Fratelli e motori

di Daisy Potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


•Fratelli e motori •

¨Fratelli e motori ¨

 

Prologo.

 

Stridio di gomme sull’asfalto, fumo, grida, scommesse.

Ragazze e ragazzi che giravano tra le auto da corsa ferme nella piazza, fari che illuminavano le strade deserte, musica a tutto volume.

Il lato oscuro di Tokyo … i drifters.

Il rombo dei motori si levava alto nella notte, incitando le grida entusiaste dei giovani.

Un ragazzo occidentale, avvolto in larghissimi indumenti hip-hop, fissava intensamente le belle giapponesi che sfilavano accanto alla sua auto, una Audi R8 verde smeraldo con le stampe di due cobra che si attorcigliavano sinuosi sulla carrozzeria, avvolgendo le loro spire sulle fiancate prima di incrociare le teste sul cofano, mostrando le zanne l’uno all’altro.

Allungò una mano verso una moretta che gli stava passando accanto in quel momento facendo ondeggiare provocatoriamente gli orli della corta gonna di jeans, e la attirò a sé. Una mano della ragazza si insinuò nella sua coda di dread mentre le loro labbra si scontravano, accarezzandosi con le lingue. Trattenendola a sé con un braccio avvolto intorno alla sua vita, mentre continuava a baciarla estese l’altra mano e afferrò il polso di una biondina dai tratti meno orientali, avvicinandola e staccandosi dalla bocca della prima per assaggiare la sua, mentre la giapponese passava a baciargli il collo sensualmente e lui faceva scendere la mano che la tratteneva ad accarezzare le sue gambe.

Un improvviso stridio di gomme li distrasse, e le due ragazze si allontanarono con un balzo mentre un’auto compiva una manovra folle a pochi centimetri da lui, sfiorandolo nel momento in cui fece un giro su se stessa, producendo fumo con le gomme. Continuava a girare descrivendo un cerchio di diametro ridotto, finché non inchiodò puntando i fari addosso al rastaro, che non si era mosso di un millimetro dalla sua posizione. La folla, che prima gridava entusiasta allo spettacolo che il nuovo arrivato stava offrendo, si zittì immediatamente quando il guidatore aprì la portiera. Un paio di stivali di cuoio si poggiarono sull’asfalto che recava i segni delle sgommate recenti, e dall’auto uscì una figura in jeans scuri come la notte, il busto magrissimo fasciato da un giubbotto di pelle nera come i capelli, le cui ciocche sbarazzine erano fissate con la lacca, sparate in ogni direzione e tinte da qualche spruzzo di platino. Gli occhi, del colore della cioccolata e contornati da un pesante trucco scuro come la pece, si fissarono su quelli del ragazzo di fronte a sé, penetrandoli con intensità.

«Cosa ci fai qui, Tom?» esordì con voce ferma e intimidatoria, ma il rastaro non batté ciglio.

«Sono un drifter, è il mio posto.» si limitò a replicare, nello stesso tono deciso.

Il moro fece qualche passo verso di lui, seguito dal rumore ritmico dei suoi passi sull’asfalto, la camminata dritta e sicura, la testa alta. Dovette però abbassare lo sguardo quando si trovò a pochi centimetri da Tom, dal momento che era molto più alto di lui.

«Non più.» gli sussurrò all’orecchio, secco. «Ora devi andartene.»

Tom continuò a sostenere il suo sguardo con sfida. Stava per ribattere, ma fu interrotto.

«Ehi, Freiheit!» le ragazze con cui si stava divertendo prima erano saltate addosso al nuovo ragazzo, iniziando a baciarlo e sorridendogli maliziose, raggiunte poi da un paio di altre giovani. Il moro sogghignò, lanciò un’ultima occhiata penetrante a Tom, poi si voltò e si allontanò con loro, diretto alla sua auto. Era una Lamborghini Murcielago nera come la notte, sulla cui fiancata spiccava, arancione, una scritta molto elaborata che recitava Freiheit, libertà. Col tempo era diventato anche il suo soprannome, in quel giro.

«Aspetta, Bill.» esclamò il rastaro. Il ragazzo, al suono del suo nome, si bloccò.

«Ti sfido.» continuò Tom, provocando mormorii di stupore tra i presenti.

Bill tolse le braccia dalle spalle delle ragazze e si voltò lentamente, un sopracciglio alzato e lo sguardo derisorio.

«Mi sfidi?» ripeté ridacchiando, ma il suo sguardo tradiva stupore e incertezza.

«Sì. Una gara. Se drifterò meglio di te, avrò il diritto di rimanere qui.» asserì lui.

Bill sembrò pensarci su un attimo, poi le sue labbra si tesero in un sorriso maligno.

«Ci sto. Ma se sarò io il migliore dovrai andartene … dalla città.» aggiunse, soddisfatto. Alcune deboli proteste si levarono dalla folla, nella quale c’erano molti che avevano in simpatia il rastaro, ma nessuno dei due vi badò.

«D’accordo.» acconsentì infine, prima di voltarsi e salire sulla sua Audi, girando le chiavi nell’avviamento e facendo rombare il motore, che obbedì docile ai suoi comandi.

Bill tornò a rivolgersi alle ragazze, e dopo aver dato un bacio ad una di loro le congedò.

«Ci vediamo più tardi, babies.» strizzò loro l’occhio, ed entrò in auto. Fece slittare le ruote posteriori, alzando il fumo, poi fece uno scatto avanti e utilizzando il freno a mano fece voltare bruscamente l’auto, sistemandosi accanto a quella verde smeraldo del suo sfidante. Gli rivolse un sorrisetto di sfottimento, prima di alzare il vetro del finestrino e concentrarsi sulla strada di fronte a sé, pronto alla partenza, mentre il motore rombava aggressivo sotto il cofano.

 

 

NdA.

Non ci credo, finalmente sono riuscita a finire questa fic il cui progetto mi sono portata dietro per due mesi e mezzo!! Per una volta, sono orgogliosa di me stessa! XD

Quindi, non c’è da preoccuparsi riguardo ad eventuali ‘blocchi dello scrittore’ e conseguente abbandono della fanfiction: la storia è interamente scritta nei suoi 8 capitoli + il prologo appena pubblicato! Manca solo l’epilogo,  ma sta già prendendo vita nella mia mente, e sarà pronto in pochi giorni! ^^

Detto ciò, passiamo alla trama … inaspettata, vero? Be’, l’idea mi è balenata in mente non appena ho visto per la prima volta il video di “Shut up and drive” di Rihanna. Mi ha riportato alla mente il film The fast and the furious (che avrò visto come minimo una decina di volte, dal momento che lo adoro) e un istante dopo, mentre i miei occhi si posavano su uno dei tanti poster dei Tokio Hotel appesi in casa mia, ecco che mi vedo Bill su una macchina da corsa. e Tom circondato da belle ragazze che si vanta delle sue abilità di drifter … allora ho acceso il pc, e dopo aver scritto le prime righe, il resto è venuto da sé, tanto che all’inizio non riuscivo a capire nemmeno io quale fosse la trama della storia! XD

Spero che l’idea abbia catturato la vostra attenzione, e che abbiate voglia di leggere il primo capitolo, che progetto di pubblicare questo weekend.

Attendo soltanto i vostri commenti!!!

Fedy - Daisy J

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Capitolo 1.

 

Le luci dei fari erano puntate sulla strada deserta di Tokyo, come due paia di occhi che sfidavano l’oscurità della notte. I motori ruggivano, vogliosi di correre. Le carrozzerie scintillavano alla luce dei lampioni, sempre lucide e impeccabili.

I giovani che accerchiavano le due auto si spostarono accanto alle proprie, lasciando spazio ai due sfidanti, mentre una ragazza avanzava ancheggiando tra di loro. Si fermò a un metro dalle auto, sfilò una fascia colorata dai passanti dei corti jeans e la alzò in aria, sorridendo ammiccante. Le auto fecero rombare i motori all’unisono. Bill e Tom si scambiarono un’ultima occhiata, poi si concentrarono solo sulla gara imminente. All’improvviso, la ragazza lasciò cadere il fazzoletto. Non appena toccò terra, le ruote stridettero e le due auto scattarono in avanti, passando ai lati della giovane e sfiorandola, prima di allontanarsi superando già in pochi istanti i 100 km/h.

Bill scalava le marce con sicurezza, reggendo il volante con un’unica mano, l’altra sempre vicina alla leva del cambio e al freno a mano.

Tom teneva lo sguardo fisso davanti a sé, i muscoli contratti, entrambe le braccia tese sul volante, mentre la destra continuava a spostarsi sul cambio freneticamente.

Giunsero alla prima curva e Bill rallentò un poco prendendola larga. Tom invece cercò di passare all’interno e superarlo, ma fece male i conti e sbandò mentre cercava di recuperare la traiettoria, osservando furioso la Lamborghini nera allontanarsi nella notte. Premette con forza il piede sull’acceleratore, avvertendo le ruote slittare un po’ sull’asfalto, e ripartì all’inseguimento.

In breve si ritrovarono in un cantiere. Bill era in vantaggio, ed evitava senza sforzo i detriti e le buche disseminati lungo il tragitto, controllando abilmente la macchina. Tom non era da meno, ma non riusciva comunque a raggiungere l’avversario. Un autocarro però fece al caso suo. Sterzò all’improvviso, e le ruote della sua auto imboccarono con precisione la rampa abbassata del piano superiore per il trasporto dei mezzi danneggiati. Senza frenare, si lanciò verso la fine della rampa, volando oltre la cabina del camion e atterrando qualche istante dopo sulla strada proprio di fronte alla Lamborghini di Bill, che fu costretto ad inchiodare per non scontrarsi con lui.

Tom recuperò subito il controllo della sua auto, e proseguì la corsa, soddisfatto, mentre osservava nello specchietto retrovisore la figura dell’avversario allontanarsi.

La sfida proseguì per alcuni minuti, e la Audi era sempre in vantaggio. Tom la guidava alla perfezione, senza mai perdere il controllo delle gomme, gestendo il motore con esperienza.

Bill, nella sua scia, faceva lo stesso, imboccando le curve a grande velocità e contro-sterzando all’istante per mantenere la traiettoria, ma ciò non bastava per recuperare la prima posizione.

Infine giunsero all’ultima svolta del percorso: una pericolosa curva a gomito alla fine della stretta via che li avrebbe ricondotti al punto di partenza. Tom iniziò inevitabilmente a rallentare, preparandosi ad imboccarla, e in un attimo la Lamborghini nera gli sfrecciò accanto, superandolo e avanzando sempre più veloce verso la svolta. Il ragazzo sgranò gli occhi, e un grido sfuggì alle sue labbra, noncurante del fatto che il moro non potesse sentirlo …

«Bill! NO! »

 

- Flash -

«Kyle! NO!»

- Flash -

 

 Scosse la testa, mentre già si immaginava l’auto schiantarsi contro il palazzo che avevano di fronte, accartocciandosi su se stessa e imprigionando l’autista in un groviglio mortale di lamiere.

Ma non fu così.

Bill staccò il piede dall’acceleratore a pochi metri dalla curva e tirò con forza il freno a mano, mentre sterzava più che poteva. L’auto ruotò di 90 gradi in un istante, mentre le ruote scivolavano ancora nella direzione precedente, avvicinandosi sempre di più al muro. Quando ormai mancava poco all’impatto, lasciò il freno a mano e premette il piede sull’acceleratore, controsterzando, mantenendo il volante dritto con entrambe le mani. Le ruote slittarono, ma alla fine l’auto balzò in avanti, proprio un istante prima di sfiorare la parete, e imboccò la direzione giusta, sfrecciando verso la meta finale.

Tom trasse un sospiro di sollievo, poi tornò ad occuparsi della guida. Rallentò ancora, ormai consapevole della sconfitta, e imboccò la curva ben sotto i 60 km/h, uscendone senza problemi. Diede un po’ gas, ma senza esagerare, e raggiunse l’auto di Bill, che si era già fermata.

Tutti i ragazzi si erano stretti attorno ad essa, saltando e gridando, complimentandosi della manovra spettacolare alla quale erano riusciti ad assistere, acclamando il suo soprannome con entusiasmo.

«Freiheit! Freiheit!»

Le loro urla festanti si tramutarono in fischi quando Tom arrestò la Audi lì vicino. Scese, tenendo lo sguardo basso, e si avvicinò a Bill, che era in piedi accanto alla sua auto e accarezzava soddisfatto il nome sulla fiancata. Quando fu a un passo da lui, si arrestò, e alzò lo sguardo per puntarlo nel suo. Gli tese la mano.

«Congratulazioni … fratellino.»

Bill lo fissò con odio al suono di quell’appellativo. Non gli strinse la mano, ma si limitò ad avvicinarsi pericolosamente al suo orecchio e sibilare tra i denti, in un sussurro che poterono udire solo loro due:

«Non considerarmi più tuo fratello, non dopo quello che è successo!»

Il suo sguardo e il suo tono di voce esprimevano tutto il suo disprezzo.

«E ora sparisci. Hai perso.»

Con queste parole, si voltò, e risalì in auto, dopo aver fatto cenno a un paio di ragazze. Queste presero posto nei sedili posteriori, ridendo, e lui sgommò via, allontanandosi a tutta velocità nel cuore di Tokyo.

Lentamente, anche gli altri ragazzi entrarono nelle loro auto sportive e se ne andarono, svuotando la piazza.

Alla fine, a Tom non rimase altro da fare che avviare nuovamente il motore, e imboccare silenzioso la via che lo avrebbe portato fuori dalla città, mentre due parole gli riecheggiavano ancora nella mente:

Hai perso.

Sapeva benissimo che Bill non si riferiva solo alla gara.

 

 

Rieccomi con il primo capitolo!

Ok, forse mi sono fatta prendere un po’ la mano, con la gara…^^’   Dite che ho esagerato?! Be’, dai, un po’ di effetti speciali ogni tanto ci vogliono! XD E poi volevo far vedere quanto sono in gamba i gemellini!

