai capito perfettamente tutto. -
Quindi lo riafferro per la mano (non oso toccare la mia bellissima felpa, potrei sgualcirla) e risaliamo il sottopassaggio.
Cerchiamo un posto adatto per fare elemosina, ma pare non ce ne siano.
Dopo dieci minuti, stufa marcia, mi siedo svogliata su un muretto. La gente ci lancia guardi stupidi, per via del nostro abbigliamento. Io ricambio con un’occhiataccia. Perché la gente non è libera di vestirsi come vuole? Se io in pieno inverno, mentre nevica, vedo una ragazza andare in giro in top, minigonna e sandali sinceramente non la noto neanche. La gente è troppo fissata, a parer mio. Solo perché sono punkettona ho ricevuto talmente tanti di quegli insulti che solo la metà farebbero rabbrividire. Che rabbia. Se vai in giro in tuta e scarpe da ginnastica sarai emarginato, perché le persone non ti accettano.
Rifletto un attimo e penso che sia assurdo… domani, come provoca, andrò a scuola in tuta. Già… se torno a casa vado veramente a scuola in tuta! Lo prometto.
- Alice. - dice Stefan, sedendosi accanto a me. Troppo accanto a me.
- Dimmi, Stefan - dico, un po’ a disagio.
Disagio, io? Questo non è possibile, perché Stefan dovrebbe mettermi a disagio?
- Alice - ripete lui. - Prima… -
- Mi dispiace - mi affretto a dire - ero persa… non avevo intenzione di guardarti. -
Lui arrossisce visibilmente.
- Io intendevo… - si blocca. È chiaro che non sappia come continuare. - Il complimento. -
- Oh. Ehm… certo. -
Ho qualcosa che non va… sono un po’ delusa perché forse volevo che Stefan parlasse riguardo a quel piccolo… contrattempo. Non sto bene. Ho la febbre.
- Io… non volevo offendere te. Io dire volevo che… tu per Almosen eri bene. -
- Al che? -
- Almosen… ele… elemo… -
- Elemosina? -
- Sì. -
- Io… sembravo adatta a fare il barbone? -
- Sì… -
- Stefan, questi sono i tuoi vestiti. -
Lui arrossisce.
- Ehm… giusto. -
Ridacchio fra me. Stefan non si è ancora spostato. Sono abbastanza in soggezione.
- Alice - dice poi - perché prima tu ha me guardato? -
A questo punto sono io a diventare rossa come un peperone.
- Io… io - balbetto. - sc…scusa. Ehm… -
Vorrei dirgli che ha dei pettorali da paura, ma mi trattengo. Mi volto a guardarlo e noto che mi fissa assorto.
No, non proprio assorto… quando fa così mi fa paura.
Io lo fisso e lui mi fissa. Continuiamo a fissarci. E la cosa strana è che non ci stiamo squadrando. È come se lui fosse un lato della calamita e io l’altro. Uhm… i poli opposti di due calamite non dovrebbero respingersi?
Quando io e Stefan siamo talmente vicini da poter sentire ognuno il respiro dell’altro trattengo il fiato.
- Ora è meglio se andiamo. - dico, con un filo di voce. - Non abbiamo ancora molto tempo. -
- Sì - risponde Stefan, riscuotendosi.
Più che risoluta a dimenticare quello che è successo, mi alzo e scaccio via tutti i pensieri che mi affollano la mente.





*Capitolo 8, Una ragazza un po’ schizzata.

Ein Kompliment: un complimento.
Wenn gibt es: quando c’è.
Mann und Frau: signore e signora.
Almosen: elemosina.

________________________________________________________________________________
Eccomi tornata! So di avervi fatto aspettare molto anche stavolta, e mi scuso. Ma il problema è sempre lo stesso :(
Comunque, nel capitolo precedente ho dimenticato di dirvi che a Berlino ho visto Stefan due la vendetta! =D
Ringrazio ehy_Lyla e Jess_91 per avere aggiunto la storia ai preferiti!
Ringrazio per evere recensito:
Shio;
Lely1441;
ehy_Lyla;
Kokky;
Jess_91;
Piccola Dea.
Grazie mille per continuare a sostenermi!

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Capitolo 19
*** Elemosina ***


I contenuti di questo capitolo sono del tutto improbabili, prendeteli, quindi, come una completa opera di fantasia, senza razionalità né realismo.
Ricordo, inoltre, che luoghi o persone citati sono puramente casuali e che NESSUN INSULTO RIVOLTO A CHICCHESSIA È A SCOPO RAZZIALE.

19. Elemosina


Io e Stefan camminiamo in direzione del sottopassaggio dal quale siamo risaliti. Non ho un piano ben preciso, ma credo che mi siederò accanto alla ringhiera e guarderò la gente con aria supplichevole. A quel punto passerà Stefan e mi lancerà tre euro. Gli altri dovranno prenderlo come esempio.
Mente rileggo il piano mentalmente, mi rendo conto che è inutile rivederselo… la verità è che sto tentando di pensare a qualcosa che non sia ciò che è appena successo.
Sapevo che Stefan avesse una mentalità perversa, che più di una volta mi ha riversato addosso, ma prima aveva intenzione di baciarmi!
Non che tu fossi da meno, mi dice una vocina interiore.
Sta zitta! Non è affatto vero, io non volevo baciare Stefan, né tanto meno volevo che lo facesse lui. Semplicemente ero un po’ imbarazzata per via della situazione.
E non hai reagito.
Problemi? Vorrei vedere te come reagiresti se la persona più stolta avesse tentato di baciarti.
Ma lui non ha tentato, avrebbe voluto…
E sai perché non l’ha fatto?
Perché tu hai interrotto tutto.
Appunto! Quindi io non volevo baciarlo. Punto. La questione è chiusa.
Lancio uno sguardo a Stefan e noto che ha l’espressione mesta e il volto chino. Non provo un minimo di compassione nei suoi confronti. Tutto ciò se l’è meritato.
- Eccoci qui - affermo, quando arriviamo al sottopassaggio.
Stefan si ferma e lo guarda.
- Vogliamo iniziare? - dico.
Lui si guarda attorno. Non sta passando molta gente. Non darò nell’occhio.
- Iniziamo - rincara, allontanandosi.
Io mi siedo e guardo la gente che passa
Una mamma con il passeggino mi passa davanti.
Un uomo in giacca e cravatta cammina davanti a me con molta fretta.
Due ragazzi mi sorpassano, scherzando.
Dunque, ho veramente voglia di fare elemosina? Mi sembro un po’ stupida. Ho una bella aria, non credo che farei mai compassione a qualcuno.
- Vai! - mi sibila Stefan, aspettando paziente.
Io traggo un profondo respiro e allungo leggermente le mani verso le persone che passano, ma le ritraggo prontamente dopo qualche secondo.
- Alice! - dice Stefan a denti stretti.
Io lo osservo e annuisco. In realtà non ho affatto il coraggio di chiedere soldi mendicando. Piuttosto torno a casa a piedi. Mm, sarebbe un opzione.
Alla fine mi faccio coraggio e congiungo le mani verso gli altri, formando un incavo. Chiudo gli occhi per non vedere le espressioni divertite degli altri.
Dopo un po’ ne socchiudo uno, pronta a vedere una fila di persone che mi ride davanti. Con disappunto, noto che nessuno, neanche un piccione, mi sta prestando attenzione. Bé, devo dire che conto molto, qui.
Allora mi schiarisco la voce. Vorrei dire qualcosa, ma sono troppo imbarazzata.
Lancio un’occhiataccia a Stefan, che finalmente viene in avanti. Cammina lentamente, di modo che tutti lo possano vedere. Si guarda attorno, e in effetti tutti lo stanno osservando con curiosità. C’è da dire che noi italiani siamo veramente curiosi.
Stefan prosegue lentamente verso di me, continuando a guardarsi attorno. Sembra veramente un cretino.
- Atten… - non riesco a finire la frase in tempo.
- Ouch! - Stefan, un grandissimo rincitrullito, è andato a sbattere contro la ringhiera del sottopassaggio.
La gente tenta di trattenersi la ridere, e sguscia via, con le mani sopra alla bocca.
- Idiota! - sibilo, mentre lui mi raggiunge, barcollando.
- Io non ho vista… - tenta di dire.
- Sì, tu non hai proprio la vista. È più semplice. Forza, dammi i tre i euro. -
Stefan si fruga nelle tasche dei miei pantaloni, poi tenta di infilarsi le mani nella tasca del giubbotto, e dopo un po’ impallidisce.
- Dove… dove… dove è mia giacca? - dice, con un filo di voce.
- È rimasta là sotto. -
In meno di un secondo, il ragazzo si fionda nel sottopasso e risale, stringendo in mano la sua borsa e la sua giacca, con in spalle la mia cartella. Si è sprecato.
- Bene - dico, osservandolo bieco - ora dammi i tre euro! -
- Oh, sì… - dice Stefan, frugando un po’ dappertutto.
- Allora? -
- Ehm… -
- Stefan, dove sono i soldi? -
- Alice, i soldi ha tu. -
- No, erano i tuoi! -
- Appunto. -
In una frazione di secondo realizzo di indossare i suoi vestiti. Ficco la mano in tasca ed estraggo tutte le monetine.
- Ops - dico.
- Dammeli! - dice Stefan, porgendo la mano.
Seccata, mi alzo e lo porto via.
- Ma ti pare che io ti dia i soldi che tu mi devi ridare davanti a tutti? -
- Eh? -
Osservo Stefan sconsolata, poi mi siedo su un muretto lì accanto.
- Non importa, Stefan - dico, e gli passo i suoi soldi.
Lui si siede accanto a me, e io mi ritraggo velocemente, per paura che succeda quel che è successo prima.
Stefan nota il mio movimento improvviso e mi guarda, innocente. Noto il suo disappunto.
- Io non voglio te uccidere, Alice - mi dice, ironico.
Ormai ho capito di piacere a quel ragazzo, e mi sono rassegnata. Ma non posso farci niente, a me lui proprio non piace e solo l’idea di starci mi fa rizzare i capelli!
- Senti, riproviamo - dico, alzandomi.
Lui mi ricopia.
Torniamo ai posti di prima. Io mi risiedo accanto alla ringhiera e lui si posiziona poco distante, pronto a darmi i tre euro.
Mi schiarisco la voce e allungo le mani, aspettando che qualcuno passi. Ma nessuno se ne frega. Sto per dire a Stefan di venire, ma un ragazzo mi si ferma davanti, inarcando le sopracciglia.
Io lo guardo con occhi supplichevoli, rabbrividendo. Fa veramente freddo in dicembre senza giubbotto.
- Bei pantaloni - dice, ironicamente.
Io li osservo, senza sapere il perché della frase. Forse è perché sono troppo larghi.
- Me li ha regalati un passante, voleva portarli ad un’associazione per i poveri - dico, stringendomi nelle spalle.
- Anche la maglia della Broke? -
Cazzo!
Me rendo conto solo ora di essere vestita di capi che non si comprano al mercato a dieci euro. Perché diamine Stefan va a comparsi queste cose?
- Sì - rispondo io - e anche le Etnies. -
Lui mi guarda e si mette a ridere. Poi se ne va. Spero proprio che nessuno abbia ascoltato il nostro discorso. Forse dovrei mettermi scalza.
A questo punto, Stefan entra in azione e mi passa davanti. Fa attenzione a non farsi male, questa volta. Si ferma di fronte a me, fa in modo che tutti ci vedano e mi posa tre euro nella mano.
Le gente lo guarda con disprezzo, e io vorrei alzarmi e tirare una sberla ad ognuno.
Sto lì altri tre minuti, e quando vedo che nessuno mi da niente, decido di dire qualcosa.
- Carità - inizio - carità per i poveri! - mi sento una scema. - Carità per i poveri! -
La gente mi osserva, stranita, poi alcuni scoppiano a ridere.
- È già carnevale? - chiede una signora.
- Bé, fra all’incirca un mese è la befana - risponde un’altra.
La rabbia mi monta dentro, ma io tento di ignorarle.
- Carità per i poveri! -
- Alice! - dice Stefan, a denti stretti. - Che cosa stai facendo? -
Io lo ignoro.
- Carità per i poveri! -
Due bambini mi saltellano davanti, giocando.
- Carità per i poveri! - gli dico.
- Robin Hood e Little John van per la foresta! -
Io li osservo, scandalizzata. Loro ridono e scappano via. Do veramente l’impressione di Robin Hood?
- Carità per i poveri -
Stefan, stizzito, mi passa accanto e mi tira un colpetto con il piede, per farmi smettere. Mi colpisce la gamba che mi fa male. Vedo le stelle.
- @#ç$£!!! -
La gente si ferma, scandalizzata.
Inviperita, stritolo a Stefan il braccio ferito, e lui, come me, emette gli stessi suoni.
- Stefan, sei un rincoglionito! - urlo.
- Sei una stupida! - mi urla lui.
- Guarda cosa hai fatto! -
- Guarda mio braccio! -
- Deficiente! -
- Idiota! -
Intimorito, un ragazzino ci si avvicina e ci lancia cinquanta centesimi.


