Some Dirty Secrets

di Cheche
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mondo dorato dei fanclub delle celebrità ***
Capitolo 2: *** Inizio e fine di una favola: perché le sfighe non vengono mai da sole ***
Capitolo 3: *** Effusioni in pubblico (non preparato psicologicamente) ***
Capitolo 4: *** Mostraci le mutande, Prof! [extra] ***



Capitolo 1
*** Il mondo dorato dei fanclub delle celebrità ***


 

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Ecco, finalmente, questa storia. Questa long che ho nel cassetto da ormai molti mesi. L'ho progettata minuziosamente (o quasi), sapete? Eppure all'interno c'è l'OOC, c'è l'AU... cose che molti non sopportano. Spero però che in questa storia vi risultino gradevoli. Mi sono divertita a far apparire i nostri eroi come "persone del nostro mondo", imperfetti eppure forse un filino più stravaganti. L'introduzione sarà presente soltanto nel primo capitolo, mentre per i prossimi mi avvarrò solo delle note finali. I personaggi principali sono dieci. Se vi state chiedendo se è davvero Pino il tipo dell'icon, la risposta è semplice: sì, ed è uno dei personaggi della lista dei dieci. I personaggi sono da visualizzare secondo l'immagine che ne dà il manga, ma alcuni saranno talmente OOC che potrebbe essere necessario accantonare i loro veri caratteri. Non tutti, però. L'idea di questa storia è nata da una gara a plot. Ho scelto dieci personaggi che, a seconda del numero, sono stati distribuiti all'interno dei venti plot a me assegnati da Akemi_Kaires. Da lì ho avuto la difficile idea: e se scrivessi una long e per ogni capitolo ci fosse un plot? Prima di lasciarvi procedere con la lettura, vorrei però spendere due paroline per i ringraziamenti. Ringrazio Akemi_Kaires, senza la quale questa storia non avrebbe mai visto la luce. Voglio che sappia che, anche se il nostro rapporto non è sempre facilissimo, sarà sempre una persona importantissima. Sono cose che già sa, ma so che sentirsele dire fa piacere! E un ringraziamento speciale non potevo non lasciarglielo. Ringrazio allo stesso modo anche Faint, che più di ogni altro ha sostenuto la stesura di questa storia e tiene moltissimo ad essa. Spero di non deluderti mai. Ti voglio bene, puzzetta! Ringrazio anche Feralis, il cui interesse per la storia mi sprona a dare il meglio. Sei dolcissima, Coccodrilla. Ringrazio infine tutti coloro che leggeranno, recensiranno o inseriranno questa long tra le seguite/preferite/ricordate. Dunque, termino i convenevoli e vi lascio finalmente alla lettura!



 

Dedicato a tutte le Pinete. E no, l'essere ambientalisti non c'entra niente.



Capitolo 1 – Il mondo dorato dei fanclub delle celebrità





Si dice che ogni persona abbia la propria anima gemella, un individuo al quale è collegata col filo rosso del destino, qualcosa di mistico e invisibile che cinge il nostro mignolo fin dalla nascita e che prima o poi dovrebbe condurci verso colui o colei che la sorte ci ha riservato.
Red credeva a tutte queste leggende metropolitane, perché dentro di sé era un bambinone che si era sempre rifiutato di crescere. Un tipo strano, lui, sebbene a prima vista non sembrasse molto diverso dagli altri ragazzotti diciannovenni, compresi i suoi compagni che studiavano al DAMS1. Eppure passava molto del suo tempo a perdersi nei suoi mondi, ogni giorno si chiudeva nella propria stanza ad ascoltare musica di svariati generi e, a seconda delle melodie, immaginava di essere un Red diverso: un cavaliere, un cowboy, uno stregone.
I suoi genitori non avevano avuto modo di notare, essendo a loro l’accesso precluso, i manifesti che avevano iniziato da un po’ di tempo ad affollare le pareti della stanza del loro unico figlio. Poster dello stesso gruppo rock, che stava diventando per il ragazzo – e non solo per lui - una vera e propria ossessione.
I Some Dirty Secrets – abbreviato SDS – erano un complesso formato da tre giovanissimi talenti, ormai famoso sulla scena internazionale. Risiedevano nella stessa città di Red, il centro abitato in cui ebbe inizio questa storia.
La band aveva il merito di avere una cantante e chitarrista che, oltre ad essere assai talentuosa, era dotata anche di una conturbante bellezza in grado di far impazzire moltissimi uomini. Il suo nome, Blue, da un po’ di tempo era la parola che si udiva più spesso scivolare fuori dalle labbra della fauna maschile cittadina.
Red, che aveva alle spalle una relazione conclusasi nel migliore dei modi – Yellow era rimasta una sua buona amica -, sperava vivamente che il suo filo rosso del destino fosse collegato al mignolo della splendida artista. Era convinto di essere abbastanza interessante per costituire per lei un buon partito, oltre ad avere – punto a sostegno della sua tesi - la stessa età della ragazza.
Un giorno si ritrovò fra le mani un volantino che lo avrebbe aiutato a risolvere quella benedetta faccenda del vincolo del fato: un foglietto di carta dallo sgargiante colore arancione, che recava scritta a grandi lettere la dicitura ‘Fanclub ufficiale di Blue’. Sotto erano stampate tutte le indicazioni necessarie per raggiungerlo, compresi gli orari degli appuntamenti settimanali.
Fu così che alle sei del pomeriggio di un qualunque martedì autunnale, finite le lezioni, Red si recò sul posto senza sapere cosa aspettarsi.

Nel momento in cui un’elegante Porsche cabriolet dalla verniciatura grigio perla parcheggiò davanti alla sede del Circolo, Red cominciò a pentirsi di aver desiderato portare la propria passione per Blue allo scoperto. La portiera si aprì proprio davanti al suo naso, rischiando di schiacciarlo, mentre uno stordente odore di sigaro alla vaniglia lo investiva e il suo docente di Storia dell’Arte, che Red era convinto di aver appena lasciato alla sede universitaria senza doverlo più vedere per un giorno intero, usciva dalla vettura con movimenti fluidi e gli concedeva uno sguardo di altezzosa sufficienza.
“E tu chi saresti, bambino?” Disse il professore associato Adriano Sootopolis, tirando dal sigaro tenuto tra le dita ingioiellate e soffiandone il fumo sul viso di Red. “Hai dei bei capelli. Puoi dirmi che shampoo usi?”
Di certo non uso uno shampoo per capelli azzurri.Pensò Red, osservando l’improbabile ciuffo celeste che fuoriusciva da sotto il cappello del professore.
Tralasciando l’anormalità dell’atteggiamento dell’uomo, il ragazzo non immaginava che per un insegnante universitario fosse del tutto normale non ricordarsi minimamente dei suoi alunni finché questi non si presentavano ad un esame orale. Red era anche una matricola e, dal basso della sua inesperienza, si irritò moltissimo.
“Ma come, professore? Non ricorda?” Domandò Red, a denti stretti.
“Aspetti. Lei sarebbe un mio studente?” Sootopolis passò repentinamente al ‘lei’ per rivolgersi al ragazzo. “Non potrei mai ricordarmi, siete più di un centinaio. Abbiate pazienza.” Sebbene i modi dell’insegnante si fossero fatti più formali, anche questa volta uno sbuffo di stomachevole fumo vanigliato investì il viso di Red.
Il ragazzo dal canto suo era imbarazzato, tanto che dovette reprimere la tentazione di tossire infastidito da quell’odore dolciastro e penetrante. Chissà quante altre figuracce avrebbe fatto davanti ai docenti, nel corso di quel disorientante primo anno!
Nel frattempo i fan di Blue avevano formato un capannello davanti all’entrata di un piccolo edificio che non si sapeva come avrebbe fatto ad ospitarli tutti. Red già si immaginava tra quelle mura, attaccato stretto al suo professore e a qualche altro sconosciuto, tutti simili a sardine in scatola.
“Oh, bel macello.” Commentò Sootopolis tra sé. Red gli lanciò un’occhiata obliqua mentre riuscivano finalmente ad entrare in un atrio inaspettatamente spazioso. Quell’insegnante era palesemente gay – insegnava Storia dell’Arte alle matricole e pareva aver provato gusto, a lezione, a descrivere con inutile perizia di particolari la scultura della Grecia Classica. Non si spiegava perché un effemminato dall’aria retrò come lui si fosse presentato all’incontro dei fan di Blue.
“E’ stata una bella lezione quella di oggi, mh?” Chiese il professore vantandosi. Subito una vocina nella testa di Red gridò ‘no!’ in risposta. Odiava con tutto se stesso Storia dell’Arte; purtroppo, studiando al DAMS, gli toccava sorbirla.
“Cosa ne pensa del Doriforo2?” Chiese Sootopolis, spegnendo il sigaro contro il muro che, fino ad un attimo prima, era bianco.
Penso che quella statua ce l’abbia piccolo, prof! Oh, la tentazione di rispondere così era immensa. Tuttavia persino Red comprendeva che non era proprio il caso. Dato che del Doriforo ricordava solo il pendaglietto – d’altronde la lezione gli era servita unicamente per aprire il libro una volta tanto, anche perché credeva che non l’avrebbe mai più fatto -, decise saggiamente di cambiare argomento e di trattarne uno più consono.
“Le piace Blue, professore?” Domandò, mentre scoccava un’occhiata desolata ai presenti che avevano iniziato ad occupare le sedie disposte nell’ambiente spartano. Pareva un raduno di nerd occhialuti, dotati dell’oscuro potere di far sentire Red fuori luogo.
“Mi piace molto, sì. Quella ragazza è un capolavoro.” Commentò Sootopolis con l’intento di sembrare quieto, risultando nonostante ciò pomposo nel tono e nei gesti.
Red sospirò, guardandosi attorno alla ricerca di una sedia abbastanza lontana da quell’individuo. Ne vide ben due libere, vicine ad un tavolo. Fantastico, non si sarebbe facilmente liberato dell’assurdo professore.
Lanciò un altro rapido sguardo agli astanti. Occhialuti, brufolosi, grigi; brutti, in poche parole. Se quelli erano i pretendenti di Blue, allora Red era sicuro di avere tutte le speranze di questo mondo. L’unico vagamente carino assomigliava terribilmente ad una donna – ma siamo sicuri che non lo fosse? - e, ora che lo guardava meglio, gli sembrava di averlo anche visto da qualche parte.
L’effemminato ragazzo gli si avvicinò con un sorriso strafottente; gli occhi chiari scintillavano dietro ai ridicoli occhiali che volevano assomigliare ad una mascherina carnevalesca, ma rendevano quel giovanotto pericolosamente simile ad una zitella ultracinquantenne. Ora Red ricordava anche il suo nome: Pino Mahogany, ventidue anni e quarto anno di DAMS, notoriamente una checca. Faceva sempre il gradasso, ma non riusciva a togliersi di dosso la sua etichetta da alienato sociale. Era inconsapevole di essere la barzelletta dell’Università, probabilmente.
“Guarda chi si vede… Rod Palletta.” Fece Pino, mellifluo e zuccheroso.
Red Pallet.” Lo corresse il diciannovenne, alzando gli occhi al cielo. Quella situazione era assai noiosa e, esausto com’era dopo una lunga giornata di lezioni, si chiese perché non se ne fosse tornato a casa a riposare ascoltando la sua rimpianta musica.
“Scusa, ma hai un nome talmente assurdo…” Ridacchiò il quattrocchi per nulla dispiaciuto.
“Ha parlato il pino di mogano.” Rispose scioccamente Red fra i denti, ormai seriamente innervosito.
“Come hai detto? Matricola, portami rispetto!” Si infervorò l’altro, diventando improvvisamente rosso dalla rabbia.
“Fate silenzio, Mahogany e Palletta.” Sbottò imperioso Sootopolis, sbagliando intenzionalmente il cognome della matricola – la quale non ebbe la forza di correggerlo. Non era strano che conoscesse il cognome di Pino, invece: era stato uno dei suoi primissimi studenti. “Così va meglio. Ora vi faccio vedere un’opera d’arte magnifica.”
Red e Pino, sorprendentemente, si scambiarono uno sguardo compassionevole, rassegnati all’idea di dover subire le stranezze del professore. Ma non immaginavano che avrebbero dovuto concordare col docente, perché ciò che questi estrasse dalla sua borsa da lavoro lasciò i due studenti letteralmente a bocca aperta.
“Un’opera d’arte… questa?” Commentò Red, riempiendosi gli occhi allucinati del poster raffigurante una Blue in costume da bagno con la spiaggia a fare da sfondo. I capelli castani lucenti, mossi dalla brezza e inondati dal sole estivo, i vivaci occhi azzurri che sorridevano al fotografo, le forme prorompenti di quel corpo ormai privo di ogni acerbezza adolescenziale. Chissà come sarebbe stato averla davanti in carne ed ossa.
Pino pareva pietrificato, incapace di muovere un muscolo. Quasi si stupì di riuscire a proferir parola. “Professore, ma lei non è omosessuale?”
Tra i tre calò per qualche istante il silenzio, durante il quale Red si trovò a pensare che sarebbe stato più credibile lui rispetto a Pino, se si trattava di porre una domanda di quel tipo.
“Mahogany, se lei fosse ancora un mio studente, per valutarle il prossimo esame partirei da diciotto.” Mormorò sinistramente Sootopolis, mentre Pino impallidiva e Red sospirava di sollievo, contento di non essere stato lui a chiederlo.
“Come vedete, sono sposato.” Aggiunse poi il professore, mostrando loro la mano coperta di anelli su ogni dito. No che non lo vediamo, in mezzo a tutta quella paccottiglia, si ritrovò a pensare Red sospirando.
“Se mia moglie vedesse questo poster… non sarebbe una bella cosa, proprio no.” Detto questo, l’uomo rabbrividì lievemente e riarrotolò il poster privando Red della sua contemplazione estasiata.
Seguì poi un nuovo momento di quiete. Stavolta il silenzio era generale: nessuno degli altri fan nerd di Blue fiatava, mentre un loro compare valicava una scalinata per raggiungere un modesto palchetto.
“Ho un annuncio da fare.” Disse quello con voce da rana gracidante. “Come tutti ben sappiamo, la nostra Blue è molto generosa e ha deciso di offrire biglietti gratis ai fan della sua città natale. Immagino che non vogliate perdervi il concerto della nostra Blue, quindi mettetevi in fila per avere il vostro biglietto.” Parlava come se la musicista fosse solista, non spalleggiata cioè dagli altri due membri della band. E, naturalmente, sembrava dare per scontato che la bella Blue fosse di tutti loro, spartita equamente da una tacita alleanza dei nerd.
L’idea dei biglietti gratuiti piaceva molto a Red, anche troppo. Si mosse quasi inconsciamente, ritrovandosi in testa alla fila senza neppure accorgersene. Ciò che si ritrovò tra le mani, in questo modo, fu un invito per un posto in prima fila. Credette di esplodere per la felicità.
Quando vide Mahogany e Sootopolis intenti ad aspettarlo fuori dalla coda, pensò ilare che il concerto sarebbe stato la perfezione. I due non si sarebbero presentati, visto e considerato che non si erano assicurati alcun biglietto e non erano neppure in fila per prenotare il proprio.
“Cos’è, non potete andare al concerto perché siete pieni di impegni? Come mi dispiace!” La fece tragica Red, reso poco credibile dal sorrisetto strafottente sul viso.
Sootopolis parve non notare l’espressione vittoriosa che il diciannovenne portava stampata in faccia. “Al contrario.” Fece, tranquillissimo, senza muovere un muscolo se non quelli delle labbra. Red cominciò a sbiancare, mentre attendeva che il professore riprendesse a parlare. “Eravamo proprio davanti a lei, nella fila. Non se ne era accorto?” Chiese, poco interessato alla risposta.
Proprio davanti a lui.Ciò voleva dire solo due cose: non solo il professore gaio e il tipo ambiguo sarebbero andati al concerto con Red, ma si sarebbero disposti tutti insieme appassionatamente in prima fila.