 

Comunque, che dire? È evidente che Tom deve aver fatto qualcosa di terribile per meritarsi tutto quest’odio da parte di suo fratello. Cosa potrà mai essere? E cosa farà ora che ha perso la gara ed è costretto a lasciare la città? Eheh, dovrete aspettare un po’, per saperlo U.U

Io, intanto, attendo i commenti di qualche anima pia che abbia voglia di spostare il mouse sul pulsante qui in basso … XD e approfitto dell’ultimo spazio delle note per ringraziare SweetPissy che ha recensito il prologo: danke shon!

Al prossimo capitolo!

Fedy

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Capitolo 2.

 

Il garage era buio e silenzioso. Vi entrò, parcheggiando abilmente l’auto nera nell’oscurità, poi scese e accese le luci. Il locale si illuminò a giorno, rivelando un paio di auto sportive, i cofani aperti e i motori truccati in vista, qualche moto da corsa e una pila di pezzi di ricambio, cerchioni, gomme e attrezzi da lavoro.

Le giovani ragazze uscirono dall’auto dopo di lui, e ancheggiando provocatorie sui tacchi si avviarono verso le scale che portavano di sopra, sicure di loro e come padrone della casa, che avevano già visitato più volte. Ogni tanto si voltavano con sorrisetti maliziosi, ai quali Bill rispondeva con occhiate intense. Quando furono scomparse oltre la porta che conduceva alle stanze, il ragazzo dedicò la sua attenzione al suo bolide, sfiorando con le dita dalle unghie smaltate di nero la scritta sulla fiancata.

Libertà.

Aveva sperato di riuscire ad essere libero, per qualche tempo … di non dover rendere conto a nessuno, di essere padrone di se stesso e di nessun altro, di poter fare ciò che voleva senza restrizioni …

Aveva creduto, poche ore prima, che la gara appena conclusa gli avrebbe portato la tanto agognata libertà.

E allora perché non si sentiva affatto libero? Perché si sentiva come se avesse un peso addosso che non riusciva a scrollarsi dalle spalle?

Strinse la mano in un pugno e la lasciò cadere lungo il fianco, poi si voltò e spense le luci, lasciandosi alle spalle l’auto e risalendo le scale d’acciaio, oltrepassando la porta che lo avrebbe condotto in casa.

Percorse il corridoio e si diresse verso la stanza in cui sapeva che lo attendevano le ragazze. Non appena aprì la porta, una mano si strinse attorno al suo polso e lo catturò dolcemente, attirandolo dentro e facendolo sedere su un divano, mentre una delle ragazze chiudeva l’uscio e iniziava a spogliarsi con movimenti lenti e sinuosi.

Se la trovò in un attimo sulle ginocchia, mentre l’altra iniziava una danza sensuale poco più in là.

Ma la sua mente era altrove … non vedeva quei corpi, non sentiva quelle carezze, non avvertiva la sua maglia venirgli sfilata e lanciata via, né sentiva quei baci e quei morsi sulla sua pelle …

Riusciva solo a vedere la mano di suo fratello tendersi verso la sua, e un istante dopo la sua auto verde smeraldo allontanarsi nello specchietto retrovisore …

Vedeva il viso di Tom Kaulitz sorridere.

Un piccolo bambino con i rasta sciolti che lottava nel fango.

Un ragazzino che lo abbracciava ridendo, e gli scompigliava divertito i capelli corvini.

Un diciottenne con le mani sul volante che si esibiva entusiasta di fronte ai suoi occhi e poi gli permetteva di fare lo stesso lasciandogli la portiera aperta e indicandogli il posto del guidatore.

E di nuovo, il ventenne che gli tendeva la mano e lo chiamava “fratellino” per un’ultima volta

Si alzò di scatto, portando con sé la ragazza che gli stava baciando il collo, e la buttò sul letto alle loro spalle, attirando anche l’altra sul materasso. In pochi istanti gettò via i suoi pantaloni e i boxer e sfogò tutta la frustrazione che sentiva dentro di sé, cercando di allontanare le immagini dei ricordi perdendosi in quelle più dolci di quelle ore.

Sapeva bene, però, che non sarebbe servito …

 

hbag

 

220 km/h.

La strada che scorreva veloce, sottomessa alle sue ruote.

L’aria che sferzava la carrozzeria fischiando irritata da tanta velocità, che sembrava sfidarla.

I segni sull’asfalto ogni volta che prendeva una curva intorno ai 100 km/h, traccia indelebile del suo passaggio e della sua rabbia.

Per un istante non riuscì a distinguere bene la strada oltre il parabrezza, e si passò ferocemente una mano sugli occhi, arrabbiandosi ancora di più quando la trovò bagnata. Ricacciò indietro quelle gocce salate che avevano cercato di uscire a tradimento, e scosse la testa, muovendo i dread, stringendo con più forza il volante e la leva del cambio.

Ormai aveva quasi raggiunto Osaka. Era stato un viaggio lungo, ma non si era fermato nemmeno un istante, se non per fare il pieno. Aveva continuato a sfrecciare sull’asfalto superando le auto che incontrava sul suo percorso, scartando a tutta velocità, mettendo in pratica molto di ciò che aveva imparato sulle auto e sul drift in quegli anni. Ma ormai quelle manovre erano automatiche, non provava più l’emozione di una volta, quando al suo fianco - sul sedile del passeggero, o su un’altra auto nella corsia vicina - c’era suo fratello. Era cambiato tutto, e per lui nulla aveva più un significato.

Per un attimo fu tentato di lasciare la presa sul volante e premere con ancora più forza il piede sull’acceleratore, lasciandosi andare …

Aveva rovinato tutto … una vita, un rapporto, un’intesa che durava da più di vent’anni … tutto …

Ma proprio mentre aveva questi pensieri, mentre le dita allentavano quasi inconsapevolmente la loro presa sul volante, accadde qualcosa.

Fu tutto veloce, improvviso.

Un’altra auto, vecchio modello, decisamente lenta, ma inaspettata. Spuntò senza preavviso da una strada laterale attraversando il suo percorso. Solo la sua abilità al volante permise a Tom di evitare il quasi certo impatto mortale. Riuscì a sterzare in tempo e a colpire solo la parte anteriore dell’auto, mandandola in testacoda, mentre la sua Audi usciva di strada e lui faceva di tutto per mantenerne il controllo. Infine riuscì a farla fermare e balzò fuori, portandosi davanti al muso della sua vettura ed esaminando i graffi riportati alla lucente carrozzeria verde.

«Cazzo! 1.700 dollari buttati nel cesso!» imprecò alzando le braccia al cielo con stizza.

«Miseriaccia, la mia auto!» fu invece il grido che lo raggiunse alle spalle, e si voltò in tempo per vedere un biondino fare il giro del suo … ehm …catorcio’ fu l’unica parola che gli veniva in mente, e osservare addolorato il fumo levarsi dal cofano, per metà alzato e accartocciato.

«Che vuoi che sia? Tanto quell’auto era già da rottamare.» commentò Tom acido. «Guarda qua, piuttosto! - inveì poi - sai quanto è costata questa verniciatura?!»

«E allora?! Te ne puoi sicuramente permettere un’altra! La mia invece era un pezzo d’epoca, una Mercedes del 1968, sai cosa vuol dire, perdindirindina?!!» esclamò il biondino in preda ad una crisi isterica.

Tom lo guardò alzando un sopracciglio e aggrottando la fronte.

«Perdindirindina?» ripeté attonito, scrutandolo intensamente per qualche istante, poi scoppiò in una fragorosa risata, piegandosi in due con una mano sullo stomaco, l’altra a cercare di reggerlo appoggiata all’auto.

«Be’?!?» sbottò il biondino, incrociando le braccia al petto con fare irritato.

«Ahahahah! Scusa … ahah! È che … ahahah! Assomigli troppo a quello stupido Winnie Pooh dei cartoni animati che guardava mio fratello da piccolo …!»

Improvvisamente la sua risata si spense e gli occhi si incupirono, mentre i muscoli del viso si tendevano in una maschera rigida. Si raddrizzò, distanziandosi leggermente dall’auto e aprendone lentamente la portiera, mentre cercava di allontanare dalla mente l‘immagine di quel piccolo bambino dai capelli scuri e gli occhi nocciola che osservava rapito la tv, girandosi ogni tanto verso il suo fratellone per rivolgergli un sorriso innocente ed entusiasta …

«Senti, mi dispiace per la tua macchina … » borbottò distrattamente riprendendo posto sul sedile in pelle.

Stava già riavviando il motore quando il ragazzo lo fermò, aggrappandosi alla portiera prima che si fosse richiusa completamente.

«Ehi, dove stai andando?!» esclamò, infilando la testa nell’abitacolo. «Nel caso non te ne fossi accorto, mi hai sfasciato la macchina! Come ci arrivo io a casa, a piedi?!»

Tom si riscosse finalmente dalla sua trance, fissò per qualche istante il ragazzo, poi la vecchia Mercedes che fumava dal cofano, poi di nuovo il biondino e infine sbuffò sonoramente, roteando gli occhi.

«E va bene, va bene! Sali!» disse solamente, e attese che l’altro facesse il giro dell’auto e si accomodasse sul sedile accanto al suo. «Dove andiamo?»

«Nella periferia di Osaka. Prendi questa strada, poi ti guido io.»

Il rastaro fece spallucce, poi partì sgommando.

«Ah, Gustav Shafer, comunque. Piacere.» aggiunse dopo un po’ il biondino.

«Tom Kau-Kramer.» rispose lui tenendo lo sguardo fisso oltre il parabrezza. «Tom Kramer.»

Gustav annuì, poi tornò a guardare la strada. Dopo un paio di curve prese ad alta velocità, durante le quali si era aggrappato con tutta la sua forza alla maniglia della portiera senza più lasciarla andare, e dopo aver controllato per l’ennesima volta che la sua cintura fosse ben allacciata, si decise a voltarsi di nuovo verso il suo nuovo ‘amico’.

«Rallenta, cavolo!! Mi stai facendo venire un infarto! Mi sembra di stare in macchina con Georg!!!»

Tom sorrise alla nota isterica nella sua voce, ma rilasciò comunque un po’ l’acceleratore, scalando di un paio di marce. Quando Gustav si fu rilassato leggermente ed ebbe ripreso una posa più comoda sul sedile, gli chiese:

«Chi è Georg?»

«Il mio migliore amico. Anche lui ha la fissa per le corse in auto … dice che vuole imparare a ‘driftare’ e un giorno sfidare i gemelli Kaulitz di Tokyo … bah!» spiegò il biondino.

«Davvero?» chiese Tom, ora realmente interessato. «I gemelli Kaulitz?»

«Sì, i due drifters migliori del Giappone … non dirmi che non li conosci?» aggiunse Gustav osservandolo scettico. Lui si limitò a fare spallucce.

«Ne ho sentito parlare, sì.» mormorò, amaramente.

«Sono i migliori! Due assi, con le auto, davvero! I re delle gare! Tutto il Giappone li conosce! Be’, almeno la parte del Giappone che frequenta l’ambiente delle corse clandestine … mondo di cui il mio migliore amico vuole fare parte assolutamente.»

Tom rimase ad ascoltare in silenzio, annuendo distrattamente.

«Te lo faccio conoscere, dai. So già che impazzirà quando vedrà la tua auto.» sorrise Gustav, poi parlò solo più per dargli le necessarie indicazioni stradali, dal momento che Tom non aveva più aperto bocca.

Viaggiarono per una quarantina di minuti, finché non si intravidero le prime case della periferia. Erano più che altro vecchie costruzioni, dipinte di un bianco sporco, ad uno o due piani, non molto curate e recintate malamente.

Gustav indicò una di quelle, un po’ più lontana e isolata dalle altre, affiancata da un modesto capanno che fungeva da garage e officina. Il tutto aveva un aspetto - come poteva definirlo? - ‘vissuto’; sembrava che fosse in piedi da secoli, e che avesse testimoniato gran parte della vita dei due ragazzi che vi abitavano.

Accostò l’auto alla recinzione del giardino e spense il motore, mentre Gustav si districava dalla cintura di sicurezza e scendeva, facendogli cenno di seguirlo.

Proprio mentre usciva dall’auto, un ragazzo fece la sua comparsa dal capannone, attirato dal rombo del motore, il busto nudo bagnato da gocce di sudore che rendevano lucidi i suoi muscoli gonfi. Si diresse verso di loro a passo lento, scostando dal viso i capelli lisci castani che gli arrivavano alle spalle rivelando un paio di occhi castano chiari sgranati per la sorpresa, che scintillavano con ammirazione.

«Non. Posso. Crederci!» scandì, lo sguardo puntato sulla vettura di Tom. «È una vera Audi R8?!?» esclamò osservandola da vicino, come se avesse trovato l’amore della sua vita e non volesse più separarsene.

«Già.» commentò semplicemente il rastaro, sorridendo alla scena e a come il nuovo arrivato si stava mangiando con gli occhi la sua auto.

«Ecco, questo è Georg.» lo presentò Gustav, facendosi avanti per dargli una pacca sulle spalle e distrarlo dalla sua trance.

«Piacere, Tom.» gli porse la mano il ragazzo, e Georg la strinse, dandogli il benvenuto e complimentandosi per la macchina.

«Da dove vieni?» gli chiese.

«Tokyo.» rispose semplicemente Tom.

«Ti fermi a lungo ad Osaka?»

«In realtà non lo so. Avevo … bisogno di cambiare aria …» mormorò, abbassando lo sguardo «e sono finito qui. Non so se mi fermerò o proseguirò il mio viaggio.»

«Dai, resta! Hai già trovato due amici!» gli propose Georg, continuando ad adocchiare la Audi, speranzoso di non doverla vedere abbandonare il suo cortile tanto presto.

«Ehi, devi anche aiutarmi a riportare indietro la Mercedes e ripararla!» gli ricordò Gustav, spiegando poi all’amico come si erano conosciuti.

«Ragazzi, non saprei dove stare, non so se sarebbe una buona idea.» protestò Tom, ma il biondino lo interruppe.

«Vitto e alloggio in cambio della riparazione della mia auto.» gli propose.

