White Horse Tavern

di AbbieWriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° ***
Capitolo 2: *** 2° ***
Capitolo 3: *** 3° ***
Capitolo 4: *** 4° ***
Capitolo 5: *** 5° ***



Capitolo 1
*** 1° ***


La mia testa uscì immediatamente dall'armadietto, dove il mio libro di matematica sembrava essersi volatilizzato, e guardai con occhi sgranati Maggie, socchiudendo la bocca.
«Hai detto New York?!» esclamai quasi gridando, la mia migliore amica si guardò intorno imbarazzata.
«Non gridare, Em! Ho detto New York, sì. La gita di quest'anno sarà lì» mi disse piuttosto tranquilla, ma riuscii a cogliere una punta di eccitazione nella sua voce.
Mi lasciai sfuggire un gridolino di gioia, abbracciando la ragazza davanti a me, che sorrideva comprensiva. 
«Ci credi Meg? Noi a New York!» 
«Beh, è così. Ed è incredibile che tu non ci sia mai stata. Siamo in New Jersey, New York è praticamente dietro l'angolo» disse lei, con un sarcastico tono di disappunto.
«E invece non ci sono mai stata. Anche se vivo in New Jersey non vuol dire che abbia per forza visitato New york» le risposi inarcando le sopracciglia.
«Okay, okay, ho capito. Ora andiamo, la lezione sta per iniziare» Poi Maggie mi prese per mano e ci avviammo velocemente verso l'aula di matematica, dimenticandomi completamente del mio libro scomparso.

Io sono Emily, per gli amici Em. Non c'è molto da sapere su di me, anche perché nessuno mi chiede mai qualcosa di personale. So solo che passerei ore con un foglio e una matita in mano, perché disegnare è la mia passione. Disegno ogni cosa: i germogli dei fiori, i bambini che giocano al parco, le finestre bagnate di pioggia.
Mio padre è un importante imprenditore, mentre mia madre è un avvocato; a causa dei loro lavori hanno delle vite molto impegnate, ed è per questo che non andiamo mai in vacanza tutti insieme, e perché non ho mai visto New York. Frequento Princeton, un famoso college nel New Jersey, e quest'anno, l'ultimo, i professori sono stati così gentili da organizzare una gita scolastica nella Grande Mela. E' sempre stato il mio sogno, quello di visitare New York, perché è piena d'arte e di vita: non smetterei mai di disegnare lì. La mia amica Maggie, invece, c'è stata un sacco di volte, perché sua madre è una pittrice. Probabilmente è lei che mi ha provocato questo amore per il disegno, viste tutte le ore passate insieme a lei e a sua figlia quando eravamo piccole. Ho un rapporto speciale con la madre di Maggie, è come una seconda mamma per me, anche perché la mia non c’è mai stata.

**

«Oh, santo cielo. Sei incorreggibile!» esclamò Maggie appena uscite dalla classe, camminando per i corridoi che iniziavano ad affollarsi velocemente, vista la fine delle lezioni.
Sorrisi radiosamente. «Non è colpa mia se sono andata bene in matematica» dissi in tono modesto.
«Sei andata bene? Hai preso A+! Io posso solo sognarmi una A+. Tanto per cambiare a questo compito ho preso C» e il suo tono prima piuttosto vivace, si trasformò in una lamentela, con tanto di viso corrucciato.
«Dai, non prendertela. Se avessi accettato di farti aiutare da me forse sarebbe andato megl-»
«No! Te l’ho detto, voglio farcela con le mie forze. Adesso chi se la sente mia madre… farà una delle sue prediche, e non so nemmeno se mi fa venire a New York» dopo quella frase mi fermai di botto e mi voltai verso di lei.
«Non avete capito niente, tu e tua madre. Tu verrai a New York con me, che la cosa vi piaccia o no! Convinco io tua madre» proclamai con tono convinto. Ma sia io che lei sapevamo che nonostante fosse una persona meravigliosa, sua madre era molto severa quando si parlava di voti. Tuttavia, riuscii a strapparle un sorriso con la mia determinazione.
Ci salutammo e ci avviammo una a casa propria.

**

Arrivai a casa mia, dopo una camminata piuttosto lunga sotto il sole cocente dei primi di giugno. B. Nesmith St., diceva il quadrato in… marmo? sulla parete laterale del muro. Dopo qualche metro arrivai a casa, che tutti descrivevano come una villa immensa, che però io trovavo solo molto noiosa. Entrai accolta dal maggiordomo di casa, e mangiai da sola come tutti i giorni. In teoria i miei arrivavano verso il pomeriggio, ma in pratica non sapevo nemmeno dove diavolo fossero; ci avevo fatto l’abitudine ormai.
In camera mia mi tolsi la divisa scolastica e mi sciolsi i lunghi capelli castani raccolti parzialmente in un nastro, legandoli con un semplice elastico. Mi buttai sul letto avvolta in un maglione tre volte più grande di me, ma leggero (adoravo quel coso) e accesi il portatile. Dopo qualche minuto, il puntuale nome di Meg fece capolino sullo schermo del mio telefono.
«Ehilà» finsi di salutarla sorpresa.
«Ehi» rispose lei dall’altro capo del telefono, con aria afflitta. Mi drizzai a sedere sul letto con le gambe incrociate.
«Che succede?» chiesi preoccupata.
«Ho parlato con mia madre» sentenziò lei come se si stesse deprimendo ancora di più. Inspirai tutta l’aria che i miei polmoni potevano contenere e trattenni il respiro.
«Allora?» chiesi con un filo di voce. Maggie iniziò a parlare, e dietro il telefono la sentivo sempre più piccola e triste.
«E..» cominciò, facendomi venire un’ansia pazzesca. Stette in silenzio per qualcosa come 3 secondi, ma a me sembrarono 3 ore. Poi la sua voce arrivò nitida dal mio capo del telefono, perché stava gridando felice. «Vengo a New York!» Sentendo quelle parole mi buttai sul letto facendo un sospiro di sollievo.
«Non farmi mai più scherzi del genere! Non posso crederci» dissi sorridendo da sola come un’idiota, ma sapevo che anche lei sorrideva.
«Neanche io. Credevo che mia madre andasse su tutte le furie, ma poi le ho spiegato la situazione.. la tua felicità, la mia felicità.. e le ho promesso che non ci divertiremo per niente» concluse ridendo. In lontananza sentii la voce ovattata della madre di Maggie che le diceva di chiudere la telefonata, perciò ci salutammo e ci demmo appuntamento per il giorno dopo, davanti all’entrata della scuola. Saremo partite per New York alle 8 in punto.

**

La sera, nel mio letto, coperta dalle lenzuola leggere, non riuscivo ad addormentarmi per l’eccitazione. Vedevo la mia valigia poggiata contro il muro della camera, e facevo infiniti viaggi mentali su come mi sarei divertita in una delle città più grandi del mondo. Non immaginavo, però, che quella gita scolastica mi avrebbe cambiato la vita.