1Corso di laurea all’interno della Facoltà di Lettere e Filosofia. Acronimo di Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo.
2Scultura marmorea scolpita tra il I secolo a. C. e il I secolo d. C., copia romana dell’originale bronzea dello scultore greco Policleto. (link immagine: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/2c/Doryphoros_MAN_Napoli_Inv6011.jpg/175px-Doryphoros_MAN_Napoli_Inv6011.jpg)



Primo capitolo parecchio nonsense, ma mi auguro che vi sia piaciuto! Come vedete, la città in cui la fanfiction è ambientata è ispirata alle nostre italiane. Il sistema scolastico/universitario è lo stesso. Tuttavia i fan di Blue sono ispirati agli otaku, che vedono in Blue una figura piuttosto moe... Il plot per il primo capitolo era: Adriano, Red e Pino smaniano per la stessa rockstar, Blue. Sono o non sono un trio micidiale? Come vedete, c'è già un accenno di coppia: LuckyShipping. <3 Nient'altro da aggiungere, ragazzuoli. Ci si legge al prossimo capitolo. :3 (e nelle recensioni, nel caso vogliate lasciarmene qualcuna)
 


Anticipazioni capitolo 2:
Naturalmente il belloccio si sedette vicino a lui, trovando il posto accanto a Red ancora vuoto. Lo guardò in viso e assunse un’espressione sollevata. E’ perché non sono una ragazza urlante, pensò il diciannovenne, scrutandolo e meravigliandosi di quanto fosse intrigante e profondo quel suo sguardo un po’ smarrito.
Fu in quel momento che lo riconobbe. Dovette darsi dello stupido mentalmente dieci volte, mentre il suo cuore emozionato perdeva diversi battiti.
Green Oak?” Riuscì ad esalare, con un filo di voce. Davanti a lui c’era il bassista dei Some Dirty Secrets. L’unico ed originale, non un suo imitatore. Ed era un suo compagno di corso.

 

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Capitolo 2
*** Inizio e fine di una favola: perché le sfighe non vengono mai da sole ***


Capitolo 2 – Inizio e fine di una favola: perché le sfighe non vengono mai da sole

 
 
 
 
Domenica. Red si rigirava la parola nella mente, trovando che avesse uno splendido suono. Domenica, il giorno del concerto. Poteva forse esistere un dì più bello? Avrebbe persino potuto vedere se i Some Dirty Secrets avevano i peli sotto le ascelle – oh, beh, in fin dei conti quel dettaglio non gli interessava, certo.
Peccato che l’unica nota stonata di quella faccenda fosse la presenza dei due strambi. Stava proprio aspettando che uno di loro si presentasse in aula per iniziare la sua noiosissima lezione di Storia dell’Arte Antica, quando vide entrare qualcuno di più interessante. Un gruppo ben nutrito di ragazze strepitanti e vocianti si ammucchiavano intorno ad un ragazzo che si trovava in mezzo a loro; le loro presenze celavano la sua sagoma. Udiva elevarsi dalla piccola folla frasi del tipo ‘quanto sei bello!’ oppure ‘facciamoci una foto!’.
Chi diamine può essere tanto figo da avere un gruppo di fangirl che gli si accalcano attorno?, pensava Red, tentando invano di scorgere in mezzo alla folla il fulcro di tanta attenzione da parte del gentil sesso. Neppure io ho mai avuto delle fan così accanite! Come al solito la bassa autostima non era un problema per il ragazzo, che evidentemente non riusciva a capire perché non fosse così tanto amato.
Non dovette attendere troppi minuti perché vedesse la folla diradarsi: il professore era in prossimità dell’aula, evidentemente. Ciò che vide lo lasciò un po’ deluso. Senza dubbio si trattava di un ragazzo piuttosto – d’accordo, molto – carino, con luminosi occhi verdi incastonati su un viso privo di imperfezioni e capelli castano chiaro dall’acconciatura assolutamente cool – gli ricordava qualcuno, forse qualche musicista. Però non vedeva per quale motivo un giovanotto del genere – e d’accordo che sembrava un modello e pareva brillare di luce propria come un vip del mondo dello spettacolo – dovesse essere così tormentato da gruppi di fangirl. Era un ragazzo come gli altri, no?
Naturalmente il belloccio si sedette vicino a lui, trovando il posto accanto a Red ancora vuoto. Lo guardò in viso e assunse un’espressione sollevata. E’ perché non sono una ragazza urlante, pensò il diciannovenne, scrutandolo e meravigliandosi di quanto fosse intrigante e profondo quel suo sguardo un po’ smarrito.
Fu in quel momento che lo riconobbe. Dovette darsi dello stupido mentalmente dieci volte, mentre il suo cuore emozionato perdeva diversi battiti.
Green Oak?” Riuscì ad esalare, con un filo di voce. Davanti a lui c’era il bassista dei Some Dirty Secrets. L’unico ed originale, non un suo imitatore. Ed era un suo compagno di corso. Perché un ragazzo ricco come lui frequentava l’Università in mezzo a tanti giovani di media estrazione sociale?
“Ah, mi hai riconosciuto anche tu…” Disse il ragazzo con aria stanca, confermando i pensieri di Red. “Dici che dovrei travestirmi?” Sorrise debolmente.
“Perché? Non ti fa piacere avere l’attenzione di tutti?” Rispose Red incredulo, col cuore che gli sobbalzava in gola. Stava parlando col suo bassista preferito e questo gli aveva addirittura sorriso. Aveva sempre ritenuto che i vip fossero inavvicinabili, ma Green si stava dimostrando cordiale, comportandosi come avrebbe fatto al suo posto qualunque altro coetaneo dotato di buon carattere.
“All’inizio naturalmente sì, ma dopo un po’ diventa stancante non potersi muovere. Quando la gente ti riconosce è un incubo.” Affermò. “Si risolve sempre con una fuga a gambe levate. Sembra di stare in un film.”
Red ridacchiò, immaginando Green in tutto il suo splendore intento a correre come un treno, ansimando e sudando con un’umanità che non gli aveva mai attribuito prima di allora.
Sentendo il riso divertito del ragazzo, anche il bassista ne fu contagiato, mostrando al compagno due file di denti bianchissimi. L’altro non poté impedirsi di pensare con invidia a quanto quel sorriso sembrasse irreale, tanto pareva uscito dalle pubblicità di qualche dentifricio. Per quanto Red avesse sempre tenuto alla propria igiene orale, non aveva mai avuto una risata così abbagliante.
Anche se il professor Sootopolis si era ormai sistemato alla cattedra e stava accendendo il microfono per farsi udire da tutti gli studenti presenti, il diciannovenne non ci aveva fatto caso. Pensava, in un momento di improvvisa ed insolita sfiducia in se stesso, a che rapporto potesse avere un ragazzo tanto bello con Blue, la donna dei suoi sogni proibiti. Era scontato che si conoscessero bene, dal momento che lavoravano insieme, ma lui sembrava molto più adatto a quella giovane artista tanto divina di quanto lo fosse Red.
Per un istante fu quasi sul punto di chiedere a Green cosa pensasse della cantante, quando la voce stentorea del professore interruppe i suoi pensieri e lo costrinse a guardare in sua direzione. Era solo in seconda fila, doveva almeno far finta di prestargli attenzione.
“Dunque… ora chiamerò in ordine alfabetico gli studenti che devono ancora effettuare l’iscrizione all’esonero.” Dichiarò Sootopolis, squadrando il foglio che teneva tra le mani ingioiellate.
Cominciò a declamare i vari nomi, mentre Red si accorgeva dell’irrigidimento improvviso di Green accanto a lui: diventava sempre più pallido col trascorrere dei secondi.
Dopo aver fatto firmare il foglio ad un certo numero di studenti presenti, il docente si bloccò, improvvisamente teso. Il bassista alzò gli occhi al cielo, percependo cosa sarebbe successo. “Oak… Green?” Mormorò Sootopolis con voce meno tonante, a corto di fiato. Eppure, complice il microfono, tutti i presenti udirono quell’appello sommesso. Numerosi borbottii si elevarono dalla folla degli studenti, mentre Green si alzava in piedi suscitando diversi gridolini di eccitazione. A testa bassa ma con dignità si avviò verso la cattedra, alla quale era seduto un Sootopolis intento ad osservarlo con tanto di bocca aperta ed occhi spiritati, da pesce lesso.
“Una firma… qui…” Balbettò il docente, indicando un punto casuale del modulo che aveva sottomano. Non riusciva proprio a focalizzarsi sulla ricerca della casella in cui Green avrebbe dovuto apporre la propria sottoscrizione, tanto era intento a scrutargli il viso con sguardo ebete.
Il giovane, al colmo della rassegnazione, rintracciò il riquadro da sé e si stava già apprestando a tornare al proprio posto dopo aver firmato, quando Sootopolis soggiunse qualcosa. “E aggiunga una firma anche… qui.” Disse, estraendo dalla propria borsa un blocco note già pronto nella propria pagina bianca.
Il ragazzo sospirò, prima di rilasciare il prezioso autografo al professore che lo rimandò al posto con un sorriso trionfante, seguendolo qualche secondo con lo sguardo mentre tornava a sedersi attirando inevitabilmente l’attenzione di tutti i presenti.
“E’ stata una follia quella di iscrivermi all’Università.” Soffiò Green esasperato, rivolgendosi a Red.
Quest’ultimo cominciava a comprendere gli svantaggi della troppa popolarità. Proprio in quel momento ne stava ricevendo un velenoso assaggio anche lui, percependo diverse occhiate perforatrici trafiggerlo da ogni angolo dell’aula. Gli studenti erano mortalmente invidiosi del fatto che Green gli stesse rivolgendo la parola come se niente fosse. Il diciannovenne si sentiva davvero l’individuo più fortunato del mondo.
“Però tutte queste persone sono contente di averti incontrato.” Lo rassicurò Red. Le sue parole sortirono un effetto benefico su Green, che recuperò gran parte del proprio colorito – forse troppo, tanto che allo studente parve più roseo di prima.
“Come ti chiami?” Chiese compostamente il bassista, spinto da qualche impulso improvviso.
“Red.” Rispose il ragazzo, contento di cogliere almeno un riflesso del proprio interesse negli occhi verdi del musicista. “Sono un vostro grande fan.”
“Ne sono contento.” Disse Green sincero, ma senza scomporsi più di tanto.
“Ma voi non suonate per la gloria e per il denaro?” Chiese sfacciatamente Red, non riuscendo a trattenere quella domanda. “Da ragazzino non hai imparato a suonare pensando di voler diventare famoso ed avere così tante donne ai tuoi piedi?”
Il bassista soffocò una risata e il coetaneo, accorgendosene, rimase in silenzio sentendosi quasi preso in giro. “Se avessi voluto queste cose, avrei fatto il modello.”
Il diciannovenne dovette convenire che tale ragionamento aveva un senso. Sicuramente, col fisico che Madre Natura gli aveva donato, non avrebbe affatto sfigurato sulla copertina di qualche rivista o su una passerella allestita per qualche evento d’alta moda.
“So che molti musicisti suonano per motivi frivoli.” Disse Red, che aveva visto sciogliersi molti gruppi che amava dopo il raggiungimento della notorietà internazionale.
“Sono musicisti che non compiono ricerche musicali, che si uniformano intenzionalmente al mercato sicuri di avere un successo facile. Io non li chiamerei ‘musicisti’ con tanta leggerezza.” Affermò Green. Nella sua voce morbida Red udì una nota di forte disprezzo. “Noi tre siamo buoni amici e abbiamo iniziato a suonare per divertirci e per far divertire la gente. Allo stesso tempo cerchiamo di essere più originali possibile. Ascoltiamo musica di genere diverso, abbiamo stili diversi e uniamo diverse influenze senza imitare nessun artista. Abbiamo fatto molti sforzi per arrivare dove siamo ora ed il successo è arrivato da solo, senza cercarlo. Però noi amiamo la musica, ci sarebbe anche bastato rimanere una band di nicchia, pur di continuare a suonare come abbiamo sempre fatto.”
Red rimase ammaliato da quelle parole tanto sincere. Se le avesse lette su un giornale come risposta a qualche intervista, le avrebbe considerate ipocrite e vuote. Invece a dirle era stato Green in persona, che gli aveva parlato con compostezza e decoro sebbene un leggero tremore della sua voce avesse tradito un’emozione autentica.
“Scusa per aver dubitato della tua passione per la musica.” Mormorò il diciannovenne.
“Figurati. Posso capire benissimo il tuo punto di vista.” Rispose Green, rimanendo un attimo in silenzio per sentire ciò che stava dicendo Sootopolis sui templi della Grecia Classica. “Non ho il libro. E’ la prima volta che vengo a lezione e non so quale testo bisogna prendere. Posso guardare dal tuo?”
“Certo!” Esclamò Red, contento di fargli un favore. Green non era una specie di dio come aveva sempre immaginato dovessero essere gli artisti, eppure era eccezionale nella sua semplicità. La bellezza e il carisma emanati dalla sua persona non lo rendevano altezzoso ed inavvicinabile.
“Grazie.” Disse Green, avvicinandosi al coetaneo e permettendogli di inalare un po’ del suo profumo acre, da uomo.
“Sta spiegando questo, penso.” Disse Red, indicando la fotografia di un tempio a pianta circolare. “Credo. Non ci capisco nulla. Non ho mai sopportato la Storia dell’Arte.”
Green alzò lo sguardo verso il ragazzo e soffocò un’altra risata stupita. “Sul serio? Neppure io.” Disse.
Red sorrise e notò che Sootopolis si stava impegnando più del solito per rendere interessante la lezione. Il suo tono era pomposo a dei livelli estremi – ciò lo rendeva ancora più insopportabile – e si sprecava a lodare le antiche opere d’arte come se gli studenti avessero dovuto obbligatoriamente concordare col suo parere. Era evidente che volesse far credere a Green – Green Oak in persona seguiva la sua lezione, incredibile! – di essere un professore molto capace e coinvolgente.
I due ragazzi passarono il resto della lezione a far finta di ascoltare e a scambiarsi frasi fugaci e commenti ironici sulle movenze e sui discorsi del docente.
Alla fine delle due ore – meno faticose del solito, a conti fatti – Red e Green si alzarono insieme, quasi in sincrono.
“Purtroppo devo tornare a casa di corsa, l’autobus parte tra pochi minuti.” Disse lo studente, maledicendosi per non aver chiesto un autografo e intristendosi perché il poco tempo passato col bassista dei SDS stava per volgere al termine. Però era sicuro che lo avrebbe rincontrato, sapendo che Green era matricola dello stesso corso di studi.
“Aspetta.” Esalò il musicista, spiazzando un poco Red. “Domenica diamo un concerto allo stadio. Vieni?”
“Eccome!”  Esclamò il diciannovenne entusiasta. “Ho già il biglietto. Per la prima fila per di più!”
Green sorrise quietamente, socchiudendo gli occhi dalle ciglia chiare. “Stavo per dartene uno io… Mi dispiace che tu l’abbia dovuto pagare.”
Red non disse nulla, vergognandosi non poco per la storia del Fanclub di Blue e di far parte dell’assurda schiera dei nerd fanatici che aveva ricevuto i biglietti gratuiti.
“Però almeno mi risparmio la sfuriata di Blue. Tiene un sacco ai soldi guadagnati con i biglietti e si arrabbia sempre se ne diamo qualcuno gratuitamente. Parla lei che proprio qualche giorno fa ha regalato un blocco intero di biglietti al suo Fanclub ufficiale!” Green ridacchiò, contagiando Red.
Quest’ultimo aveva avvertito un brivido nel sentire nominare la sua amata Blue e, allo stesso tempo, gli aveva fatto piacere scoprire che il suo idolo avesse dei difetti come tutti.
“Ti ringrazio! Ci vediamo presto.” Disse, facendo cenno di toccare col proprio pugno chiuso quello di Green, gesto che venne accolto con una certa prontezza dal suo nuovo e specialissimo amico.
Dopo averlo salutato, Red era sicuro che i fan dei SDS non avrebbero perso tempo ad accerchiare il povero Green. Per questo camminò senza voltarsi neanche un secondo verso il bassista.
Se lo avesse fatto, avrebbe notato che questi era rimasto immobile a seguirlo con lo sguardo, finché la sagoma del diciannovenne non era scomparsa lasciandosi la porta alle spalle.
 