Qualche minuto più tardi stiamo camminando su un marciapiede, senza emettere un suono. Siamo arrabbiatissimi entrambi, ma, senza ammetterlo, il comportamento da noi tenuto lo troviamo assolutamente ridicolo.
Io cammino zoppicando, lui tenendosi il braccio fasciato. Ci siamo ricambiati i vestiti. Ormai mia mamma sarà già bella che arrivata a casa. Estraggo il cellulare e guardo l’ora: manca venti alle sei. Ho cinquanta minuti di tempo per rincasare senza essere scoperta. Non ce la farò mai.
- Tu è stata ridicola - dice Stefan, aspro.
- Taci - rispondo io, secca, non trovando niente per controbattere.
Continuiamo a camminare, imperterriti. Io guardo dritto davanti a me. Non voglio parlare. Sto ancora pensando a Michele. Ora sarà in questura. Chissà come lo staranno trattando. Il ricordo della polizia che mi seguiva mi fa tornare in mente quando… quando… quando Alessio…


La polizia sta portando via Alessio. Non è ammanettato. Credo che gli faranno delle domande. Ma non è colpa sua
Si ferma davanti alla portiera della macchina e si volta a guardarmi. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. Lancia un ultimo sguardo allambulanza, che sta caricando il corpo sul furgone. Poi sale in macchina, chiudono la portiera e Alessio parte parte per sempre.
Non ho mai avuto il coraggio di andare in carcere a trovarlo. Non so come sta, se è cambiato, se ha ancora il piercing al labbro o i capelli un po lunghi


- Alice - dice Stefan, spostandomi - attenta. -
Torno alla realtà e noto che stavo per investire un venditore ambulante.
- Tutto a un euro! - dice il tizio, indicandomi i vestiti esposti.
- No, grazie - rispondo io, guardando sfilze di minigonne e tacchi a spillo.
- Wie werden wir… -
- Stefan! - lo zittisco all’istante - prova ad aprire bocca un’altra volta per parlare in tedesco e ti faccio fuori! -
Lui mi guarda bieca, ma il suo sguardo si perde oltre una vetrina di chitarre.
- Vieni via di lì, Stefan - dico, però poi mi blocco. - Sai suonare la chitarra? -
- Ja… ich spiele Gitarre… -
Abbozzo un sorrisetto.
- Bene - dico - perché ho un’idea. -
Torno indietro di qualche passo e guardo il signore che vende vestiti.
- Mhm… credo che prenderò una gonna, un top e un paio di sandali. -
Il tizio mi da ciò che gli ho chiesto.
- Tre euro - mi dice. Io tiro fuori dalla tasca i soldi che mi ha dato prima Stefan e li do al venditore ambulante.
- Tu è matta - mi dice Stefan.
- Lo so. Ma ogni scusa è buona per tornare a casa. Devo cambiarmi, aiutami. -
- Come io faccio? -
- Non lo so, prendi un asciugamano e coprimi! -
- Io cosa? -
- Stefan, quanto sei ignorante! -
- Io no capisco! -
- Vai a quel paese? -
- Dove? -
Esasperata, tento di non ascoltarlo.
- Prendi questo - mi dice il venditore ambulante, e mi passa un telo.
- Oh, grazie mille! - gli dico, poi tiro Stefan per una manica e ci ficchiamo in un angolo.
- Ora - gli dico - tu devi tenermi il telo davanti, in modo da coprirmi, ma non mi devi guardare! Hai capito? -
No, però fa comunque quello che gli ho detto. Alla fine, con qualche difficoltà, mi riesco a cambiare. Quando esco in pubblico mi faccio ribrezzo da sola: in pieno inverno con i sandali, la minigonna, un top e niente giacca.
- Vieni - dico a Stefan, dandogli in mano i miei vestiti.
- Alice! Sei matta! - mi risponde lui.
- Lo so! Tu seguimi. Anzi, aspetta qua. -
Entro nel negozio di chitarre, guardandomi attorno. Il negoziante, un ragazzo sui venti anni, mi vede e mi raggiunge.
- Ciao - dice - ti serve un mano? -
Scoccandogli uno sguardo ammaliante, mi avvicino a lui e gli sorrido. Lui arrossisce.
- Ciao - dico con voce seducente. - Sei molto carino, sai? -


Dopo cinque minuti esco dal negozio con espressione soddisfatta, stringendo in mano una chitarra da quattro soldi. Stefan mi osserva, scandalizzato.
Ho letteralmente fatto la corte al proprietario del negozio, inducendolo a regalarmi la chitarra più brutta che ci fosse.
Mi rivesto in qualche maniera, poi ci rincamminiamo.
- Ora, Stefan, dimostrami di sapere suonare la chitarra! -
- Io? Chitarra? Io ADORO chitarra. -
- Bene - dico, fermandomi in una sottospecie di piazza. - Perché ora dovrai suonarla. -
Senza farselo ripetere due volte, Stefan prende in mano la chitarra, si siede su delle scalette e inizia a suonare una melodia che non conosco. Sorridendo, posto la custodia davanti a lui e mi allontano un po’.
Non pensavo che Stefan sapesse suonare la chitarra così bene. È bravissimo. Dopo poco, altre persone si avvicinano, stupite. Lui sorride, capendo la mia intenzione. Subito la gente inizia a buttare qualche monetina nella custodia nera della borsa.
Lui continua imperterrito a suonare. Ci mette passione. Tanta passione.
Io chiudo gli occhi, ricordando che anche Alessio la suonava la chitarra. Faceva scorrere le dita sulle corde in modo fluente…
Improvvisamente, il ricordo di quella mattina mi ritorna in mente, vivido come non lo era mai stato.






Wie werden wir: come noi… ?
Ja… ich spiele Gitarre…: sì… io suono la chitarra…

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Eccomi finalmente qui con i diciannovesimo capitolo! È un po’ più lungo del precedente, ma scorrevole. Non ho niente da commentare su questo capitolo :p. Ditemi che cosa ne pensate!
Ringrazio La_LaUrEtTa per avere aggiunto la storia hai preferiti!

Ringrazio per avere recensito:
Kokky;
Lely1441
Shio
Piccola Dea;
ehy_Lyla;
Jess_91;
La_LaUrEtTa.

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Capitolo 20
*** La verità ***



Chiedo scusa se all'interno del capitolo ci sono delle ripetizioni ma ho ripreso tutti gli stralci che scrivevo di capitolo in capitolo.

20. La verità.


C’è un acquazzone tremendo. Piove che sembra il diluvio universale. È piovuto per tutta la mattina. L’acqua mi mette una tale tristezza che in questo momento mi metterei volentieri a piangere. Oltretutto, l’ora prima abbiamo avuto la verifica di storia (che ho consegnato in bianco). Sono stata interrogata in scienze e ho preso due. E ho preso una nota sul registro. Almeno abbiamo avuto un’interrogazione di tedesco, nella quale sono uscita volontaria e ho preso otto! Sono sempre stata molto brava in tedesco. In realtà, a scuola ho sempre fatto la parte della secchiona, l’anno scorso sono uscita con la media dell’otto. 8.3, per essere precisi. Sono sempre stata bravissima a scuola.
Quest’anno invece non ho mai aperto libro. Ho problemi a casa: mio papà e mio fratello litigano in continuazione. Si infamano a vicenda, si dileggiano, si urlano scherni. Mio padre a tavola gli attribuisce epiteti veramente molto cattivi e Alessio ribatte. C’è sempre il finimondo. Alla fine mia mamma non regge: si alza e corre in bagno a piangere.
Allora faccio la mia parte: dico che loro sono sempre gli stessi, che non hanno un minimo di ritegno; dico che devono sempre far star male la mamma. Aggiungo che sono degli egoisti e che dovrebbero smetterla.
A questo punto mio papà mi urla di stare zitta e che non capisco proprio niente, che sono solo un’incompetente.
Quindi anche io mi alzo, ma prima di dileguarmi urlo sempre “ma che famiglia è questa?”. Vado in camera a piangere e mio fratello mi segue, per consolarmi. Quindi mio papà rimane da solo. Finisce di mangiare, poi esce di casa e torna solo la sera tardi.
Non me la sento di studiare, per questo motivo. Tanto verrò bocciata quest’anno, ormai è una causa persa.
L’unica materia sulla quale mi butto a capofitto è il tedesco, nella speranza di parlare solo quello e disimparare l’italiano, per non capire più gli insulti che Alessio e il papà si sbraitando contro.
Spero solo che con il tempo tutto questo scemi.


