Love Bites.

di Hyorangejuice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***




cose che potrebbero essere utili:
- il font calibri è per il passato, il georgia per il presente.
- le canzoni citate sono robaccia degli anni '80 che ascolto quando mi sento particolarmente spericolata artisticamente.
- buona lettura! 



 

 




 

Parte 1:







 


    Se qualcuno gli avesse chiesto chi o cosa Kim Jongdae fosse avrebbe risposto che avere a che fare con Kim Jongdae era un po' come cercare di accendere una candela in una bufera: impossibile. Forse avrebbe riso a quel punto, ripensando a quando Kim Jongdae era appena ad un braccio di distanza eppure così distante e irraggiungibile allo stesso tempo.

 

«Era la star di uno show a cui nessun altro poteva prendere parte.» avrebbe sussurrato poi.

 

Era cominciato tutto quando ubriacarsi fino a scordare il proprio nome era ancora accettabile, quando per riprendersi da una sbornia servivano ore, non giorni, quando era giovane abbastanza da inseguire i suoi sogni e non il contrario.

 

Kim Joonmyeon ricorda bene quel periodo, anche adesso che sorseggia il suo caffè nel suo bar preferito nascondendosi dal sole e da occhi curiosi.

 

Ripensandoci adesso, adesso che il tempo ha guarito, adesso che tutto non è altro che un ricordo di una gioventù senza freni, tutto ha senso, tutto ciò che Wu Fan gli ha sempre detto, tutto ciò che Kyungsoo gli ha urlato contro e tutto ciò che Jongin si è sempre tenuto per sé. Una perfetta cornice per un dramma annunciato.

 

Per un attimo si sente vecchio, lontano da chi era allora.

 

Si erano incontrati la prima volta in un bar pieno di fumo, vecchie canzoni e rum, tanto rum. Jongdae cantava in quel buco dimenticato da Dio, sopratutto vecchie canzoni jazz che si abbinavano bene all'atmosfera e all'orribile carta da parati. Era stato Kyungsoo a portarlo lì anche se sarebbe più accurato dire che ce lo aveva trascinato dicendo che aveva trovato quel qualcosa che li avrebbe fatti sfondare.

 

«Ti prometto che ne vale la pena.»

 

Joonmyeon sorride al ricordo di quanto grandi fossero i suoi sogni allora, a quando pensassero sulle sue spalle, a quanto gli occhi di Kyungsoo brillassero d'entusiasmo.

 

«Ma io voglio te, Kyungsoo.» avrebbe voluto dire. «Solo te.», ma quello era il passato e avevano già deciso che cosa fosse meglio per entrambi.

 

Non si era innamorato quella notte, né la notte successiva, neanche la notte in cui Kim Jongdae aveva deciso di scoparsi la sua prima chitarra nel letto del suo compagno di stanza, ma quella notte, attraverso il fumo e l'alcol Joonmyeon vide qualcosa, qualcosa per cui valeva la pena sacrificare la sua ultima speranza.

 

 

 

Finisce il suo caffè in fretta, la lancetta delle ore si avvicina alle sei, è quasi buio fuori e la sua mente torna a quando questo era l'inizio della sua giornata, quando tutto girava al contrario.

 

È l'inverno, si dice, è il freddo che langue sulla punta delle sue dita e lo fa scavare più a fondo nella giara dei ricordi. L'inverno aveva segnato l'inizio di tutto.

 

 

 

 

 

 

 

Il party è un successo, pensa Joonmyeon mentre se ne sta in piedi vicino alla porta a vetri che dà sulla terrazza con un bicchiere di champagne in mano. La musica di sottofondo è quella dell'ultimo album che ha prodotto. Mentre segue il ritmo ripensa a tutto ciò che avrebbe potuto fare meglio o solamente in maniera diversa.

Il giovane artista con cui ha lavorato sta ricevendo la sua meritata dose di complimenti, sorrisi e amichevoli strette di mano. Joonmyeon si domanda se anche loro avessero quello stesso sorriso tanti anni fa.

 

«Quindi stai programmando la tua grande uscita di scena, oppure pensi di svignartela di soppiatto?»

 

Joonmyeon si volta per vedere Chanyeol, ancora troppo alto per i suoi gusti, avvicinarsi con un sorriso. Nei suoi occhi Joonmyeon rivede la stessa dose di malizia che era solito cogliere sotto le luci dei riflettori.

 

«In carne ed ossa» Chanyeol apre le braccia sorridendo mettendo in mostra il suo fisico slanciato nel suo completo firmato.

 

«È una ruga quella?» domanda Joonmyeon puntando col dito all'angolo dell'occhio destro di Chaneyol.

 

«Ah-ah. Non ci casco più, hyung» il suo ex-chitarrista risponde arriciando il naso. «Quindi, che cosa fai nel tempo libero di questi tempi? Ovviamente quando non sei impegnato a dare la luce a nuove hit»

 

«Allevo pinguini mutanti nel mio frigorifero» risponde, sorridendo.

 

«Spero ti ricorderai dei tuoi amici quando conquisterai il mondo con la tua armata di pinguini»

 

Chanyeol lo guarda serio e Joonmyeon offre il suo bicchiere per un brindisi. I loro bicchieri si toccano appena e il sorriso di Chaneyol si fa più ampio, Joonmyeon si rende conto di quanto Chanyeol gli sia mancato dopo lo scioglimento, molto più di quanto non si sarebbe aspettato, nonostante essere in una band con Chanyeol significasse molti mal si testa e crisi apocalittiche.

 

«E tu? Che cosa fai a parte apparire splendente su ogni manifesto pubblicitario in Corea?»

 

«Sarò splendente in un drama. Mi hanno scritturato la scorsa settimana. Iniziamo a girare tra un mese.»

 

Un altro brindisi è d'obbligo e Joonmyeon non può fare a meno di trovarsi d'accordo quando Chanyeol propone di festeggiare il suo primo ruolo che non comprenda strani giochi di parole con BB cream o dentifrici, con una favolosa sbornia.

 

 

 

 

 

●●●

 

 

 

 

«Se lo facciamo davvero abbiamo bisogno di un nome davvero davvero figo» dice Jongin, dopo essersi sgraziatamente lasciato cadere sul pavimento del salotto di Minseok.

 

Joonmyeon non è sicuro che formare una band con questa gente sia classificabile tra le sue idee più geniali, ma al momento non è in condizione di ribattere che, prima di un nome, avrebbero magari bisogno di provare insieme e magari scrivere almeno qualcosa da poter suonare in qualsiasi livehouse sia disposta a prestare il proprio palco per più di due minuti.

 

«Qualcosa tipo... i Re del Rock» suggerisce Lu Han, dal divano, dove sta pigramente giocando con i capelli di Minseok.

 

«Tu non fai neanche parte della band, non puoi scegliere un nome, e poi io non mi faccio consigliare da un tizio che ha chiamato il suo gatto Fibonacci» ribatte e Lu Han gli tira i capelli.

 

«Non so neanche come faremo a creare una vera band senza un cantante» fa notare Joonmyeon.

 

«In effetti... »

 

«Ci sono!» Chanyeol si rialza dal pavimento con le mani aperte di fronte a sé e lo sguardo di chi ha appena avuto una rivelazione divina...

 

 

 

 

«Quindi vi siete chiamati Back Up Plan?» chiede Jongdae, nascondendo un sorriso dietro il suo boccale di birra.

 

Chanyeol scuote la testa e Jongin gli dà una amichevole pacca sulla spalla. «La mattina dopo nessuno si ricordava il nome perfetto che aveva trovato Chanyeol» chiarì Jongin. «Quindi ci siamo chiamati Back Up Plan»

 

«Visto che non potevamo avere il nome perfetto per la miglior band mai vista, abbiamo deciso di accontentarci di qualcosa... »

 

«Di totalmente random» Lu Han interrompe l'entusiasta spiegazione di Chaneyol.

 

«Se avessimo ascoltato te ci saremmo chiamati Venn, o qualcosa del genere» dice Jongin con un sorriso di finto scherno.

 

«Per quanto ancora me la farete scontare?» Lu Han rotea gli occhi per poi puntarli suo duo all'altro capo del tavolo cercando di sembrare minaccioso.

 

«In ogni caso c'è anche che siamo tutti il piano di riserva di ognuno, ci copriamo le spalle a vicenda insomma» aggiunge Jongin, sporgendosi sul tavolo verso Jongdae. «Quindi? Ci stai?»

 

Joonmyeon trattiene il respiro, vuole che Jongdae dica di sì, perché Jongdae con la sua voce piena e seducente e tutto ciò che stavano cercando.

 

Poi Jongdae sorride, guardandolo dritto negli occhi. «Sì, ci sto» risponde con un sorrisetto.


 


 

●●●
 


 

 

 

Sono le tre passate quando Joonmyeon inciampa sulle sue stesse scarpe nell'ingresso di casa, giusto il tempo per sentire il suo telefono che inizia a squillare. Sta ancora cercando di togliersi il cappotto quando entra in funzione la segreteria e la voce di Lu Han lo saluta.

 

Sta per rispondere, ma Lu Han fa una pausa e la sua voce sembra farsi più piccola. «Non so se tu voglia saperlo, ma è tornato.»

 

Il messaggio viene subito cancellato e un attimo dopo Bruce Springsteen e i Dire Straits riempono il silenzio. Si allenta la cravatta e si trascina fino al divano dove si lasca cadere all'indietro chiudendo gli occhi e sperando che il sonno arrivi presto. Sente un leggero fastidio alla base del collo, come quando teneva una chitarra appesa al collo per ore che sembravano scorrere come minuti, quando la sua vita sembrava bruciare come se dovesse finire da un momento all'altro. Il suo sogno infranto gli pesa sul petto e lo guarda coi suoi occhi felini.

 

 

 

 

Ha un appuntamento con Kyungsoo il giorno dopo, per pranzo.

 

 

 

 

«Mi ha chiamato Lu Han ieri» dice mentre aspettano le loro ordinazioni. Sono seduti l'uno di fronte all'altro sulle panche del piccolo diner americano vicino all'ufficio di Kyungsoo. «Mi ha detto che Jongdae è tornato dall'Europa»

 

Non sa neanche come sia riuscito a dire il nome di Jongdae e farlo sembrare casuale, come una parola qualunque e non un macigno che sembra non riuscire a lasciarsi alle spalle. Si sente intorpidito, come non fosse se stesso.

 

Kyungsoo sembra una maschera, ma Joonmyeon sa leggere i segni, la sua mascella è serrata, le spalle sono rigide e le sue mani si muovono agitate sopra il tavolo.

 

«Probabilmente avrà finito i soldi.»

 

Joonmyeon vorrebbe dire che ne dubita, ma Kyungsoo non ha bisogno della sua opinione, ha solo bisogno di sfogarsi e quindi lo lascia fare, mettendosi a scorrere il menù giusto per avere qualcosa da fare.

 

«Ha cercato di contattarti?»

 

Scuote la testa.

 

«Vorrei anche vedere.»

 

Joonmeyon ride, è una cosa che gli viene facile, è il suo lavoro, vendere la sua musica alle persone con un sorriso smagliante, è come la sua armatura personale contro cose che preferirebbe non vedere, cose che preferirebbe non venissero dette. Come il fatto che sa che Kyungsoo ha ogni diritto di odiare Jongdae in quel modo, ma Joonmyeon non può fare a meno di avercela con lui almeno un po' per questo perché Kim Jongdae è andato tanto affondo.

 

«Sei geloso?» Joonmyeon domanda, alzando un sopracciglio.

 

Kyungsoo sbuffa e gli pizzica il dorso della mano, ma c'è già un sorriso pronto a sostituire l'aura grigia di poco prima.

 

 

 

 

Joonmyeon non può fare a meno di sentirsi in colpa.

 



 




●●●

 

 

 

 

 

 

 

 

«Se potessi andare in qualunque posto in questo momento, dove andresti?» gli chiede Jongdae mentre si dividono una fetta di torta al cioccolato in un piccolo café.

 

Joonmyeon ci pensa per un attimo e poi decide che almeno uno dei due dovrebbe essere onesto.

 

«Nella tua testa.» risponde.

 

Jongdae sembra pensarci un attimo prima di rispondere. «Non penso che ti piacerebbe.»

 

«Non ho mai visto cosa c'è lì dentro, come fai a dire che non mi piacerà?»

 

Per un attimo Joonmyeon pensa che forse ha attraversato una linea sottile che non sapeva esserci perché Jongdae sembra quasi ferito, o confuso, o forse un po' tutti e due, ma potrebbe essere solo un'altra bugia, un modo per attirarlo sempre più vicino, vicino abbastanza da poterlo ferire. O forse quello che ha visto per un millesimo di secondo era davvero Jongdae.