La domenica era arrivata tra palpitazioni, canzoni urlate durante eccessi di euforia, conti alla rovescia delle ore, dei minuti, addirittura dei secondi. Red non era affatto consapevole di assomigliare ad una ragazzina che si prepara ad andare al concerto della sua boy band preferita, altrimenti avrebbe sicuramente smesso di comportarsi in quel modo. Si sentiva tanto orgogliosamente virile, lui; non avrebbe tollerato l’idea di avere qualcosa in comune con una sciocca fangirl.
L’ora x si stava avvicinando inesorabilmente e Red, ritrovatosi a tavola per cena, si affrettava a ingurgitare in fretta il piatto di ottimi ravioli che la mamma gli aveva preparato con tutto il suo amore. Quest’ultima non poté impedire a se stessa di sentirsi preoccupata, osservando l’adorato figliolo mentre inghiottiva senza quasi masticare massicci quantitativi di pasta ancora fumante.
“Tesoro caro, ma… non ti scotti la lingua, così?” Domandò apprensiva. “E rischi anche di strozzarti…”
“Nof fi preoccufare, hamma.” Borbottò allegramente Red, con la bocca strabordante di cibo.
“Ma dovresti mangiare piano… il concerto è tra un’ora e mezza…” Commentò ragionevolmente la donna. “Oltretutto non avrai difficoltà a scegliere cosa metterti. Ti ho già stirato quell’adorabile camicetta viola coi pinguini…”
Hamma!” Sbottò contrariato Red, per nulla intenzionato ad indossare un indumento tanto inappropriato per recarsi ad un concerto di crudo rock.
“Io non vorrei lasciarti andare. So che bevono tanti alcolici e che circolano droghe di ogni genere…” Mormorò la madre in tono mesto, esprimendo preoccupazioni lecite.
“Cara, dovresti lasciare che Red viva un po’ di più la sua vita.” Si intromise il marito, distogliendo momentaneamente lo sguardo dal televisore – evento rarissimo, tanto che sia la moglie sia il figlio si ritrovarono a chiedersi se il mondo stesse per giungere alla sua fine. “Ormai ha quasi vent’anni e dovresti sapere che è un ragazzo molto responsabile e misurato. Senza contare che è anche molto più maturo dei suoi coetanei.” Chiunque avrebbe potuto dissentire da tali commenti del tutto errati sulla personalità del giovane in questione, ma quest’ultimo ci credette senz’altro e si sentì gonfiare il cuore d’orgoglio nell’udirsi lodare tanto dal padre.
“Ma…” La madre provò a ribattere e a nulla servì quel suo disperato tentativo.
“Niente ‘ma’. Ora, Red, vai a prepararti e indossa quello che vuoi. Non preoccuparti e goditi la serata, ragazzo mio.”
“Grazie, papà!” Esclamò in risposta Red dopo aver ingoiato l’ultimo ammasso di cibo, sorridendogli radioso e fiondandosi su per le scale senza neppure degnarsi di riportare piatto e bicchiere in cucina.
Ritrovatosi tra le mura tappezzate di poster della propria stanza, Red diede inizio alla propria vestizione tramite gesti sognanti e distratti. I suoi occhi castani, dalla sfumatura cremisi che tanto lo inorgogliva, erano vacui e nuovamente persi in quei mondi alternativi nei quali si isolava spesso con la propria galoppante immaginazione.
Si accorse quasi per miracolo di aver infilato la maglietta al contrario e di aver confuso lo scialle per una cintura da annodarsi all’altezza della vita. Sistemò il tutto decidendo infine di guardarsi prestando maggiore attenzione alla propria figura.
“Niente male.” Commentò, rivolgendosi al riflesso del proprio viso allo specchio. “Forse Blue mi noterà, dato che sarò anche in prima fila.” E magari avrebbe potuto anche ignorare la sua assurda pettinatura: quella zazzera di capelli corvini sembrava essere stata sconvolta dall’esplosione di una bomba.
Red non si preoccupava troppo della sua chioma. Era anzi convinto che, pettinando poco le ciocche ribelli, la sua espressione sarebbe risultata più selvaggia e maschia, da stallone.
Commise inconsapevolmente un errore grossolano inondando il proprio collo di un profumo muschiato. Se si considerava uno stallone, avrebbe dovuto lasciar prevalere il salato effluvio del sudore, lasciando così che il testosterone manifestasse la sua presenza.
Ma Red, tanto per cambiare, si considerava assolutamente impeccabile. Si percepiva ancora tale mentre varcava il portone del condominio, tanto che per qualche istante credette che la gente radunata per i Some Dirty Secrets fosse lì per lui. Ovviamente nessuno lo stava degnando di uno sguardo; la concentrazione di tutti era focalizzata sul palcoscenico ancora vuoto.
Red, ristabilendo i contatti con la realtà, si fece strada in mezzo alla folla, agitando vanamente il proprio biglietto verso l’alto come se tutti fossero interessati a leggere il numero del suo posto. Gli odori dei corpi che sfregavano contro il suo durante la traversata intaccarono inevitabilmente il profumo che lo impregnava.
Giunto finalmente in prossimità del palco, i primi occhi che incontrò furono quelli di Pino, celati dietro ad occhiali dalla montatura ancora più sgargiante ed esagerata del solito – in quella parziale oscurità era difficile confermarlo, ma il diciannovenne avrebbe detto che fossero gialli leopardati di viola, mentre sulle stecche campeggiava un arancione fluorescente costellato di piccole spirali bluette. Osservando distrattamente il resto del vestiario del più anziano, la domanda che sorgeva nella mente di Red era, dopotutto, assai lecita. Ma quella robaccia che indossa è fatta su misura per Pino? Perché in nessun negozio di abbigliamento ho mai visto nulla di così pacchiano e orrendo. Uno stupro per i poveri occhi di chiunque lo guardi.
Adriano Sootopolis si accorse della presenza dello studente, ma non lo degnò di un saluto. Continuò imperterrito a fissare il palco con aria fintamente concentrata, aspirando fumo da uno dei suoi insopportabili sigari vanigliati. Sicuramente la folla alle sue spalle avrebbe avuto da ridire su quel tanfo dolciastro e appiccicoso, pensò Red. In realtà era abbastanza intontita dall’alcol da non accorgersene o da pensare semplicemente che quello potesse essere l’odore di spinelli e affini.
“Mahogany.” Iniziò Red, non riuscendo quasi a capacitarsi di star rivolgendo la parola a Pino. “Perché indossi quegli occhiali?” Nella sua voce si udiva una nota di serio turbamento.
“Me li sono fatti fare su misura, secondo le mie richieste.” Dichiarò orgogliosamente l’altro, mettendo da parte la sua nota misantropia, ben contento di rispondere ad una domanda che giudicava tanto interessante. “Li ho pensati appositamente per omaggiare il lato più pop delle canzoni dei Some Dirty Secrets!”
Fu questa la conferma dei sospetti di Red: quel tipo si faceva fare la sua robaccia su misura. Forse si considerava un alternativo, un genialoide, un individuo al di fuori della massa. E sì, lo era; peccato che assomigliasse ad un pagliaccio. Ma insomma, i suoi genitori non dicevano niente ad un figlio che usciva abbigliato in quella maniera? O magari dissimulavano con gli altri i loro legami di parentela, fingendo di non conoscere il ragazzo che avevano cresciuto – secondo Red – in maniera alquanto discutibile?
Era davvero un’offesa alle canzoni pop del gruppo, visto che erano decisamente più suggestive di quell’orribile aggeggio che il ventiduenne si era messo sul naso. Red era pronto a dar voce ai propri pensieri con la sua naturale schiettezza, quando d’un tratto le luci si fecero più soffuse e la musica di riempimento abbassò il proprio volume fino a scemare completamente.
La folla vociante si placò e gli occhi di Sootopolis, che mai si erano staccati dal palco, presero improvvisamente a brillare di una malcelata commozione. Red e Pino smisero di guardarsi, voltandosi lentamente verso il palco che, sebbene fosse ancora vuoto, attirò la loro attenzione come un grande ed irresistibile magnete.
Per poco tempo, tutto fu inghiottito dall’oscurità. Nessuno però ne fu spaventato, dato che la concentrazione del pubblico era focalizzata nell’attesa. Essa si rivelò breve: la batteria cominciò a far udire i suoni della percussione, fin da subito rapidi. Ruppero il silenzio, crudi, veri, non registrati. C’era davvero qualcuno a produrre quei battiti e il pubblico trattenne il fiato, consapevole dell’identità di chi stesse impugnando le bacchette in quel momento.
A Red parve che seguisse lo stesso ritmo martellante del suo cuore, mentre un riflettore inondava di delicata luce il batterista, il cui volto era celato da un velo di lunghi capelli rossi.
“Silver!”
Dalla folla emersero delle grida di incoraggiamento per il giovanissimo percussionista, appena sedicenne e già tanto apprezzato per il ritmo e l’energia che infondeva nei suoi assoli.
“Silver!”
Red non era in grado di unirsi alle voci altrui, né si accorse dei fischi di apprezzamento di Pino. Era troppo ammutolito dall’innocente e pura emozione che lo teneva ancorato al punto in cui si trovava, in quei primi e densissimi secondi del concerto.
Con l’assolo di batteria si fuse il basso di Green. Sempre perfetto, impeccabile, preciso come un coltello che affonda tra due costole ed altrettanto incisivo. Il musicista era splendido sotto la luce dorata dei riflettori. Visto da sotto il palco, sembrava una creatura celeste, sebbene Red fosse consapevole della sua umanità. Si sentiva un privilegiato nel conoscere quel lato di uno dei suoi idoli.
Gli occhi cominciarono, già da quel momento, ad inumidirsi di commozione. Avrebbe voluto riservare quelle lacrime sincere per l’apparizione della sua adorata Blue, ma non era riuscito a trattenerle. Stava già piangendo.
E Blue, infine, apparve in un’esplosione di colore. Pare inutile spiegare quanto fosse meravigliosa, quanto fosse infinitamente più bella di come Red avesse immaginato guardandola sui poster e sulle copertine delle riviste, quanto fossero attraenti quelle lunghe dita, bianche e affusolate, che pizzicavano grintosamente le corde della chitarra. I suoi capelli castani riflettevano le luci variopinte, i suoi occhi erano talmente azzurri che il loro colore poteva essere distinto da lunga distanza.
La sua musica tradiva sensualità, il modo in cui si muoveva sul palco lasciava scoprire agli spettatori il suo mondo. Si poteva intuire il travaglio vissuto nell’infanzia, i fantasmi che ancora la perseguitavano in quel leggero tremito della sua voce emozionale e, al contempo, versatile e ricca di sfumature.
“Angelo dalle ali bianche e rosse
Chi ti ha inflitto quelle ferite?
Angelo dalle piume spezzate
Protendi una mano e rassicura
Che dal Paradiso non si può cadere”
Era una canzone che Red conosceva a memoria. Nei momenti in cui si soffermava a riflettere sulle sue parole, provava l’illusione di sentirsi più adulto, rivivendo il suo percorso come il nastro di un film. Quella musica ne era la colonna sonora.
“Nascondendo il tuo sangue
Nascondendo le tue lacrime
Compirai il tuo ultimo sacrificio
Allora mostra il tuo sorriso
Anche se falso, noi crederemo”
La voce di Blue oscillava leggermente nelle note più basse. Non era tecnicamente perfetta: si percepiva che la ragazza non aveva mai preso lezioni di canto. Eppure, mentre il suo tono su disco era corretto e fermo, dal vivo provocava a Red centinaia di brividi in più, con tutte quelle oscillazioni emozionate, quelle regole sconosciute che venivano infrante dal suo modo di vocalizzare, lasciandola libera di esprimersi senza il timore di sbagliare ad incatenarla.
Le canzoni si susseguivano, le parole sfioravano i temi più svariati, permeate di una malinconia a volte più contenuta e altre incontenibile. Nessuno si soffermava più, però, a rifletterci. Il pubblico si muoveva e cantava insieme a Blue, come sotto l’effetto di un’ipnosi che lasciava intatte solo le emozioni da tutti loro condivise.
Red si dimenticò delle sgradevoli compagnie – Mahogany e Sootopolis – che ora dovevano trovarsi in uno stato di commozione simile al suo. Sentì la folla premere e avvicinarsi al palco, sollevando le braccia verso i tre divi. Il diciannovenne, ancora sotto l’incantesimo della musica del vivo, si lasciò sospingere dalla corrente umana.
Vide Green dischiudere gli occhi. L’assolo finale della canzone che stava eseguendo spettava alla chitarra e alla batteria. Mentre il suono del suo basso andava spegnendosi, gli occhi smeraldo incontrarono quelli cremisi dell’altro, in quel momento arrossati anche dal felice pianto che avevano versato. Un sorriso affiorò sui loro volti e Red non si imbarazzò di farsi vedere in lacrime. Non le asciugò; le esibì e Green seppe che valevano immensamente di più di un lungo applauso.
L’ultima canzone partì, incalzante. Era il loro brano più allegro, quello che Red ascoltava ogni mattina prima di recarsi all’Università per darsi la forza e l’energia necessarie per affrontare la lunga giornata che lo attendeva.
“Siamo pronti, aspettiamo un segnale
Che sia fumo, che sia fuoco, che sia acqua
Gelida o geyser, tutto sarà perfetto
Per danzare in cima al mondo”
I corpi delle persone lì radunate iniziarono inavvertitamente a sfregarsi, inconsapevoli. Tutti stavano attendendo quel brano per poter liberare le ultime energie rimaste nei loro corpi. Per l’occasione qualcuno aveva anche approntato un tributo al tema della canzone, il cui testo si soffermava spesso sull’acqua: enormi gavettoni tremolanti come budini, contenenti abbastanza liquido da riempire un secchio. Le bombe idriche erano pronte per essere scagliate sulla folla, con l’intento movimentarla maggiormente.
“Diamo inizio a questa festa dove
Spumeggeremo come bolle impazzite
Sono forse troppo fuori
Sono forse troppo fuori di testa
Voglio toccare il cielo lasciandomi sospingere
Se poi cadendo mi ferirò non mi interessa:
Perché vedrò cosa c’è sopra le nuvole”
Red parve risvegliarsi d’un tratto, trovandosi zuppo di acqua gelida che grondava dai suoi vestiti e che sembrava volerlo penetrare fino a raggiungergli le ossa. Sgranò gli occhi allarmato, accorgendosi della sua posizione, delle mani appesantite dalla bigiotteria variopinta di Pino e di quelle ingioiellate d’oro e d’argento di Sootopolis che, insieme, lo afferravano innalzandolo al di sopra della folla.
Tremante, si vide esposto alle correnti d’aria, ma osservò con sollievo che non era l’unico ad essere stato issato al di sopra del pubblico.
Eppure quelle braccia forti e prepotenti lo stavano pericolosamente avvicinando al palco e Blue era sempre più vicina. Infine lei, senza smettere di cantare, lo guardò. Red pensò di morire di gioia e credette che il suo cuore si fosse fermato. Quello sguardo azzurro, in quegli istanti, sarebbe stato solamente per lui: doveva goderne, viverlo.
La vide improvvisamente abbassare gli occhi, mentre le gote della ragazza si velavano di rosso.
Ho fatto colpo! Red, issato di peso, continuò a fissarla con un’espressione paragonabile a quella di un baccalà fritto. Io… HO FATTO COLPO!
La sua mente urlava di gioia e dichiarava, euforica, che quello era un giorno fottutamente bello. Il più fottutamente bello dei suoi diciannove anni di vita.
Ma gli abiti di Red, pregni d’acqua, erano scivolosi. La presa dei compagni sui suoi pantaloni non perdurò, portandolo a capitombolare pesantemente sul palco. Per attutire la caduta, la mani del giovane si aggrapparono all’aria, accontentandosi di ciò che trovarono, ovvero un lembo di stoffa asciutta.
Blue fu rapida a smettere di cantare per impedire che Red le abbassasse la gonna di fronte a quella platea di occhi curiosi. Sforzando l’autocontrollo, riuscì a reprimere lo strillo prossimo ad affiorare sulle labbra coperte da diversi strati di lucido.
Tuttavia fu costretta a sospendere la canzone, smettendo di suonare. Neppure Silver e Green riuscirono ad evitare di troncare l’esecuzione del pezzo, ora deconcentrati e attratti dalla strana scena che si stava svolgendo sotto i loro sguardi. Quello del bassista rimase fisso allo stadio iniziale di meraviglia e sconcerto, mentre le iridi argentate del batterista iniziarono ben presto a lampeggiare metallicamente di furore.
Dopo qualche mormorio dispiaciuto per l’interruzione forzata della canzone e numerose proteste verso le misure di sicurezza adottate da coloro che avevano allestito l’evento, finalmente il pubblico concesse attenzione a Red.
“Un maniaco ha aggredito Blue!”Lo additarono. Al diciannovenne sembrò che quelle voci provenissero direttamente da una bolgia dell’Inferno dantesco.
“Un maniaco! Non indossa neppure le mutande!”Strillarono alcuni, costringendo Red ad accorgersi di un dettaglio al quale non aveva fatto caso, o forse del quale non aveva voluto accorgersi: i pantaloni fradici aderivano alle gambe e all’inguine, lasciando intuire chiaramente i contorni dei suoi gioielli di famiglia.
Vuoi vedere che… vuoi vedere che è per questo che Blue è arrossita, poco fa?
Red avvampò come il suo idolo aveva fatto poco prima e pareva rimpicciolirsi ogni volta che un commento umiliante da parte del pubblico raggiungeva i suoi timpani frastornati. Come aveva potuto pensare che quello fosse il giorno più bello della sua vita, quando in realtà era il più terribile?
Mentre il concerto sfumava, i riflettori estinguevano lentamente le loro luci e il pubblico fischiava contrariato, persino Pino e Adriano provarono un acuto senso di dispiacere nei confronti di Red, addirittura più penetrante del rammarico per aver assistito al primo immeritato fiasco del loro gruppo preferito.
Pensarono dunque, poco coraggiosamente, di abbandonare il luogo prima che l’involontario uccisore della serata li trovasse.
Mentre Adriano saliva sulla propria Porsche ignorando Pino che implorava affinché gli fosse concesso un passaggio – la sua automobile era misteriosamente esplosa nel parcheggio davanti casa sua qualche giorno prima -, pensò che forse un bel trenta regalato nella sua materia avrebbe potuto placare la prevedibile ira di Red.
 
