Starry Christmas

di Wren
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dunque... questa doveva essere la mia fic di Natale, nel senso che si sarebbe dovuta concludere entro Natale... purtroppo gli impegni universitari hanno decretato diversamente, la porterò a termine durante le vacanze e sarà la fic delle Festività in generale! XD Ho già qualche capitolo scritto, cercherò di aggiornare il più in fretta possibile!^^
Bene... detto questo vi lascio alla mia folle storia, sperando che vi piaccia ed augurandovi di passare uno splendido Natale, che vi porti moltissima felicità e tutta quello sproposito di roba da mangiare che viene di conseguenza XD! ^____^






* S T A R R Y C H R I S T M A S *



Lontanissimamente ispirata a Stardust...^^'''




* Prologo *


Era una notte tersa e stellata.
Fay camminava ignaro del freddo invernale col naso all’insù ed era un miracolo che ancora non fosse inciampato su qualcosa, eppure proprio non riusciva a staccare gli occhi dalla volta celeste. Forse perché quella sera le luci della città erano meno intense, forse per colpa del buco nell’ozono o forse, chissà, per magia, le stelle gli sembravano più grandi e luminose del solito.
“Awww, quanto mi piacerebbe avere una di quelle stelle tutta per me...”
In quanti prima di quel giorno avevano espresso lo stesso desiderio? Moltissimi, troppi da contare. Se fosse scesa davvero una stella sulla terra per ogni persona che l’abbia desiderata, il cielo sarebbe stato già vuoto da un pezzo. Eppure non avrebbe senso iniziare il racconto di questa storia se si trattasse semplicemente dell’ennesimo sognatore che esprime un desiderio al cielo notturno, infatti questa volta una stella sarebbe scesa dal cielo davvero. Anche se più che di una leggiadra discesa, si trattò di una rovinosa caduta.
Proprio mentre la notte divorava gli echi della sua voce, Fay vide La Stella Cadente.
La sua lunga scia tagliò il cielo, ma non scomparve immediatamente come le altre che gli era capitato di vedere, continuò il suo cammino, curvando verso la terra e facendosi più vicina, più vicina, più vicin...
Fay ancora guardava sgomento la stella, che sembrava proprio venirgli addosso, quando venne travolto da qualcosa e si ritrovò schiacciato al suolo.
“Ouch!” commentò sfregandosi con la mano il punto in cui aveva battuto la testa per terra.
Quando finalmente quei fastidiosi puntini bianchi che vedeva davanti agli occhi e che sembravano tante stelline, proprio come quelle che stava fissando fino a poco prima, scomparvero, Fay riuscì a focalizzare la sua attenzione su cosa gli era piovuto addosso in quel modo.
“Dove cavolo mi ha spedito quella psicopatica?!” ringhiò il ragazzo che, Fay ancora non se lo spiegava, lo teneva inchiodato a terra col suo peso.
“Ehm...” si schiarì la voce, per richiamare l’attenzione dell’altro.
Due occhi rossi, perfettamente visibili nel buio come braci accese, si fissarono di scatto su di lui, riducendosi a due minacciose fessure, mentre lo squadravano da vicino.
“Sei un essere umano?” domandò inquisitorio tirandosi su, pur senza lasciare Fay libero di fare altrettanto a sua volta.
“Beh... sì...” rispose Fay, divertito dalla domanda.
“MALEDIZIONE!” gridò o sconosciuto allontanandosi da lui e cominciando a guardarsi attorno. “Mi ha fatto cadere sulla Terra, quella piccola sadica!”
Fay osservò un po’ allibito, ma tutto sommato divertito, lo spettacolo offerto dal misterioso ragazzo che scuoteva i pugni verso il cielo.
“Scusa...” lo chiamò, ancora a terra. “...va tutto bene?”
“No che non va bene! Non va bene per niente! Cinque minuti fa me ne stavo tranquillo per i fatti miei e ora mi ritrovo sulla Terra perché quella dannata principessa aveva la luna storta!!!” Il ragazzo si interruppe e fissò Fay incredulo per lunghissimi secondi prima di esplodere nuovamente. “E mi ritrovo anche a parlare con uno stupidissimo essere umano!!!”
Fay ridacchiò di quel buffo sconosciuto che non faceva altro che agitarsi.
“Sei proprio un tipo strano tu... Hai dei problemi a tornare a casa?”
“Certo che ne ho! Una volta sulla terra è difficile tornare in sede, che credi?” replicò brusco l’altro, indicando il cielo.
Fay seguì la direzione indicata, fino a tornare a fissare le stelle. Poi guardò ancora lo straniero, realizzando forse solo in quel momento quanto strano fossero i suoi abiti e quanto pazzesche suonassero le sue affermazioni, e un’assurda eppure chiarissima possibilità gli squarciò la mente come un fulmine.
“Tu... tu sei la stella cadente?” gli chiese ad occhi sgranati.
“Certo che no!” si infiammò quello. Fay si diede dello stupido per averlo solo pensato.
“Non sono affatto cadente! E’ stata Tomoyo a buttarmi giù!”
Fay si coprì la bocca con le mani per trattenere un urlo di sorpresa.
“Non posso crederci! Non immaginavo che foste... così! Ma è stupendo, fantastico, magnifico! Una stella! Qui! Davanti a me! E’ incredibile!” e Fay rise di gusto, senza riuscire a smettere, un po’ per sciogliere lo stupore ed un po’ di felicità.
Il ragazzo-stella osservò quella manifestazione di entusiasmo con aria scocciata, incrociando le braccia e producendosi in un’espressione di puro fastidio.
“...idiota.” fu il suo commento.
La risata di Fay si attenuò non appena si accorse che il ragazzo aveva girato i tacchi e se ne stava andando.
“Ehi, no! Aspetta!”
Cercò di alzarsi per fermarlo, era troppo entusiasta di aver incontrato una stella così adorabilmente scorbutica per farsela sfuggire così, ma quando mosse il piede sentì una fitta di dolore risalirgli la gamba facendolo ripiombare a terra con un gemito. Almeno, constatò, il ragazzo si era fermato, guardandola da sopra la spalla per vedere cosa fosse successo.
“Ehi, senti... per favore, puoi darmi una mano? Credo di essermi fatto male...” gli chiese Fay con un sorriso.
“Perché mai dovrei aiutarti, stupido umano?” chiese lui aggrottando le sopracciglia. “Beh... tanto per cominciare, mi sono fatto male perché mi sei caduto addosso...”
Il ragazzo parve pensarci su per un po’, per poi sbuffare e tornare verso di lui. Fay si aggrappò alla mano che gli veniva offerta come sostegno e, facendo forza sul piede sano, riuscì ad alzarsi senza fatica, anche perché l’altro lo stava quasi tirando su di peso.
“Grazie!” trillò Fay contento. Provò a muovere un passo, ma la caviglia faceva davvero troppo male e rischiò di cadere di nuovo. Fortunatamente teneva ancora saldamente stretta la mano del ragazzo.
“Ehm... senti... Non è che mi riaccompagneresti a casa? Non riesco a camminare così...” gli chiese ancora Fay con un nuovo smagliante sorriso.
Il ragazzo gli lanciò un’altra occhiataccia. “Voi umani siete proprio delle immense seccature.”
Fay si sentì sollevare e si ritrovò caricato sulla spalla dell’altro.
“Grazie mille! Casa mia è per di là!” indicò entusiasta.
Il ragazzo ringhiò qualcosa di incomprensibile prima di avviarsi.

L’appartamento di Fay era in condizioni disperate. Mucchi di vestiti spiegazzati pendevano miseramente dalla maggior parte della mobilia, uno scatolone aperto pieno di cianfrusaglie occupava quasi tutto l’ingresso, libri giacevano sparsi, alcuni chiusi altri spalancati, per terra e sul divanetto, una pila di piatti da lavare si innalzava dal lavabo della cucina ed una ragnatela occupava fieramente uno degli angoli del soffitto. Fay non era abituato a ricevere visite dell’ultimo minuto. Non era abituato a ricevere visite per niente.
“Tutte le case di voi umani sono così?” domandò scettico il ragazzo-stella.
“Ehr...” Fay sorrise imbarazzato. “Più o meno...”
Scavalcando gli ostacoli sparsi sul pavimento, i due riuscirono a raggiungere il divano, dove Fay venne lasciato cadere senza troppi complimenti.
“Addio.” disse l’altro dirigendosi verso la porta.
“Aspetta!” lo fermò ancora Fay, gettandosi dal divano per aggrapparsi al suo braccio.
“Hai detto che non sai come tornare a casa, giusto? E dove pensi di andare allora? Dove pensi di stare finché non trovi il modo?”
Il ragazzo fece per rispondere, ma si interruppe immediatamente, conscio di non avere alcun risposta a quelle domande, e sprofondò in uno stato di profonda e corrucciata meditazione.
“Perché non resti qui?” gli propose Fay, che non aveva mollato ancora la presa su di lui.
“Con uno stupido umano come te???” scattò subito l’altro.
“Hai alternative? Non puoi andartene in giro senza meta, vestito come se fossi uscito dal Signore degli Anelli! Oltre a congelarti, non ci caverai un ragno dal buco!”
Il ragno proprietario della ragnatela sul soffitto si dondolò su di un suo filo, sentendosi chiamato in causa. Il ragazzo intanto controllava i propri vestiti, come se non capisse cosa ci fosse di male nell’andare in giro con i suoi pantaloni di velluto blu notte e la sua casacca larga e chiusa al collo da un intreccio di filo d’argento, tanto bianca da sembrare luminescente.
“E poi ti assicuro che nessuno che non ti abbia visto precipitare dal cielo crederebbe che tu sia una stella, Signor Stella... E dato che ti ho visto solo io, nessun altro potrebbe aiutarti a tornare a casa!” insisté Fay, vedendo i primi segni di cedimento.
“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, io!” si impuntò ancora lui, stavolta però più debolmente.
Si guardò attorno per un po’ e poi fissò Fay con un’espressione dilaniata dall’indecisione.
“D’accordo.” accettò infine. “Ma non credere che ti ringrazierò!” si affrettò ad aggiungere poi, ma Fay gli era già saltato al collo, ignorando la fitta di dolore al piede, troppo felice per la risposta ottenuta.
“Fantastico! Io mi chiamo Fay e tu?” gli disse tutto contento, mentre l’altro si dimenava per liberarsi.
“Mi chiamo Kurogane E TU MOLLAMI!”
“Che??? Ma... non è assolutamente un nome da stella!” si scandalizzò Fay mollando subito la presa.
“Lo saranno quegli stupidi nomi che ci date voi stupidi umani!” lo rimbeccò Kurogane. “Mizar... Antares... ALFA CENTAURI! Ma vi sembrano nomi dignitosi? Quello che voi chiamate Alfa Centauri si chiama Fuuma e minaccia da secoli di venirsi a schiantare sulla Terra per uccidervi tutti. Odia non essere chiamato col suo nome!”
Fay era allibito da quella novità ed ascoltava Kurogane a bocca aperta. Quando lui ebbe concluso la sua accesa dissertazione sulla stupidità dei nomi scelti dagli umani e riprese fiato, Fay gli sorrise compiaciuto.
“Il giusto sta nel mezzo, vero? Posso chiamarti Kuro-stellina?”
Fay scoprì subito dopo che, a differenza di quanto aveva sempre pensato, le stelle poteva avere degli adorabili, vivaci e tenerissimi istinti omicidi.




Continua...





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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Grazie mille a tutti per il sostegno a questa storia!!! Mi impegnerò al massimo per concluderla entro le vacanze!!! ^o^ <3







Capitolo 1


-DLIN DLON- proruppe il campanello.
Fay emerse faticosamente dallo stato comatoso della sua mente e il primo pensiero che riuscì a formulare somigliò molto a “ngh... ancora cinque minuti...”.
Il campanello suonò di nuovo e, dopo una pausa ancor più breve, un’ennesima volta. Fay cedette a tanta insistenza e strisciò giù dal divano dove, alla fine, era riuscito ad addormentarsi alle prime luci dell’alba. Sulla poltrona accanto, Kurogane dormiva ancora della grossa.
Nulla l’aveva reso felice nella vita quanto la risposta affermativa del ragazzo a fermarsi a casa sua, ma la loro incompatibilità di bioritmi era un problema da risolvere quanto prima, per la sua salute fisica e mentale. D’accordo, Kurogane non aveva tutti i torti quando affermava che le stelle dormono di giorno e stanno sveglie di notte, ma loro certo non si trovavano in cielo (
“..ma quaggiù non siamo in cielo e se un uomo perde il filo è soltanto un uomo emo..” cantavano i Pooh. ) e Fay non aveva intenzione di farsi tener sveglio un’altra notte per poi ritrovarsi in stato catalettico al risveglio.
Il campanello rimbombò nelle sue orecchie ancora e Fay si trascinò in piedi con un sordo mal di testa che gli schiacciava le tempie. Fortunatamente almeno il dolore alla caviglia se ne era andato.
“Ohiohi...” Tenendosi la testa con una mano, scosse energicamente la spalla del ragazzo addormentato. “Sveglia, Kuro-splendore...” e se ne andò ad aprire la porta.

Kurogane si svegliò e si accorse che era circondato dalla luce del giorno. Perché l’avevano svegliato se era ancora così presto?! Cercò di rigirarsi nel letto, quando si accorse di non essere affatto in un letto. Aprì gli occhi di nuovo e si ricordò all’improvviso di non essere nemmeno a casa sua.
“Fantastico...” borbottò, già di cattivo umore.
Si tirò su a sedere più comodamente sulla poltrona e la schiena protesto vigorosamente con uno scroscio di scricchiolii più o meno dolorosi. Perché diavolo quello stupido umano l’aveva svegliato in pieno giorno? Gli sembrava di essere stato abbastanza chiaro quando gli aveva detto che lui di giorno intendeva dormire. Sentì la sua voce provenire dall’ingresso, ma non distinse alcuna parola, né tantomeno quelle del suo interlocutore. Decise di ignorarli e cercare di riprendere sonno. Risprofondò tra i cuscini della poltrona e prese a fissare il soffitto aspettando di sentire gli occhi chiudersi. Proprio sopra di lui stava la maestosa ragnatela d’angolo, ora ben visibile grazie alla luce diurna, e tra un filo e l’altro, il ragno suo padrone si muoveva operoso, riparando qua e là smagliature nella trama o costruendone nuovi tratti dove più lo riteneva opportuno. Kurogane cominciò ad osservarlo dondolarsi a destra e sinistra, riarrampicarsi su e poi scendere nuovamente, ipnotizzato dal suo andirivieni.
“Dannazione!” esclamò accorgendosi di non riuscire proprio a riaddormentarsi, distratto com’era. Scattò in piedi e salì sulla poltrona, per poter raggiungere il fastidioso animaletto e ottenere così un po’ di pace.
“Sai, Kuro-sbrill, siamo stati fortunati, la vicina ha fatto dei biscotti e ce ne ha offerti un po’ per la colazione! E’ davvero un bel colpo perché non so se in casa ci sia ancora qualcosa di buono da...” un attimo di silenzio e poi “NOOOOOOOO!” e Kurogane venne investito da Fay, che gli si era lanciato addosso, atterrandolo al primo colpo e cadendo sopra di lui.
“Ma ti ha dato di volta il cervello???” sbraitò Kurogane.
“Non farlo mai più!” strillò sconvolto Fay.
“Cosa???” gridò ancora più forte Kurogane.
In tutta risposta, Fay si alzò e si arrampicò a sua volta sulla poltrona.
“Scusalo Agenore, non aveva intenzione di farti del male, davvero, non lo farà mai più, vedrai!” piagnucolava con aria preoccupata, tendendo una mano verso la ragnatela.
Il ragno si calò giù fin sulla sua mano, sgambettò un po’ sul suo palmo e si issò nuovamente lungo il suo filo fino alla sua casa pensile.
Kurogane lo fissò sbigottito, ancora sul pavimento dov’era atterrato.
“C’è qualche problema Fay? Ho sentito gridare...” disse una vocina sottile, prima che una donna facesse capolino nella stanza.
Portava i capelli in un disordinato caschetto castano rossiccio, indossava un cappotto dal taglio classico di un bel rosa confetto e, nonostante avesse ormai evidentemente raggiunto un’età matura, i suoi occhi verdi erano ancora quelli vivaci di una ragazzina. Kurogane la squadrò con uno sguardo truce e la giovane donna si strinse al vassoio che portava in mano, intimorita dalla presenza di quello sconosciuto dall’aspetto bizzarro.
“Non preoccuparti Sakura, non è successo niente! Uh, che sbadato... Sakura, ti presento Kuro-lucina! Sarà mio ospite per qualche tempo.” disse Fay, osservando con attenzione Agenore tornare al lavoro sulla ragnatela.
“Kurogane!” sbraitò Kurogane in sua direzione.
“E’ un piacere fare la sua conoscenza, gli amici di Fay sono miei amici!” salutò la donna con un sorriso raggiante, ora visibilmente più rilassata.
“Non preoccuparti delle formalità, Sakura, Kuro-star non ci è abituato!” intervenne Fay, saltando giù dalla poltrona.
“Uh... d’accordo...” acconsentì Sakura osservando Kurogane, il quale aveva l’aria di non aver capito un accidente.
“Ma è orrendamente tardi! Fay, io devo scappare al lavoro! Ti lascio i biscotti qui, ci vediamo quando torno! Ciao!” e prima di aver terminato la frase, aveva già abbandonato il vassoio sopra una pila pericolante di libri ed era sparita verso l’ingresso.
“Non è un tesoro?” domandò Fay, recuperando il vassoio al volo prima che crollasse a terra. “Sakura e suo marito Shaoran abitano nell’appartamento di fronte con loro figlio. Sono sempre tutti gentilissimi con me, ma vanno sempre di corsa!”
Kurogane aveva assistito a tutta la scena ed alla conseguente spiegazione con uno sguardo scettico in viso. Stava onestamente riconsiderando la sua decisione di vivere in mezzo a questi pazzi.
“Su dai, mangia un biscottino e preparati! Oggi non devo lavorare, il mio capo è via, ho solo un paio di bozze da sistemare qui a casa. Potremmo uscire un po’! In tuo onore faremo qualcosa che non faccio da un sacco di tempo! La spesa!”
Fay non lo guardava nemmeno più, gli aveva piantato in mano un biscotto ed era partito a setacciare la stanza alla ricerca di una borsa a tracolla e del giubbotto che aveva abbandonato dietro il divanetto la sera precedente.
Kurogane osservò il biscotto e con circospezione ne assaggiò un pezzetto. Non era poi così tremendo come aveva sospettato. Era un po’ troppo dolce per i suoi gusti, ma aveva fame e non si sarebbe mai e poi mai abbassato a chiedere qualcos’altro a quello stupido con cui era costretto a convivere.
Fay lo afferrò per un braccio e prese a trascinarlo verso la porta, facendo slalom tra gli ammassi di disordine, ma si bloccò a metà corridoio, voltandosi per dargli un’occhiata clinica. Lo abbandonò lì impalato come una statua di sale e si rigettò tra le montagne di ciarpame finché non riuscì a ripescare una vecchia sciarpa slargata e un paio di guanti.
“Non ho un cappotto abbastanza grande per te, ma almeno con questi non morirai di freddo!” gli disse una volta tornato da lui, costringendolo ad indossare quegli strani indumenti. Kurogane cominciò ad armeggiare con la sciarpa troppo stretta, perché la lana vecchia e grinzosa gli pizzicava il collo.
Fay lo spinse nel pianerottolo e biascicò qualcosa di incomprensibile a causa del biscotto che si era cacciato in bocca, chiudendosi la porta alle spalle.
“Cosa?” domandò scocciato Kurogane.
“Ho detto Dobbiamo trovarti anche dei vestiti ! Non puoi mica andare in giro così, chissà quanto ti ci vorrà per tornare a casa!” ripeté Fay,ingoiando il biscotto tutto intero e scavando nei meandri della sua borsa alla ricerca delle chiavi per chiudere.
“Per l’ennesima volta, cosa c’è che non va nei miei vestiti??? Io non voglio vestirmi come uno stupido essere umano!” protestò Kurogane, continuando la sua lotta con la sciarpa.
“Su, non fare il bambinone, Kuro-shine... Ah! Eccovi!” Fay estrasse un mazzo di chiavi da cui pendeva il piccolo peluche di un gatto. “Noi andiamo, Agenore! Fa’ buona guardia!” strillò verso l’interno, poi diede due rumorose mandate di chiave e trascinò via ancora una volta il sempre più infastidito ragazzo-stella.
All’interno Agenore mosse le zampine anteriori e si arrampicò in cima alla ragnatela per avere una migliore visuale di tutta la casa.

“Buongiorno Fay... vedo che abbiamo ospiti...”
Una splendida donna si affacciò dalla portineria, seguita dalla sua cascata di capelli corvini. Agitò il manga che stava leggendo in segno di saluto verso Fay e, dopo essersi risistemata gli eleganti occhiali, squadrò da cima a fondo Kurogane, con un sorriso che mise i brividi al diretto interessato.
“Buongiorno a lei Yuuko-san! Lui è Kuro-scintilla, starà da me per qualche tempo, spero che non vada contro il regolamento condominiale...” rispose Fay con uno sgargiante sorriso.
“Beh...” replicò la donna, ignorando la protesta di Kurogane sull’ennesima storpiatura del suo nome. “...facciamo così: tu mi presti questo baldo giovane per un paio di lavoretti pesanti ed all’amministratore ci penso io...” concluse con una strizzatine d’occhio.
“Cosa?!” si inalberò Kurogane.
“Credo che si possa organizzare!” accettò Fay, portando via di nuovo Kurogane per un braccio.
“Smettetela di ignorarmi!” si infuriò Kurogane, ma ben presto si ritrovò all’aperto, ben lontano da quella donna inquietante, immerso nel pieno traffico cittadino e nella pungente aria del mattino, ed ebbe altro a cui pensare.
Come aveva spiegato centinaia di volte allo stupido umano con intonazioni più o meno adirate della voce, le stelle di giorno dormono, per cui ciò che si ritrovò davanti lo riempì di stupore e panico, mettendolo subito in uno stato mentale difensivo, nemmeno si fosse trovato nel mezzo di un campo di battaglia contro gli asteroidi. La città, così piccola, vista dall’alto, e così scura, vista di notte, sembrava tutt’altra cosa ad esserci in mezzo. E quanta gente! Per qualche ora la sera, nel mondo c’era ancora movimento, ma piano piano tutto di quietava, finché il Sole non sorgeva e per Kurogane non veniva l’ora di andarsene a dormire. Di giorno tutto brulicava di persone, come non ne aveva mai viste. Inoltre, abituato com’era all’oscurità della notte, il sole e i suoi riverberi sull’asfalto e sui vetri delle finestre lo accecavano. Fay fu costretto a fermarsi dopo mezzo isolato perché Kurogane camminava coprendosi gli occhi e così facendo non vedeva dove metteva i piedi. “Dovremo comprarti anche degli occhiali da sole, Kuro-fotosensibile!”
Una folata di vento fece rabbrividire Kurogane a tal punto che rinunciò a protestare.

“Oh oh oh! Merry Christmas!” tuonavano con la loro cavernosa voce metallica decine di pupazzi meccanici disposti ai lati della strada, accanto agli ingressi dei negozi. Kurogane li aveva sentiti per tutta la mattinata, eppure riuscivano ancora a dargli i brividi.
Specialmente quelli a forma di Babbo Natale. Quelli era i peggiori di tutti, con la loro faccia rubizza e gli occhi spiritati... Gli umani dovevano essere davvero tutti fuori di testa per essere contenti all’idea che un vecchiaccio psicopatico come quello si intrufolasse nelle loro case tutti gli anni!
Kurogane si strinse difensivamente nel suo nuovo cappotto. Ora, oltre a quello ed a sciarpa e guanti, possedeva un nuova felpa di pile, un paio di pantaloni felpati e delle pesanti scarpe da ginnastica. Per quanto disprezzasse la moda terrestre, era decisamente confortevole essere riparato dal freddo.
“Cosa ti piacerebbe mangiare, Kuro-sparkle?” gli chiese Fay, prendendolo sotto braccio. La sua espressione era di un’allegria abbagliante.
“Una coda di cometa!” rispose istintivamente Kurogane, rendendosi conto di essere seriamente affamato.
“Una che???” strillò Fay, raggiungendo un acuto dannatamente più fastidioso degli “Oh oh oh” robotici attorno a lui.
“Una coda di cometa, idiota! Una di quelle belle grosse, hai presente?” specificò Kurogane, indispettito dalla stupidità dell’umano.
“Ehr... veramente no...” ridacchiò Fay.
“Certo che sei proprio stupido!”
“Veramente temo di doverti dare la spiacevole notizia che non esiste un cibo simile sulla terra...”
Kurogane lo fissò allibito.
“Non ti viene in mente nient’altro da mangiare?” deviò discorso Fay.
“...meteoriti fritti?”
“Eh, niente da fare nemmeno con questi...”
“Magma solare?”
“No no!”
“Gurbz?” tentò tenacemente Kurogane.
“E che cosa sarebbe?” domandò Fay, intravedendo un barlume di speranza in quel nome esotico.
“Una varietà di mollusco spaziale.” spiegò Kurogane, mimando con le mani qualcosa di grosso, tondo e molliccio.
“Bleah...” si disgustò Fay all’istante. “Come potete mangiare una simile schifezza lassù?”
“Ma se non l’hai mai mangiato, come fai a dirlo?” si inalberò Kurogane. Fay ancora rabbrividiva all’idea del mollusco gigante venuto dallo spazio e il ragazzo-stella si indispettì per tutte quelle scenate. “E piantala di fare il cretino!”
“Non posso, mi fanno senso i molluschi! ...bleah molluschi...”e Fay prese a tremare più violentemente. “Mi spiace, Kuro-fotone, mi sa tanto che nessuno dei cibi a cui sei abituato ci sia anche da noi... Dovremo improvvisare!”

“Dì aaaaah...” gli ordinò Fay cercando di imboccarlo con una frittella.
Kurogane gliela strappò dalle mani e se la mise in bocca.
“Com’è?” domandò speranzoso Fay.
“Fa schifo.” decretò lapidario Kurogane.

“Su, dà un morso a questo triplo royal bacon cheeseburger deluxe piccante con cipolle!” propose Fay, porgendogli il suo trasbordante panino.
Kurogane ebbe difficoltà già solo ad addentarlo, tanti erano gli strati contenuti tra le due fette di pane. Masticò, deglutì e sentì il peso del panino affondargli lo stomaco e risalirgli fino al cervello.
“Fa schifo.” dichiarò Kurogane, sentendo l’improvvisa necessità di avere uno stomaco nuovo.

