Fall.

di _Juliet98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


<<  Trovami. > >

<< Finiscila, Lucas. Oggi non è proprio giornata. >>
<<  Dài. >>
<<  Lucas, se voglio posso benissimo svegliarmi, e lo farò se non comparirai in questo preciso istante.  Non sfidarmi, non oggi. >>
<<  Ok. Non c’è bisogno di reagire così. Cos’è successo, amore mio? >>
Disse Lucas comparendo. Era sempre così perfetto, il suo corpo lungo e asciutto, le sue mani lunghe e da pianista che fremevano per il desiderio di toccarmi, ma non poteva. Una mano dentro la tasca, e l’altra  era tra i suoi meravigliosi capelli ricci castano-dorato. Le sue labbra erano inarcate in un leggero sorriso di incoraggiamento. Erano così rosee e carnose! Dio! Pensare che io fino a sei mesi fa avrei potuto toccarle e baciarle a mio piacimento.
<<  Niente.  >>
Non potevo dirgli che avevo pensato al suicidio di nuovo, avevo la scatolina dei calmanti davanti a me in un momento in cui ero più debole del solito.
<< Da quando.. da quando è successa quella catastrofe niente va per il verso giusto, Lucas. Io non so fino a quanto sopravvivrò. Anzi, non posso dire di star vivendo, ormai. >>
Dissi appoggiandomi al muro della mia stanza.
Mi sentivo debole come i castelli di carta che con un soffio di vento crollano. Io ero un castello di carta nel bel mezzo di un tornado. Perdevo sempre più carte, fino a scomparire, e io lo sentivo, che stavo scomparendo, e mi andava bene. Le carte da cui ero composta si rifiutavano di issarsi l’una all’altra, volevano cadere. Non volevano far parte di me. Io non volevo far parte di me. Ero la regina dei castelli di carta.
Sentì piagnucolare Lucas, e il fruscio delle sue ali, segno che si stava avvicinando.
Vidi la sua mano sfiorarmi, ma non la percepivo sulla mia pelle, lui si abbassò alla mia altezza.
<< Ti amo, amore. Ti amo e ti amerò sempre. Il mio amore ti terrà in vita. Se non mi vedi, non vuol dire che io non sia presente. Ci sono, sono sempre con te, giorno e notte. Non ti lascerò mai. E semmai dovessi morire, arriverò sino all’inferno per riprenderti e riportarti in vita. Non hai scampo. Nessuno ti vuole qui. >>
 
 

 
 Mi svegliai, e come al solito, senza nemmeno pensarci, le lacrime iniziarono a scendere copiosamente. Mi mancava Lucas, mi mancava così tanto da far male. Mi mancavano i nostri sguardi complici, i nostri baci, mi mancava guardare film il Giovedì sera, mi mancava litigare quando lasciava il dentifricio aperto, e quando lo premeva dalla metà del tubetto e così veniva inevitabilmente rovinato. Mi mancava.
Come avrei potuto continuare a vivere?




Spazio autrice.
Salve a tutte ragazze! Mi chiamo Eleonora ed è la prima ff che scrivo. Non ho idea di come si faccia e sono nel pallone. Spero che questa storiavi piaccia, spero anche in qualche piccola recensione, per sapere se dovrò continuarla o meno. Grazie a tutte quelle che leggeranno :) un bacione!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Sempre la stessa storia. Da sei mesi ero chiusa in uno stato di apatia, dalla quale né volevo, né sapevo uscirne. Avevo lasciato gli altri continuare a vivere la propria vita, e a me il piacere di vedere gli altri viverla. Non volevo essere un peso per nessuno, così ho tagliato i ponti con tutti. Uscivo il minimo necessario: andavo a lavoro e andavo a fare la spesa, quando era urgente. Avevo paura. E poi il mondo aveva perso il suo colore, e io avevo perso me stessa dopo aver perso per sempre Lucas.
Nella nostra casa lui era ancora presente: i suoi vestiti erano piegati come li aveva lasciati lui e sempre allo stesso posto, divisi per colorazioni e per utilizzo. Lui era un maniaco dell’ordine, diversamente da me: il mio armadio era la sedia.
Il suo spazzolino era ancora al suo solito posto vicino al lavandino, così come il suo dopobarba, il suo bagnoschiuma e il suo shampoo.
Il pianoforte, con la partitura di Allevi poggiata nel leggio, era ancora aperto, così come l’aveva lasciato lui.
Anche la tazza con cui prendeva sempre il caffè la mattina era dove l’aveva lasciata lui.
Forse lui non c’era fisicamente, è vero, ma lì dentro si respirava il suo profumo.
Ad uno sconosciuto tutto avrebbe fatto pensare che in quella casa le persone che vi vivevano erano due, e non uno.
Come al solito, bevvi il mio caffè e uscii, fermai il taxi e andai dritta in ospedale.
Inizialmente andavo a lavoro con la macchina, ma Lucas non voleva contribuire ad inquinare ulteriormente e quindi iniziai, con lui, a prendere taxi e pullman.
Indossato il mio camice da medico, indossai anche la maschera che portavo quando ero fuori: dicevo agli altri di aver superato la morte di Lucas e che stavo iniziando a farmi una nuova vita. Ma in realtà mi trovavo più sotto terra di quanto io stessa potessi immaginare.
<< Juliet >> mi chiamò Thomas, il responsabile del reparto << c’è un paziente nella 103.>>
Feci un respiro, e mi diressi verso quella stanza.
<< Buongiorno. >> dissi usando il tono più professionale che avessi.
<< A lei. >>
Mi girai, e vidi un ragazzo che poteva avere all’incirca la mia età.
<< Allora, qual è il problema?>>
<< Giocando con dei miei amici ho preso una storta e ho la caviglia dolorante. Ho fatto i raggi e mi hanno detto di venire qui e li avrei trovati. >>
<< Oh si. Lei si chiama?>>
<< Joseph Jonas.>>
Mi alzai e mi diressi verso lo scaffale dove venivano poste le cartelle mediche dei pazienti. Cercai la J, ed estrassi la cartelletta, presi i raggi e li posizionai in modo che si vedessero.
<< Allora.. il dolore alla caviglia è dovuto ad una distorsione. Siamo costretti a procedere con un’ingessatura. E da quanto vedo dovrà tenerla per un bel po’, adesso si stiri e controlliamo meglio. >>
Il ragazzo cercò di alzarsi, ma non ci riuscì, il dolore era troppo e non riusciva a reggersi su un piede solo. Così corsi dalla sua parte e feci passare il suo braccio sopra il mio collo, in modo che potessi aiutarlo a stirarsi.
Mi sentivo impacciata con un uomo che mi toccava: da quando Lucas non c’era più, non avevo avuto più nessun tipo di contatto fisico con nessun uomo.
<<  Stai tranquilla. Lui non sta pensando niente di male, anzi, pensa che tu sia molto carina, e diciamo che i suoi pensieri non sono così casti!
Non così Juliet, aiutalo prima a sedersi, altrimenti si farà male – sentì dire a Lucas quando stavo aiutando Joe a stirarsi- fa attenzione, adesso. E stai tranquilla. >>

Lucas era sempre presente nella mia testa, lo percepivo quando ero sveglia. Quando dormivo lo incontravo.
Iniziai a tastare la caviglia di Joe e constatare i danni.
<< Bene, la distorsione è abbastanza accentuata, se tutto va bene, deve tenere il gesso per un mesetto circa. Deve venire ogni due settimane per cambiarlo, dopo procederemo con la fisioterapia e il riacquisto completo dell’utilizzo della gamba. Per adesso si sforzi il meno possibile. Adesso procederemo con l’ingessatura, tra un po’ arriverà il medico. Arrivederci. >>
Detto questo uscii e andai a cercare una delle infermiere della reception per chiamare Jack e informarlo che era atteso nella 103.
 

