Last Flowers

di Lauretta Koizumi Reid
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 

It's too much
Too bright
Too powerful

Too much
Too bright
Too powerful


Troppo intenso
Troppo potente
E' troppo
Troppo intenso
Troppo potente







Il vento soffiava forte tra gli alberi di quel triste cimitero, producendo un rumore cupo e sordo.
 
Un rumore che si mescolava ai singhiozzi di una ragazzina piegata sul freddo marmo di una semplice tomba; ella sembrava immune ai brividi che avevano percorso le spalle di chi era stato con lei fino a poco fa.
 Un rumore che alle orecchie del giornalista Bernard Chatelet risultava insopportabilmente penoso.
 
- Povera fanciulla... che morte orribile da affrontare, e quale cattiveria! - sussurrò.
- Non me lo dite, Monsieur Bernard... - rispose un popolano col cappello di paglia.
- Credetemi se vi dico che sono ancora sconvolto....possibile che altre all’incresciosa ricchezza dei nobili si possa aggiungere anche tutto questo orrore?
-Eh si.... Signore Dio, una povera figliola di appena tredici anni, lasciata sola così...
Bernard strabuzzò gli occhi.
- Tredici? Possibile? Io gliene avrei dati almeno sedici!
- Monsieur, certe esperienze sembra che facciano crescere anche fuori, oltre che dentro.
- E ditemi, ditemi, qual è il nome della ragazza?
- Rosalie.
 
Rosalie, ripeté il giovane come un automa, mentre il popolano che gli aveva risposto si allontanava.
Bernard osò avvicinarsi a quelle spalle in preda a convulsioni e le scosse leggermente.
 
- Ragazzina, per quanto tempo pensi di rimare qui? Prenderai freddo...ho pensato io a pagare la sepoltura. E per quanto sia doloroso...per quanto tu possa rimanere qui...i morti non ritornano in vita.

Rosalie alzò lo sguardo molle di lacrime verso il giovane. Quegli occhi così innocenti, puri, azzurri, e pieni di dolore strinsero il cuore di Bernard.
- Se hai qualche difficoltà, sono sempre disposto a darti una mano. Mi chiamo Bernard Chatelet - disse con un improvviso timore - e faccio il giornalista qui a Parigi.
La ragazza abbassò gli occhi per un secondo. Le mani, che stringevano un fazzoletto consunto e giallastro, iniziarono a tremare. Sussurrò qualcosa che Bernard non afferrò.
- Come hai detto?
- L’ammazzo...

Bernard si chinò verso quel volto nascosto, ed evitò per  poco una testata, perché la bambina si era sollevata da terra e con forza l’aveva stretto tra le braccia, in punta di piedi sulla sue povere scarpe, urlando, con voce ormai arrochita, che avrebbe ammazzato tutti i nobili. Tutti! La forza della sua disperazione era inimmaginabile. Bernard l’abbracciò ricambiando il suo dolore.
Ma dopo un po’ Rosalie, conscia del gesto, si staccò.

- Vogliate scusarmi. Non farò più una cosa del genere.
- Io... - mormorò Bernard, come paralizzato. Un fiume di ricordi gelidi e duri si insinuavano nella sua mente, ricordi di un infanzia rubata e di un amore negato, un rumore incessante di acqua e di urla.
 
Ricordi che aveva rimosso e che ora tornavano ad ossessionarlo.
 
Chi è stato ad urlare quella frase? E’ stata Rosalie....o io?
 
- Io vado. Vi ringrazio ancora per tutto ciò che avete fatto. Per avere onorato la sepoltura di mia madre. - disse Rosalie rivolgendo la mano verso la tomba. -  Non c’è nulla ora che possiate fare per me. Me la caverò. Propri oggi ho trovato un buon posto al negozio di Madame Bertin, inizierò domani.
La giovane fece un inchino rispettoso e lasciò Bernard, camminando su passi malfermi.
Egli voleva dire molte cose ma non ne trovava il coraggio e la forza.
 
Solo molto tempo dopo, quando fece ritorno alla propria dimora, sbattè convulsamente il bicchiere sul tavolo, lasciando schizzare l’acqua sopra il giornale che leggeva e lanciò un grido di rabbia.
 
Come ho potuto lasciare quella ragazza da sola? Come ho potuto, quando so esattamente cosa ha passato? Sono un idiota, uno stupido e un incosciente!
Si reggeva a malapena sulle gambe! E dice di avere trovato un lavoro: ma come posso essere sicuro che sia così? Parlava di un negozio della Signora Bertin: mi recherò li e la troverò.
Oh, ma perchè me la prendo tanto a cuore? E’ solo una popolana come le altre.
Io ho già fatto quello che potevo per lei....
Possa venirmi un male! Non riesco a darmi pace.
Così piccola e così...bella! Persa nel mondo...
Rosalie!
 
Bernard si recò davvero al negozio di Madame Bertin, la quale fece notare, con aria seccata, che la giovane non si era presentata sul posto di lavoro, benchè avesse insistito molto e con molto garbo per averlo, e che, Monsieur, il lavoro al giorno d’oggi non è cosa da prendere con tanta leggerezza, specie per una plebea.
 
Il giovane camminò molto per le vie di Parigi, con un vuoto nel cuore, sperando di intravedere, in qualche vicolo o in qualche piazza, quella incolta coda di capelli biondi mossa dal vento, ma ciò non avvenne.
Una cosa era certa: non avrebbe più lasciato che una cosa del genere accadesse, che la miseria avesse trascinato altri innocenti nelle spire della perdizione, del male, del vuoto.

Avrebbe aiutato il popolo, come era sempre stato suo desiderio, dovesse anche macchiarsi di una qualche colpa.

Pensò a questo, mentre con aria desolata, calpestava sulla pietra della strada una vecchia pagina di un romanzo illustrato per bambini, in cui un eroe mascherato riportava la giustizia e la pace in un mondo che non aveva ormai pietà nemmeno della pietà stessa.

