Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Capitolo 1 *** # raggio di sole ~ Hiccup/Rapunzel ***
~ a thousand {years}
more.
# raggio di sole
La stanza si era fatta meno buia a
poco a poco, e all’inizio Hiccup non se n’era quasi
reso conto, c’erano questioni più urgenti a cui pensare – ritrovarsi legati a una
sedia per mezzo di una letterale cascata di capelli
biondi non era certo una cosa che gli succedesse tutti i giorni, e poi gli
si era anche addormentato il piede sinistro, non era per niente una situazione piacevole – ma adesso che la ragazza
tendeva la mano verso Sdentato, esitante, molto più di quanto non lo fosse
stato lui una vita e un mondo prima, la luce nel suo sguardo era così nitida da
fargli pensare di non aver mai visto prima niente di simile. Danzava nella
polvere, sulle squame tese di Sdentato, nella scia del suo respiro ancora
incredulo e tra i capelli e sulle guance di lei. Era appena un bagliore, forse, o forse Hiccup
aveva sempre e solo conosciuto il buio – almeno da allora, da quando il mondo e
la vita erano finiti, da quando Sdentato l’aveva portato via verso una notte
senza stelle in cui l’unico segno era una lontanissima, intangibile cometa
rossa.
E poi la mano
della ragazza sfiorò il muso nero del drago. Hiccup
si chiese se non avesse solo immaginato il flusso di calore che si era appena
sentito dentro, o se non fosse soltanto un nuovo incredibile raggio di sole,
venuto a posarglisi sul volto e a dirgli che il buio qualche volta poteva
diradarsi.
La ragazza dai
lunghissimi capelli biondi si voltò a guardarlo e solo in quel momento il tempo
tornò a scorrere, la realtà rivestì i panni dell’assurdità che era – un viaggio
senza senso, la cima di una torre solitaria, un patto raffazzonato a cercare di
dare un significato a questo nuovo mondo ancora tutto sconosciuto per entrambi.
«Mi farai
volare?»
Il sussurro
rimase ad aleggiare nella polvere dorata dell’aria – non c’era bisogno di
rispondere, lei lo sapeva benissimo, doveva saperlo, da sempre – e in qualche modo Hiccup
trovò la forza di distogliere lo sguardo da quei suoi occhi quasi dolorosamente
accesi; toccò Sdentato, corpo caldo e ormai rilassato, lasciandosi pervadere
dal sollievo di sapere che la luce era davvero lì, sempre più calda. Allora le
tese la mano, scoprendo di sorridere.
Quando lei la
prese, fu come se la finestra sul balcone fosse già aperta, come se lui e
Sdentato cavalcassero già il cielo e la ragazza dai lunghissimi capelli biondi
muovesse un passo per raggiungerli, ancora uno, ancora uno, mentre al di sotto
si apriva il vuoto...
Hiccup
quasi non notò che si stringeva un piccolo scrigno al petto.
~
«Sei sveglio?»
La vestaglia
rosa di Rapunzel si delinea sulla porta della sua
stanza. Hiccup le sorride appena, senza muoversi, e
come al solito a lei basta questo. Gli si avvicina, siede al suo fianco abbracciando
un cuscino, finché lui non riesce a sentire la sua guancia morbida contro una
spalla; i suoi capelli sembrano scintillare sul pavimento bianco, anche se la
luce è spenta.
La mano di Rapunzel si aggrappa al suo gomito, affettuosa, per poi
scendere sul ginocchio sinistro e là – di nuovo, come al solito – fermarsi.
«Avresti dovuto
permettermi di guarire quella ferita.»
Hiccup
scuote piano la testa, respirando per un istante il profumo del suo shampoo.
«Lo sai che è giusto così.» Cerca Sdentato con gli occhi, ma la sagoma nera del
drago è invisibile nella penombra della sala. “Ne hai guarite altre.” No,
questo non riesce ancora a dirglielo.
Rapunzel
nasconde un piccolo bacio timido tra le pieghe della sua felpa. Hiccup aveva una mezza idea di accendere la tv, ma questo
era prima che lei venisse ad abbracciarlo nel buio su un vecchio divano
incolore.
Spazio dell’autrice
Bene,
direi che ci siamo. È ufficiale. Ho raggiunto il punto di non-ritorno. Non rimpiango
niente.
Favoleggiavo
di una crossover sui Big Four da ventisette ere
(circa), ho avviato ben due progetti contemporaneamente (uno dei quali è una
presuntuosissima Hogwarts!verse), mi sono arenata su
entrambi e poi di punto in bianco tutte le idee mancanti per questa mia prima
idea si sono messe a posto da sole: ora, so che vi trovate di fronte a un esordio
incomprensibile – è una raccolta ma non è
una raccolta, è un’AU ma non è un’AU...
E, beh, vi toccherà aspettare un po’ per capirci qualcosa. Del resto anch’io ci
sto capendo poco o niente. Cosa non mi fanno questi quattro. *li coccola*
Tutto
quel che posso dirvi è che si tratterà di una serie di episodi solo
apparentemente disgiunti, non in ordine cronologico ma comunque appartenenti
tutti alla stessa storyline, che è poi il mio headcanon su come Jack Frost, HiccupHaddock e le principesse Merida
e Rapunzel potrebbero conoscersi e diventare un
foursome spudorato. I prompt che ho utilizzato mi sono stati gentilmente
concessi dalla fantasia inesauribile di Ilovewrite. Vi
rassicuro ancora che le cose si faranno più chiare, prima o poi. Sì, persino la
tv dell’ultima frase.
Se
vorrete seguirmi, benvenuti nel mio manicomio mentale. *rotola via*
Con arco e frecce Hiccup non sapeva proprio che farci, ma in compenso era un
ottimo ascoltatore. Merida si era chiesta più volte
se dipendesse dal fatto che nessuno aveva mai ascoltato lui – perché era, be’, così evidente – ma non aveva mai osato
chiedere. Forse era paura... Paura di rivedere calare sul suo viso quell’ombra
triste che lei aveva notato spesso, quando si erano conosciuti, e che alcune
notti tornava ancora, accompagnata da quelle più fitte del buio. Era
relativamente facile scalare le montagne, bere dal salto di una cascata,
contrastare una madre regina e i suoi sogni di romantica gloria imperitura –
era molto più difficile guardare negli occhi una persona delusa, e questo Merida lo sapeva bene. Perché in quelle occasioni, con lei,
quella madre regina non faceva che distogliere lo sguardo.
Però Hiccup la guardava, e l’ascoltava;
una mano sul dorso del drago, ferma in una carezza interrotta, le labbra
risucchiate in un’espressione di comprensivo imbarazzo. A un tratto aveva fatto
un gesto come per toccarla, ma lei continuava a gesticolare con foga, incapace
di fermarsi, e non avrebbe saputo dire se quel suo improvviso stringersi le
dita attorno al ginocchio avesse un significato particolare.
E continuò a
parlare, a parlare da ragazza e non da principessa, senza curarsi di tenere il
mento in alto e il busto diritto, scalciando forte tra erba e terra,
tormentandosi ciocche di capelli, buttando fuori tutta l’oppressione che le
stringeva il petto in una morsa rabbiosa – continuò a parlare perché con Hiccup era facile essere solo Merida,
non accorgersi del sole che scendeva sempre più basso all’orizzonte, ed era
facile persino dimenticare una cerimonia di fidanzamento anche se, ehm, la
stessa cerimonia di fidanzamento era l’argomento del soliloquio. In effetti, a
volte Merida si sentiva un paradosso vivente, ma
davvero, andava bene così, era il mondo a
essere sbagliato, no?
Il drago aveva
già sbadigliato due o tre volte quando le parole finirono e rimasero il respiro
affannoso di Merida e gli occhi di Hiccup di nuovo pieni di ombre. Perché, poi? La capiva
davvero così tanto? Cosa c’era dietro le sue spalle, quanto più grande era
stata la sua delusione? Merida non lo sapeva, non l’aveva mai saputo. Solo una cosa
restava da fare.
Hiccup
trattenne il fiato, quando lei lo raggiunse e lo abbracciò; Sdentato alzò la
testa con aria curiosa.
«Grazie.»
«Perché?»
«Perché non mi
interrompi mai... Perché t’importa.»
Hiccup
non si mosse; solo le sue dita si districarono dal ginocchio per salire tra i
suoi capelli, dandole la bizzarra sensazione di aver appena preso una
decisione. Sdentato sbuffò, o almeno così sembrò a Merida.
Per la prima volta da ore, si ritrovò a sorridere.
~
Hiccup
non parla mai di quella cosa, ma qualche
volta Merida s’intrufola lo stesso nella sua stanza
dai muri affollati di poster e disegni e gli si stende accanto, limitandosi ad
abbracciarlo. Ha l’impressione che Hiccup abbia tanto
bisogno di tanti abbracci, più di chiunque altro in questo posto troppo vuoto e
troppo pieno di lunghi silenzi ovattati.
A volte lo
trova addormentato, ma altre volte le loro dita s’intrecciano e lui le mormora
un grazie.
«Perché?» gli chiede
allora.
«Perché
t’importa.»
Merida
sorride e chiude gli occhi, inspirando tranquilla: Hiccup
sa di cielo e di alcune altre cose che lei ha sempre voluto toccare con mano. E
poi, questa è una stretta piacevole.
Spazio dell’autrice
Secondo
capitolo, cronologicamente antecedente al primo: prima o poi vi spiegherò cosa
ci faceva Hiccup nel regno di Merida
prima di incontrare Rapunzel – e prima o poi vi
spiegherò anche il senso del modernverse alla fine di
ogni episodio. XD Sigh, abbiate pazienza, lo so che questa struttura non ha
senso, ma non voglio rovinarvi certe sorprese (che nel corso della genesi della
storia hanno sconvolto me per prima, perché lo sappiate).
Un
immenso grazie a chiunque si sia imbarcato in questa follia. Siete meravigliosi
e vi sbacio tutti.