 
 
 
<<  Lucas la pagherai cara. Lo so che, in un modo o nell’altro, hai fatto venire in mente a Thomas di chiamarmi nella 103. Ti odio quando fai così. >>
<<  Cosa dici, tesoro? >> proruppe lui nella mia mente
<<  Non fare il cretino! Sei un’idiota. Sai benissimo che odio il contatto fisico e tu mi obblighi a mantenerlo. Ti odio. >>
<< Devi farti una vita. Non sapevo come altro fare. >>
<< Certo curare ragazzi che hanno all’incirca la mia età  stimolerà me a fare nuove amicizie con loro. Ovvio. >>
<<  Fidati, funzionerà..>>
<<  Non funzionerà, cazzo! Non voglio che funzioni qualcosa. Non capisci? Non voglio stare più con nessuno. Non riesco ad amare nessuno, tranne te. Devo tornare al mio lavoro. Non cercarmi. Ci vediamo non appena mi addormento. >>
<<  Ciao, cuore. Ti amo.>>

Oh, con lui mi scioglievo. Come potevo continuare a tenergli il muso?



Spazio autrice.
Salve bellezzeee :) tanto per cominciare voevo ringraziare le due ragazze che hanno recensito e volevo inviatrvi a leggere le loro rispettive ff. Non sono molto soddisfatta come scrivo, la mia prof diceva sempre: " periodi troppo brevi e allunghi troppo" ma questo è il massimo che so fare, per cui scusatemi. ahahaha. Comunque volevo ringraziare tutte quelle che hanno letto il prologo, spero continuino a leggere il resto della storia! E se recensite sarebbe cose buona e giusta e mi renderebbe felicissima! Un bacio :*
Eleonora

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


 
Uscii fuori e andai a fumare una sigaretta, al solo scopo di rilassarmi dopo l’ennesimo paziente rompi palle, che pensava di star morendo solo per un minimo dolore alla parte sinistra del petto. Al solo pensiero mi veniva da ridere.
<< Sai che non dovresti fumare? >>
Mi girai spaventata e vidi Joe che mi sorrideva, io d’istinto buttai la sigaretta a terra e la calpestai con la mia scarpa per spegnerla.
<< Oh, se è per me puoi continuare a fumare, non mi da fastidio il fumo. Io lo dicevo per te. >>
<< Beh, dovevi dirlo prima. Ormai l’ho buttata. >>
Ero sempre così con le altre persone: fredda, usavo un tono di voce calcolato e tutto nei miei gesti faceva capire che ero in tensione.
<< Puoi benissimo prenderne un’altra. >>
<< Non mi va più. >>
<< Brutta giornata, eh?>>
“ Brutta vita “ , pensai.
<< Già. >>sbuffai.
 
 
 
 
Joe’s pov.



Finalmente, dopo avermi dato un paio di stampelle e avermi fasciato la gamba, il dottor Jack mi lasciò andare.
<< .. Quindi ci vediamo giorno 10 Dicembre per cambiare il gesso. >>
 Il dottore concluse un discorso a cui non avevo dato molta retta. La mia testa era da tutt’altra parte. La mia testa rifletteva sempre l’immagine di due occhi tristi, e di un viso che cercava di apparire calmo: il volto di Juliet.
Non appena l’avevo vista, ammetto che i miei pensieri non erano stati molto casti. È vero, la sua bellezza era riuscita ad impressionarmi- le labbra a cuore, i grandi occhi verdi, i capelli castani raccolti in una coda disordinata e nemmeno il camice nascondeva i suoi seni e la sua curva all’altezza del sedere, avrei scommesso la testa che a qualsiasi uomo avrebbe fatto lo stesso effetto-, ma più di tutti erano stati i suoi occhi a colpirmi: rivelavano una malcelata malinconia, tristezza.
Poteva avere la mia età, e mai, mai, avevo visto occhi così spenti, il colore delle sue iridi non risplendeva come avrebbero dovuto fari gli occhi di una qualsiasi giovane ragazza.
Trovai Juliet appoggiata al muro che rigirava una sigaretta tra le mani.
<< Sai che non dovresti fumare? >> dissi non appena le porte scorrevoli si chiusero dietro di me. Lei buttò a terra la sigaretta e la spense con una scarpa.
<< Oh, se è per me potevi continuare a fumare, non mi da fastidio il fumo. Lo dicevo per te. >>
<< Beh, dovevi dirlo prima. Ormai l’ho buttata. >>
Replicò acida e con un filo di voce, quasi avesse paura di parlare. Ogni suo piccolo gesto sembrava fosse calcolato, come se volesse tenersi a distanza di sicurezza da tutte le altre persone, dal mondo.
<< Brutta giornata, eh? >>  buttai lì, non sapendo cosa dire
<< Già. >> disse dopo un po’.
Intanto lei prese un’altra sigaretta dal pacchetto e se la rigirò tra le mani, fin quando non l’accese.
<< Fumi da tanto? >> chiesi, sperando che non facesse cadere lì tutti i miei tentavi di un discorso.
<< Sì. >>
Quella ragazza era chiusa, si era costruita mille e mille barriere  in modo da non far entrare niente: né aria, né persone, né luce. Come può una persona – pensai – chiudere così ? Beh, l’avrei scoperto. Avevo la fama di essere curioso, tra i miei amici.
Avrei tolto quello strato di malinconia dai suoi occhi, e non perché mi piacesse la ragazza davanti a me, o perché provassi un minimo di interesse nei suoi confronti. Ma perché stavo male anch’io a vedere le persone così. Le persone devono avere gli occhi brillanti, non spenti.
Se nessuno si era mai offerto di aiutarla, o se qualcuno si eraofferto e lei si era chiusa ancora di più, questo non lo sapevo.  Ma di una cosa ne ero certo: avrei aiutato Juliet a far entrare in lei aria, persone e luce. Avrei fatto cadere una ad una le barriere che lei stessa era riuscita a crearsi. L’avrei salvata dall’orlo del precipizio. Sentivo che era debole come un castello di carta.
Riuscirò a farla aprire.



Spazio autrice

Buenos noches chicoooos :D
Scusatemi se vi ho fatto aspettare per un capitolo orrendo come questo, ma in questi giorni h avuto diversi problemi e la mia testa c'è poco e niente, o fare è meglio dire che non c'è, punto. ahahahahah. Sono disperata!
Comunque sia, volevo ringraziare TUTTE quelle che hanno recensito, davvero grazie di cuore, e a chi segue la storia, e anche a chi legge, senza però recensire! Adesso vi lascio, grazie mille ancora. Un bacio, ci vediamo presto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


3.



