this is war

di Dessiiii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un sogno che si avvera. ***
Capitolo 2: *** Ehi,da quanto tempo ***
Capitolo 3: *** Colonnello De Martino ***



Capitolo 1
*** Un sogno che si avvera. ***


Capitolo 1

Ero seduto nella saletta d’attesa del centro di arruolamento di Milano, quando ad un tratto da un altoparlante si sentii la voce di uomo dire il numero milleseicentonove, allora mi alzai , salutai i ragazzi con cui stavo chiacchierando e mi diressi verso la porta, erano tre lunghe ore che aspettavo il mio turno, ero ansioso di conoscere la risposta alla mia domanda di arruolamento da quel verdetto sarebbe dipeso il mio futuro. Arrivato davanti alla porta, feci un respiro profondo e bussai due volte, una voce ferma e possente mi disse di entrare, presi coraggio e apri quella porta, mi trovai dentro alla stanza con davanti una grande scrivania di legno e due sedie. Sembrava vuota la stanza ma, dalla poltrona rivolta verso l’ampia finestra che occupava tutta la parete di fronte a me, si alzò un uomo sulla cinquantina d’anni, indossava un uniforme costellata di medaglie, aveva uno sguardo serio, freddo quasi distaccato dal mondo intero, ad un certo punto dopo avermi scrutato da testa e piedi mi disse di accomodarmi mi sedetti su una delle due sedie poste dinnanzi alla sua grande scrivania, sulla scrivania di fianco al computer c’era una targhetta con scritto “conferita con onore al valido e coraggioso capitano Guido Soroldoni”. Dopo qualche istante di silenzio mi comincio a parlare. Lei deve essere Dessì giusto? mi disse, io preso un po’ alla sprovvista gli diedi una risposta secca ,si sono io ,lui allora accennò un sorriso ma torno subito serio, mi disse che aveva bisogno di farmi qualche domanda prima di potermi dare la risposta alla mia domanda d’arruolamento, io gli dissi di si e cominciammo “l’interrogatorio” se cosi si può definire, mi chiese varie cose però si volle soffermare su una domanda che può apparire scontata ma a cui bisogna pensare bene prima di potergli rispondere, si giro verso di me e mi chiese il perché io abbia deciso di arruolarmi nell’esercito, allorché io gli risposi che era il mio sogno fin da bambino fin da quando giocavo ancora con i soldatini con i miei amici, fare il soldato per me era un modo per sentirmi davvero parte della mia nazione, era un modo per difendere chi più amavo era un modo per sentirmi vivo in mezzo ad un mondo di morti che camminavano; a questa risposta lui schiarì in volto e con tono orgoglioso e felice mi disse che ero dentro ,mi diede la fantastica notizia, in quel momento scoppiai di gioia ma senza farmi prendere dal euforia lo ringraziai e gli chiesi quando iniziasse l’addestramento, e il capitano mi rispose che dovevo farmi trovare il diciotto febbraio alle sette del mattino davanti al gate cinque dell’aeroporto di Malpensa direzione Norvegia ,in quel momento non focalizzai bene la situazione, solo dopo mi resi conto che la data della partenza era distante solo tre giorni, salutai il capitano e mi diressi verso la porta quando lui da dietro mi disse mi raccomando Dessì si addestri bene che ci serve un ragazzo come lei a supportare