Non immaginavo quanto sarebbe scemato.


- Alice, ti avviso, o la smetti di parlare o ti tiro il diario in testa. -
- Grazie, Camilla, anche tu mi stai molto simpatica. -
- Scusa, ma te l’ho detto: se la professoressa mi becca a parlare sono finita! -
- Ma va! Cosa vuoi che ti becchi! Piuttosto, ascoltami: ti stavo parlando di cose molto più serie. -
- Immagino. -
- Che presuntuosa! -
- Alice, ormai non ti ascolto neanche più: parli sempre delle solite cose. O è la musica, o è Andrea, o sono i nuovi calzoni che hai comprato ieri. -
Rimango interdetta.
- Scusa? -
- Non fa niente, Alice. Ma se non ti dispiace, adesso vorrei tornare a seguire Letteratura. Boccaccio è interessante. -
- Fai come ti pare. Ti volevo solo chiedere un aiuto. -
- Avanti, Alice, non te la prendere. Qual è il problema? -
- Il problema è che da quando mio fratello e mio papà litigano, mio papà non è mai a casa! -
- E non ne sei contenta? -
- Dovrei esserlo? -
- Non verrà a sapere della tua situazione scolastica. -
- Non verrebbe a saperlo comunque, Camilla. Però non c’è mai. Insomma, non svolge il suo ruolo da papà! -
- Ma se quando c’è hai sempre paura di lui! -
- Basta non farlo arrabbiare. Tanto tu non capiresti comunque. Vivi felicemente con la tua bella famigliola di disoccupati tutto il giorno a casa! -
- Vorresti farmene una colpa? Se i miei sono tanto ricchi da non dovere nemmeno lavorare di sicuro non è colpa mia, men che meno è la causa dei tuoi disguidi familiari! -
Rimango un attimo in silenzio. In questo periodo Camilla si sta comportando veramente male con me. È insopportabile.
- Ora comunque lasciami seguire. Dovresti farlo anche te. - mi dice.
- Non fa niente. Ci ritroveremo in classe assieme comunque vada, l’anno prossimo. -
- Valenti, se non si contiene per almeno cinque minuti l’anno prossimo, che Ferrari venga promossa o meno, la metteremo in isolamento, dubito che vi ritroverete in classe assieme. Quindi veda di stare zitta, chiaro? -
Ma che insegnante presuntuosa! Non la sopporto.
- Certo prof, starò zitta. -
Mi metto composta.
- Dicevo che Boccaccio scrisse il Trattatello in Laude di Dante. È soprattutto grazie a lui se conosciamo molte delle opere di Dante. -
Già. Il Trattatello in Laude, Boccaccio, Dante… ancora altro?
- Ah proposito, Valenti. -
Mi riscuoto. Osservo la professoressa con aria innocente.
- Veda di darsi una calmata. Abbiamo inviato le lettere a casa, dubito che i suoi genitori ne saranno contenti, visto che non sono stati visti ad un solo colloquio. Mi auguro che dopo le lettere si metta a studiare. I suoi genitori si affliggeranno per lei nel sentirsi dire che verrà bocciata. Sempre che vengano ad un colloquio, entro la fine dell’anno. Già… ah ah! -
Calde lacrime mi rigano le guance, mentre tento di ignorare Camilla che mi guarda con aria di vincita.
- Ti sta bene, cara… -


Non ricordo di averle più fatto discorsi amichevoli, da quel momento… è stata bocciata, avrei dovuto dirglielo io “ti sta bene, cara”.


Domenica. Finalmente è domenica. Posso dormire. O per lo meno, finché quello sfaticato di mio fratello non mi sveglia. Che antipatico. Vabbé, tanto ieri non ho avuto modo di andare a letto tardi, diciamo.
Saranno cinque o sei sabato sera consecutivi che la mamma mi tiene a casa. Sono in punizione per via della scuola. Tutte le materie sono insufficienti tranne tedesco. Ieri sera abbiamo avuto lennesima litigata furibonda. Quando succede, Alessio mi consola. Io e lui siamo molto legati.
Questa mattina ho tanto sonno e tanta voglia di dormire, ma Alessio mi stuzzica da sotto le coperte. Mi tira i pizzicotti. Che fratello simpatico!
Mi da un bacio sulla guancia.
- Buon giorno! - dice, sollevandomi le coperte. Unondata di freddo mi sopraffa.
Mi volto e mi trascino il piumino fin sopra la punta dei capelli. Mugugno qualcosa che assomiglia vagamente ad un Buona notte e mi rimetto a dormire.
Scarmigliandomi i capelli (per quello che può), Alessio ridacchia e se ne va.
Io tento di dormire ancora un po, ma dopo dieci minuti mio papà entra in camera e mi sveglia.
- Alice - dice - lo sai che ore sono. -
Sorrido.
- Lo so papà, adesso mi alzo. -
Esce dalla stanza con passo felpato. Oggi è a casa e sono contenta. Sono circa quattro settimane che la domenica è fuori per lavoro.
In questo periodo sono abbattuta: la scuola sta andando veramente male, e la mamma è tesissima. Ripone la sua fiducia in Alessio, lui è un ragazzo studioso.
Mi alzo e infilo le pantofole nei piedi.
Io ho sempre paura di farlo arrabbiare e accondiscendo i suoi desideri, ma qualcosa, evidentemente, non è andato per il verso giusto
- ALICE! - mi urla - SVEGLIATI IMMEDIATAMENTE! VIENI DI QUA, ORA! -
Io prendo spavento. Che cos’è successo? Io mi sono alzata!
Corro in cucina, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, mio papà mi raggiunge furibondo e mi sbatte in faccia un foglio.
Allibita, tento di capire di che cosa si tratta.
- Che… che cos’è? - chiedo.
- Guardala! - mi urla il papà. - È una lettera dalla scuola! -
Mi si raggela il sangue nelle vene.
Alessio entra in cucina, curioso, e tenta di capire che cosa stia succedendo.
- Io papà - balbetto.
- Tu cosa? TU COSA?? - grida.
Ho paura, non so cosa dire.
- Mi dispiace! -
- Ti dispiace? -
- Papà, per favore! -
- Stai zitta, GUSTAFESTE! - urla.
- Papà! - sono disperata. Questa non ci voleva.
- STAI ZITTA!! -
- Ma papà -
- Sei sempre la solita guastafeste, lo sei sempre stata! -
Guastafeste? Perché? Non ho fatto niente.
- Ma non ho fatto niente! - ribatto.
- Hai anche il coraggio di dirlo? - inveisce.
Lancio uno sguardo di supplica alla mamma, ma se ne sta rintanata in un angolino della casa. Allora guardo Alessio, e lui è lì sulla soglia, pronto ad entrare in azione.
- Papà, non mi sembra il caso, stai esagerando. - dice, con calma.
- Cosa vuoi tu? che non sei neanche in grado di prendere posizioni nella vita! -
- Alessio, per cortesia stanne fuori. - dice la mamma, con voce roca.
- Stai zitta anche tu! - urla il papà, guardandola.
Inizio a piangere. Perché proprio a me doveva succedere?
- Guarda questa lettera! - riprende. - Guarda che disastro! Sei una buona a nulla! Sei un’incompetente! -
- Ma io… -
- Tu cosa? Stai zitta almeno! Guarda qui! Sei insufficiente in tutto! -
- Non è vero, ho su tedesco! -
- A CHE COSA TI SERVE SAPERE IL TEDESCO? È UNA LINGUA INUTILE., PERCHÉ RIMARRAI CHIUSA IN CASA PER TUTTA LA VITA! -
- Il tedesco mi aiuta quando cerco di dimenticare quanto sei bruto! -
Non l’avessi mai detto… il papà lancia un urlo disumano e mi tira un ceffone.
- Ah! - la mamma è spaventata. - Valerio, smettila! -
Istintivamente, Alessio si lancia sul papà e lo blocca, prima che lui possa infierire.
- VIENI QUA! TI FACCIO FUORI! SPARISCI DALLA MIA VITA! ESSERE MOSTRUOSO E DISUMANO! -
Io mi tappo le orecchie ed inizio a gridare, piangendo. Non ce la faccio più, questo è veramente troppo.
- Papà, smettila! - urla Alessio. - Stalle alla larga! Non la toccare! -
Mentre mio fratello tenta di tenerlo lontano da me, lui si divincola, cercando di liberarsi. Alessio non ce la fa più a tenerlo, allora lo spinge.
Mio papà scivola su un gradino dell’ingresso. Cerca di aggrapparsi alla ringhiera, ma cade.
È una scena terrificante. Sbatte la testa da tutte le parti.
- Papà! - urlo, mentre lo osservo ruzzolare.
- AH! - urla la mamma.
- Papà! -
Non si ferma più. Lo vedo cadere, cadere, cadere e mi sento impotente.
- Oddio! - esclama Alessio, portandosi le mani alla bocca.
Finalmente il papà finisce la rampa e si ferma nellingresso. È immobile. Ci precipitiamo verso di lui. Ho il cuore in gola. E se si fosse rotto qualcosa?
- Papà? Papà? Papà? - urlo a raffica, sperando chi si svegli.
- Fate qualcosa! - urla la mamma, disperata.
- Papà! -
- Non volevo - dice Alessio, con la voce rotta.
- Aiuto! - grida di nuovo la mamma.
- Papà! -
- Qualcuno ci aiuti! -
Sono disperata. Lui non si sveglia più. Ma è vivo, respira ancora.
Alessio si precipita a chiamare un’ambulanza.
Il papà è ancora vivo, grazie al cielo. Mi sento sollevata. Ma la paura mi attanaglia il cuore.
La mamma gira disperata, senza sapere cosa fare. Alessio sta vaneggiando, continuando a ripetere che è colpa sua. Io mi siedo accanto al papà e inizio a piangere.