Non ricordava come fosse finito sotto il palco con un grande telo da spiaggia ad avvolgere la sua figura zuppa dalla testa ai piedi. I colori del grande panno lo rendevano simile ad un paralume, ma in quel momento le sue apparenze non gli interessavano affatto. Qualunque azione avrebbe deciso di compiere, non sarebbe potuto cadere più in basso di quanto non avesse già fatto.
I riflettori erano spenti e, ad illuminare pallidamente l’ambiente, erano state poste alcune sinistre luci al neon. Tuttavia Red si sentiva troppo esausto per interessarsi alla loro provenienza. Percepiva il freddo perforare il telo e i vestiti bagnati che portava indosso e avrebbe voluto tornare a casa, ma un uomo dalla divisa professionale, probabilmente il manager della band, gli aveva intimato di rimanere lì.
In quell’attesa, ricordò il modo in cui l’espressione sconvolta di Green si era venata di una cocente delusione, mentre le luci colorate del concerto scemavano intorno a loro.
Blue, invece, aveva mostrato un viso orribilmente digrignato nello sforzo di trattenere le lacrime. Inutile dire che in quel momento non si potesse definire la personificazione della bellezza, come Red l’aveva sempre considerata.
Ma la reazione più preoccupante era stata quella di Silver. Red, avendo udito un ringhio sommesso provenire dalla direzione del batterista, aveva rivolto verso di lui il viso imporporato di vergogna, scoprendo che la faccia del musicista sedicenne era ancora più rossa e i suoi occhi saettavano d’ira funesta.
In quel momento Red, intento ad attendere chissà cosa, non si sarebbe mai azzardato a pensare che le intenzioni della giovane celebrità, che ora incedeva verso di lui, fossero quelle di stringergli la mano e di regalargli un autografo sorridendo.
L’espressione che troneggiava ora sul viso di Silver non era in alcun modo diversa da quella che gli aveva indirizzato poco prima sul palco. Era anzi maggiormente soddisfatta, avendo sotto tiro quello sfortunato impiastro sul quale sfogare comodamente le proprie ire.
Red aveva sperato, in passato, di incontrare l’ammirato percussionista in qualche frangente più gradevole, magari facendo conoscenza comodamente seduti sugli sgabelli di un bar, sorseggiando bibite e ciarlando in tono amabile circa argomenti musicali.
Leggendo interviste e seguendo la cronaca mondana, il diciannovenne aveva sempre saputo che Silver non era un personaggio da inimicarsi, essendo noto per il proprio carattere bellicoso, diretto e privo di scrupoli, che non si faceva intimorire da uomini decisamente più alti e poderosi di lui, se questi dimostravano di meritare le sue percosse.
Tornando a quel momento, Silver si era fermato davanti a Red, il volto adombrato sfacciatamente fermo a pochi centimetri da quello del più anziano. La loro altezza era simile e il ragazzo più giovane non sembrava molto vigoroso, ma il diciannovenne sospettava che l’aspetto dell’altro fosse un lampante esempio di ingannevolezza.
Il musicista tacque per ascoltare compiaciuto la deglutizione spaventata del pallido Red, che per un attimo ebbe la sensazione di veder sorgere sul viso contrito del suo antagonista un ghignetto di scherno.
“Scommetto che non hai ancora compreso la gravità del danno!” Tuonò improvvisamente  con una voce che Red, fino a quel momento, aveva udito solamente durante le interviste. Silver era il classico giovanotto tenebroso che non emetteva fiato se non ne avvertiva l’impellente necessità. Se ora gli stava rivolgendo la parola, significava evidentemente che aveva qualcosa di fondamentale da comunicargli.
Il diciannovenne aveva la sensazione di sapere quali motivazioni spingessero il batterista ad apostrofarlo in maniera minacciosa. Doveva trattarsi sicuramente del fallimento del concerto – che secondo Red poteva comunque essere continuato, ma così non era stato. Tuttavia, le parole successive di Silver distrussero impietosamente le sue convinzioni, portandolo a dischiudere debolmente la bocca come manifestazione di forte stupore.
“Hai aggredito Blue, coglione. Nessuno si può permettere di toccarla, non finché ci sarò io!” Ruggì in faccia a Red, che si sentì raggelare tempie e guance.
L’interesse di Silver nei confronti della riuscita del concerto era relativo. Ciò che per lui era più impellente era la frontgirl Blue, la loro bellissima diva. Perché teneva così tanto a lei?
“Solo io posso permettermi di sfiorarla, tienilo bene a mente!” La voce del batterista risuonò come un sibilo crescente che si insinuò nei timpani della vittima e mostrò il suo significato nella sua terribile chiarezza.
Silver aveva una relazione con Blue e l’aveva protetta dall’assalto dei media, ma ora la stava riferendo a lui. Red non pensava affatto che l’avrebbe raccontato a qualcuno e, del resto, aveva anche rinunciato ad interessare alla bella cantante e all’amicizia di Green. Anche perché quella mano nemica che si sollevava minacciosa davanti al suo viso era inequivocabile.
In quel dato momento della serata irrimediabilmente rovinata, Red riuscì solo a serrare gli occhi, in attesa di quel colpo che si sarebbe abbattuto su di lui.



