Al calare della notte

di Filakes
(/viewuser.php?uid=174435)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo



  La stanza in cui si trovava era buia, priva di ogni forma e dimensione, illuminata solo dalla luce soffusa di una candela. Il silenzio attorno a lei era assordante. Si guardò attorno smarrita: cosa ci faceva lì? Per quanto si sforzasse di ricordare, la sua mente rimaneva fastidiosamente ingarbugliata. Avanzò alcuni passi incerti, c’era qualcosa di strano: era tutto così reale ed irreale al tempo stesso. Un odore acre e pungente iniziò riempire l’aria nella stanza, fastidioso e nauseante. La ragazza portò le mani a proteggere il volto da quella puzza ma si bloccò terrorizzata: le sue mani tremanti erano impregniate di sangue, che gocciolava ritmicamente sul pavimento.
Il cuore accelerò i battiti, da dove poteva provenire quel sangue? Lei stava bene, non poteva essere ferita, non sentiva alcun dolore. Si guardò intorno, cercandone la fonte, il respiro affrettato dalla paura.
Grazie alla luce della candela, intravide una strisciata di sangue sul pavimento. La seguì affrettando il passo, doveva aiutare chiunque fosse ferito, sempre che fosse ancora possibile.
Scorse la gamba di un essere umano e vi si avvicinò cauta, deglutendo a fatica.
- Si sente bene?
Domandò con la voce che incespicava per la paura, chinandosi sul corpo avvolto nell’oscurità della stanza.
Il corpo era di una donna, anche se nel buio la ragazza faticava a scorgerne il volto.
- Signora? Mi sente?
Con le mani impacciate dal tremore, cinse le spalle della donna e ne fece affiorare il viso alla luce della candela.
La ragazza urlò e scattò in piedi: la donna priva di vita aveva il suo volto, era lei.
Indietreggiò terrorizzata e andò a sbattere contro un oggetto, si voltò di colpo. C’era uno specchio che oscillava vistosamente, appoggiato precariamente alla parete, ma l’immagine che rifletteva non era la sua, bensì quella di una ragazza con i suoi stessi tratti, ma con lunghi capelli rossi e occhi neri come la pece, completamente coperta di sangue. Lo specchio cadde e si infranse in mille pezzi di vetro.
 
  Erica si svegliò di colpo, sudata, era stato solo un incubo. Si alzò dal letto, appoggiando cautamente i piedi sul parquet freddo e accese la luce della stanza. Aspettò che i suoi occhi si abituassero alla luce improvvisa della stanza, poi si guardò allo specchio: era sempre lei, con i soliti capelli castani e gli occhi nocciola.
Sospirò di sollievo e tornò a dormire, più tranquilla.
 

  Un uomo, poco distante dalla casa della ragazza, compose un numero sul telefonino.
- Signore, l’abbiamo trovata.
- Ottimo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I