“Senti che buona, Kuro-brillio!” esclamò Fay estasiato, offrendogli una torta, resa scura dall’alta concentrazione di cioccolato. Kurogane addentò sospettosamente il dolce e il suo senso del gusto fu tramortito dall’overdose di cacao.
“Fa schifo.” rantolò, affogandosi con un bicchiere d’acqua.

“Proviamo con qualcosa di semplice...” tentò Fay, piantando in mano un toast straripante di formaggio fuso. Kurogane non fece in tempo a prenderlo in mano che già si era sporcato le mani, ma decise di dare comunque una possibilità al panino prima di scartarlo.
“Fa schifo.” concluse dopo il primo morso.

Il tavolo del ristorante francese era disposto con semplicità ed eleganza, con bicchieri dal design raffinato e piattini cesellati. Al centro di uno di questi, stavano disposte delle verdurine colorate e tagliate in forme sinuose, attorno ad una fettina di carne arricchita di salsa al limone.
“Fa schifo.” dichiarò Kurogane senza nemmeno toccare le posate.

“Mi arrendo! Tutto quello che mi piace, a te fa schifo!” piagnucolò Fay accasciandosi su una panchina del parco. Dopo ore passate di locale in locale a collezionare disfatte, si sentiva a terra.
“E’ colpa dello stupido cibo di voi umani!” si lamentò Kurogane, sedendosi accanto a lui con un’espressione contrariata. A furia di girare, ora aveva veramente fame!
“Ma, Kuro-astrolabio, io che ci posso fare se quello che piace a me, a te non...” Fay si bloccò a metà frase con uno sguardo ispirato in volto. Scaricò i sacchetti dei loro acquisti e li scaricò a Kurogane, alzandosi e correndo via.
“Aspettami qui, torno subito!” gli gridò già lontano ormai.
Kurogane fissò, allibito per l’ennesima volta in quelle poche ore che aveva passato sulla terra, lo stupido umano che spariva oltre l’ingresso del parco. Era sulla terra da neanche un giorno e già non ne poteva più.
Gettò i sacchetti sulla panchina e in malo modo, sperando di sfogarsi un poco di quella situazione frustrante. L’istante dopo gli cadde l’occhio sul contenuto di uno dei sacchetti e sentì un qualcosa di molto simile al rimorso appigliarsi al suo stomaco. Distolse subito lo sguardo con un moto di stizza. Anche se avevano passato tutto il giorno a comprare cose per lui, non significava che doveva essere contento di essere in quel postaccio, in compagnia di quell’idiota, no?
Cercò di rilassarsi, per non dare l’impressione, a sé stesso prima di tutto, di stare effettivamente aspettando il ritorno del terrestre. Non lo stava aspettando affatto, men che mai perché gli era stato detto di fare così. Se ne stava lì su quella panchina perché non aveva nulla di meglio da fare, punto. Kurogane alzò lo sguardo verso il cielo e si coprì gli occhi dalla luce troppo forte (alla fine Fay aveva deciso di non prendergli gli occhiali da sole, perché rendevano la sua aria truce ancora più minacciosa e gli davano l’aspetto di uno yakuza).
Se c’era un gesto che accomunava gli umani con le stelle, era quello di alzare lo sguardo per poter vedere il cielo, anche se questo aveva un colore completamente diverso rispetto al nero profondo che ricordava lui.
“Ti sei incantato?”
Kurogane scattò in piedi per essere stato preso di sorpresa. Fay era davanti a lui, col fiatone e un sacchettino in mano.
“Tieni, prova con questi!” ansimò, porgendogli il suo bottino.
Il ragazzo-stella, dopo la tremenda carrellata dei cibi terrestri, non si sentiva tranquillo all’idea di assaggiare un altro obbrobrio. Si risedette e pescò dal sacchetto una scatola di plastica trasparente.
“Che roba è stavolta?”
“Assaggia prima!” Fay sembrava ansioso che lui assaggiasse quella pietanza.
Non che a Kurogane importasse, ma aveva davvero fame. Aprì la confezione e, ad occhi chiusi, si mise un bocca uno dei bocconcini. Cominciò a masticare con cautela, poi piano piano con maggiore convinzione ed infine riaprì gli occhi, osservando sorpreso il piatto di plastica che aveva in mano.
“Ti piace? Eh? Ti piace?” domandò Fay, in ginocchio sulla panchina mentre si sporgeva verso di lui con aria speranzosa.
“...è mangiabile...” concesse Kurogane.
“Meraviglioso! Sapevo che il sushi ti sarebbe piaciuto! A me non piace per niente, mi fa ribrezzo! Allora ho pensato: se a te non piace quello che piace a me, forse ti piacerà qualcosa che non mi piace per niente!” spiegò Fay con entusiasmo. Kurogane si mise in bocca un altro di quei sushi e gli scappò l’occhio sul sorriso compiaciuto e felice di Fay.
“Che ragionamento idiota...” commentò distogliendo lo sguardo e continuando a mangiare.
Essendo giorno, non si notò per nulla, ma se fosse stata notte Fay avrebbe visto Kurogane brillare un pochino.





Continua…

Noticina: il ragno Agenore è un tributo ad un tristissimo corto che vidi tempo fa su canale 5... So che a molti i ragni fanno schifo, però spero che almeno lui riceverà un po' d'amore! ^____^



BUON NATALE!!!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***





Capitolo 2




“Kimihiro, tesoro... svegliati!”
Il bambino aprì gli occhi ancora annebbiati dal sonno, fissando il volto sfocato della madre che lo stava scuotendo dolcemente.
“Devi alzarti, Kimihiro, io e papà dobbiamo andare al lavoro presto oggi!” ripeté dolcemente la mamma, infilandogli i suoi occhiali sul naso.
“Ma mamma, sono in vacanza per Natale... non dovrei restare a casa a dormire?” si lamentò Kimihiro con voce assonnata.
“Ma amore, non possiamo lasciarti a casa da solo! Dai, vestiti che ti porto da Yuuko-san!”
Kimihiro scattò in piedi come se fosse stato punto da un ago.
“Cosa??? No, mamma, piuttosto vado a scuola anche se è chiusa!!!” gridò disperato.
La donna rise divertita all’espressione sconvolta del figlio e gli diede un’amorevole scompigliata ai suoi già disordinati capelli neri.
“Non fare il bambino, Kimihiro! Yuuko-san è una persona così gentile!”
“Non farti fregare, non sai che razza di strega sia, mamma! E poi io sono un bambino!!!
Sua madre gli sorrise ancora prima di dargli in mano dei vestiti puliti e piegati, per pi spingerlo verso il bagno. Kimihiro si arrampicò sul suo sgabellino per poter raggiungere il lavandino, appoggiò i suoi occhiali sul ripiano e si cominciò a lavarsi la faccia il più velocemente che poté. Magari se avesse avuto il tempo di lamentarsi ancora un po’ durante la colazione, forse mamma e papà avrebbero trovato un’altra soluzione. Nel riflesso dello specchio vide una scintilla di terrore attraversargli gli occhi al ricordo delle giornate passate in portineria, accudito da Yuuko-san.
Si infilò nei caldi abitini invernali che la mamma gli aveva scelto quel giorno e si fiondò fuori dal bagno e dritto in cucina.
“Allora a stasera, Sakura!” salutò suo padre, mentre si sistemava la cravatta prima di indossare il cappotto.
“A stasera, Shaoran! Passa una buona giornata al lavoro!” ricambiò il saluto sua madre, versando del latte nella tazza del piccolo Kimihiro, quella grande e gialla decorata con dei polipini.
Shaoran, prima di uscire, si chinò verso sua moglie e la baciò con un sorriso dolce che gli si dipingeva discretamente sul viso mentre si avvicinava. Kimihiro, che si era giusto appena catapultato nella stanza, si coprì gli occhi con le mani. A cosa erano costretti ad assistere i suoi poveri innocenti occhi da bambino di sette anni!
“Ciao Kimihiro, a stasera!” lo salutò suo padre, passandogli accanto ed arruffandogli di nuovo i capelli appena pettinati.
“Ciao papà.” salutò esasperato il bambino. Possibile che i suoi genitori dovessero tubare come colombi in sua presenza? Perché un’anima candida come lui doveva essere circondata da adulti senza ritegno? Kimihiro ripensò ai suoi maestri di scuola e ringraziò il cielo che non li avrebbe visti almeno fin dopo le vacanze di Natale.
“Tieni, tesoro, bevi mentre sparecchio!”
La mamma gli diede in mano la sua tazza di latte caldo e lui la bevve, ancora immerso nelle sue indispettite cogitazioni sul mondo degli adulti.
“Hai finito? Bene, mettiti il cappottino e usciamo, che siamo già in ritardo!” gli disse la mamma, controllando preoccupata l’orologio.
“Va bene mamma...” annuì Kimihiro, ancora spazientito per quel modo di fare totalmente irrispettoso degli adulti, che costringono i bambini ad assistere a simili manifestazioni di spudoratezza.
Fu solo quando era ormai sul pianerottolo e la porta di casa ben chiusa alle sue spalle che si rese conto di non aver ancora protestato per il programma della giornata.
“Andiamo, Kimihiro, Yuuko-san ci sta aspettando!” lo richiamò la mamma.
Kimihiro, con un brivido, si rese conto che era ormai troppo tardi.

“Kuro-stellina... svegliati!”
Kurogane grugnì, rifiutandosi di alzarsi. Si rigirò testardamente sulla brandina, forse un po’ troppo piccola per lui, che era inaspettatamente comparsa da uno dei divani del salotto. “Oh che sorpresa! Questo è un divano-letto!” aveva esclamato sorpreso Fay. Quello stupido umano non sapeva nemmeno cos’aveva in casa, maledizione!
“Kuro-stellina... dai, non fare il dormiglione!”
Una scossa più energica e Kurogane cercò di divincolarsi da quella presenza fastidiosa, rigirandosi ancora più lontano e finendo oltre il bordo del letto e rovinosamente per terra.
“Oh bene, finalmente ti sei alzato!” canterellerò Fay afferrandogli un braccio per rimetterlo in piedi.
“Smettila di trascinarmi in giro come se fossi un poppante!” si indispettì il ragazzo stella, di cattivo umore più del solito per essere stato svegliato un’altra volta in pieno giorno. Con qualche trucco subdolo che Kurogane non ricordava, la notte precedente era stato messo a letto ed abbandonato a luci spente nel salotto ed ovviamente non aveva chiuso occhio, fissando per ore ed ore, completamente sveglio, la ragnatela di Agenore sopra la sua testa.
“Ma Kuro-stellare! Sei sulla terra solo da pochissimi giorni! Praticamente sei un bambino!” puntualizzò Fay.
“NON SONO UN..!!” ma prima che Kurogane potesse concludere la sua protesta, Fay l’aveva già spinto nel bagno, una pila di vestiti in mano, ed aveva chiuso la porta. “Sbrigati, che sono in ritardo al lavoro!” gli aveva gridato al di là della porta prima che il suono suoi passi si allontanasse verso la cucina.
Kurogane riapparve in cucina poco dopo, con la felpa a rovescio e l’espressione decisamente contrariata.
“Non ho la minima intenzione di venire a lavorare con te!” esclamò sedendosi al tavolo della cucina e incrociando le braccia.
“E io non ho nessuna intenzione di portarti, Kuro-splendore. Non è permesso portare i bambini al lavoro!” rispose Fay con un sorriso raggiante.
“NON SONO UN..!!” ma Kurogane si ritrovò in bocca un altro di quei biscotti troppo dolci e l’istinto di sopravvivenza lo convinse a masticare e andar giù.
“Su andiamo!” lo incalzò Fay controllando l’orologio.
Prese Kurogane per un braccio, costringendolo ad abbandonare la sedia, e i cappotti ed una cartelletta di plastica con la mano rimasta libera.
“Ciao Agenore, fa’ buona guardia!” gridò mentre chiudeva la porta.
“Ma se non mi porti al lavoro, perché diavolo mi stai facendo uscire di casa?” domandò sospettoso Kurogane osservando guardingo il pianerottolo.
“Beh, non posso mica lasciarti a casa da solo per tutto il giorno! Ti lascio da Yuuko-san, così non ti sentirai triste ed abbandonato!” spiegò Fay, fiero del suo piano.
“Cosa??” Kurogane si divincolò dalla presa dell’umano “Non se ne parla! Neanche morto!”
Kurogane ricordava fin troppo bene il sorriso inquietante della portinaia e non gli suggeriva niente di buono. Non gli restava che scappare.
“Su, non fare i capricci!” lo rimproverò Fay, premendo il pulsante dell’ascensore e bloccando Kurogane al suo interno.

Uno dei vantaggi dell’essere proprietari di un elegante complesso di palazzine residenziali era quello di guadagnare senza dover fare poi molto. Yuuko però, oltre l’ozio, amava moltissimo un’altra cosa ed era questo il motivo per cui aveva deciso di stabilire il suo ufficio in portineria piuttosto che in un lussuoso attico, come quello dell’amministratore condominiale.
Da quella postazione aveva accesso ad ogni informazione su tutti gli abitanti del complesso, dai segreti ai pettegolezzi. Tutto passava dalla portineria. E questo a Yuuko piaceva moltissimo.
Al momento le vicende più interessanti consistevano in Kobato e Fujimoto, i due vicini di casa della scala D che continuavano a passare davanti a lei con quell’aria litigarella che pareva nascondere qualcos’altro, e i tre ragazzini della scala A che sembravano aver fondato un Detective Club e le avevano chiesto, la settimana prima, di appendere all’ingresso un volantino pubblicitario delle loro attività. Lei l’aveva fatto più che volentieri, era pur sempre un’iniziativa che poteva tornarle utile e il piccolo presidente del club aveva un savoir fair da vero gentiluomo nonostante l’età.
Questo fino al giorno precedente. L’inquilino Flourite della scala C aveva quel nuovo ospite così particolare... Il suo sesto senso l’aveva già messa sull’attenti, perché aveva riconosciuto il potenziale per qualcosa di molto interessante.
“No, mamma! NO!” strillò una voce infantile disperata.
L’attimo dopo Sakura comparve dal corridoio, trascinandosi dietro suo figlio Kimihiro.
“Grazie mille, Yuuko-san!” disse con un inchino cortese Sakura, abbandonando il bambino in portineria.
“Mamma, non lasciarmi qui!” pianse Kimihiro.
“Non c’è problema, vai pure a lavorare tranquilla!” la rassicurò Yuuko.
Sua madre era appena sparita oltre l’ingresso e già Kimihiro tentava una fuga disperata, quando dal corridoio giunsero altri rumori di protesta.
“NON HO BISOGNO DELLA BALIA!”
“Sì che ne hai bisogno, non puoi proprio stare a casa da solo!”
Fay spinse Kurogane fino alla portineria ed oltre la porta, subito bloccata dalla figura di Yuuko, cosa che impedì tra l’altro anche a Kimihiro di sgattaiolare via.
“Grazie davvero Yuuko-san! Buona giornata, Kuro-shine!” gridò Fay mentre correva via verso l’uscita, agitando una mano a mo’ di saluto.
Kurogane si guardò attorno coi nervi a fior di pelle. Non gli piaceva essere trascinato in giro a quel modo o stare in compagnia dello stupido umano, ma quella donna riusciva a preoccuparlo anche di più. Abbassando lo sguardo notò il bambino occhialuto che lo guardava con aria comprensiva, come se capisse perfettamente la sua situazione.
“Bene...” Yuuko ruppe il silenzio, facendo sobbalzare entrambi. “...sarà una giornata interessante per tutti... ho in mente un paio di cosette divertenti per voi due...”
Il sorriso della portinaia non aveva nulla di divertente.

“E così tu saresti una stella...” ripeté meditabondo Kimihiro da dietro lo scatolone.
“Mh.” confermò Kurogane, domandandosi ancora come fosse finito a parlare con un moccioso.
“Oh... Ok.” annuì Kimihiro tranquillo.
“Battiamo la fiacca?” li richiamò Yuuko, diversi metri avanti a loro.
Kurogane le lanciò un’occhiataccia. La faceva facile, quella maledetta! Non era lei a trascinare in giro per il giardino un enorme abete!
“Oh non farci caso, quella fa sempre così!” lo rassicurò il bambino, prestando però attenzione a non alzare troppo la voce. Per quanto fosse un moccioso che superava appena il metro e un tappo, era rassicurante avere qualcuno che condividesse le sue disgrazie.
“Qui è perfetto!” decretò intanto Yuuko, indicando una zolla di terra libera del giardino.
“Hai detto la stessa cosa anche le ultime quattro volte che mi hai fatto scavare per terra!” le abbaiò contro Kurogane, abbandonando a terra con un tonfo il tronco dell’abete e strappando la pala dalle mani della donna.
“L’albero di Natale deve stare in una posizione congeniale per essere ammirato da tutti! Non è certo un lavoro semplice trovargli un posto!” replicò Yuuko con un sorriso da chi la sapeva lunga. Kimihiro avrebbe potuto far presente che il posto appena scelto era lo stesso identico dell’anno prima e di quello prima ancora, ma poi realizzò che il signor stella non l’avrebbe presa bene e Yuuko-san anche peggio, quindi preferì starsene zitto, per la pace nel mondo.
Kurogane cominciò a scavare, sfogando la sua rabbia sull’innocente terreno. Il bambino lo osservò, continuando a reggere il pesante scatolone tra le braccia, e decise che quel signore strano e dall’aria arrabbiata gli stava simpatico. Dopotutto grazie a lui, l’attenzione riservatagli da Yuuko-san era dimezzata, il che era gran bel respiro di sollievo.
“Ora vi lascio a finire l’albero. Mi aspetto che sia pronto prima di mezzogiorno, perché il piccolo Kimihiro ci deve preparare il pranzo, giusto?” li salutò Yuuko, rientrando al calduccio della portineria.
“Questo si chiama sfruttamento minorile!!!” protestò Kimihiro, facendo tintinnare qualcosa dentro lo scatolone con la sua sfuriata.
“Attento alle decorazioni, Kimihiro-chan... chi rompe paga...” disse Yuuko, facendo di nuovo capolino oltre la porta d’ingresso.
Kurogane sentì i capelli alla base del collo rizzarsi. Come una persona sorridente riuscisse ad essere così minacciosa, non se lo sarebbe mai spiegato. Nemmeno la principessa Tomoyo ci riusciva così bene. Kimihiro intanto aveva subito appoggiato con estrema delicatezza la scatola per terra e la osservava con timore e preoccupazione. Kurogane si sporse per osservarne il fragile contenuto, rifiutando di ammettere con sé stesso di essere a sua volta un poco intimorito dalla velata minaccia della loro aguzzina. Tante sfere bianche e rosse, stavano adagiate tra delle palline di polistirolo ed in parte coperte da lunghe e spesse spire di festoni luccicanti. Il ragazzo provò ad allungare una mano verso lo scatolone aperto, ma Kimihiro lo bloccò dandogli un piccolo schiaffo sul dorso della mano.
“No no no! A questi così ci penso io, è meglio! Tu pensa a piantare l’albero per favore!” disse il bambino con fare deciso.
Kurogane lo guardò storto. Come si permetteva quel nano con gli occhiali di dargli ordini? Non sarebbe stato certo lui a dirgli cosa fare e come farlo. Nessuno gli dava ordini (tranne la principessa Tomoyo... ma questo era un pensiero che preferiva scacciare velocemente dalla mente). Una parte della sua mente gli domandò allora come fosse possibile che si fosse lasciato comandare a bacchetta da ogni singolo umano con cui aveva avuto a che fare e si ricordò della volta in cui Kusanagi, il suo vicino di costellazione, gli aveva detto, tra grasse risate, che lui gridava e strepitava, ma finiva sempre per fare quello che volevano gli altri. Non che pensasse che Kusanagi avesse ragione, quello era solo un tizio poco serio che se la rideva troppo. Lui non era lo schiavo di nessuno, se questi umani pensavano che fosse un rammollito, avevano capito male.
“Per favore, signor stella! Se non facciamo presto, non farò mai in tempo a far da mangiare e Yuuko-san si arrabbierà moltissimo!” lo implorò il bambino cercando di spingerlo verso l’albero senza smuoverlo di un millimetro.
“Tu... sai fare il sushi?” domandò Kurogane, sollevando un sopracciglio.
“Eh? Beh... sì...” rispose Kimihiro, perplesso della domanda.
“Mh. OK.” e Kurogane andò ad armeggiare con l’albero e la buca per terra. Il soldo di cacio, tutto sommato, aveva degli argomenti convincenti. E non stava eseguendo gli ordini di nessuno, lo faceva soltanto per guadagnarsi il cibo quotidiano. Punto.



Continua...




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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Come volevasi dimostrare, il tempo mi è stato sfavorevole... domani (domani??? tra meno di quattro ore, cavolo!!! XDDD) parto e non avrò modo di lavorare alla fic per un pochino... Cercherò di non farla durare fino a Pasqua!XD
Grazie mille del sostegno che mi avete dimostrato, grazie davvero! Vi auguro uno splendido 2008 all'insegna del KuroFay XD!


Altri pairing e nuovi crossover tutti per voi!





Capitolo 3




“Maledetto Rikuo, lasciami passare! Devo tornare al servizio della Principessa Miyuki!”
“Ah, Kazahaya... sai che non posso resisterti, con quel visino arrabbiato...”
“No Rikuo, brutto idiota! Lasciami! Non possiamo! Tu sei una nobile guardia reale e io solo un damigello... Quello che c’è stato tra noi è stato un terribile sbaglio!!”
“Tu parli così, ma i tuoi occhi mi dicono qualcos’altro.”
“No, fermo! No, non qui... nello stanzino delle scope...”
“Shhh, non vorrai che ci scoprano, vero?”
“Oh Rikuo, io ti... io ti...”

“Fay? Dovresti mettere i retini a quelle tavole, non leggerle...”
“Non le stavo leggendo, Kakei-san!” Fay, con un sorriso smagliante, alzò lo sguardo per incontrare quello altrettanto sorridente del suo capo.
Kakei era un uomo senza età. Nonostante fosse un mangaka affermato da diversi anni, mostrava ancora un aspetto giovane ed affascinante, i suoi occhi verdi, che osservavano il suo assistente da appena sopra il bordo degli occhiali, non sembravano poter essere intaccati dallo scorrere del tempo. Il Damigello era soltanto l’ultima di una lunga serie di successi editoriali, eppure la vivacità e la passione con cui Kakei si gettava nel proprio lavoro erano quelli degli esordi. La cosa incredibile era che riusciva a colpire i lettori di ogni età, ogni volta con una nuova storia accattivante. Kakei era letteralmente il Re di tutti i mangaka yaoi del momento (ma anche di tutti i tempi) e Fay era orgoglioso di essere stato scelto come suo assistente, aveva sognato di esserlo fin da quando aveva letto, anni prima, le sue vecchie opere.
“Hai pensato alla proposta dell’Editore in questi giorni?” gli domandò Kakei, raccogliendo dal tavolo le pagine già ultimate per dar loro un’occhiata.
“Certamente!” rispose rapido Fay, ma il taglierino con cui stava modellando il retino per poco non gli scappò di mano.
“Perfetto. Allora quando Saiga passa a prendere il nuovo capitolo, puoi parlargliene.” e con un sorriso Kakei sparì nel suo ufficio, immerso nel riesame delle tavole.
Fay aspettò che il suo capo fosse a distanza di sicurezza prima di sbattere un paio di volte la testa sul tavolo di lavoro. La settimana prima, Kakei gli aveva dato una notizia sensazionale: l’Editore era rimasto impressionato dal suo lavoro e, spinto dalle ottime referenze offerte dallo stesso Kakei, gli aveva offerto la possibilità di proporre una storia breve tutta sua per la pubblicazione del volumetto natalizio. Se fosse piaciuta, l’Editore aveva lasciato intendere che ci sarebbe stata anche la possibilità per Fay di un contratto come autore indipendente e non soltanto come assistente. Era molto più di quanto un disegnatore poco più che dilettante come lui potesse sperare e Fay aveva accettato immediatamente, senza pensarci nemmeno un secondo.
Gli avevano dato sette giorni per pensare ad una storia da presentare e lui l’aveva presa con calma, pensando che avrebbe potuto anche pensarci tranquillamente negli ultimi giorni, se non che l’arrivo di Kuro-stellina gli aveva letteralmente fatto dimenticare di quella scadenza.
“Oh pazienza! Ho ancora tutto il giorno per pensare a qualcosa!” si incoraggiò a bassa voce. “Basta che ci pensi mentre finisco di sistemarvi, giusto retini?” domandò convinto, sollevando la risma di retini che stava usando.
“Bene, mettiamoci al lavoro!” e con questo si immerse nuovamente nel suo lavoro sull’ultimo capitolo de Il Damigello.

Kurogane stava diventando irrequieto man mano che l’ora di pranzo si avvicinava. Kimihiro, saldamente abbarbicato sulle spalle del ragazzo, sistemò un cristallo di neve luccicante su un ramo e si sporse in avanti per controllare cosa avesse fatto sbuffare il signor stella.
“Tutto bene?”domandò.
“Humpf... quell’idiota non torna ancora...” borbottò Kurogane, lanciando occhiatacce verso la strada.
“Il signor Fay?” A quel punto della giornata Kimihiro aveva intuito a chi si riferisse il signor stella con quell’epiteto. “Ma non tornerà prima di sera!”
“Cosa???” esclamò Kurogane, alzando la testa di scatto verso il bambino e facendogli quasi perdere l’equilibrio.
“Eh per forza! E’ andato al lavoro!” spiegò Kimihiro, sforzandosi di rimanere aggrappato lassù in cima.
“E quindi?”
“Quando uno va a lavorare, sta via tutto il giorno!”
Kurogane sgranò gli occhi e, una volta registrata ed assimilata l’informazione, si chiuse in silenzio. Kimihiro preferì continuare a sistemare le varie decorazioni e non aggiungere altro. Ad una prima impressione il signor stella sembrava arrabbiato ed offeso, ma il bambino, con quella sensibilità che gli adulti spesso perdono, ebbe il sospetto che in fondo, così in fondo che forse nemmeno lui stesso l’aveva notato, fosse rimasto ferito.

“Vi ho scoperto, Barone Bishamonten! Dietro al complotto ai danni della Regina Emeraude ci siete voi!”
“Ah ah, e chi crederà mai ad un povero damigello?”
“La principessa mi crederà! Anche lei sa che osteggiate l’amore tra Sua Maestà la Regina e il Capitano Zagart!”
“Allora non mi resta che chiuderti la bocca per sempre, piccolo intrigante!”
“Oh no! Aiuto!”
“Ah ah ah, scappa pure, non potrai sfuggirmi...”

