Nero su bianco

di _sunflower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one ***
Capitolo 2: *** Chapter two ***
Capitolo 3: *** Chapter three ***
Capitolo 4: *** Chapter four ***
Capitolo 5: *** Chapter five ***
Capitolo 6: *** Chapter six ***
Capitolo 7: *** Chapter seven ***



Capitolo 1
*** Chapter one ***


Caro diario,
 
Non sarei mai voluta arrivare a questo punto, al punto di scrivere un diario. La sola idea mi faceva sentire ancora peggio e invece tutti continuavano a dire che si notano dei miglioramenti affrontando i propri problemi nero su bianco. Ho voluto credere loro pur non capendo il motivo, ma l’unico problema che mi pongo adesso è “Cosa dovrei scriverti? Perché sto male?” Beh, allora mi dovrò impegnare perché pare che mi segnerai la vita.

Da dove iniziare? Dalla mia completa incapacità di capire. Non capisco perché le persone si debbano sentire in questa maniera, così inutili, vuote; non ce n’è motivo! Allora perché mi sento così anche io? Forse perché trovo il mondo poco riconoscente di tutte le fatiche che compiamo ogni giorno. Non so nemmeno io di che fatiche sto parlando, forse delle cattiverie che sopportiamo.
Ecco, di queste sono un esperta: mai una volta durante la quale le persone si siano complimentate con me per qualcosa di cui andavo fiera, anche solo un piccolo gesto per farmi capire che ci tenevano a me. Mai. Perché continuare a cercare il meglio in noi stessi se poi non servirà a niente? Quante volte ho pensato di chiudermi in casa per trascorrere le giornate come piace a me, nella maniera più semplice che esista. Invece adesso tutti hanno le settimane completamente piene, non si trova nemmeno il tempo di pranzare con la propria figlia. Costa tanto saltare un appuntamento per divertirsi un po’? Io credo che farebbe piacere a chiunque, e invece no, forse è meglio se faccio gli straordinari oggi così metto da parte i soldi per l’università per la mia bambina, e nel frattempo cresce, la tua bambina, senza un padre, senza un figura portante che le insegni l’amore, senza amore.
Mi sono ritrovata troppo spesso a pensare alla futura morte di mio padre, ho pensato molto ai miei primi anni di vita, lo amavo così tanto… Poi le bottiglie di alcolici e il divano che erano diventati la sua branda, la visione dei miei genitori insieme era svanita. Il divorzio è ormai comune, due esseri umani che non si amano più è una cosa concepibile ma non è lecito il dolore che si provoca alle persone attorno, distrugge.
Esiste l’eterno amore? Io non ho idea di cosa sia l’amore, figuriamoci quello eterno, che va oltre ogni ostacolo, quello di cui si nota l’esistenza solo con uno sguardo, che non ha dubbi. Conosco solo quello altrui, quello raccontato, lo immagino molto spesso e spero soltanto di avere la “fortuna” che ha avuto Jeanne Hébuterne; il coraggio che ha avuto andando contro la sua famiglia, la tenacia che ha dimostrato stando al fianco di un marito malato, marito per il quale ha barattato tutto in cambio di una vita insieme a lui, tutto ciò merita stima. Ma dopo la morte? Ha avuto la certezza che senza di lui la sua vita fosse inutile, come un libro senza la descrizione dei sentimenti, solo un veloce elenco degli episodi vissuti. Credo che la mia vita si sia ridotta a ciò.
Ma sto divagando, andiamo per ordine. Dopo che vedi le persone più importanti che stravolgono la tua vita per una decisione sbagliata cosa puoi pensare? Che forse è meglio non innamorarsi, non sposarsi per poi non fare del male ad un'altra creatura, alla tua creatura. Ho sempre odiato i bambini, perlomeno non mi sono mai sentita all’altezza di insegnargli a vivere, forse perché nemmeno io so qual è la modalità per vivere in questo mondo. Dovrei forse entrare a far parte della massa e fare tutte quelle cose inutili che loro chiamano passioni? Ho avuto una passione anche io un tempo, disegnavo. Amavo disegnare, soprattutto scene e personaggi fantastici che mi permettessero di scomparire dalla realtà e crearmi un mondo nuovo, un mondo in cui una persona può vivere come vuole e non come gli altri vogliono che viva. Per l’appunto la mia teoria su noi umani ha preso atto il giorno in cui ho chiesto ai miei genitori di poter studiare in una scuola per artisti: sarebbe stato l’avverarsi di un sogno, se avessero accettato. Possibile avere l’impressione del crollo della terra? Quella sensazione che ti fa sentire pesante, così pesante da non riuscire a respirare, da annebbiarti la vista e da farti perdere proprio la ragione. Ecco, questo è ciò che ho provato quando per giorni non ho mangiato e il cuscino aveva preso il posto dei fazzoletti.
Non mi sono mai definita depressa, ma essenzialmente ero in quello stato con la differenza che sapevo che tutto si sarebbe aggiustato in un modo o nell’altro. Forse inconsapevolmente aspettavo l’arrivo della mia principessa che mi avrebbe fatto vivere in una favola per il resto dei miei giorni. Sì, questo è un altro fattore che ha portato all’odio dei miei genitori, all’allontanamento dei miei amici e al pregiudizio degli sconosciuti. Sono lesbica e forse tutte le persone che ho perso dopo la mia dichiarazione non sono dovute allo schifo che hanno provato, ma la mia paura di fare schifo ha preso il sopravvento portandomi ad una solitudine di difesa. Perché tutta questa paura? Del resto io volevo con tutta me stessa che mi accettassero per questa mia decisione ma non ho retto lo sguardo pieno di consapevolezza della gente e così ho lasciato la mia ragazza e mi sono chiusa.
La mia ragazza era fantastica, per primo il suo nome era fantastico: Giorgia. Lo so, parlo al passato perché sapere che adesso è una persona che vive mi fa male, preferisco pensare che quei fantastici quattro giorni passati con lei in libertà siano stati solo frutto di un sogno. Come mai non so essere felice? Di occasioni ne ho avute, non sono convinta che sia in atto una rivolta mondiale contro di me, come molte altre persone. Credo che sia io a non riuscire ad essere felice. Ripeto, quei quattro giorni sono stati meravigliosi e io sono stata solo capace di farla soffrire e di far soffrire me stessa nonostante la fortuna che abbia avuto; anche io ci sono rimasta male.
Vedi, c’è stato un periodo in cui ho pensato di cancellare il mio passato per vivere felicemente, era una buona idea. Ma come Freud ha sempre sostenuto, l’inconscio possiede i traumi del passato che non si possono eliminare, modificano il tuo futuro e sono qualcosa di incontrollabile. Come se avessi un destino già segnato, ma io non ho mai creduto al fato.
Come faccio a rialzarmi? Credo che sia possibile ma non so come. Vorrei essere una di quelle ragazze da prendere come esempio nel futuro, peccato che non sappia cosa fare per diventarlo. Dovrei cambiare totalmente me stessa ma solitamente non consigliano un scelta così drastica. E poi come farei? Mi alzo un giorno e dico ‘ma che bella giornata, amo la Terra, amo tutti gli essere umani, adesso uscirò e troverò una ragazza da onorare e rispettare per il resto della mia vita, adotteremo dei figli e vivrò una vita felice con loro’? Diventa difficile una visione di me in queste condizioni. Però potrei fare un passo alla volta. Ho deciso, adesso scrivo una serie di punti e dovrò seguirli tutti.
1. Cambiare look.
 
Non ho mai dato importanza al look o perlomeno volevo che nessuno lo notasse e quindi sono diventata una di quelle ragazze con i vestiti dei cugini maggiori o dei vicini. A me non dispiacciono, ma seriamente, fanno schifo! Quindi ho deciso, domani prendo la carta di credito di mio padre e vado a fare shopping. Da sola ovviamente, con chi dovrei andare altrimenti? Ma mi divertirò comunque, spero, le ragazze amano spendere soldi nei negozi.