«E di un giro sul tuo bolide!» aggiunse repentinamente Georg illuminandosi di un sorriso astuto.

Il rastaro sospirò, valutando i pro e i contro. Infine prese una decisione.

«Tieni.» disse, lanciando a Georg le chiavi della sua auto. Lui le prese al volo, guardandolo interrogativo. «Riportamela intera tra venti minuti.» gli disse Tom, e sul volto del ragazzo comparve un enorme sorriso, mentre gli dava una pacca sulla spalla ed esclamava:

«Benvenuto ad Osaka, amico.»

 

 

NdA.

Mi prendo solo un piccolo spazio per ringraziare Auty91 e SweetPissy per le loro recensioni: mi fa molto piacere che la storia vi piaccia! Spero che anche questo capitolo sia stato abbastanza soddisfacente = )

Alla prossima con il seguito (dove alcuni nodi verranno finalmente al pettine!  XD)

Fedy

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Capitolo 3.

 

«Questo motore fa pena! Ma a quanto arriva, ‘sto catorcio? Li fa i 20 km/h, almeno??»

Gustav incenerì Tom con lo sguardo.

«Porta rispetto, chiaro? Questo gioiello ha la bellezza di 40 anni, nemmeno tu li porterai così bene.» sbottò in risposta, lanciando un’occhiata carica d’affetto verso la Mercedes che avevano da poco recuperato e riportato nel capanno.

Tom alzò gli occhi al cielo e ricacciò la testa dentro il cofano, per constatare l’entità dei danni subiti.

«Uhm … ci serviranno alcuni pezzi di ricambio … questo è proprio andato …» annunciò dopo qualche minuto, estraendo un cilindro. «Per il resto credo di riuscire a sistemarla.»

Gustav scosse la testa sconsolato, lasciandosi scivolare a terra.

«No … è un pezzo rarissimo, non lo troveremo mai …» gli fece notare, ma Tom stava già sorridendo.

«Tranquillo, ho i miei contatti; l’avremo nel giro di pochi giorni.» lo rassicurò. Detto questo recuperò il cellulare dalla tasca dei suoi jeans e avviò una chiamata.

«Ciao, Andreas! Senti … sì, sì, sto bene … mi servir- … ti ho detto che sto bene! … no, non posso tornare, lo sai … sì, sono a posto … mi ascolti due minuti?!? Ho bisogno di un pezzo di ricambio per una vecchia Mercedes del ‘68 … sì, lo so che non se ne trovano facilmente, sennò non avrei chiamato te! Riesci a farmi questo favore? … certo …»

Rimase per un istante in silenzio, in attesa, poi sorrise.

«Grazie! Sì, certo, vengo a prenderlo sabato. All’entrata dell’A2, ok? … Benissimo … anche a me, Andreas, ma non posso farci niente … no, ti prego, basta. Ciao.» chiuse improvvisamente la chiamata. Rimase a fissare il display per qualche secondo, poi sospirando ripose il cellulare nella tasca e si rivolse all’amico.

«Ti porto il pezzo sabato sera. Intanto mettiamoci al lavoro con quello che abbiamo.» e senza aspettare una risposta, si immerse nuovamente nel motore, per evitare qualsiasi tipo di domanda o di conversazione.

 

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«Con chi parlavi?»

Andreas fece un balzo sulla sedia, voltandosi verso la porta di ferro che si era appena aperta con uno schianto.

«Cristo Santo, Bill! Vuoi farmi morire?!» esclamò in faccia al ragazzo che si reggeva allo stipite, portandosi una mano al petto dove il cuore aveva fatto un salto più alto del suo.

Il moro ridacchiò per qualche secondo, poi senza abbandonare il sorriso ripeté:

«Allora, con chi parlavi?! Mi sembravi agitato …» aggiunse, e fece qualche passo nella stanza, ma non appena si allontanò dalla porta barcollò pericolosamente. Rise di nuovo, e si appoggiò con tutto il suo peso al mobile accanto all’entrata della stanza.

«BILL!» esclamò l’altro, alzandosi di scatto e precipitandosi a sorreggere l’amico prima che cadesse a terra. Questi continuò a ridere premendo la fronte sulla sua spalla, e Andreas storse il naso alla puzza d‘alcol che lo investì all‘improvviso.

«Cazzo, Bill, ma quanto hai bevuto?? Non sono nemmeno le cinque del pomeriggio, per la miseria! Che ti è preso?»

Bill ignorò completamente le sue domande, allungando le braccia intorno al suo collo e aggrappandosi a lui, abbracciandolo e lasciandosi andare di peso, rovesciando la testa all‘indietro.

«E dai, dimmelo! Chi era al telefono?» biascicò nuovamente, incapace di controllare le risate.

Andreas sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi, prima di riportarla velocemente alla vita del moro per impedire che lo trascinasse a terra con sé.

«Tom …» ammise infine.

Il cambiamento fu repentino: Bill smise all’istante di ridere e balzò indietro di scatto, finendo per fortuna contro il mobile al quale si era aggrappato prima, evitando una rovinosa caduta.

«NON - dire - quel nome!» lo avvertì a voce alta, mandando lampi con gli occhi e agitando un dito nella sua direzione.

«Bill, è mio amico … oltre che tuo fratello …» cercò di ricordargli, ma il moro aveva perso il controllo.

«NO! Non è … no! NO! Zitto! Lui … NO!»

«Bill??!»

Ma il ragazzo continuava a urlare, ormai in preda ad una crisi e all’alcol. Andreas fu costretto a prenderlo di peso e trascinarlo sul divano dall’altro lato della stanza, facendolo sdraiare e cercando di calmarlo.

Solo dopo qualche minuto le sue urla si trasformarono in un mormorio incoerente, finché non cessarono del tutto, e Bill cadde addormentato, il viso sudato e il respiro pesante.

Il biondo sospirò, si alzò e rimase a fissarlo per un minuto, poi chiuse stancamente gli occhi e si voltò, recuperando un foglietto su cui aveva scritto cosa serviva al suo amico Tom e uscendo.

 

*

 

Quando si svegliò doveva essere notte fonda, perché non riusciva a vedere nulla di ciò che lo circondava. Si mosse un po’ e capì di essere disteso su un divano e di essere coperto solo da un plaid. Si mise a sedere, premendosi una mano contro la fronte, che sentiva pulsare insistentemente, provocandogli un mal di testa da record. La scosse, cercando di allontanare quel martellare fastidioso, maledicendosi quando avvertì una fitta ancora peggiore.

Ancora intontito, si alzò e cercò a testoni l’interruttore della luce sulla parete. Quando fu riuscito ad accenderlo, riconobbe lo studio del suo amico Andreas. Strinse gli occhi, cercando di ricordare cosa ci facesse lì, ma la sua mente non era di alcun aiuto, era semplicemente vuota se non per l’incessante pulsare che cominciava a dargli sui nervi.

Si avviò lentamente e strascicando i piedi verso il corridoio, poi entrò in un’altra stanza ed estrasse una scatola di pastiglie da un cassetto. Ne buttò giù un paio, sperando che facessero effetto subito, e quando iniziò a sentirsi meglio scese nel garage.

La sua auto era lì ad aspettarlo, ma lui non la degnò nemmeno di un’occhiata. Si diresse invece a passo sicuro verso le moto, scegliendo una Benelli Tornado rossa e nera. Salì in sella, mentre il portellone del deposito si apriva, e girò le chiavi nell’avviamento, stringendo nella mano destra la manopola dell’acceleratore, mentre con l‘altra teneva la frizione. Il motore partì, facendo tremare la marmitta, e Bill tolse il cavalletto. Infine diede gas e scalando con il piede le prime marce si impennò ed uscì di corsa nella notte, assaporando la sensazione del vento su di sé, accelerando per sentirlo più forte penetrargli dentro e catturare ogni pensiero portandolo via.

Si lanciò in una corsa senza meta, con il solo desiderio di assaggiare un soffio di velocità, di libertà, di adrenalina. Perdersi nell’oscurità, sfidare la città, pensare solo alla strada che scorreva sotto le sue ruote.

Ritornò a casa che era già passata l’alba, e il pallido sole mattutino lanciava i suoi primi raggi sulla saracinesca del garage. Rimise la moto dov’era, e si diresse nella sua camera, lasciandosi cadere sul letto a pancia in giù e chiudendo esausto gli occhi, sperando di sprofondare in un sonno tranquillo, senza sogni … ma non fu così fortunato.

 

 

 

I motori ruggivano, gli occhi erano puntati sulla strada davanti a loro.

Sarebbe stata una sfida memorabile, nonché rischiosissima. Una prova di velocità, un rettilineo di 3.5 km, terminante in una brusca svolta, che se presa male poteva risultare mortale, un impatto violento contro una parete.

Tom distolse lo sguardo dal parabrezza per guardare in direzione dell’auto che affiancava la sua. Un ragazzo di un anno più giovane restituì il suo sorriso, tornando poi a concentrarsi sull’imminente partenza.

Furono però entrambi distratti da una voce familiare:

«Tom! Kyle! Non fatelo!»

Bill aveva appena raggiunto le due auto, posizionandosi di fronte ad esse a braccia aperte, intento a impedire la gara.

«Togliti, Bill!» esclamò Kyle.

«Dai, fratellino, è una gara come le altre. Vogliamo solo divertirci!» cercò di persuaderlo Tom, ma lui scosse la testa.

«No! È troppo pericoloso! Potreste morire, a quella curva!» ribadì, deciso.

«Ma smettila! Siamo drifters professionisti, noi!» ghignò Kyle, dando gas e sfidando Tom a fare lo stesso. Il rastaro rispose all’istante, e a quel segnale un ragazzo un po’ più grande di loro si posizionò a bordo pista alzando una bandiera.

All’improvviso, la abbassò, e le auto scattarono in avanti, evitando Bill e sfrecciando via, mentre il ragazzo girava su se stesso gridando invano di fermarsi.

I due sfidanti si contendevano assiduamente il primo posto. Andavano quasi alla stessa velocità, superandosi alternativamente di pochi centimetri. Dopo i primi 2.5 km, l’Audi di Tom era in svantaggio di 6-7 metri. Avrebbe potuto recuperare all’istante, ma la curva si stava avvicinando, e avrebbe rischiato troppo accelerando ulteriormente, così mantenne la velocità.

Ma l’auto che lo precedeva si allontanava sempre di più, e Tom iniziò a preoccuparsi.

Quando mancavano ormai pochi metri alla fine del rettilineo, vide l’amico rallentare impercettibilmente e sterzare … le ruote slittarono, la velocità era troppa. La parte posteriore della vettura iniziò a sbandare, sempre più fuori controllo …

Riuscì quasi a sentire, anche da quella distanza, il grido di terrore di Bill, che osservava la scena con le mani premute sul viso.

L’impatto con la parete fu inevitabile, e violento. La colpì con il muso, girando e sbattendo di nuovo con la fiancata sinistra, prima di arrestarsi.

Tom inchiodò, scese dall’auto e si precipitò verso quella del suo amico.

«Kyle! KYLE!» gridò, sperando di vederlo uscire dalle lamiere accartocciate e sfotterlo con un sorriso per la sua preoccupazione … ma non avvenne.

Quando raggiunse l’auto e si chinò a guardare dal finestrino, ciò che vide fu il corpo del suo amico riverso sul volante, un rivolo di sangue che usciva dalle tempie, gli occhi chiusi, immobile.

Quasi non si accorse dell’auto che aveva inchiodato alle sue spalle e del grido angosciato di suo fratello …

«Kyle! NO!»

 

 

 

«No!»

Il suo respiro affannoso ruppe il silenzio del mattino. Sentiva il sudore corrergli freddo lungo le tempie, il collo, la schiena, ovunque.

«Ehi, che succede?!»

Sulla porta del salotto comparve improvvisamente Gustav, l’espressione ansiosa nonostante ancora un po’ assonnata, seguito un minuto dopo da Georg.

Tom si mise a sedere sul divano che era ormai il suo letto.

«Niente …» disse in un soffio, cercando di ritrovare la propria voce. «Solo … solo un incubo …»

L’amico lo osservò scettico per qualche istante.

«Sicuro?» chiese poi. «Stai tremando.» constatò, e Tom se ne rese conto solo in quel momento.

Tentando invano di nascondere il tremore, ripeté:

«Non è niente. Scusate se vi ho svegliato.»

Si coricò di nuovo, nascondendosi sotto la coperta per evitare altre domande.

«Tranquillo.» biascicò Georg sbadigliando, poi se ne tornò in camera sua, seguito da Gustav.

Una volta da solo, il rastaro si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. Chiuse gli occhi, ma in un attimo le immagini che aveva appena vissuto si fecero di nuovo strada nella sua mente e con stizza scostò il plaid che lo copriva e si alzò, uscendo a respirare un po’ d’aria fresca e provare a scacciare i ricordi.

 

 

NdA.

Et voilà! Secondo capitolo del weekend! ^^

Allora, cominciate a capirci qualcosina di più?

Spero davvero di non deludervi!

Grazie a:  anele87, Auty91, Lidiuz93 e Reha per le graditissime recensioni!! Se avete voglia, fatemi sapere che ne pensate anche di questo …

 

Fedy J

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Capitolo 4.

 

La strada scorreva tranquilla sotto di lui: questa volta non aveva fretta. Guidava la sua Audi con studiata lentezza, cercando inconsciamente di allontanare il momento in cui sarebbe arrivato alla meta, ma l’entrata della A2 si stava inesorabilmente avvicinando.

Dopo meno di una decina di chilometri riusciva già a distinguere la sagoma di un’auto attenderlo sul ciglio della strada. Sospirò, mentre rallentava e accostava. Chiuse gli occhi per un breve istante prima di scendere e affrontare Andreas.

Il biondo gli corse in contro, saltandogli al collo come se avesse ritrovato qualcuno che non vedeva da anni.

«Tom!»

«Ciao, Andreas.» rispose semplicemente lui, ricambiando svogliatamente l’abbraccio e dandogli una leggera pacca sulla spalla, prima di allontanarlo da sé.

