Il ragazzo di gomma. Le ambizioni mascherate. Perché su questa torta non ci sono le fragole?

di Calcifer92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di una grande avventura? ***
Capitolo 2: *** Il pianto solitario. Una voce che assorderà l’orecchio di chi l’ascolta? ***
Capitolo 3: *** Perché il capitolo due si è interrotto sul più bello? ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Mille voci in una stanza. Un posto infestato dai fantasmi? ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Bionda e coi codini. La ragazza della mezzaluna? ***



Capitolo 1
*** L'inizio di una grande avventura? ***


A quei tempi Rufy era solo un ragazzino senza troppe pretese che pensava solo a mangiare, dormire e divertirsi. Era così che trascorreva le sue giornate, senza mai allontanarsi dal suo villaggio. Chi avrebbe mai immaginato che un singolo evento potesse sconvolgere così la sua vita? Adesso era lì, che si ritrovava in un corpo di gomma e con un cappello di paglia sulla testa a proteggerlo dal cocente sole di quel primo mattino.

- Benvenuti a Tokyo –
Lesse sul cartello che aveva di fronte. In realtà però la sillaba “To” era cancellata da una X rossa per poi essere aggiunta alla fine della frase con un pennarello dello stesso colore. Chi potrebbe mai avere tempo da perdere per fare una cosa simile?

L’attenzione di Rufy venne poi catturata dal pressante ronzio di uno sciame di vespe che si avvicinava da… No, non erano vespe, le vespe non fanno tutto questo fracasso. Sembrava più che altro un terremoto. A Kyoto, scusate, a Tokyo, i terremoti sono piuttosto frequenti, e il ragazzo era piuttosto emozionato all’idea di assistere ad un terremoto da vicino dato che non ne aveva mai visto uno. Pare proprio infatti che non si rendesse conto di quanto potesse essere catastrofico.

- Ehi, cappello di paglia! Ti consiglio di non tagliarci la strada! –

Una voce proveniente dalle sue spalle, che poi era lo stesso epicentro da cui proveniva il “terremoto” attirò la sua attenzione facendogli notare, tra smog, fumo, rombi di motore e suoni assordanti di clacson, diverse moto che si avvicinavano correndo a gran velocità facendosi largo tra i pochi altri mezzi di trasporto presenti sulla strada. Fu un tipo dai capelli neri a parlargli, quello che sembrava il capo di quella banda di motociclisti. O forse il capo era l’altro, quello coi capelli biondi che gli correva di fianco, il quale fece un occhiolino al ragazzo e gli lanciò uno strano oggetto.

- Servirà più a te che a me, al volo! –

Era un piccolo oggetto di gomma, quadrato e con una sporgenza circolare. Rufy provò a dargli un morso, mentre con l’altra mano si reggeva il cappello di paglia che rischiava di essere spazzato via dal vento provocato dal passare delle moto; si accorse però che non era commestibile. Mentre le moto si allontanavano, Rufy poté notare che su ognuna di esse era issata una bandiera con la scritta “Onibaku di Shonan”.

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Capitolo 2
*** Il pianto solitario. Una voce che assorderà l’orecchio di chi l’ascolta? ***


Cosa l’avesse spinto ad allontanarsi dal suo villaggio, lo si può ben immaginare. Forse non ci siamo soffermati a pensarci più di tanto: oggi scopriamo che ci piace una cosa che magari ieri non ci piaceva, o magari una cosa che ci piaceva tempo fa adesso non ci fa né caldo né freddo. È strano… come, il cambiamento, qualcosa che ci spaventa così tanto, alla fin fine risulti poi così naturale.

- Uffa! Io volevo una caramella! –

Disse Rufy mentre si rigirava ancora fra le mani quello strano oggetto. Non contento di averci già provato, provò a morderlo di nuovo, come se intanto fosse diventato di zucchero. Lo mise via, in tasca, solo quando la sua attenzione fu attirata da tutt’altro.
Si trovava in un vicoletto nei pressi della periferia di Kyoto, scusate ancora, siamo a Tokyo, là dove accovacciato, con le spalle all’angolo tra una parete e un cassonetto c’era una bambina che piangeva.

- Ciao piccolina! Io mi chiamo Luffy. Perché Piangi? –

Al posto di rispondere, la ragazzina con i capelli rossi non fece altro che alzare il volume del suo piagnisteo, tanto che Luffy dovette tapparsi le orecchie. Eh? Perché è cambiato il nome del protagonista? Non è cambiato, è solo una vostra impressione.

- Cattivo! Siete tutti cattivi, tutti mi prendono in giro! –

Continuò la ragazzina singhiozzando.

- Io sono tuo amico. Mi dici come ti chiami piccolina? –

Rispose allora Luffy. Ma la ragazzina sembrava sempre più infuriata. Quando levò le mano dagli occhi, con le quali si stava asciugando le lacrime, si poté notare che le orbite erano diventate dello stesso colore dei suoi capelli.