Juliet’s pov
 
Non mi piaceva il modo in cui mi squadrava quel ragazzo. Non ne aveva il diritto. Non era uno sguardo curioso, bensì uno sguardo indagatore. Mi sentivo spogliata da quello sguardo, mi infastidiva e non poco.
<< Devo.. Ehm, devo tornare a lavoro. Ciao. >> dissi velocemente.
Non c’era nessuna emergenza e potevo prendermi benissimo una pausa, -odiavo i giorni come quelli: erano piatti, non c’era nessun paziente a distrarmi dai miei pensieri- ciò che infatti avevo deciso di fare, ma poi era arrivato Joe e aveva distrutto i miei piani. Non volevo essere guardata in quel modo, e così avevo trovato una scusa.
Lui accennò un sorriso beffardo e disse: << Non sai mentire. >>
Mi voltai a guardarlo << Come, scusa? Non sono qui a perder tempo, devo tornare a lavoro. >> dicendo questo, entrai e lanciai un’occhiata furtiva dietro le mie spalle e vidi che mi guardava ancora.
Speravo che non avrei più dovuto vederlo. Chi era lui per guardarmi così? Come si era permesso? E soprattutto cos’aveva intuito? Forse che ero sul bordo di un precipizio e che non riuscivo a fare nessun passo indietro, ma solo moltissimi in avanti? Aveva capito che ero distrutta? Aveva capito che ero sotto effetto di tranquillanti che rubavo all’ospedale? Aveva capito che il mio viso era solo una maschera che usavo davanti agli altri e che anzi che avere un’ espressione impassibile, avrei voluto passare il tempo ad urlare per la morte di Lucas?
La morte di Lucas.
Sei mesi e non l’avevo ancora accettata.
Queste erano cose che si vedevano nei libri o nei film o, nel peggiore dei casi, alle altre persone: perdere l’amore della propria vita e non riuscire più a vivere. Non avrei mai potuto pensare che sarebbe successo a me. Non avrei mai, mai potuto pensare che Lucas sarebbe potuto morire. Non avrei mai potuto pensare di non poter più passare la notte con l’amore della mia vita, di non poterlo più sentire, baciarlo e toccarlo. Quando si ama, non si pensa a niente di brutto: è un po’ come vivere in un universo parallelo, dove tutto è felice. Amando si vola.
Quando si ama, ma si ama davvero, i fili della vita dei due innamorati si intrecciano, si congiungono senza più sfilarsi. Quando un filo viene tagliato, inevitabilmente anche l’altro fila inizia a sfilarsi, e a non riuscire a finire la propria corda della vita da solo. Io sentivo il mio filo già sfilarsi ogni giorno, ogni ora e ogni minuto. Sempre.
Entrai la mano nella tasca del camice e sfiorai la scatolina dei tranquillanti. Anche adesso pensavo al suicidio, adesso che ero al lavoro. Buffo, vero?
Salvavo le vite degli altri, mentre io desideravo morire.
Sapevo già dove nascondermi per ingerire quegli ultimi tranquillanti rimasti: nel bagno dei medici. Mi sarei puntata rintanare lì prendere i tranquillanti e lasciarmi morire. Avrebbero iniziato a sospettare dopo un quarto d’ora minimo, avevo tutto il tempo di prenderli e di far sì che le pillole facessero effetto.
 Se il mio tentativo sarebbe andato male, mi avrebbero trovata moribonda e forse non sarebbero stati in grado di salvarmi, perché, credevo, che ci avessero messo molto tempo a capire che avevo ingerito dei tranquillanti.
Ovviamente avrei nascosto bene la scatolina, così che ci arrivassero solo dopo.
 Interessante.

 
<< Basta. >> esordì Lucas nella mia testa.
<< Sta’ zitto. >>
<< Non  posso sentirti pensare queste cose. >>
<< Allora esci dalla mia testa! >>
<< Non voglio. E non vuoi nemmeno tu. >>
<< Sto male, Lucas. Permettimi di raggiungerti, ti prego. Non puoi salvarmi sempre. >>
<< No. >>
<< Lucas non puoi intervenire ogni volta. Il pensiero del suicidio mi frulla sempre in testa. Fino a quando riuscirai a non farmi prendere le lamette, i tranquillanti o qualunque cosa che possa farmi male? Eh, fino a quando? >>
<< Fino a quando non sentirò nella tua testa un pensiero che dice: “voglio vivere” . >>
<< ESCI FUORI DALLA MIA TESTA. ORA. >>
<< Juliet, ti prego.. >>
<< Esci. Ora. >>
 

 
Din din. Il cercapersone iniziò a squillare, segno di un’emergenza.  Perché proprio adesso? Perché proprio adesso che avevo finalmente deciso, e avevo pensato ad un piano che, finalmente, mi avrebbe portato a Lucas?
Con un enorme macigno in cuore, ripresi la mia maschera ed andaia salvare, o perlomeno cercare di salvare un’altra vita, mi stupii non appena vidi chi era.
 Joe Jonas.



Ed eccomi di nuovo tra voi, mie care lettrici. Scusate l'attesa, davvero, ma ho avuto un sacco di cose da fare. E mentre molte si lamentano che hanno un "blocco dello scrittore" e non sanno andare avanti con la scrittura, io ho fin troppe idee e non so riodinarle! Non potete avere idea di quante volte ho cancellato queste capitolo, per farne uscire qualcosa di leggibile, per lo meno. Non ci sono riuscita molto ahahah.
Comunque, bando alle chiacchere, grazie mille a chi recensisce e chi mette la storia tra le preferite/seguite/ricordate e grazie anche a chi legge e basta. Grazie mille ancora. Un enorme bacio

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


5.

 
Avete presente un tumulto di emozioni? Quando non sapete quello che provate? Bene, se l’avete presente, in quel momento era l’unico modo per descrivermi: un tumulto di emozioni.
Paura – che tutti i medici hanno- , confusione, rabbia – perché magari se non l’avessi lasciato solo non sarebbe successo niente- e senso di colpa.
Va bene, avevo pregato Dio in modo che non me lo facesse vedere il meno possibile, o meglio ancora, che non me lo avesse fatto vedere mai più, ma non era esattamente questo quello che intendevo quando dicevo che non volevo più vederlo. Però, da ammettere, Dio era stato davvero tempestivo.
Ma che andavo a pensare mentre un paziente aspettava le mie cure? Il mio cervello era davvero fuso.
<< Che gli è successo? >> dissi, indicando Joe, con l’ossigeno nel naso e che si lamentava.
 

 

Joe’s pov.
 