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Premessaaaa leggete!!!
Allora, pur avendo letto attentamente il manga, non ho ancor capito se Bernard avesse o meno avuto coscienza dell’identità di Rosalie nel momento in cui la rapisce. Ma dato che questa è una fan fiction e l’invenzione è perdonata ^^, farò come se Bernard non ci fosse arrivato. Ok, ora potete leggere!
ps: questo capitolo è molto riassuntivo, ma non volevo integrarlo con l’altro altrimenti veniva lunghissimo...spero piaccia lo stesso e come ricompensa non mi farò attendere molto per il prossimo!




 

 

 
Cause I can't face the evening straight
And you can't offer me escape
Houses move and houses speak

E non riesco ad affrontare bene la serata
E non puoi offrirmi una via di fuga
Le case si muovono e le case parlano

 

 

Quando Bernard, anni dopo quella terribile serata, cercò di ricordare che cosa avesse visto o sentito come prima cosa, avrebbe giurato non ricordarlo. Non seppe mai.
Aveva sentito prima lo sparo nel buio o il soggetto che gli aveva sparato? O prima di ogni cosa aveva avvertito  il dolore lancinante al petto, come se un tizzone acceso gli si fosse piantato nel collo?

Troppe cose erano accadute quella notte.  
E non poteva credere ora di stare giacendo su di un letto, ricco di morbide coperte, con una fascia sanguinante sotto i vestiti umidi, mezzo addormentato e altrettanto sconvolto.
Prima era stato smascherato, come un idiota, da un generale donna e dal suo fido compagno, a cui aveva inflitto in colpo omicida all’occhio sinistro: un gesto repentino, dettato dalla disperazione, che aveva aggravato la sua già precaria situazione. Un gesto di cui si era immediatamente pentito.
Sciocchezza numero uno.

E poi, senza quasi sapere cosa stesse facendo, con la vista annebbiata,  si era recato al domicilio del soldato donna e aveva rapito la prima persona che gli era capitata a tiro, una fanciulla bella e dall’aria nobile, vestita con una semplice vestaglia notturna. La ragazza era svenuta tra le sue braccia e nel freddo nero della notte  non aveva nemmeno visto chi era: e che cosa importava? Una nobile come le altre. L’unica cosa di cui si era reso conto era identità di quella soldatessa. Era Oscar François de Jarjayes, e lui l’aveva conosciuta come un personaggio di notevole importanza a corte. Proteggeva la regina da un decennio, oramai. Era la sua cagnolina, la bambolotta di ferro che quella maledetta austriaca viziata usava per proteggere i suoi preziosi e i suoi bei vistiti.
Sciocchezza numero due.

E ci si metteva anche il rapimento.
Sciocchezza numero tre.

Aveva affidato la ragazza nelle mani di un alleato facendogli promettere che non le avrebbe fatto del male. Non voleva certo compiere la sciocchezza numero quattro.
Non appena Bernard aveva messo la ragazza in braccio al compagno facendo dietrofront, ella si era svegliata, spalancando i suoi enormi occhi e urlando a pieni polmoni. Era stata sbattuta malamente dentro la cella, mentre Bernard era rimasto paralizzato poco vicino.
Quella voce la riconosceva.
Quelle urla.
 
Quei capelli biondi.

 
Aveva già preso tra le braccia quelle ragazza.
Rosalie.
 
Rosalie?
 
Com’era possibile? E in casa di una nobile?
Poteva essere morta. Poteva essere diventata un prostituta.
 
La ragazzina della tomba.

Le gambe avevano iniziato a tremagli e le case circostanti avevano cominciato a girare come in una trottola impazzita. Si era seduto per riprendersi.  
No.
Non poteva fare del male a Rosalie. Ne’ tenerla prigioniera. Ma come avrebbe fatto dunque? Poteva liberarla. Ma poi?
Sciocchezza numero quattro, alfine sei giunta. La ragazza rapita è una fanciulla innocente di cui non ti sei mai dimenticato.
Poche ore dopo, anche il generale de Jarjayes era finito dentro con la ragazza, e  a quel punto Bernard aveva capito che la circostanza era irrimediabilmente fuori dal suo controllo. Ora era davvero nei guai. Non c’era scampo.  
 
La situazione era degenerata per davvero.
Era finito catturato, umiliato e spogliato della sua maschera. Ma soprattutto, un colpo micidiale gli era arrivato sulle spalle mentre lottava contro quell’odiosa, schifosa, nobile soldatessa. L’ultimo ricordo era stato un viso terrorizzato che stringeva senza convinzione, ma con grande ardore, una pistola.
Ora era nella casa di Oscar, in quell'accidenti di letto, fasciato e pulito. Ma giaceva senza più forze, consapevole che la sua fine poteva essere vicina.
 
  

Mamma.
Mamma, smettila di cantare. Devo parlarti.
 
Ho accecato un uomo. Ho rubato soldi....A chi non se lo meritava? No. A chi se lo meritava.
Mamma perchè l’acqua era così fredda? Sei morta in estate.
Volevo morire con te.
Anzi, no. Io volevo vivere.
 
Mamma, stacca le mani dl piano.
Io mi sono staccato da te nella Senna perché non era quella la mia tomba.
E tu volevi tenermi con te.
 
Vattene.
Non guardarmi più con quel tuo sorriso crudele.

 
Mamma, salirò sulla ghigliottina.
Prendi la mia testa quando cadrà e cullala di nuovo. 

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Capitolo 3
*** 3. ***


If you take me there you'll get relief
Relief, relief, relief...

 
Se mi porti ne trarrai sollievo
Sollievo, sollievo, sollievo...

 
 
Era mattino, ormai. L’alba schiariva il cielo e iniziava a scaldare con calma la città.
Rosalie, con un lieve sbadiglio, entrò in punta di piedi nella stanza debolmente illuminata, con in mano tutto l’occorrente per medicare la ferita.

La ferita che aveva inflitto lei stessa ad un uomo per salvare il suo Signor Oscar.
 