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Capitolo 2
*** Chapter two ***


Caro diario,
 
Non pensavo fosse così faticoso fare shopping! Ma ne è valsa la pena, adesso ho un armadio colmo di vestiti che variano dal verde smeraldo al blu notte. Mi sento come quando ero solo una bambina che si stupiva dell’arcobaleno dopo la pioggia e che si sentiva la persona più felice del mondo, allo scartare di un regalo. Posso quindi dire di essere soddisfatta, penso che questo cambiamento sia un modo per dimostrare che sono disposta ad aprirmi agli altri. Perché solo adesso questa svolta? Voglio dire, è da anni che ci provo e solo adesso mi accorgo che bastano solo un po’ di soldi per chiarire tutto con gli sconosciuti; con mio padre ormai non ci provo più, mi direbbe che sono carina come sempre. Mi piace pensare di essere carina, ricordo quando me lo diceva Giorgia, mi faceva sentire amata.
Allora apro l’anta dell’armadio e prendo un nuovo paio di blue jeans, li abbino ad una camicia rosso fuoco, che mi ricorda tanto i suoi capelli tinti; voleva fare una follia e mi aveva trascinato con lei dal parrucchiere, diceva che voleva distinguersi dalla massa. Trovavo bellissimi i suoi lunghi capelli color prugna, ma per lei erano troppo banali. Non è che vestita così sono troppo banale? Era difficile trovare una ragazza che si vestisse come me quindi mi sentivo diversa e ciò mi faceva sentire speciale, ma pare che adesso la gente non lo apprezzi. Devo diventare come loro? Mi guardo allo specchio, mi sento bene anche se sono uguale agli altri. Magari quando si dice che bisogna distinguersi dalla massa non si intende sotto il punto di vista esteriore, ma come faccio a far sapere alla gente che sono diversa interiormente? Pensavo che se avesse colpito il mio aspetto si sarebbero interessati a me, ma so per esperienza che non è così, forse ho ottenuto il contrario, forse li spaventava la mia stranezza. Aspetta, non so mi vestivo in quella maniera per distinguermi, non riconosco più i miei pensieri reali a quelli che vorrei avere.
Comunque dicevo credo li ingannerò, farò credere loro che sono una persona come tutte le altre, che sono normale così avrò delle possibilità. Mi sembra di stare organizzando un piano malefico per distruggere la razza umana! Allora mi viene l’ispirazione: prendo un foglio bianco, una matita e inizio lentamente a lasciare il segno della grafite sul vuoto della carta. Mi ero dimenticata di quanto liberatorio fosse sentire i propri sogni che scorrono attraverso il provvisorio sesto dito per poi prendere forma portando con sé qualunque sentimento oscuro ci sia all’interno del cuore. Alzo lo sguardo e osservo; mi stupisco di ciò che ho disegnato. Non mi sento nemmeno l’autrice di questo capolavoro, sì, credo proprio che sia bello. Rappresenta tante piccole persone identiche fra loro, so solo io che in realtà ognuno ha una storia differente alle spalle che li ha portati a somigliarsi così tanto, lo so solo io e questo mi fa sentire pronta, pronta per provare a rinascere. Prendo un po’ di scotch e lo appendo sopra la testata del mio letto, sia mai che durante il sonno mi venga l’ispirazione grazie a loro. Posso ricominciare a disegnare? Magari è la scelta migliore, mi rende felice e riesco ad esternare i miei sentimenti in maniera così facile che mi sembra quasi un bisogno. Questi pensieri non mi lasciano dubbi al che prendo il pezzo di carta su cui ho scritto il punto primo pochi giorni fa e aggiorno.
2. Tornare a disegnare.
 
Indosso le mie Vans nere con in testa questi pensieri; sai, da quando mi avevano proibito la scuola da artista avevo smesso. Non so nemmeno il motivo, forse perché mi faceva sentire ancora peggio sapere che quello che avrei fatto sarebbe rimasto nella mia camera.
Prendo la mia borsa a tracolla ed esco di casa. Dove vado? Sono le undici di sera, ormai in giro ci sono solo ubriachi e assetati di sesso, ma scorgo un tranquillo pub, non ci sono mai entrata, anzi non lo avevo mai notato. Possibile che abbia giudicato il mondo senza nemmeno osservarlo attentamente? Spingo la porta e mi sento oppressa dall’odore di birra e tabacco che c’è. Sento della musica di sottofondo ma non credo che il resto delle persone se ne sia accorto perché sono tutti impegnati a parlare.
 
Blacken the sun!
what have I done?

I feel so bad I feel so numb yeah!

È così che la gente si diverte? Penso che potrei divertirmi anche io. Metto fine ai pensieri e mi siedo al bancone ordinando una birra, non vorrei esagerare. Inizio a scrutare la gente: poco lontano da me c’è un gruppo di ragazzi che parla delle loro fidanzate, strano sapere che a loro interessa di noi. In fondo al locale ci sono due giovani adolescenti che danno sfogo alle voglie di quella difficile età. E poi, come in tutti i film, vedo colui che nella vita non ha mai ottenuto niente, che si nasconde bevendo come una spugna qualunque alcolico gli si venga messo davanti, cercando inutilmente di ricordare i nomi di tutte quelle che si è portato a letto. Come faccio ad evitare di diventare come lui? Mi sento nel buio completo, non vedo uno spiraglio di luce, ho paura e non so cosa fare. Ho paura del futuro, lo ammetto e voglio mettere fine a quei pensieri, credo che alimentino soltanto la disperazione che sto cercando di eliminare.
Mi alzo e cammino decisa verso il primo gruppo che ho notato e avvicinandomi noto che sono poco più piccoli di me. Impugno una sedia e la trascino fino al loro tavolo, non credo siano entusiasti di questa mia decisione perché smettono di parlare e si girano con un espressione che è un misto tra fastidio e stupore. Accenno un sorriso, la mia intenzione era quella di calmare i loro animi turbati dalla mia presenza e ottenere un po’ di sana pietà, credo di essere riuscita nel mio intento perché si
guardano tra loro come per cercare di capire, ma dato che nessuno mi conosce è compito mio presentarmi.
“Ciao, sono Noemi.” Ho paura, ho paura perché nonostante sappiano solo il mio nome possono decidere di mandarmi a quel paese credendomi una stupida matta che non ha nient’altro da fare che dar fastidio agli sconosciuti. Ma c’era altra maniera con la quale farmi amici? Assisto ad una reazione che non immaginavo minimamente, iniziano a presentarsi come se fossimo ad una cena tra ex compagni e cercassero di farmi tornare alla mente lontani ricordi. Provo a stare attenta in modo tale da ricordarmi tutti i loro nomi ma l’unico che ancora adesso so è Andrea.
Andrea significa uomo coraggioso ma sinceramente di coraggioso non aveva niente: abbiamo iniziato a scherzare, abbiamo fatto una gara a chi beveva più velocemente un boccale e il perdente doveva subire una penitenza. È toccato a lui, il single della situazione, e i suoi amici hanno adocchiato una notevole bionda, doveva conquistarla. In realtà non ricordo bene il seguito ma so solo che è finito in mutande sul tavolo al centro del locale. Perché non mi sono mai divertita così prima? Di sicuro ho sempre evitato un terribile mal di testa e un grande confusione, ricordo poco o niente.
Non so, forse mi sento in colpa. Perché mi sento in colpa? È stata una serata fantastica ma forse mi manca la mia vecchia vita, quella in cui trascorrevo il venerdì sera a guardare le repliche di “Una mamma per amica” mangiando il gelato direttamente dalla vaschetta. No, credo che questo sia solo un effetto collaterale del cambiamento. Anzi, ne sono sicura.
Faccio per alzarmi, sento come se avessi la testa fasciata con un grande foglio di cemento quindi cambio idea e mi sdraio cautamente sul divano, come sono arrivata a casa ieri sera non lo so. Adesso so solo che voglio riposare per non rovinare questo fantastico momento, queste meravigliose ultime 12 ore in cui ho trovato degli amici, sono uscita con loro, mi sono ubriacata e mi sono divertita. Strano a dirsi ma è così, sono state le 12 ore migliori che ricordi.