Note: Il capitolo è lunghissimo, mi sento un po' in colpa verso Red perché l'ho davvero maltrattato (ma sono sicura che si riprenderà, lui è Red, mica uno qualunque u.u) e spero proprio che vi sia piaciuto perché è un po' denso di avvenimenti e ho paura di aver fatto un pastrocchio. XD Le canzoni sono state accennate a random da me medesima e mi piaceva che avessero una qualche coerenza con gli avvenimenti. Il loro significato è piuttosto facile, non voglio che i loro testi siano troppo criptici. In fondo sono ragazzi giovani, loro. Il plot stavolta era "Red si è dimenticato di mettersi l'intimo e purtroppo riceverà una secchiata d'acqua e si vedrà che non ce l'ha indosso". Bella roba, eh? La secchiata è stata rimpiazzata dal gavettone, chiedo umilmente perdono. Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia, chi l'ha inserita tra le proprie liste e chi l'ha recensita, naturalmente. Spero di essere all'altezza delle vostre aspettative, anche se questa fic non sarà sempre esclusivamente comica come appariva all'inizio. Ma non sarà mai neppure angst, quindi i lettori che non amano questo genere si tranquillizzino. E ora è giunto il momento dell'anticipazione. Ci leggiamo in giro! <3


Anticipazioni capitolo 3:
Green ascoltò il prolisso discorso in silenzio senza però capire nulla. Alla fine scosse lievemente la testa in segno di assenso, blaterando un ‘capisco’, più incuriosito dal contenuto del bicchiere che il fanciullo teneva in mano.
“Coca-cola invece della solita acqua liscia? Cosa ti è preso? Hai sconfitto il tuo terrore per le bollicine e l’acne?” Ghignò.
Ruby rivolse uno sguardo indecifrabile al recipiente ricolmo della bevanda gassata, strabuzzando gli occhi cremisi. “Oh!” Sbottò, piccato. “Non mi nominare quelle cose! Pensavo solo che una volta tanto potrei concedermela. E’ così buona…” Ammise, sognante.
“E poi oggi è un giorno di festa!” Si riprese rapidamente, innalzando il bicchiere e preparandosi ad un brindisi di cui Green faticava a spiegarsi la motivazione.
“Un… giorno di festa?” Il diciannovenne sbatté le folte ciglia chiare. “In che senso?”
“Come? Non avete visto tutte quelle recensioni positive sul concerto di ieri? Nonostante l’apparente fallimento, la critica ha apprezzato e ha giustificato attribuendo la colpa all’inesperienza!”
Green sorrise lievemente, senza scomporsi come al suo solito. “Sono contento che il concerto non sia stato così catastrofico per l’opinione pubblica, ma… per qualche motivo non riesco a trovare quelle recensioni così confortanti.”

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Capitolo 3
*** Effusioni in pubblico (non preparato psicologicamente) ***


Capitolo 3 – Effusioni in pubblico (non preparato psicologicamente)

 
 
 
 
Cosa mi è saltato in mente?
Green contemplò il nuovo livido che campeggiava sulla spalla sinistra, sfiorandolo pensierosamente con la punta del naso. La pelle tirava un poco, generando una sensazione di fastidioso indolenzimento.
In un flashback, rivisse il momento in cui se lo procurò. Era da allora che non faceva altro che ricordarlo nitidamente, rivivendolo più e più volte.
 
“Questo babbeo ha toccato Blue!” Urlò Silver, mentre Green tentava affannosamente di trattenere la sua ira distruttiva. Red, terrorizzato, non aveva ancora aperto gli occhi per accorgersi di chi era accorso in suo aiuto. Pur nella penombra, si poteva notare che il suo viso era stato martoriato da una scarica di pugni ed era imbrattato di sangue.
Il bassista si ritrovò a pregare, sorprendendosi di se stesso, che il naso del ragazzo non si fosse rotto. Si accorse solo in quel momento di quanto gli fosse sempre piaciuto, con quella punta fine e leggermente rivolta verso l’alto.
La sua distrazione poteva però costargli cara. Silver si divincolava energicamente, ben lungi dall’essere calmo. La sua forza era troppa per essere trattenuta da Green, solo contro la rabbia dirompente del sedicenne.
Vide Red accasciarsi come un arbusto morente contro il muro al quale era appoggiato e sentì in quel momento Silver che si rilassava tra le sue braccia, estinguendo gradualmente le proprie ire. Poteva avvertire il petto dell’adolescente gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente sotto i suoi arti ancora tesi per lo sforzo.
“Sei soddisfatto adesso?” Non si fidava ancora di rilasciare la presa, ma non poteva controllare le proprie dita che avevano iniziato, insidiose, a percorrere il torace del batterista.
“Lasciami andare.” Ribatté questi bruscamente, strattonando stancamente Green. “Non c’è soddisfazione a colpire un verme che non si difende e non reagisce. Ancor meno se il rifiuto umano in questione è a terra. Mi hai forse preso per un vigliacco?”
“Non l’ho mai detto.” Negò il bassista, pacato. “Lui però non si è difeso, eppure guarda come l’hai ridotto.”
Udì Silver digrignare violentemente i denti e lo lasciò scivolare via dalla sua presa, seppur riluttante.
“Lo stai forse difendendo?” Ansimò sprezzante il batterista, inarcando un sopracciglio e lasciandosi sfuggire una risatina sommessa e isterica. “Eppure ha fatto saltare il concerto. Non vorresti vederlo morto?”
“…no.” Ammise Green, avvertendo un leggero calore diffondersi sulle guance. Stava difendendo colui che aveva reso la loro serata la più disastrosa della loro carriera.
Purtroppo Blue era troppo giovane per mantenere una professionale indifferenza davanti a certi inconvenienti e continuare a cantare come se niente fosse accaduto. Senza contare quei suoi traumi personali che Silver conosceva senz’altro meglio di Green e che scatenavano la voglia morbosa del batterista di proteggere la frontwoman da fantomatici pericoli.
Cercando di ignorare l’odore di Silver - sudore e spinelli – che ancora impregnava le sue vesti, Green si inginocchiò davanti a Red. Aveva perso i sensi e forse aveva bisogno di un dottore, vista la cospicua quantità di sangue che aveva perduto. Nell’esaminare le ferite del povero malcapitato, il giovane si sentì pervadere da una rabbia cieca nei confronti del violento compagno.
“Hai forse intenzione di soccorrerlo? Ma lascialo perdere e torniamocene a casa.” Dichiarò questi freddamente, atono come in tutte le sue interviste, incrociando sotto al petto le braccia schizzate di sangue.
“Secondo me lui non ha rovinato intenzionalmente la serata. Deve essersi trattato di un incidente.”  Affermò Green, estraendo un fazzoletto per asciugare il sangue che colava copiosamente dal naso dell’infortunato.
“O magari era ubriaco fradicio, tutto bagnato com’era e col gingillo bello in vista.” Ribattendo così, Silver voltò le spalle al compagno, intenzionato a salire sulla loro macchina dai vetri oscurati per andare a confortare una Blue ancora molto scossa.
“Volavano gavettoni sotto al palco. Non dirmi che non li hai notati.” Scandì gelidamente Green, costringendo il sedicenne ad arrestarsi per assecondare un nuovo impeto d’ira.
Egli pestò il pavimento con rabbia, poggiando pesantemente una mano sulla spalla dell’altro ragazzo e stringendo piano la presa, con intento intimidatorio. La mancata reazione del più grande non lo scoraggiò.
“Vuoi a tutti i costi difendere questo tizio e insinuare che io abbia picchiato un innocente? Non sarà che questo idiota è la tua nuova fiamma, frocio?”
Il bassista non si offese per l’epiteto rivoltogli da Silver. Lo apostrofava sempre in quel modo, quando si arrabbiava con lui. Ciò che lo preoccupava era l’intuito del giovane batterista, più fine e penetrante di una lama sottilissima.
Avrebbe negato qualche attimo dopo ciò che il compagno, con una frase rabbiosa e azzardata, aveva indovinato.
 