 

Ciao a tutte :) Questa è una nuova fanfiction su Zayn, se avete letto per favore lasciate una recensione, anche breve, perché se non la legge nessuno non vale la pena continuarla. Spero che vi sia piaciuto il primo capitolo, e non preoccupatevi se alcune cose possono sembrarvi poco chiare, nei prossimi capitoli si spiegherà tutto c:
ps: Emily e Maggie vanno al liceo, sono all'ultimo anno, ma per farvi immaginare meglio le cose (?) ho scelto come ambientazione il college di Princeton, che è un'università. :) 
Se avete qualcosa da chiedermi sono su twitter, mi chiamo @shescontagious :)

Personaggi: -Emily

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-Maggie

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Capitolo 2
*** 2° ***


Biip. Biip. Biip.
 
Cosa diavolo era quel suono infernale?
Tentai di dimenticarlo ricoprendo la mia testa con il cuscino, ma il suono risultò soltanto più ovattando, ma ugualmente insopportabile. Poi ricordai. Uscendo con la testa dal mio rifugio caldo e morbido, allungai un braccio tastando la superficie del comodino accanto al mio letto, trovando la sveglia che strillava imperterrita e ponendo fine alle sue lamentele. Mi voltai a pancia in su e presi a sveglia in mano. 6.57. Quella sveglia aveva suonato per due minuti buoni.
Mi alzai pigramente e mi infilai nella doccia, aprendo il getto d’acqua fresca che mi bagnò tutto il corpo. Una ventina di minuti dopo ne uscii pulita e profumata, pronta ad affrontare un altro giorno di scuola. Entrai nuovamente in camera da letto con un asciugamano avvolto intorno al corpo, e notai la valigia poggiata al muro. Ma certo! Oggi sarei partita per New York. Il mio volto si illuminò, e ad un tratto quella era diventata una bellissima giornata. Mi asciugai i capelli e mi preparai, lasciando la divisa scolastica sulla sedia della scrivania e vestendomi finalmente coi miei vestiti. Mi misi un filo di trucco e scesi a fare colazione.
I miei genitori erano già a tavola: mio padre seduto, che sfogliava il giornale con una mano e con l’altra si portava la tazza di caffè alla bocca, con il suo immancabile auricolare all’orecchio destro; mia madre era seduta sul davanzale della finestra, mentre sorseggiava una delle sue tisane disgustose e iperdietetiche, e guardava attentamente il suo cellulare. Non fecero caso a me, quando mi sedetti e iniziai a fare colazione, o almeno credevo.
-Dov’è la tua divisa scolastica, Emily?- mi chiese mia madre, continuando a tenere lo sguardo fisso sul suo telefono.
-Oggi parto per New York in gita scolastica, mamma- le ricordai. Lei si voltò verso di me e mi rivolse uno sguardo distratto, come se stesse attentamente cercando di ricordare. Poi tornò al display.
-Hai tutto pronto? La domestica ti ha aiutato a fare la valigia?- mio padre che tentava di fare conversazione. Mi scappò un sorriso sprezzante, mentre guardavo il mio cibo. Se lo aveva notato, non me lo fece capire. Mormorai un sì disinteressato. Appena finii la colazione, il campanello annunciò il puntuale arrivo di Maggie, che come ogni giorno passava a casa mia per andare insieme a scuola. Presi la valigia e salutai in modo generale con un ‘Ciao a tutti!’ più squillante di quanto volessi. Dalla cucina i miei genitori mi rivolsero un altro saluto distratto e i domestici di casa mi salutarono formalmente. Aprii la porta e Maggie si fiondò su di me, abbracciandomi. Era la prima persona che ero felice di vedere quella mattina.
 
-Oddio Em, stai benissimo!- esclamò lei mentre camminavamo per il vialetto di casa. A dire il vero anche lei stava molto bene. Avevamo stili diversi, ma a quanto pare gli opposti si attraggono.  Lei si vestiva in modo più alternativo, più dark in un certo senso. Io ero molto più classica, adoravo i vestiti, le gonne e i colori pastello. Infatti oggi lei era molto.. nera?, io mi ero vestita in modo più semplice. Le dissi che stava bene anche lei e parlammo del più e del meno, fino a quando arrivammo all’entrata della scuola. Lì, un grande gruppo di ragazzi chiacchierava e aspettava vicino a un gigantesco pullman. Ci avvicinammo alla piccola folla, incontrando i nostri compagni di classe. Mentre ci salutavamo e parlavamo tra noi, notai che oltre alla nostra classe si univano anche altre due classi. Capii poi con dispiacere che una delle due classi era quella di..
-…Chris- dissi in un soffio vedendo il ragazzo avvicinarsi pericolosamente a noi. Maggie seguì il mio sguardo e la sua espressione si tramutò in qualcosa misto all’odio e al disprezzo. Si mise un po’ davanti a me, come per coprirmi.
-Ehi, spilungone, che diavolo ci fai qui?- chiese Meg a Chris, anche se quella sembrava tutt’altro che una domanda. Lui rispose con un sorrisetto furbo, rivolto a me. I suoi occhi verde scuro fissarono i miei azzurri, e la rabbia mi ribollì in ogni centimetro del corpo.
Chris frequentava la mia stessa scuola, ma in una classe diversa. Aveva i capelli biondo cenere, gli occhi di un verde scuro e uno spruzzo lievissimo di lentiggini, che non si notavano per niente; probabilmente alcuni nemmeno sapevano che ce le avesse. Era molto alto per la sua età, ed era piuttosto muscoloso. L’anno prima eravamo fidanzati, e lui non ha mai accettato il fatto che avessi rotto con lui. Era popolare a scuola, e nessuna ragazza l’aveva mai lasciato. Dalla rottura, non la smetteva di tormentarmi. Mi prendeva in giro, insultava e derideva, ma io lo lasciavo fare, perché tanto sapevo che era un modo per dimenticarmi, e che non ci era ancora riuscito.
-Adesso hai anche la guardia del corpo, Richards?- mi chiese in modo retorico, sempre con quel sorrisetto del cazzo stampato sulla faccia. Gli rivolsi un occhiataccia, e Maggie parlò al posto mio.
-Sta’ alla larga da lei, capito? Altrimenti sarai uno spilungone senza le palle- lo minacciò, provocando risate generali. Chris si guardò intorno nervoso, poi si girò e tornò al suo gruppo. Mimai un ‘grazie’ con le labbra a Meg, e lei mi fece l’occhiolino.
-Andiamo, stanno facendo salire sul pullman- dico io, e ci facciamo spazio tra gli altri studenti.
-Emily Richards!- gridò la mia insegnante di storia, mrs.Johnson. Meg mi gridò di tenerle il posto, annuii e salii sul pullman. Presi un posto non troppo avanti, e mi sedetti vicino al finestrino, osservando la strada sotto di me. Dopo qualche secondo vicino a me si piazzò Chris.
-Ciao bellezza- mi disse languido. Alzai gli occhi al cielo e tornai a fissare oltre il finestrino.
-Sparisci- gli intimai, ma lo conoscevo, ed era un tipo testardo.
-Non così in fretta. Ora non hai la tua amichetta a proteggerti- affermò convinto.
-Non ci sperare troppo, Collins- rispose una voce fuori campo, che poi capii essere quella di Maggie. Questa volta, Chris si alzò, sfiorando appena il soffitto dell’autobus.
-Qual è il tuo problema, Smith?- urlò lui. –Vedi di farti i cazzi tuoi, non è colpa mia se non ti caga nessuno e per passare il tempo difendi la tua amichetta- aggiunse, scatenando la rabbia della mia migliore amica. A quel punto mi alzai anche io, guardando Maggie negli occhi.
-Meg, lascialo perdere, non ne vale la pena- e sperai di averla convinta, quando la Johnson fece irruzione nella conversazione.
-C’è qualche problema qui? Collins, va’ a sederti con i tuoi compagni- disse in tono pacato ma deciso. Chris si avviò controvoglia verso gli ultimi sedili del pullman, e noi ci sedemmo nei nostri.
-Mi salvi sempre in queste situazioni, non so come fare con lui- dissi a Meg una volta partiti.
-Non preoccuparti, è grande e grosso ma è senza cervello, lo fa per divertirsi- disse lei tranquilla. Poi continuò. –Sono eccitatissima di andare a New York. Ci sono stata tante volte, ma con te è diverso-
-Anche io sono felice, sono sicura che ci divertiremo come matte- dissi ridendo.
Per tutto il viaggio chiacchierammo, ridemmo e ascoltammo musica. Verso la fine del viaggio Maggie si addormentò, perciò io mi infilai le cuffie isolandomi dal casino infernale del pullman e guardai fuori dal finestrino, liberando i miei pensieri e le mie preoccupazioni. Ero felice di andare a New York, ma ero anche preoccupata. Non sapevo esattamente il perché, ma era una delle più importanti e popolate città del mondo, sarebbe potuto accadere di tutto. E poi c’era Chris, che riusciva sempre a rovinare tutto.
Senza accorgermene, mi ero addormentata. La mano e la voce di Maggie mi svegliarono.
-Ehi, Em. Emily, sveglia! Siamo arrivati- disse lei sorridendo, e sorridevo anch’io.