  L’irritante frastuono della sveglia ridestò Erica dal sonno. Cercò goffamente il cellulare sotto il letto e dopo averlo afferrato, schiacciò a caso i tasti, finché quell'orrendo fracasso finì. Si mise a sedere sul letto, innervosita da quella che un tempo era la sua canzone preferita. Non avrei dovuto metterla come sveglia, pensò con rammarico, alzandosi dal letto.
Dopo aver ingollato velocemente la colazione e aver infilato i libri in fretta e furia nello zaino, uscì di casa, salutando rapidamente i suoi famigliari. Si affrettò a raggiungere la scuola che frequentava, in ansia per la verifica che l’attendeva alla prima ora. Durante il breve tragitto che doveva percorrere, sentì più volte la sensazione di essere osservata, ma ogni volta che si voltava, non notava alcunché di strano. Passò accanto alla vetrina di un negozio e sentì un brivido percorrerle la schiena, si girò e spalancò gli occhi, spaventata. Si era dimenticata dell’incubo della notte prima, finché non si era accorta che il vetro non rifletteva la sua immagine, ma quella della ragazza dai capelli rossi. Si strofinò con impeto le palpebre, e riaprì gli occhi: questa volta il volto riflesso era suo. Sarà stata la mia immaginazione, pensò tra sé, evitando però di guardare le vetrine successive, per sicurezza.
Un’ora dopo era appoggiata al banco con la fronte premunta sul palmo della mano destra. Aveva finito la verifica e stava cercando di ricontrollarla, ma le immagini dell’incubo riemergevano fastidiose nella sua mente. Alla fine, capendo che non avrebbe combinato molto altro, Erica si decise a consegnare il compito e, una volta tornata al suo posto, incrociò le braccia e vi appoggiò la testa. 
I sogni e gli incubi devono avere un significato, rimuginò pensierosa. Quando qualcosa l’appassionava, la sognava di notte e allo stesso modo, se qualcosa la preoccupava, Erica era certa di vederla materializzare nei suoi incubi. Ma cosa poteva preoccuparla tanto da farle fare un tale incubo?
All’intervallo ne parlò con Marta, la sua compagna di banco, e l’amica l’ascoltò paziente.
- Era solo un incubo, non vedo perché ti debba preoccupare tanto.
Erica annuì, ma il suo commento non la rassicurò, anzi, la innervosì. Non aveva mai sopportato quando la gente sminuiva ciò che provava, lo trovava ingiusto nei suoi confronti.
Mentre tornava a casa da scuola, prestò attenzione a non guardare il suo riflesso nelle vetrine. Sentiva che qualcosa non andava. La sensazione di essere seguita permaneva insistente. Poi, all’improvviso, una mano l’afferrò per la spalla ed Erica si voltò. Di fronte a lei c’era un ragazzo alto dalla corporatura robusta, sulla ventina, sconosciuto.
- Dovrei parlarti, Erica.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II


  Erica fissò alcuni istanti il ragazzo, i muscoli tesi, pronti a scattare. Lanciò una rapida occhiata al vicolo deserto, i negozi chiusi per la pausa pranzo. In fondo al vicolo, in un piccolo bar, alcune persone pranzavano, troppo lontane per vederla.
- Non voglio farti del male. - Affermò con calma il ragazzo e il suo tono parve sincero. - Posso aiutarti a liberarti da lei. - Aggiunse, come se quell’affermazione potesse portare la ragazza a fidarsi di lui.
- Da lei? - Erica sembrò confusa, non capiva di cosa stesse parlando. Sapeva solo che doveva andarsene di lì al più presto. Il ragazzo, notando la sua ansia, lasciò la presa dalla sua spalla e ritrasse la mano. Non appena fu liberata da quel vincolo, Erica si mise a correre, senza voltarsi indietro, finché non raggiunse casa sua. Si appoggiò al pomello della porta, ansimando stancamente. Ogni boccata d’aria le provocava un dolore acuto ai polmoni. Il cuore le martellava nel petto tanto forte che sembrava voler spaccare la cassa toracica. Si passò il dorso della mano sulla fronte sudata e con l’altra aprì la porta di casa. Una volta dentro, Erica si richiuse velocemente la porta alle spalle e si lasciò cadere sul pavimento. L’ampia entrata era vuota.

 La sera arrivò velocemente, tra studio ed internet. Una giornata piatta come tante altre, se non fosse stato per il viso di quel ragazzo che le appariva di tanto in tanto nella mente. Cosa intendeva con quella frase?  Era solo un modo come un altro per abbordare un’adolescente oppure… il volto della ragazza dai capelli rossi le balenò nella mente. Era da lei che voleva liberare Erica? Come faceva a saperlo? No, non aveva alcun senso, era solo il frutto di un incubo. Mezza assonnata, rinunciò a capire il perché di quella frase, il perché di quella giornata e si coricò esausta.
 