Quando Juliet uscì fuori dalla mia visuale, mi voltai a fissare la strada. Se fossi riuscito ad attraversarla mio fratello, Nick, avrebbe fatto meno fatica per posteggiare la macchina e aiutarmi a sedere. Questa gamba del cazzo. Giuro che non giocherò mai più a calcio, dopo aver bevuto più birre insieme ai mie amici.
Se magari avessi bevuto meno birre, e fossimo stati più sobri, non avrei preso questa maledetta storta alla caviglia. Tra due settimane sarei dovuto partire per l’Africa, non potevo più partire!
Niente più birra. Promesso.
Ok, forse per niente no, solo , avrei ridotto le quantità.
Stavo pensando se fossi mai riuscito a mantenere quella specie fatta con me stesso, quando il semaforo divenne verde per i pedoni. Mi guardai attorno ed ero solo, nemmeno una macchina, e pochi pedoni come me.
Iniziai ad attraversare lento come una lumaca, per via della mia maledettissima gamba, ma è stato allora che sentii il suono di un clacson, mi girai dalla  parte da cui sembrava provenisse il suono: fu allora che il panico mi attanagliò lo stomaco, per poi diffondersi nelle vene, fino ad arrivare al cervello a cui non riuscì a dare nessuno comando, né di muoversi, spostarsi.. insomma scappare.
La morsa alla stomaco fu l’ultima cosa che sentii.
I fanali luminosi della macchina furono l’ultima cosa che vidi prima di urlare e cadere a terra immobile.
 
Sentivo solo voci indistinte che si accavalcavano tra di loro.
<< Mio dio, non avevo visto il semaforo! >> sentii qualcuno dire tra la folla.
<< I medici, subito. Chiamate i medici. >> quello forse era mio fratello.
Non so, non ne ero sicuro. Non ero sicuro di niente.
Avevo in testa una confusione enorme: le voci delle persone cozzavano con il dolore che provavo all’altezza del bacino, l’odore dell’asfalto che mi riempiva le narici cozzava con la sensazione di paura.
Volevo urlare, non ci riuscivo. Riuscivo solo a rantolare, e sicuramente non mi capivano, perché sentii qualcuno dire: << Cosa vuole? Dio, si sarà fatto male! >>
Poi sentii delle mani sotto la mia schiena , non sentii più l’odore dell’asfalto che invadeva prepotentemente le narici, senza farmi respirare, sentii il mio corpo rilassarsi mentre veniva riscaldato da qualcosa che man mano entrava dentro di me, ma non riusciva a capire né cosa, né da dove provenisse.
Poi vidi solo il bianco.
Quindi era questa la morte. Sentirsi caldi e leggeri, sentirsi meglio di quando si era in vita. Beh, non era così male. Anzi, era completamente diversa da come l’avevo immaginata, ho sempre immaginato la morte qualcosa di cupo, pauroso, qualcosa cui non ho mai voluto pensare, mi faceva paura.
Lentamente, vidi comparire una sagoma, prima più sfocata, poi sempre più limpida. Era un ragazzo. Aveva un fisico slanciato, i capelli castano-dorati e le mani chiaramente da pianista: era lunghe e le dita affusolate.
Le ali. Vidi le sue ali. Mi sentii raggelare il sangue: lui era il mio angelo custode che mi stava per dire che il suo compito era finito? O era l’angelo che mi avrebbe indicato la strada del paradiso? O magari inferno, purgatorio. Chissà dove sarei finito.
 E’ vero, non mi ero comportato benissimo in vita: da bambino è capitato che rubassi la merendina a qualcuno, o che facessi il bullo con quelli più deboli, ma non credo che Dio contasse queste cose!


<<  Ciao. >> disse l’angelo
<< Chi sei? >>
<< Non credo ti possa interessare, perché non credo che ci rivedremo più. Comunque se davvero ti interessa, ciao piacere, io sono Lucas e sono il motivo per cui Juliet ha gli occhi spenti. >>
<< Ok, dài, farmi prendere in giro anche quando muoio, no dài. >>
<< Non sto scherzando.  Ho la faccia di qualcuno che scherza? >>
Effettivamente no, non aveva la faccia di qualcuno che scherza. Era, anzi piuttosto serio, lo indicavano i suoi occhi:  grandi e scuri, nessun segno di scherno.  Decisi quindi di stare al gioco.
<<  N.. No. In realtà incuti abbastanza terrore. >>
<< Mmm, no. Non era questo il mio intento. Ti ringrazio per avermi facilitato il lavoro, avevo intenzione di farmi vedere nel tuo sonno, ma è successo questo, quindi ‘carpe diem’.
 Comunque ho poco tempo. Ecco cosa dovrai fare: Ti prego, bada a Juliet. Fa’ che le passino dalla testa tutti questi pensieri sul suicidio. Ti prego. Falla vivere, falla aprire al mondo, falla ritornare la Juliet bella, dolce, solare e felice che era prima. Ti prego. >>
Restai di sasso. Perché proprio io, pensai?
<<  Sei un cantante, no? – annuii- Fa’ finta che tu abbia superato un’audizione, perché ,teoricamente, è quello che hai appena fatto. Solo che tu non sapevi che stavi partecipando. Ti prego, giuralo. Ti prego. >>
<< Leggi i pensieri? >> lo guardai scioccato
<< Giura. >>
Lo guardai. Cosa significa per Juliet questo Lucas? Era stato il fratello? Il cugino? O magari il fidanzato?
Aveva degli occhi imploranti.
Io, Joe Jonas, avrei giurato? Avevo giurato a me stesso di aiutarla ma si sa, le promesse con se stessi sono più o meno nulle, -come quella della birra-, però Juliet, aveva qualcosa di magico, un non so che di misterioso. Ma cosa più importante avevo gli occhi spenti e tristi. E io non potevo vederne di occhi così.
Sì, mi dissi, avrei aiutato Juliet, te lo prometto Lucas, aiuterò Juliet.
<< Bene. Grazie, oh la pagherai se poi ti tirerai indietro. >>
<< Aspetta -  dissi prima che Lucas scomparisse davvero- come farò per aiutare Juliet? Insomma, io non la conosco.  L’ho vista per la prima volta in vita mia oggi.. non.. saprei da dove iniziare. >>
<< Joe, guardala negli occhi e capirai tutto. Adesso, devo andare, non ho più molto tempo qui. Ricordati della promessa che hai fatto. Ne pagherai le conseguenze se non la rispettarai. Arrivederci, Joe. >>
Detto questo, mi lasciò nel bianco più totale. Quindi non sarei morto?

 
 
Iniziai a sentire qualcosa solo quando Lucas scomparve del tutto, e la prima cosa che sentii fu la voce di Juliet: << Che gli è successo? >> chiese con un tono di voce che ne diceva tante.

 
 
 
Juliet’s pov


Joe era stato investito da un auto che non l’avevo visto, era stato operato e adesso le sue condizioni erano più o meno stabili.
Speravo che si risvegliasse con tutte le mie forze – non solo perché mi sentivo piuttosto in colpa e aveva una famiglia fantastica preoccupata per lui, ma anche perché Joe, febbricitante, quando stava per essere operato, aveva sussurrato il nome di Lucas.
Adesso, sarebbe potuto essere chiunque: Lucas poteva essere un suo amico, suo nonno morto, magari, o il fratello.
Ma il fatto che l’abbia detto in sogno era stato un campanello d’allarme.
Troppo coincidenze.
 Il nome Lucas pronunciato in sonno. Sapevo – sentivo- che il MIO Lucas c’entrasse qualcosa, chiamatelo pura una sorta di sesto senso.
Io non ho mai creduto alle coincidenze. Perché avrei dovuto iniziare adesso?
Se non mi racconterà tutto non appena si sveglierà, farò qualsiasi – qualsiasi- cosa pur di sapere cosa c’entri Lucas in questa storia.