L’ambulanza arriva dieci minuti più tardi. Degli uomini ne scendono, portandosi appresso la barella. Si avvicinano al papà e gli tastano il collo. Uno di loro scuote la testa.
- È appena spirato, è ancora caldo. -
Il pavimento cede sotto di me.
- Mi dispiace, signora. - dice un medico, rivolto alla mamma. Poi china il capo.
Non è possibile… non posso credere a quelle parole. Il papà è vivo, lo è di certo. Non può essere morto!
Inizio ad urlare, a scalciare. Alessio mi raggiunge, cingendomi le spalle. Anche la mamma inizia ad urlare.
- No! - grido - no! Non è morto! Che cosa state facendo? Portatelo in ospedale, potrebbe essere grave! Aiuto! Aiuto! Aiutoooo! Aiutateci! Papà! Papà! Non è morto, aiuto! Fate qualcosa! Toglietegli quel telo dalla faccia, così non respira! Papà! Papà! Aiuto! Papa! Papàààà!!! -


Un’orda di persone si accalca attorno ai limiti concessi dalla polizia, spingendosi e allungando la testa per vedere. Vorrei essere fuori da questo circondario e vedere il tutto come un estraneo.
La polizia sta portando via Alessio. Non è ammanettato. Credo che gli faranno delle domande. Ma non è colpa sua…
Si ferma davanti alla portiera della macchina e si volta a guardarmi. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. Lancia un ultimo sguardo all’ambulanza, che sta caricando il corpo sul furgone. Poi sale in macchina, chiudono la portiera e Alessio parte… parte per sempre.
Non ho mai avuto il coraggio di andare in carcere a trovarlo. Non so come sta, se è cambiato, se ha ancora il piercing al labbro o i capelli un po’ lunghi…
La mia famiglia è andata distrutta. Ormai non siamo più un insieme. O forse non lo siamo mai stati…

_______________________________________________________________________________
Ecco a voi la verità finalmente! Ora forse vi saranno più chiare alcune cose :)

Ringrazio per avere recensito:
Kokky;
Little jewel;
Lely1441;
Shio;
La_LaUrEtTa;
ehy_Lyla;
Jess_91
Piccola Dea.
Anche se non ho più tempo per rispondere ai vostri commenti vi ricordo che vi adoro tutte!!! <3<3<3

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Capitolo 21
*** Knockin' on heaven's door ***


21. Knockin’ on heaven’s door


Calde lacrime mi rigano il volto.
Stefan sta continuando a suonare e le note della canzone mi penetrano come lame nello stomaco. Questa canzone la conosco, è Knocking on Heaven’s Door di Bob Dylan rifatta dai Guns’n’roses. Mia mamma la cantava sempre a mio fratello, quando era piccolino. Poi, quando lui è cresciuto, ha imparato gli accordi e me la suonava sempre, quando ero triste. Io la cantavo, così facevamo il coretto. Poi entrava mio papà. Noi trattenevamo il fiato, per paura che ci sgridasse. Ma lui sorrideva, si sedeva e iniziava a cantarla con me. Quando lui e Alessio erano ancora in buoni rapporti diceva sempre che un giorno avrebbe comprato a mio fratello una chitarra elettrica, così avrebbe potuto suonare la canzone come si deve, soprattutto l’assolo. E così fece. Questo è uno dei ricordi più belli che ho, ne ho il quadretto in mente: noi tre seduti sul letto a suonare e a cantare.
Dopo un po’, guidata dai ricordi, inizio a cantare. Le lacrime mi accecano gli occhi. Stefan mi sorride. Dopo pochi minuti un uomo suoi quaranta segue il mio esempio, ricopiato da due ragazzi timorosi. Allora anche Stefan si mette a cantare. Altra gente si avvicina, curiosa, e segue il coretto. Stiamo andando veramente bene.
Chiudendo gli occhi, mi sembra di essere di nuovo una quattordicenne dai capelli scapigliati, seduta sul letto dal copriletto blu, accanto a mio fratello, che ha la chitarra in mano. Sorrido e canto. La vita va ancora bene, sono ancora felice, tutto fila ancora per il verso giusto.
Le note iniziano a farsi più calde, e non mi fanno più male: ora mi cullano, mi coccolano. Vorrei che questa melodia non finisse mai. Vorrei che continuasse, permettendoci di cantare fin che vogliamo.

Mama put my guns in the ground
I can't shoot them anymore
That cold black cloud is comin' down
Feels like I'm knockin' on heaven's door…


Alla fine la melodia cessa e tutti smettono di cantare. Pian piano, la gente applaude e lancia qualche monetina all’interno della custodia nera. Poi, man mano, si allontana, lasciando me e Stefan soli.
Io lo guardo, con alcune lacrime ancora sulle guance. Poi scoppio a piangere e lui, avvicinandosi, mi abbraccia.
Ora so tutto, ora capisco tutto: ora so perché ce l’ho a morte con Stefan e perché non sopporto che non parli italiano. Ma non è colpa sua. Lui parla tedesco, è la sua lingua madre. Non è la causa della disgrazia che mi è piombata sulla testa. L’odio nei suoi confronti era solamente la rabbia repressa che mi portavo dentro da due anni, ormai. Papà odiava che io studiassi tedesco, solo tedesco.
Io ho voluto dimenticare tutto quanto. La mamma anche. Noi non ne parliamo mai. È l’unico modo grazie al quale riusciamo ad andare avanti. Ma il papà mi manca tanto, e Alessio anche… forse dovrei andare a trovarlo.
Due anni… due anni sono passati.
Quell’anno Camilla fu bocciata, io, per il rotto della cuffia, fui promossa. L’anno successivo rimasi in terza, in classe con Camilla. E conobbi Arianna, l’amica più leale e sincera che ho. Con lei mi sfogai, piansi, buttai fuori tutta la rabbia che avevo. Mi è servito.
Quando mi riprendo, Stefan mi passa un fazzoletto e io mi soffio il naso.
- Coraggio - mi dice.
- È tutto a posto - rispondo io, asciugandomi le lacrime.
Stefan mi guarda comprensivo.
- È solo un ricordo. Va tutto bene. -
Mi asciugo le ultime lacrime poi mi alzo.
- Allora - dico - vogliamo vedere quanti soldi abbiamo racimolato? -
Stefan si alza con me e ci avviciniamo alla custodia nera. Ci sono monete e banconote… inizio a raccoglierle tutte per contarle.
Dopo un po’ li contiamo ancora una vota, per assicurarci di non avere sbagliato.
Io e Stefan ci guardiamo.
- Stefan… - dico, incredula.
- Noi… noi… - balbetta lui.
Abbiamo raccolto ventidue euro! Con due canzoni! Undici euro a canzone! È incredibile! Tutto quanto in una decina di minuti!
- Ventidue euro! - ripeto, incredula.
- Ventidue euro! - rincara lui.
Rimettiamo la chitarra nella custodia e decido di riportarla al negoziante. Camminiamo un po’, e nel frattempo penso a che cosa potremmo fare con questi soldi.
- Stefan - dico - è ovvio che il taxi non riusciamo a prenderlo fino a Brescia… -
- Ehm… -
Mi volto verso Stefan solo per notare il solito punto di domanda fluttuante sulla sua testa.
- Ho capito - gli dico, alzando gli occhi la cielo. - “No - taxi - fino - a - Brescia”. Chiaro? -
- Sì. Perché kein taxi? -
- Perché venti euro sono pochi. Però potremmo arrivare fino ad un certo punto, poi vedere quello che riusciamo a fare. -
Raggiungiamo il venditore ambulante.
- Io könnte Camilla anrufen - azzarda Stefan.
Io mi blocco di scatto, poi lo guardo negli occhi.
- Sì, potresti farlo - dico - tu andrai a casa con lei, così mi libererò di te. Io in macchina con lei non ci vado. Neanche se fossi morta. Punto. -
Stefan mi guarda interdetto, poi proseguiamo. Quando raggiungiamo il negozio di chitarre, io mi vergogno a riportarla dentro.
- Ehm… Stefan, puoi riportarla te? -
Lui mi guarda.
- Perché? -
- Così… -
Lui prende in mano la chitarra e la riporta dentro. Io osservo la scena: il ragazzo lo guarda stupito, prende lo strumento in mano, lo fissa incredulo, poi Stefan esce senza dire una parola.
- Io fatto… - dice.
- Sì - rispondo io - tu sei fatto. Forza andiamo. -
Senza comprendere la risposta che gli ho dato, mi segue e cammina lungo il marciapiede. Devo trovare un taxi al più presto. Saranno quasi le sei. Strano che mia mamma non mi abbia ancora chiamata.
Driiin; driiin.
Ecco: parli del diavolo…