“Non dovresti finire di mettere i retini a quelle tavole invece di leggerle? Se non le finisci mi troverò nei guai...”
“Non stavo leggendo ed ho quasi finito, Saiga-san!” rispose prontamente Fay, alzando lo sguardo per salutare il nuovo arrivato.
Saiga, il responsabile dell’Editore per quanto riguardava i lavori di Kakei, era un uomo imponente, gli occhiali da sole scuri che indossava in ogni occasione gli avrebbero donato un’aria minacciosa, non fosse stato per l’espressione perennemente gioviale che lo caratterizzava.
“Bene! Allora io vado nell’ufficio di Kakei a... discutere un paio di questioni. Quando hai finito, torno e parliamo della tua proposta, ok?”
...proposta? ...OH MERDA!!! “Certo, Saiga-san!”
Fay seguì con uno sguardo fin troppo sorridente la schiena dell’uomo che spariva nell’ufficio del suo capo, prima di sbattere nuovamente la testa sul tavolo. Come aveva fatto a dimenticarsene? Di nuovo???
Non gli era venuto in mente nulla per tutta la mattinata ed aveva continuato ad applicare i diversi retini alle tavole, contando che durante la pausa pranzo avrebbe sicuramente pensato a qualcosa. Non appena si era seduto al tavolo del fast food, aveva tirato fuori penna e blocco per buttar giù qualche idea, ma si era lasciato distrarre dal giochino che gli avevano dato in omaggio col menù ed in men che non si dica doveva già tornare al lavoro. Ma il pomeriggio era lungo ed aveva diverse ore prima dell’arrivo di Saiga-san per pensare a qualcosa. Gli sarebbe bastato completare le tavole senza perdere tempo a leggerle ed avrebbe avuto tutto il tempo necessario a pensare ad una buona storia. Però le vicende di Kazahaya si erano fatte così interessanti negli ultimi capitoli... E quel sadico di Kakei non gli voleva mai fare anticipazioni sulla trama...
L’arrivo di Saiga l’aveva risvegliato da una trance quasi mistica in cui era caduto durante le ultime pagine e non aveva ancora pensato assolutamente a nulla. Fay gettò uno sguardo verso la porta dell’ufficio di Kakei. Se era fortunato, quei due ne avrebbero avuto per almeno un’oretta, contando sia il tempo speso a gestire le questioni burocratiche dell’Editore, sia il tempo impiegato a pomiciare senza remore sulla scrivania (Fay aveva scoperto di questa ormai consolidata routine entrando diverse volte nell’ufficio del capo senza bussare prima), quindi aveva ancora tempo a sufficienza per pensare.
“Senti Fay...”
“SI’?” scattò Fay, sempre cercando forsennatamente di non sembrare disperato.
“Lasciami le ultime tavole, ci penso io a completarle. Tu parla pure subito del tuo progetto a Saiga.” gli disse Kakei, avvicinandosi al ripiano di lavoro e portando letteralmente via dalle mani di Fay le ultime tavole.
“Ma... Kakei-san... Io non potrei mai... Insomma è il mio lavoro...” Fay si gettò sui retini e cercò di trattenere quella piccola ancora di salvezza, continuando a sorridere il più che poteva al suo capo.
“Non fare complimenti Fay, altrimenti si fa tardi. Non mi hai detto stamattina che hai un ospite a casa e volevi rientrare presto?” insistette Kakei, recuperando il resto del materiale prima di sparire nel suo ufficio.
Maledizione, ancora una volta era colpa di Kuro-stellina se si trovava nei pasticci col lavoro. Se solo la sua presenza non avesse catalizzato tutte le sue attenzione a quest’ora avrebbe sicuramente avuto in mano qualcosa in più di un pugno di mosche.
“Allora, Fay. Sentiamo un po’ la tua idea.” disse Saiga, dandogli una potente pacca sulla spalla.
“Uh ecco... si tratta di...” Fay non sapeva davvero che dire. Si sentiva morire dentro all’idea di vedere un’occasione simile sfumare per sempre. Forse se avesse spiegato a Saiga-san della sua situazione, lui avrebbe capito e gli avrebbe dato dell’altro tempo.
Certo, come se fosse la storia più normale del mondo, neanche riusciva ad immaginarsi la faccia che l’uomo avrebbe fatto se avesse cominciato a raccontargli di...
“Una stella cadente!” esclamò Fay con entusiasmo.
Saiga aggrottò le sopracciglia a quello scatto improvviso, per poi sprofondare in un momento di profonda meditazione.
“Uhm... Natalizio! Mi piace, vai avanti!” commentò.
“Sarà la storia di un ragazzo normale che, una notte, viene travolto da una stella cadente. Solo che non è una stella come generalmente la si immagina! Questa stella è un ragazzone grande e grosso, dall’aria un po’ scorbutica, che si rifiuta a tutti i costi di ammettere di essere caduto dal cielo!” Kuro stellina era semplicemente adorabile quando cercava di negare l’evidenza! “Dato che questo ragazzo-stella non sa come tornare a casa, è costretto a stare col ragazzo che ha atterrato ed insieme cercano un modo di rimandarlo a casa sua.” Uh, doveva ricordarsi di cominciare a raccogliere informazioni, non appena avesse avuto del tempo libero. “E il ragazzo-stella è assolutamente incapace di vivere come un essere umano normale, combina un sacco di pasticci, mangia solo sushi, perché è l’unico cibo che gli piace...” Ehi, doveva ricordarsi di passare a prendere del sushi prima di tornare a casa! “...e fa sempre delle facciotte imbronciate davvero carine, che divertono moltissimo il suo ospite...” Fay prese fiato e fissò speranzoso l’uomo dall’altro lato della scrivania. Gli occhiali da sole scuri nascondevano i suoi occhi, perciò, per tutto il tempo che Saiga stette in silenzio a pensare, il ragazzo non riuscì per nulla a farsi un’idea dell’impressione suscitata.
“Beh... è senza dubbio una storia particolare...”
...ed era una cosa buona o no...? Fay sorrise, ma si accorse di non riuscire a respirare.
“...sì, mi piace! E’ piena di potenziale ed è molto adatta per l’edizione Natalizia! Mi raccomando, tra una settimana portami qualche bozza!” concluse Saiga, con un’altra pesante pacca sulla spalla di Fay. Il ragazzo quasi svenne per la tensione che abbandonava il suo corpo e lo stupore che ne prendeva il posto. Aveva appena aperto le porte ad una brillante carriera da mangaka e con una storia inventata sul momento, per di più!
Oh beh... inventata...
Fay si appuntò mentalmente di comprare il sushi migliore che fosse riuscito a permettersi.
“Ci vediamo allora!” lo salutò Saiga con un’altra amichevole manata sulle spalle. Fay incassò il colpo e si domandò per l’ennesima volta se prima o poi i gesti “amichevoli” di quell’uomo non gli avrebbero staccato un braccio.
“Vai di già?” domandò Kakei, una spalla appoggiata allo stipite della porta del suo ufficio. Fay non si era accorto di quando fosse uscito, ma dava l’impressione di essere lì da un po’.
“Devo passare alla Casa Editrice. Appena stacco torno a prenderti.” precisò Saiga mentre si buttava sulle spalle il suo lungo cappotto nero ed avvicinandosi a Kakei. “Allora ti aspetto prima di chiudere.” aggiunse l’altro con un sorriso tinto di un vago accenno di malizia, mentre l’uomo si chinava verso di lui.
Fay non provava più l’istinto di voltarsi davanti alle pubbliche manifestazioni d’affetto dei due. Se ai due non dava fastidio avere degli spettatori, non vedeva davvero il motivo di imbarazzarsi per loro. Tutto sommato gli occhi di Fay avevano visto exploit ben peggiori, sia per quanto riguardava i due soggetti chiamati in causa, sia per quanto riguardava le pagine del manga che aveva il compito di risistemare. E poi Saiga-san e Kakei-san erano una così bella coppia... Uno alto, coi capelli scuri e un aspetto in generale imponente e forte, l’altro esile, biondo, con un portamento elegante e lineamenti delicati. Insieme esercitavano un fascino innegabile, erano semplicemente perfetti insieme, anche dal punto di vista puramente estetico. In qualche modo a Fay ricordavano Rikuo e Kazahaya, la coppia protagonista de Il Damigello. Più volte si era domandato se questo fosse solo un caso o se Kakei-san si fosse ispirato alle proprie vicende sentimentali per creare quei due personaggi. A dire il vero poco importava, quei due personaggi erano meravigliosi, Fay ci si era affezionato fin dai primi disegni preparatori ed anche loro sembravano urlare a pieni polmoni “insieme siamo perfetti!”, nonostante le continue ritrosie di Kazahaya. Ancora ricordava l’emozione incredibile che aveva provato sistemando quella perfetta immagine dei due, finalmente allacciati in un abbraccio d’amore, nella penombra dello stanzino delle scope... Kakei-san sapeva come dare soddisfazione ad un fan, stuzzicandolo con hints e subtexts, per poi coronare l’evoluzione del rapporto con delle sane scene a rating elevato. Fay non sopportava proprio quel genere di mangaka che non faceva altro che suggerire al lettore quanto due personaggi stessero bene insieme, per poi continuare con un tira e molla infinito ed infine, magari, far morire uno dei due in maniera atroce. Davvero pessimo! Frustrare il lettore non era mica una bella cosa, e che diamine! Il ragazzo giurò a sé stesso che non sarebbe mai diventato quel genere di autore, nossignore. Tutto questo pensava Fay mentre fissava con sguardo trasognato il suo datore di lavoro e l’addetto della Casa Editrice che esploravano l’uno i polmoni dell’altro.
“Eh ragazzo!” commentò divertivo Saiga, una volta allontanatosi da Kakei per sorprendere lo sguardo indiscreto che veniva dedicato loro da diversi minuti. “Capisco lo spettacolo, ma forse sarebbe il caso che tu ti faccia una vita sentimentale più intensa!” ed esplose in una sonora risata.
Fay si riscosse a tempo di record e fu subito pronto a replicare “Non capisco cosa intenda, Saiga-san!” con lo sguardo più innocente del mondo.
Saiga sghignazzò ancora e dopo un’altra sonora pacca sulle martoriate spalle del ragazzo, uscì dallo studio.
“Allora...” esordì Kakei, non appena la porta fu chiusa.
Fay si voltò verso di lui, reclinando la testa in un gesto di graziosa perplessità.
“I tuoi due personaggi... alla fine si metteranno insieme, sì?” domandò Kakei con un ampio sorriso.
“EH??? Uh... no, non so... non c’ho nemmeno pensato...” rispose freneticamente Fay, spiazzato da quella possibilità.
“Awww... Ma sarebbero una coppia così carina! Pensaci, Fay! Lo sai che la casa Editrice approva e sostiene lo shonen-ai!” insistette Kakei.
“No, davvero... le assicuro che non sarebbero niente di che insieme...” continuò a ritrattare Fay.
“Mh... ne sei così sicuro?” Il sorriso di Kakei-san era quello di chi creava coppie che avevano conquistato intere generazioni di lettori e quindi sapeva di saperne molto di più sull’argomento di chiunque altro.
“...ma non aveva detto che potevo tornare a casa prima, Kakei-san?” cambiò rapidamente discorso Fay, cercando di affrontare il sorriso del suo capo con uno altrettanto sfolgorante.
“Certo Fay... ma ciò non ti vieta di meditare se rendere canon la tua coppia protagonista durante la strada del ritorno!” ma Fay se l’era già data a gambe, afferrando cappotto, cartelletta e suppellettili varie al volo mentre usciva.
“Ah... i personaggi in denial sono sempre i più interessanti...” commentò divertito Kakei.

“...mi stai dicendo che gli umani rinchiudono i bambini in queste specie di prigioni che chiamano scuole? Per ore e ore?” Kurogane era basito. Finalmente aveva svelato il mistero che si celava dietro quei grossi edifici dove gli umani adulti accompagnavano i loro piccoli tutti i giorni. “Ma è assurdo!”
“Non sai quanto!” puntualizzò Kimihiro con un serissimo cenno della testa.
Il bambino, in piedi su uno sgabello, era intento a tagliere rondelle di zucchina e cubetti di carota, mentre Kurogane se ne stava chino sopra la sua testa ad osservare attento il suo lavoro. Quella era l’ultima fatica che era stata loro affidata dopo quella giornata massacrante. Dopo l’albero di Natale, avevano dovuto sistemare festoni e altre luccicanti decorazioni agli ingressi e sulle scale di tutte e cinque le palazzine del complesso, appendere mazzetti di vischio qua e là e ricoprire l’intero perimetro del muro del giardino con agrifogli e rami d’abete. Certo, era stato divertente parlare stare in compagnia di quel tizio strano, anche se aveva sempre l’aria arrabbiata.
Dopo aver cucinato la cena, sarebbero stati liberi di aspettare chi di dovere fosse venuto a prenderli come più preferivano. Purtroppo in cucina il signor stella non era molto utile a velocizzare i tempi, dopo averlo visto litigare con una patata Kimihiro aveva preferito fare da solo.
Di tanto in tanto Kurogane controllava la porta o guardava fuori dalla finestra, con l’impazienza che si rendeva sempre più evidente nei suoi occhi. Le sopracciglia aggrottate e una smorfia scontenta gli incupivano il volto ogni volta che constatava che nessuno stupido umano biondo era in arrivo.
Quando però Fay raggiunse finalmente la portineria, dondolando allegramente il sacchetto di plastica ed il suo contenuto che aveva recuperato per strada, né il Kimihiro né Kurogane se ne accorsero, presi com’erano dal loro discorso.
“Ma allora le stelle lavorano per la principessa della luna?” domandò per l’ennesima volta il bambino, mentre girava distrattamente le verdure in padella, troppo intento ad ascoltare.
“Sì ed è una vera rottura! Lei se ne sta sempre nel suo palazzo e comanda tutti a bacchetta! Tu vai di qua, tu vai di là, tu fai questo, tu fai quell’altro, tu non brilli abbastanza vattene sulla Terra...” si lamentò animatamente Kurogane.
“E’ per questo che sei finito qui?”
“Sì, maledizione! Non ricordi più perché brillano le stelle, Kurogane, dice lei, forse se ti prendessi una vacanza te lo ricorderesti!
“Perché le stelle brillano?” chiese Kimihiro, incuriosito dal discorso.
“E che ne so! Per quel che mi riguarda, brillano e basta!”
“Ma se la principessa ti ha mandato qui, allora forse un motivo c’è!”
“Quella dannata Tomoyo mi ha mandato qui solo per ridere alle mie spalle!”
Fay era rimasto sulla soglia ad osservare i due mentre parlavano fitto fitto vicino ai fornelli. La trovava un’immagine molto buffa e carina, con il bambino sullo sgabello che cucinava e Kurogane, così alto, che se ne stava tutto curvo per poter parlare con l’altro. Sembravano andare d’accordo e la cosa fece sorridere Fay.
“Odio disturbare... ma penso che sia ora di riportare Kuro-scintilla a casa!” esordì, quando decise che non era più il caso di origliare.
I due si voltarono in sua direzione e mentre il piccolo Kimihiro gli rivolgeva un caloroso sorriso, Kurogane lo trapassava con il più torvo degli sguardi.
“Tu! Dove sei stato tutto il giorno???”
“Ma a lavorare, Kuro-shine! Te l’avevo spiegato!”
Kurogane uscì come una furia dalla cucina della portineria, oltrepassando in malo modo Fay e dirigendosi verso l’appartamento. L’altro gli corse dietro ridacchiando, mentre cercava di richiamarlo con miagolanti implorazioni. “Torna qui, Kuro-stelliiinaaa~”
Kimihiro, una mano ancora meccanicamente impegnata a rimestare le verdurine saltate, osservò la porta rimasta vuota per tutto il tempo in cui la voce del suo vicino di casa e pesanti passi del suo ospite continuarono a risuonare tra i corridoi e le rampe di scale, fino ad affievolirsi e spegnersi del tutto col tonfo della porta di casa.
Il signor Fay gli era sempre stato simpatico, fin da quando si era trasferito nell’appartamento di fronte era sempre stato più che felice di giocare con lui, quasi gli sembrava che a volte si divertisse più di lui a montare e smontare i mattoncini colorati delle sue costruzioni. Sempre sorridente, sempre gentile, anche se un po’ troppo pigro e disordinato. Kimihiro doveva sempre risistemare camera sua dopo che era passato il signor Fay a giocare con lui. Il signor Kurogane, per quanto poco lo conoscesse, gli era sembrato decisamente il contrario. Non l’aveva visto sorridere per tutto il giorno, solo lamentele e borbottii, però aveva lavorato un sacco quel giorno ed aveva fatto tutto alla perfezione (se si escludeva la questione cucina, ma non gli si poteva fare una colpa, sembrava proprio negato). E nonostante l’aria burbera non l’aveva trattato male. Faceva un po’ di paura all’inizio, ma se ci si faceva l’abitudine era piuttosto simpatico. Beh... non propri simpatico, ma le sue storie sul mondo delle stelle erano interessanti e poi il suo stesso essere una stella lo rendeva un personaggio davvero affascinante agli occhi del bambino (non vedeva l’ora di raccontarlo a Himawari!).
Messi uno accanto all’altro, i due adulti sembravano due perfetti opposti, pensò Kimihiro. Aveva avuto occasione di vederli insieme per pochi minuti quella mattina e per pochi istanti ora, e i due non avevano fatto che bisticciare. Chissà come facevano a vivere nella stessa casa senza azzuffarsi. Certo che erano...
“Davvero carini!”
“...io avrei detto strani.” corresse Kimihiro ad alta voce. Poi si rese conto che qualcun altro doveva aver concluso il suo ragionamento al posto suo, se aveva dovuto correggerlo, e si voltò di scatto.
Yuuko se ne stava accanto a lui, sbucata da chissà dove dopo ore che se n’era sparita, guardando con un sorriso strano anche lei verso la porta. Kimihiro notò che aveva la stessa espressione di quando diceva frasi ambigue lasciando i malcapitati di turno a rodersi di curiosità perché lei ne sapeva di certo di più, ma non aveva la minima intenzione di rivelare altro.
Yuuko sospirò con aria sognante prima di spostare il suo sguardo su di lui. La sua mano si poggiò sulla sua spalla e Kimihiro sentì un brivido percorrergli la schiena.
“Allora, mio piccolo Kimihiro... perché la mia cena non è ancora pronta?” gli domandò con un sorriso angelico quanto un demone degli inferi.
Kimihiro maledisse gli orari lavorativi dei suoi genitori che li facevano rincasare così tardi.

“Insomma, Kuro-stellina... vuoi dirmi cos’hai?” piagnucolò Fay mentre pedinava il furioso ragazzo fino al salotto.
Kurogane non l’aveva degnato di mezza parola, aveva marciato con passo pesante fino al divano e ci si era seduto con un tonfo e un broncio incrollabile. Teneva le braccia incrociate strette contro il petto ed ogni volta che Fay cercava di metterglisi davanti, girava la testa per non vederlo. All’inizio Fay lo trovò divertente, con tutti quegli sbuffi e quei grugniti, non poteva proprio resistere alla tentazione di provocare Kurogane a produrne di nuovi in continuazione.
Era un classico. Il genere di situazione che amava ritrovare nei manga che leggeva (nonché disegnava!) e che non finiva mai di farlo ridacchiare come una ragazzina, per quante volte la situazione si ripetesse di storia in storia. Che fosse il genere di interazione che si veniva a creare tipicamente tra le coppiette create da Kakei non mancò di fargli provare un certo pizzicore alle guance. Gli tornò alla mente, come era successo già più d’una volta durante la strada di ritorno a dire il vero, il commento del suo capo a proposito di quanto i personaggi della sua storia sarebbero stati carini insieme. Guardò la schiena di Kurogane davanti a lui, curvata appositamente per potergli dare ostinatamente le spalle, e gli venne da sorridere di più.
“Daaaaaai~ non puoi fare il musone in eterno!”
“Non ho intenzione di starmene in questo postaccio in eterno” mormorò tagliente Kurogane. “Anche se, se fosse per te, non tornerei mai a casa.”
La freddezza con cui aveva formulato quell’accusa aveva colpito Fay come uno schiaffo, facendogli dimenticare in un attimo tutto il suo entusiasmo, ma il ragazzo non permise che una sola piccola esitazione al suo sorriso.
“Non capisco cosa intendi...” rispose con aria scherzosa.
“Avevi detto che mi avresti aiutato ed invece sei sparito per tutto il giorno, facendomi perdere tempo con una pazza e un moccioso! Io voglio tornare a casa il prima possibile, ma non troverò mai il modo così!” Il tono della sua voce si era alzato.
Fay sentì il senso di colpa che gli strisciava alla base dello stomaco e fece per discolparsi, per spiegargli che doveva comunque lavorare e che intendeva veramente aiutarlo, ma lo sguardo deluso e disgustato di Kurogane lo zittì.
“Avrei dovuto aspettarmelo. Non ci si può fidare di un essere umano.”
“Si può sapere cosa ti hanno fatto di male gli esseri umani? Ne parli come se fossimo delle specie di mostri! Ti ha morso un satellite per caso?” rise Fay, sforzandosi di trovare uno sbocco divertente per quella discussione troppo tesa per i suoi gusti.
Kurogane si mosse più velocemente di quanto Fay riuscisse a vedere. Con uno scatto gli afferrò il bavero della camicia e lo tirò vicino, senza curarsi di non fargli male, finché i suoi occhi non furono a pochi centimetri da quelli rossi, ardenti, sottili come fessure, lampeggianti di rabbia.
“Gli esseri umani sono dei mostri. Sai cosa fanno gli esseri umani alle stelle, quando cadono sulla terra? Strappano loro il cuore e lo divorano!”
Fay sentì un brivido d’orrore scuotergli il corpo, troppo shockato dalla violenza che si era scatenatasi in Kurogane. Fece per dire qualcosa, qualunque cosa pur di calmarlo, ma il cuore gli batteva forte in gola e mozzava ogni parola.
“Il nostro cuore dona poteri magici e una lunga vita a coloro che lo mangiano e voi umani siete troppo ingordi, egoisti ed avidi per farvi scappare l’occasione. Non pensato altro che a voi stessi!”
“Ma... nessuno qui ha intenzione di...” cercò di dire Fay.
“Nessuno può farmi niente perché avete perso memoria di come fare a strappare dalle stelle i poteri che volete. E se anche sapeste come fare, io sono abbastanza forte da difendermi da solo! Non cambia niente lo stesso! A voi importa soltanto del vostro tornaconto personale, per questo odio gli esseri umani!”
Kurogane spinse via Fay, facendolo cadere indietro, addosso ad uno scatolone di libri che finirono all’aria. Fay si portò una mano al collo per massaggiarlo, la stretta dell’altro sui suoi vestiti gli aveva fatto male davvero. Tenne la testa bassa per non dover più guardare in faccia Kurogane, gli si era formato un groppo in gola e l’aria nella stanza era diventata pesante, quasi irrespirabile, se non fosse uscito subito sarebbe soffocato. Si alzò in piedi in fretta, sforzandosi di mostrare un sorriso come se niente fosse successo, e si affrettò verso la sua camera da letto, mormorando una “buonanotte” a mezza voce, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Non appena fu al sicuro dallo sguardo infuriato dell’altro, si gettò sul letto, nascose il volto nel cuscino e scoppiò a piangere. Non piangeva più fin da quando era un bambino, ma provava un disperato bisogno di sfogarsi e non riuscì a ingoiare lacrime e singhiozzi. La reazione di Kurogane era stata del tutto inaspettata e l’aveva colpito senza che lui avesse avuto modo di difendersi. Non era la prima volta che diceva di odiare gli esseri umani, ma non l’aveva mai fatto con quegli occhi, con il suo viso sconvolto dalla rabbia. Farlo arrabbiare per gioco piaceva a Fay, ma quello sguardo gli aveva gelato il sangue nel cuore.
Si sentiva stupido per aver reagito in quel modo, lui che aveva sempre pensato di poter vivere senza preoccuparsi delle opinioni della gente.
Si sentiva in colpa per essere un umano egoista e non aver pensato ad aiutare di più Kurogane.
Non riusciva ad afferrare nemmeno un lembo delle sue emozioni che gli si rimescolavano dentro per cercare di capire se avesse dovuto aspettarsi delle scuse o porgerle lui stesso. Provava un’irrazionale vergogna per essersi attirato le ire di Kurogane in quel modo, ma d’altro canto era conscio che non avrebbe potuto far nulla di più, e questo aggiunse altro peso al fardello gli pesava sulla coscienza. Non aveva fatto nulla, ma anche se avesse potuto non ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto fare. E in quel rimestarsi e ripiegarsi di “se” e “ma”, rimpianti e rimproveri, coperte e lenzuola, Fay si ritrovò supino sul letto disfatto, con l’angoscia che strisciava senza posa dentro al suo corpo, facendogli provare il bisogno di stringersi le ginocchia al petto, incapace di dormire o anche solo di chiudere gli occhi.
Per qualche ragione impossibili da scacciare, le parole di Kakei si aggiungevano di continuo ai suoi labirintici pensieri, continuando a porgli sempre la stessa domanda.
“No, signor Kakei...” mormorò Fay. “...non credo che starebbero bene insieme.”

Kurogane era rimasto immobile anche dopo che la porta della stanza di Fay aveva sbattuto da un pezzo. Di carattere era sempre stato collerico, facile da provocare e bastava un nonnulla per farlo infiammare, però non riusciva a reprimere una sensazione di stranezza, ora che l’ardore della sfuriata si era estinto. La situazione gli era sfuggita di mano, così come le parole, e senza rendersene conto si era ritrovato solo nella stanza e col fiato corto per la rabbia. Di odiare gli esseri umani, ne era sempre stato convinto, ma lui stesso si rendeva conto di aver probabilmente esagerato. Non capiva cosa gli era successo, arrabbiarsi era un conto, perdere il controllo era tutt’altro.
Doveva essere l’aria della Terra, era sicuramente qualcosa che si respirava laggiù che gli aveva scombussolato il cervello, Kurogane se ne convinceva sempre più, specialmente perché ora, come se il suo strano comportamento non fosse stato sufficiente, sentiva una sensazione spiacevole, del tutto sconosciuta, che gli faceva attorcigliare le interiora. Doveva essersi ammalato di una qualche stramaledetta malattia umana, perché non si era mai sentito così male quando era in cielo.
Provò ad alzarsi dal divano, magari muoversi gli avrebbe fatto passare quel malessere che gli mordeva lo stomaco, ma appena fatti due passi, proprio di fronte alla porta chiusa della stanza di Fay, si rese conto di sentirsi solo peggio. Sperando che almeno dormire l’avrebbe guarito, andò a smontare il divano che, grazie ad un vigoroso scossone, si aprì per rivelare il suo letto. Dovette spostare i libri sparpagliati che si erano dispersi sul pavimento dopo la caduta di Fay, un’altra operazione che gli diede una dolorosa stilettata da togliergli il fiato. In mezzo a quella confusione notò un sacchetto che sicuramente non si trovava lì prima della colluttazione. Doveva averlo avuto in mano Fay, probabilmente se l’era lasciato alle spalle quando se n’era andato in tutta fretta. Quell’idiota, andarsene a quel modo a metà di un discorso. Vero era che lui non aveva fatto molto per incoraggiarlo a restare (non che gliene importasse qualcosa, comunque), ma darsela a gambe senza dire una parola, senza un commento, come se non fosse successo nulla lo scombussolava ancora di più. Sapeva di doversi sentire arrabbiato, ma non c’era solo quello. Forse si era preso qualcosa di brutto, ma c’era sempre la possibilità che fosse un effetto collaterale della mancanza di cibo, in fondo non aveva ancora mangiato.
Raccolse meccanicamente il sacchetto abbandonato e ci guardò dentro.
Quando vide la confezione di sushi al suo interno sentì un morso violento allo stomaco che non somigliava per niente alla fame.