- Io sono un maschietto, non una femminuccia! –

Esclamò arrabbiata la ragazzina. Scusate. Ribadì infuriato il diavoletto. Al che Luffy fece un sorriso a trentadue denti (o forse erano ventotto) e poi chiese di nuovo.

- Ti va se andiamo a comprarci una torta? Però prima mi devi dire il tuo nome! –

- Mi chiamo Lea! –

Rispose la ragazzina. Scusate ancora. Il piccoletto. Al che Luffy lo guardò di sottecchi e poi portò le sue mani verso i suoi pantaloni per sbottonarglieli.

- Cosa fai? Sei cattivo! Proprio come Isa! Mi volete abbassare tutti i pantaloni! –

E continuò a frignare. Poi Luffy, dopo essersi accertato del sesso del piccoletto sorrise di nuovo dicendo:

- Ma allora perché hai un nome da femmina? –

Il piccoletto sbuffò, intanto si stava riallacciando i pantaloni.

- Un giorno io avrò un nome più bello! –

Disse poi, e aggiunse con un tono di voce convinto:

- Mi dicono tutti che non sono nessuno, però io un giorno diventerò qualcuno! –

Al che Luffy gli mise in testa il suo cappello e gli rispose.

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Capitolo 3
*** Perché il capitolo due si è interrotto sul più bello? ***


- Mi piaci piccoletto! Te lo lascio tenere per un po’. –

E poi aggiunse:

- Andiamo a comprare quella torta? Ho una fame da lupi! –

Il ragazzino gli indicò il negozio di dolci, però, per il dispiacere di Luffy le torte erano finite, quindi i due comprarono due gelati e andarono a mangiarselo sulla cima della torre dell’orologio sedendosi sul cornicione. Piuttosto pericoloso per due ragazzini, non trovate? Se escludiamo che uno dei due è di gomma.

- Luffy, tu ce l’hai un sogno invece? –

Chiese Lea. E Luffy, intanto rispose. O meglio, l’avrebbe fatto non appena si fosse liberato di quel gelato dal gusto strano che gli si era appiccicato alla lingua e non voleva saperne di venire via.

- Io sono un cacciatore di tesori. –

Disse facendo degli strani versi. Lea intanto lo guardava col gelato che gli si scioglieva fra le mani e gli domandò:
- Cosa fa un cacciatore di tesori? –

E Luffy, che intanto era riuscito a liberarsi del gelato facendolo però cadere di sotto, rispose:

- Va alla ricerca di tesori, cos’altro sennò? –

Dopodiché sfoggiò un altro dei suoi sorrisi e rimase con Lea a guardare il tramonto. Dalla cima della torre dell’orologio, infatti, si godeva proprio di una bella vista ed il tramonto visto da lì era uno spettacolo eccezionale. Ehr… tramonto? Ma quando la storia è cominciata non era mattina? È già passato così tanto tempo? Beh… sapete tutti com’è, no? Il tempo vola quando ci si diverte!

- Ahia! Ma chi è che… -

Intanto, ai piedi della torre, un ragazzino biondo con in mano un secchio pieno di vernice verde venne colpito sulla testa da qualcosa. Quando realizzò che quel qualcosa era un gelato di colore azzurro, e quando capì che proveniva dall’alto, alzò lo sguardo per richiamare l’attenzione dei due ragazzi sul cornicione.

- Ehi marmocchi! Scendete da lì, vigliacchi! Vi divertite a lanciare gelati addosso alla gente eh? Voi non sapete chi sono io! Io sono Naruto Uzumaki e presto diventerò il quinto Hokage! -

Cosa? È impossibile che il gelato abbia toccato terra solo ora? Ma infatti non ha toccato terra, è finito sulla testa di Naruto. Rubber e Lea accolsero l’invito e andarono a salutare il nuovo arrivato, che appena li vide, infuriato, rovesciò loro addosso il secchio con la vernice. Adesso Rubber era colorato di blu da cima a fondo e Lea aveva tutto il corpo colorato di rosso come i suoi capelli. Sì, sì, lo so che la vernice nel secchio di Naruto era verde ma, sapete com’è… evviva i colori!

- Guarda che hai combinato! La mamma mi sgriderà quando tornerò a casa! –

Frignò Lea. Mentre Rubber rimetteva in testa il suo cappello di paglia, che era l’unica cosa ad essere rimasta incolume dall’attacco della vernice.

- Hahahahahah, dovreste vedervi allo specchio, che buffi che siete! –

Mentre il piccolo Naruto rideva, Rubber ne approfittò per sbottonargli e abbassargli i pantaloni. Quando tornò da Lea per farglielo notare, entrambi scoppiarono a ridere dimenticando di essere ricoperti da cima a fondo dalla vernice. I passanti invece guardavano di sottecchi quel ragazzino biondo che rideva coi pantaloni abbassati e borbottavano delle parole incomprensibili, coprendo gli occhi ai bambini, se ne portavano con sé. Quando Naruto se ne accorse, scappò via infuriato.