il nostro esercito, gli sorrisi e andai verso i ragazzi con cui stavo parlando prima per dargli la notizia del mio arruolamento però non li trovai, chissà perché, non avevano nemmeno parlato con il capitano, bho che cosa strana pensai, avranno gettato la spugna prima ancora di cominciare? Presi il mio cappotto e una volta uscito dal plesso chiamai un taxi per tornare a casa, diedi l’indirizzo al tassista e durante il viaggio mandai qualche messaggio in giro per vantarmi della mia buona riuscita e informando parenti e amici che dovevo partire fra soli tre giorni per l’addestramento. Arrivato a casa entrai e trovai mia madre seduta sul divano che piangeva siccome lei non voleva che io diventassi un soldato, non voleva che io andassi incontro alla morte, che io rischiassi la mia vita per un pugno d’orgoglio ed un pezzo di ferro sul petto. Io provai a consolarla ma niente non ci riuscivo, solo il giorno dopo si tranquillizzò capendo che quello era il mio sogno e che lo desideravo realizzare più di ogni altra cosa al mondo. Quel giorno passai a salutare gli zii e i cugini che abitavano vicino a me e chiamai mia nonna, come seppe che dovevo partire per addestrarmi a diventare una macchina per uccidere altri uomini come definisce lei i soldati scoppio in lacrime come mia madre, erano uguali quelle donne malgrado si definiscano completamente differenti l’una dall’altra; mia nonna era la classica vecchietta sarda, bassa un po’ cicciottella ma con un cuore grande come l’intero universo, mia madre non era ancora entrata nella fase cicciottella ma aveva tutto il resto, dopo tutto io ero diciamo l’albero che svettava fra i cespugli in quella famiglia con il mio metro e ottante tre in confronto a loro sembravo altissimo, era giunto il diciotto di febbraio e alle sei ero già a Malpensa un ora prima del ritrovo che aveva stabilito il capitano, entrai ad un bar per fare colazione, ordinai un cappuccino con una brioche al cioccolato e un succo alla pesca quando da dietro un ragazzo moro alto press a poco come me vestito con un giubbotto in pelle nero e dei pantaloni grigi mi tocco la spalla per farmi girare, si presentò si chiamava Marco e veniva dall’Emilia Romagna e mi chiese se anche io ero lì per l’addestramento, io ero rimasto abbastanza colpito da come quel ragazzo abbia potuto intuire che io fossi li per quel motivo, e senza ragionarci troppo gli dissi di si e lui allora con tono felice mi disse che era li anche lui per il medesimo motivo, allorché io mi presentai e parlammo fino a quando non vedemmo passare per il corridoio il capitano con due soldati al suo fianco, decidemmo di seguirli per andare al gate cinque e una volta arrivati lì lui mi sorrise da lontano e poco dopo passò un soldato con i biglietti dell’aereo, partenza ore otto e trenta però io e marco notammo che sul biglietto non era presente la destinazione d’arrivo ma fidandoci del nostro possibile futuro capitano non facemmo obbiezioni. Era giunta l’ora dell’imbarco salimmo sul aereo e ci sedemmo ai nostri posti, la coincidenza volle che io e marco fossimo designati nel due posti vicini A ventitré e A ventiquattro, L’aereo decollò e da lì inziò la mia avventura..