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Capitolo 3
*** Chapter three ***


Caro diario,
 
La giornata è tutta già organizzata: sveglia ore 12.00, pranzo leggero, doccia e preparazione per la festa. Già, questa sera c’è una festa di inaugurazione di qualcosa di importante e hanno invitato tutto il quartiere quindi io, ovviamente, ci vado con Giorgia. Ok, sono follemente agitata; ci vedranno nuovamente come coppia e non so se sono pronta psicologicamente. 
Anticipo tutto il programma a causa dell’ansia e vado a lavarmi senza aver pranzato. Credo che sia stata una buona idea, non so come ma il dolce getto d’acqua mi dà sollievo, calmandomi. Esco e corro in camera mia per accendere la radio e scegliere l’abbigliamento adatto: ho diverse scelte e opto per un leggero e modesto vestitino color lavanda, abbinato ad un paio di ballerine bianche che ricordano la borsetta a tracolla. Sono sicura che Giorgia sfoggerà il vestito che abbiamo comprato durante una della tante volte in cui siamo andate a fare compere. Me lo ricordo bene: è a palloncino, lungo fino alle ginocchia, è di un blu cobalto appariscente e evidenzia ancor di più il suo prosperoso seno.
Mi accorgo che il pensiero della mia ragazza mi provoca un inspiegabile sorriso innamorato e ciò mi fa ricordare quanto sono fortunata. Non capita spesso che le persone diano delle seconde possibilità, ma lei non ci ha pensato due volte quando le ho chiesto di perdonarmi per averla lasciata, sapeva anche lei dei miei problemi. Continuo a ripeterlo “sono una ragazza fortunata, sono una ragazza fortunata…” ma vengo interrotta dalla suoneria del mio cellulare. Spengo la radio di cui mi ero già dimenticata e accetto la chiamata.

“Ciao Noe, come stai?”, mi chiede dolcemente Giorgia.
“Sto benissimo, tu?”, le rispondo alludendo al mio recente momento di gloria.
“Bene, ma non ho capito se passo io o viceversa. Che dici?”. Non ci eravamo ancora messe d’accordo quindi prendo una decisione all’ultimo momento e le dico “Passo io per le sette, ti va bene?”.
“Mi va bene sì!” risponde forse con troppo entusiasmo. Accenno una risata e le mando un bacio.
Ci ho impiegato un eternità per prepararmi e sinceramente ho fatto un buon lavoro. Mi guardo allo specchio per l’ennesima volta e alle 18.30 sono già fuori casa, mi godrò il tragitto. Penso ancora a lei. Qualche tempo fa pensavo vivamente di averla dimenticata, ma quando l’ho rincontrata al bar quella mattina non ce l’ho fatta a sopportare il dolore che mi provocava la sua mancanza. Era essenziale svegliarmi e trovarla di fianco a me intenta ad osservarmi, oppure prepararle i pancake la domenica mattina, oppure sentirla piangere il sabato pomeriggio davanti alla nuova puntata di Grey’s Antomy. Probabilmente avevo cercato di dimenticare tutti questi piccoli istanti in cui lei illuminava la mia vita ma erano solo sotterrati in fondo al cuore e in quel momento, alla vista di quell’angelo vivente, mi sono accorta di aver bisogno di lei. 
Avendo ormai ripercorso ogni minuto di quel meraviglioso giorno, arrivo di fronte alla sua porta senza neanche accorgendomene. Suono il campanello agitata, con le mani sudate ma fredde, il cuore che batte fin troppo velocemente e rumorosamente, il respiro affannato quasi come se stessi soffocando dal troppo sangue pulsato. Nel frattempo la porta si apre e mi ritrovo con una faccia da ebete di fronte all’ottava meraviglia del mondo che mi sorride aspettandosi un mio movimento. Allora tiro gli angoli della bocca cercando di sorridere, ma non credo di esserci uscita o per lo meno credo di aver fatto notare il mio nervosismo perché Giorgia scoppia a ridere e mi corre incontro alla cerca di un abbraccio. Non mi tiro indietro, anzi, le stampo un bacio in bocca e nascondo la mia testa nell’incavo del suo collo. Rimaniamo il quella posizione per un paio di minuti poi lei cerca il mio sguardo e mi sorride; un sorriso colmo di gioia e di sentimento, di amore e di promesse.

Sono alla festa. Cavolo, siamo alla festa. Accidenti, sono alla festa con Giorgia. Sarà, ma in questo momento non dimostro 21 anni, sembro una ragazzina delle medie che si è appena seduta di fianco al ragazzo che le piace, o peggio ancora sembro una bimba delle elementari che riceve una dichiarazione d’amore su un pezzo di carta. 
Mi ritrovo a ballare sulle note di “I don’t wanna miss a thing” con la braccia sulle nude spalle di Giorgia che profumano di vaniglia, i fianchi lievemente sfiorati dalle sue morbide e piccole mani e la fronte sulla sua spalla sussurrando insieme ogni singola parola di Steven Tyler.

I don't wanna miss one smile 
I don't wanna miss one kiss 
I just wanna be with you 
Right here with you just like this

È una cosa che tutti sognano di fare, ballare con la propria ragazza un lento, avvinghiate come a promettere che non vi lascerete mai. È una cosa che ho sempre sognato anche io e, dato che ho saltato i balli della scuola, questo è il mio momento, il mio momento per essere finalmente felice. E lo sono! Sì, sono felice. Sono felice perché sto con la persona che amo senza problemi, solo io e lei.

Mi volto e mi trovo sul divano, vestita come la sera prima che ho trascorso insieme ai ragazzi con l’aggiunta della sorella di Simone, è stata carina. Ma perché sono conciata così? Ci sono diverse possibilità: o mi sono ubriacata, cosa che succede frequentemente ormai, o ho la febbre o ieri ho sbattuto la testa. Mi tocco la fronte e effettivamente sono calda, quindi mi alzo pesantemente e di mala voglia per andare a prendere il termometro. 39.5°.
Mi sdraio in attesa della fine della giornata, ma mi spavento quando mi torna in mente il sogno della notte appena trascorsa, non so se piangere o sorridere. Io, Giorgia, lento, amore. Ecco la lacrima, mi annebbia prima la vista, poi la sento calare lentamente sulla mia guancia, sento il gusto salato sulle labbra e nel frattempo ne sento un'altra scendere delicatamente.
Sento la sua mancanza? Non lo so. La vorrei accanto a me? Probabilmente sì. La vorrei abbracciare? Credo di sì. La vorrei baciare? Sì. Vorrei che il sogno fosse stato realtà? Assolutamente sì. La amo? Tutto ciò mi porta a dire di sì. Non ce la faccio, i pensieri mi tormentano, i ricordi riaffiorano incostantemente. 

Era il nostro mesiversario ma stavo male quella sera; ho sempre dato peso al primo mesiversario, è come se servisse a dimostrare quanto ci tieni al rapporto. Perciò non le ho detto niente e ho aspettato la sera impazientemente, ma pochi minuti prima che arrivasse a bussare ho sentito il bisogno di privare il mio corpo delle budella e mi sono accasciata sulla tavola del water senza preoccuparmi del vestito o dei capelli. Quando Giorgia è arrivata le ho detto che in una decina di minuti mi sarei data una sciacquata tornando come prima, ma mi ha solo pulito delicatamente i bordi della bocca, sfiorato la mia fronte con le labbra sussurandomi:” Piccola, non ti preoccupare, restiamo qui così domani ti porto al luna park.”. Mi ha sorriso dolcemente e mi sono lasciata scappare una lacrima di gioia. Dopo quel giorno ho pensato che saremmo stata una coppia duratura, abbastanza forti da non rovinare il nostro fantastico rapporto per una stupidata, tutto in confronto a lei era una stupidata. 