«Ehi, tutto a posto? Come va?» gli chiese l’amico, scrutandolo preoccupato, e lui si limitò a scrollare le spalle e mormorare un «Sì, bene» che non lo soddisfece per nulla.

«Tom … dove stai, ora? Perché non torni a casa con me? Se vuoi posso trovarti un posto, c‘è un-»

«No.» lo interruppe il rastaro, mestamente. «Smettila, Andreas. Sai benissimo anche tu che è meglio così. Bill - chiuse gli occhi pronunciando il suo nome- Bill ha ragione.»

«Non è vero, tu non-»

«È meglio se non torno a Tokyo, Andreas. È meglio così, per tutti.» concluse.

L’amico abbassò lo sguardo.

«Nel “tutti” è compreso solo Bill, vero? Di come ti senti tu chissene frega, così come degli altri, dei tuoi amici, giusto?» lo accusò a bassa voce.

Tom cercò di mandare giù il groppo che aveva in gola.

«Già.» ammise poi in tono più duro. «Ora, ti prego, dammi il pezzo che ti ho chiesto, e torna a casa.»

Tese una mano, mantenendo uno sguardo freddo e distaccato, in attesa. Andreas lo fissò per alcuni istanti, e infine sospirò e si diresse verso la sua auto. Estrasse dal retro ciò che serviva al suo amico, e lentamente glielo porse. Lo trattenne per un secondo, mentre la mano del rastaro si era già chiusa su di esso, poi lo lasciò.

«Mi mancherai.» mormorò, mentre lui si voltava e tornava sulla sua Audi. Si fermò prima di aprire la portiera.

«Anche tu, Andreas.» fece una pausa, poi aggiunse: «Dì a Bill che gli voglio bene.»

Fu poco più di un sussurro, che forse non raggiunse nemmeno le orecchie del biondo, ma Tom non si fermò a verificare. Salì in auto e con una sgommata era già in corsa, diretto verso la periferia di Osaka, questa volta a velocità elevata.

«Te ne vuole anche lui, ne sono sicuro.» mormorò Andreas alla strada.

 

*

 

Risalì il vialetto con rabbia, inchiodando di fronte al capanno che fungeva da garage e officina. Scese dall’auto sbattendo la portiera e si diresse a grandi falcate verso l’interno, tenendo tra le mani il pezzo di ricambio per la vecchia Mercedes.

«Gustav, ho il pezzo nuovo, possiamo-»

Si interruppe quando vide qualcosa che sembrava decisamente fuori posto in quel luogo pieno di vecchi attrezzi e auto d’altra epoca.

«E quella da dove spunta?!» esclamò fissando stupito la Ford Mustang che spiccava al centro del capannone - dove una volta c’era un telo che copriva qualcosa di cui non si era mai chiesto nulla - a cofano aperto.

Georg, che era chino su di essa, si volse riservandogli un sorrisetto divertito.

«Questa, amico mio, è la mia carta vincente per entrare nel mondo del drift!» annunciò fiero, accarezzando la carrozzeria rosso fuoco.

«Uhm, non male …» commentò Tom avvicinandosi e dando un’occhiata al motore. «Quanto fa?» chiese.

«Da 0 a 100 in 13 secondi!» proclamò compiaciuto l’amico.

«mmh … sì … buona …»

Georg sgonfiò il petto di fronte allo scarso entusiasmo del rastaro, ma non ebbe modo di replicare perché Gustav era arrivato a reclamare il pezzo di ricambio per la sua auto.

«L’hai trovato?! Sei un grande!» esclamò saltandogli addosso e strappandogli di mano la componente, entusiasta. «Forza, al lavoro!» lo spronò, e insieme si immersero nel cofano della Mercedes fino a sera.

Durante la cena, Tom rimase in silenzio, immerso nei propri pensieri.

I due amici lo osservarono per un po’, lanciandosi ogni tanto un’occhiata interrogativa, finché il rastaro non si riscosse improvvisamente dalla sua trance, facendoli sobbalzare.

«Vuoi davvero imparare a driftare?» chiese di punto in bianco rivolto a Georg. Lui lo guardò attonito, e quando si riscosse scrollò le spalle.

«Sì, è il mio obiettivo da anni, ormai.» confermò semplicemente, riprendendo a mangiare, ma la seguente affermazione di Tom gli fece cadere la forchetta nel piatto per lo sbalordimento:

«Bene, allora ti insegnerò.»

I due amici si scambiarono un’occhiata stupita, mentre Tom faceva scorrere lo sguardo dall’uno all’altro, in attesa di una riposta.

«Allora? Non ti andrebbe?» sbottò dopo alcuni minuti di silenzio.

«Eh? Ah … be’, sì … ok.» confermò Georg, ancora stupito.

«Bene, allora domani se vuoi possiamo iniziare.» concluse il rastaro, terminando la sua cena.

«B-bene.» acconsentì l’altro, scambiando un’altra occhiata sorpresa con Gustav, prima di recuperare la forchetta.

 

La mattina dopo entrambi erano al posto di guida dei loro bolidi.

«Conosci un posto dove possiamo allenarci?» chiese Tom, ingranando la prima.

«Sì, verso il porto c’è un cantiere dove i lavori sono ormai fermi da un po’. ti faccio strada.» gridò di rimando Georg dal finestrino, dopodichè fece partire la sua Ford, seguito a ruota dalla Audi di Tom.

Era talmente concentrato sulla guida da non rendersi quasi conto che Tom lo stava superando. Sobbalzò sul sedile quando lo vide affiancarlo e fingere di lanciarglisi addosso, sfiorando soltanto la sua fiancata e ritornando con una sgommata nella corsia accanto. Lo vide rivolgergli un ghigno provocatorio oltre il finestrino, prima di accelerare di scatto e portarsi davanti a lui, allontanandosi repentinamente.

Georg accolse la sfida e premette il piede sull’acceleratore, scalando velocemente le marce.

Gareggiarono per diversi minuti, finché il porto non fu in vista. Allora Tom rallentò e si lasciò precedere, permettendo all’amico di guidarlo verso il cantiere di cui aveva parlato.

Quando arrivarono, scesero entrambi dalle loro auto.

«Allora, cosa sai fare, per ora?» gli chiese Tom, appoggiandosi alla fiancata della sua Audi e incrociando le braccia al petto.

«Vedrai.» gli rispose Georg, e risalì in auto. Partì con una sgommata, e si lanciò verso il centro del quartiere, zigzagando tra le scavatrici e i blocchi di cemento disseminati lungo il percorso. Compì un semi-testacoda, e tornò indietro, facendo ogni tanto qualche manovra un po’ azzardata.

Più volte, però, toccò gli ostacoli, o fece slittare le ruote, rischiando di perdere il controllo.

«Allora, che te ne pare?» chiese baldanzoso una volta tornato al punto di partenza.

«La verità?» chiese Tom con un sopracciglio alzato. «Faceva pena. Guarda e impara.» e senza dare il tempo all’amico di replicare - se mai ci fosse riuscito, viso che era rimasto a bocca aperta, sorpreso e indispettito - prese posto sulla sua macchina e si lanciò sullo stesso percorso.

Evitò con abilità tutti gli ostacoli, mantenendo il perfetto controllo della vettura, accelerando a proprio agio sulla strada accidentata. Una volta arrivato in fondo, compì un intero giro su se stesso, prima di puntare nella direzione opposta e tornare indietro, fino a fermarsi inchiodando vicino alla Ford di Georg, riempiendola di polvere.

«Questo è driftare.» gli fece notare, le mani ancora sul volante.

«Wow!» fu tutto ciò che riuscì ad articolare l’altro dopo aver fissato a bocca aperta l’amico.

«Dai, ti insegno come si fa. Sali.» gli disse Tom indicando con un cenno del capo il sedile accanto al suo, e una volta che il ragazzo fu seduto al suo fianco, ripartì, facendogli notare come reggeva il volante o quando usava il freno a mano, spiegandogli qualche trucco per sfruttare al massimo il terreno.

Passarono l’intera giornata a correre, provando e riprovando quel percorso, finché non furono stanchi e affamati. Tornarono allora a casa, dove Georg non perse tempo a raccontare a Gustav le prodezze del loro nuovo amico al volante.

«Ma si può sapere dove hai imparato a driftare così?!» gli chiese infine, pieno di curiosità.

Tom si rabbuiò, e cupamente rispose:

«È una storia lunga …»

Il ragazzo stava per ribattere, ma Gustav lo precedette.

«Quando avrai voglia, ce la racconterai.» asserì, scrutando attentamente l’espressione del rastaro che gli dedicò un impercettibile cenno di riconoscimento. Il biondino annuì in silenzio, e trascinò Georg con sé nell’altra stanza con una scusa qualunque, capendo che Tom voleva restare da solo.

Non appena i due se ne furono andati, i ricordi lo investirono come una doccia fredda …

 

*** «Tomi, da grande voglio andare su una macchina come quella lì!!» esclamava un piccolo Bill tutto emozionato mentre indicava saltellando un’auto da corsa in tv. ***

 

*** «Tomi, ho incontrato un ragazzo che dice di conoscere dei drifters … cosa sono?» chiedeva ingenuamente un giovane adolescente. ***

 

*** «Tomi, anch’io voglio venire a vedere le gare con te e Andreas, aspettatemi!!!» protestava un quindicenne mettendo su un adorabile broncio. ***

 

*** «Tomi, non posso crederci! Come l’hai ottenuta?! È meravigliosa!» esclamava emozionato un Bill diciassettenne ammirando una Mitsubishi da corsa. ***

 

*** «Sei bravissimo, Tomi! Adesso però guarda cosa so fare io!» disse con un ghigno provocante il moro diciottenne mettendosi al volante della sua nuova auto. ***

 

*** «Siamo pronti, Tomi. Possiamo farcela!» sorrise sicuro Bill con un’occhiata decisa. ***

 

*** «Tomi!!! Ce l’abbiamo fatta! Li abbiamo battuti! Siamo noi i campioni, ora!» esultò il quasi diciannovenne saltando addosso al fratello con entusiasmo. ***

 

*** «Sparisci. Hai perso.» ***

 

Hai perso.

 

Hai perso.

 

Riemerse all’improvviso da quelle immagini, scuotendo violentemente la testa e chiudendo gli occhi, cercando invano di chiudere anche il cuore …

 

 

 

NdA.

Uhm, devo essere sincera? Non mi soddisfa molto questo capitolo… !^^’

Ma è di transizione, e il prossimo dovrebbe essere decisamente meglio! (o almeno lo spero, poi ovviamente mi direte voi!)

Intanto ditemi se questo vi ha fatto proprio schifo o se c’è qualcosa di salvabile – anche se mi preparo al lancio dei pomodori! XD

E grazie a Lidiuz93, tEiNa, loryherm, Quoqquoriquo, e SweetPissy per aver commentato il precedente!!!

kussen

Fedy J

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Capitolo 5.

 

Il vicolo era buio: nessun lampione lo illuminava, solo una vecchia insegna al neon per metà lampeggiante e per metà spenta.

I suoi passi risuonavano quasi assordanti nel silenzio della sera, il cuoio degli stivali che batteva ritmicamente a terra con un tempo lento e un po’ incerto.

La mente di Bill elaborava un po’ a fatica le immagini: aveva già bevuto qualche goccio di troppo. Ma ormai quella sensazione gli era quasi famigliare, gli sembrava di essere ubriaco da sempre. Effettivamente, negli ultimi mesi o lo era, o passava giornate intere a letto in preda a forti mal di testa, per cui gli era difficile ricordare i suoi ormai lontani giorni da sobrio.

Ma in questo momento pensieri di questo tipo non lo sfioravano nemmeno. Era concentrato solo nella ricerca quasi disperata di una persona - qualcuno di cui in realtà non conosceva nemmeno il nome, e solo vagamente l’aspetto, ma che sapeva avrebbe trovato lì in breve tempo.

E infatti, dopo un paio di altri passi, ecco spuntarne la figura, appoggiata contro il muro di destra, in attesa. Gli si fece incontro smanioso.

«Ce l’hai?» chiese Bill con esagerata sollecitazione, che portò un ghigno alle labbra del suo compare.

«Tranquillo, ce l’ho. Tu invece, hai i soldi?» replicò, mentre metteva una mano nella tasca dei jeans e l’altra in quella della felpa, stringendo le dita attorno a qualcosa di cui Bill nemmeno si preoccupò. Cercò invece nelle tasche del suo giubbotto estraendone una mazzetta di banconote, che porse impaziente all’uomo di fronte a sé. Questi studiò per qualche istante i soldi, facendone brevemente un calcolo ad occhio, poi scrutò l’espressione evidentemente poco lucida e decisamente distratta di Bill e ghignò di nuovo, intascando quella somma maggiore di ciò che aveva chiesto e porgendogli in cambio una busta trasparente.

Il ragazzo la prese all’istante, fissando avidamente quelle piccole pastiglie al suo interno, prima di voltarsi senza nemmeno una parola e tornare verso l’uscita del vicolo, dove lo attendeva la sua auto.

Salì, mise in moto, e con un paio di manovre non proprio precise partì verso casa. Riuscì miracolosamente a posteggiare nel garage, dopodichè lanciò un’altra occhiata bramosa in direzione del pacchetto che aveva posato sul sedile accanto al suo.

Senza resistere alla tentazione, lo aprì e prese in mano un paio di pastiglie prima ancora di scendere dall’auto. Le mise in bocca e cercò di mandarle giù, non senza difficoltà. Quando ci fu riuscito, abbandonò la testa contro il sedile e dopo qualche instante si sentì stranamente già meglio. La sua testa si stava miracolosamente alleggerendo, e sentiva i suoi pensieri scivolare via mentre usciva quasi inconsciamente dall’auto e iniziava a salire le scale che lo portavano in casa, la bustina salda tra le sue mani.

Andò dritto - be‘, quasi … - verso la stanza dove sapeva si trovava uno dei suoi migliori amici: l’alcol.