 

Sono quii (?) No okay lol questo è il secondo capitolo della mia ff. Già qui ci sono un po' più informazioni sui personaggi, o comunque situazioni o atteggiamenti che delineano maggiormente il carattere dei personaggi e le relazioni che ci sono tra loro. Grazie per le recensioni che ho avuto per il primo capitolo, io amo scrivere, e leggere quei commenti positivi mi ha fatto girare per casa saltellando come una cretina (?) okay, spero di avere un po' di recensioni anche qui.. a presto!

Personaggi: -Emily


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-Maggie


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-Chris

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E poi ho trovato per caso su tumblr una gif con i personaggi che ho scelto io lol quindi prendetela come Emily e Chris quando stavano insieme :')


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Capitolo 3
*** 3° ***


-Corri, corri, quella è libera!- gridava Maggie spingendomi verso una porta aperta. Corsi, per quello che le risate mi permettevano, e una volta entrata nella stanza spinsi dentro anche la mia migliore amica e mi chiusi la porta alle spalle.
-Evvai, la stanza è nostra- dissi senza fiato, con la spalle contro il legno.
Ormai tutte le gite erano così. Una volta arrivati all’hotel, tutte le coppie di studenti facevano a gara per prendere le stanze migliori, e ogni volta era una corsa contro il tempo.. e contro quelli più veloci di te.
Ricominciando a respirare regolarmente, osservai la stanza che avevamo ‘scelto’. Sul muro accanto alla porta c’era una cassettiera in legno scuro con uno specchio appeso al muro appena sopra di essa. Sulla destra c’era un grande letto matrimoniale, con cui Meg aveva già fatto conoscenza buttandocisi sopra. Sul muro di fronte a me, sulla destra c’era un altissimo armadio dello stesso legno della cassettiera, più a sinistra invece c’era una semplice finestra che illuminava tutta la stanza. Sul pavimento in mattonelle lucide, proprio davanti al letto, c’era un grande tappeto decorato, mentre vicino al muro alla mia sinistra c’era una comoda poltrona imbottita. Alla fine del muro a sinistra c’era una porta che doveva portare al bagno. Sul soffitto, invece, c’era un grandissimo lampadario, che brillava alla luce del sole.
Lasciai incustodita la mia valigia per sdraiarmi sul letto accanto a Maggie, tutte e due fissavamo il soffitto.
-Potrei abituarmi a questo lusso- disse lei in tono rilassato.
-Sei a New York con Emily Richards, non resterai in questa stanza per più di due ore. Saremo qui solo cinque giorni, e voglio passarli tutti in giro per la città- dissi convinta, sedendomi a gambe incrociate sul letto morbido. Lei sospirò e scese dal letto, disfacendo la sua valigia.
La imitai, e un’ora dopo la nostra camera era diventata del tutto nostra. I vestiti erano al loro posto, gli accessori e gli effetti personali anche. Ci mettemmo sul letto, io leggevo un libro e Meg giocava ai videogiochi. Una mezz’oretta dopo la Johnson venne a bussare alla nostra porta, dicendoci che cinque minuti dopo tutti gli studenti dovevano essere nella hall dell’hotel per iniziare il giro per la città. Appena sentii quelle parole iniziai a saltellare per tutta la camera.
-Stiamo per andare a New York, oddio! Non posso crederci- continuavo a gridare. Maggie mi guardava e rideva.
-Okay, calmati, statua della libertà. Prepariamoci, o faremo tardi- disse lei con tono da sorella maggiore. Mormorai un ‘certo mamma’ e mi arrivò un cuscino addosso, ma per il resto non ci furono problemi.
 