MAMMA

spuntano le corna.
- Stefan - dico - zittisciti. -
- Eh? -
Gli faccio segno di fare silenzio, mentre rispondo al cellulare, deglutendo.
- Pronto? -
Ciao tesoro” dice la mamma con tranquillità. “Come stai?”
Io rimango sbigottita.
- Ehm… bene - rispondo.
Te la senti di tornare a casa a piedi o ti devo venire a prendere?”
Ma di che diamine sta parlando? Oddio, non avrà scoperto che io sono a Bergamo, vero?
- No, ce la faccio da sola… - dico, con il cuore in gola.
Bene. Io sto per arrivare.”
Perfetto!
- Mamma… -
Arianna mi ha detto che sei rimasta a casa sua perché ti sei sentita male.”
Arianna le ha detto cosa? Io adoro quella ragazza!
- Sì, ora sto meglio - dico, sollevata.
Mi chiamava ancora da scuola, mentre tu eri in bagno. Aveva appena finito il corso di danza.”
- Ma Arianna non ha il corso di danza, oggi è tornata a casa… -
Taci, Alice, taci!
Ma… come? Tu non eri con lei?”
Sono una cretina.
- Certo che ero con lei - dico, nel tentativo di risistemare le cose. - Solo che… credo di avere la febbre. Mi gira la testa e sto straparlando. -
La mamma indugia prima di rispondere.
Allora non stai meglio, ora; va là, ti vengo a prendere.”
- No! - esclamo, di scatto. - Ehm… mi porta a casa Arianna. -
Oh, non c’è bisogno che si sprechino” dice la mamma.
- No, sul serio, tu torni a casa stanca. Anzi, mi hanno proposto di restare a cena. -
Mhm… d’accordo, però non fare tardi.”
Bé, lo spero!
- Non, ti preoccupare. Che cosa ci faceva Arianna a scuola? -
“…”
- Il corso di danza, ovvio. Sì, sto straparlando. -
Sono una cretina!
Era lì con Camilla.”
Come? Come? Come?
- Come sarebbe a dire che era lì con Camilla? - chiedo, acida.
Non lo so, le ho sentite parlare” risponde la mamma.
- E che cosa dicevano? - indago.
Camilla ha detto che siete state interrogate assieme in matematica. A proposito, come è andata?”
Mi paralizzo. E ora? Non posso dirle del quattro, ma se le dico che ho preso sei lei vorrà vedere il voto sul libretto, e non posso neanche far finta che non l’abbia scritto. Oddio!
- Ehm… deve finire di interrogarmi - dico, tentando di risultare credibile.
E perché prima non me l’hai detto?”
- Perché avevo paura di non riuscire a prendere un sette pieno” dico, pomposa. Quando andavo bene a scuola facevo così. Dopo la bocciatura non mi sono più ripresa.
Vedi di non tornare a casa con un sei” dice la mamma, severa. “Devi recuperare assolutamente il cinque!”
Deglutisco.
- Okay, mamma, ora devo andare. -
Okay. A dopo, allora. Ciao.”
- Mamma. -
Dimmi.”
- Domani… voglio venire con te. -
Dove?” domanda la mamma, senza capire.
- A trovare Alessio. -
C’è un attimo di silenzio. Lei ci va tutti i giorni a trovare Alessio. E domani gli farò una bella sorpresa.
Certo che puoi venire, tesoro… lui mi domanda sempre di te.”
Sorrido, mentre una lacrima mi scende sulla guancia.
- Ti voglio bene, mamma. A dopo, ciao. -
Termino la conversazione, poi frugo nelle tasche. Da qualche parte ho ancora il biglietto sul quale ho preso appunti, mentre chiamavo uno di quei numeri strani… eccolo, l’ho trovato.
Afferro il cellulare e digito il numero. Quando qualcuno risponde, chiedo se c’è un taxi, dico il nome della via in cui mi trovo (c’è un cartello vicino a me) e il numero civico della casa che ho dietro.
- Bene - dico, alla fine.
- Allora? - mi chiede Stefan.
- Il taxi sta per arrivare - rispondo io. - Quindi mettiti comodo. -




Kein: nessuno.
(Ich) könnte Camilla anrufen: potrei chiamare Camilla.

________________________________________________________________________________

Eccomi tornata! Ho aggiornato alla svelta? =D Purtroppo il prossimo ci metterà un po’ ad arrivare, ma pazientate! Tanto arriverà!
Ringrazio SoporAeternus, sasamy e Miranda per avere aggiunto la storia ai preferiti! =D
E poi i miei soliti recensitori, senza i quali non potrei vivere!!
Kokky;
Shio;
Lely1441;
Little Jewel;
La_LaUrEtTa;
Jess_91;
ehy_Lyla;
blackout.

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Capitolo 22
*** Gelosia? Mah... ***


22. Gelosia? Mah…


Quando sono le sei il taxi arriva. Accidenti, a quest’ora mia mamma sarà arrivata a casa! E se per caso facesse un salto a casa di Arianna per vedere come sto e non mi trovasse? Devo dire ad Arianna di dirle che sono in bagno e che sto male. Si, arriverà proprio quando sto vomitando (la cosa fa ribrezzo pure a me!). E dirà alla mamma di andarsene a casa perché lei ha dovuto cambiare già sei maglie. No, questo fa troppo schifo.
Mi rimane comunque il dubbio del perché Arianna fosse a scuola: l’ho vista io andare a casa! Mhm… sarà stata la sua gemella cattiva!
Il taxista scende per vedere se abbiamo bagagli da trasportare.
- Siamo a posto - dico io.
Allora saliamo tutti in macchina, l’autista davanti, io e Stefan dietro.
- Dove volete andare? - domanda il signore.
- A Brescia - rispondo io.
L’autista annuisce, mette in moto la macchina e parte.
Finalmente! Sono così emozionata! In realtà sto solo tornando a casa, ma… sono così emozionata comunque!
Come consuetudine, Stefan estrae il suo maledettissimo i-pod e inizia ad ascoltarlo. Uff! Quanto lo odio!
Io mi metto comoda e realizzo di avere detto al taxista che la nostra destinazione è Brescia.
- Mi scusi - mi correggo.
L’autista mi guarda attraverso lo specchietto.
- Ci porti sulla strada per Brescia, finché bastano ventidue euro. -
Il signore annuisce, poi procede.
Torno ad appoggiarmi con la schiena allo schienale e ripenso a tutto ciò che è successo oggi. Ho ancora risentimenti per Michele. Ora sarà in questura. Forse lo arresteranno e lo accuseranno di omicidio! Magari mi starà odiando per averlo lasciato lì da solo. Odio non poterlo sapere! Ma quei ragazzi… erano poco più grandi di me e sono morti! Spero che Jasmin venga arrestata e tenuta dentro per un bel po’! Scommetto che lei darà tutta la colpa a Michele. Oddio, sono disperata!
E chissà invece come starà Elena… mi sembra passata un’eternità, invece è passata solo qualche ora…
I miei pensieri sono interrotti dallo squillo del mio cellulare. E adesso chi sarà?