Prese subito una bottiglia di whisky già per metà vuota e ne ingoiò un sorso, poi, quando la gola smise leggermente di bruciare, vi spinse un paio di altre pillole, accompagnandole ad un secondo sorso perché ne facilitasse la discesa nell’esofago. Si fermò per un minuto, gustando gli effetti che tutto ciò stava avendo su di lui, quel leggero stordimento che lo divertiva, che gli faceva dimenticare i problemi …

Improvvisamente però un’immagine attraversò la sua mente. Non appena scorse quei rasta biondi, scosse repentinamente la testa e buttò giù un’altra manciata di pastiglie.

In breve la bottiglia e la busta trasparente furono vuote.

Si appoggiò con le mani al tavolo che aveva di fronte, sentendo la sua testa fluttuare lontana da sé, in un mondo fatto di strane illusioni colorate e confuse che lo intontivano lentamente e inesorabilmente.

Si abbandonò a quella finta-innocente fantasia, che lo estraniava dalla realtà decisamente peggiore in cui viveva ormai da tempo, e dalla quale cercava sempre di evadere.

Finalmente ci stava riuscendo.

Ma d’un tratto quella situazione iniziò a non piacergli più … La testa si faceva sempre più pesante, l’emicrania stava tornando a tormentarlo, quei colori confusi che vedeva davanti agli occhi si trasformavano in mostri astratti che volevano aggredirlo …

Tutto ciò lo fece cadere a terra, trascinando con sé il tavolo e la bottiglia, in un sonoro tonfo e rumore di vetri rotti.

Giacque sul pavimento raggomitolato su se stesso, le ginocchia strette al petto mentre strizzava gli occhi sperando di allontanare le immagini spiacevoli, senza ottenere alcun risultato.

Si sentiva male.

D’un tratto sentiva il forte desiderio di vomitare, e contemporaneamente non ne aveva la forza.

Era madido di sudore, e la testa continuava a girare nonostante lui fosse saldamente ancorato al pavimento con tutto il suo fianco destro. Tremava come una foglia, ma nemmeno se ne rendeva conto, perso com’era in un altro mondo - forse l’Aldilà, per quel che ne sapeva e capiva in quel momento - e continuava a chiedersi quando sarebbe finito tutto.

Nemmeno sentì il rumore della porta che si apriva e l’esclamazione inorridita di Andreas, né i suoi passi che si affettavano nella sua direzione o le sue braccia che tentavano di sollevarlo, di voltarlo, di rimetterlo in piedi; la sua voce che gli diceva qualcosa, o semplicemente lanciava maledizioni al silenzio della casa interrotto dai suoi mugolii sconnessi. Avvertì solo remotamente le due dita che gli venivano spinte in gola con prepotenza, con disperazione, con l’intento di fargli riversare sul pavimento quell’intruglio letale che si dimenava nel suo stomaco e combatteva per uccidere le sue cellule.

Nemmeno si accorse di aver continuato ad invocare sconnessamente un nome, tre lettere che scivolavano e inciampavano sulla sua lingua, prima di estinguersi quando sprofondò nell’oscurità silenziosa e pesante dell’incoscienza …

 

hbag

 

«Ich will da nicht alleine … lass uns gemeinsam … in die Nacht …»

La suoneria di un cellulare iniziò a squillare, da qualche parte, le sue note decisamente famigliari.

La vibrazione grattava rumorosamente contro il legno del comodino su cui era appoggiato, spezzando il silenzio della notte e strappando al sonno un giovane ragazzo, che si rigirò nel letto un paio di volte prima di estendere stancamente un braccio verso l’apparecchio. Tastò un paio di volte a vuoto il tavolino, poi urtò finalmente il cellulare e lo prese, portandoselo all’orecchio.

Era ancora tanto intontito dal sonno che si dimenticò di avviare la chiamata, per cui biascicò un «Pronto?» invano prima di accorgersene.

Alla fine riuscì ad aprire la comunicazione.

«Cazzo, Tom! Finalmente!» fu ciò che si sentì urlare all’orecchio. Contò fino a dieci, imponendosi la calma necessaria a non iniziare a imprecare contro chi aveva osato svegliarlo nel cuore della notte per insultarlo come prima cosa, poi rispose, a denti stretti:

«Andreas … ti conviene avere un motivo valido per svegliarmi a quest’ora e in questo modo, perché stai seriamente minando il mio autocontrollo …»

Ma il suo amico non lo lasciò nemmeno finire.

«Bill stava per morire!»

«COSA?!» gridò lui, quasi inconsapevolmente, mentre si alzava di scatto; poi rimase in silenzio per alcuni istanti, mentre le parole di Andreas si ripetevano lente entro di lui come un’eco, che non voleva acquisire un senso, perché quell’affermazione non poteva avere senso!

Il cuore era in gola, e lo sentiva battere furiosamente, spaventato - terrorizzato - esattamente come si sentiva lui in quel momento.

Poi la sua mente ricominciò lentamente a funzionare, e ad analizzare scrupolosamente le parole che lo avevano sconvolto, accorgendosi di un particolare rilevante: “Bill stava per morire” … quindi non era successo … quindi poteva ritornare a respirare più regolarmente e fermare quei «Tom!» ormai isterici che il suo amico gridava nella cornetta, e a porgergli le domande che ora premevano per uscire.

«Cosa - era davvero la sua voce, quella che stava parlando? - cosa è successo? Come sta?» riuscì ad articolare, nonostante la gola secca. Udì un sospiro dall’altra parte del  telefono, e poi la voce del suo amico iniziare a spiegare, una nota leggermente tremula che cresceva d’intensità man mano che proseguiva:

«L’ho trovato per terra, tra i cocci di una bottiglia di whisky … sudava, tremava, stava male … aveva preso qualcosa, delle pastiglie, non lo so! … cazzo, stava troppo male, quella roba lo stava uccidendo!! Non sapevo che fare … l’ho fatto vomitare, sperando che servisse, poi ho chiamato i medici … Dio, Tom, credevo non ce la facesse! Non ha mai preso delle droghe! Qualche volta beveva, certo, ma …» si interruppe, traendo un profondo respiro cercando di calmarsi, poi sospirò. «Tom, torna da lui. Anche se non vuole ammetterlo, ha bisogno di te!»

Nella sua voce c’era un tono di supplica, che fece chiudere gli occhi a Tom, mentre si passava una mano sul viso, poi tra i dread, stancamente. Le sue gambe, durante il racconto, si erano mosse inconsapevolmente verso la porta della stanza, già pronte a correre da Bill, ma ora le fermò, rilassando con rassegnazione le spalle.

«No.»

Non riuscì ad aggiungere altro. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto tornare indietro, tornare accanto a suo fratello, ma non poteva!

Bill - non - lo - voleva.

Quattro  semplici parole che componevano una verità inaccettabile, ma esistente.

«Maledizione, Tom, smettila! Smettila di pensare di essere l’unico a soffrire, di dover essere l’unico a soffrire, o che altro cazzo ti passa per la testa! Bill sta male! Punto. E se anche tu ti ostini a chiudere gli occhi, a non volerci credere, o cosa, è perché tu non ci sei! Sai benissimo quanto dipende da te, dannazione! Sai benissimo che ti vuole bene, e ha bisogno di te!»

Tom ascoltò senza interromperle le parole dure del suo amico.

«Vuoi che provi di nuovo ad uccidersi? Vuoi vederlo in una bara, prima di deciderti a tornare qui?! Perché se non ti muovi, sarà così che andrà a finire. Bill ha sempre fatto affidamento su di te, sei suo fratello maggiore, anche se di quei pochi, stupidissimi, fottutissimi dieci minuti! Si è sempre appoggiato a te, e non ce la farà da solo. Lo vuoi capire o no? Quindi, ora metti quel tuo bel culo in macchina e vieni subito qui!»

Rimase immobile ad ascoltare il suono della linea occupata, dopo che l’amico gli aveva chiuso il telefono in faccia, fissando il vuoto con aria assente. Trascorse più di un minuto durante i quali non mosse un muscolo, pensando e ripensando a Bill, alle parole di Andreas, a tutto ciò che era successo e continuava ad accadere.

Un istante dopo il motore della sua Audi ruggiva sotto il cofano mentre le ruote slittavano sulla strada, i fari che fendevano la notte puntando verso l’autostrada …

 

NdA.

E rieccomi. Povero Billuccio, devastato … e benedetto Andreas che fa rinsavire i gemellini, ogni tanto! XD

Ah, mi scuso per i dati assurdi dell’altro capitolo! Forse ho capito dove mi sono persa … pensavo che l’auto di Toretto facesse da 0 a 100, in 9 secondi, non un quarto di miglio (che tra l‘altro, prima che fossi riuscita a fare la proporzione…!) !! ^^’ quindi grazie a Quoqquoriquo e SweetPissy per avermelo fatto notare. Perdono! XD

E grazie anche a Freiheit, Lidiuz93 e Loryherm per le recensioni!

Se notate altre cose decisamente poco probabili, o errori di ogni sorta, mi raccomando avvertitemi! Per esempio, potrei aver sbagliato qualcosa nella descrizione degli effetti delle droghe, ma per fortuna qui non sono molto esperta!^^ Alla prossima!

Fedy J

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Capitolo 6.

 

Avrebbe riconosciuto quel posto ad occhi chiusi. Ci aveva vissuto per anni, insieme a suo fratello. L’avevano messo in piedi insieme, partendo da un vecchio garage, conquistando soldi e fama con le gare, costruendo la loro officina e il loro ‘rifugio’, riempiendolo dei loro trofei, nuove automobili e moto opportunamente modificate da loro stessi, sottratte agli avversari sconfitti o acquistate sfruttando i soldi che vincevano o quelli che avevano ereditato dal padre. Era la loro casa. E finalmente vi era tornato.

Posteggiò accanto alla famigliare Lamborghini nera e scese, osservando la figura di Andreas che stava appoggiata accanto alla saracinesca, le braccia conserte, l’espressione di chi sapeva di aver avuto ragione: era venuto, alla fine.

Tom gli fece un cenno e l’amico corrispose, prima di sorridergli debolmente e voltarsi a chiudere l’ingresso al garage, mentre lui si avviava a passo lento su per le scale. Sapeva dove stava andando, era stata anche la sua camera, fino a poco tempo prima …

Aprì la porta, trovandosi di fronte alla stessa stanza che aveva lasciato. E là, su quel letto dove più volte si era seduto per le chiacchierate notturne, gli scherzi, i piccoli dispetti … là era steso Bill, una coperta a ripararlo dal freddo, il cuscino adagiato sotto i lunghi, indomabili capelli neri, l’espressione spossata, che riposava.

Fece qualche timido passo verso di lui, raggiungendolo e sedendosi lentamente sul bordo del materasso, ad osservare il petto di suo fratello alzarsi e abbassarsi pesantemente, qualche goccia di sudore che scivolava dalle tempie, le sopracciglia corrucciate in un’espressione tesa.

Allungò una mano verso il comodino lì accanto e prese una salvietta, che fece passare delicatamente sulla fronte di Bill, asciugandolo con cura e dolcezza.

Infine, dopo un breve attimo di incertezza ed esitazione, posò una mano sulla sua.

Avvertì distrattamente i passi di Andreas avvicinarsi e fermarsi sulla porta.

«Da quant’è che è così?» gli chiese in un sussurro.

«L’ho trovato di là circa quattro ore fa … i medici se ne sono andati da un paio d’ore.» rispose il biondo.

Tom, che non aveva smesso di osservare il fratello, annuì.

Bill si mosse, e il ragazzo sentì che la sua mano veniva stretta leggermente, mentre l’espressione del moro si faceva ancora più corrucciata.

«Tomi …»

Il cure di Tom perse un battito. Da quanto non si sentiva chiamare così? Da quanto Bill non lo chiamava in quel modo?

«Sono qui.» sussurrò al silenzio della notte, e con un’altra amara fitta di gioia vide il volto del fratello rilassarsi un poco, come se avesse davvero percepito le sue parole e la sua presenza e ne fosse stato felice.

Tom sospirò, chiedendosi se sarebbe stato lo stesso al suo risveglio …

Andreas intanto li guardava, osservando attentamente l’espressione preoccupata e affettuosa dell’amico, sorridendo tra sé e sé: aveva sempre saputo che sotto la maschera da duro che vestiva sempre in pubblico, verso il gemello Tom era la persona più dolce del mondo. Si era sempre preoccupato per lui, gli era stato sempre accanto, pronto a tendergli la mano ogni volta che Bill ne avesse avuto bisogno, senza pretendere nulla in cambio, felice soltanto di poterlo aiutare. Si era preso cura di suo fratello fin da quando erano piccoli, per quel che ne sapeva. La prima volta che li aveva incontrati, diversi anni prima, si era subito accorto del fortissimo legame che c’era tra di loro, di quanto Tom fosse protettivo, di quanto Bill, in un certo senso, dipendesse da lui. E pochi mesi prima, quando li aveva visti separarsi, sapeva che le cose avrebbero preso una brutta piega, perché semplicemente Bill e Tom non potevano stare lontani: Bill aveva bisogno del fratello ‘maggiore’ su cui contare, e Tom aveva bisogno del suo fratellino da proteggere.

E infatti, alla fine, si erano ritrovati. Le loro menti erano stupidamente convinte che non fosse giusto, ma i loro cuori sapevano bene il contrario.

Il biondo sorrise, augurandosi che i due amici lo capissero presto, poi silenziosamente si voltò e li lasciò da soli.

 

Tom rimase seduto accanto a Bill per ore. Non mosse la mano dalla sua, mentre continuava a pensare a cosa sarebbe successo una volta che il fratello si fosse svegliato. Si chiese se sarebbe stato felice di averlo accanto, come era sembrato attimi prima, o se lo avrebbe cacciato via, gridandogli il suo odio e dicendo di non volerlo più vedere.

Si assopì con quei pensieri nella testa, e quando si risvegliò un paio di ore dopo il sole era già sorto. Bill non si era ancora mosso, ed era ancora perso nell’incoscienza, il respiro lento e regolare, gli occhi chiusi e un’espressione più rilassata sul volto.