 
Si era innamorata senza speranza di Oscar qualche anno fa, pur sapendo che il suo cuore era un inaccessibile porta di ghiaccio, si era innamorata perché le aveva salvato la vita e perché nessuno, che sapesse, resisteva al suo fascino. Nemmeno la regina, nemmeno Andrè, nemmeno la sua povera sorellina Charlotte, nessuno.

La sua vita con Oscar e con i Jarjayes era stata felice e disperata, aveva vissuto mille avvenimenti, e non da ultimo, era stata ricattata per vivere con la sua vera madre, la contessa di Polignac, l’unica persona a corte che odiasse Oscar. Ma anche una volta che l’inghippo era stato risolto e Rosalie aveva trovato il coraggio da scappare da quella matrigna, che altro non voleva se non darla in moglie ad un uomo potente, non aveva trovato invece il coraggio di tornare dai Jarjayes, ne’ di far sapere loro dove sarebbe andata.
In un pomeriggio di neve e di freddo, aveva deciso di ricominciare.
 
Un’altra volta.
 
Lontano da Versailles, dai nobili, da Oscar: la donna - uomo che non l’avrebbe mai potuta amare.
 
Al mercato della verdura si era trovata benissimo: una buona donna l’aveva presa a vivere con lei per dividere l’affitto troppo alto, e anche se i prezzi e il carovita erano ogni giorno più duri, Rosalie non aveva mai mancato di allungare una carota o una mela a un bambino che girava da quelle parti sull’orlo dello scorbuto.
Era passato poi qualche tempo e la sua vita sembrava aver trovato un equilibrio: era rassicurante svegliarsi al mattino alle cinque, ora che iniziava a fare più caldo, chiudere le parte del negozio alle sette e preparare zuppe con le verdure che talvolta cadevano per terra o avanzavano.
Non le importava che le sue mani si stessero rovinando per il lavoro: come le sembrava lontano Versailles, la regina, e Oscar! Le aveva quasi dimenticate.

Quasi. Diversi gentiluomini, ammirando la bellezza giovanile ma adulta della fanciulla, i suoi modi rassegnati ma onesti, e il suo bellissimo viso, le offrivano omaggi, dai fiori alle brioches. Ricevette persino qualche lettera d’amore, ma Rosalie, non conscia della sua bellezza, non ci fece mai troppo caso e si limitava a ringraziare con gentilezza.
Senza contare che il suo cuore era ancora troppo fragile per pensare di accoglierci qualcuno di nuovo.

Poi nell’arco di due giorni era successo di tutto: Oscar ospite da lei dopo un’ aggressione, la speranza di poter ritornare a casa Jarjayes, e poi il suo rapimento di cui ricordava poco o nulla, e  lo sparo....
 
Nella confusione generale dopo lo sparo, mentre il Cavaliere Nero era caduto di peso a terra, Rosalie, sotto shock per il gesto appena compiuto, aveva visto il signor Oscar aggredire l’uomo mascherato per impartirgli lo stesso colpo che aveva tolto, poco prima, la vista all’occhio di Andrè per sempre.
Oscar non si era incollerita in quel modo mai, nemmeno con la Polignac.
Andrè, con grandissima forza d’animo, le aveva impedito di colpire il cavaliere, perché non avrebbe lasciato mai che la sua ombra, Oscar, commettesse un gesto tanto insensato per lui.
Oscar non era mai stata tanto furiosa. Tanto passionale. Oscar voleva vendicare Andrè: il suo Andrè.
Quel possessivo, urlato dalla donna, aveva sciolto il cuore di Rosalie, ed ella non aveva detto più una parola per tutto il viaggio di ritorno a casa.
La notte era fredda, la mano con cui aveva retto la pistola bruciava, sentiva a malapena la parole di Oscar e di Andrè che tentavano di rassicurarla. Andrè aveva la fronte imperlata di sudore, perché avevano caricato il corpo inerme del Cavaliere Nero sulla carrozza. Non potevano lasciarlo lì, o sarebbe morto. L’avrebbero tenuto prigioniero per saperne di più, forse l’avrebbero salvato, e in ogni caso la sua identità era stata già svelata da Oscar.
Ma come già detto, Rosalie non sentiva. E non era perché lo sparo l’aveva insordita.
 
Era stata messa di fronte a qualcosa.
All’amore? Rosalie sapeva cos’era.
Forse non sapeva a fondo chi erano Oscar e Andrè, però quella scena le aveva finalmente chiarito tutto: Oscar e Andrè si amavano di un amore totale... a quel punto ne era certa, e mai come in quel momento la realtà dei fatti era così facile da capire... ma anche da accettare.
 
 
Rosalie tornò lentamente alla realtà.
Si avvicinò all’uomo supino nel letto e quando lo vide in viso, poco mancò che le cascasse sul piede la teiera che aveva riempito di acqua bollente.
 
Quell’uomo!
 
Ma quell’uomo era....
Era...
 
Il nome le salì repentinamente in punta di lingua come un conato di vomito.
Bernard.
 
 
...Bernard Chatelet, e faccio il giornalista a Parigi...
 
Era lui, era proprio lui!
Il ragazzo che aveva stretto tra le braccia quando la madre era morta, l’unico uomo che l’avesse trattata come quello che era, una bambina disperata che non aveva più nulla da perdere, una persona gentile dai profondi occhi che le aveva offerto aiuto. Nonostante fossero passati almeno dieci anni, lo ricordava perfettamente.
Durante la sua permanenza al mercato della verdura di Parigi, non aveva più incontrato Bernard. Quando alcuni giovani ragazzi facevano i cascamorti con lei vantandosi di essere giornalisti o letterari, freschi laureati dalle idee rivoluzionarie, Rosalie tornava a pensare a lui con curiosità e tristezza, senza però avere il coraggio di chiedere se lo conoscessero.
 
E invece altro che giornalista.
 
Era il cavaliere nero.
 
Ed era in un mare di guai.
Sarebbe morto.
 