 
 

Inizio Flaskback.
<< Si, Lucas, lo prometto. >>
<< Joe? Joe? Cosa stai dicendo? Svegliati! >>
Solo dopo mi accorsi che   Joe era ancora svenuto,e aveva brontolato il nome di Lucas nel momento stesso in cui lo vidi. Qualcosa non andava.

 




Spazio autrice.
Buona sera/ notte ragazzuole! Come da copione, grazie a chi recensice, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e anche a chi legge e basta. Mi fate davvero felice, non avete idea di quanto io abbia sclerato non appena il primo capitolo ha toccato le 170 visualizzazioni *--* aahahaha
Scusatemi se aggiorno una volta dopo cento anni, ma ho dei problemi personali, che quando ho iniziato la storia non erano per niente previsti, che non mi tengono la mente libera, e non riesco a scirvere con la mente occupata. Anche perchè uscirebbero dei capitoli davvero depressi, e la storia non è tra le più felici già dalla trama.
Grazie ancora, buona notte.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


6.
 
Juliet’s pov.

 
Erano esattamente le tredici e quarantuno, tra venti minuti avrei finito il turno e Joe non accennava a svegliarsi, era ancora troppo debole.
Il suo corpo aveva subito troppi shock per riprendersi subito.
Se sarebbe andato bene, dopo essersi svegliato, l’avremmo tenuto minimo 5 giorni prima di poter finire tutti i controlli e di poterlo lasciare andare.
Povero lui.

Doveva svegliarsi. Il più presto possibile. Doveva –pretendevo- delle spiegazioni. Perché aveva nominato il nome di Lucas? Era il mio Lucas, troppo coincidenze. Non avevo mai creduto al destino e non ci crederò adesso.
Sorrisi, pensando a quando Lucas mi portò da una cartomante, perché lui credeva davvero in queste forze soprannaturali.

 
<< Ancora non capisco perché mi lascio convincere sempre da te. Chi l’avrebbe mai detto? Io nella sala d’attesa di una cartomante! Addirittura si fa attendere. È mezz’ora che siamo qui. Andiamo. Voglio fare altre cose. >>
Dissi a Lucas, lanciando un’occhiata maliziosa, che lasciava intendere quali fossero le altre cose.
<< Sai quanto amo fare quelle altre cose con te, ma oggi ho deciso che dobbiamo sentire questa cartomante. A quello ci penseremo dopo. E poi ehi, questa è la settimana in cui decido io cosa fare nei pomeriggi liberi. >>
<< La prossima settimana la passeremo tutta in libreria, preparati da adesso. >> dissi a mo’ di ricatto.
Odiava leggere, e odiava quando io entravo in una libreria, perché non ne uscivo più.
Dicendo questo mi lasciò intendere che davvero dopo avremmo fatto altre cose, dandomi solo un assaggio di quello che mi aspettava: mise una mano dietro la mia nuca e avvicinò la sua bocca alla mia. Io intanto sentivo il solito fuoco che si irradiava in me: dalla punta dei piedi fino all’estremità dell’ultimo capello. Poi sentì la sua lingua farsi strada per incontrare la mia. Ah, quanto mi faceva impazzire.
<< Ti amo. >> disse dopo aver concluso il bacio.
In tutta risposta accarezzai la sua guancia con i polpastrelli come per assicurarmi che Lucas fosse vero, e che non fosse solo un sogno. Avevo paura che tutto ciò sarebbe potuto finire. E mi feci strada con la testa nell’incavo del suo collo e mi appoggiai a lui. Profumava. Avevo un odore misto al suo dopobarba, il profumo e il  vero  odore della sua pelle. Muschio. Mi ricordava il  muschio fresco che prende i primi raggi del sole. Quello non ancora calpestato da nessuno. Il muschio indicava sempre una direzione, ecco lui era la persona che mi indicava la giusta strada.
<< Perché credi a queste scemenze? >>
<< Mia nonna era una specie di cartomante, diciamo che con queste cose ci sono cresciuto. >> disse passando una mano sopra le mie spalle e stringendomi ancora di più a lui.
<< Cosa? – mi rizzai a sedere-  tua nonna era una cartomante? Perché non me l’avevi detto? >>
 Lui, teneramente, alzò le spalle << Non pensavo fosse importante. >>
<< Si che lo era! Non vale. Io ti ho sempre detto tutto. Ingiusto. >> dissi facendo la finta offesa e togliendomi il suo braccio dalle spalle
<< Amo quando fai l’offesa. >>
<< Io ti amo sempre. >> dissi, lui accennò un sorrisetto.
Poi la cartomante uscì e ci chiamò.
Entrammo, io dopo di lui, mi sentivo intimidita da lei e da quel luogo:  il pavimento era coperto da lunghi tappeti con cerchi rossi e viola su uno sfondo blu. L’unico divano presente era viola, al centro della stanza un’enorme scrivania mogano con due sedie. Sopra la scrivania un mazzo di carte.
<< Mescola. >> disse semplicemente la cartomante, senza convenevoli.
Sbuffai e iniziai a mescolare.
<< Non prendere niente con scetticismo, cara. Mescola bene. >>
Finii di mescolare e le passai le carte.
Erano strane, questo era l’unico modo per descriverle.
<< Tieni stretto ciò che più ami, perché non sarà per sempre, poco tempo e finirà tutto.>> disse dopo un po’.
Una settimana dopo Lucas era steso a terra che urlava agonizzante con il sangue che usciva dappertutto.

 
 
Sospirai. Sentendo i brividi a fior di pelle. Avrei dato tutto l’oro del mondo per passare un altro pomeriggio con Lucas, a stringerlo tra le mie braccia, a sentire la sua bocca sopra la mia, poterlo toccare, sentire, poterlo sentire dentro di me, e per sentire quella soddisfazione subito dopo essere andata a letto con lui.
Merda.
<< Juliet, non credi sia ora di andare? >> domandò teneramente Thomas.
Guardai l’orologio. Oh, le quattordici e cinque.
<< Sì >> dissi abbozzando un sorriso << Joe come sta? Segni di miglioramento? >>
<< No, è ancora stabile. Comunque sia non sveglierà prima di domani. Sente comunque forti dolori ancora, si lamenta nel sonno - disse lui con lo sguardo che si incupiva- non sappiamo esattamente dove andare a toccare, è un caso piuttosto complicato e la distorsione certo non facilita. >>
<< Beh, se si lamenta, dategli un antidolorifico, che sia con la A maiuscola e non un equivalente. Ho visto l’infermiere riccio che le dava un equivalente. >>
<< Ho sempre saputo che eri una tipa scaltra, dottoressa Juliet.>> disse Thomas sorridendo e scompigliandomi i capelli. Non ci aveva pensato, era questo che mi soddisfaceva: arrivare dove un capo reparto non era arrivato.
Thomas era un tipo sulla cinquantina, non propriamente bello, ma affascinante. Aveva i capelli brizzolati, e una barba incolta che lo rendeva più giovane, nonostante le rughe di gallina agli occhi e quelle che si formavano sulle labbra quando sorrideva. Tipo adesso.
Era davvero un brav’uomo: dava a tutti del tu, e non voleva essere dato del lei, lo faceva sentire vecchio, diceva. Con noi scherzava, non era un tipo severo. Solo una cosa pretendeva: che in qualunque occasione avremmo dovuto dare anima e corpo per salvare un paziente. Indipendentemente dal luogo, dalla situazione e dalla persona stessa.
<< Vado, ciao Thomas. A domani. >>
Andai nello spogliatoio, mi cambiai e misi gli auricolari alle orecchie: Nonostante le mie grandi pene la musica mi aiutava sempre.
Uscii e presi l’aria mischiata alla grande quantità di smog newyorkese. Amavo New York. Mi faceva sognare quando ancora non ci vivevo, e non ha smesso adesso che ci vivo.
Sentivo odore di neve, aprii gli occhi ed effettivamente il cielo era cupo e c’era molto freddo. La neve era prossima.