 

«Lo so perché io ci vivo e non mi piace per niente» Jongdae risponde a voce bassa, guardando Joonmyeon negli occhi con uno sguardo imperscrutabile che non gli piace per niente. Poi si alza e se ne va, senza neanche voltarsi.

 

Joonmyeon sente la campanella sopra la porta trillare e guarda al caffè ormai freddo di Jongdae.

 

Non dovrebbe sentire lo stomaco attorcigliarglisi all'idea che Jongdae se ne vada, non dovrebbe sentire niente perché sa meglio di chiunque altro che questa potrebbe essere stata l'ultima volta che lo ha visto.

 

Kim Jongdae è un susseguirsi di bordi affilati e angoli appuntiti, tenerlo vicino è letale, ma Joonmyeon è sempre stato un po' un eroe drammatico, quindi lascia un paio di banconote sul tavolo e corre fuori, corre dietro ad un fantasma che è sicuro di aver visto dietro un paio di occhi macchiati si eye-liner e solitudine.

 

Va a sinistra, Jongdae va sempre a sinistra quando non conosce la strada, e Jongdae non conosce questa parte della città così bene. Joonmyeon corre e cerca di non pensare a cosa dirà quando riuscirà a raggiungere Jongdae, Luhan saprebbe che cosa dire, Kyungsoo saprebbe che cosa fare, mentre lui non sa niente in questo momento, o meglio non sa niente quando si tratta di Kim Jongdae e i suoi occhi taglienti.

 

Quando la trachea sembra aprirglisi a metà ogni volta che prende fiato e ogni respiro è una lama dritta nei polmoni, Joonmyeon smette di correre.

 

Chiama Kyungsoo, perché è quello che la vita gli ha insegnato a fare quando si sente perso, torna a casa.

 

Kyungsoo era stato il suo limite, lo aveva ripescato dalle fauci di quel buio che minacciava di ingoiarlo e gli aveva dato qualcosa a cui pensare, qualcosa che lo tenesse lontano dai mostri che si annidavano sotto il suo letto.

 

«Credo di aver incasinato tutto» dice, cercando di riprendere fiato.

 

«Non penso che ci sia rimasto niente da incasinare» e ha ragione, Jongdae è un caos così ingarbugliato che non se ne riesce a vedere la fine.

 

 

 

Prende un respiro e l'aria gelida è come una lama tagliente che gli trapassa la gola.

 

 

 

 

●●●

 

 

 

 

Wu Fan è il primo a vedere Jongdae, e Joonmyeon non riesce a capire perché tutti sentono la necessità di tenerlo informato sugli spostamenti di Jongdae ogni volta che ne hanno l'occasione e sinceramente sta iniziando a dargli sui nervi.

 

«L'ho visto l'altra sera in quel locale dove siamo andati a festeggiare il primo vero lavoro di Lu Han, te lo ricordi?»

 

Joonmyeon annuisce, se lo ricorda, anche se preferirebbe dimenticarlo. È uno di quei ricordi che si trovano in quel periodo della sua vita in cui non ancora non aveva deciso se valesse la pena arrancare in avanti o lasciare che il passato lo inghiottisse e preferirebbe cestinare quel periodo, è troppo umiliante pensare a quanto fosse pietoso e triste allora.

 

«Lu Han mi ha detto che è tornato dall'Europa la scorsa settimana» dice giusto per riempire il silenzio, anche se probabilmente Wu Fan lo sa già.

 

Wu Fan gira il proprio caffè, lasciando spazio a Joonmyeon per pensare, e Joonmyeon si odia per quanto sta per chiedere perché non gli dovrebbe importare di Jongdae a questo punto.

 

«Sembrava... insomma, stava bene?»

 

Wu Fan sospira e sembra leggergli negli occhi tutte le domande che Joonmyeon non ha il coraggio di chiedere.

 

«Sembrava apposto, penso che mi abbia visto, ma non mi pareva che fosse in vena di riunioni e io non volevo mettere in imbarazzo nessuno»

 

Joonmyeon annuisce e cerca di concentrarsi sulla tazza di caffè che stringe tra le mani. «Mi fa piacere» butta lì, senza pensarci troppo, mentre nella sua mente c'è di nuovo quella canzone, quella che era solito cantare durante notti insonni a orecchie avide e labbra affamare che lo mandavano fuori tempo. «Love bites, love bleeds It's bringin' me to my knees». Una volta Jongin gli ha aveva detto che scegliere di amare una sola persona era come scegliere di mangiare un solo tipo di caramelle per tutta la vita. Joonmyeon aveva riso, troppo ubriaco per riuscire a trovare qualcosa di altrettanto stupido da replicare, qualcosa riguardo caramelle alla fragola e persone noiose, adesso però Joonmyeon sa che cosa significa desiderare solo un sapore, non averne mai abbastanza e non riesce neanche a ridere di se stesso.

 

Wu Fan sta per dire qualcosa quando una ragazza piuttosto minuta si avvicina al loro tavolo con un sorriso insicuro sulle labbra.

 

«Mi dispiace disturbare.» dice e Joonmyeon nota il piccolo block notes e la penna che la ragazza tiene in mano. «Sei Suho, dei Back Up Plan?»

 

Il nome suona strano dopo quattro anni dal loro ultimo live, ma annuisce e il sorriso della ragazza si illumina mentre gli porge il block notes. «Potresti farmi un autografo?»

 

«Certo, a chi?»

 

«Min Ah, mi chiamo Min Ah» risponde, quasi balbettando. «Ero al vostro ultimo concerto, ho pianto quando avete annunciato che era l'ultimo»

 

«Grazie, è bello sapere che c'è qualcuno che ancora si ricorda di noi»

 

«Eravate... Siete una delle mie band preferite» dice mentre riprende il block notes, e sorridendo quando nota il cuore che Joonmyeon ha aggiunto al suo autografo. Min Ah ringrazia prima di tornare al suo tavolo per mostrare il suo premio alle amiche.

 

Si domanda come il pubblico li vedesse, vedevano quanto fossero stanchi? Quanto fossero assurdamente felici mentre cantavano a squarciagola ammassati su un unico microfono?

 

Louder. Louder. Louder.

 

Qualche anno fa si è fatto stampare la cover non ufficiale del loro primo album. L'aveva fatta Chanyeol con la sua vecchia stampante, glitter e qualche adesivo. Sullo sfondo c'era una foto che non ricordava neanche quando l'avessero scattata, erano tutti seduti sul bordo del palco, come uccelli su un filo del telefono. Jongdae è seduto alla sua destra, con un braccio intorno alle sue spalle e un sorriso smagliante sulle labbra. Tutte le volte che guarda quella doto si domanda perché ricorda solo Jongdae che sorride come una bambola rotta, perché ricorda solo le ciò che lo fa soffrire e non ricorda quel sorriso.

 

Quando Jongdae se ne era andato con un fottuto post-it appeso allo specchio del bagno come scusa di un addio, Joonmyeon si era sentito affogare, per giorni l'aria sembrava rimanergli incastrata in gola. Aveva dovuto liberarsi di tutto, per primi i CD di Jongdae, poi i vestiti, poi tutto quello su cui riusciva a mettere le mani e che gridasse Jongdae.

 

Wu Fan lo guarda come se stesse per avere un attacco di panico.

 

«Non pensarci troppo, probabilmente non vi incontrerete neanche» Wu Fan cerca di essere rassicurante, Joonmyeon sorride, data la sua solita fortuna è strano che non si siano già incontrati.

 

«Penso che se evitaste di sentire l'urgenza di informarmi su ogni sua mossa sarebbe d'aiuto» il suo tono è amaro, Wu Fan sembra sorpreso e Joonmyeon non prova neanche a scusarsi perché è esattamente quello che pensa.

 

Si sente come se avesse di nuovo vent'anni, come se fosse ancora troppo giovane e triste e troppo vecchio tutto insieme.

 

Vuole vedere Jongdae e non vuole.

 

Sente la testa che gli gira.

 

Gli viene da vomitare.

 

Vorrebbe che il mondo per una volta chiudesse la bocca.

 

«Penso che fare meglio ad andare a casa, non mi sento molto bene» dice tirando fuori il portafoglio dalla tasca.

 

Wu Fan lo ferma. «Lascia, sono io che ti ho invitato»

 

Sorride prima di avviarsi verso l'uscita e girare a sinistra una volta fuori, quando si ricorda che è Wu Fan che lo ha portato qui e lui non ha idea di dove si trovi.

 

 

 

 

 

 

 

a.n:
- gli esami mi stanno uccidendo.
- il comeback mi ha causato un arresto cardiaco. sì, joonma, sto guardando te.
- causa dieta non posso andare al burger king a prendere gli orsetti del cuore.
- posterò ogni giovedì! la storia ha quattro parti e sono già finite da un po'.
- comments are love!



 

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


 



Parte 2.

 

 

 

 

Jongdae sta seduto sul bordo del palco, nella mano sinistra stringe una birra ghiacciata, ha l'aria stanca, ma soddisfatta e sotto le luci basse dei riflettori la sua pelle brilla per il sudore. Ha lo sguardo perso e un sorriso strano sulle labbra e Joonmyeon pensa che vorrebbe mangiarsi quel sorriso con un bacio.

 

Due anni fa se qualcuno gli avesse detto che avrebbe reclutato nella sua band un teenager disfunzionale, ubriaco il più delle volte e in grado di fumare più di Joonmyeon stesso, Joonmyeon gli avrebbe riso in faccia. Grazie, ma no grazie.

Eppure eccola lì, la prova che a tenerlo sveglio la notte non era solo quel venti Americano che aveva comprato sulla strada di casa.

 

Osserva Jongdae ridere per qualcosa che Chanyeol sta raccontando e sente qualcosa muoverglisi nello stomaco, qualcosa che lo spingerebbe ad andare da Jongdae, mettergli un braccio intorno alle spalle e dire qualcosa di stupido come ti amo. Sì, potrebbe farlo.

 

È allora che Jongdae alza gli occhi e il suo sguardo inizia a vagare per la sala ormai deserta, e Joonmyeon sente le labbra fremere per una sigaretta. Tira fuori il pacchetto mezzo-accartocciato dalla tasca posteriore dei jeans e si avvia verso la porta sul retro.

L'aria fredda gli fa venire i brividi, incassa la testa nelle spalle cercando si tenersi caldo.

 

Ricorda che la prima volta che aveva pensato che essere una rock-star dovesse essere una figata era appena alto abbastanza da arrivare al tavolo della cucina senza doversi mettere in punta di piedi. Aveva pensato a come doveva essere fantastico stare in piedi di fronte a tutta quella gente che vuole te, che ti presta attenzione. Essere in una rock band, pensa Joonmyeon adesso, mentre aspira la prima boccata di fumo, è duro lavoro.

 

Si tocca il collo dolorante e sente sotto le dita i muscoli tesi, probabilmente dovrebbe massaggiarlo più spesso o sarà difficile suonare.

 

La porta sul retro a quel punto si apre e Jongdae esce fuori sorridendo compiaciuto.

 

«Ti ho trovato» dice, soddisfatto.

 

Joonmyeon deglutisce a vuoto mentre Jongdae si avvicina, sempre più vicino, troppo vicino. Joonmyeon smette di respirare quando Jongdae inizia ad annusargli il collo, prima di lasciare un promettente bacio sulla sua carotide pulsante.

 

«Mi piace il tuo odore» Jongdae sussurra lasciando un altro bacio sulla pelle sensibile dietro l'orecchio.

 

Joonmyeon dovrebbe dire di no, ha imparato a sue spese quanto sia difficile mantenere una relazione all'interno di una band senza mandare tutto all'aria, e non sta certo per buttare al vento tutto quello che è riuscito a conquistare fino a questo momento, non adesso. D'altra parte non è sicuro che qualche lavoretto in bagno o nell'occasionale angolo buio si possa classificare come 'relazione'

 

Jongdae bacia come canta, sempre affamato e con un retrogusto che sa si solitudine, prende, prende e prende e Joonmyeon non può far altro che lasciarsi trascinare nel suo ritmo impazzito. Lascia cadere la sigaretta a terra e porta le mani sui fianchi di Jongdae, lasciando scivolare le dita sotto la stoffa leggera della canottiera.

 

Jongdae è sempre impaziente di toccare, di sentire, di baciare, Joonmyeon non sa se Jongdae sia affamato di calore umano o di affetto e non è neanche sicuro che ci sia una differenza.