Tom si alzò, sfregandosi gli occhi e lasciando scivolare via la sua mano da quella del fratello, sospirando lievemente. Infine prese la sua decisione, questa volta senza volerci pensare più di tanto. Voltò le spalle al letto e uscì dalla camera, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé. Raggiunse a passi rapidi il garage e salì in auto, avviando la sua fedele Audi mentre faceva aprire la saracinesca. Sgommò fuori non appena questa si fu alzata a sufficienza, sfiorandone di poco il bordo, sollevando fumo dalle ruote, sfrecciando via sull’asfalto. Si accorse vagamente della figura di Andreas nello specchietto retrovisore, che incespicava sulle scale, ancora assonnato, gridandogli di tornare indietro, ma non vi badò e accelerò ulteriormente, puntando nuovamente verso Osaka.

 

*

 

«Si può sapere che fine avevi fatto?!»

Georg lo aggredì non appena ebbe aperto la portiera, dopo aver accostato. Mise piede a terra, affrontando il suo ansioso e decisamente agitato amico.

«Ero a Tokyo.»

Con quelle tre parole riuscì a congelare sul posto il ragazzo.

«Ah.» replicò, leggermente spiazzato soprattutto dal tono e dall’espressione del rastaro. «E … come mai?» azzardò, un po’ titubante.

«Problemi di famiglia.» rispose Tom dopo aver studiato attentamente le sue parole. «Mio fratello non stava bene.» concesse, prima di superare Georg ed entrare in casa, dove si lasciò cadere sul divano a peso morto. Qui lo accolse Gustav.

«Ehilà, Tom! Sei tornato. Tutto ok?» chiese. Era un ragazzo discreto, che sapeva farsi i fatti suoi, senza mettere in difficoltà gli amici. Rispose con un’alzata di spalle al mugugno indefinibile di Tom, frugando nella dispensa alla ricerca di una fetta biscottata, mentre il rastaro chiudeva gli occhi e scivolava nel sonno, stanco, distrutto dagli eventi più recenti.

 

hbag

 

La stanza era ormai piuttosto illuminata, sebbene le tende alle finestre fossero state tirate per renderla più confortevole possibile al riposo.

Il ragazzo che giaceva a letto sotto il pesante strato di coperte strizzò come infastidito gli occhi, prima di provare lentamente ad aprirli. Gli costò qualche sforzo, ma alla fine ce la fece. Anche la vista impiegò un poco a tornare, ma dopo le prime visioni sfocate e confuse riuscì a mettere a fuoco la sua stanza.

«Mmh.» mugugnò, sentendosi debole e intontito, cercando di riordinare i pensieri di cui non riusciva a focalizzarne nemmeno uno. La sua testa lavorava al rallentatore, e non era al momento in grado di fornirgli più di un paio di semplici informazioni alla volta. Cercò di passarsi stancamente una mano sulla fronte, per riavviare i capelli che sentiva cadergli scompigliati sul viso, ma quella semplice operazione gli risultò estremamente difficile, se non quasi impossibile: sentiva i muscoli pesargli come macigni, e ben presto rinunciò a provare ad alzare il braccio.

Mugugnò una seconda volta, questa volta con frustrazione, e fu in quell’istante che la porta della camera si aprì e sulla soglia comparve la figura di Andreas, che sbirciò all’interno cogliendo con sorpresa l’amico sveglio.

«Ehi, ciao, Bill.» disse con tono di voce basso, ma chiaramente sollevato. «Come ti senti?» aggiunse, mentre chiudeva la porta alle sue spalle e si avvicinava al letto.

L’ennesimo mugolio indistinto sfuggì dalle labbra del moro, che voltò impercettibilmente la testa verso di lui.

«Co-» provò a parlare, ma la sua gola non sembrava volerne sapere. Se la schiarì leggermente, prima di riprovare: «Che è successo?» abbozzò rocamente.

Vide Andreas alzare un sopracciglio mentre lo fissava.

«Non ti ricordi nulla?» lo interrogò. Bill scosse la testa in segno di negazione, ma anche quel semplice movimento gli costò più fatica di quanto avrebbe creduto, così ci rinunciò e rispose con la sua voce stanca:

«Non molto … quasi niente, per ora.» ammise. «Dio, non riesco a muovere nemmeno un muscolo!» si lamentò. «Quando potrò tornare a correre con la mia auto?»

«Oh, per quello temo proprio che ci vorrà molto!» replicò il suo amico, guadagnando un ulteriore sbuffo da parte del moro, poi sospirò e tornò serio. «Bill, ti ho trovato l’altra sera a terra, di là in cucina, tra i cocci di una bottiglia di whisky vuota, in preda ai tremiti e incosciente, con non so che diavolo di quantità di … roba! nello stomaco!» sbottò, il tono più alto di quanto avesse voluto. Si passò una mano tra i capelli per calmarsi. «Si può sapere che cazzo ti è passato per la testa?! Bere è un conto, ma drogarti?? Non hai mai preso nulla in tutta la tua vita, sai benissimo quali sono i tuoi limiti e quanto sia … stupido fare una cosa del genere. perché?» gli chiese affranto.

Bill evitò il suo sguardo durante l’intero discorso; ora iniziava a ricordare. I flash della serata precedente si susseguivano nella sua testa fino agli ultimi, confusi, istanti. E con essi i pensieri, le sensazioni che aveva provato.

Rimase in silenzio, e questo aleggiò nella stanza finché Andreas non emise un sospiro rassegnato e distolse a sua volta lo sguardo, mentre cercava il coraggio di pronunciare le parole che premevano sulla sua lingua, prima di riportarlo sul viso dell’amico per scrutarne la reazione:

«Stanotte è venuto qui Tom.»

Gli occhi di Bill saettarono sul suo viso in un movimento talmente veloce che pochi istanti prima lo avrebbe creduto impossibile, vista la sua debolezza. Analizzarono lo sguardo dell’amico alla disperata ricerca di un qualunque indizio che gli rivelasse che era una bugia, ma non ne trovò alcuno. Che poi, perché avrebbe dovuto trovarne uno, quando lui stesso, in fondo, sperava non ce ne fossero? Era contraddittorio, ma era così.

Ancora una volta fu il silenzio a seguire le parole di Andreas, che si vide quindi costretto a procedere.

«Era preoccupato per te, Bill. È venuto qui di corsa da Osaka, non appena ha saputo che stavi male.»

Questa volta le labbra di Bill si dischiusero, sputando parole più velenose di quanto avrebbe mai voluto intendere:

«E allora perchè non è qui?»

Sentì Andreas inspirare forte, esasperato, mentre alzava gli occhi al cielo.

«Bill, ti prego! Non cercare un pretesto per accusarlo!! Vuoi sapere perché non è qui? bene! perché non voleva infastidirti, perché vuole rispettare il tuo volere, realizzare il tuo desiderio di non vederlo mai più, come gli hai detto mesi fa, anche se si sente uno straccio lontano da te! Ti basta questo? Ti basta per capire che ci tiene a te e non vuole ferirti, né ha mai voluto farlo?!»

Dopo ciò, il biondo si prese la testa tra le mani, sbuffando seccato, sicuro che le sue parole fossero state vane - come sempre fino a quel momento.

«Ti lascio riposare, ne avrai bisogno per un bel po’» concluse. «Se ti serve qualcosa, chiamami. Sono di là.» e con questo, si eclissò fuori dalla porta.

Bill rimase immobile a fissare il vuoto di fronte a sé. Le parole del suo amico continuavano a rimbombargli nella testa come un’eco fastidiosa - così come tutte le altre volte che finivano col parlare di suo fratello.

E così era stato lì. Era corso da lui. Lo aveva assistito per tutta la notte. Ora aveva avuto la conferma che quella strana sensazione che era sicuro di avere provato durante la sua incoscienza, quella percezione di una presenza famigliare accanto a sé, di qualcosa che sfiorava la sua mano in una carezza leggera. Non era stato un sogno, né un’illusione, o un semplice prodotto della sua mente confusa. Tom gli era davvero stato accanto per qualche ora, e per quanto si ostinasse a credere di desiderare il contrario, Bill sapeva che era qualcosa di importante.

 

NdA.

E un altro capitolo è pubblicato.

Viel danke a CaTtY, vivihotel, Quoqquoriquo, SweetPissy, Lidiuz93, loryherm, candy 14, elena93 per le recensioni!

Mi dispiace, ma per le vere spiegazioni, per concludere veramente il puzzle, dovrete attendere ancora due capitoli! XD che sono poi anche gli ultimi due della fanfiction, prima dell’epilogo…

Dai, siamo quasi alla fine, resistete!

Bacioni

Fedy

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Capitolo 7.

 

I giorni trascorsero lenti, come la ripresa delle proprie forze da parte di Bill. Si sentiva costantemente debole, non era stato in grado di alzarsi dal letto per un paio di giorni, e un dottore continuava a fargli visita almeno una volta ogni dieci ore.

Nel giro di una settimana, però, era quasi come nuovo. Finalmente poté tornare a guidare la sua auto, ma i suoi riflessi non erano ancora scattanti come prima, per cui non poteva ancora partecipare alle gare.

Durante tutta la convalescenza, comunque, la sua mente non era stata rivolta alle corse, ma a suo fratello. Sebbene la sua testa facesse di tutto per negarlo, nel suo cuore sentiva una voragine allargarsi sempre di più ogni volta che pensava a Tom. Avvertiva un vuoto sempre maggiore inghiottirlo, annientarlo, spingerlo a gridare interiormente il nome del gemello. Tutto di lui desiderava riaverlo accanto, tranne quella piccola, testarda, parte che si ostinava ad accusarlo, ad odiarlo, a pretendere di poter fare a meno di lui.

In quei giorni, tuttavia, quella parte si stava indebolendo sempre di più, e il suo cuore iniziava a tremargli in petto ogni volta che il viso del fratello si faceva strada nella sua mente - il che accadeva decisamente spesso - e quasi gli faceva male, urlandogli il desiderio di riaverlo accanto, di provare ancora una volta quel tepore che era certo di aver sentito la notte dell’ “incidente”.

E infine, un giorno decise.

Si recò a passi decisi nella stanza di Andreas, aprendo con forza la porta senza nemmeno annunciare la sua presenza, ignorando le proteste dell’amico e le sue richieste di spiegazioni. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e compose quel numero che le sue dita conoscevano a memoria, senza nemmeno il bisogno di cercare nella rubrica - dalla quale, nonostante tutto, il nome non era mai stato cancellato.

Rimase immobile ad ascoltare gi squilli provenienti dl ricevitore, gli occhi puntati in quelli del suo amico, finché non sentì quella voce così famigliare pronunciare un flebile ed esitante: «Pronto?». Per un attimo ebbe la sensazione di aver perso la voce, ma ritrovando la sua risolutezza riuscì a riappropriarsene:

«Ti sfido.» sentenziò, ripetendo le stesse parole che aveva pronunciato proprio Tom mesi prima. «Ma non posso ancora correre personalmente. Dovrai gareggiare contro Chad.»

Vide Andreas sgranare gli occhi quando cominciò ad intuire con chi stesse parlando, ma non gli diede retta, e senza lasciare al suo interlocutore il tempo di replicare, proseguì: «Ci vediamo domani notte al solito posto alle due.» E con questo, chiuse la chiamata.

Ripose il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e continuò a fissare i suoi occhi in quelli attoniti del suo migliore amico.

«Vai a dire a Chad che domani dovrà correre contro Tom. E voglio che ce la metta tutta.»

Con queste parole, abbandonò la stanza così come era arrivato, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando l’amico a fissarla a bocca aperta, ancora attonito.

 

hbag

 

Tom stava ancora fissando a bocca aperta il suo cellulare, nonostante il display si fosse spento ormai da parecchi istanti. Gli sembrava ancora di vedere il nome di Bill illuminarsi ad ogni squillo, e sebbene la chiamata fosse stata breve e quasi confusa - dal momento che ancora non si capacitava che fosse realmente accaduta - continuava a ripetersi nella sua mente all’infinito, in una strana e sinistra cantilena.

«Ehi, Tom, tutto a posto?»

Georg era entrato nella stanza, e gli aveva dato una leggera pacca sulla spalla in saluto, lanciandogli poi un’occhiata interrogativa notando il suo sguardo perso nel vuoto e l’espressione assente, lontana.

Si riscosse dalla trance e guardò il suo amico come se non l’avesse mai davvero notato. Riuscì ad annuire lentamente, ma Georg continuava a lanciargli occhiate indagatrici, ovviamente insoddisfatto della risposta.

«Devo-» si schiarì la gola. «Devo tornare a Tokyo. Domani. Bill …» incespicò nelle parole, e il suo amico capiva sempre meno. Alla fine tacque, trasse un profondo respiro e puntò i suoi occhi fermamente in quelli di Georg, questa volta con risolutezza.

«Chiama Gustav, per favore. Devo spiegarvi alcune cose.» disse infine. Il ragazzo lo fissò stupito, poi annuì lentamente ed uscì dalla stanza, ritornando qualche minuto dopo con il suo migliore amico. Si sedettero entrambi di fronte a lui, e Gustav scrutò immediatamente l’espressione seria di Tom con apprensione.

«Ehi, c’è qualcosa che non va?»

Dopo alcuni attimi di silenzio, il rastaro optò per la verità diretta, partendo dall’inizio.

«Io non mi chiamo Tom Kramer.» asserì. Gli sguardi che si scambiarono i due ragazzi di fronte a lui erano sgomenti.

«Ah» commentò soltanto Georg, ancora a bocca aperta.

«E saresti …?» lo invitò a continuare Gustav. Tom trasse l’ennesimo sospiro, quasi volesse farsi forza con quella quantità di ossigeno, prima di rispondere:

«Tom Kaulitz.»

Questa volta il silenzio cadde davvero pesante, tombale, inquietante, quasi. Poi si levò una breve risata, dapprima naturale, poi leggermente più isterica. Infine Georg smise del tutto, tornando a fissare il suo sguardo penetrante in quello del ragazzo.

«Ma stai scherzando??» si decise a chiedergli, quasi terrorizzato dalla sua mancanza di ironia.