‘Questa vita- ha detto mia madre- figlio mio va vissuta, questa vita non guarda in faccia. In faccia al massimo sputa. ‘
Tiziano alle orecchie, mille e mille volte grazie a lui. Ero andata al primo concerto di Tiziano con Lucas.
E’ vero. Questa vita non guarda in faccia, in faccia al massimo sputa.
La vita mi ha sputata in faccia, e non contenta ha distrutto il mio cuore in modo irreparabile. Mi aveva uccisa.
Ero morta, per di più con uno sputo in faccia.


‘Io non lo so chi sono e mi spaventa scoprirlo, guardo il mio volto allo specchio ma non saprei disegnarlo.’

Chi sono adesso? Chi sono stata? Non lo so. Come farò a saperlo? Mi sono persa e non so più ritrovare la strada giusta. Urlo aiuto ma nessuno mi viene incontro. Nessuno mi vede o mi sente. Perché dovrebbero aiutarmi in fondo? Perché dovrebbero aiutare una complessata come me? Non mi aiuto nemmeno io in fondo.
Non mi riconosco più.

 

‘ Ma qualcuno lassù mi ha guardato e mi ha detto, io ti salvo stavolta, come l’ultima volta. ‘

Lucas.
Lui mi ha sempre salvata.
Presi a correre tra il traffico newyorkese, come una furia, un bisogno che mi spingeva a correre e non fermarmi più, nonostante il freddo che mi bloccava il respiro a metà strada tra la trachea e i bronchi, premeva. Era quasi un bisogno primario. Il traffico newyorkese che mi bloccava la strada. Corsi, corsi più che potevo, con la  musica alle orecchie, e polmoni che bruciavano per l’enorme sforzo, fino ad arrivare a Central Park, decisamente lontana dall'ospedale. Nessuno mi avrebbe aiutata, nessuno si sarebbe accorto di me. Ero solo un piccolo puntino nell’universo che non brillava né di luce propria, né di luce altrui. Non contavo niente. Ero solo la povera ragazza che aveva perso il fidanzato, a soli 22 anni.





Buonanotte donzelle! Oggi sono di fretta, ho un sonno da morire, ma ho postato solo per voi perchè poi Martedì andrò in vacanza e tornerò Domenica, quindi niente capitoletto! Grazie sempre a tutte. Mi rendete davvero felice. Un bacio enorme, anzi enormissimo.





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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


7.

Arrivai a Central Park.
Sentivo ancora qualcosa dentro di me che ribolliva, come se avessi voglia di urlare. Mi sentivo una furia.
Mi sedetti per terra: senza raggiungere una panchina, volevo sentire l’erba fredda sotto le mie cosce e sporcarmi le mani con il terriccio.
Vidi un padre che rimproverava il figlio per essere scappato e che nel frattempo gli prendeva una mano, come solo un padre sa fare.
Io non avevo più un padre. Era ancora vivo, ma purtroppo non ha mai accettato le mie scelte: lui voleva che seguissi le sue orme e fare l’avvocato, ma in realtà io non sono mai stata brava a puntare il dito contro le altre persone, nei litigi sono stata sempre quella che incassava colpi senza dire una parola, perché non riuscivo a rinfacciare le cose. Con la mia scelta universitaria, il legame tra me e mio padre si era incrinato di molto. Ma quella che davvero fece allontanare me e mio padre fu quando ricevetti la mia laurea. Lui non si era presentato, potete solo immaginare quanto io potevo essere felice nel mio giorno. Ricordo ancora la tristezza negli occhi di mia madre e la delusione che provai io. Ricordo, anche, che poi andai a trovarlo e invece di un saluto ricevetti un cinque. In piena faccia.
Da quel momento in poi, non sono più riuscita a vedere mio padre come genitore, ma come uno sconosciuto. Non avevo più un padre.
Non riuscivo più a parlargli, e quelle poche volte che tornavo a casa mia e c’era lui, non riuscivo nemmeno a salutarlo, come se qualcosa bloccasse la mia voce in gola. Un po’ come quando si ha troppa paura e si cerca di urlare, ma non ci si riesce, la paura fa morire la voce in gola. Forse era proprio la paura quel groppo che si formava nella gola quando volevo dire anche semplicemente “ ciao, papà ” a mio padre.
 
Mi lasciai trasportare dai miei pensieri, alzai la manica della maglietta e vidi il tatuaggio che avevo fatto tanto tempo fa, di nascosto ai miei, recitava una frase in latino:ubi tu Gaius, ibi ego Gaia.
Prometterò questo al mio amore più grande, dicevo sempre. Ed effettivamente lo feci. Dovunque tu sarai, io sarò lì.
Lucas.
Mi alzai, ripresi la mia borsa e iniziai a camminare verso casa mia, sentendomi improvvisamente stanca.
Chissà come stava Joe. Povero ragazzo.
Ehi, ma non avevo detto che era meglio se non l’avessi mai più visto? Perché mi ritrovo a pensare a lui per la seconda volta in mezza giornata.. ?
Davvero, la mia mente stava andando in tilt.
C’era anche una coppia che si baciava, fregandosene di tutto e di tutti: sembrava volessero dimostrare il loro amore a tutti.
Irrimediabilmente, mi scappò un sorriso. Amavo le coppie che dimostravano liberamente il loro amore, e che se ne fregavano delle persone che passavano vicino loro e le indicavano o guardavano storto.
Io e Lucas, davanti agli altri, ci limitavamo a tenerci per mano, o al massimo qualche bacio casto, niente di più, in questo lui era molto timido.
 