Continua…

Il Damigello è per Mia. Probabilmente lei non leggerà questa abnorme fic, ma ci tengo a dire che è per lei! XD






Vieni a trovarmi su The Fangirl Within!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


QUINDICI PAGINE??? QUINDICI??? Devo essere ammattita!XD
Cmq... SALUTATE LA FANFIC PASQUALE, perchè mi sa che tirerò ancora un po' per le lunghe... XD

Uh... ho di nuovo internet, go me! \^o^/


By the way... Grazie mille a tutti i lettori di Kuro-stellina! Non sapete che gioia sia il sapere che questo folle parto stia piacendo, è sicuramente un incentivo ad andare avanti!^^

Uh... Com'è stato ipotizzato... sì! Il Damigello è una parodica, ma affettuosa, citazione de Il Principesso, partorita dalla mia mente a seguito di diverse folli disquisizioni fatte con An Rua Mia sull'imbarazzante titolo deciso dagli editori italiani per tale fumetto!

...spero davvero di non deludere nessuno con questo abnorme capitolo... ç___ç






Capitolo 4



Kurogane sentì la sveglia di Fay suonare nell’altra stanza.
Ascoltò i soffusi passi sul pavimento, lo scorrere dell’acqua nel bagno e l’aprirsi e chiudersi delle scricchiolanti ante dell’armadio. Poi ci fu il silenzio, e quello più di tutto smosse qualcosa dentro il ragazzo, che però non fece niente lo stesso. Dopo un tempo interminabile, la porta della stanza di Fay si aprì e Kurogane sprecò un’altra occasione per darsi una mossa e fare... ma in fondo nemmeno sapeva cosa ci fosse da fare, per poter mandar via quel dannato malessere. Comunque non fece nulla e stette ben attento a non voltarsi verso l’altro ragazzo, quando sentì che entrava nel salotto.
Fay rimase immobile a metà porta e Kurogane ebbe il sospetto che stesse trattenendo il respiro, tanto era lacerante quel silenzio. Entrambi aspettarono qualcosa che non accadde ed infine Fay si mosse rapidamente, facendo il minor rumore possibile, fino all’ingresso. A Kurogane parve di udire un impercettibile “buongiorno” sussurrato mentre la porta si chiudeva.

Kimihiro aveva deciso di aspettare fuori di casa che i suoi genitori avessero finito di scambiarsi le smancerie del buon giorno. Francamente il bambino le trovava davvero asfissianti. Poco ci mancava che l’aria si illuminasse di rosa e fiori cominciassero a piovere dal nulla quando la sua mamma e il suo papà si perdevano l’una con l’altro. No, per la povera mente del piccolo quello era decisamente troppo.
Quindi eccolo, al suo secondo giorno di vacanza, volontariamente esiliato dalla propria casa, in attesa di venire condotto anche quella mattina tra le mani della sua aguzzina.
Il bambino sospirò sconsolato al suo infausto destino e cercò di consolarsi all’idea che nel pomeriggio sarebbe venuta a trovarlo la sua compagna di classe Himawari (e anche quello scemo di Shizuka, ma per quanto non gli riuscisse di sopportare quella sua faccia da pesce lesso per più di due minuti senza sbraitargli dietro qualcosa, non se l’era sentito di non invitare anche lui). E poi ci sarebbe stato il signor stella a rendere interessante la sua giornata.
In quel momento la porta dell’appartamento di Fay si aprì e il vicino di casa uscì velocemente, da solo, chiudendo in fretta la porta alle sue spalle. Kimihiro notò che aveva uno sguardo davvero triste, quando gli si avvicinò per capire perché fosse rimasto aggrappato alla maniglia con la fronte appoggiata alla porta chiusa.
“Stai male, signor Fay?”
Fay sobbalzò, accorgendosi solo in quel momento del bambino nel corridoio, e prontamente gli sorrise.
“Buongiorno Kimihiro-chan! Sto bene, non preoccuparti!”
Kimihiro lo guardò senza troppa convinzione, ma era stato educato a non contraddire gli adulti con troppa insistenza, quindi evitò di far notare a Fay che aveva comunque un’aria sofferente anche se sorrideva. Prese invece a fissare con fare interessato la porta dell’appartamento del vicino.
“Oggi non porti il signor stella da Yuuko-san?”
Fay si sorprese ancora una volta della naturalezza con cui il bambino sembrava aver digerito il fatto che Kurogane fosse una stella, ma fu solo un sentimento superficiale, perché la menzione del suo attuale coinquilino rigirò un coltello affilato in una già dolorosa piaga.
“No... Stava ancora dormendo... ho preferito lasciarlo riposare...” rispose Fay armeggiando nella sua borsa a tracolla alla ricerca delle chiavi.
Quando le ebbe ripescate si ritrovò però nel dubbio di cosa fare. Non poteva lasciare la casa aperta, ma non se la sentiva di chiudere Kurogane nell’appartamento. Visto il suo discorso del giorno prima, non l’avrebbe presa bene per niente. Si arrovellò con le chiavi sollevate verso la porta per un po’, sotto lo sguardo perplesso di Kimihiro, quando si rese conto che aveva la situazione proprio sotto al naso.
“Senti Kimihiro-chan... posso lasciarti le chiavi di casa? Passa più tardi a darle a Kuro... al signor stella, ok?” ed abbandonato l’ingombro ferraglioso in mano al piccolo vicino, sparì di corsa verso le scale.
Kimihiro, salutando con la mano Fay, fissò le chiavi e si rese improvvisamente conto che avrebbero potuto aprirgli le porte della libertà, oltre che chiudere quella dell’appartamento di fronte a lui.

“Davvero eravamo d’accordo che oggi saresti rimasto a fare compagnia all’ospite di Fay?” domandò incerta Sakura, mettendo su il cappotto per uscire.
“Mamma, lo sai che dimentichi sempre un mucchio di cose! Certo che eravamo d’accordo! Se no perché il signor Fay mi avrebbe lasciato le chiavi del suo appartamento?” esclamò Kimihiro con una convincente manifestazione di disappunto.
“Oh... in effetti è vero... dovrei segnarmi le cose importanti su un post-it...” concordò rammaricata la giovane donna.
Kimihiro si sentì un pochino in colpa per quella bugia, ma in fondo era detta a fin di bene (il proprio) e, se non fosse stato tutto il giorno con Yuuko-san, avrebbe avuto un sacco di tempo per sé ed avrebbe fatto un bel disegno alla mamma come segno di scusa. Sentendosi completamente discolpato, Kimihiro trascinò la mamma fino all’ascensore e la tirò giù alla sua altezza per salutarla con un bacio.
“Passa una buona giornata al lavoro!” la salutò .
“Passa anche tu una buona giornata!” rispose lei, ritrovando il suo radioso sorriso grazie al gesto d’affetto del figlio.
Soddisfatto, Kimihiro attese che le porte dell’ascensore si fossero chiuse per lasciarsi andare ad uno scatenato gesto di esultanza. Realizzando però che Yuuko-san probabilmente, essendo la vecchia volpe furbastra che era, si sarebbe domandata perché quel giorno lui non fosse stato affidato alle sue tutt’altro che amorevoli cure e sarebbe probabilmente venuta a cercarlo.
Terrorizzato all’idea, il bambino sgambettò lungo il corridoio e si intrufolò nell’appartamento del signor Fay, armeggiando con l’enorme mazzo di chiavi per chiudere ermeticamente la porta. Era tutto buio, il padrone di casa non sembrava essersi preoccupato di aprire le tapparelle quel giorno. Forse il signor stella stava davvero dormendo ancora, così Kimihiro si avventurò in punta di piedi nel salotto.
“Oi ragazzino...”
Kimihiro strillò spaventato e sentì che il cuore gli aveva fatto un salto fino in gola.
“Signor stella!!! Non deve piombare alle spalle della gente al buio!” si lamentò il bambino.
“Mh. Appunto. E’ buio.” grugnì l’altro, indicando con un gesto la stanza attorno a lui.
“Per forza, le tapparelle sono ancora abbassate!” replicò Kimihiro, constatando l’evidente.
L’espressione accigliata e perplessa del signor stella gli rispose più di mille parole, così il bambino scosse la testa rassegnato e afferrò con entrambe le mani quella ben più grande del suo buffo ed ignorante amico.
“Vieni che ti spiego come aprirle, sono troppo pesanti per me!” gli disse trascinandolo verso la finestra più vicina.

“...e Himawari è la bambina più carina del mondo ed ha un bellissimo sorriso ed è sempre gentile e mi fa sempre i complimenti quando le offro qualcosa che ho cucinato io e...” Kimihiro si interruppe, fissando dubbioso il suo interlocutore. “Mi stai ascoltando?”
Kurogane fissava il pavimento senza dar segno di averlo sentito. Il bambino si sarebbe anche potuto arrabbiare, come si poteva ignorare così un discorso sulla sua meravigliosa amica Himawari? Però Kimihiro era un animo gentile e sensibile, e fu ben disposto a perdonare quella grave mancanza del signor stella, notando l’espressione contrita che aggravava lo sguardo già cupo del suo nuovo amico.
“Ehi!” Salito in piedi sul divano, Kimihiro afferrò una spalla di Kurogane e gliela scosse energicamente. “Tutto bene?”
Il ragazzo sollevò la testa e squadrò il bambino, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di supremo dubbio.
“Credo...” iniziò a dire, per poi interrompersi e distogliere scocciato lo sguardo. “...che voi umani mi abbiate attaccato una delle vostre stupide malattie!”
“Ti fa male da qualche parte?” chiese preoccupato Kimihiro.
“No... non proprio male... mi da fastidio qualcosa qui.” E così dicendo poggiò una mano sul suo petto, appena sotto lo sterno.
“Non riesci a respirare bene?” domandò ancora Kimihiro, nella speranza di capire.
“Anche... ma è più una conseguenza credo... ho come un... un qualcosa che mi schiaccia qui dentro e ogni tanto sembra che si contragga tutto e... non so è strano, è come se... uhm... beh, non fa male, ma ho la sensazione che dovrebbe...” spiegò Kurogane, cercando di dare un senso alle sue sofferenze. Odiava sentirsi così, lo mandava nel pallone, e per di più non era bravo a scegliere le parole, si sentiva ancora più confuso a dover esprimere quello che provava.
“E’ una delle vostre stupide malattie o no?” concluse sbrigativamente, fissando intensamente il bambino, come se fosse stato suo preciso dovere dargli qualche spiegazione.
Kimihiro si chiuse in sé stesso per qualche momento, cercando di ricordarsi se si fosse mai sentito in quello strano modo quando aveva preso l’influenza, il morbillo o la bronchite, le braccia incrociate ed una smorfia meditabonda sulla faccia. Elencò ogni volta che si fosse sentito poco bene, ma nessuno dei suoi acciacchi infantili corrispondeva alla descrizione di Kurogane, seppur quello stato d’animo qualcosa a Kimihiro lo ricordava. Doveva solo sforzarsi un pochino per ricordarsi cosa fosse...
“Hai litigato col signor Fay per caso?” domandò, emergendo senza preavviso dalla sua trance e cogliendo Kurogane di sorpresa.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, ma si rese conto che l’accenno allo stupido umano ed al loro scontro della sera prima aveva fatto precipitare di nuovo il suo stato interiore. E “precipitare” era il termine più appropriato davvero, si sentì lo stomaco contorcerglisi violentemente fino in gola, peggio di quando aveva fatto quella caduta tremenda dal cielo fino alla terra.
“Cosa c’entra quell’idiota ora?” sbottò stizzito, il suo umore era in progressivo inesorabile peggioramento.
“Beh... Prima il signor Fay mi è sembrato strano...” Più strano del solito, pensò. “E io mi sento come ti senti tu, quando litigo con la mamma, il papà o i miei amici...”
Kurogane rimase interdetto. Si era arrabbiato un milione di volte prima d’allora, eppure non aveva mai provato una sensazione così spiacevole. Quando Kusanagi e Fuuma si azzardavano a prenderlo in giro per un motivo insulso o quando la Principessa Tomoyo lo rimproverava o lo costringeva a fare qualcosa contro la propria volontà, lui si infervorava tanto che in molti temevano l’avrebbero sentito fin sulla Terra. Gridava, sbraitava e sfogava tutta la sua furia sugli ignari detriti astrali di passaggio, facendoli a pezzi e spaccando, in generale, tutto quello che gli capitava a portata di mano. Anni passati a sfuriare e mai una volta si era sentito male per questo.
Eppure...
Eppure anche la stessa rabbia che l’aveva acceso la sera prima era diversa, non era affatto come gridare in direzione del palazzo della Luna, nel tentativo di far giungere i suoi insulti alle orecchie della Principessa. Gli ricordava di più due asteroidi impazziti che finiscono per scontrarsi e farsi a pezzi.
All’improvviso si rese conto di cosa ci fosse di strano di nuovo. Le stelle sono lontane una dall’altra, lui poteva arrabbiarsi quanto gli pareva, ma era sempre troppo lontano da chiunque per scontrarcisi. In cielo non puoi litigare davvero, non puoi vedere l’espressione ferita dell’altro, non puoi sentire il silenzio assordante che cade alla fine di tutto, perché le distanze sono immense. Se nessuno può raggiungerti, non puoi ferire né restare ferito.
Maledizione a Tomoyo e alla sua follia! Aveva scoperto che cosa significava vivere a contatto con qualcuno e non era una novità gradevole.
Kimihiro era rimasto in paziente silenzio, aspettando che il signor stella facesse ordine nella sua testa, osservando attento come la sua espressione perdeva mano a mano il suo cipiglio minaccioso e assumeva una nota di qualcosa che il bambino avrebbe potuto definire sconsolato e sperduto.
“E come si fa a far passare questa... questa cosa?” domandò Kurogane bruscamente.
Kimihiro sorrise.
“Io di solito faccio qualcosa di carino per farmi perdonare... alla mamma l’ultima volta ho disegnato i suoi fiori preferiti! Lei era felicissima dopo, si è dimenticata subito del dispiacere ed è passato subito anche a me!” rispose, felice di poter insegnare qualcosa di utile al suo astrale amico.
“Perché mai dovrei fare qualcosa per quell’idiota?” si scandalizzò l’altro. No no no, non aveva proprio intenzione di fare nulla del genere!
“Per chiedere scusa!” insistette Kimihiro.
“Ma di cosa???” Kurogane non era davvero il tipo da fare qualcosa per qualcuno!
“Di aver litigato, no?” Al bambino sembrava la cosa più ovvia del mondo, ma si sforzò di essere elementare, per risultare comprensibile al signor stella.
“Ma... ma ha cominciato lui!” si impuntò Kurogane, cercando di ignorare un altro di quei fastidi che gli si agitavano dentro, come a voler affermare il contrario.
“Non importa! Se ti senti male, allora vuol dire che ti dispiace! Allora devi chiedere scusa!” spiegò ancora Kimihiro, chiedendosi cosa ci fosse di tanto difficile.
“Ma...” cercò di intervenire ancora il ragazzo stella, ma il bambino lo fermò subito.
“Sono sicuro che il signor Fay sia tristissimo per quello che è successo, si sentirà senz’altro peggio di te! Non vorresti che passasse tutto anche a lui?” gli chiese con sguardo convincente.
Kurogane avrebbe voluto replicare, il suo orgoglio stava letteralmente ruggendogli in testa di resistere sulle proprie posizioni, ma il ricordo delle espressioni di Fay dopo il loro litigio, così diverse da quelle a cui era abituato, dovevano essere il nutrimento preferito da quelle bestiacce che lo facevano star male in quel momento, perché sentì un tale sconvolgimento dentro di sé, da perdere la parola.
Non gli piaceva che l’umano, per quanto stupido, si sentisse triste, non gli piaceva che se ne stesse in quel silenzio pesante, che sorridesse in quel modo strano. Lo mandava completamente fuori dai gangheri.
“Dovrei fare un disegno allora...?” chiese a mezza voce Kurogane.
“Uh... forse è meglio di no, il signor Fay disegna benissimo da solo...” ritrattò Kimihiro, rendendosi conto che questa tattica probabilmente non era la migliore.
“E allora che dovrei fare?” chiese di nuovo Kurogane, spazientito.
“Mh...” cominciò a mugugnare il bambino, sfregandosi la testa con la mano, come se il gesto avesse potuto aiutare i suoi pensieri a rimescolarsi più agilmente.
Kurogane non gli staccava gli occhi di dosso, cominciando a perdere la calma ancora. Quel nanerottolo non poteva dirgli una cosa, ritrattare e poi non sapergli spiegare come togliersi di dosso quel malessere infernale!
-THUD-
Un rumore nel corridoio fuori dall’appartamento distolse entrambi dai propri arrovellamenti. Kimihiro saltò giù dal divano senza pensarci due volte e corse verso l’ingresso, costringendo Kurogane a seguirlo, non tanto perché fosse interessato a quello che poteva essere successo, quanto perché col bambino, si allontanava la sua speranza di riprendersi da quel trambusto interiore così fastidiosamente umano.
Il bambino intanto aveva già spalancato la porta e si era gettato fuori.
“Oh no! Un’altra volta!” lo sentì esclamare dal corridoio.
Kurogane sporse svogliatamente la testa fuori dalla soglia per vedere il bambino inginocchiato accanto ad un uomo stramazzato per terra.
“Qualcosa non va?” domandò Kurogane, se non preoccupato, almeno incuriosito.
“No...” Il bambino si aggrappò ad una spalla dell’uomo e cercò di girarlo. “...non è niente...” Ancora uno sforzo, ma il corpo dell’uomo non si muoveva. “...E’ il signor amministratore condominiale! Cade sempre addormentato da qualche parte...”
Spiegò tirando l’uomo per la giacca con tutte le sue forze, per poi rinunciare rassegnato. Kimihiro guardò imbronciato Kurogane che assisteva alle sue fatiche con aria perplessa e senza muovere un dito. “Mi daresti una mano, sì? Dobbiamo girarlo!”
Kurogane sbuffò e senza fatica rigirò il corpo inerte dell’uomo, rivelando un volto beatamente addormentato, con gli occhiali storti sul naso.
“Signor Clow? Signor Clow, mi sente?” chiamò a gran voce il bambino, mentre si chinava davanti alla faccia dell’uomo.
“Mh? No Yuuko cara, non ho letto di nascosto la tua collezione di Harmony...” biascicò l’uomo nel sonno, sorridendo pacificamente.
“SIGNOR CLOW!” strillò Kimihiro tanto forte da tramortire un timpano anche a Kurogane.
“Eh?” domandò Clow, aprendo faticosamente gli occhi.
“Signor Clow, si è addormentato ancora nel corridoio!” lo rimproverò Kimihiro incrociando le braccia.
“Cosa?” l’uomo si guardò attorno stupito. “Oh... sembra proprio di sì... E’ che sono proprio stanco morto oggi...”
L’uomo lottò col suo enorme cappotto e, nonostante l’ingombro, riuscì a mettersi in piedi, sistemandosi gli occhiali dritti davanti agli occhi.
“Oh!” esclamò, quando si trovò davanti Kurogane e fu costretto a sollevare la testa per guardarlo in faccia. “Non l’avevo notata! Salve!”
Kurogane corrugò la fronte, ancora incerto se fosse saggio o meno dare confidenza ad un altro idiota sorridente e svanito.
Clow abbassò di nuovo lo sguardo su Kimihiro, senza perdere il sorriso e parlando come se quel ragazzo grande e grosso non fosse proprio davanti a lui. “Questo è il nuovo coinquilino del signor Flourite? Mi pare un tipo un po’ strano... Non è di molte parole, eh?”
“Non ci faccia caso...” gli rispose Kimihiro, ignorando a sua volta il ragazzo il cui umore, se possibile, pareva in precipitoso peggioramento. “E’ di cattivo umore per...” E Kimihiro ebbe l’illuminazione.
“SIGNOR CLOW!” esclamò di botto, facendo sobbalzare sia il distinto signore occhialuto che il ragazzo stella. Kurogane pensò che quel bambino a volte si agitava davvero troppo.
“...dimmi, Kimihiro-chan...” tornò a sorridere l’uomo.
“Abbiamo bisogno di un consiglio!” disse il bambino, fiero di aver trovato una geniale soluzione.
Clow acconsentì più che volentieri e senza badare minimamente ai versi sconclusionati di protesta provenienti da dietro le sue spalle.

“Non preoccuparti, il signor Clow è una persona davvero in gamba, ha sempre la soluzione giusta per tutto!” sussurrò Kimihiro, non appena l’uomo lasciò il salotto del suo appartamento, richiamato dal fischio del bollitore in cucina.
“Avresti potuto risparmiarti certe idiozie!” ringhiò Kurogane.
“Gli ho solo raccontato il tuo problema!” protestò il bambino.
“Io non mi struggo di dolore!!!” precisò indispettito il ragazzo stella.
“A me sembra di sì!” replicò Kimihiro.
“Non è vero!” insistette Kurogane, alzando un poco la voce.
Kimihiro fece per replicare che sì, era vero, quando Clow comparve di nuovo nel salotto, accompagnato da un vassoio su cui erano disposte tre tazze fumanti, e preferì rimandare la discussione.
“Dunque...” cominciò Clow, sedendosi e porgendo una tazza a ciascuno dei suoi ospiti. “...se non ho capito male, volevate un consiglio su cosa il qui presente signor Kurogane potrebbe fare per riappacificarsi col signor Flourite, dato che si strugge di dolore...”
“IO NON MI- OUCH!” fece per lamentarsi il ragazzo stella, prima che il bambino gli tirasse una gomitata nel fianco.
“E’ esatto.” confermò Kimihiro al posto suo.
“Beh... una cosa ci sarebbe...” rivelò con un sorriso enigmatico Clow mentre sorseggiava il suo tè, bloccando l’intenzione di Kurogane di strangolare il bambino.
I due continuarono a fissare l’amministratore condominiale, entrambi in un’attesa più o meno corrucciata, aspettando che l’uomo si spiegasse. Quando fu chiaro che non avrebbe proseguito e che sarebbe potuto andare avanti a trastullarsi con la sua tazza per chissà quanto ancora, Kurogane sbottò.
“Allora?!”
Clow appoggiò la tazza e tornò a sorridere a Kurogane. “Impaziente?”
“Certo che... NO!”
Kimihiro rise dietro il suo tè del dirompente rossore che era esploso sulla faccia di Kurogane, fin sulle orecchie, e Clow, sebbene con più discrezione, fece altrettanto.
“Il signor Flourite ama moltissimo il Natale, ma è sempre così distratto dal lavoro anche quando è a casa che non riesce mai a decorarla in tempo.” disse l’uomo con estrema calma, continuando a sorridere a Kurogane.
“...e quindi???” Il ragazzo non ne poteva più di quel tizio che non riusciva a dire una frase esaustiva, che fosse una.
“Perché non decora lei l’appartamento?”
Kurogane rimase interdetto. La sua mente venne attraversata da migliaia di lucine colorate intermittenti, campanelline di vetro, pendagli luccicanti e quegli spaventosi ometti barbuti meccanici che rantolavano i loro “oh oh oh”. Sprofondò con la schiena nei cuscini del divano ed incrociò le braccia con aria contrita. Non gli sembrava una buona idea, non aveva sviluppato un buon rapporto con le decorazioni natalizie il giorno prima, quando quella psicopatica lo aveva schiavizzato. Sentiva ancora le braccia stanche per aver trascinato l’abete per tutto il giardino e aveva le mani piene di graffi per colpa dei rami d’agrifoglio.
“E’ un’idea geniale!” commentava intanto Kimihiro. “Il signor Fay adora queste cose! Quando viene a farci gli auguri di Natale si mette sempre a fissare il nostro albero!”
Ed i pensieri di Kurogane vennero dirottati precipitosamente verso l’immagine del viso di Fay riflesso nelle vetrine dei negozi, che aveva scorto il suo primo giorno in città. L’aveva trovato stupido sul momento, ma era impossibile non notare la felicità che avrebbe fatto brillare gli occhi dell’umano, anche se non fossero stati fissi sulle luci danzanti delle decorazioni.
Improvvisamente il suggerimento del tizio occhialuto gli parve più allettante.
“Mh... E dove le trovo le decorazioni...?” domandò, ritrovandosi ad arrossire senza motivo, cosa che lo fece innervosire ed arrossire ancora di più.
“Posso darvi quelle del condominio degli anni scorsi.” offrì gentilmente l’amministratore. “Yuuko ha la mania di comprarne di nuove tutti gli anni, così quelle vecchie si accumulano nella mia cantina...”
“Sarebbe grandioso! Grazie!” si affrettò ad accettare Kimihiro, allettato dall’idea della natalizia attività.
Kurogane grugnì qualcosa che sarebbe potuto sembrare un grazie e si rallegrò del fatto che il soldo di cacio sembrava intenzionato ad aiutarlo anche con quella parte del piano.
“Vado a prendervi le chiavi della cantina allora!” disse allegramente Clow, alzandosi dal divano e sparendo oltre una porta.
“Sei contento? Con questo farete pace di sicuro!” saltò subito su Kimihiro, tirando una manica del maglione di Kurogane.
“...l’importante è che mi passi questa stupidissima malattia umana...” ci tenne a precisare Kurogane con un po’ troppa foga.
“...se lo dici tu...” ribatté poco convinto il bambino.
“Cosa vorresti insinuare con-?”
-THUMP-
I due voltarono lo sguardo verso il sordo rumore di qualcosa che si schiantava a terra. Proveniva dalla stanza in cui si sarebbe dovuto trovare il padrone di casa.
“Oh no... di nuovo...” sospirò Kimihiro, saltando giù dal divano e trascinandosi dietro il suo grosso amico per andare a soccorrere l’amministratore, probabilmente addormentato per terra.
“Comunque non lo faccio mica per quell’idiota di umano, eh!” precisò nuovamente Kurogane, determinato ad assicurarsi che il bambino non fraintendesse.
“Sì, sì, certo, come ti pare... ora aiutami a svegliare il signor Clow, che poi abbiamo da fare...” rispose accondiscendente Kimihiro. Il signor stella era davvero cocciuto!
“...mh.” acconsentì Kurogane, anche se non troppo soddisfatto della risposta sbrigativa del bambino. Poi si ricordò di un particolare. “Oi... io però quei vecchiacci vestiti di rosso in casa non li voglio!”
Kimihiro comprese che sarebbe stata una lunga giornata.