“Mi sembri distratto.” Commentò Ruby, un ragazzo alto e smilzo sui quattordici anni, mentre versava nel proprio bicchiere della coca-cola spumeggiante.
Green gli rivolse un’occhiata disattenta, tacendo e impugnando un alto bicchiere di birra, senza ancora osare affondare le labbra nella densa schiuma bianca.
Si trovavano in un salotto dalle luci soffuse e dai divani morbidi e pieni di cuscini. Erano a casa di Blue, ma la sua non sembrava l’abitazione di una celebrità: non era altro che un alloggio di una famiglia di classe media. I genitori della cantante, poi, quella sera lavoravano, sebbene la loro figlia guadagnasse abbastanza da poterli far vivere di rendita.
“Ti stavo parlando del nuovo vestito di Sapphire. Lei dice che non vuole indossare gonne, ma io insisto sempre perché è un vero peccato!” Disse il ragazzino, iniziando a sorseggiare il liquido frizzante. “Ovviamente ho insistito io per comprarlo. Quanto si è lamentata! Alla fine ho pagato io e ho anche fatto il fattorino, pur di vederla ben curata per una volta! Dimmi se un ragazzo fine come me deve girare con una fidanzata tanto mascolina, che si presenta agli appuntamenti con la stessa tuta da ginnastica che usa all’allenamento di pallavolo!”
Green ascoltò il prolisso discorso in silenzio senza però capire nulla. Alla fine scosse lievemente la testa in segno di assenso, blaterando un ‘capisco’, più incuriosito dal contenuto del bicchiere che il fanciullo teneva in mano.
“Coca-cola invece della solita acqua liscia? Cosa ti è preso? Hai sconfitto il tuo terrore per le bollicine e l’acne?” Ghignò.
Ruby rivolse uno sguardo indecifrabile al recipiente ricolmo della bevanda gassata, strabuzzando gli occhi cremisi. “Oh!” Sbottò, piccato. “Non mi nominare quelle cose! Pensavo solo che una volta tanto potrei concedermela. E’ così buona…” Ammise, sognante.
“E poi oggi è un giorno di festa!” Si riprese rapidamente, innalzando il bicchiere e preparandosi ad un brindisi di cui Green faticava a spiegarsi la motivazione.
“Un… giorno di festa?” Il diciannovenne sbatté le folte ciglia chiare. “In che senso?”
“Come? Non avete visto tutte quelle recensioni positive sul concerto di ieri? Nonostante l’apparente fallimento, la critica ha apprezzato e ha giustificato attribuendo la colpa all’inesperienza!”
Green sorrise lievemente, senza scomporsi, come al suo solito. “Sono contento che il concerto non sia stato così catastrofico per l’opinione pubblica, ma… per qualche motivo non riesco a trovare quelle recensioni così confortanti.” Affermò morbidamente, accostando il proprio bicchiere alle labbra e socchiudendo gli occhi.
“Suono da diversi anni e mi piacerebbe che la critica riconosca la nostra professionalità. O almeno, se non quella di Blue, almeno la mia e quella di Silver.” La sua voce era un mormorio flebile, che portava con sé l’intenzione di farsi udire esclusivamente da Ruby.
Blue poteva essere nei paraggi e non era il caso di farsi udire mentre veniva espresso il fastidio suscitato dalla sua complessa personalità. Doveva sentirsi già sufficientemente colpevole per ciò che era successo la sera prima e sicuramente, conoscendo il suo modo intricato di pensare tipicamente donnesco, le recensioni positive non erano bastate per calmare la sua ansia. Non che Blue mostrasse frequentemente l’angoscia: aveva un notevole talento nel nasconderla dietro a quel sorriso allegro che i suoi fan adoravano.
“Ma siete giovani. C’è gente che suona da molti più anni di voi e combina disastri di ogni sorta! Non avete visto nulla.” Lo rassicurò sbrigativamente Ruby, leccandosi le labbra zuccherine, improvvisamente di nuovo preso dal discorso precedente a quello del concerto. “Ma non ti ho parlato del peggior difetto di Sapphire! Preferisce le canottiere ai reggiseni! Roba da matti, non trovi?” Iniziò all’improvviso, infervorato.
Green, considerando brevemente che la fidanzatina di Sapphire era poco più che una bambina e che quindi non era per forza di cose in possesso di un corpo curvilineo, concluse che l’eccitabilità del giovane amico fosse dovuta ad un eccesso di zuccheri nel sangue. La coca-cola sapeva davvero essere un’arma letale, rifletté infastidito.
Avrebbe voluto continuare a parlare del concerto, di quella stupenda condivisione del proprio mondo con le altre persone, che non potevano fare altro se non accoglierlo nel proprio cuore, assorbirlo e sentirlo parte di sé.
L’esibizione era un piccolo traguardo la cui buona riuscita costituiva la soddisfazione più grande. Green lo sapeva e, pur di salire su quel palco, era ben felice di condurre una feroce battaglia con la parte più riservata e timida di se stesso. Amava la sensazione di vittoria che stringeva al proprio petto mentre valicava gli scalini che lo avrebbero portato sotto ai riflettori, davanti agli occhi di un vasto pubblico che non osava giudicarlo, che non lo avrebbe cementificato sul posto con sguardi intrisi di scherno. Nei loro specchi scorgeva solo ammirazione e un riflesso accecante della propria stessa luce.
Green non era consapevole di essere così intimamente narcisista, di percepirsi come una meravigliosa farfalla racchiusa in uno sgradevole bozzolo. La sua opinione di sé era ingenuamente dualistica, la sua autostima assomigliava ad un’altalena cigolante e sospinta dal vento.
“Se non fossi omosessuale, Green, saresti davvero perfetto.” Una voce femminile lo schernì affettuosamente, distraendolo dai riflettori che si accendevano nella sua testa e dai fumogeni colorati che liberavano la propria essenza sul palco virtuale.
Blue si era sporta in avanti, appoggiandosi al retro della poltrona di Ruby, e i suoi lunghi capelli castani pendevano sulla testa del ragazzino, improvvisamente intento a spostarli, disgustato dall’inesistente possibilità che essi cadessero nel suo secondo bicchiere di coca-cola.
“Ragazza fastidiosa.” Borbottò Green, sinceramente seccato, accorgendosi distrattamente di aver vuotato metà del proprio boccale di birra. Per lui la presenza di Blue era sempre inopportuna, anche quando non avrebbe dovuto provocare alcuna noia. L’unico momento in cui sentiva trasporto e affetto nei confronti della coetanea era quando lei cantava con quella sua voce meravigliosa.
La giovane rise e nei suoi occhi color zaffiro brillò una scintilla allegra che Green trovò snervante. Se non fosse stato dotato di un carattere molto pacato, era sicuro che avrebbe mollato tutto durante la loro prima prova, quando si erano ritrovati a suonare insieme nel garage umidiccio della sua casa. Donne come Blue gli facevano venire il voltastomaco ed erano la principale causa della sua non troppo segreta omosessualità.
Continuava a chiedersi incessantemente come Silver potesse amarla con tanta disperazione, in una maniera esageratamente morbosa anche rispetto a certe persone ben più anziane e navigate di lui. Quel giovanotto aveva solo sedici anni, un cuore palpitante e Green alle sue spalle che sapeva di averne sempre bramato un pezzo.
Entrò proprio in quel momento Silver, con i suoi lunghi capelli rossi leggermente arruffati, i suoi occhi penetranti che si posavano con aria seria e critica sul bassista. Lo sguardo del ragazzo si dipingeva di felicità solo quando la figura di Blue appariva nel suo campo visivo e Green era ben consapevole di ciò, eppure non riusciva a smettere di seguirlo con l’espressione.
Quella sera le iridi del giovane erano più lustre e le guance apparivano meno scavate, imporporate com’erano. Blue accolse il compagno con un risolino di giubilo, gettandogli le braccia al collo per assaporargli le labbra invitanti – Green pensava che sapessero di alcol ed era infastidito dall’idea di non poter controllare di persona se la sua supposizione fosse esatta. Distolse vistosamente lo sguardo dalla coppia intenta a scambiarsi effusioni, accorgendosi che non si sarebbe mai abituato completamente a quelle scene.
Ruby rivolse loro uno sguardo, accompagnato da un sorrisetto di approvazione che apriva ferite nell’intimo di Green. Bruciavano come l’inferno, gli ricordavano umiliandolo come l’immagine di Silver non potesse svanire, come i suoi colori si ravvivassero ad ogni goccia di sangue versata.
Gettò la testa all’indietro e bevve ciò che era rimasto. Gli ultimi sorsi di birra svanirono dal recipiente come se si fossero trovati in prossimità di un imbuto pronto a ghermirli.
Non si accorse che Blue lo stava fissando con interesse e, quando il bicchiere tra le sue mani fu vuoto, un lieve capogiro gli impedì di capacitarsene.
La ragazza, col volto dipinto di un’espressione furba, si avvicinò a Green, scansando un ignaro Ruby che sorseggiava lentamente la sua coca-cola e si interrompeva con frequenza snervante per scrutare furtivamente il contenuto  del suo boccale.
Silver era rimasto indietro. I suoi occhi, annebbiati e smarriti, dardeggiavano tra i presenti senza veramente far caso alle loro presenze e identità. Green, spudoratamente, lo guardava. Non si premurava più di nascondere il proprio desiderio per quel giovinetto irraggiungibile, sperava anzi di vederlo imbizzarrirsi come di solito faceva quando eccedeva con l’alcol – non lo reggeva e non avrebbe neanche potuto assumerlo, vista la sua età troppo giovane. Gli piaceva quando Silver diventava indomabile e scatenava putiferi: dopo averlo visto in quelle condizioni, non gli riusciva neppure fastidioso riassettare tutto il disordine generato.
“Green, stasera voglio divertirmi.” Sillabò Blue, sporgendosi con una sensualità che avrebbe fatto il suo effetto su chiunque non avesse risposto al nome di ‘Green’.
Il ragazzo si rese conto di avere impresso sul volto un sorriso ebete quando si ritrovò costretto a spegnerlo davanti alla visione della cantante, che non si sarebbe certo potuta definire angelica, specie in quell’istante.
“Voglio vederti pomiciare selvaggiamente. Pensi di esserne capace?” Mai quella voce ridanciana parve a Green tanto perversa.
“Se vuoi una pomiciata con me, la mia risposta è inevitabilmente no, sottospecie di seccatura ambulante. Vai a giocare con Silver.” Disse, in un’imitazione quasi impeccabile del se stesso sobrio.
Blue congiunse le mani, intrecciando le sottili dita bianche e sgranando i grandi occhi luminosi e contornati di ciglia ricurve.
“Oh, Green! Non fare il difficile! Per me sono state giornate davvero terribili! Vuoi negarmi questo sfizio?” Piagnucolò, pur prevedendo che la sua scenata pietosa avrebbe smosso unicamente un sopracciglio del freddo bassista.
Così accadde e, anzi, Green decise di sbilanciarsi serrando addirittura le labbra con irritazione, prima di dischiuderle per spiccicare altre frasi biascicate. “Il problema sta nella richiesta. Tra tutte le cose che potevi chiedermi, proprio quella di baciare te…?”
Vide Blue sobbalzare come scottata. Passata la fase iniziale di sgomento, scoppiò in una risata spropositatamente alta e fastidiosa per l’udito alterato di Green. Lui arricciò il naso, stizzito, con un movimento che assomigliava ad un tic nervoso.
Tu baciare me?” Trillò lei, ricomponendosi e recuperando il ritmo ordinario della propria respirazione. “Io parlavo di Silver! Per una donna, vedere due ragazzi carini in atteggiamenti teneri è molto stimolante.”
Per una volta, le parole di Blue non gli parvero affatto irritanti e sgradevoli. Il rossore ebbro sulle guance di Green divenne più ardente, mentre Ruby appariva evidentemente scombussolato e sotto shock nell’immaginare la proposta della cantante diventare realtà – si era anche sbrodolato un po’ di coca-cola sulla camicia e, incredibilmente, non si interessava di averla sporcata, quando di solito avrebbe messo tutti i presenti al corrente della figuraccia, dandosi rumorosamente dell’imbecille per aver rovinato il meraviglioso candore del capo d’abbigliamento e dirigendosi verso il bagno travolgendo qualunque ostacolo, intento in una corsa paragonabile a quella di un bisonte in fuga.
Silver era l’unico abbastanza intontito da non accorgersi delle macchinazioni della sua ragazza che, tralasciando ogni traccia di possessività, era disposta a cederlo alle grinfie di Green pur di godersi una scena piacevole.
Le mani di Blue si posarono sui fianchi del batterista, sospingendolo con delicatezza verso il divano sul quale giaceva stravaccato il compagno più anziano. Uno strattone più forte lo fece cadere senza grazia sulle gambe di Green e Silver neppure se ne sorprese; doveva aver davvero assorbito alcol in quantità esagerata.
I capelli di fuoco del giovane lambirono la fronte del bassista e per lui fu troppo. Neppure l’orgoglio poteva sconfiggere il desiderio, talmente forte da uccidere la replica pronta sulla punta della sua lingua.
Ruby ebbe il buonsenso di posare il bicchiere, accorgendosi che le sue povere mani avevano preso a tremare, consapevoli dell’imminenza della scena tanto temuta.
La bocca di Silver si dischiuse, alitando un leggero fiato alcolico sulla pelle di Green. Non se ne preoccupò; non lui, impegnato com’era ad indirizzare, tra i denti del compagno, la lingua che procacciava la sua gemella. Aveva sognato tante volte la risposta a quel bacio ardente e l’aveva ricevuta proprio come nelle proprie dimensioni oniriche. Era più incoerente, erratica, ma ugualmente perfetta ed eccitante.
Assetato degli effluvi alcolici della bocca di Silver, li assorbiva e si sentiva sempre più brillo in ogni istante trascorso, mentre tutti i ricordi e le nobili motivazioni che avevano trasformato il ragazzo avvinghiato a lui nel suo primo amore si obliavano, diventavano confusi, lasciando spazio solo a quella forza animalesca che lo spingeva a muoversi e a chiedere di più.
“Dal primo momento in cui l’ho visto, anni fa, ho sentito distintamente i miei occhi incatenarsi ai suoi.”
Le mani massaggiavano le mascelle, poi la nuca, saggiando l’energia che Silver impiegava a rispondere ai suoi baci e ai suoi piccoli morsi vogliosi. Il ringhio che emerse dalle viscere del più giovane era espressione pura del suo apprezzamento.
“Sei in grado di capirmi a fondo. Non pensavo che avrei trovato un essere umano così affine a me.”
Green si ritrovò sopra di lui, senza sorprendersi della propria voglia di imporsi. La sua bocca aveva lasciato le labbra di Silver gonfie di baci, dischiuse per il fiato ancora mozzato. Si serrarono per soffocare un mugugno sorpreso, quando le mani di Green affondarono sotto le vesti del più giovane, mentre i denti del diciannovenne sfioravano la giugulare immacolata, intenti in una tortura che minacciava piccoli morsi che non osavano davvero imprimersi.
“Anche tu vieni qui al cimitero per onorare la memoria di tua madre? Io non me la ricordo perché ero troppo piccolo, ma sono sicuro che fosse più gentile di mio padre.”
Avvinghiato a lui, poteva sentire il suo cuore tambureggiare frenetico. Non avrebbe mai dimenticando quanto, in quel momento, si sentiva pronto a fare un salto nel vuoto per diventare una cosa sola con una persona ancor più inebetita di lui. Quei tocchi erano solo corpi che si sfregavano con urgenza, con i vestiti molesti ancora appiccicati addosso. I loro suoni gli ricordavano, distorti, il crepitare di fiamme. Green sentiva quella situazione, la ascoltava beandosene come se si fosse trattato della musica più bella mai composta.
“Stai davvero… piangendo?”
Un battito di mani lo riscosse e la faccia di Blue si avvicinò alle loro.
“State andando un po’ oltre, ragazzi.” Sorrise lei, nascondendo una punta di nervosismo in un mare di compiaciuto e sincero rossore.
Green sentì il corpo di Silver scivolare via, lontano dal proprio. Confuso e perplesso, sollevò una mano: sembrava una muta preghiera, una richiesta di lasciarlo ancora un po’ così, a crogiolarsi in quell’effimera realizzazione di un sogno impossibile.
Ruby, abbarbicato alla sua poltrona, era sconvolto e il suo colorito era più bluastro che rosso.
“Avrebbero fatto qualcosa di indecente…” Mormorò con un filo di voce. “Continuando così… avrebbero davvero combinato qualcosa di… di…” Le parole smisero di affiorare alle labbra, lasciandolo senza fiato.
La camicia che originariamente doveva essere candida era ancora sporca di coca-cola e ignorata dal suo precisissimo proprietario. Anche il bicchiere della bevanda era stato dimenticato sul tavolino, senza più bollicine ad affiorare sulla superficie scura.
Green non lo guardò. Conosceva quel ragazzino da quando era nato – suo nonno era molto legato al padre di Ruby – e, in condizioni normali, avrebbe potuto affermare di essergli assai affezionato. Eppure, in quell’istante, non riusciva a vedere altro se non ciò che gli era stato appena tolto.
Nella propria confusione non era più in grado di rievocare l’ardente contatto che si era consumato fino a poco prima. Era incapace di crogiolarsi in quel piacere appena vissuto, pensava solo alla maniera in cui gli era stato sottratto e alla consapevolezza del fatto che non sarebbe mai più tornato tra le sue braccia.
Osservò, con occhi che pizzicavano e si inumidivano, Blue che trascinava Silver verso la propria camera da letto. Era sempre più lontano e svaniva in quella penombra. Non aveva mai odiato la cantante così ciecamente come in quell’istante di folle e totale smarrimento.
“…Green?” Lo chiamò Ruby con voce flebile; lentamente si stava riprendendo dall’esperienza traumatica.
Green puntò i propri occhi verdi sul viso del ragazzino, senza però vederlo davvero.
Stai davvero… piangendo?
Quel tono e quella frase erano maledettamente simili a quel giorno in cui il suo sentimento era venuto alla luce, tanto inequivocabile da ferirlo e straziarlo, per la prima volta. Anche in quella situazione era stato lui a non riuscire a celare le lacrime.
Detestò anche Ruby per avergli ricordato la sua debolezza, la sua mancata virilità. Non si perdonò di quello che era diventato in quel momento.
Green era ubriaco, stupido, disperato. Singhiozzava, addirittura. Tratteneva gemiti che l’avrebbero lasciato inerme, palesando i suoi sentimenti ad un pubblico troppo incredulo e psicologicamente impreparato che si rifiutava di estrapolare una verità tanto evidente quanto inaccettabile come un sentimento sempre nascosto e mai sopito.