I suoi passi risuonavano decisi nell’ampia grotta, illuminata in modo spettrale da torce appese alle pareti. Un’ira incontrollabile le ribolliva dentro. Come aveva potuto quello stupido svegliare la coscienza della ragazza? Era una sua preda, SUA! Raggiunse la piccola cella dove era rinchiuso il ricordo del ragazzo. Peccato non fosse la realtà. Scrollò le spalle, desiderosa di una piccola vendetta. Il ragazzo giaceva a terra, addormentato. Lei alzò il braccio in cui stringeva un pugnale e affondò la lama nella carne del giovane. Una fitta di piacere la pervase, ma una parte di lei sussultò disgustata. Come a voler prendere le distanze, Erica si distaccò da quella scena e la vide da spettatrice, non più da protagonista. Il volto della ragazza dai capelli rossi si alzò di scatto verso di lei, gli occhi scuri iniettati di sangue.
- Tu, come… - Le parole le uscirono come uno sputo, mentre avanzava furiosa verso di lei. Erica era intrappolata dal terrore, ma fortunatamente qualcosa la svegliò.
Era seduta sul letto, le mani accartocciavano le lenzuola nervosamente. Sua madre era accanto a lei.
- Tutto bene? Hai urlato nel sonno. - La mano calda e rassicurante della madre le spostò dal viso un ciuffo di capelli.
- È stato… un incubo. - Balbettò Erica, aggrappandosi alla sua mano. O almeno sperava che fosse stato solo un incubo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III


  Erica era seduta da sola in un tavolo in fondo al bar. Tra le mani stringeva una tazza di cioccolata calda, sorseggiandola di tanto in tanto, lanciando occhiate veloci all’orologio attaccato alla parete bianca. Sì, era decisamente in ritardo.
Ogni notte gli incubi la perseguitavano, la ragazza dai capelli rossi la seguiva armata di pugnale in un corridoio infinito. Aveva anche provato a non dormire, senza successo. Negli ultimi due giorni, aveva avuto persino delle allucinazioni e la notte prima si era risvegliata da un incubo in cucina, mentre tra le mani stringeva un coltello. Si era spaventata così tanto che si era chiusa a chiave nella sua camera, per evitare di far del male a qualcuno.
Quella mattina, tornata da scuola aveva trovato nella cassetta della posta un foglietto con il suo nome, l’indirizzo del bar e un orario. Ci aveva messo alcuni istanti a capire chi l’avesse scritto, ma alla fine aveva capito.
Tamburellò le dita sul tavolo liscio, la cioccolata era ormai fredda. Mentre valutava l’opzione di uscire di lì, la porta si aprì e, come aveva immaginato, il ragazzo entrò nel bar. La individuò subito e la raggiunse in fretta.
- Scusa per il ritardo, ho fatto prima che potevo. - Si scusò, sedendosi di fronte a lei.
- Figurati, sono solo trenta minuti. - Commentò acida Erica.