SPAZIO AUTORE
ho rivisionato la storia come da consiglio,spero che cosi sia meglio grazie,lasciate una recensione per aiutarmi a migliorare.

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Capitolo 2
*** Ehi,da quanto tempo ***


Capitolo 2

Durante l’atterraggio io e Marco ci rendemmo conto che non stavamo atterrando in un aeroporto norvegese ma bensì in uno Inglese, lo capimmo dal fatto che le scritte dei cartelloni pubblicitari e da tutti i cartelli sopra le varie vetture presenti sulla pista d’atterraggio.
Era un grande aeroporto pieno di aerei, uno dei più grandi che io abbia mai visto senza alcuna ombra di dubbio dovevamo essere a Londra, un po’ confuso dal fatto che eravamo giunti nel regno di sua mesta la regina e non nella gelida Norvegia chiamai un hostess per chiederle spiegazioni ma lei mi disse che per qualsiasi tipo di informazione dovevo rivolgermi al capitan Soroldoni, allora mi slacciai la cintura e mi alzai per andare da lui a chiedergli una spiegazione per il cambio improvviso e inaspettato di programma, ma lui mi disse di non fare domande e di tornare al mio posto, non so perché ma lo ascoltai senza obbiettare e andai a sedermi immediatamente al mio posto.
 Una decina di minuti più tardi l’hostess diede ai passeggeri il permesso di scendere dall’aereo allora io e marco scendemmo dal aereo percorrendo il lungo tunnel che attaccava l’aereo al aeroporto ma una voce da dietro ci disse di fermarci ed aspettare, era il capitano. qualche minuto dopo ci raggiunse e comincio a spiegarci il perché dello sbarco in terra inglese, ci disse che io, Marco e un altro ragazzo eravamo stati scelti dopo un attenta analisi per entrare a far parte di un gruppo scelto di soldati, io un po’ stupito da ciò con voce dubbiosa e incredula gli chiesi perché proprio noi e lui ci rispose che avevano scelto proprio noi perché eravamo i più determinati e i migliori nelle prove fisiche e mentali a cui eravamo stati sottoposti prima della domanda d’arruolamento;Senza rispondere lo seguimmo e una volta percorso il tunnel ci trovammo nel gate nove del aeroporto di Londra Headthrow, era pieno zeppo di persone di tutte le nazionalità; il capitano ci fece segno di seguirlo all’interno di una stanza con un cartello affisso sopra con la scritta riservato.
 Entrammo e ci trovammo in una stanza con i muri bianchi e al centro un tavolo rotondo color nero lucido con attorno cinque sedie del medesimo colore e di fronte a noi un altro capitano in divisa di rappresentanza come il nostro Soroldoni, anche lui pieno di medaglie di ogni forma e grandezza.  a fianco c’era un ragazzo della nostra età, biondo, occhi color ghiaccio, sguardo penetrante ma almeno all’apparenza sembrava bravo e anche simpatico, ci presentammo, si chiamava Dylan era anche lui italiano ma viveva in Germania da quando era piccolo.
I due capitani si misero a parlare e noi nel frattempo facemmo quattro chiacchere, finito di parlare ci sedemmo tutti intorno al tavolo e ci venne chiesto di prenderci la giornata libera per pensare se volessimo accettare la proposta di diventare dei soldati scelti e di conseguenza di fare tre mesi di addestramento in un campo lì nei pressi di londra o di rinunciare alla proposta, noi allora li salutammo e ci demmo appuntamento davanti al big ben alle venti di quella sera. Uscito dall’aeroporto vidi il classico autobus londinese rosso senza tettuccio perfetto per fare un giro a Londra,però dovevo trovare un modo per occupare il tempo siccome noi ragazzi ci eravamo divisi ed ero rimasto solo. Salito sull’autobus presi in mano il mio iphone e cercai in rubrica qualche numero da chiamare per poter passare il pomeriggio con qualche amico inglese, ma non trovai nessuno poco dopo però mi ricordai che una mia amica da qualche anno era venuta in Inghilterra a studiare, mi pare avesse trovato casa Holmes Chapel, la telefonai subito ma non rispose allora le lasciai un messaggio in segreteria. Intanto il pullman aveva finito il suo tour e il capolinea era davanti allo stadio di Wembley, fin da quando avevo quindici anni desideravo visitarlo siccome è stato molte volte il teatro di finali di champions league e di partite importanti, mi misi in coda per comprare il pass per entrare a visitare tutto lo stadio quando sentii squillare il cellulare era lei che mi chiamava, risposi subito e gli raccontai ciò che mi era accaduto e senza il tempo di dire nient’altro mi disse di andare a trovarla a casa sua, io entusiasta per l’invito gli dissi di si e ci demmo appuntamento davanti a casa sua per le due di quel pomeriggio il tempo di mangiare qualcosa in centro e di andare fino a casa sua che in taxi ci voleva circa un oretta di macchina.