Rosalie non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò in un pianto silenzioso e singhiozzante.
Piangeva perché ancora una volta la sua vita era cambiata ed il passato era tornato a fare i conti con lei.
Avrebbe mai trovato una stabilità nella sua vita? Prima era una povera e remissiva bambina, poi un’assassina mancata,  poi la sorellina adottiva di un Oscar François de Jarjayes di cui tra l’altro si era innamorata, poi la figliastra di un’ altra sporca nobile, poi una commessa gentile del reparto frutta e verdura al mercato di Parigi, poi di nuovo a casa Jarjayes...
Sentì come se tutte le Rosalie di quei venti anni si fossero unite in quella stanza semibuia.
 
Ma ora chi era? Cosa voleva? Dove sarebbe andata?
 
L’uomo aveva mugolato qualcosa nel sonno e Rosalie si era avvicinata con un sorriso, asciugandosi coraggiosamente le lacrime e cercando di dimenticare tutta quella confusione. Con il suo animo altruista e generoso, pensò che quell’uomo doveva soffrire molto più di lei.
Si era svegliato. Mugolava qualcosa.
 
- Ah, Bernard, non dovete parlare. Tranquillo, vi è già stato estratto il proiettile. - esordì Rosalie piano.
Bernard la scrutava con occhi vitrei.

Rosalie continuò a guardarlo con espressione dolce.
- Vi prego di perdonarmi, non immaginavo che il Cavaliere Nero foste voi. Pensare che mi siete stato tanto vicino quando è morta mia madre...perdonatemi!... - disse, mentre le tremava la voce.
Bernard fece finalmente per rispondere, per la gioia della ragazza, ma in quel momento entrò Oscar e litigò aspramente con l’uomo, il quale, ritrovate le forze, espresse con tutta la forza del suo odio il proprio disprezzo per i nobili, la loro assurda ricchezza contro l’assoluta povertà del popolo. Parlò di Robespierre, il suo eroe. La disputa ebbe termine poco dopo, ma Bernard era stanco e iniziò a impallidire e a tossire.
 
- Bernard! Dovete riposare! - esclamò Rosalie avvicinandosi -E poi non dovreste parlare a quel modoi!
Oscar la guardò per un attimo,  forse sorpresa che Rosalie si rivolgesse a lui con tanto coraggio, poi se ne andò.
Bernard, col sudore sulla fronte, si addormentò. Rosalie gli fece tutto ciò che doveva: cambiò la fascia e le bende, tolse i rimasugli di sangue, sistemò le coperte e invertì il cuscino dall’altra parte perché la testa di Bernard fosse più fresca. Nel sollevare quella testa arruffata e affascinante per rivoltare il guanciale, Rosalie ebbe un tuffo al cuore.
Ma soprattutto provava qualcosa’altro, da quando era entrato il signor Oscar.

Un sensazione strana e pungente dentro il petto, dietro la schiena.
Qualcosa che le dimezzava il fiato.
 
Era fastidio.
 
Possibile?- pensò la ragazza - io, ho provato fastidio quando Oscar è entrato? Io?
Eppure era così. Oscar era rientrata di nuovo nella sua vita nonostante i suoi coraggiosi e disperati tentativi di dimenticarla. Voleva ricominciare e ora stava tornando indietro. Sentiva di avere paura di ricascare di nuovo in un amore impossibile, proprio ora che di nuovo aveva avuto la riconferma che nulla della favola che aveva sognato anni fa poteva essere vero.

Guardò a lungo la mano di Bernard, adagiata sulle coperte a sfiorare la propria.
E si fermò lì per un po’.
 

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Capitolo 4
*** 4. ***


 
- Su Bernard, ora cambiamo le lenzuola! - disse Rosalie il giorno dopo, avvicinandosi al letto.
- No! - protestò l’uomo tirandosi su le coperte fino alla testa. Aveva appena avuto una discussione feroce con Oscar, ed era particolarmente nervoso.
- Siete tutto sudato, e l’umidità non fa bene alla ferita! - insistette la bionda fanciulla.
- Ho detto di no! Non serve! Vattene! - gridò di nuovo Bernard. Quel giorno sembrava anche aver perso anche il rispetto e la pazienza verso le donne...quelle vere.
Rosalie, con un sorriso sotto i baffi, gli tirò d’un colpo le coperte di dosso.
- Su, fate il bravo e obbeditemi! - incalzò, mentre Bernard strillava più che mai.
Con la coda dell’occhio la ragazza osservò che Oscar li stava guardando con uno strano sorriso, a metà tra il divertito e lo stupito.
 
Era forse la prima volta che Oscar vedeva Rosalie tanto indipendente e audace: in una situazione normale forse la ragazza non avrebbe avuto il coraggio di essere così risoluta, specie con un uomo sconosciuto; ma se aveva capito bene dalle parole di Andrè, Rosalie conosceva Bernard. Egli aveva pagato, dieci anni prima, la sepoltura alla madre di Rosalie, e le era stato vicino durante la cerimonia funebre.
Capì che ora lei doveva essere stata molto delusa dal fatto che un uomo all’apparenza così buono, si fosse macchiato di una colpa che era perseguibile davanti alla legge, una colpa che gli sarebbe costata caro.

Eppure...pensò Oscar, mentre si dirigeva verso il padre che era appena ritornato, i suoi argomenti erano giusti, per quanto troppo accesi dalla passione verso Robespierre e privi di un ragionamento logico ferreo; era diventato un ladro, sì, ma fino a che punto lo era?
Non si era sentita forse più ladra lei, quando aveva visto le condizioni dei popolani a Parigi e della stessa Rosalie? Che avesse ragione lui? Forse i nobili erano ladri e il popolo schiavo.

Forse la sia azione, benché poco pianificata e rischiosa, era giusta. Giusta.
 
- Padrone, bentornato! - disse la tata, felice, accogliendo il generale Jarjayes a casa - non l’aspettavo così presto!
Oscar si sentì sull’orlo di un baratro. Fino a qualche ora fa non avrebbe fatto altro che consegnare il Cavaliere Nero nella mani della giustizia.
Ma quale giustizia? fu ancora il pensiero tormentato della donna.