Tom si limitò a scuotere la testa.

L’amico stava per controbattere ancora, ma glielo impedì, precedendolo:

«Sì, quel Tom Kaulitz.»

Dal momento che Georg aveva a quel punto perso completamente la parola, fu Gustav finalmente a parlare:

«Ok … uhm, va bene. E … come mai sei qui?» azzardò.

Questa volta era arrivato il momento di tirare fuori l’intera verità. Sapeva di potersi fidare di loro due, si erano dimostrati due ottimi amici per tutto il tempo che aveva trascorso con loro, ed era solo giusto rivelare loro il proprio passato. Inoltre, lui stesso sentiva di averne bisogno, voleva qualcuno con cui condividere quei fantasmi che ancora lo tormentavano, per cui non si impose alcun freno, e iniziò a raccontare.

«Mesi fa, io e il mio migliore amico volemmo fare una gara. Una cretinata, una semplice competizione di velocità e bravura. Una pazzia. Mio fratello aveva cercato di farci capire che era stupido, che avremmo potuto farci male … ma noi eravamo spensierati, volevamo solo divertirci, quella curva tanto pericolosa, che poteva essere fatale, per noi era solo una sfida … non gli demmo retta, e partimmo, sgommando, stuzzicandoci, spingendo le nostre auto al limite, divertiti, assaporando l’adrenalina … ma alla fine …»

Tom raccontò tutto, il tragico incidente, suo fratello che non gli aveva più rivolto la parola, che alla fine lo aveva costretto a lasciare la città, mostrandogli tutto il suo odio. E poi ancora, la sera che era andato da lui, quando Andreas lo aveva chiamato dicendogli che aveva quasi rischiato la vita. Tutti i sentimenti che aveva provato nella sua intera vita, e in particolare le emozioni degli ultimi giorni si riversarono nel suo fiume di parole, manifestandosi di fronte ai due ragazzi, che ascoltavano rapiti, in silenzio, registrando tutto quanto con sgomento, ma anche comprensione.

Fu solo molto tempo dopo che la sua voce si affievolì, fino a spegnersi del tutto in seguito al riferimento all’ultima telefonata che aveva ricevuto. Il silenzio tornò a governare l’atmosfera per diversi attimi, finché Gustav non lo ruppe. Si alzò, con un sorriso sulle labbra, e disse:

«Be’, che aspettiamo? Ci conviene andare a dormire, domani notte ho l’impressione che faremo tardi! Forza, a nanna! Tu devi essere in forma, hai una gara da vincere, e noi … be’, noi siamo invitati, no?»

Tom lo fissò con incredulità per qualche istante, infine si lasciò andare anche lui ad un sorriso. Annuì, e infine lo ringraziò sinceramente. L’amico si limitò ad allargare il suo sorriso e a fargli un cenno in risposta, prima di sparire insieme a Georg nell’altra stanza.

 

La sera seguente, i tre ragazzi erano pronti a partire. Tom aveva detto a Georg di prendere la sua Ford, e così al momento lui e Gustav erano a bordo della vettura rossa, mentre Tom aveva messo in moto la sua Audi. Insieme partirono e si lasciarono alle spalle la piccola casa di periferia, imboccando la strada che li avrebbe portati verso Tokyo. Viaggiarono per un paio d’ore, ingaggiando brevi gare di velocità e agilità sull’autostrada, prima di arrivare finalmente in città. Tom superò i suoi amici, guidandoli attraverso i vicoli che solo lui conosceva, finché non giunsero nel posto indicato. Erano in anticipo, e la strada era ancora deserta. Spensero i motori e le luci e rimasero in attesa.

Non ci volle molto perché sentissero rombi e stridii provenire da poco distante, e ancora meno perché alcune paia di fari comparissero a fendere l’oscurità all’estremità della via.

Tom riconobbe subito la vettura nera di suo fratello, e il cuore fece una strana capriola nel suo petto, mettendosi a battere all’impazzata premendo con forza quasi volesse uscire e ricongiungersi a quello di Bill.

Accanto ad essa, poco più indietro, scorse l’auto di Andreas, blu come l’oceano.

Infine, a chiudere il corteo, avanzava nella loro scia Chad.

Si fermarono a un paio di metri da loro, e Bill fu il primo a scendere. Indossava un lungo impermeabile nero, soliti jeans scuri e stivali, capigliatura ancora più aggressiva del solito, occhiali scuri nonostante fosse notte e una cintura la cui fibbia aveva la forma di un teschio che spiccava sul resto. Avanzava con la solita grazia intrisa di determinazione, sicuro ma affascinante, intrigante e attraente. Sicuro di sé.

Una maschera che Tom conosceva bene, una facciata che odiava, perché nascondeva la vera fragilità del gemello, quella che lui adorava, della quale si prendeva sempre cura.

Scese a sua volta, incontrando Bill a metà percorso, fermandosi a meno di mezzo metro da lui, fissandolo con un’intensità tale da poter quasi infrangere le lenti degli occhiali del fratello. Sapeva che li aveva indossati per schermarsi, e questo lo irritava. Ma dopotutto, poteva ricorrere a qualsiasi trucco volesse, a qualsiasi recita: lui conosceva bene il vero Bill, non sarebbe mai riuscito a nascondersi da lui.

«Il percorso è il solito, verso il centro commerciale, il parco e il tunnel. Unico giro. Sei pronto?»

Le sue parole riscossero Tom dai suoi pensieri, e abbandonò la ricerca delle parole adatte per salutare il fratello. Si limitò ad annuire, ma quando Bill fece per girarsi per fare un cenno al suo sfidante, lo fermò.

«Aspetta.»

Il ragazzo si voltò con un sopracciglio alzato interrogativamente.

«Non mi pare una sfida in parità, se lasci correre me. Non voglio vincere in questo modo.» disse Tom, poi si voltò a fece un cenno ai due amici alle sue spalle che stavano osservando la scena attentamente. «Georg, vorrei che corressi tu per me.»

Quella decisione stupì l’intera compagnia.

«C- co- cosa?» balbettò il ragazzo a bocca aperta, iniziando improvvisamente a sudare freddo. Tom si limitò a riportare il suo sguardo su Bill e a chiedergli se fosse d’accordo. Anche lui ci mise qualche secondo a riprendersi dalla sorpresa, ma infine annuì, prima di far cenno a Chad di prendere posto alla partenza e spostarsi a lato della strada, appoggiandosi alla fiancata della sua auto, in attesa.

Tom si voltò nuovamente e si avviò verso i suoi amici. Georg aveva iniziato a tremare leggermente e Gustav gli aveva posato una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo. Il rastaro fece lo stesso, stringendogli leggermente una spalla.

«È la tua occasione, amico.» gli disse, sorridendogli lievemente. «Fai vedere tutto quello che hai imparato sul drift.»

«Ma - ma io non so se … cioè, io … Tom, non …»

«Tranquillo. Fai la tua gara, e non preoccuparti del risultato. Divertiti, mettiti alla prova, e sfrutta le tue capacità.» lo incoraggiò Tom.

Alla fine, l’amico accettò. Tom gli illustrò il percorso, e quando lo ebbe memorizzato, trasse un respiro profondo, salì in macchina, riavviò il motore e si posizionò accanto all’auto di Chad.

 

Due paia di fari fendevano la notte, puntando verso l’asfalto pronto per essere divorato dalle gomme affamate delle due vetture.

Andreas era avanzato tra di esse, un braccio alzato a segnalare l’imminente avvio della gara.

Chad e Georg stringevano convulsamente i volanti, le nocche bianche per la tensione, gli occhi fissi sulla strada di fronte a loro.

Bill, Tom e Gustav rimanevano su un lato della via, in attesa dell’inizio.

Infine, Andreas abbassò il braccio, e la gara ebbe inizio.

 

NdA.

Ta-da-da-dan! E siamo praticamente alla fine!

I due gemellini si sono rivisti, Georg ha la sua occasione, Gustav e Andreas supportano i loro amici… e la gara deciderà il futuro di tutti! Eheh, cattiva a terminare così il capitolo, eh? Be’, potrei però aggiornare più in fretta dell’ultima volta (anche se dipenderà da quanto tempo avrò per farlo…)

Ma prima di tutto, ringrazio Quoqquoriquo, Lidiuz93, SweetPissy e anonima per le recesnsioni! E grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggere questa fic fino a qui! Vi adoro!

Al prossimo – ultimo – capitolo, prima dell’epilogo.

Bacioni

Fedy J

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

Capitolo 8.

 

Due auto sfrecciavano a tutta velocità per le strade deserte di Tokyo. Una Ford Mustang dalla carrozzeria rosso fuoco e una Mitsubishi Lancer Evolution bianca e azzurrra. Si contendevano il primo posto in una gara all’ultimo secondo.

I piloti mettevano in pratica tutti i trucchi sul drift appresi nella loro vita. Sterzavano, controsterzavano, sfruttavano il freno a mano, facevano slittare le gomme sull’asfalto, lasciavano il segno del loro passaggio ad ogni sgommata.

Passarono a tutta velocità un grande centro commerciale, svoltando bruscamente all’angolo del corso, imbucando una stretta via che li avrebbe portati ad un parco. Lo attraversarono, uscendo di strada, percorrendo i piccoli sentieri sterrati come se fossero le loro autostrade, uscendone all’altra estremità, prima di dirigersi verso il tunnel pochi chilometri più avanti, lottando con l’acceleratore per riuscire ad imboccarlo per primi.

A diversi isolati di distanza, quattro giovani attendevano il vincitore con ansia. Un ambiguo ragazzo dalla capigliatura trasgressiva e avvolto in abiti scuri stava appoggiato in disparte alla sua auto nera, lo sguardo abbassato a terra, nascosto da un paio di lenti scure, le braccia incrociate sul petto. Poco più distante, un rastaro vestito in stile hip-hop aveva assunto la stessa posa contro una vettura verde smeraldo, le mani però cacciate a fondo nelle tasche dei pantaloni extra-large.

Due ragazzi diversi, invece, uno molto alto, biondo ossigenato, e l’altro più basso, dai lineamenti pieni e gentili, conversavano a bassa voce tra di loro, riservando ogni tanto qualche fugace occhiata ai due fratelli poco più in là.

Dopo un paio di minuti, Tom decise di allontanarsi dalla sua auto e di avvicinarsi al gemello. Scalciò un sassolino lungo il tragitto, che finì proprio tra i piedi di Bill. Questi alzò lo sguardo e si trovò a pochi centimetri da quello quasi speculare del ragazzo. Abbandonò le braccia lungo i fianchi e si staccò dalla sua auto, ergendosi in tutta la sua altezza, preparandosi ad affrontare il fratello.

Non era preparato, però, per le parole che questi gli rivolse, né soprattutto al suo tono pieno di preoccupazione e amarezza:

«Come ti senti?»

Si ricordò immediatamente del fatto che, a quanto pareva, Tom era corso da lui e aveva trascorso tutta la notte al suo fianco non appena aveva saputo che era stato male. Sentì il proprio cuore stringersi a quella consapevolezza, ma si costrinse a mantenersi freddo.

«Meglio.» fu la sua unica risposta.

«Non parlavo di ciò che ti è successo qualche giorno fa.» fu la replica del tutto inaspettata di Tom.

Rimase a fissare il suo sguardo penetrante senza parlare per diversi istanti, rapito dalla sua intensità, dalle parole che aveva pronunciato, dalla sua tangibile preoccupazione … dal suo affetto, che si sprigionava da ogni parola che gli rivolgeva.

Dio, si sentiva uno schifo, in realtà …

Si limitò a scrollare le spalle, sperando che Tom la accettasse come risposta; in quel preciso istante sentiva che la sua voce era fuggita da qualche parte lontano dalla sua gola, e che non avrebbe nemmeno saputo che parole usare, comunque.

«Mi sei mancato.»

Un’altra pugnalata. Come se non lo sapesse! Come se, alla fin fine, anche a lui non fosse mancato! Ma non era così!!! Chi voleva prendere in giro? Aveva indossato una maschera di fronte a tutto il mondo, l’aveva sempre fatto, vergognoso della propria fragilità, voglioso di dare un’immagine inflessibile di sé, ma ultimamente mentiva anche a se stesso, e troppe volte.

Questa volta annuì, ma ancora non disse nulla. L’unica cosa che sfuggì alle sue labbra fu il sussulto sorpreso quando suo fratello scattò improvvisamente verso di lui, afferrando il suo impermeabile e spingendosi fino ad un soffio dal suo viso, le guance paonazze per la rabbia e la frustrazione, gridando:

«Dannazione, smettila! Reagisci!! Dimmi qualcosa! Dimmi che mi odi, dimmi che mi detesti, che mi vuoi morto. Picchiami. Qualsiasi cosa, ma fallo, maledizione! Fammi vedere che riesci ancora a provare un sentimento verso di me, qualunque esso sia!»

Bill rimase immobile. Sentiva il respiro di Tom infrangersi contro il suo viso, vedeva le sue iridi ardere, percepiva il suo desiderio di una risposta.

Alzò una mano e scostò bruscamente quelle del fratello, facendo in modo che lo liberasse dalla sua presa, poi se la portò al viso e abbassò lentamente gli occhiali, fino a levarli del tutto. Fissò il suo sguardo in quello del gemello, e finalmente Tom fu in grado di leggere in quello specchio la sua anima. Riusciva a scorgere nella loro profondità, a interpretare ogni venatura, ogni sfumatura dell’iride. Leggeva tutti i sentimenti che si agitavano in Bill. E sotto la freddezza, il distacco, l’isolamento, la falsa impassibilità, la rabbia, là riusciva a vedere il dolore, la solitudine, l’abbandono … e in fondo, proprio nel suo cuore, radicato lì ad alimentare il suo corpo e il suo spirito, riusciva ancora a vedere l’affetto che li univa. Quel legame fraterno che per lui era sempre stato tutto non si era spezzato. Era stato sepolto sotto altri sentimenti, era stato annebbiato, forse, dagli ultimi avvenimenti … ma non era mai scomparso.