Note: Boh, 'sto capitolo è sinceramente boh. Ho deciso di scrivere Some Dirty Secrets come mi capitava, lasciandomi guidare solo dai sentimenti. Ho maltrattato molto la OldRival e ho scritto un capitolo quasi angst sulla Secondary, che ho comunque definito con coordinate piuttosto vaghe e, dato che io ho invece un'idea del loro rapporto piuttosto definita, starei pensando a come potrei approfondire, se nei prossimi capitoli o in qualche raccoltina extra in cui io possa sforare più nell'angst. Penso che il mio stile stia cambiando e spero che ciò non indispettisca nessuno. Il plot era "Ruby assiste ad una scena hot tra Silver e Green". Beh, vi ringrazio per avere letto anche questo capitolo! Per gli insulti, aprite pure la pagina delle recensioni. <3 



Anticipazioni extra 1:
Non stava andando bene come si aspettava e lo considerava molto strano: si credeva un fuoriclasse del Poker pur avendoci giocato solo da bambino ed era stata la sua boria ad averlo spinto a proporre la variante Strip per movimentare la serata. Era sicuro che avrebbe vinto e che avrebbe denudato tutti gli altri presenti.
A giocarci tra maschi non c’era però niente di imbarazzante, anche se Adriano non avrebbe gradito l’idea di rimanere in mutande; sarebbe stato troppo poco signorile da parte sua, soprattutto di fronte ad un suo attuale studente. Senza contare che non ricordava neanche quale biancheria si fosse messo addosso.
Doveva concentrarsi su quella mano, al fine di proteggere i suoi bei pantaloni di raffinato velluto. Maledisse il fatto che in casa di Lance non si potesse entrare con le scarpe, perché in quel modo avrebbe avuto più indumenti per fare la puntata.

 

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Capitolo 4
*** Mostraci le mutande, Prof! [extra] ***


Extra 1 – Mostraci le mutande, Prof!
 
 
 