L’aveva osservata spesso. A
volte, quando gli era stato concesso, l’aveva persino seguita, e quel giorno in
cui era quasi stata aggredita dall’orso lui aveva sfogato la tensione e la
preoccupazione imbiancando completamente il mare del Nord. Gli piaceva
guardarla e illudersi di conoscerla, perché lei era diversa, lei credeva. E se anche tra le verdi colline
scozzesi non c’era mai stato spazio per la leggenda di Jack Frost, pure quella
principessa così diversa da tutte le altre – persino da quelle che non sapevano
di esserlo – aveva gli occhi pieni di fate e folletti e coboldi e magari, sì,
magari prima o poi sarebbero anche potuti essere pieni di lui...
Da molti anni,
volente o nolente, Jack Frost portava il gelo nel mondo: così tanti che ormai
si era quasi abituato all’invisibilità, all’essere ignorato da tutti. Quasi.
Qualche volta, però, gli capitava di vedere qualcuno per cui valeva la pena
ricominciare a sperare. E il minimo che potesse fare, allora, era cercare di
ricambiare il favore.
Al compleanno
dell’orso ne erano seguiti tanti altri e oggi la principessa Merida, costretta in una lunga veste che imprigionava
letteralmente il suo corpo sempre pronto a correre e saltare e fuggire,
guardava imbronciata da una finestra i preparativi per un banchetto. Jack non
aveva capito moltissimo di quella storia di alleanze e fidanzamenti, ma sapeva
bene che c’era qualcosa che avrebbe potuto cancellare quel broncio – e nel suo
campo non aveva rivali.
Balzò giù dal
bastone su cui era rimasto appollaiato a osservarla, portandosi alle sue
spalle; i suoi piedi nudi e impalpabili non producevano rumore sul pavimento di
pietra, ma il modo in cui lei s’irrigidì gli disse che di certo percepiva il
freddo. Quello, oh, lo sentivano tutti.
“Lo so che non
puoi vedermi. Ma puoi vedere questo.”
Il soffio di
Jack agitò i capelli ancora sciolti della principessa, le sfiorò la guancia,
facendola rabbrividire, e poi si condensò in una scia azzurrina, che volò fuori
dalla finestra e si mescolò alla...
«Neve.» Merida sussurrava tra sé, incredula. Qualche volta faceva
cose del genere. «Sta nevicando... E
siamo in piena estate.»
Di fuori, gli
uomini di re Fergus sollevarono sguardi esterrefatti verso un cielo che fino a
pochi istanti prima era stato di un blu miracoloso. Si affrettarono a fissare
funi e assestare assi, ma in breve tempo la nevicata fuori stagione li
sparpagliò, sconvolti e impacciati. La preparazione del banchetto di benvenuto
per i pretendenti della principessa era chiaramente rinviata.
Non era molto,
rifletté Jack, ma era pur sempre qualcosa. Dal canto suo Merida
saltellava sul posto, vincendo le resistenze del vestito, radiosa come – be’,
come Merida.
«Grazie,
grazie, grazie, grazie...» Si voltò,
e per un istante assurdo Jack ebbe la certezza altrettanto assurda che lo
stesse guardando negli occhi. «Chiunque tu sia.»
~
Sulla finestra appannata dal
calorifero, nella sala comune, qualcuno ha disegnato una faccina circondata da
una massa di riccioli indomati. Jack è quasi sicuro di sapere chi è stato,
quando si ferma a osservare i fiocchi di neve che s’intravedono oltre il tratto
sicuro del dito di...
«Mi somiglia,
vero?» Merida è al suo fianco, sorridente come la sua
piccola copia bidimensionale. «Disegniamo qualcosa anche noi.»
Jack scrolla
le spalle, ma non protesta quando la mano di lei guida la sua sul vetro, senza
rabbrividire al contatto della sua pelle sempre così fredda.
Spazio dell’autrice
La
cosa buffa del mio modo di shippare Jack/Merida è che, contrariamente a tutte le altre ship coinvolte nel mio OT4, in questo caso si è trattato di
un gusto graduale, non immediato. All’inizio non mi convincevano per niente,
non riuscivo nella maniera più assoluta a vederli insieme. Invece poi, quando
ho iniziato a concepire questa storia – che ho deciso essere una foursome in modo da renderli in qualche modo tutti felici e
contenti – scrivendo su loro due in particolare mi sono resa conto che le loro
personalità per certi versi così simili non
lo sono in modo da renderli incompatibili, ma anzi, fanno da presupposto per un’intesa
perfetta. È quanto ho voluto accennare in questo capitolo, anche se, ne sono
consapevole, ancora una volta emerge molto poco di quanto volessi dire...
Siete
sempre meravigliosi a essere qui, #sapevatelo. :3
Cronologicamente
parlando questo episodio è la diretta conseguenza del precedente. Ora, chi
manca all’appello? Dai che lo sapete.
Uno dei suoi ricordi più remoti
cominciava con il ritaglio del suo punto di vista tra le coperte, uno strillo
soffocato, un cavallo nero come la notte tramutato in ghiaccio e un tocco
freddo ma gentile sulla testa – una carezza che forse aveva solo immaginato. Il
mattino seguente, il ghiaccio aveva formato una pozza ai piedi del letto, ma la
mamma non aveva voluto credere alla sua storia e l’aveva sgridata perché non
aveva voluto fare pipì prima di dormire.
Ancora più
nitido era il ricordo della prima volta che aveva stretto al petto il suo libro
preferito. Era una raccolta di miti e leggende abbellita da splendide figure,
le sole parole che, così piccola, potesse decifrare; ricordava con chiarezza
molte sere passate così davanti al fuoco, il suo piccolo dito premuto
sull’illustrazione di una fata, la mamma che la pettinava cantandole la loro
magica canzone. Era stato quel libro a insegnarle ad amare i colori e i
disegni, così come a credere nelle vecchie fiabe – anche se tra quelle pagine
non aveva mai trovato tracce di una creatura in grado di congelare gli incubi.
Invece, Rapunzel non ricordava quando e come avesse avuto lo
scrigno. Era suo e basta, un oggetto presente da sempre nella sua torre, e
forse questa consapevolezza l’aveva spinta a usarlo per nascondere i suoi
tesori più preziosi, quelli di cui neanche sua madre conosceva l’esistenza. Non
erano molti, ma c’erano, ed erano solo suoi.
Pascal,
comunque, non demordeva.
«Oh, e va
bene.» Rapunzel sospirò, sconfitta, giocherellando
con la cerniera del cofanetto laccato d’oro, l’altra mano attorcigliata tra i
capelli che erano sempre stati la sua unica difesa. «Solo, non ridere di me, va
bene? Non l’ho esattamente visto. Non
sono neanche così sicura che sia
davvero successo... Penso sia perché non ho ancora deciso se crederci o no.»
Pascal
continuò a guardarla con quella sua aria insofferente stampata sul musetto
della stessa tonalità di lilla del lenzuolo, finché lei non cedette del tutto e
gli mostrò il contenuto dello scrigno.
Questa volta,
quando insieme allo spiffero le arrivò sulla nuca anche lo sbuffo di una risata, Rapunzel
non dubitò neanche per un istante.
«Fiorellino»
giunse la voce di sua madre dalla stanza di sotto, «chiudi il lucernario. C’è
corrente, e fa freddo oggi.»
Pascal
osservava con attenzione il disegno del ragazzo dai capelli bianchi.
~
«Carino.»
Rapunzel
si scosta i capelli dal viso con l’avambraccio; li ha raccolti in una treccia
per evitare di sporcarli con il colore, ma qualche ciocca è comunque sfuggita
ai tanti lacci serviti allo scopo. Solleva lo sguardo e vede Jack sulla soglia,
le mani nascoste nelle tasche anteriori della felpa, che si guarda intorno con
un sorrisetto sghembo.
«Ti piace
davvero?»
«C’è un po’
troppo rosa per i miei gusti, ma...» Jack comincia a camminare attraverso
l’intrico del disegno che adorna tutto il pavimento, muovendosi con cautela per
non calpestare i campi di pittura fresca, come qualcun altro ha già fatto in un
posto e in un tempo diverso. Prima di rendersene conto, Rapunzel
lo scopre accucciato accanto a sé: freddo ma gentile, come è sempre stato. «Sì,
non è male.»
Lei sbuffa.
«Lo so, manca un po’ di bianco.» Il barattolo è proprio accanto al suo
ginocchio destro; vi affonda tutta la mano e imbianca ancora di più la pelle
del viso di Jack.
Le piace
sentirlo ridere. È una di quelle cose che la fanno sentire normale, che li
fanno sentire tutti normali.
Spazio dell’autrice
L’immagine
di Jack che salva Rapunzel bambina dall’Uomo Nero è
marchiata a fuoco nella mia mente e niente e nessuno potrà mai cancellarla:
HEADCANON POWAH.
Questo
capitolo è uno di quelli che mi è piaciuto più scrivere, perché, anche se ho
sempre pensato che Merida fosse una principessa molto
più complessa e per certi versi più umana, il periodo di ‘prigionia’ di Rapunzel mi affascina oltre ogni dire – c’è così tanto da
riflettere sulle cose che ha dovuto imparare da sola tra quelle mura, ed è così
semplicistico pensare solo al dopo,
al suo lieto fine – e insomma, immaginarla cercare tra quei suoi pochi libri
una qualche prova dell’esistenza di Jack mi scalda il cuore. A proposito, qui
la cronologia è anteriore a tutto il resto – Punzie non
ha ancora instaurato quel contatto con Hiccup, né
Jack ha ancora tentato di salvare Merida dal
matrimonio. Uhm, penso che quando tutto sarà finito posterò un indice
cronologico ufficiale...
Ancora
lì a chiedervi cosa accidenti sta a significare il contesto moderno?... Temo
che vi farò aspettare davvero tanto.
^^’
Capitolo 5 *** # più dell'aria che respiro ~ Merida/Rapunzel ***
~ a thousand {years}
more.
# più dell’aria che respiro
Merida
scalava da quando era bambina. Scalava a mani nude, aggrappandosi a rocce e
radici e alla dura terra, e forse per questo non le era mai importato granché
di non potere effettivamente volare. La torre spersa nella valle vuota era
liscia, non offriva appigli, ma i rampicanti erano cresciuti fino a formare un
intrico di gradini naturali che avevano reso l’ascesa molto più facile di
quanto non si fosse aspettata: salire lassù non le aveva richiesto che qualche
minuto.