Solo adesso mi rendo conto che era solo lei a fare sacrifici, era solo lei a mantenere vivo il rapporto, io stavo lì a vivere il tutto gongolando riguardo alla fortuna che avevo; sì, lei mi amava e io ricambiavo soltanto senza dimostrarglielo. Mi sento uno schifo, devo rimediare. Presa dal momento afferro la cornetta e digito il suo numero che in questi anni non ho mai dimenticato. Mi risponde una voce dolce, la sua voce, la voce che ho amato ma a cui non ho mai dimostrato niente; continuo a ricordarmelo: ricambiavo il suo amore, ma al contrario suo non glielo dimostravo. Dopo qualche pensiero inizio istintivamente a parlare.
“Ciao Giorgia, ti ricordi di una certa Noemi? La cogliona che ti ha lasciato stupidamente?”. Penso che adesso stia guardando nel vuoto, con la bocca semi-aperta dandosi un pizzicotto, quindi aspetto che esca da quel momento di trance che termina con una semplice frase:”Come potrei dimenticarmene?”.
“Fantastico, è stata così stronza da ottenere un posticino nel tuo cervello? È per caso nello scompartimento errori da non commettere nuovamente?” le chiedo ironicamente.
“Beh, mi ha anche lasciato bei ricordi.” Mi chiedo se ha capito se sono io o mi sta appoggiando perché crede che mi voglia suicidare e non vuole avere la coscienza sporca. Qualche secondo di silenzio. “Quindi se ti chiedesse di vedervi accetteresti?” Azzardo senza neanche pensarci.
“Sì!”. Risponde lei di rimando, niente esitazioni.
“Allora sabato al bar all’angolo?”. Era il nostro bar, quello in cui trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo, quello in cui mi sono dichiarata e sempre quello in cui l’ho lasciata. Annuisce silenziosamente come se avesse paura che aprendo bocca possa pentirsene. Attacco e rimango a guardare il quadro che ho di fronte, un semplice quadro che in questo momento è più interessante dell’appuntamento che ho accidentalmente fissato con la mia ex-ragazza. Decido di sdraiarmi per cercare di sistemare il tutto, ma l’unica cosa che voglio fare adesso è una dormita per illudermi di non aver fatto una cavolata come questa. Ma l’ho fatto, forse tutto questo positivismo e voglia di vivere mi sta dando alla testa. 



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Nota dell’autrice: Terzo capitolo! :) Spero che vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensate, mi farebbe tanto tanto piacere! Grazie per essere arrivati fino a qui.

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Capitolo 4
*** Chapter four ***


Caro diario, 

Che faccio? Potrei darle buca e pentirmene per il resto dei miei giorni, oppure potrei andare lì e vedere se ci tiene veramente ancora a me. Rimango a pensarci per un po’ finché non decido che al massimo potrò farmi un giro cercando di dimenticare lei e l’appuntamento.
Mi alzo e decido di vestirmi; non esagero, indosso un paio di leggins neri e una maglietta a maniche lunghe color magenta, mi trucco leggermente e infilo le scarpe. Sono pronta, ormai la decisione l’ho presa. Mi incammino a passo lento verso il bar, era da un po’ che non ci entravo e ho sperato mi facesse piacere risentirmi a casa in quel piccolo luogo colmo di persone che mi hanno osservato per anni senza rivolgermi parola. Entro spingendo la porta con poca decisione e mi siedo al primo tavolo che trovo vuoto, è il tavolo in cui ci siamo baciate la prima volta. 

Le avevo chiesto qualche ora prima di vederci al bar all’angolo, mi aveva risposto innocentemente che sarebbe arrivata un po’ in ritardo perché piena di impegni, ma che sarebbe stata contenta di vedermi. Ormai era da un paio di settimane che ci pensavo e forse era il caso di agire. Era tutto già pronto nella mia testa: si sarebbe seduta, l’avrei fatta parlare brevemente della sua giornata e poi le avrei detto “ti ricordi quando abbiamo comprato il nostro braccialetto e la ragazza ci ha chiesto se eravamo fidanzate? In effetti avremmo dovuto accorgercene che eravamo in un gruppo di lesbiche ma a parte questo sai a cosa ho pensato? Ho pensato fino alla nausea che avrei voluto rispondere di sì, avrei voluto stringerti la mano e sorridere cercando il tuo sguardo. Quello stesso sguardo che mi ha fatto perdere la testa e che mi ha fatto follemente innamorare”. Subito dopo la scrutai dolcemente alla ricerca di un espressione che potesse farmi capire la sua opinione, l’unica cosa che vidi furono le sue labbra carnose che pronunciavano flebilmente: “Io ho pensato che probabilmente aveva notato lo scintillio nei miei occhi al pensiero che saremmo state legate per sempre grazie a quel braccialetto”. La fissai con gioia e presi a carezzarle il dorso della mano, si avvicinò e l’unica cosa che notai furono gli occhi lucidi che cercavano un appiglio, cercavano amore ed io ero convinta di poter esprimere qualunque suo desiderio. Mi avvicinai lentamente alla sue labbra, quelle stesse labbra che sognavo da mesi oramai, ma che mi avevano sempre incusso timore; le sfiorai appena, giusto il tempo di capire se fosse la cosa giusta e soprattutto se lo volesse anche lei, poi mandai al diavolo tutti quei pensieri e la bacia come se avessi ritrovato dopo tanto tempo una remota parte di me che cercavo e che volevo far nuovamente mia. 