 
Adriano Sootopolis era l’unico essere umano consapevole della propria fascinosa aura di mistero, il che significava semplicemente che il narcisismo di cui soffriva lo portava ad immaginarsela.
Era certo di saper nascondere i propri sentimenti al meglio, di avere un viso bellissimo quanto imperturbabile. Avrebbe potuto giocarsi quelle sue babbucce ortopediche che spacciava per eleganti scarpe d’alta manifattura: qualunque donna avrebbe venduto l’anima al demonio pur di sfiorare un angelo divino come lui.
L’importante era esserne convinti. Soprattutto in quel tremendo momento, in cui Adriano faceva una certa fatica a ricordarsi quanto fosse figo.
Il suo nervosismo era, giustappunto, perfettamente leggibile sul volto slavato. Quella serata si stava rivelando come una serie di fallimenti in fila. Non aveva tempo per accusare un duro colpo che già iniziava a presentirne un altro, inevitabile.
Le mani sudaticce reggevano un mucchietto di cinque carte che l’ansia di Sootopolis, nonostante fossero plastificate, era riuscita a spiegazzare. La sua bocca si dischiudeva, sussurrava qualcosa che risultava inudibile pure a chi pronunciava.
Non poteva fare nulla, tra le sue mani non c’erano combinazioni sufficienti a salvarlo e gli altri presenti se n’erano resi conto. Tentò di dissimulare la vergogna, ma chiunque avrebbe detto che non ci stesse neanche provando, dal momento che la tensione sul suo viso livido era rimasta tale e quale a prima.
Coincise con la perdita delle speranze un viaggio mentale nel tempo a ritroso. Avrebbe maledetto tutto di quella serata.
Avrebbe voluto mutilare la mano che aveva alzato la cornetta qualche ora prima, soffocare quella voce altezzosa che era fuoriuscita dalla sua canna nell’atto di rispondere. Si chiese perché non avesse lasciato la lussuosa e scattante Geneviève – questo era il soprannome che usava per riferirsi alla propria Porsche – a riposare in pace nel suo accogliente garage, invece di scomodare il motore ben oliato per raggiungere quella sottospecie di patibolo che era diventata la casa di Lance Blackthorn dopo il nefasto crepuscolo di quel tremendo dì.
Adriano non voleva mai impararlo, per quanto le circostanze cercassero di inculcarlo in quella testa dura e densa come il marmo: non ricordava mai cosa significasse avere a che fare con un membro qualsiasi della famiglia Blackthorn. Quel cognome era sinonimo di ‘guai’. Lo ricordò solo in quel momento; se darsi dell’idiota fosse stato nel suo stile, il giovane professore l’avrebbe fatto senza pensarci due volte.
Per carità, il già menzionato Lance Blackthorn sapeva essere una persona squisita almeno quanto i suoi manicaretti, preparati con fantasia, meticolosità ed un grembiulino rosa di Barbie allacciato alla vita – perché era veramente così, sul panno era stampato persino il sorriso di plastica di Ken.
Nonostante l’ospitalità, la casa ordinata, il giardinetto fiorito osservabile dalla finestra, Lance era un tipo formale, serio e addirittura sinistro. La sua voce non tradiva emozioni, anche se Adriano credeva di averlo visto sussultare leggermente dopo aver udito la proposta di giocare a Strip Poker.
Il padrone di casa non rispondeva mai ‘no’, nonostante tutto. Si era seduto per terra – dopo essersi messo un cuscino roseo sotto al sedere – insieme agli altri, incrociando le gambe e mostrando a tutti i calzini bianchi e puliti - com’era lecito aspettarsi, dal momento che neanche un singolo granello di polvere aveva il permesso di appoggiarsi sulle superfici di quella casa.
Adriano aveva già percepito, sin dall’inizio, brividi di nervosismo insediarsi sottopelle. Non aveva interpretato come buon segno l’assenza di Red. Non gli passò per la mente il fatto che il diciannovenne potesse non essere stato invitato. In fondo, non lo aveva visto all’ultima lezione che aveva tenuto per le matricole – e questo già lo aveva allarmato alquanto.
Aveva scorto la capigliatura di Green, ma da un po’ di tempo la presenza del celebre bassista non lo emozionava più. Anche ora era presente, nonostante i suoi impegni fossero sicuramente numerosi; era lui in carne ed ossa, seduto assieme agli altri, attendendo di giocare a Strip Poker e guardando pazientemente Pino che, invece di mescolare le carte, le usava per esibirsi in alcune acrobazie che assomigliavano a giochi di prestigio.
Più Adriano osservava Green, più egli diventava ordinario ai suoi occhi. Anche quella volta non gli aveva concesso più attenzioni di quelle che avrebbe riservato ad una pallida imitazione. Non scorgeva più la bellezza ineffabile che lo aveva lasciato senza fiato nel vederlo dal vivo per la prima volta.
Il giovane professore si era addirittura convinto di essere più attraente: il suo splendido aspetto abbagliava sempre, indipendentemente dal tempo che trascorreva. Anche se quella era una serata tra soli uomini – forse, perché il dubbio sorgeva inevitabilmente quando si scorgeva Pino -, si sentiva addosso gli sguardi adoranti di tutti i presenti.
Ma, come già affermato in precedenza, l’importante era esserne convinti.
Pino, dopo aver riso alla grande dei primi accenni d’impazienza di Green – nonostante fosse un grande ammiratore del bassista, non riusciva a resistere alla tentazione di urtargli il sistema nervoso come faceva sempre con tutti gli esseri viventi -, aveva iniziato a distribuire le carte per i quattro giocatori, dando inizio all’accesa sfida.
Lance non era affatto bravo, ma ad aiutarlo c’era una fortuna sfacciata: alla prima mano buttò giù l’intero mazzetto che teneva, convinto di non avere alcuna combinazione, mentre invece disponeva sin dall’inizio di una Scala Colore senza aver cambiato neanche una carta.
Adriano si accorse con orrore di non avere più la camicia indosso, quando riemerse dai propri pensieri. Se l’era tolta sovrappensiero oppure qualcuno l’aveva spogliato di propria iniziativa? In effetti, riacquisendo il contatto con la realtà, ricordava vagamente di aver puntato l’indumento su una misera Coppia.
Non stava andando bene come si aspettava e lo considerava molto strano: si credeva un fuoriclasse del Poker pur avendoci giocato solo da bambino ed era stata la sua boria ad averlo spinto a proporre la variante Strip per movimentare la serata. Era sicuro che avrebbe vinto e che avrebbe denudato tutti gli altri presenti.
A giocarci tra maschi non c’era però niente di imbarazzante, anche se Adriano non avrebbe gradito l’idea di rimanere in mutande; sarebbe stato troppo poco signorile da parte sua, soprattutto di fronte ad un suo attuale studente. Senza contare che non ricordava neanche quale biancheria si fosse messo addosso.
Doveva concentrarsi su quella mano, al fine di proteggere i suoi bei pantaloni di raffinato velluto. Maledisse il fatto che in casa di Lance non si potesse entrare con le scarpe, perché in quel modo avrebbe avuto più indumenti per fare la puntata.
Scrutò le carte pescate. Cinque di cuori. Sei di quadri. Sette di fiori. Due di cuori. Due di picche. Un inizio ben poco incoraggiante, dal momento che tra le sue dita spiccava solo una Coppia, dal valore molto basso per di più. Avrebbe dovuto accettare ogni occasione per incrementarla.
“Ho qualcosa di immenso” disse Pino, con voce modulata dalla malizia.
Ognuno dei presenti iniziò a fremere interiormente. Dunque, se ciò che diceva era la pura verità, avrebbero dovuto tutti impegnarsi al massimo per quella mano, altrimenti arrivederci braghe care.
Il professore sentiva la disperazione attanagliargli il petto nel constatare che nessuno aveva intenzione di arrendersi, tutti motivatissimi da una questione del decoro personale o probabilmente, a giudicare dalle occhiate a lui indirizzate, dalla ferma intenzione di lasciare un autorevole professore in mutande. Erano tutti invidiosi della sua figura distinta, ha! Persino Green lo era, evidentemente, e ciò non faceva che confermare – secondo lui – quanto quel musicista fosse più sfigato del suo docente, a conti fatti.
Nonostante i suoi inconfessabili vaneggiamenti, non perse affatto la concentrazione nell’effettuare i cambi con le carte.
Nella sua testa si affollavano immagini di quei giovinastri ingenui che allestivano coretti di ‘mostraci le mutande, Prof!’, rimanendo in seguito ammutoliti dalla dignità con la quale Sootopolis sottostava alla penitenza, stagliandosi di fronte a loro e mettendo in mostra la sua grande e gloriosa patta – secondo lui lo era, ma in realtà non poteva saperlo dal momento che si era sempre considerato troppo serio per partecipare a confronti e gare di misure.
Poi li avrebbe anche terrorizzati con un inquietante sorriso sulle labbra, minacciando Green di non fargli passare l’esame di Storia dell’Arte, di denunciare la cugina di Lance per i suoi atti terroristici alle automobili altrui e, per quanto riguardava Pino…
Be’, avrebbe potuto inventare una menzogna da spacciare per vera alla prossima lezione, tutto ciò al fine di screditarlo. Magari sarebbe stato esilarante se l’avesse paragonato ad una statua greca, ma non certo per la bellezza e la perfezione, quanto per le ridottissime dimensioni dei suoi gioielli di famiglia. Oh, sì, gli pareva un’idea geniale. Sicuramente gli alunni ci avrebbero creduto ad occhi chiusi, vista l’evidente androginia della vittima di quello scherno – ma non gli venne in mente che i ragazzi avrebbero molto più probabilmente cominciato a raccontarsi storie nelle quali Pino era l’amante del professore e quest’ultimo lo stava diffamando per vendicarsi dell’onta di essere stato scaricato.
Nel frattempo, nelle sue mani si erano rincorse diverse carte.
Due di cuori. Due di picche. Due di fiori. Sette di fiori. Sei di quadri.
Tris. Ma ancora era troppo presto per tirare sospiri confortati e noncuranti. Tutti erano focalizzati sulle proprie carte e la partita era ben lungi dall’essere conclusa.
Nessuno osava demordere, nonostante a Sootopolis sembrasse di riuscire ad udire il gocciolio di rivoli di sudore che percorrevano le tempie degli altri giocatori. E lui? Lui non sudava affatto, era troppo stoico e cool per mostrare nervosismo – in realtà era il più teso di tutti e il motivo per cui il suo viso non mostrava segni di traspirazione era nient’altro che il freddo che aveva cominciato ad avvertire dopo essere rimasto a torso nudo.
Il gioco proseguì per altri turni, finché il sorriso del docente non si allargò e lui non dichiarò conclusa la propria mano.
Due di cuori. Due di picche. Due di fiori. Sette di fiori. Sette di quadri.
Full. Era assai difficile ottenere combinazioni più alte. Dunque i suoi pantaloni erano salvi e il suo sollievo fu notato dai presenti che, tuttavia, rimasero concentrati sul gioco fino alla resa dei conti.
Lance, naturalmente, aveva posato le proprie carte piuttosto presto, borbottando un atono ‘ci rinuncio’. Gli altri controllarono e, senza stupirsi, constatarono che aveva una maledetta Scala Colore.
Continuando sin dall’inizio ad essere testimoni di scenate simili da parte del padrone di casa, non erano ancora riusciti a privarlo neanche di un calzino. Sootopolis cominciò a chiedersi se non sarebbe stato meglio, in caso di sconfitta, diffondere una voce secondo la quale i membri della famiglia Blackthorn erano dei mostri o dei vampiri dotati di arcani poteri paranormali. Se non gli avessero dato credito, la sfacciata e inarrestabile fortuna di Lance sarebbe stata la prova inconfutabile.
Pino teneva tra le mani uno splendido Poker d’assi e dichiarò di averlo posseduto sin dall’inizio e di aver scambiato sempre la stessa carta ad ogni turno. “Mica stavo bluffando” affermò. “Siete stati proprio svegli a credermi, ma i vostri sforzi sono stati sicuramente inutili”.
Mancava solo Green. Sootopolis, nonostante il gelo che gli penetrava le ossa, iniziò a sudare freddo. Era impossibile che anche lui lo sconfiggesse. Quante probabilità ci sarebbero state? Una su un miliardo?
“Full” dichiarò nervosamente Green, posando a terra le proprie carte scoperte. Gli occhi del docente scattarono immediatamente ad effettuare un’attenta scansione di ciò che era stato appena posto alla sua attenzione.
Tre di cuori. Tre di quadri. Tre di picche. Sei di cuori. Sei di picche.
Non era ancora finita.
“Dai, professore! Mostraci la tua Scala Reale!” Così rise Pino, mirando malvagiamente a renderlo più nervoso di quanto già non fosse.
Ora Sootopolis cominciava anche a sentire una tensione alla vescica. Doveva calmarsi, poteva ancora essere Green lo sconfitto, non era detta l’ultima parola. Si lasciò cadere le carte dalle mani, rivoltate in modo che tutti potessero vederle. “Full.”
Gli altri iniziarono avidamente a sommare i valori. ‘Fa ventidue’, ‘ma che dici, asino’.
“Fa venti” comunicò Pino infine, dopo un’estenuante discussione ingiustificabilmente interminabile. Sootopolis sapeva che avrebbe dovuto attendere la stessa infinità di tempo, prima di ottenere quell’ansiogeno verdetto anche dalla parte di Green.
Se possibile, il conteggio durò anche di più. Ma che, lo facevano apposta?
Finalmente Pino gli rivolse lo sguardo, scuotendo il capo con un sorriso fintamente dispiaciuto.
Il fiato parve solidificarsi e coagulare nella gola del giovane professore.
“Ventuno.”
Era finita. Addio pantaloni, addio reputazione.
Magari avrebbero pensato che aveva certe gambe pelose che neanche una scimmia avrebbe potuto competergli, oppure avrebbero stabilito che possedeva dei piedi enormi e gli avrebbero affibbiato un simpatico soprannome come ‘Big Foot’, oppure ‘Yeti’. E quegli appellativi li avrebbe uditi per tutto l’istituto, già se li sentiva in testa.
Ma… un attimo! Poteva ancora contare sulla potenza incontrastabile e strabordante del proprio membro! Giusto, li avrebbe stupiti tutti come nella sua precedente fantasia, lasciandoli ammutoliti e guadagnandosi nomignoli molto lusinghieri come ‘Stallone’ oppure addirittura ‘Adriano Siffredi’!
Nessuna esitazione: doveva togliersi i pantaloni con nonchalance, dimostrando a tutti che non si vergognava affatto all’idea di rimanere in mutande, perché non aveva assolutamente nulla da celare agli occhi altrui.
Guardatemi tutti e stupitevi, stronzetti. Adesso vi minaccerò ad uno ad uno, quindi tremate!
Vide Lance e Green ammutolirsi e sbiancare, esterrefatti, mentre Pino congiungeva le mani e una luce deliziata ingigantiva i suoi occhi. Ma guardalo. Pensò Sootopolis, trionfante e tronfio. Allora è davvero gay.
…ma magari.
“Che mutande stupende!” Esalò subito il ventiduenne, incapace di trattenere la meraviglia, guastando rovinosamente la festa del professore. “Dove le ha comprate?”
“Ma come fai a dire una cosa del genere?” Sbottò Green, coprendosi gli occhi. “Sono micidiali, sapessi quanto sono scandalizzato!”
Sootopolis comprese che il suo piano era fallito. Poteva dare il proprio addio a quel mondo crudele, dato che da quel momento la sua esistenza era irrimediabilmente rovinata. Prima di cercare un nascondiglio da popolare in eterno per nascondersi dall’altrui scherno, tuttavia, gli rimase la curiosità di controllare quali mutande avessero sollevato quelle loro dispute.
Abbassò lentamente gli occhi sugli slip, scoprendosi indosso un capo di biancheria decisamente poco bianca. Conteneva anzi tutti i colori, esasperati ed esaltati da una tinta fotonica – simile a quella degli evidenziatori, per comprendere meglio – che ravvivava un motivo a scacchi. L’effetto era, persino per un soggetto come Sootopolis, quello di un pugno in un occhio assestato da un peso massimo della boxe.
Il fatto che quella fantasia piacesse tanto a Pino Mahogany non era per nulla rassicurante.
“Perché diamine Alice non ha ancora buttato via questa roba?!”
Alice, dato che senza alcun dubbio non lo immaginate neppure, era sua moglie. Ma non c’era scusa che reggesse abbastanza.
Questa è la storia vera grazie alla quale si diffusero i celebri nomignoli del professore associato Adriano Sootopolis in tutto il polo universitario, insegnanti compresi. Nomignoli che il docente non gradì affatto, ma che lo resero inaspettatamente più simpatico agli studenti.
Ma del resto, come avrebbe potuto un tipo come lui scorgere i lati positivi della questione, sentendosi continuamente nominare con appellativi quali ‘Pagliaccio’ e, soprattutto, il temutissimo ‘Paxxerello’?





Note: Dopo tanto tempo, torna anche questa serie... e ne sono molto felice, quindi spero che lo siate anche voi che la seguivate e... perché no, anche qualche nuovo lettore! Mi dispiace di essermi fatta attendere così tanto! Bè, avevo detto su ask di avere completato questo capitolo da ormai molto tempo e, sinceramente, mi dispiace lasciarlo là a fare la muffa. I capitoli extra sono un po' delle aggiunte, poco utili ai fini della trama (alcuni addirittura sono spin-off e ne pubblicherò uno ogni tre capitoli normali). Comunque sono cose un po' strampalate come avrete visto da questo capitolo, collocate normalmente nella linea temporale (infatti questo capitolo è successivo al terzo e antecedente al quarto). Spero che vi abbia divertito come mi ha divertito scriverlo! Vi lascio all'anteprima. <3

 
Anticipazioni capitolo 4:
Tutti coloro che lo circondavano erano consapevoli che avesse qualcosa da nascondere, che in realtà una grossa fetta del suo essere fosse in ombra. Del resto, quel giovane non parlava quasi mai: studiava e nessuno alla sede universitaria l’aveva mai notato a fare dell’altro.
No, in realtà l’avevano visto declinare con gelida educazione alcuni inviti da parte delle ragazze. Si speculava che fosse un androide e, di conseguenza, la cugina Sandra sarebbe stata un macchinario bellico trapiantato in università – queste erano le voci che cercava di seminare Pino Mahogany.
Ma era perfettamente umano, lui. Era fatto di carne, ossa, muscoli e anche di un sottilissimo filo di pancetta ben nascosta sotto i vestiti.
Ma allora chi diavolo era Lance Blackthorn?!

 

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