Si chiese se
sarebbe bastato così poco tempo anche
a convincerla a cambiare idea.
La trovò come
si era aspettata di trovarla, accucciata a terra in una stanza circolare piena
di disegni. Merida non era mai stata lì prima d’ora,
eppure quel posto era esattamente come lo aveva immaginato, il posto in cui
sarebbe potuta crescere una persona come Rapunzel –
colorato, confortevole, ma al contempo immensamente triste. E là, sul
pavimento, là dove era rimasto l’unico bianco, Rapunzel
tracciava segni frenetici di colore, con i capelli sciolti macchiati di pittura
fresca, le braccia rosse e nere fino al gomito che le conferivano l’aspetto
ferito e sciupato di un uccellino caduto dal nido.
Merida
mosse qualche passo cauto verso di lei, attenta a non calpestare nessuna
macchia, non per non sporcarsi ma per non sporcare il disegno.
Non sapeva da
che parte iniziare, perciò disse la prima cosa che le venne in mente di dirle.
«Non è stata
colpa tua.»
Rapunzel
non trasalì, non ebbe alcuna sorta di reazione; doveva essersi subito accorta
della sua presenza, ma aveva deciso che il dipinto sul pavimento era più
importante. Riuscì a rispondere dopo qualche secondo, con una voce che Merida sapeva non appartenerle. «Lo so. Ma non cambia
niente. Questo è il mio posto. È casa mia. Lei era mia madre.»
«No.» Merida non voleva ferirla più di così, ma era necessario
che lei capisse, che non impazzisse.
«Non lo era. Lo sai che non lo era.»
«Lo è stata
per tutta la mia vita. Non posso dimenticarlo, questo.»
Rapunzel
continuò a delineare le sagome di due persone abbracciate, due donne, due
estranee. Merida faticava a credere che lei stessa si
riconoscesse nel ritratto. Pensò a sua
madre, a quanto le era mancata e a quanto le mancava adesso, sorprendentemente
e dolorosamente. No, aveva ragione lei; certe cose non si dimenticano.
«Ma vuoi
uscire» concluse, piano.
Rapunzel
tracciò un ultimo ricciolo nero e si fermò. Cercò di accarezzare il volto della
donna dipinta, ma l’unico risultato che ottenne fu di far fiorire sul suo volto
affilato una scia rossa come di sangue fresco.
Alzò gli
occhi, e all’improvviso Merida rivide la ragazza che
conosceva, la principessa perduta, spaventata e sola. «Più dell’aria che
respiro.»
~
«Lascia stare, è inutile.»
Rapunzel
sbuffa, ostinata, e continua a intrecciarle i capelli impossibili. «Inutile non esiste. Posso badare ai
miei, posso badare anche i tuoi.»
Merida
scoppia a ridere e la lascia fare. Ha sempre detestato che tentassero di
domarle i capelli, ma Rapunzel è troppo adorabile
perché le si possa semplicemente dire di no. Ruota sul busto, senza sfuggire
alle sue dita concentrate, e si accomoda sul letto con i gomiti puntati per
poterla guardare in viso.
«Andiamo a
vivere insieme, tu e io, un giorno. In un posto qualsiasi, ma insieme.»
Gli occhi di Rapunzel scendono nei suoi e s’illuminano. Merida non sa se succederà mai, ma per ora la risposta di
quello sguardo le basta.
La verità è
che non possono farcela, l’una senza l’altra.
Spazio dell’autrice
A
differenza delle altre “combinazioni” finora trattate e ancora da trattare,
percepisco il Merida/Rapunzel
più come una bromance (uh, sistance?
XD) che come una ship vera e propria; però trovo che
non si possa parlare dei Big Four concentrandosi solo
su questa o quella coppia: è il gruppo
stesso a mostrare la sua forza, no?, ed ecco perché questa storia si focalizza
ora sull’uno ora sull’altro rapporto, triangoli inclusi.
In
questo caso specifico, come avrete capito, le due ragazze si ritrovano a fare i
conti con la morte di Gothel – molto, molto, molto
dopo gli eventi dei precedenti capitoli – e giuro che vi spiegherò anche come e
perché Gothel è morta. Certo, qui non c’è nessun Fitzherbert incatenato e ferito e nessun drastico taglio di
capelli. Ma un senso c’è. Da qualche parte. Credo.
Insieme a Jack, a Berk era
arrivato l’inverno. Era stato un po’ strano passare dall’ancor tiepida aria
autunnale direttamente ai cumuli di neve e ai vestiti caldi, ma non più strano
forse di tutto ciò che era successo prima.
La Morte Rossa, l’avevano chiamata, anche se in pochi l’avevano seriamente
guardata negli occhi – Hiccup sì, e aveva mezza gamba
mancante a dimostrarlo. E poi, draghi e Vichinghi che vivevano e lavoravano
insieme come un’unica grande realtà. Tutto sommato Jack Frost non era che una
piccola sorpresa in un mondo che improvvisamente girava al contrario.
Questo,
comunque, non gli impediva di trovare fastidiosa la neve che si accumulava
sulla sua già difficile strada.
La protesi era
un corpo estraneo, e tale sarebbe rimasto nonostante tutto il lavoro di Skaracchio e il suo e persino quello di Sdentato. Non lo
lasciava mai, Sdentato, era sempre al suo fianco, a sostenerlo e guidarlo come
si accompagna un bambino che muove i primi passi; Hiccup
non gliene sarebbe mai stato grato abbastanza, perché l’alternativa era
aggrapparsi al braccio di suo padre, e vedere suo padre in lotta con i sensi di
colpa era ancora peggio di com’era stato sentirlo così lontano – così tanto –
per anni e anni. Tuttavia, Hiccup aveva imparato che
ai draghi la neve non piaceva affatto.
Camminare non
era più un istinto naturale, ma doveva riuscirci, doveva. Sdentato era corso a
salvarlo, una volta, anche se senza di lui non poteva più volare – era stato
l’inizio della fine, prima della cometa
rossa e della luce dorata. Ma questo era qualcosa di diverso ancora. Anche Hiccup doveva ricominciare a muoversi senza sostegni, se
voleva essere sicuro di poter correre da lui ad aiutarlo, quando fosse stato
necessario. Glielo doveva, soprattutto adesso, adesso che grazie al suo drago –
al suo drago – Berk era piena di
draghi e Vichinghi insieme e di...
Maledetta neve.
Cadde faccia
in giù, il naso sepolto nel bianco gelido, ma dopo un istante una mano
altrettanto gelida lo tirò su a sedere.
Hiccup
respirò aria pulita, boccheggiò e si voltò a guardare Jack – nessuno aveva mani
così fredde – sperando che non percepisse il suo turbamento o, ancora meglio,
che quel turbamento fosse solo immaginario. Ma il ricordo gli bruciava ancora
sulle labbra, gli infiammò di colpo il volto, quasi sciogliendo la neve che gli
era rimasta addosso, caldo esattamente quanto le mani di Jack erano fredde.
«Ho una cosa
per te.» Jack non diede segno di aver notato nulla, ma neanche gli diede il
tempo di ringraziarlo: accovacciato di fronte a lui, tirò fuori da sotto il
mantello una lunga e spessa striscia di lana e gliela avvolse attorno al collo.
Hiccup lo lasciò fare, quindi lo scrutò da vicino.
Sorrideva. «Così la smetterai di avere sempre la faccia rossa.»
Il tessuto era
piacevolmente caldo, non di un calore imbarazzante come quello del ricordo. Se
lo sistemò meglio addosso, senza osare specificare che non sempre il rosso dipendeva dal freddo.
Quando si
rialzò sulle gambe malferme, scrollando via la neve dal suo nuovo arto
sintetico, scoprì che il mantello di Jack non era un appiglio ghiacciato quanto
le sue mani. E anche nel suo sorriso c’era qualcosa che gli ricordava il calore
di Sdentato. Ma forse era solo un’impressione, forse era solo per via della
lana...
~
Hiccup
non ha mai sofferto particolarmente il freddo, ma in giornate come questa gli
piace indossare la vecchia sciarpa che altrove Jack gli ha regalato. In
giornate come questa, qualche volta siedono insieme nella sala più grande, loro
e le ragazze, e Jack sbuffa un po’ per il suo portarsi in giro quella cosa come
un’inseparabile copertina, ma alla fine sorride sempre, e si vede.
«Hic?»
«Mm?»
«Hai di nuovo
la faccia rossa.»
Un po’
rimpiange di non poter semplicemente volare via con Sdentato, verso posti
migliori dove non si deve restare al chiuso mentre fuori nevica – dove il sorriso
di Jack è meno triste, ad esempio – però lì non è poi così male.
Non fa mai
freddo come sembra.
Spazio dell’autrice
Ma
quanto mi fanno tenerezza questi due insieme, quanto. ;w;
Anche
qui parliamo di un contesto di mooolto posteriore a
tutti i capitoli precedenti: Hiccup ha sconfitto la
Morte Rossa e, come avrete intuito, questo ha implicato un suo ritorno a Berk
dal regno di Merida e dal viaggio con Rapunzel. Ritorno che non è stato tutto rose e fiori, anzi,
perché... ops, spoiler.
Ah,
il ricordo che brucia sulle labbra di
Hiccup non è quello che pensate. Non è assolutamente
quello che pensate. Però è una delle piccole soddisfazioni che mi sono presa e,
non so, ci tenevo a piazzarlo qui come piccola anticipazione del fatto che qualcuno diventerà più o meno canon ;o;
In piazza c’erano persone che la
guardavano ballare, che sorridevano, che acclamavano a gran voce il suo nome.
Era lei, quella festa era per lei, la principessa perduta e finalmente
ritrovata. Ma mentre danzava, mentre trascinava con sé nell’entusiasmo amici e
sconosciuti, ridendo infine, dopo tutte quelle lacrime, Rapunzel
si sentiva semplicemente libera.
Era vero. Non
era la torre il suo posto, non lo era mai stato.
Non sapeva da
quanto tempo ballasse quando si ritrovò tra le braccia di Jack. La musica
scelse proprio quel momento per fermarsi, ma lui non la lasciò andare. Rapunzel rabbrividiva al contatto delle sue mani sulla
pelle, però era bello sapere di non essere più la sola a poterlo guardare negli
occhi. Gli sorrise, ansante.