Mi fa tornare alla realtà una ragazza, chiedendomi se voglio ordinare. Le rispondo con un distaccato no e mi accovaccio sulla sedia cercando di scomparire. Cosa mi passa per la testa? Sono così confusa da non capire cosa provo ed è una sensazione fastidiosa, è come se avessero scambiato la mia coscienza con una fredda e vuota. È cosi che mi sento: fredda e vuota. Ma la consapevolezza di non provare emozioni non è un sentimento, è solo un approvazione proveniente dal cervello al semplice dato di fatto della “mia” coscienza: sto diventando un’insensibile. Forse è il caso di vedere il lato positivo di questa situazione, può essere solo segno della mia forza che si presenta di fronte ad uno spaventoso appuntamento con una ex. Pensavo di essermene dimenticata e invece all’improvviso era ricomparso quel terribile pensiero, il pensiero che rivedrò nuovamente la ragazza che amo e che non mi appartiene più.
Adesso che ci penso, la amo ancora? Voglio dire, nel remoto caso in cui lei mi avesse aspettata in lacrime e a braccia aperte, io non saprei cosa fare; potrei intraprendere un relazione con lei dopo anni oppure potrei anche capire che lei per me rappresenta solo il passato, simboleggia un errore da non ricommettere.
Sto pensando così intensamente che ho momentaneamente chiuso gli occhi, impedendomi di notare Giorgia che entra nel locale e si accomoda di fronte a me. Credo di averle fatto tenerezza perché appena schiudo gli occhi a causa di un'improvvisa voglia di ordinare una birra, la scovo con un sorrisino appena accennato sulle labbra lievemente colorate da uno scuro rossetto, le gote messe in evidenza da un colorito imbarazzato e gli occhi colmi di gioia che ricordando tanto la vista della propria casa dopo delle lunghe vacanze. Noto che ha tinto i capelli di un rosso leggermente più smorto che risalta i suoi profondi occhi color cenere, indossa un maglione blu forse troppo pesante per questa stagione, ma lei ha sempre sofferto il freddo e ricordo quando si ostinava ad uscire vestita con vestiti troppo leggeri, solo dopo qualche appuntamento capii che era solo un pretesto per doverla abbracciare e prestarle le mie felpe. Trascorriamo così qualche minuto dopodiché lei rompe il silenzio chiedendomi se volevo bere qualcosa. Nel frattempo mi ero dimenticata di volere da bere così le rispondo con timidezza, quasi mi vergognassi della mia stessa voce; in effetti ho paura di rendere reale questo momento segnandolo con delle mie parole ma sono costretta: cerco di fondere la normalità con la diversità in modo tale da farle ritornare alla mente ricordi che le facciano capire quanto sono speciale. Probabilmente mi sto considerando troppo importante , dovrei smetterla di prendere alla lettera ogni capitolo di quello stupido libro che ho trovato in biblioteca; dice che maggiore è la propria autostima maggiore sarà la facilità che si avrà a relazionarsi con gli altri. Ma di fronte a Giorgia mi sento solo un piccolo residuo della razza umana, mi sento uno scarto a cui hanno voluto dare una possibilità di vita pur sapendo che con quelle caratteristiche non sarebbe andata lontano. Mi sento una pagina di un libro fotocopiata storta, mi è capitato di vedere libri conciati in quella maniera e sinceramente mi ha fatto pena. Allora non capisco più niente. Perché mi sento così insignificante? Sinceramente mi verrebbe da rispondere “perché lei è così perfetta che ti senti inadeguata di fronte alla persona migliore che conosci”, ma forse non è per questo, forse è perché la vista di lei felice mi fa ricordare come rideva con me e come all’improvviso le ho tolto il sorriso, come se mi appartenesse. C’è un'altra possibilità che mi ha sfiorato il pensiero: magari io vorrei provare amore nei suoi confronti e invece tutto ciò che vedo è una ragazza affascinante. Lo allontano subito dalla testa perché anche se vera questa affermazione fa male, non so dirti dove e perché, ma sento la privazione di un pezzo di me stessa e questo non fa altro che alimentare la fondatezza di questa teoria. 
Dopo attimi a cui non ho dato tregua né al mio cervello che non riesce ad elaborare così tanti pensieri velocemente né i miei occhi a cui sto impedendo di chiudersi dato che non vorrei aprirli accorgendomi che in realtà lei non è qui, mi concedo un sorso di birra e aspetto silenziosamente che sia lei a parlare. Abbiamo sempre pensato che in qualunque coppia di persone, non necessariamente fidanzate, c’è bisogno di una persona che agisca e di una che paria ed sarebbe ancora meglio se esse si alternassero. Quindi aspetto con poca pazienza finché non si decide a pronunciare delle parole che a me riecheggiano in mente, come a volerle assaporare per bene.
“Allora, come stai?”. Semplice, naturale, pulito e dolce. Proprio come lei.
“Ehm…” dubito un po’ e poi mi decido, inspiro e getto tutto d’un fiato. “In questo periodo non proprio bene.”. Noto che le si dipinge sul volto un velo di dolore, di tristezza e di pena, forse.
“Come mai?”. Mi chiedi dolcemente e innocentemente.
Le do una veloce occhiata, voglio essere sicura che me l’abbia chiesto per davvero e inizio a pensare a come esporle la mia situazione. 
“Ti è mai successo di sentirti come un robot e, di conseguenza, sbagliata?”. Sembro più sicura di quanto sono, in realtà ho una paura folle che non mi risponda cercando di tranquillizzarmi e dicendomi che è normale; l’unica cosa di cui ho bisogno è questo, un appiglio. 
“Sì, mi è successo.”. Sussurra abbassando il capo.
Io contrariamente lo sollevo cercando i suoi occhi, per capire se quella nota di dolore presente nella sua voce è presente anche nel suo sguardo. Li scovo e in effetti sì, sono spenti e privi di gioia; non so come mai mi sento in colpa e mi risulta istintivo chiederle se c’è qualcosa che non va.
“No, è tutto a posto, scusami. Comunque credo che ci sia sempre un motivo dietro a tutto ciò, tu?”.
Mi risponde con un sorriso forzato e ignoro la sua domanda, ciò che mi importa è perché stava male.
“Come mai ci sei passata tu?”. Sento una lieve risata ironica e mi accorgo che nel frattempo si è messa a giocare con un fazzolettino, segno che è nervosa. Si scusa per la risata quasi isterica e si ricompone.
“Diciamo che essere lasciati dalla propria ragazza perché quest’ultima si vergogna di te non è piacevole.”
Adesso lo sento il senso di colpa che si impossessa di me, mi viene la nausea e mi sento lentamente logorare dentro. Non è un dolore, è un fastidio; mi dà fastidio sapere che l’ho fatta soffrire, così tanto fastidio che inizierei a staccarmi la faccia a morsi se la bocca non fosse proprio lì. 
“Credo di doverti delle scuse, ma non so come farti capire che mi dispiace.”. Dico questa frase molto lentamente, vorrei farle capire quanto questi pensieri siano realmente miei e non siano frutto di una bugia. 
“Credevo servisse a questo l’appuntamento.” Mormora, forse non vuole farsi sentire.
“Anche io lo credevo, peccato che non mi sia preparata niente da dire.”. Le confido maledicendomi mentalmente. 
“Improvvisa.”. Dice lei quasi con entusiasmo, sa che odio improvvisare, la mia vita è molto organizzata e sempre sotto controllo.
La guardo stupita e inizio biascicando parole, intervallando i respiri a delle brevi frasi
“Mi conosci benissimo, tu sai come sono fatta, sai che volevo la libertà, la pretendevo. Sai anche che non mi sono mai piaciuta particolarmente, mi interessava sapere cosa pensa la gente di me. Sai che le lesbiche non vengono mai accettate, anche se lo lasciano credere non è mai così. Sai che ti amavo, alla follia, e pensavo che senza di te non sarei stata capace di vivere, ma non sai come mi sono conciata. Non sto dicendo che è colpa tua, anche se sembra. Sto dicendo che mi dispiace, ho sofferto anche io. Ho dato più importanza a me che a noi. Ho dato più importanza al mio orgoglio e me ne sono pentita amaramente. Mi sono odiata per questo, sappilo”. Forse ho balbettato nel frattempo e ho singhiozzato un po’ ma credo che l’abbia colpita il mio discorso. Per tutto il tempo non ho fatto altro che fissarle le pupille, volevo la sua completa attenzione e l’ho ottenuta. Adesso ha la bocca leggermente aperta, giusto quel poco per intravedere dei bianchissimi denti, gli occhi colmi di lacrime, lacrime di gioia, e le mani attaccate al tavolo, forse ha paura di cadere.
Anche io ho paura di cadere. Ho paura di ricadere nel vuoto che mi ha accolto fin dal primo giorno che ho capito che la mia vita è un susseguirsi di sbagli, che la mia vita di per sé è uno sbaglio; lo stesso vuoto che mi ha portato a commettere errori più grandi, danneggiandomi, lo stesso che ha accolto Giorgia. Glielo leggo negli occhi, anche lei, perfetta come è, si è odiata.

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Capitolo 5
*** Chapter five ***