“No Kokuyo! Non ti permetterò di attaccare il castello! Perciò fatti sotto, io non mi farò da parte!”
“Quanto sei testardo, Rikuo! Non capisci che non puoi sconfiggermi?”
“Questo è da vedersi!”
“ARGH! IL MIO OCCHIO!”
“Ah ah! Chi è che non posso sconfiggere ora?”
“Rikuo... tu non capisci... io devo attaccare il castello per salvare Hisui dalle losche trame della corte!”
“Cosa c’entra mia madre ora?!”
“Rikuo... io... sono tuo padre!”

Niente da fare.
Fay allontanò svogliatamente da sé le tavole che avrebbe dovuto rifinire ed appoggiò la testa sulla scrivania.
Se nemmeno leggere il nuovo entusiasmante capitolo de Il Damigello, con tutti i suoi sconvolgenti colpi di scena, gli faceva passare quella schiacciante tristezza, allora non c’era davvero più niente da fare. Rigirò la testa senza staccare la fronte dal legno del ripiano e fissò i fogli schizzati giacevano sparpagliati accanto a lui. Prese distrattamente una matita e cominciò a scarabocchiare.
“Sono i protagonisti della tua storia?” domandò Kakei, sbucando dal nulla alle sue spalle.
“Sì! Sì, stavo buttando giù qualche schizzo preparatorio mentre prendevo una pausa dal lavoro!” saltò subito su Fay, mostrandosi in forma smagliante.
“Ottimo!” replicò Kakei, che aveva sì notato le tavole de Il Damigello in arretrato stadio di completamento, ma non ci diede molta importanza. “Mi piacciono!”
Il mangaka tirò su un paio di fogli scarabocchiati per esaminarli meglio. Due personaggi schizzati appena a matita se ne stavano tristi e mogi a darsi le spalle. Uno più alto (“chiaramente il seme” pensò Kakei con aria esperta) aveva i capelli corti, tirati indietro, fatta eccezione per un paio di ciuffetti che gli cascavano davanti agli occhi, e... di un bel rosso fulvo. E portava gli occhiali. L’altro (“l’uke...” riconobbe l’occhio allenato di Kakei) era più basso e magrolino, aveva il viso circondato da una chioma morbida e sbarazzina, lunga appena sopra le spalle. L’uomo notò che sarebbe potuto somigliare al suo assistente se solo non fosse stato per il colore corvino dei suoi capelli. Quello che Kakei non sapeva era che, quando Fay si era accorto che i suoi personaggi assomigliavano davvero troppo ai modelli reali, aveva optato per un drastico cambiamento cromatico.
“Hanno già un nome?” domandò Kakei.
“Sì!” mentì spudoratamente Fay. Fece un rapido elenco mentale di nomi e ne scelse due a caso sul momento. “Il ragazzo stella si chiama Rodney e l’altro Nicholas.”
“Mh... e perché hanno questi musi lunghi?” domandò Kakei, continuando la sua analisi. “Da come l’avevi raccontata, sembrava una storia dall’atmosfera più allegra...”
“Ci sto ripensando. Credo... che i lettori apprezzerebbero di più un po’ di angst!” si giustificò Fay.
“Beh sì, i lettori di questo genere sono ormai abbastanza assuefatti all’angst, e una bella storia d’amore diventa ancora più succulenta se passa per un bel periodo di sana disperazione...” ponderò Kakei.
“Ma questa non è una storia d’amore!” cercò di correggerlo cortesemente Fay.
“...però il tuo deve essere un racconto breve, se lo riempi di cose deprimenti finirà con l’essere poco natalizio...” lo ignorò l’altro, continuando le sue cogitazioni ad alta voce.
“...ci penserò su, va bene?” si arrese l’assistente, conscio che l’unico modo per mettere a tacere l’insistenza del suo capo era assecondarla.
“Perfetto!” concluse soddisfatto lui, porgendogli i suoi schizzi. “Sai cosa stavo pensando? Visto che siamo a così buon punto col capitolo, potresti prenderti qualche giorno di vacanza per stendere per bene lo script della tua storia, ti va?”
“Oh... sarebbe davvero...” cominciò Fay, entusiasta all’idea di poter poltrire a letto fino a tardi per i giorni seguenti invece di uscire all’alba con quel freddo e passare del tempo con...
Improvvisamente si ricordò perché i suoi personaggi avessero quell’aria così depressa e gli passò del tutto la voglia di stare a casa.
“...sarebbe davvero un peccato! Non ho bisogno di stare a casa per lavorare allo script, posso farlo mentre finisco le sue tavole, è meglio completarle il prima possibile, no?” replicò con tono premuroso Fay.
“Insisto!” proclamò Kakei intransigente. “E’ una grande occasione per te, devi lavorarci con impegno e tranquillità, non posso spremerti come un limone qui e pretendere che pensi alla tua storia nei ritagli di tempo! No, vai pure a casa subito piuttosto! Rilassati per oggi e da domani ricomincia a lavorare e noi ci sentiamo dopo il weekend, ok?”
“Ma...” cercò di protestare debolmente Fay, mentre i suoi strumenti di lavoro venivano infilati nella sua cartelletta e la sua cartelletta nella sua tracolla.
“Però io...” tentò ancora, mentre Kakei lo costringeva ad indossare il suo cappotto e si assicurava con aria materna che la sciarpa fosse ben stretta attorno alla sua gola.
“Divertiti e ricordati che i lettori amano le storie d’amore a lieto fine e apprezzano sempre qualche tavola un po’ spinta che stuzzichi la loro fantasia!” lo consigliò, prima di spingerlo fuori dall’ufficio.
Fay rimase a fissare con aria sconsolata la porta chiusa davanti a sé, con le sue inutili proteste sospese in gola e una nota rassegnata ad incupirgli gli occhi.
Pazienza, pensò. Tanto prima o poi sarebbe pur dovuto tornare a casa sua, no? Magari, se fosse stato fortunato, Kuro-stellina l’avrebbe solo ignorato e lui avrebbe avuto il tempo di rinchiudersi in camera sua e non dover affrontare il suo disprezzo un’altra volta.
La prospettiva non lo fece sentire per niente meglio.

Kakei sospirò quando sentì i passi del suo assistente allontanarsi. Quel benedetto ragazzo era davvero difficile da trattare, ma per fortuna l’uomo aveva abbastanza esperienza su come raggirarlo a piacere. Era abbastanza evidente che avesse dei problemi a casa, qualche situazione sentimentalmente dolorosa in sospeso probabilmente, e che faceva di tutto per non doverla affrontare. Kakei sarebbe stato costretto a finire da solo tutto il capitolo, ma almeno, sperava, Fay avrebbe risolto entro il fine settimana il suo personale tormento interiore, così da non aggiungere altro angst a quello che già aleggiava per lo studio a causa delle trame non sempre felicissime del mangaka.
“L’hai mandato a casa?” domandò Saiga, sbucando dal suo ufficio, dove aveva pernottato dalla notte prima, e sbadigliando come se si fosse appena svegliato.
“Sì, mi si spezzava il cuore a vederlo in quello stato!” annunciò Kakei con un sorrisetto.
“Che animo nobile...” lo prese in giro Saiga, raggiungendolo e circondandogli la vita con le braccia. Si bloccò un istante e poi sorrise con aria ferina all’uomo che stringeva. “...e gli hai dato dei giorni liberi?”
Kakei gli sorrise soltanto, come risposta.
Amo il tuo animo nobile!” dichiarò appassionatamente Saiga, sollevando l’altro tra le braccia e portandoselo di nuovo nell’ufficio.

La graziosa bambina con due codini ricci e neri osservò con fare pensoso un festone scintillante le cui spire stavano drappeggiate morbidamente all’abete al centro della stanza. Dopo un tempo interminabile, allungò una manina e lo accomodò in modo tale che coprisse uno spazio troppo povero di decorazioni.
“Oh Himawari! Hai decorato l’albero meravigliosamente!” cinguettò felice Kimihiro, rientrando nel salotto.
L’appartamento del signor Fay era in uno stato di disordine paragonabile all’entropia cosmica ed al caos galattico, ma questo paragone soltanto il signor stella lo comprese. Vero era che la casa necessitava di una ripulita radicale e l’unico realmente in grado di farsi carico del compito era Kimihiro. Aveva per l’appunto appena finito di ammassare gli scatoloni più ingombranti in uno sgabuzzino (che probabilmente il padrone di casa nemmeno sapeva di avere) ed ora osservava estasiato lo splendido lavoro della sua graziosa amica con l’albero.
“Veramente io ho solo sistemato questo festone, l’hanno decorato tutto Shizuka e il signor stella!” rispose sorridente la bambina, indicando alle sue spalle.
Kurogane stava coraggiosamente combattendo con un rocchetto di filo che avrebbe dovuto legare un rametto di vischio al soffitto, se solo si fosse deciso a districarsi, mentre un altro bambino se ne stava in piedi sulla poltrona con un vasetto di brillantini in una mano, Agenore nell’altra ed uno sguardo assolutamente inespressivo.
“Cosa cavolo stai facendo, Shizuka???” si infuriò subito Kimihiro, non tanto perché l’altro stesse effettivamente facendo qualcosa di sbagliato, il signor stella sembrava quello più a rischio catastrofe al momento, quanto per il fatto di dover compensare il complimento indiretto che gli aveva involontariamente fatto. Ora che lo guardava meglio, l’albero non era poi così meraviglioso, anzi! Probabilmente se Himawari non ci avesse messo le sue dolci manine, avrebbe fatto proprio schifo. Senza offesa per il signor stella, ovviamente...
“Il ragno sembrava voler decorare anche la sua ragnatela.” rispose asettico Shizuka, porgendo i brillantini alla bestiolina sgambettante.
“Questa è la cosa più stupida che...” fece per recriminare Kimihiro, quando Agenore zampettò verso i brillantini, ne raccattò una dose considerevole per le sue dimensioni e si issò verso la sua casetta, cominciando a sparpagliare i brillantini qua e là.
Kimihiro preferì non proseguire la conversazione.
Shizuka seguì attentamente i movimenti del ragnetto, incuriosito dalla disposizione apparentemente artistica dei brillantini, quando un filo della ragnatela, probabilmente troppo sottile, si ruppe e due o tre brillantini caddero giù.
“Ouch!” esclamò con appena un accenno di disappunto il bambino, coprendosi un occhio.
“Ecco, lo vedi che sei scemo?” si agitò ancora Kimihiro, raggiungendo l’amico come una furia e togliendogli la mano da davanti l’occhio. “Fammi vedere!”
“Non riesco ad aprire l’occhio.” comunicò Shizuka tranquillamente. Anche se chiuso, l’occhio cominciava a lacrimare.
“Sei un disastro ambulante!” gli gridò contro Kimihiro. Con buona dose di rabbiosa agitazione ed un’impercettibile patina di preoccupazione per l’amico, lo afferrò per un polso e lo trascinò verso il bagno, per cercare di togliergli i brillantini dall’occhio. Shizuka, per nulla allarmato dalla sua momentanea cecità, si lasciò trascinare senza protestare.
Himawari osservò i suoi migliori amici sparire oltre una porta, sorridendo alla tipica scenetta che in quei giorni di vacanza le era mancata così tanto. Era stata così felice dell’invito di Kimihiro a passare il pomeriggio tutti insieme. In fondo, per quanto fosse una brava scolara, era molto più divertente passare del tempo insieme durante le vacanze. E poi avevano conosciuto il signor stella e la cosa l’aveva resa contentissima: adorava questo genere di stranezze!
Un tonfo sordo ed un grugnito alle sue spalle deviarono, anche se non di molto, l’oggetto della sua attenzione. Kurogane, non sapeva come, era finito avviluppato dal filo, ormai completamente ingarbugliato attorno al suo corpo, tanto che ci era addirittura inciampato, capitombolando per terra. Attualmente si dibatteva furiosamente per riguadagnare la libertà.
Himawari si chinò accanto a lui e prese a fissarlo tutta sorridente.
“Allora sei una stella?” domandò.
“Gnh... sì...” rispose distrattamente Kurogane, impegnato in altre faccende.
“E stai cercando un modo per tornare in cielo?” ricapitolò Himawari.
“Sì...GAH!” replicò ancora Kurogane, prima di strozzarsi da solo, cercando di strappare il filo con le maniere forti.
“Uhm... hai bisogno di una mano?” chiese Himawari gentilmente.
“Certo che ne ho bisogno! Se sapessi come tornare a casa da solo, l’avrei già fatto!” brontolò Kurogane, ritrovandosi le mani legate insieme senza sapere come ci fosse riuscito e nell’impossibilità di invertire il processo.
“Sì, beh... veramente intendevo col filo!” rise la bambina, mostrando un paio di forbici dalla punta arrotondata (le uniche sicure in mano ai bambini!).
Un minuto dopo Kurogane era di nuovo in piedi, con brandelli di filo che gli penzolavano ancora addosso, ma almeno nuovamente in possesso delle sue facoltà motorie.
“Ce l’avrei fatta da solo comunque...” commentò, mascherando il suo imbarazzo tra le sopracciglia aggrottate.
“Ma certo, lei è un signor stella grande grosso e forte! Ci tenevo solo a rendermi utile!” lo rassicurò Himawari, la quale aveva precocemente imparato come gestire le personalità difficili dopo anni in classe con Kimihiro e Shizuka.
Kurogane mugugnò qualcosa senza senso, non del tutto convinto dalle parole della bambina, e recuperò uno dei fili che gli si erano appiccicati addosso. Ora che non era troppo lungo ed ingarbugliato, gli riuscì più semplice legare il rametto di vischio al soffitto, gli bastava salire su uno sgabellino per raggiungerlo senza problemi.
“Vuoi stare un po’ fermo???”giunse la voce esagitata di Kimihiro dal bagno, seguita dal sospetto rumore di svariati oggetti che cadevano per terra.
“Mh... credo che andrò a controllare che Kimihiro non si accechi cercando di aiutare Shizuka...” decise la bambina, una volta che si fu assicurata che il signor stella non avesse altri problemi con filo e vischio come prima.
Mentre la piccola si affrettava ad assistere i suoi amici, Kurogane scendeva dallo sgabello guardandosi attorno. Dopo quella giornata terribilmente stressante, finalmente era tutto a posto. C’erano i rametti di agrifoglio, c’erano le candele rosse dalle forme strane, c’era finalmente quella strana pianticella che andava appesa al soffitto per chissà quale ragione, c’era l’albero decorato con palline scintillanti e festoni e quelle lucine che si accendevano e spegnevano di continuo, ma soprattutto non c’era nessun ometto barbuto che ripeteva “oh oh oh”. L’unico ritrovato nella cantina dell’amministratore condominiale era stato eliminato da Kurogane prima che Kimihiro potesse notarlo. Nonostante ci fosse ancora del disordine diffuso nella casa (avevano convenuto che era sufficiente eliminare la robaccia che impediva loro di lavorare, riordinare tutto era più che superfluo), l’atmosfera era indubbiamente natalizia, proprio come quella dei negozi e delle strade che Kurogane aveva visto in città o come quella del cortile che era stato obbligato a decorare.
Ora non restava che aspettare.
Da quando aveva cominciato a trasportare scatoloni dalla cantina all’appartamento, seguendo le indicazioni del nanerottolo, aveva smesso di rimuginare sul perché lo stesse effettivamente facendo, trovando molto più riposante concentrarsi sul lavoro manuale che sulla persona per la quale lo stava facendo. Un po’ perché la sua mente era occupata con altro, un po’ perché gli era stato prospettato che sarebbe andato tutto a posto entro la fine della giornata, la bestiaccia che gli mordeva lo stomaco si era quietata, lasciandolo in pace. Almeno fino a quel momento.
Adesso che tutto pronto e non gli restava che aspettare, qualcosa ricominciò a contocerglisi dentro.
Di lì a poche ore l’umano idiota sarebbe rientrato e allora...
Non sapeva di preciso cos’avrebbe comportato il confronto diretto con quella che sembrava la fonte dei suoi disturbi, non essendosi mai dovuto confrontare con nessuno prima di allora, ma di certo non aveva intenzione di fare la figura dello stupido. Aveva fatto quello che aveva fatto semplicemente perché ne aveva voglia, non per fargli piacere, non per “fare pace”, come diceva il ragazzino occhialuto, non sicuramente per chiedere scusa, anche se forse qualche motivo per farlo l’aveva eccome. Insomma in definitiva non aveva assolutamente nessun motivo per essere imbarazzato, e che diamine! Però voleva sistemare le cose, non aveva più intenzione di sentire un silenzio come quella mattina. Avrebbe affrontato l’umano con determinazione e sicurezza e, magari, se il cretino si fosse ostinato a guardarlo con quel sorriso stentato e quegli occhi depressi, lo avrebbe appeso all’abete finché non gli fosse entrato un po’ di sale in zucca.
Il click metallico della porta d’ingresso che veniva aperta gli spedì il cuore in gola ed un peso misterioso all’altezza dello stomaco gli diede l’impressione di sprofondare nel pavimento.

Fay era immensamente fiero di sé. Aveva trovato il coraggio, chissà dove, per aprire la porta di casa sua ed era addirittura entrato, chiudendosi la via di fuga alle spalle.
Perfetto! Ora doveva solo decidersi a muoversi dal corridoio...

Non poteva essere che l’umano, anche se era mostruosamente in anticipo. Kurogane si infuriò. Arrivare in quel modo, senza dargli il tempo di decidere come comportarsi!
...non che dovesse comportarsi in modo particolare, comunque...

Si tolse i guanti, sfilando dito per dito, e li appoggiò sul ripiano all’ingresso. Insoddisfatto da come li aveva disposti, li tirò su nuovamente, tirando per bene la stoffa in modo da eliminare delle minuscole pieghe invisibili. Sistemati quelli, svolse la sciarpa un giro alla volta, con estrema calma, come se un movimento appena più veloce potesse sgualcire la trama di lana colorata da cui era composta. L’appese con cura all’attaccapanni, assicurandosi che i due lembi pendessero in perfetta simmetria da un lato e dall’altro. Soddisfatto dalla precisione ottenuta, cominciò a sbottonare lentamente il cappotto, facendo scivolare le braccia prima via da una manica e poi dall’altra. Una volta appeso anche quello, vi passò sopra una mano, per lisciar via qualsiasi traccia di polvere, per quanto non ce ne fossero di visibili.

Kurogane si sedette sul divano, cercando di assumere un’aria disinteressata. Non voleva dargli l’impressione di starlo aspettando. Non lo stava aspettando di certo. Si sistemò comodamente tra i cuscini e cominciò ad osservare Agenore che stava operosamente riparando la sua ragnatela, rendendola più resistente per sopportare il peso dei brillantini.
Involontariamente il ragazzo tese l’orecchio verso l’ingresso, dal quale proveniva un tombale silenzio. Che diavolo stava facendo quel deficiente???

Si guardò allo specchio e notò che aveva i capelli in disordine, probabilmente per colpa del ventaccio che era montato su col farsi sera. Cominciò ad armeggiare con un ciuffo che gli faceva uno sbuffo strano in cima alla testa, ignorando il fatto che in anni di convivenza con la sua capigliatura, ancora non era riuscito a farla stare al suo posto. Uno scintillio rosso alle spalle del suo riflesso lo fece voltare di colpo.

“Si può sapere cosa stai facendo???” sbraitò Kurogane, invadendo il corridoio ed il suo occupante con la sua rinnovata furia. La sua impazienza alla fine l’aveva avuta vinta.
“Uh... passato una buona giornata?” domandò Fay, la sua voce più tremula di quanto avesse sperato, sorridente nonostante stesse cercando di fondersi col muro alle sue spalle e diventare invisibile. Kuro-stellina sembrava ancora arrabbiato.
Il ragazzo stella lo squadrò per un attimo, constatando che l’espressione era sfuggente almeno quanto l’ultima volta che l’aveva vista e, di tutte le possibili reazioni che avrebbe potuto avere, finì per sbuffare spazientito. Prima di rendersi conto di quello che stava facendo, marciò verso di lui, causando all’umano qualcosa di simile ad un attacco di panico fulminante, gli afferrò un braccio maldestramente, in fondo non era pratico di queste cose, e lo trascinò fino al salotto.
Se per un attimo Fay non riuscì a pensare a niente da quanto grande fu lo spavento per il comportamento brusco di Kurogane, non appena entrò nell’altra stanza non gli riuscì di formulare alcun pensiero a causa della sconvolgente sorpresa.
Lucine, agrifogli, un abete colorato da decorazioni scintillanti...
“Ah... ah... io... tu... ma...?” balbettò, girandosi tutt’attorno per abbracciare con lo sguardo l’intera stanza.
“Forse ieri ho esagerato.” disse Kurogane, cercando di sembrare composto.
Fay spostò lo sguardo su di lui e lo fissò come se gli fosse cresciuta una seconda testa sulla spalla.
“Un pochino...” si affrettò ad aggiungere il ragazzo stella, a disagio sotto quello sguardo.
“Ma... io pensavo che...” farfugliò ancora incredulo Fay.
“E piantala di fare quella faccia da gurbz lesso, o ti appendo fuori dalla finestra come quei vecchiacci maledetti vestiti di rosso!” sbottò Kurogane.
Fay lo fissò ancora per un solo secondo soltanto. Poi gli gettò le braccia al collo ridendo.
“Ma ti sei rincretinito?!” strillò il ragazzo stella, colto nuovamente impreparato da quel nuovo cambio di atteggiamento.
Fay non riusciva a smettere di ridere, rise fino a farsi salire le lacrime agli occhi ed andò avanti, tenendosi saldamente aggranchiato al collo dell’altro.
Kurogane non sapeva assolutamente come prendere la situazione. Indubbiamente l’umano non sembrava più tormentato dal fattaccio della sera prima, pareva aver apprezzato tutta quella paccottiglia natalizia e, alla buon’ora, il tormentoso malessere che l’aveva perseguitato per tutto il giorno si era dissolto miracolosamente. Kurogane preferì non meditare troppo su quanto una cosa avesse influito sull’altra, al momento doveva capire come gestire il decerebrato che si stava soffocando di risate contro il suo petto.
“Hai intenzione di smettere a breve?” domandò, suonando non tanto scocciato quanto avrebbe creduto.
Fay, senza smettere di singhiozzare di risate e senza alzare il volto, scosse la testa.
Gli esseri umani erano davvero fuori di testa...
Kurogane decise di fare un tentativo, circondò a sua volta il corpo dell’altro con le braccia, per assicurarsi per lo meno che non facesse male a nessuno dei due a furia di sobbalzare in quel modo, e scoprì di trovarsi inaspettatamente comodo in quella posizione.
Come la sera precedente, Kurogane scoprì un altro degli strani modi che gli esseri umani avevano di interagire, impossibile per gli abitanti del cielo, date le distanze che li separavano.
Quello, però, non era affatto spiacevole da provare sulla propria pelle.

“Non possiamo ancora uscire?” domandò Shizuka con aria annoiata.
“Non ancora...” rispose distrattamente Himawari, osservando la scena in corso nel salotto attraverso la porta del bagno appena appena socchiusa.
“Mi auguro che il signor Fay e il signor stella non comincino a fare i melensi come mamma e papà...” mormorò preoccupato Kimihiro.
“Uh... che strano... non mi sembrava che le luci fossero così forti prima...” commentò distrattamente Himawari.
“In che senso?” chiese Shizuka, mentre Kimihiro continuava a rimuginare sull’indecenza degli adulti.
“Nella stanza ora... Sembra che ci sia più luce... come se...si fosse illuminato qualcos’altro...”



Continua...(L'Hitsuzen solo sa quando!XD)

Nota: Rodney e Nicholas sono nomi che Fay ha scelto a caso, ma io no. Trattasi un tributo a due personaggi meravigliosi del musical Avenue Q. Qualcuno là fuori sa anche perchè sono qui omaggiati... XD




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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***





Recentemente (ma neanche più di tanto) mi sono accorta di essere diventata piuttosto pigra... e credo di dover chiedere scusa. Non tanto per una qualche vanitosa convinzione che il mondo non possa vivere senza le robe che produco... quanto piuttosto perchè, se qualcuno ci tiene (e non sapete quanto io vi ringrazi per le dimostrazioni che mi offrite!) è giusto che ripaghi la gentilezza con un po' di impegno in più, come minimo.
Insomma… Grazie e scusate! Sul serio.

Come pegno di buona volontà, mi sono impegnata a concludere un capitolo nuovo di questa storia almeno entro questo Natale… credo che la storia durerà ancora due, massimo tre, altri capitoli, quindi non disperate, conto di finirla almeno entro il Natale 2009! XD

Vi lascio dunque alla lettura, sperando che la storia di Kuro-stellina vi appassioni ancora e che le vostre aspettative non ne siano deluse!

Tantissimi auguri di Buon Natale!!!





Capitolo 5



Il messaggio che aveva fortuitamente intercettato parlava chiaro: avrebbero attentato alla vita della famiglia reale durante il gran ballo di corte. Kazahaya non poteva permettere che questo accadesse, per questo aveva chiesto in prestito alla principessa Miyuki ( l’unica ad avergli creduto) un abito elegante per poter partecipare all’evento a sua volta, mascherato. Se ne stava ora guardingo in un angolo della sala da ballo, attento al sia pur minimo movimento sospetto.
“Come siamo eleganti, Kazahaya…” qualcuno gli sussurrò nell’orecchio.
“Rikuo! Tu!” Kazahaya arrossì.
Rikuo si lasciò scappare un sorrisetto, prima di afferrare saldamente l’altro per la vita e trascinarlo tra il vorticare delle danze.
“Non ti sta male questo vestito…” commentò con una risata.
“Maledetto Rikuo! Se sei qui solo per prendermi in giro allora puoi anche-”
“No. Non sopportavo di continuare a vedere lo sguardo che certi nobili posavano su di te… ti sta davvero troppo bene questo vestito…”
“Rikuo…?”
“Forse però il tuo solito vestito da damigello ti si addice di più…”
“Cosa?!”
“Anche se a dire il vero… io ti preferisco senza alcun vestito!”