«Hanno deciso
che questo giorno sarà ricordato come la Festa dei Fiori» sussurrò Jack,
indicando con un cenno del capo i molti boccioli affrescati sui ciottoli della
piazza dalle mani di lei ancora un po’ tinte di colore.
Rapunzel
seguì il suo sguardo, felice. «Che bel pensiero.»
«Ti amano
già.»
Un lieve
soffio attirò di nuovo la sua attenzione; si voltò e si vide offrire dalle dita
bianchissime di Jack una piccola, incantevole rosa di ghiaccio. Quelle ancora
avvolte attorno alla sua vita sembravano stranamente calde – a quale
temperatura l’inverno e la primavera si annullavano a vicenda?
Rapunzel
accettò la rosa e sentì la stretta di Jack scivolare via come neve che si
scioglie. Si voltò di nuovo a guardare la sua gente – la sua famiglia – e vide Hiccup, seduto al margine della piazza, che sotto il suo
sguardo sussultava e si concentrava sul bastoncino che usava per sparpagliare i
ciottoli ai suoi piedi, diligentemente osservato dal drago accucciato al suo
fianco.
Le sembrò che
si fosse appena cacciato qualcosa in tasca. D’improvviso le venne una gran
voglia di ballare con lui, così, senza un perché.
~
Si aggrappa a Jack con tutte le
sue forze e soffoca i singhiozzi nel cappuccio calato sulla sua schiena. Oggi è
la Festa dei Fiori, ma non le piace festeggiarla qui dentro, non si può festeggiarla qui dentro.
Jack l’ascolta
piangere senza toccarla. È ferito. Ha cercato di incantare il ghiaccio per lei,
ma solo una piccola pozza d’acqua è rimasta sul comodino troppo vicino al
termosifone. Rapunzel gli è grata lo stesso, ma non
riesce a smettere, non ci riesce – è così stanca di mura calde e soffocanti.
Non importa
come la si guardi, vivere equivale sempre a trovarsi rinchiusi da qualche
parte. E non fa per loro. Non fa per Hiccup che non
può più volare, non fa per Jack che non può più giocare con il vento, non fa
per lei che non...
Un tocco sulla
spalla la fa voltare. Hiccup la guarda e arrossisce
appena, una rosa stropicciata in mano, venuta da chissà dove.
Non sa perché,
ma ha l’impressione che ora anche Jack stia sorridendo.
Spazio dell’autrice
Sigh.
La square dance. Sigh. La scena più bella in Rapunzel. Rielaborarla
per coinvolgere Jack e Hiccup era doveroso.
Non
ho molto da aggiungere stavolta; ci troviamo subito dopo il capitolo su Punzie e Merida, dopo quindi che
la Principessa Perduta ha superato la morte di Gothel
ed è tornata al suo vero posto. E lo so, lo so che siete curiosi come scimmie circa
il modernverse, ma dove sarebbe il bello se vi
dicessi tutto e subito? ;w;
«E così te ne sei andato» mormorò
Rapunzel, guardandolo con un’espressione di sincera
condivisione.
Hiccup
non riuscì a risponderle. Corse ai ripari attizzando il fuoco acceso da Sdentato,
cercando di non pensare che quella storia non l’aveva raccontata mai a nessuno,
mai, a nessuno, neanche a Merida – Merida che era il motivo per cui era partito una seconda
volta, quando ormai avrebbe potuto semplicemente restare. Ma Rapunzel aveva qualcosa negli occhi, una qualche fiamma
molto diversa da quelle che bruciavano e soffocavano e distruggevano, una luce
buona che sembrava sempre dirti sono qui.
Parlarle era stato incomprensibilmente facile e per niente voluto; Hiccup aveva aperto bocca non appena si erano seduti
insieme su quel tronco marcio nel cuore della radura e non si era fermato
finché la storia non era finita, laggiù nel regno di DunBroch,
dove sembrava esserne cominciata un’altra – che non era ancora pronto,
dopotutto, a condividere con lei.
Rapunzel
non aggiunse altro; si fece soltanto più vicina al fuoco e a lui. La sbirciò,
sperando che non se ne accorgesse. Era bella, insicura, allegra, combattuta;
era un paradosso vivente, anche lei. Ed era una principessa, anche lei. Solo che
non lo sapeva.
Avrebbe dovuto
dirglielo? Avrebbe dovuto raccontarle che là dove erano sorti i quattro clan
destinati a congiungersi per mezzo del matrimonio della figlia di re Fergus
esistevano ancora persone che aspettavano, soffrivano, pregavano per il ritorno
della bimba perduta? Ma non spettava a lui, dopotutto... Lui non aveva alcun
diritto di piombare dal cielo attraverso la sua finestra e sconvolgerle
completamente la vita. Anche se lei era voluta
uscire, per scoprire il mondo e tante altre cose che non le erano ancora
chiare, questo non significava che volesse
sapere la verità... Giusto? E poi se
gliel’avesse detto avrebbe dovuto dirle anche di Merida,
e allora, ecco, le cose si sarebbero fatte imbarazzanti e...
Aveva
rimuginato troppo. Ora Rapunzel ricambiava
apertamente il suo sguardo, e quel sorriso non contribuiva a schiarirgli le
idee.
«A me sembri
piuttosto sereno, adesso. Quindi quel posto deve essere proprio quello giusto
per te... Vero?»
Hiccup
sperò con ogni singola fibra del suo essere che la luce del fuoco gli
mascherasse le guance. Lanciò un’occhiata a Sdentato e lo scoprì assopito, come
al solito immune a tutti quegli sciocchi discorsi umani. Non per la prima
volta, lo invidiò da morire.
Rapunzel
sbadigliò, si stiracchiò, si accoccolò meglio contro il tronco scivolando
nell’erba e nel muoversi così gli si fece ancora più vicina. Hiccup invidiò anche quel suo riuscire ad appassionarsi
alle storie degli altri e dimenticare in tal modo, per l’arco di una notte, la
propria.
La guardò
chiudere gli occhi e si rese conto che la meta di questo nuovo viaggio aveva di
certo a che fare con una principessa – solo che lui stesso non avrebbe saputo
dire quale.
~
Hanno detto loro di sedersi su
tre delle quattro sedie vuote. Hiccup non si abituerà
mai al fatto che lo osservino mentre disegna; per Rapunzel
disegnare è esprimersi, è parlare, ma lui lo fa solo per se stesso. E d’altro
canto in situazioni come questa non riesce a concentrarsi.
Merida
sbircia costantemente sopra la sua spalla e Rapunzel la
rimprovera ridendo. Merida fa smorfie, scarabocchia
qualcosa, ricomincia daccapo. Rapunzel sorride a Hiccup di sotto in su mentre delinea una forma sempre più
simile a quella di Sdentato. Hiccup non riesce, no,
non riesce assolutamente a disegnare alcunché. Sa che deve farlo, è questo lo
scopo della seduta, ma accidenti, avrebbe preferito essere solo...
Alla fine, con
un sospiro, si tira appena un po’ indietro e comincia a studiare le due
ragazze, riflettendo se ci vorrà più tempo per i riccioli dell’una o per la
chioma lunghissima dell’altra. Merida si volta a
guardarlo e gli sorride come se sapesse tutto ciò che gli passa per la testa,
facendolo avvampare.
Dicono che nei disegni si nascondono i nostri
desideri...
Spazio dell’autrice
Ah-ha,
indizi significativi circa il modernverse: ora penso
che qualcuno di voi indovinerà perlomeno il contesto, ma shh,
non dico altro.
Questo
episodio è la diretta conseguenza del primissimo capitolo; Hic e Punzie sono partiti insieme perché, come finalmente ho avuto modo di svelare!, l’intento
primario di Hiccup – che ha indovinato l’identità
della Principessa Perduta – è di riportarla a casa in modo da restaurare il
legittimo trono, caduto alla scomparsa di Rapunzel
bambina e sostituito dall’alleanza dei quattro clan; in questo modo l’altra principessa, Merida,
sarà libera di fare ciò che vuole (e di sposare
chi vuole: ricordate il secondo capitolo? ;D) Da ciò il potenziale
triangolo.
Ve
l’avevo detto che un senso a tutto questo c’era, d’oh. *saltella felice perché pian
piano la storia si districa*
La sagoma nera era comparsa
all’orizzonte mentre Jack sorvolava le verdissime terre scozzesi in groppa al
vento, favoleggiando di una nevicata fuori stagione – tanto nessuno lo avrebbe odiato,
perché a nessuno sarebbe venuto in mente di incolparlo, purtroppo – giusto per scacciare la monotonia di un paesaggio così
fastidiosamente perfetto.
Sul momento
aveva pensato a un incubo. Era balzato rapido da una brezza all’altra, aveva
trovato un vento più veloce e gli era volato incontro, pronto ad affrontare...
«Ma che...?»
La sorpresa
era stata tale da fargli perdere la corrente; aveva impugnato il bastone ed era
riuscito a fermarsi a mezz’aria, in cima a una solitaria colonna di ghiaccio
che in un posto più popoloso avrebbe di certo sollevato qualche domanda, e lì
era rimasto a fissarli a bocca aperta.
Una bestia
alata, squamosa, incredibile, e un ragazzino che la cavalcava con la stessa
naturalezza con cui lui sfruttava i venti.
Jack li aveva guardati
per qualche istante sfrecciare in una linea così netta da tagliare le nuvole,
poi senza pensarci due volte li aveva seguiti. Non aveva mai visto né un
animale né tantomeno un essere umano come quelli – e adesso non aveva alcuna
intenzione di perderli di vista.
Ora volavano
quasi insieme, tutti e tre, e Jack scoprì che era come gareggiare con il vento
stesso; dominarono colli e vallate, raggiunsero la cima di una cascata
altissima, senza mai fermarsi. Si ritrovò a ridere forte, persino incurante della
consapevolezza che quel piccolo cavaliere non avrebbe condiviso la sua risata.
Fu lassù che
il ragazzino fermò la corsa, guidando dolcemente il compagno alato per mezzo di
uno strano pedale collegato a un pezzo sintetico della sua coda. Jack toccò
terra al loro fianco e soltanto in quel momento, mentre il ragazzo osservava la
conca sottostante, si accorse che piangeva.