 

Qualcuno però sta in piedi sulla porta, Joonmyeon riconosce subito Kyungsoo e spinge via Jongdae. Kyungsoo sembra scioccato e Jongdae ha uno strano sorriso in faccia, per un attimo Joonmyeon pensa che forse Jongdae l'abbia pianificato.

 

«Penso che dovrei andare. Ti chiamo, Joonmyeon» e con questo Kyungsoo se ne va e Joonmyeon si sente troppo stanco per tornare dentro, per inseguirlo e spiegargli che cosa è che ha appena visto.

 

Quindi quando Jongdae intreccia le loro dita e lo trascina via, Joonmyeon si lascia portare.

 




 

●●●

 

 

 

 

 

 

Minseok lo chiama dopo una settimana e mezzo, è in Giappone e sta facendo a cazzotti con la barriera linguistica.

 

«Mi sono dovuto arrangiare con il mio inglese, ci crederesti? In ogni caso, l'intervista è domani, finalmente! Dovrei tornare sabato, ti va una pizza?»

 

'Pizza' significa una pizza gigante, con qualsiasi cosa gli possa venire in mente sopra, consumata sull'ottomano di Minseok. Non sul divano. «Perché poi la paghi tu la tintoria per quel coso.» come Minseok ama ricordare a tutti quanti.

 

«Quindi, come vanno le cose?» Minseok chiede poggiando a terra la sua seconda birra.

 

«Bene, sto lavorando ad un album nuovo per una solita, è carina, lavora sodo.»

 

Minseok sospira. «Ho parlato con Jongdae, è venuto nel mio ufficio con due caffè l'altro giorno e io avrei voluto prenderlo a pugni.»

 

«Allora immagino non sia cambiato.»

 

Minseok lo guarda come se da un momento all'altro dovessero crescergli un paio di corna.

 

«Non mi ha chiesto di te.»

 

Bhè, questa brucia.

 

 

 

 

●●●

 

 

 

 

 

Sono le cinque di mattina, Joonmyeon è seduto al tavolo della cucina con un piccolo taccuino che ha pescato dal caos che regna su suo appartamento. Fissa la pagina bianca e inizia a pensare a tutte le cose che sa su Kim Jongdae, pensa che se non prova a scriverle tutte uscirà pazzo.

 

Non riesce a capire come sia possibile che non riesca a capire se l'uomo che vede sotto le luci stroboscopiche del palco, l'uomo che occasionalmente divide il suo letto, l'uomo che sorride come un gatto, sia reale o se non stia vivendo un incubo e non è neanche sicuro di volersi svegliare.

 

È tutto così surreale, è tutto troppo, voleva soltanto fare in modo che la band si facesse un certo nome, voleva che fossero famosi vendendo la propria musica, che vivessero cogliendo l'attimo. Non aveva messo in conto niente del resto.

 

Si accende un'altra sigaretta e inizia a scrivere.

 

Prima di tutto scrive Kim Jongdae al centro della pagina.

 

Nato... non sa quando sia nato Jongdae.

 

«Hai idea di quanti compleanni falsi posso avere se nessuno sa quando io sia nato davvero?»

 

Allora si ricorda che non può fidarsi di quello che Jongdae dice e decide di scrivere soltanto ciò che sa perché lo ha visto e non perché lo ha sentito dire.

 

Sotto il nome di Jongdae scrive bugiardo.

 

Jongdae ama camminare per casa con le cuffiette nelle orecchie che sparano musica pop degli anni novanta, mimando le parole sbagliate. Lo fa le Domeniche mattina più lente e pigre, e poi magari si mette a cantare davvero mentre masturba Joonmyeon vicino alla finestra dove qualcuno potrebbe vederli.

 

Aggiunge esibizionista.

 

E pervertito. Poi però lo cancella perché in realtà glielo lascia fare e quindi è altrettanto colpevole e non può proprio giudicarlo.

 

Joonmyeon aspira un'altra boccata e sputa fuori il fumo con un sospiro rassegnato.

 

Ha una cicatrice sotto la clavicola sinistra, sicuramente non se l'è fatta quando gli alieni lo hanno rapito. Joonmyeon si era sempre assicurato di baciare, succhiare e leccare, quella cicatrice ogni volta che facevano sesso o si baciavano nell'oscurità del back-stage. Che poi, davvero, non era così difficile visti gli out-fit che a Jongdae piaceva indossare sul palco.

 

La prima volta che si erano incontrati Jongdae gli aveva detto che aveva delle belle mani, Kyungsoo, più tardi lo avrebbe preso in giro per quel commento.

 

«Ho quasi pensato che avrebbe chiesto favori sessuali in cambio del suo ingresso nella band»

 

Joonmyeon era scoppiato a ridere, colpendo Kyungsoo con un pugno inoffensivo.

 

«Chi ti ha detto che avrei rifiutato?» lo aveva sbeffeggiato, godendosi poi la risata piena di Kyungsoo.

 

Poi, alla fine, non aveva rifiutato, anzi, era stato anche troppo volenteroso troppo ubriaco per dire no alle mani invadenti di Jongdae e al suo sguardo intenso. No non era tra le opzioni, ora lo era, ora e per favore non ti fermare e per favore ancora, al contrario erano tutte molto valide.

 

«Mi piacciono le tue mani» Jongdae aveva sussurrato mentre riabbottonava i jeans di entrambi.

 

Alla fine Joonmyeon non sa niente su Jongdae, niente che conti davvero, e sa che chiedere non lo porterebbe da nessuna parte. Jongdae mentirebbe, è scritto chiaro e preciso su quella pagina. Jongdae è un bugiardo, uno bravo, e Joonmyeon doveva solo ricordarselo.

 

Quando torna a letto, Jongdae si è spostato dalla sua parte del letto, rubando tutte le lenzuola. A Joonmyeon non piace guardare la gente che dorme, e Jongdae non è un'eccezione, quindi spegne la luce e si lascia cadere sul letto, e cerca di non pensare a labbra che preferirebbe baciare piuttosto che guardare mentre formano parole che preferirebbe non sentire.

 

Sente Jongdae spostarsi fino a raggomitolasi contro il suo fianco, poggiando la testa sulla sua spalla come se quello fosse sempre stato il suo posto.

 

E probabilmente lo è.

 

Ed è questo che tiene sveglio Joonmyeon.

 

 

 

 

●●●





 

 

 

Il problema è che se Joonmyeon dovesse incontrare Jongdae, diciamo adesso, probabilmente sorriderebbe offrendogli un caffè e facendo domande educate per recuperare il tempo perduto, tutto quello che si è perso negli ultimi quattro anni, perdendosi di nuovo dietro al sorriso raggiante di Jongdae.

Poi, magari, si ricorderebbe di essere arrabbiato con Jongdae, che dovrebbe urlargli contro perché dovevano essere il loro piano di riserva quando tutto il resto fosse andato a puttane, ma mentre tutto il resto andava puttane Jongdae era semplicemente sparito.

 

 


 



●●●




 

 

 

«Non puoi fare la rockstar per sempre.» gli dice suo padre al telefono quando Joonmyeon chiama per annunciare lo scioglimento.

 

Gli risponde che lo sapeva, e che sì, sarà a casa per il compleanno di sua madre.

 

È un giovedì qualunque quando riattacca e sente i passi leggeri di Jongdae andare verso il bagno e pensa che dovrebbe almeno piovere perché non è giusto che lui sia l'unico ad avere una giornata di merda.

 

Avevano deciso di non dirlo a nessuno, di tenerlo per sé, lasciando che i fan si godessero o spettacolo come se fosse dovuto durare per sempre, nascondendo le lacrime dietro sorrisi ancora più brillanti. Alla fine si erano presentati tutti insieme di fronte al loro pubblico e avevano spiegato come il loro viaggio fosse stato più lungo del previsto, tutto grazie alla passione dei fan. Avevano ringraziato ognuno di loro e avevano detto addio.

 

Il silenzio era stato assordante a quel punto, quando era stato chiaro che non si trattava di uno scherzo e che era davvero la fine. Erano rimasti lì, in piedi a cercare di marcarsi a fuoco nel cuore e nella mente il suono del loro ultimo applauso.

 

Joonmyeon si accende una sigaretta.

 

Quando Jongdae fa capolino in soggiorno, con i pantaloni del pigiama che sembrano dover cadere da un momento all'altro e i capelli che vanno un po' in tutte le direzioni, Joonmyeon pensa che se tutto quello che gli rimane alla fine è quest'uomo allora può accettare di perdere tutto il resto. È pazzesco perché i Back Up Plan erano stati il suo sogno per così tanto, come un figlio che aveva cresciuto lui stesso, mentre aveva passato gli ultimi tre anni a ripetersi che Jongdae non era suo e non avrebbe potuto sperare di poterlo tenere per sé.

 

«Ti va di andare a mangiare qualcosa fuori?» domanda e Jongdae annuisce.

 

«Vestiti.» Jongdae biascica ancora mezzo addormentato.

 

Jongdae indossa solo i boxer, quando Joonmyeon lo raggiunge nella propria camera da letto, e sta scavando nell'armadio alla ricerca di una maglietta pulita.

 

«Ti va qualcosa di specifico?» domanda sedendosi sul bordo del letto.

 

«Torta... Torta al cioccolato.» Jongdae risponde cercando di stirare con le mani una maglietta verde con un uno strano disegno sopra che Joonmyeon neanche ricordava di avere.

 

«Jongdae?» dice sdraiandosi sul letto con gli occhi chiusi. «Penso di amarti.»

 

È un codardo, tiene gli occhi chiusi, lasciando che le parole rimangano sospese nel silenzio. Sente il materasso abbassarsi sotto il peso di Jongdae e subito dopo sente Jongdae sdraiarsi al suo fianco.

 

Jongdae gli bacia il collo, «Lo so» lo sente sussurrare prima che si alzi.

 

Mentre sente l'acqua scorrere in bagno pensa che sarebbe potuta andare molto peggio.

 

Finisco a mangiare torta al cioccolato in un locale che Lu Han ha fatto conoscere a Joonmyeon un po' di tempo prima, un posto in stile americano, è tranquillo e la torta è buona.

 

«Se potessi andare in qualunque posto in questo momento, dove andresti?» domanda Jongdae dal nulla.

 

 

●●●

 

 

 

 

 

 

 

 

Kyungsoo lo sveglia alle nove, un Mercoledì mattina che Joonmyeon aveva pensato di spendere a letto, tentandolo con un caffè un bacio appassionato nell'ingresso, prima di comunicargli che stanno per andare a cercare un letto.

 

Joonmyeon sente ancora gli occhi chiudersi per il sonno, anche se l'enorme Americano che tiene in mano lo aiuta a concentrarsi quella voce di Kyungsoo piuttosto che sul suo bisogno di tornare a letto.

 

«Hai bisogno di un letto nuovo?» domanda afflosciandosi sul divano e imprecando a bassa voce quando rischia di rovesciarsi il caffè addosso.

 

«No, tu ne hai bisogno.» Kyungsoo risponde dalla cucina, dove si sta preparando un tea.

 

«Io ho un letto.» Joonmyeon ribatte, trovando difficile articolare frasi più lunghe e sensate e, sopratutto, domande.

 

«Bhè, ne compriamo uno nuovo perché quello che hai è vecchio e ti farà venire il mal di schiena.»

 

Quando si era trasferito dal suo vecchio appartamento Joonmyeon aveva fatto del suo meglio per salvare tutti i mobili che aveva potuto, principalmente perché non poteva pensare di lasciare un posto che aveva chiamato casa per così tanto tempo senza portarsene via almeno un po'.

 

Aveva salvato una cassettiera, una dove teneva calzini spaiati e bollette e che adesso si trova nella sua camera da letto. C'è anche il puffo che ha vinto quella volta che si sono ritrovati in una sala bigno e Jongin era stato praticamente adottato da metà degli anziani presenti nella sala. Poi c'è la libreria, dove Chanyeol una volta aveva attaccato la sua dannatissima gomma da masticare e nessun prodotto noto all'uomo era riuscito a staccarla e dove Jongin, colto dall'ebrezza dell'alcol, aveva cercato di disegnare ciascuno di loro. Aveva disegnato un paio di corna a Lu Han, occhi enormi per Kyungsoo, strane sopracciglia per Wu Fan e poi c'era Chanyeol con i capelli per aria, un occhio diverso dall'altro e con un braccio mancante.

Quando era stato sollecitato a spiegare il motivo del braccio mancante da un Minseok molto interessato e armato di telecamera Jongin aveva spiegato, trascinando le 's' e fermandosi un paio di volte per ridere delle proprie mani, che il braccio di Chanyeol era nascosto dietro la sua schiena perché stava tenendo in mano una fatina.