Caro diario,

Siamo ancora al bar, ci scambiamo sguardi furtivi, credo che entrambe stiamo cercando qualcosa da dire. È la cosa migliore il silenzio? Alcuni dicono che a volte riesce ad esprimere ciò che è difficile da pronunciare, ma io non penso che le sia arrivato per bene il mio pensiero, non penso che sappia che secondo me è perfetta; quindi credo di doverglielo dire.
“Tu lo sai che non ti ho lasciata perché non ti amavo, vero?”. Lo ammetto, non mi sono resa conto di aver parlato, ma è una fortuna che non abbia il controllo delle mie labbra, deve sapere tutto. Mi guarda stranita, mi scruta come a voler chiedere conferma alle mie pupille, le osserva intensamente mettendomi in soggezione, ho troppa attenzione e distolgo lo sguardo per farle capire che per me e le mie pupille questa situazione non è piacevole. 
“Avevi paura e ti vergognavi, così mi hai detto.”. È stato difficile per me darle una buona motivazione, probabilmente questa è quella più vicina al mio reale sentimento che non ho ancora ben concepito. 
“Sì, avevo paura.”. Ripetere è l’unica cosa che so fare in questo momento.
Di essere felice?!”. Mi aggredisce e sinceramente non mi stupisce, in tutti questi anni non ha mai protestato e mi aveva lasciato più tranquilla. 
“Di essere felice di fronte a tutte quelle persone.”. Le rispondo con molta calma, ormai mi sono abituata a quella confusione che mi provoca la gente.
“Non ho mai capito perché le persone ti danno fastidio.” Mi risponde con una nota di dispiacere.
“Mi da fastidio ciò che pensano.”
Perché ti interessa il loro parere, non puoi vivere la tua vita così come vuoi?”. Sembra facile, ma a dir la verità non lo è affatto! Ormai è una frase che ripetono tutti, forse perché teoricamente dovrebbe essere così: io e i miei pensieri, senza quelli altrui a distruggere la mia autostima, i miei sogni, il mio coraggio. Sarebbe la situazione perfetta, peccato che ci sia quell’angolo del mio cervello ad offendersi, a starci male, a ricordare ogni singolo insulto o sguardo colmo di disprezzo.
“Ripeto, non ti sei mai sentita sbagliata?
“Ripeto, sì.”
La conversazione si sta facendo calma, perdere le staffe in questo momento peggiorerebbe la situazione; inspiro rumorosamente e cerco le parole adatte, so già che una volta iniziato il discorso mi verrà facile parlare.
“Ricordo vagamente la prima volta che ti ho visto. Non è scattata la scintilla, tu non mi avevi minimamente degnato di uno sguardo, ma io ti avevo notato. Ho subito pensato che fossi una ragazza che non passa inosservato, basta solo un battito di ciglia per capire che anche le ciocche di capelli sembrano fatte apposta per essere sfoggiate non da una persona qualunque, ma da te. Su di me quel taglio in compagnia di quel rosso sarebbero ridicoli, ma su di te sono splendidi, sembra che tu sia nata per avere questi capelli. Te sai essere bellissima anche in pigiama, soprattutto in quelli che piacciono a te, più grandi di tre misure per essere comoda. Sai essere dolce in qualsiasi momento, e quando guardi i film drammatici fai tenerezza perché si scorge nei tuoi occhi la paura che tutto ciò possa accadere anche a te, ma quando arriva il lieto fine, in cui ci si dimentica dello svolgimento, quando la cosa fondamentale è che i protagonisti sono felici, sbarri gli occhi e si illuminano, come se avessi di fronte un possibile futuro ed è tutto ciò che vorresti. Hai degli occhi che sanno esprimere qualunque cosa, ma probabilmente non te ne accorgi, altrimenti smetteresti di avere quell’espressione beata di quando dormi che nemmeno riesco a spiegare! So solo che vorrei che rimanesse con me per tutta la vita e che mi dia sostegno, perché è questo che sanno dare i tuoi occhi: coraggio, supporto, voglia di vivere.”. Ho calcato e ripetuto più volte la seconda persona, non so precisamente perché, volevo forse farle notare che è proprio di lei che stavo parlando. 
È rimasta stupita perché scosta inavvertitamente la sua mano dalla mia. Sì, sono state una sopra l’altra per tutto il tempo come se ci volessimo spronare a vicenda e sentire il vento sopra il lembo di pelle che ha appena toccato le mani di Giorgia, beh, mi fa sentire derubata. Si alza cautamente dalla sedia e corre, corre verso la porta del bar, poi corre verso la strada e di seguito corre dietro ad un autobus. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di fuggire da me e dai miei maledettissimi discorsi che l’avevano sempre spaventata. 
Non mi resta altro che pagare sia la mia che la sua ordinazione ed esco con estrema calma, forse con un pizzico di speranza che lei ritorni all’improvviso per darmi il lieto fine che ama tanto.
Ripercorro quei pochi minuti trascorsi con lei, cerco di imprimere nella memoria il suo viso, prima allegro, poi malinconico e disperato. Non è durata molto questa conversazione, saremo state a parlare giusto una ventina di minuti, ma so che abbiamo detto un sacco di cose nel frattempo, io ho detto un sacco di cose. Sono sempre io ad aver fatto il casino quindi è giusto che sia io a dover rimediare, ma non so come; so che gli impegnativi discorsi di poco fa non sono bastati anche perché non è la prima volta che le ripeto il tutto, ma credo che voglia dimenticarselo perché non accetta il mio star male di fronte ad un giudizio. Ora che ci penso lei ha sempre minimizzato il mio disagio e lo ha sempre ignorato, forse è per questo che adesso reagisce così. Forse si è pentita, ma non crede di poter rimediare; è nella mia stessa situazione? 
In questo momento tutto ciò che ho per la testa sono fatti, ricordi, Giorgia, ma non mi pongo domande. Probabilmente è una delle poche volte in cui non ho bisogno di risposte nonostante sia preoccupata e pensierosa a causa di un fatto accaduto. Credo che sia una cosa positiva: meno confusione nella mente significa meno dolore.
 
 


 

Angolo dell’autrice: Da quel che ho capito non vi piace recensire, vi capisco. Però perché non accontentare un povera ragazzina che vuole solo sapere se sta perdendo il suo tempo scrivendo? Grazie per essere arrivati fino a qui.

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Capitolo 6
*** Chapter six ***


Caro diario, 

ho trovato una nuova migliore amica: la vodka. Dopo l’incontro con Giorgia sono passata dal tabaccaio e ne ho comprata quanta più potevo, sono tornata a casa, mi sono seduta sul pavimento della cucina e ho iniziato a bere a canna. Nessuna lacrima sul mio viso, nemmeno una smorfia o perlomeno un espressione facciale, ero immune al mondo. Dopo aver scoperto i lati peggiori, aver fatto e pensato cose troppo dolorose per un essere umano, dopo aver toccato il fondo, essere arrivati sul filo del rasoio ed essersi abituati ad una vita vuota, dopo essersi sentiti vuoti, niente provoca o smuove più nulla. E adesso non posso nemmeno dire di sentirmi triste, perché non è vero; ma non sono nemmeno felice, altrimenti avrei un sorriso beato sul viso. Hai presente quando sei stanca e ti siedi? Senti quel senso di "bentornato a casa", di pace, però poi ti devi alzare e ricominciare tutto da capo, ma senti che il tuo corpo non ce la fa. Ecco io sento la stessa cosa quando mi estraneo, poi torno alla realtà e sono esausta, la mia mente non ce la fa. Non ce la fa a sopportare i ricordi, la visione del dolce visino di una delle ragazze più belle che abbia mai conosciuto; non sopporta il rimorso, il senso di colpa, ma al tempo stesso si rende conto che Giorgia non ha fatto nulla per aiutarmi quando questo mio problema ha iniziato a influenzare la mia vita, le mie abitudini, i miei hobby, i miei sentimenti. Tutti cercavano di dimostrare la mia diversità, facendomi notare che cercassi l’approvazione delle persone per qualunque cosa. 
Volevo disegnare? Me lo hanno proibito e non ho fatto nulla per lottare, se a loro non va bene non è giusto che lo faccia.
Volevo andare al college? Ecco, che presento i miei voti a tutta la mia famiglia per conoscere la loro opinione.
Ho fatto coming out? Quegli sguardi non accettavano, io me ne sono accorta e non ho potuto vivere sapendo che sono un fallimento per chiunque. 
Il concetto è sempre questo: io posso anche amarmi, avere una enorme autostima ed essere fiera di chi sono, ma se al resto del mondo non vado bene non trovo motivo per accettarmi. 
Dite che è da matti?<< La vita è la nostra, noi viviamo per poi poter dire “riguardando al passato non trovo nessun errore che merita le mie lacrime”, non per essere grati di uno stupido complimento rivolto ad una parte di noi stessi inventata. Sarebbe come se prendessimo la vita per un film. La vita no, non è un film. Non dobbiamo interpretare nessuno, non dobbiamo dimostrare emozioni forzate, non dobbiamo nascondere la vera parte di noi. >>
Stesso discorso, persone diverse, ma sempre lo stesso obbiettivo: cercare di scovare la vera Noemi e mostrarla con orgoglio. 
Giorgia no, non si è mai dimostrata interessata ad aiutarmi sotto questo punto di vista, ogni volta che litigavamo questo argomento compariva come attacco sicuro da parte sua per farmi crollare davanti ai suoi occhi, umiliarmi per poi supplicarla di perdonarmi. Mi rivolgeva un accennato sorriso colmo di compassione e mi rivolgeva sempre le stesse parole << Non ti preoccupare piccola, se tutta questa cosa del consenso di cui hai bisogno ti fa sentire bene è ok. Quando mi guardi in quella maniera capisco che mi ami e sinceramente mi sale la rabbia, vorrei veramente uscire ed urlarlo a tutti, ma poi mi ricordo che hai paura, che hai bisogno del mio sostegno e non di una stupida ragazza che pensa solo a se stessa. Non ti preoccupare piccola, probabilmente anche per te arriverà il giorno in cui ti sentirai libera di fare tutto ciò che vuoi e spero che durante quel giorno sarò ancora con te; nel frattempo che aspettiamo ti dico che il mondo già ti accetta così come sei, ma se non lo credi va bene lo stesso. >> Ora che ci penso mi sembrano solo un mucchio di stronzate. Tutti mi dicevano che dovevo provare a sconfiggere questa mia necessità e lei cosa fa? Distrugge tutto il loro lavoro dicendomi che è ok. Mi prendi in giro, Giorgia? È questo quello che le avrei voluto rispondere, ma sapere di essere accettata anche sotto il punto di vista del mio problema mi faceva contenta. Del resto era tutto così contorto se ci penso: io cerco approvazione, mi dicono che dovrei smetterla perché non va bene e io dico che no, questa parte di me non la voglio cancellare. Alla fin fine ho deluso il mondo in qualche maniera, ce l’ho fatta ad essere circa normale. A chi dovrei dare il merito? Al meraviglioso psicologo che ho frequentato sotto costrizione, a mia madre che di utile non ha fatto praticamente nulla, al notevole numero di persone che quest’ultima ha portato a casa per farmi socializzare o quella simpaticona della mia ex fidanzata? Forse proprio Giorgia. Del resto lei accettava anche quel problema. Ed è così che torno a difendere, da me stessa tra l’altro, colei che ha sottovalutato tutto ciò. Diceva che non voleva essere egoista ma in fondo non ha fatto altro, per colpa mia. Le negavo la libertà e la felicità che lei bramava da tanto e a cui era più che pronta, le tarpavo le ali. L’unica cosa che non capisco è il perché della sua rassegnazione di fronte al motivo di tale dolore, voglio dire, ho già mostrato quanto lei sperasse di tenermi la mano fuori dalla porta di casa, mi stupisco di come non abbia cercato con tutta se stessa di ottenere quella gioia che io le negavo, me lo rinfacciava sempre durante le litigate.
Giuro, non capisco più nulla! Vorrei solo spegnere il cervello. 
Prendo una bottiglia miracolosamente rimasta piena e me la scolo come fosse acqua. Vorrei solo Giorgia qua, pronta a dirmi che va tutto bene, che si sistemerà tutto in un modo o nell’altro. Ma so che sarebbe sbagliato perché non è vero che le cose migliorano all’istante da sole, bisogna fare qualcosa, non restare a guardare. In questi momenti sono d’accordo con lo psicologo, non puoi rimanere a guardare la tua vita come se scorresse su uno schermo. Devo fare qualcosa, non so bene cosa, dato che non ho ancora ben capito chi è in torto e più che altro se c’è qualcuno che si deve sentire in colpa e se c’è, quella sono io, stupida e fifona come sono non posso far altro che rovinare le relazioni. O beh, forse è lei che le relazioni non le sa vivere per nulla, ricordo che mi ha riso in faccia quando le ho detto per la prima volta “ti amo”. Non era una risata meschina o strafottente; era una risata colma di appagamento e compiacimento.