“Nnnnnhhhh… basta! Tanto è inutile!” piagnucolò Fay, allontanando da sé le bozze del nuovo capitolo di Kakei.
Anche se era passato dallo studio per sistemare qualche retino e non fare troppo il parassita alle spalle del suo capo. Era vero che aveva del lavoro –parecchio a dire il vero– da terminare e le scadenze si avvicinavano minacciosamente, ma se avesse abbandonato completamente il signor Kakei in quel periodo, si sarebbe sentito mostruosamente in colpa, un approfittatore, una sanguisuga, un…
Ma chi voleva prendere in giro? Da che era lì non faceva che rimuginare senza fare niente di produttivo. Il problema era che, ancora una volta, cercava a tutti i costi di non tornare a casa.
La questione, almeno questa volta, non era grave, non aveva più litigato con Kuro-stellina dopo quel giorno infausto, anzi le cose procedevano davvero bene… Però l’idea di tornare a casa gli sembrava comunque troppo rischiosa, no, molto meglio trascorrere una serena e pacifica giornata al lavoro.

La sera in cui aveva fatto pace con Kuro-stellina, l’abbraccio si era protratto per moltissimo tempo, molto oltre il limite suggerito dalle consuetudini dello spazio personale. Sarebbe potuto durare anche tutta la notte di quel passo, solo che i bambini dovevano tornare a casa e dopo un certo tempo si erano stufati di rimanere chiusi nel bagno, quindi avevano chiassosamente interrotto quel loro momento privato. Kurogane si era allontanato imbarazzato, ridestandosi di botto dal torpore che l’aveva avvolto e Fay aveva sollevato lo sguardo divertito, trovando adorabile quel suo lato “scorbutico ad ogni costo”.
E lì se ne era accorto, ne era stato violentemente investito e aveva collezionato la prima tacca al conto che si portava dietro da allora.
Uno.

“E’ successo, comunque... E’ stata l’ultima volta che ho guardato giù sulla terra.” aveva detto il ragazzo-stella, mentre, più tardi, Fay cercava di produrre una cena commestibile per entrambi.
“Cosa?” gli aveva domandato distrattamente.
“Che un essere umano divorasse il cuore di una stella caduta.”
Il rumore spadellante si interruppe e Fay si voltò verso Kurogane con un’espressione incerta, forse un po’ colpevole.
“Tsk…” sbuffò lui, infastidito. “Non fare quella faccia da idiota, non è certo colpa tua!”
Fay riprese a respirare senza essersi accorto, per un istante, di aver trattenuto il fiato, ma il senso di colpa non sparì del tutto. Kurogane lo fissò con aria contrariata, poi sbuffò ancora e distolse lo sguardo.
“Quando ero giovane, c’era una stella molto luminosa vicino alla mia costellazione… si chiamava Karen, una tizia che si dava un sacco da fare per brillare, c’erano volte che la sua zona di cielo sembrava bruciare da quanto ci dava dentro. Mi ha insegnato un sacco di cose, era… una stella davvero forte. Però aveva una fissazione assurda per la terra, se ne stava ore intere a guardare in giù, tutta contenta perché, a furia di brillare e brillare, aveva un sacco di esseri umani a guardarla… Era una dannata un’esibizionista! Una volta guardò giù un po’ troppo intensamente –era da qualche tempo che seguiva continuamente un umano con gli occhiali e l’aria da tonto– e l’istante dopo era caduta giù. L’ho seguita per un po’, per vedere se riusciva a tornare, ma dovunque andasse gli uomini le davano la caccia. Un giorno un umano riuscì a catturarla, le strappò il cuore e… lo mangiò.”
Kurogane si interruppe, gli era scesa frattanto un’ombra di rabbia negli occhi, e Fay ne approfittò per allentare la presa che involontariamente aveva stretto attorno al manico di una padella per la sensazione spiacevole che la storia gli stava gettando addosso.
“Non ho più guardato giù.” concluse Kurogane a bassa voce. “Mai più.”

“Awww, così carino!”
“Non è vero!”
“Invece sì!”
“No!”
“Sììì~”
“Ho detto di no!”
L’argomento era caduto nel dimenticatoio ed il resto della serata fu riempito dal reticente racconto della giornata di Kurogane in compagnia dei bambini e dalle risate di Fay, mentre si immaginava ciò che il ragazzo-stella si rifiutava di raccontargli con un fiero rossore ben distribuito su tutta la faccia.
“Invece io dico di sì! Dolce come un pan di stelle!”
“Smettila!”
Anche il peso della tristezza che quel discorso aveva scaricato loro addosso si era dissolto.
“Chi avrebbe mai potuto pensare che un signor stellina dall’aria così burbera fosse invece tanto tenero?”
“Come osi?!?!?!”
In breve, il ricordo del litigio scomparve senza lasciare tracce.
“I bambini di tutto il mondo dovrebbero conoscere la tenera storia di Kuro-asterisco, la stellina più graziosa di tutte!”
“ADESSO BASTA!”
Fay si alzò da tavola con uno scatto ed una risata sulle labbra, allontanandosi all’ultimo momento dal pugno che Kurogane cercò di calargli sulla testa. L’inseguimento travolse una pila di libri e una sedia, si spostò in tutto il resto della casa, e lo sguardo furbo e divertito di Fay non faceva che fomentare il desiderio di Kurogane di colpirlo. Alla fine comunque furono costretti ad interrompersi dal campanello ed a subire una pesante ramanzina dai vicini di casa.
“Non è stata una serata divertente?” domandò entusiasta il padrone di casa, ritornando il salotto.
“Per niente.” rispose Kurogane.
“Ah, che disgrazia! Sembra che voi stelle non sappiate proprio divertirvi, mh?”
“Non ho bisogno di divertirmi…”
Fay si voltò verso l’altro ragazzo proprio mentre lui si avvicinava. Kurogane si chinò accanto a lui per tirar su la sedia, caduta vittima dei loro diverbi, ed il suo cuore saltò un battito.
Due, contò. Prima avrebbe potuto far finta che fosse stato solo uno scherzo tiratogli dalla stanchezza... ma ora?
Dannazione…

Si era ripromesso di smettere di contare, era un’inutile distrazione, ma ogni volta finiva sempre per aggiungere una tacca al conto. Aveva visto con sollievo la possibilità di allontanarsi da casa, ma non aveva previsto che la situazione sarebbe peggiorata, perché continuare a pensarci non faceva che stressarlo.
“Kazahaya, tu che faresti?” domandò sconsolato alla tavola che aveva davanti a sé.
Dopo non aver –comprensibilmente– ricevuto risposta, Fay piluccò svogliatamente il foglio con la matita e provò a sistemare un particolare dello sfondo. L’istante dopo lo stava cancellando furiosamente.
Sospirando, pensò che non avrebbe probabilmente portato avanti di molto il lavoro quel giorno.

*

“Dovevamo proprio portarcelo dietro?” brontolò Kurogane, accennando alla presenza sulla sua spalla.
“Ogni tanto ha bisogno di uscire anche lui, poverino!” rispose Kimihiro con tono non troppo interessato.
Agenore zampettò allegramente sulla sua comoda e spaziosa postazione, tutto contento di potersi finalmente godere di aria aperta, osservando attraverso i suoi occhi sfaccettati il meraviglioso spettacolo che la città, decorata per le feste, offriva.
Kurogane era troppo occupato ad occhieggiare il suo passeggero con aria truce per accorgersi che il bambino non lo stava minimamente ascoltando. Kimihiro, in piedi sulla panchina come mai sua madre gli avrebbe permesso, era di vedetta, in attesa, perfettamente concentrato.
“Himawari-chan!” strillò al colmo della contentezza, saltando giù dalla sua postazione – e causando un vistoso e poco dignitoso sobbalzo a Kurogane – non appena avvistò la bambina fare il suo ingresso nel parco.
La corsa gioiosa, comunque, si interruppe quasi immediatamente, giusto nel momento in cui fu evidente che Himawari non era arrivata da sola.
“Shizuka…” borbottò Kimihiro.
“Ciao anche a te,” rispose tranquillamente l’altro bambino.
“Che ci fai tu qui? Himawari-chan mi ha telefonato personalmente e mi ha detto che aveva qualcosa di importante da dirmi! Cosa c’entri tu?”
“Ha detto le stesse cose anche a me.”
“Non ci credo!!!”
“Siamo anche venuti in macchina insieme, con mio nonno.”
“NON È VERO!!!”
“Idiota.”
“GAAAAAAAAHHHH!!!”
Himawari si godette con un sorriso la scenetta familiare, ma preferì lasciarli alle loro faccende senza disturbarli e si rivolse a Kurogane, che li stava ancora fissando dalla panchina con un sopracciglio inarcato nell’espressione della massima perplessità. La bambina corse con i suoi passettini svelti fino al loro nuovo amico e gli porse, con un grande sorriso, un sacchetto.
“Ho trovato questo!” gli disse, piantandoglielo in mano e facendosi indietro, in attesa.
Kurogane pescò dentro alla busta di plastica e sollevò davanti agli occhi l’oggetto che vi era contenuto. Gli era familiare, ovviamente. Il dubbio era semplicemente cosa diavolo dovesse farsene.
“È…” cominciò, incerto su cosa dire per non innervosire la bambina (e Kurogane aveva scoperto di non riuscire proprio ad essere brusco come la sua natura lo spingeva spesso ad essere, se aveva davanti una bambina) (…doveva essere colpa di Tomoyo, in qualche modo).
“…un libro,” aggiunse, sentendosi abbastanza sicuro della sua affermazione.
Un libro… illustrato. Per bambini. Gli esseri umani erano davvero strani.
“Esatto! È un libro che ho da quando sono piccolissima! Non me lo ricordavo quasi più! Però, pensando ad un modo di farti tornare in cielo, mi è tornato in mente!” spiegò concitata ed entusiasta Himawari, arrampicandosi sulla panchina accanto a lui ed aprendogli il libro tra le mani. “Leggi qui!”
Kurogane strabuzzò gli occhi, prese il libro e se lo rigirò tra le mani un paio di volte, prima di sbottare.
“Ma non c’è scritto niente! È pieno di disegni e strani segnacci!”
Himawari lo fissò pensosa, controllò la pagina aperta e tornò ad indagare l’espressione accigliata del ragazzo stella. Infine sospirò.

“…ed è inutile che insisti, tanto lo so che hai costretto la povera Himawari-chan ad invitare anche te, perché sei un guastafeste e non sopportavi l’idea che lei l’avesse chiesto prima a me!”
“In realtà credo che l’abbia chiesto prima a me.”
“NON È VERO!”
“Al telefono mi ha salutato dicendo che dopo avrebbe telefonato a te.”
“NON CI CREDO!”
“Quanto strilli…”
“TU, SHIZUKA, TU..!!!”
“Ragazzi! Abbiamo un problema!”
Kimihiro si dimenticò immediatamente degli sforzi che stava compiendo per trovare un insulto abbastanza forte, ma non troppo volgare.
“Se anche per te Shizuka è un problema, possiamo lasciarlo qui e andare da qualche altra parte!” le propose, rivolgendosi a lei con tutt’altro tono.
“Ma no, perché mai? Sembrate andare così d’accordo!” rispose tranquilla lei, abituata allo strano modo di fare dei due.
Mentre Kimihiro esprimeva scompostamente il suo plateale dolore, fu Shizuka a prestare attenzione alla prima affermazione della bambina.
“Che problema?” domandò tutto tranquillo.
“Temo che il signor stella non sappia leggere la nostra lingua…”
“Mh. Non possiamo leggere noi per lui?”
“Sì, ora sì, ma non sarebbe meglio insegnargli come fare? Potrebbe essere scomodo per lui, poverino…”
“Si può fare. Tanto non avevamo altro da fare oggi.”
“HIMAWARI-CHAN, PERCHÈÈÈÈ???” si continuò a disperare Kimihiro, mentre gli altri due bambini raggiungevano Kurogane.

Il ragazzo stella osservava con le sopracciglia aggrottate Agenore che si era calato sulle pagine del libro e passeggiava sulle righe scritte con quei segni senza senso. Per un attimo Kurogane fu tentato di chiudere il ragno dentro al libro, perché ebbe la netta sensazione che la creatura lo stesse prendendo in giro per non essere in grado di leggere quella scrittura, ma cercò di rammentare a sé stesso che probabilmente avrebbe scatenato reazioni non proprio felici sia nei bambini, sia nello stupido umano e si trattenne.
Non che si preoccupasse di far loro dispiacere, comunque.
Fu in ogni caso costretto a distogliersi dai suoi propositi ragnicidi da Shizuka, il quale si appese al libro e puntò il dito sulla prima riga scritta.
“Ok, signor stella. Ora leggiamo, tu vedi di starci dietro e imparare, va bene?”
Kurogane non ebbe tempo di replicare o di regalare anche al bambino un’occhiataccia (non che a Shizuka avrebbe fatto chissà quale effetto), già le prime parole che il bambino lesse, mentre Himawari recuperava Kimihiro e li raggiungeva, catturarono la sua attenzione.
“C’era una volta una stella che cadde dal cielo senza più sapere come tornare a casa…”

*

Fay si strinse la sciarpa attorno al collo prima di uscire e controllò sul cellulare il luogo dell’appuntamento che gli aveva spedito Kimihiro. Incredibile come i bambini imparassero alla svelta ad usare la tecnologia al giorno d’oggi…
Il parco era poco distante dall’ufficio del signor Kakei, non gli ci sarebbero voluti più di dieci minuti per arrivarci e, incamminandosi, sperò che Kimihiro sapesse quello che faceva, non era certo che portare Kuro-stellina così lontano da casa fosse un’idea saggia.
La sera calava presto in quei giorni, i lampioni cominciavano già ad accendersi mentre ci passava sotto, la gente per strade cominciava già a rientrare, carica di pacchi e sacchetti, lasciandosi dietro nell’aria i riccioli vaporosi dei loro respiri affrettati. Il parco era deserto, ora che lo raggiunse, fatta eccezione per i tre bambini, il ragazzo stella seduto in mezzo a loro e un uomo che li osservava ai margini del parco.
“Buona sera, signor Haruka,” salutò cordialmente Fay.
“Oh!” l’uomo si voltò verso il nuovo arrivato con un sorriso gentile, per poi tornare a controllare il quartetto. “Buona sera a lei, Fay!”
“È qui da molto?” domandò il ragazzo, osservando il gruppetto del tutto ignaro della loro presenza.
“Abbastanza… Ho accompagnato qui Shizuka e la piccola Himawari nel primo pomeriggio e li ho ritrovati esattamente dove li avevo lasciati!” rise l’uomo.
“Sì, sembrano molto impegnati!” concordò Fay, divertito.
“Sembra simpatico, il suo amico,” commentò poi Haruka, rivolgendogli un altro sorriso.
“Beh…” rispose Fay con un’alzata di spalle. “Di sicuro è divertente, il nostro Kuro-shine!”
“Capisco,” aggiunse Haruka, con uno sguardo in effetti comprensivo. “Shizuka mi ha raccontato che è una… stella cadente?”
“Ehr…” Fay si grattò la testa imbarazzato. “I bambini, sa com’è!”
Haruka si lasciò scappare ancora una risata prima di entrare nel parco e chiamare suo nipote.
I quattro finalmente distolsero lo sguardo dal libro su cui stavano concentrando i loro sforzi. Mentre Shizuka saltò giù dalla panchina, Kimihiro si disperò ancora all’idea che Himawari sarebbe stata riaccompagnata a casa da lui, costringendo Kurogane a tapparsi le orecchie e facendo ridacchiare la bambina, che si stava incamminando verso di loro.
“Mi raccomando, allora!” si congedò Haruka, una volta presi per mano i due bambini. “Le stelle cadenti sono rare, ne abbia buona cura!”
Fay rimase nel dubbio che l’uomo stesse dicendo sul serio o meno, finché non sentì l’incombente figura di Kurogane alle sue spalle.
“Ho sentito che hai giocato con gli altri bambini, proprio come un bravo ometto!” cinguettò, voltandosi verso di lui.
“Perché devi sempre dire queste idiozie?” scosse la testa Kurogane, oramai rassegnato all’atteggiamento poco serio dell’umano.
“Ma non sono idiozie, sono veramente orgoglioso del mio Kuro-supernova!” insistette Fay, allungando una mano sopra la testa dell’altro per dargli una pacca affettuosa.
“E TI HO DETTO DI PIANTARLA CON-!”
“Non per interrompervi,” – anche se sì, Kimihiro non vedeva l’ora di stroncare sul nascere quei bisticci in cui i due di dimenticavano completamente del mondo circostante e andavano avanti a battibeccare per ore – “Ma in inverno l’ultimo treno passa presto e, se lo perdiamo, restiamo a piedi…”
I due fissarono il bambino, quasi sorpresi di trovarselo accanto, con il libro stretto protettivamente tra le braccia e Agenore sulla spalla. Kurogane non capì un accidente del discorso del bambino, ma Fay cercò affannosamente il cellulare nelle sue capienti tasche, per poi osservarne preoccupato il display.
“Oh no! È tardissimo! Dobbiamo correre alla stazione!” e detto questo, Fay si lanciò in corsa, seguito a ruota da Kimihiro.
Kurogane rimase immobile sul posto. Continuava a non capire la fretta.
“Muoviti, Kuro-stelletta-ninja!” lo chiamò Fay, voltandosi mentre correva ed agitando un braccio.
“QUANTE VOLTE DEVO RIPETERTI DI CHIAMARMI COME SI DEVE, TU STUPIDO UMANO!!!” e Fay ottenne comunque l’effetto desiderato, perché Kurogane prese a corrergli dietro.
Quando ormai mancava poco alla stazione, Kimihiro cominciò a perdere il passo, rallentò e Kurogane lo superò con uno sguardo dubbioso. Dopo un attimo di incertezza, rallentò a sua volta ed afferrò il bambino per la vita, caricandoselo in spalla.
“Waaah!!” strillò Kimihiro, colto alla sprovvista, stringendosi di più addosso il libro e riparando Agenore dall’improvviso aumento di velocità.
Fay si voltò a controllare la situazione e si lasciò scappare un sorrisetto divertito.
“Coraggio che quasi ci siamo!”
I due (contando solo quelli che correvano effettivamente) si gettarono sulla scala della fermata della metropolitana, superarono il blocco il più velocemente possibile e si lanciarono sulla piattaforma d’attesa.
Il treno era già arrivato, dovettero aumentare ancora la corsa per oltrepassare le porte scorrevoli, che già fischiavano e cominciavano a chiudersi, per finire in mezzo alla calca dei pendolari di ritorno dal lavoro.
“Ce l’abbiamo fatta!” esclamò elettrizzato Fay, una volta che ebbe ripreso il fiato.
“Se avessi saputo che sarei finito schiacciato in questo modo, avrei preferito andare a piedi,” brontolò Kurogane.
“Guarda che era lunga, fino a casa…”
Il treno partì senza preavviso e con uno scossone, sbilanciando Fay ancor più contro Kurogane, costringendoli ad aggrapparsi l’uno all’altro. Apparentemente, entrambi si accorsero soltanto in quel momento di quanto la calca li costringesse a stare vicini. Fay sollevò lo sguardo, preoccupato di quanto il suo cervello sembrasse improvvisamente in tilt, imponendosi a mantenere almeno un aspetto tranquillo, quando dentro sentiva invece agitarsi una gran confusione.
Kurogane aggrottò le sopracciglia, colto del tutto impreparato dalla reazione che ebbe a tanta vicinanza. Da che era sceso sulla Terra, aveva sperimentato le gioie (poche) e i dolori (fin troppi) della vicinanza a cui gli umani sembravano non poter fare a meno, tutti pigiati in quel pianeta così stretto, ma in quel momento qualcosa in lui gli comunicò che ora c’era qualcosa di diverso.
Così vicino allo stupido umano, non poteva fare a meno di pensare che… non fosse abbastanza.
Stupida Terra con tutti i suoi stupidissimi effetti collaterali! Non poteva che essere una delle contagiose idiozie umane!
Perdendosi a guardare gli occhi di Fay, si domandò se gli umani almeno sapessero cosa fare, per sentirsi più vicini di così.

*

“…proprio qui!” esclamò Kimihiro, mostrando a Fay una pagina del libro che aveva prestato loro Himawari.
Una volta usciti dalla calca della metropolitana, Kimihiro aveva cominciato a raccontare eccitato gli avvenimenti e le importanti scoperte della loro giornata. Teneva per mano Fay, mentre con l’altra reggeva il libro, troppo concentrato per guardare la strada, tanto che un paio di volte Fay dovette trattenerlo di peso per non farlo cadere. Accanto a loro camminava Kurogane, con la schiena un po’ curva, per ascoltare ancora una volta dal bambino.
“Dice che la stella caduta, dopo tanto vagabondare, giunse alla casa di una veggente. La donna gli offrì una tazza ti tè caldo e lesse il futuro nelle foglie rimaste sul fondo. Vide che la stella aveva una sola possibilità di tornare a casa sua. Se una stella risplende al suo massimo fulgore alla mezzanotte di Natale, acquista la capacità di realizzare qualunque desiderio. Se la stella avesse brillato in quella notte magica, avrebbe potuto realizzare il proprio desiderio e così raggiungere il cielo.”
“Ma l’hai imparato a memoria?” si stupì Fay, rielaborando mentalmente le informazioni del bambino.
“Per forza, me l’ha fatto rileggere un milione di volte!” brontolò Kimihiro lanciando un’occhiataccia a Kurogane.
“Non si capisce niente di quella storia! Che razza di assurdità sarebbe brillare al suo massimo fulgore???” si lamentò lui, distogliendo lo sguardo ed incrociando le braccia.
“Ma voi siete sicuri che possa essere la risposta ai problemi di Kuro-splendore?” chiese ancora Fay dubbioso. In fondo stavano parlando di un libro illustrato per bambini, non di un manuale per stelle smarrite.
“È l’unica pista che abbiamo, no?” insistette con fervore Kimihiro. “L’unica possibilità di scoprire se la storia è vera o no è cercare l’autore e chiederglielo!”
“Non è così semplice, temo…” sospirò Fay.
“E perché mai?!” si intromise Kurogane, dimostrando di essere molto più interessato di quanto stesse cercando di dare a vedere.
“Non possiamo guardare sull’elenco telefonico?” rincarò Kimihiro.
Fay prese di mano il libro al bambino e indicò il nome scritto sulla copertina. “Vedete qui? Questo è uno pseudonimo, significa che l’autore non si chiama veramente così e che non lo puoi trovare sull’elenco telefonico!”
Lo sconforto, fin troppo evidente sul volto di Kimihiro, fece aggrottare ancor di più le sopracciglia di Kurogane.
“E quindi?!” domandò scocciato.
“Posso provare a telefonare alla casa editrice…” ponderò l’altro, rigirandosi il libro tra le mani.
Kurogane continuò a guardarlo storto con una perseveranza invidiabile e Fay non riuscì a trattenere una genuina risata davanti a quella buffa espressione corrucciata, non riuscì ad impedire che la sua mano raggiungesse i capelli dell’altro per scompigliarglieli con affetto.
“Fino ad allora, temo che il nostro Kuro-stellina sarà costretto a sopportare il suo soggiorno quaggiù!”
“Gah!” sbottò Kurogane, cercando di scacciare la mano dell’altro. “Idiota! Sei tu che non ti impegni abbastanza!”
“Ma Kuro-starlet!” piagnucolò Fay. “Non essere ingiusto, cosa posso farci io, se non ho idea di dove trovare questo signor Kujaku???”
“Io lo so!” li interruppe una voce e tutti e tre si accorsero improvvisamente di due cose. Avevano raggiunto il loro condominio ed erano fermi davanti alla portineria a discutere chissà da quanto.
Yuuko li osservava col suo solito sorriso sibillino e divertito, appoggiata elegantemente allo stipite della porta.
“Oh… ehr… Buonasera!” la salutò allegramente Fay, come se non avesse parlato di stelle cadenti e del modo di farle ritornare in cielo fino ad un attimo prima.
La donna continuò a sorridere, osservandoli uno alla volta con calma e lasciandoli sulle spine.
“Dicevo… so dove potete trovare questo signor Kujaku…” ripeté, giocherellando distrattamente con una delle sue lunghe ciocche corvine.
Kurogane osservò innervosito gli altri due. La strega era una spina nel fianco, ma perché nessuno dei due sembrava incline ad invitare la donna a proseguire il suo discorso, per una volte che diceva cose sensate? Non sapeva che Fay, pur mantenendo il suo smagliante sorriso, e Kimihiro, con la sua manina che stringeva convulsamente il lembo del cappotto del suo amico stellare, erano solo in attesa dell’inevitabile.
“Vediamo…” ponderò Yuuko, inclinando la testa con aria pensosa. “Cosa potrei chiedervi in cambio di questa informazione?”
Kurogane, seppur ignaro delle possibili conseguenze, rabbrividì.

Alla fin fine se la cavarono relativamente con poco.
Kimihiro fu costretto a promettere un cestino di frittelle tutti i giorni per una settimana, Kurogane venne obbligato a trasportare un pesante armadio davanti ad una porta del piano terra (“Ah! Vedremo che faccia farà quel maledetto occhialuto, quando vorrà uscire!” aveva sogghignato la donna), mentre Fay…
“Avrei preferito che mi chiedesse direttamente di disegnarli io…” si lamentò. “Non è facile come sembra accedere all’archivio privato del signor Kakei!”
E Fay sapeva bene dove il suo capo custodiva gli sketch-book dove, nel tempo libero, disegnava per il suo solo diletto personale. Manco a dirlo, tale diletto aveva inclinazioni a rating piuttosto elevato… Fay aveva osato darci un’occhiata veloce veloce solo una volta in tutta la sua carriera, Kakei era gelosissimo delle sue produzioni private.
“Perché Yuuko-san doveva essere una fan così sfegatata dello yaoi? Il signor Kakei mi ucciderà se mi dovesse scoprire a rubare uno dei suoi disegni Rikuo/Kazahaya!” proseguì Fay, e così via fino alla porta di casa, fin dentro al salotto, fino a gettarsi sul divano con aria infinitamente sconsolata.
“E che roba sarebbe?” brontolò Kurogane, seguendolo in casa, e massaggiandosi una spalla indolenzita dai lavori forzati che gli erano stati imposti.
“Beh, si tratta di…” cominciò Fay, baldanzosamente, prima di rendersi conto di non saper assolutamente spiegare il concetto al ragazzo stella, senza indugiare su pensieri che aveva cercato di tenere lontano per giorni interi.
Kurogane aspettava la sua spiegazione con un sopracciglio sollevato, un po’ scocciato, un po’ curioso (ed un po’ scocciato di essere curioso), se ne stava in piedi, al centro della stanza, con le braccia incrociate e quell’aria scorbutica e, nonostante tutto, adorabile che lo circondava e lo rendeva speciale, e non per la sua incredibile provenienza.
Quarantadue.
“Nulla che possa interessarti, Kuro-stellina…”
Fay scosse la testa con un sorriso impercettibilmente triste.
Doveva decidersi a smetterla, avrebbe finito solo per farsi del male, insistendo a tenere il conto tutte le volte che avrebbe voluto baciare Kurogane.