E poi... e poi, c’era stata quel siparietto con Rosalie: tanto fugace, tanto insignificante, ma era bastato per farle capire una cosa: non doveva mandare Bernard sul patibolo.
Non ora. Non così. Non per quelle motivazioni.
 
 
Le urla di Oscar e del padre raggiunsero la stanza di Bernard. Rosalie aveva appena completato di cambiare la fasciatura dell’uomo, e gli fissava il petto, che si muoveva ritmicamente su e giù, più veloce del dovuto. Era nervoso. Se Rosalie avesse avuto il coraggio, lo avrebbe toccato per sentire a che velocità galoppava il suo cuore.
- Cosa...cosa sta facendo?
- Oscar? - disse Rosalie riacquistando la realtà - sarà nella sua stanza.
Bernard l’afferrò improvvisamente per una mano.
- Ha l’aspetto di un maschio, ma in fondo è proprio una donna! Si lascia trasportare troppo dai sentimenti...per esempio io ora potrei di nuovo scappare e prenderti in ostaggio. - disse, mentre rivoli di sudore gli scendevano dalla fronte.
- No... - sussurrò Rosalie sgomenta - Oscar ha detto che voi...non sareste mai capace di farmi del male e per questo.. è impossibile che mi prendiate in ostaggio.
Bernard lasciò cadere melanconicamente la mano, sbarrando gli occhi nel vuoto. Ormai era stato sconfitto.
Non c’era più nulla da fare.

Di colpo le coperte pesavano come una zavorra, la luce della stanza si era affievolita, la ferita bruciava più che mai.
Sarebbe morto sulla ghigliottina.
Sarebbe morto per aver cercato di fare la cosa giusta.
Sarebbe morto per aver fatto tante ed innumerevoli stupidaggini.
Forse se non avesse accecato l’occhio di Andrè, nulla di questo sarebbe accaduto. Forse Oscar avrebbe avuto pietà di lui e l’avrebbe ascoltato. Ma così era finita.
Era stato completamente soggiogato da quella donna- uomo che aveva persino intuito il suo affetto per la bionda ragazza che ora lo guardava tremante.

Tuttavia ora Bernard non sopportava più nemmeno lei.
- Vattene! - urlò alzandosi di scatto con  la schiena.
- Come? - sussurrò Rosalie sbarrando gli occhi.
- Smettila di guardarmi così! Tu e quell’altra stupida! Non voglio che abbiate pietà di me! Lasciatemi solo! Voglio essere lasciato in pace!!
Rosalie fece dietrofront e corse via dalla stanza, sbattendo la porta alle sue spalle.
I suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, mentre la voce di Oscar riempiva la sua testa.  
 
Non piangere così spesso, Rosalie, ti si seccheranno gli occhi, e poi non potrai più piangere per le cose serie! Sei troppo facile alle lacrime, piccola cara! Quando ti viene voglia, inizia a cantare e vedrai che andrà meglio!
 
La ragazza si diresse al pianoforte, con una morsa gigante che le opprimeva il petto, quella stessa morsa che tante volte l’aveva presa in passato e da cui voleva fuggire. E invece anche stavolta era lì, presente.  
Vattene,pensò Rosalie, vattene via da me.
Iniziò a suonare, senza ricordarsi che la stanza dove si trovava il piano era adiacente a quella del suo prigioniero capriccioso.
Cantava una canzone composta dalla regina, allegra e dolce:
 
C'est mon ami, rendez.le.moi,
J'ai son amour, il a ma foi,

È il mio amico, datelo a me,
Io ho il suo amore,lui ha la mia fede,


Bernard, tra i singhiozzi convulsi che gli provenivano dal petto senza sosta, sentì una voce altrettanto tremante e singhiozzante provenire dalla sua sinistra. Cercando di contenersi per ascoltare meglio, capì che era Rosalie che cantava. A quell’ora di sera. Cantava qualcosa di allegro.
 
Stupido, stupido idiota - pensò, mentre si accarezzava la fasciatura. - come ho potuto trattarla così? Lei, che non ha fatto altro che aiutarmi....certo, a volte quel suo sguardo compassionevole mi irrita...
Forse mi irrita perché l’ho già visto da qualche parte.
Si è così. Lei ci somiglia.
Tanto.
Somiglia alla donna che aveva deciso di porre fine alla mia vita. Somiglia a mia madre.
Ho paura di Rosalie, perché ho paura che un suo rifiuto mi trascini di nuovo giù, come è successo con mia madre. Nell’acqua della Senna, nel baratro della morte, nel buio dell’infelicità.
Ripensò al momento i cui lei si era scusata per avergli sparato, al suo sorriso mentre cercava di non fargli male, al rossore delle sue guance quando gli tirava via le coperte.
Alle sue braccia che l’avevano avvolto dieci anni fa. Poteva esserci un confine tanto labile tra l'odio e l'amore?
Anche io vorrei ammazzare i nobili, Rosalie.
Ma tu sei molto più coraggiosa di me.
Io sono solo uno stupido.
E sono innamorato di te.


 
Rosalie aveva cambiato la canzone al pianoforte. Ora cantava qualcosa di molto più triste.
 
Plaisir d'amour ne dure qu'un moment.
chagrin d'amour dure toute la vie.
 
La gioia dell'amore non dura che un momento,
La pena d'amore dura tutta la vita.

 
Rosalie picchiò le mani su tasti ancora più forte, ma non riuscì più a cantare. A causa delle dita affaticate ora le note stonavano di brutto e decise di smettere. Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale.
- Rosalie.
La ragazza sobbalzò sulla sedia soffocando un urlo.
In piedi davanti a lei c’era Bernard.
 