Mi levai dalla fila rinunciando al piccolo sogno di visitare lo stadio e andai a mangiare fish and chips a piccadilly circus, mangiai in un ristorante non troppo lussuoso però molto ordinato e servizievole, i camerieri erano tutti rigorosamente inglesi doc e il cibo era davvero squisito, l’unica pecca il prezzo però vabbe dopo tutto si vive una volta sola. Uscito dal ristorante comprai qualche cartolina e le spedii a mia madre e a qualche amico, poi visto che era già mezzogiorno e mezzo chiamai un taxi e gli diedi l’indirizzo 91 London Road, Holmes Chapel e partimmo, in tutto il viaggio pensai a tutti i bei momenti passati con lei a scuola e in giro per la sua vecchia città, Monza. Arrivai li qualche minuto in anticipo era l’una e quarantacinque minuti allora decisi di passare da un fioraio a prenderle una mazzo di fiori, sedici rose rosse, sedici come la sua data di nascita e rosse come il colore dei capelli di quando l avevo conosciuta il primo giorno di scuola, la fioraia sembrava la conoscesse bene, chissà perché.
era proprio una bella cittadina quella, piccolina penso non superasse i cinquemila abitanti ma almeno all’apparenza molto ospitale e soprattutto ricca di verde, era raro trovare città piene di alberi a fiori.
Aspettai le due spaccate e suonai al campanello mi aprii una ragazza alta un metro e settantacinque circa, capelli neri, un seno abbondante e mi disse ciao koala, non l avevo riconosciuta, era cambiata tantissimo, in quei tre anni in cui non la vedevo era diventata ancora più bella, gli diedi le rose e lei mi diede un grosso abbraccio e mi disse di entrare in casa e di raccontargli tutto ciò che mi era successo, gli raccontai tutto per filo e per segno, rimase un po’ allibita però poi si ricordo che aveva a che fare con una delle persone più strane della terra e torno normale.
 Suono il campanello mi disse di andare ad aprire che lei doveva andare un attimo in cucina a controllare il pranzo ,io andai ad aprire alla porta, era un ragazzo alto, occhi verdi, capelli mossi lunghi mi pareva di conoscerlo, lei da ragazza mi raccontava sempre di un ragazzo simile, allora mi presentai e capi subito di chi si trattava era Harry il cantante della famosa boy band (ps. questa storia rimane un originale perché lui fa solo una comparsa nella storia non partecipa né influenza in alcun modo al corso delle vicende),lei arrivò subito dalla cucina e gli diede un bacio, io capii subito che doveva essere il suo ragazzo.
 Ci sedemmo tutti in salotto, aveva una casa davvero molto grande e luminosa, ben arredata e spaziosa.
 valentina,si chiama cosi la mia amica, gli raccontò ad Harry il perché della mia visita e li disse che quel pomeriggio lo avrebbe trascorso con me a Londra, lui ancora un po’ confuso dai fatti le risposte che era tutto okai e che si sarebbero visti più tardi. Salutai Harry e con Valentina uscimmo di casa e chiamai un taxi per tornare nella capitale inglese, arrivo il taxi e durante tutto il viaggio parlammo e scherzammo su tutto ciò che avevamo fatto negli ultimi anni in cui non ci eravamo visti. Arrivati a Londra facemmo un giro sulla london eye, e poi andammo anche a vedere il museo delle cere, era stata davvero un giornata fantastica solo che si fecero le sette e mezza ed io dovevo salutarla siccome dopo solo mezzora avevo il ritrovo con gli altri due ragazzi e i due capitani, ci demmo un grosso abbraccio con la promessa che tre mesi dopo ci saremmo rincontrati, le chiamai un taxi lo pagai io in anticipo e la salutai.
 Alle 20 mi feci trovare insieme agli altri davanti al big ben, intanto era calata la notte e la temperatura si era abbassata notevolmente, un po’ in ritardo arrivarono i due capitani che ci chiesero la nostra risposta e noi ovviamente rispondemmo che volevamo diventare dei soldati scelti. Allora i capitani ci chiesero di salire su un grosso suv e ci recammo tutti e cinque al campo d’addestramento una ventina di chilometri fuori londra, era immerso nel verde, con un piccolo ruscello che lo divideva a metà, l’impianto era ben costruito color grigio metallo, era costruito su due livelli con tantissime vetrate, all’avanguardia direi, c’erano tutti gli strumenti per addestrarsi al meglio e diventare così un ottimo soldato.
 Eravamo stanchissimi e andammo a dormire quasi immediatamente riservandoci al giorno dopo la curiosità di guardare per bene il campo..