**
 
-Prendete gli stessi posti che avevate nel viaggio di andata, non voglio altri problemi!- urlava mr.Wood, un professore della classe di Chris, con la pelle bianca come il latte, i capelli sul castano chiaro e un grosso paio di occhiali poggiati su un naso altrettanto grande. Era molto magro, ma riusciva a farsi rispettare, più o meno.
Io e Maggie prendemmo i nostri posti, e questa volta Chris si limitò a fulminarmi con lo sguardo, e ad andare al suo posto.
Il viaggio fu molto breve, dopotutto dovevamo solo arrivare nel centro della città.
Una volta che il bus si fu fermato, ebbi il tempo di guardarmi intorno, mentre tutti gli studenti scendevano dal veicolo. I grattacieli erano altissimi e pieni di vetrate e finestre, ogni via era gremita di gente, che parlava ogni lingua, con un colore della pelle sempre diverso. C’erano così tanti negozi e bar che avevo perso il conto di quanti ce ne fossero. La voce di Maggie mi riportò alla realtà.
-Em, resta col gruppo. E’ facile perdersi- mi intimò. Notai poi che ero rimasta indietro rispetto agli altri, che avevano già iniziato a camminare. Nemmeno il tempo di guardarsi intorno, bah.
Camminammo a lungo, in mezzo alla gente, più veloce di quanto volessi. Entrammo nei negozi, prendemmo qualcosa nei bar, ci fermammo a vedere i più svariati monumenti che c’erano per le strade. Ma la cosa che catturava di più la mia attenzione erano gli artisti di strada. In uno spiazzo non lontano da Central Park, un uomo con un berretto disegnava con dei gessetti il ritratto della Madonna con in braccio Gesù Bambino. E non era un semplice disegnino sul marciapiede. Occupava gran parte della superficie della piazzetta, ed era di un realistico straordinario. Mi chiesi come mai quell’uomo non fosse già diventato il nuovo Michelangelo. Sulla Quinta Strada, invece, una band improvvisata suonava dei pezzi dei Guns n’ Roses, ed erano tutti bravissimi. La cantante aveva una voce strepitosa, e il batterista faceva degli assoli degni di Phil Collins*. Li guardavo con gli occhi spalancati, in un’espressione piacevolmente sorpresa. Mi guadagnai gli sguardi divertiti della band, che di sicuro aveva riconosciuto che non ero di quelle parti. Dopo essere stata frettolosamente tirata per un braccio, ci fermammo su delle panchine, per riposarci dopo la passeggiata e mangiare qualcosa.
-Mi scusi, mrs.Johnson, ma non potremmo andare in qualche paninoteca o fast food? Ce ne sono tantissimi da queste parti- proposi alla professoressa, che con espressione leggermente irritata mi rispose: -So che ci sono molti posti in cui mangiare, Emily, ma siamo nell’ora di punta, tutti i ristoranti e i fast food sono strapieni. Dopotutto siamo a New York-  Mi sedetti sbuffando su una panchina piuttosto lontana dagli altri, e presi dalla borsa il mio album da disegno. Mi guardai intorno, assicurandomi che non ci fosse nessuno, e lo aprii. Non permettevo a nessuno di vedere i miei disegni, neanche a Meg. Quando finii di sfogliare le pagine e controllare tutti gli schizzi, mi guardai nuovamente intorno, cercando qualcosa da cui prendere spunto per un nuovo disegno. Purtroppo, a parte banali alberi e una quantità enorme di turisti in bermuda e macchine fotografiche, non trovai niente che mi sembrasse all’altezza. Mi alzai, allontanandomi leggermente; forse più in là avrei trovato quello che cercavo. Senza accorgermene, scesi il gradino del marciapiede su cui mi trovavo, e continuai a camminare, comandata dagli occhi che scrutavano ogni cosa. Ero in una specie di trance, e quando mi voltai vidi solo un’ennesima massa di persone che si affrettava a raggiungere la propria destinazione. Mi voltai ovunque alla ricerca dei miei compagni e dei professori, ma non trovai niente.
-Oh, no- dissi a me stessa, mentre avvertivo i battiti del mio cuore accelerare sempre di più.
 
**
 
Non potevo essermi persa. No, no, no, no. Okay, era il mio sogno vagare per New York senza una meta, ma non quando sono in gita scolastica e non so tornare all’albergo. Ormai mi facevano male le gambe da quanto stavo camminando, ero anche tornata indietro più di una volta, ma non ero ancora riuscita a trovare nessuno. Mi girai per la centesima volta in una direzione sconosciuta, e il mio sguardo si soffermò su qualcosa.
'White Horse Tavern' diceva la grande insegna blu a caratteri bianchi. Il locale era piuttosto affollato, perciò mi imbucai tra la gente del posto e i turisti armati di Canon, e cercai un posto dove sedermi. Optai per il bancone, e mi accomodai su uno sgabello alto, poggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani. Osservando pigramente il posto, notai un ragazzo seduto da solo a un tavolo, con l'espressione concentrata su un album da disegno, che muoveva freneticamente la matita sul foglio di carta. Rimasi incuriosita da lui, fino a quando non alzò lo sguardo verso di me, e i nostri occhi si incrociarono. Fu lì che il tempo si fermò.
Ci osservammo per quelle che sembrarono ore; alla fine, accorgendomi che la situazione stava diventando imbarazzante, distolsi lo sguardo, giocherellando con le mani. Mi voltai di soppiatto, sperando che non si accorgesse che lo fissavo, ma purtroppo anche lui teneva gli occhi fissi su di me, con un’espressione che non riuscivo a decifrare. Presi un respiro profondo, e scivolai giù dallo sgabello, avviandomi verso il suo tavolo con la mano stretta al manico della mia borsa. Sentivo le gambe pesanti e non avevo la minima idea del perché stessi andando da lui. ‘Oh, ho notato che ci stavamo fissando, perché non prendiamo un caffè insieme?’ non potevo dire questo. Allora, cos’avrei detto? Senza accorgermene ero davanti al suo tavolo, mentre il ragazzo mi guardava con aria interrogativa. Mi guardai freneticamente intorno, cercando qualcosa da dire.
-Posso chiederti un’informazione?- dissi tutto d’un fiato, come se una semplice domanda mi costasse tutte le mie forze.
Lui annuì tranquillamente. –Certo, dimmi pure.-
-Sai qual è la strada per il Refinery Hotel? Non sono di qui e mi sono persa- finita la frase guardai in basso, poi di nuovo affondai nei suoi occhi. Sorrise in modo amichevole e adorabile, e mi fece cenno di sedermi di fronte a lui. Un po’ impacciata, riuscii a sedermi senza fare casini, e poggiai le braccia sul tavolo.
-Dunque, partendo da qui, devi andare sempre dritto fino alla quarantasettesima, quando trovi uno Starbucks sulla sinistra, gira in quella direzione. Cammina sempre dritto fino a quando non trovi una grande piazza a fianco a una piazza più piccola. Se attraversi la piazza grande verso destra puoi imboccare la trentatreesima str..-
-Non ho idea di cosa tu stia parlando- lo interruppi con espressione sorpresa e abbattuta. Sorrisi malamente.
-Non sono di qui, se non so arrivare all’hotel come pretendi che conosca le strade?- chiesi retoricamente. Lo vidi accennare un sorriso, visibilmente in imbarazzo.
-Scusa-
-Non preoccuparti-
lo rassicurai sfoggiando uno dei miei sorrisi migliori.
Dopo qualche istante il mio sorriso smagliante si consumò, e su di noi cadde un silenzio di tomba. Non riuscivo a guardarlo negli occhi e mi sentivo arrossire sempre di più.
-Hai un album sul tavolo. Ti piace disegnare?- chiesi e subito sbarrai gli occhi non rendendomi conto di quello che avevo detto. Dovevo imparare a collegare il cervello alla bocca, in certe situazioni.
-Sì, adoro disegnare. E’ più che altro un hobby, ma lo faccio spesso. Vuoi vedere qualcosa?- chiese ora più sicuro di sé. Annuii con foga, impaziente di vedere i suoi lavori.
Mi mostrò un paio di uccellini su un ramo fatti a carboncino, una bambina che prendeva il palloncino che il suo papà le aveva regalato, fatto a matita come schizzo. Mentre sfogliava i disegni non la smetteva di parlare, di descrivere la scena, di dirmi dove aveva visto quello che disegnava, quali erano i suoi posti preferiti. Ero davvero interessata, ma dopo un po’ alzai gli occhi su di lui per osservarlo meglio: aveva la pelle olivastra, i capelli scuri e luminosi come le piume di un corvo, protesi in alto con un lungo ciuffo, i lineamenti perfetti, un accenno di barba ispida e degli occhi color caramello, che luccicavano mentre parlava di quello che non era solo un hobby, ma era un suo talento. Chiacchierava con un perenne sorriso sulle sue labbra, mentre osservai anche il suo petto e le braccia, pieni di tatuaggi di ogni tipo. Dopo qualche istante mi sembrò strano sentire il silenzio; o meglio, c’era sembra quel brusio confuso dei clienti nel locale, ma lui non parlava. Alzai lo sguardo e vidi che lui mi fissava compiaciuto e sorridente. Avvampai d’un colpo, mi aveva presa nel pieno delle mie ‘analisi’.
-Mi stavi fissando- disse lui con quel perenne sorriso. Non gli facevano male le guance?
Non sapevo che dirgli. Era vero, lo stavo fissando. –Non è vero- dissi, in modo poco convincente. Cosa avevo detto riguardo la bocca e il cervello?
-E’ che mi sono accorta che non so nemmeno il tuo nome- speravo di essermi salvata il culo.
-Mi chiamo Zayn- disse lui tendendomi la mano.
-Io sono Emily- ricambiai il sorriso e gli strinsi la mano. Era calda e leggermente sporca di carboncino. Ci sorridemmo ancora per un lungo istante.
-Se vuoi posso accompagnarti all’hotel- propose lui.
-No, davvero, non preoccuparti. Mi comprerò una cartina e chiederò in giro-
-Vuoi davvero perderti di nuovo?- chiese retoricamente. Risi timidamente, e lui si alzò, prendendo quello come un sì.