- Se hai accettato di venire direi che la situazione è peggiorata. - Considerò lui aprendo la lista sulla pagina della caffetteria.
- Sì, decisamente. Ma tu chi sei? Come fai a sapere di lei? - Domandò Erica, appoggiando la tazza vuota sul piattino.
- Mi chiamo Lucio, faccio parte di un’associazione speciale che si occupa del soprannaturale. La ragazza che ti tormenta ogni notte si chiama Angelica. Nel quattordicesimo secolo fu bruciata al rogo con l’accusa di stregoneria e fu maledetta. La sua anima non può andare nell’aldilà ed è rimasta bloccata qui. Il suo spirito si impossessa delle persone, le fa impazzire e le obbliga a commettere efferati omicidi, poi o li fa suicidare o li abbandona. Due secoli fa un esorcista la imprigionò in un ciondolo, credendo di aver messo fine alla catena di omicidi ma non fu così. Il ciondolo fu trafugato e da allora lei lo usa per impossessarsi di chi lo indossa.  
Spiegò Lucio, guardandola negli occhi. Erica trasalì, portando le mani al ciondolo che due settimane prima aveva comprato in un negozio dell’usato. Lucio annuì, intuendo la sua tacita domanda.
- Non basta che io lo tolga vero? - La voce di Erica era un flebile sussurro.
- No, mi dispiace. Non è solo una questione di indossare o no il ciondolo, ormai lei è dentro di te, va tolta il prima possibile.
- E come? - Chiese Erica speranzosa.
- Questa notte indossa questo - le porse un ciondolo contenente un liquido trasparente, “contiene dell’acqua santa. Quando avrai ancora l’incubo 'sta notte, affrontala. È il tuo sogno, il tuo inconscio, puoi controllarlo se ci provi. Lotta e battila. Se sarai tu a vincere lei sparirà per sempre. Cercherà di rifugiarsi di nuovo nel ciondolo, ma indosserai questo e lei sarà solo un brutto ricordo.
- E se vince lei?
- Allora io ti bloccherò prima che lei ti usi per uccidere qualcuno. - Il tono della sua voce faceva trapelare un chiaro riferimento al fatto che avrebbe potuto ucciderla, in caso di necessità.
- Fantastico. - Borbottò Erica, sostituendo il ciondolo alla catenina d’argento. Quando lo lasciò ricadere sulla pelle, sentì un lieve bruciore nel punto in cui si era appoggiato al collo.
Era in una bruttissima situazione, tutto per colpa di un ciondolo. Se avesse saputo ciò che sarebbe successo, non lo avrebbe mai comprato.
Quando quella sera tornò a casa, trovò la madre intenta ad impastare la pizza. I fratelli ridacchiavano davanti alla televisione e il padre era al computer.
- Tutto bene, amore? - Domandò la madre rivolgendole un sorriso radioso.
- Abbastanza. - Entrò in cucina e si avvicinò al forno caldo, infreddolita. - Lo sai che ti voglio bene, vero? - Chiese Erica, guardando la madre. Lei si voltò preoccupata, le mani sporche di farina.
- Certo che sì. È successo qualcosa?
- No, niente di particolare. - Erica si sforzò di sorridere e l’abbracciò.
 