«Un drago! Tu
hai un drago!»
Lo strillo
improvviso fece sobbalzare entrambi. Una ragazza dai capelli rossi – ma da dove sbucava poi? – fissava la
bestia come si potrebbe guardare a un miracolo, o a un cataclisma. Jack vide il
piccolo cavaliere alzare la guardia, asciugarsi rabbiosamente le guance e porre
una mano insieme rassicurante e protettiva sul dorso di quel suo – uh – drago,
che si lasciò sfuggire un unico cauto ringhio; la ragazza però sembrava molto
più eccitata che spaventata, e in un attimo fu chiaro anche a lui.
«Non...» Lo
sguardo del ragazzino andava da lei alla creatura, dritto attraverso Jack. «Non
ti fa paura?»
Lei si avvicinò
come se un incontro di quel genere a un miglio d’altezza fosse la cosa più
naturale del mondo, praticamente saltellando di gioia, gli occhi luminosi
quanto quelli di lui sembravano spenti. «Paura? Scherzi? È un vero drago! È un sogno che si realizza!
È la dimostrazione che tutte le antiche leggende sono vere – che ho fatto bene
a crederci!»
Jack sbottò in
una risata incredula. Si chiese se l’espressione del ragazzino fosse un degno
riflesso della propria.
~
Hiccup
e Merida hanno bisticciato fino a tardi per via di
non si sa bene quale disegno che lui non ha voluto mostrarle. Alla fine sono
crollati tutti e due, esausti, sullo stesso divano che ha sopportato impotente
tante furiose gare di solletico. Jack li vede mentre torna dal bagno, si
accorge dei capelli di Merida sparsi sul petto e sul
viso di Hiccup e sorridendo va a liberargli il naso,
perché non soffochi nel sonno.
Gli riesce
molto difficile tornare nella sua stanza, dopo. Ha una mezza idea di
accucciarsi ai loro piedi e di restare così finché ne avrà voglia, e al diavolo
tutto.
Probabilmente
non lo sapranno mai, ma, pure in pezzo a tanti acquerelli e a tanti ritratti
custoditi da scrigni preziosi, sono stati loro
i primi veri colori della sua vita.
Spazio dell’autrice
Il
primo incontro di Hiccup e Merida
attraverso gli occhi di Jack: cronologicamente questo dovrebbe essere proprio
il primissimo capitolo (parallelamente anche al Jack/Rapunzel),
quello che dà il via a tutte le altre interazioni tra i protagonisti. Quanto a
ciò che è successo a Hic per indurlo ad atterrare in lacrime a DunBroch – il dolore che si porta dentro fin nel modernverse, beh... sarà più chiaro nel prossimo. Sì, nel
prossimo, è una promessa. Ci credete che mancano solo due aggiornamenti e poi
finalmente tutto avrà senso? XD
Non
so più come dirvelo, ma GRAZIE di essere ancora qui.
Aveva sentito dire che gli ammazzadraghi l’avevano chiamata ‘la Morte Rossa’. Merida non aveva dubbi sul fatto che quel nome fosse più
che appropriato, ma avrebbe preferito che una definizione così altisonante
venisse trovata per l’eroe piuttosto
che per il mostro della situazione: lui, il reietto, l’esiliato, giaceva in un letto con una gamba maciullata e loro –
loro che l’avevano rinnegato perché non l’avevano capito – non trovavano
neppure il coraggio di passare al suo capezzale a chiedere come stava, a
tenergli per un attimo la mano o a inumidirgli la fronte calda, soltanto
limitandosi a gironzolare intorno con gli occhi bassi e una manciata di
mormorii riverenti a proposito del demone nero che aveva sconfitto quella Morte
Rossa.
Merida
aveva sempre sospettato che le cose per lui fossero state più che difficili, ma
ora che tutte le paure e le chiusure di Berk si svolgevano davanti ai suoi
occhi – ora che il suo migliore amico sanguinava nella sua triste vittoria –
aveva solo voglia di scrollarli tutti quanti e di urlare loro addosso.
In quella
piccola stanza di legno e roccia si sentiva soffocare; uscì sotto la luna e
trovò Jack che la fissava con ostilità, le nocche innaturalmente strette
attorno al bastone, la pelle più pallida della luce. Si voltò a guardare lei,
ma era come se non la vedesse davvero.
«Sono quasi
cento anni che le domando perché» disse, così piano che Merida
dovette avvicinarsi per capire le sue parole. «Perché mi ha messo qui, perché
proprio io, perché non fa mai niente per gli altri...» Tese le labbra in
un’imitazione di sorriso. «Non mi ha mai risposto. Non mi ha mai mostrato
nient’altro che quel bianco.»
Merida
avrebbe voluto prenderlo per mano, sciogliere la stretta della sua rabbia
impotente, ma non era sicura di essere la persona giusta.
Un debole
suono di passi e Jack si voltò ancora. Rapunzel aveva
il viso rigato di lacrime, ma sorrideva. Merida
ripensò a quel breve momento di lucidità in cui lui l’aveva fermata, aveva allontanato con debole gentilezza le sue
mani e i suoi capelli e la sua canzone, e le aveva detto che andava bene così, adesso erano proprio uguali, lui e Sdentato
– e Rapunzel aveva pianto e lo aveva abbracciato e lo
aveva baciato, e Jack era uscito e lei, Merida, per
un attimo si era sentita di troppo, anche se non avrebbe saputo dire se facesse
male o no.
«Come sta?» le
venne di nuovo in aiuto la voce di Jack, lontana.
Rapunzel
li raggiunse. «C’è Sdentato con lui» disse soltanto, come se nient’altro
contasse.
Merida
si sentì prendere per mano. Sorrise nel vedere che la stessa cosa succedeva a
Jack.
~
Oggi ci sono soltanto loro tre
nella sala dalle pareti azzurrine, e Merida non può
fare a meno di notare quanto l’unico colore che riesca a sfiorare gli altri due
sia il bianco. È una strana somiglianza, la loro; il biancore di Jack è quello
freddo e fragile della neve, mentre il candore di Rapunzel
è quello delle cose dolci e morbide, come lo zucchero filato. Scuote la testa e
ridacchia: forse questo posto la sta davvero
facendo impazzire, dopotutto.
«Ehi, che ti
prende?»
Rapunzel
la guarda sopra il bordo dell’immancabile album da disegno; anche Jack alza lo
sguardo dal videogioco e le rivolge un sorriso interrogativo.
Merida
riprende a lanciare freccette spuntate contro il muro, pronta a stabilire un
nuovo record. «Uh, niente, niente.»
Non saprebbe
dire quale tipo di bianco le piace di più.
Spazio dell’autrice
Per
prima cosa imploro il vostro perdono per il lungo, lunghissimo, chilometrico
ritardo di questo aggiornamento. Ho passato dei momentacci che sembrano ancora
in pieno svolgimento e non ho avuto, in tutta onestà, la voglia di fare altro
che rinchiudermi a riccio e sfogarmi con me stessa... Ma la verità è che non ho
scusanti. Sono mortificata per questa mia sparizione, davvero. ;__;
Comunque,
eccoci qui: come promesso si svela infine il motivo per cui all’inizio di
questa pseudoraccolta abbiamo trovato Hiccup a DunBroch, il regno di Merida precedentemente destinato alla Principessa Rapunzel – nel mio headcanon l’amicizia
tra Hiccup e Sdentato porta addirittura a un esilio del giovane vichingo da Berk, e
sì, sono pessima, sono pessima perché così facendo rendo ancora più angst un personaggio adorabile che di angst
ne ha già subito fin troppo *coccola Hic* *SOFFRE*
Inoltre
accenno anche alla ragione del ricordo caldo
sulle labbra di Hiccup nel sesto capitolo. Sempre nel
mio headcanon, dopo essere tornato a Berk e aver
perso la gamba nello scontro con la Morte Rossa, Hiccup
rifiuta l’aiuto dei capelli incantati di Rapunzel
aggrappandosi al fatto che ora la sua vicinanza con Sdentato è ancora più
netta, e sull’onda delle emozioni del momento lei lo bacia. Ho deciso di
alludervi già nel capitolo Jack/Hiccup non soltanto
per darvi un indizio che vi riportasse alla mia idea di foursome
che trascende i singoli pairing, ma anche perché,
ancora nel mio headcanon!, Hiccup
è convinto che Jack provi dei sentimenti per Rapunzel
e per questo il ritrovarsi così vicino anche a lui gli confonde di molto le
idee. Ditemelo, ditemelo che sono contorta e complicata, non aspetto altro. ;w;
Oh,
ed eccovi finalmente anche l’indice cronologico. A questo punto mi sembra più
che doveroso. Immagino che avrei potuto scrivere la storia seguendo questa
struttura, ma non sarebbe stata la stessa cosa:
-
Il precedente capitolo (Jack/Hiccup/Merida, #colore)
e quello relativo al Jack/Rapunzel (#scrigno) sono più o meno coesistenti e
si pongono come punto d’origine dell’intera trama;
-
Subito dopo viene l’episodio Hiccup/Merida (#stretta),
con lui che decide di partire alla ricerca di Rapunzel;
-
Il capitolo Jack/Merida (#neve) si ambienta appena dopo la partenza di Hiccup;
-
Il capitolo Hiccup/Rapunzel
(#raggio di sole) dà il via a nuove
interazioni: l’intento forse principale della ‘fuga’ di lei è quello di scoprire
se Jack esiste davvero;
-
Immediatamente successivo è il breve episodio all’insegna dell’Hiccup/Merida/Rapunzel
(#viaggio);
-
Questo capitolo, #candore, è un salto temporaneo a ciò che
avviene dopo la “riunione” dei Big Four: perdonate il
mio aver tralasciato i vari dettagli sull’incontro dei quattro, ma volevo porre
l’accento soprattutto sul fatto che Hiccup, decidendo
di tornare a casa per affrontare i propri fantasmi e non solo, in qualche modo
amalgama ancor più il rapporto esistente tra gli altri tre protagonisti;
-
Cronologicamente consecutivo a questo decimo capitolo è appunto il sesto (Jack/Hiccup, #sciarpa),
ambientato infatti ancora a Berk;
-
L’episodio Merida/Rapunzel
(#più dell’aria che respiro) si
ambienta dopo il riscatto di Hiccup, quando alla
morte di Gothel la vera identità di Rapunzel viene alla luce (more missingmoments, I KNOW);
-
Infine vi è il capitolo Jack/Hiccup/Rapunzel (#festa)
che vuole essere una sorta di happy ending per tutti.