*

La massiccia figura, ammantata di ombre innaturalmente più scure della notte circostante, rimase immobile ad osservare lo spazio vuoto, fino a poco prima occupato dal ragazzo, dal bambino, dalla donna e… da lui.
Il buio si increspò in risposta al suo sorriso, malvagio ed antico.
Lo stregone assaporò il momento ancora per un istante, tronfio di aver trovato un’altra stella caduta sulla terra dopo così tanto tempo, poi l’oscurità si fece più profonda e lo inghiottì, lasciando dietro di sé sulla strada il gelo dell’inverno e la percettibile sensazione di una minaccia incombente.




Continua…



Un Buonissimo Natale ancora!^_____^

Vieni a trovarmi su The Fangirl Within!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Grazie a tutti, lettori vecchi e nuovi, per essere qui! Specialmente però a chi segue da.. ehr... ANNI questa storia e ancora non mi ha impiccata! XD
Devo confessare di provare un certo gusto malato nel sentirmi punzecchiare da chi segue questa storia con "Ma quando continui Kuro-stellina???"... Giuro però che non mi lascerò tentare dal lasciare la storia incompiuta solo perchè mi diverte essere punzecchiata a riguardo! XD

Beh... che dire... auguro a tutti un BUONISSIMO STELLATISSIMO NATALE pieno d'amore, di risate e di quanto più buono, puro, genuino è rimasto di questa festa! Per me parte di questo sentire natalizio sono le storie... spero che questa vi faccia da regalo gradito!




Capitolo 6


C’era una volta una stella che cadde dal cielo senza più sapere come tornare a casa.
La terra era fredda ed inospitale, il vento gli soffiava violento sul viso, togliendogli persino il desiderio di piangere. Rimase per molto tempo nel luogo dove era caduto, ma ben presto i morsi della fame e della sete si fecero sentire e lui comprese che se non si fosse deciso ad alzarsi, sarebbe di certo morto.
Si trascinò a fatica lungo un sentiero, le gambe gli dolevano molto perché stando lassù in cielo non le aveva mai dovute usare. La stanchezza gli gravava pesante sulle spalle, quando infine vide una casetta di legno storta con una luce calda di fuoco che si spandeva da una finestrella.
Tremante di freddo e paura, bussò alla porta e una vecchina venne ad aprirgli.
“Entra, ti stavo aspettando.”
Un pasto caldo e un letto invitante erano pronti per lui.
“Come potevi saperlo?” si stupì la stella.
“Sono una veggente, ho sognato il tuo arrivo,” gli rispose lei con un sorriso gentile.
La stella si saziò e si scaldò davanti al fuocherello scoppiettante del camino. Dopo tanta sofferenza, finalmente cominciava a sentirsi meglio.
“Grazie. Mi chiamo Kohaku,” disse alla veggente coricandosi nel letto, con gli occhi che ormai si chiudevano per il sonno.
“Lo sapevo, ma ti ringrazio di avermelo detto,” rispose dolcemente la vecchina, rimboccandogli le coperte.
Kohaku dormì un sonno profondo e senza sogni e la mattina fu pronto per rimettersi in viaggio.
“Voglio dirti un’ultima cosa,” lo trattenne la veggente, che lui era già sulla soglia. “Ti insegnerò l’unico modo che esiste perché una stella caduta possa tornare in cielo.”
Detto ciò, la veggente prese la mano di Kohaku e chiuse gli occhi.
“Non esiste niente di più forte del potere di una stella che realizza i desideri, c’è soltanto una cosa che quella magia non può fare. Se alla mezzanotte di Natale tu brillerai al tuo massimo fulgore, allora potrai realizzare il tuo stesso desiderio e tornare a casa. Ora vai, non è destino che tu attenda quel giorno qui con me, c’è ancora qualcosa che devi fare.”
Kohaku ringraziò la veggente che tanto era stata gentile con lui e si incamminò lungo il sentiero. Era già troppo lontano per sentire la vecchina aggiungere altre parole con aria triste. “Però il tuo desiderio potrebbe cambiare, prima di allora.”
Kohaku intanto era già lontano. Dove avrebbe atteso la notte di Natale? Non sapeva dove andare, ma la vecchina gli aveva assicurato che ci fosse ancora qualcosa in serbo per lui, quindi non si scoraggiò e continuò a camminare.
La strada attraversava un bosco e ci giunse proprio quando la notte aveva cominciato di nuovo a calare. Il bosco aveva un’aria ostile e per quanto Kohaku guardasse in alto, le fronde erano così fitte che non riusciva a trovare il conforto dei suoi fratelli e sorelle dalla volta celeste. Corvi neri e minacciosi cominciarono a volargli attorno, come se volessero punirlo della sua intrusione in quel luogo. Alla stella venne da piangere, perché non sapeva cosa fare e il coraggio cominciò ancora una volta a venirgli meno.
I corvi strillarono, ma invece di attaccarlo, scomparvero.
Quando Kohaku alzò gli occhi, c’era un uomo davanti a lui, che con un bastone aveva scacciato quei lugubri uccellacci.
“Grazie,” gli disse con un sorriso, e inconsciamente prese a brillare.
L’uomo lo fissò sorpreso e fece per andarsene senza dir nulla.
“Aspetta! Lascia che faccia qualcosa per ringraziarti!” e la stella prese a corrergli dietro.
“Sei strano, sei sicuramente un’allucinazione, non parlarmi,” lo scacciò con aria scorbutica lui.
“Non sono un’allucinazione, sono una stella e se mi lasci stare con te fino al giorno di Natale, quando sarò tornato a casa, realizzerò un tuo desidero per ringraziarti di avermi salvato!”
L’uomo non sembrava credere alle sue parole, ma lasciò che Kohaku venisse con lui. La casa dell’uomo era grande ed accogliente e alla stella fu offerta addirittura un’intera stanza dove alloggiare.
“Mi chiamo Shuichiro, sono un guardaboschi. Sto sempre fuori tutto il giorno, quindi non c’è problema che tu stia qui.”
Kohaku sentì che il suo corpo si riempiva di calore come nemmeno il fuocherello della veggente aveva fatto.
I giorni trascorsero tranquilli. Dapprima Kohaku restava a casa, si occupava delle faccende più semplici, perché una stella non conosce molte cose dell’economia domestica, imparò a cucinare e ogni sera Shuichiro tornava a casa con un pasto caldo e un sorriso ad aspettarlo. Sempre più spesso, il guardaboschi cominciò a tornare a casa anche durante il giorno. A volte Kohaku lo seguiva nei suoi giri per il bosco. A volte la sera, si addormentavano seduti davanti al fuoco, insieme.
Il tempo trascorreva rapidamente e Natale giunse del tutto inaspettato. Kohaku capì che se avesse realizzato il suo desiderio di tornare in cielo, non avrebbe più rivisto Shuichiro. Si rese conto di non volerlo, si accorse che il suo desiderio era cambiato. Capì che non desiderava altro che stare con Shuichiro per sempre.
La sera di Natale aspettò che lui tornasse dal bosco per dirglielo. Il cuore gli batteva così tanto che pensava gli sarebbe scappato dal petto. Shuichiro però tardava e la notte cominciava ad avanzare, il momento di esprimere il suo desiderio era sempre più vicino. Impaziente, Kohaku corse nel bosco alla ricerca dell’uomo. Lo chiamò a lungo, ma solo il fruscio delle foglie gli rispondeva. Corse su e giù tra gli alberi finché la vista di qualcosa di terribile non arrestò la sua ricerca.
Shuichiro era a terra, non si muoveva.
Kohaku gli corse accanto e, come una pugnalata al cuore, capì che era morto.
La mezzanotte scese sul bosco, Kohaku si gettò su di lui e pianse, pianse così forte da dilaniare l’anima del bosco. Non c’era più né cielo, né terra, né calore, solo il corpo freddo tra le sue braccia. Brillò con tutte le sue forze e disse: “Voglio che Shuichiro torni in vita! E’ questo il mio desiderio!”
Perché anche il cielo che aveva tanto desiderato era vuoto e freddo senza Shuichiro. Ma Shuichiro non si mosse, perché l’unica cosa che nessun potere né desiderio al mondo può disfare è la morte.
“Se non può più tornare,” pianse Kohaku. “Almeno desidero che possiamo restare insieme per sempre!”
La sua luce di stella avvolse entrambi con un’intensità da fare invidia alla quella del sole e quando si dissolse, al loro posto c’era una roccia dalle sembianze di due figure abbracciate.
E’ ancora lì nel bosco. Se la si guarda con attenzione, la si può vedere brillare.


*

Una persona può spendere tutta la sua vita nello stesso posto e finisce comunque per ignorare certi luoghi, seppur vicini. Una strada, un isolato, un centro commerciale, un parco… Per un motivo o per l’altro, c’è sempre qualche zona d’ombra nella conoscenza che la gente ha del luogo dove vive e, proprio per la sua vicinanza, quando lo si scopre, finisce sempre col causare un certo sgomento. Da dove diavolo è sbucato fuori questo posto, proprio sotto al nostro naso?!
Fay si sentì così, mettendo piede nella scala E.
Il complesso residenziale dove abitava era formato da cinque palazzine che sorgevano ai margini di un ampio e signorile giardino circolare, disposte in modo tale che, unendole con una serie di linee immaginarie, avrebbero dato vita ad un pentacolo. La scala C, dove viveva Fay, era la più vicina all’ingresso, mentre la E era la più lontana.
“Quella maledetta strega ci ha truffati!” si lamentò Kurogane, facendo il suo ingresso nell’atrio a passo di marcia, per nulla toccato dalla peculiarità del momento.
“Che buffo!” esclamò Fay, sorpreso, senza dar retta ai borbottii dell’altro. “Sembra uguale a dove abitiamo noi, ma la scala è a sinistra invece che a destra!”
“Non mi interessa, andiamo a cercare questo tizio e facciamogli sputare il rospo!” proseguì battagliero Kurogane, dirigendosi verso l’ascensore e piazzandocisi davanti a braccia incrociate.
Fay sospirò sonoramente e affiancò il ragazzo-stella, premendo il pulsante di chiamata dell’ascensore dato che il suo ospite astrale non sembrava essersi ancora abituato al semplice funzionamento di tecnologie basilari come ascensori e forni a microonde. “Dovresti provare a rilassarti, Kuro-stellina!”
“Col cavolo, voglio capire qualcosa di questa roba!” sbraitò l’altro, brandendo il libro illustrato.
L’ascensore annunciò la sua presenza con un elegante arpeggio e Kurogane ci entrò dentro pestando i piedi e facendolo tremare. Fay lo seguì e premette il pulsante dell’ultimo piano.
Dopo essersi assicurata il suo compenso, Yuuko aveva rivelato loro che il misterioso autore abitava proprio nel loro stesso complesso residenziale. Kurogane e Kimihiro non l’avevano presa molto bene, ma Fay era troppo abituato ai giochetti della portinaia per stupirsene ancora. Era un vantaggio, almeno poteva godersi l’esilarante spettacolo di Kuro-stellina incavolato. Gli lanciò un’occhiata dallo specchio dell’ascensore, se lo guardò ben bene, mentre lui continuava a fissare con aria truce il libro che si rigirava tra le mani. Le porte dell’ascensore parvero aprirsi troppo presto. Kurogane era animato da un’impazienza incontenibile, marciò fuori e si inoltrò nel corridoio, guardandosi attorno, come se pretendesse che la porta giusta si arrendesse al suo sguardo micidiale e si aprisse da sola. Fay lo superò ridacchiando e suonò al campanello col nome che Yuuko gli aveva indicato. Sentì il ragazzo stella che lo raggiungeva e gli incombeva dietro le spalle, mentre la porta si apriva su una stanza buia.
“Sì?” domandò l’uomo che si affacciò sulla soglia. Era un bel ragazzo, con gli occhi di un insolito viola e i capelli neri con riflessi dello stesso colore. Sorrideva come se li stesse aspettando e fosse anche sorpreso che ci avessero messo tanto ad arrivare. Non aveva nulla di strano in sè, ma qualcosa in lui sembrava fuori posto, irreale e trasmise a Fay una sensazione di inquietudine.
“Buongiorno,” lo salutò allegramente, nonostante tutto. “Ci chiedevamo, se non fosse di troppo disturbo per lei…”
“Oi! Taglia corto e chiedigli del libro!” lo interruppe Kurogane.
“Kuro-stellina, ti prego…” cercò di zittirlo Fay, sorridendo a più non posso all’uomo oltre la porta.
“Ehi, tu!” lo ignorò il ragazzo stella, imperterrito, sbandierando il libro illustrato. “Hai scritto tu questo?”
Il sorriso si pietrificò sul viso di Fay. Non credeva molto a quella possibilità, ma se volevano avere informazioni, quello non era assolutamente un modo intelligente di ottenerle.
L’uomo li fissò in silenzio, col suo sorriso misterioso, per nulla turbato dalla scena che aveva davanti. Poi si fece da parte e spalancò loro la porta.
“Prego, entrate.”

*

“E’ insolito che degli adulti si interessino al mio libro,” esordì Kujaku, facendogli accomodare nel suo salotto. Come l’ingresso, tutta la casa era immersa nella penombra.
Prima che Kurogane potesse gettarsi in altri strafalcioni diplomatici, Fay prese le redini della conversazione.
“Stiamo facendo una ricerca sulle leggende che riguardano le stelle cadenti,” spiegò affabilmente. “Ci chiedevamo se potesse rivelarci quali siano le sue fonti, se ne ha avute… Ci scusi l’intrusione, probabilmente il suo è un racconto interamente di fantasia…”
Fay ne era certo, aveva passato tutta la notte a convincersene. Era impossibile che avessero trovato così facilmente informazioni su come rimandare Kuro-stellina a casa…
Kujaku lo osservò a lungo, poi prese a valutare Kurogane con lo sguardo.
“Ve lo dirò, perché penso proprio che voi due mi crederete.”
Kujaku si alzò e li lasciò nel salotto da soli, per sparire in una stanza. Kurogane sembrava a disagio da quel comportamento, si stava visibilmente innervosendo, se non era ancora saltato su con qualche protesta era evidentemente solo perché gli interessava l’argomento discusso. Questo e il modo di continuare a sospendere le parole di Kujaku avevano aumentato considerevolmente il senso di inquietudine di Fay. Quando il padrone di casa tornò, aveva in mano una foto.
“Vi presento la veggente del mio libro,” disse, porgendo a Fay l’immagine. “Mia nonna.”
La foto ritraeva un donnino esile e piccino, con i suoi folti capelli bianchi acconciati morbidamente in una crocchia. Indossava un vecchio abito tradizionale e sorrideva in maniera dolce e triste. La foto era stata scattata in un bosco, c’erano molti alberi, e proprio accanto alla donna…
“Questa è…?” domandò Fay senza riuscire a nascondere la sorpresa. Kurogane, gli tolse impaziente la foto dalle mani e anche lui sgranò gli occhi stupito.
“Kohaku e Shuichiro? Sì… Lei mi ha sempre detto che erano loro.”
“Ma allora la storia è vera…?” Fay non riusciva a capacitarsene, continuando a fissare la strana roccia che richiamava la figura di due persone abbracciate, proprio dietro la donna della foto.
“Chi può dirlo? Mia nonna si è occupata per tutto il resto della sua vita di quel bosco e di quella roccia, ma io non ero ancora nato ai tempi di questa storia e non si può negare che sia alquanto incredibile…” rispose Kujaku, anche se dalla sua espressione sembrava evidente che lui ci credesse eccome. “Stelle cadenti… ridicolo vero?”
Lo sguardo che rivolse loro per poco non li fece cadere dal divano. Kurogane si riprese per primo e ripartì subito all’attacco.
“Se la storia è vera, che diavolo significa brillare al massimo fulgore? E funziona davvero la storia del desiderio alla mezzanotte di Natale?”
“Vedo che prendete la vostra ricerca molto sul serio…” rise Kujaku. “Mia nonna mi ha sempre detto che quello è l’unico modo per una stella di tornare in cielo, ma che cosa significhi di preciso non lo so. Penso che una stella dovrebbe saperlo da sola cosa significhi brillare al massimo fulgore… Non trovate?”
Fay non si sentiva tranquillo. Kujaku alludeva un po’ troppo. Si ricordò di come certi umani volessero divorare il cuore delle stelle cadute per ottenere chissà quali miracolosi poteri e Fay cominciava a sospettare che quell’uomo sapesse precisamente con chi stesse parlando e non vedeva l’ora di andarsene da quel posto e da quella conversazione. Kurogane stava già per lamentarsi rumorosamente del fatto che lui non ne sapeva un bel niente di quelle cose e dovette ancora una volta fermarlo.
“Beh, l’abbiamo disturbata anche troppo con le nostre chiacchiere! Grazie della disponibilità e arrivederci!” Prima che potesse protestare, Fay trascinò Kuro-stellina fuori da quella casa ombrosa e non si sentì tranquillo finché le porte dell’ascensore non si furono chiuse.
“Che accidenti ti ha presto?” brontolò Kurogane, divincolandosi dalla sua presa. “Stavo raccogliendo informazioni, io!”
“Ma Kuro-glitter, il signor Kujaku ha detto che non sapeva altro!” si giustificò Fay con aria innocente. Era inutile preoccupare anche Kuro-stellina coi suoi sospetti.
“Bah! Almeno non è stato del tutto inutile. Almeno ora so che c’è un modo per tornare a casa mia.”
Fay si sforzò di sorridere, ma non si azzardò a parlare. Non ce l’avrebbe fatta a rispondere con la sua solita aria allegra a quell’affermazione.

*

Per tutto quel giorno e quello successivo, Kurogane meditò con grande impegno sul recondito e misterioso significato dei concetti di “brillare” e “massimo fulgore”. Kimihiro lo invitò anche a consultare dei grossi libroni che lui chiamava vocabolari e enciclopedie e che spiegavano, a detta del bambino, il significato di tutte le cose. Non fu molto utile e la sua fede nella prodigiosità di questi volumi sfumò immediatamente. Fu così impegnato che per un po’ manco si accorse che anche Fay sembrava molto impegnato in qualcosa.
“Si può sapere che diavolo stai facendo?” proruppe dunque Kurogane il terzo giorno, turbando la quiete dello studio di Fay.
Lui non alzò nemmeno lo sguardo dal suo tavolo di disegno.
“Scusa, Kuro-edelweiss, ti senti ignorato? Povero me, sono così impegnato che sto trascurando la mia stellina preferita~”
Kurogane si avvicinò all’altro e sbirciò quello che stava facendo l’idiota. Su un grande foglio di carta diviso in riquadri di diverse grandezze c’erano disegnate delle persone, e tra di loro stavano sospese delle parole scritte con quell’alfabeto che aveva cominciato ad imparare.
“Che roba è?” domandò incuriosito.
“E’ un fumetto, Kuro-shine!” gli rispose Fay, questa volta alzando lo sguardo su di lui. “E’ una storia raccontata per immagini. Quello che i personaggi dicono è dentro a queste nuvolette, vedi?”
Kurogane, gli scocciava ammetterlo, ma era affascinato da quella novità.
“E questo l’hai fatto tu?”
Fay sembrò illuminarsi. “Sì! E’ il mio lavoro! Fino ad ora avevo solo aiutato un fumettista molto più bravo di me, ma proprio in questi giorni mi hanno proposto di disegnarne uno tutto mio e…” Si interruppe e arrossì. Kurogane inarcò un sopracciglio. “Scusa, probabilmente non ti interessano queste cose, vero Kuro-stellina?”
Si scrollò le spalle e fece per tornare chino sul suo lavoro, ma Kurogane gli afferrò di scatto un braccio.
“Mi interessa.”
Dal modo in cui Fay gli sorrise, Kurogane si accorse che parte del suo interesse era anche dovuto all’espressione raggiante sul suo volto.

*

Ad un certo punto della sua lunga e appassionata spiegazione, Fay si era accorto di quanto fosse tardi e che la consegna era fissata entro quella stessa sera, quindi aveva piazzato Kurogane davanti alla sua collezione di fumetti, dicendogli di servirsi pure, ma di fare attenzione a non rovinarli, per poi sparire di nuovo nello studio e chiudere la porta, stavolta.
Kurogane aveva osservato con una certa curiosa soggezione quei volumetti colorati disposti in ordine perfetto, a differenza di quasi qualsiasi altra cosa in quella casa, e intuì subito quanto l’umano dovesse tenere a quei cosi. Con attenzione, nemmeno stesse maneggiando una statuina di cristallo, tirò fuori un fumetto bello corposo e provò a sfogliarlo. Parlava di guerrieri e di combattimenti e ci si trovò subito immerso, cominciando a leggere quello che riusciva a capire e bevendo letteralmente le immagini. Finito un volumetto, ne prese un altro, e poi un altro ancora e così via, finché non ebbe finito tutto quello, un fumetto poliziesco sovrannaturale, lasciato a metà una storia eccessivamente melensa che si svolgeva in uno di quegli edifici spaventosi di cui gli aveva parlato Kimihiro chiamati scuole e rimasto molto scocciato nello scoprire che almeno tre di quelle raccolte non avevano una conclusione. Stava quasi per andare da Fay a lamentarsene, quando, forte del suo recente allenamento di lettura, notò il nome dell’umano su un fumetto dalla copertina di un bel verde scuro che si intitolava Il damigello. Soppesò a lungo il volumetto tra le mani. Sulla copertina c’era un bellissimo disegno e Kurogane notò che il modo di disegnare era molto simile a quello di Fay, ma non del tutto. L’idiota gli aveva fatto vedere alcuni dei suoi disegni e, probabilmente perché erano i primi che avesse visto o chissà perché altro, nessun altro tratto gli era piaciuto come il suo. Sfogliando e leggendo il primo numero e poi il secondo e così via, Kurogane si accorse di riuscire a notare perfettamente dove il tratto di Fay si facesse più marcato nelle pagine, in quali scene ci avesse messo più del suo. Gli sembrava lampante, risaltavano ai suoi occhi in maniera del tutto speciale. Poi, all’altezza del sesto volumetto…

“Rikuo, as-aspetta!” Kazahaya era premuto contro la parete dal corpo ben più imponente dell’altro.
“Ho aspettato anche troppo…” rispose Rikuo, chinandosi verso l’altro con uno sguardo da predatore. “Non hai idea di che tentazione sia vederti ogni giorno in queste tue vesti da damigello…”
“Ma noi non… non possiamo…” e nonostante le sue parole, Kazahaya protese il viso verso quello dell’altro, arrossendo.
“Penso che sia ora di tacere…” e con impeto Rikuo colmò la distanza tra loro e baciò Kazahaya con intensa passione.


Kurogane chiuse il volumetto di colpo, sentendosi all’improvviso molto, ma molto strano.
Ecco.
Questo lo turbava tantissimo.
Aveva letto di tutto, aveva capito praticamente tutto quello che le storie raccontate in quei fumetti avevano da offrirgli, ma questo… Questo lo metteva in uno stato di agitazione tale da non capire più niente. Si sentì avvampare, sentì un gran caldo sul viso e nello stesso tempo un brivido gli percorse la schiena, lo stomaco fece un’insolita capriola e il cuore gli batteva nelle orecchie.
Pensò a Fay.
Perché diavolo gli veniva in mente l’idiota proprio in quel momento?! Aveva già abbastanza grane per la testa!
Forse era perché quelle pagine erano state disegnate da lui? Turbato com’era, non ci aveva neanche fatto caso. Aprì di nuovo la pagina e diede un’occhiata al disegno. L’immagine dei due personaggi che si baciavano a quel modo lo scosse esattamente come la prima volta, ma riuscì a notare che sì, il disegno sembrava avere in sé la mano di Fay. Improvvisamente il fatto che l’idiota umano fosse in qualche modo collegato all’immagine peggiorò drasticamente la sua condizione. Richiuse rapidamente il volumetto, lo rimise dove l’aveva preso e si allontanò dagli scaffali.
Dannazione! Un’altra di quelle stupide dannate malattie umane! E stavolta era la peggiore di tutte! Forse sarebbe addirittura morto! Aspettò qualche istante e, quando vide che non moriva, un pochino si tranquillizzò.
Non è che non sapesse cosa fosse un bacio o che non ne conoscesse le meccaniche. Il fatto era che, standosene lassù nel cielo, era praticamente impossibile arrivare a toccare un’altra stella, figurarsi a baciarla. Quindi le stelle non si baciavano mai. Certo, da lassù spesso si intravedevano coppiette inebriate dal romanticismo che si scambiavano baci sulla terra, ma a Kurogane non era mai interessato, perciò di solito si voltava dall’altra parte, vagamente offeso che gli umani prendessero la sua luce come invito a fare certe assurdità.
Si riavvicinò allo scaffale, tirò fuori lo stesso volumetto e lo riaprì alla pagina incriminata. Lo richiuse, lo appoggiò sul tavolo e cominciò a fissarlo in cagnesco.
-DLIN DLON- il campanello dell’ingresso lo salvò dalla follia.
Kurogane lanciò un’occhiata alla porta dello studio di Fay e vide che non ne proveniva alcun movimento, come se non l’avesse nemmeno sentita la porta.
-DLIN DLON- insistette.
Cercando di convincersi che non si stava facendo comandare anche da uno stupido campanello, marciò verso la porta e l’aprì.
“UNA TRAGEDIA!” lo investì Kimihiro aggrappandosi alla sua gamba.
Kurogane lo fissò dall’alto strabuzzando gli occhi.
“Mamma e papà vogliono che vada con loro a fare spese per Natale! Sarà orribile, saranno imbarazzanti come al solito, sempre a fare i piccioncini! E finirò sicuramente schiacciato nella ressa!” pianse disperato il bambino.
Kurogane non capiva di preciso cosa lo sconfortasse tanto, ma sembrava davvero devastato, perciò non gli chiede ulteriori spiegazioni.
“Quindi, purtroppo, oggi non posso proprio aiutarti a capire come si fa a brillare al massimo fulgore, mi dispiace! Buona fortuna! Se tornerò sano e salvo, magari possiamo pensarci stasera…” e con un’ultimo melodrammatico singhiozzo, Kimihiro sparì nel corridoio per raggiungere i suoi genitori che già aspettavano l’ascensore.
Kurogane, non appena si riprese dalla marea di parole che il bambino gli aveva riversato addosso, si rese conto che quel giorno era stato così preso dalla novità dei fumetti da essersi completamente dimenticato di tutta la faccenda del tornare in cielo la notte di Natale, eccetera eccetera…
Sbatté la porta, tornò in soggiorno dove il libro illustrato giaceva dimenticato dal giorno prima e lo aprì, determinato a scioglierne i misteri senza più indugi. Rilesse per la nauseante ennesima volta un paio di pagine a caso, poi chiuse il libro con rabbia e lo schiaffò sul tavolo. La carta stampata ce l’aveva evidentemente con lui e quella consapevolezza era frustrante.
Con un grugnito si lasciò andare sul divano e chiuse gli occhi per concentrarsi, riuscendo solo a seguire stralci ritorti di pensieri che mescolavano i fumetti che aveva letto, Fay, la storia del libro, Fay, il fatto che avesse fame e quel dannato bacio.
“Waah~ Beato te che puoi schiacciare un pisolino!”
Kurogane aprì gli occhi e si ritrovò Fay curvo verso di lui al di là del divano.
“Pisolino un corno! Sto ragionando!” gli rispose stizzito, cercando di scacciarlo con una mano.
“Certo, certo, Kuro-stellina! Scusa se ho disturbato il tuo ragionamento…” rise Fay schivando la traiettoria del colpo. “Continua pure a ragionare quanto vuoi, io devo correre a portare al signor Kakei le mie tavole!”
“Hai finito?” Kurogane cercò di non mostrarsi troppo interessato.
“Sì! Non credevo che ce l’avrei fatta, ma sì!” sospirò felice, mettendosi battendosi una mano sul petto.
Kurogane stava per chiedergli di mostrargliele, ma Fay mandò a monte ogni suo pensiero, chinandosi di scatto per depositargli un bacio sulla fronte. Scattò indietro subito e già spariva nell’ingresso e verso la porta.
“Torno presto! Ciao ciao, Kuro-pan-di-stelle!”
Kurogane si riprese molto, molto tempo dopo che la porta si fu richiusa.