L’orologio segnava la mezzanotte ed Erica camminava avanti e indietro per la stanza, fissando il letto come il peggiore dei nemici. Non aveva la minima intenzione di addormentarsi con il rischio di non essere più se stessa il giorno dopo, ma allo stesso tempo quella era l’unica soluzione per mettere fine agli incubi. Rassegnata, chiuse la porta a chiave e si infilò sotto le coperte, poi, nonostante l’ansia, si addormentò.
 


  Era in una stanza illuminata da candele sparse qua e là. Erica notò che era ampia e rotonda, il soffitto alto era roccioso. Un morso allo stomaco le fece capire che l’incubo era iniziato. Un fruscio di catene la fece voltare e a pochi passi da lei vide materializzarsi Angelica. Trattenne il respiro quando vide che impugnava un coltello lungo e affilato.
- Benvenuta nel luogo dove avrai fine. - Sorrise sadicamente Angelica.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

 

  Erica era immobile, sentiva il sangue defluire dal volto, le gambe farsi molli. Guardò Angelica, poi il pugnale e di nuovo la ragazza. Sentiva la bocca asciutta, anche se quello che viveva era un sogno, ogni sensazione sembrava reale. In effetti, in un modo aldilà della sua comprensione, lo era.
Angelica avanzò di alcuni passi, sfiorando con l’indice della mano sinistra la lama del coltello. Un rivolo di sangue le scese tra le dita.
- Allora, Erica, mettiamo fine a questa storia? - Domandò con un sorriso sulle labbra.
Erica deglutì l’aria, terrorizzata. Doveva combattere per lei, per la sua vita e quella dei suoi cari. Doveva. È solo un sogno, pensò tra sé, solo un sogno.
- Ottima idea. - cercò di dire con decisione, ma le parole le uscirono deboli e tremolanti. Angelica sorrise e le lanciò addosso il coltello. Erica evitò il colpo mortale, ma la lama le ferì il braccio sinistro. Con sua sorpresa sentì dolore. - Ma come? - Si stupì toccando il sangue umido e caldo.
- Questo non è un semplice sogno, è una lotta dentro la tua anima. Il dolore si sente. - Spiegò Angelica, facendo materializzare un altro coltello. - Preparati. -
Erica strinse i denti, doveva trovare un modo per vincere. Desiderò di stringere un pugnale tra le dita e questo vi si materializzò, dolore o no, rimaneva un sogno. Angelica le si gettò contro ed Erica divaricò leggermente le gambe, per attutire l’impatto. Il coltello di Angelica mirava al suo volto, ma con un colpo dell’avambraccio, Erica deviò la mano dell’avversaria. Stringendo il pugnale fece un affondo, mirando all’addome, ma con un balzo Angelica si spostò dalla sua traiettoria.
Erica lanciò il pugnale contro l’avversaria, colpendole la mano che stringeva il coltello. Angelica lanciò un urlo di rabbia.
- Ricordati che sei in un MIO sogno. - Le ricordò Erica con un sorriso.
Nelle mani della rossa si materializzarono delle lunghe catene, alle cui estremità erano fissati dei coni acuminati. Con un movimento secco e deciso, le catene saettarono verso Erica, colpendola alla gamba, facendola cadere all’indietro. Un gemito di dolore riecheggiò nella stanza dall’aspetto infernale, mentre la risata acuta e sadica di Angelica vibrava nell’aria. Erica cercò di alzarsi, cercando di non guardare la pozza di sangue che si stava formando a terra. Dando uno strattone alle catene, però, Angelica la fece cadere di nuovo, strappandole via dalla carne le punte acuminate. Altro dolore, altro sangue. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, la vista le si appannava contro la sua volontà. Il bruciore che sentiva salire dalla gamba ferita era intenso e l’odore acre del sangue le faceva venire la nausea. Così non andava affatto bene.
Erica sentiva le catene tintinnare e strisciare per terra, trascinate da Angelica. Alzò la testa e incrociò lo sguardo oscuro e perduto della nemica. Angelica era un assassina da secoli, come poteva pensare di opporsi a lei? Come poteva pensare di batterla? Tremante si alzò usando la gamba buona, ignorando il dolore. Le due erano vicine, tanto che nessuna delle due poteva fare un passo avanti senza scontrarsi con l’altra. Erano identiche: stessa statura, lo stesso taglio degli occhi, stessa bocca, stesso taglio di capelli, ma tanto lo sguardo di Erica era determinato e sofferente, tanto era violento e cupo quello di Angelica. Erica, ormai, era troppo debole e stanca per opporle resistenza, a malapena era conscia di essere in piedi. Come avrebbe voluto poterle piantare un coltello nello stomaco e farla finita.
La rossa alzò un’estremità appuntita della catena con la mano ancora sanguinante che Erica era riuscita a ferire, poi la calò nella clavicola della ragazza. Erica spalancò gli occhi e aprì la bocca, pronta ad urlare, ma non le uscì alcun suono, se non un gemito di stupore: Angelica non l’aveva colpita ed era ferita e urlava, contorcendosi a terra con violenti spasmi. Senza capire, Erica guardò le sue mani: stringeva tra le dita un coltello affilato, sporco di sangue. Com’era successo?
Da terra cominciò ad alzarsi uno strato d’acqua limpida e fresca, che bruciava Angelica. La scena che aveva davanti agli occhi era tremenda: la vedeva soffrire e la sentiva urlare, ma non riusciva a muovere un muscolo per aiutarla. Dopo attimi interminabili, la ragazza smise di dimenarsi e con un rantolo svanì.
 

  Erica si mise di colpo a sedere sul letto, tastandosi il braccio, la clavicola, la gamba. Stava bene. La sveglia accanto a lei segnalava che erano le quattro del mattino. Si alzò e nello specchio vide riflessa la sua immagine, ma c’era qualcosa di diverso: il ciondolo che Lucio le aveva dato non era più trasparente, ma nero. Lo tolse in fretta e lo appoggiò vicino alla finestra avvolto in un fazzoletto di stoffa.
Sorrise, finalmente serena: l’incubo era finito.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1900187