 

«Perché Chanyeol terrebbe in mano una fatina?» Minseok aveva chiesto tenendo la telecamera puntata sulla faccia di Jongin.

 

«Perchè sorride troppo, e siccome non si droga o Joonmyeon-hyung lo picchierebbe, o lo farebbe picchiare a sangue da Wu Fan hyung, l'unica possibilità è che si spruzzi polvere di fata ogni mattina, tanta polvere di fatina.»

 

Poi c'è il suo letto. Non è nulla di speciale, niente testiera, con un vano sotto il materasso, fatto di assi di legno dipinte di nero. Era un regalo che si era fatto con i primi introiti dal loro primo album indie. Gli piace quel letto, non gliene serve un altro. Vuole tenerselo insieme a tutti i ricordi che ha nascosto sotto il materasso, tra le pieghe delle lenzuola.

 

«Mi piace il mio letto.» borbotta quando Kyungsoo lo raggiunge, accoccolandosi al suo fianco sul divano. «Non credi di doverne comprare uno nuovo.»

 

Kyungsoo corruccia le sopracciglia sorseggiando il proprio tea bollente.

 

Joonmyeon chiude gli occhi e circonda le spalle di Kyungsoo con un braccio, quando Kyungsoo nasconde il viso nel suo collo, Joonmeyon gli bacia i capelli e prende un profondo respiro.

 

«Kyungsoo-ah, che cosa c'è che non va?»

 

Kyungsoo si irrigidisce appena e Joonmyeon prende la tazza dalle sue mani depositandola sul pavimento insieme alla propria, per poi circondare la vita di Kyungsoo.

 

«Perché non lasciamo la caccia al letto per un'altra volta e invece oggi non ce ne stiamo a casa? Potrei andare a prendere qualche dolcetto dalla pasticceria dietro l'angolo» domanda, carezzando la schiena di Kyungsoo e sperando di mettere da parte la questione del letto almeno finché Kyungsoo non la scorderà del tutto.

 

Kyungsoo annuisce e mugola soddisfatto. Joonmeyon gli ruba un bacio prima di andarsi a vestire. Non pensa di stare fuori a lungo, quindi si infila una tuta e si mette una felpa sopra la maglietta del pigiama, nascondendo il viso dietro una enorme sciarpa.

 

Mentre è in ascensore pensa a Kyungsoo sdraiato sul suo divano e la confusione che ha letto nel suo sguardo.

 

Lui e Kyungsoo sono amici da sempre, Kyungsoo c'era nei momenti importanti e Joonmyeon sa che se Kyungsoo non ci fosse stato le cose sarebbero potute andare molto peggio.

Kyungsoo era sempre stata la riva sicura dove poteva riposare la propria mente stanca. Ama Kyungsoo, ha sempre amato Kyungsoo, come un amico, come un fratello, come un amante, ma a volte gli sembra che qualcosa manchi. Come quando si sveglia nel mezzo della notte e suona il piano finché le dita non gli fanno male solo per riempire il silenzio e l'enorme buco che gli brucia in petto che minaccia di ingoiarlo. Neanche Kyungsoo è riuscito a guarirlo quello.

 

Joonmeyon si sente in colpa perché non riuscirebbe a lasciarsi il passato alle spalle neanche se fosse Kyungsoo a chiederglielo.

 

Il negozio è pieno di gente quando entra, si mette in fila e aspetta il suo turno, cercando di sbirciare nella vetrina per vedere che cosa la pasticceria abbia da offrire oggi. Sorride quando vede la Sacher che piace a Kyungsoo.

 

 

 

Una settimana dopo dovrebbe incontrare Kyungsoo appena esce da lavoro. È appena mezzogiorno e è appena sopravvissuto ad una riunione con il suo capo che gli ha quasi fatto rassegnare le dimissioni per scappare in un isola deserta con le palme e l'acqua limpida. Sicuramente piacerebbe anche a Kyungsoo.

 

Sulla strada si ferma da Sturbucks per prendere un latte e qualcosa di dolce per Kyungsoo, ma è pietrificato quando, entrando, scorge una famigliare testa di capelli neri che fissa il menu sopra la cassa.

 

Se lo sarebbe dovuto aspettare, e dovrebbe anche voltarsi, uscire e correre da Kyungsoo, baciarlo e magari scusarsi, perché il suo cuore sta battendo come se avesse di nuovo vent'anni e non si fosse ritrovato con il cuore in mille pezzi, ma non fa niente di tutto questo.

Si avvicina, invece, mettendosi in fila e aspettando di vedere se sia davvero Jongdae o sia solo la sua immaginazione.

 

Jongdae ordina una caramel mocha con panna montata e scaglie di cioccolato, Joonmyeon ricorda quando Jongdae beveva solo americano, rigorosamente amaro, seduto sul bancone della sua cucina mentre Joonmyeon fingeva di saper cucinare.

 

Di solito si ritrovavano in cucina nel tardo pomeriggio, e erano soliti chiacchierare di cose senza senso o cantare qualsiasi cosa passassero in radio, e all'improvviso si ricorda di Jongdae che ride cantando 'I love Rock'n'Roll' con un cucchiaio come microfono e una passione che avrebbe fatto vergognare Joan Jett.

 

Lo vede come se ce lo avesse davanti in quel preciso momento, il sorriso di Jongdae quando si era unito all'improvvisato karaoke durante il chorus, brandendo una forchetta.

 

È stupido come non riesca neanche a respirare quando Jongdae si volta e i loro occhi si incontrano, ma forse non è il solo. Jongdae sembra altrettanto scioccato.

 

Jongdae sorride, gli angoli delle sue labbra si alzano appena.

 

La ragazza alla cassa richiama l'attenzione di Jongdae e lui paga velocemente, prima di avvicinarsi a Joonmeyon.

 

Joonmyeon sente le dita fremere, vorrebbe toccare Jongdae, sentire la sua pelle sotto le dita, tracciare le piccole rughe agli angoli dei suoi occhi. È un po' come quando, prima di smettere di fumare, sentiva il bisogno, forte e fastidioso, sulla punta delle dita di tenere una sigaretta tra le dita e prendere una lunga rilassante boccata di fumo.

 

Jongdae e le sigarette erano entrambi altrettanto letali in quel periodo, entrambi lo uccidevano da dentro.

 

«Ciao.» dice e Joonmyeon, finalmente, respira.

 

«Ciao.»

 

Stanno in piedi l'uno di fronte all'altro chiaramente a disagio, a Joonmyeon sembra di stare cadendo di testa in un precipizio e pensa che non smetterà mai di cadere. È spaventoso e eccitante allo stesso tempo, esattamente come lo era tanti anni fa.

 

«Lu Han mi ha detto che eri tornato.» non c'è molto altro che possa dire al momento, quindi decide di andare con qualcosa di facile e poco... compromettente.

 

«Due settimane fa, ho pensato di sistemarmi un po' prima di mettermi in contatto con tutti.»

 

Joonmyeon annuisce e fa un passo verso la cassa, è quasi il suo turno e vorrebbe trovare qualcosa da dire che convinca Jongdae a rimanere, ma allo stesso tempo teme che non farebbe altro che starsene in silenzio a fissare Jongdae per tutto il tempo.

 

Ha bisogno di tempo, ma ciò non gli impedisce di domandare. «Se hai tempo potremmo sederci...»

 

Jongdae scuote la testa. «Forse la prossima volta» risponde con un ampio sorriso e Joonmyeon ride, sentendo un po' della tensione scivolare via. «Ho un colloquio un lavoro tra mezz'ora»

 

«Oh, buona fortuna allora»

 

«Grazie» Jongdae agita la mano e si avvia verso la porta. «Ciao, Joonmyeon» aggiunge voltandosi un attimo prima di uscire.

 

«Buongiorno, che cosa posso portarle?» la voce del ragazzo dietro il bancone lo riscuote dalla sua piccola reverie.

 

 






a.n:
-insomma eccoci qui.
-aggiornamento anticipato per via di happy camp. capitemi. e mi annoiavo.

┻━┻ ︵ヽ(`Д´)ノ︵ ┻━┻
 

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


 

Parte 3

 

 

 

 

 

«Buona sera signori, che cosa vi porto?» Joonmyeon guarda frettolosamente il menu e poi ordina un caffè cercando di sorridere, ma anche quello gli fa scoppiare la testa.

 

Dietro gli occhiali scuri osserva Jongin incantare la cameriera con un sorriso e lasciando che le loro dita si sfiorino quando le dà indietro il menu.

 

«Non cambi mai.» dice Joonmyeon scuotendo la testa.

 

«No.» Jongin conferma con un sorriso furbesco.

 

Joonmyeon sorride di rimando e si fa scivolare gli occhiali sulla punta del naso per togliergli un attimo prima che cadano. La luce non è troppo forte, ma istintivamente strizza gli occhi prima di aggiustarvisi, guadagnandosi un'occhiataccia da Jongin.

Appena di accorge di essere stato beccato mentre si prendeva gioco del proprio hyung Jongin sorride come il bambino insolente che è e Joonmeyon non può fare a meno di lasciarsi scappare una risata. Jongin è sempre stato il suo dongsaeng preferito, ma non ditelo a Chanyeol.

 

«Ordiniamo anche per Kyungsoo-hyung?»

 

Jongin, però, aveva sempre adorato Kyungsoo. Joonmyeon scuote la testa . «Ha detto che sarebbe arrivato tra poco.»

 

Jongin annuisce e inizia a giocare con il tovagliolo, fa tante piccole palline che Joonmyon vede già attaccate ai propri capelli. Jongin è ancora un ragazzino, quando si erano incontrati per la prima volta era il bambino magrolino con le ginocchia sbucciate che abitava nella casa accanto. Joonmyeon ama raccontare di Jongin da bambino quando sono tutti insieme, solo per vedere Jongin arrossire furiosamente cercando di salvare quanto rimasto della propria dignità.

 

Sa che in quei momenti gli occhi di Jongin sono sempre su Kyungsoo, cercando di capire la sua reazione, e quando Kyungsoo gli sorride Jongin arrossisce ancora di più.

 

Jongin è innamorato di Kyungsoo. È quel genere di amore che gli fa disegnare piccoli cuori sui bordi dei suoi spartiti, che lo fa sospirare e arrossire e gli fa sentire lo stomaco sempre pieno e la mente sempre leggera. Joonmyeon trova l'ingenuità di Jongin adorabile, ma non è sicuro di voler essere presente quando si infrangerà in mille pezzi e Jongin si ritroverà con il cuore spezzato.

 

«Hyung, mi stai ascoltando?» Jongin gli agita una mano in faccia, mordendosi il labbro.

 

«Sì... cioè no, che cosa stavi dicendo?»

 

«Ho detto che alla scaletta del prossimo live dovremmo aggiungere la canzone che io e Chanyeol-hyung abbiamo finito ieri.»

 

«Non l'abbiamo provata abbastanza.»

 

Jongin mette il broncio e Joonmyeon si sporge per arruffargli i capelli. «Avrai il tuo assolo la prossima volta, Jongin-ah.»

 

Jongin sbuffa e scaccia la mano i Joonmyeon, ma la sua furia dura poco, perché Kyungsoo si avvicina al loro tavolo e Jongin non riesce a rimanere arrabbiato quando c'è Kyungsoo in giro, tutta la sua energia serve per far ridere e arrossire Kyungsoo.

 

Kyungsoo, però, sembra preoccupato, mentre si siede di fianco a Joonmyeon.

 

«Mi hanno preso.» dice, con le sopracciglia corrucciate, guardando Joonmeyon.

 

«Ti hanno preso per quell'apprendistato alla casa editrice?»

 

Kyungsoo annuisce. «Inizio domani.»

 

Joonmyeon rimane un attimo a bocca aperta prima di abbracciare Kyungsoo più stretto che può e vorrebbe dirgli quanto sia felice e che dovrebbero festeggiare e...

 

«Non canterai più con noi?» Jongin domanda e Joonmyeon si ritrova senza parole per un motivo del tutto diverso. Ripensa a quando di notte camminavano a piedi nudi nel giardino sul retro della casa di genitori di Kyungsoo. A come la voce di Kyungsoo sembrava sciogliersi nell'aria calda d'estate. A come volesse ingoiare tutte quelle note meravigliose perché sembrava che ciascuna di esse portasse con sé un pezzetto di Kyungsoo e Joonmyeon lo voleva tutto per sé. Ripensa alla prima volta che hanno suonato tutti insieme nel garage di Chanyeol. Ripensa a come gli occhi di Kyungsoo brillassero d'entusiasmo giusto due giorni fa quando sul palco aveva chiamato in avanti per dividere un microfono durante il ritornello e a come avrebbe voluto baciarlo, lì di fronte a tutti.