 

*famoso batterista britannico




Eccomi qui con un altro capitolo :) Le recensioni scarseggiano da morire, e un po' mi dispiace. Ma adoro scrivere, e spero sempre che a qualche visitatore possa piacere la mia storia e possa recensirla c: Questo è il primo incontro tra Emily e Zayn, e forse è un po' troppo lungo, ma non volevo farvi aspettare oltre lol Niente, godetevi il capitolo e PER FAVORE, recensite. Non vi costa davvero niente, anzi, otterrete dei punti (?) Ciao :)
ps: per qualsiasi cosa, su twitter sono @shescontagious

-Emily:


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-Maggie: 

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E ovviamente -Zayn:

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Capitolo 4
*** 4° ***


Zayn passeggiava tranquillamente parlando del più e del meno, pareva sapesse esattamente dove andare,quando girare e che strada prendere. Io lo ascoltavo e a volte ridevamo come degli idioti. C’erano anche silenzi imbarazzanti, ma venivano subito riempiti con altre chiacchiere. Zayn sembrava davvero interessato a quello che dicevo, e anche quello che diceva lui era interessante; scoprii che era un anno più grande di me, ma tre anni prima aveva lasciato il college per entrare in una band con dei suoi amici. In quel periodo guadagnava soldi facendo concerti nei locali e come hobby disegnava in giro per la città.
-Vorrei avere una vita come la tua- dissi io lamentandomi.
-Fidati, la mia vita non è niente di speciale- mi rassicurò sorridendo come al solito. Aveva dei denti perfetti e un sorriso bellissimo.
–La tua vita non ti va bene?- Mi irrigidii a quella domanda, e probabilmente lui lo notò.
-Tasto dolente- affermò. Biascicai un ‘già’, ma visto che ormai lui mi aveva detto molto della sua vita, decisi di parlargli della mia.
-Sono cresciuta in una famiglia molto ricca. Non mi sono mai vantata di questo e sono sempre stata modesta. Ho sempre cercato di non essere un peso per nessuno, e con i miei genitori ci riesco piuttosto bene. Con i lavori che hanno, non trovano mai il tempo per la famiglia, e a loro questo sembra andare bene-
-E a te? Va bene questo?- chiese lui incitandomi a continuare.
-No. No, non va bene. Ma che importa? Loro non hanno mai chiesto il mio parere, sono sempre stata solo una terza presenza nella loro famiglia, qualcuno a cui lasciare l’eredità, niente di più- conclusi senza nessuna espressione in volto, ma sentivo fremere il mio corpo da quanto ero nervosa.
-Sono sicuro che anche se magari non lo dimostrano, ti vogliono un gran bene. Sono la tua famiglia, dopotutto, e questo lo sanno anche loro-
-No, invece. Possono anche saperlo, ma sono stanca di tutti questi incoraggiamenti che mi fanno le persone. Loro non mi vogliono bene, per loro non sono niente, niente! Ogni cosa che faccio la faccio per loro, per farmi notare e per renderli fieri, non volevo nemmeno andare al college!- Okay, forse gridavo un po’ troppo. Zayn stava muto ma era attento. Mi guardava negli occhi intensamente, mentre io lo vedevo solo con la coda dell’occhio.
-Scusa. Non dovevo urlarti contro, non è colpa tua. E’ solo che a volte.. a volte…- non finii la frase e strinsi i denti, poi lanciai un grido misto a un sospiro esasperato. Lui fece una risatina tranquilla.
-Ehi, va tutto bene, non spaccare niente- per un momento lo guardai, come non realizzando quello che mi aveva detto. Poi scoppiai a ridere senza contegno, e senza motivo.
-Comunque non ricordo di aver fatto questa strada, sicuro che stiamo andando bene?- chiesi con una punta di preoccupazione.
-No, non sono sicuro. Infatti prima devo portarti in un posto- disse divertito. Io mi fermai in mezzo al marciapiede con la bocca socchiusa e gli occhi sbarrati. Lui si fermò poco più avanti e si voltò verso di me ridendo come un bambino. Indietreggiò e mi prese per mano, e di nuovo provai quella sensazione, la stessa che avevo provato quando gli avevo stretto la mano. Un brivido mi percorse tutta la schiena. Una sensazione di calore e sicurezza pervase il mio corpo. Mi sentii avvampare, e avvertivo le mie guance arrossarsi sempre di più. Zayn mi tirò a sé e iniziò a camminare molto velocemente, dovetti fare una corsetta imbarazzante per raggiungerlo.
-Ehi, ehi, ma perché corriamo?- chiesi col fiato corto mentre non potevo fare a meno di sorridere.
-Devi tornare all’hotel, giusto? Quindi prima arriviamo sul posto, prima potrai tornare alla tua classe- disse lui con convinzione. Camminammo velocemente e mano nella mano per un altro tratto di strada, mi stavo abituando a sentire le nostre mani insieme. Dopo qualche minuto finalmente capii dove voleva portarmi. Rallentammo un po’, il tempo di riprendere fiato, e lui ritrasse la mano imbarazzato, probabilmente non aveva fatto caso a tutto quel tempo passato a trascinarmi per la città. Davanti a noi si stagliava un’enorme foresta. No, non era una foresta. Era Central Park. La mia bocca si dischiuse automaticamente mentre alzavo la testa, ammirando tutto quel verde. Zayn mi fece strada ed entrammo nel gigantesco parco.
Central Park era qualcosa di meraviglioso. Avevo tanto immaginato come sarebbe stato entrarci, mi ero fatta raccontare come fosse dalle persone che c’erano già state, ma niente rendeva l’idea di quel luogo. Fontane guizzanti animavano i viali creando buffe forme con l’acqua, prati immensi e verdissimi si estendevano in tutte le direzioni, alberi secolari facevano ombra ai visitatori dal sole di inizio estate, newyorkesi e turisti che facevano picnic in mezzo al prato o che facevano jogging in giro per il parco.