E questo bastò perché Tom si avvicinasse nuovamente al fratello, e lo circondasse questa volta con le braccia, stringendolo in un goffo abbraccio dal quale Bill non trovò la forza di districarsi. Lo strinse sempre più forte man mano che passavano i secondi, e con il viso affondato nel suo collo pronunciò un soffocato: «Ti voglio bene.» che sciolse il cuore del ragazzo.

Eppure ancora non riusciva a rispondergli. Ricordava ancora il maledetto giorno in cui uno dei suoi migliori amici aveva perso la vita, e quella memoria lo tormentava, impedendo alle parole di formarsi nella sua gola.

E infine furono interrotti dal rombo di motori che si avvicinava. Tutte le teste scattarono verso l’inizio della via, in attesa di scorgere il vincitore della gara. Si sentiva la tensione nell’aria, la densità del momento.

E poi, eccole: due luci. I fari dell’auto che avrebbe tagliato il traguardo per prima. Ancora non si riusciva a distinguere chi fosse, era troppo lontana. Ma subito era apparso alle sue spalle un altro paio di fanali: i due sfidanti si inseguivano a un soffio l’uno dall’altro.

I gemelli, così come Andreas e Gustav, avevano portato tutta la loro attenzione su di essi, e tendevano il collo, strizzando gli occhi per cercare di capire chi fosse il vincitore.

E infine, in pochi secondi, le auto sfrecciarono loro accanto, inchiodando a diversi metri di distanza. Passarono in una macchia indistinta, un confuso misto di bianco azzurro che precedeva una scia rossa.

Tom abbassò lo sguardo, allontanandosi definitivamente dal fratello.

Georg scese dall’auto, sbattendo la portiera dietro di sé.

«Maledizione! C’ero quasi!» esclamò, colpendo la carrozzeria con un pugno. «Mi dispiace, Tom … ho perso all’ultima curva, non sono più riuscito a recuperare, io-»

«Tranquillo» lo interruppe Tom, ancora a capo chino. «Hai fatto del tuo meglio, e hai corso davvero bene.» lo rassicurò. Georg annuì debolmente, mentre anche Gustav si avvicinava a complimentarsi.

Il ragazzo si voltò infine verso Bill, mostrandogli gli occhi che il moro si sorprese a trovare umidi. Aprì la bocca, cercò di dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Abbassò nuovamente il capo, nascondendosi dietro la visiera del cappellino, rilassando le spalle. Si sentiva svuotato. Quell’accenno di speranza che lo aveva illuminato il giorno precedente si era spento all’improvviso, il senso di perdita lo stava divorando. Risentiva all’infinito nella sua mente le stesse parole di suo fratello di tempo prima: “Hai perso”.

Sì, aveva perso. Aveva perso la speranza, aveva perso lui. Definitivamente. E il senso di colpa che aveva provato per mesi fino a quel giorno, ora era quasi insignificante rispetto al senso di abbandono che lo stava facendo sprofondare nel buio.

Ma poi, accadde qualcosa.

Qualcosa di improvviso, e totalmente inaspettato.

Un abbraccio.

Stretto, d’impeto, caloroso, sincero. Una massa di capelli corvini che gli solleticavano il viso e il collo, due braccia esili che si aggrappavano alla sua felpa, un corpo fragile che premeva contro il suo.

E un sussurro tremulo al suo orecchio:

«Non voglio che te ne vada di nuovo.»

La maschera era crollata del tutto. Il vero Bill era riemerso, insieme alle sue paure, la sua debolezza, il suo bisogno del fratello maggiore su cui contare.

Tom lo sentì tremare tra le sue braccia, mentre veniva travolto dalle emozioni che aveva trattenuto per mesi. Non sapeva cosa fare. Non sapeva se stava sognando, non sapeva se suo fratello era solo crollato per un istante, e una volta ripresosi lo avrebbe allontanato nuovamente. Sapeva solo che voleva ricambiare l’abbraccio, avvolgerlo e non lasciarlo più andare. Lasciarlo sfogare, ma non permettergli di allontanarsi mai più.

E così fece.

Strinse le sue braccia attorno a quel corpo esile e fragile, tremante, e lo premette contro di sé, respirandone il profumo e mormorando soltanto il suo nome.

E questo sembrò scatenare qualcosa, perché improvvisamente le parole iniziarono ad uscire dalla bocca del gemello, si riversarono in un torrente in piena che investì Tom con potenza, lasciandolo leggermente stordito:

«Mi dispiace! Io- io non voglio stare senza di te. Non lo volevo neanche prima! Questi mesi … sono stati un inferno! Io ti voglio bene, ho bisogno di te. Non avrei mai dovuto allontanarti, non avrei dovuto comportarmi così, non avrei dovuto reagire in quel modo. Ma- quando- quando ho visto Kyle … dio, è stato così improvviso! E tragico! E io non sapevo cosa fare! Lui era- gli volevo bene, era il mio migliore amico, facevamo ogni cosa insieme, eravamo cresciuti nel mondo delle corse insieme … e un attimo dopo non c’era più, se n’era andato per sempre, e io mi sono sentito improvvisamente solo, e-»

Tom poteva sentire i singhiozzi scuotere improvvisamente il gemello, e il pizzicore delle sue stesse lacrime bruciargli gli occhi.

«È stata colpa mia.» lo interruppe, la voce rotta. «Sono stato uno stupido, tu ci avevi avvertiti, ma io no!, io dovevo per forza fare quella corsa! Se non-»

«No!» riprese parola Bill, divincolandosi dalla sua presa quel poco che bastava per poterlo guardare in viso. «Non è stata colpa di nessuno. Ora l’ho capito. In realtà l’ho sempre saputo, ma ero troppo … arrabbiato, sconvolto, non lo so! Volevo solo qualcuno da incolpare, quando in realtà avrei dovuto prendermela solo con il destino. È successo, basta. E tu alla fine sei quello che ha sofferto più di tutti, e questo solo per colpa mia. Mi dispiace davvero, Tomi.»

Il ragazzo si limitò a riattirarlo di nuovo a sé, senza replicare. Sentiva che ormai le parole non servivano più. Si erano chiariti, il passato poteva essere archiviato, e nel futuro poteva di nuovo vedere loro due insieme. Null’altro gli sembrava più importante, tranne che trovarne conferma nell’abbraccio di suo fratello. Tutto il resto del mondo poteva andarsene al diavolo, per quel che gliene importava quella notte …

 

NdA.

Ma ciao, ragazze! Contente?? Abbiamo finito! E i gemellini si sono chiariti e riappacificati. <3

Se qualcuno non se ne fosse accorto, l’ultima frase è palesemente scopiazzata dalla loro canzone “Final Day” (the whole world can just go to hell, for what I care tonight…), quindi, tutti i diritti per quella ai mitici Tokio Hotel! ^.^

E ricordiamo anche che né Bill, né Tom, né Georg, Andreas e Gustav o qualsiasi altra persona citata in questa storia realmente esistente sono di mia proprietà e che da questa storiella non ricavo euro, dollaro o yen che sia! (ma tantissima soddisfazione, grazie soprattutto a voi che avete continuato a recensire! Quindi grazie a Quoqquoriquo, Lidiuz93, _PuCiA_ e SweetPissy per i commenti al capitolo precedente!)

Bene. Detto questo, vi lascio con la promessa di tornare tra qualche giorno (spero…XD) postandovi l’epilogo, perché mica lascio finire la fic così! Non sarà niente di impegnativo o eccessivamente lungo, ma ci sarà. (se dovessi postarlo in ritardo, chiedo già perdono, ma nonostante siano iniziate le vacanze sono piuttosto impegnata con un altro progetto riguardante una fic…)

1bacione a tutti, e Buone Feste! J

Fedy

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Epilogo.

 

La notte era  il loro giorno. L’oscurità la loro luce. Le gare la loro vita.

Rombi di motori, stridii di freni, slittare di gomme … La Tokyo dei drifter si stava svegliando. I fari si accesero come occhi che si spalancavano. I loro sguardi erano fissi sulla strada di fronte a loro, la guardavano con avidità e desiderio.

Quattro auto si fecero largo tra le altre, allineandosi sotto il semaforo lampeggiante poco prima del grande incrocio. I clacson degli spettatori gridarono la loro approvazione e il loro entusiasmo, ma quando un ragazzo avanzò posizionandosi a lato di esse tacquero di colpo.

Il biondino, di corporatura piuttosto bassa e robusta, alzò un braccio. A quel cenno, i quattro motori ruggirono la loro impazienza. Le carrozzerie luccicavano nella notte, uno scintillio di nero, verde, rosso e blu.

Poi fu un attimo.

Il braccio calò verso terra, e il fumo inghiottì ogni cosa, insieme al lacerante grido delle gomme.

Un istante dopo, le auto erano già lontane, lanciate nella loro folle corsa.

Si sfidarono, si rincorsero, si superarono. Scattarono da una corsia all’altra, girarono su se stesse, si sfiorarono. Era un gioco. Erano loro.

La Lamborghini nera era agile, sfuggente. Scivolava tra le altre, le stuzzicava, le distanziava.

L’Audi verde smeraldo la seguiva da vicino, ne imitava i movimenti, si muoveva sinuosa come il cobra sulla sua carrozzeria, spesso la affiancava.

Le altre due auto arrancavano nella loro scia, consapevoli di non poter competere, ma divertite, spronate all’inseguimento.

E così i ragazzi al volante. Tutti e quattro complici, tutti pieni di vitalità ed ebbri di leggerezza.

E poi le luci dei fari delle altre auto tornarono in vista. L’incrocio che li aveva visti partire attendeva il loro ritorno.

La Ford rossa come il fuoco e l’auto blu come l’oceano iniziarono a rallentare, consapevoli della loro sconfitta, ma per niente deluse, semplicemente rispettose.

E invece le due auto in testa mantennero la loro velocità, la aumentarono persino, e una volta arrivate al semaforo lo superarono. Non svoltarono verso il punto di arrivo, ma proseguirono dritte, seguendo la loro strada, incuranti - e forse un po’ divertite - dagli sguardi sorpresi che gli rivolsero gli altri.

Quella era la loro gara, di nessun altro, e l’avrebbero terminata insieme, quando avrebbero voluto.

 

***

 

Georg scese dall’auto, avvicinandosi a Gustav che li aveva aspettati sul bordo della strada.

«Allora l’hanno fatto davvero. Se ne sono andati» constatò il ragazzo, osservando le due paia di fari allontanarsi a tutta velocità all’orizzonte.

Andreas, che aveva lasciato la sua vettura poco più in là, si unì a loro.

«Già» confermò, puntando anche lui lo sguardo sulle due auto in lontananza. Sentiva già la loro mancanza, ma anche un profondo senso di gioia e di fierezza. «Ma torneranno.»

L’hanno promesso … anche a se stessi.

 

***

 

Le due auto sfrecciavano l’una accanto all’altra, esattamente alla stessa velocità.

Tom spostò lo sguardo alla sua sinistra, e vide la figura del gemello reggere il volante con una mano sola nella Lamborghini al suo fianco. Gli occhiali scuri erano abbandonati sul sedile, e i suoi occhi brillarono quando incontrarono quelli del fratello.

Si sorrisero, un ghigno che alzò loro un angolo della bocca, e riportarono la loro attenzione sulla strada.

Proprio nello stesso istante, entrambi premettero con più decisione sull’acceleratore, e le due auto scattarono in avanti insieme, lasciandosi alle spalle la città addormentata.

Lasciavano Tokyo, lasciavano un pezzo della loro vita, ma non importava, perché quello che avevano perso l’avevano già ritrovato. E un giorno, sarebbero tornati. Per il momento, volevano solo fuggire via, correre insieme come facevano un tempo, abbandonarsi al destino.

E per la prima volta, Bill sentì che quella parola impressa sulla fiancata della sua auto acquistava un significato.

Freiheit.

Finalmente aveva trovato la sua libertà.

 

 

The End

    »−·¯ ¯·->

 

NdA.

*sigh*

*snif*

È davvero finita.

Che dire? Ammetto che mi ci ero davvero affezionata. Infatti, all’inizio era nata come twincest, e dal momento che la categoria è stata proibita, ho modificato la trama pur di poterla pubblicare lo stesso. Quindi, niente amore tra i gemelli, niente azioni incestuose, ma un forte affetto fraterno assolutamente sì, perché è la cosa che adoro e stimo di più dei Kaulitz.

Pucci loro! <3

Questa fic è stata anche un po’ una sfida, perché volevo trasferire i Tokio Hotel in una AU, facendo di tutto però per renderli il meno OOC possibile. E così ho mantenuto il look stravagante di Bill, la mania per le donne e l’hip-hop di Tom, l’aspetto da orsacchiotto e la riservatezza di Gustav, la capacità di essere ottimi amici di Georg e Andreas. Certo, alcune cose sono dovute andare un po’ fuori dalla realtà, ma il contesto lo richiedeva …

Per le scene di drifting e per la scelta delle auto, devo ringraziare il videogioco di Need for Speed (al quale sono rimasta attaccata per più di un mese, dal momento che avevo perso il salvataggio proprio a un passo dalla fine T.T) e il mio ex, che mi hanno dato entrambi una mano considerevole! XD ammetto di capirci molto poco di motori, se non quando ho un joypad in mano … -.-

Altri credits vanno innanzitutto a tutti voi che avete continuato a leggere e commentare! Da chi mi ha dato il suo parere fin dal prologo, a chi ha detto la sua a metà della storia, a chi ha semplicemente letto ogni capitolo facendo aumentare quel numerino che indica i lettori e che mi dà immensa soddisfazione. ^^

E poi un Danke Shon particolare va soprattutto ai Tokio Hotel, alle loro canzoni, e al fatto stesso che esistano, perché mi danno la prova che gli angeli ogni tanto scendono anche sulla terra. J

Bene, terminato il mio sproloquio, chiudo in bellezza augurandovi un Buon Natale!! (Vi è piaciuto il mio regalino? Un bell’epilogo sotto l’albero… XD)

1 bacione a tutti!

Fedy

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