 

Pensa a come quanto voglia tenere Kyungsoo sempre vicino e a come Kyungsoo sembri sempre allontanarsi.

 

«Non avrei tempo, i primi mesi sono importanti... Ho bisogno di questo lavoro... io voglio questo lavoro.» è a disagio, spostando gli occhi tra Joonmyeon e Jongin come se si aspettasse di essere giustiziato da un momento all'altro.

 

Joonmyeon sa quanto Kyungsoo voglia quel lavoro, quanto Kyungsoo ami i libri, lo sa perché lui ama la musica allo stesso modo e Kyungsoo è sempre stato lì per sostenerlo, per spingerlo a inseguire il proprio sogno e ora è venuto il momento per lui di fare lo stesso.

 

«Kyungsoo-yah, grazie per essere stato con noi fino ad ora. Grazie per aver supportato il nostro sogno fino ad ora» dice guardando Jongin che sembra capire.

 

«Adesso noi supporteremo il tuo.»

 

Kyungsoo tira un sospiro di sollievo rilassandosi contro Joonmyeon che gli passa un braccio intorno alle spalle.

 

«Pensavo che vi sareste arrabbiati.»

 

«Non possiamo obbligarti, e vogliamo fare le cose sul serio dovremo lavorare sodo e abbiamo bisogno di persone che lo vogliano quanto lo vigliamo noi o sarebbe inutile, quindi non ti preoccupare, ok?»

 

Kyungsoo annuisce e sorride. Joonmyeon vede la tristezza negli occhi di Jongin, ma il suo sorriso è troppo accecante perché possa vederla anche Kyungsoo.

 

 

 

 

Una settimana dopo, dopo il secondo rimpiazzo una ragazza carina che poteva toccare le note più alte e che aveva cercato di spogliare Chanyeol nel bagno degli uomini e dopo che il terzo tentativo si era ubriacato troppo, troppo presto, costringendo Joonmyeon a cantare, Kyungsoo si presenta al secondo lavoro di Joonmyeon, cinque minuti prima che il suo turno finisca, con un ghigno soddisfatto stampato in faccia.

 

«L'ho trovato.» dice tamburellando le dita sul bancone del negozio di dischi.

 

«Hai trovato chi?» Joonmyeon domanda, buttando l'occhio alla porta dell'ufficio, semmai il suo pazzo datore di lavoro stesse per uscire fuori urlando come un pazzo, di nuovo, perché Joonmyeon sta perdendo tempo invece di occuparsi del negozio. Joonmyeon è sicuro che quel tizio verrà spedito in un manicomio un giorno o l'altro, ma prega che quando ciò succederà, avrà trovato già un altro lavoro.

 

«Ho trovato il tuo cantante.» Kyungsoo risponde, orgoglioso, attirando la completa attenzione di Joonmyeon.

 

«Kyungsoo non-... »

 

«Non ti preoccupare, lascia fare a me. Andrò a dare un'occhiata in giro mentre tu finisci, sperando di non avere una reazione allergica alla polvere degli anni ottanta che si annida dietro quegli LP...»

 

«Hey! Lo pulisco io questo buco, ok?» Joonmyeon ribatte, rimanendo ignorato.

 

«...e quando avrai finito ti affiderai a me perché io ti porterò alla chiave del tuo successo.»

 

Joonmyeon scuote la testa e spinge via Kyungsoo con un sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

Joonmyeon è seduto su una poltrona nello studio di registrazione. Sono quasi le tre del mattino e ha appena finito di registrare un'altra demo. Baekhyun, il ragazzo che di solito gli presta la propria voce, se n'è andato un po' dopo mezzanotte, ma Joonmyeon doveva sistemare quello che c'era da sistemare e aveva perso la cognizione del tempo. Si sente gli occhi pesanti, non può guidare fino a casa.

 

Ubriaco dal sonno cerca tra i propri contatti il numero della compagnia dei taxi e le sue dita si fermano un attimo di troppo su un numero che ha salvato con un singolo, semplice punto.

 

Non ci pensa troppo e spinge il tasto di chiamata. È solo curioso. È tardi e sta chiamando un numero che, per quanto ne sa, è stato cancellato anni fa, quindi non si aspetta che qualcuno risponda, ma la linea prende vita e dopo qualche secondo una voce assonnata risponde.

 

«'nto?»

 

All'improvviso è più sveglio che mai. La riconosce quella voce, è la voce che gli sussurrava all'orecchio in quelle mattine in cui non aveva voglia di alzarsi e funzionare come tutte le persone normali.

 

«Jongdae?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Joonmyeon si sente stupido, incredibilmente stupido e totalmente in imbarazzo, mentre siede da solo in un angolo del coffee shop aspettando Jongdae. Probabilmente avrebbe dovuto riattaccare dopo che Jongdae aveva risposto, dopotutto aveva avuto la conferma che che Jongdae aveva ancora quel numero e che stava dormendo alle tre del mattino e che la sua voce sporca di sonno aveva ancora strani effetti sulla propria mente.

 

Eppure aveva incespicato sul suo nome prima di riprendersi. Aveva sentito il rumore delle lenzuola e Jongdae aveva sbadigliato prima di domandare perché mai chiamasse ad un'ora tanto ingrata.

 

«Volevo sapere se avei tempo per un caffè, magari domani?»

 

Poteva immaginare le labbra di Jongdae che si piegavano all'insù e sentì lo stomaco contorcersi. Lo stava facendo sul serio?

 

«Se chiami a quest'ora potrei pensare che tu voglia cogliermi in un momento di debolezza per assicurarti che io dica di sì.» aveva sorriso a quel punto, sentendo una sensazione familiare scivolare sulle propria membra stanche. «Ma sei fortunato, perché domani ho tempo, quindi mandami un messaggio quando sarò abbastanza sveglio da ricordami come mi chiamo, ok?»

 

Aveva aspettato, cercando qualcos'altro da dire. «Non hai cambiato il tuo numero.» aveva detto alla fine, ma entrambi sapevano che cosa stava davvero chiedendo.

 

«Troppa fatica.» aveva borbottato Jongdae, e Joonmyeon poteva sentirlo scivolare sotto le coperte. «Buonanotte Joonmyeon.» aveva sussurrato.

 

«Buonanotte Jongdae.»

 

Quando aveva riattaccato Joonmyeon non sapeva se volesse lanciare il cellulare contro la parete o sbattere la testa contro il muro sperando di infilarci un po' di buonsenso.

 

Quando Jongdae arriva, però, Joonmyeon ha i palmi sudati e teme che la propria voce possa tradire quanto il suo cuore stia galoppando, così sorride, salutando Jongdae con la mano e Jongdae gli sorride, avvicinandosi.

 

«Hai aspettato molto?» gli domanda mentre si siede. «Sai, un vecchio pazzo mi ha svegliato nel mezzo della notte e ho fatto fatica a riaddormentarmi quindi non ho sentito la sveglia.» aggiunge con un sorriso.

 

Joonmyeon pianta i piedi sul pavimento i legno per evitare di fare qualcosa di stupido come correre fuori e non tornare più indietro.

 

Parlano di ora, di domani, entrambi cercando di riabituarsi alla presenza dell'altro. Quando Jongdae gli racconta della signora seduta al suo fianco sul volo di ritorno da Parigi e di come il suo profumo gli avesse fatto venire le vertigini, Joonmyeon ride.

 

Quattro anni sono lunghi, pensa, mentre ride ad una battuta patetica, e Jongdae ride più forte, sapendo benissimo che non era poi così divertente. Se fosse stato la stessa persona che era quattro anni fa non sarebbe stato in grado di parlare così con Jongdae, di condividere pezzetti della propria vita, pensava sarebbe stato arrabbiato, che sarebbe stato molte cose che invece non è.

 

Si era aspettato molte cose, ma si era sbagliato. Non è arrabbiato, e forse è quello che lo spaventa di più. Non sono più giovani e senza paura, ma avere coraggio significa sconfiggere le proprie paure, quindi osa chiedere.

 

«Quindi, l'Europa?»

 

«Già, sono tornato due settimane fa dall'Italia» il sorriso di Jongdae sembra spegnersi appena.

 

Joonmyeon annuisce e stringe la propria tazza come un salvagente, cercando di calmare la tempesta che gli si agita nello stomaco e gli fa pensare che forse sta per rivedere il take-away Thai della sera prima.

 

«Minseok mi ha detto che sei andato a trovarlo in ufficio»

 

Jongdae lo guarda strano e sembra pensare a cosa dire, alla fine annuisce. «Dopo essermi sistemato ho pensato di iniziare a rimettermi in contatto con tutti»

 

Joonmyeon vorrebbe chiedere come mai non io per primo?, ma sa già la risposta.

 

«Mi ha detto che sei un produttore famoso adesso» Jongdae dice con un ampio sorriso, ed è contagioso.

 

«Non posso negarlo, praticamente sono una fabbrica di hit» risponde con un ghigno soddisfatto e le Jongdae inarca le sopracciglia.

 

«Hai passato troppo tempo con Chanyeol? Non credevo che le manie di protagonismo fossero contagiose»

 

Joonmyeon rotea gli occhi e beve un sorso di caffè. Sente le spalle rilassarsi, ma il respiro gli si mozza quando vede Jongdae sorridere dietro la propria tazza. È passato così tanto tempo eppure sembra ieri che camminavano per strada contando le stelle cadenti dividendo una sigaretta. Gli sembra in tutti questi anni di aver continuato a contare nonostante le stelle avessero smesso di cadere da un pezzo.

 

«E tu? Che cosa ha fatto tutto questo tempo?»

 

Jongdae lascia che i propri occhi vaghino nel locale ormai pieno mentre un sorriso malinconico prende possesso delle sue labbra. Prende un respiro e continua a guardare lontano mentre parla.

 

«All'inizio ho preso qualunque lavoro mi venisse offerto, cameriere a Londra, ragazzo delle consegne a Marsiglia, volevo viaggiare e non ho fatto altro. Poi sono entrato in un'agenzia per modelli e ho fatto qualche photoshoot. Mi hanno detto che avevo dei lineamenti passabili, ma che ero troppo basso per la passerella.» scuote le spalle e, con un sorriso stanco guarda Joonmyeon. «È andato tutto bene finché non mi hanno messo in mano una scatola di lassativi dicendomi di perdere non ricordo quanti chili per la collezione autunno-inverno.»

 

Joonmyeon non chiede oltre, lo sguardo che Jongdae indossa in questo momento è più che sufficiente e da lì scivolano in una conversazione superficiale e confortevole per entrambi.

La musica è sempre stato un punto in comune e Jongdae ha ancora un lingua tagliente e gli occhi brillanti che diventano sottili mezze lune ogni volta che il suo sorriso si allarga.

 

Joonmyeon non dovrebbe sentirsi così.

 

Poi il suo telefono suona. È Kyungsoo che gli chiede di portare il vino perché si è scordato di comprarlo quando ha fatto la spesa. Alla fine del messaggio c'è un sorriso. Joonmyeon sa che non sta facendo niente di male, non sta tradendo Kyungsoo se prende un caffè con un altro uomo, lo fa continuamente. Il fatto che l'uomo con cui sta prendendo un caffè lo abbia lasciato con il cuore rotto e rotto in generale e che Kyungsoo lo odi, però, gli fa pensare che forse un po' lo sta tradendo.

 

«Penso di dover andare.» dice rimettendosi il telefono in tasca dopo aver risposto concludendo il messaggio con un occhiolino.

 

Jongdae sembra cogliere il cambiamento d'umore. «Sì... io ho delle cose da fare.» dice passando la tazza da una mano all'altra.

 

Joonmyeon si trova a dover ingoiare la sensazione che questa sarà l'ultima volta che si vedono, è un'abitudine a cui non riesce ancora a sottrarsi.

 

«Dovremmo vederci di nuovo» Jongdae butta lì.

 

Joonmyeon ha imparato a leggere tra le righe e annuisce. «Dovremmo» annuisce.

 

 

 

 

 

 

Eccetto che non lo fanno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo lo scioglimento Joonmyeon aveva preso l'abitudine di chiamare Jongin almeno una volta alla settimana. Jongin una volta gli aveva detto che lo sentiva più spesso della propria madre, Joonmyeon aveva sorriso continuando poi con le sue solite domande da genitore preoccupato.