ARIANNA

Arianna!
- Pronto? Arianna! -
Alice! Finalmente! Ma dove sei? Stai bene? Non sarai mica scappata di casa?”. Arianna è esagitata
- Arianna! Rilassati! - dico, facendole prendere fiato.
Alice, mi preoccupi!”
- Lo so - dico - lo faccio sempre. -
Mi stai prendendo in giro?” sta per avere una crisi di nervi.
- No! - ribatto. - Tu sei sempre perennemente in pensiero per me! -
Solo quando le combini tutte!”
- Non è vero, la settimana scorsa sei partita in tromba e corsa a casa mia come un diavolo della Tasmania con il terrore che mi stessi per tagliare le vene dopo avere preso 1 in matematica; così hai anche reso conscia mia mamma del brutto voto, e io ho dovuto mentirle, dicendole di avere preso 5, e se ora non prendo almeno sette per recuperare mi trancia la testa. Come credi che le dirò del 4? ‘Mamma, è stato un miglioramento passare dall’uno al quattro!’ -
Sei ancora arrabbiata con me per questa storia?” Arianna sembra mortificata.
- Potrei esserlo - rispondo io - ma in questo momento ho un altro problema a cui pensare, credimi, il quattro in matematica è il minore dei miei problemi. E comunque mi hai salvata, se non fosse stato per te ora sarei già all’obitorio. -
Già, spiegami! Mi hai fatto prendere un colpo!”
- Ehm… hai presente l’altro problema a cui pensare? Ecco… proprio quello è la causa della tua preoccupazione. -
Alice!” esclama Arianna “devi smetterla di prendermi in giro!”
- Ma è la verità - ribatto, innocente.
Ci stai girando intorno! Vieni al sodo. Hai presente che sono stata in pena per tutto il santo giorno?”
- Posso immaginare - rispondo. - Ma solo perché mi hai chiamato una volta e non ho risposto? -
Mi viene il magone a pensare che se non ho risposto alla sua chiamata è perché probabilmente stavo fuggendo dalla polizia.
No!” replica lei. “Mi sentivo in colpa per il tuo brutto voto, così ti ho chiamata a casa, ma non rispondevi. Allora ti ho chiamata sul cellulare, e neanche lì rispondevi. Sono venuta a cercarti a casa, magari, con la musica a tutto volume, non avevi sentito il telefono. A casa non c’eri, allora ho chiesto ai tuoi vicini se ti avevano vista, ma mi hanno detto di no. Sono tornata a scuola, visto che non sei salita sul pullman, ma nessuno ti aveva vista tornare, dopo che sei scesa. In quel momento mia ha chiamata tua mamma, che confermava che neanche lei riusciva a mettersi in contatto con te. Allora le ho detto che eravamo a scuola e che tu eri stata male.”
- Lo so - dico - mi ha chiamata. -
Ehm… Alice, c’è un problema.” dice Arianna, con voce flebile. “In quel momento Camilla, che aveva appena terminato il corso di danza, era dietro di me e…”
- Ha detto dell’interrogazione - concludo. - Lo so, mia mamma me l’ha detto. -
Si è arrabbiata?”
- No, perché le ho detto che non aveva ancora terminato l’interrogazione. -
E ti ha creduta?”
- Sì, grazie al cielo. -
Bé, per fortuna. Ma adesso dimmi di te, dove diavolo ti sei cacciata?”
- Ehm… è una storia lunga. -
Ho tempo.”
Tzè! Perché con lei queste scuse non funzionano?
- Bé, dunque… vedi, stamattina, quando siamo uscite da scuola, siccome ero arrabbiata, quando sei salita sul pullman, siccome non volevo salire con te, quando io sono rimasta alla fermata, siccome il pullman era affollato, quando il pullman è ripartito, siccome… -
Alice!”
- Io? -
Smettila con questo assurdo giro di parole! Vieni al sodo e dimmi dove sei finita!”
- A Bergamo. -
Scusa?”
- A Bergamo. -
“…”
- Arianna? -
È uno scherzo?”
- No. -
“…”
- Arianna? -
Mi stai dicendo che sei scappata di casa?”
- No! -
E allora come diavolo ci sei finita a Bergamo?”
- Ehm, ecco… ho preso il pullman sbagliato. -
Si può sapere come hai fatto a prendere il pullman sbagliato che va dalla parte opposta, e soprattutto in un’altra città?”
- Ho preso il Milano. -
Il Milano?”
- So che sarai un scettica, ma… -
Alice” mi blocca Arianna.
- Sì? - rispondo io.
Come hai fatto a salire su un pullman diretto a Milano se dovevi salire su un pullman interno di Brescia?”
Bella domanda… se solo io avessi sbagliato davvero a prendere il pullman.
- Ecco… c’è stato un piccolo imprevisto. -
Che tipo di imprevisto?”
- Hai presente l’austriaco che oggi era seduto accanto a Camilla? -
Sì.”
- Ecco… ho tentato di dirottarlo in un posto sbagliato. -
Perché?”
- Perché pernotta da Camilla. -
E questa era una buona scusa per mandarlo fino a Milano? O forse solo un pretesto perché ci volevi andare tu?”
- Io non volevo andare a Milano! È stata colpa sua! -
E com’è che siete finiti a Bergamo?”
- È salito il controllore. -
Alice, non ho parole… veramente.”
Credo che Arianna abbia intenzione di citarmi al Guinnes dei Primati perché sono la ragazza più stupida. E non ha tutti i torti. Io mi citerei solo per avere mandato in carcere un ragazzo innocente… questo non ho intenzione di dirlo ad Arianna.
Ad un certo punto, il taxi si ferma e l’autista dice:
- Siamo arrivati. Sono venti euro. -
- Arianna, ti saluto. - dico, dando i soldi al taxista e scendendo.
Vedi di non fare altre stupidate” dice lei.
- Non le farò, ciao. -
Chiudo la chiamata e osservo il taxi che se ne va.
- Bene - dico a Stefan. - Dove siamo? -
Lui mi guarda torvo.
- E lo chiedi a me? -
- Giusto - rispondo - ti ho sopravvalutato. -
- Verrückt - borbotta Stefan, guardando da un’altra parte.
In quel momento, una ragazza bionda, alta e magra si gira di scatto, guardando Stefan con un sorriso irradiante. Ha due bellissimi occhi azzurri. Stefan la osserva incuriosito. Povera lei, non sa che Stefan non parla italiano.
- Puoi rinunciarci in partenza - dico, sbuffando. - Stefan è austriaco. -
- Ho sentito bene allora? Tu tetesco? -
E questa cos’è, imbranata? Ho detto a-u-s-t-r-i-a-c-o.
Con mio sommo orrore, posso distinguere un nitido “Ich bin Deutsche!”
No. Non può essere! Non un’altra!
Lei e Stefan iniziano a parlare animatamente in tedesco. Sembra che si conoscano da anni. Ora sono io a non capire neanche una parola. È così fastidioso!
- Scusate! - dico, dopo dieci minuti.
Stefan mi lancia un’occhiataccia, mentre la ragazza mi sorride.
- Oh, scusa. Che maletucata! Non mi sono neanche presentata! Io sono Marianne, piacere. -
- Alice - rispondo, stringendole la mano. Almeno lei sa parlare l’italiano.
- È molto carino il tuo amico! -
Io sgrano gli occhi.
- Ehm… tu sei tedesca? - cerco di cambiare discorso.
- Sì, sono tetesca! Sono qui con delle mie amiche, vengo ta Brema. -
Sto per dire qualcosa, ma Stefan mi interrompe.
- Bremen? - chiede, affascinato.
- Ja. Kennst du Bremen? -
- Ach ja, natürlich! -
Oddio, mi gira la testa! Questo è il mio incubo peggiore! Dopo altri cinque minuti, dico:
- Scusate, non per interrompervi - in realtà sì - ma dovremmo tornare a casa adesso. -
Marianne sorride.
- Sì, Stefan mi ha parlato tel vostro problema. Birichina, l’hai caricato sul pullman sbagliato, eh? -
Vorrei tirare uno schiaffo prima a Stefan e poi alla ragazza.
- Ora dobbiamo veramente tornare a casa. -
- Non ti preoccupare! - dice raggiante Marianne. - Mi sono proposta ti accompagnarvi per un piccolo pezzo. -
Mi sto innervosendo.
- Non so cosa Stefan ti abbia detto, ma a casa di fisso non ci torniamo a piedi! -
- Lo so, non sono stupida! Ma io so la strada. Siamo a Chiari. -
Chiari! Non ci credo! Siamo di nuovo in provincia di Brescia!
Senza che io abbia possibilità di contestare, Stefan e la ragazza si avviano. Non so quello che stanno dicendo, ma noto che Marianne ci sta spudoratamente provando con Stefan e Stefan ci sta spudoratamente con Marianne. Ci sta e basta. Vengo assalita da un attacco di gel… ehm, ira. A Stefan non può piacere Marianne, perché… ehm… perché io piaccio a Stefan, e anche se lui non mi interessa affatto io non sopporto che mi scarti per provarci con una stupida del genere. Non la conosce neanche!
Dopo poco ci fermiamo e Marianne afferma:
- Siamo arrivati. -
- Dove? - chiedo io.
- In piazza. -
- E ci serve a qualcosa? -
Marianne sorride.
- Qui ci sono le mie amiche che mi aspettano. -
Questa qua sta giocando col fuoco?
- Tedesche anche loro? - chiedo.
- Tetesche al cento per cento! - risponde lei.
Mi sento male.
Due ragazze, più oche di lei, ci trotterellano incontro.
- Britta! Karola! -
- Marianne! -
Il loro sguardo si perde subito su Stefan.
- Marianne, ma tove l’hai trovato un ragazzo kosì karino? -
Marianne sorride.
- Lui è Stefan, ed è pure austriaco! -
La ragazza si scioglie e inizia a profondersi in stupide smancerie. Bleah, che schifo! Perché Stefan accondiscende che una cosa del genere accada?
- E lei è Alice - continua Marianne. - Alice, lei è la mia amica Britta, e l’altra è Karola. -
Ma le due amiche sono troppo concentrare a leccare i piedi a Stefan e a riempirlo di abbracci. Vorrei proprio dargli del Don Giovanni!
La cosa più tremenda è che siamo in cinque e quattro parlano il tedesco, mentre la quinta, che sarei io, non capisce niente.
Sto per urlare. Ancora un po’ e stacco Britta dal suo collo per poi scaraventarla sotto ad un treno. Per fortuna Karola si rivolge verso di me e mi dice.
- Abbiamo un’idea: io ho appena preso la patente, così ora stiamo aspettando il pullman per tornare a casa mia. Dopodiché, vi caricheremo tutti in macchina e vi riporteremo a Brescia! -
Marianne si volta verso l’amica e dice:
- Stefan si siede tietro in metzo! -
Le tre ragazze scoppiano a ridere. Poi tornano tutte a parlare con Stefan.
Giuro, non ce la faccio più… perché diamine mi sto comportando in questo modo? Dovrei essere contenta di essermelo tolta dai piedi, dopo che ha tentato di baciarmi. Va bé, non ha proprio tentato, però voleva.
Le tre ragazze continuano a corteggiare Stefan, il quale sembra piuttosto soddisfatto. Quella che lo attira di più è Britta, me ne accorgo, e Britta è quella che osa di più. Ha un braccio attorno al suo collo e con l’altro gesticola. Mi verrebbe voglia di strattonarle tutte e baciare Stefan, solo per dimostrare loro che lui vuole me, e loro sono solo uno spasso. Ma a me Stefan non piace, non deve piacere! Non mi devo lasciare influenzare da delle stupide oche! Assomigliano a Camilla!
Un’incredibile mal di stomaco mi prende. Che cos’è questa sensazione? Gelosia… l’ultima volta che l’ho provata è stato quando ho sorpreso il mio ragazzo con un’altra.
Ah, santo cielo! Scuoto la testa e caccio quegli stupidi pensieri.
- Alice! - mi chiama Marianne - vieni, è arrivato il pullman. -
Io sono più che risoluta a non muovermi, ma quando Karola prende Stefan per mano e lo fa salire sono presa da un motto di ira. Mentre le porte si stanno chiudendo, afferro Stefan per un braccio, lo strattono e lo faccio cadere dall’autobus. Lui, spaventato, urla, mentre Marianne, Karola e Britta guardano con rammarico e tristezza le porte che si chiudono.






Verrückt: pazza.
Ich bin Deutsche: sono tedesca.
Bremen: Brema.
Ja. Kennst du Bremen?: sì. Conosci Brema?
Ach ja, naturlich!: sì, naturalmente!

________________________________________________________________________________

Eccomi!! Dunque, ho scritto questo capitolo solo in un giorno =D e ora lo posto prima di andare al concerto dei Simple Plan, quindi vi lascio velocemente che fra poco parto. Vi adoro tutti!! <3
Jess_91;
Shio;
La_LaUrEtTa;
Kokky.
Grazieeeee!!!

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Capitolo 23
*** Es tut mir leid ***