 
 
Erano passati tre giorni da quando avevamo indotto il coma a Joe e, per fortuna, aveva risposto bene ai medicinali, ed eravamo riusciti ad abbassare un po’ le dosi dei medicinali che lo inducevano al coma farmacologico, fin quando non si era risvegliato completamente, però l’avremmo comunque tenuto altri giorni sotto osservazione.
Da quando si era svegliato, fremevo per fargli delle domande, e cercavo sempre il momento adatto. Chiamavo nella mia testa Lucas, ma lui non rispondeva, e nemmeno in sogno si faceva vedere, -chiaro segno che lui c’entrava qualcosa.
Così, approfittando del cambio dei turni, mi fiondai in camera di Joe, dove –chissà per quale miracolo- lo trovai solo.
Mi avvicinai, e notai che stava dormendo, inutile negare che era un bel ragazzo: viso ovale, barbetta incolta, capelli scuri e corti e sopracciglia folte, abbastanza slanciato e muscoloso.
Mi sentivo attratta da lui, ma questo, pensai subito, è quello che tutte le donne provano nei suoi confronti. Insomma, chi non si sente mai attratta da un bel ragazzo?
Però un pensiero fece capolino nella mia mente come una frustrata: volevo davvero sapere se Lucas c’entrasse qualcosa in questa storia? E se poi sarei rimasta delusa?
Non mi importava, decisi, non era momento di fare la fifona o la codarda. Dovevo sapere cosa stava tramando lui sulla mia vita. Era la mia vita, decidevo io. Non volevo certo farmi comandare da un angelo o… fantasma, o comunque voi vogliate chiamarlo!
Mi accostai al capezzale del letto di Joe e poggiai la mia mano sulla sua spalla in modo da scuoterlo un po’ e svegliarlo. Se mi avessero vista svegliare un paziente appena uscito dal coma, mi avrebbero uccisa.
<< Joe – farfugliai – Joe svegliati. >>
<< Mmm aspet... Oh ciao. >> disse non appena aprì gli occhi e mi vide
<< Senti, non ho molto tempo, ma devo chiederti una cosa.. Non so come iniziare o da dove iniziare. Quando sei stato investito, prima di entrare in sala operatoria, hai mormorato il nome Lucas. Perché? È un tuo parente o cosa? >> chiesi
Mi vergognavo di me stessa, magari era solo un suo parente che aveva sognato, o magari stava semplicemente sognando qualcosa senza senso. Però dal suo modo di guardarmi – compassionevole quasi – capì che non era semplicemente un sogno senza senso o un suo caro parente.
<< Non mi dire.. hai parlato con Lucas. >> dissi lasciando cadere la borsa a terra.
 
 
 
 
Joe’s pov.
Mannaggia. Mannaggia. Mannaggia e ancora mannaggia!
Sono stato scoperto. Non sono mai stato bravo a dire bugie, mi aveva trovato completamente impreparato, di certo non avrei ami potuto pensare che avevo farfugliato il nome di Lucas prima di entrare in sala operatoria.
Mannaggia.
<< Ehm.. No.. Non.. ho parlato con nessuno. >> dissi, ancora mannaggia a me!
<< Joe, ti prego. Dici a me di non saper dire le bugie, ma tu non sei da meno -disse lei accennando ad un sorriso timido- ho bisogno di sapere, Joe. Hai parlato con Lucas? >>
<< A che Lucas ti riferisci? Quando avrei dovuto parlare con lui? >>
<< Joe, se non avessi parlato con Lucas, e parliamo del mio Lucas, quello con delle ali dietro la schiena, non mi guarderesti così! >> sbottò lei, quasi urlando.
<< Davvero, non ho parlato con nessuno. Forse, come hai detto tu ero febbricitante , e avrò sognato qualcosa in cui c’entrava Lucas, un mio caro amico. >> altra bugia, non avevo nessun amico di nome Lucas.
<< Joe, ti prego.. >> disse Juliet.
Una lacrima le stava scendendo sulla guancia, non appena la notai alzai la mano per asciugargliela, ma lei si spostò subito, coprendosi il viso con le mani.
<< Non piangere, dài. >> dissi, sentendomi quasi in colpa
<< Ho bisogno di sapere la verità. Ti prego. >> continuò ancora
Improvvisamente mi venne un lampo di genio: una grande idea per iniziare a conoscerla meglio, e mantenere la mia promessa fatta al suo Lucas.
<< Io.. ti dirò la verità solo se tu accetterai un invito a cena con me, non appena uscirò da questo maledettissimo posto e starò meglio. >>
<< Joe, io non posso uscire con te. >>
<< Perché? >> chiesi io, sentendomi quasi deluso
<< Io.. Sono fidanzata.>>
Sorrisi, era diventata tutta rossa, e di certo non per il mio invito. Come me, era una frana a dire bugie. Non ci riusciva.
<< Juliet. Vuoi sapere la verità? O vieni con me o niente. >>
Sospirò. << Solo per sapere la verità. >> prese una penna e iniziò a scrivere il suo numero in un foglietto. Mi sentii soddisfatto.
<< Però, Juliet, solo una cosa. Chi è Lucas? >>
<< E’ il mio fidanzato. >>
Dicendo così prese la sua borsa, e uscì dalla mia stanza.
Era il suo fidanzato. Perché aveva usato il presente se Lucas era morto?






Scusate il ritardo mostruoso, ma per completare il BEL periodo, ho avuto pure un incidente. T.T ahahahahahah! Comunque sia grazie a tutte quelle che recensiscono e leggono la storia :) Non è granchè come capitolo, ma è l'ultimo capitolo di passaggio! Baci baci :*
Ps. non ho ancora fatto una revisione, quindi correggerò più tradi i possibili errori di grammatica e battitura. PPS. Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia, è una promessa latina che abbiamo studiato gli ultimi giorni di scuola e mi è rimasta impressa :)

 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


8.

 
Juliet’s pov.
 
Teoricamente quello con Joe poteva essere preso per un appuntamento.
Ecco, di botto ero tornata l’antica Juliet: sapevo incasinarmi benissimo, la mia abilità nell’incasinarmi sarebbe stata invidiata da tutti.
Joe per me era un mezzo sconosciuto… anzi, direi che sarebbe meglio togliere il ‘’ mezzo ‘’ : non lo conoscevo affatto.
Avevamo parlato solo tre volte in totale, se comunque possiamo considerarli dialoghi quelli che abbiamo avuto: la prima volta che ci siamo visti,  abbiamo parato solo della sua gamba e come guarirla, non ci eravamo nemmeno presentati davvero!
Quindi non poteva essere considerato un discorso nemmeno da conoscenti.
E da tre, il numero della volte in cui avevamo parlato era calato a due.
La seconda volta, invece, era lui a porre domande e io rispondevo a monosillabi e, cosa importantissima, l’avevo anche mandato al diavolo, imbrogliandoli che dovevo lavorare.
Quindi, credo, che nemmeno questo poteva essere considerato un dialogo tra due persone.
La terza volta in cui abbiamo parlato, io ero scoppiata a piangere come un’isterica, quindi nemmeno questo poteva essere considerato un dialogo.
E le volte in cui avevamo parlato era calate, magicamente, da due a una e poi a.. zero.
Non avevamo mai parlato di hobby, svaghi, interessi, amici e robe varie. Senza contare, che però, per me è stato un gran bene perché non avrei saputo cose dire, non sapendo imbrogliare, in quanto non avevo né hobby, né interessi, né svaghi e men che meno amici.
Ma brava Juliet, accetta inviti da sconosciuti! Per quanto ne sapevo poteva anche essere un maniaco!
Giorni prima, appena uscita dall’ospedale, il mio primo pensiero era stato quello di tornare indietro , rifiutare l’invito di Joe e fargli confessare tutto, a costo di cavargli gli occhi.
Però razionalmente, non sapevo come ottenere le risposte che cercavo da Joe, quindi uscire con Joe sarebbe stato l’unico modo per saperle.
Non avevo mai rinunciato a niente nella mia vita, e di certo non avrei incominciato adesso, da grande e vaccinata. Non l’avevo fatta da bambina, né da ragazza quando non avevo rinunciato a laurearmi in medicina, nemmeno davanti allo schiaffo di mio padre, che poi mi aveva fatto male più psicologicamente che fisicamente.
Quindi no, non avrei fatto nessun passo indietro, non sarei andata da Joe a dirgli che ci avevo ripensato, ma sarei andata a casa mia, dove un bel bagno caldo mi aspettava.
Mi sembrava come tradire Lucas, però, mi sentivo come sporca, ma non appena iniziai a pensarci, una vocina, si fece largo nella mia testa dicendomi che non sarei certo andata all’appuntamento per piacere! Quindi perché sentirmi in colpa?
Eppure, quelle poche volte che suonava il mio cellulare, avevo una stretta allo stomaco, che non sapevo spiegarmi. Con il senno di poi, però, capii quella stretta all’altezza dello stomaco, era la speranza che provavo credendo che fosse Joe a chiamarmi, e quando nel display nel cellulare, compariva qualche altro nome, provavo una stretta ancora più forte, che era dovuta alla forte, fortissima delusione vedendo non era la persona che stava dall’altro capo del telefono.