“Tesoro, che vuoi fare stasera?” come tutti i sabato sera cerca di farmi uscire. 
“Ho visto proprio ieri la pubblicità di un nuovo film, magari riesco a trovarlo in rete. C’è questa ragazza che vive con suo padre, ma...” Le mie parole perdono di significato e la sua voce roca mi giunge alle orecchie con una nota di delusione, mi fa male; sarà la quarta settimana che cerca di farmi uscire, e ogni volta trovo un fantastico nuovo film che voglio vedere. “Ma se uscissimo?”. 
“Mmh, potremmo. magari…oppure potremmo stare sul divano accoccolate mentre guardiamo questo meraviglioso film di cui non ricordo il nome.” La faccia supplichevole ha sempre fatto centro e i miei occhi da cerbiatto non fanno altro che togliere ogni dubbio; in effetti il suo sguardo mi dice tutto, accenna un sorriso ma nelle iridi cupe si può notare la delusione. Forse è meglio che una volta tanto la ringrazi per non avermi ancora mollata, so benissimo di essere un peso e lei invece mi sta accanto come se fosse nata per fare questo, come se un'altra sistemazione fosse impensabile. Cerco di diventare seria e la fisso, non la guardo semplicemente, la osservo e le parole escono tranquillamente, da sole, senza controllo. “ Grazie piccola. Grazie perché nonostante tutto tu sei qua tutti i sabato sera e anche tutti gli altri giorni della settimana e non ti lamenti quando beh, quando me ne frego altamente di te e dei tuoi sentimenti e ciò succede tutte le sante volte, ma fidati dopo me ne rendo conto, poi non faccio niente perché bho, però me ne accorgo; lo noto quello sguardo straziato e stanco. Adesso volevo farti sapere che apprezzo moltissimo ciò che fai per me, ma che spero ti vada bene anche se preferisco stare a casa piuttosto che uscire.” Mi immagino la scena vista dall’esterno; i miei occhi si addolciscono, le gote si riempiono e si colorano lievemente, le labbra si schiudono e il respiro si fa più lento e pesante; sussurro un ti amo appena udibile e poi cerco invano di nascondermi tra i corti capelli, mentre inizio ad avviarmi verso una stanza che non sia impregnata del suo odore; la sua crema idratante, non ho ancora ben capito che odore abbia, per me è solo riconducibile a Giorgia e quando lo sento mi si arriccia il naso. Mi accorgo che il mio ragionamento ha falle ovunque e in effetti non mi aspettavo una reazione così, così particolare. 
Ed eccola la famosa risata che ha distrutto molte delle mie nottate, che ha rovinato molto miei pasti e che torturato la mia mente; è quasi maligna e sorniona.
Al che la sguardo, mi aspettavo una risposta del resto e mezza scazzata allungo i passi sperando che mi segua, ma sapendo che aspetterà che torni da lei, che avrà già dimenticato il tutto. Si accorge del mio malessere, prende fiato e di mala voglia mi dice: ti amo anche io, e se vuoi possiamo restare a guardare il film. La guardo delusa e cerco di essere a mio agio. Oh baby, grazie, salto sul divano e le do un bacio a stampo, senza sentimento. Ama quando la chiamo baby, credo che si senta importante e protetta. E in questo momento è ciò che voglio di più, che sappia che tutta la fatica che sta facendo verrà ripagata un giorno. 

Solo adesso mi rendo conto che quel giorno è stato uno dei più belli e dolci che io ricordi, ma mi dispiace sapere che le ho mentito chiamandola baby, perché è solo colpa mia se poi è rimasta senza nessuno che le facesse da muro, che la salvasse dalle giornaliere e comuni ingiustizie, solo perché non mi sentivo in grado di farlo dato che prima di tutto io avevo bisogno di protezione. Un cane che si morde la coda, già. Ma che ci posso fare? Del resto i miei pensieri hanno un filo logico, peccato che alla fine non portino da nessuna parte. 
Vengo interrotta dalla suoneria del cellulare, proviene dal tavolo. Non ho idea di quanto tempo io abbia trascorso a bere, probabilmente mi sono pure appisolata e mi si è anche addormentato un piede quindi mi viene difficile alzarmi, ma dopo un po’ di stupidi tentativi con l’aiuto delle sedie mi alzo e noto che sulla schermata lampeggia il nome di Andrea. Stranamente non mi sento ancora completamente sbronza, decido di rispondere, magari non ha ancora capito che sono dell’altra sponda e ci vuole provare, che onore! 
“Pronto?” dico con la bocca impastata ed un tono alquanto sperduto. 
“Noemi!” le sue urla mi arrivano direttamente al timpano destro, tutti il mio corpo si lamenta.
“Cazzo, non urlare!” probabilmente la mia voce è stata più supplichevole di quanto immaginassi perché mi risponde con aria preoccupata “Oh, stai bene? Sei ubriaca? Sono solo le sei del pomeriggio, non ci potevi aspettare?” ok, è tornato a scherzare, questo mi rassicura.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: ok, mi arrendo, ho decisamente capito che le pochissime persone che leggono non vogliono recensire, quindi mi spiace ma dovrete continuare a leggere questa storia come la voglio scrivere io dato che nessuno ha qualche consiglio, critica o semplicemente un apprezzamento di cui farmi partecipe. Sembra un accusa, però in effetti credo che migliorerei leggendo ciò che pensate.

Spero comunque che vi sia piaciuto questo capitolo e che non vi abbia delusi mostrandovi quanto sa essere stronza Giorgia. Grazie per essere arrivati fino a qui. 