Forse è una cosa che nessuno si è mai chiesto, o forse viene introdotto spesso in questo modo tanto per far sembrare che sia una novità o qualcosa di originale, ma se ci pensate, l’universo è infinito. La terra è uno sconfinato paradiso popolato da ogni sorta di creatura e meraviglia e l’universo è un immenso contenitore in continua espansione di migliaia, milioni e miliardi di meraviglie. Non è forse fantastico?

Cosa c’entra questo con la storia? Niente, ma è bello da dire.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Mille voci in una stanza. Un posto infestato dai fantasmi? ***


Rufy e Lea si erano appena separati quando l’attenzione del protagonista venne catturata da un edificio imponente, dal cui interno provenivano un sacco di voci diverse.
Aveva tutta l’aria di essere una scuola elementare e per Rufy, era qualcosa mai visto prima.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Bionda e coi codini. La ragazza della mezzaluna? ***


Rufy si stava dirigendo verso l’entrata, in quel posto dove c’erano tutti quegli armadietti di metallo, uno per ogni studente, nel cui interno erano soliti lasciare le scarpe da ginnastica. È risaputo, tra l’altro, che venivano spesso usati anche come “cassetta della posta” da chi voleva “spedire” una lettera d’amore, o una lettera minatoria.

L’attenzione del ragazzo col cappello venne attirata da una ragazzina bionda e coi codini che fissava la porticina del suo armadietto senza far nulla. Sembrava quasi ipnotizzata.

- Ciao! Io mi chiamo Rufy, sai per caso che posto è questo? –

La ragazzina in un primo momento non prestò attenzione al suo interlocutore, e continuava imperterrita a fissare lo sportello metallico. Poi si girò verso di lui guardandolo come si fa con uno sconosciuto.

- Una scuola. Non ci sei mai stato? –

Effettivamente Rufy non era mai andato a scuola. Ciò significa che aveva trascorso tutta la sua infanzia a saltellare allegramente sulla sua isola, e a riempirsi la pancia di cibo presso la taverna, dove spesso, tra l’altro, incontrava dei brutti ceffi provenienti dal mare orientale.

- Ehehe, penso di no. Cosa si fa a scuola? –

Non aveva altro da rispondere effettivamente, ma intanto la ragazzina era tornata a guardare il suo armadietto. Cosa c’era di tanto interessante lì dentro?
Non ottenendo risposta, Rufy incalzò:

- Sembra interessante questo gioco. Come ti chiami bambina? –

Al che cappello di paglia imitò la ragazzina mettendosi pure lui a fissare l’armadietto e assottigliando le palpebre per cercare di spiare fra le aperture cosa ci fosse all’interno.

- Maka Albarn è il mio nome. Mi aiuti ad aprirlo? –

Rufy non se lo fece ripetere due volte. La sua curiosità superava ogni cosa, quindi aprì lo sportello e ne tirò fuori l’oggetto che vi era all’interno.

- È la mia falce della morte. Ti piace? –

Disse Maka mentre Rufy si rigirava quell’oggetto fra le mani. Di sicuro era una falce, ma sul “della morte”, non ne sarei tanto convinto. Piuttosto era una di quelle mezzalune che una volta si usavano per tagliare l’erba. Rufy però era entusiasta: dato che Maka gli aveva chiesto se gli piacesse, secondo lui doveva essere una cosa bella.

- Certo, è molto bella! E come si usa? In questo modo, vero? –

Rispose emozionato mentre posizionava la parte affilata vicino al collo per poi contorcerlo in un modo strano attorno alla lama. Maka, spaventata che potesse farsi male gli tirò uno schiaffone sulla guancia, facendolo andare a sbattere contro la pila di armadietti. Naturalmente, il fatto che il suo schiaffo avesse potuto provocare una qualsivoglia reazione a catena con la falce che era già in una posizione pericolosa, non era cosa di cui preoccuparsi. Soprattutto se si parla di falci della morte.

- Questa la prendo io! Non lo sai che rischiavi di farti male? –

Rufy si limitò a sorridere. Era divertito, e quello che stava per dire lo provava ancora di più:

- Hahaha, sei molto divertente. Ma perché in ogni frase che dici c’è prima un’affermazione e poi una domanda? –

Maka si fermò un po’ a riflettere rigirandosi la mezzaluna fra le mani.

- Penso sia una tua impressione. Non stai parlando anche tu in questo modo? –

Rufy si grattò la testa sorridendo a ventotto denti (sì, ne aveva ancora ventotto), dopodiché il sorriso si trasformò in una sonora risata. Molto probabilmente questo voleva dire che fin ora, i due, avevano dialogato in quel modo senza accorgersene. O almeno era Rufy quello estraneo alla faccenda.
Suona la campanella. A quanto pare è ora di ricreazione e di lì a poco i corridoi e l’atrio degli armadietti si sarebbero popolati di altri bambini.

- Rufy, presto, la falce della morte non è più al sicuro qui. Mi aiuti a nasconderla? –

Cappello di paglia non se lo fece ripetere due volte. Maka lo prese per il braccio e lo condusse di corsa verso le altre aule, facendo attenzione ad evitare i posti troppo affollati.

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