- Dio del cielo, siete impazzito? Tornate subito a letto! Potreste svenire! Non avete ancora le forze!
Ma Bernard non si scostò di un centimetro da dov’era e Rosalie dovette spingerlo con tutte le sue forze, invano.
- Vi prego! - continuò imperterrita.
Stavolta fu Bernard a metterle la mano sulla spalla, con un tocco ben diverso da prima. Rosalie osservò quella mano forte e grande su di se’ e con il restante coraggio che aveva, lo fissò negli occhi.
- Dovete scusarmi, Rosalie. Scusatemi per avervi trattato in quel modo, non ve lo meritate. Siete una giovane coraggiosa, bella e dall’animo gentile. Non è colpa vostra se mi avete preso e sparato, cercavate di fare quello che era giusto. E’ solo che... che...ho paura, capite? Il mio reato è punibile con la morte.
Rosalie si sorprese che l’uomo si rivolgesse a lei con tanto rispetto e dandole del vous, ma capì che lo faceva per dare più impatto alle sue parole. Che comunque l’avevano sconvolta. La pena di morte? No, non era possibile.
 
- Io... io... - balbettò. Era incantata di fronte al profondo blu degli occhi di Bernard, contornati da venuzze rosse.
Che avesse pianto?

- Io vi perdono, certo. - disse dopo qualche secondo. - Ma fatemi il piacere, tornate a letto! Se Oscar vi vedesse qui! Siete troppo debole, datemi ascolto!
Bernard annuì e si diresse di nuovo in camera. La testa gli girava. Ebbe difficoltà a sistemarsi nel letto, ma Rosalie gli stette accanto e gli riavviò le coperte.
- Oh Bernard... il signor Oscar è una persona molto clemente. E ragionevole. Se litigava prima con il generale Jarjayes suo padre, forse è proprio perché non vuole che andiate al patibolo.
Bernard la guardò.
- Forse me lo merito, Rosalie.
La ragazza scosse la testa.
- Non ve lo meritate più di quanto non se lo meritino altre persone. Voi avete ragione su tutto, Bernard. Io posso essere stata fortunata ad essere divenuta parte della famiglia Jarjayes, ma il mio cuore torna sempre nella povertà in cui ho vissuto e nella quale vivevo fino a poco tempo fa. Io non sono una nobile, e non lo sarò mai. - disse pensando anche alla madre immeritevole che l’aveva partorita.
- Avete una storia complessa, non è vero? - sussurrò l’uomo.
Ella si alzò dal letto su cui si era appoggiata incrociando le braccia.
- Si. Ma ora debbo andare. Un giorno forse... ve la racconterò.

 
Entrambi provavano angoscia a pensare: “se un giorno ci sarà.”
 
 
  



 
 
 
Note dell’autrice: Le due canzoni che canta Rosalie sono autentiche. La prima è un canzone composta dalla regina Maria Antonietta, la seconda è una popolare ballata romantica del periodo pre-rivoluzione.
Io faccio ricerche, cosa credete ahahaha! XD 

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Capitolo 5
*** 5. ***


And if I'm gonna talk 
I just wanna talk 
Please don't interrupt 
Just sit back and listen


E se starò per parlare
Vorrò solo parlare
Per favore non interrompere
Soltanto siediti e ascolta


 
 
Il ticchettare della pioggia di quella mattina svegliò Rosalie prima del previsto.

Ella si rigirò cercando di dormire almeno un altro poco, ma dopo un po’ si rassegnò e scese dal letto. Sapeva che da lì a qualche minuto si sarebbe recata nella stanza di Bernard per cambiargli la fasciatura, e la cosa, per la prima volta, la fece sentire strana. Guardò fuori dalla finestra e pensò che la pioggia in quel periodo dell’anno era bella, perché donava frescura e sollievo, ma era anche odiata dai bambini, poiché forte, piena di lampi e di tuoni.
Ora Rosalie si sentiva proprio come quella pioggia: contrastante, opposta, dalla duplice natura; da un lato, non vedeva l’ora di rivedere Bernard, dall’altra avrebbe preferito che qualcun altro andasse a spogliarlo e a cambiarlo. Ora provava una stretta allo stomaco terribile, i suoi battiti erano accelerati, il respiro corto, eppure lo specchio della sua modesta camera non faceva altro che restituirle un viso sorridente e dalle rosee guance.
 
- Molto bene! - rise poco dopo, mentre toglieva la vecchia garza a Bernard e questo rabbrividiva - se continua a rimarginarsi così guarirete molto presto! Certo che ho una mira niente male! - aggiunse.
Cielo, ma che dico? Quale parlantina mi prende di primo mattino? pensò dopo, mentre continuava a sorridere imbarazzata.
Poi Bernard parlò.
 
- Rosalie... sai, tu.... mi ricordi tanto mia madre... -
 
Dimentico di qualsiasi cosa, Bernard parlò per minuti interi di una vicenda che colpì Rosalie tanto profondamente da darle i lucciconi agli occhi. Anche lei si scordò di tutto, di ogni sua resistenza, di ogni sua timidezza, e si sedette sul letto, ascoltando un ricordo di abbandono e di tristezza, di voglia di vivere contro un amore di morte.
Alla vista del pianto di Bernard, la ragazza trovò il coraggio di allungare una mano verso il volto dell’uomo, scoprendo che non avrebbe potuto staccare quel contatto nemmeno se lo avesse voluto. La sua guancia era talmente calda... e se prima le batteva il cuore forte, ora era talmente veloce da assomigliare a un mormorio piuttosto che a una vera sequenza di battiti.
 
Bernard trasalì al tocco di Rosalie, scoprendo che ormai non avrebbe più potuto resistere oltre.
Le afferrò una mano e la guardò negli occhi.
- Quando incontrai quella ragazza che con tutte le forze diceva di voler ammazzare i nobili...nonostante siano passati più di dieci anni.... io non sono mai riuscito a cancellare dalla mente il suo ricordo...Rosalie...
 
- Permetti che io ora... mi innamori di te?
 