 

A volte Jongin suona la chitarra nelle canzoni che Joonmyeon produce. Jongin potrà ancora essere un ragazzino con le ginocchia metaforicamente sbucciate, ma sa come far correre le dita su sei corde e a Joonmyeon piace il sound di Jongin, è caldo, a volte impreciso, ma avvolgente. E quando il nome di Jongin, o meglio il nome di Kai, appare nei credits la canzone venderà sicuramente almeno diecimila copie su iTunes.

 

Ogni tanto, dopo le registrazione, uscivano a bere soltanto loro due e a Joonmyeon piace parlare del passato seduto dietro un bicchiere di tequila o qualunque drink coloratissimo Jongin abbia ordinato per loro.

 

Nessuno di loro dopo lo scioglimento erano riusciti a lasciare la musica completamente da parte, e iniziare a vivere quella vita che i loro genitori avrebbero sempre voluto per loro. Jongin era stato l'unico che aveva continuato a fare esattamente la stessa cosa: suonare. Negli anni aveva imparato a suonare un po' di tutto, imparando le basi della batteria e del basso e un po' di percussioni e aveva iniziato a suonare il piano dopo lo scioglimento.

 

Qualche collaborazione, un album strumentale che aveva venduto abbastanza bene e aveva continuato a cercare di fare del suo meglio per continuare a fare quello che aveva fatto da quando era stato in grado di decidere per se stesso: quello che voleva.

 

Joonmyeon invidia la passione di Jongin che sembra non finire mai e brucia, incendiandogli gli occhi come quelli di qualcuno che la vita non ha ancora sconfitto, come fosse invincibile.

 

C'è stata una volta, erano sdraiati sul pavimento ricoperto di tappeti della sala di registrazione, l'unica luce proveniva dall'altra parte del vetro, e Jongin glielo aveva chiesto per la prima volta, con gli occhi pieni di qualcosa di troppo simile alla rabbia.

 

«Hyung, pensi che mi manchi qualcosa?» Jongin trascina le sillabe, è stanco e Joonmyeon quanta di quella stanchezza sia imputabile alle quasi quindici ore di lavoro allo studio.

 

«Non penso che ti manchi niente, Jongin.» Joonmyeon non è sicuro di dove stia andando a parare.

 

«Ma non è abbastanza. Per quanto ci provi non è mai abbastanza.»

 

Joonmyeon sospira, Jongin è sempre stato troppo duro con se stesso, troppo concentrato nel raggiungere gli altri quando probabilmente era sempre stato un passo avanti a tutti.

 

 

 

 

 

 

 

«Il mio manager ha una proposta per te, ma non credo che ti piacerà» aveva detto Chanyeol al telefono.

 

Aveva ragione, a Joonmyeon non piace per niente, ma non è sicuro che Chanyeol intendesse questo tipo di avversione quando aveva pensato di avvertirlo in anticipo.

 

«Abbiamo pensato che potrebbe essere buona pubblicità se fosse disponibile a scrivere la OST per il drama di Chanyeol e magari rimettere insieme i Back Up Plan... » il manager di Chanyeol lo guarda con un sorriso professionale e gesticola con le mani per enfatizzare qualsiasi cosa gli stia uscendo dalla bocca e Joonmyeon è sicuro che quest'uomo non sappia che cosa gli sta chiedendo in realtà.

 

Vorrebbe accettare. Vorrebbe tornare in studio con i suoi migliori amici per fare musica, ma adesso gli sembra quasi di infrangere qualche legge facendolo.

 

Joonmyeon fissa il contratto, lo legge cercando di trovare qualcosa che non vada, qualcosa che gli permetta di dire di no senza dover trascinare la propria vita privata nell'equazione.

 

Chanyeol lo guarda con un sorriso tirato che è più di circostanza che rassicurante. Joonmyeon ignora le lusinghe del manager e guarda Chanyeol.

 

«Che cosa ne pensi?» domanda.

 

«Qualsiasi cosa il leader decide, andrà bene.» Chanyeol risponde e il suo sorriso si allarga.

 

Joonmyeon sorride, dando una pacca sulla spalla a Chanyeol in un silenzioso grazie.

 

«Avete già contattato gli altri membri?» domanda riportando la propria attenzione sul manager.

 

«No, non ancora, volevamo prima assicurare la sua partecipazione come produttore prima.»

 

Joonmyeon prende un profondo respiro e dice qualcosa che probabilmente rimpiangerà. «Se gli altri accettano potete contare sulla mia collaborazione»

 

Il manager sembra soddisfatto di sé e Chanyeol gli regala uno dei suoi sorrisi più inquietanti che gli fanno ballare l'occhio destro.

 

«Hyung, sono felice che tu abbia accettato.»

 

«Sì, anche io» ma non è sicuro di essere sincero.

 

 

 

 

 

 

La sera stessa chiama Kyungsoo domandando se fosse in casa e se avesse un po' di tempo per parlare. Kyungsoo ovviamente dice di sì, e lo sta aspettando mezz'ora dopo con un tea e le braccia aperte.

 

Kyungsoo non è contento, ma non è niente di inaspettato. Joonmyeon sospira e si umetta le labbra.

 

«Se non avessi già accettato non saresti qui a parlarmene e quella faccia da cane bastonato è la conferma.» Kyungsoo sembra stanco e Joonmyeon si sente egoista e incapace di rinunciare anche quando è chiaro che Kyungsoo sta soffrendo a causa sua.

 

«Io-... »

 

«Lo so, credimi, lo so. Non potevi dire di no.»

 

Kyungsoo tende la mano verso Joonmyeon che la stringe tra le proprie. Kyungsoo è caldo, è soffice, sorride brillante come il sole e come il sole c'è sempre, anche quando non si vede, e Joonmyeon si fida di Kyungsoo più di quanto non si fidi di se stesso.

 

Joonmyeon accarezza le mani di Kyungsoo e ripensa a vecchie melodie che aveva scritto pensando a quelle mani, quando poteva solo sperare di tenerle tra le sue e poterle dire proprie.

 

«Hai le mani da pianista» Joonmyeon sorride carezzando le dita piccole di Kyungsoo.

 

Kyungsoo sbuffa e sorride, è solo un accenno, ma c'è, Joonmyeon lo vede comunque, dietro la preoccupazione e la tristezza, quel sole che brilla negli occhi di Kyungsoo. Il sole scompare però, quando Kyungsoo parla. «Magari se le avessi avute sarebbe stato più facile tenerti con me»

 

Joonmyeon si sente lo stomaco all'altezza delle ginocchia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


a.n:
-sono a casa, finalmente! 
-oggi sono andata in piscina (─‿‿─)
-domani devo tornare a bologna 
ಥ_ಥ
-dov'è happy camp? GIVE IT TO MEEEEEH.
-penultimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Parte 4 ***


 

Parte 4

 

 

 

 

Si sveglia con un leggero mal di testa, i capelli umidi e si sente le gambe incastrate tra le lenzuola. Sbuffa e allunga la mano verso l'altra metà del letto e la trova vuota e fredda. Joonmyeon giura che questa è l'ultima volta che beve così tanto.

Le tende sono tirate e prende un profondo respiro prima di cercare di sedersi sul bordo del letto. Il mondo gira troppo veloce e il suo stomaco protesta. Sul comodino ci sono un bicchiere d'acqua e un tablet di aspirine, Joonmyeon ringrazia chiunque le abbia lasciate prima di mettersene due in bocca aiutandosi con l'acqua a mandarle giù.

 

Mentre si trascina fino al bagno giura che l'ultima volta che si era svegliato dopo una notte fuori con Chanyeol e Jongin non si era sentio così vecchio.

 

La casa è stranamente silenziosa, non c'è musica a trascinarlo fuori dal letto. È lunedì, ricorda mentre apre la porta del bagno spingendola con la spalla e per poco non cade inciampando nel tappeto che non dovrebbe trovarsi lì.

Lunedì significa Ray Charles, Aretha Franklin e Abba, perché Jongdae ha sempre bisogno della musica giusta per il momento giusto e il lunedì è già brutto di suo quindi c'è biosgno di qualcosa che ti tiri giù dal letto.

 

Apre l'acqua della doccia e si domanda se ci sia un altra boccetta di sciampo nel mobiletto. Quando si vola verso lo specchio il cuore sembra salirgli un gola per poi andarglisi a piazzare sotto le piante dei piedi.

 

 

 

Avere a che fare con un rifiuto è un po' come avere a che fare con tutti gli errori che tu abbia mai commesso e identificarli come una mancanza. Joonmyeon aveva sempre avuto a che fare con l'idea di 'non essere abbastanza'. C'era sempre un obiettivo e per raggiungerlo avrebbe dovuto essere abbastanza. Abbastanza intelligente, abbastanza adatto, abbastanza bravo. Suo padre lo chiamava crescere, più forte fa male quando cadi più impari e meno ti farai male la volta successiva.

 

 

Lo sai, vero?

 

 

Il dolore acuto che aveva sentito si è stemperato col tempo e adesso risiede da qualche parte dietro il suo cuore, pronto ad allungare la mano e stringere.

 

 

Joonmyeon-ah.

 

 

Sapeva che era tra le possibilità, ma non lo aveva fatto soffrire di meno. La scomparsa di Jongdae significava la fine, significava che Joonmyeon non era stato abbastanza per farlo rimanere, significava che Joonmyeon non era abbastanza importante. A volte si lasciava immaginare di aver significato troppo, ma non indulgeva per molto in quel pensiero.

 

Jongdae non lo aveva scelto, Jongdae non lo voleva e Joonmyeon aveva imparato a non volere Jongdae, a dimenticare piuttosto che odiare, nascondendo tutto il più lontano possibile.

 

 

 

 

Joonmyeon siede di fronte al piano verticale, allunga le dita sopra i tasti bianchi senza permettersi di premerli.

 

Stringe in mano quel pezzetto di carta e vorrebbe ordinargli di scomparire, ma rimane lì dov'è e gli angoli appuntiti premono contro il suo palmo ricordandogliene.

 

 

«Che stai facendo?» Kyungsoo sbircia dalla porta spalancata dello studio. Sembra preoccuparo e Joonmyeon gli mostra un sorriso, il più sincero da un po'.

 

«Stavo pensando ad un po' di cose» risponde, riportando l'attenzione sul pianoforte.

 

Non sente Kyungsoo avvicinarsi, vede soltanto le sue dita scivolare sui tasti andando a schiacciare con forza un Do Minore. Preme un tasto dopo l'altro, con grazia, ma senza cognizione, solo per riempire il silenzio.

 

«Che fai?» Joonmyeon domanda, e scansandosi perché Kyungsoo possa raggiungere anche l'estremità più lontana del piano.

 

«Questo è sempre meglio di quel continuo ribollire che arriva dal tuo cervello quando pensi troppo.»

 

«Ero davvero così rumoroso?»

 

«Stavo per tirarti un secchio d'acqua temendo che ti surriscaldassi.»

 

Joonmyeon ride e Kyungsoo sembra soddisfatto.

 

«Quindi, stavo andando a rimpinzarmi con il più peccaminoso samgyeopsal che tu abbia mai mangiato e sono pronto a condividere questo segreto con te, ci stai?»

 

Joonmyeon passa un braccio sulle spalle di Kyungsoo e annuisce. «Chi sono io per rifiutare del cibo gratis?»

 

Kyungsoo arriccia il naso e guarda Joonmyeon di sbieco. «Ho detto che ero disposto a condividere non che avrei pagato.»

 

Joonmyeon si sente coraggioso, con Kyungsoo stretto al suo fianco e la mano di Kyungsoo nella propria. Si sente di nuovo bene nella propria pelle, come se non ci fosse niente di sbagliato in sé.

 

«Se sono io a pagare allora questo è un appuntamento.»

 

Kyungsoo lo guarda falsamente scioccato e si mete una mano davanti alla bocca. «Non riesco a credere quanto il successo ti abbia dato alla testa.»

 

«Sono una rock-star decaduta, sono autorizzato a vantarmene e a trarne il meglio.»

 

Joonmyeon ride e Kyungsoo lo spinge, ma sorride e Joonmyeon sa che andrà tutto bene.

 

 

 

 

 

Il primo giorno di nuovo in studio è un uggioso giovedì mattina. Sono appena le otto quando Joonmyeom mette piede piede nel palazzo che ospita lo studio con un caffè bollente e una strana sensazione alla bocca dello stomaco. È passato così tanto tempo dall'ultima volta che è entrato in uno studio come Suho, come un membro dei Back Up Plan.

Non aveva realizzato quanto gli fosse mancata quella sensazione finché non era entrato e aveva visto Minseok di fronte all'ascensore.