*

Per quanto fosse avvilente da ammettere, senza l’umano e il bambino attorno, Kurogane finiva per annoiarsi piuttosto in fretta. Il libro continuava a non volergli comunicare qualche informazione risolutiva circa il suo problema e più lo sfogliava, più la storia lo irritava. Gironzolò per la casa come un animale in gabbia per un po’, regalando al Damigello un’occhiataccia ogni volta ci passava davanti. Esplorò la cucina e trovò almeno cinque diversi pacchetti di cose che gli diedero il voltastomaco solo a guardarle, tre che lo disgustarono quando le ebbe assaggiate e un paio che gli piacquero abbastanza da finire le confezioni. Sazio, ma ancora irrequieto, vagabondò fino al salotto e il silenzio era così silenzioso da sembrare assordante. Si sfregò la fronte con le dita con insistenza e comprese che tra quelle quattro mura non avrebbe ottenuto un bel niente. Aveva bisogno di rinfrescarsi le idee. Così raccattò il libro dall’ultimo posto dove l’aveva malamente abbandonato, recuperò il proprio cappotto da sotto una sedia e uscì di casa. Chiuse la porta con la chiave, come gli aveva insegnato Kimihiro e si avviò per le scale (non prendeva l’ascensore da solo, gliel’avevano proibito. Tsk! Come se lui fosse stato un poppante incapace! Non lo usava solo perché era una diavoleria umana e non si fidava di quella specie di scatola gigante che andava su e giù per il palazzo, ecco tutto).
Fuori c’era molta luce, nonostante la coperta sfilacciata di nuvole bianche che nascondeva il cielo. Faceva un gran freddo, ma Kurogane si era reso conto di sopportarlo piuttosto bene. Così come si era accorto di essersi abituato alla luce del sole e a dormire di notte piuttosto in fretta. E nonostante il suo intento fosse quello di maledire la contagiosità degli esseri umani, non trovava in sé nessun vero astio nei confronti della vita che conduceva in quel luogo. Scosse la testa e preferì non pensarci.
Al centro del giardino c’era una piazzola con delle panchine e lì Kurogane finì per dirigersi. Ragionare al freddo avrebbe fatto bene alla sua testa, decise e si sedette guardando il libro con aria convincente.
“Wah! Anche tu sei un fan di quel libro, signore tutto nero?”
Kurogane saltò letteralmente dalla panchina per la sorpresa, quando una ragazzina gli si catapultò accanto. Aveva i capelli castani corti, occhi grandi dello stesso colore e un orsacchiotto in braccio. E continuava a fissarlo entusiasticamente, le luccicavano letteralmente gli occhi.
“Cosa?” disse lui brusco, mantenendosi a debita distanza.
“Quel libro!” rispose lei, continuando ad investirlo col suo esuberante buonumore. “L’ho letto anche io, lo adoro! E’ la prima volta che incontro un altro appassionato!”
Kurogane spostò lo sguardo dalla ragazzina al libro tra le sue mani diverse volte, prima di afferrare a cosa stesse alludendo. “Col cavolo! Non mi piace per niente questo libro!”
Lei parve interdetta. “E allora come mai te lo porti in giro?”
“Perché mi serve!” rispose lui, incrociando le braccia al petto. “Mi serve capire cosa diavolo vuol dire brillare al massimo fulgore!” A quel punto la mente di Kurogane venne attraversata da un pensiero geniale. “Ehi, ragazzina… tu lo sai cosa vuol dire?”
“Ma certo!” esclamò lei, con un grande sorriso. “E’ semplicissimo!”
Kurogane sentì un fremito di sorpresa attraversargli il corpo. “E quindi?”
“Vuol dire che la stella si deve illuminare di tutta la luce che possiede!” fu la pronta risposta.
“…” Kurogane sapeva che non si sarebbe dovuto illudere. “E come si fa?”
“Non lo so! Una stella penso che lo sappia da sola come ci si illumina!”
E mentre la ragazzina continuava a sorridere felice ed ignara, Kurogane sentì un altro duro colpo ledere la sua forza di volontà. Perché mai quegli stupidi umani erano convinti che lui dovesse sapere da solo come fare?!
Non ricordi più perché brillano le stelle, Kurogane, gli aveva detto quella spostata di Tomoyo. Tsk! Kurogane era certo che chiunque dei suoi fratelli e sorelle lassù avrebbe avuto le sue stesse difficoltà a brillare sulla terra, figurarsi al massimo fulgore poi!
“Perché non ti piace?” gli domandò la ragazzina, scuotendolo dai suoi pensieri.
“E’ una storia stupida,” rispose senza pensarci.
“Perché è stupida?” la ragazzina sembrava curiosa e stranita all’idea che qualcuno la pensasse in maniera così diversa da lei.
“Perché…” Kurogane non ci si era soffermato a ragionarci più di tanto. “Perché la stella non è tornata a casa sua, anche se sapeva come fare.”
“Ma era per amore!” si infiammò subito la ragazzina. “Kohaku ha capito che voleva stare con Shuichiro per sempre, perché è il desiderio di ogni persona innamorata!”
“…però alla fine il tizio è morto, non poteva stare con lui per sempre. Non sopporto chi rinuncia alla propria vita in quel modo!” Kurogane si accorse di essersi incupito con quel discorso.
“…forse hai ragione, un pochino… Sono sicura che Shuichiro avrebbe preferito che Kohaku continuasse a vivere…” pensò lei ad alta voce.
“Appunto! E’ una decisione assurda!” concordò Kurogane, sempre più preso dalla sua posizione.
“Però…” aggiunse la ragazzina. “Penso che sia triste e straziante stare da soli in un mondo dove la persona amata non c’è…”
Kurogane lasciò che le parole affondassero nella sua coscienza in silenzio, e alla fine si ritrovò a voler cambiare discorso. “…e poi è stupido, perché quel tizio, la stella non lo conosceva per niente! Come cavolo ha fatto a decidere di rinunciare alla sua casa per lui in pochi giorni?”
“Secondo me non serve sempre conoscere una persona da tanto tempo per capire che ci piace…”
La ragazzina distolse lo sguardo e il suo sorriso si fece pensieroso, come se con la mente avesse appena viaggiato verso qualcosa di remoto dentro di lei. “Magari ci piace il modo in cui questa persona ci guarda, ci piace per qualcosa che ha fatto, o perché ci ha colpito il modo in cui l’abbiamo incontrata… Però se ci si pensa bene, non c’è davvero un motivo per cui ci piaccia.”
Tornò a rivolgersi a Kurogane con un sorriso ancora più grande. “Ci piace perché ci piace!”
Kurogane la fissò per un po’, soppesando le sue parole e rendendosi conto di quanto peggiorassero quella stramba nuova malattia umana che l’aveva preso quel giorno. Tutto quello che riuscì ad elaborare fu un, “bah!” piuttosto scocciato. E probabilmente quella sensazione punzecchiante sulle guance era per la temperatura che continuava a calare, nient’altro.
La ragazzina ridacchiò. “Secondo me non ti è piaciuto perché finisce male!” e continuò a ridere. Kurogane brontolò un verso incomprensibile che poteva essere sia un assenso che un “me ne infischio”.
“Io mi chiamo Hinata, e tu?” se ne uscì lei in mezzo alle risa.
“Kurogane…” borbottò lui.
“Beh, non preoccuparti Kurogane! Non tutte le storie finiscono male!” e saltò via dalla panchina, correndo via verso qualsiasi cosa stesse facendo prima di fermarsi a parlare con lui.
Kurogane, soprappensiero, si sfregò la fronte con le dita. Dalle nuvole gonfie cominciò a cadere la prima neve.

*

L’adrenalina dell’ultimo momento scrosciava ancora nel corpo di Fay. Era riuscito a portare al signor Kakei le tavole del suo fumetto appena in tempo, avevano lavorato come matti per fare le ultime correzioni insieme e Kakei aveva trovato solo di sfuggita l’occasione di rammaricarsi che i due protagonisti non fossero canon e di cercare di convincerlo ad aggiungere qualche scena più romantica e ammiccante tra di loro. Quando Saiga era arrivato a prendere le pagine del fumetto da portare all’Editore (e a prendersi Kakei per portarlo in qualche luogo appartato), il lavoro era appena concluso, Fay cercò anzi di intrattenere l’uomo con qualche chiacchiera senza capo né coda per avere la certezza che tutto l’inchiostro fosse perfettamente asciutto. Non aveva alzato la testa dal tavolo di lavoro per tutto quel tempo e solo ora si accorgeva di quanto avesse il collo indolenzito. Saiga, con Kakei a braccetto, gli aveva offerto un passaggio, ma lui aveva rifiutato, tanto la fermata della metro non era poi così lontana. L’emozione di aver appena consegnato il suo primo fumetto originale alle stampe continuò a ronzargli nelle orecchie fino in strada. Lì lo accolsero il buio, il freddo e così tanta neve da affondarci fino ai polpacci. Sollevando il colletto del suo giaccone per ripararsi meglio, si avviò per la strada deserta. Con quel freddo e tutta la neve che gelava l’asfalto, nessuno aveva il coraggio di avventurarsi fuori. Fay affrettò il passo, ansioso di raggiungere la fermata e poi la sua casa.
Tutto solo, con le energie che cominciavano a sfumare, tornò inevitabilmente a pensare a Kuro-stellina, impulso che era riuscito a tenere lontano mentre lavorava.
Almeno ora so che c’è un modo per tornare a casa mia.
Quelle parole lo tormentavano come una vespa particolarmente insistente e maligna. Preferiva non pensarci per evitare di doverne fronteggiare le conclusioni, ma il pensiero che Kurogane se ne sarebbe andato e che non l’avrebbe più rivisto gli chiudeva lo stomaco e gli faceva venir voglia di vomitare. Il suo desiderio di baciarlo, poi, anche quello non faceva che peggiorare. Oggi, quando si era mostrato così interessato al suo lavoro, avrebbe voluto saltargli al collo e al diavolo le conseguenze. Era così contento, che gli aveva dato quel bacio sulla fronte, scappando via prima di constatare le reazioni di Kurogane. Aveva fatto tutto il viaggio d’andata ad oscillare tra l’euforia e la depressione e temeva che prima ancora di vederlo andarsene per sempre, sarebbe comunque impazzito. Il suo sospiro si condensò in un ricciolo di vapore bianco.
Raggiunse la fermata della metro col passo più svelto che gli riuscì di sostenere in mezzo a tutta quella neve, ma dai suoi pensieri proprio non riusciva a sfuggire. Almeno finché non si ritrovò davanti all’ingresso sbarrato da un’inferriata.

*

Dopo la nevicata, il cielo si era aperto di nuovo sul mondo, offrendo a Kurogane un’ottima visuale del posto dove non riusciva a tornare. Era rimasto per un’esagerazione di tempo ad occhieggiare dalla finestra dell’appartamento le stelle che sorgevano nel cielo sempre più scuro e lo spicchio di luna che sembrava ridere della sua condizione. Ah, ma gliel’avrebbe fatta pagare a Tomoyo, non appena fosse tornato. Perché intendeva tornare. Senz’ombra di dubbio. Se si sentiva confuso sulla questione, era solo perché aveva sicuramente preso quella fastidiosa malattia che lo faceva sentire strano e pensare a cose ancora più strane. Non c’entrava di certo il discorso che aveva fatto con la stramba ragazzina. E non voleva dire niente il fatto che tutto quel parlare non faceva che fargli venire in mente Fay.
Kurogane voleva tornare a casa.
Mentre se lo ripeteva, gli venne in mente che a casa, nemmeno Fay ci era ancora tornato. Aveva imparato che l’umano tornava tardi quando andava al lavoro, ma secondo quel coso tondo segna-tempo che stava appeso al muro cominciava a farsi un po’ troppo tardi.
Il campanello d’ingresso ruppe il silenzio.
Kurogane si precipitò ad aprire la porta, convincendosi di essere arrabbiato, non sollevato, dimenticandosi che se fosse stato Fay, avrebbe potuto aprire la porta da solo.
Infatti c’era Kimihiro sulla soglia.
“Ancora non ci credo, ma sono vivo!” si lamentò il bambino invadendo l’ingresso. “Allora, sei riuscito a brillare, signor stella?”
“No,” brontolò Kurogane.
Il bambino inclinò la testa e lo studiò. “Ti ha per caso punto qualcosa?”
“Eh?” Kurogane non capiva che diavolo c’entrasse.
“Continui a sfregarti la fronte,” gli spiegò Kimihiro, indicandolo. “Ti ha toccato qualcosa di strano lì?”
“No che non mi ha…” Kurogane pensò alla bocca di Fay, come gli era capitato spesso, quel giorno. Gli venne in mente la forma che prendeva mentre parlava, rideva, sorrideva e mentre pronunciava tutte quelle assurde storpiature del suo nome. Si ricordò della sensazione sconcertante delle sue labbra sulla sua fronte.
“NON MI HA TOCCATO PROPRIO NIENTE!” strillò, arrossendo e fregandosi la fronte con ancor più energia.
Il bambino lasciò perdere e cambiò discorso. “Sai cosa pensavo, signor stella? Mentre ero in giro con la mamma e il papà pensavo che è una fortuna che il Natale venga solo una volta all’anno. Allora mi è venuto in mente! Il Natale viene tutti gli anni, anche se non ce la fai a capire come brillare adesso, puoi sempre aspettare il prossimo anno o quello dopo, non devi avere fretta!” Dal tono, il bambino sembrava tenerci particolarmente a quell’eventualità.
Kurogane non rispose. In effetti non l’aveva considerato. Non è che avesse qualche limite di tempo. La cosa parve quietare un pochino l’agitazione che gli stringeva il petto. Con quel pensiero, guadagnava tempo. Tempo per cosa, non lo sapeva, ma al momento si sentiva ancora troppo confuso per ragionarci lucidamente.
Kimihiro preferì non insistere oltre e prese a guardarsi attorno. “Dov’è il signor Fay?”
“E’ ancora al lavoro,” gli rispose Kurogane con un’alzata di spalle, sperando che si notasse quanto poco fosse preoccupato.
Il bambino sgranò gli occhi.
“Ma la metro a quest’ora è chiusa!” si allarmò.
Kurogane drizzò le spalle e aggrottò le sopracciglia. Kimihiro si ficcò una manina in tasca e ne tirò fuori il cellulare. Pigiò qualche tasto e si mise l’apparecchio all’orecchio. Da un’altra stanza della casa si alzò una musichetta allegra. Il bambino chiuse la telefonata con un gemito di delusione.
“Ha lasciato il cellulare a casa… Sarà dovuto tornare a piedi… Ma c’è un mucchio di neve ed è tardi e…”
Kimihiro non finì il suo elenco perché Kurogane era scattato verso la porta, afferrando il cappotto al volo.
“Dove vai?” gli chiese sorpreso il bambino.
“A cercare quell’idiota!”
E se questa volta suonò visibilmente preoccupato, non gli importò per niente.

*

Kurogane non aveva pensato quando si era gettato per le strade della città. Cominciò a pensare quando si rese conto di non avere la più pallida idea di dove stesse andando.
Quell’idiota, quel dannato idiota!
Kurogane tirò un pugno ad un muro e si fermò per osservare lo spazio che lo circondava. Dov’era quell’umano imbecille? Come faceva a trovarlo in quel mondo a lui così estraneo? Se solo avesse potuto cercarlo dall’alto del cielo, l’avrebbe trovato subito, avrebbe individuato quella testa bionda tra tutti i miliardi di esseri umani che abitavano quel pianeta, ne era sicuro. Ma se fosse stato in cielo non sarebbe potuto andare a prenderlo, sarebbe stato troppo lontano per gridargli quanto fosse stupido ad andarsene in giro con quel freddo e quel buio, troppo distante per dargli un pugno sulla testa, non avrebbe mai potuto afferrarlo e trascinarlo fino a casa. In cielo non avrebbe più potuto toccarlo o essere toccato da lui. L’avrebbe seguito con lo sguardo, irraggiungibile. E poi, forse, qualche volta, lui avrebbe alzato lo sguardo verso la volta stellata e l’avrebbe chiamato “Kuro-stellina” e Kurogane avrebbe potuto rivedere, anche se solo come un guizzo lontano, l’azzurro profondo dei suoi occhi.
Il freddo della notte non era niente in confronto al gelo che quel pensiero gli mise nel cuore.
“Problemi?”
Kurogane scattò sulla difensiva e si guardò attorno. La strada era deserta.
“Che c’è, Kurogane? Non riconosci più la voce di un vecchio amico?” rise ancora la voce senza corpo.
Kurogane riconobbe quel tono canzonatorio e guardò in alto.
“Fuuma?! Come diavolo..?!”
“Sono o non sono la stella più vicina alla terra? Anche se penso che solo tu sia in grado di sentire la mia voce…” rise lui, solo un puntino luminoso ai suoi occhi. “Ti seguo da un po’ di tempo, sai? Ti vedo in difficoltà, serve una mano?”
Il primo istinto di Kurogane fu quello di mandarlo al diavolo. Fuuma aveva una personalità particolarmente goliardica, non gli andava di farsi prendere in giro da lui. Non gli venne nemmeno in mente di chiedere se sapesse come fare a tornare a casa. Poi un sentimento più urgente e intenso si fece largo con prepotenza.
“Sto cercando un umano!”
“Quel biondino a cui stai sempre appiccicato? Lasciami dare un’occhiata…” La voce di Fuuma suonava divertita e Kurogane non fece fatica ad immaginarsi quella sua faccia di bronzo tutta soddisfatta mentre si prendeva gioco di lui. “Eccolo lì!”
“Dove?” lo incalzò immediatamente Kurogane, dimenticandosi di protestare per quel star sempre appiccicato.
“Esprimi un desiderio, Kuro-stellina! Potrei essere generoso ed esaudirti!” rise la stella.
“Fuuma, ti giuro che se non me lo dici immediatamente io-!!!”
“Ah ah ah, tranquillo, non ti agitare! Seguire le tue avventure terrestri è troppo uno spasso! Ora apri bene le orecchie e segui le mie indicazioni…”

*

D’accordo, forse tornare a casa a piedi non era stata un’idea brillante. Fay si fermò all’ennesimo incrocio che non gli ricordava nulla e imboccò una strada a caso. D’altra parte che cosa poteva fare? Rimpianse per la centesima volta di aver rifiutato il passaggio che gli aveva offerto il signor Saiga e altrettanto si maledisse per essere uscito con la testa così presa dal suo fumetto da lasciare il cellulare a casa.
Continuando a camminare si sarebbe scaldato, si disse, e avrebbe di certo trovato un punto di riferimento conosciuto che lo indirizzasse verso casa. Accidenti! Avrebbe dovuto imparare la strada anche a piedi, non affidarsi soltanto alla comodità dei trasporti pubblici!
Invece di scaldarsi, notò, si stava stancando e basta, mentre il gelo gli trafiggeva le braccia e le gambe e cominciava ad insinuarsi lungo la schiena. Le labbra e il naso erano pezzi di ghiaccio, ormai.
Avrebbe potuto suonare a qualche portone… Però che si aspettava? A quell’ora l’avrebbero preso per un malintenzionato qualsiasi, non si sarebbero fidati di certo, quindi abbandonò l’idea prima ancora di tentarla.
Una fustigata di vento lo sgonfiò di tutto il coraggio che gli restava. Si cercò un porticato riparato e si sedette tutto rannicchiato per riposarsi un pochino. Il cielo era terso, le stelle si vedevano con una nitidezza ammirevole. Però l’unica stella che avrebbe voluto vedere in quel momento, non l’avrebbe trovata lassù.
“Kuro-stellina…” mormorò, sorridendo della propria stupidità. “Vienimi a prendere…”
“Certo che ti vengo a prendere, idiota! Se aspetto che te la cavi da solo, finisce che te ne resti qui tutta la notte!”
Fay abbassò lo sguardo, incredulo.
Kurogane.
Kurogane era lì, appoggiato all’ingresso del porticato, con un fiatone come se avesse corso a perdifiato.
Fay si alzò in piedi.
Per un attimo rimasero a fissarsi senza dire altro. Poi Fay si mosse verso di lui e Kurogane trovò perfettamente naturale assecondare quel movimento. Si ritrovarono stretti l’uno all’altro, come se non ci fosse stato nulla di più naturale in quel momento.
“Sei un idiota, lo sai, vero?” gli disse Kurogane, il suo tono burbero smorzato dal modo in cui lo teneva abbracciato.
“Non essere crudele, Kuro-zodiaco! Mi sono perso ed ero stanchissimo! Le gambe non mi reggevano più!” si lamentò ridendo Fay.
“Sei un idiota lo stesso! La prossima volta non dimenticarti quel tuo affare per chiamare la gente!” continuò a rimproverarlo Kurogane.
“A che mi serve? Ho il mio Kuro-stellina da salvataggio!”
Fay aveva la sensazione che avrebbe potuto ridere di gusto per sempre. Abbandonato contro il corpo dell’altro, il freddo si era dileguato come per incanto. Era stanco e indolenzito, eppure non si era mai sentito così bene.
“Tsk!” commentò Kurogane. Con un movimento improvviso lo afferrò saldamente per la vita e se lo caricò in spalla, proprio come la prima volta che l’aveva incontrato, cadendogli addosso dal cielo.
“Kuro-stellina? Cosa..?” si sorprese Fay.
“Ti riporto a casa!” lo informò Kurogane, avviandosi per la strada.
Fay si accomodò in quella posizione e si lasciò trasportare, ciarlando beatamente e godendosi le risposte stizzite ed esasperate del ragazzo stella. Più di una volta ricevette la minaccia di essere abbandonato in mezzo alla neve, ma mai una volta la presa su di lui accennò a sciogliersi.
Arrivarono alla palazzina piuttosto presto, rispetto a quanto prevedesse Fay. Doveva essersi avvicinato a casa durante il suo vagabondare casuale, eppure Kurogane aveva seguito la strada senza il minimo tentennamento.
“E’ proprio vero che con le stelle non ci si può perdere!” scherzò con una punta d’ammirazione.

*

Kurogane non si sentì tranquillo di lasciare l’umano finché non furono davanti all’ascensore e si tenne molto vicino a lui anche una volta rimessolo a terra. Davanti alla porta dell’appartamento c’era ancora Kimihiro con i suoi genitori, che corsero loro incontro non appena li videro.
“Kimihiro ci ha raccontato!” li accolse Shaoran.
“State bene? Ci siamo preoccupati moltissimo!” aggiunse Sakura.
Fay non fece in tempo a rispondere che il bambino gli era saltato in braccio.
“Meno male che siete tornati!” disse, ed era evidente che stava facendo di tutto per trattenere le lacrime.
“Mi spiace di avervi fatti preoccupare…”
Kurogane notò che Fay era a disagio davanti a tutte quelle manifestazioni di affetto e probabilmente ancora di più per essere stato causa di tanto scompiglio.
Rassicurata la famiglia di Kimihiro, riuscirono finalmente a rientrare in casa.
“Ah, non credevo che ce l’avremmo fatta!” esclamò Fay, liberandosi del suo cappotto per godersi il calore del riscaldamento.
“Almeno la prossima volta ci penserai meglio prima di cacciarti in queste situazioni,” commentò asciutto Kurogane.
“Non capisco cosa intendi, Kuro-star~” cantilenò Fay, scavalcando il cappotto e dirigendosi verso il soggiorno senza neanche accendere la luce.
“Intendo…” e Kurogane lo tallonò, intenzionato a finire il discorso. “Che non pensi a quello che fai e poi ti dispiace di aver fatto preoccupare chi ti sta attorno.”
Fay si bloccò e si girò sfidando Kurogane con un sorriso strano, nel buio.
“Mi stai dicendo che ti sei preoccupato per me, Kuro-stellina?”
Ed ecco che, senza alcun preavviso, tutta la confusione che tormentava Kurogane da tutto il giorno si incastrò al posto giusto. Finalmente sapeva cosa voleva. Attraversò lo spazio tra di loro con una rapidità che fece sobbalzare Fay, ma prima che lui si allontanasse di riflesso, lo afferrò per le spalle e lo baciò.
Cominciò in maniera piuttosto impacciata, vuoi perché Kurogane non aveva mai baciato nessuno e mai si era posto il problema di come si potesse fare fino ad ora, vuoi perché Fay era rimasto così sorpreso da non riuscire a reagire per diverso tempo. Poi l’istinto sciolse le loro labbra e baciarsi diventò molto più semplice e non abbastanza. Fay circondò le spalle di Kurogane con le braccia e Kurogane lasciò scivolare le sue mani sulla sua schiena, percorrendola, incapaci di fermarsi. Fay lasciò scappare un mugolio tra le labbra di Kurogane e si spinse contro di lui completamente. Kurogane sentì il proprio corpo mandargli degli impulsi che non aveva mai provato che lo sopraffecero. Strinse Fay a sé ancora di più, una sua mano risalì lungo la sua spina dorsale e affondò tra i suoi capelli lunghi per guidarlo in un bacio ancora più intenso.
Si allontanarono quando il fiato cominciò a mancare e Kurogane già si chinava per tornare a baciarlo ancora dopo appena una boccata d’aria, ma Fay si irrigidì e lo tenne lontano. Kurogane aprì gli occhi che nemmeno ricordava di aver chiuso e vide gli occhi di Fay attraversati da così tante emozioni che non avrebbe saputo distinguerle tutte.
“Kuro-stellina… stai brillando.”



Continua…


…il prossimo Natale! XD
No dai, mi auguro di no…



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