Rosalie non ebbe più la forza che quella di annuire.
Lasciò scorrere le lacrime sul viso.
Ora, Signor Oscar, come vedete, piango per un motivo.
Ma non pensò più a nulla, ne’ tantomeno ad Oscar, quando Bernard la spinse contro di se’. Egli avvertì il calore angelico di quel corpo e il suo lieve tremito, e pregando con tutte le sue forze, avvicinò il suo viso a quello della giovane. La mente di Rosalie, di solito sempre occupata da mille pensieri, era per la prima volta un baratro silenzioso di mille sensazioni mentre Bernard appoggiava infine le labbra contro le sue.
Si ritrovò a ricambiare quel bacio ancora più intensamente, più profondamente, senza mai sapere con esattezza quando entrambi, infine, si staccarono con un impercettibile schiocco e si sorrisero.
 
Ma la sensazione durò poco.
I loro occhi appannati d’amore e di fresca passione infine ritornavano a vedere, e ciò che vedevano nella fattispecie era un amore impossibile che non avrebbe avuto seguito.
Rosalie corse via dalla stanza di Bernard, con appena la forza di ricordare di portarsi con se’ le garze e la vecchia fasciatura .
Nessuno dei due riuscì a pensare a nulla di concreto o di logico per tutto il giorno, poiché sotto il loro naso era rimasto l’odore dell’altro, e quella fragranza mai provata spense ogni tipo di relazione normale con il mondo.
 


 
Bernard si svegliò di soprassalto molte ore dopo.

Aveva di nuovo fatto quel sogno, il sogno dell’orologio. Da quando era prigioniero in casa Jarjayes, l’incubo che lo tormentava era un orologio a pendolo, riccamente decorato, tipico oggetto nobiliare, e una voce possente che gridava: che ore sono?
E me lo chiedo anche ora, pensò il giovane strizzando gli occhi, che ore sono?
Ma forse aveva strizzato gli occhi un po’ troppo forte, perché giurò di aver visto una luce dietro la porta.
Si alzò bruscamente rischiando di collassare, e si ritrovò faccia a faccia con Rosalie, che alla luce della candela appariva inquietante ma bellissima come sempre.
 
Nessuno dei due parlò.

Poi, terrorizzata, Rosalie si inchinò, con i capelli paurosamente vicini alla fiamma della candela.
 - Perdonatemi Bernard, vi prego, non comprendiate male, non vi stavo spiando! E’ solo che non riesco a dormire, e volevo...
- Rosalie.... - mormorò Bernard, mentre la saliva in bocca iniziava a ritirarsi come una marea, lasciandolo con le labbra secche - ...che ore sono?
- Quasi le sei, Bernard. - rispose lei, stupita ma sollevata di una domanda così banale.
- Portami a vedere l’alba, Rosalie.
 
 
Erano arrivati su un balcone di casa Jarjayes senza dire una parola, ma perfettamente consapevoli l'uno dell'altra. L’uomo si sedette e aspettò. Lei non riusciva più a sopportare una situazione del genere, e decise di parlargli.
- Bernard, in merito a quello che è successo ieri... - esordì, sentendo già la voce incrinarsi.
- Rosalie - la interruppe lui, senza staccare gli occhi dall’orizzonte - mi dispiace che debba finire così. Sono innamorato di te ma sono condannato dalla tua famiglia. Non è una situazione che possa combaciare. Ma se debbo morire muoio contento, perché so di aver provato almeno per una volta le gioie che può dare un amore. Avrei voluto più tempo. Ma è evidente che il destino si accanisce.
- No! - esclamò Rosalie, rischiando di svegliare qualcuno e riuscendo a strappare gli occhi di Bernard da quel punto indefinito che stava fissando -  io non voglio tutto questo! Bernard... - e qui Rosalie, più che mai rossa in viso e più che mai sul punto di piangere si inginocchiò accanto alla sedia dell’uomo - anche io sono innamorata di voi. Lo sono da quando siete entrato in casa Jarjayes. E sono pronta a tutto perché voi non subiate alcuna pena. Andiamocene, fuggiamo! Posso farlo. Sono parte di questa famiglia. Io voglio farlo, ahimè, dovesse significare qualunque conseguenza per me!
- Ovvero saresti pronta a rinnegare questa famiglia? A fuggire con un reietto per amore mordendo a sangue la mano che ti ha nutrito e salvato? - sussurrò Bernard osando ancora avvicinarsi a Rosalie più di quanto la ragione glielo raccomandasse.

Lo sguardo di Rosalie si indurì di una passione cieca ma consapevole.
- Sì.
 
Il sole stava sorgendo.

Un cesto di vimini della migliore mercante di Parigi non avrebbe forgiato mai una trama così salda come quella composta dalle dita intrecciate di Bernard e Rosalie, la loro mani, strette in una promessa.
- Rosalie...
- Si?
- Raccontami la tua storia, adesso.
 
 

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Capitolo 6
*** 6. ***


“Cos’avranno ancora da discutere a voce tanto alta, quei due...?” pensò Rosalie, mentre portava la colazione nella stanza di Bernard.
 
Era sorto il giorno, e dopo quelle ore d’incanto che Rosalie e Bernard avevano trascorso sul balcone, mentre l’aria si faceva più calda e l’orizzonte si colorava di rosa, entrambi erano tornati nei loro letti, cercando di dormire ancora qualche minuto, inutilmente.
Rosalie era così confusa, e dubbiosa... ma era anche molto decisa. E soprattutto era così felice! Per quanto la situazione fosse complessa, non riusciva a pensare al piacere che dava un amore finalmente corrisposto, alla scarica di contentezza che sentiva nella schiena a ogni bacio, carezza, risata.... seppure quella gioia si fosse limitata a quelle poche ore prima della mattina.
Davanti alla porta, che aprì a fatica a causa del peso del vassoio sul braccio, sentì chiaramente Oscar che redarguiva Bernard, in merito al fatto che se avesse continuato a rubare, lei lo avrebbe cacciato per l’eternità.
Oh, signor Oscar, se sapeste....” pensò, mentre si richiudeva la porta alle spalle.
 
- E poi, - disse la donna scuotendo i lunghi capelli biondi in direzione di Rosalie, che si sforzava in tutti i modi di non guardare Bernard - non potrei mai dare in sposa la  mia cara Rosalie ad un ladro!
 