Ecco,
se voleste magari rileggere i capitoli nel giusto ordine ora potete farlo, ma a
dirvela tutta ho la netta impressione che questa storia risulti ostica anche
così. XD
Spero
di non accumulare un simile ritardo anche per il prossimo e ultimo capitolo,
concernente il modernverse: fino ad allora, spero
sinceramente che quanto avete letto fin qui vi sia piaciuto.
Alla
prossima, e scusatemi anche per la lunghezza imbarazzante di queste note!
Jack le fece
spazio sullo stesso appiglio di roccia in cima alla cascata dove – così le
aveva raccontato – l’aveva vista la prima volta, quando Hiccup
era arrivato in groppa alla sua storia triste, quando la Principessa Perduta
era ancora perduta per tutti. Non disse nulla, solo continuando a giocare con
una palla di neve che andava sciogliendosi nel caldo tramonto scozzese.
«Mia madre»
esordì Merida, incerta su come presentare la cosa
nella luce meno ridicola possibile. «Anche se non è più la regina reggente,
pensa che dobbiamo comunque consolidare le nostre alleanze con le altre
famiglie di nobili del Paese. Così...»
«Così il
matrimonio combinato è ancora valido» concluse Jack per lei, e Merida dovette soffocare un sospiro. Non era così semplice, accidenti. «Non devi averla
presa bene.» Impossibile definire il suo stato d’animo; sembrava divertito, ma
in qualche modo anche seccato.
«No, infatti»
si rassegnò a confermare. «Sono andata da una strega.»
Jack si voltò
per la prima volta a guardarla, sorpreso, ma neanche troppo. Il sole creava
riflessi di fuoco sui suoi capelli di neve. Merida si
chiese disperatamente quanto l’avrebbe
trovato divertente.
«Per sbaglio» sottolinea, «per sbaglio l’ho trasformata
in un orso...»
«La strega?»
«No! Mia
madre.»
Jack rimase
per un istante in un silenzio attonito, poi emise un verso inconfondibile – Merida avrebbe potuto giurare che fosse stata questa la
prima cosa ad avere avvertito di lui; prima di vederlo, prima di sentirlo, in
qualche modo conosceva già il suono della sua risata. Per un attimo si domandò
se anche per Rapunzel fosse stato così... Poi si
scosse, si ricordò di cosa stavano parlando e lo spintonò.
«Non c’è
niente da ridere, Jack!»
Non c’è mai stato niente da ridere.
«Merida.
So che la realtà è difficile da accettare.»
Lei si agita a
disagio sulla seggiola di una scadente plastica bianca, attorcigliandosi un ricciolo
attorno a un dito. Non è mai facile parlare con la figura in ombra, specie perché
non le crede, non le ha mai creduto.
«Per favore,
raccontami tutto daccapo. E questa volta sii sincera, d’accordo?»
Merida
sospira. Sa già che non arriveranno a niente.
«E va bene.
Sono nata nel regno di DunBroch, due anni dopo la
legittima erede al trono. Quando lei fu rapita in culla, i suoi genitori
impazzirono di dolore e abdicarono in favore del nostro ramo della famiglia
reale. Poi, un anno fa, un ragazzo con un drago è arrivato nella mia terra e si
è messo in testa di ritrovare la principessa. Dio solo sa perché. L’ho seguito
perché ero preoccupata per lui, ma non l’avrei trovato senza l’aiuto di Jack
Frost... Perché vede, Jack Frost esiste,
del resto si trova qui anche lui...»
La figura in
ombra non replica. Merida si raddrizza un po’ sulla
sedia, prosegue con più decisione.
«Ho cominciato
a credere in lui e sono riuscita a vederlo e a parlargli. Anche Jack era sulle
tracce della principessa, perché sapeva che la sua carceriera era pronta a tutto
pur di riprendersela e chiuderla di nuovo nella torre in cui l’aveva tenuta
segregata per diciotto anni. Non mi chieda come si erano conosciuti, per
favore. Qualche volta sospetto che Jack vada a ficcarsi apposta nei pasticci
peggiori. Comunque, insieme li abbiamo trovati, tutti e due, Hiccup e Rapunzel, e li abbiamo
aiutati a salvare Berk dalla Morte Rossa – lo sa, Hiccup
poi era tornato a Berk, Rapunzel lo aveva convinto ad
affrontare il suo passato prima che a restituirle il regno, e là c’era tipo la
fine del mondo e se non fosse stato per Hic...» S’interrompe ancora e
deglutisce. Ora arriva il difficile. «Quando siamo tornati a DunBroch, subito dopo l’incoronazione ufficiale di Rapunzel, ho mandato tutto a rotoli. Mia madre continuava a
programmarmi la vita e io... io mi sono rivolta a una strega. Solo che non è
andata come volevo... Io volevo solo farle cambiare atteggiamento, ma lei è
diventata un orso. Cioè, un orso vero. Letteralmente. Da quel momento è andato
tutto storto e...»
«Ed è per
questo che sei qui.»
La voce della
figura è una sferzata cattiva in un flusso di ricordi già di per sé piuttosto
duri. Merida china il capo, sforzandosi di non
piangere. Non piange mai, lei. Solo la figura in ombra riesce a condurla quasi
fin lì.
«Quello che tu
mi chiedi, Merida» riprende la voce, in un tono atono
e gelido che le sembra di conoscere fin troppo bene – lei le parlava così, quasi sempre così... finché non è stato troppo
tardi per parlare – «è di credere a una storia di draghi, di folletti delle
nevi invisibili, di incantesimi e di streghe.» La voce assume una nota appena
percettibile di rimprovero: anche così è ancora molto familiare. «Devi capire
che mi è difficile, nel contesto, dare per scontato che tu mi stia dicendo la
verità su ciò che ti ha portato qui.»
«Ma è così» protesta Merida,
con uno scatto che la porta a tirarsi dolorosamente i capelli, ormai ridotti a
un garbuglio informe tra le sue dita; «è la verità.»
«No, Merida, non lo è.»
«Insomma, cosa
devo fare per farle capire che non sono pazza?»
«Cosa devi
fare?» La voce della figura, a questo punto, è quasi compassionevole. Fa ancora
più male del solito. «Oh, ma è molto più facile di quanto pensi. Devi solo
smetterla di credere che tutte queste sciocchezze siano reali.»
~
Gli sedette vicino sforzandosi di
non guardare la protesi metallica che aveva sostituito la sua gamba dal
ginocchio in giù, provando l’ennesima fitta di rimpianto per il modo in cui era
andato a finire il salvataggio di quello stesso mondo che gli aveva sempre
voltato le spalle – e l’ennesima fitta d’imbarazzo perché non era riuscita a
fare nulla, nulla se non baciarlo e
mescolare le lacrime al suo sangue. Si sarebbe domandata per tutta la vita se
per lui fosse contato più quello che
non la sua canzone e i suoi capelli, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il
coraggio di chiederglielo.
Hiccup
le rivolse un mezzo sorriso e poi tornò a guardare il reame che, dopo una lunga
giornata di festeggiamenti e speranze ritrovate, si preparava al sonno meritato
di chi ha risolto tutti i problemi del mondo, dondolando nel vuoto quel suo
nuovo surrogato di arto. Rapunzel fece scorrere la
mano sul dorso di Sdentato, accoccolato lì accanto, e cercò di non pensare che
sua madre – no: la donna che aveva sempre creduto
sua madre – era caduta da un’altezza non molto più alta di quella della
terrazza del palazzo. Il suo palazzo.
La sua vera casa, dove già quasi si sentiva sola.
E pensare che
non aveva mai avuto così tanti amici.
«Cosa farai,
adesso?»
Come se
intuisse i suoi pensieri, come se sapesse che lei aveva solo bisogno di non pensare, Hiccup
esibì una stiracchiata e assunse un’aria sicura che non gli apparteneva – a meno
che non ci fossero draghi selvaggi e giganteschi da spedire tra le fiamme dell’inferno.
Rapunzel sapeva che faceva così solo per distrarla, e
gli fu più grata che mai, più di quanto non lo fosse stata allora, all’inizio, quando era venuto alla torre e le aveva
promesso che l’avrebbe fatta volare.
«Viaggerò. Sì,
proprio come Jack – non mi fermerò mai. Non voglio tornare per sempre a Berk,
adesso che ho scoperto quante cose meravigliose ci sono al mondo... Non si
tratta più solo dei draghi.» Sorrise a qualcosa che forse vedeva solo lui, tra
il mare e il cielo, tra le stelle e le luci fluttuanti che, aveva scoperto,
erano lanterne. «E poi non ho intenzione di abbandonare Merida
o te.» Arrossì di colpo; c’era abbastanza luce per vederlo, ma Rapunzel finse di non darvi peso. «Se non fosse stato per
voi, io...»
«Lo so.»
Non c’era
bisogno di parlarne. Nessuno di loro ce l’avrebbe fatta da solo, senza gli
altri. Hiccup annuì e Rapunzel
si chiese che cosa avrebbe fatto lei,
d’ora in poi.
Nessuno di loro ha mai potuto fare nulla da solo, senza gli altri.
«Parlami di tua madre.»
Rapunzel
sa che dovrebbe abituarsi a quella domanda. Arriva tutti i giorni, tutte le
volte che viene a sedersi sull’unica seggiola dell’unica stanza dove non
possono stare tutti insieme – dove ciascuno di loro è costretto a restare da
solo. Eppure è sempre doloroso come fosse la prima volta.
«Non era mia
madre» risponde automaticamente, memore delle parole di Merida.
Non era mia madre enon è stata colpa mia.
«Va bene,
allora» le concede con ostentata condiscendenza la donna dai lineamenti sfocati
dalle ombre. «Parlami della persona che ti ha cresciuto come una figlia.»