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Capitolo 7
*** Chapter seven ***


 
Caro diario,
 
subito dopo la telefonata di Andrea in cui mi chiedeva se volessi uscire ho cercato di alzarmi, di andare a fare una doccia grazie alla quale avrei almeno tentato di rendere la mia vista minimamente piacevole, ma non ce l’ho fatta. Anche il solo pensiero di dovermi poi divertire mi trasmetteva una strana angoscia, e non era dovuta al fatto che fossi ubriaca, distrutta mentalmente e con un bisogno sproporzionato di sonno. Le calde coperte gettate malamente sul letto a due piazze che occupava quasi interamente la camera da letto e che ospitava anche una numero assurdo di cuscini, tutti di colori diversi, la delicata e appena scorgibile luce del sole che attraversava prima la spessa, ma di minute dimensioni, finestra posta sul muro che avevo di proposito lasciato bianco, di un bianco immacolato e quasi spaventoso e poi la leggere tenda colore degli autobus della mia città posandosi delicatamente ai piedi dell’oggetto che aveva dolcemente ospitato tutte le mie lacrime e le mie crisi; tutto ciò mi tranquillizzava e non a causa dell’animo da pigra e nemmeno perché volessi svegliarmi più pimpante di prima, era perché ogni volta che chiudevo gli occhi sognavo di non riaprirli più, la sera andavo a letto e speravo con tutte le mie forze di non dover più provare la sensazione di non dover esistere, di non avere proprio il permesso di respirare ed occupare un posto nel mondo. Ma non avevo mai avuto il coraggio di commettere qualche cosa capace di soddisfare il mio malato desiderio, anzi, il mio bisogno, Perché sì, lo consideravo un bisogno.
Comunque sia, oramai non avevo le forze e la voglia di vivere, mi stancava anche solo l’idea di un possibile felice futuro, qualche volta mi permettevo di sognare, di immaginare una vita parallela in cui essere grata della mia vita, ma anche questo mi stancava, oltre che regalarmi una insana amarezza.
Ho sempre pensato ai pony come degli sfortunati cavalli destinati a soffrire vedendo costantemente coloro che sarebbero voluti diventare, consapevoli che sarebbero dovuti rimanere piccoli, inutili e poco considerati. Io ero nella stessa solo situazione, ero in trappola. E da quella stretta e dolorosa trappola potevo addirittura godermi la vita dei miei “simili” e sognare di averne una come la loro, potevo anche cercare di ottenerla con il solo risultato di una potente e forte capocciata contro una delle numerose assi che mi negavano la felicità. Ho capito troppo tardi che queste assi che ho maledetto per tutto il corso della mia vita, non sono altro che parte di me. Sono io che impedisco a me stessa di essere un umano degno di nome, perché dovrei avere delle altre qualità che non so per quale scherzo della natura non possiedo e viceversa. Ma tutte queste qualità di cui parlo non hanno dei nomi, sono solo pensieri e impedimenti creati nella mia mente ma che comunque non possono essere cancellati utilizzando la loro fonte come gomma.
E allora eccomi qui, seduta per l’ultima volta sul freddo e liscio pavimento del bagno. Adesso credo che questa pagine debba ottenere un intestazione differente.
 
Caro/a sfortunato/a,
 
inizio col dire che mi spiace. Non ho idea di chi tu sia, non so se ti conosco, se per te significo qualcosa, anche se dubito. Ma mi spiace veramente perché comunque ciò che ti trovi davanti non è proprio il massimo della bellezza; anzi, se conosci qualcuno di masochista scattami una foto, o, se sei bravo, raccogli un foglio e una matita e inizia e disegnare, perché tanto non mi muovo, tranquillo. Inizierò a parlare al maschile perché è più facile e se sei una ragazza beh, mi spiace, ma non potevo pianificare proprio tutto.
Ok, credo che con la parte iniziale di questa bianca ma sgualcita pagina di quaderno abbia già spiegato le motivazione della mia azione. Perché credo che sia stata la prima cosa a cui hai pensato, il motivo di questa scelta che merita o insanità mentale, oppure un profondo odio verso se
stessi. Ti dico che cercare una lametta adatta non è stato semplice, nemmeno alzare le maniche e
cercare di rendersi conto di ciò che stavo facendo. È per questo che ti sto scrivendo, perché forse ancora non ho capito bene ciò che succederà, ma tu già lo sai e questo mi spaventa a morte. Proprio ora devo trovare il carisma?           
Spero vivamente che la mia lettera sia stata soddisfacente. Lo so che non ho nemmeno per sbaglio nominato Giorgia (ok, adesso l’ho fatto), ma lei non ha propriamente a che fare con tutto questo. È solo colei che mi ha fatto accettare questi pensieri. Ovviamente ci sono da tutta una vita nella mia testa, ma solo dopo essermi accorta di non sapere gestire la felicità ho capito di non potermela permettere, di non poterla meritare. Quindi se Giorgia verrà in possesso di questa lettera, o perlomeno del suo contenuto, vorrei che sapesse che no, non è colpa sua. Sarebbe ridicolo se il senso di colpa non l’avesse nemmeno sfiorata. Ammetto che starei meglio (anche se non sarebbe vitalmente possibile) perché so per esperienza personale che trascorrere giornate, settimane e anni interi con la consapevolezze di aver combinato un disastro enorme e non poter nemmeno aggiustarlo non è facile. Ma Giorgia no, non ha combinato nessun casino, anzi, mi hai aggiustato. Credo che io dagli inferi non dovessi nemmeno uscire, sarei dovuto rimanere lì con tutti i miei amici sbagliati e destinati ad una vita ultraterrena. Ho sempre amato il fantasy.
Prima dei soliti saluti vorrei chiarire una cosa: è meglio per tutti quanti se questo appartamento non ha più un proprietario, se i miei genitori possono dire di essere solo felicemente sposati, se Giorgia può dimenticarmi e orgogliosamente dichiarare di non essersi ancora innamorata, di non aver provato dolore a causa di questa brutta bestia di cinque parole su cui poi gira il mondo. Perché poi non importa se si vive nella stessa casa e ci si lava i denti con lo stesso spazzolino, ma si ama, è qualcosa che non si può controllare, ognuno ama qualcuno, chi in modo diverso da altri. Anche i preti amano (e non mi riferisco a Dio), anche i senzatetto, che sostanzialmente non conosco nessuno, si saranno sicuramente innamorati del giovano ragazzo sempre di corsa che va a bere il caffè sempre allo stesso bar e bacia con passione sempre lui, sempre il cameriere che se ne frega se ha la mani sporche di caffè, vuole sentire la felicità sotto le sue dita e le intreccia in un semplice legame con delle lunghe compagnie di cellule morte che sono i capelli. Poi ci sono le persone sbagliate come me che non provano sentimenti positivi, si accorgono solamente delle cose brutte e non è semplice trovare la persona in grado di farle cambiare idea, io non l’ho trovata e sinceramente ho capito che anche se fossi riuscita a guarire, avrei distrutta la vita ad un'altra persona e questo sarebbe stato troppo egoistico anche per me, che ho sempre procurato dolore alle persone, ma senza alcun fine, non so qual è la cosa peggiore, ma rimarrà un punto interrogativo che non si può cancellare da queste righe ma che non esisterà più nella mia mente che pian piano andrà disintegrandosi.
 
Beh, grazie per aver letto (sei hai letto) e spero che con questa lettera riesca a morire in pace. Vorrei solo questo.
Grazie. Grazie a te, ammetto che ti ho solo usato come fossi un fazzoletto con cui pulire il rosso pavimento che ora sarà secco e non più splendente, ma grazie.
Grazie ad Andrea e ai suoi amici di cui non ho imparato i nomi, ho usato anche voi per cercare di cambiare, ma è stato un tentativo fallito, scusatemi.
Grazie ai miei genitori, che mi avete dato la vita, mi dispiace se con questa notizia che spero riceverete presto vi abbia fatto vergognare, ma voi andate fieri di me, per favore almeno in questo, ho avuto il coraggio di affondare in profondità il metallo.
Grazie a Giorgia, credo che tu sia come le corda per una chitarra, una lampadina per una lampada, come l’acqua per un calorifero, come il tappo per una bottiglia. Più che essere necessari sono ovvi. Appena penso a me stessa mi vieni in mente tu, è qualcosa di immediato e incontrollabile; poi sì, sono inutile senza di te, ma io lo sono sempre, sempre. E credo che te ne accorgerai quando dopo in mio funerale non cambierà la vita di nessuno. Nemmeno la tua, fidati, anzi ti prego.
 
 
Amore e libertà a tutti.  

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