Bernard, semiseduto sul letto, quasi si strozzò con la saliva che gli era rimasta a metà strada, e cominciò a tossire.
Era talmente sbalordito che non sentì quasi il fragore che provocò Rosalie mentre faceva cadere il vassoio per terra, coprendo i colpi di tosse dell’uomo. Bernard si alzò di scatto in piedi.
 
- Rosalie, - disse Oscar aiutando la giovane ad alzarsi da terra, dove stava rischiando di accasciarsi - Bernard Chatelet non riesce a vivere senza una figura materna. Perciò ha bisogno della tua dolcezza e del tuo amore - aggiunse, mentre Bernard protestava vivamente per la piccola offesa ricevuta - allora che fai? Vuoi seguirlo?
 
Rosalie guardò entrambi, mentre una grossa bolla di gioia le si gonfiava nel petto: incrociò il sorriso quasi materno di Oscar, lo sguardo intenso di Bernard, e la bolla scoppiò. Reprimendo a fatica le lacrime, si precipitò addosso all’uomo, lo circondò con le braccia e iniziò a urlare il suo nome, scoprendo di possedere molta più voce di quanto ricordasse.
Bernard vedeva sfocato innanzi a se’: di colpo non sentiva orologi ticchettare, non sentiva nessun peso sulle spalle e la ferita aveva cessato di scavargli il muscolo. Non aveva quasi fiato, ma riuscì, con voce rotta, e con somma emozione, a chiederla in sposa.
 
 

La sera era scesa sulla Francia.
Nel silenzio infranto solo da qualche schiamazzo notturno o dal suono di qualche volatile nell’aria, una carrozza correva a tutta velocità.
Rosalie guardò fuori dal finestrino e pensò a quante volte aveva percorso quella strada, che portava dalla residenza di Oscar a Parigi.
Bernard le sedeva vicino.
- Dove... dove stiamo andando, ora? - sussurrò la ragazza.
- A casa mia - fu la risposta dell’uomo, che non aveva mai visto Rosalie vestita con abiti tanto belli e non riusciva a staccarle gli occhi di dosso - almeno credo. Non saprei nemmeno dove andare, sennò. Dovrebbe esserci mio cugino Saint - Just, ma fatico a pensare a come deve aver ridotto la mia povera dimora in mia assenza.
Rosalie sorrise.
- Hai sempre vissuto con lui?
- Oh no! Solo che si caccia spesso nei guai... è un po’ una mina vagante. Ora dice di aver scritto un libro, un capolavoro... ma con quel carattere che si ritrova sarà messo all’Indice, minimo.
- Chissà invece casa mia com’è ora... da quando la mamma è morta, non ci ho più messo piede.
- Vorresti tornare lì? - chiese premurosamente Bernard.
- Oh, no, affatto! Io voglio... - e qui arrossì, come suo solito - andare dove vuoi tu. Sarà bellissimo.
Sarà un’altra casa della mia vita, pensò.

Poco dopo, i due camminavano per le strade di Parigi, sporche, puzzolenti, ma sempre più dignitose di come ricordava Rosalie, poiché era evidente che un giornalista poteva permettersi una dimora migliore rispetto a una povera venditrice di frutta. Ora era buio, ma era abbastanza sicura che la sua zona fosse abbastanza lontana. Stringendosi a Bernard, scansò disgustata una pozza di vomito e sbatté contro la schiena dell’uomo che si era fermato di botto.
- Eccoci - sentenziò con un sorriso.
 
 
- C’è nessuno? Saint - just? Ehilà? - esordì Bernard, mentre illuminava con una candela l’ambiente.
Un tonfo, una corsa per gli scalini, e un’esclamazione un po’ troppo vivace fu la risposta. Di colpo l’ambiente si illuminò. Un giovane e bel ragazzo, dall’aspetto forse un po’ troppo femminile, ma con uno sguardo glaciale, si mostrò.
- Bernard! Era ormai mia convinzione che fossi morto, amato compagno! Sarà molto felice Robespierre, quando gli darò la notizia del tuo ritorno! Ti piace la nuova lampada a soffitto? Ho trovato un sistema per far comunicare le candele tra di loro, e indovina? Non ho dato fuoco a nessuno dei tuoi amati libri! E lei chi è? - disse rivolgendosi a Rosalie, un po’ intimorita dall’aspetto ambivalente dell’uomo.

La storia fu raccontata in breve attorno a un tavolo, sorseggiando una tisana calda. A parlare fu quasi sempre Bernard, mentre Rosalie, confortata dalla luce e dal calore della bevanda, circondava con gli occhi il pian terreno della casa. Una stanza semplice, con il tavolo, qualche vecchia sedia. Finestre ermeticamente chiuse con scuri di legno. Pochi quadri di modesta fattura ma molto graziosi. Una piccolissima zona adibita  a cucina. L’unico lusso era rappresentato da un divano verde largo e morbido, forse frutto di quale follia da parte di Saint-Just. Ma ciò che sorprese Rosalie era l’incredibile quantità di libri e giornali sparsi per la casa, addossati in un angolo, aperti su un altro comodino accanto a una bella quantità di candele. Pensò che Bernard, da bravo giornalista, non facesse altro che leggere e aggiornarsi, anche quando l’illuminazione lasciva a desiderare.
- E’ tardi, - sentenziò Bernard. - forse è meglio che andiamo a dormire.
- Cugino, io dormirò sul divano. Cedo molto volentieri il mio letto alla tua promessa sposa, stanotte e in quelle avvenire - disse, strizzando l’occhio a Rosalie, che anche se imbarazzata, sorrise - almeno finché non sarete ufficialmente sposati, cosa mi auguro avvenga al più presto!
Sul volto dei due comparve spontaneamente un altro sorriso, uno dei tanti di quella giornata.
 
Salirono qualche scalino, che portava ad una sorta di soffitta con due porte.
- Buonanotte Rosalie. Ci vediamo domani mattina.
Era una promessa, un progetto, una certezza che scaldava il cuore.
- Buonanotte Bernard.
Ma passò qualche minuto, prima che le due porte fossero chiuse alle loro spalle.
 

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