 
 
****
 
 
Quattro settimane, e della chiamata di Joe per il famigerato appuntamento ancora niente, credevo che ormai l’avesse dimenticato.

 
<< Mi fa tantissimo piacere il fatto che tu speri che ti chiami. >> Mi disse una notte Luacs, mentre dormivo.
Ovviamente non c’era bisogno di nominare di chi stava parlando, si capiva.
<< Ah, finalmente ti sei fatto vedere - risposi, stizzita – Lucas, evita di farmi fare una brutta figura e dimmi cosa hai detto a Joe. >>
<< Joe? E chi sarebbe? E poi cosa ti fa pensare che io abbia parlato con lui? >>
Ah, faceva anche lo gnorri.
<< Il fatto che lui abbia nominato il tuo nome in sogno ti basta? >> dissi, a mò di sfida.
<< Ma che ne sai?! Forse stava sognando con un suo amico, un suo zio… Non sono l’unico a chiamarmi Lucas. >>
<< No che non sei l’unica a chiamarti Lucas! Qui non ci siamo capiti! Ti ricordi quando ti dicevo che non volevo uscire di casa perché la gente mi guardava con compassione? Bene, Joe, da quando si è svegliata mi guarda con  quellosguardo. E non lo sai nemmeno tu quanto io possa odiare quel tipo di sguardo! Non voglio la compassione solo perché ho perso il fidanzato a 23 anni. >>
<< Juliet, lui non ti guardava con compassione! L’hai sempre pensato, pensi sempre che la gente ti guardi con compassione solo perché io sono morto. Il mondo va avanti lo stesso! Il mondo va avanti nonostante la mia morte, capisci? Nessuno ti guarda più con compassione, men che meno quel ragazzo. Sono morto da  sei mesi Juliet, sei. >>
Ciò che Lucas aveva appena detto mi arrivò come una secchiata d’acqua gelida in piena faccia.
Sì, sapevo che Lucas era morto da ormai sei mesi, ma nonostante non c’era più, io continuavo a pensarlo con me, a svolgere la vita di sempre. Io mi ritenevo ancora la sua fidanzata.
<< Dio, Juliet, scusami. Non avrei dovuto dire quello che ho detto, scusami. Solo che.. è così frustrante sapere che io sono ancora qui per te, per aiutarti a fare passi avanti, ma ogni volta che provo a fartene fare anche uno solo, tu ne fai cento indietro.. è così frustrante! Scusami, mi faccio trasportare dalla rabbia. >>
<< No, non.. è successo.. niente. Ormai so che tu non.. ci sei più. >>
Lui mi sorrise, un sorriso dolce e tenero.
<< Divertiti all’appuntamento, Juliet. Davvero, te lo meriti.. tu solo aspetta un altro po’ e Joe ti chiamerà. Non si è dimenticato di te. >>
<< Lucas, volevo… no, anzi lascia perdere –  dissi pentendomi di ciò che mi era passato per la testa -  ciao. >>
Mi era passato per la testa di baciarlo, di nuovo. Come la prima volta.
Lui scosse la testa e sparì.
 
 
 
  
**** 
 
 
 
 
 
La suoneria del mio cellulare partì, distraendomi dall’ultima sigaretta del pacchetto, che non era arrivata nemmeno a metà.
Dopo la visita di Lucas, non ero più riuscita a prendere sonno, avevo passato due ore a rigirarmi tra le lenzuola, ma niente, tutto vano. Risultato: due enormi borse sotto gli occhi e un pacco di sigarette finito in poco più di una notte. Per punirmi avevo deciso che non avrei dovuto fumare per almeno due giorni.
Mi affrettai a prendere a prendere il telefono che continuava ancora a squillare, non capendo chi mai potesse essere, come continuava quella morsa allo stomaco che non finiva mai di farsi sentire.
Presi il telefono: un numero non salvato in rubrica.
Sentii le mie labbra aprirsi in un sorriso involontario, e la morsa allo stomaco aumentare ancora di più, se possibile. Al diavolo la promessa che non avrei più fumato per due giorni: ero nervosa e ansiosa, mi serviva una sigaretta.
<< Pronto? >> risposi, cercando di non far trasparire alcuna emozione
<< Juliet?>>
<< Sì, esatto, sono io.. >> dissi capendo dalla voce chi era, ma facendo finta di niente.
Non parlavo con Joe da quando avevo pianto davanti a lui, e mi sentivo in imbarazzo.

<< Ciao! Sono Joe Jonas. Come va? >>
Sigaretta. Immediatamente volevo vedere comparire una sigaretta tra le mie mani.
Non appena chiusi la chiamata uscì a comprare le sigarette, in quel momento sembravano la cosa migliore che potesse esserci. Niente di meglio.
C’eravamo messi d’accordo che Joe sarebbe passato la sera stessa alle otto, e dopo avergli dato indicazione su dove abitassi, chiusi la chiamata salutandolo di fretta.
Quindi da zero il numero dei dialoghi tra di noi, si era alzato ad uno. Bene.







Saaaalve a tutte! E bene sì, non sono morta, ma sono ancora qui con voi a rompervi le scatole!
Scusate l'enorme ritardo, ma sono stata a mare, e non  ho internet lì, quindi ho scritto su carta tutto, e *rullo di tamburi* mi sono portata molto avanti con la storia! Quindi aggiornerò più spesso, promesso!
Non sono brava a fare ringraziamenti, ma comunque GRAZIE DI VERO CUORE a chi recensisce, mette la storia tra le ricordate/preferite/seguite e, anche a chi legge in silenzio. Mi fate felicissima!
Al prossimo capitolo,
Eleonora.

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