 

Dalla tasca posteriore sinistra di Minseok spuntano due bacchette.

 

«Buongiorno.» dice Joonmyeon dando una significativa occhiata al posteriore del proprio batterista.

 

«Guarda quanto vuoi, ma non toccare. Sono proprietà privata.»

 

Minseok sogghigna e l'ascensore arriva proprio in quel momento.

 

«E da quando?» domanda Joonmyeon mentre stanno salendo.

 

«Non molto, ma mi piace pensare che stia andando da qualche parte.»

 

Minseok sembra felice con il suo sorriso tutto gengive, è evidente, è scritto con colori sgargianti nei suoi occhi limpidi.

 

 

Entrando in studio trovano Jongin seduto sul divano e Chanyeol già posizionato sulla sedia con le ruote di fronte alla soundboard. Vicino alla poltrona c'è la vecchia custodia della chitarra di Jongin, con i bordi sbucciati e il buco in basso dove Lu Han aveva cercato di incendiare una pallina di formaggio. Minseok sorpassa Joonmyen lanciandosi sul divano e atterrando su Jongin che lascia andare un lamento e cerca di spingerlo via.

Chaneyol si limita a ridere della miseria di Jongin.

 

«Non dovresti dirgli qualcosa, leader?»

 

Jongdae è sulla porta sorridente. C'è qualcosa a nei suoi occhi, però, sembra quasi a disagio. Per un attimo Joonmyeon ha davanti un Jongdae più giovane, eye-liner che cola e bugie bianche, e qualcosa gli si stringe in petto. Qualcosa che dovrebbe essere stato dimenticato. Sepolto lontano lontano lontano.

 

Quanto può cambiare una persona in quattro anni? Joonmyeon se lo domanda mentre Jongdae entra togliendosi il cappotto. Abbandona il pensiero però, non ha bisogno di preoccupazioni inutili quando ci sono due ore di pazzia musicale ad attenderlo.

 

«Quindi, ragazzi, cominciamo?» domanda Minseok, sendendosi finalmente.

 

Chanyeol batte le mani come una foca impazzita e trascina la sedia vicino al divano.

 

«Abbiamo delle piccole restrizioni, deve essere una canzone d'amore e deve avere un ritmo molto soft. »

 

Minseok sembra pensieroso, mentre Jongdae si limita ad annuire, seduto sul bracciolo. Jongin ha una penna e un blocchetto e sta già scrivendo con le sopracciglia corrucciate.

 

«Quello sarebbe un cactus?» domanda Minseok avvicinandosi.

 

«È un gatto.» risponde Jongin insultato. Joonmyeon sospira.

 

Jongdae ride e gli dà una pacca sulla spalla, mentre Chanyeol e Minseok discutono su quante zampe un gatto abbia normalmente e Jongin sembra sull'orlo di una crisi di nervi. Joonmyeon però sente solo la mano che pesa sulla propria spalla, mentre si sente gelare e realizza quanto questa sia stata una cattiva idea.

 

Data l'agenda fittissima di Chanyeol e le loro rispettive occupazioni, trovare un momento in cui possano ritrovarsi tutti insieme e iniziare a lavorare sul pezzo era stato difficile. Minseok si porta il lavoro in studio, articoli da controllare, interviste da sistemare, sempre pronto a dare la propria opinione, e Jongin si presentava ad orari impossibili cercando di essere il più utile possibile in quel poco tempo che i suoi numerosi impegni gli lasciano.

 

Jongdae, al contrario, si fa vedere almeno una volta al giorno, di solito con del caffè e si siede di fronte alla soundboard canticchiando o, principalmente, fissando una pagina bianca.

 

L'aria in studio è stranamente calma, salvo il caos creativo che si scatena ogni volta che tutti ecinque sono presenti.

 

Jongdae sorride molto adesso, Joonmyeon non sa se sia genuino o se serva solo a nascondere qualcos'altro. Che cosa, poi, non ne ha idea. Dalla breve chiacchierata che avevano avuto, ormai due settimane prima, Joonmyeon aveva potuto capire che Jongdae aveva fatto del suo meglio per stare lontano da qualunque cosa avesse a che fare con la musica.

 

Si domanda da che cosa Jongdae stesse realmente fuggendo.

 

Ai vecchi tempi il loro cantante sembrava essere sempre in studio, sempre seduto in qualche angolo o disteso scompostamente sul divano, sempre intento a cercare parole o melodie.

 

Joonmyeon si ricorda di nottate passate tra caffè, sigarette e sesso sotto le luci bianche dello studio. Si ricorda quella volta che Jongdae era scomparso per tre giorni tra il loro primo e secondo album per tornare, come se niente fosse, con un sacco di candele e un blocchetto pieno di parole e sogni infiniti.

 

«Dove sei stato?» Joonmyeon aveva chiesto seduto sul divano semidistrutto del loro studio nel seminterrato, cercando di non lasciar trasparire quanto stanco si sentisse.

 

«Qua e là.» Jongdae aveva risposto, ma Joonmyeon aveva imparato a leggere tra le righe.

 

«E qua e là non hai trovato un cazzo di telefono per chiamare e far sapere a tutti che eri vivo?» aveva domandato coprendosi il voto con le mani. «Non siamo più nel garage di Chanyeol, Jongdae, non puoi sparire in questo modo.»

 

Jongdae non aveva detto niente, si era semplicemente alzato da dove stava seduto sul pavimento per andarsi a sedere sulle cosce di Joonmyeon.

 

«Dì qualcosa.» lo aveva pregato Joonmyeon, poggiando la testa sul suo stomaco, ma Jongdae era rimasto in silenzio.

 

Jongdae non diceva mai niente. Jongdae non chiedeva mai scusa.

 

È un mercoledì quando Jongin si presenta in studio alle dieci e mezza con delle occhiaie significative e la custodia di un violoncello ricoperta di stickers. Joonmyeon lo guarda e Jongain scuote la testa lasciando il violoncello dietro la porta.

 

«Ho solo bisogno di dormire un paio d'ore, hyung.»

 

Joonmyeon gli indica il divano, ma Jongin si arrotola sulla poltrona viola e sospira soddisfatto mentre chiude gli occhi. Joonmyeon lo osserva per un po', mentre il suo respiro rallenta e cade in un sonno pacifico.

 

Torna alla soundboard dopo aver riempito la propria tazza di tea caldo e cerca di concentrarsi sulle due pagine ricoperte di inchiostro che dovrebbe trasformare in una canzone.

 

 

 

 

 

 

 

 

«Kyungsoo» Joonmyeon sussurra nel buio della stanza, mentre le sue dita corrono lungo la schiena di Kyungsoo. «Kyungsoo-yah» ripete, mentre i suoi polpastrelli carezzano le costole scoperte di Kyungsoo, premendo appena dove sa che avrà una risposta. Sente Kyungsoo agitarsi sotto le proprie dita, cerca persino di scacciare la sua mano, ma Joonmyeon è più veloce e trascina Kyungsoo a sé.

 

Kyungsoo non cerca di resistere, ma tiene gli occhi ostinatamente chiusi, Joonmyeon si lascia scappare una risata e lascia un bacio sulla spalla nuda di Kyungsoo.

 

Con un movimento felino, Kyungsoo si volta nell'abbraccio, piantando un bacio bagnato in mezzo alle clavicole di Joonmyeon e Joonmyeon sorride stringendo la presa sui suoi fianchi.

 

«Dormi ora.» Kyungsoo sussurra, mordendo la spalla di Joonmyeon.

 

«Buonanotte.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una settimana e mezzo dopo iniziano a registrare la canzone. È un mercoledì pomeriggio e il primo è Minseok. Si siede dietro la batteria e prova la canzone una volta prima di iniziare a registrare.

 

Jongin siede vicino a Joonmyeon dall'altra parte del vetro e sorride appena mentre guarda Minseok provare.

 

«Hyung, perché abbiamo smesso?» domanda sopra i suoni ovattati della batteria. «Che cosa è stato più forte di questo?»

 

Non c'era stato niente di sbagliato, avevano semplicemente sentito il bisogno di andare avanti, di provare altre cose. Ne avevano parlato, ne avevano urlato, e alla fine era sembrata l'unica soluzione possibile.

 

«Niente è più forte di questo» risponde sospirando. «Credo che tutti noi volessimo solo liberarci di un ruolo che avevamo mantenuto per così tanto tempo.»

 

Jongin corruccia le sopracciglia mentre sfiora una dei mille tasti della board. «Pensavo... c'erano così tante cose che avrei voluto fare, ma alla fine la musica è l'unica cosa in cui sono bravo.» ride a quel punto, e le nuvole si dissipano dai suoi occhi e guarda Joonmyeon con un sorrido abbagliante.

 

«Sono contento che abbiamo deciso di farlo, hyung»

 

Joonmyeon sorride, anche lui è contento. La maggior parte del tempo.

 

Venerdì Chanyeol dovrebbe passare per registrare la propria parte, Joonmyeon aveva prenotato lo studio per un'ora, ma alle sette e un quarto Chanyeol gli manda un messaggio dicendo che gli dispiace, ma le registrazioni si stanno dilungando più del rpevisto e non ce la farà a passare in studio.

 

Il messaggio termina con due file di ㅠㅠ.

 

Non ti preoccupare, fammi sapere quando hai tempo.

 

Sta per andarsene quando la porta si apre e Jongdae entra. Le sue guance sono tinte di rosa e sembra che abbia corso. Ha i capelli umidi e qualche ciocca gli si è incollata alla fronte.

 

«Ha iniziato a piovere e ero senza ombrello.» dice tirandosi indietro i capelli con una mano. «Dov'è Chanyeol?»

 

«Non ce l'ha fatta.» risponde tornando a sistemare gli spartiti che aveva preparato aspettando Chanyeol.

 

«Avevo pesato di passare per vedere come stava andando, ma... »

 

Joonmyeon non è ancora sicuro di quale sia la giusta distanza, Jongdae è ancora un marasma di domande senza risposta e segreti sussurrati dietro porte chiuse e in quel preciso momento ha la sensazione di trovarsi ad un bivio. Può decidere di gettarsi di faccia in questo casino o andare avanti e non guardare più indietro.

 

Quattro anni sono lunghi, e Joonmyeon forse si era illuso di stare andando avanti, mentre in realtà, per tutto questo tempo, non aveva fatto altro che scappare.

 

Si domanda quanto siano diversi in realtà, lui e Jongdae. Mentre Jongdae aveva scelto il distacco fisico, Joonmyeon aveva preferito quello emozionale, lasciandosi trascinare da vecchie abitudini.

 

Joonmyeon si domanda quanto di tutto questo Kyungsoo abbia capito.

 

Ha bisogno di risposte.

 

«Hai tempo? Potremmo mangiare qualcosa.» si volta verso Jongdae che gli sorride, ancora sulla porta.

 

«Sì, ho tempo.»

 

Joonmyeon prende un respiro e sorride.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jongdae è seduto sul divano, le ginocchia al petto, e guarda pensieroso fuori dalla finestra.

 

Non ha dormito, ma non si sente stanco.

 

Sono appena le cinque del mattino e la casa è ancora silenziosa.

 

C'è qualcosa nelle mattine che le rende finali, come se con ogni mattino che sorge qualcosa del giorno prima morisse, e Jongdae non è mai stato bravo a lasciar andare.

 

Si alza e va in cucina.

 

Il caffè è freddo, ma non vuole far rumore quindi lo beve così.

 

Jongdae si dà il tempo di una tazza di caffè e poi se ne andrà.

 

Prima di andarsene però cerca nei cassetti e trova una penna e dei post-it.

 

Joonmyeon-ah.

 

 

 

 

 

Si fermano ad un ristorante messicano sulla strada verso l'appartamento di Joonmyeon. È venerdì quindi il ristorante è pieno e Joonmyeon è segretamente grato per il sottofondo che il vociare degli altri clienti gli fornisce, impedendogli di stare troppo ad ascoltare la propria mente che non vuole smetterla di pensare.

 

Il cameriere li accompagna verso il centro della sala, facendolo accomodare ad un piccolo tavolo vicino al caminetto.

 

«Sono venuto solo una volta, ma il cibo è ottimo.» Joonmyeon assicura mentre guardano il menù.

 

Jongdae annuisce. «Non credo di saper pronunciare la metà delle parole scritte qui.»

 

Joonmyeon sorride e finisce per ordinare per entrambi.

 

«Quindi, come sta venendo il testo?»

 

Joonmyeon ripensa all'immane quantità di possibili rime e cori e ritornelli e sorride.