23. Es tut mir leid


Il pullman parte e io lo osservo, sconvolta di me stessa. Ma che cosa ho fatto? Osservo Britta prendere a pugni la porta e gridare il nome di Stefan.
Ho paura a guardarlo negli occhi, però mi giro. Lui è attonito, e guarda l’autobus senza capire. Quando si rende conto che l’ho buttato giù, mi fissa, arrabbiato. Ops.
- Ma tu è scema? - mi urla.
- Io… io… - non so cosa dire.
Stefan si rialza, scansandomi.
- Stefan… - dico, ma lui si gira e mi zittisce.
- Tu ora lascia me in piace! - mi grida.
- Non pensare di mettermi i piedi in testa, Stefan! - gli urlo io, di rimando.
- Sta zitta! -
Rimango interdetta. Stefan mi ha detto di restare zitta? Lui? Ma come osa?
- Lo “stai zitta” te lo puoi mettere gentilmente dove vuoi tu, ma non me lo devi rinfacciare! Ti è chiaro? -
- Tu è tanto stupida! Tu SMETTI di trattare male me! Chiaro? -
Come Stefan mi dice quell’ultima parola, mi verrebbe voglia di tirargli uno schiaffo.
- Cosa hai detto?? -
- Du bist dumm, unwissend, du verstehet nichts, wenn ich Deustch spreche, du schrei, weil du Deutsch nicht wissen WOLLEN. Du bist zu antipatische! Hast du alles verstanden? -
Mi si raggela il sangue nelle vene.
- Stefan, vuoi morire? -
- Non hai capito niente!! -
- Che cosa ti salta in mente di dire?? -
- Tu lascia me in pace, ora! -
- No! -
- Ha dato a tu fastidio che io di stare zitta dirti? Ha dato a tu fastidio che io in tedesco ho te insultato e tu non hai capito? HA DATO A TU FASTIDIO? -
Vorrei ribattere, ma non so cosa dire… sì, mi ha dato fastidio, e non lo deve più rifare.
- In poche parole, fallo ancora e sei morto. -
- Tu ora sta zitta e ascolta me! Tu ha SEMPRE fatto così con me e io ho te sopportato. Ora basta! Tu insulta me e poi è gelosa! Tu ha fatto a me male! Io e te ho chiuso! -
- Bene! - gli urlo - sono contenta, perché sei uno STUPIDO, un cretino, un deficiente! E questi termini me li hai insegnati tu quando mi hai insultata, appena arrivati! Ora arrangiati pure ad andare a casa, se vuoi dirò a Camilla di mandare una pattuglia a cercarti! Perditi bene, mi raccomando! -
Stefan non sta neanche sentendo ciò che ho da dirgli. Sta camminando lontano da me, nella direzione che il taxista ci ha indicato per Brescia. Io cammino dalla parte opposta.
Odio quel ragazzo, con tutto il mio cuore. Vorrei corrergli dietro e prenderlo a sberle. Mi ha offesa, umiliata… come si è permesso di trattarmi in quel modo?
Però quello che ha detto… è vero. Accidenti, perché quel ragazzo deve sempre crearmi questo effetto? Ecco, adesso mi viene anche da piangere. Maledetto!
Mi siedo su una panchina e mi copro il volto con le mani. Stefan è stato in grado di farmi sentire una merda. Perché mi ha rinfacciato tutte quelle cose? Vuole dirmi che tutto il fastidio che mi ha arrecato in poche frasi glielo ho arrecato io in tutta questa giornata? No, di sicuro lui mi ha dato molto più fastidio… o forse gli ho dato molto più fastidio io.
Oh, che cavolo! Adesso basta, non ce la faccio più! Inizio a piangere, ma mi asciugo subito le lacrime. Non posso piangere per lui, è solo Stefan.
Basta, è ora di darci un taglio. Dimenticati di lui, lo vedrai solo domani e poi mai più per tutta la tua vita. Sono contenta così.
Mi alzo, soddisfatta. Mi accingo ad attraversare la strada e… AAAAHHH!!! Oddio, un autobus mi stava per investire! Gesù, Giuseppe e Maria, non voglio morire giovane!
Guardo il pullman stordita e… Brescia? C’è scritto Brescia? Questo vuol dire che… posso tornare a casa sana e salva?? Yuppy!!!!!! Evviva! Non ci credo!!
Salgo sul veicolo, esagitata. Mostro il mio abbonamento e vado a sedermi nei posti in fondo. Sto per tornare a casa!! Sono ancora troppo felice per crederci.
Mentre il pullman riparte, frugo nella mia cartella. Non so cosa sto cercando, so solo che niente di quello che faccio ha più senso. Devo essere sicura di non stare sognando. Sento la forma famigliare del diario; tocco qualcosa che potrebbe essere una sottospecie di libretto accartocciato; poi le mie dita sfiorano qualcosa duro e freddo. Una bomba??
Estraggo lo strano oggetto e la malinconia di poco prima mi sopraffa. È la catena che Stefan, dopo averla persa in un cantiere, mi ha regalato.
Ecco che tutto mi ritorna alla mente e mi fa sentire di nuovo una merda: il modo in cui ho trattato Stefan, Matteo, la menzogna che ho detto a Elena, e infine… Michele. L’ho mandato in prigione. Mi metto di nuovo a piangere e inizio a pensare che non posso andare a casa senza Stefan. Ma come faccio? Oddio, aiutatemi, vi prego!!
Non posso neanche scendere alla prossima fermata, visto che siamo incolonnati nel traffico. Oddio!! No, questa non mi ci voleva… Stefan, qualsiasi cosa ti succeda…. mi dispiace… eh ehm… ho detto mi dispiace. Che scatole, d’accordo, mi dispiace. Ora va bene?
Sprofondo nel sedile e continuo a piangere. Forse dovrei chiamare Camilla e spiegarle che cos’è successo. Tanto ormai è finita… Stefan l’ho perso.
Continuo a piangere finché non arrivo a Brescia. Quando metto piede giù dall’autobus non sono contenta. In qualche modo spero che Stefan abbia incontrato Marianne e che sia tornato a casa con lei, Karola e Britta. Sì, forse è andata così. Ormai non devo più pensare a lui.
Ora è tutto finito.


FINE


ENIF


.otinif ottut è arO
.iul a erasnep ùip oved non iamrO .ìsoc atadna è esrof ,ìS .attirB e aloraK, eil noc asac a otanrot ais ehc e ennairaM otartnocni aibba nafetS ehc oreps odom ehclauq nI .atnetnoc onos non subotua’llad ùig edeip ottem odnauQ .aicserB a ovirra non éhcnif eregnaip a ounitnoC.
(Non è una strana invocazione a Satana, è solo il tempo nella mente di Alice che torna indietro)



Non posso permettere che tutto ciò accada! No, devo fare qualcosa, perché quel verme patetico è stato talmente stupido da girare i tacchi e andarsene, e come al solito sta a me risolvere la situazione! Bé, in realtà no, visto quel “verme-patetico” (è il suo nuovo nomignolo) sta salendo ora sul pullman. Uffa, volevo compiere qualche strana azione degna di un film, come, ad esempio, buttarmi giù dal finestrino, cercarlo, casualmente trovarlo, rincorrere l’autobus, finalmente salire e poi arrivare a Brescia. Peccato!
Il traffico si è improvvisamente sbloccato e Stefan è salito ad una fermata. Cavolo, non lo facevo così perspicace!
Ci guardiamo fissi negli occhi, come per dirci “dobbiamo parlare”. Infatti lui viene verso di me e mi si siede accanto.
- Ci si ritrova, eh? - dico, ironica. - Per la seconda volta. -
- Alice… -
- Se stai per chiedermi scusa, forse le accetterò. -
- Io?? -
- D’accordo, forse sarei io che dovrei chiederti scusa per tutto quello che è successo oggi. Mi dispiace, ma solo per avere trattato così una persona, non perché questa persona sia tu. -
Stefan inarca le sopracciglia.
- Ti…? - chiede, fingendo di non avere capito.
- Mi dispiace - ripeto, non con troppa enfasi.
- Ich habe nicht verstanden. -
- Mi dispiace! - urlo infine.
Stefan sorride e io, per la vergogna, mi copro la faccia con le mani.
- Ora era! - esclama.
- Era ora - lo correggo io.
- Eh? -
- Niente. -
Stefan mi abbraccia e mi dice (diciamo che tenta di dirmi) che non devo vergognarmi di avergli chiesto scusa. Proprio mentre sto premeditando il suo omicidio se non si stacca da me, gli squilla il cellulare.
- È Camilla? - chiedo, spaventata. Ma poi mi rivedo. - In quel caso, dille di morire. -
Stefan mi guarda male, poi risponde.
- Hallo, Andreas! Wie geht’s? Ja, Italien ist schön… -
Approfittando della sua momentanea distrazione, estraggo l’i-pod dalla sua tracolla e lo accendo. Sono proprio curiosa di sapere che canzoni ascolta! Premo play e parte City Of Angels dei Distillers. Mhm… mi piace! Potrei ascoltarla e… scarico?? Non è giusto, perché quel verme patetico l’ha ascoltato per tutto il giorno e proprio mentre lo stavo ascoltando io si è scaricato?? Mi metto a ridere… tutto ciò che è successo oggi me lo ricorderò per sempre.
Chissà come sta Michele.
Ad un certo punto il pullman frena e io guardo fuori dal finestrino.
- Capolinea! - dice il conducente.
Riconosco questo posto: il luogo coperto, i nomi dei prossimi pullman che lampeggiano sui tabelloni, le corriere che accostano una davanti all’altra, i vari bar riservati… questa è la stazione degli autobus!
Come scendo dal pullman tiro un sospiro di sollievo.
Questa è Brescia!
- Ci siamo! Ci siamo! - urlo.
La gente mi guarda come se fossi un’imbecille.
Non sono mai stata così contenta di essere a Brescia!
Stefan finisce di parlare al cellulare e mi sorride. Io ricambio.
Mi correggo: quello era un fuggevole sorriso più simile ad una smorfia. Io non avrei mai osato sorridere a Stefan.
- Coraggio - dico, trionfante - ti accompagno a casa. -
Okay, devo aggiungere un’altra piccola, indecorosa nota: in realtà io so dove abita Camilla, ma è troppo vergognoso per ammetterlo.
Con il sorriso che non mi si cancella dalle labbra, percorro la strada che dalla stazione porta a Piazza della Loggia: Stefan deve andare pressappoco lì.
Una volta giunti davanti ad una villetta con un giardino moderatamente osceno, mi blocco, dicendo:
- Coraggio, devi entrare qui. -
Stefan accenna ad un sorrisetto.
- Ci vediamo domani - concludo, voltandomi per andarmene.
Dopo la giornata di oggi, non mi spreco di dirgli nemmeno grazie. Figuriamoci se dovrei ringraziarlo dopo che io ho risolto la situazione, e io l’ho riportato a casa! Se fosse stato per lui ora sarebbe ancora a Bergamo a girovagare.
Ci mancherebbe altro che adesso debba ringraziarlo. Il saluto che gli ho rivolto è già abbastanza.
- So che sei troppo orgogliosa per ammettere che ti sto simpatico. -
Mi giro di scatto verso Stefan, sconvolta. Sono uscite dalla sua bocca le parole che ho appena sentito pronunciare? Cioè, era italiano non cirillico.
- Del resto - continua lui, imperterrito - anche io ero troppo orgoglioso per ammettere davanti a te di sapere parlare perfettamente l’italiano. -
Rimango interdetta per qualche secondo. Cos’è che ha detto?
- Tu - dico - conosci l’italiano come conosci il tedesco? -
- Come credi che sarei riuscito a sopportarti per un giorno intero a Bergamo? -
Vorrei rispondergli, ma non so cosa dire.
Improvvisamente arrossisco. E tutte quelle cose cattive che gli ho detto pensando che non le capisse? Ad esempio, quando l’ho infamato nonostante mi avesse appena salvato la vita?? O le cose che ho detto di lui a tutta la gente che ho incontrato? Quando ho finto con Elena che lui fosse il mio ragazzo e che mi avesse fatto le corna?
L’imbarazzo è l’unico elemento grazie al quale non ho già ucciso Stefan per la rabbia.
- Ehm - dico - Stefan… guarda che non erano vere tutte le cose che ho detto… cioè… erano più che altro una sorta di divertimento pensando che non le capissi. -
- Bé - dice lui, con una sorta di affetto nella voce - non mi stupirei se tu trovassi comunque un altro modo per sentirti superiore. -
A quella frase, non posso impedirmi di sorridere anche io. In effetti, è vero.
Mi stupisce che Stefan non sia arrabbiato. Io in effetti lo sono, ma ora proprio non mi sembra il caso di sgridarlo, lui ha molte armi contro di me. E poi non è più la stessa cosa, l’italiano lo capisce. Ora lo so.
- Ma…? - chiedo.
- Ho vissuto per tre anni in Italia. A Bolzano - mi spiega lui.
- Capisco - dico, cercando di non mostrarmi troppo interessata.
- Bé, in realtà mi mancava l’Italia - continua - anche perché in Austria non se ne sono mai viste di avventure del genere. O per lo meno non ho mai conosciuto una ragazza come te che me le facesse vivere. Ma posso dire di avere conosciuto te, oggi. -
A questo punto, il mio sorriso diventa più ampio che può. Ogni senso di rabbia che provavo nei suoi confronti è svanito. In tutto il giorno, non mi ha mai detto una cosa così carina. Mi avvicino a lui e lo abbraccio.
- Non sono così tanto orgogliosa, in fondo. O per lo meno, potrei esserlo se avessi appena trascorso un pomeriggio normale in giro con una persona che veramente non conosce il “cirillico”… -
- … Ma l’amazzone -
Se potessi, sorriderei ancora di più.
Cerco di allontanarmi leggermente per rompere l’abbraccio (mica posso stare per così tanto tempo abbracciata a Stefan), ma lui mi stringe forte a sé… ehm, sono un po’ imbarazzata. Incrocio il suo sguardo e divento rossissima in volto. Cosa diamine sta facendo??
(Nota: non ho affatto intuito quello che Stefan ha chiaramente intenzione di fare, è solo un’impressione.)
Sembra che i minuti passino a rallentatore, o forse in realtà sono io che voglio che passi un’eternità prima che lui faccia ciò che io non so che vuole fare.
Alla fine mi stufo, mi avvicino e lo bacio.
Oddio che sto facendo???
In questo momento vorrei proprio non esistere… sto morendo dalla vergogna! Io ho baciato Stefan. No, è impossibile. È lui che me l’ha fatto fare. Ed è anche lui che in questo momento mi sta passando una mano fra i capelli! E non sono mie le braccia che gli circondando il collo, sia chiaro.
Giuro che se adesso non ha una scusa più che valida… ehm… non fa niente.
Però forse potrei morsicargli la lingua, giusto per farla franca.
- Eh ehm… -
Ci voltiamo entrambi di scatto: Camilla è in piedi davanti alla porta che ci osserva con espressione arcigna.
Stefan è imbarazzato e vorrebbe allontanarsi da me, ma io non mi scollo (non sono io, è un alieno che ha preso il mio posto). Ne tenta di tutte, poi alla fine mi prende le braccia e me le stacca con la forza. Ops, lo stavo veramente stringendo con così tanta volontà?
- Ciao - dice secca Camilla - dove sei stato fino ad adesso? -
- Sapessi - dico io, con un’aria maliziosa.
Stefan diventa rosso come un peperone e Camilla assume la faccia di una mucca. Scusate, volevo dire che fa una smorfia tale da non sembrare umana.
Oddio… non è che magari fra Camilla e Stefan…
No, un attimo: questo vorrebbe dire che per una volta sono riuscita ad averla vinta io??
Stefan, in questo momento non sai quanto ti stia volendo bene! (Solo in questo momento, eh!)
Mi trattengo a stento dal fare i salti di gioia, poi gli salto addosso. Gli do un bacio sulla guancia e gli dico:
- Ci vediamo domani. -
Poi mi allontano.
Esultante, non vengo nemmeno toccata dall’idea che Stefan e Camilla siano rimasti leggermente interdetti. Se la sbrigheranno loro.
- Alice, aspetta! -
Mi volto. Stefan sta correndo verso di me.
- Che cosa c’è? -
- Alice… ascolta io… mi dispiace… -
- Per cosa? -
- Per tutto quello che è successo oggi. Per tutto… io… sapevo perfettamente di non dover andare a Milano… non so cosa mi sia preso quando sono salito su quel pullman. Volevo solamente vedere che cosa avresti fatto, dopo avermi dato delle indicazioni sbagliate. Pensavo che saremmo potuti scendere alla fermata successiva, non immaginavo che saremmo dovuti arrivare fino a Bergamo. Mi dispiace… di tutto. -
Non so perché, ma per una volta cerco di contenere la rabbia che provo. L’enorme, immensa, infinita rabbia che provo nei confronti di quello stupido! Come ha potuto fare una cosa del genere?? Avrei dovuto rimanere ferma alla fermata e lasciare che lui si arrangiasse da solo.
Però, in fondo… ci sono anche i lati positivi della cosa: ho scoperto tante nuove cose, ho conosciuto Elena, ho iniziato ad accettare quello che è successo quella mattina, l’ho avuta vinta con Camilla per la prima volta, io ho dimostrato di essere capace di sopportare un austriaco che fingeva di non sapere l’italiano e l’ho anche riportato a casa… ed in fondo ho conosciuto lui. Non è così grave alla fine, no?
Dopo questa mia arguta riflessione, ho smaltito la rabbia.
Gli sorrido.
- In fondo… avrei anche potuto lasciarti andare, quando ti ho gridato di scendere… -
- È quello che avresti dovuto fare. Io ho finto di non sentirti. Mi dispiace. Non meritavi niente di questo. Mi hai preso in giro più volte e mi hai anche fatto male, ma sei stata unica a salire sul pullman solo per me. Tu mi piaci, Alice, ma io non ti merito. -
Detto questo, mi raggiunge, mi si avvicina e poi mi stringe forte.
- No, non ti merito - ripete - però… -
Mi da un bacio… però in questo momento non ho il coraggio di pensare a niente, se non a ciò che sta accadendo.