Rapunzel
non può sottrarsi. Non può mai farlo, del resto – per la stessa ragione per cui
non può più festeggiare la Festa dei Fiori, o vedere le luci fluttuanti, o
volare stretta a Hiccup sulle ali di Sdentato: non c’è
via d’uscita da qui.
«Non mi ha mai
permesso di uscire dalla torre» comincia in un sussurro, ben consapevole di quante volte abbia già raccontato questa
storia. «Né di tagliarmi i capelli. Diceva che erano un dono, un bel dono da
conservare per sempre e da proteggere a qualsiasi costo...» Chiude gli occhi. «Soltanto
quando sono fuggita ho scoperto il perché. Non lo faceva per il mio bene, ma
perché voleva che i miei capelli appartenessero solo a lei. Che servissero solo a lei... È stato Jack, alla
fine, a dirmi tutta la verità, e ho subito sospettato che gli altri l’avessero
capito da un pezzo. In quel momento l’ho davvero odiata, cerchi di comprendere..»
La donna senza
volto ignora la sua pausa intrisa di qualcosa che a metà è rancore, a metà
compassione. «Parlami di come è morta» la incalza, cruda.
Rapunzel
batte le palpebre e cerca di riordinare le idee. «È stato un incidente. Mi
aveva seguita fino a Berk... Sospettavo che non mi avrebbe lasciata andare per
la mia strada senza fare nulla, ma non mi aspettavo di vederla lì. E a Berk c’era
una guerra, una come non avrei mai immaginato che ce ne fossero. La Morte Rossa
era un nemico così temibile che gli uomini non sarebbero mai sopravvissuti, non
se Hiccup non fosse riuscito a collaborare con i
draghi, invece che combatterli...»
Soffoca un singhiozzo. «Ma a lei non importava dei draghi, era venuta solo per
me. Non se n’è quasi accorta, quando la terra le è franata sotto i piedi. Mi
teneva stretta per i capelli e... e Jack e Merida mi
hanno tirata in salvo... e poi... poi...» Cerca di guardare la donna in
penombra dritto negli occhi, ma non li trova, e forse è solo colpa delle
lacrime nei suoi. «Mi ricordo che sul momento non me ne sono nemmeno resa
conto. Hiccup era precipitato nel fuoco, solo questo
sapevo. Non appena mi sono sentita libera, sono corsa da lui. E solo quando ho
saputo che era salvo ho realizzato... che lei non c’era più. Non c’era più e in
realtà non c’era mai stata. Non era mia madre.»
La donna senza
volto resta a lungo in silenzio, e Rapunzel sa che
non lo fa per riflettere sulle sue parole, ma perché lei stessa si renda conto
di quanto suonino false. Però è la verità, Dio, è la verità. Non era sua madre e non è stata colpa sua.
«Che cos’è
successo dopo?» chiede la donna, anche se sa benissimo cos’è successo dopo.
Rapunzel
abbassa lo sguardo, segue con gli occhi il percorso sinuoso delle ciocche che
le cadono dalle spalle per svolgersi su tutto il pavimento. Non è mai riuscita
a tagliarli, alla fine; le sembrava sbagliato.
«All’inizio ho
avuto una fase di rifiuto. Ho chiesto a Hiccup di
riportarmi alla torre. È stata Merida a farmi capire
che volevo uscire, che sapevo già
benissimo che restando lì non avrei cambiato nulla di quello che era stato...
Allora sono tornata a DunBroch, e sono tornata ad
essere la principessa.»
La donna
raccoglie in silenzio le cartelle e i documenti sparsi sulla scrivania davanti
a sé. Poi si alza e, senza più mostrare interesse, esce dalla stanza.
«Raddoppiatele
le dosi» la sente dire a qualcuno che l’aspetta nel corridoio, «come anche a
tutti gli altri.»
La porta si
chiude e Rapunzel si concede finalmente di piangere.
~
Quando se la vide galoppare
incontro più veloce del vento, il primo pensiero di Hiccup
fu che Merida volesse fermarlo. Smise per un istante
di assestare la sella di Sdentato, e il drago lo fissò come per chiedergli
perché esitasse. Hiccup gli diede una pacca
rassicurante sul dorso e si mosse sulle gambe ben ferme – non ci aveva messo
molto ad abituarsi alla protesi: era vero, adesso
erano proprio uguali, lui e Sdentato – per fronteggiare Angus, che si
fermava in quel momento con la lingua in fuori e i fianchi schiumanti a qualche
passo da lui.
Merida
smontò con uno svolazzo dei riccioli rossi. «Ci sono riuscita, Hic! Ho capito
tutto!»
Hiccup
scambiò un’occhiata con Sdentato. Non era la premessa che si aspettava. Tornò a
fissarla e si rese conto di non averla mai vista così felice; era sempre stata sorridente,
questo sì, a parte forse per la faccenda della sua gamba... Ma adesso era
veramente, completamente felice.
«Hai capito
tutto?» le fece eco, e nello stesso istante ricordò la storia della strega e
del dolcetto. Spalancò gli occhi. «Oh!... Hai trovato l’antidoto?»
Merida
rise e lo abbracciò, così improvvisa e impetuosa che Hiccup
non cadde solo perché Sdentato aprì un’ala e lo sorresse. «Sono io l’antidoto. Ricucire lo strappo... Non si riferisce
all’arazzo, si riferisce a noi. A me e alla mamma. Adesso so cosa devo fare!»
«Oh... Giusto»
sorrise lui, ricambiando la stretta e cercando allo stesso tempo di ritrovare l’equilibrio.
«Ma, uhm, se è così, non capisco perché stai abbracciando me.»
Lei smise di
ridere e lo strinse un po’ più forte. Per qualche istante non parlò. Hiccup si chiese se non avesse detto qualcosa di sbagliato.
«Non lasciare
che tuo padre senta ancora la tua mancanza» la sentì mormorare alla fine. «Torna
da lui. Non dico subito, non dico per sempre, ma torna a casa, un giorno.» Si
ritrasse quel tanto necessario a guardarlo negli occhi, a mostrargli un sorriso
nuovo. «Non ti sto dicendo di andartene, bada! Ma Rapunzel
aveva ragione. Se c’è una cosa che abbiamo guadagnato da tutta questa storia, è
una famiglia.»
Hiccup
comprese. Parlava di loro quattro, ma parlava anche di Stoick,
di Elinor, dei genitori veri o falsi di Rapunzel.
Annuì. Qualunque
cosa fosse accaduta, non avrebbero mai più perso quel che avevano trovato.
Se c’è una cosa che hanno guadagnato da tutta quella
storia, sono loro stessi.
«Ed è così che è finita. Ti sei
ritrovato qui. Proprio come i tuoi amici, vero?»
Hiccup
tiene gli occhi fissi sulla forma dormiente di Sdentato. Prima di
acciambellarsi in quel punto come un enorme gatto soddisfatto ha quasi incenerito
il pavimento, ma lui sa per certo che l’uomo nell’ombra non vede neppure la bruciatura. Non risponde,
limitandosi a pensare con rammarico che alla fine hanno perso tutto, tutto quello che avevano lottato
così duramente per ottenere; non è rimasto altro che loro e la consapevolezza di essere soli. Jack continua a sentirsi
invisibile, Rapunzel continua a sentirsi in colpa, Merida non ha mai superato la cosa dell’orso e lui...
«Ti ricordi
com’è cominciata?»
Lui ha Sdentato, vorrebbe dire a se stesso,
ma sa fin troppo bene dove vuole arrivare la domanda dell’uomo nell’ombra.
«Con i draghi»
sospira. «È cominciata con i draghi.»
«Sii più
preciso.»
«È cominciata
col fatto che tutti combattevano i draghi per istinto, perché era naturale, perché
era giusto. Io ero quello che non ci sarebbe mai riuscito. E quando mi sono
trovato faccia a faccia con un drago – quando ho preso la Furia Buia» si corregge, felice del fatto che Sdentato
stia dormendo e non possa sentirlo parlare di quel momento, «ho capito di
essere diverso per davvero. Non è che non ho potuto. Non ho voluto
uccidere un drago.»
Ricorda distintamente
di aver raccontato questa storia anche agli altri. E sei stato il primo a cavalcarne uno, gli hanno detto.
L’uomo nell’ombra
non è altrettanto bendisposto a vedere il lato positivo della cosa. La domanda
successiva non ha affatto un tono incoraggiante.
«Dov’è il tuo
drago ora, Hiccup?»
«Proprio alla
sua destra» gli risponde brusco, senza un attimo di esitazione.
L’uomo non gli
dà la soddisfazione di voltarsi a guardare. Del resto sanno entrambi che non
può vederlo. Del resto è per questo che Hiccup è qui.
«Su almeno un
punto della tua versione dei fatti siamo d’accordo, Hiccup.»
L’uomo nell’ombra sparge sulla scrivania alcuni fogli solcati da righe e righe
di valutazioni tutte uguali. «Il tuo sentirti e riscontrarti diverso, per tua stessa ammissione – è
su questo punto che vorrei tu ti concentrassi.»
Hiccup
serra le mascelle, preparandosi al seguito.
«Vuoi sapere
come la penso io?» Non attende risposta. «Io penso che tu ti sia sempre sentito
profondamente incompatibile, in aperto contrasto con l’ambiente che ti
circondava fin dalla nascita. Tuo padre – correggimi se sbaglio – è il tipo di
persona che si fa certe aspettative e non si cura troppo di nasconderle, non è
vero?» Hiccup non si sogna nemmeno di correggerlo, e
lui prosegue. «Ebbene, è proprio qui che entra in gioco il tuo drago.
Attraverso di lui hai modo di esorcizzare la tua paura di non essere all’altezza, Hiccup. Lui è il
tuo successo, non il tuo fallimento... Credimi quando ti dico che è una storia
piuttosto comune nei giovani della tua età.»
No, pensa Hiccup, non lo è.
«L’unico
aspetto... originale, se vogliamo
metterla in questi termini... della tua situazione» conclude l’uomo, «è che è
molto raro crearsi addirittura un drago
come amico immaginario.»
Hiccup
guarda tristemente Sdentato, lieto che l’uomo nell’ombra abbia almeno scelto di
usare la parola amico.
~
«Posso farti una confidenza?»