 

«Sto ancora cercando qualcosa che rimi con 'love muffin'.»

 

Jongdae ride. «Spero tu stia scherzando perché di certo io non lo canto.»

 

La conversazione si muove tranquilla da lì e non si interrompe per tutta la cena, almeno fino alla prima bottiglia di vino. La seconda sembra sciogliere il masso che gli si era piazzato nello stomaco e Joomyeon riesce finalmente a rilassarsi mentre Jongdae ricorda la prima volta che avevano cercato di scrivere il testo di una canzone.

 

Joonmyeon da la colpa al vino quando con la punta del piede sfiora quello di Jongdae sotto al tavolo. Il tavolo è piccolo e, per quanto lui sia basso, non è così strano. Ma Jongdae lo spinge a propria volta prima di risalire lungo la sua caviglia.

 

Joonmyeon paga, perché hyung paga sempre, e Jongdae lo segue fuori verso il suo appartamento. Mentre camminano fianco a fianco Joonmyeon respira il vento freddo di metà Novembre e cerca di schiarirsi la mente.

 

Non sa se voglia davvero che Jongdae torni o se si snete solo nostalgico.

 

Non è sicuro di niente e sente un fiume scorrere tra di loro, e teme che nel momento in cui deciderà di attraversarlo affogherà.

 

Poi la mano di Jongdae sfiora la sua, forse di proposito, forse no, ma a Joonmyeon non importa, perché gli sembra di aver continuato ad affogare per tutto questo tempo, senza mai rendersene conto.

 

Quando mettono piede in casa Joonmyeon non sente il bisogno di accendere la luce e Jongdae lo segue. Essere in casa propria lo dovrebbe far sentire meglio, più forte, ma il rumore dei passi di Jongdae sul parquet lo rendono ansioso. Non può dare tutta la colpa all'alcol.

 

Guida Jongdae verso il salotto, riescono a mala pena a intravedere le silhouette dei mobili, ma Jongdae sembra essere a proprio agio nel buio e si accomoda sul puff viola.

 

«Ti sei tenuto questo coso?» mormora, cercando di mettersi comodo.

 

Joonmyeon si siede sul pavimento con la schiena appoggiata al divano. Disegnando ghirigori sul tappeto chiude gli occhi, perché non riesce ancora ad affrontarlo, non riesce ancora a guardarlo, ma deve sapere.

 

Non è mai buio abbastanza quando vuoi nasconderti da qualcosa.

 

«Perché te ne sei andato?» non è nient'altro che un sussurro, ma Jongdae lo coglie comunque, deve averlo sentito perché il silenzio è assordante ed è ovvio perché siano lì.

 

«Credo che fossi sapventato.»

 

Appena le parole lasciano le labbra di Jongdae Joonmyeon si sente esausto. Questo è esattamente ciò che temeva, che niente aveva spinto Jongdae ad andarsene.

 

Non era stato abbastanza per trattenere Jongdae, e la paura era stata più forte di qualsiasi cosa avessero avuto.

 

«Per quasi vent'anni avevo lavorato per un unico sogno, lo avevo visto sorgere come la stella più brillante.» prende un respiro e Joonmyeon sente la rabbia iniziare ad arrampicarsi lungo le proprie membra, perché sa di che cosa Jongdae sta parlando, lo sa. «E poi era caduto come una stella cadente, era durato così poco e avevo fatto la stessa cosa per così tanto tempo che non ero sicuro di poter fare nient'altro.»

 

Joonmyeon non è sicuro di averlo mai sentito parlare di se stesso per così tanto.

 

«Ero terrorizzato dall'idea di scomparire.»

 

Non sa se sia arrabbiato con Jongdae per aver pensato solo a se stesso, o perché sa esattamente di cosa Jongdae stia parlando e non riesce ad arrabbiarsi davvero.

 

Probabilmente lo aveva già perdonato, ma non avrebbe dovuto essere così facile.

 

«Quindi hai preso un aereo e te ne sei andato dall'altra parte del mondo per andare a pulire i tavoli chissà dove?» il suo tono è amaro.

 

«Avevo il mondo in mano un attimo prima e poi non avevo più niente, avevo bisogno di sapere che avevo qualcos'altro... qualcosa di diverso dalla mia voce, che ero qualcuno al di fuori della gabbia che mi ero costruito.»

 

Joonmyeon si domanda se non fosse stato fuori da quella gabbia, anche quando l'uccello del paradiso era scappato.

 

«Avevamo qualcosa... »

 

«Non ero esattamente la persona più ragionevole del mondo allora, Joonmyeon. Non tutto può essere spiegato razionalmente, ero spaventato e quel biglietto rappresentava la mia via d'uscita.»

 

Joonmyeon è arrabbiato adesso. Con entrambi. Perché se Jongdae gli avesse spiegato avrebbe capito e forse lo avrebbe lasciato andare con un sorriso. Forse non lo avrebbe accompagnato all'aeroporto, ma sicuramente non si sarebbe ritrovato a dover affrontare questa discussione con la testa che sembra dovergli esplodere.

 

«Io... »

 

«Nessuno di noi due era pronto per qualsiasi cosa avessimo. Ero troppo preso da me stesso per poter pensare di lasciar entrare qualcun altro nella mia vita e tu ci hai provato, Joonmyeon, e io non volevo far altro che arrendermi, ma poi tu mi guardavi come io avessi dovuto scomparire da un momento all'altro. Sapevo fosse vero, ma... Avrei voluto che tu credessi di più in me.»

 

Joonmyeon apre gli occhi e Jongdae lo sta guardando. I suoi occhi sono vitrei e sembra sfiancato. Probabilmente lui non ha un aspetto migliore.

 

«Lo so che è stato egoista.» Jongdae sussurra.

 

Joonmyeon si domanda chi dei due sia quello egoista, mentre scivola verso Jongdae e gli prende il viso tra le mani. Le sue labbra si muovono a formare delle mute scuse, a un respiro dalle labbra dell'altro, prima di baciarlo, con tutta la nostalgia che ha cercato di sopprimere per anni, con tutto il risentimento e la rabbia. E tutto si dissolve in quel momento.

 

Mentre si spogliano con le mani tremanti, entrambi si liberano di qualunque peso si sono trascinati dietro per tutti questi anni.

 

Le mani di Jongdae sul proprio corpo lo fanno tremare, le sue dita gli percorrono la schiena trascinando via la maglietta, mentre Joonmyeon carezza fianchi stretti e una pancia piatta.

 

È frettoloso e senza arte, hanno solo bisogno di toccare, toccare e ancora toccare. Hanno bisogno di vedere quanto più possibile dell'altro. Mordono e succhiano e lasciano segni e si appropriano l'uno dell'altro. Beve i gemiti di Jongdae e Jongdae morde più forte mentre Joonmyeon gli sfila i boxer.

 

Non si dà tempo di pensare e si concentra solo sulla pelle dell'uomo che ha davanti e si prende tempo per tracciare la mascella definita con le labbra, scendendo poi lungo il collo fino alle clavicole.

 

Ritrova la piccola cicatrice, proprio sotto la clavicola sinistra. Le dita di Jongdae sono ancora nei suoi capelli, mentre carezza le linee nere che abbracciano la cicatrice. Solo due parole.

 

Love Bites.

 

«Quando te lo sei fatto?» Joonmyeon domanda e gli occhi di Jongdae sono pieni di una vecchia tristezza.

 

«L'ho dimenticato.» risponde, ma sta mentendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mattino dopo manda un messaggio a Kyungsoo. Quando Kyungsoo suggerisce di andare fuori per pranzo, Joonmyeon insiste per stare a casa. Mentre Jongdae è sotto la doccia, prepara il caffè, entrambi sono d'accordo che è troppo presto per parlarne. Jongdae se ne va dopo avergli lasciato un bacio a stampo e la mano di Joonmyeon va istintivamente alla sua clavicola.

 

 

Kyungsoo gli apre la porta con indosso i pantaloni di una tuta e una maglietta con Iron Man stampato sopra, spinge Joonmyeon verso la cucina e lo fa sedere prima di preparare una tazza di tea per entrambi.

 

«Avanti, dillo.» dice, dopo aver preso un sorso del proprio tea.

 

Joonmyeon rispetta Kyungsoo abbastanza da andare dritto al punto, cercando di far suonare il tutto migliore di quanto non sia. Kyungsoo ascolta attentamente mentre parla, dal suo volto non traspare nessuna emozione. Si appoggia allo schienale della sedia e la sua presa è serrata sul manico della tazza.

Joonmyeon parla di sentimenti, del passato, di cose che pensava aver dimenticato, ma erano ancora lì, pronti a tornare in superficie.

Kyungsoo lo lascia parlare, perché per una volta Joonmyeon deve vedersi come lui lo ha visto in questi anni.

 

Joonmeyon e Jongdae sono sempre stati simili, era solo quello che mostravano a essere diverso.

 

«Vorrei dire che non me lo aspettassi.» dice, e Joonmyeon sembra tradito, e in colpa. Proprio come Jongdae. «Vi meritate.»

 

È arrabbiato, ma le sue parole non vogliono ferire, sta semplicemente esprimendo un fatto. Potrebbe resistere, potrebbe gridare, ma non lo farà, perché sa che non porterà a niente. Non c'è già più spazio per lui.

 

«Credo che dovresti andartene.» dice, e si alza, aspettando che Joonmyeon lo segua.

 

Quando sono sulla porta Joonmyeon si volta per un attimo e Kyungsoo gli sorride, prima di piantargli un pugno sulla mascella, storcendo il naso per il dolore subito dopo. Non ti dicono mai che quando prendi a pugni qualcuno che ti ha fatto del male, ma che tu ami comunque, è come prendersi a pugni nello stomaco.

Joonmyeon strizza gli occhi e si massaggia la mascella offesa, ma non si lamenta. «Spero che tu ti senta meglio adesso.»

 

Kyungsoo gli chiude la porta in faccia.

 

 

 

 

 

 

Ci vogliono due settimane per registrare la canzone, e quando il drama comincia a essere messo in onda Joonmyeon ha già lasciato il proprio lavoro per aprire la propria casa di produzione.

 

Si sveglia una mattina e all'improvviso è primavera e ci sono i Def Leppard che arrivano dal salotto.

 

«Giovedì.» biascica, mentre rotola sulla pancia e nasconde il viso nel cuscino. Pensa di rimettersi a dormire, ma sente la porta aprirsi e si ritrova a sorridere.

 

«Pour some sugar on me, oh in the name of love... » una voce quasi copre quella di Joe Elliot. «Pour some sugar on me, come on fire me up...»

 

«Jongdae-yah, non sono neanche... » cerca di ribattere, ma Jongdae si sta già lanciando sul letto, spingendo via le lenzuola e non lasciando a Joonmyeon altra scelta che soffocarlo con un cuscino. Jongdae si dimena liberandosi in tempo per cantare l'ultima strofa.

 

«I'm hot sticky and sweet from my head to my feet.. yeah!» e poi si sporge e gli ruba un bacio.

 

«Urgh... alito di prima mattina» Joonmyeon sbuffa.

 

«Non è che tu profumi di zucchero filato.» Jongdae mette in chiaro.

 

Joonmyeon sorride, scusandosi e trascina Jongdae fuori dal letto, cercando di non badare al fatto che Jongdae è in mutande e anche tutti i brutti pensieri che gli annebbiano il cervello alla vista.

 

«Andiamo a lavarci i denti come i bravi bambini.»

 

quando sono l'uno di fianco all'altro davanti al lavandino, porge a Jongdae il suo spazzolino prima di prendere il proprio e mettere il dentifricio su entrambi.

 

«Grazie, nonno.» Jongdae dice prima di iniziare a spazzolare.

 

«Prego, figliolo.»

 

«Spero che questo non sarà il nostro prossimo role-play a letto perché è disgustoso.» Jongdae è disgustoso con la schiuma del dentifricio che gli esce dalla bocca, mentre sputacchia parlando.

 

Joonmyeon gli dà una pacca sul sedere e inizia a spazzolarsi i denti, guardandosi soddisfatto allo specchio.

 

Sì, è decisamente felice. 






















 

a.n:

-ho dormito tipo 4 ore oggi pomeriggio. Non so come. Quindi ho dovuto tradurre di corsa perché domani non ci sono tutto il giorno.
     -sto spendendo tutti i miei soldi in scarpe. qualcuno mi fermi. 
     -eventuali correzioni/modifiche per quando avrò 5 minuti di tempo. 

     -spero sia stato un finale quantomeno degno. Di cosa non lo so.
     -chi se lo aspettava?
     -vi amo tutti. 

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