Alcune volte, quando piaci ad una persona, è quasi impossibile arguirlo. Fa di tutto per starti alla larga e ti tratta male. Talvolta non lo si capisce subito neanche di noi stessi, ma non si arriverebbe mai a nasconderselo. Forse la nostra convinzione è tale da ostinarci a negarlo, ma nel profondo del nostro cuore sappiamo qual è la scelta giusta.
Eppure è strano quanto si possa arrivare a detestare la persona che ci piace: la si ritiene responsabile di un sentimento che in un determinato momento può sembrarci inopportuno. Ed è, forse, ciò che ho fatto io.
Mi dissero una cosa di Stefan: mi sono sentita sempre superiore a lui, comportandomi in un modo talmente meschino che anche ad un pollo farebbe venire voglia di tirarmi una sberla. Eppure lui non ha mai contestato, e non perché non avesse le palle, ma perché è un ragazzo dolce ed onesto. Per questo merita la mia stima, non la mia disapprovazione.*
Sorridendo, passo un braccio attorno alla vita di Stefan e proseguo verso casa.






IL CORRIERE DELLA SERA 13 dicembre 2007


Ieri, dodici dicembre 2007, si è svolta una manifestazione ad Isso, in provincia di Bergamo.
Un gruppo di ragazzi era stato escluso da un locale, e ieri, Jasmin Yetzi, sedici anni, legittima erede del defunto proprietario e pusher Pedro Yetzi, si è trovata a dover affrontare la loro ira.
Da tempo la polizia sospettava che il locale fosse un luogo di spaccio, poiché non vi entrava nessuno fuorché ragazzi conosciuti nella zona per traffico e assunzione di droga. Per poter accedere al pub occorreva un lasciapassare. La gente spacciava per conto di Jasmin Yetzi, e tutti i soldi guadagnati finivano a lei; in cambio ella offriva agli spacciatori sostanze stupefacenti gratis.
La settimana scorsa una generosa manciata di ragazzi dai diciannove ai venticinque anni è stata scartata dal locale perché non fruttava soldi (ovvero assumeva droga ma non spacciava più). Questi giovani si sono coalizzati contro la Yetzi, che ha dimostrato di sapere tener testa al gruppo.
Per cause ancora indefinite, è scoppiata una rissa che è costata la vita a due ragazzi, Cristina Montecarli, ventuno anni, e Alessandro Bighetti, ventiquattro. Altri due ora si trovano allospedale, fuori pericolo.
Due ragazzi coinvolti nella rissa sono scappati e sono stati inseguiti dalla polizia, causando lintero blocco di Isso e dei comuni confinanti.
La ragazza (non ancora identificata) è riuscita a fuggire a bordo di una bicicletta, mentre il ragazzo, Michele Pavone, è stato arrestato dopo pochi minuti. In questura ha ripetuto più volte di non avere partecipato alla rissa ma di esserne stato coinvolto per errore. La polizia non è riuscita a dimostrare la sua colpevolezza né che spacciasse o assumesse droga, per cui questa mattina alle undici Pavone è stato prosciolto dalle accuse.
Sono innocente dichiara alla stampa e lo è anche la ragazza che era con me. Si pensa rea della mia cattura, e se nessuno riuscirà a toglierle questa convinzione dalla testa almeno spero che legga larticolo, così saprà che ora sono libero. Ciao, Alice.




*Citazione non testuale di una battuta di Elena, capitolo 10.


Du bist dumm, unwissend, du verstehet nichts, wenn ich Deustch spreche, du schrei, weil du Deutsch nicht wissen WOLLEN. Du bist zu antipatische! Hast du alles verstanden?: sei stupida, ignorante, non capisci niente, quando parlo tedesco, tu urli, perché NON LO VUOI SAPERE. Sei troppo antipatica! Hai capito tutto?
Ich habe nicht verstanden: non ho capito.
Hallo, Andreas! Wie geht’s? Ja, Italien ist schön…: ciao, Andreas! Come va? Sì, l’Italia è bella…


FINE
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Odio!!!! Sono arrivata alla fine!! Non ci credo! La fine di una ff è sempre la parte che mi dispiace di più... non me la sento di abbandonare i miei lettori, di non pubblicare più un capitolo e mettermi subito buona lena a scrivere il prossimo... Soprattutto mi dispiace chiudere i miei personaggi, Alice e Stefan, dopo tutte le peripezie che gli ho fatto passare!
Ma non temete, a breve troverete pubblicata una one-shot con il titolo UNA GIORNATA DI PERIPEZIE – COME È BELLO IL MONDO INSIEME A TE, per non lasciare in sospeso la fine e i personaggi =D
Ora non mi resta altro che salutarvi, perché vi adoro tuttiiii!!!

Kokky, La_LaUrEtTa, Jess_91, ehy_Lyla, Shio, francy91, Pinzyna, Little jewel, Drangon-fly, Cissy, bychan, Ari, blackout, Piccola Dea, Lely1441, Mirkodancer... come farò senza di voi?? Vi adoro TUTTI!!!
E ringrazio da morire per avere aggiunto la storia ai preferiti:
Aila
alii
blackout
bychan
DiraReal
ehy_Lyla
francy91
gaTzi_yaShi
Jess_91
Kokky
La_LaUrEtTa
Lely1441
Little jewel
Mamey
Mana_chan
Miranda
Mirkodancer
momica
Piccola dea
Pinzyna
Sakyo91
sasamy
Shio
SoporAeternus

E ringrazio anche coloro che hanno seguito la storia senza lasciare segno, perché non possono essere dimenticati!! Non finirò mai di amarvi!!!
<3 <3 <33333


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