SPAZIO AUTORE
grazie per la lettura,e se volete lasciare un commento mi fareste un grosso favore per aiutarmi a migliorare nei prossimi capitoli,davide.

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Capitolo 3
*** Colonnello De Martino ***


Capitolo 3
 
Io e i ragazzi dormimmo beati tutta la notte cullati dal silenzio della piccola foresta in cui era immerso il campo, quel posto aveva un atmosfera fantastica, il posto ideale per trascorrere tre mesi di allenamento.
 Alle sette suonò la sveglia del campo e ci alzammo, mezzoretta dopo, un volta preparati uscimmo dalla nostra stanza e girammo il campo.
Cominciammo dalla cucina, era davvero grande, sembrava una cucina di un ristorante di gran classe, aveva ben tre forni e una decina di fornelli, era tutta di color grigio come tutto il resto dopo tutto; la sala da pranzo se così si può definire non era altro che un locale con tre tavoli di legno molto lunghi, la stanza era molto luminosa con delle pareti arancioni che rendevano quel campo un po’ meno grigio; poi marco vide un cartello con scritto palestra, e decidemmo di andarci subito , era la palestra più grande che io avessi mai visto c’erano decine e decine di attrezzature, anche essa naturalmente era con i muri grigi.
 Mentre stavamo ancora girando per la palazzina del campo, dagli altoparlanti appesi in giro per i corridoi si sentii pronunciare i nostri nomi e il comando di andare tutti e tre fuori che ci sarebbe stata la presentazione ufficiale al resto dei soldati ormai veterani del campo ,uscimmo da una porta a vetri che dalla palestra dava sul cortile, ci trovammo in un ambiente che ricostruiva molti degli ambienti naturali possibili da riscontrare in una missione, per esempio, alla mia sinistra c’era una parete da scalare, con vari ostacoli e trappole, alla mia destra invece c’era un lago artificiale per possibili scontri in acqua. Arrivo il capitan Soroldoni, parlò con un altro soldato, doveva essere il loro colonnello aveva un aria fiera e altezzosa, capelli a spazzola neri, occhi azzurri, faccia magra, sguardo che avrebbe fatto sciogliere un pietra, doveva essere davvero un grande soldato lui.
Il capitano mi chiamò ed io andai da lui e uno alla volta i soldati si presentarono a me ed io a loro, medesima cosa fecero i due miei compagni d’avventura.
Una volta fatte le presentazioni prese parola il colonnello di cui ho parlato prima, si presentò anch’esso, si chiamava De martino Giuseppe, la sua città Natale era Napoli ed era un soldato d’élite da tredici anni oramai, un veterano in poche parole, non ci disse la sua età però né altri dati riguardanti la sua identità per motivi di sicurezza.
 Il colonnello ci spiego come era suddiviso il campo, e come sarebbe stato costituito il nostro addestramento, allora, il campo era suddiviso in quattro squadre, le aquile bianche che si allenavano specialmente in simulazioni aeree e in altre operazioni al limite della gravità, i barracuda spinosi che si occupavano particolarmente di simulazioni subacquee e di altri tipi di operazioni sempre a stretto contatto con l’acqua, poi c’erano le tigri bianche che si occupavano specialmente di addestrarsi a combattimenti a terra e tutte le altre cose che si possono fare a terra ed infine ma non per minore importanza c’erano i ragni volanti l’élite dell’élite, la crem della crem delle forze speciali, loro sapevano fare tutto, erano i migliori in tutto, quando gli altri fallivano loro vincevano.
Io, marco e Dylan avevamo gli occhi lucidi dalla felicità a sentir pronunciare tutto ciò che avremmo potuto imparare a fare in quei tre mesi, e intanto il colonnello riprese il suo discorso, ci disse che noi saremmo stati divisi nei tre gruppi base, ogni tre settimane avremmo ruotato i gruppi in modo da provare tutto e in caso avessimo eccelso in tutto saremmo diventati dei ragni volanti.
 Conclusa la spiegazione ci assegnarono ad ognuno un gruppo e cominciammo la nostra avventura.. 

SPAZIO AUTORE
Questo capitolo è un po' corto perché dovevo giusto presentare un po' il campo e spiegare come si sarebbe suddiviso l allenamento,sono graditi commenti sia positivi che negativi,grazie,Davide :)

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