Jack rimase
sospeso nel vento fuori dalla finestra di Rapunzel,
come aveva fatto innumerevoli volte in un altro luogo, quando lei era una bambina
alle prese con gli incubi peggiori. «Dimmi.»
La Principessa
Ritrovata giocherellò con la treccia che un’orda di efficienti dame di
compagnia avevano assicurato per lei. Sembrava a disagio, ma un timido sorriso
le splendeva sulle labbra.
«Quando ho
lasciato la torre...» S’interruppe, forse in cerca delle parole giuste. Jack
realizzò soltanto allora che quella era la prima volta che restavano soli da
Berk, da quando lei l’aveva visto,
non appena lui e Merida erano arrivati giusto in
tempo per dare manforte a Hiccup... Forse per questo
era nervosa. «Insomma, c’era qualcosa che volevo verificare.»
«Lo so» disse
Jack, «volevi capire cos’erano le lanterne.»
«Sì, anche
quello» ammise Rapunzel. «Ma soprattutto... sai...
volevo trovare una conferma che tu esistessi.»
Jack rimase
così sorpreso da perdere la corrente. Dovette appollaiarsi sul davanzale, e la
ragazza si ritrasse appena. La guardò: era stata Merida
la prima a vederlo davvero, e poi lei, e poi Hiccup –
ma mai come adesso avvertiva così forte
la consapevolezza di essere vicino a qualcuno. E allora ricordò una cosa.
«Mi stai
dicendo che hai ancora quell’orrendo disegno che hai fatto a otto anni?»
Rapunzel
avvampò e cercò di colpirlo, ma rideva quanto lui. Jack tornò a fluttuare nel
suo elemento, pronto a lasciare il Paese per trasferire il freddo altrove,
felice di sapere di non essere il solo ad aver trovato il proprio posto.
Mai come adesso avvertono la consapevolezza che il loro
posto è – non importa dove – insieme.
«Se quanto dici è vero, Jack,
spiegami come faccio a vederti.»
Jack
sogghigna, dondolando la sedia su due gambe senza la minima intenzione di
assumere un atteggiamento più decoroso. Vogliono trattarlo da pazzo. Ebbene,
allora potrà anche prendersi qualche libertà.
«Sinceramente?
Non ne ho la più pallida idea.»
La sagoma
indistinta sospira. «È encomiabile il tuo modo di accettare le cose così come
sono. Peccato che tu non riesca ad applicare questa capacità a tutto il resto
della tua vita. Trovi facilissimo credere che i tuoi amici abbiano potuto riconoscere
la tua esistenza per puro slancio di fiducia... ma non sai spiegare come sia
possibile che il ghiaccio e la neve non facciano ciò che tu vuoi.»
Questa volta
Jack si rabbuia. «È questo posto maledetto» non può fare a meno di giustificarsi.
«È un posto sbagliato. Non è il nostro.
Non c’è altro da capire.»
«Ma mi
racconti che sei felice di vivere insieme agli altri ragazzi.»
Ci mette qualche
istante per rispondere.
«Sì...» Non
può negarlo, infatti. Non può negare che sia bello, svegliarsi la mattina e
sentire Rapunzel cantare, giocare a cuscinate con Merida, sbirciare i disegni di Hiccup
e nascondergli la sciarpa... Dopo tanto tempo passato da solo, senz’altra
compagnia che quella dei Guardiani, gli stessi che lo hanno sempre visto
soltanto come uno scherzo della natura, e della luna, anche, quella luna
impietosa che non ha mai voluto rispondere al suo disperato perché – dopo tutto
quel tempo, quei tre sono stati la cosa più bella che potesse capitargli. E fa
male, fa male vederli tristi, fa
molto più male che non riuscire più ad incantare la neve e il ghiaccio. «Sì»
ripete, «ma questo non significa essere felici.»
La sagoma
indistinta emette una sorta di risolino. Questa è una cosa nuova. «Non esiste
la felicità, Jack.»
«No?» Jack
alza le sopracciglia. «Strano. Sarà un secolo che Nord e Calmoniglio
cercano di convincermi del contrario. Meraviglia, speranza, felicità... A dirla
tutta ho cominciato a crederci, quando Merida e poi Rapunzel e poi Hiccup mi hanno
visto.»
«Il punto,
Jack, è che tu credi nelle cose sbagliate. E so che non è colpa tua, ma non
potrò aiutarti finché non sarai disposto a collaborare...»
«La sa una
cosa?» Jack fa ricadere la sedia di colpo, si sporge verso la scrivania, ma
ancora non riesce a distinguere i tratti della figura. «Preferisco credere in
qualcosa di sbagliato che in quella che secondo voi è la verità. E se questo mi rende un pazzo, tanto meglio. Non
abbiamo più niente da dirci.» Si alza. «L’aspetto per il giro di iniezioni,
dottore. Passi pure quando vuole, sa dove trovarmi.»
Percorre la
stanza vuota fischiettando, lasciandosi alle spalle soltanto il silenzio.
~
I have died
every day waiting for you
Darling, don’t be afraid
I have loved you for a thousand years
I’ll love you for a thousand more
È
la Festa dei Fiori, oggi, e le strade e le piazze sono di nuovo piene di musica
e colori. Rapunzel fa sempre del suo meglio, ma è in
questo giorno che dà il massimo di se stessa. A qualsiasi ora del giorno e
della notte la si può trovare che danza, che canta, che dipinge un qualsiasi lastricato
a colori vivaci. Non è mai sola.
«Si può sapere che hai, Merida?
Oggi non sei in te.»
«Oh, scusa, Punzie. Ho
fatto uno strano sogno...»
«Davvero?»
«Sì, c’eravamo noi quattro in questa strana stanza
misteriosa, era quasi buio e a turno dovevamo parlare con qualcuno...»
«Io dico che prima di dormire mangi troppo, Merida.»
«Jack, smettila di prenderla in giro!»
«Lascia perdere, Hic, è più forte di lui, è così
felice di essere qui che deve per forza mettersi in mostra...»
«Beh, potete darmi torto?»
Jack ha ragione, tutti lo sanno. Ridono insieme, e
festeggiano un altro anniversario da che le loro vite, toccandosi, si sono
colorate di luci nuove.
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I’ll love you for a thousand more
Spazio dell’autrice
Ce l’ho fatta. Dio, ce l’ho fatta. *esulta da sola*
Eccovi infine la conclusione, la
spiegazione del modernverse, il cosiddetto epilogo
della storia forse più strana che abbia mai concepito. Ebbene sì, i
quattro ragazzi vivono ai giorni nostri e sono rinchiusi in una sorta di
piccolo manicomio, situazione che hanno deciso di fronteggiare inventandosi
tutta una storia comune su ciò che hanno passato prima di finire là dentro – o forse
no. Già, forse no. Universo parallelo, sogno, reincarnazione: sentitevi liberi
di interpretare il brano finale come più vi piace. Non sono così cattiva, in
fondo. ^^’
Le due strofe che aprono e chiudono
quello stesso brano sono tratte da A thousandyears, brano di Christina
Perri che dà il titolo all’intero delirioheadcanon.
Spero di avervi finalmente chiarito
tutti i punti oscuri dell’intricata vicenda. Per qualsiasi dubbio chiedete
pure, anche se non vi assicuro che io per prima abbia capito i retroscena di ciò che ho scritto. XD
Oh, un piccolo appunto che mi sembra
doveroso: non ho volutamente specificato la fisicità dei dottori dell’istituto
perché, nella mia testa, ciascuno dei personaggi tende a identificare lo
strizzacervelli di turno con una figura legata a quel passato doloroso che è
costretto a rievocare – quindi Merida vede Elinor, Rapunzel vede Gothel, Hiccup vede Stoick, e Jack probabilmente Nord (anche se la storia che
porta Jack a diventare un Guardiano, come certo avrete rilevato, non è nemmeno
menzionata perché qui preferisco restare sul canon:
penso che in quell’epoca non si fosse ancora pronti ad accettare come quinta
Leggenda quella di Jack Frost).
E ora passo a ringraziarvi tutti, o voi
individui meravigliosi: ;^;
a Kiki75,
EmmaStarr,
Chandrajak,
BeyonBday,
kuma_cla, Fred Halliwell, PiccolaEbe, Ray08, KikiWhiteFly,
ToLaura, KelloggsSnowflakes, HanaPond, ryoko96, Dance e Ucha
per le adorabili e, a onor del vero, spesso fin
troppo buone recensioni;
a Abby_Yakumo, Ai_il Fiore di Ciliegio, barricadeuse, chiara_directionislife, Chicca293,
Cristie, Dance, Danielle_Lady of Blue Roses,
elemontana,
EmmaStarr,
F13, Fifi97, Fred Halliwell, Gioia1998, giorgtaker, GufoScarlatto, iscizu, Kiki75, KikiWhiteFly, Lady V, Marina94, marotti92, Melardhoniel, mintheart, Miriam48, Morgana le fay, Nice to meetyou, Night_chan, Nonhounnicknamefigo,
Paramour_, RH_Simon, S h a i l a, Vaniglia_28,
YueKono, _ F i r e, _Cris e _Niniel per aver avuto tanta fiducia in
questa cosa da seguirmi “fin proprio alla fine”;
a bramsbaby, causapersa, Gioia1998, Kaity,
marotti92, Nightingale_Ocean Soul, Ragazza Lupo, ripeer, ShadowEyes e silvia brolin per averla aggiunta alle storie ricordate;
a cameliarossa_, Chandrajak,
Chicca293, DJ_AmuStar, fairynight95, Gioia1998,
H13, Harmony394, iwannabe_drunk,
Jacqueline, KelloggsSnowflakes, KikkiDexter, KuroCyou, Leyna_s_heart, Mary143, Peroniana, PiccolaEbe, PioggiaDiLuglio, RH_Simon, ryoko96, S h a i l a e Zamieluna per averla aggiunta addirittura alle preferite;
nonché ai silenziosi ed egualmente encomiabili
lettori che hanno sopportato secoli d’attesa per ritrovarsi a leggere...
questo.
Semplicemente grazie. Non sono sicura
che questa storia meritasse tanta attenzione, ma sono più che sincera nel
ringraziarvi di cuore, perché questo mi ha spinta a scrivere ancora su di loro e
non so se è un bene XD e non vedevo l’ora di farlo.