Feci un giro su me stessa ammirando tutto quello spettacolo, non realizzando di essere lì. Il moro mi aspettava qualche passo più avanti, e quando abbassai la testa con un’espressione da idiota, notai che mi fissava silenzioso. Lo raggiunsi, e lui mi lanciò uno sguardo divertito tendendomi la mano. Mi liberai in una risata tranquilla e gli diedi un pugno amichevole sul braccio. Continuammo a passeggiare tra la gente, parlando del più e del meno, e io mi dimenticai completamente di avere una fretta assurda. A un certo punto non trovai più Zayn accanto a me, e mi girai disorientata; poi vidi il suo culo che si allontanava e si sedeva comodamente nell’erba. La sua espressione era senza prezzo, con le sopracciglia alzate e un sorrisetto ebete sulla faccia. Mi presi la pancia mentre ridevo senza un vero motivo, e lo raggiunsi, sedendomi in modo impacciato accanto a lui. Diventò stranamente silenzioso, e per un momento mi persi nuovamente nell’immenso verde di quel luogo, percependo la strana armonia che emanava. Quando mi girai, alla mia destra Zayn era seduto a gambe incrociate, poggiandosi sulle mani, con gli occhi chiusi e la testa all’indietro. Aveva un’espressione mite, come se fosse in pace con se stesso e il mondo. Aveva un profilo perfetto, senza difetti. Le ciglia lunghe e scure creavano delle ombre sulle sue guance, mentre si lasciava riscaldare dal sole luminoso di quella giornata. Improvvisamente, come se si fosse appena ricordato di me, girò la testa e mi guardò. Fui colta alla sprovvista, perché lo stavo fissando come una stupida, perciò voltai immediatamente la testa davanti a me, tenendola bassa e sentendomi arrossire. Mi rigirai verso di lui lentamente, come per paura di una sua reazione, e scoprii che mi guardava a metà tra il preoccupato e il divertito. Ci guardammo negli occhi per un lungo istante.
-Grazie per avermi portata qui- dissi a un certo punto.
-Figurati, per me non è un problema, vengo sempre qui- disse lui tranquillo. Dopo un po’ gli feci una domanda.
-Hai mai portato qualcuno qui con te?-
Lui sembrò rifletterci, con una punta di disagio e imbarazzo sul viso.
-A dire la verità no. Sono sempre venuto qui da solo. Quando ho bisogno di riflettere non mi piace avere compagnia- disse serio, ma nella sua voce avvertivo una certa tranquillità. Tornai a guardare un punto indefinito davanti a me.
-Sicuramente tornerò qui con la classe, ma mi è piaciuto venirci prima, così da non dover rispettare delle regole o andare dove mi dicono i professori- osservai tranquilla.
-Lo so, ho sempre delle idee strepitose- esclamò Zayn facendo il finto modesto. Ridemmo tutti e due, come se non ci fosse nessuno a fermarci. Il momento divertente finì, e noi riprendemmo ad affondare l’uno negli occhi dell’altra. Non avevo mai avuto il coraggio di guardare negli occhi la gente, non ci riuscivo nemmeno con le iridi nere di Maggie. Tendevo a distogliere lo sguardo e volare da un oggetto indefinito a un altro. Ma con lui era diverso, non riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi color caramello. Mi scostai un ciuffo dal viso, e quando posai nuovamente la mano sul prato, questa andò a toccare quella di Zayn. Istintivamente la rimossi con un gesto troppo veloce, e lui mi guardò a disagio.
-Scusami- mormorai con una risata nervosa. Sentivo i suoi occhi addosso, ma ormai ero già intenta a guardarmi le scarpe.
-Emily!- sentii gridare all’improvviso. Sollevai subito la testa cercando di capire da dove proveniva quella voce, e davanti e me, un po’ distante, vidi Maggie che correva da me con un’espressione preoccupata in viso. Mi alzai, mi spazzolai la gonna e corsi verso di lei. Quando ci raggiungemmo, mi prese per la braccia strattonandomi.
-Ma dove sei stata? Ho perso sei anni di vita! Perché diavolo sei sparita? Sono quasi impazzita per trovarti e non far notare la tua assenza al resto della classe! Tu non immagini lo spavento che mi hai..- Presi il suo viso tra le mani.
-Meg, calmati. Respira. Sono qui, sana e salva- dissi guardandola negli occhi, cosa rara. Sentii i suoi nervi distendersi, e sembrò accorgersi solo allora che non ero sola.
-Ehi, ma chi è quel tipo?- disse maliziosa, sorridendomi furba. Roteai gli occhi.
-Non iniziare, Meg. L’ho incontrato in un bar e mi stava riaccompagnando all’hotel- mi giustificai.
-Lo vedo, infatti eravate tranquillamente sdraiati a Central Park- osservò lei. In effetti, non ci stavamo esattamente ‘muovendo’. Risi imbarazzata, poi sentii una mano sulla mia spalla. Mi girai e Zayn mi apparve accanto.
-Ciao, mi chiamo Zayn. Tu devi essere Maggie- si presentò lui tendendole la mano. All’inizio lei rimase un po’ disorientata, ma poi gli strinse la mano e si presentò.
-Così, ti sei preso cura di Emily in mia assenza- osservò lei alzando un sopracciglio, ma notammo che scherzava. Il ragazzo rise tranquillo.
-Già- disse soltanto, lanciandomi un’occhiata strana, con un sorrisetto in volto.
-Beh, mi dispiace, ma ora dobbiamo proprio scappare. Grazie per non averla fatta investire da un taxi, Zayn- disse Meg frettolosamente, prendendomi per un braccio e tirandomi via dal moro, che all’inizio non capì tutta quella fretta, e sembrò confuso.
-Tu vedi troppi film, Meg- disse ridendo, e marcando sul suo soprannome. Mi voltai e mi liberai dalla presa della mia migliore amica.
-Raggiungi gli altri, arrivo tra un attimo- le sussurrai vicino all’orecchio. Lei andò via riluttante. Mi avvicinai nuovamente a Zayn, che mi guardava intensamente negli occhi. Questa volta distolsi lo sguardo.
-Grazie mille per tutto- gli dissi. –Non so dove sarei senza il tuo aiuto-
-Probabilmente in un vicolo, dietro un cassonetto, a piangere disperatamente- disse lui, inizialmente serio. Quando poi vide la mia espressione stranita e scioccata, scoppiò in una fragorosa risata. Riuscì a dire uno ‘scherzavo’ tra le risate, a cui poi si unirono le mie. A un certo punto non so cosa mi prese, forse per l’allegria del momento, gli buttai le braccia al collo. Non fu uno di quegli abbracci da addio, sdolcinati e dove ci si stringe a più non posso. Le mie braccia erano delicate sulle sue spalle, e all’inizio il ragazzo fu preso alla sprovvista, ma poi sentii le sue mani calde sui miei fianchi, che ricambiavano l’abbraccio in modo goffo. Fino a quel momento non gli avevo mai visto fare qualcosa di goffo. Era tenero. Mi sciolsi dall’abbraccio.
-Scusa- dissi sorridendo timidamente.
-E di che?- rispose sorridente.
-Addio- recitai in modo smieloso. Ridemmo entrambi.
-Nah, so che ci rivedremo- disse lui, e mi sembrò estremamente serio. Lo guardai per un altro lungo istante, cercando di memorizzare quanto più riuscivo del suo viso, del suo corpo, delle sue espressioni. Poi mi voltai e mi incamminai verso la mia classe. Prima di scomparire dietro un grande cespuglio, mi girai ancora una volta verso di lui. Alzò una mano in segno di saluto, rivolgendomi uno di quei sorrisi strani che faceva ogni tanto. Ricambiai il saluto, e raggiunsi Meg e il resto della mia classe.
Mentre gli studenti e gli insegnanti si organizzavano per tornare al pullman, girai la testa un’ultima volta verso il posto dove eravamo stati, ma il ragazzo dai capelli scuri non c’era più. Restai confusa, un po’ distante da quello che mi accadeva intorno, ancora proiettata nei momenti passati con Zayn. Tutto sembrava essere stato solo un bellissimo sogno.



 

Aloha! Eccomi qui con un nuovo e appassionante capitolo della mia ff (?) E' tardissimo e sto morendo di sonno, quindi non scriverò niente di impegnativo qui lol 
Scusate se non rispondo alle recensioni, è che direi sempre la stessa cosa. Sappiate comunque che vi ringrazio tantissimo di tutti i commenti positivi, per me è davvero importante perchè adoro scrivere, e sono felice di sapere che a qualche anima piaccia la mia storia :) Ci vediamo al prossimo capitolo! x

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Capitolo 5
*** 5° ***


Quattro giorni erano passati più veloci della luce, nella Grande Mela. Un ultimo giorno mi aspettava prima di tornare alla vita di sempre, prima di tornare alla realtà. Ero stata in così tanti posti che probabilmente ne avrei ricordati solo la metà. La memoria della macchina fotografica si era esaurita all’inizio del terzo giorno, quindi stavo cercando di memorizzare più cose che potevo, in quegli ultimi giorni.
-Ehi, mi stai ascoltando?- la voce di Maggie mi risvegliò dallo stato di dormiveglia in cui ero crollata. I miei pancake con sciroppo d’acero si raffreddavano nel piatto davanti a me. Io e la mia migliore amica eravamo sedute a un tavolo in mezzo alla sala ristorante dell’albergo, mentre gli ultimi studenti entravano nella stanza ancora tutti assonnati, dopo il risveglio drastico di quella mattina. Brontolai un ‘sì’ strofinandomi gli occhi, annuendo con quanto più vigore mi riuscisse in quel momento.
-Ti dicevo che sta circolando questa voce, che Chris sia andato a letto con la guida turistica che ci ha accompagnato in questi giorni. E’ pazzesco, io non riesco proprio a capire quel ragazzo. Cos’ha in testa?-
-Probabilmente niente- la interruppi per prendere parte alla conversazione, anche se mi riusciva ancora difficile svegliarmi completamente. Fu d’accordo con me, e continuammo a chiacchierare e fare colazione in mezzo al brusio delle persone intorno a noi.
 
**
 
-Questa è l’ultima visita che faremo per questa gita, e subito dopo pranzo torneremo al college. Vi prego di restare responsabili e maturi proprio come avete fatto in questi giorni. Non voglio sorprese- discorse mrs.Johnson una volta che tutti avemmo preso posto sul pullman. I nostri bagagli erano già tutti nel bagagliaio, e avevo addosso le uniche cose che avevo lasciato fuori dalla valigia.
Quella mattina andammo a vedere l’Empire State Building. Appena arrivati, tutti alzammo la testa, percorrendo con lo sguardo tutta l’altezza di quel grattacielo. Era perfettamente progettato, una delle costruzioni più eleganti che avessi mai visto. Ai piedi del palazzo c’era un mucchio di gente. Aspettammo ore prima di riuscire ad entrare nella hall. Lì, circa sei uomini in giacca e cravatta scortavano le persone in giro per il piano terra, e le accompagnavano all’ascensore per visitare i piani del grattacielo e, infine, arrivare all’ultimo piano dell’Empire. Gli ascensori erano molto spaziosi, ma gli uomini facevano entrare i turisti a gruppi di dodici persone alla volta. Io e Maggie ci organizzammo per salire con il secondo gruppo di persone, in modo da non avere i professori anche nell’ultima visita della gita.
Molti dei piani del palazzo erano occupati da uffici, ma la vera sorpresa fu quando arrivammo all’attico. Tutte le persone salite con gli ascensori vagavano per questo immenso piano, e se puntavi lo sguardo un po’ più in là, l’enorme distesa che era New York si stagliava davanti a te. Potevo vedere i grattacieli di Manhattan, il traffico sulla 5th Avenue, i palazzi di Brooklyn. Il sottofondo che ci accompagnava era quello dello strombazzare dei taxi e delle auto giù in città, che, anche se flebile, poteva essere avvertito. Neanche le foto che si trovavano su internet rendevano giustizia al panorama quanto l’essere davvero lì.
 
**
 
Nel primo pomeriggio, sul pullman si avvertiva un’atmosfera spenta, triste. Si erano tutti divertiti molto durante la gita, e nessuno voleva tornare a casa. Compresa io. A differenza del viaggio di andata, quello di ritorno sembrava non finire mai. Con Maggie non c’era niente di cui parlare, eravamo svuotate e in uno stato di provvisoria depressione. Poggiai il gomito sul piccolo davanzale del finestrino e, con gli auricolari alle orecchie, mi lasciai trasportare nel mondo dei ricordi di quei pochi giorni, mentre i miei occhi percorrevano distratti il panorama fuori dal finestrino.
Non mi accorsi di essermi addormentata fino al momento in cui Maggie mi scosse il braccio. Mi disse di sbrigarmi a scendere. All’inizio non capii, ma poi guardai dal finestrino. Eravamo fermi davanti a un modesto e abbastanza malandato autogrill, parcheggiati in mezzo a camion e tir di tutti i tipi. Il luogo era illuminato dalla sola luce dei lampioni, visti i nuvoloni che oscuravano il cielo dando l’idea che fosse notte fonda, mentre erano circa le cinque di pomeriggio. Scesi dal mezzo barcollando, ancora un po’ stordita dalla dormita che mi ero fatta. Raggiunsi Maggie ed entrammo nell’autogrill. Non mi sorpresi nello scoprire che era come tutti quelli in cui ero stata: scaffali strapieni di cianfrusaglie di ogni tipo, soprattutto cibo, e zone riservate ai capricci dei bambini, con giocattoli stupidi e con la speranza di vita di un paio di giorni. Feci un giro distratto tra tutta quella roba, poi cercai il bagno. Entrando nella porta a destra che indicava il bagno delle donne, non mi sorpresi nello scoprire che era deserto. Entrai in uno dei bagni e ne uscii tirando lo scarico. Mi avvicinai al lavandino e aprii l’acqua. Mentre mi sciacquavo le mani, la porta d’ingresso del bagno si aprì, ed entrò… Chris?! Alzai lo sguardo sullo specchio e lo guardai da lì, poi mi girai verso di lui.
-Hai sbagliato bagno- dissi secca. Lui era tranquillo, camminava lentamente attraverso la stanza. Aveva sul viso uno di quei suoi sorrisetti insopportabili; mi allarmai, mentre sentivo il cuore battere sempre più forte.
-Oh, giusto, questo deve essere il bagno delle ragazze- disse come accorgendosene in quel momento, e per qualche istante rimasi perplessa, che la sua scemenza fosse aumentata? Poi però capii.
Non capii subito cosa successe poi. Mi ritrovai con la schiena insistentemente spinta contro il muro freddo, alla mia destra vedevo le macchine per asciugare le mani. Davanti a me, invece, Chris teneva una distanza ravvicinata con il mio naso. I suoi occhi erano strani, il suo sorriso sembrava divertito, ma anche arrabbiato.
-Ti sei fatta un giro a Central Park, eh? La Johnson non ti ha visto, ma io sì. Con quel ragazzo.. Ti dai subito da fare, non è vero? Mi hai già dimenticato?- disse lui a un centimetro dalla mia bocca, ormai iniziavo a credere che stesse delirando.
-Questo non lo dimenticherai- disse sempre più vicino. Poi vidi il suo braccio sinistro alzarsi e un pugno che si avvicinava a me. Serrai gli occhi d’istinto, ma il pugno non era rivolto a me. Lo sferrò sul bottone di accensione della macchina accanto a me, e un rumore fastidioso come un asciugacapelli si diffuse nell’aria. Perché ‘l’aveva acceso? Forse per soffocare le mie grida d’aiuto? Rabbrividii al solo pensiero, quando all’improvviso Chris premette le sue labbra sulle mie, e mi strinse i fianchi come se avesse delle tenaglie al posto delle mani. Lanciai un grido strozzato per il dolore, e lui ne approfittò per infilare la sua lingua nella mia bocca. Era violento, sgraziato e mi faceva una paura pazzesca. Lanciavo lamenti di dolore e di paura, ma lui faceva finta di niente, e mi chiesi se la resistenza che opponevo non lo eccitasse ancora di più. Le sue mani scesero fino al cavallo dei miei jeans e li sbottonarono. Presi con forza le sue mani e tentai di urlare ‘basta!’, ma lui mi strattonò e mi prese il viso tra le mani mordendomi con forza il labbro inferiore. Il sapore ferreo del sangue si diffondeva nella mia bocca, mi leccai il labbro e sentii la ferita che mi aveva provocato. Presi Chris per le spalle e lo spintonai indietro, perse di poco l’equilibrio ma non cadde. Almeno l’avevo allontanato da me, ma non per molto. Si fiondò di nuovo su di me, con una mano alzata, e fui sicura che fosse rivolta a me, ma quel colpo non arrivò mai. Riaprii gli occhi che avevo nuovamente serrato e vidi davanti a me Maggie che teneva il braccio di Chris a mezz’aria. Lo strattonò e gli diede un calcio in mezzo alle gambe talmente forte che sentii il dolore che provava. Il ragazzo sgranò gli occhi, mentre si teneva le mani tra le gambe, e cadde a terra pervaso dai dolori.
-La prossima volta lo tieni dentro quel coso!- gridò Maggie, mentre la guardavo allibita. –Andiamo, Em- mi disse con nonchalance mentre mi prendeva per un braccio e mi portava fuori dal bagno. Continuavo a guardarla esterrefatta, mentre ci facevamo strada tra tutte quelle cianfrusaglie e uscivamo all’aria fresca del tardo pomeriggio.
-Tu.. tu sei la mia nuova eroina!- esclamai ancora sotto shock.
-Ti ho detto che quelle lezioni di difesa personale erano utili!- mi disse ridendo. Ci avvicinammo di nuovo tutti al pullman, i professori ci contarono e salimmo nuovamente.
Ero stanca, spaventata, triste e l’adrenalina mi scorreva nelle vene. Quando Chris, accompagnato dai suoi amici, percorse il corridoio, notai i suoi occhi rossi e gonfi. Aveva pianto? Sorrisi all’idea. Non provavo più niente per lui, mi faceva solo schifo. Lo incenerii con lo sguardo, e quando mi notò, si precipitò su di me e mi sussurrò all’orecchio: -La prossima volta non ci sarà la tua amica a salvarti il culo- trasalii sentendo il suo fiato sul mio orecchio, e per tutto il viaggio mi sentii i suoi occhi addosso. In quel momento fui felice di star tornando a casa mia. 



 

Ciao a tutte! Scusate il ritardo, ma sono stata in Inghilterra per due settimane e non ho avuto la possibilità di aggiornare. Palrando del capitolo, non mi piace molto lol l'ho scritto di fretta perchè volevo aggiornare e andare avanti con la storia. In questo momento Zayn è 'uscito di scena', ma non preoccupatevi, tornerà presto (?) comunque spero di aggiornare presto, per qualsiasi cosa sono @shescontagious su twitter :) 

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